Spirali di fumo

di rosaleona
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un fiume di lava sotto una crosta di ghiaccio ***
Capitolo 2: *** Nome scientifico: scimmia dispettosa ***
Capitolo 3: *** Il microonde è il miglior amico dei vampiri ***
Capitolo 4: *** Una rispettabile attività commerciale ***
Capitolo 5: *** Il Signore è con me! ***
Capitolo 6: *** La versione tonta di Fior di Loto ***
Capitolo 7: *** Certi suoceri sono più pericolosi di altri ***
Capitolo 8: *** In pigiama fino a mezzogiorno ***
Capitolo 9: *** Un mazzo di asparagi selvatici ***
Capitolo 10: *** La domanda di Winston Churchill ***
Capitolo 11: *** I cavalli non crescono sugli alberi! ***
Capitolo 12: *** L'unica femmina di casa Hellsing ***
Capitolo 13: *** Un principe blu-scuro ***
Capitolo 14: *** Lascia che della morte se ne occupino i morti ***
Capitolo 15: *** La volpe, il lupo e i cani ***



Capitolo 1
*** Un fiume di lava sotto una crosta di ghiaccio ***


La porta dell'ufficio di Sir Arthur si spalancò di colpo. L'anziano uomo sollevò uno sguardo corrucciato e vide sua figlia Integra attraversare di corsa la grande stanza, con un sorriso entusiasta sul volto. Era appena tornata da scuola, aveva ancora indosso la divisa dell'istituto, segno che era riuscita a sgusciare via dalle mani della signora O'Hara, la governante, prima che la donna avesse avuto il tempo di cambiarla. Come richiamata dalle sue considerazioni, sulla soglia dell'ufficio apparve la governante, con a fianco l'autista. I due dipendenti avevano l'aria mortificata e il viso congestionato, segno che si erano cimentati nell'improba impresa di inseguire la bambina.
- Ci scusi, Sir - biascicò l'autista - Appena ho posteggiato l'auto, vostra figlia è schizzata fuori senza che nè io nè la signora O'Hara riuscissimo a fermarla. -
- Va bene, non fa nulla - rispose l'anziano, congedando i sottoposti con un sorriso. Sapeva quanto fosse arduo stare dietro ad Integra. Sembrava che nelle vene della bambina non scorresse sangue ma argento vivo.
- Lo sai papà che fuori dalla scuola hanno appeso un cartellone grande grande che dice che è arrivato il circo? - cinguettava intanto la piccola, scalando le ginocchia del genitore - Ci sono disegnati i leoni e le tigri, un mangiatore di fuoco, un fachiro che inghiotte le spade e un contorsionista tutto ripiegato su se stesso. Mi ci porti papà, eh? Mi ci porti? -
L'idea di annoiarsi guardando dei numeri che nella realtà sono sempre molto meno entusiasmanti che nella fantasia, non allettava Sir Hellsing. Ma Integra aveva solo sei anni, non era mai andata al circo ed Arthur era consapevole che a causa della sua età avanzata e della salute cagionevole, stava impedendo alla bimba di vivere fin troppe esperienze. Quante volte si era astenuto dal portarla in qualche luogo di ritrovo infantile, sapendo di non avere nè la forza nè il fiato di inseguirla quando lei gli scappava di mano (e la manina di Integra sgusciava fin troppe volte dalla sua)? Doveva negarle anche questo?  
- Va bene, peste. Domani sera andremo al circo. -

Quella fu la prima e ultima volta in vita sua che Integra andò al circo. Nella sua mente, l'amarezza di quella serata si legò in modo indissolubile a quel luogo, tanto che negli anni avvenire la ragazzina sviluppò un'antipatia feroce per tutto ciò che aveva a che fare con spettacoli analoghi, rifiutandosi categoricamente di vederli. Troppi brutti ricordi le risvegliavano nella mente la visione di pagliacci e domatori.
La bambina Integra non aveva mai avuto grandi dosi di pazienza: pazientassero gli altri, lei preferiva impiegare il suo tempo a saltare, arrampicarsi, giocare ai pirati e agli indiani. Quella sera però, complice il ritrovarsi in un ambiente nuovo, le mancò il coraggio di comportarsi come faceva solitamente quando doveva attendere in fila, cioè mollare il padre ad aspettare il loro turno mentre lei si scatenava correndo in ogni direzione.
Quella sera, Integra morse il freno, rimanendo pazientemente al fianco del padre nella lunga fila che si snodava davanti alla biglietteria e all'ingresso del tendone colorato. Fu per questa ragione che in quell'occasione, per la prima volta in vita sua, Integra si rese conto fino in fondo della bizzarrìa della propria condizione.
Che la sua famiglia fosse diversa dalle altre, l'aveva sempre saputo. Non aveva la mamma e i capelli di suo padre erano bianchi. Fino ad allora però la futura Sir Hellsing aveva analizzato solo superficialmente la propria situazione.
Ma adesso, mentre aspettava in fila col padre, Integra vedeva arrivare frotte di bambini, tutti debitamente accompagnati da due genitori, più o meno giovani ma sempre in possesso dell'energia necessaria per inseguire i figli quando si allontanavano.
Di ciò che vide dentro il tendone, la discendente di Van Hellsing non serbò alcun ricordo. I suoi occhi guardavano lo spettacolo ma la sua mente era impegnata a trarre considerazioni sulle famigliole osservate fuori. Confrontava il suo stanco genitore con quelli degli altri ragazzini, ripensava all'infinità di volte in cui Arthur era stato scambiato per suo nonno.
Fu allora che Integra si rese conto che suo padre era un fragile anziano, destinato a morire presto.
E una volta deceduto, cosa ne sarebbe stato di lei? Chi l'avrebbe consolata dopo una caduta, prendendola in braccio? Chi le avrebbe raccontato le storie sui vampiri in cui alla fine trionfavano sempre gli umani?
Con chi sarebbe vissuta?
I parenti di sua madre, morta da tanto di quel tempo che Integra non ne serbava alcun ricordo, erano sparsi per il commonwealth e la bimba non li aveva mai conosciuti. In Inghilterra viveva solo lo zio Richard, individuo di cui non riusciva a fidarsi fino in fondo.
Esclusi i familiari, chi restava?
Suo padre non aveva amici, solo colleghi di lavoro, i membri della Tavola Rotonda, tutti vecchi quanto lui.
Poi c'era Walter, braccio destro di Arthur. Integra non riusciva a considerare lo shinigami semplicemente come un maggiordomo. Lo conosceva dalla nascita, per lei era come un secondo padre e adesso si rendeva conto con spavento che, benchè mister Dornez non fosse anziano quanto il padrone, neppure lo si poteva considerare giovane.
No, tutte le persone su cui Integra poteva contare erano in là con gli anni. Era una bambina in un mondo di vecchi.
Era stato da quella notte che il suo incubo aveva cominciato ad assillarla. La futura Sir Hellsing si trovava a vagare per la grande magione degli avi, immersa in un silenzio talmente profondo che il rumore dei suoi passi e del suo respiro sembrava riecheggiare fra le mura spente. Camminava per stanze, corridoi e scale senza incontrare anima viva. Sapeva che tutti gli anziani che costituivano il suo mondo erano morti e lei era rimasta sola fra quei saloni.
La bambina allora si risvegliava, stupita di trovare il cuscino umido. Si stropicciava gli occhi brucianti e così facendo si rendeva conto che l'aveva bagnato con le sue lacrime. Lei che non piangeva mai, lei che aveva un carattere talmente determinato da mettere in difficoltà persino gli insegnanti, non poteva trattenersi dal frignare davanti alla sua più grande paura.
Infine arrivò il giorno in cui il suo incubo si avverò.
Nel giro di poco tempo papà era peggiorato e morto e neanche quarantott'ore dopo il funerale, si era ritrovata a correre per stanze, scale e corridoi singolarmente vuoti, braccata dallo zio e dai suoi scagnozzi. Dopo quella giornata sconvolgente, una nuova paura si era fatta strada nel cuore della ragazzina.
Più forte del terrore di rimanere sola, adesso le bruciava dentro l'angoscia del tradimento.
Non si era mai fidata di Richard ma nemmeno era mai arrivata a pensare che sarebbe stato capace di tentare di ucciderla con tanta crudeltà. Ora si chiedeva se sarebbe riuscita a fidarsi nuovamente del prossimo. Se persino suo zio era arrivato a spararle, cos'altro poteva attendersi da chi non le veniva parente?
Poteva fidarsi dei membri della Tavola Rotonda? O di Walter? Ma a quest'ultimo pensiero, la sua mente si ribellava: no, di Walter poteva fidarsi!
Walter l'aveva tenuta in braccio quand'era neonata, aveva giocato con lei quand'era bambina e sempre, quando stava male, lui era lì ad accudirla e sorreggerla.
No, se quel giorno lo zio l'aveva inseguita attraverso una magione insolitamente vuota, era stato solo frutto del caso.
Sì, di Walter poteva fidarsi, la sua salute mentale lo esigeva. All'interno dell'oceano in burrasca che erano stati quegli ultimi giorni, in cui il mondo di Integra era stato spazzato via nella sua interezza, Walter era l'unico, solido scoglio a cui la ragazzina potesse appigliasi per non naufragare. E lei si aggrappava al suo secondo padre con tutte le sue forze, incurante del fatto che adesso gli scogli su cui poteva contare erano due.

Sì perchè del suo secondo scoglio, cioè il vampiro che aveva liberato dai sotterranei, Integra non riusciva a fidarsi.
Sapeva di dovergli essere grata perchè le aveva salvato la vita, ma quanta gratitudine si può provare verso un mostro rivoltante?
Non poteva scordare la mattanza che aveva compiuto nelle segrete della villa. I corpi degli scagnozzi di Richard che si strappavano come fogli di carta, il braccio dello zio che volava per terra...e lei che impugnava la rivoltella e lo finiva.
A quel ricordo, Integra stringeva gli occhi e si raggomitolava su se stessa, chiedendosi se dopo tutto non fosse mostruosa quanto Alucard.
Pensava allora con odio a come la facessero facile, nei film. Lì i protagonisti si uccidevano a vicenda senza provare alcun rimorso ma nella realtà era tutto molto più complicato. Aveva un bel da ripetersi, Integra:
- E' stata legittima difesa! -
Il senso di colpa per aver sparato ad un uomo non se ne andava comunque.
- Passerà, Sir, non temete. - la rassicurava Walter, facendole però anche intendere che a situazioni simili avrebbe dovuto farci il callo perchè si sarebbero ripresentate, adesso che era a capo dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti.
Integra, sconfortata, chinava il capo: sarebbe mai riuscita ad abituarsi a questa nuova esistenza?
- E a quel vampiro, riuscirò mai a fare il callo? -
- Sì, Sir. - rispose il maggiordomo con un sorriso indulgente - E anche molto prima di quel che crediate. -

Integra nutriva più di un dubbio sull'ultima affermazione di Walter.
Erano trascorsi tre giorni da quando aveva risvegliato Alucard. Tre giorni in cui si era chiesta più di una volta se non stesse fluttuando all'interno di un sogno.
Tre giorni in cui non aveva fatto altro che ritrovarsi il vampiro fra i piedi.
Sembrava che il nosferatu fosse la sua ombra. Non la seguiva anche in bagno solo perchè intuiva che la ragazzina se la sarebbe presa ma per il resto, a parte brevi pause, le stava appiccicato alle costole ventiquattr'ore su ventiquattro.
- Perchè mi stai alle calcagna? Perchè non mi lasci in pace? - gli aveva urlato Integra quella mattina.
Poco prima si era seduta su un gradino dello scalone d'ingresso, con la mente insolitamente sgombra da pensieri, godendosi quell'insperato momento di pace interiore. Aveva chiuso gli occhi, lasciandosi cullare dal ritmo del suo stesso respiro.
Quanto era durata quella pausa di serenità? Poco, troppo poco. Quasi subito aveva udito accavallarsi al suono del suo respiro un rumore insistente, elettrico. Cosa stava combinando adesso quel maledetto succhiasangue? Sì, perchè non poteva che esser lui a disturbarla così.
Quando Integra si era seduta, il vampiro non c'era, ne era sicura. Non aveva avvertito la sua inquietante presenza, simile ad un gelido alone, intorno a sè. Davvero quella pausa benefica era già terminata?  
La ragazzina socchiuse le palpebre.
Eccolo lì, accoccolato sui talloni, ai piedi della scala. Fra le dita che s'indovinavano ossute anche sotto i guanti, teneva un telefono cellulare, indubbiamente sgraffignato da chissà quale tasca o borsa. Girava e rigirava l'oggetto fra le mani, pigiando tasti a caso, nel tentativo di capire come funzionasse, con un'espressione assorta dipinta sul viso.   
" Somiglia ad una scimmia malevola e dispettosa " si disse Integra. Ripensò con stupore a ciò che le aveva spiegato Walter e si chiese com'era possibile che quell'individuo tanto animalesco fosse stato una delle colonne portanti dell'Hellsing. Improvvisamente, l'idea che un simile mostro fosse l'arma segreta dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti le sembrò un'umiliazione talmente grande che si sentì sopraffare dal furore e lasciò la sua rabbia libera di sgorgare.
- Perchè non mi lasci in pace? Perchè mi segui come un cane? -
- Ragazzina, tu per me sei una novità assoluta. - aveva replicato il vampiro senza scomporsi, continuando a giocare col telefono - Innanzi tutto, è la prima volta che mi ritrovo ad avere un master così giovane. Secondariamente, è la prima volta che mi ritrovo ad obbedire ad una persona mai vista prima. Tutti i miei masters hanno scelto i loro eredi mentre erano ancora in vita e ho avuto anni di tempo a disposizione per imparare a conoscerli. Tu invece sei sbucata fuori all'improvviso. Mi sono addormentato con master Arthur che era ancora vivo e vegeto e mi risveglio con sua figlia. Avrò pur il diritto di conoscerti! -
- Per conoscermi non è necessario starmi addosso giorno e notte! -
- E chi lo dice? Sei un soggetto interessante, Integra. Inoltre considera che non ho granchè d'altro da fare. Una volta eliminate quelle nullità di Richard e i suoi uomini, non si sono presentati altri nemici da affrontare. Quindi tanto vale starti alle calcagna. -
Integra, non sapendo come replicare, covò la sua rabbia in silenzio, guardando il nuovo servo con occhi torvi.
- Ah! - esclamò quello con soddisfazione, sempre osservando l'oggetto che teneva fra le mani.
" Deve aver compreso come funziona " pensò Integra, certa che da lì ai prossimi venti minuti quel cellulare non avrebbe avuto più segreti per Alucard. La consapevolezza di avere a che fare con un essere intelligente e non con uno scimunito che poteva canzonare allegramente, amplificò la rabbia di Sir Hellsing.
Il vampiro, indifferente al furore della padroncina, terminò il discorso:
- Sì, meglio che ti stia alle calcagna almeno se saltasse fuori qualcun'altro deciso ad ucciderti, sarei pronto ad accoglierlo. -  

Integra si svegliò di soprassalto. Non si trattava di una novità. Da quando la salute del padre era cominciata a peggiorare, facendo presagire il peggio, non era più riuscita a dormire una notte filata. Ormai andava avanti così da quasi un mese.
E come accadeva da tre notti a quella parte, nel buio della stanza vide brillare gli occhi rossi di Alucard.
Era seduto vicino al letto e sfogliava con aria disgustata il libro di fiabe che Arthur aveva regalato alla figlia quand'era bambina. Resosi conto che Integra si era svegliata, le chiese:
- Master, davvero tuo padre ti leggeva queste sciocchezze quand'eri piccola? -
- Sì. - rispose l'esausta ragazzina.
Il vampiro scrutò la padroncina come se volesse scavarle nell'animo e al termine della lunga osservazione commentò:
- Meno male che queste idiozie non ti hanno guastato il cervello! -
- Perchè le chiami idiozie? - chiese Integra. Non che in realtà le interessasse l'opinione del vampiro in merito ma sapeva per esperienza che non solo non sarebbe più riuscita a riaddormentarsi, ma presto sarebbe stata riassalita da una marea di ricordi spiacevoli, su suo padre e sullo zio. Tanto valeva allora mettersi a chiaccherare con Alucard, sperando di riuscire a scacciare quei pensieri.
- Le definisco idiozie perchè non sono realistiche! - rispose il vampiro con enfasi - Prendiamo "Biancaneve" o "La bella addormentata nel bosco". I principi s'imbattono nelle ragazze più gnocche del reame in stato di coma e cosa fanno? Le baciano! Le baciano, capito? No, dico, come si fa a lasciarsi scappare così un'occasione simile? Se fossi stato al posto dei principi, altro che bacio avrei dato a quelle due! -
A scuola, i compagni di Integra sembravano incapaci di formulare una frase priva di doppisensi e tutto ciò aveva allenato le orecchie di Sir Hellsing a cogliere la malizia presente in un dialogo. Nonostante ciò, Alucard aveva parlato in tono tanto serio e Integra era ancora tanto giovane che la ragazzina non comprese una sola parola di ciò che andava cianciando il servo. Rimase così ad osservarlo in silenzio, alla debole luce lunare che filtrava dalle finestre.
Vent'anni di letargo avevano scavato la faccia del vampiro e smunto il suo corpo che sembrava nuotare in quella tuta di cinghie di pelle decisamente troppo larga per lui. I lunghi capelli bianchi e l'espressione da psicopatico  completavano il suo aspetto tutt'altro che accattivante.
"Quant'è brutto!" non potè fare a meno di ripetersi Integra. Era una considerazione che aveva fatto molte volte da quando aveva liberato il vampiro, ed era uno dei motivi che le rendevano così asfissiante la sua compagnia.
Già sapere di essere costantemente sorvegliata da un vampiro non è un pensiero confortante, anche se Walter l'aveva rassicurata sul fatto che se Alucard l'aveva scelta come master, poteva star certa che non l'avrebbe mai morsa.
Sapere di essere sorvegliata da un vampiro a cui aveva visto dilaniare degli uomini con la stessa facilità con cui avrebbe strappato dei fogli di carta, non poteva che rendere la situazione ancora più tesa.
Il brutto muso di Alucard, unito al suo sguardo spiritato e a quella tuta di cinghie di cuoio che ricordava le camicie di forza usate un tempo nei manicomi, completavano un quadro già di per sè sconfortante.  
Master e monster rimasero a lungo in silenzio, raggomitolata fra le coperte e con gli occhi sbarrati la prima e seduto a sfogliare il libro il secondo. Il frusciare delle pagine era l'unico suono che si udiva nel buio. Infine, in tono indifferente e senza staccare gli occhi dal libro, Alucard chiese:
- Non dormi, master? -
- Non ci riesco. -
- Sai giocare a carte? -
- No. Non ho mai imparato. Non mi sono mai piaciuti i giochi da tavolo. -
- Sì, Walter mi ha raccontato che i puzzle non facevano per te. Preferivi giocare alla donna preistorica, giravi per casa con una bambola sulla spalla, fingendo che fosse la tua clava e la tiravi sulla testa degli sventurati che incrociavi lungo il tuo cammino. Be', master, suppongo che avrai smesso di giocare alla donna primitiva da un bel pezzo. Mi sembri un po' troppo grande per questo genere di passatempi. Penso che alla tua età sarai in grado di apprezzare anche i giochi da tavolo quindi alzati da quel letto, ti insegno a giocare a poker. -
- A quest'ora?! Sono le due di notte! -
- E allora? Hai detto che non riesci a dormire, giusto? Invece di sprecare inutilmente questo tempo perchè non impiegarlo costruttivamente? Fidati, è divertente il poker. -
- Mai sentito dire che i vampiri giocano a carte. -
La risata di Alucard riecheggiò nel buio:
- Master, non hai un'idea di quante cose sappia fare. Inoltre mettitelo bene in testa: non sono come gli altri vampiri. -

Integra dovette dare ragione ad Alucard: giocare a poker la divertiva enormemente. Risvegliava in lei l'istinto all'azzardo che aveva sempre covato e che da bambina aveva sfogato lanciandosi in bravate rischiose. Inoltre, adesso che insieme ad Alucard aveva qualcosa da fare, la presenza del vampiro le riusciva meno indigesta.
Nei giorni successivi le sembrò di cominciare ad intravedere un barlume di luce in quel pozzo nero di disperazione in cui era precipitata da quando suo padre si era aggravato.
Riprese a studiare, mettendosi al passo con le lezioni perchè desiderava ricominciare la scuola non appena si fosse sentita meglio. Quando però si accorgeva che la sua mente abbandonava i libri per vagare con troppa insistenza su ciò che era accaduto nelle segrete della villa, Integra chiudeva i quaderni e apriva il cassetto della scrivania in cui custodiva il mazzo di carte.
Non occorreva altro per chiamare Alucard, sempre presente nella stanza, che fosse visibile o invisibile, annidato all'interno della parete o seduto su una delle poltrone. Padrona e servo si sedevano insieme al tavolo e continuavano a giocare finchè la ragazzina non annunciava:
- Adesso basta. Sto meglio, riprendo a studiare. -
E anche quando a metà della notte apriva gli occhi, incapace di riaddormentarsi, non le sembrava più così strano impiegare quelle lunghe ore insonni in una partita.
Alucard, dal canto suo, accettava sempre di buon grado di giocare. La nuova Sir Hellsing però aveva la sensazione che quelle partite, per il vampiro, non fossero mai fini a sè stesse. Sembrava che il succhiasangue le utilizzasse quasi come un metodo scientifico, con cui studiare il comportamento della nuova master.
Troppe volte Integra si era sentita "misurare" nelle sue qualità: quanta dose di sangue freddo e di capacità di rischiare  possedesse; quanto riuscisse a mantenere un viso impassibile a dispetto di tutto ciò che le si agitava dentro; quanto fosse capace di prevedere le mosse dell'avversario.
Un paio di notti dopo quella in cui Alucard aveva espresso il suo giudizio sulla cavalleria del principe di Biancaneve, il vampiro disse alla piccola master:
- Sei un fiume di lava sotto una crosta di ghiaccio. -
Siccome il nosferatu pronunciò la frase in tono soddisfatto, Integra decise di prenderla come un complimento e proseguì imperturbabile a mischiare le carte.
Anche Sir Hellsing però, pur se in misura minore rispetto al servo, approfittava del gioco per studiare l'ingombrante elemento che le sedeva di fronte.
- Walter dice che tu sei il Conte Dracula. -
- Ha ragione. -
- Arrabbiati pure quanto vuoi, ma io lo devo dire: credevo che il Conte fosse un individuo molto più affascinante. -
Il vampiro sorrise divertito:
- Non mi arrabbio ma tu prova ad usare il cervello. Sono rimasto in letargo per vent'anni. Non ho mai mangiato in questo periodo. Pensi che chi si risveglia dopo vent'anni di digiuno possa avere un bell'aspetto? Comunque, master, non temere, questo mio brutto muso è solo passeggero. Quando avrò mangiato a sufficienza, riprenderò il mio aspetto abituale che non sarà affascinante ma è comunque meno inquietante di quello attuale. -
E ancora:
- Non capisco perchè ubbidisci a noi Hellsing. -
Stavolta un velo di malinconia passò sul volto del succhiasangue:
- Quando Harker e Morris tagliarono la testa e infilzarono il cuore del Conte, io mi dissolsi in un mucchietto di cenere. Master Abraham raccolse la mia povera polvere in una scatola e se la portò a casa. Quando decise di resuscitarmi, prima di versare sulle mie ceneri il suo sangue - perchè è questo il modo per ricreare un vampiro ormai ridotto in polvere - mise dentro di esse quattro sigilli di Cromwell, in modo che rimanessero all'interno della mia carne. Sono questi sigilli che mi obbligano ad obbedire a determinate leggi, anche se non lo desidero. -
- Quindi è grazie a quei sigilli se nelle segrete non hai staccato anche a me la testa con un morso? -
- No, master. Per me gli umani sono prede o giocattoli ma anche prima che mi mettessero dentro i sigilli, riuscivo a riconoscere una persona valorosa quando la incontravo. E ho sempre saputo tenere le zanne fuori dal collo degli individui che suscitavano la mia ammirazione. Quando lo schizzo del tuo sangue mi risvegliò, ascoltai le vostre parole. Riconobbi subito Richard e ammetto che benchè fosse un Hellsing, non l'ho mai sopportato. E non mi stupii di sentir dire a quel vigliacco dire che voleva ucciderti lentamente, in modo da farti soffrire il più a lungo possibile. La maggior parte degli esseri umani, di fronte ad una frase simile, pronunciata da un uomo con una pistola spianata davanti al loro naso, avrebbe reagito implorando pietà, o rimanendo ammutolita dal terrore. Tu invece non hai fatto nè l'uno, nè l'altro, sei riuscita a replicare a quel miserabile con dignità. Eri più infuriata che impaurita, lo percepivo e per questo ti ho ammirata subito. Quando poi ho leccato il tuo sangue e ho capito di chi eri figlia, la mia stima non ha avuto più confini. No, master, anche senza sigilli non ti avrei uccisa comunque. Ciò che il Patto di Cromwell mi obbliga a fare, è dimostrarti il mio rispetto con l'ubbidienza. -
Un pomeriggio, colta da un improvviso pensiero, Integra sgranò su Alucard due occhi stupiti:
- Ma tu non dormi mai? E' pieno giorno, a quest'ora i vampiri dovrebbero riposare nelle bare! -
- Master, ho dormito per vent'anni. - rispose ridendo il vampiro - Come posso avere sonno, dopo essermi riposato per così tanto tempo? Sono pieno di energia e sento il bisogno di sfogarla. Giocare con Richard e i suoi tirapiedi non mi è bastato, ho bisogno di molta più azione. Finchè non avrò scaricato tutta l'energia accumulata in due decenni di letargo, non mi sentirò stanco, nè desidererò dormire. -
Negli anni successivi, ogni volta che Integra ripensava a quella conversazione, un sorriso le increspava il volto.
" Mi aveva avvertita. A modo suo, mi aveva spiegato cos'avrei dovuto attendermi di lì a pochi giorni " diceva a se stessa Sir Hellsing.
Ma la ragazzina di dodici anni che sedeva di fronte ad Alucard non poteva capire fino in fondo le parole di un individuo che conosceva appena e che, mattanza nelle segrete a parte, fino ad allora si era rivelato di indole placida.
Nemmeno Walter poteva presagire cosa sarebbe accaduto perchè, pur conoscendo Alucard, quella era la prima volta in cui lo vedeva in azione dopo un letargo. Notando la singolare calma del vampiro, il maggiordomo aveva pensato che forse il lungo sonno impostogli da Arthur lo avesse convinto a comportarsi più morigeratamente.
Non lo sfiorò l'idea che forse Alucard stesse solo mordendo il freno, troppo impegnato in quel momento a scoprire la nuova master per potersi dedicare ad altro. E se non lo comprendeva Walter, a maggior ragione non poteva capirlo Integra, che delle parole del servo colse solo la superficie, tornando a chiedere:
- Ma i vampiri non s'inceneriscono se vengono colpiti dalla luce del sole? -
Stavolta la risata del succhiasangue fu fragorosa:
- A parte il fatto che, come ti ho già detto, non sono come gli altri vampiri, quindi non devi stupirti di ciò che faccio, la storiella che andiamo in fumo se veniamo colpiti dal sole è una boiata pazzesca. Mai conosciuto nessun vampiro capace di incenerirsi sotto il sole, neanche fra i novellini di mezza tacca. E' vero, la luce ci dà fastidio, ci acceca, ci scotta la pelle, ma da lì ad andare a fuoco come uno spiedino dimenticato sulla griglia, ce ne corre! Ricorda, master: non tutto ciò che si racconta sui vampiri è vero. -
- Ad esempio? Quali altre leggende sono false? -
- Ad esempio, non è vero che noi vampiri non ci riflettiamo negli specchi. Siete voi umani che non riuscite a vedere il nostro riflesso. Noi ci vediamo benissimo! Tutte le volte che mi sorprendi impalato davanti ad uno specchio, cosa credi che faccia? -
- Io...pensavo che non riuscendo a vederti...meditassi sulla tua non-esistenza, traendo chissà quali considerazioni filosofiche su tutto ciò. -
Il vampiro sghignazzò clamorosamente:
- Ma no, master! Tutto ciò che faccio davanti ad uno specchio è ammirare la mia sconvolgente bellezza! -

Discussione dopo discussione, il vampiro suscitava in Integra sempre meno repulsione. Non riusciva ancora a fidarsi completamente di lui, e si chiedeva se mai ci sarebbe riuscita, ma già il fatto di non sentirsi più a disagio avvertendo la sua costante presenza, era un traguardo notevole.
Certe sere in cui si sentiva particolarmente stanca, sapere che quel brutto muso di Alucard era nei paraggi le riusciva addirittura di conforto. Trovava consolante sapere di non essere sola con i propri incubi.   
Le ore trascorse insonne cominciarono a diminuire una sera dopo l'altra finchè, la notte precedente il suo ritorno a scuola, Integra dormì ininterrottamente, destandosi solo al trillo della sveglia.
"Non mi sono mai svegliata. E non ho neanche fatto incubi!" pensò Integra, euforica. E si avviò a scuola col sorriso sulle labbra.

Era tornata dopo due settimane di assenza e compagni e professori si diedero da fare per accoglierla calorosamente. Nessuno accennò ai due lutti che si erano verificati in casa Hellsing, tutti finsero che la vita scorresse come al solito e ad Integra quella recita metteva addosso una gran voglia di ridere.
Normalmente gli insegnanti affrontavano Integra con lo stomaco annodato dall'ansia perchè avevano imparato a loro spese quanto le risposte della dodicenne sapessero essere taglienti. I compagni e le compagne, dal canto loro, erano sempre pronti a farsi trascinare dalla determinata biondina, che consideravano a tutti gli effetti il capo della loro classe.
E adesso Integra si vedeva trattare da coetanei e adulti come un fiorellino delicato da accudire, proteggere e abbracciare.
Oh sì, quella recita la divertiva molto ma si astenne dal disprezzarla con qualcuno dei suoi commenti urticanti. In fondo, non le dispiacevano quelle attenzioni perchè capiva di non essere ancora del tutto in forma. Una volta che fosse tornata nel pieno possesso delle sue capacità di sobillatrice, avrebbe messo fine lei stessa a quella sceneggiata. Fino ad allora, si sarebbe fatta coccolare di buon grado.

Appena rientrata in casa, Integra sgranò gli occhi per la sorpresa. Nell'atrio trovò Walter e l'intero personale domestico di casa Hellsing (una decina di persone in tutto) in piedi e avevano tutta l'aria di attendere lei.
La sua prima reazione fu domandarsi "Cosa ho fatto?" ma accorgendosi che i volti delle persone erano sereni, capì che non si erano radunati per sgridarla. Improvvisamente comprese: quando suo padre rincasava, la prima scena che gli si presentava davanti agli occhi era il gruppo dei dipendenti riunito nel vestibolo per salutare il suo ritorno.
"Adesso che Sir Hellsing sono io, assolvono il rito con me".
Integra arrossì fino alla radice dei capelli. Altre persone sarebbero state più che soddisfatte di veder accogliere il proprio ritorno a casa da una schiera di persone con stampato sul volto un sorriso di circostanza, mentre uno sguardo fintamente devoto brillava nei loro occhi. Ma il nuovo Sir Hellsing, per temperamento, giudicava imbarazzante una simile sceneggiata.
"Appena rimango a quattr'occhi con Walter, devo dirgli che la smetta con questa buffonata."
La giovane erede di Van Hellsing però non si faceva illusioni; sapeva che non sarebbe stato facile convincere Walter a piantarla con quel rituale. Il maggiordomo sembrava più attaccato dei suoi stessi padroni a tante pratiche desuete e c'era da scommetterci che si sarebbe opposto con tutte le sue forze all'idea di abbandonare il tradizione saluto al capofamiglia.
Mentre così ragionava, Integra salutò e ringraziò le persone riunite nell'atrio. Aveva appena finito di parlare quando qualcosa di bianco entrò nel suo campo visivo. Era una puntina, un ciuffetto candido che sembrava pendere dall'alto. Istintivamente, alzò lo sguardo, seguendo a ritroso quel candore. Il ciuffetto non era altro che l'estremità di una lunga chioma canuta, attaccata a sua volta alla testa di Alucard. Quando gli occhi di Integra incrociarono quelli sfottenti del servo, non seppe se sentirsi più infuriata o avvilita.
Walter aveva giustificato la presenza di Alucard ai dipendenti presentandolo come la guardia del corpo del nuovo Sir Hellsing. Con un sorriso sulle labbra, li aveva rassicurati dicendo:
 - E' brutto ma non morde. -
Il personale aveva riso della battuta, ignaro che quel losco figuro fosse realmente un vampiro. Per loro, che a differenza delle truppe militari dell'Organizzazione erano completamente all'oscuro di quale fosse la vera attività dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti, quel ceffo dai capelli bianchi non poteva che essere umano.
E adesso eccolo lì l'"umano", la "guardia del corpo", seduto a gambe incrociate sul soffitto dell'atrio, con un ghigno sarcastico stampato sul volto!
Tutte le persone riunite nell'atrio avevano seguito lo sguardo di Integra e ad eccezione di Walter, che si era sentito invadere da una furia omicida, alla vista di Alucard seduto a testa in giù i presenti erano sbiancati in volto.
"Devo risolvere questa situazione!" pensò Integra, risvegliandosi dal suo impasse. Puntando l'indice contro il vampiro, ordinò:
- Scendi subito da lì! -
Alucard non se lo fece ripetere. Distese le sue lunghe membra e a quattro zampe percorse il soffitto con andatura indolente.
"Accidenti a lui! Speravo scendesse con un salto! Speriamo per lo meno che quando giungerà di fronte alla parete, non decida di passarci attraverso. Ancora nessuno lo ha visto attraversare i muri" si disse Integra.
Quando il vampiro giunse davanti alla parete, non la attraversò, come temeva Integra ma decise di scendere anche quella a quattro zampe. Arrivato sul pavimento, coprì anche quei pochi passi che lo separavano dalla master camminando come un cane, sedendosi infine ai piedi della ragazzina.
Se gli sguardi potessero incenerire, l'occhiata che Integra rivolse ad Alucard sarebbe stata più che sufficiente per trasformarlo in un mucchietto di polvere. Il vampiro non si lasciò intimidire e rispose a tanta ira con un sorriso soddisfatto. Evidentemente era molto contento di come aveva recitato la parte del cane fedele che accoglie al suo rientro la padrona.
Un tonfo alle loro spalle fece voltare Integra. La signora O'hara era svenuta.

- Sei un incosciente! Walter aveva detto ai domestici che eri la mia guardia del corpo e loro se l'erano bevuta! Ma adesso, dopo che ti hanno visto passaggiare sul soffitto e sulla parete, capiranno che non sei umano e questo è un guaio. Per evitare isterie collettive, è meglio che la maggior parte delle persone creda che vampiri e mostri non esistano. Chissà cosa succederà, adesso che hanno scoperto la verità! -
Integra arringava da dietro la porta chiusa del bagno, dove si stava mettendo il pigiama. Da quando si era accorta che quello era l'unico luogo in cui il vampiro non la seguiva, aveva preso l'abitudine di chiudersi lì dentro per svolgere qualsiasi attività che desiderasse mantenere per sè.
- Calmati, master. Gli umani vedono solo ciò che vogliono vedere. - rispose con noncuranza la voce di Alucard da dietro la porta - Dopo che Walter s'è sfogato facendomi quella paternale, mi sono reso invisibile e ho fatto una capatina in cucina. Tutti i servi erano radunati lì e stavano discutendo su quello che era successo. La conclusione a cui sono arrivati è questa: io devo essere certamente un avanzo di galera, probabilmente prima di diventare una guardia del corpo ero prestigiatore in un circo, come secondo lavoro svaligiavo le case delle città in cui mi esibivo e ho usato qualcuno dei trucchi con cui mi intrufolavo nelle ville per passeggiare sul soffitto. Come vedi, ai loro occhi continuo a passare per umano. Brutto, repellente, strano ma pur sempre umano. -
Integra aprì la porta del bagno. Il vampiro era placidamente sdraiato su una parete della camera, con le gambe accavallate e le mani incrociate dietro la nuca.
- Ma perchè l'hai fatto? Fin'ora ti sei comportato cautamente, non hai mai esibito i tuoi poteri davanti a loro. Cosa speravi di ottenere con questa bravata? -
- Assolutamente nulla. All'inizio mi ero reso invisibile, proprio per non farmi notare. Ero solo curioso di assistere alla scena. Quando poi sei entrata, ti ho vista arrossire fino alle orecchie e ho capito che ti sentivi in imbarazzo. Tuo padre non s'è mai verognato di essere accolto con tutti gli onori. Anch'io, quand'ero ancora libero e avevo schiere di servi, gongolavo nel tornare alla base e trovare tutti sull'attenti al mio passaggio. Sono un tipo vanitoso, lo ammetto, e lo era anche tuo padre. Ma tu sei diversa, vero? A te queste scenate danno solo fastidio. Ho pensato che probabilmente avresti tentato di convincere Walter a smetterla con questo rito e siccome conosco bene quel maggiordomo, sapevo che non te l'avrebbe data vinta. Così ho pensato di darti un piccolo aiuto. Se avessi disturbato il rituale di Walter in modo eclatante, sarebbe stato più facile convincerlo a desistere. Così mi sono reso visibile. -
Tutto si sarebbe aspettata Integra, tranne una risposta del genere. Quindi l'aveva fatto per lei? Certo che Alucard aveva un modo davvero contorto di aiutarla eppure efficacie, doveva ammetterlo.
Quando la signora O'Hara era svenuta, mentre gli altri dipendenti le si facevano intorno per aiutarla, Walter, solitamente così compassato, era uscito dai gangheri e come una furia aveva urlato ad Alucard:
- Nel mio ufficio! Subito! -
Erano rimasti chiusi lì dentro per un bel pezzo e una volta uscito il vampiro, Integra aveva atteso una mezz'ora buona prima di entrare, timorosa che il maggiordomo non fosse ancora sbollito. Mister Dornez sembrava invece calmo, benchè pensieroso.
- Walter, preferirei che il saluto che mi avete dato stasera sia il primo e l'ultimo. Non ho piacere di ripeterlo. -
- Neanche io, Sir. Soprattutto perchè non sono riuscito ad ottenere da Alucard la promessa che non avrebbe replicato lo spettacolo di stasera. Sì, benchè a malincuore, credo che sia meglio evitare di ripeterlo. -
Ecco perchè era stato così facile convincere lo shinigami!
- Be', grazie dell'aiuto allora. - disse Integra, un po' imbarazzata.
- Dovere, master. - rispose il nosferatu strizzandole l'occhio.
Integra cominciò a fare la svolta nel letto.
- E' una magra consolazione sapere che ti considerano ancora umano. Ti hanno comunque bollato come un delinquente. Non credo che questo renda loro la tua vicinanza meno angosciante. -
Alucard ignorò completamente quell'osservazione. L'angoscia altrui non era un argomento che lo toccasse. Preferì invece parlare di qualcosa che gli stava molto più a cuore:
- Senza di te mi sono annoiato tanto, master. Ho provato a mettermi alle calcagna di Walter ma con la scusa che doveva lavorare, mi scacciava continuamente. -
- Mi dispiace Alucard ma dovrai farci l'abitudine. - rispose Integra, infilandosi sotto le coperte - Da oggi in poi andrò a scuola dal lunedì al venerdì. Rimarrò in casa solo sabato e domenica. Devi trovarti dei passatempi da fare in mia assenza. Buona notte, "guardia del corpo". -
- Buona notte, master. -
La luce venne spenta e il silenzio regnò nella stanza. Integra stava ormai per assopirsi quando udì la voce di Alucard concludere:
- D'accordo. Troverò dei passatempi. -
La ragazzina non gli badò e quelle parole si confusero con i suoi sogni.  

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Capitolo 2
*** Nome scientifico: scimmia dispettosa ***


La porta dell'aula si aprì e sulla soglia apparve la segretaria della scuola.
- Integra Farburke deve venire in segreteria. E' arrivata una telefonata per lei. -
La ragazzina seguì la donna per il lungo corridoio, sentendo una leggera apprensione serpeggiarle nelle vene.
Certamente quella telefonata giungeva da casa sua. Cos'era mai potuto accadere di così grave da spingere Walter o chi per lui a chiamarla? Rivedeva con gli occhi della memoria la passeggiatina sul soffitto compiuta da Alucard la sera prima e lo svenimento della povera signora O'Hara. Che il vampiro avesse replicato lo show, provocando un nuovo mancamento a qualche altro dipendente?
Giunte nell'ufficio, la segretaria additò ad Integra il telefono, appoggiato su un mobiletto ad un paio di metri dalla sua scrivania, dopodicchè la donna si sedette al suo posto, rimettendosi al lavoro. Quando Integra afferrò la cornetta, dall'altro capo del filo le giunse la voce di Walter.
- Sono dolente di disturbarvi nel bel mezzo della lezione, Sir Hellsing - esordì il maggiordomo con un tono talmente imbarazzato, da convincere Integra che in quel momento mister Dorneaz dovesse essere paonazzo per la vergogna - Ma abbiamo dei problemi con Alucard. -
- Che genere di problemi? -
- Un'ora fa mi è arrivata una telefonata dal direttore del locale ufficio postale. Dice che il postino incaricato di consegnarci le missive è tornato in sede sconvolto, affermando  di essere stato attaccato da un enorme bestione nero non appena entrato nel parco di Villa Hellsing. -
- Ma noi non possediamo nessun enorme bestione nero. -
- Non fino a stamattina, mia padrona ma dopo che ve ne siete andata a scuola, Alucard ha pensato bene di rievocare il suo segugio infernale. -
- E che roba è? -
- Avete presente Cerbero, il cane a tre teste degli antichi greci? Ecco, il segugio infernale di Alucard è qualcosa di simile, solo con un'unica testa dotata di ottanta occhi. -
Integra sentì il sudore scorrerle giù per la schiena.
- Quando il segugio ha visto entrare il postino nel giardino, gli è corso incontro. Se quel pover'uomo avesse compiuto il suo lavoro a piedi o in bicicletta, a quest'ora si troverebbe nello stomaco di Baskerville, come lo chiama Alucard. Fortunatamente, il postino è arrivato a bordo di un furgoncino e appena ha visto quella mostruosità corrergli incontro, ha ingranato la retromarcia ed è scappato sgommando. Il direttore dell'ufficio postale però ha minacciato che non ci consegnerà più la posta finchè non gli assicureremo che la nostra pantera nera "o quel che diavolo è" come l'ha definita lui, non rimarrà ben chiusa nella sua gabbia, affermando che non vuole usare i suoi dipendenti per sfamarla. Ha fatto anche presente che le fiancate del furgoncino che ha salvato la vita al postino sono state dilaniate dagli artigli della belva, quindi dobbiamo ripagare il danno. Non mi ero reso conto che Alucard stesse facendo scorrazzare il suo segugio per il parco finchè non ho ricevuto quella telefonata. Terminatala, sono corso dal vampiro intimandogli di rimandare Baskerville da dove era venuto e lui mi ha risposto dicendo che non sono il suo padrone, quindi non vede per quale ragione deve obbedirmi. Dopo lunghe trattative, siamo giunti ad un accordo: poteva giocare ancora con Baskerville ma non all'aria aperta, dove può nuocere a qualche incauto, ma nei sotterranei della villa. Alucard ha accettato ma adesso è sopraggiunto un nuovo problema: Hellsing Manor trema sin dalle fondamenta. Non so a cosa stiano giocando Alucard e Baskerville ma ad ogni movimento del segugio, la magione vibra come un bicchiere di cristallo. Per questo vi ho telefonato, padrona. Voi siete l'unica capace di convincere Alucard a rimandare Baskerville nella sua cuccia all'inferno. -
- E come, Walter? Cosa posso dire ad Alucard che non gli hai già detto tu? - chiese sconfortata la ragazzetta.
- Comprendo i vostri timori, mia signora e purtroppo non so nemmeno cosa consigliarvi. Anche per vostro padre Alucard era un osso duro e per me è sempre rimasto un mistero come riuscisse a farsi ubbidire. -
- D'accordo, Walter, fammi parlare con lui - sospirò infine Integra - Vedrò cosa posso fare. -
- Subito, Sir! - rispose sollevato l'uomo ma come la ragazzina potè constatare, il suo "subito" era in realtà un eufemismo. Integra dovetta attendere con la cornetta in mano  per molti minuti, quanti furono necessari per permettere al maggiordomo di scendere nei sotterranei, evitare di essere sbranato dal segugio e convincere il vampiro a seguirlo fino al telefono. Dopo quella che a Sir Hellsing parve un'eternità, dall'altro capo del filo udì provenire un sornione:
- Ya, my master? -
- Alucard, ti ordino di rispedire quel cane da dove l'hai preso! - intimò Sir Hellsing, con il tono più perentorio che riuscisse a sfoderare.
- Perchè, altrimenti cosa mi fai? - insinuò irriverente la voce del vampiro.
Integra sentì Walter rimproverare il nosferatu ma immaginò che quelle parole non avessero minimamente scalfito il sorriso che, ne era sicura, era stampato in quel momento sul volto del servo infernale.
Eh già, cosa poteva mai fare ad Alucard? Non certamente picchiarlo, o fargli del male dato che il nosferatu era infinitamente più forte di lei. Doveva giocare su un campo in cui Alucard non potesse batterla a priori. Sì, ma quale? Doveva prendere tempo mentre rifletteva, così chiese:
- Si può sapere perchè stai combinando questo macello? -
- Master, sono rimasto in letargo per vent'anni. Hai una vaga idea di quanta energia abbia accumulato il mio corpo, rimanendo inattivo per così lungo tempo? Ho bisogno di sfogarla. Immaginavo che Walter avrebbe trovato da ridire sui miei passatempi, così decisi di trattenermi fino a quando tu non saresti stata dell'umore giusto per tenermi testa. Penso che quel momento ormai sia arrivato. Se sei capace di affrontare il vasto mondo, uscendo da questa casa, allora sei anche capace di scornarti con me. -
- Quindi sei solo alla ricerca di un passatempo? - chiese Integra, mentre un'idea le attraversava le mente - Alucard, sai leggere? -
Adesso la voce proveniente dall'altro capo del filo era indignata:
- Certo che so leggere! Così come so anche scrivere e contare! Credi che sia un barbaro? Ero un principe umano, oltre che a combattere mi insegnarono anche a studiare!-
- Non ti scaldare, ti chiedo scusa, non lo sapevo. Ma allora Alucard, visto che ne hai la capacità, perchè non ti dedichi a qualche passatempo più tranquillo? Chessò, leggi, scrivi, disegna...-
La risata del vampiro fu talmente fragorosa da essere udita persino dalla segretaria, che sobbalzò spaventata. Integra arrossì e voltò le spalle agli occhi idagatori della donna.
- Master, ti ho appena detto che sento il bisogno di scaricare tutta l'adrenalina che ho in corpo, e pretendi di farmene accumulare dell'altra tenendomi seduto buono buono con questi passatempi da vecchia checca? - *
- Non osare parlare così! - esclamò indignata Integra - Erano i passatempi preferiti di mio padre e lui non era...-
- Ok, ok, master, non ti scaldare, ti chiedo scusa. Però era vecchio, questo lo devi ammettere, mentre io sono un giovane uomo d'azione. -
- Allora, "giovane uomo d'azione", renditi utile! Invece di sprecare il tuo tempo a lanciare bastoncini per farteli riportare indietro da Baskerville, occupati dei quattro platani secchi che si trovano nel parco della villa! E' da un anno che sento Walter e i giardinieri discutere di tagliarli, perchè ormai sono morti ma ancora non ne hanno fatto niente. Pensaci tu: abbattili, sradica le radici e riducili tutti e quattro ad una massa di ceppi per i caminetti di villa Hellsing. Questo lavoro ti darà "sfogo" a sufficienza per un paio di giorni! -
Integra aveva parlato in tono imperioso ma non per questo sperava che il vampiro le avrebbe obbedito. Invece, con sua grande sorpresa, sentì Alucard rispondere:
- Sono contento che sai far funzionare il cervello, ragazzina. Andremo molto d'accordo, noi due. Va bene, dammi il tempo di mettere a nanna il segugio e corro a rassettarti il giardino. -

A quella prima telefonata, conclusasi con la vittoria di Integra, nelle settimane successive ne seguirono molte altre. Era sempre Walter a chiamare e anche attraverso il filo ad Integra sembrava di poter vedere l'imbarazzo del maggiordomo, umiliato per non essere riuscito a controllare il succhiasangue e mortificato di dover interrompere le lezioni della sua padrona. L'esordio era sempre il solito:
- Sono dolente di disturbarvi ma... -
Alucard aveva evocato in casa un nebbione così spesso che Walter e il resto dei dipendenti si stavano aggirando per la magione armati di torce elettriche perchè non si vedeva a un palmo dal naso.
Alucard si era trasformato in uno stormo di pipistrelli che stava volando compatto per stanze, scale e corridoi, e l'intero personale femminile della casa si era asserragliato terrorizzato nello sgabuzzino delle scope.
Alucard aveva evocato i suoi famigli demoniaci, un fiume in piena di scolopendre, millepiedi e scorpioni, tutti lunghi non meno di un braccio e il personale domestico stava battagliando furiosamente a colpi di scope e padelle contro quegli insetti.
Alucard aveva sguinzagliato Baskerville contro i giardinieri e adesso i tre poveri uomini si trovavano a cavalcioni del più alto ramo della più alta quercia del parco e non osavano scendere perchè ai piedi dell'albero il segugio infernale li attendeva a bocca spalancata.
Ogni volta Integra ascoltava quel mesto bollettino in silenzio, infine sospirava e diceva:
- Passami Alucard. -
Walter correva allora a stanare il vampiro da chissà quale recondito recesso della casa, e ad Integra non restava che attendere per lunghi minuti. Altre volte invece udiva il maggiordomo ordinare seccamente:
- La tua master vuole parlarti! - segno che il vampiro si trovava nella stessa stanza con l'uomo. In termini di attesa però per Integra cambiava poco perchè il succhiasangue si faceva un dovere di raggiungere il telefono col passo più flemmatico possibile, tanto per innervosire maggiormente lo shinigami. E quando finalmente udiva il serafico:
- Ya, my master? - di Alucard, cominciava l'interrogatorio.
- Perchè stai vandalizzando la mia dimora? -
- Io non vandalizzo un bel niente, my master. Mi sto solo allenando. Dopo essere rimasto in letargo per vent'anni, devo verificare se possiedo ancora tutti i miei poteri e i miei famigli demoniaci. -
- Come mai i tuoi allenamenti mi ricordano tanto gli scherzi dei miei coetanei? Davvero non sei capace di allenarti senza terrorizzare le persone che lavorano in casa mia? -
- Cerca di capire, my master...niente mi manda in estasi come vedere il terrore negli sguardi altrui. Se potessi uscire per compiere una missione, come macellare un vampiro o un ghoul, sfogherei tutta la mia adrenalina sul mio avversario e qui in casa sarei mite come un agnellino. Ma dato che da quando mi sono risvegliato non è ancora apparso un mostro all'orizzonte, mi tocca distrarmi come posso fra queste quattro mura. -
Integra aveva fatto buon uso del suggerimento offertole dal nosferatu durante il loro primo battibecco telefonico, quando si era dichiarato contento della sua capacità di "saper usare il cervello". A quel punto della conversazione, la ragazzina tirava fuori di tasca il taccuino su cui aveva annotato tutti i lavori di fatica di cui necessitavano la villa e il parco e ne appioppava uno ad Alucard. Il vampiro non si lamentava mai, anzi accoglieva con una risata soddisfatta quegli ordini. Per lui, l'essenziale era non rimanere fermo e se questo scopo lo raggiungeva rievocando le scolopendre o risistemando tutte le tegole di Villa Hellsing, poco importava.
I membri della Tavola Rotonda, passando a far visita al nuovo Sir Hellsing, rimanevano a bocca aperta dallo stupore vedendo la grande magione mutare radicalmente d'aspetto nel giro di pochi giorni.
Il muro di cinta del giardino fu rimbiancato a calce e la cancellata sovrastante scrostata dalla ruggine e riverniciata; il viale d'ingresso venne riasfaltato; la villa venne totalmente ritinteggiata fuori e dentro e tutti i mobili spostati.
- Siete in vena di cambiamenti? - chiese un pomeriggio l'ingenuo Penwood.
- No. Teniamo occupato Alucard. - rispose Walter
- Siete davvero fortunati a possedere un servo così forte a cui poter affidare tutti questi lavori. Chissà quanto vi avrà fatto risparmiare! -
Integra e il maggiordomo si morsero la lingua per non insultare la stupidità del povero generale con una risposta velenosa. No, Alucard non li faceva risparmiare. Ciò che il vampiro consentiva loro di non spendere eseguendo quei lavori di muratura, glielo faceva però sperperare sottoforma di liquidazioni.
Dalla sera in cui aveva fatto la sua passeggiatina sul soffitto davanti a tutti, Alucard non si era fatto più remore nello spaventare la servitù. Sembrava si divertisse un mondo nel mettere quelle donne e quegli uomini di fronte ad eventi talmente inspiegabili, da rendere loro sempre più arduo continuare a pensare che la guardia del corpo di Lady Integra fosse un semplice umano.
Camminare sulle pareti e attraversare i muri di fronte ai loro sguardi attoniti erano ormai imprese all'ordine del giorno e i dipendenti rifiutavano di aggirarsi per villa Hellsing da soli. Qualsiasi lavoro, anche il più banale, lo svolgevano sempre e rigorosamente in coppia, l'unico modo per riuscire a infondersi coraggio a vicenda quando vedevano l'agghiacciante sorriso di Alucard emergere da qualche angolo buio della casa.   
L'inizio degli allenamenti del vampiro diede il colpo di grazia al loro già provato sistema nervoso. In molti cominciarono a pensare che fosse molto più salutare licenziarsi e cercare un altro impiego che continuare a vivere nella paura di imbattersi in quell'inquietante individuo.
La prima defezione avvenne ad opera della governante, dopo che il nebbione evocato da Alucard all'interno della casa l'aveva fatta ruzzolare giù dalle scale mentre cercava una pila elettrica.
- Non avrei mai creduto che mi sarei licenziata dopo quindici anni di onorato servizio, ma non intendo rimanere un giorno di più sotto lo stesso tetto con questo psicopatico!-
Ciò detto, la signora O'Hara si era messa ad inveire anche contro Mister Dorneaz reo, ai suoi occhi, di aver permesso a quell'avanzo di galera di fare irruzione in casa Hellsing, assumendolo come guardia del corpo. Si era poi sciolta in un mare di lacrime al pensiero di lasciare "la povera Integra" sola, in compagnia di quel bruto, e finalmente era andata via sbattendo la porta.
Lo scherzo dei pipistrelli fece fuggir via una delle cameriere. L'evocazione delle scolopendre mise le ali ai piedi al cuoco. I giardinieri che avevano rischiato la vita ad opera di Baskerville, oltre a licenziarsi, citarono in giudizio per danni gli ex-padroni.
Fra le agenzie di collocamento si sparse rapidamente la voce che in casa Hellsing risiedeva un bodyguard psicopatico, che allevava nei sotterranei della villa pericolose bestiacce esotiche che fuggivano dalle gabbie, spargendo il terrore. Inoltre si dilettava in scherzi idioti, come simulare la nebbia usando fumogeni fra le mura domestiche. Queste notizie avevano instillato nella mente dei direttori delle agenzie un fondato timore:
- Pensiamoci due volte prima di inviare del personale presso l'Ordine dei Cavalieri Protestanti. Se accadesse qualcosa ai dipendenti e si scoprisse che noi, pur conoscendo il pericolo, l'abbiamo ignorato, potremmo beccarci una denuncia. -
Walter quindi faticava a tappare quelle falle e a quei pochi che ancora si trovavano in casa, aumentò lo stipendio, nel tentativo di tenerli legati a sè. In quel modo l'organizzazione della villa riuscì bene o male ad andare avanti finchè un pomeriggio Integra si rese conto, consultando il suo taccuino, che non esisteva più alcun lavoro da impartire ad Alucard. Tutto ciò che poteva essere fatto era stato svolto. La ragazzina rabbrividì, domandandosi come sarebbe riuscita a domare il vampiro alla prossima telefonata di Walter.

Quella domenica, Walter prelevò dalla cassaforte dell'ufficio di Sir Hellsing una pila di vecchi quaderni.
- Credo che potranno servirvi per comprendere meglio Alucard e capire come farvi obbedire da lui. - spiegò il maggiordomo, mettendoli in mano ad Integra - Sono i diari che i vostri antenati hanno tenuto su Alucard. Contengono appunti, osservazioni, informazioni di ogni genere sul vostro vampiro domestico. Leggeteli, vi saranno utili. -
- Va bene. Me li porto in biblioteca. -

La biblioteca di casa Hellsing era un ambiente raccolto e confortevole. Integra si sedette a gambe incrociate sulla poltrona vicino alla finestra e cominciò a scorrere le copertine dei quaderni. I più vecchi erano stati scritti da Abraham Van Helsing. La parte più cospicua però era stata compilata dalla sua erede.
L'unico figlio del medico olandese era deceduto ancor giovane così, quando si trattò di trovare chi gli succedesse al comando dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti, Van Hellsing setacciò fra il parentado chi possedesse le capacità per tener testa ad Alucard.
Una delle sorelle del cacciatore di vampiri si era trasferita ancora ragazza a Londra, inglesizzando il suo cognome in Hellsing. Successivamente si era sposata con un certo Wingates e fra i molti figli che misero al mondo ce ne fu una, Eva, che il vecchio Abraham giudicò racchiudere in sè le qualità adatte a succedergli.
Fu così che a master Abraham seguì master Eva, la madre di master Arthur.
"A cui seguì master Integra" si disse la ragazzina, concludendo la genalogia.
In mezzo ai quaderni trovò anche una copia sbiadita del "Dracula" di Stoker e due biografie su Vlad l'Impalatore. I tre libri erano abbondantemente sottolineati e molte note erano state aggiunte sui loro margini.
Integra posò i volumi su un tavolino; li avrebbe letti un'altra volta. Quel giorno si sarebbe dedicata solo ai diari dei suoi antenati.

Integra alzò la testa dal quaderno che stava leggendo, concedendo un po' di riposo agli occhi.
Lasciò vagare lo sguardo sui trofei appesi sulla parete del caminetto. Erano tutti frutto delle cacce grosse condotte nei quattro continenti da suo nonno, John Farburke, marito di Eva Wingates Hellsing.
Sotto la testa di ogni animale c'era un cartiglio col suo nome scientifico e Integra accarezzò con lo sguardo quei polverosi musi imbalsamati.
C'erano una tigre del Bengala, un rinoceronte di Sumatra, un bisonte americano, un puma andino, un bufalo africano, un vampiro con i capelli bianchi che le faceva la linguaccia.
Sul faccino di Sir Hellsing comparve un sorriso maligno:
- La tua testa starebbe benissimo là in mezzo e sul cartiglio, come nome scientifico, scriverei "scimmia dispettosa". -
Il vampiro, ghignando, emerse dalla parete fino alla vita.
- John Farburke me lo diceva tutte le volte che lo facevo arrabbiare. "Un giorno appenderò la tua testa in biblioteca". Povero illuso! Se si fosse azzardato a passare dalle parole ai fatti, sarei stato io ad appendere la sua testa sul caminetto e sul cartiglio avrei scritto "microcefalo idiota". -
- Non avevi molta stima di mio nonno, eh? -
Nel ghigno del vampiro si mescolarono divertimento e disprezzo:
- Perchè avrei dovuto stimare quella nullità? Si faceva mantenere dalla mia master, senza aiutarla minimamente nel suo lavoro. Quel perdigiorno di tuo nonno ha fatto solo tre cose utili per l'Hellsing. Una è stata "abbellire" la sede con questi trofei. L'altra, collaborare con tua nonna per concepire tuo padre. -
- E Richard. -
Sul muso del vampiro si dipinse un'espressione disgustata e mosse una mano come per scacciare via una mosca:
- Quell'inetto nemmeno lo considero. La sua stessa esistenza è frutto di un incidente. Master Eva si stancò presto di suo marito e lo tenne alla larga da Hellsing Manor pagandogli viaggi in località remote. Terminato un viaggio, quel pelandrone tornava a casa per qualche settimana, giusto il tempo per farsi allungare dalla moglie i soldi per un nuovo safari, dopodicchè spariva per un altro paio d'anni, senza più dare notizie di sè. Tuo zio fu concepito durante una di queste soste. Master Eva nemmeno lo voleva. Si disperò così tanto, quando capì di essere incinta! Aveva già tuo padre, ormai ventenne, non sapeva cosa farsene di un altro marmocchio. A quei tempi l'aborto era illegale e le donne che vi si sottoponevano rischiavano di morire per infezione o dissanguamento. Questa fu l'unica ragione per cui tua nonna non tentò di sbarazzarsi di Richard, ottenendo come unico risultato di morire di parto. Ormai era troppo vecchia per sostenere una lotta simile. Quando la mia master morì, avrei tanto voluto staccare con un morso  la testa di quel maledetto neonato ma sapevo che tuo padre non me lo avrebbe mai perdonato, così mi trattenni. Poco male, cinquant'anni dopo mi sono tolto la soddisfazione di staccargli un braccio! -
Integra, involontariamente, tornò con la memoria a quegli istanti drammatici nelle segrete della villa. Un particolare si impose alla sua mente, facendole aggrottare le sopracciglia:
- C'è una cosa che non capisco. Quel giorno, nei sotterranei...Richard ti guardò come se non ti avesse mai visto prima in vita sua. Ma lui era cresciuto qui, in casa, possibile non ti abbia conosciuto? -
- Quell'imbecille è stato vigliacco sin da piccolo. - rispose con disprezzo il servo - Ogni volta che mi vedeva, si metteva a frignare. Pur di non sentirlo, presi l'abitudine di assumere l'aspetto di un ragazzino. Quando avevo quella forma, Richard non urlava. Quando compì undici anni, tuo padre lo spedì a Eton e io potei riprendere il mio aspetto abituale. Da allora in poi, quell'inetto si è fatto vedere raramente e quando circolava per casa, io rimanevo nei sotterranei, oppure diventavo invisibile. Per questo, quando ci siamo incontrati nelle segrete, Richard era convinto di non avermi mai conosciuto. L'ultima volta che mi aveva visto in forma adulta, era talmente piccolo da non poterselo ricordare. -
Il vampiro si sporse un altro po' dalla parete, così da riuscire a buttare un occhio su ciò che stava leggendo Integra.
- Ti documenti su di me, master? - il suo tono era ironico ma si coglieva una nota di orgoglio nella sua voce. Scoprire di essere oggetto di studio da parte della nuova padrona solleticava la sua vanità.
- Solo perchè me l'ha consigliato Walter. - rispose con sufficienza la ragazzina, gongolando internamente nel vedere la delusione dipingersi sul volto del servo. Integra non aveva un animo sadico ma era talmente difficile spuntarla con Alucard, che ogni più piccola vittoria la riempiva di orgoglio.
- Ma adesso non parliamo di questo, Alucard. Mi interessa terminare la discussione di prima. -
- Perchè? C'è forse qualcosa da terminare? - chiese il vampiro con aria innocente. I suoi occhi però si erano assottigliati in due fessure, quasi stesse preparandosi ad uno scontro.
- Hai detto che mio nonno ha fatto solo tre cose positive per l'Hellsing. Una è stata appendere le teste di questi animali in biblioteca. La seconda è stata fare mio padre. E la terza? -
Il vampiro guardò l'orologio appeso alla parete di fronte:
- Uh, come si è fatto tardi! - esclamò - Adesso devo proprio scappare, master! -
Così dicendo si ritirò all'interno della parete. Un minuto dopo, Integra sentì il campanello del forno a microonde annunciare che una porzione di sangue era stata scaldata. Sir Hellsing non si lasciò fregare. Mentalmente annotò di ritornare sull'argomento "nonno" con Alucard, dopodicchè riprese la lettura dei diari.

Integra poggiò l'ultimo diario sulla pila di quaderni già letti e si stropicciò gli occhi. Era ormai sera. Aveva trascorso tutto il giorno a leggere gli appunti che i suoi antenati avevano scritto su Alucard. Capiva che avrebbe dovuto rileggere quelle osservazioni molte altre volte, negli anni avvenire, per assorbirle fino in fondo, ma intanto qualcosa aveva compreso sin da ora. Dato che con Alucard non si poteva vincere sul piano della forza fisica, l'unico modo per farsi obbedire da lui consisteva nel dimostrasi degni del suo rispetto. E il vampiro stimava solo le persone coerenti, coraggiose e capaci di rischiare.
"Solo se sarò Integra di nome e di fatto, riuscirò a spuntarla con lui" si disse la ragazzina e per la prima volta capì perchè il padre l'avesse chiamata così. Era più di un augurio: era un monito permanente.
- Allora, sono un argomento interessante? - chiese Alucard, materializzandosi dal nulla alle spalle di Sir Hellsing.
Integra ignorò la domanda. Per niente al mondo voleva dare una simile soddisfazione al vampiro. Preferì invece chiedere:
- Perchè un vampiro combatte e uccide gli altri vampiri? Mi sembra privo di senso. -
Era una domanda che le frullava per la testa da molto tempo ma fin'ora non aveva avuto il coraggio di esprimerla.
- Anche gli umani uccidono i loro simili. - rispose Alucard in tono placido.
- Sì, ma gli umani che uccidono altri umani li chiamiamo "assassini" e li chiudiamo in cella. -
- Oppure date loro una medaglia se tornano da una guerra. -
- Mai saputo che tra i vampiri sia in corso una guerra. -
Il nosferatu prese un po' di tempo per riflettere, infine chiese:
- Master, secondo te l'Organizzazione Hellsing chi difende? -
Integra sapeva la risposta. Suo padre gliel'aveva fatta imparare a memoria sin da piccola e automaticamente disse:
- Difendiamo i britannici e il protestantesimo dall'anticristo! -
- Quindi lasciaresti pappare dai vampiri chiunque non sia protestante? -
- No! Certo che no! -
- E cosa intendi per britannici? Una persona nata all'estero ma che si è trasferita qui per lavorare o studiare, la consideri britannica? -
Molti dei compagni di scuola di Integra avevano uno o entrambi i genitori provenienti dall'estero, quando non erano nati in un paese straniero loro stessi. Sir Hellsing li aveva sempre considerati suoi connazionali e quindi senza esitare rispose:
- Ma certo, sono britannici anche loro e non li lascerò succhiare da un vampiro! -
- E un turista straniero che si ritrovasse a passare da queste zone? -
- Che domande idiote mi fai? Anche se non è un britannico nè un protestante, non mi sembra un buon motivo per farlo mangiare da un mostro! Qualsiasi essere umano che viva o si trovi semplicemente a passare attraverso la Gran Bretagna, verrà difeso dall'Hellsing! -
- E se ti dicessero che un paese straniero è flagellato dai vampiri, che faresti? Mi imbarchi su un aereo e mi spedisci laggiù a massacrarli? -
Neanche questa volta Integra ebbe tentennamenti:
- Certo che no! Il mio compito è difendere gli umani della Gran Bretagna, mica quelli degli altri paesi. -
Il vampiro fece un sorriso che andava da un orecchio all'altro:
- Vuoi sapere come ragionavano in merito i tuoi antenati? Master Abraham Van Hellsing, nonostante fosse un olandese, quindi un immigrato, era convinto che l'Organizzazione dovesse servire solo per difendere chi era britannico da generazioni, e fosse di religione anglicana. Per tutti gli altri, non muoveva un dito. Lasciò che un licantropo facesse stragi di vecchi e bambini nei ghetti irlandesi ed ebraici di Londra e mi spedì sulle sue tracce solo quando quella bestiaccia cominciò ad agire nei sobborghi abitati dagli inglesi protestanti. Tua nonna aveva delle vedute leggermente più aperte. Anche lei pensava che bisognasse difendere chi fosse britannico da generazioni, però non stava a sindacare sulla religione. Un britannico, anche se non era anglicano, andava protetto comunque. Ma anche per master Eva il resto dell'umanità poteva fottersi tranquillamente. Permise che una vampira facesse del quartiere russo il suo fast-food e solo quando quella succhiasangue decise di visitare anche il resto della città alla testa di una banda di ghouls, mi mandò a maciullare lei e i suoi disgraziati servitori. Tuo padre era del parere che bisognasse difendere chiunque vivesse, lavorasse o studiasse in Gran Bretagna, indipendentemente dalla religione o dal luogo di nascita, ma gli sembrava superfluo preoccuparsi anche dei visitatori di passaggio. Tu, a differenza di lui, saresti pronta a difendere anche i turisti ma ti sembra assurdo aiutare altre nazioni. Probabilmente i tuoi figli penseranno invece che sia normale "prestarmi" anche a dei governi stranieri. Capisci adesso, master? Per voi umani non è facile definire il vostro branco di appartenenza. Per alcuni è estremamente piccolo, per altri è talmente vasto da abbracciare tutta l'umanità. Noi vampiri non abbiamo di questi problemi, conosciamo benissimo i confini del nostro branco. Il nosferatu che ci ha vampirizzato è il nostro maestro, gli altri succhiasangue che ha creato ci vengono, per così dire, fratelli e sorelle. Quando diventiamo dei vampiri a tutti gli effetti, possiamo a nostra volta vampirizzare degli allievi. Ecco, il branco di un nosferatu è formato dai pochi vampiri con cui ha avuto uno scambio di sangue, diretto o indiretto. Tutti gli altri sono rivali perchè cacciano le nostre stesse prede, gli umani. E i rivali, master, vanno schiacciati come insetti: meno ce ne sono, più prede abbiamo per noi. -
Integra riflettè per un po' sulle parole del servo, infine chiese:
- Da quando Van Hellsing ti ha domato, sei entrato a far parte di un branco umano. Ti pesa essere l'unico succhiasangue della famiglia? -
- A te peserebbe essere l'unica umana in una famiglia di vampiri? - chiese il nosferatu in tono calmo.
Integra si diede la risposta e per un po' fra padrona e servo regnò il silenzio. Infine la giovane master chiese:
- Prima che il mio antenato ti schiavizzasse, possedevi un tuo branco? -
- Certo! - rispose il vampiro, con gli occhi brillanti di orgoglio - Avevo vampirizzato tre donne. Quando diventarono delle regine della notte a tutti gli effetti, decisero di rimanere al mio fianco come compagne. Erano le mie leonesse e io le ho amate molto. Purtroppo, quando master Abraham si mise sulle tracce del Conte, incontrò prima loro di me e le uccise con un paletto nel cuore mentre dormivano. Ma a differenza di quel che fece con me, non le riportò in vita. -
L'orgoglio che aveva animato gli occhi del vampiro all'inizio del racconto era pian piano scemato, per lasciare spazio ad un'amarezza sconfinata.
- Mi mancano, le mie leonesse. Più di quanto le parole non possano dire. -
Adesso lo sguardo di Alucard sembrava perduto in chissà quali lontani ricordi e Integra si sentì a disagio, come sempre le capitava quando gli adulti intavolavano davanti a lei discussioni troppo grandi per i suoi dodici anni di età.
Senza aggiungere altro, il vampiro, camminando all'indietro, svanì all'interno di una parete. Integra rimase seduta a lungo nella biblioteca. La malinconia del servo l'aveva contagiata, spingendola a ricordarsi del padre il che, a sua volta, finiva sempre col farle rivivere l'incubo di ciò che era successo nelle segrete della villa, con lo zio alle calcagna.
Quando giudicò di essersi fatta del male a sufficienza, decise di scendere in cucina per inghiottire qualcosa di caldo. Una delle poche certezze acquisite nei suoi dodici anni di vita era che uno stomaco riscaldato è il migliore alleato per cacciare via i ricordi sgradevoli dalla mente. Uscendo dalla biblioteca, trovò Alucard seduto sul pavimento del corridoio, il capo chino e le braccia appoggiate sulle ginocchia. Gli passò davanti senza dire una parola, nè il succhiasangue sembrò accorgersi di lei.
Il vampiro rimase in quella posizione per tutta la notte.



* l'autrice si dissocia da questa frase omofoba. D'altra parte non posso far parlare Alucard "politically correct", non è nel suo stile.

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Nel libro di Bram Stoker non c'è nessuna storia d'amore fra Mina e Dracula. La donna e il vampiro sono solo due avversari. Nel suo castello in Transilvania, il Conte abita con tre spose-vampire che come dice lui stesso, ama molto. Benchè non mi trovi d'accordo con il romanzo di Stoker su molti punti, questo particolare delle spose-vampire mi piace e ho deciso di tenerlo.
Stoker ci informa anche che il figlio di Van Helsing è morto e su questa base ho inventato master Eva, anche per cercare di spiegarmi perchè Hellsing sia solo l'ultimo dei cognomi di Integra. Se dal medico olandese fosse discesa una linea maschile diretta, non si sarebbero dovuti aggregare anche i cognomi Wingates e Farburke. Mi sono spiegata questa stranezza dicendomi che la discendenza di Van Helsing potrebbe essere stata al femminile. ^^
Un grande grazie a Carlos Ray! Nell'incomprensione di Integra sul perchè un vampiro uccida i suoi simili, c'è molto di me. Se sono riuscita a venirne a capo, è anche per merito delle nostre discussioni. E credo di aver messo nelle risposte di Alucard un po' delle tue. :D

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Capitolo 3
*** Il microonde è il miglior amico dei vampiri ***


- Master, cos'è questo? -
Integra alzò la testa dai suoi compiti per casa.
- E' uno spazzolino elettrico, Alucard. -
- E a che serve? -
- Per lavarsi i denti. Funziona come uno spazzolino normale, solo che invece di muoverlo con la mano, ha un motorino all' interno. -
- Voi umani siete davvero ridicoli! Lavarvi i denti vi sembra un'azione talmente faticosa da dover sprecare dell'elettricità per muovere uno spazzolino? - chiese il vampiro in tono sprezzante.
- Non l'ho inventato io. E comunque, uso lo spazzolino manuale. - rispose piccata Sir Hellsing.
Alucard tornò a guardare l'oggetto che teneva in mano:
- Costa molto? - chiese.
- No. E' solo uno spazzolino, non è un oggetto di valore. Adesso lasciami studiare. - rispose la ragazzina, chinando nuovamente il capo sui libri.
Alucard uscì in silenzio dalla camera e Integra si augurò che stesse riportando lo spazzolino da dove lo aveva sgraffignato.

- Queste diavolerie moderne sono incomprensibili! -
Quante volte Integra aveva sentito fare esclamazioni del genere da persone in là con gli anni? Sembrava che l'anzianità e la tecnologia fossero due mondi incompatibili.
A rigor di logica, Alucard sarebbe dovuto rientrare a pieno titolo nell'universo dei vecchi diffidenti verso ogni modernità, considerando che aveva più di cinquecento anni.
Invece, con grande sorpresa di Integra, non solo Alucard non si sentiva in soggezione davanti alle diavolerie moderne ma anzi le usava attivamente.
- Non sarei arrivato a cinquecento e passa anni se fossi incapace di apprezzare una comodità, quando mi si presenta. - le aveva spiegato il nosferatu.
E che il non-morto usasse la tecnologia con gran disinvoltura, Sir Hellsing l'aveva capito dal giorno stesso in cui l'aveva risvegliato.

Era ancora inginocchiata nelle segrete, con la pistola fra le mani, frastornata dal susseguirsi degli eventi.
Era salva.
Lo zio era morto, era stata lei ad ucciderlo. Accucciato di fronte a lei stava il vampiro a cui doveva la vita.
Quanto tempo era rimasta in quella posizione, muta, con lo sguardo imbambolato? Non avrebbe saputo dirlo. La risvegliò dal suo intontimento qualcosa che lambiva il suo braccio, là dove il primo proiettile dello zio l'aveva ferita. Girando la testa, vide che il vampiro stava diligentemente leccando il suo sangue, con una lingua decisamente troppo lunga per essere umana.
Sir Hellsing sentì i capelli rizzarsi sulla testa dall'orrore. Si alzò di scatto e a passo svelto varcò la porta dello scantinato, il corridoio, la scala che conduceva al piano superiore.
Si trovò a vagare per le stanze della villa silenziosa, senza sapere cosa fare, nè dove andare. Tre cadaveri si stavano raffreddando sotto i suoi piedi, aveva ucciso Richard e un vampiro la seguiva come un cagnolino.
"E' un sogno. Un incubo. Non può esser vero" pensava la piccola.
Buttò un occhio, timorosa, al figuro che la tampinava. Il vampiro...come si chiamava? Alucard...non sembrava avere cattive intenzioni. Il suo passo era indolente, segno che era rilassato. Non ce lo vedeva, uno che camminava così, a compiere uno scatto improvviso per assalirla e azzannarla.
Improvvisamente si rese conto di avere una sete atroce.
Come mai non si era accorta prima di avere così tanta sete? La ragazzina diresse i propri passi in cucina.
Mentre Integra si attaccava alla bottiglia dell'acqua Alucard, rimasto fermo sulla soglia della cucina, guardava quell'ambiente con aria stupita.
- Senti, Incorrotta... -
- Integra! -
- Senti, Integra...in che anno siamo? -
- Nel 1990. -
- Quindi ho dormito per vent'anni. - rimuginò il vampiro a voce alta - E in vent'anni questa stanza si è riempita di così tante robe nuove? -
Alucard entrò in cucina, avvicinandosi ai nuovi oggetti che vedeva.
- Cos'è questo affare? -
- Uno spremiagrumi elettrico. - rispose la ragazzina.
- Cioè serve a spremere le arance? Accidenti, non avrei mai pensato che strizzare un limone fosse un lavoro talmente faticoso da non poter essere svolto con la sola forza delle braccia! - ridacchiò il mostro.
Tre cadaveri si stavano raffreddando sotto i suoi piedi, aveva ucciso Richard e stava parlando di elettrodomestici con un vampiro. Sì, era certamente un sogno! Fra poco Walter sarebbe venuto a svegliarla e lei si sarebbe preparata per andare a scuola. Fino ad allora, avrebbe continuato ad assecondare il suo incubo.
- E questo che roba è? - chiese ancora Alucard.
- Un forno a microonde. -
- A che serve? -
Integra pensò che una dimostrazione pratica sarebbe valsa più di mille parole, così riempì un bicchiere di acqua, lo mise nel forno e lo scaldò per un minuto. Il risultato finale entusiasmò il vampiro oltre ogni dire:
- E' un'invenzione meravigliosa! - esclamò convinto - Adesso non avrò più problemi per scaldare il mio sangue! -
Lo sguardo interrogativo della piccola master lo costrinse a spiegarsi meglio.
- I tuoi antenati avevano costruito una cella-frigo vicino alla dispensa, dove stoccavano il sangue per me. Esiste ancora? -
- Sì ma viene sempre tenuta vuota. Non vedo sangue là dentro. -
- Be', certo, dopo vent'anni non posso sperare che abbiano conservato alcunchè, anche perchè ormai il sangue sarebbe andato a male. Ho capito, finchè non arriverà una nuova scorta, dovrò accontentarmi di quei tre nelle segrete. -
Il vampiro interruppe le sue considerazioni per aguzzare le orecchie:
- Si può sapere dove sono tutti gli altri? E' impossibile che tu viva da sola qua dentro! -
- Walter e gli altri domestici si sono assentati per dei lavori ma dovrebbero tornare entro stasera. -
- Ah! E' ancora vivo lo shinigami? Allora ci penserà lui a raccogliere dagli ospedali le sacche per le trasfusioni ormai scadute, riempiendo la mia cella-frigo. - constatò Alucard, annuendo con la testa alle sue stesse parole - Per terminare il discorso di prima, devi sapere che ogni volta che decidevo di mangiare, dovevo prima scaldare la mia porzione di sangue a bagno-maria. Era l'unico modo perchè raggiungesse una temperatura accettabile senza alterarsi troppo nel sapore. Avevo provato anche a scaldarlo versandolo direttamente in una pentola, ma il risultato non mi soddisfaceva. Il guaio del bagno-maria è che tocca maneggiare l'acqua, operazione mai salutare per noi vampiri. Ma con questo forno a microonde... -  
Il non-morto si fermò, per guardare l'elettrodomestico con occhi colmi di bramosia:
- Con questo forno a microonde, posso scaldare tutto il sangue che voglio, senza dover maneggiare l'acqua! -
- Devi prima versare il sangue in una tazza. Non puoi infilare una busta di plastica direttamente nel forno, esploderebbe. - lo avvertì Integra.
La ragazzina rimase in silenzio per un po'. Non si sentiva a suo agio con quel mostro. Alla fine però la curiosità fu più forte di ogni timore e trovò il coraggio di chiedere:
- Ma perchè devi scaldare il sangue, prima di berlo? Non puoi tirarlo fuori dal frigo e inghiottirlo così per com'è? -
Il vampiro assunse un'espressione seria. Alla nuova master, evidentemente, non avevano spiegato molto sui vampiri. Sarebbe toccato a lui colmare le sue lacune. Così, con lo stesso cipiglio di un insegnante di scienze, disse:
- In natura, il sangue che i vampiri bevono non è mai freddo. Il nostro corpo è programmato per assimilare cibo caldo, vivo. In passato, ho provato a bere del sangue freddo di frigo, per evitare tutta la manfrina del bagno-maria, ma il mio stomaco ogni volta si è ribellato. Ti assicuro, master, che le coliche sono dolorose per i vampiri come per gli umani. Da allora in poi, mi sono sempre assicurato di bere solo sangue a temperatura ambiente! -

Dal momento in cui Alucard si era risvegliato, il forno a microonde di casa Hellsing non aveva più avuto un attimo di requie.
Il vampiro era sempre appiccicato alle costole della padroncina ma nei pochi momenti in cui Integra non se lo trovava intorno, poteva star certa che quasi sicuramente era sceso in cucina per scaldarsi qualche porzione di sangue.
Oppure bazzicava per Villa Hellsing alla ricerca di qualche aggeggio elettronico che non era ancora stato inventato prima che lui venisse messo in letargo, portandolo poi da Integra o da Walter (ma quasi sempre dalla master, perchè le prediche che gli impartiva il maggiordomo su quanto fosse inappropriato trafugare gli oggetti altrui senza il consenso del proprietario, erano veramente esasperanti) per farsene spiegare vita, morte e miracoli.
- Che è st'affare, Integra? -
- E' una play-station. -
- Serve...? -
- A giocare con i videogames. -
- Videogiochi? - il vampiro era perplesso.
- Un videogioco è...hai presente un film? Un film d'azione? Ecco, un videogioco è come un film d'azione, con la differenza che non lo guardi e basta ma intervieni nella storia. Vedi i tasti su questa specie di telecomando? Pigiandoli fai muovere il tuo personaggio. Lo fai saltare, correre, sparare e via dicendo. Il videogioco viene registrato su una specie di cassetta, che infili qua dentro e lo vedi sul televisore, e intanto fai fare al tuo personaggio quello che ti pare. -
- Correre, saltare, sparare...praticamente fate le stesse cose che faccio io in missione. Non realmente, in versione virtuale, ma sono esattamente le stesse cose. L'ho sempre detto che gli umani non riescono a vedere il mostro che è in loro! E quanto costa 'sta cazzata, master? -
- Molto. Alla gente piacciono i videogiochi, sono disposti a spendere parecchi soldi per divertirsi. -  
Così trascorrevano le giornate di master e monster.
Inizialmente anche Integra, al pari di Walter, si era sentita in dovere di dire al servo che non stava bene prendere le cose ai proprietari senza il loro consenso. Pensava ingenuamente che il vampiro non conoscesse questa semplice regola del vivere civile ma il nosferatu aveva bloccato sul nascere e in tono irato ogni tentativo di replicare il maggiordomo:
- Non sono lo scemo del villaggio, ragazzina, quindi smettila di impartirmi prediche! So quale sarebbe il modo giusto di comportarsi ma non ho nessuna voglia di essere educato. Cosa dovrei fare, secondo te? Rivolgere la parola a quelle nullità che lavorano per te, chiedendogli cortesemente se mi lasciano entrare nelle loro stanze per vedere cosa possiedono? Andiamo, Integra! Cosa pensi che mi risponderebbero? Abito in questa villa da un secolo, qui dentro ho visto morire e nascere i miei masters. Perchè non dovrei sentirmi il padrone di queste stanze? Il re? Io entro dove mi pare e piace, senza renderne conto a nessuno. Ficcatelo in testa! -
Da allora Integra non si era più azzardata a dir nulla ad Alucard. Il fatto che nessuno dei dipendenti venisse a lamentarsi perchè gli era stato sottratto qualche oggetto, faceva comprendere a Sir Hellsing che il non-morto per lo meno si faceva un dovere di rimettere tutto per come l'aveva trovato e non le restava che sperare che continuasse a quel modo.

A dire il vero Alucard non doveva recuperare solo vent'anni di novità tecnologiche, ma anche vent'anni di avvenimenti umani.
Si era risvegliato da pochi giorni quando aveva avuto la malaugurata idea di chiedere a Walter cos'avessero combinato, gli umani, in quel lasso di tempo. La risposta dello shinigami lo lasciò talmente costernato che non potè fare a meno di esclamare:
- COME SAREBBE A DIRE CHE NON ESISTE PIU' L'UNIONE SOVIETICA?! -
Sir Arthur, conservatore strenuo, aveva visto il comunismo come il fumo negli occhi. Lo detestava in misura appena minore dei vampiri. Scoprire quindi che una delle più grandi nemesi del suo vecchio padrone era sparita, stupì Alucard allo stesso modo che se gli avessero annunciato che metà della popolazione mondiale dei vampiri era deceduta.
Walter, annuendo, proseguì la sua spiegazione:
- Proprio così. L'anno scorso hanno abbattuto il muro di Berlino e ufficialmente il blocco sovietico si è dissolto. -
- Quindi non fanno più quei film d'azione con gli americani buoni e i russi cattivi, o i film di James Bond? -
- Oh, no, quelli continuano a replicarli in televisione perchè alla gente piacciono. Sempre l'anno scorso è stato fucilato il dittatore Ceausescu. Adesso la Romania è una repubblica democratica. -
- E la Valacchia? - chiese il vampiro con apprensione.
- La Valacchia continua a far parte della Romania. -
Sul viso di Alucard si dipinse un'espressione delusa. Nella sua ottica di ex-monarca, il fatto che la Valacchia appartenesse alla Romania e non la Romania alla Valacchia, era fonte di avvilimento.
Walter, intanto, continuava a snocciolare diligentemente gli eventi salienti di quel ventennio.
In Cile il generale Pinochet si era impossessato del governo grazie a un colpo di stato, durante il quale era stato ucciso il presidente Allende, proseguendo poi a fare decine di migliaia di  desaparecidos. Nell'Irlanda del nord c'erano stati molti sanguinosi attentati e rappresaglie fra nazionalisti e lealisti. In Cambogia la dittatura dei Khmer Rossi aveva fatto milioni di morti. Il Regno Unito e l'Argentina si erano fatte la guerra per le Falkland, un pugno di isole sperse nell'Oceano Atlantico. In Persia una rivoluzione aveva scacciato lo Scià, impiantato una repubblica religiosa e cambiato il nome del paese in Iran. In Gran Bretagna un primo ministro di nome Margaret Thatcher aveva dissolto lo stato sociale. C'erano state delle guerre fra Israele e gli Stati confinanti...
Il vampiro alzò una mano, fermando quel fiume in piena di parole:
- Insomma, avete combinato i soliti casini. Guerre, morti, sofferenze e ancora guerre. -
Il maggiordomo si ribellò. No, non era vero, c'erano stati anche degli avvenimenti positivi in quei due decenni. Ad esempio la Spagna e la Grecia erano tornate ad avere dei governi democratici dopo decenni di dittature...
Alucard alzò nuovamente la mano:
- L'anno prima che master Arthur mi mettesse in letargo, eravate sbarcati sulla luna. Vi sentivate entusiasti, pensavate che avreste colonizzato l'universo da lì a pochi anni. La mia domanda è: ci siete riusciti? Avete realizzato le vostre fantasie? Avete impiantato una colonia sulla luna? Andate e venite da Marte come da qualsiasi altra località turistica terrestre? -
- No. A dispetto degli entusiasmi iniziali, l'esplorazione dello spazio si è rivelata estremamente complessa e problematica. Se mai riusciremo ad uscire fuori dal pianeta Terra, sarà fra chissà quanti decenni. -
- Quindi avevo ragione io. Avete combinato i soliti casini. Nient'altro di nuovo. -
Ciò detto, Alucard si era rifiutato di ascoltare altro. Tanto, sarebbe venuto comunque a conoscenza delle vicende più importanti origliando i discorsi altrui.
Il vampiro si rituffò quindi con rinnovato entusiamo nell'esplorazione delle nuove tecnologie, a suo giudizio più interessanti dell'animo umano, ottuso a sufficienza da ripetere sempre i medesimi errori.

La porta si aprì nuovamente e Integra alzò la testa dai suoi compiti. Stavolta però non si trattava di Alucard ma di una delle cameriere.
- La cuoca mi ha mandato ad avvertirvi che la cena verrà servita con quindici minuti di ritardo. Ha bruciato le patate e ha bisogno di un po' di tempo per cucinarne delle altre.-
- Va bene. Grazie, miss Hopkins. -
- Dovere, Sir. -
La cameriera chiuse la porta e la ragazzina tornò ai suoi compiti.
- Tutto qui, Integra? -
Sir Hellsing alzò la testa verso la voce. Alucard era seduto sul soffitto e la guardava con aria severa. Quand'era tornato nella stanza? Non aveva minimamente percepito la sua presenza.
- Tutto qui...cosa? - chiese la biondina, titubante.
- La tua serva sbaglia e tu non reagisci? -
- Bruciare delle patate non mi sembra un grave sbaglio. - sorrise Integra.
Alucard però non sembrava in vena di risate e con durezza proseguì:
- Chi se ne frega se l'errore è grave o meno. E' il principio, quello che conta! E il principio è che la tua cuoca è stata negligente e gliela stai facendo passare liscia. Non è così che si conduce una casa, padrona! Devi tenere i tuoi schiavi in pugno, sennò ti metteranno i piedi in testa! -
Integra sospirò spazientita, pensando ai compiti che doveva ancora terminare. Ormai però conosceva abbastanza bene Alucard da sapere che non l'avrebbe lasciata in pace finchè quella discussione non fosse stata conclusa. Così, con lo stesso tono che avrebbe usato per spiegare qualcosa a un bambino, rispose:
- Non sono i miei schiavi, Alucard. Ed è anche scorretto chiamarli servi. Sono i miei dipendenti. E comunque, sentiamo, cosa dovrei fare secondo te? -
- Non ci sono una frusta o un bastone, in questa casa? -
- Ma tu sei tutto scemo! Dovrei picchiare la signora Onassis solo perchè ha bruciato la cena? A parte il fatto che quello che mi proponi è ingiusto, se mi azzardassi a seguire i tuoi consigli, domattina troverei dietro la porta d'ingresso una delegazione sindacale decisa a farmela pagare. -
- Una delegazione ... di chi? -
- Non "di chi" ma "di cosa". I sindacati sono delle associazioni che si battono per tutelare i lavoratori. Insomma, se al giorno d'oggi le persone come te non possono più frustare le signore Onassis, è grazie ai sindacati. -
Il vampiro era scandalizzato:
- Vuoi dire che questi sindacati privano noi aristocratici del sacrosanto diritto di fare dei servi quel che ci pare? -
- Esattamente! - annuì Integra. Sì, lei l'avrebbe spiegato in altri termini ma l'importante era che Alucard avesse afferrato il concetto.
Il vampiro scrollò il capo, indignato:
- Che epoca barbara è questa, master! -
Integra si morse le labbra per non sghignazzare in faccia al nosferatu e chinò la testa sui suoi compiti. Il non-morto però non sembrava voler far cadere tanto presto il discorso:
- D'accordo, non puoi picchiare quella pelandrona ma almeno rimproverala! O i sindacati ti vietano anche questo? -
- Non lo so se i sindacati lo vietino o meno ma non ho nessuna intenzione di sgridare la signora Onassis. Lavora in questa casa da sei anni ed è la prima volta che brucia un pasto. Perchè dovrei prendermela con una lavoratrice seria, solo perchè ha commesso un errore? Possiamo sbagliare tutti! -
- Perchè ti ostini a non capire? Perdonare un errore vuol dire incitare una persona a commetterne altri! -
- Non è vero, non sono d'accordo. E adesso vuoi chiudere il becco? Ho ancora un sacco di compiti da terminare. Smettila di scocciarmi. E comunque, cosa ne vuoi sapere tu di queste faccende? -
Era stata la stizza a far parlare così Integra ma la ragazzina si pentì dell'ultima frase non appena finì di pronunciarla. Adesso il litigio era assicurato e poteva dire addio ai compiti. Intanto, sul capo di Sir Hellsing, era scoppiato l'inferno:
- Di queste cose ne so più di te, pivella! - ruggì Alucard - Ero un principe umano! Avevo schiere di servi che si occupavano dei miei castelli e li facevo rigare dritti come soldati! Se fossi stato indulgente, la pigrizia sarebbe propagata come un virus. Quei maledetti avrebbero lasciato marcire le provviste, avrebbero permesso ai topi di rosicchiare stoffe e mobili, avrebbero lasciato imputridire l'acqua delle cisterne, avrebbero rubato tutto quello su cui potevano mettere le mani...e guardami negli occhi quando ti parlo, vigliacca! -
Integra, con il collo incassato nelle spalle, alzò un visetto pallido verso il vampiro. Alucard infuriato non era mai un bello spettacolo, soprattutto quando era arrabbiato con lei. Gli occhi del vampiro lanciavano fuoco e fiamme e il cuoricino di Sir Hellsing cominciò a battere come un tamburo per la paura.
- Non azzardarti più a trattarmi come uno scemo, marmocchia! Ho cinquecento anni, ne so molto più di te della vita! -
- Scusa. - disse Integra con un fil di voce, sperando di rabbonire il vampiro. Ma Alucard non aveva nessuna voglia di calmarsi. La sua master era stata fuori tutto il giorno e appena rincasata si era messa a studiare, senza degnarlo di uno sguardo. La noia l'aveva innervosito e adesso aveva solo una gran voglia di litigare e sbraitare.
- Quand'ero un sovrano, non ho mai mangiato una cena bruciata e ho sempre dormito in letti con le lenzuola ben tirate e senza pieghe. E sai perchè? Perchè non ho mai perdonato un errore. Tutti dovevano impegnarsi al massimo! -
Integra pensò alle povere cameriere addette al giaciglio di Vlad l'Impalatore. Si chiese quante ore di tempo dovessero impiegare ogni volta per rifare un letto senz'ombra di pieghe. Che spianassero le lenzuola con una livella?  
- No, non ho mai perdonato un errore e non ho mai guardato in faccia a nessuno. Chi sbagliava doveva pagare, chiunque fosse, si trattasse anche della balia che mi aveva dato il latte! -
Integra, per temperamento, non era una persona che covasse a lungo i suoi timori. Anche in quell'occasione, la paura che la furia di Alucard le aveva instillato venne allontanata dalla curiosità suscitata dalle ultime parole del vampiro:
- Saresti stato capace di bastonare la balia che ti aveva allattato? La tua seconda madre? -
- Quella donna era una stronza! - fu la lapidaria risposta del vampiro - Ce l'aveva con me, immotivatamente oltretutto. Qualsiasi cosa accadesse agli altri bambini del palazzo, lei era certa che la colpa fosse mia. Tanta diffidenza nei miei confronti solo perchè ero un ragazzino vivace! Era convinta che fossi un violento solo perchè, quando giocavo alla guerra con gli altri marmocchi, se durante la ritirata mi imbattevo in una delle mie sorelle, l'afferravo per le trecce e la catapultavo giù per le scale, addosso ai miei inseguitori, in modo da rallentarne il passo. Oppure perchè obbligavo mio fratello Radu a fare il mio schiavo, il mio cavallo o il mio cane e quando contravveniva ai miei ordini lo picchiavo come si fa, appunto, con gli schiavi, i cavalli o i cani. Non era colpa mia se la natura aveva dotato le mie sorelle di trecce e il mio fratellino di un carattere remissivo! Io, semplicemente, approfittavo della situazione. Ma la mia balia era del parere che non dovessi approfittare di nulla e mi suonava come un tamburo dalla mattina alla sera! -
Integra storse il naso. Non era una risposta alla sua domanda. Decise di tornare all'attacco per un'altra strada:
- Se una mattina ti fossi svegliato particolarmente nervoso e avessi scoperto che la donna che ti aveva allevato l'aveva combinata grossa, saresti stato capace di impalarla?-
- Morì di pestilenza prima che m'incoronassero. - rispose il vampiro, stropicciandosi un occhio.
- Accidenti a te, Alucard, perchè non ti decidi a rispondere con un "sì" o con un "no"?! Se la tua nutrice non fosse morta prima della tua incoronazione, saresti stato capace di impalarla se qualcuno l'avesse accusata di commettere un'azione spregevole? Sì o no?! -
- E adesso cosa vuole Walter! - ringhiò il vampiro, in risposta ad un richiamo udibile solo alle sue orecchie - Arrivo, shinigami, non c'è bisogno di urlare tanto! -
Così dicendo, filtrò attraverso il soffitto, sparendo alla vista di Integra e lasciando la ragazzina in preda a molti dubbi.

Walter attendeva Alucard nella sua stanza e sembrava particolarmente irritato:
- Credi che non me ne sarei accorto, lurido succhiasangue? -
- Di cosa? - esclamò l'interlocutore, sinceramente stupito.
Per tutta risposta il maggiordomo aprì una scatola di sigari adagiata sul suo letto. Gliel'aveva regalata Sir Arthur qualche settimana prima di morire e Walter aveva deciso di conservarla come ricordo dell'ex-padrone. Nella fila di sigari c'era uno spazio vuoto. Almeno due sigari mancavano all'appello.
- E con ciò? Cosa vuoi da me? - chiese il vampiro.
- Voglio che tu me li restituisca! -
- Lo farei volentieri, se li avessi presi io. Ma dato che non sono stato, non posso accontentarti. -
- Non prendermi in giro! So benissimo che vai e vieni continuamente dalle stanze altrui per frugare fra i loro averi. Vuoi darmi a bere che non sei entrato anche nella mia, approfittandone per sgraffignarmi i sigari? -
- Ammetto che sono entrato anche nella tua camera. L'ho fatto solo una volta però, non per un particolare rispetto nei tuoi confronti ma perchè qua dentro non hai niente che susciti il mio interesse. Neanche i sigari mi interessano. Fumo solo per tenere compagnia a qualcuno, non perchè mi dia un particolare piacere e non mi pare che in questa casa ci sia qualcuno di cui possa essere "compagno di fumate". Persino un tabagista incallito come te ha abbandonato le sigarette. Come vedi, non ho nessun motivo di arraffarti i sigari. -
Alucard aveva parlato in tono tranquillo ma nè il suo tono pacifico nè la logica dei suoi argomenti scalfirono minimamente la rabbia di Walter. Cocciutamente, il maggiordomo replicò:
- Le tue motivazioni non m'interessano! So solo che sei l'unico sospettato, e ciò mi basta! -  
- L'unico sospettato? Non mi pare. Integra non ha forse libero accesso alla tua camera? -
- Integra non farebbe mai una cosa simile! La conosco bene! -
- Davvero? Quindi saprai anche che quando non sei a portata d'orecchio, il tuo angioletto biondo impreca come un camionista in corsia di sorpasso? -
A giudicare dalla faccia che fece Walter, non pareva che il maggiordomo sapesse nulla delle capacità linguistiche della sua protetta e il vampiro gongolò internamente per quel punto a suo favore.  
Lo shinigami sospirò, tentando di calmarsi. Massaggiandosi le tempie, disse:
- Ti avviso Alucard: che non si ripeta più un furto dalla mia stanza, altrimenti te ne farò pentire. Chiaro? -
- Chiarissimo! Ricordati di dirlo anche ad Integra, mi raccomando. -
Walter lanciò all'indirizzo dell'ex-camerata una sequela di insulti degni di un'Integra in corsia di sorpasso e il vampiro se ne andò ridacchiando.
 
Il maggiordomo, seduto in cucina, attendeva che la sua camomilla si raffreddasse.
Doveva sforzarsi di mantenere la calma, la sua pressione arteriosa lo esigeva. Ma come poteva rilassarsi se Alucard, da quando era stato risvegliato, non aveva fatto altro che combinare guai?
Un rumore di passi familiare.
Walter alzò lo sguardo, incrociando il visetto di Integra.
- Temo che per stasera non riuscirò a finire i compiti. Puoi scrivermi la giustificazione per domani? -
- Certo principessa. Portami qui carta e penna. -
Sir Hellsing storse il naso. Suo padre, quando voleva chiamarla con qualche vezzeggiativo affettuoso, le dava della nanerottola, della peste, della pannocchia o del nano da giardino. A Integra quei nomignoli spiritosi piacevano, la facevano ridere. Walter, invece, quando voleva essere affettuoso, se ne scappava con quell'odioso "principessa". Alla ragazzina non piaceva, la giudicava un'espressione leziosa, inadatta alla sua personalità. Nonostante ciò, non aveva mai protestato perchè a Walter quella parola scappava solo in rari casi, quando era molto stanco o particolarmente teso. Neanche quella sera Sir Hellsing ebbe il coraggio di contraddire il suo secondo padre e si avviò a cercare quel che le era stato chiesto.

Allevare un bambino è una ripetizione quotidiana di tanti piccoli gesti apparentemente privi d'importanza.
Rimboccare una canottiera in una gonnellina. Riannodare treccine e codine scioltesi durante una corsa. Insegnare ad allacciare le scarpe. Tagliare la carne nel piatto. Misurare la febbre. Togliere un dentino di latte.
Walter aveva fatto tutte queste cose per la figlia del padrone. Non aveva prestato attenzione a quei gesti ed era stato così che, tra un fermaglino riagganciato e un naso soffiato, aveva finito con l'affezionarsi a quella bambina come ad una creatura sua.
Quando si era reso conto dei suoi sentimenti, era stato come se una voragine si spalancasse sotto ai suoi piedi. Si era sentito perduto.
Anche se non apparteneva anima e corpo al Millennium, anche se continuava a mantenere una sua indipendenza mentale e fisica, di fatto restava internamente un ribelle, un doppiogiochista. Si era aggregrato a quello scampolo di nazisti in gioventù, in un'età in cui non nutriva affetti profondi per nessuno ed era certo che non ne avrebbe mai sviluppati in seguito per chicchesia. La prima parte della sua vita aveva dato ragione a questa convinzione. A ben vedere, neanche con Integra era stato amore a prima vista. L'aveva giudicata una marmocchia come tante, un essere privo di importanza e interesse. Ed ecco che, senza accorgersene, quel soldo di cacio aveva finito col diventare la persona più importante della sua esistenza.
Un simile affetto non era compatibile con la sua ribellione! O l'uno o l'altro, non poteva tenerli entrambi. E dato che il tradimento programmato da tempo gli sembrava lo scopo più importante della sua vita, aveva pensato di eliminare Integra dalla propria strada.
Forse era ancora in tempo, bastava cominciare a comportarsi con freddezza con la piccola, spingerla a rivolgersi al padre o alla signora O'Hara quando veniva da lui...alla fine la nanerottola l'avrebbe dimenticato, regalando il suo cuore a qualche altro adulto. In fondo, i bambini sono così volubili...
Presto gli fu chiaro che "i bambini" non sono un universo monolitico fatto con lo stampo, ma ognuno di loro possiede una sua personalità, al pari degli adulti e il temperamento di Integra non era di quelli volubili. Gli amori e gli odi della piccola erano intensi e duraturi. Per lei Walter era un individuo speciale, diverso da tutti gli altri che bazzicavano per casa e aveva un modo tutto suo per sottolineare al mondo intero la sua preferenza per lo shinigami. Walter e suo padre erano le uniche persone a cui non rispondeva quando la rimproveravano e se Arthur era la prima persona da cui correva per mostrargli un dentino caduto, il maggiordomo era l'unico in grado di farle aprire la bocca per inghiottire sciroppi e medicinali.
Walter si era arreso all'evidenza e non era stata una resa particolarmente dolorosa. In fondo, internamente gongolava dell'amore incondizionato di Integra. Restava il problema di come poter unire l'affetto che nutriva per la bimba con la distruzione programmata dal Millennium. Aveva senso amare una persona che con molta probabilità sarebbe stata inghiottita dall'apocalisse finale?
Qualcosa, dentro di lui, si ribellò: come poteva pensare che Integra, il piccolo generale di Hellsing Manor, sarebbe perita come una nullità qualsiasi? Potevano morire gli altri, non la sua principessa!
Ripensò ad Integra neonata, allo stupore che provava ogni volta che si affacciava sulla sua culla. L'esserino inerme che giaceva sul materassino guardava il mondo circostante e le persone che si abbassavano su di lei con cipiglio autorevole. Su quel visetto non si disegnavano le espressioni tipiche dei neonati, come la paura o il sorriso, ma uno sguardo corrucciato e una boccuccia seria, poco disposta a regalare gratuitamente risatine infantili. L'Integra neonata studiava il prossimo con una sicurezza in se stessa che lasciava sbalorditi.
No, una persona con una tempra simile sin dalla sua venuta al mondo non poteva lasciarsi uccidere da una manica di vampiri invasati. Qualunque cosa accadesse, lei sarebbe sopravvissuta.
Walter aveva così quadrato il cerchio e con la sua fiducia assoluta nelle capacità di Integra, aveva lasciato che la Vita continuasse a condurlo verso il suo destino, riuscendo serenamente a far convivere il suo affetto per la bambina con la ribellione che avrebbe culminato la sua esistenza.

Adesso, mentre vedeva Integra allontanarsi dritta e fiera alla ricerca della carta e della penna, Walter ripensò alle parole di Alucard.
No, impossibile che fosse stata Integra a rubargli i sigari! A quale scopo, poi?
E' vero, Integra aveva la femminilità di un carrarmato; non si tirava mai indietro da una rissa; prendeva disinvoltamente in mano quegli animali che solitamente suscitano ribrezzo, come vermi o insetti; si arrampicava sugli alberi con una maestria degna Huckleberry Finn e spaccava le noci coi denti...ma arrivare a fumare un sigaro! Eh, no, questo era veramente fuori dalla sua portata!
Alucard poteva insinuare quel che voleva, Walter era sicuro del fatto suo. Conosceva benissimo Integra e sapeva che la sua principessa non era tipo da mettersi a fumare, nè ora nè mai.
Il maggiordomo abbassò lo sguardo sulla sua camomilla. Finalmente si era intiepidita. Adesso poteva berla senza scottarsi.

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Capitolo 4
*** Una rispettabile attività commerciale ***



voivoda = principe

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Integra era uscita dalla classe con la scusa di andare al bagno ma quando giunse davanti all'ingresso dei gabinetti femminili, tirò a dritto, verso una porta che si trovava fra i bagni delle ragazze e i bagni dei ragazzi. Era l'ingresso del ripostiglio in cui veniva ammassato il materiale didattico ormai superato ma che la direzione scolastica esitava a buttare via perchè "non si sapeva mai". Vecchi modellini anatomici del corpo umano, lavagne rigate, cartine geografiche raffiguranti Stati ormai scomparsi venivano ammassati là dentro. Ufficialmente, quello sgabuzzino non aveva altre funzioni. In realtà, tutti gli studenti che volevano fumare senza farsi sorprendere dai professori vi si rifugiavano, certi che ben difficilmente qualche adulto sarebbe entrato.
In verità, l'intero corpo docente sapeva che quello era il rifugio dei tabagisti della scuola ma tutti gli insegnanti avevano deciso che era meglio chiudere un occhio. Non si possono tenere gli adolescenti costantemente alla catena, un certo grado di sfogo è bene fornirglielo e a ben vedere era molto più salutare che gli studenti si sfogassero fumando che in altri modi.
Integra entrò nel ripostiglio e si accorse che era già occupato. Vicino alla finestra spalancata del piccolo ambiente, si trovavano due ragazze e due ragazzi sui sedici anni circa. Gli adolescenti buttarono uno sguardo distratto sulla nuova venuta. Ai loro occhi, Integra era una bambina, un individuo privo di importanza. Alla svelta si scordarono di lei, tornando a impegnarsi nella loro conversazione.
Anche Sir Hellsing decise di ignorare bellamente quei quattro stupidoni che se la tiravano tanto, con quelle loro patetiche sigarette fra le dita. Dalla tasca della gonna, Integra tirò fuori una scatoletta di latta. Al suo interno aveva nascosto i due sigari e l'accendino che aveva sgraffignati a Walter. Ne accese uno e cominciò a fumare, mollemente appoggiata con la schiena al muro.
Gli sguardi dei quattro sedicenni tornarono a posarsi sulla biondina, stavolta con vivo interesse. Nessuno di loro si era mai cimentato in qualcosa di più impegnativo di una sigaretta ed ecco che vedevano quella bambina attaccata ad un sigaro più lungo di lei!
Si riscossero alla svelta dallo stupore e cercarono di galvanizzare il loro orgoglio ferito lanciandosi battute e osservazioni sul puzzo dei sigari. Integra, signorilmente, ignorò totalmente quei commenti. Il suo viso perfettamente composto e rilassato non tradiva la minima emozione. Sembrava che per lei quei quattro studenti non esistessero nemmeno e le loro parole non le suscitavano più interesse del ronzìo di una mosca. Presto gli adolescenti si stancarono di quel gioco e in silenzio finirono le loro sigarette, uscendo quasi alla chetichella dal ripostiglio. Solo allora Integra spense il suo sigaro. A dispetto della sua espressione impassibile, dentro di sè gongolava. Sapeva di aver destato l'ammirazione di quei ragazzi più grandi di lei. Si erano sentiti umili e infantili al suo cospetto.
Con quello stratagemma, la fama da dura di Sir Hellsing, fin'ora confinata fra i ragazzini suoi coetanei, si sarebbe sparsa alla svelta anche fra gli studenti delle classi superiori ed era proprio ciò che Integra voleva.
Da un paio di settimane ormai si era completamente ripresa, tornando ad assumere il suo ruolo di capo scalmanato della classe, capace di far annodare lo stomaco dall'ansia agli insegnanti. Ma come Integra si era resa conto, il suo ambito d'azione, ristretto ai coetanei, cominciava a starle stretto. Sapeva di essere più matura e carismatica di tanti adolescenti più grandi di lei e aveva cominciato ad accarezzare il sogno di influire anche su di loro. L'attitudine al comando, connaturatale sin dalla nascita, non aveva fatto altro che svilupparsi con il continuo braccio di ferro a cui la sottoponeva Alucard. Per questa ragione adesso sentiva l'esigenza di allargare il più possibile il suo raggio d'azione.
Integra ripose il sigaro nella scatoletta e tornò in classe.

Quello era l'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze natalizie e Sir Hellsing era l'unica studentessa di tutta la scuola a non sentirsi eccitata per ciò che sarebbe accaduto nei prossimi giorni. Del resto, cosa le si prospettava di positivo?
Suo padre era morto da un mese e mezzo  e Integra sentiva rivoltarsi lo stomaco all'idea di festeggiare il Natale come se nulla fosse. A che prò addobbare la villa, scambiarsi auguri e regali, imbandire il pranzo delle feste se a tavola il posto di Sir Arthur sarebbe rimasto vuoto?
Appena tornata a casa, corse a cercare Walter.
- Potremmo non festeggiare Natale quest'anno? - chiese con un visetto tirato, prossimo alle lacrime.
Walter si concesse uno dei suoi rari gesti d'affetto e carezzando la guancia della ragazzina, con un sorriso intenerito rispose:
- Va bene, Integra. Ci comporteremo come se fosse un giorno come tanti altri. -
La ragazzina sospirò sollevata e mentre si dirigeva verso la sua camera per togliersi la divisa dell'istituto, Walter pensò che anche Alucard sarebbe stato particolarmente sollevato di quella decisione. Per il vampiro le feste religiose erano uno strazio, la sua coerenza lo costringeva a rintanarsi tutto il giorno nelle segrete, annoiandosi mortalmente. Sapere che quell'anno avrebbe potuto scorazzare per Hellsing Manor senza imbattersi in nessuna celebrazione per la nascita di una divinità, lo avrebbe certamente riempito di felicità.

Raggomitolata al calduccio fra le coltri, osservando la stanza illuminata dalla grigia luce di quel mattino invernale, Integra rimuginava su come inaugurare quel primo giorno di vacanza. Sapeva di poter osare di tutto perchè Alucard l'avrebbe lasciata in pace per un bel po' di ore.
Sopra la sua testa, proveniente dal piano superiore, sentiva infatti il tramestìo frenetico e continuo di chi cerca qualcosa. Sapeva ormai per esperienza che quel frugare ossessivo era opera del suo vampiro. Ogni tanto veniva afferrato da simili raptus che potevano tenerlo occupato anche mezza giornata. Una volta Integra gli aveva chiesto cosa stesse cercando con tanta foga e si era sentita rispondere:
- Cerco Casull. -
Il vampiro non aveva aggiunto altro, nè la ragazzina aveva fatto ulteriori domande. La fronte aggrottata di Alucard le aveva fatto capire che in quei frangenti era meglio non disturbarlo.
Chi o cosa fosse Casull, Integra non ne aveva la più pallida idea, benchè ricordasse di aver letto quel nome nei diari del padre. Sapeva solo che questo/a Casull le teneva alla larga Alucard, e tanto le bastava. Non aveva sentito quindi la necessità di chiedere spiegazioni a Walter, o di ricercare nei quaderni degli antenati informazioni in merito.
Scalciando con i piedi, Sir Hellsing allontanò da sè le coperte. Aveva preso la sua decisione. Sapeva come cominciare quel primo giorno di vacanza.

Calzettoni di lana. Pantaloni felpati. Scarpe da trekking. Tre stradi di indumenti sull'addome, culminanti in un maglione lappone regalatole dal padre di ritorno da una conferenza sul paranormale tenutasi ad Helsinki.
Integra si guardò allo specchio. Pareva dovesse andare a scalare una montagna invece voleva solo uscire in giardino. Be', non era colpa sua se in quei giorni faceva un freddo assassino. Soprattutto al mattino, il gelo era talmente intenso che quando usciva di casa per andare a scuola, si aspettava sempre di vedere precipitare giù dal cielo qualche uccellino morto congelato.
Indossò il giubbotto più pesante che aveva e infilò in una delle tasche la scatolina in cui conservava i sigari e l'accendino.

Il boschetto degli olmi costituiva l'angolo più selvaggio del parco di Hellsing Manor. Il suo aspetto trascurato era dovuto sia ad una precisa scelta dei padroni di casa, desiderosi di avere a portata di mano un luogo abbastanza appartato in cui imboscarsi in santa pace nelle calde serate estive, sia alla sua dislocazione logistica. Il gruppo di olmi, situato alle spalle della magione, non era visibile agli ospiti, che venivano fatti entrare dall'ingresso principale, quindi Walter e le generazioni di maggiordomi che l'avevano preceduto, giudicavano superfluo che i giardinieri si dessero troppo da fare per quelle piante. La "bella figura" villa Hellsing la faceva con le siepi e gli alberi che bordavano il viale d'accesso, quindi era giusto preoccuparsi maggiormente di quelli.
Integra si diresse a grandi falcate verso il boschetto. Sapeva che lì avrebbe potuto fumare in santa pace. Nessuno l'avrebbe mai scoperta. Avanzò fra i cespugli di bosso cresciuti spontaneamente alla base degli alberi e si sedette sull'unica panchina che i suoi antenati avevano collocato in quella piccola foresta. Non fu facile accendere il sigaro, il freddo pungente sembrava avere la meglio sulla debole fiammella ma dopo molti tentativi e imprecazioni, la piccola Lady riuscì nel suo intento. Adesso poteva finalmente fumare! Accanto al sedile di pietra era cresciuta una quercia, bizzarra intrusa in mezzo a quella teoria di olmi, e la ragazzina vi appoggiò la schiena, tentando di rilassarsi. Tentativo vano dato che a dispetto della pesante bardatura, Integra tremava come una foglia. Ogni muscolo del suo corpo era talmente intirizzito e teso da dolerle. Come si era pentita di non aver indossato anche la sciarpa e il berretto!
Guardò la povera mano che reggeva il sigaro, esangue all'inverosimile.
"Sembra la mano di un vampiro" pensò e quasi fosse richiamata da quel pensiero, la voce di Alucard la sorprese alle spalle:
- Vergognati master! -
La ragazzina si voltò, guardandolo con due occhi increduli. Ma come, aveva già finito di cercare Casull?
Il vampiro la scrutava con un'espressione delusa dipinta sul viso. Com'era nel suo stile, Integra recuperò alla svelta il sangue freddo e in tono pungente rispose:
- Oh, andiamo! Un mese e mezzo fa ho ucciso mio zio senza che tu trovassi niente da ridire e adesso mi rimproveri perchè fumo? -
Alucard guardò la padroncina con aria perplessa:
- Perchè avrei dovuto rimproverarti quando hai sparato a Richard? Eri stata semplicemente perfetta! -
Adesso era Integra a guardare con perplessità il nosferatu. Alucard continuò:
- Credi che a questo mondo ci siano molte persone capaci di fare un centro perfetto la prima volta che impugnano un'arma? Neanche io sono mai riuscito a raggiungere quest'obbiettivo! Nè quando, da bambino, mi misero per la prima volta in mano arco e frecce nè quando, da vampiro, ho impugnato per la prima volta una pistola. Tu invece...una ragazzina sola e terrorizzata...afferri la rivoltella, punti, spari e centri in pieno il bersaglio! Non hai un'idea di quanto ti abbia adorata in quel momento! Chissà cosa saresti capace di fare, con un po' di allenamento e mantenedo il sangue freddo! -
Mentre parlava, un sorriso colmo di ammirazione si era allargato sul volto di Alucard. Integra, invece, era sempre più confusa.
Il sorriso svanì dal viso del succhiasangue. Adesso il tono della sua voce era severo:
- In questo momento invece non sei perfetta. Sei solo incredibilmente ridicola. Trattieni il fumo in bocca, mentre dovresti aspirarlo fin dentro ai polmoni. Non è un modo serio di fumare, questo! Fumi come una ragazzina! -
- Ma io sono una ragazzina! - rispose piccata Sir Hellsing.
- Sei la mia master, ti proibisco di essere una ragazzina qualsiasi! In tutto ciò che fai, devi dimostrare di essere la degna padrona del vampiro più potente dell'universo! -
Nell'udire quelle parole, una sottile angoscia strinse le viscere di Integra ma la dodicenne si impose di ignorarla. Preferì invece chiedere:
- Quindi non sei arrabbiato perchè sto fumando, perchè sto facendo qualcosa che non sarebbe adatta ad una persona della mia età...perchè sto facendo una cosa da adulti? -
Il vampiro rispose con noncuranza:
- Il sesso è l'unica faccenda da adulti che sei ancora troppo giovane per praticare. Fumare, invece, puoi farlo tranquillamente. Perchè non dovresti? Io, quando avevo la tua età, facevo ben di peggio che fumare! -
- Ma tu sei nato nel medioevo. Da allora la vita è molto cambiata. Adesso, quando gli adulti sorprendono un ragazzino a fumare, lo subissano di rimproveri perchè il tabacco danneggia i polmoni. -
- Gli umani di oggigiorno non li capisco! - esclamò il vampiro, irritato - Si creano un sacco di problemi per niente! Quando ero un mortale, venivamo falciati come mosche dalle carestie e dalle pestilenze. Adesso che avete cibo, farmaci e vaccini a volontà, li guardate con sospetto e cercate di assumerne la minore quantità possibile dicendo che fanno male. Dite che il fumo danneggia la salute? In quanto tempo? Vent'anni? Trenta? Quaranta? E vi sembra un problema, questo? Io la salute e la vita le rischiavo nell'immediato, ogni volta che partivo per una campagna militare! -
Integra non insistè oltre. Era chiaro che Alucard possedeva una morale tutta sua, così come anche un suo personale metro di giudizio sui rischi e i benefici di ogni singola azione.
Il servo si sedette accanto alla padrona, tendendo una mano:
- Dammi quel sigaro, ti mostro come si fuma realmente. -
Integra fece come le era stato detto. La boccata di fumo che aspirò Alucard fu talmente ampia da incenerire mezzo centimetro di sigaro. Al vampiro sembrò superfluo aggiungere che un simile risultato poteva raggiungerlo lui, essendo un non-morto, mentre i polmoni di una persona viva avrebbero avuto qualche problemino nel replicare un simile risultato.
Mentre una nuvola di fumo fuoriusciva dalle sue narici e dalle sue labbra, porgendo il sigaro alla master, Alucard spiegò:
- Capito come devi fare, Integra? Aspira a pieni polmoni. -
Integra avvicinò il sigaro alle labbra e aspirò con tutte le sue forze. Un millimetro di sigaro si incenerì ma tanto bastò alla ragazzetta per scoppiare in una tosse convulsa, con le lacrime agli occhi.
- Non sperare di commuovermi con questa pantomima. - l'ammonì Alucard severamente - Proverai e riproverai finchè non imparerai a fumare decentemente. -
Integra provò e riprovò, sentendosi soffocare e maledicendosi da sola per quella bravata. Se solo non avesse sottratto quei sigari per recitare davanti ai compagni la parte della ribelle! Ripensò a quanto si era sentita in gamba e figa la mattina precedente, fumando davanti a quei ragazzi delle classi superiori. E adesso eccola li, che cercava convulsamente di riprendere aria come un'asmatica in piena crisi respiratoria!
Dopo molti tentativi, finalmente Integra riuscì a prendere una boccata di fumo senza farsi prendere dalle convulsioni e sul viso del vampiro apparve un'espressione soddisfatta. Sentiva di meritare una ricompensa per aver assolto al suo ruolo di insegnante.
- Se non ricordo male, i sigari che hai sgraffignato sono due. -
Integra ignorò totalmente quel commento ma ci voleva ben altro per far demordere Alucard:
- Il tuo segreto, con me, è in una botte di ferro. Finchè sarò sveglio, puoi star certa che non parlerò. Il guaio è che prima o poi mi tornerà sonno e quando ciò accadrà, mia cara master, non posso prometterti il mio silenzio. Dicono che io parli nel sonno. Sarebbe un bel guaio se dormendo, raccontassi ciò che è successo oggi. Più che altro, sarebbe un guaio se in quel momento Walter entrasse nella mia segreta e udisse tutto. Chissà che faccia farebbe, se scoprisse che il suo angioletto biondo fuma come una ciminiera! -
Integra sospirò:
- C'è un mezzo per tapparti la bocca mentre dormi? -
- Sì, chiuderla con qualcosa. Un sigaro, ad esempio, sarebbe un ottimo tappo. -
Sir Hellsing non tentò nemmeno di replicare. Tirò fuori il secondo sigaro e l'accendino e li porse al servo.
- Grazie per questa generosità che sgorga così spontaneamente dal tuo cuore! - ghignò Alucard accendendosi il sigaro.
Master e monster fumarono per un po' in silenzio, infine gli occhi del vampiro caddero sulla quercia accanto alla panchina. Accarezzandone il tronco, disse:
- Questa è stata la terza cosa positiva che tuo nonno ha fatto per l'Hellsing. Quest'albero stava morendo ma è rinato dopo il provvidenziale intervento di John Farburke. -
- Non sapevo che il nonno avesse il pollice verde. -
- Infatti non lo aveva. Lui possedeva solo le mani bucate. Tuo nonno ha aiutato quest'albero a non seccare concimandolo. -
Integra aggrottò le sopracciglia:
- Non comprendo. -
- Tuo nonno è sepolto qui sotto. - spiegò il vampiro, battendo con il piede la terra fra le radici della quercia.
Integra sentì i capelli rizzarlesi sulla nuca.
- Mio padre mi ha raccontato che suo padre sparì nel nulla. Una sera tornò per elemosinare dei soldi e dopo di allora non lo vide più. - rispose la ragazzetta in tono concitato.
Alucard annuì:
- E' naturale che master Arthur ti abbia raccontato questa versione dei fatti, dato che non mi vide addentare il collo di suo padre. -
Sir Hellsing stentava a credere alle sue orecchie:
- Hai mangiato mio nonno?! -
- E non aveva neanche un buon sapore. - sospirò il vampiro, avvilito.
Integra si sentì assalire da un tale impeto di furore che le parole si affollarono incoerenti sulle sue labbra:
- Come hai potuto? Tu...maledetto vampiro! -
- Oh, andiamo giovane master, non vale la pena di farsi prendere da una crisi isterica per un tizio che nemmeno hai conosciuto e per giunta era privo di qualsiasi qualità. - replicò Alucard con un sorriso divertito - Perchè non avrei dovuto mangiarlo? Non era un Hellsing, aveva avvelenato l'esistenza di master Eva e l'aveva uccisa piantandole nel ventre un figlio che nemmeno voleva. La sera in cui morì, quando tornò ad Hellsing Manor, John Farburke era ubriaco e vestito come uno straccione. Non si era limitato a viaggiare, in quegli ultimi due anni. Aveva preso il vizio del gioco, accumulando debiti pazzeschi. Una mandria di strozzini e gente a cui doveva soldi gli stava alle costole e lui era tornato a casa per chiedere a tua nonna di parargli il culo. Quando seppe che dalla sua ultima visita la moglie era morta di parto e lui aveva avuto un altro figlio, scoppiò a piangere. Diceva di essere pentito, che avrebbe cambiato vita, gli dessero soltanto i soldi con cui ripagare i suoi debiti e da allora in poi avrebbe rigato dritto, tornando a vivere con i figli per occuparsi di Richard. Master Arthur ci cascò e non me ne stupisco: aveva poco più di vent'anni, era ancora abbastanza giovane da illudersi che suo padre potesse realmente cambiare in meglio. Peccato che non sarebbe mai andata così. I cambiamenti, John Farburke poteva farli solo in peggio. Finchè master Eva era stata in vita, quel pelandrone di suo marito si era limitato a spillarle il denaro necessario per partecipare a safari e crociere. Ma adesso che aveva scoperto l'alcool e il gioco, vizi più costosi di qualsiasi viaggio, si sarebbe trasformato in una sanguisuga. Questo però potevo capirlo io, non master Arthur. Pensai che John Farburke avesse già rovinato l'esistenza di uno dei miei padroni, non c'era motivo di fargli distruggere la vita anche del nuovo master. Quando quell'idiota uscì barcollando nel parco, lo seguii e appena fui certo che nessuno ci vedesse, lo addentai. Quando finii di mangiare, lo usai per concimare questa quercia. -
Non c'era ombra di pentimento nè di vergogna nella voce del vampiro e Integra, suo malgrado, fu costretta ad ammettere che le azioni del servo   erano state guidate da una certa logica. Comprendeva però anche quanto fosse pericoloso concludere quella discussione con una pacca sulle spalle: Alucard non doveva permettersi di mangiare gli umani. Doveva fargli una ramanzina, peccato non sapesse da dove cominciare. Tentò comunque di assolvere al suo ruolo di guida morale del servo ammonendolo in tono severo:
- Anche se non era un Hellsing, era pur sempre il padre di mio padre. Se mia nonna l'ha sposato, vuol dire che delle qualità le possedeva anche lui. -
- L'unica qualità di tuo nonno era di essere un bell'uomo. - rispose con noncuranza Alucard - Immagino che gli ormoni avranno influenzato non poco tua nonna, nella decisione di prenderselo in casa affinchè le scaldasse il letto. Non guardarmi con quell'aria offesa, Integra. Non sto criticando master Eva. Anzi, la comprendo in pieno. Non immagini quante volte mi sia ritrovato anch'io in queste situazioni, in cinquecento anni di non-vita. Mi dispiace soltanto che tua nonna si sia lasciata schiacciare da questa storia. Era una donna in gamba, la sua unica debolezza è stata suo marito. Avrebbe dovuto sbatterlo fuori da Hellsing Manor quando rimase incinta di tuo padre; ormai John Farburke aveva assolto al suo compito, a che prò camparlo ancora? Invece continuò a tenerselo vicino. Litigavano, non andavano d'accordo, lei lo spediva un paio d'anni lontano da casa ma non aveva il coraggio di toglierselo dai piedi una volta per tutte. Quando quel pelandrone si rifaceva vivo, festeggiavano il suo ritorno, poi si scornavano nuovamente e lei gli finanziava un'altra crociera. E nel corso di uno dei tanti festeggiamenti di benvenuto, venne concepito Richard, inutile quanto suo padre. -     
Integra non sapeva come rispondere. Dodici anni di vita sono troppo pochi per scovare delle valide repliche a certe discussioni. Rimase in silenzio, sentendosi molto piccola e molto stupida.
Alucard, calmo e tranquillo fino a quel momento, aggrottò improvvisamente le sopracciglia. Scrutando la padroncina come se volesse scavarle nell'animo, in tono severò l'ammonì:
- Tu, piuttosto, ragazzina! Ti avverto, quando sarai grande non arrischiarti a portare in casa un idiota come tuo nonno. Ho sopportato John Farburke per più di vent'anni. Non ho nessuna intenzione di tollerare per un altro ventennio un nuovo imbecille. Se il tuo compagno sarà una nullità, me lo mangerò prima che sia trascorsa una settimana, quindi sceglitelo con cura! -
Integra sbattè le palpebre, incredula. Non solo non era riuscita a fare una ramanzina al servo, ma ne stava ricevendo addirittura una da Alucard. Grandioso!
- Hai capito, Integra? Mettiti nel letto un uomo degno di stima, sennò te lo faccio fuori. Non scherzo. Sono stufo della manìa di voi Hellsing di perdere la testa per degli individui meschini. Siete gente in gamba ma i compagni di vita non ve li sapete proprio scegliere! Fortuna che i vostri figli, eccetto casi eccezionali come Richard, non assomigliano ai minchioni con cui vi accoppiate. -
Sir Hellsing, che all'accenno dell'uomo da mettersi nel letto era arrossita fino alla radice dei capelli, ascoltando il proseguimento del discorso del servo sbollì di colpo. Le parole del non-morto le fecero balenare un dubbio:
- Alucard, che persona era mia madre? -
- Una sgualdrinella senza pregi, con venticinque anni meno di tuo padre, tanto bella quanto scema. - rispose il vampiro con una smorfia di disprezzo.
La propria mancanza di reazione davanti a quelle parole stupì Integra.
"Dovrei sentirmi offesa. Ha insultato mia madre. Allora perchè non riesco ad offendermi?" continuava a chiedersi. Ma in fondo, il motivo lo conosceva: sua madre era deceduta quando lei era ancora troppo piccola per serbarne il ricordo e crescendo non aveva sentito la mancanza della sua figura. Quando la curiosità l'aveva spinta a chiedere informazioni su di lei, tutto ciò che si era sempre sentita rispondere era stato:
- Era una donna molto bella. - frase pronunciata in tono estatico dal padre e con freddezza da Walter e compagnia.
Non sentirsi mai accennare alcunchè sul carattere o la mentalità della donna che l'aveva generata, aveva instillato in Integra il sospetto che forse, a parte l'aspetto fisico, sua madre non avesse avuto granchè d'altro da offrire al mondo. Adesso Alucard dava ragione ai suoi presentimenti, parlandole con una schiettezza disarmante:
- Non sai quanto mi deprimesse vedere un uomo in gamba come tuo padre rimbambirsi a quel modo quand'era in compagnia di sua moglie. L'unica ambizione di quella pelandrona era sperperare più che poteva i soldi di master Arthur e il bello è che lui glielo permetteva sorridendo come uno scemo. Tua madre sapeva pensare solo ai vestiti, ai gioielli e agli uomini più giovani di suo marito. Quando la incrociavo per Villa Hellsing, provavo l'impulso di staccarle la testa a morsi. -
Più di una volta Integra si era chiesta per quale motivo suo padre avesse messo in letargo Alucard. Nemmeno Walter ne sapeva molto in merito e aveva risposto alle domande che la ragazzina gli aveva rivolto sull'argomento più con supposizioni che con certezze. Adesso Sir Hellsing si domandò se il potenziale pericolo che Alucard aveva rappresentato per sua madre, la manifesta antipatia che doveva averle dimostrato, non fossero stati uno dei fattori scatenanti che avevano spinto suo padre ad agire in tal senso.
Alucard sembrò leggerle nel pensiero perchè con un mezzo sorriso aggiunse:
- Devo ammettere però che master Arthur fece bene a impedirmi di mangiare quella nullità di sua moglie. Se avessi dato retta al mio istinto, tu non saresti nata e sarebbe stato un gran peccato perchè sei una ragazzina in gamba, destinata a diventare una gran donna. Fortunatamente non assomigli in nulla a quella scimunita che t'ha partorito. Come ti dissi la prima volta in cui ci incontrammo, sei davvero la degna figlia di tuo padre. -
"E non sei neanche il primo a dirmelo" riflettè Sir Hellsing. Ripensò alle tante volte in cui aveva chiesto a chi conosceva sua madre se le somigliava e all'invariabile risposta che aveva ricevuto ogni volta:
- No, non le somigli per niente. -
Frase pronunciata con amarezza da Sir Arthur, dispiaciuto di non rivedere alcunchè della donna amata in sua figlia, e con sollievo da Walter, Lord Island o chiunque altro.
- Com'è morta? - la voce del vampiro interruppe i suoi pensieri.
Integra si guardò la punta degli scarponcini. Non aveva il coraggio di sostenere lo sguardo del servo.
- Papà mi ha raccontato che una notte uscì da una festa, si mise al volante della sua porche e ad una curva si schiantò contro un albero. Non avevo neanche due anni. -
- Scommetto che era ubriaca fradicia e che sul sedile del passeggero c'era un giovanotto più sbronzo di lei - ghignò Alucard.
Integra arrossì fino alle orecchie. Suo padre non le aveva mai raccontato quei particolari ma lei li aveva sentiti bisbigliare fin troppe volte fra le persone che lavoravano in casa Hellsing.
- Il tuo silenzio mi fa capire che ho indovinato. Povera Lady Sophia, che fine ingloriosa! - ridacchiò il vampiro, prima di aspirare una gran boccata di fumo dal suo sigaro.
Integra corrugò la fronte, continuando a fissare la punta delle sue scarpe. Le parole di Alucard le avevano tolto il peso del sospetto, confermando ciò che aveva sempre intuito, cioè che sua madre non fosse una persona di cui andar fieri. Il sarcasmo del vampiro però la feriva, temendo che il biasimo per la condotta della genitrice finisse per ricadere su di lei. Nuovamente, il servo sembrò leggerle nel pensiero perchè in tono allegro aggiunse:
- Andiamo, padrona, distendi quella fronte. Non è colpa tua se sei figlia di Sophia-la-gallina. L'essenziale è non somigliarle. E in quanto a genitori meschini, facciamo a gara. La vigliaccheria di mio padre la scontai sulla mia pelle di bambino. Di mia madre non posso dir nulla solo perchè morì quando ero troppo piccolo per poterla ricordare e negli anni avvenire nessuno si prese la briga di parlarmi di lei. Era solo una delle tante donne del voivoda, neanche di rango elevato, presa per far figli. Assolse al suo compito partorendo uno dei tanti eredi maschi del sovrano e poi morì. Era una nullità già in vita, tutti fecero in fretta a dimenticarla dopo la morte. -
La fronte di Integra tornò liscia e la ragazzina abbozzò un mezzo sorriso. Per certi versi lei e Alucard erano compagni di sventura. Sarà stato per quello che certe volte aveva l'impressione che nessuno meglio del vampiro riuscisse a comprenderla?
Continuarono a fumare in silenzio, finchè gli occhi di Integra non ricaddero sul luogo dov'era sepolto il nonno. Un moto di ribrezzo la prese, ricordando ciò che le aveva raccontato Alucard...ehi un momento! Mancava qualcosa, in quel racconto. Un particolare che il servo s'era ben guardato dallo sviscerare!
- Hai sepolto mio nonno con i soldi che aveva in tasca? -
Il ghigno perennemente stampato sul viso di Alucard svanì di colpo.
- Rispondimi. Aveva delle sterline con sè o no? -
- Come ho detto, tuo padre gli aveva dato i soldi con cui ripagare i suoi debitori - rispose il vampiro, guardandosi la punta degli scarponi.
-  Appunto, una mandria di debitori, come avevi specificato tu. Quindi doveva trattarsi di un mucchio di sterline. Che fine hanno fatto quei soldi, Alucard? -
Adesso era il vampiro a sembrare incapace di guardare negli occhi la sua master. Grattandosi un orecchio, rispose:
- Credo...che siano usciti dalle tasche di tuo nonno per entare nelle mie. -
- Li hai restituiti a mio padre? - chiese la padroncina in tono severo.
Il vampiro alzò di scatto il capo, fissando Integra negli occhi e in tono appassionato si lanciò in una fiera arringa difensiva:  
- Non ho restituito neanche un penny ma cerca di capire master, non l'ho fatto per me ma per padron Arthur! Mettiti nei suoi panni. Prima vede uscire suo padre con le tasche gonfie di quattrini e quasi subito vede riapparire quel gruzzolo sulla sua scrivania. Si sarebbe posto delle domande, avrebbe indagato, scoperto cos'era accaduto e ci sarebbe rimasto molto male se avesse saputo che mi ero bevuto suo padre! -
Alucard rimase in attesa, trepidante. Sarebbe riuscito a darla a bere ad Integra?
- Esistono tanti modi per restituire una grossa cifra senza dare nell'occhio. - rispose la piccola master dopo una breve riflessione. - Avresti potuto seminare le banconote un po' per volta all'interno dei cassetti o dei registri contabili, così da dare l'idea che si trattasse di soldi dimenticati lì da chissà quanto tempo. Non sperare di fregarmi così facilmente, servo. -
Alucard sbuffò scocciato. Gli seccava terribilmente farsi prendere in castagna da una dodicenne.
- Oh, e va bene! Me li sono tenuti come rimborso per il disturbo che mi sono preso per aver sbarazzato il mondo da John Farburke. -
- E come li hai spesi? -
- Quando tuo padre mi concedeva una serata libera, qualcuna di quelle banconote scivolava nelle mie tasche e mi accompagnava fino al Soho.-
Integra, rimasta imperturbabile fino ad allora, sgranò gli occhi:
- Passavi le tue serate nel Soho? -
- Certamente! Fino a pochi decenni fa, era il quartiere più spassoso di una città tutto sommato pallosa come Londra. Prima degli anni '60, la capitale dell'Impero Britannico non offriva granchè, in fatto di divertimenti spinti. -
Adesso il Soho era un quartiere come tanti altri ma Integra conosceva la sua passata fama di covo di ogni vizio, ed elencò diligentemente tutte le attività che vi si svolgevano:  
- Gioco d'azzardo, fumerie d'oppio, prostitute, alcool e combattimenti clandestini. E' così che hai sperperato i soldi di mio padre, vero? -
- Accidenti master, mi conosci davvero bene! - esclamò il vampiro, ammirato - Solo in un particolare hai sbagliato: l'oppio. L'ho provato una volta sola e non mi è piaciuto. E' una droga rilassante e a me non piace essere rilassato, preferisco essere scatenato. -
- Il bello è che prima hai ucciso mio nonno e poi ti sei comportato esattamente come lui! - sibilò Integra, scuotendo la testa.
- Ah no, master, fra me e tuo nonno c'è una differenza fondamentale! Lui, quei soldi, se li sarebbe bevuti nel giro di pochi giorni. Io sono riuscito a farmeli durare anni. Inoltre non li ho mica sperperati tutti in bagordi. Una parte cospicua l'ho investita in una rispettabile attività commerciale. -
- La parola rispettabile non si adatta alla tua faccia. Di che attività si trattava? -
- Al Soho conobbi una prostituta con un ottimo senso degli affari. Diceva "Ai ricconi piacciono le ragazze di vita ma solo pochi hanno il coraggio di venire fin qui a cercarle. Sono terrorizzati all'idea di finire in mezzo a una retata della polizia e di vedere il loro nome pubblicato sui giornali. L'unico modo per avvicinare la moltitudine che non ha il fegato di venire da noi ma desidererebbe tanto poter stare con una prostituta, è quello di portare il divertimento nei rispettabili quartieri dove risiedono. Ma dev'essere un divertimento camuffato, che sembri tutt'altra cosa, perchè i signori hanno sempre una gran paura che il loro nome venga associato ad uno scandalo. I luoghi di ritrovo considerati più rispettabile dagli inglesi sono le sale da tè. Non sarebbe una buona idea aprire in un quartiere altolocato una sala da tè che di nascosto prenda gli appuntamenti fra i ricconi e le ragazze?". Questa era l'idea di quella prostituta ma purtroppo per lei, non aveva i soldi per realizzare un simile progetto. Io invece un capitale lo avevo e siccome mi sembrava un buon affare, le prestai il denaro di cui aveva bisogno. Lei aprì la sua sala da tè in quartiere rispettabile e diventammo soci in affari. -
- Ma era un bordello spacciato per una sala da tè! E questa ti sembra un'attività rispettabile?! -
- Certo! E' il primo lavoro intrapreso in vita mia a non basarsi sull'uccisione di qualcuno!-
- Ma eri un magnaccia! -
- No, master, macchè magnaccia! - replicò Alucard, risentito - Tutto ciò che facevo era andare a visitare l'attività ogni volta che tuo padre mi concedeva un'uscita libera. Entravo dalla porta sul retro e la mia socia in affari mi metteva in mano la mia percentuale e una lista dei clienti che si erano rifiutati di pagare o avevano maltrattato le ragazze. Io andavo a trovare quei gentiluomini e mi divertivo a picchiarli e  terrorizzarli, così da fargli capire che la nostra era una ditta seria con cui non si scherzava. -
- Ma è esattamente quello che fanno i papponi! -
- Davvero? Ma guarda, non si finisce mai di imparare a questo mondo! - esclamò Alucard, sinceramente stupito.
Il pensiero di Integra volò a suo padre. Chissà che faccia avrebbe fatto se avesse scoperto che il suo servo, come secondo lavoro, gestiva una casa d'appuntamenti!
- Ma Alucard...perchè questa fame di soldi? Sei un vampiro, cosa te ne fai dei quattrini?-
- Che domanda stupida, master! Rifammi una domanda così idiota e giuro che ti prendo a sganassoni! Sì, è vero, sono un vampiro ma vivo in un mondo umano dove i divertimenti si pagano in denaro contante. Prova a pagare una mignotta in sacche di sangue e vedrai come ti sghignazza sul muso! Dato che voi Hellsing siete dei tirchi pazzeschi quando si tratta di allungare qualche banconota al sottoscritto, devo arrangiarmi in altro modo. -
Integra prese mentalmente nota della "questione soldi": poteva essere un buon espediente per convincere Alucard ad obbedirle.
- Quindi è per questo motivo che sei tanto ansioso di uscire da Hellsing Manor. Non desideri soltanto andare in missione, confrontarti con un altro vampiro. Vuoi rivedere la tua attività e incassare la tua parte accumulatasi in vent'anni di letargo. -
- Magari! - sospirò il vampiro con aria affranta - La sala da tè non esiste più. L'ultima volta che Lord Island è stato qui, gli ho chiesto informazioni in merito e mi ha risposto che la mia socia in affari ha chiuso baracca nove anni fa ed è andata a godersi la pensione alle Canarie. Quella zoccola! Sta scialacquando anche la parte che spetterebbe a me, maledizione a lei! -
Integra meditò sull'informazione del servo con le sopracciglia aggrottate. C'era un particolare che le sfuggiva...
- Ma perchè l'hai chiesto a Lord Island? -
- Perchè era uno dei nostri dei nostri clienti più affezionati. -
Un silenzio attonito regnò per alcuni istanti prima che Sir Hellsing avesse il coraggio di chiedere:
- Nel senso che veniva spesso da voi per prendere il tè? -
- Nel senso che veniva spesso da noi per prendere le ragazze. -
Integra non voleva crederci:
- Stiamo parlando della stessa persona? Lord Island, uno dei pochi amici di mio padre...quel signore distinto che fa parte della Tavola Rotonda... -
- Diffida dei signori distinti, master. Sono i peggiori di tutti. - rise il vampiro - Ovviamente, quando Sua Signoria cominciò a bazzicare la sala da tè, non sapeva che mi apparteneva al 50% e io mi guardai bene dal dirglielo perchè so come condurre i miei affari. Una notte però nella lista dei clienti insolventi che la mia socia mi mise in mano lessi anche il nome di Lord Island. A quel punto non potevo non scoprirmi. Sua Signoria rimase molto sorpreso di trovarmi a casa sua ma quando capì cosa ero venuto a fare, mise mano al portafogli senza far storie, nè pretendere sconti minacciando di spifferare tutto al mio padrone. Certo, se si fosse azzardato a dirmi una cosa del genere, avevo già deciso che a quel punto sarei passato alle maniere forti ma il caro Lord è una persona che sa stare al mondo. Da allora in poi pagò sempre puntualmente e spesso aggiungeva una mancia extra. -
Integra sentiva girarle la testa. Era sicura che la causa non fosse dovuta unicamente al freddo e al sigaro che fra l'altro, nel frattempo si era spento. Solo allora la ragazzina si rese conto di aver smesso di fumare da molti minuti.
Conservò il sigaro nella scatola e si alzò.
- Per oggi basta così, Alucard. Me ne hai raccontate davvero troppe e tutte insieme. Ho bisogno di tempo per digerirle. -
- Va bene, master. Mi raccomando, appena entri in casa corri a lavarti denti, faccia e mani. Odori di tabacco in un modo pazzesco. -
La ragazzina si avviò verso la villa e il vampiro rimase a fumare all'ombra degli alberi.


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Ho terminato il capitolo prima del previsto ^^ . I prossimi aggiornamenti però non saranno altrettanto celeri, dovrete pazientare più a lungo.  :)
Ogni suggerimento per migliorare questa storia è ben accetto quindi fatevi pure avanti senza problemi.  :)

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Capitolo 5
*** Il Signore è con me! ***


In questo capitolo accennerò agli eventi svoltisi nel libro di Stoker. Ho cercato di costruirlo in modo che anche chi non ha letto il romanzo possa comprendere di cosa sto parlando. Se però non sono riuscita nel mio intento, se qualcosa non vi torna, segnalatemelo, così cercherò di riscriverlo in maniera più chiara. Buona lettura.

grimorio = libro di magia. Contiene istruzioni per fabbricare talismani e creare incantesimi.
banshee = spirito femminile, malefico secondo alcune leggende e innocuo per altre.
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15 Aprile
Forse stamattina ho esagerato. Oggi pomeriggio, quando sono tornato a trovarlo, il soggetto era riverso nella stessa posizione in cui lo avevo lasciato. Esaminandolo, mi sono accorto che presentava delle ossa fratturate. Gli ho steccato il braccio destro, il polso sinistro e sei dita delle mani.
Ore 23:00
Sono tornato ad esaminarlo. E' ancora riverso nella stessa posizione. Non credo stia fingendo.

16 Aprile
Ieri mattina molto probabilmente ho esagerato. Oggi ho ritrovato il soggetto immobile per come l'avevo lasciato ieri. La bottiglia di sangue che gli avevo portato ieri sera è ancora intatta. Esaminato accutamente. Incapace di aprire la mandibola, probabile lesione dell'osso. Fratture alle costole e probabili lesioni degli organi interni. Alleggeriti i sigilli di Cromwell, in modo da affrettare la sua guarigione. Tornato a vederlo in serata. Completamente ristabilito. Ripristino dei sigilli.


Integra, sdraiata a letto, stava rileggendo uno dei diari di Abraham Van Helsing.
La prima volta in cui aveva preso in mano i quaderni scritti dai suoi antenati, li aveva scorsi in maniera veloce, cercando disperatamente di trovare qualche suggerimento su come agire con Alucard. In questo modo però aveva prestato poca attenzione a troppi particolari. In quelle vacanze di Natale si era così fatta un dovere di cominciare a rileggerli con calma, in modo da comprenderli fino in fondo.
Le era sembrato giusto iniziare dai primi, quelli di Van Helsing e più andava avanti nella lettura, più sentiva la fredda mano dell'angoscia attanagliarle i visceri.

Harker e Morris erano balzati sul carro su cui si trovava la bara con il Conte immerso nel suo sonno diurno, incapace di reagire. I servi tzigani che la scortavano avevano tentato di difenderla all'arma bianca ma quando si erano resi conto che i rivali erano più numerosi di quanto avessero inizialmente supposto, e soprattutto armati di pistole e fucili, avevano deciso di battere ritirata, lasciando lì il loro Signore. Così i due amici avevano scoperchiato la bara e ucciso il vampiro, trafiggendogli il cuore e tagliandogli la testa. Avevano fatto in tempo a vedere il loro acerrimo nemico ridursi in cenere, quando Morris stramazzò a terra, ucciso dall'unico fendente andato a buon fine dei servi tzigani.
Così si concludeva il libro di Stoker, intimo amico di Van Helsing, talmente entusiasmatosi di quanto gli aveva raccontato il medico olandese, da decidere di trascriverlo sottoforma di libro. Stoker, così come Jonathan Harker, John Seward e Arthur Holmwood erano vissuti e morti nella convinzione che quella fosse stata la fine degli eventi.
Ma i diari di Van Helsing raccontavano un'altra storia.

Erano tutti in lacrime intorno al corpo di Quincey Morris quando Van Helsing disse ai suoi giovani amici che a dispetto del dolore, bisognava portare a termine il lavoro.
- Le ceneri di Dracula vanno disperse al vento. Non temete, cari compagni: m'incaricherò io di svolgere questa mansione. Voi rimanete qui con il nostro Quincey. Non è giusto lasciarlo solo. -
Nessuno aveva trovato nulla da ridire. L'ascendente che Van Hellsing esercitava su quel gruppo di persone di tanti anni più giovani di lui, era enorme.
Il vecchio Abraham, a mani nude, aveva tirato fuori dalla bara le ceneri del Conte per metterle in una scatola. Forse, se i suoi quattro accompagnatori superstiti in quel momento non fossero stati tanto sconvolti dalla morte del giovane americano, si sarebbero stupiti nel vedergli raccogliere in maniera tanto meticolosa un mucchietto di cenere destinato ad essere disperso ai quattro venti. Sembrava che il medico olandese si facesse un dovere di non lasciare in quella bara nemmeno il più piccolo granello di polvere. Tutte le ceneri vennero deposte nella scatola, il coperchio chiuso e legato con uno spago, quasi che Van Helsing temesse che potesse sfuggirgli di mano e riversare il contenuto a terra e solo allora l'anziano uomo si allontanò con passo deciso dal gruppo dei discepoli. Quando fu lontano dai loro sguardi, si sedette su di una roccia, la preziosa scatola stretta fra le mani. Attese il tempo necessario per dare l'idea di aver buttato le ceneri  verso tutti e quattro i punti cardinali. Infine tornò dal gruppo di giovani.
Nessuno di loro prestò attenzione alla scatola. Sì, videro Van Helsing riporla in una delle sue sacche da viaggio, ancora saldamente legata ma nessuno si sognò di chiedere al medico di aprire quel coperchio, per mostrargli se conteneva ancora le ceneri. Non c'era ragione di sospettare del buon dottore che aveva lottato al loro fianco e rischiato la vita quanto loro per ripulire il mondo da quell'abietto mostro.
Fu così che le ceneri di Dracula, al sicuro nella scatola, nascoste fra i bagagli di Van Helsing, tornarono in Inghilterra.

Certe volte mi chiedo se abbia agito correttamente nei confronti dei miei giovani amici e soprattutto di Morris. In fondo, sono stato io a proporre loro di inseguire il Conte fuggiasco, affermando che se non l'avessimo ucciso, una volta che Mina fosse defunta, la sua anima sarebbe stata dannata, diventando di proprietà del vampiro. Ma se devo essere sincero, non ho la più pallida idea se le cose sarebbero veramente andate così. Forse all'anima di Mina non sarebbe successo niente. In fondo, Dracula non l'ha morsa fino al punto di vampirizzarla e la quantità del proprio sangue che l'ha costretta a leccare era modesta. Ha solo scambiato con lei la quantità di sangue necessaria per riuscire a leggerle nella mente e conoscere così le nostre mosse anche a distanza. L'ha comunque lasciata umana, indice che non era interessato a lei.
La signora Harker è una donna coraggiosa, un carattere che non esterna le sue paure ma nel corso del viaggio all'inseguimento del Conte, si consumava lentamente e silenziosamente nell'angoscia. Smagriva, i suoi tratti si affilavano e fu facile, per me, instillare nelle menti sovraeccitate dalla preoccupazione dei miei accompagnatori l'idea che quelli fossero i segni inequivocabili che Mina stesse diventando una vampira.
Ma se devo essere onesto, come ho scritto prima, non sono per niente sicuro di questa teoria. La verità è che mi serviva una scusa per lanciarmi all'inseguimento di quel mostro che non potevo battere da solo. Per questo motivo mi assale spesso la domanda "Sono stato corretto verso i miei giovani amici?".
Forse avrei dovuto dirgli sin dall'inizio la verità e cioè che bisognava soggiogare Dracula perchè una simile potenza messa al servizio del Bene avrebbe fatto meraviglie per l'umanità. Questo mi suggerisce il cuore ma subito la ragione vede la situazione da un'altra prospettiva.
Già una volta tentai di instillare nei loro torpidi cervelli l'idea che il Conte avrebbe potuto essere usato per il Bene della Gran Bretagna, senza che questa prospettiva accendesse le loro anime. Voglio bene ai miei giovani amici ma sono anche sufficientemente obbiettivo da rendermi conto dei loro enormi limiti. Sono il prototipo della classe media, senz'altre ambizioni nella vita che coronare le loro private aspirazioni. L'umanità è un'argomento che non li tange.
Appena hanno saputo che Dracula era partito dalle sponde inglesi, erano già pronti a ritirare i remi in barca: per loro, tutta questa storia era giunta al capolinea. Conosco abbastanza bene l'animo umano da saper discernere quali parole usare per giungere ai miei scopi. Se avessi provato a dire a questi cinque, giovani egoisti che dovevamo metterci sulle tracce del vampiro, stanarlo e ucciderlo per tentare di domarlo e soggiogarlo ad un Signore che lo usasse per il bene della cristianità, nessuno di loro si sarebbe mosso per seguirmi in questa Santa Missione. Sono stato così costretto a solleticare i loro istinti egoistici per riuscire a trascinarmeli appresso. Ventilando la possibilità che l'anima di Mina fosse destinata alla dannazione eterna, li ho convinti a seguirmi. Ho risvegliato nelle menti di Morris, Seward e Holmwood il ricordo della loro amata Lucy e con esso il desiderio di vendicarsi del mostro che gliel'aveva strappata. Per questo, e solo per questo, mi hanno appoggiato.
E alla fine dell'impresa, Morris è morto.
Una morte felice, indubbiamente, convinto com'era di aver vendicato la sua cara Lucy.
Ma io che conosco la Verità, so che la sua morte è stata vana. O per meglio dire, sarebbe vana dal punto di vista Morris, che ha agito animato solo dalla vendetta e troverebbe da ridire se sapesse che voglio riportare in vita il Conte.
Ma io ho già detto che conosco la Verità e so guardare molto più lontano dei miei poveri, stolti amici.
Io SO che il fine giustifica i mezzi. E il Fine della mia missione è fra i più santi che si possano concepire: il Bene dell'Umanità.
Quindi Morris non è morto invano. Anzi, a ben vedere ho nobilitato il suo decesso. I posteri lo ricorderanno come un Martire sacrificatosi per amore della Cristianità, lui, uno sciocco giovanotto che pensava soltanto al proprio divertimento, un ragazzo destinato comunque a morire presto nel corso di una delle sue tante avventure scapestrate.
Sì, devo ripetermelo più spesso, così da mettere a tacere il mio senso di colpa: io sono nel Giusto.
E il Signore è con me.


Trascorsero molti mesi prima che Van Helsing riportasse in vita il vampiro.
Mesi in cui si domandò spesso quanto fosse giusto e lecito strappare dalla morte Dracula.

E se non riusissi a soggiogarlo? Se scappasse? Se tornasse a seminare morti e vampiri per la Gran Bretagna?
E ancora, offenderei la memoria di Quincey, di Lucy e di tutte le altre persone che hanno sofferto per colpa di questo mostro, riportandolo in vita?
Devo rinunciare al mio progetto per rispetto verso chi è morto? Ma così facendo, mancherei di rispetto verso i vivi. Quante esistenze riuscirei a salvare, addomesticando il Conte? Quante persone, vittime di mostri sovrannaturali, potrebbero salvarsi grazie a me? Potrei scagliare Dracula contro quei mostri, così come un pastore ordina al cane fedele di difendere il gregge aggredendo il lupo.
Quincey e Lucy, dall'alto dei Cieli, capiranno. Il Fine che mi muove è superiore ad affetti e amicizie. Non lo faccio per me. Non ho lo scopo di raccogliere gloria o ricchezze. Voglio solo aiutare il prossimo.


Una volta tacitati dubbi e sensi di colpa, scelta con decisione la strada da intraprendere, il dottore cominciò a cercare il sortilegio più adatto per raggiungere il suo scopo.
Consultò tomi di magia bianca e nera, grimori, testi alchemici e negromantici, alla ricerca del sigillo con cui domare il Re Senza Vita.
Nel corso di quelle lunghe e complesse letture, capitava che gli occhi di Van Helsing cadessero sulla scatola con i resti del Conte. Il medico allora scioglieva lo spago che la tratteneva, toglieva il coperchio e rimaneva in contemplazione di quelle ceneri. Era per loro che stava facendo tutta quella fatica, per cercare di tirare fuori da esse una creatura ammirevole. Con le punta delle dita accarezzava teneramente quel mucchietto di polvere e si sorprendeva a vagare con la fantasia sul vampiro che avrebbe ricreato. Allo stesso modo di un padre che tenta di immaginare come sarà il figlio ancora nel ventre materno, così il grande vecchio si lambiccava il cervello sull'essere a cui avrebbe ridato la vita.
Nell'aspetto e nella tempra sarebbe stato come il Conte che aveva sconfitto? O i sigilli che gli avrebbe imposto ne avrebbero parzialmente mutato volto e carattere?
Sarebbe stato docile? Sarebbe stato grato?
Oh, ma certo che avrebbe tributato gratitudine imperitura a colui che lo aveva riportato in vita! Come poteva essere altrimenti?
Adamo aveva forse odiato il Buon Padre che lo aveva creato e collocato nel Paradiso Terrestre?
Van Helsing pensava che lui e il suo vampiro, in fondo, non sarebbero stati molto diversi. Ciò che stava facendo era dare alla vita un essere a cui avrebbe fatto da guida morale, insegnandogli a discernere il bene dal male. In più, avrebbe usato la sua forza e le sue abilità per sterminare tutti quei mostri che attentavano all'esistenza dei bravi cristiani, e tutti sarebbero vissuti felici e contenti.

Dopo lunghi studi, giunse alla conclusione che il Patto di Cromwell era ciò che faceva al caso suo.
A quel punto, il forte vecchio si preoccupò di progettare ogni particolare con la massima cura.
Il Giardino Celeste dove avrebbe collocato il suo Adamo, sarebbe stato di quelli che piacciono ai vampiri, un luogo buio, lontano dalle luci del sole. Affittò così uno scantinato vicino alla zona dei mattatoi, in modo da potersi approvvigionare facilmente di fiaschi di sangue fresco per la sua creatura.
Fece costruire una bara con il legno migliore, e la rivestì internamente di velluto, così che il suo servo potesse riposare comodamente ed essergli ancora più grato.
Per vestirlo, fece cucire una tuta di cinghie di cuoio e siccome non poteva esser certo che i sigilli di Cromwell sarebbero riusciti ad avere ragione di quel temperamento d'acciaio, ordinò che alla tuta venissero aggiunte delle stringhe in sovrappiù, così da poterne legare le braccia e le gambe se il non-morto avesse dato in escandescenze.
Forgiò e modellò con le sue stesse mani i sigilli di Cromwell e quando tutto fu pronto, Abraham strappò dalla morte la sua creatura.
Il vampiro sembrava dormisse e il grande vecchio non se ne stupì. Sarebbero occorsi giorni prima che il suo Adamo si risvegliasse completamente dal suo sonno di morte. Fino ad allora, avrebbe percepito ciò che lo circondava alla stregua di un sonnambulo.
I sortilegi  con cui aveva asperso quelle ceneri, così da controllare con più facilità l'essere che ne sarebbe scaturito, avevano parzialmente modificato l'aspetto del vampiro. Era più giovane del Conte con cui il dottore si era misurato. Chissà se quelle magie erano riuscite ad intaccarne anche il carattere? Nel dubbio, mentre vestiva la sua creatura, Van Hellsing pensò fosse più saggio incrociargli le braccia sul petto, e legarle con delle cinghie che si allacciavano sulla schiena, allo stesso modo delle camicie di forza. Così come gli sembrò consigliabile attaccare fra di loro le stringhe che pendevano fra le gambe, in modo da accocciarne il passo.
Trascorsero i giorni.
Van Helsing andava a trovare quotidianamente il suo Adamo. Imboccava quell'essere intorpidito e insonnolito, mettendogli fra le fauci bottiglie piene di sangue fresco. Ogni suo gesto era pieno d'amore ma come scriveva nel suo diario, non avrebbe saputo dire se l'affetto era rivolto all'essere a cui aveva dato la vita o a se stesso. In fondo, quel vampiro non era altro che uno specchio, qualcosa che rifletteva tutta la potenza, la saggezza e l'abilità di Van Helsing il Creatore.

Devo trovargli un nome. Non voglio continuare a chiamarlo Dracula, Vlad o Conte. Deve scordare il suo passato. La sua Vita comincia dal momento in cui ho versato il mio sangue sulle sue ceneri. Mediterò su come chiamarlo. Non dev'essere un nome scelto a caso. Dovrà avere un significato simbolico forte. Lo ammetto, spesso penso di chiamarlo Adam ma subito sento crescere in me una gran paura per la mia anima, quasi che inconsapevolmente, volessi mettermi al pari di Dio. Quale blasfemia! No, non può essere Adam. Tutto, ma non questo nome.

Accadde in un pomeriggio piovoso.
La prima cosa che Van Hellsing vide entrando nello scantinato, furono i due familiari occhi rossi. Le iridi scarlatte però non lo fissavano con la solita aria torpida dall'interno della bara, com'era sempre accaduto da quando aveva resuscitato il succhiasangue, com'era avvenuto fino alla sera precedente.
Adesso gli occhi lo scrutavano da una parete.
Facendo luce, Abraham si accorse che il suo Adamo era seduto sul pavimento, con la schiena appoggiata al muro e nel modo in cui lo guardava, non c'era niente di familiare.
Un brivido di paura corse per la schiena del grande vecchio. In quelle pupille c'era odio puro, tutto per lui.
- Perchè mi hai strappato dal mio sonno di morte? - ruggì il vampiro - Ero andato via dalle vostre lande. Credevo vi bastasse. Invece mi avete inseguito fino nella mia terra per uccidermi. Perchè mi sei corso dietro come un segugio, se alla fine mi hai riportato in vita? Attraverso queste mura sento il suono di voci inglesi. Perchè mi hai riportato su quest'isola, dopo tutta la fatica che hai fatto per cacciarmi via da qui? A che gioco stai giocando, Van Helsing?! -
Eccolo lì, il suo Adamo.
Risvegliatosi tutto d'un colpo.
Senza un briciolo di gratitudine.
Senza un'ombra di devozione.
Qualcosa si ruppe nel cuore del dottore. Adamo era riuscito difettoso.
Ripensò alla fatica impiegata per fare della sua creatura un servo soddisfatto, a tutti i particolari a cui aveva badato per ricreargli un Paradiso Vampirico con cui conquistare la sua fedeltà. Quanti sforzi vani! Chissà se Dio si era sentito così, il giorno in cui si era accorto che gli esseri a cui aveva dato la vita gli avevano disubbidito, mangiando il frutto proibito.
Con freddezza, si preoccupò di tappare quella bocca infernale che gli rinfacciava tutti i suoi madornali errori, tutte le sue incoerenze e ipocrisie. Ma no, ma no! Cosa andava pensando?
" Io non ho sbagliato! " si disse, mentre sfogliava velocemente i suoi grimori alla ricerca del sortilegio adatto "L'ho fatto per il Bene dell'Umanità! Il Signore è testimone della mia buonafede! Pur di raggiungere questo nobile scopo, ho causato la morte di uno dei miei amici. Ho pagato un caro prezzo con la mia coscienza. E dovrei sentirmi dire da questo diabolico individuo che in fondo sono un mostro come lui? Ah no! Gliela farò vedere io cos'è la coerenza umana! "
Abraham trovò finalmente la formula adatta e la recitò a voce alta. Il vampiro sentì la voce svanire dalla sua gola. Per quanto si sforzasse, non riusciva più ad articolare alcun suono. Piantò sul suo carceriere due occhi di fuoco.
Al medico però quella punizione non bastava. La vena di sadismo che scorreva impetuosa dentro il suo animo sin dalla nascita e che era riuscito dominare, nascondere, soggiogare nel corso degli anni sotto strati e strati di buone maniere, di belle parole e di fede fanatica, aveva rotto gli argini. Quel mostro non poteva cavarsela così a buon mercato.
Recitò un'altra formula e il vampiro sentì la forza abbandonare ogni fibra del suo corpo. Scivolò giù dalla parete, cadendo pesantemente sul pavimento. Non riusciva più a muoversi. Per quanti sforzi facesse per sollevarsi, ricadeva sempre a terra. Era come se i suoi muscoli fossero fatti di stracci, di segatura. Era solo un bambolotto, una marionetta, incapace di reggersi da solo.
I suoi occhi vomitarono su Van Helsing un odio sconfinato.
Il grande vecchio sorrise tronfio:
- Ho raccolto le tue ceneri con le mie stesse mani, con cura amorevole, badando di non lasciarne nemmeno un granello. Mi ero illuso che anche ridotto in polvere, saresti riuscito a conservare il ricordo di quelle carezze. E invece, sei solo un figlio ingrato. Ma non credere che sia disposto ad arrendermi facilmente! Il Signore, per far capire ad Adamo ed Eva quanto li aveva amati e quanto era rimasto deluso per la loro disubbidienza, dovette punirli. Li cacciò via dal Paradiso, relegandoli ad un'esistenza amara quanto la sua delusione. E la sua delusione era sconfinata quanto lo era stato il suo amore. Solo allora, solo dopo aver toccato quanto fossero grandi le sofferenze quotidiane, quei due sciocchi si resero conto di quanto male avevano fatto. Per te sarà lo stesso. Ti ho creato con tutto l'amore possibile. Me lo devi ricambiare. E me lo ricambierai, con le buone o con le cattive. Arriverà il giorno in cui striscerai ai miei piedi per leccarmi le scarpe con tutta la devozione di cui è capace la tua anima immonda. Adesso riposa, e medita sulle mie parole. Ci rivediamo domani. -

Quando la lettura dei diari diventava troppo inquietante, quando sentiva l'ansia pizzicarle i polsi sottoforma di fredde schegge, Integra staccava gli occhi dal quaderno per lasciarli vagare nella stanza.
Le sarebbe piaciuto, in quei momenti, che Alucard si fosse trovato lì, a farle compagnia. La presenza costante del vampiro, che durante i primi giorni l'aveva irritata così tanto, adesso la percepiva come familiare e rassicurante.
Purtroppo per Integra, quando alzava lo sguardo dalla pagina, non incrociava mai il ghigno sarcastico del servo. Quando Sir Hellsing prendeva in mano uno dei quaderni del suo antenato, Alucard usciva silenziosamente dalla camera ed evitava di ripresentarsi al cospetto della sua Signora per molte ore. Integra ne comprendeva la ragione.
Per Alucard l'Orgoglioso doveva essere estremamente umiliante che la sua giovane master venisse a conoscenza del modo con cui padron Abraham l'aveva domato, insieme a tutto ciò che il suo "processo di addomesticamento" aveva comportato. Si teneva così alla larga dalla padroncina, finchè non riusciva a rimettere insieme sufficiente amor proprio da poterne sostenere lo sguardo.
" Forse è un bene che rimanga da sola con la mia angoscia. " pensò Sir Hellsing, osservando la stanza che le sembrava così incredibilmente fredda, senza il suo vampiro "  In fondo, ciò che leggo è umiliante anche per me."
Integra aveva sempre mitizzato i suoi antenati, percependoli come degli eroi che avevano difeso la Gran Bretagna e la Fede dai mostri che attentavano alle loro fondamenta. La lettura di quelle pagine stava assestando dei colpi mortali a quelle che erano state le certezze della sua infanzia.
Inizialmente, si era sforzata di difendere l'operato del fondatore dell'Hellsing. E' vero, aveva causato la morte di Morris, approfittando per di più del marasma provocato dal suo decesso per trafugare i resti del Conte e forse, risvegliando Dracula, aveva mancato di rispetto alla memoria del giovane e di Lucy. Effettivamente, il suo non era stato un comportamento da amico, però lo scopo che lo aveva mosso era fra i più importanti, la difesa della Patria. Era solo colpa delle circostanze se per raggiungere il suo obiettivo aveva dovuto commettere anche delle azioni spregevoli...
Dato che Integra era fondamentalmente una persona onesta, ad un certo punto non era stata più in grado di mentire a se stessa. Ammise alla propria coscienza che il suo antenato non era una persona di cui andar fieri e l'ambiguità che aveva permeato ogni sua mossa poneva seri dubbi sulla sua reale buonafede. Era umiliante scoprire che l'Organizzazione che avrebbe gestito da adulta, e di cui andava così fiera, era nata in quel modo. Sì, se nel corso di una pausa dalla lettura, alzando gli occhi dalla pagina, avesse incrociato il volto di Alucard, non sarebbe stata capace di sostenerne lo sguardo. Anche lei aveva bisogno di raccattare una quantità sufficiente di cocci di amor proprio, prima di poter fissare il servo nelle sue iridi rosse.
La ragazzina si massaggiò la pancia, tentando di allontare l'ansia che le serpeggiava fra le viscere, e si immerse nuovamente nella lettura.

Altro che Adamo! E' un Lucifero ribelle risputato dall'Inferno! Ma lo piegherò al mio volere. Devo riuscirci. Voglio riuscirci.
Il nome, se lo può scordare. Un essere tanto ingrato non è degno della dignità di un nome. Dovrà mettersi bene in testa che è solo uno schiavo, al servizio mio e dell'Umanità. Nient'altro che una macchina, una bestia senz'anima. Quindi sarà sempre e solo "vampiro", "servo", "cane". In nessun altro modo lo chiamerò.


Come Integra comprese leggendo i diari del suo antenato, la potenza del Patto di Cromwell poteva essere variata da chi ne assumeva il controllo e Van Hellsing fece in modo che i quattro sigilli agissero al massimo della loro forza. Questo voleva dire che il vampiro senza nome aveva perso tutte le sue abilità sovrannaturali. La sua capacità di guarigione, la sua percezione del dolore e la sua forza erano uguali a quelle di un uomo comune e Abraham decise di fare della sofferenza la frusta con cui domare quel ribelle.
La condizione che aveva imposto al nosferatu era umiliante. Muto come un animale, incapace di muoversi, con le braccia legate, non poteva fare altro che strisciare per terra come un verme, guardando dal basso il suo nuovo Signore e Padrone. Ma sugli occhi del vampiro, il grande vecchio non aveva nessun controllo e decise di usarli come "termometro della situazione". Quelle iridi infuocate riversavano su di lui un odio feroce e il dottore capì che il succhiasangue sarebbe stato completamente soggiogato solo quando l'ira fosse svanita dai suoi occhi.

Se uno sguardo potesse incenerire, a quest'ora il vampiro mi avrebbe ridotto in un mucchietto di polvere. Nei suoi occhi c'è odio puro. Da quando gli ho detto che ho ucciso le tre vampire che abitavano con lui, il suo furore non ha più confini. Nonostante gli abbia imposto una condizione mortificante, continua a non arrendersi. Non appena mi vede entrare dalla porta, tenta di strisciare verso di me per azzannarmi i piedi ma bastano pochi calci sul viso per metterlo a cuccia.

Saltuariamente, Van Helsing rimuoveva la magia che costringeva il Conte sconfitto a strisciare sul pavimento. Non era una pena improvvisa a muoverlo in tal senso ma la banale constatazione che in quelle condizioni, il vampiro non poteva mangiare. Adesso che era completamente desto, non si sarebbe mai abbassato a farsi imboccare dal suo carnefice e con gli arti fuoriuso, non poteva agguantare da solo le bottiglie di sangue. Il dottore liberò così le sue braccia dalle cinghie ma affinchè ricordasse sempre chi era a comandare, gli imponeva un sortilegio che restituiva la forza solo a metà del suo corpo, lasciando l'altra metà paralizzata. In questo modo gli consentiva di utilizzare solo un braccio per mangiare e solo per il tempo strettamente necessario a nutrirsi, dopodicchè gli reimponeva tutti i sigilli alla massima potenza.
Quando vederlo strisciare per terra gli venne a noia, Van Helsing decise di cambiare gioco e impose al vampiro un sortilegio che gli consentiva sì di muoversi, ma a quattro zampe come un cane. E poi ridiede alla sua gola la capacità di articolare suoni, imponendogli però la voce di un bambino, di una donna, di un cane. Il nosferatu schiumava dall'ira.
- Ma come, non sei contento che ti ho restituito la possibilità di esprimerti? Sei davvero un ingrato! - rideva il dottore.
Al vampiro senza più nome non restava che sfogarsi battendo i pugni sul suolo perchè con quella voce non poteva rispondere e offendere come voleva. Continuava di fatto a rimanere muto.
Con lo sguardo però riusciva ancora ad insultare.
- Abbassa gli occhi. - ammoniva il vecchio Abraham quando quelle pupille diventavano troppo sfrontate.
Ma il non-morto si guardava bene dall'ubbidire.
- Stupido cervello limitato! Ancora non riesci a capire chi comanda? -
Ed erano botte e ossa rotte, calci e sangue schizzato sulle pareti.
E un vampiro rantolante sul pavimento alla fine dell'uragano.
Privato di ogni forza, il nosferatu non riusciva a difendersi da quei colpi, e nemmeno a restituirli.
Spesso Van Helsing finì col chiedersi se non avesse esagerato e in più di un'occasione temette che il suo Lucifero morisse realmente e definitivamente.
- Se solo tu non mi provocassi con lo sguardo! - spiegava pieno di pazienza il buon dottore, mentre spogliava la sua creatura per ingessarla e suturarla - Se solo non mi mandassi in bestia con la tua sfrontatezza, sarei il più gentile dei padroni. Ti darei tutto ciò che può desiderare un mostro della tua specie. Invece sei solo un'ottusa creatura, incapace di riconoscere chi ti è superiore. Quando imparerai un po' di accortezza? -
Il vampiro, che in quei frangenti spesso si avvicinava al ciglio della Morte senza ritorno, lasciava armeggiare l'umano su di lui. Troppo dolorante per ribellarsi, senza la forza di parlare, incapace anche di replicare con lo sguardo, perchè il sangue gli aveva incollato le palpebre, sopportava supinamente cure e parole.
- Cervello infantile che non sei altro, quando capirai che per te non c'è più speranza? I sigilli di Cromwell sono destinati a rimanere dentro di te in eterno e grazie ad essi, posso farti fare ciò che voglio. Posso farti strisciare per terra come un verme, posso metterti carponi come un cane, posso farti saltare come un canguro. Posso farti parlare con voce di bambino, posso farti belare come una pecora o ragliare come un'asino. Non sei più padrone del tuo corpo, ormai appartiene a me. Quindi, cosa credi fare? Dove speri di scappare? Ovunque andrai, mi basterà recitare una formula magica per importi la mia volontà. Puoi fuggire anche in capo al mondo ma per quanta distanza cercherai di mettere fra noi due, mi basterà schioccare le dita per costringerti a grugnire come un maiale e rotolarti nel fango. Da me vengono tutto il male e tutto il bene. Continua a ribellarti e le tue sofferenze non avranno fine. Assoggettati a me e te ne verrà tutto il bene possibile. -  
Van Helsing ripeteva quotidianamente quelle parole, consapevole che le limitazioni che imponeva al nosferatu tramite i sigilli erano solo una parte del processo di addomesticazione.

A questo mondo esistono milioni di schiavi, gente che si abrutisce nelle miniere, nei campi e nelle fabbriche. Presi singolarmente, non valgono nulla ma se si unissero insieme, formerebbero una massa d'urto capace di abbattere governi e nazioni. Eppure questi individui non credono nella loro forza potenziale, diffidano gli uni degli altri e preferiscono mantenersi disgregati e continuare a buscarle dalla vita. Perchè? Perchè prima ancora di essere schiavi nel lavoro, sono schiavi nell'animo. Credono di essere senza pregi, senza speranze, senza dignità. Chi sente di non valere nulla, non aspira a nulla e si lascia passivamente trascinare dalla vita, attendendo che qualcuno più saggio ordini loro cosa fare.
E' questo quel che devo fare col vampiro. Instillargli nell'animo la convinzione che sia solo uno schiavo. Senza speranza, senza scampo, senza futuro. Piegare il suo corpo mi serve fino a un certo punto. Ciò che è vitale, è piegare la sua mente. Solo quando avrò raggiunto quest'obiettivo, potrò davvero dirmi il suo Signore.


Il vampiro senza più nome era orgoglioso e testardo ma non riusciva ad avere la meglio sulla forza dei sigilli. Doveva dare ragione alle parole del suo carceriere: era come un infermo, senza più controllo del suo corpo. A questa consapevolezza, facevano eco le parole che Van Helsing ripeteva ogni giorno, come un disco rotto:
- Da me vengono tutto il male e tutto il bene. Solo io posso fare qualcosa per te. Ormai non sei più capace di occuparti di te stesso. -
Lentamente, l'orgoglio e la rabbia lasciarono gli occhi del mostro, per cedere il passo alla vergogna.
Era stato sconfitto. Aveva fallito. Era ridotto alla mercè di un umano.

Ormai ha capito che per lui non c'è più salvezza. Nei suoi occhi adesso c'è solo l'attesa passiva di chi sa di non avere speranza e non ha altra scelta che aspettare ottusamente che l'aguzzino smetta di torturarlo.

Quella resa rappresentava un passo notevole nella schiavizzazione della mente del mostro. Adesso bisognava far comprendere al vampiro che non esisteva altro Dio all'infuori di Van Helsing. Solo assoggettandosi al buon dottore avrebbe ottenuto un giusto premio.
Così il vecchio Abraham concesse benignamente al servo di riacquistare la posizione eretta e di parlare con la sua vera voce. Vide la gratitudine guizzare in quegli occhi rossi e internamente ne gongolò ma siccome non era uno sprovveduto, mise in conto che tanta riconoscenza andava messa alla prova.
Nei giorni successivi, il comportamento del carceriere lasciò stupito il vampiro. Durante le sue visite quotidiane, non degnava quasi di uno sguardo il nosferatu. Nello scantinato, alla luce della lampada, Van Hellsing scriveva, progettava, studiava. Rimaneva con le spalle voltate alla sua creatura per lungo tempo.
Sufficientemente lontano da non disturbare l'umano, abbastanza vicino da poterlo osservare con cura, il vampiro trascorse quelle lunghe ore a studiare attentamente ogni mossa, ogni espressione di quel forte vecchio. Tanto meglio fosse riuscito a conoscerlo, anticipandone umori e mosse, tanto migliore sarebbe stata la sua sopravvivenza.
Van Helsing, più vigile di quel che sembrava, sentiva quegli occhi frugare ogni sua ruga del viso, ogni vena delle mani. Quella silenziosa contemplazione era una conferma delle sue ipotesi ma siccome al dottore piaceva rischiare, una sera non potè trattenersi dal fare una domanda.

- In questi giorni ti ho dato spesso le spalle. Non hai mai pensato di approfittarne per tentare di sbarazzarti di me? -
- L'ho pensato, sì, ma mi sono anche risposto che sarebbe inutile. Se sbagliassi a centrarti, lasciandoti semplicemente ferito, ti vendicheresti e non voglio tornare muto e a quattro zampe. Se riuscissi ad ucciderti, non so cosa accadrebbe. Non so in che modo hai ideato il Patto di Cromwell. Per quel che ne so io, potresti aver programmato che se ti uccidessi, automaticamente mi ritroverei relegarto in qualche condizione umiliante per l'eternità e non voglio correre il rischio di ritrovarmi a strisciare come un verme per i prossimi secoli. -
- Bravo, cane. Finalmente cominci ad usare il cervello. -
Tanta mansuetudine andava premiata. Gliel'ho ripetuto fino allo sfinimento che se si fosse sottomesso a me, gliene sarebbe venuto solo del bene. Dovevo mantenere la promessa, così ho chiesto:
- Cos'è che ti farebbe piacere, adesso? -
- Sapere cos'è successo nel mio castello. -
La richiesta mi ha stupito, lo ammetto.
- Te l'ho già detto. Ho ucciso le schiave che vivevano con te. -
- Non erano le mie schiave. - ha puntualizzato lui, come se ciò cambiasse qualcosa - Hanno sofferto? -
- Certo. E molto, anche. Ho piantato nei loro cuori un paletto di frassino. -
Ha accusato il colpo. E' rimasto in silenzio per un bel pezzo. Infine, è tornato a chiedere:
- E gli altri? -
- Quali altri? -
Stavo già cominciando a sudar freddo, temendo che in quel maniero si annidassero altri mostri sfuggiti alla mia attenzione.
- I miei servi. Ne avevo tanti. Erano tutti umani: valacchi, sassoni, tzigani. Che fine hanno fatto? -
- A parte le tue schiave, il castello era disabitato. I servi ti hanno abbandonato. Gli tzigani che scortavano la tua bara si sono dati alla fuga appena abbiamo cominciato a sparare. E' per questa ragione che siamo riusciti ad ucciderti. -
Gongolavo, nel dare queste notizie. E' bene che questo essere inferiore si stampi nel suo cervellino medievale l'idea che ormai non ha più nessuno. Tutti l'hanno abbandonato, tranne me.
Speravo che accusasse anche questo colpo invece, come un padre che giustifica i figli, ha sentito il bisogno di spiegarmi:
- Voi avevate fucili e pistole. Loro solamente pugnali. Se non fossero fuggiti, li avreste uccisi tutti. -
Tanta indulgenza verso dei servi traditori mi ha lasciato stupefatto. E' tornato subito alla carica, dicendo:
- Quindi non avete ucciso nessuno dei miei servi. Il mio castello era vuoto. Se ne sono andati tutti. -
- Sì, è così. -
Avrebbe dovuto sentirsi avvilito, invece sembrava singolarmente sereno. Che strano essere! Chissà cosa frulla, in quel suo cranio di mostro. Probabilmente, si illude che i servi che gli hanno voltato le spalle vengano fin qui per liberarlo. Che sciocca creatura! Bisogna avere proprio il cervello di un bambino, per credere in una favola come questa!
Ho programmato di restituirgli a poco a poco le sue capacità, ma non in misura totale, non voglio correre il rischio di non riuscire a dominarlo. Gli ridarò solo una parte della sua forza, della sua velocità, della capacità di camminare sulle superfici verticali e via dicendo. E prima di restituirgli una qualche abilità, lo sottoporrò ad una prova di fedeltà, così da scolpire nella sua mente l'idea che solo essendomi devoto, ricaverà dei benefici. Alla prima, minima, appena percettibile mancanza di rispetto, gli toglierò uno di questi premi e dovrà sudare sette camicie prima di riconquistarlo. Sì, in questo modo dovrei riuscire ad asservirlo a me completamente.
Comprendo che ciò che gli preme maggiormente è uscire dallo scantinato, rivedere la notte...Glielo concederò solo dopo che si sarà arreso a chiamarmi Padrone. Devo però scegliere con cura dove portarlo. Dovrà essere un luogo abitato perchè ho bisogno di verificare quanto sia capace di trattenere i suoi istinti predatori in mezzo a una folla umana. Non nascondo però che ho una gran paura all'idea che possa azzannare qualcuno sotto i miei occhi. Penso che la soluzione migliore sia portarlo in qualche quartiere degradato, come Whitechapel. Lì abita solo feccia, gente indegna di essere definita umana. Anche se il vampiro non riuscisse a trattenersi, anche se dovesse mangiare qualcuno, ucciderebbe solo uno scarto della società, nessuno per cui valga la pena di dispiacersi. Anzi, ci sarebbe da rallegrarsi all'idea  di aver sbarazzato la Gran Bretagna da un parassita.


L'altra sera sono andato a trovarlo. Ho portato con me la scatola dove avevo custodito le sue ceneri. Gli ho ordinato di trasformarsi in pipistrello e di nascondervisi dentro. Avrebbe riassunto la sua vera forma solo quando lo avessi fatto uscire. Ha ubbidito e con la scatola sottobraccio, mi sono diretto a Whitechapel. Quando l'ho liberato e si è reso conto che sopra la sua testa c'era il firmamento, è rimasto ammutolito dallo stupore.
- Vai dove vuoi ma cammina lentamente, così che io possa passeggiare sempre a tre passi di distanza da te. Non mangiare nessuno. Non picchiare nessuno. Quando deciderò di tornare a casa, ti ritrasformerai in pipistrello e ti infilerai nella scatola. Disubbidiscimi, e tutto ciò che hai sofferto in questi mesi ti sembrerà paradisiaco in confronto alla mia punizione. -
Non posso non essere duro, il mio ruolo di guida morale lo impone ma ammetto che da molte settimane, ormai, la parola disubbidienza sembra essere sparita dal suo vocabolario. Neanche stavolta ha deviato dai miei ordini. Ha fatto esattamente ciò che gli ho detto.


Da allora in poi, per Van Helsing, fu una cavalcata trionfale. Mese dopo mese, anno dopo anno, il vampiro indegno di avere un nome si assoggettò sempre più a Dio Abraham. Il dottore, accompagnato dal suo cane fedele, cominciò a bazzicare cimiteri, chiese abbandonate e altri luoghi che le leggende popolari dicevano essere abitati da creature ultraterrene. Allo stesso modo di un cacciatore che incita il segugio a stanare la preda, Van Helsing ordinava:
- Search and destroy! Search and destroy! -
Il cane scattava, esplorava, trovava e uccideva. Mai una volta perse una battaglia.
Quando fu certo delle capacità del suo mostro addomesticato,  il dottore cominciò a proporsi a quanti avevano proprietà svalutate dalla presenza di creature demoniache, o a sindaci di paesi afflitti da strani fenomeni, per liberarli da quelle fastiose presenze. Chi accettava, vedeva Van Helsing arrivare da solo, la sera, sul luogo infestato, con una scatola sotto braccio e uscirne con la solita scatola prima dell'alba, il posto incriminato ormai ripulito da qualsiasi entità sovrannaturale.
Il buon dottore non voleva un compenso.
- Lo faccio per dovere civico. - spiegava. Però non rifiutava mai i regali e le donazioni delle persone che aveva aiutato e che, nel loro entusiasmo per aver risolto calamità che li affliggevano anche da molti anni, se non addirittura da generazioni, si sentivano in dovere di ricompensare in qualche modo il loro Salvatore.
La fama del medico arrivò fino alle orecchie di un componente della famiglia reale. Appassionato di occultismo, proprietario di una tenuta piagata dalle banshee, volle conoscere il dottore di cui tanto si favoleggiava. Van Helsing si presentò al suo cospetto, con l'inseparabile scatola sottobraccio.
- Siete voi il Van Helsing protagonista di quel libro, scritto da un irlandese? -
- Proprio io, per servirla. -
- E quella è la famosa scatola con cui vi recate sui luoghi infestati? C'è una curiosità morbosa intorno a lei, tutti gli appassionati di esoterismo si domandano quale arma contenga. -
- Voi sarete il primo a scoprirlo. -
Il dottore tolse il coperchio. Il reale si sporse in avanti, febbrile di curiosità. Van Helsing ne estrasse un pipistrello che depose sul pavimento.
- Un innocuo pipistrello? - chiese il sangue blu, stupito.
- Innocuo non è la parola adatta per definirlo. - abbassò gli occhi sull'animale e ordinò - Riprendi la tua vera forma. -

La notte stessa, su incarico del reale, Van Helsing, con l'inseparabile scatola sottobraccio, si recò nella tenuta infestata. Prima dell'alba, tutte le banshee erano state fatte a pezzi.
Il nobiluomo dimostrò la sua riconoscenza donando al buon dottore una villa, situata fuori Londra, in cui Van Helsing si traferì di notte, così che nessun curioso o passante vedesse i facchini portare una pesante bara nera giù nelle segrete della dimora. Il sangue blu inoltre raccontò del suo "incontro col vampiro addomesticato di Van Helsing" a parenti, amici, alti funzionari dello Stato, portieri e chiunque avesse orecchie per sentirlo. La maggior parte dei suoi ascoltatori rise di quella storia, convinti che l'interlocutore trascorresse troppo tempo da solo con le sue fantasie. Fra coloro che si occupavano della sicurezza nazionale, ci fu però qualcuno che pensò di indagare più a fondo sulla faccenda così una mattina, il dottore olandese, con l'inseparabile scatola, varcò il cancello di una palazzina di caccia dei reali spersa nella campagna inglese, per un incontro segreto con Sua Maestà, un generale e due pezzi grossi del Governo.
- Potreste cortesemente mostraci il contenuto della vostra scatola? -
Ciò che i quattro uomini videro, venne giudicato così importante che a quel primo incontro ne seguirono molti altri. Il problema era grave e andava risolto con urgenza.
- Come avete potuto essere così incosciente da riportare in vita questo mostro? Non avete pensato a cosa accadrà quando morirete? Non ci sarà più nessuno a controllarlo e tornerà a spargere la morte sulle nostre terre! -
- No perchè quando morirò, il suo controllo passerà al mio erede. -
- E chi sarebbe? -
- Una mia nipote. Si chiama Eva Wingates Hellsing. -
- Una donna a capo di un mostro? Ci prendete in giro? -
- La regina Elisabetta e la regina Vittoria troverebbero qualcosa da ridire sul vostro commento. -
- E questa nipote perchè non è qui con voi? Perchè non vi accompagna in questi incontri? -
- Perchè ancora non è a conoscenza che l'abbia scelta come mia erede. A dire il vero, non sa nemmeno che tengo un vampiro in uno scantinato. -
- Pazzo! Incosciente! -
Van Helsing non si scomponeva. Era certo del suo potere, della saggezza delle sue azioni. Sedeva tranquillo, la scatola in grembo, ogni tanto ne sollevava il coperchio e dava un'occhiata al pipistrello. La luce che entrava dalla fessura feriva gli occhi dell'animaletto che cercava di rintanarsi nell'angolo più oscuro della sua piccola dimora. Sul volto del forte vecchio si allargava un sorriso amorevole. Con la punta delle dita accarezzava teneramente quel mucchietto di pelliccia e in tono comprensivo diceva:
- Sì, lo so, sei stanco e annoiato, rinchiuso da tante ore dentro questo spazio angusto. Non puoi nemmeno dormire perchè le nostre voci ti tengono sveglio. Resisti, fra poco torniamo a casa. -

Dopo molte e accese riunioni, venne decretato che Sir Abraham ( titolo trasmissibile anche ai discendenti ) avrebbe continuato a svolgere la sua missione per conto del Governo. La missione, a cui sarebbe stato dato il nome di Ordine dei Cavalieri Protestanti, sarebbe stata assistita da un consiglio di docici membri, scelti dal sovrano.
A quel punto, si sarebbe anche potuto scrivere un "..e vissero tutti felici e contenti" ma pareva che la serenità fosse un concetto estraneo per Abraham Van Helsing.
Col passare degli anni, sentendo il fiato della morte avvicinarsi sempre più, per master Abraham divenne impossibile continuare a mettere a tacere i sensi di colpa che le sue azioni passate gli suscitavano e con essi, la paura che la sua anima fosse ormai dannata, destinata all'inferno eterno. Ma il vecchio dottore sapeva su chi scaricare la responsabilità della sua eventuale perdizione.

E' tutta colpa sua! Sua e di quei suoi maledetti occhi che mi scrutano con tanta devozione! Quei dannati occhi rossi che seguono ogni mio movimento, ogni mia espressione facciale, per tutto il tempo in cui rimane sveglio! Se solo non mi guardasse come si guarda una divinità, di cui si cerca di anticiparne l'umore, i capricci, le mosse...se solo lui non mi guardasse così, io non mi monterei la testa. Sarei ancora un buon cristiano.  
Invece eccomi qua, a macerarmi nell'angoscia, chiedendomi se per la mia anima c'è ancora speranza o è ormai irrimediabilmente dannata. Blasfemo che non sono altro! Volevo chiamarlo Adam. Ho osato paragonarmi a Dio! Ma come ho potuto? Come ho potuto essere così folle?
Oh, ma lo so benissimo come ho potuto! E' stato quel mostro succhiasangue a mandarmi in tentazione! Quel demonio sputato fuori dall'inferno!
E' colpa sua! E' solo colpa sua! Ma me la pagherà, e cara anche! Dovessi strappargli quei dannati occhi rossi con le mie stesse mani!


Integra non conosceva l'epilogo dei deliri mistici del suo antenato. Van Helsing non si era mai preso il disturbo di scrivere se e come l'avesse fatta pagare al "mostro tentatore".
La piccola Sir Hellsing però dubitava che un temperamento impetuoso come quello del dottore si sfogasse unicamente a parole e non nei fatti. Van Helsing era famoso per dare ciò che prometteva, fossero carezze o rappresaglie e Integra temeva che le preoccupazioni teologiche del medico olandese si traducessero in un Alucard carponi sul pavimento, intento a vomitare sangue mentre aspettava con pazienza bovina che il padrone smettesse di torturarlo.
Integra appoggiò il diario sul comodino. Si sentiva scombussolata.
Forse non avrebbe dovuto prendersela tanto per il sadismo gratuito di Van Helsing. In fondo, Alucard era solo un mostro, con chissà quante vite umane sulla coscienza. Forse le torture di Van Helsing non erano altro che la giusta punizione per tutte le sofferenze causate dal vampiro. Magari Alucard stesso, dentro di sè, lo pensava.
E allora perchè la visione del suo vampiro, che lei conosceva come superbo e indisponente, prostrato come uno schiavo ai piedi del suo antenato, lasciandosi martoriare senza reagire, le faceva così male? Possibile fosse esistita un'epoca in cui Alucard si era comportato in quel modo? Cosa lo aveva cambiato, da allora?
La ragazzina sospirò, angustiata.
Gli occhi le caddero sulla sveglia. Erano le 23:00. Accidenti come aveva fatto tardi! Il giorno dopo ricominciava la scuola, doveva alzarsi presto.
Spense la luce, si tirò le coperte fino alle orecchie ma per quanti sforzi facesse, non riusciva ad assopirsi. La sua mente tornava sempre ai diari di Van Helsing, facendole sorgere molte domande e nessuna risposta.
Era stato il potere a corrompere così l'animo del suo antenato? O Van Helsing era nato intimamente sadico? E lei? Anche nelle sue vene scorreva la sottile crudeltà del suo antenato? Che adulta sarebbe diventata? Una volta che si fosse trovata realmente a capo dell'Organizzazione Hellsing ( per adesso si limitava a "prestare il suo nome" dato che, a causa della sua giovane età, attualmente ogni decisione veniva presa dal consiglio della Tavola Rotonda ) avrebbe finito per agire come Van Helsing? Sarebbe passata sopra a troppe cose, in nome di un fine superiore che ne sarebbe uscito snaturato?
Van Helsing diceva di muoversi per il Bene dell'Umanità ma questi due concetti, che lo esaltavano fino a commuoverlo, rappresentavano in realtà delle fantasie idealizzate. Quando passava all'azione concreta, l'Umanità di cui il vecchio Abraham voleva così strenuamente il Bene, era in realtà solo una piccola frazione della popolazione mondiale. Il suo paese d'adozione era tutto ciò che gli interessava e nemmeno nella sua interezza, dato che il disprezzo del dottore per la povera gente abrutita dalla miseria era palpabile.
Integra ripensò alla conversazione avuta un mese prima con Alucard nella biblioteca, quando il vampiro le aveva chiesto cosa significasse, per lei, "proteggere la Gran Bretagna e il protestantesimo dall'anticristo". La Giovane Sir Hellsing si era resa conto, quel giorno, di quanto la missione dell'Organizzazione le risultasse un concetto idealizzato e piuttosto astratto. Nella sua mente, "Gran Bretagna" era qualcosa di esaltante, come l'inno nazionale o l'Union Jack, ma anche di molto fumoso: una schiera di persone a lei simili, che professavano la stessa fede, parlavano la stessa lingua, pensavano allo stesso modo. Eppure poteva toccare con mano quotidianamente, all'interno della stessa Hellsing Manor, come "Gran Bretagna" fosse qualcosa di molto più complesso, composta da persone provenienti da tutto il mondo.
Van Helsing li avrebbe liquidati con uno sprezzante "Stranieri!", lasciandoli inoltre spolpare dall'Alucard di turno.   
" Io non li lascerei mai divorare da un mostro. Anche se non sono anglicani, anche se non sono inglesi, tutti gli umani che vivono, camminano e respirano sul suolo della Gran Bretagna verranno difesi dall'Hellsing. E' questa la mia missione! "
Allora perchè provava quell'intima vergogna, quella sgradevole sensazione di essere in fondo molto simile al settario Van Helsing? In fondo, la risposta la conosceva.
Per quanto proclamasse che avrebbe difeso tutti gli umani della Gran Bretagna, questo non era sufficiente a modificare l'immagine che il nome del suo paese le rievocava nella mente, cioè una moltitudine di persone chiare d'occhi, capelli e carnagione, incrollabilmente protestanti e fedeli alla regina. Era un limite suo, lo capiva bene, forse non particolarmente grave ma dopo la lettura dei diari del suo antenato, temeva che quello potesse trasformarsi in un primo, piccolo gradino capace di portarla verso il fanatismo.  
Un impeto d'orgoglio si ridestò in lei, facendole aggrottare le sopracciglia rabbiosamente.
" Ma cosa dico? Non sarò mai una fanatica come il mio antenato! Ogni umano ha un mostro dentro di sè, dice sempre Alucard. Van Helsing non è stato capace di riconoscere il suo mostro e l'ha lasciato libero di agire. Contro Alucard. Contro i suoi amici. Contro tutte le persone che ha rifiutato di difendere dai vampiri. Io invece conosco il mio mostro. E' stato lui a uccidere Richard. E' stata legittima difesa, lo so, ma questo non toglie che in quel momento mi sia trasformata in un mostro. Ho agito con freddezza, volevo vederlo morire e mi sentii soddisfatta quando quell'uomo cadde a terra. Proprio perchè non voglio che questo mostro esca di nuovo fuori, prima di agire penso e ripenso a quel che devo fare, senza dare niente per scontato. Questo mi differenzia da Van Helsing. Lui dava tutto per scontato. Dava per scontato di essere nel giusto. Dava per scontato che Alucard fosse un cervello limitato. Che errori madornali! "
Avvertì una presenza familiare nella stanza, quella che nei primi giorni seguiti alla morte dello zio le era sembrata un gelido alone, mentre adesso la percepiva rassicurante come il fuoco di un caminetto. Alucard era tornato. Chissà se era rientrato perchè aveva raccattato sufficienti cocci di amor proprio per sostenere la vista della master, o semplicemente perchè la luce era spenta, quindi immaginava che Integra dormisse?
Nel dubbio, temendo che il servo uscisse nuovamente, la ragazzina finse di dormire.
Rumori familiari. Il vampiro si sedeva alla scrivania della padrona, tirava fuori il mazzo di carte dal cassetto e cominciava a giocare a solitario.
Il leggero fruscìo delle carte rilassò la ragazzina. Alucard era lì con lei e tutto andava bene.
Lentamente, scivolò nel sonno.
    
- Integra Farburke è desiderata in segreteria, è arrivata una telefonata per lei. -
- Ricominciamo subito, miss Hellsing? - chiese il professore di letteratura inglese, irritato per l'interruzione della lezione - Non appena tornati dalle vacanze, ricominciamo con questo gioco delle telefonate? -
La studentessa, a capo chino, uscì dall'aula, seguendo la segretaria nel suo ufficio. Prese in mano la cornetta del telefono e dall'altro capo del filo, le giunse una voce familiare:
- Sono dolente di dovervi interrompere ma... -
- Taglia corto, Walter. Cos'ha combinato stavolta? -
- Per adesso nulla ma vedo che è troppo pensieroso, e questo indica che sta architettando qualcosa. Diciamo che la mia è una telefonata preventiva: vi prego di agire prima che combini qualche guaio. -
- C'è solo un problema, Walter: abbiamo esaurito i lavori da fargli fare. -
- Tutti, Sir? -
- Sì, Walter, tutti. A meno di non volergli far nuovamente spostare i mobili. -
- Assolutamente no, Sir! Ogni volta che abbiamo avuto la malsana idea di fargli cambiare la disposizione dei mobili in una stanza, ha finito col frantumare gli oggetti più delicati. Metà della collezione di porcellane di vostra nonna si è polverizzata per questa ragione. -
- Allora non abbiamo assolutamente più nulla da fargli fare. Passamelo comunque, proverò a parlarci. -
Walter corse a snidare il nosferatu dai reconditi recessi del maniero e dopo un'eternità, Integra sentì al telefono il familiare:
- Ya, my master? -
- Alucard, cosa stai macchinando? -
- Per adesso nulla, my master, però mi annoio. C'è niente che puoi farmi fare? -
- No, servo, purtroppo ho terminato i lavori da affibbiarti. -
- Ahiahiahi, master. Questo è un grosso guaio! - rispose serafico il non-morto, come se stesse commentando il comportamento di una terza persona e non il proprio.
- Accidenti a te, Alucard! Collabora invece di attendere le mie imbeccate! Dimmi, cosa posso fare per convincerti a non devastare casa nostra? -
- Master, sai perchè il postino si è salvato dalle fauci del mio Baskerville? -
Integra rimase spiazzata da quel repentino cambio d'argomento. Ciò nonostante, rispose:
- Perchè era a bordo di un furgoncino. -
- Sbagliato! Il mio segugio è veloce, presto o tardi l'avrebbe comunque raggiunto e sbranato. Ciò che ha salvato la vita al postino è stato il muro di cinta della villa. Il Patto di Cromwell vieta a me e ai miei famigli demoniaci di valicare il perimetro di villa Hellsing, senza l'ordine del mio padrone. Senza il tuo permesso, i miei passi si bloccano sulla soglia del cancello. Master...my master...perchè non mi permettete di andare a sgranchirmi le gambe fuori da casa vostra? Potrò rilassarmi e Villa Hellsing non subirà danni. -
Integra udì a stento l'ultima frase del vampiro, coperta dal commento arrabbiato di Walter in sottofondo:
- Maledetto mostro, come riesci bene ad usare le parole a tuo favore! -
Dopodicchè la voce del maggiordomo raggiunse la ragazzina forte e chiara, segno che aveva strappato il telefono di mano al nosferatu:
- Non dategli quest'ordine per niente al mondo, Sir! Casa Hellsing è anche la tana di Alucard e se lui non ha esitato a vandalizzare la sua stessa cuccia, figuriamoci cosa potrebbe essere in grado di combinare fuori di qui, dove niente lo lega! Lo autorizzerete ad uscire solo quando si dimostrerà degno della vostra fiducia. Sguinzagliarlo adesso vuol dire ritrovarci con una o più vite umane sulla coscienza! No, piuttosto lasciatelo qui dove cercherò di controllarlo come meglio posso. -
- Va bene, Walter. Se lo dici tu... -

Quel pomeriggio, quando Integra uscì da scuola, non trovò ad attenderla l'autista sulla Rover ma uno degli uomini facenti parte del corpo militare dell'Organizzazione Hellsing, in divisa e a bordo di una delle camionette d'ordinanza.
- Salve. Come mai siete venuto a prendermi voi e non il signor Chandra? -
- Sul perchè non sia potuto venire l'autista, non so cosa rispondervi, Sir Hellsing. So solo che Mister Dorneaz mi ha avvertito di sostituirlo, senza darmi ulteriori spiegazioni.-
Integra salì sulla camionetta con un sottile senso di angoscia. Perchè l'autista non era venuto? Dov'era in questo momento? Gli era accaduto qualcosa?
Il militare che era venuto a prenderla, un tal MacBrian, era un tipo gioviale che per tutta la strada del ritorno le raccontò molte storielle divertenti sui guai che combinavano i suoi figli e i suoi cani ma Integra non udì neppure una parola di quelle avventure. Mentalmente, contava i chilometri e i minuti che la separavano dal ritorno a casa, chiedendosi cos'avrebbe trovato al suo ritorno.

Villa Hellsing sembrava insolitamente deserta. Ferma nell'ingresso, Integra aguzzò le orecchie, sperando spasmodicamente di sentire un qualsiasi rumore che le segnalasse che c'erano ancora delle persone in quella casa.
- C'è nessuno? - urlò mettendosi le mani a coppa intorno alla bocca.
- Sono qui, Sir Integra! - rispose, lontana, la voce di Walter - Mi trovo nella cella-frigo! -
Nella cella-frigo, situata vicino alla dispensa, venivano stoccate le sacche di sangue destinate ad Alucard. Integra trovò il portellone della cella spalancato, fermato da una sedia così da impedirgli di richiudersi. E dentro la cella c'era Walter.
La ragazzina non aveva mai visto il maggiordomo in quello stato. Sembrava pazzo. Aveva uno sguardo folle negli occhi e un ghigno sadico sulle labbra. E com'era strano vedere quell'uomo sempre inappuntabile con la camicia fuori dai pantaloni, le maniche rimboccate fino a metà braccio nonostante il freddo e i capelli scomposti che uscivano a ciocche fuori dalla coda che solitamente li tratteneva.
- Ti senti bene, Walter? -
- Dopo che avrò terminato la mia vendetta, mi sentirò benissimo - ghignò l'uomo. Sir Hellsing vide lo shinigami stappare una sacchetta di sangue medico, versarvi dentro quattro gocce da una boccettina di vetro, riavvitare il pacchetto e deporlo su un mucchio di altri sacchetti che evidentemente avevano subito lo stesso trattamento. Ai piedi dell'uomo giacevano altre boccette di vetro vuote, uguali a quella che stava usando adesso. Il maggiordomo afferò una nuova busta di sangue, in cui versò altre quattro gocce.
- Cos'è accaduto, Walter? Perchè la casa è così silenziosa? -
- Perchè se ne sono andati via tutti, Sir. La cameriera e il cameriere, la cuoca che ci rimaneva e l'autista...in questa villa restiamo solo io, voi e Alucard. -
- Cos'ha fatto stavolta? E' tutta colpa sua, vero? -
- Ovviamente, Sir. Per vendicarsi del modo con cui gli ho impedito di seminare il terrore fuori dal perimetro di Casa Hellsing, ha deciso di esibire fra queste mura il meglio di sè...o il peggio, dipende dai punti di vista. Ha liquefatto il suo corpo in un'informe massa semifluida cosparsa di occhi rossi e in questo stato ha passeggiato tutto il giorno sul pavimento, sulle pareti e sul soffitto della villa. -
Con gran stupore di Integra, il maggiordomo raccontava quei fatti sorridendo, quasi che tutto ciò non lo riguardasse e mentre parlava, continuava la sua opera di svitare ogni singola busta di sangue, versarvi dentro quattro gocce dalla boccettina, riavvitarla e appoggiarla sul mucchio già trattato. Lo shinigami proseguì:
- Ovviamente i domestici erano terrorizzati. Non posso dar loro torto. Benchè conosca Alucard, disgusta anche me quando si trasforma in quella poltiglia. Quei poveri disgraziati si rifugiavano in una stanza e il nostro mostro passava attraverso le fessure della porta per continuare a tampinarli. Ha continuato ad inseguirli accanitamente finchè non sono usciti dalla casa e ha continuato ad andargli dietro anche sul prato. Sono fuggiti tutti e quattro sulla macchina della cuoca. Non torneranno. Così rimango solo io ad occuparmi di una magione talmente vasta da richiedere il lavoro di undici persone per essere mantenuta a dovere. Io, da solo, dovrò fare il lavoro di undici persone! -
Walter scoppiò in una risata folle e Integra si chiese se non si fosse giocata definitavemente anche la sanità mentale del maggiordomo.
- Quando tutti se ne sono andati, mi sono recato alla più vicina erboristeria per acquistare le boccettine che mi vedete usare. -
La ragazzina non ebbe il coraggio di domandare al maggiordomo cosa contenessero. Preferì invece chiedere:
- Dov'è adesso Alucard? -
- Quando si è reso conto che i suoi giocattoli, cioè la servitù, non sarebbero più tornati, è andato su tutte le furie. Ci attendono giorni grami, mia padrona. Finchè non troveremo del nuovo personale da assumere, ammesso che ne troveremo, saremo noi due i giocattoli di quel succhiasangue. Immagino che in questo momento si stia divertendo a vandalizzare le nostre camere. -
- E me lo dici così, con quel tono calmo?! -
- Mia signora, pur di poter attuare in pace la mia vendetta, in questo momento sono disposto a lasciar fare ad Alucard di tutto. Qualsiasi cosa, purchè non mi venga fra i piedi proprio adesso. -
Ma Integra non lo ascoltava più. Stava correndo su per lo scalone d'ingresso, in direzione della sua stanza. Walter la udì spalancare una porta e sbraitare:
- Come hai osato impalare tutte le mie bambole e i miei peluches?! -
Alucard rispose con una risata soddisfatta, che fece allargare maggiormente il sorriso di Walter.
"Ridi, ridi" pensò il maggiordomo "Sfogati a ridere adesso, perchè da domani non farai che piangere."
Tutti i sacchetti di sangue erano stati trattati. Walter, soddisfatto, chiuse il portellone della cella frigo. Raccolse da terra le boccettine di vetro vuote, su cui era scritto "Essenza primaria di aglio" e andò a buttarle fischiettando.

- Chi è l'autore di questo scherzo?! - ruggì Alucard, materializzandosi attraverso la parete con una busta di sangue in mano.
- ESCI IMMEDIATAMENTE DA QUI! -
- No, finchè non saprò chi devo ringraziare per questa crudeltà! Avanti, è stata opera tua o di Walter? -
- Crudeltà?! - ringhiò Integra, coprendosi come meglio poteva - E tutti i casini che hai combinato da quando ti sei risvegliato, non sono una crudeltà nei nostri confronti? -
- Non sono niente in confronto a quello che avete organizzato voi due! Avete impuzzolentito le mie sacche di sangue con l'aglio. Tutte! Non so come ci siate riusciti, ma l'avete fatto! Come farò adesso a mangiare? -
- Cazzi tuoi! - tuonò Integra, stupendosi di se stessa perchè era la prima volta in vita sua che pronunciava una volgarità. Alucard stava decisamente tirando fuori il peggio di lei - E comunque è stato Walter e io penso che abbia fatto proprio bene. E adesso esci dal bagno e lasciami fare la pipì in pace! -
Alucard si ritirò attraverso la parete, lasciando la sua master seduta sul gabinetto paonazza di vergogna.

Walter accolse le proteste di Alucard con un serafico sorriso stampato sul volto. Era oberato di lavoro, sfacchinava come un mulo per riuscire a mandare avanti tutto da solo la magione ma la consapevolezza di aver ottenuto la propria vendetta, riusciva ad infondergli una profonda pace interiore. Quando il succhiasangue terminò le sue lamentele, il maggiordomo rispose placidamente:
- Amico mio, la prossima fornitura di sangue non giungerà prima di un mese. A te la scelta: o stai a digiuno fino ad allora, o ti arrendi a inghiottire il sangue all'aglio. -
Ciò detto, l'uomo riprese a lavare il pavimento. Ad Alucard sarebbe piaciuto rispondere con un altero:
- Rimango a digiuno, grazie! -
Ma aveva già digiunato per vent'anni e il cratere che il letargo gli aveva lasciato nello stomaco, sembrava non riuscire mai a colmarsi. Si era svegliato da poco meno di due mesi ed era ancora smunto e con i capelli bianchi come un vecchio. La sua fame ruggente non gli consentiva ulteriori diete.
Così Alucard si arrese a bere il sangue contaminato dall'essenza d'aglio. Come Walter aveva previsto, quel giorno inaugurò una nuova stagione nell'esistenza del vampiro. Se da quando si era risvegliato Villa Hellsing non aveva fatto altro che rimbombare della risata di Alucard, adesso, all'ora dei pasti, si poteva sentire il tirar su col naso del non-morto, segno che stava piangendo calde lacrime di sangue.
Per un paio di giorni, Walter e Integra sperarono che una simile punizione convincesse Alucard a comportarsi più morigeratamente. A strapparli da quell'utopia ci pensò una nuova telefonata del direttore del locale ufficio postale, che con tono risentito riferì che per la seconda volta uno dei suoi postini era stato aggredito dalla "pantera nera" di casa Hellsing.
- Vi annuncio che d'ora in poi dovrete venire a ritirare la vostra posta in quest'ufficio. Non ho nessuna intenzione di farvela consegnare dai miei dipendenti, se corrono il rischio di diventare la merenda delle vostre belve. Inoltre vi informo che i due postini sfuggiti alla morte per un pelo, hanno deciso di denunciarvi alle autorità competenti. Attendetevi una convocazione in tribunale. -
No, per quanto quei "pasti all'aglio" avvilissero Alucard, ci voleva ben altro per ridurlo a più miti consigli. Integra cominciò a sperare con tutto il cuore che un vampiro si profilasse al più presto all'orizzonte, e consentisse ad Alucard di sfogare una volta per tutte l'energia accumulata in vent'anni di letargo.


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Mi scuso con i lettori che hanno atteso tanti giorni sperando di leggere un capitolo comico, e invece si ritrovano con un capitolo in cui c'è ben poco da ridere. A me però non va di scrivere una storia che sia esclusivamente comica. I delusi comunque non si preoccupino: il prossimo sarà tutto da ridere, promesso! :)

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Capitolo 6
*** La versione tonta di Fior di Loto ***


1) Benchè io non apprezzi la versione televisiva di 13 episodi (in questa storia uso come muse ispiratrici il manga di Hirano - e quindi gli OVA che ne hanno tratto - e il romanzo di Stoker), ho deciso di prenderle in prestito il personaggio del capitano Ferguson.
2) Benchè mi renda conto che negli anni in cui la storia è ambientata, molto (ma molto XD) probabilmente i presidi Slow-food non esistevano, li ho comunque inseriti per costruire una battuta. Scusate l'alterazione della linea del tempo e buona lettura :)

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Inizialmente, la sparizione degli ultimi domestici di Villa Hellsing aveva gettato Alucard nel più nero sconforto: con chi si sarebbe trastullato, adesso che i suoi giocattoli umani erano scappati?
Quello stato di prostrazione era però durato poche ore, fin tanto che il vampiro non aveva ricordato che esistevano anche le truppe militari dell'Organizzazione Hellsing. La prospettiva di avere a che fare con un nuovo genere di giocattoli, in possesso di addestramento militare, lo galvanizzò. Chissà quali mirabolanti avventure poteva imbastire con degli uomini capaci di sparargli addosso?
Senza mettere altro tempo in mezzo, si era così dato da fare per urtare il sistema nervoso dei soldati di Integra.

Ai militari dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti, Alucard non era mai andato a genio.
Che la punta di diamante di un'organizzazione dedita allo sterminio dei mostri fosse un mostro, più che un controsenso pareva loro una presa per i fondelli bella e buona. A questo si aggiungeva tutta l'irritazione e la gelosia che sgorgava nei loro cuori constatando quanto il Sir Hellsing di turno tenesse più al vampiro che alle sue truppe armate. Riempire i tempi morti della giornata con commenti stizziti su quella situazione, era diventato per i militari un passatempo abituale.
- E' inammissibile fidarsi tanto di un succhiasangue! -
- E lo fa vivere dentro la Villa, come se fosse un cagnolino da compagnia! -
- Un giorno si pentirà di tutta la confidenza data a quel mostro. Arriverà la notte in cui il vampiro succhierà il suo sangue fino all'ultima goccia! -
Infine Alucard era stato messo in letargo e la truppa aveva gioito, al punto che la sparizione del vampiro era stata giudicata un'ottima scusa da festeggiare con un brindisi a base di birra, a cui era seguita una sbronza colossale. Dopo di che, il nosferatu di Hellsing Manor era caduto nel dimenticatoio.
I militari della vecchia guardia erano andati in pensione l'uno dopo l'altro. Inizialmente, ai novellini che venivano assunti, i commilitoni più anziani raccontavano che nelle segrete della villa giaceva un mostro addormentato ma alla lunga quella storia aveva finito col sembrare priva di interesse e quindi era stata dimenticata. Per questa ragione, al momento del risveglio di Alucard, molti fra i militari dell'Organizzazione Hellsing non erano nemmeno a conoscenza della sua esistenza e fra chi ne aveva sentito parlare, nessuno l'aveva mai visto dal vivo. Nessuno, tranne il capitano Ferguson.
Ferguson era stato assunto dall'Hellsing un paio di anni prima del letargo di Alucard ed era l'unico componente della vecchia guardia ancora in servizio attivo due decenni dopo. Per questo motivo Walter l'aveva chiamato, quella sera.
Quando Ferguson era entrato nell'ufficio appartenuto a Sir Arthur, aveva trovato ad attenderlo un Walter pragmatico come al solito, un'Integra singolarmente tesa e un ceffo sconosciuto alle spalle della ragazzina. Il capitano aveva assottigliato le palpebre. Quel tipo...era profondamente diverso da come lo ricordava ma il suo sguardo penetrante, apparentemente capace di scavarti nell'animo, era rimasto identico. Quegli occhi rossi non avrebbe mai potuto scordarli, nemmeno dopo tanti anni.
- Si ricorda di Alucard, capitano Ferguson? - chiese il signor Dorneaz - Oggi pomeriggio Integra l'ha risvegliato. Ha dovuto risvegliarlo. Richard Fairburke, con due uomini, l'ha inseguita fino nelle segrete per ucciderla. Alucard le ha salvato la vita. Abbiamo tre cadaveri da smaltire, giù nello scantinato. Ho già allertato i membri della Tavola Rotonda, si sono attivati per fare in modo che il tutto sembri un incidente, accaduto a molte miglia da qui. Fra poco arriverà un furgone che preleverà i corpi con discrezione per portarli laggiù. Conto su di lei, capitano. L'entrata e l'uscita di quel furgone non dovrà essere segnata sui nostri registri, nessuno dovrà chiedere i documenti ai guidatori.  A parte lei, nessun componente del nostro reggimento dovrà mai sapere nulla di questa storia. E dovrà spiegare alla truppa che da adesso in poi un vampiro circolerà all'interno dell'Organizzazione Hellsing. -
Di tutti i comandi impartitigli dal maggiordomo quella sera, l'ultimo era stato decisamente il più difficile da eseguire. Nessuno dei militari aveva accettato di buon grado l'idea di vivere gomito a gomito con un succhiasangue.
- Un vampiro addomesticato, capitano Ferguson? Ci prende in giro? -
- Quelle bestiacce non si addomesticano. L'unico vampiro buono è un vampiro morto. -
- Ma mister Dorneaz è impazzito? Fa circolare liberamente un mostro per casa quando ha una ragazzina sotto tutela? -  
Nei due anni che avevano preceduto il letargo di Alucard, Ferguson aveva avuto modo di conoscerlo in modo superficiale. Il vampiro era stato poco più di una comparsa nella vita dei soldati, una figura sinistra che si univa a loro solo quando le missioni erano più rischiose del solito e anche in quei casi, rimaneva discosto e silenzioso. Era palese che così come il battaglione non digeriva il nosferatu, neanche questi apprezzasse la compagnia della truppa. Ma quello che, ai tempi, era stato il soldato semplice Ferguson, ricordava bene i discorsi dei colleghi più anziani, racconti dettagliati sugli esiti di risse scoppiate anni prima fra militari dalla testa calda o dal grilletto facile col vampiro. Il morto non c'era mai scappato ma i soldati erano stati sempre ridotti al malpartito.
- La cosa migliore che tu possa fare è fingere che il non-morto non esista. Lui non ci considera nemmeno, ai suoi occhi appariamo mosche senza importanza. Comportati allo stesso modo. Passagli accanto senza guardarlo, non rivolgergli la parola se non te lo ordinano espressamente i tuoi superiori e vivrai a lungo e in pace. -
Il soldato semplice Ferguson si era sempre attenuto ai consigli dei commilitoni con più esperienza anche perchè, pur non avendo mai visto il vampiro in azione, ne percepiva tutta la pericolosità potenziale.  
Vent'anni dopo, il capitano Ferguson si ritrovava con degli uomini apparentemente incapaci di comprendere quanto quel vampiro potesse essere letale, forse perchè troppo imbaldanziti dalle armi sempre più avanzate e potenti che imbracciavano ad ogni esercitazione. Così non aveva potuto fare a meno di sbottare:
- Quando mai ho detto che quel vampiro è buono? Ho detto che è stato addomesticato dagli Hellsing, non che sia inidiscriminatamente amico dell'intero genere umano. Anzi, del resto dell'umanità non gliene può importare di meno! Ad Integra non torcerà mai un capello perchè la considera la sua padrona ma noi, ai suoi occhi, siamo mosche. Nullità. Non ci ha trasformati tutti in ghouls solo perchè ci considera oggetti di proprietà della sua padrona ma non è una buona ragione per stuzzicarlo. Non ha bisogno di arrivare a mangiarci, per farci molto male. Girategli alla larga. E non fatevi venire in mente strane idee sull'eventualità di eliminarlo come facciamo con gli altri mostri. Lui non è così facile da uccidere. E anche quando lo fosse, non possiamo comunque permetterci di ammazzarlo. Appartiene a Sir Integra Hellsing ed è una delle armi più efficaci della nostra organizzazione. -
I militari, immusoniti, avevano obbedito, cosa che era riuscita loro facile considerando che Alucard, per i primi due mesi dal suo risveglio, non li aveva degnati di uno sguardo. Per la truppa, il vampiro era stato sempre e solo una fugace apparizione, una tuta nera e una chioma bianca che vedevano passare con passo altero da un punto all'altro del parco della villa.
Cambiò tutto nell'arco di una mattina. L'alba seguente alla fuga dei domestici dalla magione, la brigata che prestava il servizio diurno trovò il succhiasangue seduto sul cofano di una delle camionette di ordinanza, posteggiata davanti allo spiazzo delle esercitazioni e a giudicare dallo sguardo del mostro, pareva attendesse proprio loro.
Gli umani fecero il tradizionale alzabandiera a cui seguì il giornaliero giuramento di fedeltà all'Organizzazione Hellsing. Il vampiro seguì tutte quelle cerimonie con sguardo penetrante e sorriso beffardo, come se stesse osservando un superstizioso rituale tribale e benchè a voce alta non l'avrebbero mai ammesso, ciascuno dei militari, sotto la pressione di quelle iridi rosse, guardò la scena con gli stessi occhi distaccati.
Per la prima volta, a quegli uomini sembrò di compiere dei gesti senza senso. Perchè si esaltavano tanto davanti all'Union Jack, cantando l'inno nazionale? Perchè giuravano di difendere il Paese e la fede dagli impuri morti viventi? Sentirono le certezze di una vita vacillare e ciò li terrorizzò.
Ma no, cosa andavano pensando? Era ovvio, perfettamente ovvio, essere disposti a morire per la Patria e il protestantesimo! Era stato quel maledetto mostro a indurli in tentazione, a farli dubitare per pochi, angosciosi istanti della solidità della loro Missione. Maledetto demonio sputato fuori dall'inferno!
La truppa serrò i ranghi, lanciando sguardi biechi al vampiro ed Alucard trovò divertente la paura che lesse in fondo alle loro pupille.  
 
Da allora in poi, il vampiro cominciò a trascorrere lunghe ore ad osservare gli allenamenti di quegli uomini.
I soldati, sotto quegli occhi rossi, sentivano crescere in sè un misto di irritazione e tensione, finendo per sbagliare le manovre. Ad ogni errore, la risata beffarda del vampiro si alzava nel cielo. Più di una volta i soldati si voltarono verso il mostro, per metterlo a tacere con qualche parola rabbiosa ma il capitano Ferguson aveva sempre bloccato quei tentativi:
- Ignoratelo! Tornate al lavoro e fingete che quel vampiro non esista! -
I soldati, masticando amaro, tornavano ai loro allenamenti, udendo dietro le loro schiene la voce sfottente di Alucard che rimarcava:
- Sì, pecorelle, ascoltate il pastore. Ignoratemi, fingete che io non esista. -
Ferguson, comprendendo la rischiosità della situazione, era andato a lamentarsi con Walter che a sua volta aveva minacciato Alucard di rappresaglie se avesse continuato. Il maggiordomo ottenne una vittoria parziale, nel senso che il non-morto diminuì le ore giornaliere dedicate al logoramento dei nervi della truppa, senza però abbandonarle completamente.

Quella mattina, la nona trascorsa dalla fuga della servitù, il battaglione si stava esercitando nel poligono di tiro.
Uno dei soldati, dopo aver sbagliato il terzo colpo consecutivo, udì dietro di sè lo sghignazzare di Alucard e dato che quel giorno il capitano Ferguson era assente, si sentì libero di voltarsi come una furia verso il mostro e sbraitare:
- Tu che sfotti tanto, sei capace di tenere in mano una pistola? O sai solo usare quelle zanne da bestia che ti ritrovi? -
A dispetto del fragore delle armi che copriva le voci, gli altri commilitoni si resero conto che stava accadendo qualcosa. Smisero di sparare, si tolsero le cuffie e in silenzio osservarono collega e vampiro.
Alucard mosse un passo verso il militare che lo aveva sfidato, tendendo una mano. L'uomo gli porse il fucile di precisione con cui si stava esercitando. Il nosferatu svitò il mirino, tanto per sottolineare che lui non aveva bisogno di simili aiuti. Dopodichè imbracciò l'arma, puntò e sparò.
Centro perfetto.
Alucard restituì il fucile al proprietario e uscì fischiettando, seguito dagli sguardi carichi di odio dei presenti.

Fuori dal poligono, il vampiro rimuginò sul da farsi. Capiva di aver provocato a sufficienza il battaglione quindi per quel giorno era meglio astenersi da altre bravate. Ma come impiegare le ventiquattr'ore che lo separavano dalla mattina seguente? Un'idea si fece strada nella sua mente. Sì, perchè non provare?

 - Integra Farburke deve venire in segreteria, è arrivata una telefonata per lei. -
La professoressa di matematica si astenne dal commentare l'annuncio della segretaria apparsa sulla soglia della porta ma le rughe di disappunto che comparvero sul suo viso, fecero comprendere a Sir Hellsing quanto l'insegnante si sentisse contrariata da quell'interruzione.
Integra, imbarazzata, seguì la segretaria a capo chino.
Normalmente, la piccola Hellsing era un temperamento ribelle, in grado di dare risposte che ammutolivano gli insegnanti, incapaci di replicare davanti a parole tanto argute e inaspettate. Le telefonate che riceveva da casa costituivano però un mondo a parte, qualcosa di cui Integra si vergognava intimamente e che le facevano abbassare lo sguardo davanti all'irritazione dei professori.
I compagni ormai la subissavano di domande:
- Come mai ti telefonano così spesso? Cosa succede? Sei nei guai? -
- Fottetevi e lasciatemi in pace! - ringhiava in risposta la diretta interessata, trincerandosi dietro un muro di silenzio.
Del resto, cosa avrebbe mai potuto rispondere? Che in casa sua circolava il Conte Dracula addomesticato e siccome si annoiava mortalmente, trascorreva il suo tempo a combinare guai su guai? Chi le avrebbe creduto?  
Adesso, seguendo la segretaria lungo il corridoio, la ragazzina si ripetè una frase che in quelle ultime settimane aveva pensato spesso.
 " Non posso andare avanti in questo modo. "
Quelle continue telefonate interrompevano le lezioni, disturbavano compagni e professori e le facevano perdere parti cospicue delle lezioni. Tornava in classe incapace di riannodare i fili della spiegazione e spesso finiva per estraniarsi da ciò che la circondava per tutta la giornata. Con la mente tornava sempre a casa, domandandosi come stavano andando le cose, chiedendosi con angoscia cosa avrebbe trovato al suo ritorno. Incapace di concentrarsi, riempiva di errori madornali le verifiche, vedeva i suoi voti peggiorare sempre più e speso finiva col pensare " Forse, se oggi non fossi venuta a scuola, sarebbe stato meglio ".
Giunta nell'ufficio della segretaria, impugnò la cornetta del telefono e chiese:
- Cos'è successo adesso, Walter? -
- Walter è andato a ritirare la posta. - rispose sorniona la voce di Alucard.
Integra sentì una morsa gelida stringerle lo stomaco. Cosa poteva mai volere Alucard da lei? Cos'aveva di così urgente da dirle, per arrivare a telefonarle?
- Master...my master... - proseguì il nosferatu in tono suadente - Sono solo in casa e mi annoio terribilmente. Permettimi di uscire fuori dal perimetro della villa, così potrò sgranchirmi un po' le gambe. -
- Walter mi ha consigliato di non farti uscire per nessuna ragione al mondo, finchè non ti dimostrerai degno di fiducia. -
- E non mi sono dimostrato degno di fiducia? - chiese Alucard col tono più persuasivo che riuscisse a sfoderare.
- Ma se una settimana fa hai di nuovo sguinzagliato Baskerville dietro il postino! -
- Appunto, una settimana fa. Dopo che Walter mi ha fatto quella lavata di capo, non ho forse rigato dritto? -
Integra fu costretta ad ammettere che il servo aveva ragione. Dopo la seconda telefonata del direttore dell'ufficio postale, Walter era andato su tutte le furie e aveva subissato Alucard di rimproveri, minacce e insulti a non finire. Normalmente il vampiro reagiva a quelle sfuriate sghignazzando senza ritegno sul muso dello shinigami ma quella volta era rimasto stranamente silenzioso, col grigio capo chino ( i capelli stavano finalmente cominciando a riprendere un po' di colore ) e nei giorni successivi era stato incredibilmente tranquillo. Non aveva ulteriormente devastato la villa e aveva sfogato il suo bisogno di movimento trasformandosi in pipistrello e volando incessantemente per il parco, interrompendosi di quando in quando per andare a molestare le truppe dell'Hellsing.
Nel corso di quella settimana insolitamente pacifica, Integra aveva pensato che le minacce di Walter di contaminare con l'aglio anche il carico di sangue che sarebbe arrivato da lì a un mese avessero finalmente sortito il loro effetto ma la nuova richiesta del vampiro, che reclamava la sua giusta ricompensa per tanta mitezza, adesso la sconcertava. Avvertiva confusamente che c'era qualcosa di sbagliato nella pretesa del servo. Rigare dritto per una settimana era un tempo sufficiente per considerare Alucard degno di fiducia? O sarebbe stato lecito pretendere un comportamento civile per più mesi di fila? E ancora, era giusto che fosse il servo a far notare alla padrona quanto era stato bravo e meritevole di ricompensa? O avrebbe dovuto attendere pazientemente che fosse la sua master a dirgli "Servo, puoi star via per due giorni di fila"?
Dodici anni di vita sono troppi pochi per riuscire a rispondere in modo adeguato a questi dubbi, così Integra non potè fare a meno di replicare:
- Quando tornerò a casa ne parlerò con Walter e se lui dice che puoi uscire, te lo permetterò. -
- Lui dice! - esclamò indignato Alucard - Credevo che il mio master fossi tu, non quello shinigami! Evidentemente mi sbagliavo. Così come ho sbagliato a dire che sei capace di usare il cervello. Sai ragionare da sola o sei un'appendice di Walter? Sembri il suo pappagallo, ripeti tutto ciò che dice lui. -
- Non è vero! -
- Allora dimostramelo! Dimostrami adesso che sei in grado di prendere una decisione autonoma. Decidi tu se sono meritevole di uscire oppure no e dimmelo ora. -
Integra, in quel momento, avrebbe tanto desiderato ritrovarsi davanti ad Alucard, per poterlo prendere a calci sulle rotule. Gli avrebbe fatto il solletico, lo capiva bene, ma intanto avrebbe sfogato tutta la rabbia che sentiva montarle dentro. Com'era riuscito, quel maledetto, a metterla con le spalle al muro a quel modo?  
Cercò freneticamente di capire qual'era la decisione migliore da prendere. Se gli avesse vietato di uscire, il vampiro avrebbe vandalizzato nuovamente la loro dimora? E se fosse uscito, quali guai avrebbe potuto combinare? Sir Hellsing sospettava che qualsiasi fosse stata la sua decisione, se ne sarebbe comunque pentita.
- Allora? Allora? Hai perso anche l'uso della lingua, oltre che quello del cervello? - incalzava intanto Alucard per telefono.
- Oh, taci dannato mostro, dammi il tempo di pensare! -
- Devi solo rispondere di sì o di no, quanto ti occorre per pensare ad una risposta tanto banale? E io che pensavo fossi la degna figlia di master Arthur. Invece no, mi sbagliavo, tuo padre era molto più sveglio di te... -
- Zitto! Zitto! Dammi il tempo di riflettere! -
Ma Alucard si guardava bene dal chiudere il becco. Integra ebbe la certezza che lo stesse facendo apposta, nè più nè meno che se avesse teso la gamba per farle uno sgambetto.
- Oh, e va bene, Alucard! Esci pure di casa! Però ad una condizione: non dovrai far del male agli esseri umani in cui ti imbatterai. Capito? Non voglio avere vite umane sulla coscienza, è chiaro? -
- Chiarissimo, my master! - il tono del vampiro era solenne. Integra era certa che in quel momento i suoi occhi rossi stessero brillando di soddisfazione. - Non torcerò un capello a nessuno, ve lo prometto. Grazie e buono studio. -
La comunicazione venne interrotta e Integra tornò al suo banco in preda all'angoscia. Aveva fatto bene a prendere quella decisione? Se ne sarebbe pentita?
La gelida morsa che le attanagliava lo stomaco le tenne compagnia per tutta la durata delle lezioni.

Integra aveva ordinato di non torcere un capello agli esseri umani. Dato che non aveva pensato ad estendere un'analoga restrizione anche sugli animali e sugli oggetti, Alucard si sentì libero di sfogare i propri istinti su queste categorie.
A due miglia di distanza da Villa Hellsing, si trovava un allevamento di cavalli da corsa che Alucard decise seduta stante di eleggere a suo parco-giochi personale. Divelse chilometri e chilometri di recinzioni, causando la fuga di giumente e puledri che devastarono i campi di frumento circostanti, calpestando e brucando i teneri germogli. Scoperchiò diverse stalle con la stessa diligenza con cui un bambino smonterebbe un giocattolo per capire com'è fatto, e terminò quell'entusiastica giornata bevendosi due giovani promesse del trotto del valore di ventimila sterline l'uno.

Integra, col capo chino e le mani incrociate dietro la schiena, era ammutolita dalla paura. Non aveva mai visto Walter così infuriato in vita sua. Fra le dita lievemente tremanti, l'uomo reggeva dei fogli su cui aveva scribacchiato velocemente l'ammontare dei danni che, ad occhio e croce, l'Ordine dei Cavalieri Protestanti doveva risarcire all'allevamento e agli agricoltori che si erano visti brucare tutto il grano seminato quell'anno.
- Sir Integra! - sibilò l'uomo alla ragazzina che gli stava di fronte - Non vi avevo forse esplicitamente vietato di far varcare ad Alucard il cancello del parco? Perchè mi avete disubbidito? I membri della Tavola Rotonda non accetteranno mai di coprire delle spese causate dalla nostra negligenza. Non solo, è necessario che non vengano mai a sapere cos'ha combinato Alucard oggi. Penserebbero che non siamo capaci di gestirlo, ci taglierebbero i finanziamenti. Questi danni dovremo ripagarli con i risparmi dell'Organizzazione, pregando Dio che non ci capitino altre spese extra perchè non avremmo più i soldi per coprirle. La vostra giovane età non è un'attenuante che possa giustificarvi. Anzi, siete grande abbastanza per assumervi una buona fetta delle responsabilità di questa situazione. Vi avevo spiegato chiaramente per quale motivo non bisognasse far uscire Alucard, e ciò nonostante avete fatto di testa vostra. Male, molto male Sir Hellsing! -
Integra incassò il collo nelle spalle. Non osava nè replicare, nè tentare di difendersi. Sentiva di aver sbagliato, di essere incorsa nel primo fallimento della sua nuova esistenza di master. Ascoltava quei rimproveri col cuore gonfio di umiliazione per sè stessa e di odio per Alucard, che l'aveva cacciata in quel guaio. Gettò un'occhiata in tralice al vampiro. Era in piedi accanto a lei e stranamente, la sua lunga chioma che quella mattina era ancora grigia, adesso era diventata di un nero corvino, come se l'abbuffata fatta con i due trottatori l'avesse ringiovanita di colpo.
- Riguardo a te... -
Adesso Walter si rivolgeva ad Alucard, impegnato a bere placidamente con una cannuccia il sangue contenuto in una busta per le trasfusioni. Il vampiro aveva gli occhi umidi e tirava su col naso, non perchè fosse rimasto particolarmente addolorato dalle minacce, dai rimproveri e dagli insulti che il maggiordomo gli aveva rivolto fino ad allora ma perchè il sangue che stava succhiando apparteneva alla mefitica partita contaminata con l'essenza d'aglio, e gli faceva spuntare le lacrime ogni volta che lo beveva.
- Riguardo a te, Alucard...posso capire tutto, ma non ti perdono d'esserti succhiato quei due poveri cavalli. Non hai sangue a sufficienza, qui in casa? -
- Sei un umano, certe cose non le puoi comprendere. - rispose il vampiro con aria di sufficienza.
- Me meschino, non posso comprendere! - sghignazzò lo shinigami - Perchè non provi ad illuminarmi tu allora, Saggio della Montagna? -
L'espressione del vampiro divenne solenne:
- Fra bere del sangue che è stato conservato per mesi in una busta e succhiare via la linfa dalla gola di un essere vivente, corre la stessa differenza che voi umani potreste provare fra il bere l'acqua imbottigliata nella plastica che acquistate al supermercato e bere l'acqua che sgorga da una fonte montana. -
- Come siamo poetici! - lo sfottè Walter. Il vampiro rispose con un largo sorriso:
- Be' vecchio mio, quando ero ancora in vita, fra una guerra e un impalamento, mi piaceva discettare di poesia, architettura e filosofia con i dotti della mia corte. Adesso sturati le orecchie, shinigami, che cercherò di spiegare questo concetto in modo terra-terra, così che persino tu possa capirlo. Il sangue che sto bevendo adesso è stato aspirato dalle vene di un tizio, infilato in un sacchetto di plastica e stoccato in un surgelatore. Prima di berlo, devo farlo scongelare. Ti rendi conto di quanto si siano alterate le sue proprietà organolettiche, nel corso di tutti questi passaggi? Azzannare la giugulare di un essere vivente, invece, significa mangiare del sangue puro, limpido, incontaminato, saporito... -
- Accidenti Alucard, sembra di sentir parlare un adepto dei presidi Slow-Food! -
- Taci, ignorante, devo finire la mia lezione! Dicevo, è quindi perfettamente ovvio che appena trovo l'occasione di succhiare un po' di sangue fresco, non me la lascio scappare. Tanto più se consideriamo che hai contaminato tutti i miei pasti con quell'aglio disgustoso. -
- Oh, ecco un altro punto oscuro che la mia povera mente umana non riesce a comprendere! Considerando che ti sei appena finito di pappare due cavalli, quindi dovresti essere ben satollo, come mai ti presenti al mio cospetto succhiando una di quelle sacche di sangue "prive di sapore" che tanto disprezzi? -
- C'ho sciolto dentro un po' di digestivo. I cavalli mi sono rimasti sullo stomaco. -
- Non avere tanta fretta di digerirli. - disse Walter, sfilando dalla mano del vampiro la sacca bevuta a metà. Il tono del maggiordomo era soave ma nei suoi occhi brillava un'espressione spietata. - Finchè non avremo ripagato tutti i danni che hai combinato oggi, l'intera Organizzazione Hellsing dovrà tirare la cinghia. Questo vuol dire che i nostri uomini dovranno lavorare per un altro anno con fucili dalla tecnologia superata, io non potrò farmi otturare quel maledetto molare, Integra non potrà cambiare gli occhiali, nonostante la sua miopia sia peggiorata, e tu dovrai farti durare queste scorte di sangue all'aglio non per uno ma per due mesi. -
Adesso Alucard era ammutolito quanto la giovane master che gli stava al fianco. Walter li congedò con un gesto della mano:
- E' tutto. Potete ritirarvi. -

Era ancora troppo presto per coricarsi ma Integra si era infilata, vestita per com'era, nel letto, nel tentativo di trovare un po' di conforto nel calore delle coltri.
Sentiva crescere dentro di sè una rabbia sorda verso Alucard. In che guaio l'aveva ficcata quel servo ribelle! Le sembrava di essere stata incastrata, ficcata a forza in un pasticcio che non le competeva.
Con un tempismo perfetto, proprio nel momento in cui la ragazzina meno desiderava di rivederselo davanti, Alucard entrò nella stanza della master. Osservò il rigonfio sotto le coperte, con una mano afferrò un lembo della svolta e scostandola esclamò:
- Bu-bu-settete! -
Due occhi colmi di astio lo fissarono dal materasso.
- Andiamo master, non fare quella faccia! Considerando che Walter non ti ha punito, non vedo perchè dovresti essere tanto arrabbiata. Cosa dovrei dire allora io, che dovrò inghiottire il sangue all'aglio per un altro mese? -
- Non mi pare che la punizione ti abbia minimamente sconvolto, considerando che ti presenti al mio cospetto con quel sorriso allegro e gli occhi sfolgoranti di felicità. -replicò Integra con freddezza.
- E perchè non dovrei essere allegro? Guardami, master! La mangiata fatta con quei due cavalli mi ha dato il nutrimento di cui avevo bisogno per riprendere il mio aspetto abituale. Vedi? Non ho più la faccia smunta come un vecchio. Non sono più talmente secco da nuotare dentro la tuta. I miei capelli sono tornati neri. Ho recuperato il mio aspetto abituale! -    
Sì, Integra si rendeva perfettamente conto che l'Alucard che le stava di fronte sembrava ringiovanito improvvisamente di molti decenni. Era talmente cambiato che quando era tornata da scuola, aveva faticato a riconoscere il suo servo in quel giovanotto.
Considerando però che Alucard aveva recuperato il suo aspetto abituale al prezzo di decine di migliaia di sterline di danni a carico dell'Organizzazione Hellsing, Integra non vedeva per quale ragione dovesse partecipare alla gioia del vampiro.
La freddezza della padroncina deluse il non-morto che in tono irritato esclamò:
- I tuoi problemi vengono prima di tutto, vero Integra? I piaceri e i dispiaceri degli altri invece possono attendere. Che ragazzina egocentrica! -
Sir Hellsing sentì un'ondata di sangue caldo salirle per il collo e allagarle il cranio. Si ritrovò in piedi sul letto, imbestialita oltre ogni dire. Fissando il servo negli occhi, sbraitò:
- Qui l'unico egocentrico sei tu! Pretendi che tutto giri intorno intorno a te! Hai fatto danni per centomila sterline che non pagherai certamente tu ma noi, e pretendi che dopo tutto questo casino ti sorrida beata congratulandomi con te per il tuo aspetto? Ma va' all'inferno! -
Sul volto del vampiro apparve un sorriso soddisfatto.
La sua master!
In quel momento era uguale alla prima volta in cui l'aveva incontrata nei sotterranei, legandosi a lei da un'ammirazione sconfinata. Nei mesi che erano seguiti, la piccola Sir Hellsing non era più stata afferrata da quel sacro furore che Alucard aveva tanto amato, lasciando il vampiro nel dubbio di aver "letto giusto" nell'animo della piccola.
Adesso constatava con piacere di non essersi sbagliato. Eccola lì la sua padrona, pronta a battagliare contro il mondo intero, se necessario.
Il vampiro gongolò e siccome gli piaceva mantenere quella condizione il più a lungo possibile, si diede da fare per punzecchiare Integra:
- Si è offesa, la ragazzina viziata? Che paura! Chissà cosa mi accadrà adesso! -
- Qualcosa di molto brutto, puoi starne certo! - replicò la Sir, schiumando di rabbia.
- Ah sì? Cosa farai? Mi avvelenerai con l'aglio anche il prossimo carico di sangue? Attenta, master, c'è il rischio che mi abitui a quel sapore e arrivi addirittura a piacermi. -
Integra era talmente furiosa che Alucard non si sarebbe sorpreso di vederle il fumo uscire dalle orecchie. Sì, evidentemente aveva pensato di appestare con l'essenza d'aglio anche la successiva scorta di sangue ma le parole del servo avevano mandato all'aria il suo piano.
- Mi vendicherò, Alucard, puoi starne certo! Non so ancora come, ma te la farò pagare! -
Il vampiro scoppiò a ridere:
- Va bene, Integra. Non vedo l'ora di scoprire in cosa consisterà la tua tremenda vendetta. -
Constatando di aver tirato fin troppo la corda, il nosferatu uscì dalla camera sempre ridendo, così che la sua padrona potesse sbollire in pace.
Ma occorreva ben altro per far calmare Integra. La ragazzina sentiva dentro di sè una rabbia tale che avrebbe desiderato poter spaccare tutto ciò che la circondava. Si sedette a gambe incrociate sul letto, afferrando il cuscino e cominciando a torcerlo fra le mani e a morderlo con i denti, sperando di placare la sua furia, e intanto si scervellava su come vendicarsi di Alucard.
" Più facile a dirsi che a farsi! " fu costretta ad ammettere con se stessa, constatazione che non giovò al suo umore nero.
Inutile sperare di fargli del male fisico, dato che il non-morto era infinitamente più forte di lei, quindi che alternativa rimaneva? Doveva colpirlo nell'orgoglio.
" Ma come? " si domandò angustiata.
Si stava scervellando inutilmente da un quarto d'ora quando gli occhi le caddero casualmente sul libro di fiabe che il padre le aveva regalato quand'era bambina. Lo stesso libro che tanto aveva irritato Alucard, trovando incomprensibile il comportamento del principe di Biancaneve.
Biancaneve...    
Un'idea cominciò a farsi strada nella testolina della dodicenne. Inizialmente la scartò, sembrandole troppo ridicola ma dato che col trascorrere dei minuti non le veniveno in mente idee migliori, decise di prenderla in seria considerazione.
In fondo, perchè non provare? Se non avesse funzionato, avrebbe escogitato qualcos'altro. Doveva solo sperare che l'animo umano si attaccasse anche a quisquilie come quella, quando decideva di farla pagare a qualcuno.

L'occasione per testare quanto la sua vendetta fosse plausibile si presentò a Integra il mattino seguente, mentre MacBrian l'accompagnava a scuola.
- Ieri l'ha combinata grossa il mostro, eh? - chiese pieno di comprensione il militare.
Integra annuì:
- Sì, Biancaneve ci ha cacciati in un guaio madornale. -
MacBrian aggrottò le sopracciglia:
- Biancaneve? -
- Sì, Biancaneve cioè Alucard. Hai visto com'è ringiovanito dopo essersi succhiato quei due cavalli? Con quella pelle bianchissima e quei capelli nerissimi è tale a quale a Biancaneve, così ho deciso di cominciare a chiamarlo così da adesso in poi. -
Il militare era perplesso. Per quanto potesse sforzare la sua immaginazione, non riusciva a vedere la benchè minima somiglianza fra la principessa e il vampiro. Integra capì che se voleva dare alla sua vendetta un minimo di speranza, doveva accompagnarla ad un'esca che la rendesse appetibile così aggiunse:
- La prego, MacBrian, non dica a nessuno che ho ribattezzato così Alucard. Il mio vampiro si arrabbia da morire quando si sente chiamare a quel modo. -
Era una menzogna spudorata dato che la ragazzina non aveva ancora chiamato con quel soprannome il servo, quindi non poteva sapere quale sarebbe stata la reazione di Alucard. Per quel che ne sapeve, il nosferatu avrebbe potuto rispondere con una risata divertita. Il suo autista però non poteva conoscere quel particolare.
- Ah sì? - chiese quindi il militare, mentre un sorriso maligno si allargava sulla sua faccia.
La scoperta che il mostro che tanto irritava lui e i colleghi e a cui sembrava impossibile farla pagare se la prendesse tanto davanti a un nomignolo, mutò radicalmente l'atteggiamento dell'uomo verso quel "Biancaneve". Improvvisamente volle vedere la somiglianza fra il vampiro e la principessa delle fiabe e gli parve che a questo mondo non esistesse soprannome più azzeccato per il nosferatu.
- Non tema, Sir, non lo dirò a nessuno. - rispose meccanicamente il militare mentre in realtà già pensava di spifferarlo ai colleghi con cui andava maggiormente daccordo. Certo, comprendeva il rischio che questi a loro volta lo dicessero ad altri colleghi, che a loro volta l'avrebbero detto ad altri colleghi, fino a che tutta la caserma sarebbe stata informata di "Biancaneve" ma la voglia di farsi quattro risate alle spalle di quell'odioso vampiro, era più forte di qualsiasi prudenza.
Dodici anni di vita non sono molti per riuscire a comprendere fino in fondo l'animo umano ma guardando l'espressione dipinta sulla faccia di MacBrian, Integra sospettò che il suo piano fosse andato a buon fine.

Il vampiro era all'erta. Da un paio di giorni, qualcosa non andava. Le truppe umane dell'Hellsing sembravano aver perso tutto il loro livore nei suoi confronti ma quel che era peggio, è che il timore sembrava fosse stato sostituito dall'ilarità. Proprio così. Adesso, quando incrociava i loro sguardi, vedeva sul fondo delle loro pupille un'aria di divertimento che non prometteva nulla di buono.
Molto tempo prima, Alucard era stato un uomo di potere e sapeva per esperienza che ciò che fa realmente scricchiolare l'immagine di un capo sono le risate. L'odio, il disprezzo, il rancore non sono temibili quanto una risata sgangherata. E' nel momento in cui un comandante viene spogliato del timore che incute, che la sua forza comincia a vacillare pericolosamente. Per questo Vlad l'umano e Vlad il vampiro si erano sempre fatti un dovere di essere spietati verso chiunque li trattasse con ilarità.
Adesso però a guardarlo con aria sfottente erano le truppe della sua padrona e come poteva comportarsi spietatamente con le cose di proprietà di Integra? Non poteva orbare la sua signora di tutti i suoi uomini! Di più, gli negavano il diritto di massacrare anche soltanto una di quelle nullità per dare l'esempio al resto della truppa!
Il vampiro sospirò seccato.
Quella situazione andava risolta e al più presto anche!
Se solo avesse scoperto cos'è che faceva ridere tanto quegli individui spregevoli! Ma per quanto aguzzasse le orecchie e sgranasse gli occhi, ancora non era riuscito a capire l'origine della loro ilarità.    
Be', avrebbe continuato le sue indagini domani. Fra poco Integra sarebbe tornata a casa e adesso gli premeva solo di rivedere la sua master. Uscì dalla jeep in cui era rimasto rintanato tutto il giorno, per studiare senza dare troppo nell'occhio gli allenamenti delle truppe. Si stiracchiò, facendo scrocchiare le ossa delle giunture.
" Oggi è venerdì. Questo vuol dire che finalmente avrò la master tutta per me per due giorni. " pensò soddisfatto mentre con passo flemmatico si dirigeva verso la grande villa.
Giunto dentro Hellsing Manor, si mise alle calcagna di Walter per ammazzare il tempo, intralciando così il lavoro del maggiordomo. Nel suo costante tampinamento del pover'uomo in monocolo, Alucard continuava a buttare un'occhio a tutti gli orologi che incontrava per la villa e quando si rese conto che la master era ormai in ritardo di quasi un'ora, chiese:
- Ma quand'è che torna Integra? -
- Domenica pomeriggio. -
Il vampiro guardò il maggiordomo con aria costernata. Walter proseguì imperturbabile:
- Mi sono messo d'accordo con i genitori di una sua compagna di classe. Integra rimarrà a casa della sua amica fino a domenica pomeriggio. Le farà bene cambiare aria. -
- E a me non hai pensato?! - sbraitò il nosferatu - A me non farà bene rimanere senza la master per due giorni di fila! Come impiegherò questo tempo? -
Walter lo squadrò con disprezzo:
- Io, io, io...dalla tua bocca non esce altro che questa parola. Sei talmente impegnato a vedere le tue esigenze, da ignorare totalmente quelle altrui. Ti rendi conto che Integra ha solo dodici anni? E che da quando ti ha risvegliato, le è caduta sulle spalle una responsabilità grande come un macigno? Da quando sei a spasso per casa, la vita sociale della nostra padrona ha smesso di esistere. Non invita più gli amici ad Hellsing Manor...come potrebbe del resto, con un vampiro in circolazione? -
- Come sei malfidente nei miei confronti, Walter! Solo perchè sono un vampiro, non vuol dire che non conosca la buona creanza. So perfettamente che divorare gli ospiti della propria padrona è una scortesia e non mi azzarderei mai a mettere in imbarazzo Integra con le famiglie dei suoi amici, impedendole di riconsegnare i compagni ai rispettivi genitori! -
- Non dubito che non azzanneresti il collo di quei ragazzini ma saresti capacissimo di combinare altri generi di guai. Per questo è molto più salutare che nessun minorenne entri in questa casa. Ne consegue che l'unico modo per far svagare un po' Integra, consista nel mandarla dai suoi amici. -  
Alucard guardò Walter con un'aria da cane bastonato.
- Fattene una ragione. La tua master non tornerà prima quarantott'ore. Questo è quanto. Adesso togliti dai piedi e trovati qualcosa da fare. -
Il vampiro diede le spalle al maggiordomo, facendo per andarsene, poi ci ripensò e si girò nuovamente verso di lui, con una mano tesa.
- Cosa vuoi? L'elemosina? - chiese lo shinigami diffidente.
- No. Voglio Casull. - rispose Alucard deciso.
Walter guardò il vampiro con due occhi sgranati dallo stupore.
- Se la master rimarrà fuori di casa per due giorni, per lo meno ridammi la mia arma, così potrò divertirmi con lei. E' un mio diritto. Rivoglio Casull. -
Da quando Alucard si era risvegliato, più e più volte aveva tormentato l'angelo della morte chiedendo indietro la sua pistola. Walter era sempre riuscito a schivare la riconsegna dell'arma affermando che anche Casull, così come le uscite fuori da Hellsing Manor, andava conquistata con un comportamento civile. Stavolta però l'espressione seria e il tono grave con cui il vampiro aveva parlato, fecero capire al maggiordomo che non poteva continuare con il suo giochetto. Alucard esigeva indietro Casull. Non era disposto a farsi trattare come un bambino per l'ennesima volta.
Lo shinigami si trovava fra due fuochi: rifiutargli la pistola, voleva dire incorrere nelle ire del vampiro ma c'era da tremare al pensiero di cosa potesse fare Alucard con la sua arma.  
La situazione era grave.
- Dammi un'ora di tempo per meditare. - rispose infine Walter.

Il maggiordomo aveva subito contattato il capitano Ferguson.
- Non c'è nulla di cui preoccuparsi, mister Dorneaz. - l'aveva rassicurato il militare - Il vampiro può sfogarsi a sparare nel poligono di tiro, nelle fasce orarie in cui i miei uomini non vi accedono, essendo assorbiti da altri allenamenti. -
- Dobbiamo però assicurarci che quando Alucard sarà al poligono, questi diventi off-limits per le truppe dell'Organizzazione. Nessun militare deve entrarci, neanche per errore. Sappiamo che fra loro e Alucard non corre buon sangue e non oso pensare a cosa potrebbe scatenarsi, in seguito a un incontro tanto ravvicinato. -
Ferguson rilasciò allo shinigami gli orari in cui il poligono rimaneva vuoto, assicurandogli che si sarebbe immediatamente attivato affinchè i militari venissero messi al corrente di non entrarvi per nessuna ragione al di fuori dell'orario di allenamento.
Solo allora Walter si convinse a chiamare Alucard nel suo ufficio.
- Chiariamo i patti. Potrai usare Casull solo all'interno del poligono di tiro e solo in queste fasce orarie. - avvertì il maggiordomo in tono minaccioso, mettendo fra le dita del vampiro un foglio con annotate le suddette ore - Azzardati ad usare la pistola fuori dal poligono, o fuori da questi orari, e giuro che te la butto nel Tamigi. E' chiaro? -
- Limpido! -
Ciò detto, Walter si diresse verso uno dei tanti salotti di Hellsing Manor, tampinato dal nosferatu. Giunto nella saletta, spostò un quadro, dietro cui si trovava una cassaforte speciale, a prova di vampiro, essendo le sue pareti interne rivestite in lamina d'argento.
- Dunque è qui che l'avevate nascosta? Brutti figli di... -
L'occhiataccia che gli rivolse lo shinigami convinse Alucard a non terminare la frase.
Dalla cassaforte, Walter estrasse un'enorme scatola rivestita di velluto blu, che appoggiò su di un tavolino. Apertala, davanti agli occhi raggianti del non-morto apparve Casull in tutta la sua magnificenza, con due caricatori già pronti per l'uso.
- Non sono rimaste molte scorte di proiettili d'argento quindi vacci piano, dacci il tempo di rifornirci. Va bene? -
- Va benissimo. - bisbigliò Alucard con un sorriso estatico, gli occhi ancora rapiti dalla bellezza della sua arma.

Integra, a casa della sua amica, friggeva dall'ansia.
Walter le aveva raccomandato di pensare solo a divertirsi e rilassarsi ma la ragazzina non riusciva a svagarsi come desiderava. La sua mente tornava sempre alla Villa dov'era nata e dove adesso Alucard vagava in libertà. Cosa stava combinando in quel momento, il vampiro?
Walter non si era ancora fatto sentire. Come doveva interpretare quel silenzio? Era un segno positivo? Indicava che nulla di catastrofico stava accadendo? O si trattava invece di un segnale negativo? Forse il maggiordomo era talmente impegnato ad ammortizzare i danni causati dal vampiro, da non avere neanche il tempo di telefonarle? O forse si rifiutava di chiamarla per principio, essendo del parere che in quei due giorni la sua padrona dovesse esclusivamente pensare a se stessa?
" Ma come posso pensare a me stessa se non so cosa sta accadendo a casa? "
Infine Integra decise di risolvere ogni dubbio e ansia telefonando ad Hellsing Manor.
Ad ogni squillo del telefono, il suo cuore accellerava il battito dalla paura; perchè Walter impiegava tanto tempo a rispondere?
Finalmente, dall'altro capo del filo, udì il familiare:
- Organizzazione Hellsing, parla Walter C. Dorneaz. -
- Walter! Sono io! Stai bene? -
- Oh, Integra! - esclamò l'uomo con gioia - Non temete Sir, va tutto bene. Se ci dovessero essere guai, vi telefonerò ma state pur certa che non accadrà nulla di drammatico, quindi pensate solo a rilassarvi e divertirvi. -
- La fai semplice tu! Come posso stare tranquilla, con Alucard a spasso per casa? -
- Alucard non darà nessun fastidio, ve l'assicuro. Gli ho restituito Casull e adesso è intento a lustrarla e lucidarla. Conoscendolo, non farà altro fino a domattina. -
- Passamelo comunque. Non riesco a sentirmi del tutto tranquilla. -
Anche quella volta Integra dovette attendere al telefono per un bel pezzo perchè per Walter non fu facile convincere il vampiro a separarsi dalla sua appena ritrovata Casull per i pochi minuti necessari a salutare la master al telefono. Dopo quella che a Sir Hellsing parve un'eternità, finalmente sentì provenire dall'altro capo del filo un gioviale:
- Ciao master, come te la passi a Roma? -  
Integra rimase in allibito silenzio per qualche istante prima di rispondere:
- Non sono a Roma. Non sono in gita scolastica. Sono qui, a Londra, a casa di un'amica. -
- Copriti bene che a Parigi fa freddo. - rispose il vampiro e Integra comprese che il servo non aveva ascoltato neanche una parola di quanto aveva detto.
- Va bene, Alucard, mi coprirò. Tu però mi prometti di stare tranquillo e non devastare casa fino al mio ritorno? -
- Ma certo! Sarò docile come un agnellino! Tu pensa a portarmi un ricordino, va bene di tutto, anche una di quelle orrende bocce di vetro con la neve sintetica dentro. Sì, portami una boccia di vetro con dentro la torre di Pisa. Appena torni ti farò conoscere Casull. Adesso devo scappare, devo correre a farla bella, ha una così brutta cera, povera cara! E come non potrebbe averla, considerando che ha dormito anche lei per vent'anni? Ti passo Walter e tu stai attenta a dove metti i piedi che Venezia è piena d'acqua, si sa mai che caschi dentro un canale e affoghi. -
- Sì, Sir? - la voce di Walter era ridacchiante, evidentemente i dialoghi sconnessi del vampiro lo divertivano.
- Ma che gli prende? - domandò la ragazzina, costernata.
- Non sta più in sè dalla gioia, tutto qui. Un paio d'ore fa gli ho restituito Casull e da allora sembra perso nel suo mondo. State tranquilla, non accadrà niente durante la vostra assenza. Pensate solo a riposarvi. -
- Va bene. Buonanotte, Walter. -
- Buonanotte, Integra. -
Sir Hellsing mise giù la cornetta e solo allora si accorse di non aver chiesto al suo tutore chi o cosa fosse Casull.

" Casa dolce casa! " non potè fare a meno di pensare Integra quella domenica pomeriggio, appena varcato il cancello di Villa Hellsing.
Era stata bene dalla sua compagna ma non era riuscita a godersi quella breve vacanza come avrebbe voluto. Nel corso di quei due giorni, più volte il suo pensiero era tornato a casa propria, domandandosi con angoscia cosa stesse accadendo, se Alucard fosse tranquillo o stesse devastando la dimora degli avi. Per questo aveva accolto quasi con sollievo il ritorno alla magione, dove avrebbe potuto controllare il vampiro e impedirgli di fare guai.
Constatò con gioia che quanto le aveva detto per telefono Walter corrispondeva a verità: Hellsing Manor non riportava ulteriori danni, Alucard era stato veramente calmo durante la sua assenza.
Appena entrata nel vestibolo sentì un colpo sulla nuca, a metà strada fra uno schiaffo e una carezza. Voltandosi, trovò davanti a sè Alucard.
- Allora, master, mi hai portato qualcosa? -
Integra, massaggiandosi la parte colpita, si rese conto con stupore che quella era la prima volta in cui il servo la toccava volontariamente. Ebbe anche l'impressione che quello fosse uno dei gesti più affettuosi che il vampiro fosse disposto a concederle.
- No, non ti ho portato nulla e il motivo te l'ho già spiegato per telefono. Non ero in gita scolastica. -
Alucard però non sembrava nemmeno ascoltarla. Aveva lo sguardo eccitato, un sorriso radioso e la mente impegnata da tutt'altra parte. Afferrò la ragazzina per un polso e cominciando a trascinarsela appresso, annunciò:
- Devi conoscere Casull! Vedrai, ti piacerà. Non può non piacerti. Non si può non amare una bellezza sfolgorante come la sua, splendida come l'argento e bianca come la luna... -
Integra, che faticava a tenere il passo svelto del succhiasangue, cominciò a chiedersi con apprensione se questa Casull non fosse una vampira risvegliata durante la sua assenza da Walter o da Alucard.
E se avesse avuto un carattere ribelle quanto quello di Alucard? Dio del cielo, no! Era già difficile controllare Alucard, dominare due vampiri con una tempra del genere era al di fuori delle sue forze!
Il servo la trascinò in uno dei molti salotti di Villa Hellsing e dopo averla spinta su di una vetusta poltrona le diede le spalle, armeggiando con una scatola di velluto poggiata sul tavolinetto posto fra i divani. Quando si girò, il vampiro teneva adagiata sulle palme delle mani quella che nelle intenzioni del costruttore doveva essere una pistola ma che ad Integra sembrava un cannone portatile.
- Questa è Casull. - la presentò Alucard, la voce vagamente tremante per l'emozione.
Integra, se da un lato sospirò di sollievo rendendosi conto che Casull non era una vampira, dall'altro osservò il servo con preoccupazione. Tanta eccitazione per un'arma? Che qualche rotella del vampiro fosse andata fuori posto?
- Casull è la mia più fedele alleata. Non mi abbandona mai, è sempre al mio fianco, in ogni battaglia. - si sentì in dovere di spiegare il nosferatu e Sir Hellsing finalmente comprese quali sentimenti animassero il servo.
Alucard alzò gli occhi verso la master. Si aspettava un suo commento, era chiaro.
- E' molto bella. - concesse Integra, in tono imbarazzato. Era la prima volta in cui si trovava a tessere le lodi di un'arma e non sapeva bene da che parte cominciare.
Una delle sopracciglia di Alucard si aggrottò leggermente. Evidentemente, alle sue orecchie quel commento suonava freddo e superficiale, per nulla adatto al sublime oggetto che con tanta reverenza reggeva fra le mani. Casull meritava di meglio.
Sir Hellsing capì l'antifona. Chiamando a raccolta tutte le sue doti di attrice, rivolse sulla pistola uno sguardo ammirato e in tono entusiasta esclamò:
- Ma che dico bella? E' fantastica! Di più: è stupefacente! Magnifica! Sensazionale! Non ho mai visto una pistola tanto meravigliosa! Non ci sono parole per definirla. Sei molto fortunato a possederla! -
- Ya, lo penso anch'io! - rispose il vampiro guardando la sua arma con due occhi talmente innamorati che Integra fu tentata di domandargli se avesse intenzione di regalare a Casull una scatola di cioccolatini per San Valentino ma temendo di strafare, decise all'ultimo momento di rimanere zitta.

Nella settimana che seguì, Alucard non ebbe occhi che per la sua Casull. Trascorreva notti e dì a pulirla, ingrassarla, lucidarla e a farla allenare nel poligono dell'Organizzazione.
Per l'Ordine dei Cavalieri Protestanti, furono giorni di pace profonda.
Alucard, al pari di uno sposino in viaggio di nozze, sembrava vivere in un mondo tutto suo, gioiosamente estraniato da ciò che lo circondava. Anche per lui però giunse il momento di risvegliarsi dalla sua sbronza di felicità e una volta rimesso a fuoco il mondo che lo circondava, si accorse che qualcosa non quadrava.
Le truppe dell'Organizzazione continuavano a guardarlo con l'ilarità stampata sul fondo degli occhi ma quel che era peggio è che anche Walter e Integra cominciavano ad osservarlo così. Il vampiro non si era nemmeno accorto, durante la sua "luna di miele" con Casull, che il maggiordomo e la piccola Sir, fra di loro, avevano cominciato a chiamarlo Biancaneve. A dire il vero, anche adesso che era completamente tornato in sè, Alucard non aveva ancora avuto modo di udire il soprannome che gli era stato affibbiato. Tutto ciò di cui il nosferatu si rendeva conto era la diretta conseguenza del nomignolo inventato da Integra e fatto spargere fra tutti gli abitanti di Hellsing Manor: gli umani cominciavano a sottovalutarlo pericolosamente.
C'era un'unico modo per svelare il mistero così, quel pomeriggio, quando Integra rientrò da scuola, trovò ad attenderla nella sua stanza il servo, con un'aria torva dipinta in volto.
- Spiegami cosa succede. - disse laconico il vampiro.
Integra capì immediatamente a cosa si riferisse e pensò anche che non c'è gusto a montare una presa in giro se il diretto interessato non ne viene mai informato. La biondina giudicò fosse giunto il momento di mettere al corrente Alucard del nomignolo che gli era stato appioppato dall'intera Organizzazione.
Frugò fra le sue videocassette, prese "Biancaneve" di Walt Disney, col ritratto della principessa circondata dai nani e la mise in mano al servo. Indicando Biancaneve, chiese:
- Ti ricorda qualcuno? -
- Sì. Fior di Loto, una baldracca che conobbi al Soho. -
- A me sembra che somigli molto anche a te. - rispose la ragazzina con un sorriso maligno.
- A me?! - chiese il vampiro, costernato.
- Certo! Avete gli stessi colori! Pelle candida e capelli neri. -
Il vampiro guardò la videocassetta con espressione perplessa:
- Va bene, abbiamo gli stessi colori, come dici tu ma a parte questo, non vedo altre somiglianze. Lei ha l'aria tonta e io no. Lei ha gli occhi scuri e io rossi. Lei ha il viso tondo e io affilato. Lei ha le tette e io no... -
Sir Hellsing strappò la videocassetta dalle mani del servo con un gesto rabbioso.
- Invece le somigli più di quanto non credi! Non avrai l'aria tonta ma sei tonto qui dentro! - ruggì la ragazzina, toccandosi una tempia.
Era fuori dai gangheri. Sperava che Alucard sarebbe andato su tutte le furie e invece eccolo lì, tranquillo e serafico, apparentemente incapace di cogliere qualsiasi malizia.
Integra non riusciva a capacitarsi come fosse possibile che una persona intelligente come Alucard, in certi frangenti, sembrasse quasi un ingenuo.
La ragazzina afferrò i vestiti per casa e con passo marziale andò a chiudersi in bagno, per togliersi la divisa scolastica.

Alucard si ritirò nella sua segreta per meditare.
Assiso sul trono, con le mani incrociate, rifletteva su quanto gli aveva svelato la master e sinceramente non capiva il senso di quella presa in giro.
Era palese che fra lui e la versione tonta di Fior di Loto non esistesse nessuna somiglianza e allora dove stava lo sfottò?
" Umani! Chi li capisce è bravo! " pensò il vampiro.
Restava il fatto che Integra, Walter e le nullità che popolavano l'Organizzazione Hellsing, avevano deciso di credere nella somiglianza fra il nosferatu e la principessa delle fiabe ed era in virtù di questa convinzione che dai loro occhi era scemato il rispetto o il timore nei suoi confronti e questo, Alucard non poteva tollerarlo.
Nei giorni che seguirono, l'umore del vampiro diventò altamente irritabile. Il fatto che nel corso di ogni battibecco con la master o il maggiordomo, finisse sempre per sentirsi spiattellare sul muso un beffardo "Biancaneve!" non migliorò la situazione e arrivò il giorno in cui Walter, preoccupato, intimò ad Integra di non chiamare più a quel modo il vampiro.
- Alucard è come un vulcano sul punto di esplodere. - spiego l'uomo - Abbiamo tirato troppo la corda e adesso camminiamo sul filo del rasoio. Parlerò anche col capitano Ferguson, deve spiegare ai suoi uomini per quale motivo è consigliabile smettere di chiamarlo Biancaneve. -
In breve le truppe furono allertate ma gli uomini accolsero quell'ingiunzione con aria contrariata: irritare il vampiro era proprio il loro obbiettivo, perchè adesso che avevano ottenuto la loro vendetta dovevano piantarla con quel gioco tanto divertente? Ma com'era loro abitudine, eseguirono gli ordini.
Nessuno ordine era però in grado di cancellare dalle loro pupille il fondo di ilarità ormai depositatosi ed erano proprio quegli sguardi beffardi ad imbestialire Alucard, più di qualsiasi parola potesse uscire dalle loro bocche.
Trascorsero giorni di calma apparente in cui, in realtà, si poteva respirare dentro Hellsing Manor un'aria elettrica, come quando un temporale sta per avvicinarsi.
Integra usciva al mattino felice di andare a scuola perchè questo la liberava dall'ansia che percepiva dentro le mura domestiche ma una volta entrata in classe, la sua mente tornava alla villa.
Alucard ne stava combinando una delle sue? Walter era capace di tenergli testa? Assilata da quelle domande, non ascoltava le lezioni, perdeva il filo delle spiegazioni e finiva col chiedersi se non avrebbe fatto meglio a restare a casa.

Quella mattina il capitano Ferguson era assente e otto dei suoi uomini che ultimamente avevano ottenuto dei punteggi vergognosi nel tiro al piattello, decisero di recarsi al poligono per esercitarsi.
Uno di loro venne colto da uno scrupolo:
- Ma questo non è l'orario del vampiro? -
- Mancano solo dieci minuti alla fine del turno di Biancaneve. Se entriamo con un po' di anticipo, non vedo cosa può accadere di male. - rispose il più carismatico del gruppo.
I colleghi annuirono.
- Giusto! -
- Noi ci mettiamo nelle nostre postazioni, il mostro rimane nella sua e tutti quanti assieme spariamo contro delle sagome. -
- Cosa può esserci di pericoloso in tutto questo? -
Così, con la cieca fiducia di chi è convinto che dieci minuti non possano stravolgere un'esistenza, entrarono nel poligono.

Trovarono Alucard intento a sparare con foga.
Benchè la loro intenzione iniziale fosse quella di ignorare completamente il nosferatu, comportandosi come se non esistesse, mentre prendevano le cuffie per le orecchie gli otto uomini non poterono fare a meno di osservarlo in azione.
Colpo dopo colpo, il vampiro metteva a segno una sequenza di centri perfetti.
- Bisogna ammettere che è bravo! - esclamò con ammirazione lo scrupoloso del gruppo.
Uno dei suoi colleghi, lo stesso che settimane prima aveva sfidato Alucard dicendo " Tu che sfotti tanto, sei capace di tenere in mano una pistola? O sai solo usare quelle zanne da bestia che ti ritrovi? " ottenendo come unico risultato di finire ulteriormente sbeffeggiato dal vampiro, che aveva colpito il bersaglio senza usare il mirino, non potè trattenersi dal ringhiare:
- Macchè bravo! Tutti sarebbero capaci di ottenere gli stessi risultati, se avessero la vista di Biancaneve! -
I colleghi scoppiarono a ridere e Casull tacque di colpo.
Alucard si era trattenuto per tutti quei giorni, come un nuvolone temporalesco che grava nel cielo senza scaricare il nubifragio. Alla fine però giunge sempre il momento in cui le nubi, incapaci di trattenersi oltre, scatenano la tempesta.
Passi che lo chiamasse "Biancaneve" Integra. Passasse, anche se un po' meno, che lo chiamasse a quel modo Walter. Ma che si azzardassero a chiamarlo così quelle mezzeseghe, non poteva passare!
Alucard posò Casull sul ripiano della postazione di tiro, così da togliersi ogni tentazione di scaricare il caricatore su quegli imbecilli. Comprendeva che Integra e Walter si sarebbero molto arrabbiati se avesse ridotto quelle otto nullità ad un colapasta e non voleva correre il rischio di essere rimesso in letargo.
Dopodichè si girò verso gli otto militari. Dalle sue labbra non usciva una sola parola così che nessuno potesse raccontare in giro che era stato lui a iniziare la lite. Con gli occhi però si sentì libero di far comprendere a quegli otto gaglioffi tutto il disprezzo che nutriva per loro.
Il militare che aveva parlato, rassicurato dall'immobilità e dal silenzio del vampiro, imbaldanzito dal sapersi supportato da altri sette uomini che la pensavano come lui, cominciò a canzonarlo:
- Cos'è, ti sei offeso? Guarda che occhi cattivi! -
Il tono con cui parlò riuscì a far ridere nuovamente i colleghi. Il militare, galvanizzato, cominciò ad avvicinarsi ad Alucard, seguito dagli altri sette militari.
- Allora, principessa? Il gatto ti ha mangiato la lingua? Eri tanto spavaldo, giorni fa. Cos'è successo? Non sei più capace di replicare? Oh, povera Biancaneve offesa! -
Alucard guardò l'orologio appeso alle spalle dei militari. Mancavano due minuti alla fine del suo turno. Era stato apertamente provocato nel suo orario di esercitazione. Walter non avrebbe avuto motivazioni valide per arrabbiarsi con lui.  
- Povera, piccola, delicata Biancaneve! - continuò il militare, avvicinandosi al mostro passo passo.
Avanti, imbecille. Più vicino. Ancora più vicino. Vienimi sotto il naso, così non potrete raccontare che sono stato io ad avventarmi su di voi. Muovi il culo, dannazione, sennò arriverai di fronte a me quando i miei due minuti saranno scaduti!
Il militare si piantò a gambe larghe e con le mani sui fianchi davanti al nosferatu, ghignando:
- Tutta qui la pericolosità dell'arma segreta dell'Hellsing? -
Anche Alucard ghignò: finalmente l'aveva a tiro, a un minuto esatto dalla fine del suo turno.
Con una velocità che non diede agli astanti il tempo di reagire, afferrò con le mani la testa del militare e gli assestò una testata sul setto nasale.
L'uomo cadde a terra, urlando tutto il suo dolore per il naso rotto. Due commilitoni lo afferrarono, trascinandolo lontano da lì. Dei quattro rimasti, due si avventarono contro il nosferatu mentre altri due correvano fuori dal poligono di tiro, per chiamare a rinforzo tutti i militari presenti nella base.

La porta dell'aula si aprì e sulla soglia apparve la segretaria.
- Integra Farbrooke deve prepararsi e uscire immediatamente, sono venuti a prenderla. -

Ad attenderla nel piazzale antistante alla scuola c'erano la camionetta d'ordinanza e MacBrian, con il volto coperto di lividi.
- Cos'è successo? - chiese la ragazzina col cuore in gola, mentre saliva sul mezzo.
- Si può dire che a me non è successo nulla, solo qualche livido e pochi graffi. - rispose l'uomo, ingranando la marcia e partendo.
- A te non è accaduto nulla? Cosa vuol dire? Che ad altri è successo di peggio? -
- Be', ecco... - MacBrian esitava a parlare. Si sentiva responsabile di quanto era accaduto quel giorno. Integra l'aveva avvertito di non spargere in giro il nomignolo di Biancaneve, pena l'ira di Alucard. Lui era contravvenuto al segreto, ed ecco i risultati.
- Sir Integra...mi vergogno a dirlo ma...non sono rimasto zitto. Ho raccontato di Biancaneve a dei colleghi fidati, che a loro volta l'hanno raccontato a dei colleghi fidati e così via, finchè tutta la caserma non ha scoperto il soprannome che avete affibbiato al vampiro. Oggi alcuni di noi hanno incontrato il succhiasangue nel poligono di tiro. Voi sapete bene come fra noi e quel mostro non corra buon sangue, per tante ragioni. I miei colleghi non hanno resistito alla tentazione di dargli della Biancaneve e il vampiro...be', ha reagito. -
- Sono ancora vivi? - chiese Integra, la voce stridula per la paura.
- Oh sì, il vampiro non ha ucciso nessuno! -
La ragazzina respirò di sollievo.
- Non appena i colleghi dentro il poligono di tiro si sono resi conto che per loro le cose si stavano mettendo male, sono usciti per chiamare rinforzi. Oggi eravamo in trentasei a prestare servizio durante il turno del mattino. Appena avvisati di quello che stava accadendo, ci siamo riversati tutti e trentasei dentro al poligono. Non abbiamo resistito alla tentazione di vendicarci di quel mostro. -
L'uomo si interruppe prima di chiedere:
- Sir Integra, avete mai visto i film di Bud Spencer e Terence Hill? -
- Sì, ogni tanto. -
- Ecco, dentro quel poligono di tiro sembrava di essere in un film di Bud Spencer e Terence Hill. Per l'aria volava di tutto: pugni, denti rotti, calci, testate, sganassoni... Trentasei contro uno e quel figlio di...insomma, quel farabutto non si è fatto neanche un graffio mentre noi le abbiamo buscate di santa ragione. Da non credersi! -  
Integra rimuginò a lungo su quanto le aveva raccontato MacBrian. Aveva inventato il nomignolo di Biancaneve per vendicarsi della sfrontatezza del vampiro. Da questo punto di vista, la sua idea si era dimostrata grandiosa dato che quel soprannome imbestialiva Alucard come nient'altro al mondo. Non aveva tenuto conto però della tempra del non-morto. Passi che lo chiamasse a quel modo la master, ma sentirsi ingiuriare così dal resto dell'umanità non era offesa che potesse tollerare pacificamente.
Lo scherzo si era ritorto contro di lei.
- Non crucciatevi, MacBrian. Non è colpa vostra quanto è successo oggi. Ho sbagliato io. Non avrei dovuto dire ad anima viva di questo soprannome. -
Se da un lato il militare sentì un peso scivolargli giù dal cuore, dato che in tutte quelle ore non aveva fatto altro che tremare all'idea di essere considerato responsabile di quel pandemonio, dall'altro provò una pena istintiva per la ragazzina che gli sedeva di fianco a capo chino. Aveva solo dodici anni e già le toccava soppesare con cautela ogni parola che le usciva di bocca, pena causare un finimondo. Che peso gravava su quelle esili spallucce, da quando il vampiro era stato risvegliato!
Con una mano accarezzò la nuca della piccola, ricordandosi che la sua spensierata primogenita era coetanea della sua datrice di lavoro.
- Non crucciarti neanche tu, Integra. Pensa che tutto è finito per il meglio. -
Già, per stavolta era andata liscia, ma la prossima? Chi le assicurava che Alucard non avrebbe replicato la rissa, facendoci scappare anche il morto?
" Forse, se stamattina non fossi andata a scuola, tutto questo non sarebbe accaduto. Alle prime urla mi sarei precipitata al poligono e avrei ordinato ad Alucard di finirla, evitando così un sacco di feriti. Forse, se fossi rimasta a casa, tutto questo non sarebbe successo. "

Appena varcato il cancello di Hellsing Manor, agli occhi di Integra si presentò uno spettacolo caotico.
Le truppe addette al turno pomeridiano e notturno erano state allertate su quanto era accaduto e invitate a recarsi al più presto al lavoro, per sopperire ai colleghi feriti. Lo spiazzo antistante la caserma dell'Organizzazione Hellsing era un via vai di militari, alcuni dei quali crollavano dal sonno, che cercavano di comprendere a quale mansione dovessero dedicarsi in quel momento.
Due ambulanze erano parcheggiate davanti al portone spalancato della villa. Sir Hellsing vedeva medici e infermieri uscire di corsa dall'atrio di casa sua, cercare nell'ambulanza garze e medicamenti e tornare a passo svelto dentro la magione.
- Non angustiatevi. - si affrettò a tranquillizzarla MacBrian - I più gravi sono stati già portati via a sirene spiegate. I dottori hanno deciso di curare i feriti leggeri nella villa per evitare di intasare il pronto soccorso. -
Effettivamente, non appena messo piede dentro casa, Integra trovò una dozzina di militari contusi seduti nel grande vestibolo, intenti a farsi medicare dal personale sanitario.
" Sembra di vedere un film di guerra " pensò la biondina ma a fare da colonna sonora alla scena non si udiva una musica epica ma la voce di Walter che dal piano superiore sbraitava con quanto fiato aveva nei polmoni una sequela di minacce e insulti come mai la ragazzina ne aveva sentiti pronunciare al maggiordomo. Sir Hellsing si stupì nello scoprire che il suo compassato secondo padre conoscesse una tale sfilza di espressioni volgari.
" Decisamente, quest'uomo è una continua sorpresa! " si disse la dodicenne, salendo lo scalone di corsa.
Le voci provenivano dall'ufficio che era appartenuto a Sir Arthur e lì trovò lo shinigami, con gli occhi fuori dalle orbite e i tratti del viso sfigurati dall'ira. Seduto su una delle poltrone collocate davanti alla scrivania, il reo.
La scazzottata aveva giovato all'umore di Alucard. Gli aveva consentito di scaricare un po' dell'adrenalina accumulata in vent'anni di letargo e sul volto del vampiro si poteva vedere un'espressione soddisfatta e rilassata. Era appagato, in pace col mondo e accoglieva la sfuriata dell'ex-camerata in placido silenzio, fumando una sigaretta sgraffignata a chissà chi.   
- Scusa Principessa se ti ho fatta tornare da scuola con tanto anticipo ma l'urgenza della situazione lo richiedeva. - disse Walter non appena vide Integra entrare nella stanza.  
- MacBrian mi ha accennato alla rissa nel poligono. Qual'è la situazione, Walter? -
Gli occhi del maggiordomo tornarono a posarsi con espressione furiosa sul vampiro mentre enumerava:
- Dieci uomini feriti in modo leggero. Quindici con contusioni di media gravità. Undici feriti in modo grave, di cui cinque con fratture alle ossa, quattro con i denti rotti e un uomo castrato. -
Alucard si stiracchiò e terminò il gesto incrociando le mani dietro alla nuca. Ad Integra ricordò un innocuo gattone in procinto di fare le fusa. Con la sua espressione beata, il vampiro rispose:
- Non l'ho castrato. Non ho usato così tanta forza. -
- Questo saranno i medici a stabilirlo, appena terminata l'operazione. Spera che veramente tu non gli abbia fatto così tanto male! Se quell'uomo si ritrovasse sterilizzato, denuncerebbe l'Ordine dei Cavalieri Protestanti. Se l'Organizzazione Hellsing dovesse finire in mutande per risarcire quel militare, io....io...io ti impalo! -
Le sopracciglia di Alucard si inarcarono, stupite. Evidentemente era la prima volta che qualcuno lo minacciava di usargli un simile trattamento.
Il telefono squillò e Walter afferrò con foga la cornetta:
- Organizzazione Hellsing. Sì, sono io. - il maggiordomo rimase in ascolto con un'espressione ansiosa dipinta in volto che contagiò anche Integra. Quasi subito però i tratti dell'uomo si rilassarono e in tono sereno concluse:
 - Sì...va bene...grazie per avermi avvertito. -
Deposto il ricevitore, spiegò:
- Una chiamata dall'ospedale. L'operazione è terminata, il militare sta bene e manterrà intatte tutte le sue funzioni. -
- L'avevo detto io che non gli avevo fatto così male! - sbadigliò Alucard.
Bastarono quelle poche parole a far svanire la calma di Walter che come una furia si rivolse al nosferatu:
- Sparisci immediatamente dalla mia vista, sanguisuga! Torna nella tua ammuffita catacomba e rimanici finchè non ti autorizzeremo ad uscirne! -
Il vampiro non obbiettò. Tutta la confusione che regnava in quel momento all'interno dell'Organizzazione Hellsing lo infastidiva alquanto e accettò di buon grado di ritirarsi nella segreta. Integra lo vide andarsene con passo flemmatico, lasciandosi dietro la scia di fumo della sigaretta.
Quando il non-morto non fu più a portata d'occhi e orecchie, Walter si accasciò sulla sedia. Appoggiandosi con i gomiti sulla scrivania, nascose il viso fra le mani e Integra vide le sue spalle sussultare, come se stesse piangendo. Sir Hellsing sentì tremare la terra sotto i piedi. Il suo secondo padre piangeva? No, impossibile!
Sempre col volto nascosto fra le mani, Walter cominciò a scuotere la testa lentamente e in tono disperato esclamò:
- Guai! Guai! Da quando si è risvegliato, non ha fatto altro che causare guai! Non ce la faccio più! Non ce la faccio veramente più! -
Integra, impressionata, si avvicinò al maggiordomo e con un braccio gli cinse le spalle:
- Non fare così! Prima o poi si calmerà. Me l'hai detto anche tu che quando era sotto gli ordini di mio padre, si comportava più tranquillamente di adesso. -
Walter ricambiò quel gesto affettuoso cingendo la ragazzina per la vita e stringendola a sè. La sua disperazione però rimase viva e palpitante:
- Sì, prima o poi si calmerà...ma quando? Quando si profilerà all'orizzonte un mostro contro cui possiamo scagliarlo, su cui possa sfogare tutti i suoi sadici istinti? Fra un mese? Fra sei mesi? Fra un anno? E chi lo reggerà, fino ad allora? Quali disastri può combinare, da qui a una settimana? Quel lestofante si è risvegliato da tre mesi e guarda quanti guai ha combinato! Siamo stati denunciati da due postini e dai nostri tre ex-giardinieri sfuggiti per un pelo alle fauci del segugio infernale. Fra non molto, giungeranno le convocazioni dal tribunale. Dobbiamo risarcire quasi centomila sterline di danni all'allevamento di cavalli da corsa e agli agricoltori che hanno perso il raccolto. Ci ha fatto perdere tutto il personale domestico e ha orbato le nostre truppe di trentasei elementi che adesso necessiteranno di una convalescenza per riprendersi. Cos'altro può accadere? Ho paura di scoprirlo. E ho anche paura di morire fulminato da un infarto, se continuerà così. La mia pressione arteriosa è alle stelle, non l'ho mai avuta così alta! -
La disperazione dipinta sul volto dello shinigami era autentica. Integra cominciò a ragionare febbrilmente. Doveva trovare una soluzione. In fondo, era stata lei la causa dell'ultima mattana di Alucard e sentiva la responsabilità di risolvere la situazione. Sì, ma come?
La ragazzina sospirò, seccata. Pensare che all'origine di tutto c'era stata solo un'idea apparentemente assurda, quella di chiamare Biancaneve un vampiro orgoglioso. Il suo non era stato nient'altro che un bluff, un azzardo apparentemente senza speranza.
E se anche la soluzione di quel pasticcio potesse stare in un azzardo apparentemente senza speranza? In fondo, provare non le costava niente.
- Non disperare, Walter. Non dico che riuscirò a convincere Alucard a fare il bravo bambino per il resto dell'esistenza ma forse riuscirò a farlo stare tranquillo per lo meno per qualche settimana. Sarà pur sempre un'oasi di pace in questo marasma. -

Integra improvvisò il suo piano mentre con passo lento procedeva lungo corridoi e scale, scendendo nella segreta di Alucard.
Per le truppe umane dell'Hellsing, quella rissa metteva la parola "fine" a qualsiasi tentativo di rivalsa sul succhiasangue. Per quanto potessero odiarlo, nessuno si sarebbe più azzardato a chiamarlo Biancaneve, o a mancargli di rispetto in qualsiasi altro modo. Trentasei feriti, e uno per un pelo non ci aveva rimesso i genitali, contro un non-morto che non si era fatto nemmeno un graffio. Solo un pazzo avrebbe ritentato di provocare Alucard.
Ma il diretto interessato, cioè Alucard, si era reso conto di quanto terrore era riuscito a incutere con quel risultato? Che gli umani fossero deboli, ovviamente lo sapeva ma dopo un letargo di vent'anni, forse non ricordava fino a che punto potessero esserlo. Certo, prima o poi gli eventi della vita gli avrebbero rinfrescato la memoria su quanto la sua ex-specie fosse vulnerabile, ma Integra ci teneva a rimandare quella riscoperta il più tardi possibile. Soprattutto, ci teneva che la rissa di quella mattina apparisse agli occhi del nosferatu come una bagatella senza importanza. Tutto il suo bluff si reggeva su questa errata percezione.
Giunta davanti alla porta della "stanza" di Alucard, Integra sospirò. Cominciava la partita. Avrebbe vinto?
Spinto il portellone, ai suoi occhi apparve un ambiente strano. Era la prima volta che entrava nel covo del servo e osservò incuriosita la fila di deboli luci che contornavano la sommità delle pareti della grande sala oscura. Inizialmente pensò dovessero trattarsi di finestrelle che si affacciavano sul giardino, poi però si rese conto che la loro disposizione non combaciava con il perimetro esterno delle mura della villa. Che si trattasse di lampade? Doveva ricordarsi di chiedere a Walter.
Quella debole luminescenza, così come le lampadine accese nel corridoio dello scantinato, le permisero di vedere un trono di legno e un basso tavolinetto collocati a pochi metri dalla porta d'ingresso. Assiso sul trono, Alucard stava spegnendo la cicca della sigaretta sul bracciolo.
- Ehilà, master! - salutò gioviale.
La ragazzina si avvicinò di qualche passo:
- Ti sei divertito oggi, eh? - chiese con aria complice.
- Eh, una scazzottata ogni tanto ci vuole, tira su il morale. - annuì il vampiro.
Sir Hellsing decise di cominciare il suo azzardo. In tono irritato, disse:
- Forse non dovrei parlare così...temo di mancare di rispetto a Walter. Però...oh, insomma, devo pur sfogarmi con qualcuno! -
La ragazzina alzò uno sguardo arrabbiato sul volto incuriosito di Alucard:
- Ti pare giusto che se la sia presa tanto per una banale rissa? Insomma, mi ha fatto tornare da scuola in fretta e furia per cosa? Mentre tornavo a casa avevo il cuore in gola, temevo fosse accaduto chissà quale cataclisma! E invece appena metto piede in casa cosa trovo? Una trentina di idioti con qualche livido e delle sbucciature! E' palese che abbiano esagerato il loro malessere, così potranno prendere qualche giorno di malattia con cui rimanere a casa a poltrire! -
- Lo dico anch'io! - esclamò convinto il vampiro, contento che la sua master non fosse scesa per sgridarlo ma anzi la pensasse esattamente come lui - Mi ha ricoperto d'insulti, a sentir lui sono un criminale meritevole della forca. E che avrò fatto mai! Per qualche pugno, qualche testata e una strizzatina di palle! -
Integra rispose con foga:
- Bisognava sgridare i militari che hanno partecipato alla rissa, dannazione! E rimandarli subito al lavoro, invece di chiamare dottori e ambulanze! Con il trattamento di favore che gli ha riservato Walter, è facile immaginare cosa accadrà. Anche il resto delle truppe dell'Organizzazione si metteranno d'accordo per imbastire una rissa con te e poi avere la scusa per rimanere qualche giorno a casa per curare pochi graffi. Accidenti! Mi sembra di impazzire dalla rabbia! Com'è possibile che un uomo assennato come Walter si sia lasciato fregare a questo modo? -
Il furore di Integra era tanto e tale che Alucard si sentì in dovere di difendere l'ex-camerata:
- Che ci vuoi fare, è l'età. Ormai il cervello dello shinigami comincia a perdere colpi, bisogna essere comprensivi con lui. Certo, indubbiamente se l'è presa a morte per una sciocchezza. Ho pestato quegli stupidi in modo talmente leggero che mi sembrava quasi di fargli le carezze. Però non devi essere troppo dura con quel povero vecchio, Integra. -  
In quel momento, Sir Hellsing dava le spalle al vampiro, così Alucard non potè vedere l'espressione di sollievo che si dipinse sul viso della ragazzina. Era andata! Il servo era sinceramente convinto di non aver combinato nulla di sconvolgente. Adesso bisognava solo portare a termine la recita. Riassumendo un'aria impassibile, Integra tornò a girarsi verso il vampiro:
- A proposito, si può sapere perchè vi siete picchiati? Non credo proprio che ti avranno detto "Ti prego, dacci un pugno, così eviteremo di venire al lavoro per qualche giorno". -
Le sopracciglia del nosferatu si aggrottarono:
- Te lo devo dire, master. Sei stata di una leggerezza imperdonabile nello spargere in giro la voce che somiglio a Biancaneve. -
- Oh, andiamo Alucard! - rise la ragazzina, fingendo di non credere ad una sola parola - Non venirmi a dire che un vampiro grande e grosso come te se la prende a male se qualcuno lo chiama Biancaneve. Non sei un po' troppo vecchio per offenderti di fronte a queste sciocchezze? -
- I tuoi uomini non sono un po' troppo vecchi per divertirsi a sfottermi con queste idiozie da scuola media? Il punto non è cosa mi dicono. E' la sfrontatezza che li anima quando parlano, ad irritarmi. Pur con tutta la loro preparazione, in confronto alla mia esperienza sono dei miserabili pivelli. Potrei divorarli tutti nel giro di mezza mattinata. Dovrebbero leccarmi le scarpe in segno di ringraziamento, perchè consento loro di vivere. E invece osano deridermi! Se fossero delle nullità qualsiasi, non sarebbe un problema perchè gli farei fare alla svelta la fine di tuo nonno. Ma questi sono schiavi di tua proprietà e come posso divorare a cuor leggero le cose che appartengono alla mia padrona? Per quanto mi irritino, devo trattenermi e dato che sono degli sciocchi, s'illudono che non faccio loro del male perchè m'incutono timore o rispetto. Timore! A me! Loro! Capisci adesso la gravità della situazione? -    
Integra finse di meditare brevemente sulla questione prima di rispondere:
- Se le cose stanno così, allora vuol dire che come ti ho cacciato nei guai, così te ne tirerò fuori. Ordinerò ai miei uomini di non mancarti ancora di rispetto. Di più, spiegherò a questi stupidi che devono ringraziarti se sono ancora vivi a dispetto del loro atteggiamento. -
Ad Alucard, la frase della sua master non sembrò una spacconata gratuita. La sua esistenza umana era trascorsa in un'epoca in cui anche dei bambini potevano salire sul trono. E' vero, fra i vassalli che si inchinavano davanti a questi ragazzini, giurando loro eterna fedeltà, erano in molti a tenersi pronti a passare armi e bagagli sotto le insegne di un nuovo monarca, un uomo adulto e forte che senza fatica avrebbe strappato la corona a quel pulcino. Ma c'erano anche vassalli decisi a onorare il giuramento, pensando che da quel bambino sarebbe scaturito un grande condottiero, o per fedeltà alla casata a cui apparteneva. Per questa ragione ad Alucard non sembrò assurda l'idea che una ragazzetta potesse ordinare a delle truppe militari di smetterla di sfotterlo. Ai suoi occhi, Integra era la giovanissima regina di Hellsing Manor. Gli sembrava perfettamente ovvio che gli uomini sotto il suo comando le avrebbero ubbidito ciecamente.
- In cambio però ti chiedo un favore. Va bene che oggi Walter ha esagerato però considera che in queste ultime settimane sei stato veramente indisponente e probabilmente mister Dorneaz ha reagito così proprio perchè gli hai logorato i nervi. Quindi da ora in poi dovrai rigare dritto. Farai tutto quello che io e Walter ti diremo, senza sbuffare o disubbidire. Anche se un comando ti apparirà come assurdo o privo di importanza, obbedirai comunque. E' chiaro? Se infrangi la promessa, autorizzo i miei uomini a ricominciare a chiamarti Biancaneve. -
Il vampiro annuì:
- Va bene. Accetto il patto. -

A dispetto di quel che credeva Alucard, Integra non poteva rivolgersi a degli adulti con cipiglio autoritario così chiese aiuto a Walter e al capitano Ferguson. Insieme, i due uomini e la ragazzina buttarono giù un discorso che non urtasse le truppe e che al contempo desse al vampiro l'illusione che la sua padrona aveva assolto alla promessa. Sir Hellsing lo imparò a memoria e quando si sentì pronta, Ferguson radunò gli uomini presenti alla base nello spiazzo delle esercitazioni. Integra si arrampicò sul cofano di una camionetta e da lassù osservò con una punta di disagio quegli uomini in piedi davanti a lei che attendevano silenziosamente di sentirla parlare. Era la prima volta che parlava davanti ad un pubblico tanto vasto ma a dispetto dell'imbarazzo, la voce le uscì alta e forte dal petto:  
- Ho solo dodici anni mentre voi siete degli adulti che ne sanno molto più di me della vita e per questo motivo, non mi azzarderei mai a darvi dei consigli, in nessun ambito. Ma per quel che riguarda la gestione del vampiro Alucard, è diverso. Conosco bene il mio mostro domestico, quindi vi prego di ascoltare i miei consigli. So che si è sparsa la voce che quando mi fa arrabbiare, lo chiamo Biancaneve, per farlo irritare a mia volta. Io però sono la sua padrona e per quanto possa farlo infuriare, Alucard non si azzarderebbe mai a farmi del male. Ma voi, per lui, non siete nessuno. Stamattina avete potuto constatare in quale modo Alucard tratti i "signor Nessuno" quando si sente offeso e credo che nessuno di noi voglia replicare quanto è successo oggi e per questo vi prego di ascoltarmi. Da questo preciso momento, per rispetto nei confronti di chi si è fatto male in questa rissa, cesserò di chiamare il mio nosferatu Biancaneve. Anche voi però non dovete più utilizzare quella parola. Neanche quando siete da soli o meglio, neanche quando credete di essere da soli. I vampiri possono diventare invisibili, lo sapete bene, correte il rischio che Alucard in realtà sia vicino a voi e vi ascolti. E se si sentisse offeso, potrebbe replicare ciò che ha fatto stamattina. -
I militari annuirono. No, nessuno di loro desiderava ritrovarsi invischiato in una rissa come quella. Sì, la parola "Biancaneve" sarebbe sparita dal loro vocabolario quel giorno stesso. Integra proseguì:
- So che Alucard è difficile da sopportare. Tutto ciò che posso dire è di sforzarvi di ignorarlo. Non rispondete alle sue provocazioni. Ignoratelo, come solitamente lui ignora voi. Io, dal canto mio, farò quanto mi è possibile per vietargli di darvi ancora fastidio. -
Sul volto di quegli uomini apparve un'espressione di sollievo. Forse, se Integra Hellsing si fosse messa d'impegno, la loro esistenza sarebbe tornata quella tranquilla di prima. La piccola Sir che si preoccupava di consigliarli, parlando col giusto tono, acquistò molti punti nella stima delle sue truppe.

Integra e Walter, esausti, erano seduti sul divano, guardando imbambolati la parete di fronte a loro. Era sera, erano finalmente giunti al termine di quella giornata caotica e tutto sembrava essersi risolto per il meglio.
I feriti erano stati messi in convalescenza, nessuno di loro sembrava rischiare gravemente la salute e non potevano neanche rivalersi contro l'Organizzazione chiedendo un risarcimento economico dato che, incredibile a dirsi, erano loro e non Alucard ad essere nel torto, avendo infranto tutti i regolamenti impartiti da Ferguson.
Il resto della truppa aveva organizzato nuovi turni di lavoro con cui sopperire ai colleghi assenti, permettendo all'Ordine dei Cavalieri Protestanti di proseguire nelle sue attività.
Ambulanze, dottori e infermieri erano andati via, in casa regnava il silenzio e tutto ciò che si sentiva era il trillo del forno a microonde della cucina, segno che Alucard stava scaldandosi una porzione di sangue.
- Non credo di riuscire a recuperare sufficiente energia per andare a scuola, da qui a domattina. - disse Integra in tono atono, sempre fissando il vuoto davanti a sè.
- E io non credo di riuscire a recuperare sufficiente energia per accompagnarti a scuola, da qui a domattina. Resterai a casa, ti scriverò la giustificazione. - rispose il maggiordomo nello stesso tono.  
Con gesti affaticati, Walter si tolse il monocolo, passandosi poi le mani sul viso:
- Be', per oggi è finita, per fortuna. -
- Non è ancora del tutto finita. Dobbiamo uscire a fare la spesa. -
Walter guardò la sua protetta con stupore. Spesa?
- Ma no, Sir. Abbiamo da mangiare in casa. -
- No, Walter, non hai capito: dobbiamo assolutamente uscire a fare la spesa! -
Il tono con cui la ragazzina pronunciò quelle parole, e lo sguardo con cui le accompagnò, fecero comprendere al maggiordomo che la discussione andava continuata fuori dal perimetro di Hellsing Manor, lontano dalle orecchie di Alucard.
- E lasciamo quella zanzara troppo cresciuta qui, in casa, da solo? - chiese allarmato Walter.
- Non temere, per stasera rispetterà il patto che abbiamo stipulato nella sua segreta. - poi, girandosi verso la porta, chiamò - Alucard! -
Il vampiro arrivò col suo comodo, a passo lento.
- Io e Walter usciamo a fare la spesa. Tu aspetta seduto sul divano fino al nostro ritorno, è chiaro? Non muovere un dito finchè non torniamo. Se ti annoi, guarda la televisione, ma voglio ritrovarti seduto qui! -
- Va bene, master. Buona spesa. -
Maggiordomo e ragazzina andarono a prendere la macchina in garage. Il vampiro udì il cancello d'ingresso aprirsi, richiudersi, l'automobile allontanarsi nell'oscurità della sera. Accese la televisione e cominciò a fare zapping. Cercava qualche programma gradevole, che mostrasse morti, sangue e sofferenze a piene mani ma non riusciva a trovarne. Maledetta fascia protetta!
Fra un cambiamento di canale e l'altro, una frase colpì le sue orecchie:
- ...il Conte Dracula... -
Tornò indietro di un paio di canali e trovò il film incriminato. Una pellicola degli anni '70, dai colori sbiaditi e con gli attori sommersi da vaporose acconciature. Alucard rimase in paziente attesa, curioso di vedere come avrebbero interpretato il Conte Dracula. Dovette aspettare un bel pezzo perchè al regista sembrava più importante mostrare il duetto amoroso fra il protagonista e la protagonista, che si aggiravano per un lugubre cimitero armati di una debole torcia e di una pala. Finalmente, mentre il vampiro stava cominciando a sbadigliare di noia, il Conte entrò in scena. Era un tizio di mezz'età, con i capelli impomatati di brillantina, gli occhi iniettati di sangue e una solenne espressione da mummia stampata su una faccia sostanzialmente anonima.
Alucard scoppiò in una risata sprezzante.
- Io sono molto più figo! - esclamò con sicurezza.
Ciò detto, cambiò canale.
 
Walter guidava verso il più vicino supermercato e intanto ascoltava le parole della giovane padrona.
- A parte l'aglio, cos'è che i vampiri non sopportano? -
Il maggiordomo rispose con la fronte aggrottata:
- L'acqua in generale e l'acqua benedetta in particolare. Le croci. Le sorbe. Le rose selvatiche... -
- Appunto! Le rose! Il modo con cui ho agito oggi terrà buono Alucard per un certo tempo, dopodichè tornerà a dare in escandescenze. Dobbiamo prepararci per quel momento. E' inutile avvelenargli con l'aglio anche il prossimo carico di sangue. E' una minaccia che gli abbiamo rivolto fin troppe volte, ormai è psicologicamente preparato ad affrontarla, ragion per cui non si sentirebbe urtato più di tanto se passassimo dalle parole ai fatti. Perchè una punizione faccia effetto con lui, dev'essere inaspettata. Così ho pensato: facciamo incetta di detersivi, bagnoschiuma e altri prodotti al profumo di rosa. Nascondiamoli in qualche posto dove siamo sicuri che Alucard non andrà mai a guardare, come la dispensa in cui conserviamo le bottiglie d'acqua, la frutta e la verdura e appena sgarra, appesteremo la sua cuccia con l'essenza di rosa! -
Il maggiordomo sorrise malignamente. L'idea di incutere sofferenza al vampiro lo estasiava.
- Mia signora, siete veramente la degna figlia di vostro padre! -

Il commesso dell'emporio vide presentarsi al bancone un signore di mezz'età e una ragazzina, entrambi con lo sguardo spiritato.
- Avete prodotti all'essenza di rosa? - chiese l'uomo ansiosamente - Saponette, detersivo per il bucato, per i piatti, i pavimenti, bustine per profumare gli armadi e via dicendo? -
Il commesso era un giovanotto dall'età indefinibile fra i venti e i trent'anni, lento di riflessi e placido di carattere.
Prima pensò a soddisfare la sua curiosità personale scrutando da cima a fondo quella coppia tanto strana, poi mise in moto il cervello e dopo quella che ai suoi clienti parve un'eternità, pacatamente rispose:
- Sì...ho qualcosa alla rosa. Dunque...se andate nel reparto di igiene intima, troverete un bel po' di cose interessanti: saponette, bagnoschiuma, shampoo, profumi e anche tutti quei prodotti che si usano per togliere i cattivi odori dal cesso...scusate, dalla tazza...o si dice gabinetto? Oh, be', penso abbiate capito di cosa sto parlando. -
Integra afferrò un carrello e si diresse di gran carriera verso il reparto sopracitato, per far man bassa di quanto era stato elencato.
- A parte questo, avete anche detersivi, prodotti per la casa? - chiese Walter febbrilmente.
- Devo scendere in magazzino a controllare. Se potete pazientare cinque minuti... -
Ciò che il commesso definiva "cinque minuti", veniva solitamente chiamato da Walter e Integra "mezz'ora". Il maggiordomo e la sua pupilla, nell'attesa che il giovane tornasse, passarono e ripassarono più volte fra gli scaffali, controllando se non ci fossero altri prodotti all'essenza di rosa sfuggiti ad una prima occhiata. Fu così che riempirono un secondo carrello di confezioni di fazzoletti, cartaigienica e scottex, lacca per capelli, creme di bellezza, fialette per la preparazione di dolci, salviette, prodotti per la depilazione e altri strani oggetti di cui non avevano mai sospettato l'esistenza. Erano certi che molti di quei prodotti non li avrebbero mai usati, nè per se stessi nè per la casa, ma li riponevano comunqe nel carrello, fiduciosi di riuscire ad usarli in qualche modo contro Alucard.
Finalmente il giovanotto tornò, a mani vuote e con un sorriso soddisfatto, annunciando:
- Siete fortunati. In magazzino ho ancora delle scorte di ciò che mi avete chiesto: detersivi, solventi, spray e smacchiatori di ogni tipo alla rosa. -
Integra e Walter guardarono il commesso sorridente in silenzio.
Poi si scambiarono un'occhiata.
Infine tornarono a guardare il commesso.
Finalmente Walter trovò il coraggio di chiedere:
- Perchè è tornato su a mani vuote, allora? -
Sul volto del giovane si dipinse un'espressione costernata:
- Oh, bella! Sono molte scatole! Non pretenderà che le porti su tutte a mano? -
Il commesso rientrava in quella categoria di persone talmente sicure di sè, nella loro pacata ottusità, da riuscire ad instillare nell'interlocutore il dubbio che sia lui ad essere nel torto.
Anche il maggiordomo e la piccola Lady rimasero incerti per qualche istante, domandandosi se effettivamente non fossero stati troppo pretenziosi nei confronti di quel povero giovanotto. Fu questione di pochi secondi però, giusto il tempo perchè Walter si riscuotesse per affermare con decisione:
- Potevate scendere con un carrello, infilarci dentro le scatole e portarle su! -
La sottigliezza di quel ragionamento ammutolì il commesso dallo stupore. Il giovane si massaggiò a lungo il mento, la fronte aggrottata nello sforzo di ragionare. Infine, col suo tono lento, rispose:
- Sì. Presumo avrei potuto farlo. - rialzando la testa aggiunse - Quante scatole avete detto che vi servono? -
- Non l'abbiamo detto - rispose Walter, respirando a fondo. Sentiva crescere in sè la voglia di fare a fettine quell'imbecille con la sua corda della morte e faticava a dominarsi - Facciamo così. Dato che a noi servono tutte le confezioni che avete in magazzino, scenderò con voi per aiutarvi a prenderle. In due lavoreremo più celermente, non le pare? -
Il giovanotto annuì, sorridendo con aria accondiscendente, come se ciò che stava concedendo a quel cliente, cioè la possibilità di ammirarlo nello svolgimento delle sue mansioni, fosse un grande onore. Non lo sfiorava l'idea che l'uomo in monocolo temesse che a lasciare fare tutto a lui, corresse il rischio di schiacciare ore di attesa per vedersi magari consegnare la confezione sbagliata, all'essenza di limone anzichè di rosa.
Ovviamente, una volta scesi in magazzino, il 90% del lavoro venne svolto da Walter. Nel tempo che il commesso impiegava per prendere una scatola, il maggiordomo ne aveva già riposte cinque nel carrello.
- Quanta fretta! Devi correre a prendere il treno? - rise il giovanotto.
- No. Ho promesso a mia moglie che sarei andato a riprenderla dalla casa del suo amante entro le undici di sera. - rispose acidamente il maggiordomo.
Ovviamente il commesso non comprese la battuta e guardò l'uomo in monocolo come se fosse un pervertito.

Walter e Integra caricarono la spesa sulla macchina. Rabbrividivano al pensiero di dover mettere a posto quelle carrellate di mercanzia non appena giunti a casa. Forse, se tutto andava bene, avrebbero terminato il loro lavoro entro mezzanotte.
Fra le mani di Walter capitò una scatola di sigari.
- E questa? Come ha fatto a capitare qui in mezzo? - esclamò stupito.
- L'ho comprata per Alucard, così smetterà di rubare i sigari dalla tua camera. - mentì prontamente Integra.
Il maggiordomo annuì: la motivazione gli sembrava più che valida. Talmente stanco era il pover'uomo che nemmeno si accorse che la scatola di sigari, anzichè finire nella segreta di Alucard, venne nascosta da Integra nel cestone di giocattoli che giaceva inutilizzato ormai da un anno in un angolo della sua camera, l'unico luogo in cui, la ragazzina ne era sicura, il suo tutore non metteva mai le mani. Lì i suoi sigari sarebbero stati al sicuro.

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Capitolo 7
*** Certi suoceri sono più pericolosi di altri ***


SCUSATE IL RITARDO! Ho avuto il computer guasto per una decina di giorni nonchè varie beghe personali da risolvere e questo ha influito sulla stesura del capitolo.
1) Ho scordato di aggiungere come nota finale nello scorso capitolo che la conta dei feriti, culminante in "un uomo castrato", è un omaggio al film "Lo chiamavano Trinità" :)
2) Non m'intendo di anatomia vampirica ma le poche informazioni in mio possesso mi sembrano contrastanti fra di loro. I vampiri non potrebbero procreare ma esiste la figura del dampyr. I vampiri non respirano ma allora non dovrebbero neppure parlare, visto che l'articolazione dei suoni si basa sull'inspirazione ed espirazione. E l'elenco delle incoerenze potrebbe continuare. Anche Stoker, del resto, non si lasciava mancare nulla in fatto di contraddizioni: ha descritto il Conte come un essere gelido, ripugnante e dagli occhi rossi, mentre le sue spose-vampire erano calde, seducenti e con gli occhi dai colori umani. Ho deciso così di crearmi una mia personale "fisiologia vampirica", che sia coerente (o almeno, spero di riuscire a renderla tale XD) con questa storia, e spero che non contrasti troppo neanche col lavoro originale di Hirano. Mi scuso quindi anticipatamente con i lettori ligi alle idee tradizionali sui vampiri per le libertà che mi sono concessa. ^^
3) Secondo la sezione italiana di Wikipedia, uno dei figli di Vlad III, Mircea, alla morte del genitore mutò il suo patronimico in Stanciu, così da tenersi fuori dagli intrighi dinastici. La famiglia Stanciu sarebbe vissuta all'ombra del potere politico fino alla fine della dittatura di Ciausescu. Dubito che questa notizia sia attendibile, dato che non ho trovato informazioni su questi Stanciu da nessun'altra parte, però mi sono detta che un particolare così romanzesco poteva star bene in una fanfiction. ^^

arcione = parte anteriore della sella.
Mehmet Fatih = Maometto il conquistatore.
pastoie = corta corda con cui si legano due zampe agli animali al pascolo, così da accorciarne il passo, impedendogli di allontanarsi eccessivamente dal padrone.
puszta = vasta steppa ungherese, da sempre adibita al pascolo del bestiame brado.

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Integra aveva cominciato a fumare i sigari per impressionare i compagni di scuola e costruirsi ai loro occhi un'aurea al contempo ribelle e autorevole. Da quando Alucard l'aveva sorpresa a fumare nel giardino di casa, le motivazioni che spingevano la piccola Sir erano però cambiate. Col trascorrere delle settimane, aveva smesso di portare i sigari a scuola. Non le interessava più far colpo sugli studenti: capiva che quello riusciva a farlo già con vari altri mezzi, ad esempio rispondendo in modo pungente agli insegnanti o ai ragazzi delle classi superiori, senza timore delle conseguenze.
Fumare era un'attività che la ragazzina aveva finito col relegare all'ambiente domestico. Al calar della sera, quando le incombenze quotidiane erano ormai cessate e non restava che attendere la cena, Integra si concedeva il momento più rilassante della giornata. Benchè la rivelazione che suo nonno fosse sepolto sotto la quercia inizialmente le avesse fatto rizzare i capelli in testa dalla paura, col tempo la repulsione di Integra per il boschetto degli olmi era scemata. Si era detta che prima di scoprire quella verità, il boschetto era sempre stato la sua meta preferita del giardino, un luogo che aveva giudicato accogliente e rassicurante. Il nonno non poteva certamente uscire da sottoterra per farle paura. Anzi, l'idea che John Fairbrooke si trovasse accanto a lei, quasi-quasi la tranquillizzava, le sembrava di riuscire a stabilire un seppur debolissimo legame con quel nonno che non aveva mai conosciuto e quando se ne ricordava, non mancava mai di deporre un fiore ai piedi della quercia.
Così, infrattata nel boschetto degli olmi, Integra attendeva l'arrivo di Alucard e quando il servo giungeva, senza dire una parola, si sedevano schiena contro schiena sulla panca di pietra, fumando in compagnia.
Capitava spesso che durante il giorno Alucard la irritasse sommamente, al punto che Sir Hellsing sentiva di detestarlo profondamente ma nel corso di quelle "sessioni di fumo", l'ascia di guerra veniva sepolta e i due si godevano la reciproca, e pacifica, compagnia.
Era stato in quei frangenti che Integra aveva spazzato via dalla sua mente un altro po' di leggende fasulle sui vampiri. Appoggiando la sua schiena a quella di Alucard, si era resa conto con stupore che attraverso la tuta di cuoio le giungeva un debole tepore. Non era il calore di una persona viva ma nemmeno il gelo di un cadavere; era una temperatura a metà strada fra quei due estremi. E ogni tanto, attraverso la schiena del servo, sentiva distintamente il pulsare del cuore, o la cassa toracica allargarsi e restringersi in un respiro.
Integra cominciò ad intuire cosa volesse dire non-morto: non un cadavere che cammina ma un individuo sospeso fra il regno dei vivi e quello dei defunti. Una persona che possiede ancora le funzioni vitali ma in maniera alterata rispetto a chi è realmente vivo, per cui alcune di esse erano rallentate, rarefatte, come nel caso del battito cardiaco o del respiro, mentre altre erano potenziate a dismisura, come la forza o la velocità.

Nel corso di quelle fumate, le parole si alternavano a lunghe pause di silenzio.
Alucard si rivolgeva ad Integra come si sarebbe rivolto ad un qualsiasi adulto. Il fatto che la sua padrona avesse solo dodici anni, non gli sembrava una valida scusa per modificare il proprio linguaggio in sua presenza. Un po' perchè era insito nel suo carattere, un po' perchè era stato allevato lui stesso in quel modo, il vampiro era del parere che ai ragazzini non andassero tenuti nascosti i fatti e i dolori della vita. E lui, alla sua master, era deciso a non risparmiare nulla.
Spesso Integra non comprendeva ciò che il servo le diceva, essendo ancora troppo giovane, immatura o inesperta per capire certe frasi. Molte di quelle parole però non andavano perse, venivano semplicemente riposte in un angolo della sua memoria, in attesa di venir recuperate e capite una volta che la Sir fosse cresciuta. Altre volte, le parole di Alucard venivano comprese a primo colpo e allora tendevano a suscitare nella ragazzina indignazione, rabbia, imbarazzo, raramente approvazione.
Integra raccontava cosa le accadeva a scuola, parlava di ciò che era successo ad Hellsing Manor durante il letargo di Alucard, si interrogava sul suo futuro. Il vampiro commentava, esprimeva il suo parere. Altre volte narrava alla padroncina aneddoti sugli Hellsing che l'avevano preceduta. Mai una volta però si sbottonò sul proprio passato, neanche quando la ragazzina gli poneva domande dirette. Il servo trovava sempre il modo di svicolare e parlare d'altro.
Integra friggeva dalla curiosità. Chissà quante cose aveva visto e fatto Alucard, in cinquecento anni di vita! Le sembrava un delitto che il vampiro tenesse tutta per sè la marea di ricordi che certamente si portava dentro. Alla fine Sir Hellsing si era però arresa alla volontà del servo, smettendo di indagare. Poteva solo sperare che il mutismo di Alucard fosse dettato dal suo orgoglio tenace, per cui non voleva "arrendersi" a soddisfare una curiosità diretta, preferendo invece "regalare" come e quando gli fosse piaciuto il racconto sui suoi passati trascorsi. Tutto ciò che la giovane master poteva fare era quindi attendere pazientemente che il vampiro decidesse di concederle un simile privilegio.

Quella sera erano immersi da un bel pezzo in un denso silenzio quando Integra sentì canticchiare il servo alle sue spalle. Aveva l'impressione che Alucard fosse perso nei propri pensieri e nemmeno si rendese conto di quel che faceva.
La ragazzina si pose in ascolto. La melodia le risultava sconosciuta, antica. Chissà di quale lingua si trattava? Rumeno, non le pareva proprio. Non che fosse una fine conoscitrice della lingua madre di Alucard ma in quei mesi si era fatta insegnare dal servo tutte le parolacce in romeno che ancora ricordava e in quel modo, un po' d'orecchio l'aveva sviluppato. Quando il servo terminò di canticchiare, la ragazzina domandò:
- Che lingua è? -
Alucard trasalì leggermente nell'udire la voce della master, convincendo ancora di più la dodicenne che il nosferatu fosse davvero perso in chissà quali elucubrazioni.
- Dovrebbe essere armeno ma non ne sono sicuro, non ricordo bene le parole. -
- Come fai a conoscere l'armeno? - chiese stupita Integra ma subito si morse la lingua; figuriamoci se il vampiro le avrebbe risposto!
Al diretto interessato però la domanda non dovette sembrare eccessivamente indagatrice perchè si degnò di rispondere:
- Dimentichi che sono cresciuto alla corte ottomana? -
Un silenzio di attesa gravò sui due.
- E quindi? - si decise a chiedere nuovamente Integra.
- E quindi non avete studiato l'Impero Ottomano a scuola? -
- Sì. -
- Allora dovresti essere capace di risponderti da sola. -
Un silenzio pieno d'incomprensione tornò a riempire l'armosfera. Il vampiro sospirò:
- Ho capito, l'avete studiato da cani. Tutto ciò che non riguarda l'Impero Inglese viene trattato in fretta e furia, come una cosa di poco conto, eh? Stai attenta, che il professor Alucard ti spiega la lezione di storia di oggi. I turchi erano un popolo nomade, proveniente dalle steppe dell'Asia centrale, che conquistò l'Impero Bizantino, popolato da un mosaico di popoli, lingue e religioni. I turchi non spazzarono via questa ricchezza, preferendo mescolarsi agli abitanti originari. Non contenti, espansero le conquiste, arrivando a dominare nuove terre e popolazioni. Nacque così l'Impero Ottomano, detto anche Sublime Porta. Le lingue ufficiali con cui si redigevano i documenti e che venivano parlate a corte erano varie: turco, greco, armeno, ebraico, albanese, arabo e persiano. Udendole costantemente intorno a me, quando svolgevo il mio apprendistato ad Adrianopoli, presso la corte di Murad II, è ovvio che le abbia imparate, no? Inoltre, alcune di queste in parte le conoscevo già, grazie al precettore che mio padre prese per istruire noi figli. Era un vecchio greco, ex-crociato, fatto prigioniero dai turchi, venduto come schiavo ai mercanti genovesi e vissuto nelle colonie che Genova aveva installato sul Mar Nero. Aveva viaggiato per tutto il Mediterraneo e l'Asia Minore, infine era stato liberato e la sorte l'aveva portato in Valacchia, alla corte di mio padre. Oltre a insegnarci a leggere e a scrivere, insegnò a me e ai miei fratelli anche gli idiomi più importanti fra i molti che conosceva, quelli che potevano considerarsi l'inglese dei miei tempi, come il turco e il greco, e quando diventai ospite della Sublime Porta, non potei che assimilarli ulteriormente. -
Integra era ammirata. Non aveva mai sospettato che il suo servo conoscesse tante lingue. Si domandò se quell'informazione fosse contenuta nelle biografie sull'Impalatore trovate nella cassaforte del padre, che aveva letto dopo i diari degli antenati.
" Sta' a vedere che in quei libri c'era scritto che Vlad III era un poliglotta e io nemmeno c'ho fatto caso. Che li abbia letti troppo velocemente, come i quaderni dei miei antenati, per cui sono più i particolari che ho ignorato o scordato di quelli che mi sono rimasti in testa? ".
La probabilità era elevata. Per mettere una pezza a tanta ignoranza, Integra chiese:
- In tutto, quante lingue sai parlare? -
Alucard si prese un po' di tempo per riflettere prima di rispondere:
- A parte quelle che ti ho elencato, conosco la mia lingua madre, ovviamente. Poi gli eventi mi obbligarono a imparne altre ancora. La Valacchia è una terra di confine. A nord abbiamo la Transilvania, a quel tempo popolata per la maggior parte da sassoni, e l'Ungheria. La Valacchia era il cuscinetto che separava e proteggeva i nostri vicini settentrionali dalle propaggini della Sublime Porta, per questo transilvani e ungheresi ci tenevano ad assoggettare il mio regno alla loro politica. Ovviamente anche gli ottomani desideravano tenerci sotto il loro tallone. Il confine fra il mio ex-regno e l'Impero Ottomano era costituito dal Danubio, che a quei tempi era la più importante via commerciale di quella fetta d'Europa. Sul fiume passavano le chiatte che trasportavano merci fra oriente e occidente, i dazi doganali che riscuotevamo erano ricchi e facevano gola al Sultano. Il risultato di tutto ciò è che la Valacchia era uno stato piccolo ma strategico, un vaso di terracotta in mezzo a vasi di ferro, e i suoi sovrani erano altrettanto deboli. Mio padre, non sapendo come districarsi fra le pretese del sultano Murad II, del re d'Ungheria Janos Hunyadi e dei mercanti sassoni protetti dalla corona ungherese, tutta gentaglia che lo minacciava di rappresaglie se non avesse fatto i loro interessi, non trovò soluzione migliore che quella di fare il doppio e triplo gioco, alleandosi e tradendo ogni vicino. Questa fu la sua rovina. Disprezzato, giudicato da tutti infido, fu infine incarcerato ed ucciso da Janos Hunyadi. Io mi dicevo che non avrei fatto il suo errore, non sarei diventato lo zimbello degli altri monarchi. Avrei avuto una mia linea politica, quella di ottenere un regno libero da ingerenze esterne, rafforzandolo più che potevo, e a quella linea mi sarei attenuto. Ma quando salii sul trono, mi resi conto che agli altri non interessava la mia coerenza. Sassoni e ungheresi disprezzavano i valacchi, tutti, dall'ultimo degli schiavi al principe che li governava. Pensavano che fossi una copia più giovane di mio padre e di poter replicare con me i tranelli che avevano fatto con lui. Mi premunii di fargli capire che avevo in comune col mio predecessore solo il nome. Chiunque avesse avuto la pretesa di trattarmi come uno sprovveduto o uno sciocco, avrebbe pagato il suo grossolano errore con la morte. -
Integra, in silenzio, beveva quelle parole, ascoltandole con occhi sgranati. Molte di quelle informazioni le aveva già lette ma sentirle spiegate dal diretto interessato aveva tutt'altro sapore. Tanto presa era dalla narrazione che a tutta prima non comprese lo:
- Scusa, master. - con cui se ne uscì Alucard ad un certo punto.
Scusa? Di cosa?
- Ho divagato. Mi avevi chiesto quante lingue so parlare e sono finito su tutt'altri argomenti. Ma non posso farne a meno, visto che ogni lingua che conosco è intrecciata ad un evento della mia vita umana, o della mia non-vita vampira. Adesso cerco di risponderti. Quando avevo 17 anni, mio padre e mio fratello maggiore furono uccisi. Mio padre, come ti ho detto, fu assassinato da Janos Hunyadi, il re d'Ungheria. Mio fratello Mircea, invece, era stato torturato, accecato con ferri roventi e sepolto vivo da alcuni boiardi. I boiardi erano i nobili valacchi e se il mio regno era tanto debole, la colpa era unicamente loro. Alcuni boiardi facevano affari con sassoni e ungheresi, altri con gli ottomani. Quando una delle due fazioni prendeva il sopravvento, uccideva il principe in carica per sostituirlo con uno compiacente ai loro bisogni, pronto a stringere un'alleanza che lo avrebbe reso lo zerbino del re o del sultano. Quei furbacchioni erano talmente ripiegati sui propri interessi privati, da non capire che agendo in quel modo indebolivano il regno. Se avessero seguito il voivoda che li governava, invece di voltargli continuamente le spalle, la Valacchia non sarebbe stata così fragile, soggetta ai capricci dei regni vicini. Be', comunque, il risultato della mattanza della mia famiglia fu che Murad, il sultano che mi teneva in ostaggio con mio fratello minore Radu, pensò di piazzare me sul trono della Valacchia, convinto che sarei stato un suo suddito fedele. Chiariamo, master, non illuderti che mi diede chissà quale appoggio. Tutto ciò che fece fu regalarmi un cavallo e concedermi un manipolo di soldati da comandare. Per il resto, dovevo cavarmela da solo. Voleva verificare se ero abbastanza in gamba da uscire vivo da quell'avventura, non voleva sprecare il suo tempo con un inetto. Immagino che dovetti sembrargli una frana totale, visto che quel mio primo regno durò solo due mesi. Arrivò presto un rivale, uno con alleanze più solide delle mie fra i boiardi e Hunyadi, e per salvarmi la pellaccia mi toccò scappare come uno sbandato qualsiasi. Rimpiombai da Murad, ma ormai per me non c'era più nulla da fare ad Adrianopoli, così mi rimisi in viaggio. Bazzicai per tutte le corti affacciate sul Danubio che non mi fossero ostili, mettendomi al servizio del signore locale, nè più nè meno di un mercenario qualsiasi. Finii anche in Moldavia, da mia sorella Alexandra, una di quelle che da bambino scaraventavo giù per le scale afferrandola per le trecce. -
- E lei ti scaraventò fuori dal suo castello, appena ti vide? -
- No. Perchè mai avrebbe dovuto? Solo perchè ero stato un fratello maggiore dispettoso e attaccabrighe, che si era divertito a lanciarle le lucertole addosso? Andiamo, master! Volteresti le spalle ad un fratello per così poco? -
- Hai ragione, non ti avrei voltato le spalle. Però avrei ordinato che ti riempissero il letto di lucertole morte. -
Il vampiro rise:
- Mia sorella non aveva la tua inventiva, per fortuna. Rimasi alla corte moldava un paio d'anni, poi il re fu assassinato da un rivale e tutti i suoi accoliti, compresa mia sorella, trovarono rifugio presso Hunyadi. Non potevo andare con loro. Il re d'Ungheria desiderava la mia testa, non voleva che scippassi il potere al tizio che aveva messo sul trono valacco. Mi nascosi fra le montagne e i boschi della Transilvania, fermandomi sempre per breve tempo nelle città e nei paesi che bazzicavo, senza mai rivelare dove sarei andato e senza farmi accompagnare da nessuno, così da non farmi trovare dagli scagnozzi di Hunyadi. Fu lì che imparai il sassone. Continuai con quella vita finchè il rivale che mi aveva usurpato il trono non si rivoltò contro Hunyadi. Il re d'Ungheria si chiese allora se dopotutto non fossi una carta da giocare, così venne a cercarmi per stipulare un'alleanza: avrei affrontato e ucciso il ribelle per lui e in cambio sarei diventato re di Valacchia senza che mi mettesse i bastoni fra le ruote. Così riconquistai il mio regno, governai per sei anni, venni sconfitto, finii in esilio in Ungheria per quattordici anni e lì imparai l'ungherese. Mi venne data la possibilità di riprendermi la Valacchia, partii, fui ucciso, diventai un vampiro. Dopo quattro secoli di non-esistenza, Van Helsing portò le mie ceneri a Londra. E adesso che sono in esilio in Gran Bretagna, parlo inglese. -
Nel corso del racconto, l'ammirazione di Integra era cresciuta ulteriormente, benchè l'accenno all'esilio inglese le pungesse d'amarezza il cuore.
Riflettendo sulle parole del servo, si accorse con stupore che Alucard parlava con rispetto degli anni trascorsi alla corte di Murad II, il sultano che aveva tenuto in ostaggio per anni il bambino che era stato un tempo, in compagnia del fratellino Radu.
Il periodo trascorso in Ungheria e in Inghilterra lo definiva "esilio", quello alla Sublime Porta "apprendistato". Eppure, che non fossero stati anni rosei, Integra ne era sicura. Benchè Alucard non ne avesse mai parlato, le biografie lette da Sir Hellsing ipotizzavano che i due fratelli avessero scontato sulla loro pelle vendette e capricci del sultano e del suo erede, il futuro Mehmet II.
- Perchè non dici "esilio ottomano"? Perchè ne parli quasi con ammirazione? -
La ragazzina non aveva resistito alla curiosità di porre una domanda ma non per questo sperava di ottenere una risposta. Era certa che anche stavolta il servo avrebbe svicolato dall'argomento, parlando di tutt'altro.
Fu forse dovuto alla consapevolezza che la parte umana della sua esistenza era di dominio pubblico e non restava ormai molto da nascondere, o reputò la padrona finalmente degna di essere messa a conoscenza delle sue vicende personali, fattostà che quel giorno, con gran stupore di Integra, il vampiro accettò di risponderle. Dopo essersi concesso un po' di tempo per trovare le parole adatte, Alucard spiegò:
- Al di là di quello che di spiacevole mi successe, furono gli anni che trascorsi alla corte del Sultano a insegnarmi a sognare in grande. Se fossi cresciuto in Valacchia, circondato da quegli infidi boiardi, le mie ambizioni avrebbero avuto un raggio d'azione molto più modesto. -
Aspirò una boccata di fumo dal sigaro e chiese:
- Integra, sai perchè la Sublime Porta è stato un impero tanto longevo, potente ed esteso, arrivando a bussare anche alle porte di Vienna? Perchè la sua amministrazione si basava sul merito e non sull'ereditarietà delle cariche, come invece avveniva nei regni europei, in cui gli aristocratici si passavano di padre in figlio il titolo di tesoriere o generale, senza che poi sapessero fare i conti o tenere una spada in mano. Nell'Impero Ottomano qualsiasi persona, anche di origine modesta, se dimostrava di possedere delle abilità poteva ricoprire un ruolo di potere. Non contava a quale popolo appartenevi, quale fede professavi, contava solo il tuo valore. C'era una pratica, chiamata devsirme, che consisteva nel cercare nei villaggi cristiani dei regni confinanti bambini e ragazzi in possesso di una qualche dote o abilità speciale da allevare in Turchia, in apposite scuole, per farne funzionari di palazzo o giannizzeri. Non fraintendere, non venivano rapiti. Spesso e volentieri erano gli stessi genitori ad offrire i bambini ai giannizzeri incaricati di passare a setaccio i paesi. Era l'unica speranza di tirare fuori un figlio dalla miseria e se avesse fatto carriera, tutta la famiglia si sarebbe arricchita, e intanto l'Impero Ottomano si ripopolava di forze fresche. Per certi versi, anche io e Radu rientravamo in questo progetto. Murad non ci aveva chiesto a mio padre solo per tenerlo a cuccia, minacciandolo che ci avrebbe uccisi se si fosse ribellato. La speranza del sultano era che essendo cresciuti alla sua corte, finissimo per vedere il mondo come lui e quindi, se fossimo diventati voivoda, saremmo rimasti suoi alleati. Oppure potevamo decidere di restare a corte e diventare giannizzeri fidati, e fu proprio la vita che scelse mio fratello Radu. Quando divenni voivoda, un messo di Mehmet venne ad annunciarmi che il Sultano pretendeva da me la consegna di figli e gli inviai il mio primogenito, Mihnea. Ero sopravvissuto io, poteva riuscirci anche lui e quello che avrebbe imparato gli sarebbe tornato utile quanto lo era stato a me. Anche Mihnea, quando diventò voivoda, spedì un figlio al Sultano, che a sua volta inviò un figlio...-
Integra, seduta alle spalle del servo, aveva smesso di fumare e respirava il più piano possibile, timorosa che bastasse anche un esile rumore per rompere l'incanto che aveva permesso quella narrazione inaspettata, facendo tacere Alucard. Il timbro caldo del servo riempiva l'aria:
- Vivendo alla corte di Murad II, ammiravo dall'interno tutta la perfezione e l'effecienza di quel meccanismo basato sul merito. Così come constatavo la devozione totale al Sultano, il garante che manteneva l'ordine necessario per far girare il motore. Facevo il confronto con la mia povera Valacchia, dove il sovrano non era altro che un fantoccio nelle mani dei boiardi. Fu durante il mio apprendistato presso la Sublime Porta che mi dissi che se mai fossi riuscito a diventare voivoda, avrei governato la Valacchia come Murad governava il suo Impero. E fu proprio quello che feci. Appena salii sul trono, mi sbarazzai dei boiardi di cui non potevo fidarmi. A quelli che avevano partecipato alla tortura e all'uccisione di mio fratello, applicai lo stesso trattamento che loro avevano riservato a  Mircea, accecandoli con ferri roventi e seppellendoli vivi dopodichè li sostituii con persone efficienti. Non m'interessava se fossero plebei o nobili, da dove venissero o in quale Dio credessero, volevo solo che rispettassero le leggi del regno e fossero incrollabilmente fedeli a me. Così arrivarono alla mia corte russi, turchi, serbi e ungheresi. Avevo grandi progetti per il futuro. Sarei stato il fondatore di un nuovo Impero. I miei figli e i miei discendenti avrebbero proseguito la mia opera. Generazione dopo generazione, la Valacchia sarebbe diventato un regno forte e importante. Tutti avrebbero conosciuto il clan dei Draculesti, il titolo di voivoda sarebbe diventato famoso quanto quello di sultano e avrei preso il mio posto nella Storia. -
Una pausa, poi alle orecchie di Integra giunse:
- Quanti sogni andati in frantumi! -
Non c'erano nè rammarico nè rimpianto nella voce del vampiro, solo il tono asciutto di chi constata di aver fallito ma a dispetto del distacco con cui era stata pronunciata, la frase fu in grado di stringere le viscere della master in una gelida morsa.
- Un posto nella Storia l'hai comunque preso... - gli ricordò la dodicenne, nel tentativo di consolare il servo.
- Sarò sincero, my master...quand'ero ancora in vita, speravo che sarei stato ricordato come "Vlad il Forte", "Vlad il Severo", "Vlad il Liberatore" o altri simili appellativi. Speravo di venire menzionato per l'intransigenza con cui facevo rispettare le leggi, senza concedere sconti a nessuno, o per aver risollevato la Valacchia dalla condizione di servitù in cui versava con i regni confinanti. Non immaginavo che sarei stato ricordato come "Vlad l'Impalatore". Considerando quanto faticai per cercare di ammodernare il mio Regno, constatare di essere ricordato solo per gli impalamenti è piuttosto degradante. -
Adesso sì che Integra avvertiva un velo di amarezza nel tono del vampiro e ricordando quanto aveva letto nelle biografie di Vlad III Dracula, non poteva dargli torto. Il principe che Alucard era stato, in un tempo ormai molto lontano, aveva cercato di estirpare la corruzione dal proprio regno con misure draconiane. Nobili, ecclesiastici, plebei, chiunque si macchiasse di un reato veniva punito applicando alla lettera gli editti vigenti, stilati dalle generazioni di governanti che l'avevano preceduto. Era forse questo l'aspetto più strano della storia del voivoda Dracula: lui che era passato alla Storia come un mostro di crudeltà, in realtà non aveva inventato nuovi, obrobriosi, metodi di pena capitale. Tutto ciò che aveva fatto, era stato rispolverare la Legge dimenticata dagli stessi uomini che l'avevano scritta.
I sassoni che tanto l'avevano ostacolato, convinti com'erano di essere ingiustamente perseguitati da quel principe che pretendeva da loro il pagamento delle tasse come da qualsiasi altro mortale, e che avevano tentato di ribellarsi alla sua autorità con l'unico risultato di vedersi distrutti paesi e città, erano inorriditi scoprendo in quali perversi modi erano stati giustiziati i loro concittadini, uomini, donne e bambini, catturati e deportati in Valacchia. Era stato proprio quel popolo di mercanti il primo che aveva cominciato a dipingere il voivoda come un mostro assetato di sangue innocente. Conteneva una vena di involontario umorismo il fatto che quei mercanti non volessero rendersi conto che i loro connazionali erano stati suppliziati secondo i decreti stilati dai loro stessi antenati. Dato che i sassoni avevano infranto le leggi valacche in materia di commercio, affermando di voler continuare a vivere secondo la loro tradizione, arrivando anche ad allearsi con i boiardi rivali di Dracula pur di trovare qualcuno che garantisse loro la libertà di cui avevano sempre goduto, Vlad III aveva decretato che morissero anche secondo quanto prescrivevano le loro usanze in fatto di evasione fiscale e lesa maestà. Così ai prigionieri erano stati staccati arti, mozzate orecchie e nasi, e poi erano stati impiccati, o messi a morire attaccati a ganci o arrostiti su graticole.
Se le azioni dell'Impalatore non avessero lasciato dietro di sè una tale scia di morte e sofferenza, ci sarebbe stato da sorridere per l'humor macabro di cui le rivestiva il principe. Ogni esecuzione capitale veniva studiata in maniera da dimostrare l'ipocrisia di cui si era macchiata la vittima mentre era ancora in vita. Un boiardo che assistendo ad un impalamento, aveva commentato quanto puzzasse il sangue di tutte quelle vittime, venne condannato da Vlad III ad essere a sua volta impalato seduta stante, ma su di una pertica più alta delle altre, così che stando lassù in cima potesse respirare aria buona.
Eppure, ad Integra, lo sdegno dei contemporanei per le torture di cui si macchiò Vlad Dracula, impalamento in primis, in un'epoca in cui molti signori si facevano un dovere di impiccare, smembrare, mandare al rogo o torturare fino alla morte sulla pubblica piazza oppositori politici, eretici e streghe, e che sedavano con brutalità sconcertante le ribellioni di contadini esasperati dalla fame e armati di forconi, sembrava assurdo. Non che la crudeltà di Vlad III fosse giustificabile, ma neanche le atrocità degli altri signori del suo tempo, che pure si scandalizzavano per il comportamento del voivoda, erano ammissibili. Forse la risposta stava in una frase che le aveva detto tempo prima Alucard:
- Agli occhi degli umani, le crudeltà commesse dagli altri sono sempre peggiori delle proprie. -
Sì, doveva essere andata così. Alle folle che accorrevano ad assistere alle esecuzioni capitali come se si trattasse di uno spettacolo, portandosi appresso i figli affinchè ne traessero un insegnamento a non disubbidire, e ormai assueffate alle urla di chi veniva giustiziato facendolo bollire vivo in enormi calderoni, la novità dell'impalamento dovette sembrare sconvolgente.
Ed era stata proprio quella novità che aveva finito col mandare in frantumi i grandi sogni del voivoda Vlad Dracula. Cos'era accaduto in seguito, Integra lo sapeva, erano stati i libri a raccontarglielo.
Nell'estate del quinto anno del suo regno, l'esercito del sultano Mehmet II attraversò la Valacchia per andare a compiere scorrerie in Transilvania. Quando i giannizzeri furono sulla via del ritorno, Vlad III dimostrò loro tutto il suo disappunto per avere utilizzato il suo regno come una strada qualunque, senza chiedergli il permesso di attraversarlo, attaccando e uccidendo i soldati di Mehmet. Non contento, attraversò il Danubio, da sempre confine naturale fra la Valacchia e le propaggini della Sublime Porta, per andare a seminare morte e distruzione fra i paesi, le città e le roccaforti del suo ingombrante vicino.
Sapeva che Mehmet se la sarebbe legata al dito. Avrebbe atteso l'arrivo dell'estate, da sempre la stagione eletta per le guerre, e si sarebbe riversato col suo immane esercito sulla sua povera Valacchia. Eppure Vlad III non aveva esitato a compiere quella rappresaglia che avrebbe richiesto un prezzo tanto alto da pagare. L'unica maniera per non essere sottovalutato dai potenti che lo circondavano, conquistando così il loro rispetto e quindi la certezza che non avrebbero interferito negli affari del suo regno, consisteva nel ripagarli con la stessa moneta che gli tributavano. Crudeltà con crudeltà, disprezzo con disprezzo. E poi, non era da anni ormai che il Papa andava farneticando di una nuova crociata, senza che nessuno dei sovrani europei si degnasse di partire per primo, timorosi com'erano che abbandonare i loro possedimenti per il tempo della guerra avrebbe significato farseli soffiare da un usurpatore durante la loro assenza?
Bene, allora voleva dire che lui, Vlad Dracula, avrebbe fatto partire la nuova crociata! Un principe cristiano s'era mosso, aveva attaccato e devastato la periferia del sultanato, che gli altri sovrani cristiani si decidessero a venirgli a dare man forte, primo fra tutti il giovane re d'Ungheria, Mátyás Hunyadi, figlio di Janos Hunyadi, che dal papato aveva intascato ottantamila ducati d'oro per mettere in piedi un esercito con cui contrastare il Gran Turco, come chiamavano in Europa Mehmet. Peccato che Mátyás avesse usato quel capitale per consolidare il suo potere politico in Ungheria, senza pensare a costituire eserciti e ancor meno di partire per una campagna contro la Sublime Porta.
A Dracula non era rimasto che sperare che a tante parole di approvazione per il suo operato, seguisse qualche azione concreta. Intanto trascorse l'inverno a preparare il suo regno all'inevitabile arrivo dei giannizzeri. Donne e bambini di Valacchia furono smistati in roccaforti sicure: Bucarest, circondata da paludi in cui il pesante esercito di Mehmet si sarebbe arenato, se avesse avuto la malaugurata idea di attraversarle; sulla montagna di Brasov; nelle più impenetrabili foreste del regno. Tutta la popolazione maschile dai dodici anni in su fu invece reclutata nelle fila dell'esercito e addestrata come meglio si poteva in quelle poche settimane di tempo.
Del resto del suo regno, l'Impalatore fece terra bruciata. L'enorme esercito del sultano, per viaggiare più celermente, non si sarebbe caricato di derrate d'acqua e cibo, fiducioso di divorare ciò che avrebbe incontrato lungo il proprio cammino. Dato che quindi i campi, il bestiame e i paesi erano comunque destinati a venire distrutti, Dracula decise che il loro annientamento non avrebbe rafforzato le file degli ottomani. Ordinò così di bruciare i campi e sgozzare il bestiame, buttandolo nelle fonti d'acqua potabile, al fine di avvelenarle.
La perfetta macchina da guerra che era l'esercito della Sublime porta, sbarcato in Valacchia nell'estate del sesto anno di regno di Vlad III, si ritrovò così a dover frontaggiare un incubo. In settimane di marcia, incontrarono solo borghi abbandonati, svuotati di qualsiasi popolazione umana o animale, senza beni da saccheggiare e una volta esaurite le scorte d'acqua e di cibo, niente che potesse sostituirle. I giannizzeri cominciarono a morire di sete e pestilenza e a tutto ciò si aggiungeva il terrore delle improvvise incursioni di Dracula. Il voivoda non poteva far scontrare in maniera diretta il suo esercito, composto in massima parte da uomini che fino a pochi mesi prima non avevano mai tenuto una spada in mano, con dei guerrieri che si esercitavano giornalmente. La sproporzione di forza e abilità era insormontabile. Aveva quindi deciso di ripiegare sulla guerriglia: alla testa dei suoi soldati, attaccava le ultime frange del nemico, per poi ritirarsi nei boschi tanto familiari a loro quanto pieni di insidie per gli invasori. Così logorava gli avversari, attendendo un aiuto esterno che non giungeva mai.
Il principe della Valacchia tentò anche di risolvere il problema una volta per tutte, da solo, compiendo un'incursione notturna nell'accampamento ottomano. L'impresa era altamente rischiosa e per questo aveva voluto circondarsi solo dei più fidi tra i suoi uomini. Aveva detto con chiarezza che se fossero stati sconfitti, nessuno si sarebbe salvato, quindi chi non se la sentiva di correre quel rischio, non era obbligato a partecipare. Migliaia di soldati aderirono comunque al progetto e una volta diviso l'esercito in due distaccamenti, in modo che attaccassero l'accampamento da due punti diversi, Dracula, alla testa dei suoi, si lanciò silenziosamente all'attacco. Il suo obbiettivo era raggiungere Mehmet, tagliargli la testa, orbare l'Impero Ottomano della sua guida, lasciandolo nel caos. Tutto lasciava sperare che quel piano potesse essere realizzato. In un'epoca in cui la guerra era considerata un'arte, e come tale era regolata da norme, la calata notturna di migliaia di guerriglieri sgomentò i giannizzeri. La battaglia fu cruenta e lunga. Vlad attendeva l'arrivo del secondo distaccamento del suo esercito ma le ore passavano e nessuno si profilava all'orizzonte. A nulla era servito l'esplicito avvertimento che solo chi si sentiva in animo di partecipare a quella mattanza poteva seguirlo, gli altri rimanessero pure rintanati nei boschi. Il luogotenente del secondo battaglione, terrorizzato, certo che l'Impalatore e i suoi uomini dovevano essere deceduti in quel putiferio, si era ben guardato dall'entrare nell'accampamento. All'alba, Dracula aveva ordinato la ritirata ai suoi esausti uomini, senza essere riuscito a coronare la sua impresa. Migliaia di nemici erano stati uccisi ma anche altrettanti dei suoi uomini e se i giannizzeri potevano essere facilmente rimpiazzati, prelevando nuove leve dal vasto Impero Ottomano, la piccola Valacchia non poteva sostituire con altrettanta facilità le sue vite tagliate.
La vendetta del voivoda verso i vigliacchi che gli avevano impedito di cambiare il corso della Storia fu feroce, come poterono constatare Mehmet e il suo esercito. Avvicinandosi alla città di Tirgoviste, sede del palazzo del voivoda, davanti agli occhi del contingente turco si profilò lo spettacolo nauseabondo di migliaia di cadaveri impalati, fra cui spiccavano anche molti loro commilitoni precedentementi catturati, nonchè donne e bambini, capitati su quelle pertiche in seguito a chissà quali vicessitudini. I giannizzeri ne ebbero abbastanza, e anche Mehmet. Il sultano fece dietrofront e se ne tornò al sicuro ad Adrianopoli, lasciando in Valacchia il più fidato dei suoi giannizzeri, Radu, il fratello minore di Dracula, giunto alla corte di Murad ancora bambino.
Radu, là dove non era riuscita la forza, riuscì con la diplomazia a minare il potere di quel fratello maggiore che tanti anni prima l'aveva abbandonato al suo destino. Restituì i prigionieri di guerra ai parenti, contattò i boiardi, i mercanti sassoni, assicurò loro che se fosse diventato voivoda, avrebbe restituito tutti i privilegi strappatigli da Vlad. Radu prometteva un'epoca di pace e furono in molti a passare dalla sua parte. Nessuno si illudeva che Mehmet non avrebbe tentato di vendicarsi di Dracula, invadendo nuovamente la Valacchia, già prostrata da quella campagna militare. Se sul trono si fosse seduto Radu, quel cataclisma sarebbe stato evitato.
Le file di Vlad III cominciarono ad assottigliarsi. Lungo il suo cammino, il voivoda trovò sempre più città che gli sbarravano le porte. Il suo potere si erodeva, lo sapeva bene, poteva solo sperare in un aiuto esterno e finalmente una delegazione di Mátyás Hunyadi apparve all'orizzonte...per metterlo agli arresti.
Per il giovane re d'Ungheria, la battaglia ingaggiata da quella testa calda del suo vicino valacco contro il sultano era stata un grosso grattacapo. Nel corso degli anni aveva intascato ducati e fiorini d'oro, presentandosi come l'unico, efficacie difensore della cristianità contro l'invadenza ottomana. Sicuro che la Sublime porta non avrebbe tentato seriamente di estendere i suoi confini oltre la Valacchia, aveva sperperato quel denaro per il proprio potere. Adesso, chi lo aveva finanziato, gli chiedeva conto di come avesse speso quella cifra. Dov'era l'esercito crociato da mandare in soccorso di Dracula, di cui già si raccontava, per le corti europee, di come avesse tentato di uccidere Maometto il Conquistatore attaccandone l'accampamento in piena notte?
Mátyás Hunyadi si era cavato dall'impiccio affermando che quei soldi erano stati ben spesi. Come? Muovendo guerra a Dracula!
Davvero le corti europee credevano che il principe Vlad fosse un paladino della cristianità? Sì, è vero, si era lanciato in guerra contro i turchi ma solo perchè mosso dalla passione per gli spargimenti di sangue. Sapevano, il Papa e i sovrani europei, cos'aveva combinato quello scellerato prima di ingaggiare battaglia contro gli infedeli? Sapevano cos'era l'impalamento? No? Be', l'invenzione della stampa era un vero toccasana per riparare a tanta ignoranza! Il buon Mátyás aveva così inviato molti libretti stampati, contenenti le testimonianze delle comunità sassoni sulle atrocità di cui si era macchiato quel principe sanguinario. Omettendo le ragioni alla base di quei supplizi, ingigantendo il numero delle delitti, il voivoda veniva tratteggiato come un pazzo. E dato che il re d'Ungheria si faceva garante di impedire a quel sovrano dissennato di continuare a seminare morte e distruzione, lo tenne in esilio presso di sè, inizialmente in prigione, poi a corte, come un consigliere qualsiasi. E quest'ultimo particolare, era qualcosa che Integra non riusciva a comprendere.
- Alucard, non capisco...come ha fatto un umano orgoglioso com'eri tu, a resistere quattordici, lunghi anni presso il re d'Ungheria? Quando Hunyadi ti fece uscire di prigione, perchè non fuggisti, tornando in Valacchia? -
- Tornare in Valacchia, master? Per far cosa? Riprendermi il regno? Con quali mezzi? Non avevo più nulla, assolutamente nulla... -
Il vampiro aveva pronunciato quelle domande in tono stupito, quasi incredulo che la padrona, da sola, non arrivasse a comprendere la situazione. Riprese poi a parlare con voce stanca, come se rievocare quel periodo, in cui disgrazie private si erano mischiate a sventure pubbliche, gli pesasse ancora a distanza di tanti secoli:
- Quando Mehmet se ne andò, lasciando mio fratello Radu a erodermi il potere sotto i piedi, giorno dopo giorno, allora sì che avevo ancora qualche possibilità di riassicurarmi il trono! Guerreggiavo come un forsennato contro l'esercito di Radu, con i miei uomini mi ero arroccato sulle montagne per dare il contrattacco ma gli avversari erano troppi, ben equipaggiati, ben addestrati. Ripiegai nella mia fortezza di Poenari solo per scoprire che vi regnava il caos più totale. Un informatore aveva portato la notizia che gli ottomani stavano arrivando, ed erano troppi per resistere. Una delle mie concubine, terrorizzata, si era lanciata giù dalle mura, sfracellandosi fra i picchi e perdendosi nel torrente sottostante. La popolazione della zona stava fuggendo e anche noi dovevamo scappare. Sotto la fortezza, sorgeva un borgo, a me fedele. I vecchi del paese vennero da me e mi suggerirono il trucco di ferrare i cavalli alla rovescia, e chiudere il portone del castello, così che gli ottomani pensassero che eravamo ancora arroccati dentro e avrebbero perso tempo per tentare di stanarci da lì. Ero grato a quella gente, non solo per il trucco in sè per sè. In un frangente come quello, constatare che ancora c'era qualcuno che mi considerava il suo sovrano e mi aiutava come poteva, era di conforto. Chiesi a quei vecchi cosa volessero di ricompensa. Risposero che non volevano soldi, perchè i giovani li avrebbero dilapidati in gozzoviglie. La terra invece dava lavoro e non si esauriva. Gente in gamba, quegli uomini! Donai al loro borgo quante più colline e boschi circostanti potevo, se li meritavano. Facemmo ferrare i cavalli al contrario, mi misi sull'arcione il bambino della concubina che si era buttata giù dagli spalti e ci accodammo alla fila dei profughi ma c'era così tanta confusione che finii per perdere mio figlio. Potevo solo sperare che in quel marasma qualche anima pia non avesse il coraggio di lasciare un bambino solo e lo raccogliesse portandoselo dietro. Fu quel che accadde e anni dopo lo incontrai nuovamente ma a quei tempi non potevo nutrire una simile certezza e dentro di me pensavo di aver perso madre e figlio. Proseguii il viaggio verso Sibiu, dove dovevamo incontrare la delegazione di Mátyás Hunyadi. Lungo la strada, le fila del mio esercito si assottigliavano sempre di più. Ogni notte, qualcuno fuggiva per conto proprio o per andare ad ingrossare le fila di Radu. Quando finalmente incontrammo la delagazione, perdemmo settimane di tempo prezioso in chiacchere inutili. Avevo fretta, volevo sapere se quei beoti mi avrebbero sostenuto dandomi un esercito con cui andarmi a riconquistare il regno. Dannazione, doveva interessare anche loro! Se sul trono fosse rimasto Radu, la Valacchia sarebbe diventata alleata di Mehmet, da lì i giannizzeri sarebbero potuti passare a loro piacimento per andare a saccheggiare la Transilvania e l'Ungheria! Ma a quella gente non importava niente di tutto questo. Mátyás non aveva problemi a stipulare una pace con Mehmet, i sassoni avrebbero potuto continuare i loro commerci, i boiardi le loro corruzioni e tutto sarebbe continuato a procedere come al solito. E il beota della situazione finii per essere io! Tutte quelle settimane di trattative avevano l'unico scopo di far scendere la neve sui valichi montani, avere la scusa per rimandare ulteriormente la guerra e prendere tempo per corrompere i pochi che ancora stavano con me. Così alla fine mi trovai solo e in catene. Quando finii in quella prigione, cos'altro potevo fare se non arrendermi? Solo gli sciocchi non ammettono di aver perso. Senza esercito, nè alleati, cosa potevo fare? Hunyadi lo capì e per questo mi liberò, tenendomi alla sua corte. -
- Dove ti esibiva ai delegati stranieri come una belva ammaestrata! - esclamò Integra, con rabbia - Dracula il sanguinario ridotto ad un innocuo consigliere del re! Anche questo non capisco! Perchè hai lasciato che quell'uomo e la sua corte schizzassero palate di fango sulle tue imprese? Perchè non hai cercato di raccontare la tua versione dei fatti? -
Il vampiro sorrise con indulgenza paterna. Quanto aveva ancora da imparare, quella ragazzina! Era talmente giovane da riuscire ad illudersi che il prossimo sia disposto ad ascoltare le parole di uno sconfitto! Con pazienza, spiegò:
- La Valacchia soffriva per l'interferenza di tre invadenti vicini: la Transilvania, l'Ungheria e la Sublime Porta. Il resto del mondo, non contava nulla, non poteva risolvere i nostri guai. Quindi cosa vuoi che m'interessasse di come mi dipingevano al di fuori dei regni che si affacciavano sul Danubio? Mi considerassero un mostro assetato di sangue o un eroico crociato, sempre prigioniero di Mátyás restavo. La mia vita era nelle mani di Hunyadi, dovevo stare attento a come mi muovevo, a cosa dicevo. Se dovevo andargli contro e inimicarmelo, preferivo farlo per questioni più importanti di quella. Attendevo, confidando che prima o poi si sarebbero ripresentate le occasioni per riprendermi il regno e così accadde. Radu morì, venne rimpiazzato da un voivoda inizialmente alleato di Hunyadi e che successivamente gli si rivoltò contro. Mátyás decise che era venuto il momento di giocarmi come una carta. Mi diede un esercito e lasciò che riconquistassi la Valacchia. I miei figli maggiori erano ormai degli uomini, avrebbero potuto accompagnarmi in quella guerra, mi sarebbero stati utili, ma non li volli al mio fianco. Sapevo che mi attendevano mesi duri, fra guerre e consolidamento del potere, avevo messo in conto che le probabilità di venire ammazzato fossero alte e non volevo trascinare i miei eredi in una morte inutile. Rimanessero al sicuro in Ungheria; se fossi stato ucciso, loro avrebbero continuato la stirpe. Ed ebbi ragione ad agire così. -
Fine della storia dell'umano Vlad III Dracula, soprannominato l'Impalatore, voivoda di Valacchia. Da quel punto in poi, cominciava la non-vita del vampiro Vlad Dracula. Integra tentennò: Alucard aveva forse rivangato la propria esistenza umana in quanto era consapevole dell'assurdità di nasconderla, dato che veniva raccontata in una moltitudine di biografie. Ma era disposto a narrare anche i secoli della sua non-esistenza di vampiro, ciò che era accaduto prima di incontrare Harker, Van Helsing e compagnia? La ragazzina temeva che una domanda diretta avrebbe fatto chiudere a riccio l'orgoglioso servo. Decise di prendere l'argomento dalla lontana. Avrebbe fatto un passo dopo l'altro. Come inizio, le premeva solo capire un particolare rimastole sempre oscuro:
- Me lo sono domandata spesso...come hai fatto a diventare un vampiro, se non sei stato morso da un altro nosferatu? -
- Sono morto odiando intensamente ed è stato questo a permettermi di diventare un re senza vita. Quanta ira provai in quel momento! Riuscivo ad immaginare i miei nemici fregarsi le mani soddisfatti, alla notizia che l'Impalatore era morto. Quel dannato di Mehmet, quel vigliacco di Mátyás Hunyadi, i boiardi e quei viscidi mercanti sassoni... no, avrei impedito a tutta quella gentaglia di gioire per la mia morte! Se non potevo più combatterli alla luce del sole, con la spada in mano, allora li avrei affrontati col favore delle tenebre, con canini affilati. Qualsiasi cosa ero disposto a fare, pur di non dargliela vinta! Fu così che la mia anima vagò sul campo di battaglia, alla ricerca del mio corpo. Quando lo trovai però era ormai inservibile: quei maledetti mi avevano tagliato la testa, per mostrala in giro e far vedere a tutti che ero davvero morto. Cercai qualcos'altro che facesse al caso mio. Trovai un soldato agonizzante ma ancora tutto intero. Mi accovacciai accanto a lui come un avvoltoio e non appena il suo spirito uscì, entrai io. E da allora in poi, ho vagato sulla terra come vampiro. -
Padrona e servo rimasero a fumare in silenzio per un bel pezzo. Alucard avvertiva la perplessità della giovane master e infine decise di chiederle:
- Cosa c'è che non ti torna del mio racconto? -
- Quindi il corpo di Vlad Tepes... -
- Ţepeş. - disse Alucard, correggendo la pronuncia della padrona.
- Sì, vabbè, dicevo il corpo di Vlad Tepes... -
- Ţepeş. - corresse nuovamente Alucard, con voce più alta di prima.
- Oh, insomma, lasciamelo dire come mi riesce. In fondo, cosa cambia? -
- Cambia tantissimo, invece! - sbraitò il vampiro, voltandosi come furia verso la master - Voi inglesi rompete le palle a qualsiasi straniero, correggendogli continuamente la pronuncia. I tuoi antenati mi hanno martirizzato su questa faccenda. Master Abraham, nonostante fosse un olandese e avesse un accento peggiore del mio, era capace di tenermi un pomeriggio intero a farmi ripetere una parola finchè non la dicevo correttamente. E ora pretendi che te la faccia passare liscia, che ti permetta di pronunciare il mio vero nome storpiandolo come ti pare e piace? Ah, no, master! Se vuoi dirlo nella sua lingua originale, pretendo che tu lo faccia correttamente. Se non ti riesce, dillo all'inglese: Vlad The Impaler. -
Integra squadrò il servo con odio. Da un lato capiva che Alucard aveva tutte le ragioni dalla sua parte ma dall'altro la irritava terribilmente l'idea di dargliela vinta. Rimase per un po' a meditare su quale fosse la strategia migliore da adottare: doveva arrendersi o intestardirsi sulla sua strada? Infine, dopo aver preso un profondo respiro, disse:
- Quindi il corpo di Vlad Tepes... -
- Ţepeş. - corresse Alucard, implacabile.
- Oooh, 'fanculo! - ringhiò Integra, esasperata - Dicevo, quindi il vero corpo di Vlad l'Impalatore è diventato concime per le piante. E' come se il re sia morto definitivamente. -
- Non esattamente. Quando compri un vestito nuovo, occorre del tempo perchè prenda la forma del tuo corpo, diventando realmente tuo. Per me avvenne qualcosa di molto simile. Il cadavere del soldato di cui mi impossessai, era profondamente diverso dall'aspetto che mi vedi adesso. Era come se me lo sentissi...stretto intorno alla mia anima. Ma ormai era qua dentro che dovevo albergare e mi sforzai di farmelo piacere. Col trascorrere degli anni, via via che sviluppavo i miei poteri non-umani, capii che potevo plasmare il mio aspetto come meglio mi aggradava. Non mi lasciai sfuggire l'occasione e cominciai a crearmi il corpo che avrei desiderato possedere quand'ero umano. Siamo sinceri, master: da vivo ero davvero brutto. Basso e tracagnotto e col viso ossuto. E' vero, avevo un fisico da combattente, adatto alla guerra ma non mi sarebbe dispiaciuto essere imponente quanto le mie aspirazioni. Così, diventato vampiro, mi diedi l'altezza che preferivo, la faccia che più mi andava a genio e il risultato finale, cioè come mi vedi adesso, è profondamente diverso dal materiale di partenza, cioè i resti del soldato morto. Adesso posso veramente dire che questo è il mio corpo, mi appartiene, si adatta perfettamente alla forma della mia anima . -
Integra rimase in silenzio. Le sarebbe piaciuto sapere cos'aveva fatto il servo, una volta diventato vampiro, ma non sapeva come abbordare l'argomento. Era intenta a lambiccarsi il cervello quando le arrivò nelle costole una gomitata di Alucard, non forte ma leggera come un solletico.
- Forza master, sputa il rospo. - disse il vampiro in tono malizioso - Ormai ti conosco abbastanza da capire che ti stai arrovellando la testa. I tuoi neuroni in questo momento si agitano come un criceto che corre nella ruota. Guarda che se vuoi sapere qualcosa della mia esistenza vampira, non hai che da chiederlo. Non è necessario arrivarci per vie traverse. -
- Ma se fino ad oggi, ogni volta che ti facevo una domanda, svicolavi l'argomento! -
- Lo so ma oggi, a differenza delle altre volte, sono in vena di raccontare, come un vecchio bacucco a cui piace esclamare "Ai miei tempi, questo non accadeva!" -
Integra aggrottò le sopracciglia. Anche lei conosceva abbastanza Alucard da sapere che molto raramente il vampiro si lasciava sfuggire un gesto o una parola che non fosse meditato, o mirasse all'ottenimento di un risultato. Quella loquacità così improvvisa la insospettiva.
- Perchè oggi sei così generoso di parole? -
- Perchè i ricordi sono più forti di me e m'inseguono e mi mordono come cani rabbiosi. - rispose con sincerità Alucard - Li tengo costantemente rinchiusi in un angolo della mente ma arriva sempre il giorno in cui escono da quello stanzino, invadendo il mio cervello. Fatico a rificcarli nell'angolo buio dove devono stare. Finchè non riesco a racchiuderli nuovamente tutti quanti, continuano a ballarmi davanti agli occhi e ormai ho imparato che fanno meno male quando li condivido con qualcuno. -
Quindi non era la generosità a muovere Alucard ma al contrario, semplice tornaconto personale. Sir Hellsing non si sentì nè delusa nè arrabbiata; giudicava quel comportamento perfettamente in linea con la personalità del servo e anche lei, egoisticamente, ne avrebbe tratto vantaggio, sfamando la sua curiosità:
- Va bene, allora farò una domanda diretta. Dopo essere diventato un vampiro, cosa facesti? -
- Molte storie di fantasmi raccontano che l'anima di chi muore violentemente continua a ripetere ogni notte le stesse azioni che faceva quand'era in vita, perchè non si rende conto che ormai è deceduta. Per me accadde qualcosa di simile. A differenza di un fantasma, sapevo di essere morto e di essermi trasformato in un vampiro ma come le anime in pena, continuai a svolgere ciò che facevo in vita. Ero stato ucciso mentre muovevo guerra all'Impero Ottomano. Mi risvegliai nosferatu sul campo di battaglia. Aprii gli occhi, mi alzai in piedi e ripresi il mio cammino verso la Sublime Porta. Sai, master, detesto i vampiri novellini, quelli che non riescono a distaccarsi dalla loro precedente esistenza umana. Sono così patetici! E' anche per questo che odio ricordare il mio passato. Anch'io sono stato un novellino che per lungo tempo ha continuato ad agire in base alle passioni e agli interessi della sua precedente vita umana e tutto questo adesso mi riempie di vergogna. Trascorsi quarant'anni di non-esistenza vampira nell'Impero Ottomano, continuando a condurre in solitaria la mia guerra contro Mehmet. Mangiavo i suoi sudditi. Ogni tanto mi divertivo a compiere delle stragi senza essere mosso dalla fame. Lanciavo al galoppo il mio cavallo e falciavo con la spada la gente che scappava davanti a me. -
Integra chiuse gli occhi e sospirò, cercando di cacciare dalla mente l'orrenda scena che Alucard le aveva appena descritto. Obbligò il suo pensiero a concentrarsi su di un punto che la lasciava perplessa:
- A cosa ti serviva un cavallo? Sei un vampiro, se t'impegni puoi correre più veloce di un destriero. Ma anche la spada, non capisco cosa te ne facessi, data la tua forza. -
- Perchè non ti sei posta la stessa domanda con Casull? A cosa mi serve una pistola? Master Arthur sapeva che già a mani nude so fare molto male e proprio per questo pensava che armandomi sarei diventato ancora più pericoloso. Io, secoli fa, feci lo stesso ragionamento. Una spada mi rendeva ancora più micidiale e sai quand'è che una lama esprime tutto il suo potenziale? Quando la brandisci dalla groppa di un cavallo! Il cavallo mi serviva anche per tanti altri motivi. Adesso la mia terra di sepoltura giace nella bara ma non crederai che per secoli mi sia trascinato appresso quella cassapanca? La prima cosa che feci, diventato vampiro, fu riempire un sacco di tela robusta con la terra su cui ero morto. Anzi, sulla terra su cui erano deceduti tutti e due i miei corpi, quello originale e quello del soldato, così da non sbagliarmi. Portarsi appresso un sacco tanto voluminoso sulle spalle era scomodo, meglio legarlo sulla groppa di un cavallo, dietro la sella. Inoltre, in quel modo, molti si convincevano che dentro il sacco si nascondessero chissà quali mercanzie, ed era un'ottima esca con cui attirare le prede. Non hai un'idea di quante volte abbia cenato con i briganti che mi fermavano lungo la strada, dicendo "O la borsa, o la vita". Ancora, un vampiro non può attraversare i fiumi se non sta sopra la sua terra di sepoltura. A me bastava sedere sul sacco, avviare il cavallo nel guado e in quel modo andavo dove mi pareva. Per finire, i cavalli non erano animali alla portata di tutti. La gente comune aveva gli asini, i muli se era abbastanza ricca, ma i cavalli erano roba da signori e gli aristocratici, master, erano della gran brutta gentaglia e se te lo dico io che sono nobile, puoi crederci. Dove giungevano i signori, c'era sempre il rischio che ci scappasse uno stupro, o un assassinio, senza che la gente comune avesse il diritto di difendersi o vendicarsi. Per questo, ogni volta che vedevano passare un uomo a cavallo, nei loro occhi brillava il timore e a me ha sempre fatto piacere incutere paura. Per tutte queste ragioni, ho trascorso quattro secoli di esistenza vampira sempre in sella come un unno. -
Il vampiro tacque, prendendosi una pausa per fumare il suo sigaro. Integra incalzò con un'altra domanda:
- Quei decenni nell'Impero Ottomano li trascorresti da solo? O ti creasti una draculina? -
- All'inizio guerreggiavo da solo. Assassinare quanti più sudditi potevo di Mehmet era il mio unico interesse. Dopo qualche decennio, pensai che la mia missione sarebbe stata più efficacie con un aiutante ma ad essere sincero, all'inizio cercai un servo fra gli uomini, non fra le donne. Volevo qualcuno che mi aiutasse a condurre la mia battaglia, un soldato ai miei ordini. Sì, avevo sentito raccontare che un nosferatu può vampirizzare solo individui vergini del sesso opposto, ma avevo anche imparato sulla mia pelle che non tutte le leggende sui vampiri erano vere quindi, prima di prendere per oro colato quell'affermazione, dovevo verificarla personalmente. Provai a vampirizzare tutti i maschi che mi capitavano a tiro: uomini, bambini, ragazzi, vecchi, invertiti, eunuchi...si trasformavano tutti in ghouls e mi toccava ammazzarli trafiggendogli il cuore. Così capii che quella era una delle poche notizie esatte sui vampiri e se volevo un servo, mi toccava cercarlo in mezzo alle donne. Che rabbia mi faceva tutto ciò! A cosa mi serviva una donna? Non era in grado di combattere! Non ti scaldare master, lo sento che ti stai innervosendo. So che al giorno d'oggi ci sono donne negli eserciti ma io ti parlo di un'altra epoca, a cavallo fra il '400 e il '500. Non credere a quegli stupidi film che mostrano un medioevo di pura invenzione, con donne in pantaloni frammiste ai cavalieri e altre idiozie simili. Le donne indossavano la sottana, impugnavano zappe e fuso ma non certo spade e all'approssimarsi di un esercito, fuggivano per non essere violentate. Questa era la realtà. -
- Ma alla fine, tre donne te le sei vampirizzate! -
- Quel pettegolo di Bram Stoker! Ha spifferato al mondo intero la mia vita privata! Il tutto senza neanche chiedermi il permesso! Sì, master, alla fine mi sono creato delle compagne. Ma prima di arrivare alle tre leonesse che stavano per spolparsi quell'idiota di Jonathan Harker (e non hai un'idea di quanto mi sia pentito di non averglielo fatto mangiare!)  la strada è stata lunga. Non è facile vampirizzare una persona. Devi berle una certa quantità di sangue e farle inghiottire un po' del tuo. Ma quant'è il sangue che devi toglierle e quanto quello che devi darle, non lo trovi mica scritto sui libri di scuola. Devi provare, improvvisare e procedere per tentativi ed errori.  Me ne sono schioppate tante di donne fra le braccia, mentre cercavo di vampirizzarle. Poi, una notte, mentre vagavo per l'Anatolia, m'imbattei in un accampamento di pastori nomadi e siccome era da tanto tempo che non mi divertivo a sterminare un po' di nemici, decisi di mettere a ferro e a fuoco quelle tende. -
- Vigliacco! Era gente che dormiva! Erano persone inermi! -
- La maggior parte delle mie prede le ho sempre sorprese nel sonno. Non è colpa mia se gli umani sono come le galline, che col buio vanno a dormire. Be', insomma, mi divertii a sterminare quell'accampamento. Riuscii a massacrare tutti, tranne una donna. Era la mia ultima preda ma lei non era disposta a lasciarsi uccidere tanto facilmente. Credo che passai almeno due ore ad inseguirla per quell'accampamento distrutto. Aveva divelto un palo che reggeva una tenda. Era un'asta di frassino e con quella mi teneva a distanza mentre mi lanciava addosso tutto ciò che le capitava fra le mani: pietre, pentole, scarpe e un'infinità di insulti. Non fu facile strapparle di mano quel maledetto palo e quando ci riuscii, lei ancora non si considerò sconfitta. Mi prese a calci, a morsi, a  testate, a sputi, mi ficcò le unghie negli occhi per accecarmi...La maggior parte degli umani, quando vede avvicinarsi la morte, è talmente prostrata dalla paura da essere incapace di reagire. Negli occhi di quella selvaggia invece non c'erano nè paura nè sfinimento, solo una rabbia enorme. Mi dissi che tanta combattività andava premiata. Era ingiusto che la mangiassi come tutti gli altri, così la vampirizzai. E ci riuscii! Non crepò, nè si trasformò in ghoul. Sekure fu il mio primo esperimento di vampirizzazione riuscito! -
- E ti sembra un premio, questo? Perchè non l'hai lasciata in vita come umana? -
- Ragioni proprio come Sekure, my master. Non mi fu mai grata per averla trasformata in una draculina. Mi rinfacciò sempre che avrei potuto lasciarla vivere ma quest'ipotesi era di un'idiozia assoluta. Quale destino le sarebbe toccato, se l'avessi lasciata umana e mollata da sola su quell'altopiano dell'Anatolia? Se non si fosse allontanata immediatamente da quel cumulo di cadaveri, se avesse avuto la malsana idea di dare sepoltura ai suoi cari, sotto quel cocente sole estivo, avrebbe contratto qualche malattia, morendo nel giro di pochi giorni. Ma anche abbandonando all'istante quell'accampamento distrutto, dove sarebbe potuta andare? Se non fosse morta di fame vagando per quelle montagne, sarebbe congelata all'arrivo della prima nevicata. Se fosse stata molto, ma molto fortunata, nel suo girovagare avrebbe potuto incontrare una carovana di mercanti, o un altro gruppo di pastori e allora sai cosa sarebbe successo? Prima le avrebbero dato da mangiare, poi avrebbero preteso che pagasse ciò che aveva inghiottito lasciandosi violentare e infine l'avrebbero ridotta in schiavitù. Che prospettiva esaltante, eh? -
- Tu non capisci. O meglio, fingi di non capire. L'errore l'hai fatto a monte. Non dovevi massacrare quelle persone. Se le avessi lasciate vivere, davanti a Sekure non si sarebbero prospettate nè la morte per fame, nè quella per congelamento, nè la schiavitù, quindi aveva tutte le ragioni per non esserti grata! -
- Ero in guerra contro l'Impero Ottomano e quei pastori ne facevano parte. Non ho commesso nessun errore uccidendoli. -
- Balle! Dei pastori nomadi non potevano rappresentare un pericolo per la tua Valacchia o per il clan Draculesti! -
- Balle! Erano un pericolo potenziale! Ti ho spiegato che nell'Impero Ottomano chiunque poteva fare carriera. Per quel che ne sapevo, fra i bambini di quell'accampamento poteva annidarsi un futuro generale che avrebbe sottomesso la mia Valacchia, quindi avevo tutte le ragioni per massacrarli! -
- Scommettiamo che secondo il calcolo delle probabilità, l'eventualità che da quell'accampamento di pastori potesse venire fuori un pericolo per il tuo ex-regno, erano talmente basse da rasentare lo zero? -
Il vampiro digrignò i denti. Certo che era veramente difficile riuscire ad avere l'ultima parola con Integra! Se era così sveglia adesso, quando aveva solo dodici anni, c'era da tremare al pensiero di come sarebbe diventata da adulta.
Siccome non sapeva come replicare, Alucard non trovò niente di meglio che esclamare:
- Basta, non ha senso parlare di strategia militare con una ragazzina! -
Non era una gran risposta, il vampiro lo capiva bene, così facendo stava solo mostrato la sua coda di paglia ma era decisamente troppo irritato per continuare quella discussione.
La schiena di Integra era appoggiaita contro la sua, non poteva vedere il volto della master ma era certo che in quel momento, il faccino della ragazzina fosse illuminato di trionfo. Alucard incassò signorilmente il colpo e proseguì nel racconto:   
- Dicevo, Sekure non mi fu mai grata per l'enorme favore che le feci. Quando si risvegliò dai tre giorni di sonno che la trasformarono da umana in draculina, appena si rese conto di essere diventata una succhiasangue, cominciò a gridare, disperarsi e strapparsi i capelli. Tentò anche di scappare ma fuori dalla grotta dove alloggiavamo era pieno giorno, i raggi del sole l'accecarono e lei rimase lì, acquattata all'ingresso, piangendo e lasciandosi scottare dal sole. La presi per mano e la ricondussi dentro ma mi fu chiaro sin dal primo giorno che la mia allieva era una grossa gatta da pelare. Ero il suo maestro, era mio dovere insegnarle a camminare in quella nuova vita, finchè non fosse stata capace di cavarsela da sola. Sekure però era fermamente convinta che mirassi a fregarla, quindi pensava che l'unico modo per salvarsi fosse fare l'esatto contrario di ciò che le dicevo. Le spiegavo che ormai non poteva più avvicinarsi all'acqua e mangiare cibo umano. Oltre a questo, non sempre riuscivamo a trovare un riparo dove passare il giorno prima che sorgesse il sole. In quei casi, per non farci del male, dovevamo alzarci sulla testa il cappuccio del mantello e proseguire il cammino tenendo il sole sempre alle nostre spalle. Credi che desse ascolto ai miei consigli? Per lungo tempo continuò a mangiare la frutta che cresceva sugli alberi, o il cibo umano che trovava nei villaggi che attraversavamo, ottenendo l'unico risultato di rotolarsi per terra dal dolore, non riuscendo a digerire quella roba. Così come si ostinò a continuare a bere l'acqua, o immergersi nei torrenti, ustionandosi. E quando le dicevo di tirare su il cappuccio e di camminare col sole alle spalle, o non si copriva, scottandosi come se si fosse bruciata col fuoco, o si voltava a guardare il sole, accecandosi, e poi mi toccava tirarmela appresso per la mano, o per le briglie del suo cavallo. -
- Un comportamento perfettamente ragionevole e comprensibile, il suo. - Lo interruppe Integra, con le sopracciglia aggrottate - L'"enorme favore" che le avevi fatto, glielo imponesti. Non aveva scelto lei di diventare una draculina, quindi perchè si sarebbe dovuta fidare dei tuoi consigli? L'avevi già fregata una volta, per quel che ne sapeva potevi riprovarci e la sua condizione sarebbe peggiorata ulteriormente. Io non riuscirei a rinunciare al cibo umano. E non saprei vivere senza il piacere dell'acqua. Una doccia bollente in inverno, un tuffo in una piscina fresca in estate, un bicchiere d'acqua quando ho sete, cosa c'è di più appagante di tutto questo? E come si può vivere un'eternità senza più ammirare lo spettacolo di un'alba? E senza il tepore del sole sulla pelle, nelle giornate di primavera? E' ovvio che Sekure non volesse crederti e si ostinasse a continuare a vivere come aveva sempre fatto. Magari sperava che, a furia di insistere, sarebbe riuscita a riabituarsi nuovamente al sole, al cibo e all'acqua. Quindi non tentare di farla passare per una mentecatta. Non davanti a me. E poi, siamo sinceri: neanche tu credi che lo fosse. So che non lo ammetterai mai a parole, ma dato che non sei uno scemo, credo ti sarai reso conto dell'errore che facesti, vampirizzando Sekure, e te ne sarai pentito chissà quante volte. -
Il vampiro non si scompose davanti a quel fiume di parole, nè Sir Hellsing sperava di ottenere un simile risultato. Tutto ciò che il nosferatu fece, fu levarsi il sigaro dalle labbra e chiedere indifferente:
- Hai terminato il tuo sproloquio moralistico? -
- Sì, puoi riprendere il racconto. - concesse Integra in tono sussiegoso.
- Non so che idea ti sia fatta di Sekure. Forse il tuo cervellino di ragazzina, dopo aver sentito che rimase ferma a piangere sulla soglia della grotta, la immagina come un'anima sensibile e delicata. Spazza via dalla tua testolina quest'idea ridicola. Quella fu una delle pochissime occasioni in cui frignò. Sekure non era una donna dalla lacrima facile. L'aggettivo che meglio la descrive è "belva". Era una tigre taciturna e silenziosa. Parlava poco, sorrideva ancora meno e non rideva quasi mai. Non sapevi cosa le frullasse per la testa. Ce ne volle prima che quella testarda si arrendesse all'idea che era la mia allieva e doveva stare con me. Tentò di scappare un'infinità di volte, spesso portandosi i cavalli appresso. Ma io, con o senza cavalli, riuscivo sempre a raggiungerla. -
- E cosa facevi quando la trovavi? - chiese la master, piena di diffidenza e ostilità nei confronti del servo.
- La massacravo di botte. E' questo che vorresti sentirti rispondere, vero? Un mostro non può che comportarsi mostruosamente in ogni occasione, giusto? Devo deludere le tue aspettative, mia padrona. Quando la raggiungevo, non gliele suonavo. A che scopo l'avrei dovuta picchiare? Riacciuffarla era un gioco da ragazzi, per me. Mi divertiva, lanciarmi al suo inseguimento e l'espressione affranta che le brillava negli occhi quando mi vedeva ricomparire davanti a lei, bastava a soddisfare la stronzaggine insita nel mio animo. Risalivo sul mio cavallo e riprendevamo il cammino senza dire una parola. -
- Poveretta! - esclamò Integra, pensando a quanto dovesse sentirsi avvilita la draculina nel constatare che l'impegno messo in quelle fughe, si risolveva sempre in un nulla di fatto.
- Macchè poveretta! Poveretto io, dato che me ne combinò di tutti i colori! Ero il master, il capobranco, dovevo camminare davanti per tracciare il sentiero ma mi resi presto conto che procedere con quella belva alle spalle era pericoloso. Stava sempre zitta, rimuginando sulla propria condizione. Ogni tanto quei pensieri le facevano scattare dei raptus d'ira e allora mi assaliva alle spalle. Mi saltava sulla schiena aggrappandosi con le gambe e un braccio, e con la mano libera menava a più non posso. E' seccante ammetterlo ma quella belva sapeva picchiare sodo e non era facile scollarsela di dosso così presi l'abitudine di farla viaggiare al mio fianco, in modo da anticiparne le mosse. Purtroppo c'erano sempre dei momenti in cui mi toccava procedere davanti. Una sera, stavamo attraversando un valico di montagna. Il sentiero era stretto, dovevamo camminare in fila indiana. Quella maledetta scelse proprio quel momento per lasciarsi prendere dai suoi attacchi furiosi! Riuscì a farmi ruzzolare nel burrone, accidenti a lei! -
Integra, che udendo quella storia non poteva fare a meno di sorridere divertita, replicò:
- Non farla tanto tragica. Se sei qui a raccontarla, vuol dire che non è stata poi una così brutta caduta, ti pare? -
- Altrochè se fu una brutta caduta! Solo perchè non ci rimasi secco, non vuol dire che non mi feci male! Volai giù per un precipizio, sbattendo contro tutti gli spuntoni di roccia che sporgevano dalle pareti! Quando finalmente toccai il suolo, mi occorsero un bel po' di ore per riuscire a rimarginare le mie ferite. Capirai, ero un vampiro alle prime armi, a quei tempi me lo sognavo il potere rigenerativo che possiedo adesso!-
- E Sekure fuggì? - chiese Sir Hellsing, improvvisamente seria. Empatizzava con la sorte della draculina, vampirizzata contro il suo volere.
- No, ormai aveva smesso da un pezzo di tentare di scappare, capiva che si trattava di tentativi inutili. Non mi aveva spinto nel vuoto per sbarazzarsi di me ma in un attacco di rabbia acuta. Conoscendola, immagino che quando mi vide capitombolare giù per il dirupo, sarà rimasta  a guardarmi cadere con la sua solita faccia seria e impassibile. Poi si sarà fermata ad attendermi, tanto sapeva che non sarei morto. Infine, vedendo che perdevo tempo, andò alla ricerca di un riparo per il giorno. -
Il vampiro emise un sospiro scocciato. La rievocazione di quel ricordo lo seccava oltre ogni dire, era evidente. Infine, con le sopracciglia aggrottate, ricominciò:
- Impiegai tutto il resto della notte per arrampicarmi fuori dal crepaccio e appena raggiunsi il valico, mi misi sulle tracce di quella sciagurata, deciso a fargliela pagare. Seguii i suoi passi, sbucai in un pascolo montano e trovai quella disgraziata intenta a mettere le pastoie ai cavalli. Mentre mi aspettava, aveva ammazzato il tempo preparando l'accampamento. Aveva tolto i nostri sacchi con la terra di sepoltura dalle selle sistemandoli in una grotta, aveva tolto i finimenti ai cavalli, li aveva strigliati, portati all'abbeverata e adesso li stava preparando per mandarli al pascolo. -
Alucard sospirò, ancor più scocciato di prima:
- Cosa vuoi che ti dica, master? Sarà che ero stanco morto, perchè a quei tempi la resistenza che possiedo adesso me la sognavo, ma quando vidi che quella belva aveva sbrigato tutto il lavoro, e il mio sacco si trovava nella grotta, pronto perchè mi ci sdraiassi sopra e mi addormentassi, persi tutti i miei propositi bellicosi. Rivolsi a Sekure solo qualche parolaccia, a mò di rappresaglia, poi mi buttai sul mio sacco. Mi avvolsi nel mantello, mi calai il cappuccio sulla testa e mi addormentai come un sasso. -
Integra rise clamorosamente. Le piaceva questa Sekure, capace di tener testa al suo arrogante servitore. Non dovevano essere molte, le personalità su questa Terra, capaci di un simile risultato.
- Andiamo Alucard, meritavi questo e anche di peggio, considerando tutto ciò che avrai inflitto a quella povera draculina! -
Il vampiro, che non aveva fatto una piega davanti alla risata della master, nell'udire quelle parole si risentì. Con freddezza, commentò:
- La degna discendente di master Abraham Van Helsing. -
La risata di Integra s'interruppe bruscamente. Un senso di disagio s'impadronì della ragazzina. Da quando aveva letto i diari del suo antenato, si era posta spesso la domanda su quanto gli somigliasse.
"Come agirebbe lui in questa situazione?" si chiedeva ogni qualvolta Alucard o l'Organizzazione Hellsing la mettevano alle strette e, sempre, aveva cercato di agire nel modo che supponeva fosse diametralmente opposto a quello dell'avo, temendo di ripeterne gli errori. Il giudizio del nosferatu era stato quindi come uno schiaffo in pieno viso. Dunque somigliava all'ingombrante capostipite più di quanto supponesse?
Il vampiro proseguì:
- La grettezza degli umani non ha confini. Date sempre per scontato che chi non appartenga alla vostra specie non abbia regole, usanze, limiti. Anche l'esistenza degli esseri sovrannaturali è governata da poche norme basilari. Il fatto che non siano numerose quanto le vostre, non vuol dire che siano assenti. Non siamo noi ad essere nel torto, avendo poche leggi. Siete voi a risultare patetici, seppellendo le vostre potenzialità sotto strati di norme inutili. -
- Ma cos'ho detto di sbagliato? - chiese Sir Hellsing, fra il risentito e il mortificato, non comprendendo il proprio errore.
- Perchè dai per scontato che abbia inflitto crudeltà gratuite alla mia allieva? Ogni volta che desideravo essere efferato con qualcuno, andavo in cerca di una preda o di un avversario. Che bisogno avevo di crearmi una discepola per torturarla? Ero il suo maestro, tutto ciò che feci fu guidarla nella sua nuova vita. E prima che ti venga in mente quest'idea, non la violentai. Era sotto la mia tutela, avevo delle responsabilità nei suoi confronti, allo stesso modo dei tuoi insegnanti verso gli alunni. -
Integra si sentì punta sul vivo. Non aveva una gran stima per i suoi professori ma rimanevano comunque degli umani e l'idea che potessero equivalere ad un mostro come Alucard, la irritò:
- Non puoi metterti sullo stesso piano con loro! - ringhiò pertanto la biondina.
- Perchè? Perchè loro sono umani e io no? E allora? Non verrai a dirmi che tutti gli insegnanti umani sono delle brave persone. Non verrai a dirmi che non ci sono professori che abusano del loro potere per spadroneggiare sui giovani loro affidati. -
Sir Hellsing non potè negarlo e si rinchiuse in un rancoroso silenzio. Il vampiro continuò:
- Una draculina ha il diritto di essere rispettata dal suo maestro, così come un giovane vampiro ha il diritto alla correttezza da parte della propria maestra. Quando poi l'allieva diventerà una vampira a tutti gli effetti, sceglierà come proseguire la sua strada. Può decidere di staccarsi dal master. Oppure può rimanere con lui, stabilendo se in qualità di compagna o di figlia. Per quel che mi riguarda, fui più serio del principe di Biancaneve. Se quello lì approfittò del sonno della principessa per sbaciucchiarsela, io non mi azzardai a fare nemmeno quello. Non c'era da scherzare, con Sekure. Già trascorrevo i miei giorni dormendo con un occhio aperto, perchè da quella matta c'era da attendersi di tutto, figurati se le avessi fatto il minimo screzio contro la sua volontà cosa sarebbe successo! Mi sarebbe toccato dormire con tutti e due gli occhi aperti se non volevo correre il rischio di essere evirato nel sonno. E magari, non contenta, sarebbe pure corsa a buttarmelo in qualche pozzo, così da farlo sciogliere nell'acqua e allora avrei potuto dirgli addio per l'eternità. Dato che non riuscivo a dormire con entrambi gli occhi aperti e ci tenevo a restare tutto intero, mi guardai bene dallo sfiorarle anche un capello. -
Integra si riaccese il sigaro, spentosi nel frattempo, mentre ascoltava Alucard continuare a ricordare:
- Che la mia compagnia le pesasse, era chiaro. Glielo spiegai più di una volta che finchè fosse rimasta una draculina, non l'avrei lasciata andar via. Era un essere a metà, non più umana e non ancora vampira. In quello stadio, da sola, non sarebbe campata a lungo. Una volta che avesse bevuto sangue umano, sarebbe diventata una regina della notte a tutti gli effetti e a quel punto sarebbe stata libera di andarsene dove le pareva. Ovviamente non mi diede retta. Come in tutto il resto, pensava che dovesse fare l'esatto contrario di quel che le dicevo per mantenersi sana e salva. Presto si rese conto che non potendo più mangiare cibo umano, era realmente obbligata a bere sangue se non voleva morire definitivamente e da quella testarda che era, ripiegò mangiando gli animali. -
Integra sgranò gli occhi, costernata:
- Non ho mai sentito dire che un vampiro beva il sangue degli animali! -
- Questo perchè sei un'ignorante patentata in fatto di vampiri. - rispose placido Alucard.
- Ehi! Come ti permetti! Sono un'Hellsing, appartengo a una famiglia che da generazioni dà la caccia ai vampiri e... -
- E tuo padre non ti ha insegnato granchè sulle tue prede. Se ripenso a quando mi proponesti di bere il sangue freddo di frigo, appena mi risvegliai! - il volto del vampiro si contrasse in una smorfia disgustata e si coprì gli occhi con una mano - No, meglio non rivangare certe reminescenze. Per tornare in argomento, sì master, beviamo anche sangue animale benchè il nostro preferito sia indubbiamente quello umano ma non sempre ci sono persone a disposizione da mangiare. Capisco che questo concetto, in un mondo sovrappopolato come quello odierno, suoni bizzarro ma nei secoli passati esistevano vaste aree semi-abbandonate, o totalmente spopolate. Quando mi capitava di attraversarle, cosa credi che facessi? Che rimanessi a digiuno per tutto il tempo della traversata, che poteva durare anche mesi? Sarei morto di fame! In quei casi, ripiegavo anch'io sugli animali, domestici o selvatici, non faceva differenza. Sekure, scegliendo di bere solo il sangue degli animali, si teneva in vita ma non poteva trasformarsi in una vera vampira. L'unico modo per diventare una regina della notte, consisteva nel succhiarsi un umano ma lei rifiutava categoricamenter di compiere quel passo, dicendo che non voleva trasformarsi in un'assassina. Cercavo di allettarla, le ricordavo che dopo aver bevuto una persona avrebbe potuto andarsene, vampirizzare a sua volta un discepolo e crearsi un suo branco, di cui sarebbe stata la padrona. Ma lei rispondeva che non desiderava vampirizzare nessuno, non voleva infliggere ad altri la stessa sofferenza che pativa lei. Che capocciona era! Lì mi ripromisi che quella sarebbe stata la prima e ultima volta in cui vampirizzavo una donna contro la sua volontà. Era davvero una faticaccia improba farla diventare una vampira adulta! -
- Ma alla fine sarà riuscita a diventare una vampira vera. Se fosse rimasta una draculina, a quest'ora sarebbe ancora al tuo fianco! -
- Che razza di ragionamenti assurdi fai, master? Mi viene voglia di prenderti a ceffoni, quando parli senza pensare. Non è in base alla sua presenza o meno che puoi valutare la sua storia. Io adesso sarei da solo comunque, dato che le mie leonesse furono uccise da Van Helsing. -
Sorpresa da quella risposta, un sospetto cominciò a farsi strada nell'animo della piccola Sir: che Sekure fosse stata la prima delle tre leonesse a cui Alucard accennava ogni tanto? Il servo proseguì:
- Col tempo Sekure sembrò accettare l'idea di essere diventata una succhiasangue. Smise di fare sempre l'esatto contrario di quello che dicevo. Cominciò a fidarsi di me. E anche io cominciai a fidarmi di lei. Sottrassi a una preda una spada della misura di Sekure e le insegnai ad usarla, così avrebbe potuto aiutarmi quando compivo stragi nei villaggi. Mi rispose che non voleva infliggere agli altri ciò che era accaduto alla sua famiglia ma non le diedi retta. Così come si stava abituando a dormire di giorno e a tenersi alla larga dall'acqua, prima o poi avrebbe imparato anche ad apprezzare le stragi. Smise di attaccarmi alle spalle quando camminavo davanti a lei. Cominciai a sentirmi tranquillo in sua compagnia e presi l'abitudine di dormire con tutti e due gli occhi chiusi. Questo fu un grosso errore. -
Alucard aspirò una boccata di fumo prima di proseguire:
- Un giorno, mentre dormivo, Sekure prese la sua spada e mi tagliò la testa. Non contenta, fece a pezzi anche il resto del mio corpo. E' una fortuna che nelle vicinanze non ci fossero sorgenti d'acqua, sennò potevo star certo che almeno la metà di me sarebbe finita in un torrente a squagliarsi. Dopo avermi affettato, prese il mio sacco con la terra di sepoltura, lo portò fuori dalla casa abbandonata dove ci trovavamo, lo squarciò con la lama e disperse la mia terra tutt'intorno. Infine prese il suo sacco, i cavalli e scappò. Era convinta di avermi ucciso e se devo essere sincero, anch'io continuo a stupirmi di non avere terminato la mia carriera di vampiro nella spelonca in cui mi macellò. Non usò lame d'argento o paletti di frassino ma mi affettò con una diligenza tale, che a rigor di logica avrei dovuto restarci secco comunque. Se sono qui a raccontarla, è perchè non centrò come si deve il mio cuore, non esistono altre spiegazioni. Mi maciullò con una pignolerìa tale che impiegai giorni prima di riuscire a ricomporre il mio corpo, e devo ringraziare i miei famigli demoniaci se nell'attesa non venni mangiato da qualche animale di passaggio. Quando tornai tutto intero, uscii a cercare la mia terra di sepoltura. Se in quelle notti avesse piovuto o tirato vento, si sarebbe dispersa tutta e sarei schiattato comunque. Ero talmente debole, dopo la fatica fatta per riattaccarmi, che avevo bisogno di dormire sulla mia terra per recuperare le forze. Per fortuna erano state notti di tempo asciutto e la mia terra era ancora tutta lì, intorno alla casa. Impiegai un bel pezzo a raccoglierla, la infilai nel mio mantello che legai come un sacco, me lo misi in spalla e partii alla ricerca di Sekure. Mi occorse qualche settimana per trovarla. Una mattina presto entrai in una chiesetta sconsacrata e la trovai che dormiva della grossa. Così mi sedetti e attesi che si risvegliasse. -
Integra quasi sobbalzò per lo stupore:
- Aspettasti? E perchè mai? Non è da te! -
- Non è da me? E chi lo dice? Mi conosci ancora troppo poco, master, per poter dire con tanta sicurezza cosa è o non è da me. Sekure si era addormentata serenamente. Volevo che la prima cosa che vedesse, appena aperti gli occhi, fosse me. Volevo che rimanesse per qualche istante nel dubbio, chiedendosi se stava sognando o meno e una volta compreso che ero reale, nei suoi occhi sarebbe brillato il terrore. Era quello che volevo vedere e fu ciò che avvenne. Ebbe paura solo per pochi istanti, poi si alzò subito in piedi, mettendosi sulla difensiva, ma a me era bastato comunque. -
Una pausa di silenzio poi, in tono ammirato, Alucard esclamò:
- La più epica scazzottata della mia non-vita! Alla fine ovviamente vinsi io ma fu una vittoria sudata perchè Sekure sapeva picchiare bene. Mi sedetti sulla sua schiena come su di un tappeto e le dissi che nemmeno io volevo la sua compagnia. Non desideravo stare con una pazza che tentava di uccidermi nel sonno ma non potevo lasciarla andare finchè non fosse diventata una vampira completa, quindi doveva arrendersi a bere sangue umano. Quando riprese forze sufficienti per rispondermi, disse che se volevo che bevesse sangue umano, saremmo dovuti andare nella mia terra. Finchè fossimo rimasti nell'Impero Ottomano, si sarebbe rifiutata di divorare la sua stessa gente. Così la condussi in Valacchia. Speravo che, appena arrivati lì, avrebbe azzannato il primo umano che le capitava, invece scartava tutti quelli che incontrava. Cominciai a temere che volesse fregarmi nuovamente ma mi sbagliavo. Stava solo cercando la preda dei suoi sogni. Scovò un uomo che mi somigliava parecchio. Fu lui che mangiò, dopo essersi divertita a torturarlo per parecchie notti. Cosa ne dici, master, fu una semplice coincidenza che quel disgraziato sembrasse il mio sosia? -
- Mha, non saprei... - rispose evasiva Integra.   
- Massì, in fondo non ha importanza! L'essenziale è che Sekure diventò finalmente una vampira e mi lasciò per andarsene per la sua strada. -
Integra sorrise. Era contenta che la draculina fosse per lo meno riuscita a sbarazzarsi della detestabile presenza di quel maestro egoista, che l'aveva vampirizzata contro il suo volere. Alle orecchie della ragazzina, suonava come il più piacevole dei lieto fine e fu per questo che le parole successive del vampiro la lasciarono costernata:
- Sì, se ne andò...per tornare da me dopo qualche anno. -
Alucard le dava le spalle, Integra non poteva vederne il viso ma la master era certa che in quel momento il servo stesse sorridendo maliziosamente, divertito del suo stupore.
- Mi prendi in giro! - tuonò la piccola.
- Me ne guardo bene. E' la verità, Sekure tornò da me. Me la vidi ripiombare nella mia non-esistenza una notte, mentre ero a caccia di uro... -
- Di...cosa?! -
- Come il lupo è la versione selvatica del cane, così l'uro era la versione selvatica delle mucche ma non illuderti che avesse granchè in comune con le vacche di oggi. Gli uro avevano un carattere aggressivo, inoltre erano dei bestioni colossali, con delle corna da far paura. Non puoi farti un'idea delle loro dimensioni, se non li hai visti di presenza. Quand'ero umano, noi nobili ci arrogavamo il diritto di essere gli unici a cacciare l'uro. Ci serviva da esercitazione alla guerra. -
- Come poteva servirvi, una caccia, da allenamento per la guerra? -
- Serviva moltissimo, invece. In entrambi i casi, ne uscivi vivo solo se avevi fegato e sangue freddo. E ti assicuro che quando ti vedevi correre incontro quella montagna di muscoli e potenza, talmente pesante che sentivi la terra vibrare sotto i tuoi piedi ad ogni suo passo, con le corna ricurve verso di te, ti serviva veramente tutto il coraggio che avevi a disposizione per rimanere saldo sulle gambe e affrontarlo. -
Integra si sentiva piena di ammirazione per gli animali di cui parlava Alucard. Un dubbio però l'assalì:
- Ma io non ho mai visto questi uro! -
- Ovvio, considerando che si sono estinti nel 1600. -
La delusione si dipinse sul faccino della piccola. Il servo proseguì:
- Quella notte avevo talmente tanta fame che mi sarei succhiato un uro intero, per questo li stavo cacciando. Mi ero appostato dietro un crinale, tenendo d'occhio uno di quei bestioni. Mi stavo scervellando su come azzannarlo senza farmi incornare, quando sentii una presenza dietro di me. Mi voltai e vidi Sekure. Ero sorpreso. Tanto. Non credevo che l'avrei ancora incontrata. Soprattutto, non pensavo che l'avrei rivista priva di intenzioni bellicose. Si acquattò accanto a me, osservando il toro. Come se non fosse stata via per tutto quel tempo, mi chiese come potevamo ucciderlo. Risposi nello stesso tono e congegnammo un piano per abbatterlo. Da quella notte, restò con me. All'inizio ero convinto che sarebbe ripartita presto. Pensavo si fosse imbattuta nelle mie tracce per caso e le avesse seguite per fare una rimpatriata. Appena le fosse venuta a noia la mia compagnia, avrebbe ripreso la sua strada. Non poteva che essere così considerando quanto aveva smaniato, quando era ancora mia allieva, per liberarsi della mia presenza. Ma le notti passavano e lei continuava a cavalcare al mio fianco, così capii che era tornata per restare. -
- Ma perchè?! - chiese Integra, sbigottita. Dopo quanto le aveva fatto il vampiro, a Sir Hellsing sarebbe sembrato più che logico che Sekure si tenesse alla larga da lui.
- Non mi fornì grandi spiegazioni. Era una tipa taciturna. Per esempio, quando mi sorprese a cacciare l'uro, mica mi disse che era tornata per restare, nè si degnò di spiegarmelo nelle notti successive, lasciò che ci arrivassi da solo. Il motivo, comunque, fra quel poco che mi disse lei e quello che dedussi io conoscendola e conoscendo gli altri vampiri, è che tornò per solitudine. E coerenza. Ormai era una vampira e dagli umani non poteva andare. Quando era la mia draculina, glielo avevo ripetuto fino allo sfinimento che solo i vampiri con cui hai uno scambio di sangue diretto o indiretto costituiscono il tuo branco. Tutti gli altri sono rivali e prede al contempo. Sekure ovviamente non mi diede retta. Appena se ne andò da me, tentò di farsi accettare da altri branchi di vampiri. Pazza che non era altro! C'è da stupirsi che sia sopravvissuta a tanta incoscienza! Quando capì che le avevo detto il vero, perchè gli altri nosferatu tentavano sempre di sbranarla, comprese che se desiderava della compagnia, non le restavano che due strade: o tornava dal suo maestro, o vampirizzava degli allievi. Non voleva fare nè l'uno nè l'altro. Si sforzò di stare da sola ma non aveva il carattere adatto per fare l'eremita. Alla fine, siccome aveva giurato a se stessa che non avrebbe mai vampirizzato nessuno, perchè non voleva far patire agli altri quello che soffriva lei, si mise sulle mie tracce. -
- E ovviamente, da quella carogna che sei, ti sarai divertito a rinfacciarle "Te l'avevo detto!" - replicò Integra, sospettosa.
- Quanto sei malfidente! Walter ti sta contagiando, lo sai? No, nanerottola, non le rinfacciai niente, nè la presi per i fondelli o la disprezzai. Al contrario, l'ammirai molto. -
- Ah! Fammi il piacere! -
- Ecco, lo vedi quanto sei diffidente? Fra l'altro, dimostri anche di non conoscermi. Quante volte ti ho detto che rispetto le persone coraggiose, coerenti e capaci di rischiare? Sekure aveva dimostrato di possedere tutte queste qualità. Per coerenza con le sue idee, si era rifiutata di vampirizzare un allievo. Tornare da me era stato un azzardo. Chi le assicurava che avrei rivoluto indietro una squinternata che mi aveva fatto a pezzi nel sonno? Avrei potuto avere un'altra draculina. Avrei potuto deriderla, insultarla e scacciarla. Credi che Sekure non abbia considerato queste ipotesi? Però ebbe comunque il coraggio di rischiare. Da quel momento, ebbi sempre stima di lei. -
Integra, invece, si sentiva sinceramente delusa dalla marcia indietro di Sekure, anche se doveva ammettere che era contenta che la vampira continuasse a comparire nel racconto del servo, evento che non avrebbe potuto verificarsi se se ne fosse andata via una volta per tutte.  
Il vampiro si riaccese il sigaro, spentosi nel frattempo, e continuò:
- Accettò di diventare la mia compagna. Anzi, per l'esattezza disse che io ero diventato il suo compagno. Ci teneva a scegliere con cura le poche parole che spiattellava. A quel punto mi affiancò nel lavoro che facevo da quando ero tornato in Valacchia. -
- Da quando in qua succhiare il sangue alla gente è un lavoro? - motteggiò Integra, tentando di fare una battuta.
- Master, quando te ne esci con queste frasi ridicole, mi fai venire una gran voglia di prenderti a sganassoni. Ho mai confuso le parole "lavorare" e "mangiare"? No. Quindi perchè pensi che cominci proprio adesso? Se ho usato la parola "lavorare", l'ho fatto con cognizione di causa. Quando Sekure, diventata una regina della notte a tutti gli effetti, se ne andò via da me, pensai di mettermi sulle tracce dei miei discendenti. Tutto quel guerreggiare da solo contro l'Impero Ottomano da quando ero diventato un vampiro, l'avevo fatto anche per loro. Volevo scoprire se la mia stirpe era ancora in vita, se c'era qualcuno che proseguisse la mia esistenza e i miei ideali umani. -
Una pausa. Quando il vampiro riprese a parlare, aveva perso il suo tono scanzonato:
- Erano trascorsi molti decenni da quando ero morto come umano. In quel lasso di tempo, la maggior parte dei miei figli era deceduta. Di guerra. Di parto. Di malattia. Di intrighi politici. Solo pochi erano ancora vivi, ed erano tutti vecchi, pieni di rughe e con i capelli bianchi. -
Integra avvertì i muscoli della schiena del servo tendersi come corde di violino.
- Vuoi sapere se mi sono mai pentito di essere diventato un vampiro? Sì, ci sono stati dei momenti in cui avrei desiderato di essere morto e basta e sono stati proprio quei momenti, le occasioni in cui incontrai i miei figli umani...non bisognerebbe vivere tanto a lungo da vedere i neonati che tenesti in braccio ridursi in anziani vacillanti! Non è nell'ordine naturale del mondo assistere ad un simile spettacolo! Aiutavo quei vecchi e quelle vecchie a camminare, sostenendoli per un braccio e mi sentivo sgomento... -
Anche Integra si sentiva sgomenta. Il suo giovane Alucard, padre di un gruppo di anziani? Non riusciva neanche ad immaginare una simile scena. Fu allora, per la prima volta, che comprese fino in fondo alcune delle frasi pronunciate da suo padre sul letto di morte:
- In questo mondo esiste una moltitudine di mostri. Ogni volta che li vedo, penso a qualcosa. La loro natura immortale ... potevano veramente volere questo? Li compiango. Sembrano così pietosi. -
Anche Sir Hellsing, adesso, sentiva di compiangere con tutto il cuore quel servo che così spesso la faceva irritare. Attese con pazienza la fine della lunga pausa di silenzio che seguì quella rivelazione. Alucard aveva bisogno di smaltire la bufera che gli si agitava dentro. Finalmente, riprese a parlare:
- Che incontrassi i miei figli e figlie superstiti o i loro figli, figlie e nipoti, non faceva differenza. Comparivo di fronte ai capi delle diverse famiglie, mi facevo riconoscere come loro antenato, assicuravo che non li avrei mangiati, e prendevo informazioni su cosa ne era stato della mia stirpe. Scoprii che le linee di sangue erano ancora tutte su questa Terra. I miei discendenti legittimi valacchi, che portavano il nome di Draculesti; i discendenti legittimi avuti dalla mia moglie ungherese e che vivevano in Ungheria; i miei illegittimi, avuti da madri valacche o sassoni...esistevano ancora tutti quanti. I Draculesti tentavano di riprendere il potere sulla Valacchia. Il mio povero regno non aveva pace. Sul suo suolo si svolgevano continuamente guerre fra i Draculesti e i clan rivali. Il potere veniva preso per pochi anni da un voivoda che veniva spodestato e soppiantato da un altro...E' imbarazzante ammetterlo ma a quei tempi ero ancora attaccato a quel che restava dei miei scampoli di vita umana, e il bello è che nemmeno me ne rendevo conto! Avevo rimproverato tante volte Sekure perchè continuava a comportarsi come un'umana, cercando di bere l'acqua o di stare sotto al sole ma io non ero migliore di lei. Continuavo a ricordare tutti i miei sogni interrotti con la morte, le mie fantasie di essere il capostipite di un clan famoso di un regno potente. Senza starci a pensare, mi buttai a capofitto in quella guerra che non mi apparteneva più. Contribuivo come vampiro alla disfatta dei nemici dei Draculesti, sperando di vedere trionfare la mia stirpe e realizzare attraverso di loro le mie ambizioni umane. Nei ritagli di tempo, favorivo anche gli altri miei discendenti, quelli illegittimi e quelli ungheresi. Anche loro portavano il mio sangue, perchè non dare una spintarella anche alle loro aspirazioni? Eliminavo i mercanti avversari della mia stirpe sassone, i nobili rivali dei miei pronipoti ungheresi, e così via. Il nostro era un patto di mutuo soccorso. Io difendevo i loro interessi, loro mi proteggevano da umani armati di paletti di frassino e altri pericoli simili . Nei miei spostamenti fra la Valacchia, la Transilvania e l'Ungheria, spesso mi fermavo presso i miei discendenti dislocati lungo il cammino, per dormire il mio sonno diurno nelle loro cantine, al sicuro dagli altri umani. I miei servi che trovi nel libro di Bram Stoker, non erano altro che una parte della mia stirpe. I miei discendenti hanno sempre accettato di servirmi, in cambio della mia tutela. Quando Sekure tornò da me, mi affiancò nell'attività che avevo cominciato a praticare da quando ero tornato in Valacchia, l'unico lavoro che mi consentisse di coniugare la missione che mi ero dato con il mio bisogno di avventura: diventammo briganti. -
Il silenzio attonito di Integra fece comprendere ad Alucard che la ragazzina non comprendeva le motivazioni profonde di quella scelta.
- Ragiona, master. Cosa fa un brigante? Ruba tutto ciò su cui riesce a mettere le mani e ti assicuro che sgraffignare non è mai un'operazione facile. Ci sono sempre guardie armate da eludere, protezioni da valicare e un'infinità di altre regole da rispettare, se vuoi rendere il gioco divertente. I boiardi rivali dei Draculesti possedevano palazzi in città e ville in campagna. Io e Sekure entravamo in queste dimore e sottraevamo quello che ci riusciva. Per lo più, oggetti di lusso dai palazzi cittadini, come monete, pellicce e gioielli, mentre dalle ville in campagna andavamo via a bordo di carri pieni di sacchi di grano o tirandoci appresso tutte le bestie al pascolo che trovavamo. Non ridere: a quei tempi c'era molto meno da mangiare rispetto ad ora e ti assicuro che anche per i nobili perdere un carro di cereali o un gregge di pecore era un colpo alle finanze non indifferente. Ovviamente, essendo noi vampiri, non ce ne facevamo nulla di quella roba, così la smistavo fra i miei discendenti. A quelli che erano contadini, pastori, artigiani, davamo la roba da mangiare, gli animali e le stoffe per coprirsi. A quelli che erano mercanti o nobili, mollavo gli articoli di lusso. Nel corso di quelle razzie, se incontravo un boiardo, mi facevo sempre un dovere di mangiarlo. Se invece ci imbattevamo solo in servi senza importanza...be' allora tutto dipendeva da quanta fame avessimo in quel momento o se quella notte, mentre ci recavamo al lavoro, avevamo litigato come due cani rabbiosi e ci sentivamo particolarmente nervosi. Capitava che non ammazzassimo nessuno. Altre volte invece compivamo delle stragi. Sia che uccidessimo o meno, comportandoci in quel modo assestavamo comunque dei colpi alle famiglie rivali dei Draculesti, inoltre ci divertivamo moltissimo. -
- Quindi per te...per voi...fare il brigante era essenzialmente un passatempo? -
- Ma certo! La vita di un vampiro è molto lunga, bisogna pur trovare qualche hobby con cui riempirla, no? E ti assicuro, master, che il brigante è uno dei mestieri più divertenti che siano stati inventati! -
La faccia di Integra era dubbiosa.
- Non hai un'idea di cosa volesse dire rubare una mandria di vacche dalle sconfinate praterie ungheresi, dovendo poi seminare i pastori che ci galoppavano alle calcagna! E guarda che i pastori ungheresi non sono come quelli del presepe. Erano armati di spade e sapevano usarle! Non che questo rappresentasse un grande pericolo per dei vampiri ma come ti ho detto, perchè un gioco sia divertente, le regole vanno rispettate. E la regola principale di quando fottevamo il bestiame era: mai farsi raggiungere, le tracce vanno disperse prima di lasciare la puszta. Ammetto che certe volte seminavamo i pastori con eccessivo anticipo e allora non c'era più gusto a fare quel lavoro. Così ci accampavamo per un paio di giorni, in modo da dare a quegli uomini il tempo di avvicinarsi e solo quando sentivamo il loro fiato sul collo, riprendevamo la fuga. -
Il vampiro esalò un sospirone nostalgico:
- L'abigeato è un'esperienza che tutti dovrebbero provare, almeno una volta nella vita! -
Integra si sforzò di immaginare la scena che le aveva appena descritto Alucard. Pensò che non dovesse differire molto dai film western, solo che al posto di fucili e pistole, i protagonisti impugnavano spade e pugnali. E canini affilati.
- Ho deciso! -
L'esclamazione di Alucard arrivò così inaspettata che la ragazzina saltò in aria dalla paura. Girandosi a guardare il vampiro, vide dipinta sul suo volto un'espressione radiosa. Il nosferatu proseguì:
- Ho deciso, master: quest'estate, andiamo in vacanza in Ungheria e ti insegno a rubare il bestiame! Vedrai, ti piacerà da matti, hai il temperamento giusto per divertirti con questo genere di cose! -
Lo sguardo del vampiro sprizzava una felicità tale a quella prospettiva, da dare a Sir Hellsing l'impressione che non sarebbe riuscito ad attendere l'arrivo dell'estate.
" Sta' a vedere che adesso mi prende sottobraccio come un pacco postale e si mette a correre a perdifiato verso il più vicino aereoporto? " pensò Integra e la probabilità che quell'evento si verificasse le sembrò talmente alta che tentò di smorzare l'entusiasmo del servo con la prima banalità che le attraversò la mente:
- Ma Alucard...non pensi che dai tuoi tempi ad ora, la situazione possa essere cambiata? Ti pare possibile, ai giorni nostri, rubare una mandria in groppa a un cavallo? -
- Già...probabilmente adesso è tutto meccanizzato. Trasporteranno i capi a bordo di camion. - riflettè il vampiro.
Ci voleva altro però per far demordere Alucard! Meditò un po' sulla questione infine, in tono serio, disse:
- Senti il mio piano: ci facciamo fare delle bolle di accompagnamento false, rubiamo un camion per il trasporto degli animali, presentiamo i nostri documenti contraffatti spacciandoci per degli addetti del mattatoio, carichiamo le bestie e ci diamo alla fuga per le strade sterrate della puszta. Eh? Che ne dici? Ricordo ancora sufficiente ungherese da poter interpretare la parte. E se così non fosse, mi basterà succhiare un tizio qualsiasi per assimilare la lingua col suo sangue. -
- Ho dodici anni, come posso passare per un'addetta dei macelli?! -
- C'inventiamo una scusa! Diciamo che sei mia figlia, tua madre è scappata via con l'amante e siccome non ho nessuno a cui mollarti, quando viaggio mi tocca portarti con me. E' una scusa che regge. Dai, master, facciamolo! Non ti piacciono le mucche? Allora rubiamo cavalli. Capre. Maiali. Galline. Qualsiasi cosa, purchè sia vivo e schiamazzi. Non c'è divertimento a fuggire senza un carico che schiamazza ad ogni sobbalzo del camion. Se abbiamo fortuna, magari finisce come nei film americani, tampinati da una macchina della polizia che ci spara addosso! Io risponderei con Casull. Con una mano guiderei e con l'altra sparerei. Da lì in poi, potrebbe essere un'escalation di divertimento! -
Gli occhi del vampiro sfolgoravano dall'eccitazione:
- Potremmo sfondare col camion la frontiera del paese più vicino. Creeremmo un caso diplomatico. Due cittadini britannici, di cui una minorenne, che importano illegalmente bestiame ungherese in Romania. Potremmo asserragliarci nell'ambasciata inglese. Potremmo... -
- Voli troppo con la fantasia. - lo interruppe la master in tono secco - Non dubito che tu, al volante di un camion, riusciresti a fare tutto ciò che mi hai raccontato e anche di più. Dimentichi però che Walter non si sognerebbe mai di affidarmi a te al di fuori di Villa Hellsing. -
- E' vero. Quel guastafeste! - sibilò Alucard, mettendo il broncio - Promettimi però che quando diventerai maggiorenne, un viaggetto in Ungheria o da qualsiasi altra parte per cacciarci nei guai, solo tu e io, lo faremo. -
- Mediterò sulla tua proposta. Adesso, per favore, puoi riprendere col tuo racconto? -
La domanda di Integra mescolava il sincero interesse per le vicende di Alucard col desiderio di sviare la mente del vampiro dalla fissazione di trascinarla nella puszta a rapire vacche.
- Be', non è che ci sia molto altro da aggiungere, a questa parte del racconto. Continuammo a fare i briganti finchè l'arrivo della marmocchia non obbligò Sekure a lasciare quel divertimento solo a me. -
- Di quale marmocchia parli? -
- Di quella che scodellò Sekure dopo che la sua pancia lievitò come una mongolfiera. Non poteva briganteggiare con una neonata in braccio. Le toccava aspettare in un posto sicuro il mio ritorno. -
- Non è possibile che abbiate avuto una figlia! -
- Mi spiace contraddirti quando sfoderi quel tono tanto sicuro ma è così che andò, mia master. O per lo meno, Sekure una figlia l'ebbe di sicuro, e i Draculesti che ci ospitarono nella loro villa per la bisogna te lo potrebbero testimoniare. Tutti udirono riecheggiare per stanze e corridoi i bestemmioni con cui Sekure tirò giù tutti i santi dal paradiso, mentre partoriva. Se la prese persino con me. Urlò che era tutta colpa mia se si ritrovava in quell'impiccio e appena si fosse sentita meglio, me l'avrebbe fatta pagare, suonandomele di santa ragione. Che ingrata! Dopo tutto l'impegno che mettevo per farla divertire! Per quel che riguarda il sottoscritto, master, cosa vuoi che ti dica? Lo so, gli antichi romani asserivano che la madre è sempre certa mentre il padre non è mai certo ma ho buone ragioni per sospettare di essere stato l'unico individuo di sesso maschile sufficientemente incosciente da avvicinarsi a Sekure quindi, a meno che quella tigre non abbia violentato un umano prima di mangiarlo, evento che non posso escludere a priori, ne consegue che la marmocchia quasi sicuramente fosse mia. -
- Mi prendi in giro! - ripetè Integra cocciutamente - I vampiri non possono avere figli! -
- Ah no? E chi lo dice? Una delle tante leggende sui nosferatu? - ridacchiò Alucard - Cos'è, un vampiro? Un individuo che si trova a metà strada fra il regno dei vivi e il regno dei morti. Questo vuol dire che possediamo tutte le funzioni vitali, solo rallentate, rarefatte. Quindi perchè non dovremmo riuscire a riprodurci? Certo, rispetto a un vivo impieghiamo un numero molto maggiore di anni e scopate per raggiungere lo stesso obiettivo ma alla fine ce la facciamo anche noi. -
- Questa leggenda sei stato tu stesso a confermarla a mio zio! - rimbeccò Integra. Si sentiva irritata, convinta com'era che il servo si stesse burlando di lei - Fra i quaderni di Van Helsing, ce n'era uno compilato solo ed esclusivamente con le leggende sui vampiri. Sulle leggende fasulle, tirava una riga e accanto a molte di esse aveva annotato "chiesto conferma al vampiro" cioè a te. Sulla nota "non procreano" non era stata tirata nessuna riga, e anche lì accanto aveva aggiunto "chiesto conferma al vampiro". Quindi chi è che hai preso in giro? Me o lui?-
Sir Hellsing si sentiva piena di sacro furore ed era certa che Alucard, per farla irritare maggiormente, si sarebbe divertito a risponderle in modo irriverente, magari accompagnando il tutto con una delle sue risate sfottenti. Stavolta però si sarebbe fatta trovare pronta per la battaglia!
- Stupida ragazzina umana! - sibilò il vampiro con disprezzo.
Lo zelo guerresco di Integra s'incrinò: non si attendeva una reazione simile da parte del servo. La novità di quell'astio la spiazzò.
Nello stesso tono, il vampiro proseguì:
- Una notte vengo risvegliato dal mio sonno di morte e cosa scopro? Io sono ridotto in schiavitù, alla mercè di un umano. Le mie leonesse sono state uccise. Un giorno mi sento chiedere dal mio padrone se i vampiri sono capaci di riprodursi. Cos'avrei dovuto rispondere, secondo te? "Sì, anche noi abbiamo figli"? Così a master Abraham sarebbe venuta la fregola di sbarazzarsi anche dei leoncini, oltre che delle leonesse? Anzi, considerando che era intimamente sadico, avrebbe mandato me ad ucciderli e per il Patto di Cromwell, non sarei riuscito a ribellarmi. Voi umani pensate che i mostri non abbiano alcun tipo di ritegno e questo è uno dei vostri più grandi sbagli. Anche noi mostri abbiamo i nostri limiti. Io non voglio sterminare la mia stirpe, questo è il mio limite. Quindi meglio buttare fumo negli occhi a Van Helsing e fargli credere che non ci fosse nessun'altro. -
Integra riflettè in silenzio. Ogni frase pronunciata dal servo, conteneva più informazioni di quante se ne potessero cogliere di primo acchitto.
- Ma nel libro di Stoker non avevate eredi. Nel castello abitavate solo tu e le tue mogli. -
- Quante cose non dice, il libro di Stoker! - rispose con irritazione Alucard - Stoker non sapeva tutto. Neanche master Abraham sapeva tutto. Ma entrambi erano sufficientemente pieni di sè da convincersi del contrario. I leoncini erano cresciuti e avevano lasciato la tana prima che scoppiasse tutto quel casino, per questo nè Harker nè Van Helsing li incontrarono. Fu la loro salvezza. -
Bene, un punto era stato spiegato ma ne rimaneva un altro che lasciava Integra dubbiosa:
- Però Alucard...io non ho mai sentito parlare di neonati-vampiro! -
Il non-morto si girò, per scrutare la padroncina con aria perplessa:
- Chi ha mai parlato di neonati-vampiro? I vampiri generano solo esseri umani. -
Integra immaginò che i neuroni del suo cervello, a quel punto, decretassero all'unanimità:
- Ok, ragazzi, adesso partiamo tutti per una bella vacanza! -
Non tentò nemmeno di lambiccarsi le meningi per cercare di capire come diavolo potesse, un vampiro, generare umani. Tutto ciò che fece fu chiudere gli occhi e appoggiare la fronte sulla mano, con aria disperata.
- Dai, Integra, non fare così! Non ti sto prendendo in giro, giuro. Ricordi la lezione di scienze che hai studiato durante le vacanze di Natale? L'hai ripetuta tante volte a voce alta per impararla a memoria e io ascoltavo quello che dicevi. -
La ragazzina annuì:
- Era una lezione sui cromosomi. -
- Esatto. Diceva che ai discendenti trasmettiamo i caratteri ereditari, non quelli acquisiti. Io sono nato umano. Ho scelto di diventare vampiro. Come posso trasmettere ai miei figli una scelta? Il carattere ereditario, se così lo vuoi chiamare, è l'umanità. Il vampirismo è il carattere acquisito. Capisci ora? -
La ragazzina alzò la testa. I neuroni erano tornati dalla vacanza.
- Quindi, dopo che sei diventato un nosferatu, hai continuato ad avere figli umani? -
- Certo. Sono tutti nati umani. Molti di loro, quando sono cresciuti, hanno scelto di diventare vampiri, ma questa è un'altra storia. Quando si ha un padre famoso, la tentazione di emularlo è forte. -
Il vampiro si zittì, perso nei suoi pensieri. Poi, scrollando il capo sospirò:
- Figli d'arte! -
Intanto Integra ripensava a un dialogo che aveva letto nei diari di Van Helsing:

- Cos'è che ti farebbe piacere, adesso? -
- Sapere cos'è successo nel mio castello. -
- Te l'ho già detto. Ho ucciso le schiave che vivevano con te. -
- E gli altri? -
- Quali altri? -
Stavo già cominciando a sudar freddo, temendo che in quel maniero si annidassero altri mostri sfuggiti alla mia attenzione.
- I miei servi. Ne avevo tanti. Erano tutti umani: valacchi, sassoni, tzigani. Che fine hanno fatto? -


Master Abraham, tronfio, sicuro di sè, certo di avere a che fare con un essere dall'intelligenza limitata, non aveva colto il senso di tanta insistenza. Adesso Integra comprendeva come Alucard, nel corso di quella discussione, avesse sondato il terreno: Van Helsing si era reso conto che nel maniero, fino a non molto tempo prima, avevano risieduto anche dei leoncini, oltre alle leonesse? E i suoi servi, tutti suoi discendenti, erano ancora vivi o quegli inglesi invasati li avevano sterminati?
No, Van Helsing non aveva colto le tracce dei figli. I suoi servi erano ancora tutti vivi. Il vampiro aveva potuto sospirare di sollievo. Lui era ridotto in schiavitù, le compagne erano morte ma almeno la stirpe era salva.
Aveva fregato Van Helsing. Tiè!
Sir Hellsing si riscosse:
- Sekure ha poi mantenuto la promessa? -
- Quale? Quella di picchiarmi appena si fosse rimessa in forze? Certo che l'ha mantenuta! Sekure dava sempre ciò che prometteva. - rispose il vampiro, massaggiandosi la mascella al ricordo di un pugno - Ma i cazzotti di Sekure, in quel momento, erano l'ultimo dei miei problemi. Non hai un'idea, master, di che razza di rogna sia, per dei vampiri, allevare un marmocchio umano. Se la fanno costantemente addosso, tocca lavarli e per un vampiro è deleterio toccare l'acqua. Sekure faceva delle acrobazie degne di una contorsionista, per riuscire a immergere nei torrenti  Marya e poi asciugarla. E altre acrobazie toccava fare per riempire una borraccia d'acqua da legare sulla sella, perchè gli umani hanno bisogno di bere. I vampiri non sentono nè caldo nè freddo, mentre gli umani possono morire assiderati. Ogni volta che ci accampavamo, toccava accendere il fuoco per scaldare la gnoma. Inoltre Sekure aveva legato sulla sella un rotolo di scialli in cui avvolgerla e le toccava fare le contorsioni per lavare anche quelli ogni volta che Marya ci spisciacchiava dentro. E quelli, tutto sommato, furono i guai più semplici da affrontare. I veri problemi arrivarono quando la tappetta smise di bere il latte di sua madre. Quando passavamo dai borghi, non dovevamo preoccuparci di trovare solo prede per noi, ma anche cibo per Marya. E poi cominciò a camminare e dato che cresceva con dei vampiri, era abituata a dormire di giorno ma non era capace di vedere al buio come noi e inciampava dappertutto. Se nel silenzio della notte udivi un rumore simile a una noce di cocco che cade su una pietra, potevi star certo che era Marya che tentava di spaccarsi la capoccia contro un ostacolo. In compenso, quando noi dormivamo, nostra figlia ci vedeva benissimo e si lanciava in spericolate esplorazioni. Un tramonto mi svegliai e mi accorsi che la peste non si trovava con noi nella grotta dove ci eravamo rifugiati. Uscii a cercarla e vidi che procedeva di gran carriera verso una dolina che si apriva nel terreno, sprofondando nel sottosuolo per chissà quante centinaia di metri. L'acciuffai appena prima che cascasse dentro. Non potevamo continuare a non-vivere a quel modo, così decisi che avremmo scaricato Marya a qualche umano. -
- Decidesti da solo? Non vorrai farmi credere che una tigre come Sekure abbia ubbidito come una pecorella ai tuoi ordini. -
- Ovvio che no, impiegai mesi per convincerla che gli umani devono stare con gli umani. Ciò che decisi da solo, fu a chi scaricare la pisciona. Da quando ero tornato in Valacchia, avevo riallacciato i rapporti con tutta la mia stirpe, tranne che con i discendenti di mio figlio Mircea. Dopo che io morii, Mircea cambiò il suo cognome in Stanciu, così da tenersi lontano dagli intrighi dinastici. La famiglia che aveva generato, viveva nell'ombra del potere politico, fedele a tutti e nessuno. Quand'ero stato un umano, avevo disprezzato persone simili. Era per colpa di quella mentalità sempre pronta a schierarsi dalla parte del più forte, che il mio regno non riusciva a trovare un governo stabile. Per questo, quando scoprii cos'aveva fatto Mircea, mi tenni alla larga dalla sua discendenza. Mi sentivo tradito e offeso. Ma adesso che dovevamo trovare qualcuno a cui appioppare una bambina di un anno e mezzo, mi chiesi se tutto sommato gli Stanciu non fossero i più affidabili per quel compito. Grazie alla loro politica, vivevano tranquillamente, senza che i loro possedimenti fossero devastati o minacciati da nessuno. Decisi così di dare una possibilità a quella gente. Una notte mi presentai ai capifamiglia, facendomi riconoscere come loro antenato. Avevano sentito raccontare che ero tornato dalla morte come vampiro e questo facilitò la conversazione. Raccontai brevemente di Marya e proposi un patto: se l'avessero allevata al posto nostro, li avremmo ricompensati rendendoli partecipi dei bottini che arraffavamo. Noi però saremmo passati a controllare che la ragazzina stesse bene e se ci fossimo accorti che veniva maltrattata, ce la saremmo ripresa e avremmo mangiato tutti gli Stanciu, dai vecchi ai neonati. Se non se la sentivano di correre questo rischio, bastava dicessero che rifiutavano l'incarico; sarei sparito dalle loro esistenze e avrebbero continuato a condurre la solita vita. Gli lasciai due notti di tempo per decidere la risposta da darmi. Secondo te, cosa scelsero? -
- Spero che abbiano declinato l'offerta. Al loro posto, non avrei accettato. Troppe responsabilità. Metti caso che una mattina Marya ruzzolasse giù per le scale, riempiendosi di lividi e bernoccoli e coincidenza vuole che la sera stessa tu e Sekure passaste a trovarla. Vedendola in quello stato, cos'avreste pensato? Che l'avevamo pestata selvaggiamente? E dovrei correre il rischio di vedere sterminata la mia famiglia per una cosa simile? No, molto più sicuro non accettare! -
- Quanto poco conosci l'animo umano! - ridacchiò il vampiro - La maggior parte di voi è disposta ad accollarsi qualsiasi rischio pur di ottenere una ricompensa. Gli Stanciu non furono da meno. Accettarono la proposta, gli mollammo Marya e andammo via. -
Integra rimase in ascolto, aspettando che Alucard continuasse a raccontare ma il vampiro si era interrotto. Sembrava che il servo stesse sostenendo un conflitto interiore, indeciso se fermarsi lì o proseguire. La ragazzina attese in silenzio, stupita dell'indecisione del nosferatu. Finalmente, Alucard ricominciò a raccontare ma il tono della sua voce, fino ad allora vivace, adesso sembrava stanco:
- Sekure piangeva e piangeva. Diceva che voleva tornare indietro a riprendere la bambina ma era un'idea assurda. Decisi di farla distrarre, così cominciai a cercare tracce di umani. Da quando era nata la marmocchia, non aveva più avuto la libertà di andare a caccia. Non poteva lanciarsi all'inseguimento di una preda con Marya in braccio. Trovai le impronte di un gruppo di pellegrini. Pensai che erano una preda facile, adatta a Sekure che era fuori allenamento da così tanto tempo. Raggiungemmo i viandanti e li attaccammo. Un uomo si diede alla fuga e Sekure lo inseguì. La lasciai fare e rimasi ad occuparmi degli altri. Li mangiai tutti e solo quando terminai mi resi conto che Sekure non era ancora tornata. Era strano che impiegasse tanto tempo per uccidere un solo uomo, a meno che non si stesse divertendo a torturarlo. Seguii le sue tracce e andai a cercarla. -
Altra pausa che stupì nuovamente Integra. Quando Alucard riprese il racconto, la sua voce era atona:
- Doveva essere una reliquia o qualcosa che considerava importante, altrimenti quel tizio non si sarebbe portato dietro un oggetto così prezioso in un viaggio tanto lungo e pericoloso. Avrebbero potuto rubarglielo in qualsiasi momento, in una locanda, in un mercato. Probabilmente l'aveva portato con sè per farlo benedire al santuario dove si stava recando. E quando li attaccammo, scappò via stringendolo in mano. Non ci sono altre spiegazioni. -
Sembrava che Alucard stesse parlando a se stesso, cercando di spiegarsi un evento altrimenti incomprensibile. Sir Hellsing, dal canto suo, non finiva di stupirsi: perchè il servo girava intorno all'argomento? Il vampiro proseguì:
- Trovai il pellegrino morto dissanguato. Accanto, c'era il vestito di Sekure. Ma Sekure non c'era. Dalle maniche, dal collo del vestito, usciva della cenere. E sul petto, nel punto dove c'era stato il cuore di Sekure, era conficcata una lama d'argento. -
Integra stentava a credere a ciò che udiva. Da quando Sekure era tornata al fianco del nosferatu che era stato Alucard, la piccola Sir si era convinta che la vampira altri non fosse che la prima sposa del Conte, una delle tre leonesse, come le chiamava il servo, che comparivano anche nel libro di Stoker. Così non era? No, no, un momento, non doveva saltare a conclusioni affrettate! Il racconto non era ancora finito! Adesso Alucard le avrebbe detto che aveva versato il suo sangue su quelle ceneri, Sekure era resuscitata e...
- Era una notte ventosa, la maggior parte delle ceneri di Sekure erano state spazzate via. - disse il vampiro, in tono stanco - Non mi arresi. Mi azzannai un braccio e feci colare il sangue su quel che restava della mia compagna. Ma restava poco, troppo poco. Si ricrearono solo pochi brandelli di carne. Fu così che la mia Sekure morì. -
Integra sentì un nodo stringerle la gola e non ne comprese la ragione. Era morta una vampira, nient'altro che un mostro, un essere che la sua famiglia combatteva da generazioni. Allora perchè si sentiva così afflitta? Perchè aveva voglia di piangere?
- Non tenni il conto degli anni ma credo che Sekure cavalcò al mio fianco per mezzo secolo. -
Sir Hellsing fece aderire maggiormente la sua schiena a quella del vampiro, in un goffo tentativo di dare conforto e calore al servo, dato che alla ragazzina mancava il coraggio di girarsi e stringerlo in un abbraccio. E che al nosferatu occorresse conforto, Integra ne era più che sicura. Non era da Alucard parlare con voce tanto esausta e atona, come se rivivere quei ricordi lo avesse svuotato di ogni energia. E se la morte di Sekure lo affliggeva ancora a distanza di tanti secoli, come doveva aver reagito a suo tempo il vampiro Vlad Dracula, rendendosi conto che il suo sangue non era in grado di riportare in vita la compagna?
Aveva gridato al vento la sua disperazione?
Aveva pianto lacrime scarlatte?
- Cosa facesti? - non potè trattenersi dal chiedere Integra, pur se con un fil di voce, incerta su quanto fosse lecito porre una simile domanda.
- Gli umani l'avevano uccisa e degli umani mi vendicai. Incontrai un borgo sul mio cammino e sterminai i suoi abitanti. -
Tipico di Alucard rispondere in modo da aggirare la domanda originaria.
Ciò che ad Integra interessava, era riempire il periodo intercorso fra il braccio azzannato del servo e il suo incontro con lo sfortunato paesino ma di quelle notti di lutto, sembrava che Alucard non volesse condividerne il ricordo. In compenso, le aveva schiaffato in faccia qualcosa che la ragazzina non si aspettava, una rappresaglia contro delle persone innocenti e inermi, colpevoli solo di essere umane. Il groppo in gola di Integra aumentò mentre con gli occhi dell'immaginazione vedeva il vampiro Vlad calare come un Cavaliere dell'Apocalisse sugli abitanti terrorizzati.
Se da un lato non poteva che disprezzare Alucard per quell'inutile carneficina, dall'altra non poteva non porsi delle domande. Il suo vampiro non era uno sciocco e come tale non poteva ignorare che Sekure era deceduta nel corso di una "caccia all'umano" da lui proposta, accoltellata dalla preda che aveva azzannato. Che quella consapevolezza non l'avesse roso all'interno per lungo tempo?
La pausa di silenzio fu lunga perchè anche Integra doveva smaltire la tempesta che l'agitava dentro. Infine, la ragazzina chiese:
- E Marya? -
- Era piccola quando Sekure morì, non ne conservò alcun ricordo nè sentì la sua mancanza. Sapeva di essere figlia di una vampira ma chiamava "mamma" la nullità umana che l'allevava presso gli Stanciu. -
C'era irritazione nella voce del vampiro. Evidentemente, benchè il nosferatu Vlad non facesse una colpa alla bambina se aveva cancellato dalla sua memoria Sekure, sentirle chiamare "mamma" qualcun'altra rimaneva comunque una pillola amara da inghiottire.
- Io continuai a fare il brigante da solo. Suddividevo il bottino fra i miei discedenti e passavo a controllare che Marya crescesse bene. -
Sir Hellsing immaginò quel Vlad Dracula solitario e immusonito, vagare per i boschi tendendo d'istinto l'orecchio alla ricerca di un rumore di zoccoli che, lo sapeva bene, non poteva più tornare.
- E così passarono gli anni. - concluse Integra per Alucard.
- Già. E un giorno gli Stanciu mi fecero una proposta davvero divertente. -
Il vampiro aspirò una boccata di fumo prima di continuare:
- Un'alba arrivo per vedere come sta mia figlia e i vecchi della famiglia Stanciu dicono che devono parlarmi di un fatto importante. La nullità che allevava Marya era la parente povera di uno di loro, una tizia che mantenevano per senso del dovere. La tipa in questione era nubile e nel borgo che sorgeva vicino alla villa degli Stanciu, cominciavano a farsi chiacchere sul suo conto. I paesani la vedevano in compagnia di Marya che si ostinava a chiamarla "mamma" e pensavano che la nullità avesse generato una figlia fuori dal matrimonio. La gente spettegolava e l'onore degli Stanciu era in pericolo. Non è che quindi avrei fatto loro il favore di prendere come compagna quella nullità? Almeno avrebbero potuto raccontare che quella scimunita era realmente la madre della nanerottola. -
Alucard ridacchiava ricordando questa storia e Integra non comprendeva le motivazioni che avevano spinto quei vecchi a chiedere una cosa simile al vampiro Vlad.  
- Ma non potevano raccontare sin dall'inizio che quella donna era sposata col padre della bambina? Cosa cambiava? Mi sembra d'aver capito che gli abitanti del paese nemmeno ti conoscessero. Arrivavi di notte, durante il giorno dormivi nei sotterranei degli Stanciu...quando mai i paesani ti avranno visto, prima o dopo di allora? -
- Master, ciò che gli Stanciu mi stavano chiedendo, era un compenso maggiore di quello che gli portavo solitamente. I miei bottini li dividevo in parti uguali fra i miei protetti. Ogni volta che il numero dei miei servi cresceva con l'arrivo di un nuovo clan, come era accaduto quando avevo preso sotto la mia tutela gli Stanciu, diminuivo la porzione di introiti dei miei discendenti, per permettermi di dare qualcosa anche ai nuovi arrivati. Nessuno si era mai lamentato di questo trattamento. Tutti continuavano a trovarlo comunque conveniente. Gli Stanciu però dovevano sempre distinguersi nelle loro pretese. Erano gli ultimi arrivati ma desideravano incassare più degli altri. Ciò che gli portavo per ringraziarli del favore che mi facevano allevando Marya non era poco, ma loro avevano sperato che fosse molto di più. Tutti quei giri di parole che mi fecero i vecchi sull'onore degli Stanciu da riparare, era solo un modo per farmi capire che mi offrivano una donna. Speravano che facendomi entrare nel letto di una femmina, li avrei ringraziati del favore sganciando qualche obolo in più. -
Integra inspirò con indignazione. Come si era permessa, quella gente, di vendere in tal modo una persona? Meno male che il suo servo non aveva accettato un simile scambio! No, un momento, in verità Alucard non aveva ancora raccontato come aveva risposto ai suoi discendenti. Però, se la logica non è un'opinione, perchè mai Alucard avrebbe preso per sè una donna che disprezzava? Nel corso di quelle reminiscenze, l'aveva sempre definita "nullità" e "scimunita". No, non ce lo vedeva proprio Alucard trastullarsi con qualcuno che giudicava indegno della sua stima! Così, con sicurezza, Integra esclamò:
- E tu ovviamente rifiutasti! -
- Scherzi? Avevo bisogno di qualcuno che mi allevasse la figlia! E poi mi piaceva l'idea di dare una lezione agli Stanciu. Fra tutti i miei discendenti, erano quelli che mi conoscevano di meno, non avevano ancora capito che facevo sempre parti uguali fra tutti. Si volevano illudere di riuscire a comprarmi facendomi entrare nel letto di una nullità qualsiasi? Va bene, mi sarei divertito ad infrangere le loro speranze. Mi sarei preso la donna e avrei continuato a dargli la stessa quantità di bottino di prima. -
A Sir Hellsing era sembrato che le sue certezze sul vampiro le cadessero con un gran tonfo doloroso sulla testa :
- Ma l'hai fatta pagare agli Stanciu sulla pelle di una povera disgraziata che non c'entrava niente! Quella donna...per lo meno era d'accordo di diventare la tua compagna? -
- E io che ne so? Chi ha mai chiesto il suo parere? -
Integra non riusciva a credere alle sue orecchie mentre udiva il servo spiegare con noncuranza:
- Era una parente povera, una zitella mantenuta dagli Stanciu per senso del dovere. Cosa vuoi che contasse la sua opinione? Doveva obbedire  a chi la campava. Per anni aveva mangiato alla tavola dei suoi protettori e si era scaldata al loro fuoco. Adesso le chiedevano di saldare il conto. Era suo dovere accontentarli. -
" Una pecora mandata al macello " pensò la ragazzina e sentì stringersi il cuore per la sorte di...di...
- Come si chiamava tua moglie? -
- Bho? Chi si ricorda. -
- Non è possibile! -
- Possibilissimo, invece. Sai quali sono i ricordi più solidi della mente umana, quelli che difficilmente si cancellano? I ricordi d'infanzia. L'infanzia di un vampiro è la sua esistenza umana, di quella ti trascini appresso ogni ricordo per i secoli avvenire. Nello spazio della memoria ancora libero, devi affastellare gli eventi della tua non-esistenza vampira e hai una vaga idea di quante persone conosci e di quante esperienze fai in centinaia d'anni? E' impossibile memorizzarli tutti! Sei obbligato a fare economia. Solo le persone e le esperienze che meritano di essere ricordati rimangono nel tuo cervello, gli altri lasci che si dissolvano. La tizia che mi diedero gli Stanciu non meritava di essere ricordata. Era una nullità, la gente come lei la mangiavo a colazione. La risparmiai solo perchè mi serviva per tirare su Marya e perchè apparteneva agli Stanciu. Insomma, non potevo divorare qualcosa di proprietà dei miei discedenti: sarebbe stata una scortesia, capisci? Come rubare un soprammobile agli amici che ti ospitano a casa loro. -
Sir Hellsing, scandalizzata nel sentire paragonare un'umana ad un oggetto tornò alla carica:
- Non ricordi il suo nome, ma per lo meno descrivimela. Com'era fatta? Che faccia aveva? Com'era il suo carattere? -
- Allora non hai capito: quella tizia l'ho cancellata dalla mia memoria. Nome, carattere, voce, viso...era una nullità, non meritava di essere ricordata. Compreso? O devo farti lo spelling? Tutto ciò che ricordo, è che aveva una fifa boia di me. -
- Sei uno stronzo! - sibilò la ragazzina, furente dall'indignazione.
- Come sei prevenuta, master! Scommetto che sei arrivata alla conclusione che siccome ho cancellato la nullità dalla mia memoria, allora devo essere stato per forza un pessimo consorte. Ti sbagli, sai? -
- Oh, sì, immagino! - esclamò Sir Hellsing, sarcastica - Sarai stato un gioiellino di marito! -
- Esatto, proprio così! Non hai un'idea di che razza di mariti circolassero a quei tempi. Io, al confronto, ero davvero un gioiellino! Non la picchiai mai e a quell'epoca era davvero difficile che una moglie non avesse lividi addosso. Sì, è vero, ammetto che oltre a non picchiarla non le rivolgevo in realtà la benchè minima attenzione, nè le parlavo. Insomma, era una tale nullità che non valeva veramente la pena di degnarla di uno sguardo,  o di rivolgerle un rimprovero o un complimento. Comunque non aveva ragioni per lamentarsi di me! Stavo via di casa per mesi, e non venirmi a dire che non avermi fra i piedi tutti i giorni non sia una benedizione! Quando ero in casa, la molestavo raramente, solo se non riuscivo a trovare altre donne più appetibili nei paraggi, e nonostante tutto riuscii a regalarle un figlio...veramente, cosa poteva volere di più dalla vita una nullità come lei? -
Integra aveva in testa un elenco chilometrico di cose che avrebbe potuto desiderare Nullità ma siccome non aveva voglia di mettersi a litigare con Alucard, preferì tacere. Il vampiro, invece, continuava a chiaccherare allegramente:
- Così trascorse qualche altro anno, ya. Una notte, mentre procedevo in direzione dell'Ungheria per andare a fare un po' di danni laggiù, m'imbattei in un accampamento tzigano. Avevo compiuto una strage poche notti prima, accanendomi su di un gruppo di saltimbanchi, e mi sentivo ancora sazio di sangue e di violenza. Quindi mi avvicinai a quell'accampamento senza intenzioni bellicose, solo per ammazzare la monotonìa del viaggio. Misi a tacere i cani con i miei poteri e con la mente mi insinuai nei sogni dei dormienti. Li osservavo e quando mi venivano a noia, facevo apparire nelle loro teste mostri spaventosi che trasformavano i sogni in incubi. E' sempre divertente spaventare la gente. Ad un certo punto, m'insinuai in una mente che non stava dormendo. Era desta e rifletteva sul proprio avvenire. La vita non le offriva grandi prospettive:girare sempre intorno ad un sentiero già battuto dalle generazioni precedenti, attraversando le solite città e i soliti paesi, popolati dalla solita gente che la prendeva a calci e sputi da quand'era nata e avrebbe continuato a farlo fino alla sua morte. La testa in cui mi ero intrufolato ne aveva abbastanza di quell'esistenza. Voleva entrare a far parte della schiera dei forti. Non voleva solamente non essere presa più a calci, desiderava incutere soggezione negli altri, allo stesso modo di un voivoda dall'alto del suo cavallo. E voleva anche scoprire cosa offrisse il mondo, oltre all'anello di città che aveva sempre visitato. Quella mente apparteneva ad una donna di nome Zofia. Capii che desiderava un'esistenza avventurosa come quella dei marinai, aveva pochi scrupoli ed era disposta a fare quasi di tutto pur di raggiungere i suoi scopi. Io ero indubbiamente ciò che faceva al caso suo, e anche lei sembrava essere fatta apposta per me, così m'insinuai nella sua testa come un diavolo tentatore. Era talmente spericolata che non si spaventò più di tanto quando si rese conto di stare parlando mentalmente con uno sconosciuto. Interferii nei suoi pensieri per parecchie notti di seguito. Le raccontai del mio vagare nomade, facendo il brigante e mi rispose che quell'esistenza andava a genio anche a lei, però non voleva diventare una vampira. Era orgogliosa d'essere nata umana, femmina e tzigana e voleva morire per com'era venuta al mondo. Così accettai di non vampirizzarla. -
Il silenzio di Integra era carico di diffidenza.
- Te l'ho già detto una volta: sono capace di tenere le zanne fuori dal collo degli umani che rispetto e di Zofia avevo stima. Era un impasto di coraggio, incoscienza e mancanza di scrupoli che mi allettava molto. Se voleva venirmi dietro come umana, avrei accettato la sua scelta. Una notte uscì dal suo accampamento mentre tutti dormivano. L'aspettavo con un cavallo già pronto per lei sul limitare del bosco. Salì in sella e partimmo. -
Il pensiero di Integra volò alla nullità, cornificata con la stessa leggerezza con cui si sbadiglia. Il tono di Alucard era scanzonato:
- Zofia era in gamba. Mi veniva dietro nelle rapine senza paura, armata di pugnale e sapeva combattere. Quando ci spostavamo attraverso i boschi, seguiva i miei passi cantando. Le piaceva cantare e aveva una bella voce. Aveva lo sguardo sfrontato e la risata sfottente. Non aveva stima degli altri umani, li considerava subdoli. Trovava comiche le loro debolezze e sghignazzava quando vedeva le persone comportarsi ipocritamente. Per questo rideva e sorrideva così spesso. Dopo qualche mese scoppiò un'epidemia di difterite e volevo andare a controllare se i miei figli fossero ancora vivi però non potevo portare Zofia con me dagli Stanciu. Anche quella gente aveva i suoi limiti di sopportazione, non mi sembrava il caso di tirare troppo la corda presentandomi con la mia compagna. Finchè non tornavo, Zofia doveva stare con la sua famiglia. Tu riaccoglieresti una figlia, una sorella, una cugina che ha infangato l'onore della famiglia fuggendo nottetempo con un vampiro? -
- Non saprei. Forse, a quei tempi, no. -
- Ya, esisteva la possibilità che nemmeno il clan di Zofia la rivolesse indietro. L'unico modo per convincere quella gente a riaccoglierla, consisteva nel dimostrargli che allearsi con un vampiro era un guadagno. La famiglia di Zofia era composta da artigiani ambulanti, calderai che vagavano di paese in paese a riaggiustare e vendere pentole. Era gente che tirava la cinghia, la fame era loro compagna perenne. Con Zofia decidemmo di depredare una fattoria appartenente a dei rivali dei Draculesti e fu così che il suo clan la vide tornare con una fila di muli carichi  di viveri. Poco ci mancò che quegli affamati cronici si inginocchiassero per baciare la terra che calpestavamo. Nessuno rinfacciò a Zofia di essere scappata con un mostro, nè si interessarono di scoprire da dove provenissero tutte quelle scorte. Da allora in poi, ogni volta che mi recavo dagli Stanciu, posteggiavo Zofia presso i suoi parenti, per poi ripassare a prenderla quando ricominciavo a fare il brigante. Così passò qualche anno. -
- E i tuoi figli? Erano ancora vivi o avevano preso la difterite? -
- Erano vivi e vegeti. Ci voleva altro per stroncarli, soprattutto Marya aveva la pellaccia dura. E una testa altrettanto dura. -
- Ti sorprendi? Sei un ribelle nato, Sekure lo era altrettanto, non potevate certo generare una persona tranquilla e ragionevole. -
- Già. Quando Marya era bambina, spesso mi aveva detto che le sarebbe piaciuto imparare a leggere e a scrivere, come veniva concesso ai maschi della famiglia, così chiesi agli Stanciu di accontentarla e di lasciarla studiare con il precettore dei loro figli. Esaudirono a malincuore la mia richiesta perchè la cultura non era considerata adatta alle donne. Mia figlia era sveglia, imparò alla svelta a scrivere e diventò una lettrice accanita. Divorò i pochi libri che trovò nella villa degli Stanciu e cominciò a chiedermi di portargliene di nuovi quando l'andavo a trovare. Per me era facile accontentarla. Quando entravo a rubare negli appartamenti di nobili, abati e mercanti, sottraevo qualche volume a casaccio, tanto sapevo che Marya leggeva di tutto, e glieli portavo. Gli Stanciu ripetevano che non dovevo comportarmi così, era pericoloso, la mente delle femmine non era fatta per la sapienza, più mia figlia leggeva e scopriva, più diventava estranea al suo mondo. Io non davo loro retta, pensavo che chiunque avesse avuto un po' di cervello si sarebbe annoiato in compagnia degli Stanciu, così continuai a regalarle libri con cui trascorrere il tempo. Marya era assetata di sapere, più leggeva, più domande si poneva ma nessuna delle persone che la circondavano era in grado di rispondere ai suoi quesiti. Cominciò a convincersi che l'ignoranza fosse un difetto congenito della specie umana. Si chiedeva se diventando una creatura sovraumana non sarebbe riuscita a trovare le risposte che cercava e ad espandere maggiormente la sua conoscenza. Per questo, diventata una ragazza, cominciò a blaterare di volersi trasformare in una vampira. Non trovavo nulla da obbiettare su questo progetto, ma il master doveva sceglierlo con oculatezza. Se fosse incappata in un vampiro alle prime armi, correva il rischio di restarci secca fra le braccia di quello sprovveduto. Le avevo proposto di venire via con me, quando partivo per fare il brigante, perchè in quegli spostamenti avremmo attraversato il territorio di altri vampiri. Un paio di loro erano davvero potenti, con secoli di non-vita alle spalle. Con tipi come quelli, Marya non avrebbe corso il rischio di essere succhiata fino alle ossa anzichè venire trasformata in una draculina. Ovviamente quella capocciona non mi diede retta. Se poteva, faceva sempre l'opposto di quanto le raccomandavo. Tutta sua madre! Così si ostinò a rimanere presso gli Stanciu, rifiutandosi di seguirmi. -
- Ma non sarebbe stato più semplice se l'avessi morsa tu? -
Dalla gola del vampiro salì un ringhio irato:
- Come ti passa per la testa un'idea simile?! -
Integra incassò la testa nelle spalle, impaurita da quella reazione. Aveva sbagliato di nuovo? Aveva detto qualcosa di errato? Sembrava che la prospettiva di vampirizzare la figlia suonasse alle orecchie del vampiro come un incesto. La ragazzina balbettò:
- Io...credevo che un morso fosse solamente un morso. -
- Un morso non è mai soltanto un morso! Non azzanno chi ha il mio stesso sangue! - ruggì il nosferatu, ancora in preda all'ira.
Ecco, l'aveva fatto arrabbiare! Adesso Alucard se la sarebbe certamente legata al dito e avrebbe smesso di raccontare. Sir Hellsing sbagliò la sua previsione. Alucard rimase zitto il tempo necessario per sbollire la rabbia, dopodichè riprese a parlare, anche se in tono cupo:
- Una sera tornai dagli Stanciu. Li trovai tutti terrorizzati, come se si attendessero che li sbranassi da un momento all'altro. La più impaurita di tutti era ovviamente la nullità. Mi dissero che mesi prima, subito dopo che me n'ero andato, Marya era scappata e non sapevano dove fosse fuggita. Tremando come foglie, mi implorarono che risparmiassi almeno i più giovani. Idioti! Erano davvero convinti che facessi loro una colpa se mia figlia era una testa calda. E' seccante essere mal interpretati dai propri sottoposti! Li mandai a quel paese e andai a cercare Marya. Quella testona era certamente scappata per trovare un maestro da cui farsi vampirizzare. Dovevo sapere se era diventata una draculina o era stata uccisa. Impiegai mesi per trovarla. La scovai nel territorio di una mezza tacca di vampiro novellino, di cui era diventata l'allieva. Gli inetti di quel genere solitamente diventavano il mio pranzo. C'era da sorprendersi che quell'imbranato non l'avesse uccisa mentre la vampirizzava! Be', ormai era andata così. Quella nullità adesso era il suo master, spettava a lui guidare Marya nella sua nuova vita. Lasciai mia figlia alla sua non-vita, ripassai dagli Stanciu, presi mio figlio Adrian e lo portai via con me. -
- Ma come! - esclamò Sir Hellsing, in tono accorato - Prima dici che non facevi una colpa agli Stanciu se Marya era scappata e poi togli Adrian a sua madre? -
Quella domanda lasciò perplesso il vampiro:
- Era grande. Dovevo portarlo con me. -
Per Alucard, la spiegazione che aveva fornito era lampante ma Integra, estranea al mondo che aveva generato il suo vampiro, non poteva comprendere l'universo contenuto in quelle due frasi. Il nosferatu avvertì l'incomprensione della ragazzina e con voce calma chiese:
- Che cos'è un harem, Integra? -
- E questo cosa c'entra? - ringhiò la dodicenne, irritata dall'abitudine di Alucard di saltare da un argomento all'altro senza rispondere alle sue domande.
- C'entra. Rispondimi, cos'è un harem, secondo te? -
- Un posto dove rinchiudono le belle ragazze destinate ai Pascià. -
- Ecco, lo vedi quanto sei ignorante? Voi umani moderni non conoscete un tubo delle usanze dei vostri antenati. Ascolta la mia spiegazione. Gli harem non erano riservati solo ai Pascià. Gli harem, ovviamente chiamati in modo diverso a seconda delle lingue, esistevano in tutto il Vecchio Continente. Non erano una prigione per belle ragazze, erano solo le stanze più interne di un castello o di un palazzo, in cui le donne della famiglia e le serve si riunivano durante il giorno per lavorare. Che lavoro facevano, secondo te? -
- Mai sentito dire che le nobili dei tempi passati lavorassero. - rispose Integra, ancora imbronciata.
- Ecco, lo vedi che sei ignorante? Pensi che fossero tutte delle perdigiorno come Maria Antonietta di Francia? Ovvio che lavorassero!Tessevano, ricamavano, cucivano e allevavano i bambini, questo era il loro mestiere. -
Il vampiro aspirò una boccata di fumo prima di proseguire:
- Se nascevi femmina, trascorrevi tutta la tua esistenza nell'harem, passando da quello del padre a quello del marito. Se nascevi maschio, appena diventavi abbastanza grande da non fartela più addosso, e non avevi più bisogno delle donne che ti venissero dietro per soffiarti il naso, uscivi dalle loro stanze per entrare a far parte del mondo degli uomini. Anch'io crebbi nell'harem di mio padre. Quando compii sette anni, mi sottrassero alle cure della balia e delle mogli del principe per affidarmi ai maestri d'arme e ai precettori, affinchè mi insegnassero a cavalcare, combattere e scrivere. Questa era la vita che facevamo e nessuno trovava che fosse ingiusta. Tutte le donne sapevano che i figli maschi non sarebbero rimasti per sempre con loro. Prima o poi il padre si sarebbe occupato dell'educazione dei ragazzi e da allora in poi, le madri li avrebbero visti raramente. Anche la nullità sapeva che sarebbe finita così. Era mio dovere staccare nostro figlio dalle sottane di sua madre per farne un uomo. Anzi, a ben vedere ero stato ingiusto nei confronti di Adrian perchè l'avevo tenuto nell'harem degli Stanciu fino all'età di dieci anni, quando avrei dovuto prenderlo con me molto prima ma ogni volta che lo incontravo, continuava a sembrarmi sempre troppo gracile e debole per seguirmi nei boschi a briganteggiare. Non volevo che mi morisse di stenti sulla sella così rimandai il momento finchè non mi sembrò robusto a sufficienza da non correre rischi. Come vedi, non ho commesso nessuna cattiveria gratuita, nè nei confronti della nullità, nè nei confronti di mio figlio. -
Integra faticava a convincersi che quella fosse la verità. Le riusciva estremamente difficile riuscire a calarsi in una mentalità così estranea alla sua:
- E ti pare bello che Adrian avesse dovuto lasciare sua madre per viaggiare in compagnia dell'amante di suo padre? -
Alucard scoppiò in una risata divertita:
- Il moralismo degli Hellsing! Mi mancava, lo ammetto, è talmente divertente! Da quanto non sentivo una sentenza sparata in tono così convinto? Da almeno vent'anni, questo è certo. Fammi indovinare, nel tuo cervellino sei convinta che quella situazione avesse provocato in Adrian traumi e scompensi a non finire, vero? Ovvio, voi umani moderni considerate traumatizzanti almeno la metà dei più banali eventi quotidiani. Tenete i ragazzini sotto una campana di vetro, convinti che sia l'unico modo per farli crescere sani e forti. Siete davvero incomprensibili, lo ammetto, e proprio per questo molto spassosi nelle vostre indignazioni. Lascia che ti rinfreschi la memoria: mia madre non era la moglie di mio padre. Era solo una delle tante concubine del principe. Secondo il tuo modo di ragionare, per questo motivo avrei dovuto trascorrere la mia infanzia seduto in un angolo buio a rimuginare su quanto fosse cattivo mio padre a non amare solo la mia mammina? Mi spiace deluderti, master, ma non ho mai fatto niente del genere. Avere una sola donna era roba da poveri, i signori si circondavano di quante più femmine possibile e se mio padre si fosse comportato come un marito fedele, devoto alla sua legittima consorte, non avrebbe mai preso delle concubine con sè e io non sarei mai nato. Ero venuto al mondo ed ero figlio del principe, di cos'altro vuoi che mi importasse? Comprendo che le mie parole ti deluderanno enormemente ma neanche Adrian si lasciò sconvolgere dalla presenza di Zofia. Anzi, probabilmente, vedendo la vita che conduceva, si sarà illuso che avessi una grande stima di sua madre. Zofia era quella che faceva il lavoro sporco: rischiava la pelle, si schizzava di fango, strigliava i cavalli, si faceva venire i calli alle mani raccogliendo la legna per il fuoco e tenendo le redini...la nullità, invece, passava le sue giornate seduta al sicuro nelle stanze più interne di una villa, senz'altra occupazione che ricamare, godendosi i frutti della fatica mia e di Zofia. Mio figlio avrà pensato che sua madre, ai miei occhi, apparisse come un fiorellino troppo delicato per riservarle una vitaccia tanto ingrata. -
- Come poteva pensare un'assurdità simile, dato che avevi abbandonato sua madre? -
- Che idiozie vai dicendo? La nullità aveva allevato Marya ed era la madre di mio figlio. Le dovevo un minimo di gratitudine per tutto questo. Se l'avessi abbandonata, come dici tu, avrei detto agli Stanciu che potevano buttarla fuori dalla loro villa, facendola morire di fame e di freddo in mezzo a una strada. Invece mi sono sempre preoccupato che mantenesse un tetto sulla testa, avesse cibo per sfamarsi e legna e vestiti per scaldarsi. E quando potevo, le riportavo suo figlio per vederlo. Ho fatto il mio dovere verso quella donna quindi come ti permetti, marmocchia, di rivolgermi delle accuse tanto gratuite? -
Integra abbandonò il discorso, tanto Alucard trovava sempre il modo di darsi ragione da solo. Inoltre, se fin'ora la sua pena si era concentrata sulla nullità, adesso empatizzava con quel povero ragazzetto di dieci anni, scaraventato a fare il brigante in compagnia di quel losco figuro di suo padre.
- Assalire le carovane doveva essere molto rischioso. Come riuscì Adrian a cavarsela? -
- Mi prendi per un incosciente totale? Credi che lanciassi mio figlio allo sbaraglio, col rischio di farlo ammazzare? Prima di partire per un attacco, valutavo la pericolosità del nemico. Se il rischio era alto, lasciavamo i marmocchi all'accampamento e partivamo solo io e Zofia. Se il pericolo era basso, lasciavo le femmine al bivacco e  mi trascinavo dietro Adrian, per insegnargli il mestiere. -
- Un momento! - intimò Integra - Perchè parli al plurale? Perchè marmocchi? Perchè femmine? -
- Perchè Zofia scodellò una figlia, Lilith. -
Integra si voltò a guardare il servo con occhi sgomenti:
- Si può sapere quanti figli hai?! -
- Non lo so. - rispose placido il vampiro.
- Non prendermi in giro! -
- E' la verità. - replicò il nosferatu nello stesso tono calmo - Non è facile tenere il conto, fra quelli nati quand'ero umano e quelli venuti dopo. Inoltre bisogna anche stabilire se devo veramente contarli tutti o solo una parte. Prima che inventassero i vaccini, la mortalità infantile era altissima. Me ne sono deceduti tanti di marmocchi, quand'erano ancora bambini. Quindi io quali dovrei considerare? Tutti quelli che sono nati o solo quelli che sono arrivati vivi all'età adulta? Una volta risolta la questione, possiamo anche tentare di contarli ma non è mai un'operazione facile. Ce n'è sempre qualcuno che dimentico di inserire nell'elenco, mentre altri finisco per contarli due o tre volte. Mi rendo conto dell'errore, ricomincio daccapo, sbaglio nuovamente, mi irrito, mando tutto affanculo, mi giro su di un fianco e mi addormento. Ormai uso la conta dei miei figli come voi umani usate contare le pecore per scacciare l'insonnia. Funziona a meraviglia, tanto che in 500 anni ancora non sono riuscito a scoprire quanti siano. Mi assopisco sempre prima di arrivare in fondo. -
Alucard taque. Aveva parlato veramente tanto, la sua lingua necessitava di un po' di riposo. La mente di Integra riempì quel vuoto rimuginando su varie frasi del servo. Una constatazione improvvisa la stupì, spingendola a domandargli:
- Adrian, Zofia e Lilith erano tutti umani. Eri l'unico vampiro di un branco umano. Tempo fa, in biblioteca, ti chiesi se ti pesava essere l'unico vampiro della famiglia Hellsing e mi rispondesti di sì. Allora perchè nel passato ti eri costituito un gruppo umano? -
- Modifichi i ricordi a tuo piacimento, master? Non ti risposi che mi pesava essere l'unico vampiro di casa Hellsing. Ti chiesi semplicemente se a te sarebbe dispiaciuto essere l'unica umana di una famiglia di vampiri. Da questa tua affermazione, deduco che ti dispiacerebbe enormemente. -
Integra arrossì, sentendosi presa in castagna. Era sbagliato sentirsi a disagio all'idea di ritrovarsi la sola umana in mezzo a un branco di vampiri? Il tono di Alucard però era conciliante:
- L'unica cosa che mi dispiace dell'Hellsing, è che non ho potuto scegliere di entrarci. Mi è stato imposto. A parte questo, la prospettiva di essere l'unico vampiro del branco non mi disturba. Così come non mi disturbava a quei tempi. Continuammo quella vita per qualche anno. Un tramonto, incrociammo il nostro cammino con quello di mia figlia Marya. Era diventata una vampira e aveva scelto di restare con quella nullità del suo master, in qualità di compagna. Contenta lei...fra l'altro, quella mezza tacca di sposo che s'era scelta, oltre a tutti i difetti che aveva, era pure maleducato! Gironzolava intorno ai miei umani con lo scopo di assaggiarli, indifferente al fatto che costituivano il mio branco. Come gli sarebbe sembrato se la sua master, incontrandolo, dopo averlo salutato avesse cercato di succhiargli la compagna? Lo avvertii che se si fosse azzardato a fare uno spuntino con la mia gente, poi lo avrei spolpato io fino alle ossa, ma anche questo concetto gli riuscì incomprensibile. Alla fine, prima che ci rimettesse la pelle uno dei suoi fratelli o il master, Marya riprese il cammino, trascinandosi via quella nullità di compagno che s'era scelta. Fu poco dopo quell'incontro che posteggiai Zofia e Lilith dai loro parenti, per portare Adrian a visitare sua madre ma quando arrivammo dagli Stanciu, ci dissero che la nullità era morta da qualche mese. -
- No! - si lasciò scappare Integra in tono accorato. Alucard proseguì con voce indifferente:
- Condussero Adrian sulla sua tomba. Era sepolta in terra consacrata. Questo perchè, secondo la versione ufficiale, morì per un'incidente. Scivolò lungo un sentiero che costeggiava un torrente e affogò. Adrian comunque se la bevve e rimase fermamente convinto che sua madre fosse deceduta per un accidente. -
- Perchè dici che questa era la versione ufficiale? - chiese Integra, mentre sentiva una morsa fredda afferrarle lo stomaco.
- Chi lo sa come andarono veramente le cose, master? Morì da sola, nessuno era lì con lei per testimoniare cosa accadde. Può anche darsi che si sia gettata volontariamente, suicidandosi. -
- Ecco, lo sapevo io che soffriva perchè le avevi tolto il figlio! Avevo ragione a... -
La gomitata che Alucard le appioppò nelle costole le tolse fiato e parole. La ragazzina si piegò su di un fianco, dolorante. Il vampiro trasse un profondo sospiro, per cercare di calmarsi:
- Te l'ho detto e ripetuto che quando spari certe idiozie mi fai venir voglia di prenderti a ceffoni. Ho cercato di trattenermi ma stavolta te lo sei proprio meritata! La tua testolina è incapace di considerare che io non ero l'unica fonte dei mali della nullità? Credi che gli Stanciu fossero dei santi? -
Una parte del cervello di Integra strepitava che doveva farla pagare immediatamente a quel servo traditore. Come si permetteva di picchiare la padrona? Il resto dell'encefalo però era del parere di rimandare la vendetta ad un'occasione più propizia. In quel momento, il corpicino che governava era decisamente troppo acciaccato per tentare una simile impresa. Le parole del servo intanto continuavano a giungere alle orecchie di Sir Hellsing:
- Gli Stanciu avevano tentato di comprarmi offrendomi una nullità qualsiasi. Si erano illusi che dopo la nascita di Adrian mi sarei finalmente deciso a sganciargli qualche soldo in più ma io mi ero sempre limitato a dar loro quanto gli spettava. Quando incontrai Zofia, il numero dei miei servi crebbe perchè ogni volta che la riportavo dai suoi parenti, distribuivamo anche a loro una fetta del nostro bottino. Questo voleva dire che gli introiti spettanti a ciascun clan che mi serviva erano diminuiti. Gli Stanciu se la legarono al dito. Intuivano che i loro incassi erano declinati per colpa di una donna e se la presero con la nullità perchè era incapace di incatenarmi a lei e al clan. Era Marya a raccontarmi queste cose, quando ancora abitava presso gli Stanciu. "Padre, non avete un'idea di cosa abbiano detto e fatto i nostri parenti a mia madre, durante la vostra assenza" era il suo saluto appena mi vedeva e passava poi a raccontarmi con dovizia di particolari tutto quello che era accaduto in quei mesi, convinta che a me fregasse qualcosa di quelle lagne quando invece sentivo solo una gran voglia di prenderla a ceffoni e ricordarle "Tua madre si chiamava Sekure"! Marya voleva bene alla nullità, la difendeva quando io non c'ero e proprio per questo giudicavo che quella scimunita di mia moglie non meritasse il mio aiuto. Un'adulta che si fa difendere da una bambina è una vigliacca. Se gli Stanciu le avessero sputato in faccia, se lo sarebbe meritato. Quando Marya se ne andò, la nullità restò senza protezione. Se gli Stanciu avessero avuto un po' di giudizio, si sarebbero accontentati di quello che gli portavo, considerando che non avevo più bisogno di loro, dato che i miei figli non abitavano più in quella casa. Invece continuarono a lamentarsi della scarsezza della loro parte e a farne una colpa alla nullità. Con qualcuno dovevano prendersela, dato che non avevano il coraggio di venire a lagnarsi direttamente da me. Quindi perchè non dovrei pensare che quando quella scimunita non ne potè più, la fece finita buttandosi nel torrente? -
Integra, che lentamente sentiva il dolore scemare e cominciava a riacquisire la posizione eretta, rispose:
- Almeno quando parli della sua morte, potresti essere rispettoso. -
Alucard sbuffò, seccato:
- Perchè te la prendi tanto a cuore per quella nullità, non lo capisco! No, non ho nessuna intenzione di rispettarla, nè da morta nè da viva. E non ho intenzione di fingermi addolorato per la sua sorte. Il dolore lo provo solo davanti alle vere sciagure, come quella che accadde quando ce ne andammo via dagli Stanciu... -
Il vampiro si bloccò come, nel corso di quella lunga sera, aveva fatto molte altre volte quando la sua narrazione si avventurava per sentieri spinosi. Integra sentì un brutto presentimento.  
- Quando, con Adrian, tornammo al campo di Zofia, lo trovammo bruciato. Durante la nostra assenza, dei valacchi provenienti da un paese vicino erano calati di notte sull'accampamento, mettendolo a ferro e a fuoco. Quando Zofia tornava presso il suo clan, portava sempre in regalo roba da mangiare, stoffe con cui coprirsi e cuoio per fabbricare scarpe. Da quando poteva contare su quei doni, la vita della sua gente era migliorata. I contadini del luogo non tolleravano che degli tzigani, dei calderai morti di fame, stessero bene quasi quanto loro. Pretendevano di vederli passare per le strade coperti di vesti rattoppate e con i piedi scalzi, in modo da potersi sentire superiori a quegli straccioni. Così avevano deciso di vendicare quell'affronto sterminandoli. Solo pochi si erano salvati. Con Adrian, li trovammo nascosti nel folto del bosco. Fra di loro c'era Lilith. Un parente, quando aveva capito che le cose si stavano mettendo male, aveva afferrato i primi due bambini che gli erano capitati sottomano ed era scappato a rifugiarsi fra gli alberi. Lilith era una dei due bambini. -
Silenzio.
Integra si chiese se fosse il caso di porre quella domanda. La voce di Alucard aveva lo stesso tono stanco di quando aveva raccontato della morte di Sekure. A Sir Hellsing riusciva facile immaginare che Zofia non si era salvata, quindi a che scopo chiedergli cosa fosse successo alla donna? Poi però ripensò a una frase del vampiro: "I ricordi m'inseguono e mi mordono come cani rabbiosi". Forse era invece necessario chiedergli cosa fosse accaduto a Zofia, se questo avrebbe consentito ad Alucard di rinchiudere quell'evento in un angolo della memoria. Col cuore che pulsava all'impazzata dalla paura, Integra chiese:
- Zofia? -
- Fra la sua gente, era quella che stava meglio di tutti e per questo era la più odiata dagli abitanti del paese. Fu la prima che andarono a cercare. Mi raccontarono che si era battuta come una tigre, col suo pugnale, ma era sola contro una torma di uomini che la circondavano. Avevano tutti delle torce in mano. Qualcuno le schizzò addosso del vino. Avvicinarono le fiaccole ai suoi capelli, ai suoi vestiti. Le diedero fuoco. Zofia divampò come una torcia e morì arsa viva. -
Integra sentì un nodo stringerle dolorosamente la gola.
- Sapevo che sarebbe vissuta poco, avendo deciso di non diventare una vampira. Ma non mi aspettavo che sarebbe vissuta così poco. Per soli undici anni ha cavalcato cantando alle mie spalle. -
Una pausa, poi Alucard proseguì il suo racconto con voce atona:
- Mi misi Lilith sull'arcione della sella e condussi i sopravvissuti in un luogo sicuro, prendendoli sotto la mia protezione in qualità di servi e affidai loro mia figlia affinchè l'allevassero. -
Integra aggrottò la fronte, assalita da un ricordo. Con la voce strozzata dal groppo in gola, domandò:
- I servi tzigani del Conte che si incontrano nel libro di Stoker, erano i loro discendenti? -
- Sì. I figli di Lilith si unirono in matrimonio a quella gente e fu così che il clan di Zofia finì per mescolarsi alla mia stirpe. -
Integra tornò con la memoria ad un altro passo che aveva letto nel diario di Van Hellsing.

- A parte le tue schiave, il castello era disabitato. I servi ti hanno abbandonato. Gli tzigani che scortavano la tua bara si sono dati alla fuga appena abbiamo cominciato a sparare. E' per questa ragione che siamo riusciti ad ucciderti. -
Gongolavo, nel dare queste notizie. E' bene che questo essere inferiore si stampi nel suo cervellino medievale l'idea che ormai non ha più nessuno. Tutti l'hanno abbandonato, tranne me.
Speravo che accusasse anche questo colpo invece, come un padre che giustifica i figli, ha sentito il bisogno di spiegarmi:
- Voi avevate fucili e pistole. Loro solamente pugnali. Se non fossero fuggiti, li avreste uccisi tutti. -
Tanta indulgenza verso dei servi traditori mi ha lasciato stupefatto.


Anche Integra era rimasta interdetta la prima volta che aveva letto il commento del vampiro ma adesso comprendeva le motivazioni profonde che avevano spinto il servo a parlare in quel modo.
Alucard riprese:
- Dopo aver messo al sicuro mia figlia e i suoi parenti, riportai Adrian dagli Stanciu. Non lo volevo fra i piedi, mentre compivo la mia vendetta. Quando fui finalmente solo, calai sul borgo che aveva dato alle fiamme l'accampamento, sterminando quanti più abitanti possibile. -
Integra si sentì invadere da un senso di nausea. Morti e vendette sembravano susseguirsi in un ciclo infinito nella non-esistenza del vampiro che era stato Alucard. Lei che ascoltava non faceva in tempo ad affliggersi per la dipartita di Sekure e Zofia che si ritrovava ad angustiarsi per gli umani che subivano l'ira del vampiro. Chissà quanti innocenti erano caduti sotto la lama e le zanne del non-morto, quante persone che non avevano partecipato nè approvato quella caccia agli tzigani! Davvero Vlad il nosferatu riusciva a trarre consolazione da queste vendette? O le compiva solo perchè la mentalità vigente a quei tempi, e che gli era stata inculcata col latte materno, esigeva dai sopravvissuti il dovere di infliggere la legge del taglione? Ma quando mai il dovere riesce a lenire la sofferenza? Non è che passata la furia della prima ondata di dolore, quei cadaveri finissero per affastellarsi sul cuore del non-morto, rendendo più greve il suo tormento? In fondo, sventrare anziani, infermi e neonati non gli aveva restituito le sue donne tanto amate. La stessa voce atona con cui Alucard elencava quelle vendette, faceva sospettare che a distanza di secoli, il vampiro percepisse le sue azioni passate come una fatica inutile e non come un atto di cui andar fieri.
Master e monster rimasero a lungo in silenzio, ognuno impegnato a smaltire il proprio dolore. Quando riuscì a calmare il suo animo in subbuglio, la ragazzina chiese:
- E poi? Come hai proseguito? -
Alucard ebbe bisogno di rimanere in silenzio ancora per un po' prima di decidersi a rispondere:
- Briganteggiai per qualche altro anno con mio figlio ma lui non era tagliato per questo genere di esistenza. Aveva un carattere...pacifico. -
Il vampiro pronunciò l'ultima parola quasi con vergogna, come se per un guerriero della sua levatura non esistesse umiliazione peggiore  che generare un uomo tranquillo.
- Probabilmente somigliava a sua madre. - commentò Sir Hellsing con una punta di malignità.
- Può darsi. - concesse Alucard, non del tutto convinto che i suoi cromosomi potessero lasciarsi soggiogare da quelli di una nullità qualsiasi. Infine proseguì:
- Adrian restò umano e decise di tornare dagli Stanciu. Trascorse il resto della vita lontano da lotte e guerre, amministrando i suoi possedimenti. -
Il tono di Alucard tradiva tutta la sua perplessità su come si potesse preferire un'esistenza da contabile a quella di combattente. Il fatto che ad aver compiuto una simile scelta fosse stato uno dei suoi figli, sangue del suo sangue, non poteva che lasciarlo ancor più sbigottito.
- Avrei dovuto staccarlo prima dalle sottane di sua madre! - concluse il vampiro, non riuscendo a trovare altra spiegazione per quella bizzarrìa.
- E poi? - incalzò Integra, dato che il servo aveva nuovamente interrotto la sua narrazione.
- Poi continuai a fare il brigante da solo. Suddividevo il bottino fra la mia gente e passavo a controllare che Lilith crescesse bene. Una notte andai a trovare gli Stanciu e da loro incontrai Marya. Era da un pezzo che non ci vedevamo. Era tornata dalle persone che l'avevano tirata su per partorire e affidare la sua creatura al fratello e alla cognata, affinchè l'allevassero con i loro bambini. Calcolai che mia figlia non si sarebbe rimessa in viaggio verso il territorio del suo maestro prima di un paio di mesi e decisi di approfittarne. Galoppai a rotta di collo dal nosferatu che l'aveva vampirizzata e appena lo trovai, me lo mangiai. -
Integra non riusciva a credere alle proprie orecchie. Dopo alcuni istanti di attonito silenzio, esclamò:
- Ma perchè?! -
- Perchè se lo meritava, ecco perchè! - ringhiò inferocito Alucard - Io non sono diventato il Conte Dracula standomene in panciolle per tutto il tempo! Combattevo, sfidavo altri vampiri, estendevo il mio territorio, rischiavo la pelle in prima persona contro gli altri nosferatu...se sono diventato famoso, è perchè mi sono impegnato e ho faticato! E cosa faceva invece quell'imbecille di mio genero? Pretendeva di vivere alle mie spalle, di gloria riflessa! Si presentava agli altri vampiri dicendo che era un componente del mio branco, per incutere loro timore ma fra me e quella nullità non c'è mai stato alcuno scambio di sangue, nè diretto nè indiretto, quindi come osava spacciarsi per un mio protetto? Ogni volta che lo incontravo, lo avvertivo di finirla con quella menzogna. Rispondeva che mi avrebbe ubbidito e poi continuava a fare di testa sua. Meditavo già da tempo di sbarazzarmi di quel deficiente ma ogni volta che i nostri cammini si erano incrociati, mia figlia era stata presente e come potevo ucciderle il maestro sotto il naso? Non me lo avrebbe mai perdonato! -
- E per una stupida questione d'onore, hai reso orfano tuo nipote? -
- Mia nipote, Marya partorì una femmina. E comunque non era una stupida questione d'onore, i miei affari rischiavano di essere rovinati da quell'imbecille! Se voleva ampliare il suo territorio, combattesse in prima persona invece di andare dicendo che si impossessava delle aree altrui a nome mio, che poi i legittimi proprietari venivano a cercare me per sfidarmi a duello e avevo già tante di quelle beghe da sbrigare per conto mio! Riguardo a mia nipote, credi veramente che le abbia fatto un dispetto, impedendole di conoscere suo padre? Meglio restare orfani che crescere con genitori meschini, così la penso io e il deficiente che aveva messo incinta mia figlia era una vera nullità, meglio perderlo che trovarlo! -  
- Ma quella povera bambina... -
Integra non riuscì a terminare la frase, subito coperta dal tono seccato del servo:
- Macchè povera! E' stata una persona in gamba, mia nipote, del resto somigliava tutta a sua madre! Per fortuna non aveva preso nulla da quell'imbecille che l'aveva generata! Nonostante fosse figlia di due vampiri, decise di rimanere umana. Si sposò con un mercante di Sofia che la lasciò presto vedova, con un nugolo di marmocchi attaccato alla sottana. Mia nipote non si scoraggiò: prese in mano le redini delle attività del marito, facendole fruttare più di quanto lui non fosse mai riuscito a fare. Dal suo ufficio di Sofia, la figlia di mia figlia controllava un impero commerciale che andava da Samarcanda a Venezia, dal Mar Baltico al Golfo Persico. Morì ricca sfondata a settant'anni suonati, età che poche raggiungevano, a quei tempi. -
- Ammesso e non concesso che tu abbia ragione e quella donna non abbia sofferto per non aver conosciuto il padre, come la mettiamo con tua figlia? A lei andava bene, il master che si era scelta! -
- Le sarà anche andato bene, ma non era tagliato per lei. Marya aveva stoffa e non lo dico perchè è mia figlia ma perchè è la verità. Era sprecata come allieva di quella nullità! -
- Ma lei era felice così! -
- Quante storie! - sbuffò seccato Alucard - Decisi di renderla ancora più felice dandole la possibilità di crearsi degli allievi e fondare un branco tutto suo, contenta? -
Integra meditò sulla pericolosità di ritrovarsi Alucard come suocero mentre ascoltava il servo continuare a raccontare:
- Me la vidi ricomparire davanti mesi dopo. Afflitta, mi raccontò di non essere riuscita a ritrovare il suo master. Pensava che fosse morto nell'esondazione del Danubio, avvenuta mentre si trovava dagli Stanciu. Le alluvioni sono delle gran brutte situazioni anche per noi vampiri, Integra. Non hai un'idea di quante volte abbia rischiato di finire anch'io sciolto come una zolletta di zucchero nel tè, quando i fiumi in piena uscivano dagli argini. Finsi di essere addolorato per lei e risposi che molto probabilmente aveva ragione. Non mentivo: ciò che non ero riuscito a mangiare di quel gaglioffo, l'avevo gettato in un torrente, in modo che si squagliasse senza lasciare traccia. Dissi a Marya che poteva restare con me finchè le fosse piaciuto e lei accettò. Rimase a fare la brigante con suo padre per un bel pezzo. Infine prese la sua strada, com'era giusto che fosse. Vampirizzò due ragazzi, creandosi un branco tutto suo. -
Un richiamo lontano interruppe la conversazione:
- Integraaaa! -
Era la voce di Walter. La ragazzina guardò l'orologio, accorgendosi con stupore che era già ora di cena. Possibile che il tempo fosse volato così velocemente?
Spense il sigaro contro un albero e lo ripose nella scatolina mentre pensava febbrilmente da quale ingresso secondario della villa potesse entrare per correre in bagno e lavarsi via dal viso il puzzo di fumo, senza imbattersi nel tutore.
Quanto le seccava però interrompere la discussione con Alucard! Chissà quante cose aveva ancora da raccontare! Divorata dalla curiosità, chiese:
- Raccontami almeno com'è finita ai tuoi figli. Se Adrian ha deciso di rimanere umano, sarà ormai morto, ma Marya? E Lilith? -
La voce del vampiro tornò ad essere atona:
- Marya, col suo branco, nel corso dei secoli bazzicò tutta Europa. Negli anni '30 si fermò in Germania e lì venne uccisa con un paletto nel cuore da qualcuno che si era reso conto di avere di fronte una vampira. -
Sir Hellsing sentì un nodo stringerle la gola. Accettò quella reazione, senza più stupirsi di provare pena per una succhiasangue.
- Seppi della sua morte solo anni dopo ma anche se ne fossi stato informato subito, la situazione non sarebbe cambiata. - continuò Alucard con voce stanca - Ormai ero il cane degli Hellsing, non potevo più uccidere umani a mio piacimento. Così mia figlia è rimasta invendicata. La sua pelle, i suoi capelli, il suo profilo, si sono polverizzati in un mucchietto di cenere, proprio come successe a sua madre. Se i suoi assassini non ci sono rimasti secchi durante la guerra, allora saranno deceduti serenamente, di vecchiaia. -
Una pausa, per smaltire quel qualcosa di pesante che gli gravava in gola. Poi la voce monocorde riprese:
- Adrian invecchiò. Con l'età regredì al neonato che era stato un tempo. Perse i capelli e la testa. Trascorreva le sue giornate parlando come un bambino e comportandosi come un bambino. Lo guardavo in silenzio e mi dicevo che questo non era l'ordine naturale delle cose. Io sarei dovuto essere il vecchio rimbambito e pelato e lui il giovane che mi aiutava a scendere i gradini. Tornai a maledirmi per essere vissuto talmente a lungo da assistere alla decadenza di un altro figlio. Infine, una notte Adrian si coricò e si spense nel sonno. Morì dolcemente. Devo essere contento almeno di questo. -
Altra pausa, più lunga della precedente. La voce di Walter rimbombava nelle orecchie della ragazzina ma per quanto Integra sentisse crescere in sè l'urgenza di sbrigarsi, si impose di non sollecitare il servo a parlare. Certi silenzi andavano rispettati, lo comprendeva bene. Finalmente, il vampiro proseguì:
- Lilith restò umana e continuò a vivere nel clan in cui era nata. Neanche lei, come sua madre, desiderava una vita comune ma aveva idee diametralmente opposte a quelle di Zofia su come raggiungere quest’obbiettivo. Zofia era stata un animo irrequieto e impulsivo mentre Lilith era calma e razionale. A mia figlia non interessava esplorare il mondo. L’anello di città che il suo clan girava per lavoro bastava e avanzava a soddisfare la sua poca voglia di viaggiare. Quel che interessava veramente Lilith era la conoscenza. Era assetata di sapere, proprio come sua sorella Marya ma io non avevo tempo di insegnarle a leggere e a scrivere e le persone che la circondavano erano tutte analfabete, così sfogò il suo bisogno di apprendere prestando orecchio ai discorsi delle donne anziane. Scelse come maestra una vecchia che sapeva molto sulle piante e arrivò il giorno in cui la superò in bravura. Fu così che mia figlia diventò una fattucchiera. Con le piante creava medicamenti da rivendere nelle città che incontrava sul suo cammino e siccome erano molto efficaci, glieli pagavano bene. Fra le tante cose, Lilith preparava anche pozioni capaci di provocare a chi lo richiedeva un aborto vietato da Santa Ipocrita Madre Chiesa. Delle levatrici se ne accorsero e si arrabbiarono molto perchè ogni marmocchio che non nasceva era lavoro in meno per loro, così denunciarono mia figlia per stregoneria al tribunale dell'Inquisizione. Lilith venne arrestata, torturata per farla confessare, processata e condannata al rogo. Era scampata alle fiamme da bambina per finire arsa viva da adulta. Le sue ceneri vennero gettate nell'immondezzaio che sorgeva fuori dalle mura della città. Quando questo accadde, io non c'ero. Ero in Galizia, impegnato a saccheggiare le proprietà di una famiglia rivale dei Draculesti che aveva possedimenti laggiù. Venni a sapere tutto mesi dopo, una notte in cui passai dal clan tzigano per far visita a mia figlia e trovai solo i suoi bambini e suo marito che mi raccontò l'accaduto. Fu allora che cominciai a chiedermi se non dovessi lasciare le faccende degli umani agli umani. Le lotte di potere fra i Draculesti e i clan rivali quanto mi riguardavano, ormai? Mi dicevo che forse, se non fossi stato impegnato a fare il brigante in terre lontane, avrei potuto salvare mia figlia dal fuoco. Era un'idea stupida, adesso me ne rendo conto. Anche se fossi rimasto nel mio territorio, non posso avere la certezza che sarei stato avvertito in tempo di quello che stava accadendo. Magari Lilith sarebbe finita in cenere comunque. A quei tempi però non potevo fare a meno di illudermi che forse avrei potuto cambiare le cose e fu da allora che, lentamente, cominciai a lasciar sbrigare le beghe degli umani agli umani. -
Alucard spense il sigaro contro il tronco della quercia:
- Mi feci dare da mio genero i nomi di chi aveva denunciato mia figlia al Sant'Uffizio, dei boia che l'avevano torturata e appiccato il fuoco, di chi aveva testimoniato al processo confermando che era una strega e dei monaci che l'avevano condannata. Dopodichè andai a trovare uno ad uno quei signori e quelle signore e feci in modo che arrivassero a supplicarmi di ucciderli, così da mettere fine alle loro sofferenze. Ma io, non diedi ascolto alle loro implorazioni. -
La conversazione era finita, il vampiro non aveva altro da aggiungere.
Integra corse verso uno degli ingressi secondari di villa Hellsing. Doveva assolutamente raggiungere uno dei bagni per sciacquarsi il viso. Non voleva presentarsi al cospetto di Walter con la pelle impregnata dell'odore di fumo e le guance rigate di lacrime.


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Lasciate che vi spieghi la genesi di questo capitolo assurdo. XD Tempo fa mi ero messa a cercare su internet informazioni sui figli di Vlad III, dato che nelle sue biografie vengono citati solo i nomi di quattro figli e una figlia, i suoi discendenti legittimi e/o più famosi. Mi pareva strano però che non ne avesse altri dato che, secondo l'usanza dei tempi, ai fini di assicurarsi la continuità dinastica, l'Impalatore aveva varie concubine sparse per il regno. Alla fine, ho scovato altri 3 ragazzi e 2 ragazze, figli di Katharina Siegel (e probabilmente ne avrà avuti altri ancora da varie donne ma non ho trovato nessuna menzione su ulteriori rampolli).
Nelle mie ricerche, accanto ai figli dell'Impalatore, continuavano a saltarmi fuori risultati anche sui figli del Conte Dracula, protagonisti di film, telefilm, cartoni, fumetti, libri e videogiochi. Ho finito per fare un elenco anche di loro e fin'ora ne ho contati 15, senza avere la pretesa di averli scovati tutti (chissà quanti saranno sfuggiti alla mia attenzione! Per questo faccio dire ad Alucard che non sa quanti figli ha XD). Non ho resistito alla tentazione di riunirli tutti in un unico universo coerente con Hellsing, e questo è il risultato.
Ammetto però di aver spudoratamente rimescolato le carte a mio piacimento. ^^ La maggior parte dei figli e delle figlie di Dracula sono protagonisti di storie in cui si oppongono al padre, mostrato come il male assoluto e a me, questa visione manichea in cui i cattivi lo sono fino in fondo, dimostrandosi spietati verso chiunque, inclusi i figli, proprio non va giù, anche perchè fa a pugni col Vlad storico.
Se l'Impalatore si fosse macchiato di crudeltà con la sua prole, la notizia sarebbe giunta fino a noi: figuriamoci se i cronisti che lo ritraevano come un mostro assetato di sangue si sarebbero lasciati scappare un pettegolezzo tanto ghiotto! Invece, non solo non sono segnalate atrocità ma c'è arrivata la notizia che il sovrano assegnò terre e case ai discendenti illegittimi, così da garantir loro un futuro e quando partì per la sua ultima guerra, benchè i figli maggiori fossero ormai degli uomini capaci di combattere al suo fianco, preferì lasciarli al sicuro in Ungheria, forse presagendo che non sarebbe uscito vivo da quella campagna e non volendo trascinare con sè gli eredi in una morte inutile. Perchè mai un uomo tanto attaccato alla sua stirpe avrebbe dovuto mutare atteggiamento una volta diventato vampiro? Ho così preferito lasciare questo "sentire" anche in Alucard.
Adesso arriviamo ai crediti. ^^ Marya è la protagonista del film "La figlia di Dracula" del 1936 (che nel film, scontenta della sua condizione, cerca una soluzione al suo vampirismo e non trovandola, si fa uccidere dal proprio servo). Lilith e sua madre Zofia appartengono ai fumetti Marvel (dove Dracula, incarnazione del male assoluto, è obbligato a sposare Zofia e appena può causa la morte di questa moglie tanto detestata. Il rancore di Lilith, abbandonata dal padre, è tale da tramutarla in una vampira e trascorrerà i secoli ad ingaggiare col genitore duelli mortali). Adrian è il vero nome dell'Alucard protagonista di Castlevania (che nel videogioco è un dampyr, mentre io l'ho tramutato in umano). Valutate voi quanto abbia modificato i personaggi originali a mio uso e consumo XD.
Sekure è un personaggio di mia invenzione (come anche la povera Nullità e la nipote che dall'ufficio di Sofia controllava un impero commerciale): mi piace immaginare che nel corso della sua non-vita, Alucard abbia trovato qualcuno capace di tenergli testa. ^^
Le informazioni sulla vita di Vlad l'Impalatore le ho riprese dall'accurata biografia di Vito Bianchi "Dracula, una storia vera", di cui consiglio la lettura :)
Nella mia fantasia, il vampiro Vlad ha le stesse fattezze che Hirano dà ad Alucard a livello zero, con la barba di due settimane e i capelli scarmigliati. Il vero Vlad l'Impalatore invece lo immagino con il suo aspetto reale, per questo faccio dire ad Alucard che quando era umano, era brutto. Voi però siete liberi di immaginare Vlad il vampiro e Vlad III come meglio vi pare.
A chi può interessare, gli altri figli e figlie di Dracula che ho trovato, sono: Janus (appartiene ai fumetti Marvel), Eva (appartiene ai fumetti Dynamite Entertainment), Alucard (protagonista del film "Il figlio di Dracula"), Ferdinand (Protagonista del film "Dracula père et fils"), Nadja e un fratello di cui non ho scoperto il nome (protagonisti del film "Nadja"), Ingrid e Vlad (protagonisti del telefilm "Young Dracula"), Quincey (compare nel libro "Dracula - the Undead" ), Damian (protagonista di "Vampire Hunter D"), Sibilla (compare in "Scooby-Doo e la scuola dei ghouls"), Mavis (protagonista di "Hotel Transilvania"). Va da sè che in molti casi, per riuscire a rendere coerenti questi individui con Alucard, bisognerebbe solo prenderne il nome e l'aspetto fisico, e certe volte nemmeno quest'ultimo, visto che Sibilla è un obrobrio con i capelli viola XD.


APPELLO: la mia gatta ha avuto i cuccioli, ho trovato famiglia a tutti tranne che ad una femminuccia nera. Se qualcuno di voi desiderasse prenderla, può mettersi in contatto con me attraverso un messagio privato su EFP. Risiedo in Toscana ma non ho problemi a spostarmi anche nelle regioni limitrofe (Romagna, Lazio, Umbria, Marche).

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Capitolo 8
*** In pigiama fino a mezzogiorno ***


1) SCUSATE IL RITARDO ma ho avuto dei problemi veramente grossi sia col computer che con la connessione internet e c'è voluto un bel po' di tempo per risolverli. Spero ardentemente che per quest'anno i guai informatici siano finiti perchè ne ho avuto veramente abbastanza! ç_ç

2) Siccome questo capitolo è davvero troppo lungo, l'ho spezzato in due tronconi, quello che state leggendo adesso e il prossimo, che ormai completerò dopo il ritorno dalle ferie.

3) Ancora fino al secondo dopoguerra, una donna di venticinque anni veniva considerata attempata e a rischio di restare zitella, e una quarantenne era giudicata una donna anziana. Tenete conto di questi particolari quando leggerete alcuni commenti riguardanti l'età.

Quel giorno, quando Integra tornò da scuola, trovò la macchina di Lord Islands parcheggiata davanti a Villa Hellsing. Il nobile doveva essere venuto per discutere di beghe burocratiche con Walter.
La ragazzina salì in camera per togliersi la divisa scolastica e aperta la porta, trovò Alucard seduto alla sua scrivania. Non che in questo ci fosse niente di male. Le capitava spesso di trovare Alucard in camera sua, anche se in quelle ultime settimane la frequenza con cui il vampiro bazzicava la sua stanza era diminuita. Il guaio, per Sir Hellsing, consisteva nel fatto che il servo stava leggendo il diario della padroncina.
Dopo aver trascorso tante tempo immersa nei diari degli antenati, la cui rilettura non era ancora terminata, Integra aveva deciso di proseguire la tradizione di famiglia tenendone uno anche lei. Annotava quel che combinava Alucard, condendo il tutto con giudizi insultanti quando il servo la faceva irritare. Non era però la prospettiva che il vampiro leggesse i molti "Oggi quel succhiasangue idiota ha fatto..." ad atterrire Integra, dato che glieli gridava in faccia quasi ogni giorno, ma l'eventualità che sbirciasse le poche pagine che non lo riguardavano.
Al di fuori di Hellsing Manor non accadevano molte cose eclatanti. Ad Integra era quindi parso superfluo compilare un diario a parte per annotare i pochi fatti salienti avvenuti a scuola e aveva deciso di scriverli nello stesso quaderno delle osservazioni su Alucard, sicura che nessuno sarebbe andato a sbirciarvi dentro. Ed ecco che l'ultima persona al mondo a cui voleva far conoscere certi dettagli, cioè il suo vampiro, stava leggendo il diario!
La ragazzina si avventò come una furia sul servo per strappargli il prezioso quaderno dalle grinfie ma il Re-senza-vita fu più lesto e scattò in piedi, tenendo alzato il braccio che impugnava il diario. A Integra, quel diario che svettava oltre la testa di Alucard sembrò irrangiungibile quanto la fiaccola della Statua della Libertà.
- Ridammelo subito! - intimò.
- Perchè, hai forse scritto qualcosa che non dovrei vedere? - insinuò il succhiasangue.
- Esatto! -
- Mi stupisci, master. Cosa puoi mai aver combinato di così scabroso, da non volermelo far sapere? -
- Non è questione di quel che ho fatto o non ho fatto. Potrei aver semplicemente scritto che ho dato da mangiare ai piccioni davanti alla Cattedrale di St. Patrick. Il punto è che si tratta di una questione di principio! Non ti ho autorizzato a leggere questo diario, quindi ridammelo! -
- Perchè non mi dai adesso l'autorizzazione per leggerlo? -
- Perchè non te la meriti! Dovevi chiedermelo prima di prenderlo in mano, adesso è troppo tardi! -
Il colloquio si era svolto con Integra che saltava con tutta l'energia delle sue gambe, nel vano tentativo di raggiungere il diario. Infine, constatando che il prezioso quaderno si trovava troppo in alto e che Alucard non aveva nessuna intenzione di restituirglielo, la ragazzina, imbestialita, salì sulla sedia e da lì sulla scrivania ma al vampiro bastò fare due passi indietro per sottrarsi al raggio d'azione della master. Integra schiumava d'ira. Per l'ennesima volta, ripetè:
- Restituiscimelo immediatamente! -
- Perchè, altrimenti cosa mi fai? - la canzonò il vampiro.
- Se non me lo restituisci io...io... - già, cosa poteva fare ad Alucard? - Io...vado giù in giardino, stacco tutte le sorbe dall'albero e te le infilo come fossero supposte! -
L'espressione sfottente svanì dal viso del vampiro. In tono serio, disse:
- Master, avvicinati. -
Integra scese dalla scrivania, convinta che finalmente Alucard le avrebbe ridato il quaderno. Quando fu davanti al servo questi, in tono solenne, disse:
- In cinquecento anni di non-esistenza vampira, è la prima volta che mi sento rivolgere una simile minaccia. Dimostri inventiva e di questo sono contento però master, siamo sinceri, l'attuazione di una simile punizione richiederebbe collaborazione da parte mia e non penserai che sia disposto a rimanere fermo, tranquillo e chinato mentre tu agisci, vero? -
- No, immagino che sarebbe pretendere troppo. - ammise Integra, sul chi vive.
Il vampiro annuì e riprese:
- Mia cara master, non scordarlo mai: se vuoi che l'avversario ti prenda sul serio, devi fare solo minacce che sei in grado di attuare. Possiamo quindi scartare l'idea di usare le sorbe come supposte perchè per quanto fantasiosa, è totalmente inattuabile. Adesso spremiti le meningi e pensa ad una minaccia realizzabile. -
Sir Hellsing riflettè alcuni istanti, poi guardando il servo dritto negli occhi disse:
- Se non mi restituisci il diario, carico una pistola ad acqua e te la spruzzo addosso! -
Il vampiro sorrise soddisfatto:
- Adesso ci siamo. Sì, questa è una minaccia attuabile, brava master! -
Sir Hellsing tese la mano, fiduciosa di vedersi finalmente restituire il diario. Il sorriso di Alucard si allargò maggiormente:
- Integra, non crederai veramente che un po' d'acqua mi susciti tanta paura da convincermi a restituirtelo? -
La rabbia fuoriuscì dalla gola della ragazzina sottoforma di un'esclamazione inarticolata. Possibile che non c'era mai verso di spuntarla contro quella bestiaccia?! Furente, si lanciò sul servo, con l'intenzione di scalarlo come una montagna. Le cinghie di cuoio fornivano sufficienti appigli alle dita e alla punta dei piedi per riuscire in quell'impresa. Al vampiro però bastò compiere un brusco scarto per scrollarsi di dosso la master. Sir Hellsing ritentò la scalata ma Alucard fu più lesto. Con la mano libera bloccò lo slancio della dodicenne afferrandola per la fronte e Integra si ritrovò immobilizzata in un precario equilibrio. Con il corpo inclinato di trenta gradi e il palmo di Alucard come unico punto di appoggio, Sir Hellsing fu costretta a restare immobile dato che qualsiasi tentativo di movimento l'avrebbe squilibrata e fatta cadere.
Per tutto il tempo, il vampiro aveva tenuto con l'indice il segno nel diario. Adesso, fermata la master, riportò lo sguardo sul quaderno. Aiutandosi col mignolo, riaprì il diario e leggendo, in tono apparentemente svagato chiese:
- Chi è Basil Irons? -
Tombola!
Proprio quello che Integra desiderava tenergli nascosto!
- E' un mio compagno di scuola. - rispose la ragazzetta, col tono più serio che riuscisse a sfoderare in quel frangente.
- Nient'altro? - domandò con la stessa voce svagata Alucard.
- E' anche un buon amico. Quando papà si ammalò, lui è stato l'unico, fra tutti i miei compagni, a chiedermi ogni mattina, quando arrivavo a scuola, come stava, e cercava di tirarmi su il morale dicendo "Vedrai che domani si sentirà meglio". -
- Ma che carino! - esclamò Alucard sorridendo - E' per questo che hai preso una cotta per lui? -
- Io non sono cotta di nessuno! - tuonò Integra, mentre un'ondata di rossore le inondava il viso - Basil è solo un amico! -
- Un amico, certo. - annuì Alucard, serio - E' per questo che quando scrivi il suo nome, sulla "i" al posto del puntino metti un cuoricino? -
Oh cacchio, se n'era accorto!
Chiamando a raccolta tutta la faccia tosta in suo possesso, Sir Hellsing replicò con voce calma:
- E allora? Cosa c'è di male? Quei cuoricini sono solo un segno di amicizia, nient'altro! -
- Un segno di amicizia, certo. - tornò ad annuire il vampiro, sempre serio - La prossima volta che scriverò "Walter C. Dorneaz", devo ricordare anch'io di mettere davanti alla "C." un cuoricino al posto del puntino. Così, in segno di amicizia. -
Alucard spinse con la mano la fronte di Integra all'indietro, aiutando la ragazzina a riacquistare la posizione eretta. In tono malizioso disse:
- Una bambina come te dovrebbe pensare ai giocattoli, non ai ragazzi. -
- Non sono una bambina! Ho dodici anni! - ringhiò Sir Hellsing.
Alucard si chinò su di lei e mettendo una mano a lato della bocca, quasi volesse impedire ad un estraneo di ascoltare la loro conversazione, bisbigliò all'orecchio della master:
- Lo so che di nascosto ti chiudi in bagno per giocare con le bambole. -
Dodici anni non sono un'età semplice. Non sei più una bambina ma non sei ancora adolescente e come in tutte le fasi di passaggio, è normale fluttuare avanti e indietro fra gli scampoli dell'infanzia e le attrattive della pubertà. No, dodici anni non sono un'età facile, neanche quando ti chiami Integra Fairboorke Wingates Hellsing. Anzi, se ti chiami Integra è altamente probabile che i tuoi dodici anni siano decisamente più complicati della media.
Quando Sir Hellsing non ne poteva più di essere la master di Alucard, il capo di un'organizzazione dedita allo sterminio dei mostri, un'orfana e una scampata ad un omicidio, frugava nel cestone dei giocattoli che giaceva in un angolo della sua stanza, ufficialmente inutilizzato da oltre un anno, tirava fuori una bambola e con quella si chiudeva in bagno per giocare indisturbata, lontana da sguardi indiscreti e commenti sarcastici. Quelle giocate corroboravano il suo spirito. L'aiutavano a staccare la spina, a dimenticare tutto, a rilassarsi.
E ora, quel maledetto di Alucard confessava di conoscere il suo segreto! Questo voleva dire solo una cosa:
- Quindi mi spii quando sono in bagno! -
Il vampiro rimase qualche istante interdetto, come se quella fosse l'ultima cosa che si sarebbe atteso di sentirsi rispondere. Infine, stupito, chiese:
- Master, davvero giochi ancora con le bambole?! -
Fu la volta di Integra di restare interdetta ma le successive parole del servo le chiarirono la situazione:
- Avevo detto che giochi con le bambole così, tanto per prenderti in giro, non pensavo lo facessi realmente. Da questa tua risposta devo dedurre che invece ti chiudi davvero in bagno per giocare! -
Integra sentì il sangue defluirle dal viso. Era diventata pallida dalla mortificazione. Quindi si era fregata da sola, con le proprie mani? Se fosse rimasta zitta, Alucard non avrebbe mai saputo che a dodici anni ancora si divertiva a far recitare a Barbie e Ken dei siparietti alla Monty Piton!
Dopo il deflusso del sangue, fu come se un'ondata d'ira investisse in pieno Sir Hellsing. Con la voce tremante di rabbia, Integra tuonò:
- Sei insopportabile e infantile quanto i miei compagni! Anzi, sei peggio di loro! Molto peggio! -
Il vampiro si rialzò in tutta la sua statura e guardando la padrona con occhi indignati, esclamò:
- Ah no, master! Questo non puoi dirmelo! E' ingiusto! Mi comporterei come un ragazzino immaturo se mi mettessi a cantare "Integra ama Basil! Integra ama Basil!". Sto facendo qualcosa del genere? No! E allora puoi dirmi di tutto, che sono un bastardo, una carogna, ma non che sia infantile! -
Integra rimase in silenzio, calmandosi pian piano. Sì, forse aveva esagerato, Alucard non era arrivato a un simile livello di bassezza. Adesso avrebbero parlato civilmente, come due adulti, e lo avrebbe convinto a restituirle il diario...
Fu una tregua di pochi attimi. Un lampo maligno guizzò nelle pupille del servo e un ghigno gli spaccò la faccia. Battendo col piede per darsi il ritmo, Alucard intonò:
- Integra ama Basil! Integra ama Basil! -
Un urlo di furore proruppe dalla gola della master. Adesso basta, era veramente troppo! Si avventò sul vampiro, decisa a togliergli dalle grinfie il diario con qualsiasi mezzo. Alucard fu più lesto, scappò dalla stanza, e la ragazzina gli corse dietro per il corridoio.
Il vampiro si stava divertendo un mondo. Manteneva un'andatura abbastanza lenta da illudere Integra di riuscire ad acciuffarlo ma sufficientemente veloce da essere certo di non farsi acchiappare. Col braccio ancora alzato, sventolava il diario per aria e intanto cantava:
- Integra ama Basil! Integra ama Basil! Integra ama Basil! -
Avere una master tanto giovane forniva grandi soddisfazioni!
Sir Hellsing, dal canto suo, non staccava gli occhi dal diario che il servo agitava per aria, simile al levriero che insegue a perdifiato la lepre finta sulla pista del cinodromo. Intanto dava sfogo alla sua furia strillando come un'aquila tutti gli insulti in rumeno che si era fatta insegnare dal vampiro nel corso di quei mesi. Rumeno, e non inglese, perchè in un momento di lucidità aveva pensato a quanto poteva irarsi Walter e a come l'avrebbe punita se le avesse udito pronunciare delle volgarità. Su questo, il suo tutore era irremovibile.
- Un'Hellsing deve mantenere il giusto contegno in ogni circostanza, soprattutto quando parla! - ammoniva continuamente lo shinigami.
Così Integra imprecava in una lingua che, ne era sicura, il maggiordomo non conosceva.
Vide Alucard svoltare l'angolo del corridoio. Quando anche la ragazzina girò l'angolo, sbattè contro la schiena del servo, facendosi male al naso e storcendo le stanghette degli occhiali contro quella corazza di cuoio. Non perse tempo a lamentarsi. Non sapeva per quale misteriosa ragione Alucard avesse smesso di fuggire e cantare, sapeva solo che doveva approfittarne per raggiungere il suo prezioso diario, prima che quell'antipatico vampiro avesse il tempo di leggere altro su Basil!
Con foga si aggrappò alle sporgenze fornite dalle cinghie di cuoio e in pochi istanti fu sulla schiena del vampiro. Cinse con le gambe la vita del succhiasangue, in modo da non farsi scrollare tanto facilmente, appoggiò una mano sulla sua spalla e si issò verso il diario, ancora tenuto dal servo in alto come la fiaccola della Statua della Libertà. Uno scrupolo afferrò Integra: possibile che Alucard rimanesse fermo e immobile, lasciandosi scippare un diario che avrebbe potuto fornirgli ore e ore di spasso? Istintivamente girò la testa davanti a sè e li vide.
Walter, fremente di rabbia, e Lord Island, sinceramente stupito, si trovavano a un metro di distanza da Alucard e guardavano fin dove avevano intenzione di arrivare master e monster.
Integra e Alucard erano immobili, zitti e vagamente atterriti: intuivano che lo shinigami gli avrebbe fatto pagare cara la figuraccia che stavano facendo.
Il primo a riprendersi dalla sorpresa fu il vampiro. Sfoderando un'espressione di una serietà assoluta, rivolgendosi a Lord Island spiegò:
- Sto aiutando la mia master ad allenarsi. Corsa, arrampicata, lotta libera, mischiamo insieme più tecniche contemporaneamente. -
Integra, con ancora una mano tesa verso il diario, annuì con solennità. Lord Island sembrò compiacersene:
- Bene, fate bene ad allenarvi così intensamente, anche nell'apprendimento di lingue straniere. -
- Se permettete, andiamo a proseguire l'allenamento. - rispose Integra, abbassando il braccio teso verso il diario per passarlo intorno al collo del servo. Difficile dire se quel gesto fosse un modo per non perdere l'equilibrio o un tentativo di strozzare Alucard.
Il vampiro si girò e col braccio ancora alzato e la padrona sulla schiena, si allontanò pieno di dignità lungo il corridoio.

 

Master e monster proseguirono nella recita finchè non udirono una porta chiudersi dietro di loro. Walter e Lord Island erano entrati in ufficio per discutere di chissà cosa. Integra, lesta, si issò nuovamente e questa volta sfilò il diario dalle dita del servo. Alucard avrebbe potuto stringere il quaderno con una forza tale da impedire alla ragazzina di sottrarglielo ma siccome il gioco gli era venuto a noia, consentì a Integra di riprenderlo. La master balzò giù dalla schiena del vampiro.
- Devo darti una cattiva notizia, Integra. Quando lo conobbi, Walter era un adolescente scapestrato e proprio come te volle imparare tutte le parolacce in rumeno che ancora ricordavo. -
Integra sentì mancarsi la terra sotto i piedi:
- Quindi ha compreso tutto quello che ti ho urlato dietro? -
- Penso proprio di sì. -
E lei che era convinta di essere riuscita a fregare il tutore!
- Dannazione, perchè nel corso di tutti questi mesi non me l'hai mai detto?! -
Alucard allargò le braccia e in tono innocente replicò:
- Mi hai chiesto di insegnarti delle parolacce, non se Walter le conosceva! -
La master digrignò i denti: si sentiva tradita. Sbraitò all'indirizzo del servo una sequela di insulti, stavolta in inglese; tanto ormai era nei guai comunque.

In ufficio, Walter e Lord Island risolsero e chiusero varie pratiche burocratiche, dopodichè cominciarono a discutere del più e del meno. Quelle chiacchere costituivano l'abituale commiato di Lord Island che giudicando maleducato andarsene via appena concluso il lavoro, si concedeva qualche minuto di futilità prima di congedarsi. Quel giorno però l'obbiettivo nel nobile non era riempire una breve attesa prima di risalire sulla propria automobile ma prendere tempo e mettere a suo agio il signor Dorneaz prima di porgli una domanda che gli stava cuore già da molto tempo:
- Come va con Alucard? -
Il maggiordomo sospirò, avvilito:
- L'avete visto voi stesso mezz'ora fa in corridoio come va con quel mostro. -
- Trovarlo impegnato a giocare con Integra non mi sembra un gran danno. Mi riferisco ad altro. Perchè siete rimasti solo voi e Sir Hellsing in questa casa? Dove sono finiti i domestici? Inoltre mi sono arrivate voci di una scazzottata fra Alucard e le truppe umane dell'Organizzazione. -
L'uomo non parlava in tono inquisitorio o severo ma con la pacatezza di un amico desideroso di condividere i tuoi dispiaceri. Walter aveva promesso a se stesso di non far trapelare ai membri della Tavola Rotonda nulla di quanto era accaduto in quegli ultimi mesi, nel timore di apparire ai loro occhi incapace di gestire il vampiro e guidare Integra in qualità di tutore. Adesso però di fronte a lui non si trovavano tutti e dodici i componenti ma soltanto Lord Island, calmo e apparentemente ben disposto ad ascoltare sfoghi di qualsiasi genere. Il maggiordomo sentì il bisogno di condividere con qualcuno le pene che l'avevano afflitto dal giorno del risveglio di Alucard, così narrò al Lord gli eventi più disastrosi commessi dal vampiro fino ad allora: la fuga dei domestici, i danni da ripagare all'allevamento di cavalli mezzo sfasciato e agli agricoltori che si erano visti brucare il futuro raccolto, la denuncia da parte dei tre giardinieri e dei due postini, la rissa al poligono di tiro.
Terminata quella lunga narrazione, Lord Island sospirò:
- Mister Dorneaz, perchè non avete riferito subito questi problemi al consiglio della Tavola Rotonda? -
- A che scopo? Non riguardano l'Organizzazione Hellsing in sè per sè ma la gestione di Alucard all'interno della sua cuccia. -
- Mister Dorneaz, mi stupite! Dove avete vissuto fin'ora? Fra le nuvole? Come potete considerare Alucard scisso dall'Organizzazione? Qualsiasi cosa quel vampiro faccia, ci riguarda eccome! Dimenticate che l'Ordine dei Cavalieri Protestanti è nato proprio per la presenza di Alucard? Se Van Helsing si fosse limitato ad andare in giro ad uccidere i vampiri armato solo di paletto e martello, nessuna Organizzazione sarebbe sorta sul suo operato. -
Walter stentava a credere alle proprie orecchie: veniva giudicato ma non, come temeva, perchè era stato incapace di trattenere Alucard, evento che sembrava essere stato messo in conto da Lord Island e da tutti gli altri componenti, ma perchè non ne aveva tempestivamente informato il Consiglio dei Dodici.
- Mister Dorneaz, parlo a nome dell'intera Tavola Rotonda: il risveglio di Alucard è stato indubbiamente traumatico e stressante, avete bisogno di rifare l'abitudine alla presenza di quel mostro in casa. Questo è l'alibi che vi concediamo per perdonarvi della mancanza di fiducia che avete dimostrato nei nostri confronti ma vi avvisiamo che non vi sarà concessa una seconda occasione. E' l'ultima volta che commettete un simile sbaglio, d'ora in poi dovrete riferire sempre, e il prima possibile, qualsiasi disastro quel mostro combinerà. Mi sono spiegato? -
- In modo perfetto. - rispose Walter, che se da un lato ingoiava un rospo amaro nel sentirsi rimprovere a quel modo, dall'altro respirava di sollievo nel sentirsi togliere un peso come Alucard dalle spalle. Quindi la gestione del vampiro andava sempre condivisa con i Dodici? Lord Island intanto tirava fuori dalla tasca taccuino e stilografica:
- Mi dia i nomi dei tre giardinieri e dei due postini che vi hanno citato in giudizio. Faremo contattare i loro avvocati dai nostri per concordare la cifra del risarcimento senza bisogno di comparire in un'aula di tribunale. Poi penseremo a risarcire l'allevamento di cavalli e gli agricoltori. -
- Lord Island, non fraintedete: sono felicissimo che vi facciate carico di un problema che consideravo privato. Non posso però fare a meno di stupirmi. Davvero pensate che la Corona accetterà di pagare questi danni così a cuor leggero? -
- Sì, e lo farà con gioia perchè sono nettamente inferiori a quelli che avevamo preventivato. Non ci eravamo fatti illusioni: una master di dodici anni come poteva mettere a cuccia Alucard? E' vero, Integra non è una ragazzina qualsiasi, così come non sarà un'adulta qualsiasi. Se Alucard ha deciso di chinare la testa davanti a lei, è perchè l'ha giudicata degna della sua stima, ed essere ammirati da quel mostro è un evento più unico che raro, presuppone il possesso di qualità non comuni. Ma per quanto speciale possa essere, Integra sempre una dodicenne resta. Pensavamo che avrebbe impiegato anni per imparare a tenere al guinzaglio quel vampiro, invece constatiamo che ci sta riuscendo prima del previsto. Forse è più in gamba di quanto pensassimo. O forse Alucard contiene i suoi eccessi, sfidando la master con prove alla portata della sua giovane età. O forse sono entrambi i fattori. Quale che sia la risposta, posso assicurarle che cinque denunce, un allevamento devastato e sei agricoltori mandati in rovina ci fanno respirare di sollievo. Avevamo messo da parte milioni di sterline con cui riparare ai disastri di Alucard, eravamo convinti che avremmo dovuto ricostruire Villa Hellsing dalle fondamenta, mattone su mattone. Invece Hellsing Manor è ancora in piedi e questi risarcimenti richiederanno solo una piccola parte della somma che avevamo accantonato. -
Lord Island se ne andò portandosi via nel taccuino i problemi più assillanti di Walter. Il maggiordomo era talmente felice di essersi liberato di quei pesi, da decidere di condividere la sua gioia con Integra e Alucard. Questo non vuol dire che raccontò alla sua protetta e al vampiro del colloquio con il nobile: sarebbe stato un deleterio incitamento al mostro a continuare per la strada del vandalismo, nell'ottica del "tanto qualcuno che paga i miei disastri c'è" . No, il maggiordomo li rese partecipi del suo buonumore "scordando" di rimproverarli aspramente per la cagnara che avevano fatto in corridoio e per tutte le parolacce in rumeno che aveva sbraitato Integra. Anzi, rendendosi conto che molte di quelle pronunciate da Sir Hellsing gli giungevano nuove, Walter comprese che doveva averne scordate un bel po' in quei vent'anni e la sera stessa chiese ad Alucard un corso di ripasso.

 

Integra era già a letto quando vide Alucard far capolino nella sua stanza:
- Stasera non giochiamo a carte? -
"Giocare a carte" era un eufemismo. In quei giorni Alucard stava insegnado alla master come barare a poker e gongolava nel vedere quanto fosse lesta la ragazzina nell'apprendere ogni trucco. Integra scosse la testa:
- Non mi va. Ho concluso di leggere i diari di Van Helsing e ho deciso di cominciare a dedicarmi a quelli di mia nonna. Gioca con Walter. -
Il vampiro accettò a malincuore la proposta e si ritirò, chiudendo la porta della camera. Tempo mezz'ora e attraverso il pavimento Sir Helsing potè udire gli alterchi fra il maggiordomo e il vampiro provenire dalla cucina. Si erano seduti lì a giocare a carte e come Integra potè comprendere dalle voci, Walter era sinceramente convinto di giocare, nel senso onesto della parola. Alucard stava evidentemente barando a tutto spiano per far alzare così tanto la voce del camerata:
- Non è possibile che tu abbia vinto anche questa mano! -
- Evidentemente sono fortunato al gioco. - replicava placidamente il nosferatu.
- O stai solo barando? -
- Barare? Io?! Non sia mai! - esclamò Alucard, professando un'innocenza che era ben lungi dall'avere.
Integra prestò poca attenzione a quelle chiacchere e presto si immerse totalmente nei diari di sua nonna Eva Wingates Hellsing.

 

Ancor prima di diventare il capo dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti, Eva Wingates Hellsing era stata una suffragetta. Era appartenuta cioè a quel movimento che si era battuto affinchè il diritto di voto venisse esteso anche alle donne e le cittadine ottenessero l'uguaglianza nei diritti civili con la popolazione maschile. A questi obbiettivi ne aggiungeva anche altri di suo pugno che non rientravano fra gli "ordini del giorno" del Movimento ma che la giovane era comunque decisa a portare avanti, pur se in solitudine. Giudicava ad esempio umiliante la pratica secondo la quale la moglie prendeva il cognome del marito una volta sposata, come se diventasse un oggetto di proprietà del coniuge. E perchè ai figli veniva messo solo il cognome del padre, dopo che la madre aveva faticato durante nove medi di gravidanza e partorendo a rischio della propria vita? Proprio perchè le sembrava ingiusto che una donna perdesse il suo cognome e non lo potesse trasmettere ai figli, si presentava al mondo non semplicemente come Eva Wingates, ma aggiungendo al cognome del padre anche quello inglesizzato di sua madre, Hellsing.
La sua adesione a simili idee, unita ad un carattere impetuoso e poco incline all'accondiscendenza, facevano della giovane Eva la pecora nera della famiglia.
Nessuno, all'interno di quel clan di morigerati borghesi timorati di Dio che andava sotto il nome di Wingates-Van Helsing, condivideva il pensiero di quella ragazzaccia testarda e dai modi bruschi e anzi non facevano che impartire a quella scavezzacollo perle di saggezza:
- Smettila di perdere tempo con questa sciocchezza del voto e pensa a cercare un buon partito! -
- E se non impari a tenere a freno la lingua e ad essere più gentile, farai scappare tutti i giovanotti! -
Le più solerti nell'ammonirla erano le donne di famiglia, una schiera di sorelle, cognate, zie e cugine che non comprendevano come si potesse preferire manifestare per ottenere una cosa inutile come il voto al passeggiare per un parco a braccetto di un gentiluomo. Ai loro occhi, l'esistenza femminile era estremamente semplice: l'equivalente di un'assicurazione sulla vita, di una pensione, di uno stipendio, di una vincita alla lotteria, era costituita del trovare marito. Per quale ragione quindi Eva considerava il diventare una moglie qualcosa di meno importante rispetto ad assurdità quali l'ottenere la parità di salario con gli uomini, o il poter accedere a professioni maschili come l'insegnamento nelle scuole superiori, o avere il diritto di frequentare l'università conseguendo una laurea?
- Se ti sposi, non dovrai lavorare. - le ricordavano, convinte che la stramba ragazza tentasse di rivoluzionare il mercato del lavoro nel timore di doversi dare da fare anche dopo essere diventata una signora.
C'era anche chi, convinta che il ruolo della suffragetta si adattasse solo alle fallite cioè alle racchie rimaste zitelle che dovevano sgobbare per sopravvivere e pretendevano un risarcimento dal mondo intero avanzando quelle assurde proposte, rassicurava Eva dicendo:
- Non ti svalutare. Pensi che sei una bruttina destinata a restare zitella, lo so, ma invece posso assicurarti che sei molto carina! Un faccino come il tuo non ha problemi a trovare un innamorato. Ho visto sposarsi ragazze molto più brutte di te... -

Eva aveva cominciato a tenere un diario già da prima di diventare la master di Alucard e in quei quaderni sfogava tutta la frustrazione che la sua condizione di “pecora nera” le causava:

Non riesco a far comprendere a queste tizie che mi sono toccate in sorte come parenti che in fondo, fra le mie ambizioni e le loro, non c'è molta differenza. Sia io che loro desideriamo realizzarci attraverso il lavoro. La differenza che ci divide sta tutta nel rispettivo concetto di lavoro. Per me è un impiego presso qualche ditta e non mi spaventa l'idea di lavorare a vita. Per loro il lavoro è una parentesi di qualche anno che deve concludersi con un matrimonio. Sì perchè è un lavoro cercare un marito da accalappiare, a dispetto di tutte le sviolinate romantiche con cui si cerca di abbellire la verità e le donne che hanno come unica ambizione quella di diventare moglie, conducono quest'attività con la determinazione e la freddezza di un chirurgo.
Il marito è l'assicurazione sulla vita, va scelto con lucidità, quindi cominciano con lo scartare tutti i maschi inutili allo scopo cioè i coetanei. La giustificazione ufficiale per questa scelta, appositamente creata ad hoc dalle fanciulle in cerca di marito dei secoli che ci hanno preceduto, è:
- Le ragazze maturano prima dei ragazzi. -
Nient'altro che una questione di compatibilità insomma, per cui è ovvio che una ventenne si senta maggiormente a suo agio con un trentacinquenne che con un coetaneo. Ovviamente non c'entra nulla il fatto che i ragazzi ventenni siano o studenti, o lavoratori alle prime armi, con uno stipendio ancora troppo basso per potersi permettere di sposarsi, per cui le sventurate che lasciandosi guidare dall'amore e non dal calcolo finissero per innamorarsi di un giovanotto, dovrebbero poi sottostare a fidanzamenti decennali prima che il loro caro accantoni da parte sufficienti risparmi per poter mettere su famiglia.
No, no, la spiantatezza economica degli uomini giovani non ha assolutamente nulla a che vedere col sentirsi maggiormente attratte da chi potrebbe venirti quasi padre!
Una volta ripulita la rosa dei candidati dai giovani, bisogna capire fra i vecchioni che restano quale sia il più appetibile. Deve avere un lavoro solido, se poi la casa dove abita fosse di sua proprietà, allora sarebbe davvero un grosso colpo! L'unico modo per carpire queste informazioni è sondare il terreno, ponendo domande all'uomo in questione. Questo momento cruciale richiede l'equilibrio di un giocatore in borsa. Ma non del giocatore sprovveduto, che perde i risparmi in investimenti sbagliati, ma del giocatore lucido che sa sempre quand'è il momento di vendere e quando quello di comprare.
In parole povere, un minimo di interesse verso il tizio che ti sta di fronte glielo devi dimostrare, sennò mica si perderebbe in confidenze su che lavoro fa, dove abita e quanto guadagna ma siccome è deleterio per il buon nome di una giovane compromettersi (e la vaghezza stessa dell'espressione "compromettersi" fa sì che basti un nonnulla per compiere un passo falso), bisogna al contempo mantenere un certo distacco.
Insomma, illuderlo ma non troppo, fargli capire che potrebbe interessarti ma senza impegno. Ammetto la mia totale incapacità in questa materia: non riesco a tenere il piede in due staffe con tanta disinvoltura!
Finalmente dal mazzo di carte estraggono "il Re", scelto dopo una ponderata riflessione sui pregi e i difetti ( e quindi anche i costi e i benefici ) di ciascun spasimante, convolano a giuste nozze e a quel punto tirano i remi in barca.
Proprio così! Tutte le qualità che hanno dimostrato di possedere durante la ricerca della "dolce metà" cioè mente lucida e fredda, razionalità, capacità di valutare senza lasciarsi confondere dai sentimenti, abilità diplomatica nell'illudere tutti e nessuno, vengono chiusi in un cassetto e lasciati rodere dalle tarme. Ormai non servono più, il marito l'hanno trovato, possono impigrire e ingrassare in santa pace.
E' questo che mi fa ammattire di rabbia! Questo!
Se la determinazione che hanno messo per accasarsi la impiegassero nello studio e nel lavoro, il Regno Unito si ritroverebbe con una tale schiera di professioniste serie e preparate che non potrebbero che arricchirlo ulteriormente con il loro impiego. Invece si preferisce lasciar ammuffire quei cervelli e quelle mani in nome della galanteria perchè "Non sia mai che costringa mia moglie a lavorare!".

 

L'unico parente che non trattasse la ragazza come una scalamanata inaffidabile, brava solo a far impensierire la famiglia per la sua sorte, era Abraham Van Helsing, fratello maggiore di sua madre.
Non che lo zio Abraham fosse di idee più liberali rispetto al resto della cerchia familiare. Anche a lui il voto alle donne sembrava una sciocchezza colossale e superflue tutte le altre richieste delle suffragette ma ammirava la grinta e la veemenza con cui la nipote si dedicava a quella causa. In un aspetto però Van Helsing si distingueva rispetto ai propri parenti: non giudicava disdicevole che una ragazza di buona famiglia lavorasse.

 

Lavorare era un'attività sconveniente per una ragazza per bene perchè la metteva in contatto con chissà quali ceffi che potevano approfittarsi di lei. Inoltre implicava che la suddetta donna fosse sola al mondo o, se aveva parenti, questi erano degli snaturati che rifiutavano di aiutarla, pretendendo che se la cavasse da sola. Il clan Wingates-Hellsing non era composto da snaturati e si sentiva umiliato all'idea che il resto del mondo, vedendo Eva correre lungo le strade di Londra svolgendo le proprie mansioni, potesse pensare una cosa simile.
La nonna di Integra era la penultima di otto tra fratelli e sorelle e aveva dovuto conquistarsi il diritto di lavorare non solo litigando con i genitori ma anche con ogni fratellone, sorellona e rispettivi mogli e mariti, tutti timorosi che il giudizio della società sulla condotta di quella ragazza sconsiderata ricadesse su di loro.
Battagliare contro una simile quantità di persone richiedeva un coraggio o un'incoscienza non indifferenti, e sia che la giovane possedesse l'uno o l'altro, riuscì a tenere loro testa. Vedendo che con le cattive non erano capaci di spuntarla, i parenti tentarono di raggiungere un compromesso. Esistevano molti lavori che una signorina dabbene potesse svolgere senza perdere la faccia. Impartire ripetizioni scolastiche, ad esempio. O fare compagnia ad una signora anziana. O ancora meglio, ricamare per conto terzi, attività che le consentiva di non uscire di casa.
La suffragetta però non voleva saperne di questi lavori che ai suoi occhi non potevano essere veramente considerati tali. Spesso si trattava di mansioni create "ad hoc" dai familiari per aiutare una cugina zitella a campare, una carità camuffata insomma, tanto che la "ricamatrice per conto terzi" poteva permettersi di ricamare degli obbrobbri che nessuna persona dotata di buon gusto si sarebbe mai sognata di acquistare ma che venivano regolarmente comprati dai consanguinei e disposti sul divano, per poi giustificarli davanti agli ospiti spiegando:
- Sono opera di una nostra parente nubile. - riuscendo così a lustrarsi anche l'aureola mostrandosi per quello che erano realmente, dei familiari che mantenevano una parente in disgrazia.
No, Eva voleva un lavoro vero, che la facesse uscire di casa e richiedesse da lei il meglio che poteva dare e il parentado, costretto a capitolare, si arrese a vederla impiegata come commessa nei negozi, come segretaria presso studi notarili e persino come aiuto-tipografa in una stamperia. Siccome però ci tenevano a salvare la faccia davanti alla Gran Bretagna, ad amici e vicini assicuravano:
- Sì, è vero, Eva esce al mattino per andare lavorare. Va a casa di un'anziana gentildonna e le tiene compagnia tutto il giorno leggendole la Bibbia. -
I suddetti vicini la incontravano qualche ora dopo in un negozio di tessuti, intenta a misurare e tagliare una pezza di stoffa e commentavano:
- Alla faccia della lettura della Bibbia! -
La suffragetta cambiava una gran quantità di mestieri a causa della sua lingua, incapace di ossequiare chi le stava in alto e pronta invece a sottolineare tutti gli errori commessi dai datori di lavoro. Simili affronti venivano puniti con il licenziamento e ogni volta la famiglia si era illusa che Eva, stanca di sbattere il muso contro le avversità, si sarebbe finalmente arresa a rimanere tranquilla in casa e a occuparsi di cercare un marito. Invece ogni volta la testarda ragazza si era rimessa in carreggiata, con gran sconforto dei Wingates-Hellsing.
Fu un pomeriggio, il giorno dopo essere stata licenziata da una merceria, che lo zio Abraham Van Helsing si presentò in casa sua.
- Appena ho saputo che hai perso il tuo ultimo impiego mi sono precipitato da te. Se non ti acciuffo fra un lavoro e l'altro, non riuscirò mai a proporti l'affare che ho in mente. Mi serve una segretaria. -
Eva storse il naso. Ciò che il fratello maggiore di sua madre le offriva, le puzzava di "lavoro-carità". L'uomo intercettò il suo pensiero e le spiegò:
- No ragazza, è un impiego serio, un posto di responsabilità. Sono anni che penso di offrirtelo, sembra ritagliato proprio addosso a te. Non mi credi? Vieni a fare una prova! Cosa ti costa? Trasferisciti a Van Helsing Manor per qualche settimana e valuterai se la mia offerta è una presa in giro o meno. -
La proposta piacque alla nipote e in una fredda mattina di gennaio del 1912, la diciottenne Eva Wingates-Hellsing entrò nella sede dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti.

Il giorno stesso del suo arrivo, il parente le impose solo due regole da rispettare:
- Nipote, ti chiedo un'unica cortesia: non scendere nei sotterranei della villa. Lì sto conducendo degli esperimenti medici. Un giorno, quando sarò sicuro dei risultati, te li mostrerò ma fino ad allora vorrei che nessuno mettesse piede nei miei laboratori. A parte questo, durante la notte ti capita mai di alzarti? -
- Quasi mai in verità. -
- Meglio così però preferisco avvisarti ugualmente. Se durante la notte dovessi uscire dalla tua stanza e incrociare nel corridoio un uomo alto vestito strano, non preoccuparti. E'...il mio guardiano notturno. Non rivolgergli la parola, tanto lui non ricambierebbe, è un tipo scorbutico. Passagli accanto ignorandolo, va bene? -
- Va bene. -

 

Il posto di segretaria che le aveva offerto Abraham era un vero lavoro e non un impiego fittizio creato per aiutare una parente nubile. Eva sgobbava tutto il giorno fra pratiche burocratiche da sbrigare e conti da far quadrare. A proposito di conti...
- Zio, perchè ogni giorno acquistiamo un fiasco di sangue dal macellaio? -
- Mi occorre per le mie ricerche. Sto tentando di sintetizzare dei farmaci a partire dal sangue. Più in là ti mostrerò di cosa si tratta. -
Giunta la sera, zio e nipote si sedevano davanti al caminetto e chiaccheravano. Van Helsing riusciva a pilotare la discussione in modo che finisse sempre per affrontare l'argomento "mostri" in generale e "vampiri" in particolare.
- Tutto ciò che Bram Stoker ha raccontato nel suo libro è accaduto veramente? - chiedeva Eva, curiosa.
- In linea di massima sì ma alcuni particolari li ha romanzati. -
- Ad esempio? -
- Ad esempio, nel libro il Conte viene descritto come un essere dall'aspetto repellente. In realtà non era così. Se lo avessi visto, lo avresti scambiato per un uomo qualsiasi, per quanto pallido ed estremamente alto. Niente in lui denotava la sua vera natura di mostro. La sua unica stranezza consisteva nei canini affilati ma finchè teneva la bocca chiusa, non li notavi e spesso, anche quando parlava, muoveva le labbra in modo tale da nasconderli. Stoker ha pensato che i lettori si sarebbero inquietati maggiormente se avesse dato a Dracula delle fattezze strane, e così gli ha dato una faccia e delle mani da mostro. -
Spesso Van Helsing, dopo aver rivangato uno dei tanti eventi svoltisi durante i mesi della lotta contro Dracula, chiedeva alla nipote:
- Al mio posto, cosa avresti fatto? -
- Non saprei. -
- Sforzati di immaginare. Supponiamo che il Conte non sia morto, che sia ancora su questa Terra ed esista la possibilità che tu possa incontrarlo faccia a faccia. Come ti comporteresti?-
"Supponiamo che il Conte non sia morto" diventò una frase ricorrente nel corso di quelle discussioni e una sera la ragazza non potè fare a meno di chiedere in tono scherzoso:
- Non ti annoi mai a fare questo gioco? Non ha scopo dato che Dracula è morto e sepolto, giusto? -
Abraham rispose con un sorriso enigmatico:
- Forse. -

 

Con grande soddisfazione di Van Helsing, Eva, di fronte alla domanda su come si sarebbe comportata di fronte al Re-senza-vita, cercava sempre di fornire la risposta più razionale, rifiutando di agire lasciandosi guidare dai sentimenti e quando giudicò che la nipote fosse pronta per la rivelazione decisiva, le chiese:
- Se ti dicessi che Dracula è ancora vivo, che non si tratta di uno scherzo nè di un gioco e che risiede in questa villa, come la prenderesti? -
La giovane rimase tranquillamente seduta nella sua poltrona:
- Sono sincera: il sospetto che quel vampiro fosse ancora su questa Terra me l'hai instillato nel corso di tutte queste discussioni però il tuo racconto sulla sua morte è troppo particolareggiato per essere inventato. L'hai visto realmente dissolversi in polvere. Potrei cercare di unire queste due ipotesi contrastanti supponendo che tu l'abbia resuscitato ma non riesco a comprendere perchè avresti fatto un'azione simile. -
- Per trovare la risposta, ti basta ascoltare questo: gli umani sono le pecore, i mostri sono i lupi che le sbranano e io sono il pastore che tenta di proteggerle ma perchè il mio lavoro sia efficacie, ho bisogno di un cane fedele. -
Eva aggrottò le sopracciglia, dubbiosa:
- Dracula è il tuo cane? Sei riuscito ad addomesticarlo? -
- Precisamente! - esclamò Van Helsing, dopo di che raccontò alla giovane di come aveva riportato le ceneri del Conte in Inghilterra e di come l'avesse resuscitato e domato.
Eva bevve in silenzio quelle parole. Sia all'interno della cerchia familiare che fuori, era convinzione comune che Abraham fosse diventato tanto ricco perchè era diventato medico personale di un componente della famiglia reale. Chi credeva nell'occultismo, aggiungeva che a quel lavoro ne affiancava certamente un altro, quello del cacciatore di mostri ma supponeva che all'interno della famosa scatola con cui si recava sui luoghi infestati, il forte vecchio tenesse gli oggetti capaci di sconfiggere le creature maligne, come croci o acqua benedetta. Gli scettici rispondevano ridendo che tutt'al più il vecchio Abraham aveva saputo sfruttare la popolarità piovutagli addosso col romanzo di Stoker e che certamente di notte non andava a caccia di folletti.
Adesso la nipote scopriva come la realtà fosse ancora più fantasmagorica di quanto la fantasia più sbrigliata avesse potuto supporre. Terminato di ascoltare il racconto del parente, la ragazza gli pose molte domande sull'affidabilità e la docilità del vampiro, infine concluse:
- Perchè mi hai raccontato queste cose, tenute segrete fino ad ora? Perchè a me e non anche ai miei fratelli? -
- Perchè sono vecchio e ho bisogno di un erede che conduca l'Ordine dei Cavalieri Protestanti dopo la mia morte. Se mio figlio, il tuo povero cugino, fosse ancora in vita, avrei designato lui come successore ma il destino è stato crudele e me l'ha strappato nel fiore della giovinezza. Ho setacciato quindi il resto della famiglia alla ricerca di qualcuno all'altezza del compito e ho compreso che tu sei tagliata per questo ruolo. -
- Io?! E chi te lo dice? Come fai ad esserne tanto certo? - chiese Eva costernata.
- In te rivedo molto di me e di mio figlio. - rispose il grande vecchio con orgoglio - Inoltre il modo stesso con cui ti sei comportata stasera, di fronte a una simile rivelazione, mi conferma di aver scelto bene. La maggior parte delle persone, sentendomi raccontare una storia simile, sarebbe inorridita. Mi avrebbe detto che ero un pazzo per aver risvegliato un simile mostro e che mancavo di rispetto alla memoria di chi aveva ucciso. Tutti commenti dettati dal sentimentalismo e perchè no, anche dalle convenzioni sociali, secondo le quali bisogna scandalizzarsi di fronte alla blasfemia di chi non rispetta la memoria dei defunti.Tu invece mi hai posto domande pertinenti sul modo di agire del vampiro. Ti sei lasciata guidare dalla razionalità, hai voluto capire i pro e i contro, i costi e i benefici di questa scelta. Non è da tutti agire con una simile freddezza. Capisci adesso perchè ho sempre detto che sei una Van Helsing fino al midollo? -
Sì, Eva capiva e ciò nonostante era ancora ammutolita dalla sorpresa. Lo zio proseguì:
- L'Ordine dei Cavalieri Protestanti ha dieci anni di vita. Durante le riunioni che portarono alla sua fondazione, un membro del Consiglio Reale mi chiese come pensavo di gestire il vampiro una volta che fossi morto. Risposi che il suo controllo sarebbe passato al mio erede. Il titolato mi domandò perchè questo erede non era con me. Risposi che il mio successore non partecipava a quelle sedute perchè ancora non sapeva che lo avessi designato come tale e non sapeva nemmeno che tenevo chiuso un vampiro in uno scantinato. Una notizia tanto banale bastò per far infuriare quel nobile e fargli esclamare che ero un pazzo. Chissà quale sarebbe stata la sua reazione se avesse saputo che in aggiunta a tutto questo, la mia erede, cioè tu, in quel momento aveva solo otto anni! - raccontò ridendo Abraham - Ma come ti ho detto, già a quel tempo di dubbi ne avevo pochi. Eri solo una bambina ma già dimostravi la grinta della nostra famiglia! -
Un senso d'orgoglio cominciò ad invadere il petto di Eva. Aveva sempre sognato di fare qualcosa di grandioso nella propria esistenza ma quello che le proponeva lo zio superava le sue più rosee aspettative. Proprio a quel punto, il volto del parente tornò serio e sembrò darsi da fare per spegnerle ogni ardore:
- Voglio però esser chiaro, Eva: ciò che ti chiedo non è una passeggiata. E' un compito arduo che ti inseguirà per tutta la vita, senza un attimo di riposo. Per te non ci saranno domeniche, feste o vacanze. In qualsiasi momento dovrai essere la master del vampiro che ormai non ha più un nome quindi voglio che tu rifletta bene prima di dirmi se accetti o meno di diventare la mia erede. Sarà un impegno gravoso e faticoso che ti richiederà grandi sacrifici e la rinuncia ad ampie fette di vita normale. I tuoi genitori sono appassionati di cani, ne hanno sempre tenuto in gran quantità e tu ci sei cresciuta in mezzo. Questo, per certi versi, ti aiuta. Hai già esperienza sufficiente per sapere come trattare con gli animali. Il vampiro sarà impegnativo come un cane, anzi di più. Dovrai sempre preoccuparti di sfamarlo, assicurarti che non nuoccia a nessuno e quando sentirai che la tua morte si avvicina, dovrai prendere una scelta. Se non troverai un degno erede a cui affidare il comando del nosferatu, non ti resterà altra soluzione che abbatterlo e portartelo nella tomba.-
- Quindi se non dovessi accettare di succederti e se tu non trovassi nessun altro erede sarebbe questo quello che faresti? Uccideresti il tuo cane con le tue stesse mani? -
- Certo. Io l'ho creato e io lo distruggo. Diventerebbe un mucchietto di cenere. Lo metterei in un sacchetto e lo farei depositare nella mia bara, così mi accompagnerà nel lungo sonno, come un bravo cane fedele. -
Eva rimase a lungo in silenzio, meditabonda. Lo zio le aveva detto che non doveva dargli una risposta quella sera anzi era consigliabile che riflettesse a lungo sulla strada che desiderava intraprendere. Bene, avrebbe seguito il suo consiglio ma adesso c'erano altri particolari che desiderava svelare:
- Il fiasco di sangue che il garzone del macellaio porta ogni mattina è per lui. E non stai conducendo nessuna ricerca medica negli scantinati della villa, mi hai solo chiesto di non scendervi perchè sono la cuccia del vampiro. E il guardiano notturno che avrei potuto incontrare di notte e a cui non dovevo rivolgere la parola...è sempre il vampiro, vero? -
- Sì. Quando sarà il momento, te lo farò conoscere. -
Eva si massaggiò le tempie. Benchè già da qualche settimana sospettasse che lo zio le nascondesse qualcosa sul vampiro che aveva sconfitto, tante rivelazioni in una sola serata l'avevano messa a dura prova.
- Adesso vai a coricarti nipote. Continueremo questa discussione domani. -
La ragazza annuì e quando fu nella sua camera, sotto le coperte, udì dei passi nel corrodoio. Li aveva uditi tante volte, da quando si era trasferita a Van Helsing Manor. " E' il guardiano notturno " si era sempre detta. Adesso scopriva che si trattava del Conte Dracula...
No, lo zio le aveva spiegato che il vampiro non aveva più un nome. L'Essere Libero che era stato un tempo e che si era chiamato Dracula, Conte o Vlad era defunto. Al suo posto c'era solo un cane da pastore e così lo chiamava il padrone, "cane".
" Potrei alzarmi, aprire la porta e vedere il vampiro dello zio " pensò Eva, in un impeto di curiosità ma poi le tornarono alla mente le parole di Abraham:
- Quando sarà il momento, te lo farò conoscere. -
Evidentemente era ancora troppo presto per trovarsi a tu per tu con il cane dello zio. Decise di fidarsi del giudizio del parente e lasciò che il rumore di quei passi si allontanasse lungo il corridoio fino a dissolversi. Eva inghiottì la curiosità, chiuse gli occhi e si addormentò.

 

Nelle settimane che seguirono, la questione fu sviscerata da ogni punto di vista. Van Helsing non nascose nulla ad Eva della fatica che ricoprire il ruolo di master le avrebbe chiesto, così come le parlò apertamente di quanto avesse penato per ottenere un cane docile ai suoi ordini:
- Ho lottato con lui e ferocemente anche. L'ho dovuto spezzare per domarlo e questo mi ha richiesto fatica sia fisica che mentale. E anche adesso che è mansueto come un agnellino, non posso permettermi di rilassare il pugno. Deve sentire la mia forza in ogni momento se non voglio che rialzi la testa e si ribelli. Prevedo che attuerà un comportamento simile anche con te. Non è da lui obbedire ciecamente al primo venuto, neanche se glielo ordinassi io. Ti metterà alla prova. Mi sono occorsi anni per soggiogarlo completamente, immagino ne occorreranno altrettanti anche a te. Sarà una strada lastricata di difficoltà, metto in conto che nonostante la tua grinta potresti non farcela e abbandonare tutto. Sappi che non te ne farò una colpa e anzi comprenderò una simile rinuncia. Ma anche se resistessi e riuscissi a diventare la sua master, la fatica non sarà terminata. La fedeltà che il vampiro è capace di dare al padrone è tanta ma esige in cambio parecchie attenzioni. -
Eva meditò a lungo su quelle informazioni, valutò con onestà le proprie capacità, i propri pregi e difetti nel tentativo di capire se era adatta o meno a succedere allo zio come capo dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti. Agì con consapevolezza perchè per natura era una di quelle persone che non tornavano indietro sulla parola data. Una volta intrapresa una strada, la percorreva fino in fondo e con tutta la serietà di cui disponeva, fosse o meno adatta a lei perchè sentiva di aver preso un impegno con la propria coscienza prima ancora che con gli altri.
Concluse che poteva farcela e lo comunicò ad Abraham:
- Accetto di diventare la tua apprendista, di imparare ciò che occorrerà per succederti e di diventare la futura master del vampiro. -
Lo zio, ignaro che Eva si fosse impegnata in un patto solenne con la propria coscienza pronunciando quelle parole, per giorni continuò a metterla in guardia sulle fatiche che avrebbe affrontato diventando la sua erede. Infine, quando comprese che la ragazza faceva sul serio, accettò la sua volontà ma mentalmente continuò a considerarla "in prova" per molto tempo, incerto se sarebbe riuscita a superare l'ostilità di cui l'avrebbe fatta oggetto il suo cane.

Da quando mi ha proposto per la prima volta di diventare la sua erede, lo zio ha parlato della sua belva addomesticata con la stessa professionalità con cui un veterinario parlerebbe di un purosangue da corsa. Ieri sera, per la prima volta, ne ha parlato usando il tono di un padrone che racconta anneddoti sul proprio cane. Si è rammaricato che da quando sono entrata dentro Van Helsing Manor ha obbligato l'animale a restare rintanato nella sua cuccia durante il giorno. Non voleva che lo incontrassi prima di aver preso una decisione, temendo che questo potesse in qualche modo compromettere il mio giudizio. Ha concluso dicendo:
- Adesso non c'è più ragione per tenerlo chiuso nelle segrete durante le ore di luce e dato che sei decisa a intraprendere questa strada, è giunta l'ora che tu lo conosca. -
Il cuore ha cominciato a battermi all'impazzata dalla tensione. Lo zio mi ha messo in mano una bottiglia di sangue dicendo:
- Questa gliela darai tu. - dopodichè ha cominciato a scendere i gradini che conducono ai sotterranei. Gli sono andata dietro con le palpitazioni che mi rimbombavano nelle orecchie.
Siamo entrati in una grande stanza e nella debole luce che la illuminava, ho visto lo zio inginocchiarsi accanto a una lunga bara lucida e nera, bussando con le nocche sul coperchio. Ha dovuto bussare per un bel pezzo e via via che i minuti trascorrevano, sul suo viso si allargava un sorriso indulgente. Sembrava un padre costretto a svegliare presto il figlioletto scrollandolo per la spalla, combattuto fra il dovere di farlo alzare e il desiderio di lasciarlo poltrire ancora.
Finalmente, il coperchio ha cominciato ad alzarsi con lentezza, facendomi schizzare la paura nelle vene. Avrei voluto serrare le palpebre per non vedere l'essere che ne sarebbe sbucato e mi sono dovuta imporre di lasciarle aperte. E quando l'occupante della bara è apparso, mi è venuto spontaneo chiedermi se lo zio non mi avesse preso in giro per tutto il tempo.
Quello, un vampiro? Ma se sembrava un qualsiasi giovanotto umano! Be', qualsiasi no, era decisamente più pallido del normale e a giudicare dalla lunghezza della bara, pure molto alto ma questi particolari da soli, per quanto inusuali, non lo avrebbero classificato come nosferatu agli occhi di nessuno! Sì, è vero, lo zio mi aveva già avvisata che a dispetto di quel che aveva scritto Stoker, il reale aspetto dell'essere era tutt'altro che mostruoso ma ammetto che l'amante del brivido che si cela in me aveva continuato a sperare in un qualche particolare orrorifico che spiccasse nella sua persona. Invece, l'unica nota inusuale in lui è la stranissima tuta di cuoio che indossa.
Il tipo è rimasto seduto nella bara, guardandosi intorno con occhi impastati di sonno, infine ha messo a fuoco lo zio. Chi ha cani, lo sa, conosce lo sguardo gioioso che illumina i loro occhi quando il padrone torna a casa, ed è esattamente il tipo di sguardo che ho visto brillare nelle pupille del giovanotto nella bara. I padroni dei cani, dal canto loro, rispondono a quelle feste con occhi amorevoli, una carezza, una parola dolce, ed è esattamente ciò che ha fatto lo zio.
- Mi dispiace di avere interrotto il tuo sonno. - ha detto in tono contrito, accarezzando i capelli del tizio nella bara.
E' stato allora che mi sono detta che non si trattava di uno scherzo, il giovane doveva essere davvero un vampiro perchè quando mai si sono visti due umani comportarsi come cane e padrone?
- Adesso alzati, voglio farti conoscere una persona. -
Il nosferatu è uscito dalla bara: accidenti è ancora più alto di quanto avessi inizialmente supposto! Lo zio si è messo al mio fianco e il vampiro si è fermato di fronte a noi.
- Lei è mia nipote, Eva Wingates Hellsing. -
Il mostro ha lasciato scivolare su di me uno sguardo indifferente. Io invece lo guardavo allibita, nè più nè meno che se mi fossi ritrovata davanti a un dinosauro, a un venusiano o al fantasma di Napoleone.
Lo zio mi ha riscossa tirandomi una gomitata nelle costole. Ho allungato la bottiglia al non-morto e se ancora avevo dei dubbi sulla sua natura, a quel punto li ho fugati tutti. S'è scolato il sangue come fosse acqua fresca!
Non so cosa sperasse di ottenere lo zio, facendomi dare al vampiro quella bottiglia. Forse s'illudeva che quel gesto gentile avrebbe reso il suo servo grato e docile nei miei confronti? Oh zio, come conosci poco i cani!
E vero, la maggior parte di loro scodinzola a chi gli dà un biscotto o una carezza ma ciò non implica che siano disposti ad ubbidire a queste perone gentili come al padrone. Poi ci sono i cani con un caratteraccio scorbutico, che nemmeno scodinzolano in segno di ringraziamento. Il cane dello zio appartiene alla seconda categoria. Finito di bere, mi ha rimesso in mano la bottiglia vuota e seccamente ha ordinato:
- Portamene un'altra! -
Da questo primo incontro, ho ricavato due certezze:
1) agli occhi del vampiro, Abraham Van Helsing è Dio Onnipotente;
2) agli occhi del vampiro, Eva Wingates Hellsing è una nullità qualsiasi.

 

I primi mesi dell'apprendistato di Eva non furono problematici. Adesso che la nipote aveva conosciuto il vampiro, Van Helsing consentì al suo cane a due gambe di camminare per la Villa anche durante il giorno e per la suffragetta la belva addomesticata dello zio diventò in poco tempo una figura familiare. Dubitava però che il mostro potesse dire altrettanto di lei.
Il nosferatu sembrava disinteressarsi del mondo intero, master Abraham a parte.
Ma se il mostro la ignorava completamente, Eva trascorse invece lunghe ore a studiarlo senza dare nell'occhio. Fu così che scoprì come spesso il vampiro piangesse lacrime di sangue mentre dormiva, e si grattasse il dorso delle mani fino ferirsi la pelle ma soprattutto, nessuno meglio del vampiro conosceva Abraham Van Helsing.

E' tale e quale a un cane, riesce a captare i minimi cambiamenti di umore del padrone, anche quelli di cui le altre persone non si accorgono. Ormai, qualsiasi cosa dica o faccia lo zio, ho preso l'abitudine di buttare un'occhio al vampiro. Se il mostro continua a svolgere le proprie faccende, vuol dire che tutto è sereno. Se lo sorprendo a guardare lo zio con attenzione, vuol dire che qualcosa ribolle nel cranio del suo padrone. Se il vampiro si alza per versare allo zio due dita di cognac, sta cercando di calmarlo prima che il nervosismo del padrone si manifesti scaricandosi su di lui.
Sì perchè quando lo zio non riesce a risolvere un problema, è sempre il vampiro a farne le spese. Lo zio cammina appoggiandosi ad un bastone ma non perchè il suo passo vacilli, anzi è ancora energico come un giovane. Il bastone gli serve per darsi un'aria minacciosa, allo stesso modo dei patriarchi dell'Antico Testamento, e per avere sempre a portata di mano uno strumento con cui punire il cane. Per qualsiasi minima infrazione, vera o inventata, tanto per avere una scusa con cui sfogare la propria irritazione, mena una bastonata addosso al nosferatu e quel che più mi sorprende è che il mostro sembra farsi veramente male!
- Ma i vampiri non dovrebbero essere fortissimi? Allora come può il tuo farsi male per una semplice bastonata? - ho chiesto allo zio.
Mi ha mostrato il cassetto di un armadio, pieno all'inverosimile di bastoni e mi ha spiegato:
- Una bastonata in sè per sè non gli farebbe nulla ma tutti quelli che vedi qui me li sono fatti fabbricare con i legni che i vampiri non tollerano. Sono fatti in frassino, sorbo e qualcuno persino in legno di rosa. E' per questo che riesco a fargli male. -
- Ma cosa te ne fai di un cassetto pieno? -
- Certe volte mi fa arrabbiare così tanto che finisco per spaccargli il bastone addosso. Vengo qui e ne prendo uno di ricambio. -
Mantenere Abraham Van Helsing calmo sembra essere la missione che il vampiro si è dato e assolve al suo compito con la stessa bravura di un maggiordomo che è cresciuto, vissuto e invecchiato col suo padrone, o di un anziano coniuge che conosce il suo compagno di vita come la propria mano. E come può non conoscere bene lo zio, considerando che questo è il ventiduesimo anno che trascorre con lui? Il vampiro sa quando è il caso di parlare e quando è meglio che stia zitto, se è consigliabile mettere davanti allo zio un bicchiere o se è il caso di far sparire la bottiglia di brandy dalla sua visuale senza dare troppo nell'occhio, quando abbassare lo sguardo e quando è giunto il momento di insistere col master perchè vada a coricarsi.

 

Oltre ad osservare il vampiro, Eva continuò a svolgere il suo lavoro di segretaria e siccome sapeva guidare, Van Helsing acquistò un'automobile.
- Ancora è troppo presto perchè tu possa seguirmi a caccia di mostri ma quando quel momento giungerà, mi accompagnerai in macchina. -
La nipote attendeva pazientemente, fidandosi della valutazione dello zio e un pomeriggio l'anziano parente le annunciò:
- Vai a coricarti e sforzati di dormire. Stanotte verrai con me a caccia di Banshee. -

 

Mi sono messa al volante e lo zio si è seduto accanto a me con la sua inseparabile scatola sulle ginocchia. Ho guidato fino alla proprietà da disinfestare. Arrivati, siamo scesi, lo zio ha poggiato a terra la scatola e l'ha aperta, ha messo il pipistrello sull'erba e gli ha ordinato di riprendere la sua vera forma. Quando il vampiro mi ha vista al fianco del suo padrone, gli ha chiesto costernato:
- Perchè è con noi? -
Quella domanda mi ha stupita. Quindi lo zio non lo aveva avvisato, non lo aveva preparato alla mia presenza? Zio Abraham ha risposto:
- E' venuta a imparare il mestiere. -
Dentro di me sentivo crescere un senso di disagio: zio, che razza di risposte dai? Perchè non gli dici chiaro e tondo come stanno le cose? La spiegazione non soddisfece neanche il vampiro che tornò alla carica:
- Perchè deve imparare? Cosa c'entra con noi? -
E finalmente, lo zio si è sbottonato:
- E' la mia erede. Quando morirò, servirai lei. -
Credo che se lo zio avesse mollato al vampiro una delle sue bastonate, gli avrebbe fatto meno male. Siccome il cane non riesce a ribellarsi al padrone, tutta la rabbia che dev'essergli esplosa nel petto a quella rivelazione l'ha riversata su di me, fissandomi con due occhi colmi d'odio.

- E perchè dovrei servirla? - ha ringhiato.
In tutti questi mesi non ho mai udito chiedere al vampiro "perchè". Ubbidisce senza fiatare a qualsiasi comando del padrone ma stavolta la richiesta di Dio Abraham doveva essergli sembrata talmente sconvolgente da non riuscire a trattenersi dal domandare spiegazioni e lo zio, come al solito, l'ha trattato come uno zerbino:

- Perchè io ho deciso così e farai quel che ti ordino! Adesso occupati della banshee. Search and destroy! -
E' rimasto davanti a noi, fremendo di collera, infine si è deciso ad allontanasi con passo lento, svanendo nell'ocurità e con lo zio siamo risaliti ad attenderlo sulla macchina. E lì sono esplosa:
- Credevo che in tutti questi mesi gli avessi spiegato chi ero e cosa facevo, che lo avessi preparato a questo momento! Perchè sei stato così incosciente da non dirgli nulla? -
- Io non gli spiego mai niente. Fornirgli una spiegazione vuol dire dargli la possibilità di pensare e ribellarsi e lui non deve fare nè l'uno nè l'altro ma solo obbedire ciecamente ai miei ordini. - ha risposto serafico lo zio.
Non gli spiega mai nulla. Questo vuol dire che da ventidue anni il vampiro si sveglia ogni sera senza avere la più pallida idea di cosa gli accadrà nelle prossime ventiquatt'ore. Sfido che mantenere calmo Dio Abraham sia diventata la missione della sua non-vita!
La primavera è alle porte ma la notte fa ancora un freddo assassino. Fortunatamente lo zio, dopo decenni di esperienza, è ormai equipaggiato. Aveva messo sul sedile posteriore coperte e una bottiglia di acquavite e con quelli ci siamo riscaldati nell'attesa che il cane tornasse. Sono tornata a chiedergli:
- Quindi non gli hai nemmeno spiegato che se ti ritrovassi senza eredi, lo uccideresti per portartelo nella tomba? Non sarebbe meglio dirglielo, invece? Dopo quel che è successo stasera, capisco che mi ha presa in antipatia. Se sapesse che io sono la sua unica possibilità di salvezza, forse cambierebbe atteggiamento nei miei confronti. -
- Non ti azzardare a dirgli niente del genere! - ha minacciato zio - E' difficile dire se per quel cane sia più attraente la non-vita che sta conducendo adesso o la morte. Esiste la possibilità che preferirebbe seguirmi nella tomba piuttosto che rimanere su questa Terra. -
Sapevo che stavo per darmi la zappa sui piedi ma non ho potuto fare a meno di domandare:
- Se morire non gli dispiacerebbe, perchè non accontentarlo? -
- Perchè io ho deciso che deve rimanere ancora al mondo e lui farà quel che voglio io! -
Urla strazianti hanno interrotto la nostra conversazione. Si trattava della banshee. Le banshee sono celebri per le strida con cui spezzano il silenzio della notte, terrorizzando chi le ascolta. Quelle però sembravano urla di dolore.
- Il vampiro l'ha trovata! - ho commentato. Lo zio non ha risposto ma il suo silenzio era già un assenso.
Le urla di una banshee gelano il sangue. Le grida di una banshee in preda al dolore e al terrore sono qualcosa che non si può raccontare. Temo che queste strida si ripresenteranno nei miei incubi per il resto dell'esistenza, non sono così ottimista da illudermi di riuscire a dimenticarle.
Difficile dire cosa stesse combinando il vampiro ma sicuramente si stava facendo un dovere di uccidere la preda nel modo più lento e doloroso possibile. Era una vera fortuna che fossimo seduti sulla macchina perchè sentivo cedermi le ginocchia, tanta era l'angoscia che quelle urla strazianti mi trasmettevano. Sarebbe stata una vergogna cadere a sedere sull'erba davanti allo zio, alla mia prima missione! Ho buttato uno sguardo sul suo viso e mi è stato di conforto constatare che anche lui sembrava turbato da quel putiferio. Quindi normalmente le cacce del vampiro sono meno traumatiche?
La faccia dello zio sembrava un misto di raccapriccio e rabbia, quasi che vivesse tutto ciò come un dispetto da parte del servo. Alla fine, quando l'ira l'ha sopraffatto, ha urlato:
- Striscia a terra come un verme! -
I suoi occhi erano fissi nella direzione da cui provenivano le urla, come se stesse sostenendo a distanza un colloquio col vampiro e a quelle parole, le grida erano calate d'intensità, come se la banshee continuasse a lamentarsi per il dolore e la paura ma non per nuove sofferenze. Sempre con lo sguardo fisso davanti a sè, lo zio ha proseguito:
- Stupido cervello limitato, ti illudi di prendermi in giro così facilmente? Da quando in qua credi di poter comandare? Ti sottometterai al mio volere, ti piaccia o no e stai pur sicuro che ti farò pentire di questa bravata! Adesso finisci il tuo dovere. Che sia un lavoro rapido e pulito. Rialzati in piedi! -
Pochi istanti ancora e non abbiamo udito più niente. Ogni rantolo era cessato, lo stormire delle fronde era l'unico suono che sentivamo. Abbiamo dovuto attendere un bel pezzo il ritorno del vampiro. Finalmente i fari dell'automobile hanno illuminato la sua sagoma, che procedeva a passo lemme, fermandosi a un paio di metri da noi. Lo zio è sceso dalla macchina e ha deposto a terra la scatola. Gli occhi del mostro erano pieni di ironia e un sorriso abbozzato era stampato sul suo volto. Sembrava perfettamente consapevole che avrebbe pagata salata la sua ribellione ma al contempo era soddisfattissimo di averla compiuta, pronto a ripeterla senza pentimenti altre mille volte. Lo zio, invece, era furente. Con voce dura ha ordinato:
- Trasformati in pipistrello! -

 

La notte della prima caccia al mostro di Eva Wingates Hellsing aprì ufficialmente le ostilità fra lei e il vampiro.
Se fin'ora il cane di Van Helsing aveva ignorato la ragazza, adesso la situazione era radicalmente cambiata.
- Non sperare di riuscire a comandare su di me! - l'avvisò il mostro la mattina seguente, dopo di che si diede attivamente da fare per per angariare, infastidire, indispettire, punzecchiare e provocare la nipote del suo Dio in tutti i modi possibili e immaginabili, e anche in quelli inimmaginabili. Il suo obbiettivo era esasperarla al punto di farla desistere dal progetto di diventare il futuro capo dell'Organizzazione Van Helsing, facendola scappare in lacrime dalla villa.
Benchè sapesse benissimo che la giovane si chiamasse Eva Wingates Hellsing, mai una volta il vampiro pronunciò il suo nome. Gli epiteti più blandi che uscivano dalle labbra del mostro erano "Tu" e "Ragazza" ma più spesso preferiva chiamarla "Gallina".
Furono settimane stressanti ma Eva si rese conto che i colpi sparati dal mostro, per quanto snervanti, lasciavano il tempo che trovavano. Il vampiro la stava studiando attentamente alla ricerca di un suo punto debole, di una breccia attraverso cui entrare e demolire ogni difesa della donna. Finchè non l'avesse trovata, le sue provocazioni non le avrebbero suscitato più irritazione di quelle di un adolescente indisponente. La nipote del medico olandese continuò così la propria opera, sperando che il cane dello zio non scovasse mai il suo tallone d'Achille.

- Cosa è "suffragetta"? -
- Dove hai sentito questa parola? - chiese a sua volta Eva, decisa a modulare la spiegazione in base alla risposta che avrebbe ottenuto.
- Oggi un membro della Tavola Rotonda è venuto a parlare con tuo zio e gli ha chiesto "Ma le pare il caso di scegliere come erede una suffragetta?". Così voglio sapere cosa è "suffragetta". Si tratta di una malattia che ti porterà alla tomba in breve tempo, liberando questa dimora dalla tua fastidiosa presenza? -
- No cagnaccio, purtroppo per te godo di ottima salute e dovrai sopportarmi ancora per molti anni. Suffragetta indica una persona che appartiene ad un movimento, quello delle Suffragette, che si batte perchè il diritto di voto venga esteso anche alle donne. -
Passi dover litigare sull'argomento con gli uomini e le donne ma di mettersi a bisticciare persino con un vampiro, Eva non ne aveva nessuna voglia, così lasciò il succhiasangue a sbellicarsi dalle risate da solo. La giovane si chiuse in ufficio per lavorare e constatò seccata che gli sghignazzamenti del mostro la raggiungevano persino là dentro, pur essendo la porta chiusa. Dopo cinque minuti di quella musica calò finalmente il silenzio ed Eva vide il vampiro entrare nell'ufficio asciugandosi gli occhi, dato che aveva riso fino alle lacrime. In tono ilare, le chiese:
- E perchè vorreste votare? -
- Paghiamo le tasse, perchè non dovremmo ricevere in cambio il diritto di votare? I nostri soldi sono buoni per ingrassare lo Stato e non lo sono le nostre teste per votare chi ci governa? -
Era una delle risposte più utilizzate dalla ragazza che aveva constatato come avesse una presa decisamente maggiore sull'uditorio rispetto a tante spiegazioni ideologiche ma che lasciò indifferente il vampiro così la suffragetta completò:
- Ovviamente non pretendo che un uomo medioevale come te possa capire il concetto. -
- Già, sono medioevale e ne vado fiero! - ghignò il mostro - Sono talmente medioevale che toglierei il diritto di voto persino agli uomini, figurati quanto possa fregarmene di estenderlo alle donne! -
- Perchè lo toglieresti anche agli uomini? - chiese stupita la giovane.
- Perchè governare è una cosa troppo seria per lasciarla in mano a una mandria di gente stupida. Sono veramente poche le persone con l'intelligenza necessaria per mettere bocca nell'amministrazione di un Regno. -
- Ah, ho capito. - replicò Eva con sufficienza - Anche tu appartieni a quella schiera convinta che solo l'elitè, gli aristocratici, siano capaci di guidare una Nazione. -
- No Gallina, ti sbagli. Stai parlando con uno che ha sempre diffidato dei nobili e pensa che lasciare un governo nelle loro arroganti mani sia il modo migliore per condurre allo sfascio un Paese. Io penso che la saggezza si possa trovare in qualunque classe sociale, sia fra gli uomini che fra le donne ma queste persone ragionevoli e meritevoli di governare sono davvero poche. Il diritto di voto non permette loro di emergere, per questo lo abolirei. -
- E sentiamo, secondo te in quale modo una persona meritevole di governare potrebbe emergere da questa massa indistinta? -
- Come feci io quand'ero umano: combattendo. - rispose serio il vampiro - Emersi dalla massa di nobili guerreggiando e dimostrandomi il migliore. Consentii a persone di qualunque estrazione sociale di dimostrare il loro valore assumendole a corte. E' così che dovrebbe funzionare. I cervi non scelgono il capobranco per alzata di mano ma prendendosi a cornate. -
- Le cornate dei cervi però non causano guerre fra branchi che lasciano sul campo morti, distruzione e cerbiatti orfani. Le battaglie fra umani invece sì. Il diritto di voto ha pacificato la vita nelle Nazioni che lo usano. Non è più necessario guerreggiare per assurgere al comando, basta una campagna elettorale. -
- Sottigliezze. - rispose con noncuranza il vampiro, deciso a non arrendersi.
Squadrò la ragazza e tornò a domandare:
- Quanto tempo dedichi alla Causa? -
- Tanto. Diciamo che quando non mi vedi qui in casa, quasi sempre è perchè sto partecipando ad una riunione in cui fare il punto della situazione, decidere le strategie di lotta e gli obbiettivi su cui concentrarci. -
- E quando pensi di darti da fare per trovare marito? -
Quella sparata dal vampiro era stata una cartuccia come tante, buttata lì per sondare il terreno e studiare l'avversaria. Non sperava di suscitare in lei la reazione che vide. Furibonda, Eva replicò:
- Anche tu con questa storia?! Io non gioco alla suffragetta come un nobile gioca alla caccia alla volpe! Non lo faccio per passare il tempo nell'attesa di agganciare un fesso da trascinare all'altare! Lotto perchè ci credo ed è giusto farlo! -
Terminato lo sfogo, la giovane si morse le labbra, pentita di quanto s'era lasciata scappare. Ecco, aveva mostrato all'avversario il suo punto debole! Vide gli occhi del cagnaccio brillare di soddisfazione: finalmente aveva trovato la breccia nelle difese nemiche!
- Ho compreso. - rispose il vampiro.
Camminando all'indietro, uscì dall'ufficio:
- Ti lascio alle tue faccende. Buon lavoro. -
E ciò detto, si ritirò nella segreta per studiare il piano d'attacco.

Sin da quando era nata, sul capo di Eva erano piovute massime, ammonimenti, proverbi, sollecitazioni mirate a farle comprendere come il suo naturale destino di donna consistesse nel diventare moglie e madre. A quelle raccomandazioni più o meno velate, la ragazza aveva fatto il callo, nonostante ciò non riuscisse a rendergliele più digeribili.
Da questo punto di vista, il trasferimento in casa dello zio era stata una boccata d'ossigeno. Le orecchie della suffragetta avevano potuto finalmente riposarsi, non ascoltando più il solito rosario di ammonizioni quotidiane: "metti la testa a posto e cerca di trovare un buon partito", "pensa ad accasarti ora che sei giovane e hai un ampio ventaglio di scelte davanti a te", "se lasci passare gli anni la tua bellezza sfiorirà e dovrai ripiegare sugli scapoloni inaciditi scartati dalle altre" e via di questo passo. Ormai quella cantilena era obbligata a sorbirsela solo durante la domenica, il giorno libero accordatole dallo zio che doveva essere speso come da rituale presso i genitori, seduta al tavolo da pranzo in mezzo a una cospicua rappresentanza di fratelli, sorelle e nipoti. Dalla sera seguente al funesto giorno in cui si lasciò incautamente sfuggire i suoi commenti sul matrimonio di fronte al vampiro, Eva dovette constatare con sgomento che esisteva rosari ancora più snervanti di quelli impartitele nella casa paterna.
Anche il vampiro dimostrò di conoscere un'infinità di detti popolari volti ad esortare le ragazze a sposarsi il prima possibile. Ad essere più precisi, i rosari che era in grado di sgranare il cane usando simili ammonizioni battevano quelli di qualsiasi comare avesse mai frequentato il domicilio natale di Eva. Il vampiro affermava di non ricordare nulla della sua esistenza passata, se non pochi eventi della propria vita umana ma le massime, le sollecitazioni, i proverbi e le ammonizioni provenienti dai paesi di mezza Europa con cui ricordava giornalmente alla nipote del suo Dio come dovesse darsi da fare per scovare un marito, accidenti se se li ricordava!
Qualsiasi cosa la giovane dicesse o facesse, qualsiasi discussione sorgesse fra lei e il succhiasangue, era sempre lì che la belva addomesticata finiva per andare a parare:
- Gallina, quando la smetterai di giocare alla suffragetta e ti troverai un fesso da portarti all'altare? -
Eva, capace di mantenere la mente fredda di fronte a insulti peggiori, davanti a simili affermazioni vedeva rosso come un toro. Era inutile che ogni mattina, appena svegliata, raccomandasse a se stessa di sforzarsi di non raccogliere le provocazioni del cagnaccio. Quello era il suo punto debole, il suo tallone d'Achille, non riusciva a non scattare come una molla quando la bestiaccia la punzecchiava in merito e constatare come il mostro gongolasse nel vedere di essere riuscito a colpire ancora una volta nel segno, non faceva che aumentare la furia della ragazza.
- Datti da fare, Gallina! Se non ne approfitti adesso che sei nel fiore degli anni e hai qualcosa di decente da offrire ad un uomo, nessuno ti prenderà più. -
- Lurido medievale maschilista, non ti sfiora l'idea che un uomo e una donna si sposino perchè entrambi trova qualcosa di decente nell'altro? -
- Finiscila di buttarla sempre sul medievale. Non mi pare che in questo XX secolo ragioniate meglio di quanto facessimo nel 1400. Anzi, se vuoi proprio saperlo, siete riusciti a complicarvi ulteriormente la vita. Sissignori, proprio così! Siete fissati con la verginità femminile. Che tu ci creda o no, nel Medioevo davamo alla faccenda molta meno importanza di adesso. Non so perchè siate tutti convinti che eravamo una manica di repressi sessuofobici ma la verità è che ce la spassavamo molto più di quanto non facciate voi adesso e con meno sensi di colpa! Che diamine sia successo non so ma finità l'Età dei Lumi, la morale umana si è irrigidita. Be', problemi vostri! -
- Appunto, problemi nostri e miei in questo caso. Non ho nessuna intenzione di vendermi al primo babbuino che mi trovi decente. -
- Dannata zuccona, non ti rendi conto che non puoi fare la schizzinosa per molto tempo? Siamo sinceri: hai un caratteraccio schifoso. Chi vuoi che pigli una moglie vecchia, brutta e scorbutica? Per questo devi pensarci per tempo, cioè adesso. Finchè hai un faccino decente e un corpo degno di attenzione, puoi riuscire a trovare un masochista disposto a passare sopra al tuo atteggiamento da mastino. -
- E a te non passa per la testa che non ho nessuna intenzione di sposarmi col primo scarafaggio che passa solo per poter dire "sono una moglie anch'io"? -
- Dite tutte così ma solo per scaramanzia. La verità è che ogni sera, prima di coricarvi, pregate che un maschio qualsiasi sia disposto a prendervi. -
Esistevano molte ragazze come quelle descritte dal vampiro, che ad alta voce assicuravano di non volersi sposarsi mentre in realtà non pensavano altro da mane a sera ma Eva s'imbufaliva nel sentirsi paragonare a quelle creature senza spina dorsale.
- Io non sono così! Mi do da fare, lavoro, mi assumo le mie responsabilità, mi batto per cambiare il mondo, non rimango con le mani in mano in attesa del Principe Azzurro! -
- Certo, tu sei diversa...è quello che dite tutte. - replicava placido il vampiro.
Eva gli scagliava contro il calamaio, ottenendo l'unico risultato di macchiare d'inchiostro il muro e riempire di schegge di vetro il tappeto della stanza. Non riusciva mai a togliersi la soddisfazione di centrare il cagnaccio perchè il mostro era sempre lesto a scansarsi. Senza attendere che la ragazza placasse la sua furia, anzi divertendosi a gettare altra benzina sul fuoco, insisteva:
- La giovinezza passa presto, prima di quel che pensi. A trent'anni cominciano già a calarvi le tette. -
Va bene che Eva era una suffragetta, nonchè una donna emancipata sotto molti aspetti ma restava pur sempre figlia del suo tempo. Nello specifico, era figlia di un tempo dove non si parlava apertamente di tette, nè fra donne, nè fra uomini e donne quindi rispondeva all'affermazione del vampiro di conseguenza:
- Come osi parlarmi così?! -
- Oso perchè ci tengo che liberi questa casa dalla tua fastidiosa presenza. Se restassi zitella, chissà per quanto dovrei sopportarti! Quindi è per il tuo bene e per il mio che devi conoscere tutta la cruda verità: sempre intorno ai trent'anni, comincia ad afflosciarvisi anche il culo! -
La parola "culo" non rientrava nella abituali conversazioni fra uomini e donne più di quanto vi rientrasse la parola "tette", così Eva tornava a replicare:
- Taci immediatamente! -
- E va bene, taccio. Vorrà dire che ti ricorderai delle mie parole il giorno in cui specchiandoti scoppierai a piangere accorgendoti che il tuo corpicino si sta smagliando da tutti i lati. Ti faccio presente un ultimo particolare: hai la fortuna di essere nata con un fisico alla moda. Il concetto di bellezza cambia da un'epoca all'altra ed è difficile avere la fortuna di nascere con il corpo e la faccia considerati appetibili nel secolo in cui si vive. In questo periodo piacciono le donne a clessidra. Tu hai un corpo a clessidra, esile in vita e con tanta roba soffice sul petto e sui fianchi. Se sei intelligente, puoi sfruttare la cosa raccando un fesso di marito alla svelta. Se sei scema, lascerai sfiorire inutilmente la tua clessidra e ti avverto, le poppe grosse come le tue corrono il rischio di cominciare a ciondolare prima dei trent'anni. -
- FUORI DI QUI! - sbraitava la suffragetta, scagliandogli il tagliacarte e stavolta il vampiro non se lo faceva ripetere.

 

Siccome Eva si ostinava a non cercare un consorte, il cane a due gambe di Van Helsing Manor decise di darle una mano in tal senso. Fu così che la nipote di Abraham cominciò a vederselo apparire al fianco mentre lavorava alla scrivania, appollaiato sul bracciolo di una poltrona con un giornale fra le mani aperto alla pagina delle inserzioni sui Cuori Solitari.
- Senti questo: "Agricoltore cerca moglie di robusta costituzione". -
Il vampiro aggrottava le sopracciglia chiedendosi:
- Perchè dev'essere obbligatoriamente di robusta costituzione? Non ha senso, a meno che non abbia intenzione di aggiogare la consorte all'aratro al posto del cavallo. Be', certo, se la signora deve tirarsi appresso un aratro, dev'essere per forza robusta. -
Buttava un'occhiata all'esile torace di Eva:
- Tu non arriveresti a completare neanche il primo solco. No, questo annuncio non fa per te, cerchiamone un altro. -
- Ma non ti accorgi che sto lavorando? -
- Anch'io sto lavorando, cosa credi? Lavoro per te, per aiutarti a trovare un marito e sbarazzare questa villa dalla tua fastidiosa presenza. Senti quest'altro: "Vedovo cinquantenne cerca dolce metà con cui trascorrere l'ultima parte della vita. Età massima 25 anni". Che sporcaccione! Cerca una moglie che potrebbe venirgli figlia! Dato che comunque rientri nella sua fascia d'età, è un annuncio che fossi in te non scarterei. -
- Non sei divertente. -
- Se il mio obbiettivo fosse farti ridere, le tue parole mi rattristerebbero enormemente ma dato che sto svolgendo questo compito seriamente, mi sembra perfettamente logico non essere divertente. "Agiato negoziante con casa di proprietà cerca sposa remissiva e timorata di Dio". Un sacco di ragazze sarebbe disposto a fare a pugni pur di accappararsi un commerciante benestante e con tanto di casa di proprietà. In una scazzottata, tu avresti indubbiamente la meglio sulle altre. Inoltre sei timorata di Dio, tutti voi Hellsing siete degli esaltati religiosi. Ma non sei remissiva. No, non è giusto scompigliare la placida esistenza di quest'uomo infilando nella sua casa di proprietà una iena come te. Scartiamo quest'annuncio. -
- Invece di infastidirmi perchè non vai a dare un'occhiata alle inserzioni delle donne e ti cerchi una fidanzata? -
- Dio si arrabbierebbe tantissimo se gli facessi un affronto simile! Devo trascorrere tutta la giornata a riverirlo e adorarlo, come posso pensare ad altro? Questo fa per te! "Giovanotto intraprendente in partenza per la Nuova Zelanda cerca sposa, anche più anziana di lui, disposta a seguirlo in quest'avventura". Sei perfetta per quest'annuncio, hai lo spirito giusto per intraprendere l'esistenza dei coloni. Già vi vedo, in groppa ai cavalli, tu e lui dietro al vostro gregge di pecore! -
- E pensa un po', la Nuova Zelanda è il primo Paese al mondo ad aver dato il voto alle donne. -
- Perfetto, avresti la possibilità di votare e smetteresti di rompere l'anima qui. Visto quante cose otterresti in un colpo solo? Passami le forbici che ti ritaglio quest'annuncio. -
- Scordatelo! -

Accadde un mercoledì mattina. Eva e Abraham stavano lavorando in ufficio, il vampiro era stravaccato su una poltrona a qualche metro da loro, leggendo con aria annoiata la pagina sulle corse di cavalli di un quotidiano.
Brown, il maggiordomo, si affacciò sulla soglia, annunciando:
- Miss Eva, un signore che afferma di conoscervi chiede di essere ricevuto. -
- Chi è? -
- Dice di chiamarsi Mark Jones. -
- Non conosco nessun Mark Jones. -
- Lui insiste di conoscervi molto bene. -
Abraham scrutò la nipote con aria inquisitrice.
- Non lo conosco zio, davvero. Comunque fatelo entrare Brown, ascoltiamo cos'ha da dire. -
Un uomo dai capelli grigi si affacciò sulla soglia con occhi sfolgoranti di felicità. Vide Eva e le andò incontro a grandi passi, esclamando gioiosamente:
- Cara! Finalmente ci incontriamo dal vivo! - e raggiuntala, le prese entrambe le mani cominciando a baciarle con calore.
Eva rimase ammutolita dallo stupore, Abraham sgranò gli occhi costernato e il vampiro cominciò a leggere con più attenzione il suo quotidiano. Doveva essere incappato in una notizia di eccezionale importanza se preferiva tenere gli occhi incollati sulla pagina invece di ammirare il teatrino che si stava svolgendo sotto al suo naso. Un osservatore malizioso avrebbe aggiunto che il nosferatu si stava evidentemente mordendo le labbra nello sforzo di mantenere un'espressione seria, come se gli scappasse da ridere ma dato che in quel momento nessuno gli prestava attenzione, il particolare non fu notato.
Eva intanto era riuscita ad articolare un balbettante:
- Ma...voi...siete? -
- Sono Mark, cara! -
- E sareste? - intervenne Abraham, gelido come lama di ghiaccio.
- Oh, voi dovete essere l'amato zio, vero? Scusate se non mi sono presentato subito ma la gioia di incontrare finalmente dal vivo la vostra adorabile nipote mi ha sopraffatto. Sono Mark Jones, fidanzato di Eva. -
Eva restò senza fiato, Abraham senza parole e il vampiro sollevò il giornale davanti al proprio viso, nascondendosi ai presenti ma siccome nessuno gli prestava attenzione, il suo gesto non venne notato.
- Come e quando ci saremmo fidanzati? - chiese Eva, temendo che il parentado le avesse combinato un matrimonio a sua insaputa.
- Scusami cara, hai perfettamente ragione! - rispose l'uomo e tornando a rivolgersi verso Van Helsing aggiunse - Signore, con vostra nipote avevamo deciso che se siete daccordo, subito dopo aver ricevuto la vostra benedizione, oggi stesso ci saremmo fidanzati ufficialmente. -
L'uomo stava già attaccando con la solita tiritera sul fatto che i suoi sentimenti erano sinceri, che l'onestà del suo amore avrebbe abbattuto il divario d'età e che era in possesso di un lavoro e di una solida reputazione con cui avrebbe reso felice la futura sposa quando venne brutalmente interrotto da un'imbestialita Eva:
- Senta un po', pazzo scatenato, si può sapere da quale manicomio siete fuggito?! Io non vi ho mai visto prima d'ora! Non so chi siate, non so come abbiate trovato questo indirizzo e come mi conosciate ma non mi sognerei mai di fidanzarmi con un emerito sconosciuto che potrebbe venirmi padre! -
Il viso dell'uomo diventò terreo:
- Ma...cara... - balbettò flebile - Tu mi hai dato questo indirizzo, dicendomi di venire qui oggi, per conoscerci e farmi conoscere tuo zio...e fidanzarci. In queste settimane ci siamo sentiti per lettera... -
Mentre così parlava, l'uomo frugò nella tasca della giacca e ne estrasse una missiva che porse alla ragazza. Eva cominciò a leggerla e stupita esclamò:
- Sembra proprio la mia grafia! -
- Perchè? Cosa ti aspettavi? - chiese Mark Jones, titubante. Non capiva cosa stesse accadendo e si sentiva come un cane preso a calci per ignoti motivi.
L'epistola che Eva lesse silenziosamente conteneva frasi di un romanticismo appassionato che rassicuravano il destinatario su quanto sentisse di amarlo pur senza essersi mai visti di presenza, incitandolo ad andarla a trovare mercoledì mattina a casa "dell'amato zio", così da avere la sua benedizione e potersi finalmente fidanzare.
La suffragetta sentì mancarsi il terreno sotto i piedi. Guardò aspirante fidanzato e zio con occhi spiritati. Anche lei si sentiva come un cane preso a calci per ignote ragioni.
- Senta...quand'è che avremmo cominciato a scriverci? -
- Rispondesti all'annuncio che avevo inserito su di un quotidiano: "Vedovo cinquantenne cerca dolce metà con cui trascorrere l'ultima parte della vita". -
- Ah! - esclamò la ragazza, ricordando la voce del vampiro che commentava l'annuncio - Ricordo di averlo letto ma vi assicuro che non ho risposto, nonostante... -
Avrebbe voluto completare la frase dicendo "...nonostante quel ceffo seduto in poltrona avesse insistito tanto". Le parole rimasero sospese per aria perchè Eva, girando lo sguardo sul vampiro nascosto dietro al giornale, cominciò a immaginare come potessero essersi svolte le cose. Tornò a rivolgersi verso il malcapitato Jones, concludendo:
- Caro signore, l'unica spiegazione è che qualcuno abbia voluto farci uno scherzo. -
- Scherzo? - balbettò l'uomo, incredulo.
- Ma certo! Qualcuno che evidentemente mi detesta e gode all'idea di ficcarmi in una situazione equivoca. Mi dispiace che abbiate dovuto farne le spese voi e vi chiedo scusa per come vi ho trattato prima... -
Mentre così parlava, la suffragetta aveva preso il vedovo a braccetto e continuando a scusarsi, a blandirlo e a incitarlo a non lasciarsi abbattere da quella spiacevole esperienza, perchè prima o poi avrebbe certamente trovato la donna dei suoi sogni, lo accompagnò fino alla porta buttandolo fuori da Van Helsing Manor nel modo più garbato che il suo caratteraccio le consentisse.
Sbarazzatasi dell'ospite, fece i gradini della scala a due a due, entrando in ufficio come una furia. Trovò lo zio intento ad esaminare la lettera incriminata, commentando gravemente:
- Un lavoro accurato, non c'è che dire. Chi l'ha eseguito ti odia veramente. Temo che l'autore vada ricercato fra i membri della Tavola Rotonda. Mi dispiace confessartelo ma più di uno dei Dodici storce il naso all'idea che alla mia morte succeda una donna e con questo espediente tenta di minare la tua reputazione... -
La nipote non perse tempo a replicare. A grandi passi si avvicinò al vampiro, ancora trincerato dietro al giornale e strappandoglielo di mano esclamò:
- Sei stato tu! -
Master Abraham e il suo cane la guardarono con occhi stupiti.
- Ti pare realmente possibile, nipote? - chiese lo zio, interdetto.
- Mi pare molto più probabile di un membro della Tavola Rotonda! Il vampiro più di chiunque altro desidera complicarmi l'esistenza! -
Van Helsing calò uno sguardo scrutatore sulla propria creatura. Per tutta risposta, il succhiasangue mise davanti agli occhi di Dio le sue mani grattate a sangue e chiese:
- Master, ti pare possibile che queste rozze manone possano imitare una grafia femminile? -
Le pupille di Abraham studiarono quelle mani e tornando a rivolgersi alla nipote rispose:
- Hai sbagliato sospettato. Il vampiro non è stato certamente. Questa contraffazione richiede abilità raffinate che un cervello limitato come il suo non possiede. No, è certamente opera di un umano. Non temere cara, indagherò e scoprirò il colpevole! -
- Dannazione zio, come puoi lasciarti prendere in giro a questo modo dalla bestiaccia?! -
- Modera il linguaggio, signorina! Per tua informazione, Abraham Van Helsing non si lascia prendere in giro da nessuno! E adesso chiedi scusa al cane per averlo ingiustamente accusato! -
Pure!
- No! Neanche morta gli chiederò scusa! -
Abraham cominciava ad alterarsi ma il vampiro lo calmò commentando:
- Perdonala master, è comprensibilmente alterata dopo quanto è successo. Dalle qualche giorno di tempo per sbollire e vedrai che allora capirà il suo errore. -
Eva stava per esplodere: anche l'umiliazione di essere difesa da quel ceffo doveva subire? Lo zio peggiorò la situazione aggiungendo:
- Ecco, sentito quanta saggezza c'è nelle parole del cane? Questo è un comportamento signorile! Dovresti imparare da lui! - e sottolineò quelle parole dando due pacche sulla testa della sua creatura, per fargli capire quanto fosse contento della sua condotta. Fosse stata dotata di coda, la bestiaccia a quel punto avrebbe scodinzolato: era sempre contento quando Dio gli mostrava il proprio apprezzamento.
La giovane uscì dalla stanza sbattendo la porta.

 

Scese nella segreta, per poter litigare senza l'invadente presenza di Abraham.
- Potrai fregare lo zio ma non la spunterai con me! So che non sei un cervello limitato, so che sei abile e so che durante la notte hai un'infinità di ore a disposizione per allenarti a imitare la mia scrittura! -
- Il nervosismo ti fa sragionare. Non temere, comprendo e ti scuso. E' ovvio che una ragazza in età da marito come te rischi di rovinarsi la reputazione con una storia simile e questo le incuta il timore di restare zitella. Non aver paura, gioia, vedrai che tuo zio risolverà il caso e troverà il colpevole. -
- Attento a te, cagnaccio! Spedisci un'altra lettera e te ne farò pentire amaramente! -
- Sto già tremando dalla paura. - sorrise ironico lo schiavo.

 

Altre missive firmate "Eva Wingates Hellsing" continuarono ad arrivare a gentiluomini che avevano inserito annunci sui quotidiani alla ricerca di un'anima gemella. La corrispondenza durava il tempo di qualche lettera, dopo di che la giovincella avanzava sempre la solita richiesta: che il signore in questione venisse a trovarla nella sua dimora perchè lei, certa di aver trovato finalmente l'uomo dei suoi sogni, desiderava farlo conoscere all'amato zio, suo parente più prossimo.
Una pletora di emozionati spasimanti che già si immaginava uscire da una chiesa a braccetto di una soave fanciulla vestita da sposa continuò quindi a bussare al portone della villa, mettendo in imbarazzo la "soave fanciulla" e "l'amato zio", dispiaciuti di infrangere i sogni di quegli uomini spiegandogli che erano stati vittime di uno scherzo. Le reazioni degli aspiranti sposi variavano dalla rabbia (rivolta anche verso chi gli stava di fronte, convinti che fossero proprio loro gli autori di quel sedicente scherzo) alla mortificazione e al pianto disperato. C'era anche chi, incrollabilmente certo dell'autenticità di quelle lettere, si convinceva che la patetica scusa dello scherzo fosse stata inventata da un'Eva afferrata all'ultimo momento da un comprensibile timore virginale e comportandosi come l'eroe di un romanzo d'appendice, usciva dalla villa assicurando:
- Non temere cara, comprendo e non te ne faccio colpa. Attenderò finchè non ti sentirai pronta. -
E nei mesi successivi continuava a subissare la suffragetta di epistole che la ragazza bruciava nel caminetto senza neanche aprirle, consapevole che il modo migliore per sbollire certi ardori è troncare brutalmente ogni rapporto.
Fra coloro che uscivano da Van Helsing Manor irati o affranti, c'era anche chi si era portato dietro tutta la corrispondenza intavolata in quelle settimane e che abbandonava nel salotto in cui erano stati ricevuti, essendo insensato riportarsela a casa. Eva prendeva quelle paccate di lettere e prima di bruciarle nel caminetto, dato che nemmeno lei sapeva cosa farsene, le leggeva attentamente, chiusa nella propria stanza. Furono quelle letture a svelarle quanto raffinata fosse la mente del vampiro. Aveva fatto molto più che limitarsi a contraffare la sua grafia.
Ogni annuncio che il mostro aveva scovato sul giornale, ambiva ad una donna diversa e lui era venuto incontro a quelle richieste modificando di volta lo stile di scrittura. A chi cercava una mogliettina dolce e sottomessa, inviava letterine pudiche, come ne avrebbe scritte una giovincella ingenua. Chi preferiva una consorte moderna, si vedeva recapitare missive piene di passione, come solo una donna emancipata avrebbe osato fare. Per ogni pesce aveva usato la giusta esca, unico modo per convincerli a venire bussare al portone di Van Helsing Manor.
Ripensando al commento dello zio sul fatto che il mostro era troppo stupido per attuare un piano del genere Eva, nella solitudine della propria camera, non potè che commentare sarcasticamente:
- E meno male che è un cervello limitato! Pensa un po' se fosse intelligente in quali guai mi avrebbe cacciata! -
Le indagini di Van Helsing non conducevano da nessuna parte; Eva, a dispetto delle sue minacce, non sapeva come farla pagare al vampiro e la servitù di casa cominciava a mormorare:
- Ma sarà davvero tutto frutto di uno scherzo ai danni della signorina? -
- Io non ci giurerei. Anzi, quella ragazza mi sembra capace di illudere uomini dabbene per prendersene gioco. -
- Non dimentichiamo che è una suffragetta. Da quelle pazze c'è da attendersi di tutto! -
Siccome il personale domestico giudicava avvincente quel mistero, ne parlava con dovizia di particolari nei pub in cui si recava durante le serate libere e in quel modo lo strano caso di Eva Wingates Hellsing divenne celebre presso molte persone, giungendo fino alle orecchie dei familiari più stretti che cominciarono a sottoporre la giovincella a un vero e proprio processo:
- Come puoi divertirti in un modo tanto disdicevole? -
- Non sono io l'autrice di quelle lettere! -
- Ah no? Strano perchè a me sembri capacissima di fare una sciocchezza del genere! -
Interveniva un altro familiare in difesa della ragazza ma l'arringa che gli usciva dalle labbra riusciva comunque a insultare la suffragetta:
- La giudichi male, Eva non farebbe mai una cosa simile. Però cara, non sarebbe meglio correre ai ripari prima che la situazione degeneri? Se si dovesse spargere la voce che ti burli dei sentimenti altrui, gli uomini farebbero quadrato intorno a te. Non sarebbe meglio che mettessi la testa a posto e ti cercassi un fidanzato prima che una cattiva fama ti impedisca di trovare un buon partito? -
Eva, esausta di quelle ramanzine, prese l'abitudine di lavorare anche di domenica, in modo da avere una scusa per non andare a casa dei suoi genitori ed evitare di affrontare quel tribunale dell'inquisizione in cui si trasformava ogni pranzo con i parenti e così, lentamente, cominciò ad allentare i legami con la famiglia d'origine.

Ciò che stupiva maggiormente Integra, nella lettura dei diari di Van Helsing e di sua nonna, era la tipologia dei mostri affrontati dall'Organizzazione Hellsing.
Da quando era nata, aveva sempre sentito suo padre comandare l'assalto di vampiri, ghouls, licantropi, occasionalmente qualche goblin particolarmente molesto. Nei quaderni dei suoi antenati, che coprivano un arco temporale di mezzo secolo, comparivano un solo licantropo e una sola vampira. Per il resto, gli avversari erano costituiti dai tipici mostri del Regno Unito che la ragazzina aveva sentito nominare spesso nelle leggende e nelle fiabe.
I Cani Neri, colossali segugi infernali dagli occhi fiammeggianti, che percorrevano la campagna notturna alla ricerca di prede.
I Changeling, piccoli Troll che succhiavano l'energia vitale dei neonati umani fino a farli morire.
Each Uisge, Kelpie, Grindylow costituivano l'esercito delle creature che dimorava nei fiumi e nei laghi e che affogava e divorava gli incauti avvicinatisi troppo all'acqua.
La stranezza degli avversari stupiva talmente Integra che una sera, mentre fumavano il sigaro nel boschetto degli olmi, non potè trattenersi dal confidare ad Alucard:
- I diari della nonna e di zio Abraham sono pieni di Banshee, Cani neri e mostriciattoli acquatici e tutto ciò mi stupisce. Non ricordo di aver mai sentito mio padre ordinare l'attacco a queste creature. Abbiamo sempre combattuto contro Vampiri, Ghouls, Licantropi, ma mai contro altri tipi di mostri. -
- Non c'è niente di stupefacente Integra, anzi è perfettamente normale considerando che i tipici mostriciattoli inglesi sono ormai estinti. -
- COSA?! - chiese allibita la ragazzina. Mai le era passato per la testa che anche i mostri potessero estinguersi.
- E' così, master. Mostri, umani, animali, siamo tutti soggetti alle stesse leggi naturali. Inserisci una nuova specie in un habitat e i casi sono due: o muore subito, o si adatta talmente bene da arrivare ad estinguere la fauna locale. Fui il primo Vampiro a sbarcare su quest'isola e per molti decenni rimasi l'unico mostro continentale che si aggirasse per queste lande. Col passare del tempo e con il migliorare dei trasporti umani, le cose cambiarono. Più i collegamenti marittimi e aerei col Continente si intensificavano, più un numero sempre maggiore di Nosferatu, Licantropi e Goblin arrivò in Gran Bretagna. I predatori efficienti si sbarazzano della concorrenza ed è quello che accadde. Per quanto un Cane Nero possa essere forte, non lo sarà mai quanto un Lupo Mannaro o un Vampiro e questo valeva anche per tutte le altre specie di freak che popolavano quest'isola. I nuovi arrivati divorarono i vecchi residenti, poi voi umani deste il colpo di grazia. -
Il sigaro si era spento fra le dita di Integra ma la ragazzina non se ne acorse nemmeno, presa com'era dalle parole del servo. Alucard proseguì:
- I mostri della Gran Bretagna erano mostri campagnoli, se così vogliamo definirli. Dove altro poteva vivere un Cane Nero, se non nei boschi? E le creature acquatiche, dove altro potevano risiedere se non nelle paludi? Pensa a quanta parte delle foreste e dei campi di questo Regno è finita sotto il cemento delle città, pensa a quante paludi sono state prosciugate, a quanti fiumi sono stati deviati per essere incanalati nelle dighe e capirai perchè dico che il colpo di grazia glielo avete dato voi umani. Sinceramente, master, il potenziale distruttivo della vostra specie è superiore a quello di qualsiasi mostro. Meglio avervi come alleati che come nemici, c'è da tremare all'idea di mettersi contro di voi. -
Il vampiro diede una tirata al suo sigaro prima di proseguire:
- A quei tempi, il livello di pericolosità dei miei avversari era piuttosto basso ma il loro numero era decisamente alto e quindi uscivo da questa villa molto più frequentemente di adesso. Gli umani contattavano l'Organizzazione Hellsing per delle tali sciocchezze! Non ci allertavano solo per i mostri realmente pericolosi, come i Changeling, ma anche per delle creature innocue come le Selkie. Sai cosa sono le Selkie? -
- No. -
- Sono mostri marini, finchè stanno in acqua hanno l'aspetto di una foca e quando arrivano sulla spiaggia prendono l'aspetto di una donna. Ma non fanno nulla di male, trascorrono solo la notte a danzare. C'erano però degli umani a cui davano fastidio. Temevano che la presenza di quelle donne-foca deprezzasse le loro proprietà in riva al mare. O erano irritati dai loro schiamazzi notturni. Quale che fosse la ragione, chiamavano l'Hellsing. Che rabbia mi faceva, andare a caccia di Selkie! Erano avversarie indegne della mia forza! In due minuti le avevo già maciullate, non mi restava che inghiottirne il sangue. Ma anche le Banshee, che male facevano? Erano solo delle pazzoidi che trascorrevano la notte a strillare. Anche con loro, era più il tempo che impiegavo a mangiarle che ad ucciderle. Sì, penso che l'Organizzazione Hellsing abbia dato un contributo fondamentale all'estinzione dei tipici mostri britannici, considerando la frequenza con cui i cittadini ci chiamavano. Col trascorrere dei decenni, via via che il numero dei freak autoctoni diminuiva e quello dei mostri d'importazione aumentava, il livello di pericolosità dei miei avversari aumentò e per un breve periodo, mi divertii enormemente. Potevo uscire da qui spesso e lottare ferocemente come piaceva a me. Presto però il giocattolo si ruppe. Una volta estinti i mostriciattoli britannici, restarono solo vampiri e licantropi e di quelli non è che ce ne siano tanti. Così la mia non-vita prese la piega che conosci: esco raramente da questa villa perchè pochi sono i nemici da affrontare. -
- Non capisco...perchè la quantità di vampiri e di uomini-lupo è inferiore a quella dei tipici mostriciattoli britannici? -
- Legge di natura. Su questa Terra ci sono molte prede, pochi predatori, pochissimi super-predatori. I freak del Regno Unito erano predatori. Noi vampiri siamo super-predatori. -
Integra riflettè in silenzio, infine chiese:
- Alucard, sinceramente, c'erano più vittime umane quando quest'isola era popolata da molti mostri autoctoni, o adesso che ci sono solo pochi vampiri? -
- Master, la risposta te la sei già data da sola, lo capisco da come hai formulato la domanda. Se speravi di sentirmi rispondere in modo diverso, devo deluderti. Confermo le tue paure: mietono molte più vittime pochi vampiri che centinaia di Kelpie.-
- Quindi...abbiamo estinto i predatori solo per farci sbranare dai super-predatori? -
- Esatto, è proprio quello che avete fatto: vi siete dati la zappa sui piedi. -
Sir Hellsing tornò a riflettere in silenzio. I suoi pensieri vennero indovinati dal servo che con un ghigno spiegò:
- Non sperare che i Vampiri si estinguano facilmente come le Banshee. Non siamo mostri campagnoli. Amiamo stare in mezzo alla folla. Più le città diventano sconfinate, più allarghiamo i nostri branchi. Per gli umani sarà dura sterminarci. -

 

A dispetto del basso livello di pericolosità dei suoi avversari decantato da Alucard, come Integra si rese conto leggendo i diari della nonna, il vampiro spesso tornava da quei duelli ferito e malconcio ed era compito di Master Abraham medicarlo una volta rincasati.
- Perchè il cagnaccio si fa male così frequentemente? Un vampiro non dovrebbe essere un mostro di potenza? - chiedeva Eva allo zio.
- E lui lo sarebbe, cara, ma per soggiogarlo al mio volere tengo molto alta la forza dei quattro sigilli di Cromwell. Tutto questo diminuisce i suoi poteri. La sua forza, la sua capacità di rigenerarsi dopo essere stato ferito, la sua soglia del dolore...non dico che sono agli stessi livelli di un umano, perchè in questo caso morirebbe nel corso di uno scontro, ma vi si avvicinano molto. Ho cercato di compensare queste mancanze sottoponendolo a nuovi sortilegi che eliminassero le limitazioni tipiche dei vampiri, e sono riuscito nel mio intento. Come constati anche tu, può tranquillamente aggirarsi sotto la luce del sole senza che questo gli provochi danni. La pioggia poi, non gli fa quasi più male. Era vitale che rafforzassi quest'abilità, in un clima come il nostro. Infine, adesso per riuscire ad ucciderlo serve ben altro che tagliargli la testa! -
- Non abbassi mai la potenza del Patto di Cromwell? -
- Sono obbligato ad alleggerirla per affrettare la sua guarigione ma la rialzo non appena sta meglio. Tienilo a mente per il futuro, nipote: sarai la padrona di quel mostro solo se la forza dei quattro sigilli agirà al massimo. Finchè quell'essere si crederà debole, s'inginocchierà di fronte a te. Abbassa l'azione del Patto di Cromwell, lascia che il cane recuperi la consapevolezza della propria potenza e si ribellerà. Ti schiaccerà come una formica e tornerà libero e selvaggio, seminando morte e distruzione per tutto il Regno. -

Ogni mattina il garzone del macellaio arrivava in bicicletta fino a Van Helsing Manor per consegnare un fiasco di sangue e arrivò il giorno in cui Abraham decise di delegare totalmente la pratica "cibo del vampiro" alla nipote.
- Occupatene tu. Non voglio metterci più mano. -
Quella del grande vecchio era una decisione che rientrava in un progetto preciso: accollare lentamente sull'erede la gestione dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti, un pezzo per volta. Il nutrimento del cane sarebbe stata la prima incombenza che la ragazza avrebbe gestito autonomamente.
Eva si gettò con pignoleria in quella mansione. Facendo due conti, comprese che il sangue non aveva tutto lo stesso prezzo, quello bovino ed equino costava di più mentre maiali, pecore e capre erano decisamente più economici. Contattò quindi il fornitore e stabilì che le consegnassero solo il sangue dal prezzo più basso. Era convinta di aver agito per il meglio, di aver fatto risparmiare all'Organizzazione Van Helsing un bel po' di quattrini. Non la sfiorò il pensiero che colui che beveva quel sangue potesse trovare da ridire sul suo operato e fu quindi con sorpresa che in capo a quattro giorni se lo vide presentare davanti, imbestialito oltre ogni dire:
- Mi avete tolto tutto, vuoi togliermi anche il piacere di mangiare?! -
- Non mi pare proprio, considerando che ti ho portato nella segreta un fiasco di sangue. -
- Sì, di montone! Bevitela tu quella schifezza! E' da quattro giorni che non inghiotto altro! -
- Non ti piace? - realizzò Eva, stupita che il vampiro potesse avere dei gusti in campo alimentare.
- Ovvio che non mi piace! Perchè prima di decidere quale sangue acquistare, non sei venuta a parlare con me? Ti avrei spiegato che il sangue non è tutto uguale. Animali diversi hanno sapori diversi. -
- E quali sarebbero gli animali di cui preferisci il sangue? -
- I cavalli hanno un buon sapore. E anche i bovini. -
Proprio le tipologie di sangue che costavano maggiormente. Eva non se ne stupì: cos'altro poteva attendersi da un aristocratico se non gusti aristocratici? Quella richiesta però fece sbocciare un'idea nella sua mente:
- Facciamo un patto: tu smetti di inviare lettere d'amore a nome mio e io ti fornirò solo il sangue che più ti piace. -
- Non sono io a scriverle! - rispose il vampiro, sulla difensiva.
- Allora mettiamola così: prega con tutte le tue forze che il burlone che si diverte a infangare il mio onore smetta di divertirsi alle mie spalle perchè non appena un'altra lettera convincerà un uomo che stia spasimando per lui, tu tornerai a ingurgitare sangue di montone. Non mi interessa se non hai responsabilità in questa storia, me la prenderò comunque con te perchè con qualcuno dovrò pur sfogarmi, no? Che ci vuoi fare, il mondo è cattivo! -
Il vampiro uscì dall'ufficio imprecando a bassa voce ed Eva andò in cerca dello zio. Lo trovò nel salone del biliardo. Con rabbia, chiese:
- Perchè non mi hai avvisata che anche il vampiro ha i suoi gusti? Crollava forse il mondo se mi passavi un'informazione tanto banale? Sarai anche abituato a non spiegare nulla al tuo cane ma io non sono lui ed esigo di essere sempre avvisata di ciò che riguarda la gestione del vampiro e dell'Organizzazione! -
Il vecchio guardò stupito la nipote:
- Non comprendo di cosa stai parlando. -
Eva raccontò della sfuriata del nosferatu. Gli occhi del dottore si riempirono di sorpresa:
- Non ti ho mai detto che anche il vampiro ha i suoi gusti per la semplice ragione che non ne sapevo niente! In tutti questi anni, ha inghiottito qualsiasi tipo di sangue gli presentassi, senza protestare. Lo sto scoprendo adesso, attraverso le tue parole, che preferisce un tipo di sangue all'altro. -
Zio e nipote si guardarono con stupore e la sera la ragazza scrisse:

Da quando sono arrivata in questa casa, ho sempre invidiato il modo con cui lo zio riesce a farsi ubbidire dal cane. Non ha bisogno di alzare la voce, di ripetere il comando due volte, il vampiro esegue senza fiatare. Ma dopo la conversazione di oggi pomeriggio comincio a vedere i difetti di quest'obbedienza cieca. Sono occorsi ventidue anni e l'arrivo di una persona esterna perchè lo zio scoprisse cosa al vampiro piace e non piace. Comincio a chiedermi quante altre cose lo zio non sappia del suo cane e questo a sua volta mi spinge a farmi altre domande sgradevoli...

 

Le lettere d'amore firmate "Eva Wingates Hellsing" smisero improvvisamente di circolare e Van Helsing, dopo che erano trascorsi due mesi senza che nuovi spasimanti bussassero alla porta, commentò l'evento dicendo:
- Evidentemente mi stavo avvicinando alla verità. Il laccio stava per stringersi intorno al colpevole e costui, timoroso delle conseguenze, ha pensato bene di smettere prima che fosse troppo tardi. -
- E' senz'altro così, zio. - annuiva Eva, reprimendo dentro di sè una risata.

 

Capitava che gli amici che avevano aiutato Van Helsing ad uccidere Dracula venissero a trovarlo. Abraham avvisava per tempo il suo cane di quelle visite e il vampiro rimaneva rintanato nella segreta finchè quegli sgraditi ospiti non se andavano. A differenza di quanto supponeva la nipote, il nosferatu non si ritirava nella cuccia dietro ordine del padrone, per evitare che la vista del vampiro che si aggirava per la villa spingesse gli amici a porre al grande vecchio domande che avrebbero richiesto rivelazioni capaci di mettere a dura prova la fiducia che riponevano nel dottore, ma per una precisa scelta del mostro.
- Lui si vergogna di mostrasi a loro. - spiegò un giorno lo zio ad Eva - L'hanno conosciuto quand'era libero e potente. Sarebbe un'umiliazione troppo grande mostrarsi ai suoi nemici ridotto in schiavitù. Più ancora di me, il cane ci tiene a illudere il mondo che il Conte è morto. -
Holmwood, Seward e Jonathan Harker apparvero ad Eva uguali a com'erano nel libro: tre tontoloni coraggiosi quanto ingenui. Mina Harker invece la sorprese. Al posto della donna amichevole che si aspettava, si ritrovò di fronte ad una persona piena di diffidenza e rancore.
- Sinceramente, zio, pensavo che Mina fosse una persona molto più alla mano! -
- Sinceramente, nipote, Mina è stata una persona alla mano fino a qualche mese mese fa. Ultimamente è cambiata e non so spiegarmene la ragione. -
Pochi giorni dopo questa conversazione, accadde la catastrofe.

 

E' da un mese che non scrivo nel diario. All'inizio non ne avevo il tempo poi, quando la possibilità c'è stata, non ne avevo la voglia. Sentivo il bisogno di digerire gli eventi accaduti prima di riprendere la penna in mano.
Una mattina di un mese fa mi trovavo con lo zio nel suo ufficio, intenti a sbrigare varie scartoffie burocratiche quando il maggiordomo è venuto ad annunciarci che la signora Harker era arrivata, chiedendo espressamente di non essere ricevuta in qualità di amica ma come una cliente che desidera concludere un affare.
Con lo zio ci guardammo negli occhi, stupiti: cosa voleva dire quella messa in scena? Abbiamo comunque riposto le scartoffie e io, in qualità
di stenografa, ho preso posto dietro la mia piccola scrivania mentre lo zio, in qualità di capo dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti, si è seduto dietro il grande tavolo davanti alle vetrate. A quel punto, abbiamo fatto entrare Mina. La signora Harker è entrata con un viso torvo che non prometteva nulla di buono. Sembrava una valchiria pronta a scendere in guerra. Si è seduta davanti alla scrivania dello zio e senza preamboli nè saluti ha chiesto:
- A che gioco stai giocando, Van Helsing? -
Io ancora non capivo ma ho visto lo zio irrigidirsi un po', come se avesse compreso dove l'amica volesse andare a parare. Nonostante questo, in tono ingenuo, ha risposto:
- Non capisco di cosa stai parlando, cara. -
- Oh, sì che lo capisci. - ha replicato lei, dura - Hai riportato in vita il vampiro, non è vero? -
Il mio cuore ha mancato di un battito e non si è potuta leggere la paura sul mio viso solo perchè avevo la testa china sul mio lavoro. Attendevo che lo zio rispondesse, negando tutto, invece è rimasto in silenzio, come se stesse studiando l'avversaria. Forse, prima di aprire bocca, voleva comprendere quali prove possedesse la signora Harker.
- Immagino ti sarai impegnato per nascondere accuratamente ciò che stavi facendo. Solo di un particolare non hai tenuto conto: io e quel mostro ci leggiamo nel pensiero. -
Ormai era inutile continuare a recitare la parte dell'innocente, lo capivo anch'io ma nonostante ciò sono rimasta comunque stupita quando ho sentito lo zio "ammettere" la verità di quelle parole chiedendo:
- Lui viene a leggerti la mente? -
- Oh, no! - ha riso con sarcasmo Mina - Non ne è più capace, dopo tutti i sortilegi che gli hai imposto. Ti sei però scordato di applicare quelle stesse magie a me ed è per questo che quando dormo, mi capita di entrare nella sua mente. Quando ciò accade, vedo il mondo con i suoi occhi. E vedo ciò che fai tu. -
Lo zio e Mina rimasero a fissarsi con durezza negli occhi, mentre io mi sentivo esclusa dalla conversazione. Non afferravo i sottointesi contenuti in quelle parole. Poi, professionalmente, lo zio ha proseguito:
- Con quale frequenza si verificano questi incubi? -
- Rara, fortunatamente. Non più di una volta all'anno, certe volte anche meno. Proprio perchè sono così poco frequenti mi è occorso tanto tempo per capire cosa stava accadendo. Credevo fossero strascichi di quanto avevamo vissuto durante i mesi della caccia a Dracula, paure così profonde che non riuscivo a cancellarle e rimanevano rintanate in qualche angolo della memoria. E mi maceravo nei sensi di colpa chiedendomi per quale ragione il mio buon amico Van Helsing in questi incubi fosse tanto sadico. Così sono dovuti trascorrere più di vent'anni perchè prendessi coscienza di quello che stava accadendo. -
Io scrivevo e ogni tanto buttavo un'occhiata alle mani della signora Harker, non avendo il coraggio di alzare gli occhi fino al suo viso. Le stringeva a pugno con una forza tale che le nocche erano esangui. Proseguì dicendo:
- All'inizio non volevo credere a me stessa. Rispondevo ai miei sospetti dicendo che pensar male di te equivaleva a bestemmiare, tanto disinteressato era stato il tuo aiuto nei nostri confronti. " E' diventato uno dei medici della famiglia reale e utilizza la sua esperienza per cacciare mostri, per questo è stato compensato con Van Helsing Manor. All'interno di quella scatola su cui tanto si favoleggia e con cui si reca sui luoghi da disinfestare, cos'altro può esserci se non un paletto di frassino e una lama d'argento?" questo mi sono raccontata per due decenni. Alla fine però ho dovuto rispettare la mia intelligenza. Ho cominciato a mettere insieme i pezzi e ho constatato che conducevano ad un'unica soluzione possibile: quel giorno, mentre noi vegliavamo intorno al corpo di Quincey, Abraham non disperse le ceneri di Dracula. -
Attimi di silenzio profondo, come quelli che precedono lo scoppio di un tuono, poi la signora Harker si è sporta in avanti e più che parlare, sembrava ruggisse:
- Come hai potuto riportare in vita quel mostro schifoso?! Dopo tutto quello che abbiamo penato per ucciderlo! Sei stato tu a proporci di inseguirlo dopo che se ne andò dall'Inghilterra! Morris è morto per questo! -
- E' morto, lo so, credi che non abbia considerato il suo sacrificio, prima di riportare in vita quell'essere? - ha urlato lo zio con una voce stridula che non gli avevo mai udito prima. Poi, con più calma, ha continuato:
- Ma prova a pensare...in questi anni, da quando l'ho domato, l'ho scagliato contro ogni sorta di mostri che affliggono le nostre terre e ogni mostro in meno ha significato molte vite umane in più. Ho salvato tanti connazionali, grazie a lui. E' a questo che pensavo, quando lo riportai in vita. E sono certo che Lucy e Morris, dall'alto dei cieli, approvano il mio operato. -
- Così come approvano il fatto che abiti in questa lussuosa villa e possiedi svariate proprietà sparse in tutto il Regno? Rende bene, salvare i connazionali! -
- Non ti permetto di parlare così! Non l'ho fatto per acquisire ricchezza! Tutto questo... - e lo zio ha fatto un gesto con la mano, a indicare la stanza dove ci trovavamo e con essa la villa - Tutto questo è...un effetto collaterale. Non l'ho ricercato attivamente. -
Mina si è guardata intorno con un'espressione ironica sul viso, come a dire "alla faccia dell'effetto collaterale!". Lo zio non si è lasciato smontare e ha proseguito con più durezza:
- Aggiungo che non c'è bisogno che tu venga a farmi la morale perchè se ne occupa già la mia coscienza, tormentandomi quotidianamente. Anzi, considerando che non eri presente durante l'agonia di Lucy, sei l'ultima persona al mondo che può venirmi a rimproverare. Sono di gran lunga più consapevole di te della portata delle mie azioni. So che il mostro che ho ricreato ha ucciso quella povera ragazza e Morris! -
- Ecco il punto cruciale della situazione! -
Mina è tornata a sporgersi in avanti ma la rabbia feroce che l'aveva animata poco prima aveva lasciato il passo ad una freddezza ancora più inquietante:
- E' vero, non ho visto agonizzare Lucy perchè ero andata in Transilvania ad assistere Jonathan, più morto che vivo. Però i nostri amici mi hanno raccontato di quanto abbia sofferto. Holmwood, poveretto, ogni volta che ricorda l'agonia di Lucy piange mentre parla. Per questo, ti chiedo: quando ti è venuta in mente la brillante idea di resuscitare Dracula? L'hai pensata mentre assistevi Lucy e la vedevi soffrire, deperire, respirare a fatica per colpa di quel mostro schifoso che passava a succhiarla ogni notte, come se fosse uno spuntino sempre a disposizione? O l'hai pensato dopo che Lucy è morta e l'hai vista trasformarsi in un essere repellente che andava in giro a succhiare il sangue ai bambini? -

Provai uno stupore profondo davanti a quelle parole. Fu come se per la prima volta in vita mia mi specchiassi, vedendomi per quel che ero realmente.
Avevo letto il libro di Stoker, sapevo come si erano svolti i fatti. Quando decisi di diventare l'allieva e futura erede dello zio, capivo che così agendo approvavo il suo operato ma anch'io continuavo a ripetermi che il fine della missione dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti era superiore ad affetti e amicizie e il giovane Morris e la signorina Wenstenra, dall'alto dei cieli, comprendevano e approvavano.
Adesso però Mina mi presentava questa decisione da un punto di vista che non avevo considerato. Già, in quale momento lo zio aveva scelto la sua strada?
Inutile recitare la parte dell'ingenua giovinetta traviata contro la sua volontà: comprendo che se non mi sono mai posta la domanda che la signora Harker stava rivolgendo ad Abraham, è perchè sono come lui, una Van Helsing fino al midollo.
Ragiono come master Abraham e come lui sento, penso, agisco. Non c'è da stupirsi se in questi mesi l'astio che Mina covava per lo zio l'abbia riversato anche su di me. Pur conoscendomi poco, capiva che ne sono la degna nipote e che nelle stesse circostanze, avrei agito esattamente come il suo ex-amico dottore.
Per questo scrivo che fu come vedermi specchiata per la prima volta.

Lo zio rimaneva in silenzio e la signora Harker continuava ad incalzare:
- Allora, Van Helsing? Quand'è che l'hai pensato? Prima o dopo la morte di Lucy? Prima o dopo? -
Avevo una gran voglia di piangere e anche gli occhi dello zio erano lucidi. Nel silenzio che seguì, rispose con un filo di voce:
- Dopo. -
Fu come se quella parola avesse risucchiato tutta l'ira di Mina. Riappoggiò le spalle allo schienale della sedia e distolse gli occhi da quelli dello zio, come se non avesse più la voglia di sfidarlo. Rimanemmo tutti e tre in silenzio per un bel pezzo, bisognosi di smaltire la tensione. Infine Mina ricominciò con tono stanco:
- Te l'avevo anche spiegato perchè dovevamo ucciderlo. Non solo per salvare gli esseri umani ma anche per dare riposo a quel mostro. Be', adesso non sono più responsabile di quell'essere. Fanne quello che vuoi: umilialo, torturalo, fagli leccare le tue scarpe, divertiti come ti pare, non m'interessa ma non voglio assistere nuovamente a quegli spettacoli mentre dormo, quindi trova un modo per impedirmi di entrare nella testa di quel mostro. Altra cosa, tu e la tua degna erede non siete ospiti graditi in casa mia, quindi quando Jonathan vi inviterà da noi, siete pregati di inventare delle scuse per non venirci a trovare. Mi faresti un gran favore se anche tu smettessi di invitare mio marito a Van Helsing Manor. Non dico che devi smettere di cercarlo dall'oggi al domani. Jonathan è un uomo buono e non merita di soffrire vedendo infranta un'amicizia in cui crede. Raffredda gradualmente i vostri incontri, così che abbia il tempo di disamorarsi verso di te. Dal canto mio, farò di tutto per evitare a me e a mio figlio di rimettere piede in questa...cuccia del vampiro ma quando non riuscirò ad evitare un incontro, siete pregati di non toccare mio figlio. Non voglio che lo sporchiate. -
Terminato il discorso se ne è andata senza salutare e con lo zio siamo rimasti in silenzio ancora per un bel pezzo, senza avere il coraggio di guardarci negli occhi ma con gli animi in tumulto. Poi lo zio si è alzato, piantandosi davanti al caminetto. Ha cominciato a riattizzare il fuoco con foga, infine ha sbraitato:
- E' colpa sua! -
A quel punto, sono finalmente riuscita a guardarlo e annuendo con foga ho risposto:
- Sì, Mina ha esagerato, ci ha trattato come assassini quando invece abbiamo salvato tante vite umane! -
Ma lo zio nemmeno mi ascoltava e continuando a brandire l'attizzatoio contro i ceppi di legno, ha ribadito:
- E' colpa di quel cagnaccio! E' sempre colpa sua! -
Il vampiro dello zio non mi suscita la minima simpatia ed è responsabile di un'infinità di magagne ma scaricargli addosso la colpa della furia di Mina Harker, una volta tanto che era innocente, mi parve ingiusto, così arrivai a difenderlo per la prima volta in vita mia:
- Non è lui ad entrare nella testa di Mina. E' la signora Harker ad intrufolarsi nella sua. -
- Sì, e ho compreso quando ciò avviene! Quando quella bestiaccia mi fa arrabbiare e lo punisco, poi per affrettarne la guarigione abbasso i sigilli. E' allora che Mina entra nella sua testa!
Se solo lui non mi facesse arrabbiare, non lo picchierei e non sarei poi costretto ad alleggerire il Patto di Cromwell. E Mina non avrebbe mai scoperto la verità. Per questo è colpa sua! E' sempre colpa sua! -
Lo zio è rimasto ancora a lungo davanti al caminetto, smuovendo senza pace la legna per attizzare il fuoco. Era chiaro che la situazione lo infuriava tantissimo. Era stato scoperto, per di più dall'ultima persona al mondo che voleva mettere a conoscenza del suo segreto. Se non avesse trovato il modo di sfogarsi, sarebbe esploso, così gli ho proposto:
- Usciamo e andiamo a fare una passeggiata di qualche miglio a piedi. Neanche io posso rimanere ferma qui senz
a sentirmi scoppiare. Ho bisogno di sfogarmi facendo del movimento. -
- Esco da solo! - ringhiò in risposta uscendo come una furia dalla stanza.
E va bene, se questo era il suo volere l'avrei accontentato. Il tempo di chiudere i documenti a cui stavamo lavorando nei cassetti e uscii anch'io. Non avevo la più pallida idea di quale direzione avesse preso lo zio. Pensai che se lo avessi incrociato avrei cambiato direzione, così da rispettare il suo desiderio di rimanere solo. Camminai tutta la mattina per la campagna che circonda la villa senza imbattermi nelle sue tracce e un sospetto cominciò a farsi strada in me: non avevo incontrato lo zio perchè si era avviato in una direzione diversa dalla mia o perchè era rimasto in casa? In fondo, non avevo controllato se avesse varcare il cancello o meno.
Rientrai a casa nel primo pomeriggio, scontrandomi con lo zio che usciva dal ripostiglio dove tiene i medicamenti. Era sereno. " Non può essere rimasto qui dentro. Deve essersi sfogato uscendo a camminare " ho pensato. Cosa strana per lui, così poco attaccato all'etichetta, aveva un vestito diverso da quello che indossava la mattina. Ho voluto interpretarlo come un'altra prova che era andato a passeggio: certamente doveva essersi sporcato di fango e rientrato a casa si era cambiato.
Lo zio mi disse quasi con brio:
- Capiti a proposito, ho bisogno del tuo aiuto. -
Dopo avermi messo fra le mani una cassetta con disinfettante, filo da sutura e bende si è avviato verso la segreta. Gli sono andata dietro. Arrivati nella catacomba del vampiro, ho respirato un misto di sudore, sangue e paura. Si percepiva ancora l'adrenalina nell'aria, come se una lotta vi avesse infierito fino a
non molte ore prima.
Non mi piaceva quell'odore, una stretta ansiosa mi strinse il cuore ma niente poteva prepararmi a quello che stavo per vedere. Lo zio ha alzato il coperchio della bara del cagnaccio e i capelli mi si sono rizzati in testa.
Cos'era quello sfacelo di sangue e carne palpitante?
Chi era il tizio che giaceva là dentro? Non poteva essere il vampiro, la sua faccia era irriconoscibile. Ma in verità, una faccia ridotta in quello stato, sarebbe stata irriconoscibile comunque. Eppure indossava la tuta del cane, quindi doveva essere per forza il cane. E solo allora ho ricordato che lo zio, nella sua foga, era uscito dall'ufficio brandendo ancora l'attizzatoio del caminetto.
Non si era sfogato uscendo a fare una passeggiata. Si era sfogato scendendo nei sotterranei e devastando il vampiro a colpi di attizzatoio. Non aveva cambiato i vestiti perchè sporchi di fango ma in quanto schizzati di sangue.

Inginocchiatosi accanto alla bara e accarezzando i capelli del mostro, guardandolo con un sorriso indulgente mi spiegò:
- Stamattina mi ha fatto proprio arrabbiare. -
Come se il vampiro fosse un bambino imbronciato perchè gli avevano tirato un ceffone!
Delle ore che seguirono, spero di scordare col tempo quanto più possibile. Non ho la vocazione dell'infermiera, le ferite mi scombussolano e quel pomeriggio non vidi altro che quelle, insieme alle ossa rotte che bucavano la pelle. Lavorammo fino allo sfinimento per suturare, disinfettare e steccare e arrivati a sera, persino una a digiuno di medicina come me si rese conto che neanche lavorando tutta la notte saremmo riusciti a guarire la belva.
I suoi rari respiri erano gorgoglianti, segno che il sangue si stava riversando anche nei polmoni e forse, oltre a quella, erano presenti anche altre lesioni interne. Inoltre, se potevamo steccargli le braccia per riaggiustargli le ossa, non potevamo certamente ingessargli la faccia per rimediare alle fratture di naso, zigomi, mento e arcata sopraccigliare.
L'unica nota positiva era che il cagnaccio non pareva soffrire, per la semplice ragione che era in stato comatoso.
Lo zio, che si era accinto a quel lavoro con spavalderia, certo di non aver fatto poi così male al suo schiavo, col trascorrere delle ore era diventato mortalmente serio. Più lavorava, più si rendeva conto che ancora c'era da fare. Dal canto mio, non potei fare a meno di commentare:
- Zio, devi abbassare i sigilli altrimenti non riuscirà a riprendersi. -
Le mie parole furono come la goccia che fa traboccare il vaso. Qualsiasi illusione lo zio stesse tentando di raccontare a sè stesso, la consapevolezza che persino un'ignorante patentata di medicina come me si rendesse conto della gravità della situazione lo mise con le spalle al muro. Ho visto i suoi occhi riempirsi di lacrime mentre mormorava:
- Non posso abbassare il sigillo, l'ho giurato a Mina! -
- Ma lo vedi anche tu in che condizioni è! Se non alleggirisci la forza del Patto di Cromwell, questo mostro tira le cuoia e stavolta definitivamente. Non potrai resuscitarlo. Non è un mucchietto di cenere su cui versare del sangue! -
- Forse invece non tutto è perduto. - ha balbettato lo zio e l'espressione esausta del suo viso non prometteva nulla di buono.
Stanchezza e disperazione sono cattive consigliere, ottenebrano la ragione e generano idee assurde e che lo zio possedesse in abbondanza sia l'una che l'altra, era evidente. Ha farneticato:
- Se adesso gli tagliassi la testa e gli trafiggessi il cuore, si ridurrebbe in cenere. Poi mi basterebbe versare il mio sangue e tornerebbe nuovo come prima. -
- No zio, non ne hai la certezza. Potrebbe resuscitare malridotto com'è adesso e non avresti concluso nulla, se non forse indebolirlo maggiormente per la fatica di riformarsi. Oppure potrebbe non resuscitare affatto proprio perchè è conciato in questo stato. Inoltre dentro di lui adesso si trovano i sigilli e non sai in che modo possono influire su un'eventuale resurrezione. La soluzione più semplice è alleggerire il Patto di Cromwell finchè non starà meglio. Perchè non attuarla, invece di complicarti la vita? -
- Ma io l'ho promesso a Mina! E' questo l'unico modo per non farle avere gli incubi. Se abbasso i sigilli, lei rientrerà nella sua testa, vedrà cos'è accaduto e tornerebbe qui a lamentarsi... -
- Maledizione zio! Perchè non ci hai pensato prima di scendere quaggiù a massacrarlo? -
- Perchè non ci ho pensato prima di scendere quaggiù a massacrarlo? - ha singhiozzato lui, accarezzando i capelli del cane.
In quel momento era inutile insistere o infierire, lo zio era già troppo rimbambito dalla preoccupazione per cavargli un'idea ragionevole. Lo lasciai a piangere ed accarezzare il cane e compii molti viaggi su e giù per le scale per scendere due sedie, qualcosa da bere e da mangiare e due coperte. Inutile illudersi: le condizioni del mostro erano talmente critiche che dovevamo vegliarlo, come fosse un moribondo o un malato grave. Lasciarlo da solo per andare a cenare e coricarci era impensabile.
Non so quante ore trascorremmo lì sotto, persi il calcolo del tempo ma il vampiro peggiorò, il suo respiro diventava sempre più gorgogliante. Lo zio trascorse quella veglia disperandosi, io riflettendo su come convincerlo a fargli abbassare i sigilli. Stentavo a credere che la visita di Mina lo avesse sconvolto al punto di incutergli così tanta paura al pensiero che lei potesse tornare da noi avanzando altre critiche. Chissà quali spelonche di rimorsi e sensi di colpa aveva risvegliato in lui il colloquio con la signora Harker!
La stanchezza intorpidiva il cervello anche a me, non era facile ragionare ma continuavo a ripetermi che una soluzione doveva esserci. Lo zio aveva commesso indubbiamente un'idiozia ma possibile non esistesse il modo di rimediare? Quando ipotizzai di essere riuscita a trovare un'argomentazione valida con cui convincerlo a passare all'azione, mi ripetei tante e tante volte le frasi nella mia mente, così da assicurarmi che fossero sensate, e infine mi decisi a parlare:
- Quando, da bambina, commettevo un dispetto, come prendere in giro a un'amichetta, gli adulti mi rimproveravano dicendo "non ti rendi conto che la stai facendo soffrire?". Tutte le ramanzine che mi impartivano erano su questo tenore, miravano a farmi mettere nei panni altrui dal punto di vista emotivo. A me sembrava che gli adulti dicessero un mucchio di idiozie, che se proprio volevano convincermi che mi stavo comportando male, indubbiamente dovevano esistere motivazioni più valide del "ferire i sentimenti altrui" ma dato che ero ancora una bambina, incapace di spiegare le mie idee, fra l'altro ancora acerbe e confuse, più simili a sensazioni che a ragionamenti, rimanevo zitta. Crescendo, raffinando il mio pensiero, sono arrivata alla conclusione che già da piccola avevo ragione da vendere! Ciò che ti insegnano da bambina, pretendono che continui a coltivarlo anche da adulta. Nel caso specifico, pretendono che tu metta i sentimenti davanti alla ragione e alla coscienza e a me, questo non sta bene. Una persona deve innanzi tutto rispondere alla propria integrità. E' sbagliato che io mi privi di compiere un'azione che la mia mente e la mia coscienza considerano giusta perchè ferirei i sentimenti altrui. Che siano gli altri a corazzare il proprio cuore, invece di pretendere infantilmente che faccia a pezzi il mio cervello! Mina ha detto che alla fine ha dovuto rispettare la propria intelligenza ed è stato questo a costringerla a mettere insieme tutti gli indizi, però pretende da noi la rinuncia ad usare i nostri, di cervelli! Tutta la sua rabbia è dettata dal sentimentalismo, non dalla ragione. Resuscitando Dracula abbiamo mancato di rispetto alle sofferenze di Lucy e Morris. E con ciò? Sarò anche insensibile a parlare così ma mi ritengo a posto con la mia coscienza perchè se non avessimo agito in questo modo, avremmo mancato di rispetto a tutte le persone che non sono finite in bocca a un Cane Nero grazie alla nostra opera. Possiamo ammettere che
le parole di Mina ci abbiano sbattuto in faccia il nostro lato oscuro di cui fin'ora non ci eravamo accorti o che avevamo finto di non vedere ma non mi sembra un valido motivo per buttare a mare tutta la fatica compiuta. Non rientreremmo comunque nelle grazie di quella donna e in verità neanche lo desidero. Se tu adesso lasci crepare il vampiro per mantenere la promessa fatta alla signora Harker, allora davvero Lucy e Morris saranno morti invano. -
Mi sono presa una lunga pausa, per dare modo allo zio di assorbire fino in fondo quel che avevo detto. Capii che aveva fatto effetto perchè i suoi occhi si asciugarono e la sua schiena si raddrizzò, allora continuai:
- Sei Abraham Van Helsing, colui che ha sconfitto e soggiogato Dracula. Nessuno conosce il Conte meglio di te. E allora usa la tua esperienza per trovare una soluzione. Ripensa alle parole di Mina, magari là in mezzo troverai un suggerimento, una scappatoia. Sii come il Cavallo di Troia: entra nel racconto di quella donna e trova una breccia. -
In verità, da qualche tempo, ogni tanto mi viene spontaneo domandarmi se davvero lo zio è la persona che meglio di ogni altra conosce il vampiro ma in quel momento la sopravvivenza esigeva di mettere a tacere ogni dubbio. Tanto più che realmente lo zio era l'unico capace di dare un lieto fine al dramma incombente.
Lo zio è rimasto in silenzio ancora a lungo, infine ha cominciato a parlare, ma non si rivolgeva a me. Parlava a se stesso, ragionando a voce alta:
- E' tutto connesso col Patto di Cromwell, su questo non ho dubbi.
Mina ha detto di fare questi incubi meno di una volta l'anno mentre i sigilli li abbasso più di una volta nell'arco dell'anno. Come spiegare questo controsenso? Il Patto di Cromwell è composto da quattro sigilli che compongono cinque livelli: il Livello Quattro, il Livello Tre, il Livello Due, il Livello Uno, il Livello Zero. Il Livello Zero...lo abbasso raramente perchè lì sotto c'è Dracula in tutta la sua potenza e disattivarlo è rischioso. Sì, è questa la spiegazione! Lei leggeva nella testa di Dracula! Quando abbasso il Livello Zero, lo faccio per pochi minuti ma basta a riattivare il Conte e a spalancare a quella donna la porta della sua mente, rivivendo i suoi ultimi ricordi. Quindi se io adesso abbasso tutti i livelli tranne lo Zero, il mio cane guarirà senza che Mina faccia incubi! -
Ha liberato tutti i sigilli, tranne il Livello Zero e abbiamo aspettato di vedere i risultati. Le ore hanno continuato a colare lentamente. Nello stato in cui era ridotto il cagnaccio, ne è occorso di tempo prima che il suo viso si ricomponesse e il suo respiro smettesse di gorgogliare! E ancora abbiamo continuato ad attendere perchè fino a quando non avesse ripreso conoscenza, non potevamo considerarlo fuori pericolo.
Durante quell'attesa, non so perchè, tornai con la mente a quando, da bambina, commettevo un'azione sbagliata e lo zio mi mollava due ceffoni. Erano dolorosi gli schiaffi di zio Abraham, molto più di quelli dei miei genitori o di qualsiasi altro parente. Proprio perchè le punizioni dello zio mi incutevano così tanto timore certe volte, quando lo vedevo alzare la mano, mi affrettavo a chiedere scusa o perdono ma così facendo, ottenevo solo di veder brillare una luce sadica nei suoi occhi.
- Il pentimento dev'essere autentico e le giuste punizioni vanno affrontate con coraggio! - diceva, dopo di che mi mollava non due ma quattro schiaffi, tanto per inculcarmi meglio questa massima di vita nella testa.
Riuscì nell'intento: quando compresi che zio Abraham era convinto che il pentimento fosse autentico solo dopo aver ricevuto la punizione, e qualsiasi tentativo di chiedere scusa prima di riceverla fosse solo un vigliacco tentativo di rabbonirlo, meritevole quindi di ulteriori ceffoni, imparai a mordermi le labbra davanti ai suoi schiaffi, per evitare di lasciarmi scappare una parola incauta capace di peggiorare la situazione.
Durante la veglia mi venne spontaneo chiedermi se con quegli insegnamenti austeri lo zio non stesse cercando di instradarmi su quella che lui riteneva essere la strada adatta per me. A ben pensare, era molto più severo con me che con qualsiasi altro nipote.
- Perchè sei cattiva! - mi dicevano i parenti, non trovando altre spiegazioni per quella disparità di trattamento. Poveri sciocchi!
Mi venne pure spontaneo chiedermi se lo zio non avesse utilizzato questa pratica educativa anche col vampiro. Il cane è testardo e orgoglioso ma non può nulla contro la volontà umana di umiliare l'avversario, dote che zio Abraham possiede in abbondanza. Immagino che nel corso di questi ventidue anni, master Abraham sarà riuscito almeno una volta a strappare allo schiavo un rantolante "Perdono!", disperato tentativo di fermare la bufera che lo martoriava.
Gli occhi dello zio, a quel punto, avranno brillato di sadica soddisfazione affermando:
- Il pentimento dev'essere autentico e le giuste punizioni vanno affrontate con coraggio! - proseguendo poi nelle sue torture raddoppiandole di intensità.
Così il cagnaccio avrà imparato a stringere le labbra come me, per essere sicuro di non lasciarsi scappare neanche di sfuggita uno "Scusa" che possa peggiorare la situazione. Anche quel giorno, non doveva essere stato diverso. Il vampiro si sarà lasciato massacrare da Dio senza protestare nè reagire, consapevole che si sarebbe trattato di ribellioni vane, limitandosi a pararsi la faccia con le braccia che si spezzavano sotto i colpi dell'attizzatoio.
Fu mentre traevo quelle considerazioni che la bestiaccia riprese conoscenza e riaprì gli occhi. Lo zio era talmente felice nel constatare che la sua belva addomesticata era ancora su questa terra, da essere sul punto di mettersi a piangere e completamente dimentico della mia presenza, allungando una mano per carezzargli i capelli, ha bisbigliato:
- Bentornato. –
Non so se lo zio, nella sua gioia, si sia accorto della reazione del vampiro quando ha visto la mano del padrone dirigersi verso la sua testa. Penso che, se avesse avuto la possibilità di muoversi, il succhiasangue si sarebbe istintivamente protetto il viso con un braccio ma siccome era talmente acciaccato da essere incapace di muovere un muscolo, tutto ciò che potè fare in quel momento fu serrare gli occhi. Evidentemente si aspettava di buscarne ancora. Solo quando si è reso conto che si trattava di carezze e non di ceffoni, ha riaperto le palpebre. Nel suo sguardo spento c’era una rassegnazione bovina
e solo allora ho compreso che il vampiro non aveva la più pallida idea del perché quel cataclisma si fosse abbattuto su di lui.
Lo zio me l'aveva già detto tempo fa: " Non gli spiego mai niente ". Neanche quella volta gli aveva spiegato alcunchè. Il vampiro si era visto scoperchiare la bara dal padrone armato di attizzatoio senza conoscere la ragione di quella furia.
Cos’altro poteva pensare il mostro, se non che l’ira dello zio fosse stata dettata da un semplice capriccio? Lo stesso capriccio che adesso spingeva il padrone ad accarezzarlo tutto contento.
E vabbè, così è la vita ” pareva pensare la bestiaccia mentre incassava rassegnato le attenzioni del suo Dio.
Subito dopo il risveglio, lo zio gli ha reimposto i sigilli alla massima potenza e ciò ha allungato notevolmente il tempo di ripresa del nosferatu. Adesso è quasi completamente ristabilito, fra pochi giorni sarà tornato ad essere il cagnaccio insolente di sempre ma è stata una convalescenza esasperatamente lunga.
Stamattina sono scesa a portargli una bottiglia di sangue. L’ho trovato seduto sul pavimento, con la schiena appoggiata al muro. Mi sono lasciata afferrare dagli scrupoli, così gli ho domandato:
- Sai perché master Abraham ti ha ridotto in quello stato? -
- Certo che no. - ha risposto lui, guardandomi allibito. Lo sorprendeva l’idea che il suo Dio mortale potesse abbassarsi a spiegargli le motivazioni delle proprie azioni. In fondo non è forse un diritto delle divinità, quello di essere criptiche e misteriose? Si sforzino i fedeli di trovare le ragioni che hanno mosso gli Dei!
Gli ho raccontato della visita della signora Harker. Ha ascoltato in silenzio, infine prendendosi la testa fra le mani ha esclamato:
- Quella donna è la mia rovina! -

 

La derisione del movimento delle suffragette, il punzecchiarla sul fatto che stava semplicemente giocando nell'attesa di trovare marito, le lettere inviate a suo nome come risposta agli annunci matrimoniali sui giornali, erano solo la punta dell'iceberg delle angherie che il vampiro infliggeva quotidianamente alla nipote del suo Dio.
Il nosferatu alternava mesi di snervante indifferenza a mesi di tartassamento continuo. Nei periodi in cui il cane di Van Helsing decideva di ignorare la suffragetta, lo faceva in maniera totale, comportandosi come se lei non esistesse qualsiasi cosa Eva dicesse o facesse. Di fronte al muro di impassibilità del mostro, la giovane provava la sgradevole sensazione di essere nient'altro che una mosca, una nullità, un essere privo di importanza e dignità. Quando invece il nosferatu entrava nella fase "tartassamento", prestava alla giovane fin troppa attenzione, nel senso che qualsiasi cosa lei dicesse o facesse veniva derisa spietatamente.
La nipote di Abraham, dal canto suo, le tentò tutte. Cercò di rispondere ai mille tormenti che le infliggeva quel cane rognoso sfoggiando ora indifferenza, ora calma sovraumana, ora rispondendo velenosamente ma come si rese ben presto conto, qualsiasi tattica usasse, al vampiro andava sempre bene. Il cane si divertiva comunque, sia che lei rimanesse calma di fronte al suo disprezzo, sia che gli tenesse testa con le risposte, sia che rispondesse con indifferenza alla sua indifferenza.
Eva non sapeva come aprire una breccia nella corazza del vampiro ma non per questo si arrese. Abraham continuava a considerarla "in prova", dubbioso che la ragazza riuscisse a sostenere quella situazione, il vampiro ancora s'illudeva di riuscire ad esasperarla fino allo sfinimento ma in realtà nessuno dei due aveva compreso che la giovane aveva siglato un contratto con la propria coscienza nel momento stesso in cui aveva accettato la proposta dello zio di guidare l'Organizzazione dopo la sua morte.
In base a questo contratto, Eva non pensò mai di mollare. Adesso era quello il suo lavoro, la missione della sua vita e l'avrebbe assolta con tutta la serietà di cui disponeva. Ogni mattina si svegliava sapendo di dover battagliare col vampiro e accogliendo questa sfida. Accettò di rimettersi in gioco e ricominciare daccapo ad ogni sorgere del sole.
Dopo un anno e mezzo di guerra accanita, il vampiro dovette ammettere con se stesso di essersi imbattuto in un osso duro. L'irritazione che gli suscitava la consapevolezza che quella donna non si sarebbe arresa si mescolava col riconoscimento del valore dell'avversaria.
Lentamente, impercettibilmente, l'aria dentro Van Helsing Manor mutò. La stima che il succhiasangue cominciò a nutrire verso la donna si tradusse in una riduzione delle angherie. Fu un processo talmente graduale che ad Eva occorsero mesi prima di rendersene conto. Umanamente, non potè che gongolare di questa vittoria. Finalmente il vampiro aveva capito con chi aveva a che fare e lei aveva imparato come prenderlo, dosando la giusta quantità di distacco e autorevolezza!
Il cane di Van Helsing si accorse dell'improvvisa spavalderia che aveva afferrato Eva e se ne adombrò. Quella tizia credeva forse di averlo battuto? Be', si sbagliava di grosso! Ne aveva di cartucce da sparare, ancora! Così, tanto per far capire alla ragazza che lui non era sconfitto, riprese la sua opera persecutoria con rinnovato vigore. Eva capì l'antifona e rimproverò se stessa per la propria superbia.

Per domare il mostro devo capirlo. Per capire devo imparare. Imparare richiede umiltà. Finchè avrò l'umiltà di ammettere che ci sarà sempre qualcosa da imparare, capirò come agire con lui. Quando darò per scontato di conoscerlo talmente bene da tenerlo in pugno, mi sguscerà dalle mani come una saponetta e me la farà pagare. E' faticoso ma non esiste altra strada.

Ancora una volta Eva accettò di rimettersi in gioco, di svegliarsi ogni mattina accettando la guerra e dopo alcuni mesi le angherie del vampiro tornarono lentamente a calare d'intensità.

 

 

Non sopporto il modo con cui ci presentiamo al cospetto dei reali, dei membri della Tavola Rotonda o di chiunque altro ci contatti per lavoro. Il nostro ingresso è talmente scenografico che sembriamo l'avanguardia di un circo.
Apre il corteo lo zio, con quel cappotto rosso lungo fino ai piedi e il cappellone dello stesso colore. Estate e inverno, esce sempre conciato così. Dice che quel modo di abbigliarsi è il suo tratto distintivo, la sua firma, ciò che rende facilmente riconoscibile il suo personaggio, allo stesso modo della corona d'alloro per Cesare o della barba per Lincoln. A me sembra una sciocchezza ma lui ne è fermamente convinto.
Dietro lo zio procede il vampiro, abbigliato con quella tuta di cinghie di cuoio e le mani ridotte in quello stato che lo fanno tanto assomigliare ad uno schiavo.
Io, in qualità di apprendista che ancora ha tutto da imparare, chiudo la fila.
Quando inizia la riunione, mi siedo in un angolino appartato, cercando di farmi notare il meno possibile e da lì osservo non vista tutta la scena. Sì, lo zio e il suo cagnaccio sembrano proprio scappati da un circo. Lo zio è "il domatore di leoni" mentre il mostro è "l'uomo più forte del mondo", uno di quei colossi che piegano le sbarre di ferro come fossero fuscelli e tutto questo incide sul modo con cui gli astanti ci giudicano.
Ammettiamolo: siamo pittoreschi. Siamo talmente pittoreschi che molti ci giudicano dei ciarlatani. Basta osservare il modo con cui ci guardano per rendersene conto.
Lo zio, intento a sedurre e imbonire il pubblico con la sua abile parlantina, non si accorge di ciò che noto io dal mio angolino dimesso. Il nostro ingresso bislacco suscita ilarità in più di un uditore, lo vedo dagli sguardi divertiti che si lanciano fra di loro.
Ho cercato di spiegarlo allo zio, di convincerlo a modificare il nostro scenografico arrivo con un'entrata più sobria. Inizialmente, per non turbare la sua sensibilità, ho cercato di farglielo capire con mille allusioni. Sciocca che sono stata! Lo zio ha una fiducia in se stesso talmente incrollabile che ce ne vuole prima di riuscire a intaccare il suo orgoglio così, per fargli intendere la situazione, alla fine non mi è restato che andarci giù pesante come un colpo di clava:
- Siamo ridicoli! La gente ride di noi! -
Questa rivelazione non l'ha minimamente turbato:
- Ridano pure, quando hanno la necessità di liberarsi di un mostro, è sempre a noi che si rivolgono. -
- Ma un aspetto più professionale gioverebbe alla nostra attività, non credi? Se proprio non vuoi rinunciare al tuo cappotto e al tuo cappello, per lo meno vesti decentemente il vampiro che conciato com'è sembra uno schiavo marchiato a fuoco. -
- Ma lui è uno schiavo ed è bene che lo tenga sempre a mente. - ha replicato serafico lo zio.
- Ma non vedo perchè dobbiamo farlo sapere anche al resto del mondo! Noi Hellsing facciamo la figura dei negrieri! -
- No cara, facciamo la figura di gente così forte da essere riuscita ad addomesticare il Re-senza-vita come fosse un barboncino. Non ho nessuna intenzione di apportare modifiche al suo abbigliamento. La tuta di cuoio gli dona, mette in risalto il suo fisico possente. Hai notato il silenzio che cala nella stanza quando il nostro vampiro fa il suo ingresso? Tutti si sentono in soggezione davanti a lui. Inoltre la tuta gli dà quel tocco di esoticità che lo rende più estraneo agli astanti e per questo più temibile. -
E' vero, quando il cagnaccio entra in una stanza cala il silenzio ma ciò non toglie che agli occhi di qualcuno finisca col sembrare talmente esotico da incutere disprezzo e non timore. Questo però lo zio non riesce a capirlo perchè non vede il mondo da un angolo dimesso come faccio io ma non mi sono arresa. Sono stanca di vedere brillare negli occhi di qualche spocchioso un divertito "Arrivano quei ciaratani degli Hellsing" così, a dispetto delle giustificazioni dello zio, ho continuato ad insistere affinchè vestisse decentemente il servo. Alla fine, scocciato, lo zio ha replicato:
- Occupatene tu di vestirlo. -
E con questo ha chiuso il contenzioso, rigirando il coltello contro di me. Sì perchè se il vampiro rifiuterà gli abiti che gli procurerò, lo zio avrà la scusa per accantonare una volta per tutte la pratica "vestire lo schiavo" e la probabilità che quel cane rognoso scarti i miei vestiti per semplice dispetto è davvero elevata.
Ho trascorso settimane a cercare qualcosa della sua taglia, e assicuro che non è facile scovare abiti della sua misura. Inoltre non posso cercare un vestito "a caso", devo tener conto del suo stile di vita e del suo temperamento. Un abito sportivo è ciò che fa per lui, rifiuterebbe di indossare qualsiasi altra cosa.
Dopo molto cercare sono finalmente riuscita a trovare ciò che faceva al caso mio e cinque sere fa gli ho messo fra le braccia due stivali di cuoio alti fino al ginocchio, un completo da equitazione color cenere, camicia bianca, cravatta rossa e un paio di guanti con cui nascondere le sue mani martoriate. Il vampiro ha osservato con diffidenza il mio dono, poi con ostilità ha sbraitato:
- Non pretenderai che ti ringrazi? -
- Non pretendo niente, non l'ho fatto per te ma per l'Ordine dei Cavalieri Protestanti! -
Ammetto che non nutrivo grandi speranze che lo indossasse e invece quel maledetto mi ha stupita!
Forse si è scocciato anche lui delle occhiate ilari o sprezzanti che gli scoccano quando entra al seguito del suo padrone. Forse, dopo essere stato obbligato per più di vent'anni a conciarsi come uno schiavo, anche lui agogna a riappropriarsi della dignità che solo un vestito sa dare. Sia quel che sia, è da cinque sere che cammina per villa Van Helsing con i miei abiti addosso e sembra intenzionato a portarli per un tempo indeterminato.

 

I continui riferimenti alle "mani martoriate" del vampiro incuriosirono Integra e la sera seguente, quando lo incontrò nel boschetto degli olmi, non potè trattenersi dal chiedergli:
- Perchè non ti sfili i guanti? -
Alucard posò sulla master uno sguardo carico di diffidenza, ciò nonostante esaudì la sua richiesta. Con gesti lenti si tolse i guanti e agli occhi della ragazzina apparvero due mani grandi e forti sul cui dorso candido spiccava lo stesso pentacolo nero che si trovava sui guanti.
- E' un tatuaggio? - chiese la piccola, toccando con la punta dell'indice quelle linee color inchiostro.
- No, sono due dei quattro sigilli di Cromwell che master Abraham inserì nelle mie ceneri prima di strapparmi dalla morte. Ognuno di loro è migrato in una parte diversa del mio corpo e due sono finiti nelle mani. -
Sir Hellsing sgranò gli occhi, stupita. Il vampiro proseguì:
- I sigilli bruciano di un fuoco basso ma costante e là dove si fermano, marchiano la pelle sotto cui giacciono. Tua nonna cercò di nascondermi le mani facendomi indossare i guanti ma il fuoco dei sigilli bruciò anche quelli. Poco male, sembra un decoro del pellame. -
Integra era impressionata. Con apprensione, chiese:
- Ti fanno male? -
- I primi decenni erano molto fastidiosi, mi grattavo le mani fino a far uscire il sangue. Adesso non li percepisco quasi più ma non saprei dire se è dovuto al fatto che mi sono abituato o se è il fuoco dei sigilli ad essere calato di intensità. -
Un senso di vergogna serpeggiò nel petto della ragazzina. A tutte le ragioni che aveva per essere costretta a ridimensionare quello che nelle sue fantasie era "il glorioso passato dell'Organizzazione Hellsing", doveva aggiungere anche questa: Alucard era stato marchiato a fuoco come un vitello destinato al macello.
Master e monster rimasero in silenzio per un po', infine Integra chiese:
- E gli altri due sigilli? In quali parti del tuo corpo sono finiti? -
Il servo scrutò la padroncina con severità prima di rispondere:
- Non mi sembra il caso di fare lo spogliarello davanti a una dodicenne! -
Fumarono in silenzio per un pezzo prima che una domanda sorgesse nella mente di Integra:
- Il vestito che ti ha regalato mia nonna è andato distrutto molto tempo fa? -
- Chi ti dice che si sia strappato? -
- Se fosse ancora tutto intero, non andresti in giro con questa tuta di cuoio. -
- Ti sbagli, ragazzina. Il vestito esiste ancora. O almeno, dovrebbe esistere se le tarme non l'hanno rosicchiato. Prima che tuo padre mi mettesse in letargo, lo appesi in uno degli armadi di questa villa. -
- Ma se il vestito esiste ancora, perchè non lo indossi? -
- Ogni cosa a tempo debito. Quando sarà il momento di indossarlo, lo farò. -
- E quando si verificherà questa evento? -
- Che domanda sciocca! Quando mi autorizzerai ad uscire da villa Hellsing per andare a maciullare un mostro, mi vestirò. Non crederai che mi rechi al lavoro in pigiama? -
- Pigiama?! - ripetè la ragazzina, costernata - Questa tuta di cinghie di cuoio sarebbe il tuo pigiama?! -
- Mi pare ovvio. Non crederai che sia andato in letargo vestito? Tu ti corichi forse con la divisa della scuola addosso? -
- Ma adesso non stai dormendo! E' da quando ti sei risvegliato che vai a spasso in pigiama!-
- E allora? - replicò tranquillo Alucard, facendo spallucce - Tu il sabato mattina non rimani forse in pigiama fino a mezzogiorno? -
- Ma tu circoli in pigiama da tre mesi e mezzo! -
- Quante storie! Per un vampiro il tempo passa più lentamente che per un umano. Tre mesi per me equivalgono a mezza mattinata per te. -
- Accidenti Alucard ma non hai un briciolo di amor proprio? Non ti vergogni di presentarti al cospetto della gente in pigiama?! -
- No, perchè nessuno si rende conto che questa tuta è un pigiama. Al massimo possono scambiarmi per un pervertito vestito di cuoio, non certo per un tizio che è stato tirato giù dal letto. -
- Ma se sai di essere in piagiama e sei consapevole di quanto sia sconveniente presentarsi agli estranei così, perchè non ti cambi? -
- Ecco, lo sapevo che non dovevo dirti che questo è il mio pigiama! Sentivo una vocina dentro di me suggerire di lasciar stare ma ho voluto ignorarla e darti fiducia e questo è il risultato! Fin'ora sei stata tranquilla e adesso ti fai venire tutti i complessi di questo mondo solo perchè sai che sono in déshabillé. Be', non ho nessuna intenzione di cambiarmi senza che ce ne sia la ragione perchè sto comodo così! E non me ne frega una mazza se è sconveniente presentarsi in pigiama al cospetto altrui. L'unica cosa che mi interessa, è che il resto del mondo mi rispetti e mi tema, risultato che riesco ad ottenere anche conciato in questo modo, quindi adesso chiudi il becco e lasciami fumare in pace! -

 

 

Lo ammetto: non mi piacciono le fanfiction in cui compare Mina Harker e per questa ragione, ancor prima di mettermi a scrivere "Spirali di fumo", mi ero detta:

- Non farò mai comparire quella donna nella mia storia! -

Ed ero decisa su questo punto, credetemi!

Certo, c'era quel tarlo che mi rodeva la mente da quando avevo finito di leggere il romanzo di Stoker:

- Come si può rendere la continuità fra "Hellsing" e "Dracula", considerando che il Conte, con il suo morso, leggeva nella testa di Mina e lei faceva altrettanto? Quando Dracula muore, Mina guarisce ma una volta resuscitato Alucard, come poteva Mina non accorgersene? Van Helsing come poteva riuscire a nasconderglielo? -

Ma siccome ero decisa a non far comparire la signora Harker nella mia storia, mi sforzavo di ignorarlo.

Poi ho visto il decimo OAV di Hellsing e constatato che Hirano ha tirato Mina a forza nel suo manga. A quel punto, continuare a ignorare la signora Harker diventava un po' più problematico.

Alla fine mi sono arresa, soprattutto a quel tarlo che martellava la mia fantasia per trovare una spiegazione su "Ma Mina si è resa conto o no che Van Helsing aveva resuscitato il Conte?", facendo però apparire la donna come piace a me, non in veste di amante ma di rivale di Dracula. ^^

Chiedo scusa ai fan di Dracula(o Alucard)xMina se la cosa vi ha delusi, però siamo sinceri: tutte le FF in cui Mina compare, è sempre in qualità di innamorata del Conte. Per quelli come me che giudicano molto più interessante immaginare la donna e il vampiro come avversari, è abbastanza straziante vedere tutto questo amore sparso a piene mani. Ho deciso così di fare un regalo a chi la pensa come la sottoscritta, e ho creato una situazione che meno romantica non si può (da questo punto di vista, ho goduto veramente tanto a mettere in bocca a Mina "mostro schifoso" riferendosi ad Alucard).

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Capitolo 9
*** Un mazzo di asparagi selvatici ***


1) Nonostante il titolo diverso (mi scocciava intitolarlo "In pigiama fino a mezzogiorno parte II") questo è il seguito del capitolo precedente e come tale dovete considerarlo.
2) Non so se nei boschi della Gran Bretagna crescano gli asparagi selvatici ma siccome parte di questo capitolo l'ho ideata durante il pomeriggio di Pasqua, mentre con i miei genitori passeggiavamo per i boschi alla ricerca di asparagi selvatici, ho deciso di inserirli come omaggio a quella giornata ^^.

- - -

Spesso il vampiro senza più nome si divertiva a fare il verso alla nipote del suo Dio. L'espressione non tragga in inganno: il cane a due gambe di master Abraham non imitava la voce della ragazza, sarebbe stata una concessione troppo grande ammettere che le parole della giovane avessero un qualche valore, tanto da prendersi la briga di ripeterle, per quanto storpiate.
Siccome per il vampiro la suffragetta era poco più di una gallina, alla fine di ogni discorso solenne della ragazza faceva echeggiare un:
- Co-co-coccodè! -
Tanto per sottolineare che ciò che diceva la giovane non valeva più di uno starnazzamento da pollaio, avesse pure appena concluso una dissertazione di due ore sui Massimi Sistemi.
Eva non si lasciava smontare e replicava piegando le braccia davanti al petto, stampandosi sul viso un'espressione di ottusa felicità e imitando l'abbaiare di un cane.
Il vampiro era consapevole di essere il cane di Van Helsing ma reputava che il suo Dio fosse l'unico individuo al mondo che potesse permettersi di definirlo così. Nessun'altro doveva osare sottolineare la cosa. Per questo all'abbaiare festoso di Eva replicava chiocciando come una gallina a voce ancora più alta, al che la suffragetta rispondeva a sua volta latrando ancora più forte e per questa ragione capitava che master Abraham, aprendo la porta del suo ufficio, trovasse la nipote e lo schiavo l'una di fronte all'altro, intenti a fissarsi con occhi colmi d'odio e la faccia paonazza, il ritratto stesso di chi discute animatamente da almeno mezz'ora con la differenza che dalle loro labbra non uscivano parole ma gli stessi schiamazzi che si sarebbero uditi in una fattoria.
Non li aveva presi per matti solo perchè, vedendosi scoperti, i due tacevano all'istante, con le facce contrite per la vergogna, dimostrando così di essere ancora in possesso della facoltà di distinguere il lecito dall'illecito.

L'imitazione di un cane fornisce indubbiamente un numero di varianti superiore a quella di una gallina. Se tutto ciò che il vampiro poteva fare consisteva nello starnazzare come un pollo, Eva apportava continue modifiche al proprio spettacolo. Certe volte lasciava penzolare la lingua sul mento per imitare il modo di respirare di un cane, altre si appoggiava una mano sul sedere e l'agitava a mo' di scodinzolamento e un giorno decise di non mettersi ad abbaiare ma di alzare il naso al cielo ed emettere un lungo ululato.
In quell'occasione il nosferatu scelse di replicare allo sfottò non con l'ira ma con l'ironia e in tono professionale affermò:
- Si vede che sei una novellina. So ululare molto meglio di te. -
Ciò detto puntò il naso per aria e cacciò un ululato che sovrastò quello della donna. Eva aumentò i decibel del suo verso, il non-morto fece altrettanto e quando Abraham aprì la porta, trovò vampiro e nipote fermi l'uno di fronte all'altra, con gli occhi chiusi e la testa al cielo che ululavano con tutte le loro forze. Il grande vecchio mollò contro lo stipite della porta una bastonata così forte che risuonò per la stanza fragorosamente e i due invasati si zittirono pieni di vergogna. L'uomo li guardò con severità:
- Mi auguro per voi che non mi facciate pentire di quello che sto per annunciare. E' stata segnalata la presenza di un Changelling in una casa di Regent's Park. Voglio provare a mandarvi in missione da soli, sono curioso di vedere come ve la caverete senza la presenza di Maestro Abraham a dirimere le vostre controversie. Attenderò qui in casa, sveglio, il vostro ritorno. Attenti a non combinare disastri o saprò come punirvi. -

Dalla prima missione a caccia di Banshee, Van Helsing aveva sempre condotto la nipote con sè, in modo che si impratichisse nell'eliminazione dei mostri.
Il vampiro era il cane che cercava, stanava e distruggeva ma i due umani che attendevano il suo ritorno alla macchina si tenevano comunque all'erta, nell'eventualità che le creature non-umane presenti nella zona da disinfestare fossero più numerose di quelle segnalate. Poteva capitare che mentre il vampiro era impegnato a lottare contro un mostro, Abraham ed Eva ne vedessero un secondo avanzare verso di loro. In quei casi non restava che affrontarlo, impugnando la rivoltella caricata a proiettili d'argento tenuta nel cruscotto della vettura.
Van Helsing constatava con piacere come la nipote avesse sufficiente sangue freddo da imparare alla svelta a trattare quelle situazioni. Teoricamente, la ragazza già dopo un anno sarebbe stata capace di andare a caccia di mostri da sola ma c'era un problema: il cane a due zampe rifiutava di obbedire alla giovane e questo costringeva il forte vecchio a rimandare la notte in cui avrebbe potuto spedire erede e schiavo allo sbaraglio da soli. Abraham continuò a tergiversare fino alla sera in cui il vampiro non accettò i vestiti donatigli da Eva, evento che venne interpretato dal master come indice che il nosferatu cominciava a tollerare la presenza della giovane. Al medico olandese tanto bastò per giudicare che fosse finalmente giunto il momento di vedere come se la cavasse Eva a tu per tu col vampiro.
Per evitare di complicarle eccessivamente la vita, il grande vecchio aveva pensato che la prima caccia al freak senza di lui andasse scelta fra i casi più facili, cioè mostri non particolarmente pericolosi segnalati nell'area di Londra, così da evitare alla ragazza di mangiarsi per troppe ore il fegato dalla rabbia in compagnia del succhiasangue. Il Changelling di Regent's Park gli sembrò l'occasione perfetta per testare l'efficacia della futura coppia di master e monster e fu con sollievo che vide la nipote rincasare all'alba, imbestialita oltre ogni dire per le angherie subite dal cagnaccio ma ancora viva, vegeta e per di più vittoriosa, essendo stato il piccolo Troll eliminato. Fu così che a quella prima spedizione in solitaria ne seguirono molte altre, sempre circoscritte all'area di Londra e rivolte contro i mostri meno pericolosi.

Prima di far partire quei due alla ventura, il forte vecchio obbligava il cane a prendere la forma di un pipistrello e a rimanere chiuso nella scatola, ordinandogli di non uscire finchè la sua padrona non glielo avesse consentito.
Il vampiro non contravveniva agli ordini di Dio. Restava chiuso nella scatola fino a quando Eva non lo tirava fuori, dicendo:
- Riprendi la tua vera forma. -
Ma dato che al succhiasangue viaggiare stretto in quello spazio angusto lo annoiavano mortalmente, terminata l'eliminazione del nemico non ne voleva sapere di ritrasformarsi in pipistrello per lasciarsi nuovamente imprigionare nella scatola. Si sedeva così sul sedile del passeggero, affermando:
- Dio mi ha detto di restare chiuso nella scatola finchè non mi facevi uscire, non ha accennato nulla al fatto che dovessi rientrarvi prima di tornare a casa. -
Era vero ma ciò non era dettato da una dimenticanza di Abraham. Il forte vecchio voleva constatare come l'erede riuscisse a cavarsela nella gestione del vampiro. Era capace di convincerlo a rientrare nella scatola a missione completata? In caso negativo, riusciva a far star seduto il cagnaccio accanto a lei senza fargli combinare danni?
Eva si sentiva umiliata all'idea di ammettere davanti allo zio che nè con le minacce nè con le blandizie c'era verso di ricacciare il vampiro nella scatola, così mentiva affermando:
- Sono io stessa a consentirgli di mantenere la sua vera forma durante il viaggio di ritorno. Non mi crea problemi, quindi perchè non dovrei concedergli questo piacere? -
Sull'ultima frase, Eva non mentiva. Il vampiro davvero trascorreva il tragitto guardando il paesaggio scorrere dal finestrino. La forza del Patto di Cromwell, tenuta sempre al massimo da master Abraham, faceva sì che durante il viaggio di ritorno il cane spesso fosse troppo stanco, o troppo dolorante per le ferite riportate, per aver voglia di punzecchiare la suffragetta.
Abraham meditò su quanto detto dalla nipote. Gli anni trascorsi da quando aveva addomesticato il cane erano diventati ormai ventiquattro e si chiese se non fosse il caso di apportare qualche modifica alla gestione del suo animale a due zampe, in previsione del fatto che Eva, succedendogli, indubbiamente avrebbe cambiato qualcosa, così un giorno le chiese:
- Cosa ne diresti se ci limitassimo a rinchiudere il cane nella scatola solo per le missioni più lunghe, che richiedono molte ore di strada per giungere sui luoghi infestati e lo lasciassimo libero di sedersi come una persona negli altri casi? -
Incoscientemente, Eva rispose:
- Va bene, tanto lui mi fa imbestialire solo quando siamo sulle tracce del mostro. Allora non fa altro che sbeffeggiare i miei sensi umani che mi impediscono di di percepire ciò che per lui è lampante. -
Non la sfiorò l'idea che durante il viaggio di andata il cagnaccio, riposato e nel pieno delle forze, potesse divertirsi a indispettirla in mille modi. Lo comprese quando ormai era troppo tardi cioè quando, guidando per una delle arterie principali di Londra, il vampiro seduto accanto a lei si divertì a tenerle premuto col proprio il piede sull'accelleratore, obbligando la suffragetta a fare lo slalom fra vetture, carrozze e pedoni per evitare di investirli e rimediando un scia di sprezzanti:
- Donna al volante! -
Quella notte, quando rientrò a casa, lo zio le domandò:
- Allora nipote, com'è andata? -
Il desiderio di vendicarsi dello scherzo del vampiro raccontando tutto al legittimo master, evento che avrebbe spinto Abraham a continuare a rinchiudere il cane nella scatola ad ogni partenza, era forte. Altrettanto forte però era l'orgoglio di Eva, desideroso di non fare la figura della scolaretta bisognosa dell'intervento del maestro per far cessare i dispetti del compagno. Fu quest'ultimo ad avere il sopravvento:
- E' andata bene, zio. -
- Allora possiamo far affrontare al cane il viaggio in macchina senza che sia più necessario chiuderlo nella scatola? -
Le ginocchia di Eva quasi cedettero dalla paura mentre, incredula, udiva la propria voce rispondere:
- Sì. -
E quello, fu l'inizio dei guai.

Il vampiro indegno di ricevere un nome aveva rinunciato al progetto di buttare fuori da Van Helsing Manor a calci nel sedere la nipote del suo Dio. Ormai si era arreso all'evidenza: la donna era un osso duro e non se la sarebbe scrollata di dosso neanche sgroppando come un cavallo imbizzarrito. Questo però non voleva dire che si fosse arreso su tutta la linea. Era ben deciso a continuare a complicarle la vita in tutti i modi possibili e immaginabili, e anche in quelli inimmaginabili, tanto più che far imbestialire la suffragetta era l'unico elemento divertente della sua altrimenti monotona non-esistenza, trascorsa a mantenere calmo Dio fra una bastonatura e l'altra.
Si accorse presto che non esisteva modo più divertente per galvanizzare un viaggio in macchina che appoggiare una manona guantata sullo sterzo e girarlo bruscamente verso una traversa.
La suffragetta non poteva contrastare la forza sovraumana del cagnaccio quindi non le restava che assecondare la sterzata, pur sudando sette camicie per non perdere il controllo della vettura ed evitare di investire i molti passanti e ciclisti, o di travolgere i tanti carretti che a qualsiasi ora del giorno e della notte affollavano le strade della capitale. A parte questo, invariabilmente, il vampiro, con la sua sterzata, conduceva la macchina in una strada in cui l'accesso delle automobili era vietato.
- Dannazione, lo fai apposta! Ti rendi conto in quali guai rischiamo di cacciarci, se incappiamo in un poliziotto? -
- Immagino. - rispondeva il vampiro con indifferenza dato che ai suoi occhi i poliziotti rappresentavano molte cose, ma non certamente un guaio.
E arrivò la notte in cui, imboccando una strada contromano per colpa della sterzata a tradimento del vampiro, monster e apprendista master si ritrovarono al cospetto di un tutore dell'ordine.
Il poliziotto li squadrò indispettito. Una donna al volante che lo guardava con aria tesa e un uomo dall'espressione annoiata seduto al posto del passeggero. Il rappresentante della legge scosse il capo, contrariato: da che mondo era mondo, doveva essere l'uomo a condurre e la donna ad essere condotta!
- Mi sembra di capire che siate una coppia moderna. - disse quindi, avvicinandosi allo sportello della guidatrice.
Eva non perse tempo a spiegare che il tizio accanto a lei non era suo marito. La situazione era già sufficientemente inguaiata, non sentiva il bisogno di complicarla ulteriormente spingendo il poliziotto a chiedersi cosa ci facesse una donna borghese a spasso nel bel mezzo della notte con un uomo che non era nè suo marito nè suo parente. E proprio in quel momento il vampiro, rimasto zitto fino ad allora, se ne uscì con un serafico:
- Lei non è mia moglie. -
Ecco, perfetto! Proprio ciò che bisognava evitare di rivelare!
Il poliziotto inarcò le sopracciglia mentre tutto il male che poteva pensare di quella situazione si affastellava nella sua mente.
- Penso che dovrete seguirmi in centrale per accertamenti. - sibilò l'uomo ma già Eva tentava di salvare se stessa, il vampiro e la segretezza dell'Organizzazione con una scusa inventata al momento:
- Non fraintenda, siamo fratelli! -
- E perchè non vi somigliate per niente? -
- Perchè mio padre si è prima sposato con una donna ed è nato mio fratello. Poi la moglie è morta, si è risposato e sono nata io! -
- E' così, agente. - annuì il vampiro, perdendo un'altra occasione per stare zitto - Sto riportando questa scalmanata della mia sorellina da quel povero vecchio di nostro padre. Non immagina quante preoccupazioni dia questa ribelle alla nostra famiglia. Pensi, è persino scappata di casa per unirsi alle suffragette! -
- No! - esclamò il poliziotto, calando sulla giovane uno sguardo colmo di riprovazione.
Eva, dal canto suo, era troppo sbalordita dalla menzogna del cagnaccio per sapere cosa replicare. No, meglio non intervenire, il fragile castello di carte messo su dal vampiro poteva cadere con una sola parola avventata.
Il nosferatu, intanto, era sceso dalla macchina e avvicinandosi al poliziotto, col tono di un vecchio pettegolo, proseguiva a narrare:
- Si è incatenata davanti al Buckingham Palace, ha preso a pugni il fabbro che ha spezzato la catena per consentire ai tutori della legge di portarla in prigione, ha rotto il naso con una testata a uno dei suoi colleghi che la conduceva sul cellulare della polizia... -
- Caro signore, dica a suo padre che l'unica cura con queste scalmanate è trattarle come le bambine che sono, punendole dalla mattina alla sera! - esclamò con calore il poliziotto, interrompendo quel fuoco di fila di parole - Credono forse di dimostrare la maturità di una persona degna di votare rompendo le vetrine e bruciando le cassette della posta come dei ragazzacci di strada? -
- Sante parole! Però mio padre è troppo vecchio, non ha più l'energia necessaria per prenderla a sculaccioni. -
- E allora se ne occupi lei! Se avessi una sorella così, saprei come farla rigare dritta! Una settimana chiusa in camera a pane e acqua e poi vorrei vedere se andrebbe ancora in giro a giocare alla rivoluzionaria! -
Eva sentì l'ira salirle in un'ondata di calore dallo stomaco al collo, fino ad invaderle il cranio. Per lei, abituata a dire sempre ciò che pensava, tenere la bocca chiusa in quel momento era davvero dura. Quanto avrebbe voluto scendere dalla macchina e cantarne quattro a quell'uomo ottuso! E quel maledetto vampiro, consapevole di quanto la ragazza stesse rodendosi il fegato in quel momento, si divertiva a buttare altra benzina sul fuoco, dando spago alle sentenze del piedipiatti. Era serissimo, il cane di Van Helsing ma Eva non s'ingannava. Capiva che sotto quell'apparente maschera di compostezza, il nosferatu stava sghignazzando a più non posso di lei, del poliziotto, del movimento delle suffragette e anche di chi si opponeva all'idea di far votare le donne.
Agli occhi del vampiro, gli umani erano spassosi tutti allo stesso modo e metteva sullo stesso piano i rivoluzionari con i conservatori. Intanto il poliziotto continuava ad arringare:
- E trovatele un marito, al più presto! -
- Ma chi vuole che se la pigli una canaglia come questa! -
- Il mondo è pieno di domatori e amanti delle sfide, caro signore! Non ha un'idea di quanti uomini esistano dispostissimi ad accapparrarsi una donna bisbetica per insegnarle a stare al suo posto! -
- Uhm...sì, devo darle ragione. -
Sarà stato quell'ultimo scambio di battute, sarà stato lo sguardo d'intesa che si erano lanciati i due uomini ( e niente imbestialiva più Eva degli sguardi di solidarietà fra uomini ai danni di una donna ), fattostà che la suffragetta a quel punto esplose. Scese dall'automobile, si piantò davanti al poliziotto e cominciò a sciorinargli sul muso tutto quel che pensava di lui, della sua educazione e della sua mentalità. L'alterco fece avvicinare un folto gruppo di nottambuli che con le mani nelle tasche o fumando la pipa, assistevano alla scena con vivo interesse.
- Credi di essere forte, signorina? Be', vedremo se lo penserai anche in centrale! Oltraggio a pubblico ufficiale, così impari ad insultare un tutore dell'ordine! - minacciò il poliziotto, tirando fuori le manette.
- Credi che abbia paura di finire in prigione? Non mi conosci! - ringhiò di rimando Eva.
Attese la reazione del poliziotto ma questa non venne. Il tutore della legge rimaneva immobile davanti a lei, le manette in mano.
- Allora? Il gatto ti ha mangiato la lingua? - incalzò la giovane.
- No, l'ho bloccato con i miei poteri. - rispose il vampiro alle sue spalle.
Eva si guardò intorno. Sia il poliziotto che gli sfaccendati che si erano stretti attorno a loro per assistere al litigio come ad una prima teatrale, sembravano diventati delle statue, ognuno congelato nel gesto che stava compiendo, fosse arricciarsi un baffo o esplorare una narice con l'indice.
- Ma come hai fatto? E perchè l'hai fatto? - chiese stupita Eva.
- Come ho fatto? Controllo della mente. Mi sono insinuato nei loro pensieri ordinandogli di immobilizzarsi. Perchè? La situazione cominciava a precipitare. Non voglio che Dio Abraham venga a riprenderci al commissariato, si arrabbierebbe e mi riempirebbe di bastonate. Sali in macchina e rechiamoci in questa benedetta casa da disinfestare. -
- E questa gente? La lasciamo così? -
- Fra un minuto si sveglieranno e non ricorderanno né le nostre facce né quel che è accaduto. -
Eva ubbidì e tornò al posto di guida. Il vampiro, senza farsi vedere dalla nipote del suo Dio, lesto ammanettò un tizio immobilizzato vicino al poliziotto. Lo sbirro avrebbe scordato la sua faccia e quella della Gallina ma si sarebbe ricordato di aver estratto le manette per arrestare qualcuno che lo aveva insultato. Bene, il vampiro gli avrebbe offerto comunque una preda. Il cane di Van Helsing salì in automobile e si rammaricò di non poter assistere al risveglio del gruppetto che aveva congelato. Sarebbe stato davvero spassoso veder trascinare un innocente al commissariato.
Alcune parole del poliziotto avevano colpito profondamente l'immaginazione del vampiro:
- Davvero voi suffragette spaccate le finestre a sassate e bruciate le cassette della posta? -
- Erano azioni dimostrative che venivano fatte soprattutto agli inizi del movimento. Vedere una signora comportarsi come un teppistello incuriosiva i passanti, si avvicinavano alla tizia per osservarla come un fenomeno da baraccone e la donna cominciava allora a declamare perchè bisognerebbe dare il voto alle donne. Sono atti che non condivido, danno ragione a gentaglia come quel poliziotto, convinto che non bisogna far votare chi si comporta in maniera così immatura. -
Eva passò poi a raccontare di atti dimostrativi ben più seri e rischiosi, come le manifestazioni pacifiche o l'incatenarsi di fronte a qualche luogo pubblico, dimostrazioni regolarmente interrotte dalla polizia, spesso con la forza e che comportavano l'arresto delle partecipanti. Molte fra le arrestate attuavano lo sciopero della fame nel tentativo di essere inserite nella prima divisione, come si addiceva a chi si macchiava di reati politici ma dato che il governo non aveva intenzione di attribuire un simile rilevanza a manifestanti arrestate con l'accusa ufficiale di “disturbo della quiete pubblica e atti di vandalismo” e nemmeno voleva ritrovarsi con una suffragetta sulla coscienza, aveva risolto il problema autorizzando la pratica dell'alimentazione forzata con la sonda.
Al vampiro non interessava un fico secco di quelle faccende e le parole della giovane gli scivolarono addosso con indifferenza. Al vandalo che era in lui interessavano solamente quelle due frasi: “Finestre infrante” e “cassette bruciate” e con esse la suffragetta dovette presto fare i conti.

Un atto di vandalismo che Eva approvava era scrivere sui muri dei luoghi pubblici "Votes for women" e dopo le prime settimane di lavoro condotte in solitaria col cagnaccio, decise di tenere nel bagagliaio dell'auto un secchio di vernice e un pennello. Completata la missione, lungo la strada del ritorno, quando Eva avvistava una strada o una piazza che a suo giudizio offriva un'ottima ribalta per il suo messaggio, scendeva, svelta scriveva con la vernice “Voto alle donne”, risaliva in macchina e riprendeva il viaggio.
Poche notti dopo lo scontro con il poliziotto, di ritorno da una caccia a un Redcap, Eva si fermò ad un angolo della strada e tirò fuori dal bagagliaio secchiello e pennello. Con suo grande stupore vide il vampiro, che solitamente l'attendeva seduto sulla macchina ad annoiarsi, scendere a sua volta, inginocchiarsi sulla strada e strappare a mani nude due mattonelle dal selciato.
- Tò, una per te e una per me. - disse amichevolmente, tendendo una pietra alla ragazza.
- Non vorrai prendere a sassate le vetrine! - esclamò questa, scandalizzata - E' un comportamento che non approvo! -
- Per quel che mi riguarda, è l'unica cosa che approvo del movimento delle suffragette. Va bene, se non vuoi rompere i vetri con me vorrà dire che lo farò da solo. -
- Azzardati a farlo e lo dico allo zio! -
- Ha parlato la santerellina imbratta-muri! -
- Imbrattare una parete non è vandalico quanto spaccare una finestra! -
- Chissà se tuo zio è daccordo. Azzardati a spifferargli che rompo le vetrate e gli racconto che scrivi sui muri! -
- Non ti azzardare a tirare quei sassi! -
- Se tu scrivi sul muro, io ho il diritto di lanciarli. Se non vuoi che li tiri, allora neanche tu devi imbrattare quella parete! -
Eva digrignò i denti. Il vampiro aveva ragione purtroppo, se lei infrangeva il decoro pubblico allora anche lui poteva farlo. Una breve battaglia si svolse nel suo cervello: risalire in macchina senza che nessuno dei due avesse fatto niente o sfogarsi entrambi? Infine si arrese:
- Vai a lanciare i sassi solo quando ho finito di scrivere, così mi dai il tempo di mettere in moto la macchina e scappiamo appena torni. -
Il vampiro accettò la proposta e quella sera segnò l'inizio di una lunga collaborazione. Per mesi il rito si svolse sempre allo stesso modo, prima la scritta, poi le vetrine infrante e infine la fuga in auto e sarebbe continuato così per chissà quanto tempo se una notte, aprendo il bagagliaio, Eva non avesse visto con sgomento che accanto al suo secchiello di vernice giacevano un barattolo di petrolio e una scatola di fiammiferi.
- Non vorrai dare fuoco a una cassetta postale?! - chiese sgomenta la suffragetta.
- Sì, rompere le finestre mi è venuto a noia. - annuì il cane di Van Helsing.
- No, non te lo permetto, è troppo pericoloso! Io non scrivo sul muro e tu non bruci niente. Risaliamo in macchina e torniamo a casa. -
Una smorfia indispettita apparve sul volto del vampiro. Pensieroso, riflettè sul daffare. E' vero, se Eva non vandalizzava nulla allora neanche lui, per parità, doveva fare il teppista. Però aveva così tanta voglia di dare fuoco a qualcosa!
Prese il petrolio e i fiammiferi e si avviò verso una cassetta della posta.
- Maledetto! - esclamò la suffragetta e nel tentativo di fermarlo, si aggrappò alle falde della giacca del cagnaccio, puntando i piedi a terra nel tentativo di ostacolarne il passo. Massì, ci voleva altro per fermare quel colosso! Il vampiro continuò per la sua strada, trascinandosi appresso Eva con la stessa facilità con cui un cavallo da tiro trainerebbe un aratro leggero. La giovane riflettè freneticamente su come fermar...

Eva sbattè le palpebre, stupita di trovarsi seduta al volante. Cos'era successo? Un momento prima stava cercando di fermare il cane dello zio e adesso era sulla macchina.
- Ti sei svegliata finalmente! - esclamò il vampiro, impegnato a spingere a forza di braccia l'automobile.
- Cos'è successo? -
- Ti ho addormentata con i miei poteri. - spiegò il mostro, risalendo sull'automobile - Adesso metti in moto e torniamo a casa. -
- Maledetto! Mi hai messa K.O. E hai bruciato la cassetta! -
- Vedessi che bel falò ho fatto! - annuì con convinzione il cane - per questo ho spinto via l'auto, meglio non farsi trovare nei paraggi di quel barbecue dai pompieri. -
- Lo dirò allo zio! -
- La tua parola contro la mia. Dirò a Dio che i miasmi che hai respirato nella casa che abbiamo disinfestato ti hanno fatto avere le allucinazioni. Finirà in parità, non crederà a nessuno dei due e non verrò punito. -
- Non sperare di fregarmi una seconda volta! - ringhiò la suffragetta e fu di parola. Eva smise di portarsi dietro vernice e pennello. Le seccava non poter più scrivere "Votes for women" ma non vedeva come altro impedire alla bestiaccia di far danni. Il cane effettivamente si trovò con le mani legate. Capiva che era troppo rischioso ripetere una seconda volta lo scherzetto del controllo della mente per poter fare quel che gli pareva, la gallina stavolta avrebbe smosso mari e monti per convincere lo zio dell'autenticità della propria storia e il vampiro non osava pensare a cosa avrebbe potuto fargli Dio Abraham.
Ogni tanto però non poteva fare a meno di tentare:
- Ma almeno un sassetto lo posso lanciare? -
- No! -

Scoppiò una guerra nel 1914. All'inizio sembrava una bagatella, una cosa senza importanza ma nel giro di poco tempo vi si trovarono invischiati tutti gli Stati europei, che si trascinarono appresso le colonie sparse per il pianeta.
Master Abraham, che era vecchio e credeva di averne viste di tutti i colori nella sua vita, non si capacitava della vastità del conflitto.
- E' una guerra mondiale. - ripeteva a voce alta a sè stesso, tentando di convincersi con le parole dell'enormità di quel che stava accadendo e che sfuggiva alla sua comprensione.
I generali guidavano le truppe con metodi desueti che non tenevano conto delle nuove e devastanti armi che erano state inventate. I soldati venivano falciati dalle mitragliatrici, dai mortai, dalle granate e dai gas tossici e cercavano di salvarsi nascondendosi come topi fra le viscere della terra, scavando le trincee.
Uno dopo l'atro, tutti gli uomini validi di casa Wingates vennero arruolati ed Eva vide partire fratelli e cognati. Dopo ogni partenza, il vampiro per qualche settimana evitava di stuzzicare la suffragetta, rispettando la sua tensione per le proprie vicende private. Eva invece non finiva mai di stupirsi per l'indifferenza con cui il vampiro ascoltava ogni notizia dal fronte.
- Ma a te non importa un fico secco di qualsiasi cosa? - ringhiò una notte la ragazza, mentre guidava verso un tratto del Tamigi in cui era stato segnalato un Each Uisge - Non ti interessa nulla delle sorti della Gran bretagna, non te ne frega niente neanche del Regno di Romania! T'importa solo di avere lo stomaco pieno? -
Era stata volutamente provocatoria perchè desiderava litigare e sfogare l'angoscia che in quei giorni le divorava l'anima. Il vampiro però la sorprese. Invece di rispondere in modo iracondo, con calma replicò:
- Ogni generazione è convinta che la guerra che sta affrontando sia la peggiore di tutte. Di guerre ne ho viste tante, sia da umano che da vampiro. Per questo non mi preoccupo di questo conflitto perchè so che sono tutti tremendi allo stesso modo, in rapporto alla vita che conducono le persone in quel momento. Alla Gran Bretagna non accadrà niente, al Regno di Romania non so ma quel che conta, Eva, è che gli umani riescono sempre a rimettersi in piedi e a proseguire le loro vite. -
La giovane rimase ammutolita dallo stupore, sia per quel che il vampiro aveva detto che perchè per la prima volta l'aveva chiamata per nome. Il nosferatu osservò il paesaggio scorrere dal finestrino grattandosi il dorso delle mani e il resto del viaggio proseguì in silenzio.

La maggior parte degli introiti dell'Organizzazione Van Helsing non erano dati dalla caccia ai Cani Neri o ai mostri acquatici ma dall'eliminazione dei Redcap.
I Redcap non erano altro che i folletti maligni che infestavano le case abbandonate e che si divertivano ad uccidere gli umani che entravano nelle loro dimore.
Molti privati, desiderosi di vendere la casa in campagna del bisnonno e impossibilitati a concludere l'affare per la presenza dell'elfo spietato, contattavano l'Ordine dei Cavalieri Protestanti per sbarazzarsi dell'invadente intruso. Fra tutte le missioni lavorative, erano quelle che Eva detestava maggiormente:

Il vampiro non si ribella mai allo zio e questo vuol dire che quando il padrone gli ordina di andare a stanare e distruggere i Redcap, non fa una piega. In compenso, quando è sull'automobile con me, dà sfogo a tutta la sua frustrazione per quell'incombenza con bronci lunghi fino a terra e sospironi stizziti.
Per il vampiro non c'è niente di più umiliante che andare a caccia di folletti. Ai suoi occhi non conta che l'avversario, a dispetto della piccola taglia, sia un osso duro, un mostro di crudeltà e forza capace di uccidere un umano molto più grande di lui. Agli occhi del vampiro, conta solo che i Redcap siano dei nanerottoli emaciati e dai capelli spelacchiati, un aspetto che giudica indegno per un avversario di colui che fu il Conte.
Quando arriviamo alla dimora da ripulire, il cagnaccio, per sottolineare quanto quei lillipuziani siano inferiori al suo valore, si ficca le mani nelle tasche dei pantaloni e da allora in poi l'intera caccia si svolge in quella posizione.
Spalanca la porta della dimora con un calcio, entra nell'atrio e si mette in silenzioso ascolto. Dopo una mezz'ora qualcosa di piccolo e velocissimo attraversa il pavimento. Il cane scatta, ancora più veloce, allunga una gamba e l'elfo viene spiaccicato sotto la suola dello stivale, nè più nè meno che se si trattasse di uno scarafaggio.
Altre volte il Redcap corre sulle pareti e ciò costringe il vampiro a tirare fuori dalle tasche una mano per spiaccicare l'essere sulla parete, come fosse una zanzara.
Purtroppo, a differenza di quanto avviene con scarafaggi e zanzare, gli elfi, sotto le pedate o le manate del vampiro, esplodono letteralmente, spandendo viscere e sangue per ogni dove. Un po' per questo, un po' perchè la mia presenza nella casa infestata è di dubbia utilità (i Redcap sono talmente veloci e talmente forti che non posso sperare di ucciderli con la mia pistola) e per tutta la durata della disinfestazione rimango appartata in un angolino con la Bibbia in mano (l'unico modo per far fuggire un folletto consiste nel leggergli un versetto e nell'eventualità che il mostriciattolo pensi di farmi del male, posso sperare di cavarmela non con un'arma ma col Vecchio Testamento), ho cominciato a chiedermi cosa rimanessi a fare nella casa infestata in quelle situazioni.
Per mesi e mesi ho continuato ad agire così, sopportando le esplosioni dei folletti, finchè non siamo capitati in un maniero infestato da un osso veramente duro. Dopo averlo mancato sia con la pedata che con la manata, il vampiro è andato fuori dai gangheri: per lui è inammissibile farsi fregare da un folletto! Così si è lanciato all'inseguimento del Redcap a fauci spalancate, con l'intenzione di frantumarlo fra le zanne. L'idea di vedere un elfo esplodere fra le labbra del cagnaccio mi ha nauseata alquanto, così sono uscita dalla dimora e ho atteso che la belva dello zio terminasse il suo lavoro. Da allora, considerando che la mia utilità nella caccia ai Redcap consiste solamente nello scarrozzare il vampiro dalla cuccia al territorio di caccia, ho preso l'abitudine di attenderlo sempre sulla macchina.

Non trascorse molto tempo che il cane di Van Helsing decise di tramutare le attese di Eva nell'automobile in un nuovo dispetto. Se fino ad allora le cacce al folletto erano state sbrigative, adesso diventarono esasperatamente lunghe, così da far preoccupare e annoiare la suffragetta che lo aspettava nella notte, a malapena protetta dal freddo dalla sottile lamiera della carrozzeria.
- Era ora che tornassi! - esclamava la giovane quando vedeva il vampiro senza nome avvicinarsi all'automobile con passo indolente - Si può sapere cos'hai fatto in tutte queste ore? Hai giocato a carte col folletto? -
- Sì, ho tentato di vincergli la pentola d'oro che tiene nascosta ai piedi dell'arcobaleno, ma il fottuto bastardo barava e non rimediato neanche uno scellino arrugginito. Metti in moto, Gallina. -
Per settimane la ragazza riflettè in silenzio su come restituire al vampiro quella "cortesia" e un giorno di primavera giudicò che fosse giunta l'occasione propizia alla vendetta. Lo zio chiamò lei e lo schiavo nello studio, annunciando:
- E' giunta una segnalazione urgente da Kensington. Un Redcap ha deciso di infestare una casa abitata. La famiglia che vi abita si è trasferita in fretta e furia presso amici ma prima la loro dimora viene liberata, meglio è quindi anche se c'è ancora luce vi recherete laggiù per cercare ed eliminare quel mostriciattolo. Tenete l'indirizzo. -

La casa di Kensington si trovava vicina ad un tratto di campagna alberato.
- Chissà quanto resisterà questo fazzoletto di verde, prima che vengano a costruire case anche qui. - commentò Eva spegnendo l'automobile.
Il vampiro, indifferente al quesito, entrò nella dimora da disinfestare e come le altre volte se la prese molto, molto comoda, così da far spazientire più che poteva la nipote di Dio. Quando finalmente uscì all'aria aperta, constatò con stupore che Eva gli aveva fatto una sorpresa. La ragazza non era in macchina ad attenderlo annoiandosi. Il vampiro si guardò intorno, con un filo di preoccupazione fra le viscere: e se i Redcap fossero stati due? E se mentre lui perdeva tempo in casa dietro a un folletto, il secondo era uscito per rapire e torturare la gallina? Erano talmente forti, quei nanerottoli, da essere capacissimi di trascinare fra gli alberi una ragazza.
Il cane di Van Helsing si chiese con terrore cosa gli avrebbe fatto Dio, se a sua nipote fosse capitato qualcosa. Doveva assolutamente trovare quell'incosciente, se voleva evitare nuove torture!
Si buttò così sulle sue tracce e dopo molto cercare, trovò la giovane che passeggiava fra le frasche. Niente rapimento, nessun Redcap, Eva camminava lentamente, aguzzando la vista nel folto del sottobosco, spostando cautamente con il bastone cespugli e rampicanti, come se cercasse qualcosa.
- Che fai? - chiese il vampiro, la voce ancora un po' alterata dalla paura provata poc'anzi.
- Cerco asparagi selvatici. - rispose lei, mostrando l'altra mano in cui impugnava un mazzone di asparagi, la cui ricerca doveva averle richiesto un tempo non indifferente - Stavi tardando a venire e ho deciso di impiegare costruttivamente quest'attesa. -
Al vampiro quella messa in scena sembrò una presa in giro nemmeno troppo velata. Sentì un senso di irritazione in fondo all'anima: lo seccava terribilmente essere vittima del dileggio altrui. In tono duro, replicò:
- Be', adesso ci sono. Possiamo andarcene. -
Eva scostò col bastone una frasca e i suoi occhi si illuminarono di soddisfazione. Posò il legno per terra, si accocolò al suolo e con la mano libera sfilò delicatamente l'asparago dalla sua sede. Lo aggiunse al mazzo che teneva nell'altra mano, riprese il bastone e si rialzò. Ricominciò a camminare, setacciando con gli occhi il sottobosco e in tono placido rispose:
- Andarcene? Perchè? E' così presto. Voglio vedere se trovo qualche altro asparago. -
La voce del nosferatu giunse rabbiosa alle sue spalle:
- Ho detto andiamocene! Voglio tornare nella mia segreta e riposare nella mia bara! Sono stanco! -
Eva appoggiò il bastone contro un albero e frugandosi nella cintura, intimò:
- Allunga la mano. -
Il nosferatu obbedì, pur se con una punta di diffidenza in fondo agli occhi. La donna estrasse dalla cintura la chiave della macchina e la depose sul palmo della mano del servo insieme al mazzo di asparagi, dicendo:
- Apri lo sportello e appoggia gli asparagi sul cruscotto. Mi raccomando, attento a non rompere le punte, sono la parte più delicata e saporita, sarebbe un vero peccato sciuparle, quindi adagiale con cura. Terminato questo compito, sdraiati pure a riposare sul sedile e aspetta finchè non torno. -
- Che cosa?! - sbraitò il vampiro, incredulo e irato di fronte a una simile provocazione.
- Ragazzo, ti ho atteso per così tanto tempo che se adesso mordi il freno tu per una mezz'oretta non crolla il mondo, non ti pare? Il tempo di trovare qualche altro asparago e rincasiamo. -
- Gallina, come osi parlarmi in questo modo?! -
- Oso perchè io so guidare la macchina e tu no quindi o ti adatti a fare quello che dico io, o non rivedrai la tua bara prima di molte ore. Ti avverto, non stritolare quegli asparagi nel pugno in un accesso d'ira e non scagliarli a terra. Se quando torno non li ritrovo, o li ritrovo danneggiati, faccio dietro-front nel bosco a cercarne ancora e ci rimango fino all'imbrunire! -
- Cos'è, una minaccia? - chiese il nosferatu, ilare - Non ti passa per la testa che in questo momento potrei afferrarti per i capelli e trascinarti fino alla macchina? -
- Indubbiamente, potresti trascinarmi per i capelli fino alla macchina ma volta raggiunta, dovrei aprire lo sportello con la chiave, azione che non voglio fare solo perchè tu vuoi tornare a casa adesso. Come pensi di risolvere la situazione? Picchiandomi? Sì, immagino che riusciresti a farti ubbidire tirandomi uno scapaccione ma una volta saliti sulla macchina, dovrei girare la chiave per accendere il motore, altra azione che non ho nessuna intenzione di fare in questo momento. Immagino che mi picchieresti nuovamente per costringermi ad avviare la macchina così come saresti obbligato a suonarmele per farmi ingranare la marcia, per farmi togliere il freno, per farmi pigiare il piede sull'accelleratore...Il viaggio fino a casa è lungo, questi gesti li compirò centinaia di volte nel corso del tragitto e dato che in questo momento non ho nessuna intenzione di guidare perchè voglio rimanere qui a cercare asparagi, saresti obbligato a picchiarmi centinaia di volte durante il viaggio. Sinceramente, vampiro: o con un pugno dopo l'altro finirai per ammazzarmi prima di arrivare a casa, e allora sarà un problema tuo giustificare la faccenda con lo zio, o ti verrà a noia mollarmi una media di una sberla al minuto e dovrai arrenderti, fermo restando che tornerei a casa conciata comunque in uno stato tale che non vorrei trovarmi nei tuoi panni quando dovrai giustificare la mia condizione al tuo padrone. Credo che la soluzione che ti dia meno rogne sia quella di attendermi una mezz'oretta, giusto il tempo per farmi trovare qualche altro asparago, e poi ce ne torneremo a casa felici e contenti. -
- Sei davvero stupida! Non pensi che esistano anche altri modi per tornare a Van Helsing Manor? Posso trasformarmi in un segugio e correre fino a casa. E posso portarti via con me, tenendoti fra le fauci. Come vedi, non hai il coltello dalla parte del manico! -
- Caro il mio saccente, che tu torni alla villa con o senza di me, come pensi di giustificare allo zio l'assenza della macchina? Fammi indovinare: adesso mi dirai che sei forte abbastanza da caricarti l'automobile sulla schiena e riportare a casa anche quella, vero? E di quanta forza credi di aver bisogno per tapparmi la bocca e impedirmi di raccontare della tua ribellione allo zio? -
Il vampiro assottigliò gli occhi. Sapeva che quando una persona è decisa a parlare, niente la può fermare, nè minacce nè blandizie. No, la gallina aveva ragione, neanche con tutta la forza a sua disposizione sarebbe riuscito a impedire a quella lingua di spifferare la verità. Esisteva ancora un'ultima speranza e cioè che là dove non arrivava la forza bruta potesse arrivare l'orgoglio così insinuò:
- La bambina ha bisogno di farsi difendere dal maestro Van Helsing? Non è capace di cavarsela da sola? -
- No, non ne sono capace. - ammise senza vergogna la giovane, incrinando le ultime speranze del vampiro - Quindi perchè non dovrei approfittare dell'ascendente che lo zio ha su di te? -
Il nosferatu indegno di avere un nome ammise a sè stesso di aver perso quella battaglia e si avviò verso l'automobile con gli asparagi ancora stretti nel pugno. Eva tornò dopo mezz'ora. Il vampiro l'attendeva in piedi, appoggiato con le braccia incrociate alla macchina, intento a masticare rabbiosamente una croce metallica. Il non-morto calò sulla giovane uno sguardo colmo d'astio che Eva ignorò bellamente. Preferì invece chinarsi sul cruscotto, per controllare che gli asparagi ci fossero ancora e tutti interi.
Sì, il mazzo che aveva raccolto era sano e salvo. La futura Sir Hellsing gongolò al pensiero del travaso di bile che doveva essere costato al mostro adagiare il più delicatamente possibile quelle verdure, a cui certamente desiderava far fare ben altra fine.
Eva si premunì di mascherare la sua soddisfazione. Il vampiro era fin troppo irritato, aumentare la sua ira poteva essere deleterio. Preferì quindi piantare sul volto del Re-senza-vita due occhi indifferenti e in tono ancor più distaccato annunciare:
- Sali in macchina, torniamo a casa. -
Da quel giorno, Eva Wingates Hellsing si assicurò sempre che nel bagagliaio della sua macchina fosse presente un cestino. Quando il vampiro tardava a tornare, la donna prendeva il paniere e si avventurava per boschi e campi, cercando a seconda della stagione castagne, funghi, fragoline di bosco o more e ripagando il mostro strafottente della sua stessa carta.
Inizialmente il vampiro continuò ad agire come aveva sempre fatto ma ben presto dovette riconoscere che attendere sull'automobile anche per un paio d'ore che la suffragetta tornasse dalle sue ricerche era sommamente scocciante. Fu così che lentamente cominciò a diminuire il tempo che impiegava per cercare e distruggere i Redcap finchè non tornarono ad essere le cacce di mezz'ora dei primi tempi.

Quell'alba, Eva guidava verso Van Helsing Manor in silenzio. Erano andati a caccia di Cani Neri, la giovane ne aveva ucciso uno con la rivoltella mentre il secondo animale era stato eliminato dal vampiro e adesso, completata la missione, stavano rincasando.
Da qualche giorno il non-morto evitava di punzecchiare l'erede del suo master. Sapeva che la donna aveva le sue preoccupazioni, causate da un fratello risultato disperso dopo la battaglia della Somme. Abraham, come il resto del parentado, si aggrappava al fatto che disperso non volesse dire morto.
- Sarà ricoverato in un ospedale, ferito, privo di conoscienza...Sai quanto tempo occorrerà prima che i medici scoprano la sua identità e ci comunichino che è ancora vivo? - continuavano a ripetersi l'un l'altro i parenti.
Eva era sempre rimasta zitta, evitando di commentare, non volendo avvelenare le legittime speranze dei suoi genitori ormai anziani, della cognata e dei nipotini ma con qualcuno doveva pur sputare il rospo e sentiva che il vampiro era l'unico disposto ad accogliere le sue parole senza lanciarsi in patetici tentativi di consolarla, così interruppe il silenzio di quel viaggio per sbottare:
- Penso che mio fratello sia stato dilaniato da una granata, il suo corpo si è sparso in tanti pezzi in mezzo al fango e nessuno può più essere in grado di riconoscerlo. Se avrà fortuna, qualche suo pezzo verrà seppellito in un ossario dedicato ai soldati non identificati. Tutto questo ammettendo che non se lo siano già mangiato i corvi. -
In tono calmo, il vampiro rispose:
- Probabilmente è andata così. -

Nel corso dei primi anni del suo apprendistato, molte cose non erano andate giù ad Eva.
- Quando ti ferisci, lascia che il vampiro lecchi il tuo sangue. Cementerà il vostro legame. Io lo faccio sempre. -
Eva aveva ubbidito a malincuore al suggerimento dello zio perchè sentire la lingua del vampiro passarle sulla pelle non rientrava fra le esperienze che catalogava come piacevoli ed era certa che quel farabutto, avvertendo la sua repulsione, impiegasse più tempo del dovuto a ripulirle la ferita, tanto per farle un dispetto gratuito.
Allo stesso modo ad Eva non andava giù che lo zio, una o due volte alla settimana, concedesse al cagnaccio la serata libera, consentendogli di uscire dalla Villa senza il master alle calcagna.
- Come puoi fidarti di lasciarlo libero e solo? - chiedeva costernata la nipote.
- Ancora sei giovane e certe cose non le puoi capire. Devo allentare il guinzaglio, ogni tanto. Mi fido a lasciarlo da solo nella misura in cui gli ordino di bazzicare esclusivamente i quartieri malfamati, così che se proprio non fosse capace di resistere a infilare le zanne nel collo di qualcuno, sbarazzerebbe il Regno Unito da un parassita. Più in là, quando sarai pronta, ti affiderò la pratica "uscite del vampiro" e allora capirai. -
Arrivò il giorno in cui Master Abraham giudicò la nipote sufficientemente matura da affidarle quell'incombenza ed Eva finalmente comprese il senso delle parole dello zio. Quelle uscite erano uno dei tanti premi con cui invogliare il cane ad ubbidire e chinare la testa e dal momento in cui la gestione delle sue serate libere passò in mano alla suffragetta, i dispetti del cagnaccio nei confronti della ragazza diminuirono, temendo probabilmente che irritando Eva avrebbe corso il rischio di restare chiuso in casa.
L'erede gongolò nel constatare quanto il rispetto del vampiro senza nome fosse aumentato e per molto tempo considerò la pratica "uscite del vampiro" unicamente da questo punto di vista, una comoda arma con cui ricattarlo per tappargli la bocca, finchè una sera la belva di Van Helsing le capovolse il mondo.

Ieri sera ho chiamato il vampiro in ufficio, gli ho concesso la serata libera e allungato qualche sterlina per divertirsi. Invece di intascare i soldi e uscire alla svelta come fa solitamente, è rimasto fermo davanti a me, osservando le banconote che teneva in mano, infine ha ghignato:
- Proprio come la paghetta di un bambino! -
- O come lo stipendio di un adulto. - ho risposto, annotando quella spesa nel registro delle uscite.
Il vampiro ha scosso la testa:
- Non prendiamoci in giro, gli schiavi non percepiscono stipendio. Questa è proprio come la paghetta di un bimbo, con l'aggravante che la mamma sa benissimo come verranno spesi i soldi. -
Non mi piaceva la piega che stava prendendo la conversazione, così ho finto di essere assorbita dai miei conti, sperando che ciò bastasse a far desistere il vampiro dal continuarla. Ci vuol altro però per far demordere quel mostro! Certamente stava godendo del mio disagio e ghignando, ha aggiunto:
- Sai che la maggior parte di questi soldi finirà in mano ad una prostituta. -
Più che una domanda, era un'affermazione.
Certo che lo sapevo. Quando, ormai un paio di anni fa, lo zio mi mise in mano la gestione della pratica "uscite e soldi al vampiro", la prima cosa che mi disse fu:
- Ricorda sempre che il nosferatu non è un angelo asessuato. E' un maschio. Ogni TOT giorni è bene che tu gli metta in mano qualche spicciolo e lo mandi a sfogarsi dove vuole.-
Non per questo avevo voglia di parlare della questione col mostro così, in tono seccato, ho replicato:
- Come spendi quei soldi è affar tuo, a me non interessa. -
Ciò detto, sono tornata a immergermi nel registro, sperando di aver chiuso lì la discussione.
Il vampiro è rimasto in piedi, il capo chino a guardare le banconote che teneva fra le dita, come se le vedesse per la prima volta. O come se per la prima volta vedesse la situazione da un'angolazione diversa. Infine, ha parlato:
- Sono a cavallo. E' sera. Un vento fresco si insinua fra i miei capelli come una carezza. Porta con sè il profumo della resina degli alberi e della terra smossa dagli aratri. Sono fermo sul ciglio di una scarpata. Sotto di me, davanti a me, si apre un paesaggio sconfinato. Colline, strette valli e montagne si alternano lungo tutta la linea dell'orizzonte, coperte di foreste e campi coltivati, punteggiate dai borghi degli umani. Tutto questo, fin dove spazia lo sguardo e anche oltre, mi appartiene. E' il territorio di Vlad il vampiro. Alle mie spalle sento un rumore di zoccoli. Sono le mie compagne che mi stanno raggiungendo, facendo procedere le giumente a passo lento. -
Ascoltavo con la pelle d'oca e un vago groppo in gola.
- Da sovrano di un territorio con tre spose al seguito, a schiavo che prende la paghetta per andare a puttane. -
Ha alzato su di me uno sguardo stanco:
- Che caduta di stile, eh? -
- Notevole! - non ho potuto fare a meno di replicare.
Mi ha sorriso, grato che non abbia tentato di indorargli la pillola con qualche pietosa bugia. Ha intascato i soldi ed è uscito con calma dall'ufficio.
E' da ieri sera che ripenso a questa conversazione e più rifletto su quanto mi ha raccontato il vampiro, più mi convinvo che io, e lo zio prima di me, siamo rei di colpevole leggerezza.
Per noi le uscite del vampiro sono solo il più efficacie dei modi per farlo rigare dritto. Ubbidisci? Ti premiamo facendoti uscire più spesso o mettendoti in mano più soldi, così che possa spassartela alla grande. Disobbedisci? Ti puniamo centellinandoti le uscite o mettendoti in mano una somma risicata.
E in questo giocare col bastone e la carota non abbiamo considerato quanto possa essere degradante per chiunque, incluso il vampiro, vedere la propria vita privata gestita da qualcun'altro.
Di questo dialogo non ho fatto parola con lo zio, tanto so già come mi risponderebbe:
- Non è forse normale che un padrone programmi gli accoppiamenti del suo cane? -
No zio, sarà anche normale ma più ci penso, più mi sembra che sia una pratica profondamente ingiusta nei confronti degli animali, soprattutto di quelli capaci di parlare.
"E' solo un mostro" non facciamo altro che ripeterci e in quanto tale, diamo per scontato che non gli pesi che sia qualcun altro a decidere se, come e quando può accoppiarsi.
Ma un mostro avrebbe parlato con tanto amore del suo regno perduto? E nei suoi occhi sarebbe passato quel lampo di gioia mentre ricordava le compagne che lo seguivano? Quanta parte della malvagità di quest'essere gli è connaturata e quanta è il risultato dell'abbrutimento causato dalla sua condizione di schiavo?
Temo che noi Hellsing siamo colpevoli di aver reso mostruoso questo mostro.

Da tempo il cane di Van Helsing aveva cessato di vedere l'erede del suo Dio come una rivale da schiacciare o contro cui competere. La donna aveva tenuto testa a tutte le sue angherie, guadagnandosi il rispetto del vampiro e le tante disinfestazioni compiute assieme li avevano lentamente affiatati. Agli occhi della belva addomesticata, Eva appariva ormai come una compagnona di bisboccia. Gradualmente, aveva cessato di chiamarla "Gallina" per cominciare ad usare il suo vero nome.
Van Helsing, notando che i rapporti fra nipote e cane miglioravano, aveva cominciato ad estendere il raggio d'azione delle missioni in cui li spediva da soli. Ormai monster e aspirante master partivano alla ventura su tutto il territorio della Gran Bretagna, affrontando qualsiasi tipo di freak.
Una notte si ritrovarono in Cornovaglia, per eliminare due creature acquatiche che infestavano un fiume, divorando gli incauti che si avvicinavano troppo alle sue sponde. Purtroppo per Eva, il vampiro adorava aumentare il livello di pericolosità dello scontro e in più di un'occasione aveva lasciato che l'avversario prendesse vantaggio su di lui, così da allungare il tempo della lotta. Anche quella volta, le cose non andarono diversamente.
Il cane a due gambe, ghignando soddisfatto, lasciò che i tentacoli del suo squamoso rivale lo avvinghiassero per le gambe e le braccia, nel tentativo di trascinarlo in acqua. Per il vampiro era come fare braccio di ferro: lui tirava la sirena verdastra e zannuta verso di sè, il mostro tirava a più non posso il vampiro verso l'acqua.
Eva, con rabbia, vide che gli stivali del cagnaccio affondare fino alle caviglie nella corrente.
- Smettila di giocare e vieni a darmi una mano! - ringhiò la giovane, voltando le spalle al camerata e puntando la pistola contro il mostro che la fronteggiava.
- Ancora cinque minuti! - rispose il vampiro, in tono giulivo.
Eva mirò alla testa e al cuore della sirena, sparando colpi a ripetizione, fino a svuotare il caricatore. Niente da fare, le pallottole d'argento sembravano solleticarla. Per quanto tentasse di divincolarsi, Eva non potè impedire che i tentacoli della creatura, situati al posto dei capelli, si avvinghiassero attorno alle sue caviglie e ai suoi polsi. Il mostro cominciò a tirarla a sè, la giovane tentò di resistere ma non aveva la forza del vampiro. Perse l'equilibrio e si ritrovò seduta a terra. Trascinandosi sulle braccia e sulle mani armate di artigli ricurvi, la sirena si avvicinò alla sua preda, a fauci spalancate ma la giovane era decisa a vendere cara la pelle. Dimentica di tutto, del vampiro, dell'altro mostro, in quel momento per Eva esistevano soltanto lei e la sirena. Riuscì a divincolare il polso della mano che impugnava la pistola e lanciò l'arma in faccia all'essere, poi cominciò ad afferrare tutti i sassi che le capitavano a tiro e prese a scagliare anche quelli ma per quanto ciò infastidisse il mostro, non ne frenava l'avanzata. La sirena era ormai talmente vicina che la giovane si disponeva a prenderla a calci in faccia quando si sentì spingere a terra. Chi la teneva ferma a quel modo era davvero troppo forte per poterlo battere ma testardamente Eva continuò a scalciare, finchè nel suo campo visivo non entrò una mano guantata che come una lancia trafisse il cuore della sirena. Il mostro si liquefece in una gelatina verde e il vampiro, che solo dopo aver constatato quanto stesse rischiando la giovane si era deciso a sbarazzarsi alla svelta del proprio avversario per occuparsi anche della seconda sirena, aiutò Eva a rialzarsi.
- Tutto bene, master? -
- Sì, tutto bene. - ansò in risposta la giovane, troppo sconvolta per far caso alle parole del vampiro.
Solo nei giorni successivi, ripensando a quegli istanti concitati, si rese conto che il vampiro l'aveva chiamata master. Master! La parola gli era sfuggita, certo, ma dimostrava comunque che nella sua testa cominciava già a classificarla come tale. Eva non potè far a meno di gongolare e gongolò così tanto e per così tanti giorni che il vampiro, infastidito, decise di fargliela pagare. Già era irritato con se stesso per quell'incauto "padrona" scappatogli dalle labbra ( detestava dar soddisfazione alla gente! ) non tollerava che la sua compagna di bisboccia potesse montarsi la testa a quel modo solo perchè gli era sfuggito uno stramaledetto "master"!
Per il vampiro, l'occasione della vendetta capitò poche settimane dopo l'eliminazione delle sirene, quando un Cane Nero venne segnalato nei dintorni del Vallo Adriano, in Scozia. Van Helsing, notando il deteriorarsi dei rapporti fra nipote e cane in quegli ultimi giorni, decise di semplificare la vita di Eva obbligando il vampiro ad affrontare il viaggio chiuso sottoforma di pipistrello nella scatola.
Due giorni impiegò Eva a guidare fino al sito infestato. Capiva che il vampiro, nella scatola, si annoiava mortalmente ma non osava alzare il coperchio per controllare come stava, timorosa di non riuscire a ricacciarvelo dentro se per caso fosse uscito. Fortuna volle che al tramonto, giunti di fronte al muro romano, sulla sua sommità Eva vide seduto il Cane Nero. Il vampiro avrebbe potuto sfogare all'istante la sua noia e così fu. Appena uscito dalla scatola, dalla gola del nosferatu scaturì quello che ad Eva sembrò un nitrito di giubilo, dopo di che il vampiro balzò sul muro. Il Cane Nero fuggì e il vampiro gli corse dietro come una locomotiva. Procedendo sempre sulla sommità del muro come il Signor Uovo di Alice nel Paese delle Meraviglie, Eva vide i due mostri sparire nel tramonto.
Salì sulla macchina ad attendere il ritorno del nosferatu. Le ore passarono lente e la giovane, considerando il fatto che il Vallo tagliava il Regno da parte a parte, terminando sul Mare d'Irlanda da un lato e sul Mare del Nord dall'altro, e che lei in quel momento si trovavano nei pressi quest'ultimo, si chiese se i due mostri non fossero capaci di correre fino alla costa opposta.
Tentò di quantificare per quante ore, o giorni, avrebbe dovuto attendere il ritorno del vampiro se davvero fosse arrivato sulla costa atlantica ma infine si arrese, concludendo che non le restava che attendere e basta.
Verso l'alba scese dalla macchina per sgranchirsi le gambe, ottenendo di inciampare in un sasso e tagliarsi un ginocchio. Perfetto, anche questa! Tornò zoppicando verso la vettura e con un tuffo al cuore si accorse che lo sportello del passeggero era spalancato e una sagoma si intravedeva al posto di guida. Chi mai poteva incontrare lì, in quel luogo sperduto e lontano da ogni consorzio umano?
Tolse la sicura alla pistola e si avvicinò furtivamente prima di rendersi conto con sollievo che si trattava del vampiro.
- Sei arrivato fino al Mare d'Irlanda? - chiese Eva, avvicinandosi al finestrino del guidatore.
- No, ho raggiunto la preda molto prima. Cos'è questo odore di sangue? -
- Mi sono tagliata. Togliti quello sguardo interessato dagli occhi, mi sono ferita un ginocchio e non ho alcuna intenzione di alzarmi la gonna fino alle cosce e farti vedere le mie gambe per consentirti di leccare questo sangue. Adesso siediti al tuo posto e avviamoci sulla strada del ritorno. -
Il vampiro scosse la testa:
- Siediti tu al posto del passeggero e io guido. -
- Ma tu non sai guidare! -
- Ti sbagli, ho imparato. -
- Quando?! -
- Leccare il sangue non è fine a se stesso. Assorbo anche le abilità della persona a cui appartiene. In tutti questi anni, a furia di inghiottire il tuo sangue, ho appreso anche le competenze necessarie per guidare. Mi sono annoiato mortalmente chiuso in quella scatolaper due giorni filati, inseguire il Cane Nero non è bastato a sfogarmi, ho bisogno di agire ancora, per questo ho deciso che guiderò fino a Van Helsing Manor. -
- Non puoi metterti al volante per la prima volta in vita tua pretendendo di compiere un viaggio così lungo! - esclamò la suffragetta, preoccupata per la sorte di sè e dell'auto ma per tutta risposta il vampiro mise in moto il mezzo.
- Non ho voglia di stare a discutere, è noioso. Fra tre secondi parto. Se non sali a bordo ti mollo qui. -
Eva tentò freneticamente di capire come agire. Era un bluff? Se sì, restando dov'era, forse il cagnaccio si sarebbe arreso a cederle il volante. E se invece parlava sul serio?
Mentre cercava di valutare quale carta giocare, il vampiro partì sgommando ed Eva si ritrovò a galoppare dietro l'automobile con la foga di un centometrista. Non voleva macinare miglia e miglia a piedi nella gelida brughiera per raggiungere il primo centro abitato! Immaginò il vampiro sghignazzare osservandola trottare dallo specchietto retrovisore e lo maledì mentalmente, spostando poi tutta la sua attenzione verso lo sportello del sedile del passeggero che, spalancato, ballonzolava rassicurante, dando l'idea di poter essere facilmente raggiunto. Se solo fosse riuscita ad aggrapparvisi!
Il vampiro rallentò, dando modo alla ragazza di salire sulla vettura per poi riaccellerare bruscamente quando lo sportello venne finalmente chiuso. Nella mezz'ora che seguì Eva tentò di convincere il vampiro, che guidava bene, sì, ma veloce come un pilota di corse automobilistiche, a restituirle il comando della vettura. Nè con le blandizie, nè con le minacce ci fu verso di farlo desistere e alla fine la ragazza si arrese, trascorrendo in silenzio i successivi venti minuti, dopo i quali disse:
- Rallenta e alla prima traversa svolta a destra. -
- Perchè? -
- Perchè lì c'è la pensione in cui ho preso alloggio. -
- E allora? -
- E allora dobbiamo fermarci lì. -
- Perchè? -
- Sei rincitrullito? Dovrò farmi medicare il ginocchio, no? -
- Non è una ferita grave, puoi fartela medicare a casa. -
- Ma non saremo a casa prima di due giorni! -
- Ti sbagli. Abbiamo impiegato due giorni per arrivare fin qui perchè ti sei voluta intestardire a fermarti in un ostello per la notte. -
- Non si chiama "intestardire" ma "dormire". Pretendi che guidassi da Londra fino al confine con la Scozia senza fermarmi? Sono un essere umano, ho bisogno di riposare e nutrirmi! -
- Io invece sono un vampiro e posso guidare senza sentire il bisogno di interruzioni dalla Scozia fino a Londra. Tutto questo ci farà risparmiare tempo e torneremo a casa molto prima di due giorni. -
- E pretendi che neanche io faccia interruzioni?! -
- Puoi dormire sulla macchina. -
- E per mangiare e per bere? -
- Non morirai di fame e di sete se rimarrai a stecchetto per qualche ora. -
- Dannazione, ma cosa ti costa passare dalla pensione? Giusto il tempo di prendere il bagaglio e comprare una borraccia d'acqua e qualche panino. -
- M'annoia aspettarti mentre fai tutte queste cose. Ho già atteso abbastanza. Tu e Dio Abraham mi avete costretto a trascorrere tutto il viaggio rinchiuso in quella scatola angusta sotto forma di pipistrello. Mi sono annoiato terribilmente lì dentro. Quindi, adesso tiriamo a diritto. -
Il vampiro fu di parola. Giunti vicino alla traversa che conduceva alla pensione, tirò innanzi, sfrecciando come un treno alla massima velocità verso Londra.
- Dovevo saldare il conto! -
- Lo spediranno a casa. -
- Dovevo andare in bagno! -
- E meno male che dovevo aspettarti "giusto il tempo" di comprare una borraccia d'acqua e un panino! Visto quante cose avevi da fare, in realtà? E pretendi che ti attendessi annoiandomi per tutto questo tempo? -
- Sei tu che mi obblighi a fare tante cose insieme! Se pretendi di guidare senza fermarti fino a Londra, dovrò pur approfittarne ora per andare in bagno, no? -
Il vampiro lanciò un'occhiata in tralice alla giovane:
- Stringi le cosce. Non la farai finchè non arriveremo a Van Helsing Manor. -

Non era solo l'idea di fermarsi ad attendere che Eva sbrigasse le proprie faccende, a ripugnare al vampiro. Sembrava che il nosferatu fosse allergico anche a concetti come "andare piano", "guidare con prudenza", "tirare il freno a mano". Filava veloce come un treno e la nipote di Van Helsing si rese conto di quanto l'idea di rallentare urtasse il sistema nervoso del vampiro nel momento in cui, sulla strada di campagna che percorrevano, si materializzò un gregge di pecore.
- Rallenta. Fermati! FRENA! - ammonì in un crescendo di tensione la donna, notando le pecore avvicinarsi sempre più.
L'ultimo avvertimento terminò in un urlo strozzato quando vide gli animali volare in aria, travolti dal bolide, lasciando ampie chiazze di saliva e sangue sul parabrezza e sulla carrozzeria.
- Perchè non ti sei fermato? - ringhiò Eva in tono isterico, quando gregge e carneficina furono alle loro spalle.
- Erano pecore. Prima o poi le avresti riviste cadaveri comunque. Credi ci sia molta differenza fra incontrarle sottoforma di arrosto sulla tua tavola e vederle investite da una macchina? - chiese serafico il servo, azionando il tergicristallo per pulire il parabrezza dal sangue.
- Sì, c'è differenza invece e molta più di quanto tu possa supporre! E a parte questo, chi li ripaga i danni al pastore? -
- Già, il pastore! - esclamò il vampiro, tirandosi una manata sulla fronte.
Riflettè qualche istante, poi riabbassò la mano sul volante e con aria serafica rispose:
- Pazienza, andrà in rovina. -
Meno di un'ora dopo, la donna e il vampiro s'imbatterono in un nuovo gregge di pecore. Eva non urlò di fermarsi. A quale scopo? Sapeva che il cagnaccio non l'avrebbe ascoltata. Non per questo però era rassegnata all'idea di mandare in fallimento un altro mandriano.
Nel poco tempo a disposizione per ideare un piano d'azione, la futura Sir Hellsing non trovò soluzione migliore che applicare al vampiro lo stesso scherzetto che lui le aveva fatto tante volte. Afferrò con la mano lo sterzo e cominciò a muoverlo freneticamente. Il nosferatu, preso alla sprovista, non attendensosi quella mossa, perse il controllo della vettura. Eva vide il mondo ruotare vorticosamente intorno a sè. L'urto improvviso non la sbalzò fuori dall'abitacolo solo perchè ebbe la prontezza di aggrapparsi con le mani al sedile e di puntellarsi con i piedi al cruscotto. Quando la sua mente sottosopra si fu ripresa, la donna si rese conto che la vettura aveva sfondato un recinto, finendo in un campo. Accanto a lei, il vampiro rideva di cuore:
- E' divertentissimo! Rifallo ancora! - disse, con gli occhi sfavillanti di gioia.
- No, una volta è più che sufficiente. - ansimò l'umana.
Il vampiro s'imbronciò, deluso che Eva rifiutasse di replicare il bis. Uscì dal campo ingranando la retromarcia e investendo due pecore. Altre quindici ne travolse riprendendo la direzione per Londra. Il broncio sparì dal viso del vampiro: in fondo, il viaggio verso la capitale riservava ancora nuove fonti di divertimento. 

Stavano attraversando un'ampia vallata quando videro svettare vicino al ciglio di una curva un'alta quercia e accostato al suo tronco, voltando le spalle alla strada, un uomo. Che l'uomo in questione stesse facendo pipì contro l'albero, era chiaro e in tono serio, il vampiro annunciò:
- E' dalla parte del tuo finestrino. Appena gli passiamo accanto, fagli una pernacchia. -
- Che cosa?! -
- Non è difficile, devi solo accostare alle labbra la parte della mano compresa fra il pollice e l'indice e soffiare più che puoi. -
- Ma...ma... - balbettò Eva, spiazzata da quella nuova follia.
- Se non ti riescono le pernacchie, fischiagli. Sì, fagli un bel fischio di apprezzamento, di quelli che lanciano i marinai alle spalle delle belle pupe che passano per la strada. -
- Perchè dovrei fare una cosa simile? -
- Perchè è divertente. -
- Divertente un corno! Pensa se lo facessero a te, come reagiresti? -
- Mi girerei e gli staccherei la testa con un morso. -
- Vedi quanto è offensivo? E allora perchè vorresti farlo agli altri? -
- Perchè io sono io e gli altri sono gli altri. - rispose il vampiro, certo di essere in diritto di poter fare quel che gli pareva in qualsiasi momento - Adesso attenta, gli passiamo dietro. Mi raccomando, fischiagli! -
L'automobile sfrecciò alle spalle del signore senza che Eva si sognasse di sporgersi dal finestrino e fischiare come il nosferatu pretendeva.
- Non hai fischiato! - protestò questi, indignato.
- Certo, non mi abbasso a simili scherzi da trivio! -
Il vampiro, arrabbiato, frenò bruscamente, ingranò la retromarcia e tornò indietro, arrestandosi esattamente alle spalle del signore, ancora impegnato nella sua attività. In tono severo, intimò ad Eva:
- Adesso gli fischi! Non sai fischiare? Allora sfottilo! Possibile non ti passi per la testa neanche un insulto da dirgli? -
L'uomo girò la testa verso di loro, guardandoli allibito. Davanti alle sue pupille, apparvero un omone enorme al posto di guida e una donna che paonazza di vergogna, si lasciava scivolare giù per il sedile, tentando di nascondersi alla sua vista.
Il vampiro scrollò la testa, sprezzante: quella doveva essere la master del suo futuro? Non aveva neanche il coraggio di fare una pernacchia alle spalle di un uomo voltato contro un albero, come poteva essere in grado di condurlo al massacro di Kelpie e Cani Neri? Siccome agli occhi del vampiro il problema non era costituito dal fatto Eva insultasse il pover'uomo ma, al contrario, che non riuscisse a prenderlo in giro, si sentì in dovere di giustificare la situazione al signore che stavano importunando spiegandogli in tono contrito:
- Deve scusarla, è una ragazza timida. -
- Non si preoccupi, la cosa non mi dispiace. - rispose il tizio che, certo di trovarsi di fronte a un pazzo scatenato, si abbottonò in fretta i pantaloni, per spiccare poi una corsa veloce in mezzo ai campi e allontanarsi dal pericolo più lesto che poteva.
Il vampiro lo guardò fuggire con aria afflitta.
- Guarda cos'hai combinato, Eva! Lo hai fatto scappare! E senza nemmeno avergli spernacchiato alle spalle! -
Avvilito, ingranò la marcia e riprese la direzione verso Londra.

Erano in viaggio da tre ore quando all'orizzonte si profilò una cittadina. Eva sentì il sangue gelarsi nelle vene. Ripensò ai due greggi di pecore investiti, all'infinità di carretti che avevano schivato con sorpassi azzardati, facendo imbizzarrire i cavalli. Come potevano passare attraverso una cittadina senza che il vampiro compisse una strage fra i passanti?
L'unico modo per convincere il cagnaccio a guidare col giusto criterio consisteva nel minacciarlo fisicamente e dato che nelle mani non aveva forza sufficiente per raggiungere un simile scopo, la giovane tirò fuori dal cruscotto la pistola, tolse la sicura e puntò la canna contro la mandibola del mostro:
- Te la terrò addosso per tutto il tempo che impiegherai ad attraversare questa cittadina. Azzardati a non andare piano, a non frenare, a investire qualcuno o qualcosa, e premo il grilletto! -
Il vampiro ridacchiò:
- Non ti passa per la mente che se mi stacchi la testa con un colpo di pistola, perdo il controllo della vettura, andiamo a schiantarci da qualche parte e tu, in compagnia di chissà quanti altri passanti, tirate le cuoia? -
Eva dovette ammettere a sè stessa che quella probabilità esisteva. Allontanò dalla mandibola del non-morto la pistola, rimise la sicura e tornò a riflettere. Qualcosa doveva pur inventarsi, se non voleva rischiare di vedere quel nosferatu sfrecciare come un bolide per la via principale, travolgendo tutto e tutti al suo passaggio!
Un'idea si accese nel suo cervello.
Tolse nuovamente la sicura e puntò la canna della pistola contro il cavallo dei pantaloni del vampiro. Il ghigno svanì di colpo dal viso del mostro per lasciare spazio ad un'espressione mortalmente seria:
- E' seccante ammetterlo ma devo riconoscerlo, hai inventiva. -
- Te la terrò addosso per tutto il tempo che impiegherai ad attraversare questa cittadina. Azzardati a non andare piano, a non frenare, a investire qualcuno o qualcosa, e premo il grilletto. E stavolta voglio vedere se perderesti il controllo della vettura! -
- Non ti passa per la mente che se ti azzardi a sparare, potrei vendicarmi uccidendoti ferocemente? -
- Sì, ma sono pronta ad affrontare il martirio. Morirei contenta, sapendo di averti menomato per l'eternità! -
La ragazza faceva sul serio, il vampiro lo capiva, così si arrese ad attraversare la cittadina rispettando tutte le regole della guida civile e arrivando perfino a fermarsi per lasciar attraversare le vecchiette. Usciti dal paese, Eva rimise la sicura all'arma e la ripose nuovamente nel cruscotto. Era stata tentata dall'idea di tenere sotto tiro il vampiro per tutta la durata del viaggio ma infine l'aveva scartata. C'era ancora mezza Gran Bretagna da attraversare, un tragitto troppo lungo perchè lei potesse resistere tante ore impugnando una pistola. Le sarebbe venuto un crampo al braccio, e a quel punto per il cagnaccio sarebbe stato facile disarmarla. No, la pistola andava usata solo in situazioni critiche, come quando attraversavano i centri abitati. Eva avvisò il vampiro che gli avrebbe usato lo stesso trattamento ogni volta che fossero passati per un paese. Il nosferatu inizialmente non le credette ma giunti in prossimità della terza cittadina, non potè fare a meno di esclamare:
- Donna, hai bisogno di un marito, non si spiega in nessun altro modo il tuo accanimento contro i miei gingilli! -
- Da un medievale come te non mi attendevo che un commento simile. Sfottimi pure quanto vuoi, sono io quella che impugna la pistola. -
Quando avvistarono la quarta cittadina, il vampiro sterzò bruscamente verso una strada di campagna che l'aggirava.
- Perchè passi da qui? Allungheremo il tragitto. -
- Fattene una ragione, non attraverseremo più nessun centro abitato. Passeremo loro accanto. Se questo vuol dire trascorrere più ore su questa carretta, pazienza, lo preferisco al sentirmi puntare una pistola sui gioielli ogni volta che ci avviciniamo ad un gruppo di case. -
Il vampiro mantenne la parola. Non passarono più attraverso i centri abitati e allungarono il viaggio di molte miglia.

Diciotto ore dopo essere partiti dal Vallo Adriano, era calata la notte e umana e vampiro erano ancora in viaggio.
Eva era esausta. Da quando erano partiti non aveva mangiato, bevuto e nemmeno dormito. Come poteva assopirsi, con quel mostro che guidava a zig-zag per spiattellare sulla strada tutti i ricci, le anatre, le bisce, i pulcini, i rospi, i gatti, i cani e le lucertole che vedeva far capolino dal ciglio della carreggiata?
Aveva tentato di investire anche uno scoiattolo ma il veloce animaletto in tre balzi si era lasciato la strada alle spalle, continuando poi a correre lesto attraverso un campo nel tentativo di raggiungere un filare di olmi che lo bordava. Il vampiro, amareggiato per non essere riuscito a investire lo scoiattolo, aveva deciso di riscattarsi dallo smacco sterzando e inseguendo l'animale attraverso il campo. La folle corsa, che aveva sbatacchiato Eva in qua e in là (pareva che il nosferatu si facesse un dovere di prendere in pieno tutte le buche) si era risolta in un nulla di fatto: il roditore aveva raggiunto gli alberi proprio quando il vampiro era stato a una sgommata dallo spiattellarlo. Al succhiasangue non era rimasto che frenare bruscamente per non spalmarsi contro il tronco dell'olmo e dopo aver guardato con disappunto la preda svanire fra le fronde, aveva riportato l'automobile sulla carreggiata, rituffandola più volte nelle buche del campo.
No, Eva non aveva avuto modo di dormire e nemmeno aveva avute molte occasioni per sgranchirsi le gambe. Nel corso di quell'interminabile viaggio, il vampiro aveva scoperto con disappunto che la capacità di autonomia delle macchine è sì superiore a quella degli umani ma nettamente inferiore a quella dei vampiri. Lui che voleva guidare senza interruzioni fino a casa, si era dovuto arrendere e fermarsi tre volte per rifornire l'auto di benzina. La nipote di Van Helsing ne aveva approfittato e con la scusa di riempire il serbatoio, era finalmente scesa dall'abitacolo. Siccome non si fidava a lasciare la rivoltella da sola in compagnia del vampiro, ogni volta l'aveva portata con sè e per questo i gestori delle stazioni di servizio si vedevano presentare davanti una donna dall'aria stravolta e con i capelli castani che le cadevano scompostamente sul viso (probabilmente un'oppiomane, che altro poteva essere?), con una pistola in pugno. La reazione dei tre uomini era stata sempre la solita. Avevano alzato le braccia dicendo:
- I soldi sono nel primo cassetto! -
- Ma no, metta giù le mani. - rispondeva Eva in tono fiacco - Ho bisogno di fare benzina. Le chiedo anche un favore. Vede quella faccia da schiaffi al volante della mia macchina? Mi ha costretta ad andare via dall'albergo senza il bagaglio quindi non ho con me il borsellino per pagare il carburante... -
Il gestore, che aveva abbassato le mani con titubanza, sentendo quelle parole, le rialzava, convinto di aver compreso le intenzioni dell'oppiomane:
- Faccia pure il pieno gratis ma mi lasci stare! -
La futura Sir Hellsing si metteva una mano sugli occhi, controllandosi a stento:
- Mi lasci parlare senza interruzioni, per piacere! Sono stanca, affamata, assetata e con una pistola in pugno. E' rischioso stuzzicarmi in questo frangente! Ciò che voglio dire è: dato che non ho il borsellino, può darmi carta e penna, così le scrivo il mio indirizzo? Potrà mandare il conto del carburante lì e le spedirò la cifra appena possibile. Adesso mi dica dov'è un bagno. -
Oltre che recarsi in bagno, Eva non aveva potuto fare altro. I minuti erano contati, il tempo di riempire il serbatoio e Faccia-da-schiaffi sarebbe stato capace di ripartire lasciando la nipote del suo Dio alla stazione di servizio. Eva tremava al pensiero di come il cagnaccio avrebbe attraversato i paesi, senze lei e la sua pistola a mitigarlo, così risaliva in fretta sulla macchina senza preoccuparsi di prendere da bere o da mangiare.
Adesso erano trascorse alcune ore dall'ultimo rifornimento e la suffragetta capiva che la benzina sarebbe bastata per arrivare fino a Van Helsing Manor. Questo voleva dire niente più stazioni di servizio, niente più sgranchimento di gambe ma soprattutto niente più bagno e quest'ultima mancanza costituiva una vero dramma. Inutile chiedere alla bestiaccia di fermarsi vicino a un cespuglio, non l'avrebbe mai accontentata. Eva si stava arrendendo all'idea di farsi la pipì addosso lì, sulla macchina. Non le interessava se il vampiro l'avrebbe presa in giro finchè campava, non riusciva più a trattenerla.
Qualcosa di grande e su quattro zampe si materializzò sulla strada. Eva tornò ad afferrarsi al sedile e a puntellare i piedi sul cruscotto, evitando così di rompersi la testa contro il parabrezza quando l'automobile cozzò contro l'animale. Dopo aver investito il bestione, il vampiro frenò: stavolta la preda era di suo interesse e non voleva abbandonarla sul selciato.
A Eva non interessò scoprire di che animale si trattasse, si preoccupò solo di aprire la portiera e correre a perdifiato nell'oscurità. Era rischioso avventurarsi a quel modo nella notte, poteva sprofondare in un fosso, inciampare in chissà quale ostacolo, rompersi una gamba ma in quel momento l'urgenza della vescica era più forte di qualsiasi prudenza.
Ehi, un momento!
Non aveva bisogno di allontanarsi tanto, era buio pesto, il cagnaccio non poteva vederla!
Eva si fermò, si calò, si liberò.
Ah! Che sollievo! Che beatitudine! Che...
- Dimentichi che posso vedere al buio come i gatti? - sghignazzò il vampiro, da un punto lontano alle sue spalle. Sì dannazione, l'aveva scordato!
- Girati dall'altro lato, cagnaccio! - ringhiò Eva.
- Io mi giro, però te lo devo dire: hai veramente un gran bel culo! -

L'animale abbattuto era un cervo e il vampiro l'aveva caricato sul sedile posteriore. La bestia era più lunga dell'auto, tant'è che le corna sporgevano da un finestrino e le zampe posteriori dall'altro. Eva non protestò: ormai aveva accettato di sopportare quel viaggio con cristiana rassegnazione, certa di stare scontando tutti i peccati commessi da quand'era nata. Però voleva capire perchè il cervo sì e le pecore no.
- Un'arrosto di pecora potete acquistarlo in qualsiasi macelleria, la cacciagione è molto più difficile da trovare. Voglio regalare questo cervo al mio Dio. -
In poco tempo l'abitacolo fu impregnato dell'odore di selvatico e di sangue del cervo. Tempo un'altra mezz'ora e le zampe anteriori dell'animale scivolarono sulla spalla di Eva. Non tentò nemmeno di scostarle da sè: capiva che sarebbero tornare a scivolarle addosso ad ogni sobbalzo della vettura, quindi perchè tentare di combattere contro il Destino? Eva trascorse così le rimanenti due ore di viaggio con lo sguardo imbambolato dalla stanchezza e i piedi del cervo a un palmo dal naso.
Quando l'automobile finalmente si fermò sul retro di Van Helsing Manor, erano le due di notte.
Eva scese dalla vettura con le gambe tremanti e si inginocchiò a baciare la terra, commossa e grata a tutti gli Dei dell'universo per averla fatta arrivare viva alla fine di quella prova.
Il vampiro afferrò il cervo per le zampe posteriori e lo tirò giù dall'automobile. Le corna dell'animale scivolarono dal finestrino per atterrare sul sedile, infilzandolo con le loro punte. Agli occhi del vampiro, costituiva un inconveniente che poteva risolversi facilmente, tirando con un po' più di forza le zampe del cervo. Fu così che le corna squarciarono il cuoio del sedile in tutta la sua lunghezza.
Fischiettando, il nosferatu trascinò il bestione nella cucina della villa, entrando da una delle porte posteriori. Eva lo seguì strascicando i piedi. Trovò il cagnaccio inginocchiato sul pavimento della cucina, senza giacca e senza guanti, con le maniche della camicia rimboccate fino ai gomiti, intento ad affondare un coltellaccio nella carne del cervo.
- Cosa fai? - biascicò la ragazza, senza troppo interesse.
- Lo scuoio e lo macello, così domattina è pronto per essere mangiato. -
Eva restò a contemplare lo spettacolo per brevi minuti. Pareva che il vampiro sapesse il fatto suo. Si chiese quali vicende, nel passato del mostro, gli avessero insegnato così bene a scuoiare e macellare. Anzi no, era certamente meglio non sapere come avesse appreso quelle abilità.
La giovane arrancò su per la scala, entrò in camera sua e senza chiudere la porta, si sfilò le scarpe, si allentò il busto e si coricò vestita per com'era, sprofondando in un sonno di piombo.

Eva si risvegliò nel tardo pomeriggio quindi dovette farsi raccontare ciò che accadde durante la mattina, per poterlo riportare nel diario.
Il vampiro, a modo suo, aveva fatto un lavoro eccellente. Aveva ordinatamente disposto sul tavolone della cucina tutti i pezzi di carne, pronti per essere cotti e mangiati. Aveva appeso a un gancio del soffitto, al fine di farla sgrondare, la pelle con ancora attaccate la testa e la corna, nell'eventualità che master Abraham volesse farne un trofeo. Si era sbarazzato delle interiora dandole in pasto al cane da guardia.
Non aveva però ripulito le conseguenze del suo lavoro perchè per i vampiri è deleterio toccare l'acqua così, quando il mattino successivo la cuoca entrò in cucina, trovò il pavimento imbrattato di sangue e umori, una cosa lunga che pendeva dal soffitto colando non si sa bene cosa e un'orgia di carne cruda sul tavolo che all'interno di quel quadro così sinistro, non faceva una buona impressione. Le urla della donna svegliarono tutta Van Helsing Manor tranne Eva e il vampiro, impegnati a dormire il sonno dei giusti rispettivamente nel proprio letto e nella propria bara.
Tutti accorsero in cucina, anche master Abraham. Vedendo quello spettacolo, un sospetto si fece strada nel grande vecchio. Affacciandosi alla finestra vide la macchina e allora non ebbe più dubbi: nipote e vampiro erano tornati e l'artefice di tutto non poteva che essere il suo cane! Andò a stanarlo dalla sua bara e trascinando quell'essere insonnolito per un braccio, lo portò al cospetto dell'automobile, il cui stato lo imbestialiva molto più delle condizioni in cui versava la cucina.
La carrozzeria era ammaccata nei punti in cui le pecore si erano sfracellate contro la vettura. Per la stessa ragione, il vetro del parabrezza era lesionato. Il sangue degli innumerevoli animali investiti e il fango dei terreni incolti su cui erano passati lordavano finestrini, gomme e sportelli. Lo sfondamento del recinto aveva rigato una fiancata per tutta la sua lunghezza. L'urto col cervo aveva dato il colpo di grazia, rompendo un fanale e facendo rientrare il radiatore di cinque centimetri buoni dalla sua sede originale, il che a sua volta aveva mandato fuori asse le ruote anteriori.
- Si può sapere come sei riuscito a ridurla così?! Non dirmi che è colpa di mia nipote, non ha mai conciato un'auto in questo modo! Qui c'è il tuo zampino! E guarda il sedile posteriore, sembra che l'abbiano arato! Come sei riuscito a sfasciare un'auto, maledetto?! -
Il vampiro sorvolò sulle pecore: sospettava che quando Dio Abraham fosse venuto a conoscenza del loro destino, avrebbe tentato di scuoiarlo vivo, quindi più tardi lo sapeva, meglio era. Scelse così di parlare solo dell'ultimo incidente:
- Abbiamo investito un cervo. -
- Ed è stato sufficiente a devastare una macchina?! -
- Era un cervo grande! - spiegò il vampiro con enfasi, stropicciandosi un occhio per il sonno.
- E perchè te lo sei portato dietro? -
- Per regalartelo. Ascolta il consiglio di uno che ha vissuto accampato per buona parte della sua vita umana, mangiando quel che trovava nei boschi: è un toccasana cominciare la giornata con una grigliata di cervo! -
- Ma a me non piace il sapore della selvaggina! - ruggì master Abraham e così dicendo, con un colpo secco spaccò il bastone in testa al mostro.

Anche Eva, una volta risvegliata, subì la sua dose di rimproveri da parte dello zio.
- Come hai potuto permettere che sfuggisse al tuo controllo in questo modo? Sarai la sua futura master! Se questo è il polso più ferreo che riesci a sfoderare, come riuscirai a gestirlo quando non ci sarò più? Sono quasi sei anni che lo conosci, possibile che ancora non hai imparato a farti ubbidire? Devo ucciderlo e portarmi le sue ceneri nella tomba, per essere sicuro che non lo lascerai a briglia sciolta? ... - e via di questo passo per un quarto d'ora.
L'automobile venne trainata con un cavallo da tiro fino dal meccanico che avvisò:
- Sarà un lavoro lungo e costoso. -
Il garzone del macellaio, arrivando in bicicletta per consegnare il fiasco di sangue come ogni mattina, fu rimandato indietro ad avvisare il principale di tornare con un carretto con cui ritirare un cervo ceduto a un prezzo stracciato e questo offese mortalmente il vampiro.
Il mostro accettò senza reagire tutte le punizioni infertegli dal suo Dio per essere andato via dalla pensione senza dare ad Eva il tempo di saldare il conto, dando così agli albergatori l'idea che gli Hellsing fossero dei ladri, per aver mandato in fallimento due pastori e per aver devastato l'automobile. Non accettò che master Abraham si sbarazzasse del suo regalo svendendolo al macellaio, nè che ne donasse la pelle e la testa ad una cameriera dopo averle sentito dire quanto sarebbero state bene nella fattoria dei suoi genitori, arrivando a concedere un giorno di libertà alla ragazza per consentirle di portare quelle spoglie alla casa natia, così da eliminare da villa Van Helsing ogni traccia di selvaggina il prima possibile.
Il vampiro, indignato per il disprezzo tributato al suo regalo, si chiuse nella propria segreta, e le bottiglie di sangue si accumularono dietro la porta senza essere bevute. Master Abraham, inizialmente, non fece una piega, ancora arrabbiato per lo sfacelo della macchina. Col trascorrere dei giorni, vedendo che il cane non usciva dalla cuccia e rifiutava di mangiare, cominciò a preoccuparsi. Ne fece le spese Eva che più volte al giorno subiva gli sfoghi dello zio:
- Dovrei scendere giù a chiedergli scusa per il cervo? - cominciava il grande vecchio, in tono preoccupato. Poi, con stizza, riprendeva:
- Ma no, sono dalla parte della ragione! Che salga su lui a chiedermi scusa, dannazione! Fa l'offeso? Non m'interessa, può continuare a rifiutarsi di mangiare fino a morire di fame, io non scendo in quella segreta! -
Infine, in tono nuovamente preoccupato:
- Ma lui sarebbe davvero capace di lasciarsi morire di fame, in modo che mi rimanga sulla coscienza! -
Quando Eva non ne potè più di quei borbottii, sbottò:
- Zio, sembri un marito che ha litigato con la moglie! Lei si è ritirata nelle sue stanze, tu borbotti tanto ma alla fine andrai a comprarle un mazzo di fiori per chiederle scusa. -
L'ultima frase era stata pronunciata in tono scherzoso e fu quindi con sgomento che Eva sentì lo zio rispondere serio:
- I fiori non li gradirebbe. Cosa se ne fa un vampiro dei fiori? Meglio che scenda a portargli con le mie mani una bottiglia di sangue. -
Così master Abraham scese a far pace con il vampiro.

Il 1918 portò molte novità.
La fine della guerra innanzitutto, che a Eva aveva lasciato in eredità il fratello disperso che continuava a rimanere tale, una sorella vedova con due figlie piccole da allevare e il maggiore dei suoi nipoti che ancora adolescente era stato spedito al fronte, tornando privo di una gamba.
Lo stesso anno il parlamento inglese aveva emanato una legge che estendeva il diritto di voto alle donne sposate che avessero superato i trent'anni, facendo imbestialire Eva oltre ogni dire:
- Perchè un uomo può votare appena diventato maggiorenne mentre una donna deve attendere i trent'anni? Perchè le donne sposate sì e le nubili no? Oh, ma certo, danno per scontato che sia il marito a dire alla moglie cosa votare, lei da sola non è capace di farsi una propria opinione politica! E per evitare che in un attacco di ribellione giovanile la mogliettina, nel segreto della cabina elettorale, invece di indicare il candidato segnalatole dal consorte voti per qualcun'altro, consentono di votare solo alle morigerate signore dai trent'anni in su! -
Il vampiro, che aveva accolto la notizia dell'estensione del voto alle donne con disappunto, convinto che questo mettesse la parola "fine" alle vetrate che continuava a infrangere di straforo, udendo parlare così la nipote del master, si rianimò:
- Vuoi dire che alle suffragette questa legge non va bene e continueranno a combattere? -
- Ovvio che continueremo! Lotteremo finchè il diritto di voto non sarà accessibile a qualsiasi cittadina maggiorenne, coniugata o nubile che sia! -
Il vampiro sorrise contento e si diresse in giardino per fare incetta di sassi da nascondere nelle tasche.
Ma soprattutto, il 1918 portò un nuovo acquisto a Van Helsing Manor, a cui ciascun membro della famiglia diede una definizione diversa.
" Un colpo di fulmine " lo definì Eva.
" Un colpo di fortuna " lo definì il parentado, timoroso che l'ormai attempata ventiquattrenne fosse destinata a restare zitella.
" Una gran botta di culo " l'avrebbe definita il vampiro, se solo gliene fosse importato qualcosa che la nipote del suo Dio si sposasse.
Master Abraham aveva cercato di spiegare al cane l'importanza di quell'evento parlandogli con lo stesso tono che avrebbe usato con un bambino:
- Se Eva si sposa, l'Ordine dei Cavalieri Protestanti avrà un erede. -
Il vampiro, serafico, aveva replicato:
- Non è obbligatorio sposarsi per scodellare un figlio. -
Van Helsing, scandalizzato che il cane potesse supporre una simile condotta in sua nipote, indignato perchè aveva osato rispondergli, lo rimproverò con un:
- Selvaggio! - accompagnato da una bastonata in testa.
Se da un lato familiari e amici erano contenti che la futura Sir Hellsing "si sistemasse", dall'altra nessuno si faceva illusioni sulla resa di quel matrimonio. Nulla c'era che accomunasse la suffragetta perennemente sul piede di guerra al damerino John Fairboorke, i cui principali interessi consistevano nel vestirsi elegantemente e nel frequentare le sale da ballo.
- Non durerete più di un paio d'anni. - pronosticarono tutti e con questa frase non intendevano che l'unione si sarebbe conclusa con un divorzio. Il divorzio non era contemplato nel diritto di famiglia, benchè alcune suffragette premessero per farlo aggiungere ma se anche un giorno fosse stato reso possibile, il clan Wingates e il clan Van Helsing davano per scontato che Eva non sarebbe ricorsa a un'azione tanto disonorevole, che avrebbe gettato la vergogna fin sulle famiglie d'origine...o almeno, era ciò che il parentado auspicava!
No, la frase "non durerete più di un paio d'anni" indicava che l'amore sarebbe andato esaurito in quel breve periodo, dopodicchè i due coniugi sarebbero rimasti incatenati l'uno all'altra da un vincolo basato sul rancore.
Fra tutti gli uccellacci del malaugurio, Abraham Van Helsing era il più attivo:
- Nipote, ti occorre un uomo che ti sia di sostegno nella tua missione e questo John non ti aiuterà mai. -
- Senti zio, l'uomo che tu auspichi non l'ho mai incontrato. Tutti gli uomini solidi in cui mi sono imbattuta e che teoricamente corrispondono al tuo ritratto, o sono del parere che la moglie debba smettere di lavorare dopo il matrimonio, o se può continuare a lavorare la sua attività deve essere comunque subordinata al coniuge. Un tipo come questo pretenderebbe di prendere in mano le redini dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti ma non ho nessuna intenzione di farmi mettere da parte. Io sono il futuro capo dell'Organizzazione! Mi spetta di diritto, me lo sono guadagnata con fatica e costanza! John è il primo uomo che ho incontrato disposto a non intralciarmi e a lasciarmi lavorare. Se non ti va bene, lamentatene con gli "uomini solidi" che ho evitato fin'ora. -
Sì, a John Fairboorke stava bene che la futura moglie proseguisse nella sua attività ma in verità non sapeva granchè di quale lavoro si trattasse. Eva non poteva svelargli brutalmente che Dracula addomesticato si aggirava per la Villa in cui sarebbe andato a vivere; o l'avrebbe presa per pazza o sarebbe fuggito terrorizzato. Nei mesi che seguirono, la fidanzata preparò il terreno per quella rivelazione allo stesso modo di come, anni prima, lo zio aveva fatto con lei.
Quando finalmente parlò, inizialmente John Fairboorke rise dello scherzo, poi diventò serio e infine si preoccupò. Cominciò a blaterare che se quello era il lavoro della sua futura sposa, allora doveva assolutamente lasciarlo perchè era da incoscienti rischiare la vita in una simile attività.
Ad Eva occorse molto tempo per tranquillizzare il fidanzato e rassicurarlo che non c'era più pericolo. Il Conte soggiogato e ormai senza nome obbediva ciecamente ai padroni (in verità obbediva ciecamente solo a master Abraham mentre con la nipote del suo Dio continuava a concedersi ampie trasgressioni ma la futura Sir Hellsing preferì sorvolare su questo particolare) e non succhiava più esseri umani. Lentamente, John Fairboorke si tranquillizzò e arrivò il giorno in cui lui stesso annunciò che era ora conoscesse la belva addomesticata di Van Helsing Manor. Considerando che si sarebbe trasferito a vivere nella villa della moglie, prima familiarizzava col cagnaccio, meglio era.
Una mattina il buon John si presentò così alla magione, armato delle migliori intenzioni. La fidanzata lo stava già conducendo per la scala che portava alle segrete quando Abraham Van Helsing li raggiunse dicendo:
- Aspettate, vengo anch'io! -
E sottovoce, tanto che lo udì solo la nipote, aggiunse:
- Questa non voglio perdermela! -
Il vampiro era assiso sul trono di legno, con le mani incrociate.
Il futuro marito di Eva gli andò incontro a grandi passi, con un'espressione amichevole sul volto e la mano tesa, dicendo:
- Piacere, sono John Fairboorke! -
Il vampiro rimase placidamente seduto per com'era, guardandosi bene dallo stringere la mano che l'altro gli porgeva. Con la massima calma, osservò quel biondino dai baffetti sottili dalla testa ai piedi, dai piedi alla testa e nuovamente dalla testa ai piedi. Infine, in tono sconsolato, scuotendo il capo annunciò:
- Noi non andremo per niente d'accordo. -
Abraham Van Helsing nascose le risate dietro una tosse improvvisa che non trasse in inganno Eva. John Fairboorke, interdetto dal commento, balbettò:
- Per lo meno proviamoci. -
Il nosferatu scuotè il capo con più vigore di prima e in tono ancor più sconsolato spiegò:
- No, è perfettamente inutile tentare, tanto non servirà a niente, lo so già. -
Eva ribolliva di rabbia, Abraham continuava a tossire a John era rimasto con la mano tesa, attendendo una stretta che non sarebbe mai arrivata. Il non-morto decise benignamente di porre fine all'imbarazzo del giovanotto e congedandolo con un regale gesto della mano, disse:
- E' tutto. Puoi ritirarti. -
Van Helsing dovette uscire di corsa dalla segreta; temeva che il suo accesso di tosse non riuscisse a coprire la risata sgangherata che gli vibrava in gola.

- Tu istighi il vampiro! - ho urlato allo zio, dopo che il mio povero e sconsolato John è uscito mogio dalla villa.
- Io non istigo nessuno! - ha risposto lo zio, ancora ridacchiante - Non è colpa mia se il mio cane la pensa come me. In fondo non lo dice anche il proverbio che il cane finisce col somigliare al padrone? -
- Certe volte sono i padroni che finiscono per assomigliare ai cani! -
Lo zio si è offeso e finalmente ha smesso di ridere.


Alcuni mesi dopo, nel corso dei quali Eva ribadì a più riprese che non aveva alcuna intenzione di abbandonare il suo cognome per acquisire quello del marito ed era anzi fermamente decisa a trasmetterlo ai figli che sarebbero nati, fu celebrato lo sposalizio.
Il vampiro diede prova di grande delicatezza accettando di lasciare in pace gli sposini per tutta la loro prima settimana di matrimonio, terminata la quale si diede attivamente da fare per angariare, infastidire, indispettire, punzecchiare e provocare il nuovo venuto in tutti i modi possibili e immaginabili, e anche in quelli inimmaginabili.
Da questo punto di vista, John Fairboorke gli forniva grandi soddisfazioni dato che al non-morto bastava premere l'indice sul braccio del giovanotto perchè quest'ultimo scattasse in un irritato:
- E basta! Finiscila! -
In capo a due settimane dall'ingresso della nuova coppia dentro Van Helsing Manor fu chiaro a tutti, persino ai muri, che lo sposino era stato innalzato dal vampiro al rango di "giocattolo preferito". Il rispetto del nosferatu verso la futura master crebbe di molti punti: le era infinitamente grato per aver portato nella sua cuccia quel trastullo di nome John.

Nel corso di quei sei anni di apprendistato, Eva aveva finito per accollarsi un po' per volta tutti gli impegni amministrativi dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti. Benchè master Abraham continuasse ad occupare il seggio che gli spettava alla Tavola Rotonda, da molto tempo ormai il Consiglio dei Dodici aveva preso l'abitudine di consultare in separata sede l'erede del forte vecchio per prendere tutte le decisioni importanti.
Eva era ormai a tutti gli effetti il capo dell'Organizzazione. Solo in un particolare lo zio continuava a darle molti punti: nell'obbedienza che otteneva dal vampiro.
Il nosferatu non era più il cagnaccio ribelle che aveva tentato in tutti i modi di espellere la nipote del suo Dio da Van Helsing Manor, la giovane si era ormai conquistata la sua stima. Non per questo il vampiro era disposto a tributarle la stessa deferenza che riservava al master. In quei sei anni, Eva si era abituata a vedere il vampiro trattare lo zio come un oracolo e lei come una compagnona di bisboccia che poteva allegramente punzecchiare ma poco dopo il suo matrimonio, il clima cambiò radicalmente. Sempre meno frequentemente il nosferatu si rivolgeva alla donna con ironia, per lasciare spazio a un tono più serio.
La ragione di quel mutamento era semplice: la salute di Van Helsing peggiorava a vista d'occhio.
La prima ad accusare i colpi dell'età fu la mente del forte vecchio. A novant'anni, master Abraham era ancora lucido come un giovanotto e fu per questo che vederlo regredire nel giro di poche settimane ad un anziano rimbambito, lasciò sgomenti tutti gli umani che lo conoscevano.

Lui che ricordava ogni particolare, adesso scorda tutto. Trascorre le giornate a raccontare sempre le solite cose, interrompendosi dopo pochi minuti per ripetere una domanda, sempre la stessa. Oggi è "Dov'è il mio fazzoletto?", ieri era "Dove ho lasciato il mio bastone?", il giorno prima era "Dov'è la mia tabacchiera?".
Io non riesco più a trascorrere molto tempo con lui. Non è solo l'insopportabilità di rispondergli continuamente "Il fazzoletto è nella tua tasca" ad opprimermi ma anche l'angoscia che mi procura vederlo regredire a questo modo, lui che è sempre stata una roccia salda.
Il vampiro invece riesce a stargli vicino per tutto il tempo in cui rimane sveglio e non capisco da dove tragga la pazienza necessaria per ripetere per ore e ore, senza alterarsi "Il bastone è appeso al bracciolo della tua poltrona, master".
Senza farsene accorgere, toglie dal percorso dello zio gli ostacoli in cui può inciampare (sì perchè adesso lo zio ha davvero bisogno del bastone per muoversi, la sciatica l'ha colpito e non vuole più abbandonarlo) e gli mette vicino gli oggetti che possono servirgli, in modo da consentirgli di non chiedere aiuto. Da qualche giorno però le mani dello zio hanno cominciato anche a tremare, rendendogli impossibili certi gesti e allora il vampiro gliele tiene ferme, accompagnando i suoi movimenti, come farebbe con un bimbo a cui bisogna insegnare a versare l'acqua nel bicchiere.


John Fairboorke, preoccupato per quel rapido declino, cominciò a far venire un giorno sì e uno no il dottore per visitare lo zio acquisito. Eva Wingates Hellsing non aveva bisogno di ascoltare il mesto bollettino del medico alla fine di ogni controllo per rendersi conto che lo stato di salute del parente era critico perchè l'indice della situazione glielo forniva il cagnaccio. Tanto più il vampiro si comportava paternamente col padrone e si rivolgeva con serietà a lei, discutendo di tutte quelle incombenze di cui fino ad allora si era occupato Van Helsing, tanto più questo denotava quanto la salute dello zio peggiorasse.
Arrivò il giorno in cui il vecchio non più forte venne messo a letto e il medico, dopo averlo visitato, disse a nipote e consorte:
- Non si rialzerà e non credo che arriverà alla fine del mese. -
Eva e John discussero a lungo e arrivarono alla conclusione che la soluzione migliore consisteva nel non rivelare ad Abraham la sua condizione critica.
- Facciamolo morire tranquillo. - fu l'idea condivisa da entrambi.
Rientrarono nella camera dell'anziano, attendendo che riprendesse conoscienza e una volta risvegliatosi, gli si fecero intorno pieni di premure, rassicurandolo che si sarebbe ripreso anche da quella ricaduta, benchè sarebbe occorrere più tempo del solito.
Il vecchio però non sembrava ascoltarli. Girava lo sguardo per la stanza, come se cercasse qualcosa e non riuscendola a trovare, si alzò sui gomiti e con voce piena d'angoscia esclamò:
- Il mio cane! Il mio povero cane! I cani fedeli soffrono quando il padrone muore! Non posso andarmene senza salutarlo! -
I nipoti, confusi da quelle parole, non fecero in tempo a rassicurarlo sul fatto che si sbagliava, che non stava morendo, che dal nulla videro il vampiro materializzarsi nella stanza. Forse era rimasto tutto il tempo rintanato in una parete o forse aveva atteso invisibile in un angolo della camera. A grandi passi si accostò al suo Dio infermo e con dolcezza lo rassicurò:
- Sono qui, master. -
- Non potevo morire senza dirti addio. - disse il vecchio, parlando con lo stesso tono di un bambino sconsolato.
- Occorrerà ancora qualche settimana perchè tu muoia. Hai tutto il tempo per salutarmi. - rispose il vampiro e mentre parlava, tornò a far sdraiare l'uomo e gli tirò le coperte fin sotto il mento.

Venne assunta un'infermiera perchè aiutasse la famiglia ad occuparsi del malato. Più volte, nel corso di quelle settimane, la donna esclamò:
- L'incarico più leggero che mi sia capitato in sedici anni di servizio! -
I coniugi Fairboorke non potevano darle torto, dato che il vampiro si accollò molti compiti che sarebbero spettati all'infermiera. Giorno e notte, per tutta la durata dell'agonia del suo Dio, il cane si allontanò dal capezzale del malato solo quando arrivavano i parenti e gli amici di Van Helsing ad accomiatarsi, tutta gente che il nosferatu non sopportava. Vennero anche Jonathan Harker, Holmwood e Seward. Solo Mina non si fece vedere.
A parte queste parentesi, il vampiro restò sempre nella stanza del moribondo, intercettando i suoi bisogni meglio di chiunque altro. Prima ancora che il master articolasse "Ho sete", il nosferatu gli aveva sollevato la nuca, avvicinando il bicchiere colmo d'acqua alle labbra. E ancora, nessuno meglio del cane ricordava quali medicine bisognasse somministragli nel corso della giornata, in quante dosi e quante volte. Una notte in cui era rimasta a vegliare lo zio e nella stanza non c'erano altre orecchie indiscrete che potessero udirli, Eva non riuscì a trattenersi dal chiedere:
- Ti sono grata per tutto quello che fai ma umanamente non riesco a comprenderti. Il tuo Dio ti ha tolto tutto, ti ha schiavizzato, quindi perchè gli sei così devoto? Posso capire questo tuo modo d'agire finchè il master era nel pieno delle sue forze, capace di punirti in ogni momento, ma adesso Dio è debole. Perchè non ne approfitti per vendicarti? -
- Lui mi ha creato, perchè dovrei vendicarmi? - rispose semplicemente il vampiro.
Eva non insistè oltre e lentamente, si addormentò nella poltrona. Era l'alba quando si ridestò e un quadretto singolare si presentò ai suoi occhi. La poltrona era collocata ai piedi del letto e dalla sua angolazione intravedeva lo zio, sdraiato e con gli occhi spalancati, che stringeva convulsamente una mano del vampiro, respirando affannosamente.
" Sta male? " domandò a se stessa la donna. No, in quel caso il vampiro non sarebbe rimasto seduto dov'era, davanti al padrone, stringendogli la mano con quell'espressione paterna sul viso e sorridendo rassicurante. Un senso di attesa gravava nell'aria, impedendo alla nipote di rasserenarsi, a dispetto della tranquillità del nosferatu. Infine, Eva comprese.
Lo zio stava morendo e il cane era lì, ad accompagnarlo sulla Soglia.
Forze contrastanti cozzarono dentro la donna. Il dovere esigeva che dicesse addio allo zio ma una paura atavica la inchiodò alla poltrona. Non voleva vedere Abraham morire, non voleva conservare nella memoria il suo viso terrorizzato. Ma anche quando si fosse inginocchiata al capezzale dello zio, come avrebbe potuto alleviare la sua angoscia? Sarebbe scoppiata a piangere, lo sapeva, già sentiva le lacrime risalirle come lava su per la gola. Avrebbe soltanto aumentato la paura di quel povero vecchio. No, meglio rimanere defilata sulla sua poltrona, lasciando fare al vampiro.
Lui era morto due volte. Quale guida migliore poteva trovare lo zio?
Eva strinse una mano a pugno e se la mise in bocca, mordendosela con forza, per impedire ai singulti di uscirle dalla gola e giungere alle orecchie del vecchio Abraham.
Fu così che Van Helsing morì, portandosi via come ultimo ricordo della Terra gli occhi del suo vampiro che lo guardavano con dolcezza.

I giorni successivi, per la nuova Sir Hellsing, furono caotici. Al funerale da organizzare si sommarono i protocolli burocratici da onorare. Uno dei membri della Tavola Rotonda, la informò che "come portavoce di Sua Maestà e dei Dodici, la investiamo formalmente dell'incarico di nuova guida dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti".
Tutti i parenti e gli amici, provenienti sia dal Regno Unito che dall'Olanda, vennero a salutare il vecchio Abraham. Solo Mina mancò all'appello.
Arrivò finalmente il giorno in cui Abraham venne sotterrato e dopo che l'ultimo ospite se ne fu andato, la nuova Sir si buttò a letto, sprofondando in un sonno piombigno. Fu risvegliata prima dell'alba da un pensiero improvviso: cosa ne era stato del vampiro in quei giorni?
Dopo che il master era deceduto, il cane si era ritirato nella sua segreta per non incrociare la folla di amici e parenti che aveva invaso la villa e nessuno l'aveva più visto. Eva si rese conto con angoscia di non avergli mai portato una bottiglia di sangue da allora, presa com'era da altre beghe, nè di aver ordinato ad altri di sbrigare quell'incombenza.
In fretta la donna si alzò dal letto, prese dalla cucina una bottiglia di sangue del giorno prima, che già cominciava a puzzare di rancido e scese correndo le scale che conducevano ai sotterranei. La stanchezza di quei giorni amplificò il suo senso di colpa. Le tornavano in mente le parole dello zio "I cani fedeli soffrono quando il padrone muore!". Lei aveva lasciato quella povera bestia sola e addolorata nella sua cuccia, affamandola per di più! Che razza di master era?
Arrivò al cospetto del non-morto con gli occhi pieni di lacrime e la voce strozzata:
- Scusa vampiro! -
Il cane, assiso sul trono di legno, la guardò stupito:
- Perchè piangi? Perchè ti scusi? -
- Mi sono dimenticata di te. Non sono scesa per controllare come stavi e per portarti da mangiare. -
Il Re-senza-vita sorrise rassicurante:
- Anche se fossi scesa, non sarebbe cambiato nulla. In questi giorni ho dormito nella mia bara, mi sono alzato poche ore fa. Mi sentivo molto stanco, dopo aver vegliato Dio per tutti quei giorni e quelle notti. Anche tu sei stanca, per questo blateri frasi senza senso. Torna su e vestiti, non ti fa bene rimanere in un posto così freddo in camicia da notte e vestaglia. -
La nuova Sir Hellsing non sapeva se davvero il vampiro avesse dormito per tutto quel tempo o parlasse così solo per tranquillizzarla. Di un elemento era certa: anche se avesse realmente trascorso quei giorni nella bara, il riposo non gli era stato di nessun giovamento. Il cane ormai orfano di padrone aveva lo stesso viso tirato che Eva gli aveva visto durante l'agonia del master.
" Forse è normale che abbia questa faccia, in fondo è deceduto il suo Dio. Chissà cosa si prova, quando Dio muore? "
La donna non seppe rispondersi dato che la sua divinità era ancora viva e vegeta, o per lo meno lei ne era fermamente convinta. Rimase di fronte al servo finchè non recuperò la lucidità necessaria per parlare con voce non più tremante:
- Parenti, amici e servi hanno il diritto di conservare un ricordo dello zio e uno per volta li autorizzerò a salire in camera sua per sceglierlo. Io però voglio che tu abbia la precedenza su tutti. La stanza dello zio è intatta, non ho ancora dato il permesso a nessuno di entrarvi. Vai e scegli un ricordo del tuo master. -
Meno di un'ora dopo Eva, ormai vestita, era nell'ufficio che la forza dell'abitudine la spingeva ancora a definire "dello zio" ma che ormai era a tutti gli effetti suo. Inutile tentare di rimettersi a letto, sapeva che il sonno non sarebbe tornato, così aveva deciso di ammirare il sorgere del sole dalle enormi vetrate della stanza.
Il rumore della porta che si apriva alle sue spalle la fece voltare e il cuore le mancò di un battito. Lo zio era tornato dal regno dei morti e si stava dirigendo verso di lei, con addosso il suo pittoresco cappotto rosso e il cappello dello stesso colore.
Uno smarrimento di pochi istanti, giusto il tempo perchè il cervello registrasse che dentro il cappotto non c'era lo zio ma il vampiro. Nuova sorpresa: lo zio era più basso del cane, com'era possibile quindi che al nosferatu il cappotto giungesse fino alle caviglie?
Ma in fondo, perchè sorprendersi? Quell'essere sapeva plasmare la materia. Così com'era in grado di trasformare se stesso in pipistrello, poteva allungare e allargare un cappotto come meglio gli aggradava, giusto?
- Non volevi che prendessi queste cose? - chiese il cane, non sapendo come interpretare lo stupore sul viso della donna.
- Certo che puoi prenderle. Sono solo sorpresa, non credevo che saresti riuscito ad entrare in questo giubbotto. -
Il vampiro abbozzò un ghigno, rassicurato. Dopo di che si curvò a terra. Eva lo guardò senza comprendere cosa stesse facendo. Aveva forse perso qualcosa? Realizzò che il mostro si era inginocchiato di fronte a lei solo quando gli sentì dire:
- Order, my master. -
All'inizio, fu come essere spinta sotto una doccia gelata: un'evento talmente improvviso da lasciarti priva di sensazioni. La mente della donna ebbe bisogno di alcuni istanti per cogliere in tutta la sua portata il significato di quell'atto.
L'aveva scelta! Il vampiro l'aveva accettata come master!
Nessuna onoreficienza reale avrebbe potuto darle il senso di trionfo e orgoglio che master Eva provò in quel momento! Le tre parole che le aveva rivolto il Re-senza-vita se l'era guadagnate, sudando sangue e disperazione, per sei lunghissimi anni!
Il vampiro sollevò la testa, guardandola nelle pupille e tornando a ripetere:
- Order, my master. -
- Riposati. - rispose la padrona con decisione - Per adesso non c'è niente da fare e tu sei più sfinito di quel che vorresti farmi credere, quindi pensa solo a dormire e a mangiare. -
Il vampiro ghignò apertamente:
- Ya, my master. -

Van Helsing aveva fatto un ottimo lavoro. Durante i primi mesi del suo apprendistato, quando Eva sentiva affermare allo zio che aveva domato il Conte, la ragazza non aveva avuto la percezione della profondità da attribuire al significato della parola "domare". In che senso andasse intesa quell'espressione, lo comprese solo nel corso degli anni.
Van Helsing aveva spezzato, annichilito e sottomesso il rivale. L'aveva distrutto, mentalmente ancor prima che fisicamente. Aveva voluto crearsi un cane ubbidiente, uno schiavo che l'adorasse come un Dio ed era pienamente riuscito nell'intento. Il vampiro senza più nome di master Abraham si considerava davvero il cane del padrone, vivendo nell'attesa di ricevere un complimento e una carezza da parte del grande vecchio e la sua mente schiavizzata trascorreva tutto il tempo nell'adorazione del suo Dio mortale.
Per tutte queste ragioni, durante i mesi che seguirono il decesso di master Abraham, il cane a due gambe di Hellsing Manor si aggirò per la sua enerome cuccia senza sapere cosa fare di se stesso. Aveva trascorso ventotto anni a riverire Dio, adattando il suo passo, i suoi gesti, il tono della propria voce a quelli del forte vecchio, diventando un'appendice del medico olandese. Ventotto anni che per il vampiro senza nome erano stati l'equivalente di una vita intera.
Sapeva di essere tornato sulla terra grazie alla Creazione del Vecchio ma spesso si domandava se realmente c'era stata un'altra esistenza, prima che Van Helsing versasse il proprio sangue sulle sue ceneri. Nel corso dei primi mesi dopo la sua nascita ( o doveva definirla rinascita? ) era stato certo di aver vissuto altro. Poi però i ricordi si erano offuscati e presto si era convinto che le fugaci visioni che saltuariamente gli attraversavano la mente a base di battaglie contro umani e vampiri, castelli arroccati sui monti, donne e figli fossero soltanto sogni anzi incubi che lo assillavano quando dormiva e che saltuariamente ricordava da sveglio. Aveva quindi finito con il convincersi che prima che Van Helsing lo creasse ci fosse stato il Nulla.
Per questo, adesso che Dio non c'era più, gli veniva a mancare l'occupazione di un'intera esistenza ( o non-esistenza ) e bighellonava disorientato e senza scopo per Hellsing Manor. In un primo tempo, aveva cercato di sostituire Abraham con Eva ma la nuova master aveva liquidato quell'atteggiamento in modo categorico:
- Non sono mio zio. A lui faceva piacere essere seguito da un'ombra devota e silenziosa, a me no. Non mi piacciono i cani che rimangono accucciati per ore ai piedi del padrone, annoiati ma fedeli. Preferisco i cani indipendenti, quelli che quando li porti a spasso e gli togli il guinzaglio, poi non ne vogliono sapere di tornare da te. Li chiami, fischi, loro si materializzano a qualche metro di distanza per farti capire che sono ancora vivi e presenti e poi tornano a scorrazzare per i prati. Ti fanno dannare l'anima ma al contempo dimostrano di avere una personalità. Ho litigato con te per sei anni, mi hai abituata a battagliare furiosamenti e adesso pretendi che butti tutto a mare e accetti di vederti diventare un'ombra che mi dice sempre "Sì, hai ragione"? Scordatelo! Oltretutto, non sarebbe neanche divertente. Tentare di chiuderti il becco quando mi punzecchi è un passatempo niente male, sai? E allora perchè dovrei rinunciarvi? -
Il cane l'aveva guardata avvilito. Quelle parole gli avevano fatto lo stesso effetto delle bastonate di Abraham. Master Eva sentì di compatire l'essere che le stava di fronte così grande, grosso e feroce e in quel momento anche così smarrito. Con più dolcezza, disse:
- Le ore che dedicavi a Dio adesso usale per te stesso. -
Il mostro non capiva. Nei suoi ventotto anni di vita mai si era occupato di se stesso, preso com'era ad accudire il forte vecchio.
- Come si fa? -
- Fai ciò che ti fa stare bene, ti dà piacere e ti rilassa. -
Il vampiro che continuava a non avere un nome rimase perplesso e la padrona chiuse il discorso commentando:
- Imparerai. Dai tempo al tempo. -

Master Eva era curiosa. Capiva che il cane di Van Helsing aveva i mesi contati, non fisicamente ma caratterialmente. La fine di Dio Abraham aveva segnato l'inizio dell'agonia dello schiavo che dominava la mente del vampiro e una volta che fosse morto, avrebbe lasciato il posto ad una nuova personalità. Qualcuno che non sarebbe stato Dracula, dato che ormai il Conte era sepolto definitivamente ma non sarebbe stato nemmeno il cane di Abraham. Sarebbe sorta una terza persona, qualcuno che solo in parte avrebbe tenuto dentro di sè gli scampoli di Dracula e del Cane, unendoli a qualcosa di nuovo e originale.
Il tempo le diede ragione. Ogni giorno un pezzetto del cane di Van Helsing moriva e attraverso il vuoto lasciato master Eva vedeva come attraverso una finestrella il Nuovo Vampiro avanzare. Somigliava molto al mostro indisponente con cui aveva ferocemente battagliato fino ad allora e la cosa non le dispiacque: le sarebbe seccato sommamente dover ricominciare tutto daccapo con uno sconosciuto.
Il nuovo vampiro si comportava come il camerata che Eva conosceva così bene cioè stimava profondamente la master ma si riservava comunque il diritto di continuare a punzecchiarla e a Sir Hellsing andava bene così. Dopo più di sei anni di guerre furiose Eva si era abituata a quei duelli verbali e accettava quelle provocazioni con divertimento, gongolando ogni volta che riusciva a tappare la bocca al cane con qualche risposta arguta.
Le lunghe ore trascorse in automobile per giungere ai luoghi infestati, diventarono delle oasi di svago nell'esistenza indaffarata di Sir Hellsing, anche perchè il vampiro non le girava più a tradimento lo sterzo, lasciando che la master prendesse le strade che preferiva. Ma non sempre quei lunghi tragitti trascorrevano fra provocazioni e battute di risposta.

Lo zio diceva spesso che la non-vita del vampiro era cominciata nel momento stesso in cui lo aveva strappato dalla morte. I secoli precedenti non contavano, andavano cancellati dalla mente del cane. Devo ammettere che era riuscito nel suo intento. Nei sei anni in cui sono stata l'apprendista dello zio, solo una volta al vampiro è sfuggito un ricordo della sua esistenza precedente, quando lo chiamai in ufficio per concedergli una serata libera e lui mi raccontò di come ammirava il suo regno dal ciglio di una scarpata.
Non feci parola con lo zio di quella discussione perchè sapevo che non l'avrebbe apprezzata. Adamo era nato con la sua Creazione, nella testa del mostro non doveva esserci spazio per nient'altro che non fosse la contemplazione di Dio Abraham. Con questa consapevolezza, nel corso degli anni mi sono convinta che il racconto sfuggito dalle labbra del vampiro fosse un "regalo", qualcosa che aveva concesso a me e a nessun'altro. E anche una "messa alla prova", pronto a farmela pagare se avesse scoperto che avevo spifferato il suo regalo ad altri. Per questi motivi, penso che la cancellazione di qualsiasi ricordo dalla testa del vampiro fosse solo apparentemente merito dello zio.
Ti prego zio Abraham, non te la prendere dall'alto dei Cieli ma siamo sinceri: peccavi di superbia. Soprattutto per quel che concerneva il vampiro, eri convinto che tutto partisse e terminasse da te e in te. Rifiutavi di considerare che il tuo cane possedesse un'intelligenza maggiore di quel che credevi.
Ultimamente mi vado convincendo che l'apparente "tabula rasa" fatta nella mente del vampiro, sia opera del nosferatu stesso. Ricordare in presenza di Van Helsing era pericoloso, le persone che in quei ricordi comparivano sarebbero state nella migliore delle ipotesi denigrate e allora meglio proteggerle chiudendole in un ripostiglio del cervello e lasciando che il tempo ammucchiasse polvere e ragnatele su quella porta e arrugginisse la serratura. E se capitava che saltassero fuori durante i suoi sogni, il mostro li avrebbe considerati come tali, qualcosa che non era realmente esistito.
Adesso però master Abraham è defunto, master Eva non sembra prendersela all'idea che il cane abbia un'esistenza secolare alle spalle e quindi non è più così pressante tenere chiusa la porta dello sgabuzzino. Il risultato è che i suoi ricordi zampillano dalle fessure della porta coperta dalle ragnatele, venendo lentamente a galla.
Me ne informa durante gli spostamenti in automobile, anche se sono convinta che quel che mi racconta è solo una parte, e la meno importante, di ciò che riaffiora dalla sua mente. Ancora non si fida interamente di me, non sa in quanto somigli o meno allo zio. Sonda il terreno con le parole e se l'esito gli sembrerà positivo e io degna di fiducia, probabilmente nei prossimi anni ne scoprirò delle belle su di lui. Per adesso mi devo accontentare di rivelazioni poco eclatanti ma per quanto banali possano essere, hanno sul vampiro lo stesso effetto di una delle bastonate dello zio. Si stupisce lui per primo di riscoprire che tanto tempo prima è stato un essere libero, signore di un territorio, padrone di tanti servi e marito di molte mogli.
" Te ne rendi conto, master? Una volta ero questo! " esclama sbalordito.
Ho come il sospetto che abbia anche qualche figlio sparso per il mondo ma i suoi ricordi sull'argomento latitano o almeno così vuol farmi intendere. Presumo sia uno di quegli argomenti di cui mi metterà al corrente se e quando gli sembrerò degna di fiducia e non posso dargli torto. Se questi rampolli sono a loro volta vampiri, è rischioso informare un'Hellsing della loro esistenza. A me personalmente, finchè non mettono piede in Gran Bretagna, non interessa dargli la caccia ma penso che lo zio fosse di altre opinioni. Considerava una missione divina sterminare ogni membro del clan Dracula. Se davvero il cane avesse avuto dei cuccioli vampiro, lo zio sarebbe stato capace di inseguirli fino al Polo Nord per infilargli un paletto nel cuore.
Ammetto che spesso mi domando quanto bene faccia al vampiro recuperare il suo passato. Ogni ricordo finisce col metterlo a confronto con la schiavitù in cui versa adesso e con il fallimento che l'ha condotto a questa condizione. Un misto di vergogna e di rabbia verso se stesso è diventato suo compagno costante, fedele come l'ombra.


Presto si profilò all'orizzonte un problema ben più grave dello stato d'animo del cagnaccio.
Abraham Van Helsing aveva mantenuto alta la forza del Patto di Cromwell e la nipote non aveva osato contravvenire all'avvertimento dello zio di non abbassarla, pena il rischio che il vampiro recuperasse la sua forza e si rivoltasse contro la padrona. Tenere alto il livello dei sigilli comportava però che il cane avesse debolezze quasi umane, di conseguenza non c'era missione da cui non tornasse con la carne squarciata e le ossa rotte. Finchè Abraham Van Helsing era stato in vita, ciò non aveva costituito un problema. Il dottore sapeva come alleviare le pene di quel corpo martoriato ma per sua nipote, digiuna di qualsiasi nozione medica, quel vampiro pieno di sbrani da ricucire era solo un'enorme rogna.
Prima di morire, lo zio le aveva lasciato il nome di un dottore suo amico, un tipo in gamba, consapevole di dover fingere che il tizio che abitava nelle segrete della villa fosse umano. Il problema è che non sempre il signore in questione poteva arrivare a spron battuto. Capitava che dal momento in cui veniva allertato al momento in cui suonava al campanello della villa potessero trascorrere anche molte ore e in quei casi, le operazioni di primo soccorso dovevano essere svolte dai coniugi Fairboorke. In teoria. In pratica, quest'incombenza ricadeva tutte sulle spalle di master Eva.
- Io non scendo in quello scantinato per curarlo. Il sangue mi fa impressione. - affermava con decisione John Fairboorke.
- Perchè, credi che a me faccia meno impressione? - rispondeva la moglie che già si sentiva cedere le ginocchia all'idea di mettere le mani su quel corpo devastato e la prospettiva di dover svolgere una simile impresa da sola non faceva che aumentare la sua tremarella. Per il marito, la soluzione era semplice:
- Aspettiamo l'arrivo del dottore. Perchè dobbiamo angustiarci tanto per quel vampiro? In fondo, è solo un mostro. -
- Anche se è un mostro, per il Patto di Cromwell la sua capacità di percepire il dolore è analoga alla nostra. Non mi sembra il caso di farlo soffrire come un cane per tutte queste ore. -
- Allora diamogli l'occorrente per medicarsi e che se la sbrighi lui. -
- Me lo sono vista tornare alla macchina con una lamiera che gli trapassava la coscia da parte a parte. Se l'è tolta da solo. Dobbiamo anche pretendere che si curi da solo? -
- Io lo pretendo, sì. Considerando come mi tratta, non vedo perchè dovrei prendermela tanto a cuore per lui. Chi semina vento raccoglie tempesta. Gli sto solo restituendo tutte le cortesie che mi riserva quotidianamente! -
A quel punto alla moglie non restava che arrendersi. Umanamente, non poteva pretendere altro dal coniuge. Il vampiro obbediva solo a lei e a lei toccava averne cura.
Quella situazione angustiava il nosferatu quanto la sua padrona. Il non-morto non aveva mai trovato nulla da ridire sulle cure di master Abraham perchè il dottore, ancor prima che il suo signore e padrone, era stato il suo Dio e al mostro era parso inconcepibile allontanare da sè le mani di chi l'aveva creato. Master Eva, invece, non era la sua Dea ma semplicemente la sua padrona e l'orgoglio guerriero del vampiro usciva umiliato dalla prospettiva di lasciarsi spogliare e accudire dalla sua signora come fosse un infermo.

- Faccio io...faccio io... - farfuglia, senza neanche avere la forza di parlare.
Lo accontento e lascio accanto a lui la cassetta con le bende. Torno al piano di sopra e conto con ansia i minuti, combattuta fra il desiderio di tornare giù e accertarmi che stia bene e la paura di quel che mi si può presentare davanti agli occhi e che mi spinge a rimandare l'incontro il più tardi possibile. Dopo un'ora di quell'angosciante attesa, prendo una bottiglia di sangue per rifocillarlo e scendo nella segreta.
Lo trovo per come l'avevo lasciato, bende e sulfamidici ancora nella scatola, troppo esausto per muovere un dito.
Mi siedo accanto a lui e con un panno cerco di pulirgli il viso dal sangue rappreso. Solleva su di me uno sguardo umiliato. Cerco di consolarlo ma so che le mie sono parole vane. Se fossi al suo posto, reagirei esattamente come lui.

Un anno trascorse in quel modo e master Eva riflettè a lungo su come risolvere la situazione. Da qualsiasi punto analizzasse il problema, le sembrava che l'unica soluzione plausibile fosse abbassare la forza del Patto di Cromwell.

Proprio ciò che lo zio mi ha ripetuto fino allo sfinimento di NON fare! Sono combattuta. La prudenza mi consiglia di ascoltarlo, mi dice che nessuno meglio di colui che ha sottomesso il vampiro può sapere a quali rischi andrei incontro. La ragione però va in un'altra direzione.
Più rifletto sulla questione, più mi domando quanto realmente lo zio conoscesse il suo cane. Ha dovuto essere spietato per addomesticare la belva ma una volta raggiunto lo scopo, non ha pensato di cambiare modo d'agire, temendo che il mostro potesse ribellarsi con un polso meno fermo. Abraham Van Helsing ha avuto il coraggio di rischiare strappando dalla morte Dracula ma non ha poi avuto la forza di rimettersi nuovamente in gioco col suo mostro addomesticato. Ha preteso dal cane un'obbedienza assoluta, senza concedergli margini di espressione e il risultato è che ha dovuto attendere più di vent'anni per scoprire una banalità come i gusti del suo vampiro. Ha dovuto aspettare che una pivella come me litigasse col mostro per venire a sapere che al cane piace il sangue di cavallo ma non quello di montone.
Forse peccherò di superbia, non dico di no, ma credo che tutte le diatribe che ho ingaggiato col vampiro, per quanto spossanti siano state, mi abbiano permesso di comprenderlo molto più profondamente di quanto sia riuscito a fare lo zio. Per questo adesso mi domando se sia davvero così rischioso abbassare la potenza del Patto di Cromwell. Un Patto, per essere tale, non dovrebbe basarsi sulla costrizione ma su di un'intesa fra i contraenti. Un po' per questo, un po' per la conoscenza che ho del vampiro, che fra l'altro non è più il cane di Van Helsing, penso che il Patto possa reggersi anche senza tenere al massimo la forza dei sigilli.

Master Eva procedette con i piedi di piombo. Per mesi e mesi continuò a scervellarsi se quella fosse davvero la soluzione migliore da attuare. Non voleva agire avventatamente: un passo falso col vampiro avrebbe significato la castrofe, la morte per lei e tutti coloro che abitavano dentro Hellsing Manor e chissà quante vittime per l'intero Regno Unito.
Prese le sue decisioni da sola, senza informare dei suoi dubbi nè il marito nè i membri della Tavola Rotonda. Sapeva che tutti quegli uomini si sarebbero ribellati all'idea di allentare il guinzaglio del mostro ma del resto nessuno di loro conosceva il cane bene quanto lei. No, essere la master implicava una solitudine congenita col ruolo. Il vampiro obbediva solo a lei e solo lei poteva occuparsi di lui.
Quando fu certa della propria scelta, chiamò il non-morto in ufficio e senza preamboli lo informò:
- Ho deciso di abbassare la forza dei quattro sigilli di Cromwell. Terrò sotto il mio controllo il Livello Zero ma gli altri Livelli te li gestirai da solo come meglio credi. -

E' rimasto a fissarmi per lunghi istanti in un silenzio attonito. Infine, con cautela, ha chiesto:
- Ti rendi conto di cosa stai facendo? -
Abbiamo discusso a lungo. Non riusciva a capacitarsi che pur essendo consapevole di quanto rischiavo, fossi disposta a compiere un simile passo. Se il vampiro era stupito, io lo ero ancora di più: pensavo che avrebbe accolto con gioia una simile notizia e invece eccolo lì, pignolo come un avvocato dell'accusa, intento a spaccare il capello in quattro alla ricerca di un pericolo che avevo sottovalutato da sbattermi sotto il naso.
- Fammi capire, ti fa schifo l'idea di tornare a padroneggiare i tuoi poteri, inclusa la rigenerazione? Non sarà più necessario che ti ricucia come un sacco dopo ogni scontro, sarai capace di rimarginarti da solo le ferite. Già solo per questo dovresti fare i salti di gioia, invece sembri quasi offeso! -
- I salti di gioia meritano di essere fatti solo se ne vale la pena. Quello che sto cercando di fare adesso è proprio capire se valga la pena di saltare o meno. Se davvero hai considerato tutti i rischi a cui vai incontro e nonostante ciò hai deciso di darmi tanta fiducia da restituirmi il controllo di quattro sigilli, allora sì che vale la pena saltare. Ma se questa decisione è frutto di superficialità o stupidità, non c'è motivo per cui dovrei gioire. -
- Insomma, ti secca l'idea che ti sottovaluti. -
- Precisamente! -
Non avevo considerato la questione sotto questo punto di vista e ammetto che cominciai a sudare freddo. Un dubbio s'insinuò in me: forse il vampiro si sarebbe sentito autorizzato a sbranarmi insieme a tutti gli abitanti di questa casa se si fosse convinto che gli avevo restituito il controllo su quattro Livelli non per fiducia nei suoi confronti ma perchè lo giudicavo alla stregua di un innocuo barboncino. Cominciai freneticamente a fare i conti con la mia coscienza: le mie azioni erano dettate più dalla fiducia nel vampiro o nelle mie capacità? Ero lì a lambiccarmi il cervello quando il vampiro sparò la sua cannonata, il colpo segreto che aveva tenuto per sè fin dal principio della discussione:
- Sei pronta a rischiare, questo l'ho capito ma sei disposta a rischiare anche la vita dell'inquilino che si trova dentro di te? -
Sobbalzai sulla sedia:
- Come fai a sapere che sono incinta? Non l'ho detto a nessuno! A dire il vero, ancora non ne sono sicura nemmeno io! -
- Il sangue non rimane uguale per tutta la vita. Ogni passaggio di età, ogni evento importante dell'esistenza, ogni cambiamento rilevante nella persona, gli imprimono un sapore diverso. Due settimane fa ti feristi e mi facesti leccare il tuo sangue. Il suo sapore era molto diverso dalle volte precedenti e ho immaginato quale potesse esserne la causa. -
Due settimane fa nemmeno sospettavo di essere incinta. Accidenti a lui, più accurato di una visita medica! Be', in fondo la situazione poteva giocare a mio vantaggio:
- No, non sono disposta a rischiare la vita di chi porto dentro. Questo dovrebbe convincerti sulla cautela con cui ho preso la mia decisione. -
E' rimasto ad osservarmi in silenzio poi ha chiuso gli occhi e sollevato leggermente il mento, lo stesso gesto che farebbe un alpinista intento a respirare l'aria montana, pulita e fresca. Con un mezzo sorriso, ha detto:
- Ho trascorso in schiavitù tanto di quel tempo che avevo dimenticato cosa si prova ad essere trattati come una persona. -
Nuovo stupore da parte mia. No, ammetto di non aver considerato la situazione nemmeno da quel punto di vista. Non avevo pensato che restituirgli il controllo di quattro livelli volesse dire restituirgli anche la dignità di una persona. E' rimasto per un po' in quella posizione, poi ha riabbassato lo sguardo su di me annunciando:
- Non voglio sia un regalo che il padrone concede al cane. Voglio che sia un patto fra persone eguali. Corri un rischio a concedermi di controllare quattro livelli. E' giusto che contraccambi rischiando qualcosa anch'io quindi divorerò le mie stesse ali, per rendermi più docile. -
Così dicendo ha steso un braccio, facendo l'atto di stringermi la mano. Non ho ricambiato il gesto, prima dovevo capire in cosa mi stavo impegnando, così ho chiesto:
- Aspetta, non ti seguo. Cosa vuol dire questa frase? -
- Vuol dire che ciò che Dio Abraham ha ottenuto con la costrizione, tu e chi discenderà da te lo otterrete rinnovando questo accordo, generazione dopo generazione. M'impegno ad essere docile con la tua stirpe. Divorerò la mia ferocia per non mangiare chi avrà il tuo sangue e veglierò sulla tua discendenza.-
Il patto sembrava allettante ma per il vampiro comportava delle controindicazioni.
- Sicuro di non darti la zappa sui piedi? Divorare la tua stessa ferocia non ti renderebbe debole contro gli avversari? -
- Non temere, all'occorrenza saprò recuperarla. La legherò al Livello Zero e quando lo libererai, soffierò fuori le mie ali e le dispiegherò in tutta la loro potenza ma non contro gli Hellsing. -
Mi sono concessa ancora un altro po' di tempo ma più per fare scena che per decidere. Avvertivo la sincerità delle parole del vampiro e ormai sapevo quale strada intraprendere. Mi sono alzata e gli ho stretto la mano.
Adesso il Patto di Cromwell è realmente sigillato.

John Fairboorke, solitamente accondiscendente, quella volta s'impuntò.
- Non ti mando incinta a spasso per l'Inghilterra a caccia di mostri! -
- Ma c'è il vampiro con me. -
- E' proprio la presenza di quell'incosciente a preoccuparmi! -
Sir Hellsing sospirò:
- Cosa dovrei fare, secondo te? Mandarlo al lavoro da solo? -
- Non sarebbe un'idea malvagia. -
Un'immagine s'impossessò della mente di master Eva, vivida come se accadesse davanti ai suoi occhi. Un Redcap correva fulmineo per un prato, zigzagando nel tentare di sfuggire al pericolo e dietro di lui il vampiro che ghignando guidava l'aumobile a folle velocità, tentando di spiaccicare il folletto sotto le ruote.
- Non se ne parla nemmeno, John! Il vampiro alla guida della macchina è troppo pericoloso! Zigzagando a tutta birra dietro a un Redcap, finirebbe per farla accappottare. Inoltre non si ferma per far attraversare le vecchiette! -
- Allora guiderò io e lo accompagnerò sui siti da disinfestare. Tu resterai a casa, su questo sono irremovibile! -
L'idea di rimanere nove mesi chiusa in casa a fare la calza non allettava master Eva ma una volta tanto che il consorte si mostrava deciso a svolgere un lavoro all'interno dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti le sembrava un delitto lasciar sfumare quello zelo, così accettò la proposta e scese nelle segrete per informare il vampiro che dalla prossima missione sarebbe stato accompagnato da John Fairboorke.
Il nosferatu accolse la notizia con aria offesa:
- Non ti fidi di me, master? Credi che sia un incosciente? Se per te e per l'erede ci fossero pericoli, sarei il primo ad avvertirti di rimanere ad Hellsing Manor. Invece pericoli non ce ne sono, non finchè rimarrete sotto la mia protezione. Arriviamo sul luogo da disinfestare, scendo a massacrare il mostro, tu mi aspetti chiusa in macchina e con la rivoltella sulle ginocchia. Niente di male può accadervi in mia compagnia quindi perchè vuoi spedirmi al lavoro con tuo marito? -
Master Eva sospettava fosse meglio non rivelare che l'ordine era partito da John Fairboorke così tentò di giustificarsi rispondendo:
- Potrebbe nuocermi alla salute... -
Le sopracciglia del vampiro si aggrottarono ancora di più:
- Molte delle mie donne si scalmanavano fino a poche ore prima di partorire senza che accadesse niente a loro e al marmocchio. Tu sei una scavezzacollo dello stesso tipo, non riusciresti a rimanere con le mani in mano per nove mesi, quindi smettila di raccontarmi frottole e spiegami perchè vuoi rintanarti in casa. -
Master Eva spalancò gli occhi, stupita: allora aveva sospettato giusto, il suo vampiro aveva seminato degli eredi per il vasto mondo. Peccato che in quel momento non potesse perder tempo a fargli domande in merito, dovendo discutere di qualcosa di più pressante. Messa alle strette, la donna confessò:
- John è preoccupato per la mia salute. -
La fronte del vampiro si distese:
- Quindi è lui che ha chiesto di venire a caccia di mostri con me? Daccordo allora, andrò a lavorare con John Fairboorke. -
L'arrendevolezza del nosferatu insospettì master Eva e fu con contrarietà che pochi giorni dopo accolse la notizia che in un immissario del lago Lomond era stata segnalata la presenza di un Kelpie. Affidare al marito come prima missione un lavoro così impegnativo e lontano (in Scozia!) obbligandolo a rimanere in compagnia del vampiro per un bel po' di giorni, le sembrava un azzardo.
- Vengo con voi! - propose la donna ma il consorte rifiutò con decisione.
- Saprò cavarmela, vedrai. -
Master Eva nutriva più di un dubbio in merito e nel tentativo di alleviare le fatiche di John scese nei sotterranei della villa con una scatola in mano. Il vampiro guardò l'oggetto con disappunto.
- Devo proprio? - chiese.
- Certo e ti farai rinchiudere qui dentro anche quando dovrete tornare a casa. Trasformati in pipistrello. -

John Fairboorke tornò a casa undici giorni dopo essere partito, quando la moglie stava ormai ammattendo dalla preoccupazione chiedendosi perchè uomo e vampiro impiegassero così tanto tempo e immaginando i più foschi scenari. Il Kelpie aveva divorato John? Il vampiro aveva abbandonato suo marito nella brughiera scozzese lasciandolo morire di freddo e di fame? Niente di tutto questo, come le spiegò il consorte finalmente a casa:
- Sono occorse due notti di ricerca per scovare il Kelpie e una volta trovato, il vampiro l'ha eliminato dopo aver lottato con lui per un paio d'ore. Probabilmente era capace di ucciderlo in molto meno tempo ma immagino volesse divertirsi un po' con quel mostro. -
- E nei rimanenti nove giorni cosa diavolo avete fatto?! - chiese Eva, costernata.
Con imbarazzo, John confessò:
- Il giro turistico della Scozia. -
- Cooosa?! Io ero qui a macerarmi d'ansia... -
- Mi ha obbligato! - esclamò il marito, interrompendola - Eliminato il Kelpie, il vampiro mi ha costretto a guidare fino a Loch Ness, dicendo che voleva azzuffarsi anche col mostro di quel lago. -
- Ma gli avevo ordinato di trasformarsi in pipistrello e farsi rinchiudere nella scatola per tornare a casa! -
- Lo so ma lui interpreta le parole a modo suo. Prima di intraprendere il viaggio di ritorno, si è davvero trasformato in pipistrello e lasciato rinchiudere nella scatola però ha voluto stabilire lui quando era il momento di tornare a casa. Era deciso a bighellonare per la Scozia e ad avvistare Nessie prima di avviarsi verso Hellsing Manor e non sono riuscito a fargli cambiare idea. Siamo rimasti due notti a prendere l'umido in riva al Loch Ness senza che il mostro si lasciasse vedere, il vampiro blaterava di utilizzarmi come esca per far emergere il serpentone acquatico e ho temuto che volesse far seguire alle parole i fatti. Finalmente si è scocciato di attendere Nessie e mi ha costretto a scarrozzarlo in gita turistica per i dintorni. Fra le tante tappe, siamo entrati in un maniero infestato dagli spiriti e ha fatto a pugni con il fantasma che vi abitava. Non so come ci sia riuscito, visto che gli spettri sono incorporei e gli oggetti li attraversano ma giuro di aver visto con i miei occhi il vampiro far saltare gli incisivi al fantasma del Duca con un cazzotto. Solo dopo quella zuffa ha accettato di tornare a casa. -
Master Eva era furiosa. Come aveva osato il cagnaccio contravvenire così ai suoi ordini? Stava per scendere nelle segrete a cantargliene quattro quando John, abbassando gli occhi per la vergogna, aggiunse:
- Credo di non essere tagliato per questo lavoro. -
La furia di master Eva sbollì di colpo:
- Stai dicendo che accetti che io vada a spasso per il Regno, incinta, a caccia di mostri scortata da un vampiro? -
Umiliato, John fece segno di sì con la testa:
- Ubbidisce solo a te. -
La donna sapeva che avrebbe dovuto comunque rimproverare il non-morto eppure non ne aveva più la minima voglia. Se avesse dato retta ai suoi desideri più profondi, avrebbe detto "grazie" al Re-senza-vita ma dato che a fare le spese della sua liberazione era stato il marito, le parve ingiusto pronunciare quella parola. Decise così di non dire niente, nè rimproveri nè ringraziamenti. Riprese il suo posto di guida accanto al servo e proseguì nel lavoro.

John Fairboorke schiattava d'orgoglio per il maschietto che era nato ma la sua felicità fu di breve durata.
- Per piacere, vai nella segreta del vampiro e conducilo qui. - gli disse la moglie, qualche ora dopo il parto.
Il marito non riusciva a credere alle sue orecchie:
- Perchè dovrei far entrare qui quel terzo incomodo? Cosa c'entra lui? -
- Nostro figlio sarà il suo futuro master, prima lo conosce e meglio è. Già da domani potrebbe cominciare il via vai di parenti e amici che vengono a far visita. Sai che il vampiro non li sopporta e loro non sopportano lui. Il cagnaccio si rinchiuderebbe nella sua segreta finchè la villa non tornasse silenziosa, ma a quel punto una moltitudine di persone avrebbe conosciuto Arthur prima di lui. -
- E allora? Che male c'è se incontra il bambino dopo gli altri? A rigor di logica, sarebbe giusto così: parenti e amici non hanno forse la precedenza sui servi?-
Master Eva era di un'altra opinione. Avvertiva che sarebbe stato molto più salutare non lasciare in disparte il non-morto in quel frangente, così tornò alla carica:
- Questo servo, come lo chiami tu, è il futuro del nostro bambino quindi meglio non ferire il suo orgoglio. Adesso, per piacere, vai a chiamarlo? -
- No! - s'impuntò il marito. Era passato sopra a tante cose, da quando era entrato a far parte di quella famiglia ma adesso gli sembrava che si stesse passando il segno.
- Non permetterò a quel lurido mostro di entrare nella mia camera, dove mia moglie giace in camicia da notte sul mio letto e con mio figlio accanto! -
La pazienza della donna aveva raggiunto il limite e con astio replicò:
- Ti ricordo che questa è la MIA camera, che si trova nella MIA villa e dato che tu sei MIO marito, saresti così gentile da andare alla ricerca del MIO vampiro, così che possa fargli conoscere MIO figlio? Oppure devo alzarmi, prendere in braccio il bambino e scendere giù nelle segrete in camicia da notte per farglielo vedere? -
- Sei una donna insopportabile! - Ringhiò John Fairboorke e girando sui tacchi, andò alla ricerca del mostro.

Master Eva attendeva seduta sul bordo del letto, col neonato in braccio. Quando il vampiro le fu davanti, ordinò:
- Allunga le braccia. -
Il non-morto ubbidì e la donna gli mise il bambino sulle mani spiegando:
- E' mio figlio Arthur. -
Il vampiro avvicinò a sè il piccolo con gesto esperto. Osservò il faccino ancora grinzoso, poi tornò a guardare la padrona e ghignando parlò:
- Quando nasce un bambino, viene fatto annusare al cane di casa, in modo da fargli capire che si tratta di un nuovo membro della famiglia e non di un'estraneo che può attaccare. E' quello che stai facendo con me, master? Mi stai facendo annusare tuo figlio per impedirmi di sbranarlo? -
- Qualcosa del genere - ammise la donna.
Il vampiro tornò ad osservare il neonato:
- Non era necessario farmelo annusare. Avevamo già stabilito nove mesi fa che avrei divorato le mie stesse ali per rendermi più docile. Credi che abbia scordato la promessa fatta, di vegliare e proteggere la tua stirpe? -
- No, ero certa che non l'avevi dimenticata, però mi è sembrato giusto mostrarti prima che agli altri il master del tuo futuro. Così come mi è sembrato giusto che Arthur conoscesse le tue braccia prima di quelle di tanti altri. -
Un'espressione soddisfatta passò sul viso del servo, che si sentì comunque autorizzato ad avvertire:
- Vegliare sulla tua discendenza è un conto, accettare automaticamente un neonato come master è un altro. Lo accetterò come padrone solo se ne sarà degno. -
Allungò le braccia, restituendo il figlio alla madre. Per quel giorno, l'aveva fiutato abbastanza.

Qualche mese dopo che il piccolo Arthur aveva imparato a camminare, la signora Jackson si presentò al cospetto di Eva dicendo:
- Signora, non sono una persona che si tira indietro quando c'è da lavorare ma se le mie mansioni di bambinaia in questa casa devono consistere unicamente nel pulire il sederino di suo figlio, allora preferirei tornare alla mia fattoria per cambiare il pannolino ai miei bambini, attualmente tutti accuditi da quella povera vecchia di mia suocera. La bambinaia dovrebbe occuparsi anche dell'educazione dei piccoli ma come posso educare un bambino che sta sempre aggrappato al cappotto rosso del vostro guardiano? Arthur viene da me solo quando ha fame o deve fare i bisognini e poi scappa da quella faccia da forca. -
Alla signora Jackson, come a tutto il personale domestico di Casa Hellsing, non piaceva quel tizio senza nome che si era impossessato del cappotto e del cappello del vecchio padron Abraham. Eva la rimproverò: comprendeva l'antipatia della donna ma non aveva diritto di insultare gli abitanti della casa davanti a Sir Hellsing. La bambinaia si scusò e dopo che fu uscita dall'ufficio, master Eva si diresse verso la segreta del vampiro.
La balia aveva ragione, da quando Arthur aveva imparato a camminare trascorreva tutto il suo tempo attaccato alle falde del cappotto del vampiro. Il padre storceva il naso di fronte a quell'assiduità mentre la madre non trovava nulla da ridire. Il vampiro, a differenza di tutti gli altri abitanti della villa, era l'unico a non viziare il bambino e di questo Eva non poteva che esserne contenta. E' vero, ad essere sinceri c'era da stupirsi del perchè il piccolo preferisse la compagnia del nosferatu a quella di chiunque altro, visto che nell'atteggiamento del succhiasangue non c'era niente che potesse accattivare le simpatie di un bambino. Il vampiro camminava per i corridoi della villa, apparentemente ignaro dell'esserino aggrappato ai suoi indumenti ma era un'indifferenza solo apparente. Quando il cucciolo cadeva, il nosferatu si fermava. Non lo aiutava a rialzarsi, non lo consolava con voce melensa e paroline dolci ma in tono calmo lo incitava:
- Non è niente. Rialzati, lo sai fare. -
Arthur eseguiva, tornava ad attaccarsi al cappotto e il vampiro riprendeva la sua strada. Forse era proprio per questo che il bambino preferiva la compagnia del Re-senza-vita a quella di chiunque altro: l'uomo in rosso non lo trattava come un bambolotto da spupazzare ma come una personcina competente, cosa che riempiva il piccino d'orgoglio.
Restava il fatto che anche la signora Jackson aveva le sue ragioni e per questo Eva stava scendendo nella segreta a discutere col servo. Sapeva di trovarlo lì perchè quella era l'ora del riposino di suo figlio e quando il bambino non era a spasso per la villa, il vampiro si ritirava nella propria catacomba. Infatti lo vide seduto sul trono di legno.

- Sono contenta che il cane di casa protegga assiduamente mio figlio ma anche agli altri abitanti di questa villa piacerebbe stare un po’ di più col bambino, quindi sei pregato di non tirartelo sempre appresso. La signora Jackson è venuta a lamentarsi che se il suo ruolo di bambinaia deve consistere unicamente nel cambiare i pannolini ad Arthur, allora preferirebbe licenziarsi per tornare a pulire il sederino dei suoi figli al paesello. -
- Non sono io a trascinarmi dietro l’erede, master. E’ tuo figlio a venirmi sempre alle calcagna. Io non lo obbligo a seguirmi. La tua balia non ha ragioni per lamentarsi con me. Si metta piuttosto una mano sulla coscienza e si chieda perché il nanerottolo preferisce seguirmi come un cagnolino anziché stare con lei. Forse quella donna non sa fare il suo lavoro. -
Ho rimproverato aspramente il vampiro per quelle parole. Non ha più diritto della signora Jackson di parlar male di qualcun altro. Lui si è scusato con insolita arrendevolezza e ho capito il motivo: quel maledetto sapeva di aver raggiunto il suo scopo. Posso rimproverarlo quanto mi pare ma ormai mi ha messo la pulce nell’orecchio. I giudizi degli altri non mi rimangono impressi quanto quelli del nosferatu e d’ora in poi anch’io comincerò a chiedermi perché mio figlio preferisca andar dietro al non-morto invece di stare con la balia.
- Quindi il fatto che Arthur prediliga stare con te piuttosto che col resto dell’umanità, è indice che tu sei in gamba mentre tutti gli altri abitanti di questa casa sono degli incompetenti patentati? -
Il vampiro è diventato guardingo:
- Non estremizzare le mie parole. Dipende da caso a caso. Nel caso della balia, penso sia proprio segno di incompetenza. -
- E nel mio caso? - Ero arrabbiata con quel cagnaccio ma anche timorosa di quel che poteva dire, lo ammetto. Siamo sinceri: non solo agli occhi di Arthur non c’è concorrenza fra la signora Jackson e il vampiro, ma neanche fra i suoi genitori e il vampiro.
- Master, non sei una madre incompetente, sei solo oberata di lavoro. -
Ruffiano! Come sa essere diplomatico, quando vuole!
- E mio marito? - ho incalzato.
Per rabbia avevo posto questa domanda ma subito me ne pentii. So che il nosferatu considera John uno sfaticato quindi se non è per una mancanza di tempo dovuta al lavoro che nostro figlio passa poco tempo con suo padre, quali altre ragioni apparirebbero ai suoi occhi?
Il vampiro però non è uno sprovveduto e sa come svicolare una risposta pericolosa.
- Master, conosci tuo marito meglio di quanto possa conoscerlo io. Certamente sei in grado di trovare da sola una risposta a questa domanda. -

Nulla cambiò in casa Hellsing, Arthur continuò a trascorrere le sue giornate saldamente aggrappato alle falde rosse del cappotto del non-morto e dopo un paio di mesi la signora Jackson si licenziò, ottenendo dalla signora Wingates Hellsing una buonuscita e una lettera di referenze con cui cercarsi un nuovo lavoro.
A quel punto, nell’aria cominciarono a respirarsi le premesse per una nuova defezione.

A Integra, le faccende inerenti all'amore, di qualsiasi tipo fossero, non erano mai andate a genio. Le aveva sempre giudicate infinitamente meno interessanti dei libri d'avventura o dei film d'azione. Per questo, quando le capitava d'imbattersi in una storia d'amore, cambiava canale o girava pagina annoiata.
Dopo la defezione della balia, con gran disappunto della nipote, le pagine del diario di Eva Wingates Hellsing avevano cominciato a riempirsi di sfoghi e resoconti degli innumerevoli litigi fra i coniugi Fairboorke. Integra aveva storto il naso: cos'era passato per la testa a sua nonna, di trascrivere in un diario che avrebbe dovuto riguardare esclusivamente le vicende lavorative, anche gli eventi della sua vita privata?
"Forse la nonna non riusciva a separare l'Ordine dei Cavalieri Protestanti dalla sua esistenza personale" ipotizzò Sir Hellsing. Non per questo aveva voglia di leggere la cronaca del naufragio di un matrimonio così Integra cominciò a scorrere velocemente le pagine che riportavano i battibecchi fra coniugi, alla ricerca di stralci decisamente più interessanti, come quando master Eva annotava l'esito di una missione in cui era andata a maciullare mostri col suo vampiro che continuava a non avere un nome.
Per quanto scorresse frettolosamente quelle pagine, un particolare riuscì comunque ad imporsi agli occhi distratti della giovane lettrice: nei litigi fra i suoi nonni, veniva sempre nominato il vampiro. I coniugi Fairboorke si urlavano in faccia per le ragioni più svariate ma indipendentemente che cominciassero a litigare per un ombrello fuori posto o una saliera rotta, finivano sempre per citare il vampiro.
Integra aggrottò la fronte. Qualcosa non quadrava. Decise di tornare a rileggere con molta attenzione le pagine che aveva saltato.

Che al vampiro senza nome John Fairboorke non andasse a genio, era lampante. Che si fosse divertito infastidito sin dal primo giorno in cui aveva messo piede dentro Hellsing Manor, era altrettanto palese. Le punzecchiature di cui aveva fatto oggetto lo sposino erano però state tutto sommato contenute, fintanto che la master non era rimasta incinta. Una volta assicuratosi che l'erede degli Hellsing era stato messo in cantiere, il nosferatu aveva cominciato ad alzare il tiro. La quantità di angherie rivolte a John Fairboorke aumentò gradualmente ma con costanza, per diventare quasi quotidiana dal momento in cui il piccolo Arthur prese l'abitudine di seguire il vampiro passo passo.
Master Eva era presa fra due fuochi. Da un lato c'era il consorte che non riuscendo a farsi rispettare dal mostro, andava a lagnarsi con la moglie di tutti i dispetti subiti. Dall'altro c'era il nosferatu che ascoltava in silenzio la sfilza di rimproveri della padrona e che alla fine di quelle prediche, guardava con aria di compatimento la donna dicendo:
- Master, che razza di marito ti sei andata a trovare? Un uomo che si fa difendere dalla moglie, nascondendosi dietro le sue sottane! -
Sir Hellsing, imbufalita, minacciava tremende ritorsioni se il non-morto non avesse imparato a frenare la lingua ma ormai il danno era fatto. Analogamente ai commenti sull'efficienza della balia, le parole del vampiro andavano ad avvelenare il cuore della master.
Che John Fairboorke avesse pochi pregi e molti difetti, ormai era evidente anche agli occhi sempre meno innamorati della moglie. Restava da stabilire se anche la sua incapacità di farsi rispettare dalla belva addomesticata di casa Hellsing rientrasse fra i suoi difetti congeniti o se realmente il nosferatu operasse nei suoi confronti una persecuzione accanita.
- Stammi a sentire John, che quel cane rognoso sia difficile da trattare, lo so perfettamente ma possibile che tu, dopo tutti questi anni che lo conosci, non hai ancora imparato come prenderlo? -
- Io ribalterei la situazione: possibile che dopo tutti questi anni, il mostro non abbia ancora imparato come prendermi? -
- Un po' più di umiltà non ti farebbe male. Che ti piaccia o no, siamo noi a doverci conquistare la stima di quello scampolo d'inferno e non il contrario. Mio zio c'è riuscito. Io ci sono riuscita. Perchè tu non ci riesci? -
- Senti, io le ho provate di tutte per farmi rispettare da quel cagnaccio. Ho seguito i tuoi consigli e quelli di tuo zio ma non c'è niente da fare. La verità è che quella bestiaccia ha deciso a priori di disprezzarmi. -
La moglie stringeva le labbra per non lasciarsi scappare la risposta che le urlava dentro la testa. Il vampiro decideva sempre a priori di disprezzare il prossimo. Aveva guardato dall'alto in basso anche lei. L'aveva messa ferocemente alla prova, deridendola, tentando di spezzarla e abbatterla. Lei aveva lottato, non si era lasciata piegare e allora e solo allora il Re-senza-vita l'aveva giudicata degna di stima.
Se suo marito avesse realmente seguito alla lettera i consigli che gli aveva fornito, a quest'ora avrebbe dovuto ottenere dal nosferatu un analogo rispetto. La verità è che John Fairboorke non aveva mai lottato contro il vampiro. Troppo faticoso, tanto quanto il lavoro che rifuggiva attivamente. Così come si era sempre fatto campare dalla moglie, pretendeva anche che lei lo difendesse dal cagnaccio.
Un disprezzo crescente cominciò a farsi strada nella mente di master Eva. Quanta ragione aveva il suo vampiro! Che razza di marito era andata a trovarsi? Be', adesso ne aveva decisamente abbastanza! Passi che lo dovesse mantenere, passi che dovesse arginare i debiti che accumulava con i suoi investimenti in borsa sballati, non passasse più che dovesse proteggerlo anche dal succhiasangue. In quello, se la cavasse da solo.
Le punizioni inferte al nosferatu diminuirono gradualmente fino a sparire. Il vampiro si sentì autorizzato ad alzare ulteriormente il tiro e John Fairboorke si ritrovò solo ed estraneo in casa propria. Fu allora che l'uomo cominciò a viaggiare. All'inizio erano assenze di pochi giorni, poi cominciarono ad allungarsi diventando soggiorni di settimane, mesi, anni.
Master Eva approvò tacitamente quelle fughe finanziando i viaggi del consorte e anche se di notte, in quel letto vuoto, sentiva la mancanza del marito, durante il giorno, presa da mille impegni, lo scordava senza troppi rimpianti. La vita in casa Hellsing proseguì con più serenità e il vampiro ebbe tutti per sè la master del presente e il master del futuro. Come se questo particolare, da solo, non fosse abbastanza inquietante, un concetto che John Fairboorke ribadiva spesso nei suoi litigi con la moglie colpì profondamente Integra.

- Sei la degna nipote di tuo zio Abraham perchè sei cieca quanto lui. Come lui, anche tu sei convinta di essere la padrona di quel vampiro e non ti accorgi di quanto invece la schiavitù sia reciproca. Sei la sua serva tanto quanto lui è il tuo schiavo. -
- Stupidaggini! Io comando e lui obbedisce! -
- E in cambio dell'obbedienza cosa ti chiede? Tuo zio lo chiamava cane. E' vero, quel mostro è un cane, lo so perchè anche a me piacciono i cani, me ne sono sempre circondato e so quanto impegno richiedano. Non si tratta solo accudirli: in cambio della fedeltà richiedono attenzioni, tante attenzioni. Più sono fedeli, più pretendono attenzione, è il prezzo che il padrone deve pagare. Il vampiro è il cane più fedele in cui mi sia mai imbattuto e proprio per questo pretende dai masters un prezzo altissimo da ricambiare. Gli appartenete tanto quanto lui vi appartiene. -
- E allora? Dov'è il problema? -
- Domanda grandiosa, dimostra in pieno la tua cecità. L'attenzione che dedichi al vampiro, il tempo che trascorri con lui, non lo sottrai forse dalla tua vita privata? Una giornata è composta da ventiquattro ore, troppo poche per poterti occupare allo stesso modo dell'Organizzazione, di tuo figlio, tuo marito, il vampiro, i parenti e gli amici, così butti a mare il superfluo. Nello specifico, il superfluo sono la tua famiglia d'origine, gli amici e tuo marito. Il lavoro, il figlio e il vampiro te li tieni stretti. -
- Sempre a scaricare le colpe sugli altri, vero John? Non hai un'attività lavorativa perchè non ti sei mai impegnato a lavorare ma perchè il Fato è stato avverso ai tuoi affari. Il tuo matrimonio non va in malora perchè hai sbagliato qualcosa ma perchè il vampiro c'ha messo lo zampino. Sei patetico, lo sai? -
- Ti sbagli, so che il nostro matrimonio è fallito per un mio errore, quello di trasferirmi in questa villa. Dovevo puntare i piedi, obbligarti a trasferirti con me in un'altra casa, costringerti a mollare questo lavoro e lasciare che tuo zio portasse il mostro con sè nella tomba. -
- Vaneggiamenti idioti! Non avrei mai mollato il lavoro per un uomo. Non hai un'idea di quanti sciocchi prima di te mi abbiano fatto proposte simili. Ho dato il benservito a tutti. -
- Allora ero proprio destinato a perderti. Non che la cosa mi affligga più di tanto però mi dispiace lasciare nelle grinfie del vampiro mio figlio ma cosa posso farci, ormai ha vinto quel mostro! Mi ha rubato Arthur il giorno stesso in cui è nato. -
- Ancora con questa storia? Faccio bene a dire che per te è sempre colpa degli altri! Non ti passa per la testa che se Arthur preferisce stare col vampiro anzichè con te, è perchè non lo alletti in nessun modo? -
- E come posso allettarlo? Non posso competere contro un vampiro capace di sollevare un'automobile con una mano sola! -
- Finiscila, i padri non attirano a sè i figli offrendogli spettacoli da circo ma insegnandogli a destreggiarsi nella vita, cosa che tu non fai e il vampiro sì. E comunque, se ti rammarica così tanto lasciare il bambino in questa casa, come mai non lotti per impedirlo? -
- Se dovessi combattere soltanto contro di te o contro il vampiro, forse riuscirei a spuntarla, ma voi agite sempre in coppia. Non ti lasceresti scippare il figlio per niente al mondo, così come lui non si lascerebbe defraudare del futuro master per nessuna ragione e non ho abbastanza forza per lottare contro voi due insieme. Per questo ammetto la mia sconfitta. Posso solo sperare che Arthur sia più lungimirante di sua madre, così come tu sei stata più abile di tuo zio. La tua salvezza è stata non pretendere che il vampiro ti adorasse come una divinità. Ricordi gli attacchi di fanatismo di tuo zio, prima che la malattia lo riducesse a un vecchio rimbecillito? Lo prendeva il terrore di finire all'inferno, non c'era verso di calmarlo e scendeva nei sotterranei a torturare il vampiro. Allora mi sembrava follia ingiustificata ma adesso compatisco quel vecchio supponente. Aveva preteso dal vampiro di essere venerato come un Dio e il cane l'aveva accontentato ma in cambio aveva preteso dal padrone un tale livello di dedizione che umanamente era impossibile concedergli. Abraham provava ad accontentarlo ma gli costava un tale sfinimento che ogni tanto la fatica lo faceva ammattire. Quel cagnaccio sa sempre come vendicarsi dei torti subiti. L'ha fatta pagare a master Abraham per averlo schiavizzato conducendolo dritto dritto sull'orlo della follia. -
- Non è vero! E' stato un cane fedele e non aveva colpa delle pazzie dello zio! -
- Brava, difendilo come sempre. -
- Bravo, accusalo come sempre! - 

Per qualche giorno Integra interruppe la lettura dei diari della nonna, troppo scombussolata da simili dialoghi.
Suo nonno aveva indubbiamente molti difetti, primo fra tutti quello di presentarsi come vittima perenne delle manovre altrui. Le sue parole erano piene di esagerazioni sui secondi fini di Alucard e non poteva scaricare sul nosferatu la colpa per il fallimento del suo matromonio. Alucard aveva agito in modo spregevole, divertendosi a buttare benzina sul fuoco dei litigi fra coniugi con i suoi commenti velenosi ma se il legame fra i suoi nonni fosse stato davvero solido, avrebbe resistito alle macchinazioni del non-morto.
Pur con tutti i suoi difetti però suo nonno non poteva essere classificato come uno sciocco e su un punto la nipote doveva dargli ragione: il rapporto fra master e monster non era unidirezionale, per cui uno era il padrone e l'altro il servo. Entrambi finivano per essere il carceriere e lo schiavo dell'altro.
Da quando aveva risvegliato Alucard, la vita di Integra era stata stravolta di trecentosessanta gradi e di questo la ragazzina ne era perfettamente consapevole. Nel bene e nel male, l'arrivo di Alucard aveva avuto su di lei l'effetto di una sberla...o di una bastonata di Abraham Van Helsing.
Le aveva salvato la vita, le era fedele come nessun'altro al mondo e giorno dopo giorno sentiva di affiatarsi sempre più col vampiro, al punto di aver bisogno di discutere con lui quanto dell'aria che respirava. Di questo, era grata ad Alucard.
Il vampiro, con ogni mezzo, voleva essere sempre presente nella sfera d'attenzione della master e Integra aveva rinunciato ad ampie fette di vita sociale per vegliare in casa e intervenire prima che il mostro combinasse danni. Per questo, provava una sorda irritazione verso Alucard.
No, suo nonno aveva ragione, Alucard era un'arma a doppio taglio. Non azzannava più il collo degli umani per berne il sangue ma succhiava ampie quantità di energia ed esistenza privata dei suoi padroni. Quello era diventato il suo nuovo nutrimento, vitale quanto il sangue.
" Abraham Van Helsing, in che razza di guaio hai cacciato i tuoi discendenti! Ci hai obbligato a legarci per tutta la vita ad un Lucifero risputato dall'inferno! " pensò la ragazzina.
Il fondatore dell'Hellsing e sua nipote erano stati davvero ciechi, lasciandosi avvolgere dalle spire di Alucard. Non avevano percepito la reale e latente pericolosità del vampiro. Suo padre invece, come aveva sperato John Fairboorke, doveva essere stato decisamente più accorto, se in tal senso si voleva spiegare il letargo del vampiro. Forse aveva deciso di sbarazzarsi del servo prima di fare la fine della madre e dello zio, assorbiti senza accorgersene dal vampiro che li aveva reclamati tutti per sè, in un rapporto esclusivo.
" E io? Cosa ne sarà di me, Integra Fairboorke Wingates Hellsing? "
Avrebbe fatto la fine di sua nonna che mescolava nel diario e nella realtà la vita privata con l'Ordine dei Cavalieri Protestanti? O sarebbe stata come suo padre, capace di separare le due sfere?
Brividi di paura la percorsero. A giudicare dagli esordi, temeva di ripetere gli stessi errori di sua nonna. Anche Integra aveva allegramente mischiato sul diario le osservazioni su Alucard con i vaneggiamenti su Basil Irons.
" Che senso ha tenere due diari separati? " aveva pensato. Be' adesso cominciava a comprendere quale potesse esserne il senso.
Se i suoi guai si fossero limitati alla compilazione di due quaderni invece di uno, il problema sarebbe stato risolto subito. La situazione però era più complessa.
In quei mesi in cui la quantità di disastri combinati da Alucard era aumentata in modo esponenziale, spesso Integra aveva pensato di abbandonare la scuola per studiare a casa con dei precettori privati, così da intervenire tempestivamente quando il suo vampiro dava in escandescenze. Da due settimane a questa parte, da quando cioè avevano stipulato il patto in base al quale avrebbe smesso di chiamarlo Biancaneve se lui avesse rigato dritto, la situazione in casa Hellsing era tornata serena ma la dodicenne non si illudeva che quella tranquillità fosse duratura. Prima o poi, Alucard avrebbe sentito nuovamente il bisogno di scazzottarsi con qualcuno e sarebbe finita come tutte le altre volte, con una telefonata che interrompeva la lezione della classe.
" Ammettiamo che domani salti fuori un freak contro cui scagliare Alucard. Ammettiamo che Alucard sfoghi tutta la sua adrenalina su quel mostro. Cosa accadrà poi? Chi me lo assicura che in futuro non tornerà a ripetersi la situazione che stiamo vivendo? I mostri non sono poi così numerosi, anche Alucard me l'ha confermato. Quand'è stata l'ultima volta che l'Organizzazione Hellsing è intervenuta per uccidere un vampiro? Papà era ancora vivo. Sì, l'ultimo mostro affrontato risale a cinque mesi fa. Ecco, come posso essere certa che con una media di tre o quattro mostri all'anno da affrontare, Alucard non si annoi talmente tanto da rimettere a soqquadro villa Hellsing nei tempi morti? "
Da qualsiasi parte rigirasse la questione, la soluzione le sembrava sempre una e una sola: lei doveva essere presente in casa per bloccare le intemperanze del servo sul nascere e l'unico modo per intervenire immediatamente, consisteva nel lasciare la scuola.
Una lama fredda entrava nel cuore di Integra davanti a quella considerazione, e scendeva gelida giù fra i visceri, fino al pube.
Quante volte, nei suoi dodici anni di vita, aveva fantasticato di lasciare la scuola? Sciocca che era stata! Adesso che quella possibilità si concretizzava realmente, avrebbe tanto desiderato non prenderla! Sì perchè solo adesso che stava per perderla, si rendeva conto che "scuola" non era solo compiti e studio. "Scuola" erano anche gli amici; "scuola" erano gli insegnanti, adulti che non la trattavano come il capo dell'Organizzazione Hellsing ma come la dodicenne Integra Fairboorke. E una volta detto addio a coetanei e insegnanti, avrebbe visto avverare l'incubo che la tormentava da bambina: sarebbe rimasta l'unica persona giovane in un mondo di vecchi. Come sarebbe stata la sua vita allora? Quali amici avrebbe potuto trovare fra gente dell'età di suo padre? Sarebbe stata durissima, in quella situazione, ritagliarsi uno scampolo di vita normale. E se non ci fosse riuscita? Avrebbe messo in letargo Alucard come aveva fatto suo padre? O si sarebbe lasciata risucchiare come sua nonna?
L'ansia serpeggiò nelle vene della piccola, pizzicandole i polsi. Non sapeva dare una risposta alle sue domande. Solo vivendo lo avrebbe scoperto. Si massaggiò la pancia, cercando di scacciare la preoccupazione.
" Un passo per volta, non c'è altro modo per risolvere i guai " diceva suo padre. Lo avrebbe ascoltato. Per adesso doveva soltanto meditare sulla questione se abbandonare o no la scuola, al resto avrebbe pensato dopo. Anzi, prima ancora di pensare alla scuola, doveva far pace con Alucard. Sentiva di detestarlo per la situazione in cui l'aveva ficcata ma da molti giorni non parlava con lui e il suono della sua voce gli mancava come l'aria che respirava.

Alucard fremeva. Da qualche giorno, Integra lo evitava. Sentiva l'irritazione della piccola nei suoi confronti e non ne comprendeva la ragione. Che avesse letto qualcosa di spiacevole nei diari di sua nonna? Probabile. Avrebbe pagato per scoprire di cosa si trattava. Avrebbe anche potuto togliersi la curiosità leggendo nella mente di Integra ma l'orgoglio glielo vietava. Non voleva ricorrere a simili trucchi con i masters. Voleva arrivare a capire i loro pensieri semplicemente attraveso la conoscenza che aveva di loro. Una conoscenza profonda, come di ogni singola linea e cicatrice del palmo della sua mano e che poteva raggiungere soltanto tenendo i padroni per sè, solo per sè, senza interferenze da parte del resto del mondo.
Aveva perso tutto, solo il padrone di turno gli rimaneva, perchè non avrebbe quindi dovuto pretendere la sua massima attenzione?
Per questo vedersi sfuggire Integra a quel modo lo faceva ammattire di rabbia e preoccupazione. Sentiva l'ansia serpeggiargli nelle vene, pizzicandogli i polsi. Finalmente, un pomeriggio, sembrò che la master fosse disposta a seppellire l'ascia di guerra.
- Andiamo a fumare. - gli disse.
La voce era irritata ma non fumavano insieme da tanti di quei giorni che alle orecchie del vampiro la proposta suonava già come un accordo di pace. Seduti schiena contro schiena, Alucard avvertiva i muscoli delle spalle della ragazzina tendersi dalla rabbia. Finalmente Integra sbottò:
- Non ti permettere mai più di parlare in modo insultante di mio nonno e di mia madre in mia presenza. Avranno avuto i loro difetti ma avranno avuto anche le loro ragioni. -
Alucard capì cosa intendesse con "le loro ragioni". Sì, lo ammetteva, aveva tentato di buttare fuori dall'esistenza di Integra il ricordo di quelle persone a lui sgradite così come, mentre erano in vita, aveva cercato di allontanarle dai rispettivi coniugi. Capì l'antifona.
- Ya, my master. -
Lentamente, i muscoli della schiena di Integra si rilassarono. Nessun'altra parola venne scambiata su quella panchina ma master e monster si erano comunque riappacificati.
Integra riprese a leggere i diari della nonna e Alucard non parlò più di John Fairboorke e di Lady Sophia.

Il vampiro possiede doti di pazienza infinite. Durante il giorno, Arthur ama scendere nella sua segreta e utilizzare la bara in cui dorme come un tavolo. Finchè su quel tavolo legge, disegna o scrive, non è un problema, il guaio sorge quando decide di giocarci sopra. Spesso arriva nella catacomba con le tasche piene di soldatini di piombo a cui fa ingaggiare furiose battaglie sul coperchio della bara e dato che gli piace il suono che producono i soldatini sbatacchiando sul legno, il risultato è che li fa cadere a ripetizione continua. Altre volte lo trovo seduto sul coperchio come se fosse su di una panca, intento a cantare e ad agitare i piedini avanti e indietro, battendo i talloni contro il bordo della bara.
Ogni volta lo rimprovero e lo riconduco al piano di sopra ma sempre mi stupisco come faccia il vampiro a resistere alla tentazione di uscire dalla bara e prenderlo a sculaccioni.
Spesso però mio figlio scende nella segreta per impossessarsi del mantello e del cappello che il vampiro lascia sul trono prima di coricarsi. Si drappeggia il cappotto sulle spalle come fosse un mantello, tenendolo stretto intorno al collo con una mano, con l'altra mano tiene alzata la falda dell'enorme cappello che altrimenti gli scenderebbe giù fin sotto il mento e conciato a quel modo cammina tutto impettito per i corridoi della villa. Credo che si senta un duro, con i vestiti del nosferatu addosso.
Ieri sera gli ho detto:
- E' quasi il tramonto, fra poco il vampiro si sveglierà, scendi a riportargli cappotto e cappello. -
- Non "vampiro", mamma. "Alucard". -
- Cos'è un alucard? - ho chiesto, certa che si trattasse dell'ennesimo amico immaginario.
- Non "che cosa" ma "chi". E' il nome che ho dato al vampiro. Dici sempre che non è giusto chiamarlo Dracula, Conte o Vlad perchè quel tizio ormai è morto e sepolto però a me sembra anche ingiusto non chiamarlo in nessun modo. Tutti hanno un nome in questa casa, anche la tua gatta, la levriera di papà e il mio pony perchè il vampiro no? Due giorni fa gli ho chiesto se gli andava bene che lo chiamassi Alucard, ha risposto di sì e adesso questo è il suo nome. -
- E come te lo sei inventato? -
Ha abbandonato cappotto e cappello sul pavimento, si è inerpicato sullo scrittoio e su un foglio ha scritto "Dracula". Poi è corso davanti alla specchiera e ha rivolto il foglio contro il vetro. E' un gioco che fa spesso, si diverte a leggere le parole scritte al contrario.
- Vedi? Diventa Alucard. -
Mi domando quanto durerà questo nome. Scommetto che la prossima settimana mi annuncerà con serietà che adesso il vampiro si chiama
Blacky, Slim o qualsiasi altra cosa gli passi per la testa.

Master Eva leggeva il giornale. Si era soffermata su di una pagina che pubblicizzava un nuovo capo d'abbigliamento, presentato come rivoluzionario. Si chiamava reggiseno e prometteva di essere più comodo del bustino.
- Alcune squinzie che frequento lo utilizzano. E' molto più veloce da slacciare rispetto al busto. - commentò la voce del vampiro, materializzatosi alle sue spalle.
- Mi hai fatto passare la voglia di comprarlo. - sospirò la donna, voltando pagina.
- Andiamo, master! Usare la stessa biancheria che utilizzano le prostitute non fa di te una prostituta! -
- Sempre più convinta a non compralo. - annuì la padrona.
- Fa come ti pare. Si può sapere perchè da ieri sera sei così scontrosa? -
- Perchè ieri sera, al circolo delle suffragette, è stato stabilito di riprendere le manifestazioni per far pressione sul governo e spingerlo a cambiare la legge sull'elettorato femminile, estendendo il diritto di voto a tutte le cittadine maggiorenni. Sono scontrosa perchè ho litigato con alcune suffragette che ancora continuano a proporre di unire alle manifestazioni le vetrine infrante e le cassette postali date alle fiamme. -
- Posso venire anch'io a manifestare? - chiese il vampiro, con lo stesso tono ansioso di un bambino che si autoinvita ad un gioco interessante.
- Dannazione, ti sto dicendo che non condivido queste bravate e mi chiedi di poter andare a spaccare le finestre? E comunque no, non ti porterei lo stesso con me perchè non te ne frega niente del voto alle donne! -
- Oh, andiamo master, cosa te ne importa se condivido o no le tue idee? Sono una persona democratica, pronta a schierarmi dalla parte di chiunque mi permetta di scalmanarmi. Dammi la possibilità di lanciare una molotov e sono pronto a ricompensarti urlando qualsiasi slogan tu voglia sentire: "L'Irlanda agli irlandesi!", "Viva la rivoluzione proletaria!", "Comprate la marmellata Robertson!". -
Master Eva non condivideva. Il vampiro insistè:
- Dici che rompere le finestre non serve a niente. Ammetto che hai ragione ma se tutte le finestre della casa del Primo Ministro venissero infrante nel giro di pochi minuti, non pensi che ciò potrebbe impressionare lo spaventapasseri che vi abita? -
La donna tese le orecchie. Il servo proseguì:
- Nessuna suffragetta riuscire a compiere una simile impresa. Potrebbe al massimo spaccare un solo vetro, prima che i poliziotti l'acciuffassero per chiuderla in cella. Io però posso rendermi invisibile e in questo modo riuscirei a frantumare ogni finestra, finestrella e persino la boccia dei pesci rossi senza che gli sbirri scoprano il minimo indizio. -
Pur se a malincuore, master Eva dovette ammettere:
- C'è della logica nelle tue parole. Mediterò sulla tua proposta. Chiariamo sin dall'inizio un punto però: se accettassi di portarti con me alle dimostrazioni, devi promettermi che ti limiterai a commettere un solo atto di vandalismo al giorno. Ad ogni manifestazione potrai spaccare una sola vetrina, dare un unico pugno a un solo poliziotto e bruciare una sola cassetta della posta. Chiaro? -
- Chiarissimo! Ad ogni manifestazione romperò una finestra, prenderò a pugni uno sbirro e brucerò una cassetta della posta. -
- No! O rompi una vetrina, o cazzotti un poliziotto o bruci una cassetta postale. Non puoi fare tutte e tre le cose insieme! -
- No master, un solo vandalismo a manifestazione è troppo poco! Concedimi qualcosina di più! -
- No! -

Il Primo Ministro ne aveva abbastanza. Era la quarta volta in un anno che tutti i vetri delle finestre di casa sua saltavano in aria nel giro di un minuto, uno dopo l'altro. I poliziotti e gli agenti segreti messi a sorvegliare il numero 10 di Downing Street non trovavano mai nessun indizio, nessun colpevole. Sembrava che a scagliare quei sassi fosse l'aria stessa.
- E' ora di prendere dei provvedimenti definitivi! - esclamò l'uomo ma i provvedimenti che aveva in mente non erano del tipo di quelli immaginati da chi lo ascoltava in quel momento.
Il 2 luglio del 1928 il suffragio fu esteso a tutte le cittadine britanniche.

Alucard stava lucidando Casull quando salutò la master che si recava a scuola. Un paio d'ore dopo, di ritorno dal poligono di tiro, vide Walter dirigersi verso il garage.
- Dove vai? -
- Una telefonata dalla scuola di Integra, devo andare subito. - rispose il maggiordomo allarmato.
Il vampiro arraffò una scorta di sacche di sangue e andò a bersela sullo scalone d'ingresso, così da accogliere il ritorno di maggiordomo e padrona, curioso di sapere cos'era successo. Finalmente, dopo un'oretta, vide il portone d'ingresso spalancarsi ed entrare un imbestialito Walter e un'Integra a testa bassa e con un bernoccolo sulla fronte.
- Non avermi detto niente, questo non tollero! - tuonò l'uomo, proseguendo evidentemente una discussione cominciata sull'automobile - Se me ne avessi parlato, sarei andato dal preside, dai professori, avremmo trovato un modo per farlo smettere. Invece no, sei rimasta zitta fino a far scoppiare questo putiferio!-
Il vampiro guardò la master. Il visetto era tirato, prossimo alle lacrime ma respirava con l'affanno di chi sta per esplodere dalla rabbia. Era irata tanto quanto era umiliata, era evidente e si avviò su per lo scalone, diretta in camera propria.
- Ferma lì, signorina, non credere che abbia finito! - intimò Walter.
Integra ubbidì, respirando sempre più affannosamente. Il vampiro aggrottò le sopracciglia, tutto questo gli ricordava qualcosa. Sì, tanto e tanto tempo prima, in un'esistenza così lontana da stentare a credere che fosse la sua, spesso il vampiro che era stato Alucard si era ritrovato al posto di Walter, sbraitando contro uno dei leoncini ma in quei casi, ogni volta, dopo un po' era intervenuta una leonessa. Blandiva il leone con qualche parola, prendeva in braccio il bambino e lo conduceva via, permettendo ad adulto e cucciolo di calmarsi.
Alucard si guardò intorno. Dentro Hellsing Manor c'erano solo lui, Walter e Integra. Nessuna donna a mettersi in mezzo fra i due litiganti. Il vampiro meditò sulla situazione. Conoscendo Walter, era altamente probabile che quella paternale durasse dal momento stesso in cui erano saliti sull'automobile per tornare a casa, un tempo che il vampiro giudicò più che sufficiente per consentire all'uomo di sfogarsi. Adesso poteva anche finirla lì e far rilassare Integra ma dato che lo shinigami non sembrava capace di rendersi conto di aver oltrepassato il suo diritto di gridare, toccava a lui, Alucard, mettersi in mezzo e rabbonirlo con qualche parola.
Tanti ruoli aveva assunto nei suoi 500 anni ma era la prima volta in cui si trovava a far le veci di una madre!
Si insinuò nello spazio vacante fra i due umani, con la schiena rivolta ad Integra e chiese al maggiordomo:
- Cos'è successo? -
- E' successo che questa peste non si è fidata di me! Da settimane un ragazzo più grande di lei la infastidiva e la toccava! L'avesse detto a me o agli insegnanti, avremmo saputo come far tenere le mani a posto a quel maiale! Invece si è tenuta tutto per sè, limitandosi a minacciare quel teppista e a spingerlo. Stamattina non ha retto più e con una testata ha spaccato il setto nasale di quel delinquente! -
Alucard fischiò ammirato. Ecco spiegato il bernoccolo sulla fronte di Integra.
- Non azzardarti ad approvarla! - tuonò Walter - Così facendo è passata dalla ragione al torto! Non contenta, agli insegnanti che le hanno chiesto spiegazioni ha risposto in modo irrispettoso ed è stata questa la goccia che ha fatto traboccare il vaso! L'hanno sospesa, per tre giorni! E fortuna che i genitori del delinquente hanno compreso che il figlio è dalla parte del torto, decidendo di non sporgere denuncia! -
Mentre Walter così arringava, Alucard, sempre comprendo la master con la propria sagoma, aveva sporto un braccio indietro, appoggiando una manona sulla collottola della ragazzina.
- Sospesa per tre giorni! - sbraitava ancora Walter - Ti rendi conto di cosa vuol dire? -
- Certo! - esclamò Alucard, annuendo - Integra deve migliorare le sue abilità di auto-difesa. Se avesse mollato una ginocchiata nelle palle di quel tipo, non ci sarebbe stato nessuno spargimento di sangue, gli insegnanti non si sarebbero accorti di nulla e non l'avrebbero sospesa. Vedrò di rimediare insegnandole qualche mossa. -
Walter ammutolì dallo stupore e il vampiro ne approfittò. Spingendo avanti a sè Integra, uscì alla svelta di casa.

Integra si ritrovò seduta nel boschetto degli olmi, e vide che la mano che teneva il sigaro le tremava. Avrebbe voluto urlare e piangere al tempo stesso e sfasciare qualche oggetto molto grosso e molto pesante, inferocita contro tutto e tutti. Era certa di essere stata l'unica a pagare, lei che si era soltanto difesa!
Stupidi adulti! E stupidi maschi! Sentiva di odiarli tutti, indistintamente e calò uno sguardo colmo di ferocia sull'unico uomo in quel momento disponibile, cioè Alucard che con la schiena appoggiata alla quercia la guardava in silenzio.
- Scommetto che anche tu sei dalla parte del bastardo a cui ho scassato il naso, come Walter e tutti gli altri! Una canaglia come te, chissà quante volte si sarà comportata come lui! -
Il vampiro non si scompose. Aspirò il suo sigaro e con calma replicò:
- Sono dalla parte della mia master. -
Non era quel che Integra voleva sentirsi rispondere. Desiderava udire parole di condanna, che stigmatizzassero quel comportamento in quanto sbagliato e non la cieca solidarietà che si riserva a chi ci sta a cuore.
- Quindi se io non fossi la tua master non te ne fregherebbe niente? Approveresti? -
- Non ho detto questo. -
- Ma cosa perdo tempo a parlare con te! Cosa ne vuoi sapere tu di queste cose! -
- In verità, master, quand'ero bambino ho subito qualcosa di peggio di una palpata di sedere. -
Integra, furiosa, non lo ascoltò. Sputò un altro po' di veleno contro il servo e questo l'aiutò a calmarsi. La mano che reggeva il sigaro smise di tremare. Quando il vampiro giudicò che la ragazzetta fosse in grado di articolare una discussione sensata, chiese:
- Si può sapere cos'hai detto ai professori, per farli arrabbiare così tanto? -
Integra inspirò profondamente:
- Anche loro hanno cominciato a domandarmi perchè non avessi chiesto il loro aiuto. Ho risposto che sono abbastanza grande da sapermi risolvere i problemi da sola. Prima sono rimasti senza parole e poi si sono arrabbiati. -
Un sorriso orgoglioso si allargò sulle labbra del vampiro:
- La giusta risposta che può dare soltanto un vero Hellsing. Quanto sono contento di averti come master, Integra! -
La dodicenne non si aspettava quel complimento e rimase piacevolmente stupita. Fumarono in silenzio ancora per un po', poi la biondina si girò verso il servo.
- Perchè mi guardi con quell'aria divertita? -
- Perchè stavo pensando che un tipo come te, quando incontrerà un uomo capace di mandarle in tilt il sistema ormonale, lo afferrerà per le orecchie e lo sbatterà per terra. -
- Non è vero! - rispose la dodicenne risentita, convinta che Alucard stesse prendendola in giro.
- Ti sbagli master, è proprio quello che accadrà. Lo so come se lo vedessi con i miei stessi occhi. -

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Ringrazio Bai-lan che in una recensione aveva definito Alucard "cane rognoso". Mi è piaciuto talmente tanto quest'aggettivo che l'ho riutilizzato in questo capitolo. Per lo stesso motivo, ringrazio Controversy per avermi suggerito la frase "mi è mancato un battito", altra espressione che ho riutilizzato. :)

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Capitolo 10
*** La domanda di Winston Churchill ***


- Prima di cominciare la lettura di questo capitolo, vi suggerisco di andare su Google Immagini (o qualsiasi altro motore di ricerca abbiate per le immagini), digitare “Vampirella” e ammirare per qualche minuto la creatura che vi apparirà. Capirete il motivo della mia richiesta giunti alla fine del capitolo.
  
Il mercoledì trascorse mestamente, con un Walter afflitto e un’Integra ribollente per l’ingiustizia subita.
Una notte di sonno portò ristoro ai loro animi in subbuglio e arrivati al giovedì mattina, tutore e protetta si dissero l’un l’altra che il naso rotto del bullo rimaneva comunque una gran bella vendetta, bastevole a consolare le rispettive frustrazioni. Ciò rasserenò la ragazzina e l’uomo che trascorsero il resto della giornata affaccendati nelle proprie mansioni e nuovamente riappacificati.
 
Hellsing Manor era stata costruita in un’epoca in cui la presenza di una moltitudine di salotti era considerata vitale ai fini delle buone relazioni sociali dei padroni di casa. Era necessario che le signore avessero un salottino tutto per sé, in cui spettegolare ricamando e gli uomini ne possedessero uno analogo, in cui sparlare fumando. C’erano poi i salotti in cui accogliere gli ospiti, differenziati in base all’importanza della persona da accogliere (scarso riguardo, medio riguardo, alto riguardo). C’era il salotto concepito allo scopo di origliare le conversazioni che vi si svolgevano, obiettivo raggiunto grazie ad un finto quadro che celava la presenza del ficcanaso nascosto in una nicchia nel muro. C’era infine il salotto costruito con lo scopo diametralmente opposto, cioè a prova di spionaggio, con le pareti rivestite da spessi pannelli di quercia e la porta rinforzata, così che nemmeno le urla più disumane potessero essere udite al di fuori della stanza.
A questa pletora di salotti, si aggiungeva una pletora ancor più numerosa di camere da letto, necessarie per alloggiare le numerose famiglie del tempo e gli ospiti di passaggio.
Finché dentro Hellsing Manor avevano lavorato dei domestici, il mantenimento di un così alto numero di stanze non era stato problematico ma la fuga delle cameriere e dei camerieri a causa degli scherzi di Alucard aveva posto Walter di fronte a scelte drastiche.
Un maggiordomo da solo non poteva tenere lustra una dimora tanto vasta. Un’unica soluzione plausibile si era quindi affacciata alla mente del signor Dorneaz: solo un esiguo numero di stanze, quelle abitualmente usate dagli unici due umani della villa, sarebbero rimaste aperte, tutte le altre andavano tenute chiuse nell’attesa che tornassero tempi migliori.
Prima di chiudere a chiave la porta di una camera o di un salotto Walter, coscienziosamente, la tirava a lucido, consapevole che non esistesse altro modo di preservarla dai guasti del tempo. Per “tirare a lucido” si intende che il maggiordomo spolverava tutti i soprammobili per poi chiuderli nei cassetti dei vari mobili; toglieva le tende dalle finestre e, nel caso si trattasse di camere da letto, anche le lenzuola e le coperte, per lavarle e riporle in appositi ripostigli; arrotolava i tappeti all’interno di fogli di giornale; spolverava, passava la cera e se era il caso eseguiva anche il trattamento anti-tarlo sulla mobilia prima di coprirla con vecchi lenzuoli; spazzava e lavava il pavimento e allora e solo allora poteva sprangare le persiane, chiudere la porta a chiave a abbandonare la stanza alla sua lotta contro lo stillicidio degli anni.
Si trattava di un lavoro immane che l’uomo aveva affrontato con la sua abituale efficienza, dedicandosi ad una stanza al giorno. In capo ad alcune settimane, tutta Hellsing Manor era stata sprangata, eccezion fatta per le camere del maggiordomo, di Integra e la sala della Tavola Rotonda al primo piano, la cucina, la sala da pranzo e l’unico salotto dotato di un televisore di tutta la villa situati al pian terreno. O almeno, queste erano le uniche stanze che, nelle intenzioni di Walter, dovessero restare vivibili. Peccato che Alucard, come suo solito, finisse per imporgli una deviazione dal suo progetto originale.
Dentro Hellsing Manor esisteva anche un salone da biliardo, tirato a lucido dal maggiordomo come tutte le altre stanze destinate ad essere chiuse. Da quando si era risvegliato, il vampiro non aveva degnato di una sola occhiata quella stanza ma dopo aver assistito alla fatica con cui Walter aveva spolverato, incerato, spazzato e lavato l’ambiente, si sentì afferrare improvvisamente da un desiderio spasmodico di giocare a biliardo ragion per cui, il mattino seguente la sfacchinata del giorno prima, Walter trovò la porta del salone allegramente spalancata, i lenzuoli con cui aveva coperto il tavolo e le stecche buttati a terra e Alucard impegnato a svolgere una partita in solitario. Era seguito un alterco al cui termine il maggiordomo aveva dovuto dichiararsi sconfitto, accettando che anche il salone da biliardo rientrasse nel novero delle stanze aperte.
 
Quel giovedì, finché Walter era stato in casa, Alucard aveva trascorso tutto il tempo intorno al biliardo, per riappendere la stecca al muro nel momento stesso in cui il maggiordomo era uscito per svolgere delle commissioni. Curiosamente, agli occhi del vampiro, quel gioco perdeva molto del suo fascino quando lo shinigami era assente perché non poteva gongolare vedendo gli sguardi seccati che l’umano buttava nella stanza ogni volta che passava davanti alla sua porta spalancata, al ricordo dell’inutile fatica svolta per pulirla.
Alucard si sedette quindi su una delle poltrone del corridoio. Era una poltrona del XVIII secolo, un oggetto a cui bisognava usare un certo riguardo, come ammoniva Walter e siccome il vampiro intendeva le parole sempre a modo suo, il riguardo che usò nei confronti di quel pezzo d’antiquariato consisté nell’appoggiare i piedi su di un tavolino lì accanto, in modo da tenere la poltroncina in bilico sulle scricchiolanti gambe posteriori. In quella posizione, Alucard condusse la ricerca sociologica che da alcuni giorni stava svolgendo, cioè constatava quanto fosse cambiato il concetto di bellezza femminile nei due decenni in cui era rimasto in letargo sfogliando le pagine di un Playboy sgraffignato negli spogliatoi delle truppe dell’Hellsing.
Ciò che vedeva sul giornalino, non gli piaceva per niente.
Dov’erano finite le maggiorate di una volta, tutte curve e carne morbida, che a lui piacevano tanto?
Dalle pagine patinate della rivista, una pletora di ragazze magre e consunte ammiccavano con convinzione nella sua direzione, certe del proprio incredibile fascino, ignare di suscitare nel vampiro più irritazione che libido.
Dannazione, era questo che l’attendeva fuori dai cancelli di Hellsing Manor?
Il giorno in cui Walter avrebbe permesso ad Integra di concedergli la sua prima libera uscita, lui, Alucard, sarebbe stato costretto a divertirsi con femmine strette di fianchi e secche di coscia, causa impossibilità di scovare niente di più carnoso?
- Che razza di scherzo da farmi, dopo vent’anni di digiuno! - ringhiò il vampiro, compatendosi da solo.
Uno scherzo invero crudele, soprattutto se rivolto a un tipo come lui, da sempre estimatore dei seni prosperosi. Non a caso, ai tempi in cui Eva era ancora una semplice apprendista dello zio (e solo allora, dato che nel momento stesso in cui la donna diventò la sua master mai il vampiro le mancò di rispetto), spesso Alucard si era divertito a metterla in imbarazzo fissando apertamente il suo prorompente davanzale o ammonendola, quando partivano per una missione:
- Mi raccomando, appena incontriamo il Kelpie, stordiscilo con un colpo di tetta e poi io penso a dargli il colpo di grazia strappandogli il cuore. -
- Volgare! Maschilista! Medievale! - ringhiava la ragazza in risposta.
- Non è colpa mia se le libbre di carne che la natura ti ha appiccicato sul petto sono una potenziale arma da offesa! -
- Non è colpa tua nemmeno il fatto che la natura ti abbia concesso così poco cervello nel cranio! -
Eh, non era facile spuntarla con Eva Wingates Hellsing! Però forniva un così bel ristoro per gli occhi!
Il telefono posto sul tavolinetto su cui Alucard posava i piedi squillò per l’ennesima volta. Dal momento stesso in cui Walter era uscito di casa, quell’apparecchio non aveva più avuto un attimo di requie. Alucard immaginava che qualche membro della Tavola Rotonda avesse improvvisamente e urgentemente bisogno di parlare con lo shinigami.
“ Chissà se questa è l’ipotesi giusta “ si era detto il vampiro ogni volta che il telefono si era messo a trillare. Avrebbe potuto facilmente togliersi ogni curiosità in merito impugnando la cornetta e rispondendo ma non aveva mai compiuto quel semplice gesto per il banale gusto di essere d’intralcio e complicare l’esistenza più che poteva al suo vecchio camerata. Dato che Integra si stava facendo la doccia e fra lo scroscio dell’acqua e il rimbombo della sua voce (a Sir Hellsing piaceva cantare a squarciagola mentre si lavava) non avrebbe udito neanche una cannonata, ne conseguiva che Alucard poteva continuare a compiere il suo piano di sabotaggio in tutta tranquillità.
A quell’ennesimo squillo però il vampiro reagì in maniera diversa. Sarà stata la malinconia che quelle donne con poche mammelle gli suscitavano, ma sentì il bisogno di distrarsi da quei foschi pensieri con un diversivo. Per questa ragione alzò la cornetta e con tono indifferente, continuando a sfogliare il Playboy, disse:
- Organizzazione Hellsing. -
- Buonasera, mi chiamo Basil Irons, sono un compagno di Integra. Potrei parlare con lei? -
Era una vocetta da ragazzino quella che aveva formulato la domanda, in tono educato e al contempo sicuro di sé. Il tono di un ragazzino che pur rispettando gli adulti, non si sentiva in soggezione di fronte a loro.
- Integra è sotto la doccia e ne avrà per un pezzo. Prima che lavi e asciughi quella coperta di capelli che si ritrova, schiaccerà un’ora e passa. Se vuoi ti faccio richiamare quando ha finito. Come hai detto che ti chiami? -
Mentre Alucard così parlava, con la mano libera aveva spalancato il paginone centrale del giornalino, tenendolo sospeso per aria, davanti al viso. Un’espressione di disappunto apparve nei suoi occhi: persino la ragazza della foto più importante della rivista aveva poche tette! Com’era caduta in basso la civiltà umana! Fu mentre traeva queste considerazioni che udì la vocetta ripetere:
- Mi chiamo Basil Irons. Se lo desidera, posso farle lo spelling. -
- Basil? Basil Irons hai detto? - ripetè Alucard, aggrottando le sopracciglia nello sforzo di ricordare.
Dove aveva già sentito quel nome?
Ma certo, ora ricordava! Non lo aveva sentito, lo aveva letto, per la precisione nei diari di Integra!
Era lui, Basil Irons, il ragazzino per cui la sua master aveva preso una cotta, arrivando a scrivere il suo nome mettendo sulla “i” un cuoricino al posto del puntino!
Oh cacchio! Stava parlando con l’ometto riuscito nell’incredibile impresa di far innamorare quel carro-armato di Integra! Consapevole che l’occasione di conversare a tu per tu con l’autore di quel miracolo non si sarebbe ripresentata, Alucard se ne uscì in un giulivo:
- Basil caro! Da quanto tempo desideravo conoscerti! - e così dicendo lanciò dietro di sé il Playboy, ormai privo di importanza, che atterrò in malo modo sul pavimento, perdendo varie pagine.
Con la mano adesso libera, il vampiro arricciò il filo del telefono intorno all’indice mentre con voce suadente proseguiva:
- Integra non fa che parlare di te! -
- Davvero? - chiese la vocetta, sorpresa.
- Ma certo! Non fa che ripetere come tu sia il suo migliore amico! -
La vocetta assunse un tono mesto mentre rispondeva:
- Purtroppo non sono riuscito a comportarmi come tale. Mi sento in parte responsabile del guaio in cui Integra si è cacciata ieri. Sapevo che quel ragazzo più grande la infastidiva e l’avevo diffidato dal continuare, purtroppo senza risultati. -
Alucard coprì la cornetta con le mani, per non far udire all’interlocutore la risata che gli vibrava in  gola.
Non era una risata sprezzante, tutt’altro, era una risata di trionfo.
“ L’avevo diffidato “! Quale dodicenne al giorno d’oggi parlava in quel modo? Nemmeno gli adulti inciampavano in simili espressioni, figuriamoci i ragazzini, eppure era sgorgata dalle labbra di Basil Irons con la stessa semplicità dell’acqua. Un ragazzino che si esprimeva in modo così forbito non era una personcina comune e di ciò il vampiro se ne rallegrò.
Terminata la breve sghignazzata soddisfatta, il vampiro riaccostò la cornetta all’orecchio, in tempo per sentir proseguire la narrazione di Basil:
- Ho cercato di convincere Integra a parlarne con i professori o con voi, a casa, ma ho fallito anche in questa impresa. Ha voluto ostinarsi a risolvere la situazione da sola e il risultato è che stata sospesa per tre giorni. Per questo temo di aver fallito nel mio ruolo di amico. Se fossi riuscito ad essere più convincente… -
- Andiamo, andiamo ragazzo, non ti crucciare! - lo ammonì Alucard - Hai fatto quel che potevi, poi stava anche a Integra e a quel bullo compiere le loro scelte. E comunque non temere, stai pur sicuro che non tutto il male vien per nuocere. Questa esperienza ha insegnato molto ai due diretti interessati, ne trarranno dei preziosi insegnamenti che li accompagneranno per tutta la vita! -
- Lo pensa davvero? - chiese Basil, risollevato.
- Ma certo! Il bullo ha imparato a scegliere con più cura le sue vittime e Integra ha capito che una ginocchiata nei testicoli passa più inosservata rispetto a un naso rotto ed è quindi da prediligere ad uno spargimento di sangue! -
- A-ah! - balbettò Basil, non essendo quelle le parole che si attendeva di sentir uscire dalla bocca di un adulto.
- Ma basta con le chiacchere superflue, veniamo al sodo! Senti, Basil, sono davvero molto curioso di conoscerti e mi giocherei la testa che ad Integra non parrebbe vero di averti qui in casa per spupazzarti come un orsacchiotto, quindi perché non vieni a trovarci? -
- Volentieri signor…signor? -
- Walter C. Dorneaz, tutore di Integra. - mentì Alucard.
- Volentieri signor Dorneaz ma sa come vanno queste cose, non siamo noi ragazzini a poter decidere, siete voi adulti a dover stabilire una data che vada bene ad entrambi. Le passo mia madre, così potrà accordarsi con lei, va bene? -
- Va benissimo! - rispose Alucard, cominciando a sudar freddo.
“ Lei sa come vanno queste cose… “ aveva detto Basil. No, Alucard non aveva la più pallida idea di come andassero simili faccende perché era stato padre in un’epoca in cui non esistevano le scuole e mai aveva dovuto invitare i compagni dei suoi marmocchi al maniero in cui alloggiavano. Cominciò quindi a chiedersi febbrilmente cosa accidenti dovesse dire alla madre di Basil per convincerla a cederle il figlio per un po’. I suoi tormenti furono però interrotti dal giovane Irons che in tono imbarazzato aggiunse:
- Mister Dorneaz, mi vergogno di porle una simile richiesta ma non posso farne a meno. Potrebbe evitare di accennare a mia madre della sospensione di Integra? Vede, i miei genitori non sanno nulla di questa storia e non vorrei che venendone a conoscenza potrebbero giudicare disdicevole mandarmi a casa vostra. Non si offenda, la prego! -
- Ma no ragazzo, non mi offendo, stai tranquillo! - rispose conciliante il vampiro, certo che se al suo posto ci fosse stato il vero Walter, si sarebbe indignato talmente da troncare lì la conversazione.
- Oh, grazie signor Dorneaz! Vado subito a chiamarle mia madre! - giubilò Basil e ciò sprofondò nuovamente Alucard nei suoi timori sul cosa dire alla madre del ragazzino.
Non sapendo come risolvere quel mistero, il vampiro decise che avrebbe lasciato parlare la donna, consentendo che conducesse il gioco. Capiva che avrebbe dovuto essere gratuitamente gentile con questa sconosciuta signora e ciò lo angustiò. Detestava essere gratuitamente gentile con chi non conosceva e che, in una percentuale molto elevata, probabilmente nemmeno meritava il suo rispetto di Re Senza Vita.
Una giuliva voce femminile proruppe dall’altro capo del filo, interrompendo i funerei pensieri del Signore delle Tenebre:
- Oh mister Dorneaz, siete la mia salvezza! Il vostro invito capita proprio a fagiolo! Oh, no accidenti, sto correndo troppo in fretta, non so nemmeno se accetterete o meno la mia proposta! -
Quel fuoco di fila di parole ammutolì il vampiro, che si domandò stupito come potesse, una simile gallina, aver generato una personcina ammodo come Basil. La madre proseguì:
- Vede, questo venerdì, a metà mattinata, sia io che mio marito dobbiamo recarci fuori dall’Inghilterra per lavoro. Lui deve partecipare a una conferenza a Lione e non tornerà prima di domenica mentre io rimarrò fuori più a lungo, dovendo volare a Philadelphia per presentare la mia prossima collezione primavera-estate. Ciò non sarebbe un problema se proprio ieri non avessero ricoverato la nostra tata in ospedale per una polmonite.  Potremmo contattare una baby-sitter d’emergenza perché si occupi di Basil finché non torna mio marito domenica ma chissà quanto ci verrebbe a costare! Quindi avevo pensato…sempre se la cosa non le dispiaccia…se possiamo posteggiare Basil a casa vostra fino a domenica pomeriggio. Venerdì, alla fine delle lezioni, lo prelevate da scuola insieme a Integra e ve lo tenete per quarantott’ore. -
Alucard trattenne il fiato. Ciò andava oltre ogni sua più rosea aspettativa. Avrebbe avuto due giorni per osservare con tutta calma il ragazzino per cui la sua master aveva perso la testa, e il tutto senza che avesse dovuto spiccicare una parola né avesse dovuto essere gentile con quell’oca! La madre intanto proseguiva:
- Oh, so che è tremendamente scortese auto-invitarsi ma ci farebbe un così enorme piacere che … -
- Accetto! - tagliò corto Alucard e subito dovette allontanare dal proprio orecchio la cornetta per non assordarsi con il grido di giubilo lanciato dalla donna.
- Oh signor Dorneaz, siete un angelo! Non so come ringraziarvi, io… -
- Il modo migliore per ringraziarmi è passarmi vostro figlio. - fu la secca risposta del nosferatu, infastidito da tutti quei salamelecchi.
Quando udì nuovamente la voce di Basil, gli disse:
- A venerdì, cioè domani, allora. Toglimi una curiosità, sei stato tu a tempestare questa casa di telefonate per tutto il pomeriggio? -
- No, questa è la prima telefonata che faccio. -
Alucard chiuse la comunicazione, tornando a domandarsi chi diamine avesse cercato di mettersi in contatto con tanta insistenza con l’Organizzazione. Appena finito di formulare la domanda, l’apparecchio tornò a squillare.
Il vampiro si chiese se dovesse rispondere. Infine decise che un’azione educata al giorno era più che sufficiente, non voleva correre il rischio di viziare chi lo circondava. Attese quindi che il telefono terminasse di squillare, dopo di che sollevò la cornetta per appoggiarla sul tavolino, in modo da impedire ulteriori, fastidiose chiamate a quell’apparecchio e meditò sul da farsi con Basil.
Meglio non far sapere nulla a Walter di quell’ospite in arrivo. C’era da scommetterci che quell’ottuso umano, per una questione di principio, si sarebbe affrettato a contattare casa Irons per disdire l’invito. No, decisamente, la mossa migliore consisteva nel rivelarglielo all’ultimo momento, quando ormai i genitori del ragazzino erano in viaggio e il maggiordomo non poteva che sentirsi costretto ad accogliere il compagno di Integra.
“ E alla master? Devo dirlo? “
No, meglio tacere anche con lei, a scanso che la rivelazione che il suo amore avrebbe vissuto sotto il suo tetto per quarantott’ore potesse farla reagire come qualsiasi dodicenne, cioè passeggiare con occhi sognanti per casa emettendo poderosi sospiri. Walter si sarebbe accorto subito che qualcosa non quadrava, avrebbe trovato il modo di far confessare Integra e nuovamente avrebbe avuto la possibilità di disdire l’invito con gli Irons, a dispetto delle proteste, dei pianti e delle urla di Sir Hellsing.
No, meglio tacere a tutti quella novità.
Il vampiro riprese quindi il Playboy da terra e tornò ad affliggersi alla vista di quelle donne così poco chiappute ma le sue meste considerazioni furono interrotte dal suono di una porta che si apriva. Alzò gli occhi e vide Integra uscire dalla propria stanza. Sir Hellsing aveva appena terminato la doccia e ciabattava per il corridoio in accappatoio, i biondi capelli avvolti in un asciugamano sistemato a mo’ di turbante in equilibrio sulla testa.
Alucard osservò la padroncina e quando la dodicenne passò di fronte a lui, disse:
- Master, accetteresti un consiglio dal tuo umile servo? -
- Certo. - rispose Sir Hellsing, fermandosi di fronte al nosferatu, stupita dalla sua espressione seria.
- Stringi l’accappatoio sul petto, non lasciarlo così largo. -
La ragazzina lo scrutò con uno sguardo pieno d’incomprensione e miopia, dato che aveva lasciato gli occhiali in camera. Stringersi l’accappatoio sul petto? E perché mai?
- Sono appena uscita da una doccia bollente, mi fa caldo, non vedi come sono rossa? - spiegò, certa di avere dalla sua una ragione più che solida.
Il volto di Alucard era serio come non mai. Teneva i suoi occhi fissi in quelli della ragazzina. Nuovamente, ripetè:
- Chiuditi l’accappatoio sul petto, ho detto. -
Sir Hellsing mise un broncio irritato. La richiesta del servo non aveva né capo né coda. Lei stava morendo di caldo, impossibile che Alucard non se ne accorgesse e allora perché voleva farla soffrire ulteriormente con quell’assurdo capriccio?
- Perché dovrei farlo? - sbottò la piccola.
Il vampiro emise un breve sospiro seccato. Integra era una ragazzina matura e intelligente ma è umanamente impossibile essere svegli in merito a qualsiasi argomento. Uno degli argomenti su cui l’arguzia di Sir Hellsing difettava, era proprio quello che stava affrontando Alucard. Il vampiro considerò che per farsi comprendere dalla padrona non gli restavano che due strade: o cercava di prenderla alla larga, tentando di stringere il cerchio nel tentativo di condurre Integra a giungere all’esatta deduzione da sola, o ci andava giù diretto e pesante come un colpo di clava.
Optò per la prima strategia.
- Master, ti sei accorta che da qualche settimana non trascorro più la notte nella tua stanza? Te ne sei chiesta la ragione? -
Sì, Integra si era resa conto che Alucard ormai entrava in camera sua solo quando trovava la porta spalancata, e solo nelle ore diurne. No, non si era posta la domanda sul perché di quell’atteggiamento. Anche adesso, con noncuranza, fece spallucce:
- Ti è venuto a noia fare il solitario seduto alla mia scrivania mentre dormo. Adesso preferisci giocare a biliardo. -
Una vena sulla tempia di Alucard cominciò a pulsare pericolosamente. Niente lo mandava più in bestia di quando sua padrona indossava quella maschera di menefreghismo, spegnendo il cervello.
- No master, ho smesso di bazzicare camera tua perché stai crescendo e non è giusto che ti rimanga incollato alle costole notte e giorno! -
Il vampiro attese, sperando che i neuroni della ragazzina fossero in grado di compiere il giusto assioma che collegasse l’abbandono della camera da parte del servo con l’accappatoio che indossava in quel momento ma la testolina di Integra era troppo presa dal caldo, e dalla voglia di scendere in cucina per bere un rinfrescante bicchierone di spremuta d’arancia per prestare attenzione alle parole del non-morto. Rimase a contemplare il vampiro col suo sguardo crucciatamente vuoto e quando cominciò a sventolarsi con una mano per il caldo, Alucard si sentì esplodere dalla rabbia.
Va bene, se l’unico modo per farsi intendere da quella zuccona era andarci giù pesante come un colpo di clava, lui l’avrebbe accontentata!
- Chiuditi l’accappatoio sul petto perché ti si vedono le tette! -
La ragazzina sbattè le palpebre, stordita come l’avessero presa a schiaffi. Abbassò gli occhi sul suo seno in boccio, come se lo vedesse per la prima volta, poi tornò a fissarli nelle pupille del servo, più corrucciata che mai:
- Guarda che le tette le avevo anche quando ti ho risvegliato! -
- Sì, ma erano più piccole! Erano tettine da ragazzina, niente di sconvolgente ma adesso ti stanno crescendo, lo vuoi capire o no? L’ultima volta che sono venuto in camera tua ti stavi cambiando e le tue tette erano lì lì per sgusciare via dal reggiseno, come due arance appoggiate su un bicchiere. Per questo ho smesso di entrare e uscire dalla tua stanza a mio piacimento! -
Integra sentì di odiare profondamente Alucard così come, mesi prima, aveva sentito di detestare la governante, la signora O’Hara.
La donna l’aveva guardata con occhio clinico, sentenziando:
- Mia cara, è ora che cominci a indossare un reggiseno. - gettando Integra nel più nero sconforto.
Sì perché se c’era una cosa di cui la futura Sir Hellsing avrebbe fatto volentieri a meno, era crescere. Da bambina, non comprendeva le coetanee che giocavano a fare le signore e trascorrevano ore a fantasticare e blaterare su quel che avrebbero fatto da adulte. Lei, tutta quest’ansia di diventare grande non la comprendeva. Avvertiva che la sua età adulta sarebbe stata dura e angosciante, per questo motivo non le sarebbe parso vero di rimanere nell’infanzia il più a lungo possibile e quando aveva visto il suo corpo cominciare a cambiare forma, ancora si era ostinata a dare a quelle mutazioni poca importanza, finché la frase della signora O’Hara non l’aveva costretta a prendere atto della realtà. Il suo corpo la tradiva e cresceva a dispetto dei suoi desideri più profondi.
Integra aveva quindi seguito imbronciata e a testa bassa la governante in un negozio di articoli femminili, aveva lasciato che la donna e una commessa le armeggiassero intorno e ne era uscita seguendo la signora O’Hara, sempre imbronciata e a testa bassa e con un sacchetto contenente due reggipetti in mano.
Erano occorse settimane prima che la ragazzina prendesse confidenza con quei nuovi capi di vestiario. Ogni mattina, prima di indossarlo, lo guardava con aria torva, come a ricordargli che lo metteva perché le era stato imposto da altri, non perché lei lo desiderasse. E quando finalmente si era abituata a quella e altre novità (essere orfana, ritrovarsi il capo dell’Organizzazione e la master di un vampiro) ecco che il suo corpo aveva ricominciato a farle il solito scherzetto di cambiare. Nuovamente, Integra si era impegnata a non accorgersene. Sì, lo vedeva che effettivamente i reggiseni acquistati mesi prima contenevano ben poco ormai ma dato che non c’era nessuna signora O’Hara a sottolineare la cosa, la dodicenne aveva potuto fingere che ciò non fosse degno di nota. Come poteva supporre che Alucard potesse sostituire la governante, sbattendole in faccia l’ennesima prova della sua crescita?
Sir Hellsing abbassò la testa, imbronciata, corrucciata e con una gran voglia di piangere. Capiva che non era solo la questione dell’accappatoio, tutti gli ultimi privilegi dell’infanzia le sarebbero stati negati da lì a poco perché ormai stava diventando una ragazza. Walter non le avrebbe più permesso di guardare i cartoni del sabato mattina in pigiama. Probabilmente le avrebbe vietato di vedere i cartoni in toto, con o senza vestiti. E il cestone dei giocattoli sarebbe stato imballato e messo in soffitta e chissà cos’altro sarebbe cambiato.
Integra storse le labbra per impedirsi di piangere. E va bene, dalla prossima volta si sarebbe chiusa l’accappatoio sul seno. Anzi no, dalla prossima volta avrebbe potuto stare in accappatoio solo nella propria stanza, mentre sarebbe dovuta andare a spasso per la casa sempre e rigorosamente vestita.
Tutto questo dalla prossima volta, appunto. Adesso le premeva non darla vinta ad Alucard così, testardamente, ribatté:
- Sono a casa mia e faccio quello che mi pare! -
- Casa tua è anche casa mia e di Walter e se non te ne sei accorta, non facciamo quel che ci pare per rispetto nei tuoi confronti. Ci vedi forse andare a spasso per la villa in mutande? -
Alla malinconia di Integra si mischiò un sottile divertimento, tentando di immaginare il suo maggiordomo e il suo vampiro in mutande ma siccome voleva rimanere seria, storse nuovamente le labbra per impedirsi di ridere. Nel chiedersi se quella di Alucard fosse una battuta o un’affermazione seria, le venne improvvisamente da fare una considerazione mai pensata prima che la stupì talmente da obbligarla a rialzare la testa e fissare il servo con occhi stupiti. Dimentica di tutto il dolore provato poc’anzi, chiese:
- Ma sotto questa tuta di cuoio indossi veramente le mutande? E i calzini? -
Un’espressione stanca si dipinse sul volto di Alucard:
-Perché gli umani sono così morbosamente interessati al mio abbigliamento? -
Gli occhi si Sir Hellsing si sgranarono ancora di più:
- Vuoi dire che non sono la prima persona a farti questa domanda? -
- Certo che no! Prima di te mi posero questa domanda Walter, tuo padre, tua madre, tuo nonno, ogni membro del Consiglio dei Dodici e ogni soldato dell’Hellsing. -
Integra si rese conto che dall’elenco erano esclusi Abraham Van Helsing e sua nonna Eva e non se ne stupì. Era stato Abraham a vestire con la tuta il suo servo, quindi sapeva bene cosa gli aveva o non gli aveva fatto indossare sotto quella corazza di cuoio. Quanto a sua nonna, con tutte le volte che aveva dovuto spogliare e medicare il vampiro prima di restituirgli il controllo dei sigilli, non poteva non sapere come fosse abbigliato. Alucard proseguì:
- Il giorno in cui il governo autorizzò l’Organizzazione Hellsing a spedire me e Walter a Varsavia per combattere contro i ghouls creati dai nazisti, tuo padre andò a ringraziare personalmente il primo ministro Winston Churchill e mi portò con sé. E sai cosa fece Winston Churchill, quando mi rivolse la parola? Mi pose esattamente la stessa domanda che mi hai fatto tu! Dannazione, possibile che un primo ministro non avesse niente di più importante da chiedermi?! -
Integra attese, fiduciosa ma siccome il vampiro sembrava aver esaurito lì la discussione, tornò a chiedere:
- E quindi? Porti le mutande e i calzini oppure no? -
Alucard assottigliò gli occhi con cattiveria:
- Non ti rispondo. Adesso aria, vattene e lasciami leggere in pace! -
- Ma cosa ti costa rispondermi “sì” o “no”? -
- Non mi costa niente ma ho imparato che è perfettamente inutile rispondere a questa domanda. E’ più facile scalfire un diamante che i preconcetti degli umani. Tutti coloro che mi hanno chiesto cosa indossavo o non indossavo avevano già una loro idea su cosa avrei risposto. Se la mia risposta era opposta a quel che si attendevano, semplicemente la ignoravano e continuavano a pensarla come gli pareva e piaceva. Per questo ho imparato a rispondere con un semplice “pensala come ti pare”, così faccio contenti tutti quanti e la piantano di assillarmi. -
- Ma io non ho idee preconcette in merito! Non so davvero come pensarla, per me il “sì” e il “no” si situano in parità, al cinquanta per cento ciascuno. -
- Benissimo, allora pensa pure che indosso le mutande un giorno sì e uno no. Adesso togliti dai piedi e lasciami immalinconirmi in pace contemplando questi manici di scopa. - ringhiò il vampiro, riabbassando gli occhi sul Playboy.
Integra capì che non ci sarebbe stato verso di cavargli nient’altro di bocca e proseguì il suo viaggio verso la cucina, scordando di chiudersi l’accappatoio sul petto.
 
Walter stava preparando la cena in cucina e Integra, nel salone del pianterreno, seduta sul divano, ascoltava il telegiornale. Solitamente i notiziari non le interessavano ma da qualche giorno li seguiva attentamente per ascoltare una notizia che le stava particolarmente a cuore. Notizia che veniva data sempre in coda al TG, obbligando così Sir Hellsing a sciropparsi tutti gli aggiornamenti sulle disgrazie avvenute sul pianeta prima di giungere alla “sua” notizia.
Quella sera venne a sapere che i governi dell’Argentina e della Gran Bretagna si preparavano a riannodare le relazioni diplomatiche, rimaste interrotte per 8 anni a causa della guerra per le isole Falkland. In Unione Sovietica, il Partito comunista accettava di partecipare alle prime elezioni multipartitiche. Proseguiva nella Repubblica Sudafricana il conto alla rovescia per la scarcerazione di Nelson Mandela, prevista l’11 Febbraio.
- Si può sapere chi è questo Mandela? - chiese Alucard - E’ da giorni che i telegiornali non fanno altro che parlare di lui e della sua scarcerazione. -
Il vampiro sedeva stravaccato su di una poltrona, impegnato a rimettere al loro posto le facce colorate di un cubo di Rubik e Integra lo guardò armeggiare mentre rifletteva sulla risposta da fornire al servo. In quegli ultimi giorni, a scuola, gli insegnanti avevano spesso parlato di Mandela con gli studenti, incitandoli a prenderlo  ad esempio ma la ragazzina dubitava di riuscire a sortire l’ammirazione del vampiro verso quell’uomo utilizzando le parole che più frequentemente erano uscite dalla bocca dei professori.  “Patria”, “integrità”, “uguaglianza”, “orgoglio nazionale” avrebbero potuto forse interessare il voivoda Vlad III di Valacchia ma c’era il rischio che venissero pesantemente denigrate dal vampiro Alucard. Integra decise quindi di raccontare solo gli eventi che più l’avevano colpita, sperando di riuscire a trasmettere al servo lo stesso rispetto che avevano suscitato in lei:
- Nelson Mandela venne processato nel tentativo di fargli rinnegare le sue idee ma lui non si arrese, anche se sapeva che rischiava di essere condannato a morte. La condanna a morte venne commutata in ergastolo e Mandela venne sbattuto in una prigione che era un isolotto in mezzo all’oceano. Non chiese mai la grazia, continuò a sostenere i suoi ideali. Si è fatto ventotto anni di carcere senza lasciarsi piegare. Si sono arresi semmai quelli che lo imprigionarono e che hanno deciso di liberarlo. -
Il vampiro sollevò gli occhi dal cubo per osservare senza espressione l’uomo di cui parlava la master. Lo scrutò per qualche momento, poi riabbassò lo sguardo sul gioco. Integra sentì l’amarezza attanagliarle il petto: non era riuscita a infondere in Alucard nemmeno un briciolo di rispetto per quella persona coerente. Certamente il servo doveva averlo classificato fra la massa delle nullità, altrimenti avrebbe reagito in ben altro modo che rivolgendo al signor Mandela quell’occhiata distratta.
Sir Hellsing aveva ricominciato a seguire il telegiornale quando udì la voce di Alucard commentare con apparente distacco:
- Più coraggioso di Galileo e più coerente di un certo principe che accettò di farsi scarcerare per diventare consigliere del re che lo aveva catturato. -
Integra trattenne il respiro: per i canoni di Alucard, quella era probabilmente la massima onoreficenza che potesse attribuire ad un’altra persona, arrivando persino a constatare che era stata più in gamba di lui.
Il tg proseguì con varie notizie di politica interna prima di arrivare finalmente alla notizia che tanto stava a cuore a Integra. Sir Hellsing alzò il volume mentre il giornalista annunciava:
- Ancora nessuna novità sulle indagini riguardanti il brutale omicidio in cui quattro notti fa hanno perso la vita l’agente di polizia Mark Victoria e sua moglie Sonja. Dall’Ospedale St. Mary, in cui è ricoverata la figlioletta di nove anni dei coniugi Victoria, l’unico componente della famiglia  scampata al massacro, è giunta la notizia che la bambina è uscita dal coma e anche se i medici non hanno ancora sciolto la prognosi, le sue condizioni sembrano essere stabili e in via di miglioramento… -
Integra sentì il sollievo alleggerirle il cuore. Sin dalla prima volta in cui aveva udito quella notizia aveva provato un’istintiva empatia verso la figlia del poliziotto. Come lei, era rimasta orfana e aveva rischiato di essere assassinata, con l’aggravante che mentre Integra aveva subito queste due esperienze a pochi giorni di distanza l’una dall’altra, quella bambina le aveva affrontate contemporaneamente.  
La prima sera in cui il telegiornale aveva parlato del massacro della famiglia Victoria, Integra si era voltata verso Walter e con trasporto aveva detto:
- Se questa bambina non muore, l’adottiamo noi? -
Il tutore le aveva rivolto uno sguardo stupito prima di aggrottare la fronte e rispondere con severità:
- Sir Hellsing, da quando in qua siete diventata emotiva come un’anziana zitella? Se avete intenzione di far entrare in questa casa tutti i bambini sfortunati di cui sentite parlare al telegiornale, Hellsing Manor si trasformerebbe in un orfanotrofio! -
La ragazzina era arrossita, mortificata, mentre un’accozzaglia di sentimenti si scontrava dentro di lei. Le parole con cui Walter aveva accolto il trasporto della dodicenne erano state tutt’altro che lusinghiere e facevano vergognare Integra di se stessa, come se avesse commesso una leggerezza nel perdere il suo abituale sangue freddo. Al tempo stesso, la frase del tutore suscitava nella sua protetta un sottile disprezzo nei confronti dell’uomo, sembrandole improvvisamente di una meschinità incredibile. Dato che la diplomazia non difettava nel maggiordomo, intuendo di non aver fornito una risposta adeguata alla Sir, aggiustò il tiro aggiungendo:
- Quella bambina avrà certamente dei parenti che si occuperanno di lei, nonni o zii, non ci avete pensato? Chi siamo noi per strappargliela? E anche quando non avesse nessuno, esistono enti in grado di occuparsi dei minori molto meglio di noi. A ognuno il proprio lavoro, Sir. L’Organizzazione Hellsing è la numero uno nello sterminio dei mostri ma non saprebbe da dove cominciare se ci affidassero un gruppo di bambini da accudire. Analogamente, una casa-famiglia sa come allevare al meglio un’orfana ma non saprebbe come affrontare un vampiro. Capite quello che voglio dire? -
Integra annuì, a capo chino. Sì, razionalmente comprendeva quel che diceva il maggiordomo ma emotivamente continuava a sentirsi in subbuglio. Non aveva comunque più fatto parola della vicenda, limitandosi a seguire il caso in silenzio, tenendo ogni pensiero per sé. Adesso era contenta nell’apprendere che la bambina di cui non conosceva il nome stesse meglio ma contemporaneamente si chiedeva per quanto ancora sarebbe riuscita a seguire la sua vicenda attraverso i media. Integra non si faceva illusioni: capiva che presto i telegiornali si sarebbero disinteressati del caso della famiglia Victoria, buttandolo nel dimenticatoio. Sui quotidiani avrebbe resistito qualche giorno in più ma alla fine sarebbe scivolato via anche dalle pagine stampate e del destino della sconosciuta bambina, Sir Hellsing avrebbe finito col non saperne più niente.
“ Tutto ciò che posso fare è augurarle quanto più bene possibile “ concluse mentalmente Sir Hellsing e con questo pensiero finì di guardare il telegiornale. L’ultima notizia parlava della sonda spaziale Voyager 1 che lanciata nello spazio nel 1977, stava per avvicinarsi ai confini del sistema solare e per celebrare l’evento, al posto della sigla di chiusura, la redazione avrebbe mandato in onda delle immagini della Terra vista dalla luna.
Integra guardò scorrere quelle foto e quei filmati con indifferenza. Non c’era musica di sottofondo commovente che tenesse: la biglia bianca e blu della Terra contro lo sfondo nero dello spazio era un’immagine che aveva visto e rivisto tante di quelle volte da quand’era nata da esserle venuta a noia e stava allungando la mano verso il telecomando, con l’intenzione di cambiare canale, quando udì Alucard esclamare con voce estatica:
- E’ talmente bello da essere commovente! -
Sorpresa, si girò verso il vampiro. Alucard aveva abbandonato il cubo di Rubik e seduto sul bordo della poltrona, sporgendosi in avanti, quasi volesse entrare dentro il televisore, ammirava quelle immagini con volto serio e sguardo rapito.
- Sembra che tu non abbia mai visto la terra dallo spazio. - non poté fare a meno di ridere la master.
- E’ così, infatti. -
Fu la volta di Integra di stupirsi:
- Ma papà ti mise in letargo l’anno successivo allo sbarco sulla luna! Come puoi dire di non aver visto niente di tutto ciò? -
Senza staccare gli occhi dallo schermo, Alucard rispose:
- Filmati e fotografie erano in bianco e nero a quei tempi. Le foto che stampavano sui giornali, le immagini che mostravano ai telegiornali, non erano neanche lontanamente paragonabili a queste. Era tutto così opaco, confuso e sfocato! In confronto, è come se davvero non avessi visto nulla! -
La master rimase in silenzio, colpita da quell’affermazione. Tentò di immaginare cosa potesse suscitare in Alucard quello spettacolo per lei banale ma per quanto si sforzasse, non riusciva a mettersi nei panni del vampiro. Le schiarì le idee il servo esclamando con semplicità:
- Forse è valsa la pena di arrivare a 500 anni per vedere tutto questo! -
Integra rimase in silenzio, permettendo al vampiro di stupirsi in santa pace di fronte alle immagini che passavano sullo schermo e mentalmente si ripromise di mostrargli tutti i libri della biblioteca di Hellsing Manor che parlassero dell’universo.
 
Da quando Integra era rimasta orfana, Walter aveva preso l’abitudine di cenare con lei. Un giorno, quando la sua protetta fosse diventata maggiorenne, lui avrebbe cessato di essere il suo tutore per tornare ad assumere il ruolo di semplice maggiordomo ma finchè Sir Hellsing era ancora così giovane, lo shinigami comprendeva quanto avesse bisogno di ritagliarsi una fetta di quotidiana vita familiare all’interno della sua nuova esistenza di capo dell’Ordine dei Cavalieri Protestanti e dato che mangiare in compagnia rientrava in ciò che fa sentire una persona “a casa”, Walter stava sempre ben attento a non far cenare la sua principessa da sola.
Anche Alucard contribuiva a creare “un’aria di famiglia” con la sua presenza in sala da pranzo. O tracannava una brocca di sangue seduto a un capo del grande tavolo di noce, o faceva compagnia ai due umani intenti a mangiare stravaccandosi su una delle tante sedie situate lungo il perimetro della sala, intento a passare il tempo smontando qualche apparecchio elettronico sgraffignato nelle camerate delle truppe dell’Hellsing.
Quella sera, mentre master e maggiordomo sorbivano la loro minestra, il vampiro terminò di assemblare le sei facce del cubo di Rubik. Contemplò brevemente la sua opera, poi l’appoggiò sul pavimento, ormai priva di interesse. Alucard si stiracchiò, rimase un poco a meditare sui casi suoi, infine aprì bocca per chiedere:
- E’ ancora aperto il “Sessantanove”? -
Walter rischiò di strozzarsi con l’acqua che stava bevendo: cosa saltava in mente, ad Alucard, di chiedere informazioni su quel locale davanti a Integra?
La sua prima reazione fu di rispondere che non sapeva di cosa stesse parlando il vampiro ma subito scartò quest’idea. Alucard sarebbe stato capacissimo di uscirsene con un serafico:
- Ma come? Non ricordi? E’ quel locale dove… - proseguendo poi con la rievocazione di una sequela di oscenità che il maggiordomo desiderava non far conoscere a Sir Hellsing. Decise così di dire la verità:
- L’hanno chiuso dieci anni fa. -
Tono asciutto e secco, sperando che ciò bastasse a far comprendere al vampiro che la discussione non andava portata avanti.
- Peccato, era una gran bel posto. - commentò Alucard, rimanendo poi in silenzio.
Lo shinigami tirò un sospiro di sollievo, il pericolo sembrava scampato. Non tenne conto però che anche Integra era dotata di una lingua. La vocetta della sua pupilla si librò per la stanza, chiedendo:
- Cos’è il “Sessantanove”? -
Il cuore del tutore mancò di un battito. Si riprese però lestamente, rispondendo:
- Nient’altro che un bar. -
Nel suo tentativo di svicolare l’argomento mediante risposte brevi ed evasive, il povero maggiordomo rimaneva comunque stretto fra due fuochi: se non apriva bocca Integra, allora era Alucard ad intervenire a complicare la situazione. Anche in quel caso, il vampiro sentì il bisogno di ampliare la risposta del collega:
- Il bar costituiva la parte anteriore del locale, accessibile a tutti i passanti. Sul retro del bar si apriva il circolo riservato ai soci. Io e Walter ne eravamo soci. -
Il maggiordomo chiuse gli occhi, affranto. Ecco, ci mancava solo che Alucard raccontasse cosa facevano, in quel luogo di perdizione, e la sua autorità di guida morale ed educatore sarebbe uscita distrutta agli occhi della dodicenne. Tentò quindi di troncare nuovamente la discussione commentando:
- Basta così, Alucard. Ad Integra non interessano questi vecchi ricordi. -
- Invece sì che m’interessano! - chiosò la ragazzina, con le pupille sfavillanti di curiosità - Sono qui a domandarmi che cosa potesse esserci di così interessante in quel locale, da spingere un tipo come Alucard a farsene socio! -
Brividi gelati percorsero la schiena del maggiordomo: e adesso che cosa inventava a quella ragazzina indisponente? Che andavano là a leggere il giornale e fumare il sigaro?
Lo sguardo del vampiro incontrò quello del camerata e un sorriso beffardo si allargò sul suo viso. Capiva cosa turbasse tanto mister Dorneaz. Se avesse desiderato cavare dall’impiccio l’amico, avrebbe potuto rispondere alla curiosità della master con un lapidario:
- Top secret! - trincerandosi poi dietro un muro di silenzio.
Siccome però al nosferatu premeva maggiormente tenere sulla corda il maggiordomo, decise di uscirsene con una spiegazione che pur non infangando Walter agli occhi della sua principessa, riuscisse comunque a tenerlo sulla corda:
- Il “Sessantanove” era il locale fornito del miglior whiskey di tutta Londra e al suo interno incontravi un sacco di gente interessante, sia uomini che donne. -
Il telefono squillò, obbligando Walter ad andare a rispondere. Tremava però al pensiero di cosa potesse uscire dalla bocca di Alucard durante la sua assenza così, puntando minacciosamente un indice contro il nosferatu, in tono gelido annunciò:
- Attento a te! Ci siamo intesi? -
- Ma certo, vecchio mio. - fu la placida risposta del non-morto.
Integra, con la fronte corrugata e il cucchiaio rimasto immerso nel piatto, rifletteva. Dopo che il tutore sparì alla sua vista, bisbigliò al servo:
- Le donne interessanti che incontravate là dentro, erano dello stesso tipo di quelle con cui prendevano appuntamento i clienti della sala da tè che gestivi? -
Stavolta i brividi freddi vennero ad Alucard, comprendendo come il suo gioco si fosse spinto troppo oltre, rischiando di ritorcersi contro di lui. Sì, la fauna femminile che popolava il “Sessantanove” apparteneva alla stessa specie di quella a cui forniva copertura la sala da tè ma ciò che terrorizzava il vampiro in quel momento era che Walter non conosceva nulla del suo secondo lavoro.
Alucard sapeva come condurre i suoi affari e proprio per questo si era ben guardato dal lasciare trapelare alcunché della sala da tè dentro Hellsing Manor. Se l’allora giovane master Arthur e l’ancor più giovane mister Dorneaz avessero saputo che Alucard gestiva un bordello, avrebbero preteso di recarcisi ogni volta che gli pareva, usufruendo di sconti e ciò avrebbe comportato una perdita nei guadagni del vampiro. Per queste ragioni, Alucard si recava a controllare il registro contabile e incassare la sua percentuale alla sala da tè quando era in libera uscita e da solo.
Adesso si chiedeva quale avrebbe potuto essere la reazione di Walter nell’apprendere di essere stato orbato di un simile servizio per decenni. Se non voleva correre il rischio di inghiottire aglio finché lo shinigami fossa campato, era vitale che il camerata non ne venisse a conoscenza così si affrettò a rispondere:
-No, master, cosa vai a pensare? Il “Sessantanove” non era un locale di quel tipo! - poi, accigliandosi e guardando la padroncina con severità, in tono scandalizzato proseguì - Come puoi pensare che il tuo tutore, il rispettabilissimo Walter C. Dorneaz, possa essere stato un giovane talmente scapestrato da frequentare un bordello? -
Nascosto dietro la maschera del finto indignato, Alucard fremeva: il suo tentativo di instillare carognescamente il senso di colpa nella master, assicurandosi il suo silenzio, sarebbe riuscito?
Il faccino di Sir Hellsing sbiancò. Fosse stata una cagnolina, le sue orecchie si sarebbero abbassate dalla mortificazione.
Già, come aveva potuto supporre una simile condotta infamante in Walter? Piena di vergogna, balbettò:
- Hai ragione, Walter non farebbe mai una cosa del genere. Ho parlato senza riflettere. Ho pensato soltanto ai divertimenti che avresti cercato tu, senza pensare che con te c’era lui. Ti prego, non dirgli nulla della nostra conversazione! Chissà come ci rimarrebbe male! -
- Non temere master, il tuo segreto, con me, è in una botte di ferro! - annuì solennemente il vampiro.
Il silenzio regnò nella sala da pranzo per il successivo minuto che il maggiordomo impiegò al telefono.   
- Il generale Walsh con degli impicci burocratici da risolvere. - spiegò poi, raggiungendo i commensali.
Notando il visino ancora mogio di Integra, un terribile dubbio l’assalì e voltandosi come una furia verso il Re-senza-vita, ringhiò:
- Cos’hai raccontato durante la mia assenza? -
- Ho solo rievocato il divertentissimo capodanno del ’68 che passammo al circolo, quando riuscimmo ad ubriacare di “rum e pera” tutti i centoventinove ospiti presenti, armandoci solo di due pistole ad acqua. Ricordi? Caricavi la tua col succo di pera, io nella mia mettevo il rum e correvamo come dei treni per tutta la sala, sparandolo in bocca alla gente. -
Walter, più calmo di prima ma sempre arrabbiato, tornò a sedersi al suo posto:
-Alucard, perché devi sempre eccedere nei tuoi racconti? E’ vero, in quel modo ubriacammo delle persone ma non erano tutti i centoventinove avventori… e poi chi te lo dice che c’erano centoventinove persone là dentro? -
Il vampiro aggrottò le sopracciglia, sforzandosi di far ordine nei propri ricordi. Era sicuro di essere riuscito ad ubriacare centoventinove persone in un colpo solo ma se non era stato in compagnia di Walter al “Sessantanove”, allora quand’era successo? Forse era stata quella volta in cui aveva inseguito un folletto, uno degli ultimi Redcap di cui si era occupata l’Organizzazione Hellsing, intruppatosi alla “Festa della birra”?
Sì, ora ricordava! Era stato proprio in quell’occasione!
Il folletto sgommava veloce come Speedy Gonzales, schivando i colpi che sparava con Casull e i potenti proiettili avevano finito con lo squarciare un numero imprecisato di  botti che avevano riversato cascate di birra sugli avventori, passati nel giro di pochi minuti dalla paura per la sparatoria ad un’ubriachezza molesta e ridanciana.
Ma chi avevano sbronzato allora durante il capodanno del ’68, a pistolettate di rum e pera?
- Ora ricordo! - esclamò giulivo il vampiro, illuminandosi in volto - tu sbronzasti la tizia vestita da Cappuccetto Rosso, e io quella travestita da Catwoman! -
L’occhiata feroce che Walter scoccò al vampiro gli fece intendere quanto fosse deleterio rivangare ulteriori ricordi di quel capodanno e la cena degli umani proseguì in silenzio finché Integra, ripresasi dall’umiliazione di qualche minuto prima, chiese:
- Ma perché si chiamava “Sessantanove”? -
Walter agì con rapidità: la drammaticità della situazione lo imponeva. Per prima cosa, tappò la bocca al vampiro con un lapidario:
- Tu taci! -
Poi si voltò verso la ragazzina spiegando:
- Si chiamava come il suo numero civico. -
- Che era 90. - aggiunse Alucard, col gomito appoggiato al bracciolo della sedia, il mento appoggiato sul palmo della mano, gli occhi rivolti verso il cielo e un’espressione angelica sul viso.
Sir Hellsing, troppo giovane per cogliere l’indizio del vampiro, proseguì a sorbire la sua minestra finché una nuova curiosità l’assalì:
- Alucard, negli anni ’60, quando mio padre ti concedeva una libera uscita, te ne andavi a spasso per Londra con i pantaloni a zampa d’elefante e le camicie con le fantasie psichedeliche? -
Il vampiro fece spallucce e in tono serafico rispose:
- Se conciarmi in quel modo mi consentiva di rimorchiare qualche squinzia, perché no? -
Integra sbatté le palpebre: faticava a immaginare il servo agghindato con i calzoni bicolori e le camicie dal colletto a punta. Non sazia, proseguì:
- Indossavi anche i medaglioni col simbolo del “peace”? -
- Ah no master, quello no! - rispose il vampiro in tono risentito - Per chi mi hai preso? Sono un guerriero, non un pacifista! Gli anni ’60 sono stati indubbiamente una botta di vita rispetto ai seriosi decenni precedenti ma non ho mai digerito quel clima da “pace e amore” che si respirava. A chi mi diceva, alzando l’indice e il medio “peace and love” io rispondevo alzando l’indice e il mignolo e dicendo “war and sex”. Il medaglione col simbolo della pace lo indossava il tizio che ora ti siede accanto facendo finta di niente. E si cotonava anche i capelli! -
La minestra andò di traverso a Walter: e che cribbio, proprio ora che stava mangiando in santa pace dovevano tirarlo a forza in quella discussione?
Gli occhi costernati di Sir Hellsing si piantarono sul tutore. Quella rivelazione sui capelli cotonati spalancava alla ragazzina un mondo di ipotesi sulla gioventù del maggiordomo. Lo shinigami si affrettò a difendersi:
- Mi sono conciato in quel modo solo una volta, per una festa di carnevale! -
Sir Hellsing rimase dubbiosa: doveva credergli o stava spudoratamente mentendo?
- Integra, credimi! Come puoi pensare che un uomo della mia mentalità, del mio modo d’agire e del mio stile di vita avesse alcunché in comune con quei capelloni perdigiorno che si asserragliavano dietro le barricate, tirando sassi ai poliziotti? -
- Credigli master. Walter è il tipo di persona che si sarebbe unita ai poliziotti per caricare e manganellare i manifestanti, non certo per proteggerli. -
- Grazie Alucard, i tuoi interventi mi sono sempre d’aiuto! - rispose sarcastico il maggiordomo, consapevole di aver perso diversi punti nella stima di Integra con quell’accenno alla sua approvazione alle cariche agli studenti.
- Oh, di nulla vecchio mio, è sempre un piacere! - rispose Alucard schiaffeggiando l’aria con una mano, gongolando nell’udire quel che credeva essere un complimento.
Poi, rivolgendosi alla padrona, spiegò:
- Walter non aveva bisogno di seguire la moda del momento per far colpo sulle ragazze. Era un bel giovanotto, gli bastava biascicare qualche parola in spagnolo perché cadessero tutte ai suoi piedi. -
Il maggiordomo arrossì. Quegli aneddoti, rivangati davanti a chiunque non fosse Integra l’avrebbero fatto gongolare ma al cospetto della sua protetta, tutto cambiava.
Compito suo era educare quella ragazzina con polso inflessibilmente severo, così da prepararla al ruolo che avrebbe ricoperto da adulta ma come poteva continuare ad ergersi a sua guida morale se Alucard gli scopriva tutti gli altarini?
Gli occhi di Sir Hellsing scrutarono il tutore con stupore ma a differenza di quanto temeva Walter, non fu il suo passato di Casanova a incidere maggiormente sulla mente della dodicenne:
- Sai parlare spagnolo? Perché non me l’hai mai detto?! -
Spiazzato che quello fosse il principale motivo della riprovazione di Integra, l’uomo farfugliò:
- Non sono spagnolo, sono nato a Gibilterra e lì parliamo il Llanito, un miscuglio di inglese e andaluso. Non lo si può definire spagnolo, per questo non ti ho mai detto che so parlarlo. E comunque sono arrivato a Londra quando avevo un anno e in famiglia abbiamo sempre parlato inglese così che anche di Llanito conosco pochissime parole. -
- Sufficienti però a far colpo sulle squinzie. - s’intromise Alucard - il tuo maggiordomo, master, era ciò che cercavano. Un inglese verace con un pizzico di esoticità che non guastava. Era sempre davanti a me nel conteggio di chi ne rimorchiava di più. Adesso posso ammetterlo: spesso mi sono spacciato per un gibilterrese, sperando così di aumentare le mie probabilità di imbroccare. Buttavo là un paio di “muchacha bonita” e “senorita encantadora” e mi lanciavo all’arrembaggio. -
Integra stentava a credere alle proprie orecchie:
- Ma come! Un tipo orgoglioso come te che si abbassa a simili sotterfugi, appioppandosi una nazionalità che non gli appartiene! -
Senza scomporsi, anzi con una serietà incredibile, il vampiro spiegò:
- Non c’è niente di stupefacente, master. Ricorda: un uomo è disposto a fare quasi di tutto per la… -
- Non ti azzardare a terminare questa frase! - sibilò Walter, minaccioso come un serpente a sonagli.
- Perché? Non sto parlando di qualcosa che Integra non conosce. Ce l’ha anche lei. Ti sei accorto che è una femmina? - rispose placido il vampiro.
- Certo che me ne sono accorto, e molto prima di te! Non hai un’idea di quanti pannolini le abbia cambiato! - tuonò il maggiordomo, paonazzo di indignazione per la direzione che Alucard voleva far prendere al discorso.
Integra, dal canto suo, rimasta col cucchiaio in bocca, girava la testa ora verso un interlocutore, ora verso l’altro. Non comprendeva di cosa stessero parlando, perché Walter sembrava ben deciso a non rivelare il soggetto di quell’alterco, però comprendeva che si trattava di una di quelle discussioni che solitamente gli adulti non intavolano di fronte ai ragazzini, così stava ben attenta a non perdere una sola parola di quell’inusuale conversazione.
Alucard intanto stava annuendo:
- Bene, quindi converrai che sia giusto informarla su quali siano le sue potenziali armi in possesso. -
- Non convengo minimamente! - Tuonò il maggiordomo - Anzi, tappati quella bocca prima che te faccia pentire amaramente! -
- Perché? Cosa c’è di male? Prima o poi ci caschiamo tutti, no? Non c’è niente di imbarazzante nell’ammetterlo. Io, almeno, non me ne imbarazzo. Ad esempio, un’estate volevo andare a succhiare umani nella città di Pucioasa. Le mie Leonesse invece volevano andare a caccia di umani a Bucarest e avere così la scusa di vedere la fiera che allestivano nella capitale. Scartai la loro proposta per una questione di principio: io ero il capobranco e facevamo quello che io dicevo. Se avevo deciso che saremmo andati a Pucioasa, a Pucioasa saremmo andati. Messa in questi termini, anche per le Leonesse diventò una questione di principio. Risposero che essendo le proprietarie del mio giocattolo preferito, decidevano loro se e quando farmi giocare e tutte e tre erano ben decise a non farmela rivedere se prima non fossero state alla fiera di Bucarest. Avevo più di  trecentocinquanta anni sul groppone e quello era il più grave ammutinamento da parte dei miei sottoposti in cui mi fosse capitato di imbattermi fino ad allora. Risolsi la questione nell’unico modo plausibile: galoppai forsennatamente notte e giorno per condurle alla fiera di Bucarest prima che chiudesse. Non volevo correre il rischio di restare a stecchetto fino alla fiera successiva. Le mie mogli erano femmine di carattere, se promettevano una cosa, la mantenevano, quindi potevo star certo che se minacciavano di non farmela rivedere fino all’anno seguente, sarebbero passate dalle parole ai fatti, nonostante questa decisione avrebbe fatto soffrire anche loro. Non avrebbero ceduto  neanche se mi fossi inginocchiato a supplicarle in aramaico. -
- Bene, adesso che hai raccontato questa storiella basta così, capito? Basta! - ammonì Walter in tono severo, desideroso di poter finalmente cenare in pace.
- Perché la definisci “storiella”? Non me la sono inventata! E’ vita vissuta! Anzi, non-vita non-vissuta! - insorse Alucard che tornò all’attacco - Ed è quello che vorrei spiegare ad Integra, se solo tu non m’interrompessi sempre. Ricorda master, quando sarai grande, per far rigare dritto tuo marito… -
- Taci! Taci! Taci! - ruggì Walter, al limite della sopportazione.
- Ma perché? -
- Non sono discussioni adatte alla sua età! -
- Ma se a scuola sentirà dire di peggio! -
- Non è detto che capisca tutto ciò che dicano! -
L’ansia di Walter, Alucard non la comprendeva. Lui era abituato a parlare a ruota libera davanti alla master e sì, lo vedeva bene che molti dei suoi discorsi non venivano compresi dalla padrona, ancora troppo giovane per capire certe affermazioni ma il vampiro aveva fiducia che quelle parole non andassero perdute ma rimanessero chiuse in un angolo della mente di Integra, pronte ad essere ricordate e tirate fuori al momento giusto. Anche adesso, non vedeva che male ci fosse nel mettere a conoscenza la master di quella semplice verità dell’esistenza. Se la capiva, bene, se non la capiva, l’avrebbe compresa più avanti. Il vampiro tentò di far comprendere la semplicità della sua posizione al maggiordomo tirando dalla sua parte l’antica saggezza popolare:
- Ma lo dice anche il proverbio che un carro da buoi non tira quanto… -
- BASTAAA! - ruggì Walter, alzandosi dalla sedia così precipitosamente che questa cadde a terra con gran fracasso.
Voltandosi verso Integra, intimò:
- Va’ subito in camera tua! -
- Perché? - protestò la ragazzina - Non ho fatto niente di male! -
- Lo so ma dato che non riesco a far tacere Alucard, non mi resta che allontanare le tue orecchie! -
- Ma devo finire la cena! -
- Te la porterò in camera. Adesso fila, senza aggiungere altro! - sibilò il tutore e il suo viso era così minaccioso che la ragazzina non ebbe il coraggio di protestare ulteriormente.
Si avviò quindi a testa bassa e con la fronte aggrottata verso il corridoio, ribollendo di sdegno ma la rabbia maggiore non era causata tanto dall’essere punita senza che ne avesse avuto colpa, quanto che la punizione fosse calata prima di scoprire di cosa stessero farneticando i due adulti!
Walter, infatti, dopo aver avviato la sua protetta verso la camera, si era premunito di sigillare la bocca del vampiro sibilandogli con ferocia:
- Un’altra parola e ti farò pentire di essere uscito dal letargo! -
Alucard comprese che stavolta non l’avrebbe spuntata. Troppo imbestialito era il maggiordomo per poterlo sfidare a cuor leggero. Stavolta gliel’avrebbe fatta pagare per davvero.
Il nosferatu guardò la sua master sfilargli davanti con la fronte aggrottata e comprese il motivo della sua frustrazione. Essere puniti senza togliersi neanche la soddisfazione di conoscere il perché di tanto marasma! Il vampiro pensò che anche lui, al posto di Integra, si sarebbe sentito scoppiare il cuore dall’ingiustizia! Ma come svelare alla ragazzina il soggetto inespresso di tutte quelle frasi senza incappare nell’ira di Walter?
Sentimenti contrastanti cozzarono nel petto del vampiro, mentre vedeva la schiena della master allontanarsi nel buio del corridoio, diretta allo scalone: veniva prima la fedeltà alla padrona o l’attaccamento alla propria salute?
Alucard non sapeva decidersi e sarebbe rimasto in stallo per chissà quanto se una terza considerazione non si fosse fatta strada nella sua mente: e il piacere di un bel dispetto, dove lo metteva?
“ Ma Walter me la farà pagare salata! “ pensò una parte del suo cervello.
“ Ma ti sarai tolto la soddisfazione di avergli disubbidito! “ rispose l’altra parte del suo cervello.
“ E se torna a versare l’aglio nelle mie sacche di sangue? “
“ Ti consolerai ricordando la sua sconfitta in questo momento. “
La schiena di Integra stava ormai svanendo nell’oscurità. Alucard non poteva più tergiversare, doveva prendere una decisione, subito! Rapidamente, mise le mani a coppa intorno alla bocca, così da farsi udire anche a distanza e urlò alle spalle della master la spiegazione che meritava di conoscere:   
- Gnocca! Stavamo parlando di gnocca! -
Integra non udì l’ultima frase, coperta del rumore del piatto infranto che Walter ruppe in testa al vampiro.
 
Giunse il venerdì. Walter era intento a spolverare i mobili dell’atrio e Integra gli dava una mano passando l’aspirapolvere sul pavimento.
Da quando la servitù era fuggita, lasciando nella villa solo il maggiordomo, la ragazzina e il vampiro, lo shinigami aveva stabilito che Sir Hellsing dovesse per lo meno occuparsi della propria stanza e dell’annesso bagno personale. A parte quest’incombenza quotidiana, se alla dodicenne avanzava tempo, doveva dargli una mano nella pulizia dei locali della villa rimasti aperti.
Integra si era assoggettata di buon grado a quella richiesta, comprendendo l’impossibilità che mister Dorneaz potesse provvedere da solo a quei corridoi chilometrici, tanto più che non c’era verso di farsi aiutare da quel perdigiorno di Alucard.
Essere il responsabile della fuga dei domestici non aveva suscitato nel nosferatu il benché minimo senso di colpa capace di spingerlo ad impugnare una scopa o uno strofinaccio e dare una mano a lustrare la propria cuccia e anzi quando Walter ventilava una simile eventualità, il mostro rispondeva indignato:
- Io, il Principe della Notte, il Signore delle Tenebre, il Re Senza Vita, dovrei svilirmi al rango di un servo? Come puoi farmi una simile richiesta?! -
- Visto quello che hai combinato, mi sembrerebbe il minimo che ripagassi i danni aiutandomi in casa! -
- Io non ho combinato nessun danno, non ho colpa se il sistema nervoso delle persone che avevi assunto era tanto eccitabile! Se proprio vuoi saperlo, la responsabilità è solo tua, dovevi essere più accorto nell’assumere dei servi con i nervi saldi! -
- Si dà il caso che quando li assunsi tu eri in letargo e non sembrava che dovessi uscirne alla svelta, quindi perché avrei dovuto considerare la capacità di resistere alla tua nefasta influenza fra le qualità che cercavo nei miei dipendenti? -
Il vampiro faceva spallucce:
- Rimane comunque colpa tua. -
Il maggiordomo si passava una mano sul volto, esasperato. No, non voleva litigare, aveva troppe cose da fare per poter sprecare energie preziose in un alterco. Non per questo però era disposto a demordere:
- Mi spieghi come mai nel libro di Bram Stoker, durante il periodo in cui Jonathan Harker era ospite nel tuo castello, eri tu che ti preoccupavi di servirlo e rifargli il letto? Non ti avviliva, a quei tempi, fare il cameriere? -
- Era un’altra situazione. - rispondeva il nosferatu - Le Leonesse non condividevano il mio progetto di migrare a Londra ed erano disposte a tutto pur di mettermi i bastoni fra le ruote. Se avessi chiesto loro di occuparsi dell’ospite, me lo avrebbero divorato anzitempo, quando ancora mi serviva che rimanesse in vita. Era quindi più salutare per i miei piani che mi occupassi io di quell’idiota. Quella però era una situazione di emergenza. In questo momento non vedo assolutamente nessuna ragione per cui dovrei sporcarmi le mani. -
La ragione la vedeva Walter, oberato di lavoro che non poteva fare a meno di sbottare:
- Maledetto vampiro, tutto ciò che ti ho chiesto è di passare la cera sui mobili! Non mi sembra un’incombenza umiliante! Non ti sto chiedendo di pulire i cessi di casa! -
- Per un Signore come me non esiste una graduatoria: tutto è svilente allo stesso modo, pulire i cessi quanto spalmare la cera sui cassettoni! - replicava sussiegoso Alucard e a quel punto Walter gettava la spugna e tornava alle proprie incombenze imprecando contro i vampiri e anche contro Van Helsing, reo di aver riportato al mondo quel piantagrane.
Quel pomeriggio non era diverso dai soliti e ciò si traduceva in un Walter e in un’Integra al lavoro e in un Alucard che si faceva i fatti propri con le mani nelle tasche dei pantaloni della tuta. Quelle mani in tasca avevano sorpreso Sir Hellsing. Era certa che nella tuta di cinghie di cuoio non ci fossero tasche.
“ Deve averle materializzate apposta “ concluse la biondina e una volta di più si stupì della capacità del servo di manipolare la materia.
- Manca un’ora alla fine delle lezioni scolastiche, vero? - chiese Alucard con voce sufficientemente alta da sovrastare il frastuono dell’aspirapolvere.
- Sì. - replicò la master, sorpresa da quell’uscita.
- Allora, Walter, è bene che tu vada a prendere Basil Irons a scuola. - disse il vampiro, battendo una mano sulla spalla del camerata.
Integra spense l’aspirapolvere e drizzò le orecchie, essendo stato nominato il suo caro Basil e Walter si girò verso il nosferatu con aria perplessa, non comprendendo il senso di quell’affermazione. Alucard si degnò di spiegare:
- E’ un compagno di Integra. Ieri aveva telefonato per parlare con lei ma la master era sotto la doccia, così abbiamo chiacchierato e alla fine l’ho invitato a venire a stare qui per due giorni. Dici sempre che da quando mi sono risvegliato Integra non ha più vita sociale, così ho deciso di rimediare. -
Istanti di attonito silenzio calarono nell’atrio. Integra si chiedeva se stesse sognando, incredula che il suo amato Basil stesse arrivando per rimanere con lei per ben due giorni! Walter invece stentava a credere che Alucard avesse osato scavalcare in quel modo la sua autorità di tutore di Sir Hellsing. Quando si riprese da quei momenti di sgomento, la sua ira esplose come un’eruzione vulcanica:
- Come hai osato prendere una simile iniziativa senza prima consultarmi?! - sbraitò - Non posso far entrare un minorenne in una villa infestata da un vampiro! E’ troppo pericoloso! -
Il non-morto mise il broncio, seccato dalla mancanza di fiducia dell’umano nei suoi confronti:
- Te l’ho già detto una volta, conosco la buona educazione. So che è scortese bere gli ospiti della propria padrona, non mi sognerei mai di mettere Integra in imbarazzo impedendole di riconsegnare un amico ai rispettivi genitori, quindi perché sei tanto ostile nei miei confronti? -
- Perché saresti capacissimo di traumatizzarlo in altri modi! Passeggeresti sul soffitto, attraverseresti le pareti… -
- Oh, andiamo Walter! Divertirmi a traumatizzare dei servi senza importanza è un conto, mancare di rispetto all’amico della mia master è un altro! Non mi sognerei mai di mettere paura a quel ragazzino giocandogli simili scherzi. Mi comporterò nel più corretto dei modi, fingerò di essere un umano e reciterò così bene che davvero mi crederà una guardia del corpo qualsiasi! -
- Non ti darò la possibilità di recitare! E’ una questione di principio! Solo io posso decidere su quel che riguarda la vita di Integra finché non sarà maggiorenne perché sono il suo tutore! Io e non tu che sei solo un semplice schiavo, capito zuccone? Quindi adesso telefonerò a casa di questo ragazzino per scusarmi e disdire l’invito. -
Ciò detto, il maggiordomo si avviò verso il telefono e fu con enorme stupore che vide Integra, rimasta in silenzio fino ad allora seguendo con la massima attenzione la discussione, scattare come una centometrista verso l’apparecchio, afferrarlo, nasconderselo dietro la schiena e, guardando il maggiordomo con due occhi spiritati, sibilare:
- Dovrai passare sul mio cadavere! -
Per Sir Hellsing la situazione era molto semplice: il suo Basil (di cui anche mentalmente continuava a immaginarne il nome scritto con un cuoricino al posto del puntino sulla “i”) da lì a poco sarebbe giunto per rimanere con lei la bellezza di due giorni filati e la ragazzina era decisa a combattere come una tigre pur di non farsi defraudare di un simile miracolo. Walter, che mai aveva visto la propria protetta ribellarsi alla sua autorità in modo tanto feroce, balbettò:
- Sir, cercate di comprendere…è pericoloso, con Alucard a spasso per la villa… -
Integra per tutta risposta scosse la testa, con occhi sempre più spiritati, decisa a tenersi ben stretto l’amico difendendolo con le unghie e con i denti da tutto e tutti. Alucard intervenne in tono sornione:
- Non temere master, Walter è destinato a scontrarsi con un’amara sorpresa. I genitori di Basil sono partiti per lavoro stamattina e torneranno domenica. La tata del tuo amico è in ospedale a curarsi la polmonite e dentro Irons Manor non c’è nessuno che possa occuparsi del ragazzino. Il tuo tutore è obbligato ad accogliere Basil sotto questo tetto, a meno che non sia un tale cuore di pietra da abbandonare un dodicenne all’aria aperta per quarantott’ore ma sinceramente non mi sembra il tipo. -
Maggiordomo e padroncina osservarono diffidenti il vampiro, non sapendo quanto dar credito alle sue parole. Finalmente Integra si decise a tirare fuori il telefono, seppur con gesti lenti, porgendolo a Walter.
Mister Dorneaz telefonò a casa Irons col cuore in gola. Rispose la donna delle pulizie che confermò parola per parola la storia del vampiro. I signori erano partiti e sarebbero tornati domenica. La tata era ricoverata in ospedale con la polmonite. Era forse accaduto qualcosa al piccolo Basil?
- No, non è accaduto niente, avevo solo telefonato per…per…per sapere se il bambino è allergico a qualcosa o posso dargli da mangiare qualsiasi pietanza. - mentì il maggiordomo, non sapendo che frottola inventare per non allarmare la domestica.
- No, Basil non è allergico a niente, può dargli da mangiare anche i sassi! - esclamò giovialmente la donna, chiudendo la comunicazione.
 Walter si voltò verso master e monster, sconfitto.
- E adesso dove lo mettiamo a dormire? - si lamentò l’uomo - Non c’è una sola stanza degli ospiti che sia pronta! -
- Problema facilmente risolvibile. - assicurò Alucard - Tu avviati a prendere il marmocchio a scuola e io e la master pensiamo a sistemarne una. Io spolvererò e Integra rifarà il letto. -
Walter e Integra guardarono con occhi sgranati il vampiro. Alucard che si metteva a fare le pulizie?! La fine del mondo era certamente vicina! Il Re-senza-vita proseguì convinto:
- Mi basterà spalancare le finestre e soffiare sui mobili e in due minuti non ci sarà più un solo granello di polvere! -
Lo stupore dei due umani cessò. Ah, ecco in cosa consisteva lo spolverare di Alucard! Perfettamente in linea con la sua fissazione di non sporcarsi le mani, fra l’altro. C’era solo un piccolo inconveniente, come fece notare Walter:
- Alucard, non siamo nella favola dei tre porcellini e non si spolvera una stanza soffiandoci dentro. -
Con solennità, il non-morto replicò:
- Non conosci la potenza dei miei polmoni! Se in quella fiaba ci fossi stato io al posto di quel lupo inetto, ti assicuro che quei tre porcelli non ne sarebbero usciti vivi. Non avrei espirato per tentare di buttare giù gli edifici. Avrei inspirato, in modo da cacciarmi nello stomaco tutta la casa col maiale dentro e stai pur certo che sarei riuscito nell’intento! Ma adesso basta chiacchere, passiamo ai fatti!-
Voltandosi verso la master, disse:
- Vai a prendere lenzuola e coperte. Io comincio a soffiare nella stanza. -
- Va bene! - rispose la ragazzina, seria.
Dopo di che master e monster si avviarono in direzioni opposte, verso il ripostiglio l’una e il corridoio degli ospiti l’altro. A Walter non rimase che andare a prendere Basil a scuola.
 
Se Integra, a dodici anni, cominciava già ad avere le forme della donna, Basil, alla stessa età, aveva ancora un aspetto fanciullesco, col faccino imberbe e le spalle strette e il pancino tondo da bambino. A dispetto del suo fisico ancora infantile, il ragazzino emanava un’aurea di maturità ben superiore non solo rispetto a quella dei coetanei ma anche a quella di molti ragazzi maggiori di lui e di questo Walter se ne rese conto parlando col giovane ospite durante il tragitto.
- Vuole sapere una cosa strana, signor Dorneaz? Dal vivo la sua voce è profondamente diversa da come appare al telefono. Mi sembra quasi di parlare con un’altra persona. -
Lo shinigami comprese che Alucard si era spacciato per lui quando aveva invitato Basil ad Hellsing Manor e a denti stretti rispose:
- Me lo dicono in molti. -
Intanto, dentro la villa, mentre finivano di sistemare la stanza destinata ad accogliere Basil, un timore fece voltare di scatto Integra verso Alucard:
- Ti vedrà le zanne! Come puoi passare per umano, con quei canini lunghi? -
Il vampiro serrò le labbra, serio in volto, osservando la master per alcuni istanti. Poi tornò a ghignare e scoprendo i denti, chiese:
- Quali zanne? -
Sir Hellsing si accorse con stupore che i canini di Alucard adesso avevano delle normali dimensioni umane. Ma in fondo, perché sorprendersi? Il suo vampiro non era forse capace di plasmare la materia a suo piacimento? Quindi perché non poteva essere capace di accorciare o allungare i canini come più gli aggradava?
Terminata di sistemare la camera degli ospiti, Integra si sedé sullo scalone d’ingresso, contando ansiosamente i minuti e sfogando il nervosismo dell’attesa battendo le dita sulle ginocchia e i piedi sul gradino. Finalmente il portone d’ingresso si aprì e la dodicenne scattò come una molla, correndo ad accogliere l’amico.
- Sono contentissima che tu sia a casa mia! - esclamò raggiante, con un sorriso che le andava da un orecchio all’altro.
- Anch’io sono contentissimo di essere qui. - rispose Basil, in tono più pacato ma con un sorriso altrettanto genuino.
Gli occhi dell’ospite si spostarono su una figura vestita di nero apparentemente emersa dal nulla alle spalle di Integra. Il nuovo venuto scrutò il ragazzino come se potesse radiografargli l’anima con lo sguardo e con un ghigno si presentò, tendendo la mano:
- Alucard Nosferatu. -
Il faccino di Basil divenne serissimo e mentre ricambiava la stretta non poté fare a meno di esclamare:
- Siete il famoso Alucard? Integra a scuola parla tantissimo di voi! -
Quella frase suscitò reazioni contrastanti. Walter se ne risentì. Durante il viaggio in macchina, Basil gli aveva rivelato:
- Integra parla tanto di voi a scuola. -
Il maggiordomo internamente ne aveva gongolato ma adesso scopriva che la sua protetta, a scuola,  parlava tantissimo di Alucard e dato che “tantissimo” è molto più di “tanto”, sentì la gelosia pungergli spiacevolmente il cuore.
Il vampiro, dal canto suo, a quelle parole aveva fatto sparire il ghigno dal viso per diventare mortalmente serio.
- Davvero? E cosa dice di me? - chiese, sempre tenendo stretta la manina di Basil nella sua.
Il ragazzino arrossì per l’imbarazzo:
- Non credo sia giusto riferire… -
Intervenne Integra, seccata dal fatto che il servo stesse tenendo sotto sequestro il suo ospite e sommamente scocciata che venisse a conoscenza di quel che diceva sul suo conto quando non era presente:
- Smettila di imbarazzarlo! Non vuole parlare, non lo capisci? -
Alucard ignorò totalmente la padrona e rivolgendosi al giovane Irons, lo tranquillizzò dicendo:
- Non temere ragazzo, Integra abbaia ma non morde. Al massimo rompe nasi ma solo in circostanze particolari. Spiffera pure quel che racconta su di me, non ti farà niente, te lo prometto. -
Dato che il dodicenne ancora nicchiava, Alucard, sempre tenendolo per mano, lo trasse in disparte da Sir Hellsing e mister Dorneaz e a quel punto l’ospite si arrese a vuotare il sacco, parlando all’orecchio del nosferatu che si era chinato su di lui.
Pareva che Basil avesse parecchie cose da raccontare perché Alucard rimase curvo a quel modo per un paio di minuti buoni, con un’espressione solennemente seria sul volto, come se stesse accogliendo rivelazioni della massima importanza.
- Ma insomma! - protestò Integra battendo un piede a terra, arrabbiata nel vedersi sottrarre l’amico a quel modo.
Anche Walter, giudicando disdicevole la situazione, non poté fare a meno di intervenire:
- Alucard, metti in imbarazzo il nostro ospite. E’ ingiusto imporgli di rivelare quel che Integra gli ha confidato! -
Il mostro ignorò totalmente i due umani e solo quando Basil non ebbe più niente da dirgli si rialzò in tutta la sua statura. Appoggiando una manona sulla spalluccia del ragazzino, lo accomiatò dicendo:
- Ti ringrazio per la sincerità. Adesso và pure da Integra. -
Il giovane Irons non se lo fece ripetere e i due compagni di scuola salirono di corsa lo scalone, uno di fianco dell’altra.
I due uomini li videro sparire e solo allora Alucard si tolse dal viso la sua maschera di impassibilità per concedersi un largo sorriso trionfante:
- Ah-ah! Lo sapevo che quella ragazzina pensava questo di me! -
Ciò detto, si avviò soddisfatto verso la cucina, evidentemente desideroso di festeggiare quelle che considerava buone notizie scaldandosi una porzione di sangue.
Walter rimase da solo nell’atrio e comprese con disappunto che fra tutte le persone presenti in casa, era l’unico a non avere la più pallida idea di cosa avesse detto Integra, per far gongolare a quel modo lo schiavo. Una curiosità spasmodica lo incitava a inseguire il vampiro, aggrapparsi a una delle sue braccia e chiedergli di mettere al corrente anche lui dei pensieri di Integra. L’orgoglio però lo trattenne: andiamo, aveva appena smesso di rimproverare Alucard perché stava forzando le confidenze di Basil, come poteva abbassarsi anche lui al rango di una comare pettegola?
Fu così che l’angelo della morte si arrese, seppur a malincuore, a non sapere cosa la master dicesse del monster.
 
Walter stava terminando di pulire l’atrio quando vide Alucard dirigersi con le mani in tasca su per lo scalone. Dato che al piano superiore c’erano Integra e Basil, il maggiordomo immaginò che il vampiro volesse recarsi da loro e bloccò i suoi passi ammonendolo severamente:
- Non sei un po’ troppo cresciuto per giocare con dei dodicenni? -
- Non temere, non vado a rompergli le scatole facendo il terzo incomodo. Li spio di nascosto. -
Lo shinigami storse il naso. Ciò che voleva fare Alucard gli sembrava disonesto ancor prima che insensato, così rincarò la dose:
- Ma non puoi lasciarli in pace? -
- Walter, sono una persona che sa stare al mondo quindi abbi un briciolo di fiducia nei miei confronti! Ti prometto che se vedo quei due cominciare a baciarsi e a rotolarsi sul pavimento, tolgo le tende e torno giù. Non sono un guardone, io! -
Il maggiordomo piantò sul vampiro due spiritati, incredulo che avesse potuto fare simili insinuazioni sulla sua master:
- Come osi parlare in questo modo di Integra?! -
Alucard allargò placidamente le braccia:
- Prima o poi dovrà accadere, no? Non crederai che resterà vergine a vita? Povera ragazza, un po’ di sano divertimento lo meriterà anche lei! -
Walter boccheggiò per qualche istante senz’aria prima di riuscire a replicare:
- Appunto, come hai detto tu “prima o poi”, nel senso che è molto meglio “poi” che “prima”! E adesso è decisamente troppo “prima”! Lurido animale, ti rendi conto che Integra e Basil hanno soltanto dodici anni?! -
Il vampiro sospirò spazientito. La situazione cominciava a tediarlo. Con voce seccata, disse:
- Certo che me ne rendo conto e anche se so che esistono dodicenni fin troppo svegli, comprendo che quei due non rientrano nella categoria ma è stato per rassicurarti che ti ho promesso che sarei sceso se quei due avessero cominciato a pomiciare. E lasciatelo dire, Walter: rassicurarti è una faticaccia improba, qualsiasi cosa dica non ti va mai bene! -
- Rassicurarmi?! - sbraitò il maggiordomo - Come ti passa per la testa di potermi tranquillizzare ventilando l’ipotesi che quei due possano rotolarsi sul pavimento?! -
- Perché, non è quel che pensavi che stessero facendo? - chiese Alucard in tono stupito.
- Ma come ti passa per quella zucca vuota che io… - ringhiò il maggiordomo, incapace di terminare la frase tanto era indignato.
Alucard approfittò di quella pausa per concludere la propria difesa nel solito tono calmo:
- Io volevo andarli a spiare solamente perché sono curioso di vedere come passano il tempo i marmocchi di oggi. Chiamalo pure studio antropologico, se vuoi. Poi tu mi blocchi dicendomi di “lasciarli in pace” e mi sono detto “forse lo shinigami pensa che stiano dando libero sfogo agli ormoni” così ho voluto rassicurarti sul fatto che non sono un guardone, promettendoti che sarei tornato giù se un simile evento fosse accaduto. Ma già mentre ti facevo questa promessa, sapevo che non correvo il rischio di dover tornare giù perché è palese che Integra e Basil non abbiano ancora ormoni sufficienti per aver voglia di giocare al dottore e alla paziente e mi stupisco che tu pensi il contrario. -
Walter si accasciò su di una sedia, affranto. Perché seguire i ragionamenti di Alucard lo esauriva in quel modo? Si erano cacciati nella situazione definibile “Io penso che tu pensi che io penso” e adesso il suo animo era tutto in subbuglio, non sapendo più qual’era il suo pensiero originale. Davvero aveva pensato che Integra potesse rotolarsi sul pavimento con l’amico? O era stato Alucard ad attribuirgli quell’idea? Non lo sapeva, non gli interessava neanche di saperlo, sapeva soltanto che la sua pressione stava salendo pericolosamente e aveva una gran voglia di piangere.
Vedendolo così abbattuto, Alucard tornò a consolarlo affermando:
- Tranquillo shinigami, Integra e Basil non stanno facendo niente di male. Puoi andare su a controllare se non ci credi. Hai paura ad andarci da solo? Allora ti accompagno io! Su, dammi la manina e andiamo da Integra. -
A capo chino e con le spalle curve, il maggiordomo tese la mano al camerata. Sentì la manona del vampiro stringersi intorno alla sua e si lasciò passivamente condurre su per le scale.
 
L’ultimo gruppo di domestici, quello che era fuggito sulla macchina della cuoca per sfuggire ad Alucard che, liquefatto in una pozzanghera nera colma di occhi rossi, li aveva tampinati per tutta la casa e il giardino, aveva lasciato i propri averi dentro la villa. Alcuni di loro, nei giorni successivi, avevano mandato ditte di traslochi a prelevarli da Hellsing Manor, o si erano recati a prenderli con le proprie mani ma debitamente scortati dai più energumeni fra i propri parenti e amici, timorosi di un nuovo tiro mancino da parte della guardia del corpo di Integra. Il signor Chandra, l’autista, aveva fatto eccezione: aveva totalmente abbandonato ogni suo avere nella stanza che occupava dentro la villa, senza neanche incaricare qualcun altro di andarli a prelevare.
- Evidentemente teme che la pozzanghera piena d’occhi possa annidarsi fra i suoi oggetti e invadergli la casa una volta riportati sotto il suo tetto. - aveva ipotizzato Walter.
In verità, quella dello shinigami era più una certezza che un’ipotesi e non poteva non condividere le paure del signor Chandra. Quando un ex-dipendente, o chi per lui, veniva a prelevare i propri averi dalla camera che aveva occupato, il maggiordomo sorvegliava attentamente che Alucard non tentasse di fare una capatina non autorizzata fuori dal cancello di Hellsing Manor proprio mediante quel trucchetto.
Mister Dorneaz aveva comunque deciso che la stanza dell’autista non dovesse essere toccata, nell’eventualità che un giorno l’uomo potesse tornare a reclamare le sue cose. Integra aveva ubbidito all’ingiunzione del tutore ma non poteva dimenticare che fra i tanti oggetti, il signor Chandra aveva abbandonato in casa sua la play-station.
Master Arthur era stato categorico: ai suoi occhi i videogiochi, così come la televisione, erano rei di bacare la mente dei giovani. Conseguenza di questa mentalità era stata la decisione di tenere in tutta la villa un unico televisore, quello situato nel salone del pianterreno, così da poter facilmente controllare che la figlia non “sforasse” le risicate mezz’ore che le venivano concesse davanti allo schermo. Per quel che riguardava i videogiochi, Arthur aveva semplicemente proibito di regalare simili oggetti infernali a Integra. La novella Sir Hellsing, pur non considerando i videogiochi degli strumenti di perdizione come aveva fatto il padre, non li giudicava comunque interessanti. Quel giorno però si chiese se a Basil non potesse fare piacere giocare con la play-station, così l’aveva condotto nella camera del signor Chandra. Adesso Integra era seduta sul tappeto e guardava armeggiare l’amico, intento a ricollegare ogni cavo alla giusta presa.
La sensazione di essere spiata costrinse la ragazzina a voltarsi di scatto. La porta della stanza era socchiusa e attraverso lo spiraglio vide distintamente un occhio azzurro sovrastato da un occhio rosso che guardavano nella camera. Scoperti, i due occhi si allontanarono fulmineamente dallo spiraglio ma ormai il danno era fatto. Integra si alzò, uscì nel corridoio e affrontò a muso duro Alucard e Walter, addossati alla parete, ancora speranzosi di non essere stati scoperti.
- Ci state spiando? - chiese con un filo di indignazione.
- No! - si affrettò ad assicurare il maggiordomo.
- Sì. - replicò placidamente il vampiro, accavallando la propria voce a quella del camerata che si sentì afferrare da una furia omicida nei confronti del mostro.
La diffidenza di Integra aumentò:
- Insomma si può sapere cosa state facendo? -
Walter aveva già la scusa pronta, una giustificazione perfettamente credibile, che si affrettò a pronunciare:
- Siamo passati a controllare se aveste bisogno di qualcosa. -
Fu quindi con sgomento che il pover’uomo udì nuovamente la voce di Alucard accavallarsi alla propria e inquinare il suo plausibilissimo alibi con un serafico:
- Siamo passati a controllare se vi stavate rotolando sul pavimento. -
Se Integra avesse colto il vero significato delle parole del servo, Walter si sarebbe sentito autorizzato ad avventarsi sul vampiro con la sua corda della morte, badando di fargli quanto più male possibile ma la ragazzina comprese soltanto il significato superficiale della frase e con sdegno rispose:
- Non siamo bambini piccoli, non giochiamo alla lotta e non imitiamo gli animali, quindi perché dovremmo rotolarci sul pavimento? -
Nel timore che Alucard potesse perdere un’altra occasione per star zitto, Walter lo dissuase dal rispondere mollandogli un calcio nello stinco e pazienza se il gesto fu talmente plateale da essere notato da Integra. La ragazzina comunque ne aveva abbastanza. Non capiva cosa volessero quei due da lei ma era decisa a non lasciarsi sciupare quel primo pomeriggio con Basil per niente al mondo, così rientrò in camera e chiuse sonoramente la porta in faccia al tutore e al servo.
Walter era rimasto impalato al suo posto, mortificato ma Alucard, che non si perdeva d’animo, già s’era inginocchiato davanti alla porta per spiare dal buco della serratura ma tutto ciò che vide fu la chiave entrare nella toppa. Il secco rumore dello scatto della serratura echeggiò per il vasto corridoio.
Il volto di Walter diventò terreo mentre un sudore freddo gli colava giù per la schiena:
- Si è chiusa a chiave con lui. E adesso? -
- Tranquillo, me ne occupo io! -
Alucard mise le mani a coppa intorno alla bocca, simulando un megafono e a voce alta, in modo da farsi sentire anche attraverso la porta, disse:
- Master, se ti propone di farvi le coccole, non lo ascoltare! Uomini e donne intendono due cose diametralmente opposte con la parola “coccole”! -
Walter si passò una mano sul viso affranto:
- Perché hai questo dono di complicare ulteriormente situazioni già tese? -
- Macchè complicare! - insorse il vampiro, rialzandosi in piedi - Basterà che la master segua il mio consiglio e sarà in una botte di ferro! -
Ciò detto, il nosferatu si avviò soddisfatto verso il pianterreno, certo di aver agito per il meglio. Walter ebbe la tentazione di chiedergli cosa intendesse lui, con la parola “coccole” ma alla fine desistette. C’era il rischio che quando la frase “facciamoci le coccole” finisse in bocca ad Alucard, questa fosse accompagnata dalla presenza di una frusta o qualche altro strumento di tortura fra le mani del vampiro e di quel che accadesse poi, il maggiordomo non voleva saperne niente.
 
Integra e l’ospite giocavano da quasi due ore quando un sonoro bussare alla porta obbligò la padrona di casa ad abbandonare la propria postazione per andare ad aprire. Sulla soglia trovò Alucard.
- Cosa c’è ancora? - domandò la dodicenne, diffidente. Cosa avessero l’uomo e il vampiro quel giorno non lo capiva, sapeva solo che all’atto pratico la infastidivano con il loro atteggiamento bizzarro.
- Walter mi ha mandato a dirvi di lavarvi le mani e scendere, è pronta la cena. -
- Va bene. - fu la secca risposta della master ma prima che potesse voltare la schiena al servo per portare l’ambasciata all’amico, Alucard la bloccò appoggiandole una mano sulla spalla e chinandosi su di lei, bisbigliò:
- Quando scendi, fai pace con Walter. E’ dispiaciuto per quello che è successo. Pensa, per farsi perdonare è arrivato a cucinarvi le patatine fritte! -
Master Arthur, nella convinzione di temprare la sua unica erede, preparandola al difficile compito che l’attendeva da adulta le aveva imposto, di comune accordo con Walter e la governante, una ferrea disciplina che si traduceva essenzialmente nel vedersi centellinare i piaceri della vita. Un unico televisore accessibile in poche fasce orarie, i giocattoli di un’intera infanzia in quantità così modeste che trovavano posto tutti quanti insieme in un cestone e le pietanze più amate dai bambini, come le patatine fritte e i dolci, serviti poche volte l’anno, giusto per celebrare feste e occasioni speciali, come una pagella piena di buoni voti.
Per questa ragione, la notizia che Walter aveva preparato le patatine fritte in un qualsiasi giorno dell’anno, in cui non ci fosse niente da festeggiare, a tutta prima sbalordì Integra, fornendole l’indice del rimorso del maggiordomo per quanto era successo. Riacquistando poi la lucidità consueta, pur con gli occhi ancora sgranati dallo stupore, non poté fare a meno di commentare:
- Questo non è chiedere scusa, è un tentativo di corruzione! -
- Perché, c’è differenza? - chiese Alucard in tono malizioso.
In altri momenti Integra sarebbe stata capace di piantare una discussione infinita col servo sull’argomento ma quella sera non aveva voglia di cavillare: un vassoio colmo di patatine fritte l’attendeva in sala da pranzo e per lei che le mangiava così di rado rappresentava una manna dal cielo, l’ambrosia degli dei, il più paradisiaco degli alimenti. Dimentica quindi della sua abituale compostezza cominciò infantilmente a saltellare intorno a Basil esclamando giuliva:
- Ci sono le patatine fritte! Ci sono le patatine fritte! Presto, andiamo a lavarci le mani, andiamo, su, dai, staccati da quel gioco! -
- Mi sono già staccato, devi solo darmi il tempo di salvare la partita e spegnere tutto. - replicò placidamente il dodicenne che godendo in casa di una disciplina molto più umana rispetto a quella impartita dentro Hellsing Manor, era abituato a mangiare patatine abbastanza spesso e quindi non poteva condividere né comprendere l’entusiasmo dell’amica.
Integra, incapace di contenersi oltre, tagliò corto con un:
- Va bene, ti aspetto giù! - e così dicendo, schizzò verso le scale.
Alucard fischiò ammirato: le patatine fritte avevano avuto il sopravvento sull’amore per Basil. Che potenza! Voltandosi verso l’ospite, ghignò:
-Adesso devi proprio scendere giù ragazzo, prima che la tua cara Integra sbafi anche la parte che ti spetta! -
 
Sdraiato nel suo letto, con le mani incrociate dietro la nuca, Basil rifletteva su quella serata. Era stata molto piacevole. Terminata la cena, saputo che l’amico sapeva giocare a poker, Integra aveva proposto una partita a carte a cui avevano partecipato anche mister Dorneaz e mister Alucard. Come Basil si era presto reso conto, l’amica e il maggiordomo erano fermamente convinti che la guardia del corpo barasse e per tutta la partita era stato un fioccare di punzecchiature sull’onestà del gioco di Alucard a cui lo spilungone rispondeva a tono. Quel fuoco di fila di botta e risposta aveva divertito Basil che girava la testa ora a destra, ora a sinistra, a seconda di chi sparasse la battuta, sentendosi come a teatro. Era andata avanti a quel modo finché Integra, dopo aver visto calare un sei di picche ad Alucard, aveva esclamato:
- Ehi, ma io ho già calato un sei di picche cinque mani fa! -
- Ricorderai male. - aveva risposto seraficamente la guardia del corpo ma la padroncina aveva insistito:
- Ricordo benissimo invece! Quel sei di picche me l’ero tenuto in mano per un bel pezzo, nella speranza di usarlo in modo costruttivo e mi sono arresa a buttarlo via perché era incompatibile con tutte le carte che pescavo. Come si spiega quindi che in questo mazzo ci siano due carte col sei di picche? -
Alucard aveva tentato nuovamente di insinuare che la master ricordasse male ma a quel punto Walter aveva già afferrato le carte abbandonate sul tavolo e controllandole, si era accorto che effettivamente esistevano non solo due “sei di picche” ma anche due “quattro di cuori” e controllando fra le carte che i giocatori avevano in mano, erano presenti ben tre “ cinque di quadri”.
- Come si spiega questa moltiplicazione di semi, secondo te? - aveva sibilato Walter rivolgendosi ad Alucard.
- Il mazzo che hai comprato è difettoso. - era stata la placida risposta dell’interpellato.
A quel punto Integra aveva condotto Basil in camera sua per lasciare Walter libero di sbraitare contro il vampiro.
- Ti chiedo scusa per questa figuraccia. - aveva mormorato imbarazzata la giovane Sir Hellsing.
- Non dirai sul serio, Integra? - era stata la replica di Basil, con un sorriso sincero sul faccino tondo - Se avessimo giocato puntando soldi era un conto ma così, per passare una serata tutti insieme, non mi sembra il caso di farne un dramma se mister Alucard ha voluto scherzare un po’. -
- Chiamiamolo scherzare! - aveva sospirato la dodicenne, procedendo lungo il corridoio.
- Posso capire che avere a che fare tutti i giorni con una persona così sia pesante ma se devo essere sincero, Integra, a me la tua guardia del corpo fa molta simpatia! -
Ripensando a quel dialogo, Basil, nel suo letto, annuì: sì, il bodyguard dell’amica gli stava davvero molto simpatico. A dire la verità, tutti i componenti di quella famiglia gli facevano simpatia.
Quell’ultimo pensiero fece aggrottare le sopracciglia al ragazzino. Poteva definire “famiglia” tre persone non unite fra di loro da un vincolo di parentela?
Un’orfana, un maggiordomo-tutore e una guardia del corpo. La logica gli suggeriva che una simile accozzaglia di individui tutto potesse considerarsi fuorché una famiglia ma la percezione diretta andava in un’altra direzione. Integra e i due uomini che di lei si occupavano erano uniti e affiatati quindi perché avrebbe dovuto negar loro il titolo di famiglia?
Basil scoprì così, all’improvviso, quanto i rapporti umani potessero essere intensi pur senza essere vincolati da parentele e amicizie e si disse che questa era una scoperta su cui valeva la pena di meditare a lungo. Fu con questo senso di stupore nel cuore che lentamente si addormentò.
 
Un bisogno impellente lo costrinse a ridestarsi nel bel mezzo della notte. Mentre scostava le coperte, il ragazzino cercò di ricordare dove fosse il bagno. Integra glielo aveva detto prima di lasciarlo all’ingresso della sua stanza ma adesso non ricordava più le parole dell’amica.
“ Dovrò aprire tutte le porte finché non lo trovo? “ si domandò Basil ma con suo enorme sollievo, fuori dalla propria camera, trovò la guardia del corpo di Integra seduta su di una vetusta poltrona del corridoio, intento a lucidare un oggetto metallico.
- Mi scusi, il bagno? - farfugliò Basil.
- Due porte più giù di camera tua. -
- Grazie. -
Di ritorno dal bagno, già un po’ più sveglio rispetto all’andata, Basil si fermò davanti ad Alucard, incuriosito dall’oggetto che teneva fra le mani. Una volta messolo a fuoco, pur nell’oscurità del corridoio, non poté fare a meno di sgranare gli occhi dallo stupore:
- Ma è una pistola? Non credevo ne esistessero di così enormi! -
- E’ calibrata sulla stazza del proprietario, Basil. - ghignò Alucard compiaciuto.
Il ragazzino puntò lo sguardo a terra, vagamente imbarazzato:
- Posso chiederle un piacere, signor Alucard? -
Il vampiro alzò sull’interlocutore uno sguardo attento.
- Potrebbe chiamarmi Barry anziché Basil? -
Il silenzio di Alucard era carico d’incomprensione e il ragazzino si affrettò a spiegare:
- Basil era il nome di mio nonno e io lo detesto. Il mio nome intendo, non mio nonno. Insomma, Basil è così…vecchio! Per questo ho lasciato che amici e compagni mi soprannominassero Barry. Non che Barry mi faccia fare i salti di gioia, trovo anche questo un nome piuttosto antiquato ma è pur sempre migliore di Basil. A parte i miei genitori, l’unica che si ostina a chiamarmi col mio vero nome è Integra. Quando le ho detto che preferirei essere chiamato Barry, mi ha risposto che Integra è un nome pesante tanto quanto Basil ma a lei sembra più giusto portare a testa alta il proprio nome che trincerarsi dietro ridicoli vezzeggiativi. E’ intransigente su questo punto, sa? A scuola più volte hanno tentato di soprannominarla Inty o Teggy ma lei si è sempre opposta, pretendendo di essere chiamata col suo nome per intero. -
Un’espressione soddisfatta comparve sul viso del nosferatu: ciò che gli stava rivelando quel ragazzino sul conto della sua master lo rallegrava. Era contento di apprendere che la tempra di Integra si rivelasse anche nelle inezie. Intanto il giovane Irons concludeva il suo discorso:
-Passi che mi chiamino Basil i miei genitori e Integra ma sarei contento se anche lei, signor Alucard, mi chiamasse Barry. -
Il vampiro scrutò l’interlocutore a lungo prima di aprire bocca:
- Ragazzo, sai qual è il mio vero nome? -
Basil alzò la testa, stupito:
- Non vi chiamate Alucard? -
- Alucard è…il mio secondo nome. Il mio vero nome è Vladislav, Vlad per gli amici. -
Il nosferatu tacque a lungo, per dare il tempo al dodicenne di assimilare in tutta la sua portata la pregnanza di “Vladislav”. Quando fu certo che avesse interiorizzato ogni singola lettera e suono del suo nome originale, chiese:
- Adesso, ragazzo, sii sincero: è peggio chiamarsi Basilio o Vladislao? -
- Vladislao. - ammise Basil.
Il vampiro annuì:
- Quindi non venirmi più a dire che Basil è un nome talmente orrendo da non poterlo portare a testa alta. Cosa dovrei dire io allora? -
- Ma lei si fa chiamare con il suo secondo nome! - insorse a questo punto il piccolo ospite.
Touché. 
In verità Alucard avrebbe preferito mille volte di più sentirsi chiamare col suo vero nome, per quanto brutto potesse essere, che con quel nuovo nome impostogli nella schiavitù ma queste cose non poteva spiegarle a Basil che nulla sapeva della sua reale natura di vampiro, così glissò abilmente sulla questione chiedendo:
- Tu ce l’hai un secondo nome? -
Basil tornò ad abbassare la testa, vergognoso:
- Sì, ho un secondo nome, che sarebbe il nome dell’altro nonno, ma lo trovo ancor più desueto di Basil. -
- Perché? Che nome è? -
- Cecil. -
Il vampiro annuì pieno di comprensione: effettivamente, fra Basilio e Cecilio,  forse era un tantinello migliore Basilio.
- Sì, sei iellato con i nomi, bisogna riconoscerlo. - e nel tentativo di consolarlo aggiunse - Se ti fa piacere essere chiamato Barry,  ti chiamerò così. -
 
- No, lasci stare, mi chiami pure Basil. A che servirebbe chiamarmi Barry in casa di Integra? Tornerebbe a protestare che il proprio nome, per quanto brutto, è comunque migliore di un ridicolo soprannome e non ho voglia di litigare con lei in questi giorni. -
Il vampiro sorrise con indulgenza. Gli piaceva, Basil Irons. Lo giudicava un temperamento adatto ad Integra. Se la sua master era un fiume di lava sotto una crosta di ghiaccio, Basil era invece un ragazzetto placido e pragmatico, in grado di smussare le preoccupazioni di Integra.
Tanto Sir Hellsing era passionale e prendeva gli avvenimenti di petto, quanto il giovane Irons era un porto tranquillo in cui la nave della sua master poteva approdare per ritemprarsi dopo qualsiasi fortunale.
Sì, Basil era ciò che avrebbe fatto comodo ad Integra nei duri anni che l’attendevano come guida dell’Ordine dei Cavalieri Protestanti. Peccato che, essendo entrambi due dodicenni, il loro non poteva essere certamente l’amore della vita. Quell’infatuazione sarebbe durata pochi mesi, dopodiché l’oblio li avrebbe cancellati l’una dalla mente dell’altro.
Alucard poteva comunque dirsi soddisfatto: la master gli aveva dimostrato di essersi slegata dalla deleteria usanza degli Hellsing di innamorarsi delle persone sbagliate. Tutto lasciava sperare che, così come a dodici anni aveva dimostrato buon senso prendendo una cotta per una personcina con la testa sulle spalle come Basil, una volta adulta si sarebbe fatta scaldare il letto da un compagno degno di stima. Un compagno che il vampiro avrebbe rispettato e accettato come un nuovo componente del suo branco umano, e non come un semplice mezzo che consentisse al master di turno di scodellare un erede e di cui il succhiasangue si sarebbe affrettato a sbarazzarne la presenza dalla villa  una volta che tale compito fosse stato assolto, com’era accaduto con i consorti di Eva e di Arthur.
Eppure, Alucard doveva ammetterlo: lo scocciava sommamente l’idea di perdere il giovane Irons. Il ragazzino prometteva di venir su bene, era quello che ai suoi tempi sarebbe stato definito “un ottimo partito” e gli dispiaceva lasciarlo andare via. Era un vero peccato che in quei barbari tempi moderni fosse andata perduta la civile usanza di combinare i matrimoni fra ragazzini. Se solo ne avesse avuta la possibilità, Alucard non si sarebbe lasciata sfuggire l’occasione di legare la sua master a Basil con un fidanzamento e una volta che i diretti interessati avessero raggiunto l’età giusta, il giovane Irons sarebbe entrato a vivere dentro Hellsing Manor, in qualità di marito della sua master.
Oppure, ipotesi ancora migliore, Basil avrebbe potuto fare il suo ingresso nella villa della futura moglie sin da ora e se ne sarebbe occupato lui, Alucard, di cavar fuori da quel ragazzetto un consorte degno di una Hellsing.
Il vampiro si costrinse a cacciare via quelle fantasticherie dalla mente; inutile sognare su ciò che non si poteva realizzare. Però sperare lo poteva sempre, giusto? E allora perché non continuare ad augurarsi che un giorno la master avrebbe scelto come compagno Basil, usandolo per sfornare uno o più eredi al casato degli Hellsing?
Fu nella prospettiva che quella speranza potesse avverarsi che il vampiro, appoggiando una manona sulla spalluccia ancora esile del ragazzino, guardandolo dritto nelle pupille domandò:
- Basil, accetteresti un consiglio da amico? -
- Certo, signor Alucard. -
Il tono del vampiro divenne solenne:
- Se mai un giorno Integra dovesse afferrarti per le orecchie e buttarti per terra, non impaurirti. Lasciala fare e vedrai che il risultato finale sarà di giovamento per entrambi. Non fare mai la prima mossa con tipe scalmanate come quella, rischi soltanto di ritrovarti con il naso rotto da una testata o fatto in tanti pezzi con una spada mentre dormi. Lascia che sia lei a prendere l’iniziativa e vivrai a lungo e in salute. -
- Signor Alucard, confesso di non aver capito nulla di quel che mi avete detto. -
- Oh, non preoccuparti ragazzo. Nemmeno Integra comprende la buona parte di ciò che le dico ma ho fiducia che le mie parole rimangano chiuse in qualche cassettino della sua memoria, pronte per essere recuperate e capite quando sarà più grande. Promettimi soltanto che anche tu terrai a mente ciò che ti ho detto e vedrai che un giorno tutto ti sarà chiaro. -
- Va bene, prometto. -
Basil riflettè sulle frasi del vampiro. Che il “naso rotto” si riferisse al bullo che aveva molestato Integra era palese ma “essere fatto a pezzi con una spada” chi diamine voleva indicare?
- Signor Alucard…ma lei è stato fatto a pezzi con una spada mentre dormiva? -
- Sì, gran brutta esperienza, te lo posso assicurare! -
-Allora come si spiega che è ancora vivo e vegeto e sta parlando con me? -
Solo allora Alucard ricordò che Basil non sapeva di trovarsi al cospetto di un vampiro. Con la stessa disinvoltura con cui camminava, costruì all’istante una menzogna con cui cavarsi dall’impiccio:
- Essere fatto a pezzi con una spada è un modo di dire delle mie parti, per indicare che qualcuno ci ha pestato sodo. -
- Capisco. - Basil rimase interdetto mentre il suo cervellino metteva insieme i pezzi del puzzle.
Infine, preso coraggio, chiese:
- Se ho ben compreso, una tizia che in precedenza vi ha picchiato tantissimo, successivamente vi ha afferrato per le orecchie e sbattuto per terra? -
- Esattamente! -
- E voi avete agito in modo che gli eventi andassero in questa direzione, permettendo a quella donna di prendere una simile iniziativa? -
- Ma è logico! Ero già stato fatto a pezzi una volta, non ci tenevo a replicare l’esperienza! Va bene che sono un amante del rischio ma ho i miei limiti anch’io! Mi dissi che se Sekure si sentiva attratta da me, avrebbe avuto il coraggio di fare la prima mossa, quindi perché rischiare io in prima persona? Mi limitai a consentire che gli eventi si verificassero, sfoggiando nei confronti di quella belva una sovrana indifferenza per un bel po’ di mesi. -
Basil non capiva. A lui, l’immagine di una ragazza che lo afferrava per lo orecchie sapeva tanto di mossa wrestling, cioè qualcosa di parecchio doloroso. Com’era quindi possibile che la guardia del corpo di Integra ne parlasse come di un evento non solo auspicabile ma addirittura piacevole? 
- Ma non fa male? - chiese il ragazzino, dubbioso.
- Ammetto che le orecchie ne risentono ma ti assicuro che in quei frangenti sono la parte del corpo a cui presti meno attenzione. -
Basil si sforzò di usare la fantasia ma niente, non riusciva a visualizzare la scena descrittagli da Alucard.
- Continuo a non capire. - confessò infine.
- Lo vedo che annaspi nel buio. Hai lo stesso sguardo smarrito di una pecora che ha perso il pastore. Fa niente, ragazzo, comprenderai più in là. Adesso torna a coricarti. Buonanotte. -
- Buonanotte. -
 
Il giorno seguente, terminati i compiti, Integra guidò Basil all’interno di Hellsing Manor, in quella che agli occhi dell’ospite apparve come una vera e propria visita turistica. A lui che risiedeva in un attico, la dimora dell’amica appariva una reggia.
- Ma come fai a non perderti qua dentro? -  non poteva fare a meno di esclamare il ragazzino alla scoperta di una nuova rampa di scale, di una nuova porta, di una nuova stanza.
- Come posso perdermi in casa mia? - replicava Integra, divertita dalla sorpresa dell’amico.
Poi, certa di fare colpo su Basil, gli svelò che Hellsing Manor era un edificio antico con molti passaggi segreti, fatti erigere dai primi proprietari per garantirsi vie di fuga in caso di problemi.
- Mi prendi in giro! - aveva messo il broncio Basil, convinto che l’amica stesse approfittando del suo stupore.
Per tutta risposta, Sir Hellsing l’aveva condotto in un ripostiglio e davanti all’amico aveva spinto all’indietro, come fosse una porta, une delle pareti dello stanzino che si spalancò su di un varco buio.
- Ma come… - balbettò sbalordito il giovane Irons.
- La parete che ho spinto è una porta di legno, dipinta in modo che sembri un muro. Vieni, entriamo, ti faccio vedere dove sbuca. -
- Ma sei impazzita? In questo cunicolo buio, dove non vediamo nemmeno dove mettiamo i piedi?! -
- Tranquillo, Basil. Ormai tutti i passaggi segreti della villa sono dotati delle comodità moderne. - e così dicendo, Integra accese l’interruttore della luce, schiarendo l’antro buio e permettendo a Basil di distinguerlo per ciò che era: un corridoio stretto e basso che degradava lentamente verso il basso.
Camminarono curvi per un bel po’, infine Integra spinse una botola arrugginita davanti a sé, uscendo all’aria aperta. Basil le andò dietro e si ritrovò nel bel mezzo del giardino della villa.
- Proprio come nei film! - esclamò giulivo il ragazzino.
- Semmai sono i film che scopiazzano la realtà. Adesso rientra nel tunnel Basil e torniamo a casa. Fa troppo freddo per stare all’aria aperta senza giubbotto. -
Integra guidò l’amico nell’esplorazione degli altri passaggi segreti della villa, tranne quelli che conducevano nei sotterranei, non volendo correre il rischio che Basil, spalancando un portellone, trovasse un trono di legno e una bara e cominciasse a tempestarla di domande sulla presenza di quegli strani oggetti.
All’ora di cena, Walter vide i due ragazzini arrivare a tavola con i capelli impolverati e abbondanti filamenti di ragnatele incollati sul vestiario. Sapeva bene cosa volesse dire tutto ciò e proruppe indignato:
- Sir Hellsing, possibile che debba ripetervi sempre le solite raccomandazioni? A dodici anni rifiutate ancora di capire quanto sia pericoloso bazzicare i passaggi segreti? Come se ciò non bastasse, trascinate in queste azzardate esplorazioni anche il vostro ospite! -
Integra aggrottò le sopracciglia, irata. Sì, è vero, sin da quando aveva cominciato a camminare le erano piovute sulla testa ammonizioni di ogni genere volte a scoraggiarla dall’intrufolarsi nei vecchi passaggi della villa, a cui lei aveva regolarmente disubbidito. Col senno di poi aveva dovuto riconoscere che senza quell’esperienza pregressa, mai avrebbe avuto la prontezza di spirito di intrufolarsi nel condotto dell’aria per scendere fin nelle segrete, nel tentativo di salvarsi da Richard e i suoi scagnozzi. Che Walter quindi continuasse a rimproverarle una disubbidienza che le aveva salvata la vita, era qualcosa che Integra non tollerava. Combattuta fra il desiderio di rispondere a tono al tutore e di non far sospettare nulla a Basil, risolse la situazione con un:
- Perché non mi hai rimproverata anche quando sono entrata nella conduttura dell’aria? -
I lineamenti del maggiordomo si indurirono. Capiva cosa intendesse la sua protetta e dovette ammettere a se stesso che la ragazzina aveva ragione. Inghiottì la replica che gli vibrava in gola e servì la cena.
 
- Svegliati, Basil! -
Il ragazzino aprì un occhio, obbligato a ridestarsi non tanto dalla voce di Integra quanto dalle sue energiche scrollate.
- E’ già ora di andare a messa? - farfugliò l’ospite.
Gli Hellsing non sarebbero potuti diventare i paladini posti a difesa dell’anglicanesimo se non fossero stati anche dei ferventi religiosi, cosa che difatti erano. Come Basil aveva capito già da tempo, da quando Integra era nata, aveva trascorso ogni domenica mattina a messa. L’ovvia conseguenza di tanta devozione era che alla sua amica non passava neanche per la testa di andare in chiesa col maggiordomo e lasciare l’ospite a casa a dormire. No, l’ospite doveva venire ad assistere alla funzione religiosa con lei.
Basil, che proveniva da una famiglia laica ed aveva dimenticato quand’era stata l’ultima volta che aveva messo piede in chiesa, si era preparato psicologicamente sin dalla sera prima ad affrontare la prospettiva della domenica mattina trascorsa seduto su di una scomoda panca in una fredda chiesetta di campagna ad ascoltare un noioso sermone ma gli scrolloni con cui Integra lo stava strappando al regno di Morfeo lo lasciarono totalmente impreparato: cribbio, ma a che ora si alzavano in quella casa, per andare a messa?!
La risposta di Integra però lo lasciò basito:
- No, non ti sto svegliando per andare in chiesa, è troppo presto. Voglio solo sapere se ti va di venire a guidare l’automobile con me e Alucard. -
- Co-cosa? - biascicò il ragazzino, ormai completamente desto, stropicciandosi un occhio.
Integra annuì:
- E’ una cosa che facciamo spesso, il sabato mattina prestissimo o la domenica prestissimo. Prima che Walter si svegli, andiamo nel piazzale di cemento e lì mi metto al volante di qualche jeep posteggiata. E’ così che Alucard mi ha insegnato a guidare. Se anche tu sei curioso di imparare a guidare, puoi alzarti e uscire adesso, con me. -
Solo allora il giovane Irons si accorse che l’amica era già vestita di tutto punto, con tanto di giubbotto, guantoni e berretto con cui affrontare il freddo antelucano. Basil non rimase a pensarci a lungo:
- Vengo anch’io! -
 
 Dato che Integra aveva appreso già da alcuni mesi i rudimenti della guida, quella lezione fu lasciata tutta a Basil. Sir Hellsing si sedette sul sedile posteriore della camionetta, mentre l’amico si metteva al volante e il vampiro si sedeva al suo fianco, spiegandogli come funzionavano le marce e i pedali.
- Adesso ingrana la prima e parti. - incitò Alucard.
La jeep sobbalzò spegnendosi diverse volte prima che il ragazzetto riuscisse col giusto tempismo a staccare il piede dalla frizione per pigiare l’accelleratore.
- E adesso dove vado? - chiese preoccupato.
Master e monster scoppiarono a ridere.
- Basil, hai un’intero piazzale davanti a te, vai dove vuoi. Puoi fare una grande “O”, oppure un grande “8”, o puoi andare a zig-zag. - lo rassicurò Sir Hellsing.
L’amico diede ascolto al consiglio. Lasciò la sua fantasia libera di scegliere il percorso da far seguire alla vettura e col passare dei minuti, la sua euforia aumentò. Gli sembrava di non essersi mai divertito così tanto in vita sua e pensò quanto sarebbe stato bello se fosse potuto rimanere a Villa Hellsing per un tempo indefinito.
 
In pochi bocconi avevano fatto sparire l’uovo fritto e la pancetta che occupavano i loro piatti. Con delle fettone di pane più grandi delle loro mani ripulirono le stoviglie da ogni traccia di unto e di tuorlo, lasciandole così nette che si sarebbe potuto riporle senza lavarle. In poche sorsate scolarono le loro spremute d’arancia e a quel punto Basil, imbarazzato all’idea di chiedere ancora da mangiare, abbassò pudicamente lo sguardo sul ghirigoro blu che decorava il suo piatto.
Integra non aveva di simili debolezze e con la sicurezza di chi sa che verrà accontentata, allungò verso il maggiordomo il proprio piatto e il proprio bicchiere chiedendo:
- Ancora! -
Basil prese quindi il coraggio a due mani e allungò a sua volta piatto e bicchiere, pur senza articolare suono.
Walter, seduto di fronte a loro, li guardò con un misto di stupore e sospetto prima di ricordargli:
- Ragazzi, non è che non voglia darvi da mangiare ma quello che avete appena finito di inghiottire è il bis. Non vi pare esagerato cominciare la giornata con tre piatti di uova e bacon? -
Basil arrossì fino alle orecchie ma Integra, forte di trovarsi nel proprio territorio, sostenne lo sguardo del tutore senza scomporsi.
- Accontentali, shinigami. Sono nella fase della crescita, mangerebbero anche i sassi se potessero. Non hai un’idea di quel che ingurgitavo io, quando avevo la loro età. -
Era stato Alucard a parlare, seduto in un angolo della sala da pranzo, intento a lustrare un paio di enormi stivali di cuoio. Gli occhi del maggiordomo si posarono su di lui, pieni di diffidenza:
- Tu sei sicuro di non avere niente a che fare con l’appetito anomalo di questi due? -
I ragazzini trattennero il fiato. Certo che Alucard era responsabile della loro fame. Avevano guidato per quasi un’ora e mezza, in una fredda mattina di fine inverno, ridendo e schiamazzando per tutto il tempo. Tanta agitazione non poteva non mettere loro addosso una fame da lupi!
Ma dato che Mister Dorneaz non doveva sapere niente di quella prodezza, che l’avrebbe fatto uscire dai gangheri oltre ogni dire, i due amici si erano affrettati a tornare nelle rispettive camere prima che la sveglia del maggiordomo suonasse. Per non destare sospetti, si erano nuovamente messi il pigiama, infilandosi poi sotto le coperte. Inutile sperare però in un sonno ristoratore: la fame ruggente che li assalì dopo pochi minuti impedì loro di chiudere occhio e attesero con ansia che il maggiordomo venisse a bussare alle loro porte, per intimargli di alzarsi. La domanda che Walter aveva rivolto ad Alucard fece quindi tremare fin nel profondo le loro coscienze sporche.
Il vampiro sollevò sul camerata due occhi innocenti:
- Cosa vuoi che c’entri con la loro fame? Credi che possa comandargli con la bacchetta magica quanto appetito avere? -
Mister Dorneaz si sentì ribollire. Avvertiva che quei tre gli nascondevano qualcosa ma non aveva prove a sostegno della sua tesi. Piantò sui dodicenni due occhi severi prima di rispondere:
- Vedete di farvi bastare una tazza di latte e cereali! -
 
Integra guardò la sveglia sul comodino. Segnava le ventitré. Riabbassò seccata la testa sul cuscino, chiedendosi se sarebbe riuscita ad addormentarsi. Per quanti sforzi facesse nel tentativo di liberare la mente e cercare di rilassarsi, i suoi pensieri tornavano sempre a Basil. L’amico era andato via solo qualche ora prima, a bordo della macchina del padre che era venuto a riprenderlo, mettendo addosso a Sir Hellsing una malinconia indicibile.
Basil era stato con lei per quarantotto ore, ma quelle ore erano trascorse dense come anni. A Integra era sembrato come se l’amico vivesse con lei da sempre e per sempre potesse continuare ad abitare dentro la villa ed era stato con un misto di sorpresa e piacere che aveva scoperto come il giovane Irons percepisse le stesse sensazioni. Quando l’aveva accompagnato nella sua stanza per riprendere le proprie cose e andarsene col padre, Basil si era accomiatato dicendo:
- Mi piacerebbe tanto rimanere qui per un tempo indefinito. La cosa più strana però è che mi sembra di aver vissuto qui dentro da quando sono nato. Credo sia una bella cosa, penso voglia dire che mi sono trovato bene, come se fossi a casa. Be’, comunque ci rivediamo domani, a scuola. -
Già, la sospensione era finita, il giorno seguente, lunedì, Integra sarebbe rientrata a scuola.
Sir Hellsing sospirò. Chissà se ci sarebbe stata l’occasione per far tornare Basil ad Hellsing Manor?
Tornò a guardare la sveglia. Le ventitré e un quarto.
“ Al diavolo! Così non riuscirò mai ad addormentarmi! “ pensò la dodicenne. Decise di scendere in cucina per prepararsi una camomilla. Chissà che lo stomaco caldo non l’aiutasse a scacciare la malinconia.
 
Per recarsi in cucina era obbligata a passare davanti al salone del pianterreno e così facendo, attraverso le sue porte spalancate, vide Alucard seduto sul divano, impegnato a guardare la televisione. Una volta pronta la camomilla, la master decise di andare a berla seduta accanto al servo.
Sullo schermo scorrevano le imprese di una bella ragazza vestita con una V di stoffa rossa, un’esile striscia che le copriva i capezzoli e il pube, lasciando vedere quante più ampie porzioni di pelle possibile.
- Ma chi è questa tizia? - chiese Integra, soffiando sulla sua camomilla.
- Vampirella. - rispose Alucard in tono rapito, tanto che la master non poté fare a meno di alzare lo sguardo su di lui.
Sì non poteva sbagliarsi: non solo il tono ma anche il volto di Alucard aveva la stessa espressione estatica che Sir Hellsing vedeva nei suoi compagni maschi quando per i corridoi della scuola scorgevano passare qualche professoressa giovane, appena uscita dall’università. Accidenti, era così potente quella Vampirella da ridurre il suo servo al livello di un preadolescente accalorato?
Tornò a guardare la succhiasangue sullo schermo:
- Esiste veramente? -
- Certo che esiste, così come esiste Dracula, cioè io. Ovviamente quella che vedi sullo schermo non è la Vampirella autentica. E’ solo un’attrice umana, così come tutti i Dracula che compaiono nei film sono semplici attori che mi imitano, in modo scadente per di più! Anche quest’attrice, non credere che renda la Vampirella autentica in modo fedele. La vera Vampirella è molto più crudele e sensuale! -
- Allora perché guardi questo film con aria tanto estatica? -
- Perché per quanto sia una pallida copia dell’originale, mi aiuta a ricordare colei che considero l’Imperatrice-della-notte. Sì master, ho incontrato Vampirella dal vivo! Anzi, dal non-vivo considerando che siamo non-morti. Era già da una cinquantina d’anni che sentivo parlare delle sue imprese ma non sapevo quanto dar credito a quelle leggende. Devi sapere che i vampiri sono come i pescatori: esagerano sempre. Un pescatore prende una sardina di due etti e va dicendo che ha preso a mani nude uno storione di tre tonnellate…ecco i nosferatu agiscono più o meno così. Si salvano da un cacciatore di vampiri armato di paletto di frassino mollandogli un cazzotto al mento e raccontano di aver fatto fuori con la sola forza del pensiero un’intera legione di sterminatori armati di croci d’argento. Per questa ragione prestavo poco orecchio alle leggende sulla crudeltà di Vampirella. Una notte però mi sono dovuto ricredere! Tuo padre mi aveva spedito in missione in Cornovaglia, un vampiro col suo battaglione di ghouls stava imperversando in una zona industriale. Arrivo, massacro i ghouls, mi metto alla ricerca del vampiro-madre all’interno di una fabbrica abbandonata, spalanco un portellone e cosa mi trovo davanti? Una vasca circolare, probabilmente costruita per decantare chissà cosa, piena di sangue e a fare il bagno là dentro lei…senza scomporsi, mi dice “Se cerchi il vampiro che ha generato quei ghouls, lo puoi trovare lassù” e indica un punto verso l’alto. Seguo il suo dito e vedo appeso a dei ganci del soffitto un cadavere decapitato. La questione era semplice: Vampirella utilizzava quella fabbrica abbandonata come suo albergo personale e il vampiro-madre era incappato in lei proprio quando Sua Sanguinarietà aveva deciso di concedersi un bagno ristoratore. -
Integra rimase in silenzio, attendendo il resto della storia. Doveva esserci un seguito, lo capiva bene! Alucard glielo aveva ripetuto fino allo sfinimento che per un vampiro, gli unici non-morti con cui può stringere un’alleanza sono quelli con cui ha uno scambio di sangue, tutti gli altri sono avversari e prede al contempo. La logica conseguenza di tutto ciò è che fra Alucard e Vampirella doveva essere seguito uno scontro mortale. Siccome il servo non accennava a proseguire, Integra si decise a dargli una spintarella suggerendo:
- E quindi? Come l’hai uccisa? -
Il vampiro piantò sulla master uno sguardo scandalizzato:
- Uccidere?! Vampirella?! Io?! Come puoi pensare una simile blasfemia?! -
- Ma se non hai fatto altro che ripetermi che chi non appartiene al tuo branco è un avversario da divorare! - s’inalberò Integra e il servo fu costretto a darle ragione.
La padrona vide Alucard arrossire vagamente per l’imbarazzo mentre in tono dimesso rispondeva:
- E’ vero, è quel che avrei dovuto fare ma arriva sempre il momento di compiere un’eccezione. Non potevo uccidere una simile Imperatrice-della-notte, la quintessenza del vampirismo, una creatura che faceva il bagno nel sangue con una simile voluttà! Sarebbe stato un sacrilegio orbare la nostra specie di un simile esemplare! -
Integra stentava a credere alle sue orecchie:
- Quindi l’hai risparmiata?! -
- Sì. - monosillabo pronunciato a testa bassa - Rimasi a guardarla qualche minuto fare il bagno e poi tornai dal mio master. -
Quei minuti di contemplazione non erano trascorsi serenamente perchè Alucard aveva dovuto lottare ferocemente con se stesso per acquietare un istinto che gli martellava dentro e che non consisteva nel desiderio di uccidere l’avversaria.
Avrebbe voluto immergersi anche lui in quella vasca ma per fare ben altro che il bagno. La ragione però aveva avuto la meglio: il tempo era tiranno, doveva tornare dal master, aveva a disposizione pochi minuti di pausa e la tizia che gli stava davanti non era disposta a concedersi per una cosetta veloce. Così aveva voltato le spalle a Sua Crudeltà e ogni passo che aveva mosso per allontanarsi da lei gli era pesato come un macigno sul cuore.
Di tutto questo Integra non sapeva nulla e anche quando ne fosse stata informata, avrebbe liquidato tutto con una mossa sprezzante della mano. La questione importante era un’altra, il suo servo aveva commesso un’insubordinazione gravissima!
- Non avrei mai creduto che potessi disubbidire agli ordini del tuo master! - sibilò Sir Hellsing, più sgomenta che indignata.
- Ma io non ho disubbidito agli ordini del mio master! Ho fatto fuori i ghouls che appestavano una zona della Cornovaglia, come mi era stato comandato! Non ho ucciso anche il vampiro-madre solo perché un’altra si era incaricata di farlo prima che lo raggiungessi, altrimenti avrei ammazzato anche lui! -
- Però hai lasciata viva una succhiasangue incontrata nella stessa zona! E non trincerarti dietro la scusa “nessuno me l’ aveva ordinato”! A rigor di logica non era necessario specificarlo perché normalmente avresti scannato con piacere qualsiasi mostro in più incontrato nel corso di una missione! -
Il vampiro tacque, non potendo che dare ragione alla padrona. Integra incalzò:
- Hai lasciato su questa Terra un pericolo potenziale, un mostro che si sarà succhiata chissà quanta gente e si sarà creata un suo esercito di ghouls! -
- Ah no, master, posso assicurarti che questo non è accaduto! - replicò energicamente il Re-senza-vita - Vampirella è un’anima vagabonda, non riesce a star ferma a lungo in un posto. Era arrivata in Gran Bretagna da pochi mesi, io e tuo padre lo sapevamo con certezza grazie a varie segnalazioni, e ripartì poco dopo il nostro incontro. Evidentemente non apprezzava il clima dell’isola. Ergo, essendo stata così poco nel Regno Unito, non ha avuto la possibilità di compiere chissà quali stragi. Per quel che riguarda l’esercito di ghouls, sono solo i vampiri di mezza tacca che si circondano di quella robaccia. Noi vampiri superiori ci guardiamo bene dal creare simili servitori e Vampirella è un nosferatu superiore. Come vedi, non ho commesso nessuna incoscienza non uccidendola! -
- Non sperare di darmela a bere così facilmente! - ringhiò Integra che a proposito di scolare, aveva terminato di inghiottire la sua camomilla senza che la tisana sortisse alcun effetto. La discussione con Alucard la stava innervosendo più di quanto non lo fosse al momento in cui era scesa in cucina. Agguerrita, proseguì:
- Ipotizziamo pure che Vampirella non sia tipo da crearsi un esercito di ghouls. Rimane il fatto che deve nutrirsi, giusto? Quando la incontrasti, non potevi sapere che sarebbe ripartita quasi subito. Per quel che ne sapevi tu, poteva anche aver deciso di restare qui fino alla fine dei suoi giorni, succhiandosi chissà quanta gente! Hai agito in modo sconsiderato, lo sai bene! E se quella belva dovesse tornare in Gran Bretagna inghiottendo i nostri concittadini? La risparmieresti ancora, anche se ti ordinassi esplicitamente di eliminarla? -
- La risparmierei ancora, sì, ma perché ho elaborato un piano per renderla innocua, my master! -rispose Alucard con convinzione - Se la dovessi incontrare nuovamente, la legherei ben bene, la porterei qui a Villa Hellsing e l’assumerei come mia allieva! Una volta entrata a lavorare per noi, non rappresenterebbe più un pericolo, no? -
Integra rimase a fissarlo per lunghi istanti di attonito silenzio prima di chiedere:
- Ma l’allieva non dovrebbe essere una ragazza vergine da te vampirizzata? -
- Ehm…bhe…sì, teoricamente è così… -
- E allora come puoi pensare che una vampira adulta ti accetti come master? -
Alucard mise il broncio mentre rispondeva contrariato:
- Master, perché devi far crollare i miei sogni come un castello di carte? -
- Perché questo sono, un evanescente castello di carte. -
Il vampiro, cocciuto, non si arrese:
- Va bene, lo ammetto: sarà difficilissimo farmi accettare da una vampira adulta ma sono deciso a non arrendermi! Tanto insisterò finché non si ammansirà. Ci sono riuscito con quella capocciona di Sekure e dovrei fallire con Vampirella? Alla fine, l’amore vincerà! -
- Eeehhh?! - esclamò Integra, incredula - L’amore?! -
Il vampiro emise un sospiro seccato:
- Oh, insomma, chiamalo come ti pare! Definiscilo amore, definiscilo sesso, definiscilo fissazione libidinosa, definiscilo come ti pare, ma quel che provo per Sua Sanguinarietà Vampirella alla fine la spunterà su qualsiasi difficoltà! -
“ Oh Signore, ma questa è una cotta in piena regola! Coltivata per di più da chissà quanti anni! “ pensò Integra.
Sir Hellsing rimase in attonito silenzio, bisognosa di assimilare gradualmente quella nuova sfaccettatura del suo servo. Gli occhi febbrili di Alucard, puntati su di lei, la costrinsero a riscuotersi dalle sue meditazioni.
- Allora master? Se dovessi incontrare Vampirella mi autorizzi a portarla dentro Hellsing Manor come aiutante? -
Un senso di angoscia attanagliò i visceri della ragazzina:
-Ma per me è già difficilissimo gestire te, come posso sobbarcarmi di un altro osso duro? -
- Mi occuperò io di lei, te lo prometto! Non ti darà il minimo fastidio! - esclamò febbrilmente Alucard. Vedendo che Integra continuava a tentennare, istintivamente si inginocchiò davanti a lei e con le mani giunte e una faccia da cane bastonato cominciò a supplicare:
- Oh master, ti prego! Tipregotipregotipregotipregotiprego! -
- V-va bene. - farfugliò infine la ragazzina, facendo accendere un sorriso raggiante sul volto del vampiro.
- Grazie master! Il tuo servo fedele da questo momento sarà ancora più fedele! -
Ciò detto, si sedette nuovamente accanto alla padrona, continuando a guardare il film con un’espressione di giuliva soddisfazione. Integra resistette ancora qualche secondo, poi augurò la buonanotte e arrancò su per le scale, verso la sua camera, col cuore in tumulto, timorosa di essersi cacciata in un guaio madornale.
Impiegò molto tempo ad addormentarsi e quando ci riuscì, il suo sonno fu funestato da incubi. Sognò che Vampirella era entrata a far parte di Hellsing Manor, trascorreva tutte le giornate battagliando furiosamente con Alucard per recuperare la libertà perduta e Sir Hellsing vedeva la sua dimora ridursi ad un campo di battaglia, con i pavimenti divelti e intere pareti abbattute.
Quando la sveglia la ridestò, la ragazzina si augurò mentalmente che il clima inglese avesse nauseato talmente tanto Sua Sanguinarietà da farle perdere ogni velleità di rimettere piede in Gran Bretagna.
 
 1) Chiedo venia ai fan di AlucardxSeras, AlucardxIntegra, AlucardxWalter, AlucardxAndersen, AlucardxChivipare ma ogni volta che mi imbatto in Vampirella, non posso fare a meno di pensare “Che coppia farebbe con Alucard”! Me li immagino, intenti a seminare morte e distruzione fianco a fianco per tutto il Pianeta, come una vera arma di distruzione di massa. Per questo ho deciso di far comparire la seducente vampira in un “cameo” televisivo. ^^
Vampirella è un fumetto di Forrest Ackerman edito dalla Warren Publishing.

2) Per motivi di ordine temporale non posso inserire Seras Victoria in questa storia ma siccome mi dispiace escludere totalmente il quarto componente dell’Hellsing, ho deciso di farla comparire sottoforma di notizia nel telegiornale.

3) Spendiamo anche due parole su Basil Irons. ^^
Come finisce il manga di Hellsing? Prima di dare il proprio sangue all’appena ritornato Alucard, l’anziana Integra lo avvisa: “Ormai sono una vecchia nonna”. I lettori possono interpretare questa battuta come meglio credono. Possono pensare che Integra stia parlando realmente, cioè è davvero una nonna, oppure possono ipotizzare che Sir Hellsing sia rimasta nubile e stia semplicemente scherzando sulla propria età. A me piace intenderla in senso realistico. ^^
Sarà che le storie d’amore in cui uno aspetta l’altro tutta la vita non le trovo romantiche ma angoscianti, sarà che giudico altrettanto angosciante l’idea che una persona sia l’ultimo esponente del gruppo a cui appartiene (che sia stirpe, popolo o altro), sarà che percepisco Integra e Alucard come due alleati ma non come due innamorati, fattostà che preferisco pensare che nei trent’anni di assenza di Alucard, Integra abbia vissuto la propria esistenza, ritagliandosi una fetta di vita privata nella missione a cui si è dedicata, trovando un compagno, facendo l’amore, partorendo figli e diventando nonna. Anche perché la motivazione che viene data per giustificare lo smantellamento dell’Organizzazione Hellsing alla morte di Integra è “non è più tempo delle organizzazioni tramandate per linea familiare”. Insomma, sembra che l’Hellsing venga eliminato per una questione burocratica, non per mancanza di eredi, anzi la frase che ho riportato mi fa sospettare che degli eredi ci siano eccome!
Nell’OVA la battuta sulla nonnità di Integra scompare ma in compenso viene aggiunta una scena assente nel manga. L’ormai vecchissimo Lord Walsh parla con un giovanotto di nome Irons, mai visto prima.
La domanda sorge spontanea: chi accidenti è quest’Irons? Mistero! Però è biondo come Integra, ha gli occhiali come Integra, il viso affilato come Integra…sarà mica il figlio di Integra?
Ho deciso di fondere insieme la battuta sulla nonnità di Integra del manga col giovane misterioso con cui discute Lord Walsh e così ho creato Basil che nelle mie perverse fantasie sarebbe il futuro padre di Irons. :)
Ovviamente non penso che Basil e Integra si siano amati ininterrottamente da quando avevano 12 anni (anche perché nessuno spasimante di Sir Hellsing compare nell’opera di Hirando :D). Ipotizzo che terminata la scuola si siano persi di vista, dimenticandosi l’uno dell’altra ma potrebbero essersi reincontrati anni dopo fra le rovine di una Londra distrutta. A quel punto, da cosa potrebbe essere nata cosa (e Integra avrebbe afferrato Basil per le orecchie sbattendolo a terra :D).
Ovviamente voi siete liberissimi di pensarla come vi pare. Se preferite immaginare Integra vergine a vita, o innamorata di Alucard, Seras, Maxwell o chiunque altro appassioni la vostra fantasia, siete liberissimi di considerare il piccolo Basil come una cottarella adolescenziale, una meteora che non avrà influenza sulla futura esistenza di Sir Hellsing. Io vi ho solo fatto sapere come la penso sulla fine di Hellsing. :D
4) Se il linguaggio usato in questo capitolo non è adatto ad un rating verde, segnalatemelo, e alzerò il rating di “Spirali di fumo” al giallo.
Un abbraccione e al prossimo capitolo.
 

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Capitolo 11
*** I cavalli non crescono sugli alberi! ***


Walter era appena rientrato dall’aver accompagnato Integra a scuola quando Alucard gli si parò davanti chiedendo:
- Abbiamo del pane secco da dare agli uccellini? -
Il maggiordomo lo fissò a lungo in silenzio, stentando a credere alle proprie orecchie, infine replicò:
- Tu vorresti dare da mangiare agli uccellini? - e lo sconcerto dell’uomo traspariva dal tono con cui pronunciava ogni singola parola.
Alucard si strinse nelle spalle:
- In cinquecento anni ho fatto tante cose, ma non ho mai dato da mangiare agli uccellini. Dato che mi sto annoiando e non so cosa fare, mi sono detto “perché non provare anche questa nuova esperienza”? -
Walter, sbigottito, rifletté a lungo sulle parole del vampiro. Forse Alucard gli nascondeva qualcosa. Forse dare da mangiare agli uccellini era una copertura per qualche azione spericolata. Per quanto rigirasse la questione però il maggiordomo doveva concludere che né a lui né alla villa poteva venirne qualcosa di male se Alucard distribuiva delle briciole ai passerotti, così disse:
- In cucina, vicino al forno, c’è uno sportello. All’interno troverai un sacchetto di tela. Lì dentro c’è del pane secco. -
Il vampiro si recò in cucina con passo flemmatico e Walter lo guardò allontanarsi con molti interrogativi nella testa.

Alucard uscì in giardino. Pensò che gli uccellini, saggiamente, non si sarebbero avvicinati a un cumulo di pane posizionato vicino a una persona, nel timore di essere attaccati. Decise così di frantumarlo fra le sue manone in un punto del prato posto a una decina di metri di distanza dalla villa, dopo di che andò a sedersi sul gradino di una delle tante porticine secondarie della magione che immettevano nel parco.
Attese con la pazienza del predatore in agguato e dopo una mezz’oretta un pettirosso planò con circospezione vicino al cumulo di briciole. L’animaletto si guardò attorno con sospetto ma dovette concludere che il tizio seduto sul gradino non costituiva un pericolo. Nessun umano, così distante e privo di armi, poteva far del male a un figlio dell’aria. Il pettirosso afferrò un bel pezzo di mollica, saettando poi velocemente verso gli alberi.
Quello fu il segnale di “via libera” che portò tutti gli uccellini dei paraggi a banchettare con il mucchio di pane secco. Alucard li vide arrivare alla spicciolata, guardinghi e veloci ma col passare dei quarti d’ora e delle mezz’ore, rassicurati dalla sua immobilità e dalla sua distanza, cominciarono a stazionare per periodi sempre più lunghi intorno a quell’Eldorado di briciole, scegliendo e contendendosi i pezzi più grossi. Ogni volta che un passerotto volava via, il capino quasi piegato dalla pesantezza del bottino, tornava poi con qualche altro simile, quasi avesse sparso un passaparola all’interno dello stormo.
Arrivò quindi il momento in cui il vampiro contò una trentina e forse più di uccellini intorno alla montagnola di pane che aveva sbriciolato. Pensò che più di quelli, l’Eldorado di briciole non poteva attrarne anche perché ormai il cumulo di cibo andava riducendosi.
I passerotti e i pettirossi intenti a banchettare videro il tizio seduto sul gradino tendere un braccio verso di loro. Non se ne preoccuparono. Un umano disarmato, da quella distanza, non poteva nuocergli.
Purtroppo per loro, il tizio seduto sul gradino non era umano.
I contorni del braccio teso si alterarono, una testa di cane prese il posto della mano e prima che gli uccellini avessero il tempo di accorgersi di quel che stava accadendo, il segugio infernale scattò a fauci aperte verso di loro, veloce come la lingua di un camaleonte. In un solo boccone inghiottì pane secco e volatili. Nessuno si salvò, solo qualche penna rimase a fluttuare per l’aria e con lentezza la testa di cane si ritirò verso il proprietario, riprendendo la forma di un braccio.
Alucard ghignava felice, gli occhi raggianti di soddisfazione. Com’era divertente dare da mangiare agli uccellini! Come aveva potuto trascorrere cinquecento anni privandosi di un simile passatempo?Pensò che era un vero peccato che nel parco di Hellsing Manor non si trovasse una grande vasca in cui nuotavano pesci e anatre, e che essendo in pieno inverno gli scoiattoli erano in letargo, perché lui si sarebbe divertito un mondo a dare da mangiare anche ai pesci, alle anatre e agli scoiattoli!Rientrò in casa, deciso a scovare altro pane con cui dare da mangiare ad un nuovo stormo di passeri, e nell’atrio incrociò Walter che indossava con gesti febbrili il cappotto.
- Una telefonata dalla scuola di Integra, devo andare subito. - spiegò al vampiro.
- La master ha rotto un altro naso? -
- No, sembra che stia male. - rispose mister Dorneaz, avviandosi verso il garage.
Alucard attese pazientemente il ritorno di camerata e padrona in giardino ma proprio quando un nuovo stormo di uccellini si era concentrato intorno al cumulo di biscotti che aveva sbriciolato e lui stava per tendere il braccio verso di loro, i due umani fecero ritorno. Il vampiro graziò quindi gli ignari animaletti e andò incontro alla master.
Integra aveva un febbrone da cavallo. Fu messa a letto, fu chiamato il dottore. La diagnosi emessa:
- Una settimana a riposo. -
Mentre il maggiordomo accompagnava il medico alla porta Integra, sotto le coperte, sentì una gran voglia di piangere. Era stata sospesa per tre giorni, era tornata a scuola e dopo appena un paio d’ore di lezione era dovuta rientrare a casa e sarebbe dovuta rimanerci per una settimana intera. Sommò quella nuova assenza a tutte le altre che aveva fatto nel corso dell’anno per colpa di Alucard e si disse che non era possibile, la sfortuna si accaniva contro di lei!
Aveva pensato di concludere l’anno scolastico e poi ritirarsi per studiare in casa, in modo da sorvegliare il suo vampiro ma adesso cominciò a chiedersi se davvero valesse la pena di continuare quello stillicidio di presenze mordi-e-fuggi per i mesi rimanenti.
Walter, che nulla sapeva delle elucubrazioni di Integra sul ritirarsi dalla scuola, la sentì borbottare:
- Perché aspettare l’estate? Potrei restare a casa sin da ora! -
- Come dite, Sir? -
- Perché devo aspettare l’estate? Posso restare a casa da adesso. - ripeté la ragazzina a cui i fumi della febbre impedivano di pensare e parlare con chiarezza.
Il maggiordomo, convinto si trattasse di deliri senza senso, le rimboccò meglio le coperte:
- Adesso pensate solo a riposarvi, Sir. -

Fu in parte dovuto al delirio della febbre e in parte alla scarsa voglia di Integra di guarire presto, dato che era convinta che una nuova magagna si sarebbe abbattuta su di lei una volta tornata a scuola, il suo rifiuto di prendere i medicinali prescritti dal dottore.
Walter non se ne capacitava di come la sua Sir potesse fare i capricci come una bambina piccola. La dodicenne stringeva i denti e faceva segno di no con la testa davanti al cucchiaio colmo di sciroppo. Mister Dornez tentò con la persuasione, con le minacce, con la dolcezza e con la severità ma non ci fu niente da fare: Integra rifiutava di aprire la bocca. Alucard, appoggiato con una spalla allo stipite della porta, assisteva alla scena come ad una prima teatrale ora ridacchiando, ora annuendo, ora applaudendo, sottolineando così la sua soddisfazione di fronte allo spettacolo offertogli dai due umani. Quando Walter non ne poté più di essere soppesato in quel modo da quegli occhi rossi, si voltò come una furia verso il nosferatu ringhiando:
- Credi di saper risolvere questa situazione meglio di me? -
- Ma certo! - rispose il vampiro con un largo sorriso.
Integra vide il servo piantarsi davanti a lei, il cucchiaio con lo sciroppo in una mano. Sir Hellsing strinse le mascelle e guardò il vampiro con aria di sfida. Alucard ricambiò con un mezzo sorriso di compatimento: povera, piccola umana, convinta di poterlo contrastare!
Rapido come un fulmine, con la mano libera Alucard strinse il naso alla master. Integra tentò di liberarsi da quella stretta ma le sue manine non potevano opporsi alla forza del vampiro. Bisognosa d’aria, aprì la bocca.
Alucard le diede il tempo di riprendere fiato e le ficcò il cucchiaio in bocca. Lasciò la presa dal naso e le chiuse le mascelle con la mano. Sir Hellsing gli lanciò uno sguardo colmo d’odio. Il vampiro, placido, rispose:
- Non ti mollo finché non inghiotti. Possiamo rimanere qui anche per l’eternità, se vuoi. -
“ Ne sarebbe capace! “ fu obbligata ad ammettere Integra. Strinse le palpebre e inghiottì. Alucard lasciò la presa e mentre la master tirava fuori la lingua e scrollava la testa nel tentativo di far passare il saporaccio che aveva in bocca, restituì il cucchiaio a uno sbigottito Walter.
- Se fa ancora i capricci, chiamami. -
E si avviò in cucina a scaldarsi una porzione di sangue.

I primi due giorni, Integra li trascorse inchiodata a letto. Il terzo, alternò il letto alla poltrona. Il quarto giorno, alle quattro del mattino aprì gli occhi, incapace di riaddormentarsi. Capiva di essere ormai totalmente sfebbrata e il suo corpicino, indolenzito per aver trascorso due giorni e mezzo sdraiata, non ne poteva più di mantenere la posizione orizzontale.
“ Oggi voglio passare tutto il giorno in piedi. “ decise Sir Hellsing.
Si alzò, indossò una vestaglia sul pigiama di flanella, pesanti calzettoni ai piedi e le pantofole più calde che possedeva, due affari ingombranti a forma di testa di Pluto. La dodicenne provò a immaginare come sarebbero rimasti stupiti i suoi compagni se avessero saputo che lei, “Integra la tosta” come l’avevano soprannominata, la nemesi di tutti gli insegnanti dell’istituto, a casa ciabattava con due infantili teste di Pluto ai piedi.
“ Be’, nessuno è perfetto e anche io ho le mie debolezze “ concluse Sir Hellsing, avviandosi giù per le scale.
Giunta a pianterreno, vide Alucard far capolino dal salone da biliardo.
- Tutto a posto, master? -
- Sì, mi sono alzata perché non riuscivo più a dormire. -
- Va bene. Se hai bisogno di qualcosa, fammi un fischio. -
Alucard tornò alla sua partita solitaria, Integra si scaldò una tazzona di latte e miele in cucina e andò a bersela nel salone del televisore. Finché Walter dormiva e non poteva impedirglielo, lei voleva approfittarne per guardare di straforo lo “schermo della perdizione” come l'aveva definito sprezzantemente suo padre, finchè era stato in vita. Con suo grande rammarico, scoprì che alle quattro del mattino c’era ben poco da vedere, in televisione. Qualche notiziario, previsioni del tempo, oroscopi, televendite, repliche di film in bianco e nero.
Saltellando da un canale all’altro, si imbatté in quello che pareva essere un documentario. Integra si fermò, ammirando la sfilata di immagini che comparivano sullo schermo, vecchiotte per la verità ma molto suggestive, tutte rappresentanti castelli, immersi in silenziosi boschi o avvolti sotto spesse cortine di neve. La voce narrante interruppe il silenzio delle immagini per spiegare:
- Vlad l’Impalatore apportò delle modifiche ai castelli costruiti dai suoi antenati, e ne fece erigere di nuovi… -
Integra sobbalzò sulla poltrona. Vlad l’Impalatore? Allora quelli che stavano passando sullo schermo erano i castelli che, tanto tempo prima, erano appartenuti ad Alucard? A voce alta lo chiamò:
- Alucard, vieni, in televisione c’è una cosa che t’interessa! -
- Donne nude? - chiese il vampiro, dal salone del biliardo.
- Ma no, sciocco! Stanno facendo vedere i tuoi castelli, quelli che si trovano in Romania. -
- Allora non m’interessa. -
Integra si convinse che Alucard non dovesse aver compreso quel che gli aveva detto. Al posto di “castelli” doveva aver capito un’altra parola, Sir Hellsing ne era certa perché era altrettanto certa del fatto che il suo servo non potesse disinteressarsi a quel modo delle sue antiche dimore. Così come lei amava Hellsing Manor, la sua casa, allo stesso modo Alucard doveva essere affezionato ai luoghi in cui aveva vissuto e non-vissuto per tutta la parte libera della sua esistenza e non-esistenza.
Nel timore di svegliare Walter urlando ancora da una stanza all’altra, Integra preferì alzarsi, andare nel salone da biliardo e ripetere:
- In televisione stanno facendo vedere i tuoi castelli. -
- Ho capito, master. - rispose Alucard, concentrato nel prendere di mira una biglia con la stecca - E ti ho risposto che non m’interessa. -
Integra, incredula e stupita, rimase a fissare a lungo e in silenzio il servo prima di chiedere:
- Com’è possibile che non te ne importi niente? Sono cento anni che sei lontano da casa, non ne hai nostalgia? -
Il vampiro si appoggiò con le palme delle mani al bordo del biliardo e soppesò la master con lo sguardo. Quali parole scegliere per far comprendere a quella ragazzina il motivo del suo disinteresse? Infine parlò:
- Conosci qualche immigrato? -
Integra aggrottò le sopracciglia, contrariata; perché Alucard doveva sempre affrontare gli argomenti partendo da particolari apparentemente privi di qualsiasi collegamento? Quello però era il modo di muoversi del suo vampiro, ormai lo sapeva bene e lasciò che il servo conducesse il gioco, rispondendo:
- Molti fra i miei compagni sono nati all’estero, o hanno genitori stranieri. Alcuni dei miei insegnanti provengono dalle ex-colonie. Metà dei domestici che hai fatto fuggire erano immigrati. -
- Hai mai parlato con qualcuna di queste persone dei loro Paesi d’origine? -
- In verità no. Non faccio domande in merito, non voglio passare per impicciona e invadente. -
- Allora lascia che ti metta sull’avviso. Se mai un giorno dovessi parlare con queste persone delle nazioni da cui provengono, molto spesso ascolteresti parole grondanti nostalgia, malinconia e struggimento. Cristallizzano nella memoria i Paesi che hanno lasciato, convinti che anche a distanza di anni e decenni li ritroveranno per come li ricordano. Invece, quando tornano “a casa”, trovano tutto mutato, luoghi, abitudini, mentalità…il Paese che ricordavano non esiste più, ucciso dal tempo e loro fanno la figura dei forestieri tanto quanto qui in Inghilterra. Master, non voglio fare la fine di un immigrato. Non voglio struggermi nel sentimentalismo. Sono affezionato ai luoghi in cui ho regnato da essere libero ma non commetto l’ingenuità di sognare che siano rimasti immutati nel tempo. I miei castelli, chissà che fine avranno fatto! Saranno diroccati? Oppure li avranno restaurati in modo talmente lezioso da farli sembrare il castello di Cenerentola? E i luoghi che ho attraversato, anche quelli, chissà quanto saranno cambiati! Sotto alcuni alberi seppellii i cadaveri di persone che mi erano appartenute e a cui avevo voluto bene. Forse avranno costruito delle dighe dove sorgevano quei boschi e gli alberi e le tombe fra le loro radici saranno stati sommersi da tonnellate d’acqua. Non ci tengo a vedere tutto ciò. Per questo mi affretto a cambiare canale quando mi imbatto in qualche servizio sul luogo in cui nacqui. -
Il vampiro riprese a giocare. Integra, pensierosa, tornò nel salone ma dopo pochi minuti spense la televisione e raggiunse Alucard. Si sedette su una poltroncina e guardò il servo giocare prima di chiedere:
- In quale dei tuoi castelli venne a trovarti Jonathan Harker? -
- Nella fortezza di Poienari. - rispose il vampiro senza alzare gli occhi dal panno verde - La feci costruire quand’ero ancora voivoda, dai boiardi traditori che catturai e dalle loro mogli e figli. Lasciai che morissero consumandosi dalla fatica. Quelli che avevano la pellaccia talmente dura da sopravvivere persino a quell’impresa, li feci impalare. -
Un senso di disagio e disgusto s’impadronì di Integra mentre chiedeva:
- Impalasti anche i bambini? -
- Certo - rispose con noncuranza Alucard, girando intorno al tavolo alla ricerca della migliore angolazione per colpire le biglie - Sarei stato uno stupido se li avessi risparmiati. Quei bambini un giorno sarebbero diventati adulti e avrebbero voluto vendicare la morte dei loro genitori, nonché accaparrarsi il titolo di voivoda. Avrei quindi dovuto ricominciare a battagliare daccapo o, se fossi morto, lasciare questa magagna in eredità ai miei figli e non avevo fatto tanta fatica per impadronirmi del trono solo per permettere a dei giovincelli arroganti di intralciare le mie ambizioni e quelle della mia stirpe. Quando vogliamo sbarazzarci di un’erbaccia infestante, bisogna estirparla dalle radici per essere sicuri che non ricresca mai più. -
Sir Hellsing si strinse maggiormente la vestaglia addosso, quasi volesse frapporre una barriera fra sé e le eventuali influenze negative che poteva trasmetterle Alucard. Non poteva certamente stimarlo per quel modo d’agire. Il vampiro, apparentemente ignaro della reazione della master, mentre prendeva di mira una biglia continuava a spiegare:
- Fra tutti i miei castelli, la fortezza di Poienari era quello di cui andavo più fiero. Era un nido d’aquila arroccato sul cocuzzolo di una montagna, posta al confine fra Valacchia e Transilvania. Da lì potevo controllare e avvistare chiunque passasse, amici o nemici. Avevo consultato i migliori architetti del regno per edificarla. Avevo preteso mura capaci di resistere ai terremoti e un sistema che convogliasse l’acqua piovana in cisterne sotterranee, in modo da resistere anche a lunghi assedi. Dopo che morii, la fortezza venne abbandonata al suo destino. Nessuno dei voivoda che mi succedettero pensò di utilizzarla. Stolti! Un simile gioiello di architettura militare ignorato come un inutile soprammobile! Durante il mio vagabondare vampiro, quando decisi di abbandonare il brigantaggio, m’imbattei nella fortezza. La vidi in cima alla montagna, priva di qualsiasi presenza umana e mi sentii ribollire il cuore di rabbia e pena nel trovarla così abbandonata. Entrai nel castello, lo esplorai, constatai con orgoglio che tutto sommato aveva ben resistito agli attacchi del tempo, segno che l’avevo ben costruito e mi dissi che se gli umani erano così stupidi da non apprezzarlo, allora me ne sarei riappropriato io. L’avrei usato come mia dimora. -
Il vampiro riprese a giocare e Integra lo lasciò fare in silenzio. Aveva bisogno di smaltire il nodo di sofferenza che le stringeva la gola da quando Alucard aveva accennato con tanta disinvoltura ai bambini impalati.
Il nosferatu mandò in buca tutte le biglie, le riprese e le dispose nuovamente al centro del tavolo. La voce di Sir Hellsing tornò a farsi sentire:
- Perché abbandonasti il brigantaggio? -
Fu la volta del vampiro di concedersi del tempo prima di far risentire la propria voce:
- La scorsa volta cosa sono arrivato a raccontarti? -
- Mi parlasti di tua figlia Lilith. Era una strega e venne uccisa, bruciata sul rogo. -
- E le sue ceneri vennero buttate nell’immondezzaio che sorgeva fuori dalle mura della città. - concluse Alucard, con un tono che Integra non seppe interpretare.
Il vampiro teneva gli occhi fissi sul tavolo da biliardo ma in realtà non vedeva né il panno verde, né le biglie appoggiate sopra. Si concesse una lunga pausa prima di aprire bocca e la voce che gli uscì aveva un tono stanco e avvilito:
- Vendicai mia figlia. Andai a trovare una per una tutte le persone che avevano contribuito ad ucciderla, le donne che l’avevano denunciata e testimoniato al processo che era una fattucchiera, gli uomini che l’avevano condannata e uccisa, e li torturai. Feci in modo che arrivassero a supplicarmi di ammazzarli, in modo da mettere fine alle loro sofferenze ma non avevo intenzione di concedergli un simile regalo, così continuai ad accanirmi su di loro finché il gioco non mi venne a noia e solo allora li uccisi. Solo dopo aver terminato la mia vendetta andai a vedere quella che poteva essere considerata la tomba di Lilith, l’immondezzaio in cui l'avevano buttata. Era una grande fossa, ribollente di escrementi umani, carcasse di animali macellati e verdure marce. E in mezzo a tutta quella merda c’era mia figlia. -
Integra sentì un groppo annodarle la gola. Alucard continuava a fissare il velluto verde del biliardo, con la fronte aggrottata:
- Da viva, la sua pelle aveva avuto un buon odore. Quando andavo a trovarla, mi sedevo accanto a lei e la guardavo lavorare in silenzio. Pestava le pianticelle che raccoglieva nel mortaio e respiravo il profumo di mia figlia mischiato con quello delle erbe. Ricordai questo, quando mi ritrovai davanti a quella tomba puzzolente. Avrei tanto voluto piangere davanti a quella fossa ma non ci riuscii. Certi dolori sovrastano persino le lacrime. -
Il vampiro si grattò la fronte. Quando riabbassò la mano, la fronte era tornata liscia:
- Oltre a vendicarla, feci anche un'altra cosa, più importante. -
Alucard si concesse una pausa per colpire una palla, dopo di che riprese:
- A quei tempi la mortalità infantile era altissima. Molti neonati si affacciavano al mondo solo per morire dopo poche ore o pochi giorni. Chi sopravviveva a quelle prime settimane tanto pericolose, continuava comunque a correre il rischio di lasciarci le cuoia nel corso di tutti i primi anni di vita. Eh sì, l'infanzia era davvero un'età pericolosa, prima ne uscivi e meglio era. Questa era una delle ragioni per cui una volta se ne facevano tanti, di figli: non esistevano altri modi per vederne arrivare qualcuno vivo all'età adulta. Anche Lilith aveva un marito e dei figli. Un paio di marmocchi le erano deceduti appena nati ma gli altri erano sopravvissuti. Il guaio, master, è che ogni volta che una donna moriva i suoi figli, soprattutto se piccoli, rischiavano di seguirla nella tomba nel giro di breve tempo. Per quanta buona volontà impiegassero gli altri parenti nell'accudirli, sembrava che nessuno fosse in grado di sostituire la dedizione di una madre. La notte in cui giunsi all'accampamento tzigano, non scoprii solo che Lilith era morta. Anche la più piccola dei suoi figli era deceduta poco dopo la madre. Nella tenda di mio genero dormivano solo i due marmocchi maggiori di Lilith e il più grande aveva appena dieci anni. Quei nipoti erano tutto ciò che mi rimaneva sulla Terra di Lilith e Zofia, non volevo che morissero anch'essi prima del tempo così decisi che mi sarei occupato di loro, facendomi in quattro perchè avessero una vita il più lunga possibile e dato che voi umani non siete in grado di sopravvivere da soli, mi accollai il peso dell'intero gruppo a cui appartenevano. Per più di quindici anni non-vissi insieme al clan tzigano. Li conducevo per sentieri sicuri, attraverso boschi e montagne, badando di non farli imbattere in valacchi e sassoni, a meno che non si trattasse di servi di cui potevo fidarmi. -
- Perchè tanta diffidenza verso valacchi e sassoni? Perchè hai fatto di tutto per isolare gli tzigani dal resto del mondo? -
- Perchè era più salutare. Quando Zofia era ancora in vita, In Valacchia e nei regni limitrofi da tempo ormai c'era l'usanza che quando dei nomadi mettevano piede in un feudo appartenente a un nobile o ad un'abbazia, ne diventavano automaticamente gli schiavi. Per quale motivo avrei quindi dovuto guidare gli tzigani su strade trafficate e piene di testimoni che sarebbero corsi ad avvertire l'abate o il boiardo della presenza di un nuovo clan? Il signorotto o il pretonzolo si sarebbero affrettati a mandare un manipolo di soldati ad "accogliere" i nuovi schiavi per condurli in qualche fattoria bisognosa di manodopera. Non che l'arrivo di un gruppo di sgherri sarebbe stato un problema per me, anzi, avrebbe costituito un lauto pasto. Chi me lo assicurava però che non potessero scoppiare tafferugli in cui avrebbero finito col rimetterci la pelle i miei nipoti? Non era quello che volevo! Per questo preferivo guidare la mia gente attraverso zone isolate e allontanarmi da loro solo per andare alla ricerca di prede. -
Il vampiro alzò lo sguardo sul visetto della master e vide la fronte di Integra aggrottarsi.
- Cosa c'è che non ti torna del mio racconto? -
- Sinceramente, Alucard, non riesco a vedere grandi differenze fra la vita di uno schiavo e di una persona libera. A quei tempi, anche la gente comune se la passava male ed era soggetta ai capricci dei signorotti e degli abati, quindi dov'era la differenza fra l'essere uno schiavo e un non-schiavo? -
- Hai una visione drastica del passato, lo sai? - ridacchiò il servo - E' vero, la vita era più difficile di ora ma non fino al punto di far diventare superflua la differenza fra una parsona schiava e una persona libera. I sudditi, oltre ai doveri, godevano anche di diritti, non tanti quanti ne avete adesso ma si trattava pur sempre di diritti. Gli schiavi, invece, non avevano diritti, solo doveri e quando mai hai sentito dire che il lavoro di uno schiavo viene pagato? Riguardo al passarsela male, ricorda che così come esistono diversi livelli di ricchezza, esistono anche diversi livelli di povertà. Per quanto la gente comune non se la passasse bene, stava comunque meglio di uno schiavo. Hai dimenticato per quale ragione Zofia venne uccisa? Aveva osato tentare di migliorare l'esistenza della sua gente e questo era stato un affronto che gli abitanti dei paesi attraversati dal suo clan non avevano tollerato. Alla fine del 1400, tutti gli tzigani della Valacchia erano ridotti in schiavitù. Le persone comuni favoleggiavano di un gruppo di tzigani, i "netotsi", a detta loro talmente selvaggi da non asservirsi a nessuno. Boiardi e abati, quando sentivano parlare dei netotsi, sorridevano con indulgenza per la superstizione del popolo. I netotsi non esistevano, loro lo sapevano con certezza perché erano sicuri che nessuno schiavo potesse sfuggire alle fitte maglie del loro controllo. -
Alucard riprese a giocare a biliardo. Integra ormai conosceva abbastanza bene il servo da rendersi conto che quella pausa di silenzio non era dettata unicamente dal desiderio di continuare la partita. Un senso di attesa gravava nell'aria. Alucard, a dispetto della sua espressione indifferente, aspettava che la giovane padrona dicesse qualcosa e Integra accettò di accontentare il servo:
- I netotsi erano il clan che guidavi tu? -
Un sorriso soddisfatto apparve sul volto del vampiro:
- E' sempre una gioia vederti usare il cervello per annodare insieme gli indizi in cui ti imbatti. Sì, master, i netotsi non erano una leggenda e nemmeno dei selvaggi pericolosi. Erano il gruppo a cui appartenevano Zofia, Lilith e i miei nipoti e che aveva accettato la mia guida. Non mi separai da loro finché i figli di mia figlia non diventarono un uomo e una donna adulti, capaci di guidare il clan al posto mio. Per tutto il tempo in cui rimasi con i netosti, durante ogni spostamento, volli che i miei nipoti cavalcassero alla mia destra e alla mia sinistra e in quel modo insegnai loro a leggere le tracce e a individuare e schivare i pericoli. I sentieri che i figli di mia figlia batterono per sfuggire alla schiavitù e che tramandarono alle generazioni successive, erano quelli che avevo tracciato io e di questo i netosti mi rimasero sempre grati. Fra tutti i miei servi, gli tzigani furono quelli più fedeli e li chiamavo sempre quando avevo qualche impegno importante da svolgere. Per questo mi feci aiutare da loro quando dovetti riempire le casse con la terra di sepoltura da spedire in Inghilterra e sempre da loro feci scortare la mia bara quando tornai a casa. -
I tratti del vampiro si indurirono, in un'espressione di disappunto:
- Che errore grossolano commisi, nel non armarli di fucili e pistole! Ero certo di aver seminato Van Helsing e Mina e invece quella donna riuscì a trovarmi. Ho pagato caro il mio sbaglio di valutazione e ammetto di essermelo meritato. Errori così stupidamente madornali meritano di essere puniti nel peggiore dei modi! -
L'irritazione di Alucard si trasmise nel gioco, come Integra poté facilmente constatare. Per molti minuti il vampiro colpì le biglie a casaccio, sbagliando colpo su colpo, la mente evidentemente altrove. Integra lo lasciò sfogare e solo quando lo vide tornare a giocare con più attenzione, lo giudicò sufficientemente calmo da potergli rivolgere una nuova domanda:
- Quando lasciasti il clan tzigano tornasti a fare il brigante? -
- No, niente brigante, ne avevo abbastanza di tutte le sciagure accadute facendo quel lavoro, inoltre non aveva più senso proseguirlo. Mi ero dato al brigantaggio per aiutare la mia stirpe ma dopo la morte di Lilith, stabilii che in quel momento erano i miei nipoti ad avere maggiormente bisogno della mia protezione, gli altri discendenti se la cavassero da soli. Non fraintendere, non abbandonai la mia stirpe. Durante i nostri spostamenti, se capitava di passare nella zona in cui abitava qualcuno dei miei servi, lasciavo momentaneamente i netotsi per controllare se i miei discendenti fossero ancora vivi o se erano stati spazzati via da una pestilenza o da una guerra e se potevo aiutarli in qualche modo. Continuavo a vegliare sulla mia stirpe ma non più con la stessa assiduità di prima. Con alcune famiglie, il legame si annacquò talmente tanto che finì con lo sciogliersi e in fondo era inevitabile. Generazione dopo generazione, la stirpe si ramificava, si ampliava, in certi casi si trasferiva in altri Regni...non potevo tenere sotto la mia ala un numero così alto di persone disperse su un territorio tanto vasto, per questo lasciai che alcuni proseguissero il loro cammino senza di me. Con altri clan, invece, mantenni il patto di alleanza e continuarono a servirmi finché Dio Abraham non mi fece sparire dalla circolazione. Quando lasciai che si occupassero i miei nipoti di condurre la loro gente, decisi di cominciare a non-vivere come un vero vampiro. -
- Perché, fino ad allora cos'avevi fatto? -
- Fino ad allora ero stato un vampiro che si perdeva dietro alle beghe degli umani. Sai, master, disprezzo i vampiri principianti, quelli che non riescono ad accettare fino in fondo la loro nuova natura di succhiasangue e temono di camminare nel buio, o si ostinano a continuare a mangiare cibo umano. Proprio per questo m'imbarazza ripensare ai miei esordi. Anch'io fui un pivello che faticò a separarsi dalla sua ormai conclusa esistenza umana e il bello è che nemmeno me ne rendevo conto perché accettavo di buon grado tutte quelle rinunce che sembravano pesare agli altri novizi, come smettere di guardare il sole. La verità però è che nonostante camminassi nella notte senza paura e mi piacesse bere il sangue, con la testa e con il cuore continuavo ad essere legato ai miei sogni umani. Da questo punto di vista, penso di essere rimasto attaccato agli scampoli della mia precedente esistenza umana molto più a lungo di tanti pivellini di mezza tacca e non hai un'idea di quanto tutto ciò mi faccia vergognare! -
Alucard colpì una biglia. Osservò in silenzio la sfera sbattere più e più volte contro le sponde del tavolo e solo quando si fermò riprese la narrazione:
- Durante i quarant'anni che trascorsi nell'Impero Ottomano e nel corso del secolo successivo in cui mi diedi da fare come brigante, cominciai a crearmi una fama fra i vampiri ma non m'interessai di sfruttarla. In quel girovagare, spesso attraversavo i territori di altri nosferatu e non ti dico come s'incazzavano i legittimi proprietari quando m'incontravano. Erano convinti che m'intrufolassi in casa loro per sottrargliela. Non era quella la mia intenzione, avevo ben altri pensieri per la testa ma siccome ho sempre amato combattere e rischiare, non mi tiravo mai indietro dai duelli a cui mi sfidavano. -
- Come duellavate? Con la spada? Con le zanne? - chiese Integra, con occhi sgranati dalla curiosità.
Alucard sorrise divertito:
- Master, la spada me la portavo dietro per gli umani, non per i vampiri. Già una volta ti dissi che amo incutere paura nel prossimo e dato che non ho scritto sulla faccia "sono un vampiro", per vedere brillare il timore negli occhi dei mortali non mi restavano che due possibilità: o facevo larghi sorrisi a tutti i bipedi in cui m'imbattevo, così da mostrargli le zanne, o mi spacciavo per uno di quei cavalieri che tanto li atterrivano. Non so te ma a me è sempre parso molto più semplice viaggiare in groppa a un cavallo e con una spada al fianco che sorridere perennemente come lo scemo del villaggio. Inoltre, la maggior parte dei vampiri che affrontavo, in vita era stata gente comune e non aveva mai impugnato una lama in tutta la sua esistenza. -
- E quindi? Come combattevate? -
- Ognuno con i propri mezzi e secondo le proprie abilità. Niente regole, vinceva quello più attaccato alla pellaccia. Evocavamo i famigli demoniaci, ci prendevamo a pugni, ci azzannavamo...ricordo ancora il mio primo duello, nei pressi di Ankara. Io ero un non-morto di pochi mesi, ancora all'ABC del vampirismo. Non sapevo fare nient'altro che trasformarmi in pipistrello e da pochi giorni avevo imparato a dissolvermi in nebbia. Mi ritrovai ad affrontare un veterano con secoli di non-vita alle spalle. A quel maledetto bastò puntare le mani verso di me per tramutare ciascun dito in una belva con le fauci spalancate. Se sono qui a raccontarla, è perchè riuscii a schivare gli attacchi delle dieci bestiacce che mi scagliò contro. Non chiedermi come ci riuscii, non lo so nemmeno io. Presumo che la fifa mi avrà messo le ali ai piedi, riuscendo a farmi correre e saltare come un gheguro. -
- Che roba è un gheguro? -
- Un incrocio fra un ghepardo e un canguro, mi pare ovvio. Dicevo, se sono qui a raccontarla è perchè dopo aver schivato le fauci di quelle belve, riuscii ad avvicinarmi al mio avversario quel tanto che bastava per assestargli un calcio nelle palle. Lo so master, non è quel che si dice un comportamento sportivo ma dovevo pur salvare la pelle! Non mi ero impegnato tanto per diventare un vampiro solo per farmi inghiottire dal primo sbruffone che incontravo, quindi smettila di rimproverarmi con quella faccia scandalizzata, tanto più se consideri quanto fosse strategicamente azzeccata la mia mossa. Il dolore mandò in fumo la magia e potei azzannare quel maledetto. Mi servì molto inghiottirlo, insieme al suo sangue assimilai le sue abilità anche se poi metterle in pratica e ampliarle fu tutta farina del mio sacco. A quel duello ne seguirono molti altri e non persi mai, per questo il mio nome cominciò a diventare famoso fra gli altri vampiri, benchè non sapessi cosa farmene di questa celebrità. Ogni volta che uccidevo un avversario, diventavo il proprietario del suo territorio ma io ero preso dalle contese per il potere fra i Draculesti e i clan rivali, conducevo una non-vita nomade, non avevo tempo di occuparmi di quei regni, così li abbandonavo, lasciando che altri succhiasangue se ne impadronissero. -
Nuovamente, Alucard attese che la biglia colpita smettesse di sbattere contro le sponde del biliardo prima di riprendere a parlare:
- Poi al mio fianco cominciò a cavalcare Sekure e anche lei diventò famosa. Dopo essersi trasformata in una vampira a tutti gli effetti, le occorse ancora molto tempo per accettare fino in fondo la sua nuova natura e finchè non ci riuscì, sfogò con ferocia la sua rabbia sui nosferatu che ci sfidavano. Uccideva i rivali con brutalità, gli altri vampiri la temevano e quando capivano che attraverso il loro territorio passavamo noi, non solo non ci intralciavano la strada ma correvano a nascondersi, aspettando che ce ne andassimo per uscire allo scoperto. Poi Sekure morì e i nosferatu smisero di rintanarsi al mio passaggio perchè un vampiro da solo non incute lo stesso timore di due a meno che non sia immensamente forte, cosa che a quei tempi non ero ancora. Ero però un mostro di bravura in confronto al master di mia figlia Marya, per questo quell'idiota si appropriava dei territori altrui a nome mio. Ora, Integra, prova ad immaginare la scena: procedo tranquillo per i fattacci miei, con quella spina nel fianco di mio figlio Adrian alle calcagna... -
- Perchè "spina nel fianco"? -
- Perchè non aveva ereditato neanche un grammo del mio spirito guerriero! - sbraitò il vampiro, irato - Negli otto anni in cui me lo trascinai appresso nel mio lavoro di brigante, tutto il suo contributo alla mia attività consistè nello spogliare i cadaveri dei loro averi da caricare sui muli e lo disgustava persino quest'incombenza! Non ebbe mai il coraggio di uccidere una persona in tutta la sua vita, la violenza e il sangue lo ripugnavano e sognava un mondo di pace. Durante i nostri bivacchi nei boschi, quando era convinto che non lo vedessi perchè credeva che fossi immerso nel mio sonno diurno, mentre invece lo spiavo tenendo un occhio mezzo aperto, sai come trascorreva il suo tempo? Componendo poesie! No, dico, ti rendi conto della gravità della situazione?! Io, Dracula, avevo un figlio pacifista e non-violento che scriveva le poesie! Come potevo non considerarlo una preoccupazione, una spina nel fianco? -
Integra se ne convinse definitivamente: Adrian doveva essere la copia spiccicata di sua madre Nullità.
Internamente la ragazzina gongolò sadicamente di questa certezza, considerandola una riuscitissima vendetta di Nullità ma non lo diede a vedere al servo. La febbre le aveva prosciugato le forze, lasciandogliene poche, non sufficienti per sostenere un duello verbale con Alucard. Il vampiro proseguì:
- Dicevo, procedevo tranquillo per i fattacci miei con quella spina nel fianco di Adrian alle calcagna, quando un vampiro o una vampira o un intero branco di vampiri ci sbarrava il passo con aria imbufalita, perchè "il mio ambasciatore" gli aveva annunciato l'esproprio di un pezzo del loro regno a nome mio. Era inutile tentare di spiegargli che non avevo ambasciatori e che se proprio volevano prendersela con qualcuno, tornassero indietro a massacrare il mio sedicente portavoce, quei succhiasangue erano troppo nervosi per starmi a sentire. Peccato! Se mi avessero ascoltato, avrebbero scoperto che ero disposto a subissarli di regali se mi avessero fatto la cortesia di liberare la mia non-esistenza dalla fastidiosa presenza di mio genero. Smontavo da cavallo avvilito all'idea che anche per quella volta il marito di mia figlia l'avesse sfangata e mi sarebbe toccato continuare a sopportarlo per chissà quanto tempo. Consegnavo la mia spada ad Adrian perchè in quel momento non mi serviva a nulla e affrontavo quei vampiri. Alla fine del duello, mi toccava viaggiare a venti passi di distanza da mio figlio perchè mentre combattevo Adrian tirava fuori dalla sua bisaccia dell'aglio e se lo stropicciava sulla pelle in modo che, nell'eventualità che perdessi, i vampiri che mi avevano battuto non lo mangiassero. Un'estate particolarmente siccitosa, trascorsero ben dieci giorni prima che trovassimo un torrentello in cui Adrian potesse lavarsi di dosso quel puzzo d'aglio. Quando mi capitava di incrociare il mio cammino con quello di Marya e del suo master, non mancavo mai di ringraziare quel vigliacco tirandogli un pugno in faccia. Mia figlia non replicava: sapeva che il suo maestro agiva scorrettamente e quel cazzotto se lo meritava. Però non mi avrebbe mai perdonato se le avessi inghiottito il marito davanti agli occhi, per questo dovetti attendere l'occasione giusta per sbarazzarmi di quel deficiente. E ora, alla luce di queste nuove informazioni, hai ancora il coraggio di affermare che sbagliai ad uccidere quella mezza tacca di vampiro? -
- Sì, hai sbagliato. Per quanto idiota fosse, era pur sempre il marito di Marya e il padre di tua nipote. Sei stato ingiusto a lasciarle vedova e orfana. -
- Lo dici solo per farmi dispetto, lo so. Be', non importa, intestardisciti quanto ti pare, so di essere nel giusto! Adesso andiamo avanti nel racconto. Dicevo, anche se non avevo mai perso un duello, non potevo ancora considerarmi un vampiro immensamente forte, per questo gli altri nosferatu continuavano a sfidarmi senza timori quando mi sorprendevano ad attraversare i loro regni. O forse non avevano paura di me perchè non sfruttavo la mia fama. Insomma, non è che quando incontravo gli altri vampiri mi presentassi dicendo "Trema miserabile, ti trovi di fronte a Vlad Dracula, mai sconfitto in cinquantaquattro duelli"! Preferivo tacere e combattere anche perchè non volevo rischiare che l'avversario, udendo quante volte l'avevo sfangata, ci ripensasse e non volesse più lottare, fuggendo a gambe levate. Azzuffarmi è sempre stato uno dei miei passatempi preferiti, mi sarebbe seccato terribilmente veder mandare all'aria una rissa per defezione improvvisa del nemico. Quando però decisi di cominciare a non-vivere come un vero vampiro, capii che dovevo cambiare radicalmente stile. Innanzi tutto, dovevo ritagliarmi un territorio su cui regnare come unico Signore, badando che nessun altro nosferatu entrasse a succhiarmi le prede. Quando passai dalla fortezza di Poienari, decisi che da lì avrei cominciato a creare il mio nuovo regno. Il castello sarebbe stato la mia tana, le zone circostanti il primo nucleo del mio territorio e partendo da quella base, avrei dovuto essere abbastanza abile da ampliarlo sempre più. Quest'ultimo aspetto era vitale per la mia sopravvivenza. Ricordalo, master: un predatore deve sempre tenere in considerazione la quantità di prede che circolano nel suo territorio, se non vuole correre il rischio di morire di fame. E' vero, nel passato ho compiuto stragi di umani, assalendo e massacrando interi paesini, ma era un capriccio che potevo concedermi saltuariamente. Se avessi commesso troppe stragi, avrei estinto le mie prede e poi non mi sarebbe rimasto che seguirle nella stessa sorte, morendo di fame così, molto più frequentemente, mi comportavo come qualsiasi vampiro lungimirante, limitandomi a succhiare un umano per volta mentre dormiva. Anche così facendo, rimaneva un problema di fondo e cioè che intorno alla fortezza, non sorgevano molti borghi. Se avessi preteso di sfamarmi unicamente con i loro abitanti per tutta la durata dei mesi piovosi, i mesi in cui mi rinchiudevo nel castello, li avrei spopolati nel giro di qualche inverno. Dovevo centellinare i miei pasti. Calavo su quei paesi solo ogni tanto e cercavo per lo più prede anziane, lasciando in vita i giovani finchè potevo. Quei pranzi saltuari però non bastavano a sostentarmi, così presi l'abitudine di accumulare delle "scorte". Quando facevo ancora il brigante, sia nel periodo in cui Sekure era ancora su questa Terra, sia quando lavoravo da solo, sia quando Marya mi affiancò, c'era sempre il solito problema da affrontare. Quando passavo dai miei discendenti, normalmente rimanevo presso di loro solo un giorno o poche notti. In un periodo così breve, potevo anche evitare di mangiare ed era ciò che facevo. Ma se dovevo trattenermi presso di loro per più notti, la situazione cambiava. In quel caso, avevo bisogno di sangue, ma da dove lo potevo prendere? Non volevo bere i miei discendenti, e nemmeno era giusto che succhiassi i loro servi, se ne avevano. Sarebbe stato scortese, capisci? Come se un amico venisse a trovarti e ripagasse l'ospitalità rubando un oggetto di tua proprietà. Nemmeno volevo bere i loro vicini, concittadini o compaesani, sarebbe stato troppo rischioso. Se gli umani che li circondavano avessero sospettato che la mia stirpe dava asilo a un vampiro, l'avrebbe trucidata senza starci troppo a pensare. No, per la sicurezza dei miei discendenti era meglio che mi portassi dietro un umano catturato strada facendo ed era quel che facevo. Lo nascondevano legato e imbavagliato in qualche soffitta, e quando me ne andavo portavo via con me il suo cadavere, per buttarlo da qualche parte. -
Sir Hellsing stentava a credere alle proprie orecchie:
- Un momento! Vuoi farmi credere che i tuoi discendenti, degli umani, non provassero pena di fronte ai tuoi prigionieri e non li aiutassero a scappare? -
Il vampiro rise paternamente davanti a tanta ingenuità:
- Master, non tutti gli umani ragionano come Integra Hellsing. Non tutti gli umani antepongono i propri simili ai vampiri, anche perchè molti umani considerano persone solo i membri del popolo a cui appartengono. Stavo sempre attento a scegliere i miei "spuntini viventi" fra le razze opposte a quella dei discendenti da cui mi recavo. I sassoni e gli ungheresi detestavano i valacchi. I valacchi detestavano i sassoni e gli ungheresi. Tutti odiavano gli tzigani, gli ebrei e i turchi. Gli tzigani detestavano chiunque. Mi bastava catturare un individuo che suscitasse il disprezzo delle persone che mi avrebbero alloggiato e ti assicuro che nessuno dei miei discendenti tentò mai di aiutare i miei prigionieri. -
Integra abbassò la testa, rabbuiata in volto. Si sentiva come se fosse stata presa a schiaffi ma il ceffone in questo caso non glielo aveva dato Alucard ma la grettezza degli altri umani. Il Re-senza-vita proseguì:
- Decisi di utilizzare questo metodo anche quando diventai un vampiro sedentario. Anzi, semi-nomade è la definizione più calzante. Dopo aver trascorso i miei primi centocinquant'anni di non-esistenza vampira viaggiando continuamente, non potevo tollerare l'idea di rinchiudermi in un castello senza più spostarmi per tutto il tempo che fossi non-vissuto sulla Terra. Decisi così di restare nella fortezza solo durante i mesi piovosi, scansando l'acqua che per noi vampiri è sempre deleteria, e all'arrivo dell'estate mi sarei dedicato alla caccia nomade. Questo mi serviva anche per evitare di spopolare i borghi che sorgevano intorno al castello e per catturare quante più prede possibile da rinchiudere nelle segrete di Poienari per inghiottirle durante l'inverno. -
Integra si sentì rizzare i capelli in testa dall'orrore. Alucard dovette equivocare gli occhi sbarrati della master con un'espressione di stupore perchè in tono professionale proseguì:
- Il castello aveva un sacco di comodità. Ti ho già detto delle cisterne piene di acqua potabile. A quelle mi bastava aggiungere qualche scorta di cibo umano, coperte e legna da ardere e in quel modo potevo rinchiudere un bel po' di umani nelle segrete, riuscendo a tenerli in vita per tutto l'inverno. Li succhiavo un po' per volta ed evitavo di dissanguare i paesi intorno a Poienari. Che hai master? Ti fa male la testa? -
- No, no... - rispose flebilmente la ragazzina, tenendosi la fronte con le mani.
Immaginava il terrore, l'angosciosa attesa di quelle povere persone che languivano nelle segrete del castello, costrette ad attendere il loro turno di essere divorate.
Spesso le parole che uscivano dalla bocca di Alucard provocavano un terremoto nell'animo di Integra. In particolar modo, quando il servo andava a rivangare il proprio passato, saltavano fuori dei particolari che gettavano Sir Hellsing nel più nero sconforto. La volta precedente la giovane master aveva tentato di difendersi dalla sofferenza che le frasi del Re-senza-vita le causavano corazzandosi dietro un'armatura di diffidenza. Forse era stata talmente prevenuta nei confronti del servo da finire col fare la figura di una sciocca ragazzina infantile ma non aveva trovato nessun'arma migliore mentre era seduta schiena contro schiena nel boschetto degli olmi. Quella mattina, nel salone da biliardo, Integra era ancora talmente intontita dai postumi della febbre e degli antibiotici da non riuscire nemmeno ad indossare la sua corazza di diffidenza e ogni parola di Alucard la colpiva in pieno, come un pugno nello stomaco. 
Avrebbe voluto pregare il vampiro di terminare lì il suo racconto, bisognosa com'era di digerire quel che aveva appreso ma un senso di profonda vergogna le impedì di aprire bocca, quasi temesse di passare per una smidollata davanti agli occhi di un servo tanto spietato. Lasciò quindi il succhiasangue libero di continuare a narrare, pur estraniandosi parzialmente dalle sue parole:
- Avevo comunque un grosso problema da affrontare e cioè che il mio territorio era estremamente risicato. Bastava una carestia o una pestilenza per diminuire drasticamente il numero delle mie prede e ritornavo sempre alla questione principale: come nutrirmi senza estinguere gli umani? C'era un'unica soluzione possibile, ampliare il mio regno più che potevo in modo da spostarmi di volta in volta nelle zone più popolose, dando tempo a quelle piegate dalle carestie di rimpolparsi. Il guaio è che il mio regno era circondato da ogni lato dai territori di altri succhiasangue e ampliarlo avrebbe voluto dire entrare in competizione con loro. Non che mi dispiacesse guerreggiare ma da solo dovevo affrontare interi branchi di vampiri e a quei tempi, per quanta esperienza avessi accumulata, non ero potente quanto lo sono oggi. Adesso posso divertirmi ad utilizzare la forza bruta ma allora ad essere in possesso della forza bruta erano i miei vicini, non certo io. A me toccava giocare d'astuzia e utilizzare più il cervello dei muscoli. Non potendo affrontare contemporaneamente un intero branco di vampiri, m'ingegnavo su come riuscire a sorprendere un componente isolato ed eliminarlo. Non potevo fare altro che questo, erodere lentamente i miei avversari sbranando un membro per volta. Mi occorreva un'estate intera per distruggere un branco in quel modo e non era nemmeno detto che giungessi agli inizi dell'autunno riuscendo a completare l'opera. Il nostro diventava un macabro gioco a nascondino; i miei avversari mi cercavano per vendicare i loro compagni e sbranarmi, io dovevo al contempo far perdere le mie tracce e continuare a seguire le loro. Cavalcavamo in tondo come in una giostra, cercando di essere lesti a scappare e ancor più svelti ad acciuffarci. Spesso giunsi alle soglie dell'autunno senza essere riuscito a portare a termine la mia missione. Dovevo interrompere la battaglia, darmi da fare per cercare prede da trascinare vive al castello. Non potevo fuggire dai miei inseguitori con una fila di umani legati e imbavagliati appresso così cancellavo le mie tracce, catturavo quante più persone possibile alla chetichella e me ne tornavo alla fortezza cercando di non dare nell'occhio. Quante volte, arrivato all'estate successiva, scoprii che tutta la fatica compiuta l'anno precedente era stata vana! Durante l'inverno i miei avversari avevano compensato le perdite vampirizzando nuovi allievi e mi trovavo a dover ricominciare tutto daccapo. Ma anche quando riuscivo ad eliminare tutti i miei vicini, non per questo le fatiche erano terminate. Quel nuovo pezzo di regno che mi ero conquistato dovevo pattugliarlo e difenderlo con le zanne da tutti quei vampiri che entravano di straforo per cacciare i miei umani. Eh sì, furono davvero faticosi i miei esordi! -
Alucard riprese a giocare. Integra, di quel che le aveva raccontato il servo, aveva ascoltato sì e no la metà delle parole, tanto era rimasta turbata dal pensiero dei poveri disgraziati che avevano languito nelle segrete di Vlad Dracula. Adesso, tentando di riprendersi dal magone, cercava di riannodare i fili di quel poco che aveva afferrato:
- Dunque...se ho capito bene, trascorrevi l'inverno chiuso nel castello e l'estate a fare il nomade? -
- Sì ma non devi pensare che fossi necessariamente così fiscale. Ci furono anni di grandi piogge e straripamenti di fiumi in cui mi toccò restare rintanato nella fortezza tutto l'anno, per non rischiare inutilmente la salute. E ci furono anni siccitosi, in cui non trascorsi una sola notte chiuso nel castello. Fu durante un inverno in cui non cadde una sola goccia d'acqua, infatti, che incontrai la mia Prima Leonessa. -
Integra tese le orecchie. Le Leonesse, l'ultima famiglia di Dracula, le tre mogli che comparivano anche nel romanzo di Stoker e a cui ogni tanto Alucard stesso accennava, ammettendo che gli mancavano "più di quanto le parole non possano dire". Gliene avrebbe parlato, finalmente? 
Dopo quella frase, il vampiro ricominciò a giocare. Integra attese, fiduciosa che come era accaduto tante volte durante quella mattinata Alucard, dopo aver colpito una biglia, avrebbe ricominciato a raccontare. Invece il servo continuò a colpire una biglia dopo l'altra, lasciando trascorrere i minuti senza dimostrare la volontà di voler continuare la narrazione.
Integra stentava a credere in quel silenzio. Ma come?! Prima le metteva addosso la curiosità di sapere la storia e poi gliela negava? Che carogna! 
Forse il vampiro lesse nella mente della padrona, forse il respiro di Integra accellerò per la rabbia mettendo il servo sull'avviso, fatto sta che Alucard sollevò lo sguardo sulla ragazzina e con un sorriso beffardo chiese:
- Curiosa? -
- Da morire! - ammise la master.
Il nosferatu riprese a giocare silenziosamente e la delusione si dipinse sul faccino della dodicenne. Per quel giorno, evidentemente, la parlantina di Alucard si era esaurita. Integra se ne fece una ragione e si alzò per tornare a vedere la televisione quando Alucard, mirando con la stecca una biglia, disse:
- La mia Prima Leonessa nacque nel 1621 ed era figlia di banchieri. -
Integra si rimise a sedere. Alucard colpì la sfera e proseguì:
- Era nata e cresciuta in mezzo agli agi e al lusso e avrebbe continuato a spassarsela per il resto della vita se i suoi genitori non avessero avuto il pessimo tempismo di morire durante un'epidemia di vaiolo, prima di maritare la figlia. La Legge era chiara: così come Dio aveva stabilito che Eva dovesse sottostare ad Adamo, così ogni donna doveva sottomettersi alle decisioni degli uomini di famiglia, in virtù del loro superiore raziocinio. Non ti scaldare master, lo vedo che ti stai innervosendo. Sto solo riferendo le leggi del tempo quindi è inutile che te la prendi con me. Dopo la morte del padre, il capofamiglia divene il fratello della mia futura Prima Leonessa. Sarebbe toccato a lui trovare un marito per la sorella ma farla sposare avrebbe significato sborsare una dote e per far bella figura davanti alla società, sarebbe dovuta essere esosa, tanto più che non aveva altre sorelle da accasare, quindi non era giustificabile che tentasse di risparmiare. Quel bravo banchiere però non aveva nessuna intenzione di sperperare un patrimonio per sua sorella, che presumo gli facesse pure antipatia. Se la ragazza fosse rimasta zitella, sarebbe stato un bel risparmio, il problema è che la mia Leonessa aveva un carattere troppo passionale per accettare l'idea di restare vergine a vita. Sarebbe stata capacissima di sfornare un figlio bastardo e allora l'onore della famiglia, e con esso gli affari, avrebbe preso il volo. "Se gestisce la banca come gestisce la famiglia, gli fotteranno i soldi da sotto il naso così come gli hanno fottuto la sorella" sarebbe stato il commento della gente. Dato che tenere la ragazza in casa senza un marito era troppo rischioso, quel bravo fratello premuroso decise di seppellire la sorellina in convento. Ora, master, prova ad immaginare con quanto entusiasmo una giovane donna abituata a divertirsi, truccarsi, ingioiellarsi, vestirsi sontuosamente ed essere sempre al centro dell'attenzione in ogni banchetto grazie alla sua conversazione brillante e audace, potesse abbracciare la vita monastica. Come mi raccontò in seguito, per lei andare a messa era stata sempre e solo una valida scusa per contare il codazzo di ammiratori che la seguivano per la strada. Figurati quanto potesse fregargliene di trascorrere il resto della vita a pregare! Mi disse che la mattina in cui capì che l'avrebbero condotta al convento, lottò come una furia, decisa a vendere cara la sua libertà, e occorsero quattro uomini per infilarla nella carrozza, ognuno impegnato a trattenerla per un braccio o una gamba. Conoscendola, non penso abbia esagerato i fatti anzi, fossi stato al posto del fratello, avrei ordinato ad un quinto uomo di tenerle ferma anche la testa, a scanso che prendesse a morsi, capocciate o sputi i servi che le tenevano le braccia. - 
- Quindi fu costretta a diventare una suora? - 
- No ma solo perchè l'iter per prendere i voti era lungo e complicato. Santa Ipocrita Madre Chiesa pretendeva che le vocazioni fossero autentiche, pena la scomunica per coloro che obbligavano una persona ad entrare in convento. Certo, master, siamo sinceri: a dispetto di tutte queste regole e minacce, un sacco di gente è diventata prete, suora o frate per obbligo ma un temperamento come quello della mia Prima Leonessa, avrebbe reso la faccenda molto più complicata. Non avrebbe perso occasione per sbraitare che a lei non fregava nulla di farsi monaca e avrebbe preferito lavorare in una porcilaia pur di vivere fuori dal convento. Anche gli ecclesiastici più compiacenti ai desideri di suo fratello non sarebbero riusciti a portare avanti quella sceneggiata per molto tempo. A quei tempi però potevi finire a vario titolo in un convento, non necessariamente perchè diventavi una suora. Spesso le famiglie vi posteggiavano dentro le figlie finchè non raggiungevano l'età del matrimonio, o una sorella troppo vivace, con troppe tresche e troppi amanti, per farle capire che era meglio si desse una calmata. Ufficialmente, queste donne erano ospiti del convento, quindi avrebbero potuto andarsene quando gli pareva e piaceva ma la prudenza consigliava di rimanere fra le suore finchè i parenti che ti avevano generosamente scarrozzato fino al chiostro non venissero a riprenderti, sempre ammesso che fossero intenzionati a farlo. Uscire dal monastero senza il consenso della famiglia poteva essere pericoloso. In fondo, ti avevano offerto una seconda possibilità: restare ancora viva ma in convento invece di ucciderti subito e lavare l'onore, quindi meglio non sfidare la loro tolleranza. La mia Leonessa però aveva una testa più dura del marmo quindi le occorse del tempo per afferrare questo concetto. Per due volte litigò con la madre badessa, riuscendo a far valere il suo diritto di andarsene quando le pareva e uscendo a testa alta e in pompa magna dall'ingresso principale, rifugiandosi poi presso dei parenti in un caso e presso amici nell'altro. Ma secondo te, master, parenti e amici chi avranno preferito scontentare? Il fratello banchiere che teneva i cordoni della borsa o la sorella che finanziariamente parlando dipendeva da lui? Entrambe le volte le persone che avrebbero dovuto aiutare quella ragazza la tradirono, mandando dei messi al banchiere per avvertirlo che si trovava in casa loro e l'uomo inviò i suoi sgherri a prendere quella scalmanata per ricondurla in convento. Nel corso dell'ultimo viaggio, gli scagnozzi le dissero chiaro e tondo che il fratello non sarebbe passato sopra a una terza fuga. Se si fosse azzardata a rimettere il naso fuori dal convento senza l'autorizzazione del banchiere, sarebbe stata uccisa e il suo corpo abbandonato sulla pubblica via, così che tutti potessero constatare come quell'uomo non fosse disposto a lasciarsi prendere in giro da nessuno, parenti inclusi. Per la mia Leonessa fu la fine. Ufficialmente, restava ospite del convento ma la madre superiora aveva ricevuto dal banchiere precise istruzioni e una generosa donazione e si diede attivamente da fare per tenere imprigionata quella pestifera ragazza. - 
L'ultima frase del vampiro sembrò a Integra così assurda che la ragazzina non potè trattenersi dall'insorgere: 
- Non ha senso! Prima il banchiere rinchiude la sorella in convento per non sborsare una dote e poi offre una generosa donazione per convincere la badessa a trattenerla? A questo punto non gli conveniva farla sposare? - 
- Master, devi imparare a ragionare sui grandi numeri. La donazione, per quanto esosa, era una cifra comunque inferiore a una dote e per il banchiere rappresentava un risparmio notevole, pur restando un bel gruzzolo agli occhi della madre superiora. Per essere certa che non avesse la possibilità di andarsene, nonostante la mia futura Leonessa non avesse preso i voti, la badessa la obbligò a vestirsi come una novizia e ad osservare la regola monastica. A quella scalmanata toccò imparare ad obbedire e chissà quanto sarà stata dura per lei, viziata com'era e abituata da una vita a fare come le pareva! All'inizio sperò che il fratello, vedendola rigare dritto, le consentisse di tornare a casa ma gli anni passavano senza che quell'uomo si facesse vedere, così capì che era stata condannata ad uscire da quelle mura solo all'interno di una bara ma per lei fu come se fosse stata già seppellita mentre ancora respirava. Si trascinò in quell'esistenza per anni e quando non ne potè più, cominciò a prendere l'abitudine di alzarsi durante la notte per aprire la finestrella della sua cella, nella speranza di attirare un vampiro che si fosse trovato a passare da lì. E una notte, sotto quella finestra, passai io. - 
Il vampiro colpì con la stecca una biglia, mandandola in buca. 
- Trovare una finestra spalancata in una gelida notte invernale, era uno spettacolo bizzarro. Vedere una finestra aperta in un convento di suore, in qualsiasi periodo dell'anno, era uno spettacolo ancor più insolito. Unisci insieme questi due elementi e capirai perchè mi incuriosisse tanto, quella finestrella aperta all'ultimo piano di un monastero. Mi tramutai in nebbia per arrivare fin lassù e passare attraverso quello spazio angusto e quando fui dentro, mi ritrovai in una celletta, dove una monaca dormiva circondata da amuleti anti-vampiro. Quella donna quindi era consapevole del rischio che correva, dormendo con la finestra aperta. Di più: considerando che eravamo in pieno inverno, non poteva che averla aperta apposta per attirare un nosferatu, eppure si era circondata di amuleti per non farsi mangiare. Dovevo sapere perchè agiva così, ormai la curiosità mi divorava. Siccome non potevo avvicinarmi a lei a causa degli amuleti, la svegliai con una sassata. Quando mi vide, si comportò come se attendesse il mio arrivo da anni. Si mise a sedere sul letto e con calma mi raccontò quel che io ho detto a te. Concluse dicendo che essere rinchiusa fra quelle mura la faceva sentire come se l'avessero sepolta mentre ancora respirava e se quello era il suo destino, per lo meno voleva scegliere da sola la propria non-vita e preferiva diventare una vampira che restare una suora. Le risposi di pensarci bene perchè non volevo ritrovarmi fra i piedi una pentita che per i secoli avvenire mi avrebbe rotto lamentandosi di quanto avrebbe preferito rimanere umana. Dopo tutta la fatica che mi era costata convincere Sekure a diventare una vampira a tutti gli effetti, avevo giurato a me stesso che non avrei più vampirizzato un'allieva senza il suo consenso e senza che fosse più che certa della strada che voleva intraprendere. Per questo avevo tenuto le zanne fuori dal collo di Zofia. Dissi alla monaca che se sperava che potessi restituirle la bella vita che faceva prima di entrare in convento, era meglio che si togliesse quel sogno dalla testa. Non avevo da offrirle nè servi nè comodità nel mio castello. Rispose che non s'illudeva di tornare a riavere la sua vecchia esistenza, la considerava un bel sogno ormai svanito. Riguardo al pentirsi, mi disse che una simile eventualità non sarebbe mai accaduta. Era da otto anni che marciva in quel convento, di tempo per meditare sui pro e i contro della sua scelta ne aveva avuto a iosa. Mi toccò darle ragione. Le dissi di allontanare da sè gli amuleti che la circondavano, così l'avrei esaudita. E la vampirizzai. - 
Tutte le biglie erano state mandate in buca. Alucard le recuperò dalle retine, e mentre le disponeva nuovamente al centro del tavolo, riprese a parlare: 
- Tre notti dopo andai al cimitero dove l'avevano sepolta. Ormai il processo di vampirizzazione era concluso ed era diventata una draculina. Era la prima volta che tiravo fuori un'allieva dalla tomba. Sekure aveva dormito tutto il tempo nella caverna in cui l'avevo portata. Mi avvicinai al tumulo della suora e da sottoterra sentii un grattare leggero, uguale a quello che potrebbe fare un gattino di pochi giorni sulle pareti della scatola in cui è nato. -
C'era tenerezza nella voce di Alucard e Integra sgranò gli occhi, stupita.
Quante volte aveva sentito dire che i mostri non avevano sentimenti? Ora comprendeva che i mostri, in realtà, possiedono l'intero spettro delle emozioni umane ma diretti verso obbiettivi diametralmente opposti.
Udire provenire da sottoterra il rumore di qualcuno che raspa contro il coperchio della bara colma gli umani di terrore puro e un maestro-vampiro di dolcezza, nè più nè meno di una madre che sente scalciare nel ventre il figlio, perchè indica che lì sotto c'è la sua creatura, la sua allieva.
" Dovrò meditare a lungo su queste differenze " pensò Integra ma subito prestò attenzione al servo che aveva ricominciato a narrare:
- Era perfettamente in grado di uscire dalla tomba da sola, lo sapevo, però decisi di agevolarle il lavoro. Anche lei, come me, avrebbe dovuto portarsi dietro il sacco con la terra di sepoltura così cominciai a riempirlo scavando il tumulo. Alla fine, scavando io dall'alto e spingendo lei dal basso, riuscì a sollevare il coperchio della bara. Le tesi la mano, la prese e l'aiutai ad uscire dalla bara. -
Il vampiro ingessò la sommità della stecca: 
- Appena uscì dalla sua tomba, corse dalla madre badessa che l'aveva tenuta sotto sequestro per anni e la mangiò, passando in uno schiocco di dita dallo stadio di draculina a quello di vampira. Finito di succhiarla, decise di compiere una strage fra le consorelle, affermando che le facevano tutte antipatia. - 
Il tono del vampiro diventò ilare, come se alla sua mente fosse riaffiorato un ricordo divertentissimo: 
- La scena che seguì, master, avresti dovuto vederla! Raccontarla non rende quanto viverla. Prova ad immaginare: una vampira, ancora abbigliata da novizia, che semina il panico fra un branco di monache in camicia da notte, che corrono come pecore spaventate per i corridoi e il chiostro! - 
Sir Hellsing immaginò la scena e le mise i brividi addosso. La reazione di Alucard era invece diametralmente opposta. Scoppiò in un'allegra risata prima di proseguire:
- Era uno spettacolo talmente divertente che non mi lanciai nella caccia, per agguantare una monaca da succhiare. Camminavo qualche passo dietro alla mia allieva, ammirando la sua opera. Che tipa che era! Non ho più incontrato un succhiasangue capace di scalmanarsi tanto, la prima notte della sua venuta al mondo! Ma anche per un'energica come lei arrivò il momento in cui cominciò a barcollare dalla stanchezza. A quel punto si arrese a farsi trascinare via da me alla ricerca di un luogo in cui trascorrere il giorno. Si risvegliò due tramonti dopo e non me ne stupii: considerando quanto si era strapazzata, ne aveva da recuperare di forze! Non era riuscita a sterminare tutte le suore, molte erano rimaste vive ma decise che era superfluo tornare ad accanirsi contro di loro. Affermò che era giunto il momento di andare a far visita al suo amato fratello. Galoppò a rotta di collo verso la sua città natale, ci intrufolammo nella casa in cui era nata, agguantò il fratello e lo torturò una notte intera prima di divorarlo. Solo allora, dopo che la vendetta fu compiuta, si spogliò dell'abito da monaca per indossare una veste da donna, presa alla cognata. Aveva un buon sapore, la moglie di suo fratello. Me la succhiai di gusto, mentre attendevo che la mia allieva terminasse la sua vendetta. - 
Il racconto di Alucard aveva provocato nella mente della master un terremoto di dubbi. L'idea che il padre le aveva instillato e che la figlia aveva accettato senza metterla in dubbio, non perchè Integra accettasse passivamente le idee dei grandi ma perchè quella visione particolare si confaceva alla sua mentalità, era che gli umani che accettavano di farsi vampirizzare fossero persone spregevoli, degne del disprezzo più profondo. Traditori della loro specie che accettavano di trasformarsi in mostri per raggiungere futili mete come la giovinezza o la bellezza eterne.
Adesso però si rendeva conto che al mondo potevano anche esistere motivazioni più serie e pressanti per rinnegare la propria umanità. Benchè agli occhi di Integra la scelta della "suora" di diventare una non-morta non fosse scusabile, era comunque costretta ad ammettere con se stessa che quella decisione poteva comunque essere comprensibile. 
"Ecco qualcos'altro su cui mi toccherà meditare a lungo! " pensò la ragazzina. Rimandò comunque l'inizio della meditazione ad un'altra occasione. Per adesso, le premeva ascoltare il racconto di Alucard ed espresse tutto il suo stupore per ciò che aveva udito fino ad allora commentando: 
- Non sai quanto mi sembri strano, immaginare una suora-vampiro. -
- Non immagini quanto sembri strano a me aver preso prima come allieva e poi compagna una suora, considerando quanto detesto gli ecclesiastici. La mia Prima Leonessa comunque si vergognava di quella parte della sua esistenza umana e cercava di nasconderla, non parlandone mai. - 
Se ne vergognava talmente tanto che Vlad il vampiro presto cominciò a sfruttare quella debolezza a suo favore, per soddisfare la parte dispettosa del suo animo. Capitava che la Leonessa vedesse il compagno avvicinarsi con uno sguardo che prometteva passione sfrenata, facendola fremere di desiderio fin nel profondo. La vampira si lasciava cingere la vita con le braccia, vedeva le labbra di Dracula stendersi in un sorriso e attendeva il complimento che di lì a poco sarebbe arrivato.
E il complimento, invariabilmente arrivava ma non era "il mio tesoro" e nemmeno "la mia amata" benchè fosse pronunciato nello stesso tono ma:
- La mia suora! -
In un istante il volto della vampira passava dall'adorazione all'odio puro. Schiumando rabbia cominciava a tempestare selvaggiamente il petto del marito di pugni ma ci voleva altro per riuscire a fargli male. Ridendo soddisfatto davanti a tanta ira, Vlad afferrava le braccia della compagna torcendogliele dietro la schiena e resala inoffensiva, continuava a prenderla in giro fino a renderla furiosa:
- Ma sì, la mia bella suora, la mia amata suora... -
Di questo però Alucard non fece parola con Integra. Forse, in un'altra occasione, avrebbe raccontato quell'aneddoto alla master ma per adesso non gli andava di rivangarlo, così ascoltò la voce della ragazzina chiedergli:
- Ma riuscì ad abituarsi alla sua nuova condizione? Insomma, aveva tanto detestato la vita monastica perchè non poteva divertirsi e agghindarsi come aveva sempre fatto...mi pare strano che si sia adattata ad una non-esistenza dove continuava a mancarle ciò che aveva sempre amato. - 
- Non sottovalutarla, master. E' vero, era viziata e capricciosa ma era soprattutto una femmina tutto istinto e passione. Conoscendola, sono certo che se anche non le fosse mai passato per la testa di diventare una vampira, decidendo di rimanere umana, sarebbe comunque giunta la notte in cui avrebbe afferrato un coltello e ucciso la badessa e le altre consorelle. Se poi provo ad immaginare la vita che avrebbe potuto fare se il fratello non l'avesse rinchiusa in convento, indipendentemente che si fosse sposata o meno, immagino uno scenario ancor più torbido. Un temperamento come il suo avrebbe sguazzato beato fra intrighi politici e lotte di potere. Sarebbe stata capacissima di far uccidere, o ammazzare con le sue stesse mani, chiunque si fosse messo sulla sua strada. Per questo la non-vita che le offrii le andò subito a genio: soddisfaceva la parte sanguinaria e violenta del suo carattere. Sì, era veramente sprecata come suora. In tutti i sensi. - 
Integra si sentì rinfrancata da quella spiegazione. Dopotutto, non era sbagliata la sua idea che gli umani che decidevano di trasformarsi in vampiro fossero persone degne di disprezzo. La Prima Leonessa di Alucard, ai suoi occhi, aveva davvero un temperamento spregevole. Il vampiro proseguì: - Comunque, dalla sua nuova non-esistenza, riuscì a trarre anche motivi di soddisfazione più consoni ai suoi reali interessi. Quando ci intrufolavamo nelle abitazioni di gente ricca lei, invece di mangiare, correva a spalancare la cassapanca della padrona di casa e si metteva a frugare fra i suoi vestiti. Io succhiavo i proprietari addormentati e alle mie spalle sentivo mia moglie blaterare "Quindi adesso si usano le maniche strette? E guarda quanti merletti applicano sulle gonne! Certo che la moda è proprio cambiata!". Uscivamo dall'abitazione io con lo stomaco pieno e lei con le braccia cariche dei vestiti e dei gioielli della donna che avevo inghiottito. Dopo di che si divertiva a trascorrere l'inverno nel castello passando tutta la notte a truccarsi, ingioiellarsi, cambiarsi di abito e a pettinarsi i capelli in acconciature assurde. - 
Alucard non accennò all'alta frequenza di volte in cui, dopo aver atteso pazientemente per ore, analogamente a un coccodrillo che spia la preda dal pelo dell'acqua, che la compagna fosse vestita e agghindata di tutto punto, aveva commentato il suo aspetto esclamando:
- Sei splendida ma nuda sei ancora più bella! -
Dopo di che in due minuti buttava all'aria ciò che alla vampira era costato ore e ore di impegno e dedizione perchè per spogliarla finiva per scombinarle anche i capelli e il belletto, provocando nella donna delle furiose esplosioni di rabbia che in più di un'occasione aveva sfogato tentando di pestare selvaggiamente il compagno. Tentativi inutili dato che Dracula era più forte di lei e riusciva a bloccarla con facilità, sghignazzando divertito dalla situazione, cosa che faceva aumentare ulteriormente l'ira della sposa. 
No, ad Alucard non parve il caso di raccontare proprio tutto-tutto-tutto alla master, così sorvolò su quel dispetto con cui così spesso si era divertito per proseguire a raccontare:
- A dispetto delle apparenze, aveva un'indole guerriera come scoprirono a loro spese i vampiri dei territori confinanti col nostro. Adesso che eravamo in due, non dovevo più escogitare piani per far cadere in trappola ed eliminare quanti più componenti possibile dei branchi numerosi. Potevamo agire allo scoperto, utilizzando la forza bruta e fu quel che facemmo. Ammetto che per incoscienza spesso ci cacciammo nei guai. Più di una volta finimmo accerchiati da forze preponderanti, col rischio di venire divorati ma sempre ne uscimmo vittoriosi, mettendoci schiena contro schiena e affrontandoli in quel modo. Col tempo e con l'impegno riuscimmo a sterminare i nostri vicini e ad impossessarci dei loro territori. Il nostro regno cominciava ad essere vasto e gli altri vampiri cominciarono a prenderci sul serio. I racconti sulla nostra spietatezza passavano di bocca in bocca, riempiendoli di inquietudine. Quando nel nostro regno il numero di prede calava, a causa di guerre, pestilenze o carestie, per evitare di salassarlo ulteriormente e permettere alla popolazione di rimpinguarsi, andavamo a caccia nei territori altrui. Quando avevo agito così da solo, avevo dovuto farlo alla chetichella. Adesso invece ci muovevamo con spavalderia, disinteressandoci di cancellare le tracce del nostro passaggio. Che i legittimi proprietari si accorgessero pure che degli estranei erano entrati in casa loro! Sapevamo che, se si fossero sentiti più deboli di noi, si sarebbero nascosti, lasciandoci passare senza intralciarci. Se si fossero considerati più forti, sarebbero usciti allo scoperto per sfidarci e a noi non pareva vero di poter lottare. Fu in una di queste occasioni, mentre attraversavamo il territorio di una succhiasangue che preferì rintanarsi chissà dove lasciandoci liberi di fare quel che volevamo, che una notte ci imbattemmo in una cittadina. Decidemmo di cacciare separatamente. La mia Leonessa imboccò la strada di destra e io quella di sinistra. Camminando, passai davanti a una stalla, costruita a ridosso della casa padronale. L'anta superiore della porta della stalla era socchiusa. Pensai che valesse la pena di entrare là dentro, magari con un po' di fortuna l'incosciente che aveva lasciato mezzo aperto l'ingresso della stalla, aveva lasciata schiusa anche la porta che la collegava all'abitazione e avrei potuto mangiare un abitante della casa. Così filtrai attraverso quel piccolo spazio e quando fui dentro, trovai a dormire sulla paglia un'asina e una donna. Che si trattasse di una schiava, era chiaro: cos'altro poteva mai essere una tipa vestita di stracci che teneva compagnia all'asina di casa? Ciò che mi sorprese però fu che quella ragazza dormiva circondata da amuleti anti-vampiro. Era la stessa scena che mi si era presentata davanti quando avevo incontrato la Prima Leonessa. Mi chiesi se non fosse stata quella donna a socchiudere l'anta della stalla e se non avesse qualcosa da dirmi, così svegliai anche lei con una sassata. E anche lei, come la Prima Leonessa, quando mi vide si comportò come se attendesse il mio arrivo da tempo. Si mise a sedere sulla paglia e mi raccontò la sua storia. Era una schiava, figlia di una schiava, appartenente ad una stirpe di schiave, formatasi quando una guerra si abbattè sulla Crimea e sua nonna venne catturata insieme a tanta altra gente. Siccome era una povera spiantata, senza parenti ricchi che potessero pagare il suo riscatto, divenne bottino di guerra, proprietà di chi l'aveva catturata. La tizia che mi parlava aveva fatto la solita vita della gente nella sua stessa condizione: era rimasta presto orfana e aveva condiviso con l'asina di casa molto lavoro, poco cibo, tante bastonate e un pagliericcio nella stalla. La padrona a cui apparteneva era vecchia. La schiava aveva sperato che sentendo il fiato della morte sul collo, la padrona l'avrebbe liberata. Erano in molti a fare azioni simili, sperando così di ripulirsi l'anima e di meritare il paradiso. La padrona però non aveva alcuna intenzione di concederle un simile regalo. Una volta che la vecchia fosse morta, la schiava sarebbe stata ereditata dal nipote della megera e questo avrebbe significato che sarebbe stata violentata dal nuovo padrone, dai suoi figli, da tutti i servi della casa e dagli ospiti di passaggio e lei si sarebbe consumata partorendo una nuova generazione di schiavi. Non voleva fare quella fine e dato che scappare non le sarebbe servito a niente, aveva deciso che la sua unica salvezza consistesse nel diventare una vampira. -
- Perchè dici che scappare non le sarebbe servito? -
- Perchè è solo nei film che guardate voi umani moderni che scappare sembra una cosa facile da attuare e capace di risolvere ogni guaio. Innanzi tutto, fuggire era tutt'altro che facile. Credi sia un gioco da ragazzi far perdere le proprie tracce? Era molto, molto probabile che ti avrebbero ritrovata, riportata dalla padrona e a quel punto, la Legge era dalla sua parte. La vecchia sarebbe stata in diritto di mutilarti, ad esempio tagliandoti le orecchie o mozzandoti il naso. Con il viso deturpato non avresti potuto ritentare la fuga perchè saresti stata subito riconosciuta come schiava fuggiasca e ricondotta dalla proprietaria. Ma anche se nessuno fosse stato in grado di riprenderti, cosa credi che ti sarebbe accaduto? Se non ti fossi persa nei boschi finendo per morire di fame, il che era un evento molto probabile, se fossi riuscita a raggiungere una grande città in cui far perdere le tue tracce, cosa avresti potuto fare? Al giorno d'oggi avete pensioni, servizi sociali, pubblica assistenza ma una volta esisteva solo la famiglia, nel senso più ampio del termine. Era normale aiutare anche parenti alla lontana e mai visti prima, certi che il favore sarebbe stato ricambiato in caso di bisogno. Non avere una famiglia su cui contare faceva di una persona l'essere più vulnerabile del mondo. Quella schiava non aveva nessuno. Una volta giunta in una grande città, senza uno straccio di persona conosciuta che la ospitasse e l'aiutasse a trovare un lavoro, costretta a dormire e vivere per strada, quale altro destino le sarebbe stato riservato se non quello di diventare una prostituta? Avrebbe condotto un'esistenza breve e disgraziata tanto quanto quella che le sarebbe toccata restando schiava. Visto che rimanendo umana la sua sorte era segnata, tanto valeva tentare la fortuna come vampira. -
Un senso di disagio s'impadronì di Integra. Se poteva riuscire a far rientrare la Prima Leonessa nel suo personale stereotipo di persona spregevole, che solo in quanto tale può pensare di tradire la specie a cui appartiene, non era assolutamente in grado di fare altrettanto con la Seconda Leonessa. Da qualsiasi parte rigirasse la storia di quella donna, agli occhi di Sir Hellsing i veri mostri da temere e disprezzare erano gli umani da cui la schiava tentava di difendersi trasformandosi in vampira.
Oh, ma perchè gli umani sono capaci di commettere crudeltà degne di un mostro? Perchè non sono sempre e comunque migliori di un maledetto ghoul? Quanto sarebbe stata più semplice la sua missione, se non si fosse trovata a dover affrontare simili bivi: difendere umani mostruosi da vampiri capaci di suscitarle compassione ed empatia, come quella schiava, perchè questo era il suo dovere!
Sir Hellsing sentì acutissima la mancanza di suo padre. Se solo lui fosse stato vivo, avrebbe potuto parlargli, dare voce a quel marasma di contradizioni, incoerenze e perplessità che la narrazione di Alucard le aveva suscitato. Con tutta l'esperienza che aveva, certamente suo padre avrebbe saputo consigliarla, schiarire i suoi dubbi. Invece era da sola e da sola le sarebbe toccato trovare un senso, una spiegazione e una direzione alla causa che avrebbe condotto per l'intera esistenza.
Integra sentì le sue spallucce curvarsi stancamente sotto il peso di una simile ricerca, mentre le orecchie continuavano a registrare le parole di Alucard:
- Alla Prima Leonessa avevo chiesto se era sicura della strada che stava scegliendo di intraprendere. A quella giovane non posi la domanda. Era superflua. Era ovvio che nella sua condizione non le restava altra via di scampo. Le dissi di allontanare da sè gli amuleti che la circondavano e la vampirizzai. -
Alucard riprese a giocare in silenzio e Integra lo lasciò fare. La ragazzina sentiva il bisogno di acquietare il proprio animo prima di proseguire l'ascolto del racconto. Lentamente, i molti interrogativi di Sir Hellsing si sedimentarono sul fondo della sua mente, per essere analizzati in un secondo momento e la sua attenzione tornò a concentrarsi sulle ultime parole del servo.
Sir Hellsing ripensò a una scena, letta nel "Dracula" di Stoker. Le tre mogli di Dracula avevano sorpreso Jonathan Harker fuori dalla stanza in cui il vampiro l'aveva blindato, giudicandola un'ottima scusa per approfittare dell'ospite. Bisbigliando e ridacchiando fra di loro, avevano stabilito chi delle tre dovesse avere il piacere di assaggiare l'umano. 
L'amicizia regnava fra le tre non-morte, Integra l'aveva percepita e accettata come un evento naturale, senza stupirsene. Adesso però non poteva fare a meno di pensare che, se una sua ipotetica compagna di classe avesse udito l'ultima parte del racconto di Alucard, sarebbe saltata su indignata e scandalizzata, sbraitando che ciò che aveva fatto il vampiro (portare in famiglia una nuova draculina) era un affronto bello e buono alla sua prima moglie e certamente avrebbe concluso il discorso commentando:
- Se ci fossi stata io, al posto della moglie, non gliel'avrei fatta passare liscia! -
Sì, come no! Voleva proprio vederle, Integra, le sue compagne alle prese con un Vlad Dracula! Rimaneva comunque un fatto su cui Integra, scarsamente interessata alle questioni amorose, non aveva fino ad allora riflettuto ma che adesso le martellava nella testa, chiedendo una spiegazione:
- Fammi capire una cosa, Alucard...all'alba tornasti dalla Prima Leonessa e le dicesti che il branco sarebbe cresciuto di un'unità, perchè di lì a tre giorni avrebbe fatto il suo ingresso un'allieva? -
- Sì, all'incirca dissi così. - rispose svagato il vampiro, studiando il velluto verde nel tentativo di capire quale biglia era meglio colpire.
- E lei non s'arrabbiò? Non s'ingelosì? -
Alucard sollevò sulla master due occhi pieni di stupore:
- Perchè mai si sarebbe dovuta arrabbiare? Perchè una compagna di sventura entrava a far parte del branco? Conoscevano entrambe la disperazione che ti spinge ad alzarti la notte per socchiudere una finestra, nella speranza che un vampiro passi da lì a salvarti. E per sperare nel tipo di salvezza che può offrirti un vampiro, bisogna aver davvero raggiunto il fondo del barile! Bisognerebbe essere ben meschini per rifiutare aiuto a chi è disperato quanto te e le mie Leonesse non erano persone meschine. -
Integra arrossì d'imbarazzo, vergognandosi di non aver compreso da sola una verità tanto semplice. Alucard proseguì:
- Andammo insieme al cimitero a tirare fuori il nuovo membro del branco dalla sua bara. Quando la mia Seconda Leonessa uscì dalla tomba, corse a succhiare la sua vecchia padrona così anche lei passò in uno schiocco di dita dalla condizione di draculina a quella di vampira. Poi andò a casa del nipote della vecchia e inghiottì tutti i maschi adulti che trovò. -
- Insomma, si vendicò allo stesso modo della tua prima moglie. -
- "Allo stesso modo" non direi proprio. La Prima Leonessa era tutta istinto e passione. Per lei, terrorizzare la vittima era parte integrante della vendetta. Aveva destato la madre badessa prima di azzannarla. Erano state le urla impaurite di quella donna che chiamava aiuto a svegliare le altre suore che quando si ritrovarono davanti due vampiri, cominciarono a scappare qua e là per il convento schiamazzando. La mia Prima Leonessa si divertì un mondo ad inseguirle. Così come si diverì a torturare il fratello sotto gli occhi atterriti della moglie, prima che la succhiassi. La mia Seconda Leonessa aveva tutt'altra tempra, era fredda e razionale. Non le interessava torturare le prede, le bastava ucciderle. Non svegliò nè la padrona nè gli uomini, lasciò che scivolassero dal sonno alla morte giù per la sua gola. Se la vendetta della Prima Leonessa era stata piena di confusione, schizzi di sangue e umani che supplicavano pietà, quella della Seconda Leonessa fu invece silenziosa, pulita e asettica. Si riteneva soddisfatta così. - 
Per la prima volta da quando aveva risvegliato il servo, Integra inviò mentalmente un fervido ringraziamento ad Abraham Van Helsing che le aveva scampato il rischio di imbattersi in simili predatori addomesticando Dracula. Alucard proseguì:
- Anche nei passatempi mostrava la sua personalità razionale. Quando entravamo nelle ville delle persone ricche, come ti ho già detto, io succhiavo i padroni di casa e la Prima Leonessa correva a spalancare la cassapanca della nobildonna per frugarvi dentro. La Seconda Leonessa, invece, passeggiava per le stanze alla ricerca di orologi. Sì, proprio così, orologi. Era affascinata dalla meccanica di precisione. Andavamo via dalla villa io con lo stomaco pieno, la Prima Leonessa con le braccia cariche di vestiti e la Seconda Leonessa con un orologio da tavolo sottobraccio. Dopo di che trascorreva le notti d'inverno al castello a smontare e rimontare l'orologio per capire come funzionava, e poi provava a riassemblarlo in un modo innovativo. Avevamo un sacco di orologi, alla fortezza di Poienari. Erano il passatempo della mia Leonessa. -
Il vampiro riprese a giocare. Integra meditò su ciò che aveva ascoltato fino ad allora e infine chiese:
- Sei sicuro di non avermi mentito? -
- Mentito? E su cosa? - domandò Alucard, perplesso. 
- Hai detto che dopo Sekure, non hai più commesso l'errore di vampirizzare una donna contro il suo volere. -
- E' così, infatti. -
- E Lucy Westenra? Non mi risulta che lei fosse consenziente. -
- Chi? - chiese Alucard, stupito, come se quel nome gli giungesse completamente nuovo.
Fu la volta di Integra di stupirsi. Possibile che il vampiro avesse dimenticato una delle sue spose?
- Lucy, la prima persona che vampirizzasti appena sbarcato in Gran Bretagna, l'amica di Mina. Soffriva di sonnambulismo, una notte uscì di casa, la incontrasti su di una panchina e ne approfittasti per azzannarla. - spiegò la ragazzina. 
- Ah! - esclamò il nosferatu, ghignando divertito - Ora ricordo! Lucy la finta sonnambula, Lucy la baldracca! -
Sir Hellsing sbattè le palpebre, sempre più allibita. Alucard aveva un'infinità di difetti ma non lo aveva mai sentito parlare sprezzantemente di una compagna. E' vero, aveva infangato senza rimorso la memoria della povera Nullità ma come Sir Hellsing si era resa conto dopo aver riflettuto per settimane su quanto le aveva raccontato il servo nel boschetto degli olmi, Vlad il Vampiro non aveva mai considerato quella donna come una moglie. Era qualcosa che gli era stato regalato dagli Stanciu e che lui aveva accettato per raggiungere uno scopo, cioè trovare qualcuno che si occupasse della piccola Marya al posto suo ma non l'aveva percepita realmente come una compagna. Compagne erano Sekure, Zofia, le Leonesse, non Nullità. 
Adesso sembrava che neanche Lucy Westenra rientrasse nel novero delle spose e la scoperta lasciava allibita Integra. Possibile che Alucard mettesse sullo stesso piano una donna che aveva vampirizzato con Nullità?
In quel momento però Sir Hellsing dovette accantonare le domande che le frullavano per la testa perchè il servo stava ancora rispondendo al suo primo quesito: 
- Sì, anche Lucy Wequalcosa si lasciò vampirizzare di propria volontà. Ho giocato un po' sporco con lei, lo ammetto, ma considerando che quella donna prendeva tutti per i fondelli, l'ho solo ripagata con la sua stessa carta. Quella era sonnambula quanto lo potremmo essere io o tu. Il sonnambulismo era solo un'ottima scusa per uscire di casa in piena notte senza che uno gliene chiedesse conto il mattino seguente, per andare in cerca di guai in cui cacciarsi. Fondamentalmente, la ragazza era un'amante delle emozioni forti, la piatta vita da benestante che conduceva l'annoiava da morire. Assicuro che quando la incontrai seduta su quella panchina, era sveglia e vigile e fu lei ad attaccare bottone con me. Sono stato il primo vampiro a mettere piede su quest'isola, i tuoi connazionali non sapevano cosa fosse un nosferatu, ai loro occhi sembravo soltanto un semplice umano, dai denti strani ma pur sempre umano. Lucy pensò che fossi un tizio qualsiasi che tentasse di rimorchiarla. Accettai di giocare su quell'equivoco e recitai la mia parte. Quando le chiesi se era disposta a seguirmi, era ovvio che lei intendesse tutt'altra cosa ma decisi di prendere per buono il suo “sì” così la morsi. In quel momento arrivò quella rompiscatole di Mina in cerca dell'amica e dovetti interrompermi ma a mente fredda, ammisi che mi aveva fatto un piacere. Era rischioso ritrovarsi con un'allieva che aveva equivocato le tue parole. Avevo morso Lucy per un tempo troppo breve per trasformarla in una draculina ma sufficiente lungo per trasmetterle l'idea di cosa sarebbe diventata, accettando la mia proposta. Non conta cosa andasse dicendo a voce alta agli altri e a sé stessa, quando blaterava che ero un incubo che non voleva più sognare. Conta il modo con cui agì. Quando comparii dietro alla sua finestra, era ancora in grado di scegliere se rifiutare di aprirmi o meno. Fosse rimasta rintanata in camera sua, sarebbe restata umana e io avrei proseguito il mio cammino verso Londra. Invece aprì l'anta e mi offrì il suo collo. Accettò di sua spontanea volontà di seguirmi nell'oscurità. - 
-Allora perchè la ricordi con disprezzo? Non ti ho mai sentito usare questo tono per nessuna delle tue mogli. -
- Moglie?! - ripetè il vampiro, costernato - Ho mai detto che Lucy Wequalcosa era mia moglie? -
- Ma...l'avevi vampirizzata! -
- E allora? Te l'ho già spiegato tempo fa: essere morsa da un vampiro non ti rende automaticamente la sua sposa. Una volta diventata una Regina-della-notte, puoi andartene per la tua strada o scegliere di rimanere nel branco del maestro ma ne diventi la compagna solo se lo vuoi. La finta sonnambula non avrebbe accettato di diventare la mia donna. Una tipa come quella non sarebbe mai stata la donna di nessuno. Diventata una non-morta a tutti gli effetti, avrebbe vampirizzato un harem di giovanotti con cui seminare morte e distruzione per tutto il Regno Unito ma non avrebbe continuato a camminare alle mie spalle. Proprio per questo scelsi di morderla. Tre mogli sono un bell'impegno, le Leonesse mi bastavano, non avevo nessuna intenzione di allargare la famiglia. Però erano trascorsi centonovant'anni da quando avevo vampirizzato la mia ultima compagna, mi mancava essere il maestro di un'allieva, insegnare a una draculina a camminare nell'oscurità. Quando incontrai quella bagascia di Lucy sulla panchina e cominciai a parlarle, capii che era ciò che faceva al caso mio. Sarei potuto tornare ad essere un Maestro senza correre il rischio che l'allieva mi rimanesse sul groppone come quarta sposa. E fu ciò che accadde. -
- Non mi pare che il ruolo di Maestro ti abbia dato grandi soddisfazioni, considerando che ti sei quasi scordato della tua allieva. -
- E' così, purtroppo. - sospirò Alucard con amarezza - Lucy restò la mia draculina per un tempo troppo breve! Master Abraham e quelle nullità dei suoi amici la uccisero quasi subito. -
Il vampiro riprese a giocare. Integra attese un po', infine chiese:
- Perchè offendi Lucy? -
- Offendere? Io non sto offendendo nessuno. -
- Dare della baldracca a una donna non ti risulta essere un'offesa? -
- No se la donna in questione è realmente una bagascia e ti assicuro che Lucy lo era. Mi sembra di ricordare che hai letto il libro di Stoker. Davvero non ti sei accorta della profonda vocazione in merito posseduta da miss Wequalcosa? -
- No davvero! - rispose Sir Hellsing, vagamente irritata dal tono insolente di Alucard - Anzi, mi sembra una ragazza timida. Il giorno in cui si presentarono a casa sua tutti e tre i suoi pretendenti, era scombussolata dall'emozione. -
Sul viso di Alucard comparve un ghigno che si trasformò in una risatina sommessa che si tramutò a sua volta in una sghignazzata clamorosa:
- Master, sei sveglia per tante cose ma per tutto ciò che riguarda "sesso, amore & dintorni" sei veramente negata! Insomma, tutto ciò che era capitato a Lucy era frutto di semplici coincidenze, secondo te. Per puro caso ben tre giovanotti si innamorano di una pudica ragazza che mai aveva dato loro spago. Ed è sempre una coincidenza che la dolce donzella si accorga di amare maggiormente il più ricco dei tre, tanto da accettare di sposarlo, vero? Mia sprovveduta e ingenua Integra, non ti passa per la testa che Lucy Wequalcosa recitasse la parte della giovincella timida mentre in realtà aveva un obbiettivo ben chiaro in mente, cioè accapparrarsi un marito ricco e tenersi per scorta un altro paio di gonzi su cui ripiegare casomai le nozze andassero a monte? Può capitare che un uomo a cui non hai mai dato corda si invaghisca di te ma quando a chiederti in moglie sono tre maschi contemporaneamente...be' allora o sei una yellata incredibile, che attiri come il miele uomini di cui non ti interessa un fico secco, o sai recitare molto bene la parte della casta pulzella, mentre in realtà sei una pescatrice provetta che sa come far abboccare il pesce all'amo. - 
La master guardò dubbiosa il servo. Accettava senza problemi l'idea di essersi sbagliata sul conto di Lucy perchè ammetteva che Alucard avesse ragione quando diceva che nelle questioni amorose lei non capiva un accidente ma la signorina Westenra veniva descritta come una dolce fanciulla in tutto il romanzo e possibile che fosse riuscita a trarre in inganno anche Stoker, Van Helsing, Mina e chiunque la circondasse? Il nosferatu dovette leggere nella mente di Integra quella domanda perchè rispose:
- A Stoker sembrava ingiusto infangare la memoria di una ragazza morta giovane, così cercò di indorare la pillola descrivendola come una soave creatura ma la realtà dei fatti, cioè che avesse tre imbecilli che le correvano dietro, non la poteva mascherare. -
- Insomma, Lucy era una bugiarda e le persone che la circondavano degli stupidi che non se ne accorgevano. - concluse Integra 
- Esatto ed è anche per questo che non mi sarebbe mai passato per la testa di prendere Lucy Wequalcosa come moglie. Detesto circondarmi di gente ipocrita quindi come potevo desiderare come compagna una doppiogiochista che non ammetteva apertamente la sua vera natura? La Prima Leonessa avrebbe potuto insegnare molto a Lucy. Anche a lei interessavano parecchio gli uomini e per questo era stata rinchiusa in convento ma a differenza della signorina Westenra, non nascondeva le sue voglie. La prima volta che la incontrai, nella sua cella, mi fu chiaro sin dal principio a quali rischi mi esponevo se avessi tenuto una tipa come quella come sposa. Tutto, in lei (il suo modo di parlare, di guardarmi, di sedersi) faceva capire che averla come moglie avrebbe voluto dire sorvegliarla assiduamente se non volevi ritrovarti con un palco di corna in testa da far invidia ad un alce. Decisi di accogliere quella sfida e a dispetto di tutte le tribolazioni che mi fece passare quella compagna, non mi pentii mai di averla con me, proprio perchè non era un'ipocrita che tentava di spacciarsi per qualcos'altro ma affrontava il mondo a viso aperto. -
Che il Conte Dracula potesse tribolare come un qualsiasi mortale, a Integra non era mai passato per la mente ed espresse tutta la sua sorpresa davanti a quella scoperta ripetendo stupefatta:
- Tribolare? Tu? Davvero ne sei capace? -
- Certo che ne sono capace, soprattutto quando trovo qualcuno in grado di preoccuparmi con le sue mosse e nessuno batteva la Prima Leonessa nella capacità di angustiarmi! Il secolo in cui mi diede maggiormente da tribolare fu il XVIII perchè nelle cassapanche delle riccone che succhiavamo cominciarono a comparire dei vestiti che fino ad allora avevo visto solo nei bordelli. Per prime comparvero delle scollature talmente ampie da rasentare i capezzoli. Poi sembrò che i sarti si fossero improvvisamente stufati di cucire le maniche e alle scollature si unirono le braccia nude. Infine spuntarono delle gonne talmente leggere che riuscivi a vedere le gambe attraverso la stoffa. La Prima Leonessa andava via dalle ville portandosi dietro bracciate di quei vestiti. Finchè li indossava dentro al castello, dove solo io potevo vederla, non avevo niente da obbiettare ma quella civetta pretendeva di uscire conciata a quel modo anche quando andavamo a caccia e in quei casi era lecito domandarsi di che cosa volesse andare a caccia. Non le permisi mai di mettere piede fuori dalla fortezza abbigliata come una baldracca ma lei non era un tipo che si scoraggiasse facilmente e a più riprese tentò di fregarmi. Indossava i vestiti scollati sotto i vestiti normali, oppure li arrotolava e li infilava nelle bisacce dei cavalli ma la scoprii ogni volta. Alla fine, decisi di risolvere il problema alla radice e le vietai di portare via dalle cassapanche altrui roba con scollature, spacchi o trasparenze. Ovviamente sapevo che non aveva nessuna intenzione di ubbidirmi così, quando la vedevo uscire da una casa con le braccia cariche di abiti, glieli toglievo dalle mani, mi mettevo ad esaminarli uno ad uno e buttavo via quelli degni di un bordello. Una volta buttai via tutti i vestiti che aveva sgraffignato. Lei non sopportava quegli esami, rimaneva ferma a guardarmi con gli occhi pieni di rabbia. “Non torcerli così, li sgualcisci tutti!” diceva. “Augurati che in questo mucchio non trovi uno di quei vestiti che ti ho proibito di prendere, sennò poi ti sgualcisco io a ceffoni” rispondevo. -
Integra volle augurarsi che la minaccia degli schiaffi fosse solo figurata, così chiese: - Parlavi sul serio quando dicevi che l'avresti sgualcita a ceffoni? -
- Certo che parlavo sul serio, avevo anche stabilito un “listino prezzi”: uno schiaffo per ogni vestito da baldracca che tentava di far uscire dalle case altrui, due sberle a vestito quando tentava di farli uscire dal nostro castello arrotolati nelle bisacce dei cavalli o sotto i suoi abiti. - 
- Lasciatelo dire, Alucard: sei davvero un farabutto! E' da mascalzoni picchiare una persona per delle sciocchezze simili! -
- Ciò che tu definisci “sciocchezze”, master, io le definivo “corna” e non mi andava di rivaleggiare con i cervi. -
- Ma lo sai che sei un'ipocrita? Tu avevi tre mogli contemporaneamente, per tua stessa ammissione ti concedevi in sovrapiù delle scappatelle, quando sbarcasti qui in Gran Bretagna senza le tue spose appresso chissà quante dame avrai tampinato e pretendevi pure di essere nel giusto impedendo alla Prima Leonessa di ricambiarti le corna? -
- Ma è ovvio! Io avevo il diritto di comportarmi così, lei no. -
- E perchè tu sì e lei no? -
- Perchè io sono un uomo. E poi ero il capobranco. -
- E' un ragionamento maschilista! - 
- Non vedo cos'altro puoi aspettarti da uno nato nel 1431. -
Stavolta, Integra fu obbligata a dargli ragione. 
- Comunque, master, non farti venire in mente strane idee. - ammonì Alucard - Non pensare che le mie Leonesse fossero pecorelle che si rannicchiavano tremanti in un angolo buscandole senza reagire. Se le chiamo Leonesse, e non Pecore, una ragione ci sarà, no? Tutto erano tranne che remissive, soprattutto la prima. Ogni sganassone che le mollavo per quei vestiti, lei me lo ricambiava, e io ovviamente glielo restituivo, e lei faceva altrettanto...eravamo capaci di rimanere impalati l'uno di fronte all'altra anche per un quarto d'ora a ricambiarci i ceffoni. Alla fine vincevo sempre io, è ovvio, perchè fra i due ero quello con le mani più grandi e dato che lei aveva il viso piccolo, alla fine del trattamento non possedeva più una porzione di pelle che non fosse paonazza e bruciante dal dolore, mentre la mia faccia aveva ancora ampie zone in grado di reggere lo scontro. Era obbligata ad arrendersi, ma mai una volta mi diede la soddisfazione di vederla piangere. Si ritirava dallo scontro guardandomi piena d'odio e poi per qualche giorno dormivo con un occhio aperto, si sa mai che anche a lei venisse in mente la brillante idea di vendicarsi affettandomi nel sonno. Prima di riavvicinarla, era sempre consigliabile che le chiedessi scusa, ma questa è un'altra storia. -
Il vampiro battè leggermente la stecca sul bordo del biliardo, come per intimare il silenzio e richiamare l'attenzione:
- Ma adesso basta continuare questi sproloqui, Non ti interessa conoscere la carriera che fece il mio branco presso gli altri vampiri? -
Integra fece segno di sì con la testa e Alucard riattaccò:
- Una volta diventati tre, cominciammo a compiere meraviglie! Eravamo affiatati e feroci, una vera macchina da guerra. Nessun branco di vampiri riusciva più ad ostacolarci. In poche estati sbranammo tutti i nostri vicini, impossessandoci dei loro regni. Il nostro territorio si espandeva e con esso anche la nostra fama. Tutti i nosferatu ci temevano e quando capivano che attraverso il loro regno si aggirava il branco di Dracula, correvano a nascondersi, lasciandoci passare senza intralciarci. Ma noi non ci accontentavamo più di andare dove ci pareva nell' impunità totale. Volevamo di più, molto di più. Volevamo regnare su un territorio vastissimo e soprattutto volevamo che gli altri vampiri non ci temessero ma nutrissero verso di noi terrore puro. Per questo, quando attraversavamo i territori di succhiasangue che si nascondevano al nostro passaggio, seguivamo le loro tracce e appena li trovavamo, li sterminavamo fino all'ultimo. -
Integra si sentì ribollire di sdegno. Non avrebbe dovuto prendersela tanto a cuore, in fondo le vittime di Alucard non erano altro che succhiasangue ma di fronte a un comportamento tanto arrogante da parte del servo, non potè che compatire i mostri eliminati dal vampiro Vlad Dracula:
- Lasciatelo dire: tu e le tue mogli eravate dei bulli! Insomma, non solo entravate in casa d'altri, ma vi sentivate addirittura in diritto di tampinare i legittimi proprietari che, ti faccio notare, nemmeno vi davano fastidio, stanarli e ucciderli! Questo è un modo d'agire da prepotenti! Anzi, diciamo le cose come stanno: questo è un modo d'agire da stronzi! -
- E noi ne eravamo perfettamente consapevoli, master! - rispose Alucard con un sorriso compiaciuto, come se Sir Hellsing gli avesse rivolto un complimento - Massacrammo l'intera popolazione di vampiri della Transilvania, della parte settentrionale della Valacchia e delle zone confinanti con l'Ungheria. Devo ammettere però che quest'impresa titanica non fu merito esclusivamente nostro. Un altro branco di vampiri ci diede man forte. -
Integra sgranò gli occhi dalla sorpresa. Che novità era questa? Alucard non aveva fatto altro che ripeterle che un nosferatu considera suoi alleati solo i vampiri con cui ha uno scambio di sangue, quindi com'era possibile che Dracula e le Leonesse avessero stretto un patto con degli altri succhiasangue? Alucard ghignò di fronte allo stupore della master e aggiunse:
- Ti sei dimenticata di mia figlia Marya? -
- Ehi, un momento, questo è giocare sporco! - esclamò la ragazzina, sentendosi presa in giro - L'altra volta mi avevi detto che Marya condusse col suo branco una non-esistenza nomade in giro per l'Europa, quindi come potevo immaginare che non-viveste e agiste tutti insieme appassionatamente? -
- Frena master, stai facendo confusione. E' vero, l'altra volta ti avevo detto che mia figlia era andata a zonzo per ogni dove. Avevo però scordato di specificare che si diede ai viaggi solo da una certa epoca in poi. Inizialmente, quando creò il suo branco, decise di rientrare in possesso del regno del suo maestro, che si estendeva sul confine fra Ungheria e Transilvania e lì non-visse per un bel pezzo. Come vedi, non abitavamo tutti insieme in un unico territorio. Decidemmo però in contemporanea di estendere al massimo i nostri domini e così agimmo in concerto. Lei e i suoi mariti massacrarono i vampiri della zona meridionale dell'Ungheria e poi calarono a sud, sulla Transilvania. Io e le Leonesse, dato che la fortezza di Poienari si trovava a ridosso fra la Valacchia e la Transilvania, prima agimmo in Valacchia e poi risalimmo verso nord, in Transilvania. Capisci adesso come riuscimmo ad eliminare tutti i non-morti della Transilvania? Restarono triturati fra il branco di Marya che scendeva dal nord e il mio che proveniva da sud. Arrivò la notte in cui in cui il confine del territorio di mia figlia e il limite del mio regno combaciarono, perchè avevamo travolto tutti i succhiasangue che si si frapponevano nel mezzo. -
Sir Hellsing ricordò di come Alucard, la volta precedente, le avesse raccontato del master di Marya che, incontrato il branco del suocero, senza troppi scrupoli aveva tentato di pasteggiare con i sottoposti di Vlad, incurante del fatto che fossero la compagna e i figli dello stesso Dracula. La ragazzina si domandò se quel modo tanto superficiale d'agire non fosse comune ai vampiri, così le venne spontaneo chiedere:
- E quando i vostri territori confinarono, cosa accadde? Le Leonesse e i mariti di Marya tentarono di sbranarsi a vicenda? -
Il Re-senza-vita scoppiò in un'allegra risata prima di replicare:
- Ti sei ricordata del master di Marya, vero? Indubbiamente, un idiota di quel calibro avrebbe lasciato che i nostri sottoposti si scannassero in una faida familiare ma io e mia figlia sapevamo come tenere a freno i rispettivi allievi. Le mie mogli sapevano che non dovevano azzardarsi ad assaggiare i coniugi e i figli di Marya e i mariti di Marya sapevano che non dovevano osare mordere le mie consorti e i miei marmocchi. Il risultato è che con mia figlia potevamo concederci il lusso di incontrarci lungo il confine senza doverci allontanare dai nostri branchi ma anzi portandoceli dietro, sicuri che avrebbe regnato la pace per tutta la durata della visita e i marmocchi avrebbero giocato insieme indisturbati. Non potevamo permetterci spesso quelle rimpatriate perchè un così alto numero di vampiri concentrato su un unico territorio ha bisogno di molti umani per sfamarsi e come ti ho già detto, sterminare troppe prede non era un capriccio che potessimo concederci sovente ma continuammo comunque a rivederci finchè Marya mi annunciò che col suo branco voleva visitare nuove terre. Mi affidò il suo territorio in modo che ne avessi cura finchè non fosse tornata. -
Integra vide Alucard incupirsi e ne comprese la ragione. Non c'era stato nessun ritorno a casa da parte di Marya, nessun successivo incontro fra padre e figlia. Prima Dracula era stato sconfitto, portato in Inghilterra e schiavizzato da Van Helsing e una quarantina di anni dopo Marya aveva terminato la propria non-esistenza da qualche parte in Germania, con un paletto nel cuore e la testa tagliata. Nuovamente, Sir Hellsing attese che la tempesta scemasse dall'animo del servo, rimanendo in silenzio e osservando il suo gioco nervoso, che scagliava le biglie a casaccio sul velluto verde. Occorse un bel pezzo ad Alucard per rasserenarsi e quando ormai la master non sperava più che il vampiro avrebbe ripreso a parlare, tanto da apprestarsi a tornare in salotto, lo udì continuare:
- Quando fra gli altri vampiri si sparsero i racconti sulla nostra spietatezza, il terrore si impadronì di loro. I branchi che vivevano nei territori confinanti col nostro, abbandonarono le loro zone di caccia per paura che li divorassimo e nessuno osò occupare quei regni. Li lasciarono vuoti, come un cuscinetto protettivo fra loro e noi e chi abitava al di là di essi, non-viveva in continua allerta, temendo le nostre incursioni. Avevamo ottenuto ciò che volevamo: eravamo diventati una leggenda nera fra gli stessi vampiri. Erano in molti ad aver paura di pronunciare il nostro nome, "il branco di Dracula", temendo superstiziosamente che tanto bastasse ad evocarci, facendoci calare sui loro possedimenti come i cavalieri dell'Apocalisse. Oltre a questo, regnavamo su un territorio immenso. Per darti un'idea della sua vastità, ci furono zone di caccia che esplorammo decenni dopo averle conquistate. Le calamità che affliggevano gli umani cioè le guerre, le carestie, le pestilenze, non ci interessavano più. Quando una di queste sciagure si abbatteva su una parte del regno, noi semplicemente levavamo le tende, trasferendoci in una zona non toccata dalla disgrazia. Non dovevamo più centellinare i nostri pasti, nel timore di estinguere le nostre prede, nè dovevamo sorvegliare costantemente i nostri possedimenti perchè non esisteva nessun nosferatu talmente incosciente da entrare in casa nostra per sottrarci gli umani o sfidarci. Potevamo perfino concederci il lusso di abbandonare il regno per un'intera estate, certi che nessuno l'avrebbe invaso, andando a cacciare in Serbia, in Ucraina, in Bulgaria e ovunque andassimo, la nostra fama ci precedeva, con i vampiri che fuggivano prima del nostro arrivo.-
Le biglie, mandate tutte in buca, furono nuovamente risistemate da Alucard al centro del tavolo.
- Un'estate ci spingemmo in Moldavia. I vampiri dei territori che attraversavamo, rendendosi conto che gli invasori erano il branco di Dracula, scappavano terrorizzati. Sulla via del ritorno però incappammo in un incosciente che si era illuso di sfuggirci nascondendosi. Le sue tracce erano fresche, segno che si trovava ancora nei paraggi. Decidemmo di eliminare quella nullità ma per un lavoro tanto facile uno solo di noi bastava e avanzava così stabilii che me ne sarei occupato io. Le Leonesse volevano venire con me ma l'estate stava finendo ed era meglio che i nostri figli umani si trovassero al riparo nel castello prima che giungesse il freddo. Dissi quindi alla Prima Leonessa di condurre il branco alla fortezza mentre mi occupavo di quel succhiasangue. Dopo di me, era lei il membro con più anzianità ed esperienza ed era sua responsabilità fare le mie veci. Guardai il mio branco allontanarsi, poi cavalcai alla ricerca di quella nullità. Dopo averlo divorato, m'incamminai anch'io verso casa. Lungo la strada, incontrai un borgo umano. Attraversai le sue vie, sperando che qualche incauto avesse lasciata aperta una finestra o un abbaino, consentendomi di entrare e mangiare un umano. Finalmente trovai la finestrella di una mansarda spalancata. M'intrufolai dentro sottoforma di nebbia e...secono te, cosa trovai? -
- Una ragazza addormentata circondata da amuleti anti-vampiro. -
- Brava master! Mi piaci, quando dimostri di usare il cervello! E secondo te, cosa feci? -
- La svegliasti con una sassata per ascoltare cosa aveva da raccontarti. -
- Esatto! E devo ammettere che quel che mi disse mi sorprese enormemente. Insomma, le mie due prime Leonesse avevano deciso di diventare vampire per vendetta e disperazione. Quella ragazza, invece, conduceva un'esistenza talmente pacifica! Era una contadina ma se la passava molto meglio di tante altre persone del suo ceto. I campi che lavorava con i genitori e i fratelli appartenevano alla sua famiglia, quindi non avevano esosi affitti da pagare a qualche proprietario terriero e il guadagno rimaneva tutto in tasca alla ragazza e ai suoi congiunti. La fatica che richiedeva coltivarli era notevole ma veniva compensata da un benessere altrettanto notevole e quell'autunno si sarebbe sposata con il giovane macellaio del paese. Master, tu non puoi capire cosa volesse dire questo perchè adesso siete abituati a mangiare carne ogni volta che vi pare ma per secoli è stata un cibo costoso che la maggior parte della gente poteva concedersi raramente. Sposarsi col macellaio del paese avrebbe consentito a quella ragazza di rientrare nel ristretto novero della popolazione che poteva permettersi di mangiarla spesso. Ti assicuro che considerando qual'era la vita abituale dell'epoca, quella giovane conduceva un'esistenza invidiabile e un sacco di donne avrebbe venduto l'anima al diavolo per essere al suo posto. Anche ai miei occhi sembrava assurdo che una che avesse tante fortune, fosse disposta a buttare via tutto per diventare una vampira. Mi raccontò che sin da quando era una bambina, aveva ascoltato con bramosia i racconti dei mercanti che facevano scalo nel suo paese. Insomma, alla ragazza sarebbe piaciuto vedere il mondo e secondo lei questa era una motivazione più che valida per diventare una non-morta. Quando terminò di parlare, credo che rimasi a fissarla in silenzio per molti minuti, domandandomi se avessi a che fare con una pazza o un'imbecille. Per ragioni analoghe, Zofia mi era sì venuta dietro ma rimanendo umana. Quando recuperai la parola, dissi a quella squinternata che se proprio ci teneva ad andar via dal suo paesino, poteva intraprendere un pellegrinaggio. Inoltre circolavano racconti di donne che si travestivano da uomini e in quel modo andavano dove gli pareva così sarebbe rimasta umana e avrebbe visto il mondo. Mi rispose che i suoi parenti non le avrebbero mai permesso di andare a rischiare la vita su strade infestate da briganti per compiere un pellegrinaggio. Riguardo alle donne travestite da uomini di cui si favoleggiava, lei non era brava a recitare, non sarebbe mai riuscita a parlare e muoversi come un uomo. L'avrebbero subito scoperta e riportata a casa. Col senno di poi, aggiungo che aveva addosso tante di quelle curve che non sarebbe riuscita a nasconderle in nessun modo, neanche se si fosse fasciata il petto. Lei concluse dicendo che se per visitare il mondo bisognava travestirsi da uomo, tanto valeva essere nati uomini ma dato che lei era nata donna, voleva camminare per le strade vestita da donna. Aggiunse che trovava più coerente trasformarsi in una vera vampira che in un finto uomo. A me quegli sproloqui sembravano insensati e cominciavo ad irritarmi. Risposi che non mi sarei mai sognato di vampirizzare una persona con delle motivazioni tanto deboli perchè certamente si sarebbe pentita della sua scelta e poi avrebbe trascorso i secoli successivi a rompermi le scatole, ripetendo quanto avrebbe preferito rimanere umana. Restò sorpresa, non si aspettava che un vampiro trovasse da ridire sul suo progetto ma non si arrese. Insistè e insistè e siccome a testardaggine io non ero da meno, conclusi dicendo che ci pensasse bene. Sarei rimasto nei paraggi per un po' di tempo, dandole il tempo di valutare la portata di quel che si accingeva a fare. Se davvero era decisa a diventare una non-morta, l'avrei accontentata, altrimenti avrei proseguito per la mia strada e lei per la sua esistenza umana. -
Alucard sospirò seccato:
- Mi toccò bighellonare intorno al paesino per un'intera luna. Ogni tanto passavo a trovarla e sempre mi ripeteva la stessa solfa, che lei era decisa a diventare una vampira. Io però non riuscivo a convincermi che quella decisione fosse finale e irremovibile e sempre rimandavo il momento di morderla ad un'altra occasione, ripetendole che doveva rifletterci ancora un po'. Da quelle discussioni, comunque, capii che non era solo il desiderio di vedere il mondo a suggerirle di trasformarsi in un mostro. Si sentiva estranea all'umanità che la circondava. In vent'anni di vita non aveva stretto legami con nessuno, nè uomini nè donne, nè vecchi nè giovani, nè adulti nè bambini, nemmeno con i suoi stessi parenti. Non capiva le ambizioni e le aspirazioni umane. Le sembrava insensato trascorrere l'esistenza su questa Terra avendo come unico scopo conquistarsi l'aldilà. Compresi che un tipo del genere non poteva che essere scarsamente interessato alle fortune che le erano capitate nella vita, per questo era pronta a sbarazzarsene senza rimpianti, pur di condurre l'esistenza che si era scelta da sola e che considerava idonea per se stessa. -
Alucard osservò la biglia che aveva colpito scontrarsi a sua volta contro le altre e attese che ogni sfera terminasse la sua corsa prima di riprendere a parlare:
- Un tramonto la sorpresi a prendere l'acqua alla fonte fuori dal paese. Non c'era nessun'altro nei paraggi. Le dissi che se proprio era intenzionata a venirmi dietro, poteva approfittare di quell'occasione. Senza rispondere niente, lei appoggiò la giara a terra e si issò sull'arcione della mia sella, così partimmo. Ancora però non avevo intenzione di vampirizzarla. Stentavo a credere che fosse davvero così sicura della strada che aveva deciso di intraprendere e non volevo correre il rischio di essere affettato nel sonno da un'altra draculina. Per questo, lungo la via, cominciai carognescamente a pungolarle il cuore dicendo "A quest'ora si saranno accorti che sei scomparsa. Tua madre starà piangendo disperata. Tuo padre, il tuo fidanzato e i tuoi fratelli ti staranno cercando chiamando il tuo nome con voce tremante d'angoscia". Vedevo quell'incosciente rabbuiarsi in viso e aggiungevo che era ancora in tempo per cambiare idea, bastava che me lo dicesse e l'avrei riportata indietro. Ma lei rispondeva che sbagliavo, non era più in tempo. Era diventato troppo tardi nel momento stesso in cui era salita sulla mia sella. Non avrebbe potuto giustificare quelle ore di assenza davanti ai suoi familiari in nessun modo. Smisi di insistere, decidendo di ritentare più tardi. Calò la notte. Camminavamo a piedi per far riposare il cavallo. Ci inerpicammo su per un massiccio montuoso da cui si dominava la vallata e su quella tavola nera che era la pianura sottostante, vedemmo brillare tanti puntini luminosi in movimento. Erano le fiaccole dei compaesani che cercavano per ogni dove la ragazza. Gliele feci notare e ripetei che era ancora in tempo per tornare indietro. A quel punto si arrabbiò. Disse che ormai era troppo tardi, che i suoi compaesani la cercavano sperando di ritrovarla viva ma in un fosso con una gamba rotta, o morta in un canale, le uniche due soluzioni che potessero giustificare la sua assenza senza gettare dubbi sul suo onore. In ogni altro caso, cos'avrebbero pensato? Se anche fosse tornata indietro, cos'avrebbe raccontato a parenti e vicini? Qualsiasi scusa avesse inventato, loro si sarebbero convinti che era stata rapita e violentata da qualche signorotto di passaggio. Il fidanzato l'avrebbe lasciata, nessun altro uomo l'avrebbe voluta e le sarebbe toccato fare la vita della zitella. Sarebbe rimasta a vivere a casa dei fratelli, diventando la persona che avrebbe sgobbato di più in famiglia per ripagarli della cortesia di tollerare la sua sgradita presenza ma nonostante questo, cognate e mariti le avrebbero fatto pesare ogni boccone che inghiottiva, come se fosse stata una scansafatiche che non lo meritava. "La vita delle donne sposate è dura, ma quella delle donne nubili è ancora più dura" concluse. Non dico che quello che dipinse non fosse uno scenario realistico ma mi pareva un tantinello catastrofico. Le dissi che se il problema stava tutto nei dubbi della gente, bastava poco per dissiparli. Le levatrici non servivano solo per far nascere i bambini. La mia futura leonessa rispose che non si sarebbe umiliata sdraiandosi su un tavolo a gambe aperte davanti a una di quelle megere, per farsi frugare dentro. Inoltre era convinta che a questo mondo non contano i fatti ma ciò che la gente pensa. "Se anche passassero tutte le levatrici del Regno a visitarmi, se i miei compaesani vogliono convincersi che ormai sono deflorata, nessuno glielo toglierà dalla testa". A quel punto mi toccò rimanere zitto perchè una delle poche certezze granitiche che ho aquisito in cinquecento anni è proprio questa: non contano i fatti ma ciò che le persone preferiscono pensare. Così riprendemmo il cammino senza dire una parola e non tentai più di dissuaderla. Proseguimmo per giorni, finchè non raggiungemmo la casa provvista di cantina di una famiglia di miei servi. Solo allora accettai di vampirizzarla, facendola dormire per tre notti in quella cantina e tornai al castello con una nuova draculina. E non hai un'idea di quanto fossero incacchiate le mie mogli quando mi videro arrivare! -
- Perchè avevi portato un'allieva in famiglia? - chiese stupita Integra.
- Ma no, che hai capito! Non per quello. Te l'ho già detto che non avevano motivo di nutrire rancore verso le compagne di sventura che si aggiungevano al branco. No, erano imbestialite con me perchè mi ero assentato per quasi due mesi senza dare notizie. Avevano tentato di mettersi telepaticamente in contatto ma ammetto che in quel periodo avevo il cervello da tutt'altra parte quindi non sentivo le loro chiamate. Immaginavano i più foschi scenari, che qualche cataclisma o qualche essere vivente mi avesse cancellato dalla faccia della terra. Quando mi rividero davanti a loro, tranquillo e in salute e senza una scusa plausibile con cui giustificare quell'assenza, dopo che loro si erano angustiate per due lune piene, ebbero la tentazione di linciarmi. Gliela vidi brillare negli occhi. Non passarono all'azione solo perchè sapevano che se si fossero azzardate, anch'io sarei passato ai fatti e avrei restituito loro due sberle perogni schiaffo che mi avessero mollato. -
- Pensare che ti saresti meritato ogni sganassone che avresti ricevuto! - commentò Integra, scuotendo il capo.
- Sono sincero master: so che me li meritavo. Ma dannazione, ero il capobranco, non potevo farmi menare, capisci? Ne andava del mio ruolo e della mia reputazione! Anche se ero nel torto marcio, dovevo comunque salvare la faccia! -
Integra preferì tralasciare l'argomento, parlando d'altro:
- Immagino che quando il tuo branco salì a quattro componenti, avrete seminato morte e distruzione fra mostri e umani. -
- No, master, niente del genere. Avevamo già raggiunto i nostri obbiettivi cioè conquistare un vasto regno ed essere i Signori fra i vampiri. Non aveva senso pretendere di allargare il nostro raggio d'azione solo perchè un nuovo membro si era aggiunto. Tanto più che dal punto di vista guerresco, la mia ultima moglie lasciava molto a desiderare. Non essendo diventata vampira per desiderio di vendetta o rivalsa, le mancava la quantità d'astio necessaria per lanciarsi a caccia di umani senza farsi troppi scrupoli. Sekure si ostinò a bere animali per un anno. La Terza Leonessa battè persino Sekure! Rifiutò di inghiottire le persone per un paio d'anni o forse anche più. Ormai disperavo di vederla diventare una vampira adulta. Ero convinto che sarebbe rimasta allo stadio di draculina per i secoli avvenire. Poi, fortunatamente, cominciò a mangiare gli altri vampiri. Capì che fra inghiottire un mostro e un umano non c'è molta differenza e così finalmente si decise a compiere il grande passo ma rimase una Regina-della-notte tranquilla e non amante degli spargimenti di sangue, come ci dimostrò sin dalla prima caccia all'umano a cui partecipò. -
Alucard ingessò la punta della stecca e riprese a parlare:
- Non finisce mai di stupirmi la stupidità che dimostrano gli umani quando agiscono in gruppo. Una persona sola è consapevole di rischiare, per questo riflette e valuta la situazione prima di agire. Un branco di persone, invece, non ragiona. Il numero li rende baldanzosi e incoscienti. Nei boschi si accampavano branchi di briganti, nei pascoli branchi di pastori, lungo le vie commerciali branchi di mercanti, ovunque trovavi branchi di soldati che fra tutti erano quelli più violenti e temuti, peggiori persino dei briganti. Sentivano una donna cantare nella notte. Se ciascuno di quegli uomini fosse stato solo, udendo una voce femminile nel buio, si sarebbe fatto il segno della croce e avrebbe cercato di rintanarsi nel suo nascondiglio più che poteva perchè quando mai una donna andava a spasso nella notte, parlando a voce alta in quel modo? Chi poteva comportarsi così se non una pazza o una strega? Ma ciascuno di quegli uomini, all'interno di un gruppo, perdeva la prudenza. Sentivano una donna schiamazzare e cantare a squarciagola nel bel mezzo della notte, facendo di tutto per farsi sentire e notare. Scartavano l'ipotesi "strega", tenendo solo l'ipotesi "pazza" a cui aggiungevano altre varianti: "pellegrina", "viandante", "prostituta", "smarrita" e si lanciavano al suo inseguimento pregustando uno stupro di gruppo. La donna li vedeva e cominciava a scappare urlando e quelli, sentendola gridare spaventata, ancor più si eccitavano e le andavano dietro. La donna correva e correva e quelli continuavano a inseguirla. Ad un certo punto la donna si fermava, si voltava, sorrideva e mostrava le zanne ma a quel punto era troppo tardi per salvarsi perchè alla destra, alla sinistra e alle spalle di quegli uomini comparivano altri tre vampiri. Una parte di loro la divoravamo subito. Gli altri li legavamo, li imbavagliavamo e li portavamo al castello, per rinchiuderli nelle segrete e utilizzarli come provvista invernale. -
Integra dovette ammetterlo: la sua pietà per gli sventurati segregati nelle prigioni di Dracula diminuì sensibilmente.
- Finchè nel branco eravamo stati in tre, avevamo suddiviso gli uomini da inghiottire subito in tre gruppi, in modo che ciascuno di noi potesse divertirsi con le sue prede come meglio gli pareva. A me e alla Prima Leonessa piaceva torturare i nostri umani prima di divorarli. Era appagante veder brillare il terrore nei loro occhi. La Seconda Leonessa invece eliminava le proprie prede nel giro di pochi minuti. Non dava loro il tempo di comprendere cosa stesse accadendo. Agiva in quel lasso di pochi istanti in cui una persona osserva perplessa ciò che le accade intorno, cercando di capire se c'è un pericolo o meno. Quella manciata di momenti in cui i suoi sentimenti sono interrotti, sospesi, non ha paura e nemmeno è tranquilla. Ecco, alla mia seconda moglie piaceva falciare la vita in quell'attimo di sospensione. Quando anche la Terza Leonessa diventò una vampira, dividemmo le prede in quattro gruppi ma tutto ciò che la mia ultima moglie faceva con i suoi uomini era imbavagliarli e legarli con una lunga corda dietro la sua cavalla, per portarseli appresso. Quando le veniva fame, ne mordeva uno. Insomma, lei azzannava solo quando era affamata, l'arte di regalare gratuitamente la morte non era cosa che le interessasse. Analogamente, era scarsamente interessata anche alle battaglie. Quando ci misuravamo contro altri vampiri, eravamo solo io e le prime due leonesse a lanciarci nella battaglia. La Terza Leonessa, per la sua poca attitudine alla lotta, la lasciavamo sempre indietro. Se erano periodi in cui con noi c'erano dei figli, la incaricavamo di badare a loro e proteggerli. Se era un periodo in cui non avevamo marmocchi, le dicevamo semplicemente di fare da retroguardia e venire ad avvertirci se un pericolo arrivava dalle spalle. -
" Davvero bizzarra come mostro " pensò Integra e per cercare di capire meglio la personalità di quella vampira, chiese:
- E cosa faceva quando vi intrufolavate nelle dimore della gente ricca? Tu succhiavi i proprietari, la Prima Leonessa andava in cerca di vestiti, la Seconda di orologi e la Terza? -
- Faceva la turista. - spiegò Alucard, prendendo di mira una biglia con la stecca - Passeggiava per tutto il palazzo con le mani incrociate dietro la schiena, ammirando quel che vedeva intorno a sè e ripetendo "Quante cose belle e interessanti ci sono al mondo"! Penso che se Dio Abraham non avesse ucciso le mie spose e fossimo riusciti a trasferirci tutti e quattro a Londra, la Terza Leonessa avrebbe trascorso tutto il suo tempo libero a visitare i musei di questa città. -
- E cos'è che portava via dalle ville da usare come passatempo invernale? -
- Assolutamente nulla. Dentro i palazzi si comportava come se fosse in un museo: guardava ma non toccava, lasciando ogni cosa dove si trovava, a beneficio di chi sarebbe passato ad ammirarle dopo di lei. -
- Ma allora qual'era il suo passatempo invernale? -
Era il passatempo che il vampiro Vlad Dracula aveva giudicato essere il più costruttivo di tutti, dato che consisteva nel chiudersi col proprio master in una delle camere da letto del castello ma dato che quel giorno ad Alucard non andava di raccontare proprio tutto ad Integra, preferì uscirsene con un vago:
- Mha...non ricordo... -
Sir Hellsing non indagò oltre, sinceramente convinta che la memoria di Alucard avesse fatto cilecca e si alzò, stiracchiandosi. Il suo corpicino ancora indolenzito dall'inattività di quei giorni sentiva il bisogno di cambiare posizione. La ragazzina decise di rimanere in piedi. Riflettendo sul ruolo che era stato assegnato all'ultima moglie (retroguardia quando non c'erano rampolli nel branco, guardiana dei cuccioli in caso contrario) le venne spontaneo esclamare:
- Non capisco. Perchè in alcuni periodi non c'erano figli con voi? -
- Perchè voi umani crescete alla svelta. Quando i nostri figli e figlie diventavano adulti, se ne andavano per la loro strada, com'era giusto che fosse e noi quattro restavamo soli finchè non sfornavamo una nuova nidiata e siccome il ciclo biologico di un vampiro è rallentato rispetto a quello di un essere vivente e alle Leonesse, quando andava bene, venivano una volta all'anno, come risultato potevano trascorrere anche decenni prima che restassero nuovamente incinte. Altre volte invece ci ritrovavamo senza figli perchè morivano. -
L'ultima frase era stata pronunciata con distacco dal vampiro, come se si stesse limitando a constatare un evento usuale dei tempi andati che non lo riguardasse da vicino. Col proseguimento della narrazione però la fronte di Alucard si aggrottò e il tono della voce divenne cupo, segno che una miriade di brutti ricordi stava tornando a galla:
- Una volta non esistevano nè farmaci nè vaccini, era normale che i marmocchi si ammalassero e morissero. Le malattie si assomigliavano fra loro e per quanta buona volontà impiegassimo, non riuscivamo a curarle. Arrivava la febbre e la pelle dei nanerottoli si copriva di pustole. Oppure arrivava la febbre e la diarrea scioglieva i loro intestini. Li vedevamo spegnersi come candeline, senza sapere come aiutarli. Nei periodi in cui con noi c'erano figli, l'intero branco finiva per trasferirsi nella cucina del castello. Voi umani avete bisogno di mangiare e stare al caldo. Le Leonesse tenevano il fuoco della cucina sempre acceso per preparare i pasti ai marmocchi e giudicavamo più pratico tenerli lì anche a dormire, a giocare, a imparare, a vivere perchè era il luogo più caldo e riparato di tutta la fortezza e noi quattro che ruotavamo intorno ai cuccioli, finivamo per tenergli compagnia tutto il tempo. Ma quando si ammalavano, battevano i denti anche in cucina, seduti davanti al fuoco e allora a turno, con le Leonesse, ci calavamo il cappuccio sulla testa, ci avvolgevamo nel mantello e uscivamo sotto il sole del pomeriggio con il bambino o la bambina imbacuccato in una coperta, per farle scaldare dai raggi. Quando invece la febbre si alzava troppo, per cercare di farla abbassare, riempivamo una tinozza d'acqua fredda e vi immergevamo il leoncino. -
Integra avvertì una sofferenza indistinta agitarsi nel suo petto. Considerando quanto dolore causasse ai vampiri l'esposizione ai raggi del sole o il contatto con l'acqua, scoprire che quei quattro succhiasangue erano stati disposti a scottarsi e ustionarsi pur di far star meglio i loro cuccioli umani, dava la misura di...
Sir Hellsing aggrottò le sopracciglia, mentre sentimenti contrastanti cozzavano dentro di lei. Aveva paura di completare nella sua mente quella frase. Temeva che acquisire la consapevolezza che fra umani e mostri ci siano molte somiglianze, avrebbe finito col minare la solidità della sua missione.
O forse era vero il contrario?
Davvero comportarsi come uno struzzo, nascondendo la testa per non vedere ciò che la turbava, avrebbe reso più facile il suo lavoro? Sottovalutare l'avversario, dare per scontato che non percepisca ciò che senti anche tu, non è una mossa strategicamente azzeccata.
La ragazzina sospirò. Non sapeva quale fosse la strada giusta, decise però di prendere atto della realtà dei fatti e accettò di completare la frase nella sua mente.
Considerando quanto dolore causasse ai vampiri l'esposizione ai raggi del sole o il contatto con l'acqua, scoprire che quei quattro succhiasangue erano stati disposti a scottarsi e ustionarsi pur di far star meglio i loro cuccioli umani, dava la misura di quanto quei mostri avessero amato i loro figli.
Alucard, intanto, continuava a ricordare:
- Spesso, sia il sole che l'acqua finivano per rivelarsi inutili e la conclusione di quelle malattie era che una leonessa cercava per il castello un sudario in cui avvolgere il corpicino, un'altra leonessa abbracciava stretta la madre sconvolta e io scavavo una fossa ai piedi di un albero, il più profonda possibile, in modo che gli animali non potessero raggiungerlo. -
Integra sentì una stretta fredda intorno al cuore e si avvolse maggiormente nella sua vestaglia. Adesso capiva a chi si riferiva Alucard, quando all'inizio del racconto aveva detto " Sotto alcuni alberi seppellii i cadaveri di persone che mi erano appartenute e a cui avevo voluto bene ". La voce del vampiro intanto continuava ad incalzare:
- Altre volte invece morivano poco dopo essere nati, senza ragione apparente. Le Leonesse non si capacitavano di aver fatto tanta fatica per niente. Non riuscivano neanche a piangere, ripetevano solo quella frase, per notti e notti: "Ho fatto così tanta fatica!" -
Sir Hellsing seguì più e più volte con gli occhi il contorno delle gambe del tavolo da biliardo prima di chiedere a bassa voce:
- E tu cosa dicevi? -
- Cosa vuoi che dicessi, marmocchia? - chiese Alucard con irritazione - Tu cos'avresti detto, al posto mio? In casi come questo non c'è molto da dire, non ti pare? C'è solo da fare. -
- Come scavare una fossa? -
- Già. -
La pausa di silenzio fu lunga. Integra sapeva che quest'ultima parte del racconto del servo non costituiva qualcosa di speciale capitato solo a lui ma era stato un evento abituale per tutte le generazioni umane che l'avevano preceduta. Gli insegnanti di storia avevano spesso spiegato a lei e ai suoi compagni quanto fossero difficili le condizioni di vita prima dei progressi medici. In fondo, Sir Hellsing non ne aveva avuti vari esempi all'interno della sua stessa famiglia? Il figlio di Abraham Van Helsing era deceduto ancora giovane. Sapeva che il fratello minore di nonna Eva era morto bambino di varicella e la stessa signora Wingates Hellsing era infine stata abbattuta da un parto.
Quegli scarni resoconti non erano stati però in grado di spiegarle quali fossero i sentimenti delle persone che provavano sulla loro pelle quei lutti, lasciandole nella mente molte domande senza risposta. 
Integra si chiese se non fosse il caso di domandare spiegazioni ad Alucard. Da un lato, la imbarazzava indagare: stava pur sempre parlando con un padre che aveva seppellito con le proprie mani i suoi stessi figli. D'altra parte non c'era nessun altro che potesse svelarle certi misteri meglio di lui. Fu quindi con titubanza, dettata da un misto di imbarazzo e curiosità, che la ragazzina disse:
- Io non capisco. Al giorno d'oggi, quando un bambino muore, i genitori soffrono terribilmente. Ci sono genitori che non riescono a riprendersi da tanto dolore, altri che arrivano a suicidarsi. Voi vedevate morire spesso i bambini. Come riuscivate a sopravvivere a quella sofferenza? Gli volevate meno bene di quanto ne vogliano i genitori di adesso? -
Ecco, l'aveva detto. Sentì l'ansia pungerle il cuore e le vene, non sapendo come avrebbe reagito Alucard. 
Si sarebbe irato? L'avrebbe insultata per la sua stupidità? Presa a ceffoni?
Alucard appoggiò orizzontalmente la stecca da biliardo sulle proprie spalle, tenendone le estremità con le mani e guardò il faccino della master. Non c'era astio negli occhi del servo, rimaneva semplicemente in silenzio ad osservarla. La piccola master comprese che il vampiro stava cercando le parole adatte per risponderle adeguatamente. Finalmente parlò:
- Integra, l'unica differenza sta nel fatto che al giorno d'oggi nessuno si attende che un bambino muoia. E' un evento raro e per questo sconvolgente che vi lascia impreparati. Per millenni, invece, tutti gli uomini e tutte le donne hanno dato per scontato che dei figli che avrebbero messo al mondo, alcuni sarebbero morti. Sapere che un certo evento accadrà non vuol dire però che soffrirai di meno quando si verificherà, nè ti farà volere meno bene alle persone destinate a morire. -
Il silenzio della master era carico di incomprensione e Alucard non se ne stupì. Era ovvio che una persona tanto giovane e inesperta della vita non capisse quelle parole. Solo lo scorrere degli anni e degli eventi le avrebbe consentito di afferrarne il senso.
La ragazzina cominciò lentamente a camminare per il salone, bisognosa di sgranchirsi le gambe. Con lo sguardo fisso sulle due teste di Pluto ai suoi piedi, indagò: 
- Mi sembra di capire che tu e le Leonesse vi allevaste da soli i figli. Perchè non li affidaste a dei tutori umani, come facesti con Marya? -
- Perchè non ce n'era motivo, erano due situazioni completamente diverse. Con Sekure eravamo briganti e nomadi perenni e Marya era esposta a troppi rischi. Con le Leonesse ci dedicavamo alla non-vita nomade solo per alcuni mesi all'anno, il resto del tempo lo trascorrevamo al castello. Alte mura impedivano ai marmocchi di perdersi e lì dentro potevamo accumulare tutto ciò di cui avevano bisogno gli umani per sopravvivere: cibo, coperte, legna per scaldarsi, inoltre le cisterne erano sempre piene di acqua potabile. Con tutte quelle comodità a disposizione, potevamo occuparci da soli dei nani. -
Integra riflettè in silenzio e Alucard vide la sua fronte corrugarsi di disappunto.
- Cosa c'è adesso, master? -
- Penso che per i vostri figli sarebbe stato comunque meglio crescere con degli umani. Il vostro, in fondo, era un castello degli orrori. Tutta quella gente rinchiusa nelle prigioni che doveva solo attendere che scendeste giù a succhiarli! E anche quando partivate per la caccia estiva, le vostre prede rimanevano pur sempre umani. Non venirmi a raccontare che tutto questo non abbia turbato i Leoncini! -
- Integra, quando te ne esci con questi giudizi, non so se mi fai più divertire o intenerire. - ghignò il vampiro - Tuo zio ha cercato di farti la pelle, quando ti parlo del mio passato ascolti racconti in cui le persone sono spregevoli quanto i mostri eppure continui a intestardirti nel pensare che gli umani siano migliori dei vampiri. Non so se giudicarti una grande zuccona o una grande ingenua. Lascia che ti dia qualche esempio di quanto possa essere migliore un'infanzia trascorsa con gli umani invece che con dei genitori succhiasangue. Quando ero bambino e la corte di mio padre risiedeva nel palazzo di Tirgoviste, sapevo che sotto il pavimento che calpestavo si trovavano le prigioni e che lì dentro uomini e donne venivano rosicchiati vivi dai topi. Vuoi che sia sincero, master? Non me ne fregava niente! Sapevo che se mio padre non si fosse comportato così, sbattendo in prigione i suoi rivali, sarebbero stati loro a rinchiudere noi tutti in una segreta, lasciandoci morire nel buio. Ogni tanto uno di quei prigionieri veniva tirato fuori dalla cella per essere giustiziato sulla pubblica piazza. A quei tempi le esecuzioni capitali erano considerate uno spettacolo, la gente accorreva a vederle con lo stesso entusiamo di quando ammirava i giocolieri esibirsi nei mercati. Che ci vuoi fare, una volta gli umani si divertivano così. I contadini macinavano ore di strada, venendo dai borghi vicini e si portavano dietro i figli per ammonirli che se non avessero rigato dritto, sarebbero finiti come il delinquente sul patibolo. La prima volta che mi portarono a vedere un'esecuzione, ero alto quanto una capra. Qualcuno mi teneva in braccio, presumo fosse la balia perchè mia madre doveva essere ormai morta da un pezzo. In quanto componenti della famiglia reale, avevamo diritto a un posto in prima fila, da cui potevamo ammirare al meglio lo spettacolo ma che aveva anche i suoi inconvenienti. La scure del boia si abbattè sul collo del prigioniero e vidi la testa rotolare nella polvere. Uno schizzò del suo sangue ci colpì, macchiando la gonna della donna che mi teneva in braccio e il mio piede. -
Un'espressione di disgusto contorse la bocca di Sir Hellsing che girò il capo di lato per non leggere negli occhi del servo il trionfo che li aveva animati vedendo la reazione della padroncina.
- Per millenni i bambini sono sopravvissuti all'orrore quotidiano che la vita umana offriva. Perchè i nostri figli si sarebbero dovuti lasciare abbattere da qualche orrore vampirico? Sapevano che nelle segrete del castello languivano gli "spuntini viventi" dei genitori ma la loro sorte non li rattristava. "Morte loro, vita nostra" era il modo con cui i marmocchi risolvevano la questione. Sapevano che la maggior parte degli umani sarebbe stata altrettanto feroce con il nostro branco. Prima si sarebbero sbarazzati dei vampiri adulti, tagliandoci la testa e pugnalandoci il cuore, poi si sarebbero accaniti contro i ragazzini umani. Chi si sarebbe mai potuto fidare dei figli di quattro succhiasangue? Li avrebbero impiccati, o gettati giù da una rupe, o annegati, o chissà cos'altro si sarebbero inventati e di questo i Leoncini ne erano consapevoli. E durante le cacce estive, non mangiavamo le nostre prede di fronte ai marmocchi; non vedevamo la necessità di renderli partecipi di simili spettacoli. -
Alucard appoggiò la stecca sul tavolo, sentiva il bisogno di interrompere per un po' il gioco. Si stiracchiò, poi si sedette sul bordo del biliardo. A braccia conserte, si rivolse verso la padrona spiegando:
- Crescere con dei vampiri aveva anche i suoi pregi. La stragrande maggioranza dell'umanità, per millenni, non aveva la più pallida idea di cosa volesse dire "viaggiare". Tutti nascevano e morivano sullo stesso pezzo di terra, troppo impegnati a lavorare per sopravvivere per porsi il quesito "come sarà fatto il resto del mondo"? Il mio branco, come ti ho detto, conduceva una vita semi-nomade, quindi i nostri marmocchi rientravano fra i pochi eletti che esploravano nuove terre. E ogni esplorazione comportava sempre nuove scoperte. A partire dalla Rivoluzione Industriale, il mondo cominciò a cambiare. Ogni anno veniva inventato qualcosa di nuovo che aveva un impatto immediato sulla vita degli umani. La tua specie cominciò a riempirsi la bocca con la parola "progresso", in cui riponeva la stessa cieca fiducia che nutriva verso gli Dei e il Paradiso. Per noi vampiri, più semplicemente, il progresso era ciò che produceva nuovi giocattoli con cui divertirci. La città di Timișoara era il parco-giochi preferito del mio branco! Ci andavamo spesso, certi di trovare qualche novità tecnologica con cui stupirci. Fu la prima città dell'Impero Austro-Ungarico a dotarsi di un impianto di illuminazione stradale a gas, una delle prime a dotarsi di impianto telegrafico e telefonico e fu forse la prima città europea in assoluto ad utilizzare l'illuminazione elettrica. Ricordo che con le Leonesse e i marmocchi smontammo un lampione per capire come funzionava. Insomma, per millenni, la luce era sempre stata data dal fuoco. Adesso, per la prima volta, l'illuminazione veniva separata dal calore. Come potevamo rimanere con le mani in mano, davanti a un simile prodigio? Dovevamo scoprire come funzionava! Tanto più che eravamo curiosi di natura. Non ci bastava guardare le novità, volevamo capire qual'era il meccanismo alla loro base. Vuoi un esempio? Un tardo pomeriggio di primavera ci affacciamo alle mura del castello e nella strada che serpeggia nel fondovalle vediamo un gruppo di umani su degli stranissimi oggetti a due ruote che filano veloci come su un cavallo lanciato al galoppo. Era la prima volta che vedevamo delle biciclette. Eravamo curiosi di scoprire cosa fossero quegli attrezzi misteriosi, così ci dirigemmo a rotta di collo nella valle per bloccare il passo a quei forestieri prima che svanissero. Era un gruppo di viaggiatori inglesi, quattro uomini e due donne, visitavano gli stati danubiani a bordo di tandem e biciclette. Li invitammo gentilmente al castello per mostrarci quei prodigi della tecnica su cui viaggiavano. -
- Quanto gentilmente li invitaste? -
- Togliti quell'espressione diffidente dalla faccia, master. Li invitammo gentilmente, sì, sul vero senso della parola! O almeno, quelle erano le nostre intenzioni che purtroppo dovettero scontrarsi contro l'incapacità di voi inglesi di imparare le lingue straniere. -
- Ehi! - esclamò Integra, offesa.
- Non hai ragione di arrabbiarti, master, è la verità e dovresti esserne consapevole tu più di chiunque altro. Ancora non ho capito se a scuola, come lingua straniera, studi francese o tedesco perchè quando ti sento ripetere a voce alta gli esercizi, non comprendo una sola parola di quel che dici. Un secolo fa, l'equivalente odierno dell'inglese erano il francese e il tedesco, chiunque desiderasse viaggiare doveva saper parlare almeno una di queste due lingue. Voi britannici però già a quei tempi seminavate il terrore fra i locandieri di tutta Europa pretendendo di parlare esclusivamente in inglese. Anche nel gruppo di ciclisti che fermammo, solo un componente sapeva il sassone e pure male e sudai sette camicie per fargli comprendere cosa volessi da loro. Alla fine mi toccò parlare nello stile "Voi venire con noi. Voi e noi fare lunga passeggiata fino a castello", il tutto accompagnato da ampi gesti per far comprendere cosa volesse dire "voi", "noi" e "castello". -
- Non sapevi parlare inglese? - chiese la ragazzina. Non c'era malizia nè secondi fini nella domanda della dodicenne, solo desiderio di comprendere. Dracula era sbarcato nel Regno Unito con una perfetta padronanza della lingua inglese e adesso Integra si chiedeva in che epoca avesse cominciato a studiarlo, data la sua difficoltà nel farsi capire da quei turisti.
Alucard forse sospettò in quella domanda una malafede in realtà inesistente perchè la risposta che diede suonò a Integra come un rimprovero:
- Sinceramente, master...sapevo parlare egregiamente sei lingue e me la cavavo in altre tre. Mettermi a studiare una decima lingua, a quei tempi, mi sembrava francamente superfluo. -
Sir Hellsing incassò il collo nelle spalle, messa in soggezione dal tono del servo, chiedendosi dove avesse sbagliato per meritare quella doccia fredda. Il vampiro, schizzato quel veleno, riprese a narrare: 
- Credo che alla fine ciò che li persuase veramente a seguirci fino alla fortezza non fu ciò che dissi ma la vista dei fucili che ci eravamo portati dietro per ogni evenienza. -
- Fucili? - ripetè Integra, incredula e un po' balbettante per l'imbarazzo che ancora provava. Cosa accidenti se ne facevano dei vampiri di un fucile?
- Master, eravamo nel XIX secolo, non crederai che a quei tempi andassi ancora a spasso con uno spadone medievale al fianco per intimorire gli umani? Andiamo, sarei stato ridicolo! Chiesi ai miei servi mercanti di procurare per me e le Leonesse quattro fucili Winchester a ripetizione, con il caricatore da quindici colpi. Ce li portammo appresso quando scendemmo a parlare con i ciclisti. Probabilmente quel particolare fece sì che nelle loro teste venissimo classificati come "pittoreschi predoni locali" e ci seguirono sino alla fortezza per avere qualcosa di eccitante da raccontare una volta tornati a casa. Niente manda più in bestia un turista del non avere un'esperienza spiacevole da narrare ad amici e parenti. Una volta giunti nel cortile del castello si esibirono a nostro beneficio pedalando per tutto il perimetro delle mura. Intanto era calata la sera, sarebbe stato scortese buttarli fuori casa col buio, così li rifocillammo e li mettemmo a dormire nella fortezza. -
- E durante la notte li mangiaste? - chiese Integra, timorosa per la sorte dei suoi connazionali.
Alucard la guardò indignato:
- Per chi ci hai preso? Per degli ingrati? Quei tizi ci avevano fatto il piacere di mostrarci qualcosa che non avevamo mai visto quindi perchè avremmo dovuto compensarli inghiottendoli? Li svegliammo prima dell'alba perchè per noi era vitale che lasciassero il castello prima che arrivasse il giorno e dovessimo ritirarci nelle segrete a dormire. Purtroppo non avevamo tenuto conto dei nostri figli umani. -
Il vampiro riprese la stecca, ricominciando a giocare:
- A quei tempi nel branco avevamo due cuccioli, un maschio e una femmina. La sera precedente avevano ammirato a bocca aperta i forestieri pedalare e quando li trovarono nel cortile, pronti ad andarsene portandosi via le biciclette, cominciarono a smaniare. Corsero ad abbracciare un tandem, implorando che lo volevano, lo volevano a tutti i costi. Ma ti pare possibile che potessimo tenerci quel trabiccolo? I due umani che lo cavalcavano come avrebbero potuto proseguire il viaggio? Per niente al mondo avremmo dato a quei forestieri la soddisfazione di tornare a casa parlando male degli abitanti della Transilvania e della Valacchia e soprattutto della famiglia Dracula, colpevoli di avergli fottuto il mezzo di trasporto! La Seconda e la Terza Leonessa, di carattere più calmo, cercarono di convincere i pargoli con le buone, sforzandosi di farli ragionare, di fargli capire che il tandem andava restituito ma quei due capoccioni abbracciarono ancora più strettamente la bicicletta. Allora io e la Prima Leonessa, i nervosi del branco, cominciammo a far piovere ceffoni sui marmocchi come se grandinasse ma neanche in quel modo ci fu verso di scollarli dal tandem. Erano peggio dei polpi: riuscivamo a staccare dai raggi della ruota tutte e cinque le dita con cui si erano aggrappati e si afferravano con le gambe al telaio. Avessimo avuto più tempo a disposizione, saremmo riusciti ad avere la meglio sui marmocchi ma il sole stava sorgendo e avevamo fretta di mandare via i turisti così dovemmo arrenderci. Non potevamo però appiedare due viaggiatori così dovetti prendere due cavalli dalla stalla, sellarli, mettergli le briglie e darglieli al posto del tandem. -
I tratti del viso di Alucard si tesero dalla rabbia:
- Te ne rendi conto, master? Due cavalli per una bicicletta! No, dico, due cavalli! Con tanto di sella e briglie! E li avevo pure fatti ferrare da poco! Non credo che al mondo un'altra bicicletta sia stata pagata più di quella! -
A Sir Hellsing tornò in mente un ricordo di suo padre, la faccia scura che faceva quando si rendeva conto di aver acquistato un giocattolo eccessivamente costoso alla figlia, arrabbiandosi con se stesso nella convinzione di essersi lasciato turlupinare dalla bambina e di aver ormai imboccato in modo irreparabile la strada che avrebbe fatto della sua erede una mocciosetta viziata. Sì, Alucard in quel momento aveva esattamente la stessa espressione di Sir Arthur. Integra pensò che probabilmente, ad ogni latitudine e in ogni epoca, i genitori reagivano allo stesso modo quando si rendevano conto di essersi piegati ai capricci dei figli.
- Nella settimana che seguì, i marmocchi impararono ad andare sul tandem. Pedalavano tutto il giorno per il cortile della fortezza, schiamazzando e ridendo a voce così alta che li sentivo persino dalle segrete. Non ci fu verso di chiudere occhio, in quella settimana! -
Era irritato, il tono di Alucard. A distanza di più di un secolo, il ricordo di quanto avesse sborsato per acquistare un tandem e delle conseguenze che il diabolico oggetto aveva apportato alla sua non-esistenza continuava a rodergli. Il racconto proseguì:
- Finalmente partimmo per la caccia estiva e dato che ci mancavano due cavalli, fummo costretti a portarci dietro quel maledetto tandem, lasciando che i Leoncini viaggiassero su di esso. Due giorni dopo essere partiti, mentre noi vampiri dormivamo il sonno diurno, una cagna randagia si avvicinò al nostro bivacco. Era uno dei più puzzolenti agglomerati di pulci che abbia mai incontrato e i miei figli se ne innamorarono perdutamente perchè quell'essere asmatico concesse loro di accarezzarla in cambio di un tozzo di pane. Per i marmocchi, questo indicava che la cagna li amava e desiderava rimanere con loro per sempre, così le legarono un pezzo di corda intorno al collo a mò di guinzaglio e decisero di portarsela dietro per tutto il viaggio. In verità, non era necessario che la legassero: in cambio di qualche avanzo, quella bestia sfiatata era disposta a seguirci anche in capo al mondo. La terza notte di viaggio passammo attraverso un paese e decidemmo di andare a caccia. Posteggiammo i tappi in un luogo sicuro e li salutammo al solito modo "Restate fermi qui finchè non torniamo, altrimenti vi spelliamo il culo a ceffoni". Ma loro non potevano rimanere fermi con una bicletta nuova sotto i piedi! La parte alta e la parte bassa del paese erano collegate fra loro da una lunga scalinata. I marmocchi si dissero che ancora non avevano tentato l'impresa di scendere con il tandem giù per una scala, così decisero di provare quell'esperienza, sicuri che sarebbero tornati prima di noi nel luogo in cui li avevamo lasciati e che non ci saremmo accorti di niente. Così partirono, tirandosi dietro la cagna per la corda. -
Il vampiro interruppe il gioco per guardare la padroncina con aria seria: 
- Non avrei mai immaginato che due ragazzini, una bicicletta e una cagna potessero fare un simile casino ruzzolando giù per una scalinata! Svegliarono l'intero paese e potemmo dire addio alla caccia. Prendemmo i marmocchi in braccio e tornammo di corsa ai cavalli, prima che dalle finestre cominciassero a lanciarci addosso secchiate d'acqua e manciate di sorbe e aglio. Nessuno di noi pensò alla cagna ma la cagna pensò a noi e benchè reggesse l'anima coi denti, ci corse dietro con tutto il fiato che aveva in corpo. Aveva finalmente trovato dei gonzi disposti a darle da mangiare, non voleva perderci per tutto l'oro del mondo! -
- E il tandem? - chiese Sir Hellsing.
- Il tandem... - sibilò Alucard, con sguardo omicida - Il tandem dovemmo abbandonarlo ai piedi della scalinata perchè ormai era ridotto ad un inservibile groviglio di lamiera. -
Il vampiro si erse in tutta la sua statura e cominciò a sbraitare come un ossesso:
- Il tandem che mi era costato due cavalli! Con tanto di sella e redini! E li avevo pure fatti ferrare da poco! Avevo speso due cavalli per un trabiccolo che era durato dieci giorni! Te ne rendi conto? Due cavalli spesi per niente! -
Adesso Alucard aveva la stessa espressione di Sir Arthur quando scopriva che la figlia aveva distrutto un giocattolo costoso, e che accompagnava sempre con la frase:
- Integra, hai un'idea di quanto sia costato quell'affare? Credi forse che i soldi crescano sugli alberi?! -
E infatti:
- Ma cosa credevano i miei figli? Che i cavalli crescessero sugli alberi? Con tutta la fatica che avevo fatto per guadagnarmeli! - 
Sir Hellsing spalancò gli occhi:
- Te li eri guadagnati? E come? Che lavoro avevi fatto? -
- Me li ero guadagnati rubandoli. - specificò il vampiro, in tono professionale - Come ti dissi tempo fa, il furto richiede l'osservanza di una serie di regole per non scadere in un gioco noioso e io mi sono sempre attenuto scrupolosamente a ogni direttiva. E ti assicuro, master, che sgraffignare i cavalli rispettando le regole è davvero una faticaccia improba, per questo posso dire di essermeli guadagnati col sudore della fronte! -
Integra preferì non insistere in merito, era chiaro che per Alucard quei cavalli erano stati la giusta ricompensa di un lavoro condotto onestamente. Preferì piuttosto indagare:
- Mantenesti la promessa? Quella di spellare il sedere a sculacciate ai tuoi figli se si fossero allontanati dal luogo in cui li avevate posteggiati. -
- Certo che mantenni la promessa! Ci mancava pure che la sfangassero dopo che mi avevano fatto spendere due cavalli per una bicicletta, avermi tenuto sveglio con i loro schiamazzi una settimana intera e aver rotto il tandem dieci giorni dopo l'acquisto! Per cinque giorni dormirono a pancia in giù da quanto gli facevano male le chiappe! -
Integra meditò sulla scena descrittale da Alucard e non potè fare a meno di commentare:
- Dev'essere terrificante averti come padre. -
- Ti assicuro che molti umani sarebbero terrificati ad avere dei figli come i miei. - sbuffò sprezzantemente il vampiro - Non erano ragazzini dalla resa facile. Non c'è stata una sola generazione di figli che, appena scoperto come le croci, l'acqua benedetta e le sorbe tenessero alla larga noi genitori vampiri, non ne abbia bassamente approfittato. Quando combinavano qualche pandemonio, per evitare di prenderle, si mettevano fra i capelli fiori d'aglio e rose selvatiche. E al collo tenevano tutti una croce e ce la sbattevano sotto il muso per tenerci alla larga. Ci toccava aspettare che i fiori appassissero, o che i marmocchi si addormentassero e le croci gli scivolassero fra le dita, per agguantarli e suonargliele di santa ragione. -
- Oserei dire che eravate dei genitori e dei figli che si meritavano reciprocamente. -
- Oserei dire che molto probabilmente hai ragione. - replicò Alucard con un sorriso abbozzato come se a dispetto di tutto, fosse parecchio contento della grinta dei suoi rampolli.
Dopo aver bestemmiato un po' perchè la biglia che aveva colpito aveva mancato per un capello la boccetta bianca, Alucard riprese a raccontare:
- Un'altra estate portammo i marmocchi a vedere i lavori per la costruzione della ferrovia. La prima linea ferroviaria della mia patria collegava Bucarest alla città di Giurgiu e qui mi sembra doveroso interrompere il racconto per spiegarti chi era l'ospite che viaggiava con noi, visto che avrà un ruolo importante in questa storia. -
Il vampiro ingessò nuovamente la punta della stecca mentre narrava:
- I nostri marmocchi trascorrevano la maggior parte dell'anno isolati in un castello in compagnia di quattro vampiri. Ammettiamolo master: per i bambini non c'è niente di più palloso che avere come unica compagnia gli adulti, non è vero? -
- Verissimo! - annuì con enfasi Integra, a cui era sempre pesato essere l'unica creatura giovane di Hellsing Manor.
- Io e le mie mogli ne eravamo consapevoli per questo chiedevamo ai nostri servi di portarci uno dei loro figli, un ragazzino o una ragazzina dell'età dei Leoncini, che vivesse con noi per tutto l'inverno in modo da far loro compagnia. -
Benchè Integra vivesse quotidianamente a contatto con Alucard, quando provava a calarsi nei panni degli altri esseri umani stentava a credere che potessero esserci individui capaci di allearsi o fidarsi di un vampiro. 
" Per me è diverso perchè io sono la master " pensava la ragazzina, giustificando così il legame che la univa al Re-senza-vita, senza rendersi conto che la sudditanza del nosferatu era stata solo la base di partenza del loro rapporto e che nel corso di quei mesi il loro affiatamento era aumentato solo grazie alla reciproca stima e comprensione.
Per questo, anche quella volta, faticò ad accettare l'idea che dei genitori potessero affidare spontaneamente i propri pargoli a dei mostri. Dovevano aver agito così spinti dalla paura di contraddire il proprio signore, non esisteva altra spiegazione! Alucard dovette leggerle sul viso quel pensiero perchè ghignò:
- Certamente i miei servi non desideravano scontentarmi ma non credere che mi ubbidissero solo per questo. Non avevano ragione di diffidare di me, dato che ho sempre protetto i miei sottoposti. Anche i ragazzini che venivano a tenere compagnia ai Leoncini erano miei servi quindi nè io nè le Leonesse avevamo motivo di far loro del male. All'inizio, quando entravano nella fortezza, erano titubanti ma presto imparavano a godersela. Non hai un'idea di quanto fosse faticosa l'esistenza delle generazioni che ti hanno preceduta, master. Il lavoro manuale da svolgere per sopravvivere era tantissimo e anche i bambini dovevano fare la loro parte, cominciando a faticare sin da piccoli. A Poienari, invece, non c'era quasi niente da fare, quindi i marmocchi avevano tantissimo tempo a disposizione per spassarsela e i nuovi arrivati s'integravano alla svelta in questo clima. Per i ragazzini che ospitavamo era come una bellissima vacanza, un periodo di riposo che non sarebbe più capitato nelle loro faticose esistenze. L'estate in cui andammo a vedere i lavori della linea ferroviaria Bucarest-Giurgiu, con noi viveva una ragazzina. Normalmente, prima di partire per la caccia nomade, i genitori venivano a riprendersi i pargoli ma la famiglia di quella marmocchia abitava troppo distante dalla fortezza, così ci sembrò più sensato che gliela riportassimo noi strada facendo. Ci mettemmo in cammino, dirigendoci verso la ferrovia e una notte raggiungemmo i binari. Lungo le traversine sorgevano le tende dove dormivano gli operai. In silenzio osservammo le longarine, i tralicci, le massicciate, poi i marmocchi cominciarono a bisbigliare che avevano fame. -
Il vampiro sollevò sulla master uno sguardo che conteneva rimprovero e ironia:
- Voi umani siete una lagna. Avete fame, sete, freddo...prima di partire per la caccia nomade, dovevamo caricare un cavallo con tutto ciò che occorreva per non far schiattare i nostri figli umani, coperte, borracce e viveri ma l'acqua e il cibo si esaurivano durante il tragitto e dovevamo rifornirci nuovamente. Un ottimo modo di approvvigionamento consisteva nello spedire i marmocchi al saccheggio di ogni consorzio umano che incontravamo. Li sorvegliavamo da lontano, per essere sicuri che nessun contadino li vedesse e cominciasse ad inseguirli col forcone e lasciavamo che si dessero da fare razziando orti, frutteti e portando via dai pollai uova e galline. Erano dei ladruncoli in gamba, i nostri figli; rapidi e silenziosi come una torma di piccoli Attila. Anche quella notte, dato che non avevamo nulla da dargli da mangiare, li mandammo all'assalto delle tende degli operai. S'intrufolavano fra i dormienti sgraffignando tutto ciò che era commestibile. Il problema era la ragazzina che ospitavamo, la servetta presa per tener compagnia ai nostri figli. Era una tipa tranquilla, non abituata all'avventura. L'impegno per starci dietro nelle nostre scalmanataggini lo metteva ma era evidente che non era tagliata per il ruolo e arrancava sui nostri passi. Anche quella notte dimostrò la sua imbranataggine. Quando demmo il via libera al saccheggio ai marmocchi, questa ragazzina si intrufolò in una tenda ma non era abile a rubare, ammesso che avesse mai sgraffignato qualcosa in vita sua. Fece troppo rumore, svegliò l'occupante e quello l'afferrò per un braccio cominciando a dargliele di santa ragione. -
Il vampiro guardò dritto negli occhi Integra prima di proseguire:
- Master, ti pare possibile che potessi permettere al primo mortale che incontravo di picchiare una delle mie serve, nonchè amichetta dei miei marmocchi e mia diretta discendente? Lo capisci anche tu che non potevo permettere un affronto del genere, vero? Così azzanai alla giugulare quel tipo, impedendogli fra l'altro di mettere in allarme il campo. Come potevo sapere che stavo inghiottendo il capo-ingegnere preposto alla costruzione della linea ferroviaria? La sua dipartita ritardò il completamento dell'opera di un bel po' di mesi, perchè dovettero farsi spedire un nuovo ingegnere da Vienna prima di proseguire i lavori. Io però agii in buona fede: se lui avesse permesso alla mia sottoposta di frugargli fra i bagagli, invece di alzarsi e prenderla a sberle, non mi sarei sognato in berlo. Be', comunque andò così, inutile rivangare sugli errori del passato. Visti i binari, volevamo vedere i treni, così galoppammo fino alla città di Reșița, dove sorgevano delle fabbriche che costruivano locomotive. Una notte attendemmo nei pressi di un binario periferico. Arrivò un treno merci, staccarono i vagoni e la locomotiva procedette verso il deposito. A quel punto saltammo tutti sulla vaporiera e imponemmo ai macchinisti di mostrarci come funzionava. -
Un paio d'anni prima, Integra era salita su una locomotiva a vapore. Ricordava quanto angusto le fosse sembrato lo spazio della cabina e ascoltando le parole di Alucard non poté trattenersi dal chiedere:
- Cosa intendi con “saltammo tutti sulla vaporiera”? -
- Che salimmo tutti a bordo, mi pare ovvio. Io, le Leonesse, i marmocchi. -
- E come stavate tutti quanti in uno spazio così risicato? -
- Ci organizzammo. Non rimanemmo tutti quanti nella cabina. Qualcuno si sedette sul cassone del carbone e qualcun'altro si arrampicò sul tetto e sul muso della locomotiva. -
Un'immagine vista in un documentario si affacciò nella mente di Integra. Il furgone di un safari fotografico si era fermato nella savana e un gruppo di leoni curiosi l'aveva preso d'assalto, chi arrampicandosi sul tettuccio del veicolo, chi sul cofano. Benché i viaggiatori avessero sperato di vedere da vicino le belve, era chiaro che quell'incontro fosse fin troppo ravvicinato per i loro gusti e osservavano con apprensione i felini scrutarli da dietro i vetri spessi.
Ecco, a Sir Hellsing sembrava che i due poveri macchinisti fossero incappati in una situazione analoga. In fondo, non c'era poi molta differenza fra il branco di Dracula e un branco di leoni. I tecnici avevano guidato e spiegato il funzionamento della locomotiva a delle creature che li assediavano da ogni lato, dotate di occhi curiosi e zanne affilate con l'aggravante che, a differenza dei turisti degli zoo-safari, avrebbero fatto volentieri a meno di quell'incontro.
- Ci facemmo scarrozzare per un bel po' di ore. Fu molto interessante anche se i marmocchi rischiarono di volare di sotto più di una volta e alla fine ci toccò tenerli in braccio per tutto il tempo, a scanso di incidenti. Ripagai quei brav'uomini del disturbo con due cospicui rotoli di bigliettoni che casualmente mi erano finiti fra le mani quando le avevo lasciate scivolare nelle tasche dell'ingegnere, mentre lo bevevo. - 
Ciò detto, Alucard pestò un piede in terra, sgranando al contempo un rosario di bestemmie in una decina di lingue diverse. Per l'ennesima volta una biglia aveva sfiorato la boccetta bianca senza però colpirla apertamente e la maledetta candida era rimasta immobile. Sfogatosi a quel modo, riprese a parlare:
- Quell'anno fu parecchio interessante perché sul fare dell'autunno, mentre stavamo tornando verso la fortezza, ci imbattemmo nella nostra prima automobile. Non immagini quanto fossero differenti dalle vetture odierne quei primi prototipi. Quella in cui incappammo era un trabiccolo montato su tre ruote enormi, da carrozza, e come scoprimmo smontandolo, funzionava a vapore, esattamente come le locomotive. -
- Che splendido risveglio avrà avuto il proprietario di quell'automobile! La sera prima l'aveva posteggiata tutta intera e al mattino la ritrova ridotta a un cumulo di pezzi da riassemblare. - commentò sarcastica Sir Hellsing.
Il vampiro non sembrò cogliere l'ironia perché con serietà rispose:
- Ti sbagli master, la smontammo proprio sotto gli occhi del proprietario. Andò così: un tramonto procedevamo lungo una strada di campagna, distavamo un miglio circa da Bucarest quando ci vediamo sfrecciare sotto al naso questo trabiccolo con due damerini a bordo. Potevamo rimanere indifferenti di fronte a una simile meraviglia della tecnica? No, ovvio! Raggiungemmo facilmente il triciclo perché a quei tempi le vetture non avevano una gran velocità e obbligammo i conducenti a posteggiarsi in un campo sterrato. Li facemmo scendere, aprimmo il cofano del motore e gli chiedemmo di spiegarci come funzionava quell'affare. Davamo per scontato che sapessero com'era fatto. Era il loro mezzo di trasporto. I cavalli erano il mezzo di trasporto del mio branco e noi dei cavalli sapevamo tutto. Capivamo quando avevano fame, sete o bisogno di leccare una manciata di sale. Sapevamo come preparare gli impiastri con cui medicare le piaghe che le selle lasciavano sulle loro schiene, sapevamo togliere i sassi che rimanevano incastrati nei loro zoccoli e sapevamo come aiutare una cavalla a partorire. Sapevamo distinguere i sentieri attraverso cui erano in grado di passare da quelli troppo impervi e per loro impraticabili, quando potevamo pretendere da loro un ultimo sforzo e quando dovevamo accamparci perchè erano esausti. Tutte queste cose, noi le sapevamo ed eravamo convinti che qualsiasi umano fosse ferrato sui mezzi che usava per muoversi. Era stato così con i macchinisti della locomotiva che conoscevano tutto del marchingegno che guidavano. Era stato così per i ciclisti che sapevano come rimettere a posto una catena o gonfiare una ruota. Non fu così per gli automobilisti e non hai un'idea del nostro stupore di fronte alla loro abissale ignoranza su come fosse fatta la macchina che conducevano! All'inizio rifiutammo di crederlo: eravamo convinti che non dicessero niente per farci dispetto. Poi però ci rendemmo conto che neanche prendendoli a sganassoni c'era verso di cavargli niente di bocca, così capimmo che rimanevano in silenzio perchè non sapevamo un tubo di come funzionasse il motore. Rimanemmo disgustati di fronte a tanta ignoranza. A calci li spedimmo a sedere sull'erba e cercammo di comprendere da soli come funzionasse il motore. Smontavamo un pezzo per volta e osservavamo cosa cambiava, nel funzionamento dell'automobile, senza quell'elemento. I due idioti seduti sull'erba ci guardavano piangendo disperati. -
Che piangessero come fontane, a Integra sembrava perfettamente comprensibile: considerando il costo astronomico che dovevano avere quei primi prototipi di automobile, anche il più ricco magnate si sarebbe sentito spezzare il cuore vedendo quel branco di vampiri adulti e ragazzini umani affondare le mani nel motore svitandolo un pezzo per volta.
- E li abbandonaste così, a un miglio dalla città, con la macchina smontata? -
- Certo che no! Per chi ci hai preso? Per dei maleducati? Benchè fossero due idioti, ci avevano comunque fatto la cortesia di farci studiare un'automobile ed era giusto che li compensassimo del favore non mangiandoli e restituendogli la macchina per com'era. O almeno, il tentativo di restituirgliela per com'era lo facemmo, quanto poi ci riuscimmo non saprei dire. I marmocchi si stancarono presto di studiare il motore e utilizzarono i bulloni che avevamo svitato per giocare a biglie sul prato. Fra l'erba alta, fra che era buio, molti bulloni andarono smarriti e quindi alcuni pezzi del motore non eravamo in grado di riassemblarli. I nostri figli ne approfittarono e quei pezzi avanzati li infilarono nelle bisacce dei loro cavalli, come ricordo e come giocattoli. Per molte settimane si addormentarono abbracciati a quegli ingranaggi metallici come se fossero bambole o orsacchiotti. Comunque, anche senza quei pezzi, la macchina era in grado di accendersi e muoversi, così vi infilammo dentro i due babbei e li lasciammo andar via. Non assicuro che la carretta riuscì a portarli fino a casa però presumo che fino alle porte di Bucarest sia riuscita ad arrivare prima di defungere. -
Alucard continuò a giocare in silenzio. Pareva non avesse più niente da raccontare. Sir Hellsing riempì quel silenzio riflettendo su quanto che le aveva detto il servo. Tutto sommato, era obbligata a dargli ragione: crescere con dei genitori-vampiro non sembrava essere un evento particolarmente traumatico. Mettendo insieme tutte le tessere del puzzle, avrebbe definito l'infanzia dei Leoncini "sfrenata", "selvaggia", "confusionaria", non particolarmente peggiore di altre.
Fu a quel punto che la mente di Integra compì un volo pindarico, ripescando dalla memoria un passo del romanzo di Stoker in cui il Conte tornava al castello portando da mangiare alle sue spose un bambino rapito dal borgo vicino. Alucard le aveva detto che non tutto ciò che era scritto in quel libro corrispondeva a verità e la ragazzina si domandò se quel particolare non fosse un'invenzione dello scrittore, desideroso di rendere ancor più inquietante il personaggio di Dracula. Ad essere sincera, Sir Hellsing sperava con tutte le sue forze che il piccolo divorato fosse un'iperbole di Stoker e fu col cuore in gola che chiese:
- Mangiavate anche i bambini? -
- Con un adulto ci sfamavamo di più ma se non ne trovavamo, succhiavamo anche i ragazzini. -
Un moto di repulsione afferrò Integra che sentì il bisogno di allontanarsi più che potè dal servo. Alucard la lasciò agire senza scomporsi. In fondo, la comprendeva: neanche per lui era stata indolore la consapevolezza che Dio Abraham era lo stesso individuo che aveva ucciso le sue mogli.
- Avevate figli umani! Come potevate mangiare bambini umani? - chiese la ragazzina, la voce tremante d'angoscia.
Il tono del vampiro diventò indulgente davanti a tanto dolore:
- Hai mai pensato, my master, che un vampiro considera gli umani così come gli umani considerano il bestiame? -
Una pausa, per dare alla piccola il tempo di assimilare il concetto, poi Alucard riprese:
- Il fatto che alcuni animali vi suscitino talmente tanta tenerezza da trattarli come componenti della famiglia, non vi impedisce di considerare altri unicamente come cibo e mangiarli senza rimorsi. Quanti genitori umani smettono di mangiare vitelli o agnelli dopo la nascita dei loro figli, dicendosi che dopo tutto sono cuccioli innocenti quanto i loro bambini? Avere una discendenza umana, graziare degli umani che suscitano la nostra stima, non costringe un vampiro a sentirsi in obbligo verso l'intera specie umana. -
Razionalmente, Sir Hellsing comprendeva le parole del vampiro ma emotivamente non poteva accettarle. Alucard rimase in attesa infine, vedendo come la padrona non riuscisse ad uscire da quel silenzio addolorato, disse:
- Anche tu giocavi con le formiche, vero? Tutti i bambini lo fanno. Dimmi, cosa facevi?-
Integra non voleva rispondere. Intuiva dove il vampiro volesse andare a parare. Il servo però era ostinato e continuò ad incalzarla finchè la ragazzina uscì dal suo mutismo:
- Certe volte mi divertivo a schiacciarle tutte. Altre, portavo loro briciole di pane. Tutto dipendeva dall'umore della giornata. Capitava che cambiassi idea in corso d'opera. Arrivavo armata di intenzioni pacifiche, poi mi veniva a noia vederle arrancare con le molliche e cominciavo a torturarle. Buttavo acqua all'ingresso del formicaio per affogarle, oppure le rinchiudevo in una scatolina di plastica trasparente e le guardavo correre avanti e indietro impazzite dalla paura, cercando una via di fuga. Altre volte invece arrivavo decisa a schiacciarle tutte. Andavo avanti così per un pezzo, poi cominciavo a graziarne qualcuna, perchè provavo una pena improvvisa o perchè mi sembrava che quella formica in particolare meritasse di vivere più di un'altra, magari perchè per quanto m'impegnassi a pestarla, riusciva sempre a sfuggire alla mia suola, o perchè il gioco mi era venuto a noia o perchè non lo sapevo nemmeno io. -
Alucard sorrideva soddisfatto:
- Perfetto, non avrei saputo spiegarmi meglio. Master, sostituisci le formiche agli umani, metti al tuo posto me o qualsiasi altro vampiro e capirai il nostro modo d'agire. L'umanità non la amiamo nè l'odiamo: ci lascia indifferente e di conseguenza ci comportiamo. A seconda dell'umore della giornata, possiamo decidere di graziare tutti gli umani che incontriamo, andandocene a succhiare un animale, o possiamo decidere di compiere una carneficina superiore al nostro reale bisogno di nutrimento. E può anche capitare che cambiamo idea in corso d'opera. Dato che in questo momento sei particolarmente afflitta dall'idea che possiamo mangiare senza scrupoli anche i cuccioli d'uomo, l'unica consolazione che posso darti è che è capitato che col mio branco sterminassimo famiglie intere, salvo un bambino o una neonata. Perchè lui o lei sì e gli altri no? Chi lo sa! Perchè ci era venuto a noia il gioco, per un' improvvisa pena, perchè ci sembrava meritasse di vivere più degli altri benchè fossimo consapevoli che non ci fossero differenze fra il graziato e i suoi parenti, o ancora per un capriccio a cui non sapevamo dare risposta. Certe volte si trattava dei figli umani dei branchi di vampiri rivali che sterminavamo, altre erano i cuccioli delle prede umane che mangiavamo. In entrambi i casi non potevamo lasciarli dove si trovavano, sarebbero andati incontro a morte certa, così li portavamo con noi, affidandoli alla prima famiglia di servi che incontravamo sul cammino affinchè li allevassero. Restavano a vivere con i nostri sottoposti e in questo modo finivano per diventare anche loro miei servi e protetti. Ma immagino che tutto questo non ci farà comunque rientrare nella tua categoria dei "buoni".-
Pur nel suo turbamento, Integra non potè fare a meno di analizzare le parole del vampiro e si accorse di non comprenderle. Che portassero via i figli dei vampiri uccisi era ovvio: dei bambini non potevano certo sopravvivere da soli in un bosco o in un castello diroccato. Ma i figli delle prede umane, perchè li conducevano via? Perchè non li lasciavano continuare a vivere nel borgo in cui erano nati e dove certamente avevano dei parenti che potessero occuparsi di loro? Glielo chiese e Alucard spiegò:
- Non potevamo lasciarli dove avevamo compiuto la carneficina perchè una volta che gli altri umani del paese si fossero accorti di cos'era accaduto ai loro vicini, si sarebbero chiesti perchè proprio quel piccolo era sopravvissuto. C'era il rischio che lo considerassero un maledetto, uno che aveva venduto l'anima al diavolo per aver salva la vita e lo avrebbero messo al rogo senza rimpianti. Così non ci restava che issarci gli scampati in sella e portarli via. - 
Con i nervi a fior di pelle e l'emotività in subbuglio, Sir Hellsing non resse quella nuova rivelazione sulla crudeltà umana. La sua reazione fu di difesa e si concretizzò in uno sprezzante:
- Stai mentendo! -
Alucard non si scompose. Con calma, continuando a girare intorno al biliardo studiando l'angolazione migliore da cui colpire le biglie, disse:
- Sekure camminò al mio fianco per quarantotto anni prima di restare incinta di Marya. Sai cosa vuol dire questo? Che la mia compagna vide scorrere i decenni senza che nessun bambino arrivasse. Inizialmente, diceva che era un bene. Era convinta che due vampiri non potessero che generare un vampiro e siccome lei non aveva ancora accettato la sua nuova natura, affermava che meno mostri calcavano questo mondo, meglio era per tutti. Non la contraddicevo su ciò che poteva nascere fra due vampiri perchè non avevo esperienza in merito. Fino ad allora, avevo avuto a che fare solo con donne umane, Sekure era la mia prima vampira quindi mettevo in conto che potesse avere ragione, o che addirittura due vampiri non potessero generare niente. Ma su un particolare sapevo con certezza che la mia compagna sbagliava. Non era vero che fosse contenta di non avere figli. Ricordalo sempre, master: c'è una notevole discrepanza fra ciò che la gente dice e ciò che desidera realmente e Sekure non faceva eccezione. Mi dispiaceva vederla soffrire così una notte calai su una città, entrai nella casa di una famiglia addormentata, presi un bambino di due anni e me ne andai, per portarlo a Sekure. -
Il vampiro colpì una biglia rossa:
- Sin da quando glielo misi in braccio, Sekure cominciò a dire che avevo sbagliato perchè i figli delle donne devono stare con gli umani e non con i mostri. Non le diedi retta ma Sekure s'intestardì su quell'idea anche perchè il bambino piangeva e piangeva. Era normale, tutti i cuccioli, separati dalla madre, si disperano finchè non la dimenticano. Dicevo a Sekure di avere pazienza, dovevamo solo attendere che il marmocchio si affezionasse a noi e avrebbe smesso di frignare ma quella zuccona non voleva sentire ragioni e alla fine mi arresi alla sua volontà così una notte riportammo il bambino alla casa da dove l'avevo preso. -
La boccetta rossa correva sul velluto verde, rimbalzando da una sponda all'altra del tavolo.
- Ricominciammo a fare i briganti ma Sekure ripensava continuamente al marmocchio e una notte volle andare a rivederlo, per accertarsi che stesse bene. Ci intrufolammo nuovamente nella casa, cercammo dappertutto in mezzo ai dormienti ma del bambino non c'era traccia. C'erano i suoi fratelli, le sue sorelle, il padre e la madre ma non lui. Svegliammo i genitori, chiedendogli dove fosse il piccolo. Quando ci videro, ammutolirono dal terrore e occorsero un bel po' di ceffoni per fargli recuperare la parola. Ci dissero che la mattina in cui si svegliarono e non trovarono il figlio, lo cercarono con i vicini di casa per ogni dove. Erano certi che la sua sparizione fosse opera di una forza oscura perchè un bambino non poteva svanire così, senza che le sorelle e i fratelli che dividevano il suo stesso letto si accorgessero di nulla. Quando si erano arresi all'idea che non lo avrebbero rivisto mai più, una mattina si svegliarono e ritrovarono il figlio addormentato in mezzo agli altri. Ebbero paura che chi l'aveva rapito e riportato potesse aver fatto un maleficio sul marmocchio, una magia che avrebbe portato disgrazia sul resto della famiglia, così lo condussero da un frate esorcista, perchè lo purificasse. Il frate calcò un po' troppo la mano nella conduzione del rito di esorcismo e finì per annegare il bambino nella tinozza d'acqua che avrebbe dovuto mondarlo. -
La biglia rossa, dopo tanto vorticare, colpì finalmente la biglia bianca.
- Dopo che Sekure ascoltò questa storia, uscì diretta al convento del monaco e la seguii. Trovammo il frate e Sekure lo torturò per parecchie ore prima di ucciderlo. Non volle bere neanche una goccia del suo sangue, affermando che le faceva schifo l'idea di assaggiarlo. Lo inghiottii io, mi dispiaceva sprecare il buon sangue di un tizio ben pasciuto. Da quella notte, finalmente, Sekure smise di vergognarsi della sua nuova natura e di rimpiangere di non essere più umana. Aveva capito che fra mostri e persone non ci sono molte differenze, il livello di crudeltà è analogo e imparò ad inghiottire gli umani senza più sentirsi in colpa. -
La biglia bianca, dopo essere rimbalzata fra le sponde ed essersi scontrata contro le altre palline, terminò la sua corsa in buca. Il silenzio all'interno del salone era denso e vischioso come colla.
- Per questo, con le Leonesse, portavamo via i bambini che graziavamo. Sapevo con certezza che sarebbero stati uccisi se li avessimo lasciati nel borgo in cui erano nati. Così è, master. Che tu l'accetti o meno, non mi tange. - concluse il vampiro, mettendo fine alla conversazione.
Un tirar su col naso gli fece capire che la piccola Sir stava piangendo. Alucard non si mosse nè si girò verso la ragazzina. Capiva che la padrona si sarebbe mortificata, vedendosi scoperta in lacrime dal sottoposto. Proprio per non correre questo rischio, Integra uscì da salone del biliardo, dirigendosi in camera propria. Alucard la guardò allontanarsi con una pena improvvisa nel cuore. Quante cose aveva ancora da imparare quella master in erba!


1)Nel suo romanzo, tutto ciò che Stoker dice delle spose di Dracula è che due avevano i capelli neri e il naso aquilino e la terza era bionda e con gli occhi azzurri. A parte questo, buio totale. Come si chiamavano? Com'erano divenute vampire? Stoker non ce lo rivela, riducendole a un semplice terzetto di comparse.
Se per Stoker si trattava di personaggi quasi senza importanza, sulla mia fantasia invece queste tre donne hanno esercitato una curiosità notevole. Sono le uniche persone in tutto il libro verso cui il Conte Dracula dimostra affetto e scusate se è poco :D ! Ho così sbrigliato la fantasia per ricreare un passato alle Leonesse di Alucard. Ho preferito evitare di dar loro un nome perchè so che in circolazione esistono almeno un paio di film in cui compaiono le spose di Dracula e mi sono detta che se fra voi c'è qualche fan di quelle pellicole, se lo desidera può chiamare le tre vampire con i nomi che sono stati appioppati loro in quei film. Se invece non siete fan...oh, bè, chiamatele pure con i nomi che più vi piacciono. Per quel che mi riguarda, dopo aver spulciato un corposo elenco di nomi femminili rumeni, nella mia fantasia le ho ribattezzate Ruxandra, Stanca e Paula. Sempre nelle mie perverse fantasie, le mogli more sarebbero la prima e la terza Leonessa mentre la bionda sarebbe la seconda consorte.
Presumo che chi ha sempre immaginato Dracula e le sue spose come quattro aristocratici che facevano la bella vita in un elegante castello saranno rimasti spiazzati davanti all'esistenza "tribale" che faccio loro condurre in questo capitolo. Io però è così che li vedo: non quattro vampiri eleganti e raffinati ma quattro predatori che agiscono e ragionano da predatori, molto simili ad un branco di leoni.
2)Qual'è il castello di Dracula? Domanda da un milione di dollari :D. Probabilmente il castello del Conte non esiste, nel senso che Stoker l'ha "creato" attingendo da particolari presi da vari palazzi costruiti da Vlad III (le dimensioni dal castello di Bran, la posizione in cima a una montagna dalla fortezza di Poienari...). Siccome però ci tenevo a dare ad Alucard una tana reale e tangibile, ho deciso di farlo risiedere per tutta la durata del suo passato di Conte nella fortezza di Poienari che fra tutti i castelli di Vlad III è quello che, per quanto spartano, mi affascina maggiormente. Se non la conoscete, in questo filmato parlano brevemente della fortezza di Poienari http://www.youtube.com/watch?v=678K27k7olU





 

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Capitolo 12
*** L'unica femmina di casa Hellsing ***


Chiedo anticipatamente scusa se i lecca-lecca disgusteranno qualcuno. Il mio obiettivo non è disgustarvi ma farvi ridere e a me personalmente la scena dei lecca-lecca faceva ridere. Capisco però che persone diverse hanno sensibilità diverse e ciò che può sembrare comico a me può nauseare altri, per questo chiedo anticipatamente scusa.

 

Un gallone = 4,543 litri

 

Alucard era uscito dal suo letargo ventennale affamato non solo di sangue ma il vampiro appena risvegliato era stato obiettivo: smunto e allampanato com’era, e con i capelli bianchi, non era un boccone appetibile per nessuno. Si era così messo l’anima in pace, rimandando quel tipo di soddisfazione a quando avesse riacquistato un aspetto decente.

Due mesi e una scorpacciata di cavalli da corsa dopo, le sue guance erano tornate floride e muscoli e carne erano tornati a coprire le sue ossa ma a quel punto era sorto un nuovo problema: nessuna donna era più presente in casa Hellsing, essendo tutte fuggite a causa delle sue trasformazioni repellenti.

Alucard non si perse d’animo. In cinquecento anni gli era già capitato di affrontare situazioni che lo avevano lasciato a corto di donne, come guerre o pestilenze ma ogni volta se l’era egregiamente cavata ripiegando sugli uomini o, per essere più esatti, ripiegando davanti a sé uomini che avevano inutilmente tentato di salvarsi dalla violenza urlando e scalciando.

Di uomini era piena l’Organizzazione Hellsing: quasi un centinaio di soldati bazzicava la base! Certamente, fra loro, avrebbe trovato qualcuno con cui sollazzarsi.

Inizialmente non aveva progettato di far loro del male. Era certo che fra i militi si trovasse qualche “invertito”, come diceva lui e non vedeva perché mai queste persone avrebbero voluto negarglisi. Non lo sfiorava l’idea che chi ha fatto della lotta ai mostri la propria missione vita, molto probabilmente trovi tutt’altro che allettante la prospettiva di un tête-à-tête con un vampiro. Così, quando si rese conto che nessuno di quegli uomini avesse la benchè minima intenzione di permettergli di conoscerlo biblicamente, Alucard attribuì quei rifiuti a un’antipatia immotivata nei suoi confronti. Si vendicò quindi a modo suo, divertendosi a provocarli e a far perdere loro le staffe. I militi capivano come dietro quel passatempo il vampiro celasse intenzioni ben più gravi e la guerra che avevano condotto contro il nosferatu a colpi di “Biancaneve”, era una diretta conseguenza della loro esasperazione.

La scazzottata che aveva spedito una trentina di soldati in ospedale aveva in parte smorzato la tensione anche perché il vampiro, desideroso di recuperare la stima della master, s’era arreso a lasciare in pace gli uomini per qualche settimana, giusto il tempo di far tranquillizzare le acque e a giudizio del mostro, le acque erano ormai talmente rasserenate da autorizzarlo a riprendere la caccia. Si arrampicò quindi sul tetto della villa e da lassù, simile al leone che dall’alto delle rocce scruta la savana alla ricerca di prede, osservò lo spiazzo delle esercitazioni , nella speranza di scovare un soldato isolato. Gli andò male. Non solo nessun milite si aggirava solitario e vulnerabile per la base ma tutti i soldati presenti, impegnati in quel momento nelle esercitazioni, lo scorsero e con un brivido si resero conto che l’armistizio era cessato.

Quando il turno finì, non tornarono a casa ma rimasero negli spogliatoi a discutere su come difendersi dal maledetto mostro.

 

Il capitano Ferguson impiegò alcuni giorni per  accorgersi di quanto stava accadendo. I suoi uomini improvvisamente sembravano terrorizzati all’idea di aggirarsi da soli per la base. Le banali mansioni che potevano essere svolte da un solo soldato venivano condotte in collaborazione fra tre o persino quattro commilitoni ma ciò che lo scandalizzò veramente fu accorgersi che quando un milite andava al bagno, un compagno lo scortava, armato di tutto punto e col fucile d’assalto pronto a sparare.

Radunò tutti i sottoposti in caserma e cominciò la sua inviperita lavata di capo:

- Siete uomini o ragazzine delle medie che hanno bisogno di essere accompagnate in bagno dall’amichetta del cuore?! -

I soldati si guardarono titubanti fra loro, infine McBrian prese il coraggio a due mani e facendo un passo avanti, dichiarò:

- Nossignore, non siamo ragazzine delle medie ma ci vediamo costretti ad agire così per salvare le nostre terga dalle rapaci grinfie del vampiro, signore! -

Ferguson sgranò gli occhi dato che lui, in tutti quei mesi, mai si era accorto del pericolo corso dai  soldati ma la sua sorpresa non finì lì. Dopo un attimo di esitazione, McBrian riprese:

- Mi scusi se glielo dico, signore, ma tutti noi siamo in apprensione per lei che si ostina a continuare ad andare in bagno da solo! -

Come un sol uomo, tutti i militi gli si strinsero intorno, parlando concitatamente:

- La prego, lasci che uno di noi l’accompagni col fucile d’assalto alla toilette. -

- Non abbia vergogna a chiedercelo! -

- Non si illuda che solo perché ha una certa età e un certo grado il vampiro la risparmi! -

- Ricordi che quello è un mostro, assalirebbe chiunque! -

- SILENZIO! - intimò Ferguson e tutti i soldati si scostarono di un passo.

Il capitano ribolliva d’ira, per tante ragioni: per non essersi accorto del pericolo corso dai suoi uomini, per non averli saputi difendere, per l’insinuazione che anche lui, proprio lui, fosse a rischio. Tirò un profondo respiro e annunciò:

- Domattina parlerò col signor Dorneaz e con Sir Hellsing di quanto mi avete riferito e cercheremo di trovare una soluzione. -

Ciò detto, si avviò verso la porta d’uscita della caserma.

- Ma dove va?! - chiesero in coro i suoi sottoposti, preoccupati.

- Ho terminato il mio turno, vado a prendere la macchina al posteggio e torno a casa. -

- Ma il posteggio a quest’ora è buio pesto! - insorse McBrian.

- Ricordi cosa le abbiamo appena detto! La sua età non la mette al riparo! - rincarò l’uomo che si era visto rompere il naso da Alucard nel poligono di tiro.

- Lasci che tre di noi l’accompagnino fino alla macchina! - aggiunse un soldato che nella solita scazzotata al poligono aveva perso un dente.

- Nemmeno per idea! So badare a me stesso! - e con queste parole sdegnose, Ferguson sparì nel buio del piazzale, lasciando i suoi uomini colmi d’angoscia.

 

Ferguson attraversò ad ampie falcate lo spiazzo oscuro, maledicendo la propria cecità. A lui spettava il benessere e la salvezza degli uomini che si affidavano ai suoi ordini e non essersi accorto delle mire di Alucard in tutti quei mesi era una grave macchia sul suo onore di comandante.

Fortuna che per lo meno nessuno dei suoi uomini aveva subito la violenza del freak! Domattina ne avrebbe parlato con Walter e Integra e tutti avrebbero potuto tirare un sospiro di sollievo…

Così ragionando giunse a pochi passi dalla sua automobile e qui si fermò, raggelato. Sul cofano della macchina sedeva Alucard, ghignante e con gli occhi rossi fiammeggianti di felicità nel vederlo.

Ferguson maledì mentalmente i suoi uomini. Se solo non gli avessero ripetuto che temevano persino per lui, un anonimo signore di mezz’età, pelatino e con un po’ di pancetta, l’antitesi della sensualità, adesso sarebbe stato ancora in possesso di tutte le sue capacità di discernimento, in grado di valutare se il vampiro, in quel momento, rappresentasse per lui una minaccia o meno e come dovesse agire di conseguenza. Invece, con quella pulce nell’orecchio messagli da McBrian, adesso nutriva soltanto una paura irrazionale, sentimento pericoloso che ostacolava una difesa efficace.

- Salve Ferguson! - lo salutò con entusiamo il succhiasangue.

- Salve Alucard. - rispose l’uomo, e la voce risuonò stridula alle sue stesse orecchie.

L’umano vide il ghigno del vampiro accentuarsi: aveva udito la sua paura.

- Vai di fretta? -

- Sì, ho fretta di tornare a casa, ho un terribile mal di testa. -

Ferguson inserì la chiave nella serratura ma per quanto la girasse, la portiera non si apriva. Questa era certamente opera del nosferatu, teneva bloccato lo sportello con i suoi poteri mentali.

L’umano respirò a fondo, così da dare alla propria voce un tono normale, dopodichè chiese:

- Per piacere, puoi sboccare la mia macchina? -

- No. -

- Voglio andare a casa, sono stanco. -

- E io mi annoio e ho una gran voglia di giocare con qualcuno. -

- Perché non giochi con Mister Dorneaz o con Sir Integra? -

Il vampiro non rispose e quel silenzio fece tremare le ginocchia del comandante. Non era una partita a scacchi  il gioco che aveva in mente Alucard, per questo aveva escluso la master e il maggiordomo dal suo progetto.

“ Devo agire in fretta prima che prenda il controllo della mia mente! “ pensò Ferguson così, fissando con durezza il mostro negli occhi, lo avvisò:

- Ricorda che di tutto quel che mi accadrà ne risponderai direttamente alla tua padrona e al suo tutore! -

Il ghigno sparì dal muso di Alucard, per lasciare il posto ad un’espressione contrariata. Offeso, si alzò dal cofano dall’auto e si allontanò nella notte. Le portiere della macchina si aprirono con uno scatto. Il capitano salì a bordo e con le gambe e le mani che ancora tremavano, ingranò la marcia e partì verso casa.

 

Il mattino dopo, Ferguson avrebbe desiderato che Integra fosse presente al colloquio, certo che una sgridata della sua padrona valesse alle orecchie di Alucard più di tante minacce del maggiordomo ma Walter fu irremovibile:

- Non intendo coinvolgere Integra in questa storia triviale. Il mio intervento basta e avanza! -

Ferguson dubitava di ciò ma fu costretto a rimettersi alla volontà dello shinigami. Finchè Integra fosse stata minorenne, era il tutore a fare da tramite fra lei e le truppe dell’Hellsing e se Walter era del parere che la ragazzina avesse il diritto di proteggere gli ultimi scampoli della sua infanzia, tenendosi alla larga da situazioni tanto incresciose, nessuno, neanche i membri della Tavola Rotonda, potevano costringerlo ad agire diversamente.

Fu così che, congedato Ferguson, Walter chiamò il vampiro in ufficio e con durezza lo minacciò:

- Che non ti venga in mente di violentare brutalmente uno dei nostri soldati o te ne farò pentire amaramente! -

Alucard sembrò ferito da quelle parole e in tono addolorato rispose:

- Perché usi l’aggettivo “brutale”? Non sono così cattivo, userei la vaselina. -

- Non sei divertente! -

- E io infatti non sto scherzando, parlo sul serio. Posso addirittura assicurarti che un barattolo di vaselina “formato convenienza” è già in viaggio verso Villa Hellsing. L’ho ordinato ieri notte per telefono, dopo averlo visto pubblicizzare in una televendita. Il teleimbonitore ha mostrato due barattoli, uno da mezzo gallone e l’altro da un gallone e dato che il barattolo da mezzo gallone costava solo quattro scellini in meno rispetto al barattolo da un gallone, ho acquistato quest’ultimo, così da far risparmiare l’Organizzazione. -

- Devo quindi dedurre che l’acquisto di questo barattolo l’hai messo in conto all’Hellsing? -

- Ma è ovvio! - replicò Alucard, certo di essere in diritto di non dover spendere soldi propri per i suoi capricci.

Intuendo che doveva ingraziarsi Walter se voleva esser certo che l’Ordine dei Cavalieri Protestanti pagasse al posto suo, il vampiro aggiunse:

- Ovviamente non posso consumare un intero gallone di vaselina…non credo, almeno! Così ho pensato che io e te potremmo fare a metà col prodotto. -

Gli occhi di Walter si ridussero a due fessure mentre sibilava:

- Attento a quel che insinui, succhiasangue! -

- Perché sei sempre così malfidente nei miei confronti? - si stizzì Alucard - Io ho solo detto di fare a metà col contenuto, poi come lo usi è affar tuo! La vaselina non è altro che un lubrificante, puoi spennellarla su tutti i cardini arrugginiti della villa, così le porte non cigoleranno più! -

Walter, esasperato, si passò una mano sugli occhi, respirando a fondo. Costrinse la sua mente ad andare all’unico pensiero che l’aveva sorretto in quegli spossanti mesi, così come l’aveva consolato durante i lunghi anni che avevano preceduto il letargo di Alucard. Il giorno in cui l’organizzazione Millennium avesse concretizzato il suo progetto, lui avrebbe sfidato a duello quella zanzara troppo cresciuta e l’avrebbe uccisa, affettandola in tante sottili striscioline con la sua corda della morte. Quel giorno, Walter C. Dorneaz avrebbe finalmente vendicato decenni di angherie, soprusi e dispetti infertigli da quel maledetto vampiro.

La prospettiva di ammazzare Alucard infliggendogli quanto più dolore possibile, riusciva sempre a infondere una pace profonda nell’esausto cuore del maggiordomo. Anche quella mattina la tecnica di meditazione dello shinigami ebbe successo e Walter, finalmente padrone di sé, raddrizzò le spalle e tornò a parlare col suo tono compassato di sempre:

- Ti ringrazio di avermi informato della spedizione di questo barattolo. Appena ci verrà consegnato, lo rimanderò indietro. -

- Ma perché?! -

- Perché non devi attentare al deretano di nessuno che viva, lavori, venga in visita o passi per caso da Hellsing Manor, con o senza vaselina. -

Alucard, esasperato, sbraitò:

- Dannazione Walter! Sono a digiuno da vent’anni! Non provi un po’ di pena per me? -

- No. -

Il vampiro sembrava un vulcano sul punto di esplodere. Agitando un pugno sotto al naso dell’impassibile maggiordomo, incalzò:

- Ma porcamiseria! Mi vieti di uscire alla ricerca di una prostituta, mi vieti di ripiegare sui soldati, si può sapere cosa dovrei fare, secondo te?! -

- Arrangiati da solo. -

- E’ da quando mi sono svegliato che mi arrangio da solo! Sono stufo, voglio arrangiarmi in compagnia di qualcun altro! -

- Non è un problema mio. I patti sono semplici: finchè continuerai a comportarti come un incosciente, non avrai il permesso di uscire dal perimetro della villa. Questo non ti autorizza a molestare chi respira e cammina all’interno dell’Organizzazione Hellsing. Se vuoi uscire, comincia a comportarti in modo civile. -

Puntando un indice contro il maggiordomo, con voce cavernosa il nosferatu minacciò:

- Attento a te, shinigami! E’ rischioso esasperarmi imponendomi tutti questi divieti! Potrebbe anche accadere che una di queste notti decida di risolvere il problema venendoti a trovare in camera mentre dormi. -

Walter non si scompose e puntando a sua volta l’indice contro Alucard, sibilò:

- Attento a te, vampiro! So come difendermi. Puoi anche venirmi a trovare in camera ma non è detto che ne uscirai tutto intero per come ne sei entrato. -

I due avversari si guardarono in cagnesco poi, all’unisono, voltarono l’uno le spalle all’altro e se ne andarono in opposte direzioni.

 

Ci voleva altro che la minaccia di Walter per far desistere Alucard dalla sua caccia e infatti, terminato il litigio col maggiordomo, il mostro tornò ad arrampicarsi sul tetto della villa, scrutando l’intera base alla ricerca di un uomo solo da sopraffare. Con suo disappunto, i soldati non solo camminavano in gruppi di due o tre ma erano equipaggiati con repellenti anti-vampiro come collane d’argento e sorbe essiccate nelle tasche. Anche da quella distanza, Alucard avvertiva la presenza di quegli amuleti e digrignò i denti, irato. Restò comunque sul tetto, lasciando che le ore trascorressero lentamente: cos’altro può fare un predatore se non armarsi di pazienza e attendere che una vittima commetta un passo falso?

Era quasi mezzogiorno quando Alucard notò un fermento sospetto nella base. Le camionette d’assalto venivano fatte uscire dai garage e un nutrito drappello di soldati sembrava in assetto da battaglia. Questo voleva dire solo una cosa: da qualche parte del Regno Unito era stata segnalata la presenza di un mostro da debellare.

“Perché Walter non mi ha ancora avvisato di prepararmi?” si chiese sbigottito il vampiro. Che volessero tenerlo fuori dall’eliminazione del freak?

Con un brutto presentimento, Alucard filtrò giù dal tetto all’interno della villa, alla ricerca del maggiordomo.

 

Nei suoi ultimi anni di vita, master Eva aveva formato un piccolo drappello di soldati da usare per uccidere i mostriciattoli di bassa percolosità, contro i quali sembrava uno spreco scagliare il vampiro. Il nosferatu condivideva l’idea della sua padrona: la Gran Bretagna pululava ancora di freak e Alucard poteva divertirsi contro molti validi avversari e permettersi di disdegnare di scontrarsi con troll di infimo rango.

Durante gli anni trascorsi sotto master Arthur però le cose cambiarono. I mostri veramente pericolosi erano ormai quasi estinti, ridotti al lumicino e il vampiro, in astinenza da uccisioni, chiese e ottenne di poter lottare contro gli elfi che tanto aveva disprezzato. Bastarono però poche cacce perché il nuovo padrone cambiasse idea.

Alucard, scagliato contro i mostri di bassa lega, era incontrollabile. Eliminava subito l’avversario, troppo alla svelta per poter scaricare l’adrenalina che gli scorreva nelle vene, così si sentiva autorizzato a comportarsi come un vandalo a piede libero, mettendo a soqquadro la zona in cui era stato inviato finchè non si sentiva finalmente stanco e in pace.

Master Arthur decise così che il nosferatu sarebbe uscito dal perimetro della villa solo per spacciare i pochi mostri realmente pericolosi che ancora si aggiravano per il Regno Unito e potenziò il piccolo plotone lasciatogli in eredità dalla madre fino a farne il reggimento dell’Organizzazione, da usare contro i folletti ancora in circolazione.

Per questo, quando quella mattina giunse a Walter la segnalazione che un piccolo troll infestava un villaggio gallese, l’uomo cominciò a sudar freddo. Alucard, dopo un letargo di vent’anni, fremeva per tornare a menare le mani. Lo shinigami però immaginava come sarebbe andata a finire se avesse sguinzagliato il potente vampiro contro una nullità come quel troll. Eliminato in quattro e quattr’otto il mostriciattolo, ancora in possesso di tutta l’energia accumulata in vent’anni di sonno e, soprattutto, lontano dal controllo di master e tutore, era ragionevole supporre che Alucard avrebbe messo a ferro e a fuoco il paesino che era stato inviato a disinfestare.

No, non era ammissibile che gli abitanti subissero una simile devastazione. L’unico modo per evitarla era inviare le truppe dell’Hellsing senza Alucard.

Il signor Dorneaz aveva avvertito un brivido giù per la schiena. Temeva che il vampiro gliel’avrebbe fatta pagare ma non esisteva alternativa. Per non scavalcare l’autorità di Integra, telefonò a scuola, alla sua protetta, per avvisarla di quanto bolliva in pentola.

- Cosa vuoi che ti dica, Walter? Hai più esperienza di me. Se a tuo giudizio è meglio rimandare l’uscita di Alucard dalla villa, fa pure. -

Lo shinigami era quindi psicologicamente pronto quando si vide comparire davanti il vampiro che con aria febbricitante gli chiese:

- I soldati stanno partendo per una caccia al mostro, vero? Posso andare anch’io? -

- No. -

Alucard sbraitò, minacciò, insultò, supplicò, fu sul punto di inginocchiarsi e scoppiare a piangere tanta era la sua fregola di andare a caccia di mostri ma il maggiordomo fu irremovibile.

Infine il succhiasangue se ne andò affranto, strascicando i piedi e con le spalle curve, tristemente diretto al poligono di tiro dove sperava di consolarsi con la fida Casull.

Walter allentò il nodo della cravatta, tornando a respirare sollevato. Era stata dura ma era riuscito a non darla vinta al non-morto. Per quanto ancora però sarebbe riuscito a tenergli testa? In cuor suo si augurò che all’orizzonte comparisse al più presto un mostro di grande potenza contro cui Alucard avrebbe potuto scaricare tutta l’adrenalina accumulata in vent’anni di letargo. 

 

Era l’ora di cena quando a casa Hellsing giunse la chiamata del capitano Ferguson che annunciava che il troll era stato eliminato, tutti gli uomini stavano bene e il convoglio sarebbe a breve ripartito verso la base. Walter e Integra tirarono un sospiro di sollievo e terminato di mangiare, andarono nel salone da biliardo per celebrare la felice conclusione con una partita. A breve furono raggiunti anche dal vampiro.

Integra era ancora alle prime armi col gioco del biliardo e in breve tempo si ritrovò sotto di una trentita di punti rispetto al tutore e al monster.

- Non scoraggiatevi Sir, insistete e migliorerete. -  le disse Walter, vedendo il faccino mogio della sua pupilla - Se può consolarvi, siete comunque più in gamba del vostro povero padre che impiegò molti mesi prima di giungere al vostro livello. -

Walter girava intorno al tavolo. Toccava a lui colpire la palla e osservava il tappeto verde per capire da quale angolazione prendere la mira. Continuò a raccontare a Integra:

- Fui io a insegnare a Sir Arthur a giocare a biliardo. -

- Davvero?! - chiese la dodicenne, a metà tra lo stupito e l’ammirato.

A suo tempo, Walter aveva gongolato del fatto che lui, un servo e per di più di così tanti anni più giovane del suo padrone, avesse avuto qualcosa da insegare a Sir Arthur. Adesso, a tanti decenni di distanza, gongolava nuovamente nel vedere l’ammirazione che quelle parole suscitavano nella sua protetta. Chinandosi per prendere di mira la boccetta con la stecca, aggiunse:

- Eh sì, modestamente da ragazzo ero in gamba in questo gioco. -

- Io non me ne ricordo. - s’intromise acidamente Alucard, ancora offeso per non essere stato inviato alla caccia al troll.

- La tua amnesia non mi stupisce. - rispose altrettanto beffardamente il maggiordomo - Noto che tutto ciò che non ti riguarda tendi a cancellarlo dalla mente. Posso però assicurarti, caro il mio egocentrico, che venivo chiamato “l’asso del biliardo” nei locali dove giocavo. -

- Ti sbagli Walter, non cancello dalla mente le informazioni che non mi riguardano ma solo quelle poco interessanti. Per esempio, ricordo ancora che quando andavamo a giocare al “Sessantanove”, ogni volta che ti chinavi come stai facendo adesso sul tavolo del biliardo, il cameriere invertito ti chiamava “chiappette d’oro”. -

Le ultime due parole vennero pronunciate proprio mentre Walter stava colpendo la palla ed ebbero il potere di far imprimere al maggiordomo una tale rabbia nel suo movimento, da far decollare la boccetta dal tavolo.

Integra vide la sfera d’avorio librarsi per l’aria, rimbalzare ( ammaccandola ) su di un’armatura del XVI secolo posta in un angolo del salone, rompere il vetro di un dipinto ad olio appeso alla parete di fronte e terminare il suo folle volo sfasciando la vetrinetta contenente la collezione di minerali di suo padre.

- Farabutto, l’hai detto apposta per deconcentrarmi e farmi sbagliare il tiro! - tuonò Walter, girandosi verso il vampiro con una mano stretta a pugno.

- Ma è ovvio, caro! - rispose Alucard, facendogli l’occhiolino.

Il vivo e il non-morto cominciarono a litigare furiosamente. Integra comprese che per quella sera la partita di biliardo era terminata. Appese la sua stecca alla rastrelliera e salì in camera, lasciando i due maschi alle loro dispute.

 

Il giorno dopo, come al solito, McBrian venne a prenderla a scuola sulla camionetta d’ordinanza. Durante il viaggio di ritorno, il milite le disse:

- Sir, apra il cruscotto, dentro c’è un regalo per lei da parte dei miei figli. -

- Un regalo? Per me? - chiese stupita Integra - I suoi figli nemmeno mi conoscono, perché dovrebbero farmi un regalo? -

Il perché, McBrian non voleva spiegarlo a Integra. E se anche avesse voluto, da dove poteva cominciare?

Dall’inizio, forse. Da quei primi giorni dopo la morte di Sir Arthur, in cui tornò a casa con la notizia che adesso il suo principale era una ragazzina di dodici anni. I figli di McBrian, a quella notizia, avevano storto il naso. Abituati a classificare il mondo in base ai clichè inculcati loro dai programmi per bambini, avevano deciso a tavolino che Integra dovesse essere antipatica e viziata, come tutte le ragazzine ricche e occhialute che popolavano i cartoni e i telefilm che guardavano. Poi il padre aveva cominciato ad accompagnare la sua datrice di lavoro a scuola e ciò che raccontava di lei, una volta tornato  casa, aveva fatto crollare le certezze dei pargoli.

Con i faccini costernati, i tre piccoli McBrian appresero che la nuova Sir Hellsing poteva guardare la televisione soltanto per un’ora al giorno, aveva ben pochi giocattoli e neanche un fumetto, le consentivano di mangiare dolci solo per le feste comandate, non era mai stata in un Luna-Park e l’avevano portata al cinema due volte in dodici anni di vita. Ciò che più li scandalizzò fu però l’assenza, all’interno di una villa tanto grande e di un parco altrettanto imponente, di qualsiasi animale domestico. Per loro, cresciuti in una casa piena di cani, gatti, canarini e pesci rossi, era addirittura inconcepibile.

Una volta tirate le somme su quanto fosse amara l’esistenza della principale del padre, il giudizio dei figli di McBrian divenne decisamente più pietoso. 

- Avere tutti quei soldi e non potersela spassare! - commentava il terzogenito.

- Ci divertiamo molto più noi di lei. - incalzava la secondogenita.

La primogenita, coetanea di Integra, più pragmatica, chiedeva al padre:

- Ma non puoi far nulla per aiutare quella ragazzina? -

- Cosa credi che possa fare? - rispondeva McBrian - Dipendesse da me, avrei detto a suo padre di darle più abbracci e meno castighi, al suo tutore di essere meno severo e a quella maledetta guardia del corpo di nome Alucard di non fagocitarla con i suoi capricci. Ma io, all’interno dell’Ordine dei Cavalieri Protestanti, sono solo uno dei tanti soldati. Non ho l’autorità, né il diritto, di mettere bocca nell’educazione di quella poveretta. -

- Quindi non ha speranze? -

- No, non ha speranze. -

Per questa ragione i figli del soldato avevano unito i loro risparmi, decidendo di acquistare un’innocente evasione per Sir Hellsing. Tutti quei particolari però il soldato non voleva fornirli alla ragazzina che gli sedeva di fianco.

Sapeva che Sir Hellsing si era caricata della sua responsabilità di guida in erba dell’Ordine dei Cavalieri Protestanti senza un lamento. Era evidente come non le fosse mai passato per la testa di venire meno a quelli che considerava i suoi doveri. Il milite quindi immaginava con quale miscuglio di stupore, rabbia e mortificazione Integra avrebbe accolto la scoperta di suscitare pena nel prossimo. Per la prima volta si sarebbe vista con gli occhi degli altri, scoprendo che c’era ben poco di cui andar fieri.

No, una simile umiliazione McBrian voleva proprio risparmiargliela, per questo decise di raccontarle solo mezza verità:

- Vede, Sir, è capitato che ai miei figli raccontassi qualcosa di lei. Sono rimasti molto colpiti da come il suo tutore le vieti tutte quelle leccornie che piacciono tanto ai ragazzini, come i gelati o le caramelle, così hanno deciso di fargliene assaggiare qualcuna di nascosto a mister Dorneaz. -

Integra era sorpresa. Non le era mai passato per la testa che McBrian potesse parlare di lei a casa, né che i suoi figli potessero interessarsi di una studentessa di scuola media che non avevano mai visto, né avrebbero mai incontrato in futuro. Scoprire che per qualcuno Integra Hellsing potesse essere un argomento di conversazione, la riempiva di meraviglia.

La ragazzina aprì il cruscotto e si trovò fra le mani una bomboletta di panna spray.

- L’avete mai assaggiata? -

- No. Sia papà che Walter dicono che fa male. -

Integra era imbarazzata. Le avevano insegnato che i regali dovevano essere sempre ricambiati e non aveva niente da mandare ai figli di McBrian. Lo confidò al sottoposto che si affrettò a rassicurarla:

- Dimostri di apprezzare questo pensierino e le assicuro che per i miei figli sarà il più bel regalo che possiate fargli. -

- E’ apprezzato! E’ apprezzato! - annuì con veemenza Sir Hellsing, a cui la bomboletta di panna sembrava un tesoro raro.

Il militare rise divertito. Pensò a quanto gli sarebbe piaciuto poter aggregare, una sera, la sua principale ai suoi figli e portarli tutti e quattro al Luna-Park. Era certo che Sir Hellsing si sarebbe divertita enormemente e sarebbe tornata ad Hellsing Manor con lo sguardo raggiante e la camicetta piena di patacche unte di frittelle.

Scacciò quell’immagine dalla mente. Né il signor Dorneaz, né il capitano Ferguson, né il consiglio dei Dodici gli avrebbero mai concesso di far vivere a Sir Hellsing una serata da dodicenne qualsiasi. Meglio abbandonare i sogni impossibili. Ripensando alla conversazione avuta poche sere prima con la sua primogenita, tornò a ripetersi “ No, è senza speranza “.  

 

Integra entrò in casa con la bomboletta nascosta sotto il maglioncino, nel timore che qualcuno potesse vederla e segnalare la sua presenza a Walter.

Corsa in cucina, Sir Hellsing mise la panna spray in frigo e si sedette al tavolo tamburellando nervosamente con le dita. Le istruzioni recitavano “tenere in frigorifero due ore prima dell’utilizzo” e la ragazzina si chiese se sarebbe riuscita ad aspettare tanto. Buttava continue occhiate all’orologio da parete e sembrava che il tempo si fosse fermato per farle dispetto. Le pareva di attendere da un’eternità e invece erano trascorsi solo pochi minuti!

Il rumore del portone d’ingresso che si apriva fece mancare il respiro a Integra. Mister Dorneaz stava rincasando! Non poteva fargli trovare quella bomboletta in frigo! Avrebbe rimproverato la sua protetta ricordandole quanto quegli intrugli facessero male alla salute, avrebbe buttato la bomboletta nell’immondizia senza nemmeno fargliela assaggiare e non contento, sarebbe andato a redarguire il povero McBrian, reo di traviare Sir Hellsing con simili feticci consumistici.

Non restava che una soluzione per salvare se stessa, la panna spray e McBrian: la dodicenne afferrò la bomboletta e senza farsi scorgere dal tutore, scese le scale che conducevano alla segreta di Alucard.

Trovò il suo vampiro assiso sul trono di legno, nelle orecchie le cuffiette di un walk-man sgraffignato a chissà quale soldato che certo a quell’ora stava sacramentando contro il mostro di Hellsing Manor. Alucard alzò sulla padrona uno sguardo felice e in tono allegro spiegò:

- Pensa, master! Sono entrato in letargo con quella lagna dei Beatles che blateravano pace e amore e mi risveglio col metal. Questa sì che è musica! -

In altre circostanze, Integra sarebbe stata curiosa di scoprire quale, fra i suoi soldati, ascoltava quella musica così poco consona per uno sterminatore di mostri ma quel giorno aveva di meglio da fare. Dato che la situazione rendeva impossibile tenere la bomboletta in frigo per due ore, tanto valeva consumarla adesso. La ragazzina agitò così il contenitore, aprì la bocca e la riempì di panna. Era mezza smontata e insipida ma era la prima panna spray della sua vita e probabilmente sarebbe stata anche l’ultima. La sola idea dell’atto di ribellione che stava commettendo all’educazione impostale dal padre e da Walter, bastava a fargliela sembrare buonissima.

Quando riaprì gli occhi incrociò lo sguardo di Alucard che pieno di infantile invidia mormorò:

- E’ un peccato che non abbiano inventato nessun marchingegno per cercare di fare il sangue montato. -

- Se è per questo, provo una gran pena per te che sei deceduto prima della scoperta dell’America. Pensa a quante cose buone non hai fatto in tempo ad assaggiare prima di morire! Il cioccolato. La vaniglia. Le pannocchie arrostite. La pizza ai peperoni. Ma soprattutto, non hai assaggiato le patatine fritte! -

Il tono della master era sinceramente accorato. Ai suoi occhi, il vampiro le appariva incredibilmente sfortunato e per consolarsi di tanta malinconia, ingollò un altro po’ di panna.

Alucard, dal canto suo, era perplesso da tanto dispiacere:

- Non ti passa per la testa che il vostro cibo non m’interessa? -

- Non t’interessa adesso perché sei un vampiro e puoi bere soltanto il sangue. Chissà però se saresti di questo parere se fossi ancora umano. -

- Chi l’ha detto che sono costretto a bere solo sangue? Non pensi che se volessi, potrei assaggiare il cibo degli umani? -

Integra lo guardò perplessa e inghiottì la panna che le gonfiava le guance prima di rispondere esitante:

- Ma sei un vampiro… -

- Sì, sono un vampiro e stando alla tradizione, quelli come me non dovrebbero neanche fumare o bere alcolici. Ma ragazza mia, ti sei accorta che fumo sigari in tua compagnia e di nascosto a Walter ho scolato tutta la cantina di tuo padre? Il nostro maggiordomo se ne accorgerà la prossima volta che il consiglio della Tavola Rotonda si riunirà e scoprirà che non ha niente da offrire ai Dodici. -

Integra non sapeva più cosa rispondere. Era vero, Alucard fumava e sbevazzava senza pensieri e solo adesso alla ragazzina tornarono in mente alcuni passi del libro di Stoker in cui il Conte non solo non mangiava ma rifiutava anche alcool e tabacco. Guardò il servo senza capire com’era possibile un simile prodigio e lui, magnanimo, spiegò:

- Dev’essere tutto merito dei sigilli impostimi da Master Abraham. Non che al mio Dio importasse di farmi bere, fumare e mangiare come un umano, a lui interessavano solo le cose concrete. Gli importava che diventassi resistente alla pioggia, per sopravvivere nel clima inglese, e che potessi agire anche alla luce del sole senza averne troppi danni. Mi fece molti sortilegi perché acquisissi queste qualità e penso che un fattore secondario di queste magie consistesse nell’avermi reso capace di inghiottire alcool e fumare, dato che prima ne ero incapace. A rigor di logica, dovrei quindi essere in grado anche di mangiare alimenti umani ma non ho mai fatto la prova per togliermi il dubbio. -

- Come puoi lasciarti sfuggire una simile occasione! - esclamò Integra, costernata - Alucard, ti ripeto, le patatine fritte sono qualcosa che bisogna mangiare almeno una volta nella vita, se vuoi morire senza rimpianti! -

Il vampiro rise, divertito dall’ardore con cui la giovane master difendeva il suo piatto preferito e prosegì allegramente:

- Ma a me non interessa mangiare la vostra roba, come a te non interessa bere il sangue. -

- Ma io sono un’umana, non posso bere sangue! -

- Sbagli, ragazza. Esistono un sacco di posti nel mondo in cui il sangue animale è parte integrante dell’alimentazione delle persone. -

Sir Hellsing arricciò il naso, disgustata e piena di sussiego rispose:

- Grazie a Dio, sono inglese. -

Alucard rise, sempre più divertito:

- E io mi dispiaccio per te che non bevi sangue quanto tu ti dispiaci per me che non voglio mangiare le patatine fritte. Non sai cosa ti perdi! Il sangue è qualcosa che bisogna bere almeno una volta nella vita, per morire senza rimpianti! Non fare quella faccia schifata e ascolta chi se ne intende. Il sangue non ha mai lo stesso sapore. Il gruppo A è dolce, il B è aspro, l’AB agrodolce, lo 0 piccante. I gruppi sanguigni positivi sono più salati, quelli negativi più ferrosi. C’è differenza di sapore se inghiotti un uomo o una donna, un adulto o un bambino. Inoltre il sangue di uno stesso individuo cambia nel corso dell’esistenza. Ogni malanno e ogni guarigione, ogni evento triste o felice, danno al sangue un retrogusto diverso. -

La faccia del vampiro divenne improvvisamente avvilita mentre proseguiva:

- Purtroppo, anche ciò che mangiate cambia il sapore del sangue. Una volta mangiavate prodotti di stagione, quindi il vostro sangue aveva un sapore diverso nel corso dell’anno. Adesso, invece, il vostro sangue sa di fast-food per dodici mesi consecutivi. Che palle! Avete reso monotona la mia alimentazione. -

Integra aveva terminato la panna spray. Fissò il servo negli occhi e in tono serio disse:

- Non dirai niente a Walter di quello che ho mangiato nella tua segreta, vero? -

Alucard rispose con un sorriso:

- Non dirò niente ma tu lasciami la bomboletta. Voglio provare a fare il sangue montato. -

A cena, con tutta quella panna che ancora si agitava nel suo stomaco, Integra lasciò nel piatto gran parte del suo cibo. Si giustificò con Walter dicendo che si sentiva poco bene, il che fra l’altro non era nemmeno una bugia. La ragazzina sentiva il basso ventre bruciarle e pensò che la colpa di tutto dovesse essere della panna spray. Ecco cosa accadeva a mangiare cose a cui non era abituata! Si rigirò a lungo nel letto prima di trovare una posizione che desse sollievo al fuoco che bruciava nella sua pancia e lentamente si addormentò.

 

Integra Hellsing era un bizzarro impasto di saggezza e ingenuità. Un po’ per l’educazione impostale dal padre, ansioso di temprarla sin dall’infanzia alla missione che avrebbe dovuto svolgere da adulta, un po’ perché la vita si era divertita a mazzuolarla ben bene, lasciandola orfana e quasi vittima di un omicidio, su molti argomenti la giovane master era scafata più di tanta gente che aveva il doppio dei suoi anni.

Il problema era che la stessa educazione impartitale dal padre e da Walter aveva abbondanti lacune su questioni molto terra-terra, erroneamente scambiate dai due uomini come indegne del loro interesse e quindi dei loro insegnamenti. Il risultato era che Sir Hellsing, nonostante fosse l’alunna più matura di tutto l’istituto, dimostrava un’ignoranza totale riguardo a molte banalità quotidiane.

Alucard aveva in parte colmato le lacune della padrona ma essendo il suo un punto di vista maschile, non lo aveva sfiorato l’idea di cosa potesse risultare realmente utile ad una ragazzina di dodici anni.

Gli insegnanti di scuola, invece, sapevano bene quali erano le priorità delle persone dell’età di Integra e si erano premuniti di impartire insegnamenti ad hoc nell’ora di scienze. Peccato che Sir Hellsing avesse saltato tutte quelle lezioni a causa delle marachelle causate dal suo vampiro.

Rimaneva un’ultima ancora di salvezza, le informazioni fornite dalle compagne di classe. Purtroppo, le altre ragazze avevano il brutto vizio di sorridere e ridere troppo, qualità che Sir Hellsing disprezzava. “Solo gli stupidi possono trovare divertente la vita” era l’altezzosa risposta che soleva dare a chi la rimproverava di essere troppo seria.

Come se non bastasse, le altre ragazzine, oltre a ridere ad ogni piè sospinto, discettavano di argomenti che ad Integra risultavano incomprensibili e noiosi: i ragazzi, l’amore, come sarebbe stato il loro abito da sposa, di che colore si sarebbero tinte i capelli non appena avessero ottenuto il permesso di farlo dalle loro madri e poi moda, moda e ancora moda.

Sir Hellsing, dopo pochi minuti di quel tedio, sentiva il bisogno di allontanarsi per fumare in santa pace un buon sigaro ristoratore. Se solo Integra fosse riuscita a resistere qualche minuto in più a quella raffica di risate e descrizioni dei rispettivi principi azzurri, avrebbe scoperto con stupore che la discussione poteva anche scivolare su argomenti più seri e di cui non sapeva nulla.

Per tutte queste ragioni, niente e nessuno l’aveva preparata ad affrontare quel che trovò al suo risveglio, il giorno dopo essersi scolata l’intera bomboletta di panna spray. Andata in bagno e scoperto con sgomento qualcosa che mai si sarebbe attesa, la sua prima reazione fu quella di chiamare i due uomini che costituivano tutta la sua famiglia poi, in un barlume di lucidità, pensò che in una situazione simile non dovesse essere raccomandabile invocare un vampiro.

Per questo, quando spalancò la porta del bagno, l’unico nome che pronunciò a pieni polmoni fu:

- WALTEEEEEEEEEER! -

Il maggiordomo accorse salendo i gradini a quattro a quattro e con la corda della morte già spianata, convinto che un mostro si fosse intrufolato nella camera della sua pupilla. Nient’altro che quello poteva far strillare la sua principessa con tanto terrore.

Quando arrivò nella stanza di Sir Hellsing, Integra gli si aggrappò addosso convulsamente e con voce piena d’angoscia intimò:

- Chiama un’ambulanza. Sto perdendo le viscere. -

- Eh? - fu la risposta del signor Dorneaz, mentre girava lo sguardo in ogni direzione alla ricerca di un mostro che non c’era.

- Chiama l’ambulanza! Devo correre in ospedale! -

Il tutore abbassò uno sguardo perplesso sulla ragazzina. Cosa stava accadendo?

Integra, dal canto suo, era sconcertata dalla lentezza di comprendonio dello shinigami. Quante altre volte ancora doveva ripetergli che la sua esistenza era in pericolo?

- Chiama un’ambulanza, ho detto! Sono andata in bagno e sono piena di sangue! Mi si stanno staccando le budella, non c’è altra spiegazione! Per questo devo andare in ospedale, fra poco l’intestino mi cadrà per terra! Corri a chiamare un’ambulanza! -

Al maggiordomo occorse qualche secondo per comprendere quel che era accaduto.

Integra lo vide assumere un’espressione imbarazzata e mentre si sfilava e riponeva nel taschino i mezzi guanti con cui controllava la corda della morte, cominciò un balbettante discorso sul fatto che non dovesse preoccuparsi perché si trattava di un evento naturale. 

La spiegazione fu confusa e non poteva essere altrimenti dato che il maggiordomo apparteneva ad una generazione in cui gli uomini o parlavano delle mestruazioni come di un grossolano argomento, buono soltanto per battute volgari, o non ne parlavano affatto. Gli uomini della generazione del signor Dorneaz, avrebbero affrontato l’evento appioppando Integra ad una donna adulta a cui declinare ogni responsabilità in merito all’assistenza e alle spiegazioni da fornire alla ragazzina. Era esattamente ciò che avrebbe fatto anche lo shinigami, se solo in casa Hellsing ci fosse stata una donna a cui scaricare Integra. Purtroppo, le aveva fatte fuggire tutteAlucard pochi mesi prima e il pensiero di ritrovarsi in quell’impiccio per colpa del vampiro, fece aumentare la pressione arteriosa del maggiordomo.

Intanto anche il nosferatu, all’udire le urla della master, si era materializzato nella camera e Walter, vedendo che il non-morto si avvicinava alla porta del bagno spalancata, immaginando quel che aveva in mente, si girò verso di lui ringhiando:

- Non ti azzardare ad entrare in quel bagno! -

- Ma è un peccato sprecare tutto questo sangue gocciolato per terra! - rispose rammaricato il mostro.

- Non m’interessa! Non mancherai di rispetto alla tua padrona leccandolo! Quindi esci di lì! -

- Blablabla. - rispose Alucard facendogli il verso e richiudendo dietro di sé la porta del gabinetto con un calcio.

Il maggiordomo fremeva d’ira ma Integra lo riscosse dal suo risentimento verso il vampiro scrollandolo per il gilet e supplicandolo nuovamente:

- Chiama un’ambulanza! Te ne prego, chiama un’ambulanza! -

La spiegazione confusa che le aveva fornito il tutore non l’aveva per niente convinta. Da quando in qua perdere sangue era un evento di cui non preoccuparsi? Non aveva mai udito prima una simile baggianata! Ciò che le stava capitando era un’emorragia interna, senza dubbio, e la noncuranza con cui maggiordomo e vampiro affrontavano quel dramma la lasciava esterrefatta. Possibile non comprendessero che ne andava della sua vita?

Quando aveva visto i due uomini litigare su cosa fare del sangue nel bagno, Integra aveva pensato “ E’ solo un incubo. Una situazione così assurda non può essere altro che un sogno. “ e si era morsa con forza l’interno di una guancia, per dimostrarsi di avere ragione. Era rimasta di stucco sentendo il dolore invaderle la bocca. Allora era reale! Stava morendo e le due persone che costituivano tutta la sua famiglia perdevano tempo nei loro futili litigi!

Si era quindi aggrappata al gilet dello shinigami, supplicandolo per l’ennesima volta di chiamare l’ambulanza. Aveva ottenuto soltanto un’altra, fumosa spiegazione sul fatto che non dovesse preoccuparsi e la ragazzina si sentì invadere dalla disperazione.

Alucard intanto era uscito dal bagno e sedendosi sul cassettone, aveva assistito divertito all’imbarazzo del camerata. Infine aveva concluso di essersela spassata a sufficienza alle spalle di Walter e che fosse giunto il momento di venire in aiuto della sua terrorrizzata master così, armato di sincera collaborazione, aveva interrotto i balbettii del maggordomo dicendo:

- Posso spiegarle io cosa sta accadendo. Non m’imbarazza parlare di mestruazioni. -

La risposta di Walter fu un semplice, banale “ Finiscila !” ma dato che lo pronunciò con tutta l’esasperazione e la rabbia che aveva in corpo in quel momento, il suono che gli uscì dalla bocca risultò molto più simile al ruggito di una belva che a una parola umana, tanto che vampiro e ragazzina rimasero per qualche istante pietrificati dalla paura.

Trascorsi quegli attimi, Integra pensò fosse più saggio scollarsi dal gilet del tutore e si allontanò dall’uomo di qualche passo. Alucard, invece, bisbigliò esitante:

- Cos’ho fatto di male? -

Non vedeva errori nel suo operato. Non aveva parlato volgarmente, né aveva agito in modo strafottente, quindi perché il camerata si era imbestialito a quel modo?

Al maggiordomo sarebbe piaciuto rispondere che l’elenco delle cattive azioni del vampiro era lunghissimo, risalendo al giorno stesso in cui era stato risvegliato e la situazione incresciosa che stavano vivendo adesso era diretta conseguenza delle sue prodezze passate. Se quel maledetto succhiasangue non avesse fatto fuggire tutte le donne di Hellsing Manor e se non avesse fatto saltare ad Integra tutte quelle lezioni scolastiche, fra cui certamente erano annoverate le lezioni di educazione sessuale, ora non si ritroverbbero con una ragazzina terrorizzata da tranquillizzare.

Questa era la risposta che Walter avrebbe voluto dare ma la tenne per sé perchè non era abituato a simili lamentazioni. Cercò quindi di ricomporsi, riaggiustando il nodo della cravatta e lisciandosi i capelli. Con un tono di voce nuovamente controllato, ribattè:

- Non sei adatto a fornire simili spiegazioni alla tua padrona. -

- Ah no? E credi forse di essere adatto tu, con i tuoi balbettii? -

- Io perlomeno non dico volgarità. -

- Be’, neanche a me pare di aver detto volgarità. - rimbeccò piccato il nosferatu -Ti sei forse irritato perché ho detto “mestruazione”? Guarda che è una definizione scientifica dell’evento. La trovi scritta anche sull’Enciclopedia Britannica e tutto ciò che è scritto sopra l’Enciclopedia Britannica, può essere pronunciato! -

Il vampiro aveva ragione ma il maggiordomo non voleva dargliela vinta e pur di raggiungere il suo scopo, rispose con la prima frase che gli passò per la mente. Frase di cui si pentì amaramente nel giro dei due minuti seguenti:

- Potrà anche essere pronunciata ma non è una parola elegante! -

Il silenzio di Alucard durò i pochi istanti necessari ai suoi neuroni per assorbire la risposta del camerata, dopodichè esplose in un boato di risate. Rise così a lungo e così forte che i vetri della camera cominciarono a vibrare e la pressione arteriosa del maggiordomo ricominciò a salire. Quando riprese fiato, battè una mano sulla spalla dell’umano e in tono amichevole esclamò

- Povero, vecchio, Walter! Sei così vecchio che arrivi a scandalizzarti per una banalità come “mestruazione”. Uno shinigami come te che si perde dietro queste piccolezze! -

- Io non mi scandalizzo! -

- Ah, no? Facciamo la prova. - e battendo un piede a terra per darsi il ritmo, Alucard cominciò ad intonare - Mestruazione! Mestruazione! Mestruazione! Ah-ah, sei diventato rosso come un pomodoro!

- Idiota, arrossisco perché ti comporti come un ragazzino delle medie! Possibile che in cinquecento anni non hai acquisito neanche un briciolo di saggezza? -

Il vampiro non fece in tempo a replicare che Integra, aggrappandosi al suo gomito, gli chiese febbrile:

- Questa cosa di cui parli, che roba è? Una malattia? E’ contagiosa? -

Alucard avrebbe illuminato volentieri le tenebre di ignoranza in cui stava affogando la padroncina ma fu nuovamente interrotto, stavolta dal maggiordomo:

- Un momento, miss! Lasciate prima che rimetta a posto questa zanzara e poi vi darò tutte le spiegazioni che meritate! - e rivolgendosi al freak, sibilò - Ti ricordo che Sir Arthur ha nominato me tutore di sua figlia. Questo cosa ti suggerisce? -

- Che oltre che vecchio, stai diventando pure arteriosclerotico. - replicò il vampiro in tono di sufficienza e a braccia conserte - Ti ricordo che quando master Arthur ti ha nominato tutore, ero in letargo. Quindi non ti ha affidato sua figlia perché si fidava maggiorente di te ma solo perché non c’erano altri concorrenti. -

Un sorriso malizioso si allargò sul viso di Alucard e con malignità aggiunse:

- Forse, se il sottoscritto fosse stato sveglio, non avrebbe nominato te tutore di Integra. -

- Se si fidava tanto di te, perché non ti ha risvegliato prima di morire? Non ti ha preso neanche in considerazione, è questa la verità. Era ben contento che tu dormissi in cantina e per quel che lo riguardava, avresti potuto continuare a pisolare per l’eternità. -

Il vampiro mise il brocio. La frase lo aveva ferito. Tentò comunque di salvare l’orgoglio affermando:

- Allora perché ha detto ad Integra che in caso di pericolo era me che doveva venire a cercare? Me, non te! -

- Se il pericolo non si fosse materializzato, Integra non sarebbe mai venuta a stanarti. Questo vuol dire una cosa sola: nei progetti di Sir Arthur, accanto a sua figlia c’ero solo io. A me quindi spetta ogni spiegazione da fornire a Sir Hellsing, per cui vedi di tapparti la bocca! -

- Se fosse per te, Integra crederebbe ancora che i bambini li porta la cicogna! - 

- Scusate…per piacere… - s’intromise mogia Integra, ormai arresa all’idea di morire senza ricevere il benchè minimo conforto - Mi volete dire cosa mi sta accadendo? Sto morendo o no? -

- Un momento, Sir, metto a posto questo scemo e sono da te! - risposero in coro vampiro e maggiordomo, prima di tornare a litigare.

Sir Hellsing si arrese all’evidenza: per l’ennesima volta in vita sua, se la sarebbe dovuta cavare da sola. L’unico indizio glielo aveva dato Alucard, con quella parola misteriosa. Strascicando i piedi, la dodicenne si diresse verso la biblioteca, dove troneggiavano i tomi dell’enciclopedia medica. Dalla loro consultazione, avrebbe cercato di capire cosa ne sarebbe stato di lei. I due uomini, senza neanche accorgersi dell’assenza della ragazzina, continuarono a litigare furiosamente.

 

Integra, raggomitolata sotto le coperte, si stava lentamente calmando. Ciò che aveva letto sull’enciclopedia medica l’aveva confortata fino a un certo punto. Aveva compreso che non stava morendo ma a parte questo, molti punti le restavano oscuri. Questa cosa chiamata mestruazione succedeva a tutte le femmine o solo ad alcune? E veniva una sola volta nella vita o sarebbe ricapitata altre volte? Aveva letto e riletto la voce corrispondente più volte ma complice la paura che l’agitava, le spiegazioni in merito le erano apparse troppo confuse.

Non restava altra soluzione che andare, il mattino dopo, alla ricerca dell’insegnante di scienze per farsi svelare quei punti oscuri. Sì, il mattino seguente perché per quel giorno avrebbe collezionato un’altra assenza da scuola, l’ennesima.

Quando Walter aveva smesso di litigare col vampiro, si era diretto con passo sicuro verso le stanze abbandonate dalle cameriere, alla ricerca di un pacchetto di assorbenti con cui soccorrere Integra. Era fiducioso che la sua ricerca sarebbe andata a buon fine. Quella gente era fuggita abbandonando di tutto nelle proprie camere, anche oggetti costosi, vuoi che non avessero lasciato degli assorbenti?

Con sua grande costernazione, dovette ricredersi. Per quanto buttasse all’aria cassetti e sportelli, di ciò che cercava non c’era neanche l’ombra.

- E ora come faccio a mandare a scuola Integra? - si era chiesto a voce alta lo shinigami.

Alucard, desideroso d’essere d’aiuto in quella cruciale tappa dell’esistenza della sua padrona, suggerì:

- Mettile un rotolo di scottex nella cartella. -

- No, zanzara, il problema è serio e non può essere risolto andando per tentativi. L’unica soluzione plausibile è che io esca ad acquistare degli assorbenti per Integra. Il problema è che prima che raggiunga il negozio più vicino trascorrerà mezz’ora e un’altra mezz’ora mi servirà per rincasare e a questo dobbiamo aggiungere il tragitto per portare la signorina a scuola…No, per oggi Integra dovrà restare a casa. Arriverebbe a scuola talmente in ritardo che non la farebbero entrare. -

Walter era quindi partito alla volta del centro abitato e a Sir Hellsing non era rimasto che farsi coraggio da sola, cercando conforto sotto il calore delle coltri e sperando che quel giorno trascorresse il più velocemente possibile per poter finalmente parlare con l’insegnante di scienze.

“ Però anche Alucard potrebbe essermi d’aiuto. Forse non avrò bisogno di attendere fino a domani. “ pensò la dodicenne.

Il suo vampiro, a differenza di Walter, non s’imbarazzava ad affrontare discussioni su sesso & dintorni. In fondo, non fosse stato per lui, la master non avrebbe neanche saputo cosa cercare sull’enciclopedia medica.

Sir Hellsing fece per aprire bocca e chiamare il nosferatu quando una paura atavica le troncò la voce in gola.

Quale pazzia stava commettendo? Si trovava da sola in casa con un vampiro! E se Alucard, sentendo l’odore del sangue, fosse stato afferrato dalla frenesia alimentare come gli squali e l’avesse sbranata?

No, meglio non chiamarlo. Fortuna che aveva chiuso la porta di camera! Per il vampiro, quello era il segnale che doveva tenersi alla larga dalla padroncina, così non avrebbe fatto a Integra il brutto scherzo di entrare nella sua stan…

- Sei più tranquilla, master? -

La voce di Alucard, di fianco a lei, fece trasalire Sir Hellsing.

- Come ti sei permesso di entrare? - ringhiò la ragazzina, sperando che la sua voce avesse un tono sufficientemente aggressivo da mascherare la paura - Non hai visto che la porta è chiusa? -

- Veramente, hai lasciato la porta della camera spalancata. -

La master buttò un occhio verso l’ingresso e dovette dare ragione al servo. Mannaggia a lei, era convinta di averla chiusa e invece l’aveva lasciata aperta e invitante come non mai! E va bene, quella sarebbe stata la sua prova del nove. Se non moriva quel giorno, non sarebbe crepata mai più.

Integra guardò in cagnesco il nosferatu seduto in poltrona al suo capezzale. Alucard vide il timore dietro quegli occhi arrabbiati e ghignò divertito:

- Ragazzina, non crederai che sia qui per inghiottirti? -

La dodicenne non rispose e il servo pensò che chi tace acconsente. Ghignando ancor di più, proseguì:

- Te l’ho già detto altre volte, non mi lascio comandare dal mio stomaco. Decido io chi mangiare e chi no, chi risparmiare e chi bere. Quindi, per quanto l’odore del tuo sangue sia allettante, non ho nessuna intenzione di spolparti. Mettiamo in chiaro un punto, però. Questa tua diffidenza nei miei confronti mi offende, pensavo mi conoscessi meglio. Per stavolta ci passo sopra perché capisco che la novità ti ha spaventata ma la prossima volta in cui ti azzardi a dubitare della mia lealtà, giuro che ti prendo a sganassoni, così vediamo se con le cattive riesco a ficcarti nella zucca il concetto che ti sono fedele. -

- Sono la tua padrona, non puoi picchiarmi. - replicò serafica la master.

- Non essere così fiduciosa del tuo rango, marmocchia. E’ vero, ti ho scelta come master ma attualmente sei ancora una ragazzetta che sta crescendo. Quando diventerai adulta, ti concederò di farmi da guida ma attualmente sei tu ad aver bisogno di essere indirizzata sulla giusta strada. Siccome non voglio correre il rischio di dover obbedire in futuro ad una sciocca viziata, finchè non sarai maggiorenne mi riserverò il diritto di correggerti ogni volta che imboccherai un sentiero sbagliato, usando anche le mani, se necessario. -

Integra non disse nulla. Capiva che Alucard faceva sul serio. La novità che correva il rischio di essere punita dal suo servo era talmente stupefacente che Sir Hellsing sentiva il bisogno di meditare a lungo sulla questione, prima di rischiare un’inutile punizione per una risposta sprezzante di troppo. 

Convinto di risollevare il morale della master, Alucard aggiunse:

- Mi comportai così anche con tuo padre, sai? E considera che ai suoi tempi si diventava maggiorenni a ventun anni! Ricordo che l’ultimo ceffone glielo mollai proprio la sera prima del suo ventunesimo compleanno. Pensa a quanti anni di sberle risparmierai, col fatto che adesso diventate maggiorenni a diciott’anni! -

Sì, ad Integra sembrava effettivamente un bel risparmio ma non commentò la notizia. Altri pensieri l’angustiavano e a quelli la sua mente tornava. Dopo un lungo silenzio, disse mogia:

- Prima di uscire, Walter mi ha chiamata “signorina”. Non l’aveva mai fatto. Perché mi ha dato della miss? -

- Per sottolineare che, biologicamente parlando, sei diventata adulta. Quelli della sua generazione è così che parlano. D’ora in avanti ti chiamerà sempre miss, fattene una ragione. -

Integra respirò sollevata. Il marasma di quella mattina l’aveva frastornata talmente da essersi quasi convinta che il “signorina” di Walter fosse un rimprovero per tutti i disturbi che aveva causato. Se non gliel’avesse spiegato Alucard, chissà quando ci sarebbe arrivata da sola! 

Il sollievo della dodicenne fu però di breve durata. Vide il volto del nosferatu diventare serio mentre in tono solenne annunciava:

- Ad essere sincero, il fatto che tu sia sviluppata non cambia la situazione solo per Walter ma anche per me. Se per lo shinigami però tutto si risolve semplicemente chiamandoti miss, per me la situazione è decisamente più complessa. -

Sir Hellsing si sentì rimescolare le viscere dalla paura. Sta’ a vedere che sotto-sotto aveva ragione lei e Alucard si apprestava a mangiarla?

- Togliti dalla faccia quello sguardo spaurito. Non voglio succhiarti, quante volte te lo devo ripetere? Ciò che m’interessa è stabilire un nuovo patto fra noi due. -

Un altro?! Non li legava già l’alleanza fra master e monster, il fatto di essere reciprocamente il servo e il carceriere l’uno dell’altra? Di quali nuovi patti avevano bisogno? Integra tese le orecchie, piena d’apprensione ma a quel punto, com’era nello stile di Alucard, il vampiro si mise a parlare di tutt’altro:

- Sai cos’è andato a comprarti Walter? -

- Sì, lo so. - balbettò la ragazzina, rassegnata a seguire il servo nelle sue discussioni che saltavano di palo in frasca.

Dato che il nosferatu continuava a rimanere zitto, Integra proseguì:

- Adesso capisco a cosa servano gli assorbenti. Fin’ora, quando li vedevo pubblicizzare in TV, pensavo fossero un oggetto per vecchi incontinenti. -

- Un prodotto per anziani che se la fanno addosso reclamizzato da donne giovani? - ridacchiò il vampiro.

La master fece spallucce:

- Perché no? Quasi tutte le pubblicità sono fatte da donne giovani e belle, anche se non vendono prodotti destinati alle ragazze. -

Alucard rimase in silenzio ancora un po’ prima di chiedere:

- Hai mai sentito raccontare a scuola quella rivoltante barzelletta dove un vampiro si fa il tè con un assorbente? -

- No. -

- Meglio così, master perchè è davvero disgustosa! - esclamò Alucard, mentre un’espressione di ribrezzo si dipingeva sul suo viso - E’ evidente che è stata inventata da un umano. Solo un vivente può pensare che un vampiro sprechi una cosa buona come il sangue allungandola con una robaccia come l’acqua! -

- Bhè, certo, a ognuno il suo punto di vista. - rispose conciliante la giovane Sir, mentre il nosferatu respirava profondamente per vincere il disgusto suscitatogli dalla barzelletta.

Tranquillizzatosi, Alucard finalmente affrontò il nocciolo della questione:

- Dunque, master, le cose stanno così: d’ora in avanti, per parecchi decenni, sanguinerai ogni mese. Sangue che andrà sprecato, che butterai nella pattumiera. Ragazza mia, ti rendi conto di che razza di spreco sia, considerando che hai un vampiro in casa? Un vero e proprio insulto alla mia sete! E’ come se tu vivessi in una casa in mezzo al deserto e ogni volta che devi cambiare l’acqua ai pesci, invece di darla agli assetati che bussano alla tua porta, la buttassi sulla sabbia, dove non serve a nessuno. Capisci cosa voglio dire? -

- Capisco, ma non vedo come posso aiutarti. -

- Davvero? Eppure è molto semplice! Invece di buttare via gli assorbenti, ti basta darli a me. -

Silenzio. Sir Hellsing si scervellò, nel tentativo di comprendere cosa diamine potesse farsene, un vampiro, dei suoi assorbenti.

- Appurato che non li userai per farti il tè, si può sapere come li utilizzerai? -

- Come lecca-lecca. -

Altra pausa di silenzio. Integra convenne con se stessa che il progetto di Alucard era perfettamente sensato e funzionale alla sua natura di succhiasangue. Restava un problema da affrontare:

- E se io non te li dessi? -

- Me li prenderei lo stesso. - rispose serafico il nosferatu - Frugherei nel bidone dell’immondizia fino a trovarli. -

Integra osservò una nuova pausa di silenzio, infine chiese:

- Ti comportavi così anche con mia nonna? -

- Certo. All’inizio, quando era soltanto l’apprendista di Dio Abraham, le sgraffignavo i lecca-lecca apertamente, per irritarla in modo gratuito. Quando però è diventata la mia master, ho dovuto cambiare tattica. Non potevo mancarle di rispetto con simili dispettucci, capisci? Inizialmente pensai di poter risolvere la faccenda con un patto fra persone adulte e senzienti, come quello che ti ho appena proposto ma master Eva si offese per ragioni che tutt’ora mi sfuggono e rifiutò. Così fui costretto a ricorrere a dei sotterfugi e a rubarglieli di nascosto e ti assicuro che non si trattava di un’impresa da poco. Adesso avete gli assorbenti usa-e-getta mentre invece a quei tempi erano fatti di stoffa, in modo da poterli lavare, stirare e riutilizzare e questo complicava i miei piani. Dovevo essere accorto nel sottrarli e rimetterli al loro posto perché se tua nonna si accorgeva che gliene avevo sottratto qualcuno, erano guai. In quei casi mi puniva adagiando una treccia d’aglio sulla mia bara. Non ho mai capito la ragione di tanto risentimento. Cosa facevo di male? Mica affondavo le zanne nel collo di qualcuno! -

Integra riflettè ancora un po’ prima di rispondere:

- Mi sembra di capire che sia costretta a darteli visto che te li prenderesti ugualmente. -

- Precisamente. - annuì Alucard - E se oltre a questo tu evitassi di farne parola con Walter, la mia riconoscenza non avrebbe limiti. Quell’uomo è convinto che io non sia in grado di imparare dai miei errori passati. -

Sir Hellsing aggrottò le sopracciglia: le sfuggiva il nesso fra il giudizio di Walter e i lecca-lecca. Alucard si accorse della perplessità della padroncina e si sentì in dovere di spiegare:

- E’ una vecchia storia, risale ai tempi di master Arthur. Con tua madre non andavo d’accordo, lo sai, ma devo ammettere che aveva un sangue buonissimo. Mi piaceva davvero tanto e ogni volta che potevo, lo bevevo volentieri. Tuo padre però si arrabbiava tantissimo quando sottraevo i lecca-lecca della sua consorte. Il motivo, non l’ho mai capito dato che lui era un essere umano e dei miei lecca-lecca non se ne faceva niente e anzi li buttava nell’immondizia. Ma del resto voi umani siete incomprensibili in tanti comportamenti. Bhe, le cose andarono così: un tramonto mi sveglio e trovo la casa vuota. Mi affaccio ad una finestra e vedo Walter e gli altri servi nel parco, intenti a disporre tavoli e sedie sotto la supervisione di Lady Sophia. Deduco quindi che tua madre stesse organizzando i preparativi per una festa in giardino. Di master Arthur neanche l’ombra. Non mi stupii. A tuo padre non piacevano le feste che sua moglie organizzava in casa e pensai che anche quella volta, come era successo in altre occasioni in passato, con la scusa che aveva del lavoro da sbrigare era andato a rintanarsi nel suo appartamento a Londra, lontano e al sicuro dal party di Lady Sophia. Tutta Hellsing Manor era vuota e a mia disposizione, così passai dal bagno di tua madre, raccolsi un lecca-lecca e mi misi a bighellonare per tutta la villa. -

Integra riflettè su quanti modi diversi esistessero di cominciare la giornata sul pianeta. All’altro capo del globo, ci si inginocchiava davanti a un basso tavolinetto per consumare una ciotola di riso; in molte case inglesi, uomini con la barba ispida ciabattavano per la cucina con una tazza di caffè in mano; dentro Hellsing Manor, un vampiro si aggirava per i corridoi con un assorbente in mano.

Alucard proseguì:

- Bighellonando, capitai dentro la sala della Tavola Rotonda e lì scoprii che tuo padre non era scappato a Londra ma sedeva in riunione con tutti e dodici i membri del consiglio. -

Il vampiro si coprì gli occhi con una mano, come se il ricordo del quarto d’ora che seguì al suo ingresso nella sala lo impaurisse ancora a distanza di tanti anni, e commentò:

- Come s’incazzò master Arthur quel giorno! Mai più lo vidi imbestialito come quella volta! Se ne uscì in una scenata molto poco britannica. Urlò tanto che i vetri delle finestre vibravano come se fossero lì lì per rompersi. Ma che bisogno c’era di sbraitare a quel modo, dico io? Insomma, che quel lecca-lecca fosse di sua moglie lo sapevamo solo io e lui e dato che non c’era scritto sopra il nome di Lady Sophia, per i membri del Consiglio sarebbe potuto appartenere a qualsiasi cameriera della casa. Ma anche la reazione dei Dodici fu semplicemente assurda. S’imbarazzarono tutti, dal primo all’ultimo, come se fossero tanti scolaretti che non sapevano nulla della vita. Eppure erano tutti uomini sposati, possibile che nessuna delle loro mogli gli avesse mai fatto trovare un assorbente arrotolato in bagno? Davvero, voi vivi siete incomprensibili! -

- E cosa c’entra Walter in tutto questo? -

- Tuo padre, non contento di avermene dette di tutti i colori davanti ai membri della Tavola Rotonda, informò anche il signor Dorneaz di quel che era accaduto, così dovetti sorbirmi anche i rimproveri dello Shinigami. Per questo ti prego di non fargli sapere nulla: sarebbe capace di tornare a impartirmi prediche in merito lunghe un’intera giornata. -

- Prometto di non dire niente a Walter, ad una condizione. Non farmi lo stesso scherzo, non presentarti nel bel mezzo di una riunione della Tavola Rotonda con un mio assorbente in mano. -

- Non temere master, non succederà. Anche se Walter non ci crede, ho imparato la lezione. Non c’è niente di più avvilente che mangiare in mezzo a gente che ti guarda disgustata, ti fa passare l’appetito! E dato che voi umani continuate a schifarvi dei miei lecca-lecca per motivazioni prive di ogni logica, da quello sfortunato tramonto li consumo al riparo da occhi indiscreti, nella mia  segreta. -

 

Quando Walter rincasò, Integra pensò che era l’occasione buona per rivelargli ciò che progettava di fare ormai da molte settimane, così annunciò:

- Continuerò ad andare a scuola finchè non cominceranno le vacanze estive. A quel punto mi ritirerò e continuerò a studiare qui, a casa, con un precettore privato. -

Al maggiordomo occorse qualche istante per riprendersi dalla sorpresa e chiedere:

- Perché? -

- Perché andare a scuola è un’incombenza da ragazze normali e io non lo sono. Ho la responsabilità dell’Ordine dei Cavalieri Protestanti sulle spalle. Quante volte sei stato costretto a telefonarmi a scuola per mettermi al corrente di faccende urgenti? Mi pare più sensato rimanere qui, nel quartier generale, ed essere reperibile sul momento invece di interrompere la lezione di un’intera classe per andare in segreteria e rispondere al telefono. Inoltre, ho collezionato più assenze nei pochi mesi trascorsi da quando Alucard si è risvegliato che in tutti gli anni precedenti. Non mi piace frequentare la scuola in queste condizioni. Se non posso condurre un impegno con costanza, preferisco non prenderlo. -

Walter si concesse una lunga pausa di silenzio prima di rispondere. Voleva riflettere bene sulle parole da usare e quando finalmente parlò, il suo tono era così paterno da sorprendere Sir Hellsing:

- Integra, “scuola” non sono solanto le materie che studi. “Scuola” sono soprattutto i tuoi compagni, giovani della tua età, e gli insegnanti, adulti diversi da quelli che puoi incontrare in casa. Rinunciare alla scuola, vuol dire rinunciare soprattutto a queste persone. Nessun precettore potrà mai compensarli. Non hai un’idea di quanto mi sia dispiaciuto che oggi non ci fosse neanche una donna che potesse consolarti e d’ora in avanti avrai sempre più bisogno di una figura femminile di riferimento. Se continuerai ad andare a scuola, potrai contare sulle professoresse. Ti renderai conto che anche le tue coetanee hanno i tuoi stessi problemi. Se invece ti ritiri e ti seppellisci qui in casa, chi ti aiuterà? Sei l’unica femmina di Hellsing Manor. Davvero pensi che il branco di omacci che ti circonda potrà sostituire l’esperienza di un’insegnante?  -

Su questo, Sir Hellsing non aveva riflettuto ma a dire il vero, non lo riteneva uno scoglio insormontabile, come appariva invece al maggiordomo.

Il signor Dorneaz insitè:

- Per piacere, non prendere decisioni affrettate. Medita su quel che ti ho detto. -

Il viso del maggiordomo era così stanco e preoccupato che ad Integra sembrò che il tutore fosse invecchiato di dieci anni in pochi minuti. Promise quindi di meditare sulle sue parole ma si trattava soltanto di una bugia, un modo per rilassare quell’uomo tanto esausto.

Sir Hellsing era sicura della propria scelta, sapeva che era l’unica decisione saggia da prendere. Nei mesi avvenire, lentamente ma con costanza, avrebbe insistito fino a far capitolare mister Dorneaz. Quello sarebbe stato il suo ultimo anno di scuola. Dal prossimo autunno, avrebbe studiato in casa.

 

Era l’ora della ricreazione e Integra, chiusa nel solito ripostiglio della scuola, era impegnata a fumare l’ultimo mozzicone di sigaro rimastole.

Trascorreva i suoi intervalli nella solitudine di quello sgabuzzino ormai da settimane cioè da quando le sue compagne avevano attentato all’integrità del suo viso cercando di truccarla.

Proprio così, avevano tentato di truccare lei, Integra Hellsing! Come si erano permesse?! Eppure, avevano osato!

Da diversi mesi Sir Hellsing vedeva che le sue compagne di classe si esaltavano con quella cosa chiamata cosmesi e trascorrevano la ricreazione chiuse in bagno, impegnate a truccarsi vicendevolmente. Poi, prima di rincasare, si struccavano con dilingenza, così da illudere i genitori che anche fuori dalle mura domestiche si comportavano esattamente come volevano loro.

Cosa trovassero di così appagante le altre ragazze in tutto quel dipingersi, Integra non lo comprendeva. Sembrava fossero convinte che spalmarsi sul viso gli stessi colori che potevano trovarsi addosso ad un pavone o ad un pappagallo, le rendesse irresistibili agli occhi dei ragazzi e questo aveva portato Sir Hellsing a formulare un pensiero:

“ I maschi hanno gusti strani. “

Come fosse possibile infatti che i ragazzi trovassero attraenti facce con palpebre così pesantemente truccate da sembrare che le proprietarie fossero state prese a pugni sugli occhi, era per l’erede di Van Helsing semplicemente incomprensibile. Dato però che maschi e femmine sembravano trarre grande appagamento da tutti quei colori sparsi su visi e unghie, Integra aveva tenuto per sé i suoi dubbi, lasciando benignamente che i suoi coetanei continuassero a divertirsi in quel gioco privo di senso.

C’era molto sussiego nell’atteggiamento di Integra ma la ragazzina non nutriva imbarazzi nell’ammettere di sentirsi superiore di parecchie spanne agli altri studenti della scuola.

Non aveva mai avuto quel che si definisce un carattere facile. Sin da bambina aveva voluto comandare e siccome aveva la stoffa del capo, i compagni si erano sempre affidati volentieri ai suoi ordini. Non si era mai curata di sapere se la giudicassero simpatica o antipatica, se le volessero bene o meno. Non erano questioni su cui perdesse il sonno. L’importante era che la lasciassero libera di agire secondo i suoi principi.

Quando, a cinque anni, la maestra le aveva chiesto cosa volesse fare da adulta, aveva risposto con sicurezza:

- Qualcosa di importante. -

In verità, già allora, aveva sognato di poter subentrare al padre nella guida dell’Organizzazione ma c’era di mezzo lo zio Richard e intuiva che era tutt’altro che sicuro che lei potesse diventare la futura Sir Hellsing. Aveva così ripiegato su di un “piano B” : se la successione all’Ordine dei Cavalieri Protestanti fosse andata storta, avrebbe intrapreso qualche altra missione degna di lei. E dato che Integra si riteneva idonea per progetti grandiosi, non poteva fare a meno di rispondere “qualcosa di importante”. Cosa, di preciso, non lo sapeva nemmeno lei, ma che avrebbe occupato un posto di comando, ne era certa.

Per questo, sin da piccola, aveva guardato con sottile disprezzo i coetanei che quando sognavano il loro futuro, si accontentavano di quelle che a lei apparivano “banalità quotidiane”: una famiglia,  una casa in centro, una macchina potente, viaggiare per il mondo… 

Infine, i suoi sogni si erano realizzati ma in modo ben diverso da come si aspettava. Non aveva mai pensato di assurgere a guida dell’Ordine dei Cavalieri Protestanti a soli dodici anni, per di più dopo essere rimasta orfana, aver rischiato di essere uccisa dallo zio e ritrovarsi con un vampiro fra capo e collo da tenere al guinzaglio.

Lamentarsi però non era mai rientrato fra le sue abitudini, quindi non cominciò a farlo allora. Pur con tutti i dubbi su quanto potesse essere capace di guidare l’Organizzazione Hellsing alla sua età e senza un genitore ad aiutarla, si caricò della sua responsabilità e la portò avanti senza recriminare ma tutto ciò non potè che allontanarla ulteriormente dai suoi coetanei.

La pesantezza del ruolo che le era piombato addosso negli ultimi mesi l’aveva costretta a maturare in quattro e quattr’otto. Ancora tremava al ricordo del rischio corso dai soldati dell’Hellsing quando si erano scazzottati col vampiro nel poligono di tiro. Avrebbe potuto scapparci il morto, bambini sarebbero potuto rimanere orfani solo perché lei aveva fatto circolare con tanta leggerezza quell’ingiurioso “Biancaneve” alle spalle di Alucard. Era stata una lezione durissima che continuava a farla rannicchiare, di notte, piena d’angoscia sotto le coperte, al pensiero di quanto dovesse soppesare ogni parola prima di pronunciarla.

Dopo quel che le era capitato, non poteva che ascoltare con incredulità i compagni di scuola lagnarsi per un amore non corrisposto o perché i loro genitori non gli permettevano di rientrare tardi la sera.

“ Davvero non hanno problemi più gravi di questi? “ si chiedeva con un misto di incredulità e rabbia, dato che i suoi tormenti consistevano nel decidere se ordinare ad Alucard di dare la morte a qualcuno. Dato che col trascorrere delle settimane gli altri studenti, anche quelli più grandi di lei, le apparivano sempre più infantili, come tali aveva cominciato a trattarli, alternando ora accondiscendenza, ora irritazione.

Oppure osservandoli come se si trattasse di una bizzarra specie animale di cui doveva scoprire il comportamento. Fu durante una di queste giornate, in cui si sentiva così estranea alla gioventù che la circondava da guardarla con l’occhio di un antropologo alla ricerca di usi e costumi tribali, che ebbe la sfortunata idea di seguire le compagne in bagno per vederle truccare. Trascorsero pochi minuti prima che una di loro proponesse:

- Inty, perché non ti trucchi anche tu? -

- Mi chiamo Integra, non Inty. No, non ci tengo a truccarmi, grazie. -

- Non temere Teggy, se non sai come fare, ti trucchiamo noi. -

- Ho detto che mi chiamo Integra. Ci tengo ad essere chiamata col mio nome e non con un lezioso  vezzeggiativo. E ripeto che non voglio truccarmi, grazie. -

- Ma staresti d’incanto! -

- Io mi piaccio così. -

- Senti, va bene che sei carina ma se ti truccassi attireresti frotte di ragazzi! -

- Non m’interessa attirare frotte di ragazzi - replicò Sir Hellsing, ormai pentita di essere entrata in quel bagno. Era chiaro che le altre ragazze non avevano alcuna intenzione di desistere.

Seguì una discussione penossissima per Integra, che si poteva sintetizzare così: se lei avesse abbandonato gli occhiali per le lenti a contatto, gli scarponi per delle scarpette più vezzose, e se avesse cominciato a truccarsi, limarsi le unghie, sorridere di più e indossare qualche gioiellino, a detta di tutte le presenti sarebbe stata la più bella della scuola.

- Cioè, secondo voi, per essere la più bella dovrei smettere di essere quella che sono per trasformarmi in un’altra persona? - chiese indignata Sir Hellsing per poi concludere, scrollando il capo - Non ne vale la pena! -

- Ma chi ha detto che devi trasformarti in un’altra persona? -

- Voi lo avete appena detto! -

Raddrizzando la schiena, la giovane master proseguì solennemente:

- Integra Hellsing è gli occhiali che porta, gli scarponi, le unghie corte, la faccia pulita e niente gioielli. Io mi piaccio così. Io sono così. Cambiate un particolare e non sarò più io e non vedo perché dovrei trasformarmi in qualcosa che non voglio. Niente e nessuno vale il mio  cambiamento! -

Le ragazze la guardavano con occhi vacui. Avrebbero capito?

- Ma Inty, essere la più bella della scuola vale eccome un cambiamento! -

Le spalle di Sir Hellsing si curvarono stancamente; avrebbe potuto risparmiarsi la fatica di esporre la sua filosofia di vita e parlare delle metrature delle piastrelle da bagno, il risultato sarebbe stato lo stesso. Inoltre, non riusciva a ficcare nelle loro zucche vuote che voleva essere chiamata per nome. Ritentò, pur consapevole che era come parlare al vento:

- Mi chiamo Integra, non Inty. -

- Ora ascolta me, Teggy. Nessuno sta dicendo che devi trasformarti. Devi solo valorizzarti. -

Non tentò nemmeno di replicare che non si chiamava neanche Teggy, annotò solo mentalmente che a quanto pareva “valorizzare” era un sinonimo più delicato di “trasformare”. Un po’ come dire “bruttina” invece di “befana”.

Mentre un paio di compagne distraevano Sir Hellsing con quelle ciance, le altre ragazze, bisbigliando fra loro, avevano deciso che Integra non sarebbe uscita da quel bagno senza il viso truccato, a costo di trattenerla con la forza. La motivazione ufficiale era che lo facevano per il suo bene, così da far capire a quella zuccona quanto migliorasse il suo aspetto con un po’ di rossetto e fondotinta.

La motivazione reale e non ufficiale era che volevano dare una lezione a quell’antipatica che le guardava dall’alto in basso. 

Quando Integra si rese conto del pericolo che correva, era troppo tardi. Una dozzina di ragazzine si frapponeva fra lei e la porta del bagno, unica via di fuga verso il corridoio. In cinque l’afferrarono per le braccia, mentre le altre estraevano matite e mascara, i loro strumenti di tortura.

Sir Hellsing però non si era salvata da Richard e dai suoi tirapiedi per farsi sottomettere da quelle oche e così, menando calci, morsi e sputando in un occhio a quella che le faceva più antipatia, costrinse le sue carceriere a lasciarle le braccia. Con le mani finalmente libere, alle pedate aggiunse una buona dose di spintoni e sganassoni, facendo così comprendere alle compagne quanto fosse più salutare lasciarla uscire dal bagno.

- Incivile! - le strillò una di loro, mentre Sir Hellsing varcava la soglia della salvezza.

- Senti chi parla! - ruggì di rimando la dodicenne.

A casa, chiese ad Alucard di darle un ripasso di boxe, nel timore che quelle arpie tentassero nuovamente di truccarla a tradimento, chiamando dei rinforzi per tenerla bloccata. Il nosferatu, timoroso che un altro ragazzo molestasse la sua padrona, rifiutò di insegnarle alcunchè finchè Integra non gli avesse rivelato il motivo di tanta agitazione ma quando seppe quel che era accaduto nei bagni della scuola, scoppiò in una fragorosa risata.

- Non ti sganasceresti a questo modo se avessero tentato di imbellettare te! - replicò risentita Sir Hellsing.

A dispetto delle sue ansie, nessuno tentò più di truccare Integra Hellsing. I lividi che le sue carnefici esibivano sugli stinchi bastarono a scoraggiare altri tentativi di emulazione. Per sicurezza però il nuovo capo dell’Ordine dei Cavalieri Protestanti preferiva trascorrere le sue ricreazioni nella solitudine di quel ripostiglio, a fumare fra vecchie cartine e lavagne graffiate.

Se i primi giorni rintanarsi là dentro l’aveva un tantino umiliata, come se quell’isolamento potesse essere visto come una fuga e quindi un’ammissione che era lei ad essere nel torto, col trascorrere degli intervalli si era sentita sempre più a suo agio immersa nella solitudine. Si accorse di non sentire la mancanza di compagnia, anzi di trovare estremamente soddisfacente non sentire altre voci femminili discutere di tediosità come i vestiti o chi fosse il ragazzo più bello della scuola.

No, Sir Hellsing non riusciva proprio a capire le altre ragazze e mentre schiacciava il mozzicone ormai terminato sotto la suola della scarpa, non potè fare a meno di sentenziare fra sé e sé:

“ Le ragazze sono noiose. “

Adesso doveva uscire nel cortile della scuola per togliersi di dosso l’odore del sigaro. Meglio non rientrare in classe tanfando di tabacco, correva il rischio di essere sottoposta a un interrogatorio da parte di qualche puntiglioso insegnante, capace persino di telefonare a Walter.

Il grande cortile della scuola era popolato quasi esclusivamente da ragazzi impegnati a giocare a calcio. A Sir Hellsing venne spontaneo domandarsi se con i maschi si trovasse maggiormente a suo agio ma dovette concludere che non aveva un feeling particolare nemmeno con loro. Ai suoi occhi, i ragazzi erano soltanto una versione più rozza delle femmine: invece che di amore, parlavano di sesso, al posto della moda avevano la fissazione per lo sport e il loro linguaggio era decisamente più volgare ma a parte queste sottigliezze, per il resto erano monotematici quanto la loro controparte femminile. Inoltre, anche loro ridevano troppo per i gusti di Integra, così la dodicenne non potè fare a meno di emettere una seconda sentenza:

“ I ragazzi sono noiosi quanto le ragazze. “

Si appoggiò con la schiena ad un muro del cortile, constatando quanto si sentisse estranea ai suoi coetanei.

Per mesi aveva meditato sulla sua decisione di ritirarsi dalla scuola con il cuore gonfio di ansia all’idea di veder così avverarsi l’incubo di quand’era bambina, di ritrovarsi l’unica ragazzina in un mondo di vecchi. In quegli ultimi giorni però aveva cominciato a domandarsi se davvero fosse un destino così avvilente. Si rendeva conto di conoscere e capire meglio i vecchi fra cui era cresciuta  dei giovani e di trovarsi quindi molto più a suo agio con i primi che con i secondi. Forse la scuola, i compagni, gli insegnanti non le sarebbero mancati tanto come temeva.

Qualche giorno prima, a casa, fatti due conti, si era accorta con stupore che adesso era il componente più giovane della Tavola Rotonda ma fra una trentina d’anni la situazione si sarebbe ribaltata. I membri anziani sarebbero deceduti uno dopo l’altro, cedendo il posto a figli e nipoti.

“ Fra trent’anni sarò una donna di mezz’età circondata da un branco di giovincelli. “ aveva pensato, senza sapere se ridere o piangere di fronte a quella prospettiva.

Sembrava non fosse destinata a stare in compagnia di persone della sua stessa età. Sperò comunque che di lì a tre decenni, avrebbe imparato a capire i giovani meglio di quanto non le riuscisse adesso.

“ E’ come se per certi aspetti dentro di me fossi già vecchia. “ concluse, senza che il pensiero la turbasse più di tanto. In fondo, come sempre da quando era nata, ciò che agli occhi di Integra contava maggiormente era che la lasciassero libera di agire secondo la sua ragione, i suoi ideali e la sua coscienza. Se poi tutto ciò la rendesse agli occhi altrui simpatica o antipatica, “giovane” o “vecchia”, non le interessava.

Diede un’occhiata panoramica al cortile e i suoi occhi si posarono su una figura solitaria quanto lei, seduta sulla panchina, verso cui si diresse baldanzosa. Anche Basil era un pesce fuor d’acqua che non si sentiva a suo agio né con i ragazzi, né con le ragazze. Integra pensava che probabilmente era per questo che stava tanto bene con lui. Inoltre, anche l’amico rideva poco quanto lei.

- Ciao Basil, che fai? -

- Assisto a una lotta per la sopravvivenza. - rispose il ragazzino, continuando a fissare la terra battuta ai suoi piedi - Questo scarafaggio è ferito e le formiche lo hanno attaccato per ucciderlo e mangiarselo. -

Sir Hellsing si sedette accanto all’amico e osservò con interesse la scena. Immaginò che lo scarafaggio, così grande e grosso, fosse Alucard e le formiche una torma di ghouls che lo attaccavano, per questo disse con sicurezza:

- Vincerà lo scarafaggio perché è più forte. -

- Io invece penso che la spunteranno le formiche perché l’unione fa la forza. - replicò il ragazzino.

Senza dirsi nient’altro, rimasero lì ad osservare gli insetti, incuranti di essere osservati a loro volta dai ragazzi che giocavano a calcio e dalle ragazze che appena smesso di truccarsi, sciamavano in cortile per farsi ammirare.

Il giudizio dei due gruppi era unanime:

- Certo che quelli sono i più svitati della scuola. E’ tutta la ricreazione che stanno lì a guardarsi i piedi. -

Avessero saputo che invece dei piedi osservavano scarafaggi e formiche, probabilmente sarebbero stati ancora più sprezzanti. 

Ebbe ragione Basil e vinsero le formiche. Integra si augurò che Alucard non facesse mai la fine dello scarafaggio. Le formiche stavano cominciando a smembrare il cadavere dell’avversario quando la campanella richiamò i due squinternati della scuola nelle rispettive aule.

 

Walter stava spolverando i mobili del corridoio quando uno strano sibilo, proveniente dalla cucina, lo allarmò. Cosa stava accadendo? Andò a controllare e appena entrato in cucina, si mise le mani nei capelli.

Alucard aveva conservato la bomboletta di panna spray ormai vuota di Integra, con l’intenzione di provare a fare il sangue montato. Si era quindi seduto al tavolo della cucina, aveva versato un’intera sacca di sangue nella bomboletta, l’aveva riassemblata e a quel punto qualcosa era andato storto. Il sangue, invece di uscire schiumoso e vaporoso dalla bomboletta, era schizzato fuori in tante minutissime gocce.

Lo spettacolo che si presentò agli occhi di Walter fu quindi il seguente: spruzzi scarlatti imperlavano il tavolo, il volto e il torace del vampiro, nonchè tutti i mobiletti della cucina che si trovavano alle sue spalle. Mobiletti la cui pulizia era costata al maggiordomo due ore di indefesso lavoro quella mattina.

- Canaglia! Afflizione della mia esistenza! Perché mi perseguiti in questo modo?! - ringhiò Walter, esasperato.

Alucard ascoltò quegli improperi leccandosi la faccia. Letteralmente. Sì perché sembrandogli uno spreco buttare via il sangue che lo lordava pulendosi con un tovagliolo, e avendo la possibilità di modificare il proprio aspetto a suo piacimento, aveva imposto alla lingua di allungarsi come quella di un rettile, consentendole di giungere fin sopra le palpebre. Terminato il lavaggio del viso, in tono conciliante rispose:

- Non temere Walter, rimedio a tutto io. -                                     

Il maggiordomo si mise all’erta: non era da Alucard accettare così supinamente di prendere in mano uno strofinaccio e pulire quel che aveva sporcato. Cosa stava tramando, dunque?

Lo scoprì immediatamente. Il vampiro si alzò, si piantò di fronte a uno degli sportelli insanguinati e cominciò a leccarlo. I capelli di Walter si rizzarono per l’orrore.

- Smettila di sbavare la mia cucina, schifoso! - strillò l’umano e spinse fuori il vampiro dalla stanza, sbattendogli la porta in faccia.

Alucard rimase a guardare perplesso la porta chiusa. Per una volta che voleva dare una mano! Possibile che a Walter non andasse mai bene niente?

“ I vivi sono incomprensibili ” pensò il mostro e avvicinandosi un braccio alla bocca, si diede a leccare il sangue sulla manica.

 

Alucard portò Casull a sgranchirsi al poligono di tiro. Tornati a casa, la ingrassò e lucidò con cura prima di riporla nella sua scatola. A quel punto il vampiro non seppe più cosa fare e andò a controllare se Walter fosse sbollito. Socchiuse la porta di cucina e sbirciando dentro, chiese:

- Posso stare con te? Mi annoio. -

Lo shinigami aveva nuovamente pulito tutti i mobiletti e adesso era seduto al tavolo, intento a lucidare l’argenteria. Era ancora profondamente irritato con Alucard ma pensò che lasciare il vampiro libero di vagare per casa in preda alla noia era una pessima idea perché chissà cosa poteva combinare. Così si arrese a rispondere:

- Va bene, siediti qui e stai buono. - pur comprendendo quanto fosse assurdo sperare che il succhiasangue stesse veramente “buono”.

Il nosferatu si sedette e cominciò a guardare a destra e a sinistra.

- La mia bomboletta? -

- L’ho buttata. -

Alucard se ne fece una ragione. Aveva ancora secoli di non-esistenza davanti a sé per tentare di fare il sangue montato. Per adesso avrebbe cercato un altro passatempo e lo trovò subito.

Walter lucidava l’argenteria usando dei vecchi quotidiani che il vampiro gli sgraffignò all’istante per leggerli. Una notizia sembrò colpirlo particolarmente:

- Qui c’è scritto che degli uomini si esibiscono in spettacoli di spogliarello per un pubblico di sole donne. -

- Sì, da qualche mese è saltata fuori questa nuova moda. - rispose lo shinigami, continuando a lucidare.

- Guadagnano molto? -

- Non lo so, non mi sono mai interessato a cercare informazioni in merito. -

Alucard rimase pensieroso per qualche minuto poi, estratta una matita dal cassetto del tavolo, sul bordo del giornale cominciò a calcolare percentuali e sottrazioni. Walter, intanto, bisognoso di altra carta di giornale, allungò una mano sul tavolo, lì dove aveva accatastato i quotidiani, non trovandone neanche uno. Alzò la testa e vide con disappunto che quel lestofante di vampiro li aveva requisiti tutti, mettendoseli accanto.

- Accidenti a te Alucard, almeno uno lasciamelo per lavorare! - e così imprecando, strappò da sotto il naso del mostro proprio il giornale su cui stava eseguendo le operazioni. Operazioni che balzarono subito all’attenzione di mister Dorneaz.

- Cos’è, ti stai esercitando in matematica? Perché tutte queste percentuali? -

- Stavo cercando di capire quanto può essere conveniente fare lo spogliarellista. Il proprietario del locale vorrà certamente una percentuale sull’incasso e dal guadagno che mi resterebbe in mano, una parte dovrei sottrarla per le spese della trasferta. -

Walter piantò due occhi sbigottiti sul vampiro che placidamente proseguì:

- Prima o poi dovrete arrendervi a darmi una libera uscita e questo mi costringe ad affrontare un ulteriore problema, la vostra tirchieria. L’assegno che mi passate e che avete la faccia tosta di definire pomposamente “stipendio”, è talmente misero che spesso lo finisco alla prima serata libera che mi concedete. -

- La paga che ti passiamo non è misera! Ci sono famiglie che pagano il mutuo della casa con quel che ti diamo! Sei tu ad essere un inguaribile scialacquatore! -

- Sia come sia, il problema resta: ho bisogno di più soldi e siccome l’Ordine dei Cavalieri Protestanti non ci pensa nemmeno a concedermi un aumento, devo trovare da solo il modo di arrotondarlo. -

Tenne per sé il fatto che una volta riusciva ad arrotondarlo con cifre con molti zeri, ai bei tempi in cui era proprietario del lupanario spacciato per sala da tè. Ma ormai quell’onorata attività commerciale aveva chiuso i battenti e ad Alucard non restava che rimboccarsi le maniche e ricominciare da capo, con una nuova idea.

- Quindi perché non mettermi a fare degli spogliarelli anch’io? - concluse il vampiro.

Walter non sapeva se sentirsi più indignato o arrabbiato:

- Appartieni all’Organizzazione Hellsing! Come puoi rovinare la reputazione di Integra in questo modo? -

Fu il turno di Alucard di indignarsi. Lo irritava che il maggiordomo facesse affermazioni irragionevoli, almeno secondo il vampiro:

- Oh, andiamo Walter! Non ho mica scritto sulla fronte “Appartengo all’Ordine dei Cavalieri Protestanti”! Come vuoi che possa macchiare la reputazione della master? - 

Il rumore del portone d’ingresso che si apriva annunciò ai due uomini che Integra era tornata a casa.

- Rimandiamo questo litigio ad un altro momento. - intimò Walter e Alucard fu d’accordo.

- Salve a tutti. - disse Sir Hellsing, entrando in cucina.

- Bentornata. - risposero in coro vampiro e umano, mentre quest’ultimo si avviava ai fornelli per preparare alla padroncina il tè delle cinque.

Integra si sedette di fronte ad Alucard e annunciò:

- Oggi, a scuola, tutti non facevano che parlare del film che faranno in televisione stasera. E’ “Dracula” di Francis Ford Coppola. -

Walter, che armeggiava con il bollitore alle spalle di Alucard, trasalì come se avesse ricevuto una scossa elettrica e comprendendo il pericolo insito in quella discussione, tentò con tutte le sue capacità di porle fine. Fu per questo che Integra, con gli occhi sgranati dallo stupore, vide il suo compassatissimo maggiordomo mettersi a gesticolare come un italiano, facendo segno di “no” con le braccia e con la testa.

La ragazzina era tanto sbigottita dallo spettacolo da essere incapace di riflettere sui perché di quel “no”. Così, quando le sue orecchie registrarono che l’annuncio appena dato era stato commentato dal vampiro con un acido “Davvero?” , automaticamente e senza staccare gli occhi dallo sbracciarsi di Walter, aggiunse:

- Sì, quando uscì al cinema fu campione d’incassi. -   

Walter smise di sbracciarsi e si nascose il viso fra le mani, come se una catastrofe stesse per abbattersi in cucina. Alucard, pieno di sussiego, cominciò a dire:

- Sai master, più di una volta è stata stilata una classifica su quali siano i mostri più famosi e ogni volta ne sono uscito vincitore. -

Integra vide il maggiordomo estrarre due tappi per le orecchie dal taschino del gilet, inserirli nelle apposite sedi e dedicarsi unicamente alla preparazione del tè e delle tartine con aria afflitta. Lo spettacolo del compassato signor Dorneaz che si dimenava come un ossesso era terminato. Sir Hellsing prestò quindi tutta la sua attenzione al vampiro che continuava a pontificare: 

- Il Conte Dracula è il freak più famoso del globo. Su di me hanno prodotto più film, cartoni, libri, fumetti, giochi, costumi di carnevale e fan club che su qualsiasi altro mostro. Questo vuol dire che se mi venissero pagati i diritti d’autore che mi spettano, sarei il freak più ricco della Terra. Sarei così ricco che probabilmente il mio nome comparirebbe anche in mezzo alle liste degli uomini più danarosi del pianeta. E invece, di tutte queste royaltes non vedo neanche un penny perché per l’anagrafe sono defunto. Non è un’ingiustizia grande quanto una casa, questa? Potrei fare una non-vita da pascià e invece sono solo un povero vampiro spiantato, costretto a fare il cane degli Hellsing per sbarcare il lunario. Se esistesse un club dei mostri e vi fossi iscritto, mi prenderebbero tutti per i fondelli. “Guardate, il mostro più famoso del mondo che non vede neanche un soldo dei suoi diritti d’autore”! Me li immagino, tutti a sghignazzare alle mie spalle: il Mostro di Frankenstein, l’Uomo-Lupo, la Mummia, Mister Hyde, il Mostro della Palude, gli Alieni Grigi…Te ne rendi conto, master? Persino il Mostro della Palude e gli Alieni Grigi sghignazzerebbero di me! No, dico, i Grigi, quei nanerottoli che non mi arrivano neanche al ginocchio e che prenderei volentieri a calci, facendo schizzare ovunque il loro sangue verde! -

- Hanno il sangue verde gli alieni? - interruppe la master.

- E io che ne so? Ho detto così, tanto per dire. -

- Comunque stai tranquillo, non esiste nessun club dei mostri, nessun freak guadagna niente dai propri diritti d’autore quindi nessuno può sghignazzarti sul muso. -

- E no, cara master, ti sbagli! Alcuni mostri guadagnano eccome dai loro diritti d’autore! Sono scritturati da agenzie specializzate che badano che gli vengano versati tutti i salari che gli spettano! I Grigi hanno fatto un sacco di soldi con le loro apparizioni in “X-files”.  E ancora di più ne ha fatti Freddy Krueger con la sua serie di film. Vivono tutti a Beverly Hills, in villone con piscina. I turisti li fotografano convinti siano attori che si mascherano a loro beneficio e invece sono mostri reali. Quei cialtroni privi di carisma passano le loro giornate seduti sul bordo della piscina, in accappatoio e con un drink in mano, mentre io, il mostro più affascinante e potenzialmente più ricco del mondo non posso nemmeno uscire di casa senza l’autorizzazione della mia master! -

Il maggiordomo servì alla sua protetta tè e tartine. Integra lo ringraziò e tornò a domandarsi il motivo dell’aria avvilita del tutore e perchè avesse indossato i tappi per le orecchie. Alucard intanto continuava il suo monologo:

- Ma sai chi c’è all’origine di tutte le mie disgrazie? Bram Stoker! Se solo per l’anagrafe non fossi defunto e se quello scrittorucolo non fosse morto per davvero, gli intenterei una causa per risarcimento milionaria. Come si è permesso di scrivere un libro che porta il mio nome senza chiedermi l’autorizzazione? Come si è permesso di sbandierare la mia vita privata ai quattro venti, parlando delle mie mogli, dei miei servi, del mio castello? Dando, per di più, informazioni false e tendenziose? Il mio castello non era disastrato come l’ha descritto e non ero certo un idiota che lasciava cumuli di monete d’oro in giro per le stanze. E poi come si è permesso di descrivermi in modo tanto repellente? Ha detto che le palme delle mie mani sono pelose, che ho una brutta faccia e l’alito pesante. Come ha osato dire tante bugie su di me, il vampiro più affascinante del globo? E non contento di avermi diffamato chiamandomi “cervello limitato”, lui e i suoi discendenti hanno guadagnato soldi a palate dalla vendita dei diritti d’autore di quel romanzo. Romanzo che porta il mio nome, parla di me e quindi sarei io a dover incassare tutte quelle royaltes. E invece non guadagno neanche un penny, nonostante sia il freak più famoso! Perché sissignori, io sono celebre! Lo sai master che più di una volta è stata stilata una classifica su quali siano i mostri più famosi e ogni volta ne sono uscito vincitore? Il Conte Dracula è il freak più famoso del globo. -

- Questo l’hai già detto. - farfugliò Sir Hellsing, masticando una tartina.

Con aria afflitta, Alucard rispose:

- Sì, è vero, te l’ho già detto. E con questo? Stai insinuando che non ho il diritto di ripeterlo? Sono il tuo fedele schiavo, pronto a dare quel che resta della sua grama esistenza per difenderti e come ringraziamento non ti degni neanche di ascoltare i miei sfoghi? -

Integra impallidì dalla mortificazione, sentendosi di un egoismo spregevole. Con un fil di voce, bisbigliò:

- Ti chiedo scusa. Non volevo mancarti di rispetto. Parla pure, prometto che non ti interromperò più. -

Alucard non chiedeva di meglio. Con rinnovata energia, tornò a pontificare:

- Sissignore, il Conte Dracula è il freak più famoso del globo. Su di me hanno prodotto più film, cartoni, libri, fumetti, giochi, costumi di carnevale e fan club che su qualsiasi altro mostro. Questo vuol dire che se mi venissero pagati i diritti d’autore che mi spettano, sarei il freak più ricco della Terra. Sarei così ricco che probabilmente il mio nome… -

Integra dovette sorbirsi l’intero monologo sui mancati diritti d’autore del suo vampiro per ben tre volte, tanto impiegò a terminare il tè e le tartine e siccome aveva promesso al vampiro che non l’avrebbe interrotto, finito di mangiare rimase ad ascoltare quelle recriminazioni un altro paio di volte, seduta e con le mani conserte.

Infine le scappò di andare in bagno e si sentì costretta a porre fine allo sfogo del servo:

- Scusami Alucard ma adesso devo proprio andare in camera. -

Enorme fu il suo stupore nel constatare che il vampiro, come se niente fosse, si alzò a sua volta e seguì passo-passo la master su per lo scalone continuando a predicare:

- Come si è permesso di sbandierare la mia vita privata ai quattro venti, parlando delle mie mogli, dei miei servi, del mio castello? Dando, per di più, informazioni false e tendenziose? Il mio castello non era disastrato… -

La foga del nosferatu era tanta e tale che senza riflettere, seguì la padrona fin dentro il bagno. In tono pacato, Integra spiegò:

- Alucard, devo fare pipì. -

- Fa pure master, non mi scandalizzo. Dicevo, come ha osato dire tante bugie su di me, il vampiro più affascinante del globo? E non contento… -

- Mi scandalizzo io, però! - ringhiò Sir Hellsing, passato l’iniziale sbigottimento nel sentirsi rispondere a quel modo - Esci di qui! -

Alucard ubbidì e per tutto il tempo in cui rimase in bagno, Integra sentì il suo vampiro continuare a blaterare da dietro la porta:

- …contento di avermi diffamato chiamandomi “cervello limitato”, lui e i suoi discendenti hanno guadagnato soldi a palate dalla vendita dei diritti d’autore di quel romanzo… -

Adesso Integra comprendeva il motivo dello sbracciarsi di Walter, giù in cucina e perché si fosse messo i tappi nelle orecchie. Il discorso di Alucard sembrava un monologo teatrale imparato a memoria, parola per parola, segno di come nei decenni precedenti più e più volte avesse affrontato l’argomento, pretendendo di sfogarsi col master di turno e forse perfino con lo stesso mister Dorneaz.

Uscita dal bagno, Sir Hellsing tentò di far comprendere al servo che adesso aveva bisogno di ripassare il programma di geografia perché il giorno seguente ci sarebbe stata la verifica in classe quindi, se Alucard le avesse fatto la cortesia di rimanere in silenzio per un’oretta, poi Integra l’avrebbe ricompensato ascoltandolo ripetere lo stesso sermone per tutta la sera. Le parole della ragazzina furono come petali gettati al vento, sovrastati dal vocione di Alucard che, incapace di darsi pace, come un disco rotto, terminava e ricominciava senza posa la solita arringa.

Tutto quel parlare finì col seccare la gola del non-morto e fu quella la salvezza di Integra. Ad un bel momento, vide lo schiavo uscire dalla sua stanza e scendere le scale sempre inveendo contro Stoker e il club dei mostri e zittirsi soltanto quando il portellone della cella-frigo si richiuse alle sue spalle. La dodicenne non perse tempo e corse alla ricerca del tutore. Lo trovò in cucina, intento a caricare la lavastoviglie e si aggrappò al suo gilet:

- Per quanto tempo può andare avanti Alucard con questa storia dei diritti d’autore? -

- Il suo record è stato di settantadue ore filate. - rispose il maggiordomo, togliendosi i tappi dalle orecchie - Accadde pochi giorni prima che vostro padre lo mettesse in letargo. Certe volte mi sono chiesto se non sia stata questa la ragione che spinse Sir Arthur a sbarazzarsi di lui. Alucard non gli si scollava di dosso nemmeno la notte. Vostro padre cercava di dormire e Alucard era lì, al fianco del suo letto, che continuava a farneticare di tutti i miliardi che avrebbe potuto guadagnare se solo per l’anagrafe non fosse risultato morto. -

Il viso di Integra si riempì d’angoscia e Walter si affrettò a tranquillizzarla:

- Non temete, miss. Le settantadue ore, come vi ho detto, furono un record. Normalmente le sue recriminazioni non durano più di cinque o sei ore. Nel frattempo, potete salvarvi con questi. -

Così dicendo, lo shinigami allungò alla protetta due tappi per le orecchie. Prima di indossarli, Sir Hellsing fece in tempo a sentir dire al tutore:

- Vi consiglio di guardare il film di stasera. Alucard detesta le pellicole che parlano di lui, è del parere che non ce ne sia una che non gli manchi di rispetto ma è talmente masochista che non può fare a meno di vederle. Tutto ciò lo fa soffrire ed è davvero divertente veder soffrire Alucard. -

Integra ne convenne col tutore. Dopo tutti i guai che il vampiro aveva causato ad Hellsing Manor e ai suoi abitanti da quando si era risvegliato, una piccola vendetta come quella suggerita dal signor Dorneaz era più che giustificata.

Con i tappi nelle orecchie, Sir Hellsing potè ripassare la lezione in santa pace, incurante del Principe della Notte che, terminato lo spuntino, si era nuovamente piazzato al fianco della master continuando il discorso interrotto. Per i due umani, si svolse nella più serafica pace anche la cena. Vedevano che il vampiro seduto al tavolo con loro arringava teatralmente col viso corrucciato ma grazie ai tappi nelle orecchie neanche una sillaba giungeva ai loro timpani. Ogni tanto, maggiordomo e ragazzina guardavano il nosferatu dritto negli occhi e annuivano con espressione solenne, tanto per dargli l’illusione che effettivamente lo stavano ascoltando e poi tornavano a chinarsi sui rispettivi piatti.

Mentre sparecchiavano, Alucard si volatilizzò dalla sala da pranzo, con gran sorpresa di Integra. Che si fosse stancato di lagnarsi? No, il vampiro era semplicemente andato a prendere posto davanti al televisore e lì i due umani lo trovarono, spaparanzato sul divano. Walter e Sir Hellsing si sedettero alla destra e alla sinistra del nosferatu e dopo qualche minuto, il film cominciò. Cominciò, e la situazione si mise male sin dalla prima inquadratura.

Di pellicole su se stesso, Alucard ne aveva viste tante ma quella fu l’unica capace di irritarlo ancor prima che cominciasse la sigla d’inizio. Si vide nelle spoglie del principe di Valacchia, agghindato con un’armatura che avrebbe fatto sghignazzare persino l’ultimo sguattero del castello e intento a dialogare in un’improbabile rumeno con un forte accento inglese.

- Se parlassi nella vostra lingua come quest’attorucolo parla nella mia, non capireste un tubo di quello che dico. - spiegò il Re-senza-vita, a beneficio dei suoi umani.

- Potresti almeno apprezzare lo sforzo di parlare nella tua lingua madre. -

- Non lo apprezzo perché non si sono sufficientemente impegnati per rendere i dialoghi credibili. E oltre a ciò, perché non hanno cercato un attore più decente per interpretarmi? -

- Guarda che quello è Gary Oldman, uno degli attori più blasonati del pianeta. Tutte le mie compagne di scuola gli sbavano dietro. Scommetto che in questo momento non c’è una sola ragazza dell’istituto che non sia incollata allo schermo del televisore per riempirlo di baci. -

- Chi ha deciso che questo Gary Oldman è sensuale, ha preso una simile decisione solo perché non mi ha conosciuto. Io sono molto più figo di quest’attorucolo. -

 Il povero vampiro non fece in tempo a riprendersi dallo sdegno di vedersi interpretare da Gary Oldman che altre scene, ben più insultanti, gli troncarono il fiato in gola:

- Ehi, un momento! Cosa stanno insinuando questi cialtroni? Che mi sarei suicidato? Io, suicidarmi?! E per una donna, poi! -

- Grazie della considerazione, Alucard. - non potè fare a meno di commentare Integra.

- Taci master, non sai nemmeno perché parlo così! Ai miei tempi, le donne morivano come mosche, di parto, di aborto, di stupro. Tutti gli uomini si sposavano sapendo che molto probabilmente sarebbero rimasti vedovi nel giro di qualche anno e avrebbero dovuto cercarsi un’altra moglie che gli allevasse i figli e pulisse la casa. Con queste premesse, chi mai si sarebbe suicidato per amore? Per quanto bene potevi volere ad una donna, sapevi che era condannata a vivere meno di te. Sai quante concubine mi sono morte? Non mi sarebbero bastate le nove vite di un gatto se per ognuna mi fossi dovuto uccidere dal dolore. E poi, davvero non vi rendete conto che avevo cose più importanti da fare? Quando quella moglie si buttò giù dagli spalti, io avevo i turchi alle calcagna, un castello da evacuare, un intero popolo che si affidava a me perché lo guidassi e lo proteggessi. Come potevo abbandonare milioni di persone? Perché se mi fossi suicidato per una donna, è proprio questo che avrei fatto: avrei abbandonato il mio popolo, la mia famiglia, la mia terra alla devastazione del nemico. Chi li avrebbe salvati? Quindi, questa sciocchezza di suicidio che a voi sembra tanto romantica, mi offende pesantemente. Io non ho evitato i miei doveri e le mie responsabilità per seguire una donna! -

Mentre il vampiro così arringava, sullo schermo trascorrevano i secoli e le scene. Jonathan Harker giunse in prossimità di un castello che fece storcere il naso al Principe della Notte per la sua bruttezza, il cui portone d’ingresso venne aperto da una donna anziana, vestita con una camicia da notte bianca e una vestaglia rossa che diede il benvenuto al giovane e si presentò dicendo:

- Io sono il Conte Dracula. -                                                                                  

Alucard sgranò gli occhi e sinceramente stupito, esclamò:

- Perché mi hanno cambiato sesso? E perché mi fanno circolare per il castello in camicia da notte e vestaglia? -

- Non ti hanno cambiato sesso, quello è Gary Oldman truccato da vecchio. - rispose compassato Walter - Suppongo inoltre che ciò che scambi per una vestaglia e una camicia da notte, nelle intenzioni del costumista siano una palandrana e una tunica. -

- Alucard ha ragione. - s’intromise Integra - Saranno anche una tunica e una palandrana ma sembrano veramente una camicia da notte e una vestaglia. E poi Gary Oldman truccato e pettinato a quel modo sembra davvero una donna. Ha la stessa acconciatura di Brigitta, la papera che corre dietro allo Zio Paperone. -

- Ecco! Sentito, Walter? - s’infervorò Alucard, contento di sentirsi dare ragione, pur non avendo la più pallida idea di chi fossero Brigitta e lo Zio Paperone.

Il maggiordomo non rispose ma in fondo, al vampiro, non interessava una replica.

Alucard sentiva di aver raggiunto il massimo della sua capacità di sopportazione. All’inizio del film, lo avevano fatto parlare in romeno con l’accento inglese. Adesso lo facevano parlare in inglese con un accento straniero non meglio identificabile. Pensare che lui non aveva mai avuto nessun accento forestiero, già a quei tempi parlava un inglese impeccabile! Lo parlava meglio di master Abraham, anche se il suo Dio non lo voleva ammettere e per semplice ripicca era capace di tenere il suo povero cane un intero pomeriggio a ripetere una parola che, a detta del vegliardo, aveva pronunciato male.

Per questo motivi, senza dir niente, il vampiro si alzò e andò a fare due tiri al biliardo. Integra lo vide allontanarsi stupita ma Walter la rassicurò

- Sta soltanto andando a sbollire un po’ di rabbia. Presto la curiosità riprenderà il sopravvento e tornerà qui a torturarsi, guardando un film che lo insulta ad ogni inquadratura. -

Lo shinigami, da parte sua, aveva ben altre preoccupazioni rispetto ad Alucard. Sapeva che quella pellicola non era adatta ai minori e per questo teneva saldamente in mano il telecomando, pronto a cambiare canale non appena una scena si fosse rivelata scabrosa. Infatti, di lì a poco, Integra vide comparire sullo schermo un tizio che pubblicizzava un callifugo. Impiegò alcuni secondi per comprendere che il maggiordomo le aveva cambiato canale a tradimento.

- Perché l’hai fatto? - inveì.

- Perché non è una scena adatta a te. -

- Ma Mina stava solo per aprire un libro! -

- Appunto. Il titolo del libro non lasciava presagire niente di buono. -

- E se ci perdiamo qualche passaggio cruciale, per cui poi non capiamo niente della trama? -

- Signorina, fidatevi di chi ha vissuto più di voi e ha visto molti più film di voi. Vi assicuro che le scene di nudo o di accoppiamento sono fini a se stesse e vederle o meno non inficia la comprensione della storia. -

Integra sbuffò, maledicendo mentalmente gli adulti e le loro menate. Sir Hellsing fu obbligata a scoprire che il callifugo pubblicizzato nella televendita era ottimo anche contro funghi e verruche e che alle prime cento persone che telefonavano al numero in sovraimpressione avrebbero regalato anche un divaricatore contro l’alluce valgo, prima che Walter si degnasse di cambiare canale. Trovarono così Jonathan Harker che vagava per il castello del Conte e quasi subito incappò nelle sue graziose consorti. Lo shinigami intuì la pericolosità della scena e afferrò il telecomando ma non fece in tempo a costringere Integra a sorbirsi nuovamente la televendita sul callifugo che dal pavimento emerse Alucard.

Il vampiro, zitto zitto, si era avvicinato al televisore sotto forma di pozzanghera piena d’occhi e quando capì quel che stava insinuando il film, riprese la sua vera forma, materializzandosi proprio davanti allo schermo e nascondendolo con la sua mole. Imbestialito, afferrò l’elettrodomestico fra le mani, cominciando a scuoterlo come se si trattasse di una persona che desiderasse strangolare e intanto tuonava:

- Come osano far credere che le mie mogli stessero per farmi cornuto con quell’idiota di Jonathan Harker? Questa è diffamazione! Li querelo, li trascino in tribunale anche se per l’anagrafe sono defunto! Le Leonesse Jonathan Harker volevano solo mangiarselo, capito? -

Integra allungava il collo in ogni direzione nella speranza di scorgere un pezzetto di schermo non occupato dalla stazza del servo e non trovandolo, protestò

- Alucard, spostati, non vedo niente. -

- E non devi vedere niente, infatti. - non potè fare a meno di commentare Walter, per poi rivolgersi al vampiro dicendo - Smetti di scuotere il televisore. Lo romperai e abbiamo solo quello. -

- Ma ti rendi conto di cosa insinuano il regista e lo sceneggiatore? Persino la Prima Leonessa, che pure aveva la vocazione da baldracca, non si sarebbe mai abbassata a trastullarsi con una nullità come Harker. E poi perché fanno indossare alle mie mogli dei veli trasparenti che mostrano anche il seno? Le mie consorti erano vestite di tutto punto con il costume tradizionale e le tette le facevano vedere solo a me, capito? A me! A me! -

Riafferrato da un nuovo accesso di furore, il vampiro sottolineò ogni “a me” mollando un pugno sul televisore.

- Abbiamo capito che eri l’unico gallo del pollaio. Adesso smettila di torturare il televisore e vieni a sederti sul divano! -

Il vampiro obbedì al maggiordomo, continuando però a farfugliare improperi in tutti gli idiomi da lui conosciuti. Riuscì a rimanere seduto finchè Harker non vide sbucare da una cassa il Conte in procinto di partire per la Gran Bretagna, abbigliato con una tunica così pacchiana che Alucard, vedendosi conciato in quel modo, cominciò a schiumare di rabbia. Gli umani che gli sedevano di fianco colsero al volo l’occasione per denigrarlo.

- Che tunica deliziosa. Ti fa sembrare un faraone egizio. - commentò malignamente Walter.

Integra approvò con una risata ancor più maligna e il nosferatu, avvertendo di essere nuovamente giunto al limite della sopportazione, andò a fare altri due tiri nel salone da biliardo.

L’assenza del vampiro dispiacque a master e maggiordomo perché se dovevano essere sinceri, neanche a loro piaceva quel film. Poco interessati alle storie d’amore, erano inoltre infastiditi dal romanticismo del Conte, soprattutto perché faceva a pugni con la realtà che vivevano quotidianamente. Tante erano le definizioni che i due umani avevano dato di Alucard: lestofante, scalmanato, gradasso, sbruffone, presuntuoso, arrogante ma romantico non erano davvero in grado di farglielo calzare, neanche a voler usare martello e scalpello per cercare di adattarlo alla figura del non-morto.

L’unica ragione per cui continuavano a seguire quel film che li faceva smascellare dagli sbadigli, era la gioia di vedere Alucard avere un travaso di bile ad ogni inquadratura. Considerato tutto ciò che il vampiro aveva fatto loro da quando era stato risvegliato, quella piccola vendetta se la meritava pienamente.

Attesero quindi pazientemente che il non-morto tornasse a sedersi sul divano e dato che Walter continuava a cambiare canale ogni volta che le scene erano a suo giudizio inadatte per Integra, Sir Hellsing si fece una cultura sui callifughi e tutti i prodotti rivolti alla cura del piede.

Finalmente Dracula, sbarcato sul suolo inglese, uscì dalla cassa in cui aveva viaggiato presumibilmente nudo, a giudicare dalla decisione del regista di inquadrarlo dai pettorali in su. Walter immaginò che quando il film uscì nei cinema, questa scena dovesse aver sollevato più di un gridolino femminile nella sala buia. Lui, più prosaicamente, dovette accontentarsi di ascoltare Alucard che seduto sul soffitto, commentò acidamente:

- Scommetto che l’hanno inquadrato dai pettorali in su perché ha la pancetta. Come osano farmi interpretare da un attore con la pancetta? Io sono un peso-forma perfetto e non ho un filo di grasso! -

- Bentornato fra noi. - lo salutò il maggiordomo ma la rimpatriata del succhiasangue fu di breve durata.

Bastò la vampirizzazione di Lucy We-qualcosa per fargli avere un nuovo travaso di bile. Nei pochi istanti che impiegò il maggiordomo per cambiare canale a beneficio di miss Hellsing, la visione del grosso affare peloso sdraiato addosso all’amica di Mina fece ruggire Alucard di rabbia:

- Fatemi capire, quel peluche sarei io?! Ma per chi mi hanno preso? Sono un vampiro, non un furry! -

Il Principe della Notte tornò così al tavolo da biliardo, domandandosi perché lo sceneggiatore e il regista di quel film ce l’avessero tanto con lui. Dovevano nutrire una gran rabbia nei confronti di Dracula, altrimenti non gli avrebbero mancato di rispetto dipingendolo come un romanticone malinconico. “ Che abbia succhiato qualche loro antenato nel passato, per cui se la sono legata al dito e adesso si stanno vendicando così?  “ non potè fare a meno di chiedersi Alucard e dopo molte riflessioni concluse che quella era senz’altro la risposta giusta. Probabilmente aveva inghiottito i loro nonni e questo era lo scotto che doveva pagare. Siccome però il nosferatu era incrollabilmente convinto di avere il diritto di fare ciò che gli pareva, non solo non si disse che la vendetta del regista e dello sceneggiatore del film era sacrosanta e giusta ma tornò a riprometersi che alla prima occasione li avrebbe citati in giudizio, chiedendo un risarcimento milionario, così imparavano.

Walter e Integra intanto facevano la conoscenza degli altri personaggi del film, giungendo alla conclusione che erano stati maltrattati tanto quanto il Conte. Mina l’intelligente, Mina che con la sua sagacia era riuscita a sconfiggere il Principe della Notte, sullo schermo era stata degradata al livello di un’oca giuliva. Pur con tutta la buona volontà possibile di spettatori che cercano di immedesimarsi nei personaggi, allo shinigami e alla sua pupilla risultava incomprensibile come Dracula potesse perdere la testa dietro una simile gallina.

- Non è soltanto Alucard che potrebbe far causa al regista. Fossi negli eredi degli Harker, anch’io inoltrerei una denuncia per diffamazione. - commentò il maggiordomo.

- Potrei farla anch’io. - rispose Integra, irritata - Mostrano Van Helsing come uno squinternato. E’ vero che il mio antenato non aveva tutte le rotelle a posto, ma era un pazzo da temere, non un matto da deridere come mostrano loro! -

 L’indignazione di Integra fu comunque di breve durata. Vinta dalla noia congiunta di un film romantico e della pubblicità sui callifughi, si addormentò in breve tempo con la bocca aperta e un filo di bava le colava giù per il mento. Senza più l’assillo di dover cambiare canale per proteggere l’innocenza della ragazzina, Walter continuò a vedere il film da solo, smascellandosi dagli sbadigli. A dispetto delle apparenze, di quando in quando la pellicola offriva momenti di tensione persino ad un vecchio shinigami come lui, come quando Van Helsing insultò le spose di Dracula dando loro delle cagne, al che il maggiordomo si guardò intorno impaurito, non osando immaginare cosa potesse fare Alucard sentendo offendere a quel modo le sue Leonesse. Per fortuna del signor Dorneaz, il vampiro era ancora impegnato a giocare a biliardo nell’altro salone e non avendo udito niente, risparmiò all’umano la scoperta di ciò che poteva fare un nosferatu ferito nell’onore.

Fu un bene anche il sonno di Integra, che le evitò di assistere al tentativo di una Mina non del tutto in sé di sedurre Van Helsing. Lo shinigami non potè fare a meno di domandarsi se la reazione della master sarebbe stata furente quanto quella del monster e fu nuovamente contento di essersi risparmiato la scoperta.

Lentamente, il film si avviò verso la fine, evento di cui il maggiordomo ringraziò tutte le divinità da lui conosciute. Gli esseri sovrannaturali non poterono però evitare all’uomo di sdegnarsi, constatando quanto la morale del libro venisse stravolta nel finale, in cui gli umani scoprivano di essere diventati più mostruosi del Conte.

- Questo è sleale! Non si svolsero così gli eventi! - inveì il maggiordomo, destando Sir Hellsing.

Fu così che la ragazzina, con gli occhi ancora impastati di sonno, guardò l’epilogo del film davanti a cui stavano singhiozzando e sospirando le sue compagne di classe. Mina bacia il Conte e, magia dell’amore, lui riacquista il suo aspetto umano e muore in pace, volando in paradiso dall’amata moglie. Fine.

- Bleah! - fu la smorfia con cui Integra commentò il tutto. Le scene di sbaciucchiamento proprio non le piacevano.

Ciò di cui la dodicenne e il suo tutore non si erano accorti, era che Alucard si era materializzato all’ingresso del salone giusto in tempo per assistere al finale, rimanendo pietrificato dallo stupore e dallo sdegno. Ora, di film su di lui ne avevano fatti tanti, per lo più brutti, alcuni addirittura irriverenti ma neanche le parodie erano mai arrivate ad insultarlo a quel modo. Un bacino e il Conte Dracula diventava buono. Un bacetto e il Principe della Notte veniva redento dall’amore di un’oca giuliva. Un bacio e il Signore delle Tenebre si trasformava, come il ranocchio delle fiabe che diventava un principe.

Alucard non riusciva a credere ai suoi occhi. Trattato come una versione maschile di Biancaneve,  della Bella Addormentata nel bosco! L’ira incendiò le sue vene.

Walter e Integra si voltarono di scatto, sentendo la voce cavernosa del nosferatu rimbombare minacciosamente alle loro spalle:

- E secondo il regista e lo sceneggiatore del film io, il Re-senza-vita, avrei abbandonato al loro destino il mio regno, i miei servi e le mie mogli per una stupida storia d’amore? -

I tratti del viso di Alucard erano trasfigurati dalla rabbia. I due umani sudarono freddo vedendolo in quello stato.

- Non sono mai stato oltragiato tanto in vita mia! - sibilò il non-morto e tese un braccio davanti a sé.

Walter, presagendo quel che stava per accadere, intimò:

- A terra, Integra! -

La ragazzina si buttò sul pavimento, nascondendo la testa fra le mani. Il braccio di Alucard intanto perdeva i suoi contorni, tramutandosi in qualcos’altro e prima che il maggiordomo facesse in tempo ad estrarre dal taschino del gilet i mezziguanti con cui controllava la corda della morte, l’Hellhound si era materializzato. Veloce come la lingua di un camaleonte, il segugio infernale scattò a fauci aperte sul televisore, inghiottendolo in un sol boccone. Baskerville si ritrasse, tornando ad essere seplicemente il braccio di Alucard.

Il vampiro, non ancora placato dalla vendetta, si allontanò sdegnosamente alla ricerca di Casull, per consolarsi con lei al poligono di tiro. Walter e Integra rimasero a guardare impietriti il tavolino vuoto, su cui fino a un momento prima aveva alloggiato l’unico televisore di casa Hellsing. 

 

 

 

“Dracula” di Francis Ford Coppola uscì nei cinema nel 1994. Questa storia è ambientata a cavallo fra il 1990 e il 1991 quindi, come potete capire, è un “falso storico” che Integra e Walter abbiano guardato il film di Coppola in televisione. Io però ero troppo curiosa di immaginare le reazioni di Alucard di fronte a questa pellicola, così mi sono permesa di alterare la linea del tempo per inserirla in “Spirali di fumo”. Hirano afferma di essersi ispirato sia al romanzo di Stoker che al film di Coppola per ideare “Hellsing” ma ammetto che vedo ben poche attinenze fra il romantico Conte appaso al cinema e l’efferato assassino del manga. Presumo però che arrivati a questo punto della lettura, vi siate resi conto da soli su quali siano le mie idee in merito. :D

Anche la citazione di X-files è un falso storico, dato che quel telefilm uscì nel 1993.

 

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Capitolo 13
*** Un principe blu-scuro ***


Alucard rimase rintanato nella sua segreta per tre giorni e due notti, tanto gli occorse per calmare lo sdegno che il film di Coppola gli aveva suscitato.

Di film su se stesso ne aveva visti tanti, per lo più brutti ma nessuno di loro era passato alla storia e la consapevolezza di quanto velocemente quelle pellicole venissero dimenticate, l’aveva sempre placato. Il film di Francis Ford Coppola invece era stato campione d’incassi al botteghino e c’era già chi lo considerava una pietra miliare nella storia del cinema. Tutto ciò faceva venire i sudori freddi ad Alucard perché voleva dire che milioni di persone nel mondo prendevano per oro colato quel che la pellicola raccontava.

La maggior parte dell’umanità era quindi convinta che fosse innamorato perso di Mina, rimbecillito al punto da trasferirsi in Inghilterra unicamente per starle vicino, arrivando a suicidarsi per lei e morire contento per un suo bacio.

-Che onta! - esclamava indignato il Re-senza-vita.

Gli sembrava di essere stato degradato al livello di un principe azzurro un po’ dark.

“Un principe blu-scuro” concludeva fra sé e sé, pensando a ciò che si sarebbe ottenuto mischiando l’azzurro col nero.

Se nel film l’avessero almeno fatto innamorare della Mina reale, intelligente e coraggiosa, l’affronto non sarebbe stato altrettanto cocente. L’umanità avrebbe pensato che Dracula si era cacciato nei guai per conquistare una donna che per lo meno valeva il gran casino che era stato montato per averla. Invece gli avevano fatto perdere la testa per una delle femmine più scialbe e antipatiche in cui gli fosse capitato d’imbattersi.

-Doppia onta! –

Un’umiliazione simile, da che era diventato un mostro famoso, non gli era mai capitata. E se gli altri midian, dopo la visione di quel film, imbattendosi in lui, l’avessero preso in giro?

“Gli scaricherò addosso l’intero caricatore di Casull!“ pensava Alucard, senza che quell’idea riuscisse ad essergli di conforto. Per questo rimase rintanato nella sua catacomba per tre notti e due giorni.

Al mattino del terzo giorno, giunse alla conclusione che staccare a morsi la testa dell’incauto freak che avesse osato dileggiarlo l’avrebbe di gran lunga soddisfatto, più che scaricargli Casull addosso. Inoltre l’effetto sugli altri mostri eventualmente presenti sarebbe stato ben maggiore. Alucard s’immaginava commentare:

-Qualcuno vuole fare un’altra battuta? – con aria truce e le fauci grondanti di sangue.

Gli altri midian sarebbero rimasti certamente in silenzio, tornando ad occuparsi ognuno delle proprie faccende. Nessuno si sarebbe più azzardato a commentare il film di Coppola in sua presenza.

Tranquillizzato da quella prospettiva, decise di riemergere dalla catacomba, tornando a rallegrare Hellsing Manor e i suoi abitanti con la sua presenza. Filtrò quindi attraverso il soffitto ma quando si ritrovò nel vestibolo della villa, un odore nauseabondo lo costrinse a turarsi il naso.

Che orrore!

Che disgusto!

L’atrio puzzava di…rosa!

Sissignore! L’odore della rosa, repellente alle narici di un vampiro quanto quello dell’aglio, appestava il vasto ambiente.

Il non-morto si spostò nel corridoio, scoprendo con sgomento che anche quello olezzava di rosa, così come ogni altra camera, ripostiglio e bagno del pian terreno e dei piani alti.

Che diamine era accaduto nei giorni in cui si era ritirato nella segreta? Andò alla ricerca di un umano in grado di spiegarglielo e trovò Walter in cucina, intento a caricare la lavastoviglie.

Alucard rimase fermo sulla soglia della stanza dato che il puzzo di rose che emanava dal locale superava quello di qualsiasi altra stanza. Non solo ma lo stesso maggiordomo tanfava di fiori in un modo tale da far sospettare al mostro che il camerata si fosse tuffato in una vasca piena di acqua di colonia alla rosa.

-Walter! Che cacchio è successo? –

- Oh, buongiorno vecchio mio. Ci stavamo chiedendo quanto tempo ancora contavi di rimanere chiuso in cantina. – rispose fin troppo conciliante l’umano.

-Per poterne approfittare e continuare a spargere rose per tutta la casa? – chiese sospettoso Alucard.

-Esattamente. – fu la serafica risposta.

-Ma perché? Perché questo dispetto a me? – domandò sconcertato Alucard, sempre tappandosi il naso.

-Hai inghiottito il nostro unico televisore. –

-E per questa bazzecola avete appestato la casa di rose? Fra l’altro, sono passato dal salone e ho visto che avete comprato un nuovo televisore, più bello e più grande di prima. Dovreste quindi ringraziarmi per avervi dato l’occasione per cambiarlo, altro che punirmi! –

La risposta di Walter fu pronunciata nel più pacato dei modi, segno che la vendetta compiuta l’aveva riconciliato con l’universo intero:

-Come ha giustamente detto miss Integra, è una questione di principio. Devi imparare la buona educazione e le regole che governano questa casa. In qualità di tua master nonché di guida morale, Sir Hellsing ha deciso di punirti, per farti comprendere che ogni azione ha le sue conseguenze. Io, in qualità di tutore della signorina, l’ho coadiuvata nel lavoro. Mesi fa, dopo che ti scazzottasti con le truppe, facemmo incetta di prodotti alla fragranza di rosa. Abbiamo deciso che era giunto il momento di usarli. Mentre eri rintanato nella tua stanza, abbiamo spalmato di cera all’essenza di rose i mobili di casa. Con detersivi al profumo di rosa abbiamo lavato piatti, pavimenti, piastrelle, vetri, sanitari e fatto il bucato. Abbiamo spruzzato deodoranti alla rosa, acceso incensi e candele alla rosa anche nelle stanze abbandonate e nei ripostigli. Infine, è da due giorni che noi stessi usiamo saponette, dentifrici e shampoo alla rosa. –

Alucard era semplicemente scandalizzato:

-E per farmi un dispetto sei arrivato a inzupparti nelle rose come un invertito? –

Un sorriso soave da monaco buddista illuminò il volto del maggiordomo mentre rispondeva:

-Vecchio mio, pur di farti soffrire sono disposto a qualsiasi cosa. Se scoprissi che voi vampiri siete allergici al tulle bianco, non esiterei a camminare per Villa Hellsing vestito con un tutù da danza classica. –

-Sei disgustoso! – ringhiò Alucard -E la master dov’è? Ho da cantargliene quattro anche a lei! –

-Si sta facendo la doccia, ovviamente con un bagnoschiuma alla rosa. Se posso darti un consiglio spassionato, non ti conviene avvicinarla. Nella sua vendetta, si sta mostrando più intransigente di me. Non esce dalla sua stanza senza prima essersi spruzzata addosso mezza bottiglietta di profumo alla rosa e aver fatto i gargarismi con l’acqua di colonia alla rosa. –

-Siete disgustosi tutti e due! – tuonò il vampiro e non sostenendo oltre la situazione, tornò a rintanarsi nella segreta, dopo aver fatto rifornimento di sacche di sangue. Fortunatamente, i suoi pasti non li avevano contaminati né con l’aglio né con le rose. Inghiottendo il suo cibo, il Re-senza-vita meditava vendetta. Non poteva accettare che due miserabili umani, per quanto fuori dal comune fossero, pensassero di avere qualcosa da insegnare a lui, il Signore della Notte! Tanto più che al cospetto dei suoi cinquecento anni, entrambi facevano la figura degli sbarbatelli.

-Volete la guerra, eh? - sibilò il nosferatu, succhiando dalla cannuccia -E guerra avrete! –

 

Nei due giorni che erano occorsi a Integra e Walter per inondare la dimora di fragranza alla rosa, Sir Hellsing aveva rifiutato di andare a scuola.

-Non puoi lustrare tutta la villa da solo, Walter. In questo momento servo più qui che a scuola. E poi alla fine dell’anno mi ritirerò per studiare in casa quindi un’assenza in più o in meno cosa vuoi che cambi? –

Il tutore aveva allora attaccato una paternale sulla necessità che la quasi tredicenne continuasse a frequentare la scuola, quel giorno e anche l’anno successivo ma Integra era stata irremovibile e alla fine il maggiordomo si era arreso alla sua volontà, anche perché aveva effettivamente bisogno di aiuto per completare la vendetta.

La mattina del terzo giorno, appreso dal tutore che mentre faceva la doccia si era persa la faccia fatta da Alucard nello scoprire come la sua cuccia puzzasse di rose fino alla soffitta, Sir Hellsing aveva ghignato soddisfatta. Adesso la vendetta poteva anche terminare. Basta spandere fragranza fiorite per tutta la magione, sarebbe occorsa almeno una settimana prima che quel fetore (tale appariva anche alle narici di Integra, data la quantità industriale di prodotti usati) evaporasse.

-Una settimana di ulteriori sofferenze per il nostro nosferatu. – come specificò il tutore, con grande soddisfazione di entrambi.

Miss Hellsing tornò così a scuola il mattino seguente, scoprendo come anche gli altri rimanessero colpiti dall’afrore di rosa che emanava la sua persona. Quando incedeva per i corridoi, la folla di studenti e insegnanti si apriva in due ali per lasciarla passare, guardandola allibita. Tutto ciò imbarazzava la ragazzina ma orgogliosa com’era, riuscì a non darlo a vedere, procedendo a testa alta.

Per tutta la successiva settimana, Alucard non si fece vedere. Master e tutore erano certi che l’assenza del vampiro fosse causata dall’odoraccio persistente in casa e che loro gliel’avessero fatta pagare a dovere.

Giunse l’alba dell’ottavo giorno.

Integra, seduta sul sedile posteriore della berlina, si stava facendo accompagnare a scuola da Walter. Il parco di Hellsing Manor era immerso in una spessa nebbia, per questo i due umani si accorsero della sorpresa piantata sul bordo del viale solo quando la macchina le passò lentamente accanto.

Un bastone appuntito, alto quanto un avambraccio, era infisso nel terreno. Sopra vi era impalato un corvo.

Pupilla e tutore sgranarono gli occhi, ammutoliti ma le sorprese non erano finite. A un passo di distanza da quel primo bastone, ne videro un altro con impalato sopra un riccio e a un altro passo di distanza ne trovarono un terzo, con sopra un rospo…

L’intero viale d’ingresso di Villa Hellsing era bordato di quel sinistro decoro, composto da decine di pali con sopra infilzati altrettanti animali. Tutte le specie erano presenti: mammiferi, uccelli, anfibi, rettili. Molte di quelle vittime, in quella stagione, erano in letargo e ciò indicava con quanta dedizione il vampiro le avesse cercate, arrivando a snidarli dalle tane.

Era quindi questa la ragione per cui Alucard non si era fatto vedere per una settimana. Non era rimasto infrattato nella catacomba a leccarsi le ferite all’orgoglio, come avevano ipotizzato Integra e Walter.

No, in quel tempo Alucard aveva meticolosamente preparato la controffensiva, cercando i legni più adatti per farne dei pali, affilandoli e stanando gli animali da suppliziare.

Non fu il macabro spettacolo in sé per sé a sconcertare i due umani, dato che entrambi nutrivano ben poca empatia per gli animali. Era la sfida insita in quell’impalamento a sgomentarli.

Il cancello del parco fu varcato, la visione delle bestie straziate lasciata alle spalle. Walter buttò un occhio allo specchietto retrovisore, osservando la signorina seduta. Il volto di Integra era teso ma non capiva se per la rabbia o la paura. Si sarebbe arresa o avrebbe accettato la sfida?

-Cosa pensa di fare, Sir Hellsing? –

-C’è bisogno di chiederlo? – domandò la ragazzina, indignata -Non gliela farò passare liscia! –

Il volto del maggiordomo si allargò in un sorriso:

-E io sarò con lei, miss. –

 

Alucard restò in allerta per un paio di giorni, in modo da stroncare sul nascere ogni possibile rivalsa dei due umani. Dato però che in quel periodo tutto ciò che Integra e Walter fecero fu di non rivolgergli la parola e uscire dalle stanze in cui si trovavano non appena lo vedevano entrare, si convinse che l’indignazione dei due umani non sarebbe sfociata in nessuna vendetta.

Abbassò così la guardia, prese Casull e per un paio d’ore si divertì a squarciare le sagome del poligono di tiro. Quando rientrò in casa, assetato, passò dalla cella-frigo, prese una sacca di sangue, la stappò e diede un avido sorso.

Brividi freddi gli corsero su e giù per la schiena.

Il sangue sapeva di rosa.

Non tentò di cercare fra le altre sacche se ce ne fosse una che non fosse appestata. Sapeva che sarebbe stata una ricerca vana.

Gli riusciva facile immaginare la master e il maggiordomo approfittare della sua assenza per lavorare alacremente, versando in ogni sacca chissà quante gocce di essenza alla rosa.

Alucard, sospirando, terminò quel sangue disgustoso. Era consapevole che Walter non avrebbe fatto arrivare un nuovo carico di sacche da trasfusione fino a che quelle inquinate con la rosa non fossero state bevute tutte, quindi tanto valeva finirle.

La fame era molta e afferrò una seconda sacca. Mentre inghiottiva, cominciò a riflettere su come farla pagare ai due umani.

 

Il contrattacco arrivò quella sera stessa.

I soldati dell’Hellsing addetti al turno di notte avevano appena finito di cenare quando strani spasmi cominciarono ad attanagliare i visceri di alcuni di loro. Con calma, il gruppetto di uomini si recò in bagno. Avevano appena chiuso le porte alle loro spalle quando i medesimi movimenti intestinali afferrarono altri colleghi che si diressero in bagno ad attendere il loro turno. La fila, inizialmente composta, in pochi minuti si trasformò in un calvario.

Chi era accasciato per terra, chi si torceva su se stesso, ognuno cercava il modo per riuscire a trattenersi e intanto inveiva contro chi era chiuso nei gabinetti:

-Vi volete sbrigare?! –

-Fosse facile! – rispondevano quelli, incapaci di alzarsi dalla tazza per le continue scariche che li affliggevano.

A completare il quadro drammatico, ogni tanto la porta della toilette si apriva e un gruppetto di commilitoni, pallidi e sudati, si affacciava per vedere a che punto era la fila, commentando con angoscia:

-Qui non c’è speranza! Vado a farla in qualche cespuglio del parco! –

In questo modo, chi si trovava nei bagni comprese che la dissenteria affliggeva l’intero plotone e qualcuno trasse l’inevitabile conclusione:

-Ci hanno avvelenati, cazzo! –

-Ma chi?! –

-Dei nostri rivali. La Divisione Iscariota, forse. –

Ci fu anche chi propose:

-Non ha senso aspettare qui, fra un po’ me la faccio addosso. Vado nel parco! –

La proposta fu accolta all’unanimità e tutti fuggirono nel giardino di Villa Hellsing. Chi usò un’aiuola, chi si acquattò fra i cespugli, chi sotto un albero, molti con gli indumenti già sporchi non essendo riusciti a trattenersi oltre.

Non appena gli spasmi gli diedero un po’ di tregua, il Capitano Ferguson tornò in caserma, afferrò il telefono, chiamò Hellsing Manor e quando udì la voce di Walter all’altro capo del filo, annunciò:

-Ci hanno avvelenato! –

Altro non poté aggiungere, dovendo tornare di corsa a infrattarsi nella siepe che aveva eletto a gabinetto personale.

Una lunga fila di ambulanze condusse i cinquantadue soldati del turno di notte in ospedale, dove la diagnosi fu:

-Nessun avvelenamento, solo una dose massiccia di lassativo mescolata agli alimenti. Li terremo comunque in osservazione perché hanno perso molti liquidi. –

Walter e Integra non ebbero bisogno di chiedersi chi fosse l’autore di uno scherzo tanto meschino. Loro gli avevano avvelenato le sacche di sangue con essenze alimentari alla rosa, lui aveva ricambiato a modo suo. Non volendo umiliare master e camerata, i bersagli della sua vendetta erano stati i soldati, ai suoi occhi semplici oggetti di proprietà di Integra.

Alucard era certo che aver risparmiato un’esperienza simile ai suoi due umani lo rendesse meritevole di elogio. Non sapeva di aver suscitato l’esatto opposto della stima. Prendersela con persone innocenti fece arrabbiare parecchio tutore e pupilla, soprattutto quest’ultima, diretta responsabile del benessere delle sue truppe.

Alucard, rintanato nella sua segreta, rideva di gusto allo scherzo fatto. Fosse stato presente al piano di sopra, dove il maggiordomo e la ragazzina discutevano sul da farsi, sarebbe stato molto meno allegro e di gran lunga più preoccupato. Avrebbe infatti visto brillare negli occhi di Integra lo stesso sguardo che tante volte, in passato, aveva visto ad Abraham Van Helsing e che non prometteva nulla di buono.

Walter non aveva mai conosciuto il capostipite degli Hellsing ma la determinazione sul viso della quasi tredicenne impressionò anche lui. Improvvisamente, invece di una ragazzina, gli sembrava di trovarsi al cospetto di una donna adulta.

-Walter, ti ordino di restarne fuori. Adesso è una questione fra me e Alucard. – e mentre così parlava, fece scrocchiare le ossa delle dita.

Lo shinigami si preoccupò. Una simile ingiunzione indicava che qualsiasi cosa Integra avesse in mente, era talmente azzardata da farle temere per l’incolumità del maggiordomo. Si trattava quindi di una vendetta che avrebbe fatto imbestialire Alucard oltre ogni misura, una situazione rischiosa persino per la master.

Avrebbe voluto impedirle di mettersi in pericolo, proteggere la sua quasi-figlia, rinunciare ad ogni rivalsa su quella zanzara troppo cresciuta, ma capiva che non sarebbe riuscito a far desistere Sir Hellsing. Si arrese quindi alla volontà del Capo dei Cavalieri Protestanti.

Chinò la testa:

-Come volete, miss. –

Si ripromise di vegliare su di lei con la sua corda della morte.

 

A differenza del dispetto precedente, quando Walter e Integra reagirono all’impalamento degli animali uscendo dalle stanze in cui il vampiro entrava, l’“avvelenamento” delle truppe infuriò talmente i due umani da rendergli impossibile trincerarsi dietro un silenzio offeso. Ogni volta che s’imbattevano in Alucard, cominciavano a rimproverarlo e da lì a imbastire un litigio, il passo era breve.

Il non-morto, sempre soddisfatto quando poteva misurarsi in uno scontro, fisico o verbale che fosse, era più che contento di aver suscitato una simile reazione nel suo branco. Non solo non trascorreva un giorno senza litigare almeno quattro o cinque volte con ciascun umano ma quell’atteggiamento lo convinse sempre più di aver vinto la guerra. La master e il tutore avevano esaurito le loro cartucce e sfogavano così la frustrazione.

Fu la certezza di non avere ormai nient’altro da temere che lo spinse ad assentarsi dalla sua segreta un pomeriggio intero, facendo esercitare Casull a sparare contro tutti gli uccelli che vedeva volteggiare nel cielo (il poligono di tiro lo giudicava ormai poco stimolante per un virtuoso dell’omicidio come lui).

Quando, all’imbrunire, rientrò nella sua catacomba, un orrendo puzzo di rosa invase le sue narici.

Incredulo che avessero osato appestare la sua stanza, costernato di aver sbagliato il suo giudizio sui due umani, esplorò la vasta segreta alla ricerca della fonte di quel fetore perché capiva che la fragranza non era stata spruzzata indiscriminatamente per ogni dove ma proveniva da un punto in particolare.

L’odore si faceva più intenso quando si avvicinava ad una zona a lui sacra e quando scoprì di non essersi sbagliato, il trauma fu talmente forte che se fosse stato un umano, sarebbe stramazzato a terra svenuto.

La sua bara, ciò che un vampiro ha di più importante e inviolabile!

Ecco, il coperchio della sua amatissima bara, costruita da Dio Abraham e su cui Master Eva aveva fatto incidere il patto che li univa, era completamente ricoperto di…di…

Lo sgomento di Alucard nel vedere profanato il suo giaciglio lasciò il posto ad un sincero stupore quando si accorse di cosa lo imbrattava.

Il coperchio della sua amatissima bara era interamente coperto di…cerette depilatorie?!

Il vampiro s’inginocchiò accanto al giaciglio e con l’indice grattò quei lunghi adesivi olezzanti di rosa. Sì, non c’erano dubbi, erano proprio cerette, quelle con cui le donne si torturavano strappandosi i peli dalle gambe.

La bara di un vampiro profanata non con acqua santa o aglio ma con cerette alla fragranza di rosa! Non poté fare a meno di esclamare:

-Pensavo di averle viste tutte, in cinquecento anni e invece il mondo continua ancora a sorprendermi! –

Non poteva lasciare il suo giaciglio in simili condizioni, così strappò via ad una ad una tutte le strisce che fecero ciò per cui erano state create: trascinare con sé ciò a cui erano attaccate. In questo caso, non peli ma la vernice nera della bara, mettendo in luce il legno chiaro sottostante. Quando tutte le cerette furono asportate, il coperchio della bara ricordava il manto di una mucca, pieno di pezzature bianche e nere.

Alucard sospirò: risolvere la situazione gli avrebbe richiesto più tempo del previsto.  Frugò in tutti i ripostigli di Villa Hellsing alla ricerca di una spatola con cui grattare via i rimasugli di vernice vecchia, un barattolo di tinta nera da spennellare sul coperchio della bara e una di quelle mascherine bianche che gli umani mettevano sul naso e sulla bocca perché non ne poteva più di respirare quel nauseabondo profumo di rosa.

Nelle lunghe ore che trascorse nella sua catacomba, passando una mano di vernice sull’altra, rifletté su quanto era accaduto. Solo due persone, nella villa, sapevano dove si trovasse la sua bara: Walter e Integra, quindi fra di loro doveva cercare il colpevole.

Alucard scartò immediatamente lo shinigami. Il maggiordomo sapeva quanto preziosa fosse la bara per un vampiro e non si sarebbe mai azzardato a sfiorarla con un dito, consapevole come nemmeno la più ferrea delle amicizie l’avrebbe protetto dalle ire di un mostro. Se Walter fosse stato l’autore di quell’affronto, il Re-senza-vita gli avrebbe spezzato il collo senza esitazioni.

Non restava quindi che Integra.

Il codice d’onore dei nosferatu esigeva che la profanazione del giaciglio fosse punita con la morte ma poteva uccidere la master?

No.

Quindi doveva lasciargliela passare liscia?

Sì.

Incredulo, Alucard rigirò la situazione da tutti i punti di vista ma ogni prospettiva portava sempre alla solita soluzione: proprio perché Sir Hellsing l’aveva combinata così grossa, non poteva torcerle nemmeno un capello.

“Eppure, almeno qualche sculaccione lo merita!” diceva fra sé e sé il vampiro. Era però consapevole che la furia che lo agitava era tale da fargli correre il rischio di non riuscire a fermarsi, finendo per massacrare di botte la ragazzina.

No, doveva arrendersi, non esistevano altre alternative.

Aveva perso la guerra.

 

Integra trascorse la notte insonne, tanta era la paura che l’agitava.

Aveva compiuta la sua prodezza con fredda determinazione, trascorrendo quasi un’ora inginocchiata nella gelida segreta, a scaldare ogni singola ceretta fra le palme per poi farla aderire ben bene sul sarcofago. Se in quel frangente il vampiro l’avesse sorpresa, sbraitando “Cosa fai?!”, senza scomporsi avrebbe risposto:

-Siccome abbiamo terminato tutti i prodotti all’essenza di rosa tranne queste, mi sto ingegnando a vendicarmi con le cerette. –

Una volta calata la notte e sbollito il sacro furore, Sir Hellsing cominciò a perdere la sua baldanza. La consapevolezza di averla combinata davvero grossa le attanagliava le viscere in una gelida morsa. Alucard avrebbe reagito? E come?

Il timore che la pestasse durante il sonno le impedì di chiudere occhio e quando al mattino incrociò il midian nel corridoio, non poté fare a meno di pensare con un brivido “ Se non muoio oggi, non muoio più “.

Il volto di Alucard era una maschera di sdegno e quando passò accanto alla master, girò la faccia dall’altro lato, senza guardarla né parlarle. Integra scese le scale col sollievo che aumentava ad ogni gradino.

Aveva vinto! Alucard si era ritirato dalla guerra! Lo conosceva abbastanza bene da capire quanto la sua rabbia fosse impastata con la resa.

Non avrebbe però gioito esternamente di quella vittoria, non le sembrava il caso di irritare eccessivamente il servo. Non avrebbe fatto commenti salaci, risate o allusioni, avrebbe tenuta per sé ogni soddisfazione. Adesso doveva soltanto pensare a fare la pace col Re-della-notte e sapeva già cosa dargli in segno di amicizia.

 

Quel pomeriggio, uscita da scuola, chiese a MacBrian di accompagnarla ai Grandi Magazzini.

-Mi aspetti qui. Sarò di ritorno fra mezz’ora. Ho delle faccende private da sbrigare. –  disse al milite una volta giunti a destinazione.

MacBrian non fece commenti. Sapeva che a dodici anni si cominciano ad avere realmente delle faccende private da sbrigare. Pensò alla sua primogenita, coetanea di Integra, che sbrigava le proprie faccende in compagnia della madre. Vedere la propria datrice di lavoro avanzare tutta sola verso il grande edificio, senza nessuna donna al fianco ad aiutarla, gli fece provare un moto di compassione per Sir Hellsing.

Il Capo dei Cavalieri Protestanti non aveva mentito al sottoposto. Oltre a cercare il regalo per Alucard, doveva occuparsi anche di se stessa. La sua prima tappa fu al negozio di tabacchi per acquistare una scatola di sigari, visto che quella che aveva era ormai agli sgoccioli. Nascose accuratamente la mercanzia nella cartella, non osando immaginare la paternale che le avrebbe impartito Walter se avesse scoperto che fumava.

Dopo di che, col cuore gonfio di amarezza, si arrese a cercare un negozio di intimo.

Detestava ciò che stava per fare, per settimane aveva mentito a se stessa dicendosi che tutto andava come al solito, non c’erano cambiamenti ma alla fine si era arresa all’evidenza: il suo seno era cresciuto ancora.

Di nuovo!

Maledetti ormoni! Perché non andavano a deliziare qualcuna delle sue compagne di classe, magari una di quelle romanticone senz’altra ambizione nella vita che sentirsi la protagonista di chissà quale grandiosa storia d’amore? Come avrebbero fatto comodo a loro un bel paio di tettone per attrarre i principi azzurri! Invece la natura si era divertita a scontentare tutte: quelle svenevoli delle sue compagne erano piatte quanto un’asse da stiro e lei che avrebbe fatto volentieri a meno di crescere era la popputa della classe.

Che carognata!

Ancor più del corpo che cresceva contro la sua volontà, ciò che l’amareggiava era stato il rendersene conto. Capiva che prendere atto dell’evidenza era un’ulteriore passo verso il diventare adulta, ancor più grande e doloroso di quello che l’aveva costretta a fare Alucard, intimandole non andare più a spasso per Villa Hellsing in accappatoio o pigiama, o di quello che Walter le avrebbe fatto compiere di lì a pochi giorni, intimandole di imballare il cestone di giocattoli che giaceva inutilizzato in camera sua per chiuderlo in soffitta. Il maggiordomo, ultimamente, aveva fatto fin troppe allusioni in merito, quindi Sir Hellsing era ormai rassegnata all’inevitabile.

Perché crescere era così doloroso? Perché non si poteva restare bambini per sempre? Lei avrebbe dato via tutta la sua fortuna pur di poter tornare a quando papà era ancora vivo e nessuno le rimproverava perché si arrampicava sugli alberi o saltava nelle pozzanghere, con quell’ammonizione che tanto detestava: “Ormai sei una signorina”!

Integra sospirò, per non rischiare di scoppiare a piangere proprio allora. Sarebbe stato così umiliante! Lei era Sir Hellsing, lei era forte e i tipi tosti non piangono!

Giunta alla boutique, si rese conto di non avere la più pallida idea di cosa cercare. Non sapeva quale taglia di reggiseno portasse, né come si facesse a capirlo. Ciò la irritò alquanto perché il Capo dell’Ordine dei Cavalieri Protestanti doveva essere sempre all’altezza della situazione.

Una commessa giunse in suo soccorso. Integra le spiegò cosa le occorresse, ammettendo tutta la sua abissale ignoranza in materia.

-Non tema, miss, l’aiuto io. -rispose la donna con aria materna.

In capo a mezz’ora, Sir Hellsing aveva sbrigato anche quell’incombenza. Nascose l’indumento nello zaino, ancor più accuratamente della scatola di sigari perché questo andava celato non solo a Walter ma a tutti gli omacci che vivevano e lavoravano nell’Organizzazione Hellsing. La disturbava l’idea di ricordare a tutta quella gente che aveva un sesso diverso da loro.

Si rimise la cartella in spalla. Aveva terminato le incombenze per sé, adesso poteva pensare a cercare il regalo per Alucard. Si diresse verso il negozio di fumetti.

 

Alucard era assiso sul trono di legno quando vide la master entrare nella sua segreta.

-Ti ho portato un regalo. -disse la padroncina allungandogli un tubo di cartone, di quelli al cui interno si arrotolano i poster.

Non aggiunse il perché di quel regalo, non ce n’era bisogno.  Master e monster erano entrambi consapevoli che la resa del mostro andava premiata.

Alucard tolse il tappo da una delle estremità del tubo di cartone, estrasse il poster, lo srotolò davanti agli occhi e ammutolì dalla sorpresa. Sua Sanguinarietà Vampirella lo fissava lasciva dalla carta patinata, immersa in un bagno di sangue. Serissimo, commentò:

 -Grazie, master. Questo mi mancava. –

Integra, che alla reazione del vampiro aveva gongolato, soddisfatta di aver trovato il regalo a lui congeniale, all’udire quelle parole restò di stucco. Come sarebbe a dire “mi mancava”? Possedeva altri poster della vampira dei suoi sogni? E lei che credeva di aver avuto un’idea innovativa!

-Il problema, adesso, è riuscire a trovare un posto dove appenderlo. – disse il midian, girando la testa a destra e a sinistra, guardando le pareti della sua catacomba.

Integra, sempre più stupita dalle parole del servo, istintivamente girò anche lei la testa a destra e a sinistra. Aveva sempre pensato che lo stanzone di Alucard fosse vuoto e disadorno ma adesso le sorgeva il dubbio che fosse più affollato di oggetti di quel che credeva. Ma per quanto si sforzasse di aguzzare la vista, i suoi occhi umani non erano capaci di vedere nel buio. Il mostro, accortosi del disagio della ragazzina, le venne in soccorso:

-Scusa, master. Avevo dimenticato le ridotte capacità di voi viventi. Adesso illumino la stanza così potrai vedere anche tu e magari riesci ad aiutarmi a trovare un angolo sgombro dove attaccare il tuo regalo. –

Con un semplice schiocco di dita, Alucard accese delle fonti di luce di cui Integra ignorava l’esistenza. Lo stanzone si illuminò a giorno e Sir Hellsing rimase a bocca aperta dalla sorpresa.

Tre pareti del vasto salone erano occupate nella loro interezza dalla più impressionante collezione d’armi che Integra avesse mai visto.

C’era di tutto: schioppi, archibugi, lance, cerbottane, baionette, moschetti, archi, frecce, zagaglie, kriss, corde di seta, bolas, mazze, scudi, alabarde, balestre, clave, scimitarre, boomerang, spade, machete e altre ancora che la ragazzina non aveva mai visto, non sapeva come si chiamassero e nemmeno riusciva a immaginarne l’utilizzo.

Il vampiro concesse alla master di ammirare a bocca aperta la collezione per alcuni minuti prima di riscuoterla dalla contemplazione avvertendola:

-Che non ti passi per la testa di togliere qualche pezzo per incollare il poster! Mi spiace ma il tuo regalo dovrà trovare posto su quest’altro muro. –

Sir Hellsing si girò così ad osservare la quarta parete. Una lunga fila di schedari da ufficio, alti quanto Integra, la occupavano in tutta la sua lunghezza.

-Cosa c’è là dentro? – chiese la quasi tredicenne, indicandoli.

-Materiale da ricatto. – rispose seraficamente il vampiro.

L’adolescente lo guardò perplessa e Alucard spiegò:

-Quando gestivo la sala da tè, furono molti i pezzi grossi che vennero a sollazzarsi con le ragazze. A ognuno di loro feci foto, filmini e registrazioni audio compromettenti perché può sempre tornare utile avere di che ricattare un potente. Tutto questo materiale l’ho diligentemente catalogato in ordine alfabetico negli schedari. Comprendo che dopo vent’anni molti di quei signori saranno morti ma rimangono comunque i loro discendenti, desiderosi che la memoria del padre o del nonno non venga infangata. –

Integra osservò sinceramente stupita la lunga fila di schedari mentre esclamava:

-Accidenti! Così tanta gente? –

Il vampiro omise di aggiungere che il materiale scandalistico riguardante i pezzi veramente grossi, quelli che reggevano le fila di tutto il Regno Unito o di mezzo mondo, li aveva depositati in una cassetta di sicurezza in una banca svizzera. La stessa banca svizzera in cui aveva depositato un conto corrente a proprio nome di svariati milioni di sterline, cioè quanto gli aveva fruttato l’onesto lavoro di magnaccia. Master Arthur, Walter e il Consiglio dei Dodici avevano sempre sospettato che Alucard possedesse più soldi di quel che volesse far e che il malloppo si trovasse all’estero ma per quanto avessero indagato, non erano riusciti ad acquisire prove certe. Il succhiasangue era sempre stato accorto a non lasciare scie di indizi che potessero far arrivare al suo gruzzolo. Non ci teneva a consegnare al fisco inglese quanto gli spettava, né a rimborsare l’Organizzazione Hellsing di quanto aveva scucito nel corso dei decenni per ripagare tutti i danni combinati da lui, ufficialmente vampiro nullatenente.

Integra, intanto, osservava la porzione di parete sovrastante gli schedari, tappezzata da una vasta e variegata collezione di poster di Vampirella, tanto che la ragazzina, pensando a quello che aveva appena regalato ad Alucard, non poté fare a meno di pensare amareggiata “Come regalare ghiaccio agli eschimesi!”

Solo due elementi, su quel muro, non riguardavano la seducente vampira e per questo spiccavano come papaveri in un prato di margherite.

Il primo su cui caddero gli occhi di Sir Hellsing fu un calendario, con stampata sopra la pagina del mese corrente la foto di un mitragliatore, il che fece comprendere alla quasi tredicenne come tutte le immagini ivi contenute riguardassero le armi.

-Ammetto che ti facevo più un tipo da calendario di donne nude. – disse la ragazzina.

Il vampiro sembrò offeso dall’affermazione:

-Per chi mi hai preso? Solo perché in una fase della mia mia non-esistenza ho fatto il magnaccia come secondo lavoro, non vuol dire che abbia la vocazione del pappone. Sono un guerriero! E’ vero che le donne sono interessanti, e anche gli uomini, e ammetto che in questo periodo ci penso spesso ma solo perché mi sono risvegliato da un digiuno di vent’anni e vorrei vedere chi, al mio posto, non avesse gli ormoni che scalpitano nelle vene ma una volta sfogato il testosterone, ti assicuro che tornerò ad essere il guerriero tutto d’un pezzo che sono sempre stato e ti assicuro che per un combattente le armi sono più seducenti delle donne e degli uomini. Le armi. Le…armi! –

Alucard pronunciò la parola “armi” accarezzando con lo sguardo la collezione che lo circondava su tre pareti e ad ogni ripetizione una luce sempre più lasciva brillava nei suoi occhi, mentre la voce arrochiva. Integra, un po’ disgustata, si scostò dal servo di un passo, lasciandolo ridacchiare sommessamente tra sé e sé mentre contemplava le sue armi con uno sguardo che neanche Vampirella sarebbe stata capace di suscitare. La master spostò quindi l’attenzione sul papavero rimasto, un poster che raffigurava una…donna? Ma che strana donna, perdinci! Era nuda (il che, constatando che si trovava nella segreta di Alucard, non la stupiva né scandalizzava), con arti di uccello al posto di braccia e gambe e due grandi ali bianche che partivano dalla testa.

Quelle ali candide avrebbero potuto far pensare ad un angelo ma l’espressione crudele del suo viso costrinse Integra a scartare quell’ipotesi. Riscosse il servo dalla sua morbosa contemplazione delle armi appese tirandolo per un gomito e chiedendogli:

-Chi o cosa è quella? –

-E’ l’arpia Silen. Non farti ingannare dal nome, in realtà non è un’arpia ma un demone e anche abbastanza famoso. Ha raggiunto il successo vendendo i suoi diritti d’autore a un fumettaro giapponese che l’ha ritratta nel suo giornalino. Da quella storia hanno ricavato cartoni, film, gadget e Silen è diventata ricca sfondata. –

Sir Hellsing sudò freddo temendo che Alucard riattaccasse per un pomeriggio intero con la tiritera sulle sue mancate royaltes, grazie alle quali sarebbe entrato nella classifica di Forbes sugli uomini più ricchi del pianeta ma quel giorno ebbe fortuna. Il vampiro si era abbondantemente sfogato della faccenda nei giorni precedenti, non desiderava tornare sull’argomento ma parlare della tizia raffigurata nel poster così proseguì:

-Sì, l’arpia Silen ha fatturato milioni con la sua comparsa in quel fumetto. Beata lei! Ma non è per questo che ho appeso la sua immagine nella mia catacomba. Ho avuto la fortuna di incontrarla dal vivo ed è infinitamente più crudele di quanto appaia sulle pagine o sullo schermo. -

Alucard parlava allegramente, come se “crudele” fosse una qualità simpatica da trovare in una persona e lui fosse contento di essersi imbattuto in una mattacchiona come Silen.

-La incontrai una sera in cui tuo padre mi concesse una libera uscita. Entrai in un pub di Londra e a un tavolo vidi seduti un uomo in doppiopetto e una donna in tailler. O almeno, ai vostri occhi umani appariva come una donna in tailleur ma i miei occhi di mostro la vedevano per quel che era realmente: un demone che aveva camuffato il suo aspetto per non farsi notare da voi. Si spacciava per una consulente finanziaria e convinse l’uomo in doppiopetto a firmare delle carte, prospettandogliele come un affarone. Il tizio non lesse le righe scritte in piccolo, in cui veniva avvertito che stava vendendo l’anima a Silen in cambio di qualche azione ben quotata in borsa. –

-E tu lo avvisasti del pericolo? – chiese Integra, partecipe del guaio in cui si era cacciato lo sconosciuto.

-Io? E perché mai? E’ così divertente veder precipitare gli umani in un baratro! –

Sir Hellsing non poté che darsi della stupida da sola. La risposta di Alucard era così scontata!

-Quando il tizio sloggiò dal tavolo, mi sedetti al suo posto e feci i miei complimenti alla diavola per la fregatura che gli aveva mollato. Così come sapevo che lei in realtà era un demone, anche Silen vedeva sotto il mio aspetto apparentemente umano la mia natura di vampiro. Così cominciammo a fare bisboccia. –

-Devo quindi dedurre che non l’hai uccisa, così come non uccidesti Vampirella? –

-Erano due situazioni diverse! Hai ragione ad arrabbiarti per Vampirella perché ero in servizio e ammetto di non aver assolto al mio dovere di sterminatore ma quando incontrai Silen ero fuori dall’orario di lavoro e nessuno mi obbliga a uccidere mostri durante le mie ore di riposo quindi non hai niente da rimproverarmi. Silen m’ispirò subito simpatia, per questo ho appeso un poster in suo ricordo. Inoltre, considerando che con lei mi finì meglio che con Vampirella, sarebbe stato veramente scortese da parte mia ucciderla alla fine di tutto. –

Integra non indagò oltre sull’ultima frase del vampiro anche perché intuiva di aver capito giusto su quel che volesse dire e preferì concentrarsi su quel che era realmente importante:

-Alucard, parlami sinceramente: oltre a Vampirella e Silen, quanti altri midian hai risparmiato? –

La preoccupava quel lato inusuale del suo cane, disposto a concedere la grazia a belle mostre. Il non-morto rifletté in silenzio, poi chiese:

-La famiglia Addams fa testo? –

-No, la famiglia Addams è umana. Folcloristica, ma umana. –

-Allora, a parte Vampirella e Silen, non ho risparmiato nessun altro. –

La risposta tranquillizzò la master che poté così lasciarsi andare ad una nuova curiosità:

-Ma la famiglia Addams esiste davvero? –

-Certo che esiste! Perché non dovrebbe esistere? Esiste il Mostro della Palude e non dovrebbero esistere gli Addams? Sai master, anche loro hanno guadagnato un pozzo di soldi dai loro diritti d’autore. Sugli Addams hanno fatto cartoni, film, fumetti, costumi di carnevale e fregnacce varie e su questo hanno costruito un impero miliardario. Hanno un aereo privato, un panfilo più lungo di quello del sultano del Brunei e viaggiano continuamente per il mondo. Mi sono imbattuto in loro durante una serata libera concessami da tuo padre, mentre visitavano Londra. –

Alucard assunse un’aria malinconica mentre diceva:

-Morticia, di presenza, è una gnoccolona da togliere il fiato. L’attrice che la interpretava nel telefilm in bianco e nero è molto carina e somigliante ma la Morticia in carne e ossa è ancora più sensuale. Purtroppo è incrollabilmente fedele a suo marito! –

Il vampiro sospirò amaramente, segno di quanto gli dolesse essersi lasciato scappare Morticia Addams e con invidia esclamò:

-Gomez è un uomo troppo fortunato! –

Con la stessa rapidità con cui era sprofondato nella malinconia, Alucard ne uscì, esclamando tutto allegro:

-In compenso mi accordai con Mano Addams per incontrarci la sera seguente e fare il giro di tutti i night-club del Soho e posso assicurarti che un compagno di bevute come quell’arto non l’ho più ritrovato. Mano Addams è un bevitore formidabile! E’ capace di scolarsi una bottiglia di vodka in mezz’ora! Mezz’ora! Non male, per una mano umana! –

Integra stava per chiedere come diamine potesse, una mano umana, scolarsi una bottiglia di vodka quando il suo sguardo incontrò due occhietti a cui prima non aveva fatto caso. Erano due occhietti cattivi, appartenenti a un mostriciattolo brutto e spelacchiato che la fissava con aria torva da una sfera trasparente appoggiata sugli schedari. Stupita, la ragazzina esclamò:

-Sembra un Gremlin! –

-E’ un Gremlin. –

-E come ha fatto a finire rinchiuso in quella sfera, per giunta nella tua cella? –

-E’ una storia lunga e malinconica. – sospirò Alucard con voce triste -Nell’agosto del 1954, un vampiro a bordo di un Harley Davidson imperversò nelle strade di Londra. Fu un osso duro da eliminare e mi divertii molto a combatterlo. Ovviamente alla fine vinsi io e a quel punto mi trovai di fronte a un dilemma: cosa fare dell’Harley Davidson? Avrei potuto lasciarlo posteggiato dov’era, condannandolo all’incuria dei vandali e delle intemperie. Oppure potevo salvarlo da quel triste destino portandomelo a casa. Optai per la seconda. Lo inforcai e tornai qui. –

-E papà te lo lasciò tenere? -chiese stupita la master.

-Certo! Perché avrebbe dovuto vietarmelo? Il proprietario era morto, eredi che lo reclamassero non ce n’erano, quindi perché farmelo riportare indietro? –

Integra era dubbiosa. Se si fosse trovata al posto di suo padre l’avrebbe venduto e col ricavato avrebbe risarcito i familiari delle vittime del proprietario succhiasangue. Perché il genitore non si era comportato allo stesso modo? Non lo sapeva e non lo capiva. Siccome però era ancora tanto giovane da essere fermamente convinta che il padre agisse sempre per il meglio, neanche quella volta dubitò di un secondo fine di Sir Arthur.

Avrebbe potuto svelarle il mistero Alucard, spiegandole come per convincere il padrone e il suo maggiordomo/braccio destro a lasciargli la moto, appena giunto ad Hellsing Manor avesse proposto loro di dividersi fraternamente il mezzo, usandolo una settimana per uno. A quei due uomini giovani e pimpanti non era parso vero di poter aumentare il loro fascino sull’altro sesso presentandosi in sella ad una moto sportiva e avevano accettato il patto.

No, ad Alucard non andava di demolire l’idealizzazione che Integra aveva fatto di suo padre, immaginandolo come un templare votato alla causa, con simili banalità terrene. Fra qualche anno, quando fosse stata più grande e più forte e più mitigato il dolore per la morte di Arthur, allora avrebbe potuto spifferarle tutto ma adesso non era proprio il caso.

-C’è una cosa che non capisco. Cosa te ne facevi di una moto? Non dirmi che è la versione aggiornata del cavallo che usavi un tempo. Il cavallo ti serviva per attraversare i fiumi e portarti appresso la terra di sepoltura nel sacco ma con tutti gli esperimenti che i miei antenati hanno effettuato su di te, ormai puoi passare su di un ponte con soltanto una manciata di terra nelle tasche. Appurato quindi che sull’Harley Davidson non caricavi la bara, cosa accidenti te ne facevi? –

Con viso grave e voce piena di dignità, il midian rispose:

-Batman ha la bat-mobile, il Papa ha la papa-mobile e io? Sono forse da meno di Batman e del Papa da non meritare un mezzo tutto mio? –

Sir Hellsing non replicò. In fondo, una logica c’era.

-E la moto che fine ha fatto? Non l’ho mai vista nel garage di casa. –

-E’ qui che comincia la parte triste del racconto. – rispose il mostro rannuvolandosi -Una sera ci giunse una telefonata. Alle terme di Bath era stato avvistato un Gremlin. Come saprai anche tu, quei fottuti mostriciattoli per riprodursi devono soltanto immergersi nell’acqua e a quel punto si replicano a dismisura. Il Gremlin andava eliminato prima che si bagnasse anche solo un mignolo. Tuo padre stabilì che per quella missione bastassi io e mi ordinò di andare a Bath. Come facevo ormai da dieci anni a quella parte, inforcai l’Harley e partii nella notte. –

Il Gremlin, dentro la boccia, emise una risatina maligna, segno che il ricordo di quel che accadde dopo lo riempiva di gioia. Il vampiro proseguì:

-Arrivai a Bath, posteggiai la moto vicino alle terme ed entrai. Probabilmente il bastardello era appostato sul tetto e mi vide arrivare. Non si spiega in altro modo quel che successe. Bè, dicevo, entrai nelle terme e scovai lo stronzetto, appena in tempo per impedirgli di immergersi nell’acqua. Gli sparai addosso con Casull ma il maledetto era veloce a schivare i miei colpi. In quel modo riuscii comunque a tenerlo lontano dalla vasca e quando capì che non sarebbe riuscito a tuffarsi, fuggì dalle terme. Lo inseguii all’esterno e lì…lo vidi. –

La voce di Alucard divenne funerea:

-Il Gremlin era seduto sul mio Harley Davidson. Aveva svitato il tappo del serbatoio e ci teneva sospeso sopra un fiammifero acceso. Sparai, nella speranza di spazzarlo via dal sellino col suo fiammifero ma quello schifoso fu più veloce a farlo cadere dentro. L’Harley Davidson esplose, dilaniato in decine di pezzi. Impossibile ripararlo. Cercai il Gremlin e lo trovai fra le lamiere, malconcio ma vivo. Pensai che la morte fosse troppo poco per ciò che aveva fatto, così lo afferrai e fuggii perché il boato aveva risvegliato mezza città. Arrivato a Hellsing Manor, raccontai l’accaduto a tuo padre e a Walter. Anche loro furono concordi nel ritenere che la morte non fosse sufficiente per vendicare la distruzione dell’Harley così Walter costruì questa sfera per rinchiudercelo dentro e da allora lo tengo nella mia segreta, per usarlo come antistress. –

-Antistress? – chiese sorpresa la master – E come funziona? –

-Così. – rispose Alucard, appoggiando la sfera a terra e mollandole un gran calcio.

Simile alla pallina di un flipper, la sfera trasparente rotolò velocemente per il pavimento, cambiando traiettoria ad ogni ostacolo mentre il mostriciattolo al suo interno strillava tutta la sua contrarietà per quel trattamento.

Gli occhi della quasi-tredicenne si illuminarono e con lo stesso tono serio di un bambino che si auto-invita ad un gioco interessante, chiese:

-Posso prenderlo a pedate anch’io? –

-Ma certo! Il mio antistress è il tuo antistress, master. Sir Arthur scendeva spesso a prenderlo a calci. Anche Walter scende tutt’ora a sfogarsi col Gremlin. –

Siccome dentro Integra scorreva in parte il sadismo di Van Helsing, la ragazzina attese che la boccia terminasse la sua folle corsa, che il mostriciattolo all’interno si riprendesse da tutto quel vorticare che gli aveva fatto arrivare lo stomaco al posto del cervello e viceversa e che faticosamente arrancasse come un criceto dentro la sfera per farla rotolare fino ai piedi del Capo dei Cavalieri Protestanti, nella speranza di essere posto al sicuro sugli scaffali. Solo allora Sir Hellsing mollò una pedatona alla palla, godendo del doppio piacere di arrecare sofferenza a un freak e frantumare ogni sua speranza. Il midian protestò mentre il ruotare gli faceva tornare il cervello al posto dello stomaco.

Dalla gola di Integra salì una risata sadica, degna del cattivo di un film e prese a inseguire e a calciare la boccia per tutto il vasto salone finché la voce del vampiro non la interruppe, intimandole di avvicinarsi. Mentre la ragazzina giocava così brutalmente, il Re-senza-vita non era rimasto inoperoso e aveva continuato a cercare un posto dove appendere il regalo della master, trovandolo finalmente nella parte interna del coperchio della bara. Mostrò con orgoglio il lavoro compiuto alla padrona:

-Così, quando mi sveglierò, la prima cosa che vedrò aprendo gli occhi sarà il viso di Vampirella. –

In verità, a giudicare da come era stato posizionato il poster, a Integra sembrava che la prima cosa che avrebbe visto Alucard al suo risveglio sarebbe stato il seno di Vampirella ma tenne quella considerazione per sé. L’importante era che il regalo fosse stato gradito e che loro avessero fatto pace.

 

Adesso che avevano fatto pace, Alucard riprese a seguire Integra per tutta villa Hellsing. Pochi pomeriggi dopo avergli regalato il poster, Sir Hellsing si recò nella biblioteca del maniero, alla ricerca di materiale per una ricerca scolastica. Il vampiro, come sempre, le andò dietro e dato che si annoiava a vedere la padrona sfogliare i tomi dell’enciclopedia e non aveva la benché minima voglia di aiutarla, frugò fra gli scaffali della stanza, alla ricerca di un volume di suo gradimento.

Trovò qualcosa di inaspettato. Un’intera mensola ospitava gli album fotografici della famiglia Hellsing, dai tempi di Dio Abraham fino ad arrivare a pochi mesi prima la morte di master Arthur.

Alucard decise di guardare quelli relativi al decennio appena trascorso, tanto per vedere cos’era accaduto durante il suo letargo. Si sedette su una poltrona, appoggiò gli album sul tavolino che gli stava di fronte e cominciò lentamente a sfogliarli.

L’esclamazione di sofferenza che fece trasalire Integra arrivò dopo pochi minuti:

-Noooo! Come avete potuto mostrarmi una cosa tanto scandalosa?! –

La ragazzina si voltò sconcertata verso il servo. Alucard si copriva gli occhi con un braccio, come a proteggersi da una visione sconvolgente. Sir Hellsing gli si avvicinò e buttò un occhio all’album aperto sul tavolino, chiedendosi cosa potesse aver sgomentato tanto il mostro.

Una foto di lei neonata, mentre suo padre le faceva il bagnetto.

Che uno spettacolo tanto innocuo potesse addolorare a quel modo una belva come Alucard sembrò a Sir Hellsing talmente divertente che non poté fare a meno di motteggiare:

-Non pensavo che un uomo di mondo come te potesse scandalizzarsi tanto di fronte a una neonata nuda.-

Il vampiro scostò il braccio dal viso, mostrando due occhi offesi. Evidentemente la battuta non era stata di suo gusto.

Il gesto fu talmente veloce che Integra non fece neanche in tempo ad accorgersene e a scansarsi. Alucard afferrò la guancia della master fra l’indice e il pollice, torcendola in un dolorosissimo pizzicotto e intanto acidamente commentò:

-Simpatica! Ma quanto sei simpatica! Sto morendo dalle risate, ah ah. –

-E’ da te che ho preso il senso dell’umorismo! – rispose la ragazzina con le lacrime agli occhi per il dolore.

-Non è vero, le mie battute sono molto più divertenti! – replicò offeso il freak, lasciando la guancia della padrona – Comunque non è la vista della tua gnocchettina calva da neonata a scandalizzarmi ma questo! –

Così dicendo, il vampiro puntò il dito su Sir Arthur che, con le maniche della camicia rimboccate fino ai gomiti, lavava la figlia.

-E’ papà che mi fa il bagnetto. – spiegò Integra, massaggiandosi la guancia dolorante – Cosa c’è di così scabroso? –

-E lo chiedi pure?! – sbraitò costernato Alucard -Com’è possibile che il mio padrone, il valorosissimo guerriero Arthur Hellsing, abbia potuto umiliarsi svolgendo un lavoro da donna? E chi è stato il vigliacco che l’ha immortalato in un frangente tanto imbarazzante, mettendo per di più la foto in bella mostra nell’album di famiglia, così che chiunque potesse vederla e farsi beffe del mio signore? –

Integra era consapevole che Alucard era nato nel medioevo e ragionava come un uomo della sua epoca, nondimeno le sue parole l’avevano irritata. La faceva arrabbiare scoprire in un unico discorso che per il suo servo e per tutti gli umani che ancora ragionavano come lui, i lavori umili erano considerati adattissimi alle donne ma disdicevoli per gli uomini e che occuparsi di un neonato era indegno di un padre. Non solo Alucard aveva insultato l’attuale Sir Hellsing ma anche il suo genitore. Fu per difendere l’onore di entrambi che il Capo dell’Ordine dei Cavalieri Protestanti insorse, pur nella consapevolezza che le sue sarebbero state parole al vento:

-Quando sono nata, papà aveva cinquantotto anni. Ormai era convinto di morire senza eredi e proprio allora arrivai io. Mi ha sempre raccontato che considerò la mia nascita un miracolo e per questo non gli pareva vero di trascorrere con me quanto più tempo poteva. E quando capitava l’occasione, non mancava mai di darmi il biberon, cambiarmi il pannolino o farmi il bagnetto. –

Per tutta risposta, Alucard le lanciò uno sguardo bieco e sibilò:

-Menti. Mi stai prendendo in giro e non ne capisco il motivo. Non ti ho fatto niente di male per meritare un trattamento simile. –

Spazientita, Sir Hellsing si mise le mani sui fianchi e ringhiò:

-Ma insomma! Si può sapere cosa c’è di tanto indecente nell’occuparsi di un figlio? Anche tu sei un padre! Possibile che in cinquecento anni non hai mai cambiato un pannolino? –

Ad Integra era già capitato di vedere il Re-senza-vita offendersi. Raramente, per la verità, perché era difficile riuscire ad insultare un ceffo come lui, all’apparenza inscalfibile. Fu quindi una grande sorpresa per la master scoprire come la sua innocente domanda avesse oltraggiato Alucard come nemmeno il film di Coppola era stato capace di fare.

Con sguardo spiritato, il midian scandì:

-In cinquecento anni mi hanno definito in molti modi. Mi hanno dato del pazzo, dell’impalatore, del sanguinario, del mostro, del figlio di zoccola ma nessuno aveva mai osato darmi del “cambiatore di pannolini”! –

Internamente, Integra gongolò. Caspita! Senza volerlo aveva scoperto come offendere quel cane rognoso! Che bellezza! Decise di continuare a fingersi offesa per battere su quel tasto e continuare a insultare un altro po’ il vampiro:

-Insomma, i pannolini li hai cambiati o no? –

Per Alucard era sbalorditivo che la sua master potesse anche semplicemente concepire una simile blasfemia ed ecco che la ragazzina arrivava addirittura a chiederglielo a voce alta!

-Integra, comincio a sospettare che tu abbia delle tare mentali. Sono un guerriero! Come puoi pensare che possa commettere simili sconcezze? –

-Perché invece uccidere, violentare e torturare non sono sconcezze, vero?-

-Certo che no! E’ il lavoro di ordinaria amministrazione di ogni combattente che si rispetti! –

-E quindi con i tuoi figli non muovevi un dito? –

-Come no?! Appena diventavano sufficientemente grandi da essere degni della mia attenzione e abbastanza forti da sostenere le mie sberle senza cadere a terra, mi occupavo della loro educazione. –

-E a che età corrispondeva questo “sufficientemente grandi”? –

- All’età in cui non avevano più bisogno di essere imboccati, puliti, cullati, consolati, vestiti e spogliati perché sapevano fare tutte queste cose da soli. Prima di allora, erano un’occupazione esclusiva delle loro madri. –

-Insomma, lasciavi tutto il lavoro più duro e sporco alle tue mogli. Ma che bel maritino che eri! –

Una volta di più Integra comprese come riuscissero le Leonesse ad andare d’accordo pur condividendo lo stesso consorte. Sopportare un marito come Alucard era un’impresa troppo sfibrante per un’unica moglie, meglio avere delle colleghe con cui spartire quella fatica.

Alucard, intanto, aveva risposto con un gesto sprezzante, come a dire ”cosa ne vuoi capire di queste cose?” ed era tornato a contemplare pieno d’angoscia la foto incriminata.

Parlò ma era chiaro che non si rivolgeva ad Integra, stava riflettendo a voce alta:

-Ci sarà pure una spiegazione! Forse una pestilenza si era abbattuta su Villa Hellsing, uccidendo tutte le donne di casa, gli sguatteri, gli stallieri e mettendo Walter a letto con un febbrone da cavallo. Siccome nessuno poteva occuparsi della bambina, Sir Arthur si è arreso a farlo da solo. Non riesco però a capire chi può essere stato il vigliacco che l’ha fotografato mentre eseguiva una mansione tanto disdicevole, certo con lo scopo di ricattarlo minacciando di mostrarla a tutti. –

-Non ci fu nessuna pestilenza, tutte le donne erano vive e vegete. Nessuno lo costringeva ad occuparsi di me, lo faceva perché gli piaceva. Perché ti è così difficile credermi? –

-Perché la merda è merda e non è che quella dei neonati sia più profumata o più bella o vedersi quindi perché mai un uomo nel pieno possesso delle sue facoltà mentali dovrebbe costringersi al supplizio di pulire un figlio? –

Integra lo squadrò da capo a piedi con una smorfia di disprezzo e decise di partire con la stoccata finale:

-Senti un po’, ma tutti gli uomini sono come te? –

-Vorrei sperare di sì, il mondo sarebbe certamente un posto migliore. Ma perché me lo chiedi? –

-Perché se tutti gli uomini sono come te, faccio meglio a restare zitella. –

In cinquecento anni, nessuna gli aveva mai detto una cosa simile e questo, unito al “cambiatore di pannolini” di poco prima, era decisamente troppo. Decise di chiudere lì quella sgradevole conversazione, prima di correre il rischio di essere insultato una terza volta. Si alzò, l’album fotografico sottobraccio, e annunciò:

-Non ha senso parlare con te. Eri troppo piccola, non puoi ricordare quegli eventi. Vado a cercare Walter. Saprà certamente darmi una spiegazione logica.-

Rimasta sola, Integra terminò i compiti, lesse qualche capitolo di un libro d’avventura che le piaceva e infine scese in cucina per fare uno spuntino. Lì trovò Alucard, seduto a braccia conserte al tavolo di cucina.

Fissava un punto indefinito nel vuoto e tracce di lacrime di sangue rigavano le sue guance. Sul volto aveva scolpita un’espressione sofferente, come la master non gli aveva mai visto prima.

Alla ragazzina venne spontaneo domandarsi se il midian non stesse male. Ma poteva stare male un mostro? Non ne era certa ma le sembrò comunque giusto chiedere:

-Tutto bene, Al? –

Il vampiro girò su di lei uno sguardo vitreo. La osservò per pochi istanti, poi tuffò la testa fra le braccia conserte e scoppiò in un pianto disperato.

Sir Hellsing rimase senza fiato. Spesso aveva dubitato che il servo fosse capace di piangere e comunque era certa che nella sua vita mai sarebbe arrivata a vedergli versare una lacrima. E adesso eccolo lì, che frignava senza ritegno davanti a lei, le spalle scosse da singhiozzi.

Integra aveva sempre pensato che Alucard fosse scalmanato al punto che, se avesse vissuto ai tempi dell’antica Pompei, alla vista del Vesuvio che eruttava cenere si sarebbe messo a ballare dalla contentezza. Quindi, se adesso il suo vampiro singhiozzava come Giulietta alla vista di Romeo morto, voleva dire che su Hellsing Manor stava per abbattersi un cataclisma peggiore di un’eruzione vulcanica, un evento contro cui neppure Alucard poteva fare qualcosa.

Doveva quindi affrettarsi a mettere in salvo se stessa e Walter nel rifugio antiatomico fatto costruire in giardino da suo padre ai tempi della guerra fredda. Lasciò il Signore delle Tenebre a frignare inconsolabile in cucina e corse come una lepre per i corridoi della villa alla ricerca del maggiordomo. Lo trovò che stava sistemando dei fiori in un vaso. Si aggrappò al suo braccio e trascinandoselo appresso, spiegò:

-Nascondiamoci nel bunker. Alucard piange. –

-Sì, lo so. L’ho fatto piangere io. –

Integra si fermò, girandosi a guardare il tutore con un misto di stupore e paura. Quindi era il suo secondo padre la calamità abbattutasi sulla testa del No-life-king?

-Come ci sei riuscito? – mormorò, piena di rispetto.

-Ho semplicemente confermato quel che gli avevi detto tu. E’ vero, Sir Arthur ti faceva il bagnetto e non perché una pestilenza avesse ucciso tutte le donne di casa e messo me a letto con un febbrone da cavallo ma perché lo gratificava occuparsi di te. Era così orgoglioso di quel che faceva che mi chiese persino di scattargli una foto, così da conservarne il ricordo. –

-E per una simile inezia si sta sciogliendo in lacrime sul tavolo di cucina? –

-E’ una questione di punti di vista. Ciò che per te è un’inezia, per lui è una tragedia greca. Mettiti nei suoi panni: da umano era un principe e da vampiro è stato il Re-senza-vita. Venne infine sconfitto da dei mortali e si convinse che per essere riusciti a soggiogare un guerriero della sua levatura, dovessero essere persone fuori dal comune. Per quasi un secolo si è inginocchiato davanti a padroni che considerava combattenti formidabili e adesso scopre che uno di loro cambiava i pannolini alla figlia. Né da umano né da vampiro gli sarebbe passato per la testa che un uomo potesse liberamente decidere di fare una cosa simile, nemmeno il più umile fra gli sguatteri del castello. Il suo padrone quindi si è degradato al di sotto dell’ultimo sguattero e lui è il cane di un individuo simile. -

-Ma sono tutte fregnacce! – s’infervorò Integra -Mio padre era un grande combattente, anche se mi cambiava i pannolini! –

-Ma non puoi sperare di farlo capire ad un principe medievale! – si spazientì Walter – Alucard, adesso, è in piena crisi di identità! Se il suo padrone dava la pappa alla figlia, allora non era un guerriero formidabile, appartenente ad una dinastia di gente straordinaria. Se non è stato soggiogato da persone fuori dal comune ma anzi, al di sotto della media, vuol dire che non era un granché come Signore delle Tenebre. Se come vampiro e Re-senza-vita valeva poco, allora non era un granché neanche come umano e principe. Capisci adesso il suo dramma interiore? –

Integra stava per replicare che capiva che Alucard stava facendo la primadonna come al solito ma la voce del vampiro alle sue spalle le troncò la voce in gola:

-Scusate se v’interrompo ma ho bisogno di ritirarmi a riflettere nella mia catacomba. Vi prego di non venirmi a cercare, ho bisogno di stare da solo. –

Così Walter e Sir Hellsing lo videro scendere, serio e col viso angora rigato di rosso, le braccia stracariche di sacche di sangue.

Per otto giorni e altrettante notti Alucard non si fece vedere, per la gioia di chi viveva e lavorava all’interno dell’Ordine dei Cavalieri Protestanti. Al mattino del nono giorno, Integra pensò che il vampiro fosse stato da solo a sufficienza ed era giunto il momento di snidarlo. Lo trovò assiso sul trono di legno, le sacche di sangue ormai vuote sparse per terra.

-Le meditazioni ti sono servite a stare meglio? –

-Sì. Ho compreso che non è tutta colpa di tuo padre. Mi sono detto che è figlio dei suoi tempi e questi purtroppo sono tempi incivili. Quando ero umano, se due cavalieri litigavano, risolvevano la questione con un duello: chi moriva aveva torto. Adesso, invece, quando due uomini litigano, risolvono la questione andando a spendere un pozzo di soldi dai rispettivi avvocati, facendosi denunce e contro-denunce. Vedi come si sono imbarbariti i costumi? Quindi perché sorprendersi se al giorno d’oggi un padre si svilisce commettendo un’azione da donna come cambiare un pannolino? Ma di questo passo dove andremo a finire, dico io? Continuando così gli uomini arriveranno a lavare i piatti! –

Integra rimase interdetta: doveva confessare al suo mostro che gli uomini stavano già cominciando a lavare i piatti? No, meglio non farglielo sapere. Si era appena ripreso da un trauma, perché sconvolgerlo nuovamente? Inoltre era meglio tenere quella rivelazione come un asso nella manica: il giorno in cui Alucard l’avesse fatta imbestialire, tanto da meritare di essere preso a pugni, la master avrebbe potuto estrarre quella carta, mettendo k.o. il servo come neanche il gancio meglio assestato poteva riuscire a fare.

Il midian però si era accorto dell’incertezza della ragazzina e allarmato chiese:

-Gli uomini non sono arrivati a lavare i piatti, vero master? –

Sir Hellsing uscì dall’impiccio ripetendo una frase udita a scuola, da una professoressa:

-Le donne hanno preteso che gli uomini le aiutassero a lavare i piatti e gli uomini, pur di non bagnarsi le mani, sono arrivati ad inventare la lavastoviglie. –

Il vampiro si rilassò, la ragazzina pure. Con questa risposta non aveva né mentito né detto la verità, conservando il suo asso nella manica.

 

 

1)Questa è la prima parte di un capitolo molto più lungo che dividerò in tre o quattro parti. Sono spiacente ma questa storia avrà la costanza di un aggiornamento l’anno perché più veloce di così non riesco a scrivere.

2)L’Arpia Silen è un personaggio di Devilmen di Go Nagai. Per inciso, Silen è il mio personaggio preferito di Devilmen.

 

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Capitolo 14
*** Lascia che della morte se ne occupino i morti ***


Tutto quel parlare del padre aveva fatto nascere in Integra nostalgia per il genitore così si diresse nell'ufficio di Arthur e aprì la cassaforte, per leggere uno dei suoi diari.

Mentre frugava fra i quaderni degli antenati, si imbattè in quella che aveva soprannominato “la busta gialla”.

Era una busta sigillata e dalla sua voluminosità lasciava intuire fosse piena di fogli scritti. Sopra la busta, la grafia di suo padre e una semplice scritta “a mio fratello Richard”.

In tutti quei mesi, ogni volta che la busta gialla le era capitata fra le mani, Integra l'aveva ributtata sul fondo della cassaforte con un gesto nervoso, come se temesse di scottarsi.

Era indirizzata a quell'infame di suo zio e già questo era sufficiente per instillarle paura.

L'aveva scritta suo padre e non poterla leggere le causava sofferenza. Perché era chiaro che lei, da quella missiva, fosse esclusa: si trattava di un segreto tra fratelli.

Non sapeva quando suo padre avesse compilato quel plico, se giacesse in cassaforte da mesi o da anni, se fosse stata una scelta di Arthur non consegnarla al fratello o se era stata la morte a non dargliene il tempo. A Integra era sembrato giusto rispettare la volontà del genitore: se era indirizzata allo zio, lei non aveva diritto di aprirla anche se ciò le causava rabbia e mortificazione, ben sapendo come quel viscido di Richard non meritasse tanta cortesia.

Quel giorno però Integra sostenne una battaglia con se stessa. Non ributtò la busta gialla sul fondo della cassaforte, nonostante le sembrasse pesare come un macigno fra le dita. Come faceva da mesi, per l'ennesima volta si ripeté che i due fratelli erano morti, non avrebbe fatto un torto a nessuno leggendo il contenuto e alla fine dei conti lei era la nuova Sir Hellsing e per dirigere al meglio l'Ordine dei Cavalieri Protestanti non doveva avere segreti col passato dell'organizzazione.

Stavolta riuscì a convincersi e sedette alla scrivania con la busta in mano. La profonda convinzione di andare contro la volontà del genitore le faceva però tremare le dita mentre apriva i sigilli e battere il cuore nel petto così forte da sentirlo rimbombare nelle orecchie. Cominciò a leggere con la gola secca dalla paura per la profanazione che stava compiendo ma col trascorrere dei minuti il timore scemò.

I fogli scritti da suo padre non contenevano chissà quali terribili segreti. Erano soltanto la narrazione degli eventi collegati alla nascita di Richard. Evidentemente non li aveva mai raccontati al fratello minore o per poca confidenza o per paura di ferirlo, dato che per un figlio non doveva essere piacevole sapere certe verità.

Li aveva poi conservati nella cassaforte, forse aspettando il momento buono per consegnarli al fratello o attendendo una sua richiesta specifica. Né l'una né l'altro evento si erano verificati e la busta gialla era rimasta lì per chissà quanti decenni.

Quella lettera colmava il passaggio dai diari di nonna Eva, interrotti bruscamente e quelli di suo padre che non avendo l'abitudine di parlare della vita privata, non raccontavano gli ultimi mesi di vita della madre.

Come terminasse il diario di Master Eva, Integra lo ricordava bene...


Sul continente fascismi e nazismi prendevano piede e in Gran Bretagna erano molti a guardarli con simpatia, arrivando addirittura a pensare di importarli sull'isola per ripristinare ordine e disciplina. Tutte idee che Eva trattava con disprezzo:

- Se Dio ha messo la Manica fra noi e quella gente, è per preservarci dalle loro idiozie. -

A Master Eva nulla importava dei continentali e del resto del pianeta. Era del parere che nessuno avesse nulla da insegnare agli inglesi,il popolo più evoluto del mondo.

Anche i venti di guerra che cominciarono a soffiare la lasciavano indifferente, tranne che per inalberarsi quando qualcuno proponeva di parteciparvi:

- Abbiamo già dato nella guerra mondiale. E per cosa, poi? - inveiva Eva - Ogni famiglia del Regno Unito ha sofferto e perso un caro in un conflitto che non ci apparteneva. Dobbiamo sacrificare altre nobili vite britanniche per togliere quegli impiastri dei continentali dai loro guai? Che si arrangino! E che muoiano, se non sanno cavarsela da soli! -

Ma era chiaro che la Gran Bretagna stava facendosi coinvolgere sempre più dai problemi europei, con grande preoccupazione di Eva che presto ebbe anche motivi personali per angosciarsi.


Inizialmente, aveva pensato alla menopausa. Cos'altro poteva essere, in una donna della sua età? Così aveva lasciato correre le settimane nell'ignavia.

Col tempo però un senso di inquietudine aveva cominciato a serpeggiarle nelle vene. Certe sensazioni erano fin troppo somiglianti a quelle provate vent'anni prima anche se ogni volta cacciava via quel pensiero con stizza: una vecchia di quarantacinque anni? Che idea ridicola! Finché una notte non sentì scalciare nella pancia e allora non ebbe più dubbi.

La prima volta che aveva sentito Arthur muoversi nel suo ventre, si era alzata a sedere nel letto, gridando di sorpresa e paura, stupita che una creatura tanto piccola potesse muoversi con tanta forza.

Anche stavolta si alzò a sedere nel letto e urlò ma era un grido di angoscia.

Una donna della sua età! E con la sua salute precaria! Una gravidanza in queste condizioni era la morte certa!

Scese dal letto e cominciò a passeggiare nervosamente su e giù per la stanza, senza neanche rendersi conto di quel che faceva, ripetendo con gola sciutta:

Oh Dio, allontana da me questo calice!

Per giorni e giorni continuò a pregare, invocando un aborto spontaneo ma il Signore non la udì. Così, in un tiepido pomeriggio di inizio primavere, mentre era seduta in giardino a godersi il primo sole, master Eva si arrese all'evidenza: le toccava affrontare quella prova. Prova che oltre al rischio del parto includeva l'umiliazione di doverlo comunicare a suo figlio, al Consiglio dei Dodici...

Immaginava le facce che avrebbero fatto, a metà fra lo stupito e l'imbarazzato per poi cedere il passo, col tempo, all'ilarità e al disprezzo.

Una vecchia che si caccia in un guaio simile! Che sangue caldo! Che incoscienza! E per soddisfare una voglia, mette a repentaglio l'equilibrio dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti. Con un uomo certe cose non succederebbero. Mai mettere una donna al comando! “

Come se le donne, i figli, li facessero da sole e i padri non avessero responsabilità di niente. Eva sospirò: per la prima volta le pesava essere circondata unicamente da uomini. Se ci fossero state delle donne nel Consiglio dei Dodici, sarebbe stata meno dura dare un simile annuncio.

L'unica consolazione era che in quella villa c'era almeno un maschio sul cui rispetto poteva contare. Lo invocò, per cominciare ad informare almeno lui:

- Vampiro, vieni qui. -

Da molti anni suo figlio chiamava la creatura Alucard ma Eva non si era mai abituata a quel nome. L'aveva conosciuto come “vampiro” e così avrebbe continuato a chiamarlo fino alla morte.

Il nosferatu impiegò diversi minuti a materializzarsi perché era stato interrotto nel suo sonno diurno e quendo apparve, la master si limitò a bucarsi un dito con uno spillone per capelli, intimandogli:

- Lecca. -

Non serviva altro per comunicare con lui. Niente giri di parole imbarazzate, avrebbe capito da solo. Infatti al vampiro bastò succhiare poche gocce di sangue per guardare la padrona con occhi preoccupati:

- E' una battaglia dura alla tua età. Potresti morire. -

Eva sorrise intenerita e accarezzò i capelli del mostro inginocchiato di fronte a lei, cane fedele che mirava al sodo. Nessuno stupore, imbarazzo o disprezzo, solo il timore per il pericolo incombente. Il vampiro rincarò:

- Devi sbarazzartene. -

- Ci ho pensato, cosa credi? - rispose la master in tono stanco, smettendo di carezzarlo - Ma siamo realistici, la gravidanza è troppo avanzata, un aborto indotto a questo punto è più rischioso del parto. Ormai è andata così, non mi resta che farlo nascere e sperare di sopravvivere. -

Il vampiro si rialzò in piedi. Ad un occhio estraneo, la sua master poteva sembrare il ritratto della salute perché il tempo aveva donato ad Eva un fisico matronale. Lui però sapeva quanti acciacchi si celassero dietro quell'aspetto florido. Tutte le notti trascorse a caccia di mostri, sotto la pioggia o con l'umidità, avevano minato il fisico della padrona con continui bronchiti e polmoniti e sapeva che le giunture del suo corpo cominciavano a deformarsi per l'artrosi. Senza tutti quei malanni, partorire non sarebbe stato così rischioso per la sua master.

- Devi trascorrere i mesi che restano riposandoti. Pensa soltanto a mettere da parte le energie per la battaglia. - consigliò il vampiro, nel suo solito gergo militaresco.

- Sarebbe la soluzione migliore ma dovrei affidare il comando dell'Organizzazione Hellsing ad Athur. Sarà all'altezza del compito? Certe volte quel ragazzo mi preoccupa, sembra un tale scavezzacollo... -

- E' uno scavezzacollo solo nella vita privata ma sul lavoro è serissimo. - la rassicurò il servo - In questi anni, ogni volta che gli hai affidato una missione per cominciare a prepararlo al suo ruolo di guida, non ha forse svolto il lavoro col massimo impegno e ottimi risultati? Fidati, l'Organizzazione Hellsing è in buone mani. E poi, al suo fianco ci sarò io. Ogni che farà una scemenza, lo rimetterò sulla retta strada con una sberla. -

Master Eva sorrise suo malgrado, immaginando la scena. Poi tornò mesta pensando al marito che stava viaggiando in chissà quale angolo di mondo, ignaro di tutto, senza scontare sul suo corpo ciò che avevano fatto in due.

- E' ingiusto pagare un prezzo così alto per un po' di piacere. - mormorò stancamente.

Al vampiro, la sua master raggomitolata sulla sedia sembrò così vecchia e vulnerabile, con le sue ciocche grigie e le rughe intorno agli occhi, che ne ebbe tenerezza e con delicatezza le carezzò i capelli. Da quando si conoscevano, era la prima volta che la toccava.


Quella era stata l'ultima pagina scritta da sua nonna, come se anche compilare il diario costituisse per lei una tale fatica da doverla interrompere durante i mesi della gravidanza. I fogli di suo padre colmavano quel silenzio misterioso.


Arthur svolgeva il suo ruolo di vice-capo dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti con efficienza e di null'altro si occupava, certo che il fido maggiordomo Simon amministrasse al meglio Villa Hellsing e che sua madre si occupasse di ciò che riguardava il futuro nato.

Fu bruscamente risvegliato dalla sua tranquillità dall'anziano Lord Island, uno dei membri più influenti del Consiglio della Tavola Rotonda, nonché padre del miglior amico di Arthur.

Un pomeriggio, nel corso di un colloquio privato, il vecchio gentiluomo chiese al giovane Hellsing:

- Come procedono i preparativi per la nascita del bambino? -

Un senso di disagio s'impadronì di Arthur. Aveva vent'anni e nulla sapeva di neonati. Pensava quindi di essere esentato da simili questioni. Inoltre non c'era sua madre? Chi meglio di lei poteva occuparsi di quelle faccende? La domanda di Lord Island instillò in Arthur la sgradevole sensazione che l'Organizzazione Hellsing pretendesse che si occupasse anche di compiti che non lo riguardavano.

Non aveva la più pallida idea di come procedessero i preparativi per la nascita del fratello o sorella così cercò di nascondere la sua ignoranza con un allegro commento:

- Mancano ancora due mesi al parto. -

L'anziano Lord, padre di molti figli e quindi più ferrato del suo giovane interlocutore di queste cose, gelò il sorriso sulla faccia di Arthur rispondendo intono di rimprovero:

- Appunto. Mancano soltanto due mesi. E se si trattasse di un parto prematuro? -

Il giovanotto non seppe cosa rispondere e il Lord proseguì, implacabile:

- Il vostro maggiordomo mi ha confidato le sue preoccupazioni, che sono le stesse del resto della servitù. In questa casa non si muove un dito per l'arrivo del neonato. Nessuno ha dato l'ordine di arieggiare e tinteggiare la camera dei bambini. Nessuno ha dato ordine di lavare e stirare il corredino che tua madre usò per te e conservò, come fanno tutte le madri, e che adesso torna ad essere utile. Sembra che in questa villa non debba nascere nessun bambino. Non so perché tua madre non faccia nulla ma se non si muove lei, è compito tuo procedere. Non puoi aspettare l'ultimo momento. Se nascesse prima del previsto, cosa fareste? Lo avvolgereste in carta di giornale e lo mettereste a dormire in una scatola da scarpe? -

Arthur inghiottì quella ramanzina pallido di umiliazione. Era certo di stare facendo i suoi primi passi nel mondo adulto con efficienza e adesso veniva sgridato come uno scolaretto per una colpa non sua.

Non appena l'anziano Lord se ne fu andato, Arthur andò in cerca della madre. La trovò seduta in uno dei molti salotti della villa, intenta a ricamare.

- Ricami per il piccolo? - chiese il figlio, cogliendo al volo l'occasione per entrare in argomento.

- Oh, no! - rispose Eva in tono ilare, come se le avessero appena detto una cosa assurda - E' un cuscino per il divano. -

Il giovane si domandò se continuare la conversazione. In una delle poltrone del salotto sedeva Alucard. I piedi poggiati su uno sgabello, il cappello calato a nascondere il viso, il vampiro pareva dormisse. Eppure Arthur aveva la sensazione che in realtà fosse sveglio e l'istinto gli sconsigliava di parlare di fronte a lui. Quella era una conversazione fra madre e figlio e nessun altro doveva immischiarsi.

Ma la ragione, con ottuso ottimismo, disse ad Arthur che non c'era motivo di diffidare di Alucard, il fedele cane di famiglia. Così, anche se con titubanza, il giovane riferì alla madre il colloquio appena avuto con Lord Island, concludendo:

- Quindi pongo a te la stessa domanda: perché non facciamo nessun preparativo? -

Continuando a ricamare, Eva parlò con distacco, come se l'argomento non la riguardasse:

- Sarà un parto difficile. Probabilmente nascerà morto. Perché affannarsi tanto in preparativi se non dovremo fare altro che seppellirlo? -

- E se invece sopravvivesse? -

In tono seccato, Eva concluse:

- Vorrà dire che lo avvolgeremo in carta di giornale per coprirlo e lo metteremo a dormire in una scatola da scarpe mentre aspettiamo che la cameretta e il corredino siano pronti. -

Che Sir Hellsing considerasse quel bambino uno scomodo incidente, era noto ad Arthur come a chiunque altro. Per la prima volta però il giovane comprese che per sua madre il secondogenito non era semplicemente un figlio indesiderato, era addirittura odiato. Detestato al punto da augurarsene la morte.

Il giovane maledì mentalmente la propria ragione che l'aveva convinto a discutere in presenza di Alucard. Adesso il vampiro conosceva il desiderio più recondito della padrona e Arthur non sapeva quali conseguenze ciò potesse avere. Sì perché anche se sembrava che Alucard dormisse, Arthur non si faceva illusioni, sapeva bene che era sveglio. L'istinto glielo diceva e stavolta gli diede ascolto.


Il 7 settembre un insistente tuonare costrinse Arthur ad alzare la testa dal lavoro. Che strano! Non aveva mai udito tuonare a quel modo. Aprì la finestra dello studio, osservando la placida campagna circostante. Il rumore proveniva dalla direzione di Londra. Il giovane comprese di cosa si trattasse nello stesso istante in cui sua madre spalancò la porta dello studio per annunciare sgomenta:

- Ci bombardano! -

Eva e Arthur rimasero alla finestra ascoltando il bombardamento sulla città lontana.

Da diversi mesi il canale della Manica veniva bombardato ma che adesso attaccassero addirittura la capitale fece comprendere a madre e figlio come la Gran Bretagna fosse definitivamente invischiata in quella guerra che stava diventando un nuovo conflitto mondiale, il secondo.

Fu forse dovuto alla paura del bombardamento o più semplicemente era tempo che accadesse, fatto sta che quel giorno master Eva si mise a letto con le doglie.

Venne fatta arrivare un'ostetrica dal paese più vicino. La donna visitò Sir Hellsing poi diede il responso ad Arthur, una sfilza di parole tecniche di cui il giovane non comprese niente.

L'ostetrica aveva un tono che non ammetteva domande. Per lei era ovvio che chi le stava di fronte comprendesse pienamente ciò che aveva detto. La giovane età del figlio non era un aspetto che le suscitasse particolari indulgenze.

Arthur riprovò la stessa sgradevole sensazione avuta mesi prima con l'anziano Lord Island. Gli adulti parevano godere malignamente nel far sentire chi si avventurava nel loro mondo un patetico imbranato.

Il giovane si allontanò dalla stanza della madre con una gran confusione in testa. Il guaio è che non aveva nessuno a cui chiedere per capire se tutto stesse filando liscio o meno. Non poteva mostrare la sua titubanza alla servitù a cui doveva apparire invece come colui che sa sempre cosa fare. Non poteva certamente rivolgersi agli altri membri della Tavola Rotonda, in quel momento impegnati a difendere Londra. Non gli restava quindi che tenersi la sua ignoranza e la sua paura?

Eh no, un momento! Qualcuno a cui rivolgersi l'aveva! Qualcuno che da quella situazione era passato così tante volte da averne perso il conto.

Andò in cerca di Alucard e lo trovò nel salone da biliardo, intento a giocare una partita in solitaria.

Il futuro Sir Hellsing gli chiese semplicemente:

- Devo preoccuparmi? -

- Ma no, ragazzo, - rispose il vampiro tranquillamente, prendendo di mira una palla con la stecca - Le femmine impiegano tempo per svolgere questo lavoro. Trovati un'attività con cui occuparti la mente e occupare l'attesa e non pensare ad altro.-

Arthur non se lo fece ripetere. C'erano un'infinità di lavori da svolgere ad Hellsing Manor. Adesso che Londra era stata bombardata, nessuno poteva più dormire sonni tranquilli e bisognava mettere la villa in sicurezza. Il giovane ordinò così di oscurare tutte le finestre e partecipò lui stesso a quell'incombenza.

Trascorsero in questo modo ventiquattr'ore al termine delle quali il figlio andò a chiedere informazioni all'ostetrica. Ricevette il solito bollettino di informazioni tecniche di cui non capì niente, così andò alla ricerca di Alucard. Lo trovò in cucina, intento a scaldarsi una porzione di sangue a bagnomaria.

- Devo preoccuparmi? - chiese.

- Ancora no. - fu la risposta.

Arthur decise di trasformare gli scantinati della villa in un bunker antiaereo, Insieme ai servi, ammassò nei sotterranei viveri, acqua, medicinali e coperte. Trascorsero così altre ventiquattro ore al termine delle quali il giovane non tentò neanche di chiedere lumi all'ostetrica e andò direttamente alla ricerca del vampiro. Lo trovò sdraiato su un divano, le braccia incrociate dietro alla testa e il cappello calato a coprire il viso.

- Devo preoccuparmi? -

- Ancora no. - disse la voce da sotto il cappello.

Insieme alla servitù, Arthur portò in salvo le opere d'arte della villa in uno degli scantinati . Trascorsero così altre ventiquattr'ore al termine delle quali andò alla ricerca di Alucard. Lo trovò nella sua stanza sotterranea, assiso sul trono di legno.

- Devo preoccuparmi? -

- Adesso sì. - fu la risposta e il viso stesso del vampiro tradiva tutta la sua ansia per la padrona.

Ad Eva occorsero altre tre ore per riuscire a spremere fuori dal suo corpo il neonato e in capo ad un'altra ora si manifestarono tutti i sintomi della febbre puerperale che l'avrebbero condotta alla morte in meno di due giorni.

Arthur comprese che per sua madre non c'erano speranze non appena vide Alucard sedersi al suo capezzale. Ricordò i racconti sulla morte di Abraham Van Helsing e capì che il vampiro si apprestava ad accudire la sua signora nell'agonia.

L'ostetrica e l'infermiera giunta per aiutare ad accudire malata e neonato trovarono sconveniente quella presenza maschile.

- Non è un parente né un dottore. - dissero ad Arthur - Non può restare in camera di sua madre tutto il tempo! -

Il figlio, sopraffatto dall'angoscia e senza alcuna voglia di sprecare energie ingaggiando una battaglia persa in partenza con Alucard, rispose:

- Diteglielo voi che non può restare in camera, se ne avete il coraggio. -

Ovviamente il coraggio mancò e ostetrica e infermiera si arresero a tenersi Alucard fra i piedi.

In quanto ad Arthur, cercava di tenersi fuori dalla stanza della madre il più possibile.

Interiormente, si rimproverava aspramente dandosi del vigliacco: sapeva che presto sarebbe rimasto orfano e quindi sarebbe stato giusto trascorrere insieme quanto più del poco tempo che restava. Ma era un figlio e aveva vent'anni e l'idea di assistere alla morte della mamma gli provocava una paura talmente intensa da fargli desiderare di starle alla larga il più possibile. E di scuse per farlo, senza passar male agli occhi dei servi, ce n'erano tante.

Bisognava occuparsi del neonato (che a dispetto di ogni previsione, era vivo e pieno di salute), ordinare di pulire la sua cameretta e il corredino. Bisognava contattare gli altri membri della Tavola Rotonda per avvisarli della brutta piega presa dagli eventi. Soprattutto, bisognava cominciare ad organizzare il funerale. Arthur avrebbe anche voluto contattare il padre ma alla fine desisté dall'impresa dato che non sapeva nemmeno in quale angolo di mondo si trovasse.

Mentalmente, maledì il genitore e le sue assenze. Quanto avrebbe avuto bisogno della sua presenza, in quel momento! Poter condividere con qualcuno la fatica e il dolore e soprattutto le beghe date dal bambino. Arthur era certo che in questo il padre se la sarebbe cavata meglio di lui, impreparato com'era su tutto, anche sul nome da dargli.

Quando l'ostetrica gliel'aveva chiesto, per compilare il certificato di nascita, il giovane si era reso conto che in tutti quei mesi nessuno ci aveva pensato. Così rispose col primo nome che gli passò per la testa:

- Richard. -

Non chiese a sua madre se le piacesse il nome. Sapeva che non le interessava nulla del bambino. Nei rari momenti in cui Eva stava bene, chiedeva a chi le stava intorno:

Fate venire qui mio figlio.

Inizialmente l'ostetrica credeva parlasse del neonato ma ci pensava Alucard a correggere con astio l'errore:

- Non sta parlando di quel figlio! -

No, per master Eva esisteva un unico figlio, il primo. Arthur allora si sedeva sul bordo del letto, lasciava che la madre gli prendesse le mani fra le sue e ascoltava cosa aveva da dirgli, per lo più gli stessi consigli ripetuti continuamente perché la mente della donna era annebbiata dalla sofferenza.

Erano poche comunque le volte in cui Eva chiedeva del figlio. Se Arthur cercava di visitarla il meno possibile, tanto grande era l'angoscia che gli provocava la sua agonia, anche Sir Hellsing era poco incline a farsi vedere in quello stato dalla persona che più amava al mondo.

Avrebbe desiderato che il figlio conservasse di lei il ricordo di quand'era nel pieno della salute e la mortificava mostrarsi in quelle condizioni, mentre gemeva o urlava per il dolore all'utero o non riusciva a contenere il vomito o la diarrea.

- Perché la morte dev'essere così umiliante? - biascicava rivolta ad Alucard - Perché non posso andarmene come mio zio? -

Il vampiro cercava di consolarla:

- La tua vita è stata gloriosa. Hai realizzato tutto ciò che volevi. Neanche la più umiliante delle morti può offuscare le tue vittorie. -

Ma ciò non consolava master Eva. Le glorie trascorse non la interessavano, sapeva soltanto che si sentiva così sporca, puzzolente e vulnerabile da vergognarsi di mostrarsi ad Arthur. Poi si ricordava del povero cane seduto accanto a lei e gli rivolgeva uno sguardo pieno di compassione:

- Sei condannato a veder morire tutti i tuoi padroni. Chissà come starai soffrendo. Mi dispiace per te. -

Il vampiro sorrideva con indulgenza:

- Non preoccuparti per me. Sono forte, sopravviverò anche a questo. -

Così trascorrevano le ore in attesa della fine.


Arthur si risvegliò, incredulo nello scoprire dove si era addormentato. Nello studio, seduto alla scrivania. Ricordava di aver cominciato a compilare dei documenti la sera prima ma evidentemente il sonno aveva avuto la meglio.

Si stropicciò il viso che in quei giorni era paurosamente dimagrito. Sentì di avere una barbaccia ispida e dura che doveva assolutamente radere.

Dai finestroni entrava la luce dell'alba. A quell'ora l'infermiera era nella stanza del bambino e l'ostetrica aveva appena terminato il turno di notte. Si alzò per andare a visitare l'ammalata.


Negli anni a venire Arthur si chiese spesso se fosse possibile decidere quando morire. Razionalmente capiva che era inverosimile, eppure la fine di sua madre lo spingeva a domandarselo.

L'ostetrica aveva lasciato master Eva che stava relativamente bene e riposava tranquilla e proprio quando la donna si era allontanata, Sir Hellsing era deceduta, quasi che avesse atteso di non avere estranei intorno nel momento supremo, desiderosa di restare sola col fido vampiro.

Quando il figlio aprì la porta della camera, trovò Alucard seduto sul bordo del letto che con la schiena gli impediva la visuale della madre. Di questo, Arthur gliene fu sempre grato. Potè così rispiarmiarsi l'immagine della madre moribonda. Purtroppo però le orecchie udivano il respiro strozzato e i gemiti di dolore della malata e la voce di Alucard che dolcemente le diceva:

- Fa male master, lo so, ci sono passato anch'io. Ma tu lasciati andare. Poi sarà tutto pace. -

La paura fece voltare il figlio verso la porta, desideroso solo di fuggire ma il senso di colpa lo bloccò sulla soglia, lasciandolo lì ad ascoltare l'agonia e piangere come non gli capitava più da quand'era bambino.

Infine fu tutto silenzio.

Alucard era consapevole della presenza del giovane alle sue spalle. Pensò chee il figlio avesse diritto di conservare una bella immagine della madre, così chiuse gli occhi della master, poi la mascella, infine le ricompose i capelli. Quando fu pronta, con voce stanca il vampiro annunciò:

- Adesso puoi entrare a vederla. -


Integra interruppe la lettura. La morte della nonna le mise addosso un'ansia crescente. Non riuscì ad impedirsi di ricordare quant'era stata vicina alla morte anche lei.

Ripensò al terrore di quella fuga. Quant'era durata? Ore? Minuti? A lei era sembrata un'eternità.

Udì nuovamente alle spalle i passi che la incalzavano inesorabilmente, il leggero quanto raggelante “click” delle armi caricate. E la voce di zio Richard, così arrogante e sicura di sé.

L'angoscia si impossessò di lei. Senza più alcun controllo di sé, Integra si ritrovò a camminare avanti e indietro per la stanza, gemendo:

- Non voglio morire! Non voglio morire! Non voglio morire... -

Lo sfogo le fece bene. Lentamente, il terrore cessò. Si sentiva però troppo vulnerabile e sola per continuare ad affrontare la lettera del padre così la rimise in cassaforte, aspettando tempi migliori.


Per giorni Sir Hellsing tenne il malessere dentro di sé. Infine, una sera, mentre si trovava nel boschetto degli olmi a fumare schiena contro schiena con Alucard, non riuscì a trattenersi dal chiedergli:

- Cosa c'è dopo la morte? -

Aveva cercato di dare alla sua voce un tono sicuro ma la gola non poté fare a meno di incrinarsi un pochino. La risposta la metteva in ansia.

Sperava con tutte le sue forze di sentirsi confermare ciò in cui credeva: la vita eterna, il paradiso, incontrare di nuovo il padre nell'alto dei cieli.

Con altrettanta intensità temeva di sentirsi rispondere che non esisteva niente di tutto questo, che dall'altra parte c'era solo il nulla eterno.

Strattonata fra speranza e paura era combattuta fra il desiderio di conoscere e la voglia di tapparsi le orecchie per non udire.

Alucard si concesse tempo per riflettere, poi con calma parlò:

- Anche Dio Abraham e tua madre mi posero questa domanda, prima di morire. Ti risponderò allo stesso modo con cui risposi a loro. -

Il vampiro si chinò lentamente sulla ragazzina. Integra, col cuore che le batteva furiosamente, dovette fare appello a tutta la sua determinazione per restare seduta dov'era dato che sentiva il bisogno impellente di alzarsi e scappare.

Alucard le accostò la bocca all'orecchio e sussurrò:

- Master, che bisogno c'è che te lo dica dato che fra poco lo scoprirai da sola? -

Quando Sir Hellsing comprese che il servo l'aveva fregata, provò un misto di sollievo, delusione e rabbia.

Prima di poter avere qualsiasi reazione, Alucard era tornato con calma a girarle la schiena e fumare, aggiungendo:

- Lascia che della morte se ne occupino i morti. Tu sei viva e devi pensare alla vita. Hai un'eternità davanti a te per scoprire cosa c'è dopo la morte, perché te ne dovresti preoccupare ora? -

La master non poté che dargli ragione. Si appoggiò alla schiena del servo e terminarono di fumare in silenzio.


Trascorse qualche altro giorno prima che Sir Hellsing trovasse il coraggio di riprendere in mano la busta gialla. Ormai doveva terminarla e togliersi di dosso il peso che le era caduto aprendola. Si sedette nuovamente alla scrivania e ricominciò a leggere.


Quando la bara della madre fu calata nella fossa e l'anziano Lord Island, che faceva le veci anche a nome degli altri undici rimasti a difendere Londra, fece ad Arthur le condoglianze a nome dell'intera Tavola Rotonda e gli riferì che sua maestà lo investiva ufficialmente come nuovo Sir Hellsing, il ragazzo sperò con tutte le sue forze che a quel punto il peggio fosse passato e potesse concedersi un po' di meritato riposo.

Tornato a casa, il suo primo impulso fu di andarsene a letto ma poi ripensò al fratellino. Da quando quel povero bimbo era nato, ancora non aveva trascorso un po' di tempo con lui. Aveva dato un sacco di ordini ai fini del suo benessere ma quasi non sapeva che faccia avesse, dato che l'aveva visto di sfuggita solo una volta.

Diresse così i suoi passi verso la nursery e appena aprì la porta, scorse nella penombra della stanza una sagoma scura accanto alla culla e qualcosa di rosso che sfavillava.

Inquieto, aguzzò la vista e quel che vide gli strinse le viscere in una morsa fredda. Alucard era in piedi accanto alla culla e guardava l'esserino che conteneva con odio feroce.

Il nuovo Sir Hellsing si insinuò tra il mostro e il fratellino e sibilò:

- Fuori di qui. -

Il vampiro non sembrò neanche sentirlo. Con semplicità, spiegò le ragioni del suo odio:

- Ha ucciso la mia master. -

Arthur avvertì che il gelo che gli attanagliava le viscere adesso gli stringeva pure il cuore. Continuando a sibilare, per non svegliare il neonato, replicò

- Non è vero! Sono cose che succedono e nessuno ne ha colpa, neanche il bambino e tu lo sai bene! -

Guardava con determinazione il vampiro, come se bastassero un viso e un tono decisi per far accettare al servo la realtà dei fatti ma in realtà non si illudeva di convincere Alucard a capitolare. Banalmente, il nosferatu aveva deciso di odiare il bambino e niente e nessuno l'avrebbe distolto da questo obiettivo. Infatti rincarò:

- Tua madre nemmeno lo voleva. L'ha detestato sin dall'inizio. Non ha neanche chiesto all'ostetrica se era maschio o femmina, se stava bene o meno, se era vivo o morto. Per lei, non esisteva. E' andata all'altro mondo senza neanche vederlo. -

Ogni frase rispondeva a verità, Arthur lo sapeva. Il giovane era stato l'unico, in tutta la villa, a non stupirsi per l'indifferenza della madre verso il secondogenito.

- Dev'essere il delirio della febbre. Forse non ricorda neanche di aver partorito. - si dicevano l'un l'altro i servi.

Il figlio li lasciava parlare. Capiva che l'infezione non c'entrava niente, così come capiva che le giustificazioni dei sottoposti servivano a loro stessi, per non scandalizzarsi di fronte a tanta indifferenza materna e mantenere la stima verso la propria signora.

Ma Alucard conosceva i desideri più reconditi della padrona. Arthur lo ricordò in salotto, seduto in poltrona, col cappello sul viso, mentre pareva che dormisse e invece ascoltava ogni parola del dialogo fra master e figlio su quell'indesiderato bambino. Il nuovo Sir Hellsing temé che il vampiro volesse esaudire i desideri di sua madre. Tentò un'altra difesa disperata:

- Mia madre aveva tutti i diritti di pensarla a quel modo, così come io ho il diritto di dissentire da lei. Il bambino è nato ed è vivo, ho il dovere di proteggerlo, ho il dovere di proteggerlo e tu devi lasciarlo in pace! -

Il viso di Alucard si addolcì. Che si fosse arreso? Arthur non riusciva a credere di averla spuntata e così alla svelta per di più!

Il servo cominciò a parlare con voce suadente:

- E' così facile sbarazzarsi di un neonato, master. Basta appoggiargli un cuscino sul viso. Nessuno se ne accorgerebbe. Penserebbero che sia morto nel sonno. Succede. Perché non esci da questa stanza e lasci fare a me? -

Il giovane sbatté le palpebre, incredulo. Forse stava sognando?Possibile che Alucard avesse davvero l'impudenza di avanzare una simile richiesta?

Il vampiro continuò, sempre suadente:

- Dai, esci. Lasciaci soli, io e lui. Tua madre sperava che morisse, perché non accontentarla? -

Non era un sogno, era la realtà e che Alucard usasse un tono di voce tanto dolce per parlare dell'omicidio di un neonato, di suo fratello, lo lasciò senza fiato per lunghi istanti.

Infine, tutta la paura e la rabbia suscitate da quella situazione si condensarono nella bocca di Arthur in tre semplici parole:

- Mi fai schifo! -

L'espressione innocua sparì dal volto del vampiro per lasciar posto ad una smorfia di disappunto:

- E va bene, tienilo se ti piace tanto! - ringhiò sprezzante - Ma ricorda che non era destinato a vivere. Porta sfortuna far venire al mondo chi non doveva nascere! -

- Sciocchezze! Bugie che stai inventando! Sei solo arrabbiato perché non ti ho...lasciato fare! -

- Porterà sfortuna a te e ai tuoi discendenti. - rincarò Alucard - Lo sento, lui ha la cattiveria nel sangue. -

- Come te? -

Il vampiro tacque. Si era fregato con la propria lingua.

- Esci e non rimettere più piede in questa stanza. Guai a te! -

Il nosferatu si smaterializzò lentamente, con un'espressione di disprezzo. Arthur si sedé stancamente su una sedia, scoprendo con stupore che stava tremando in tutto il corpo. Nonostante l'alterco, il piccolo Richard non si era svegliato. Il fratello maggiore gli tenne compagnia a lungo.


Integra interruppe la lettura. Anche lei si sentiva rimescolare dentro da emozioni contrastanti.

Se solo glielo avesse lasciato uccidere! “ fu il suo primo pensiero. Se suo padre avesse esaudito Alucard, lei non si sarebbe ritrovata a scappare e nascondersi per condotte e segrete, cercando disperatamente di salvare la vita.

Avvertì la paura salirle lentamente su per la schiena, con l'intenzione di impossessarsi di tutto il suo cervello. Strinse le palpebre e s'impose di non ricordare. Non voleva riprovare per l'ennesima volta quel terrore. Cantò a squarciagola per tenere la mente occupata, prima una canzone, poi un'altra e un'altra ancora finché non sentì di essere tornata padrona di se stessa e proprio allora la ragione snocciolò un altro pensiero: “ Non poteva lasciarglielo uccidere! “

Era ovvio. Suo padre non poteva permettere ad Alucard di soffocare un essere umano, per di più suo fratello e neonato!

Eh già, anche Richard era stato un neonato! Quella semplice constatazione stupì profondamente Integra.

Certo, aveva sempre saputo che tutte le persone nascono da una pancia ma forse perché non aveva istinti materni e i bambini piccoli e i cuccioli le suscitavano indifferenza, noia o fastidio, non aveva mai ragionato sulle implicazioni di quella banale verità. Ora, per la prima volta, si rendeva conto che anche i peggiori carnefici in origine erano stati neonati inermi, persino quell'assassino di Richard, persino quella belva di Alucard! Com'era possibile che da un bimbo innocuo si generasse un adulto spaventoso?

Ha il sangue cattivo! “ aveva detto Alucard di Richard Sarà stato vero? O era solo una menzogna? In fondo, come poteva sapere quale riuscita avrebbe avuto quell'infante?

Con una smorfia di fastidio, Integra si rese conto che anche lei avrebbe agito come il padre, salvando il piccolo Richard. Peccato che il Richard adulto, come tutti i carnefici, fosse a sua volta indifferente alla banale constatazione che anche le sue vittime, una volta, erano state neonati inermi, amati dai genitori, e facendo loro del male si accanivano anche contro il bambino che erano stati, e le famiglie che li avevano amati.

Un'indistinta tristezza s'impadronì di Integra. Era stanca e confusa. Pensò di smettere di leggere, poi si rese conto che le restava meno di mezza pagina per terminare il plico. Decise di proseguire, così si sarebbe tolta una volta per tutte quella fastidiosa lettera davanti agli occhi.


Arthur trascorse tutta la notte sveglio, nel suo studio, riflettendo sul da farsi. Doveva salvare il bambino dalle grinfie di Alucard e dai bombardamenti e trovargli una balia che lo accudisse.

Quando il vampiro entrò nella stanza era ormai l'alba e trovò il giovane in piedi, alla finestra, intento ad osservare il sorgere del sole senza guardarlo davvero, perso com'era nelle sue preoccupazioni.

Alucard si avvicinò, si inginocchiò e pronunciò:

- Order, my master. -

Arthur si riscosse dai suoi pensieri e abbassò lo sguardo sul servo. Avrebbe dovuto gioire di quel momento. Era l'atto di sottomissione con cui Alucard lo designava suo padrone. Peccato che con tutto ciò che era accaduto in quei giorni fosse così disfatto dalla stanchezza da non provare più emozioni.

Non riusciva neanche più a dolersi per sua madre, figuriamoci se poteva gioire per Alucard!

Di fronte a quel silenzio indifferente, il vampiro ripeté:

- Order, my master.-

- Sì, ho un ordine per te. - rispose stancamente il padrone - Non fare del male a mio fratello, mai. -

Fu la volta del mostro di fare silenzio. Evidentemente non si aspettava un ordine simile e adesso era combattuto fra l'ubbidienza al padrone che si era scelto e il voler continuare a perseguire il suo odio verso il neonato.

Il silenzio irritò il giovane che incalzò:

- Allora? Hai sentito il mio ordine? -

Nessuna risposta.

Con il cervello intorpidito dalla stanchezza, Arthur cercò di dare enfasi al suo comando:

- dovrai mai fare del male a mio fratello! Non gli torcerai un capello finché vivrò! -

Il vampiro alzò il viso verso di lui:

- Va bene, my master. -

Ad Arthur occorsero mesi per comprendere cosa davvero avesse promesso Alucard. Non avrebbe fatto del male a Richard finchè il padrone fosse stato in vita. Morto Athur, chissà cosa sarebbe successo.

Colpa della stanchezza che mi ha fatto scegliere le parole sbagliate! “ si rammaricò Sir Hellsing negli anni a venire ma in quel momento sentiva di aver vinto e si rilassò. Congedò il vampiro e si occupò di mettere in pratica il piano approntato durante la notte.

Ordinò al segretario di prendere informazioni su ogni famiglia di agricoltori che lavorava in una delle fattorie di proprietà degli Hellsing. Ne scovò una al confine con la Scozia in cui la madre aveva partorito da poco. Fece così condurre il piccolo Richard in quel luogo sperduto, risolvendo in un colpo solo il problema della balia e di salvarlo da eventuali bombardamenti. E anche di metterlo al sicuro da Alucard perché, nonostante fosse convinto di aver vinto, sentiva di non fidarsi fino in fondo del vampiro.

Senza più preoccupazioni per il bambino, Arthur poté dedicarsi interamente ad affrontare la guerra.


La lettera era terminata. Integra la rimise nella cassaforte. Adesso poteva cominciare a rileggere i diari di suo padre.

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Capitolo 15
*** La volpe, il lupo e i cani ***


Con l’inasprirsi del conflitto sul continente, sempre più uomini inglesi cominciarono ad essere chiamati alle armi. Arthur parlò più di una volta con il ministro della difesa ma l’unica promessa che riuscì a strappargli fu:

- Cercheremo di lasciarle il più a lungo possibile il suo piccolo esercito ma se la guerra si prolungherà non potrò esentarli. Riguardo al personale domestico, è molto più utile al fronte che a Villa Hellsing. -

A sottolineare ciò, pochi giorni dopo quell’ultimo incontro, giunse ad Hellsing Manor la lettera di arruolamento per il maggiordomo, il signor Simon K. Dorneaz.

Mentre il resto del personale esprimeva il suo cordoglio per la partenza di quell’uomo in là con gli anni, l’inappuntabile Simon chiese al padrone di potergli parlare di una “faccenda personale”.

Arthur restò sorpreso. In tanti anni che lo conosceva, il maggiordomo non aveva mai parlato con nessuno della sua vita privata. Mentre lo faceva accomodare nel suo ufficio, lontano da orecchie indiscrete, Sir Hellsing si rese conto di non conoscere quasi nulla dell’uomo che gli sedeva di fronte. Sapeva che sua moglie era morta sotto i primi bombardamenti di Londra. Sapeva che aveva un figlio. Nient’altro.

Anche per il riservatissimo maggiordomo non era facile entrare in argomento. Se ne stava a sedere davanti al padrone, a occhi bassi, sudando lentamente e da come cambiava continuamente posizione, si sarebbe detto che gli avessero messo dei chiodi sulla sedia. Finalmente prese coraggio e con esitazione parlò:

- Sapete che ho un figlio. Si chiama Walter. Ha dodici anni. Lui…mi preoccupa molto. -

Sir Hellsing annuì in silenzio. Tranquillizzato da quel gesto, Simon continuò con maggior determinazione:

- Una volta non era così. Nel senso, quando era piccolo non mi impensieriva, anzi! Era un bambino in gamba. Allegro, vivace, eppure studioso. Era il primo della classe, addirittura il miglior studente dell’intera scuola. Pensavo…pensavamo, io e mia moglie che non dovessimo preoccuparci per il suo avvenire. Avrebbe certamente fatto strada, sarebbe diventato qualcuno. –

Simon s’interruppe con un sospiro pieno di amarezza.

- Probabilmente siamo stati degli ingenui. Non tenevamo conto del resto del mondo. - mormorò a mezza voce.

Dopo un nuovo sospiro, ricominciò:

- Il quartiere dove abitiamo è rispettabile, nonostante si trovi vicino all’East End. Rispettabile e abitato solo da inglesi. Apposta per questo scelsi di prendere casa lì. Sapevo che sarebbe stato difficile vivere senza i miei connazionali intorno ma ero convinto che sarebbe stato un bene per Walter. Se volevo che mio figlio diventasse inglese, doveva vivere con gli inglesi. Invece il mio piano è funzionato solo a metà. Nel senso, mio figlio si sente inglese al cento per cento ma gli inglesi lo considerano ancora uno straniero. –

L’uomo pronunciò l’ultima frase con una tale amarezza da convincere che stesse contenendo il suo giudizio in quanto era in presenza di un britannico, per di più suo datore di lavoro. Se al posto di Sir Hellsing ci fosse un uomo di altra nazionalità, probabilmente Simon Dorneaz avrebbe sfogato la sua frustrazione con un bel po’ di invettive contro i sudditi di sua maestà.

Il padre deglutì parecchie volte, come se non volesse correre il rischio di parlare con voce incrinata. Quando riprese a narrare, era nuovamente padrone di sé:

- Eravamo…siamo tutt’ora gli unici stranieri nella nostra strada. Mi illudevo che i vicini ci avrebbero accettati. I primi tempi sarebbero stati difficili, lo sapevo ma noi eravamo una famiglia educata e silenziosa ed ero convinto che questo contasse qualcosa. Mi sono dovuto ricredere. Tutto ciò che gli altri vedevano erano i nostri capelli neri e il nostro cognome straniero. –

Sir Arthur cominciò a sentirsi un po’ a disagio. Non s’illudeva di essere diverso dai vicini di Simon K. Dorneaz e adesso toccava con mano la sofferenza che atteggiamenti come i suoi creavano. Cominciò a chiedersi se non doveva chiedere scusa al maggiordomo che da tanti anni dirigeva Villa Hellsing in modo encomiabile, senza lasciar trapelare niente del proprio disagio. Intanto il padre continuava a raccontare:

- Hanno le loro idee su di noi e in base a quelle ci valutano. Per esempio, non credono che sia il maggiordomo di una famiglia altolocata. Probabilmente pensano che sia lo stalliere o un cameriere ma di sicuro non il maggiordomo. Ma se per noi adulti è relativamente facile scrollarsi di dosso questi sospetti e continuare la nostra vita, per i bambini è tutto più difficile. I vicini sono sempre stati convinti che Walter non potesse essere bravo a scuola. Un figlio di immigrati deve per forza essere ignorante! Ricordo una scena talmente ridicola da non sapere se ridere o arrabbiarmi nel riferirla. Sa, la nostra è una via di frontiera, nel senso che è abitata sia da borghesi che da popolani e devo constatare con delusione che entrambe queste classi sociali ci sono state ostili allo stesso modo. Ecco, un giorno sorpresi il carrettiere che vive di fronte a noi correggere la pronuncia di mio figlio. Quell’uomo è analfabeta, parla cockney ma era certo di essere nel giusto pretendendo che Walter abbandonasse l’inglese corretto per usare la sua parlata sgangherata. Questo perché non ascoltava il mio bambino, che parla come un libro stampato, come gli viene insegnato a scuola. Il carrettiere guardava il mio bambino e giudicava che un piccolo straniero non potesse che parlar male. E a questo aggiungiamo che tutto il vicinato è certo che Walter non possa che essere un teppistello, destinato a diventare un delinquente da grande. Se nella nostra strada un sasso rompeva il vetro di una finestra o se al fruttivendolo rubavano una mela, tutti puntavano subito il dito contro mio figlio anche quando era palese che non poteva essere colpa sua perché a quell’ora era a scuola. –

Arthur non riuscì a trattenersi. Il disagio che provava era troppo. Con umiltà, disse:

- Mi dispiace per quello che avete passato. Per quel che può servire, mi scuso per l’incivile trattamento che vi hanno riservato i miei connazionali. -

La frase inaspettata imbarazzò il maggiordomo. Si era lasciato trasportare dal proprio sfogo, buttando fuori il dolore che da anni lo macerava dentro e di cui, fino ad allora, non aveva fatto parola ad anima viva. Si domandò se non avesse osato dire troppo in presenza del padrone. Arrossendo, rispose:

- Non si scusi, non ha colpa. Sa, finché era viva mia moglie, il problema non sussisteva. La mia Blanca riusciva sempre a risollevare il morale del nostro ragazzo. Lo faceva ridere mostrandogli l’assurdità, come il carrettiere analfabeta che pretendeva di correggerlo oppure dicendo “Sei più veloce di Superman perché in pochi secondi esci di scuola, prendi a sassate le finestre dei vicini e torni al tuo banco senza che l’insegnante e i compagni si accorgano della tua assenza”. Sapeva pure galvanizzarlo dicendogli che sarebbe diventato un uomo importante e allora tutti i vicini sarebbero improvvisamente diventati nostri amici. “Gli farai vedere chi è Walter C. Dorneaz “ diceva ma poi è morta sotto una bomba tedesca. –

Il vedovo fece una pausa commossa. Inspirò profondamente per impedirsi di piangere. Quando fu certo di aver ripreso il controllo sulla propria voce, ricominciò:

- Dopo la morte di Blanca, ho sistemato il mio ragazzo presso dei parenti ma è scappato e ha preso a bazzicare l’East End. Allora l’ho alloggiato presso degli amici ma è fuggito anche da lì. Quando gli chiesi perché si comportasse così, perché avesse lasciato la scuola e vivesse per la strada, mi rispose “A che mi serve essere bravo, corretto e studioso? Tanto per gli altri sono solo un vandalo. Visto che quando si rompe un vetro accusano me, tanto vale che sia davvero io a sfondare le finestre”. Ho cercato di parlargli come faceva sua madre ma non ho le capacità di mia moglie. Così, ormai da due anni, la situazione è questa. Durante il mio giorno libero vado a recuperare mio figlio dai bassifondi, lo riporto a casa, lo obbligo a lavarsi, a indossare degli abiti puliti, gli dò una cena e il suo letto. Prima di tornare qui gli lascio dei soldi, con cui vivere per qualche altro giorno lontano dalla strada. Ma adesso è arrivata la lettera di arruolamento e questo complica tutto. So che non uscirò vivo da questa guerra ma non temo per me che ho già vissuto abbastanza ma per mio figlio. Cosa ne sarà di Walter? Rimarrà solo. Si unirà alle bande di strada finché non verrà arrestato. Entrerà e uscirà dal riformatorio. Morirà giovane per una coltellata. Non merita questa fine. Merita una seconda possibilità. In fondo, è un ragazzino così in gamba con così tante potenzialità… -

Arthur capì due cose: il vecchio Simon K. Dorneaz voleva che prendesse il figlio sotto la sua ala protettiva ma non trovava il coraggio per chiederglielo esplicitamente. Il giovane Sir Hellsing era inquieto ad assumersi un incarico del genere: in fondo, non aveva spedito il fratellino in campagna, presso la balia anche per eludere le responsabilità che educare comporta? E adesso si pretendeva che prendesse a cuore le sorti di un ragazzino che non era nemmeno suo parente, appartenente ad una classe sociale inferiore, che bazzicava l’East End e Dio solo sa cos’era capace di fare. Fu tentato di proporre al maggiordomo di inviare anche suo figlio in campagna, presso la famiglia che già allevava Richard ma subito scartò l’idea. Dorneaz si fidava di lui, il suo padrone, non di gruppo di estranei. E considerando quanto aveva fatto il vecchio Simon per la sua famiglia, Arthur comprese di avere il dovere di ricambiare, non foss’altro che per stare in pace con la propria coscienza.

A malincuore, consapevole di stare per cacciarsi in un grosso guaio, Sir Hellsing disse:

- Le andrebbe bene se vegliassi su suo figlio finché non tornerà dal fronte? Ovviamente verrà a vivere qui, ad Hellsing Manor. Occuperà la sua stanza e potrebbe aiutare lo stalliere nel suo lavoro. Vada a prenderlo subito, così avremo modo di sistemarlo prima della sua partenza. -

 

Con passo svelto, Simon K. Dorneaz attraversò il rispettabile quartiere in cui viveva. Per la prima volta in vita sua, non salutò con un cenno del capo i suoi scontrosi vicini. Indipendentemente che ricambiassero o meno, il signorile maggiordomo aveva sempre compiuto il suo dovere di buon vicinato.

Quel giorno però aveva troppa fretta di trovare suo figlio e portarlo al sicuro a Villa Hellsing per voler perdere tempo con le cortesie. “Inutili cortesie” pensò con amarezza. Fu così che i vicini osservarono stupefatti “lo straniero” (così l’avevano sempre chiamato) tirare dritto per la sua strada. Increduli, si lanciarono l’un l’altro sguardi increduli: cos’era accaduto a quell’uomo? Mai l’avevano visto comportarsi così fino ad allora.

Simon sapeva dove cercare il suo prezioso bambino. Dopo aver controllato nei pochi posti del loro quartiere in cui Walter ogni tanto bazzicava, si diresse con decisione verso l’East End. Si lasciò guidare dagli strepitii delle bande dei ragazzi. Prima o poi, in mezzo a loro, l’avrebbe trovato.

 

Lo chiamavano “Hank lo Storpio” perché in guerra aveva perso una gamba fino all’attaccatura della coscia. Come ricompensa per il suo sacrificio, la Patria riconoscente gli aveva assegnato una medaglia al valore per poi abbandonarlo a se stesso.

Incapace di trovare lavoro con la sua mutilazione, impossibilitato a pagare l’affitto, Hank lo Storpio si ritrovò in mezzo alla strada, campando di quel poco di elemosina che riusciva a racimolare, bevendo poi il magro guadagno nel tentativo di scordare quanto si sentiva stupito per aver servito onorevolmente la Patria.

Purtroppo per lui i ragazzacci del quartiere si sentivano in dovere di rovinargli quei beati stordimenti. Già da sobrio era la vittima preferita dei loro scherzi crudeli ma il timore di farsi male con un colpo ben assestato della stampella di Hank li spingeva a non accanirsi troppo sul mutilato. Da ubriaco però diventava una gelatina traballante e vulnerabile, rendendo i bulli più audaci.

In quel momento il povero Hank, scivolato sul selciato, stava strisciando per raggiungere la sua stampella. Un ragazzino si era già chinato, lesto ad afferrarla e fuggire per continuare il crudele scherzo ma un ceffone dietro la testa bloccò il suo piano. Si voltò, pronto a picchiare l’incauto che aveva osato sfidarlo ma lasciò cadere i pugni lungo i fianchi quando si accorse che l’aggressore era Simon K. Dorneaz, suo padre.

Il maggiordomo afferrò il figlio per un polso, trascinandolo via dallo squallido spettacolo. Il resto della banda, vedendo l’amico portato via, abbandonò Hank lo Storpio (che finalmente poté riappropriarsi della stampella) decidendo che in quel momento canzonare Walter era molto più spassoso.

- Torni a casa con paparino, piccolo Walter? -

- Mi raccomando, fai il bravo bambino e non disubbidire. -

- E torna qui lavato e profumato. -

Walter rispondeva agli sfottò lanciando insulti, sputi e pedate mentre Simon, indifferente allo schiamazzo, tirava dritto per la sua strada a testa alta e con lo sguardo rivolto in avanti. Dopo una decina di minuti la banda si stancò dell’inseguimento e tornò indietro, nella speranza di ritrovare Hank lo Storpio mentre i due Dorneaz uscivano dall’East End. Walter, con sua sorpresa, si accorse che non si stavano dirigendo verso casa.

- Dove mi stai portando? - chiese al genitore.

- Mi è giunta la cartolina di arruolamento. Ho concordato col mio padrone che finchè starò sotto le armi, tu rimarrai a Villa Hellsing. Stiamo andando alla stazione degli autobus per prendere la corriera e andare lì. -

 

Appena arrivati, il padre condusse il figlio dal principale ma subito si pentì di quella decisione. Meglio sarebbe stato aspettare che Walter, pulito e rivestito, potesse sfoggiare un aspetto migliore.

Sir Arthur dal canto suo fece del suo meglio per rimanere impassibile ma intuiva che la delusione gli si leggesse sul viso. Lo capiva dall’imbarazzo crescente di Simon e dall’espressione di sfida del marmocchio. Ma come poteva restare indifferente quando il ragazzino era in condizioni molto peggiori di quanto potesse immaginare?

La giacca decisamente troppo larga e i pantaloni che gli giungevano alle caviglie erano evidentemente stati donati (o sottratti?) da due diverse persone. L’intera persona del ragazzetto, dalla pelle, alle unghie, al berretto che stringeva fra le mani,  ai vestiti, era coperta da uno strato di sudiciume così spesso da conferirgli un colorito opaco.

- Lo porti pure in camera vostra, Simon. Lo faccia lavare, cambiare e lo conduca in cucina dove la cuoca ha già preparato un pasto per lui. Una volta sazio, potrà prendere servizio presso Maycomb. - li congedò il giovane Hellsing.

 

Il fuoco che ardeva nel piccolo caminetto della stanza del maggiordomo era lì lì per spegnersi, soffocato dalla quantità di roba che gli era stata buttata dentro. Bruciavano fra le fiamme i vestiti lisi e pieni di cimici di Walter, le sue scarpe sfondate, i fogli di giornale che aveva annodato con lo spago intorno al torace per creare un altro strato con cui difendersi dal freddo, le ciocche di capelli infestate dai pidocchi.

Il dodicenne, mentre indossava i vestiti puliti e le scarpe integre forniti al personale, inveiva contro il padre. Era arrabbiato per essere stato rasato a zero e strigliato come un bimbo piccolo. Aveva la pelle rossa e pruriginosa da quanto era stato energico il lavaggio impartitogli dal genitore.

 - Ti conviene acquietare la tua ira il prima possibile. Finchè continuerai a inodarmi di parolacce non ti condurrò in cucina. - spiegò Simon.

Lo stomaco di Walter ebbe la meglio sul suo orgoglio. In cucina, la cuoca gli mise davanti una ciotola fumante di zuppa. La fame arretrata del ragazzino era troppa per avere la pazienza di sfamarsi una cucchiaiata dopo l’altra. Sotto lo sguardo sconvolto della cuoca, mentre un Simon imbarazzato fingeva di non avvedersene, Walter prese con le mani la ciotola e la trangugiò in poche sorsate.

 

Subito dopo essere stato sfamato, Walter fu condotto dal padre nelle stalle della villa.

-  Lui è il signor Maycomb e sarà il tuo diretto principale. - spiegò il maggiordomo al figlio, presentandogli l’anziano stalliere.

Dopodiché Simon K. Dorneaz tornò alle sue incombenze e il vecchio Maycomb mise un rastrello in mano al ragazzino, ordinandogli di pulire la stalla. Walter obbedì di malavoglia, soprattutto perché il vegliardo, anziché aiutarlo, andò a sedersi sulla soglia, per godersi il sole del pomeriggio fumando la pipa.

“ Sta’ a vedere che questo vecchio imbecille pensa di scaricare addosso a me tutte le sue fatiche! “ pensò con rancore il ragazzo, guardando con rabbia la schiena dell’anziano.

Nonostante ciò, il giovane Dorneaz lavorò con lena e quando si fermò a riposare, scoprì con stupore di non essere solo nella stalla. Era certo che quando era entrato, a parte i cavalli, non ci fosse nessun’altro quindi da dov’era sbucato quel tizio col cappotto rosso? Dalla parete, come i fantasmi?

Il tizio accarezzava i fianchi di un cavallo allo stesso modo con cui un contadino controlla che il coniglio sia abbastanza ingrassato da poterlo cucinare.

-  Vuoi mangiarlo? - motteggiò Walter.

- No, vorrei berlo ma non mi è permesso. - fu l’enigmatica risposta.

L’uomo in rosso lasciò perdere il cavallo e si avvicinò al dodicenne, scrutandolo attentamente:

-  Ecco perché mi hai rivolto la parola. Sei nuovo. -

- Sono arrivato stamattina, sono il figlio del maggiordomo. -

- E tuo padre ha deciso che devi fare la gavetta cominciando dal gradino più basso della servitù, spalando letame? -

Walter si accese come una miccia:

- Non sto facendo nessuna gavetta e non sarò il servo di nessuno! -

Il vecchio Maycomb, udendo la voce alterata dell’aiutante, si girò per controllare cosa stesse accadendo. Vedendo Alucard di fronte al ragazzino, con tutta la velocità consentitagli dalla sua sciatica e dai suoi settant’anni, corse a pararsi in mezzo ai due:

- Demonio sputato fuori dall’inferno, lascia stare in pace il ragazzo! - tuonò l’anziano, agitando un pugno tremolante sotto al naso del colosso.

- Oh, che minaccia spaventosa! - ghignò Alucard.

Per nulla scalfito nella sua furia, lo stalliere continuò:

- Azzardati a spaventarlo con i tuoi scherzi o a fargli uno dei tuoi discorsi scandalosi e lo dico a Sir Arthur! -

Il ghigno di Alucard si allargò ancora di più. Senza rispondere, uscì dalla stalla con passo flemmatico. Stupito dalla reazione del vecchio Maycomb, Walter chiese:

- Chi è quello? -

- Uno da cui è meglio stare alla larga. - rispose lo stalliere, guardando con astio il cappotto rosso allontanarsi.

 

Quella sera, sdraiato sul letto del padre, Walter osservò il genitore preparare il bagaglio.

Il maggiordomo, pur con la flemma che lo contraddistingueva, parlò ininterrottamente. Cercava di impartire al figlio quanti più consigli, ammonimenti e lezioni di vita, consapevole che quella era l’ultima occasione in suo possesso per salvarlo.

Benchè Walter fosse seccato da tutte quelle paternali, se le sorbì docilmente dato che voleva far partire il padre quanto più sereno possibile. Fece così un sacco di promesse che in realtà non voleva mantenere, come ubbidire a quell’ Ottuso Spilungone Biondo di Sir Arthur, essere cortese con tutti gli adulti della villa, tenersi lontano dai guai e non commettere la sciocchezza di scappare perché un’occasione come quella non sarebbe ricapitata. Dentro di sé il ragazzino si chiese quanto sarebbe durata quella filippica quando il padre se ne uscì in un discorso che non si aspettava:

- In questa villa c’è un tizio di nome Alucard. Lo riconoscerai subito perché indossa sempre un cappotto rosso. Stai lontano da lui, è pericoloso. –

Simon K. Dorneaz era una persona educatissima e mai aveva mancato di chiamare “signore” e “signora” anche le persone di più infimo rango. Era la prima volta in vita sua che Walter udiva il genitore definire qualcuno “tizio” e ciò lo lasciò senza fiato, né più né meno che se lo avesse udito bestemmiare. Cosa poteva mai fare questo Alucard di tanto inaudito, per meritare un simile disprezzo da parte di suo padre?

- Pericoloso? In che senso? – azzardò il figlio, ancora meravigliato.

Simon K. Dorneaz interruppe i suoi preparativi e fissò un punto indefinito sul muro. Aveva bisogno di raccogliere le idee. Finalmente parlò:

- Ammetto che nessuno di noi domestici ha subito danni da quel tizio. Non posso dire che ci abbia picchiato, insultato o che abbia insidiato le cameriere però c’è qualcosa di sinistro in lui. Spesso compare dal nulla alle nostre spalle, quasi fosse un fantasma che possa attraversare le pareti e ogni volta ghigna soddisfatto della nostra paura. Altre volte fa discorsi strani sulla morte e l’eternità che inquietano i sempliciotti come Maycomb. Per tutte queste ragioni lo temiamo e stiamo alla larga da lui. Inoltre non riusciamo a capire il suo legame con i padroni. Non è né un parente né un amico degli Hellsing eppure ha con loro una confidenza straordinaria. Inoltre qual è il suo ruolo in questa casa? Non è un servo e non appartiene alla guarnigione. Davvero, non riusciamo a capire chi sia e cosa faccia. –

Il maggiordomo riprese a fare i bagagli e continuò a raccontare:

- Le guardie della villa odiano quel tizio. Noi domestici abbiamo l’impressione che sappiano qualcosa sul suo conto ma non ce ne mettano al corrente. Evidentemente non ci ritengono all’altezza dei loro segreti. Le guardie sono così figliolo, non capiscono di essere dei sottoposti come me o te, credono di essere una spanna sopra di noi. Comunque non è di questo che voglio parlare, adesso. A un miglio dalla magione c’è un villaggio, dove andiamo a rifornirci di quanto serve. Un giorno, il proprietario dell’emporio mi raccontò che ogni vent’anni gli Hellsing licenziano in tronco l’intera servitù per assumerne di nuova. Tornato alla villa, chiesi a una guardia se quella storia fosse vera. Me ne confermò la veridicità e con uno strano sorriso aggiunse che la colpa era di Alucard “Sennò scoprireste che non invecchia mai” disse. Ovviamente credetti mi prendessi in giro perché nessuno può rimanere eternamente giovane. Eppure ammetto che a volte, quando spunta all’improvviso alle mie spalle in un corridoio semibuio e mi trovo solo con lui, vengo afferrato da una tale inquietudine da pensare che la guardia dicesse la verità. Forse è davvero possibile vendere l’anima al diavolo e Alucard l’ha fatto. Per tutti questi motivi voglio che tu stia alla larga da quel tizio, porta solo guai. –

Dopo quanto aveva raccontato il padre, Walter era sempre più incuriosito da Alucard ma nuovamente, per farlo partire tranquillo, fece una promessa che non aveva voglia di mantenere: sarebbe rimasto alla larga dall’uomo col cappotto rosso.

 

Il mattino seguente, padre e figlio si ritrovarono l’uno di fronte all’altro. Era il momento dell’addio.

Simon K. Dorneaz aveva un groppo in gola. Il suo bambino era lì e avrebbe voluto abbracciarlo, accarezzarlo, baciarlo, consapevole che non l’avrebbe più rivisto ma Walter, con perfetto aplomb britannico, allungò un braccio, offrendogli una stretta di mano. Per il padre fu come ricevere un pugno allo stomaco; con quanto distacco si congedava suo figlio!

Il maggiordomo avrebbe voluto urlare:

- Non restare lì impalato! Siamo latini! Noi mediterranei non ci vergogniamo ad abbracciarci e baciarci sulle guance tra padre e figlio! –

Invece rimase zitto, consapevole che fosse anche colpa sua. Da quando Walter era nato, aveva fatto di tutto perché il figlio si comportasse e ragionasse come un anglosassone, convinto che ciò fosse indispensabile per assicurargli un futuro proficuo. Quindi come poteva, adesso, pretendere che il ragazzino buttasse via un sentire ormai connaturato per gettarsi fra le sue braccia come un qualsiasi europeo meridionale?

Doveva rispettare il commiato del figlio ma siccome il dolore che provava era grande, non potè fare a meno di esclamare:

- Se solo fossimo rimasti a Gibilterra! –

Sì, se fossero rimasti a Gibilterra, Walter l’avrebbe abbracciato stretto, la sua Blanca sarebbe ancora viva e forse lui non sarebbe dovuto partire per il fronte.

Il figlio a quell’esclamazione trasalì. Perché suo padre rimpiangeva Gibilterra? Lui era orgoglioso di essere inglese e i suoi genitori non avevano forse fatto di tutto per diventare britannici? Non ricordava da parte loro commenti nostalgici per la terra natìa.

L’esclamazione del padre fece mancare la terra sotto i piedi del ragazzino. Sembrava che improvvisamente per Simon Dorneaz tutti gli sforzi compiuti per fare di sé e della propria famiglia dei perfetti sudditi di Sua Maestà non avessero più valore, anzi fossero addirittura deprecabili. La fatica di una vita spazzata via con una sola frase!

L’uomo vide lo smarrimento nello sguardo del figlio e si dispiacque della confusione che le sue parole avevano instillato in Walter. Tornò padrone di sé. Strinse con vigore la mano del ragazzino.

- Stammi bene. - disse e Walter annuì.

Poi il padre prese il bagaglio e si avviò. Solo quando Simon era ormai lontano, Walter si rese conto di non aver ricambiato il suo saluto. Avrebbe potuto contraccambiare lo “stammi bene” con uno “stai attento!” di cui suo padre aveva certamente bisogno.

Di quella dimenticanza, Walter C. Dorneaz se ne rammaricò tutta la vita.

 

Walter si buttò anima e corpo nel lavoro, tentando di non pensare ma ogni sforzo fu vano. Era consapevole che suo padre sarebbe morto, troppo anziano e troppo onesto per sopravvivere al fronte. Proprio così: troppo onesto. Non avrebbe cercato di sfangarla accampando malori immaginari o altre scuse plausibili. Avrebbe compiuto il suo dovere, finendo certamente ammazzato.

“Fesso!” pensò con rabbia Walter, pur sapendo che non lo era. Provò ira anche verso se stesso. Forse aveva sbagliato a stringergli la mano. Forse avrebbe dovuto abbracciarlo. Ma che ne sapeva lui di come ci si congeda da un padre che parte per la guerra?

Aveva immaginato che gli altri ragazzi della banda si sarebbero accontentati di una stretta di mano, decidendo di imitarli. Probabilmente però il padre avrebbe desiderato un saluto più caloroso. E quella frase su Gibilterra, che sapeva tanto di rimprovero e condanna!

Dolore e ira crebbero di ora in ora nel dodicenne, acuiti dal fatto che andatosene suo padre, tutti i servi della villa avevano cominciato a trattarlo con più durezza. I rimproveri erano continui e sprezzanti, le pretese di scaricare addosso all’ultimo arrivato lavori che toccavano agli altri infinite.

Nessuna compassione verso il ragazzino che poteva già considerarsi orfano. All’opposto, chi poteva approfittarsene lo faceva senza scrupoli. Ormai Walter era senza protezione e nessuno avrebbe dovuto rispondere della propria spregevolezza.

Giunto alla sera, il ragazzino sentiva di essere prossimo ad esplodere come una bomba. Stava spazzando uno dei corridoi della villa quando vide incedere Alucard. Ripensò a quanto fosse detestato da tutti e un’idea gli balenò in mente: se avesse fatto a botte con lui, nessuno l’avrebbe sgridato. Avrebbe potuto accampare la scusa di essere stato provocato dall’uomo in cappotto rosso e tutti gli avrebbero creduto.

Mentre Walter fremeva, indeciso se attuare o meno il piano, Alucard si fermò, lo scrutò con occhio clinico ed emise la diagnosi:

- Devi scazzottarti con qualcuno sennò scoppi. Avanti, fatti sotto! –

Walter non se lo fece ripetere. Con un urlo animalesco caricò a testa bassa, convinto di ottenere la meglio. Grande fu il suo stupore quando la testa batté contro una pancia durissima. Sentì il collo dolergli per il contraccolpo. Che cacchio di muscoli aveva quel bastardo?

Non demorse e cominciò a tempestare di pugni gli addominali di Alucard, senza accorgersi del grido impaurito della cameriera alle sue spalle che scorta la rissa, era corsa ad avvertire il padrone.

Il vampiro si lasciò prendere a cazzotti nello stomaco con pazienza, senza reagire, permettendo al dodicenne di scaricarsi finché, avvistato Arthur in fondo al corridoio, decise di mettere fine alla “terapia”. Con una sola sberla mandò al tappeto Walter.

Il ragazzino tentò invano di rialzarsi. Il ceffone l’aveva preso in pieno sull’orecchio ed era stato così forte da fargli perdere l’equilibrio. Il timpano fischiava dolorosamente e il mondo ondeggiava davanti ai suoi occhi. Confusamente, avvertì la voce di Ottuso Spilungone Biondo, alias Sir Hellsing, che da un punto lontano alle sue spalle chiedeva con voce minacciosa cosa stesse succedendo.

- Colpa mia. - mentì Alucard - Mi sono divertito a stuzzicare lo sguattero e ha reagito. –

Walter si arrese: non era assolutamente in grado di reggersi sulle gambe. Si lasciò cadere dolorosamente a terra, constatando come persino in quella posizione il mondo continuasse a vorticare intorno a lui. Provava la sgradevole sensazione di sprofondare giù, sempre più giù, come se scivolasse in un burrone senza fine.

Ottuso Spilungone Biondo intanto li aveva raggiunti. Lo capì perché udì la sua antipatica voce proprio sopra di sé:

- Portalo in camera sua e vieni nel mio ufficio! – minacciò, rivolto ad Alucard.

Sempre più stordito da quello che gli pareva un ronzante nido di vespe dentro la sua testa, Walter si sentì afferrare e sollevare.  Alucard se lo caricò sulle spalle quasi fosse un agnellino e salì le scale per condurlo alla camera di Simon Dorneaz. Il dodicenne tentò di farfugliare terribili minacce, come il suo ruolo di delinquentello di strada richiedeva.  Con un ghigno divertito, Alucard rispose:

- E’ così che mi ringrazi? Ti ho fatto sfogare, ti ho difeso davanti al master e adesso scendo nel suo ufficio a prendermi tutta la responsabilità. Sei un moccioso terribile. Proprio com’ero io alla tua età. –

Il vampiro spalancò la porta della camera con un calcio poi, di malagrazia, scaricò il ragazzino sul letto. Walter si sentì più nauseato di prima. Mentre gli sembrava di sprofondare dentro il materasso, rantolò:

- Te la farò pagare. -

- Certo, certo. – ghignò Alucard e chiuse la porta.

 

Walter viveva per la strada già da due anni e il confronto con la precedente esistenza randagia gli consentiva di valutare i pregi e i difetti dell’abitare dentro villa Hellsing.

Era senz’altro un pregio dormire in un letto anziché in un giaciglio di fortuna; disporre di coperte, soffitto e pareti che proteggevano dalle intemperie; potersi lavare e indossare vestiti puliti gli restituirono la dignità di sentirsi alla pari con gli altri.

L’aspetto migliore comunque era senz’altro mangiare. Nonostante il resto del personale, meschinamente, riservasse all’ultimo arrivato porzioni risicate, queste restavano comunque più abbondanti di qualsiasi pasto Walter avesse consumato in mezzo alla strada. Il figlio del maggiordomo ricoprì alla svelta le sue povere ossa sporgenti di carne e muscoli e il viso scavato tornò liscio e tondo.

La vita di strada, pur con tutte le sue difficoltà, offriva comunque un grande pregio: le regole da rispettare erano poche, basilari e chiaramente improntate a garantire la sopravvivenza.

Dentro la magione degli Hellsing, da questo punto di vista, regnava il caos o per essere più esatti, questo era il punto di vista di Walter. Le regole erano tante, complicate e orientate a garantire concetti astratti come l’ordine o il decoro. “Inutili orpelli” li giudicava il figlio del maggiordomo che quindi tendeva a saltarli a piè pari e non comprendeva perché gli altri abitanti della villa si scaldassero tanto davanti alle sue mancanze.

- Che avrò fatto mai di tanto grave! – rispondeva il giovane Dorneaz di fronte ai rimproveri scandalizzati degli adulti, senza capire che le sue repliche infrangevano un’ulteriore regola, l’obbedienza silenziosa a chi è gerarchicamente superiore.

Dato che Walter era il più giovane e l’ultimo arrivato, ne conseguiva che tutta la servitù aveva il potere di sgridarlo. Il suo rispondere ai rimproveri accendeva quindi l’animo di tutti i presenti che infierivano ulteriormente con i rimbrotti, scatenando l’ira del ragazzino. Ne scaturivano violenti litigi a cui gli adulti, oltraggiati, ponevano fine con le botte.

Il piccolo Walter non era però sopravvissuto alla strada buscandole mansuetamente. Alle sberle replicava con i calci ma ciò faceva accorrere in massa i servi, vogliosi di domare il teppistello. Uno contro tanti era al di là delle forze di Walter a cui quindi non restava che raggomitolarsi, pararsi la testa con le mani e in quel modo proteggersi dalla gragnuola di colpi.

Infine, non contenta di averlo menato a dovere, la servitù correva a far la spia a Sir Hellsing, raccontandogli di quanto fosse sfrontato il figlio del maggiordomo. Il padrone convocava allora il ragazzino che faticava a rimanere dritto di fronte a lui, dolorante com’era. Squadrandolo con freddezza dall’alto in basso, indifferente di fronte ai suoi lividi, con voce gelida Arthur ammoniva: 

- Ho promesso a tuo padre di tenerti sotto il mio tetto ma è tuo dovere rigare dritto. In caso contrario, mi sentirò sciolto da ogni vincolo e ti rispedirò da dove sei venuto. –

Walter non replicava, temendo di buscarne ancora ma non impediva ai suoi occhi di squadrare con disprezzo il giovane Hellsing.

Ottuso Spilungone Biondo!

Cosa ne sai tu della vita? Niente!

Sei convinto che rimandarmi in mezzo alla strada sia una minaccia. Non hai capito che lì so come cavarmela. Ho la mia banda, con i suoi riti di fratellanza e i suoi luoghi sicuri in cui nascondersi. Non ho paura di tornare al mio quartiere. Anzi, mi piacerebbe maledettamente rientrare nel mio East End ma anch’io ho fatto una promessa a mio padre.

Credi che mi diverta a star qui prigioniero? Se potessi fare di testa mia, rimarrei in questa villa solo qualche giorno, giusto il tempo di rimpinzarmi di un po’ di cibo. Poi scapperei via con addosso l’abito nuovo e le scarpe che mi avete dato, con in tasca un bel po’ dei vostri soprammobili d’argento da rivendere non appena arrivato alla mia strada. Solo questi sono i guadagni che posso trarre da questa prigione.

Invece resto qui a faticare, a inghiottire il vostro disprezzo, senza nemmeno ricevere uno stipendio e tutto perché ho giurato a quel povero vecchio di mio padre che non sarei scappato, per farlo partire tranquillo. E’ quello che farò: resterò qui finché la mia pazienza me lo consentirà, dopodiché vi manderò tutti al diavolo!

 

Dopo una decina di giorni di quell’andazzo, Walter comprese che doveva porre un freno al suo orgoglio se non voleva essere preso a cinghiate tutti i giorni. Imparò così a rispondere sì a tono a quegli adulti ostili ma appena notava che cominciavano a scaldarsi troppo, chiudeva la bocca, risparmiandosi così una scarica di legnate.

Dato che non voleva darla vinta ai suoi nemici, Walter aveva escogitato un espediente per non instillare loro l’idea che stesse arrendendosi. Se ne usciva con una frase piena di parole gentili ma pronunciata in tono screanzato:

- E adesso mi scusi, caro signore ma devo continuare con il mio lavoro. –

Il che era vero. Il figlio di Simon Dorneaz non faceva altro che lavorare da quando Maycomb lo svegliava presto e bruscamente al mattino a quando si coricava, sfinito e altrettanto presto, la sera.

Ufficialmente era l’aiuto-stalliere e avrebbe dovuto occuparsi solo dei cavalli e della stalla. In realtà Maycomb prestava volentieri il garzone a qualsiasi collega lo chiedesse. Fu così che nel giro di pochi giorni dal suo arrivo, Walter diventò il tuttofare della villa. Ogni domestico, uomo o donna che fosse, imparò presto a scaricare le mansioni più sgradevoli e faticose sul ragazzino.

Le pause che la servitù di Hellsing Manor si concedeva nella vasta cucina, comodamente seduta intorno al grande tavolo a conversare e bere il tè, divennero sempre più lunghe e frequenti dato che avevano trovato chi, al loro posto, dovesse caricarsi di secchi d’acqua, fascine di legna e sacchi di carbone su e giù per le scale della dimora.

In cambio di questo surplus di fatica, Walter non riceveva in cambio nemmeno un “grazie”. Anzi, pareva che per quegli adulti seduti a ridere e scherzare l’opera del dodicenne non andasse mai bene. C’era sempre qualcuno che aveva qualcosa da criticare, anche quando il piccolo Dorneaz era sicuro di non aver commesso errori, di aver lavorato meglio di tutti quegli adulti messi insieme che adesso lo guardavano torvi. Erano questi i momenti in cui per il ragazzino costituiva uno sforzo enorme tacere e non replicare.

“Sei lento!” “Quanto c’hai messo?” “Batti la fiacca! Io invece alla tua età ero instancabile!” “Non vorrai farci credere che sei stanco? Per così poco? Vai a finire il tuo lavoro nella stalla, scansafatiche!”

Frasi pronunciate da gente che era il ritratto della pigrizia e chi non partecipava al rimprovero collettivo bisbigliava chissà quali malignità all’orecchio di chi gli era seduto accanto che replicava annuendo convinto.

Il ragazzino usciva dalla cucina ribollendo d’ira. Immaginava di cosa avrebbero parlato, una volta che fosse sparito dalla loro visuale: com’era possibile che l’encomiabile Simon K. Dorneaz avesse un figlio tanto degenere?

A dire il vero anche Walter se lo chiedeva spesso, nonostante non l’avrebbe mai confessato a voce alta. Pensava a suo padre, così elegante nella sua divisa da maggiordomo, sempre padrone di sé in ogni circostanza e lo confrontava con quel che la strada aveva fatto di lui, un teppistello sporco e volgare, Che umiliazione doveva essere per il suo povero vecchio, ritrovarsi con un figlio simile!

Gli altri però non dovevano permettersi di fare simili allusioni. Come osavano ficcare il naso nelle faccende della famiglia Dorneaz? Non li riguardava!

Walter giungeva alla stalla e si buttava a lavorare con lena, nonostante la fatica, tentando in quel modo di smaltire la rabbia che lo divorava.

“Servi!” pensava intanto.

“Servi!” si ripeteva ancora e ancora, dando a quella semplice parola un tale connotato di disprezzo da renderla il peggiore degli insulti.

 

Agli occhi di Walter, non era servo chi faceva un lavoro servile ma chi si mostrava meschino, ottuso e vigliacco. Suo padre, per esempio, non era mai stato servile. Aveva sempre ammirato la signorilità d’animo di Simon, capace di parlare e comportarsi educatamente anche con chi non lo meritava, come i loro vicini di casa.

Quei maledetti vicini! Servi anche loro e della peggiore specie! Non importava se di lavoro fossero negozianti o impiegati, il loro animo era persino più meschino di quello di Maycomb e colleghi.

Anche se non l’avrebbe mai ammesso, a Walter sarebbe piaciuto emulare il suo vecchio. Essere sempre padrone di sé, mantenere la calma anche nelle situazioni critiche, proprio come lui. Per il figlio era così difficile scindere l’uomo dal lavoratore da convincersi che fosse impossibile possedere le qualità del padre senza condividerne anche il mestiere. Ma come poteva sperare di diventare maggiordomo lui, un ragazzetto di strada? No, meglio abbandonare i sogni. Non avrebbe mai potuto emulare Simon K. Dorneaz. Meglio ripiegare su qualche mestiere alla sua portata, tipo il delinquente nell’East End.

 

- Perché il Sir ha tutte queste guardie armate? Cosa se ne fa? –

- Sono i suoi guardiacaccia. Tengono i bracconieri lontani dalle sue tenute. – rispose Maycomb.

- Che senso ha tenere dei guardiacaccia nel parco di una villa? - Incalzò Walter

- Certe volte li presta ad altri nobili. Allora i guardiacaccia spariscono per giorni e poi ritornano. -

- Ma non sarebbe più sensato tenerli sempre nei boschi? –

Maycomb fece spallucce:

- I nobili sono eccentrici. –

Spiegazione, questa, condivisa col resto della servitù. Di fronte ad ogni comportamento illogico del loro datore di lavoro (e di stranezze, in casa Hellsing, ne succedevano parecchie) tutti, dalla governante all’ultimo dei giardinieri, se ne uscivano con questa scusa della presunta eccentricità degli aristocratici. L’importante era ricevere vitto, alloggio e stipendio e se in cambio dovevano chiudere entrambi gli occhi e spegnere il cervello, lo facevano senza problemi.

Per Walter era diverso. Non rischiava nulla indagando su quei misteri. A differenza del resto del personale, atterrito all’idea di perdere il lavoro e finire sotto un ponte, per il giovane Dorneaz il licenziamento non costituiva un dramma. Dalla strada era venuto e alla strada sarebbe tornato. Sapeva come cavarsela quindi non aveva motivo di indossare i paraocchi e spegnere il cervello come i suoi colleghi.

Inoltre, nella piatta esistenza che conduceva nel maniero degli Hellsing dove non faceva altro che sgobbare, coricarsi presto e svegliarsi ancora più presto, ragionare sulle stranezze che lo circondavano era l’unico passatempo che poteva permettersi.

 

La prima volta che Walter vide sfilare sul viale d’accesso una dozzina di macchine eleganti tirate a lucido, rimase senza fiato.

Che spettacolo! Mai visti bolidi simili nell’East End!

Da ogni vettura scese un autista in livrea con bottoni scintillanti che aprì la portiera al nobile che aveva scarrozzato.

Ai proprietari delle automobili, Walter non badò. Non erano altro che ricconi ottusi come Spilungone Biondo. Gli autisti invece, così eleganti, accesero la fantasia del dodicenne. Pensò che se proprio avesse dovuto fare un lavoro servile, da grande, gli sarebbe piaciuto essere uno chauffer, con la livrea dai bottoni lucidi e al volante di auto tanto potenti!

Quel giorno il piccolo Dorneaz trascorse il suo magro tempo libero fra un’incombenza e l’altra gironzolando tra quei macchinoni, ammirandone estasiato l’interno e l’esterno.

Quattro settimane dopo, la sfilata rifece la sua apparizione sul viale d’accesso della villa. Stavolta, oltre ad ammirare le automobili, il ragazzino rivolse anche la parola agli autisti. Scoprì così che quella riunione di aristocratici si teneva ogni mese, all’interno di quella che veniva definita “la sala della Tavola Rotonda”.

- E di cosa parlano? - chiese Walter.

- E chi lo sa? Forse giocano a fare Re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda. - risposero ridendo gli autisti.

Dopo di che entrarono in cucina per prendere il tè con la servitù di Villa Hellsing e far la corte alle cameriere.

L’ammirazione che il giovane Dorneaz aveva provato per gli autisti sprofondò sottoterra. Al di là della livrea e delle macchinone lucide, non erano diversi da Maycomb e colleghi. Erano dei servi anche loro. L’infatuazione per il mestiere di autista fu quindi tanto improvvisa e intensa quanto di breve durata. Walter tornò a considerare come mestiere futuro il delinquente nell’East End.

 

Esisteva un solo mistero su cui la servitù di Hellsing Manor spettegolava tanto e spesso: Alucard.

L’uomo col cappotto rosso non era un servo e nemmeno un aristocratico, viveva al di fuori di qualsiasi rango e convenzione sociale e ciò faceva sentire autorizzati gli uomini e le donne che lavoravano nella magione a pensarne e dirne tutto il male possibile.

Fu ascoltando le conversazioni piene di rancore e paura dei colleghi che Walter scoprì le stranezze di Alucard. Nessuno l’aveva mai visto mangiare. In compenso, ogni giorno il garzone del macellaio consegnava un fiasco pieno di sangue che lo stesso Sir Arthur provvedeva a portare nella stanza di Alucard per poi riconsegnarlo il mattino seguente, vuoto, allo stesso garzone.

La stanza di Alucard poi, a cui Sir Hellsing negava l’accesso a chiunque, si trovava niente dimeno che in cantina, adiacente al rifugio antiaereo che il padrone aveva approntato.

- In caso di attacco aereo, preferirei restare qui in casa, col rischio di prendermi una bomba sulla testa piuttosto che scendere nel rifugio e trovarmi fianco a fianco con quello lì per ore e ore. - era un’opinione condivisa dall’intera servitù, così come l’abitudine di chiamare Alucard quello lì, quasi temessero che bastasse pronunciarne il nome per evocare la sua sinistra figura.

Walter che rappresentava in assoluto il gradino più infimo di tutte le persone che vivevano, lavoravano e respiravano nella grande villa, aveva un’opinione diversa della situazione. Agli occhi del figlio del maggiordomo, costretto a subire angherie da chiunque, Alucard non appariva più meschino del resto della servitù. E’ vero che anche a lui aveva fatto lo scherzo di apparirgli alle spalle dal nulla, ghignando soddisfatto della sua paura ma quella cattiveria gratuita non era peggiore degli insulti e delle sberle che riceveva quotidianamente da Maycomb e dagli altri.

Quando Walter ascoltava i commenti pieni di rabbia, disgusto e paura che i suoi colleghi facevano su quello lì, gli veniva spontaneo immaginarli come una muta di cani che protetta dietro una cancellata, latrava furiosamente contro un lupo che si era fermato ad osservarli, beffardo.

- E io, in tutto questo, che animale sono? – si domandò Walter.

Concluse che si sentiva come un animale che avrebbe desiderato essere lasciato in pace, come un gatto o una volpe e per cui sia i cani che il lupo erano nemici allo stesso modo.

 

 

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