ROCK my life

di RubyChubb
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The intervew ***
Capitolo 2: *** Friday night fever ***
Capitolo 3: *** Perfect Strangers ***
Capitolo 4: *** One day in their lives ***
Capitolo 5: *** Girls just want to have fun ***
Capitolo 6: *** A Swedish gift ***
Capitolo 7: *** Smoke gets in your eyes ***
Capitolo 8: *** Like a virgin ***
Capitolo 9: *** Harder and harder to remember ***
Capitolo 10: *** This ain't got nothing at all to do with me ***
Capitolo 11: *** A fake interview ***
Capitolo 12: *** And time goes by ***



Capitolo 1
*** The intervew ***


Ciao a tutte! Ripubblico questa storia, o meglio, la modifico perchè prima risultava spesso illeggibile e confusa! XD

Questa storia non è stata scritta per scopi di lucro. I personaggi non mi appartengono e non intendo dare una rappresentazione veritiera della realtà.

1. THE INTERVIEW



Il caldo, soffocante, afoso. Lo odiava. Tutti i vestiti le si appiccicavano addosso, diventava difficile respirare, e beveva come un cammello. Amava l'estate ma non il calore, l'aria condizionata e i ventilatori. Odiava vedere l'asfalto tremolante sotto il sole di luglio. Odiava sentire l'aria calda salire dalla terra. In quel momento avrebbe voluto starsene al mare, in vacanza, magari sulle coste francesi o spagnole, dove l'afa diventava un ricordo lontano, ma non era proprio possibile.
"Gesu...", esclamò, togliendosi le goccioline di sudore appena formatesi sul suo naso.
"Vuoi che ti prenda un'altro po' d'acqua?", le chiese sua madre, mentre guidava la macchina.
"No grazie. Ne ho una piena da due litri dentro la borsa.", rispose lei, specchiandosi sul parasole per vedere se le occhiaie se ne erano andate. Aveva fatto le ore piccole la sera precedente e adesso ne trovava i segni sulla faccia, non si era nemmeno adoperata per nasconderle in qualche modo.
"Hai preso i sali minerali? Sai che ti cala la pressione, d'estate..."
"Sì...", rispose lei distrattamente. Anche se, da quando lavorava, non viveva più con i suoi, sua madre continuava ad essere apprensiva per la sua salute.
"Il cellulare?"
"Sì mamma..."
"Il portafoglio?"
"E dai! Manca solo che tu mi chieda se mi sono ricordata di prendere il cervello... a proposito, passi tu stasera all'officina per riprendere la mia macchina?", le chiese, "Ho da fare fino a tardi e non so se ce la faccio prima della chiusura."
"Sì, ci passo io.", disse la madre, che era una casalinga e non aveva orari stretti come lei.
"I soldi per pagare il meccanico li ho lasciati nel solito posto."
"Mi chiedo quando è che te ne comprerai una nuova... Guarda che se non ti bastano i soldi puoi chiederli a me e a tua padre!"
"La solita storia... mamma, mi va bene quella e finchè non succederà, come nei film, che quando chiudo la portiera cadranno sportelli, fari e parafanghi, non la cambierò, mi dispiace. Sono troppo affezionata alla mia Celestina.", disse. Con quel nome si riferiva alla sua cara automobile, un Maggiolino tutto scassato e poco matto che si era comprata, al mercato dell'usato, con i primi soldi guadagnati. Tanto era ridotto male che aveva dovuto riverniciarlo di celeste, uno dei suoi colori preferiti.
"Ecco, ora svolta a destra e parcheggia.", disse alla madre, indicando la prima strada che incrociava la loro.
"Qui? Ma è in doppia fila!", protestò l'altra.
"Tanto non devi fermarti per molto. Devo solo scendere!"
"Mi raccomando, comportati per bene... e poi perchè non ti sei fatta accompagnare da tuo padre?"
"Perchè lui parte alle sette e io a quell'ora dormo! Ci vediamo!", disse, salutando la madre e entrando nel portone di fronte a sé.
Aveva ottenuto quel lavoro grazie al papà. Sì, era una raccomandata e non andava fiera di esserlo. Quel portone era l'entrata della casa editrice Manila, che pubblicava riviste di ogni genere, dai quotidiani ai settimanali, dalla politica agli argomenti casalinghi. Suo padre era un giornalista sportivo e lei aveva solo un posto sottopagato come assistente, ma non nello stesso settore. L'avevano inserita nella redazione di una rivista mensile per ragazzine, quelle dove pubblicavano articoli stupidi sull'adolescenza e sui tormentoni musicali o televisivi del momento. Si chiamava "Pop my life" e pensava che fosse il nome più stupido che si poteva dare ad una rivista.
Lei, che aveva lasciato gli studi superiori e non voleva continuare oltre e vista la scarsità degli impieghi, si era accontentata di quel posto. Le sue mansioni erano: preparare caffè, portare da mangiare a chi aveva fame, fare fotocopie, spillare fogli, distribuire la posta, rispondere al telefono, saltare da una parte all'altra della redazione per accontentare tutte le richieste dei giornalisti che vi lavoravano, fare ricerche per conto loro. Per tutto questo veniva pagata una miseria e durante il fine settimana era costretta a lavorare ancora, per pagarsi le bollette e le fatture del meccanico; fortunatamente viveva in un appartamento di proprietà della zia e pagava un affitto quasi inesistente, solo perchè non voleva viverci senza dare in cambio niente. Un suo caro amico aveva un locale, abbastanza conosciuto in città, e l'aveva assunta come guardarobiera e anche come cassiera all'entrata, se ce n'era bisogno, un lavoro tutt'altro che stancante ma che la costringeva a non tornare a casa fino alle tre e mezza, a volte anche le quattro, di notte.
Era lunedì, il giorno più odiato della settimana, e le sue occhiaie si rispecchiavano nella superficie lucida della macchinetta del caffè. Doveva berne almeno tre o quattro perchè facessero effetto su di lei, poi sarebbe entrata in redazione.
"Mio dio Mac, ma cosa hai fatto ieri? Dove sei stata?", le chiese Jutta, già seduta alla sua scrivania davanti al computer mentre batteva il suo prossimo articolo. Era una delle poche persone a cui non avrebbe infilato una matita appuntita dritta nella pupilla, anzi, andava molto d'accordo con lei e spesso uscivano insieme. Era del settore musicale e, benchè la sua passione fosse rivolta verso tutt'altro reparto, quello della moda, era molto competente e aveva intervistato numerosi gruppi che Mac adorava. Erano diventate amiche dopo una lunga discussione sull'eterna questione 'Beatles o Rolling Stones'.
"Al lavoro...", rispose l'altra, sedendosi accanto alla tastiera e appoggiando la sua borsa accanto a quella di Jutta. 
"Fatti dare un aumento.", fece Jutta, senza staccare gli occhi dallo schermo.
"Già chiesto un mese fa e prontamente negato."
"Gli straordinari? Te li pagano?"
"Certamente..."
"Certamente sì o certamente no?"
"La seconda... Sarà meglio che mi occupi della posta, o inizio a prendere a testate il muro dalla disperazione.", disse Mac, scendendo dalla scrivania e andando verso il monte di buste e pacchi che c'era accanto all'entrata.
Jutta sbuffò, si tolse gli occhiali e la guardò negli occhi.
"Ti avranno sulla coscienza presto. Devi farti sentire! Dì loro che tuo padre lavora a 'Sport Più' come capo-redattore e vedrai che te lo danno questo benedetto aumento!"
"Non voglio passare da raccomandata... e poi mi va bene così.", disse lei, allontanandosi.
"E adesso dove vai? Non vedi che in redazione ci siamo solo io e te? Per tutta la mattinata non arriverà nessuno...", le disse Jutta, rimettendosi gli occhiali e tornando a battere il suo articolo.
"Perchè? Dove sono tutti?", fece Mac, accorgendosi che le scrivanie erano tutte vuote.
"A festeggiare la promozione di Hilke a supervisore della sezione moda..."
"Allora quella stronza ha leccato i culi giusti!", esclamò Mac, che odiava quella donna con tutto il cuore. 
"E non solo i culi...", sottolineò Jutta.
"Che... figlia di puttana! Quel posto toccava a te!", fece  Mac, andando da lei e abbracciandola, per consolarla.
"Per questo la mia bocca non è sporca.", disse lei, rimirandosela per un attimo nello specchietto portatile sempre a portata di mano accanto alla tastiera., "Dai, non importa. Appena quella fa un passo falso, le metto il bastone tra le ruote."
"E io le buco le gomme della macchina!", disse Mac.
"Glielo hai già fatto il mese passato e per poco non ti scopre... a proposito, oggi ti porto con me."
"Wow! E cosa andiamo a fare fuori in questo pazzo pazzo mondo?", disse Mac, che era tornata a dividere la posta.
"Devo andare alla redazione di Viva, ci hanno contattato per quell'intervista che avevo richiesto."
"Davvero?", esclamò Mac, "Non stai mica scherzando?"
"Tranquilla, ti farò passare per mia collaboratrice. Mi servi perchè mia sorella stamattina ha avuto le doglie... e se nasce mia nipote non rimango di certo a fare l'intervista!"
"Ma è bellissimo! Diventarai zia!", esclamò Mac, prendendo a saltellare verso la sua amica.
"Sì! Non è fantastico?", fece l'altra, alzandosi e saltellando dalla gioia insieme a lei, "Io, che divento zia, e odio i bambini!"
"Vedrai che te ne innamorerai subito!"
"Speriamo che non mi vomiti addosso... o che non inizi a mordere le mie scarpe!"
"Guarda che non è un cane, è un bambino!", la rimproverò Mac, dandole una pacca sulla spalla.
"Vabbè... speriamo che non pianga troppo allora!"
"Questo vuol dire che... se ti chiamano mentre sei a fare l'intervista io..."
"Sì, la continuerai tu al posto mio, non è una cosa impossibile da fare, devi solo seguire le domande che mi sono appuntata nel block notes. E comunque l'articolo avrà il mio nome, quindi non avrai nessuna responsabilità... ma sarà comunque una bella esperienza!", disse Jutta, scherzando.
"E' fantastico! Potrò fare un'intervista a qualcuno di famoso! E' bellissimo!", esclamò Mac, battendo le mani come una foca ammaestrata.
"Perfetto, allora lascia perdere la posta, vai a risistemarti in bagno e poi partiamo."
"Ma gli altri sanno che vengo con te? Lo sanno che dovranno farsi tutto da soli, senza la loro schiavassistente?"
"Non se ne accorgerà nessuno... Tieni,", disse Jutta, dandole la sua trousse, "vedi di coprirti quelle occhiaie o spaventerai tutti."
Il portiere, all'entrata dell'edificio in cui la rete televisiva musicale di Viva, fece loro un mucchio di domande. Chi erano, per quale redazione giornalistica lavoravano, il motivo per cui erano lì, chi dovevano incontrare e tutto ciò fece spazientire Jutta, che di pazienza ne aveva molto poca.
"Allora ci fa salire o no? Saremo in ritardo per colpa sua!", esclamò improvvisamente, puntando il dito dritto in faccia all'uomo.
"Va bene, io devo solo fare il mio lavoro e rispettare le procedure.", si giustificò l’uomo, lievemente impaurito dalla foga di Jutta.
"Anche io devo fare il mio lavoro e se per colpa sua l'intervista salterà le faremo causa!"
"Salite al terzo piano, studio C. E mostrate bene i vostri cartellini!", disse l'uomo, sedendosi sulla poltrona sconfitto.
"Bene!", disse Jutta, correndo verso l'ascensore, seguita da Mac come un fedele cagnolino.
Una volta che le porte si furono chiuse, la ragazza scoppiò in una risata.
"Ma sei scema? Quello manca poco se la fa nei pantaloni!", esclamò Mac.
"Ogni tanto ci vuole... mica siamo terroristi!", disse, poi squadrò l'amica da capo a piedi, "Ma non avevi niente di meglio da mettere?"
"Perchè? Che cos’hanno i miei vestiti?", disse Mac, guardandosi come se avesse qualcosa fuori posto. Le sembrava di essere normale con quei pantaloni al ginocchio a quadretti arancioni e rossi e la canotta nera. Le sue adidas, più o meno della stessa fantasia dei pantaloncini, si intonavano perfettamente con la cintura borchiata nera. Allora cosa aveva di strano? Per lei l'importante era la comodità!
Non era come Jutta, che invece era sempre in gonna, tacchi e camicetta, sembrava una dirigente o una manager, sempre con i capelli a posto e il trucco perfetto. Mac, in confronto, sembrava una studentessa fricchettona, con quella borsa militare, le unghie nere e quello strano braccialetto tutto colorato alla mano sinistra. Jutta era una giornalista, aveva trent'anni e una reputazione da mantenere, anche con gli abiti, benchè lavorasse per una rivista destinata ad un mercato di ragazzine. Mac era solo un'assistente di redazione, in altre parole la Speedy Gonzales delle fotocopie e dei caffè, non c'era bisogno che si vestisse con tanta sofisticatezza.
"Niente, un giorno ti insegnerò anche a vestirti. Vieni qua, che ti sistemo la matita sugli occhi."
Quando le porte si riaprirono, Jutta era ancora troppo intenta a truccare l'amica per accorgersi che in molti di coloro che si trovavano nei pressi dell’ascensore, in quel momento, le stavano guardando. Con un po’ di imbarazzo, uscirono dall’abitacolo.
"Salve! Stiamo cercando lo studio C, siamo qui per un'intervista.", chiese ad un tipo indaffarato che passava di lì.
"Terza porta a sinistra.", rispose lui, frettolosamente.
"Grazie.", disse Jutta.
"Che figura...", disse Mac, mentre andavano a passo svelto verso lo studio.
"A proposito, ancora non ti ho chiesto dove aveva il cervello tua madre quando ti ha messo questo nome così stupido.", fece Jutta. Quella domanda era una sorta di rito mattutino: al posto del classico 'buongiorno come va?', lei le chiedeva come mai si chiamava Mackenzie, un nome tutt'altro che tedesco come la sua nazionalità.
"Si era fatta una canna e aveva in mano un lp di un certo Mackenzie Walland. Le è sembrato un bel nome e mi ha chiamato così.", rispose lei, come sempre. Non era la verità, era solo che sua madre era di origini inglesi e aveva voluto darle quel nome, che era lo stesso di una sua cara amica che era deceduta poco prima che lei nascesse.
"E poi parla una che si chiama Jutta.", aggiungeva sempre alla fine.
L’altra le sorrise, le mandò un bacio al volo e bussò alla porta dello studio C.



David guardò l'orologio nervosamente, il giornalista era in ritardo di cinque minuti ed era strano perchè di solito erano sempre troppo puntuali, quei rompiscatole. I ragazzi davano segni di irrequietezza, avevano già concesso due interviste e volevano andarsene. Già era difficile farli stare a bada in condizioni normali, se poi c'era anche da aspettare per fare un'intervista… Due di loro se ne stavano sdraiati sul divano a passarsi una pallina di carta, uno se ne stava seduto a terra ad accordare la sua chitarra e l'ultimo si rimirava allo specchio.
"Solo mezz'ora, ragazzi, poi tornate in albergo e avete la giornata libera!", disse loro per l'ennesima volta.
"Che palle!", esclamò uno di loro, mentre si guardava allo specchio, "Devo risistemarmi l'occhio destro, con questo caldo si è sciupato il trucco."
"Ma cosa ti truccherai a fare? Ci sono trentacinque gradi e anche l'aria condizionata fa fatica a funzionare!", fece un altro.
In quel momento David vide la porta dello studio aprirsi e due persone entrare nello studio. Un addetto alla sicurezza che sorvegliava la porta controllò i loro cartellini e indicò verso di lui. Le due donne, una giornalista e l’altra la sua assistente, erano coloro che stavano attendendo ed andò loro incontro per accoglierle.
"Buongiorno, sono David, il manager dei Tokio Hotel.", le disse, stringendo la mano alla donna in completo rosa, molto professionale nel suo look. Sicuramente era lei la giornalista, mentre la ragazza bionda accanto a lei, in abbigliamento decisamente meno convenzionale, doveva essere la sua assistente
"Io sono Jutta e questa è la mia assistente Mac.”, rivelò lei, sorridendo e sfoggiando tutto il suo charme, “Scusi il ritardo ma il portiere ci ha fatto il terzo grado. Grazie per averci permesso di essere qui adesso.".
"Prego, vi rimangono solo venticinque minuti con i Tokio Hotel, visto il ritardo. Ragazzi, ricomponetevi e sedetevi qua.", richiamò i quattro ragazzi
Le due ragazze si sedettero, mentre i quattro ragazzi si accomodarono educatamente sul divano di fronte a loro. Mac, a sentire il nome del gruppo, ebbe un sussulto: li conosceva benissimo, le loro canzoni spopolavano in tutte le radio, ma ogni volta che ne sentiva una cambiava canale. Non li apprezzava, pensava che avessero avuto successo solo perchè erano un gruppetto costruito di ragazzi con un bel faccino, e non di certo per la loro musica, che sembrava un insulto al rock. Aveva letto alcune interviste precedenti pubblicate sulla rivista e le era venuto quasi il voltastomaco: 'noi amiano le nostre fan', 'la nostra musica ci viene da dentro', 'pensiamo di essere un gruppo molto più rock che pop'... ma per favore, pensava Mac: se loro erano rock, lei era Gisele Bundchen.
"Ma non mi avevi detto che erano questi qua?", disse sottovoce a Jutta, mentre ancora i ragazzi erano distratti.
"Ora hai anche da ridire... ti ho portato via dalla redazione e ti lamenti?", fece l'altra, mentre preparava il registratore e il taccuino sui cui aveva annotato le domande.
"Hai ragione... scusa."
"Scuse accettate. Tienimi il telefono, ho messo il silenzioso. Attenta, se chiama mio cognato ti passo le redini e..."
Non finì nemmeno di dire l'intera frase che lo schermo del cellulare si illuminò per la chiamata in arrivo.
"Oh mio Dio... sono diventata zia!", esclamò, rompendo il silenzio che si era creato nel frattempo.
Prese il telefono, la sua borsa e scappò, lasciando Mac nell'imbarazzo più totale.
"Beh? Cosa è successo?", fece il manager, spazientito da quel comportamento per lui irrazionale. I ragazzi, perplessi per quella strana fuga, si guardavano tra di loro, soffocando risate sotto i baffi.
"Sua... sua sorella ha appena partorito e lei sta correndo in ospedale...", spiegò Mac, cercando di recuperare il controllo
"Perfetto! E l'intervista? La rimandiamo?", chiese l’uomo.
"No... no.. la faccio io..."
"Tu?", disse uno dei ragazzi, quello che, a parere di Mac, avrebbe fatto molto meglio a tagliarsi quei dreads, che stonavano totalmente con il suo modo di vestire. Ma tanto sicuramente lui non conosceva nemmeno il significato del rasta...
Mac, che non sapeva da che parte iniziare, pensò che fosse meglio prendere la situazione di petto. Afferrò il registratore che Jutta aveva lasciato sul tavolino e controllò che la cassetta fosse dentro: vuoto... vuoto... non c’era stato il tempo di metterla dentro.

'E ora?', pensò. Lei non sapeva scrivere velocemente, non avrebbe fatto in tempo ad annotarsi le risposte e la sua memoria non era molto buona... Frugò nella borsa, sperando di trovare il suo portafortuna: una vecchia musicassetta, la prima che aveva comprato quando aveva solo sei anni. Lo portava sempre con sè, era una complitation di canzoni dei cartoni animati alla quale era talmente tanto affezionata che non la lasciava mai. Era assurdo, ma la teneva sempre in borsa. Le dispiaceva da morire cancellarla per una stupida intervista agli stupidi Tokio Hotel ma… non aveva altra scelta! La prese, la infilò nel registratore e premette il pulsante, mentre i ragazzi la fissavano come se fosse uno schermo su cui proiettavano un film comico.
"Allora...", disse, sfogliando il taccuino di Jutta per recuperare un'aria professionale, peraltro mai avuta.
Disgraziatamente questo tentativo di recupero fallì quando dal registratore uscirono fuori le note del suo cartone preferito, Ufo Robot. I ragazzi scoppiarono in una risata isterica e il loro manager dovette trattenersi con notevoli sforzi.
"Maledetto!", esclamò Mac, cercando di spegnerlo, "Va bene, farò senza di te."
Talmente era agitata che aveva premuto il tasto play invece di rec…
"Possiamo iniziare?", chiese uno dei ragazzi, che secondo la memoria fallace di Mac doveva chiamarsi Sam o Bill.
"Certo! Allora... la prima domanda è: com'è stato cantare in inglese?", disse lei, pensando alle mille domande che poteva fare al posto di quella, come 'quando è che vi ritirate dal commercio?'.
Bill o Sam inizò a parlare e lei, che non era veloce e soprattutto non era una giornalista, cercò di annotarsi le cose che le parevano più importanti.
"Bene... passiamo alla prossima...", disse, cercando una domanda sensata nella lista di Jutta. Non poteva credere che una giornalista brava come lei avesse scritto quelle domande così idiote e scontate, "State puntando ad un successo mondiale o vi preoccupate soprattutto di sfondare a livello europeo?"
Stavolta fu il ragazzo con i dreads a parlare: per quello che si ricordava, doveva essere il fratello di quello che aveva parlato prima e a vederlo lo doveva essere sicuramente. Mac, che aveva una mania per i soprannomi alle persone a lei poco simpatiche, annotò accanto ai suoi appunti quelli che aveva scelto per quei ragazzi: il biondo diventò Rastaman e il capellone suo fratello, con quella sua pettinatura bizzarra e sparata, si era aggiudicato il soprannome Telespalla Bob, in onore del mitico personaggio dei Simpson che tentava sempre di uccidere Bart, uno degli idoli di Mac. Gli altri due, che finora non sembravano intenzionati a spicciare parola, erano solo dei punti interrogativi.
"E cosa ne pensate delle vostre fan?", chiese loro, quando l’altro ebbe finito
Rastaman e Telespalla Bob si avvicendarono nel rispondere, mentre i punti interrogativi si limitavano a scuotere la testa in senso di approvazione. A quel punto Mac trovò irresistibile rivolgersi a loro.
"Ma voi due non parlate mai?", domandò loro. I due si lanciarono un’occhiata strana.
"Beh... certo che parliamo.", rispose quello con i capelli lunghi.
"Allora questa domanda la rivolgo a voi...", disse Mac, cercandone una adatta, "Cosa... anzi... qual è la cosa che vi piace fare di più tra incidere un nuovo album o suonare un concerto?"
"Ovviamente la seconda.", disse secco l'altro, mentre il ragazzo seduto accanto a lui, con i capelli a spazzola, annuì.
"Certamente, c'era da aspettarselo.", disse Mac.
"Le domande le fai tu, non noi.", disse Rastaman.
"Peccato che non le abbia scritte io... sono stupide e ripetitive, le solite cose che vi sto chiedendo le potrei anche trovare in una rivista qualsiasi pubblicata anche un anno fa.", disse Mac, abbandonando il blocco degli appunti sul tavolino.
"Beh... allora abbiamo finito?", le chiese Telespalla Bob.
"Certo che no! Ho un'intervista da farvi e ora vi faccio le mie domande! Avete mai pensato di ritirarvi dal commercio?"
I ragazzi la guardarono come se avesse detto una bestemmia.
"Parla una che ascolta la canzone di Ufo Robot!", esclamò Rastaman.

 

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Capitolo 2
*** Friday night fever ***


2. FRIDAY NIGHT FEVER



"COSA HAI FATTO?", esclamò Jutta dopo che Mac ebbe finito di parlarle.
"Ho proposto una mia dom...", provò a dirle.
"COSA HAI FATTO?", ripetè l’altra senza lasciarla finire.
"Jutta, non ti arrabbiare, lo sai che io non sono una giorn..."
"Non ho capito bene, COSA HAI FATTO?"
Mac perse la speranza: sarebbe morta della peggiore morte del mondo. Già vedeva Jutta con la pietra pomice che affilava il suo lungo coltello da macellaio, mentre lei giaceva già in parte affettata sul tavolo e gli altri se la mangiavano con la maionese su spesse fette di pane...
"Mi dispiace....", disse Mac, che non sapeva cos’altro dirle.
Jutta si sedette a peso morto sulla sua sedia. Era appena tornata dall'ospedale dove sua sorella aveva dato alla luce un fagottino tutto nero e spettinato di nome Wolfgang e non aveva nemmeno avuto il tempo di posare la sua borsa che Mac era accorsa a raccontarle quello che era successo qualche ora prima, durante l'intervista.
"E adesso... il capo redattore mi darà in pasto agli squali...", disse, sconsolata. Con le braccia penzoloni e la testa piegata di lato sembrava una brutta riproduzione di un cristo sofferente seduto.
"E' tutta colpa mia... dovevo essere più professionale, dovevo capire che non dovevo farmi influenzare da quello che pensavo di loro...", prese a giustificarsi Mac, che era davvero dispiaciuta per il casino che aveva combinato.
"Ora Hilke avrà di cui parlare per un mese...", continuò l'altra, senza ascoltare le scuse di Mac.
"E anche se sono un gruppo indecente dovevo semplicemente fare le domande che ti eri scritta sul foglio... anche se erano stupide come la stupidità...", continuò l’altra.
"Ora non mi daranno il premio mensile e non potrò comprarmi quelle deliziose scarpe di Prada..."
"Jutta mi stai ascoltando?", le disse Mac, la quale aveva intuito che l'amica era in tutt'altra dimensione.
"Ora se le comprerà prima Hilke di me..."
"Jutta!", esclamò Mac.
"Cosa?", disse l'altra, riprendendosi, "Ah, sì, non è colpa tua. Non avrei mai dovuto lasciarti la responsabilità di un'intervista, non sei una giornalista... è colpa mia... soprattutto di mia sorella! Come ha potuto pensare di partorire mentre stavo lavorando?"
Mac si arrese, Jutta era nella sua dimensione di auto commiserazione e non sarebbe tornata prima di qualche ora. Nel frattempo, lei doveva sbrigare tutto il lavoro arretrato: l'aspettava un centinaio di fotocopie.


"Ti giuro, quando è partita quella musichina dal registratore sarei anche potuto morire!", disse Georg, mentre gli altri stavano ancora ridendo dell'intervista fatta qualche ora prima.
"E quando ci ha fatto quella domanda?", disse Gustav, asciugandosi le lacrime.
"Perchè non vi ritirate dal mercato?", fece Tom, cercando di imitare la voce e muovendo le mani come una donna.
"Pensavo che sarei soffocato dalle risate! Non mi sono mai divertito così tanto ad un'intervista!", disse Bill, "Quella li ha del potenziale come comica! E aveva anche un bel tatuaggio, l'avete visto?"
"Mi fa male la pancia... Ho riso troppo...", fece suo fratello.
"Con tutte quelle schifezze che ti sei mangiato....", disse David, "Adesso dobbiamo tornare in studio, dovete provare."


Pioveva, pioveva come se fosse stato il giorno del giudizio universale. Veniva giù come dio la mandava da almeno un'ora e oramai non credeva più che fosse un semplice temporale estivo. Com'era possibile che nel giro di poche ore il tempo potesse cambiare repentinamente dal caldo più afoso di luglio al temporale più nero? Tutta colpa dell'effetto serra, dell'inquinamento e lei, con quel maggiolino scassato, si sentiva responsabile per tutti gli scarichi nocivi che emetteva.
Con la testa era coperta dalla sua fedele borsa arrivò alla sua vecchia auto  e, dopo aver sferruzzato per qualche tempo con la chiave perchè non riusciva ad infilarla nella portiera per aprirla, entrò infradiciata, tremando come un pulcino. Nel posare la borsa sul cruscotto si accorse che il finestrino al lato accompagnatore, lasciato mezzo aperto per far entrare un po' d'aria nel veicolo, aveva causato un mezzo allagamento.
"Maledizione!", esclamò, "Ci voleva anche questa!"
Lo richiuse in fretta, anche perchè gli schizzi le arrivavano fino alla faccia. Si allacciò la cintura, infilò la chiave e dopo qualche ruglio stanco il motore partì. Fortunatamente l'acqua non era arrivata a bagnare la radiolina portatile che fungeva da impianto stereo: premette il tasto on e, mentre usciva dal parcheggio, sentì che la prima canzone che usciva dall'apparecchio era proprio una delle tante dei Tokio Hotel.
"Eh no! Una volta al giorno basta!", disse cambiando subito stazione.
Il traffico delle sette era impressionante: una mandria di auto di tutte le cilindrate e dimensioni si metteva in moto per tornare nelle stalle. Si mise in fila con pazienza: prima delle otto non sarebbe arrivata a casa. Alle otto e mezza infilò le chiavi nel portone, mentre alcune ciocche dei suoi capelli biondi le si appiccicavano alla faccia.
"Pensavo di chiamare la polizia!", disse Thiago, il suo coinquilino, mentre le andava incontro. Era un ragazzo spagnolo, in erasmus in Germania che viveva con lei da tre mesi per dividere le spese.
"Con la pioggia il traffico si intensifica...", fece Mac, gettando le chiavi sul tavolino accanto alla porta e trascinando la sua borsa per terra, verso la sua stanza.
"Si intensicosa?", disse l'altro, che parlava molto bene il tedesco ma  aveva ancora qualche difficoltà. E poi quel suo accento spagnolo era così affascinante…
"Il traffico diventa più grande... insomma, si intensifica!"
"Ah, intensifica... che brutta parola. La cena è pronta tra qualche minuto.", fece lui.
"Grazie... vado a farmi una doccia, tra il sudore e la pioggia non so più per quale motivo sono bagnata..."
"Vale chica.", fece l'altro, nella sua lingua, tornando in cucina. Meno male che aveva lui, che era una cuoco provetto, perchè lei sapeva solo prepararsi panini.
Quando il ragazzo si era presentato alla sua porta, per rispondere all'annuncio di affitto che aveva sparso per tutta la città, Mac decise che sarebbe stato lui il suo coinquilino: era un bellissimo ragazzo, mediterraneo, pelle abbronzata e magnifici occhi verdi. Aveva solo un difetto: era terribilmente gay, era evidente da un chilometro di distanza. In quella casa, ogni giorno sembrava di vivere un episodio del telefilm americano 'Will e Grace'.
Sotto il getto d’acqua calda i muscoli di Mac si rilassarono e la stanchezza le passò istantaneamente. Mentre l'acqua le scendeva sul collo, pensava a quanto schifosa fosse stata quella giornata. Almeno era passata, domani sarebbe stato un altro giorno, era questa la sua filosofia di vita. Vivere il momento, carpe diem, domani si vedrà. Uscì dalla doccia con l'asciugamano legato sul petto: dopo aver tamponato un po' i capelli si infilò una maglietta larga e un paio di mutande.
"Ma che bel sederino che hai!", esclamò Thiago, vedendola arrivare mentre tagliava il suo pezzo di carne e se lo portava alla bocca, "Ci vorrebbe un po' di ginnastica per tirarlo su però..."
"Non ti ci mettere anche tu... sono distrutta, vuoi anche farmi morire su una ciclette?", mugolò lei, sedendosi al suo solito posto, intorno alla tavola, davanti al ragazzo.
"Per carità... allora, com'è andata?", le chiese.
"Male... molto male... ho fatto un casino oggi..."
"E cioè? Non sarai mica stata licenziata?", disse lui, smettendo di mangiare per occuparsi dell'amica.
"No... Sono andata con Jutta ad un'intervista, non c'era nessuno in redazione perchè stavano festeggiando la promozione di Hilke..."
"Non mi dire! Quella sgualdrina ha preso il posto che spettava a Jutta!"
"Già... comunque, siamo andate alla redazione di Viva e indovina chi abbiamo intervistato?"
"Ti sei fatta fare l'autografo?", disse Thiago, mettendosi le mani davanti alla bocca nell'attesa della rivelazione, eccitato.
"Quello no... insomma, dovevamo intervistare quei marmocchi dei Tokio Hotel..."
"Oh... mio... dio...", fece il ragazzo, iniziando a sventolarsi con un tovagliolo, "Tu hai.... tu hai..."
"Sì, proprio loro... non mi dire che ti piacciono e non me lo hai mai detto!", disse Mac, prendendo un coltello e puntandolo contro il ragazzo per scherzo.
"Quando quella volta mi dicesti che ti facevano schifo me lo sono tenuto per me!", fece l'altro, dandole un colpetto sulla mano per allontanare via quell’arma letale, "Hai visto quando è figo il cantante? Non so cosa gli farei..."
"Gesu..."
"Non nominare il tuo dio invano!", disse l'altro, assumendo una posizione severa.
"Come si fa ad essere gay e pure religioso... e fan di quelli lì... mi arrendo!", disse Mac, alzandosi da tavola, con le mani in alto.
"Dove vai? Non mangi?", le chiese Thiago, vedendola uscire dalla cucina.
"No, non ho fame. Mi dispiace."
"Non preoccuparti, mangio anche la tua parte. Devo ingerire proteine per i muscoli.", fece lui, toccandosi i bicipiti.
"Allora fai pure. Io vado a fumarmi una sigaretta sul terrazzino."
"Ti verrà il cancro."
Mac si voltò e gli alzò il dito medio facendogli la linguaccia.
"A proposito, ha chiamato Jakob, vuole che lavoriamo venerdì sera. Dice che ha bisogno di gente.", disse Thiago, riferendosi ad un amico di Mac, proprietario del locale dove i due lavoravano durante il fine settimana come guardarobieri. Visto però che d'estate nessuno aveva bisogno di depositare le proprie giacche in un luogo sicuro, i due venivano impiegati alla biglietteria.
"No... venerdì sera no... Chiamalo e digli che non andiamo."
"Tardi, già ho confermato anche la tua presenza. E non mi hai detto come è andata a finire con l'intervista!"

 

Da quando Thiago abitava  con lei la vita era diventata divertente: uscivano quasi tutte le sere nel pub sotto casa e incontravano persone sempre nuove. Quel quartiere era popolato soprattutto da studenti universitari perchè nelle vicinanze c'era la facoltà di lettere e si vedevano spesso facce nuove di ragazzi venuti a studiare in erasmus, proprio come Thiago. Di solito il venerdì era la serata del 'paga 10 euro e bevi quello che vuoi' ed era per questo che Mac non voleva andarsene al lavoro.
Entrambi davanti allo specchio, cercavano di farsi belli più che potevano: in quel locale passava gente di un 'certo livello' e bisognava essere presentabili, o meglio, bisognava mettersi in tiro.
Thiago stava cercando invano di immobilizzare la faccia di Mac per evitare di sbaffare il trucco.
"Bellezza, se ti infilo la matita nell'iride è colpa tua.", fece lui, "Ecco, fatto. Ti va bene?"
Mac si guardò nello specchio e fece segno di sì con la mano.
"Non ne ho proprio voglia stasera...", disse poi, sedendosi sul bidè con la testa appoggiata sulla mano.
"Lo sai che nei giorni non stabiliti ci paga di più."
"Sì... ma che palle lo stesso! Io lavoro anche di giorno!"
"Basta con le storie! Vai a metterti le scarpe!"
"Posso mettermi le sneakers?"
"No! Te lo proibisco!", disse l'altro, severo.
"E dai....", disse Mac, con gli occhi imploranti e le mani chiuse in preghiera.
"Piuttosto mettiti quei sandali con i lacci... quelli da legare intorno alla gamba. Almeno non fai la figura del maschiaccio!"
"Va bene...", disse l'altra.
Thiago non usciva mai senza essere perfettamente a posto e lo era sette giorni su sette, tranne la mattina appena sveglio, quando con i capelli arruffati e l'alito pestilenziale perdeva tutto il suo fascino latino. In pantaloni di pelle e camicia bianca aperta sul petto, mostrava apertamente la sua tendenza sessuale e ne andava talmente fiero che a volte Mac, accanto a lui, poteva sembrare un uomo. "Ma non avevi niente di meglio da metterti?", disse a Mac, guardandola mentre si allacciava i sandali intorno al polpaccio.
"Mi sembri Jutta... che palle! Io mi vesto come mi pare e piace!", disse Mac, che si sentiva perfettamente a suo agio con quella gonnellina con pieghe a quadretti fuscia e neri, i fuseaux neri fino al ginocchio e t-shirt nera con una stella rossa sul petto.
"Fossi un uomo ti terrei alla larga!", disse l'altro.
"Sempre gentile Thiago... sempre!"
"Io esprimo il mio parere di donna in un corpo di uomo!", fece l'altro, mentre sculettava ridendo, in una caricatura di se stesso.
"Sono pronta!", esclamò Mac, prendendo la sua borsa e uscendo dalla camera.
"Ma i capelli sono perfetti!", fece l'altro.
"Grazie, ci vuole il premio nobile per fare due trecce! Guidi tu stasera!", disse Mac, prendendo le chiavi e passandole all'amico.



"Quanti ne hai contati?", chiese Thiago a Mac, che stava contando il numero dei biglietti rimasti sul blocchetto. Oramai era l'una passata e di solito, dopo quell'ora, non c'era molta gente nuova in arrivo. Seduti dietro il bancone, di fronte all'entrata, i due erano in procinto di avviare le loro solite chiacchiere e battibecchi.
"Trecentocinquanta.", disse l'altra, dopo aver contato l’ultimo biglietto..
"Quanto vorrei essere dentro...”, disse Thiago, con aria sognante “Hai presente quel ragazzo, quello che aveva la camicia nera con quel disegno spettacolare sulla spalla..."
"No, non mi ricordo...", disse Mac, distratta.
"Comincio quasi a credere che tu sia lesbica!", esclamò l'altro, indignato per la sua sbadataggine.
"Puoi stare tranquillo, non mi vedrai mai ad un gay pride.", gli rispose lei, ridendo.
"Non ci scommetterei la pelle... comunque, aveva un paio di pettorali..."
"Thiago... non riesci proprio a tenerlo a bada!”, sbottò lei, “Sbavi dietro a qualsiasi ragazzo che abbia capacità di respirazione autonoma!"
"E' quello che dovresti fare anche tu alla tua età.", disse l'altro.
"Non ho tempo per nessun altro che per me... e poi sto bene anche da sola!"
"Lo dicono tutti e poi, dopo un attimo, si trovano fidanzati col primo che passa."
"Certamente... piuttosto, io vado a fumarmi una sigaretta.", disse Mac, scendendo dallo sgabello su cui era seduta.
"No, non lo farai."
"E perchè?"
"Ti ho nascosto i fiammiferi.", disse il ragazzo, con sguardo ammiccante.
"Stavolta non mi freghi, guarda!", esclamò Mac, prendendone un nuovo pacchetto dalla piccola tasca che c'era sulla sua gonna.
"Brutta stronza!", disse lui, cercando di afferrarli velocemente. Mac non sfuggì alla rapidità della sua mano, che li prese e prontamente li inzuppò nel bicchiere dove c'era la sua bibita.
"Ma che bastardo che sei!", disse Mac, quasi arrabbiata.
"Adesso prova a fumare!", la sfidò lui, con soddisfazione.
Con una sigaretta spenta tra le dita, Mac andò verso il guardaroba. Era una stanzetta, accanto alla biglietteria, chiusa all’accesso da un grande bancone bianco, su cui i clienti appoggiavano i loro cappotti in attesa che venissero presi in custodia, in cambio di un tagliando con un numerino sopra.
Visto che fumare era vietato anche in quegli ambienti, Mac non poteva fare altro che farlo fuori fuori. Sedendovisi sopra, scavalcò il bancone del guardaroba e andò verso la porta di sicurezza e uscì fuori. Dato che Jacob non voleva che i dipendenti fumassero insieme ai clienti, per una motivazione assurda che Mac non aveva mai capito, era quello il luogo in cui lei potè accendere la prima sigaretta della serata.
Per sua sfortuna, di lì non passava quasi nessuno e forse non avrebbe trovato da accendere per diverso tempo. Lasciò la porta aperta, altrimenti non avrebbe potuto sentire la musica che usciva dal piccolo impianto del guardaroba, che trasmetteva pezzi del buon vecchio rock degli anni settanta e ottanta, il suo genere preferito.
Seduta sulla soglia, a gambe incrociate, attendeva nervosamente che qualcuno passasse di lì per farle accendere la sigaretta. Poteva sperare che un cliente apparisse dall'uscita di sicurezza della zona privè, a qualche metro da lei, ma di solito quella porta non veniva mai utilizzata.
Ascoltando 'Stairway to heaven' dei Led Zeppelin cercò di chiudere gli occhi e di raffigurare le parole della canzone... una ragazza sulla scala per il paradiso, una scala mobile, così non faceva nemmeno tanta fatica. Quanti piani doveva passare prima di arrivare in paradiso? E soprattutto c'erano i tabaccai lassu?
Sentì il clack dell’altra uscita di sicurezza e, alzando gli occhi al cielo, ringraziò chi aveva accolto il suo desiderio. La porta era rialzata di un paio di gradini rispetto al pianterreno e, sulle scalette, vi si era seduta strana tipa. Andò da lei e le chiese se aveva da accendere. Questa, con il telefono in mano, tutta intenta a mandare un messaggio, senza nemmeno guardarla si frugò in tasca e glielo porse. Mac dovette notare con quanta precisione si era smaltato le unghie di nero e si complimentò.
"Nemmeno il mio coinquilino gay sa fare le unghie bene come le tue. Potrei anche venire da te la prossima volta, sei bravissima.", le disse, con umorismo.
La ragazza sembrò ignorarla totalmente. Mac, infastidita, si accese la sigaretta e ci mancò poco che, per vendicarsi, non premesse la parte arroventata dell'accendino sulla mano. Ma rinunciò, non voleva fastidi e glielo restituì senza nemmeno ringraziarla. Quando tornò a sedersi al suo posto, con la schiena appoggiata allo stipite spigoloso, le dette le spalle e sintonizzò la sua mente sulla melodia di 'Whole lotta love'' dei Led Zeppelin.


"Vado un attimo fuori Tom, ho bisogno di aria fresca.", disse Bill al fratello.
"Che c'è? Mi sembri strano...", fece l'altro.
"No, tranquillo, è che c'è troppa gente e mi sento mancare l'aria."
"Mmm... ok.", disse Tom, non molto convinto della risposta. 
"Vado solo cinque minuti fuori, ho visto che c'è un uscita laggiù.", disse Bill, prima di allontanarsi.
Tom sapeva che non era la serata giusta per suo fratello. Erano stati chiamati a quella festa, non si ricordava nemmeno di chi o di cosa fosse in onore, e dovevano solo cantare tre o quattro canzoni. Mentre lui, con Georg e Gustav erano seduti al balcone a parlare con altri ragazzi, Bill aveva ricevuto una chiamata al telefono. Si era allontanato ma lo aveva tenuto sott'occhio per tutto il tempo: dall'espressione della faccia del fratello e dai suoi atteggiamenti, aveva capito che la telefonata non era stata molto gradita. Non c'era stato nemmeno il bisogno che gli chiedesse cosa fosse successo, era sicuro che quella tipa con cui si vedeva da qualche mese gli aveva tirato un altro bidone.
"Ma dico! Cosa ci perdi tempo a fare con quella? Lo sai che ti sfrutta...", gli aveva detto qualche sera prima, scatenando una specie di bufera. Bill gli aveva detto gentilmente di occuparsi dei suoi affari, di lasciare in pace i suoi e non gli aveva parlato per diverse ore. Non sapeva che cosa ci trovasse in quella, Tom vedeva solo una ragazza in cerca dei suoi quindici minuti di fama e non era nemmeno una gran bellezza. Magari suo fratello ne era rimasto colpito: mora, pelle di porcellana e occhi così chiari da sembrare di ghiaccio. Nelle occasioni pubbliche lei era sempre al suo fianco, quando invece lui voleva vederla per momenti meno visibili al pubblico, questa si dileguava. Non credeva che suo fratello fosse scemo e non lo avesse capito, credeva piuttosto che avesse perso un po' la testa per lei.


Bill si sedette sui gradini al di fuori dell'uscita di sicurezza, con il telefono in mano: guardava alcune foto che aveva scattato insieme a Adina, pensando a quanto fosse stupido tutto quello che gli stava capitando. Forse doveva dare un taglio a quella storia così inconcludente… Non era da lui farsi prendere in giro in quel modo ma stavolta aveva preso una bella cantonata per lei.
"Scusa il disturbo, hai da accendere?", gli chiese una voce, alla sua sinistra.
Come un robot, infilò la mano in tasca e lo estrasse. Pensando che la ragazza stesse solo cercando di attaccare bottone, lui la ignorò completamente. Era ancora concentrato sui suoi pensieri e aveva voglia di rivolgere parola a nessuno.
"Nemmeno il mio coinquilino gay sa fare le unghie bene come le tue. Potrei anche venire da te la prossima volta, sei bravissima.", disse questa ragazza..
O questa era scema, oppure era cieca. Non aveva visto chi era?
Ancora in giro incontrava gente che lo scambiava per una donna…
Riprese il suo accendino e la sentì allontanarsi, sicuramente si era un pochino stizzita per essere stata completamente ignorata, ma non era un problema suo.
Gli venne da lanciarle una rapida occhiata: anche se la stava vedendo di spalle, seduta, la categorizzò come non interessante. Tornò al suo telefono e guardò qualche altra fotografia, quando si accese qualcosa nella sua testa.
Un pensiero veloce, quella ragazza l'aveva già incontrata altrove. Lo accantonò rapidamente, non l'aveva nemmeno vista di faccia. La curiosità lo fece voltare di nuovo: c'era qualcosa in lei che aveva già visto, ma non riusciva a definire cosa fosse. Guardò meglio e la sua attenzione fu catturata da un tatuaggio tra le scapole, messo in bella vista dallo scollo posteriore della sua t-shirt.. Gli era familiare, quei due serpenti incrociati tra loro con una forma circolare.
"Andiamo!", sbottò Georg, sbucando alle sue spalle e facendolo sobbalzare.
"Certo, un momento...", disse, mentre guardava la ragazza gettare la sigaretta e chiudere la porta davanti a cui stava seduta.

 

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Capitolo 3
*** Perfect Strangers ***


3.. PERFECT STRANGERS


"Insomma, quella manco si gira per farmi un sorriso o mandarmi a quel paese! Nessuna reazione!", disse Mac a Thiago, che si era rintanato dentro al guardaroba con lei per sfuggire alla noia. Seduti sotto al bancone bianco, lui le stava sistemando una delle trecce, deformatasi leggermente.
"E che te ne frega? Lo sai che gente ci sta al privè... prima gli si strapperà a forza di tirarsela.", disse Thiago.
"Vabbè… è una questione di gentilezza.", piagnucolò Mac.
"Magari era straniera.", azzardò a dire Thiago.
"Più che straniera era strana.", fece Mac, dopo qualche secondo di riflessione.
"In che senso?"
"Boh... non saprei dirtelo.”, disse l’altra, “Mi viene quasi da pensare di aver fatto una grossa figura di merda e che invece di essere una ragazza fosse un ragazzo."
"Bella mia, da te ci si può aspettare questo e altro. E comunque ce ne vuole per fare una confusione del genere... com'era?", gli chiese Thiago, molto interessato a capire come si poteva scambiare un uomo per una donna, a meno che non si trattasse di una drag queen o di un travestito.
"Capelli neri, lisci, con delle ciocche banche. Unghie perfette, meglio di quelle che sai fare tu.", gli spiegò Mac.
"Una manicure da sballo insomma...", disse lui, con una punta di invidia, "E in quanto a vestiti?"
"Pantaloni stretti, poi un giubbino. Non ho visto molto altro."
"Niente tette in vista?"
" Il giubbino era aperto sul davanti… Non si vedevano"
"O è un gay dichiarato, oppure è una lesbica. Non ci sono storie. Nel primo caso fammelo vedere se si presentasse l'occasione."


"Ti ricorda niente un tatuaggio fatto in questo modo?", fece Bill a Gustav, l'unico del suo gruppo che era rimasto nei suoi paraggi dopo il mini concerto che avevano tenuto. Gli altri due si erano spariti: Tom era di sicuro con una ragazza, Georg doveva essere andato a prendersi da bere.
"Sinceramente no... e spero che non sia stato brutto come il tuo disegno... Perchè me lo chiedi?", gli fece Gustav.
"Niente... non ti preoccupare.", disse Bill, comprendendo che in lui non avrebbe trovato alcun aiuto.
Guardò il suo disegno e provò di nuovo a riflettere. Dove lo aveva visto quel tatuaggio? Accanto a lui passò un uomo della sicurezza: erano tutti uguali, vestiti di nero e con l'auricolare, sembravano fatti in serie. Gli chiese dove portava l'uscita di sicurezza che si trovava vicino a quella della zona privè.


"Dai, cambiamo cd!", disse Thiago, con aria supplichevole, con l’album di Nelly Furtado, la sua cantante preferita, tra le mani.
"Eh no! Per una volta che Jacob mi permette di ascoltare qualcosa che piace a me… e non la solita musica da discoteca!", protestò Mac.
"Per favore!”
“No!”, ribadì Mac, inflessibile.
“Allora mettiamo quella canzone che piace a me... ", disse Thiago.
"Ok...", disse Mac sbuffando, avvicinandosi all’impianto centrale dello stereo, in basso, a sinistra del bancone, "Vediamo... dovrebbe essere la numero otto..."
Le note di "Immigrant song" dei Led Zeppelin uscirono dallo stereo e Thiago iniziò a scatenarsi, imbracciando una scopa come l'asta di un microfono e imitando Robert Plant nei famosi gorgheggi di quella canzone. Mac se ne stava lì a ridere, pensando da un lato alla profanazione che il suo amico stava perpetuando nei confronti del rock, dall'altro che era troppo spassoso vedere Thiago con quella scopa che sculettava come Elvis the Pelvis. Sentì qualcuno bussare sul bancone e Mac si alzò da terra per vedere chi fosse.
"Ciao Miki.", disse all'uomo in nero, il gorilla che stava tra la folla e la velvet rope, decidendo che poteva entrare e chi no. Come tutti i man in black, se ne stava lì serio, con gli occhiali neri sul naso e le mani giunte. Incuteva timore, ma era docile come un cagnolino da compagnia.
"Ehy, Mac, c'è una tizia che sta bussando alla porta di sicurezza del guardaroba.", le disse.
"Davvero? Non l'ho sentita, ero troppo occupata a vedere Thiago...", disse lei, indicando l'amico e la sua scopa. Miki si sporse per vedere meglio l'esibizione.
"Quando balla con Nelly Furtado è tutta un’altra cosa.", disse Miki, ridendo.
"Vuoi i pop corn?", disse Mac, avvicinandogli un'immaginaria ciotola.
"No, grazie, sono a dieta. Piuttosto vai a vedere chi è, quella tipami sembrava abbastanza insistente. Non sono andato io perchè dovrei scavalcare la siepe e ho le scarpe nuove.", le fece, riferendosi alle piante che contornavano il vialetto dell’entrata della discoteca
"Ah! Voi uomini d'oggi! Siete peggio delle donne!", esclamò lei, mentre si avvicinava alla porta.


Non sembravano sentirlo, aveva già bussato tre volte. Provò una quarta, sbatteva con forza il pugno sulla porta ma niente. Sentiva solo della musica, ma non doveva essere quella del locale perchè era tutt'altro che musica house. Finalmente vide la maniglia abbassarsi.
Una faccia carina, due treccie, era lei, la ragazza con il tatuaggio dei serpenti. Ma non era solo quello…
"Ciao....", le disse, salutandola con un rapido gesto della mano.
"Oh mio dio...", disse la ragazza, con una faccia quasi totalmente inespressiva.
"Sei la ragazza dell'intervista vero?", le chiese. Quando l'aveva vista in viso, l'aveva riconosciuta subito e ricollegò anche il tatuaggio a lei.
"Non è servito a niente sperare che non mi riconoscessi.”, sbuffò la ragazza, mettendosi le mani sui fianchi. Poi notò che il suo sguardo parve pietrificarsi.
“Eri tu quella… cioè… prima ti ho chiesto se avevi da accendere, vero?”, gli chiese.
“Beh sì… ero proprio io…”, disse Bill, grattandosi la testa perplesso.
“Sei venuto per avere le scuse che pensi di meritarti?”, disse lei, con aria polemica.
“Beh… a dire il vero no…”
"Quindi?", chiese lei, incrociando le bracca, in attesa.
"Quindi cosa?"
"Quindi che ci fai qui? Sei alla festa su al privè?", gli domandò la ragazza.
"Sì ma… sembra che qui ci si diverta di più...", disse lui, indicando con lo sguardo il ragazzo che, alle spalle di lei, si stava ancora esibendo.


Mac si voltò ed attese il momento in cui Thiago si fosse accorto che era osservato. Con la scopa tenuta a mò di chitarra, gli occhiali che Miki gli aveva prestato sugli occhi, le gambe divaricate e il braccio roteante, era un perfetto rocker da strapazzo.
Già avrebbe voluto sotterrarsi perchè il Bill degli amati Tokio Hotel era alle sue spalle, l’aveva riconosciuta e sicuramente la stava classificando come del tutto incapace di intendere e di volere, sia per colpa dell’intervista che per la confusione che aveva fatto sul suo sesso. Ora lui stava anche godendo dell’esibizione di Thiago e della sua scopa-chitarra.
"Thiago....", fece Mac, cercando di attirare la sua attenzione.
"Sono il re del gay-rock!", esclamò lui. Evidentemente doveva essere in estasi e soprattutto con gli occhi chiusi per non accorgersi della situazione in cui si trovava. Poi, sentendo che l'amica non era intenzionata a contraccambiare, “A questo punto dovresti rispondere con una delle tue battute sarcasticamente crudeli.".
"Thiago, ti prego...", fece Mac, che stava cercando di non ridere, così come Bill.
"Che c’è....", fece, togliendosi gli occhiali e sbuffando.
La scopa gli cadde di mano, finendo rumorosamente a terra, e presto lui ci finì steso sopra. Mac rimase ferma, scuotendo la testa e ridendosela sotto i baffi. Anche l’omone al di là del bancone, che aveva assistito a tutta la scena dello svenimento del ragazzo, continuò a ridacchiare, trattenendosi con una mano sulla bocca
"Ma è svenuto!", esclamo Bill preoccupato, vedendo che nè la ragazza nè l'uomo al di là del bancone si adoperavano per aiutarlo.
"Gli passerà presto. Vero Thiago?", domandò Mac all'amico svenuto, che non rispose.
"Dai, lo sappiamo che stai benissimo.", fece Miki.
"Deve aver battuto la testa...", fece Bill, andando verso di lui per controllare che non avesse ferite.
Mac, che conosceva Thiago così bene da capire che quella era tutta una messa in scena, osservava Bill divertita, chiedendosi quale sarebbe stata la sua faccia quando Thiago avrebbe rivelato la sorpresa.
"Datemi una mano!", esclamò Bill, sempre più in ansia.
Mac, sbuffando, andò verso di lui e si accucciò accanto alla faccia di Thiago.
"Guarda che se non la smetti mi faccio portare da Miki una scatola di fragole e te le spiaccico sulla camicia, così non andranno più via...", gli fece
"E va bene! Sei sempre la solita stronza!", esclamò l’altro, riaprendo gli occhi e alzandosi da terra.
"Ma… ma tu stai benissimo!", sbottò risentito Bill, realizzando che il ragazzo aveva solo finto di stare male.
"Certo,”, disse Mac molto sarcasticamente e appoggiandosi alla spalla dell'amico spagnolo, anche lui soddisfatto dello scherzo che aveva architettato, “sapessi quante volte l'ho visto fare finta di svenire per fare colpo su qualcuno… Stavolta è stato il tuo turno, Bill dei Tokio Hotel..."
"Wow, bellissimo! Bill Kaulitz!", iniziò ad esclamare Thiago, emettendo strani gridolii, "Sono un vostro grandissimo fan!"
"E me lo ha sempre tenuto nascosto...", disse Mac, alzando gli occhi al cielo, rassegnata.
"Beh... grazie... non sapevo che tu lavorassi in questo posto,", le fece Bill, cercando di cambiare discorso, ancora frastornato per tutto quello che i due avevano combinato "pensavo che lavorassi per quella rivista..."
"Sì, Pop my life... ci lavoro ma mi pagano una fame e devo lavorare anche qua.”, gli spiegò, “Comunque lui è il mio coinquilino Thiago, è spagnolo, studia qua in erasmus. Ed io sono Mac."
"Molto piacere!", esclamò Thiago, porgendogli la mano.
"Bill... io non lo farei...", cercò di dire Mac, ma fu troppo tardi, perchè la mano di Bill già stava stretta in quella di Thiago, che in un attimo lo tirò verso di sè per abbracciarlo. Bill, stretto in quella morsa, cercò di liberarsi nel modo più gentile possibile.
"Te l'avevo detto...", fece Mac, di nuovo rassegnata. Quel Bill pareva proprio nato il giorno prima…
"Ma siete tutti così pazzi?", esclamò lui, una volta che si fu divincolato dalla morsa dell braccia di Thiago. Evidentemente era molto incazzato per la situazione imbarazzante che si era creata.
"Mac, io non pensavo che questi Tokio Hotel fossero così omofobici...", fece Thiago irritato, incrociando le braccia.
"Già...”,  fece Mac, prendendo la stessa posizione dell'amico, “Tutte queste arie, chiedere un accendino e non essere nemmeno guardati... insomma, non valete tutto quello che siete..."
"Io non sono omofobico!”, esclamò Bill, scaldandosi all’ennesima potenza, “E non mi do nemmeno tutte le arie di cui mi accusate!",
"Ti ho solo abbracciato, non mi sembra di aver fatto niente di male... è colpa mia se sono gay e tu sei un bel ragazzo?", fece Thiago, con aria disgustata.
"Bel ragazzo?!? Mica tanto...", disse Mac, sulla solita scia sarcastica dell’amico.
"Ok ho capito! Me ne vado!", sbuffò l'altro, sconfitto, uscendo dalla porta a mani in alto.
"Mamma mia... meno male che i loro cd li ho scaricati da internet...", disse Thiago, con espressione infastidita.



Tom vide arrivare il fratello, con una faccia ancora più incazzata di prima. Doveva aver avuto una bella e sonora discussione con quella Adina, per telefono. Bill passò davanti ai suoi occhi e lo ignorò totalmente, tanto che fu costretto ad afferrarlo per un braccio, altrimenti gli sarebbe sfuggito via alla velocità di una scheggia.
"Ma perchè non la mandi a fanculo?", gli disse.
"Cosa? Chi?", fece Bill, non comprendendo a cosa si stesse riferendo.
"Adina, quella stupida a cui vai dietro da due mesi!", disse Tom.
"Che? No, lei non c'entra niente.", sbuffò Bill, scotendo la testa.
"E allora perchè sei così incazzato?", gli chiese Tom, adesso che era lui a non capire.
"Niente... lascia stare.", fece l'altro, divincolandosi dalla sua presa.
"Dimmi almeno dove sei stato! Sei sparito per mezz'ora e torni incavolato!"
Ma ormai Bill si era infiltrato tra la gente nella pista e non gli avrebbe più risposto. Se non era stata Adina a farlo andare su tutte le furie... non sapeva proprio a chi pensare! Non lo vedeva così arrabbiato da molto, doveva essergli successo qualcosa di pesante, e voleva capire cosa fosse. Si ricordava di averlo visto parlare all'omone davanti all'uscita di sicurezza, forse lui gli avrebbe potuto dire cosa si erano detti. Andò da lui, tentare non noceva.
"Scusa, hai visto un ragazzo con i capelli neri e bianchi...", gli chiese, indicandosi la testa.
L'uomo, fermo nella sua posizione statuaria, gli indicò la pista.
"Sì, ma sai dirmi dove è stato prima di tornare qui? Voglio dire, ho visto che parlavate, poi lui è uscito da questa porta e volevo sapere cosa c’era qua fuori."
L'uomo gliela aprì semplicemente.
"Beh... grazie comunque...", disse Tom, uscendo.
Era una semplice uscita di sicurezza, con un paio di gradini e il niente intorno, nessuna presenza umana. Sentiva solo della musica, proveniva da una porta socchiusa più in basso, alla sua sinistra. Poteva tornare dentro e farsi i fatti suoi, ma se Bill era incazzato in quel modo... Forse al di là di quella porta c’era qualcuno che sapeva qualcosa…
Si avvicinò alla porta e si affacciò. Gli si presentò una scena abbastanza comica: c'era una ragazza, con un paio di occhiali neri e una scopa, che imbracciava e suonava come una chitarra. Accanto a lei, un ragazzo che, con una spazzola in mano, cantava a squarciagola le parole della canzone, inventandosele completamente. Quando questa finì, lui si lasciò cadere sulle ginocchia, mentre lei fece cadere la scopa a terra e gli si gettò addosso.
"La prossima volta che metti quella canzone dimmelo, così allestiamo uno spettacolo e ci facciamo pagare! Come hai detto che si intitola?", chiese il ragazzo.
"Perfect strangers, è dei Deep Purple. Forti, non credi?", rispose la ragazza, sopra di lui. Fidanzatini?
Il ragazzo si mosse per togliersela di dosso e, voltando involontariamente la testa verso l’uscita, lo vide.
"Un perfetto straniero come lui.", disse il ragazzo, indicandolo.
La ragazza, che non aveva notato la sua presenza, si voltò perplessa e appena lo vide, gli sorrise.
"Ma guarda un po' chi si vede... il fratello di Barbie rock'n'roll!", esclamò mentre si alzava da terra.
Tom riconobbe subito quella ragazza: li aveva intervistati, se così si poteva dire, qualche giorno prima ed era decisamente più carina di come se la ricordava. Quelle treccine le davano l'aria di bambina cattiva... rimase un attimo sconcertato da quello strano soprannome affibbiato a suo fratello. Doveva essere una bambina cattiva sia nell’aspetto che nel carattere!
"Non sapevo lavorassi qui, che sorpresa! Meno male che stavolta non mi fai sentire Ufo Robot... chi sono questi che suonano?", le chiese, scherzandoci sopra
"Come chi sono?!?", fece lei, strabuzzando gli occhi, "Sono i mitici Deep Purple..."
"E quindi?", le fece, dubbioso, dopo qualche secondo di inutile riflessione.
La ragazza allungò il piede e lo premette sullo spazzolone della scopa, facendola drizzare da terra. La prese con la mano destra e con la sinistra finse di pizzicare le immaginarie corde della sua finta chitarra. 'E' mancina...' pensò Tom, da chitarrista qual era, vedendola impugnare in quel modo.
Lei iniziò a cantare un ritornello famosissimo.
"Smooooooke on the waaaaater... na na na na na naaaaa!"
"Ah, sì, la conosco.", disse Tom, dandosi una pacca sulla fronte.
"Sei venuto a vendicare l'orgoglio ferito di tuo fratello?", disse lei, con aria sarcastica, appoggiando il gomito sulla sommità della scopa/chitarra elettrica.
"Sei stata tu a farlo incavolare in quel modo?!?" esclamo del tutto sorpreso Tom… che bambina cattiva!
"Anche io ho dato il mio contributo!", esclamò il ragazzo che era con lei, fino a quel momento in disparte, "Non avevo capito che ce l'aveva con gli omosessuali che cercavano di essere gentile con lui.”
“Beh…”, balbettò Tom, rendendosi conto, nei cinque secondi in cui quel ragazzo aveva aperto bocca, che aveva davanti a lui un esemplare di uomo del tutto omosessuale. Non che avesse pregiudizi ma… come tutti gli uomini, stava iniziando a sentirsi a disagio. Forse anche suo fratello aveva avuto la stessa reazione, indipendentemente dalla sua alta dose di ‘femminilità maschile
“Comunque io sono Thiago, amico della Mac.", disse il ragazzo, cordialmente, presentando sia se stesso che la bambina cattiva.
"Piacere...", fece Tom, alzando la mano.
"Vado a prendere da bere, volete niente?", propose questo Thiago.
"Caipiroska per me e un'acqua tonica con limone per il ragazzo.", disse Mac, ironizzando.
"Cosa? Bevila tu l'acqua tonica!", disse Tom, lievemente seccato, "Io prendo una birra."
"Sicuro di essere maggiorenne?", gli fece Thiago, squadrandolo da capo a piedi.
"Sicuro quanto tu sei gay.", rispose Tom, gonfiandosi.
"Allora caipiroska e birra in arrivo!", fece l'altro, scavalcando il bancone e andando a prendere da bere. In quel momento Tom si guardò intorno… a vedere dalle stampelle vuote appese ai lunghi cilindri metallici attaccati al muro, quello doveva essere il guardaroba del locale. Mac doveva quindi essere la guardarobiera, oltre che l’intervistratrice da strapazzo che aveva conosciuto.
"E' sempre così dichiaratamente gay il tuo amico?", le chiese.
"E stasera si è trattenuto. Accomodati.", fece la ragazza, indicandogli la zona sotto il bancone.
"Accomodarmi lì sotto?"
"Certo! Non vorrai che ti riconoscano? Di qua passa tantissima gente e non abbiamo abbastanza security per proteggerti", fece lei, con un aria che andava dal malizioso all'ingenuo.
"Va bene...", fece il ragazzo, rassegnandosi e sedendosi a gambe incrociate sotto al bancone. La ragazza lo imitò ponendosi di fronte a lui, con il gomito poggiato sul ginocchio e il mento sorretto dalla mano. Lo guardava, come se fosse in attesa di una sua mossa.
"Che c'è?", fece Tom, sentendosi come una radiografia.
"Niente...”, disse Mac, dopo qualche attimo, “ho letto che sei una specie di marpione d'origine controllata e garantita, stavo aspettando che ci provassi con me."
"Beh... non è proprio così...", le rispose, sempre di più imbarazzato.
"Se dici un'altra bugia mi accechi con quel naso lungo.", sbottò lei, ridendo
"Allora vieni qui accanto a me, così non dovrai più avere paura del mio naso lungo.", le disse, dando dei colpetti nel pavimento sgombro accanto a lui.
"Ecco una mossa da marpione!", fece Mac, applaudendo, senza muoversi di un millimetro, "Preferisco rimanere qua."
Stava iniziando a spazientirsi, non capiva l'atteggiamento della ragazza. Gli era ostile o no? Dove voleva arrivare?
"Ok, come vuoi...", disse lui.
Sentì un paio di colpi bussati sul tavolo sopra la sua testa.
"Eccovi le vostre ordinazioni!", sentì esclamare da Thiago.
La ragazzi si alzò da terra, facendo automaticamente diminuire la tensione che Tom sentiva salire dentro di sé.
"Rimani qua con noi?", chiese poi all'amico.
"No, sono riuscito ad accalappiare un grande gnocco! Ci vediamo!", fece l’altro, sentendolo tornare nel locale.
Mac, con le bibite in mano, si sedette ancora di fronte a lui, porgendogli il suo bicchiere. Dopo qualche secondo di silenzio, a Tom gli sembrava di avere le spille sotto il sedere: Perchè continuava a trafiggerlo con il suo sguardo divertito?
"Senti...", le fece, bloccandosi poi perchè non si ricordava il suo nome.
"Mackenzie, ma chiamami pure Mac."
"Senti Mac...", riprese, ma si arrestò un'altra volta.
"Si sono otturate le mie orecchie oppure tu non riesci ad esprimerti?", ironizzò lei, facendolo cadere di nuovo nell’imbarazzo.
"No... è che... devo andare, gli altri mi aspettano.", disse, alzandosi di scatto.
"Attento alla t...", fece Mac, cercando invano di evitare che il ragazzo battesse una sonora testata sul ripiano di legno del bancone
Tom si portò subito le mani alla testa, per attenuare il dolore lancinante che sentiva.
"Gesù, ti sei sfondato il cranio!", esclamò l’altra, alzandosi sulle ginocchia per togliergli il cappellino e controllare che non si fosse fatto troppo male.
Involontariamente, Mac aveva esposto ai suoi occhi la prima cosa che un ragazzo come lui guarda nel gentil sesso. La testa di Tom era dolorante, ma funzionava ancora più che bene.
"Oi oi oi... hai un bel bernoccolo in crescita...", faceva lei, scostandogli i rasta per vedere meglio.
"Sì?"
"Tranquillo, vado a prenderti un impacco di ghiaccio, o ti verrà un bel bozzo...", fece lei, rimettendogli il cappello sulla testa.
"No, non ti preoccupare, sto già meglio...", disse Tom, ancora immerso in quella vista panoramica.
Fu allora che Mac abbassò lo sguardo e notò che il ragazzo aveva almeno due motivi per stare meglio.
"I miei occhi sono quassù, un piano sopra...", disse scocciata, alzandosi, "Avanti, Tom dei Tokio Hotel..."
Gli porse la mano, anche se avrebbe fatto a meno di aiutarlo ad alzarsi. Involontariamente ed ingenuamente, non si accorse che stava per cadere in una trappola che già conosceva e che era stata messa in atto solo qualche minuto prima da Thiago. Tom le afferrò la mano, si alzò e la tirò deciso verso di sé, per baciarla. Comprendendo nel giro di pochi attimi le sue intenzioni, Mac gli strinse il polso e, rapidamente, riuscì a farlo voltare, costringendogli il braccio dietro la schiena e spingendolo con forza contro il bancone.
Con il peso del corpo della ragazza che lo premeva alle spalle contro il bancone, Tom era stato preso in contropiede.
"Mi fai male!", protestò a gran voce.
"Non te le insegnano le buone maniere?", fece lei, stringendogli ancora di più la mano.
"Se me la rompi avrai da pentirtene per tutta la vita!", le gridò, “Ma chi pensi di essere? Karate Kid?”
“No, ho fatto semplicemente sette anni di tae kwon do”, gli sibilò lei, lasciando la presa.
"Tu... tu sei pazza!", esclamò Tom, correndo fuori dal guardaroba, tenendosi il polso dolorante.
Salì le scale di corsa e tornò nella zona privè. Incrociò lo sguardo di suo fratello e  comprese che quella ragazza doveva aver servito un bel pesce marcio in faccia anche a lui.

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Capitolo 4
*** One day in their lives ***


4. ONE DAY IN THEIR LIVES



"Mio dio, Mac! Hai fatto scappare anche lui!", esclamò Thiago, trovando l'amica seduta sola ed annoiata sul bancone del guardaroba, a gambe penzoloni
"Sì, che ci vuoi fare... faccio paura!", disse, con voce profonda e scuotendo le mani come per imitare un brutto fantasma.
"Sei tremenda... A proposito Jacob ci lascia andare. Possiamo tornare a casa.", la informò, regalandole una bella notizia.
"I soldi?", chiese Mac, sempre attenta al lato economico del lavoro.
"Ce li ho io, tranquilla.", fece il ragazzo, dandosi una pacca sulla tasca posteriore dei pantaloni.
"Benissimo, prendo la borsa e andiamo.", disse Mac, scendendo dal bancone.
Thiago, nell’attesa, si mise a fischiettare una canzoncina improvvisata ma si bloccò, quando sentì un rumore di tacchi alle sue spalle.
"Guarda chi c'è qua!", esclamò, voltandosi e vedendo Jutta venire verso di lui. Era contenta di vederla, non sapeva proprio che anche lei fosse dentro al locale. Le parve quasi strano vederla, avrebbe decisamente ricordato di averle strappato il biglietto al momento del suo ingresso, ma proprio non riusciva a rievocarlo con la mente. Non si era nemmeno allontanato dal suo lavoro per un attimo, doveva essersi imbucata grazie a qualche conoscenza… Poi si soffermò ad osservare la sua camminata: le sembrava avere un passo troppo deciso perchè il loro incontro fosse casuale e di piacere.
"Dimmi dov'è quella deficiente della tua amica...", esclamò, quasi in iperventilazione.
"Chi? Mac?", disse lui, cercando di fare il finto tonto.
"LO SO CHE E' QUI!", gridò l'altra, dando via all'isteria.
Che cosa era succeso? Cosa aveva combinato Mac?
Si affacciò nel guardaroba, ma lei non c’era, si doveva essere nascosta sentendo sia il passo che la voce, entrambi incazzati, della sua collega di lavoro…
"Mac... ti conviene farti vedere, Jutta è in preda a manie omicide...", la esortò.
Mac, lentamente, sbucò da dietro il balcone, con aria da cane bastonato.
"Ti uccido!", esclamò Jutta.
"Che ho fatto....", chiese Mac, sentendosi sia colpevole che innocente.
"Hai rovinato ogni mia possibilità di scrivere un'altra intervista ai Tokio Hotel!"
"Io?!? Ma io non ho fatto niente...", disse Mac, allontanandosi dal tavolo di legno, ma soprattutto dalle mani di Jutta, che si facevano sempre più vicine al suo collo.
Ecco cosa era successo, realizzò Thiago… si era introdotta nel locale dalla zona privè, che aveva un’entrata separata da quella dove lavorava con Mac, per concludere l’intervista che era rimasta in sospeso qualche giorno prima…
"Tu... tu... adesso i due fratelli Kaulitz sono incazzati come delle... come delle...", cercava di dire Jutta, senza trovare un paragone adatto, "Sono molto incazzati punto e basta. E non vogliono concedere più interviste alla nostra rivista! E' tutta colpa tua!"
"E che c'entro io se sono dei palloni gonfiati! Sono venuti loro a cercarmi!", disse Mac in sua difesa. Tutti i torti non li aveva, pensò Thiago, ma forse avevano davvero esagerato…
"Potevi anche risparmiare di umiliarli! La rivista aveva bisogno di quell’intervista! Ora c'è il rischio che mi licenzino!", fece Jutta, battendo il pugno contro al bancone, "Vai a rimediare ai tuoi guai o ti giuro che farò licenziare anche te!"
Detta quell'ultima frase con le vene del collo a rischio di esplosione, Jutta girò i tacchi e tornò sparì di nuovo dentro al locale.
"E ora?", disse Thiago, quando la calma fu ristabilita "Ti tocca andare a scusarti..."
"Nemmeno per idea! Troverò un'altro lavoro!", sbottò Mac, irremovibile.
"Mac... sii ragionevole..."
"Giammai chiederò scusa a quei due!"


"Ti prego... no...", continuava a dire Mac, con vocina da bambina in lacrime. Thiago la teneva per un braccio e la trascinava fra la gente, nella zona privè.
"Avanti! Smettila di frignare!", le disse, "Hai diciannove anni! Neanche mio fratello che ne ha sette fa tutte queste storie!"
"Ma io ho un orgoglio da rispettare...", brontolò lei.
"Si dice reputazione.”, la corresse, “E poi c'è in gioco il lavoro di Jutta ed anche il tuo, devi farlo per forza."
"Non voglio..."
"Non è volere, questo è dovere.”, le disse, “Eccoli, mi sembra di averli visti."
Thiago dovette spingere ancora più forte la ragazza, che puntava i piedi come una mocciosa, verso il tavolo intorno al quale tutto il gruppo se ne stava riunito, a trascorrere la serata. I due fratelli stavano seduti su dei divanetti e stavano ridendo tirandosi pop corn, sembrava quasi non fosse successo niente. Gli altri due componenti della band, invece, stavano parlando come persone normali ed educate, senza pop corn volanti.
"Ragazzi!", esclamò Thiago, per attirare la loro attenzione.
I quattro si voltarono quasi simultaneamente, ma solo le facce di due di loro si oscurarono vedendo Mac. Le altre due parvero sorprese e la guardavano come se fosse stata una marziana.
"C'è qualcuno qui che deve scusarsi con voi...", fece, spingendo Mac un passo più verso di loro.
"Beh... scusate.", disse lei, a sguardo basso, mentre si incrociava le dita.
"E poi...", disse Thiago, premendo perchè finisse tutto il discorso che le aveva imposto di dire.
"E poi non dovevo trattarvi in quel modo solo perchè mi state antipatici e fate della musica di mer..."
"Mac!", la riprese l'altro, tirandole una pacca sulla testa.
"Insomma, mi dispiace, vi chiedo perdono. E vi chiedo anche di concedere un'altra possibilità alla rivista in cui lavoro, hanno bisogno di una vostra intervista per il numero del prossimo mese... c'è in rischio il mio posto di lavoro e quello della ragazza che avrebbe dovuto intervistarvi al posto mio, l'altro giorno. Scusatemi ancora.", disse Mac, quasi tutto d'un fiato.
"Manca il finale...", puntualizzò Thiago.
"Devo proprio?", borbottò lei, sbuffando.
"Sì, te lo impongo."
"Allora...”, fece Mac, prendendo un lungo respiro e raccogliendo tutto l'entusiasmo che poteva mettere nella frase che stava per sputare fuori dalla bocca, “I Tokio Hotel sono il più grande gruppo rock della Germania..."
Cadde il silenzio, disturbato solo dalla musica che riempiva il locale.
"Beh... qualsiasi cosa hai fatto ti assolvo in formula piena!", esclamò Georg.
"Anche io!", disse Gustav, alzando il suo bicchiere di birra come per un brindisi, insieme all'amico.
Né Bill né Tom, però, si unirono al brindisi improvvisato dai due.
"Quindi io sarei Barbie rock'n'roll...", fece Bill.
"Sì...”, disse Mac, sospirando, sotto lo sguardo cattivo di Thiago, “Ma è solo uno stupido soprannome. Ti chiedo scusa anche per quello.”
"Non è che hai altri soprannomi anche per me e gli altri?”, chiese Tom.
"Beh... diciamo di sì..."
"E quali sarebbero? Sono molto curioso.", le chiese, incrociando le braccia.
"Tu saresti Rastaman...", gli spiegò Mac.
"E io?", fece Georg, scoppiando in una risata.
"Tu e Gustav non ce li avete...”, rivelò Mac, “Sai, all'intervista che vi ho fatto non avete parlato molto... insomma, non mi siete saltati all'occhio..."
“E comunque non hai finito nell’elenco di tutti i nomignoli che hai dato loro…”, fece Thiago, “Se non sbaglio Bill non è solo Barbie rock’n’roll… ma anche Telespalla Bob”
"Telespalla Bob?!?", esclamò Bill, infervorandosi. Poi si impose di calmarsi, prendendo lunghi respiri. "Vabbè... Grazie comunque per averla portata qui Thiago."
"Figuratevi...", disse lui, tutto contento.
"Possiamo rimanere da soli con lei un attimo?", gli chiese Tom, dopo un’occhiata di intesa con suo fratello.
"Certamente, rimandatemela giù incolume, deve guidare lei.", disse Thiago, allontanandosi e lasciando l’amica nelle mani dei quattro Tokio Hotel.


Thiago stava aspettando Mac già da un quarto d'ora. Conoscendola, aveva combinato qualche altro guaio, non credeva che fosse capace di rinunciare ad un'altra parte del suo stupido orgoglio per farsi perdonare dai Tokio Hotel e salvare il culo sia a se stessa che a Jutta. Stava quasi per andarla a cercare, quando la vide sbucare alle sue spalle.
"Mio dio... che ti hanno fatto?!?", esclamò, portandosi le mani alla bocca.
Già lo sguardo di Mac diceva tutto, il suo stato metteva i puntini sulle i. Era fradicia, puzzava di birra, così tanto da far venire il vomito, e i capelli trattenevano una grande quantità di pop corn.
Thiago scoppiò in una risata isterica che durò per tutto il viaggio di ritorno.


Il lunedì successivo una standing ovation accompagnò l'entrata di Mac in redazione. Guardando i suoi colleghi come se fossero stati tutti pazzi, Mac appoggiò la sua borsa sulla scrivania di Jutta, che sembrava aver riposto il suo mega coltellaccio da macellaio per guardarla con contentezza..
"Sei sempre arrabbiata con me?", le chiese, per testare che quello sguardo felice non fosse solo sarcasmo.
"Mi hai salvato la vita!", fece invece Jutta, saltandole al collo, "Ti amo!"
"Niente baci... niente baci.", disse Mac, incredula, senza essersi ancora  liberata dell'abbraccio di Jutta "Perchè tutto questo amore nei miei confronti?"
"Perchè un attimo prima che arrivassi ha chiamato il manager dei Tokio Hotel e ci ha concesso di poter passare un giorno intero con la band! Potremmo pubblicare in esclusiva cose che gli altri giornali sognano! E magari fare dei podcast!"
Mac era ancora mezza addormentata per capire cosa stesse dicendo veramente la sua amica, ma aveva abbastanza attività celebrale nella sua testa da ricordarsi di quello che era successo venerdì.
"Non so cosa hai fatto per far cambiare idea a quei quattro, ma è stato molto efficace!", fece Jutta, stringendola ancora più forte.
"Sicuramente è stata molto brava e molto convincente.", fece Hilke con spocchia, l'odiosa nuova capo redattrice del settore moda, a qualche scrivania più in là rispetto a loro.
"Di sicuro non mi è servito leccare loro il culo…", disse Mac, alzandole in contemporanea il suo dito medio. L’altra si risentì e tornò al suo computer, lasciando che le due si felicitassero per la buona notizia.
"Mac... dobbiamo fare qualcosa per il tuo brutto caratteraccio in questi giorni.", le disse Jutta, lasciando la presa e iniziando a sistemarle i capelli e gli abiti, come fosse stata un manichino.
"E perchè?", chiese lei.
"Perchè hanno chiesto la tua presenza."
"Chi? Cosa? Come?", domandò Mac, che sperava di aver capito fischi per fiaschi ma che aveva la bruttissima sensazione di non aver perso nemmeno una parola di ciò che aveva sentito.
"Hai capito benissimo, i Tokio Hotel vogliono che sia tu a fare l'intervista."
"Eh no! Eh no! Eh no!", esclamò la ragazza, alzando le mani in segno di arresa e allontanandosi dall'amica,  "Mi dispiace, già ho fatto più di quello che dovevo, mi sono presa quattro litri di birra in testa e un sacco intero di pop corn per farti avere questa esclusiva, adesso torno alle mie amate fotocopie!"


Premette almeno una decina di volte il pulsante dell'ascensore, nervosamente.
"Avanti... muoviti!", disse, attirando le occhiatacce delle persone che erano con lei. Già l'avevano squadrata ben bene quando era entrata nell’abitacolo, adesso l'avevano sicuramente catalogata come schizofrenica o maniaca compulsiva. Erano le otto in punto ed era perfettamente puntuale.
"Piano dodicesimo.", disse la voce vellutata, dall'altoparlante.
Era arrivata. La porta in cui doveva entrare l'attendeva a una decina di metri davanti a lei. Con passo deciso ma molto goffo, la raggiunse e suonò il campanello. Nell'attesa, si tolse quelle maledette decoltè che le aveva prestato Jutta e che le stavano distruggendo i piedi, benchè se le fosse messe solo da cinque minuti. Anche se lei l'aveva obbligata a mettersi quel completo rosino, peraltro sempre suo, Mac aveva con sè un cambio di abiti.
"Desidera?", disse una voce al microfono.
"Sono Mackenzie Rosenbaum, della rivista Pop my life.", si presentò.
"Prego, entri."
Sempre con le scarpe in mano, Mac entrò nell'appartamento, che poi solo dopo comprese essere uno studio di registrazione. Un signore alto, che la squadrava attentamente con faccia interrogativa, le teneva la porta aperta e le faceva segno di proseguire per il corridoio.
"Senta, può dirmi prima dov'è il bagno?", gli domandò, arrossendo. Non doveva essere molto professionale, a piedi scalzi, goffa…
"In fondo a destra.", rispose lui.
Sperando di non essere vista da nessun altro, la ragazza sgattaiolò nel bagno. Davanti allo specchio, si tolse l’ombretto rosa, in tinta con il vestito, e si dette un veloce colpo di matita e di nero sulle palpebre. Si tolse la camicia e infilò velocemente una canotta scolorita con effetti psichedelici. Trovò qualche difficoltà nel tirare giù la zip della gonna, che era difettosa, ma dopo qualche imprecazione ci riuscì. Non essendo un'abile equilibrista dovette appoggiarsi alla porta del bagno per infilarsi i calzini e, mentre cercava di mettersi quello destro, non vide che la maniglia si stava abbassando
La porta la colpì sonoramente nel suo fondoschiena e Mac finì a bocconi in terra.
"Oh cazzo!", sentì esclamare.
"Dio che male...", fece, voltandosi a pancia in su.
"Tutto bene?", le chiese Georg, sbucando dentro al bagno, “Non mi ero accorto che il bagno era occupato… Ti sei fatta male?”
"Sì, anche se questa mano mi fa un po’ male.", disse lei, sedendosi a terra mentre cercava di muovere il polso sinistro.
"Speriamo che non sia rotto...", fece lui, preoccupandosi.
"No, già me lo sono rotto l'anno scorso e non fa per niente male come quella volta... mi sta già passando.", lo tranquillizzò Mac.
“Ah, meglio così, spero che ti passi presto…”, disse il ragazzo, rincuorandosi, “Sei pronta per stare un giorno intero con il tuo gruppo preferito?"
"Sì... ma vorrei mettermi i pantaloni prima, non si fanno interviste in mutande.", fece Mac, accorgendosi che era semplicemente in biancheria e t-shirt.
Georg, notando a sua volta, diventò rosso come un peperone e si scusò per l'inconveniente, uscendo dal bagno. Mac, che già non aveva nessuna voglia di fare quel lavoro, si chiese se fosse meglio scappare dalla finestra, buttandosi dal dodicesimo piano, o scavarsi una buca e sotterrarsi nella toilette, tra i tubi dell’acqua. Per evitare altri inconvenienti girò la chiave del bagno e si infilò i suoi classici ma amatissimi pantaloncini corti a quadretti e le sneakers. Ripiegò i vestiti di Jutta con cura e li infilò in una busta di carta, li avrebbe ripresi a fine giornata e per il momento potevano anche rimanere lì. Si controllò un ultima volta allo specchio, appuntò i capelli sulla testa con un bastoncino e uscì dal bagno.
Lì fuori la aspettava ancora Georg, sempre rosso per la situazione.
"Non ti preoccupare, condivido l'appartamento con un ragazzo e ci sono abituata... solo che lui è gay, è un po' diverso.", gli disse, per calmarlo, quando vide ancora l’imbarazzo sulla sua faccia.
"Sarebbe… il ragazzo dell'altra sera.", indovinò Georg.
"Sì... proprio lui...", disse Mac, con un sorriso stretto perchè non voleva più pensare a venerdì, quando il suo orgoglio era stato vilmente calpestato da tutti.
"Prego.", disse Georg, aprendo la porta dello studio e facendola cavallerescamente passare per prima.
"Eccola! La nostra signorina è arrivata!", esclamò Tom, che imbracciava la sua chitarra, seduto su uno sgabello, appena la vide entrare..
"Ciao a tutti.", disse Mac, salutandoli con poco entusiasmo.
"Ciao!", risposero gli altri, che invece sembravano contenti di vederla.
"Sei pronta?", le disse Bill, andandole incontro.
"Pronta per cosa?", fece lei.
"Ad entrare un giorno nelle nostre vite."
"Ah… insomma...", disse Mac, perplessa.
"E le telecamere dove sono?", le chiese Tom, vedendo che era sola e non accompagnata da una piccola troupe televisiva, con tanto di luci, pannelli riflettenti e microfoni.
“Abbiamo cercato di assoldare qualcuno della BBC oppure della CNN per venire a fare questa giornata con i Tokio Hotel ma, sai, ci hanno detto che sono tutti molto impegnati qua e là…”, disse Mac, ironizzando.
“Ah! Ma che simpatica che sei!”, sbottò Tom, ridendo sforzatamente.
"Diciamo che hanno voluto rendere il tutto più... più...", si spiegò lei, cercando di trovare l'aggettivo giusto, "Naif… e mi hanno affidato queste."
Con sè aveva una borsa nera, una di quelle tipiche da fotografi. Ne estrasse infatti una Canon digitale e una videocamera.
"Wow... alla faccia della BBC!", esclamò Bill, vedendo il misero equipaggiamento della ragazza.
"Non criticare troppo, ho fatto un corso di fotografia di un anno e la so usare questa roba.", fece Mac, riponendo la sua attrezzatura nella borsa.
"Ma non potevano mandare qualcuno ad aiutarti?", le disse Tom, ancora poco convinto della sua professionalità.
"Vuoi che questo magnifico cavalletto in alluminio e plastica venga deformato sulla tua cara testolina?", lo minacciò lei, afferrando il sostegno richiuso della fotocamera.
"E dai ragazzi!", disse Gustav, dietro alla sua batteria "Ci potremmo anche divertire a fare noi stessi le foto e le riprese! Così sarà più divertente!"
"Santo cielo!", esclamò Mac, contenta, "Una voce amica! Una voce intelligente! L'ho sempre saputo che i batteristi hanno una marcia in più."
"E i bassisti?", fece Georg, che nel frattempo si era seduto sul suo sgabello, pronto con il basso indosso.
"Certo, anche loro!", disse Mac, sorridendogli, "Siete voi il perno rock del gruppo, mi piacete!"
"Avanti, ora che avete smesso di litigare come galline dobbiamo iniziare.", disse la voce di David, che irruppe nello studio insonorizzato attraverso l'interfono che lo collegava alla sala delle apparecchiature, "Mac, potresti venire da questa parte, così i ragazzi possono suonare?"
"Ok, vengo subito.", disse, raccogliendo la sua roba e raggiungendolo.
Mentre cercava di programmare la macchina fotografica per fare qualche foto ai ragazzi senza che venisse il riflesso sul vetro, Mac fece una chiacchierata con il loro manager.
"Ti stanno proprio a metà strada... vero?", le chiese lui, mentre spostava qualcuno di quei bottoni grigi su e giù per la consolle.
"Beh... non è che mi sono antipatici, a dirla tutta. E' che abbiamo avuto modo di... scontrarci più che incontrarci. E la loro musica non mi piace, sono più per altri generi."
"I gusti sono gusti.", disse David.
"Già...", fece Mac, che cercava ancora di capire come si utilizzava quell'aggeggio.
"Qualche problema?", fece lui, notando che la ragazza sembrava trovarsi in difficoltà.
"Sì... anzi no, ho risolto.", disse lei, "Posso fare qualche foto, nel frattempo?"
"Certo, non penso che li disturberai.", disse l'uomo.
Nel frattempo che Mac scattava, venne a sapere molte cose sui ragazzi: fatti privati, il loro carattere e così via. Si sentiva soprattutto affine con Georg e Gustav, perchè, anche se l'heavy metal non proprio era al primo posto dei suoi gusti musicali, c'era molto vicino. Di Bill non condivideva tutta la sua passione per la cura nell’aspetto fisico, di Tom non sopportava il suo essere presuntuoso e spesso arrogante.
Insomma…
In fin dei conti erano dei ragazzi come lei, della sua età.
Solo con una valanga di soldi in più e un successo europeo.

 

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Capitolo 5
*** Girls just want to have fun ***


5. GIRLS JUST WANT TO HAVE FUN




La sessione di prove finì dopo poco più di un’ora.
"Adesso cosa faranno?", chiese a David.
"Hanno un servizio fotografico a mezzogiorno e poi il pomeriggio libero, quindi sarà una giornata perfetta per il tuo lavoro, potrai torturarli con le tue domande fino a sera! Partiamo alle undici, tra due due ore, vieni con noi."
"Benissimo.", disse Mac.
I ragazzi posarono i loro strumenti e uscirono dalla sala per andare in un'altra stanza, chiamata semplicemente stanza del relax. Lì avevano tutto l'occorrente per passare le loro giornate: playstation, tv, lettore dvd, stereo e un frigo bar in cui avevano litri di coca e altre bibite varie.
"Non è che mi riempirete di schifezze come venerdì?", disse loro ridendo, mentre entravano nella stanza.
"Se ti comporterai bene...”, le fece Tom, “E finora non mi sembri molto buona…”
"Lascialo perdere,", disse Georg, notando l’occhiataccia che Mac aveva lanciato a Tom, "è sempre il solito sbruffone."
"Lo annoterò nei miei appunti…. Allora....", fece lei, riponendo l’ascia di guerra, mentre sfogliava il suo block notes alla ricerca delle domande che aveva preparato per loro.
"Non inizierai mica a intervistarci ora!", fece Bill, con aria stanca, "Abbiamo tutto il pomeriggio davanti a noi!"
"Ti capisco, però prima facciamo questa cosa...", si spiegò Mac.
"Ma ti stiamo così tanto antipatici?", fece Gustav, scocciato dall'atteggiamento negativo della ragazza.
"Hai ragione, scusa, è la mia parte acida che viene fuori quando si sente a disagio... Che volete fare allora?", fece Mac, scusandosi per la sua perseveranza nell’errore.
"Partita alla play?", propose Tom, incontrando il parere favorevole dei suoi compagni.
"Ok, allora posso riprendervi un po'?", domandò Mac.
"Fai pure!", disse Georg.
Mac sistemò la telecamera in un punto dal quale si poteva riprendere tutta la stanza e premette il pulsante rec. I ragazzi si sfidarono al classico gioco spara tutto, quello in cui si puntava il mirino e si doveva uccidere chiunque si parava davanti ad esso… Un gioco che a Mac non piaceva per niente. La prima partita era tra Tom e suo fratello e, a detta di Gustav, sarebbero andati avanti per molto senza che uno dei due perdesse. Infatti, dopo un'ora ininterrotta di gioco i due erano sempre incollati allo schermo a sfidarsi.
"Che palle...", esclamò Georg, "Non ci fate mai giocare!"
"Un minuto!", disse Bill.
"Sì, mezz'ora di minuti fa stava a me..."
"Giocate sempre a questo tipo di giochi qua?", gli chiese Mac.
"Sì, più o meno lo stile è quello, gli altri non ci piacciono molto.”, rispose Gustav, anche lui in attesa del suo turno, “E poi con questi si possono fare le sfide a due, le classifiche."
"Interessante..."
"Ti stai annoiando vero?", le chiese Georg, vedendola un po' appassita.
"Beh... mi piacciono i videogiochi ma non sono una grande appassionata come voi."
"Allora cosa ti piace fare?"
"Mi piace camminare, stare all'aria aperta, mi piacciono i cinema, andare ai concerti, stare nei pub ad ubriacarci finchè riusciamo a restare in piedi, mi piace chiacchierare sinceramente con una persona... solo che lavoro troppo e non ho tutto questo tempo libero come voi. Diciamo che oggi per me è una vacanza!"
"Perchè? Fai dei brutti orari?", le chiese Gustav.
"No, ho due lavori. Al giornale e nel locale dove ci siamo incontrati venerdì. Lo faccio perchè come assistente di redazione non guadagno molto bene... Mi fanno sgobbare! Siete fortunati voi, non sapete quanto. Fate ciò che amate di più nella vita e guadagnate un pacco di soldi!"
"Stiamo settimane senza fermarci, la stampa ci sta alle calcagna e abbiamo tonnellate di ragazzine urlanti che ci vengono dietro fedelissime...", disse Georg, elencando i lati negativi dell’essere parte Tokio Hotel.
“Il vostro respiro vale migliaia di euro… Georg, se potessi cambierei la mia vita con la tua, anche se non sopporterei niente di tutto quello che vi circonda!”, disse Mac, con una vistosa punta di invidia.
"Ma non te lo danno un aumento?", le chiese Gustav.
"Forse se faccio un buon lavoro con voi... basterebbe poco per farmi lasciare l'altro lavoro. La maggior parte delle spese vanno a finire nella mia macchina."
"Già… Con tutto quello che costa la benzina...", disse Georg, mettendosi le mani dietro alla testa.
"Magari fosse solo quella... guarda un po'...", fece lei, alzandosi e andando verso la finestra, "Quel cartoccio lì è la mia macchina."
I ragazzi seguirono la direzione in cui puntava il suo dito.
"Quale? Quella celeste?... spero di no!", fece Georg, vedendo un vecchio ammasso di ferraglia colorata.
"E invece sì... è la mia adorata macchinina...", disse Mac, sospirando.
"Gesù... ma cade a pezzi! Perchè non la compri nuova?”, le fece Gustav, che non poteva credere ai suoi occhi. La carrozzeria era arrugginita alle giunture, il parafango posteriore stava per cadere da un momento all’altro… più che una macchina d’epoca era una macchina preistorica…
"Non me ne posso permettere una nuova, nè una usata.", spiegò Mac.
“Ma i tuoi genitori? Non ti potrebbero aiutare?”
“Volendo potrei anche chiedere loro di anticiparmi qualcosa… ma da quando vivo da sola sto cercando di fare a meno del loro aiuto economico.”, disse lei.
“Vivi da sola?!?!”, esclamò Georg, incredulo.
“Sì… è un anno che me ne sono andata di casa. Non per problemi familiari, solo per bisogno di indipendenza.”
“Ma quanti anni hai?”, le chiese Gustav, che fino a quel momento gliene avrebbe potuti dare circa diciotto… già faceva due lavori, viveva da sola… si doveva essere diplomata in anticipo, oppure aveva smesso di studiare…
“Diciannove.”, rivelò lei.
“Niente università?”, le domandò Georg.
“No… diplomata a suon di scappellotti. Non ho mai amato la scuola!”, disse lei, ridendo senza imbarazzo.
"E' un peccato... una bella ragazza come te non fa una bella figura su quella macchina...", fece Georg. Dimostrava molta sicurezza in se stessa e, per avere la sua età, era sicuramente più matura di tutte le altre ragazze sue coetanee. Era solo di un anno più piccola di lui e già doveva preoccuparsi di come arrivare alla fine del mese…
"Wow! Allora Tom non è l'unico marpione del gruppo!", se ne uscì Mac, scoppiando a ridere fragorosamente.
"Ok, lo prendo come un complimento!", fece l'altro ridendo.
"Ti ho ucciso!", esclamò improvvisamente Tom, che evidentemente aveva distrutto suo fratello.
"A quel paese!", fece Bill, lasciando arrabbiato il joystick che fu presto afferrato da Gustav.
Si avvicinò alla finestra dove Mac e Georg stavano ancora osservando la Celestina.
"Vi dispiace se fumo ragazzi?", chiese Mac ai due.
"No figurati.", le risposero.
Frugò nella borsa ed estrasse una scatoletta di latta tutta colorata, con un grosso simbolo della pace sul coperchio. La aprì, prese una sigaretta e se la mise in bocca. Tirò fuori un pacchetto di fiammiferi, lo sfregò e accese la sigaretta, gettandolo poi in un posacenere appoggiato sul davanzale della finestra.. I ragazzi rimasero lì a guardarla, come se stesse facendo una cosa a loro nuova e sconosciuta.
"Beh, che c'è?", fece lei, dopo aver aspirato la prima boccata.
"Usi i fiammiferi?", le chiese Bill.
"Sì, odio gli accendini, non riesco ad usarli.", disse Mac, poi gli offrì la sigaretta, "Vuoi fare un tiro?"
"Volentieri.", fece l'altro, prendendola e aspirando, "Che sapore strano... sanno di liquirizia!"
"Guarda...", fece Mac, mostrandogli la scatoletta di latta in cui teneva le sigarette, "Ci metto la liquirizia in piccoli pezzi e ne prendono il sapore. Tienila pure, io ne prendo un'altra."
"Wow, non ho mai visto una cosa del genere.", disse Georg.
"Allora prenditene una pure tu."
Mentre i tre, alla finestra, si gustavano le loro sigarette alla liquirizia, David entrò nella stanza per annunciare che tra un'ora sarebbero partiti.
"Un altro servizio fotografico... che palle...", disse Georg, "Non basta prendere le nostre vecchie foto, ne abbiamo fatte a migliaia!"
"Dovrei farvene qualcuna anche io... per l'intervista...", disse Mac, con la sigaretta in bocca, mentre programmava la sua reflex.
"Dai, ti prego, no!", fece l'altro.
"Devo... mi dispiace.", disse lei, scattandogliene una al volo.
"Cancellala, sicuramente sono venuto uno sgorbio...", la pregò Georg, cercando di afferrare la fotocamera dalle sue mani.
"Eh no! Io voglio i veri Tokio Hotel, voglio i ragazzi normali, non voglio le rock star, montate e programmate dalle case discografiche e dai contratti.", fece lei, facendogliene un'altra.
"Dammi quella macchina!", esclamò l'altro, cercando di prendergliela.
"Bellissimo! Mi sembra di essere un paparazzo! Mi picchierai ora?", disse Mac, riusciva sempre a scansare le mani di Georg, "Dai, pensa che lo stai facendo per una povera ragazza che deve fare due lavori per mantenersi."
"Allora va bene... come sto così?", fece lui, atteggiandosi da James Dean.
"Perfetto!", esclamò Mac, facendogli l’occhiolino.
"Ora fanne una a me!", fece Bill, posando con la bocca chiusa in un bacio e gli occhi stretti.
Mac riuscì ad invogliare anche Gustav ad essere immortalato in posizioni strambe, da ragazzi normali. Pre Tom, che era il più restio di tutti, lasciò il suo videogioco per divertirsi con gli altri.
"Ecco, perfetto, Gustav prendi Georg tra le braccia come se fosse un bambino!", disse Mac.
"Vuoi farmi venire un'ernia?", protestò a gran voce Gustav.
"Oh, tesoro mio,”  esclamò Georg, affinando la sua voce profonda e prendendo a sculettare, “vuoi davvero che ti stringa forte forte?"
"No, ho cambiato di nuovo idea!", disse Gustav, allontanandosi, ma Georg lo prese in braccio già prima che lui potesse dire altro e Mac, prontamente, scattò un'altra foto.
"Ora tocca a te, Tom...”, disse la ragazza, appoggiando una mano sul fianco e abbozzando un sorriso molto poco rassicurante, “Ho una bella idea...."

 

"No! Io non lo faccio!", esclamò Tom, arrabbiato.
"Certo che lo farai!", fece suo fratello.
"Non ci penso nemmeno!"
"Fu tua l'idea di versarle la birra e i pop corn addosso. Se si vuole vendicare è più che giustificata!"
"Mai e poi mai!", ribattè l’altro, irremovibile.
Dentro al bagno, Tom di rifiutava categoricamente di fare come gli aveva chiesto Mac. Intanto lei, insieme agli altri due ragazzi, aspettava fuori e rideva, attendendo di vedere il risultato della sua idea.
"Tom, fai come ti dico e poi potrai vendicarti come vuoi!", disse Mac, appoggiandosi alla porta del bagno, cercando di non ridere.
"Ma cosa state facendo?", chiese David, vedendoli tutti intorno alla toilette, che si coprivano la faccia e sghignazzavano sonoramente. Gustav gli fece segno di non preoccuparsi e l'uomo si rassegnò, sapeva quanto diventavano pazzi se si impegnavano, chissà cosa stava per succedere.
"Rullo di tamburi!", disse Bill, aprendo la porta, "Ta daaaaa!"
Si discostò dalla soglia della porta, per permettere a Tom di fare la sua uscita trionfale, ma di lui non c'era traccia.
“Tom?”, fece Mac, con la fotocamera pronta.
“Fottetevi tutti.”, sibilò il ragazzo, mostrandosi al suo pubblico con faccia imbronciata.
Dopo un attimo di silenzio, Georg scoppiò in una risata isterica e si accasciò in terra. Gustav rimaneva lì, con gli occhi di fuori, incerto tra il ridere o il piangere, in entrambi i casi per le risate. Mac, aspettandosi che il ragazzo si nascondesse di nuovo, scattò subito un paio di fotografie.
"Tom... sei... sei...", cercava di dire Georg, "Sei bellissima!"
La vendetta di Mac si era compiuta: con sguardo soddisfatto, davanti a lei Tom, che indossava il completo di Jutta, truccato ad arte del fratello. Il rosa pallido gli donava benissimo, pensava soddisfatta. L'unica cosa inquietante erano i peli sulle sue gambe… senza quelli sarebbe stata una perfetta drag queen! Anche David, che rimasto nei paraggi per vedere cosa avevano combinato, scoppiò a ridere.
"Basta che siate pronti per uscire tra mezz'ora, poi puoi fargli tutte le fotografie che vuoi!", disse, una volta che ebbe recuperato il fiato.

 

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Capitolo 6
*** A Swedish gift ***


6. A SWEDISH GIFT




Mac, durante il viaggio verso lo studio fotografico, guardò le fotografie scattate. Fino a quel momento, a parte quegli scatti e il filmato, non aveva raccolto molto materiale per un articolo, quindi doveva fare di meglio, anche se non ne aveva voglia.
Le foto erano molto simpatiche e, modestamente, fatte anche bene. Li ritraevano come dei ragazzi normali e per questo le piacevano... le fotografie, si intende, non loro, anche se aveva iniziato ad apprezzarli, lentamente. Nel mentre che attendeva, seduta in disparte, che il servizio fosse finito, osservò le star al lavoro. Notò la mania compulsiva di Bill nell'essere perfettamente a posto, cosa che non era successa prima quando era stata lei a fotografarlo; osservò la totale inconcludenza di Tom, che veniva ripreso ogni secondo da David. Georg e Gustav, invece, continuavano a fare gli scemi e cercavano di scherzare con il fotografo, che apprezzava la loro spontaneità.
Annoiata tremendamente da quelle fotografie troppo banali, Mac sfoderò i suoi passatempi preferiti, in altre parole, musica e lettura. Con le cuffie del suo lettore mp3 nelle orecchie, leggeva l'ultimo suo acquisto, una rassegna delle strisce dei Peanuts, il suo fumetto preferito. Passò l'ora sorridendo del sarcasmo di Lucy, dell'ingenuità di Linus e dell'eterna insoddisfazione di Charlie, i tre personaggi che amava.


"Secondo te cosa sta leggendo?", chiese Georg a Tom, in un attimo in cui il fotografo distraeva perchè stava sorseggiando la sua acqua.
"Sa leggere? Non sa solo prenderci per il culo?", fece l'altro, ancora irritato per essere stato conciato come una donna.
"Evidentemente sì.... e poi le stiamo simpatici, secondo me..."
"Secondo me, invece, quella ti piace eccome... Una bella ragazza come te sfigura su una macchina del genere! Ma per favore, le prendi così le donne?", disse Tom, sfoderando il complimento che aveva sentito uscire dalla sua bocca, quando erano in sala relax.
"Ma dacci un taglio!", fece l'altro, dandogli una pacca sulla schiena.
Dopo qualche fotografia al gruppo, fu il turno dei gemelli, in posa per la copertina del giornale in cui le fotografie stavano per essere pubblicate. Georg e Gustav avvicinarono a lei, che era completamente assorta tra la musica e la lettura. Gustav le passò vicino ma lei non fece una piega, pareva avere gli occhi incollati sul libro. Notò subito che Georg gli stava facendo dei segnali strani…
Voleva farle uno scherzo, era ovvio.
“Non si è accorta di niente...", disse Gustav, a voce molto bassa. Georg gli fece segno di no con la testa, mentre tratteneva una risata con fatica. Si avvicinò a lei, intenzionato a sfilarle all’improvviso il libro di mano ma…
"BUUUUU!", esclamò Mac, scattando come un felino e facendolo cadere all'indietro per lo spavento.
" Ma sei scema? Mi hai fatto prendere un infarto!", sbottò Georg, mettendosi la mano al cuore.
"Pensi di fare paura ad una come me?", gli chiese lei ridendo, avvicinandogli la mano per aiutarlo ad alzarsi. Li aveva visti perfettamente e, quando aveva capito che lui voleva spaventarla, lo aveva anticipato di qualche secondo prendendolo in contropiede. Tutti, compreso il fotografo, avevano assistito alla rovinosa caduta del bassista e stavano ridendo come pazzi.
"A questo punto non più...", disse l'altro, accettando l'aiuto.
"Sembravi così assorta nella lettura... deve essere qualcosa di molto interessante...", disse Gustav.
"Beh.. dipende dai gusti.", fece lei, prendendo il libriccino teneva nella mano destra, "Ti piacciono i Peanuts? Sai, Charlie Brown, Snoopy..."
"Si, certo che li conosco, anche se non li ho mai letti. Non sono fumetti da bambini?", disse Georg.
"Bambini? Non direi proprio... tieni, te lo regalo.", fece la ragazza, porgendogli il libro, "Poi ne riparliamo."
"Me lo fai un autografo?", le chiese Georg.


Arrivati in hotel, i ragazzi presero il loro tempo e Mac andò a farsi un giro per la città. Stava passando così tanto tempo con loro che le stavano diventando simpatici. Passeggiando, con il sole che le batteva forte sulla testa, le vennero in mente un paio di idee per passare la serata in allegria. Il cellulare le squillò, era Jutta.
"Allora? Come va l'intervista?", le domandò.
"Beh... non è che abbia raccolto molto materiale... escludendo le fotografie, ne ho fatte di spassosissime!"
"Vedi di fare domande intelligenti, non le solite cavolate!", la riprese l’altra.
"Certo Jutta...", fece Mac, un po' spazientita dall'apprensione dell'amica.
"E non fare cazzate!"
"No, tranquilla."
"Allora ci sentiamo tra qualche ora. Mi raccomando, usa il cervello, so che ne hai uno dentro la testa!"
"Va bene, ciao!", fece Mac, chiudendo la chiamata.
Intervista, intervista, intervista... che palle, non le venivano domande da fare! Già gli altri giornalisti avevano chiesto loro tutto quello che c'era da chiedere!
Un passo dietro l’altro era arrivata al supermercato: afferrò il carrello e si districò tra gli scaffali. Dopo quegli acquisti, tra cui annoveravano birra, patatine e schifezze varie, passò velocemente da casa sua.
"Bellissimo amore mio dolce sei tornata?", si precipitò Thiago, abbracciandola e sollevandola da terra.
"No, riparto quasi subito...."
"Dai! Dai! Raccontami, cosa è successo?", disse l'altro, in trepidante attesa.
"Niente, ho solo fatto qualche foto... ma non mi riesce fare un'intervista...", disse Mac, delusa.
"Oh, patata mia, non ti preoccupare, quella tua testolina malata troverà qualcosa da domandare. Dimmi come sono? Simpatici?"
"Beh, sì, diciamo di sì….", dovette ammettere, anche se contro la sua voglia.
"E le fotografie? Me le fai vedere?"
"Ho lasciato la macchina in auto, semmai quando rientro a casa le memorizzo sul pc, così le teniamo tutte per noi.", disse Mac, non molto entusiasta dell'idea.
"Mi raccomando, fatti fare tanti autografi per me!"
"Certo Thiago... ora devo andare. Hai visto le mie sigarette?"
"No... comunque quel tuo amico svedese, quello con la faccia a banana, mi ha dato questo.", fece lui, porgendole un pacchettino infiocchettato, che aveva preso dal cassetto del tavolino accanto alla porta.
"Chissà cosa sarà....”, disse Mac, esaminandolo, “E poi non ha la faccia a banana!"
"Certo, sembra un cavallo! E non si capisce una mazza quando parla!", fece Thiago, incrociando le braccia. Non gli stava molto simpatico quel ragazzo, ma era comunque vero che era del tutto incomprensibile quando parlava…
"Ringrazialo se lo vedi stasera, quando esci!", gli fece.
"Allora preferisco rimanere a casa... è viscido... e ha la faccia a banana!", ripetè lui, con aria disgustata.
"Come ti pare... ci vediamo!"
"Vieni qua amore!", fece lui, prendendola per le guance e dandole uno schioccante bacio a stampo sulla bocca.


Georg guardava il soffitto mentre Gustav, entrato abusivamente nella sua stanza, si era appropriato del suo basso. Voleva imparare a suonarlo e ovviamente gli chiedeva un aiutino.
"Secondo te Mac....", iniziò a dar voce al discorso che gli frullava nella testa da un po’.
"Dimmi.", disse Gustav.
"Secondo te Mac è lesbica?", chiese Georg.
L'altro tolse lo sguardo dalle corde del basso e spostò la sua attenzione verso l'amico.
"E perchè dovrebbe esserlo?"
"Beh... per una serie di motivi: innanzitutto, non si veste in maniera molto femminile, sembra più un maschiaccio. Poi, non ha mostrato interesse verso nessuno di noi."
"Non è detto che tutte le donne debbano saltarci addosso solo perchè siamo i Tokio Hotel!", sbuffò Gustav.
"Ho capito ma... insomma, siamo o non siamo dei bei ragazzi?", fece l'altro, come se avesse detto la cosa più scontata del mondo.
" Magari non le piacciamo, magari non siamo i suoi tipi.”, ipotizzò Gusta, “Anzi, invece di dire magari, dico che non siamo affatto i suoi tipi."
In quel momento i Kaulitz, svegliatisi dopo un sonnellino pomeridiano, bussarono alla loro porta, in cerca di qualcosa da fare.
"Di cosa si chiacchierava di bello?", fece Tom, sedendosi sul divano.
"Di Mac... secondo me è lesbica.", disse Gustav.
"Anche secondo me.", rivelò Tom, "E' carina, ma ha un certo jenesicuè che fa allontanare gli uomini."
"Un jenesi cosa?", fece Bill sedutosi accanto a Gustav.
"Insomma, quel certo non so che...", cercò di spiegarsi Tom.
"Si dice jenosequi!", puntualizzò Bill, anche se non era molto sicuro che la sua correzione fosse effettivamente giusta.
"Sì, quello lì, ci siamo capiti!"
"Io non la vedo in questo modo.", disse Bill, aprendosi una lattina di coca che giaceva inutilizzata sul pavimento insieme alle altre, "Secondo me non le piacciamo noi in generale."
"Anche io la penso così..." fece Gustav, "E' simpatica, è carina, ma siamo i Tokio Hotel e lei ci odia."
"E lasciamo che ci odi allora!", disse Tom, che non sembrava trovare nessun problema nella questione..
"Perchè dovremmo?", disse Georg, "Non mi piace essere odiato dalla gente, anche se so che non posso piacere a tutto il mondo. Speriamo che non scriva un articolo contro di noi."
"Non glielo farebbero pubblicare.", disse Gustav, che era tornato a fissare il soffitto, con le mani dietro la testa, "Ma ha delle foto molto compromettenti di Tom!"
Prima che il ragazzo potesse rispondergli con un pugno sul braccio, il telefono della camera squillò.
"Signor Listing, qua c'è una signorina che dice di conoscere lei ed i suoi amici. Devo chiamare la polizia?", gli chiese la voce all'altro capo della linea, era sicuramente il portiere.
"Per caso questa signorina sembra una pazza scatenata?", fece lui, scatenando un’esplosione di risate.
"Sì... direi proprio di sì...", disse il portiere, in tono abbastanza imbarazzato.
"Allora la faccia salire, è una nostra amica."
"Ma signore, ha con sè delle buste di plastica! Non posso farla salire!", esclamò l’altro.
"Non si preoccupi, metta sul nostro conto  se ci saranno problemi.", fece, agganciando il telefono.
"E' tornata....", fece Tom, con aria scocciata.
"Dice che ha delle buste con sè... cosa avrà portato?", disse Georg.
"Speriamo che sia roba buona!", esclamò Gustav, sfregando le mani.

Erano le sei e trenta del pomeriggio quando Mac bussò alla porta della camera 623, affaticata per aver trasportato, lungo tutto il corridoio, le buste della spesa senza che nessuno le avesse dato una mano.
Fu Bill ad aprirle e, vedendola abbastanza accalorata per lo sforzo, in uno slancio di cavalleria le prese parte del suo fardello.
"Grazie... sei un angelo...", fece lei, che respirava affannosamente.
"Hai fatto sei piani a piedi?", le chiese Tom, che aveva evitato di darle della stupida.
"No, ho preso l'ascensore, ma è sempre una faticaccia!", fece lei, dopo che si fu buttata sul letto a gambe e braccia aperte, costringendo Georg, anche lui in panciolle lì sopra, a spostarsi per non essere preso in faccia da una manata.
"Hey! Questo è il mio posto!", esclamò il ragazzo.
"Fatti più in là e ci entriamo entrambi...", borbottò Mac, esausta.
"Wow!", fece Bill, guardando dentro alle buste, "Strano che non ti abbiano arrestato per spaccio, con tutta questa birra!"
"L'ho fatto per voi, mi sembravate un po' flaccidi, secondo me non vi divertite tanto voi Tokio Hotel!", disse Mac.
"Certo che ci divertiamo!”, sbuffò Tom, “E' solo che non possiamo dare di fuori in questi giorni perchè dobbiamo lavorare!"
"Certamente....", fece Mac, poco convinta e con sarcasmo mentre, insieme a Bill, toglieva dalle buste di plastica quello che aveva comprato per la serata.
"Oh… Certamente...", disse Tom, storpiando la parola per farle il verso.
"Vuoi che ti chiuda quella boccaccia?”, disse Georg, che aveva già previsto una litigata tra i due, “Ringraziala piuttosto… ci ha portato tutto questo ben di dio di nascosto da David!"


Stapparono le prime bottiglie con un cavatappi di fortuna, che non era altro che la chiave di casa di Mac e, dopo un breve brindisi, bevvero in silenzio, in contemplazione. Dopo il primo sorso, Mac tirò un sospiro di sollievo: aveva bisogno di alcol per rilassarsi e lucidarsi le idee, doveva fare un'intervista e si sentiva tesa, con il cervello completamente vuoto.
"Dove vai in vacanza di solito Mac?", le chiese Georg, rompendo il silenzio rilassato.
"Mah...,”, rispose lei, “Di solito parto con i miei amici, zaino in spalla, tenda in una mano, biglietti dei treni nell'altra e andiamo dove ci pare. Stiamo via una ventina di giorni, spendiamo tutti i risparmi e torniamo a casa senza il becco di un quattrino."
"Forte! Anche a me piace tantissimo questo genere di vacanza!", esclamò Gustav, entusiasta, “Incontri dei tipi fantastici, fai amicizia col primo gatto che passa...."
"Sì, buttarsi via ogni sera nel primo locale che troviamo...”, continuò Mac, “L'anno scorso abbiamo fatto un tour nell'Olanda. Posto fantastico, ve lo consiglio. E quest'anno pensiamo di andarcene in Europa dell'est, Budapest, Bucarest, Praga e così via."
"Bellissimo... vorrei tanto venire con voi ma non credo che sarà un viaggio piacevole.", disse Gustav.
"E perchè? Hai paura di essere riconosciuto?”
Lui annuì e fece spallucce, in segno di rassegnazione.
“Scommetterei un braccio che nessuno ti romperebbe le scatole... nemmeno a voi due Kaulitz.", disse Mac.
"Come fai ad esserne così sicura?", le fece Tom, che nel frattempo stava già stappando un'altra birra per sè e per suo fratello.
"Beh...”, gli rispose Mac, dopo qualche attimo di incertezza, “Di sicuro la gente non si aspetterà mai di vedervi passeggiare tranquillamente come turisti, senza guardie del corpo, con uno zaino indosso, senza un look riconoscibile… e per questo non vi degnerà nemmeno di uno sguardo, vi confonderà con il resto della folla."
Gli altri rimasero perplessi, in silenzio.
"E comunque tu non verresti!", sbottò Mac.
"E perchè?", si risentì Tom.
"Perchè no! Sei antipatico!"
"Antipatico io? Tu sei acida come una zitella di cinquant'anni con...", fece lui, esplodendo.
"Tom!", esclamarono in coro gli altri tre.
"Ma è vero!", disse lui, con aria infantile.
"Bevete un altro po' e vi rimarrete simpatici...", disse Georg, stappandosi un'altra bottiglia.
Dopo qualche ora, Mac rideva come una scema mentre Gustav le raccontava le sue disavventure con le fans. Bill invece, si era seduto con le gambe appoggiate sullo schienale e la testa penzolante, fuori dalla seduta del divano mentre Tom se ne stava sotto la finestra insieme a Georg, cantando versi da osteria che nessuno dei due ricordava. Si erano tutti ubriacati…
"Un momento ragazzi, un momento!", fece Mac, alzandosi a stento, "Un mio amico svedese... non mi ricordo come si chiama... mi ha fatto un regalo!"
Gli altri si lanciarono in uno olè molto sbiascicato.
"Ora lo apro!"
Mac frugò nella sua borsa, cercando di recuperare un po' di lucidità.
"Eccolo!", disse, prendendolo e mostrandolo come se fosse un dono degli dei. Slegò il fiocco che teneva chiusa quella scatolina di cartone blu e tolse il coperchietto.
"Wow....", fece, boccheggiando.
"Cosa ti ha regalato?", fece Bill, alzandosi dal divano.
"Ah! Che scema!”, sbottò Mac, “Questo mio amico ha un nonno che produce tabacco per conto di una multinazionale e mi ha preparato delle sigarette fatte appunto con quel tabacco! Mi ha detto che è speciale!"
"Davvero?", disse Georg, con gli occhi lucidi.
"Sì.. meno male perchè non avevo più sigarette. Comunque mi ha detto che è molto forte e che è meglio non fumarsene una intera, se non si è abituati, perchè non è ancora stato completamente trattato."
"Allora facciamo girare queste sigarette svedesi!", esclamò Tom, balzando in piedi.
"Ma io non fumo...", fece Gustav.
"Lo farai... lo farai...", disse Mac, sfoderando i suoi fiammiferi.

 

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Capitolo 7
*** Smoke gets in your eyes ***


7. SMOKE GETS IN YOUR EYES



"Oddio... ma quanto è forte questo tabacco!", esclamò Tom, dopo averne preso un tiro ed aver represso un colpo di tosse.
"Già...", fece Mac, "E poi ha un sapore strano."
Quando la sigaretta arrivò a Gustav, ci volle un po' prima che questo se la mettesse in bocca e la aspirasse, sotto le pressioni e le prese di giro dei suoi amici. Dopo la prima boccata, fu normale che esplodesse in colpi di tosse fortissimi.
"Sto morendo soffocato e voi ridete!", fece lui, quando ebbe ripreso un po' di fiato.
"Sei rosso come un peperone...", esclamò Bill, mentre il fumo gli usciva lentamente dalle labbra.
In cerchio, con le gambe incrociate, i ragazzi stavano lì e si rilassavano completamente. Ben presto la sigaretta finì ma nessuno di loro aveva intenzione di accenderne un'altra perchè pensavano che fosse troppo pesante.
Si sentivano spensierati, con la testa leggera, e molto tranquilli.
"Non lo so ragazzi...", fece Bill, appoggiando la schiena a terra, "Ma io ho tanta voglia di togliermi le scarpe."
"Beh... toglitele...", gli rispose Gustav, noncurante.
"Davvero? Sarebbe bellissimo stare a piedi nudi... e camminare....", disse l’altro, muovendo le mani nell’aria.
"Ma cosa dici Bill?", fece Georg, mettendosi a ridere..
"Sì... ho tanta voglia di stare senza scarpe.", continuò Bill, e se le tolse, "Voi non ne avete voglia?"
"Io ho voglia di togliermi i pantaloni!", disse Mac, iniziando a ridere, "Meno male che ho sempre un paio di pantalocini sotto... altrimenti avreste visto tutto!"
Gli altri si misero a ridere insieme a lei, mentre allentava la cintura e si toglieva i pantaloni. In un angolo nascosto della sua testa, una vocina ovattata le stava dando della deficiente, che non era normale avere la voglia di togliersi i pantaloni davanti a ben quattro ragazzi… Ma era così lontana ed estranea, che Mac non le dette ascolto.
"Dimmi Mac...", le fece Georg, "C'è una cosa che avresti voluto fare ma che non hai mai fatto in vita tua?"
"Allora... non lo so, ma ora che mi ci fai proprio pensare...", disse lei, stendendosi a terra nello spazio vuoto dentro al cerchio delle gambe incrociate, "C'è un film... mi sembra si intitoli... boh, non mi ricordo, comunque c'è questo qui che penzola a testa in giù e arriva una e lo bacia... così, lei in piedi, lui a testa sotto-sopra. Un giorno mi ci metto anche io come lui e aspetto che arrivi qualcuno e mi baci.", disse lei.
Sentì le parole uscirle dalla bocca come acqua dalla fonte, limpide e leggere.
Gustav, le cui gambe quasi toccavano la testa di Mac, sentì che la cosa più naturale da fare in quel momento era abbassarsi e realizzare quel suo pazzo sogno, sfiorandole appena le labbra.
"Hey... ragazzo, non si fa così.", disse Mac, sorridendogli.
"Hai ragione... eppure non ho resistito!", fece l'altro, ricambiando il sorriso.
"E come ci si sente dopo?", domandò Tom, che aveva cercato di immaginarsi quella scena del film, di cui non ricordava il titolo proprio come Mac.
"Vuoi provare?", gli fece Gustav, con soddisfazione.
“Baciala tu la principessa rospa! Io non lo farò di certo!”, sbottò Tom, incrociando le braccia e arricciando il naso, “Piuttosto mi bacio da solo!”
Si portò una mano alla bocca, si dette un bacio sulle dita e se lo stampò sulla guancia.
"Hai proprio ragione…", fece Mac, alzandosi di scatto. Le venne un giramento di testa e si portò le mani alle tempie, come se questo potesse riuscire a fermare il vortice, "Non so cosa mi prende..."
"Non credi che anche a noi spetti qualcosa?", fece Georg, guardando Mac con aria maliziosa .
"Facciamo così!”, fece lei, che ancora doveva scongiurare un nuovo capogiro, “Ora chi non ha mai baciato nel giro di venti secondi si baci tra sè!"
"Va bene!", esclamarono quasi contemporaneamente Bill e Georg... ma i loro sguardi si incrociarono, i due iniziarono a negarsi.
"No! Io non ci penso nemmeno!", fece Bill, tappandosi la bocca con una mano.
"Manco io!", sbottò l'altro.
"Avete detto che lo avreste fatto e ora lo fate!", disse Tom.
"Giochiamo a nascondino!", disse all'improvviso Gustav, esulando del tutto dalle vere intenzioni degli altri ragazzi, che lo guardarono come se avesse detto la più grossa stupidata del mondo.
Mac, che aveva un cuscino a portata di mano, glielo tirò in faccia, scatenando una violenta lotta all’ultima piuma. Bill che picchiava il fratello e viceversa, Mac piegata a guscio mentre Gustav e Georg si sfogavano su di lei, ridendo come pazzi. Solo lo squillo del telefono della camera interruppe la guerra.
Era il portiere che raccomandava di fare più silenzio perchè le camere del piano di sotto si erano lamentate.
"Che palle... e ora che facciamo?", fece Bill, buttandosi a peso morto sul letto, seguito dagli altri quattro.
Dopo qualche tempo passato a prendersi a calci, per riuscire a conquistare qualche centimetro in più di materasso, i quattro riuscirono ad accomodarsi come meglio potevano sul letto doppio di Georg.
"Facciamo quel gioco stupido che si fa di solito alle medie... verità o penitenza!", propose Mac.
"Ma è troppo stupido stupido stupido...", fece Georg.
"Dai, ci divertiremo un mondo, come le ragazzine ai pigiama party!", disse Bill, entusiasta.
"Facciamo un pigiama party!", propose Gustav a ruota e incontrando il parere favorevole degli altri.
"Ma... non abbiamo il pigiama noi...", dissero quasi simultaneamente i due fratelli.
"E come andate a dormire voi?", chiese Mac.
"In mutande...", disse Tom, arrossendo quasi impercettibilmente.
"Lo facciamo o no questo pigiama party?", disse di nuovo Georg.
"Mi sa che mi ci vorranno almeno un altro paio di birre per poter sopportare la vista di tutti voi mezzi nudi...", disse Mac, alzandosi e prendendosi ancora da bere.

"Mamma mia come sei secco... scommetto che peso più di te...", disse Mac, vedendo Tom senza maglietta, con solo i boxer indosso.
"Sicuramente! Hai una bella pancetta sotto quella maglia ragazza!", fece l'altro, per recuperare l’offesa subita.
"Stupido! Questi sono muscoli!", disse l'altra, dandosi una pacca allo stomaco, “E ne ho più di te... ho fatto tae kwon do per molti anni, potrei metterti al tappeto in un attimo. Anzi, già l'ho fatto venerdì sera nel guardaroba...", fece lei canzonandolo.
"Ha ha ha...", sbuffò l'altro, riprendendo il suo posto.
“Lo hai buttato a terra?!?”, fece Bill, incredulo, “Non me lo avevi detto, Tom…”
“Proprio a terra no… Mi ha quasi rotto una mano!”, piagnucolò suo fratello, "E per questo il primo sono io! Tocca a Mac, ovviamente. Scegli, verità o penitenza?"
"Verità...", disse lei.
"Allora... qual'è stata la cosa più pazza che hai fatto?", le chiese.
"Mi sono sporta dal finestrino di un treno e ho iniziato a gridare... anzi, ho anche mangiato una scatoletta di cibo per cani dopo aver perso una scommessa!", rispose Mac, con aria schifata.
Gli altri espressero il loro disgusto con vari 'bleah' e 'che schifo'.
"Gustav, verità o penitenza?", domandò a sua volta Mac.
"La prima.", disse lui, sicuro.
"La tua fantasia sessuale più ricorrente!"
"Penitenza!", esclamò subito lui, che evidentemente non voleva rispondere a ciò che gli aveva chiesto Mac.
"La prima scelta è quella che vale!", disse Georg, sorseggiando la birra.
Gustav sospirò, rassegnato.
"La mia fantasia sessuale più ricorrente è...", disse, arrossendo fortemente, "Farlo sotto la pioggia..."
Gli altri rimasero in silenzio per qualche secondo, guardandolo con facce stupite.
"Sentilo! Sotto la pioggia...", disse Tom.
"Già...", fece Gustav, abbassando lo sguardo.
"Sarebbe bellissimo...", disse Bill, e anche Mac annuì.
"Ma andiamo avanti, ora tocca a me giusto?”, fece Gustav, con un sorriso imbarazzato.
Bill, verità o penitenza?"
"Penitenza!", fece lui, bruciando il secondo.
"Vuoi sfuggire alle domande vero?"
"Proprio così!", disse lui, fiero.
"Allora penserò una penitenza esemplare... vediamo... devi baciare Georg come avevi detto prima.", disse Gustav, incrociando le braccia.
"Bacio! Bacio! Bacio!", iniziò a dire Mac, battendo le mani ritmicamente.
“Se ti avvicini ti….”, lo intimò Georg, ma Bill gli afferrò in un attimo il viso e gli dette un piccolo bacio sulla bocca, prima che lui se ne potesse rendere conto.
"Bill! Ma vaffanculo!", protestò l'altro, pulendosi la bocca ed iniziando a sputacchiare in giro, mentre gli altri stavano per avere delle convulsioni da risate isteriche.
"Ora per non pensarci più fatemi fare la domanda a mio fratello.”, disse Bill, che voleva presto dimenticare il fatto, “Verità o penitenza, Tomi?"
"Verità, non voglio baciare nessuno!", disse lui, in automatico. Ma lo sguardo malizioso di Bill lo preoccupò, facendogli sentire i brividi lungo la schiena.
"A chi pensavi ieri mentre ti masturbavi in bagno?", domandò Bill.
"E a te cosa te ne frega!", sbottò subito l'altro, appena il sangue riprese a defluire nelle sue vene.
"Guarda che ti ho sentito!", fece l’altro.
"E tappati le orecchie una buona volta!"
"Avanti! Rispondere!", fece Mac.
“Rispondi Tom!”, lo esortò Gustav.
"No! Mi rifiuto!", si impuntò lui.
"Sei peggio di un bambino piccolo!", disse Mac, "Abbiamo fatto tutti come ci è stato chiesto, di certo non sarai tu a tirarti indietro per una stupida domanda!"
"E dai, Tom, ha ragione....", disse Georg, "Io non avrei mai voluto baciare tuo fratello, ma il gioco è il gioco..."
"No, avete passato la linea.", disse Tom, irremovibile.
"Allora ti tocca una penitenza veramente bastarda....", fece Mac.
“Va bene, penitenza sia.”, proferì lui, sicurissimo.
"Vattene in bagno e non ci ascoltare, la scegliamo noi.”, disse Bill, “Vedrai che poi avrai veramente da pentirti..."
Il ragazzo, sbuffando vistosamente, scese dal letto e andò in bagno. Seduto, con la schiena contro la porta, attese che venissero a chiamarlo.
"Ragazzi, sentite quest'idea....", disse Bill, sottovoce, mentre gli altri presero a lustrarsi le orecchie..

 

"Tom! Puoi uscire!", esclamò Mac, bussando lievemente alla porta del bagno.
"Finalmente...", fece lui, una volta fuori dalla toilette, "Dovrò vendicarmi così tanto di te e della tua cattiveria che farai meglio a scrivere il più bell'articolo del mondo su di noi..."
"L'idea non è mia... è di tuo fratello...", fece Mac, alzando le braccia al cielo con innocenza.
Tom guardò il fratello, che aveva una faccia tra il divertito e il malizioso.
"Dimmi che... no, non hai pensato a quello...", fece lui, mentre le gambe stavano iniziando a tremare.
Bill scosse lievemente la testa in segno affermativo.
"Sei uno stronzo Bill!”, esclamò Tom, arrabbiandosi, “Adesso voglio rispondere alla domanda!"
"Eh no, caro mio, ora devi fare la penitenza...", disse Gustav, alzandosi. A passi veloce andò verso la porta della camera e la aprì.
"Avanti.", disse Mac, “Visto che hai già capito di che penitenza si tratta….”
"No, ragazzi, vi prego... è il mio peggior incubo...", disse Tom, iniziando a piagnucolare.
"Smetti di frignare e fai quello che devi!", disse Bill, in tono serio, indicando la porta come il maestro indicava all’alunno di mettersi in punizione dietro alla lavagna.
Tom, con notevole riluttanza, strinse i pugni e si incamminò verso la porta. In piedi sulla soglia, guardò Gustav, e gli implorò pietà con gli occhi. Il ragazzo gli fece cenno con la testa e si mise in attesa di ricevere qualcosa da lui. Tom sospirò, afferrò l'elastico dei boxer e se li tirò giù, li tolse e glieli consegnò.
"Vai belle chiappe! Prendi l'ascensore e vai alla hall, ricordati di prendere qualcosa che ci dimostri che lo hai fatto e torna su.", disse Bill.
"Andate a fanculo!", fece Tom, incamminandosi verso l'ascensore.
Gustav chiuse la porta e scoppiò a ridere, seguito a ruota dagli altri.

 

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Capitolo 8
*** Like a virgin ***


8. LIKE A VIRGIN



Bill accese un'altra di quelle sigarette e, dopo un paio di tiri, la consegnò a Georg. In quel mentre, sentirono bussare alla porta e Gustav, in uno slancio di gentilezza, andò ad aprirgli.
"Ve la farò pagare! Teste di cazzo che non siete altro!", urlò Tom, entrando immediatamente nella stanza e coprendosi con la prima cosa che aveva trovato, che non era altro la borsa di Mac.
"Metti giù la mia borsa!", fece lei, tirandogli le sue mutande, fino a quel momento appese inerti sul pomello della testata del letto. Il ragazzo, talmente rosso che sembrava avere tutto il sangue che confluiva sulla sua faccia, si voltò e si mise di nuovo i suoi boxer.
"Per poco non hanno chiamato la polizia! Voi siete delle merde!", fece poi, chiudendosi nel bagno.
"Ops… Si è incazzato...", disse Mac.
"Gli passerà presto. Non ha portato niente però... ma lasciamo stare.", fece Bill, dandole la sigaretta.
"Allora, riprendiamo con il gioco? A chi sta?", fece Mac, fumando.
"Ricomincio io!", fece Gustav, "Georg, verità o penitenza?"
"Verità.", fece lui.
"Da quanto tempo non fai più sesso?"
"Ma quanto siete curiosi...”, fece lui. Poi aggrottò la fronte e riflettè sulla risposta, “Sono sei lunghissimi mesi..."
"Così tanto? Non ci credo...", disse Bill, scettico, "Ma non avevi conosciuto quella ragazza..."
"Voleva trattenersi fino al matrimonio...", fece Georg, e gli altri compresero il motivo per cui era in astinenza, "E tu, Bill, verità o penitenza?"
"Verità."
"Quella lì che avevi conosciuto... si dice che avesse delle strane manie... quali erano?", gli domandò.
"E chi te lo ha detto?", esclamò lui, sorpreso.
"Ovviamente Tom.", fece l'altro.
"Non tiene un segreto nemmeno se gli cuci la bocca e gli leghi le mani..."
"E quindi? Ce le aveva o no queste manie?", gli fece Mac, dandogli un colpetto con il gomito e guardandolo maliziosamente.
"Sì... era una di quelle un po'..."
"Quelle con il frustino e le manette?", fece Gustav, con occhi sbalorditi.
"Quasi..."
"E ci stai sempre insieme?", gli fece ancora Mac.
"Ma quante domande! Dovevo rispondere solo a quella di Georg o sbaglio?.", fece Bill, imbarazzato, " Mac, verità o penitenza?"
"Verità."
"Sei vergine?"
La ragazza abbassò gli occhi verso il letto e si fece un po' rossa.
"Beh... ancora sì..."
I ragazzi la guardarono per un attimo in silenzio.
"Dici sul serio?", fece Georg.
"Vuoi controllare?", ribattè subito Mac, lievemente stizzita..
"Dai, non ci credo!", disse Bill ridendo, "Una tipa sveglia come te..."
"Cosa intendi dire...", disse la ragazza, che sentiva salirle la rabbia.
"Che non me la dai a bere...", fece lui, sorseggiando la sua birra.
Mac non sapeva se prendergli la bottiglia di mano e spaccargliela in testa o se dargli un pugno sul naso e romperglielo. Ma non fece nessuna delle due cose: semplicemente si alzò senza proferire parola e si chiuse in bagno.
"Hey, non ti ha insegnato nessuno cos'è la privacy?", sbottò subito Tom, che si era sdraiato nella vasca in completo relax.
"Vaffanculo... mi ero scordato che c'eri tu...", disse Mac, preparandosi per uscire di nuovo.
"Dai, puoi rimanere... Chi si chiude qui dentro ha sempre qualche motivo per essere incazzato… Cosa ti hanno fatto?”, le chiese.
“Bill ha ironizzato su una mia cosa… molto privata.”, spiegò lei, rimanendo molto sul vago.
“Cioè?... se posso saperla.”, disse Tom.
“Beh… prometti di non metterti a ridere o a giudicarmi?” , volle accertarsi Mac, “Almeno questa volta, cerca di essere obiettivo e di non sfottermi.”
Si sedette a terra, con la schiena appoggiata alla vasca dentro alla quale Tom se ne stava sdraiato, ed incrociò le gambe, tenendole vicino al petto.
“Ci posso provare.”, disse lui.
Mac prese un lungo respiro e confessò.
“Ho detto di essere ancora vergine e loro non mi hanno creduto.”, disse, appoggiando la testa sulle ginocchia.
Attese una risposta, una risata, uno sbuffo da Tom, ma non arrivò niente di questo.
“Dici niente?”, gli fece.
"Davvero sei vergine?", chiese lui.
"E basta! Avevi detto che non mi sfottevi!", esclamò Mac.
“Mica ti sto prendendo per il culo!”, si giustificò lui, “Volevi che ti dicessi qualcosa e te l’ho detto!”
“Sei un coglione tale e quale agli altri.”, disse lei, scocciata e nervosa.
"Ok, scusa, hai ragione... comunque io ti credo..."
"Oh sì… che bella consolazione.", fece lei, sacrasticamente, "Ho bisogno di bere..."
“Non c’è alcol qui dentro. E io non esco.”, disse To, incrociando le mani dietro la testa.
”Faccio io…”, sbuffò Mac.
Uscì e, senza rivolgere nè parola nè uno sguardo ai tre, si prese una bottiglia di birra, la stappò e la portò in bagno.
Ne bevve diversi sorsi avidamente e poi la porse al ragazzo, sedendosi di nuovo contro la vasca.
"Siete davvero insensibili, a volte.", disse lei, "Ci sono modi e modi di dire le cose."
"Uh?", fece Tom, che evidentemente non l'aveva ascoltata.
"Niente, solo un discorso stupido. Ripassami la birra."
Forse fu Tom a lasciarla troppo presto, forse fu Mac a non prenderla nel momento giusto, fatto andò che la birra le si versò tutta sulla maglia.
"Eh no! Oltre ad essere deficiente sei anche paralitico!", sbottò lei, guardandosi la maglia, impregnata completamente di birra.
"Pure tu, potevi prenderla prima!", la brontolò Tom, sicuro di non essere colpevole dell’incidente.
”Non ho nemmeno una maglietta di ricambio…”, si lamentò Mac.
Ne adocchiò però una, penzoloni sulla maniglia della finestra del bagno. Sicuramente era di Georg, quella era la sua camera. Sperando che fosse pulita e senza cattivi odori indosso, decise di indossarla al posto della sua, fradicia e puzzolente.
"Spero che non ti dispiaccia!", disse a Tom, dandogli le spalle e togliendosi la maglia e per indossare l'altra.
"Nient'affatto... adesso per lo meno ti vedo dal vivo.", disse Tom, allietato dalla vista della schiena semi nuda di Mac. Doveva ammettere che aveva proprio un bel didietro... Anche il tatuaggio che aveva tra le sue scapole era decisamente carino…
"Sei il solito maschio arrapato", fece Mac, scocciata da tutta quella situazione. Era stata fortunata, la t-shirt era sicuramente pulita e non odorava di uomo, cioè non puzzava di sudore.
Dopo essersi lavata le mani per togliere via i residui di alcol, si sedette sul ripiano del lavandino. Le frullava una domanda in testa.
"Adesso mi devi spiegare per quale motivo non hai risposto a quello che ti ha chiesto Bill. Ti imbarazzava dire a cosa pensavi mentre ti divertivi da solo perchè c’ero io, che sono una ragazza?"
"No... tranquilla...", fece lui, indifferente.
"E dai! Guarda che non mi scandalizzo mica tanto facilmente. Sarò anche vergine ma mica sono stupida, ho tantissimi amici uomini e ne sento di cotte e di crude.", disse lei.
"Lasciamo perdere... piuttosto, come mai tu ancora....", fece Tom.
"Non si cambia discorso...”, lo riprese lei ma, comprendendo che era molto restio nel dare una giustificazione al suo comportamento, ci passò sopra.
“Se non vuoi rispondere non insisto.”, disse Tom, facendo spallucce.
“No, non è per quello… beh, sì, conosco sempre tanta gente, ma diciamo che con la maggior parte di queste persone non vale la pena nemmeno perderci un attimo a parlarci..."
"In altre parole non hai trovato la persona giusta...", intuì Tom.
"Per niente..."
"Secondo me ti servirebbe del buon sesso per migliorare il tuo caratteraccio!", disse Tom, cercando di provocarla.
"Forse hai ragione...", rispose lei, lasciandolo abbastanza di stucco.
"Non hai intenzione di uccidermi per quello che ho detto?", fece lui, incredulo.
"Avrei dovuto, ma mi sento strana... non so nemmeno perchè mi sto confidando con te... forse sarà l'alcol che ho in circolo."
"Lo penso anche io. Non è che poi domani mi fai fuori perchè so troppo?"
"Puoi stare tranquillo, Tom dei Tokio Hotel."
"E smettila di chiamarmi in quel modo!", la rimproverò.
“Allora ti chiamerò Kaulitz… Tom è un nome da cani.”, disse Mac, ridendo.


Bill aveva la tentazione di attaccare l'orecchio alla porta del bagno per sentire che cosa stessero facendo quei due. Non si capiva niente, solo qualche risatina ogni tanto.
"E dai! lasciali in pace...", disse Gustav, "Magari stanno approfondendo la loro… amicizia…"
"Non credo proprio.", fece Georg, "Si odiano!"
"Sai come dice il proverbio?", gli disse Bill, con sorriso smaliziato..
"Quale proverbio?"
"Chi disprezza compra… o qualcosa del genere.", si spiegò Bill.
"Neee, non ci scommetterei un capello.", disse Georg, prendendo l'ultimo sorso della birra. Oramai era finito tutto l’alcol, erano rimasti solo la coca e qualche aranciata che erano già presenti in camera.
"Sto incominciando ad avere una certa fame...", disse Gustav.
"Anche io... ma non credo ci faccia bene mangiare adesso, con tutta la birra che abbiamo nello stomaco... non vorrei trovarmi in bagno a vomitare o peggio.", disse Bill.
"Già... che facciamo ragazzi, dormiamo?", propose Georg.
"Perchè? Tu hai sonno?", cli chiese Bill.
"Partita alla playstation?", propose Gustav, trovando che gli altri erano più che favorevoli. Uscirono dalla camera, non preoccupandosi degli altri due e si infilarono in quella di Tom, dove la consolle li aspettava in trepidante attesa..
"Dove sono gli altri?", chiese Mac, alla quale era sembrato di sentire il rumore di una porta che si chiudeva.
"Di là… perchè?", rispose Tom.
"Aspetta un attimo...", fece lei. Si alzò e, aprendo uno spiraglio di porta, vide la camera era vuota.
"Dove cavolo se ne sono andati?", sbottò Mac.
"Sicuramente sono in camera mia a giocare alla playstation... ci scommetterei la testa!", rispose Tom, sbuffando annoiato.
"Che maleducati! Potevano anche dircelo...", si risentì Mac, incrociando le braccia delusa.
"E chi se ne frega!", disse Tom, che evidentemente stava bene anche dentro la vasca.
"Non ho voglia di rimanere sola con te...”, gli disse Mac, “Torno dagli altri."
"Perchè cosa ho? Puzzo per caso?", fece lui.
"Beh... diciamo di sì."
Al che Tom si annusò le ascelle, trovandole linde e inodori. Nel frattempo però Mac se n’era uscita di lì e stava lasciando la stanza, così anche lui, che da solo non voleva certo rimanere, la seguì.
Pensò a quanto strana era stata quella serata… Mentre camminava si sentiva così leggero, una sensazione che non aveva provato molto spesso. Gli venne quasi da credere che in quella sigaretta non ci fosse solo tabacco.


La porta bussò e se non fosse stato per Georg che era disoccupato sul letto, nessuno sarebbe andato ad aprire. Gli altri due erano troppo impallati davanti allo schermo del tv, ipnotizzati dall’ultima versione di ‘Gran Turismo’.
"Embè? Che ci fai con la mia maglietta addosso?", fece a Mac, vedendola con  una t-shirt di sua proprietà..
"Quel paralitico di Tom mi ha versato addosso la birra...”, gli spiegò Mac, “L’ho trovata appesa alla maniglia della porta e me la sono messa, non volevo puzzare di birra per tutta la sera. Non è che ti dispiace?"
"Potevi anche chiedere...", le fece, dato che non era abituato a vedere le sue magliette indosso ad altre ragazze che non fossero state quelle con cui si divertiva…
"Potevi anche chiedere...", disse Mac, facendogli il verso, "Non mi fai entrare?"
"Ah, sì certo...", fece il ragazzo, spostandosi dalla porta.
Mac entrò si buttò sul letto, senza chiedere permesso a nessuno, anche perchè gli altri due erano troppo occupati per degnarla di una risposta o uno sguardo. Si stava trovando molto a suo agio, pensò Georg, non era più rigida e acida come prima… magari l’alcol l’avevano abituata a distendersi. Era anche tremendamente carina con la sua maglietta…
Il ragazzo non fece nemmeno in tempo a terminare il pensiero che ribussarono alla porta.
"Spostati.", tuonò Tom, appena gli ebbe aperto l’uscio.
"No.", rispose Georg, assumendo un tono saccente, "Si dice per piacere."
"Spostati... per piacere.", gli disse l’altro, ironicamente.
"Già meglio...", disse Georg ridendo e lo fece entrare.
A peso morto, Tom  lui si buttò sul letto, accanto a Mac, sicchè a Georg non rimase altro che distendersi sul divano, se non voleva rimanere in piedi come un attaccapanni solitario.
"Hey... che ne dite di prenderci un'altra sigaretta?", propose Bill, mettendo pausa al gioco con Gustav.
"Vado io! Vado io!", fece Georg, che non aveva trovato nemmeno il tempo di accoccolarsi nella posizione giusta.
"Prendi anche da bere e da mangiare, mi sta venendo fame! E anche la mia borsa!", disse Mac, terminando la lista.
"E poi? Una fettina di culo a testa?", disse lui, uscendo dalla stanza, scocciato.
Mac tornò a fissare il soffitto con le mani dietro la testa, distesa sul letto, con le gambe piegate. Era sicura che doveva fare qualcosa di importante, ma non riusciva a ricordarsi cosa. Si mise lì a riflettere ma, anche se si concentrava, proprio non le veniva in mente.
"Che c'è?", le chiese Tom, vedendola pensierosa.
"Devo fare qualcosa di importante ma... non mi ricordo!", fece lei, iniziando a ridere.
"Sei proprio malata!", disse l'altro, ridendo a sua volta.
Quando Georg rientrò, abbracciando ciò che era stato incaricato di prendere, Gustav e Bill, finora incollati davanti allo schermo, staccarono il videogioco e raggiunsero gli altri sul letto. Fu Tom ad accendere la sigaretta e a prendere la prima boccata di fumo.
"Secondo me... questo non è solo tabacco...", disse poi, quando tutto il fumo gli fu uscito dalle narici, lentamente..
"No, cosa dici mai!", disse Georg, dopo che ebbe ricevuto la sigaretta dall'amico.
"Lo pensavo anche io….", disse Mac.
"Non mi ero mai sentito così stordito dopo aver fumato.", disse Bill.
"Io non so come ci si sente dopo una sigaretta... ma stasera ho pensato alle cose più assurde!", disse Gustav.
"Anche io!", disse Georg, prendendo a ridere.


Sentiva un dolorino basso, all'inguine... doveva andare in bagno...
Cercando di recuperare le forze, soprattutto quelle mentali, mise i piedi fuori dal letto. La toilette le sembrava lontano un chilometro, ma Mac doveva proprio andarci, pensava che se la sarebbe fatta addosso. Lo raggiunse lentamente, aveva bisogno anche di sciacquarsi la faccia. 
Dopo che si fu liberata di quel peso alla vescica, aprì il rubinetto del lavandino. Si abbassò per prendere una manciata di acqua e sentì i capelli caderle in avanti. Non si ricordava di averli sciolti, ma con tutto quello che aveva bevuto... e fumato, magari il bastoncino si era tolto da solo.

….

Fumato…

In un attimo realizzò che quel deficiente svedese non le aveva dato delle sigarette normali. Eppure non lo aveva capito subito, l'odore era quello del tabacco, non le era parso che fossero state... sigarette illegali. Ma adesso comprendeva perchè si sentiva la testa così leggera, perchè le parole le uscivano fluide e senza un senso apparente... Sicuramente quel disgraziato aveva mescolato tabacco con qualcos'altro, gliel'avrebbe fatta pagare.
Con una mano a tenere i capelli, Mac si sciacquò il viso e la nuca, come faceva sempre per recuperare un po' di salute mentale quando aveva bevuto troppo... o si era fumata una canna. A testa bassa, si chiedeva che ore fossero e dove si trovata. Doveva tornare a casa, il suo lavoro era finito, ma non si ricordava dove aveva messo le chiavi della macchina.
"Cazzo! Dovevo fare l'intervista!", disse sottovoce.
"Cosa?", fece una voce dietro di lei.
Mac avrebbe voluto voltarsi di scatto, ma i suoi movimenti erano ancora molto rallentati. Le riuscì farlo solo con estrema lentezza, afferrando il bordo del lavandino per non cadere.
"Chi sei?", chiese allo sconosciuto. Viso e voce familiare, però il cervello ancora non voleva collaborare.
"Come chi sono... sono io Mac...", fece lui.
"Ah già...”, esclamò, strusciandosi gli occhi, dopo averlo riconosciut, “Hai bisogno del bagno?", disse lei, scostandosi dal lavandino.
"No... a dire il vero... ho bisogno di te...", rispose lui.
Le si avvicinò, facendola di nuovo indietreggiare verso il lavandino. Le prese la faccia con le mani e la baciò lentamente.
"Non si fa così ragazzo... lo sai che non mi piaci...", fece lei.
"Non ti credo...", disse lui, baciandola ancora.
"Nemmeno io credo più a niente.", disse Mac.
Lui la prese per i fianchi e la sollevò di qualche centimetro da terra, facendola sedere sul ripiano del lavandino. Mac dischiuse le gambe e abbracciò i fianchi di lui.
"Aspetta aspetta...", fece poi, scostandolo leggermente per scendere di nuovo dal lavandino, "Devo fare una cosa prima."
Tornò verso la sua borsa, afferrò quello che le pareva una penna o forse un pennarello e tornò in bagno, chiudendo la porta a chiave.

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Capitolo 9
*** Harder and harder to remember ***


9. HARDER AND HARDER TO REMEMBER




Ancora quel dolorino all'inguine. Mac dovette alzarsi di nuovo per andare in bagno. Con le misere potenzialità mentali che le rimanevano, realizzò di essere sdraiata di fianco su un letto. Un raggio di sole le colpiva la tempia, sentiva il suo calore. Era giorno.
In un secondo momento, realizzò anche che non era l’unica su quel letto. Aprì lentamente l'occhio destro e, nella nebbia che vide, notò una figura umana accanto a lei.
Dovette aprirlo e chiuderlo diverse volte prima di riuscire a mettere a fuoco chi fosse: era Bill, voltato di schiena, riconosceva i suoi capelli neri. Concretizzò che era anche molto più vicino a lei di quanto le era sembrato negli attimi precedenti, poteva sentire il suo respiro regolare. Spostò lo sguardo più in basso e vide che il braccio penzolava sul fianco di lui… si affrettò a toglierlo da quel posto così poco convenzionale.
In quello stesso momento sentì un borbottio alle sue spalle. Avrebbe tanto voluto voltarsi, ma aveva sia paura di svegliare tutti, che di trovarsi di fronte ad un’altra spiacevole sorpresa..
Era terribile quando la sua mente si risvegliava un pezzo per volta e le faceva realizzare la gravità della situazione in cui si era cacciata un morso dopo l’altro. Ma forse era meglio così, altrimenti avrebbe gridato di spavento, peggiorando il già evidente casino…
Provò a voltare leggermente la testa ma i suoi muscoli cervicali erano ancora intorpiditi. Si sentiva qualcosa sul fianco, doveva vedere cos’era.
Un braccio, evidentemente non suo, la cingeva per la vita.
Una ciocca rasta le cadde su un occhio.
"Merda Kaulitz...", disse mentre la toglieva via, così piano che quasi non sentì la sua stessa voce.
Con tutta la delicatezza che riuscì a recuperare in quel momento, riuscì a mettersi supina. Tom borbottò di nuovo e si girò pesantemente, facendola sobbalzare. Mac, con con il corpo pietrificato, pregò che nessuno, a parte lei, lo avesse sentito. Si alzò sul letto e controllò la situazione: Gustav e Georg dormivano insieme sul divano, l'uno che dava le spalle all'altro, ed entrambi russavano come pazzi. Anche Bill aveva preso a respirare rumorosamente ed era un buon segno.
Mac scese lentamente dal letto e cercò le sue cose, soprattutto gli abiti… e realizzò che, a parte la sua borsa, il resto era nella camera di Georg, mentre adesso si trovava in quella di Tom…. o di Bill… o di Gustav… insomma, in una qualsiasi altra stanza d’albergo che non era quella del piastrato bassista.
"Maledizione!", borbottò, non sapendo dove avrebbe potuto trovare la chiave magnetica dell’altra camera... Non poteva uscire di soppiatto dall'hotel, in pantaloncini e scalza, sperando che nessuno chiamasse la polizia per averla vista in quel modo.
E comunque aveva un’altra urgenza da risolvere: doveva andare in bagno, le scappava troppo forte. Con la schiena appoggiata alla tavoletta, si rilassò al sentire la sua vescica che piano piano si svuotava, allentando il piccolo dolore che sentiva alla pancia.
Uno strano pensiero le entrò nella testa…
Era sicura che durante la notte si fosse svegliata già una volta per venire in bagno.
Il suo sguardo, divagando, si posò su uno strano oggetto dal colore metallico posato sul lavandino. Allungò la mano per afferrarlo, era un pezzo di plastica argentea. Lo voltò e, con un sussulto, lo fece cadere a terra.
"Cazzo!", esclamò, portandosi la mano alla bocca.
Era l'involucro di un preservativo...


Uscì dalla camera guardando che il corridoio non fosse occupato da nessuno. C'era solo una donna delle pulizie che spingeva il suo carrello cigolante con stanchezza. Appena questa la notò si bloccò.
A Mac venne subito in mente quel trucchetto utilizzato in tutti i film.
"Senta... non è che potrebbe aprirmi la porta di quella camera? E' che ho lasciato la chiave magnetica lì dentro.", le chiese.
La donna la guardò per diversi attimi da capo a piedi, poi si frugò nella tasca del grembiule e tirò fuori un badge. Dopo averla ringraziata, Mac si avvicinò alla porta e la aprì, sparendo al suo interno.
Trovò subito i suoi pantaloni, lasciati malamente a terra, ma non si ricordava dove fosse la sua maglietta, doveva tornarsene via con quella di Georg indosso, sperando che lui non si mettesse poi a fare troppe storie.
Con le chiavi della macchina in una mano e le custodie della fotocamera e della videocamera nell'altra, Mac uscì dall'hotel, incontrando lo sguardo imbarazzato di molte persone.


Fu così costretta a bussare rumorosamente per riuscire a svegliare Thiago, che aveva sempre un sonno molto profondo. Non sapeva dove fossero finite le sue chiavi di casa, eppure di solito le teneva dentro la borsa, insieme a quelle della macchina…
Un rapido flash le fece tornare a mente che le aveva utilizzate per stappare le bottiglie di birra… erano di sicuro ancora nella camera di Georg.
"Chi cazzo è...", sentì borbottare al di là della porta. Poi riconobbe lo strusciare della catenella di sicurezza contro il legno, poi la porta si aprì.
"Mac! Cosa ci fai qui! Dovresti essere nel tuo letto, non sul corridoio del palazzo!", esclamò Thiago, assonnato.
Mac, travolgendolo, entrò nell'appartamento e corse verso il bagno. Il ragazzo la seguì, aveva visto la sua faccia sconvolta ed aveva preso a preoccuparsi.
"Che cos'hai? Che ti prende!", le fece, mentre lei si toglieva rapidamente i vestiti e entrava sotto la doccia, senza dire una parola.
"Mac mi stai facendo preoccupare...", disse Thiago, che si era seduto sul bidet in attesa di una risposta.
La sua attenzione  cadde sulla maglietta nera che aveva visto indosso a Mac. La prese e la guardò.
"Questa non è tua! Dove l'hai presa? E soprattutto dov'è la tua?", fece Thiago, che stava incominciando a mettere insieme i pezzi del puzzle.
"Non lo so.", rispose secca la ragazza, tra gli scrosci dell’acqua.
"Che vuol dire non lo sai...", fece lui, incredulo.
"Vuol dire che non lo so, che ieri ce l'avevo e stamattina no, avevo quell'altra!", precisò Mac.
"Stai cercando di dirmi che non ti ricordi che cosa è successo per gran parte della serata o sbaglio?", disse Thiago.
La voce di Mac si fece attendere per qualche attimo.
"In un certo senso sì...", disse lei poi.
"Non è che hai fatto qualcosa di cui ti potresti pentire?"
"Penso di sì..."
"Oh Santa Madre de Dios!” esclamò Thiago, in spagnolo. Si mise la faccia nelle mani, chissà cosa aveva combinato quella stupida.
Mac uscì dalla doccia e si legò sopra il petto il primo asciugamano che trovò. Prese Thiago per la mano e si sedette con lui nel suo letto.
"Dimmi cosa ti ricordi della serata...", le disse lui, mettendole un braccio sulle spalle.
"Allora... sono andata in hotel, avevo comprato una scorta di birre da far paura ad un esercito, volevo solo animare la serata. Alla fine ci siamo ubriacati... "
"Ed è lì che è successa la prima cazzata.", disse Thiago, anticipando parte del racconto.
"Sì... non so cosa ho detto di preciso ma… Gustav mi ha baciato."
Thiago sospirò, sapendo che quello era solo l'inizio di una storia intricata.
"Spero che sia finito tutto qui.", disse, sapendo che si sbagliava di grosso.
"No... poi abbiamo fatto il gioco 'verità o penitenza', hai presente? Quello che abbiamo fatto anche alla festa di compleanno di Ada."
"Certo che mi ricordo... ma solo la parte in cui ero talmente ubriaco che sono finito a parlare abbracciato al cesso...", disse Thiago.
"Ecco, abbiamo fatto qualche giro di domande e… inizia a diventare tutto confuso..."
"Quanto avevate bevuto?", domandò il ragazzo.
"Abbastanza... ma abbiamo anche fumato."
"E quindi? Cosa saranno mai tre sigarette in più del solito!", sbottò lui.
"Le sigarette di Mark, faccia di banana.”, disse Mac, innervosendosi, “Scommetto un dito che non c'era solo tabacco dentro."
"San Thiago de Compostela!", esclamò Thiago, richiamando il suo santo omonimo, "Vuoi dire che vi siete fumati anche quella roba?"
"Certo che sì... Tutte le sigarette che c’erano dentro al pacchetto… ed erano ben cinque."
"Ecco perchè non ti ricordi una mazza di niente... quando lo rivedo gli raddrizzo quella faccia a banana che si ritrova!", disse Thiago, incavolandosi per il brutto scherzo che quel ragazzo aveva architettato, facendo involontariamente del male alla sua migliore amica.
Mac sospirò...
Iniziava a ricordarsi di essere stata in bagno con Tom, ma non le pareva fosse successo niente di che. Poi se n’erano tornati con gli altri… forse insieme o separati, non ne era sicura. Dovevano aver continuato a fumare, senza immaginarsi che si stavano bevendo il cervello.
"E poi, ti ricordi nient'altro?"
Mac cercò di spremersi le meningi più che poteva.
"Stamattina mi sono svegliata in mezzo ai Kaulitz. Io abbracciavo Bill e Tom me..."
"Scusa la battutaccia, ma avrei tanto voluto esserci io in mezzo!,”, sottò Thiago, ridendo, “Perchè tutte le fortune a te che non li sopporti... ma torniamo seri. Non ti sarai mica scandalizzata per aver dormito tra quei due!"
"No... fosse questo il problema...”, fece Mac, cercando di trovare il lato comico della sua disgrazia.
“E come hai capito che… insomma…”, cercò di farsi intendere Thiago.
“Stamattina sono andata in bagno. E ho trovato la bustina di un preservativo aperta. Era stato utilizzato."
Thiago rimase un attimo in silenzio, aspettando che l'amica continuasse il racconto senza che fosse lui ad esortarla.
"Così mi è tornato in mente che c'ero già stata in bagno, durante la notte. Mi ricordo che è entrato qualcuno... ma non mi ricordo chi."
"E quindi pensi che... insomma..."
"Sì... e non so con chi dei quattro..."


Fu svegliato da un mal di testa fortissimo e dalla luce del sole che entrava prepotentemente nella stanza. Non aveva la più pallida idea di che ore fossero. Aveva bisogno di un anti-dolorifico, la testa gli martellava pesantemente. Per adesso, però, poteva farsi solo una doccia. Si chiese quanto aveva bevuto, la sera prima, ma non riusciva a ricordarselo, arrivava fino alla sesta birra, poi tutto era molto confuso. Aveva bisogno di qualche ora per raccogliere le idee.
Entrò in bagno e per prima cosa  si infilò dritto dentro la doccia. Lo scorrere dolce dell'acqua tiepida sulla testa e sulle spalle aveva un effetto calmante su di lui e stette diverso tempo, immobile, sotto il getto, sperando che il mal di testa gli passasse senza dover ricorrere ad alcuna medicina.
Uscito dalla doccia, si guardò allo specchio e si spaventò, aveva delle occhiaie vistosissime, sembrava che non avesse dormito da una settimana, eppure si era svegliato solo dieci minuti prima. Poi notò qualcosa sul suo petto.
"Ma che...", esclamò, abbassando lo sguardo.
Chi cazzo gli aveva scritto 'rock my life' sul petto?
Prese l'asciugamano e cercò di cancellare la scritta, ma questa si sbiadì solo un po'.
"Merda...", disse, gettandolo a terra.
Appoggiò le mani al lavandino e scosse la testa, come poteva non ricordarsi come era successo?
Poi ci fu un'altra cosa che lo fece preoccupare: a terra, una cartina argentata.
"Oh cazzo...", fece, prendendola in mano.
Adesso un paio di cose avevano iniziato a filare logicamente verso un'unica direzione. Uscì dal bagno e guardò nella stanza, Mac non c'era, se n'era già andata. Gli altri che dormivano ancora beatamente.
Un cellulare iniziò a squillare e a vibrare, era a terra. Lo afferrò e rispose.
"Tra mezz'ora vi voglio tutti giù nella hall! Siamo in ritardo di ben un'ora!", tuonò David, che chiuse subito la chiamata, senza attendere alcuna risposta.

 

Dopo che ognuno, tornato nella sua camera di albergo, fu si fu sistemato come meglio poteva, i ragazzi si attesero davanti alle porte delle loro camere. Bill fu l'ultimo ad uscire e notò con grande soddisfazione che non sarebbe stato l'unico, quel giorno, a portare occhiali da sole.
"Occhiaie?", disse, mentre chiudeva la porta.
"A chi lo dici...", disse Georg, quasi sottovoce, "Parlate piano perchè ho un mal di testa terribile."
Tom si mise eloquentemente l'indice sulla bocca, anche la sua testa stava per scoppiare. Quando David li vide apparire dall'ascensore, li rimproverò a gran voce.
"Ma cosa vi salta in mente! Abbiamo degli impegni da rispettare!", esclamò l'uomo.
"David, ti prego...", disse Gustav.
"David ti prego cosa? Ora mi avete fatto proprio incazzare!", prese a gridare come un forsennato.
"Non urlare...", fece Bill, implorandolo.
"IO urlo quanto mi pare e piace! Ora dritti nel bus e non fate storie!"
In silenzio, senza colazione né un possibile perdono in vista, salirono sul loro pulmino.
"Che cosa dobbiamo fare...", disse Georg, una volta che si fu seduto al suo solito posto.
"Abbiamo un servizio fotografico e un paio di interviste televisive. Poi dopo domani potete tornarvene a casa vostra.", disse l'uomo, ancora arrabbiato per il vistoso ritardo dei ragazzi.
"Cosa?... no no, rimandiamo tutto.", disse Tom.
"Rimandare?!?", fece David, al quale era tornata di nuovo la bile al cervello, "Ma cosa avete? Siete diventati tutti pazzi?"
I ragazzi si guardarono per un attimo e, senza che ci fosse stato bisogno alcun accordo, si tolsero contemporaneamente gli occhiali da sole.
"Cristo santo... se avevate bisogno di qualche ragazza con cui passare la notte in compagnia bastava andare qualche isolato più in là e tirare fuori una trentina di euro a testa!", esclamò l'uomo, vedendo le facce perse dei ragazzi.
"Lasciamo perdere...", disse Bill, inforcando di nuovo gli occhiali, "Vuoi ancora farci fare quel servizio fotografico e le interviste?"
"Certo che sì... vi truccheranno per bene.", disse, dopo un attimo di ripensamento.


Ci volle tutta la maestria di una truccatrice professionista per mascherare quelle occhiaie e il fotografo, che doveva essere altrettanto bravo e paziente, riuscì a fare delle buone fotografie, benchè i ragazzi quasi stessero per dormire in piedi.
"Adesso dovreste cambiarvi.", disse l'uomo, indicando la zona in cui avrebbero potuto farlo.
I ragazzi raggiunsero la donna che li attendeva, con un grande appendi-abiti, e che doveva mostrare loro cosa potevano indossare per la nuova sessione di fotografie. Ognuno di loro scelse quello che andava più a genio e andarono a cambiarsi nel camerino a loro riservato.

 

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Capitolo 10
*** This ain't got nothing at all to do with me ***


10. THIS AIN'T GOT NOTHING AT ALL TO DO WITH ME


Aveva appena iniziato a vestirsi, quando sentì il suo cellulare suonare nella borsa.
"Dove sei pazzoide?", tuonò Jutta.
"Sono in casa ancora...", rispose Mac ingenuamente.
"In casa? Sono le dieci! Stiamo tutti aspettando te e il tuo materiale!"
"Cazzo!", fece Mac, ritornando nel mondo reale, "Arrivo subito!"
Premette il tasto di fine chiamata e, in un batter d'occhio, era già nella sua celestina, pronta per andare al lavoro... il suo ultimo giorno di lavoro, perchè quando avrebbe mostrato loro cosa aveva fatto l'avrebbero buttata fuori a pedate nel sedere.
Davanti alla porta della redazione prese un ampio respiro ed entrò. In un attimo, Jutta si precipitò su di lei.
"Allora? Fammi vedere, fammi vedere!", disse lei, strappandole di mano la custodia della macchina fotografica e della videocamera.
"Vedrai meno di quello che ti aspetti.", fece Mac, appoggiando la borsa sulla scrivania dell'amica.
Jutta, senza nemmeno ascoltarla, collegò la macchina fotografica al pc e iniziò a guardare le foto. In poco tempo una piccola folla di suo colleghi si radunò alle sue spalle per vedere il risultato del suo lavoro. Scorse velocemente tutte le fotografie, poi afferrò la telecamera e la collegò al computer.
"Adesso vediamo i video.", fece, senza dire altro.
Di nuovo, tutti in silenzio guardarono le riprese fatte da Mac. Alla fine, gli sguardi si posarono su di lei.
"Nient'altro da mostrare?", le chiese Jutta, mentre gli spettatori tornarono alle loro scrivanie parlottando.
"A dire il vero... no...", rispose Mac, preparandosi a vedere spuntare il mega coltello affilato e lucente. 
"Bene, l'intervista?", le domandò, incrociando le mani sulla pancia, in attesa.
Mac non sapeva se la totale inespressività facciale di Jutta fosse un buono o un cattivo segno. Di solito era un brutto segno. Pessimo.
"L'intervista? Beh... ancora devo sbobinare tutto il materiale e quindi...", disse Mac, con voce tremolante.
"Non ti è bastata una notte intera per farlo? Eppure sicuramente qualcosa hai fatto, viste le occhiaie che hai sulla faccia."
"Sì, è vero… ma è talmente tanto materiale che... non mi è bastata tutta la notte.", aggiunse Mac, sperando che bastasse.
"Bene, allora domani voglio avere tutto sul mio tavolo per le otto."
"Le otto?", disse Mac, strabuzzando gli occhi. Tempo, le serviva tempo…
"Vuoi più tempo?"
"Se fosse possibile...", tentò Mac.
"Mi dispiace.", le negò all’istante Jutta.
"Allora per domani alle otto.", sospirò Mac, sconfitta.
"Perfetto, porta queste fotografie a Karl per farle sviluppare."
Con notevole e malcelata riluttanza, Mac prese la macchina fotografica, ne estrasse la memory card e andò al piano di sotto, dove aveva il suo studio Karl, un fotografo professionista e free lance, che sviluppava anche per conto di molte delle riviste e dei giornali della casa editrice Manila.
"Hey, com'è il rientro in redazione dopo un giorno da rockstar?", le chiese lui appena la vide. Era un ragazzo sui trent'anni, rosso di capelli e sempre ottimista e sorridente. I suoi genitori erano amici stretti del padre di Mac e lo conosceva già da molto anni. Si ricordava sempre quando era bambina e lui la portava in giro con la bicicletta, facendole sempre prendere grandi spaventi quando si metteva a fare il pazzo per le discese ripide.
"Lasciamo perdere...", gli fece, con aria mesta.
"Nottataccia?", osò lui che, nonostante la luce rossa, aveva notato le occhiaie sulla faccia di Mac, "Sembrano borse da fumo."
"Esatto, proprio così, ma tieni la bocca chiusa e sviluppa queste fotografie.", disse Mac, dandogli la memory card.
"Ok, saranno pronte per le tre. Vuoi vederle prima di stamparle?", le propose Karl.
"Volentieri... ancora non le ho viste per bene.", accettò lei.
Andarono nella stanza adiacente la camera rossa dove Karl, con il suo computer, mostrò le fotografie che Mac aveva scattato. Le caricò sul computer e poi le trasferì dove poteva vederle meglio: appoggiato su una robusta scrivania di legno, stava uno schermo gigante, forse di venticinque pollici, nel quale comparivano uno alla volta tutti gli scatti, così da poter notare tutte le imperfezioni delle foto.
Dopo una prima una visione veloce, si soffermarono su ogni singolo ritratto. Un Karl professionale e concentratissimo premeva i pulsanti della tastiera, cliccava qua e là, sistemava le impostazioni, estremamente silenzioso.
"Le hai fatte tu queste fotografie?", le chiese, accendendosi una sigaretta, dopo qualche minuto, tra uno scatto e un altro..
"Sì, ma non ne ho fatte tante perchè.... insomma, non ho avuto tempo.", disse Mac, cercando di giustificarsi.
"Un giorno intero con questi qua e non hai avuto tempo?", disse Karl, guardandola di sbieco.
"Karl, loro avevano impegni di lavoro e non sempre potevo intromettermi e fare fotografie a tutto spiano.", disse Mac, cercando di non scoppiare in lacrime. Non era proprio la verità, anzi, era parte della verità, "Dici che mi licenzieranno perchè ho fatto un cattivo lavoro?"
"Io non lo farei mai. Il tuo caffè è buonissimo.", le sorrise Karl, aspirando con gusto la sua sigaretta.
"Sarà perchè premo i pulsanti del distributore molto più gentilmente di tutti! Dai, parliamo seriamente."
"Te l'ho detto, io non ti licenzierei. Anzi...", fece Karl, posando la sigaretta sul bordo della scrivania e tornando con le dita veloci sulla tastiera, "Guarda queste qui, le ho selezionate perchè pensavo fossero le migliori. Qui la luce è perfetta, l'angolazione anche... sembrerebbe quasi che le abbia fatte io. Hai imparato molte cose al corso di fotografia a cui hai partecipato."
"Grazie… ma lo pensi veramente?", fece Mac, aspettandosi un nuovo scherzo dal suo collega.
"Davvero, non sto scherzando. Guarda questa foto."
Ne selezionò una che riprendeva Georg, con il basso in mano, durante le prove della mattina precedente. Aveva la testa piegata da un lato, si notava un sorriso compiaciuto molto carino, nascosto in parte da un ciuffo di capelli.
"Anche se la luce è un po' bassa c'è un gioco di ombre che la rende... particolare. Mi piace."
"Grazie Karl!", fece Mac, abbracciandolo.
"Portami un caffè, piuttosto. E fai qualcosa per quelle occhiaie, spaventapasseri!"
"Sarà fatto!", disse Mac, saltellando per l'ufficio tutta contenta.
“E poi…”, la recuperò Karl, “Se dovessero licenziarti… c’è sempre una porta aperta per te qua.”
Mac gli sorrise, gli fece la linguaccia e uscì dallo studio.

David chiese di creare un'atmosfera poco luminosa, dato che aveva paura che quei quattro spaventassero il pubblico televisivo con le loro maledette occhiaie. Non potevano certo starsene con gli occhiali da sole sulla faccia e, per evitare un calo di audience, così dovette pregare il regista di tenere le luci abbassate.
I ragazzi, nel loro camerino, si stavano cambiando e trovarono l’occasione giusta per parlare un po' della serata trascorsa.
"Mi ricordo poco e nulla.", disse Gustav, sedendosi su uno sgabello per togliersi le scarpe ed i pantaloni, "Sono rimasto lucido fino alla seconda sigaretta."
"Secondo me Mac ci ha fatto mettere qualcosa di poco legale.", disse Tom, che stava gia indossando la t-shirt che aveva scelto.
"Può darsi... dopo il terzo tiro mi sembrava di camminare sulle nuvole. Ma non ho poi così tanti vuoti di memoria...", disse suo fratello, togliendosi la maglietta.
"Gustav,”, gli fece Georg, “ti sei seduto sui pantaloni che devo mettermi..."
"Ah... pardon!”, si scusò il ragazzo, alzandosi dallo sgabello su cui si era accomodato.
Georg li prese e se li mise, guardandosi allo specchio per vedere come gli calavano addosso.
"Perfetto!", disse poi.
"Non cambi la maglietta?", gli chiese Tom, disinteressato.
"No... mi piace questa qui. E poi penso che quella mi faccia più grasso di quello che sono.", si giustificò Georg.
"Dai, poche storie prima che David si spazientisca!", esclamò Bill, lanciandogli la t-shirt che avrebbe dovuto indossare.
Georg la prese al volo, perplesso se doveva farlo o no…
Fece un lieve sospiro e si voltò.
"Hey hey hey... cosa fai? Ti vergogni adesso?", disse Gustav, notando quell’improvviso bisogno di privacy del bassista.
"No, non mi vergogno...", fece l'altro, che nel frattempo si era sfilato la sua maglietta e frettolosamente si stava mettendo l’altra.
"Allora voltarsi prego! Cos'è questa storia che ci dai le spalle!", borbottò ancora Gustav.
"Lasciami in pace Gustav.", disse l'altro, stizzito..
"Eh no! Adesso ti volti!", insistette Gustav.
"Va bene!", fece l'altro, ormai spazientito.
Si voltò e mostrò quello che aveva cercato invano di non far loro vedere.
"Quella cos'è...", fece Tom, avvicinandosi all'amico bassista, "Rock my life... quando te la sei scritta? Ma sei scemo?"
Come se fosse stato sotto l’occhio indagatore dell’Inquisizione, Georg avvampò, cercando di trovare una scusa plausibile a quella scritta che aveva sul petto. Gustav stava trattenendo una risata, mordendosi le labbra fino a farle diventare viola. Bill, invece, stava già macchinando qualcosa.
"Stupido, come può averla scritta lui?", esclamò poi Bill, "Ovviamente l'ha scritta qualcun altro... nevvero Georg?"
"Sì... nemmeno me lo ricordo come è successo.", fece lui, abbassando gli occhi e cercando di mantenere la pazienza.
"Com'è che tu ce l'hai e noi no?", gli chiese Gustav.
"E che ne so io? Ti ho detto che non mi ricordo come è stata fatta!", disse Georg.
"E comunque non è nessuna delle nostre scritture...”, fece Bill, toccandosi il mento con l’aria dello Sherlock Holmes della situazione, “Quindi, se ci autoescludiamo, rimane solo una persona..."
"E' stata Mac.", concluse il fratello, quale suo fedele Watson.
"Elementare Kaulitz...", disse Bill, incrociando le braccia, "E siccome posso affermare con certezza di ricordarmi quasi tutti gli avvenimenti della serata... non mi viene a mente nessuna scena in cui Mac ti scriveva sul petto... Quando te l’ha scritta?"
"Hai detto che di ricordarti quasi tutto... ma non tutto tutto tutto.", disse Georg, la cui sicurezza iniziava a vacillare. Con gli altri tre che stavano lì a guardarlo con le braccia conserte, era sotto interrogatorio. Più che lui voleva mantenere il riserbo, più loro insistevano.
"Georg, come te l'ha fatta quella scritta?", gli chiese ancora Gustav.
"Non me lo ricordo.", fece l'altro, seccamente.
"Non mentire.", puntualizzò Bill.
"Non me lo ricordo.", ripetè Georg, che stava perdendo le staffe.
"Ragazzi... e se vi dicessi che ieri notte ho avuto bisogno del bagno e l'ho trovato chiuso a chiave?", disse Tom.
"E questo cosa c'entra con me?", fece Georg, perplesso.
"Forse ero abbastanza stordito, ma mi sembra che né tu né Mac eravate dove vi avevo lasciato prima di addormentarmi.", si spiegò lui.
"Non vedo perchè dovrei darvi spiegazioni.", fece Georg, infilandosi la maglietta arrabbiato, "Non devo rendervi conto di niente!"
Detto questo uscì dal camerino e lasciò gli altri alle loro supposizioni.

Gabriel, il capo redattore di Pop My Life aveva già scelto quali fotografie pubblicare sul giornale e quali mettere su internet. Guardò il video fatto durante la mattinata, ma decise che lo avrebbe tenuto in futuro per altre cose.
Mac tirò un sospiro di sollievo, sperò che fosse finita, ma tornò di nuovo a tremare quando Gabriel le chiese dell'intervista. Gli spiegò che ancora aveva gran parte del materiale da trascrivere, che non aveva avuto tempo perchè era notte fonda e aveva sonno…
"Perchè non mi hai portato il materiale che intanto avevi trascritto?", le domandò, interrompendola nel mezzo della sua lista di scuse.
"Perchè pensavo che lo volesse completo, rivisto e corretto da Jutta.", disse Mac, sentendosi come vacillante sull’orlo di un burrone.
"Ma intanto avrei potuto dargli un'occhiata. Spero che sia molta roba, perchè ho intenzione di pubblicarlo in più parti, per garantirci maggiori vendite per i prossimi mesi."
"Sì... non la deluderò.", disse Mac titubante.
"Bene, puoi andare. Grazie Mac.", disse lui, tornando al suo lavoro.
Mac non lo aveva temuto tanto come in quei momenti, anche perchè non aveva avuto mai veramente a che fare con lui, essendo una semplice assistente di redazione.
Già si vedeva domani, in piedi davanti a Gabriel, mentre lui la offendeva per il suo lavoro fatto con i piedi e che poi le diceva: 'SEI LICENZIATA!'. Ebbe la conferma che questo sarebbe stato il suo ultimo giorno di lavoro.

Non aveva ancora ritrovato le chiavi di casa e Mac dovette di nuovo sperare che Thiago la sentisse mentre bussava pesantemente alla porta. Fu fortunata, di solito a quell’ora se ne stava in biblioteca a studiare, oppure a lezione, ma quel giorno se ne era rimasto profeticamente a casa.
"Domani ne facciamo un’altra copia, ciccia bella.", disse il ragazzo, mentre le teneva la porta aperta per farla entrare.
"Lasciamo perdere le chiavi…Thi, mi hanno licenziato!", disse lei, buttandosi a peso morto sul divano.
"Davvero?", esclamò Thiago, sorpreso. Si sedette accanto a lei, pronto per consolarla.
"Non ancora... ma succederà presto, sicuramente domani mattina.", piagnucolò Mac sulla sua spalla.
"E perchè, il tuo lavoro non è piaciuto?", le domandò.
"Le fotografie sì, il video no. Ma ancora devono avere l'intervista.", frignò Mac, disperata.
"Che problema c'è? Ti metti giù e ricopi quello che hai scritto.", fece Thiago, che non vedeva la situazione così nera come Mac.
"Thiago... non c'è nessuna intervista! Ci siamo fumati tre canne e abbiamo bevuto come sfondati! Non eravamo lucidi nemmeno per trovarci la bocca!"
"Allora sei nei guai ragazza... butta giù la storiella della giornata, forse andrà bene lo stesso. Anzi, sono sicuro che andrà bene!", provò a consolarla ancora Thiago, sapendo però che quando Mac cadeva nel baratro dell’autocommiserazione, era meglio lasciarla rosolare per bene nelle sue lacrime, perchè nessuna parola estranea sapeva consolarla.
"Vuoi il portatile?", le chiese, dato che non poteva ormai fare più niente per lei.
"Sì... vedo se scrivo qualcosa."
Il ragazzo si alzò e le portò il suo pc. Mac cercò di razionalizzare la passata giornata come meglio poteva, ma non era mai stata molto brava nella scrittura e tutto quello che appariva sullo schermo le sembrava una stronzata. Thiago preparò la cena, sperando che l'amica e coinquilina facesse una pausa per rifocillarsi un po', ma lei rifiutò ogni tipo di cibo per concentrarsi sul lavoro. Non era giusto quello che stava passando, pensò Thiago: lei non era una giornalista e non credeva fosse corretto affibbiarle tutte le responsabilità al riguardo. Avrebbero dovuto farla accompagnare da qualcuno che conosceva il mestiere, non lasciare tutto nelle sue mani!

Sorseggiava una tazza di tè sulla terrazza quando sentì che il cellulare di Mac stava squillando, totalmente ignorato dalla sua proprietaria.
"Rispondi Thi per favore.”, disse Mac, senza scollare gli occhi dallo schermo e le dita dalla tastiera, “Penso di aver scritto la prima cosa sensata dopo tre ore di scervellamento."
"Va bene...", fece l'altro.
Recuperò il telefono e, tornando seduto sul terrazzino, premette il tasto per accettare la chiamata.
"Pronto?", disse.
"Pronto... posso parlare con Mac?", disse una voce maschile.
"E' occupata adesso. Vuoi lasciarle un messaggio?", fece, cercando di capire a chi potesse appartenere. Non era di qualcuno a lui conosciuto… Mac gli stava nascondendo di avere una tresca con qualcuno? Il suo interesse si fece sempre più vivido.
"Beh... Proverò a ricontattarla domani con calma."
"Va bene... tu sei?", gli chiese.
"Ah, già, scusami. Io un suo amico."
“Amico e basta? Se devo dirle che hai chiamato, dovrò anche fornirle un qualche nome.”, insistette Thiago, che voleva proprio sapere chi fosse e non si accontentava di un semplice ‘richiamerò più tardi’.
Dille che ha chiamato Bill.”, disse il ragazzo, anche se con riluttanza.
Thiago, in circa un nanosecondo, si chiese quanti Bill potesse conoscere Mac.
"Aspetta un attimo... Mac non conosce nessun Bill tranne uno, cioè tu. Quindi… sei Bill Kaulitz!" disse Thiago.
Lanciò una rapida occhiata a Mac ma sembrava non aver sentito niente, era ancora concentrata e pensierosa sul suo portatile.
"Beh... sì, a dire il vero sono io...", balbettò l’altro.
“Sì certo… pensi che ti creda?”, sbottò subito Thiago, “Bellezza, dimmi chi sei veramente!”
Ok, ok… la richiamo io tra qualche ora.”, disse il ragazzo, abbastanza stizzito.
“Dammi una prova…”, riprese subito Thiago.
Il fantomatico Bill sospirò vistosamente.
"L’ho chiamata solo per dirle che abbiamo trovato la sua maglietta e un mazzo di chiavi. E anche che dopo domani partiamo, torniamo dalle nostre famiglie. E’ sufficiente?”, disse poi.
"Potevi dirlo subito che eri veramente tu!", esclamò Thiago, sentendosi quasi mancare, “Te la chiamo all’istante. Mac!”
La ragazza alzò gli occhi dal computer per vedere cosa voleva il suo amico, lui le stava facendo segno di raggiungerlo sulla terrazza.
"Che c'è? E’ per me?", gli chiese, vedendolo con il suo cellulare in mano.
"C'è qualcuno che ti vuole...", disse lui, facendo gli occhi ammiccanti.
Stancamente, Mac prese il cellulare.
"Speriamo sia un bel ragazzo.", borbottò Mac, sottovoce "Pronto?"
"Se sono un bel ragazzo dovresti giù saperlo!", disse Bill, che evidentemente l’aveva sentita alla perfezione.
"Ecco mister modestia Bill Kaulitz...", fece Mac, senza nascondere un certo imbarazzo per essersi fatta scoprire. Ma soprattutto perchè quella chiamata poteva voler dire che… era successo tutto con lui. Magari lui la stava chiamando perchè… voleva mettere in chiaro la situazione. Inghiottì il magone che le era salito in gola e si impose di calmarsi.
"Sì, proprio io. Ascolta Mac, hai lasciato in camera di Georg la tua maglietta e un mazzo di chiavi. Noi dopo domani ripartiamo, possiamo fartele avere se non possiamo incontrarci.", disse Bill, spedito come una macchina da corsa.
Mac sentì il sudore freddo scenderle lungo la schiena.
"Non credo che sia un problema... sicuramente domani mi licenzieranno perchè non vi ho fatto l'intervista...", disse, cercando di non balbettare troppo.
"Solo per questo? Ma dai, fai un giro su internet e ricaverai un'intervista coi fiocchi... oppure faccela quando ci incontriamo.", le disse Bill ridendo.
"Sarebbe un'idea fantastica ma devo consegnarla domani mattina alle otto.", disse Mac.
"Mi dispiace allora Mac...", disse Bill.
Cacchio, ma che atteggiamento era quello di Bill? Era stata con lui oppure no? Dall’impressione che le stava dando, avrebbe detto di no ma… altre tremila domande le piombarono in testa: se non era lui allora con chi? E l’altro se lo ricordava oppure no, come lei? Bill lo sapeva?
"Dai, Telespalla Bob non chiede mai scusa.", disse, scacciando via tutte le domande.
"Nemmeno Barbie rock'n'roll?", fece l'altro ridendo.
"No neppure lei.”, sbottò Mac, ridendo, “Comunque verso che ora possiamo trovarci domani?"
"Va bene alle quattro di pomeriggio?", le propose lui.
"Perfetto! Dove?"
"Allo studio?"
"Benissimo!”, disse Mac.
Presto avrebbe saputo con chi...
“Hey, ma chi ti ha dato questo numero?", esclamò poi Mac, rendendosi conto che non lo aveva dato a nessuno di loro.
"Ho fatto un paio di telefonate.", fece l'altro, “Sai… David ha diverse conoscenze in giro.”
“Mafiosi che non siete altro!”, proruppe Mac, ridendo.
"Cosa non si fa quando si è famosi... allora a domani alle quattro!", disse Bill, chiudendo la chiamata.

 

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Capitolo 11
*** A fake interview ***


11. A FAKE INTERVIEW



Thiago lesse almeno due volte la falsa intervista di Mac ai Tokio Hotel, fatta di copia e incolla presi in giro per internet, come le aveva consigliato Bill. Dato che il genio letterario era Thiago,  Mac aveva lasciato a lui il compito di trasformare un semplice scopiazzamento in un articolo giornalistico perfetto. Non di meno Thiago era iscritto alla facoltà di letteratura, mentre lei era semplicemente la donna delle fotocopie e dei cappè.
"Ecco, penso che così vada bene...", disse lui, girando il pc verso Mac, seduta di fronte a lui.
“E’ perfetto… sei un genio!”, esclamò Mac, dandogli un bacio sulla guancia, "Grazie amore mio.”
"Lo so, sono da premio Pulitzer, solo che non lo danno ai giornalisti gay!", sbuffò l’altro.
"Se ti togliessi quegli occhialini fucsia e ti vestissi come un uomo te lo darebbero.", disse Mac, prendendolo in giro, marcando sui suoi occhiali da vista rosa shocking che si intonavano con il colore olivastro della sua pelle, ma stonavano totalmente con il suo essere uomo.
"Guarda cara che questi occhialini, come li chiami tu, valgono un occhio della testa. E poi sono 'in' mentre tu sei 'out'!", disse, gesticolando vistosamente.
"Ma piantala... adesso faremmo meglio ad andare a letto, sono le due passate e domani ho la sveglia alle sei e mezza per consegnare questo maledetto articolo.", fece Mac, trascinandolo verso le loro camere, prendendolo per mano.


Non erano ancora suonate le otto quando Mac mise il primo piede dentro al redazione Se ne stava nervosa, seduta sulla sedia di Jutta, con il floppy che conteneva l'intervista in mano. Pregò con tutta l'anima che andasse tutto per il meglio, fece gli scongiuri, chiese una grazia a tutti i santi del calendario. Quando la vide apparire alla porta, perfetta nel suo completino azzurrino, scattò sull'attenti e liberò la scrivania.
"Giorno Mac... che nome assurdo che hai!", fece Jutta come sempre.
"Ha parlato Jutta...”, le rispose automaticamente Mac, “Buongiorno, questo è il floppy. C'è l'intervista dentro."
Jutta si sedette sulla sua sedia girevole e accese il pc, mentre con l’altra mano si rigirava sotto gli occhi il floppy. Non era molto loquace quella mattina e di sicuro non era un buon segno per Mac.
"Tutto a posto?", le chiese, per accertarsene "Come sta tuo nipote?"
"Pessima domanda. Anzi, ritiro anche il buongiorno. Esiste la parola 'Cattivgiorno'?", sbottò subito l’altra, sfoderando fuori il suo pessimo umore.
"Vado a prendere un vocabolario!", esclamò Mac ridendo, ma la sua faccia tornò buia subito, perchè Jutta non aveva mosso nemmeno un muscolo per ridere insieme a lei.
"Vediamo quest'intervista piuttosto.", fece, cliccando sull’icona del collegamento al floppy disk.
"Io ti preparo un caffè, così ti lascio leggere in pace.", fece Mac, uscendo dal raggio di azione del mega coltello di Jutta, affilatissimo e sicuramente pronto per tagliarla in pezzettini.
Appoggiata alla macchinetta, era talmente confusa nei suoi pensieri che fece raffreddare troppo il suo caffè e lo bevve quando ormai era del tutto ghiaccio. Lo gettò nel cestino dei rifiuti, era già imbevibile quando era caldo. Tornò da Jutta in punta di piedi, in attesa che il suo destino di assistente licenziata si compisse.
"L'hai scritto tu questo articolo?", le chiese Jutta, a bruciapelo.
Era inutile mentirle ed oltretutto era impossibile farlo con lei, che riusciva a fiutare le bugie lontane mille miglia da lei. Poteva provare a raccontarle una mezza verità, forse ci cadeva…
"Mi ha dato una mano Thiago. Sai, lui studia letteratura e coniuga i discorsi meglio di me....", disse, attorcigliandosi le dita per il nervosismo.
"Non male, ma è ripetitivo. Ci sono le solite cose che sono scritte in tutte le interviste.", disse Jutta, imbronciandosi.
"Beh.."
Jutta incrociò le braccia e la guardò di sbieco.
"Sei molto intelligente e sveglia. Lo so che questo è un copia e incolla.", disse, smascherandola completamente.
Mac si sentì gelare il sangue nelle vene, a Jutta era bastata una semplice lettura superficiale per capire tutto.
"Mi dispiace.", fece Mac, "Ho cercato di fare un'intervista ma... non è andata molto bene."
"E perchè non è andata molto bene?"
"Perchè...", disse Mac, cercando di trovare una spiegazione migliore di 'ci siamo ubriacati e ci siamo fumati il cervello tutti insieme appassionatamente'.
"Perchè forse non è una buona idea mandare un’assistente di redazione nemmeno ventenne a fare un’intervista ad un gruppo di suoi coetanei?", fece lei, con un sospiro e un'espressione contrariata della testa, "Bastava guardare lo occhiaie che avevi ieri per capirlo. Chissà cosa vi siete fumati ieri…"
"Non bastano tutte le scuse del mondo per quello che ho fatto.", disse Mac, che non sapeva più a quale specchio aggrapparsi.
Jutta la guardò un’ultima volta. Sciolse le sue braccia incrociate per unire le mani sul grambo.
"Mac, che lavoro fai?", le chiese.
"Assistente di produzione.", rispose lei, neutrale-
"E poi?"
"Guardarobiera."
"E cosa hai studiato?"
"Beh... su un pezzo di carta attaccato al muro di casa dei miei c'è scritto 'diploma in surriscaldamento del banco cum laude'"
"E quindi?"
"E quindi mi licenzi tu oppure devo aspettare che lo faccia il direttore davanti a tutti?", disse Mac, spazientendosi definitivamente.
"Mac... avevi una responsabilità grande da portare avanti."
La ragazza, con la faccia da cane bastonato, prese la sua borsa e uscì dalla redazione con le lacrime agli occhi. Non sopportava deludere la gente, soprattutto gli amici come Jutta. Basta, fine del lavoro, adesso doveva trovarsene un altro e tenerselo stretto con i denti… Nera, incazzata come poche altre volte, entrò sbuffando nello studio di Karl, senza che avesse un motivo preciso per fargli visita.
"Hey spaventapasseri, cosa ti porta qua? Non vanno bene le foto?", fece lui, che già era in camice. La fece entrare nella camera rossa e, mentre lei si arruffava il cervello seduta su una sedia, lui riprese il suo lavoro.
"Boh, che ne so...”, disse lei, “Ho consegnato l'articolo adesso e non è andato bene. Hanno capito subito che era un copia e incolla preso da altri articoli su internet."
Karl, mentre appendeva le foto in via di sviluppo, e sospirò.
"Ti ripeto, non sei una giornalista,”, le ripetè, come aveva fatto il giorno precedente, “e non avrebbero dovuto farti fare tutto solo perchè questi ragazzi hanno richiesto la tua presenza."
"Sì, ma potevo fare molto di meglio.", si lamentò Mac, “Adesso mi hanno tagliato le gambe.”
"Cosa farai? Ce l’hai un altro lavoro?”
"Non mi ci far pensare, Karl…”, lo pregò lei, “Per adesso vorrei fare una copia delle fotografie che ho fatto.", disse lei, tirando fuori un cd vergine dalla sua borsa.
"Bene, vai al computer, io devo ancora fare delle cose qua. Tanto sai come si usa vero?"
"Sì, già l'ho fatto altre volte."
Salì sulla sua celestina, chiedendosi se Jacob avrebbe acconsentito ad assumerla a tempo pieno nel suo locale, anche come cameriera, o come donna delle pulizie. Andò verso lo studio dove aveva preso appuntamento con i ragazzi e attese seduta su una panchina, in un giardino da lì poco distante. La sua mente era vuota, risuonavano solo le canzoni memorizzate nel suo mp3. Con una sigaretta in bocca e un caffè in mano, attese che arrivassero le quattro.


"Ragazzi, un attimo di pausa vi prego!", disse Gustav, alzando le mani in aria per chiedere pietà.
"Dai, un ultima canzone!", disse Bill, che quel giorno si stava divertendo davvero troppo alle prove.
"Basta, non ce la faccio più...", disse Georg, togliendosi il basso e uscendo dallo studio.
I quattro ragazzi andarono nella sala relax a distendere i loro muscoli. Stavano provando da quasi due ore perchè tra qualche giorno, dopo una breve vacanza in famiglia, avrebbero iniziato un mini tour della Germania e dovevano per forza impegnarsi.
Tom aprì la finestra e si accese una sigaretta, l'avrebbe aiutato a rilassarsi completamente. Con i gomiti appoggiati al davanzale, guardava la strada e le persone che camminavano sui marciapiedi.
"Hey Bill, quella non è la macchina di Mac?", esclamò, notando un'automobile vecchia e celeste.
Suo fratello, che era impegnato in una partita solitaria alla playstation, mise il gioco in pausa e andò a controllare, seguito a ruota anche da Gustav e da Georg.
"Sì, è quella! Si riconosce da un miglio di distanza!", disse Georg, "Ma sono le due e mezza, cosa ci fa già qui?"
Gli altri, ricordando quello che lei aveva detto a Bill a proposito del suo lavoro, compresero che le cose non le erano andate molto bene. Gustav si sporse per vedere se lei si trovasse nei paraggi: la vide seduta su una panchina, quasi fuori dalla sua visuale, che leggeva un giornale.
"Mac!", gridò, sperando che lei lo sentisse.
"Mac!", fece anche Tom.
"Non ci sente... e poi stiamo attirando l'attenzione.", fece Bill, notando che diversi nasi si erano voltati all'insù per vedere chi stesse gridando in quel modo.


Se non fosse stato per il vibracall, Mac non avrebbe mai visto che il cellulare stava ricevendo una chiamata. Aveva le cuffie nelle orecchie e la musica era un po' troppo alta, solo la vibrazione del suo telefonino attirò la sua attenzione.
"Pronto?", disse, accettando la chiamata.
"Ci stai vedendo?", disse una voce familiare ma non conosciuta all'altro capo del telefono.
"Cosa?", fece Mac.
"Dai scema! Siamo noi! Alza il naso!", disse una voce che sembrava quella di Tom.
Mac si guardò intorno, poi con la coda dell'occhio vide che qualcuno stava cercando di attirare la sua attenzione, sbracciandosi ai piani alti di un palazzo. Riconobbe Gustav e Tom.
"Sto arrivando!", fece, con un sorriso sul viso, chiudendo la chiamata.
Mentre l'ascensore saliva si chiedeva cosa avrebbe dovuto dire, come si sarebbe dovuta comportare. C'era sempre il mistero 'con chi avrà mai perso la verginità la signorina Mackenzie Rosenbaum?', una domanda da un milione di dollari, il concorso era sempre aperto a nuovi iscritti.


Forse lei lo avrebbe capito guardandolo in faccia, notando il suo imbarazzo. Georg, che si era rifiutato di rispondere a tutte le domande dei suoi compagni su come e quando Mac gli avesse scritto quella frase addosso, stava iniziando a sentirsi nervoso. Le mani avevano preso a sudare, la sua faccia stava arrossendo. Si domandò se anche lei si ricordava, ma una vocina in fondo alla sua testa gli disse di no, sicuramente lei non si ricordava niente.


"Ciao ragazzi!", fece lei, entrando nella sala relax.
Il primo ad andarle incontro fu Bill: le tendeva le mani come se volesse abbracciarla, ma inaspettatamente Mac si ritirò e gli strinse la mano, imbarazzata. Così successe anche con Tom, che voleva darle un tenero abbraccio e, non avendo notato la reazione che aveva avuto la ragazza con il fratello, rimase lievemente interdetto quando lei si scansò, porgendogli la mano. Gustav, invece, aveva afferrato la palla al balzo: la salutò con un semplice ciao e altrettanto fece Georg. 
Mac scrutò le loro facce velocemente, rimanendo delusa e contenta allo stesso momento: nessuno di loro sembrava essere in imbarazzo con lei. Ciò poteva voler dire che forse non era successo niente, che magari era stata lei a crearsi tutti quei problemi solo per aver visto la cartina di un condom a terra. Magari, anche se la sera prima non era perfettamente cosciente, si era comunque rifiutata di farlo...  Sì, pensò, era sicuramente così.
"Sono stato io a vedere la tua macchina.", disse Tom, "E anche se l'appuntamento era alle quattro abbiamo deciso di farti salire lo stesso."
"Ah... allora grazie.", disse Mac, ancora imbarazzata.
"Siediti e parlaci del tuo lavoro.", disse Gustav, al quale premeva evidentemente sapere cosa le era successo, per essere arrivata da loro prima dell'ora stabilita.
Mac gli sorrise e si accomodò, mentre gli altri ragazzi si disposero intorno a lei..
"Beh.... mi hanno licenziata.", snocciolò rapidamente.
"Davvero?", fece Bill.
"A dire la verità me ne sono andata io quando ho capito che la situazione non era a mio favore.", rivelò Mac.
"Allora come fai a sapere se hai perso il lavoro o no?", le domandò Gustav, grattandosi la testa..
"Certe cose si capiscono...", disse Mac, scuotendo la testa, "Te lo senti dentro."
"E se invece il lavoro ce l'hai ancora e ti stai sbagliando?", disse Georg, facendo spallucce.
Lui l'aveva osservata bene e, a parte un leggero imbarazzo iniziale, aveva visto che la sua faccia si era distesa subito. 
Non si ricordava niente... la cosa gli dispiacque abbastanza. 
In fin dei conti, l'aveva sempre trovata carina e quello che era successo era dovuto solo a questo. Non era innamorato di lei, ma dopo tutto quel bere e quel fumare... 
Per le ragazze, di solito, la prima volta doveva essere una cosa speciale e la sua non lo era stata di certo. Se ne dispiacque, le aveva rovinato uno dei momenti più belli della sua vita... ma non poteva farci niente, ormai era capitato. Oltretutto non era nemmeno sicuro che lei si ricordasse... 
"Non credo... e comunque farei bene a trovare qualcos'altro di più gratificante. A proposito, vi faccio vedere le fotografie.", disse Mac, tirando fuori il cd che le conteneva. Lo infilò nel lettore dvd impolverato che sostava inutilizzato sopra la televisione, si sedette per terra, seguita dai ragazzi, e presto iniziarono a ridere di quelle fotografie.
"Però... questa è bella...", disse Bill, riferendosi ad una foto che lo ritraeva, con la testa riclinata all'indietro, mentre cantava, e in secondo piano, un po' sfocato, c'era suo fratello, impegnato a suonare la sua chitarra.
"Anche questa non è male...", disse Gustav, immortalato sorridente, mentre si asciugava la fronte con la mano.
"Mi piacciono i primi piani.", disse Mac.
"Perchè non ti butti nella fotografia?", le fece Georg.
"Perchè non pagano bene!", rispose subito lei, "E perchè non mi interessa."
"Io ci proverei.", disse Bill.
Mac riflettè un attimo... 'Quella porta è sempre aperta', le aveva detto Karl il giorno prima. Non sarebbe stato male lavorare con lui, pensò la ragazza.
"Mannaggia! Mi sono scordata la tua t-shirt, Georg!", esclamò Mac, "Ancora è nel cesto dei panni sporchi."
"Non ti preoccupare, ne ho cinquanta di magliette come quella, te la regalo... ma questa invece è la tua roba.", disse lui, passandole una piccola busta di carta, con dentro la sua canottiera e le chiavi di casa.
"Eh no! Queste le saltiamo!", esclamò Tom improvvisamente, appena apparve la sua prima foto vestito da donna.
"Te lo scordi bellezza!", dise Mac, afferrando insieme a lui il telecomando del lettore, per evitare che premesse il tasto stop.
"Lascialo!", protestò il ragazzo.
"No lascialo tu!", fece Mac, tirando ancora più forte.
"No! Fallo tu!", esclamò Tom, riuscendo a toglierle il telecomando di mano. Mac cadde all'indietro, battendo una sonora culata per terra e prendendo a ridere come una pazza. Di nuovo il suo telefono prese a squillare.
"Che palle questo coso!", disse, alzandosi non senza fatica.
"Ma dove sei finita!", sbottò Jutta. Era lei che la chiamava dalla redazione.
"In giro, tanto non lavoro più con voi, no?"
"Sbagliato, al capo redattore e al direttore è piaciuta l'intervista, non hanno capito che era un lavoro fatto con i piedi. L'ho sempre detto che sono degli incompetenti patentati."
"Quindi non sono licenziata?", domandò Mac, che si sentiva come sul filo del rasoio.
"No scema, torna in redazione a riprendere il tuo posto!", disse Jutta.
I ragazzi, attirati dalla conversazione telefonica, guardavano Mac sorridendo, in attesa di una sua esplosione di gioia. 
Ma Mac, nella sua testa, era davanti ad un bivio: rimase un attimo in silenzio. Lasciare il lavoro sottopagato e sottoappagante, ma sicuro e stabile, oppure prendere al volo la proposta di Karl?
"Allora? Ci sei?", la richiamò Jutta, al telefono.
"Sì ci sono, ma mi licenzio da sola.", disse Mac, in uno slancio di irrazionalità, "Ho trovato un altro lavoro. Ci sentiamo Jutta, salutami tutti!"
E chiuse la chiamata.
Tutti la guardavano come se avesse detto la più grossa cavolata del mondo. Bocche spalancate, occhi sbarrati.
"Ti sei licenziata da sola? Ma sei pazza!", esclamò Tom.
"Forse sì...", disse Mac, comprendendo che forse non era stata la decisione più saggia della sua vita, "Adesso devo fare un'altra chiamata."
Premette il tasto della rubrica e scorse i nomi finchè quello di Karl non fu evidenziato.


Prima di salutare i ragazzi, chiese loro un ultimo favore.
"Lo faccio per il mio amico Thiago, tra qualche mese torna in Spagna e vuole a tutti i costi i vostri autografi.", disse Mac.
"E cosa vuoi che sia! Vado a prendere un foglio ed una penna.", disse Gustav, inziando a frugare in giro.
"No, sarebbe troppo scontato.", disse lei, tirando fuori una t-shirt completamente bianca ed un pennarello, "Vuole che firmiate questa maglietta."
"E allora firmiamola!", disse Tom, facendo spallucce.
"Ho in mente una dedica fantastica: A Thiago, il gay più gay dei gay!'", disse Bill.
"Ma che fantasia...", fece Georg, incrociando le braccia.
"A me piace e ce lo scrivo, poi voi ci mettete quello che volete!", disse lui, un po' risentito dal commento dell'amico. Aggiunse alla sua frase d'effetto la sua firma, poi passò il pennarello al fratello, che si limitò ad un semplice scarabocchio e ad un 'sei forte ragazzo!', e lui lo cedette infine a Gustav. Dopo un 'continua così' del batterista, Georg volle cogliere il momento per tentare l'ultima carta.
"Cos'hai stai scrivendo? Guerra e pace?", gli disse Tom, vedendolo intento, con la lingua sporgente tra i denti, a scrivere qualcosa di impegnativo, piegato sulla t-shirt come se nessuno dovesse guardarlo.
A fine lavoro chiuse il pennarello e riconsegnò la maglietta a Mac, cercando nel suo viso un segno rivelatore. 
Lo sguardo della ragazza, dopo la lettura della sua dedica, si abbuiò per un secondo.
"Rock... my life...", lesse.
Gli occhi dei ragazzi andavano da Georg a Mac, da Mac a Georg, in attesa di una reazione.
"Non so per quale motivo... ma questa frase mi è familiare.", disse Mac, ridendo imbarazzata.
"Beh... hai lavorato per Pop my life...", balbettò Georg, "ma ti si addice più farlo per una rivista con quel nome, o sbaglio?"

Quello era il segno che lei non si ricordava davvero di niente.

 

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Capitolo 12
*** And time goes by ***


AND TIME GOES BY

Entrò nel negozio di dischi, il suo preferito. Salutò il proprietario alla cassa con un cenno della testa e si aggiustò i Rayban sul naso. Era in trattativa per l'acquisto di un vinile pregiato, un vecchio album dei Black Sabbath, autografato da tutti i componenti della band, ma quella volta non si fermò a parlare con lui perchè doveva semplicemente comprare un disco per un regalo. 
La mania del collezionare i vinili era nata da un paio di anni a quella parte e fino a quel momento ne aveva acquistati molti di valore. Magari un giorno, se avesse avuto dei problemi economici, li avrebbe rivenduti ed avrebbe potuto guadagnarci diverse migliaia di euro. Aveva imparato a 'dividere i rischi', investendo in cose che potevano sembrare inutili, ma che ad un occhio attento e informato sicuramente non lo erano affatto.
Ma non era lì per quello scopo. Andò verso la sezione rock ad occhi chiusi, la conosceva come il palmo della sua mano e si mise ad osservare le nuove uscite. Non c'era niente di suo gradimento, ma doveva fare un regalo ad una sua amica e scelse l'ultimo disco dei 'The Killers', sperando che lei non lo avesse già acquistato.
C'erano altre persone nel negozio di dischi e tutte erano intente ad osservare gli altri scaffali. Stava quasi per raggiungere la cassa, ma si fermò ancora un attimo, per curiosità, al reparto dvd. Un rumore irritante proveniva da un gruppetto di altre persone nei suoi pressi. Sembrava che qualcuno si divertisse a scoppiettare la chewing gum, senza accennare a smettere. Cercò di ignorare quello 'stick stick stick' anche quando lo sentì avvicinarsi. Poi il fastidioso rumore si interruppe a tre passi da lui. Tirò un sospiro di sollievo e tornò con gli occhi sui cofanetti dei telefilm.
'STICK!'
Si voltò, deciso a fare notare a chi di dovere che quel rumore era molto fastidioso. Dietro di sè una ragazza, di spalle, capelli biondi a caschetto nascosti sotto un cappello. Stava per voltarsi quando vide lo strano tatuaggio tra le sue scapole. 
Rimase stupito. Senza fiato.
Le dette due colpetti sulla spalla.
"Sì...", fece lei, voltandosi senza interesse.

Chissà se questo cd ce l'aveva, pensava, mente se lo rigirava tra le mani. Non si ricordava quale album dei Metallica mancava ancora alla sua collezione, avrebbe dovuto controllare meglio per evitare di comprare un doppione, ma poteva anche prenderlo e magari farselo cambiare. 
Alternava i suoi pensieri allo scoppiettio della sua chewing gum. Stick stick stick stick...
Poi sentì due dita tamburellare sulle spalle. Si voltò ed osservò lo sconosciuto davanti a lei.
"Mackenzie?", la chiamò l'uomo. Era alto un po' più di lei, capelli a spazzola, occhiali da sole sulla faccia.
"Ci conosciamo?", fece lei, con aria interrogativa.
"Temo proprio di sì.", fece lui, togliendosi gli occhiali.
La ragazza lo guardò meglio.
"Tu sei... oh mio dio! Georg!", disse lei, portandosi le mani alla bocca, "Non ti avevo riconosciuto con i capelli corti!"
"Già... li ho dovuti tagliare per aver perso una scommessa, altrimenti li avrei sempre lunghi come prima.", disse lui, passandosi velocemente una mano sulla testa
"Cavolo... ma quanti anni sono passati!", ricordò improvvisamente Mac.
"Beh... penso cinque o sei", disse lui.
"Madonna santa... come stiamo invecchiando bene!", fece lei ridendo, "Posso offrirti un caffè da Starbucks qui all'angolo?"
"Certo che sì, ma vorrei offrirtelo io!"
"Allora facciamo così: io pago il tuo e tu paghi il mio!", disse Mac, avviandosi verso l'uscita.

Era sempre la solita, nemmeno il suo look era cambiato: pantaloncini corti e canotta, semplice come se la ricordava. Solo il taglio dei capelli era diverso, un caschetto sbarazzino che le contornava una faccia altrettanto simpatica. Anche Mac lo aveva trovato uguale a come lo conosceva, solo che la sua faccia era molto più mascolina di un tempo. Nel complesso era cresciuto bene, pensò.
Dopo che loro erano ripartiti, quel giorno di diversi anni fa, i contatti tra lei ed i ragazzi erano stati sporadici fino a non sentirsi più del tutto. Non era stata di certo una cosa voluta, ma legata soprattutto ai rispettivi impegni, e nessuna delle due parti aveva fatto veramente qualcosa per tenere vivi i rapporti.
"Allora? Come vanno i Tokio Hotel? Ancora non vi siete ritirati dal mercato?", gli chiese lei, dopo che ebbero ordinato due tazze di caffè fumante..
"Per adesso sì... sai, abbiamo preso un anno o due di tempo per dedicarci alla nostra vita e ai progetti privati.", fece lui, "Invece tu? Come va con il lavoro? Alla fine è andato tutto per il verso giusto vero?"
"Sì, mi sono davvero licenziata da quella stupida rivista e sono andata a lavorare come apprendista da un mio amico fotografo che, guarda il caso, lavorava al piano di sotto rispetto alla redazione. Alla fine sono rimasta sempre nel solito palazzo!", disse ridendo.
"E adesso?", le domandò lui.
"Adesso ho uno studio indipendente, sto cercando di affermarmi come free lance, di farmi un nome. Ma per ora collaboro con riviste di ogni genere. Mi è anche toccato andare ad una fiera canina internazionale... non ti dico!"
Il ragazzo si mise a ridere, ma si interruppe quando vide il tatuaggio che la ragazza aveva la braccio sinistro. Lesse chiaramente una frase a lui conosciutissima: 'Rock my life'. Rimase interdetto, totalmente, e per qualche secondo la sua mente rimase ingarbugliata in una miriade di pensieri.
"Quando te lo sei fatto quel tatuaggio?", le chiese, quando riuscì a trovare il bandolo della matassa.
"Questo? Poco dopo che siete partiti. L'ho impressa per sempre qui. Oltre che a ricordarmi di voi, segna anche un punto di svolta fondamentale nella mia vita."
"Ah... interessante.", fece Georg, sorseggiando il caffè che gli era stato appena servito dalla cameriera. 

Ancora, di nuovo, la riprova che lei non ricordava assolutamente niente.
"Raccontami un po' di te.", gli disse Mac, cambiando discorso.
"Beh... è strano che non ci siamo incontrati prima, io mi sono trasferito qui da qualche mese.", le rivelò Georg, sorseggiando il caffè.

"Davvero?!?", esclamò Mac, "Io abito sempre nel solito appartamento, a quattro passi da qua, e praticamente non ci siamo mai 
visti!"
"E' vero! Siamo terribili!", disse Georg, ridendo.
"Come mai proprio qua? Non c'à praticamente niente!", disse Mac.
"Perchè la zona è tranquilla, la gente è simpatica. E perchè la mia fidanzata è di qua."
"La tua fidanzata?!?", disse Mac, con aria stupita, e poi si fece due conti in testa, "Vuoi dire che... ti stai per sposare!"
"Sì, proprio così. Si chiama Jasmine."
"No... non ci credo.", fece Mac, portandosi la mano davanti alla bocca.
"Guarda.", fece lui, frugandosi nelle tasche dei pantaloni e tirando fuori una coppia di anelli.
"Gesù... hai già le fedi in tasca. E quando sarà l'evento?"
"Tra sei mesi. Visto che ti ho incontrato ne approfitto per invitarti."
"Verrei molto volentieri.", disse Mac, "Ma non conosco nessuno..."
"Non ti preoccupare, saremo in pochi. E poi sarà una buona occasione per incontrare anche gli altri. Cerchiamo di rimanere in contatto, non come abbiamo fatto in questi anni."
"Hai ragione...", disse Mac, frugando nella sua borsa per dargli un suo biglietto da visita.
"Ma allora sei proprio una professionista! Anche i biglietti con il tuo nome!", esclamò Georg, rigirandoselo tra le dita.
"Già... tanto per fare bella figura..."
"Magari potrei anche ingaggiarti come fotografa per il giorno del mio matrimonio."
"Non ti deluderei, ho fatto anche quello per sopravvivere!", disse Mac ridendo.
"E tu, invece? Nessun principe azzurro in vista?"
"No, nessuno oramai da diverso tempo.", gli rivelò lei, facendo spallucce, "E poi una mattina di sei anni fa mi sono svegliata tra i due Kaulitz.... il mio analista ha fatto i milioni con le mie sedute!"
"Davvero? Eppure ci sono ragazze che pregano tutti i giorni per una cosa del genere!", fece Georg ridendo.
"Ed io che non ci spenderei manco un centesimo... comunque ora è difficile svegliarsi in una situazione del genere.", disse Mac, con sguardo malizioso.
"Intendi che scegli accuratamente le sigarette che ti passano tra le mani?", colse la palla al balzo Georg.
"Anche!", fece Mac, scoppiando in una risata. Poi guardò distrattamente l'orologio, accorgendosi che era l'ora per lei di andare.
"E' stato un piacere ritrovarti Mac!", disse Georg, davati all'uscita di Starbucks.
"Anche per me..." fece lei. Si scambiarono un abbraccio amichevole.
"Ti chiamerò io allora!"
"Perfetto, non vedo l'ora di conoscere questa Jasmine.", disse Mac.
E si allontanarono l'uno dall'altra. 
Georg fece qualche passo poi, in un gesto irrazionale, si voltò. 
"Mac!", la chiamò.
"Dimmi!", fece l'altra, girandosi dalla usa parte.
"Devo dirti una cosa.", disse lui, raggiungendola.
"Certo...", fece lei, attendendolo a braccia conserte.
Gli ci volle un attimo prima di trovare le parole giuste.
"Mac... proprio non ti ricordi cosa significa quella scritta... Rock my life?"
La ragazza lo guardò: per un attimo il suo sguardo si scurì, poi un grande sorriso apparve sulla sua faccia.
"Quanti giorni ha resistito l'inchiostro indelebile?", fece lei, mettendogli l'indice sul petto.
La faccia di Georg si distese... lei se lo era sempre ricordato.

FINE

Spero di aver fatto un buon lavoro di correzione! La storia è la solita, non ho aggiunto niente, solo la grammatica, la sintassi e le correzioni dovute XD alla prossima!

 

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