Drunk - A Kind Of Romeo and Juliet Story - di Finitem_ (/viewuser.php?uid=127972)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I wanna be drunk when I'll wake up ***
Capitolo 2: *** Guilt ***
Capitolo 3: *** Beautiful Monster ***
Capitolo 4: *** The Weight To Be Living ***
Capitolo 5: *** Everything Has Changed ***
Capitolo 6: *** The Worst Things In Life Come Free To Us ***
Capitolo 7: *** It's Too Cold Outside For Angels To Die ***
Capitolo 8: *** The Man Who Can't Be Moved ***
Capitolo 9: *** Wide Awake ***
Capitolo 10: *** It Is What It Is ***
Capitolo 11: *** The Panda Made Me Do It ***
Capitolo 12: *** Call Me Maybe ***
Capitolo 13: *** You'll Never Walk Alone ***
Capitolo 14: *** Walking Beside You ***
Capitolo 15: *** And I Found You Flightless Bird ***
Capitolo 16: *** Living Could Be an Awfully Big Adventure ***
Capitolo 17: *** Joining The Dark Side ***
Capitolo 18: *** Two World Collide ***
Capitolo 19: *** I Pray That You Will See The Light That's Shining From The Star Above ***
Capitolo 20: *** Got You Stuck On My Body Like a Tattoo ***
Capitolo 21: *** I'll Call Ya After My Blood Turns To Alcool ***
Capitolo 1 *** I wanna be drunk when I'll wake up ***
drunk
Faceva male.
Faceva male dappertutto.
Sentiva il sapore ferroso del sangue sulle labbra colargli sul mento e sul bavero della giacca.
I lampeggianti della sirena dell'ambulanza si riflettevano sulle
lamiere dell'auto di sua madre, completamente sfasciata e illuminata a
giorno nel buio della notte.
Sentiva l'asfalto duro, freddo e ruvido sotto il corpo dolorante.
"Ragazzo, riesci ad alzarti?" un uomo strizzato in una divisa bianca lo
aveva rimesso in piedi come se fosse fatto di cartacrespa.
Gli tremavano le ginocchia e aveva freddo, tanto freddo, tranne che alla testa.
Quella bruciava e pulsava come se avesse vita propria.
"Come ti chiami?" gli aveva chiesto mentre lo aiutava ad adagiarsi su
una barella, prima di puntargli una luce negli occhi, facendoglieli
lacrimare.
"Louis Tomlinson"
La sua bocca era secca come un deserto. Probabilmente quelle birre prima di uscire di casa non erano state una grande idea.
La vista era più chiara ora, anche se lo spiacevole sfarfallio ai lati della sua visuale persisteva.
Uno stramaledetto albero segava il cofano dell'Audi in due, i finestrini erano in frantumi e le gomme a terra.
Sua madre l'avrebbe ucciso.
"Quanti anni hai?"
"Diciotto. Quasi diciotto"
"Sai dirmi in che anno e mese siamo?"
Ci aveva pensato un attimo.
"Siamo a Novembre, giusto? Novembre 2007"
"Credo che tu abbia una commozione celebrale Louis. Devi venire in ospedale con me, i tuoi genitori ci raggiungeranno la'"
L'uomo lo coprì con un cappotto, e lo sospinse fino
all'ambulanza, dove intanto altri paramedici stavano cercando di
rianimare un altro corpo.
A prima vista non gli sembrò neppure umano: attraverso il
capanello di infermieri riuscì solo a distinguere una testa
riversa sulla barella, coperta da un groviglio di capelli insanguinati,
un braccio che pendeva nel vuoto, due occhi spalancati che fissavano il
cielo stellato senza vederlo davvero, e dove la luna si
specchiava,vanitosa.
"Lo conosci?" gli aveva chiesto il medico.
Avrebbe voluto scuotere la testa e dire di no, ritornare a due ore
prima, quando era seduto sul divano di casa sua a ignorare bellamente i
compiti di letteratura, che non voleva, non l'aveva fatto apposta...
Ma il senso di colpa e la vista del sangue, uniti alla sbornia che
iniziava a farsi sentire lo fecero piegare in due, scosso dai conati,
che gli bruciavano in gola come il rimorso che provava.
Era tutta colpa sua.
Due ore prima...
Stava comodamente seduto sul divano di casa sua, ammirando la figura
snella e elegante di sua madre che si pavoneggiava per tutti gli
specchi dell'abitazione.
Era il suo primo appuntamento galante dopo il divorzio, di sei mesi prima.
"Come sto tesoro?"
"Benissimo mamma. Farai una strage"
Essendo rimasto l'unico maschio in famiglia, circondato da quattro
sorelle vanitose e narcisiste, aveva imparato in fretta quello che le
donne volevano sentirsi dire.
"Divertiti"
"Anche tu. Per qualsiasi cosa mi trovi al cellulare. Se senti
l'impellente mancanza delle tue sorelle, cosa alquanto improbabile, ma
non si sa' mai, chiama la zia. Non andare a letto tardi"
Dopo queste raccomandazioni aveva schioccato un bacio all'aria nelle
vicinanze delle guance di suo figlio prima di marciare verso l'uscita,
trionfante come una regina.
La porta che sbatteva, un auto costosa che ripartiva sgommando.
Ed era di nuovo solo.
Tutto per colpa dell'insegnante di francese di sua sorella Lottie, che
ai colloqui genitori insegnanti non si era limitata a parlare del
rendimento scolastico e in cosa sua sorella eccelleva, aveva mostrato
al padre anche le sue qualità.
Si erano dovuti trasferire in un appartamento più piccolo, in un
altra città, avevano dovuto cambiare scuola e gruppo di amici,
sua madre si era rimessa a lavorare e i soldi non bastavano mai.
Tutto per colpa di una Janine qualunque.
E prima di lei, stando agli sfoghi isterici della ex signora Tomlinson,
c'era stata l'istruttrice di Sci, la nuova segretaria, la cameriera al
bar dell'angolo e l'insegnante di piano.
Indispettito dalla piega che i suoi pensieri avevano preso Louis si alzò, diretto in camera sua per terminare i compiti.
Avrebbe voluto fargliela pagare.
Per colpa sua adesso la sua vita era un inferno, ed era costretto a
essere padre delle sue sorelle, a contribuire al bilancio dell'economia
famigliare e ad essere il reietto della scuola, solo e senza amici.
E nonostante ciò continuava a fare il bravo bambino,
quando invece avrebbe voluto solo buttarsi per terra e picchiare i
pugni, urlando a squarciagola come tutto questo gli facesse schifo.
Non aveva fatto in tempo a finire di formulare questi pensieri che una
forza oscura lo aveva diretto verso l'armadio dove sua madre teneva gli
alcolici, senza lucchetto perchè "Si fidava dei suoi figli", e a
stappare il primo litro di birra.
A metà del terzo gli era venuta l'illuminazione: avrebbe bevuto
ancora un po', tanto per fare scena, poi avrebbe rubato le chiavi della
macchina di sua madre, chiusa in garage come tutti i week-end, avrebbe
guidato per 15 Kilometri fino a casa di suo padre e gli avrebbe fatto
una scenata in piena regola, con o senza Janine.
E mentre finiva il contenuto della bottiglia si sentiva elettrizzato e
trionfante, come se avesse trovato la soluzione a tutti i suoi problemi.
La biblioteca era immersa in un religioso silenzio, incrinato solo dal
rumore della vibrazione del cellulare contro il tavolo, che segnalava
l'arrivo di un messaggio.
"Mamma dice che tra mezz'ora è pronta la cena. Torna a casa, secchione! X "
Il proprietario del cellulare sorrise allo schermo, alzandosi per
rimettere i libri all'interno dello zaino e pettinandosi con la mano
libera i ricci spettinati, provati dopo tante ore di studio.
Dopo aver riconsegnato alla bibliotecaria i libri di testo e essersi
coperto con il bomber nero, si era affrettato ad uscire all'aria fredda
di novembre, rispondendo al messaggio inviato alla sorella:
"Arrivo. Lasciane un po' anche a me, cicciona!"
"E' già in tavola... Pasta al forno... Meglio se ti sbrighi"
Il ragazzo camminò più in fretta, percorrendo più
veloce che poteva il ciglio della strada provinciale, mentre le
macchine gli sfrecciavano accanto, nelle ultime luci del crepuscolo.
Aveva perso troppo tempo.
Appena salito in macchina aveva spinto troppo l'acceleratore, ed era
finito nel giardino dei vicini, decapitando tutti i loro nanetti da
giardino e schiacciando le loro aiuole ben curate con i pneumatici.
Dopo esserne uscito con una maldestra retromarcia, aveva riso per i 100
metri seguenti, interrompendosi di colpo all'orribile immagine della
testa di ceramica realisticamente dipinta del nano, tanto da sembrare
umana, sotto la sua ruota.
Vedeva tutto sfocato, e il buio che sopraggiungeva indolente e i
lampioni rotti e mal distribuiti lungo la provinciale non lo aiutavano
di certo.
Ma Louis non pensava a tutto questo.
Immaginava l'ingresso trionfale che avrebbe fatto nel giardino del
padre, e di come, a fine ramanzina-sfogo adolescenziale, avrebbe
vomitato sul suo zerbino nuovo di zecca, non prima di aver sfondato
l'entrata col cofano della Audi.
Forse per questo non vide le suole bianche delle scarpe da ginnastica
che, illuminate dagli abbaglianti, si muovevano davanti a lui.
Harry camminava al buio, con il pensiero della deliziosa pasta della mamma, sicuramente già in tavola, fisso nella mente.
Guardò l'ora sul cellulare.
Le 8.45.
Ribloccò lo schermo del telefono, alzando lo sguardo
improvvisamente abbagliato dai fari di una grossa auto che viaggiava a
tutta velocità verso di lui, incrociando per un millesimo di
secondo due occhi azzurro cielo.
Una brusca frenata, stridore di pneumatici sull'asfalto, odore di bruciato.
Un corpo che viene sbalzato bruscamente fuori dal veicolo, un altro che giace poco più in la', in un prato.
La macchina, schiantata contro un albero, fuma ancora nell'aria gelida.
Fari che si spengono e si riaccendono di nuovo, prima di morire.
Luce inghiottita dal buio.
E poi più niente.
Angolo Autrice :)
Mi sono cimentata, per la prima volta, in una cosa seria.
Ho deciso che tutte le
schifezze che mi deprimono e mi fanno stare male (non faccio nomi, ma
chi mi conosce sa a che mi riferisco lol) troveranno valvola di sfogo
in questa FF, quindi non ci sarà PER NIENTE da ridere...
A voi il verdetto, se continuare la cosa o sciacquonare tutto nel wc, magari autrice compresa.
Non m'importa chi siate o quali difetti abbiate, siate gentili con me e io lo sarò con voi. Non mordo.
Quindi vedete di recensire.
#muchlove
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Capitolo 2 *** Guilt ***
fgfdhfgh
L'ambulanza scivolava sulla strada, illuminando con la sua sirena di morte la notte.
Al
suo interno gli infermieri si affaccendavano attorno al corpo del
ragazzo, innaturalmente rigido, come una bambola di plastica.
I monitor suonavano impazziti, scandendo il ritmo dei medici che si affollavano nell'angusto spazio, intubando il paziente.
Una volta calmato il ritmo
frenetico di morte, l'infermiera si sistemò una ciocca di
capelli dietro l'orecchio, annuncinado:
"Dottore, le sue condizioni sono stazionarie adesso"
"Comunque non mi fido, prima arriviamo in ospedale, meglio è per lui"
Mentre
la folle corsa verso la vita continuava, l'infermiera fissava il volto
pallido e insanguinato del ragazzo, che conservava un' espressione
spaventata e stupita insieme, gelata sul suo volto come una fotografia
istantanea.
"Peccato" sospirò la donna, accarezzandogli il volto "Così un bel ragazzino..."
Chissà quanti anni aveva. Tredici? Quattordici?
Come suo figlio.
Il
paragone la colpì ancora di più, spingendola a domandarsi che tipo di
madre sedeva sul divano, in ansia per il figlio, mascherano il timore
in rabbia, pregustando con veemente speranza il momento in cui sarebbe
tornato a casa e lei, sollevata, avrebbe fatto una sfuriata per
scaricare la tensione.
Chissà dove andava a scuola, se aveva una
fidanzata, fratelli o sorelle, perchè il destino lo aveva portato su
quella maledetta strada a quell'ora e perchè aveva lasciato che un
ragazzino senza colpa venisse rovinato dalla follia di un pazzo ubriaco.
"Credo
che dovremmo scoprire chi sia" aveva sussurrato la donna, rivolta più a
se' stessa che al medico, che indicò lo zaino nero dell'eastpack sporco
di terra e il bomber ormai ridotto a brandelli.
Eastpack. Un altro tuffo al cuore. Tutti i ragazzini ne avevano uno, andavano di moda quell'anno.
Se ne vedevano dappertutto quando accompagnava il figlio a scuola.
L'infermiera frugò nello zaino, estraendo libri di scuola, quaderni, astuccio, penne...
Del cellulare neanche l'ombra.
La
sua attenzione venne catturata dal diario gonfio e spiegazzato, sulle
pagine appunti come "Verifica di biologia" "Esercizi pag 969" " -34
alle vacanze"...
"Penso che l'abbiamo identificato" esclamò il
medico, raccogliendo da terra il portafoglio ed estraendone la carta di
identità: lo stesso ragazzo, il viso lucido senza tracce di sangue,
sorrideva vivace al fotografo, mettendo in evidenza le fossette.
"Harry Styles, anni 14, studente"
L'infermiera alzò lo sguardo dal diario col cuore stretto, augurando a Harry tutta la fortuna del mondo.
Ne avrebbe avuto bisogno.
Fissava il bianco
asettico della parete della stanza dell'ospedale, cercando di ignorare
i singhiozzi soffocati di sua madre, che sedeva di fianco al letto.
Se da brillo aveva trovato
il pianto disperato di sua madre irritante e fuori luogo, in quel
momento, dolorosamente lucido, gli veniva voglia di unirsi a lei.
Aveva ucciso una persona.
Se lo ricordava, anzi,
l'immagine non voleva andare via: due enormi occhi verdi che fissavano
spenti la luna, nascosti da una maschera di sangue e dolore.
Ed era tutta colpa sua.
Se in primo luogo non avesse bevuto, se non avesse preso la macchina, se non fosse stato così idiota e immaturo...
Il dolore alla testa raggiunse l'apice con delle fitte che lo fecero gemere dal dolore e dal rimorso.
"M-Mamma!"
La donna prese la mano del figlio.
"Come stai? Senti dolore?"
"Mi fa male la testa" disse il ragazzo con una smorfia, cercando di girarsi su un fianco per guardare la sua interlocutrice.
"Stai fermo" lo aveva rabbonito lei "Hai una commozione celebrale, non devi fare sforzi"
Nella stanza era calato il silenzio, rotto solo dai passi felpati delle infermiere che facevano su e giù nel corridoio.
"Mi hai fatto così tanto preoccupare!"
"Mi dispiace"
"Ma cosa diavolo volevi
fare eh?!" il tono della ex signora Tomlinson da compassionevole era
diventato furente " Se non avessi pestato la testa ti prenderei a
sberle!"
"Non lo so... Volevo..."
Sua madre lo fissava con
un aria famelica: era affamata di giustificazioni, di spiegazioni...
Voleva capire cosa avesse spinto il figlio, così maturo,
giudizioso e assennato a compiere un gesto così sconsiderato e
scellerato.
Soprattutto alla luce delle conseguenze.
"Volevo... Andare da
papà. E fargli una scenata. E' tutta colpa sua: è colpa
sua se fai i doppi turni, se a casa non ci sei mai, se le gemelle
devono mettersi i vecchi vestiti di Lottie, se la mia nuova scuola fa'
schifo..."
La donna aveva ricominciato a singhiozzare.
"Volevo solo che lo sapesse"
Poi improvvisamente, il
pensiero che aveva cercato di tenere fuori dalla sua testa e l'angoscia
che l'accompagnava l'aveva soffocato, impedendogli di parlare e perfino
di respirare.
Doveva sapere.
Cosa aveva fatto.
"Mamma... Credo di aver... investito un ragazzo. Non volevo, t-te lo giuro. N-non l'ho visto... Io..."
Sua madre si era coperta il viso con le mani, sovrastando le sue parole col suo pianto, impedendogli di continuare.
Sembrava così vecchia, nonostante fosse ancora vestita elegante per l'appuntamento.
Così stanca.
"C-come sta?"
"N-Non lo so..."
"Ma è... Vivo?"
La donna aveva annuito, parlando attraverso gli spiragli tra le dita.
"Lo hanno portato in rianimazione poco fa'. Dio Louis, era solo un bambino..."
Lo stomaco del ragazzo si contorse violentemente.
Era un potenziale assassino, adesso.
Un criminale.
"Dovrai essere processato. Dobbiamo trovare un buon avvocato, chiamare tuo padre..."
"Non m'importa. E' colpa mia. Mi merito qualunque posizione vogliano darmi. H-ho ucciso una persona..."
La gravità dell'accaduto colpì Louis in pieno petto, mozzandogli il fiato e opprimendogli la gola.
Si sciolse in singhiozzi,
unendosi alla madre in un abbraccio affranto, in cerca di una
rassicurazione che un unico gesto sciagurato aveva spazzato via.
E in mezzo a tutta quella desolazione , un unica speranza illuminava i loro cuori.
Il ragazzo era ancora vivo, non era morto. Per ora.
Due reparti più in la' Gemma ed Anne Styles si stringevano in un abbraccio che sapeva di morte e distruzione.
Medici facevano avanti e
indietro dalla sala operatoria, la luce rossa brillava sulle piastrelle
opache, pesando sulle loro teste come un macigno.
Era stato uno shock.
Anne era sotto la doccia, mentre la figlia in salotto, china sui libri, intenta a prepararsi per un importante esame.
Era squillato il telefono, e la ragazza, irritata dall'interruzione, si era alzata per rispondere.
"Pronto?"
"Buonasera, sono il dottor Collins, chiamo dal St Barbara Hospital.
C'è stato un incidente automobilistico e il signor Harry Styles
è ricoverato presso di noi. Al momento si trova in camera di
rianimazione. Lei è una parente?"
La ragazza aveva sentito le dita, ancorate attorno alla cornetta,
diventare gelide e scivolose, e la stanza era diventata sfocata sotto i
suoi occhi, spalancati per la paura.
"La sorella"
"Recatevi qui appena possibile, grazie"
Sentiva il cuore che le pulsava il sangue nel petto, che le rimbombava nelle orecchie, impedendole di sentire alcunchè.
Aveva riattaccato, appoggiandosi al muro per raccogliere le forze e
realizzare, prima di spiccare una corsa disperata al piano di sopra a
informare la madre.
Un dottore era venuto verso di loro, facendole entrambe scattare in piedi all'istante, come due soldati davanti al caporale.
Non erano riuscite a formulare neppure una domanda.
"Ha appena superato un arresto cardiaco, ed ora è stabile.
Purtroppo dalla risonanza magnetica si è evidenziata la presenza
di un ematoma cerebrale, da tenere sotto controllo. Per questo motivo
abbiamo proceduto alla sedazione farmatologica e invitiamo alla massima
cautela"
La madre si era lasciata cadere sulle seggioline di plastica, una mano premuta sul cuore e i singhiozzi ormai intrattenibili.
"Mi dispiace"
Il dottore le aveva stretto la mano, prima di allontanarsi per la
corsia, tutto affaccendato e curvo per le troppe ore di lavoro.
Avevano aspettato un' ora, un'ora intera, passata nel limbo, terra dei vivi e dei morti, per sapere così poco.
Non sapevano che l'attesa sarebbe diventata, da quella sera in poi, una
costante della loro vita, che si sarebbe insinuata lentamente,
subdolamente, come l'acqua che erode le montagne, dentro i loro cuori,
rinchiudendole in una prigione a metà strada tra la speranza e
la disperazione.
Intanto, come in una favola, Harry Styles, ignaro dei drammi che si
svolgevano a pochi metri da lui, riposava in un lettino morbido e
bianco, come la principessa vittima di un crudele incantesimo,
condannata a un sonno lungo 100 anni che aspettava solo il bacio del
suo bel principe, per svegliarsi.
Angolo Autrice *-*
Ho deciso dopo molto tempo e soddisfacenti recensioni positive, di continuare la storia :)
Vorrei quindi ringraziare larrjshug che era convinta che Harreh fosse morto (non istigare il mio angst please lol) maybepunky che è sotto shock e le ho fatto guadagnare almeno 2 anni di analisi, 2directioners, onedpassjon e OneDlover entrambe molto impazienti per il seguito e io le ho fatte attendere tipo tre mesi ( shame on me) la mia mogliettina Ellie
che mi segue in trasferta ovunque (olè olè olè
olèèèèèè
olèèèèè
olèèèèè XD) Vivian, Erica e Domenico
( che non so come abbreviarlo XD Dome? Nico? Meni? Mimmo?) che mi hanno
spronato a far diventare questa FF da un OS a una long e quindi ve la
dovete prendere con loro, My heart is broken che non ha idea di come questa FF andrà avanti, ma nemmeno io se è per questo, e Lola, che presto avrà le sue scene Larry, deve solo aspettare :)
Spero sarete soddisfatte da questo secondo capitolo e che recensirete nonostante il mio COLOSSALE ritardo.
#muchlove
Cami
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Capitolo 3 *** Beautiful Monster ***
ollog
La stanza, lunga e stretta, era illuminata malamente dalle finestre
dotate di sbarre che lasciavano filtrare attraverso le tapparelle grige
la luce che si rifletteva sulle pareti bianche e asettiche.
La moquette sul pavimento era macchiata, incrostata, in alcuni punti
appiccicosa o mancante, e in origine doveva essere stata di un bel blu
elettrico.
Si, 40 anni fa... pensò amaramente Louis, mentre contemplava il suo castigo divino.
Sette relitti umani vegetavano nella stanza, aspettando la morte,
accolta calorosamente come una vecchia amica che aveva iniziato a
mietere genitori, parenti ed amici, e che prima o poi sarebbe venuta a
reclamare anche loro, prodotti scaduti, emarginati nella società
new age, anime testarde che portavano sulle spalle il fardello del
passato, ogni anno più pesante, e che non accennava a
alleggerirsi.
O meglio, non ancora.
Due vecchi giocavano a scacchi, muovendo i pezzi con le mani tremule e
rinsecchite, i capillari rotti per via delle flebo e le vene evidenti
sporgevano grottescamente su tutta la mano e parte del braccio,
ricoperto da un triste pigiamino di flanella.
Altri due erano accasciati sul divano, come fiori avvizziti, lo sguardo
vitreo fisso nel vuoto in direzione del televisore, spento, in un
angolo a prendere polvere.
Forse erano morti.
Poi uno di loro, un ometto grasso e flaccido coi bermuda a righe
tossì per due minuti buoni, sputando catarro nel suo fazzoletto
stropicciato, tornando per un attimo alla vita prima di ridiscendere
nel limbo.
Una donna, seduta per terra faceva correre due macchinine sulle gambe
del tavolo, dove un'altra era seduta intenta nelle parole
crociate, lisciando ossessivamente il foglio del giornale, come se
stesse stirando un lenzuolo con delle pieghe.
L'ultima vecchia era seduta sulla sua carrozzella, spostata al sole, intenta a leggere un libro.
Mr Hales, Leighton, Phipps e Davis, e Mrs Bruce, Stowe e Carew.
Le sue sette torture.
Louis ascoltò distrattamente la caporeparto cianciare riguardo a qualcosa che avrebbe dovuto tenere a mente.
Notò nel riflesso degli occhiali scuri della donna, un esserino
baffuto sulla cinquantina, abituata a far rigare dritto una squadra di
7 infermiere al lavoro e cinque figli e un marito a casa, che aveva il
colletto della camicia storto.
Si affrettò a sistemarselo, esattamente come aveva fatto sua madre, nell'atrio di casa, una settimana prima.
Glielo aveva sistemato anche prima di
scendere dall'auto, all'ingresso e affollato e caotico del tribunale e
prima di entrare in aula.
Poi si era lisciata il tailleur preso
in prestito da una delle sue amiche, non si ricordava quale, e aveva
iniziato a sparare consigli a manetta, senza riprendere fiato tra una
frase e l'altra, sistemandogli il ciuffo, la cravatta, di nuovo il
colletto e poi via, tutto da capo.
Sembrava sicura di se, forte e
determinata come sempre, ma le tremavano le mani e la voce diventava
via via più incerta, mentre lanciava occhiate imploranti al loro
legale di famiglia, il fratello di uno zio di nonsochì.
Louis registrava tutto ciò
come un robot vuoto e senza ne sentimenti ne alcuna partecipazione o
coinvolgimento col mondo esterno.
Mangiava, dormiva, respirava, quella
mattina si era alzato, aveva forzato giù per la sua gola mezzo
pancake, si era lavato, vestito come un pinguino, col completo che sua
madre aveva comprato mesi prima per il funerale del Signor Barney, il
loro ex dirimpettaio, era salito in macchina, ed era lì in quel
momento, ma era come se non ci fosse.
Non parlava, a meno che non gli si
venisse espressamente rivolta la parola con insistenza, non mangiava se
sua madre non lo esortava a farlo, sarebbe restato tutto il giorno a
letto se non lo avessero costretto ad andare a scuola, dove si limitava
a trascinarsi da una classe all'altra e a sedersi nel banco fissando il
vuoto, dentro e al di fuori di lui.
Si sentiva come immerso in una
piscina, dove sott'acqua è tutto ovattato e irreale, la
percezione è alterata, tutto sembra statico, immobile, pesante,
e si fa fatica a respirare.
Si era alzato quando sua madre gli
aveva rifilato una gomitata, avvertendolo che il giudice era entrato, e
si era seduto quando lei lo aveva tirato violentemente per la manica.
Quando aveva dovuto dare la sua
deposizione aveva barcollato come uno zombie fino al banco degli
imputati, pronunciando il giuramento sulla Bibbia con voce distaccata,
monotona, apatica, morta.
Aveva risposto, non sapeva neanche
lui come, alle domande del giudice, e poi si era riseduto al suo posto,
mentre iniziava la zuffa tra avvocati.
Poi sua madre gli aveva stretto
fortissimo la mano, e nella sua testa erano rimbombate le parole del
giudice "Lavori socialmente utili..." e sua madre si era messa a
piangere e l'aveva abbracciato forte, inondadogli tutta la camicia di
trucco.
E adesso si trovava lì, a svolgere le sue 1488 ore di lavori
socialmente utili, nel reparto di geriatria del St Barbara Hospital.
1488 ore erano pressochè 62 giorni.
Ovvero due mesi.
Calcolando che avrebbe lavorato tutti i giorni dalle 2.00 alle 18.00, la sua punizione divina sarebbe durata 372 giorni.
Più di un anno.
Precisamente un anno ed otto giorni.
E mentre la caposala gli allungava brusca una divisa sterile di un
bianco stinto e delle ciabatte di gomma che avevano visto tempi
migliori, mostrandogli dove poteva cambiarsi, Louis contemplava con
orrore l'immensità della pena che giustamente doveva scontare,
che si stagliava infinita davanti a lui, oscura e profonda come la
notte nei vicoli bui.
Era stato un disastro.
Louis sapeva che i primi giorni possono essere lievemente
traumatizzanti, ma quelle 4 ore erano state le più brutte della
sua vita, più brutte del divorzio dei suoi, a parimerito col suo
primo giorno di scuola alla Bennett High e quasi orribili come
l'incidente.
Mr Phipps, che soffriva di una gastrite cronica, non si era disturbato
ad alzarsi e aveva scaricato esattamente dove si trovava, ovvero seduto
sul divano, davanti alla TV.
E Louis, infermiere alle prime armi, indossante la divisa da neanche un ora, era sprovvisto di guanti.
In più la postazione delle sue colleghe, che avrebbero dovuto sorvegliarlo, era deserta.
2.45, pausa caffè.
Maledette zoccole.
Aveva dovuto sollevare di peso la mole del vecchio, che di certo non
era un fuscello, trasportarlo nel bagno, svestirlo ( con suo grande
imbarazzo) lavarlo e rimetterlo a letto.
Poi era tornato nello stanzino ricreativo, e armato di coraggio e di
uno spazzettone aveva ripulito, come poteva, la moquette e il divano,
prima di spruzzare il deodorante per ambiente recuperato nell'armadio
dei detersivi.
Si era consolatopensando che il peggio fosse passato, invece non sapeva che era appena iniziato...
Era stato incaricato dalle sue supervisori, rese ancor più acide
dalla caffeina, di preparare i pazienti per la cena ( alle 16.45!) e
servir loro quella sbobba liquida e inconsistente che chiamavano cibo,
così aveva accompagnato i vecchietti nella sala mensa, mettendo
a ciascuno delle bavaglie pulite, somministrando la terapia pre pasto o
l'insulina a chi ne necessitava, aveva apparecchiato con piattini
sbeccati e con aloni giallastri, posate spaiate e tovagliolini lisi e
di colori diversi, prima di impilare tutte le scodelle sbeccate su un
vassoio e portarle alla cuoca che aveva provveduto a riempirle con un
mestolo d' alluminio incrostato di sostanze non identificabili fino a
farle traboccare, prima di restituirgliele pronte da mettere in tavola
per i pazienti.
Fino a quel momento Louis era molto soddisfatto di se' stesso, ma
bastò varcare per la seconda volta la soglia della mensa per
cambiare idea, gettando il ragazzo
nella disperazione più pura: Mrs Bruce piangeva e si lamentava a
gran voce, coprendosi la bocca con le mani e scalciando come una
forsennata a destra e a sinitra nel tentativo di alzarsi.
- Che cos'è successo?- aveva chiesto il ragazzo, meravigliandosi
di sentire la sua voce stupita e turbata, al posto della solita patina
apatica che gli appiccicava la lingua al palato, regalandogli una
cadenza strascicata.
- Le è caduta la dentiera- aveva sbuffato noncurante e
completamente indifferente Mr Hales, tamburellando impaziente le dita
sul tavolo prima di sbottare:
- Allora? Cosa devo fare per mangiare un pasto decente, morire?!-
- Mi sa dire dove è caduta, Mrs Bruce?- aveva chiesto
gentilmente il ragazzo, appoggiando la mano sulla spalla ossuta della
donna, cercando di calmarla.
- Si vergogna- aveva riso maligna la sua vicina di tavolo, Mrs Carew -
Si vergogna perchè non vuole farsi vedere da un bel ragazzo come
te senza dentiera, perchè non vuole sembrare una vecchia
carampana, ma lo è, non può farci niente!-
- Dov'è caduta la dentiera?- aveva quasi urlato Louis, esasperato.
La vecchina aveva indicato un punto imprecisato sotto il tavolo, e il
ragazzo aveva scorto qualcosa di biancastro, viscido e bavoso che
impregnava la moquette.
Aveva sospirato.
Era proprio scemo, non aveva imparato niente dai suoi errori...
Ancora una volta era senza guanti.
Una volta recuperata la dentatura di Mrs Bruce, di averla accuratamente
sciacquata nel lavello sotto fiotti di litri e litri di acqua corrente,
con un sorriso maniacale in faccia per rassicurare la vecchia signora e
per far crepare l'altra di invidia, Louis credeva di aver superato la
prova peggiore.
Le infermiere avevano distrubuito le scodelle, sedando le rumorose
proteste di Mr Hales, che finalmente, con la bocca piena, taceva, e Mrs
Bruce gli aveva sorriso riconoscente una volta rimessa a posto la
dentiera, e aveva afferrato il cucchiaino, iniziando a mangiare di
buona lena.
Era sucesso tutto in un attimo: Mr Hales mangiava troppo in fretta, e
un boccone gli era andato di traverso facendolo quasi soffocare.
Il ragazzo era accorso in suo aiuto.
Il vecchio si era alzato, puntellandosi sul tavolo, la faccia cianotica e le labbra viola.
Si era portato le mani allo stomaco, premendole sul pancione flaccido.
E aveva vomitato la sbobba liquida e verdognola, quella che aveva tanta
fretta di mangiare, centrando in pieno Louis, ancora intento nell'atto
di accorrere in suo aiuto.
Le sue supervisori avevano iniziato a strillare, isteriche, tanto che
era accorsa perfino la caporeparto, il camice abbottonato storto nella
fretta e la crocchia che cedeva lentamente alla
gravità, proprio in quel momento la donna iniziava il
turno, che si rivelava poco promettente e difficoltoso.
- Cosa diavolo è successo?- aveva ululato, cercando di
sovrastare gli ultrasuoni delle sue sottoposte, che si agitavano
ancora, squittendo ininterrottamente.
- Va a lavarti- gli aveva sbraitato addosso, irritata dalla confusione
- Al piano di sotto, nell'ala sud ci sono le docce e gli spogliatoi.
Troverai le divise pulite impilate vicino agli armadietti. Hai 5
minuti, Tomlinson, e non ti lascerò andare a casa finchè
non avrai pulito questo disastro!-
Il getto dell' acqua gli scorreva piano sul corpo, facendogli venire i brividi.
Pure le docce facevano schifo: erano un cubicolo da nemmeno un metro
quadrato per un metro quadrato, con il bocchettone dell'acqua
arrugginito e che perdeva, il portasapone infisso alle piastrelle blu
scivolose del muro era quasi vuoto e in più la tenda che
garantiva la sua intimità, separandolo dal resto del mondo
guardone, svolazzava in maniera irritante.
Aveva appoggiato la mano sulle pareti umide, dove schizzi di shampoo e
gocce d'acqua facevano una gara di velocità verso il basso.
Era stata proprio una giornata di merda.
Era un fallito, un idiota incapace perfino di resistere più di
un giorno con un lavoro vero, esattamente come suo padre, quello
biologico, tanto odiato da sua madre che glielo aveva fatto odiare a
sua volta.
Ma d'altronde tale padre tale figlio, due scansafatiche, mangiapane ad ufo, pigri parassiti opportunisti e soprattutto perdenti.
"Perdente... perdente... perdente"
Se chiudeva gli occhi riusciva ancora a sentirli, quelli della Bennet High, il suo primo giorno di scuola...
All'inizio lo avevano ignorato, e gli andava bene così, davvero.
Sedeva in fondo alla classe, studiava in biblioteca e qualche volta ci
pranzava pure , dal momento che gli scocciava sedersi in mensa
tutto solo, come un ritardato, uno sfigato senza amici.
Lui di amici ne aveva, nella sua vecchia scuola era molto popolare.
Peccato che suo padre avesse deciso di rovinargli la vita.
Poi un mattino, tutto d'improvviso, prima che la lezione di algebra
iniziasse, un ragazzo alto e smilzo si era staccato dal gruppetto che
stava allegramente spettegolando e si era lasciato sedere nella sedia affianco alla sua.
- Posso? - aveva chiesto sorridendo e soffiandosi via il ciuffo dal viso.
- Uhm... Certo- aveva risposto Louis, con un attimo di esitazione.
Non gli piaceva il suo sorriso, era unticcio, arido... era decisamente falso.
- Perchè te ne stai sempre da solo?-
Il ragazzo ci aveva pensato un attimo.
- Sono nuovo, non conosco nessuno, e non voglio imporre la mia presenza agli altri-
Tutti avevano smesso di parlare, e li fissavano dissimulando malamente il loro bruciante interesse per la loro conversazione.
- Quindi in sintesi... Non hai amici e non ne vuoi?-
Louis si era stretto le spalle, non sapendo cosa rispondere: se avesse
detto di no avrebbe fatto la figura del ragazzo altezzoso e snob con la
puzza sotto il naso, ma se avesse detto di si sarebbe suonato come un
patetico sfigato.
Così aveva trovato una via di mezzo, dopotutto non si dice "la miglior difesa è l'attacco"?
- Come mai tutte 'ste domande? Vuoi immolarti come volontario?-
Il sorriso del ragazzo si era allargato sulla faccia larga e molle.
- Non credo, amico... Gli esemplari di emo non rientrano nelle mie abituali frequentazioni-
Avrebbe voluto rispondere, ma era rimasto letteralmente spiazzato e in
più l'insegnante era entrata riportando l'ordine e il silenzio
nella classe.
Lui emo?
Louis si era nervosamente spostato il ciuffo dagli occhi, cercando di riprendere il controllo di se stesso.
Proprio il suo taglio di capelli aveva "tratto in errore" i suoi
compagni: aveva sempre avuto la frangia, di solito portata di lato per
permettergli di vedere meglio, e non molto lunga perchè non lo
intralciasse troppo.
Man mano il tempo passava, man mano cresceva, e tra un divorzio, un
trasloco e una nuova scuola, la sua parucchiera personale, sua madre,
non aveva avuto il tempo per sistemargliela, ne i soldi per far fare il
lavoro ad altri.
Così, dopo quello spiacevole inconveniente il ragazzo aveva
deciso di farsi tagliare i capelli da sua sorella, dopo cena, seduto
sul bordo della vasca per colmare la differenza di altezza, con un paio
di forbici di fortuna che seminavano ciocche marroni sul tappetino del
bagno.
Il risultato finale non era male, ma se Louis credeva di aver sistemato la faccenda si sbagliava di grosso: era solo all'inizio.
Le voci sul suo conto non si erano spente, anzi si erano amplificate
creando un crudele coro, che lo perseguitava nei corridoi, nelle aule,
in mensa, additandolo, spingendolo contro gli armadietti, rubandogli i
libri e imbrattando i suoi averi.
Poi qualcuno della sua vecchia scuola aveva cantato, disseppellendo la storia del campo da rugby e del tabellone segnapunti.
E così dagli assalti psicologici che lo lasciavano irritato e
frustrato, erano passati a quelli sul piano fisico, prendendo come
scusa il fatto che era "una checca che doveva imparare la lezione"
che prevedeva un incontro riavvicinato del terzo tipo con l'intera
squadra di football, riserve comprese, nello spogliatoio maschile dopo
l'ora di ginnastica.
" Perdente... Perdente... Perdente"
Le voci dei giocatori, distorte dall'eco che le rendeva ancor
più mostruose, risuonavano tra le pareti delle docce,
esattamente come in quel momento rimbombava il rumore dell'acqua che
scorreva sulla sua pelle, o dell'anta dell'armadio pieno di divise che
aperta con troppo vigore sbatteva contro il muro, o il rumore
della sua rotula che accidentalmente sbatteva contro la panca al centro
del corridoio, provocando un fiume di imprecazioni che aveva
fatto tremare lo specchio appannato sopra il lavello.
Louis indossando una divisa pulita, macchiata solo dai capelli
gocciolanti che testimoniavano l'assenza di phon funzionanti,
sgusciò furtivamente fuori dal bagno, cercando di seppellire in
un angolo della sua mente quei ricordi dolorosi: mancava quasi un ora
prima della fine del suo turno, e lui non aveva di certo intenzione di
trascorrerla moppando il maleodorante vomito di un vecchio ingordo che
non sapeva neanche stare a tavola.
Così si era incamminato più svelto che poteva nella
direzione opposta dalla quale era venuto, imboccando corridoi a caso:
destra, attraverso una porta a vetri, sinistra, destra, giù di
due gradini, ascensore fino al quinto piano, destra, destra, sinistra e
attraverso un'altra porta a vetri.
Solo quando fu certo di aver messo abbastanza distanza tra lui e il
vomito di Mr Hales, si era azzardato a fermarsi, appoggiandosi contro
una parete per riprendere fiato e cogliendo l'occasione per guardarsi
attorno e capire dove era capitato.
Era finito in un corridoio bianco ed estremamente lungo, illuminato
dalla luce giallastra delle lampade al neon ancorate al soffitto basso
e dagli ultimi raggi del sole che macchiavano tutto d'arancio,
intrufolandosi nell'ospedale dalla grande vetrata in fondo all'atrio.
Una volta calmato il battito cardiaco, Louis si era alzato,
incamminandosi proprio verso la grande finestra, dalla quale scorgeva
il parcheggio delle ambulanze, la strada deserta e più in la'
gli edifici della città e l'orizzonte dentro il quale il sole
stava annegando.
A disagio, si era fermato dopo qualche metro: era come correre e fare
osceni schiamazzi in un imponente cattedrale deserta, il rumore dei
suoi passi rimbombava rimbalzando sulle pareti e le piastrelle del
corridoio, inducendolo a camminare in punta di piedi ed ad affacciarsi
nelle stanze per assicurarsi di non aver disturbato nessuno.
La prima stanza alla sua sinistra era vuota, il materasso crudo e spoglio era privo di lenzuola e del cuscino.
Aveva allora rivolto l'attenzione alla porta alla sua destra, varcando
la soglia con passo incerto, notando appena la svolazzante e voluminosa
cartella clinica appesa fuori dalla porta bianca, su cui troneggiava il
numero 17, stampato con un nero così scuro da risultare
psichedelico in mezzo a tutto quel candore.
In mezzo al locale troneggiava un solo letto, circondato da macchinari
imponenti che emettevano inquietanti rumori, con i monitor riempiti di
righe, numeri e pulsazioni segnalate da un acuto e penetrante "bip".
I cavi del monitor s'intrecciavano sul pavimento, facendo e disfacendo
infiniti nodi per poi ingarbugliarsi di nuovo, confluendo con i
tubicini della flebo, per risalire sul letto dove erano collegati
a un corpo, spezzato e rattappito, che giaceva mollemente tra le
lenzuola.
Sembrava una mummia, un alieno proveniente da un altro pianeta capitato
per sbaglio tra le mura di quella stanza: la parte superiore della
testa era avvolta da spesse bende, che mascheravano l'assenza di
capelli ma che lasciavano scoperti gli ematomi sul lato sinistro del
viso, la pelle tirata sopra l'estesa echimosi così scura da
apparire nero-bluastra, e l'occhio sinistro con la palpebra così
gonfia da raddoppiare la grandezza dell'altra.
Una maschera per l'ossigeno gli copriva le labbra, anch'esse sfigurate
da svariati punti di sutura, permettendogli di respirare, tenendolo in
vita, confinandolo nel limbo, in una condizione ne' di vita ne' di
morte.
Louis aveva sfilato la cartella ospedaliera appesa al letto tramite un
sostegno di plastica, per soddisfare la sua cocente curiosità su
cosa potesse essere la patologia che affliggeva quella sottospecie di
mostro.
Aveva letto il nome stampato sul frontespizio del referto medico, un
plico di fogli giallastri gonfio di lastre, risultati di analisi,
prelievi, elettrocardiogrammi...
Harry Styles
I fogli erano caduti sul pavimento, frusciando furiosi.
Harry Styles, il ragazzo che aveva investito.
Il ragazzo che aveva quasi ammazzato.
Era lì, in quel letto, i polmoni forzati a respirare, il cuore a
battere, cercando brutalmente di recuperare in extremis la vita che
Louis gli aveva brutalmente strappato.
Era corso via, in preda alla paura nel constatare coi suoi stessi occhi
le conseguenze della sua scelleratezza, sfrecciando per i corridoi,
come fuggendo da un terribile pericolo, da tutto l'orrore che aveva
causato per una bravata, una ragazzata che aveva stroncato la vita di
un altro ragazzino, rovinandolo per sempre.
Ma l'unico pericolo da cui fuggire era se stesso.
E lui, per quanto avrebbe corso, non sarebbe mai stato in salvo.
Meritava di stare dove stava, meritava di raccogliere merda e spalare
vomito, di sudare sangue e di bruciare all'inferno il resto della
sua vita se questo significava espiare la propria colpa, fare
ammenda delle sue azioni e tenere gli altri al riparo dall'orco che
c'era in lui.
Ma forse nel caso di Harry Styles era troppo tardi.
E qualche ora dopo, mentre moppava il pavimento della sala mensa del St
Barbara Hospital un pensiero fulminò Louis lasciandolo svuotato
come una lampadina che si spegne: si chiese che cosa sarebbe successo
all'altro ragazzo, con la sua macabra immagine di morte imminente che
dardeggiava nella sua mente come una saetta durante il temporale,
tormentandolo senza dargli pace.
E Louis si domandò se non fosse il caso di tirar fuori dalla
gruccia dell'armadio il vestito buono comprato per il signor Barney.
Angolo Finny *-*
Buonsaaaaalve a tutti :)
Credevate di essermi liberata di me, ero?
NON CI RIUSCIRETE MAI HAHAHAHAHAHAHA
E visto che ho ritardato molto ho scritto un capitolonr lungo lungo che spero soddisfi tutti quanti :)
Vorrei veramente ringraziarvi dal profondo del mio cuoricino pieno di feelings (?)
perchè solo due capitoli hanno già 38 recensioni, tutte positive, e questo significa tanto per me...
Molte bravissime scrittrici sono passate a leggere, e quasi me ne
vergogno perhè questo qui è un 'coso' in fase
sperimentale, un os che sta diventando una long e non si capisce bene
cosa sia :)
Vorrei quindi ringraziarvi una a una partendo da Erica, che mi segue sempre e comunque da tempo immemore, come Ilaria
( sia la numero 1 sia la numero 2) che si è scottata in spiaggia
diventando color Malik con sfumature di 'Horan alle audizioni di X
Factor' mentre lanche la number 2 mi ha seguito recentemente
anche qui, e davvero la amo per questo perchè Love Liar sta
finendo e io non voglio perdere tutte le meravigliose persone che ho
conosciuto fino ad adesso, Ellie,
la mia moglietina che balla la ola sul divano perchè Harry
è vivo ( della serie #sputtaniamoci e comunque non è
detto che resterà vivo a lungo... MUHAHAHAHAHA)
larrjshug, che nonostante l'estenuante attesa di tre mesi o più è rimasta fedele ad aspettarmi ( grazie *w*) Ely che nella recensione scrive che mi farebbe una statua per aver continuato, bhe, io ti farei una statua per aver recensito!!!
Maple che si scambia di posto con Gemma e si fa filmini mentali deprimentissimi, rovinandosi la pizza che l'aspetta, Evelyn_25 che sta in pena per il suo Haroldo ma io che c'è posso fa se Louis è un tamberlo? #sempredarelacolpaaglialtrineh
Nialler is mine_Maj che farebbe resuscitare Harry con una seduta spiritica di magia nera solo per avere momenti Larry ( e non la biasimo) Nora,
la mia teatrante, anche lei reduce da Love Liar, che si ritrova
catapultata in una FF completamente diversa che spero le piaccia
lo stesso, zaynholdme a cui faccio le condoglianze per il suo amico morto come Harry lo scorso dicembre :(
Row che è perdonato per le sue recensioni lampo ma solo perchè è sotto esame, ohana__ che come me capisce l'espediente di Harry 14enne ( un detto inglese dice "Great minds thinks alike" hahahahahaha) loudasmyheart, che spero di poter chiamare dada, che mi regala l'onore di leggere la mia larry, nonostante non ne legga molte, Iris
che finalmente è tornata tra noi * alleluia, alleluia,
aalleluiaaaaaaaa* e che ha già comperato il vestito per il
matrimonio dei Larry in Francia, dove noi faremo le damigelle d'onore
:3, Ele ( o
givemejames, dipende se posso chiamarla col nome di battesiomo o meno)
che dice che la mia umile, modesta, bazzecola FF è meglio della
sua Os.
Come direbbe la mia prof di filosofia "Giammai!"
E ultime, ma non meno importanti daceyx, le cui recensioni sono ( come le ho già detto) uno dei motivi per cui continuo a intasare il fandom, e tommoshorts che un giorno si esibirà su un palco tutto suo, e io sarò li sotto con la maglia "Fan Number 1"...
E sarà la verità!! Le altre tutte BM!!!
Spero di non aver dimenticato nessuno, perchè ci tengo davvero a
ringraziare tutti, quindi Grazie grazie grazie grazie e al prossimo
capitolo, se ci sarete ancora.
#muchlove
Finny
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Capitolo 4 *** The Weight To Be Living ***
ghrghyrhfggh
4.
The Weight To Be Living
Dopo mezza
settimana di lavoro socialmente utile presso il reparto geriatrico,
Louis Tomlinson giunse a comprendere una delle più sconvolgenti e
scottanti verità su cui si fondava l'universo: non esistono
vecchietti buoni e gentili.
Le fiabe mentono.
Babbo Natale
mente.
Il nonno di Heidi mente.
La verità è che i vecchi e
storditi pazienti del reparto di lungo degenza del St Barbara
Hospital erano subdoli, meschini, approffittatori, ingordi, egoisti,
egocentrici e doppiogiochisti.
E inoltre comportavano un carico di
mansioni decisamente disgustoso e spiacevole, come raccattare
dentiere dal pavimento, spalare vomito/merda, raccogliere in appositi
contenitori vomito/merda che in seguito sarebbe stata analizzata,
somministrare clisteri mattutini, pomeridiani e serali, affrontarne
le conseguenze, e praticare frequentemente iniezioni che ti
esponevano alla vista di parti del corpo vecchie, rugose e decadenti
che ti lasciavano scosso e tremante per il resto della
giornata.
Louis odiava quel lavoro.
Non ne combinava mai una
giusta, non faceva altro che far cadere flaconi, ciotole, soluzioni
e bicchieri per terra, dimenticarsi delle medicine di un paziente,
montare al contrario la piantana della flebo, inciampare nei cavi dei
monitor, rischiando di farli cadere tutti per terra e frantumarli in
mille pezzi, faceva cadere a terra i ferri sterili, che dovevano
essere di nuovo sterilizzati...
Le infermiere sbuffavano in
silenzio, risentite dalla sua presenza, dal momento che più che una
risorsa da sfruttare per rendere a loro il lavoro meno pesante, era
un fardello imbranato che gravava ulteriormente sulle loro spalle.
E
il ragazzo continuava a sbagliare e a combinare danni, non potendo
far nulla per combattere la sua sbadataggine e la sua
incapacità.
Lasciava cadere tutto quello che aveva per le mani,
sobbalzando, appena sentiva il penetrante suono dell'ambulanza
rieccheggiare per la strada, il rumore concitato delle voci e dei
passi frettolosi delle infermiere che sospingevano le barelle verso
la rianimazione gli faceva venire i crampi allo stomaco, e la sola
vista del sangue violenti capogiri.
Non ci poteva fare nulla.
E
ogni volta, appena abbassava la guardia, nella sua testa dardeggiava
l'immagine spaventosa di due occhi verdi spalancati verso il cielo,
freddi, immobili, nonostante il sangue caldo e rosso che scorreva
dalla fronte fino alle palpebre, inzuppando gli zigomi, il mento, il
bavero e le mani degli infermieri che lo tenevano sulla barella.
E
spesso, un in un angolo della sua mente rieccheggiava il rumore
martellante del monitor, mentre tra i suoi pensieri riaffiorava un
viso deforme, gonfio e bluastro, nascosto dalle bende come le mummie
nei film dell'orrore.
E Louis non trovava pace: non riusciva a
mangiare, e quando sua madre a cena aveva portato in tavolo la
bistecca al sangue come secondo, il suo stomaco si era ribellato e
lui aveva passato il resto della serata chiuso nel bagno a vomitare,
non riusciva a dormire, e ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva
le luci d'emergenza dell'ambulanza riflettersi sulle lamiere
dell'utilitaria di sua madre, creando una luce così forte da
ferirgli gli occhi e restare per sempre impressa nella sua
memoria.
La cosa che più lo spaventava era il fatto che si
ricordava poco o nulla dell'incidente, solo una serie di
immagini sfocate e confuse che non rispettavano la sequenza
temporale delle sue azioni.
Il suo cervello era come un groviera:
molle e pieno di buchi.
Aveva quasi ucciso una persona, perdio!
Come cazzo faceva a non ricordarsi di una cosa tanto
importante?
Cercava di recuperare tutte le tessere del puzzle,
sforzandosi di mettere a fuoco ogni dettaglio, ogni singolo
particolare che lo avrebbe aiutato a sentirsi meglio, più umano,
meno estraneo, in modo da alleviare il senso di colpa e ritornare ad
essere se stesso.
Questo compito assorbiva tutte le energie, già
limitate a causa della mancanza di appetito e di sonno, e Louis si
ritrovava a vagare nei corridoi della sua scuola come un morto
vivente, il viso scavato, le occhiaie violacee, il colorito
giallastro e gli occhi vitrei persi nel vuoto nero e cupo della
lavagna.
Presenziava a tutte le lezioni, immobile e muto come un
automa, fingendo di seguire le spiegazioni e di essere interessato
agli argomenti trattati, ma in realtà cercava con tutte le sue forze
di dare un senso a quello che era accaduto, alla stronzata che aveva
combinato per un capriccio immaturo che adesso si ripercuoteva
irreparabilmente sulla vita di un altro ragazzo come lui, che andava
a scuola, aveva una famiglia, degli amici, un futuro che era stato
spazzato via, per colpa sua.
Durante un ora di biologia
particolarmente infruttuosa, mentre lasciava vagare la mente a
briglia sciolta il ragazzo era stato catapultato indietro fino a
quella tragica sera.
Era in macchina, le mani sudaticce che
stringevano il volante, la radio che gracchiava stonata una melodia
che non riusciva a focalizzare, gli occhi pesanti e confusi dalle
birre che si era stupidamente scolato fissi sulla strada inghiottita
dal buio.
E poi, d'improvviso la luce degli abbaglianti aveva
illuminato qualcosa.
Un viso di un bianco spettrale.
Due occhi
chiari che fendevano l'oscurità.
Louis aveva sentito un crampo
allo stomaco, incapace di reagire.
Non si ricordava se aveva
tentato di frenare o meno, se aveva provato a sterzare o a spegnere
il motore.
Era troppo tardi.
Si era quasi sentito male quel
giorno, durante l'ora di biologia, e una nuova ossessione si era
accesa nella sua mente, come un fuoco che arde la legna e che nemmano
il temporale più violento poteva spegnere: ora sapeva che l'aveva
visto, aveva visto Harry Styles davanti a se, ma doveva sapere se
aveva provato a salvarlo.
Solo quello, si convinse, gli avrebbe
ridato la pace.
Doveva sapere cosa gli aveva fatto, come e se
avrebbe potuto evitarlo, se ci aveva già provato e perchè aveva
fallito.
Era l'unico modo per riavere indietro se stesso e la sua
vecchia vita.
E l'unico modo per raggiungere la sua meta era
nascosto in un plico di referti medici nella stanza 17 del reparto di
rianimazione dell'ospedale di St Barbara.
Destra,
attraverso una porta a vetri, sinistra, destra, giù di due gradini,
ascensore fino al quinto piano, destra, destra, sinistra e attraverso
una porta a vetri.
Puoi farcela Louis, si disse il ragazzo,
accelerando il passo per darsi coraggio, la terza volta è sempre
quella buona...
Era un quarto d'ora che cercava disperatamente di
trovare il coraggio di entrare nella stanza dove era ricoverato Harry
Styles.
Da quano aveva avuto quel flash a biologia, la sua
cartella clinica era diventata il suo chiodo fisso.
Nella sua
mente, il fatto che avesse tentato di salvarlo o meno faceva una
sostanziale differenza: il Louis Tomlinson che pensava di essere
avrebbe cercato in tutti i modi di evitare il ragazzo, lo sconosciuto
che temeva di essere diventato invece no.
E lui voleva sapere chi
era in realtà.
Era sempre lui?
O si era trasformato in un
perfetto estraneo, un mostro, senza neanche accorgersene?
La
spinta all'azione gli era scattata durante il suo turno, dopo che Mr
Hales gli aveva deliberatamente sputato in faccia, in un attacco di
"demenza senile" ( o come il ragazzo aveva strillato prima
di lasciare il reparto geriatrico "stronzaggine acuta")
caricandolo di rabbia e frustrazione repressa, che lo avevano
riempito di adrenalina, purtroppo sfumata non appena si era trovato
davanti alla porta della Rianimazione.
E così aveva rifatto il
giro un'altra volta, è un'altra volta ancora, ma quella volta era
determinato ad entrare.
Il ragazzo accelerò il passo, bloccandosi
sulla soglia della numero 17, spiando dallo spiraglio.
Qualcosa lo
fermò.
Dall'interno proveniva una voce femminile, che rimbalzava
sulle pareti bianche, diffondendosi anche in corridoio.
"Ho
dovuto imparare! Adesso sono capace. Mi sento un genio " la voce
era stranamente allegra, stonando dal contesto cupo e austero
dell'ospedale " E' successo l'altra sera... Eravamo a tavola
mamma e io, e a metà del primo si è fulminata la lampadina! Eravamo
nel panico, era tutto buio e noi continuavamo a chiederci come
avremmo fatto senza l'uomo di casa..."
Nella stanza era
caduto un silenzio scomodo, che aveva messo Louis, ancora in ascolto
dalla soglia, molto a disagio, così tanto da mozzargli il fiato nel
petto, costringendolo a girare i tacchi e a sparire in silenzio, così
come era venuto, mentre nel corridoio il pianto disperato e senza
speranza della ragazza lacerava il cuore:
"Mi manchi così
tanto..."
Era passata mezz'ora, e la pazienza
di Louis si stava lentamente esaurendo: una volta tornato indietro
dalla sua "passeggiata" aveva scoperto che, durante la sua
assenza, Mrs Bruce aveva strappato le pagine del libro che Mrs Stowe,
l'unica che non dava mai problemi, stava leggendo, prima di forzarle
giù nello scarico del bagno.
E in men che non si dica il ragazzo
si era trovato in ginocchio nel cubicolo puzzolente con una ventosa
sturacessi in mano, cercando di liberare l'impianto idraulico dal
tappo di pagine di carta appallottolate chissàdove nel tubo di
scarico.
Ottimo.
Gli facevano male le braccia a furia di
spingere e tirare, ma non si era perso d'animo, e aveva provato a
rompere il ghiaccio con l'anziana donna, che appoggiata al lavello
attendeva di riavere il suo ormai inutilizzabile libro,
inevitabilmente destinato a essere gettato nell'immondizia.
"Cosa
ho l'onore di star sturando?" aveva chiesto sarcastico il
ragazzo, soffiandosi il ciuffo sudato via dalla faccia.
"
L'Amleto di Shakespeare"
Louis aveva sbuffato.
L'anziana
signora l'aveva guardato male al di sotto degli occhiali a mezzaluna
con la montatura dorata.
"L'hai già letto?"
"
No, ma posso immaginarmi il genere"
"Mai giudicare il
libro dalla copertina"
Il ragazzo non voleva che la
conversazione finisse e che la donna rimanesse in silenzio, perchè
avrebbe inevitabilmente pensato a Harry Styles, e al pianto della
ragazza che aveva imparato a cambiare da sola le lampadine fulminate,
alla madre, che metteva in tavola solo due piatti e lasciava un capo
della tavola religiosamente vuoto, in modo che lui riprendesse il suo
posto al ritorno e che tutto tornasse come prima, così aveva buttato
lì, con tono annoiato:
" E di cosa parla?"
"
E'... Difficile dirlo. In sostanza, Amleto è un adolescente.
Ha certi... Desideri, ma non ha le palle per alzarsi e combattere per
ottenerli. Così finisce per impazzire e si masturba su Ofelia
finendo col diventare così noioso che qualcuno deve ucciderlo"
Era
arrossito, sorpreso dal linguaggio volgare della donna, all'apparenza
rispettabile e decisamente all'antica.
" E tu, giovanotto,
hai le palle per raggiungere i tuoi desideri?" aveva continuato
la vecchia, incurante del suo silenzio.
" Non ne ho"
"
Neanche uno?"
"No"
"Male, molto molto male
ragazzo. Senza l'ambizione nella vita non si va da nessuna
parte"
"Appunto "
Sentiva lo sguardo azzurrino
di Mrs Stowe sulla nuca.
Quella conversazione non gli piaceva per
niente.
"Dovresti, invece. E dovresti anche leggere quel
libro"
"Dubito che dopo questo imprevisto si riuscirà a
leggere qualcosa"
" E' un romanzo di formazione, di
crescita. Essere o non essere, vivere o non vivere, agire o non
agire. Restare se stessi, o cambiare. Crescere.
Tu cosa faresti,
Louis Tomlinson? Confermeresti quello che sei, coerentemente ai tuoi
ideali, o ti spingeresti verso mete inesplorate, rischiando di capire
chi sei realmente?"
Il ragazzo non rispose, limitandosi a
sforzare i muscoli portandoli al limite, fino a farsi male, riuscendo
finalmente a liberare lo scarico, che iniziò a perdere acqua,
inondando velocemente il pavimento del bagno, sotto la porta, nella
saletta e nelle camere.
"Cosa diavolo sta succedendo?!"
Le
infermiere accorsero subito, trovandolo con un' aria colpevole
stampata in faccia e la ventosa ancora in mano, iniziando a inveire
contro di lui.
La caposala fece la sua comparsa, strillando e
sputacchiando saliva da tutte le parti mentre si sfogava si di lui,
investendolo con una bella ramanzina, potente come un ciclone.
Lò
spedì a cambiarsi i pantaloni, zuppi dal ginocchio in giù.
Fu in
quel momento, solo nello spogliatoio come il primo giorno al reparto,
che decise che voleva agire, vivere, capire chi era realmente, se si
conosceva ancora oppure era diventato uno sconosciuto.
Era lo
stesso Louis di un mese fa?
Lo stesso ragazzo allegro e solare con
una mamma e un papà che stravedevano per lui, amandolo più di ogni
cosa al mondo?
Lo stesso bambino che da piccolo giocava in piazza
a calcetto con gli amici in estate e che passeggiava tenendo la mano
alla nonna, divertendosi a sfamare i piccioni?
Quello stesso Louis
che "per darsi un tono" aveva iniziato a fumare erba
davanti alla scuola?
La stessa persona che si era tatuata una
bussola sul braccio, sperando gli indicasse la via?
O che
nonostante l'esplicito 'no' della madre, si era fatto un piercing al
labbro?
No.
Non sapeva più chi era.
Si mise a
correre.
Conosceva la strada.
Destra, attraverso una porta a
vetri, sinistra, destra, giù di due gradini, ascensore fino al
quinto piano, destra, destra, sinistra e attraverso un'altra porta a
vetri.
Mentre svoltava nel reparto vide sparire nella luce chiara
che filtrava dalle vetrate dietro l'angolo del corridoio una ragazza
mora, alta, con l'andatura grave, le spalle curve, la testa china e
un fazzolettino di carta sporco di rimmel in mano.
Questo poteva
voler dire solo una cosa...
Via libera.
Il ragazzo respirò
profondamente, come a garantirsi una riserva di ossigeno pulito,
prima di abbassare dolcemente la maniglia di acciaio della numero 17,
scivolare dentro e chiudersi la porta alle spalle.
"
Uhm... Ciao"
Era così stupido parlare con quel fagotto di
bende e flebo che vegetava sul letto, ma in quel momento, in quella
stanza tagliata fuori dal mondo e dal tempo, gli sembrava la cosa
migliore da fare.
Forse doveva essere internato anche lui.
Tutto
era pressocchè uguale dalla sua ultima visita: il groviglio di
flebo, il rumore estenuante dei monitor, il candore delle bende,
forse più bianche rispetto all'altra volta.
Probabilmente erano
state cambiate.
"Ciao" ripetè nervosamente Louis "
Sono... sono quello dell'altra volta, mi spiace
disturbare"
Ovviamente nessuna risposta.
Il ragazzo aveva
male alla gola: dopo l'incidente si era chiuso nel mutismo più
assoluto.
Le sue sorelle avevano quasi paura di lui, e piuttosto
che chiedergli di passare il sale in tavola si alzavano e facevano il
giro della stanza, di amici non ne aveva, e in quel momento non ne
voleva neanche, e suo padre e sua madre non gli parlavano, troppo
delusi dal suo comportamento.
E lui era troppo stanco per fargli
notare che se agiva in un certo modo era solo colpa loro e dei loro
errori, che gli avevano rovinato la vita.
Parlare al vuoto più
assoluto, a quel bozzolo di coperte che era vivo per intercessione
divina lo faceva sentire allo stesso tempo strano e normale,
nonostante la rauchezza della voce lo mettesse in allarme: se avesse
continuato a tacere probabilmete avrebbe perso l'uso della parola, e
nessuno se ne sarebbe accorto.
" Uhm... Ehm..."
Tutto
questo è ridicolo, pensò il ragazzo.
"Prendo la cartella
clinica, ci do' un occhiata e me ne vado, okay?"
Silenzio.
Il
ragazzo si chinò davanti al letto, sfilando il plico di fogli dai
fermagli metallici ancorati al letto, iniziando a sfogliarli
nervosamente, mescolando fogli, lastre, referti nella cartelletta
aperta tra le sue braccia, mentre termini come "pneumotorace",
"coma vigile", "Edema cerebrale drenato durante
intervento", "politraumatismi" e "arresto
cardiocircolatorio" gli saltavano all'occhio, rimanendo
impresse nel suo cervello, che le interpretava come una profezia di
vita o di morte.
Non ci capiva niente.
In biologia era
sempre stato una sega, come in tutte le altre materie che
richiedevano un minimo di applicazione teorica o scientifica, e
quindi di studio.
Aveva continuato a leggere, disperato, riga per
riga, parola per parola, cercando di dare al tutto un senso compiuto,
cercandoci se stesso in quei termini astrusi che parevano essere
parole di un altra lingua.
Dopo aver riletto tutto almeno 3/4
volte, dopo aver scandagliato con lo sguardo ogni singola lastra,
referto chimico, ed esami del sngue senza aver capito nulla tranne le
congiunzioni che legavano le misteriose e criptiche frasi della
lingua aliena, Louis si arrese.
" Non si capisce una mazza!"
aveva sbuffato rivolto più a se stesso che a Harry Styles.
Solo
in quel momento si accorse che era seduto sulla seggiola
precedentemente occupata dalla ragazza che piangeva.
"
Non si capisce niente" aveva sbottato di nuovo, polemico,
soddisfatto dalla possibilità di poter sfogarsi a voce alta con un
altro interlocutore, ridotto al silenzio.
Quasi si era dimenticato
cosa volesse dire parlare con qualcuno: dopo il fidanzamento di suo
padre con Janine e la furente ma passiva rassegnazione di sua madre
che culminava in scenate isteriche, Louis aveva smesso di
parlare.
Non che ci fosse niente da dire, le cose che pensava le
aveva già dette e ridette da un pezzo: la scuola faceva schifo,
l'appartamento era stretto, perchè lui doveva dormire nello
sgabuzzino manco fosse Harry Potter, i compagni erano stupidi, la TV
via cavo non prendeva, in bagno non aveva neanche un po' di privacy,
il tragitto casa scuola era lunghissimo, i mezzi pubblici facevano
schifo ed erano sempre in ritardo, i professori e i compagni li
stavano sul cazzo, il centro era lontanissimo, le sue converse
andavano cambiate perchè la suola si stava lentamente scollando, i
soldi non bastava mai, era tutto colpa di papà, non avrebbe dovuto
cacciarlo via, non avrebbe dovuto lasciarlo andare da quella zoccola
che scialacquava tutti i soldi che avrebbero potuto usare loro, era
tutta colpa di mamma, era tutto una merda...
Piano piano gli
argomenti di conversazione erano finiti, e mentre le ragazze a tavola
chiacchieravano allegramente, Louis, quando si degnava di
presentarsi, restava seduto zitto all'altro capo della tavola,
immusonito, se non furente, e scuro in volto.
"Come è andata
a scuola?" chiedeva la madre.
"Una merda"
rispondeva lui, con quel tono stizzoso e monocorde che tanto faceva
arrabbiare sua madre.
"Louis! Ti sembra il modo di parlare
davanti alle bambine?"
"Tu mi hai fatto una domanda, e
io ti ho risposto sinceramente. Se non vuoi sentire cosa ho da dire,
allora smetti di farmi domande"decretava lui, ponendo
irremediabilmente fine alla conversazione.
Paradossalmente sua
madre aveva seguito il suo consiglio, e dalle semplici domande era
passata agli imperativi nazisti: "Pulisci la tua stanza",
"Rifai il letto", "Levati le scarpe", "Va a
far la spesa/portare fuori l'immondizia/prendere le gemelle
dall'asilo"...
Da dopo l'incidente il mutismo era diventato
sia una scelta, sia una costrizione, ma parlare con Harry Styles
provocava a Louis un sentimento di sollievo e leggerezza, una
sensazione della quale si era dimenticato da lungo tempo.
Aveva
alzato lo sguardo dal referto a cui stava facendo l'orecchio, e aveva
visto una cosa pelosa per terra, che non c'era durante la sua
precedente visita.
Era un peluches, alto più o meno una spanna, a
forma di gattino a strisce bianche e nere, con gli occhietti di
plastica color blu oceano e un caramelloso cuore morbido tra le
zampe.
Era sicuro di non averlo visto l'ultima volta che era stato
lì.
"Uhm... Ehm... Ti è caduto il peluches"
Si era
chinato a raccoglierlo.
" E' tuo?"
Ovvio, che cavolo
di domanda era? C'era solo lui lì!
"E' a forma di gattino.
E' molto carino. Te lo rimetto sul comodino, Okay? che sennò si
riempie di polvere, o qualche infermiera cicciona rischia di
schiacciarlo"
Si era chinato sul pavimento, sollevando
l'animaletto e posandolo delicatamente sul mobile a fianco al
letto.
E intanto continuava a parlare a briglia sciolta,
galvanizzato dal sollievo che provava a far far fare allenamento alle
corde vocali.
"Deve averlo portato tua sorella. L'ho vista
prima, sai? E' molto carina, ti assomiglia parecchio"
Clamorosa
bugia.
Quella ragazza alta, magra, viva, che camminava tra i
corridoi, studiava, respirava, attraversava la strada, non aveva
niente, niente, a che vedere con quel relitto umano che faceva
fagotto tra le coperte.
Ma ormai Louis straparlava, e non aveva
intenzione di fermarsi.
"Deve essere proprio una brava
sorella maggiore. Ma è facile esserlo quando tua madre ne ha
sfornato un'altro soltanto! Mia madre ne ha fatti altri 4 prima che
la fabbrica chiudesse i battenti. E tutte femmine poi! Lottie che ha
14 anni e va in giro per la casa conciata come una ninfomane, Fizzy
non è ancora in quella fase, ha 12 anni ed è perennemente attaccata
al cellulare, manco fosse il prolungamento naturale del suo braccio,
mentre invia sms e fa telefonate a destra a manca imitando Gossip
Girl, e Daisy e Phoebe che sono gemelle che ne hanno 5 e
sarebbero adorabili se non spiassero ogni mia mossa e non litigassero
per ogni stupidata in continuazione.
Sei fortunato ad averne una
sola, davvero.
Sembra forte, in tutti i sensi.
Io, in una
situazione come la sua non credo che riuscirei a reggere e a restare
ottimista e positivo per dare l'esempio agli altri...
Perchè è
questo il nostro compito, no? Dare il buon esempio..."
E lui
certamente non ne rappresentava uno, specialmente per le sue
sorelle.
Fumava.
Beveva.
Disubbidiva in continuazione,
tatuaggi, piercing, non aveva limiti ormai, e ciò lo portava a
litigare con sua madre.
E così Lottie aveva iniziato a vestire un
look alquanto discutibile, Fizzy aveva trovato rifugio nella cerchia
di amiche, porto caldo e sicuro eletto a rimpiazzare il nido
famigliare, ormai in decadenza, mentre le gemelle, costrette dalla
loro tenera età nell'occhio del ciclone, in piena burrasca, erano
diventate lagnose e aggressive, sempre attaccate alle gonne di mamma
e sempre pronte a mettere le mani addosso alla prima frustrazione
della giornata.
Certo, non era tutta colpa sua, sapeva che il
divorzio era stato difficile per tutti quanti, ma i vestiti dark
improponibili di sua sorella, le continue richieste di uscita
dell'altra e gli inquietanti svaghi delle piccoline ( giocare alla
droga al posto della famiglia, giocare a fumare al posto che guardare
le Winx, disegnarsi tatuaggi neri coi pennarelli al posto che
disegnare casette, fiori e famiglie felici...) quello era colpa
sua.
In quel momento desiderò di tornare indietro nel tempo, per
essere la pietra miliare nella vita delle sue sorelle, la loro guida,
la loro spalla su cui piangere, e non l'erbaccia che seminava
zizzania nel campo, e che succhiava come una sanguisuga tutte le
energie e le attenzioni della mamma, che finiva per trascurare le
altre.
Faceva schifo.
Aveva fallito come fratello maggiore,
aveva fallito come studente, come amico, e soprattutto come
figlio.
Un bravo figlio ubbidisce alle regole, non si sfonda di
erba, non rientra in casa alle tre di notte durante la settimana
incappando nel genitore costretto dall'ansia a stare sveglio e a
rischiare di arrivare tardi al lavoro il giorno dopo per la troppa
stanchezza.
Un bravo figlio non ruba i soldi, già pochi di per
se', dal cassetto dei risparmi.
Un bravo figlio è un bravo
fratello.
Un bravo figlio è un bravo studente: non salta la
scuola un mese di fila, non si mette nei guai con gli altri alunni,
prende voti accettabili e segue le lezioni con impegno e costanza.
Non viene bocciato.
Un bravo figlio non fuma in casa e non spegne
la sigaretta sui mobili guardandoti fisso con sprezzo.
Un bravo
figlio non ti urla " Spero che tu muoia in un incidente" o
"Se la mia vita è una merda è colpa tua perchè come madre fai
schifo" prima di uscire di casa sbattendo la porta.
Louis non
era un bravo figlio.
Era una delusione su tutti i fronti.
L'ultimo
fallimento, l'ultima delusione, la più eclatante e grave vegetava
sotto i suoi occhi, alimentata e tenuta in vita dalle macchine che
pompavano l'ossigeno nel suo corpo.
In lontananza una porta sbattè
violentemente, risuonando nel corridoio silenzioso.
Il ragazzo si
alzò in piedi di scatto, stringendosi le spalle come se l'avesse
colpito una pallottola.
Non importava se aveva cercato di salvare
in extremis la vita di Harry Styles o se lo aveva centrato in
pieno.
Il fatto che era ubriaco marcio alla guida di un auto
rubata senza gli abbaglianti accesi nonostante il buio era già
abbastanza.
Non aveva scuse.
Era inutile cercare futili
giustificazioni su degli stupidi foglietti di carta per provare a se'
stesso la sua innocenza e mettersi la coscienza in pace.
Non si
meritava pace.
Non si meritava tregua.
Per il corridoio
risuonava rimbombando il rumore delle ruote del carrello dei
medicinali, spinto da un imponente infermiera che camminava lenta a
causa del peso del mezzo.
Poco dopo entrò sbuffando nella numero
17, intonsa nella sua immobilità, tranne che per la sedia
leggermente spinta all'indietro, ancora calda, e la cartelletta piena
di referti aperta sul pavimento, probabilmente sfuggita dalla presa
dei fermagli metallici ancorati sul letto.
Ma Louis Tomlinson era
già lontano da quella stanza e da quel corridoio, correva a
perdifiato verso l'uscita di quel casino in cui si era cacciato,
cercando disperatamente di fuggire dai suoi errori e dimenticare il
passato, per ricominciare di nuovo.
Angolo
Fin c:
*
Dopo 3 mesi d'assenza*
Uhm...
Ciao?
É
tutta colpa di Ellie se sono in ritardo. Always blame the wife XD Lei
mi ha scritto di non pubblicare più per una settimana, perché
partiva per la montagna, e così mi sono presa un periodo di
'vacanza'. E l'ho esteso per tre mesi #shameonme :/ Spero di non
essere finita nel dimenticatoio, perché sono pronta a ripartire con
questa ff, che decollerà di nuovo proprio ADESSO.
Ma
prima, i sentitissimi e dovuti ringraziamenti a:
niallhugsme
che paragona le mie descrizioni dettagliate, e tanto odiate dalla mia
prof di italiano, a ambientazioni di famosissime serie televisive (
io comunque optavo più per uno stile simile a dottor House c:)
Ilaria number 1 che fa appello alla mia compassione per non far
soffrire Harry troppo, ma mi spiace dirti che dovrà tribolare per un
po', dal momento che mi é venuto il pallino dell' angst, anche se
neanche lontanamente avvicinabile a quello di Lu, la regina
incontrastata *s'inchina al suo cospetto*
Iris,
che é coliona pakistana e non mette la g.
Perché
la g é brutta.
Perché
g di 'girl' a Louis non piasa, non piasa pe davvero! ( Si, sarò la
tua Maria para siempre)
_BlueSky
e daceyx che poverine le ho lasciate sulla graticola per 3 mesi :'(
non succederà MAI più, lo giuro #giuringiurelloilbueelasinello
Nora,
che mi deve assolutamente raccontare come va la sua carriera da
teatrante ed aggiornarmi sulle sue news da stella di Brodway, maple
che si unisce alle preghiere di veglia per il povero Harry, _ohana
che si stupisce per i miei ringraziamenti quando invece a me sembrano
il minimo, Erica che la riempirei di baci perché ha segnalato come
storia scelta Love Liar che se mi decido a rivederla e spedirla
magari, forse, se Dio lo concede diventerà un libro, Caro che alla
'vista' del nostro povero Loueh-coi-capelli-a-scodella si frega la
mani alla Montgomery Burns, Dada e martins_ che come Ilaria non sono
shipper ma mi seguono lo stesso, cosa che apprezzo molto ( sappiate
che rispetto le vostre opinioni a che qualsiasi cosa dica/ faccia nei
miei angoli autrice non é intenzionato a forzarvi a cambiare idea
c:) Row che recenscisce in extremis e ultima ma non meno importante
Mrs_direction_ che é autorizzata a picchiarmi se ritardo con gli
aggiornamenti.
Autorizzo
solo lei perché tutte insieme fareste troppo male e finireste per
uccidermi XD
Dai
vogliamosi bene.
Dobbiamo
stare vicini vicini lol.
Quindi
comunico ufficialmente che la stagione delle fanfiction é aperta da
questo momento in poi, così come domani riaprirà la scuola T.T
Colgo
quindi l'occasione di augurarvi un buon primo giorno pieno di sole e
tante belle ed improbabili cose.
Felice
anno scolastico a tutte.
'And
may the odds be ever in your favor'
#Love
Fin
|
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Capitolo 5 *** Everything Has Changed ***
5)
5. Everything Has Changed
Svoltare a destra, una porta a vetri, sinistra, destra, giù di
due gradini, ascensore fino al quinto piano, destra, destra, sinistra
e attraverso un'altra porta a vetri.
Ormai sembrava che Louis
avesse inghiottito un navigatore satellitare.
La visita a Harry
era diventata un abitudine di routine: la giornata del ragazzo era
nera e cupa come il più invalicabile baratro, e solo verso le sei,
quando sgattaiolava fuori dalla geriatria con le scuse più
improbabili ( "Vado a fare rifornimento di guanti di lattice",
"Non ci sono abbastanza pannoloni", "Quella flebo si
sta otturando, vado a comprare la coca cola alle macchinette")
la luce sconfiggeva tutto quel buio, regalandogli qualche minuto
dorato di pace.
All'inizio, spaventato dalla prospettiva di dover
fronteggiare la famiglia, si limitava a mettere a sbirciare dalla
porta, per controllre che fosse ancora lì, ancora vivo, anche se più
di la' che di qua.
Una volta, stanco dallo snervante turno in
geriatria, dove aveva dovuto sollevare vecchi obesi e e lavare
pavimenti inginocchiato a terra e con le vertebre incriccate, si era
seduto sull'onnipresente seggiola bianca davanti al letto, per
riposarsi un attimo e si era ritrovato a parlare del tempo, di come
non funzionasse il riscaldamento a casa e dormire fosse un'incubo, di
come dovesse indossare 4 paia di calze per tener caldi i piedi, di
come, a volte, rimpiangesse le fiamme di un camino...
Man mano le
sue visite si allungavano: se all'inizio aveva paura perfino ad
entrare nella stanza 17, adesso ogni volta si sedeva, chiacchierava,
cercava in qualche modo di alleggerirsi la coscienza, di fare meno
schifo di quanto avesse fatto in quel momento, di dare un senso alle
sue giornate...
I primi tempi le conversazioni più gettonati
erano il clima invernale, rigido e polare che aveva investito la
città, gelando tubature e uccidendo tutti i gerani esposti sui
balconi delle villette dei più ricchi, i pettegolezzi dell'ospedale,
e i vecchietti a cui Louis badava.
Più il tempo passava, più le
visite si allungavano, più anche gli argomenti iniziavano ad avere
un certo spessore: non che al ragazzo piacesse parlare di se' e di
cose particolarmente raffinate, ma qualcosa dentro di lui lo spingeva
ad aprirsi, a confidarsi, a rivelare i suoi pensieri più intimi e
più segreti ad un perfetto sconosciuto se questo poteva alleviare il
peso e la sofferenza che si portava dentro da ancor prima
dell'incidente, prima di trasferirsi, prima ancora che i suoi
mettessero una fine all'idillio della loro famiglia felice mettendo
un punto fermo al loro matrimonio, quando tutte le litigate e l'odio
verso le due persone che più amava aveva iniziato a corrodere i muri
della loro stessa casa.
Era successo in modo graduale tanto che quasi non s'è n'era
accorto, finchè non era capitata la discussione sul cane e il gatto,
ma ormai era troppo tardi, ormai Louis non riusciva a fare a meno di
fidarsi di Harry, ormai viveva la giornata solo in funzione di quel
quarto d'ora rubato al lavoro da trascorrere in compagnia di ciò che
restava, ciò che lui non aveva brutalmente distrutto in quella
maledetta sera di novembre, di quel ragazzino di quattordici anni,
sospeso tra la vita e la morte in una snervante attesa immobile che
accadesse un miracolo.
Si era reso conto di quanto effettivamente stesse mettendo se
stesso nelle conversazioni col ragazzo il giorno che, varcando la
soglia della camera, vide troneggiare sul letto un enorme cuscino
morbido e peloso a forma di gatto.
“Wow” aveva commentato, avvicinandosi al letto e tastandolo
con mano per vederlo meglio, allontanandosi di scatto quando dalla
stoffa soffice e profumata si era diffuso un penetrante miagolio
registrato.
“Wow” aveva ripetuto ancora, con più enfasi, mentre con una
mano appoggiata al petto cercava di calmare il battito cardiaco,
impazzito dallo spavento.
“Devono proprio piacerti i gatti, Harry” aveva esordito,
annunciando la sua presenza nella stanza all'altro, prima di sedersi
sulla sedia bianca, mentre si passava una mano tra i capelli,
aggiungendo “ Anche alla signora Stowe piacciono, e molto. A parer
mio forse anche troppo. Mi racconta sempre che a casa ne ha più di
venti, e poi comincia ad elencare i nomi: Baffino, Bianchino, Codino,
Fumino, Nerino... Poi se ti va bene a metà si scorda qualche nome e
trascorre le due ore successive a cercare di ricordarselo finchè non
si dimentica del tutto di cosa stava parlando, se invece è in buona
e le stai simpatico ti va proprio male perchè tira fuori il suo
album di fotografie che ritrae esclusivamente gatti, e fa passare
tutte le foto davanti ai tuoi occhi, lentamente, commentandole una
per una per almeno 10 minuti ciascuna. E sono più di settanta foto.
E ognuna ha un sacco di anneddoti terribilmenti noiosi che tu sei
costretto ad ascoltare con un sorriso sulle labbra, e alla fine devi
sempre ridere o essere intenerito o sembrare dispiaciuto...
Credimi, è una vera palla.”
Il ragazzo aveva scosso la testa, pensieroso, mentre fissava il
cuscino ai piedi del ragazzo-statua.
“Non so perchè piacciano così tanto: sono menefreghisti,
approfittatori, diffidenti, portano malattie, quando graffiano ti
fanno un male boia perchè ti brucia per tre giorni minimo, perdono
un sacco di peli, non sono mai in casa quando li cerchi e rompono
sempre le scatole quando restano chiusi fuori, specialmente di notte,
con i loro miagolii irritanti 'miao miao miaoo'...
Preferisco i cani, certo anche loro perdono i peli e in più
sbavano dappertutto, ma ti riempiono la casa di gioia, quando ti
disturbano con i loro versi irritanti è perchè c'è qualcosa che
non va o perchè ti stanno facendo la guardia, sono coccoloni,
affettuosi, hanno il senso della famiglia e quello del dovere, ti
amano dal profondo della loro anima in modo sincero ed eterno, e sono
fedeli, per sempre.
Coi gatti non si può mai sapere: un attimo prima sono lì che si
strusciano su di te come se fossi la cosa più importante al mondo
per loro, e due secondi dopo ti graffiano o ti snobbano perchè ne
hanno piene le scatole di aspettare che gli dai da mangiare.
Ci sono già abbastanza persone nel mondo che si comportano in
questo modo, ci manca solo che inizino a far così anche gli
animali...”
Il ragazzo si era riscosso dalla specie di trance in cui era
caduto, rendendosi conto di quello che aveva detto, avvampando dalla
vergogna: chissà cosa pensava Harry di lui, il noioso ragazzo che
dalle 6.45 alle 7.30 lo assillava con la sua parlantina irritante,
discutendo di cose assolutamente stupide e prive di importanza e dei
suoi dubbi adolescenziali, mentre si lamentava di quanto sfigata
fosse la sua esistenza.
Infatti, dopo aver letto la sua cartella clinica Louis si era dato
ai “compiti a casa”, ovvero una ricerca a tappeto dei termini
astrusi, che impressi nella sua memoria definivano l'incerta
situazione dell'altro ragazzo, e aveva scoperto le devastanti
conseguenze della sua bravata: pneumotorace significava che Harry
aveva una rotto costola nell'impatto dell'incidente, che aveva bucato
la membrana del suo polmone, riempiendolo di sangue, i
politraumatismi invece erano le varie macchie che gli costellavano la
pelle, rendendogli quasi mostruoso il lato sinistro della faccia,
allargandosi sul torace e sulle gambe, perfino dentro di lui.Il
termine più difficile che gli aveva dato più problemi era “Edema
cerebrale drenato durante l'intervento” ma dopo diverse visite in
biblioteca e ricerche online era riuscito ad assumere che il cervello
di Harry avesse una vena, o peggio ancora un'arteria, ostruita da un
grumo sangue, e che i medici l'avessero ripulita durante
l'intervento, durante il quale avevano dovuto, stando a ciò che
diceva Wikipedia, asportargli una parte del cranio. A Louis la cosa
faceva vomitare, ma almeno spiegava le bende sul capo... Durante
l'intervento avevano anche dovuto far ripartire il cuore del ragazzo,
che per un motivo a lui ancora sconosciuto, si era fermato, forse per
la paura, forse per il fortissimo scontro con la sua auto quando lo
aveva travolto, forse mentre si schiantava al suolo dopo essere stato
sbalzato 15 metri lontano dal punto dove era stato investito.
Ma il termine che più lo spaventava e lo confortava allo stesso
tempo e che dava il senso alle sue quotidiane visite era “coma
vigile”: Harry era cosciente, sentiva ogni cosa che diceva, capiva
ogni sua parola, e sapeva che lui sarebbbe tornato ogni giorno a
trovarlo, sapeva che non era cattivo, che non aveva avuto intenzione
di fargli del male, che aveva quattro sorelle rompiballe e che
preferiva i cani ai gatti, soprattutto se presi come metafora di
fedeltà e opportunismo. Ma ciò implicava anche che conoscesse i
suoi pensieri e i sentimenti, e questo lo spaventava: aveva eretto
attorno a se infiniti muri e barriere per provare a proteggersi dal
dolore che quelli che più amava gli causavano, finendo per
allontanarli da se' con tatuaggi, sigarette fumate di nascosto e
soldi trafugati dal borsellino in piena notte e venire classificato
come “il ragazzaccio” “l'adolescente ribelle” “il fattone”
“ la disgrazia della mia vita” “il fallimento per eccellenza
dei suoi genitori”...
Anche se inconsciamente lo desiderava con tutto se stesso non
poteva, non doveva, cedere al bisogno di avere qualcuno con cui
parlare, un posto dove finalmente essere ciò che era, un amico...
Probabilmente Harry, quando si sarebbe svegliato, lo avrebbe
insultato, cacciato via a male parole, e forse anche denunciato per
stalking colpevolizzandolo non a torto per tutto quello che gli era
successo, ma mentre vegetava Louis si permetteva di illudersi, ogni
giorno sempre di più, che le cose sarebbero andate diversamente, che
tutto quello schifo sarebbe finito, che lui avrebbe capito...
Era un povero illuso.
Era un povero sfigato che sognava che il ragazzo a cui aveva
rovinato la vita lo perdonasse, dimenticando tutto e diventando il
suo migliore amico. C'era qualcosa di più patetico?
Spesso la sera ci pensava, e si sfotteva da solo: il nuovo Louis
con piercing e tatuaggi avvezzo alla droga e alla feccia umana,
cinico e senza pietà verso il vecchio Louis, rintanato in un
cantuccio infondo al suo cuore, mentre sanguinava assistendo
inorridito ai suoi errori e al suo inesorabile andare alla deriva.
Però con il sorgere del sole ogni cosa tornava come prima, le
lacrime amare si asciugavano e tutto lo sconforto e il dolore
venivano dimenticati e il ragazzo si ritrovava immancabilmente a
bussare alla stanza 17 del reparto di rianimazione, mentre tre piani
sopra la caposala acida, sua responsabile, lo cercava furibonda tra
camici e lenzuoli sterili.
E anche se ogni volta si riprometteva che era l'ultima volta, che
sarebbe stato zitto, che non avrebbe detto niente di importante, che
doveva tenersi le sue cose per lui, ecco che appena varcava la soglia
il suo guscio così faticosamente costruito iniziava a sgretolarsi, e
lui iniziava ad aprirsi, a confidarsi, a sorridere....
Si sentiva così vulnerabile.
Eppure era incapace di smettere, non poteva o forse non voleva.
Il suo cuore, così grande e gioioso prima, dove c'era un posto
per tutti, così buono e premuroso, e adesso così attentamente
gelato e conservato freddo ed impenetrabile stava iniziando a
sciogliersi, non potendo più sopportare di andare contro la sua
natura sopportando un fardello simile.
Una settimana dopo l'episodio ndel gabinetto, alla signora Stowe
venne interdetta per sempre la lettura, ordini del medico avevano
detto le infermiere, mentre portavano scatoloni pieni di libri fuori
dalla stanza dell'anziana donna, a cui erano stati requisiti anche
gli occhiali per evitarle di “cadere in tentazione”. Quando sua
nonna, pace all'anima sua, e le sue amiche zitelle si riunivano nei
loro salotti per spettegolare malignamente alle spalle delle altre
compaesane, Louis spesso sentiva la stoica frase “E' andata
indietro, povera donna, com'è andata indietro...”
Non aveva mai capito cosa volesse dire, fino a quando non aveva
assistito all'irreversibile e repentino cambiamento di Mrs Stowe: se
il giorno prima zampettava allegra per il reparto, trascinando qua e
la la sua sdraio per scegliere il posticino più adatto per leggere,
cercando ogni volta di intavolare con chi passava conversazioni
letterarie su questo o quell'autore e guardando con rassegnata
superiorità gli altri pazienti suoi compagni di sventura, dopo la
confisca dei suoi beni si era rinchiusa nella sua stanza, stando
sdraiata nel letto tutto il giorno a fissare il soffitto bianco e
vuoto che si rifletteva nei suoi occhi che avevano la medesima
espressione.
Non parlava più come prima, raccontando a un Louis constantemente
disinteressato le sue avventure di professoressa di letteratura
femminista in una scuola palesemente conservatrice che non la vedeva
troppo di buon'occhio considerando che aveva avuto diversi “compagni”
senza sposarsi mai e avere figli come tutte le donne della sua epoca.
Non lo assillava con la vita di Enrico VIII, con l'epoca
vittoriana, con Churchill e le sue strategie, facendolo sentire
ignortante quanto un mattone bacato.
Se ne stava lì a fissare il vuoto, come tutte le altre pazienti.
“E' successo” bisbigliavano nenache troppo a bassa voce le
infermiere, scuotendo la testa, più rassegnate che affrante “ Mrs
Stowe ha avuto Il Crollo” “E' l'inizio della fine” rincaravano
ancor din più la dose, con uno sguardo pieno di pietà negli occhi
stanchi e abituati alla vista di vite che lentamente si spengono,
come candele nella notte, “ Adesso è tutta in discesa”
Intanto Louis fremeva di rabbia: non aveva avuto un crollo, per
Dio! Gli avevano portato via la sola cosa che gli era rimasta, i suoi
amati libri, e con essi anche la sua voglia di vivere e la sua sanità
mentale, trasformandola in un altro catetere da cambiare, riducendola
ad essere un mero caso clinico più che una persona, sottraendogli
tutta la sua umanità ed individualità.
Come potevano fare una cosa simile?!
Certo, sapeva che il mondo faceva schifo, ma questa era stata la
goccia che aveva fatto traboccare il vaso: non poteva stare fermo a
guardare, non un'altra volta. Non lo avrebbe permesso. L'avrebbe
impedito.
Così si era ritrovaton di sabato pomeriggio, prima del suo turno
feriale, in una polverosa libreria del centro, dove aveva chiesto
imbarazzatissimo una copia dell'Amleto di Shakespeare, costata la
bellezza di 15 sterline, cioè almeno tutte le sigarette che si
fumava in un giorno. Ringraziando a denti stretti per trattenere le
imprecazioni che erano lì lì per uscirgli, il ragazzo si era
diretto all'ospedale dove dopo il consueto giro di clisteri e
medicinali da somministrare ai vecchietti giusti senza confondere
pazienti e patologie e ammazzare qualcuno, si era eclissato in camera
della Stowe.
“Ragazzo, è inutile” aveva commentato con un tono triste,
quando aveva visto tra le mani di Louis, tutto saltellante dalla
felicità di farla in barba alle infermiere, la pesante copertina del
libro.
“Come è inutile?!”
“Apprezzo il tuo gesto, ma i dottori hanno ragione: i miei occhi
non sono più quelli di una volta...”
“Oh ma per favore!” aveva esclamato l'altro, agitando i pugni
in aria per scaricare la frustrazione “ Lei ci vede benissimo!
Martedì scorso mi ha urlato di levarmi il piercing al naso, ed era
senza occhiali!!”
La vecchia signora si era limitata a sospirare “E' vero, ma devi
contare che eri molto vicino a me... I miei occhi non son più quelli
di una volta, e io mi devo rassegnare che non leggerò mai più un
bel libro sdraiata al sole...”
“Non dica così”
“Ma è la verità Louis: invecchiare fa parte del vivere, così
come tanto tempo fa lo è stato anche crescere”
“Se invecchiare significa dover umiliarsi a pisciare nella
padella o a dover scarrozzarsi dietro cateteri e flebo a non finire,
o a essere costretti in un cazzo di letto asettico io non ci sto”
“E come pensi di fare, allora?” aveva chiesto la donna con
tutta la flemma che una vecchia insegnante poteva possedere, come se
fossero semplicemente in classe e lei gli avesse posto una domanda
non prevista dal programma.
“Facile” aveva risposto lui, con un ghigno sul viso “Resterò
giovane in eterno”
La donna aveva sorriso “ Hai dato la tipica risposta che tutti
gli adolescenti danno, Louis. Ma dobbiamo imparare a non temere la
realtà, e a guardarla dritta negli occhi: io non assaporerò mai più
un buon libro e tu, come tutti del resto, prima o poi dovrai
invecchiare e morire, non importa se tra 10 giorni, 10 mesi, 10 anni
o 10 secoli, prima o poi accadrà. Accettalo”
Il ghigno non era scomparso, anzi, era vacillato per un attimo,
uno soltanto, prima di diventare un enorme sorriso sincero: “ Forse
lei ha ragione, io prima o poi dovrò morire, ma lei può ancora
'assaporare' un bel libro...”
Il ragazzo si era seduto sulla seggiola di fianco al letto,
aprendo quel mattone di libro da 15 sterline e cominciando a leggere,
facendosi coraggio “ La
prima comparsa cronachistica e letteraria della figura di Amleto,
principe di Danimarca, avviene nel XII secolo all’interno
dell’opera latina Gesta
danorum,
divisa in 16 libri,
di
un certo Saxo Grammaticus (1140 ca-1210 ca), storico danese di cui
ben poco sappiamo, addirittura pare che il suo vero nome sia un
altro...”
L'idea gli era venuta tre pomeriggi dopo, mentre leggeva per la
signora Stowe, o come aveva iniziato a chiamarla affettuosamente lui,
“Prof”: leggere gli piaceva perchè non si doveva concentrare per
farlo, gli veniva in automatico, era roba trita e ritrita vecchia di
secoli che gli teneva occupata la mente impedendogli di pensare,
riempiva imbarazzanti silenzi e soprattutto faceva passare il tempo
più in fretta, allietando sia chi leggeva sia chi ascoltava.Di tanto
in tanto la Prof lo interrompeva per spiegargli qualche pezzo che
aveva particolare rilevanza, e le sue spiegazioni non erano poi così
noiose come sembravano, anche se Louis non l'avrebbe mai ammesso
neanche sotto tortura.
Era un perfetto metodo per tenere i suoi segreti e i suoi pensieri
più intimi per se', continuando però a frequentare la camera 17 del
reparto di rianimazione...
Leggere era la soluzione.
Così martedì mattina, prima di uscire di casa per andare a
scuola, aveva spulciato la libreria di casa per trovare qualche
titolo decente da proporre a Harry ( non che lui avesse molta
possibilità di ribattere, dal momento che vegetava in stato
comatoso) ma aveva trovato solo vecchi manuali di puericoltura di sua
madre, i vecchi numeri di Vogue di Lottie, gli intoccabili e
preziosissimi Harry Potter di Fizzy e i libri per bambini delle
gemelle. Non c'era niente di suo, perchè non gli era mai piaciuto
leggere e quando lo faceva era perchè obbligato dalla scuola o da
sua madre, che lo forzava a leggere almeno un libro al mese, quando
ancora si parlavano ed erano la perfetta famiglia felice.
Louis aveva imprecato coloritamente prima di rassegnarsi ad
accontentarsi di ciò che aveva in casa: non poteva permettersi di
spendere altri soldi dopo la spesa imprevista per la signora Stowe, e
riproporre L'Amleto a Harry era impensabile: già era noioso una
volta, figuriamoci due... Eliminò dai possibili libri papabili i
manuali di sua madre. Poi i Vogue di sua sorella. Prese in mano un
Harry Potter, ma appena vide lo spessore del volume lo rimise al suo
posto, gli urli isterici di sua sorella che già gli risuonavano
nelle orecchie “Come hai osato toccare le mie cose....”
Sospirando, rivolse la sua attenzione ai libri di Daisy e Phoebe:
10 libretti da colorare della Pimpa, la collezione dei libri
illustrati della Walt Disney, qualche numero di Topolino... E poi, in
mezzo agli album delle figurine delle Winx, la soluzione ai suoi
problemi “Matilda” di Roald Dahl.
Ignorando l'urlo della voce della sua coscienza (“Patetico!”)
il ragazzo sfilò il libro dallo scaffale e lo mise nello zaino,
pregando che a Harry Styles la letteratura infantile piacesse da
morire.
"La signorina Spezzindue non possedeva nessuna di
queste qualità, ed era un mistero per tutti come fosse riuscita a
farsi nominare direttrice di quella scuola.
Si trattava di un
donnone davvero colossale.
In passato era stata un’atleta
famosa, e anche adesso i suoi muscoli apparivano poderosi.
Aveva
il collo taurino, spalle enormi, braccia grosse, polsi fortissimi e
gambe più che robuste. Bastava guardarla per capire che avrebbe
potuto piegare una sbarra di ferro, o strappare in due un elenco
telefonico. Il viso, purtroppo, era tutt’altro che bello: mento
ostinato, bocca crudele e piccoli occhi arroganti. E quanto ai suoi
vestiti... non si può fare a meno di definirli stravaganti.
Indossava, in genere, un camiciotto marrone stretto in vita da
una larga cintura di cuoio chiusa da una massiccia fibbia d’argento.
Le cosce possenti che emergevano dal camiciotto erano inguainate in
un paio di calzoni alla zuava, di una ruvida stoffa color verde
bottiglia. Dal ginocchio in giù, portava calzettoni verdi con
risvolto, che sottolineavano i polpacci muscolosi. Le scarpe erano da
uomo, a tacco basso.
Insomma, assomigliava a un eccentrico
cacciatore, assetato di sangue e scatenato dietro a una muta di
segugi, piuttosto che alla direttrice di una gradevole scuola per
bambini. "
Louis ridacchiò, voltando pagina.
"Sembra
proprio la descrizione dell'infermiera media di quest'ospedale:
acida, isterica, con manie di protagonismo e canoni estetici
piuttosto bassi" aveva continuato a sogghignare tra se' e
se'.
"Tu non lo puoi sapere perchè stai dormendo il sonno
dei giusti, ma qui dentro le donne sono così, e più hanno potere
più sono odiose: prendi la signora Alberta Caposala Hitler
Cohen, lei strilla addosso a tutti in continuazione"
Il
ragazzo si era lanciato in una fedelissima parodia del suo capo, che
veniva imitato con così tanto fervore che il libro sulle ginocchia
di Louis era finito per terra, mentre questi si alzava esclamando con
un possente vocione roco "Tomlinson! Cosa ci fai ancora
qui?"
Tornò al suo tono di voce originario, voltandosi verso
un interlocutore invisibile "Allore io le rispondo ' Ho finito
di sturare le flebo, signora'"
"E come mai te ne stai lì
con le mani in mano?!" ululò il ragazzò, con la voce che si
abbassava di diverse ottave "Inizia il giro dei catateri, no?!
Devo sempre dirti tutto io?"
"E allora io corro come un
galoppino deficiente a infilare in quel cazzo di forno quelle perette
di plastica del cavolo, e ogni santa volta mi scotto come un picio, e
non posso neanche correre a prendermi un cerotto!!"
"Tomlinson,
sei proprio incorreggibile... Tutta l'erba che fumi ti ha bruciato il
cervello e carbonizzato i neuroni, sembri un ritardato!"
Il
ragazzo si era fermato un attimo, prima di ricominciare a gesticolare
così forte da far traballare i monitor a causa dello spostamento
d'aria " Ma cosa ne sa questa di quanta cazzo di erba mi fumo
eh?! Cos'è che fa, mi spia anche mentre mi faccio la doccia e quando
cago?! Già me la sento: ' Tomlinson, devi strappare un'altro strato
di carta! Idiota! Cos'hai nel cervello? Merda, te lo dico io, sei
pieno di merda!!'
E la maggior parte delle volte che me lo dice è
vero perchè qualcun'altro di quei rimbambiti matusalemme l'ha
puntualmente scaricata da qualche parte, mai che arrivino al cesso
una volta, mai, e indovina chi è il galoppino deficiente ritardato
che pulisce? Io, hai indovinato..."
Il ragazzo scosse la
testa, prima di ricominciare a leggere:
" Quando la signorina
Dolcemiele entrò, la direttrice era in piedi accanto all’enorme
scrivania, con espressione minacciosa e impaziente.
—Allora,
Dolcemiele, che cosa vuole? È tutta rossa e agitata, stamattina. Che
le succede? Quelle piccole canaglie l’hanno bombardata di palline
di carta?
—No, direttrice. Niente del genere.
—Allora di
che si tratta? Su, avanti. Non ho tempo da perdere.
Mentre
parlava, si versò un bicchiere d’acqua da una caraffa che si
trovava in permanenza sulla sua scrivania.
—Nella mia classe
c’è una bambina che si chiama Matilde Dalverme... —
cominciò
la signorina Dolcemiele.
—È la figlia di quel tizio
che-"
Louis sbuffò: prima l'Amleto e adesso Matilda, e i
suoi poveri occhi iniziavano a bruciare, confondendo righe e
parole.
"Ti dispiace se oggi ci fermiamo? Ho già letto 3
capitoli dell'Amleto a una delle pazienti in geriatria e contando che
a scuola per vedere la lavagna le poche volte che cago la lezione
devo cavarmi fuori i bulbi oculari perchè sono all'ultimo banco,
direi che sono un po' stanco..."
Il ragazzo chiuse il libro,
rimettendolo al suo posto nell'armadietto dei medicinali borbottando
più a se stesso che a Harry "Magari quell'ammasso di carne alto
un metro e venti ha ragione..."
Scosse la testa
infastidito.
"Non che io fumi così tanta erba come si è
messa in testa quella la, ma ovviamente quella vuole vedere solo il
lato peggiore di me" tergiversò sul fatto di essere lì a
scontare lavori socialmente utili perchè lo aveva investito mentre
guidava ubriaco fradicio una macchina rubata alla sua stessa madre
"Che poi è da tanto che non mi faccio un po' perchè mi mancano
i soldi per mangiare, figurati per sballarmi... Ho smesso di lavorare
dopo la scuola perchè dovevo fare lo schiavetto qui, e sinceramente
ora come ora non sento neanche l'esigenza di fumare roba. Mi sento
uno schifo, è vero, ma ho ancora la mia dignità e non mi metto a
rubare i soldi dal portapranzo delle mie sorelline: preferisco che
loro mangino e sopportare un po' questa situazione del cazzo
piuttosto che fare la parte del fratello tossicodipendente che
diventa demente a furia marijuana"
"Tutti i miei
compagni la pensano diversamente: o sono dei santerellini della serie
'la droga è male, vai in Chiesa a pregare e ti sentirai meglio', '
Meglio stare con Dio che star fuori' ... Oppure sono l'opposto e
vengono a scuola completamente fatti e si fumano cannoni
all'intervallo e se non sei fuori come un balcone non ti filano
minimamente"
Il ragazzo tossicchiò imbarazzato prima di
continuare a disagio "Ammetto che a inizio quadrimestre mi
sentivo così solo che ho provato a entrare nel loro gruppetto, ma
loro sono come una famiglia di mafiosi e non accettano gli altri
facilmente... Sono stato un idiota.
Un vero idiota, parola
mia.
Non che di solito non lo sia, ma stare al loro gioco e
rimettere l'intero stipendio di un mese più tutti i soldi del
compleanno per aver sciacquonato la loro roba nel cesso al posto di
spacciarla non è stata una grande idea"
Il silenzio
dell'altro venne interpretato come un'assoluta incredulità per il
senso contorto e incoerente delle sue azioni, sicchè Louis aggiunse
a mo di spiegazione " Ho avuto una crisi di coscienza dopo
essermi fatto metà del carico, e siccome era roba buona, anzi,
veramente buona, non capivo più niente e quando mi sono svegliato
c'era droga che galleggiava nel cesso..."
"Si, lo so,
sono un idiota"
Si fermò un attimo, titubante, prima di
ricominciare a parlare esitante "Non è neanche così bello come
dicono... Farsi a manetta, intendo. Sballarsi di continuo. Sfondarsi
di roba. All'inizio, quando ti entra in circolo è fantastico,
okay... Non senti più niente, come se galleggiassi in un mare
infinito di colori in preda alla felicità più assoluta... Ma dopo
neanche cinque minuti ti risvegli e fai fatica a muoverti perchè hai
la testa leggera ma il corpo pesantissimo, ti gira la testa e la
maggior parte delle persone vomita anche perchè la nausea è
insopportabile, e poi scopri che in quei cinque minuti di estasi
totale hai combinato casini su casini che devi risolvere nonostante
il mal di testa, la bocca secca e l'irrefrenabile voglia di mandare
tutto a fanculo e dormire"
Un'opinione come la sua sarebbe
stata normalmente accolta con fischi e scherno dagli altri
adolescenti che vedevano nella droga, a seconda delle loro
inclinazioni, il Diavolo o Dio, o la prendevi ventiquattro ore su
ventiquattro e ti piaceva così tanto che ipotecavi la casa per
averne di più oppure la rifuitavi completamente condannandola come
un'eretico al rogo.
Harry invece era diverso.
Certo, il coma
non gli permetteva di parlare e quindi esprimere la sua opinione, ma
Louis era sicuro che anche se fosse stato in grado di rispondergli,
non avrebbe riso.
Era così giovane e aveva un faccino così
tenero e bambinesco sotto quell'ammasso di ematomi e garze che
sicuramente non si sarebbe mai dichiarato pro agli stupefacienti, ma
il ragazzo era certo che non l'avrebbe giudicato...Forse leggere non
era poi così necessario come lo reputava.
Non sapeva perchè, ma
qualcosa dentro di lui gli diceva che continuare a parlare con lui, e
fidarsi così tanto di un completo sconosciuto che vegetava per colpa
sua in un letto d'ospedale, era la cosa giusta da fare.
E ogni
volta, quando la campana della chiesa vicina suonava sette rintocchi
gravi e due più acuti, il giovane si alzava, stando attento a
rimettere tutto a posto come l'aveva trovato, in quella stanza dove
sembrava che il tempo non passasse mai, salutava Harry dalla soglia
con frasi imbarazzate che lasciavano anche lui sorpreso come "Uhm..
Ci vediamo domani allora" "Buonanotte" "Guarisci
presto" e lasciava la stanza 17 del reparto di rianimazione del
St Barbara Hospital con un lieve sorriso sulle labbra, che rimaneva
lì, tremolante, per tutta la giornata, fino a quando quell'immobile
soglia veniva varcata di nuovo, e Louis sentiva il respiro farsi più
leggero, il sangue scorrere più velocemente e le ferite del suo
cuore rimarginarsi lentamente, guarite da una magica medicina a lui
ancora ignota, ma che aveva il tremendo sospetto che avesse qualcosa
a che fare con Harry Styles, rinchiuso nel suo limbo a metà tra la
vita e la morte.
Angolo Fin *w*
Saaaaalve :)
Come vedete ho mantenuto
la parola e sono stata puntualissimissima nell'aggiornare * tossisce*
solo 24 ore di ritardo * tossisce*.
Sono rimasta un po' delusa dal fatto che molte delle ragazze che prima recensivano, adesso sembrano essersi dimenticate di me...
Si, lo so che è
colpa mia perchè non ho aggiornato per tre mesi e storie varie,
ma a me spiace perchè con molte di loro andavo d'accordo e mi
mancano i loro commenti sul capitolo e le nostre chiacchierate sulla
mia casella efp :(
Ma suppongo che il detto
'pochi ma buoni' faccia al caso mio! Vorrei a maggior ragione
ringraziare tantissimissimissimissimo chi ha recensito il quarto
capitolo di questa umile fanfiction, come Ilaria che... HA CAMBIATO NICK! Anche Domenico! Ma che è, un epidemia?! Tipo ci conosciamo da quasi un anno ed è stato uno shock tremendo XD o Ellie,
la mia mogliettina che è condannata a una lunga e dolorosa
agonia in questa ff, essendo una Louis!Girl ed essendo questo Louis in
particolare dipendente da erba e altre droghe leggere, tatuato, incline
ad affogare i pensieri nell'alcool e pieno di tatuaggi, cosa che zaynholdme non riesce nemmeno ad immaginarsi* sadismo mode on*
Infinity_1D che
non ha scuse per picchiarmi ( mi piacerebbe molto sapere il tuo nome se
non ti scoccia, io chiamo sempre tutte per nome perchè penso sia
più bello conoscersi tra 'lettrici' :) )
Daceyx
( anche lei per ora ignota) e le sue recensioni bellissime che
m'illuminano la giornata, che rimarrà purtroppo delusa
perchè... Harry non si è ancora svegliato T.T Anche Lu
mi odierà per questo... Portate pazienza! Un po' di sana e pura
suspance, unita a un pizzico di angst, fa bene al cuore!!!
Caro
che annega nei feeling per colpa mia e della mia modestissima
fanfiction ( se vuoi ti lancio un salvagente, ma tanto e sapessi quello
che ho in programma per voi annegheresti comunque :* :* )
Nora,
che presto diventerà una star mondiale della danza e se ne
andrà alla Juliard e si dimenticherà di noi T.T * corre a
prendere un barattolo di gelato per superare incolume la depressione*
... e ultima ma non meno importante niallhugssme, l'unica che mi ha giustificato, rassicurandomi che dopotutto non era un peccato capitale prendersi tre mesi di vacanza :P
Purtroppo oggi la lista
di ringraziamenti è molto, molto, molto corta, e spero che al
prossimo aggiornamente qualcuno si faccia vivo e si unisca alla nostra
allegra compagnia :/
Fino ad allora un bacio, buona seconda settimana di scuola ( solo! *sob*) e mille cuori per voi
Fin
|
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Capitolo 6 *** The Worst Things In Life Come Free To Us ***
7)
6. The Worst Things In Life Come Free To Us
"Mi sentivo una merda.
Davvero. Non potevo sopportarlo, o almeno, non più. Come quando
metti la mano vicino al fuoco e ti avvicini sempre di più,
e il dolore aumenta e aumenta, finchè non riesci
più a stare fermo e devi togliere la mano o altrimenti
impazzirai perchè ti stai scottando, e la carne brucia
così forte che non riesci nemmeno a stare fermo.
Così mi sentivo io: non potevo stare fermo su quel divano a fare
niente, mentre la mia vita e quella delle persone a cui tenevo di
più andava a rotoli.
Dovevo andare da quello stronzo"
Louis Tomlinson si era agitato sulla sediola di plastica di fianco al
letto d'ospedale della stanza 17, provando a calmare la voce rabbiosa
e il tremito delle mani con vani risultati: era come un fiume in
piena, selvaggio, incontrollabile, furioso.
Non ricordava come fosse arrivato a parlare dell'incidente.
Era iniziata come una visita normale, Louis aveva approfittato della
scarsa vigilanza delle infermiere per sgattaiolare fuori dal reparto
geriatrico e per intrufolarsi in quello di rianimazione, e in
particolare nella stanza di Harry.
Aveva iniziato a parlare del tempo, che faceva proprio schifo e secondo
le previsioni del tempo preannunciava la prima grande nevicata della
stagione, e lui aveva raccontato come da piccolo i suoi genitori
portassero lui e le sue sorelle a sciare in Francia, e di come i video
delle loro discese fossero esilaranti per il loro modo di arrancare
nella buffa tutona da scii, di quella volta che aveva perso un dente da
latte perchè gli era arrivato un ostacolo dritto dritto in
faccia, e di come queste bellissime gite fossero state "cancellate"
alla nascita di Phoebe e Daisy, che erano troppo delicate e non
dovevano prendere troppo freddo.
Poi, tanto per restare in tema, aveva parlato di quella volta che
lui, il cretino della classe e qualche suo compagno, avevano
introdotto illecitamente a scuola del cognac sostenendo che glielo
aveva portato un San Bernardo per salvarli dall'assideramento, dal
momento che nel laboratorio di chimica i caloriferi non funzionavano.
Era scoppiato a ridere, lasciandosi trasportare dai ricordi dolci e
allo stesso tempo resi amari dal pensiero che niente sarebbe mai stato
come prima, nessuno a scuola gli avrebbe mai rivolto la parola, nessuno
sarebbe diventato suo amico e avrebbe combinato cazzate con lui.
"Una volta bevevo poco. Solo il sabato sera e alle feste. Zayn aveva un
cugino di terzo grado che lavorava come buttafuori nel locale
più costoso e lussuoso della città che ci lasciava sempre
passare anche se non avevamo l'età o l'invito. Oppure io e Stan
andavamo in qualche locale gay, o al cinema e poi in discoteca a
folleggiare, o se volevamo stare tranquilli ci chiudevamo in qualche
pub...
Due birrette con gli amici erano tutto quello che mi concedevo, andavo
leggermente oltre solo se dovevo rimorchiare o cose così.
Mi fingevo più ubriaco di quello che ero in realtà,
strillavo come una ragazzina, correvo di qua e di la' per scaricare
l'adrenalina, facevo o dicevo cose stupide per far ridere gli altri e
la mattina dopo sostenevo di non ricordarmi niente."
Un sorriso gli increspò le labbra, prima di sparire inghiottito dalla sua espressione cupa.
" Poi dopo sono iniziati i problemi. Per tutti noi. Mia madre ha
scoperto che quello stronzo la tradiva e che aveva speso l'ultimo
stipendio in regali all'amante, e i litigi che io consideravo normali
avevano raggiunto livelli inimmaginabili: piatti che volavano, storie
vecchie di anni che tornavano a galla, addirittura papà gli ha
rinfacciato il fatto che si è dovuto prendere cura di me, che
non sono neanche suo figlio, e mamma lo ha schiaffeggiato e lui si
è messo a piangere e chiedere perdono..."
"Sono uscito dalla finestra quella notte, ma ero rimasto abbastanza per
sentire tutto. Io e Zayn ci trovavamo spesso davanti al vecchio cinema
e stavamo in giro tutta la notte, solo io e lui come ai vecchi tempi, a
sparare cazzate e a fumare sui tetti.
Nemmeno lui se la passava bene: suo padre era stato licenziato
perchè la azienda dove lavorava era fallita, e adesso si trovava
a dover provvedere a 4 figli, rette scolastiche, tasse, bollette,
benzina...
Anche lì erano litigi che si sprecavano, ma i coniugi Malik non
erano neanche minimamente ai livelli di mia mamma e mio papà, e
noi ci sentivamo meglio a stare fuori casa, a combinare cose che, ne
eravamo sicuri, avrebbero riscosso tutta la loro disapprovazione e
preoccupazione e scenate a non finire.
Non so perchè lo facevamo: forse perchè volevamo
inconsciamente distrarli dai loro problemi, o ricordargli che
esistevamo anche noi e che il loro compito era prendersi cura di noi...
Quella sera abbiamo usato i soldi per il pranzo in mensa del giorno dopo di Zayn per comprare una bottiglia di vodka.
E' stato meraviglioso: era la magica medicina che cercavamo, l'euforia
ad ondate che ti avvolge già dopo i primi sorsi, che ti scaldava
lo stomaco, il dolce oblio che ti faceva dimenticare tutto e infine il
sonno profondo delle membra, che ti garantiva un po' di pace fino al
risveglio.
Certo, dopo abbiamo vomitato l'anima e camminato piegati da un mal di testa atroce per almeno 3 giorni, ma ne era valsa la pena.
E' stata la prima bottiglia, alla quale ne sono seguite molte in quel periodo.
Dopo il trasferimento ho cercato di comportarmi bene, di essere forte e
responsabile per le mie sorelle, ma non c'è l'ho fatta."
"Mi sentivo una merda. Davvero. Non potevo sopportarlo, o almeno, non
più. Come quando metti la mano vicino al fuoco e ti avvicini sempre di
più, e il dolore aumenta e aumenta, finchè non riesci più a stare
fermo e devi togliere la mano o altrimenti impazzirai perchè ti stai
scottando, e la carne brucia così forte che non riesci nemmeno a stare
fermo.
Così mi sentivo io: non potevo stare fermo su quel divano a
fare niente, mentre la mia vita e quella delle persone a cui tenevo di
più andava a rotoli.
Dovevo andare da quello stronzo"
" Io dormivo, e dormo tutt'ora nello scantinato, mentre Fizzy e Lottie
dividono la camera di fianco alla cucina, e fanno a turni per chi deve
dormire nel sacco a pelo, e le gemelle dormono nel divano letto
matrimoniale con mamma in salotto.
Ci dobbiamo portare a scuola gli avanzi della cena e riutilizzarli per
il pranzo, siamo in pieno dicembre e io vado ancora in giro con le
scarpe estive, per di più bucate.
Volevo solo dirglielo, lo giuro.
Ma avevo paura, e allora mi sono ricordato della prima volta che Zayn
ha venduto delle pasticche in discoteca, quando diceva che aveva caga
della polizia o che qualcuno si sentisse male per colpa sua e il suo
datore di lavoro lo ha fatto sbronzare per fargliela passare e ho
deciso di fare lo stesso: sono andato in cucina e ho aperto l'armadio
degli alcolici e mi sono scolato tutte le birre che ho trovato, e
allora mi è venuta l'idea di guidare fino a casa sua, di
prenderlo per il bavero, magari davanti a quella zoccola del cazzo e di
urlarglielo in faccia quanto faceva male avere una testa di cazzo di
padre come lui, e che avrei preferito rimanere senza padre piuttosto
che chiamarlo ancora tale, e che maledicevo il giorno in cui lui e la
mamma si erano sposati..."
Il ragazzo, distrutto nell'atmosfera immobile della camera, si era
passato una mano tra i capelli, asciugandosi il ciuffo sudato per il
mare di emozioni che si scatenava dentro di lui, costringendolo a
boccheggiare, dolorante e piegato in due.
" Non volevo dirglielo al telefono, volevo proprio dirglielo in faccia,
ma non sapevo come arrivarci e allora mi sono ricordato della macchina
del nonno, che ancora funzionava per miracolo divino e che era in
garage perchè la mamma era uscita con il suo nuovo appuntamento
galante sulla mercedes di lui, e allora ho preso le chiavi e sono
partito: all'inizio la marcia non voleva andare e io non riuscivo..."
Il respiro del ragazzo era corto e spezzato mentre fissava Harry, con
la speranza di venire perdonato, o di svegliarsi da quel terribile
incubo che era diventata la sua vita mentre l'altro vegetava di fianco
a lui per colpa sua e del suo egoismo.
"... E' partita all'improvviso ed ha sfondato la recinzione del
giardino della vicina, e gli ho schiacciato tutti i fiori, e ho
decapitato un nanetto da giardino.
Mi ricordo che l'alcool non era entrato in circolo ancora completamente
e a me sembrava una cosa così buffa, e ridevo di quel nanetto da
giardino che all'inizio mi era tanto sembrata una testa umana sotto la
ruota anteriore...
Poi è tutto confuso. Ci sono troppe luci, mi danno fastidio. Non
riesco a tenere gli occhi aperti, e allora penso di accostare, ma non
riesco a trovare la levetta delle frecce direzionali.
Lascio perdere, o forse me ne dimentico.
Poi le luci non ci sono più, e allora accendo i fari perchè è tutto buio.
Tengo forte il volante perchè ho tutte le mani sudate, e mi
scivola via, e non voglio finire fuori strada e inizio ad avere un po'
di paura.
Poi...
Poi ho visto qualcosa.
Bianco.
Proprio davanti al parabrezza.
Galleggiava nel buio vuoto.
Strizzo gli occhi per vedere cos'è, ma non lo vedo.
E poi...
Poi..."
In quel momento accaddero contemporaneamente due cose inaspettate: il
corpo di Harry si era mosso all'improvviso, come se fosse stato
attraversato da una scossa elettrica dalla testa bendata ai
piedi, e il monitor che controllava il battito cardiaco era esploso,
iniziando a suonare dei lunghi e perforanti "bip".
Louis si era gelato sul posto, incapace di muoversi o reagire.
Harry si era mosso, si era mosso davvero.
Il ragazzo era stato travolto da una scarica di adrenalina, ed era
corso fuori dalla stanza, rischiando di scontrarsi con le infermiere
che stavano accorrendo:
"Si è mosso! Si è mosso!"
Aveva afferrato il braccio dell'infermiera più vicina ed aveva
iniziato a saltellare ed ad esultare come se avesse segnato un goal.
"Si è mosso! Tutto! Dalla testa ai piedi!"
Il team infermieristico si era unito al suo entusiasmo, applaudendo e
ricoprendo di carezze e complimenti il corpo di nuovo immobile del
ragazzino, prima che il medico sopraggiunto alla baraonda che si era
creata proponesse calorosamente, ma freddando l'entusiasmo di Louis "
Potremmo provare a procedere con il distacco del respiratore, oggi
stesso se necessario"
Un'infermiera di mezz'età e la permanente gli aveva sorriso, prima di annunciare con un sorriso ancora più grosso:
" Vado a chiamare i famigliari"
Per giorni e giorni Anne Styles si era rifiutata di tornare al lavoro,
passando le sue giornate a fissare il telefono cellulare, in attesa che
succedesse qualcosa, qualsiasi cosa, perchè tutto era meglio di quel limbo, quell'immobile attesa che era diventata la sua vita.
Poi aveva deciso di tornare in ufficio, dal momento che passare tutte
le sue giornate chiusa in casa, in vestaglia, seduta sul divano a
fissare lo schermo del suo iPhone non giovava per niente, e che lei
doveva essere forte e reagire.
Per cominciare doveva accettare ciò che era successo, e anche
sopportare la vista del corpo del figlio inerte nel letto d'ospedale
sarebbe stata una buona idea: così tutti i giorni lo andava a
trovare il mattino prima di iniziare il lavoro, nella sua pausa pranzo
e prima che il severissimo orario delle visite rigorosamente
rispettato dalle infermiere la sbattesse fuori.
Si era abituata a quella strana routine, a non doversi precipitare a
casa a mezzogiorno per sfamare un adolescente affamato, a preparare la
cena solo per due, ad affrontare la casa vuota dal momento che l'altra
sua figlia studiava in un altra città...
Certo, adesso per starle vicino saltava spesso le lezioni e si
rimetteva in pari come poteva, ma durante il giorno e la maggior parte
delle sere lei era sola.
Sola.
Aveva appena superato il dramma di "lasciare andare" Gemma ed ecco che il destino crudele cercava di portargli via anche Harry.
Stava rientrando in casa dopo aver fatto un po' di spesa, giusto lo
stretto indispensabile per non cenare con l'ennesima ciotola di cereali
e latte scaduto, quando le era squillato il telefono.
Quando aveva visto il numero dell'ospedale le si era ghiacciato il
sangue nelle vene, ma appena aveva capito dal tono dell'infermiera che
erano buone nuove aveva mollato i sacchetti pieni di cibo sul vialetto
ed era saltata in macchina, diretta in ospedale.
Aveva guidato come una folle, alla massima velocità, beccandosi
i clacson e gli insulti degli altri guidatori, ma non ci aveva fatto
neppure caso: suo figlio aveva dato segni di vita, magari si sarebbe
svegliato, e lei doveva essere lì.
Doveva.
Era arrivata nella stanza 17 correndo trafelata, quasi scontrandosi con il dottore, che la stava aspettando.
"C-Come sta?" aveva boccheggiato, accasciandosi sulla parete.
" Siamo accorsi perchè il monitor segnalava un'anomalia nel
battito cardiaco, che era accelerato, e un ragazzo che era con
suo figlio ha sostenuto di averlo visto muoversi"
La donna gli aveva scoccato uno sguardo confuso.
"Si è.... Mosso?"
"Si. Ha avuto uno spasmo"
"Ne è sicuro?"
Il tono dubbioso della donna nascondeva la speranza debole e fragile
che era nata in lei, che non voleva illudersi per poi soffrire di nuovo.
"Si, in effetti era in una posizione differente da come l'aveva
lasciato l'infermiera che lo assisteva, e poi non ci sarebbe motivo di
dubitare del ragazzo"
"E chi era questo?"
" Un'inserviente"
Il dottore aveva liquidato la questione con un gesto della mano, come se fosse una mosca fastidiosa.
" L'ho chiamata perchè stiamo per procedere allo svezzamento di
suo figlio dal respiratore, cioè gradualmente metteremo in opera
manovre affinchè suo figlio possa respirare di nuovo da solo"
"E funzionerà?" chiese Anne, attaccandosi caparbiamente a quella
nuova speranza come un naufrago cerca il faro nella tempesta.
"Noi siamo ottimisti" l'esperto aveva sorriso, prima di indicare con un cenno la porta "Stiamo per procedere, vuole assistere?"
Ma la donna lo aveva già preceduto nella stanza.
Tutto era come era sempre stato: il rumore regolare dei monitor che
accerchiavano il letto, minacciosi, i cavi sparsi a terra, il groviglio
di flebo...
E suo figlio, immobile nel letto come 10 giorni prima, come 20 giorni
prima, da quel maledetto 19 Novembre fino a quel giorno, ma stavolta
Anne era animata da una nuova speranza, che aveva spazzato via la
rassegnazione come il sole scioglie i nuvoloni carichi di pioggia.
Il medico aveva fatto cenno a un collega, che aveva armeggiato con un monitor.
Lo schermo si era spento.
La spia rossa era diventata nera.
Il martellante "bip" che era sempre risuonato nella stanza era cessato, cedendo il posto al silenzio.
Il tempo si era dilatato: Harry non si muoveva, il viso bianco gelato
nella stessa espressione, il corpo avvolto nel camice immobile.
I dottori erano tesi verso di lui, in attesa che facesse qualcosa, che desse un segno...
Non succedeva niente.
Il panico iniziò a diffondersi come un mortal veleno nella
donna: perchè non succedeva niente? Suo figlio non stava
respirando, perchè diavolo allora non gli rimettevano quel
diavolo di apparecchio? Volevano farlo morire?
Stava per mettersi ad urlare quando un lieve e agognato suono,
meraviglioso quanto impercettibile, era giunto alle orecchie dei
presenti.
Harry aveva schiuso le labbra pallide, inspirando piano gonfiando
appena il petto scarno sotto le lenzuola, prima di espirare leggermente
dal naso, producendo un lieve fischio.
Stava respirando.
Da solo, senza macchine.
Stava respirando autonomamente.
L'equipe medica stava esultando, ma lei non aveva occhi che per lui, e
il suo respiro lieve, come quello di un neonato in culla, che scandiva
i battiti del suo cuore e della sua fede.
E non aveva smesso di respirare Harry, neanche dopo 5 minuti, neanche
dopo 10, sorvegliato dallo sguardo vigile della mamma che sedeva di
fianco a lui con una sua mano in grembo, in attesa.
Quel ritmo lento, calmo e pacifico, come quello di un sonno profondo e
giustamente meritato, si era interrotto solo per un attimo,
bruscamente, quando un'infermiera aveva prelevato un po' di sangue per
le analisi, che che avevano confermato una percentuale ottimale di
ossigeno nel sangue del paziente, autorizzando così l'ufficiale
distaccamento del respiratore artificiale.
Una volta rimasta sola, Anne aveva frugato nella borsa, freneticamente
cercando il telefono: teoricamente l'orario di visita era finito da un
pezzo, ma i medici gli avevano concesso ancora qualche minuto col
figlio.
Aveva composto il numero di telefono con le dita che gli tremavano,
portandoselo nervosamente all'orecchio e passeggiando su e giù
vicino al letto.
"Pronto?" era la risposta che non era esitata ad arrivare.
"Lo senti?" aveva chiesto a bruciapelo la donna, appoggiando il microfono dell'apparecchio elettronico sul cuscino del figlio.
Per un attimo dall'altra parte della cornetta c'era stato un silenzio tombale, prima che Gemma rispondesse stanca:
"Mamma, sono in università a studiare, non ho tempo per giocare agli indovinelli..."
"Ma l'hai sentito?"
"Si, ma non riesco a capire che rumore è..."
"E' il rumore di tuo fratello che respira"
E mentre un'urlo di felicità esplodeva dal ricevitore,
rimbombando sulle pareti dell'aula studio dell'università
infrangendo il silenzio come un vetro sfondato, Anne sorrise,
perchè forse insieme potevano ricominciare a sperare.
Stesso bar, stesso sgabello sgangherato e traballante, stesso banconte
unto di patatine fritte e appiccicoso di alcool rovesciato per sbaglio,
che da anni aveva macchiato e impregnato il legno una volta chiaro e
immacolato.
Louis doveva accettarlo, non sarebbe mai cambiato.
Nella sua vecchia cerchia di amici era definito il "Peter Pan" del
gruppo, quello sempre pronto a fare pazzie, a sparare cagate, quello
che non era mai serio e che trovava sempre il lato divertente della
situazione, quello che faceva il buffone...
Tutti poi erano cresciuti, facendo scelte che avrebbero influenzato la
loro vita e il loro futuro, affermando la loro maturità
assumendosi le proprie responsabilità.
Tutti, tranne lui.
Perchè dopotutto "Tutti i bambini alla fine crescono. Tranne
uno", ed era vero, perchè anche se aveva smesso di fare il
buffone da un pezzo, anche se la situazione in cui i suoi genitori
l'avevano cacciato non aveva alcunchè di divertente e anche se
l'unica pazzia che aveva fatto era quasi costata la vita ad un
quattordicenne sconosciuto ma decisamente più meritevole di
vivere, lui era ancora lì, seduto al bar davanti a 5 boccali di
vodka vuoti, l'esofago in fiamme e lo stomaco indolenzito dal digiuno,
incapace di fare altro che compatirsi e colpevolizzarsi allo stesso
tempo, senza sapere cosa fare, senza avere il coraggio e la
benchè minima idea di come fare ad alzarsi e ad ammettere i suoi
errori accorpandosi la responsabilità del suo agire.
Dopo aver falciato Harry si era ripromesso di non ubriacarsi mai
più, ma non aveva mantenuto la promessa, ed ora era lì,
col braccio alzato ad ordinare l'ennesimo bicchiere, lo stesso che gli
aveva annebbiato i sensi, lo stesso che aveva impedito a Louis di
accorgersi di quel ragazzino con le converse bianche che camminava nel
buio sul bordo della strada, lo stesso che aveva unito in una
maledizione di sangue e amari rimpianti amari il loro destino, e che
quel giorno funesto lo divideva di nuovo.
Il cameriere aveva sbattuto con poca grazia la sua vodka ice sul
bancone, spargendo gocce azzurre ovunque, mentre il ragazzo con gli
occhi arrossati e la puzza di alcool appiccicata ai vestiti e sui
capelli, fissava il fondo del bicchiere come se volesse affogarvi
dentro con tutto se stesso.
Non avrebbe mai più potuto vedere Harry.
Non finchè Anne Style era in giro.
Ma cosa diavolo stava pensando la prima volta che aveva deciso di andarlo a trovare?!
Lo aveva investito cazzo! Era solo uno stronzetto egoista che gli aveva rovinato la vita, era come il diavolo, l'uomo nero...
Più lontano gli stava meglio era, aveva combinato un casino
pazzesco e ora aveva anche la presunzione di andare a trovare Harry?
Quella donna voleva la sua pelle, lo sapevano tutti.
Quando era rientrato a scuola tutti bisbigliavano alle sue spalle, si
davano il gomito al suo passaggio, lo fissavano, segnandolo a dito...
Abituato ad essere "quello nuovo" Louis non ci aveva fatto caso, ma i
commenti sul casino che aveva combinato lo colpivano come frecce
avvelenate, e la prima volta che aveva sentito il nome di Anne Styles
aveva rischiato di collassare.
C'erano due ragazze appoggiate all'armadietto all'angolo con i bagni.
Bisbigliavano.
Di lui ovviamente.
"Lo vedi quello?"
"Quale?"
"Quello"
La ragazza aveva fatto un cenno discreto nella sua direzione, che però non gli era sfuggito.
"Chi è?"
"Louis Tomlinson, quello nuovo"
"Quello che ha investito il fratello di Gemma Styles?"
"Sì..."
"Oddio, mia sorella è nella sua stessa classe di biologia, dicono che sia messo malissimo!"
"Io sapevo che era in ospedale"
"Certo che è in ospedale" aveva esclamato la ragazza con tono di
superiorità, mentre Louis si infilava nel bagno, appoggiandosi
non visto alla parete vicino ai lavabi per sentire meglio la
conversazione.
" E non ci uscirà tanto presto"
"Poveretto..."
"Dicono che sua madre, Anne, sia furiosa: ha fatto causa a quello stronzo
perchè stava guidando ubriaco marcio e senza neppure la patente
in tasca"
"Che sfigato"
Louis sentiva l'odio delle due ragazze perforagli la pelle come
appuntiti spilli: stavolta non era bullismo sull'ultimo arrivato,
stavolta non erano sciocche diffamazioni sparate a caldo tanto per
ridere, tanto per conformarsi alla massa, stavolta era tutto vero,
stavolta loro avevano ragione, stavolta se lo meritava.
"Dicono che sia quasi impazzita, e che non si sia nemmeno presentata
all'udienza perchè minacciava di ammazzarlo, ma ammazzarlo sul
serio... Non l'hanno fatta entrare perchè era armata. Voleva
sparargli un colpo in testa"
"Sinceramente se lo sarebbe pure meritato"
La campanella aveva interrotto la
loro chiacchierata, ma Louis aveva fatto in tempo a sentire, nonostante
il tramestio di libri sbattuti nell'armadietto e il rumore di passi che
rieccheggiavano nel corridoio " Se fossi stata sua madre, il colpo
glielo avrei sparato direttamente in bocca" e a rimanere da solo, con
un peso che gli gravava sul petto che lo costringeva a sostenersi alle
piastrelle fredde sel muro.
Era stato un pazzo, un folle: come aveva anche solo potuto pensare per
un attimo che passare del tempo in compagnia di Harry avrebbe portato a
qualcosa di buono?
Cosa aveva lui da dare a Harry?
Niente, assolutamente niente.
Anzi, ad essere schietti, lui gli aveva tolto molto, e non meritava di danneggiarlo ulteriormente con la sua presenza.
Come aveva potuto illudersi che non l'avrebbero mai scoperto?
S'è l'era sempre cavata, ma prima o poi doveva capitare, e
allora sarebbero state grane a non finire: con gli assistenti sociali,
con il tribunale, con la famiglia Styles, con sua madre...
Era stato un vero coglione.
Non doveva più vederlo, era troppo pericoloso.
Louis svuotò il bicchiere tutto d'un colpo, mentre una parte di
lui, la più coscenziosa e irritante, che doveva essere
assolutamente ignorata, si chiedeva come avrebbe fatto a sopravvivere
agli interminabili turni, con chi avrebbe parlato, quale sarebbe stata
la sua ragione per tirare avanti...
Improvvisamente il suo stomaco si ribellò violentemente,
facendogli rimpiangere di non aver mangiato qualcosa prima di bere
tutto quello che aveva bevuto, e il ragazzo cercò di alzarsi per
raggiungere il bagno.
E mentre ricadeva pesantemente sul bancone, facendo leva sui gomiti per
cercare di tirarsi su ma ricadere in modo patetico ogni volta, si
domandò se quel dolore radicato nelle viscere che provava non
fosse dovuto allo spavento di trovari faccia a faccia con Anne Styles,
o all'aver finalmente compreso quanto stupido e incosciente fosse
stato, ma alla terribile prospettiva di dover imparare a vivere la sua
vita inutile e vuota senza Harry.
Angolo Fin *-*
Sono ufficialmente in crisi esistenziale: lo so che ho detto 1000 volte
che la mia scuola è un buco e che fa schifo etc etc etc, ma ho
realizzato che ne sentirò la mancanza, anche se ci hanno
relegato in cantina senza riscaldamento, anche se non ci è
ancora arrivato il libretto delle assenze, anche se la preside è
furba e crede che noi non ci accorgiamo che la campanella della quarta
ora suona 3 minuti prima...
Comunque...
Tatatatata' questo capitolo è angst allo stato puro, ma aspetto il giudizio dell'esperta (Lu) per dirlo XD
E voi che mi dicevate che eravate contente perchè le cose per
Harry andavano bene... Uhm, diciamo che le cose si sono complicate * si
gratta la nuca imbarazzata dalla propria cattiveria, fingendo di non
temere la Louis!Girl della situazione, Ellie, che salterà fuori
da qualche anfratto buio con una padella e vanificherà in
quattro colpi il lungo lavoro del dentista lol* e Harry non si è
ancora svegliato e Caro mi ucciderà, poi la mia arabina
troverà il mio cadavere sdentato e mi taglierà a
pezzi e mi infilerà in un barattolo sottolio spacciandomi per la
Simmenthal.
E Daria mi darà in pasto al suo gatto ( o in alternativa cane, pesce rosso o volpe acquatica del deserto)
Forse l'unica che mi compiangerà sarà Erica.
E niallhugme e Infinity_1D ( delle quali morirò senza sapere i nomi, argh!)
E Nora ( che ha fatto gli anni! Tantissimi auguri sorella riccia) ballerà e reciterà negli eventi in mia memoria.
E Domenico scriverà il mio epitaffio.
Cazzo, rileggendo ciò che ho scritto l'angst regna pure nell'angolo autrice o.O
Vabbè, per stavolta va così gente. Non c'è niente
di cui essere allegri: le vacenze di natale sono lontane, domani
c'è scuola e io sono single quanto una coppia spaiata di calzini
XD
I mali di questo mondo sono infiniti ahahahaha
Grazie mille per le vostre bellissime recensioni, spero un giorno di abbracciarvi forte una ad una <3
#amassivethankyou
#lotsoflove
#Lularia and Domiele are real :)
Cami
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Capitolo 7 *** It's Too Cold Outside For Angels To Die ***
efrw3ertertwer
7. It's Too Cold Outside For Angels To Die.
12 giorni, 288 ore, 17280 minuti, 1036800 secondi.
Louis aveva resistito tutto
quel tempo lontano da Harry, lontano dalla sua mezz'oretta dorata di
pace, esiliato dalla sua piccola bolla di felicità che lo teneva
a galla nella tempesta che si era abbattuta nella sua vita.
Era tutto uno schifo.
A scuola non ci andava, e la
cosa si era rivelata estremamente positiva finchè sua madre non
lo aveva beccato a bighellonare nel supermercato in fondo alla strada.
E poi erano stati cazzi, cazzi
amari, molto amari: aveva urlato fino a diventare rauca, acchiappandolo
per un orecchio e trascinandolo a casa, mollandogli di tanto in tanto
qualche scapaccione lungo la via mentre inveiva contro la sua
stupidità e la sua incapacità di pensare al futuro,
profetizzando la sua lunga permanenza in un carcere minorile e la sua
residenza presso ospizi, case di cura e sotto le arcate dei ponti.
Lo aveva punito levandogli il
telefono ( che tanto non usava mai perchè tutti i suoi vecchi
amici sembravano essersi dimenticati della sua esistenza) e, fatto
senza precedenti, il suo iPod.
Come avrebbe fatto adesso senza
la sua musica? Chi gli avrebbe tenuto compagnia nel tragitto
casa-scuola, a pranzo in mensa e negli spostamenti extrascolastici?
Sua madre lo voleva privare della sua unica e fedele compagna e consolazione.
Era tutto una merda.
In più la caposala Cohen
era in ferie, e le sue colleghe avevano tirato fuori la loro vena
schiavista: se prima Louis credeva di essere sfruttato si sbagliava di
grosso.
Gli ordini nazisti della donna erano bambagia in confronto alla nuova situazione.
Le infermiere si limitavano a
star sedute limandosi unghie e spennellandosi smalto a chili,
strillando ordini contradditori a destra e a manca “Louis! Porta
in mensa Mr Phipps!” “Tomlinson, dove diavolo si è
cacciato Phipps? Devi somministrargli l'insulina, idiota!”
“Metti a letto Leighton” “Che cazzo hai fatto?!
Perchè lo hai mandato a dormire così presto?! Non lo sai
che soffre d'insonnia? Se gli fai fare il riposino adesso stanotte non
chiuderà occhio!!”
Gli facevano pulire i
pavimenti, i vestiti, i camici, raschiare via la zuppa dai piatti,
spostare carrelli che pesavano almeno una tonnellata, lavare vecchietti
obesi, e tutto da solo.
Si sentiva la versione punk e
sboccata di Cenerentola, senza vestito e principe e con un ingente
carico di stress, soprattutto dopo che sua madre lo aveva rispedito a
scuola a calci in culo.
Aveva aumentato la dose
giornaliera di nicotina al giorno, unico metodo per sopravvivere alla
giornata senza 'strippare' contro il mondo intero, prelevando 20
sterline dal borsellino di sua madre.
Peccato che al suo rientro a
casa dopo essere stato in “Biblioteca” (in realtà si
era sdraiato in una panchina nel parco a fumare Malboro fino a fondersi
il piercing al labbro) l'aveva trovata sul piede di guerra.
Quando era rientrato in casa
regnava un silenzio irreale, ma appena varcata la soglia della cucina
sua madre gli era saltata alla gola, scuotendolo per il bavero mentre
tra i singhiozzi malediceva il giorno in cui aveva dato alla luce un
bastardo, un ladro, un traditore del suo sangue, un topo di fogna...
Durante l'attacco isterico era
riuscito a capire, mentre cercava di schivare i colpi e trovare un
senso alle frasi sconnesse che erano spariti dei soldi, molti soldi.
150 sterline.
Louis era sconvolto.
Di solito quando ne combinava
una delle sue usava la sua tattica “io non ne so nulla”,
facendo la sua faccina da angioletto candido, che ultimamente tanto
bene non gli riusciva, tanto che aveva rimpiazzato questa strategia con
“chissenefrega, non me ne fotte, il danno è fatto quindi
risparmia il fiato”, ma stavolta davvero non ne sapeva niente.
A parte le 20 sterline fumati al parco.
Era sempre stato attento a
prelevare poche sterline alla volta per non dare nell'occhio ma
soprattutto per evitare di sconvolgere il già precario
equilibrio economico della famiglia.
“ E adesso come
farò a pagare l'affitto?! Cristo Louis, ci vuoi sbattere in
mezzo alla strada, eh? Non sei abbastanza soddisfatto dei danni fatti
fino ad adesso?! E l'auto nuova, l'assicurazione di quel povero
ragazzo, l'avvocato, la multa... Vuoi farci morire di fame?!”
L'aveva lasciato andare, portandosi le mani alla bocca e scoppiando in lacrime.
Louis l'aveva abbracciata,
chiedendosi mentalmente da quanto non lo faceva, sentendo un familiare
groppo alla gola, lo stesso che gli impediva di respirare bene la notte
quando era nel buio della sua camera, mentre sussurrava nei suoi
capelli:
“Ti giuro che non sono stato io mamma. Non piangere, in qualche modo faremo... Tutto si risolverà, vedrai”
Era così lampante che
era innocente e all'oscuro di tutto, anche lui sull'orlo del pianto per
lo shock, ma sua madre non ne aveva voluto sapere, irrigidendosi nel
suo abbraccio e rifiutandosi di farsi toccare da lui di nuovo.
Faceva male, essere rifiutati dalla propria madre, non essere creduti, essere insultati.
Come gelare davanti a un camino acceso, come essere morti dentro.
Era corso al piano di sopra,
sbattendo forte la porta prima di prendere a pugni il cuscino per
sfogare l'attacco di rabbia omicida che l'aveva investito.
Perchè doveva prendersi lui tutte le colpe?
Perchè doveva sempre essere lui la delusione, la pecora nera, il disgraziato?
Sapeva perfettamente chi era
stato: le gemelle non sapevano neanche cosa fossero le sterline,
credendo che tutto quello che possedevano piovesse dal cielo, e Fizzy
era felice lassù nel suo piccolo mondo di pettegolezzi futili e
senza senso.
Restava Lottie, la maniaca della moda.
Aveva fatto irruzione nella camera che lei e l'altra sorella dividevano, spalancando il suo guardaroba
ignorando le loro proteste e i
colpi che Charlotte gli dava, forti e ripetuti mentre in preda al
panico gli urlava di uscire e lasciarla in pace. Sotto la biancheria
pulita c'erano un paio di stivaletti di vernice nera, con borchie e
tacco a spillo esageratamente alto.
Lottie continuava a colpirlo ed
ad urlare “Vattene, vattene stronzo!” mentre fissava con
orrore cosa la sua dolce sorellina aveva fatto.
Continuava a colpirlo, isterica.
L'aveva repentinamente presa
per il gomito, stringendola forte, incurante di farle male, afferrando
con la mano libera gli stivali, prima di trascinarla a strattoni
violenti e privi di delicatezza fino in cucina, sordo alle sue proteste
e dei suoi pesanti insulti, dove sua madre era ancora seduta al tavolo
ingombro di kleenex.
L'aveva spinta verso la madre,
riannchiappandola per i capelli quando aveva cercato di fuggire, prima
di rispingerla violentemente nella stanza, urlando furibondo:
“Eccotela la tua
puttana” prima di sbattere sul tavolo le scarpe incriminate e
lasciare la casa senza una parola, sbattendosi forte la porta
d'ingresso dietro di se', prima di sparire in fondo alla via.
“E' stato un meccanismo
di difesa” l'aveva giustificata Mrs Stowe “Lei è
abituata ad essere delusa da te, e non è pronta a essere ferita
anche dagli altri figli, così ha preferito darti la colpa per
sentire meno male”
Poi, dopo che Louis gli aveva letto il capitolo dell'Amleto gli aveva dato 50 sterline.
“Non posso accettarli” si era schernito lui, vergognoso di accettare la carità da una povera vecchietta.
“Devi. Sono la tua busta paga per avermi comperato il libro e per leggermelo regolarmente tutti i pomeriggi”
“M-ma io...”
“Tu non sei obbligato a farlo, o mi sbaglio?”
“No ma...”
“Ma un corno, prendi la
tua busta paga e chiudi quella ciabatta o chiamo l'infermiera e le dico
che hai cercato di soffocarmi col cotone”
E così il ragazzo la
sera a cena aveva sbattuto sul tavolo i soldi, fissando con disgusto il
piatto apparecchiato per lui e gli occhi bassi di sua madre, in un
patetico tentativo di farsi perdonare.
Mrs Stowe aveva mentito.
Non era vero che tutti i giorni gli teneva compagnia leggendo.
Dopo che la caposala era andata
in ferie il tempo che poteva dedicarle era via via diminuito,
nonostante impiegasse nella lettura il tempo che di solito trascorreva
con Harry nella camera 17.
Poi Mrs Carew aveva caduta dalle scale, e Louis aveva saltato un'incontro.
Il giorno dopo si era scusato e
scusato a non finire, dal momento che la donna sembrava più
pallida e più sciupata.
“Un solo giorno senza i
suoi amati libri può fare questo?” aveva pensato stupito
il ragazzo, subito rassicurato dall'immediata ripresa di colore della
donna dopo che l'infermiera le aveva servito il thè.
Poi martedì aveva quasi
perso la testa, scoprendo che 1/3 dell'equipe medica era a casa con la
salmonella, e aveva dovuto fare gli straordinari per far
funzionare tutto come doveva nel reparto.
Mercoledì aveva solo
fatto in tempo a infilare la testa nella camera e salutarla, prima che
Mr Phipps rischiasse di rompere la macchina per la dialisi col suo
dolce peso.
Non si era fatto vedere fino a
venerdì, e a quel punto la Prof era molto arrabbiata, tanto che
aveva interrotto i suoi soliloqui e le sue pallose lezioncine su
Shakespeare e la sua vita travagliata, chiudendosi in un mutismo
ostinato e fissando il soffitto con gli occhi cerulei ormai spenti, che
neanche la promessa di dolci e bevande avevano potuto riaccendere.
Per sei giorni Louis non aveva
osato mancare a un appuntamento, e si tratteneva anche oltre l'orario
delle visite finchè non lo sbattevano fuori a calci in culo.
Il terzo giorno la Prof aveva sorriso, facendogli capire che era stato perdonato e che era tutto come prima.
Il sesto giorno il ragazzo
faceva fatica a concentrarsi, gli occhi che confondevano le lettere,
saltando le righe e provocandogli un senso di nausea che, ne era
sicuro, lo rendeva verde come un rospo.
L'anziana donna aveva lasciato
correre per un po', ma alla quarta volta che rileggeva la stessa riga
lo aveva fermato, chiedendogli se ci fosse qualcosa che non andava.
“In effetti si” aveva ammesso restìo l'altro “Non mi sento molto bene”
Mrs Stowe gli aveva fatto segno di avvicinarsi al letto, prima di posargli la mano rugosa e rattrappita sulla fronte sudata.
Un gesto così inaspettato e materno che Louis aveva dovuto chiudere gli occhi e stringerli forte per non piangere...
Ma che diamine mi succede oggi?!
“Ragazzo mio, la febbre
non c'è l'hai ma sei verde e tutto appiccicaticcio e sudato.
Forse è meglio che vai a casa...”
Lui aveva annuito debolmente, prima di scostersi dal suo tocco, sorriderle stancamente e mormorare piano “ a domani”
Ma non avrebbe mantenuto la promessa.
Il settimo giorno Louis si era alzato alle cinque e mezzo, svegliando tutta la casa correndo in bagno e vomitando l'anima.
Anche lui aveva preso la salmonella.
Cazzo.
Aveva cercato di fare meno
rumore possibile, ma quando due ore dopo era sceso in cucina lavato,
vestito e con la cartella distrattamente gettata su una spalla,
fingendo che non fosse successo niente, sua madre gli aveva chiesto
incredula:
“ Ma... Dove credi di andare?”
“A scuola” aveva
risposto asciutto lui, che non l'aveva ancora perdonata per l'ultima
litigata, e non era poi così sicuro di volerlo fare.
“ Ma... Sei malato! E poi
ho già chiamato sia la scuola che l'ospedale per avvisare che
non saresti andato oggi... Stavo per chiamare al lavoro e prendermi un
giorno di ferie...”
Certo, pensò sarcastico
il ragazzo, adesso chiede le ferie se sto male. E prima dov'era,
sentiamo? Prima mi dovevo arrangiare.
Cos'è cambiato? Assolutamente niente... Che incredibili cambiamenti può causare una coscienza sporca...
“ Sto benissimo”
aveva troncato la conversazione, appoggiando la mano sulla maniglia
della porta d'ingresso, prima di venir richiamato ancora una volta
dalla madre.
“ Louis! Non puoi uscire di casa in queste condizioni!”
L'aveva fissata, glaciale,
prima di sibilare, sentendo la rabbia bruciargli nelle vene “ Ma
non posso nemmeno restare qui con te, ti pare?”
Ed era uscito, sbattendo la porta alle sue spalle.
Era andato avanti così
per una settimana: la mattina ignorava la colazione calda e fumante che
sua madre gli faceva trovare ( tanto avrebbe finito per vomitarla nel
giro di due ore in uno squallido cesso pubblico) e usciva di casa,
vagando per le strade fino a che non era sicuro che lei fosse al
lavoro, prima di sgattaiolare di nuovo in casa grazie alla finestra che
Fizzie lasciava aperta apposta per lui.
Il settimo giorno, sentendosi
meglio e avendo ricevuto un'ammonizione per posta dalla sua assistente
sociale, che si domandava come mai non si fosse presentato in geriatria
per un così lungo periodo, e non sopportando lo sguardo ferito e
colpevole di sua madre quando posava i suoi occhi su di lui, aveva
annunciato tetro, una volta seduto in cucina e sbocconcellato una mezza
brioches “Vado a scuola” prima di uscire di casa e
dirigersi verso il parco pubblico, a fumare le sigarette che gli erano
avanzate.
In realtà non era andato a scuola, ma al lavoro sì.
Si era giustificato e
lievemente scusato con la Caposala Cohen, appena rientrata dalle
vacanze alle Maldive più isterica e incazzata di prima (
probabilmente a causa delle evidenti scottature che le donavano
un'abbronzatura tipo aragosta in pentola) prima di cambiarsi nella sua
scialba divisa, aiutare a distribuire la merenda ed affrontarne le
conseguenze come noccioli sputati in terra e pesce ricoperte di bava
che rotolavano sul pavimento, e afferrare l'Amleto diretto verso la
camera della Prof camminando di buona lena.
Aveva bussato, ma non aveva ottenuto nessuno risposta.
La stanza era vuota.
Le finestre erano aperte, e le
tende bianche sbattevano qua e la come la spuma di mare sui cavalloni
nei giorni di vento. Non c'era traccia del vaso di argilla greca che
una volta troneggiava sul comodino bianco. L'edizione illustrata delle
leggende di Re Artù era sparita.
Il letto era vuoto, spogliato
di cuscino e lenzuola, lasciando solo il nudo materasso sulla rete di
ferro, in un terribile messaggio di decadenza e squallore che aveva
reso le gambe di Louis molli e tremanti.
Era lentamente ritornato sui
suoi passi, perdendo tutta la sua baldanza, e una volta arrivato nella
saletta aveva fermato la prima infermiera che aveva trovato, una
ragazza giovane che subito saltava all'occhio in quel gruppo di
carampane.
“Scusi... L-la Signora Stowe che stava alla 13...?”
La donna l'aveva guardato addolcendo lo sguardo in un espressione piena di pietà e tristezza.
Gli era bastato quello per capire.
Lo sapeva da quando aveva visto
il letto sfatto, ma aveva voluto illudersi ancora per un po',
convincendo se stesso che l'avevano cambiata di reparto, che stavano
solo rifacendo il letto...
Aveva sentito un sapero
metallico sulla punta della lingua, come un veleno, che lentamente si
era espanso in tutta la bocca, in tutto il suo corpo, distruggendo le
speranze che stupidamente si era creato come scudo e lasciando posto al
panico.
E al dolore.
Non c'è l'aveva fatta a
rimanere impassibile, non anche stavolta, e la ragazza l'aveva notato,
regalandogli un sorriso pieno di compassione.
“Mi dispiace Louis. So
che le eri affezionato, e so che significavi tanto per lei. Continuava
a chiedere di te sai? “
Aveva sussultato, agonizzando dentro, morendo lentamente come 1000 volte prima d'allora, ma ogni volta faceva più male.
“Non ha sofferto, si
è solo... addormentata, e non si è più svegliata.
Ha semplicemente smesso di respirare”
Occhi colmi di pietà.
“Mi dispiace Louis, sei così un bravo ragazzo...”
Non le aveva lasciato finire la frase.
Si era voltato, scusandosi
brevemente e proclamando con voce attentamente controllata che voleva
'stare un po' da solo' prima di imboccare il corridoio, e una volta
girato l'angolo, non visto, aveva iniziato a correre, venendo
inghiottito dall'oscurità del suo cuore.
Era tutta colpa sua.
La voce della ragione, fievole
e stanca per il troppo urlare, cercando di sovrastare il senso di colpa
che la soffocava, urlava che non era stato lui, che non c'entrava
niente, che la Signora Stowe era tanto anziana e tanto malata, e che il
fatto che lui l'avesse trascurata per una settimana di fila senza
leggerle niente era una crudele coincidenza del fato.
No, è colpa mia... Quando l'ho lasciata stava bene: era stanca, provata, ma non si sarebbe mai arresa.
Mai.
Me lo avrebbe fatto capire prima...
Forse te lo avrebbe fatto
capire se ti fossi presentato ai vostri appuntamenti, ribatteva crudele
il Panico, che gli stringeva i visceri in una morsa così stretta
e dolorosa da impedirgli di respirare.
Puntini di luce vivida gli
esplosero davanti agli occhi, e Louis dovette interrompere la sua corsa
sfrenata per l'ospedale e sedersi sui gradini della scala di servizio
per riprendere fiato ed evitare di andare in iperventilazione: avrebbe
tanto voluto che l'infermiera bionda si sbagliasse, avrebbe tanto
voluto tornare indietro ed urlarle che lui non le era affezionato, che
odiava quel cazzo di lavoro, che non era un bravo ragazzo, che era
insignificante, che era un teppista disgraziato che si faceva di erba e
coca dalla mattina alla sera, che rubava dal borsellino di sua madre
anche se i soldi non bastavano mai, che bastava guardarlo in faccia e
notare piercing e tatuaggi per capire che era un poco di buono senza
cuore ne' futuro, che non valeva nulla, e non meritava la pietà
di niente e di nessuno, perchè non era un semplice volontario
come voleva far credere a tutti, ma era lì perchè
costretto a lavori socialmente utili, perchè aveva rubato la
macchina di sua madre e, ubriaco fradicio, aveva investito un povero
ragazzino innocente...
Il suo cuore si era stretto così tanto da rischiare di piegarsi su se stesso ed esplodere, al pensiero di Harry.
Non si era dimenticato di lui,
non era “andato avanti” con la sua vita, scordandosi della
loro piccola parentesi, di quel fragile esserino in quel bozzolo di
coperte, come un bruco che sta per diventare farfalla, ma lentamente
muore soffocato dal suo stesso involucro, e vincendo le sue paure e i
suoi remori ogni giorno si era recato nel corridoio del reparto di
rianimazione, resistendo all'impellente tentazione di varcare la soglia
della 17 solo per un attimo, solo per vedere se era ancora lì,
ancora aggrappato a questo mondo da un filo sottile ed ogni giorno
più liso, ma trattenendosi aveva superato la porta diretto verso
la postazione delle infermiere sul piano, e timidamente chiedeva, con
il cuore in gola e il viso in fiamme: “Mi scusi... Il paziente
della 17 come sta oggi?”
Ogni volta attendeva,
trepidante, speranzoso e tremendamente terrorizzato la risposta, ogni
volta sempre uguale: “Nessuna novità, respira
autonomamente, per il resto è stazionario”
Non aveva dimenticato.
Come avrebbe potuto?
In quel momento il terreno gli
franò sotto i piedi, il suo cervello farneticante per il digiuno
prolungato e per la crisi di astinenza da nicotina aveva formulato un
pensiero agghiacciante.
La signora Stowe era morta perchè lui l'aveva abbandonata.
Lui aveva abbandonato Harry.
Ciò significava che anche lui era...?
Louis non ci poteva neanche
pensare, non riusciva a concepire nemmeno l'idea che Harry morisse, ma
il dubbio si era instillato nel suo cuore come un potente veleno che
annebbiava la mente e stordiva i sensi, e così si era trovato di
nuovo in piedi, a correre verso la Rianimazione urtando carrelli,
pazienti e dottori senza nemmeno farci caso, senza fermarsi a chiedere
scusa, senza curarsene davvero...
Non poteva andarsene anche lui,
non l'avrebbe sopportato: aveva sperimentato cosa volesse dire essere
un rinnegato, un delinquente senza speranza e senza affetti, e aveva
deciso che quella vita non faceva per lui.
Se Harry fosse morto, il
pensiero di essere stato l'inizio e la fine dei guai nella sua giovane
vita lo avrebbe tormentato fino alla morte, ma nessuno avrebbe creduto
alla sua redenzione.
Avrebbero tutti continuato a
vederlo solo come l'ubriaco che l'aveva ucciso, il poco di buono, il
reietto, Satana in persona che aveva messo fine alla breve vita di un
angelo innocente.
Avrebbero avuto ragione, Louis lo sapeva.
Harry era la sua unica possibilità di redenzione, e poi...
Spesso si era chiesto come
doveva essere stata la sua vita, cosa avrebbe fatto quella fredda e
maledetta sera di Novembre se lui fosse semplicemente rimasto a casa a
fare i compiti e a guardare la tv come gli era stato detto, cosa
avrebbe fatto dopo, le materie che avrebbe scelto al college, che
mestiere avrebbe fatto...
Parallelo al pensiero della
vita del ragazzino, spesso lui pensava anche alla sua vita, a cosa
sarebbe cambiato anche per lui con quel “ e se non l'avessi
investito” e capiva che sarebbe stato ancora lì a
piangersi addosso per essere l'ultimo arrivato, l'outsider,
l'emarginato...
Harry era stato la sua svolta, e lui voleva prendere la giusta via da qul momento in poi.
Non voleva che la sua vita, per
ora messa in pausa come un film sul più bello, venisse
bruscamente stoppata e poi spenta solo a causa della sua stupidaggine,
perchè Harry aveva ancora tanto da offrire al mondo, al
contrario di lui che portava solo danni e sofferenza.
Non glielo aveva mai detto, ma
voleva perchè lui doveva saperlo, e forse se si sbrigava era
ancora in tempo, forse non era troppo tardi...
Aveva fatto irruzione nella
stanza come nei film polizieschi, prima di gelarsi sul posto, calmato
dall'imperturbabile immobilità della camera, che sembrava essere
fuori dal tempo e dallo spazio: ora niente più importava, niente
più esisteva: c'erano solo loro due.
“Ciao Harry. Sono venuto a trovarti”
Lacrime calde che scivolando lungo il viso ustionano la pelle.
“Ciao Harry, sono venuto
a trovarti” la voce trema mentre il corpo cerca di tenersi dentro
tutto, come una diga che argina pensieri, sentimenti, emozioni...
Ma non ce la fa più.
La muraglia di cemento si
sgretola sotto la potenza devastatrice dell'acqua, e Louis inizia a
piangere incontrollabilmente, come un bambino.
Lei non ci sarà più, mai più.
Tutto quello che rimarrà
di una vecchia donna, anziana e sola è una misera
lapide e l'ombra del suo ricordo nel cuore del ragazzo.
Comparirà ogni volta che
apre uno dei libroni che tanto amava, e Louis sentirà nella sua
mente la sua voce seria e puntigliosa mentre spiega qualcosa che
culturalmente parlando è molto importante, ma che non ha nessun
riscontro e nessuna importanza nella vita reale.
E Louis piange perchè sa che ogni volta farà male sapere che lei non c'è più.
Piange perchè non sa se è abbastanza forte da portarsi dietro quel ricordo così prezioso per tutta la vita.
Piange perchè in quel
momento ha capito che la morte è irreversibile: te lo spiegano a
parole a scuola o in Chiesa, ma nessun discorso sulla biologia o
su Dio ti prepara alla cruda realtà che il tuo cervello,
così piccolo e impotente davanti a una verità tanto
immensa e devastante, non riesce a pensare, ostinandosi a pensare a
quella persona al presente, come se respirasse e il suo cuore battesse
ancora.
Non riesce ad accettare che il
corpo verrà sepolto o cremato, le ceneri conservate o buttate al
vento, i fiori sulle lapidi prima o poi sfioriranno ed appassiranno,
così come prima della morte aveva fatto il corpo sfatto dal
tempo, dal fato o dalla malattia, adesso sepolto sotto la terra gelida
e buia, dove inizia la decomposizione, e presto di quel corpo che una
volta amava ed era amato resterà solo il nudo scheletro
custodito da una tomba senza significato ne fiori, sbiaditi come il
ricordo della persona che una volta era stato.
Piange Louis, per la triste
sorte della donna, perchè si sente colpevole, perchè
sotto sotto sapeva che a lei importava e che gli voleva bene...
Piange per il corpo che
immobile giace nel letto davanti a lui per causa sua, perchè lui
ha provato a fregarsene di tutto e di tutti, di fare solo quello che
voleva, di taglare tutti i ponti e vivere solo, come un duro, come uno
di quei brutti ceffi che sembran fatti di pietra da quanto son freddi e
insensibili, ma non può, lui ama ancora la sua famiglia, soffre
la solitudine senza gli amici, prova ancora e sempre rimorsi per quello
che ha fatto...
Piange perchè ha appena
realizzato quanto le sue azioni abbiano portato vicino alla morte
Harry: una birra in più, una spinta all'acceleratore, e lui
poteva essere morto, e sarebbe stata colpa sua.
Piange perchè è
tutto così confuso e doloroso, ma una cosa è certa, lui
non vuole essere un assassino, non vuole che Harry muoia, e quando alza
lo sguardo dalle sue stesse mani che gli coprono il viso soffocando i
singhiozzi e vede il corpo del ragazzino che si sforza di tornare in
vita, si chiede come mai non glielo abbia mai detto.
Prima che sia troppo tardi.
Si china su di lui, ma non
resiste: ha bisogno di conforto, di qualcuno che lo stringa e gli dica
che la Signora Stowe è morta, ma che andrà tutto bene,
che ne uscirà, che non si deve preoccupare per lei, che è
in un posto migliore adesso...
Valica quel tacito confine
tracciato tra lui ed Harry prendendogli la mano bianca sotto le
lenzuola e stringendogliela forte sussurrando tra i singhiozzi:
“La Signora Stowe è m-m-morta... Mi mancherà
così tanto!”
Bagna le lenzuola con il suo
dolore, mentre il sapore delle sue lacrime gli da' il coraggio di
continuare “ Io non voglio che muoia anche tu... Ti giuro che non
volevo investirti, era tutto uno schifo e volevo che passasse, ti
prego, perdonami, volevo solo che passasse, non voglio che tu muoia, ti
prego, perdonami, vorrei essere morto io...”
Con una mano stringe forte
quella dell'altro ragazzo, invocando come una litania il suo perdono e
la sua innocenza, mentre con l'altro braccio sotto la fronte si regge
la testa, stringendo le lenzuola sussurrando di tanto in
tanto “Vorrei essere morto io...” finchè non
è troppo stanco, finchè non ha più ne' fiato ne'
lacrime.
E sa che adesso
rientrerà in casa e crollerà tra le braccia di sua madre,
perchè ne ha bisogno anche se c'è l'ha a morte con lei,
anche se non l'ha ancora perdonata, sa che riprenderà a far
visita ad Harry, anche se le prime volte, dopo quello sfogo sarà
imbarazzante, sa che lavorare in reparto senza la sua Prof non
sarà la stessa cosa, sa che anche se gli farà male,
recupererà il libro di Amleto e lo metterà tra i Vogue,
gli Harry Potter e la Pimpa sulla loro libreria.
Sa che farà male, non
s'illude del contrario, ma in quel momento di pace assoluta senza
lacrime ne' singhiozzi, è tranquillo.
Forse perchè la sua
presa sulla mano di Harry si è allentata e lui sente chiaramente
quanto forte lui ricambi, magari perdonandolo o per consolarlo,
partecipe al suo dolore.
E allora forse c'è ancora speranza.
Angolo di Fin *-*
Buonasera popolo! ( o quel che ne resta)
Si, contro ogni scommessa sono ancora viva.
Si, lo so, dopo questa lieta notizia organizzerete una giornata di lutto nazionale :)
Sono stata super impegnata: giuro, non avrò mai figli... Gli amici creano già abbastanza problemi.
In sintesi, tanto per scartavetrarvi i maroni, S. è andata a
sparlare di A. che l'ha saputo dal suo ragazzo, che è migliore
amico del ragazzo di S., che in modo molto poco furbo la sputtanava
davanti alla loro compagnia quando nojn c'era.
Oh figliuola mia, ma è ovvio che se sputtani A. davanti al suo boy lui glielo va a dire! Sveglia!
Io, visto che sono tra due fuochi ho cercato di metter pace: all'inizio
mi sono mantenuta neutra, ma dopo la 30esima volta che S. mi tirava da
parte per dirmi che era un brutto periodo e voleva tanto parlare con A.
mi sono sentita in dovere d'agire, creando un gruppo su whats app e
chiudendole lì in modo che si potessero parlare...
Non l'avessi mai fatto!
In sintesi, il giorno dopo davanti a tutta la classe, S. ha
urlato che sono solo una 'piccola pacificatrice di merda che si deve
solo fare i cazzi suoi', abbreviato da me e A. come 'ppdm'
Cuz I'm a ppdm, and I want it on a T-Shirt.
E a voi non frega una sega lol
Vorrei comunque ringraziarvi per l'ascolto, partendo dalle mie nuove
recensitrici, marti_lala che purtroppo resterà delusa dalla
staticità di Harry (pazienta, figliuola, pazienta) Ily,
che non mi deve più uccidere e Chiamami-come-vuoi, alias
Priscilla che giuro che non so come chiamare... Priscy? E' pessimo.
Lilla? Nah... Se ti piacciono gli Hunger Games ti chiamo Prim e ce semo
levate er dente :)
My wife Ellie, che vedendo il povero Loueh soffrire così
prenderà armi e bagagli e organizzerà insieme a Caro un
attentato alla mia persona * tenta di schivare le padellate sul cranio
stile Petunia Evans in Dursley*
Lu che è stata l'unica a ipotizzare una ricaduta di Harry, e con
la quale mi stava sufuggendo uno spoiler enorme sui prossimi capitoli a
venire e la figura di Anne.
Anne sarà una bigottona acida di prima categoria, accettatelo ( *piange lacrime amare per la sua blasfemia*)
Ilaria che è all'estero (spero vivamente di ricevere una
cartolina lol) e Domenico che magari incontrerò al concerto ( se
non vendo il biglietto) e passerò tutto il tempo a sbavare sul
suo ragazzo e sul suo tatuaggio ( più sul tatuaggio credo, o non
vedrò l'alba di un nuovo giorno XD)
And last but not the least Fiordilice, ovvero Erica alla quale vanno i neuroni in pappa dai feels.
Ma ammettiamolo, capita a tutte.
Veramente 100 grazie e 20000 baci a tutte, che non m'avete abbandonato,
che mi avete riempito di complimenti, che avete addirittura paragonato
sta schifezzuola a 'Akob'...
Veramente, grazie mille.
Al prossimo aggiornamento pupe XD E se avete bisogno della sottoscritta
per qualsiasi cosa, messagiatemi e vi sarà risposto.
Hasta la vista, e che Dio vi benedica!
#likeaGerryScotti
#Lotsoflove
#Kisses
|
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Capitolo 8 *** The Man Who Can't Be Moved ***
8. The Man Who Can't Be Moved
Coppiette che si sbaciucchiavano.
Ragazzi che flirtavano in coda per il dessert della mensa.
I ragazzi facevano gli spacconi, inventando stronzate su
stronzate per impressionare il gentil sesso, che in tutta risposta
provvedeva a ridacchiare con le amiche e a scoprire quanta più
mercanzia poteva.
Che schifo.
Louis abbassò lo sguardo sulla triste insalata ai
pomodori raggrinziti e rugosi che aveva davanti, misero pasto di un
misero studente, e spinse via il piatto, disgustato.
Non tanto per il suo contenuto, ma per l'ambiente saturo
di ipocrisia e opportunismo che lo circondava: sostanzialmente a scuola
lui stava zitto e si faceva i cazzi suoi, e dopo i primi due mesi aveva
cambiato status passando da "l'ultimo arrivato/punchball in prova" a
"l'uomo invisibile che si mimetizza con la carta da parati", che veniva
ignorato dai compagni di corso, disprezzato dai più grandi e
classificato come uno "sfigato" persino da quelli più piccoli,
che quindi non si sentivano minimamente in dovere di portargli rispetto.
Assennatamente Louis non poteva dargli torto: anche lui
nella sua vecchia scuola non avrebbe cagato di striscio un
reietto, sfigato invisibile qual'era, tanto meno se era più grande o più piccolo.
Ma anche se a prima vista il ragazzo sembrava
disinteressarsi di tutto e di tutti, vivendo chiuso nel suo guscio come
la più caparbia delle ostriche, ciò non toglieva che,
tramite Fizzy, che trascorreva ore e ore al telefono camminando come
un'anima in pena tra le quattro anguste mura del loro appartamento,
conoscesse tutti i pettegolezzi più scabrosi e succosi della
Bennett High.
Per esempio sapeva che Gavin Ferrier era ufficialmente
fidanzato Euphemia, una studentessa della scuola Cattolica privata
della città vicina, ma nonostante questo si portava a letto
Moira Barker durante la settimana o l'orario scolastico.
Sapeva che Dred Chapmann, il giocatore più
promettente della squadra di basket e suo personale aguzzino prima che
"lo lasciassero perdere" aveva carta d'identità e patente
falsificati, perchè il suo vero nome, uguale a quello della sua
amata trisnonna Mildred, gli recava un terribile imbarazzo.
Non credeva minimamente che il segno rosso sul collo di Lynn Hardcourt, malamente coperto da
un foularino firmato, fosse una bruciatura accidentalmente causata da
un esperimento nel laboratorio di chimica, quando il vero colpevole non
era il suo storico fidanzato Richard Skyes, il principale sospettato,
bensì il viscido Ian Dwith che si divertiva a intrufolarsi nei
bagni delle ragazze al primo piano e a "giocare a Edward Cullen".
Tutto intorno a lui era corrotto: amicizie troncate,
rivalità sportive, furti tra compagni di classe, sfruttamento
dei secchioni, amori non corrisposti, gare di popolarità estile...
Neanche a San Valentino si davano una calmata.
C'erano le primine che si pavoneggiavano nei corridoi,
contando quanti patetici orsetti di peluches a forma di cuore avevano
ricevuto, prima di canzonare le fino-a-un-secondo-prima-migliori-amiche
che erano rimaste a bocca asciutta, creando gruppetti e leadership di
crudele natura verso le malcapitate, c'erano le topmpdel della scuola
che ricevevano mazzi di costose rose rosse dai nerd superimbarazzati
che vedevano in quel giorno speciale un'occasione per dichiararsi, e
costernati osservavano le loro speranze raggiungere i fiori tanto
accuratamente scelti nel bidone dell'immondizia, le corna spuntavano da
tutte le parti a tutti, come una fastidiosa epidemia che non
risparmiava nessuno, e tutti parlavano dell'imminente ballo della
scuola, dove i ragazzi invitavano le ragazze.
C'è tortura più perfida e raffinata di questa?
L'intera popolazione dell'istituto credeva di no, e secondo Louis aveva ragione.
Il ragazzo si alzò, sfilando attraverso la mensa
per gettare l'insalata di pomodori, ancora intatta come sua madre
l'aveva preparata la sera prima, poi uscì dal locale affollato
facendo lo slalom tra i suoi compagni, che non l'avrebbero notato
neppure se avesse indossato lucine di Natale intermittenti al posto dei
vestiti.
Andava sul tetto, lo faceva spesso, per stare un po' in pace e ascoltare la musica nel silenzio più totale.
I posti più isolati godono di un'acustica perfetta.
Si mise comodo nel suo solito angolino, le braccia
incrociate dietro la nuca e una sigaretta tra le labbra, prima di
infilarsi le auricolari e premere play.
Subito l'iPod si collegò alla sua stazione
radiofonica preferita, Radio 1, dove stavano trasmettendo una playlist
dei Coldplay (ormai giunta al termine) dedicata alla festa degli
innamorati.
Fix you terminò dolcemente, lasciando al posto a
una band sconosciuta tamarrissima diventata famosa solo grazie
all'autotune.
Louis si accese un'altra sigaretta.
Dopo che i "nuovi talenti" ebbero finito di martoriare i
timpani agli ascoltatori, e dopo qualche canzone di Pink per rimediare, la
conduttrice speciale di quella puntata, un'attrice televisiva di
qualche serie TV smielosa e patetica di cui Louis non riusciva a
ricordare il nome, aprì la sua personalissima rubrica dove
preadolescenti esaltate in piena crisi ormonale telefonavano alla radio
per chiedere consigli sulle loro attuali situazioni sentimentali.
Il ragazzo rimase in ascolto, tanto per farsi una risata, ma alla terza telefonata si strappò via le cuffie, esasperato.
Anche Radio 1 era caduta in basso, tutta colpa di San Valentino.
Tutta colpa delle bimbette oche che non sanno cos'è l'amore,
aveva pensato tra se e se il ragazzo, accendendosi la terza Malboro in
un giorno: era nervoso, irritabile e di cattivo umore, e per una volta
non era colpa della scuola.
Non sapeva neanche lui di
chi fosse la colpa, in realtà, sapeva solo che nel giorno dove
si celebrava la festa dell'amore tutto sembrava falso e ipocrita:
Cornificazioni con la C maiuscola che spuntavano ovunque, non
risparmiando nemmeno coppie di migliori amici e magici trii noti a
tutti come inseparabili fin dall'asilo, litigi ( che ovviamente ne
conseguivano) che facevano tremare le pareti e cadere il calcinacci dal
soffitto della sala mensa, tanto che pareva nevicasse anche
all'interno, strilli, capelli strappati, risse tra giocatori di
football e cestisti della squadra di basket, zuffe tra gatte,
cheerleaderVStopmodel, psicodrammi durante le lezioni che si
trasformavano immancabilmente in talk show dove ognuno era un tronista
che dava il suo parere, consigli, che la maggior parte più che
rendersi utili facevano degenerare la situazione, infiammando gli animi
più del dovuto e creando disastri di proporzioni mondiali.
Ma la cosa che più di tutte detestava era la sciocca
competizione che ogni anno, immancabilmente si andava a creare tra
ragazzi e ragazze.
Le ragazze collezionavano fidanzati come se fossero paia di scarpe in
saldo, con storie si lampo di due giorni massimo durante le quali si
sentivano con minimo altre 4 persone, i prossimi candidati sulla lista.
E poi s'incazzavano se le chiamavi "troie".
Il sesso opposto non era da meno, solo che al posto di collezionare
scarpe si divertiva ad accumulare trofei, descrivendo dettagli intimi
della relazione, cose che Louis non avrebbe mai rivelato alla più stretta
cerchia di amici se avesse mai trovato l'amore.
Ma forse era solo lui a pensarla così, era sempre stato diverso in queste cose.
Diverso e lento.
Ci aveva messo 4 anni solo per capire che il suo migliore amico di
sempre era più che un compagno di giochi per lui, e che i
sentimenti che provava erano più profondi e indelebili.
Era innamorato.
Innamorarsi a 12 anni del tuo migliore amico, maschio, non era una
passeggiata, eppure Louis conservava un bel ricordo di quel periodo:
lui e Zayn, inconsapevole di tutto, uniti contro i grandi, pronti a
spaccare il mondo.
A quel tempo non aveva la minima percezione di cosa fosse
l'omosessualità, non aveva ancora scoperto il magico mondo del
sesso e l'unico passatempo che occupava le sue giornate erano gli
amici, i videogiochi e il calcio.
Poi si era innamorato, e prima di uscire con Zayn per i loro soliti
lunghi giri in bicicletta prima di invadere il campetto comunale dietro
la Chiesa, passava ore e ore in bagno a sistemarsi i capelli, a
controllare come gli stavano i vestiti, cambiando T-shirt ogni 2 minuti
prima che l'altro suonasse il campanello impaziente e che sua madre lo
sbattesse fuori con quello che aveva addosso senza tanti
complimenti.
Ovviamente sapeva che all'amico piacevano le ragazze, e questo lo
portava spesso a rannicchiarsi su se stesso la notte e a sfogare tutto
il suo dolore adolescenziale in lacrime e singhiozzi soffocati dal
cuscino, ma non aveva mai provato a "farsela passare" e a frequentare
qualcun'altro.
Il suo cuore apparteneva a Zayn, e se lui l'avrebbe amato solo come un
amico, allora sarebbe stato il migliore amico che poteva esistere, e si
sarebbe limitato ad amarlo da lontano senza farsi illudere da niente e
da nessuno.
Non se la sentiva nemmeno di frequentare altre persone, neanche verso i
13/14 anni, quando tutti gli altri si affrettavano a trovare le prime
fidanzatine ed ad avere i primi appuntamenti e le prime esperienze.
Sarebbe stato sbagliato ed immorale fingere di amare
qualcun'altro, lui non era il tipo che usava gli altri per i suoi
scopi, e comunque nel suo cuore c'era solo spazio per Zayn.
Aveva sofferto, e molto.
Per di più la scoperta di essere "omosessuale" e tutte le
negative implicazioni che comportavano, nonostante nessuno lo sapesse e
Louis fosse determinato a mantenere il segreto fino alla tomba lo
avevano portato a chiudersi a riccio, scoraggiando i numerosi amici ad
invitarlo ad uscire e alle feste e alle ragazze di farsi avanti, e la
cosa più dolorosa di tutte era che Zayn si era eletto suo
personale aiutante ad uscire dal suo "guscio".
Se solo avesse saputo...
Il ragazzo temeva che, schifato, sarebbe fuggito a gambe levate, troncando i rapporti con lui per sempre.
Per questo doveva restare tutto un segreto.
Infatti Zayn non sapeva, e organizzava appuntamenti a quattro con le
sue fidanzatine e un amica cessa di scorta per Louis, e ogni volta che
la scintilla non scoccava, ogni volta che non funzionava il dottor
Stranamore ci rimaneva malissimo.
E lui soffriva.
Ma aveva avuto la sua piccola vendetta su quelle vipere velenose che
ogni volta giocavano col cuore del suo unico amore: era riuscito a
strappare il suo primo bacio a Zayn.
"Allora? Come mai stavolta con Gwen non ha funzionato?"
Il tredicenne Louis Tomlinson aveva
scrollato le spalle, prima di stringere nervosamente i pugni nelle
tasche dei jeans e calciare lontano sul selciato un sasso che
intralciava la via.
"Non lo so"
"Non lo sai mai Louis"
Zayn si era tolto gli occhiali da sole per fissare meglio l'amico, che non sapeva più cosa dire.
Era estate, e con la fine della
scuola gli era difficilissimo inventare scuse per dare bidone agli
appuntamenti a quattro che l'altro organizzava, e soprattutto era ancor
più difficile ideare nuovi piani per smollare le ragazze che
Zayn gli propinava.
Il moro si era fermato all'ombra di
un albero, mollando la bici a lato della strada sterrata della
ciclabile che ogni giorno percorrevano per andare in piscina e tornare
a casa quando l'afa estiva si era attenuata e le ombre della sera si
allungavano per le vie distorcendo la normalità con la loro
particolare luce.
L'aveva seguito, a disagio,
passandosi nervosamente la mano tra i capelli bagnati e sedendosi sulla
staccionata di legno di fianco a lui.
"Non c'è la faccio a vederti così... Dimmi perchè rifiuti tutte le ragazze che ti trovo!"
"Te l'ho detto, non lo so!"
"Sei innamorato di qualcun'altra che non mi vuoi dire?"
La verità rischiava di
schizzargli fuori dalle labbra, come il vapore da una pentola a
pressione prima che esploda, così aveva distolto lo sguardo
dall'amico e aveva mormorato fissando il suolo polveroso un mesto "no".
"E allora qual'è il problema?! Bea mi ha detto che ti sei rifiutato di baciare Doreen. E' vero?"
Aveva annuito gravemente, restando in silenzio.
"Ho capito!" Zayn era saltato in
piedi battendo le mani, improvvisamente illuminato " Non l'hai baciata
perchè non hai mai dato il tuo primo bacio, e non si come si fa!"
Louis aveva alzato la testa di scatto, rosso come un peperone.
"Io non-"
L'altro non l'avrebbe ascoltato
comunque, saltava su e giù come un'ossesso, una luce che gli
illuminava gli occhi definita spesso dall'amico "sinistra", la stessa
indelebilmente impressa nei ricordi di Louis, come quella volta che a
sette anni avevano voluto insegnare al criceto di Lottie a nuotare ed
erano finiti con un cadavere da nascondere e un lavandino otturato.
"Che idiota che sono! Adesso tutto quadra! E' per questo che hai piantato tutte le altre!"
Il ragazzo aveva annuito cautamente,
prima che l'amico annunciasse, stringendogli le mani "Non ti
preoccupare, lo Zio Zayn t'insegnerà tutti i trucchi del
mestiere!" e si risedesse di fianco a lui.
"Io inizierei con uno a stampo,
è più facile e hai meno possibilità di sbagliare:
praticamente non devi fare altro che avvicinarti e appoggiare le labbra
sulle sue, è facile, no?"
"Eh?"
Louis era diventato viola dall'imbarazzo, ed era certo che gli uscisse del fumo dalle orecchie per quanto aveva caldo.
"Così, guardami"
Zayn aveva sporto le labbra
all'infuori, strillando con la voce in falsetto "Oh Louis baciami bel
maschione" prima di chiudere gli occhi e sbattere lascivamente le
ciglia.
E Louis l'aveva baciato.
Si era sporto verso di lui e aveva
premuto le sue labbra contro le sue, e per un attimo il mondo si
era fermato: il vento aveva smesso di soffiare, gli uccelli di cantare,
ogni singola persona si era immobilizzata, come quando metti in pausa
in un film.
Era come se il sole splendesse dentro
di lui, irradiando i suoi raggi caldi e benefici in tutto il mondo,
come se avesse scalato l'Everest e adesso guardasse la terra dalla sua
vetta, come se avesso sollevato un camion con una mano sola...
E poi Zayn si era staccato, strillando.
"Aaaaah Louis!!! Mi stai sgocciolando su tutta la maglietta!!!"
Il ragazzo si era scostato velocemente, mortificato.
"Guarda che stasera devo uscire, e
non mi voglio cambiare solo perchè tu sei un impiastro che non
sa neanche usare il phon" gli aveva fatto l'occhiolino " E stasera
vieni anche tu... Non c'è niente da temere, baci proprio bene"
Non aveva protestato, ne' gli aveva risposto.
In verità non aveva parlato per un bel po', era troppo occupato a sentirsi al settimo cielo.
Aveva continuato ad amare l'amico ( e a sognare le sue labbra) in
silenzio, sempre perdutamente innamorato, poi in terza liceo aveva
conosciuto Stan, ed erano diventati un magico trio, sempre in giro in
sella alle bici a rimpinzarsi di dolci e gelati...
Lentamente il suo amore per Zayn si stava trasformando da una forte
infatuazione ad un amore platonico, e quando Stan si era dichiarato,
usando le stesse parole che lui avrebbe usato per dichiararsi
all'amico, aveva accettato la proposta, mettendosi il cuore in pace
e rassegnandosi ad amarlo solo come un fratello.
Zayn era rimasto lo stesso anche dopo aver saputo che era gay e col
passare del tempo la cotta gli era passata, lasciando posto a
un'amicizia più forte di prima.
La storia con Stan era durata fino alla fine della seconda liceo, e
dopo tutto quel tempo Louis aveva ammesso, in confidenza, i sentimenti
che aveva provato verso Zayn, che si era limitato a ridacchiare e ad
ammettere a sua volta che lo sapeva, ma non voleva incoraggiarlo o
illuderlo perdendo per sempre la sua amicizia.
Erano ancora in ottimi rapporti, nonostante dopo la terza liceo
avessero intrapreso strade diverse che avevano finito per separarli:
lui voleva diventare un avvocato, assecondando la sua indole polemica e
sarcastica, mentre Zayn sarebbe voluto diventare un'insegnante.
Frequentavano corsi diversi e compagnie diverse, erano entrambi
fidanzati ( lui con un giovane e promettente calciatore, bomber della
squadra della scuola, Ashton, l'altro con la commessa carina di
Starbucks) eppure continuavano a sentirsi, a telefonarsi ogni tanto, a
scriversi...
Poi i suoi avevano divorziato, e lui si era trasferito, mentre Zayn
aveva iniziato a frequentare le persone sbagliate, e ad avere qualche
guaio con la giustizia, pagando il suo errore con l'allontanamento da
casa e l'affidamento presso un'altra famiglia in un paese sconosciuto
che Louis non aveva neanche mai sentito nominare.
"Eravate così due bravi ragazzi!" sospirava sua madre ogni volta che erano in argomento.
Con Ashton invece le cose non erano andate così bene: di comune
accordo alla sua partenza non si erano promessi niente e anche se la
relazione era diventata molto seria ed importante col passare del
tempo, due venerdì dopo la sua partenza i compagni di classe di
Louis lo avevano informato che si era presentato alla festa con un
accompagnatore ufficiale, un certo Fabian, sostenendo di frequantarlo
da mesi e che fossero ufficialmente fidanzati.
In quel periodo era così preso dalla nuova sistemazione, dai
suoi e dalla nuova scuola che non ci aveva fatto troppo caso, ma quando
al suo messaggio "Sei uno stronzo" il fidanzato ( o meglio, l'ex
fidanzato) aveva risposto semplicemente "Lo so :( " Louis aveva
convenuto con se stesso che l'ultima cose che gli serviva in quel
momento erano problemi di cuore, e quel 14 febbraio, sdraiato sul tetto
della scuola, al freddo e completamente solo, lo ricordò a se'
stesso, modificando leggermente il suo pensiero:
Faceva schifo, ma era meglio così.
"
... All'inizio mi ero proprio scocciato, io sono solo un inserviente:
è già tanto se non mi lamento quando mi fanno fare
clisteri e lavare corpi decrepiti e puzzolenti! Poi però abbiamo
preso il pullman, e lui continuava a parlare di quanto 'la sua donna'
fosse bella, fosse eccezionale, fosse un'ottima cuoca e bla bla bla...
Mi ha persino fatto la predica!"
Il ragazzo si era interrotto, per poi proseguire con una voce esageratamente bassa e strozzata:
" Dagli dei lei, lei è una vera signora, mica le sciacquette facili che frequenti tu!!" era scoppiato in una breve risata "Andare con le sciacquette?
Io? Io sono single e gay, e comunque anche se frequentassi qualcuno di
certo non sceglierei una sciacquetta, qualsiasi cosa voglia dire..."
Era
scoppiato a ridere, strillando tra una risata e l'altra "sciacquetta!"
e sghignazzando a crepapelle più forte di prima.
"Hey
Harry vuoi sapere cos'è una sciacquetta? Ho cercato sul
dizionario e ho scoperto che è un termine tecnico con il quale
viene indicato un individuo di sesso femminile che vive perseguendo la
morale di scoparsi chi gli capita a tiro: trans, uomini, donne,
altri..."
Louis
non aveva riso così tanto in vita sua: stare con Harry lo faceva
stare proprio bene, e riprendere a recarsi nella stanza 17 dopo
l'orario di chiusura si era rivelato essere un toccasana per il suo
umore.
All'inizio,
date le circostanze del loro ultimo incontro, era molto imbarazzato, ma
tutto sembrava come prima: stesso letto, stesse flebo, stesse bende e
stesso Harry.
Dopo
essersi tolto un tale peso dal cuore era più facile rapportarsi
con lui, tanto che Louis poteva liberamente "divertirsi" e provare a
coinvolgere l'altro ragazzo senza sentirsi in colpa.
"La
prossima volta che mi avanzano soldi ti porto un pigiama, quelli con le
scritte... I love sciacquette" il ragazzo si era asciugato le lacrime
che ormai gli rigavano il volto per il troppo ridere, prima di calmarsi
con qualche respiro profondo e tornare a parlare normalmente.
"Oggi
è la giornata mondiale delle sciacquette. Ormai San Valentino
è stato declassato... Jordie Barton ha pubblicamente umiliato
sua cugina, sua cugina!
E tutto perchè non ha ricevuto nemmeno un cioccolatino,
riducendola in lacrime tanto che la poveretta ha passato il resto della
pausa pranzo in mensa, e stando al bollettino di Fizzy non è
uscita neanche per le lezioni...
Ragazzine di 12 anni santo Dio! Non c'è speranza per la nuova generazione..."
Il ragazzo aveva scosso la testa, addocchiando per la prima volta un oggetto non identificato sul comodino.
"
Uhuuu!" aveva strillato, in una forzata e acuta parodia di uno strillo
da ragazzina, che copriva la lieve fitta che provava al ventre " Anche tu hai ricevuto qualcosa... Posso darci un occhiatina?"
Silenzio.
" Lo prendo per un sì"
Era un peluches morbido, con occhi e bocca disegnati in versione cartoons, a forma di cuore rosso e peloso.
Di
fianco c'era un biglietto con dei cuccioli di cane che dividevano un
osso incartato nella carta regalo al chiaro di Luna, che recitava
"Tanti auguri di Buon San Valentino!" e qualcuno a penna aveva aggiunto
" E una Buona Guarigione"
Il biglietto era firmato "Mamma e Gemma"
Lo stomaco di Louis si era rilassato, e lui si era sentito avvampare per la sua sciocca reazione.
" Che carine! Le tue donne ti hanno mandato un bellissimo biglietto e un bellissimo peluches!"
Nella stanza era calato il silenzio, mentre Louis giocherellava con il peluches.
"E tu Harry? C'è l'hai la fidanzatina?"
Silenzio.
"
Io no... Detto sinceramente forse oggi mi sono sentito un po' solo, ma
so che è meglio così. L'amore per me è diverso da
come lo intendono gli altri: loro pensano solo all'aspetto materiale,
ai fiori, ai regalini, a quante volte mi porta in discoteca, a quante
volte mi costringe ad andare al cinema a vedere un film palloso, a
quante stupide partite di calcio dovrò assistere? Quando me la
smollerà?
Poi se un'altra ragazza o un altro ragazzo più bella o
più muscoloso li guarda, cadono ai loro piedi e la precedente
relazione va a puttane, tutti i momenti passati insieme, tutte le
confidenze, le frasi tenere,i gesti romantici...
Non c'è più niente.
E a
volte le ex gelose ti diffamano, mandando in giro foto, video,
rivelando i tuoi segreti, e gli amici magari non ti dicono che il tuo
lui o la tua lei ti sta cornificando, e così tu sei doppiamente
fregato: perdi amore, amici e se ti va proprio male anche la
dignità.
E
se aspetti quello giusto e non ti fidanzi entro la terza elementare sei
una suora bigotta o uno sfigato, e tutti ti renderanno la vita
un'inferno, ma se lo fai prima degli altri perchè sei precoce, o
perchè sei davvero innamorato, allora sei una troia o un don
Giovanni.
Se
collezioni cazzi allora sei una 'in' se giochi con la squadra di calcio
a 'cielo manca' sulle ragazze che ti sei portato a letto sei uno 'cool'...
Io non sono tagliato per tutto questo.
Io
sono diverso, e se questo mi condanna a stare da solo ben venga,
perchè io non mi abbasserò mai ad essere un puttaniere
che si diverte a giocare coi sentimenti degli altri solo per avere
qualcuno accanto ed essere accettato in società"
Il ragazzo aveva ripreso fiato, ansimando infervorato, prima di continuare più tranquillo:
" Oggi quando il pullman è arrivato a destinazione, mi sono dovuto ricredere su Mr Hales.
Si
era vestito di tutto punto in giacca e cravatta, si era fatto una
doccia e pettinato i quattro peli che aveva in testa perchè
'aveva un appuntamento' continuava a specchiarsi nei finestrini
dell'autobus e a lamentarsi che puzzavo di piscia di gatto e io credevo
che fossimo diretti in una casa di riposo, dove lui avrebbe
brontolato un po' con la moglie, che credevo essere una vecchietta
bavosa e antipatica come lui, me lo immaginavo stupidamente mentre le
tirava addosso i fiori che aveva tanto insistito per comprare, prima di
iniziare ad urlare come al suo solito ordini a destra e a manca, e
invece non siamo scesi davanti ad un ricovero.
Siamo scesi davanti al cimitero.
E
lui ha appoggiato un mazzo di rose rosse da 50 sterline su una tomba, e
col suo vestito buono si è seduto sul marmo per più di
due ore, a parlare al vento, dicendo che voleva restare solo con lei.
Mentre
ritornavamo qui in ospedale mi ha raccontato che razza di donna fosse e
tutti i guai che avevano dovuto passare per riuscire a sposarsi in
santa pace.
E
io ho pensato che forse Mr Hales non è così male, e che
forse è così insopportabile perchè si sente solo,
e che anche io sarei arrabbiato se i miei figli non mi venissero mai a
trovare tra queste stupide quattro mura..."
"Ecco,
io voglio un amore come il loro: voglio che qualcuno faccia pazzie per
me, voglio qualcuno che mi ami davvero e che mi renda una persona
migliore di quello schifo che sono, voglio qualcuno che tra 60 anni
porti rose rosse sulla mia tomba per festeggiare con i miei resti San
Valentino, qualcuno che mi ami oltre lo spazio, il tempo e la morte..."
Louis aveva sospirato.
"Mi sa che per oggi ho parlato troppo..."
La stanza era piombata nel silenzio.
Fuori
iniziava a piovere, e il ragazzo si era avvicinato alla finestra per
osservare la strada sotto di loro bagnata dalla pioggerella sottile,
che batteva contro il vetro.
Le
auto schizzavano i poveri passanti ignari, svuotando le pozze e
inzuppando i marciapiedi ingombri di mantelle colorate ed ombrelli.
Sovrappensiero si era messo a canticchiare un motivetto.
C'era stato un rumore di lenzuola smosse: Harry aveva avuto un'altro spasmo.
Le infermiere dicevano che era una cosa normale, e che gli episodi si erano moltiplicati dalla prima volta che
era capitato, così Louis non ci aveva dato troppo peso: si era
limitato a riportare il suo sguardo e i suoi pensieri all'interno di
quella stanza, rivolgendosi di nuovo al ragazzo.
“
Ti piace? E' la canzone dei The Script che preferisco, sai. The man who
can't be moved. Ti va di ascoltarla con me?”
Il ragazzo aveva sorriso al volto cereo e immobile sotto
le coperte, prima di sgarbugliare le cuffie dell'iPod, prendendo quel
silenzio statico come un assenso e infilando delicatamente l'auricolare
nell'orecchio dell'altro, prima di sedersi di fianco al lettino bianco
e premere play.
Going back to the corner where I first saw you
Gonna camp in my sleeping bag, I'm not gonna move
Got some words on cardboard, got your picture in my hand
Saying if you see this girl can you tell her where I am?
Some try to hand me money, they don't understand
I'm not broke I'm just a broken hearted man
I know it makes no sense, but what else can I do
How can I move on when I'm still in love with you?
Louis, trasportato dalla musica aveva iniziato a canticchiare a bassavoce il ritornello.
'Cause if one day you wake up and find that you're missing me
And your heart starts to wonder where on this earth I could be
Thinking maybe you'll come back here to the place that we'd meet
And you'd see me waiting for you on the corner of the street
So I'm not moving
I'm not moving
Policeman says son you can't stay here
I said there's someone I'm waiting for if it's a day, a month, a year
Gotta stand my ground even if it rains or snows
If she changes her mind this is the first place she will go
'Cause if one day you wake up and find that you're missing me
And your heart starts to wonder where on this earth I could be
Thinking maybe you'll come back here to the place that we'd meet
And you see me waiting for you on the corner of the street
So I'm not moving
I'm not moving
I'm not moving
I'm not moving
People talk about the guy
Who's waiting on a girl, oh whoa
There are no holes in his shoes
But a big hole in his world
Maybe I'll get famous as the man who can't be moved
And maybe you won't mean to but you'll see me on the news
And you'll come running to the corner
'Cause you'll know it's just for you
I'm the man who can't be moved
I'm the man who can't be moved
'Cause if one day you wake up and find that you're missing me
And your heart starts to wonder where on this earth I could be
Thinking maybe you'll come back here to the place that we meet
Oh, you see me waiting for you on a corner of the street
So I'm not moving
'Cause if one day you wake up, find that you're missing me
I'm not moving
And your heart starts to wonder where on this earth I could be
I'm not moving
Thinking maybe you'll come back here to the place that we'd meet
I'm not moving
Oh, you see me waiting for you on a corner of the street.
“ Anche io sto aspettando qualcuno” aveva sussurrato il ragazzo “Ma non so se mai tornerà”
Si era voltato verso lo spettro dell'altro ragazzo, che
era letteralmente l'uomo che non può essere mosso, caparbiamente
rinchiuso nel suo bozzolo, in attesa che qualcuno lo trovasse e lo
prendesse per mano, conducendolo fuori dalla oscurità che lo
circondava, riportandolo alla vita, di nuovo.
E mentre Louis lo fissava, immerso in cupi e dolorosi
pensieri, vide qualcosa scivolargli lungo la pelle biancastra, partendo
dall'occhio destro e scorrendo lungo la guancia scavata, per atterrare
con un rumore impercettibile sulle lenzuola.
Stava piangendo.
Il ragazzo aveva appoggiato la mano calda contro la pelle
granitica, raccogliendo piano con un dito le lacrime dell'altro,
stupito dalla sua reazione, meravigliato che fosse successo qualcosa, e
che fosse stato lui e la sua musica a causarla.
Sentiva l'impellente bisogno di toccarlo, come quando era
morta Mrs Stowe, sentiva il bisogno di accarezzarlo, consolarlo, fargli
sapere che lui, anche se era un perfetto sconosciuto e per di
più causa di tutti i suoi guai, sarebbe stato lì per lui,
a sostenerlo, ad assicurargli che tutto sarebbe andato per il meglio.
“Tutti aspettiamo qualcosa, Harry, la cosa che io
sto aspettando non tornerà mai, e io so che è tutta colpa
mia, ma per te le cose sono diverse... Tu sei forte, sei intelligente,
e soprattutto non sei una testa di cazzo come il sottoscritto. Tu non
rovinerai nulla”
Continuava a passare la mano lungo la guancia bianca,
quella sana e sgonfia, priva di ematomi ormai giallastri, nella
speranza di confortarlo e di far cessare il pianto.
“Tu avrai tutto quello che vuoi dalla tua vita,
devi solo tenere duro ancora un po', uscire da questo maledetto coma, e
vedrai che tutto andrà bene...
Io sarò sempre qui, sarò il tuo 'uomo che
non si muoverà' resterò ad aspettarti con la neve, con la
pioggia, per tutto il tempo che riterrai necessario, perchè ti
ho messo in un casino quando non c'entravi assolutamente niente, e hai
dovuto pagare le conseguenze delle mie azioni idiote, e non puoi
neanche immaginare quanto mi dispiaccia”
Il peso e il dolore che portava sullo stomaco s' attutiva ogni volta che glielo diceva, e
per questo motivo e soprattutto per il fatto che gli dispiaceva
veramente e ogni parola era così veritiera da fargli male, non
si sarebbe mai stancato di ripeterglielo.
“ E se quando ti riprenderai l'unica cosa che
vorrai fare sarà spaccarmi la faccia a pugni, bene, posso solo
dire che me lo sono proprio meritato, ma se dopo avermi deviato il
setto nasale in quante direzioni ti pare, possiamo ricominciare ed
essere amici sarò infinitamente più contento”
Louis era vicinissimo al viso dell'altro, poteva vedere
ogni singola vena bluastra solcargli il viso, ogni piccola ferita, le
pieghe delle labbra chiare, le palbebre pesanti che gravavano sopra gli
occhi...
Il ragazzo notò il movimento frenetico e impazzito
dei bulbi oculari sotto le palperbe chiuse, e lo interpretò come un
tentativo di tornare a galla, di combattere contro il destino, di
prendere in mano le redini della sua vita, e ritornare a vedere,
sentire, respirare...
In lontananza si udì la risata rimbombante di un
uomo, seguita a ruota da un precipitoso arrivo di un'ambulanza, la
sirena che squarciava il silenzio dell'ospedale dando il via a una
nuova sfida per il personale infermieristico.
Doveva andare.
Doveva tornare al lavoro.
Louis appoggiò piano la mano sulla fornte di
Harry, accarezzandola piano e guardando con orgoglio quel piccolo
campione pieno di vita, che ne era sicuro, non si sarebbe arreso alla
morte.
Cercò di ignorare il rumore dei monitor e delle
macchine che circondavano il letto, l'aria immobile in attesa del
miracolo, del risveglio nel quale confidavano i medici più
ottimisti, e inviò pensieri positivi nell'universo imponendosi,
per una volta, di sperare anche lui, di farsi illusioni, di sognare...
Avvicinò la bocca al suo orecchio, indugiando
un'attimo, improvvisamente incerto e spaventato dal suo convolgimento
emotivo di una persona che neanche conosceva.
Ma poi gli sussurrò a bassa voce, una
supplica più che un segreto tra due ragazzi irreparabilmente
legati a doppio filo dal fato:
“Per favore, per favore Harry. Ti prego, non arrenderti”
Going back to the corner where I first saw you
Gonna camp in my sleeping bag, I'm not gonna move.
Angolo Fin *-*
Saaaaaalvah centah :)
Sono
in ritardo di almeno 48 ore * si fustiga in ginocchio su ceci/frammenti
di bottiglia* ma non è colpa mia! E' colpa della scuola, tra
compiti in classe, interrogazioni che esplodono come mine, tesine da
fare, libri da leggere e professori che più hanno studiato
più sono scemi, io non c'è la faccio più.
Datemi un letto!
Datemi le vacanze!
Datemi Midnight Memories e i Larry che conigliano vicendevolmente in a gay friendly way! ( non so cosa sto dicendo lol)
Datemi un carro di biscotti con gocce di cioccolato per ringraziare ciascuna di voi: Ele28,
che mi ha colpito per le sue profonde riflessioni, tanto che le
inserirò tra qualche capitolo, perchè sono troppo belle
per non usarle e descrivono perfettamente l'interiorità di Louis
( tranquille, ho chiesto il permesso) Lu che insieme alla mia
mogliettina Ellie mi ha dato una magnifica idea da sviluppare in
futuro, kukukukukuku * ridacchia in modo maligno* Non immaginate
minimamente cosa vi aspetta!!!! #evilface
Erica
che m'ucciderà perchè, già la sento "Siamo
all'ottavo capitolo e non si è ancora svegliato!" Tesoro mio,
c'hai ragione, ma... per i greci il numero perfetto era il 10.
E non dico altro :3
Stessa
cosa vale per Caro, e sappi che più veloce recensite più
veloce io scrivo, quindi.... Scrivete, ragazze, scrivete! Che recensire
fa bene al cuore!!!
marti_lala
che si stupisce per il mio angolino sempre fortunatamente stipato di
gente, ma che non dovrebbe dal momento che io ringrazio sempre TUTTI :)
Iris,
che mi ha scritto la recensione più lunga di sempre, più
lunga di quelle che lasciava a Love Liar, più lunga delle prime
fatte a Drunk, insomma.... The longest! (cuz longest is better :3)
Ila,
che abbandona il suo boy solo per leggere le mie ff e lui le intasa
whats app di messaggi, non sono l'ammmmmmmore? Adottatemi :Q_
Prim
( Priscilla che non m'ha ancora detto come vuole essere chiamata) alla
quale sudano gli occhi spesso e volentieri, come la sottoscritta,
soprattutto a causa dell'angst del fandom o film commuoventissimi vari
( ho visto ieri sera "Molto forte incredibilmente vicino" e ho perso
tutti i liquidi che avevo nel corpo lol) and last but not least, e so
già che m'ucciderà per questo, Leeroy hmm che
finalmente compare nei miei angolini pieni di polvere! E che è
l'unica che, conoscendomi nella vita reale e vedendomi tutti i giorni,
domani potrà vendicarvi tutte e menarmi per bene perchè
Harry è ancora in coma...
Solo fallo in fretta, così la Bordy non mi interroga XD
Che altro dirvi?
Che vi amo perchè siete meravigliose? (meravigliosi nel caso Domenico stesse leggendo lol) Lo sapete già.
Che amo Story of my life? Credo lo sappiate già.
Che mercoledì esce il video di SOML ( o come cacchio s'abbrevia)? ASDFGHJKL sbaviamo in coro <3
Quindi
vi dico solo di continuare a battere quei tasti e a non abbandonarmi,
perchè questo, tutto questo, singnifica tanto per me :)
E se fate le brave faccio svegliare Harry, quindi....
Keep calm and wait till the next chapter!
#Loveya
Cami
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Capitolo 9 *** Wide Awake ***
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9. Wide Awake
Passi che rimbombano nel corridoio vuoto.
Rumore di suole vecchie e
consumate sul lineolum liso, seguite dallo svolazzare di un vecchio
camice verde che ondeggia ad ogni passo, gettando ombre fugaci sui muri
illuminati dalla luce delle asettiche lampade al neon.
Illuminano tutto il corridoio, le luci.
Anche il sorriso
dell'inserviente che si affretta per il reparto, gettando ogni tre
passi uno sguardo alle sue spalle, per controllare di essere davvero
solo, per assicurarsi di non essere visto da nessuno, di proteggere il
suo segreto da quelle lampade così bianche e potenti, che
rischiarano anche gli angoli più oscuri, portando a galla
ciò che deve essere nascosto.
Si guarda ancora alle spalle,
scrutando il corridoio vuoto, come per scacciare quel fugace senso di
panico e quel brutto presentimento che si porta dentro da tre mesi, lo
stesso che insieme agli incubi lo tiene sveglio la notte, mentre
domande che non avranno mai risposta gli frullano per la testa e il suo
cuore, incapace di darsi pace, rasenta la tachicardia.
La testa di Louis fece capolino
dalla soglia della stanza 17: “Hey Harry” aveva salutato il
ragazzo raggiante, mentre si accomodava sulla ormai famigliare seggiola
bianca, cercando precipitosamente di sgarbugliare l'intricata matassa
che erano diventate i suoi auricolari.
“Devo assolutamente farti
sentire questa canzone” aveva strillato, con voce eccitata
“ Ero in internet ieri sera e stavo cazzeggiando su Youtube,
quando questo video è spuntato fuori dal nulla... Dev'essere
stato il destino!”
Completata la sua missione di
districare le cuffie, le aveva delicatamente infilate nelle
cavità auricolari del ragazzino pallido e immobile nel suo letto
candido e bianco, prima di premere play, cambiando posizione sulla
sedia, così nervoso da non riuscire a stare fermo.
Si era avvicinato all'altro, in modo da poter sentire anche lui la musica senza alzare troppo il volume.
Ci mancava solo che lo rendesse sordo, oltre che in stato comatoso con un arresto cardiaco e politraumatismi vari...
Give me love, like her
'Cuz lately I've been waking up alone
Splattered tear drops on my shirt
I told you I would let them go.
Non aveva dimenticato, Louis.
Nonostante tutto l'alcool che
si era scolato quella sera al pub, non aveva dimenticato quanto fosse
stato incosciente, stupido e assolutamente incurante delle disastrose
conseguenze che per grazia divina non aveva scatenato.
Vedere Harry, con sua madre e
sua sorella che si erano autoelette cani da guardia e durtante l'orario
di visite facevano la ronda, era praticamente una missione suicida.
Eppure lui continuava a
sgattaiolare via prima della fine del suo turno e precipitarsi in
rianimazione, solo per vedere lui, rischiando ogni singolo giorno di
venire beccato dalla capo sala acida sua responsabile, che minacciava
di riportare agli assistenti sociali il suo comportamento immaturo e
inefficiente, dai medici del reparto, che avrebbero potuto iniziare a
fare domande scomode che l'avrebbero messo prima o poi nei guai, ma
soprattutto da Gemma ed Anne Styles, che avrebbero volentieri giocato a
golf con la sua testa, usando come mazza uno dei suoi arti e colpendolo
più forte del necessario.
A lui non importava.
Sapeva che era stupido, ma per
lui Harry era molto più che un semplice sconosciuto entrato
nella sua vita in tragiche circostanze: quando pensava a lui, lo faceva
con una piccola dose di rimorso, ma un'infinita quantità di
affetto.
Spesso si chiedeva cosa
pensasse, come vivesse prima dell'incidente, cosa pensasse di lui, se
l'avrebbe mai perdonato, che musica ascoltasse...
Nella sua mente, era un amico.
O forse qualcosa di più:
non aveva mai provato sentimenti così confusi e forti, nemmeno
per Stan, nemmano per Zayn, anche se era stato il suo primo amico, il
migliore, e la sua prima cotta.
Con Harry era diverso, quasi doloroso.
Perchè sentiva quella
morsa attanagliargli le viscere ogni volta che pensava a quel corpo
immobile e bianco costretto in quel letto d'ospedale?
Forse gli faceva pena.
Forse il suo istinto da
fratello maggiore aveva sviluppato un feroce attaccamento al
ragazzo, o forse invece lo sentiva come sua
responsabilità, forse cercava disperatamente qualcuno che lo
amasse per quello che era, in modo da essere meno solo in quel mondo
vasto e buio che sembrava averlo abbandonato.
Sta di fatto che ogni giorno, tutti i giorni, Louis rischiava, e lo faceva con un sorriso sulle labbra.
E adesso che aveva scoperto che
avevano qualcosa in comune ( oltre il fatto di essere vittima e
carnefice dello stesso incidente, sia chiaro) era semplicemente
entusiasta: aveva capito che Harry amava la musica dal modo in cui
aveva reagito la prima volta che aveva condiviso con lui la sua canzone
preferita, e da allora trascorrevano i pomeriggi a sentire le playlist
di Louis e a cercare nuovi talenti in rete.
Avevano più o meno gli
stessi gusti, e il ragazzo riusciva attraverso alla musica a vedere
come il viso dell'altro si trasformava: allegria, tristezza, rabbia,
dolore...
Tutte le espressioni erano
perfette, ogni tassello era al posto giusto, e il ragazzo aveva
finalmente trovato qualcuno sulla sua stessa lunghezza d'onda e questo
lo estasiava tanto da toglierli il respiro.
Dopo tanto tempo, qualcuno che lo capiva finalmente.
Le ultime note erano rimbalzate
tra le loro teste vicine, tanto che si sfioravano appena, prima che
l'iPod tornasse muto e Louis si grattasse la nuca, imbarazzato:
“Lo so, lo so, non
è il mio genere. Decisamente non è il mio genere, eppure
la voce è... Toccante? Super coinvolgente? E il testo... E' pura
poesia! Altro che Shakespeare e l'Amleto!”
Il ragazzo aveva sentito una
fitta al cuore pensando alla sua Prof che riposava sottoterra, ma
decise che a Harry, che inconsciamente gli era stato vicino in quei
momenti difficili e bui, poteva parlarne.
A lui poteva dirlo, avrebbe capito.
“Oggi... Sono andato al
cimitero. A trovare la signora Stowe” aveva esitato un attimo,
soppesando le parole “Hanno fatto proprio un bel lavoro con la
tomba e tutto il resto. Se fosse stata in vita, credo che avrebbe
approvato: hanno inciso il nome e la data di nascita e di morte
su un librone di marmo rosato, uno di quei vecchi tomi che pesano 200
chili e tra polvere e carta, uno di quelli che, sicuramente, lei sapeva
citare a menadito...”
Si era interrotto un'attimo,
cercando di non farsi sopraffare dalla commozione che gli stringeva la
gola e gli faceva bruciare gli occhi in un modo intollerabile, disumano.
“Ho incontrato la mia
professoressa di lettere: era lì per lo stesso motivo. Se
l'avessi vista prima sarei scappato a gambe levate, perchè
è un'intero trimestre che faccio assenze strategiche per evitare
l'interrogazione, ma ero così preso a sistemare i fiori che le
avevo portato...”
Si, le aveva comprato pure i fiori.
Un mazzetto di non-ti-scordar-di-me azzurri, per ironia della sorte.
E con quell'acquisto il suo
borsellino era ufficialmente vuoto, e le sue finanze in perdita: non
aveva neppure gli spiccioli necessari per comprarsi un pacchetto di
patatine alle macchinette, figuriamoci il suo pacco di sigarette
settimanale...
Erano state 30 sterline spese bene, però.
Aveva messo il mazzo di fianco
alla composizione di granito, fissandosi le scritte inutili e senza
significato nella mente, consumandole a furia di guardarle.
Era la prima volta che comprava fiori per una donna, e Louis era certo che sarebbe stata anche l'ultima.
Era così scosso da quel
pensiero ridicolo che non aveva fatto caso al rumore di passi dietro di
lui, finchè la professoressa lo aveva chiamato per nome,
incredula:
“Louis Tomlinson?”
Si era voltato di scatto, col
viso in fiamme, fronteggiando la donna che aveva tanto accuratamente
evitato per almeno 3 mesi, stringendo i denti per assumere la sua
solita espressione apatica e bianca, che in quel momento così
doloroso e intimo, proprio non gli veniva.
“Salve”
“Cosa ci fai qui?”
“Potrei farle la stessa domanda”
Per un attimo era seriamente
stato tentato di mandarla a farsi fottere, ma aveva cercato di non
essere irrispettoso per evitare eventuali ripercussioni in classe,
decidendo di utilizzare la variante affabile e simpatica di “si
faccia i cazzi suoi”.
Peccato che il suo tono, che rasentava la maleducazione, avesse vanificato il tuo intento.
“Ho saputo che la mia
professoressa preferita è passata a miglior vita, e
ho deciso di renderle l'ultimo omaggio... E tu?”
“Lavoro nel reparto dove era ricoverata”
Anche se adesso che è morta ho perso l'unica ragione per cui valeva davvero andarci.
“Una persona straordinaria, vero?”
“Hn”
Lo stava fissando, mettendolo estremamente a disagio.
“E dimmi, come mai lavori in ospedale?”
“Lavori socialmente utili” aveva borbottato a malavoglia il ragazzo.
“Quindi sei un'inserviente”
“Hn”
“ E vieni a portare i fiori ad ogni paziente che muore?”
“No... Lei era diversa.
Lei era speciale” aveva ammesso, come se la professoressa gli
stesse strappando la verità con la forza, lasciandolo svuotato e
dolorante.
“Era una vecchietta come tutte le altre”
“No” si era
infervorato Louis, trovando per la prima volta il coraggio di
fissare l'insegnante negli occhi “Lei non era una vecchiette come
tutte le altre, come immagino non fosse stata una professoressa come
tutte le altre: era intelligente, pesantemente sarcastica, severa,
irritante da morire con le sue critiche sempre pungenti, aveva sempre
la risposta pronta...”
“Non era molto diversa da come la ricordavo io, allora...”
“No infatti” aveva
lanciato un'occhiataccia alla docente, prima di continuare
“è rimasta se stessa fino alla fine: lei e i suoi amati
libri, e quando glieli hanno tolti non è stata più la
stessa...
Glieli leggevo io, sa?”
L'aveva guardata con aria di sfida, sentendosi addosso una rabbia che non aveva mai provato prima.
“Gli leggevo l'Amleto, ed
era una rottura, perchè ogni tre parole lei m'interrompeva per
spiegarmi, e ci impiegava delle ore...
E quando le chiedevo se
potevamo andare avanti con la storia o se aveva intenzione di uccidermi
dalla noia lei s'incazzava forte, e iniziava la sua fottutissima
ramanzina sull'istruzione, l'educazione, la cultura, la vita, il
futuro...
Cristo, durava più quella che la spiegazione...”
“ E allora perchè lo facevi, se ti scocciava tanto?”
Il ragazzo aveva sorriso “Non lo so neanche io...”
“Forse ti piaceva la
storia, dopotutto Shakespeare...” la donna non aveva potuto
finire, perchè Louis aveva iniziato a ridere, sprezzante
“Come può davvero piacere l'Amleto? Dopotutto è
solo un adolescente, ha dei desideri, ma non ha le palle per alzarsi e
combattere per essi, così finisce per impazzire e si masturba su
Ofelia, e diventa così noioso che qualcuno lo deve
ammazzare...”
Si era voltato verso la tomba,
ignorando l'altra persona di fianco a lui, mentre la sua mente
turbinava veloce, come l'acqua delle tubature dell'ospedale che sturate
con troppa forza avevano allagato il reparto.
“Mi piacerebbe molto
sentire le argomentazioni di questa tesi nell'interrogazione della
settimana prossima, Tomlinson. Veda di presentarsi o risulterà
non classificabile per assenza di voti”
La donna si era girata, pronta
ad andarsene, ed era solo a qualche tomba di distanza quando Louis
aveva risposto a bassa voce, tra se' e se', prima di lasciarsi andare a
una sequela di imprecazioni decisamente poco appropriate:
“Non ci conti...”
Una manata sul comodino, forte, aveva fatto cadere l'Ipod sul pavimento, mentre Louis strillava, furibondo:
“E adesso come cazzo
faccio? Quella m'interroga, m'interroga di sicuro! E io non ho nemmeno
un cazzo di appunto del cazzo, neanche una cazzo di idea di a che
pagina siamo su quel cazzo di libro del cazzo o una cazzo di indizio di
cosa cazzo stiamo trattando! E se non mi presento mi segano,
perchè ho almeno 4 materie non classificabili, un sacco di
assenze ingiustificate e altrettanti votacci non pervenuti...
Sono fottutamente fottuto”
Si era passato una mano sulla
faccia, cercando di calmare il respiro affannoso e il martellante
battito del cuore nel petto, prima di imprecare coloritamente ancora
una volta, prima di chinarsi a raccogliere l'iPod, che nell'impatto con
il pavimento aveva perso la sua cover e la batteria.
Stava appunto cercando di rimontare il tutto, tra cristoni e madonne frequentemente interpellati, quando l'aveva sentita:
“L'orario delle visite è finito signora...”
La voce dell'infermiera che rieccheggiava nel corridoio vuoto.
“Lo so, ma ho dimenticato il cellulare sul comodino di mio figlio...”
Si era girato verso il mobiletto bianco e sgangherato.
C'era un telefono.
Un'iPhone, nero, con la cover rosa.
“Ci metterò solo un minuto, promesso”
Un sospiro dell'infermiera.
“Va bene, va bene... Ma solo perchè è lei, signora Styles”
Lo aveva sentito, il sangue
ghiacciarsi nelle vene, e defluire dal viso, il cuore smettere di
battere, il cervello spegnersi, ed andare in corto circuito dallo shock.
Era certo che succedesse solo
nei film, ed invece il tempo era rallentato, dilatandosi all'infinto e
permettendogli di contemplare tutto l'orrore di ciò che stava
per succedere.
Anne Styles stava per entrare
in quella stanza, certa di recuperare il suo telefono, baciare il
figlio perennemente sospeso, e tornare alla sua vita tranquilla.
E invece no, invece si sarebbero incrociati ancora i loro destini, e Louis sarebbe stato in un mare di guai.
C'era la remota
possibilità che non lo riconoscesse, ma lo avrebbe
comunque visto e allora sarebbe iniziato uno scomodo interrogatorio,
dal quale sarebbe uscito sconfitto e malconcio.
Il ragazzo aveva sentito una fitta allo stomaco che gli aveva tolto il fiato.
Chi voleva ingannare?
Anne Styles lo voleva morto:
non aveva forse cercato di fare irruzione al suo processo, armata,
secondo i pettegolezzi locali? Non glielo avevano forse impedito, per
la sua stessa sicurezza?
E poi loro si erano già incontrati...
Due infermieri tengono stretti il corpo braccato di una donna, che si divincola e urla tanto che sembra una Baccante posseduta.
I capelli
sudati le danzano furiosi davanti al viso, come serpenti velenosi che
sibilano furiosi, gli occhi fuori dalle orbite, pazzi dal dolore,
mentre il mascara le cola insieme alle lacrime sporcandole
l'espressione selvaggia.
La bocca
è spalancata, enorme e deformata dall'odio, come se lo volesse
azzannare, mentre urla forte, con la voce stridula e rauca allo stesso
tempo parole di sangue che rimbalzano sulle pareti della corsia del
pronto soccorso.
Ma Louis non le può sentire quelle parole, non le può capire...
La morfina
lo ha lasciato intontito, debole, svuotato, e sua madre lo sorregge,
mentre gli sussurra “Andiamo via, vieni, andiamo via”...
Tic tac, tic tac.
Il rumore dei tacchi di Anne Styles sul pavimento del corridoio.
Tic tac, tic tac.
I battiti del suo cuore, ripartito ed in folle.
Tic tac, tic tac.
Il rumore del tempo che gli scivolava tra le dita, firmando la sua condanna.
Una scossa dolorosa gli
attraversa il corpo, adrenalina pura lo sveglia: con un salto è
in piedi, mentre si guarda intorno febbrilmente, cercando una via di
fuga, una soluzione, mentre l'immagine di Anne Styles versione Baccante
gli balena nella testa, scatenandogli il panico.
Tic tac, tic tac.
C'è una tenda, una di quelle verdi come i camici della sala operatoria, scura, di stoffa rigida, spessa e ruvida.
E' tutta piegata e lascia
scoperto il nudo lettino gemello a quello di Harry, lasciato spoglio,
vuoto ed intatto sopra la base metallica dove appoggiare il
materasso che non c'è.
Tic tac, tic tac.
Louis ci salta sopra, tirando la tenda accertandosi di coprirsi completamente.
Silenzio.
Sta per entrare in camera.
Louis si sdraia sul ferro nudo,
le molle della rete del letto conficcate nella carne della sua schiena,
mentre lui si morde le labbra per non lasciarsi sfuggire nemmeno un
lamento e cerca di smettere di respirare.
La donna entra nella camera, la
sente perchè sposta la sedia da lui precipitosamente
abbandonata, e la rimette a posto, meticolosa.
Si ferma un poco a vegliare il sonno irreversibile del figlio, mentre gli accarezza la mano.
Poi gli bacia la fronte, prima
di afferrare il telefono dal comodino, urtando appena la lampada da
notte, prima di infilarlo nella borsa e girarsi per andarsene.
Louis sente il sollievo
irradiarsi nel suo corpo, investendolo come una doccia calda:
c'è l'ha fatta, non l'ha visto, Dio o chiunque comandi
lassù l'ha salvato.
Poi la luce lo tradisce, ed Anne scorge l'ombra del suo profilo che si staglia sul verde della stoffa della tenda.
Si avvicina.
“Un altro paziente?” mormora tra se' e se'.
Fa un altro passo.
“Tesoro, non mi avevi
detto che abbiamo un nuovo vicino!” aveva esclamato con tono
gaio, voltandosi verso il figlio allettato.
Un'altro passo.
Sfiora la tenda.
Un rumore viene dall'altra parte della stanza: un sibilo, che si blocca nel fondo della
gola, strozzato con la saliva,
con l'aria bloccata a metà trachea, quasi un colpo di tosse
soffocato, lieve, inudibile, che però nell'immobilità e
nel silenzio della stanza risuona come un colpo di pistola, gelando la
mano della donna, che già si apprestava a tirare la tenda.
Si volta, Anne, e lascia andare la tenda.
C'è un attimo di
silenzio, dove Louis vede il profilo immobile della donna, girato verso
il letto attraverso la stoffa che protegge lui e il suo piccolo
segreto.
E poi Anne urla.
Urla con quanto fiato ha in
corpo, mentre il ragazzo sul letto sobbalza per lo spavento, ma
lei non se ne accorge e urla, urla e continua ad urlare.
“ E' sveglio!! E' sveglio!!” corre verso il letto “Tesoro mio!!”
Harry... sveglio?
Il suo cervello, troppo preso
dal nascondersi dalla donna a caccia della sua testa, non riesce ad
assimilare completamente la notizia.
E' questione di un attimo:
prima Anne Styles piange dalla felicità al capezzale del figlio,
poi si volta e corre via per il corridoio, tutta trafelata nella sua
estasi euforica, strillando: “Infermiera! Infermiera! Venga,
venga, è sveglio!”
Louis scosta la tenda con un
brusco gesto, tanto veemente da rischiare di staccarla dal muro,
perchè vuole vederlo, Harry, vuole vedere se ha occhi che lo
tormentano nei suoi sogni, prima che lui si svegli madido di sudore e
con il cuore pesante, per sapere se le sue notti insonni sono dovute a
vaghe e confuse reminescenze dell'incidente o se è solo la sua
coscienza che si diverte a tormentarlo.
Ma il ragazzino, nell'altro
letto sta già chiudendo gli occhi: le palpebre scivolano pesanti
ed inesorabili verso il basso, permettendo all'altro di scorgere solo
un lampo verde prima di chiudersi, e nulla più.
Louis lo fissa, rabbrividendo
immobile, mentre i passi del personale che accorre fanno accelerare i
battiti del suo cuore: deve sbrigarsi, deve andarsene, non c'è
abbastanza tempo per chiarire la confusione che ha in testa, per dirsi
addio, il campanile ha già suonato le sette e mezza da un pezzo.
“I-io...”
Tramestio nel corridoio.
Non ha più tempo Louis, e non ne avrà mai più.
Con una sola frase recide il
filo rosso del destino, che in quel tragico incidente li aveva legati
col doppio nodo, che lui aveva cercato in tutti i modi di proteggere
nonostante il segreto, insieme al senso di colpa e al dolore lo
logorasse dentro.
Inspira, e le parole pesanti
gli si fermano in fondo alla gola, bloccate contro il pomo d'Adamo,
come se non volessero uscire, rifiutandosi di mettere la parola' fine'
a una situazione che più di una volta, compreso quel giorno, ha
rischiato di metterlo nei guai, come se quelle parole sapessero che una
volta uscite, Louis sarebbe tornato alla sua vita triste e monotona
senza la luce di Harry e la felicità che gli causava, solo
perchè era troppo codardo per rischiare per la sua
felicità.
Si gira, una volta sulla
soglia, per cercare di memorizzare tuti i dettagli di quella stanza,
abbracciandola con lo sguardo l'ultima volta per non dimenticarsela
mai, evitando di proposito la figura immobile nel letto, perchè
sarebbe troppo troppo doloroso guardarlo un ultima volta, e poi
sussurra piano, con un piede già fuori dalla porta e la
sgradevole impressione di non potersi più voltare indietro senza
cambiare idea, come Orfeo ed Euridice:
“Addio Harry”
Angolo Finitem *-*
Lo so, per un attimo mi avete amato alla follia, e adesso... BUUM, mi odiate.
Ma capitemi... otto recensioni! Otto!
Qua sfioriamo i minimi storici gente.
Probabilmente è colpa mia che non m'impegno abbastanza, che ho
tirato troppo la corda con il fatto che non ho svegliato il
bell'addormentato per 9 capitoli, e poi a parlare fuori dai denti il
fatto è che sono furibonda con me stessa perchè secondo
la mia teoria non si scrive mai, mai, MAI per il numero delle
recensioni...
Però mi urta lo stesso aiò.
Quindi se perfavore mi lasciate anche un parerino di tipo unidici
parole e mezzo della serie "Fa schifo, è una merda, ritirati che
è meglio e fai un favore a tutti" ve ne sarei davvero grata.
Perchè non è possibile avere 100 visualizzazioni e 1
recensione, dai, non siate crudeli!!! Faccio così schifo?
... Passando al capitolo...
Ho fatto svegliare Harry! Siete felici? Ovviamente Louis doveva
incasinare tutto tirandosi problemi come al suo solito, ma prometto che
se fate i bravi risolvo tutto :3
Potrei davvero prendere in considerazione l'idea di 'rovinare' il
nostro Curly Boy, come suggerisce Lu, che nomino da adesso oltre a
regina dell'angst, pure regina di tumblr :3 perchè usare
photoshop per i larry fa bene al cuore!!
E a proposito di cuore, Ila ( se la conosco bene) in questo momento
è super indecisa se amarmi e odiarmi XD Considerando che ieri su
whats app l'ho tirata scema mezz'ora facendole fare congetture su
congetture su questo capitolo... ovviamente portandola fuori strada di
proposito :P (ma quanto sono simpatica!)
E Caro mi ucciderà. Aspettava da molto questo capitolo, e io
nella mia angstosa angstosità ho rovinato tutto :( ma prometto
che davvero nel 10 capitolo ci sarà una sorpresa...
O forse no :P
Prima che mi dimentichi: mi prostro umilmente davanti a Erica! Non
avendo ricevuto il messaggio in cui dicevi che avevo aggiornato, non
sono più passata! Mi rimetterò in pari, lo giuro :)
Ringrazio anche Ele28 ( anche da lei passerò prestissimo, appena
finito qui) per le sue recensioni profondissime che mi danno sempre da
riflettere, Mari con le sue recensioni a vacca su richiesta, Leeroy hmm
che domani mi picchierà quando saprà che... Zayn Malik
comparirà solo nei flashback! Tan tan taaaan :( Ma avrà
comunque un ruolo fondamentale a metà della vicenda, se non
ammazzo tutti prima :P
Prim che finalmente sarà soddisfatta perchè, dopotutto,
qualcosa è successo... prima che la sottoscritta rovinasse tutto
D:
E ultima ma non meno importante, marti_lala che per colpa mia apre i
rubinetti a casa altrui XD sorrami dai, cercherò di essere meno
lacrimosa lol
Come avete passato la notte di ' AULIN'? Io mi sono vestita da Harry
Styles, e ho u-mi-lia-to Taylor Swift a Just Dance 4... Modestamente :P
Spero anche voi vi siate divertite :) ancora mille grazie a voi che non
ve ne siete andate e una particolare preghiera a chi sta leggendo...
recensire fa bene al cuore!
Bacissimi, io e il mio nuovo ( e ultimo) piercing ci dileguiamo <3 <3 <3 <3
Fim
|
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Capitolo 10 *** It Is What It Is ***
11)
10. It Is What It Is.
"Quanti
anni hai, ragazzino?"
Il tatuatore lo fissava torvo da dietro
il bancone, almeno 5 piercing all'orecchio, la barba lunga e unta e
un minaccioso tatuaggio nero che gli scendeva lungo il collo,
impedendogli l'accesso al locale scarsamente illuminato pieno di
espositori e cartelloni che mostravano varie tecniche e vari
disegni.
Louis aveva decisamente le idee chiare, voleva un
maledetto tatuaggio, come avrebbe detto sua madre.
Un'altro, per
essere davvero precisi, e per farlo aveva attraversato alle 10 di
sera tutta la città con mezzi pubblici sporchi e maleodoranti, sotto
una tempesta di neve e grandine, senza avere ne' impermeabile ne'
ombrello, ai piedi le converse di tela e coperto solo da una vecchia
giacca a vento, che si era subito inzuppata, permettendo al freddo di
entrargli nella pelle congelandogli le ossa.
Certo, sarebbe stato
più facile andare in quel negozietto a due isolati da casa sua, ma
dopo aver scoperto il primo tatuaggio ( un omino che andava in
skateboard, una cosa del tutto innocua) sua madre era diventata una
furia e aveva fatto il diavolo a quattro, prendendo il maggiore dei
suoi figli per le orecchie e trascinandolo davanti ai tatuatori che
lo avevano "irreparabilmente macchiato" dando vita a una
scenata "da lavatoio" piena di lacrime, strilli, minacce e
melodramma, e ora Louis era ufficialmente bandito dal negozio.
E
doveva attraversare tutta la città per farsi un cazzo di
tatuaggio.
Provava una gioia maligna a figurarsi mentalmente la
faccia disgustata che sua madre avrebbe fatto quando l'avrebbe
scoperto, anche se sapeva che ciò avrebbe comportato drammi e
scenate a non finire, lacrime delle sue sorelle e telefonate di suo
padre.
Proprio lui era stato il motivo che aveva fomentato il suo
animo ribelle: sua madre aveva insistito per farli parlare insieme
durante la sua ultima chiamata, dove aveva esposto all'ex marito
l'ultimo disastro combinato dal primogenito ( l'ennesimo piercing al
sopracciglio, l'ultimo di una lunga serie che aveva visto spuntare
anelli multipli sui lobi, sul naso e sul labbro) ed era riuscita a
costringere il ragazzo a prendere la cornetta.
Non era stata una
conversazione ne' lunga ne' particolarmente illuminante.
Si poteva
tranquillamente riassumere in due proposizioni principali:
-
Chiami solo per chiedermi soldi ( ma Louis non poteva fare
altrimenti, aveva freddo ai piedi ad andare in giro a gennaio
inoltrato con le scarpe estive e per di più bucate);
- Chiami
solo per farmi i cazziatoni ( ma neanche il signor Tomlinson si
poteva biasimare, ogni volta che chiedeva del figlio l' ex moglie
snocciolava una serie spiacevole di resoconti e spiegazioni di quanto
fosse cambiato che per lui era naturale rimproverarlo)
Man mano
che i minuti passavano il figlio s'irritava sempre più, sentendo la
bile ribollire di rabbia rodendogli il fegato.
" Sono tuo
padre, e come tale sono obbligato verso di te da dei doveri, tra cui
quello di rimproverarti se..."
"Oh ma per favore!"
era esploso lui, ormai al limite " Se davvero ti fossi sentito
in obbligo verso di me non saresti andato a letto con quella puttana
scappando come un codardo e piantandoci in asso mentre siamo nella
merda più totale"
Anche suo padre dall'altro capo del
telefono si era infervorato.
"Non osare parlare a tuo padre
in questo modo!"
" Oso eccome, dal momento che sei uno
stronzo ingrato e mi fai la paternale quando non siamo nemmeno
imparentati!"
Sua madre, alle loro urla era accorsa e
inorridita aveva strappato il cordless di mano al figlio
spintonandolo via.
Non era vero.
Non era vero niente.
Certo,
la verità era che non condividevano legami di sangue, ma questo non
importava nulla, e non era mai importato.
Dentro
di lui rabbia e rimorso ribollivano nelle vene in eugual misura:
dopotutto era lui l'uomo che gli aveva comprato il suo primo
triciclo, che gli aveva insegnato ad andare in bicicletta, che a
Natale si travestiva da Babbo Natale e fingeva di consegnare doni e
carbone, con grande divertimento della moglie, era lui che quella
volta che si era slogato la caviglia a otto anni giocando a calcio
gli disse che sarebbe andato tutto bene, e che non era necessario
piangere e spaventarsi, mentre cercava di mascherare il tremito e il
pallore per non mostrare il proprio panico.
Era
suo padre, e avrebbe dovuto comportarsi come tale nonostante il
divorzio e le controversie con sua madre, perchè si può cessare di
essere un marito, ma non vuol dire che si debba smettere anche di
essere un genitore.
Avrebbe
dovuto accompagnarlo il primo giorno nella nuova scuola con la
macchina dell'azienda, tirata a lucido la domenica prima dal figlio
stesso con la patetica scusa “che doveva fare una buona
impressione” ma che in verità significava “ Papà non ne ha
voglia, quindi fallo tu o domani a scuola ci andrai muovendo il tuo
regal culo” e poi, come ogni anno avrebbe cercato di convincerlo a
partecipare alle selezioni per la squadra di calcio, elogiando le sue
doti calcistiche nelle loro infinite partite e tiri liberi dopo cena,
sul patio dietro casa nel freddo delle sere invernali e alla fioca
luce del garage.
Come
ogni anno Louis si sarebbe invece iscritto al corso musicale di
strumento o a teatro, e suo padre si sarebbe strappato i capelli e
per due settimane gli avrebbe rivolto la parola a monosillabi,
facendo musi lunghi ai tentativi di riappacificazione del figlio e
maledicendo tra se' e se' “quando ti ho comprato quel maledetto
mandolino” riferendosi alla chitarra acustica comprata al suo
undicesimo compleanno.
Poi
a metà dicembre lo avrebbe accompagnato alla annuale mostra della
musica della città vicina, e non avrebbero più parlato di calcio
mentre guardavano gli strumenti esposti nelle teche, video di
concerti famosi, ammirato fotografie e racconti sulla vita di grandi
musicisti e compositori...
E
al momento del saggio di fine anno, Louis avrebbe avuto, come in ogni
rappresentazione scolastica, la certezza che suo padre sarebbe stato
lì con un sorrisetto compiaciuto sulla faccia, dimostrandogli che
anche se avevano interessi diversi lui sarebbe sempre stato fiero di
lui, e soprattutto sarebbe sempre stato pronto ad aiutarlo.
Peccato
che una prostituta francese avesse rovinato tutto: come poteva
preferire quella donna a sua madre? E soprattutto, come poteva
preferirla ai suoi figli?
E'
così e basta, aveva sospirato una vocina triste in fondo alla
sua testa, mentre aspettava l'autobus per andare in centro sotto una
bufera di grandine, le situazioni cambiano, le persone cambiano.
E'
la vita, aveva continuato imperterrita mentre a sobbalzi e
scossoni il pullman lo portava a destinazione, e non ci puoi fare
niente.
A
quella conclusione si era demoralizzato così tanto che era stato
seriamente tentato di fare retromarcia e tornare a casa ( sempre che
sua madre gli avesse aperto la porta) mettersi qualcosa di asciutto e
infilarsi a letto per restarci per i successivi 2000 anni.
Ma
all'ultimo aveva cambiato idea: non si sarebbe arreso a quella
stupida depressione, non si sarebbe seduto in un angolo in preda
all'autocommiserazione.
Lui
si sarebbe ribellato. Non si sarebbe fermato.
Non
puoi fare niente, gli sussurrò la vocina emo dentro di lui,
inutile agitarsi tanto.
E
invece sì, pensò Louis con fervore, qualcosa posso fare: posso
resistere, posso sbatterlo in faccia gli altri, posso non
dimenticare.
E
a quella gloriosa conclusione il ragazzo si risedette tranquillo
sull'autobus, con la stessa meta e un nuovo proposito che gli
invadevano la mente.
Louis
si tastò il petto, la pelle arrossata attorno al tatuaggio che si
allargava da una spalla all'altra, e sorrise al suon riflesso allo
specchio.
Era
soddisfatto di se' stesso, e anche il vecchio tatuatore, all'inizio
sprezzante e diffidente era stato colpito dal suo atteggiamento.
"Sai,
di solito i ragazzini come te si fanno tatuare delle cagate schifose
giapponesi” gli aveva confessato mentre incideva per sempre la sua
pelle con l'inchiostro “ O il nome della fidanzatina che li mollerà
dopo neanche due mesi. I giovani d'oggi non sono più capaci di
apprezzare un buon tatuaggio della vecchia scuola, ma tu devi essere
un'eccezione”
Per
complimentarsi gli aveva mollato una sonora pacca sul braccio nudo e
infreddolito e a Louis era sembrato che l'osso sotto la pelle si
fosse sbriciolato data la potenza del colpo.
Quell'uomo
aveva cambiato totalmente espressione quando al posto che sfogliare
l'espositore con i kanji giapponesi e cinesi, lui aveva chiesto se
poteva avere una semplice scritta.
E
quando aveva scelto il carattere con cui voleva scriverla ( una
scrittura un po' spessa e arzigogolata gotica, ma non troppo) aveva
rischiato di essere travolto dalla valanga di complimenti del
vecchio, che infondo infondo tanto burbero e cattivo non era,
nonostante ne avesse l'aspetto.
Dopo
essersi rimirato allo specchio, nella casa silenziosa e deserta,
finalmente capiva perchè.
Era
semplice, pulito, e discreto per quanto potesse esserlo un tatuaggio
di quelle dimensioni.
Era
tutto ciò che pensava, tutto ciò con cui avrebbe combattuto, tutto
quello che era o non voleva essere, lì davanti agli occhi di tutti,
una cosa concreta e non una fantasia astratta.
Uno
scricchiolio interruppe i suoi pensieri filosofici, facendolo voltare
di scatto verso la porta, dove sua madre in una camicia da notte
sgualcita lo fissava dalla soglia.
Quando
era sgattaiolato dalla finestra socchiusa del bagno ( avrebbe dovuto
ringraziare Lottie per questo) erano ormai le due di notte.
Aveva
dovuto farsi a piedi l'ultimo pezzo di strada dal momento che la
metro e il servizio dei bus avevano chiuso, quando era rientrato la
casa era immersa nel silenzio, e Louis aveva deciso che era un
momento buono per farsi una doccia calda e andare dritto dritto a
letto.
Ora
nel riflesso dello specchio vedeva sua madre fissarlo astiosa, mentre
i capelli li gocciolavano, bagnando il pavimento, pieno di piccole
pozze.
“Dove
sei stato?”
“In
giro”
“In
giro?! IN GIRO?! Tu non hai idea di come io mi preoccupi ogni volta
che esci da quella schifo di porta! Adesso pretendo di sapere dove
sei stato e cosa hai fatto”
“Altrimenti?”
l'aveva sfidata lui, consapevole che non aveva modo di minacciarlo.
“Altrimenti?!
Altrimenti farò tutto quello che avrei dovuto fare mesi e mesi fa,
quando hai cominciato a comportarti come un completo stronzo! Brucerò
quell'ammasso di legno che chiami chitarra, venderò quel cazzo di
amplificatore, l'iPod, il telefono e ogni cosa che riterrò
necessaria!”
“Non
puoi-” aveva provato a controbattere lui, prima di essere investito
dall'ira funesta della donna.
“Io
faccio quello che VOGLIO. Io POSSO perchè sono tua MADRE!”
Louis
si era voltato lentamente verso di lei.
Improvvisamente
la certezza che vedendo l'espressione di sua madre avrebbe provato il
dolce sapore della vendetta, si era dissolta come neve al sole.
Era
furibonda, disgustata, delusa, ma nei suoi occhi il figlio scorse
un'ombra scura che più di tutto lo colpì, più di una sfuriata in
grande stile, più della punizione più severa.
Sotto
sotto, in fondo in fondo, se lo aspettava, e forse questo era il
minore dei suoi timori.
Fissò
la scritta nera a lungo, in un silenzio immobile tanto che si
sentivano le lancette dell'orologio della cucina spostarsi.
“ Non
so più chi sei, Louis. Non so più cosa vuoi da me o perchè mi fai
questo” la donna si era passata una mano sul viso, provata,
rompendo l'equilibrio precario del silenzio su cui entrambi
galleggiavano, e il ragazzo ebbe l'impressione che più che parlare
con la carne della sua carne, si stesse rapportando con uno
sconosciuto indesiderato.
Non
era questa la reazione che cercava, non era quello che si era
aspettato da lei.
Si
aspettava che non capisse, perchè non poteva capire, lei andava
avanti come se nulla fosse successo, come se abitassero ancora nella
loro bella casa, con un bel giardino, una bella macchina, due
stipendi ben pagati, una buona scuola, dei bei vestiti, degli
amici... Louis non riusciva a fingere.
Erano
relegati in un buco di appartamento, a lavorare tutto il giorno per
uno stipendio da fame che veniva subito dilapato per luce, gas,
telefono, acqua e riscaldamento, e quasi non bastavano per fare la
spesa, per comprare anche un'assurdità come un panino alla mensa
della scuola erano costretti a fare l'elemosina al padre, che intanto
se la faceva indisturbato con la sgualdrina di turno, che si
divertiva a dar fondo alle sue finanze, tanto che gli alimenti che
per legge doveva alla moglie s'impoverivano sempre di più.
Non
aveva amici, la scuola era una topaia, doveva lavorare, aiutare in
casa e “fare il grande” e l'unica volta che si era permesso di
comportarsi come un adolescente normale aveva finito per quasi
ammazzare un altra persona e distruggere l'unico catorcio di macchina
che avevano, che tra l'altro non era neanche loro, era la vecchia
macchina scassata del nonno.
Ma
lei non sembrava rendersene conto, e continuava imperterrita a
fingere che tutto fosse normale, e a parlare.
“So
solo che mio figlio non farebbe mai una cosa del genere, e questo mi
spaventa molto, Louis” lo aveva fissato dritto negli occhi azzurri,
così simili a quelli delle sue sorelle, così simili ai suoi...
“ Perchè
forse questo significa che non sei più mio figlio” gettò un'altra
occhiata in tralice al tatuaggio, non trovando la forza neanche di
leggerlo, e senza aggiungere una parola si voltò e uscì dalla
stanza.
Louis
cercò disperatamente di non piangere, mentre si strofinava con
l'indice la scritta.
Era
l'odio di sua madre il prezzo della verità, della libertà? Lui non
lo sapeva, ma mentre con il dito ricalcava le lettere nere, osservò
con se' stesso che era un prezzo un po' alto.
It
is what it is.
Il
riflesso del tatuaggio nero si appannò davanti ai suoi occhi, mentre
in uno scatto di rabbia il ragazzo spegneva la luce e sbatteva la
porta, incurante se il rumore che causava avrebbe svegliato il resto
della famiglia, profondamente addormentata, raggiungendo a large
falcate camera sua e buttandosi sul letto.
Si,
decisamente era un prezzo troppo alto, e dopotutto la colpa non era
neanche sua.
Lui
non c'entrava niente.
Il
mondo era quello che era, la società, la politica, le istituzioni,
perfino la Chiesa e la famiglia erano quello che erano.
Cioè
uno schifo.
E
se sua madre voleva cullarsi nell'infantile illusione che il mondo
fosse pieno di gente perbene, arcobaleni dell'amicizia e My Little
Pony parlanti, che facesse pure, che s'ingannasse fino alla morte se
voleva, pagando le tasse, andando in Chiesa a pregare e predicando
uguaglianza, tolleranza e rispetto reciproco, ma che non si
aspettasse il suo appoggio.
Lui
non si sarebbe cullato in queste false speranze, non si sarebbe fatto
fregare di nuovo dalla vita, lui non ci sarebbe stato.
E
con questo pensiero poco confortante, chiuse gli occhi sprofondando
nel cuscino e si addormentò.
“Tomlinson,
hanno bisogno di te di sotto” ragliò un'infermiera dalla sua
postazione di controllo, sbattendo la cornetta nel ricevitore con
fare annoiato.
Il
ragazzo smise di tentare di sturare una flebo ostruita e si avvicinò
alla donna.
“Cosa
devo fare?”
“ E
io che ne so', hanno chiesto di te in terapia intensiva” il ragazzo
strabuzzò gli occhi, preoccupato.
“Per
quello che mi hanno detto non c'è da preoccuparsi” intervenne una
ragazza giovane seduta a fianco della prima, rassicurandolo
dolcemente “Gli servi per una commissione extra, evidentemente”
“In
terapia intensiva” aveva sottolineato l'altra “Muoviti però”
“Dove
devo andare?”
“Prendi
l'ascensore fino al terzo piano, poi gira a destra, seconda porta a
sinistra e poi...” s'interruppe, vedendo la faccia smarrita del suo
interlocutore.
Spazientita
lo prese per un braccio, stringendoglielo in modo sgradevole, prima
di trascinarlo lungo un dedalo di scale, porte, corridoi, scalini e
reparti, raggiungendo un corridoio laterale “ad uso del personale
addetto”, animato da un viavai di infermieri e
dottori.
L'infermiera aveva aperto con uno scatto del braccio
una scadente porta scorrevole azzurra, che scrostandosi ad ogni
minima scossa che riceveva rivelava il suo precedente colore grigio
topo, e senza dare a Louis nemmeno il tempo di pensare lo aveva
spinto all'interno del bagnetto angusto, asettico e illuminato dalle
luci al neon, che facevano rimbalzare la luce bianca ovunque.
Un'
altra infermiera se ne stava seduta sul bordo del wc, con la ciccia
delle cosce che stradipava oltre l'orlo della tazza e le braccia a
chiazze rossastre incrociate sopra il petto prominente, mentre
fissava con aperto astio il paziente in carrozzina.
Aveva
fulminato col il cipiglio porcino anche il ragazzo, appena questo
aveva attraversato la soglia della stanza.
"Di cosa... Di
cosa avete bisogno?" aveva chiesto lui, confuso.
"La mia
collega non te lo ha detto?"
La donna interpretò il suo
silenzio come un "no".
" Potresti perfavore lavare
il paziente?" aveva gesticolato impaziente verso il suddetto
prima di lanciarsi in un appassionato sproloquio:
" Non si
vuole far lavare da nessuno. Nessuno. Capisco che a questa età
l'acqua non è la vostra migliore amica e non uscite spesso col
sapone, ma un po' di decenza, un po' di decenza! Io volevo farlo lo
stesso, ci mancherebbe, ma la mia collega al cuore tenero e si è
lasciata commuovere... Capricci, ecco cosa sono questi!"
Louis
non aveva sentito nemmeno una parola di ciò che la donna aveva
detto, finalmente la sua attenzione era stata catturata dal
paziente.
Il cuore aveva smesso per un attimo di battere, ed era
precipitato verso il basso cozzando contro lo stomaco attorcigliato
su se stesso come una matassa, mentre dentro di lui sentiva quella
sgradevole sensazione che si ha quando sulle scale per la fretta si
salta un gradino.
Era Harry.
Avvolto in un enorme camice bianco
stropicciato, da cui spuntavano gli arti scheletrici e bianchi,
segnati di blu e viola dove era presente un ematoma o un capillare
rotto, stava scompostamente seduto sulla sedia a rotelle in una
posizione innaturale e rigida (Louis sospettò causata dall'incuranza
delle infermiere) la testolina rapata che insieme all'aspetto
macilento gli dava l'aria di un deportato ebreo durante il
nazismo e gli occhi verdi, meravigliosamente spalancati sul mondo,
traboccanti di lacrime e supplica.
Il maggiore si trattenne a
malapena dal darsi una manata in faccia dalla disperazione, e di
colpire ripetutamente la crocerossina cicciona, che spaparanzata sul
cesso continuava a cianciare senza sosta.
Era ovvio che un
qualsiasi adolescente di 14 anni avesse vergogna a farsi vedere nudo
da un enorme donnone sulla 50, e siccome il ragazzo in questione si
era appena risvegliato da un coma di 3 mesi ed era quasi
completamente immobilizzato, era fottutamente comprensibile che
piangesse per la frustrazione di non essere capito e per l'imbarazzo
che provava.
"Vada fuori"
"Come scusa?"
Louis, rendendosi conto di essere stato un po' troppo brusco fece
del suo meglio per sorridere alla donna, aggiungendo con tono
assolutamente falso e lecchino:
" Non c'è bisogno che stia
anche lei qui, il bagno è molto stretto e ci intralceremmo a
vicenda. E poi sono quasi le due e un quarto"
Le due e un
quarto, l'ora preferita dal personale per una sana pausa caffè.
Il
motto delle infermiere che il ragazzo aveva conosciuto fino a quel
momento era ' è sempre un buon momento per una pausa caffè',
e anche la cicciona sembrava pensarla alo stesso modo.
Aveva
bonfonchiato dei ringraziamenti prima di lanciare un'occhiata
esasperata a Harry e uscire dalla porta, rischiando di rimanerci
incastrata e rovinare così la sua uscita trionfale.
Il maggiore
aveva fatto scorrere i pannelli della porta, in modo da nascondere il
bagno alla vista di chi passava per il corridoio, garantendo al più
piccolo un po' d'intimità.
Gli scoccò un occhiata sottecchi, non
riuscendo a fissarlo apertamente: quegli occhi verdi che spesso lo
avevano perseguitato nei suoi peggiori incubi, ora lo fissavano con
un intensità tale da fargli venire la pelle d'oca.
Stava ancora
piangendo.
Forse perchè era nuovo nell'ambiente ospedaliero,
forse perchè in quel periodo della sua vita tutti gli adulti, senza
nessuna eccezione, erano delle bestie immonde senza sentimenti, ma
Louis proprio non riusciva a comprendere il distacco con cui medici e
infermieri trattavano i pazienti.
Non erano oggetti, cristo
santo!
Come poteva quell'obesoide sferica e pelosa guardarlo male,
anche solo di striscio, perchè provava imbarazzo, perchè la sua
privacy veniva violata, perchè non poteva parlare?
Era certo che
nei suoi panni, l'infermiera prosciutto si sarebbe comportata nello
stesso modo.
Si frugò nelle tasche, dove sapeva esserci un
pacchetto di Kleenex mezzo usato, rubato dalla borsa di sua madre
mentre cercava della grana per comprarsi qualsiasi cosa si potesse
fumare per sballarsi un po'.
Puzzavano un po' di fumo, dal momento
che li teneva nel pacchetto di Malboro insieme all'accendino, ma
Louis sapeva che erano meglio di niente, e sperò che Harry fosse
dello stesso parere.
S'inginocchiò davanti alla carrozzina,
asciugandogli delicatamente il viso.
Sembrava così fragile che
aveva paura che si spezzasse sotto il suo tocco, così debole e
indifeso in quel camice enorme che gli ballava addosso, così in
imbarazzo ad aver bisogno di uno sconosciuto per essere
lavato...
"Che antipatica" aveva commentato il più
grande, cercando di metterlo a suo agio mentre gli tamponava il
fazzoletto sulle guance.
"Neanche io vorrei essere lavato da
una macelleria ambulante come lei" si era interrotto per
guardarsi alle spalle con aria da cospiratore " Certo, avesse 20
anni e 20 chili di meno ci potrei pensare, ma così proprio no..."
Gli aveva sorriso, mentre l'altro lo aveva guardato come
incuriosito, gli occhi finalmente asciutti.
Louis era balzato in
piedi annunciando "Dobbiamo fare un bagno? E facciamocelo, per
l'amor di Dio, prima che quel mega hamburger ritorni tutta inacidita
dalla caffeina"
Aveva svestito quello scheletrino di ragazzo
con più tatto e delicatezza che poteva, temendo di vederlo
sbriciolarsi tra le sue mani, mentre la sua filippica contro le
infermiere continuava, riempiendo i vuoti tra loro, poi lo aveva
trasportato più delicatamente che poteva nella vasca rotonda,
aiutandolo a sedersi sull'apposito seggiolino, prima di chiedergli,
sinceramente preoccupato:
" Sei comodo?"
L'altro
aveva battuto le palpebre, e il maggiore lo aveva interpretato come
un si.
"Dove diavolo è il bagnoschiuma?" aveva sbuffato
l'altro, sporgendosi per prendere la boccetta nell'armadietto a muro
affianco al sanitario, per aprirla e commentare successivamente "
Ti è andata di culo... Se ti lavavi tre reparti più in la' avresti
odorato di piscio di gatto per una settimana".
Aveva aperto
l'acqua stando attento a non schizzarlo, per poi saggiare la
temperatura della doccia con due dita, per accertarsi che non fosse
bollente o troppo gelida.
Quando poi aveva raggiunto un calore
soddisfacente aveva chiesto al ragazzino:
" E' abbastanza
calda?" mentre gli bagnava dolcemente le dita dei piedi.
Alla
totale assenza di reazioni da parte di Harry, Louis aveva preceduto
con il lavaggio, evitando di mettere il sapone nelle ferite aperte o
di far pressione sui lividi violacei che costellavano il corpo
stremato.
Gli veniva da vomitare al solo pensiero che era stato
lui a conciarlo in quello stato, che per una stupida cazzata che
poteva anche evitare aveva rovinato in modo così orribile la vita di
un altro essere umano, che se lui per una volta avesse fatto i
compiti, o avesse fatto come gli era stato detto a quest'ora Harry
Styles sarebbe un felice sconosciuto, un liceale che va a scuola,
studia e a casa cambia le lampadine quando si fulminano, e non un
mucchietto di ossa e pelle malconcia, muto, incapace di comunicare e
in balìa delle infermiere.
Aveva dovuto fare una pausa per
riprendere fiato ed evitare di svenire quando aveva visto in che
condizioni era la sua testa.
Si era fermato un attimo, spostandosi
con le mani insaponate il ciuffo sudato dalla fronte, respirando
forte ed aggrappandosi saldamente al bordo della vasca per non cadere
dallo shock.
Doveva avere un'espressione veramente orribile,
perchè il ragazzino gli era improvvisamente sembrato molto a
disagio, quasi sul punto di mettersi a piangere di nuovo mentre
faceva vagare lo sguardo sulla stanza spoglia, fissando con caparbia
ostentazione il vuoto.
"Scusa" aveva mugugnato a mezza
voce Louis, che provava l'inspiegabile bisogno di giustificarsi e di
evitare di ferire i sentimenti dell'altro, " E' che... E' così
grossa.... Sembra di essere sul set di un film splatter"
Non
aveva tutti i torti: la cicatrice che gli aveva lasciato andava da un
orecchio all'altro disegnando in modo grottesco il diametro della sua
testa, come se qualcuno l'avesse disegnata con un pennarello molto
grosso e spesso che la rendeva sporgente, come un margine, cucito con
stretti punti di sutura neri che gli arrossavano la cute.
Forse
era meglio non mettere acqua e sapone sopra la ferita.
Forse.
Louis
aveva iniziato a insaponargli la testa, evitando attentamente di
anche solo sfiorare i punti o la pelle arrossata: non voleva fare
altri danni, oltre a quelli irreparabili che aveva già fatto.
Quando
aveva dovuto preoccuparsi della parte superiore del capo gli aveva
spinto piano la testa indietro, le mani che tremavano dalla paura di
spezzargli il collo in due, prima di lavare meglio che poteva la
testolina rapata, con una mano che gli sosteneva la nuca e l'altra
che massaggiava leggera sulla sua pelle.
Poi quando aveva dovuto
sciacquarlo aveva inclinato la testa ancor di più, ponendo la mano
libera a coppa sulla fronte per evitare che l'acqua gli andasse negli
occhi, esattamente come sua madre faceva con Daisy e Phoebe e come
tanto tempo fa', prima di odiarlo a morte, aveva fatto anche con
lui.
"Ecco fatto" aveva esclamato pienamente soddisfatto
del suo lavoro " Non mi è sembrato così traumatico, no?"
Harry
si era limitato a fissarlo intensamente.
" Ti rivesto, prima
che la Signorina Spezzaindue torni e mi faccia una lavata di capo"
Il
ragazzino, ancora immerso fino alle ginocchia nell'acqua e nella
schiuma, aveva sgranato gli occhi, già enormi di per se' nella
faccia smagrita.
Louis si era chinato per togliere il tappo sul
fondo della vasca, che era sparita giù nello scarico gorgogliando,
prima di voltarsi a prendere un ascuigamano dall'armadietto
bianco.
Sentiva lo sguardo del ragazzino trafiggergli la nuca,
facendogliela formicolare in modo fastidioso.
Aveva continuato a
fissarlo mentre tamponava delicatamente la spugna morbida
dell'asciugamano sulla sua pelle, mentre lo sollevava piano per
rimetterlo sulla carrozzina e mentre lo rivestiva con un camice
pulito che lo copriva di più, senza quasi sbattere le
palpebre, scrutando in maniera quasi ossessiva il suo viso in cerca
di un qualcosa che non riusciva a trovare.
Mentre il più grande
lo sistemava meglio sulla sedia a rotelle, in modo che fosse più
comodo, qualcuno bussò alla porta, facendolo sobbalzare.
"
Louis! La Cohen ti vuole immediatamente di sotto per un
clistere"
"Arrivo"
"Ha detto che è
urgente"
" Se è urgente non servirebbe un clistere, non
ti pare?"
Nonostante le preghiere del giovane chiedessero il
contrario, proprio in quel momento la mastodontica infermiera aveva
deciso di fare la sua comparsa infondo al corridoio, preceduta dal
suo solito brontolio come se fosse una pentola di fagioli in
ebollizione.
"Allora?" aveva chiesto impaziente
affacciandosi alla soglia "Il principino ha fatto il
bagno?"
"Si" aveva risposto acidamente il ragazzo,
urtato dal ingrato compito che lo aspettava.
Aveva abbassato lo
sguardo sul piccolo paziente, temendo che la bruschezza della
prosciuttona lo riducesse di nuovo in lacrime, e invece aveva
incontrato il suo sguardo luminoso, più vivo che mai, mentre lo
fissava stupito e meravigliato, mentre le labbra di ghiaccio si
scioglievano in un piccolo sorriso.
Stava sorridendo.
A
lui.
Stava sorridendo a lui.
Le labbra pallide leggermente
arricciate all'insù, verso di lui, le fossette sulla pelle pallida,
gli occhi illuminati come stelle nella notte più nera...
Era
adorabile.
"Allora... Ehm... Ciao" aveva balbettato il
più grande, mentre l'altra infermiera, inviata appositamente dalla
Tiranna per richiamarlo ai suoi doveri, gli faceva fretta.
"Al
prossimo bagno" aveva aggiunto, tanto per salvare la sua dignità
di badboy e ritrovare un po' della sua faccia tosta, mentre si
grattava la nuca, imbarazzato.
"Allora?! Andiamo!" la
donna l'aveva agguantato per un braccio, spingendolo a forza nel
corridoio.
E mentre un'esile ragazza sulla trentina, neolaureata e
con la terribile fobia della caposala prepotente e con manie di
protagonismo lo sospingeva giù dalle scale affollate verso il tanto
odiato reparto che puzzava di chiuso e di morte, Louis Tomlinson ebbe
la non troppo fugace impressione che Harry Styles avesse riconosciuto
la sua voce.
Angolo Finny *w*
Okay,
ammettete che mi amate :) Li ho fatti incontrare di nuovo, e dal
momento che ho finito la mia dose di angst mensile e i supermercati
sono chiusi... Ecco a voi il caro e vecchio fluff!
Sono annegata nei miei stessi feels scrivendo questo capitolo, che mi ha fortunatamente distratto dalla scuola.
Io odio la scuola, e in particolare un certo professore ottuso, omofobo e... testa di cazzo? Scopamerda? Faccia da culo?
E pensare che domani abbiamo due ore con lui.... Mi sale il suicidio.
Leeroy
hmm può testimoniarlo: l'ultima lezione al cambio dell'ora
eravamo in bagno a piangere e a passarci il rotolo di carta igienica
mentre lo insultavamo.
Giuro
che ogni volta che domani mi guarderà gli dirò " Brutto
idiota" e " Lurido bastardo" nel linguaggio dei segni. Perchè io
posso lol.
Eniuei,
cambiando discorso, vorrei veramente ringraziarvi: rinato Harry siete
rinati anche voi, in particolare marti_lala e i suoi Oreo che
compromettono la mia dieta ancora prima che io la inizi, Lu che da
adesso in poi è la mia maestra, e spero che il suo cuore fluff
apprezzi questo capitolo nonostante la mente angst, Ele28 alla quale
stavolta non ho spoilerato proprio niente *applause applause applause*
Ila che ora, dal momento che sono un potenziale e valido aiuto per la
tesina e che ho fatto incontrare Harry e Louis, mi amerà con
tutto il suo cuoricino ( ma non più di Luca XD) Horan_Smile che
grazie alla mia puntualità puntuale non avrà un attacco
d'astinenza, Prim che spero si sia ripresa dallo shock dello scorso
capitolo e che si possa godere questo ( avete visto? Alla fine sono
buona come il pane, li ho fatti tornare subito insieme!) Niall_Horan
che sarà felice di vedere che ho risistemato le cose, Elli la
mia mogliettina sotto stress che nonostante frequenti quel merdaio del
classico ( nel senso che il greco è inutile e le materie sono
pesanti, non che sei una cacca te eh) passa comunque a recensire e mi
da' sempre delle fantastiche idee, Erica che mi piange la sig.ra Stowe
e mi fa sentire in colpa di averla, uhm... fatta fuori XD
E
ultima ma non meno importante Caro, con la quale mi scuso di non aver
risposto alla magnifica recensione ma... Preferivi che ti rispondevo o
che aggiornavo? :P
Grazie a tutte per il vostro sostegno, siete meravigliose e non mi stancherò mai di ripeterlo.
Pensatemi un po' domani :)
#Lotsoflove
Cami
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Capitolo 11 *** The Panda Made Me Do It ***
wefertferf
AVVERTENZE (per tutte le Lovatic e le fan di Demi): Questo capitolo contiene una canzone di Demi Lovato, ma è un troll.
Una ragazza inspirandosi alla sua storia ha scritto questa canzone,
l'ha cantata, registrata e postata su Youtube facendola risultare come
un Lyric Video di VEVO.
Ma siccome si sposava con la storia l'ho attribuita a Demi. Pace e Amen #sorrylovatics #demiurockanyway
11. The Panda Made Me Do It.
" Ma porca di quella..." Louis aveva dato un colpo al vecchio
televisore che da due ore stava cercando di aggiustare per poter
intrattenere i suoi cari e decrepiti pazienti con una vecchia
videocassetta in bianco e nero di Casablanca, trovata da qualche parte
nello scantinato di sua nonna e per qualche misteriosa ragione portata
a casa, per poter stare in pace un attimo e riprendere fiato senza
dover preoccuparsi di cateteri e grattacapi vari.
Il televisore era partito all'
improvviso, sibilando e scoppiettando in maniera preoccupante, tanto
che il ragazzo aveva faticato molto a sentire che qualcuno lo stava
chiamando:
" Tomlinson! Louis! Louis!" si
era voltato, individuando la fonte del rumore, l'infermiera carina
bionda, che stava seduta dietro il bancone della reception del piano
del reparto, mentre con una mano giocherellava con due ciocche sfuggite
all' ordinata coda di cavallo e con l'altra si teneva premuta la
cornetta del telefono contro una spalla.
" Ti chiamano dalla rianimazione... Ancora"
" Posso andare?" aveva chiesto
lui, sgranando gli occhioni blu da cucciolo di labrador abbandonato in
mezzo a una strada da Lord Voldemort.
" E se si pianta il televisore?"
"Un cazzotto forte sul lato
sinistro dovrebbe bastare" gli aveva urlato in risposta, già a
metà strada verso il corridoio.
Ogni giorno, tutti i giorni, lo
chiamavano 3 o 4 volte dalla rianimazione: le prime volte era solo per
lavare Harry, ma ben presto tutti avevano notato la predilizione che il
piccolo paziente sembrava avere nei confronti del bell'inserviente, che
comunque tornava utile dal momento che il giovane era in un età
critica e comunque molto pudico e si vergognava a farsi vedere o
toccare dalle infermiere che dovevano prendersi cura di lui.
E così oltre che per la
toeletta del paziente, lo chiamavano perfino per la fisioterapia: la
solita scazzata infermiera ciccona stava spaparanzata sull' unica sedia
presente nella stanza, col grasso che lentamente stradipava dai
bordi mentre impartiva ordini bruschi e commenti acidi a destra e a
manca.
Le prime quattro volte Louis non aveva detto nulla, limitandosi a chinare la testa e sopportare, ma alla quinta era esploso:
" Se mi spiega prima cosa devo fare poi se ne può anche andare, di sicuro ha di meglio da fare che stare qui seduta!".
L'aveva preso alla lettera, e
da quel momento in poi lo aspettava fuori dalla camera 17 per
spiegargli la procedura da applicare quel giorno, prima di sparire
chissadove ( si sospettava a gozzovigliare vicino alla macchinetta del
caffè) e mandare di tanto in tanto una collega, decisamente
più simpatica, a supervisionare la situazione.
All' inizio aveva solo dovuto
massaggiare le gambe e le braccia del ragazzino più piccolo, poi
aveva dovuto ' rinforzare' i muscoli stirandoli in un po' di doloroso
stretching, e infine era giunto la lenta ed interminabile fase dei
cuscini: Harry veniva messo seduto su un trono di piume, ogni giorno
sempre in posizioni diverse e sempre più a lungo, levando
gradualmente i vari appoggi che aveva per permettergli di stare seduto
da solo, finché un bel giorno la fisioterapista curante aveva
dato l'ordine di levare tutti i supporti.
Era stato un fiasco.
La prima volta era
semplicemente scivolato all' indietro ritrovandosi di nuovo sdraiato in
un batter d'occhio, la seconda volta invece se Louis non l'avesse
afferrato al volo sarebbe capitombolato a terra, la terza volta si era
limitato a scuotere la testa e a fare faticosamente segno di no con la
mano, non prestandosi più al loro 'gioco' e fissando ostinato il
soffitto a braccia conserte.
" Facciamo un pausa di 10
minuti, okay?" aveva proposto l'infermiera gentile, prima di lasciare
la stanza e andare a caccia di caffeina.
L'inserviente ovviamente era
rimasto per tirarlo su di morale, e ci sarebbe riuscito se un' altra
infermiera non fosse entrata, cinguettando a vanvera sul fatto che
finalmente il chirurgo le aveva dato il permesso di togliergli le bende
sul capo.
E così aveva rimesso il
ragazzino seduto e aveva iniziato a svolgere quello che lui aveva
amorevolmente soprannominato il 'turbante del professor Raptor', prima
di disinfettarlo ancora un po' con un batuffolo di cotone imbevuto di
acqua ossigenata e porgergli trionfante uno specchio, tubando adorante:
" Hai visto Harry? Hai visto come sei tornato bello?"
Pessima idea, dal momento che il diretto interessato sembrava pensarla diversamente.
Il viso del piccolo paziente si
era contratto in un orrenda smorfia d'orrore e ribrezzo nel guardare il
suo stesso riflesso livido, scavato e senza capelli.
Probabilmente era l'ultimo
particolare a turbarlo così tanto: la ferita, che Louis aveva
già avuto modo di vedere durante i suoi bagni, ora spiccava
rossastra sulla sua pelle nuda, come un marchio infame, un indesiderato
tatuaggio che ti rendeva un' indegna creatura riportandoti sempre alla
mente infausti ricordi di morte, sottolineato ancor di più dall'
assenza di capelli che lo rendeva spelacchiato, scheletrico e
deformato, tanto che la testa sembrava essere spropositatamente grande
rispetto al resto del corpo.
Con un rumore acuto a
metà tra un grido e a un singhiozzo soffocato Harry era
scivolato giù dai cuscini, coprendosi la faccia con le
mani,cercando di nascondersi alla vista dei due visitatori.
Louis si era sentito in dovere
di rassicurare l'infermiera che guardava il piccolo paziente
costernata, prima di spingerla gentilmente fuori dalla stanza e tornare
al capezzale del malato, il viso seppellito tra le lenzuola e le gambe
tutte di traverso in un goffo ed inutile tentativo di voltarsi su un
fianco per nascondere le lacrime.
" Ehi, non é così
tragico..." il maggiore si era chianato su di lui, accarezzandogli un
braccio " Ricresceranno. I capelli dico... Non hai il cancro Harry,
ricresceranno in un battibaleno, vedrai, non te ne accorgerai neppure
da quanto faranno in fretta!"
Il più piccolo si era limitato a tirare su col naso, il viso rigato dalle lacrime.
" Su, non fare così... É solo una giornata storta... Domani andrà meglio, te lo prometto"
Aveva allungato la mano per accarezzargli la guancia umida, ma Harry aveva strizzato gli occhi fortissimo:
" Va' via, non voglio vedere
nessuno" gli stava dicendo, supplicandolo di obbedirgli, e così
in men che non si dica il ragazzo si era ritrovato sulla soglia della
17 a spiegare alla fisioterapista perché quel giorno non
potevano continuare con gli esercizi, con un inspiegabile nodo allo
stomaco e il cuore pesante.
Il giorno dopo non c'era stata
nessuna chiamata dal reparto di rianimazione, e verso le cinque e
mezza, quasi la fine del suo turno, Louis aveva iniziato a preoccuparsi.
Tendeva l'orecchio sopra il
rumore del monotono ( e dalla tragica dipartita della signora Stowe
insignificante) chiacchiericcio dei vecchietti, sperando di udire il
famigliare trillo del telefono che lo convocava ai piani superiori,
invano.
Non poteva sopportare un attimo
di più: doveva assolutamente dare una cosa a Harry, ma se
nessuno gli dava il pretesto per allontanarsi sarebbe rimasto bloccato
tra dentiere e pannoloni superassorbenti per il resto del turno.
"Niente capatina in
rianimazione oggi?" aveva chiesto la biondina,entrando nella stanza
spingendo la cigolante carrozzina di Mr Phipps, sorridendo
esausta.
" In effetti stavo giusto
andando" era stata la sua pronta risposta, mentre scattava in piedi
lasciando cadere lo straccio con cui stava pulendo le scodelle
della zuppa.
" Ma hanno chiamato?" aveva chiesto lei, spostandosi una ciocca sudata dalla fronte.
" Si ma eri di là a
lavare Phipps, e così ho risposto io" aveva inventato di sana
pianta lui " lo so che non sono autorizzato a rispondere al telefono,
ma non sapevo che altro fare"
Con l' ultima parte della frase
aveva evitato le sue proteste e lamentele " Okay okay, vai pure,
solo... La prossima volta chiamami. Va bene?"
Louis aveva annuito, cercando
di sembrare dispiaciuto, mentre in realtà la sua mente galoppava
alla camera 17, e alla reazione di Harry nel vedere ciò che gli
aveva comprato.
Era stato più forte di
lui: le inaspettate lacrime del ragazzino gli avevano lasciato lo
stomaco stretto in una morsa e il cuore colmo di tristezza e di rancore
verso se stesso, perché dopotutto era colpa sua se Harry
piangeva, era colpa sua se stava così male, e lui desiderava
ardentemente poter rimediare in qualsiasi modo soprattutto
perché il più piccolo sapeva che era colpa sua ma lo
aveva inspiegabilmente perdonato, e lui non si meritava tanto.
Arrivato a casa il suo senso di
colpa non si era placato, anzi: Lottie era di turno alla sala da the
dove aveva trovato lavoro, Fizzie a una cena di classe e lui avrebbe
dovuto preparare da mangiare per se' e le sue sorelline dal momento che
la madre era ad un importante riunione di lavoro.
Inutile dire che si era dimenticato.
Aveva evitato di dirlo a
mammina, lasciandola uscire beatamente illusa prima di mettere i
cappotti alle bambine e di correre verso il supermercato più
vicino, fortunatamente ancora aperto.
Li aveva visti prima di pagare,
allo stand vicino alla cassa: un assortimento di cappelli, calze e
cinture, e non aveva potuto fare a meno di fermarsi.
Aveva persino trovato il modo
di tenere buone le piccole pesti chiedendo loro un consiglio su
un berretto da regalare a un amico.
"Perché devi regalargli
un cappello?" aveva chiesto Phoebe curiosa, mentre si appendeva al suo
braccio " Perché? Perché? Perché?"
" Perché, Uhm, non ha capelli"
Le due monelle avevano sussultato in preda all' orrore.
" E peeeeeerche'?"
" Glieli hanno rasati"
" Chi?" aveva chiesto Daisy
guardandosi attorno circospetta, come se qualcuno armato di rasoio
elettrico potesse spuntar fuori da dietro l'espositore dei surgelati e
privarla della sua zazzera bionda.
" I dottori"
" E peeeeeerche'?"
Cristo, ma anche lui a quattro anni era stato così petulante?!
" Perché non si lavava e aveva i pidocchi..."
" Bleah"
" Che schifo"
"... Quindi vedete di fare il bagno ogni volta che ve lo dice mamma, okay?"
Con questo aveva finito la
conversazione, e sotto lo sguardo impaziente del gestore che era in
procinto di chiudere, era giunto a due possibili cappelli candidati da
regalare a Harry: il primo l'aveva scelto lui, un berretto da baseball
rosso e nero della Obey, alla 'Zayn' aveva ricordato nostalgico, mentre
il secondo era un cappello di lana marroncina, fatto a mano, con
orecchie sporgenti e occhi naso e bocca... da panda.
L'avevano scelto le bambine nella loro tenera innocenza, e cercavano inutilmente di convincerlo:
" Senti come é morbido!" avevano esclamato in coro alzandosi in punta di piedi e strusciandoglielo sulla faccia.
" Daaaaaai! Non é carino?"
Il ragazzo aveva sospirato,
decidendo che sarebbe stato il prezzo a scegliere: aveva guardato con
orrore il cartellino dell' Obey che segnava il costo di 32 $ e
sospirando tra le urla di trionfo delle bambine si era diretto verso la
cassa con quella parodia di peluches in mano, sperando in seguito di
non pentirsi della sua scelta dettata dalle sue ristrette finanze.
E invece, mentre sgattaiolava
in rianimazione, si era pentito: era troppo strambo! Insomma, chi
si mette un panda in testa?! E se non gli sarebbe piaciuto? Avrebbe
fatto la figura del picio! Gli stava regalando un ridicolo berretto da
bambino disagiato , era proprio un coglione senza speranza. Però
era così adorabile...
Le pippe mentali del ragazzo
erano state dimenticate appena aveva varcato la soglia della 17: le
tapparelle erano mezze abbassate, la stanza immersa nel silenzio, la
fisioterapista seduta sconsolata su una sedia di fianco a quello che
una volta era un letto d'ospedale, ma in quel momento era ridotto ad un
baco di lenzuola e coperte.
L' inserviente aveva bussato,
annunciando la sua presenza in maniera discreta alla specialista, che
aveva esclamato gioiosa vedendolo:
" Guarda chi é venuto a trovarti Harry! É Louis, é venuto a salutarti!'
Nulla.
Il bozzolo di coperte era rimasto immobile.
" Ehi pigrone, cosa ci fai ancora a letto? Non si fa ginnastica oggi?"
Silenzio.
" Sei in sciopero?"
Ancora niente.
Il ragazzo aveva questionato la fisioterapista con lo sguardo, e la donna si era limitata a sospirare dicendo:
" Brutta giornata... Non ha
mangiato nulla, non ha voluto fare gli esercizi e per di più
é da ieri sera che non esce da sotto le coperte, non ha nemmeno
voluto salutare sua madre"
Il ragazzo aveva riflettuto un attimo, pensieroso.
" Vuoi andare a prenderti un caffè e fare una pausa mentre qui ci sto io?"
La donna aveva valutato
l'offerta, prima di alzarsi e incamminarsi verso la porta " Sei molto
gentile... Chiamami se hai bisogno"
Louis aveva annuito, e la donna aveva rinchiuso la porta alle sue spalle, lasciandoli da soli.
" Ehi?" aveva chiamato il più grande, avvicinandosi al letto " Harry?"
Nulla.
" Non vuoi uscire da lì sotto?"
"..."
Si era seduto sulla sedia,
sfilando dalla tasca l'iPod e infilando l'auriolare sotto il groviglio
di coperte " Ascoltiamo un po' di musica?"
Aveva sentito qualcosa muoversi sotto le lenzuola.
" Lo prendo per un sì"
Le note di ' Stay strong' di Demi Lovato si erano diffuse nella stanza, attutite dalla stoffa delle coperte del letto.
" Stay strong
Don't let them break you, no don't let them change you
You know you have got to
Stay strong
I see the real you, hurting, trying to breakthrough
But just know you know, you know
Stay strong
Just stay strong"
Alla fine della
canzone era calato il silenzio, e il ragazzo aveva arrotolato di nuovo
le cuffie, attorcigliandosi il filo nero attorno alle dita come se
fosse una canna da pesa, ma purtroppo il suo pesce non aveva abboccato:
Harry era ancora sotto le coperte.
" É forte la Lovato,
vero? La ascolta sempre mia sorella... Crede di aver perso il CD ma in
realtà l'ho preso io..."
Nulla.
"Harry?"
"Sei morto?" nessun rumore tranne un piccolo sibilo, che doveva essere interpretato come un 'ti sembrano cose da dire?'
" Dai, un po' di humour nero ci sta"
"..."
" Ti prego Harry esci un' attimo da lì. Per favore"
Aveva usato un tono così
supplichevole che gli occhi acquamarina dell' altro avevano fatto
capolino da uno spiraglio tra le lenzuola.
" Ieri ti ho promesso che oggi sarebbe andata meglio, giusto?"
Annuisce.
" E allora perché non
proviamo ad agire noi piuttosto che aspettare che lassù qualcuno
decida di farci un favore? Dai, esci da lì sotto e insieme
possiamo provare a raddrizzare questa giornata storta"
Lentamente il piccolo allettato
era emerso dalle coperte, mentre l'altro cercava di strappargli un
sorriso su quel viso sempre triste " Ecco, se avessi avuto i capelli
adesso saresti un disastro, mentre sei fresco fresco come una rosa...
Non é che mi dai il numero del tuo parrucchiere?"
Louis aveva riso mentre lo
sguardo dell' altro si riduceva ad un' occhiataccia cattiva, subito
interrotta a causa della troppa luce che entrava dalle tapparelle ora
completamente alzate.
" Dai su, su, scherzavo!" gli
aveva dato un buffetto sulla fronte, respirando profondamente prima di
trovare il coraggio di dirgli:
" Ti ho preso un pensierino..."
gli aveva teso il berretto, senza pacchetto perché sapeva che
non sarebbe riuscito a scartarlo da solo e che avrebbe finito solo per
mortificarlo " Lo hanno scelto le mie sorelle... Spero ti piaccia"
Si era fissato la punta delle
converse per un po' e quando si era azzardato ad alzare lo sguardo ci
era mancato poco che scoppiasse a ridere: il cappello calcato sulla
fronte, fino alla sopracciglia, per coprire la mancanza di
capelli e il sorriso assolutamente radioso che andava da un orecchio
all' altro di Harry lo sollevavano e divertivano a tal punto da fargli
venir voglia di farsi una bella risata.
Ed era quello che si era fatto
porgendo al ragazzino uno specchio perché anche lui potesse
godere dell' esilarante e allo stesso tempo adorabile spettacolo,
rantolando "Come sei bello! Come sei bello!"
Una volta terminati gli
attacchi di risa, il maggiore si era rivato senza fiato, accasciato
sulla solita seggiola bianca davanti al letto, mentre il più
piccolo era sdraiato sui cuscini, con un sorriso così grande da
far presumere una paralisi facciale, mentre gesticolava
entusiasticamente un inequivocabile ' vieni qui'.
Louis si era seduto sul letto affianco a lui.
" Cosa c'è? Ti piace? Hai visto che bello? Ha pure le orecchie e-"
Ma non voleva fargli vedere le orecchie: voleva ringraziarlo.
Baciandolo su una guancia.
Aveva alzato appena la testa,
forzando i muscoli indeboliti a reggere la testa mentre appoggiave le
labbra ancora sorridenti sulla mascella, con la pelle ruvida di barba
non fatta, non sporgendosi abbastanza per centrare bene la guancia
dell'altro ora in fiamme. Il tutto era stato l'unico modo che Harry
aveva per comunicare la sua gratitudine al più grande,
sempre accorto e premuroso nei suoi confronti, ed era durato un
secondo ma a Louis quel contatto inaspettato ed un po' umido era
bastato per diventare viola, arrossendo come uno scolaretto alle prime
armi.
Era assolutamente cotto di lui.
" Lo prendo per un sì"
aveva mormorato, cercando di salvare un po' della sua facciata da duro
che andava inesorabilmente a sbriciolarsi, cadendo come il muro di
Berlino, soprattutto dopo essersi umiliato con un acquisto tale e
avergli fatto sentire una canzone pop al posto che del pesante heavy
metal pieno di bestemmie e satanismi.
Ma soprattutto per il panda.
" Ah ma allora ti sei alzato!"
la voce della specialista aveva praticamente fatto cadere Louis dal
letto, cogliendolo di sorpresa e imbarazzandolo ancor di più.
Aveva visto...?
Harry era arrossito lievemente, senza smettere però di sorridere.
" Che cos'hai in testa?" aveva
chiesto la donna avvicinandosi al letto, notando per la prima volta il
cappellino e facendo sorridere il paziente ancor di più, se
possibile.
Il ragazzino aveva appoggiato
le mani sugli avambracci di Louis, agitandosi eccitato, facendo
leva con le braccia per mettersi seduto, da solo, ed indicare
trionfante i cappello, la schiena dritta come un fuso e priva di ogni
sostegno o appoggio e un sorrisone ignaro stampato in faccia.
Non tremava dallo sforzo e non sembrava neanche provare dolore.
Poi, agli strilli entusiasti
della fisioterapista, si era reso di quello che era riuscito a fare,
che c'è l'aveva fatta, e che come stava urlando lei ' volere era
potere' e che ' era stato un grande' o come stava dicendo Louis '
spaccava i culi'.
Gli aveva sorriso una volta
ancora, bellissimo, bianco e rosso come una mela, gli occhi lucidi di
felicità e di soddisfazione e quelle adorabili orecchie che lo
facevano assomigliare ad un orsetto lavatore tutto da coccolare e
sbaciucchiare, e il più grande aveva capito che non si sarebbe
levato quel buffissimo panda di lana dalla testa per un po'.
Angolo Fin *w*
Hey Hey Hey fanciulle c: Buon Mercoledì sera a tutte!
Ho raggiunto l'apoteosi del fluff, che ne dite? Tipo che vomito
arcobaleni da due giorni. Con tanto di brillantini sberluccicosi. Puah
:)
Devo assolutamente piantarla perchè dopodomani ho i coscritti e
devo entrare nel mio tipico umore da festa: cazzate, vino rifiutato in
modo molto poco convincente, cazzate, attimo di depressione post
sbornia e tutto daccapo.
E metterò dei pantacollant neri che ora grazie alla dieta posso
permettermi e un vestitino nero con tutte i i brillantini che ho
vomitato lol
E faccio la tinta rossa Louis!Punk e mi stiro il bosco selvaggio che ho in testa.
Ma vabbe', a voi non frega, ma ci tenevo a condividere il mio
eccitamento con voi, dal momento che quassù sui monti la vita
è una noia- perfino la capretta di Heidi si è suicidata
per l'esasperazione... Anche se il macellaio racconta un'altra storia
XD-
Meno male che ci siete voi a tenermi compagnia! Un'infinito grazie a
Caro e ai nostri indovinelli idioti su Twitter, Prim che spero sia
contenta della temporanea soluzione alternativa ai ricci di Harry,
_HoranSmile_ della quale purtroppo non so ancora il nome che finalmente
ha incontrato uno dei suoi idoli, e secondo me se lo meritava
tantissimo, bluemeetsgreen_ ( anche lei ignota, come anche Larry_Art)
che salgono su questo folle folle treno, benvenute di cuore :)
Erica che spero abbia il cuore in countdown pronto ad esplodere come un
fuoco d'artificio a Capodanno, Lu che probabilmente mi odierà di
nuovo per il mute!andfaint!Harry, ma figliola mia porta pazienza e
vedrai che sarai soddisfatta ( spero) Ila che non sento da un sacco per
via di quell'orrido male chiamato s.c.u.o.l.a Niall_Horan ( un'altra
ignota) che probabilmente farò piangere di nuovo, la mia pusher
d'Oreo marti_lala e il suo braccio destro il gatto Eddy, Ellie, la mia
mogliettina, che abbraccio forte forte forte per la situazione che sta
passando, e sappi che ti sono tanto vicina anche se probabilmente
abitiamo a mezzo Paese di distanza, Leeroy hmm e le nostre coltissime
conversazioni in inglese ( twittah, sistah, forevah, powah, Tygah e
l'ultima, che c'ho pensato tipo tutto il viaggio in treno... NEVAH) e
last but not least Ele ( levo il 28 perchè ormai siamo un po' in
confidenza suvvia) e il nostro the virtuale ( visto che nemmeno io ho
la patente XD)
Grazie mille a tutte, spero che questo capitolo vi piaccia e che continuerete a sseguirmi....
Mille cuori pieni di brillantini per voi!!
Cami
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Capitolo 12 *** Call Me Maybe ***
12) Call me maybe
12. Call Me Maybe
Il ragazzo aveva picchiato piano le nocche su legno freddo e
bianco della porta della stanza, annunciando con quei colpi sordi e
ripetuti la sua presenza, prima di affrettarsi ad attraversare la
soglia:
" Mi hai chiamato?"
Louis aveva infilato la testa nella stanza, sorridendo già: non si poteva di certo dire che fosse tutto uguale a prima...
Col risveglio di Harry, anche la stanza e l'atmosfera che si respirava
dentro essa era cambiata: non era più cupa, opprimente, immobile
e fuori dal tempo, ora che la maledizione era stata rotta e il principe
si era svegliato dal sonno durato cento lunghi anni al quale era stato
condannato, ogni cosa sembrava più calda, più luminosa e
più... viva.
Il comodino non era più ornato da fiori di plastica votati a
rallegrare i visitatori con il loro aroma chimico e i colori sintetici,
ma era ingombro di libri, quaderni, fazzoletti, parole crociate con
cruciverba mezzi svolti, bicchieri di the vuoti con ancora uno spicchio
di limone raggrinzito sul fondo ed innumerevoli bottiglie d'acqua,
tutte rigorosamente prive di tappo.
E in mezzo a tutto quel casino, con un sorrisone stampato sulla faccia,
sdraiato in mezzo alle lenzuola trionfalmente sfatte, simbolo che stava
rincominciando a muovere le gambe e che la fisioterapia stava
funzionando, nello stesso letto che l'aveva visto immobile per mesi,
stava Harry Styles, che lo accoglieva ogni giorno con uno dei suoi larghissimi sorrisi
bianchi e luccicanti, tanto che a Louis sembrava di aver chiuso il sole
in una stanza.
Quel giorno il sorriso del ragazzo brillava radioso spuntando da sopra
un librone dalla copertina rigida che Harry teneva appoggiato sulle
ginocchia, girando pagina con una mano e giocherellando distrattamente
con l'orlo del cuscino con l'altra.
" Oddio, non starai mica facendo i compiti?!"
Il ghigno affermativo dell' altro l'aveva fatto fremere, pieno di orrore:
" Ma che schifo! Sei un secchione di merda! Fatti curare! Guarda già che ci sono te lo chiamo io il manicomio"
Il ragazzo più grande aveva afferrato il telefono d'ufficio
appoggiato tra le tazze di the, sollevando la cornetta bianca e suonando
grave, mentre il piccolo paziente mulinava le braccia, che ora muoveva
quasi perfettamente e lo scuoteva per una spalla, cercando di
riprendersi l'apparecchio telefonico al suo declamare tragico "Pronto
psichiatria?"
"Ehm, ehm"
Qualcuno alla porta si era schiarito rumorosamente la gola, facendolo
sobbalzare e perdere la presa sul telefono che il ragazzo-panda non
aveva esitato a strappargli, prima di esultare alzando le braccia al
cielo come se avesse segnato un goal a Cech.
" Oggi é un gran giorno!" aveva esclamato la fisioterapista
ignorando il debole 'buongiorno' del ragazzo più grande, e i buffi movimenti di festeggiamento dell'altro,
suonando impaziente ed estasiata.
"Oggi é un gran giorno" aveva ripetuto " Oggi, mio caro Harry, ti rialzerai in piedi e camminerai!"
Il ragazzino l'aveva fissata stranita, cessando all'istante di agitarsi.
" Come Lazzaro?" aveva replicato a voce bassissima Louis, ma abbastanza
forte da farsi sentire dal piccolo paziente, che aveva premuto le
labbra in una rigida e quasi invisibile linea che spariva nel pallore
del viso scavato, in un disperato tentativo di non scoppiare a ridere
in faccia alla povera infermiera.
"Louis, mettilo seduto sul bordo del letto" aveva ordinato quella,
mettendo fine al loro piccolo momento di ilarità " un po'
più in qua... Un po' più in qua... Così bravo"
Harry era seduto sul ciglio del materasso, le gambe magre e segnate da
graffi e lividi a penzoloni nel vuoto, e i piedi che di muovevano
appena su e giù, su e giù, come un bambino impaziente che
non vede l'ora di alzarsi da tavola e correre in giardino a giocare.
Era l'ultimo esercizio della settimana, una vera conquista a parere
della dottoressa, sollevata dalla velocità che il ragazzo
dimostrava nel rispondere positivamente nelle diverse terapie.
Quella volta però lo aveva ammonito bonaria " Non ti stancare
inutilmente e risparmia le forze per dopo, non sarà una
passeggiata"
"Ma io veramente avevo capito che dovevamo farlo camminare..."
La battuta dell' inserviente era terminata nel silenzio, mentre la
specialista lo ignorava, fissando intensamente il paziente e decidendo
sul da farsi, prima di cominciare a dare ordini secchi e precisi, come
un gendarme tedesco:
" Mettiti davanti a lui, Louis. Fa aderire le vostre ginocchia"
"Che?"
La donna, troppo impaziente a parole lo aveva spinto contro l'altro
ragazzino, finché i suoi jeans consumati e ruvidi non si erano
incollati al lino leggero del pigiama.
Poteva sentirne la consistenza liscia e morbida attraverso il buco che aveva sul ginocchio sinistro, tanto erano vicini...
" Adesso, Harry mettigli le braccia attorno al collo e stringiti più forte che puoi, okay?"
Il ragazzo-panda aveva annuito prima di fare, anche se con un po' di
esitazione, quello che gli era stato ordinato, facendo venire al
più vecchio le farfalle nello stomaco e dei brividi leggeri al
suo tocco fresco, delicato e quasi impercettibile.
" Stringiti pure" lo aveva rassicurato
lui, sentendo la sua presa molle e priva di forza, " Non mi fai male"
Harry aveva appoggiato piano le mani tremanti sulla sua nuca, ma
Louis non aveva detto nulla, credendo che fosse troppo debole o
imbarazzato da un contatto fisico così ravvicinato, per poter
fare di più.
"Okay Louis , adesso punta le tue ginocchia contro le sue in modo da
farle stendere completamente, e in tanto alzati. Se tutto va bene, e
con un po di aiuto, riusciresti a portarlo in posizione eretta..."
Il ragazzo aveva annuito, perdendo subito la sua aria scherzosa e
diventando mortalmente serio e concentrato: dopotutto si parlava di
Harry, e su di lui e sulla sua salute non avrebbe mai potuto giocare o
fare dell' ironia.
Aveva fatto leva contro i deboli legamenti del piccolo paziente con le
sue rotule , forzandolo ad alzarsi mentre rialzandosi lo accompagnava
in posizione eretta.
La pianta dei piedi del ragazzo-panda avevano toccato il pavimento
freddo, e in una reazione involontaria lui aveva strizzato i grandi
occhi verdi e arricciato le dita, infastidito dalla pelle d'oca che gli
provocava brividi su braccia e gambe.
E poi le braccia calde di Louis avevano lasciato il suo corpo
debilitato e tremante, allontanandosi appena per alleviare il rossore
che gli tingeva le guance vermiglie e gli inumidiva gli occhi, ma anche
per riprendere il controllo di se', per arrestare i crampi allo stomaco
allo stesso tempo deliziosi e tanto dolorosi, perché Harry gli
faceva tanta, tanta, tantissima tenerezza, perché era debole,
perché necessitava del suo aiuto e perché era
tremendamente carino e tenero con la faccia rossa rossa e con quegli
occhi che gli scavavano un buco in mezzo al petto, perforandogli il
cuore quando si ricordava che era tutta colpa sua, del suo egoismo e
della sua stupidità...
E adesso era in piedi davanti a lui: Louis quasi non sentiva l'esultare
allegro, spropositato e rumoroso della dottoressa, che gli giungeva da
un luogo lontano e confuso, come se fosse in una bolla ovattata, mentre
sentiva perfettamente le mani infuocate e leggere come farfalle del
più piccolo scivolargli lungo le spalle, come per dirgli che non
aveva bisogno del suo aiuto per stare in piedi.
E così l'aveva lasciato andare, rifiutando però di
allontanarsi da lui, notando per la prima volta quanto fosse alto:
nella sua mente contorta l'aveva sempre associato ad un bambino di cui
prendersi cura, al pari di Daisy e Phoebe, ma vedendo la sua altezza
reale ( le orecchie del suo maledetto cappello gli sfioravano la punta
del naso) capiva che non era così indifeso e bisognoso di
attenzioni come lui credeva.
Era fragile.
Ma avrebbe superato tutte le difficoltà che il destino gli
riservava, ne era certo, e sarebbe diventato ancora più bello e
ancora più alto.
E lui sarebbe stato lì per vederlo.
Si sentiva così fortunato...
Così perso nei suoi pensieri non si era accorto dell'
impercettibile tremore delle ginocchia del paziente, e quando queste
avevano ceduto per un attimo, l'aveva riacchiappato in extremis per i
gomiti, rimettendolo in piedi in un batter d'occhio, mormorandogli
ridacchiando ancora trasognato "Attenta mozzarellina..." prima di
lasciarlo andare sotto lo sguardo attento e allo stesso tempo
trionfante della fisioterapista.
Ma la resistenza del ragazzo aveva raggiunto il limite, e le gambe
stanche ed affaticate avevano ceduto di nuovo, di schianto stavolta, e
Harry era stato prontamente sorretto per la vita dall'
inserviente che lo aveva portato in piedi un altra volta, mentre lui si
attaccava disperatamente alle sue spalle cercando di riprendere il
controllo di sé, ma ancora scivolava verso il basso,
aggrappandosi alla maglia scollata della divisa di Louis,
tirandola verso il basso con se' e scoprendo parte della scritta
tatuata sui pettorali.
" Penso che per oggi sia abbastanza" aveva annunciato grave la
specialista " Anche se non capisco come mai non cammini: hai svolto
correttamente tutti gli esercizi, e adesso dovresti essere in grado di
..."
Si era interrotta, scuotendo la testa delusa e iniziando a raccogliere
alcuni attrezzi da riabilitazione sparsi nella stanza, prima di
costringerli nella sua valigetta e avviarsi verso la porta.
" Proprio non me lo spiego" aveva continuato dalla soglia, incapace di
trattenersi " Ormai sei più che pronto a stare sulle tue gambe,
Harry. Non so se é un tuo limite psicologico o altro, ma di
sicuro so che non é un mio errore di valutazione o nel lavoro
svolto. La vera domanda qui é: vuoi davvero guarire, Harry?"
La donna aveva aperto la porta con uno scatto, prima di uscire nel
corridoio e svanire nei dedali del corridoio, furibonda, lasciando un
Louis impalato nel bel mezzo della stanza, con un Harry tra le braccia
a cui sembrava non importargliene un fico delle sue parole taglienti e
pesanti come macigni che avevano distrutto l'atmosfera calda e
accogliente della diciassette, ora immerso in un silenzio teso ed
imbarazzato che forse valeva più di mille parole.
Louis non se ne capacitava: l'infermiera aveva fatto un cazziatone in
grande stile, l'aveva accusato di fancazzismo, di essere psicotico e
nullafacente, andandosene sbattendo la porta incazzata come una iena, e
tutto quello che Harry sapeva fare era starsene lì tra le
coperte smosse con un sorriso ebete sulla faccia.
Non aveva neanche dovuto consolarlo per il clamoroso fallimento, e
questo era particolarmente insolito dal momento che ad ogni minima
difficoltà il ragazzino si rifugiava sotto le lenzuola ,
accampandosi lì finché qualcuno non lo tirava fuori per
le orecchie pandose (la caporeparto-prosciutto) o convincendolo con le
buone maniere ( Louis stesso).
"Come mai sei così allegro oggi?" aveva chiesto improvvisamente
curioso l'altro, facendolo sobbalzare per l'inaspettata domanda.
Aveva scrollato le spalle con noncuranza, mentre un sorrisetto di chi la sa più lunga si allargava sul suo viso.
"Ti conosco troppo bene, Harry Styles, e non mi freghi..."
All'ennesima esortazione del più grande, il ragazzino si era
guardato intorno guardingo, forse aspettandosi di trovare telecamere
nascoste e cimici tra i monitor o sotto il cuscino, prima di aiutarsi
con le braccia a spostare il suo stesso peso verso il comodino,
controllare ancora che nessuno li stesse spiando, e aprire senza far
rumore il cigolante cassetto del mobile, come uno 007 in erba.
A quel punto anche Louis era divenuto curioso, ed era quasi rimasto
deluso quando il ragazzo-panda aveva estratto da sotto una pila di
riviste...
Un cellulare.
Nuovo di zecca, con la cover di gomma morbida rosso fiammate e dei
ghirigori nero scuro sopra, sul palmo di Harry stava l'ultimo modello
di iPhone, appena uscito in america e non ancora in commercio in europa.
Non era riuscito a trattenere un fischio ammirato.
" Sta minchia, che figata!"
Era una figata sì, il ragazzo lo sapeva bene: Lottie non faceva
che blaterare sulle sue app, i pixel della macchina fotografica, il
riconoscimento vocale, la connessione permanente ad internet...
Sua sorella si faceva mille illusioni, ma lui preferiva guardare in
faccia la realtà: nella situazione economica famigliare attuale
non si sarebbero potuti premettere nemmeno la confezione, figurarsi
quello che conteneva.
" Chi te l' ha regalato?"
aveva domandato pieno d'invidia, esaminandolo meglio da vicino e
provando una scossa di gelosia, quando Harry, stufo di giocare al gioco
dei mimi per rispondere a quella domanda e irritato dal fatto che
l'attenzione del giovane inserviente fosse altrove, glielo aveva
strappato di mano prima di digitare con dita incerte e tremanti, non
ancora completamente riabilitate della fisioterapia:
" Mio papà..."
Louis aveva letto il messaggio da sopra la spalla dell' altro,
realizzando in un battito di ciglia quel che quel semplice e costoso
cellulare poteva significare per loro: niente più conversazioni
unilaterali per il più grande, niente più sudate,
movimenti stancanti e lunghe attese per farsi capire per il
più piccolo, niente più limiti di tempo ed orari, niente
più "Devo andare, ciao" niente più weekend lontani ed
interminabili pomeriggi passati ad aspettare le sei...
Con 'quell'infernale marchingegno'
come lo definiva sua madre, mille e mille porte gli si spalancavano
davanti: interminabili discorsi su whats app, a partire dal
'buongiorno' quando avrebbe aperto gli occhi, fino ad addormentarsi con
la guancia contro lo schermo freddo e pieno di ditate del suo
vecchio telefono touch, con la testa nascosta sotto le coperte
per non fare troppa luce, le chiamate prima di andare a dormire, solo
per fargli ascoltare la sua voce, solo per tenergli compagnia
perché sapeva che dopo la fine dell'orario di visita, quando
calava la notte e le infermiere andavano a casa a ripulirsi dall' odore
di fumo e caffè, mentre le loro colleghe passavano a ritirare i
piatti vuoti della misera cena, prima di spendere la luce e chiudere la
porta del corridoio, l'ospedale faceva paura, tanta paura con il rumore
delle ambulanze che sfrecciavano avanti ed indietro dalla struttura e i
contorni indefiniti e minacciosi degli attrezzi nelle stanze, con i led
colorati degli apparecchi elettronici che ti fissano come creature
maligne pronte ad attaccare.
Harry gli aveva tirato una manica della divisa, richiamando così
la sua attenzione: sul display ancora protetto dalla pellicola spiccava
una scritta, testimone del fatto che erano così in sintonia da
pensare alle stesse cose e perdersi nelle stesse fantasie, spiegazione
di quel dolce sorriso imbarazzato che gli sfiorava appena le labbra.
"Mi dai il tuo numero?"
Louis si era ritrovato a ridacchiare come un adolescente alla prima
cottarella, mentre dettava piano il contatto telefonico e si tormentava
le mani in grembo, ansioso di vedere come il panda l'avrebbe salvato in
rubrica.
Era una cosa stupida ed estremamente infantile, ma non riusciva a non
preoccuparsene, e quando il ragazzino l'aveva denominato " Loueh"
aggiungendoci perfino un cuore alla fine, aveva ricominciato a
respirare liberamente, dal momento che aveva involontariamente
trattenuto il fiato fino a quell'istante.
Subito il suo cellulare aveva iniziato a vibrare, e lui stupito aveva
aperto il messaggio di Harry, che consisteva solo in una frase:
"Ciao"
Il più vecchio si sentiva leggero come un palloncino a elio,
mentre esitante salvava il nuovo contatto come "Hazza" e davanti allo
sguardo indagatorio dell' altro mormorava un serafico "oops!"
Per un po' era calato un silenzio imbarazzante, durante il quale
avevano entrambi evitato di guardarsi negli occhi per non arrossire o
ridere incontrollatamente per la vergogna immotivata che provavano.
Gli tremavano le ginocchia, sentiva caldo e le proverbiali farfalle
allo stomaco gli facevano venir voglia di alzarsi in piedi ed andare
via ballando.
Evita, gli consigliò premurosa la sua coscienza, e dì
qualcosa... Stai praticamente imbastendo una conversazione con te
stesso!
" É stato un errore mostrarmi quel telefono" aveva detto Louis,
schiarendosi la voce " adesso che ho il tuo numero ti annoiero' giorno
e notte, 24 ore su 24, sette giorni su sette senza pause feriali,
sfracellandoti i maroni e ulcerandoti i timpani con la mia vocetta
irritante..."
Il piccolo paziente aveva scosso la testa, iniziando lentamente a digitare una risposta:
" A me piace sentirti parlare... Non mi annoi per niente!"
" Adesso lo dici" aveva ripreso il moro con un improvvisa
amarezza che come veleno gli riempiva la bocca " perché sei
allettato e costretto in una stanza d'ospedale... Ma quando guarirai
tornerai a casa dai tuoi amici e riderai di quel patetico, sfigato,
psicopatico, lagnoso, tossico, emo e noioso di Louis Tomlinson e-"
Proprio nel bel mezzo della sua autocritica, quando stava per dare il
meglio di se' a svalutarsi e a rendersi miserabile, Harry l'aveva
fermato.
Era stato un'attimo: si era sporto verso di lui avvicinandosi
così tanto da sentire il calore del viso rosso dell' alto sulla
sua, stupita, confusa e totalmente ignara di ciò che stava per
accadere.
Erano così vicini, millimetri di distanza, la mente di Louis era
in standby, non connetteva, non capiva più nulla, tutto quello
che sapeva e che le labbra di Harry erano calde, tremanti e così
tanto, troppo vicine...
E poi si toccarono.
Non si mossero. Le labbra del ragazzo-panda premevano contro le sue,
non troppo duramente, ma nemmeno con troppa leggerezza, rimanendo
increspate in due sorrisi mentre si muovevano come in sperimentazione.
Per i dieci secondi che restarono lì, a bearsi dolcemente l'uno
del soave sapore dell' altro, il moro non riusciva a descrivere i suoi
sentimenti. Era come se tutto era stato rivestito con
'HarryHarryHarryHarry' e 'baciobaciobaciobacio'.
Non riusciva a pensare ad altro.
Con riluttanza, Louis si tirò via, timoroso che qualcuno potesse
vederli, di fare qualcosa di sbagliato, di avere un alito cattivo, ma
il più piccolo trascinò le labbra in avanti in modo da
mantenere il contatto per tutto il tempo che poteva, anche se ben
presto si arrese. Una volta che si separarono definitivamente Louis
appoggiò la fronte su quella di Harry. Aprì gli occhi per
vedere quelli verdi brillanti e scintillanti puntati verso di lui,
ballare con gioia, mentre quelle labbra ancora fresche della sua
impronta venivano strette tra i denti, come a voler assaggiare
ciò che rimaneva del suo sapore.
E in quel momento tutti gli iPhone e le parole del mondo erano inutili,
perché aveva tanto sognato, tanto sperato e si era tanto illuso
durante il sonno incantato dell' altro, e quando non l'aveva
cacciato, quando non l' aveva odiato, quando era diventato suo amico
lui era felice, era più di quello che si aspettava e anche se
lui non ricambiava i suoi sentimenti, sarebbe stato pronto ad essere
suo amico, il migliore amico che poteva essere come a sua volta aveva
fatto con Zayn, e gli sarebbe bastato.
Ma questo...
Non sarebbe tornato a casa, dimenticandosi per sempre di lui, facendosi beffe della sua colpa e del suo rimorso.
Non avebbe raccontato a tutti i suoi amichetti di scuola quanto miserabile, solo, e patetico fosse,.
Non avrebbe lasciato alle tenebre di inghiottirlo di nuovo,
soffocandolo ancora, trascinandolo in un abisso profondo di
disperazione e infelicità.
Non era un sogno.
Harry lo amava, era la realta' e Louis chinandosi ancora verso
quelle labbra si convinse di essere guarito, di essere libero, e decise
in quel momento, mentre mandava all'aria paure e prudenza, che per una volta poteva
smettere di sopravvivere ed iniziare a vivere.
Angolo Fin *w*
Saaaaaalve :)
Finalmente si sono dichiarati!!! *pepepepeeee pepepepeeeee facciamo il trenino!!*
Ed è uscito Midnight Memories!
Asdfghjjkl awwwwwwwwww *w*
E sabato sarò al cinema a vedere Catching Fire!!
Il mondo sarebbe perfetto e pieno di arcobaleni e unicorni se domani
quella nevrotica non m'interrogasse in chimica #misaleilporco
Abbiamo superato le 150 recensioni, signori e signore.
La sottoscritta plebea si prostra davanti a cotale maestria lol
Quindi grazie mille a Annie che si unisce ai miei vaneggiamenti
euforici per l'uscita di Catching Fire ( o Catching Firah, come direbbe
Leroy hmm) Caro e Prim, che saranno grate di trovarmi in versione fluff
per un altro capitolo ancora e sclereranno per i feelings e per il
fatto che ' non ho rovinato tutto', Kenz che spero sia felice del
maggior coinvolgimento che ha avuto Hazzino cuoricino in questo
capitolo, Lu e i pandaunicorni gay, specie protetta e barbaramente
usata per la loro coccolosa coccolosità per produrre cappelli di
lana, Swami che come me non ha il cappello (per protesta contro il
massacro dei pandaunicorni gay) Ila che ha la tigre etero (
perchè non shippa Larry lei) Veronica e Delia che finalmente
chiamo per nome #yaaaay marti_lala che non andrà in crisi di
astinenza e sopravviverà per un'altra settimana, Larry_Art che
farà come Karate Kid e sfonderà il suo televisore (
potresti proprio fare l'attrice... visto che spacchi lo schermo lol) e
last but not least Ele che quasi quasi mi preferisce in angst... Va che
torno in versione depressissima neh XD
Non provocatemi :P
Veramente, grazie mille, siete tutte delle persone fantastiche che nella vita di tutti i giorni sono difficili da trovare :)
#amassivethankyou
#urock!
Cami
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Capitolo 13 *** You'll Never Walk Alone ***
estratto cap bho
13. You'll Never Walk Alone
Datemi un buon motivo.
La testa di
Louis sbatteva contro il vetro duro e freddo del finestrino, ad ogni
buca e scossone che l'angusto e sporco pullman non riusciva a
evitare, procedendo a singhiozzo nelle strade deserte della città
che si stava ancora svegliando.
Era Lunedì.
Di nuovo.
Avrebbe
dovuto prepararsi per tre schifose materie, e non ne aveva fatta
neanche una.
Di nuovo.
Avrebbe fatto la figura dello scemo,
prendendo un altro voto inclassificabile.
Di nuovo.
Sua madre
si sarebbe incazzata a morte con lui, avrebbe alzato la voce
strillando come la sirena dell'ambulanza per almeno un quarto d'ora
facendogli venire un emicrania, e alla fine lui sarebbe uscito dalla
porta sul retro, sbattendola violentemente e facendo cadere quella
schifosa imitazione di vaso ming che stava sulla mensola sopra il
termosifone.
Non era una novità.
Sua madre avrebbe pianto fino
quasi a soffocarsi, mentre cercava di reincollare i pezzi del vaso
con la sottomarca di attack presa in offerta, poi si sarebbe tagliata
un dito e sarebbe crollata sul tavolo, singhiozzando isterica,
addormentandosi lì, dove il ragazzo l'avrebbe trovata all'alba,
mentre sgattaiolava di nascosto di nuovo dentro casa.
Per
l'ennesima volta.
E in più, come se questa deprimente prospettiva
non bastasse, aveva finito l'erba, l'unica cosa capace di
risollevargli il morale il lunedì mattina.
Datemi un buon motivo,
pensò di nuovo Louis mentre l'autobus lo conduceva lentamente al
patibolo.
Poi lo schermo del cellulare si era illuminato.
Gli
era arrivato un messaggino su What's App.
Di Harry,
ovviamente.
"Buongiorno"
"Mh" aveva
digitato l'altro, troppo scazzato perfino per rispondergli.
Poi
però si era sentito in colpa, e così aveva allungato la sua
risposta:
" Cosa fai di bello?"
"Mi annoio.
Gemma è tornata all'università, mamma è al lavoro e in più qui la
colazione fa schifo"
"Pensando a cosa mi aspetta
farei cambio con te subito"
"Anche io. Detesto la
solitudine, e qualcosa mi dice che questa mattinata la trascorrerò
tutto solo soletto"
Poco dopo aveva aggiunto anche uno
smile triste.
Louis invece aveva sogghignato fissando lo schermo,
mentre l'autobus si fermava davanti alla scuola e tutti meno lui
scendevano: aveva trovato un'alternativa migliore allo schifo di lunedì che lo aspettava.
Venti
minuti dopo ( tempo dell'autobus di raggiungere la fermata più
vicina all'ospedale e di Louis per comperare una colazione decente
per l'allettato, infilarsene in bocca metà, essere preso dal
rimorso, fare dietrofront rientrare nel negozio e comprargliene
un'altra) con indosso semplici abiti civili e le sue converse
scollate ai piedi, faceva il suo ingresso trionfale nella camera
17.
Era rimasto un po' sulla soglia, come ai primi tempi, per
spiare senza essere visto Harry, che stava guardando con scarso
interesse uno di quei talk show mattutino per casalinghe disperate e
vecchietti paranoici.
Aveva bussato, e quando il ragazzino lo
aveva visto, distogliendo lo sguardo dal televisore, si era aperto
nel più luminoso dei sorrisi, allungandosi sul comodino per
afferrare il telefono e iniziare a digitare rapidamente:
"Hey,
ma cosa ci fai tu qui???"
Il ragazzo aveva sorriso "Ti
ho portato la colazione, mi pare ovvio..."
Harry aveva
strabuzzato gli occhi davanti al croissanti al cioccolato ancora
caldo e fumante che il più grande gli stava tendendo.
"Spero
solo che rientri nella tua 'dieta' " aveva ridacchiato Louis,
soddisfatto della sua espressione felice.
Il ragazzino era
diventato titubante, rispondendo alla domanda dell'altro con una
stretta di spalle desolata, quasi a dire "non lo so".
"
Eddai, chissenefrega! Ci balli dentro in quel cazzo di pigiama!
Finirai per scomparire se non ingrassi un po', dico
davvero..."
Questo lo aveva convinto, e per un attimo in
camera era regnato il silenzio, mentre Louis spezzettava con le mani
la brioches in pezzettini piccoli che poi passava a Harry affinchè
potesse infilarseli in bocca e mangiarli senza soffocarsi.
Sembrava
di imboccare un uccellino.
"Come mai qui?" aveva
digitato Harry a fine colazione, macchiando lo schermo touch di
cioccolata.
"Come mai finito il cibo hai perso la gioia
con cui mi avevi accolto?" aveva ribattuto prontamente l'altro,
allungandosi per pizzicargli le guance.
" -.- Sono
serio" gli aveva sventolato il messaggio successivo sotto il
naso e aveva inarcato un sopracciglio, aspettando scettico una
risposta.
"Umh.... Sono uscito prima"
"Non sei
neanche entrato" era stata la risposta frenetica
dell'altro.
"Non è vero"
"Si che è
vero!"
"Sono le 8.25! Sei entrato, hai fatto il giro del
banco e sei uscito?" aveva lanciato il telefono sul letto,
incrociando le braccia con un espressione furente.
"Okay okay
mi arrendo!" aveva sospirato stanco Louis, alzando le mani in
segno di resa "Hai vinto Sherlock, ho attaccato a scuola. Vuoi
venire e farmi la predica come mia madre?"
Il ragazzo aveva
di nuovo stretto le spalle, come a dire "forse".
Il più
grande si era tolto le scarpe, per poi sdraiarsi sul letto con le
braccia incrociate dietro la nuca e i piedi a penzoloni.
Si era
soffiato via il ciuffo dalla fronte, per evitare che come sempre gli
rimanesse impigliato nel piercing al sopracciglio, prima di ammettere
a malincuore:
"Non mi trovo bene nella mia scuola,
okay?"
Harry aveva digitato qualcosa lentamente, come se
formulasse una domanda difficile, poi aveva tenuto il telefono
sospeso davanti ai suoi occhi, in modo che potesse leggere ciò che
aveva scritto senza cambiare posizione.
"E' per i tuoi
compagni?"
"Ma chi se li caga quel branco di sfigati"
aveva mormorato stancamente l'altro in risposta " E' per tutto.
I compagni. Gli insegnati. I voti. Tutto. La verità è che non ho
proprio la testa per studiare o preoccuparmi del rendimento in questo
periodo"
"E' a causa mia?" aveva digitato di nuovo
l'altro, turbato.
"Si e no" Louis si era passato una
mano sulla faccia "Tu sei una conseguenza, non una causa".
Harry gli aveva mostrato un punto interrogativo.
"Prima
del divorzio mi piaceva andare a scuola, anche se non andavo
benissimo. Anche quando i miei litigavano e piovevano insufficienze
ci andavo volentieri perchè trovavo i miei amici e per un po'
pensavo ad altro, ma poi con il trasloco e tutto il resto ho fatto
molta fatica ad ambientarmi" il ragazzo aveva ridacchiato
lugubre "Anzi, puoi dire che non mi sono ambientato, che
facciamo prima. I professori che spiegano in un modo diverso, libri
di testo nuovi, compagni che ti cagano quanto cagherebbero la
tappezzeria, un buco per appartamento diviso per 6 persone, i turni
al lavoro e scoprire che tuo padre ha ripetutamente tradito tua madre
negli anni di certo non hanno aiutato, ecco.
E di mio non ho mai
avuto molta voglia"
Aveva sospirato.
" So benissimo
che è importante, che ne va del mio futuro, che per andarmene da sto
posto di merda devo avere buoni voti eccetera eccetera eccetera... Me
lo ripete urlando mia madre ogni sera, e sinceramente a me
importa.
Quello che sfugge a tutti è che "mi importa" e
"riesco a farlo" non vuol dire la stessa cosa: quindi si,
mi importa, ma con tutto quello che è successo e che sta succedendo
proprio non riesco a impegnarmi. Okay?"
"Capisco"
aveva digitato veloce Harry, mentre la stanza sprofondava nel
silenzio.
Si era coricato anche lui vicino al ragazzo più grande,
sfiorandolo appena mentre appoggiava il cellulare sul letto e ci
giocherellava distrattamente.
Immersi nella quiete avevano sentito
passare un'infermiera con il carrello delle medicazioni, con le ruote
pesanti che scivolavano sul lineolum dell'ospedale.
"E tu?"
Louis si era sentito quasi in dovere di rompere il silenzio con
quella domanda, dal momento che Harry sapeva tutto di lui, mentre lui
ignorava gran parte della sua vita prima dell'incidente.
"Eri
bravo a scuola?"
Il ragazzino aveva riflettuto un attimo,
prima di scrivere velocemente con le dita agili " Me la cavavo.
Ero bravino"
Esitò di nuovo.
"Ero in biblioteca per
studiare per la verifica di biologia quando mi hai investito"
Harry lo scrutava preoccupato di aver urtato i suoi sentimenti, o di
averlo fatto infuriare, fissandolo attentamente in volto per
decifrarne la mimica facciale.
L'altro aveva stiracchiato un
sorriso pigro, colpendolo piano al braccio e commentando "Vedi?
Io l'ho sempre detto che lo studio fa male"
Dalle labbra di
Harry era uscito una specie di sbuffo, prima che il ragazzo si
tappasse violentemente la bocca con entrambe le mani, mentre le
spalle sussultavano e gli occhi lacrimavano.
Louis all'inizio si
era preoccupato un po', ma poi l'aveva capito: stava ridendo.
Si
era unito a lui, stupito, leggero, sghignazzando di cuore per almeno
10 minuti buoni, perchè ogni volta che i loro sguardi si
incrociavano ricominciavano di nuovo a ridere, lui a voce alta, la
testa gettata all'indietro sul cuscino e gli occhi chiusi, l'altro
con una mano che teneva lo stomaco e una sulla bocca, silenzioso ma
eugualmente divertito.
Quando l'accesso di risa si era spento e la
camera era ripiombata nel silenzio tranquillo dell'ospedale, il più
vecchio aveva chiesto con un tatto che non aveva mai dimostrato verso
altri:
"Perchè ti tappi la bocca quando ridi?"
Il
più piccolo aveva agitato la mano con noncuranza, come a dire "non
importa"
"Non ti avrò mica fatto saltare anche qualche
dente?" aveva chiesto di nuovo l'altro, sinceramente
inorridito.
L'unica risposta che ottenne fu il rumore di un
risucchio, un verso strozzto e altre risate mute e soffocate.
Louis
aveva aspettato che Harry smettesse, attendendo paziente una
risposta.
"Ho paura di sentire di nuovo la mia voce"
Gli
aveva lasciato tutto il tempo che voleva per digitare quella semplice
e dolorosa risposta, ma con tutta la comprensione del mondo non
riusciva a capire quella frase.
"Perchè?"
"Perchè
si"
"Spiegati meglio, continuo a non capire"
"
E se fosse diversa? E se non si capisse più niente quando parlo? E
se parlassi come un cavolo di sordomuto?"
Louis aveva
allontanato con decisione il telefono, strappandoglielo di mano e
appoggiandolo sul comodino.
" E se invece Vostra Grazia ci
degnasse della sua favella e scoprisse che tutto è come prima?"
Il ragazzo non sembrava convinto.
"Dai... Andrà tutto
bene" l'aveva attirato a se', accarezzandogli piano le orecchie morbide
dell'inseparabile cappello, che celava la rada peluria che ricominciava
a coprirgli la testa rasata.
Intanto
pensava, pensava alla voce di Harry.
Si chiedeva come fosse.
Nella
sua mente, quando leggeva i suoi messaggi o ciò che scriveva per
comunicare con lui, riusciva a sentirla, ma era una sensazione
talmente ingannevole e offuscata che ogni volta che cercava di
metterla a fuoco o a ricordarla gli scivolava tra le dita, come
sabbia sulla spiaggia.
Gettò un occhiata veloce e discreta
all'esserino pelle e ossa sdraiato di fianco a lui, con la testa
appoggiata alla sua spalla e gli occhi fissi al soffitto: nonostante
il ricovero l'avesse indebolito e rattappito, non si poteva di certo
negare che fosse alto per la sua età, e che crescendo sarebbe
diventato ancora più alto e imponente.
Uno con una stazza così
non poteva avere la voce da topino di Cenerentola, ma non era così
grande da far pensare che avesse una voce cavernosa e spaventosa,
come quella usata dai doppiatori per i 'cattivi' dei cartoni
animati.
Louis cercò di immaginarselo, focalizzando nella sua
mente i primini che frequentavano il suo stesso istituto, che spesso
intasavano i corridoi con le loro grida e i loro drammi
adolescenziali sbandierati ai quattro venti.
Rabbrividì.
E se
Harry fosse stato come loro?
Quella parlantina strafottente, che
metteva l'accento su tutte le vocali disponibili, infarcita di
termini stranieri, di parolacce ( tiravano un "cazzo" e
porconi vari ogni due parole) e di parole gergali assolutamente
vergognose come "lol" "zio" "yo bro" e
chi ne ha più ne metta.
Avrebbe anche lui parlato solo ed
esclusivamente di quanto si sbatteva il sabato sera, di quanto era
fuori dopo quella canna o di come non si ricordava niente?
Non
aveva niente da ridire a quelli che "si tiravano scemi" la
sera, lui era uno di quelli, ma non andava a sbandierarlo ai quattro
venti, mentendo a tutti quando in realtà era stato a casa con
mammina e papino tutta la sera a giocare coi Pokemon.
No, se Harry
parlava così forse era meglio stesse zitto.
Però di solito,
pensò il ragazzo confutandosi da solo, si tende a scrivere come si
parla, e nei loro messaggi non era presente neanche un abbreviazione,
niente "cm stai? Hhìhìhìhìhìh11!!" o schifezze
varie.
Magari valeva la pena parlasse.
Magari.
Di fianco a
lui il paziente sospirò.
Louis si mise lentamente in piedi,
stiracchiandosi come un gatto al sole, prima di picchiettare
gentilmente sulla spalla dell'altro.
"Forza, facciamo un po'
di esercizio" aveva esclamato, offrendosi volontario ed
eseguendo senza costrizioni un qualcosa che gli era stato imposto per
la prima volta in tutta la sua vita, qualcosa che doveva ammettere,
neanche troppo sotto sotto gli piaceva, che veniva accolto con un
sorriso sulle labbra e una sensazione strana nello stomaco "
Prima che qualcun'altro mi dia dello sfaticato per l'ennesima
volta"
Erano
passati due Lunedì.
Il primo Lunedì Louis si era recato a scuola
con il cuore pesante, un broncio di due chilometri e l'aria
palesemente insofferente.
Lui lì non ci voleva stare.
Harry lo
aveva spinto (anzi costretto) ad andare, riempiendogli la chat di
whats app con messaggi minacciosi e inquietanti su cosa gli sarebbe
successo se non si fosse presentato a lezione.
Gli aveva fatto una
testa tale che lui aveva ceduto.
Quando poi aveva capito di averlo
convinto aveva iniziato ad incoraggiarlo e a confortarlo, manco
stesse correndo una maratona.
All'inizio il più grande era
irritato dall'atteggiamento buonista e moralista dell'altro, ma la
verità era che era tremendamente spaventato all'idea che Harry
esercitasse su di lui un'influenza tale.
Era come avere un
"angioletto delle buone azioni" appollaiato sulla spalla,
che suggeriva buone azioni e cose giuste da fare sussurrandole
incessantemente al tuo orecchio.
Nonostante questo Louis aveva
messaggiato con lui tutto il giorno, perfino durante la pausa pranzo
che di solito era trascorsa in religioso silenzio ad ascoltare una
playlist appositamente composta per quel momento della giornata.
Quel
Lunedì il ragazzo non aveva nemmeno pensato al suo iPod e alla sua
musica, mentre con una mano scriveva all'allettato e con l'altra si
ingozzava vorace seminando pezzettini di pomodoro e insalata per
tutto il suo tavolo: le parole che si scambiava con Harry erano più
importanti.
Non aveva smesso di scrivergli neanche durante le
lezioni, nemmeno mentre l'autobus di linea lo scaricava davanti
all'ospedale, e anche durante il suo turno nel reparto geriatrico
Louis aveva continuato a scrivergli.
Aveva smesso solo quando
aveva varcato la soglia bianca della stanza 17.
Perchè pian piano
si rendeva conto che niente gli importava, tranne lui.
Il secondo
Lunedì l'aveva rischiata grossa, perchè sapeva di dover
essere interrogato: non aveva neanche un voto e i consigli di classe
per le pagelle si sarebbero tenuti da lì a una settimana...
In sintesi era spacciato.
Però le minacce di Harry, ma soprattutto la paura di deluderlo,
di renderlo scontento e di fargli una brutta impressione ( l'aveva
investito ubriaco marcio con una macchina rubata, spiandolo
ossessionato come il peggiore degli stalker mentre era in coma, e si,
ancora si preoccupava di cosa pensava di lui e di fare in modo di
impressionarlo) l'avevano fatto alzare dal letto, lavarsi, vestirsi e
salire sul pullman nella catalessi più totale.
Solo quando si era svegliato alla seconda ora, comodamente svaccato sul
freddo compensato, al terribile suono della campanella, si era reso
conto dov'era e cosa stava per succedergli: aveva pensato se c'era
qualche disperata scappatoia che poteva intraprendere, come salvarsi,
se era davvero spacciato, ma...
Non gli era venuto in mente nulla.
Era finito, aveva chiuso, the end, morto, kaput...
Si era alzato di scatto, correndo verso la porta per provare a scappare
in extremis dalla finestrella del bagno, ma aveva quasi avuto un
frontale con l'enorme pancia flaccida e obesa del professore di
economia, che l'aveva acciuffato per il cappuccio della felpa,
sollevandolo quasi da terra, e ghignando serafico "Andiamo da qualche
parte, Tomlinson?"
Merdamerdamerdamerdamerda.
"Al bagno" aveva mugugnato lui.
"Io non credo proprio" l'aveva spinto all'interno della classe,
chiudendo la porta dopo di lui senza lasciargli via di fuga, e con
questo anche nessun barlume di speranza.
Gli odiava lui, i professori.
Tutti uguali, con quell'aria da snob, la loro ventiquattrore griffata (
e poi si lamentavano della loro misera paga) e il caffè caldo
delle macchinette sempre in mano, nonostante fosse vietato dal
regolamento d'istituto consumare cibi o bevande in classe.
O usare il telefono e messaggiare nel bel mezzo delle interrogazioni, o telefonare a casa per il compleanno del nipotino.
Chi dava loro il diritto di credersi superiori? Le regole valevano per tutti, loro compresi.
Ma loro si credevano una specie eletta da Dio per illuminare gli
studenti e riportarli sulla retta via, per assicurare al mondo un
futuro migliore e dormire tranquilli la notte rassicurati dalle loro
nobili intenzioni.
La verità?
La ragazza sovrappeso che il professore di educazione fisica costringe
a correre di più degli altri, "per il suo bene", non é
grassa per cosa mangia o quanta attività fisica fa, ma
perché ha una disfunzione endocrina.
Il ragazzo sempre ritenuto insufficiente a causa delle date
storiche appena mormorate davanti al professore gonfio di rabbia,
non "potrebbe studiare di più" perché le cose le sa' ma
soffre di balbuzie e gli strilli isterici del patetico docente e le
risate dei compagni non giovano.
L'ultimo arrivato, approdato chissà come e chissà dove da
una nazione straniera, non é che non fa i compiti per
svogliatezza o per strafottenza: probabilmente a casa non ha neanche
una scrivania, e anche se l'avesse non riuscirebbe a combinare niente
dal momento che conosce due termini in croce della nostra lingua.
La triste verità é che tutto quello che spinge gli insegnanti ad agire sono i soldi.
Soldisoldisoldisoldi.
Sempre soldi.
L'unico motivo per cui tirano avanti, presentandosi tutti i
giorni al lavoro e usando come valvola di sfogo i propri studenti.
Altro che guide nel sentiero della luce: erano i più valorosi cavalieri oscuri...
E Mr Flambert non era certo da meno.
Dopo aver sbattuto la porta dietro di se', e lasciato andare il cappuccio di Louis, aveva esordito con:
" Bene bene bene... Finalmente ho l' onore di incontrarla, signor Tomlinson. A cosa devo la sua presenza?"
Il ragazzo, al tono canzonatorio dell'insegnante si era morso la lingua
per non rispondere male, tornando mestamente al suo posto.
" Dove sta andando?"
" A sedermi"
" No, no, lei resta qua. Si sieda qui" il disgustoso ometto aveva fatto
segno al ragazzo di sedersi alla cattedra, e Louis riluttante aveva
obbedito.
Non prometteva nulla di buono.
Una volta seduto al posto del docente, questi gli aveva chiesto con aria maligna:
" Dunque Signor Tomlinson..."
" Solo Louis" si era schernito, ma l'altro aveva fatto le orecchie da mercante e aveva continuato.
" Signor Tomlinson, cosa vede?"
" Come scusi?"
" Guardi davanti a sé... cosa vede?"
" I miei compagni" aveva mugugnato lui controvoglia, cercando di non prestarsi ai suoi sporchi giochetti.
" Guarda meglio"
" Studenti?"
Il professore si era cimentato in un piccolo applauso sarcastico.
" Si! Si! Studenti, signor Tomlinson. E sa qual' é la caratteristica peculiare di uno studente?"
Louis era rimasto in silenzio, cercando di capire dove quel bizzarro discorso andasse a parare.
" Gli studenti.... studiano, signor Tomlinson"
Qualche timida risatina era serpeggiata tra le file della classe,
annebbiando la vista del povero martire che tremava dalla rabbia e
dall' umiliazione di essere sfottuto e di perdere la faccia davanti a
tutti.
" Lei si ritiene uno studente, signor Tomlinson?"
" Si"
"Lei ritiene di far parte di questa classe, signor Tomlinson?"
" Si"
" Questo quindi, a rigor di logica, equivarrebbe a dire che lei ha studiato, non é così?"
Silenzio.
" Non può negare, signor Tomlinson, secondo il sillogismo
aristotelico lei essendo uno studente ed appartenendo a questa classe
deve aver studiato... Lei nega di appartenere a questa classe?"
" No"
" Nega di essere uno studente?"
" No"
" Quindi di conseguenza ciò vuol dire che lei ha studiato, e cosa che vedremo subito di dimostrare"
Nell'aula era caduto un silenzio tombale, e Louis aveva capito di
essere solo, senza la solidarietà dei compagni, destinato a
fallire e, notando il ghigno molle che deformava il faccione di Mr
Flamber, spacciato e costretto alla più crudele delle torture.
Aveva sospirato rassegnato, mentre i suoi compagni si sistemavano
più comodamente che potevano, pronti ad assistere alla sua
disfatta, e Louis aveva capito di essere fottutissimamente fottuto.
" E allora quel coglione avariato ha cominciato a sfogliare il registro
con le sue dita pelose a salsiccia ' Chissà quanto indietro devo
andare con gli argomenti... Dicembre? Settembre? La prima media? Le
elementari? L'asilo?'...
Ma chi si crede di essere?! E poi ha cominciato ad interrogarmi davvero
sul programma di settembre, e io a settembre manco c'ero in quella
classe!
Ci ha messo tipo mezz'ora perché continuava a commentare con la sua vocetta nasale ogni parola che dicevo..."
Louis aveva premuto il cellulare tra la spalla e l'incavo del collo,
accendendosi la terza Malboro nel giro di un quarto d'ora e cercando di
trovare una posizione confortevole sulla rigida panchina del parco.
" Giuro" aveva poi mugugnato, il filtro tra le labbra e l'occhiata di
biasimo del nonnino bigotto che leggeva il giornale di fianco a lui "
Non riuscivo a pensare niente che non fosse ' sono fritto' e
proprio mentre lui era al massimo del godimento per la sua tortura
sadomaso... DRIIIIN!"
Il ragazzo tatuato era esploso in un ilare risata che aveva fatto
fuggire una coppia di piccioni appollaiati sul ramo di un albero alle
sue spalle " La simulazione anti-incendio!" aveva boccheggiato, prima
di ricominciare a sghignazzare incontrollatamente.
Normalmente l'episodio avrebbe divertito Harry, che dall' altro capo del telefono non si perdeva una parola, tanto da farlo
lacrimare, ma tutto quello che il ragazzo tatuato aveva ottenuto quel giorno era un triste e laconico sospiro.
Ma Louis non si era fatto scoraggiare:
" Pensava di fregarmi, quello stronzo ammuffito, ma io mi sono
imboscato tra i primini senza che mi vedesse e sono uscito dalla
finestra dei bagni al piano terra"
Aveva spento la cicca a terra, la Malboro già finita grazie alle
sue profonde 'tirate' prima di continuare trionfante " Sono andato alla
sua patetica bici da donna, che probabilmente risale all' anteguerra,
mi sono guardato in giro per controllare che non ci fosse nessuno, mi
sono calato i pantaloni e... ho pisciato nel casco"
Era esploso in un' altra risata e il vecchietto aveva chiuso il
giornale con fare seccato, prima di alzarsi e zampettare via con aria
impettita.
La sua ilarità era finita presto, sentendo il silenzio del suo interlocutore.
Aveva sospirato.
" Dai Harry, non fare così... Pensa a quel picio di Flamber e alla sorpresina dentro il suo caschetto sfigato!"
Silenzio.
" Hanno soppresso tutti i pullman, te l'ho detto..."
Silenzio.
" Domani mi farò perdonare: passero' con te tuuuutto il
pomeriggio, promesso. Faremo tanti esercizi, tu camminerai e la
dottoressa sarà contenta e la smetterà di prendersela con
te. Okay?"
La guerra fredda tra la fisioterapista e il piccolo paziente aveva
raggiunto picchi inimmaginabili: lui si trincerava dietro al suo
sprezzante silenzio, e lei lanciava commenti acidi sull'
incapacità di Harry nel deambulare, cogliendo il fatto che il
ragazzo era impossibilitato a relazionarsi con lei per fraintendere
(apposta, supponeva Louis) tutte le mute risposte che il paziente gli
dava.
Un altro sospiro anelante nella cornetta.
"Mi manchi anche tu" aveva mormorato piano il più grande, quasi
incapace di pronunciare quelle parole "Domani ci vediamo. Dovessi
farmela a piedi. E a proposito, é meglio che mi avii verso casa
o non arrivero' mai in tempo per la cena..."
Grugnito d'approvazione.
"Dai, dammi un bacio"
C'era stato un lieve sciocco dall' altro capo del telefono, e il ragazzo tatuato si era sentito arrossire.
" Ci vediamo domani, panda... Mandamene un altro dai. Mi manchi così tanto!"
Una specie di ringhio lo aveva fatto ridacchiare: non era proprio dell' umore.
" Okay, okay, sto andando! Me ne vado. A domani, panda. Ti amo"
Incamminandosi verso l'uscita del parco prima di chiudere
definitivamente la chiamata, era certo di aver sentito un altro
schiocco nel ricevitore, molto più dolce e intimo.
E Louis sorrise.
Valeva più di mille 'ti amo'
"... Mamma?"
La donna, stanca e provata, aveva alzato gli occhi dalla pila di bollette e scontrini della spesa che aveva in grembo.
Stava facendo i "conti della serva", cercando di pareggiare le spese della settimana con il loro bilancio economico.
Era strano vedere il figlio in casa, e ancora più strano era il
fatto che si aggirasse fuori dall'angusto ripostiglio che la sua
coscienza, per alleggerirsi, continuava a chiamare stanza.
" Che c'e?" il 'tesoro con il quale solitamente avrebbe terminato la
frase le era rimasto incastrato in gola: amava da morire Louis, il suo
eterno bambino, sempre allegro e in movimento come un vulcano, ma a
volte lo odiava.
Lo odiava perché si stava rovinando, perché stava
buttando via la sua vita, per i suoi tatuaggi e piercing, perché
a volte glielo sentiva sui vestiti l'odore di fumo, alcool e marijuana,
perché dormiva in un buco, perché aveva una madre indegna
che lo faceva soffrire...
Lo amava così tanto da odiare se stessa per il male che aveva fatto, a lui e alle altre sue figlie.
Una volta, quando i suoi "momenti no" ero sporadici e relativamente
contenuti, era facile dimenticarselo, adesso invece si ritrovava a
cercare di ricordare suo figlio nei "momenti si" per cercare una sua
ombra nello sconosciuto che le stava davanti.
"Come si insegna ai bambini a camminare?" la voce seccata e imbarazzata di Louis l'aveva riportata al presente.
"Come scusa?"
"Come si insegna ai bambini a camminare?"
" E perché vuoi saperlo?" aveva chiesto lei dubbiosa sull' interesse di suo figlio in materia bambini.
"Mi serve per un approfondimento a scuola"
" Per quale materia?"
"... Puericoltura..."
La donna aveva soppesato la risposta mentre il suo interlocutore sosteneva fieramente il suo sguardo azzurrino specchio del suo.
"Louis... non ci sono corsi di puericoltura nella tua scuola!"
Il ragazzo, colto in flagrante si era voltato per andarsene, scattando seccato:
" Se non vuoi rispondermi bastava dirlo!"
" No! Aspetta!" lo aveva quasi pregato la donna, che fremeva dalla
voglia di avere una conversazione normale madre-figlio, come non
accadeva da tempo " Aspetta. Ero solo curiosa..."
Louis si era fermato sulla soglia, voltandosi appena verso di lei, che pensierosa aveva iniziato a parlare:
" Bhe, l'espressione 'insegnare' a camminare non é esattamente
corretta, perché più che qualcosa che si apprende
é un qualcosa di istintivo, insito in noi...
Innanzitutto non puoi far camminare un neonato di due settimane, ma
nemmeno forzare uno di dieci mesi: ognuno ha i suoi ritmi, camminera'
quando si sentirà pronto.
Il compito del genitore é rassicurare il bambino, tenerlo per le
mani, guidarlo, sostenerlo, pronto ad afferrarlo al volo in caso di
caduta...
Come quando avevi sei anni e papà ti insegnò ad andare in
bicicletta, e tu avevi paura di cadere e lo pregavi di continuare a
tenere il sellino.
Bhe, quando lui capì che eri pronto, senza dirti nulla lascio' andare il cestino. E sai cosa successe?"
"Mi ricordo" aveva tagliato corto il teenager " Mi sono schiantato contro un albero... Non mi aveva detto quali erano i freni"
" Ma la cosa importante é che hai imparato ad andare in bicicletta, Louis"
Il ragazzo, che senza accorgersene si era seduto sul bracciolo del
divano durante la spiegazione, si era alzato stiracchiandosi e
dirigendosi al piano superiore.
"Grazie mamma, sei stata molto utile"
" Louis!" gli gridò dietro la donna saltando a conclusioni affrettate " Non avrai mica messo incinta qualcuno?!"
Dalla tromba delle scale era rieccheggiata una sonora risata, e la
donna riprendendo in mano le sue carte aveva sorriso, desiderando con
tutto il suo cuore di condividere sempre più " momenti si"
La carrozzina sbandava qua e la mentre l'inserviente camminava, anzi,
volava attraverso il corridoio, urtando medici e ignari visitatori che
si interponevano tra lui e il suo geniale piano: dopo la chiacchierata
con sua mamma ci aveva pensato tutta la notte, girandosi e rigirandosi
tra le lenzuola ruvide senza riuscire a prender sonno, fino all'
illuminazione.
Era rischioso, complicato, ma Louis voleva provarci.
E così si era ritrovato a supplicare a inizio turno la caposala
per ottenere il permesso di uscire, e in seguito la fisioterapista per
aver in prestito una sedia a rotelle e l'approvazione e autorizzazione
per la sua grande impresa.
E mentre filava a tutta birra verso la 17 non poteva che complimentarsi con se stesso.
" Buongioooooorno" aveva strillato, entrando di volata nella stanza,
frenando strisciando le lise converse sul pavimento, producendo un
rumore stridulo e due linee che scalfivano lineolum.
" Principessa, é arrivata la vostra carrozza a prendervi!"
Harry, a quel trambusto era sobbalzato violentemente, prima di fissare Louis con gli occhi sgranati sotto il berretto a panda.
" Vedi? Io mantengo sempre le mie promesse... E siccome devo farmi perdonare..."
Il ragazzo si era diretto verso il letto, aiutando l'altro a sistemarsi
sulla carrozzina, prima di raccomandargli, con un sorriso terribilmente
malizioso stampato in faccia, " Tieniti forte..." e partire
a tutta velocità verso l'imboccatura del corridoio, ululando "
Pistaaaaaa fate largo fate largo fate largoooooo" mentre volavano alla
velocità della luce su e giù per corridoi, atrii, nell'
ascensori e ancora daccapo.
E il piccolo paziente, una mano attaccata all bracciolo della sedia a
rotelle e un altra premuta sul berretto per evitare che volasse via,
rideva muto, ma con i denti bianchi in mostra e con gli occhi
spalancati: Louis sapeva come farsi perdonare.
La loro folle corsa era durata una ventina di minuti, prima che l'
energia del più grande si esaurisse del tutto e lo riducesse a
una massa sudata ed arrancante.
Dopo qualche minuto aveva spinto una porta antincedio che stava in
fondo alla fine di un corridoio di un reparto deserto e assolato.
La meraviglia di Harry era stata indescrivibile quando aveva intravisto dalla soglia un giardino.
Certo, era un po' spelacchiato, con le piantine dei fiori così
colorate e rigide da sembrare finte, l'erba di un giallastro malsano e
le panchine scrostate, ma era comunque un giardino, e si vedeva
l'azzurro del cielo, lo stesso degli occhi di Louis, e il sole che
splendeva in alto, sfiorandogli appena il viso con il suo tepore mentre
il vento gli spettinava i capelli, portando con se' il cinguettio degli
uccelli, appollaiati tra le travi del tetto e sulle tegole della
struttura.
Non si vedeva nulla di tutto ciò dalla sua stanza.
Non si vedevano né il cielo blu né gli uccelli volare, e
seguendoli con lo sguardo Harry si sentiva un groppo alla gola: gli era
mancato così tanto vedere i colori, che sembravano venir
inghiottiti in quel bianco asettico, sentire un odore diverso da quello
della formaldeide e voci amiche che non erano quelle gravi e severe dei
medici annunciatori di morte o speranza.
Era come prigioniero, e l'unica cosa che poteva far breccia nelle sue
carceri, l'unica cosa che lo aiutava ad evadere da quella stanza bianca
che sapeva di disinfettante, erano gli occhi blu di Louis che
sembravano portare il cielo all' interno , e l'odore del suo dopobarba
e del sapone che usava nel lavare i vestiti.
Anche in quel momento, nonostante fosse fuori dall' angustia struttura,
e si trovasse all' aria aperta, il ragazzo-panda si sentiva legato con
pesanti catene a quella maledetta sedia a rotelle, testimone del vile
tradimento della sue gambe, unica cosa che ancora lo legava a quel
posto di morte e sofferenza.
Ma Harry non ci pensava, e contemplando il cielo si sentiva per una
volta libero come il vento e infinito e senza confini come il cielo,
che si rifletteva nei suoi occhi desiderosi di spiccare il volo.
Louis lo guardava da lontano, ammirando la sua espressione rapita e il
suo viso colmo di stupore, come un bambino davanti a un regalo
inaspettato, mentre cercava di riprendere fiato e fi ritrovare le forze
per mettere a punto il suo piano.
Aveva aspettato che Harry si abituasse al nuovo ambiente, prima di
saltare in piedi dalla panchina dove era rimasto afflosciato a peso
morto per più di venti minuti, dirigendosi verso il piccolo
paziente con fare deciso:
"Forza! Siamo pronti a fare un po di esercizio?"
L'altro aveva strabuzzato gli occhi incredulo mentre veniva rapidamente
sollevato dal più grande e trasportato nel bel mezzo del
giardino.
" Avevo promesso che mi sarei fatto perdonare, ma anche che ti avrei fatto camminare: quindi vediamo di darci dentro!"
L'inserviente aveva afferrato le piccole mani dell' altro, prima di
allontanarsi un poco da lui, che gracchiava versi incoerenti dalla
paura, fino a stendere completamente le braccia.
"Ehi, ehi, ehi.... Sta' calmo" la voce forte e rassicurante di Louis
era vibrata nell' aria, raggiungendo il suo corpo in preda ai tremiti "
Non aver paura: non ti lascio andare. Non ti faccio cadere. Sono qui
per aiutarti, perché lo so che hai tanta paura, ma io credo in
te e so che c'è la puoi fare. É normale avere paura Haz,
ma io sono con te, e non ti permetterò che ti accada nulla di
male"
Le sue parole si erano diffuse nel suo corpo come un benefico balsamo,
sconfiggendo il panico e scacciandolo in fondo al suo cervello, in un
angolino così stretto e buio che quasi ci si poteva dimenticare
della sua esistenza.
Harry aveva guardato Louis, ancora insicuro e dubbioso sul da farsi.
" Non guardare in basso, guarda me. Se hai paura di camminare guarda
me: non stiamo camminando Haz, stiamo ballando. Scegli tu la musica,
scegli tu il ritmo e la durata, solo... balla con me"
Lentamente Harry aveva annuito, prima di tuffarsi nell'
immensità degli occhi dell' altro infiniti come il cielo e
profondi come il mare, fino a calmarsi completamente, fino a ricordarsi
che c'era un mondo fuori da quelle quattro mura scrostate, e lo stava
aspettando, e Louis ne avrebbe potuto far parte...
" Dì al tuo cervello di dire alla tua gamba di muovere il tuo piede"
Piano piano il piede sinistro del più piccolo si era staccato
dal suolo, muovendosi con lentezza inesorabile verso quelli del ragazzo
più grande, mentre entrambi trattenevano il fiato.
Quando finalmente la pantofola si era posata sull' erba soffice, Louis
aveva mormorato, l'orgoglio che gli sprizzava da tutti i pori:
" Bravissimo cupcake, adesso anche l'altro, coraggio..."
Avevano iniziato una danza lenta e sensuale: Harry si avvicinava piano,
gli occhi fissi in quelli dell' altro, come due anime allo specchio,
mentre Louis si allontanava piano, senza però andarsene mai, le
dita intrecciate alle sue e i palmi sudati a contatto, come un bacio in
un temporale estivo.
Poi Louis aveva rotto il silenzio, cercando di alleggerire la tensione:
" Vieni dallo zio Louis bel bambino, ghitighitighiti, vieni dallo zio, dai vieni..."
L'altro era rimasto serio e concentrato nei suoi piedi che
volteggiavano sull'erba, scoraggiando l'altro che aveva mormorato
ancora:
"Adesso ti ho slegato i piedi, un giorno ti sleghero' anche la lingua..."
Il piccolo paziente aveva roteato gli occhi, per poi alzarli al cielo
in un silenzioso " See come no" mentre Louis ridacchiava sotto i baffi
per la teatralità delle reazioni dell' altro.
" Non ci credi?"
Harry aveva mimato 'no' con la testa.
" E così tu osi diffidare del caro vecchio Louis, uh?"
Stavolta aveva annuito.
" La tua malafede mi offende nel profondo. Potrei perfino considerare l'idea di andarmene e piantarti qui"
La serietà con cui aveva detto queste parole aveva spaventato il
ragazzino, che con un verso strozzato aveva piantato le unghie nei
palmi dell' altro, facendolo strillare dal dolore.
" Ahi! Cazzo Harry mollami! Fa malissimo!!! Guarda che stavo
scherzando" aveva continuato più calmo " Non ti lascerei mai
andare, se non sei pronto. Non voglio forzarti. Non devi camminare per
me, perché io posso, voglio, aspettarti, perché te lo
meriti e devi prenderti i tuoi tempi, devi farlo per te, perché
vuoi guarire, perché vuoi tornare a casa e..."
Il serissimo discorso del ragazzo tatuato, che aveva fatto arrossire il
ragazzo-panda fino alle orecchie e ridotto le sue ginocchia a una
mozzarella tremolante, era stato interrotto da un rumore sospetto.
'Sciak'
Il ragazzino aveva abbassato gli occhi a terra, e Louis aveva seguito
il suo esempio, solo per trovare la sua vecchia e lisa converse destra
immersa in una cacca.
Una cacca di cane.
Una grossa cacca di cane, che si stagliava sul giallastro dell'erba con un contrasto netto, e impossibile da non vedere.
Peccato che Louis stesse camminando all' indietro.
Normalmente avrebbe urlato, dato un calcio a qualcosa mentre imprecava,
sputato a terra, bestemmiato, prima di camminare via, furibondo non si
sa con chi o con cosa, con l' incazzatura che lo avrebbe tormentato per
ore, rendendolo irritabile e intrattabile.
Ma stavolta era diverso, qualcosa era cambiato, qualcosa era successo:
una dolce melodia era risuonata nell' aria, zittendo il cinguettio
degli uccelli invidiosi, fermando il vento e riducendolo in ascolto e
facendo tremare il cuore di Louis.
Era un suono bellissimo, delicato e cristallino ma allo stesso tempo
sfrenato, selvaggio e spontaneo, allegro ma non maligno, divertito ma
anche effimero.
Era come se la felicità più pura uscisse dalle labbra
dell' altro e si trasformasse in musica: la testa gettata all'
indietro, per una volta priva dal berretto che giaceva per terra, nel
prato, lontano da quei primi, spelacchiati e cortissimi ricci castani
che lentamente stavano ricrescendo, gli occhi chiusi contro l'invadenza
del sole che attraverso le sue ciglia disegnava fini ombre sul suo viso
delicato, illuminato da una luce nuova, che spazzava via le tenebre nel
cuore dell'altro, che assisteva basito a questo piccolo miracolo, a
questo rumore di selvaggia libertà, di pura euforia, il suono
più meraviglioso e bello del mondo: una risata.
Era riuscito senza nemmeno provarci sul serio a " sciogliergli la lingua".
Harry Styles stava ridendo.
E mentre ascoltava per la prima volta la sua voce, non troppo
infantile, non troppo adulta, che Louis aveva capito che per una volta
poteva dire di aver combinato qualcosa di buono, che per una volta i
suoi piani erano andati per il verso giusto, per una volta c'è
l'aveva fatta...
Si era unito alla risata dell' altro, neanche lontanamente arrabbiato
anzi, sentendosi leggero come un palloncino gonfio di felicita.
Aveva tutte le ragioni per farlo.
Angolo Fin *-*
Hey Hey pimpe pelle :)
Posso amarvi? 172 recensioni...
Se fosse legale vi sposerei tutte.
Vi farei monumenti d'oro.
Vi farei i regali di Natale più costosi.
Mi offirei come tributo volontario al posto vostro agli Hunger Games...
Non divaghiamo. Sennò con Catching Fire e tutto il resto qua sclero, ma di brutto brutto brutto lol
Cosa posso dirvi? Questo
capitolo è particolarmente dedicato ad un certo professore che
io e Leeroy hmm abbiamo ben presente.
Diciamo che lei ha avuto un
ruolo fondamentale in questo capitolo, in quanto m'ha ispirato il
comportamento di Louis: il brutto idiota e le mie carissime compagne di
classe hanno fatto il resto D:
Pisciagli nel casco della bici,
dai. Lo so che puoi. Offrimi il the alle macchinette e sarò ben
felice di contribuire alla causa XD
Oltre a questo posso solo
ringraziare lei e tutte voi per tutto il supporto che mi date, quindi
un milione di baci a Ila-la-ritardataria e il suo boy che fanno due
mesi #yaaaay Ele28 e la piccola Marghe che non può venire a
trovarmi a causa del mio hot dog col pelo ( e Marco, per posta. Col
fiocco, grazie lol) Elli e i suoi caps lock che mi fanno venire i
crampi dal ridere, finalmente tornata nel mio angolo autrice #yaaay
anche per te, Delia che pensa che la snobbi solo perchè ho 18
anni.
Ho 18 anni. E allora? Mica bevo
acido muriatico a colazione... Non ho mai mangiato nessuno, anzi, di
solito sono gli altri che mangiano me :P
Io e Lu che andiamo a vedere
Catching Fire insieme ( arrivo, prendo il treno che ha unica fermata
'Casa di Lu' e ci sono... Inizia a prendermi il biglietto lol)
Prim che di sicuro vorrà
venire con noi a rivedere quella meraviglia ( io sono ancora in fase
fangirl lol) Veronica che mi fa pubblicità nel cortile della
scuola manco fossi anfetamina, che ringrazio tantissimisimo, continua a
'spacciarmi' marti_lala che ha sospeso la caccia con torce e forconi
per la mia testa, e spero sia una cosa definitiva dopo questo capitolo
fluffoso, Swami che spero non sia assiderata davanti al Pc, Annie con
la sua bandierina "TeamLouis" che ora dopo questo capitoletto full of
feelings spero sbandieri così forte da prendere fuoco e
rompersi...
Anzi no perchè serve nei prossimi capitoli.
Procurati anche due vuvuzela, va'.
And last but not least, Larry_Art che quando legge i miei capitoli... Twerka! Come la Cyrus! O il tacchino morto su youtube lol
Alla prossima settimana, un grazie infinito e un abbraccio stretto stretto a tutti voi <3
E che la sorte sia sempre in vostro favore!
Fin (-nick)
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Capitolo 14 *** Walking Beside You ***
13) Walking Beside You
14. Walking Beside You
Passi lungo il corridoio.
Non troppo affrettati né troppo lenti, come chi va di fretta ma non vuole darlo a vedere.
Il ragazzino sdraiato nel letto si lascia sfuggire un sorriso, mentre
si raddrizza mettendosi seduto e lisciandosi piano il pelo del buffo
berretto che porta in testa, sorridendo teneramente perché quei
passi felini, quella camminata strascicata e noncurante da duro, con le
converse scollate e le stringhe slacciate, la riconoscerebbe tra mille.
Poco dopo i passi si arrestano, davanti alla sua porta, e l'allettato inizia a contare.
" Uno..." sente rumore di vestiti riassettati con una mano, in un gesto nervoso e veloce, pieno di assurdi e infondati timori.
Come se a lui importasse qualcosa se ha la divisa stropicciata.
" Due..." sente la mano dell' altro posarsi sulla maniglia, esitando un
attimo, perché lui checché ne dica e nonostante cerchi di
apparire come un teppista, lui è educato, è discreto, ha
paura di disturbare.
E poi, finalmente...
" Tre"
Toc toc toc.
Louis batte sempre tre volte sulla porta, prima di fare capolino sulla
soglia con un immenso sorriso sul viso e un timido " Buongiorno Harry"
sulle labbra e ogni volta trova sempre il modo di farlo ridere, anche
se é triste, di farlo alzare dal letto, anche se è
stanco, di farlo camminare, anche se ha tanta paura di cadere.
" Andiamo" gli aveva detto un pomeriggio di qualche settimana
prima " Dobbiamo presenziare a un the" lui l' aveva fissato come se
fosse pazzo, mentre si chinava su di lui e lo strattonava fuori dallo
scudo caldo e confortevole delle coperte, forzandolo a stare in piedi.
" Hn?"
" Andiamo, dai non vorrai arrivare in ritardo al tuo primo the delle
cinque in compagnia coi simpatici vecchietti della geriatria?"
Harry le aveva provate tutte: aveva puntato i piedi, si era lasciato
cadere per terra, aveva lanciato occhiate di puro odio a Louis, aveva
strillato come la prima volta che le infermiere avevano provato a
spogliarlo per fargli fare il bagno, lo aveva morso, aveva pianto...
Non era servito a niente, niente.
L' inserviente tatuato aveva continuato a tenergli le mani, e a
sussurrargli frasi come " So che c'è la puoi fare" o " Credo in
te" cercando di sovrastare i suoi urli isterici e fermandosi solo per
asciugare il viso rosso, congestionato e lacrimante dell'altro con il
suo fazzoletto buono che sapeva di tabacco.
Gli facevano così male le gambe che sembrava gli potessero
cadere da un momento all' altro, e in più era così
arrabbiato con Louis!
Prima della fine del corridoio del reparto di rianimazione il suo
pianto rabbioso si era trasformato in un lamento rassegnato, e il
ragazzo più grande, fermandosi per l' ennesima volta a
tamponargli il viso e a soffiargli il naso, lo aveva rassicurato
dolcemente:
" Lo so che ti fanno molto male... Strombazza, dai" si era interrotto
per asciugargli la candela, prima di riprendere dolcemente " Ma io
credo nelle tue capacità e so che presto tornerai come nuovo, e
che un giorno ricorderai oggi come un grande piccolo passo verso l'
indipendenza"
Lui aveva grugnito, dubbioso, mentre l'altro ridendo piano
s'inginocchiava infilandogli il fazzoletto nell' elastico del pigiama.
" Credimi, una volta arrivato alla meta sarai orgoglioso di te stesso,
e mi ringrazierai. In più ci tengo davvero a presentarti ai miei
vecchietti..."
Quest' ultima frase era stata sufficiente per instillare a Harry la
forza di volontà necessaria per caracollare avanti, sorretto
dalle mani grandi, calde e premurose di Louis, nella sua Odissea
infinita verso l'ascensore che si stagliava in fondo al percorso come
la Terra Promessa di pace e salvezza.
I suoi muscoli continuavano a protestare, doloranti, ma guardandosi
intorno e memorizzando ogni singolo dettaglio il piccolo paziente aveva
provato a distrarsi: la luce giallastra del neon rimbalzava sulle
pareti immacolate, spandendo pennellate di accecante bianco ovunque:
sui muri, sul lucido e consumato pavimento di lineolum, sull' acciaio
del carrello dell' infermiera, nei piercing di Louis, dietro le sue
palpebre...
Forse era tutto bianco e luminoso per scacciare la paura della morte, o del buio, o di restare soli.
O tutt'e tre.
Non gli piaceva.
Non riusciva a vedere i colori, gli sembrava di soffocare, di annegarci in tutto quel bianco asettico e spersonalizzante.
Anche la divisa del giovane inserviente era immacolata, ma il ragazzo
panda poteva facilmente scorgere sotto la stoffa chiara il blu scuro di
una felpa e lo scollo a 'v' di una t-short nera.
Erano gli unici colori che vedeva, a parte l'azzurro dei suoi occhi.
Lentamente e faticosamente erano giunti all' ascensore, e mentre
le porte si chiedevano sibilando, Harry aveva sentito il cuore
pompargli il sangue nelle vene, i muscoli delle gambe pulsare, i piedi
intorpidirsi...
Come quando la professoressa di educazione fisica lo costringeva a
correre attorno al perimetro dell' istituto, fischiando il termine
dell' esercizio dopo 14 minuti invece dei dieci promessi, e lui cadeva
in ginocchio e provava quasi dolore per lo sforzo compiuto, ma si
sentiva appagato guardando i quattro deficienti della classe ai quali
veniva assegnato un ' non classificabile' per aver vomitato a
metà percorso.
Si sentiva soddisfatto perché c'è l'aveva fatta, perché aveva resistito.
Quel familiare sentimento lo pervase anche in quel momento, mentre le
porte del marchingegno infernale si riaprivano di nuovo su un corridoio
completamente diverso: le pareti maldipinte e scrostate, l'odore di the
così intenso e forte da essere nauseante, il rumore di vecchie
voci graffianti che si mescola al chiacchericcio delle infermiere...
Erano solo a qualche piano di distanza, eppure sembrava di essere in un posto completamente diverso.
Ma in quella sua prima visita Harry l' aveva quasi notato, sfinito com'era dallo sforzo e dalla fatica.
In seguito avrebbe notato e si sarebbe appoggiato, lasciando la presa
sicura delle braccia di Louis ai corrimani che erano posti lungo
le pareti del corridoio che lo avrebbero visto muovere i suoi primi
veri passi in autonomia, il vecchio televisore unicolor dell'
anteguerra abbandonato in un angolo e solo recentemente riportato dal
giovane inserviente riformista agli antichi fasti, o l'unico quadro che
abbelliva la parete, una madonnina azzurra dalla faccia anonima e
sbiadita, ma in quel momento l'unica cosa che vide fu una delle
poltroncine imbottite e bitorzolute, dove il ragazzo tatuato lo aveva
delicatamente adagiato, prima di voltarsi verso la cucina e prendere
una tazza di the per l'ospite speciale della merenda di quel pomeriggio.
Ma tempo di riempire una tazza fumante e tornare indietro, il ragazzino
si era addormentato profondamente, sfinito, con la testa abbandonata
sul petto e i piedi a penzoloni.
Sarebbe stato diverso, più facile e meno faticoso: lentamente
Harry avrebbe abbandonato le mani del più grande per passare al
suo bicipite sodo, e avrebbe camminato in modo più sicuro,
sempre più confidente nelle sue forze, sconfiggendo la paura di
cadere o di non essere abbastanza forte per reggersi da solo,
stancandosi sempre di meno, imparando a conoscere i vecchietti del
reparto e a giocare a briscola e a poker con loro sotto lo sguardo
felice e realizzato di Louis.
Ma mentre veniva trasportato di nuovo a letto, Harry dormiva russando
appena tra le braccia del suo moro, e una volta sveglio avrebbe creduto
che fosse stato tutto un sogno, prima di agitarsi tra le lenzuola e
trovare un fazzoletto puzzolente di nicotina, unica prova della sua
resistenza, del suo coraggio e del fatto che Louis aveva ragione, lui
poteva davvero andare fiero di se stesso:
c'era riuscito, c'è l' aveva fatta.
Il trillo penetrante del telefono aveva infranto l' insolitamente
pacifico silenzio che regnava il casa Tomlinson: le gemelle erano
ancora all' asilo, Lottie aveva trovato lavoro in una sala da the nel
centro commerciale locale, Fizzie stava facendo i compiti in camera sua
e Louis stava sonnecchiando sul suo letto con gli auricolari infilati
per metà.
Non si poteva certo dire che stesse ascoltando musica: ogni suo
pensiero, da " ma che cielo azzurro che c'è oggi" a " dovrei
fare i compiti di matematica" finiva inevitabilmente per convergere in
un unica direzione...
Harry.
Harry che ride finalmente ad alta voce per ogni sua stupidata, dopo
ogni battuta, riempiendo il suo cuore di gioia, di riflesso, come se
fosse allo specchio.
Harry che pian piano sta reimparando a camminare, e ogni giorno va fino
al reparto di geriatria solo per prendere un the, e nel tragitto fianco
a fianco discorrono di tutto e di niente, e i "Mh" o i " Tsk" che
intervallano i suoi monologhi lo fanno sentire meno solo mentre scorta
il piccolo paziente sempre più lontano, prima ancorato alle sua
mani, poi appeso al suo braccio, e infine l ultima conquista di quel
giorno... Perché Louis, se chiude gli occhi sdraiato sul suo
letto sente ancora la mano piccola e calda di Harry infilarsi tra la
sua, mentre il proprietario scuotendo piano la testa rifiuta il braccio.
" Non ne ho più bisogno" gli stanno dicendo quelle luminose
pozze smeraldo " Posso camminare da solo adesso, ma ho ancora paura di
cadere... Non lasciarmi andare, stammi vicino"
E così i due passeggiano mano nella mano nei corridoi, il
più piccolo con il viso arrossato dall' imbarazzo e il
più grande con un' irrefrenabile voglia di mettersi a ridere, a
correre e a saltare.
Anche a distanza di poche ore, sdraiato tra le strette pareti di camera
sua si sente come una Coca Cola shakerata insieme a delle Mentos.
E poi suona il telefono.
E il telefono in casa Tomlinson non suona mai.
Sua madre interrompe le sue faccende e corre a rispondere, già
temendo che sia successo qualcosa alle figlie fuori casa, Fizzie e
Louis si sporgono dalla balaustra delle scale, pronti ad origliare, la
curiosità che prende il sopravvento.
"Pronto? Si, sono io"
Nella stanza cade il silenzio, e il più grande può
giurare di sentire più volte il suo nome uscire dalla cornetta,
mentre sua madre rimane immobile come una statua di sale davanti al
cordless.
" Ne è sicura? Non abbiamo ricevuto niente per posta..."
Per sentire meglio la sorella più piccola si sporge ancor di
più verso il basso, facendo involontariamente sbattere la
catenina d'oro del battesimo contro il corrimano della scala,
producendo un penetrante tintinnio, che per un attimo distoglie
l'attenzione della madre dalla conversazione telefonica.
E mentre alza lo sguardo, furibondo, fulminante e agghiacciante, tanto
che potrebbe ucciderlo seduta stante, Louis capisce tutto e vorrebbe
trovarsi a mille miglia dalla casa, fuori dalla portata di sua madre,
lontano da tutti e da tutto.
Perchè era stato così stupido?
Come aveva fatto a dimenticarsi di una cosa così importante?
Era così preso da Harry e così entusiasta per i suoi
progressi che si era dimenticato del casino che era scoppiato il giorno
dopo l'esercitazione in caso d'incendio a scuola.
Non aveva nemmeno fatto in tempo ad appoggiare la vecchia e consumata
suola delle scarpe dentro i cancelli dell'angusto ed infernale luogo,
che si era trovato davanti il bidello straniero, altro uno e novanta,
con un naso che pareva una canappia e lo strettissimo accento
russo, che l'aveva acchiappato per un orecchio prima di
intimargli penetrante mentre lo trascinava all'interno:
" Tu con me fieni ora! Prezide vuole vetere te!"
E non mentiva: la Preside aveva strillato a pien polmoni per almeno un
quarto d'ora, sottolineando crudelmente la sua mancanza di coerenza,
responsabilità, e soprattutto educazione: evidentemente qualcuno
lo aveva visto 'insudiciare' la proprietà privata di un
professore, anche se la Direttrice non aveva detto esplicitamente chi,
e questo lo portava a pensare che Mr Flambert avesse mosso accuse su di
lui, che però erano totalmente prive di fondamento... per il
momento.
E dal momento che la donna parlava di sospensione a tempo
indeterminato, cioè non ammissione all'anno successivo, Louis
aveva cercato di salvare il salvabile, perchè era sicuro che sua
madre lo avrebbe sotterrato vivo se avesse perso un altro anno.
Ne aveva già persi due!
" Io non ho fatto nulla del genere! Lo giuro! E' vero, sono uscito da
scuola senza permesso e autorizzazione, ma di questa 'infrazione' di
cui parla lei non ne so nulla!"
L'arpia suprema aveva intrecciato le dita, costernata dal fatto di non
avere prove per condannare lo studente, che appariva innocente quanto
uno spacciatore di droga durante una retata della polizia.
" Il suo comportamento, infrazione e non, è stato molto grave e..."
" Lo so, non stavo pensando, non ero in me. So che non è una giustificazione"
" Infatti non lo è!" si era scaldata la Preside, alzandosi di
scatto dalla sedia e camminando avanti e indietro per il suo spazioso
ufficio come un animale in gabbia "Non lo è! E sta tranquillo
che prenderemo provvedimenti, Tomlinson, partendo con una comunicazione
scritta alla famiglia, e se t'azzarderai a fare un altro passo falso
farò in modo di farti espellere dalle scuole di tutto il Regno
immediatamente!"
La cosa non l'aveva preoccupato più di tanto, anzi, quando
frugando tra la posta aveva scovato la lettera della Direttrice si era
quasi messo a ridere, seguitando a tagliare la carta con il timbro
della scuola in diverse strisce per usarle come filtro per la Maria.
Erano state le fumate più soddisfacenti della sua vita.
Non avrebbe mai immaginato, nemmeno nei suoi sogni più perversi
e selvaggi che quella sadica masochista della Preside, non ricevendo
nessuna forma scritta di scuse, avrebbe chiamato direttamente a casa
per parlare lei stessa con sua madre.
Madre che in quel momento lo fissava con astio, le guance infiammate
dall'imbarazzo e dall'umiliazione per il comportamento del figlio, gli
occhi traboccanti di lacrime di delusione, le mani che stringevano il
cordless tremanti dalla rabbia.
" Mi rincresce" aveva pigolato nella cornetta, gli occhi fissi in
quelli di Louis, e le parole dolorosamente sincere strozzate in gola,
prima che l'intervento dall'altro capo del telefono la facesse
esplodere in mille e mille patetiche scuse per il suo
comportamento.
Non poteva sopportarlo.
Non si poteva umiliare così tanto.
Non se lo meritava.
Il ragazzo si era allontanato dalla balaustra ed era tornato lentamente
in camera sua, ascoltando sdraiato sul letto il resto della
conversazione, le membra pesanti, la felicità evaporata come
pozze d'acqua piovana sotto il sole d'agosto.
Sua mamma era stata al telefono per un'ora.
Poi l'aveva chiamato:
" Louis, in cucina. Dobbiamo parlare"
Niente risate felici nel cortile dell'ospedale oggi.
" E poi ha cominciato con il ' Mi hai deluso, ma a cosa cazzo stavi pensando?' cioè, era proprio fuori di se', ha detto cazzo! Ed è peggiorata sempre più! ' Ti
si sono fottuti i neuroni? Sembri un cazzo di ritardato! Nemmeno i
bambini di due anni sono così infantili ed idioti! Come posso
anche solo pensare di fare affidamento su di te per le cose di
famiglia? Sei il più grande, eppure sei il più coglione
di tutti!'"
La voce di Louis, prima in falsetto per imitare la furia omicida della
madre, era tornata alla sua tonalità naturale, appena velata da
una profonda tristezza maldissimulata, che Harry, seduto di
fianco a lui sulla panchina nello spiazzo erboso del giardino
dell'ospedale, era riuscito a cogliere.
" Giuro, quando ha preso la padella dal lavello ho davvero creduto che
m'avrebbe ammazzato. Invece ha iniziato a sbatterla qua e la, come
un'ossessa, come una pazza maniaca scappata da un manicomio: sul
tavolo, sul piano cottura e perfino sui muri! ' Non so più come fare con te! Come mi devo comportare? Uh?'"
Harry aveva scosso la testa, dispiaciuto.
" E non hai sentito il peggio! ' NON
STARE LI' IMPALATO COME UN IDIOTA! DI' QUALCOSA! FAI SEMPRE LO
SPUTASENTENZE POLEMICO, NON TI VA MAI BENE NIENTE, TI LAMENTI CHE NON
ASCOLTO E QUANDO TI CHIEDO ESPLICITAMENTE COSA VUOI CHE FACCIA CON TE,
NON SAI FARE ALTRO CHE FISSARMI CON QUELLA FACCIA DA CAZZO?!' Cosa dovevo dirle? Che avrei preferito che non avesse mai divorziato, che non si sarebbe dovuta trasferire che...
Che cosa poi?
Ormai il danno è fatto! Non è che può tornare
strisciando da mio padre e supplicarlo di scaricare quella lurida
zoccola e di tornare a fingere di essere la Famiglia Felice delle
reclame di Natale!
' Io non so cosa fare, non so cosa
fare! E sei mio figlio! Ti ho messo al mondo io, e si suppone che una
madre debba conoscere il figlio, ma tu...
Tu lo rendi impossibile! Fumi, ed
è inutile che neghi, ti ho visto alla fermata dell'autobus che
stavi rollando Dio sa cosa, bevi, ti fai piercing e tatuaggi, e forse
ti fai di erba, di coca, di crack... Io non lo so, Louis! E non voglio
saperlo, perchè già per quelle poche cose che so non ti
riconosco più! A volte mi chiedo chi sei, e dov'è finito
mio figlio. Chi sei?'"
Il ragazzo tatuato aveva seppellito il viso tra le mani, stanco e
provato come non mai, mentre il piccolo ragazzo-panda gli aveva
appoggiato la mano sull'avambraccio, non sapendo bene come confortarlo.
Non aveva mai davvero sentito la necessità di parlare: sua madre
era tremendamente insistente, e gli metteva un sacco di pressione, sua
sorella invece la prendeva con filosofia.
"Parlerà quando sarà pronto mamma, non forzarlo" le
diceva sempre fuori dalla porta della camera, quelle due o tre volte a
settimana che riusciva a tornare a casa dall'università,
convinta che il fratello non la sentisse.
Peccato che Gemma non potesse saltare tutte le lezioni: avere a che
fare con l'impazienza del genitore, che non si accontentava dei suoi
progressi correnti e che lo spingeva inesorabilmente e frettolosamente
verso nuovi, e ancora troppo distanti traguardi, lo rendeva isterico.
Con Louis era diverso, perchè anche se non lui parlava, cercava
comunque altri modi per comunicare e farlo sentire a proprio agio.
Si veninavo incontro, insomma.
In quel momento però Harry sentiva una pressione sconosciuta che
gli opprimeva i polmoni, bloccandogli l'aria nell'esofago e
impedendogli di respirare, seccandogli la bocca e incollandogli la
lingua al palato.
Gli bruciava la gola dalla voglia di parlare, dalla voglia di dire a
Louis che non era un ritardato, che sua madre aveva ragione, che non
sapeva nulla di lui, e nessuno dei due aveva colpa perchè tutti
e due avevano fatto degli sbagli e si erano comportati da idioti
egoisti, che non è una canna o un piercing a renderti un drogato
o un alcolizzato, che niente in natura fa male, basta non abusarne, che
la vita si deve vivere senza la paura dei giudizi degli altri, che
sì, è vero, aveva fatto tante stronzate e tanti difetti,
ma a lui andava benissimo così, perchè sapeva che si era
pentito, che non l'aveva fatto apposta, che aveva imparato, era
cambiato...
" E sai qual'è la cosa peggiore?"
Il più piccolo aveva scosso la testa, il pizzicore che si
espandeva nel palato, non risparmiando neppure la lingua, e le labbra
che tremavano dallo sforzo e dalla voglia di consolarlo, di
esserci come lui c'era stato nei suoi momenti no e nel buio del coma,
di amarlo...
Harry era rimasto quasi sconvolto e spiazzato dal pensiero, che concretizzava una situazione di fatto nella sua mente.
" Che neanche io so chi sono"
Non c'era spazio e tempo per lo stupore: Harry doveva dirlo.
Doveva parlare.
Perchè lui sapeva chi era Louis...
Era il ragazzo che fumava erba 'per darsi un tono' ma che piangeva la
morte di una vecchietta che lo aveva convinto a leggere l'Amleto, che
usava piercing e tatuaggi per nascondere la sua fragilità, il
suo apparente menefreghismo, costruendo uno scudo di cartapesta pronto
a sciogliersi al primo temporale, il ragazzo tronfio e strafottente che
leggeva libri per bambini ai malati, che si credeva un fallito, un
rifiuto dell'umanità, che si rovinava il presente perchè
convinto di non avere un futuro, mentre guardava con rimpiati e
nostalgia il passato.
Lo stesso ragazzo che tutti i giorni alle cinque del pomeriggio
preparava il thè per i vecchietti, che gli era stato vicino
quando nessun'altro c'era, che gli aveva comprato il berretto-panda
solo per evitargli la vergogna di andare in giro calvo, che gli aveva
insegnato a camminare.
Era unico e irripetibile, bello, dannato ed impossibile, innocente come
un agnello e letale come un veleno, complicato da capire, facile da
interpretare, indefinibile...
Il più grande teneva ancora il viso nascosto tra le mani, mentre sussurrava:
" Io non so chi sono Harry. Tu lo sai? Perchè se lo sai, ti prego, dimmelo"
E lui sudava.
Neanche durante le ore di educazione fisica sudava così tanto:
sentiva il tessuto sotto le ascelle bagnato, che gli sfregava sulla
pelle fredda, le gocce scendergli lentamente lungo la fronte e sotto il
naso, inzuppandogli le labbra tremanti.
Si, sudava, tremava, ansimava e uno strano ronzio gli riempiva le
orecchie, tutto nello sforzo di riuscire a parlare, riuscire a vincere
la sua paura immotivata nella battaglia contro se' stesso, in modo da
rompere le catene ed essere finalmente libero: libero dal suo mutismo,
libero dagli assilli di sua madre, degli equivoci delle infermiere...
Libero di dire a Louis che lo amo.
Aveva inspirato lentamente, preparandosi a buttar fuori l'aria,
costringendo le sue corde vocali a vibrare, la gola piena di schegge di
vetro, mentre la bocca e la lingua asciutta come il Sahara sfregavano
assieme, prima che il muscolo secco scivolava lentamente tra le labbra
bagnate e indisciplinate.
L'aveva detto.
Aveva risposto alla domanda.
Dolce come una caramella, aveva assaporato che effetto faceva sentirlo
sulla sua bocca che così faticosamente era riuscita a spezzare
quella maledizione che l'aveva gelata per così tanto tempo, e ne
era rimasto inebriato.
Perchè adesso c'è l'aveva fatta, perchè adesso era libero.
Perchè con una voce debole e tremante, rauca e leggermente
stridula, come una corda di violino scordata aveva parlato.
E forte e chiaro aveva detto:
"Louis"
Angolo Finny **
Ta-daaaaaaaaaaaaa :)
Dopo "Lazzaro alzati e cammina" ecco a voi "Lazzaro apri la bocca e spara cagate" LOL
Harry ha parlato! Ha detto
Louis, awwwwwawawawawwwwwwwasfdfghjkkl è strapatatoso puccioso
cremoso denso classico avvolgente ( manco fosse un caffe' zuccheroso
*w*) e visto che ha tanta voglia di parlare, gli facciamo dire al
nostro Hazzino cuoricino convalescente:
Unn enorme grazie a Diana che
si è appena unita a noi e mi è già supersimpatica
perchè le sue recensioni mi fanno morire dal ridere ( Mi mandano
in banana, tanto per usare parole sue XD) e perchè è una
santa che mi ha messo la storia tra le segnalate, è una Tribute
e ha recensito un sacco di capitoli... Se t'avessi tra le mani ti farei
ciompi ciompi fino a farti staccare le guance :3
Ellie che finge di essere una
bad girl come Louis ma invece è dolcisshimisshimisshima ( ha
addirittura smesso di fumare!) marti_lala, la mia stalker preferita
finalmente tornata tra noi, che ci era tanto mancata, Ele e Marghe che
spero abbiano proclamato un cessate il fuoco perchè sono come un
puzzle e insieme si completano, Annie ( come Annie Cresta, awwww) che
nuota nelle sue lacrime perchè Louis non l'abbraccia solo
perchè è una portatrice sana di vagina ( magari magari fa
il bagnino tipo Baywatch e ti salva, ma solo se non nuoti a farfalla
XD) Ila che è il meglio del meglio ma se non glielo diciamo io e
Luca non ci crede, Lu, la mia nuova cliente a cui vendo LSD e che mi ha
permesso di comprarmi dei favolosissimi nuovi leggins di natale come
quelli che si vedono su Tumblr o Weheartit, Leeroy hm che ha appena
compiuto 18 anni e che andrà a vedere i ragazzi ad xfactor ( a
me nessuno ha fatto un regalo così bello se non si conta la Mary
T.T) Caro che ancora rassicuro che non la hato ma la lovvo molto anche
se salta i capitoletti, riotwithcher anche lei appena salita sul nostro
folle e delirante treno, Veronica che spero che non mi vorrà
male se la copio e mi faccio un piercing al naso, Larry_Art e le sue
converse che affondano nella m***a come il Titanic, Swami che sorride
perchè la ff le sorride e last but not least Delia che
spero di aver dissuaso dal fatto che le 18enni mangiano le più
piccole a colazione lol
E poi fanno le diete per dimagrire XD
Grazie mille per tutto il vostro amore, sappiate che vi amo anche io :)
Bacissimi
Cami
PS: se cambiassi il nickname in Finnick vi creerebbe problemi?
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Capitolo 15 *** And I Found You Flightless Bird ***
15)
15. And I found You, Flightless Bird.
Cinque giorni dopo che Harry ha ripreso a parlare, Louis sgattaiola per
l' ennesima volta lontano dal reparto geriatrico, mentre l'infermiera
giovane e bionda lo copre dal capo.
L'inserviente tatuato sorride, e quasi quasi fischietta tra se' e se':
sua madre due giorni prima aveva trovato tra la posta una busta
stropicciata a bagnata dalla pioggia con il timbro sbiadito dell'
ufficio giudiziario al quale Anne Styles si era rivolta, ed era subito
andata in panico, rientrando in casa come una furia e chiedendo al
figlio maggiore cosa diavolo avesse combinato stavolta.
L' aveva praticamente sottoposto ad un interrogatorio mentre camminava
impettita verso il mobile e cercava di aprire la busta con un
tagliacarte e senza rovinarla.
Si era poi scoperto che tutto quel nervosismo era inutile, e per una
volta quello che Louis aveva combinato era qualcosa di buono: il
giudice, piacevolmente colpito dai giudizi estremamente positivi che il
personale infermieristico del St Barbara aveva riportato su di lui,
aveva deciso di premiarlo con una riduzione dell' orario e del
carico di lavoro, lasciandolo decisamente più libero di vedere
Harry.
Evviva!
Cinque giorni dopo che il piccolo panda aveva riacquistato la favella, Louis si era imbattuto nel peggiore dei suoi incubi.
Una volta arrivato sulla soglia della 17, si era ritrovato davanti una
camera familiare, ma occupata da un altro paziente: una giovane donna
sulla trentina era sdraiata priva di coscienza nel letto del suo Harry,
il comodino, di solito ingombro di libri, carica cellulare, vecchie
bottiglie di acqua minerale e bicchieri di the vuoti, era libero da
tutti gli effetti personali, e i peluches e i palloncini che
solitamente Anne e altri visitatori non facevano mancare mai, erano
spariti.
Il ragazzo si era spaventato, entrando nella stanza completamente buia,
dentro la quale riusciva solo a distinguere il comodino vuoto e un
corpo sotto le coperte e il monitor per la respirazione che lo teneva
in vita pompando l'aria dentro e fuori i suoi polmoni, emettendo un
suono sibilante, che spesso aveva fatto da sottofondo ai pomeriggi che
Louis aveva trascorso tra quelle quattro mura.
Dov'era Harry?
Perché quel corpo lì sotto non poteva essere quello del ragazzino, non poteva...
Il moro si era avvicinato al corpo, lo stomaco così contratto da
essere diventato duro come il marmo, da fargli così male da
impedirgli di respirare, e nemmeno quando aveva riconosciuto i gentili
e dolci tratti di un viso femminile sconosciuto, devastato da un rissa
in discoteca e qualche trip, si era calmato.
Ormai erano quasi più quattro mesi che lavorava in un ospedale,
e una cosa l'aveva capita: se un paziente scompare improvvisamente da
un reparto vuol dire che era arrivato al capolinea, al punto di non
ritorno.
Come la Sig.ra Stowe.
Ma ieri Harry stava bene...
Ieri era ieri, cretino, aveva
detto il nuovo, cinico e cattivo Louis, quello che era stato negli
ultimi sei mesi, quello che del piccolo panda aveva paura perché
era l'unica cosa che lo rendeva debole, magari ha avuto una crisi stanotte, magari i medici che si sono presi cura di lui
hanno sbagliato diagnosi o hanno
abbassato la guardia e non sono stati abbastanza veloci, dopotutto il
respiratore é staccato da tantissimo tempo...
Nonononono. No. No. No. Ti prego, ti prego Dio no. No.
Non serve pregare Dio, non lo sapevi?
Il ragazzo si era precipitato fuori dalla stanza e lungo il corridoio,
il petto che si abbassava e alzava velocemente, cercando di star dietro
al suo respiro impazzito che lo stava portando all'iperventilazione,
mentre il sudore gli appiccicava il ciuffo sudato alla fronte fredda e
pallida, tanto che si confondeva con il bianco asettico delle pareti
dietro di lui.
Il mondo sembrava vorticare alla velocità della luce davanti ai
suoi occhi, sgretolandosi lentamente sotto i suoi piedi e aprendo una
voragine pronto a inghiottirlo.
Correva così veloce che quando si era brutalmente scontrato con
la fisioterapista non l'aveva nemmeno riconosciuta, e questa per farlo
fermare aveva dovuto rincorrerlo per mezzo atrio e agguantarlo per un
braccio:
"Louis... Louis dove stai andando così di fretta?!"
"Harry" il ragazzo non riusciva più a pensare coerentemente "
Non è nella sua stanza. C'è un altra persona nel suo
letto. Devo trovarlo, devo trovarlo..."
"È quello di cui ti volevo parlare: abbiamo spostato Mr Styles
in Medicina Riabilitativa... Ormai non c è più alcun
motivo che lo trattenga in Riabilitazione"
"Medicina Riabilitativa?" aveva mormorato il ragazzo tatuato, cercando
di ricacciare indietro l'urlo che voleva uscire dalla sua bocca e di
ignorare le macchie nere che gli ballavano davanti agli occhi.
"Si" aveva confermato la donna " Prendi l'ascensore fino al secondo
piano: sulla destra troverai la Neurochirurgia, tu devi andare a
sinistra... Sta nella stanza 8!" gli aveva urlato, mentre lui partito
in quarta era già lontano.
Altro che ascensore e ascensore, quel maledetto arnese ci metteva ore e ore...
Le scale erano decisamente un'idea migliore.
Harry d'altro canto, aspettava Louis con impazienza: aveva così tante cose da raccontargli!
Non si messaggiavano da ben 24 ore perché ogni tanto la batteria
catorcia del più grande andava in mutua, e lui doveva ancora
dirgli che quella mattina, per la prima volta, aveva chiamato Gemma sul
cellulare per tirarla giù dal letto e augurarle un buon giorno e
un "imbocca al lupo" per le lezioni.
La sua voce era ancora un po' rauca a causa del suo lungo periodo di
mutismo, e a volte, soprattutto quando era stanco faceva fatica a
controllare bene i muscoli, finendo per incespicare nelle parole, ma la
sorella, ignara dei suoi progressi, aveva avuto un mini shock lo stesso.
Poi si era riavuta, azzardando perfino un " mi sei mancato topastro" e
il più piccolo si sentiva ancora diviso a metà tra il
desiderio di ridere e piangere.
Dalla gioia, ovviamente.
Ma quando aveva intravisto la figura tremante di Louis filare verso di
lui a tutta birra, Harry aveva capito che non c'era nulla di gioioso
nel più grande quel giorno, ed era rimasto a dir poco sorpreso
quando questo, arrivato abbastanza vicino l' aveva afferrato saldamente
prima di stringerlo al petto senza tanti complimenti, così forte
che il più piccolo riusciva a sentire il martellare frenetico
del suo cuore contro il suo corpo.
"Dove cazzo eri?" aveva sussurrato l'altro, senza fiato "Mi hai fatto
cagare in mano, cazzo. Non farlo mai più, capito?"
"Qui ero. Sono sempre stato qui" aveva risposto lui, mugugnando nella sua maglietta.
Ma Louis sembrava non sentirlo.
"Non ti trovavo più. Ho avuto così paura..."
E Harry, ricambiando l'abbraccio, aveva capito che la telefonata con Gemma poteva aspettare.
La seconda volta che Harry era sparito, Louis aveva rischiato di morire
di crepacuore, anche se questa volta aveva cercato di mantenere la
calma, respirando profondamente per calmarsi alla vista del letto vuoto
e del cappellino a forma di panda abbandonato sul cuscino.
Intimando alle coronarie impazzite di smettere di ballare e uscendo
senza voltarsi indietro dalla stanza, aveva percorso il corridoio
facendo il tragitto inverso rispetto a quello tracciato pochi istanti
prima, per ritrovarsi a fissare con sguardo smarrito e spaventato il
via vai degli infermieri e dei visitatori, senza la minima idea di dove
fosse Harry o di come fare a trovarlo.
Stava per avere un attacco di panico in grande stile quando aveva
intravisto tra l'ondeggiare dei camici e delle divise, un pantalone a
strisce orizzontali bianche e blu.
Si ricordava bene la risata che si era fatto quando l'aveva visto...
"Ci stai dentro due volte!" si era
rotolato sul letto, incapace di trattenere la propria ilarità "Cristo, Harry sembri un deportato di guerra!"
Il ragazzino, seduto ben dritto sul
suo letto gli aveva scoccato un'occhiata altera, prima di lanciargli
uno dei cuscini che avrebbe dovuto usare come sostegno, e colpendolo in
piena faccia, causando altre risate.
"Harry!" aveva urlato, facendo voltare tutti quelli che passavano di
li in quel momento, mentre il diretto interpellato litigava con la
macchinetta del caffè per ritirare la sua cioccolata.
"Ehi Louis"
"Cosa ci fai fuori dal letto?! Mi stavo preoccupando" il più
grande avrebbe continuato con una bella ramanzina, se non fosse stato
distratto dal vedere quanto i capelli del più piccolo fossero
ricresciuti in fretta: la ferita rossastra quasi non si vedeva
più, coperta da un mini cespuglio di corti, morbidi e spettinati
ricci color cioccolato.
Louis era rimasto a fissarli, estasiato, mentre entrambi facevano
ritorno alla nuova sistemazione del paziente, che una volta fatto
accomodare il suo ospite sulla poltroncina ai piedi del letto, si era
lasciato cadere mollemente tra le lenzuola, pronto a gustarsi la sua
cioccolata ancora calda.
"Vuoi mangiare anche tu qualcosa? Mamma mi ha portato dei biscotti al cioccolato"
Il più piccolo aveva gesticolato distrattamente verso
l'armadietto di fianco al letto, mentre soffiava piano sopra la bevanda
calda.
"No grazie "
"Sei ancora arrabbiato perché non ero a letto?" Il ricciolino
aveva stretto il bicchiere di plastica tra le mani, cercando di
scaldarle.
"No! No. Non sono arrabbiato, è solo che quando non ti trovo mi spavento sempre..."
Louis si sentiva un totale idiota: era necessario che andasse
così in panico ogni volta che Harry scompariva dalla sua vista?
"Scusa. Davvero, non lo faccio apposta. É che mentre eri in coma una mia paziente é morta e allora..."
"Si, lo so, la Sig.ra Stowe"
Per un attimo il più grande l'aveva fissato con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata.
"T-tu... Te lo ricordi?"
"A dir la verità" aveva cominciato il più piccolo
"Ricordo tutto quello che mi hai detto. Ogni canzone, ogni lamentela,
ogni singola cosa...
Ricordo la prima volta che sei entrato, e io che speravo fosse mia
mamma, e ricordo che ero così arrabbiato con lei e con mia
sorella che diceva che ' le serviva tempo' e che 'sarebbe venuta a
trovarmi prima o poi'...
Non riuscivo a pensare ad altro.
Ma poi sei arrivato tu: all' inizio non ci avevo fatto molto caso,
perché ti fermavi poco e non parlavi molto, però poi ho
cominciato a farci l' abitudine, quasi inconsciamente.
Mi chiedevo dove fossi e dopo un po' saltavi fuori, e raccontavi tante
cose, a volte erano tristi, a volte mi facevi ridere, a volte avrei
voluto essere sveglio per dire la mia...
Era strano il fatto che volessi parlare con me, ma mi piaceva, e mi faceva sentire bene, sentire vivo e "normale".
Eri l'unico lì dentro che non mi trattasse come un cactus di plastica"
La battuta finale non aveva alleggerito l'umore del più grande,
che si sentiva la faccia paonazza, così calda da essere sicuro
di avere del fumo che gli usciva dalle orecchie.
Avrebbe potuto friggersi un uovo sulle guance.
Non sapeva nemmeno perché si sentiva così in imbarazzo:
forse perché più volte aveva aperto il suo cuore alla
statua di cera immobile che vegetava nel letto, forse perché gli
aveva rivelato una parte di lui che nemmeno lui sapeva di avere, forse
perchè gli aveva confessato cose che nemmeno a Zayn
avrebbe detto...
"Chissà cos'hai pensato di me" aveva mormorato debolmente,
prima di nascondere il viso tra le mani, mentre Harry ridacchiava piano:
"Che eri un brontolone, un polemico di prima categoria, quando
in realtà volevi solo fare il figo ma che sotto sotto non
eri così teppista come volevi far pensare: eri tenero, e
carino, e..."
"Intendo dell'incidente. Cos'hai pensato di me quando hai saputo... Quando hai saputo che ero stato io?"
Il ragazzo tatuato non osava respirare: buffo, come uno girasse nelle
zone della città più malfamate alle ore più
improbabili fumando erba senza un solo pensiero ma morisse di paura al
solo pensiero di guardare negli occhi un ragazzino di quattordici anni
e di vederci l'odio dentro.
"All'inizio, quando ancora non ti conoscevo, ti odiavo. Pensavo che
fossi un quarantenne fallito e depresso che una sera aveva avuto la
brillante idea di guidare strafatto in un patetico tentativo suicida"
Non ero fatto. Non stavo tentando di uccidermi, e soprattutto non era premeditato, avrebbe voluto dire, sarei voluto morire io, al posto che fare del male a te, ma aveva perso la voce.
"Poi però ti ho conosciuto, e ho ascoltato mentre mi facevi
scoprire il tuo mondo fatto di musica, bravate e purtroppo anche tanti
problemi, e ho scoperto dopo cosa avevi
fatto. E questo cambia tutto, Louis, perchè sei solo vittima
degli eventi e delle circostanze, perchè non sei cattivo, non
l'hai fatto apposta e so' che ti sei pentito. E ti ho perdonato"
"Perchè?" aveva sussurrato il più grande, finalmente trovando il coraggio di guardarlo negli occhi.
Lui non se lo meritava, il suo perdono! Si, magari non era così
cattivo come sembrava, magari non l'aveva fatto apposta e si, si era
decisamente pentito, tanto che aveva giurato a se stesso di non mettere
mai più piede a bordo di un auto, ma questo non attenuava la
gravità delle sue azioni.
I pensieri di Harry s'arrovellavano l'uno sull'altro, come un
vortice: Perche Louis non è crudele, è imprigionato dal
giudizio che gli altri hanno di lui, e automaticamente si rispecchia in
quella versione distorta di se stesso, filtrata dalla cattiveria delle
persone, perchè lui è fragile, molto molto fragile, e il
fatto che tutti lo odino e lo allontanino per questo, lo fa
sentire realmente di cartapesta e non è forte abbastanza
per reggere tutto questo, infatti non va a scuola, spaventato dai
giudizi dei compagni, spaventato persino dai giudizi della madre
mentre i sensi di colpa lo corrodono dentro.
La verità è che è solo una ragazzo forse un po'
immaturo, un po' impulsivo, che non avendo avuto una figura paterna
stabile cerca di affrontare le difficoltà come può
perchè dopotutto non ha avuto una guida, e si rifugia nel fumo e
nell'alcool perché è l'unica via di fuga che una ragazzo
disperato e debole riesce a vedere in un pasticcio del genere.
Perchè Harry lo vede per quello che è: non è colui
che lo ha quasi strappato dalla vita, non è il mostro che lo ha
quasi ucciso, è un ragazzo come lui, un ragazzo disperato che
cerca di rimediare ai suoi errori, ma ha paura, paura di sbagliare
di nuovo, e scappare, aggredire gli altri, fumare e bere è
più facile che affrontare i propri problemi, ma nonostante tutto
ciò sia sbagliato, nonostante non possa affogare il dolore
nell'alcool, nonostante i piercing e tatuaggi gli diano una apparente
forza, in realtà è debole.
E' debole, ma fa lo spaccone, è debole e finge di essere forte,
è debole e ferito, e solo, e Harry sa che non può fare a
meno di lui, della sua corazza fatta di piume e del suo modo di vedere
il mondo attorno a lui tutto nero, come il colore che lui ama tanto
vestire per coprire e annegare le tinte fosche del suo cuore una volta
pieno di sfumature brillanti.
Ma Harry non riesce a dirlo, anche se vorrebbe, perchè
all'improvviso tutta la massa in subbuglio dei suoi sentimenti ribolle
e schizza improvvisamente verso l'alto, bloccandosi a metà gola
e rischiando di soffocarlo per la sua intensità, e così
tutto quello che riesce a dire, tutto ciò che riesce a spiegare
sputando fuori una misera frase e quasi tornando al suo precedente
stato di mutismo è:
"Perchè ti amo, idiota"
A dispetto dell'insulto a fine frase, il tono con cui essa era stata
pronunciata era tremulo, strozzato ed assolutamente terrorizzato.
Louis aveva alzato la testa di scatto, incontrando per un
millesimo di secondo gli occhi lucidi del più piccolo, che
subito aveva distolto lo sguardo, mentre anche le sue di guance
diventavano color porpora.
Mi ama. Mi ama. Miamamiamamiama.
"Si?"
Il ragazzo tatuato era incredulo, perchè questo non era uno
sguardo mal interpretato, o un bacio sulle labbra o a stampo che
avevano mille significati che il mutismo inghiottiva nel suo abisso
oscuro, era quasi una dichiarazione, ed era tutto quello che aveva
sempre sperato, sognandolo ad occhi aperti fissando il soffitto di
notte, al posto di dormire, pregando Quel Dio Che Non Lo Ascolta Mai di
fare avverare quel suo unico bruciante desiderio, di dargli una
possibilità di essere felice, promettendo che stavolta non
l'avrebbe sprecata.
Era troppo bello per essere vero, e lui non ci credeva, perchè le cose belle non capitavano mai a lui.
Non se lo meritava.
"Si! Si!! Amo la tua voce mentre legge i libri, e il modo in cui la
cambi per adeguarla ai diversi personaggi, o quando t'infili le
auricolari e canticchi così forte da coprire la musica...
Ho sempre cercato di immaginarti, quando ancora non riuscivo a vederti,
eppure ogni volta ottenevo solo un'immagine sfocata e confusa, ma poi
ti hanno chiamato per farmi il bagno.
Ti ricordi?"
E come poteva lui dimenticarlo?
"Ti ho amato dal primo momento in cui t'ho riconosciuto, perchè
nessun principe azzurro che mi ero costruito nella solitudine buia della mia
testa poteva competere con te, perchè ogni minimo dettaglio che
mi ero immaginato sbiadiva davanti alla perfezione dell'originale.
Perchè per una volta la realtà era migliore delle fantasie"
"M-ma... Ma... T'ho investito. Ed ero ubriaco. Sei qui a causa della
mia stupidità, del mio egoismo, della mia inettitudine... Sei
qui, e hai sofferto per colpa mia, Harry"
"Tutti fanno degli errori. C'è chi li fa meno gravi e chi
combina catastrofi, ma non ho intenzione di fartene una colpa e odiarti
per il resto della mia vita.
Quello che è stato è stato"
L'inserviente era senza parole.
I ricordi gli avevano riempito la mente come un fiume in piena.
"Io sarò sempre qui,
sarò il tuo 'uomo che non si muoverà' resterò ad
aspettarti con la neve, con la pioggia, per tutto il tempo che riterrai
necessario, perchè ti ho messo in un casino quando non c'entravi
assolutamente niente, e hai dovuto pagare le conseguenze delle mie
azioni idiote, e non puoi neanche immaginare quanto mi dispiaccia"
"E se quando ti riprenderai l'unica
cosa che vorrai fare sarà spaccarmi la faccia a pugni, bene,
posso solo dire che me lo sono proprio meritato, ma se dopo avermi
deviato il setto nasale in quante direzioni ti pare, possiamo
ricominciare ed essere amici sarò infinitamente più
contento"
Amici.
Quando Harry, o le infermiere sfinite dai suoi capricci e dalle sue
urla inarticolate ed isteriche lo mandavano a chiamare era questo
che si ripeteva mille e mille volte nella sua testa:
"Amici. Solo amici" e si sentiva sempre in colpa per quel solo,
perchè già quello che aveva era tutto quello che poteva
desiderare, e sognare ad occhi aperti l'impossibile lo faceva sentire
in colpa.
Ma dopo quello che aveva detto il più piccolo, il suo ragazzo panda, il suo ricciolino, tutto cambiava.
"Louis?"
La voce rotta dal panico e dalla paura aveva scosso il maggiore come se
fosse stato attraversato da una potente scossa elettrica.
"Louis, ti prego, dì qualcosa. Qualsiasi cosa..."
Per la prima volta dopo la cocente rivelazione i loro occhi si erano incontrati, incatendandosi per sempre l'uno nell'altro.
"Io... Io non so che dire"
E lo intendeva veramente.
"Dì qualcosa. Qualunque cosa: mi piaci anche tu, ci penso per un po', non sono interessato, dormo che è meglio..."
Non l'aveva lasciato finire, e mentre entrambi s'attraevano
irreparabilmente l'uno verso l'altro come due potenti calamite
sottoposte alle leggi della fisica, decisero che non era colpa delle
cariche negative o positive che duellavano nel loro animo, ma qualcosa
di più grande e potente, dal quale non si poteva sfuggire.
Mentre per la seconda volta le loro labbra si toccavano, assumendo
diversi significati rispetto alla volta precedente, carica d'una
inconsapevolezza e di una spensieratezza ora sostituita dalla
conoscenza del fuoco che insieme li ardeva, decisero che era tutta
colpa del destino, che li aveva portati insieme in tragiche
circostanze, facendoli sentire completi e vivi, anche se erano stati un
passo dalla morte.
E quindi se era colpa del destino, aveva pensato Louis mentre arpionava Harry per il pigiama, al diavolo il passato, ormai obsoleto e irrimediabile nella sua lontananza, che si fotta il futuro, ancora sfocato e indefinito.
Perchè entrambi lo sapevano.
Sapevano che Harry non sarebbe stato malato in eterno, che presto
sarebbe stato dimesso dall'ospedale e che le loro strade si sarebbero
divise di nuovo, e stavolta la forza fatale che li aveva uniti fino a
quel momento li avrebbe abbndonati, costringendoli a combattere per il
loro amore e per rimanere uniti attraverso le mille difficoltà
che la vita gli avrebbe riservato.
Chinandosi un'altra volta sulle labbra di Harry e cercando di scacciare
l'insopportabile pensiero, Louis si ripetè di nuovo si fotta tutto: Haz ha ragione, quello che è stato è stato, e quello che verrà... è tutto da vedere.
L'unica cosa importante in quel momento era il futuro, e il ragazzo
tatuato colse l'attimo, perdendosi ancora in un altro dolce bacio.
Angolo Finny *w*
Jingle bells, Jingle bell, Jingle All the waaaaaaay :)
Buona sera popolo di efp! Come andiamo? *cerca di svicolare perchè è in ritardo di ben 24 ore*
Umh... che posso dire?
Prendetevela con Leeroy hm che mi ha fatto correggere tutti i dialoghi! #alwaysblameothers lol
No, scherzo. Colpa mia che sto incartando i regali di Natale adesso XD
(spero di non aver spoilerato a nessuno il fatto che Babbo Natale non
esiste LOL)
Vi piace il capitolo? Hazzino cuoricino riacquisisce la sua vocina amorina, e dice tante belle cosine a Boo Boo amorino *w*
E a proposito di amorini... VOI siete amorine, anzi, amorinissime! *
è strafatta di glassa per dolci, ma cerca di dare un senso a
ciò che dice*
Un'immenso grazie e un'augurio di buone feste in omaggio a Lu, che non
è per niente contagiata dallo spirito delle feste ( dai, questo
povero Louis almeno a Natale potresti lasciarlo essere felice :P) Ele28
che adesso conosce la mia brutta faccia da strega e che mi ha
dimostrato che l'amicizia non conosce distante e limiti #loveya Ila che
mi manda in depressione senza whats app ( NOOOOOOOOOO COME SOPRAVVIVO
SENZA TEEEEEEE T.T) Diana che non si chiama Diana ma Francesca che
è un bellissimo nome, mica come il mio che pare il nome d'un
barboncino -.- e che seguirò subitissimo su Twitter mentre
faccio i fiocchi ai pacchetti XD, Annarita alla quale do' il benvenuto
su questo folle e matto treno, giusto in tempo per le feste c: Caro e i
suoi elogi che mi fanno arrossire così tanto che sembro una
palla da appendere all'albero ( anche la forma è la stessa,
rossa o non rossa ahahahahaha) Annie che ringrazio per avermi mostrato
Reaping Ball, perchè l'ho fatto vedere a tutto il treno
stamattina alle sei e sto ancora ridendo adesso, Larry_Art che spero
che deponga le armi e la smetta di dare la caccia alla mia testa, Delia
e la sua girlfriend che shippo da morire anche se non le conosco e alle
quali auguro un Natale pieno d'amore, Swami che pensava di trovarsi un
capitolo.... *tossisce* e invece si è trovata un'altra cosa, e
ultima ma non meno importante Veronica che spero mi abbia perdonato per
il mio imperdonabile ritardo nel recensire la sua ff ( non lo faccio
più T.T mi sento così in colpa)
Al prossimo giovedì fanciulle, con un nuovo capitolo che
s'addentrerà sempre più nella trama della storia che si
fa sempre più complessa :) Che Babbo Natale vi porti tutto
quello che desiderate sotto l'albero e che possiate passare delle feste
meravigliose, che ve lo meritate!
Un bacio
Cami
Ps: Louis e Harry si uniscono a me nell'augurarvi Buone Feste!
|
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Capitolo 16 *** Living Could Be an Awfully Big Adventure ***
16)
I medici non se ne capacitavano.
Era scientificamente impossibile, slegato dalla sua precedente
diagnosi, senza nessun nesso alle eventuali complicazioni che sarebbero
potute insorgere e completamente sconcertante, eppure era vero: Harry
Styles aveva iniziato a stare male, di nuovo.
All'inizio non ci avevano dato molto peso, accusando la leggera nausea
e la diarrea ad un colpo d'aria che il paziente aveva subito durante la
passeggiata serale nel cortile interno della struttura, sgridando
severamente l'inserviente e proibendo nuove 'escursioni' fino a una
completa guarigione.
Però un semplice colpo d'aria non si protrae per sei giorni, e
soprattutto non è affiliato a mal di testa e incapacità
di tenere nello stomaco persino un misero craker.
Avevano prelevato diversi campioni di sangue, urine, feci, eseguito lastre, ecografie, TAC...
Il ragazzo era sano come un pesce, leggermente disidratato e appena
sottopeso per il continuo vomito, ma fondamentalmente non aveva niente
che non andava, sulla carta.
La realtà si presentava brutale e incomprensibile agli occhi
delle infermiere: il ragazzo tirava su persino il the a colazione, non
s'alzava più dal letto, era di umore
depresso/intrattabile/depresso e aveva ricorrenti attacchi isterici e
d'ansia: quello che era un paziente pronto a essere dimesso, allegro e
pieno di energia ora sembrava una pianta che non veniva annaffiata da
troppo tempo, che vegetava secca e striminzita nel suo vaso,
così come lui se ne stava tutto il giorno sdraiato sul letto,
lamentandosi ad alta voce dei dolori intercostali ed interrompersi solo
per rimettere.
Anne Styles non ci credeva.
Proprio adesso che il suo bambino stava per tornare a casa e che tutto
stava per ricomporsi, tornando alla normalità, ecco che la
sfortuna colpiva di nuovo facendo sorgere altri sgradevoli imprevisti.
Non che non fosse preoccupata, ovvio, ma quello che di più l'indisponeva era l'ostinato silenzio dei medici:
Com'era possibile che suo figlio stesse così male e che non avesse niente?
Avevano fatto mille e mille controlli, mille e mille anamnesi, eppure
non erano ancora riusciti a giustificare i malori del loro paziente.
All'inizio pensava fossero stati i biscotti al cioccolato che aveva
comprato, che si dissociavano completamente dalla sua dieta, ma poi
aveva scoperto il pacchetto chiuso nel cassetto del comodino e ancora
intatto, e si era sbarazzata dei sensi di colpa.
Se non era stato il cioccolato, allora cosa poteva essere?
Aveva provato a chiedere a Harry, ma tutto quello che aveva ottenuto era un "Non
lo so, va bene?! Non lo so. Pensi che se potessi non la smetterei?
Perchè mi devi sempre dare la colpa?! Sto male mamma, sto male!
Perchè per una volta non mi puoi lasciare in pace e piantarla di
assillarmi?" seguito da un attacco d'ansia in grande stile, con
tanto di tremore, sudore, tachicardia e pallore, terminato con il suo
stomaco che si rivoltava come un calzino nel bagnetto attiguo alla
camera.
E Anne non aveva più osato chiedere.
Louis non se lo sapeva spiegare.
Harry stava uno schifo, e nessuno sapeva il perchè: la madre
credeva che qualcuno l'avesse avvelenato, l'equipe medica che fosse
colpa sua, che l'aveva fatto camminare fuori al freddo fino ad
ammalarsi, e lui inizialmente aveva pensato a un virus.
Dopotutto anche lui che non si ammalava mai aveva preso la salmonella che girava in reparto.
Dopo l'ennesimo prelievo sanguigno, il ragazzo tatuato era rimasto con
il malato, massaggiandogli piano le tempie e il ventre mentre alternava
momenti in cui tendeva all'altro il catino con momenti in cui andava a
svuotarlo nel bagno, cercando di non sboccare a sua volta.
Per Harry era già abbastanza mortificante così, senza che lui decidesse di fare lo schizzinoso.
Venti minuti più tardi una delle nuove infermiere che si
occupavano del ragazzo panda e che faceva una silenziosa e spietata
corte a Louis, si era affacciata dalla porta, esclamando:
" Louis, non è che mi fai un favorone? Mentre provo la febbre a
Harry non è che puoi scendere in laboratorio a ritirare i suoi
esami?"
Il giovne aveva alzato gli occhi.
"Ma sono tre rampe di scale!"
"Lo so... Sii cavaliere, non vorrai mica lasciare un tale sforzo a una vecchietta come me?"
E così si era ritrovato a sbuffare ed ansimare come un cavallo
da traino vecchio e asmatico davanti al bureau mal illuminato del
centro ematologico, pronto a ritirare l'esito degli esami del riccio.
Inutile dire che le infermiere erano in pausa caffè, attimo dorato di pace che lui aveva brutalmente interrotto.
" Buongiorno..."
"Posso esserle d'aiuto?" l'anziana donna aveva alzato gli occhio dalla sua tazza personalizzata e fumante, palesemente seccata.
" Devo ritirare gli esami del paziente Harry Styles. Sta in Medicina Riabilitativa"
"Ah, si, dovrei averli qui..."
La donna si era messa a frugare nei disordinati plichi di fogli
spiegazzati sulla scrivania polverosa, impiegando più tempo del
previsto e mettendo il ragazzo, già nervoso per conto suo,
palesemente a disagio.
" Uhm... Vanno bene? Gli esami dico... Erano belli?"
L'infermiera aveva alzato un sopracciglio, e Louis si era dovuto trattenere dal non schiaffeggiarsi da solo.
Erano belli ?! Cos'aveva nel cervello, criceti?
Gli aveva teso dei fogli, dopo aver inforcata gli occhiali ed aver
letto velocemente ciò che c'era scritto, sospirando stanca ormai
rassegnata a non poter gustarsi il suo caffè in pace:
" Gli ha dato un occhio il primario prima... E' quel ragazzino della 163 che vomita da una settimana?"
"Si" era riuscito a risponderle lui, il pomo d'Adamo che quasi lo soffocava e il cuore a mille per la preoccupazione.
" Dagli esami strumentali non risulta nulla... E' una cagata... Sarà una roba psicosomatica"
Psicoche'?
Aveva pensato l'inesperto inserviente, ma non aveva osato chiedere dal
momento che la pigra donna l'aveva liquidato con un brusco gesto
della mano, tornando con gioia famelica al suo caffè.
Psicocosa? Vuol dire che ha qualcosa che non va nel cervello? Ma che
c'entra col vomito e col mal di pancia se è psicoroba?
Risalendo lentamente le scale (l'ascensore era fuori discussione, dal
momento che bisognava fare la fila per prenderlo e essere stipato in
una scatoletta del tonno da due metri quadrati per tre con altre dieci
persone non rientrava nelle sue massime priorità di vita) aveva
estratto dalla tasca dei jeans che portava sotto la divisa il suo caro
e consumato telefono, che nonostante l'anzianità talvolta
riusciva a connettersi a internet.
Perchè da sempre Wikipedia era la risposta ai problemi esistenziali dell'uomo, e di certo funzionava più di Dio.
" I disturbi psicosomatici si possono
considerare malattie vere e proprie che comportano danni a livello
organico e che sono causate o aggravate da fattori emozionali. Disturbi
di tipo psicosomatico possono manifestarsi nell’apparato
gastrointestinale (gastrite, colite ulcerosa, ulcera peptica),
nell’apparato cardiocircolatorio (tachicardia, aritmie,
cardiopatia ischemica, ipertensione essenziale), nell’apparato
respiratorio (asma bronchiale, sindrome iperventilatoria)..."
Louis aveva fissato lo schermo, inorridito.
Harry non voleva guarire, e lui sapeva perchè.
E questo era un grande, grande, grande problema.
Al rumore dei passi che rimbombavano nel corridoio Harry aveva nascosto la testa sotto le coperte.
Non avrebbe sopportato un altro prelievo o un altro interrogatorio pieno di domande idiote su come stava e cosa aveva mangiato.
Non sarebbe sopravvissuto ad un'altra visita di sua madre, che non
faceva altro che lamentarsi dell'inerzia dei dottori e raccontargli di
quanto fosse ansiosa di averlo a casa di nuovo, di magiare insieme e
accompagnarlo la mattina a scuola...
I passi si erano fermati a qualche metro dal letto.
"Disturbo, bell'addormentato?"
A quelle parole non aveva potuto fare a meno di sorridere nonostante la
spossatezza che provava in quei giorni, prima di uscire dal
nascondiglio e fare la linguaccia al suo visitatore:
" Tu disturbi sempre Loueh"
Louis Tomlinson stava lì, svaccato sulla sedia in tutto il suo
splendore fatto di jeans rotti e stropicciati, capelli scompigliati e
piercing che riflettevano la luce proveniente dalla finestra.
E odore di tabacco e dopobarba, ovviamente.
" Ho ritirato i tuoi esami, Haz" il ragazzo a disagio si era messo a
giocherellare con la manica bucata della felpa che indossava sotto la
divisa " Ehm... Uhm... Ecco... Ti dimettono dopodomani"
Il ricciolo si era faticosamente messo a sedere, fumante di indignazione e rabbia:
"Dimettermi?! Dimettermi?! In queste condizioni?!"
"Apparentemente non hanno trovato niente"
" E come si spiegano il fatto che non tengo nulla nello stomaco da una settimana, uh?!"
Il ragazzo tatuato aveva distolto lo sguardo.
" Uhm... Potrebbe essere un disturbo psicosomatico. Cioè quando
una tua ansia o paura si manifesta con disturbi fisici. Cioè,
cioè, io non nego che tu non stia davvero male, ma..."
Aveva sospirato, come quando si prende aria prima di un'immersione:
"Harry, tu vuoi tornare a casa, vero?"
Nella stanza era calato un silenzio glaciale, tanto che il
ragazzo-panda era sicuro che il più grande sentisse lavorare
senza sosta gli ingranaggi del suo cervello, come le ventole di un
computer in cortocircuito.
La domanda l'aveva proprio lasciato alla sprovvista.
Voleva davvero tornare a casa?
Questo voleva dire principalmente rientrare a scuola, fare gli esami
integrativi a metà trimestre per rimettersi in pari sul
programma perduto ma contemporaneamente seguire le lezioni e le
regolari interrogazioni e verifiche su quello attuale, e questo
significava un'ingente carico di stress, e sua madre gli sarebbe stata
col fiato sul collo per farlo studiare, perchè studiare è
il tuo lavoro adesso, e ti prepara al futuro, e i suoi compagni lo
avrebbero assillato con domande assurde sull'incidente e gli insegnanti
tutti preoccupati lo avrebbero preso da parte, piombandogli addosso
all'improvviso nei corridoi come fetidi avvoltoi per chiedergli come
stava, e la sua vita si sarebbe ridotta a casa-scuola-scuola-casa, e
non avrebbe più rivisto Louis...
Lo stomaco all'ultimo pensiero si era violentemente stretto in una
morsa, tanto che se avesse contenuto qualcosa l'avrebbe espulso a
seduta stante.
Non l'avrebbe sopportato, non saprebbe sopravvissuto.
C'è chi si fuma, c'è chi beve, chi si taglia, chi si droga.
C'è chi s'innamora.
Ognuno si uccide a modo suo.
E lui aveva scelto il modo peggiore per morire: si era innamorato del
suo carnefice, come l'agnello del lupo, ed era certo che sua madre non
l'avrebbe mai, mai, mai accettato.
Anche se fosse stata una ragazza alla guida di quella maledetta Audi e
dentro quei meravigliosi blue jeans. Anche se Louis avesse chiesto una
bolla papale per confermare il suo pentimento.
Anche se avesse passato il resto della sua vita chiuso in un convento di penitenti.
Harry aveva alzato lo sguardo verso il ragazzo più grande, gli
occhi pieni di lacrime e di fiducia, perchè lui avrebbe capito,
perchè a lui poteva dirlo...
" Io... Io non lo so"
La voce si era incrinata sulle ultime parole, e il più piccolo
aveva nascosto la faccia tra le mani, diviso tra senso di colpa e
disperazione.
" Devi saperlo Harry. E' questo che ti sta infettando"
" Mi manca la mia vita ma... non posso far finta di niente! Non posso
comportarmi come se fosse stata una bella vacanza, una parentesi della
mia vita da cancellare, come se tutto questo non fosse mai accaduto,
come se tu non fossi mai esistito"
Aveva sentito la mano calda dell'altro posarsi sulla sua spalla.
" Nessuno ti chiede di far finta di niente"
"Si invece. Tornerò a essere il recluso in casa, il cocco dei
prof che tutti guardano con invidia, lo sfigato con amici sfigati che
fanno cose sfigate... Io non voglio. Voglio tornare a casa
perchè mi manca il mio letto e la mia famiglia, ma mi mancherai
anche tu. E non voglio che mi manchi, perchè se mi manchi vuol
dire che una volta uscito da sto posto non ci vedremo più..."
"Harry, Harry, Harry!!!" il più grande aveva interrotto il
delirio del piccolo paziente, scuotendolo per le spalle " Non
posso prometterti che i professori ti odino o che non diano più
compiti che impiegheranno tutto il pomeriggio, o che i tuoi amici la
smettano di fare i nerd e inizino a vivere, ma ti prometto che una
volta varcata quella soglia non ci diremo addio. Okay, magari ci
vedremo un po' di meno, ma forse mi ridurranno ulteriormente l'orario
di lavoro, e forse se studiassi di meno saresti meno stressato e pronto
a uscire di casa a fare cose normali, cose che tutti fanno! Ma ci
pensi! Potremmo passeggiare dove ci pare, fare merenda nei bar con la
cioccolata calda, unica cosa che mi potrò permettere, e potremmo
mangiare pizze ogni weekend e andare al cinema a vedere film cretini o
semplicemente parlare, parlare e parlare..."
Il più piccolo aveva tirato su col naso.
" Mia mamma non lo permetterà, c'è lo impedirà"
Louis gli aveva scompigliato i capelli " Non ci riuscirà" aveva ridacchiato " Noi siamo più forti di lei"
" Davvero?"
" Si, e comunque ciò che è destino troverà sempre un modo. Fidati"
Gli aveva teso il solito fazzoletto intriso di fumo e nicotina.
" E poi che razza di relazione si vive tra quattro mura di un ospedale?"
Morire può essere una grandissima avventura, aveva sibilato dentro la testa di Louis il vecchio, ferito, stanco e suicida se'.
Quante volte ci aveva pensato, mentre Zayn gli passava le canne e Stan gli porgeva una lattina di birra?
Tante, tantissime.
C'erano giorni nei quali non riusciva a pensare ad altro, fissando con
smodato desiderio il tubo in gomma della doccia, la bombola del gas
sotto i fornelli insieme all'amoniaca e i detersivi o ai coltelli di
fianco al piatto a tavola.
Per capire il valore della vita aveva quasi dovuto uccidere una persona.
Era quasi un paradosso.
" Me lo prometti?"
" Cosa?"
" Che non sparirai, che non mi lascerai andare, che resterai nonostante tutto..."
" Lo prometto"
Louis si era seduto sul letto affianco a Harry, per poterlo abbracciare
meglio e giocherellare con i capelli che lentamente stavano ricrescendo.
Erano rimasti un attimo in silenzio, prima che la voce di nuovo tremula
del più piccolo infrangesse la pace sonnolenta nella quale la
stanza era immersa.
"Louis... Mi concedi un ultima canzone sulla nostra panchina?"
Il ragazzo col viso tra i ricci dell'altro aveva sorriso: forse
dopotutto avevano risolto il problema, ed erano entrambi pronti ad
andare avanti.
Questa volta insieme.
I was a quick-wit boy, diving too deep for coins
All of your street light eyes wide on my plastic toys
Then when the cops closed the fair, I cut my long baby hair
Stole me a dog-eared map and called for you everywhere
Have I found you
Flightless bird, jealous, weeping or lost you, american mouth
Big pill looming
Now I'm a fat house cat
Nursing my sore blunt tongue
Watching the warm poison rats curl through the wide fence cracks
Pissing on magazine photos
Those fishing lures thrown in the cold
And clean blood of Christ mountain stream
Have I found you
Flightless bird, grounded, bleeding or lost you, american mouth
Big pill stuck going down
Era capitata con la riproduzione casuale, quel giorno amaro sulla
panchina del cortile dell'ospedale, ma a Louis e Harry era sembrato un
segno superiore, e uno si era messo a fumare e l'altro a fissare il
cielo, cercando di convincersi che quella non era la fine, ma solo
l'inizio di una nuovo capitolo della loro vita, lontano da morte
sofferenza e dolore.
Il giorno dopo il Ragazzo che Guardava il Cielo aveva ordinatamente
piegato i pigiami nella sua valigia, provando dopo molti mesi
l'ebbrezza di indossare un paio di jeans che gli sfregavano ruvidi
contro la pelle, prima di nascondere sotto la pila di vestiti un
berretto di lana morbida a forma di panda e cercare di ignorare il
pizzicore nella gola e negli occhi.
Aveva varcato la soglia del corridoio del reparto scrutando l'atrio,
disilluso, mentre sua mamma trascinando il trolley chiacchierava a
tutto spiano su quello che avrebbero avuto per cena e su quanto fosse
meraviglioso riaverlo di nuovo a casa, mentre lui respirava
profondamente, lasciando che la delusione si conficcasse dentro di lui
come pugnali infuocati.
Non si era mai voltato indietro, ripetendosi meccanicamente come una
litania che non era un addio, non era un addio, non era un addio...
Se mi girò tradirò il nostro segreto.
Se guardo indietro non riuscirò più ad andare via.
Louis...
E così come Orfeo con la sua Euridice aveva piantato lo
sguardo per terra, muovendo un passo dopo l'altro, costringendosi ad
andare lontano, soffocando i suoi ripensamenti e i rimpianti, uccidendo
le domande e i dubbi, verso il destino che fuori lo aspettava...
Una folata gelida nonostante i timidi raggi di sole di quel primo
pomeriggio invernale lo aveva accolto quando sua madre aveva spalancato
la porta d'ingresso della struttura.
Aveva camminato sui carboni ardenti fino a metà parcheggio,
diretto verso la macchina mentre sua madre infilava la valigia nel
portabagagli, saltellando qua e la eccitata.
Non c'è l'aveva fatta, si era voltato.
Perchè faceva troppo male che Louis non fosse venuto a
salutarlo, perchè il pensiero dell'ignoto lo spaventava e la sua
non-presenza lo spaventava ancora di più.
E si era voltato, fissando la facciata del St Barbara per l'ultima volta, in un commiato silenzioso.
I suoi occhi erano stati attratti dalla fila di finestre al quarto piano, e l'aveva visto.
Perchè sapeva dove guardare.
Si erano fissati per un attimo, e Harry non aveva avuto più paura.
Era salito in macchina, interrompendo gli ansiosi richiami della madre,
sentendo due occhi azzurro cielo perforargli la nuca e augurargli
arrivederci, prima che l'auto sgommasse via, sempre più lontano,
diventando una macchina in mezzo a tante macchine imbottigliate nel
traffico, e infine un puntolino minuscolo inghiottito dall'orizzonte.
Il Ragazzo che Fumava però non si era mosso, continuando a
fissare la linea dove il paesaggio sfumava in qualcosa che era troppo
lontano per essere raggiunto, le mani affondate nelle tasche per
impedirsi dolorosamente di salutare, la fronte premuta contro al vetro
e gli occhi fissi sul futuro.
Si era acceso una sigaretta, respirando a pieni polmoni l'aria fredda e i raggi di sole.
Perchè vivere può essere una grandissima avventura.
Angolo Finitem :)
Sono una grandissima merda.
Sono una grandissima, stratosferica, gigantesca merda ambulante: sono 20 gg che non aggiorno!
Ho passato un Natale tranquillo
( quindi non ho scusanti) e un pazzo pazzo pazzo capodanno ( 48 ore in
piedi, petardi in camera e la sottoscritta ubriaca di vodka che a
momenti con un fuoco difettoso mandava a fuoco tutto il paesino di
montagna dov'eravamo... QUESTA è una scusa) e per di più
il 28 ho la simulazione di terza prova T.T
In sintesi, sono un poco
sclerata ed isterica ( tutte le maturande mi capiranno .-.) ma prometto
che dal prossimo mercoledì in poi aggiornerò
puntualissimevolmente!
Quindi, velocissimamente
perchè ho 5 materie da studiare ( gli argomenti da settembre a
oggi) ringrazio e bacio Ele con cui mi scuso perchè se non ci
sentiamo è anche un po' colpa mia e stessa cosa vale per Ilaria,
rido' il bentornata a Erica e il Benvenuto al lato oscuro di Malu, se
posso anche io permettermi di chiamarti così e a Courtney131love
:) Ellie che è onnipresente anche se non recensisce, come il
capitolo 14, Annie alla quale auguro un buonissimo anno pieno di Odesta
#ifyouknowwhatimean, Caro che riporta vecchie promesse ormai
dimenticate ( della serie, non saprei manco come iniziare il sequel di
Moments :O) Veronica che spero sia rimasta illesa dai parenti, 1D_1D
che non mi chiedeva di ritardare e invece.... Francy mi scuoierà
viva, lo sento... Prometto che se mi risparmi aggiornerò
subitissimissimissimo apopena terminato il capitolo. Non ucccidermi ti
prego.
Delia che mi minaccia di farmi
brutte cose se succede qualcosa di brutto... ooops già fatto :)
ma come hai visto si è sistemato subito :) Marti_lala che, a
quest'ora mi parla di dolci e io sono a dieta ( gnammmm fame fame
fameee) Lu che spero sia sopravvissuta al Natale pieno d'amore e gioia
dal momento che potrebbe essere la sorella a lungo perduta del Grinch (
pelame e verde a parte spero) Swami alla quale faccio gli auguri di
Natale in ritardo ( di nuovo ooops) e Leeroy hmm che il
primo giorno di scuola mi ha salutato con un " Tuuuuuu perchè
non hai aggiornato?!"
Dovete a lei la mia presenza qui oggi puhahahaha, non so se sia un bene o un male XD
Tantissimi baci e ancora non uccidetemi, vi prego.
Abbiate pietà di una povera scrittrice.
Tanto amore
Cami
Ps: Cosa ne pensate del nuovo tattoo di Hazzino cuoricino?
Ps del ps: Tanti auguri a teee
taanti auguri a teee tanti auguri-in-ritardo-di-un-giorno caro
Zaaaaaayn tanti auguri-in-ritardo-di-un-giorno-ma-non-mi-andava-il-wifi
a teeeee :')
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Capitolo 17 *** Joining The Dark Side ***
17)
17. Joining The Dark Side
" Come è andata al lavoro oggi?"
Louis aveva cercato di digitare qualcosa di coerente e sensato con una
mano, mentre con l'altra strappava il telecomando di mano a Fizzy,
cercando di arbitrare la partita di wrestling tra lei e una delle due
gemelline, in quel momento non gli importava quale, urlando a entrambe
di smetterla se non volevano pulire i piatti sporchi della cena con la
lingua.
Una volta sospesa la lotta e appoggiato il telecomando lontano dal
campo di battaglia aveva sporto la testa dal corrimano delle scale,
strillando a pieni polmoni verso il piano di sopra:
" Lottie! Apparecchia!"
Poi, finalmente la sua attenzione si era dedicata completamente allo
schermo del suo telefono, acceso sulla schermata di what's app con la sua conversazione con 'Hazza'.
" Bene, bene... Niente di nuovo: ho ritrovato la dentiera della Sig.ra
Carrey nel suo letto mentre cambiavo le lenzuola, abbiamo visto di
nuovo Casablanca (ormai so le battute a memoria) e il Sig. Davis
imbroglia a scacchi e in più oltre il danno pure la beffa
perchè mi da del tarato. E' una noia da quando sei andato via"
Il ragazzo, tenendo sempre il telefono in mano, come se fosse il
prolungamento del suo braccio, si era trascinato ai fornelli, mettendo
sul fuoco una pentola piena d'acqua e richiamando ai suoi doveri ancora
una volta la sorella minore, chiusa in camera sua al piano superiore.
Un altro ' Lottie' esasperato era stato smorzato dal fischio del cellulare, che indicava l'arrivo di un altro sms.
" Lo so, lo so, me lo dici sempre. E' una settimana che me lo ripeti"
"E' perchè mi manchi"
" Mi manchi anche tu"
" Cosa fai tutto il giorno senza di me?"
Il ragazzo tatuato aveva aperto il pacchetto della pasta con i
denti, mentre con la mano libera cercava di aprire un barattolo di
passata di pomodoro aspettando trepidante la risposta.
" Nulla... Leggo, gioco col gatto, sto su Facebook, guardo la Tv... Mi annoio in effetti"
Louis aveva sorriso.
"Siamo in due"
Aveva versato la passata nella padella e l'aveva messa a scaldare,
prima di pesare la pasta alla cazzo, dal momento che le sue
capacità matematiche erano pressochè inesistenti.
Si era dimenticato che Lottie era al lavoro.
Merda.
"Daisy! Phoebe! Fizzy! Qualcuno apparecchi!"
Aveva versato la pasta nell'acqua che bolliva.
Merda.
Aveva dimenticato di aggiungere il sale.
Sopprimendo l'istinto di picchiarsi da solo e guardando appena
l'orologio nel microonde per evitare di far scuocere la cena, aveva
ripreso in mano il cellulare.
" Domani dovrei rientrare a scuola"
Se lo vedeva Louis, tormentarsi i quattro peli che aveva in testa e
mordersi le cuticole fino a farsi sanguinare le dita dall'ansia.
" E questo è male?"
"Si. No. Non lo so"
" Vuoi che ti chiamo?"
"Non puoi, mamma è a casa"
"Ah. Ma almeno mi dici perchè non sei contento di tornare dai tuoi compagni e dai tuoi amici?"
Il ragazzo aveva mollato il telefono sul ripiano della credenza prima
di stendere la tovaglia frettolosamente, tutta storta e stropicciata,
ormai rassegnato a dover far da solo.
" Non lo so" aveva letto quando aveva ripreso in mano il telefono "
Tutti mi faranno domande e mi fisseranno. E' una cosa che odio"
" Brutta cosa la popolarità" aveva scherzato Louis mentre come
un equilibrista impilava i bicchieri, piatti e posate e li portava in
tavola tenendoli con una mano sola.
Aver lavorato come cameriere per più di sei mesi aiutava.
A questo punto poteva lasciare la scuola e andare a lavorare in un circo.
" Non sono popolare!" aveva specificato Harry " Sono un fenomeno da
baraccone, il povero bravo ragazzo che era sempre in oratorio che
è stato investito da un pazzo ubriaco"
Dimenticandosi un attimo della pasta, il ragazzo aveva digitato furioso
" Meglio fenomeno da baraccone che pazzo ubriaco, tanto per la cronaca"
"Touchè. Scusa. Non stavo pensando"
Louis aveva appena fatto in tempo a leggere le scuse dell'altro quando
aveva visto l'acqua della pasta che ribolliva in una frizzante schiuma
bianca che strabordava dal bordo della pentola, gettandosi suicida tra
le fiamme dei fornelli e sul pavimento.
Cazzo cazzo cazzo.
Il ragazzo si era precipitato verso l'angolo cottura, imprecando ad
alta voce mentre afferrava i manici della stoviglia incandescente e
gettava il contenuto nello scolapasta nel lavello, spargendo spaghetti
ovunque tranne che nell'arnese.
Merda.
Sentiva il cellulare abbandonato sul tavolo fischiare selvaggiamente e
così, una volta spento il gas si era precipitato a leggere il
papiro di scuse del suo ragazzo-panda.
"Piantala di scusarti!" aveva digitato " Va tutto bene: non rispondevo perchè sono un marcione tarato"
Gli aveva inviato una foto della pasta sparsa nel lavandino e quell'unico spaghetto supersite nello scolapasta.
Harry aveva risposto dopo qualche minuto con una serie di faccine
divertite, prima di scrivere "Mi sto pisciando sotto dalle risate...
Oddio, decedo! Sei proprio un marcione tarato!!"
Louis, terminando di apparecchiare e raccattare la pasta per rimetterla
nella pentola ed aggiungerci il sugo, aveva sorriso: se riusciva a
farlo ridere e distrarre un po' vuol dire che non era inutile come
pensava.
A qualcosa ancora serviva.
" Mi sento offeso"
Gli era arrivata una faccina che gli faceva una linguaccia.
Aveva riposto anche lui con uno sberleffo, prima di aggiungere:
" Vorrei vederti io a cucinare con una mano sola!"
Gli aveva mandato un bacio, aggiungendo un "Ti lascio andare a mangiare
allora. Anche se non vorrei mai essere un suo commensale, oh Chef
Marcione"
"Scemo"
"Buon appetito"
" Grazie. Ti chiamo domani, così mi racconti"
" Okay. Ti amo"
Mentre le gemelline facevano irruzione in cucina proclamando a gran voce che sarebbero morte di famissima se non avessero avuto del cibo subito, Louis aveva sorriso.
"Buonanotte panda, a domani. Ti amo anche io"
"Allora? Come è andata?"
Harry non aveva nemmeno fatto in tempo ad alzare la cornetta che Louis lo aveva investito di domande.
"Eri nervoso? Che hanno detto i tuoi amici? E i prof? Sei contento?"
" Louis calma!"aveva strepitato nella cornetta " Non è stato
tutto sto granchè. Davvero. I miei amici erano contentissimi di
vedermi e i professori ci hanno dato il permesso di festeggiare in
classe con dei salatini, delle bibite...
Marcel mi ha organizzato questa specie di festa-lezione a sorpresa, e i
prof si sono tutti fermati a chiedere come stavo, se mi serviva
aiuto... Robe così"
"Non sembri molto entusiasta"
Harry aveva sospirato.
" Non è stato nulla di speciale, Loueh. Non c'è nulla di cui essere entusiasti"
"Ti aspettavi di più?"la voce dell'altro si era fatta riflessiva e così seria da sfiorare la tristezza.
"No, certo che no..."
" E allora dov'è il problema?"
" Il problema è che sai, mi aspettavo un 'bentornato' o qualcosa
dai miei compagni di classe, un minimo di interessamento sulla mia
salute e non su 'quello che farò per rimettermi in pari'
Ho chiesto gli appunti di algebra a cinque persone, cinque, e nessuno
me li ha voluti prestare, l'unica domanda che mi è stata rivolta
è se potevo essere subito inserito nel giro delle interrogazioni
o preferivo una settimana di pausa, e in più ho scoperto che in
mia assenza mi hanno eletto rappresentante di classe e che devo
compilare tre verbali dell'ultima assemblea.
E indovina cosa?! Io non c'ero"
Il ricciolo aveva sentito il più grande fremere dall'indignazione, prima di esplodere di rabbia:
"Brutti figli di buona donna, ratti di fogna, esseri immondi..."
"Louis"
" Sono dei bastardi opportunisti e falsi. Sono solo invidiosi
perchè tu sei più intelligente di loro, e
perchè sanno che non saranno mai alla tua altezza. Devi solo
lasciarli perdere"
"Lo so. Non importa: aspettarsi per una volta di essere trattato da
essere umano al posto che da librone stampato è troppo"
Il tono deluso del più piccolo feriva a morte Louis, che essendo
a sua volta un reietto outsider capiva cosa si provava a essere
guardati come carta da parati al posto che essere pensante che prova
sentimenti.
A quanto ne sapeva lui importava eccome.
"Com'eri vestito?"
Aveva chiesto, desideroso di distrarlo e di farlo sentire meglio.
Harry era rimasto spiazzato dall'improvviso cambio di argomento.
"Come scusa?"
"Com'eri vestito?"
"Perchè vuoi saperlo?"
" Per immaginarti meglio"
Lo aveva sentito sorridere dall'altro capo della cornetta.
" Bah... Jeans, tennis e una felpa colorata"
" Colore?"
" Arancione. Sei un maniaco"
Louis aveva ridacchiato.
"Solo quando si tratta di te Haz, sai?"
Il più piccolo, palesemente imbarazzato, aveva precipitosamente cambiato l'oggetto di conversazione.
" E tu?"
"Cosa?"
"Come sei vestito? Sai, per immaginarti meglio"
" Ti va male riccio: sono come mi hai sempre visto... In divisa"
"Perchè? Dove sei?"
"Sto andando al lavoro, che domande! Mi aspettano 2 ore in compagnia di
simpatici vecchietti, ancora più simpatiche infermiere e odore
di piscio di gatto"
" Beato te... Mi attendono due ore di letteratura inglese più
mezzo libro di storia da recuperare. Mi esplode la testa dallo stress
al pensiero di tutta la roba che devo recuperare... Ehi, non è
che mi investi di nuovo?"
" Non è divertente"
Il tono inequivocabilmente serio e di rimprovero del più vecchio aveva spento ogni ilarità.
"Scusa. E' che mi viene voglia di buttarmi giù da un ponte al pensiero di ricominciare tutto il tram tram da capo"
Il tono di Harry era veramente triste e abbattuto, e il badboy insito
in Louis non ci aveva messo più di due secondi per tentare di
portarlo sulla via della perdiziona.
"Manda tutto a fanculo Harry. Nessuno morirà se per una volta non sei il primo della classe"
" Ti sbagli: io morirò, e per mano della mia stessa madre!"
"Tua madre ha bisogno di rivedere le sue priorità" era sbottato
Louis, non riuscendo a celare la sua antipatia verso Anne "Preferisce
avere il piccolo genio depresso o un figlio felice?"
" Bho, a volte me lo chiedo anche io"
" Dai Haz, molla lì tutto. Molla libri e quaderni e vieni da me,
dai. Unisciti al lato oscuro, abbiamo biscotti al cioccolato"
"Scordatelo Louis. Ho un mucchio di roba da fare"
"Potrei darti ripetizioni io... Sono un genio! Devi solo chiudere gli appunti e portare le tue chiappe qui"
Harry aveva riso forte nella cornetta, prima di chiudere la chiamata, congendandosi con un:
"Non mi avrai mai, Satana"
E Louis gli aveva creduto, dimenticandosi totalmente della loro
conversazione ( e tentata traviazione) nelle successive due ore: le
infermiere erano particolarmente simpatiche quel giorno, i vecchietti
ancora più statici e prossimi a passare a miglior vita e il
piscio di gatto rischiava di corrodergli i polmoni ad ogni respiro.
La Fulton si dimostrava, come sempre, utile come un gatto in superstrada, tanto da confondere i suoi stessi ordini:
" Sono finite le sonde!" aveva urlato facendo irruzione nel reparto "Dov'è quell'inutile scimunito?"
Intendeva lui, ovviamente.
Dopo le prime settimane, quando ancora rimaneva scioccato, Louis
iniziava a pensare che lo insultasse in modo affettuoso, dopotutto
aveva sentito chiamare suo figlio al telefono ' essere inutile e senza
forma'...
Affettuosamente o no, la vecchia bacucca l'aveva spedito all'ultimo
piano a fare rifornimento, e lui avrebbe preso volentieri l'ascensore
se un troglodito sfasciaballe che portava al braccio una vecchietta
esile come una ragnatela mossa dal vento non avesse proclamato la sua
presunta precedenza nella fila, prima di indignarsi a voce
spropositamente alta sul fatto che i giovani facevano sempre i
furbetti, cercando sempre la via più breve e rubando il posto in
ascensore alle povere e oneste persone normali...
S'è l'era fatta a piedi.
La prima volta a mani vuote, e la seconda volta con le braccia ingombre
di due scatoloni pieni di sonde e sonde sterili pigiate le une sulle
altre tanto da rischiare di far esplodere il cartone.
E come se non bastasse, appena sistemato l'ultimo scaffale della dispensa dei medicinali la donna era tornata all'attacco:
" Tomlinson!"
"Si?"
" Sono le 15.45!!"
" E quindi?"
" Quindi, i referti medici dei pazienti sono stati portati in
laboratorio un'ora fa e sono pronti per essere ritirati, brutto
scansafatiche idiota e senza spina dorsale!"
E quindi dopo la scarpinata fino al tetto, era anche dovuto scendere
fino al centro della terra, sempre nel bunker polveroso e buio dove
l'infermiera-con-la-tazza-personalizzata-perennemente-in-mano ( la
stessa che gli aveva visto usare quando aveva ritirato le analisi di
Harry) gli aveva pigramente teso una pila di cartelle rigide coi bordi
appuntiti che puntualmente gli si infilavano nella pelle, prima di
congedarlo soffiando sulla sua cioccolata calda.
" Tra mezz'ora stacco, tra mezz'ora stacco, tra mezz'ora stacco"
pensava il povero ragazzo, ripetendo il mantra ad ogni gradino che
s'interponeva tra lui e la geriatria, con il fiatone e la lingua a
penzoloni dalla stanchezza: non bastava lavare vecchi obesi dagli 80
chili in su, spazzare il pavimento in ginocchio e spingere carrelli di
metallo da una tonnellata, ora doveva pure allenarsi per l'arrampicata.
Era così stanco e incazzato per il servilismo e lo sfruttamento
a cui era costretto che una volta tornato ai piani alti dov'era in
servizio non aveva nemmeno cagato di striscio la schiera di nonnini
seduti sul divano sfondato a guardare di nuovo Casablanca, o almeno,
non ci aveva fatto caso finche due giovani gambe strette in un paio di
blue jeans e vecchie Adidas non erano spuntate fuori dal nulla
rischiando di mandarlo a gambe all'aria sul vecchio tappeto peloso se
non avesse saltato in tempo.
La compagnia dei vecchietti supersiti era scoppiata a ridere, ignorando
la sua occhiata assassina e il suo "Ma che cazzo?!" dopo essersi girato
di scatto, furibondo e pronto a sfogare tutto il suo stress con una
bella scenata.
Ma non aveva avuto il cuore di farlo: tutta la rabbia che provava era
svanita come neve al sole quando aveva incontrato quei bellissimi occhi
verdi che lo facevano andare fuori di testa come il più potente
dei trip.
"Guarda dove metti i piedi" aveva provato a dire Harry con tono da
duro, rovinando il tutto con il suo sorriso dotato di fossette da
Cherubino.
"Oi! Cosa ci fai qui?" era inorridito: aveva fatto tutta la strada a piedi?!
" Mi ha portato mia mamma quando le ho, uhm, casualmente menzionato
quanto fossi legato a questi vecchietti e del fantastico the delle
16.00..."
"Shhh!" li aveva sgridati la Sig.ra Bruce, sputacchiando ovunque e distogliendo lo sguardo famelico dallo schermo.
" E lei t'ha lasciato uscire?" aveva sussurrato l'inserviente, una
volta che l'attenzione dell'anziana donna era ritornata al film.
" Le ho detto che comunque dopo mi sarei trovato in biblioteca con un compagno per fare ripetizioni"
Al pensiero di aver mentito a sua madre Harry era arrossito, la colpa
che gli si dimenava nelle viscere come un pesce catturato ancora vivo.
Ma d'altronde, che poteva fare? Altri cinque minuti a fissare il libro
di storia, fermo a pagina 5, sapendo che i suoi compagni erano a pagina
125, e sarebbe diventato matto.
" E poi mi hai promesso dei biscotti al cioccolato"
Louis aveva ridacchiato piano, prima di controllare l'orologio:
" Venti minuti e sono tutto tuo. Intanto, perchè non vieni di la
a giocare a dama con il Sig. Davis? Così almeno puoi provare
l'ebbrezza di essere chiamato ' idiota tarato' anche tu"
" Non contarci" aveva esclamato il ragazzo, alzandosi dal divano e superandolo diretto nell'altra stanza " Sono un asso a dama"
E diceva il vero.
Dopo aver sistemato le cartelle e messo a sterilizzare la biancheria,
prima di rifare i letti con quella pulita, il più grande aveva
assistito agli ultimi, emozionanti momenti dello scontro sul piano di
gioco: non aveva mai visto il vecchio così concentrato e assorto
prima d'ora.
Evidentemente era davvero un idiota tarato.
La partita si era conclusa con una vittoria all'ultimo minuto di Harry,
che era stato invitato a tornare l'indomani dall'anziano, onorato e
sorpreso di avere un avversario del suo stesso livello.
A Louis non aveva dato fastidio, soprattutto perchè Harry aveva
infilato velocemente il suo giaccone prima di congedarsi
frettolosamente ed essere trascinato fuori, nelle strade della
città dove l'aria gonfiava i sacchetti della spesa abbandonati
sui marciapiedi vicino ai bidoni della raccolta differenziata e le
macchine gli scompigliavano i capelli sfrecciando a tutta
velocità di fianco a loro.
Il maggiore si sentiva tre metri sopra il cielo: come aveva potuto
pensare di non essere voluto da Harry una volta dimesso, di essere
dimenticato, di essere rifiutato...
Non era forse più bello poter fermarsi a guardare le vetrine,
sorridere ai passanti, essere liberi di andare dove volevano quando
volevano, piuttosto che camminare tra le pareti asettiche e puzzolenti
di un ospedale, a fianco di barelle e carrozzine piene di morte e
disperazione, sottoposti al comando e al coprifuoco delle infermiere?
Solo in quel momento, nel profondo sentiva di aver in qualche modo aver
avuto paura della guarigione di Harry e delle sue conseguenze, ma non
era forse valsa la pensa avere un po' di timore, ora che insieme
potevano camminare per le strade come due persone normali, lasciandosi
alle spalle il dolore e la colpa dell'incidente quasi fatale che li
aveva portati insieme?
Mentre prendeva posto in un anonimo bar di fianco all'edicola, Louis
pensava di sì, soprattutto perchè l'altro sorrideva nel
suo solito modo candido, innocente e disarmante.
Harry sorrideva perchè era felice, perchè tutta l'ansia
del futuro e di come l'avrebbe affrontato era sparita nel momento in
cui aveva visto la piacevole meraviglia dipinta nel volto dell'altro
nel vederlo.
Non era deluso dal fatto che non avesse ancora recuperato la seconda
rivoluzione francese, non si sentiva a disagio scoprendo che stava
facendo quello che non avrebbe dovuto fare, mentendo e ignorando i suoi
doveri ai quali di solito era così ligio, non si aspettava che
lui tornasse con naso infilato tra i libri...
Louis non voleva questo da lui.
Voleva solo trascorrere del tempo insieme con lui, facendo cose normali
in posti normali ad orari normali, ora che erano fuori da quella
piccola parentesi che era stato l'ospedale.
Ora che era scampato alla morte ed era guarito da tutti i suoi mali,
Harry poteva permettersi di essere egoista e di ringraziare il destino
per averli fatti incontrare, mettendo Louis ubriaco su quell'Audi la
notte dell'incidente.
Certo, pensando a quanto Gemma e sua mamma avevano sofferto si sentiva
un depravato, ma d'altronde le cioccolate non servivano ad affogare i
pensieri e le preoccupazioni nella felicità liquida?
"A che pensi?" aveva chiesto Louis , prendendo un sorso
della propria aveva interrotto le sue macchinazioni interiori.
" Penso che sono felice di essere seduto qua con te oggi" aveva bevuto
anche lui, per coprire il rossore che quelle parole gli causavano,
scottandosi tutta la lingua e arrossendo ancor di più.
" Anche io sono felice. Non mi succedeva da tanto" anche il maggiore
gli aveva sorriso imbarazzato, rompendo il ghiaccio e dando inizio alla
conversazione.
Avevano parlato, parlato e parlato: di quanto certe materie scolastiche
facessero schifo, di come la Fulton spadroneggiasse su Louis, di quanto
Anne fosse apprensiva-oppressiva nei confronti del figlio, dei 101 modi
per torturare più crudelmente possibile i compagni sia dell'uno
che dell'altro...
Ovviamente erano uno più pazzo e improbabile dell'altro, ma loro
ci ridevano sopra, accontentandosi di gioire del semplice pensiero e
della facile teoria.
Una volta finita la cioccolata si erano diretti al bancone a pagare,
dove era avvenuta una piccola zuffa per chi avrebbe pagato, che aveva
visto Harry trionfale vincitore e Louis perdente sconfitto che
soffiando un ' la prossima volta sta' minchia che paghi tu' aveva
rimesso via il portafoglio, mentre usciva all'esterno, fissando la
volta celeste scurirsi per il sopraggiungere della sera.
" Hey, non te la prendere... D'altronde sono in debito no? Sennò come te le pago le ripetizioni?"
Harry era a due passi da lui, pienamente illuminato sotto la luce giallastra del lampione appena acceso.
Louis era sbiancato.
" Accidenti! Io non ho portato nessun libro Haz... Secondo te è ancora aperta la biblioteca?"
Un ghigno furbesco arricciò le labbra del piccolo, mentre uno sguardo di maliziosa intesa gli illuminava il viso.
" Biblioteca? Ma non ci siamo già stati?"
E a Louis era venuta una voglia irrefrenabile e irresistibile di
levargli quel sorriso da schiaffi che stonava su una faccia tanto
angelica, e assaggiare i suoi baffi di cioccolata, e così lo
aveva spinto contro al lampione, troncando ogni sua protesta sul
nascere, zittendo quella lingua lunga che si ritrovava.
E così l'aveva fatto.
Libero, senza la paura che Anne spuntasse furibonda dietro da qualche
angolo pronto a fargli la festa, senza l'angoscia che qualche
infermiera curiosona vedesse ciò che non doveva vedere,
finalmente lo assaporava fino in fondo.
Due ragazzi si baciano appassionatamente nel bel mezzo del marciapiede,
sotto lo sguardo indiscreto di tutta la gente, che è costretta a
fissarli e a riconoscere il loro amore, e a scendere nella strada e
fare un pezzo in balìa del pericolo delle macchine,
perchè non si può passare perchè i loro corpi
ingombrano e impediscono il passaggio, e fa freddo e i loro respiri
condensati e uniti salgono in spirali verso il cielo come la più
dolce e mortale delle sigarette, ed è buio e i negozi iniziano a
chiudere, e inizia a piovere e il cellulare di uno dei due inizia a
squillare rumorosamente, ma a loro, in quel momento, importa poco o
nulla.
Angolo Finny *w*
Buenas Diasssssssssss :)
Eccomi qui, puntuale come un treno Svizzero ( No, Novi) la sottoscritta s'appresta ad aggiornare!
Che dire sul capitolo in questione?
Harry è un po' me, un
po' in fase
pentola-a-pressione-che-sta-per-esplodere-per-il-troppo-studio, datemi
retta, emigrate in Australia prima della quinta liceo, e salvatevi da
questa tortura!
Per fortuna mia mamma non
è Anne, e preferirebbe vedermi calma e tranquilla non molto
preparata al posto della mia condizione attuale nervosa e
cattivissimissimissima della serie che se salto un pasto e qualcuno mi
fa arrabbiare sono capace di mordere.
A voi invece, vi mangerei di
baci <3 a partire da Caro che le piase la mia svolta e spero che
anche questo capitolo le piaccia molto perchè i Larry sono pucci
pucci, Frappucciana a cui do' il benvenuto in questa folle folle
fanfiction, Annie che è l'unica che ha visto Peter Pan, quello
del 2009 con Mr Malfoy Senior che fa Mr Darling e Uncino e Jeremy
Sumpter come un piccolo Peter che CBCR :Q_ sbav, Ellie la mia
mogliettina che vorrebbe riempire di botte Harry per il nuovo tatuaggio
( io invece l'ho letto in una chiave completamente diversa... prendi
"Strong" i primi versi, che parlano di navi, e loro hanno tutto: la
nave, la bussola, la corda e infine... l'ancora.
Coincidence? I think not)
Larry_Art che ha purtroppo fatto centro sul caratterino che Anne
avrà in questa ff, Lu invece che c'ha preso con Hazzino
cuoricino e la droga, Vero con la quale mi scuso di nuovo per
l'immensissimo ritardo dello scorso aggiornamento, 1D_1D anche lei
nuova da queste parti, di nuovo benvenuta, Delia che mi spadellerebbe
la faccia superincazzata e si perderebbe tutto il resto del capitolo
(perchè io faccio gli scherzoni, faccio 'prendere male', o
prendere colpi come dice Malu, le persone ma poi si risolve tutto...
forse XD) Ele che ha scritto una OS che ho letto stamattina e per
quanto è bella mi tremano le ginocchia ancora adesso, Lerooy
hmm, che, cazzo domani c'è biologiaaaaaaaaaaaa and last but not
least Fra , che voglio sapere com'è andato l'esame, che sono in
ansia per te :)
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Capitolo 18 *** Two World Collide ***
18)
18. Two World Collide.
Nda: Dedicato alla mia Stratega.
Il ragazzo era sprofondato nella sedia, il viso affondato nel palmo
della mano e gli occhi stanchi in procinto di chiudersi sulle fitte
righe del libro di testo:
" I glucidi (dal greco glucos,
cioè dolce) sono dei composti chimici organici spesso studiati
in alimentazione e in biologia, altrimenti chiamati glicidi, zuccheri,
carboidrati (da idrati di carbonio, solitamente divisi in semplici o
complessi), saccaridi solitamente divisi in mono- o poli- o più
specificatamente in chimica, classi di biomolecole CHO.
Hanno numerose funzioni biologiche, tra cui quella di riserva energetica, il trasporto dell'energia e..."
Aveva chiuso gli occhi.
Basta, non c'è la faceva più: erano tre ore che studiava,
e contando il fatto che si era alzato alle cinque per portarsi avanti
prima di andare a scuola era veramente, veramente stanco.
Ma d'altronde non poteva fare diversamente, il giorno dopo aveva
un'importante interrogazione per risultare almeno classificabile sul
registro di classe in vista dei colloqui, e gli mancavano ancora 3
interi capitoli da esaurire prima di ritenersi anche solo lontanamente
'pronto'.
Non c'è l'avrebbe mai fatta.
Aveva appoggiato la testa sul libro odoroso d'inchiostro, disperato,
ripromettendosi di riposarsi solo cinque minuti, solo cinque minuti,
solo cinque minuti...
Così l'aveva trovato Louis a fine turno, dopo essere
uscito dall'ospedale: la faccia infilata nel libro, il braccio ancorato
al quaderno, come se solo tenendolo in mano avrebbe rimediato tutte le
risposte, e le caviglie incrociate sotto la sedia spinta all'indietro
lontano dal tavolino sgangherato della biblioteca dove solitamente
aspettava studiando che l'altro finisse di lavorare: insomma non la
migliore posizione e il miglior posto per dormire comodi, soprattutto
per schiena e collo.
Ma Harry sembrava non soffrirne, dal momento che dormiva seneramente
russando leggermente di tanto in tanto, muovendo appena col suo
respiro un angolo del libro dotato di voluminoso orecchio, con
un'espressione felice, distesa e tranquilla che nell'ultimo periodo era
mancata spesso dal suo viso.
Il giovane inserviente sapeva che il più piccolo era stressato,
stanco e provato, e si era interpellato a lungo chiedendosi se
svegliarlo o meno, osservando le lunghe ciglia gettare ombre
meravigliose sulle sue adorabili guanciotte e decidendo alla fine di
prendere posto di fianco a lui e di rimanere in assoluto silenzio
aspettando il suo risveglio.
Si era rivisto in un dejavù inprovviso un mese prima, seduto di
fianco al letto nella stanza 17 del reparto di rianimazione, e gli era
venuta voglia di scuotere il ragazzino che russava piano di fianco a
lui per un braccio, per sopprimere l'irrazionale paura di vederlo
scivolargli di nuovo via, come granelli di sabbia tra le dita e poi
dispersi dal vento nell'immensità cupa e buia del suo lungo
sonno durato troppo troppo tempo.
Era stato insopportabile vederlo immobile giorno dopo giorno, e sapere
che era stato lui a ridurlo così, e non poterci fare niente.
Louis distrattamente aveva iniziato a giocherellare coi capelli del
ragazzo, accarezzandoglieli piano e con delicatezza mentre cercava di
districare la matassa ingarbugliata dei suoi pensieri che gli
vorticavano violentemente nella mente: quanto Harry avesse sofferto a
causa della sua bravata, come fosse stato nobile il suo perdono, come
gli sembrasse impossibile che lui ricambiasse i suoi sentimenti, quanto
gli paresse piccolo e indifeso mentre dormiva, finalmente lontano da quel maledetto letto...
Aveva iniziato anche a massaggiargli la schiena e le spalle, sfregando
le sue dita appena ingiallite dalla nicotina sulla stoffa ruvida della
sua maglietta, disegnando ampi cerchi e ghirigori immaginari.
Meno male che è vivo,
si era ritrovato a pensare fissando il suo piccolo miracolo mugugnare
appena e lasciando involontariamente un'impronta bagnata sul libro di
testo, meno male che è guarito, meno male che mi ha perdonato.
Il fatto che oltretutto condivideva ciò che provava lo riempiva
di immensa gioia e infinito sollievo, e ora che era lontano dal St
Barbara e dal suo personale infermieristico, il sogno era diventato
realtà: avrebbero potuto dimenticare tutta la tristezza, tutto
il dolore, la paura, la solitudine e la rabbia e andare avanti.
Per la prima volta desiderava davvero lasciarsi tutto alle spalle.
Prima era così pieno di rabbia e odio che non voleva saperne
niente, stava bene dove stava, autocrogiolndosi nella sua misera
condizione e fumandosi una canna dietro l'altra, affogando il passato
nell'oblio e riducendo in cenere il futuro, fluttuando statico nel
nulla più assoluto senza più punti di riferimento, valori
in cui credere e case a cui tornare.
Ma poi...
Poi aveva travolto Harry, e l'orrore e la consapevolezza di essere così insensibile, apatico e vuoto
aveva spazzato via la nebbia post-sbornia in cui sembrava perennemente
immerso, aiutandolo a sentire e a vivere di nuovo, illuminando il suo
buio come un lampo nel cielo notturno, tanto luminoso da fare male alla
vista e a dover chiudere gli occhi per aprirli pian piano e poterlo
finalmente ammirare.
E ora era lì, e diceva di amarlo, anche se non era costretto a
farlo, anche se poteva andarsene via dai suoi amici e compagni di
scuola, anche se ormai poteva farcela da solo.
Per Louis era un piccolo grande miracolo, l'unico motivo che lo
spingeva ad aprire gli occhi al suono della sveglia, l'unica cosa che
era certo di volere nel suo futuro, l'unico che voleva prendere per
mano e camminare piano verso l'orizzonte che li attendeva, insieme.
Il rumore di uno sbadiglio soffocato aveva distolto il ragazzo tatuato
dai suoi profondi pensieri, costringendolo a levare le mani dalla
schiena e dai morbidi ricci dell'altro: dopotutto era un badboy, no?
Aveva una reputazione da difendere.
" Buongiorno Bell'Addormentato" aveva ridacchiato, incrociando le
braccia sul petto e tentando inutilmente di sopprimere il sorriso che
rischiava di fargli venire una paralisi facciale per la sua
intensità.
Come dark faceva proprio schifo: ogni volta che lo guardava negli occhi si accendeva come una lampadina.
Harry l'aveva fissato per un istante, l'espressione apatica ed
inespressiva, prima di abbassare gli occhi sul libro e fissarlo con
orrore.
Il suo sguardo era saettato dal libro al quaderno, e di nuovo al libro,
per un paio di volte, diventando via via che il tempo passava sempre
più disperata e sull'orlo del pianto.
" Cos'è successo?" aveva chiesto con voce stridula e tremante.
" Penso che tu ti sia... Addormentato"
Il ragazzino si era messo le mani tra i capelli.
" No. No. Nononononono. E adesso? Come faccio adesso?" il respiro di
Harry era diventato sempre più veloce e spezzato, mentre lui
sfogliava febbrilmente le pagine del libro " Mi mancano tre capitoli!
Tre! Come faccio?"
Dal suo solito colore bianco spettrale post ricovero ospedaliero era
diventato paonazzo, le mani tremanti e sudate, gli occhi piene di
lacrime e l'affanno che rischiava di spedirlo in iperventilazione e
farlo svenire "Io m'ammazzo. Come faccio, come faccio adesso?"
Louis l'aveva saldamente afferrato per le spalle: aveva già
visto il suo panda avere reazioni di questo tipo, come quando in
ospedale lo aveva forzato a camminare fino alla geriatria e indietro o
quando ancora sua madre lo metteva sottopressione per farlo parlare di
nuovo.
"Harry. Calmati" gli aveva ordinato in tono perentorio, scuotendolo appena "Respira... Quand'è la verifica?"
"E'-è un'interrogazione"
"Quando?"
Il più piccolo aveva tirato su col naso.
"Domani"
Cazzo.
La mancanza di risposte del maggiore aveva scatenato una reazione
isterica, con attacco di panico annesso, nel ricciolo, che si era
portato le mani al cuore, mugolando piano "Mi sento male. Sono finito.
Mi sento male" come una litania da chiesa tanto cara alle nonnine
bigotte.
" Oh, ma per favore!"
Louis aveva estratto dal suo zaino una bottiglietta d'acqua mezza vuota, e gliela aveva schiaffata in mano.
"Toh. Bevi adesso, e cerca di calmarti." aveva poi continuato quando
aveva visto la plastica sfiorare le labbra dell'altro " Apri bene le
orecchie... Quanti sarete in classe? 20? 30?"
" Ventiquattro"
"Ecco, su ventiquattro persone, vuoi che interroghi proprio te?"
"Si" aveva ribattuto Harry mesto, prendendo il fazzoletto che il
più grande gli offriva e usandolo per tergersi il sudore che gli
imperlava la fronte "Deve per forza. Altrimenti ai colloqui risulterei
inclassificabile per il primo quadrimestre e potrebbero bocciarmi a
giugno"
"Quindi... è solo una questione burocratica?"
Il ragazzino aveva annuito.
"Allora dov'è il problema?! Non penso che se dici al tuo prof
che ti mancano tre capitoli t'interroghi proprio su quelli... Torni da
un coma di tre mesi, non sei mica stato a Disneyland!"
Non gli sembrava convinto.
" E poi comunque anche se prendi 3 l'importante è che ti presenti per risultare classificabile, no?"
"Ma se poi prendo 3 risulto insufficiente!"
" Ma nel secondo quadrimestre prenderai nove e potrai essere promosso e avere voti stellari"
Gli aveva appoggiato una mano sulla spalla, cercando di confortarlo.
" Sei appena uscito dall'ospedale... Non sbatterti troppo Haz"
Il ragazzo aveva distolto lo sguardo e Louis aveva sospirato: se un
attimo prima, nel sonno, gli sembrava calmo e rilassato, ora sembrava
stanco e sull'orlo dello sfinimento.
Neanche durante la riabilitazione l'aveva mai visto così.
Desiderava dannatamente vederlo sorridere, perchè la sua
felicità era come una droga, e se anche solo riusciva a
farlo stare bene anche per un solo attimo si sentiva di nuovo
utile e indispensabile, come quando le infermiere disperate lo
mandavano a chiamare per lavarlo, come quando non si faceva toccare da
nessuno tranne lui, come quando tenendolo per mano lo reggeva durante i
suoi primi passi...
Con uno scatto improvviso aveva agguantato il materiale sparso sul
tavolino e l'avevo gettato alla rinfusa nello zaino, decidendo
repentinamente che la sua priorità assoluta era la sua gioia, e
che non era possibile che la scuola sottraesse così tanta
energia e tanto, anzi troppo tempo, speso sui libri e sulla misera
carta al posto che vivere nel mondo reale.
"Cosa stai facendo?!"
" C'è n'è andiamo, ovvio"
"Che?!" era sbottato il piccolo, incredulo.
"Basta. Hai finito di studiare"
"Ma non posso smettere!" aveva piagnucolato lui " Mi mancano-"
"Ancora tre capitoli, lo so, è la quarta volta che me lo
ripeti... Ma pensi davvero che se studi in questi condizioni, riuscirai
a finire tutto? Andiamo Harry! Ti sei addormentato a faccia in
giù nel libro! Studiare così è controproducente!"
Lo aveva costretto ad alzarsi tirandolo delicatamente per un gomito e sfoderando il suo tono più persusivo e suadente:
"Manda 'affanculo tutto, Haz. Andiamo via"
Harry, riprendendosi lo zaino e guardando il sorriso malandrino
dell'altro aveva sorriso a sua volta, sentendo l'enorme morsa che gli
stringeva il cuore e gravargli sulle spalle dissolversi come neve al
sole: non gli importava se quel "via" di cui parlava il più
grande fosse la fermata della metro, il tetto del centro commerciale o
la panchina del parco.
Finchè s'illuminava così mentre lo prendeva per mano e lo
trascinava via, Harry avrebbe seguito Louis in capo al mondo.
Gemma era appoggiata alla credenza, le braccia conserte strette al
petto e lo sguardo battagliero, pronta a scagliarsi e per difendere le
sue idee a spada tratta.
Anne era seduta alla sua sinistra, le dita che tamburellavano sul legno
bianco con fare seccato ed impaziente e le labbra, carnose come quelle
del figlio, strette in una linea severa e tagliente che lasciava
presagire il peggio.
Harry era seduto di fronte a lei, le mani che si torcevano nervose nel suo grembo e le dita morse a sangue.
Erano anni che non si sentiva così nervoso.
In mezzo a loro, arbitro di quella diatriba familiare, c'era il tavolo
di mogano di vernice bianca nel quale quasi si confondeva il bianco del
foglio di protocollo della verifica di algebra del ragazzino, causa
dello scontento e della conseguente riunione di famiglia.
Infatti, in mezzo a tutto quel candore spiccavano diversi segnacci
rossi, come macchie di sangue innocente versato, come un affronto di
cui l'onta più grande consisteva nel sei e mezzo che troneggiava
in cima alla pagina.
"Harry" aveva iniziato la donna, con fare grave "Sono molto stupita e delusa dai risultati di questo compito"
Un verso strozzato, a metà tra uno sbuffo e una risata incredula
proveniente dalla giovane ragazza era stato soffocato da
un'occhiataccia della donna.
" Sei e mezzo è un voto molto basso, e prendere certi voti non è da te-"
" E cosa ti aspetti?!" l'aveva interrotta Gemma, furibonda " E' stato
in coma mamma! E' rientrato in quel buco di scuola da neanche due
settimane, ed è già grave che quei professori tarati come
mattoni lo interroghino e lo verificano su parti del programma che lui
deve recuperare da solo, senza che ti ci metti anche tu a fare la
paternale!"
Anne aveva chiuso gli occhi per un attimo, per poi rispondere alla figlia.
" Io e Harry abbiamo un accordo sui voti, e tu lo sai. Sei e mezzo in questa casa non è accettabile e-"
" Ma ti senti quando parli? Avete un accordo? E che accordo è!?"
aveva sbattuto un pugno sul tavolo " Lui ti porta a casa 10 e lode e
tu? Cosa fai tu? Lo lasci uscire il sabato sera? Gli dai la paghetta?"
"No"
" Allora non è un accordo, e Harry è tenuto a conseguire i risultati che vuole"
La donna aveva sbattuto a sua volta il palmo della mano sul legno, prima di scattare in piedi:
" I voti di tuo fratello e le richieste che io gli faccio non sono
affar tuo! In questa casa si va bene a scuola, e sei e mezzo non
è un voto accettabile: bisogna studiare di più, fare
esercizi, andare a ripetizioni..."
"E' un sei e mezzo mamma! Harry ha saltato metà delle
spiegazioni: è già tanto che non abbia preso una
insufficienza!"
" A maggior ragione deve concentrarsi e impegnarsi di più-"
" Cristo, non è un robot! E' tuo figlio! Sembra che t'importi in più dei suoi voti che della sua felicità!"
"Basta!" ora anche il ragazzino era in piedi, i suoi occhi che
serpeggiavano da una all'altra donna ai lati opposti della stanza come
ai bordi di un ring.
" Quand'è l'ultima volta che ha visto i suoi amici per puro
piacere e non per ripetizioni o progetti didattici? L'ultima volta che
è andato al bowling, o al cinema? Ha 15 anni, deve smetterla di
prendere lo studio così seriamente e iniziare a vivere!"
"Gemma. Basta"
Harry aveva pregato la sorella, che lentamente era tornata ad appoggiarsi alla credenza, rimanendo in silenzio.
"Mamma... Lo so che ho tradito il patto, e davvero, credimi, mi
dispiace. Non l'ho fatto apposta: è che non sto ancora bene... A
volte mentre leggo o quando alzo lo sguardo mi gira fortissimo la testa
e ho le vertigini, sono sempre stanco e mi è difficile
concentrarmi.
Ho provato ad andare a letto prima ma non cambia nulla, a volte ho
voglia di dire ai professori che mi sento male per andare in infermeria
a dormire, e quando studio ci manca poco che non mi addormento sui
libri"
Il ragazzo aveva alzato lo sguardo dal pavimento, azzardandosi a fissare la madre.
"La prossima volta cercherò di fare meglio. Promesso. Lasciami solo il tempo di guarire"
La stanza era diventata silenziosa.
"Intanto, se può aiutare ho preso otto e mezzo in biologia"
aveva aggiunto dopo un attimo lo studente timidamente, scoccando un
occhiata alla madre, che sospirando aveva concesso:
" Questa volta te la cavi così, ma vedi di riprenderti presto e
di riposarti di più: non voglio che la tua media venga rovinata.
Okay?"
Harry aveva annuito, lieto che la questione si fosse risolta, ma Gemma sembrava non voler demordere:
"Questo non cambia le cose. Quando lascerai a Harry il tempo di
divertirsi, di socializzare, di vivere la sua vita? Se continui a
costringerlo a vivere come un recluso finirai per crescere un piccolo
nerd forever alone: lascialo andare prima che si rovini del tutto"
Troppo tardi, aveva pensato amaramente il ragazzino, avvelenandosi con il suo stesso sarcasmo mentre sua
madre ponderava la situazione.
" Quello che dice tua sorella è vero?"
Aveva annuito.
" Sabato allora puoi uscire: cosa avevi intenzione di fare?"
Harry non credeva alle proprie orecchie: davvero sua madre gli stava
concedendo un po' di libertà? Era un'occasione più unica
che rara da cogliere al volo, prima che il vento ( e la fortuna)
cambiassero rotta e gli scivolassero tra le dita lasciandolo a bocca
asciutta.
"Uhm... In classe si parlava..."
"Si?" lo aveva incoraggiato Gemma, come se lo volesse indirizzare verso la risposta che lei riteneva più giusta.
"Cinema" aveva bonfonchiato lui, sparando la prima cosa che gli veniva in mente.
"Ottimo. Che cinema sia" aveva concesso Anne, alzandosi e mettendo sul
fuoco il bollitore del the, segno che la riunione di famiglia era
giunta al termine e che loro erano liberi di tornare alle loro
precedenti occupazioni " Ma vi voglio a casa per mezzanotte, tutti e due"
E mentre Harry afferrava il cellulare, impaziente di comunicare a Louis
che aveva il grande privilegio di poter scegliere un film da vedere
sabato sera insieme al cinema, Gemma aveva commentanto acidamente tra
se' e se' salendo le scale:
"Certo, certo mamma. L'importante è crederci"
Louis non ci credeva ancora.
Il film era iniziato da 18 minuti e già la sua sete omicida
sfiorava livelli inimmaginabili: in quel momento, se le dita di Harry
non fossero state ancorate alle sue, tenendolo magicamente seduto sulla
sua poltroncina, si sarebbe alzato e avrebbe ripetutamente colpito le
ragazzine che strillavano ogni volta che il tipo con la maschera da
maniaco faceva ondeggiare il coltello, i tipi che le sfottevano
allegramente ed ad alta voce, o i tipi che sfottevano i tipi che
sfottevano le tipe che strillavano come oche.
Insomma, la locandina diceva chiaramente che era un film dell'orrore,
diamine! Se erano così suggestionabili che se ne stessero a casa
loro.
E che i ragazzi la piantassero di fare casino e seguissero in silenzio.
Tutto il casino, più il fatto che l'età media dei
presenti nella sala sfiorasse a malapena i quindici anni lo irritava a
non finire.
Come può Harry avere la stessa età di questi buffoni?
Aveva pensato Louis scandagliando e fulminando con lo sguardo i
casinari dietro di lui: tutti in tuta stropicciata, i bordi
sbrindellati e slabbrati, l'elastico molle, la canottiera intima bene
in vista ( come se i loro pettorali da pischelli valessero
chissà che) e immancabile cappello calcato sopra la cresta.
Disgustoso.
Aveva sbirciato la figura buia del riccio seduto affianco a lui.
Jeans, felpa e giacca.
E berretto da panda.
In più Harry stava seduto composto in silenzio, quei patetici
ragazzini invece si comportavano come se fossero a casa loro, mettendo
i piedi sul velluto, schiamazzando senza ritegno a cazzi e
bestemmioni e tirandosi pop corn.
Neanche quando era fatto si comportava così.
Avevano iniziato a spruzzarsi coca cola.
"Dio, che infantilismo..." aveva commentato acidamente a bassa voce,
fissando con fastidio palese il primo gruppo insultare il secondo
gruppo che aveva scavalcato le poltroncine pronto a iniziare una rissa.
" Perdonali... Sono i miei compagni di classe"
Harry fissava ostentatamente il volto pieno d'orrore della prossima
vittima dello psicopatico sullo schermo, mentre si apprestava a
squartarla ridendo sguaiatamente da dietro a quella stupida maschera.
"Davvero? Beh, allora è un bene che non ti frequentino"
La maschera era intervenuta a sedare gli animi nella sala.
"Sembrano dei bambini dell'asilo"
"Hanno la mia stessa età" aveva replicato quasi tristemente l'altro.
" Ma non il tuo stesso cervello" Louis gli aveva strizzato rassicurante la mano, prima di tornare a fissare lo schermo.
Sono solo dei poveri sfigati, è per quello che Harry si trova male con loro...
Ma non sarebbe meglio che frequentasse qualcuno della sua età? Qualcuno con cui comportarsi da idiota?
Forse si è pentito.
Forse sarebbe stato meglio se non l'avessi più rivisto una volta fuori dall'ospedale.
Forse se avessimo degli interessi comuni sarebbe meglio.
Cosa ci unisce? Perchè stiamo insieme?
Il più grande fissava la proiezione senza davvero vederla, le domande che s'accavallavano l'una sopra l'altra.
L'ho investito e quasi ucciso, ecco perchè, si era risposto tristemente.
Decisamente non era una buona motivazione.
La musica, si era poi
ricordato all'improvviso, precipitando verso il baratro quando si era
reso conto che probabilmente non bastava: erano troppo, troppo diversi.
Harry era il tipico ragazzo di buonafamiglia, tutto
casa-scuola-scuola-casa, e come se questo non bastasse aveva tre anni
in meno, e nonostante la sua maturità dovuta alla sua
straordinaria intelligenza, Anne lo teneva nella bambagia, trattandolo
come un bambino.
Perchè magari è un bambino, aveva puntualizzato acida la sua coscienza, e
i bambini devono stare lontano dai cannomani tatuati, soprattutto se
questi spacciano e hanno rischiato di diventare potenziali assassini.
Louis aveva sospirato, mentre la sua lotta interiore continuava.
Ma io lo amo! aveva quasi urlato al suo alterego oscuro, disperato.
Se lo amassi davvero lo lascieresti andare.
Cos'hai da offrirgli? Nulla.
Non hai futuro, ha ragione tua
madre... Andrai a vivere sotto un ponte dividendo il cartone con i
ratti di fogna della metropolitana.
Sei uno spreco di cellule e organi.
Ormai è troppo tardi per te,
ma lui è piccolo, e se lo lasci andare e eviti di traviarlo, si
può recuperare.
Inconsciamente gli aveva stretto la mano più forte, non accorgendosi del suo sguardo preoccupato.
L'età non conta, e poi per lui sarò migliore, lo prometto!
Non lo travierò,
rispetterò i suoi tempi e farò tutto quello che
vorrà... Lo amerò esattamente così com'è.
Non importa se i suoi coetanei sono degli idioti, se sua madre vuole uccidermi e se ho tre anni più di lui.
Me ne sbatto.
L'età è solo un numero, e io sono come Peter Pan, e non crescerò mai, a meno che non sia lui a chiedermelo.
Lo prometto.
Risoluto, Louis aveva sorriso sconfiggendo e zittendo definitivamente
la voce dell'altro se dark, che furibondo si era rintanato in un angolo
della sua mente, pronto ad attaccare quando meno se lo aspettava.
Analogamente anche Harry era nella medesima condizione di dissidio
interiore: provava vergogna a causa del comportamento dei suoi
compagni, e avrebbe voluto rimediare dicendo qualcosa ma aveva paura di
ottenere l'effetto contrario.
Che idioti. Perchè non possono stare zitti?!
Cioè, hanno ragione, il film è una merda, ma perchè non se ne vanno e basta?
Se gli dico qualcosa magari penserà che anche io sono un bambino.
Harry si era aggrappato alla poltroncina, infilando le unghie nell'imbottitura.
Perche diavolo ho messo questo stupido cappello?
Perchè me l'ha regalato lui... Però mi fa sembrare un bambino.
E poi ieri in biblioteca... O in ospedale...
Penserà che sono un moccioso frignone.
E non vorrà più stare con me.
Magari lo fa per pietà.
Magari s'annoia.
Devo dire qualcosa, devo dire qualcosa, devo dire...
" M-mi dispiace per i miei compagni... Se t'annoi possiamo andare da un'altra parte"
Louis aveva letto il suo stesso dilemma negli occhi smeraldini
dell'altro, che imperterrito aveva continuato " Lo so che il sabato
sera al cinema fa schifo ed è una cosa da bambini delle
elementari e se vuoi andar via ti capisco e-"
"Io quando sono con te non mi annoio mai"
L'aveva interrotto Louis, prima di risistemargli i capelli sotto il cappello, come mamma chioccia coi suoi pulcini.
" Davvero Louis? Perchè lo so che sei abituato ad altro, e se preferivi andare in discoteca o-"
"Non m'importa dove sono, Haz. L'importante è stare con te"
Ed era completamente sincero.
Andrà come andrà, aveva pensato, è inutile fasciarsi la testa prima di rompersela.
Guardandolo negli occhi mentre approfittava del buio della sala per chinarsi sopra le sue labbra aveva capito cosa gli univa:
L'amore.
Erano loro due, Harry e Louis, senza se e senza ma.
E mentre i loro mondi si univano fondendosi insieme, aveva capito che era l'unica cosa che contava.
Angolo Finny :)
Seeeeera :)
Scusate se non mi sono fatta sentire, e se sono in ritardo di almeno
due orette buone, ma ieri ho avuto la simulazione di terza prova e sono
S-F-I-N-I-T-A.
In questo capitolo Harry è un po' la sottoscritta, e Louis sono i miei amici cazzari che m' inneggiano al fancazzismo :)
E la sottoscritta per domani non ha studiato :o e il professore con
crisi d'identità la punirà ( come ha fatto con Leeroy_hmm
:( Poverina, io avrei preso a sprangate
miss-sto-perdendo-sangue-dal-naso) Passando i ringraziamenti ringrazio
la mia stratega Fra, alla quale questo capitolo è dedicato
perchè è super dolce e mi ha aiutato in un momento
difficilissimo mitigando la mia ansia da prestazione e impedendo che mi
gettassi sotto un pullman.
Ti adoro, e sappi che questo capitolo mi fa schifo perchè tu
meriti di più, meriti di meglio, e io purtroppo non sono capace
di dartelo :(
Ringrazio anche Lu che no, non pensavo si fossero mollati ma che Harry
facesse il putty e andasse con Nick :) ammettiamolo, sembra tanto un
angioletto tutto guanciotte e riccioli ma secondo me ogni tanto Louis
lo fa ingelosire apposta :) Delia che spero sia soddisfatta anche da
questo capitolo come dell'altro e spero che lo stia leggendo a un
orario decente ( nottambula! Che poi domani a scuola c'hai sonno!) Vero
che mi rassicura sul mio stato mentale, e spero vivamente che suo
fratello sia psicologicamente sopravvissuto alla maturità e che
ora non sia internato in qualche luogo, Ele che mi fa sciogliere con le
sue frasi dolcissime ** e che è una piccola grande cosa bella
della mia vita <3 Annie che scusa se non ti recensisco e quando lo
faccio t'illudo, ma lo sai che il giorno in cui metto i nuovi capitoli
è il mercoledì ( e appunto sono superpuntuale XD) Malu e
i nostri biscotti al cioccolato (cuz share is care LOL) dolci come
Harry in questo chappy col suo cappello fluffoso da panda come quello
di Leeroy :3 1D_1D che è ancora ignota ma che è anche lei
nottambula come Delia (seriamente ragazze, se non vado a letto alle 10
io il giorno dopo sono un mostro. Un mostro vi dico :) )
Per questo motivo vi saluto e vi bacio tutte, vi ringrazio del supporto
che mi date a dell'amore che mi dimostrate, significa davvero tanto per
me :)
Sogni d'oro a tutte, una maturanda in crisi <3
Ps: Qui da me sta nevicando :3
Ps del Ps: Chi di voi ha instagram? Se volete seguirmi mi chiamo 'Smilla____' followo tutte!
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Capitolo 19 *** I Pray That You Will See The Light That's Shining From The Star Above ***
bgjh,gjhvfhgfh
Gli uccellini
cinguettavano tra le fronde della quercia sotto il quale era sdraiato,
gli occhi color del cielo che al cielo con lo sguardo tornavano,
confondendosi nel medesimo azzurro e perdendosi nella sua
immensità infinita.
Non c'era neanche una nuvola.
Il ragazzo sorrise afferrando il telefono e digitando velocemente:
"Ci vediamo oggi?"
La risposta era arrivata quasi subito.
Erano quasi telepatici ormai.
" Non posso, devo aiutare il gruppo della parrocchia ad organizzare i giochi per la festa del paese :("
Louis aveva alzato gli occhi al
cielo, roteandoli in maniera esasperata per mostrare tutto il suo
disappunto alla sua canna, unica compagnia che avrebbe ottenuto quel
pomeriggio.
" E stasera? Potremmo andare al bowling o cose così :))"
" Non posso, devo star qua alla festa... Mi dispiace tantissimo"
Il ragazzo aveva fatto un altro
tiro, cercando di non esplodere dalla rabbia, dalla delusione e dalla
frustrazione: ma proprio del chirichetto dell' oratorio si doveva
andare ad innamorare?!
" Dì qualcosa :("
"Qualcosa "
"Dai non mi tenere il muso...
Vado solo perché mi ci ha costretto mia mamma perché dice
che ormai in oratorio non sanno più nemmeno che faccia ho :/ "
" Mnpf"
" Dai..."
" :'( "
" Ho un idea!! Perché
non vieni anche tu stasera? Ci sarà musica dal vivo, fish and
chips, e giochi come tiro a segno, calci in culo, gli autoscontri..."
No, no, no e ancora no:
già se le vedeva le vecchine del rosario interrompere le loro
ferventi preghiere e indicarlo col dito, le mamme spingere via le
carrozzine come se fosse un terribile mostro affetto da un morbo
contagioso, i bambini fuggire davanti a lui urlando terrorizzati manco
fosse l'uomo nero e il prete spruzzargli l'acqua santa addosso cercando
di esorcizzarlo, credendolo la reincarnazione di Satana in persona.
" No" aveva digitato velocemente mentre si alzava dalla panchina del parco, gettando a terra il mozzicone spento.
Certo che l'avevano proprio
fegato, la maria che gli avevano spacciato per 'roba buona' faceva
proprio cagare, in più non si sentiva per niente sballato, solo
lievemente seccato.
" Perché? :'("
"Non é il mio ambiente Haz"
Si era alzato stiracchiandosi,
prima di infilare il telefono nella tasca dei jeans e incamminarsi
verso casa, cercando di ignorare la continua vibrazione del cellulare
che iniziava a rendergli il polpaccio insensibile.
"E chissenefrega! É solo per passare un po' di tempo assieme"
" Daaaai. Ti prego"
" Mi annoiero' a morte senza di te :'("
" Se vieni potrai vedere una parte di me che ancora non conosci..."
"Per favoooooore!"
"Non mi condannare all' infelicità perpetua!"
" E poi tanto non hai niente di meglio da fare..."
Louis si era accigliato: era
deciso a ignorare le suppliche e le preghiere dell' altro in modo da
non essere tentato a cedere e finire col ritrovarsi a cantare l'
Halleluia in mezzo alle suore, ma l' ultimo commento l' aveva proprio
irritato: cosa ne sapeva Harry dei suoi programmi per la serata? E se
avesse avuto voglia di sfondarsi di crack? E se avesse voluto tatuarsi
'succhiamelo' sull' inguine?
Doveva solo stare zitto, dal
momento che lo sfigato fraticello di merda bloccato ad una cazzo di
festa di paese per volere di mammina, era lui.
" Devo recuperare robe di scuola"
" Non é vero! Già
il fatto che dici 'robe di scuola' indica che non hai la minima
idea di ciò che devi fare, e anche se c'è l'avessi, pigro
come sei non la faresti lo stesso, quindi porta le tue chiappe qui"
L'altro l'aveva semplicemente
ignorato, entrando in casa sua dalla porta sul retro e lanciando il
telefono sulla penisola della cucina prima di fiondarsi in bagno
spogliandosi e gettando i vestiti in terra prima di aprire il getto
caldo e rigenerante della doccia.
I nervi tesi avevano iniziato a
distendersi, lo stress e le preoccupazioni a scivolare via come la
terra e lo sporco sulla sua pelle e l'odore di fumo e sudore, mentre il
ragazzo chiudeva gli occhi inarcando la schiena sotto il bollente e
benefico tocco dell' acqua ustionante, sentendosi in paradiso...
Non era durato molto.
Improvvisamente una massa
d'acqua gelata si era abbattuta sulla sua povera schiena rossa e
scottata, facendolo urlare dal dolore, dalla sorpresa e dalla rabbia.
" Porca di quella puttana Eva
balorda!" aveva urlato mentre saltava fuori dal box doccia sgocciolando
sul pavimento del bagno, che pareva allagato "Lottie! Fizzie! Chi di
voi due stronze ha consumato tutta l'acqua calda?!"
Aveva sentito due colpi secchi sulla porta: " Louis William Tomlinson, modera il linguaggio..."
" Io parlo come cazzo mi pare!"
aveva strillato, colpendo il legno della porta al di là della
quale stava sua madre, furibonda e pronta a una delle sue ramanzine "
Non alle tue sorelle!"
" Quelle due tarate hanno
finito l'acqua calda! Il boiler é vuoto e l'unico picio che deve
lavarsi con l'acqua gelata qui sono io!"
" E non sotto questo tetto!"
Come al solito non l'aveva neppure ascoltato, non aveva nemmeno fatto finta...
" E allora dormo in giardino!"
Il ragazzo aveva spalancato la
porta,fronteggiano furente il genitore con addosso solo un asciugamano
legato in vita " Non ascolti mai! Vuoi sempre avere ragione tu, cazzo!"
Aveva spintonato la donna da
parte in modo da poter attraversare il corridoio e chiudersi in camera
sua per vestirsi, ma lei non aveva demorso.
" Io HO ragione!" aveva urlato spalancando la porta della stanza " Le tue sorelle di 5 anni parlano a cazzi e madonne!"
Il figlio in tutta risposta
aveva gridato, soffocando un verso selvaggio, mentre cercava di
infilarsi una maglietta e contemporaneamente i jeans:
" Fuori! FUORI! Fuori da camera mia! Levati dal cazzo!!"
" Non osare-" l'aveva sbattuta fuori senza tanti complimenti, continuando a inveire contro di lei.
" Devo farmi la doccia con
l'acqua gelata, sentirmi urlare addosso ogni volta che apro bocca,
dormire in un buco di sgabuzzino, darti sempre ragione e non avere
neanche diritto alla privacy?! Tu sei malata! " aveva riaperto la
porta, comparendo vestito di tutto punto tranne che per i capelli
gocciolanti " Non mi meraviglio che papà ti abbia tradita!
Nessuno riuscirebbe a sopportati! Neanche io!"
L' aveva superata lungo il
corridoio, afferrando lungo la strada verso la cucina la felpa di pile,
il portafoglio e in seguito il cellulare, le urla che rimbombavano
sulle pareti mentre raggiungeva la porta:
" E allora vai!! Fai solo un favore a tutti! Vattene da questa casa!"
Non si era degnato di
rispondere, il fracasso della porta sbattuta e il vaso ming caduto a
terra e ridotto i mille pezzi per lo spostamento d'aria era più
che sufficiente.
Aveva camminato per tre isolati
prima di crollare sul primo muretto che aveva trovato, odiando se
stesso per quello che stava facendo mentre estraeva il telefono,
contemplando con orrore la prospettiva di una serata da solo, altamente
paragonabile a una serata trascorsa con Dio.
Aveva sospirato.
Lo faccio per Harry, si era ricordato, infondendosi coraggio.
" E va bene, sfasciacazzi, dimmi dove che arrivo"
La riposta era arrivata immediatamente:
" Sapevo che l'avresti detto"
E Louis aveva capito di essere stato fregato.
L'aria vibrava dal vociare
delle persone ammassate nel campo da calcietto, e l' odore di corpi
sudati e pesce surgelato fritto con olio scadente aveva fatto venire il
voltastomaco a Louis, che aveva respirato profondamente, come per
assicurarsi una riserva d'aria pulita, prima di tuffarsi in quel
marasma di magliette, colori, volti e parole, alla ricerca del suo
riccio.
Non era poi così male,
aveva pensato mentre fissava invidioso un'allegra famigliola mangiare
seduta ad un tavolo di legno sotto l'enorme capannone che occupava il
centrocampo.
Grazie alla sfuriata di sua
madre non aveva mangiato nulla e nel portafoglio aveva trovato solo
spiccioli... Gli era andata bene che non gli avevano controllato il
biglietto...
Il brontolare del suo stomaco
lo aveva riportato alla realtà: la band sul palco aveva appena
attaccato un'altra penosa canzone, la chitarra era scordata, la
batteria fuori tempo, chi stava al mixer avrebbe dovuto diminuire i
bassi (era dall' altra parte del campo e sentiva sbattere le sue
ginocchia a tempo) e il cantante... sembrava avesse un gatto attaccato
alle palle, ma per questo non ci si poteva fare nulla.
Aveva cercato di trovare una
ragione per cui dei seguaci di Dio volessero così male a Bruno
Mars, rovinando per sempre con un arrangiamento pessimo Just The Way
You Are, mentre cercava di non sputare le tonsille ridendo ai vari
cartelli esposti dietro il bancone, come una freccia che indicava un
barattolo con scritto "ogni bestemmia 0,50 $" o un cartello stradale
indicante divieto di transito e appiccato in mezzo il logo della
Guinness, "Qui non si vende alcool" chiariva un foglietto scritto a
mano sotto.
Che sballo.
La festa dell' anno, che fortuna ad essere stato invitato.
Il ragazzo non aveva fatto in
tempo a formulare un altro pensiero polemico che aveva sentito qualcuno
che lo scrollava per il gomito.
"Finalmente sei arrivato!" gli
stava urlando Harry, cercando di sovrastare l'irritante musica da
liscio che aveva riempito la pista da ballo di vecchietti bavosi e
signore obese nei vestiti a fiori che ancheggiavano provocati mentre i
bambini le usavano come ostacoli con cui fare slalom, sorridendo da un
orecchio all'altro.
"Non credo di poter restare per molto!" aveva urlato di rimando lui,indicando con il capo il barattolo delle bestemmie.
Il più piccolo aveva
gettato la testa all'indietro, ridendo a crepapelle, e Louis aveva
capito perché alla fine aveva ceduto: non importava se era
a stomaco vuoto imboscato in un ritrovo de "Gli amici di Gesù",
si sarebbe messo a ballare in mezzo alla pista con le nonnine solo per
vederlo ridere.
"Vieni" aveva sussurrato nel suo orecchio "ti faccio fare un giro"
L'aveva trascinato vicino ai
gonfiabili, dove la musica si sentiva un po di meno, attutita dagli
strilli di piacere dei bambini più piccoli che saltavano su e
giù dai tappeti elastici, si arrampicavano sullo scivolo, si
lanciavano giù dall' enorme balena di gomma...
Durante il tragitto il
più piccolo aveva salutato mille persone, nonnine in carrozzina,
gruppetti di ragazzine ridoline, un gruppo di ragazzi con le macchine
fotografiche... Sembrava ben voluto, sembrava che tutti lo conoscessero.
" Siamo una parrocchia piccola"
aveva spiegato quasi scusandosi il ricciolo " Ci conosciamo tutti... I
ragazzi più grandi sono stati quasi tutti miei animatori quando
andavo al grest, e a mia volta sono diventato animatore e quindi
conosco i bambini. Con gli scout andavamo a far volontariato in casa di
riposo, e quindi ogni volta che i pazienti ci incontrano iniziano a
parlare, parlare, parlare ... "
Louis aveva ridacchiato.
" Sei un piccolo boyscout?" lo
aveva preso in giro, acchiappandolo per le guance " Awwww vieni a
cantare l'Ave Maria attorno al fuoco con me"
" Non é divertente" era
sbottato lui, liberandosi dalla stretta dell' altro massaggiandosi la
faccia " Piantala di prenderti gioco della mia religione: é
razzismo anche quello, sai?"
" Io non c'è l'ho con la
tua religione" aveva mormorato Louis, prima di chinarsi complice verso
di lui e sussurrare lascivo " Io c'é l'ho solo col tuo
orientamento sessuale"
Si erano fissati negli occhi
qualche secondo prima di esplodere in un' unica risata, che
ricominciava ogni volta che i loro sguardi s'incrociavano di nuovo,
lasciandoli senza fiato e appoggiati alle transenne di sicurezza usate
per contenere le piccole pesti, a peso morto incapaci di reggersi in
piedi.
" In realtà credo sia
una cosa bella" aveva ammesso dopo un po' il più vecchio, mentre
Harry riprendeva a camminare al suo fianco, sospingendolo piano verso
alcune bancarelle che vendevano prodotti fatti a mano, " Dico stare
tutti insieme in un gruppo di amici che ti accetta per quello che
sei..."
L' altro aveva scosso la testa,
rabbuiandosi un poco " Se credi che, solo perché siamo del
gruppo della parrocchia, siamo tutti amici che si vogliono bene ti
sbagli. E pure tanto. É per questo che sono uscito dagli scout:
tolleranza zero verso le idee degli altri, manie di protagonismo,
competizione, atti di superiorità...
Non mi trovavo insomma, e gli altri non mi sono mai stati grandi amici, eccetto per quando volevano qualcosa..."
" Non mi aspettavo una cosa del genere dagli 'amici di Maria'" aveva commentato il moro mimando le virgolette.
" Neanche io" aveva risposto
l'altro " per questo me ne sono andato. Ci sono voluti due mesi di
pianti, scenate isteriche e litigate con mia mamma, ma alla fine
c'è l'ho fatta"
Avevano curiosato tra le
bancarelle per un attimo, prima che Louis chiedesse, giocerellando con
la cinghia in corda di una borsa artigianale:
" Tua madre... ci tiene molto a queste cose?"
Il più piccolo aveva scrollato le spalle " É cresciuta in una famiglia molto cattolica, tutto qui. E poi ci crede"
" E tu? Tu ci credi?"
Il ragazzino aveva sospirato "
Non lo so. A volte sono sicuro a volte no. Sto cercando la mia strada"
era rimasto in silenzio per un po' prima di aggiungere precipitosamente
" Ma non farlo sapere a mia mamma, altrimenti sclera: dopo l'incidente
é diventata quasi fanatica..."
Louis aveva cercato di cambiare
argomento, perché non gli piaceva lo sguardo triste e pensieroso
di Harry, che si faceva via via più cupo e spento ogni ragazzo
che lo salutava.
" Bhe alla fine ti vogliono
ancora bene nonostante tutto" aveva commentato cercando di
risollevargli il morale, dopo che una comitiva di ragazzi li aveva
invitato ad unirsi a loro calorosamente.
Il ricciolo si era lasciato
sfuggire una risata sprezzante " Non é per quello, mi salutano
solo perché sono 'famoso' dopo l'incidente, solo perché
sono tornato dall' aldilà, solo per farsi vedere.
Mi cagano solo perché sono qualcuno, adesso.
Altrimenti m'ignorerebbero come sempre.
Secondo loro sono un morto che cammina"
Louis aveva capito che forse
era una questione un po' più delicata e personale che
competizione e manie di protagonismo, e dopo l'ultima frase dell' altro
aveva deciso: se ne dovevano andare da lì, se questo significava
rivedere il sorriso di Harry sorgere luminoso come la luna in cielo che
illuminava il campetto, più delle luci psichedeliche e strobo
della pista da ballo invasa dai giovani in tempo per il Dj del paese:
il parrocco in persona.
" Questa gente é matta"
aveva pensato Louis mentre pensava a come mettere in atto il suo piano
di fuga " Non smetteranno mai di stupirmi..."
Non era stata proprio una fuga
la loro: poco lontano dall' oratorio, nello spiazzo che precedeva la
passeggiata pedonale che costeggiava il fiume, avevano allestito un
mini lunapark e Harry aveva acconsentito subito ad andarci,
probabilmente felice di allontanarsi un po' dal frastuono e dalla
confusione della festa.
Louis sperava che questo
bastasse a farlo sentire meglio, ma una volta arrivati sul posto quella
brutta piega della fronte riccioluta era ancora lì.
Il maggiore si era guardato
intorno: potevano scegliere se provare a sfidare la velocità su
un patetico trenino a forma di bruco chiamato "Brucomela" oppure salire
sulle giostre che nemmeno Daisy e Phoebe avrebbero trovato
interessanti, o provare al tiro a segno o aspettare di aver digerito e
salire sui calci in culo o gli autoscontri.
" Vieni, voglio fare questo!"
aveva strillato, afferrandolo per un braccio e letteralmente
trascinandolo davanti al tiro a segno: il gioco era molto semplice,
bisognava far cadere una piramide di barattoli di latta con una pallina
da tennis e si vincevano vari peluches che per il momento ingombravano
il pavimento dello stand.
" Scegli adesso quale pupazzo vuoi" aveva annunciato il moro, trinfio di vanagloria " Presto sarà tuo"
La sua fiducia in se stesso non
si era affievolita nemmeno quando aveva pagato all'uomo dietro al
bancone il costo di un tiro in monetine da cinque centesimi, poi aveva
preso le palline, aveva chiuso gli occhi e aveva fatto il primo tiro.
La vetta della piramide era
ondeggiata pericolosamente, prima di abbattersi fragorosamente al
suolo, facendo esultare Harry, dimentico delle preoccupazioni e dei
turbamenti che prima lo affliggevano.
" Hai già scelto che peluches vuoi?" aveva chiesto il maggiore, ghignando sornione.
" Quello lì" aveva
puntato il dito contro un orsacchiotto grande quanto una eastpack con
la pelliccia marrone e gli occhioni neri di bottone.
Louis aveva tirato di nuovo, riuscendo a far cadere altri due barattoli.
" Hai deciso come chiamarlo?"
" Boo Bear" aveva sorriso lui " Ci dividero' il letto da questa sera in poi"
"Guarda che divento geloso"
Il più piccolo era
avvampato furiosamente mentre Louis prendeva la mira, ma calibrando
male la forza del tiro col risultato di far lievemente ondeggiare i
barattoli rimasti.
" Cazzo!" aveva imprecato a
bassa voce, tutta la strafottenza di prima scomparsa in un secondo e
rimpiazzata da una concentrazione disperata e rabbiosa.
Il più piccolo non aveva
potuto fare altro che ridacchiare tra se' e se' per la piega
inaspettatamente drammatica che la situazione stava prendendo.
L'ultimo tiro era finito contro
la parete di legno dietro i barattoli mentre Louis ululava in preda
alla frustrazione tutti gli insulti che conosceva, scandalizzando
l'uomo dello stand e riducendo Harry ad un ammasso di nervi scossi da
incontrollabili risate, mentre cercava di trascinare via il maggiore
prima che corrompesse il commesso o facesse qualcosa di illegale per
avere il suo orsacchiotto.
Sapeva che ne era capace.
Una volta lontano dal tiro a segno e ripreso il fiato dopo che anche gli ultimi accessi di risa si erano spenti,si era scusato:
" Mi dispiace di aver fallito... volevo regalartelo davvero l'orsacchiotto"
" Non fa niente... Non hai mica superpoteri!"
" Si invece! Sono Superman!!"
" E poi puoi sempre essere tu il mio orsacchiotto..."
Aveva evitato il suo sguardo, terribilmente imbarazzato, mentre l'altro ridacchiava e continuava a tormentarlo:
" E mi chiamerai BooBear?"
L'altro aveva sorriso, stando al gioco "Forse"
" E dividero' il letto con te tutte le sere?"
Il riccio lo aveva colpito su un braccio cercando di dissimulare l'imbarazzo:
" Dipende da come ti comporti..."
" Allora farò il bravo, promesso"
"Questo significava che possiamo andare sui calci in culo?" aveva chiesto speranzoso.
"Certo, a meno che tu non voglia fare un giro faccia a faccia con la morte sul 'Brucomela'"
Ed entrambi avevano riso,
dirigendosi verso l'enorme ottovolante che roteava a tempo di musica
assordante e fonditimpani in mezzo al piazzale.
Harry non sapeva spiegarsi come
fosse successo: un attimo prima tutto andava bene, era la serata
più bella della sua vita ed essere lì con Louis rendeva
tutto meraviglioso, e due secondi dopo le cose andavano a rotoli,
scivolandogli tra le mani fuori controllo.
Erano saliti sul calci in culo
come lui aveva voluto ed Harry si era ritrovato a volare nella
vertigine del vuoto, tentando di afferrare quella maledetta coda di
gatto appesa al palo più alto, prima di ricadere giù
provando ogni volta un brivido di adrenalina e una traccia di paura
qualche secondo prima che le forti catene del suo sedile lo
riportassero in asse con la traiettoria degli altri sedili, in attesa
che il maggiore colpisse di nuovo.
Avevano vinto 4 partite
gratis, e alla quinta il riccio aveva pregato Louis di cambiare gioco,
dal momento che sentiva la cena arrampicarsi su per l'esofago.
Così avevano barattato
la vittoria con un buono per due stecche di zucchero filato allo stand
dei dolcetti, consumati immediatamente mentre si riposavano un attimo.
" Certo che tiri dei calci
portentosi" si era complimentato il più piccolo, sinceramente
impressionato, mentre ingoiava l' ultimo boccone biancastro.
" Piacere, Louis Tomlinson, ex
ala destra della prima squadra di Doncaster" gli aveva teso
scherzosamente la mano mentre gettava nel cestino il bastoncino di
legno prima di seguire il riccio che si stava dirigendo verso gli
autoscontri, dove ragazzini della sua età sfogavano le loro
pulsioni sessuali represse cercando di demolire con più violenza
possibile l'abitacolo degli altri.
" Non sapevo che giocassi a calcio"
" Non sapevo fossi un boyscout. Direi che siamo pari, no?"
Ridendo Harry si era seduto nel
sedile del passeggero del kart, mentre Louis afferrava il volante con
piglio sicuro continuando a chiacchierare del più e del meno.
All'inizio non era successo
proprio niente: gli altri concorrenti si limitavano a studiarli da
lontano, colpendoli occasionalmente e non con troppa forza.
Le mani avevano cominciato a
formicolargli, e una scarica di adrenalina gli era scesa lungo la
schiena facendogli tremare la spina dorsale: non era la carica
agonistica che ti spronava a dare del tuo meglio in una gara, non era
una sensazione sana che creava della sana competivita', era qualcosa di
più claustrofobico che gli opprimeva i polmoni costringendogli
il petto in una morsa dolorosa, come se fosse un animale in gabbia.
Ecco cos'era: una bestia braccata.
Da chi e da cosa Harry non lo sapeva, ma qualcosa di terribile stava per accadergli, lo sentiva...
"Haz, va tutto bene?" Louis si era chinato su di lui, percependo il suo respiro affaticato e il suo tremare a scatti.
Harry stava per rispondergli,
quando era successo: uno dei ragazzi più grandi li aveva
attaccati, colpendoli alla fiancata del loro kart lanciandocisi contro
a tutta velocità.
L'impatto non era stato
così violento, ma sufficiente forte ma farli slittare contro gli
altri autoscontri e sbattere contro il guardrail a bordo pista in testa
coda.
Ma gli occhi di Harry, spalancati nel vuoto ed illuminati dalle luci psichedeliche vedevano altro.
Una strada buia.
Due luci sorelle che si muovono da un lato all'altro dell'asfalto, sbandando.
Sono fari, ma Harry non lo capisce abbastanza in fretta.
É una macchina lanciata
verso di lui alla massima velocità, allo sbaraglio, ma Harry non
é abbastanza svelto da spostarsi.
Due occhi blu prima del buio, prima del dolore, ma Harry non é abbastanza deciso da distogliere lo sguardo.
E poi l'agonia, come un veleno
che ti entra in circolo piano, togliendoti tutte le forze: e all'inizio
Harry vorrebbe urlare perché sente il sangue caldo colare sull'
asfalto, ma non c'è nessuno che sentirebbe le sue urla.
É solo, nella sua tortura.
E arrivano i medici e gli
dicono di "stare con lui" ma Harry non é abbastanza forte per
dargli retta, e fa così male che spera sopraggiunga la morte ma
non é così fortunato e il dolore continua a bruciare e
non se ne va, e se questo é morire fa male, troppo male
perché esista un Dio, e 'ti prego Dio fallo smettere' ma nessuno
fa niente ed Harry rimane sul rogo in agonia, da solo, invocando la
morte...
Sta per morire di dolore, lo sente, sta per arrivare...
All'improvviso percepisce qualcosa che gli preme le tempie una gradevole pressione alla base del collo.
Cercando di respirare
normalmente guarda in alto, verso la figura di Louis stagliata contro
il profilo della notte e resa sfocata dal vento che soffia lungo la
passeggiata sul fiume.
E Harry si sente ancora peggio
perché i suoi amiconi dell' oratorio, così rispettabili
di buona famiglia e ammirati da tutta la comunità, non si
sarebbero fatti scrupoli a lasciarlo lì dov'era, mentre il
povero disprezzato ed emarginato Louis, quello da cui "doveva stare
lontano", il "mostro che gli aveva rovinato la vita" era seduto sui
talloni, in modo da scostargli le ciocche sudate dalla fronte mentre
urlava e si dimenava, sussurrandogli parole di conforto nelle quali
ricorreva spesso "Non ti farò del male, non ti farò del
male" mentre lo forzava a stare con la testa tra le ginocchia per non
svenire, come aveva visto fare una volta all'istruttore di nuoto con
Zayn, cercando di fargli respirare tutta l'aria che poteva, sperando
che lontano dalla fonte di panico si sarebbe calmato.
E così era successo.
Il suo respiro era ancora un po
affannoso quando gli aveva lasciato andare il viso in modo che potesse
risedersi normalmente e affondare il viso nella sua felpa.
" Va meglio?"
L'altro aveva scosso la testa
nascosta nella stoffa, ma già il fatto che fosse cosciente e
rispondesse per Louis era segno di miglioramento.
"Adesso ci calmiamo, adesso ci
calmiamo" aveva iniziato a canticchiare come in una litania, affondando
la mano tra i ricci del più piccolo ed accarezzandoli
piano per calmarlo, mentre estraeva dalla tasca una Malboro prima di
infilarsela tra le labbra, recuperare l'accendino e accendersela con
una mano sola, il fumo che saliva a spirali nel cielo buio e l'odore di
bruciato che impegnava i loro vestiti.
Dopo un lasso di tempo che gli era parso infinito, Harry aveva parlato con voce tremante:
" Cosa fai?"
" Fumo. Aiuta a calmarmi"
Aveva alzato la testa.
" Mi piace l'odore. Mi ricorda la prima volta che ti ho visto... Mi ricorda di te"
Louis l'aveva baciato sulla fronte sussurrandogli mezzo scherzoso e mezzo serio: " Vuoi provare? Calma i nervi"
Il venticello fresco che
spirava dal fiume faceva ondeggiare gli alberi, sollevando foglie
cadute che sembravano danzare nei turbini dell' aria che agitava i
moschettoni metallici di un paio di pescherecci abbandonati lungo le
sponde, producendo insieme al fruscio degli alberi e al rumore
gorgogliante dell' acqua, una melodia ipnotica che stordiva la mente e
i sensi, e che era riuscita a calmare anche Harry, che tornato in se'
ascoltava i battiti del cuore di Louis unirsi a quella misteriosa
armonia del mondo.
Dopo un attimo d' esitazione il
più piccolo aveva alzato la testa, uscendo dal suo dolce e caldo
rifugio, fissando dritto negli occhi il maggiore, e tendendo la mano
verso la sigaretta.
Il ragazzo aveva ridacchiato:
" So per esperienza che la prima volta non si arriva in fondo, quindi permettimi di dividere la mia con te, se non ti fa schifo"
Il riccio aveva annuito:
trovava confortante il fatto che Louis si comportasse come se il suo
attacco di panico fosse una cosa normale, e il fatto che parlasse del
più e del meno in modo così tranquillo valeva più
di mille "Vuoi parlarne?" e frasi fatte varie della serie " Non te ne
devi vergognare, se vuoi io ci sono"...
Louis lo capiva, lo accettava e
gli dimostrava che non c'era nulla di sbagliato nell'ammettere come si
sentiva, e questo era molto più di quello che avrebbe potuto
sperare. Aveva preso tra l'indice e il medio la Malboro, il filtro
all'altezza delle nocche, prima di portarselo goffamente alle labbra e
ispirare il fumo, come aveva visto fare tante volte all'altro,
guardandolo affascinato.
Il sapore amaro gli aveva
invaso la gola, coprendo quello metallico del panico e della paura,
facendolo tossire mentre l'altro gli massaggiava la schiena...
" Okay okay basta" aveva
esclamato Louis, sfilandogliela velocemente dalle mani " Abbiamo
combinato già abbastanza guai stasera, direi di evitare la morte
per asfissia dopo quella per infarto..."
"NO!" aveva gracchiato il
più piccolo, cercando di riprendersi la sigaretta, ignorando la
vocina che gli domandava come avrebbe giustificato con sua madre
l'odore di tabacco, " Mi piace il sapore... Lasciamela finire, poi te
la pago"
Il più grande gliela
aveva resa, prima di fissare il cielo stellato sopra di loro, come una
trapunta blu zaffiro ricamata da splendenti diamanti, di tanto in tanto
attraversato dalla luce intermittente degli aerei che sfrecciavano
nell' aria tremante di vento, rumori, odori...
Si sentiva l'olezzo di fritto
provenire dalla festa paesana, e la brezza a volta portava il vociare
della gente e qualche nota della musica al lunapark, prima che si
perda nell' immensità del vuoto spegnendosi per sempre.
"Non é per i soldi,
testone" aveva rotto il silenzio, lo sguardo ancora rivolto verso il
cielo, lo stesso che poche ore prima guardava sdraiato sotto un albero
e che sembrava in quel momento così diverso anche se era sempre
lo stesso " Fumare fa male"
Harry aveva riso, interrompendosi solo per fare un altro tiro prima di mormorare:
" Senti da che pulpito arriva la predica..."
"Su su, non fare il polemico"
Louis aveva ripreso a massaggiargli il collo e la schiena notando la
pelle d'oca e il lieve tremore che lo scuoteva quando soffiava il
vento, cercando di scaldarlo.
"Mi piace. É buono... Sa di te"
" Non ti ci abituare... Non ti permetterò di fumarne altre o di diventare dipendente"
Harry aveva sospirato, arrendevole.
Aveva fatto un altro tiro, gli
occhi rivolti al cielo, fissando la stessa stella che si rifletteva
negli occhi di Louis mentre lui le pregava, ringraziandole
perché anche se avverse gli avevano fatti incontrare, e
nonostante tutto li avevano protetti, permettendogli di rimanere
insieme e camminare affianco fino a quel momento.
" Va bene" aveva
mormorato, e il più grande aveva sorriso alla volta celeste, non
sapendo che aveva perso la guerra ancora prima di scendere in campo per
la battaglia.
Angolo Fin *-*
Buonaseeeeeera :)
Vedo che siamo calati nelle recensioni... *scuote il dito* No no no, non va bene ragazze.
Sta volta ve la faccio passare ma la prossima volta interrogo su tutto Midnight Memories :)
Nel capitolo di oggi la sottoscritta si scaglia contro la Chiesa.
Perchè, vi chiderete voi.
Perchè a) le amiche di Maria son le prime a darla via
b) le ragazze casa e chiesa è il tragitto che le frega
c) mia mamma ha appena parlato col prete perchè
quell'idiota
non permette a mio zio che convive di fare il padrino di
cresima a mio fratello 'perchè è
peccato' e nemmeno a mio
cugino 'perchè ha
l'orecchino'.
Sfigato ( il prete dico).
Quelli del clan della Chiesa del mio paese (falsi, bigotti...) mi stano tutti sul pisy. Ma davvero!
Ma a voi non frega XD Serve solo a spiegarvi il capitolo :)
E a proposito di capitolo...
Settimana prossima parto per Roma e quindi non credo che sarò in
grado di aggiornare... Quindi in teoria aggiornerei tra due settimane
:( ( scusa Fra ma mi sono ricordata che ho l'appuntamento dal
parrucchiere martedì sera e siccome parto alle 5 non farò
in tempo :/ non odiarmi, per farmi perdonare ho fatto il capitolo
più lungo del solito)
Vorrei ringraziarvi tutte, una
ad una (mettete il caso che un onda anomala mi travolge mentre visito
il Vaticano XD) per il sostegno che mi date e la gioia che provo ogni
volta che vedo le vostre recensioni.
Un abbraccio grande grande a Lu
che shippa Nick-Harry solo per far star male Loueh *rabbrividisce*
quanta crudeltà, Ila che mi trasforma Drunk in Rapunzel ( son
due ore che rido e ogni tanto mi viene un flash di Louis che tenta di
arrampicarsi coi capelli di Harry che essendo ricciosi e matassosi
finiscono per inglobarlo come il Tranello del Diavolo di Harry Potter)
Delia chè è FA VO LO SA e se lo deve ricordare sempre,
soprattutto a scuola quando the tamarraide is on, Malu che spero abbia
capito dopo il mio dilungarmi sulla chiesa e sulla bigottaggine che
ruolo avrà Anne in questa storia ( Muhahahahahahaha i biscotti
al cioccolato mi rendono cattiva!) Swami che mi ha seguito su instagram
ed è la mia prima follower, seguita a ruota dalla sempre
mattiniera 1D_1D and last but not least Fra', la McGuiver degli esami
#staystrong and #don'tgiveup #ucandoit
#1500paginedastudiaresonounabazzecolaperchètuseisuperman!
Spero vivamente che chi è scomparso ricompaia e se lo scorso capitolo faceva schifo I'm Sorry :(
Don't leave me :( I'm fluffy, I need hugs :(
Bacissimi a tutte e ci vediamo tra due settimane
Cami
Ps: Ogni recensione
devolverà in beneficenza 1 euro per comprare alla sottoscritta
un canotto, siccome Roma è allagata...
Ps del ps: Se qualcuno ha instagram e vuole guadagnare un follower, sono smilla____
|
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Capitolo 20 *** Got You Stuck On My Body Like a Tattoo ***
dcfgsdrtgsd
20. Got You Stuck On My Body Like A Tattoo
Louis avrebbe dovuto saperlo.
Il pacco di Lucky Strike,
comprato due giorni fa' è già praticamente vuoto, tranne
per una sola misera sigaretta che lo sguarda come con scherno mentre la
fissa incredulo e senza spiegarsi questa morìa di nicotina,
proprio adesso che Fizzie ha acceso lo stereo litigando con Lottie per
scegliere il CD e le gemelle giocano a nascondino correndo su e
giù per il corridoio.
Ha già mal di testa, e senza un po' di sano fumo sente che non sopravviverà alla giornata.
Sospirando prende la sigaretta,
apre la finestra e se l'accende sporgendosi sul davanzale: non sia mai
che sua madre lo becchi di nuovo a fumare in casa o che parta l'allarme
antincendio un'altra volta, fracassandogli i timpani col suo rumore
irritante.
Sa benissimo, dopo aver fatto
mente locale, come mai la sua razione di viveri è durata
così poco, la causa ha due occhi acquamarina, mille ricci e
altrettanti capricci, e un nome che è tutto un programma.
Si, Harry Styles aveva iniziato a fumare.
Non fumare seriamente tutto un
pacchetto di Lucky Strike, ma quasi: dopo l'espisodio al lunapark ci
aveva preso gusto, e aveva implorato Louis di fargli provare a fumare
ancora.
Aveva fatto gli occhi da
cucciolo indifeso, la vocina triste, si era strusciato come un gatto,
finto di piangere e pregato il maggiore fino a quando, questi, nauseato
ed estremamente irritato, aveva acconsentito.
All'inizio gli aveva fatto una
tenerezza immensa mentre lo guardava tenere la sigaretta tra due dita,
terrorizzato come se fosse una bomba, o aspirare appena il fumo,
buttandolo subito fuori senza nemmeno mandarlo giù, bagnando con
le labbra troppo umide tutto il filtro rendendolo inutilizzabile a
parer suo.
Si era perfino dimenticato di essere arrabbiato.
I primi giorni si sedevano nel
patio sul retro della biblioteca (dove Anne Styles sapeva che suo
figlio 'studiava') e facevano un tiro ciascuno, fissando le nuvole
rincorrersi in cielo, ma dopo qualche tempo Harry gliene aveva chieste
in prestito un paio, da fumare all'intervallo aveva detto, e poi aveva
iniziato a prenderle senza nemmeno chiedere.
Sapeva la motivazione: voleva
sentirsi grande e farsi vedere dai compagni, che lo avevano sempre
visto come il nerd perfettino cocco dei prof, e nonostante lui negasse
fino a non avere più voce lui non ci cascava.
Voleva solo giocare a fare il
grande, e anche se questo era sbagliato e la nicotina rovinava i
polmoni favorendo in futuro l'insorgere di un cancro, Louis aveva
lasciato correre: si ricordava com'era avere quindici anni, e
soprattutto si ricordava che Harry era più piccolo di lui e che
soffriva della sindrome dell' non essere abbastanza, di essere troppo
piccolo, troppo immaturo perchè Louis lo prendesse sul serio e
rimanesse con lui a lungo, quindi aveva lasciato che il ragazzino
facesse il ragazzino, facendo lo sborone con gli amici e fumando come
un turco agli angoli delle strade quando uscivano insieme,
interpretando quel sorriso soddisfatto come una conferma delle sue
teorie.
“Vedi?” sembrava
dire “Non c'è bisogno che mi tratti diversamente, non sono
piccolo, sono capace di fare le stesse cose che fai tu...”
Aveva capito che stava
iniziando a sorpassare il limite della sua sopportazione e del buon
senso in generale quando si era ritrovato nel negozietto di tatuaggi
dove si era rifugiato una notte di dicembre durante una tempesta di
neve che però non era riuscita a placare i suoi bollenti spiriti
di ribellione.
Il vecchio tatuatore l'aveva pure riconosciuto:
“Quello della vecchia
scuola” aveva mormorato quasi canticchiando tra se' e se' mentre
finiva di parlare con un cliente al telefono.
Nel mentre si erano seduti e
Louis aveva cercato il coraggio di cercare di dissuadere di nuovo il
piccolo dall'idea di farsi un tatuaggio.
Un paio di sigarette non fanno
nulla, ma un tatuaggio è indelebile e resta per sempre, ma il
riccio non ne aveva voluto sapere, anche se in quel momento se la stava
decisamente facendo sotto dalla paura.
“F-farà molto male?”
Quando Louis aveva guardato negli occhi di Harry aveva visto paura e molta apprensione mal dissimulata.
“Non sei obbligato a
farlo, sai” aveva sussurrato piano nel suo orecchio, facendolo
rabbrividire dal solletico “Possiamo dire al vecchio che hai
cambiato idea e andarcene”
“No” si lamentato lui piano “Io voglio restare, voglio farlo! La mia era solo una domanda...”
“Bhe, innanzitutto conta
dove lo vuoi fare, ci sono posti molto sensibili come le caviglie, i
polsi o dietro il collo...”
Il ricciolo si era toccato il fianco sinistro “E qui? Qui fa male?”
“Non dovrebbe” li
aveva interrotta la voce burbera e rozza del vecchio tatuatore, lo
stesso che qualche mese prima aveva inciso la pelle di Louis “Ma
prima di anche solo pensare di tatuare qualcosa a un
tredicenne...”
“Quindicenne”
“Fa lo stesso. Non voglio grane: sei accompagnato da un maggiorenne?”
Louis si era indicato con una
mano, mentre con l'altra mostrava la carta d'identità,
precedendo la domanda dell'uomo, che senza scomporsi aveva continuato
impassibile “E l'autorizzazione di un genitore?”
Harry aveva estratto dalla
cartella il foglietto dell'autorizzazione, dove troneggiava la firma di
sua madre palesemente falsificata ottenuta ricalcandola da una verifica
di scuola quella mattina prima di prendere l'autobus, ma con grande
sollievo di tutti e due l'uomo non aveva detto niente, limitandosi a
invitarli nella saletta con un cenno.
“Allora? Cosa vorresti
farti tatuare, ragazzino?” l'uomo si era voltato verso Louis
“Ma lo sa che poi non viene via?”
“Certo che lo so! Non sono idiota!”
Il più grande siera
trattenuto per non ridere, sapeva dal modo in cui le labbra del
tatuatore si contraevano che stava scherzando e che cercava di rimanere
serio e non scoppiare a ridere in faccia al povero Harry, irritato come
non mai.
“Una scritta”
“ E di grazia, posso sapere cosa vuoi che io scriva?”
Louis aveva grugnito, sull'orlo
di cedere al desiderio incontrollato di sghignazzare a più non
posso, davanti alla faccia offesa e altezzosa del più piccolo.
“Maybe we will”
aveva risposto tagliente, addolcendosi un poco ed avvampando
furiosamente quando aveva incontrato gli occhi blu dell'altro che lo
scrutavano curiosi.
Il tatuatore non aveva avuto
più niente da ridire: aveva pregato il ragazzo di sdraiarsi e
abbassarsi un poco i pantaloni e l'elastico dei boxer, prima di
iniziare a preparare la macchinetta dell'inchiostro, riempiendola del
liquido nero che gli avrebbe macchiato la pelle.
“Sicuro? aveva chiesto di
nuovo Louis, che aveva paura che forse il piccolo, candido, tenero ed
innocente Harry si sarebbe amaramente pentito di quello che stava per
fare, e che quello era solo un capriccio o un colpo di testa.
“Si. E tu?”
“ E io cosa?”
“Sicuro che non faccia male?”
Il più grande si china
su di lui, pizzicandogli gioiosamente il fianco e solleticandolo senza
pietà, facendolo contorcere, scalciare e dimentare come un
anguilla, mentre dice forte per sovrastare le risate dell'altro:
“ Povero il mio pasticcino che ha paura di farsi male!”
“Lo-Louis piantala!” lo prega questo tra le risate.
“E' questo il male che
sentirai” risponde l'altro continuando la sua tremenda tortura,
mentre l'altro rotola sullettino, incapace di star fermo “ Povero
piccolo Harry, non riesce proprio a sopportarlo!”
“B-basta! N-non sono un bambino!!”
Il provvidenziale arrivo del
tatuatore salva il ricciolino, che a dispetto delle sue parole stringe
fortissimo la mano di Louis e caccia uno strilletto decisamente poco
mascolino quando l'ago inizia a incidergli delicatamente la pelle.
“Ti faccio male?” chiede immediatamente l'uomo, interrompendo l'operazione.
Harry avvampa, e stringe la mano ancora più forte mentre scuote la testa.
Il vecchio si china nuovamente su di lui, e riprende il lavoro lasciato a metà.
“Ne hai tanti di
tatuaggi?” chiede il più piccolo, mentre fissa Louis con
occhi grandi grandi che lo fanno sembrare più piccolo e fragile
di quello che è, e così l'altro per distrarlo gli parla,
proprio come quando era in ospedale, quando la sua mano era fredda e
scheletrica e il corpo ricoperto di tubi e macchine che lo tenevano in
vita.
“ Tanti. Troppi...”
“Hanno tutti un significato?”
“Più o meno...Il
primo è stata una bussola, perchè m'indicasse la giusta
via ma credo che non sia servita a molto, perche non mi ha portato
molto lontano...
Poi c'è stato il mio
“Far Away”, perchè è lì che voglio
andare, molto, molto, molto lontano da questo buco di città e da
tutto il resto di questo schifo di mondo, poi un aereoplanino di carta,
che ho sempre abbinato alla libertà, un mappamondo, da abbinare
alla bussola, che mi servirà durante i viaggi che farò,
un ferro di cavallo, che porta fortuna e con la mia sfiga cronica male
non fa, una corda con un nodo da marinaio attorno al polso, il numero
78, che è quello che più vorrei eliminare...”
“Perchè?”
“Mi ricorda una storia d'amore finita male”
“Ugh, brutta
storia” aveva commentato il vecchio, chino sulla pelle bianca e
immacolata di Harry, che però sembrava essersi dimenticato del
dolore, tanto era interessato al racconto di Louis.
“E poi? Ne hai altri?”
“ Quello che ho fatto
qui: la scritta “ It is what it is”, perchè la vita
dopotutto è quello che è...”
“Me li fai vedere?”
Il più grande si era
arrotolato le maniche della felpa e si era chinato all'altezza del
lettino per permettergli di vederli meglio e di ridisegnare i loro
contorni scuri con la punta delle dita, facendogli venire la pelle
d'oca lungo la spina dorsale e le farfalle nello stomaco.
Era tanto tempo che non si sentiva così.
Qualche chiacchiera dopo la
scritta, nera come la pece sulla tenera pelle di Harry, era completa e
dopo aver pagato con un piccolo sconto ( ma solo perchè era un
tatuaggio della vechia scuola e il ragazzino era simpatico) ed essersi
sorbiti le raccomandazioni del vecchio, erano di nuovo fuori all'aria
aperta, mentre sulla città calava la sera.
“E' tardi” aveva
commentato il più piccolo, fissando lo schermo del cellulare con
uno sguardo quasi inorridito.
“Ti accompagno al pullman”
“Grazie”
“Ti fa male?” aveva
chiesto preoccupato Louis, sbiarciando la mano di Harry premuta sul
fianco dove lui sapeva esserci la garza che copriva il tatuaggio,
cercando di scacciare dalla mente tutte le orribili storie che aveva
sentito su persone che soffrivano le pene dell'inferno a causa di un
infezione del sangue a causa dell'inchiostro, o peggio ancora di una
reazione allergica.
“No, sto bene. Non vedo l'ora di levare la benda per vedere com'è”
“All'inizio sarà un po' arrossato, ma poi passa col tempo. Fidati”
“Lo so che sei un'esperto”
“Mandami una foto su
What's app, mi raccomando” si era preoccupato di dire il
più grande, scorgendo la lugubre figura del pullman
imbottigliato dal traffico.
“Anche tu! Non ho ancora visto il 78 e la scritta...”
Louis aveva fatto un cenno verso il pullman “Ci vediamo domani allora”
Harry aveva annuito.
“ A domani”
Il moro si era guardato intorno
velocemente, prima di chianrsi un po' verso l'altro e baciarlo piano
sulla bocca, appoggiando le labbra contro le sue, prima di ritirarsi in
fretta, troppo per i suoi gusti, facendole schioccare giocosamente.
Harry, viola dall'imbarazzo e
con uno sguardo shockato aveva coperto le labbra con una mano, proprio
mentre il pullman alle sue spalle si arrestava sibilando.
“Ma sei
impazzito?!” gli aveva strillato arrampicandosi a bordo del mezzo
“Avrebbe potuto vederci qualcuno! Come hai potuto correre un
rischio così idiota!”
“ 'Rischio' è il
mio secondo nome!” aveva fatto in tempo a rispondere l'altro,
prima che le porte si chiudessero e lui si allontanasse dal marciapiede
salutando distrattamente con la mano.
E mentre il pullman si
allontanava, Louis era sicuro di aver visto il più piccolo
sorridere estatico, passandosi la lingua sulle labbra che ancora
sapevano di Louis 'Rischio' Tomlinson.
Louis Tomlinson non lo direbbe mai.
Non è consapevole del
fascino buio e tenebroso che esercita sugli altri, con quell'aria da
cattivo ragazzo duro e misterioso con un armatura fatta di piercing,
orecchini ed anelli nei posti più strani: una pallina verde e
striata di mille colori, come la carta di un ciupa ciupa sul
sopracciglio, il piccolo anellino sulla narice, l'orecchino fatto a
borchia appuntita sul lobo e le altre semplici 5 palline d'argento che
secondo sua madre gli 'sfigurano' l'orecchio, per non parlare del
labbro e di tutta la scena da lavatoio che gli era toccato sorbire
quando sua madre l'aveva notato per la prima volta...
No, non sapeva che effetto devastante ad assolutamente assuefante poteva avere.
Harry invece si'.
Quella stessa sera, dopo aver
cenato e fatto i compiti per l'indomani era andato in bagno a levarsi
la garza che copriva il suo tatuaggio nuovo fiammante, ammirando
l'elegante scritta nera che si allargava sulla sua pelle come un
marchio maledetto.
Come promesso aveva inviato una
foto all'altro, esigendone un'altra dove mostrava i tatuaggi che non
gli aveva potuto far vedere nel salone.
Aveva anche insistito per
conoscere la storia dietro al tatuaggio che gli ricordava una relazione
finita male: non lo aveva dato a vedere ma quel commento lo aveva reso
geloso, insicuro e timoroso di poter anche lui perdere Louis un giorno.
“ E' una storia vecchia” aveva digitato l'altro dopo le sue mille insistenze.
“Prima che i miei si separassero a scuola stavo con un ragazzo, Ashton, bomber della squadra di calcio del liceo...
Sembrava essere una cosa seria,
insomma, lui si è dichiarato mandando sui tabelloni elettronici
che segnano i punti, durante una partita importantissima una cosa tipo:
' Louis Tomlinson sei la mia terza stella a destra e poi dritti fino al
mattino. Ti amo. Ti prego dammi una chance'...
Immagina di ragazzi della nuova scuola come hanno reagito quando hanno scoperto la notizia, scoperchiando il vaso di Pandora...
Sta di fatto che ci siamo messi insieme, e per i nostri sei mesi mi sono tatuato il suo numero maglia sul petto.”
“E poi?” l'aveva incalzato l'altro, bruciando di gelosia.
“ E poi cosa?”
“Perchè dici che
è finita male e non vuoi ricordare la vostra storia?”
Harry sapeva di non essere la prima relazione dell'altro, e lo
accetava, ma venire a sapere i suoi vecchi trascorsi amorosi era
tutto un altro paio di maniche...
“Perchè quando mi
sono trasferito sono stato male come un cane, ero solo, depresso e
oserei dire quasi suicida, ma nessuno si è fatto sentire, e mi
è stato riferito che lo stesso venerdì della mia
partenza, a una festa, si è presentato con un nuovo
accompagnatore ufficiale, un certo Fabian con cui, stando alla loro
versione, era fidanzato da mesi...
Mi ha abbandonto, cornificato e preso per il culo, in sintesi.
E non ha nemmeno chiesto scusa.
Tutto quello che mi resta è un 78 tatuato sulla pelle e una grande amarezza”.
Poi era arrivata la foto.
Non sapeva assolutamente che effetto gli faceva.
Di solito indossava sempre
felponi enormi e neri, che non lasciavano immaginare il ben di Dio
nascosto lì sotto: la pelle era lievemente più scura
della sua, macchiata da un crudele, sadico e realista “e' quello
che è” che gli attraversava le clavicole sottili,
arricciandosi fino a sfiorare i pettorali, ben sodi ma non da
palestrato pompato, non troppo definiti da steroidi e schifezze varie,
ma sufficientemente marcati da lasciare lo sguardo vagare su di essi,
ottenuti attraverso il duro lavoro a furia di sollevare vecchietti e
carrelli medicinali...
Più in basso, proprio sul pettorale sinistro, sopra il cuore, era stampato il '78'.
Gli occhi di Harry erano scesi
verso il basso, rapiti dal colore della sua pelle levigata e soda e
dalla tartaruga appena delineata, fino a sotto l'ombelico, fino alla
linea a 'v' che gli aveva fatto perdere la testa.
Se fosse stato a casa Styles,
Louis non avrebbe saputo come spiegarselo, ma ciò che
avrebbe sentito provenire dalla camera del suo ricciolino gli sarebbero
sembrati sospiri e gemiti mozzati e miagolii come di molle.
E allora, sentendo appena i
gemiti soffocati provenienti dall'altra parte della porta, non
s'immaginerebbe mai suo il candido, adorabile, dolce Harry a
contorcersi attraverso le lenzuola bianche del letto sfatto e
strusciarsi forte contro il materasso sottile e soffiare mugolando sui
cuscini profumati e masturbarsi piano, lentamente, come in un sogno. E
Harry non riesce proprio a smettere di pensare a quanto deve essere
bello Louis, mentre con una mano si tocca piano e con l'altra si
accarezza piano la pancia, quasi per calmare la sua stessa eccitazione
e rallentare il galoppare inesorabile dell'orgasmo. Solo al
sopraggiungere di quest'ultimo, Louis non lo potrebbe neanche
immaginare, si porterà la mano libera sulla bocca per non urlare
di piacere, per non allarmare sua madre che sta guardando la TV al
piano di sotto, mordendo quelle piccole dita bianche e chiudendo con
forza gli occhi, finalmente soddisfatto.
E subito dopo Harry torna in
se', e arrossisce a quei pensieri che gli invadono la mente stanca,
mentre il corpo sfatto e sfinito giace tra le lenzuola cercando di
riprendere fiato, cercando di spiegarsi o di scacciare quei dolci
tormenti che gli hanno sempre insegnato essere sbagliati, ingiusti,
disgustosi e sporchi.
Si accarezza piano il tatuaggio
con due dita, serrando forte gli occhi cercando di non pensare alla
reazione che sua madre potrebbe avere nel vederlo, dal morire d'infarto
sul colpo a chiuderlo in cantina e nutrirlo a croste di formaggio e
latte rancido per il resto dei suoi giorni, cercando di ignorare il
pizzicore della sostanza estranea nel suo corpo, accentuato dalla
mancata protezione delle bende, cerca di non pensare che domani ha un
test e che se non prende almeno una 'B +' inizieranno tutti a fare
pressione perchè non si rovini la sua media perfetta nonostante
un'incidente quasi mortale e un ricovero di più di tre mesi,
cerca di dimenticare che è sabato, e che andrà a stare da
suo padre per il weekend e che non vedrà la sua ragione di vita
fino a martedì...
Semplicemente chiude gli occhi,
continuando ad accarezzarsi piano come a volersi consolare di tutte le
ingiustizie della sua vita.
E immagina che le sue stesse
mani da quindicenne siano quelle grandi e rovinate dal lavoro e dalla
fatica di Louis, anche se sono sempre fredde, anche se a volte puzzano
di sigaretta.
Perchè sono l'unica cosa che vorrebbe sul suo corpo adesso.
Angolo Fin *w*
*Ansima* che corsa ragazze...
So di essere in ritardo, ma il rientro post-gita è stato a dir poco traumatico O.O
Eniuei è stato divertentissimo, tranne il fatto che m'hanno
messo in stanza con la mia ex-migliore-amica ( qualcuna di voi lettrici
più anziane se la ricorderà -.-)
Ma ora sono qui, a vedere Harry Styles che manca i Brit Award
perchè sta pisciando, Niall con le stampelle e Louis depresso
perchè girano voci che la Larry sia finita.
Ma scherziamo?!
Qualcuno mi aggiorni plis :(
Vorrei festeggiare il ritorno di Annie che mi è mancata
tantissimissimissimo *la piglia e la sbaciuccia come lei farebbe con
Louis* Ele che ha fatto un'analisi perfettissima del capitolo che tra
l'altro è una descrizione perfetta della sottoscritta che,
nei panni di Lou, girovaga per Roma fumando Camel Blue, Delia che crede
di non valere come la cacca di Harry, ma diciamocelo dopo la sua ultima
figura di cacca ai Brit è lui a dover pensare che non vale
quanto la TUA cacca XD Ila che mi spezza nella descrizione del suo
paese che sembra il mio, che se dovessi contare i bestemmioni che sento
quando passeggio per i campi dietro casa mia mentre lavorano i
contadini non mi basterebbero le mani, e che non deve perdere
nessun'etto per carità che sei già troppo bella
così <3
Lu la mia queen of angst che aveva ragione (se le voci sul web sono
vere) a shippare Styles-Grimshaw mentre Louis si deprime insieme alla
sottoscritta sob sob, 1D_1D che si unisce a me nella protesta contro la
Chiesa in quanto musulmana #yeeeeeeeah! Avevo un'amica musulmana che
veniva a giocare con noi in oratorio (quando ancora lo frequantavo) ma
poi il prete l'ha scoperta e l'ha mandata via.
Come si può mandare via una bambina di 11 anni perchè di
religione diversa? Con che coraggio ti fai chiamare uomo di Dio?
Bah. Mi sale il porca troia, ma stiamo tranquilli che io non mando via nessuno <3
Veronica che mi deve aggiornare sulle ultime di Davide ( devo chiamare
chi l'ha visto?) e quella fortunella di Fra che vede Harry Styles a
Londra dal vivo ma vi rendete conto?! E' la mia stalker preferita <3
Leeroy_hmm che a proposito di fumare devo assolutamente spettegolarti
cos'è successo in gita con la mia "amata" compagna di stanza
(#ifyouknowwhatimean) e le sigarette!!! Roba da non crederci!!! And
last but not least Malu che mi sommerge di cuori e mi fa sentire tanto
amata aw che bella cosa <3
Scusate ancora per il ritardo, se avete bisogno di qualcosa (QUALSIASI
COSA) mi trovate qua su efp oppure cercando "smilla____" su Instagram
:) e se mi scrivete il nome in un messaggio privato ci si può
sentire anche su facebook <3 <3 <3
Tantissimi baci romani e un pezzo di Colosseo per tutte!
#Muchlove
Cami
|
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Capitolo 21 *** I'll Call Ya After My Blood Turns To Alcool ***
21)
22. I'll Call Ya After My Blood Turns To Alcool
Mai
il suono della campanella gli era sembrato così dolce e soave.
La
prof stava ancora parlando, forse dettando i compiti, ma a lui non
importava.
In
un attimo Harry aveva raccolto penne, evidenziatori, gomme e tutto
ciò che aveva sparso sul banco nelle ultime 5 ore, disordinato
com'era, prima di gettarlo direttamente nella cartella, e infilarci
dentro i libri che ci stavano a malapena, afferrare lo zaino per le
cinghie e guadagnare l'uscita senza nemmeno preoccuparsi di salutare
o di recuperare l'astuccio praticamente vuoto che troneggiava sul
banco, dimenticato.
Si
sentiva un palloncino a elio che vola nel cielo blu, così felice da
toccare il cielo con un dito: ora che il momento era arrivato non
stava più nella pelle.
Veramente
non stava più nella pelle da quella mattina alle 7.30, quando gli
era suonata la sveglia, facendolo schizzare in piedi sul letto,
perfettamente sveglio e perfettamente conscio che quella giornata
sarebbe stata speciale, anzi, superspeciale.
La
sua prima visita in casa di Louis.
Non
aveva pensato ad altro tutta la mattina, perdendosi nei suoi pensieri
con sguardo sognante, ripercorrendo mentalmente due pomeriggi prima,
quando durante una delle loro conversazioni per sms lui glielo aveva
chiesto.
Aveva
scritto:
“Dopodomani
ho la casa libera: mia mamma lavora e le mie sorelle sono tutte
fuori... Facciamo merenda lì e poi usciamo a cena? Non ho voglia di
stare solo :))”
Harry
aveva rischiato di farsi beccare 4 volte dal professore di storia
mentre rileggeva ancora e ancora col cellulare il messaggio sotto il
banco, ogni volta sorridendo al pavimento polveroso come un idiota,
ogni volta sentendo che il suo cuore mancava un battito e la faccia
diventargli rossa come un un peperone al sole.
“Mi
piacerebbe tantissimo” aveva risposto lui, in estasi, prima che la
sua mente venisse occupata da pensieri come 'cosa mi metto?' 'è
buona educazione portare qualcosa per ringraziare dell'ospitalità?'
'Non sarà troppo presto?' e da filmini mentali dove lui, cadendo e
incespicando per la sua goffaggine finiva per distruggergli casa.
Un
altro sms lo aveva distratto dalle sue pippe mentali.
“Va
bene, allora ti passo a scuola, okay?”
Per
una volta Harry si era completamente scordato che se l'altro lo
passava a prendere significava che aveva saltato le lezioni ancora
una volta, e comunque sarebbe stato troppo felice per iniziare con la
sua solita ramanzina.
“Okay
:))” aveva risposto, attendendo trepidante un'altro messaggio
dall'altro.
Aveva
aspettato invano, controllando il telefono giorno e notte ma l'altro
non si era più fatto sentire...
Questo
aveva smorzato un po' del suo entusiasmo, mentre rimaneva bloccato
nell'ingorgo degli studenti che si ammassavano sulle scale e
nell'atrio principale cercando di arrivare prima possibile
all'uscita, come se ne valesse la loro vita. Spingendo, strattonando
e pestando qualche piede Harry era riuscito ad arrivare in fondo alle
scale, prima che il gruppo dei più grandi lo travolgesse
rispedendolo tra la calca che premeva contro i muri dell'edificio che
sembrava stesse per esplodere da un momento all'altro.
“Non
voglio farlo aspettare!” aveva pensato, il panico che iniziava a
farsi strada tra i suoi pensieri felici, “E se magari pensa che
sono assente o che mi sono dimenticato e mi lascia qui?”
Aveva
già detto a sua madre che si sarebbe fermato a pranzo e a cena da un
amico, e che si sarebbe fermato fino a tardi, non aveva neanche le
chiavi di casa e se Louis gli dava buca sarebbe stato davvero nei
guai.
Era
riuscito a estrarre il telefono dalla tasca dei jeans rifilando una
gomitata a una ragazza vicino a lui e aveva digitato velocemente un
messaggio al suo accompagnatore mentre cercava instancabilmente di
avanzare:
“C'è
un po' di ressa nell'atrio, ma sto arrivando :/”
Inutile
dire che nonostante i suoi sforzi era uscito quasi per ultimo.
Quando
finalmente era uscito nel trionfante sole di maggio, socchiudendo gli
occhi per proteggerli dai suoi raggi di fuoco, non aveva visto nessun
Louis Tomlinson in attesa. Aveva scandagliato attentamente con lo
sguardo, trepidante, il parcheggio pieno di macchine, il cortile
delle elementari dove irritanti e petulanti bambinetti in grembiule
venivano trainati via dallo scivolo dai genitori, e aveva persino
allungato il collo per controllare il campo da calcio, ovviamente
deserto.
Aveva
sospirato, cercando di ricacciare indietro la delusione e la
tristezza.
Si
era dimenticato di lui.
“Cerchi
qualcuno?”
Harry
si era girato di scatto, il cuore che gli martellava nel petto:
converse bianche lise che avevano visto tempi migliori, blue jeans
strappati in punti strategici ( e più volte ricuciti) e una felpa
marrone a maniche lunghe con il cappuccio che insieme al ciuffo
castano copriva gli occhi celesti, lasciando scoperto solo la fine
del sopracciglio destro dotato di ingente piercing, così come sul
naso e sulle labbra ghignanti che stringevano con fare sensuale una
sigaretta mezza consumata.
Louis
Tomlinson.
Sembrava
il padrone del mondo, appoggiato al muro con le mani dietro la testa
e quel suo sorriso beffardo, ma Harry poteva vedere dalla luce nei
suoi occhi che anche lui era emozionato.
Si
era sentito meglio, più sicuro e meno imbarazzato, mentre cercava di
darsi un contegno e di non sbavargli addosso come un'adolescente in
piena tempesta ormonale.
“Vaffanculo
Tomlinson, mi hai fatto cagare in mano: pensavo mi avessi tirato un
bidone!”
L'altro
si era finto mortalmente offeso.
“Io?
Io sono un uomo di parola: mantengo sempre le mie promesse”
Erano
entrambi scoppiati a ridere al suo tono pomposo, attirandosi le
occhiatacce dei professori che attraversavano il piazzale deserto per
salire sulle loro macchine e tornare alle loro tristi e monotone
vite, prima che il più piccolo si scusasse, con uno sguardo contrito
in viso:
“ E'
che non mi hai più risposto e pensavo che...”
“Che
l'avessi dimenticato?”
Aveva
annuito colpevole, mentre l'altro spalancava melodrammaticamente gli
occhi blu, declamando al cielo:
“ Che
onta, che vile offesa! Finchè non ricarico il mio credito è morto e
stecchito, e siccome tu sei di un'altro operatore telefonico...”
Il
più piccolo ridacchiava per la teatralità dell'altro, prima
tornasse serio e che sussurrasse piano piano, tanto che per un
momento Harry lo scambiò per un soffio di vento in un caldo e
soleggiato giorno di primavera, mentre veniva gentilmente guidato per
un braccio verso casa Tomlinson:
“ E
comunque di te non mi dimenticherei mai...”
Sorrise.
Sarebbe
stata una bellissima giornata.
Era
stato un incidente.
Harry
avebbe dovuto immaginare che era troppo bello per essere vero e che
avrebbe finito per combinare qualche disastro.
E
dire che il pomeriggio era iniziato bene: una volta arrivati
all'appartamento di Louis, che era veramente angusto e stretto come
diceva lui, soprattutto contando il fatto che avevano utilizzato i
mobili della vecchia casa, lussuosi, raffinati ed in aperto contrasto
con le minuscole dimensioni dell'appartamento, per arredare quella
nuova ( ma Harry avrebbe preferito essere investito un'altra volta
piuttosto che dirlo ad alta voce), avevano cucinato maccheroni al
formaggio, rischiando di fondere il pentolino dove stavano facendo
sciogliere il formaggio per la loro scarsa attenzione ai fornelli.
Non
era certo un pasto da gran gourmet, ma il fatto che l'avessero
cucinato loro due, insieme, lo rendeva il piatto più buono del
mondo.
Una
volta sparecchiato si era posto il problema di cosa fare durante il
pomeriggio, e siccome non c'erano consolle o videogiochi in vista, il
riccio non sapeva proprio cosa proporre, così si era limitato a un
“Quello che ti va'” e il padrone di casa era saltato in piedi dal
divano dove era sprofondato, fregandosi le mani con fare diabolico:
“Che
ne dici di una partita a tennis?”
Venti
minuti dopo Louis si stava rotolando dalle risate sulla moquette di
camera sua, mentre Harry cercava di suonare serio e indignato mentre
agitava minaccioso la racchetta da ping pong attraverso la “rete”
che separava i rispettivi campi, in realtà un lungo filo di ferro
ricoperto di gomma bianca che sua madre usava per stendere i panni
sul loro stiminzito balcone nei giorni di sole .
“ E'
l-l-la q-q-q-quinta v-volta che t-t-ti colpisci c-c-con la
racchetta!” aveva boccheggiato il maggiore, ancora a terra,
incapace di alzarsi per l'eccesso di risa.
“Ridi,
ridi finchè puoi Louis Tomlinson, perchè adesso ti farò mangiare
la mia polvere!”
“Lo
hai detto anche due partite fa” l'altro rischiava seriamente di
soffocarsi con la saliva, se andava avanti a sghignazzare così.
Harry
aveva incrociato le braccia sul petto, mentre il suo faccino si
contraeva in un broncio infantile che Louis nella sua testa aveva
definito adorabile.
Era
seriamente adorabile, tutto riccioli, guanciotte e capricci, ma
quasto non significava che lo avrebbe lasciato vincere apposta.
“Non
dicevo veramente. Adesso faccio sul serio. Stai in guardia!”
O
magari si.
Louis
si rialzò, servendo una palla decisamente facile, e dopo qualche
scambio (Harry esultava ogni volta che riusciva a toccare la pallina)
il più piccolo aveva mantenuto fede alla sua promessa, caricando i
suoi tiri con tutta la forza che aveva fatto rimbalzare la pallina su
tutti i muri, rendendola, secondo lui, imprendibile.
Ma
Louis l'aveva presa, tirandola piano verso l'avversario, che deciso a
portarsi a casa la vittoria aveva schiacciato, urlando: “Il punto
della vittoria!”
La
pallina da ping pong era rimbalzata sul pavimento, prima di roteare
verso il soffitto e schiantarsi sulla lampadina, facendo piovere
ovunque gocce di vetro.
Harry
si era gelato sul posto, mortificato.
Lui
lo sapeva, lo sapeva che geneticamente era un imbranato idiota e che
l'incidente e le inutili sedute di fisioterapia avevano solo
peggiorato la sua situazione, rendendolo un pericolo pubblico,
“M-mi
dispiace...”
Louis
guardava il danno con aria distaccata, gli occhi appena socchiusi e
le mani in tasta, disinteressato.
“Cazzo.
Mia madre mi ammazza”
“M-mi
dispiace, è colpa mia, mi sono lasciato trasportare...”
L'altro
aveva scrollato le spalle.
“Non
preoccuparti, meglio la lampadina che il tuo naso.”
“Ma-”
“Non
è successo niente, davvero. Ne abbiamo di riserva” aveva sorriso
“Vado in salotto a prenderle, attento a non camminare sui vetri e-”
Il
suono del telefono di casa aveva interrotto le raccomandazioni del
ragazzo, che sbuffando era andato alla cornetta a rispondere,
lasciando l'ospite solo in camera con il suo senso di colpa.
“Pronto?
Ah, Ciao ma'. Cosa? No, non l'ho perso, ho dimenticato di togliere il
silenzioso quando sono tornato da scuola...”
E
mentre Louis mentiva spudoratamente a sua madre, a Harry venne un
idea per riparare il disastro che aveva combinato.
In
salotto, hn?
“Si.
Okay. Ciao ma'... Ciao”
Louis
riattaccò con un gesto stizzito.
Sua
madre lo aveva tenuto al telefono praticamente un quarto d'ora,
lasciando Harry in camera sua, da solo in mezzo alle schegge di vetro
della lampadina rotta... Sperava non si fosse tagliato.
“Ehi
Harry!” lo aveva chiamato dal salotto, fissando l'orologio del
televisore che segnava l'orario delle 18.37 “Ci si mette un po' a
raggiungere il centro a piedi da qui... Usciamo adesso o aspettiamo
ancora un po'?”
Silenzio.
Il
ragazzo si affacciò sull'uscio di camera sua, e ciò che vide bastò
a lasciarlo attonito, incapace di muovere un altro passo in avanti e
di proferire una frase di qualche senso compiuto.
“He-
Ma cosa diavolo stai facendo?!”
“Sono
soltanto caduto. Non mi sono fatto niente, non preoccuparti”
Louis
guardò Harry che, col solito adorabile cipiglio imbronciato,
dapprima si strofinò un paio di volte i jeans all’altezza delle
ginocchia, per scuotere via la polvere che vi si era raccolta nella
caduta; e poi raddrizzò la sedia che si era rovesciata sul
pavimento e vi salì sopra in piedi, in un equilibrio precario che
fece impallidire ancora di più il maggiore.
“Si
può sapere cosa stai cercando di fare?”
Così
dicendo, gli si lanciò letteralmente dietro, senza però osare
toccarlo per la paura di farlo cadere ancora anche solo sfiorandogli
una gamba, turbando l’asse perfetto in cui il suo corpo si allungò
pericolosamente nel tentare di raggiungere il lampadario con le mani.
“Cerco
di rimediare al danno di prima, non vedi?”
Harry
gli sorrise dolcemente, mentre lui cercava di non piegarsi in due a
causa delle sue fitte al petto:si sentiva un pervertito, indegno
d’essere ricambiato con così tanto trasporto e innocenza di un
amore comunque proibito e condannato da ogni morale. Ma ciò che più
lo intenerì continuando a guardare gli sforzi del ricciolino furono
le sue sopracciglia aggrottate, le labbra morsicchiate e le sue
parole affrante.
“Non ci arrivo!”
Ansimò sconfitto e
stette per ruzzolare di nuovo a terra se non fosse stato per Louis
che, con uno slancio fulmineo, lo afferrò saldamente per la
vita.
“Lascia stare, faccio io, è una stupida lampadina non è
così importante!”
“No!”
Proprio nel momento in cui stava
per rimetterlo con i piedi per terra, il maggiore percepì
chiaramente la mano libera di Harry aggrapparsi alla sua maglietta e
le sue gambe snelle allacciarsi saldamente al suo bacino. In quella
stretta improvvisa, distinse chiaramente il profumo fresco della sua
pelle, lo stesso di cui aveva goduto baciandolo più e più volte sul
collo nei giorni precedenti, ma senza andare oltre per il timore di
violarlo troppo giovane, troppo presto. Sussultò perché, in quella
posizione dettata solo dal fatto che lui non intendesse demordere e
farsi rimettere semplicemente giù, ciò che invece essendo più
grande gli tolse il fiato fu l’attrito che inavvertitamente il più
piccolo provocò tra i loro corpi, muovendo le anche in avanti e
risvegliandogli un’erezione di cui non riuscì a non
vergognarsi.
“Ce la faccio se mi tieni tu. Sollevami solo un po’
più in alto”
Louis non replicò subito, scorgendo chiaramente
in quelle parole un disperato tentativo del ricciolo di sembrare a
tutti i costi già adulto e perfettamente autosufficiente.
“Ti
hanno mai detto che sei testardo da morire?”
Gli chiese soltanto
in un mormorio appena percettibile, cingendogli entrambe le mani
dietro le ginocchia e sollevandolo il più possibile.
“E a te
hanno mai detto che sei appiccicoso da far quasi paura?”
Rimbrottò
Harry altrettanto fra i denti mentre, con l’ultimo, sforzo
riavvitava la lampadina più saldamente gli riuscisse.
“Solo
quando si tratta di te, Haz, sai?”
Lo provocò scherzoso,
accennando un mezzo sorriso al rossore che tinse quasi subito il viso
del più piccolo e che quest’ultimo provò goffamente a
dissimulare, voltando la testa di lato per evitare di incrociare lo
sguardo rapito e rivolto verso l’alto del maggiore.
“Ho
finito. Puoi anche lasciarmi andare, adesso”
“Come vuoi”
Lo
assecondò, cominciando a farlo discendere fra le sue braccia con una
lentezza quasi estenuante; si fermò solo allorchè le sue mani
andarono a sorreggere i glutei del più piccolo e la punta del suo
naso sfiorò l’orlo della maglietta nera che Harry indossava,
inspirando anche attraverso la stoffa il suo odore d’irresistibile
innocenza.
“Mi lasci andare?”
Dopo aver colmato un’ultima
volta le proprie narici di quell’odore fresco e inebriante, Louis
sollevò lo sguardo a quel sussurro, quasi dolce come gli occhi di
Harry che si puntarono verdi e immensi nei suoi, imploranti quel sì
che, rimproverandosi ancora una volta d’essere egoista, non riuscì
a concedergli.
“Lo vuoi davvero?”
Non attese replica
alcuna; non gliene diede nemmeno il tempo. Avendo le mani occupate a
sorreggerlo, si servì invece proprio della punta del proprio naso
per sollevargli di un poco la maglietta: quel tanto che bastava
affinchè vi si insinuasse sotto con la testa e iniziasse a tracciare
con le labbra la striscia sottile di peluria appena accennata che,
dalla cintola dei jeans, risaliva fino al suo ombelico.
Stringendo
di più le braccia attorno ai suoi fianchi, la disseminò di piccoli
baci casti e ravvicinati, risalendo e scendendo più volte, fino al
momento in cui le mani del ricciolo, che fino a quel momento erano
rimaste appoggiate alle sue spalle larghe e forti, non si
artigliarono alla sua maglia con una forza tale da sfilargliela
quasi.
“Louis… !”
Solo il fatto di sentirsi chiamare per
nome a quel modo, con la voce rotta di un’emozione che sapeva
benissimo essere la stessa che provava anch’egli in quel medesimo
istante, lo incoraggiò a rendere quei baci meno casti e sempre più
umidi.
E sorrise contro la sua pelle quando infine affondò
delicatamente la lingua nel suo ombelico; sentì la presa sulle
proprie spalle farsi più forte e disperata, proprio come il gemito
che Harry si lasciò sfuggire, gettando la testa
all’indietro.
Facendo attenzione a non interrompere quel loro
contatto, Louis mosse qualche passo in avanti; e, una volta che fu
arrivato alla sponda del letto, lasciò che entrambi ricadessero sul
materasso in quella stessa posizione, Harry sotto e lui sopra, le
labbra ancora sul suo ombelico, incapaci di staccarsene.
Gli
sembrò di non aver mai assaggiato in vita sua una pelle più morbida
e più dolce di quella del più piccolo; pregò Dio affinchè nessun
altro tranne che lui riuscisse ad assaggiare quel sapore vergine che
apparteneva solo a lui. Furono l’idea di sporcare irrimediabilmente
quella creatura così pura e il tremore violento che la scosse sotto
di lui a far arrestare il movimento delle dita che, quasi mosse da
una volontà propria, avevano finito per sbottonargli i jeans.
Non
senza riguardarlo con un ultimo bacio a fior di labbra, Louis
appoggiò la testa sul ventre tremante del più piccolo, la guancia
contro la pelle fresca della sua pancia, le mani a stringere le
lenzuola e nelle orecchie il suono affannoso del suo respiro
spaventato.
“Lou, io…”
“Non preoccuparti, Haz, ti
aspetto. Ti aspetto quanto vuoi”
Cercò di calmarlo, unendo al
tono gentile della voce un altro bacio casto, appena sotto
l’ombelico. Ma fu Harry a sorprenderlo, non appena si sentì
affondare le dita di lui fra i capelli, in una serie di piccole
carezze impacciate e innamorate.
Rimasero a lungo in quella
posizione, senza muoversi, tranne che per le mani del più piccolo
che di tanto in tanto andavano a intrecciare le dita fra i
capelli del maggiore. E in ognuno di quei tocchi Louis si sentì
ricambiato e capace d’aspettare Harry, se fosse stato necessario,
anche tutta la vita.
Un
rumore viscerale proprio dov'era appoggiato interruppe i suoi
pensieri.
“Qualcuno qui ha fame, o sbaglio?”
Harry arrossì,
non azzardandosi a muoversi per non disturbare il più grande che
però si stava già alzando, stiracchiandosi come un gatto per poi
tendergli una mano, sorridergli sincero ed esclamare, completamente
dimentico della lampadina rotta:
“Andiamo
a mangiare?”
Andava
tutto bene, troppo bene per i suoi gusti.
Per
tutta la serata si era sentito euforico e tremebondo a furia di
ridere, la testa sgombra da qualsiasi pensiero e il cuore leggero.
Ma
lui era Louis Tomlinson e la sua sfiga lo seguiva ovunque andasse
come la sua ombra, non permettendogli mai di abbassare la guardia
nemmeno per un istante: restava sempre in luoghi solitari, da solo,
isolandosi nel suo scudo di mutismo e distaccato sprezzo grazie al
quale teneva a bada gli altri.
Tranne
Harry.
Il
destino gli aveva uniti in una maniera così inaspettata ed
improvvisa che neanche Louis, con la sua sociopatia acuta aveva
potuto evitare, e così lo aveva lasciato entrare nella sua vita,
avendo bisogno di Harry quanto Harry avesse bisogno di lui; poi erano
entrati in gioco i sentimenti ed entrambi erano rimasti ufficialmente
fregati l'uno con l'altro, anche se Louis era fermamente convinto di
essere l'unico dei due a vedere la loro relazione in maniera così
pessimista, e un po' se ne vergognava anche se sapeva che i suoi
pensieri sarcastici erano un inutile tentativo dell'innamorato badboy
dentro di lui di darsi un tono.
E
così quella sera aveva deliberatamente abbassato la guardia,
concedendosi per una volta di vedere il lato romantico della
situazione: la loro gigantesca pizza al formaggio (italiana d'hoc
come diceva l'insegna al di fuori del ristorante) faceva ”filo”
da tutte le parti, come gli spaghetti di Lilli e il Vagabondo, nel
locale risuonava la dolce melodia del violino di Scarlatti o Paganini
(Louis non era sicuro quale autore fosse), l'aria agrodolce che una
volta all'esterno gli inebriava i sensi gonfiandogli i vestiti e
scompigliando i ricci di Harry, diffondendo l'odore del suo shampoo
attorno a loro, come una magica aura, una protezione che nessuno
avrebbe potuto infrangere mentre camminavano per la città,
dondolando le braccia imbarazzati, con le mani che si sfioravano
appena e le dita che desideravano intrecciarsi ma non potevano perchè
avrebbero tradito il loro segreto, mentre parlavano di tutto e di
niente sotto le stelle più belle che brillavano nel cielo...
“O
mio Dio! Ma è Louis Tomlinson!”
Una
sgradevole voce alle sue spalle lo aveva riportato alla realtà, e il
sangue gli si era ghiacciato nelle vene: era sabato, erano le otto e
mezza e lui era in pieno centro.
Cazzo,
cazzo e ancora cazzo.
“Cristo,
non credevo che potessi veramente camminare in giro... Posso farti
una foto?”
Si
era girato lentamente per fronteggiare i suoi interlocutori mentre
Harry lo fissava curioso.
Lucas
Dixon e Christoper Hale.
Gli
aveva fissati nella maniera più letale che poteva, prima di
rispondere freddamente “ Il fatto che nessuno di voi due rientri
nelle mie frequentazioni non vuol dire che io non abbia una vita
sociale”
Un
ghigno sgradevole si era dipinto sulla faccia del primo, mentre il
suo tirapiedi si era limitato a fissarlo confuso, prima di imitarlo
fedelmente come un cane bastardo e pulcioso fa con il suo padrone.
Dixon
si era fatto avanti e gli aveva passato un braccio attorno alle
spalle amichevolmente, dandogli qualche pacca sulla schiena come se
gli fosse andato qualcosa di traverso e aggiungendo con un tono
cameratesco:
“Intendevo
dire che è difficle beccarti in giro, Tomlinson”
“Già”
“Perchè
non festeggiamo questo lieto incontro, huh?”
Nonononononono.
“Venite
dentro a bere qualcosa con noi, sarà divertente”
Aveva
fissato Harry con i suoi occhi neri e penetranti sorridendo come un
ebete per coprire la sua aria malvagia e sostituirla con una patetica
aria di affabilità che non era affatto convincente, ma che aveva
fatto crollare le difese del più piccolo, che subito si era diretto
verso l'ingresso del pub irlandese dietro di loro scrollando le
spalle “Sembra divertente”
Louis
l'aveva riacchiappato per un braccio.
“Veramente
noi dovremmo andare, abbiamo un coprifuoco piuttosto rigido”
Il
più piccolo aveva alzato le spalle con noncuranza.
“E'
sabato sera, Tom”
Tom?
Tom?!
“Non
c'è scuola domani, ergo non c'è coprifuoco stasera”
Ma
porca di quella...
“Sentito
il tuo amico?” aveva rincarato la dose Dixon mentre Hale lo
precedeva nel locale “Dai, unitevi a noi... Solo un paio di birre e
poi vi lasciamo andare, promesso. Non fare l'asociale, Tom”
“Si
Louis, non fare il sociopatico”
Harry
aveva fatto per seguire gli altri due all'interno, ma il ragazzo gli
aveva stretto il braccio mormorando furibondo: “Non penso sia il
caso andare...”
“Se
è per i soldi posso offrire io, non c'è problema...”
Stava
per dire al riccio che non era un fottutissimo problema di soldi
stavolta, e che voleva quei due sottoni il più lontano possibile da
loro, che stavano rovinando la loro serata speciale, che voleva stare
da solo con lui, ma i diretti interessati avevano fatto capolino
dall'uscio, quell'orrendo ghigno molle e perfido, parodia di un
sorriso, stampato in faccia mentre esultavano allegramente: “Venite,
abbiamo trovato un tavolo!”
Era
surreale, strambo, bizzarro, psichedelico, pazzo ed assurdamente
sbagliato quello che stavano facendo.
Louis
lo aveva capito appena aveva messo piede in quella bettola sudicia e
puzzolente di alcool. Era da sfigati ubriacarsi prima di mezzanotte,
ma ai loro indesiderati compagni non importava: appena seduti al
tavolo ( già appiccicaticcio di birra e unto di patatine) avevano
chiamato la cameriera come un fischio, manco fosse un cane, che aveva
risposto a quell'inusuale richiamo con un sorriso mentre si
avvicinava con il suo vassoio sbeccato e il blocchetto delle
ordinazioni.
“Ciao
ragazzi” più che un saluto era un sospiro rassegnato “ Cosa vi
porto stasera?”
“Il
solito, Maddie. Sarà una lunga serata” le aveva fatto l'occhiolino
“ Unisciti a noi quando hai un attimo di tempo”
Che
viscido, schifoso, lurido...
“E
i tuoi amici?”
Amici
sto cazzo.
“Mi
stavo dimenticando”
Ma
guarda che strano, che caso, che coincidenza, non si ricordava
proprio il poveretto.
“Voi
cosa prendete?”
Harry
era avvampato così furiosamente che Louis, seduto di fianco a lui,
poteva sentire il calore della sua pelle, tanto che il suo gomito che
toccava appena quello dell'altro si era ustionato dal cocente
imbarazzo dell'"amico".
“Niente”
si era affrettato a dire Tom a denti stretti.
“Come
niente?” aveva chiesto il viscido in tono fintamente sorpreso, solo
per umiliare ancor di più il più piccolo che era arrossito ancor di
più.
“Harry
ha appena subito un operazione, non può bere alcool” aveva
spiegato lui a denti stretti.
“Ah”
Dixon aveva fatto una faccia da 'cosa ti dicevo?' mentre rifilava una
gomitata a Hale che aveva ridacchiato. Povero Harry, povero agnello
che era andato a sedersi al tavolo del lupo, che adesso si faceva
beffe di lui, che non voleva bere, che non sapeva neanche cosa
avrebbe potuto ordinare, che era troppo piccolo...
Proprio
questo aveva spinto Harry a mormorare con una vocina piccola piccola
“Veramente io avevo sete...”
Maddie,
la cameriera, si era voltata indietro sorridendo “Allora cosa ti
porto?” mentre gli occhi del ragazzino si allargavano dallo
sconforto.
Louis
aveva sospirato, perchè era ovvio che non sapeva neanche com'era un
superalcolico, figurarsi saperne il nome!
La
cameriera aveva tamburellato le dita sul vassoio, impaziente.
“Allora?”
“Un
Malibù Cola e una Vodka Ice Blue” aveva risposto per lui Tom, con
voce annoiata.
Questo
era bastato per cancellare per una frazione di secondo il ghigno da
Dixon&Hale, viscido più viscido, che evidentemente erano di casa
perchè tutti venivano al loro tavolo per scambiare due parole,
deliranti ed ubriache, ma pur sempre parole.
“ Che
cos'è un Malibù Cola e una Vodka Ice?” aveva sussurrato Harry
pianissimo, evitando di guardarlo negli occhi.
“La
Vodka azzurra nel bicchierino piccolo è per me, il bicchiere con il
limone è per te”
“E
di cosa sa?” aveva chiesto ancora ansiosamente, come se avesse
paura.
“ Forse
se evitavi di fare lo spaccone non saresti stato costretto a prendere
qualcosa!”
Al
tono arrabbiato dell'altro il riccio aveva distolto lo sguardo.
“Coca
cola” aveva mormorato Louis sottovoce e controvoglia, preferendo
evitare di rovinare ulteriormente la serata con la loro prima lite
“E' coca cola corretta, non è molto forte. Ho pensato...”
“Grazie”
aveva mormorato l'altro, mentre gli ubriachi andavano a combattere
mulini a vento da un'altra parte e i due viscidoni riportassero la
loro attenzione sui loro 'ospiti'.
“Non
ci hai ancora presentati Tomlinson”
Madonna,
doveva avvisare Discovery Channel: aveva appena scoperto che anche
Hale poteva parlare e formulare una frase di senso compiuto!
Adesso
si che mi sento realizzato.
“Già”
Era
calato un silenzio imbarazzante.
Harry
aveva teso la mano a Lucas.
“Harry
Styles”
“Lucas
Dixon, e lui è Christopher Hale”
Louis
aveva trattenuto un conato mentre le loro mani si toccavano: tuti
sapevano che Dixon era un malato pervertito e perverso che si faceva
tutto quello che stava fermo abbastanza tempo da permetterglielo,
uomo, donna o animale non faceva alcuna differenza.
Viveva
in periferia, e spendeva maggior parte del suo tempo in una galleria
inutilizzata della metro a creare murales, 'la sua arte', in
compagnia di ratti, rifiuti radioattivi e tossici.
Chissà
cosa avevano toccato quelle mani prima di stringere quelle di Harry.
Bleah.
Un
brivido gli aveva scosso la spina dorsale facendolo sussultare e
urtare la cameriera che arrivava con le loro ordinazioni.
Ottimo,
trincavano ciò che avevano nei bicchieri e poi levavano le tende.
Subito.
Ma
il riccio non sembrava dello stesso parere, dal momento che
sorseggiava lentamente e tutto soddisfatto il suo drink e
occhieggiando affascinato quello di Louis, decisamente più piccolo e
di un blu fluorescente.
I
Viscidoni avevano imbastito una conversazione con loro, alla quale
Tom aveva risposto a grugniti e monosillabi, desideroso di andarsene,
mentre Harry chiacchierava amabilmente con loro, come se fossero
amici.
Sta
minchia.
Non
immaginava neanche lontanamente chi aveva davanti, e se l'avesse
saputo se ne sarebbe andato immediatamente.
Hale
e Dixon erano i pusher che avevano il controllo e l'influenza più
grande a scuola: Dixon coordinava le operazioni, comprava la roba
buona e la mischiava con quella più scadente prima di suddividerle
in dosi e mandare il suo cagnetto Hale a spacciare negli anfratti
della palestra, tra gli scaffali della biblioteca o sotto i banchi.
Quando
Louis aveva cercato di entrare nel gruppo dei sottoni il leader era
in crisi: Dixon vendeva roba pessima, ma a un prezzo decisamente più
conveniente e abbordabile per gli studenti, mentre lui...
Aveva
deciso di mandare il nuovo arrivato a spacciare nel territorio dei
concorrenti, a sua insaputa.
Indovinate
chi si era beccato tre costole rotte da una mazza mentre quel bruto
senza cervello di Hale urlava che “non gliela infilava nel culo
solo perchè gli sarebbe piaciuto”?
Indovinato.
Aveva
avuto così caga che tornato a casa aveva distrutto tutto il resto
della roba nel water, ma siccome era orgoglioso aveva giustificato il
fatto come una “crisi di coscienza”, perfino con Harry.
“Posso
provarla?” a parlar, o meglio pensar, del diavolo ti spuntano le
corna, dicono.
Il
ricciolo fissava ancor più insistentemente la sua Vodka ancora
intatta.
Stava
per rispondere con un 'te lo scordi' secco ma gli era suonato il
telefono, e così aveva finalmente trovato la scusa per allontanarsi
dal tavolo mormorando a mezzavoce “Basta che non la finisci”
prima di uscire di fuori all'aria aperta.
“Pronto?”
“Ciao
Louis”
“Ciao
Fizzy” aveva sospirato lui sollevato, salutando l'unica persona
della famiglia che ancora gli parlava come se fosse una persona
normale.
“La
mamma vuole sapere a che ora rientri e se hai le chiavi”
“Rientro
tardi, non so quando, ma dille di andare pure a letto che ho le
chiavi”
Sapevano
entrambi che erano mesi, se non anni, che sua madre non lo aspettava
alzata la sera quando usciva, ma loro fingevano che fosse tutto
normale, e andava bene così.
Davvero.
“Dove
sei?” aveva chiesto lei, più per continuare la conversazione che
per altro, ormai nessuno gli chiedeva più dove andava, con chi, cosa
facevano...
“A
un pub, con degli amici...” aveva apposta omesso quali amici per
lasciarle intendere quel che voleva, se voleva poteva pensare a nuovi
amici di scuola, o alla vecchia compagnia con Zayn e Stan, perchè
lui non aveva amici.
A
parte Harry.
Ma
lui non era un amico.
“Okay,
allora ti lascio andare”
“Fiz?”
“Si?”
“Prima
si è fulminata la lampadina, e mentre la cambiavo mi è caduta. Non
andare a piedi scalzi”
“Okay.
Grazie”
“Buonanotte”
“Buonanotte”
Non
aveva nessuna voglia di rientrare.
Forse
era solo una sua impressione causata dalla sgradevole e forzata
compagnia che gli aveva rovinato tutto il divertimento e cacciato lui
ed Harry in quella situazione sgradevole, ma il locale gli sembrava
troppo caldo, quasi asfissiante nella sua claustrofobica struttura
angusta, resa sudicia dagli ubriachi che iniziavano a puzzare come
carogne e a scatenare risse per stupidate che non avevano alcuna
importanza e il giorno dopo nessuno si sarebbe ricordato.
Meglio
stare di fuori all'aria aperta a fumare una sigaretta in santa pace
finchè Harry non fosse uscito a cercarlo, in modo da filarsela
all'improvviso e in fretta senza dover questionare ancora con quegli
stronzi.
Louis
si era acceso la sigaretta sospirando: erano riusciti a colpirlo dove
faceva male... Anche lui spesso si faceva problemi sull'età del
fidanzato, considerando che erano significativi gli anni che gli
separavano, anche se non in modo così drammatico perchè Harry era
diverso dai suoi coetanei, più maturo, più cosciente di se stesso,
con valori ed ideali propri, meno attratto dalla massa e dalle
mode...
Ecco,
Harry era se' stesso, e l'altro lo invidiava perchè era tutto ciò
che avrebbe voluto e non sarebbe mai potuto essere.
Per
questo era arrabbiato, perchè in quel momento il più piccolo stava
cercando di dimostrargli che era grande abbastanza, che era come i
suoi compagni di classe, che poteva essere indipendente e autonomo,
che poteva farcela da solo...
Come
con la lampadina oggi.
Ma
non aveva bisogno di dimostrarlo, non a lui che lo amava così
esattamente come era: ingenuo ogni tanto, orgoglioso oltre ogni buon
senso, determinato, allegro e sempre con la battuta pronta e un
sorriso sulle labbra, un piccolo sole, il suo piccolo sole candido e
luminoso che eppure era seduto al tavolo unticcio e appiccicoso di
puzzolente pub scadente con due sorci di fogna della peggior specie.
Non
poteva fare a meno di essere arrabbiato, anche se sapeva benissimo il
fascino che l'alcool aveva a quell'età, e pensando razionalmente non
poteva neanche biasimare troppo il comportamento dell'altro,
dopotutto lui e Zayn avevano fatto molto molto molto peggio di un
Malibù Cola.
E
non era stato Harry a mettersi alla guida di una macchina rubata
ubriaco marcio, quindi doveva solo stare zitto, anche se gli
prudevano le mani dalla rabbia e dall'incontrollabile voglia di
fargli una bella lavata di capo.
Oddio,
inizio ad assomigliare a mio padre!
Il
pensiero lo aveva irritato oltre ogni limite, e il ragazzo aveva
spento il mozzicone della sigaretta con uno scatto nervoso.
Perchè
diavolo ci metteva così tanto?!
Si
era diretto di nuovo all'interno, pronto a ripescare il ricciolino
per le orecchie e trascinarlo fuori da lì se necessario, ma una
volta tornato al tavolo lo sgomento davanti alla vista che gli si
presentava aveva preso il sopravvento sull'irritazione bruciante che
lo aveva consumato fino a quel momento: una piramide di shortini
colorati mezza crollata e già ampiamente consumata troneggiava sul
tavolo davanti agli occhi lucidi e brillanti di Harry, le pupille
dilatate e un sorriso deficiente mentre Louis si avvicinava al
tavolo.
Ti
prego ti prego ti PREGO, fa che non li abbia bevuti tutti lui...
“ Louuuuuuuuuuis!!!
Louuuuuuuuuis!! Ho bevuto il colluttorio, ho bevuto il colluttorio!”
Le
sue speranze erano naufragate come onde sugli scogli, mentre guardava
il ragazzino sbracciarsi verso di lui agitando in bicchierino con
resudui verdastri di vodka alla menta.
Porca
Eva.
Se
li era scolati tutti lui.
“Harry!
Cosa cazzo hai fatto!?”
“I
tuoi amici sono simpaticissimi! Mi hanno offerto un triangolo di
shottini!”
Si
era schiaffato una mano in faccia, desideroso di farsi male: aveva
quattordici anni. Quattordici. Se il proprietario del locale lo
beccava lì, ubriaco fradicio e senza nemmeno aver l'età per poterci
entrare in un pub, gli avrebbe dato una multa e Louis essendo più
grande e quasi maggiorenne si sarebbe preso tutta la colpa, e questo
voleva dire altri guai con gli assistenti sociali.
E
con i poliziotti, dal momento che la piramide costava 30 sterline e
lui non ne aveva nemmeno mezza.
Porca
Eva.
“Harry,
alzati! Dobbiamo andarcene da qui o siamo nella merda!!”
Il
riccio si era alzato barcollando, muovendo passi incerti prima di
crollare a terra come un sacco di patate.
“Non
sono caduto, non sono caduto!” aveva strillato tra le risate mentre
lo rimetteva in piedi tirandolo per un braccio e guadagnando
velocemente l'uscita “E' la gravità che mi vuole!”
Una
volta all'aperto e lontano dal pub Harry sembrava essersi calmato:
aveva smesso di ululare ininterrottamente, limitandosi a parlare da
solo a raffica, senza neanche respirare tra una parola e l'altra
mentre Louis lo sorreggeva e malediva mentalmente la loro sfiga.
E
adesso? Dove l'avrebbe portato? Mica poteva lasciarlo lì, o mandarlo
a casa in quello stato!
Al
parco.
A
casa sua no di certo, edifici pubblici o stazioni ferroviarie a
quell'ora pulullavano di brutta gente e non c'era altro posto che
garantisse altra privacy e possibilità di restoro.
Era
il posto giusto, avrebbero camminato un po' finchè non si sarebbe
calmato, poi lo avrebbe fatto tornare in se' con l'acqua gelida della
fontana e dopo averlo istruito su come comportarsi lo avrebbe
accompagnato a casa.
Sembrava
la cosa giusta da fare.
Una
volta giunti sul posto Louis si era rilassato, concedendosi persino
di prestare attenzione ai vaneggiamenti deliranti dell'altro che
parlava di fiori, di lampadine e lampioni che andavano aggiustati e
di come le stelle si muovessero velocemente (in realtà erano aerei,
ma a Louis sembrava inutile puntualizzarlo).
“Una
farfalla! Una farfalla!!”
Come
non detto.
“Io
odio le farfalle, mi fanno cooosì schifo! Le detesto quando mi
svolazzano intorno e mi vengono addosso... Se tipo tu avessi la
farfalla credo che saremmo solo amici, magari migliori amici, ma poi
basta”
Il
sobrio aveva ascoltato attentamente il delirio alcolico dell'altro,
cercando di carpirne un senso e delle verità.
“ Tutti
amano le farfalle, ma a me fanno proprio schifo. Tutti credono che
dovrebbero piacermi. Ma a me non piacciono. Mi fanno schifo. E se
magari sono l'unico che non gli piacciono le farfalle? Vuol dire che
c'è qualcosa di sbagliato dentro di me?Se è una cosa brutta posso
provare a farmele piacere, davvero, almeno un pochino, ma io non so
se è brutta o no perchè se lo dico in giro ed è una cosa strana,
magari a loro che gli piacciono le farfalle faccio schifo io e-”
Louis,
sentendo i suoi respiri spezzati e la vooce prossima al pianto lo
aveva scrollato per le spalle, prima di dargli qualche schiaffetto
sulle guance.
Sapeva
cosa stava passando, era stato lo stesso per lui finchènon aveva
trovato Stan e finchè la sua infautazione per Zayn si era
transformata in una semplice ma forte amicizia.
Per
un attimo avevano camminato vicini, assorti nei loro pensieri mentre
l'aria fredda della sera raffreddava il viso in fiamme di Harry, che
dopo qualche minuto, appena riacquistato il controllo di se stesso e
dei suoi arti inferiori, aveva scrollato via il braccio del maggiore,
imbarazzato da quel momento di debolezza.
“Ce
la faccio adesso” aveva mormorato allo sguardo interrogativo
dell'altro, continuando a camminare e fissando il sentiero di
ciottoli per non incontrare il suo sguardo.
“Louis?”
“Hn?”
“Sei
arrabbiato?”
“Da
adesso sono di nuovo 'Louis'? Cosa c'è, 'Tom' risulta occupato?”
La
frase era uscita con più veleno di quanto avrebbe voluto.
Aveva
visto il guizzo ferito degli occhi di Harry, prima che lui voltasse
la testa, fissando ostinatamente qualcosa nel buio.
“Si,
sono arrabbiato. Molto arrabbiato. Perchè lo hai fatto? Se fossimo
stati solo io e te non avresti mai bevuto! Dovevi fare il montato
con-”
“Io
non volevo fare il montato!” Harry stava iniziando ad alzare la
voce “ Volevo solo... Quando gli hai visti sembrava volessi
scappare...Non volevo farti sentire in imbarazzo! Mi dispiace se non
passo i miei sabati sera a seccarmi di alcool come tutti i miei
compagni, mi dispiace se non ho neanche un tatuaggio, se non infilo
cazzi e madonne ad ogni frase, se mia madre mi trascina a messa ogni
domenica, se ho solo quindici anni, se non sono degno di essere
presentato ai tuoi amici, se ti vergogni di me...”
“Harry”
aveva provato a zittirlo Louis, con scarsi risultati “Harry...
HARRY!”
Aveva
urlato così forte che dall'albero di fianco a loro era caduta una
pigna.
“Harry,
io non mi vergogno di te, me ne sbatto di quante volte preghi il
Signore, di quanti anni hai e di cosa fanno i tuoi compagni. Mi piaci
così come sei e non perchè cerchi di assomigliare a loro, non mi
imbarazzi, e quelli non sono i miei amici”
“Ma...
Sembravano così... In confidenza...”
“Sono
dei sottoni di merda”
“M-ma
ti conoscevano”
“Sono
due pusher che lavorano a scuola” aveva spiegato seccamente Louis
“Una volta ho venduto due pasticche per conto di altre persone nel
loro territorio e mi sono ritrovato con due costole rotte. Per questo
erano amichevoli, per intimorirmi e tenermi buono. Credimi quando gli
ho visti volevo davvero scappare via, ma tu eri così pappa e ciccia
con loro che non sapevo come fare a scollarti da lì”
“E'
che non mi hai mai presentato ai tuoi amici, e quindi ho pensato...”
“Non
ne ho” lo aveva interrotto l'altro “Di amici. Non ne ho. Non qui
comunque”
“E
Dean e Zayn?”
“Stan.
Stan e Zayn. Stan non è proprio un amico, è il mio ex”
“Ah”
“Non
fare quella faccia, ci siamo lasciati un'era fa”
“Non
sto facendo nessuna faccia” aveva replicato Harry.
“Vuoi
proprio litigare stasera? L'ho mollato perchè la nostra relazione
era ormai morta e sepolta, ma lui non voleva accettarlo, e non ha
preso bene la cosa. Zayn, secondo i pettegolezzi del paese, è in
collegio. Alcuni dicono in riformatorio. Quindi no, zero amici.”
C'era
stato un lungo attimo di silenzio, durante il quale Harry aveva
rallentato l'andatura, passandosi stancamente una mano sulla faccia.
“Mi
sento così stupido”
Stava
per rimettersi a piangere di nuovo.
Probabilmente
era colpa l'alcool.
“Mi
sento un idiota, ho rovinato tutto...”
“Non
dire così... Vederti ubriaco è stato uno spasso, anche se
preferirei evitare la prossima volta. Rischiavo anche di dover pagare
la piramide di shortini, ma dal momento che c'è la siamo svignata
toccherà a viscidone&viscidone”
Aveva
ridacchiato leggermente, aggiungendo “Sono anche contento che
abbiamo chiarito”
Harry
aveva annuito riconoscente, prima di prendersi la testa tra le mani.
“Mi
gira la testa”
“Alla
prossima panchina ci fermiamo, promesso”
Non
ci erano arrivati. Dopo qualche metro Harry aveva iniziato a
lamentarsi, prima di fermarsi a vomitare violentemente a lato della
strada mentre Louis gli massaggiava la schiena e gli reggeva la
fronte, ravvivandogli i capelli all'indietro in modo che non si
sporcassero e sussurrando parole di conforto, sorreggendolo fino a
quando era collassato sulla tanto desiderata panchina di fianco a una
fontanella.
Non
si era lamentato neppure quando gli aveva lavato il viso e le mani
con l'acqua gelida, obbligandolo a berne un bel po' per mascherare
l'odore dell'alcool e farlo tornare in se'.
“Grazie”
aveva mormorato stancamente una volta ripulito, mentre il più grande
lo soppesava attentamente.
“Adesso
sembri solo crollare dal sonno: ti riaccompagno a casa, ma non
avvicinarti troppo a tua madre e fila a letto, chiaro?”
Aveva
annuito.
“Non
desidero altro, credo che non riuscirò più a camminare...” aveva
sbadigliato, inspirando ad occhi chiusi la frizzante aria notturna,
prima di aggiungere maliziosamente “Mi dovrai portare in braccio,
temo”
Aveva
sentito qualcosa avvolgerlo e sollevarlo, e in un attimo si era
ritrovato con le braccia attorno al collo del più grande e la testa
appoggiata alla sua spalla, mentre Louis lo trasportava come se fosse
la sua sposa.
“Non
intendevo sul serio!”
“Saresti
collassato di nuovo, quindi...”
L'unica
cosa che risuonava per le strade della città deserta erano i passi
pesanti di Louis sul marciapiede buio, e i respiri di Harry nella sua
maglietta.
Si
sentiva come cullato, protetto, sospeso in un altra dimensione, al
settimo cielo.
Poteva
volare fino alla luna e indietro.
Non
importava quanti casini aveva combinato, tra le braccia di Louis
tutto perdeva importanza.
Una
volta imboccata la via di casa sua Harry aveva rotto il silenzio, più
per far conversazione che altro.
“Comunque
Tom mi sembrava carino come soprannome”
Louis
aveva grugnito in risposta, e il più piccolo ridacchiando di gusto
si era allungato verso di lui per baciarlo sulle labbra, ricompensa
della sua grande fatica, ma il maggiore si era scostato lentamente,
le labbra fuori dalla sua portata.
“Sei
ancora arrabbiato con me?”
Silenzio.
Un
sorriso appena accennato nella notte ed illuminato nel buio dalla
luce dei lampioni, come lo Stregatto ed Alice, il vento sui loro
vestiti che raffredda il calore dei loro corpi uniti che bruciano
d'amore.
Le
labbra del più grande si piegano in un sorriso ancora più largo
mentre baciano la fronte sudata del più piccolo, che trattiene il
fiato, in attesa.
“No.
Ma puzzi ancora di vodka”
E
Harry aveva capito di essere stato perdonato.
Angolo Fin *w*
TATATATATAAAAAAAA' :)
Eccomi qui, ad aggiornare in extremis in pigiama prima di andare a letto LOL
Cosa posso dirvi? La scuola mi sta uccidendo e dal momento che come terza materia interna è uscito diritto...
Voglio
morireeeeeeeeeeee *tenta di porre fine alle sue sofferenze ingozzandosi
di cioccolata e pregando di schiattare per overdose*
Penso
che chiederò ripetizioni telefoniche a Fra' che tanto lei il
diritto lo sa bene <3 vero che mi aiuti? *faccia da labrador
abbandonato e in carenza di coccole* Se non mi aiuti faccio morire
Harry ucciso da sua madre che poi costringe Loueh a prendersi la colpa
e lo sbattono in prigione #ImevilandIknowit
Sono
molto contenta perchè molte persone che mi avevano "abbandonato"
sono ritornate! Come Elli, la mia mogliettina che non sento da
tantissimo tempo, a che ha recensito tutti i capitoli! Ti farò
fare un monumento <3 Come va'? Tutto bene? A casa tutti a posto?
Visto che si parlava di sigarette e Lucky Strike...Ti ricordi quando ti
facevo la ramanzina perchè fumavi? Uhm, ecco... Ritiro tutto
lol
E
oltre a festeggiare Elli ringrazio anche tutti voi per il supporto e
l'affetto che mi dimostrate, quindi ringrazio Delia, che è un
tesoro e ti assicuro che non sei l'unica ad avere paura degli aghi: mia
mamma lavora in un ambulatorio e dice sempre che i ragazzi che le
arrivano per fare le analisi "più sono grossi tanto prima
svengono" e non devi tirare da una sigaretta per essere figa, tra
non molto le fumatrici tue coetanee avranno labbra, dita e denti gialli
e i capelli sempre puzzolenti, sembreranno delle vecchie pelli di
elefente raggrinzite mentre tu sarai un fiorellino <3 e sarai tu
l'ultima figa che riderà <3
1_D
1_D che, se nel capitolo prima pensava che Harry fosse un po'
sporcaccione figuriamoci adesso LOL Awww grazie mille per i
complimenti, sei un tesoro <3 sei TU quella persino migliore della
cioccolata calda in inverno, e non la cioccolata normale, quella Lindt
<3
Leeroy_hmm
che sta partendo per ROMA e che dopo questo capitolo non
guarderò in faccia per almeno un mese ( sai, l'imbarazzo per la
scena semi-quasi-preludio-slash lol, che questa l'ho scritta proprio io
senza intermediari XD) e che spero si accorgerà che ho corretto
la punteggiatura. Happy?
Lu
che mi parla di Skins. Chiariamo: io sono Skins dipendente. Ho amato
Maxxie ed Anwar della prima generazione. Ho pianto con Emily. Sono
andata in trip con Effie, mi sono innamorata di Freddie fino ad
impazzire per lui, ho odiato Cook... e poi? E poi sono rimasta di merda
al finale della serie. Ma si può?! Non so se l'hai già
visto o meno, quindi non ti dico nulla, ma sappi solo che per la
delusione non ho nemmeno guardato gli episodi della serie sucessiva con
l'altra generazione.
Annie che è una badgirl che recensisce a scuola mentre i prof spiegano magari...
Attenta che magari le
cose che ti sei persa mentre mi scrivevi saranno chiesti nell'esame di
maturità! Non ti devi distrarre! Mai! Vigilanza Costante! (cit
Malocchio Moody) #attimodisclerodiunamaturandaincrisi
Ila che per fortuna ora è calma e spero abbia risolto tutto con le sue "amiche"...
Ho un nuovo consiglio: se hai ancora problemi con loro compra un panda e regalaglielo.
Non c'è modo più dolce per mandarcele che con un Pandaffanculo <3
E ultima ma non meno importante è Malu che ad ogni 'o' m ha
messo un cuore ahahahaha ma quanto sei picci <3 Visto che non ho
rovinato tutto? Anne è ancora ignara e Lou e Hazza tentano di
calmare i bollenti spiriti XD Ma non so quanto resisteranno... Si
aprono scommesse lol
E con questo ho finito, ho ringrato tutte :) Mamma mia, ogni volta la
lista è sempre più corta, e solo i migliori
(modestamente) rimangono!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e se non si fosse capito le
frasi di Harry ubriache mi sono state raccontate dai miei più
cari amici il lunedì mattina una volta passata la sbornia,
spesso con tanto di imitazione -.- Motivo in più per vergognarmi
davanti a Leeroy_hmm... Non pensare male ( se non è già
troppo tardi!)
Grazie mille a tutte per il sostegno che mi date, siete così
meravigliose che dovrebbero creare una nuova parola per definire quanto
<3
Buona settimana e buonanotte!
Cami
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