Your guardian angel

di LilithJow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il mio nome è Samantha Finnigan. Sono nata e cresciuta a Rossville, una cittadina con poco più di mille abitanti nell'Illinois, Stati Uniti.
Sto per compiere ottanta anni.
Ho vissuto una vita meravigliosa, ho avuto un marito affettuoso e tre fantastici bambini.
Ma non è di questo che sto per scrivere. Sono convinta che alla gente piacerebbe leggere di una grande storia d'amore, con un bel lieto fine, ma purtroppo io e i lieti fine non siamo mai andati d'accordo.
Ciò che state per leggere, perchè se adesso avete queste righe sotto gli occhi, presumo lo stiate per fare, non ne ha neanche l'ombra, o, per meglio dire, dipende dai punti di vista.
Voglio raccontarvi di un periodo particolare della mia vita, di molti anni fa, cinquantacinque per l'esattezza. Per me è come fosse ieri, forse perchè non ho mai dimenticato quello che successe. Impossibile farlo.
Avevo ventitrè anni all'epoca, fresca di college e pronta per tuffarmi nel mondo del lavoro, degli adulti. Decisi di tornare nella mia città natale per affrontare ogni cosa. In una cittadina come la mia, tutti si conoscono e non sarebbe stato difficile trovare un posto. Qualche giro di parola, qualche raccomandazione ed era fatta.
Laureata in grafica e design, andai alla sede del giornale locale, che aveva nettamente bisogno di una spolverata innovativa. Non ci volle molto per farmi assumere, nel giro di qualche ora ero la nuova addetta alla composizione della prima pagina del giornale.
Fu tutto assolutamente semplice, non mi ero mai sentita più realizzata, ma purtroppo, fino a quel momento, la mia vita non era stata affatto facile. Dentro di me, nascosta dalla gioia e dall'euforia, c'era un presentimento, una sensazione che sarebbe successo qualcosa che mi avrebbe sconvolto. Ancora non sapevo che quella cosa avrebbe segnato la mia vita in modo indelebile, tanto da spingermi a raccontarlo come ora sto facendo.
Nel mio primo giorno di lavoro, tutto filò liscio. Avevo un ottimo rapporto con i colleghi, mi stavano sempre a sentire e mi guardavano con ammirazione perchè, a loro dire, ero un pezzo forte; questo solo a causa dei miei studi lontani da Rossville.
Uscii tardi dal giornale: nonostante fosse il primo giorno, c'era già del lavoro arretrato lasciato dal mio predecessore. Preferii sbrigare ogni cosa subito per evitare di ritrovarmela nei mesi successivi.
Camminavo distrattamente, frugando nella mia borsa in cerca delle chiavi della macchina (era mia abitudine perderle), che non mi accorsi di qualcuno che mi stava venendo incontro, finché non gli finii addosso.
“Oh, mio Dio! Scusa, mi dispiace” esclamai, dopo aver notato di aver causato la caduta di mille fogli e documenti che aveva in mano. “No, scusami tu, avevo la testa del tutto altrove” replicò lui, raccogliendo la mia borsa da terra e non preoccupandosi per nulla della sua. Ci pensai io allora, cercando di ridare una forma alla pila dei fogli. Messi insieme solo un paio, glieli porsi, alzando gli occhi. Solo in quel momento mi accorsi contro chi ero andata a sbattere, strano che non lo avessi riconosciuto già dalla voce: una come la sua era unica.
“Lucas” dissi. O meglio, soffocai. Pronunciai il suo nome come farebbe un'atleta dopo aver percorso i cento metri. “Sam”. Lui disse il mio in modo del tutto normale, abbozzando un sorriso.
Non vedevo Lucas dai tempi del liceo. Era stato il mio ragazzo per tre anni, ma il giorno del diploma, quando ogni studente annunciò il college che era intenzionato a frequentare, lui non disse la Brown, come avevamo deciso insieme. Scelse la Columbia, a ore ed ore di distanza da me. Non mi spiegò mai il motivo, anzi, non mi rivolse mai più la parola.
Fino a quel momento.
“Sei tornata a casa?” mi chiese, tirando su gli ultimi fogli. “Già” replicai, distaccata. “Anche tu”.
“Mi mancava questo posto” disse, tenendo gli occhi fissi dentro i miei. Ricordavo bene quell'espressione e sapevo benissimo dove voleva arrivare. Avrei voluto scaraventarmi contro di lui e prenderlo a pugni per tutto ciò che mi aveva fatto passare negli ultimi quattro anni. Ero stata peggio che male per lui e per il modo in cui mi aveva lasciata. Con quale faccia tosta riusciva a starmi davanti, facendo finta che non fosse successo nulla, non lo sapevo e non lo so tutt'ora. Non seppi neanche che cosa fece in quei cinque anni che non ci vedemmo, non me lo raccontò mai e io non glielo chiesi. Non volevo essere troppo invadente o forse non volevo che qualche mia domanda dimostrasse palesemente il fatto che ero ancora totalmente persa per lui.
Quel nostro incontro casuale non durò a lungo. Dopo qualche secondo, con nessuna risposta da parte mia alla sua ultima frase, raccolse gli ultimi fogli a terra e si allontanò, lasciando l'eco di un “Ci vediamo”. Rimasi per un attimo immobile, con lo sguardo perso nel vuoto. Purtroppo vederlo mi aveva fatto l'effetto di sempre: il mio cuore palpitava, le mani sudavano freddo, come avessi la febbre alta.
Così ho sempre definito Lucas Monroe: colui che mi provocava la febbre. Rideva ogni volta che glielo dicevo, ma era semplicemente la verità.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


 Il giorno dopo arrivai in ufficio con aria sognante. Avevo meno grinta e spirito di iniziativa, tutto a causa dell'incontro con Lucas. Rivedevo il suo volto nei minimi particolari guardando qualsiasi cosa: i suoi occhi castani, striati di verde, socchiusi sempre e comunque che gli davano un aria seria, ma allo stesso tempo dolce e comprensiva. Era inutile distrarmi e tentare di produrre qualcosa: la mia mente era altrove, non avrei creato nulla di esser degno di esser letto.
Così mi piazzai davanti al pc. Digitai il nome di Lucas nel nostro motore di ricerca. Non sapevo esattamente cosa cercare, nè perchè lo stessi cercando.
Non trovai molto, se non cose di cui ero già a conoscenza, come la sua vittoria con la squadra d'atletica al liceo e con quella di basket. Nulla che lo riguardasse di recente.
Passai l'intera giornata su quel pc, persa tra le sue foto. Ce n'era anche una con me. Non ricordavo nè dove nè quando l'avevo fatta, ma guardandola non potevo fare a meno di provare della nostalgia per quei tempi. Scoprii, tra varie cose e con mia grande sorpresa, che viveva ancora nella stessa casa. Presi la notizia come una specie di segno del destino. Sapevo benissimo come arrivarci e non ci pensai due volte a recarmi lì. Durante il tragitto, il mio cervello continuava a ripetermi di fermarmi, che sarebbe stato patetico presentarsi lì per... Per cosa? Neanche ero a conoscenza del motivo.
Guidai lentamente verso casa di Lucas. Nonostante ciò arrivai a destinazione dopo all'incirca dieci minuti. Attesi, chissà cosa, prima di scendere dall'auto. Presi un respiro profondo e imboccai il vialetto che conduceva alla porta. Mentre camminavo, continuavo a immaginare quello che avrei dovuto dire, le espressioni che avrei dovuto fare. Volevo recitare alla perfezione per fargli capire che non ero assolutamente disposta a tornare con lui, qualunque cosa fosse successa, che ero un'altra persona, diversa dalla liceale che conosceva, anche se era l'esatto opposto.
Sarei tornata con Lucas se solo me lo avesse chiesto.
Giunsi davanti alla porta e bussai. Aveva uno strano colore verdastro, da poco verniciata. Era strano, perchè non era un colore che a Lucas piaceva. Dedussi che non doveva essere opera sua.
Passò un bel po' prima che qualcuno venisse ad aprire. Io ero pronta a sfoggiare un bel sorriso, vedendo già il suo volto davanti ai miei occhi, ma non mi ritrovai lui oltre la soglia. C'era un ragazzo, che assomigliava molto a  Lucas, se non fosse per l'altezza. Lucas era alto, molto alto, credo raggiungesse i due metri. Il ragazzo che mi stava davanti era addirittura più basso di me, biondo, occhi azzuri che risplendevano nonostante l'oscurità. Aveva una bellezza diversa, un diverso sguardo, ma la stessa espressione dolce, forse anche di più.
“Immagino tu stia cercando Lucas” disse il ragazzo, distogliendomi dalla mia analisi. “Ehm... Sì... Sì, sto cercando lui” risposi, balbettando e osservando il suo corpo. Cercai di immaginarlo senza vestiti, sembrava avere una muscolatura perfetta. Lui purtroppo se ne accorse e io alzai subito lo sguardo. “E' in casa?” chiesi. “No, è appena uscito” replicò lui. Ci fu un silenzio del tutto imbarazzante tra noi, che durò più di qualche secondo. Io tenni lo sguardo basso, cercando di cancellare ciò che avevo fatto poco prima della mia mente. Era e lo è ancora un mio difetto, quello di osservare le persone, in ogni minimo di particolare, scovare i dettagli più nascosti.
“Io sono Daniel, il fratello di Lucas” disse lui ad un tratto. Alla parola 'fratello', sbarrai gli occhi. Quello non poteva essere il fratellino combina guai di Lucas! Me lo ricordavo, cinque anni prima, aveva solo dieci anni e superava di poco il mio fianco. Giocava ancora con macchinine e pupazzi. Quello non poteva assolutamente essere Daniel, perchè allora avrei fatto delle fantasie su un minorenne.
Risi, una risata forzata, quasi isterica. “Stai scherzando” dissi, e non era una domanda. Lui era rimasto con una mano tesa verso di me, aspettando che io gliela stringessi e mi presentassi. Mi guardò in modo strano, finchè non smisi di ridere. “No, non stai scherzando” esclamai, frenando la risata. “Scusa... E' che io mi... Insomma mi ricordo del fratello di Lucas e... Insomma tu... Sei diverso, ecco” spiegai, sperando che mi credesse meno pazza di quel che già sembravo.
“Questo è ciò che chiamano sviluppo ormonale” disse lui, con calma. Tendeva ancora la mano verso di me, così gliela strinsi e mi presentai. “Samantha... Sam”. La sua pelle era incredibilmente fredda e un brivido mi percosse tutto il corpo, finchè non lasciai la presa.
“Sam quella Sam?” esclamò lui. “Sì... Beh, dipende da cosa intendi per quella Sam...” replicai.
“Sam il grande amore dei tempi passati di Lucas”. I 'tempi passati' non mi andarono tanto giù.
“Eh già... Proprio quella Sam” ammisi. “Tuo fratello ha detto per caso quando tornava?” chiesi poi. “Non ne ho idea, è uscito all'improvviso, credo l'abbiano chiamato in ospedale” rispose Daniel.
“Ospedale? C'è qualcuno che sta male?”.
“No, no, ci lavora lì”.
Non riuscivo a collegare Lucas ad un ospedale. Non era mai stato il suo sogno quello di diventare un medico e non mi spiegavo come mai fosse successo. Così non esitai a chiedere: avevo Daniel che sicuramente conosceva più cose di suo fratello che dei motori di ricerca su internet. “E' diventato un medico? Come gli è venuto in mente?” dissi.
“E' una storia lunga” rispose lui.
Mi corressi: internet era mille volte meglio.
Tentai di nuovo. “Se non ricordo male al liceo il suo sogno era di diventare un pilota o qualunque cosa avesse a che fare con gli aerei...”.
“Come ho già detto, è una lunga storia... Te la racconterà un giorno...”.
Non ricavai ancora nulla. Ero ormai decisa ad andarmene, pronta per salutare e tornare a casa, quando Daniel, guardando oltre le mie spalle, esclamò: “Oh, eccolo lì”. Mi girai di scatto e vidi arrivare Lucas. In un primo momento lo vidi da solo, poi, a poco a poco, notai la presenza di qualcun altro accanto a lui. Era una ragazza, bionda, occhi azzurri, fisico asciutto, e gli arrivava alla spalla e... La stava tenendo per mano. Mi bloccai istintivamente a fissare le loro mani intrecciate. Lei continuava ad accarezzare quella di Lucas e a sorridere.
“Sam. Che ci fai qui?” esclamò Lucas. Ci misi un po' per rispondere. “Ero... Ero nei paraggi”. Nel parlare, non staccai gli occhi da quei gesti di dolcezza che caratterizzano solo due persone innamorate. “Davvero? Se non ricordo male, abiti dall'altra parte della città”.
Ricordava benissimo. “Lavoro da queste parti” rimediai allora. La ragazza bionda si mise a fissarmi. Odiavo essere fissata, soprattutto in quel caso. Il mio sguardo era ancora immobile sulle loro mani, quando ne vidi una muoversi e tendersi verso di me. “Io sono Haley, piacere” squittì. Mi irrittò il solo suono della sua voce. Gliela strinsi distrattamente, biascicando il mio nome, quasi a non voler farglielo capire. “E' la tua... Ragazza?” chiesi poi, immaginando la risposta. Osservando le loro carezze, non avevo ancora notato un piccolo, ma molto rilevante particolare. “Diciamo, un po' più che ragazza” esclamò Haley, mostrandomi orgogliosamente un grosso anello incastonato di diamanti sul suo anulare sinistro.
Quello non lo avevo previsto. Stavo ancora elaborando l'idea che Lucas avesse una ragazza, ma non ero pronta ad affrontare il fatto che si stesse per sposare. Non tutto nel giro di cinque minuti. Rimasi bloccata dalla notizia, letteralmente a bocca aperta, osservando Lucas sorridere felicemente, guardando con dolcezza Haley, così come, non molto tempo prima, faceva con me. Lo odiai in quel momento. Forse la mia domanda aveva forzato il tutto, ma sarebbe bastato un semplice sì, avrebbe fatto meno male, invece di sbattermi in faccia il suo fidanzamento.
Lui non disse nulla, parlò solo Haley. Nemmeno suo fratello mostrò qualche reazione, quasi fosse apatico. Era strano per Daniel. Per come lo ricordavo io, era un ragazzo solare e vivace, sempre con il sorriso stampato in faccia. In quel momento non era solo il suo corpo ad essere cambiato, ma la sua espressione, il suo modo di esprimersi, erano ghiacciati, bloccati... Avrei detto privi di sentimento. Non si congratulò con il fratello, neanche abbozzando un sorriso. La notizia aveva lasciato sconvolto anche lui.
Intanto, Haley continuava a parlare, ininterrottamente, niente sembrava fermarla. Rispondendo a domande che nessuno le aveva fatto, raccontò di come si erano conosciuti, di tutte le discussioni che avevano dovuto affrontare, di come Lucas si era proposto. Lui ogni tanto interveniva, aggiungendo qualche dettaglio o correggendo le sue versioni. Io speravo che qualcosa, qualunque cosa interrompesse quel momento, uno squillo di un cellulare, un fulmine a ciel sereno, che magari colpisse Haley... Niente di niente, finché, per mia fortuna, Daniel mi salvò. “Vorrei restare a sentire la vostra favola alla Cenerentola, ma devo andare” disse. “Già... Anche io” aggiunsi.
“Oh, è stato un piacere conoscerti” esclamò Haley. Avrei voluto rispondere "per me no". Sarebbe stata una liberazione, ma dovetti replicare con un sorriso, dicendo falsamente “Anche per me”. Haley inclinò la testa di lato, sorridendo prese di nuovo per mano Lucas ed entrarono in casa. Li guardai fino a quando la porta non si chiuse e sospirai. Ero in coma, non potevo, non volevo credere a ciò che avevo appena visto.
Fu Daniel a riportarmi alla realtà. “Credo non ti abbia fatto piacere la notizia” disse.
Era così evidente? Forse. Immaginavo come dovevano essere i miei sguardi e le mie espressioni di fronte alla nuova coppia felice. “No... Insomma... Sì... E' felice... E' questo quello che conta”. Ero fin troppo brava a mentire.
Daniel mi guardò alzando un sopracciglio. Evidentemente le mia espressione aveva tradito le mie parole, ma lasciai correre. Non avevo voglia di fingere o cercare giustificazioni per il velo di tristezza che mi aveva ricoperto il viso. Era fin troppo palese il fatto che stessi più che male.
Non potevo comunque rimanere lì, a premere quel peso devastante sulle spalle di un quindicenne, dal cui sguardo avevo intuito mi volesse consolare.
Quello gli era rimasto. Mi ricordai di un episodio, riguardante lui da piccolo e una bambina alla quale era caduto il gelato nella sabbia. Io e Lucas lo avevamo portato a giocare lì e Daniel diede il suo intero cono alla fragola alla povera piccola, che piangeva. Aveva un animo altruista, fin troppo. Se fino a quel momento avevo dubitato che Daniel fosse davvero Daniel, quei suoi gesti e sguardi, mi fecero ricredere.
“Meglio che vada sul serio ora” mormorai, poco dopo. Lui si limitò ad annuire, ma mi precedette nell'andar via e scomparve nel crepuscolo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 Quei due occhi azzurri, come fari, mi apparirono più volte in sogno quella notte. Non sapevo a cosa fosse dovuto, ma gli occhi di Daniel spuntavano davanti ai miei in una visione e mi impedivano di continuare a dormire.
Mi ritrovai più volte, nelle notti insonni, a pensarlo. Non ero a conoscenza del motivo, era come se avesse preso il posto del fratello nella mia testa. Proprio il posto no.. E probabilmente era proprio questo il problema.
La mia mente era costantemente fissa su Lucas, ma, all'improvviso, spuntava fuori, dal nulla, Daniel, con i suoi occhi e i suoi sorrisi e le sue espressioni e.. Era frustrante.
Tutto ciò mi impediva persino di concentrarmi a lavoro, tanto che un giorno, credendomi malata, mi consigliarono di andare a casa, riposarmi e tornare l'indomani.
Camminai distrattamente verso la mia auto. Ero svogliata, assonnata e del tutto di cattivo umore.
Ma ecco che il destino, crudele, ci mise lo zampino. Da lontano, poco dalla mia auto, sul marciapiede opposto, scorsi proprio lui, Daniel. Feci finta di non vederlo, ma non ci riuscii, perchè lui vide me. Mi fece un cenno con il capo e mi raggiunse in qualche breve attimo. Sforzai un sorriso. Non che non mi facesse piacere rivederlo, tutt'altro: una parte inconscia di me desiderava che ciò accadesse. Il punto era che lui era troppo piccolo e io lo pensavo. Non potevo pensarlo, non quando amavo alla follia suo fratello.
“Hey, che ci fai da queste parti?” chiesi, cercando di distrarmi dalle mille fantasie che mi passavano per la testa: Daniel era troppo bello per essere un quindicenne.
Lui tentennò prima di rispondere. “Sono passato da un amico, qui vicino e poi ti ho vista” disse. “Sei uscita da lì, uh?” continuò, indicando la redazione del giornale alle nostre spalle. “Strano, casa nostra è dalla parte opposta, lo sapevi?”.
Beccata. Ma del resto, non era una bugia difficile da essere scoperta. “Non lo dirai a Lucas, vero?” replicai, infilando le mani nelle tasche dei jeans che indossavo. Daniel rise, scuotendo leggermente la testa.
Dio, anche la sua risata era irresistibile. “No, so mantenere i segreti” esclamò, con tono solenne.
Mi persi per qualche secondo a guardarlo. Mi resi conto che la mia attrazione verso di lui era più che altro fisica. Con Lucas invece, si aggiungevano una miriade di altre sensazioni, indescrivibili a parole.
Tra i mille pensieri che mi correvano in testa, uno spiccava sugli altri, ma mi sentii orribile solo a prendere in considerazione l'idea. Eppure, sotto certi punti di vista, nessuno si sarebbe fatto del male, se fossi stata cauta.. Forse Haley, ma di lei poco mi importava.
Il piano era semplice, niente di così complicato che mi avrebbe solo incasinato le giornate.
Daniel era un adolescente, in pieno sviluppo. Quale adolescente in tale fase non avrebbe accettato una storia con una più grande? Una storia senza legami, solo quelli fisici. Stringendo un rapporto con Daniel, Lucas se ne sarebbe accorto. Nonostante gli sguardi che si scambiava con Haley, ero del tutto convinta che se io e suo fratello fossimo diventati più che amici, lui non sarebbe rimasto impassibile. Se così fosse stato, sarei morta nello stesso istante.
Alla fine, Lucas avrebbe mollato quella che avrebbe dovuto essere sua moglie e sarebbe tornato da me, e Daniel avrebbe avuto qualcosa da raccontare nelle sue giornate da liceale.
Avevo già programmato tutto e ogni cosa si era svolta alla perfezione nella mia mente. Ma dovetti tornare alla realtà, con Daniel che mi fissava in modo strano, a causa dell'espressione da ebete che avevo stampato in faccia. “Uhm.. Scusa..” balbettai “mi sono persa per un secondo, a volte mi capita ed è alquanto imbarazzante”.
“Oh, figurati. A volta succede anche a me”.
Gli sorrisi, tranquilla per il fatto che non mi ritenesse un'idiota.
Decisi di dare inizio a tutto in quel preciso momento. “Hey, uhm.. Ti va di mangiare qualcosa? Non ho pranzato e praticamente non ci vedo più dalla fame” dissi. Daniel si guardò intorno un attimo, prima di rispondermi: “Vorrei, ma.. Devo andare”.
Le cose erano più complicate del previsto.
“Oh.. Okay.. Possiamo fare un'altra volta, allora..” replicai. Lui si limitò ad annuire. Accennò un sorriso e ritornò correndo al marciapiede dall'altro lato della strada, riprendendo il suo cammino.
Salii in auto sconsolata e attesi un bel po', prima di convincermi a mettere in moto e guidare fino a casa mia.
Le quattro mura che la componevano, delle volte, mi sembravano estranee. Avrei tanto voluto tornare a casa dei miei, nella mia stanza. Era piena di ricordi e, se le cose fossero andate male, avrei potuto vivere di quelle. Alla fine, però, mi resi conto che mi avrebbe fatto solo male.
Mi rimase solo da sperare che il mio piano funzionasse. Doveva funzionare.
L'ostacolo più grande era Daniel, ma oltre che ostacolo, era anche il punto chiave di tutta la faccenda. Il giorno dopo, appena uscii da lavoro, guidai verso il liceo di Rossville. Mi appostai a qualche metro dall'uscita della scuola e aspettai. Gli studenti uscirono dall'edificio tutti in gruppo, eccetto uno: Daniel uscì per ultimo, con il cappuccio della felpa sulla testa e la mani affondate nelle tasche. Una volta fuori, si guardò più volte intorno, poi salì in una grande auto nera, con i finestrini oscurati, poco distante. Quando essa partì, la seguii. Mi condusse a casa Monroe.
Si fermò e dalla macchina, oltre a Daniel, scese anche quella stessa biondina che mi stava tanto sulle scatole. Avrei preferito rivedere Lucas e non lei.
Continuai ad osservare i due, mentre percorrevano il vialetto di casa, verso l'entrata.
“Che stai facendo?”. Una voce mi fece sobbalzare. Mi girai di scatto e, affacciato al mio finestrino, vidi Lucas.
Non seppi che scusa inventare. 'Stavo pedinando tuo fratello'. Ma quella non era una scusa, era la verità.
“Uhm.. Parcheggiando” dissi, cercando di risultare il più naturale possibile. Mi riuscì ben poco: Lucas inarcò un sopracciglio e mi guardò storto. “Di fronte a casa mia? Eri di nuovo nei paraggi?” esclamò.
Sospirai. Come al solito il mio cuore aveva cominciato a battere a più non posso e mancava poco che fosse esploso.
“A dire il vero, no” replicai. Mi stavo calmando, a poco a poco, cercando di rimanere concentrata sul piano. “Sono venuta per Daniel. L'altro giorno ci siamo incontrati, ma era di fretta e mi deve un caffè”.
L'espressione sul viso di Lucas mi diede una grande soddisfazione: era un misto tra il deluso e il sorpreso. Sorrisi, facendo ben attenzione a non farmi vedere. “Oh, beh.. E' appena rientrato, se vuoi..” disse, scansandosi, così che io potessi aprire la portiera e scendere dall'auto.
Seguii Lucas in silenzio, fino all'entrata di casa. Mi aprì la porta ed entrai. Quando lo feci, lo sguardo fulminante di Haley mi si abbattè addosso, quasi come volesse uccidermi. Giurai che lo avrebbe fatto molto volentieri, se fossimo state sole in quella stanza. Evidentemente Lucas le aveva parlato di me, o sperai lo avesse fatto. Daniel non era nel salotto, arrivò poco dopo, scendendo rapidamente le scale. Mi salutò con un cenno del capo. “Che ci fai qui?” chiese subito. Fu Lucas a rispondere per me: “Dice che gli devi un caffè”. Parlando, cinse i fianchi di Haley con un braccio e se la tirò vicino. Non seppi se fosse una mia impressione o cosa, ma sembrò che lo avesse fatto apposta. “In realtà, è un pranzo o la cena, è uguale” corressi la sua affermazione.
“Wow, non credevo te ne ricordassi” disse Daniel, abbozzando un sorriso.
“Ho una memoria di ferro. Allora, sei libero ora?”.
In realtà dovrebbe studiare, domani ha il compito di biologia” intervenne tempestivamente Lucas. Il fratello lo fulminò con lo sguardo e ignorò del tutto la sua affermazione. “Sono liberissimo” esclamò. Con un ulteriore cenno del capo, fece un cenno verso la porta e uscì, prima che potessi farlo io.
Lo seguii, evitando di salutare sia Lucas che Haley, anche perchè, girandomi, avrebbero notato la soddisfazione stampata sul mio viso.
Quando uscii dalla casa, Daniel aveva già percorso tutto il vialetto e mi stava aspettando appoggiato alla staccionata bianca che circondava l'abitazione. Lo raggiunsi e lo condussi fino alla mia auto. Guidai, verso il ristorante più vicino che conoscevo. Per tutto il tragitto, cercai un argomento su cui fare conversazione, ma non trovai nulla che non riguardasse anche Lucas. D'altra parte, lui non faceva nessuno sforzo per aiutarmi: si limitava a fissare la strada dal finestrino, in silenzio. Così fui costretta ad accendere la radio, ma neppure la musica lo smosse.
Giunti a destinazione, scendemmo entrambi dall'auto, entrammo nel ristorante e riuscii a farmi dare il tavolo migliore, con una vista splendida su quasi tutta la città.
Daniel ancora non disse una parola e di certo non avrei retto tutta la serata in una situazione del genere. “Ci sei mai stato qui?” chiesi, allora. Lui fece solo cenno di no con la testa.

Così non andava: stava rendendo tutto tremendamente complicato.
“E' un bel posto, ci venivo spesso quando vivevo qui e prendevo quasi sempre questo tavolo” continuai. Evitai di dire che molto spesso in quel luogo ci andavo con Lucas, anche se lui l'avrebbe facilmente intuito. “Non sono tipo da ristoranti”. Finalmente sentii la sua voce, dopo almeno mezz'ora. “Sei più tipo da fast-food?” replicai.

“No. Sono tipo da casa e roba cucinata da Lucas.. O tentativo di roba cucinata da Lucas. A volte lo fa Haley, ma lei è persino peggiore di lui”.

“E' strano che un adolescente non ingurgiti decine e decine di hamburger e patatine”.

Daniel abbozzò un sorriso, ma sembrò del tutto forzato. “Lucas è.. Abbastanza scrupoloso sul mangiare” mormorò. Strabuzzai gli occhi: non ricordai tale lato di lui. Insomma, ai tempi del liceo, lui viveva nei fast-food. Probabilmente tutto era dovuto al fatto che fosse diventato medico o, nel caso peggiore, per via di Haley. Sicuramente, considerato il fisico, era una maniaca della dieta e ci aveva trascinato anche Lucas e suo fratello: geniale.

“Meglio non parlare di questo, tirerebbe in ballo Lucas e il tuo sguardo quando solo si pronuncia il suo nome, diventa grigio” disse Daniel, distogliendomi dalla mia sorta di trans. “Non mi piace stare con persone che hanno sguardi grigi”. Lo fissai per qualche secondo.
Grigio. A volte mi sembrava di vedere proprio un velo grigio coprire i suoi occhi azzurri, relativo a una specie di tristezza che lo avvolgeva perennemente.
Non potevo però spingermi nel suo profondo. Mi conoscevo fin troppo bene e avrei potuto affezionarmi a lui, così tanto da mandare a monte ogni cosa: tenevo troppo a Lucas per rinunciarci. Così scossi di poco la testa e cambiai argomento.

Per il resto della serata, fui quasi sempre io a parlare, di qualsiasi cosa mi venisse in mente. Alla fine gli raccontai praticamente ogni cosa di ciò che avevo fatto negli anni lontano da Rossville. Lui rispondeva poco, con un 'sì' o un 'no' oppure un 'okay'. Niente di più. 
Non era di compagnia, ma ciò non mi importava più di tanto. Non era avere lunghe conversazioni con lui il mio obiettivo.
Quando finimmo di mangiare, uscimmo dal locale e lo riaccompagnai a casa.
Il viaggio di ritorno fu la fotocopia di quello di andata, ma per fortuna la musica alleviò il silenzio.
Lo salutai, Daniel scese dall'auto ed entrò velocemente in casa.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


 Passarono alcuni giorni. Rividi Daniel, più di una volta, ma, quando accadeva, la storia si ripeteva: io parlavo a vanvera, di cose spesso senza senso, e lui stava zitto, annuendo appena. Non riuscivo ad ottenere nemmeno più i suoi monosillabi.
Ci ero andata piano fino a quel momento, mi ero tenuta sul livello 'solo amici', anche perchè ciò sembrava infastidire lo stesso Lucas. Almeno fino a un certo punto. Quando passavo da casa Monroe, le prime volte, Lucas era tentennante, irritato. Poi quei sentimenti svanirono, e prese spazio l'indifferenza.
Fu quello a convincermi a passare al livello successivo.
Daniel andava spronato, ma i mezzi tenui con lui non funzionavano. Doveva essere una specie di fulmine a ciel sereno, breve e inaspettato. Mi decisi ad agire in freddo pomeriggio di novembre. Uscii da lavoro e guidai dritto verso il liceo di Rossvill. La sera prima, nell'unica frase che aveva pronunciato, Daniel mi aveva detto che quel giorno Haley non avrebbe potuto recarsi a prenderlo e che sarebbe tornato a casa a piedi, cosa che amava fare. Colsi la palla al balzo e rimpiazzai la linfobionda (così l'avevo soprannominata), andando a prenderlo a scuola.
Quando uscì, per ultimo, come consueto, dall'edificio, mi guardò storto e perplesso nello stesso tempo, mentre ero appoggiata al cofano della mia auto, a braccia conserte. “Ti piace così tanto andare a lezione che sei sempre l'ultimo ad uscire, eh?” esclamai, con un tono di ironia. Daniel si sistemò lo zaino sulla spalla, ma non disse nulla in replica.
Sospirai: ne avevo abbastanza dei suoi silenzi. “Oggi ho intenzione di farti parlare, di sentire la tua voce, fino a quando non mi faranno male le orecchie. Non ho ancora in mente come, ma lo farò”. Riuscii a strappargli un sorriso: almeno in quello ero brava. “Perchè ti interessa tanto? Stare con me, parlare con me.. Non sono interessante e non ho niente di interessante da dire” esclamò.
Ovviamente, non potevo dirgli la vera ragione: mi toccò improvvisare e sperai che, qualunque cosa io stessi per dire, lo toccasse e iniziasse a sciogliere quell'involucro di ghiaccio che si era autoimposto. “Perchè sei strano” dissi “non in senso cattivo, sei.. Sei misterioso e sono del tutto sicura che dietro quell'aria triste che ti sforzi sempre di tenere, in realtà c'è ancora quel bambino solare e giocoso che ero solita conoscere”.
Le mie parole sembrarono scalfirlo. Daniel abbassò lo sguardo e fissò per qualche secondo l'asfalto sotto i nostri piedi. “Mi manca quel bambino” mormorò. “C'è ancora” ribattei “lì sotto, c'è ancora. Devi solo fare un piccolo sforzo”.
Lui mi guardò. Passò nemmeno un secondo e i suoi occhi, come lame, riuscirono a trafiggermi. Era inutile: ne sarei sempre stata ammaliata.
“Sali in macchina, ti porto in un posto” dissi allora. Non gli diedi il tempo di replicare e dubitai del fatto che lo avrebbe effettivamente fatto. Eseguì quella sorta di ordine che gli avevo dato. Misi in moto e partii. Come sempre, il viaggio si svolse in silenzio. Non misi la musica, sapevo già che non avrebbe funzionato e mi avrebbe alla fine soltanto distratto da quel che stavo facendo.
Dopo almeno mezz'ora, iniziai a scorgere il profilo della nostra meta. Mi era venuto in mente, strada facendo, che di recente avevano riaperto il luna park della città. Ero solita andarci spesso, ai tempi del liceo. Naturalmente, ero pressapoco certa che fosse la prima volta che Daniel lo vedeva. Lo capii dal modo in cui si guardava attorno esterrefatto mentre vi entravamo.
Iniziammo ad andare nella varie attrazioni: il primo passo era farlo svagare. Per cui finimmo sulle auto-scontro, sugli otto-volanti, sul simulatore di realtà.. Lasciai che per ultima restasse la ruota panoramica.
Salendo, non potei fare a meno di pensare alla volta in cui ci ero salita con Lucas, in uno dei nostri primi appuntamenti... Ma dovevo rimuoverlo dalla mia testa, per il momento, se volevo riprendermelo.
La ruota iniziò a girare lentamente. Daniel guardava il profilarsi della città illuminata davanti a noi, con aria serena, felice. Mi fece piacere vederlo così, era meno cupo.
“Ti piace?” chiesi, sperando davvero che quella domanda fosse l'inizio di una concreta conversazione tra noi due. All'inizio, diede l'impressione di non essere così, quando lui si limitò ad annuire, ma poi parlò: “Molto. Non sapevo neanche dell'esistenza di questo posto. Grazie, per avermici portato”.
“Figurati”.
“Lucas non mi porta mai in giro. Mio padre invece lo faceva.. Lo faceva spesso”.
Suo padre. In effetti, non avevo ancora visto il signor e la signora Monroe da quando ero tornata. Sapevo che entrambi lavoravano, per cui non mi ero mai posta il perchè non fossero mai a casa, durante le mie visite.
“Faceva? Perchè ne parli al passato?” osai allora chiedere.
Daniel tenne lo sguardo fisso sulle luci che illuminavano le strade di Rossville. Io non ero attirata da quelle, bensì dal suo profilo perfetto, senza nessuna imperfezione. “Ti sei persa parecchie cose in cinque anni, Sam” disse lui.
“Fin troppe. Ti va di raccontarmele?”.
Tentennò. Probabilmente era qualcosa che gli provocava dolore. Non ero sicura, ma riuscii a percepirlo da alcune piccole e lievi espressioni che il suo viso assunse. “Se non ti va, non importa. Non voglio costringerti” mi affrettai allora a dire. Fu in quel momento che Daniel mi sorprese. Parlò e lo fece in modo così sciolto e così naturale che per un attimo mi sembrò di essere tornata indietro nel tempo.”Se ne è andato di casa. O meglio, mia madre l'ha cacciato. Aveva perso il lavoro e aveva cominciato a buttarsi sull'alcol. Noi eravamo pieni di spese, Lucas al college, le cure di mia madre..”.
“Tua madre? E' malata?”.
“Era.. Era malata. Per questo Lucas ha deciso di iscriversi a medicina, nella sua testa era convinto di trovare una cura per la sua patologia”.
Mi sentii un mostro in quel momento. In tutti quegli anni ce l'avevo avuta a morte con Lucas e con la sua improvvisa decisione a non venire con me all'università, che non mi ero mai soffermata a chiedergli il perchè.
C'era una ragione valida, il problema era che non mi ero mai sforzata di cercarla.
Cercai di comprendere come fosse stato per loro, perdere i loro punti di riferimento all'improvviso, ritrovarsi soli, senza sapere cosa fare. Eppure non riuscivo a escludere il pensiero che Lucas avesse preferito tenermi all'oscuro di tutto, piuttosto che parlarmene. Lo avrei aiutato, io, con la mia famiglia, avremmo potuto facilmente andargli incontro.
Quello era il punto ancora non chiaro.
Iniziai persino a pensare che avesse approfittato della scusa della malattia della madre per lasciarmi.
Mi odiai per tale pensiero, ma non ne potei fare a meno.
“Mi dispiace” riuscii solo a mormorare, abbassando lo sguardo. “Non importa. E' passato ormai” sussurrò lui.
Quando rialzai gli occhi su di lui, Daniel non guardava più la città: guardava me. La cosa strana era che non lo aveva mai fatto. Tendeva sempre ad essere distante, con chiunque, quasi fosse estraneo al mondo.
In quel momento, invece, sembrò essere il protagonista di quella notte.
Cercai di trattenermi, perchè, dopo aver sentito quella storia, l'idea di mandare a monte il mio piano si era già fatta strada nella mia testa. Ma il modo in cui i suoi occhi erano fissi su di me, non lasciavano via di scampo.. E alla fine cedetti. Mi sporsi verso di lui e posai delicatamente le mie labbra sulle sue. Quel bacio non durò a lungo. Dovetti staccarmi poco dopo, costretta dalla ruota che aveva compiuto un intero giro e da due ragazzi che ci incitavano a scendere, per prendere il nostro posto.
Così scesi, seguita da Daniel. Mi aspettavo mi chiedesse perchè lo avessi fatto o domande del genere, invece rimase in silenzio. Avrei dovuto aspettarmi più quello che altro.
In breve tempo, fummo di nuovo in auto. Cercai di aprire un discorso, mentre ero alla guida. Nella mia testa si creavano mille conversazioni logiche, ma dalla mia bocca uscivano solo parole sconnesse e senza senso. Alla fine lasciai perdere. Accompagnai Daniel a casa e andai via, quasi subito, senza neanche aspettare che percorresse tutto il vialetto fino alla porta, per vederlo entrare, come facevo sempre.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


 Mi balenò in testa l'idea di lasciar perdere tutto. Dopo quello che avevo saputo da Daniel, sul perchè Lucas avesse cambiato i suoi piani all'improvviso, non me la sentivo di continuare.
Avrei dovuto allora allontanarmi da entrambi i fratelli Monroe e andare avanti, per la mia strada.
Ma non era così semplice. Daniel continuava a mandarmi messaggi, preoccupato dalla mia improvvisa sparizione. Era del tutto comprensibile, dato che ero passata da essergli sempre attaccata a non esserci del tutto. Non risposi mai.
Una sera lo evitai palesemente, quando lo vidi aspettarmi all'uscita del giornale.
Da una parte mi dispiaceva interrompere i rapporti con lui. Anche se silenziosa, mi piaceva la sua compagnia. Ma il mio obiettivo era Lucas e avevo deciso di cancellarlo.
Purtroppo però, qualcuno lassù, non voleva che ciò accadesse.
La sera dopo che avevo evitato Daniel, vicino alla mia auto, trovai suo fratello. Per un attimo, pensai di evitare anche lui, ma poi cambiai idea: quella poteva essere l'unica occasione per parlargli e chiedergli spiegazioni.
Così camminai dritta verso la macchina, facendo finta di non averlo visto prima. Solo quando gli fui praticamente davanti, sorrisi e lo salutai. “Lucas! Che ci fai.. Qui?”.
Lucas alzò le spalle, infilando le mani in tasca. “Parlando con mio fratello, mi ha detto che lavori qui..” rispose.
Annuii, abbassando lo sguardo. Non volevo incrociare il suo, perchè mi conoscevo e mi sarei persa nei suoi occhi verdi.
“E c'è un motivo per cui sei qui?”.
“Volevo parlarti”.
Proprio la frase che volevo sentirmi dire. Mi sforzai di non saltare di gioia in quel momento, sarebbe stato imbarazzante. Ci sedemmo nella panchina proprio di fronte alla redazione del giornale, sotto un grande lampione che rendeva l'ambiente in uno strano colore blu.
“Da quando sei tornata, in pratica non abbiamo mai avuto un momento insieme” disse Lucas. Evitai di sciogliermi ad ogni sua parola, sebbene le mie espressioni mi rendessero molto simile ad una adolescente al primo appuntamento.
“Sì, beh.. Ti ho sempre visto con Haley e...”.
“E preferisci evitare vedermi con lei”.
Lucas era fin troppo perspicace, così come Daniel. Avevo a che fare con i due fratelli più intelligenti del mondo.
“Già” sospirai. “Ma non importa”.
“Daniel mi ha parlato molto di te, di voi, di quello che vi siete detti”.
Non sapevo cosa aspettarmi da quella frase. Forse gli dava fastidio che passassi tempo con suo fratello e il mio piano aveva effettivamente funzionato? Sperai che fosse così, ma ovviamente non lo era. Lo realizzai quando lui continuò: “Ho scelto di fare medicina per mia madre, è vero. Ma l'ho fatto anche per allontanarmi da te”.
La sua affermazione mi buttò a terra. Una piccola parte di me aveva già preso in considerazione quell'opzione, ma sentirselo dire da lui, in quel tono, fu del tutto diverso.
“Wow. La delicatezza non è mai stata parte di te” mormorai, cominciando a sfregarmi le mani.
“Non prenderla male, Sam. Mi ricordo bene tutti i nostri progetti, i nostri sogni. Ma eravamo dei ragazzini che non sapevano ancora come funzionava il mondo”.
“Non la pensavi così, cinque anni fa”.
“Proprio perchè ero un ragazzino”.
Non ricordavo che Lucas fosse così. Possibile che quello che era successo ai suoi genitori avesse cambiato anche lui?
Sì, lo era. Lo capii quando incrociai il suo sguardo, riconobbi lo stesso velo grigio che era presente su quelli di Daniel. Solo che, a differenza di quest'ultimo, negli occhi di Lucas non era presente quel leggero luccichio di speranza che caratterizzava quelli azzurri di Daniel.
Già, Lucas era cambiato. Quel ragazzo di cui ero follemente innamorata sembrava scomparso.
“Perchè mi dici queste cose ora?” chiesi, cercando di trattenere le lacrime che sentivo stessero per arrivare.
“Perchè è giusto che tu lo sappia”. La sua risposta fu fredda, distaccata. Dava come l'impressione di star recitando una parte, come se avesse imparato un copione a memoria e quella fosse la prima.
Scossi leggermente il capo, passandomi una mano sul viso. “Apprezzo la tua sincerità” commentai, in un singhiozzo. “Scusa, devo andare”. Mi alzai, di scatto. Lucas disse ancora qualcosa, ma non lo ascoltai. Corsi verso la macchina e misi in moto, guidando dritto verso casa.
Le sue parole mi avevano completamente abbattuta. Avrei dovuto aspettarmi una cosa del genere, metterla in conto. Insomma, negli ultimi cinque anni lui non si era mai fatto vivo, perchè avrei dovuto credere che provasse ancora qualcosa per me?
Eppure, qualcosa nel profondo del mio cuore, una voce mi diceva che Lucas stesse solo fingendo. Quei sentimenti che provavamo l'uno per l'altro erano troppo forti per semplicemente svanire, con una scusa così patetica.
Non mi sarei arresa. Se volevo farlo prima, rinunciare a tutto, allontanarmi da lui e da loro, qualcosa era cambiato.
Diventai sempre più determinata nel mio piano. Avrei solo dovuto dimostrare a Lucas che fingere di non provare niente per me, non era la giusta soluzione.
Quella sera stessa chiamai Daniel. Mi scusai per non avergli mai risposto, incolpando il lavoro, anche se non era vero. Lui ci credette e gli diedi appuntamento al grande e unico parco della città, un'ora dopo.
Arrivai lì con grande anticipo. Lui invece fu puntuale.
Appena lo vidi, gli sorrisi, sperando che i segni del pianto che mi aveva assalito quando ero arrivata a casa, fossero spariti.
“Non sono in ritardo, vero?” disse Daniel, grattandosi dietro l'orecchio. Aveva un'aria innocente, imbarazzata, infantile. Era, in poche parole, adorabile. “Sei in perfetto orario” lo tranquillizzai. Daniel abbozzò un sorriso, prima che incominciassimo a camminare tra i vari viali del parco. A quell'ora della notte, quel posto era deserto.
“Credevo non rispondessi alle chiamate per quello che è successo l'altra sera” esclamò lui. Capii subito che si stava riferendo al bacio sulla ruota panoramica. Io non ci avevo pensato molto, perchè le sensazioni che avevo provato, non avevano fatto altro che confondermi. La cosa positiva era che Daniel era uscito dal suo guscio. Una settimana prima non avrei mai detto che avesse il coraggio di dar inizio a una conversazione, soprattutto con quei temi.
“No, no, non è per quello. Te l'ho detto, il lavoro..”. Restai vaga, anche perchè non sapevo effettivamente che dire, cosa più unica che rara. “Quindi non ne sei pentita?” chiese lui e il suo tono di voce perse gradualmente intensità.
Scossi subito la testa. Pentita non era la parola esatta. In fondo, quel bacio, mi era piaciuto.
“Assolutamente no. Se no, non farei questo”. Mi fermai, di colpo. Daniel sobbalzò leggermente. Mi stavo lasciando guidare dall'istinto, mi ero completamente abbandonata ad esso. Misi una mano dietro alla sua nuca e lo attirai a me, baciandolo sulle labbra, un bacio che durò tre volte di più rispetto a quello sulla ruota.
Potevo chiaramente scorgere in me un leggero senso di voglia di vendetta. Volevo vedere se Lucas riusciva a fingere anche che la mia relazione con Daniel non gli desse  fastidio. Se così fosse stato, avrei dovuto regalargli un Oscar.
Quando mi staccai, Daniel mi stava fissando perplesso e felice nello stesso momento. Io sorrisi, portando entrambe le braccia sulle sue spalle. Lui era più basso di me, ma non era un gran problema.
Non restai lì ferma, per paura che lui dicesse qualcosa o, più che altro, che cominciassi io a parlare, dicendo qualche idiozia. Scossi di poco il capo e feci un passo indietro, riprendendo poi a camminare. Lo sentii seguirmi, mezzo secondo dopo.
Sorrise, sorrise e basta, per tutto il tempo. Era la cosa che più mi piaceva di Daniel, di quello che stava di nuovo venendo fuori. Sembrava che fossi riuscita nell'intento di strappargli via la tristezza. Stava tornando a essere solare, ad aprirsi con me, tanto che, nel corso della serata, parlammo di tutto e di più e io mi ritrovai molte volte a interrompere le sue frasi, così che potessi dire anche la mia.
Il tutto era accompagnato dal suono delle nostre risate.
Quella sera, con Daniel, fu la prima sera in cui il nome di Lucas non fece capolinea nella mia testa. I miei pensieri erano vari e non lo toccavano. In compenso, suo fratello ne era il protagonista.
Probabilmente in tutta quella storia, ci avrei guadagnato, in un modo o nell'altro.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


 Stavo entrando in un circolo senza fine, un viaggio con una meta non positiva, senza la possibilità di ritorno. La parte peggiore era che ne ero perfettamente consapevole e avevo la possibilità di fermarmi, di fare un passo indietro e mettere fine a tutto. Il problema era che non ne avevo la minima intenzione.
I miei appuntamenti con Daniel aumentarono. Passavamo quasi tutto il tempo insieme, a parte la mattina, quando lui era a scuola. Molte volte, lui si addormentò a casa mia, anche se prima non successe mai nulla.
Ma non era il sesso che mi importava fare con lui. L'importante era che passasse tempo con me e che Lucas lo sapesse.
Gli obiettivi che avevo in testa all'inizio erano parzialmente cambiati. Dopo ciò che mi aveva detto, non avevo intenzione che Lucas tornasse da me e restasse con me. No, doveva succedere solo la prima parte.
Volevo che lui soffrisse, esattamente come lo avevo fatto io negli ultimi cinque anni e come lo facevo ogni volta che dovevo vederlo con Haley.
Haley.
Quella biondina mi faceva letteralmente saltare i nervi. Un giorno, mentre aspettavo che Daniel si cambiasse i vestiti per uscire a mangiare una pizza, rimasi da sola con lei in salotto. Sperai per tutto il tempo che lui facesse in fretta o che Lucas tornasse a casa prima dal lavoro: avrei sopportato meglio vedere loro due insieme che passare minuti in più con lei. Purtroppo non accadde né una cosa, né l'altra.
“Ultimamente passi molto tempo con Daniel” squittì lei. Io annuii e basta. Non volevo intraprendere una conversazione con lei, anche perchè avrei finito per prenderla a parole. “Il che non mi dispiace” continuò lei, imperterrita. “Lucas mi ha raccontato di voi, la vostra storia, eccetera, e devo ammettere che all'inizio ero intimorita dal tuo improvviso ritorno.. Ma poi mi sono detta, hey, perchè dovrei? Insomma, fai parte del passato e poi hai iniziato a uscire con Daniel. Va tutto assolutamente alla perfezione”. La convinzione con cui parlò mi fece irritare. Non sapevo neanche da dove venisse tutta quella sicurezza che mostrava, aggiustandosi i suoi capelli biondi accuratamente raccolti in una coda.
I dubbi erano soprattutto sul fatto che a Lucas piacesse una del genere. Haley era il mio opposto ed era.. Finta. Forse non la conoscevo abbastanza per dirlo, ma dava quell'impressione, sia dall'aspetto, che dai modi di fare.
Ma io la odiavo: mi stava portando via l'uomo della mia vita e mi stava estremamente sottovalutando.
“Già, il passato” esclamai, con un sorriso tirato sul viso. Lei mi guardò sbattendo innumerevoli volte le palpebre. “E' passato” ribadì. Poi cominciò a blaterale. Non stetti a sentirla, mi persi, come al solito, nei miei viaggi mentali, che furono brevi, a causa dell'arrivo di Daniel. Mi alzai allora di scatto e tirai un sospiro di sollievo. Con il suo arrivo, coincise il ritorno a casa di Lucas.
E il peggio accadde.
Vedendo noi quattro lì fermi, senza niente da dire, Haley si fece venire una 'brillante' idea. Brillante per lei, ovviamente.
“Oh, ma che ne dite se restassimo qui, tutti e quattro, a cena? Sarebbe un'occasione per conoscerci meglio e per una sera non saremo solo io e Lucas! Abbiamo esaurito gli argomenti di conversazione” esclamò. La sua voce fu più squillante del solito. Tentai di desistere, sostenendo che ormai avevo prenotato un tavolo, cosa non vera, ma alla fine dovetti arrendermi, grazie allo sguardo supplicante di Daniel, che avrebbe fatto di tutto, a mio parere, per non sentire le lamentele future di Haley.
La cena fu pronta in una mezz'ora scarsa. Evidentemente Haley, da brava casalinga, aveva già preparato tutto prima. Ebbi l'estrema sfortuna di essere seduta di fronte a Lucas. Per una persona normale, sarebbe stato semplice, ma per me che ero incondizionatamente rapita dai suoi occhi verdi, fu una tortura, aggiungendo il fatto che al mio fianco c'era Daniel e i suoi fari azzurri.
Non sapevo cosa Daniel avesse effettivamente raccontato al fratello, se aveva detto che ero un'amica con cui usciva o ero di più. Sperai la seconda e se così fosse stato, il mio obiettivo era parzialmente raggiunto.
“Ho preparato un arrosto delizioso, Lucas ne va pazzo”. La voce squillante di Haley riempì la sala da pranzo.
Io tenni lo sguardo basso, per quasi tutto il tempo della cena. Ci fu silenzio e fu imbarazzante. Io odiavo i silenzi, mi facevano diventare ansiosa, ma in quel momento evitai di romperlo. Volevo solo che la serata finisse in fretta.
Ovviamente non fu così.
“Che programmi avevate per stasera? Pizza e..?” chiese Lucas, finendo per primo il suo piatto. “Uhm, non so.. Forse cinema” risposi, tranquillamente, cercando di risultare il più naturale possibile. “Oh, Lucas, non era così difficile da immaginare” intervenne Haley “sono le solite cose che fanno due grandi amici come loro”.
Ecco. Daniel non aveva raccontato proprio tutto, obiettivo mancato. Ma prima che mi demoralizzassi, lui, a mia sorpresa, rimediò. “Veramente stiamo insieme” esclamò, continuando a mangiare. Lo disse con scioltezza, fin troppa. Lucas non ebbe una reazione esagerata, non come me la aspettavo, ma percepii da piccoli e impercettibili gesti che non era una cosa che avrebbe facilmente accettato. “Insieme? Inteso come..” disse. “Come coppia. Lui ama lei, lei ama lui.. Inteso così” finii la frase Daniel.
In cuor mio sperai che il verbo che aveva usato fosse appartenente ad una frase fatta, da usare in momenti come quelli, anche perchè Daniel non poteva essere innamorato di me.
Daniel non doveva essere innamorato di me.
Alzai lo sguardo in quel momento. Incontrai prima gli occhi verdi di Lucas. Vidi ancora quel velo grigio sul suo viso. Non seppi dire se era dispiacere, delusione o cos'altro. Volevo dire qualcosa, ma Daniel afferrò la mia mano, posata sopra il tavolo. Lucas osservò quel gesto e poco dopo scosse il capo.
Sorrise.
Perchè diavolo sorrideva?
“Congratulazioni” disse. Mascherò tutto con gioia.
Sì, Lucas Monroe era un grande attore e recitava la parte dell'antagonista nel film della mia vita.
La cena finì così come era iniziata, in silenzio. Uscii da quella casa a pezzi, psicologicamente. Daniel mi accompagnò all'auto. Prima che io potessi salire, prese il mio viso tra le mani e mi baciò dolcemente sulle labbra.
Era fin troppo dolce e a volte mi portava al punto di sciogliermi. Ma anche ciò non doveva e non poteva accadere. Nemmeno quello.
Il bacio durò più a lungo del previsto e fui costretta a distaccarlo, mettendo due dita sulle sue labbra. “Farei meglio ad andare, prima che si faccia troppo tardi” mormorai. “Mhm, sì, solo un..” replicò lui e riprese a baciarmi. Si spostò poi sul mio collo. Sentivo il suo respiro sulla mia pelle. Di solito, avrebbe dovuto essere caldo, tiepido. Il suo era.. freddo, così come lo era lui, tutto il suo corpo. Daniel era molto strano da quel punto di vista.
Socchiusi gli occhi, mi rilassava. Lasciai che i sensi mi trasportassero, solo per un momento. Lasciai che lui mi accarezzasse le braccia e i fianchi e che scendesse con le labbra fino all'incavo del mio collo.
“Ti amo”.
Lo disse, lo disse sul serio. E io spalancai gli occhi. Cercai di convincermi che non fosse reale, che fosse tutto frutto della mia immaginazione, ma quando lo guardai, lo vidi fissarmi. Attendeva una risposta e io non la avevo, non avevo nessuna parola. Quel che mi salvò, fu il mio cellulare che squillò. “Scusa” dissi, prendendolo subito. Era solo un messaggio, ma finsi che fosse una chiamata per allontanarmi definitivamente.
Prima di andare via, vidi sul viso di Daniel la fotocopia dell'espressione di Lucas pochi minuti prima. Quei due erano molto più simili di quanto pensassi.
Solo che uno non mi amava più e l'altro aveva appena cominciato a farlo.






 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


 Cercai di evitare Daniel nei giorni che seguirono. La mia non risposta al suo 'ti amo', la diceva lunga ed ebbi addosso il gran timore che lui avesse cominciato a sospettare qualcosa.
Probabilmente non sarebbe arrivato proprio a capire i miei reali obiettivi, ma avrebbe compreso che i miei sentimenti erano solo una perfetta messa in scena.
A dire la verità, ero confusa. Amavo Lucas, era cristallino e palese che fosse così, ma Daniel? Cos'era Daniel per me? Non lo sapevo. Avevo giurato a me stessa di essere distaccata, apatica con lui, invece mi ero aperta e lui si era aperto totalmente a me. Il mio cuore sussultava nelle sue vicinanze e se accadeva una cosa simile, voleva dire..
No, non doveva essere. Cercai di scacciare quel pensiero e, dopo tanto, tornai a focalizzarmi solo su Lucas. Però, ogni volta che ci provavo, i suoi occhi verdi, cambiavano colore, così come i capelli castani. Cambiavano i tratti del viso, la forma degli occhi e.. E alla fine avevo davanti Daniel.
Rischiavo di impazzire. Mi diedi malata un giorno in ufficio, non riuscivo ad alzarmi dal letto e non avevo chiuso occhio quella notte. Fui costretta a mettermi in piedi solo quando qualcuno bussò energicamente alla mia porta.
Quando aprii, mi trovai davanti colui che aveva causato tutto. “Daniel.. Hey, che.. Che ci fai qui?” balbettai.
“Continui a non rispondere alle mie chiamate” spiegò brevemente lui, prima di oltrepassarmi ed entrare in casa. In realtà, non avevo nemmeno più controllato il telefono da quella sera.
Feci per dire qualcosa, ma Daniel mi precedette: “Ascolta, mi dispiace. Forse l'altra sera ti ho messo in soggezione con quelle parole e ho visto abbastanza film per sapere che una non risposta è spesso la causa della rottura. Solo che noi non siamo in un film, nella realtà le cose vanno diversamente e devi sapere che io non la voglio neanche una risposta. Te l'ho detto perchè mi sentivo di dirlo, tutto qui. Non voglio che tu ti senta in obbligo o altro.. Insomma, non voglio che le cose cambino”.
Il modo in cui parlò, i piccoli gesti che fece, lo resero molto più maturo di quello che era. Nessuno si sarebbe aspettato di sentire un ragazzo di quindici anni dire tali cosi. Ma in fondo sapevo bene che Daniel Monroe non era un normale ragazzino. “Non mi hai messa in soggezione” dissi allora io. “E' che.. Non me lo aspettavo ed è.. Bello”.
Daniel abbassò lo sguardo. Scorsi apparire sulle sua guance bianche, un leggero rossore, il che lo rendeva più adorabile di quanto fosse già. “Non l'ho mai detto a nessuno” mormorò.
“Non te ne ha mai dato nessuno l'occasione?”.
“No. Io non ho mai dato a nessuno l'occasione di conoscermi ed entrarmi dentro, come ho fatto con te”.
Avevo ragione sul fatto che Daniel si fosse del tutto aperto con me, il che era buono e cattivo allo stesso tempo.
Era un ragazzo meraviglioso e mi apparteneva.. E io che stavo facendo? Lo stavo usando, come un giocattolo. Mi facevo schifo, perchè lui era così vero, così buono e io.. Io ero solo una brava attrice. Avevo accusato duramente Lucas per aver finto, e non mi ero accorta di star facendo peggio.
Guardandolo negli occhi, mi venne in mente di dirgli tutto, in quell'istante, di lasciar perdere ogni cosa e sperare che restasse con me, anche dopo aver saputo quelle cose orribili. Ma non me ne diede il tempo.
“Voglio portarti in un posto, stasera” esclamò.
“In un posto? Che posto?”.
Non rispose alla mia domanda. Disse solo di vestirmi. Tentennai: non avevo voglia di uscire, soprattutto nello stato pietoso in cui mi trovavo, ma lui non mi lasciò scelta e dovetti arrendermi. Infilai le prime cose che trovai nell'armadio e uscimmo velocemente di casa. Non avevo la più pallida idea di dove volesse portarmi e non mi sforzai neanche di capirlo. Lui, d'altra parte, non mi diede nessun indizio.
Camminai a testa bassa, finchè Daniel mi fece fermare. Quando alzai gli occhi, mi ritrovai di fronte a una distesa d'acqua all'apparenza immensa. Il sole stava cominciando ad immergersi in essa e la colorava di arancione. Gli unici suoi udibili erano il fruscio del vento che smuoveva i rami degli alberi già spogli e il canticchiare degli ultimi uccelli, che non erano ancora emigrati. “Questo è.. Il mio posto” mormorò lui. “Ci vengo sempre quando sono triste e.. Vado a sedermi sotto quell'albero di ciliegio che vedi laggiù”.
“E perchè mi hai portato qui?” chiesi, innocentemente. “Perchè voglio che tu conosca ogni parte di me” rispose lui.
Sentii il mio cuore fermarsi in quell'attimo.
Dannazione, mi ero innamorata di Daniel Monroe, nonostante tutti gli sforzi.
Presi le sue mani e non dissi niente. Mi sentivo una persona orribile e il peso delle bugie e dei sotterfugi mi stava opprimendo. Per far smettere tutto, mi avvicinai a lui e lo baciai delicatamente sulle labbra.
La mia pelle toccò la sua, gelida, come sempre, ma mi ero abituata a quella sensazione.
“E poi perchè tu sei in ogni cosa, ogni notte, anche nelle stelle” sussurrò ancora.
Era impossibile non innamorarsi di lui. Perchè mi ero illusa che fosse il contrario?
Passò così il resto della sera e gran parte della notte. Quando mi riaccompagnò a casa, lo invitai ad entrare. Forse, nel mio inconscio, desideravo spingermi oltre con lui, forse ci mancava solo quello, ma con tono dolce, rifiutò.
Daniel era diverso anche in quello. Un normale ragazzo non avrebbe mai rifiutato, in prospettiva di quel che sarebbe successo subito dopo. Era strano, ma amavo tale aspetto.

Mi resi conto che l'unica cosa che era importante ora, era la relazione con Daniel. Del mio piano, ero a conoscenza solo io e potevo tranquillamente mandarlo a monte, senza ferire nessuno.
Ero felice. Dopo cinque lunghi anni, avevo ritrovato un sorriso genuino, in tutti quei momenti che passavo con quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio.
Tutto si svolgeva in prospettiva di un lieto fine. Ma ricordate ciò che vi ho detto all'inizio? I lieto fine mi odiano.
Una mattina, sentii bussare alla mia porta. Ero sicura che non fosse Daniel, dal momento che era a scuola, ma potevo aspettarmi di tutto da lui. Così andai ad aprire, con un sorriso stampato in faccia. Ma quando lo feci, due fari verdi mi stavano fissando. “Lucas..” mormorai. Lui entrò in casa, rischiando di buttarmi a terra. Chiusi la porta alle mie spalle e prima che potessi dire qualcosa, cominciò a parlare: “Non reggo più”.
“Non reggi più.. Cosa?” chiesi, con leggero timore.
“La tua.. Presenza”. Il modo in cui scandì le parole, mi fece rabbrividire. Non avevo notato come la sua espressione fosse diversa dal solito. Sembrava stanco, spossato e i suoi capelli, di solito perfetti, erano scompigliati.
“Non dovrebbe importarti ed è comunque poco il tempo che passo con te” replica. Cercai di tenere la calma. Lucas era strano, la sua voce era strana. Ma che gli era successo?
“No, tu non.. Tu non capisci”. Sillabò anche quella frase, mentre muoveva qualche passo verso di me. Istintivamente, indietreggiai, ma lui mi afferrò per i polsi, costringendomi a guardarlo negli occhi. “Averti nella stessa città mi fa impazzire, basta solo quello. Ma tu stai con mio fratello e hai idea di quanto sia dura da sopportare per me?”.
“Considerando ciò che mi hai detto l'ultima volta, non dovrebbe importarti”.
“Dannazione, non ti sei accorta che mentivo?”.
Sì, me ne ero accorta, era palese.
Lui continuò: “Haley mi ha costretto a dirti quelle cose. Voleva che ti allontanassi subito, perchè aveva paura. Ma lei non sa niente, lei non sa quello che abbiamo passato, i nostri momenti... Non sa cosa siamo stati”.
Realizzai, dopo quelle parole, che il mio piano subdolo, malvagio, aveva dato i suoi frutti, aveva funzionato alla perfezione. Eppure, ciò mi demoralizzò e mi mise il panico addosso. Fino a qualche giorno prima, avrei gioito, ma in quel momento, desideravo solo che Lucas continuasse la sua recita imposta da Haley e che io potessi continuare la mia storia con Daniel.
“Hai usato un tempo passato, lo sai? Ed è quel che siamo, Lucas, siamo il passato” dissi. Citai Haley e mi maledissi per ciò, ma solo allora mi resi conto di quanto fosse rilevante quell'affermazione. Ero così fermamente attaccata al passato, da rifiutare il presente.
E Lucas non era diverso da me. Lo dimostrò quel che fece subito dopo. Prese il mio viso tra le mani e mi baciò sulle labbra. Mi prese alla sprovvista e ci misi un po' per distaccarlo.
Non mi importava più di lui. Avevo partecipato al suo film, ma non avevo intenzione di essere presente anche nel suo secondo tempo.
“Sono cambiata, Lucas. Sto con Daniel e amo lui. Tu sei.. Tu semplicemente, non mi appartieni più” esclamai.
Non avrei mai pensato di essere in grado di dire una frase del genere. Eppure lo feci. Dopo tanta agonia, avevo voltato pagina, con qualcuno di migliore.
Lucas mi guardò per qualche secondo, sorpreso, perplesso. Infelice.
Alla fine, gli avevo comunque impartito una lezione. “Va a casa, torna da Haley” gli sussurrai.
Lui lo prese come un ordine e andò via, lasciandomi sola.






 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


 Lucas provò a chiamarmi più e più volte, ma non era la sua chiamata che aspettavo. Aspettavo quella di Daniel, che invece non arrivò.
Quella sera dovevamo uscire. Aveva detto che sarebbe passato a prendermi alle sette. Erano le otto e lui ancora non era lì ed era strano, perchè non era un ritardatario. Il suo telefono continuò a squillare a vuoto. Mi ero arresa al fatto che non mi avrebbe risposto e decisi di uscire di casa per andare alla sua e chiedergli spiegazioni. Quando aprii la porta per uscire, però, me lo ritrovai davanti. La sua espressione era il ritratto della miseria.
“Sei qui” mormorai. Gli buttai le braccia al collo, ma lui rimase fermo, come un pezzo di ghiaccio. Così mi staccai e lo guardai, accarezzandogli il viso. “Hey, che hai?” osai chiedere.
Quando alzò lo sguardo, feci fatica a riconoscerlo. Quel velo grigio che tanto mi ero sforzata di levargli era tornato ed era più scuro, più cupo. “Che succede?” domandai ancora. Lui non rispose. Gli feci cenno di entrare e obbedì, meccanicamente. “Ti aspettavo un'ora fa. Tu sei sempre così puntuale, quindi iniziavo a..” feci per dire, ma Daniel mi interruppe: “A volte sono in anticipo anche di ore”.
La sua frase mi fece paralizzare. Che significava? Possibile che era lì, quando..
“Che intendi?” chiesi, allora, sperando che le mille supposizioni che stavano vagando nella mia mente, rimanessero tali.
“Io ti ho vista” disse lui, con un fil di voce.
Si avverarono tutte. Sarebbe stato troppo facile se fosse rimasto tutto un segreto, se fosse andato tutto bene.
“Daniel, quello..” balbettai, ma qualunque cosa avessi detto, non mi avrebbe giustificata. Sebbene non fosse del tutto colpa mia. Non sapevo fino a che punto lui avesse visto. Sicuramente non abbastanza, troppo poco, per fraintendere tutto. “Quello cosa? Non aveva importanza?” disse lui, serrando la mascella.
“Certo che non aveva importanza, io..”.
“Un bacio è sempre importante”.
“Non ciò che hai visto”. Avanzai nella sua direzione, ma istintivamente lui indietreggiò, posando di nuovo gli occhi a terra. “Perchè l'hai fatto?” chiese Daniel. Odiavo domande del genere. Non tutte le azioni hanno una razionale e logica spiegazione. “Lui ha baciato me e.. E io l'ho respinto, Daniel. Davvero, hai.. Hai frainteso tutto” provai a spiegare. Era vero, in quel momento non stavo mentendo, sebbene lo avessi fatto in precedenza.
“Provi ancora qualcosa per lui?” continuò a chiedere. Io sentivo di star per crollare. Sapevo del rischio che una situazione del genere avesse potuto verificarsi, ma non le avevo mai dato peso, non dopo essermi innamorata di quel ragazzo. “No, provo qualcosa per te” risposi, sicura, sebbene avessi voluto aggiungere 'non più', ma quelle due parole si sarebbero solo insinuate nelle sue incertezze.
“Puoi.. Puoi essere sincera, almeno per una volta?”. La sua voce era spezzata, avrebbe pianto da un momento all'altro, e ciò mi distruggeva lentamente.
La sincerità, nell'ultimo periodo, non era stata mia compagna. Forse dovevo cambiare, ma non sapevo se quello fosse il momento più opportuno. Probabilmente, no. Ma per mia sfortuna, Daniel era troppo intelligente, tanto da aver capito ogni cosa. “Sei ancora follemente innamorata di lui. Tu non te ne accorgi, ma gli sguardi che gli fai.. Parlano da soli” mormorò. “Pensavo fosse solo la mia immaginazione, perchè, diamine, tengo a te più che me stesso, ma non è così e me ne sono reso conto stasera”.
“Daniel, tu non..”.
“Cosa? Non capisco? Ovviamente non capisco, perchè sono solo un ragazzino, no? Scommetto che stare vicino a me, nella tua mente, fosse un modo per tornare da lui.. Non.. Non mi sorprenderebbe”.
Non aveva solo intuito, aveva compreso ogni cosa. A differenza di ciò che riteneva pensassi, Daniel non era un ragazzino, era persino più adulto di me. Io restai in silenzio, il che non fece altro che confermare la sua tesi. Abbassai lo sguardo e lo vidi, con la coda dell'occhio, andare verso la porta e uscire di casa.
“Daniel, aspetta” esclamai, seguendolo. Il suo passo era svelto, fin troppo. Quando varcai la soglia, lui aveva già percorso tutto il vialetto di casa mia, fino al marciapiede. “Daniel, ti prego!” mi ritrovai ad urlare, ma non si fermò, camminò ancora. Mise fine al suo cammino solo quando io stavo per perdere le speranze. Tirai un sospiro di sollievo e lo raggiunsi, ritrovandomi a pochi centimetri da lui. “Lasciami.. Lasciami spiegare, per favore..” mormorai.
Daniel scosse ripetutamente il capo e abbassò lo sguardo. Non voleva guardarmi negli occhi e non lo biasimavo.
“Accompagnami.. Accompagnami solo a casa. Non voglio sentirti parlare, voglio solo andare a casa” singhiozzò.
Mi fece sentire peggio, come se le conseguenze delle mie azioni mi stessero crollando addosso, tutte nello stesso istante. Mi limitai ad annuire e ad accordarlo. Non era nelle condizioni adatte per sostenere un discorso e nemmeno io. Forse era troppo presto per raccontargli ogni cosa che avevo fatto, pensato e perchè. Ma avevo intenzione di raccontargli ogni cosa, sperando che lui mi capisse, o almeno non mi odiasse.
Recuperai le chiavi della macchina in casa. Daniel era già salito in auto e allacciato la cintura.
Mi sembrò di tornare indietro nel tempo, con i suoi silenzi e io con niente da dire. Solo che in quel momento non potevo improvvisare frasi stupide da dire e, anche se lo avessi fatto, non gli avrei strappato nessun sorriso.
Il mio sguardo si spostava da lui alla strada e viceversa. Teneva le mani sulle ginocchia tremanti, così come il resto del corpo. “Mi dispiace” fu l'unica cosa da dire che mi venne in mente, ma tutte le scuse del mondo non sarebbero bastate a farmi perdonare. Daniel non fiatò. Io mi voltai verso di lui, cercando di captare un qualsiasi segnale che dimostrasse il fatto che non era tornato ad essere quel fantoccio apatico di qualche mese prima. “Daniel, io..” feci per riprendere a parlare, ma lui mi precedette.
“Attenta!” urlò. Mi ero talmente persa nei suoi lineamenti, che non avevo badato alla strada. Quando mi girai, vidi solo una forte luce, che mi annebbiò la vista. D'istinto, girai il volante, per evitare qualsiasi cosa ci stesse venendo addosso. Ma lo feci troppo forte e alla fine persi il controllo dell'auto.
Non ricordo bene cosa successe dopo che mi accorsi che la macchina non rispondeva ai miei comandi. Accadde tutto troppo in fretta, fummo sballottati da una parte all'altra più e più volte. Mi ritrovai, una frazione di secondo dopo, a testa in giù, con un forte dolore alla fronte. Realizzai subito che l'auto era capottata e che mi ero tagliata, tanto che riuscivo a sentire il sangue scorrermi sul viso. Il mio primo pensiero, tuttavia, non fu per la mia incolumità, fu per quella di Daniel. Mi voltai subito verso il lato passeggero. Lui si trovava nella mia stessa posizione, tenuto su dalla cintura di sicurezza, con gli occhi chiusi..
Anche la mia era ben salda e riuscii a liberarmene a fatica. Dovetti fare la stessa cosa con la sua. Il fatto che fosse incosciente complicò le cose.
Sapevo che, in casi come quelli, la persona non doveva essere mossa, ma l'odore di benzina era troppo forte e temetti che l'auto avesse potuto esplodere da un momento all'altro, con noi dentro.
Così, con un grande sforzo, uscii da quell'abitacolo e tirai fuori Daniel. Dovevo trascinarlo via da lì, era quella la cosa più importante. Lo presi da sotto le braccia e lo trasportai a qualche metro di distanza.
Mi guardai attorno, ma per la poca luce che c'era, non riuscii a riconoscere in che posto ci trovavamo. Sicuramente, non eravamo più sulla strada, perchè il rumore delle auto ancora in corsa sembrava molto lontano.
Sentii Daniel gemere, sdraiato tra le mie braccia. “Hey” mormorai. Era ridotto male. Il viso era circondato da strisce colorate di rosso, e lui faceva fatica a tenere gli occhi aperti. Cercai immediatamente il mio cellulare in tasca, ma non c'era. Doveva essermi caduto in auto.
“Hey, devo.. Devo andare a cercare aiuto, ma.. Ma torno subito, torno e..” singhiozzai. Non dovevo piangere. Le lacrime stanno a significare che qualcosa va male, che sta per succedere qualcosa di irrimediabile, e non era quello il caso. Non poteva, non doveva. Mi convinsi che Daniel sarebbe stato bene e cominciai ad immaginare tutto ciò che sarebbe successo dopo.
Sarebbe andato tutto bene. Era così che doveva andare.
“No.. No, tu.. Tu resta con me” mormorò lui, con un sospiro. “Non.. Non posso, io devo portarti via da qui, tu..” disse allora io. Per quanto mi stessi sforzando di trattenere le lacrime, esse cominciarono a sgorgarmi dagli occhi, senza freno. Fu inevitabile ed ebbe inizio un pianto silenzioso. Sarebbe durato a lungo, nel mio inconscio, ne ero già consapevole.
H-hush now, don't.. Don't you cry.. Wipe away the.. The teardrop from your eyes..”. Daniel mormorò qualcosa, dei versi di una canzone. Non la riconobbi subito, solo dopo qualche secondo. Lo strinsi di più a me, in modo che poggiasse la testa sul mio petto. Non mi importava il fatto che mi stessi imbrattando di rosso, in quel momento più niente contava.
You're lying safe in bed. It was all a bad dream, spinning in your head”. Continuai per lui la canzone e mi sorrise quando lo feci, o perlomeno, tentò di sorridere. Si trasformò presto in una smorfia e tossì.
Daniel, devo andare a..” iniziai la frase. Dovevo cercare aiuto, qualcuno che ci tirasse fuori da lì, ma lui mi impediva di muovermi. Si aggrappò a me, con la poca forza che aveva. Gli accarezzai il viso, tirandogli indietro i capelli sporchi di terra e sangue. “Your.. Your mind..” sussurrò ancora.
Perchè non mi lasciava andare? Perchè non mi permetteva di salvarlo? Sarebbe bastato poco, così poco.
Mi tratteneva lì, con quella canzone, che incrementava solo le mie lacrime.
Tricked you to feel pain of someone close to you, leaving the game of life”. Andai avanti a cantare, perchè era l'unica cosa che mi era concessa, per non sprofondare nel dolore.
Il suo dolore, che in quel momento sentivo come se fosse il mio.
So here is it and..”. Mi interruppi.
Ero abituata al silenzio, ma di quel genere, non l'avevo mai sentito. Forse perchè il vero silenzio non esisteva, l'aria sarebbe stata sempre attraversata dal lieve battito dei cuori delle persone, dai soffi dei loro respiri, dal battito delle loro ciglia. Ma Daniel non possedeva niente di tutto ciò.
Lo scossi, leggermente, convinta che fosse solo la mia immaginazione a vederlo immobile, inerme.
Non era così.
Daniel..” mormorai, con un filo di voce.
Lui non rispose.
Aveva gli occhi chiusi.
Dormiva.
Avrebbe dormito per sempre.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


 Il niente, il vuoto.
Dietro la morte, c'era dell'altro?
No, c'era solo il nero, il nulla.
Odiavo tutte quelle persone che continuavano a sussurrare nelle mie orecchie 'si trova in un posto migliore'.
Era morto, Daniel era morto. Il suo cuore non batteva più, il suo petto non si muoveva per farlo respirare, le sue palpebre non si sarebbero mai più sollevate a mostrare quei due diamanti azzurri che aveva al posto degli occhi.
Lui sarebbe rimasto per sempre disteso in quella bara rivestita di raso blu, mentre l'umidità della terra, col tempo, avrebbe corroso il suo corpo perfetto e alla fine tutto sarebbe diventato polvere.
Come poteva esserci qualcosa di buono nel pensare che la sua anima fosse volata chissà dove, in una forse esistente dimensione?
Non esisteva un'aldilà, non esisteva un paradiso, esisteva solo l'inferno e in quel momento ci stavo camminando in mezzo.
Avevo varcato la soglia di ingresso quando avevo dovuto dare la notizia della morte di Daniel a suo fratello. Quella sera era di turno in ospedale. Entrai al pronto soccorso accompagnata dai paramedici, che troppo tardi ci avevano soccorso e vidi venirmi incontro Haley. Fu lei a medicarmi il taglio della fronte, mentre io rimasi immobile, in silenzio, come se avessi perso l'uso della parola.
Haley sapeva già di Daniel. Aveva gli occhi marcati dalle lacrime e il suo restar zitta me ne diede la conferma. Parlò solo per dire: “Dobbiamo dirlo a Lucas. E' di sopra, in chirurgia”. Mi limitai ad annuire e a seguirla, in ascensore.
Salimmo cinque piani, sempre accompagnate dall'assenza di suono.
Quando vidi Lucas, mi bloccai di scatto. Fu Haley a proseguire nella sua direzione. Lo abbracciò e poco dopo lui cadde con le ginocchia a terra. Capii che lei gli aveva rivelato tutto.
Ma non fu quella la parte peggiore.
Tre giorni dopo ci fu il funerale. Non avevo le forze di sistemarmi, anche perchè in nessun modo avrei potuto coprire i miei occhi gonfi e rossi. Uscii di casa, andando dritta verso il cimitero. Scorsi appena la bara bianca, ricoperta da fiori blu che vi entrava, ma poi mi ritrovai Lucas davanti. Nel suo viso, vidi il mio riflesso.
“Lucas..” mormorai, con voce rotta. “Non ti voglio qui” mi disse. Il suo tono era fin troppo serio.
“Cosa? Io..”.
“Ho detto.. Ho detto che non ti voglio qui”.
Perchè non mi voleva? Perchè non mi voleva permettere di dirgli addio?
Avrei replicato, se solo la mia lingua si fosse contorta ad emettere suono, ma ciò non accadde. Haley allontanò Lucas da me e mi parve si sentire un leggero “Mi dispiace” provenire dalle sue labbra.
Probabilmente, Lucas mi riteneva responsabile dell'incidente che gli aveva portato via l'unica persona della sua famiglia a lui rimasta. Come avrei potuto dargli torto? Se solo avessi rifiutato di accompagnarlo a casa, se solo gli avessi rivelato i miei veri sentimenti.. Se solo fossi stata sincera, sin dall'inizio.
Non era Lucas ad essere la causa di rovina della mia vita, era il contrario. Io lo avevo distrutto, letteralmente, e quella mia stupida voglia di vendetta, aveva fatto a brandelli una persona che non c'entrava nulla. E per quello mi odiavo.
Mi odiavo e ogni giorno che passata, il mio odio cresceva. Guardavo il mio riflesso allo specchio e vedevo solo un mostro da eliminare. Ci provai, una sera, immersa nella mia vasca da bagno. Ma ero codarda e la paura mi stava divorando.
Ero riuscita a spezzare il respiro di Daniel ed ero incapace di metter fine al mio.

Passarono sette giorni dalla morte di Daniel Monroe. Li avevo passati chiusi in casa, dandomi per malata sul lavoro. Solo all'ottavo giorno mi decisi ad uscire, ma fu una pessima idea. Ogni luogo in cui capitavo, mi ricordava lui. Ogni suono, ogni odore, ogni cosa mi riportava alla mente i suoi occhi come il mare, le sue labbra e il suo profumo alla vaniglia. Dovetti tornare nella mia stanza messa sottosopra nel giro di sole due ore.
Quando rientrai, chiusi la porta e mi poggiai con la schiena ad essa.
Come sempre, la casa era vuota, silenziosa e io ero distratta. Cercavo di tenere la testa occupata da qualsiasi pensiero, anche dalle cose più stupide, ma per me era dannatamente difficile non pensare a Daniel.
Era così difficile che mi pareva persino di vederlo, proprio come in quel momento.
Lo vidi in piedi, accanto al tavolo, con un mezzo sorriso sul volto, mentre mi guardava con il suo solito sguardo dolce.
“Hey, Sam”.
La mia immaginazione era così fervida che mi sembrò di sentire anche la sua voce. Chiusi per un attimo gli occhi e scossi il capo. Quando li riaprii, mi aspettai che tutto fosse sparito, ma.. Lui era ancora lì, che mi fissava.
“No.. No, tu sei..” balbettai. “Morto?” disse Daniel. “Sì, lo sono e.. Non è poi così male, sai?”. Accennò una risata, subito dopo quella frase. Credetti di impazzire.
Non poteva essere lì, non poteva essere reale.
Ripetei lo stesso gesto di poco prima, sperando e pregando che sparisse, ma non lo fece, anzi: ogni volta che riaprivo gli occhi, mi era più vicino.
“Io sto.. Diventando pazza, ho bisogno di dormire” esclamai. Corsi su per le scale, per andare in camera mia. Non appena aprii la porta, però, vidi Daniel a fianco del letto, con le mani intrecciate dietro alla schiena.
“Sai che non puoi scappare, non in casa tua” commentò.
“Dannazione” quasi urlai, portandomi le mani sul viso, coprendomi gli occhi. “Tu non sei reale”. Tolsi le mani e Daniel era a pochi centimetri da me, che mi fissava con uno sguardo penetrante. “Sono più reale di quanto immagini” bisbigliò.
Era esattamente come lo ricordavo. I suoi lineamenti ben definiti, la forma delle labbra sottili, il taglio degli occhi.
“Tu sei.. Sei morto tra le mie braccia.. Non puoi essere qui” dissi, sforzandomi di non incontrare il suo sguardo.
“Il mio corpo è morto, sì. Ma non c'è solo quello dentro di noi, Sam” replicò lui.
Come poteva essere possibile? Dovetti sforzarmi di abbattere tutte le mie convinzioni, tutti i miei pregiudizi. Non mi importava nemmeno di diventare malata psicologicamente. Lo vedevo, lo avevo vicino e mi importava solo quello. Se era la mia immaginazione, se era solo un sogno.. Era un dato irrilevante.
“Sei un.. Sei un fantasma?” chiesi, tenendo ancora la testa bassa.
“Diciamo così”.
“E perchè sei qui? Hai.. Hai dei conti in sospeso?”.
Lo sentii allontanarsi a quella domanda e potei sollevare lo sguardo, per vederlo di spalle, rivolto verso la finestra mezza aperta. “Non posso dirtelo” mormorò “ma di faccende in sospeso potrei averne e non poche”.
Mossi qualche passo nella sua direzione. Non ne sapevo nulla di fantasmi o spiriti. Per me, non esistevano ed ero ancora convinta del fatto che stesse accadendo tutto nella mia testa.
Arrivai al suo fianco. Nel vetro della finestra, vidi il mio riflesso, ma non il suo.
La mia immaginazione non poteva essere così dettagliata.
Non c'era una spiegazione logica al fatto che lo vedessi, o a quello che lui fosse lì.
Allungai una mano verso di lui. Volevo toccare la sua pelle, volevo ancora sentirla sotto le mie dita. Ma prima che potessi raggiungerlo, lui si dissolse, come fumo e svanì.
“Daniel?” bisbigliai.
“Sono qui”. La sua voce echeggiò nella stanza. Sobbalzai e me lo ritrovai alle spalle. “Non puoi  toccarmi, non ti è permesso” disse, con tono severo.
“Non mi è permesso da chi?”.
“Non.. Non posso dirtelo”.
Sbuffai. La situazione cominciava a irritarmi. “Non puoi venire qui, farti vedere e dirmi che nemmeno posso toccarti” esclamai, risultando acida. Per qualche strano motivo, la mia frase lo fece sorridere.
“Dovrei mentirti, altrimenti, ma non posso fare neanche questo, per cui.. Preferisco tacere” disse.
Mi guardò per qualche secondo e io, come al solito, mi persi nel mare dei suoi occhi.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


 Passarono cinque giorni.
Ogni mattina, quando aprivo gli occhi, cercavo di convincermi del fatto che fosse tutto frutto della mia immaginazione. Daniel mi mancava così tanto che il mio inconscio creava il suo ritratto perfetto davanti a me. E la cosa funzionava finchè lui non cominciava a parlarmi e la sua voce nitida mi entrava in testa.
Era criptico. Provai più volte a chiedergli perchè fosse lì, perchè io lo vedevo, ma non rispondeva mai, o cambiava discorso.
Certe volte mi stendevo sul letto, per semplicemente guardarlo in piedi vicino alla finestra. I raggi del sole che passavano attraverso il vetro, non lo scalfivano. La sua pelle era ancor più bianca di quando era in vita e, se fosse stato possibile, i suoi occhi brillavano almeno il doppio.
Trascorrevo ore, solo a fissarlo. Lui non parlava, a meno che io non lo facessi. Ad un tratto scompariva, ma io continuavo a sentire la sua presenza nella stanza.
Tuttavia, non potevo resistere a lungo in quel modo. La mia vita non andava più avanti. Restavo a casa la maggior parte del tempo, non avevo rapporti con nessuno.. di vivo.
Se Daniel era lì, qualunque cosa fosse, un fantasma, uno spirito, c'era un motivo. Dovevo solo scoprire quale. Ovviamente non potevo scoprirlo da sola. Lo conoscevo, sì, ma non bene come faceva Lucas. Avevo bisogno del suo aiuto.
Mi avrebbe preso per pazza una volta detto tutto, ma era un rischio che ero disposta a correre.
Bussai alla porta di casa Monroe e passò almeno mezzo minuto prima che qualcuno venisse ad aprire. Per mia fortuna, o sfortuna, dipendeva dai punti di vista, fu proprio Lucas a farlo. Per un attimo avevo sperato fosse Haley. Strano, però mi sarei trovata più a mio agio a parlare con lei.
Sforzai palesemente un sorriso appena lo vidi, che servì a ben poco. Lucas fece per richiudere la porta e dovetti bloccarlo. Proprio in quel momento, Daniel apparve accanto a me. Sospirai di sollievo, vedendolo. In un certo senso, mi dava coraggio. “So che non vuoi vedermi, ma c'è una cosa che devi sapere” dissi.
Lucas mi fulminò con lo sguardo. Nei suoi occhi c'era una tristezza immensa e io mi sentii tremendamente in colpa. In fondo, ero stata io a ridurlo così.
“Io..”. Dopo solo quel pronome, la voce mi si bloccò in gola. Entrambi i fratelli Monroe mi stavano fissando e io, lentamente, stavo affogando nell'aria, diventata troppo pesante per me.
“Vedo Daniel”. Quella frase fu un sussurro, lieve, ma tagliente come vetro. Lucas abbozzò un sorriso amaro. “Vattene” sentenziò. “Ti sto dicendo la verità, Lucas. Lui è qui, è di fianco a te” esclamai. Non sembravo pazza, probabilmente lo ero. “Ti prego, diglielo che sei qui” implorai Daniel, ma restò immobile con le braccia incrociate. Non mi resi nemmeno conto che Lucas era rientrato in casa e aveva chiuso la porta.
Mi voltai allora verso l'altro fratello. Avevo gli occhi che mi bruciavano e sicuramente avrei pianto da un momento all'altro. “Mi ha chiuso la porta in faccia” dissi, passandomi una mano tra i capelli.
“Beh, se vai da una persona a dire 'hey, vedo tuo fratello morto'.. Che reazione ti aspetti?” replicò, con un sorriso, lo stesso che io gli avevo strappato via l'ultimo giorno della sua vita. “Da quando sei così.. Spiritoso?” esclamai. Scossi di poco il capo. Chiunque fosse passato di lì, mi avrebbe visto parlare con un muro, ma poco mi importava.
“Uhm, non lo so. Forse morire rende la gente più interessante” rispose.
Aveva ragione.
In quanti casi qualcuno è diventato di vitale importanza, solo dopo la sua morte?
Io credevo di poter fare a meno di Daniel, quando era vivo, e invece, in quel momento, avevo bisogno di lui solo per respirare.

Tornai a casa, desolata. Daniel mi seguì, pari passo, fino alla mia stanza. Mi sedetti sul letto e lui mi fissò, con le mani nelle tasche dei jeans. “Risponderai mai a qualche mia domanda?” mormorai.
“Dipende. Finchè continuerai a chiedermi che ci faccio qui.. No” replicò. Mi aspettavo una risposta del genere. Sospirai, stringendo i pugni. Amavo e odiavo quella situazione.
L'amavo, perchè avevo la possibilità di vederlo ogni giorno, al mio fianco.
L'odiavo, perchè, sebbene lui fosse lì.. Non lo era davvero. Non c'era il suo corpo, quello stava marcendo sottoterra già da un po'.
“Puoi dirmi almeno cosa sei?” dissi allora. Fece per rispondere, e sapevo già cosa stava per replicare: che non poteva, che qualche strana legge glielo vietata. Ma che legge era? E imposta da chi?
Mi alzai di scatto e mi ritrovai a pochi centimetri da lui.
“Io non..”.
“Non mi dire che non puoi.. Puoi.. Lo so che puoi. Dimmelo o.. O rischio di impazzire”.
Avrei seriamente rischiato di farlo e il modo in cui lui mi guardava, di certo non aiutava. Dedussi, tuttavia, che non mi avrebbe detto niente, non di spontanea volontà. Avrei dovuto andare per tentativi.
“Non sei un fantasma” dissi e Daniel fece cenno di no.
“Uno spirito, nemmeno. Non sei uno zombie o un vampiro, altrimenti avresti una vera e propria consistenza fisica” proseguii. Lo vidi ridere. “Hai guardato troppi film horror” esclamò.
“Sto per esaurire le opzioni.. Mi sto avvicinando, almeno?” replicai. Lui fece una smorfia. Sembrava lo divertisse vedermi così in bilico, senza nessuna certezza.
Alla fine non mi importava davvero cosa fosse, era tutta una questione psicologica.
“Sei lontana anni luce” disse, con un sorriso.
“Non aiuti”.
“Lo scoprirai, Sam. A tempo debito”.
A tempo debito? Quanto? Quanto doveva passare? Il nervoso mi stava consumando. Se non potevo avere delle risposte ed ero costretta ad aspettare, dovevo allora distrarmi. Decisi, il giorno dopo, di andare a lavoro. Mi buttai su tutti quei progetti che avevo lasciato indietro e ne iniziai altri che nemmeno erano in programma.
Si fece sera e Daniel non si era ancora fatto vedere.
Quando salii in auto, aspettai prima di mettere in moto, nella speranza che lui apparisse al mio fianco. Non successe, né lì, né a casa, per tre giorni.
Cominciavo ad essere in astinenza da lui. Il lavoro non era più una distrazione efficace.
La quarta sera, come quelle prima, rimasi ferma, in auto, in attesa. Quella volta, lui c'era, seduto dal lato passeggero.
“Pensavo non tornassi più” mormorai, guardandolo di sfuggita. “Avevo delle cose da fare” rispose, distrattamente.
“Che ovviamente, io non posso sapere”.
“Che ovviamente tu non puoi sapere. Sei troppo curiosa, Sam. A volte, solo a volte, essere all'oscuro di qualcosa è positivo”.
Abbozzai un sorriso, scuotendo di poco la testa. “Ci ho rinunciato a sapere le cose. Hai detto che me le dirai, io aspetterò” dissi. Lui si limitò ad annuire. “Non ti preoccupa il fatto che qualcuno possa vederti in questo momento parlare.. Da sola?” esclamò.
Risi quella volta. Era la mia principale preoccupazione,  dal punto di vista razionale. Ma dal punto di vista emotivo, del cuore, non mi importava. “Non c'è nessuno, mi pare” sussurrai, appoggiandomi allo schienale. Socchiusi gli occhi, sovrappensiero.
Misi in moto solo dopo qualche minuto. Avevo un posto preciso in mente, verso il quale dirigermi ed ero sicura che lui mi avrebbe seguito.
Così fu.
Parcheggiai davanti al piccolo cimitero della città. Quando scesi dall'auto, Daniel era fermo davanti al cancello cigolante. “Non entrerò qui dentro” disse. Cercava di bloccarmi la strada o di farmi cambiare idea, per chissà quale strano motivo. “Non ti costringo a farlo” replicai. Lo sorpassai.
La sua tomba era posta nella cappella della famiglia Monroe, una delle poche presenti lì. Era circondata da grossi abeti e pini che riempivano l'aria di un odore molto gradevole.
'Daniel Monroe, amato fratello'. Questo recitava la scritta color argento posta sopra il marmo. La conoscevo a memoria. A volte ci passavo giornate intere lì davanti, prima di vedere il suo spirito,si intende.
“Carina”. Ad un tratto, sentii la sua voce e sussultai, sebbene mi aspettassi che mi sarebbe stato accanto anche lì, nonostante la sua affermazione precedente. “Oddio, in quella foto sembro un'idiota, ma per il resto.. Uhm, sì. Carina”.
Il sarcasmo con cui commentò la sua lapide mi fece sorridere. Mi soffermai con lo sguardo sulla foto che aveva preso in considerazione: ritraeva lui, presumibilmente un anno prima che lo ebbi rivisto. Sorrideva, ma era quel sorriso finto e apatico che mi ero sforzata di levargli e poi gli avevo rigettato addosso. Sullo sfondo, si intravedeva quello che sembrava essere un lago o forse una spiaggia. “E' una foto bellissima” dissi, allora.
Anche da morto, la sua autostima scarseggiava. Possibile che non si rendesse conto di quanto fosse perfetto?
Lo vidi abbassare lo sguardo, sovrappensiero, se mai, qualunque cosa fosse stato, fosse in grado di pensare.
“Come è stato?” chiese, in sussurro. Ci misi un po' a capire a cosa si stesse rivolgendo: il suo funerale.
“Straziante” risposi. Per quanto mi fossi sforzata di descriverlo, quella parola riassumeva benissimo quel momento.
“Peccato. Avrei voluto tanti sorrisi e palloncini colorati” commentò. A volte finiva per irritarmi, come con quella frase. Non gli dispiaceva di essere morto? Non gli mancava la vita terrena?
Ovviamente, solo una persona viva come me poteva porsi quelle domande. Chissà che succedeva una volta arrivati dall'altra parte. Forse esisteva davvero un paradiso e l'Inferno era il mondo, dove noi viviamo.
Lasciai perdere ogni tipo di domanda e tornai a casa.
Anche lì, fui seguita da lui. Passai il resto della sera a osservare la sua espressione seria, ma a volte distratta.
Dovevo aspettare ancora per scoprire cosa fosse, ma non mi sarei arresa. Non così facilmente, come lui sperava.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


 Persa. Ecco come mi sentivo.
Avevo pensato che rivedere Daniel, saperlo vicino comunque, anche dopo la sua morte, avesse alleviato almeno un po' il dolore costante che sentivo, ma non era così, anzi, aveva l'effetto contrario, perchè ero consapevole del fatto che non avrei mai più potuto averlo. Sebbene molte volte, come mio solito, mi perdessi in mille fantasie, il suo sguardo bastava a farmi ritrovare nella maledetta realtà.
Daniel non poteva tornare nel mondo dei vivi e io lo volevo: desideravo lui, il suo corpo, il suo calore. Avevo bisogno di sentirmi al sicuro tra le sue braccia, di percepire le sue labbra sulle mie. La soluzione a tutto ciò mi parve semplice: se non poteva tornare da me, allora sarei andata io da lui.
Nella mia mente avevo già progettato tutto. Sarei andata al lago, lo stesso dove mi aveva portato Daniel, il suo posto segreto. Era pieno inverno, l'acqua sarebbe stata gelida e ci avrebbe messo relativamente poco a congelarmi, a far fermare il mio cuore e il mio respiro. Sarebbe stata una morte tranquilla, dovevo solo lasciarmi andare e farmi trasportare da quel liquido trasparente.
Uscii di casa. Era sera, il sole era appena tramontato e in giro non c'era ancora nessuno: tutti a prepararsi per una serata fuori, o a studiare per un compito del giorno dopo, oppure semplicemente distrutti, sul divano, a fare zapping alla tv. Daniel non era con me. Capitava spesso che sparisse per ore ed ore, e tornasse, senza darmi una valida spiegazione, o comunque niente che non coinvolgesse un 'non posso dirtelo'. Cominciai a odiare quella frase.
Raggiunsi il lago in un paio di minuti, era poco distante da dove abitavo. Quando scesi dall'auto, la pace che mi avvolse era surreale. Se esisteva davvero un paradiso, era così che lo immaginavo: quella visione, l'acqua che rifletteva ogni cosa attorno, l'aria leggera che mi scompigliava di poco i capelli, e poi gli odori, profumo di fiori e pini. Era tutto magico, come se in quel luogo fosse stato posto una sorta di incantesimo.
Mi guardai per un po' attorno, mentre lentamente e quasi in modo meccanico, mi dirigevo verso la riva del lago.
Stranamente, non avevo paura e il panico non mi aveva assalito, come ci si aspetterebbe. Avevo intenzione di andare fino in fondo, sebbene non sapessi cosa sarebbe accaduto dopo. Non c'era alcuna certezza: nulla mi assicurava che, una volta morta, avrei potuto riconciliarmi con Daniel. Lui era buono, non aveva mai fatto niente di male e presumevo che chiunque si occupasse delle anime dei defunti, guardasse ciò che una determinata persona aveva compiuto in vita. Non che ci credessi veramente, almeno non prima che tutto quello accadesse, ma le visioni di Daniel erano reali, non accadeva solo nella mia testa, per cui, già da un po', mi ero convinta che esistesse davvero un'aldilà, dove si andava, alla fine delle vita terrena. Quel di cui non ero a conoscenza, appunto, era il mio aldilà. Non mi importava l'ambiente: volevo stare con lui, era il mio unico desiderio.
Così, continuai a pregare che ciò accadesse, mentre sentivo l'acqua bagnarmi i piedi, dopo che avevo tolto solo le scarpe, e successivamente salire di livello. Proseguii il mio cammino in quella distesa blu e gelida, fin quando l'acqua non mi arrivò alla gola. Sarebbe bastato solo un altro passo e non avrei più toccato terra. A tal punto, non avrei fatto nulla per restare a galla, mi sarei semplicemente arresa.
Un sorriso apparve sul mio volto, non appena feci quel gesto. Sprofondai, in quell'abisso. Chiusi gli occhi e sentii perfettamente l'acqua spingermi sempre più in basso, entrarmi nel naso e in bocca, raggiungere i polmoni e impedirmi di respirare. 'Va tutto bene, tra poco starò bene' continuai a ripetere a me stessa, in un misto tra verità e menzogna.
Era la seconda volta che tentavo di farla finita, ma alla prima, mi era mancato il coraggio. Ero stata patetica e codarda. Quella, invece, era definitiva.
O perlomeno, speravo lo fosse. Mancava poco, mancava così poco, che quasi mi sembrò di vedere il mio aldilà: perfetto, nitido, simile a come lo avevo immaginato. Ma, d'improvviso, sentii qualcosa, o meglio qualcuno, tirarmi via, con forza, vigore. Mi ritrovai di nuovo a contatto con l'aria e tornai a respirare. Avevo ancora gli occhi e sebbene fossi immobile e non toccassi terra, restai a galla. Mi decisi a sollevare le palpebre e davanti mi apparvero quei due fari azzurri. Daniel mi stava osservando, con aria dispiaciuta e preoccupata. Aveva le mani sui miei fianchi e.. Lo sentivo. Sentivo il contatto con la sua pelle, che mi sembrò calda considerando il gelo in cui mi trovavo. Era fradicio, esattamente come me, ma era comunque bellissimo.
“Non puoi farlo” disse lui. Io non risposi, mi limitai a osservarlo, nei minimi dettagli, cercandone nuovi, o esaminando quelli che troppe volte avevo tralasciato. “Non puoi decidere tu quando mettere fine alla tua vita, Sam. Non è così che deve andare, non è così che.. E' stato scritto” continuò. Se fossi stata più lucida, gli avrei chiesto da chi fosse stato scritto qualunque cosa, il destino mio e di tutti, sopportando anche la sua odiosa frase formulare. Invece restai in silenzio, ancora totalmente persa nella sua visione.
Avevo paura, non lo negai. Avevo paura che tutto ciò avrebbe potuto finire, che non lo avrei mai più visto, che quella avrebbe potuto essere l'ultima volta in cui potevo incrociare il suo sguardo. In realtà, era una paura che mi assaliva sempre. E allora, se un giorno tutto quello sarebbe finito, se fosse arrivato un addio definitivo, prima avevo l'estremo bisogno di dire una cosa, ciò che avevo ripetuto nella mia mente così tante volte, da farmi scoppiare la testa.
“Io ti amo, Daniel Monroe” mormorai. Il mio tono di voce era flebile, probabilmente dovuto al fatto che ero stata sul punto di annegare, ma non mi importava. Lui doveva saperlo e mi aveva sentito.
“Lo so”. Aveva il mio stesso tono, il che mi sorprese, non solo perchè nemmeno aveva un vero corpo, e quindi non poteva rischiare di affogare, ma soprattutto per quel che disse: 'lo so'. Come faceva a saperlo? Io ci avevo messo mesi a capirlo, quando in realtà era palese che lo amassi, e lui già lo sapeva? Rischiai di arrabbiarmi, ma il suo sguardo dolce e devoto mi ammaliarono.
“Lo so, perchè lo sento” proseguì, come se avesse colto i miei dubbi e le domande che avrei voluto porgergli. “E' una.. Nostra qualità. Sentiamo cosa provano le persone, anche quei sentimenti che si rifiutano di accettare”.
Ascoltando le sue parole, nemmeno mi accorsi che non eravamo più in acqua, bensì a riva, ma nella stessa identica posizione. Eravamo entrambi completamente bagnati, ma non avevo freddo. Stavo bene, come se il suo sguardo avesse potuto effettivamente scaldarmi.
“Dimmi cosa sei.. Ti prego, Daniel, io.. Ho estremo bisogno di saperlo”. Cominciai a supplicarlo. Non volevo davvero farlo, ma tra le lacrime che mi uscirono dagli occhi e i tremori per il freddo, il mio tono si tramutò in una supplica. “Io ne ho bisogno proprio perchè ti amo. Perchè voglio sapere il motivo per cui sei qui, voglio sapere se un giorno te ne andrai di nuovo, così che io possa prepararmi al nostro addio”.
Lui accennò un sorriso, mentre parlavo, che non capii. Sorrideva, ma che ragione aveva per farlo?
“Io rimarrò finchè tu ne avrai davvero bisogno” bisbigliò. A quel punto, rimosse le mani e fece un passo indietro. Non lo percepii più su di me, e fu come annegare di nuovo. “Io avrò sempre bisogno di te” singhiozzai.
“Non per sempre” disse Daniel. “I bisogni non durano per sempre, non è una cosa che appartiene loro. Andrai avanti, prima di quanto immagini. Io ho solamente il compito di assicurarmi che tu inizi a scrivere il nuovo capitolo della tua vita e di indirizzarti verso il tuo lieto fine, perchè tu avrai un lieto fine, Sam, io lo so”.
I suoi occhi. Dannazione, i suoi occhi, in quel momento, erano micidiali. Non svolgevano la solita ipnosi su di me, mi stavano.. Ferendo, uccidendo.
“Perchè tu non puoi esserci nel mio lieto fine?” osai chiedere, con timore. “Perchè sono morto” rispose lui, con incredibile naturalezza. Già, era morto e la colpevole ero io. Mi demoralizzò, ancora di più di quanto lo fossi già.
Tuttavia, mi ricordai quel che alla sua apparizione mi aveva detto, che non gli fosse permesso toccarmi e viceversa, ma ciò che aveva appena fatto, smontò tutto. “Mi hai toccato prima, io ti ho.. Ti ho sentito” esclamai. Bastò dire solo quello e capì subito a cosa mi stessi riferendo. Infilò le mani in tasca, abbassando lo sguardo e iniziò a giocherellare con la ghiaia. “Già. Facciamo che deve rimanere tra noi” replicò.
“Quindi.. Per farmi toccare, devo tentare il suicidio ogni volta?”.
“Sì, ma.. Non ci proverei, fossi in te”.
Lo guardai, con aria di sfida, ma solamente perchè nella mia testa era scattato qualcosa, che non sapevo fosse geniale o spregevole. “D'accordo. Io non ci provo più se tu mi dici chi sei”.
Daniel accennò una risata, che sebbene fosse sarcastica, mi riempì di gioia. Mi sembravano passati secoli dall'ultima volta che l'avevo sentita. “Mi stai ricattando? Non si ricattano i morti” disse. Lasciai perdere la sua affermazione e feci due passi indietro. Ero disposta a tutto, pur di scoprire la sua natura, e ripensandoci ora, mentre sto scrivendo, quella scena fu a tratti comica, considerando le espressioni di Daniel e il leggero panico che lo avvolse quando feci per rientrare in acqua. “Okay, okay!” esclamò, alzando le braccia, in segno di resa. “Te lo dico,ma.. Ma se lo vengono a sapere, sono guai”.
“Rimarrà tra noi anche questo”.
Sospirò e si mosse verso di me, fino a ritrovarsi a pochi centimetri dal mio viso. Dovetti sforzarmi enormemente per non fissarmi nel suo sguardo e perdere la percezione della realtà.
“Sono un angelo. Il tuo angelo, per l'esattezza” sentenziò. Mi sembrò che il mio respiro si fosse fermato in quell'istante. Avevo preso in considerazione una cosa del genere, ma mi ero costretta ad escluderla, perchè troppo surreale, non vera, quando invece.. Daniel era un angelo, lo era sempre stato e io lo avevo sempre pensato. Mi sentii una stupida per tutto il tempo perso a fare ipotesi su cosa fosse e in realtà avevo la soluzione sotto il naso, sin dall'inizio.
Sorrisi, non potei farne a meno, sebbene la sua espressione fosse ancora preoccupata. Io e le conseguenze, d'altro canto, viaggiavamo su due binari paralleli. Così, mi sporsi verso di lui e posai le mie labbra sulle sue. Non era come quando era in vita, era meglio. Migliaia di sentimenti, strani e ingarbugliati mi avvolsero.
Avevo appena baciato un angelo, uno vero, il mio angelo.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


 Credetti che aver scoperto di poter di nuovo toccare e quindi riabbracciare, ribaciare Daniel, avrebbe portato un minimo di miglioramento nella mia vita, come se farlo fosse stato sinonimo di una mia redenzione, qualcosa che non avevo avuto l'occasione di fare quando lui respirava ancora. Ma non fu così.
Daniel continuava a ripetermi che tutto quello non avrebbe dovuto accadere, che se loro – ma chi loro? - lo avessero scoperto, lui sarebbe dovuto andare via all'istante, senza portar a termine il proprio incarico, di cui ancora non ero a conoscenza.
Il mio gesto estremo mi aveva solamente portato a scoprire cosa lui in realtà fosse, ma nulla più. Ero dell'idea che sapere cosa fosse, mi avrebbe aiutato, e invece, probabilmente, peggiorò solo le cose.
Tornammo come ai primi giorni in cui lui appariva e io mi limitavo a guardarlo, solo che allora non mi facevo più le stesse domande e non gliele rivolgevo nemmeno. Stavamo semplicemente in silenzio, seduti l'uno accanto all'altro, facendo incrociare di tanto in tanto i nostri sguardi. Nulla più.
Durò per un po' di giorni, due settimane circa, nelle quali non sentii il suono della mia voce né della sua nemmeno per un secondo. Quella sorta di sciopero della parola si interruppe il quindicesimo giorno, quando qualcuno venne a bussare alla mia porta. Non avevo nemmeno voglia di andare ad aprire, ma chiunque fosse, non aveva intenzione di mollare e andarsene.
Spinta anche dallo sguardo di Daniel, mi trascinai fino all'ingresso e aprii la porta.
Mi ritrovai davanti Lucas. Non mi aspettavo di vederlo in quel momento, né in un altro. Avrei giurato che mi avesse definitivamente tagliato fuori dalla sua vita il giorno in cui mi ero presentata a casa sua, dicendogli di poter vedere il fratello, e non potevo biasimarlo per questo. “Lucas” sussurrai appena e quasi rabbrividii a sentire di nuovo la mia voce. “Che ci fai qui?”.
“Ho bisogno di chiederti delle cose. Ne ho.. Davvero bisogno” replicò lui, non osando guardarmi negli occhi e fissando i propri a terra. Io spostai lo sguardo subito su Daniel e lo vidi guardare il fratello con malinconia. La tensione in quel momento era alle stelle, riuscivo a percepirla. Invitai Lucas ad entrare, mentre mi stringevo nelle spalle e aspettai che parlasse. Ci mise un bel po' a farlo, camminando nervoso nel mio salotto e fermandosi di scatto dieci minuti dopo. Fu allora che sollevò lo sguardo, scoprendo gli occhi lucidi che a stento riuscivano a trattenere le lacrime.
“Devi dirmi com'è morto” esclamò, totalmente serio. “Devi dirmi com'è morto mio fratello”.
Accennai una risata amara alle sue parole. Daniel sembrava essere scomparso in quel momento. Lo vedevo accanto a Lucas, in piedi, che lo fissava, ma la sua presenza.. Quella non la sentivo più.
“Lo sai come è...” feci per dire, ma fui subito interrotta da Lucas, che alzò il tono di voce: “No! No, no, no, tu devi dirmi tutto quello che è successo da quando eravate in macchina, quando l'auto è uscita di strada, le sue ultime parole, tu.. Tu devi dirmi tutto. Dal principio”.
“Vuoi davvero farmi rivivere tutto? Come punizione mi sembra fin troppo crudele”.
“Io ne ho solo bisogno perchè... Perchè non mi do pace. Ti prego”.
Lucas aveva ceduto alle lacrime e furono quelle a costringermi ad arrendermi. Sospirai, sedendomi in modo lento sul divano, seguita immediatamente da lui. Guardai Daniel per un'istante: non diede segni di disapprovazione, per cui, iniziai a raccontare. “Abbiamo litigato poco prima che accadesse” mormorai “lui ha visto quel bacio tra me e te e ovviamente ha frainteso ogni cosa. Ho provato a spiegargli tutto, ma era già parecchio sconvolto, così tanto da non riuscire nemmeno a reggersi in piedi, così mi ha chiesto di accompagnarlo a casa.  In auto il silenzio era opprimente, sebbene cercassi di parlare con lui, almeno finchè qualcosa non ha rischiato di venirci addosso, allora per evitarlo ho girato il volante e siamo finiti fuori strada”. Mi fermai, per riprendere fiato, come se avessi appena terminato una corsa. Parlare di ciò che era accaduto quella sera, significava solamente buttare alcol sulle ferite del mio cuore ancora aperte e ben visibili.
“Va avanti” esclamò Lucas, con tono fermo.
“Lucas, sai quello che è successo dopo, ti prego non..”.
“Ho detto ogni cosa, Sam. Cosa è successo dopo che ti sei accorta che eravate lontani dalla strada?”.
Non aveva alcuna intenzione di arrendersi e risparmiarmi quella tortura. Io, senza che me ne fossi accorta, avevo cominciato a piangere. “C'era odore di benzina” proseguii, allora, con estrema fatica “Daniel era incosciente, così ho dovuto tirarlo fuori dalla macchina e trascinarlo lontano. Solo allora lui ha riaperto gli occhi. Gli ho detto che.. Che dovevo andare a cercare aiuto, ma mi ha chiesto di rimanere con lui”.
“Ha detto solo questo? Nient'altro? Solo che... Che voleva che restassi con lui?”.
Annuii. Non stavo mentendo, Daniel non aveva davvero detto nulla, non parlando e basta, almeno. “Ha cantato però” aggiunsi, in tono flebile. “Silent lucidity. L'ha sussurrata e abbiamo cantato insieme”.
Successivamente a quella frase, vidi Lucas schizzare in piedi e portarsi le mani tra i capelli. Io guardai immediatamente Daniel, che socchiuse gli occhi. “Non dovevi dirglielo” lo sentii sussurrare. Non feci in tempo a replicare, che lo sguardo di Lucas ricadde su di me. Stava piangendo e non si vergognava più a farlo.
“Quella canzone ce l'ha sempre cantata nostra madre” singhiozzò “Da quando eravamo piccoli. La nostra ninna nanna che ci aiutava ad addormentarci quando avevamo paura. Paura. Lui aveva paura in quel momento”.
“Non aveva paura, Lucas” osai mormorare.
“Certo che aveva paura. Stava morendo e provava dolore. Sono un medico, Sam. So che a morire si soffre e aveva.. Oh, Dio, aveva delle lesioni interne molto gravi e stava soffrendo in modo spropositato. E io non ero accanto a lui”.
Vederlo in quelle condizioni mi stava letteralmente buttando a terra. Non l'avevo mai visto così distrutto e così sofferente.
“Non potevi essergli accanto, Lucas. Però io c'ero, l'ho stretto a me fino al suo ultimo respiro e l'ho visto sorridere, sussurrando le parole di quella canzone”.
Lucas scosse appena la testa, come se con quel gesto volesse negare le mie parole. Mi alzai, lentamente, e lo raggiunsi. Presi le sue mani, che stavano tremando e cercai di tranquillizzarlo, sebbene mi riuscisse poco e niente. “Non devi.. Tormentarti così” mormorai “tu l'hai sempre reso felice. Lo so perchè ogni volta che Daniel mi parlava di te, vedevo i suoi occhi brillare, perchè tu sei il fratello che tutti desiderano avere e sei stato perfetto con lui”.
Le mie parole servirono a poco. Daniel mi guardò, abbozzando un sorriso malinconico, mentre Lucas rimosse le mie mani e scosse ancora la testa.
“Ho sbagliato a venire qui” sentenziò e si diresse subito verso la porta. Avrei voluto fermarlo, ma Daniel mi precedette. “Lascialo andare” mormorò.
Io gli obbedii.
Non seppi mai perchè mi avesse chiesto di raccontargli quelle cose, perchè avesse voluto riattivare il mio e il suo dolore. Non osai mai chiederglielo, perchè in fondo, probabilmente, non volevo saperlo.
Sprofondai nel divano e vidi Daniel sedersi accanto a me.
Poggiò una mano sulla mia. Io, di riflesso, feci intrecciare le nostre dita, ma ancora nessuno dei due osò parlare.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


 Il senso del dubbio oscurava tutto il resto. Mi sembrava di non sapere più nulla di me stessa, della mia vita e del mondo che mi circondava.
Tutto quello che avevo ritenuto una certezza era improvvisamente crollato. Non distinguevo più il reale dal non reale, probabilmente perchè ciò che non avrebbe dovuto esserlo, riempiva costantemente la mia realtà.
Mi ero abituata alla presenza costante di Daniel, in qualsiasi momento della mia giornata, da quando aprivo gli occhi e lo ritrovavo sdraiato al mio fianco, steso sul materasso, o quando andavo al lavoro che da poco, spronata proprio da lui, avevo ripreso, finchè non tornavo a dormire, sicura che lui ci sarebbe stato la mattina dopo e avrebbe vegliato su di me tutta la notte. In fondo, Daniel era il mio angelo custode.
Era diverso da com'era in vita, forse più divertente. Spesso finiva con il farmi ridere in momenti non opportuni ed ero certa che la gente attorno mi considerasse pazza. Ma non importava: le sue battute, i suoi gesti, i suoi sguardi... Mi facevano, semplicemente, stare bene.
Purtroppo però, a momenti di gioia donati da avvenimenti del genere, si alternavano, con sempre più frequenza, momenti di tristezza assoluta, molto vicina alla depressione, dettata un po' da tutto.
In primo luogo c'era Lucas: dopo essersi presentato a casa mia quel giorno, aveva ripreso ad evitarmi, quasi a fingere di non conoscermi. Me ne accorsi quando una mattina lo vidi cambiare palesemente strada pur di non incrociare il mio cammino.
Daniel mi disse di non preoccuparmi per lui, perchè era normale che si comportasse in quel modo: aveva rimedi strani contro il dolore. Tuttavia, non potei fare a meno di farlo, anche perchè continuavo a sentirmi in buona parte responsabile per ciò che gli stava succedendo. Più volte pensai di recarmi a casa sua, bussare e parlargli per ore, nella speranza di riuscire a risollevare almeno di un minimo il suo stato d'animo, ma ogni volta, prima che il mio pugno chiuso potesse toccare la porta, desistevo e correvo via.

Quella mattina, come sempre accadeva, aprii gli occhi alle sei in punto. Per esattamente cinque minuti fissai il soffitto ingiallito della mia stanza, quasi per capire di essere davvero sveglia e non ancora immersa nel sonno. Realizzarlo era facile: mi bastava girarmi di poco verso destra e incrociare i due fari azzurri di Daniel, che mi stavano fissando.
Mi misi su un fianco, prendendo io a osservarlo in ogni minimo dettaglio del viso; dal taglio delle sopracciglia, alla forma del naso e dello zigomo. Era inutile: più lo guardavo, più era perfetto.
Di solito, ogni volta che aprivo gli occhi e incrociavo i suoi, mi limitavo a sorridere e rimanevamo in silenzio per ore, semplicemente a guardarci l'un l'altro, senza osare fiatare. Ma quella volta il silenzio non mi apparteneva.
“Se io volessi seguirti?” mormorai “lassù, intendo”. Daniel accennò una risata, del tutto sarcastica. “Non te lo permetterei. Ne abbiamo già discusso” replicò.
“Non parlo di un nuovo tentativo di suicidio. Voglio dire... Non puoi semplicemente portarmi... Non so, sopra le nuvole, con te?”.
“Non è così che funziona”.
Sospirai, scuotendo leggermente la testa. “Ovvio che non funziona così” esclamai, con tono alquanto irritato, senza che ne avessi davvero l'intenzione “il punto è che io non ho idea di come funzioni, né chi abbia deciso il modo in cui tutto funziona e tu non me lo vuoi dire ed è tutto uno schifo, perchè prima o poi tu te ne andrai e io sarò sola di nuovo. E non tirare di nuovo fuori quel discorso del 'resterò finchè ne avrai bisogno' e che i bisogni non durano per sempre. Il mio bisogno di te non è uguale a tutti i bisogni, e che tu lo voglia o no, ne avrò sempre di te, ti amerò per sempre e desidererò sempre averti accanto”.
Per tutta quella mia sfuriata, Daniel restò perfettamente immobile, a guardarmi mentre mi affannavo e diventavo tutta rossa. Lui sorrise appena, il che mi fece innervosire. Mi alzai di scatto dal letto, prendendo a fare su e giù per la stanza, sebbene in quel momento desiderassi picchiarlo a causa del fatto che si prendeva gioco di me in quel modo.
Ma non lo feci, non ne avrei mai avuto il coraggio. Lo vidi alzarsi, poco dopo, abbandonare il letto e avvicinarsi a me, lentamente.
“Se avrai sempre bisogno di me” sussurrò “vuol dire che dovrò rimanere con te per sempre. Ma io so che non accadrà. Tu puoi pensarla come vuoi, non voglio obbligarti a credermi”.
Come potevo credergli?
Mi aveva detto più volte di esser in grado di percepire i miei sentimenti e le mie sensazioni, però io ero fermamente convinta del fatto che avrei sempre e comunque desiderato la sua presenza.
“Cosa succede dopo?” chiesi, in un sussurro “quando avrò vissuto questa vita felice che dici che avrò, quando morirò in modo del tutto naturale. Che cosa c'è?”.
Daniel esitò nel rispondere. Sapevo benissimo dove le sue esitazioni avrebbero portato, avevo imparato a leggere i suoi gesti. “Non puoi dirmelo” dissi “Okay, va bene. Dimmi almeno che dopo la morte potrò stare con te. Non mi importa dove e come”.
La sua esitazione raddoppiò dopo quelle ultime frasi. A quello non ero preparata, perchè non lo aveva mai fatto così a lungo.
“Io sono un angelo, Sam” mormorò “e gli angeli sono stati creati per vegliare sugli umani. Quando tu avrai trovato la tua felicità, io andrò via e veglierò su qualcun altro. E'... E' così che funziona. Tu non dovresti nemmeno vedermi, ma... Questo è un caso un po' particolare perchè... Beh, sei tu quella particolare e la nostra storia e il modo in cui ci siamo incontrati e io non..”. A quel punto, ero stanca di ascoltare, come se le sue parole mi stessero ferendo, squarciando la pelle in qualche modo, perchè stava ponendo una sentenza definitiva su noi due. Mi ero illusa che almeno dopo la morte, nell'aldilà, avremmo potuto riunirci, invece lui aveva appena buttato giù ogni cosa.
Tuttavia, non ebbi alcuna reazione violenta o incredibilmente triste.
No. Presi il suo viso tra le mani e modellai le labbra sulle sue, mentre una lacrima amara mi rigava una guancia. Sulle prime, Daniel tentò di distaccarmi, ma durò tutto meno di due secondi. Si arrese quasi subito al mio contatto, poggiando entrambe le mani sui miei fianchi.
Quando mi staccai, rimasi ancora con il viso molto vicino al suo. Sentivo il suo respiro sulla pelle: era gelido, come il vento d'inverno. “Non avresti dovuto farlo di nuovo” disse, a tono di voce a malapena percettibile.
Io non replicai, non a parole. Ripresi a baciarlo con tutta la dolcezza che avevo in corpo e finalmente, per la prima volta, Daniel fu di nuovo coinvolto nel bacio, come accadeva quando era in vita.
Lo spinsi in maniera lieve verso il letto e ci ritrovammo stesi sul materasso, tra le lenzuola ancora in disordine, io sopra di lui. Continuai ad accarezzarlo per tutto il tempo, passando le mani sul suo collo e sul fianco. La sua pelle fredda mi donava sensazioni incredibili, che mai prima avevo immaginato.
Era simile a ciò che si prova quando si poggia una mano sulla neve appena scesa: fresca, delicata, morbida e così vicina. Stavo tremando, era difficile da nascondere, tanto che lui accennò a fermarmi non appena lo notò, ma non potevo permetterlo. Non mi ero spinta così oltre per mollare a causa del freddo.
E poi a me quel freddo piaceva.
Era così che immaginavo il paradiso: io attaccata a Daniel e al gelo della sua pelle, nulla più. Mi scordai, almeno per un momento, le sue parole, la sua estrema sentenza che mi aveva precluso ogni felicità a cui aspiravo.
Lui, ora, era lì ed era completamente mio.

Quando fummo entrambi privi di vestiti, l'essere nudi aumentò a dismisura il freddo che sentivo.
Le posizioni si erano invertite, ora era lui ad essere sopra di me. Avevo le mani appoggiata sul suo collo, mentre venivo percossa da brividi continui. Daniel mi guardò per un istante, sfiorandomi la guancia con due dita. “Stai tremando” mormorò. Mi affrettai a scuotere la testa, in segno di diniego.
Non volevo che lui si scansasse, che ponesse fine a ciò che stava per accadere, qualcosa che sarebbe stato più che magico.
Stavamo per unirci da ogni punto di vista, fisico – sebbene mi chiedessi come fosse possibile – e spirituale.
Le nostre anime si sarebbero incatenate, divenendo un unico essere, una sola e pura cosa, piena d'amore e di purezza.
Non seppi spiegare allora – né ci riesco adesso – le infinità di sensazioni che mi avvolsero quando ciò accadde. Il solo baciarlo mi mandava in una totale estasi. Fare l'amore con lui... Beh, fu come nascere per una seconda volta e mi lasciò letteralmente senza fiato.
L'intero corpo mi formicolava e il cuore mi batteva all'impazzata.
Quando Daniel mi scivolò accanto, non osai muovermi, per almeno qualche minuto, come se volessi realizzare che tutto ciò fosse realmente accaduto e non fosse solo uno dei miei tanti sogni. Ma quando sentii la sua mano sfiorarmi la guancia, capii che era tutto vero.
O relativamente vero: lui era ancora un angelo, che solo io potevo vedere, e chissà che sarebbe successo se qualcuno fosse entrato nella stanza solo qualche istante prima e mi avesse vista fare... Tutto quello.
Accennai una risata, all'idea, che venne subito soffocata dal bacio sulle labbra che mi affrettai a dargli.
Mi distaccai in maniera lenta da lui, a malincuore, dal momento che avrei seriamente voluto prolungare il contatto tra di noi, ma sentii la necessità di farmi investire dai suoi occhi color ghiaccio, che ritrovai poco dopo a qualche centimetro dal mio viso.
“Ti amo” mormorai “so che lo sai, che lo senti e tutto il resto, ma... Mi piace dirlo”.
“Non dovresti” sussurrò lui, sfiorando le mie labbra con due dita. “Io sono... Sono morto ed è come se in questo momento fossi solo nella tua testa, perchè nessuno, a parte te, può vedermi. E' un motivo valido per smettere di amarmi”.
“Non lo è. Sono sempre stata convinta che se è vero amore, esso riesce a superare anche ostacoli estremi, come la morte. Potrei incontrare tanti uomini, baciarli, andare a letto con loro, ma non credo che il mio amore per te cesserebbe di esistere. L'amore batte la morte semplicemente perchè è più forte”.
Daniel rimase in silenzio in seguito alle mie parole. Ero pienamente convinta di ciò che avevo detto, soprattutto in quell'istante, mentre lo guardavo, perdendomi nei dettagli del suo sorriso appena accennato e dei suoi occhi socchiusi.
Una replica non arrivò mai.
Non seppi se lui condivideva quella teoria oppure ne era inesorabilmente contro.
Non glielo chiesi nemmeno, forse perchè avevo paura di una sua risposta e rimasi in silenzio per il resto della giornata.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


 I giorni che seguirono quel momento a dir poco fantastico, furono probabilmente i migliori della mia vita. Rimanevo a casa spesso, inventando sempre nuove e buone scuse per non andare al lavoro. Daniel le prime volte si sforzò di convincermi che quella non fosse una decisione saggia, che comunque lui avrebbe potuto stare con me anche in ufficio, ma per me non sarebbe stato lo stesso.
Mi piaceva restare semplicemente sdraiata sul letto, avvolta tra le lenzuola, a fissare il suo viso, senza dire assolutamente niente, e a volte sporgermi verso di lui per baciarlo teneramente sulle labbra.
Daniel, tuttavia, in quel periodo sembrò cambiare. Era più silenzioso – ancor di più del solito – e cupo, il che mi fece preoccupare. Non osai però chiedergli cosa avesse, almeno non subito. Avevo paura di una risposta che non mi sarebbe piaciuta e ciò avrebbe distrutto quella sensazione di benessere e pace che mi aveva avvolto in quell'istante.
Ma quando lui smise persino di rivolgermi uno sguardo, mi sentii assolutamente persa.
Quella mattina, Daniel era in piedi davanti alla finestra. Fissava fuori, oltre il vetro, chissà cosa. Probabilmente non stava guardando niente, il vuoto. Io ero ancora a letto. Non avevo dormito molto quella notte, mi sentivo terribilmente stanca, ma non era importante.
Mi alzai lentamente, abbandonando il materasso, e lo raggiunsi, abbracciandolo da dietro. Posai il mento sulla sua spalla ed entrambe le mani sul suo petto.
“Cos'hai?” mormorai. Non ottenni subito una risposta. Lui esitò, come sempre, sospirando appena. “Andiamo, io..” continuai “purtroppo non sono come te, non posso sentire cosa provi. Ma tu senti quello che provo io, quindi sai che sono preoccupata per te”.
“Lo so” sussurrò lui. Portò le mani sulle mie e, come al solito, rabbrividii al tocco gelido della sua pelle. “Ho solo... Paura”.
“Paura di cosa?”.
Daniel esitò ancora. Non so se fosse possibile, ma in quel momento mi parve di sentirlo tremare.
“Come angelo” disse, a bassa voce “non mi sono comportato... Bene”.
Aggrottai le sopracciglia alla sua affermazione. Era vero che di angeli e quindi di questioni angeliche non sapevo quasi nulla, eppure ero a conoscenza del fatto che il suo obiettivo fosse rendermi felice e lo faceva: Daniel era la mia felicità, in tutto e per tutto. “Io invece credo tu sia il migliore angelo esistente” replicai, allora.
Daniel accennò una risata, pienamente sarcastica, e distaccò il mio abbraccio, in maniera del tutto non delicata. Quando incrociai i suoi occhi, rividi quel velo grigio di tanto prima. Odiavo quel colore, soprattutto se copriva quei due fari azzurri.
“No!” esclamò, quasi urlando. “No, no, no, tu non capisci. Non sai a quali regole devo obbedire. Non avrei dovuto toccarti e lasciarmi toccare, non avrei dovuto spingere il mio amore per te a crescere.. Se loro vengono a saperlo...”.
“Loro chi?”.
Odiavo quando menzionava un 'loro', perchè io non sapevo a chi si rivolgesse. Per chi 'lavorava'?  Perchè lo faceva? Volevo saperlo, sebbene non fossi convinta del fatto che un semplice essere umano potesse farlo.
“Non posso... Dirti chi sono” rispose lui, con tono più basso rispetto a poco prima “ma se vengono a sapere tutto questo, le cose che succederanno non saranno affatto buone”.
Fui io a ridere quella volta, ironicamente. “Sono settimane che interagiamo in questo modo” esclamai “Non credi che loro, chiunque essi siano, non l'abbiano già scoperto e non abbiamo fatto assolutamente nulla?”.
“Loro possono sapere tutto. Io sono solo... Parecchio bravo a nascondermi”.
Lo vidi spostarsi nella stanza, mentre passava una mano tra i capelli biondi, scompigliandoli appena, finchè non si sedette sul letto sfatto. Io non ebbi il coraggio di raggiungerlo: sembrava esausto, stanco, come se stesse per avere un crollo emotivo. Gli angeli potevano averlo?
Mi limitai ad andargli davanti, stringendomi nelle spalle e rimanendo immobile, a fissarlo. “Cosa potrebbero farti?” chiesi, con timore. “Se ti scoprono, intendo...”.
Daniel non rispose. Tenne lo sguardo basso per qualche minuto. Mi sembrò di vedere una lacrima solcare il suo viso, ma quando rialzò gli occhi, tutto era perfettamente a posto e asciutto.
Io avanzai ancora, fino a ritrovarmi in ginocchio davanti a lui. Presi le sue mani, stringendole tra le mie, e lo guardai.
“Devo andare” sussurrò.
“No, Daniel, aspetta, tu non...”.
Non ebbi modo di finire la frase: le mie mani si ritrovarono a stringere il nulla. Probabilmente aveva già rivelato troppo e non voleva spingersi oltre un certo limite, sebbene, a suo dire, lo avesse già fatto

Non mi preoccupai molto per la sua improvvisa sparizione e assenza. Erano molte le volte in cui si dissolveva senza preavviso e tornava dopo qualche ora, senza degnarmi di una spiegazione logica.
Ma le ore divennero giorni e fu allora che mi sentii divorare completamente dall'ansia.
In tutto quel tempo, mi ritrovai a mettere a rassegna innumerevoli ipotesi, alcune credibili e razionali, altre colossalmente inverosimili – anche se, per quello che mi stava succedendo, niente poteva esser considerato effettivamente reale.
Considerai il fatto che loro – loro, loro, LORO! Odiavo non sapere di chi stavo parlando – lo avessero scoperto e gli avessero fatto qualcosa; oppure che il mio bisogno di lui fosse cessato. Ma era impossibile: mi mancava terribilmente.
Pensavo a Daniel in continuazione, di giorno, a lavoro - mi ero costretta ad andarci, per distrarmi- dove venivo perennemente richiamata a causa del mio essere mentalmente assente, e di notte, quando l'insonnia regnava sovrana.

Passarono tre giorni.
Furono pregni di agonia, di panico, d'angoscia. Io stavo lentamente morendo senza nemmeno accorgermene. La sua assenza mi faceva male, mi lacerava il cuore. Se anche fosse andato via per il mio cessato bisogno, avrebbe potuto darmi l'occasione di dirgli addio; ma non lo aveva fatto, era semplicemente scomparso, senza dire niente, il che mi spinse, per un momento, ad odiarlo.
Ma durò tutto molto poco.
Il quarto giorno, quando tornai a casa, distratta come al solito, un tonfo provocato da un vaso di vetro che si infrangeva a terra, mi fece sobbalzare e richiamò la mia attenzione. Proveniva dal salotto ed è lì che corsi.
Vidi Daniel accasciato sul pavimento, mentre teneva una mano premuta sulla spalla destra. Mi parve di vedere sangue, pensai subito ad un'allucinazione: era un angelo, gli angeli non potevano sanguinare.
Ma quando lui alzò gli occhi e scorsi delle lacrime che gli riempivano gli occhi, realizzai che non era affatto una visione.
Mille pensieri mi corsero per la testa, ma non c'era il tempo di esaminarli tutti.
Mi precipitai da Daniel, aiutandolo ad alzarsi, finchè non riuscii a farlo sedere sul divano. La sua spalla sanguinava davvero: c'era una brutta ferita che aveva strappato gran parte della sua maglietta azzurra.
Corsi, allora, al piano superiore e recuperai la cassetta del pronto soccorso. Non sapevo nemmeno se sarebbe servita: lui non era umano, come poteva qualcosa del genere curarlo?
Il problema era che non avevo altre idee. Presi garze e disinfettante e tornai da Daniel, in salotto. Non si era mosso. Cominciai a medicarlo, lui sobbalzò quando gli tamponai la ferita.
“Che è successo?” chiesi. “Non ti azzardare a dire che non puoi rivelarmi niente, Daniel. Sei ferito, io devo sapere”.
“Discussioni con i piani alti” replicò lui, con voce impastata.
“Sono loro? Quelli che per me non hanno ancora un nome...”.
“Non hanno un nome. Comandano tutti gli angeli e basta”.
Sbuffai. Se restava così criptico con me, non ero in grado di aiutarlo e odiavo il fatto di essere inutile, soprattutto in qualcosa che riguardava l'amore della mia vita.
“Come mai sei ferito?” cambiai argomento “non credevo che gli angeli potessero sanguinare”.
“Non possono, infatti” replicò lui, facendo una smorfia a causa della pressione che esercitai sulla ferita. “Mi hanno tolto le ali” aggiunse, poco dopo.
“Le ali?”.
“Sono quelle che... Ci rendono angeli e ci danno quasi ogni potere che da essere tale deriva, come scomparire all'improvviso o nasconderci dagli umani”.
“Vuoi dire che...”.
“Che in questo momento, chiunque può vedermi, umani e non. Il che mi rende estremamente più vulnerabile a coloro che vogliono uccidermi per aver disobbedito”.
“Tu sei già morto, Daniel. Come puoi morire di nuovo?”.
Daniel socchiuse appena gli occhi, mentre io riuscii a sedermi accanto a lui. Sarei svenuta, se solo fossi rimasta ancora in piedi.
“Gli angeli hanno una gerarchia” disse lui “hanno delle leggi e delle regole da rispettare. E se esistono regole, allora ci sono anche le punizioni per chi le infrange. Per tutto ciò che ho fatto, mi tocca la pena massima”.
“E quale sarebbe?”.
“La morte vera”.
“Che vuol dire?” domandai ancora. Tremavo e lo stesso, seppur in maniera meno evidente, faceva lui.
“Coloro che diventano angeli dopo la morte umana” sussurrò “sono già angeli dal momento in cui la loro vita comincia. Sono quasi tutte quelle persone che muoiono giovani, dieci, quindici anni, o meno. Divenendo angeli, possono vivere per sempre, proteggendo gli umani e svolgendo bene il loro lavoro. Ma questo purtroppo non accade sempre, perchè tutti gli angeli sono stati umani e quindi conservano ancora quelle emozioni, soprattutto nel primo periodo. Ci è vietato attaccarci troppo a chi proteggiamo, altrimenti veniamo puniti, morendo davvero. Scomparendo, dissolvendoci come se non fossimo mai esistiti. A noi non aspetta né il paradiso né l'inferno, solo un'eternità di solitudine a proteggere persone che nemmeno sono a conoscenza della nostra esistenza, o almeno, è così nella maggior parte dei casi. A volte, come nel tuo caso, ci è permesso mostrarci a chi proteggiamo, senza dire loro la verità, cosa che io non sono stato in grado di fare”.
Ascoltai le sue parole in silenzio, mentre il senso di ansia e angoscia aumentava a dismisura. Mi ero convinta del fatto che, essendo lui un angelo, non avrebbe mai potuto sparire del tutto; che anche se il mio bisogno di lui fosse scomparso e lui se ne fosse andato davvero per sempre, in qualche modo avrebbe sempre vegliato su di me. E invece non era così: potevo ancora perderlo in maniera definitiva, senza aggrapparmi alla convinzione che sarebbe stato bene, da qualche parte, su nel cielo.
In più mi sentivo in colpa, per averlo spinto a violare tutte quelle leggi, sebbene nemmeno sapessi della loro esistenza.
“Non possono farlo” singhiozzai, stringendo di riflesso le sue mani.
“Possono. Possono e lo faranno” disse lui. “Mi hanno tolto ogni potere, così che sia più facile togliermi di mezzo. Non avrei nemmeno dovuto venire qui, ma se... Ma se devo dissolvermi, non volevo farlo senza prima aver visto per un'ultima volta il tuo viso”.
Avevo iniziato a piangere, senza rendermene conto. Le lacrime scivolavano inesorabili e costanti sul mio viso, mentre io continuavo a fissare il viso di Daniel, che mi diceva addio.
Quello era un addio ed era inevitabile.
Non ero pronta.
Non ero assolutamente pronta a rinunciare a lui, non in quel modo, non senza nemmeno provare a combattere. Del resto, si trovava in quella situazione a causa mia, a causa della mia testardaggine, alla mia presunzione che mi spingeva a voler sapere tutto, sempre e comunque.
Presi il suo viso tra le mani e poggiai la fronte sulla sua, tentando di infondermi coraggio, almeno per un po', per riuscire a parlare. “Ascoltami” mormorai “sono stata a guardare mentre morivi una volta e credo che rimarrà sempre il rimpianto più grande della mia vita. Non lascerò che la storia si ripeta, non posso. Questa volta non permetterò a niente e a nessuno di farti del male”.
“Tu non... Non puoi fare niente contro di loro, Sam” sussurrò lui, ma mi affrettai a zittirlo con un bacio delicato, sulle labbra. “Possiamo scappare” sussurrai.
“Dovremmo scappare per sempre”.
“Allora scapperemo per sempre, insieme”.
Tra le lacrime, mie e sue, lo vidi sorridere. Il sorriso di Daniel, seppur misto a tristezza, era in grado di illuminare perfettamente quella stanza.
“Ti amo così tanto” biascicò.
“Lo so” replicai io, usando le sue parole ogni volta che io glielo sussurravo.
Non avevo idea di quel che stavamo facendo, né di cosa ci sarebbe successo. Avevo una tremenda paura di perderlo e di perderci. Mi stavo mettendo contro l'ignoto, ne ero ben consapevole, ma per Daniel... Beh, per lui, avrei fatto di tutto.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


 Ce ne andremo, scapperemo.
Quelle parole erano così facili da pronunciare che per un momento mi convinsi del fatto che sarebbe davvero stato così: semplice. Io e Daniel saremmo scappati, avremmo viaggiato senza meta, fermandoci solo per riprendere fiato, per l'eternità, o perlomeno, finchè io avrei vissuto. Anche quella parte era da considerare: nonostante la nostra fuga, niente mi garantiva che dopo il mio fatidico giorno, lui se la sarebbe cavata.
Erano i soliti dubbi, le solite domande senza risposta su un futuro a me del tutto ignoto. Ma quel che contava era il presente e in quel momento Daniel era lì e doveva essere protetto.
Non avevo pensato al come, ma un modo l'avrei trovato. Avevo lasciato che venisse strappato dalle mie braccia una volta, non potevo permettere che la storia si ripetesse perchè, semplicemente, non avrei retto.
Tuttavia, prima di andarmene dalla città, di sparire da quel posto, c'era una cosa che volevo che lui facesse: aveva detto di essere visibile agli umani ora, a tutti gli umani, per cui anche a Lucas. Non mi aveva creduto quando gli avevo comunicato di poter vedere il fratello e probabilmente aveva continuato costantemente a incolparmi della sua morte, con ragione, sia dal suo che dal mio punto di vista. Anche io mi addossavo ogni colpa e far parlare i due Monroe avrebbe potuto essere un rimedio per la mia coscienza.
Era passato da poco il tramonto, quando io e Daniel uscimmo di casa. Gli dissi che, da umana quant'ero, avrei dovuto passare al supermercato a fare rifornimento, prima di lasciare la città. Lui non ebbe molto da ridire, solo che avrebbe aspettato in macchina, dal momento che molti nel quartiere lo conoscevano e non avrebbe saputo spiegare la sua 'resurrezione'.
Non capii perchè non sentì che stavo mentendo sulla nostra direzione. Forse, avendo perso le ali, non aveva più la strana capacità empatica.
Solo quando parcheggiai davanti a quella che era stata casa sua, realizzò le mie intenzioni.
“Che ci facciamo qui?” mormorò e lo vidi palesemente irrigidire.
“Ho visto il tuo sguardo quando Lucas è venuto a casa mia e gli ho raccontato quelle cose” replicai, allungando una mano e cercando la sua. Lui teneva ancora lo sguardo fisso sulle mura gialle della piccola villetta a schiera, ma di riflesso, come se le stesse guardando, fece intrecciare le nostre dita. “Eri malinconico” continuai “e credo che prima di andarcene, tu abbia bisogno di dirgli addio, un vero addio, e lui abbia bisogno di dirlo a te”.
“Non... Non posso farlo”.
“Ormai sei in fuga, Daniel. Vedere tuo fratello un'ultima volta, non è un crimine. Devi dirgli addio, Lucas ha bisogno di salutarti. Sai anche tu quanto gli abbia fatto male averti perso senza aver avuto la possibilità di farlo”.
Daniel esitò ancora. Era palese che non se la sentisse oppure non volesse entrare in quella casa, ed era del tutto normale che avesse paura. Non potei nasconderlo, ne avevo anche io. Sia per le loro reazioni, sia per quella che Lucas avrebbe potuto avere vedendo il 'fantasma' del fratello morto. Ma perlomeno, non mi avrebbe preso per pazza.
“Hey” mormorai, sporgendomi nella sua direzione. Con la mano libera, gli sfiorai leggermente il viso, costringendolo a voltarsi, così che potei incrociare i suoi occhi color ghiaccio e, come al solito, rimanerne incantata per qualche secondo. “Sono con te in ogni istante, okay?”.
Era strano come i ruoli si fossero invertiti. Lui avrebbe dovuto essere il mio angelo custode, invece ero io quella che lo consolava  e stava tentando in ogni modo di proteggerlo.
Daniel sorrise appena e io ne approfittai per avvicinarmi ulteriormente al suo viso e baciarlo in modo tenero sulle labbra. Il suo respiro freddo mi tolse il fiato per un momento e dovetti staccarmi prima del previsto. Se avessi prolungato il contatto, né io né lui avremmo mai trovato il coraggio di entrare in quella casa, cosa che accadde poco dopo.
Io camminai davanti a lui, che mi seguiva a passo decisamente più lento, intimorito ed esitante. Non avevo la minima idea di cosa dire a Lucas, come comportarmi. Decisi di lasciar parlare i fatti, anche perchè a parole non avrei mai potuto spiegargli nulla.
Quando bussai, passarono minuti prima di ottenere una risposta. Per nostra fortuna – o sfortuna, dipendeva dai punti di vista – non fu Lucas ad accoglierci, bensì Haley. Non la vedevo da un sacco di tempo, dal giorno del funerale, più o meno, non contando le volte in cui l'avevo adocchiata di sfuggita, ma niente di più.
Mi guardò per un attimo, ma i suoi occhi, inevitabilmente ricaddero su Daniel, che stava dietro di me. Haley non disse assolutamente nulla, anche perchè non fece in tempo. Non seppi in quanto tempo, probabilmente una frazione di secondo, perchè non ebbi la possibilità di vedere esattamente cosa accadde: mi ritrovai davanti ad Haley sdraiata sul pavimento, priva di conoscenza. Avrei voluto ridere, tuttavia, l'espressione perplessa che Daniel aveva assunto, mi fece desistere.
“E' svenuta?” chiesi, quasi retoricamente.
“Dipende come definisci 'svenuta'. Se è perdere i sensi davanti a qualcuno che credeva morto e invece si presenta alla sua porta, allora direi che, sì, è svenuta”.
Sorrisi appena: aveva ripreso a fare il sarcastico, il che non accadeva da parecchio tempo e mi sollevò un po'. Gli feci cenno col capo di entrare in casa e allo stesso modo mi feci aiutare a trasportare Haley sul divano del salotto.
Era divertente il fatto che avesse perso i sensi, almeno per me. Sapevo che non avrei dovuto ridere, però fu esattamente quel che feci, guardando Daniel di sfuggita, che finì per fare la stessa cosa. Era bello ridere con lui, soprattutto in un momento in cui la felicità sembrava essere ignota.
La nostre risate, tuttavia, non durarono molto; furono interrotte dall'arrivo di Lucas. Lo vidi immobile sulla soglia della porta, alle spalle di Daniel, che non si era accorto della sua presenza. Il mio sorriso si affievolì in maniere più che lenta, tanto che ebbi l'impressione che il tempo si fosse congelato in quell'istante, nel ritratto perfetto della tensione e dell'angoscia che derivava dal mio sguardo e da quello di Lucas, che fissava le spalle del fratello. Lo aveva già riconosciuto, era evidente; conosceva Daniel meglio di chiunque altro.
Il più piccolo dei Monroe ci mise un po' a leggere la mia espressione, anche perchè non riuscivo a muovermi e a fargli nessun segnale per fargli capire cosa stesse succedendo. Per mia fortuna, lo capì da solo e lentamente si voltò verso Lucas, che ancora rimase immobile. Lo fece per dei minuti interminabili, che passarono a fissarsi, quasi fossero due statue, almeno finchè il più grande sussurrò: “Non può essere”.
Daniel non ebbe il coraggio di parlare e la tensione che aleggiava in quella stanza mi stava letteralmente uccidendo. Mi affrettai, allora, con chissà quale forza, a muovere qualche passo che mi condusse esattamente al centro, tra i due fratelli. “Posso spiegarti, Lucas” esclamai, sebbene dentro mi sentissi davvero patetica. Non riuscivo a spiegare a me stessa come tutto ciò stesse accadendo, figuriamoci se avrei potuto farlo con qualcuno così scettico e rabbioso nei miei confronti. “Ti ricordi quando sono venuta da te, dicendoti che riuscivo a vedere Daniel?” continuai “beh, ecco, mi hai preso per pazza, cosa del tutto... Del tutto ragionevole, anche io lo avrei fatto, ma questo perchè ero solo io in grado di vederlo, per... Svariati motivi, che probabilmente non posso dirti. Però è successo qualcosa che lo ha reso visibile a tutti, anche a te e... E ora qui. Tuo... Tuo fratello è qui”.
Lucas non mi guardò nemmeno per un istante mentre gli parlavo, no, continuava a fissare Daniel. Era davanti a un vero e proprio miracolo e ne era incantato. Non lo biasimavo: a me succedeva tutte le volte che osservavo il suo viso e la cosa peggiorava quando incrociavo i suoi occhi.
Vidi Lucas trovare il coraggio di muoversi, finalmente. Mi superò, quasi non esistessi, e raggiunse il fratello. Ci fu un abbraccio, credo il più bello che avessi mai visto. Gli occhi di Daniel brillavano mentre si aggrappava alle spalle di Lucas, che era almeno il doppio di lui, quanto corporatura. Quell'abbraccio sprigionava un amore unico e raro, indimenticabile e indistruttibile, come solo quello tra fratelli può essere, perchè un fratello rimane tale anche dopo mille liti senza ragioni valide, dopo i 'ti odio' urlarti da una stanza all'altra, insieme ai 'avrei voluto essere figlio unico'; rimane tale anche dopo anni di lontananza perchè il sangue che scorre nelle vene è lo stesso. Un fratello rimane la tua famiglia, anche se tutti smettono di esserlo. Gli amici e fidanzati vanno e vengono, alcuni si dimenticano pure..
Daniel e Lucas non si sarebbero mai dimenticati, quasi come i loro respiri fossero uno solo. Ebbi come l'impressione che il primo non fosse effettivamente morto quella sera, ma che avesse continuato a vivere, seguendo il battito del cuore del secondo.
Io mi sentii bene, non più in colpa e sollevata dal fatto che potevano salutarsi come entrambi meritavano.

L'abbraccio si sciolse dopo qualche minuto, sebbene gli occhi di Daniel e Lucas non persero mai il contatto tra loro.
Lucas non fece ulteriori domande, forse aveva capito che né io né il fratello saremmo stati in grado di spiegare e rispondere in una maniera comprensibile.
Haley era ancora priva di conoscenza e la usai come scusa per allontanarmi in cucina, dicendo che sarei andata a recuperare del ghiaccio; il mio intento, in realtà, era quello di lasciarli soli.
Rimasi, tuttavia, in ascolto del loro dialogo, anche se non ci furono molte parole, solo dei 'mi manchi' appena sussurrati e un 'Non resterò a lungo di Daniel'.
“Come è stato?” sentii dire Lucas ad un tratto “morire, intendo. Ha... Ha fatto male?”.
Non compresi il perchè glielo stesse chiedendo, considerato il fatto che solo qualche giorno prima era del tutto convinto del fatto che il fratello avesse sofferto. Percepii Daniel sorridere appena: avevo imparato a sviluppare quasi la stessa empatia che lui aveva nei miei confronti, prima di perdere le ali.
“No, per niente” replicò “non fa male. E' come nascere, non... Non ti rendi nemmeno conto di quel che sta succedendo attorno a te. Stai bene, non pensi assolutamente a nulla. Tutte le preoccupazioni svaniscono, non c'è più nulla da raggiungere e nulla da perdere”.
“Stai.. Descrivendo la morte come una figata pazzesca”.
Risero entrambi e lo feci anche io.
“Beh, lo è... A tratti. Finchè sei vivo, credi sia la cosa più terribile che possa mai accadere, ma non è così”.
“Quindi non hai avuto paura? Nemmeno per un istante?”.
“Ne avevo. Quando ho capito che stavo per morire, ne avevo. Poi Sam mi ha stretto a sé e tutto è andato bene”.
Daniel non mi aveva mai accennato a quel particolare, probabilmente perchè non mi ero mai azzardata a chiedergli qualcosa a riguardo. Il fatto che fossi stata il suo conforto in quel momento di agonia, mi fece sentire felice e strana al contempo. Fu allora che mi decisi a tornare in salotto.
Non volevo interrompere quel momento, davvero, ma eravamo lì da parecchio tempo, e da quanto avevo capito dalle parole di Daniel, loro avrebbero potuto trovarci, soprattutto se restavamo a Rossville.
Non ascoltai il saluto che sarebbe stato definitivo tra di loro, come se non avessi il diritto di esserne spettatrice. Aspettai accanto all'auto, mentre Daniel rimase con Lucas sotto al portico di casa Monroe. Si allontanò poco dopo e salimmo in macchina.
Non gli chiesi nulla, la sua espressione trasmetteva già tutto: tristezza per dover andar via, e gioia per aver avuto la possibilità di dire addio a quella che era e sempre lo sarebbe stata, la persona più importante della sua vita.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


 Quando superammo i confini dell'Illinois, tre ore dopo aver lasciato casa Monroe, Daniel non aveva ancora detto una parola. Il silenzio era stato il protagonista di quel viaggio non programmato che aveva del tutto stravolto la mia vita - come se fino ad allora non lo fosse stata già.
Non sprecai quel tempo, tuttavia: lo usai per pensare a ciò che sarebbe successo. Sarei scappata per chissà quanto tempo, a nascondermi da qualcuno che non conoscevo; Daniel mi aveva informato del fatto di essere ancora in grado di nascondere le proprie e le mie tracce, con una specie di campo d'energia, che avrebbe impedito loro di trovarci. Ne era in grado anche prima, ma tale scudo aveva un limite di tempo che, con la perdita delle ali, era  stato drasticamente ridotto. Avremmo dovuto spostarci in continuazione per non essere trovati. Avevo paura, questo era ovvio, ma, come già detto, lo facevo per l'amore che mi legava a filo doppio a Daniel e ai suoi occhi perfetti.
Qualche volta osai spostare lo sguardo su di lui, ma non troppo. L'ultima volta che l'avevo fatto, quella mia distrazione gli era costata la vita. Non che potesse di nuovo morire.. Non in quel modo, almeno.
Ecco una cosa che non gli avevo chiesto: se fosse scomparso, come sarebbe accaduto?
Ci sarebbe stata un'esecuzione con qualche arma angelica o con uno schioccare delle loro dita, si sarebbe semplicemente smaterializzato?
Rabbrividii al solo pensiero e decisi di evitare domande del genere. Non erano importanti – o relativamente importanti – e il mio compito era anche quello di tirarlo su e di farlo stare bene.
Mi prefissai questo obiettivo: dovevo far star bene Daniel Monroe e lo sarei stata anche io. Era inevitabile: sentivo che ormai eravamo una cosa sola. Essendo il mio angelo custode, poteva essere altrimenti?
Purtroppo, però, le mie buone intenzioni non portarono agli esiti sperati, almeno non subito.
Per i tre giorni che seguirono, alloggiammo in un motel sulla strada statale. I nostri dialoghi non superavano mai le cinque frasi, l'ultima era sempre una mia esclamazione, talvolta una domanda alla quale lui non rispondeva, il che era irritante e opprimente. Non sapevo che avesse, se fosse terrorizzato, o arrabbiato o altro. Glielo domandavo, ma lui o cambiava discorso, oppure, appunto, taceva.
Non avevo intenzione di semplicemente lasciar perdere. Il quarto giorno continuai a porgergli la stessa domanda, cambiando solo l'ordine delle parole, o il modo in cui gliela facevo: “Perchè sei così? Che hai? Puoi dirmi tutto”.
Solo dopo almeno trenta minuti passati con l'avere come risposta un “Niente, non ho niente”, Daniel si decise a parlare.
“Non posso provare troppe emozioni tutte insieme, Sam” mormorò. “Tu ne scombussoli la maggior parte, con la tua sola presenza e io non posso permettermi di lasciarmi andare al sentire in modo opprimente la mancanza di mio fratello. Non posso, perchè se lo faccio, quei pochi poteri che mi restano svaniscono e noi saremmo un grosso punto rosso nei loro radar. Ho bisogno del mio tempo per... Metabolizzare tutto e tenermi concentrato sull'unica difesa che ho.. E che abbiamo”.
Restai per un attimo a bocca aperta, perplessa. Forse non mi aspettavo quel fiume di parole, non mi aspettavo nemmeno di essere io la causa di tutto.
Lo scombussolavo, lo mandavo in tilt e questo era un grosso rischio, come aveva appena detto.
Mi limitai ad annuire, avvicinandomi lentamente a lui, che stava in piedi, davanti alla finestra. Lo baciai rapidamente sulla guancia. “Tutto il tempo che vuoi” sussurrai, con tono dolce e rassicurante.
Non osai fargli ulteriori domande o mettere le fondamenta per dialoghi che lui non voleva fare. Aveva bisogno di tempo e concentrazione per sistemare la nostra protezione e glielo diedi. Per fortuna, non durò troppo. Il giorno dopo riprese a parlarmi, regolarmente. Ripresero gli sguardi, le carezze, i sorrisi.
Stavamo bene, sembravamo quasi una coppia del tutto normale. Degli innamorati che si vergognavano di tenersi la mano in pubblico e ridevano imbarazzati quando qualcuno li vedeva scambiarsi un bacio.
Era bello. Era tremendamente bello, ma orrendamente surreale.
Come potevamo essere normali?
Lui era morto e adesso era un angelo – il mio angelo – ricercato dalla giurisdizione celeste, che lo avrebbe ucciso – non sapevo ancora come – non appena trovato e probabilmente lo avrebbero fatto anche con me, dal momento che ero a conoscenza di troppe cose.
Pensare a certe cose mi intristiva, ma tutto passava quando guardavo gli occhi azzurri di Daniel; allora mi tranquillizzavo e continuavo a vivere sotto la nostra campana di vetro, sicura e fragile al contempo.
Quella campana, tuttavia, era più fragile che sicura.
Solo ricordare quel giorno, mi mette i brividi addosso ancora oggi, anni e anni dopo.
Ero uscita per qualche minuto, una mattina. Volevo recuperare la colazione, sia per me che per lui. Daniel aveva ripreso a mangiare, sebbene non fossi certa che gli servisse davvero, dal momento che non aveva proprio un corpo, e anche a dormire. Lo avevo lasciato assopito nel letto, tra le lenzuola gialle del motel dove alloggiavamo.
Comprai due cappuccini con l'aggiunta di panna e due cornetti e rientrai nella stanza, ma quando lo feci, trovai il letto vuoto. Lui non c'era, non sentivo la sua presenza come di solito accadeva.
“Daniel?” mormorai appena e non feci in tempo a dire o fare altro. Mi sentii afferrare per le spalle da qualcuno di estremamente forte, dalla cui presa non riuscii a liberarmi, sebbene mi stessi dimenando a più non posso.
Qualcosa di ancora più strano accadde all'incirca cinque secondi dopo: ebbi la sensazione di venir sballottata da una parte all'altra, come se stessi facendo il giro della morte sulle montagne russe una decina di volte consecutive. Dovetti chiudere e strizzare gli occhi, trattenendo i conati di vomito.
Quando sollevai le palpebre, non mi trovavo più nella stanza del motel, ma in un luogo indecifrabile. Era tutto buio, eccetto un grande cerchio illuminato di luce bianca, al centro del quale mi trovavo. L'aria era gelida, il che mi fece tremare e se ciò non era dettato dall'abbraccio di Daniel, non mi piaceva affatto.
Daniel.
Lui dov'era?
Mi guardai frettolosamente e nervosamente attorno, con l'affanno, come se avessi corso per chissà quanto. La mia vista sembrava essere annebbiata, sebbene, molto probabilmente, fosse solo una conseguenza del panico e dell'ansia che mi stavano assalendo in modo repentino.
Ad un tratto lo vidi. Vidi Daniel, poco distante, vidi i suoi occhi nella semioscurità, e feci subito un accenno di corsa per raggiungerlo, ma venni bloccata.
“Ferma lì” esclamò qualcuno. Era la voce di una donna, con tono alto, possente e sicuro. Non potei non obbedire e, non appena mi fermai, il cerchio di luce si allargò ulteriormente, non mostrando ancora, tuttavia, le pareti del luogo in cui ci trovavamo – eravamo in una stanza, poi?
Nonostante non potessi muovermi, cercai ancora con lo sguardo Daniel: potevo vederlo meglio, con più luce. Quel che vidi, però, non fu per niente confortante.
Un taglio gli segnava il viso trasversalmente, dal sopracciglio destro fino alle labbra; un livido violaceo si estendeva sull'occhio, dalla stessa parte e sicuramente aveva addosso altri segni in quel momento a me non visibili. Era immobilizzato da qualcuno, due uomini, da entrambi i lati, dei quali non riuscii a vedere i volti.
Solo allora decisi di voltarmi, per scoprire chi mi aveva fermato.
Mi ritrovai davanti una donna con lunghi capelli scuri, un tubino nero addosso, occhi neri come la pece e un rossetto rosso che metteva estremamente in risalto le labbra carnose. Era giovane, non le avrei dato più trent'anni e probabilmente non aveva nemmeno quelli. Il suo aspetto non mi colpì molto, sembrava essere una delle tante donne d'affari che incontravo spesso sul posto di lavoro; quello che lo fece, fu la sua espressione: fredda, pungente. Riuscì a farmi tremare solamente guardandomi.
Solo dopo qualche secondo ebbi il coraggio di parlare: “Dove siamo? Perchè sono qui? Che gli avete fatto?”.
La tempestai di domande: mi ero fatta pressapoco un'idea di chi fossero e ci misi poco a realizzare che, finalmente, ero al loro cospetto.
“Mi avevano detto che eri curiosa” esclamò la donna, muovendo un passo nella mia direzione, facendo schioccare i tacchi a spillo. “Ma questa la definirei più stupidità”.
Avrei volentieri replicato. Mi irritava e se avesse continuato, il mio pugno si sarebbe abbattuto sulla sua faccia perfetta. Questa volta, però, fu la voce di Daniel a precedermi. “Lasciala andare” mormorò, con tono debole “lei non c'entra nulla”.
La donna col vestito nero lo ammonì tempestivamente con lo sguardo e lui tacque, intimorito, così come lo ero io.
“Lei... Sa troppo, piccolo angioletto perchè tu glielo hai rivelato”.
Scossi appena la testa. Era assurdo: perchè erano così in collera con lui?
Aveva violato le loro stupide leggi, non aveva diritto ad un processo? Sarebbe stato decisamente più civile.
“Con tutto il rispetto” esclamai “chiunque tu sia..”.
“Chiamami Evelyn”.
“Evelyn. Beh, con tutto il rispetto, siete voi che l'avete mandato da me, sapendo benissimo quale fosse il nostro rapporto. Insomma, non siete onniscienti? Quale stupido manderebbe a fare da angelo custode qualcuno che è stato così vicino ed è significato così tanto per la persona da proteggere? Per di più, dandomi la possibilità di vederlo, ogni singolo istante. Daniel non ha sbagliato, nemmeno un po', quello... Quello lo avete fatto voi”.
Evelyn accennò un sorriso inquietante, che mi fece raggelare il sangue nelle vene. Le mie parole non l'avevano toccata nemmeno un po'.
Noi non abbiamo mandato proprio nessuno, signorina Finnigan” sibilò. “Lui ci ha supplicato affinchè fossi tu la sua protetta. C'era un accordo tra noi, un patto, un contratto, diciamo, legale, che Daniel ha violato, più e più volte, esponendo l'intera nostra razza ad un rischio enorme”.
Spalancai gli occhi, lo feci non appena terminò la prima parte della frase, ignorando quasi la seconda: lui mi aveva scelta, ben consapevole dei rischi a cui andava incontro. Perchè?
Deglutii, non potevo lasciarmi distrarre da mille supposizioni sul perchè lo avesse fatto. In quel luogo, ovunque fossimo, eravamo in pericolo e una minima distrazione avrebbe potuto essermi – ed esserci – fatale.
“Un rischio enorme?” replicai, tentando di nascondere il mio tono di voce più che traballante. “Solo io so della vostra esistenza, delle regole, di quel che fate e tutto il resto. Non lo direi mai a nessuno, chi mi crederebbe?”.
“Ne saresti sorpresa” ribattè Evelyn, per niente scossa dalla situazione. Ma del resto, che motivo avrebbe avuto per esserlo? In quel momento, lei era la padrona, del tempo e di noi. Le sarebbe bastato schioccare le dita per farci sparire, me lo sentivo fin dentro le ossa.
Abbassai lo sguardo, mentre Evelyn, accompagnata dal fastidioso ticchettio dei tacchi che rifrangevano sul pavimento, muoveva qualche passo attorno a me, finchè mi fu alle spalle. Non osai girarmi, almeno in un primo momento. Lo feci solo quando udii Daniel urlare.
Mi voltai di scatto, vedendolo a terra; i due uomini lo avevano lasciato andare. Evelyn stava in piedi, davanti a lui, tendendo una mano aperta nella sua direzione.
“Lascialo stare!” urlai, facendo subito per gettarmi su di lei, nonostante probabilmente non avrebbe nemmeno funzionato.
E infatti, non riuscii a muovere neanche mezzo passo, che fui bloccata da una sorta di barriera invisibile, provocata da Evelyn.
Ero del tutto impotente, a fissare l'amore della mia vita che si contorceva a terra, urlava e si dimenava a causa degli spasmi di dolore che lo attenagliavano.
“Smettila, ti prego, smettila” supplicai, con le lacrime agli occhi. Evelyn mi ignorò completamente, anzi, sembrò intensificare qualsiasi cosa stesse facendo a Daniel, perchè urlò ancora più forte, rischiando di spaccarmi i timpani.
Allora cominciai ad urlare anche io, pregando ancora quella donna di lasciarlo andare, di smetterla.
Daniel urlava, io urlavo e riuscivo a farlo più forte, tanto che, nemmeno rendendomene conto, non sapendo come, ero riuscita a muovermi.
Avevo superato quella barriera che me lo impediva, chissà in quale modo, ma l'avevo fatto. Mi ritrovai accanto ad Evelyn, che, quando se ne accorse, cambiò subito espressione. Fu sorpresa, perplessa e sconvolta, il che le fece abbassare la guardia per un istante, mentre i suoi occhi rimanevano fissi su di me.
Io mi sentivo allo suo stesso modo: fino a qualche secondo prima, ero paralizzata da un suo solo gesto e avevo paura. D'un tratto, invece, la perplessità lasciò spazio ad una nuova sensazione: mi sentii forte, come se potessi in qualche modo batterla. Sorrisi appena, al pensiero, ma non feci in tempo a fare niente.
Non me ne resi conto, ma Daniel era riuscito a mettersi in piedi. Barcollando, mi raggiunse, mi si gettò praticamente addosso.
L'ultima cosa che udii fu un “No” urlato da Evelyn.
Chiusi gli occhi e, quando li riaprii, eravamo di nuovo nella nostra stanza di motel.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


 Dovetti sbattere le palpebre più volte per tornare alla realtà e rendermi conto di che mondo mi stava attorno.
Eravamo in quello reale – per me, per gli umani, ovviamente – in quella piccola e squallida stanza di motel, l'unica che ci potevamo permettere.
Le braccia di Daniel non mi circondavano più, ma mi bastò spostare di poco lo sguardo per trovarlo, accasciato a terra, in preda a continui colpi di tosse che gli causavano perdita di sangue dalla bocca.
Urlai il suo nome, prima di precipitarmi a soccorrerlo. Lo feci alzare, a fatica, fino a raggiungere il letto, dove lo aiutai a sdraiarsi. La tosse stava diminuendo, ma lui continuava a non avere un bell'aspetto.
Avevo la tremenda voglia di prendere a pugni quella Evelyn fino a renderla irriconoscibile. Che gli aveva fatto?
Vederlo in quelle condizioni mi gettava totalmente nel panico, perchè, non essendo umano, non avevo la possibilità di portarlo in ospedale e non sapevo che fare per farlo stare meglio.
L'unica cosa che mi venne in mente fu quella di recuperare in bagno degli asciugamani, impregnarli d'acqua fredda e tamponargli la fronte. Incredibilmente, la sua pelle aveva perso il gelo che la caratterizzava – sia da umano, che da angelo – ed era bollente. Capii subito che non poteva essere un buon segno.
Trattenevo le lacrime a stento, eppure avrei voluto piangere, sfogarmi, farlo per giorni e giorni.
Ero sicura, tuttavia, non sarebbe servito a nulla.
“Dobbiamo... Andarcene...” biascicò Daniel, con tono flebile. Fece per alzarsi e non dovetti nemmeno cercare di fermarlo: ricadde subito sul letto prima di riuscire nella sua impresa.
“Non ti puoi muovere, Daniel. Non andiamo da nessuna parte” gli sussurrai. Diedi l'impressione di essere calma e tranquilla, anche se dentro di me era ricominciato l'inferno, come nella notte in cui lui perse la sua vita terrena.
“Se non ce ne andiamo, ci troveranno di nuovo, Sam. Non possiamo restare qui, il nuovo scudo non reggerà a lungo”.
“Lo so. Ma in questo momento non sei nelle condizioni adatte per anche solo stare in piedi. Lo scudo ci proteggerà per un po', appena cederà, ce ne andremo. Siamo al sicuro, ora”.
Daniel non osò replicare. Mi rivolse solamente uno sguardo stanco, mentre io, insistentemente, continuavo a bagnargli piano la fronte e i capelli.
“Non me l'hai mai detto” sussurrai, poco dopo, continuando la mia occupazione, quasi fosse meccanica ormai.
“Che cosa?”.
“Che sei stato tu a scegliermi, mettendoti davanti mille rischi e pericoli. Perchè lo hai fatto?”.
Lui sorrise appena. “Serve davvero che te lo dica?”.
“Sì. Ormai non c'è più nulla da perdere, no?”. Smisi di tamponargli la pelle e mi rigirai l'asciugamano tra le mani, abbassando lo sguardo su di esse.
“Non riuscivo a sopportare l'idea di starti lontano, neppure dopo essere morto. Vorrà dire qualcosa. Riuscivo chiaramente a sentire le tue emozioni, i tuoi sentimenti per me, capendo che erano veri, esattamente come i miei. L'hai detto anche tu, no? Esistono amori che vanno oltre la morte”.
Incurvai le labbra in su, solo per un istante: era una delle cose più romantiche che mi avessero mai detto, ma non riuscivo ad esserne assolutamente felice, perchè l'abbandonarsi ai sentimenti che provava nei miei confronti l'aveva condotto – e lo avrebbe sempre fatto – verso l'autodistruzione. Era come se fossi la sua maledizione.
“Hai infranto tutte le regole angeliche, solo per stare con me?” chiesi, con voce roca. Daniel annuì. “Dovresti semplicemente dire queste cose anche ad Evelyn e tutti loro. Potrebbero capirti, anzi, lo faranno sicuramente, nonostante i tuoi errori” aggiunsi.
Lui sorrise di nuovo, ma questa volta fu del tutto ironico. “Evelyn è una sorta di capo supremo” disse “ed è su questo pianeta da millenni. Ha totalmente dimenticato cosa siano le emozioni, cosa sia l'amore. E' il destino di tutti gli angeli: essere costretti a non provare nulla per anni ed anni, ti trasforma in un essere apatico e insensibile, dedito solo al proprio lavoro, che, per ironia della sorte, è quello di assicurarsi che la gente sia felice”.
“Tu hai paura?”.
“Di cosa?”.
“Di diventare come lei”.
“Ne sono terrorizzato”.
Solo allora tornai a guardarlo negli occhi. I miei erano lucidi, ma le lacrime ancora stentavano ad uscire. Con lentezza estrema, mi protesi verso di lui e mi sdraiai al suo fianco, appoggiando la testa sul suo petto. Non udii né il battito del cuore, né il fruscio del respiro, ma degli strani rumori, che non seppi definire. Che il suo corpo stesse tornando a poco a poco integro, dopo le torture che quella dannata donna gli aveva inflitto?
“Tu non potresti mai” mormorai “sei troppo buono per perdere le tue emozioni”.
“Ne saresti sorpresa”.
Aveva appena usato le stesse parole di Evelyn e allora mi vagò per la testa l'idea di fargli mille domande, risolvere una volta per tutta i miei dubbi, ben consapevole che, risolti quelli, se ne sarebbero aggiunti altri, e poi altri e altri ancora.
Dirottai su un altro argomento, o meglio, un'altra versione della questione. “Che ti stava facendo quella donna? Urlavi da matti” sussurrai.
“Gli angeli sono... Abbastanza sadici, se ci si mettono d'impegno, e quelli come Evelyn vogliono essere onorati e rispettati in ogni momento, così, quando c'è un condannato, lo torturano, fino a sentire le sue suppliche, prima di annientarlo, nel vero senso della parola”.
“E'... Crudele”.
“E' crudele” ripetè lui, con un sospiro. Sentii le sue labbra sui miei capelli. La sua pelle non era ancora tornata ad essere gelida come al solito, ma la temperatura, tuttavia, si era abbassata significativamente.
“E io? Come ho fatto a superare quella specie di barriera che Evelyn aveva alzato?” chiesi ancora.
“Questo non lo so”.
Alzai lentamente il capo, così da guardarlo negli occhi. Erano sinceri e lucidi, come forse non lo erano da tempo. “Così come non so in quale modo abbiamo fatto a trovarci di nuovo qui” continuò “credevo che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui vedevo il tuo viso”.
Sorrisi. Poteva Daniel Monroe essere più perfetto? Mi fece sentire totalmente in pace, sebbene fossimo nel bel mezzo di una catastrofe che si prospettava avere una fine atroce. Eppure, mentre le sue braccia mi stringevano, i suoi occhi mi guardavano e il suo sorriso mi illuminava, mi sentii protetta, al sicuro, come se niente avesse mai potuto ferirmi.
Forse perchè insieme scateniamo una forza pari ad un uragano e separati siamo paragonabili ad una leggera brezza estiva” sussurrai.
Lui non replicò alla mia frase, quella metafora un po' bizzarra, che però rifletteva alla perfezione ciò che eravamo. Io con Daniel mi sentivo forte ed ero convinta che la cosa fosse reciproca.
Restammo in quella stanza di motel per quattro giorni. Uscii solo qualche volta, per recuperare da mangiare, ma nulla più.
Daniel mi disse che avrebbe potuto mantenere attivo lo scudo di protezione per un'altra settima, ma quel luogo rimaneva a rischio, dal momento che già una volta lì ci avevano scovato, per cui, non appena il suo corpo si ristabilì, fummo di nuovo per strada, diretti ad un'altra meta, il più veloce possibile. In movimento, la nostra difesa veniva abbassata; non in modo drastico, ma abbastanza consistente per dar loro una traccia da seguire.
Non volevo che accadesse. L'esperienza con Evelyn mi aveva lasciato segni indelebili addosso e Daniel mi rivelò che il suo compagno – o socio in affari o qualcosa del genere – era di gran lunga peggiore. Si chiamava Eric: non si scomodava mai per faccende burocratiche, Daniel non l'aveva nemmeno mai visto, ma aveva sentito parlare di lui, e non in maniera rassicurante.
Più spietato di Evelyn: il solo pensarlo, mi metteva i brividi. Probabilmente lui non avrebbe esitato ad ucciderci entrambi, evitando anche la parte delle torture.
Nel nostro viaggio, che ci condusse a parecchi kilometri da quella stanza maledetta – così l'avevo soprannominata – le mie curiosità tornarono a galla, insieme alla voce di Evelyn che le paragonava alla stupidità.
Lo ero stata, ovviamente, ero stata stupida, ma ormai il danno era fatto e dovevo affrontare quella che era diventata la nostra battaglia.
Raggiungemmo un nuovo motel, meno squallido di quello precedente, che quasi mi sembrò confortevole.
Sprofondai nel materasso, tra le lenzuola bianche e profumate di giglio, mentre Daniel si concentrava, costruendo una nuova difesa, stavolta – a parole sue – più stabile di quella vecchia.
“Da una scala da uno a dieci” esclamai, mentre lui lentamente, guardandomi al punto di farmi sciogliere, mi raggiungeva sul letto “quanto è più cattivo di Evelyn, questo Eric?”.
“Mhm.. Facciamo undici?” replicò lui. Roteai gli occhi: la sua ironia non era molto apprezzata su quell'argomento. Daniel rise, probabilmente per l'espressione che il mio viso assunse. “Non lo so” aggiunse, poco dopo, quando ormai era sdraiato al mio fianco. “Non ho avuto l'opportunità di parlare con qualcuno che l'ha incontrato, a parte Evelyn”.
“Forse perchè nessuno mai è sopravvissuto per raccontarlo” aggiunsi, usando la sua stessa ironia, del tutto macabra e fuori luogo in quel momento.
Ero piena di domande, di nuovo, ed era frustrante il modo in cui a periodi del genere, si alternassero quelli in cui non me ne fregava niente, eccetto noi due. Ero preoccupata, ma allo stesso tempo non lo ero: rischiavo di impazzire, se non lo avessi già fatto.
Non potevamo fare altro che aspettare, chissà cosa: il ritorno di Evelyn, l'avvento di Eric, la nostra definitiva separazione.
Tra tutte, era solo l'ultima a terrorizzarmi.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


 “Ti prego, Daniel. Ti prego. Ti prego, non mi lasciare” sussurrai, tremando, scossa come mai prima. Lui non disse nulla in risposta. Continuò solo a fissarmi, trafiggendomi con quei due fari color ghiaccio, così come era diventato: freddo, assente, del tutto privo d'anima. Intorno a noi, probabilmente, stava accadendo di tutto, ma io riuscivo a vedere solo il suo viso: i suoi tratti perfetti, il ricordo di quello che era stato il suo sorriso, le sue carezze, il suono del suo respiro.Tutto era irrimediabilmente lontano da me, troppo lontano, da togliermi il fiato.
Ad un tratto, non riuscii nemmeno più a toccarlo e sprofondai nell'oscurità.

Mi svegliai di scatto, trovandomi nella stanza di motel in cui ci eravamo rifugiati. Un altro incubo. In quell'ultimo periodo, non avevo occasione di abbassare le palpebre, che ne venivo subito travolta, come se il mio inconscio non aspettasse altro che prendermi a pugni, privandomi del sonno. In mancanza di ciò, il mio aspetto era divenuto mostruoso e, se non fosse stato per Daniel che continuava a ripetermi quanto fossi bella, la mia autostima mi avrebbe presto trascinato giù a picco, in un baratro di vergogna.
Daniel.
Daniel era tranquillo, stranamente tranquillo. Avevo la netta impressione che tutte le sue ansie si fossero trasferite per empatia a me, sempre nevrotica e irritabile e, soprattutto, preoccupata.
La situazione non si era smossa più di tanto. Eravamo ancora in attesa dell'ignoto, qualcosa che forse avrebbe potuto non arrivare, oppure avrebbe potuto travolgerci senza che ce ne rendessimo conto.
Sospirai, cercando di scacciare via quei pensieri. Stavo seduta sul materasso, con il lenzuolo bianco attorcigliato alle gambe. Daniel era steso su di un fianco, accanto a me. Mentre dormiva, aveva un aspetto ancora più angelico – e non è tanto per dire.
Sorrisi, tornando a sdraiarmi, in modo da poter osservare meglio il suo volto. Era così rilassato che, per un momento, trasferì quel benessere anche a me.
Continuai a guardarlo per almeno dieci minuti, prima che aprisse gli occhi. “Ciao” mormorò, con voce impastata.
“Ciao”.
“Sei sveglia da molto?”.
“Da un po'. Non così tanto, in realtà”.
“Hai avuto un altro incubo?”.
Mi morsi appena il labbro inferiore, abbassando lo sguardo. “Come fai a saperlo?”.
Daniel mi sfiorò con due dita il mento, costringendomi a sollevare gli occhi sul suo viso perfetto, e mi abbagliò con un sorriso. “Sei angosciata” mormorò. “Te l'ho detto: io sento tutto ciò che provi”.
“E' per questo che tu non sei per niente pieno d'ansia? Ti basta la mia?”.
“Chi ha deciso ciò? Anche io ho paura, Sam, e sono ansioso, molto ansioso, ma se mi lascio sopraffare da sensazioni del genere, le nostre difese si abbasserebbero drasticamente”.
Aveva ragione, come sempre.
Lentamente, mi spostai, strisciando sul materasso, e mi accoccolai a lui, poggiando la testa sul suo petto, lasciandomi cullare da quel suono strano e regolare, che il suo corpo emetteva. “Per quanto Evelyn mi intimorisca e il solo pensiero di Eric mi tolga il fiato, non è di questo che ho più paura” sussurrai.
“E di cosa, allora?”.
“Di perderti. E' già successo una volta e ho desiderato morire con te, perché niente aveva più senso. Se dovesse succedere ancora, se ti portassero via da me, lo desidererei di nuovo. Se ci sei tu, il mio mondo continua a girare, il mio universo a esistere; se tu scomparissi... Non ci sarebbe più nulla. Le stelle potrebbero esplodere, il sole spegnersi, nemmeno me ne accorgerei”.
Mentre parlavo, Daniel prese ad accarezzarmi i capelli, in maniera delicata, come solo lui sapeva fare. Il suo tocco aveva un effetto benefico su di me. “Non mi perderai” sussurrò. “Anche se loro mi prendessero, se io venissi smaterializzato, ti starei sempre accanto, vivrei nel tuo cuore e tu lo sapresti”.
“Non è lo stesso”. Mi strinsi di più al suo petto, rischiando di stritolare la sua t-shirt grigia tra le mani. “L'idea di averti vicino non è pari all'averti e basta. Non esisterebbe la mancanza, se fosse così”.
Lo sentii sospirare sommessamente. In modo delicato, mi scostò e mi fece sollevare il capo, così che potessi guardarlo negli occhi. Mi accarezzò con due dita una guancia e sorrise, con il solo intento di rassicurarmi, sebbene, molto probabilmente, non ci sarebbe mai effettivamente riuscito. “Tu starai bene” disse, a bassa voce. “Per quanto siano in collera, non possono torcere un capello ad un umano”.
Sbuffai. “Non hai ancora capito che non è di me che sono preoccupata?”.
“Oh, l'ho capito. Ma, qualsiasi cosa dovesse accadere, tu sei la mia priorità, Sam, e so per certo che non permetterò che ti accada niente, per mano loro oppure no”.
In fondo, sapevo che aveva ragione: che si fosse ribellato al Paradiso – insomma, quello era, o no, non ne avevo idea – rimaneva comunque il mio angelo custode, sebbene non avesse più le ali e la maggior parte dei propri poteri. Avevo imparato a considerare quelle cose quasi superflue e non di vitale importanza.
Essendo un angelo, tuttavia, come lui mi aveva detto, un giorno sarebbe stato costretto a dirmi addio e io non lo avrei accettato, che fosse stato dopo qualche giorno o dopo dieci anni.
Credevo al per sempre; ero – e probabilmente sono ancora – una grande sognatrice, che non voleva arrendersi alla cruda realtà dei fatti.
Presi la mani di Daniel e baciai ad una ad una le sue dita, prima di poggiare una guancia sul dorso. “Ti amo” sussurrai. Lui sorrise. “Lo so”.
“Questa tua risposta sta iniziando a stancarmi”. Sorrise ancora e si sporse verso di me, baciandomi delicatamente sulle labbra. “Ti amo anche io” disse, a bassa voce.
“Così va meglio”. Lo baciai io questa volta, perdendomi nella sua pelle fredda e nel suo profumo celestiale.
Passammo più di metà mattinata in quel modo, ad accarezzarci e guardarci, nulla più, finché non mi avvertì del fatto che avremmo dovuto spostarci al più presto, poiché lo scudo di protezione aveva già iniziato a cedere.
Come ormai era diventata abitudine, allora, sistemai la nostra roba – più mia che sua – dentro quel borsone verde militare che avevo cominciato ad odiare profondamente, e, dopo aver pagato le notti passate nella stanza di motel, salimmo in macchina, io alla guida e Daniel lì di fianco, sul sedile passeggero.
“Metti la cintura” esclamai, mettendo in moto. Lo sentii ridere. “Dico sul serio, mettila” replicai, totalmente seria.
“Sai che non può succederci nulla, non in questo modo, almeno”.
“Lo so. O forse no. Puoi metterla e basta, per favore?”.
Lui roteò gli occhi e mi obbedì. Era qualcosa di stupido, perché, davvero, era già morto e un incidente d'auto non l'avrebbe di certo ucciso, non di nuovo, ma saperlo sicuro almeno da quel punto di vista, mi calmava.
Daniel sembrava divertito da ciò, tanto che l'ombra di un sorriso continuò a costeggiargli il volto per lungo tragitto, in cui io tenevo gli occhi fissi un po' sulla strada, un po' su di lui, senza distrarmi troppo.
Lasciai scivolare una mano sulla sua, poggiata sulla gambe, e, di riflesso, le nostre dita si intrecciarono.
Per dei brevi attimi, la pace, la calma e la tranquillità sembrarono avvolgermi e riuscii a rilassarmi, immaginando di essere finalmente entrata in qualcosa di normale, in un'esistenza normale, dove l'amore della mia vita era umano, vivo, salvo e in salute.
Ma, come sempre, la mia beatitudine non era destinata a durare, non più di trenta minuti, almeno.
Un deja-vù. Mi sembrò di tornare indietro nel tempo, a sei mesi prima, perché quello che accadde fu tremendamente uguale da togliermi il fiato. Non fu a causa di una mia distrazione e forse fu l'unica eccezione.
L'auto, tutto ad un tratto, non fu più sotto il mio controllo. Iniziò a sbandare, a fare strani rumori e finì fuori strada, giù, in un fosso al lato della carreggiata. Chiusi gli occhi: non volevo vedere, non volevo rivivere quegli attimi che avevano segnato in modo indelebile la mia vita. Quando sollevai nuovamente le palpebre, tuttavia, incredibilmente, non ero più all'interno dell'auto, ma fuori, in piedi. La macchina era dietro di me, non troppo distante, sentivo chiaramente il motore ancora ronzare. Avevo il fiatone, come se avessi appena terminato una lunga corsa.
Il mio pensiero corse subito a Daniel. Lui non c'era. Nulla c'era. Tutto sembrava essere scomparso, persino il rumore delle auto ancora in corsa sulla strada.
C'ero solo io, sotto quel sole tremendamente caldo per essere primavera.
Non capii minimamente che cosa stesse succedendo, avevo solo una tremenda paura. “Daniel?” sussurrai, con voce tremendamente roca. Iniziai a tremare e girai su me stessa, esaminando quel deserto in cui ero finita, immaginando bene per opera di chi.
“Sam!”. Ad un tratto, la sua voce mi riempì le orecchie. Avevo le lacrime agli occhi quando mi girai e lo vidi, nella sua perfezione, venirmi incontro. Gli saltai – quasi letteralmente – addosso, stringendolo a me e affondando il viso nel suo collo. “Che cosa è successo?” mormorai, baciandolo sulla guancia subito dopo.
Lui mi distaccò dolcemente, prendendo il mio viso tra le mani. “E'...” disse solo e la sua voce venne scavalcata da una più possente e metallica: “Molto romantico”.
Non l'avevo mai udita prima. Daniel mi liberò il viso e potei girarmi. A pochi metri da noi, vidi Evelyn, con quel sorriso inquietante dipinto sulla faccia e quel tubino nero e, proprio accanto a lei, un uomo, incredibilmente alto, pelle perlacea, completo d'alta sartoria nero, occhi azzurri, più brillanti di quelli di Daniel – cosa che non credevo possibile – e capelli tinta platino. Era stato lui a parlare e, per il timore che riuscì ad incutermi, capii quasi subito chi fosse: quell'uomo così possente era Eric.
Erano in piedi, l'uno di fianco all'altro. Eric schioccò le dita e, in un battito di ciglia, ci ritrovammo ancora una volta in quella strana dimensione in cui Evelyn ci aveva trascinato solo qualche giorno prima.
Daniel mi si parò davanti, coprendomi metà visuale. Il mio cuore batteva all'impazzata, mentre frasi sconnesse su come mi era stato descritto Eric, si accavallavano nella mia testa.
“Oh, non essere ridicolo” lo sentì esclamare “sai che non le farei niente, non a lei, perlomeno”. Evelyn rise; riuscì a risultare ancora più odiosa in quel momento. La vidi scambiarsi qualche sguardo con Eric. Lui sorrise. “Occupati di lui” sussurrò.
I miei occhi si sbarrarono, ma, nella mia umanità, non potei fare nulla per impedire ciò che accadde nei dieci secondi che seguirono. Ebbi solamente il tempo di sbattere le ciglia, che mi ritrovai sola, con Eric di fronte, sorridente, immersi nell'oscurità.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Gli occhi scintillanti di Eric mi scrutavano, a pochi centimetri di distanza. Sentivo il gelo attorno a me, fin dentro alle ossa. Gelo che, molto probabilmente, era provocato dal suo respiro, in quel luogo appartenente ad un'altra dimensione, dove in quel momento mi trovavo. 
Ero bloccata, in qualunque senso possibile.
Materialmente, data la mia umanità, non avevo via di fuga. Dovevo possedere poteri da angelo o qualsiasi altra creatura per andarmene, ma non avevo nulla del genere. Nemmeno correre mi sarebbe servito, poiché temevo che quel posto non fosse terreno. Forse ci trovavamo sopra le nuvole, o dentro un buco nero: non ne avevo idea. 
Mentalmente, poi, la situazione era mille volte peggiore: ero terrorizzata da Eric, che avrebbe potuto farmi di tutto, anche violando le leggi celesti, delle quali probabilmente lui era l'inventore. Avrebbe potuto eliminarle o plagiarle a suo piacere, solo ed esclusivamente a causa mia.
E c'era Daniel e la sua assenza. Si trovava quasi certamente con Evelyn che, quasi certamente, lo stava torturando. La sola idea di lui attenagliato dal dolore, mi strinse una morsa attorno al cuore, impedendomi per un attimo di respirare. Mi portai una mano al petto, stringendo un pugno, anche se avrei tanto voluto stringere Daniel a me, udire la sua voce sussurrarmi che tutto sarebbe andato bene.
Il problema era che nulla sarebbe andato bene.
«Rilassati, dolcezza» esclamò Eric ad un tratto, facendomi sobbalzare. «Non voglio farti del male, solo chiacchierare un po' con te».
«Dov'è Daniel?» replicai, ignorando totalmente le sue parole. Lui fece una smorfia e inclinò appena il capo di lato. Tenere testa al capo supremo degli angeli non era semplice. Era stato dannatamente complicato farlo con Evelyn e a stento ci ero riuscita. Il perché non fossi svenuta in quell'istante, rimane un mistero tutt'ora. 
«E' da qualche parte, a divertirsi» rispose, sogghignando.
«Essere torturati adesso è un divertimento?».
«Siamo angeli, Samantha». Roteò gli occhi e allargò le braccia. «Non torturiamo mica».
Rabbrividii, sentendolo pronunciare il mio nome. Il modo in cui lo calcò sembrò esser fatto appositamente per lacerarmi la carne, quasi fosse un'arma. Scossi appena la testa, dovevo rimanere lucida, più che potevo. «Evelyn lo ha fatto» sibilai.
«Evelyn ama trasgredire».
«Solo lei? Perché io sono qui? Perché... Perché non lasciate semplicemente perdere?».
«Perché, perché, perché» mi fece da eco, gesticolando con le mani. Per come si comportava, sembrava quasi essere annoiato da tutta quella situazione. 
«Samantha» disse, poi, usando lo stesso tono di poco prima. «Perché credi ci siano delle regole? Insomma, non sono state fatte così, tanto per gioco. Il tuo angioletto è stato disobbediente, dopo che noi siamo stati tanto gentili e cordiali con lui. E' un torto e, per di più, seguendo la sua testa, ha messo in pericolo la mia intera razza».
«In pericolo? So solo... Qualcosa su di voi. La maggior parte di tutto mi è ancora all'oscuro».
«Tu credi in Dio, Samantha?».
Mi morsi piano il labbro inferiore. «Non credevo negli angeli, fino a qualche mese fa» sussurrai. «Quindi, per quanto ne so, potrebbe esistere qualunque cosa».
Eric abbozzò un sorriso, ironico. «Dio esiste e... Ed è abbastanza arrabbiato. Non è il tipo che si scalda facilmente, eppure il biondino è riuscito a farlo andare in collera».
«Mi sembra assurdo».
«Assurdo?».
«Sì, lui... Daniel ha fatto tutto ciò per amore. Ha chiesto di venire da me, seguendo i suoi sentimenti. Non è proprio Dio il primo a predicare amore?».
«L'amore tra umani. Gli angeli e l'amore devono viaggiare su due binari paralleli, senza mai incontrarsi».
«Questo è Dio a dirlo?».
«E' ciò che ha scritto, parecchio tempo fa». Eric sospirò e si avvicinò ulteriormente a me. Quando lo fece, il gelo che sentivo aumentò a dismisura e io iniziai a tremare. «E' uno dei nostri comandamenti» disse, scrutandomi con gli occhi color ghiaccio. «Voi avete i vostri e ve li lascia trasgredire come meglio credete. Con noi, è un tantino più rigido e, violarne uno, significa condannarsi all'annientamento».
«E' vietato svelarvi agli umani?».
«Anche, ma su questo avevamo un compresso. Daniel ti ha parlato di noi, della nostra gerarchia e, con l'apparizione di Evelyn, ti ha parlato anche di me. Insomma, con tutto ciò che ha fatto, non ha nemmeno diritto a difendersi in Corte».
«In Corte?».
«Oh, sì. Abbiamo anche noi un tribunale. Un tribunale celeste, al contrario di quanto tu sospettavi».
«Quindi perché mi stai trattenendo qui? Daniel potrebbe essere già morto in questo momento». Trattenni a stento le lacrime, di fronte a tale prospettiva, più reale che mai. Era come se avessi il sospetto che Eric mi stesse solamente intrattenendo, mentre Evelyn eseguiva il lavoro sporco, torturando Daniel, costringendolo a contorcersi a terra, in preda a spasmi di dolore. E io ero totalmente inerme e incapace di aiutarlo. Per di più, ero lontana.
Mi morsi forte il labbro inferiore, fino a farlo sanguinare, e i miei occhi si fecero lucidi.
«Mi dispiace, Samantha» sussurrò Eric. Sentii le sue dita sfiorarmi leggermente la guancia. Erano gelide, eppure, quel lieve tratto di pelle che mi toccò, arse e mi bruciò.
«Sai, ho l'ordine di ucciderti. Una di quelle poche volte in cui un umano viene sacrificato» mormorò, inclinando la testa «Del resto, lo dovrei fare per proteggere la mia intera razza. Tuttavia, sono in ottimi rapporti con il mio paparino, questo vuol dire che posso fare ciò che voglio e lasciarti andare. La libertà, però, ha un prezzo».
«Daniel...» mormorai subito. Per quanto mi sforzassi, i miei pensieri ricadevano sempre su di lui e la sua incolumità, e avrebbe dovuto essere il contrario: era lui ad essere il mio angelo custode e non viceversa.
«Questo era scontato» esclamò Eric, serrando la mascella. «Hai ragione, molto probabilmente Evelyn ha già fatto a brandelli il suo corpo e considerando quanto le piacciono le esecuzioni, ho la sensazione che questa volta si sia davvero sbizzarrita».
Le lacrime non resistettero più allora. Come potevo rimanere impassibile in un momento del genere? Se prima era solo una supposizione vivida, le sue parole confermarono tutto e fu come ricevere una pugnalata nel centro esatto del petto. 
«Avevi detto che gli angeli non amano le torture» dissi, a bassa voce.
«Ho anche detto che ad Evelyn piace trasgredire».
Abbozzai un sorriso, del tutto privo di entusiasmo. Avevo appena appreso che l'amore della mia vita si era dissolto nel nulla, ero a pezzi, sul punto di crollare.
«Qual è il prezzo, allora?» biascicai. «Senza Daniel, io non ho più niente che potete togliermi».
Eric abbozzò un sorriso e mi venne la voglia di tirargli un pugno in faccia. Io piangevo e lui era sul punto di ridere.
«Il suo ricordo» sentenziò.
«Cosa?».
«Se non ti uccido, non posso comunque farti ricordare tutto ciò che ti ha detto, così da mantenere il grosso problema e guaio che si è creato. Per di più, ti farei anche un favore. Non soffriresti, non più».
Dimenticare Daniel era troppo. Sarebbe stato orribile scordare qualcosa di così bello, quell'amore così puro, quello che ti tocca e ti travolge una sola volta nella vita. Cancellarlo dalla mia mente era fuori discussione, perché anche se il mio cervello mi avesse ordinato di non ricordare, il mio cuore sarebbe sempre rimasto attaccato alla sua anima.
Scossi violentemente la testa, facendo un passo indietro. «No» dissi, con tono soffocato. «Non voglio dimenticare. Preferisco morire».
Eric sospirò, roteando gli occhi. «Sei nella prospettiva che l'amore vinca su tutto, vero, Samantha?» esclamò, azzerando nuovamente la distanza tra noi. Prese il mio viso tra le mani, stringendolo e, per quanto tentai di liberarmi, rimasi bloccata. «Vuoi sapere una cosa?» domandò, retorico. «L'amore non vince mai. Ti distrugge prima che tu possa rendertene conto e alla fine, ti ritrovi da solo e apatico. L'amore perde sempre, si annulla, collassa su te stesso e io non permetterò che tu sia l'eccezione. Te l'ho chiesto gentilmente, ma non ho mai avuto l'intenzione di lasciare a te l'ultima parola, per cui...».
«No...».
«Addio, Samantha».
La voce di Eric riecheggiò nell'aria e fu seguita da un grande bagliore, che mi costrinse a chiudere gli occhi. Al suono metallico della voce dell'angelo, si aggiunse un altro rumore, fastidioso, uno stridio che rischiò di rompermi i timpani.
L'ultima cosa che ricordo è il buio totale che calò e mi avvolse all'improvviso. Poi aprii gli occhi e mi trovai stesa sul pavimento di casa mia, a Rossville.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


“Il suo ricordo. Eliminerò il suo ricordo. Non soffrirai, Samantha, ti sto facendo un favore. Tu lo dimenticherai, lo dimenticherai”.

La voce di Eric, seppur fossi sola in quella stanza fin troppo fredda, continuava a tormentarmi: metallica, possente, graffiante. Riusciva a mettermi i brividi, fin dentro le ossa.
Eppure, nonostante le sue parole, la sua promessa di farmi scordare ogni momento passato in quei ultimi mesi, nella mia mente era ancora incisa ogni cosa: lui, Evelyn, la schiera di angeli, la stanza nera e, soprattutto e più importante, Daniel.
Lo ricordavo ancora, ricordavo ogni istante trascorso insieme, il suo tocco gelido, i suoi occhi color ghiaccio, i suoi baci che riuscivano a riscaldarmi nonostante la temperatura eccessivamente bassa della sua pelle.

Ero più confusa di prima.

Gli angeli mentivano?

Come al solito, tuttavia, il mio primo pensiero, la mia prima preoccupazione fu Daniel. Dov'era in quel momento? Che gli avevano fatto? Lo avrei più rivisto?
Mi passò persino per la testa l'idea che Eric mi stesse torturando psicologicamente, facendomi credere una cosa e poi facendone un'altra, perché, per quanto mi costasse ammetterlo, vivere con il ricordo di Daniel insieme alla consapevolezza che fosse morto per colpa mia – che si fosse completamente dissolto per colpa mia – era una punizione peggiore del dimenticarlo e basta, sebbene con quella cancellazione, avrei scordato anche tutti i momenti felici e, in particolare, quello che avevo sempre provato nei suoi confronti. 
Era come un enorme labirinto, alla fine del quale ero riuscita a trovare due via di fuga, ma nessuna delle due mi avrebbe condotta verso un lieto fine.
Perché tutto doveva essere così dannatamente difficile? Non avevo memoria di una sola cosa nella mia esistenza, fino ad allora, che fosse andata bene.

Mi lasciai cadere di peso sul divano, sprofondando nei cuscini marroni di pelle, e presi il mio viso tra le mani. Scoppiai a piangere: mi venne automatico, naturale, perché di fronte a me avevo l'ignoto e, con molta probabilità, altro dolore, che a stento sarei riuscita a sopportare.

«Con quelle lacrime, potresti rovinarti gli occhi, Sam».

Avevo ancora lo sguardo fisso sul pavimento, quando una voce, quella voce, quella di Daniel, riecheggiò nell'aria. Alzai di scatto la testa e me lo ritrovai davanti, a pochi metri di distanza, in piedi, con le mani nelle tasche dei jeans neri e stretti, una camicia bianca e candida, che quasi si confondeva con il pallore della sua pelle, e un lieve sorriso abbozzato sul volto.
Non stetti molto a chiedermi perché fosse lì, come ci fosse arrivato, che cosa gli fosse successo: lui era di fronte a me, più raggiante che mai e il resto non contava. Abbandonai il divano, allora, e balzai in avanti, raggiungendolo in soli due passi; gli buttai le braccia al collo, stringendolo a me, e percepii le sue mani fredde sulla mia schiena. Il suo profumo era divino: era fresco, ma dolce. Era vaniglia, forse, o zucchero filato. Non seppi definirlo, ma era dannatamente buono.
«Pensavo di averti perso per sempre» sussurrai, non accennando a distaccarmi dal suo corpo. Non lo vidi, ma sentii come accennò una risata. «Ti ho detto che sarei rimasto finché ne avresti avuto bisogno, no?» replicò.
Annuii, distrattamente e, con coraggio, riuscii a staccarmi almeno un po' da lui, in modo da poterlo guardare negli occhi, quei due diamanti azzurri che, in quel momento, continuavano a scrutarmi in maniera così dolce da farmi sciogliere. Io, tuttavia, non avevo smesso di piangere, anche se le ragioni per cui lo facevo erano cambiate: quelle erano lacrime di gioia.
«Eric mi ha detto che Evelyn ti avrebbe ucciso» singhiozzai «e che avrebbe eliminato il tuo ricordo dalla mia testa, Daniel... Io... Non sapevo che fare, non volevo e non voglio dimenticarti, perché... Perché io ti amo, ti amo così tanto e un amore così grande non può essere cancellato solo perché un angelo pazzo lo vuole, io non...».
«Shh». Daniel poggiò due dita – l'indice e il medio - sulle mie labbra e il flusso di parole venne interrotto, così come la mia capacità di ragionare lucidamente. Rimasi in silenzio, a osservare ogni tratto del suo viso perfetto: dalla mascella sottile, ma ben definita, lo zigomo alto, gli occhi azzurri, le sopracciglia sollevate, i capelli biondi che gli ricadevano sulla fronte.

Era più di un angelo: si avvicinava sempre di più al concetto di divinità.

Daniel avvicinò la sua bocca alla mia e ci baciammo. Fu qualcosa di assolutamente intenso, come se lo stessimo facendo per la prima volta. Sentii le sue mani sulle mie guance, mentre le mie, di mani, scivolarono piano sul suo petto.
Quando le nostre labbra persero il contatto tra loro, Daniel mi rimase abbastanza vicino, da poter poggiare la fronte sulla mia e io potei chiaramente percepire il suo respiro gelido sul viso.

«Che cosa è successo?» domandai, con un filo di voce.

«Niente di cui tu ti debba preoccupare».

«E' un po' tardi per non preoccuparmi».

«Dico sul serio, Sam. Ora non c'è più nulla di cui preoccuparti».

«Questo vuol dire che resterai con me per sempre?».

Sorrise, allo stesso modo di poco prima, ma io ebbi la netta sensazione che qualcosa fosse cambiato e così la mia gioia sembrò spegnersi e assomigliare più ad un lampo, un flash, piuttosto di qualcosa di concreto e longevo.

«No» sussurrò «sono venuto qui per dirti addio».

Aggrottai le sopracciglia, premendo le mani sul suo petto e, inconsciamente, strinsi la camicia tra le dita. «Addio?» ripetei, a fatica. «Tu non... Non puoi dirmi addio. Tutto quel “rimarrò finché ne avrai bisogno”, che fine ha fatto?».

Lui restò assolutamente calmo, tanto che, per la prima volta, mi venne voglia di prenderlo a pugni. Distese le braccia lungo i fianchi, mentre io cominciai a spingerlo piano, all'indietro. Ero arrabbiata, completamente accecata dal dolore e le lacrime erano tornate a rigarmi il viso per le ragioni iniziali: dolore, tristezza, abbandono.
Non appena iniziai a spingere più forte, tanto da costringerlo a indietreggiare per qualche metro, Daniel mi bloccò, tenendomi per i polsi e mi costrinse a guardarlo nuovamente negli occhi. «Ho tenuto fede alla mia promessa» disse «sono davvero rimasto finché ne hai avuto bisogno. Adesso è giunta l'ora che io me ne vada».

«Non hai mantenuto proprio nulla, io ho ancora bisogno di te».

«No, non ne hai».

«Ne ho. E ammetto che il tuo sentire quel che provo è nettamente peggiorato».

Daniel, a quel punto, rise, e aumentò la mia voglia di schiaffeggiarlo, ma la sua presa, stranamente, era forte, tanto da non permettermi di muovere un muscolo.

«Sarai felice» mormorò.

«Smettila di dirlo» replicai. Avrei voluto urlarlo, ma ciò che ne uscì fu solo un lamento. «Non sarò mai felice senza di te».

Lui continuò a sorridere, imperterrito, e non capivo come potesse farlo, mentre io stavo letteralmente crollando, in mille pezzi.

«Sei splendente, Samantha Finnigan» sussurrò ancora, abbandonando la presa sui miei polsi. «Continua a brillare».

Non capii le sue ultime parole. Riuscì a confondermi più di quanto non lo fossi già.

Fece un passo indietro. Io feci appena in tempo a sbattere le palpebre, lentamente, per due volte, e Daniel non c'era più.

Di nuovo sola, in quella stanza vuota e gelida.

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Capitolo 21
*** Epilogo ***


Avevo sempre adorato il freddo e il silenzio. Entrambi, erano sempre scaturiti da Daniel. Amavo ogni aspetto, ogni sfaccettatura e sfumatura di lui e il gelo della sua pelle e il suo solo fissarmi, senza proferire parola, faceva parte del suo modo di essere, che fosse l'introverso ragazzo di quindici anni, con gli occhi coperti da un velo grigio, o l'angelo sarcastico e protettivo con cui avevo avuto a che fare negli ultimi mesi.
Otto. Il mio angelo custode era rimasto con me per esattamente otto mesi. Fino ad allora, non ci avevo mai fatto caso. Non avevo badato troppo al tempo, sebbene avessi paura che esso trascorresse troppo velocemente.
In realtà, lo aveva fatto. Era trascorso e Daniel se ne era andato, anche se il mio bisogno di lui non era affatto cessato, anzi: la sua assenza, nei giorni che seguirono il suo addio, si fece ancora più pesante, più difficile da sopportare.
Come aveva potuto dirmi che sarei stata felice in quelle condizioni? Ero assolutamente a pezzi, distrutta, tanto da rifugiarmi sotto le coperte, senza nemmeno alzarmi per mangiare o fare altre cose. Era come se fossi morta anch'io, come se mi fossi dissolta al suo posto, perché, senza di lui, il mio universo era svanito.
Non avevo più contatti con la realtà. Uscendo, quasi sicuramente, sarei stata frastornata dai troppi rumori, dalle chiacchiere delle gente, dalla luce del sole e dall'aria pungente.
Era meglio, per me, stare in casa, tentare di dormire, anche se, ogni volta che chiudevo gli occhi, era come trovarmi in un buco nero, un luogo opprimente, dove a stento riuscivo a respirare, sommersa da mille domande, su Daniel, per prima cosa, ma anche su Evelyn, su Eric e su tutti gli angeli.

Anche quella mattina, ero sprofondata nel mio letto, avvolta nel piumone, con gli occhi socchiusi, cercando di non pensare, di lasciarmi andare lentamente.
Sarebbe passato tutto in silenzio, come i giorni precedenti, ma, quella volta, lo squillo del telefono di casa, che a me parve più una sirena nelle mie orecchie, mi distrasse da ogni cosa e mi fece sobbalzare. Avrei davvero evitato di rispondere; tuttavia, quel rumore era eccessivamente assordante per me e, pur di farlo smettere, fui costretta a rispondere. Mi alzai faticosamente in piedi e raggiunsi il telefono appoggiato sul comò della camera.

«Finnigan!» esclamò una voce che riconobbi immediatamente: era Josh, il mio capo alla redazione del giornale. Ma perché mi aveva chiamato? Non era uno di quelli che si scomodava più di tanto per i propri dipendenti, a tal punto da chiamarli a casa; e poi, io ero in aspettativa da più di un mese.
«Josh» replicai e sentire il suono della mia voce fu abbastanza strano. Mi bagnai le labbra con la lingua più volte, affinché il mio tono non fosse troppo flebile.
«Finnigan!» continuò lui «Dio, sono giorni che provo a chiamarti sul cellulare, ma è sempre staccato. Ti ho fatto mandare un sacco di e-mail e messaggi. Ma che fine hai fatto?».

«Sono in aspettativa, Josh. Ho lasciato la richiesta a Kelly, ha detto che non c'era nessun problema».

«Kelly? No, non mi ha detto nulla del genere. Ascolta, ho saputo quello che ti è successo. La morte di quel ragazzo ti ha davvero sconvolta, e so che una settimana è troppo poco per elaborare un lutto e...».

Spalancai gli occhi. «Una settimana?» balbettai.

«Sì, è passata una settimana dalla morte di quel ragazzo che frequentavi. Non che io sia pettegolo, ma in una città piccola come questa, notizie del genere circolano molto velocemente».

«Uhm, sì, ecco... Devo aver perso un po' la cognizione del tempo, io... Che giorno è oggi?».

«Venerdì 16 novembre».

A quel punto, fui del tutto sconvolta e sbiancai. Daniel era morto il 9 novembre, me lo ricordavo benissimo. Mi ricordavo dei tre giorni che seguirono, immersa nel dolore, la sua apparizione, poi, e tutti i momenti passati insieme successivamente, tristi o allegri.
Non potevano essere trascorsi solo sette giorni. Era improbabile, incomprensibile, almeno dal punto di vista umano. Che gli angeli avesse fatto tornare indietro il tempo? E perché farlo, lasciandomi impressi nella mente tutti gli attimi vissuti con colui che consideravo la mia anima gemella?

Forse era per questo che Daniel sorrideva, dicendomi addio.

«Scusa, Josh, devo... Fare una cosa. Ti richiamo io più tardi, okay?» sussurrai.

«Oh, no, non voglio che chiami. Presentati solo in redazione lunedì mattina. Ti aspetto, ci conto». E riagganciò.

Restai per qualche minuto a fissare la cornetta muta, quasi trattenendo il fiato, e sentii una lacrima scendermi lungo la guancia. Mi sembrò bruciare, a causa della lentezza con cui scivolo sulla mia pelle. La confusione tornò prepotente su di me.
Gli attimi passati con Daniel, come mio angelo custode, erano vivi e nitidi nella mia testa, ma, nella realtà, essi non erano di fatto accaduti. Se davvero il tempo era tornato indietro, allora Lucas ancora mi odiava e il senso di colpa era ancora opprimente.

Dovevo verificare tutto.

Non pensai molto al mio aspetto. Mi vestii rapidamente, indossando le prime cose che mi capitarono tra le mani, ovvero un paio di jeans blu e una maglia grigia, a maniche lunghe. Infilai un paio di scarpe da ginnastica e la mia giacca di pelle, per poi uscire di casa.
L'aria fredda e pungente di quel pomeriggio di tardo autunno, come avevo previsto, mi fece pizzicare il viso, ma la sensazione durò poco, forse offuscata dai miei dubbi. Salii in macchina e sgommai, verso casa Monroe, che raggiunsi a tempo di record, in soli dieci minuti.
Parcheggiai in malo modo davanti al vialetto della piccola villa, a luci tutte accese, anche in pieno giorno. Scesi dall'auto e camminai dritta, verso la porta, alla quale bussai e attesi, mordendomi il labbro inferiore, così forte, da rischiare di farlo sanguinare.

Lucas mi aprì dopo esattamente quaranta secondi. Il suo sguardo era esattamente come quello che, per me, era di mesi fa: triste, spento, grigio, ancora in collera con me e con se stesso.

«Che ci fai qui?» disse, con voce roca. Mi sorpresi del fatto che non mi avesse chiuso la porta in faccia: del resto, era già successo.

«Volevo vederti» replicai, stringendomi nelle spalle. «Come... Come stai?».

«Me lo stai davvero chiedendo?».

Sospirai. Per mia fortuna, mi parve meno distaccato e rabbioso, rispetto alle altre volte. «Ovviamente non stai bene» sussurrai. «Ascolta, io... Daniel è morto tra le mie braccia e stava sussurrando “Silent lucidity”. E' quella canzone che vi cantava vostra madre, come ninna nanna, per non farvi avere paura. E lui non ne aveva, perché io lo stavo stringendo a me. Adesso ti senti in colpa, per non essergli stato vicino in un momento del genere, ma io c'ero e Daniel era felice. E' felice ora, ovunque lui sia. Non aveva paura, perché stava cantando e non provava dolore, a causa dell'amore con cui tu sempre lo hai avvolto e con il quale ho provato anche io a farlo. E' stato lenitivo. Non avresti potuto fare niente per evitare tutto questo. E' stata opera del destino, e il destino è quasi sempre crudele. Vivi in pace, Lucas, meriti di essere felice anche tu».
Trattenni il respiro per tutto il tempo che parlai e, non appena finii, indietreggiai subito, temendo la sua reazione, qualunque essa fosse stata. In un primo momento, lui non replicò. Solo quando mi ritrovai a metà del vialetto, sentii la sua voce chiamarmi: «Sam?».
Mi girai, socchiudendo gli occhi.

«Grazie» mormorò Lucas. «Non c'è di che» replicai, abbozzando un sorriso e tornai in auto, il più veloce possibile.

Dire quelle cose a Lucas mi tolse un peso dal petto, e non se capii il motivo. Ma sapevo bene di avergli detto la verità. Daniel aveva affermato di non avere paura, a causa mia. Sorrisi, al pensiero, mentre guidavo verso il cimitero di Rossville. Abbandonai l'auto nel grande parcheggio deserto del posto e mi incamminai tra le lapidi spoglie, fino alla cappella della famiglia Monroe. L'odore dei pini, mossi dal vento, era più forte del solito.

Mi fermai, totalmente immobile, di fronte alla sua lapide, a fissare quella foto sorridente, quell'espressione che, molto presumibilmente, non avrei più rivisto. «Ciao, amore mio» sussurrai, sfiorando con i polpastrelli i bordi della cornice dorata. Stranamente, nessuna lacrima mi scivolò sul viso. Forse, le avevo solamente esaurite. Appoggiai la fronte sul marmo gelido e chiusi gli occhi. Il silenzio, lì dentro, era ancora più surreale di quello di casa mia e fu facile interromperlo.
Udii un frastuono, proprio fuori alla cappella. Sulle prima, non mi passò nemmeno per la testa di andare a controllare cosa fosse successo, ma poi, la voce di qualcuno, di un ragazzo, mi spinse ad uscire dalla cappelle e andare a vedere.
Proprio lì fuori, quindi, vidi un biondo, che cercava di raccattare i vasi di pittura che aveva fatto cadere, urtando un grosso carrello, di lavori in corso, per nuove lapidi, forse. La scena mi fece quasi ridere, anche perché non riusciva a trovare un modo per riparare il danno.

«Serve una mano?» esclamai, cercando di non scoppiare. Solo allora lui alzò gli occhi e... Erano azzurri, di ghiaccio, penetranti, esattamente come quelli di Daniel. E non era l'unica cosa a richiamare la sua figura: quel ragazzo sembrava davvero lui, anche dalle espressioni che fece dicendomi che accettava il mio aiuto, dal modo in cui mi sorrise e da quello col quale si sistemò i capelli.

Tutto ciò riuscì a bloccarmi, mentre sentivo la voglia di piangere tornare prepotentemente in me. Lui, a quanto parve, se ne accorse, e lasciò perdere il proprio disastro – al quale, comunque, non avrebbe mai potuto porre rimedio.

«Tutto okay?» mi chiese, muovendo un passo verso di me.

«Sì» replicai, distratta e scuotendo appena la testa. «Sì, è solo che...» interruppi la frase, mordendomi appena il labbro inferiore.

«Solo che...?».

«Niente, è che... Mi ricordi una persona che ho... Che ho perso».

«Oh, mi... Mi dispiace. Anche io ho perso qualcuno, di recente, perciò... Ti capisco».

Ovviamente non poteva capirmi per davvero, ma apprezzai lo sforzo.

Abbassai lo sguardo, sentii il respiro mancarmi, per qualche istante. «Io sono Christopher Robbins comunque» disse il ragazzo, costringendomi a guardarlo nuovamente negli occhi. «Chris, per gli amici e per chi vuole risparmiare tempo» Sorrisi appena, con un briciolo di entusiasmo che non sapevo di avere ancora. «Samantha Finnigan» replicai, stringendo la mano che mi aveva teso, fredda, come quella di Daniel. «Sam, se anche tu vuoi risparmiare tempo».

«Sam mi piace parecchio».

«Già. Anche Chris non è male».

Alzò un sopracciglio, abbozzando un sorriso. Pregai che smettesse di comportarsi così, per la mia sanità mentale. «Era molto importante la persona che hai perso, Sam?».

Annuii. «Più che importante».

«Te lo si legge negli occhi: sono spenti, ma... Credo che tu possa trovare un modo per riaccenderli».

«Ne dubito, Chris, ma ci proverò».

Lui mi sorrise ancora e io rischiai di impazzire. La mancanza di Daniel era così forte da farmelo individuare in perfetti sconosciuti? Lo credetti. Credetti che fosse così, che fosse tutto frutto del mio inconscio, una parte troppo protettiva da crearmi false illusioni per attutire il dolore. Lo credetti fino in fondo, fin quando Chris non ci congedò dicendo: «Ho l'impressione che tu sia splendente, Samatha Finnigan. Spero di riuscire a vederti brillare».

Le parole di Daniel: dette in modo diverso, parafrasate, ma con lo stesso identico senso. Il cuore mi batté all'impazzata.

Lo vidi allontanarsi piano, dandomi il tempo di analizzare ancora, a fondo, i suoi lineamenti, i suoi gesti, il suono della sua risata.

Ebbi la fortuna di rincontrare Chris tre giorni dopo, alla tavola calda di fronte al mio ufficio, e non la considerai una coincidenza, come non lo era il fatto che avesse usato le stesse parole del mio angelo.
Uscii con lui, per un vero e proprio appuntamento e riuscì a farmi ricominciare a ridere e, per citarlo, a farmi splendere.


Christophen Robbins mi chiese di sposarlo dopo quattro anni di felice fidanzamento. In lui, rivedevo Daniel in tutto e per tutto, e quella frase, quel giorno, al cimitero, non fece altro che montare sicurezze nella mia testa, del fatto che lui, che Daniel, fosse in qualche modo dentro di Chris, che la sua anima ci fosse, insieme al suo amore.

Con Chris non ne parlai mai, non gli chiesi mai nulla a riguardo, anche perché, ammesso e concesso che avessi ragione e Daniel fosse con me sotto un altro aspetto, non mi avrebbe mai rivelato nulla. Se ne sarebbe uscito con il suo ritornello del “non posso dirtelo”, ma a me stava bene così.


Sono sempre stata convinta che per ognuno di noi esista un'anima gemella. Una ed una sola.
Daniel Monroe era la mia e, in qualche strano modo, con trucchetti angelici, ho avuto la possibilità di vivere quella vita felice che lui mi aveva promesso, con Chris, che lo rispecchiava tanto.

 

Lo so, forse vi ho ingannato, dicendovi che questa storia non avrebbe avuto un lieto fine, ma ho anche aggiunto che sarebbe dipeso dai punti di vista.
Non sono riuscita a vivere una vita felice con Daniel, ma l'ho fatto con Chris, e molti possono non credere al fatto che dentro quest'ultimo ci sia sempre stato il primo. Ma io ne sono sicura, lo sono sempre stata, sebbene solo io ne sia a conoscenza, e ne abbia la conferma ogni volta che mio marito, anche ora, come in questo momento, mi guarda e mi sorride, facendomi splendere.

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