Gono

di ashura
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** capitolo due ***
Capitolo 3: *** terzo capitolo ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Postfazione ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


“Venite a vedere! È arrivata! È arrivata!” sussurrò la piccola Mami, quasi saltando per l’eccitazione davanti alla finestra.
“Sta’ zitta!” la rimproverò Rui che, accanto a lei, cercava di sporgersi senza troppo successo: era ancora troppo bassa per riuscire ad affacciarsi alla finestra… e se avesse provato a spostare qualche sedia per salirci, avrebbe di sicuro svegliato la suora che stava a sorvegliare il corridoio.
“Sì, Mami, se urli così tanto la suora si accorgerà che siamo sveglie! E allora chi la sentirà?” rincarò Yu, facendosi largo tra le bambine appostate davanti al vetro, “Tutte uguali voi femmine! Non sapete cosa significhi parlare piano!”
“Ah, da che pulpito! Credi di avere un tono tanto delicato tu, eh?” protestò Mami, spingendo con sgarbo via il ragazzino che stava cercando di prendere il suo posto per guardare fuori.
“Allora? Sta scendendo? Com’è?” incalzò Rui, che avrebbe dato qualunque cosa pur di partecipare allo spettacolo: in un orfanotrofio era difficile assistere a grandi novità… ogni giorno passava identico al precedente, e bastava una minima variazione per scatenare l’entusiasmo dei bambini. E chi li avrebbe tenuti fermi, a quel punto? Per questo la madre superiora aveva fatto in modo che la nuova bambina arrivasse la sera, quando gli altri – almeno teoricamente – avrebbero già dovuto essere da un bel pezzo nel mondo dei sogni… e anche se non lo fossero stati, almeno avrebbero dovuto restarsene buoni nelle loro camere, senza creare troppo scompiglio.
Mami si sporse, cercando di distinguere le sagome che vedeva nel cortile: “Aah… è troppo buio, non si vede niente…”
“Fatti in là! Sei tu che sei scema e non ci vedi!” sbottò Yu, spodestando la bambina dal suo posto d’onore. Il ragazzino rimase qualche istante a scrutare il paesaggio e poi, eccitatissimo, esclamò: “Ah! La vedo! Eccola là!” Immediatamente le due bambine lo colpirono con degli schiaffetti sulla testa, ammonendolo per l’uscita troppo rumorosa: “Brutto stupido! Ci metteranno in castigo per colpa tua!” ringhiò Mami, guardandolo di storto.
“Ahi…” si lamentò quello, massaggiandosi la nuca.
“Dai, sollevami! Voglio vedere anch’io!” lo supplicò Rui, aggrappandosi al braccio del bambino.
“Ma che dici, Rui? Yu è tanto deboluccio che non ce la farebbe mai a tenerti su!” lo pizzicò Mami; il bimbo, punto nell’orgoglio, lanciò un’occhiata velenosa alla compagna di stanza e, per tutta risposta, si caricò la piccola in braccio. In effetti, Mami non aveva proprio totalmente torto… Yu non era certo un colosso, e perfino il lieve peso di Rui bastò a farlo ondeggiare non poco: ma in ballo c’era il suo orgoglio maschile e quindi strinse e i denti e resistette.
“Più vicino, Yu! Così non vedo niente!” protestò la bambina, allungando il collo per avvicinarsi al vetro nella disperata imitazione di una giraffa. Il ragazzino si concentrò e fece qualche stentato passetto, trattenendo il respiro per lo sforzo.
“Non farti scoppiare una vena…” lo punzecchiò ancora Mami, ma stavolta Yu, anche volendo, non avrebbe avuto la forza per risponderle.
Rui appoggiò le manine sul vetro, cercando di abituare gli occhi al buio della strada: in effetti era difficile riconoscere le cose con quell’oscurità. C’era una macchina ferma nel cortiletto dell’orfanotrofio, e fuori alcune persone che stavano parlando. Tese l’orecchio per cercare di carpire qualche parola, ma non ci riusciva… la loro stanza era troppo in alto, e quelli laggiù in fondo stavano parlando molto a bassa voce…
Con i suoi occhietti vispi si concentrò sulle figure che vedeva, alla ricerca della loro nuova compagna: ma sì, eccola là! Doveva essere per forza la sagoma più bassa delle quattro che vedeva, no?
“Oh… accidenti, non si vede bene…” si lamentò avvilita. Riusciva solo a capire che la bambina aveva addosso un cappotto e un cappello… e che probabilmente portava i capelli lunghi.
“Io ve l’avevo detto!” non si risparmiò dal far notare Mami con una certa soddisfazione nella voce, e Yu si trattenne a stento dal tirarle un pugno: quando faceva così, diventava veramente insopportabile e antipatica!
“Oh beh… allora… puoi anche rimettermi giù, Yu!” disse Rui, scatenando nel cuore del bambino una gioia spropositata (anche perché non ce l’avrebbe fatta a resistere un minuto di più). Il sollievo per la liberazione fu tale che il bimbo non riuscì ad effettuare una tecnica di atterraggio molto silenziosa: lasciò andare all’improvviso la sua piccola compagna che, con un tonfo, si ritrovò a terra.
“Ahi! Ma sei scemo?” protestò Rui, massaggiandosi il sedere. “Imbranato!” sibilò Mami allungandogli un altro scappellotto, “Ma lo vuoi capire o no che dobbiamo fare silenzio?”
Yu la guardò irritato: alla fine quella riusciva sempre ad avere l’ultima parola!
“Comunque sembra vestita piuttosto bene, non vi sembra?” osservò il bambino, riprendendo la sua posizione davanti alla finestra.
“Già… aveva perfino un cappello!” confermò Rui, rimettendosi in piedi.
“Ah, ma allora non sapete niente?” si intromise Mami, con l’aria di chi la sa lunga, “Io stamattina sono passata per caso davanti allo studio della madre superiora e ho sentito che stava parlando di lei…”
“Come al solito… sei spiona e pettegola!” le disse Yu, guardandola di storto. Mami lo gelò con uno sguardo molto eloquente e poi proseguì come se niente fosse: “Ho saputo che era la figlia di un uomo molto ricco!”
“Ah sì? E allora cosa ci fa qua tra di noi? Se è così ricca, sicuramente qualche suo parente o tutore si prenderà cura di lei!” fece il bambino, fingendo di non essere troppo interessato al racconto.
“Se mi lasci finire, te lo dirò!” ribatté con stizza Mami; fece una pausa, per controllare che il suo uditorio pendesse dalle sue labbra, e poi riprese: “Come dicevo, era la figlia di un uomo molto ricco; ma nell’ultimo periodo pare che fosse andato in rovina, e che per la delusione sia morto. Così lei si è ritrovata senza un soldo e sola al mondo… infatti non aveva altri parenti a parte suo papà… per questo è venuta qui.”
“Poverina…” sussurrò Rui, abbassando lo sguardo.
“Beh? Perché ti intristisci così? Tutti noi abbiamo perso i genitori, no?” le chiese sorpresa Mami.
“Sì… ma…” tentò di spiegare la bimba, non trovando però nessun argomento convincente.
“Lasciala perdere, Rui! Ormai dovresti sapere che Mami non ha un briciolo di cuore…” sogghignò Yu, dandosi arie da grande conoscitore dell’animo umano.
“Questo non è vero! Ho detto solo la verità!” sbottò quella, sulla difensiva, “E poi almeno lei l’ha conosciuto suo padre! Ed è vissuta per un bel po’ nel lusso!
Contrariamente a molti altri, qua dentro, che non solo non hanno mai conosciuto i loro genitori, ma che sono stati poveri da quando si ricordano, è vero o no?”
“Sarà anche vero, ma che male c’è se Rui si è dispiaciuta per lei, eh?” ribatté il ragazzino, salendo di tono.
“Ma che vuoi, litigare?” fece Mami, alzando il tono a sua volta.
Yu stava per replicare quando una mano lo spinse con decisione via dalla finestra e tirò la tenda in modo da coprire la visione.
“Gono! Che cavolo fai?” protestò Mami, indispettita.
Il bambino non si degnò nemmeno di guardarla; con la stessa tranquilla decisione con la quale era venuto, ritornò al suo letto senza dire una parola.
“Insomma! Devi sempre rovinare tutto tu!” continuò la bambina.
“Stai zitta. È tardissimo, e voi state facendo solo un inutile baccano. Se la suora di guardia ci sente, verrò punito anch’io per le vostre sciocchezze.” disse freddamente, distendendosi e coprendosi con la coperta.
“Ma… Gono… tu non sei curioso?” gli chiese Yu. Quello era un bambino davvero strano: tutti loro erano così impazienti di conoscere la nuova arrivata… possibile che lui fosse totalmente immune a questa euforia collettiva?
“Curioso? E perché?” rispose l’altro, immobile nel letto.
“Come perché? È appena arrivata!” disse Rui, stupita quanto gli altri per la risposta del compagno.
“E allora? Avremo tutto il tempo di vederla domani. E dopodomani. E dopodomani ancora.” disse gelido Gono, “Ce l’avremo davanti forse per tutta la vita. Andate a dormire adesso, ho sonno. Lei non scapperà via. E noi nemmeno…”
I tre rimasero imbambolati per qualche secondo dopo aver sentito il discorso del loro compagno: Cho Gono… che strano bambino. Non rideva mai. Non giocava mai con gli altri. Aveva sempre la stessa espressione gelida sul volto. Nessuno l’aveva mai visto né sorridere né piangere. Non sembrava nemmeno un bambino. Sembrava un vecchio triste rinchiuso nel corpo sbagliato.
Silenziosamente, Mami, Rui e Yu ritornarono ai loro giacigli. Gono rimase ad ascoltare il rumore che provocavano cercando di sistemarsi a dovere: le molle del letto che cigolavano, il fruscio delle lenzuola e delle coperte… Quando fu sicuro che i tre avessero cominciato a prendere sonno, si rigirò nel letto, mettendosi a pancia in su. Con i suoi occhi verdi gelidi rimase a fissare il soffitto della camera: no… nessuno di loro sarebbe scappato… nemmeno se avesse voluto… oh, quanto avrebbe voluto…

“Non preoccupatevi… ci prenderemo cura noi di lei…”
“Allora ve la lascio… buonanotte, madre…”
“Buonanotte… grazie per essersi offerto di accompagnarla…”
L’uomo, ben coperto dal suo cappotto, si girò a guardare la bambina per l’ultima volta: benché non fosse famoso per la sua espansività e – anzi – fosse bollato come un orso, quella bambina che aveva conosciuto da così poco tempo era riuscita a smuovergli il cuore… e così non riusciva ad andarsene senza averla salutata.
La piccola si voltò verso di lui: l’uomo riusciva appena a distinguere il brillio di quegli occhi neri.
“Beh… ecco… ti auguro buona fortuna…” balbettò col suo vocione.
La bambina sorrise gentile e con la sua voce dolce rispose piano piano: “Grazie… arrivederci, signore.”
L’uomo sentì il cuore stringerglisi: perché simili creature dovevano soffrire così tanto nella vita? Beh, perlomeno l’orfanotrofio a cui era stata affidata aveva fama di essere gestito in modo umano. Le suore erano buone con i bambini e si adoperavano molto per loro. Almeno così si diceva…
“Lo spero per te, piccolina…” pensò e poi, chinando leggermente la testa in segno di saluto, risalì sulla sua macchina e si allontanò.
“Harumi…” la chiamò una delle due suore.
La bambina, rimasta a guardare la macchina che se ne andava, si girò verso di lei. La monaca le sorrise gentilmente: “Sarai stanca…”
“Un po’…” ammise la piccola, alzando la testa per cercare di vedere nonostante il cappello le coprisse la visuale.
“Vieni. Entriamo… ti abbiamo preparato qualcosa da mangiare, se hai fame…” continuò la donna, prendendo la bambina per mano. Harumi si lasciò condurre docile come un agnellino guidato dal pastore. Assieme alle due religiose, fece l’ingresso nella sua nuova casa: ad accoglierla trovò solo il silenzio, rotto appena dal rumore dei loro passi. La bambina si guardò attorno, nell’ansiosa ricerca di qualcuno. La madre superiora se ne rese conto e le spiegò: “Sono tutti a dormire adesso… è molto tardi! Anche se, devo dirti la verità, abbiamo fatto molta fatica a convincerli a dormire! Tutti i bambini avrebbero dato chissà che cosa per restare svegli ad aspettarti, sai?”
Harumi sorrise: “Davvero? Anche se non mi conoscono?”
“Certo!” continuò la madre, mentre l’altra suora aiutava la piccola a svestirsi, “Sono sicura che domani saranno svegli già all’alba, tanto sono impazienti! Non preoccuparti, vedrai che ti farai molti amici!”
Harumi sembrò sollevata da quelle parole: abbassò un attimo lo sguardo e poi lo rialzò riconoscente verso la madre superiora, annuendo leggermente. La donna rimase molto colpita dal calore di quell’espressione: era strano, ma non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Quella bambina aveva un sorriso così gentile, mite, innocente… un sorriso che sarebbe stato capace di conquistare anche il cuore più duro. Sembrava dotata di una carica di calore che mai aveva visto in nessun altro.
“Vieni... di qua. Avrai freddo… c’è un piatto di minestra calda, se la vuoi…” disse alla fine, cercando di scuotersi da quella specie di incantesimo che l’aveva presa.
“Grazie…” accettò la bambina, seguendola con passo leggero. Mentre stava mangiando, la madre superiora continuò la sua discreta osservazione della nuova ospite: era veramente una bambina molto bella. Non per niente era riuscita a conquistare perfino quell’orso di Daigoro… quando se ne andava nella sua macchinona, dopo aver accompagnato gli orfanelli da loro, i bambini lo guardavano come se fosse un orco… e, per quanto si poteva ricordare, Daigoro non aveva mai salutato nessuno…
“Harumi vuol dire primavera…” le disse la suora, sedendosi su una sedia vicino a lei, “…mi sembra un nome adatto a te, sai?”
Lei si interruppe un attimo, guardando la donna: “Davvero? Non saprei…”
“Sì… è strano, ma… a guardarti ricordi veramente la primavera.” ammise l’altra. La piccola arrossì leggermente, abbassando la testa; alcune ciocche dei suoi lunghi capelli neri le scivolarono sul volto, ma vennero prontamente riportate dietro l’orecchia. Poi, sommessamente, cominciò a ridere piano.
“Che cosa c’è?” chiese sorpresa la suora.
“No, niente… è che mi è venuto in mente che io sono allergica ai pollini… così in primavera non faccio altro che starnutire!” spiegò lei, “Non è ironico, visto il nome che ho?”
La madre superiora rise a sua volta: “Ah, beh, se la metti sotto questo punto di vista…”.
L’orologio a pendolo appeso alla parete cominciò la sua serie di dodici rintocchi: “Oh, santo cielo, com’è tardi!” esclamò la donna. Alla fine anche lei si era lasciata prendere dalla nuova arrivata, e aveva perso la cognizione del tempo: “È meglio se fai in fretta con la minestra e vai subito a dormire, altrimenti domani non ti sveglierai in tempo per incontrare i tuoi nuovi amici!”
Harumi annuì e con pochi altri cucchiai finì quello che le restava nel piatto. Poi, sempre guidata dalla monaca, salì le scale e si inoltrò nel corridoio buio a cui potavano.
“Visto che sei arrivata a quest’ora, ti abbiamo preparato una brandina in una stanza a parte… per stanotte dormirai da sola, se non ti dispiace. Scusa, ma altrimenti avremmo disturbato gli altri bambini. Ma se hai bisogno di qualcosa, vieni pure di me! Io dormo nella stanza accanto, va bene?” le spiegò sottovoce la donna, fermandosi davanti a una porta e aprendola.
Harumi vi entrò con passo leggero e la suora la seguì chiudendo la porta; le valigie della piccola erano già state portate dentro, e le aprì cercando la camicia da notte.
“Ecco qui…” le disse alla fine, porgendogliela, “Hai bisogno di aiuto?”
“No, non è necessario. Me la sbrigherò da sola!” le sorrise la bambina. La madre superiora si accorse che faceva fatica a reprimere l’impulso di aiutarla: davanti a quel sorriso così dolce, ci si sentiva quasi obbligati a fare di tutto pur di vederla felice.
“Va bene…” si risolse di dire alla fine, “Ti lascio. Domani mattina ti verrò a svegliare io d’accordo? Buonanotte!”
Stava per uscire dalla porta quando Harumi la chiamò.
“Sì?” chiese, fermandosi sulla soglia.
“Non l’ho ringraziata per la minestra… mi ha riscaldato. Era molto buona…” disse lei, guardandola con i suoi grandi occhi neri.
La donna pensò alle circostanze che l’avevano portata da loro e non poté fare a meno di sentirsi formare un groppo in gola.
“Di niente, tesoro… Ora dormi!” le sussurrò, e richiuse la porta senza fare rumore.
Mentre tornava nella sua camera, la donna sperò con tutto il suo cuore che a quella bambina fosse stata risparmiata la verità. Sarebbe stata una pugnalata che quel piccolo cuore davvero non si sarebbe meritato.

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Capitolo 2
*** capitolo due ***


(rubo solo una riga per ringraziare Jaly Chan che ha commentato! ;))

Harumi alzò la mano per bussare e, ancora una volta, alla fine non trovò il coraggio di farlo ed entrare. Per quanto la madre superiora l’avesse tranquillizzata, dietro a quella porta continuava ad esserci un incognita per lei… un nuovo mondo, il suo nuovo mondo… ma non c’era nulla che le assicurasse che quella nuova realtà l’avrebbe accettata.
Dall’interno sentiva provenire l’allegro vociare tipico di una classe piena di bambini: anche quella era una novità per lei, che aveva sempre avuto un insegnante privato. Ma davvero quello era l’ultimo dei suoi pensieri: le domande che continuavano a martellarle in testa erano altre… Chi avrebbe trovato dietro a quella porta? Quali bambini sarebbero diventati la sua nuova famiglia? Era proprio il timore di affrontare quelle domande che la bloccava ogni volta che tentava di bussare. Non era sicura di voler essere messa di fronte a ciò che il destino le aveva preparato.
La piccola fece un profondo sospiro: d’altro canto, non avrebbe potuto rimanere dietro a quella porta per sempre. Alzò fieramente lo sguardo e, decisa, diede due leggeri colpi al legno della porta.
Un silenzio improvviso rispose al suo gesto; Harumi fece un altro sospiro e, sperando con esso di essersi scrollata di dosso tutte le sue paure, entrò.
Le sembrava di stare giocando alle belle statuine: tutti i bambini all’interno della classe erano rimasti immobili nella posizione che avevano quando lei aveva bussato… tutti fissi, pietrificati, e con lo sguardo rivolto verso di lei. Harumi sentì di stare arrossendo, per cui lanciò un rapido sguardo attorno alla stanza per individuare il banco vuoto che era stato preparato per lei: grazie al cielo, era in prima fila, poco distante da lì. Non avrebbe dovuto sfilare in passerella troppo a lungo.
La bambina cercò di essere il più disinvolta possibile mentre si avviava verso il suo posto, anche se il pensiero di avere tutti gli occhi puntati addosso non era certo edificante… era così imbarazzata che non trovò nemmeno il coraggio di alzare lo sguardo. Ma quei tanti occhi che la scrutavano, in realtà, non avevano atteggiamento distaccato o inquisitorio, anzi…
Harumi si trovò a pregare che la madre superiora arrivasse presto, e iniziasse a fare lezione: tutta quell’attenzione nei suoi confronti la stava mettendo troppo a disagio! Cosa avrebbe dovuto dire? Cosa si aspettavano quei bambini da lei? La tensione la stringeva così tanto che le pareva di muoversi con la stessa scioltezza di un burattino di legno… ma questo era quello che sembrava a lei. La realtà era molto diversa, e se n’erano accorti tutti.
“Ve l’avevo detto!” sussurrò Mami a Rui e Yu che- incantati – non riuscivano a staccare gli occhi dalla nuova arrivata, “È una specie di principessa!”
“Accidenti se è bella…” si lasciò sfuggire Yu, guadagnandosi l’ennesima occhiata gelida da parte di Mami. Il bambino si mise subito sulla difensiva e sibilò: “È inutile che ti offendi! Ho detto solo la verità!”
Mami stava per dar inizio al consueto scontro verbale, quando si sentì un rumore sordo squarciare la cappa di silenzio che era calata. Immediatamente tutti gli occhi attoniti dei ragazzi lì dentro si spostarono verso il pavimento, alla ricerca della cosa che era caduta provocando quel rumore.
“Ah… che imbranato!” ridacchiò Mami, coprendosi la bocca con la mano. Era stato Hiroyuki a fare quel baccano: a quanto pareva, l’aver constatato chi sarebbe stata la sua nuova vicina di banco l’aveva talmente shockato che non si era nemmeno accorto di quanto il suo portapenne fosse in bilico…e infatti aveva finito per cadergli, aprendosi e sparpagliando tutto il contenuto lì attorno. Proprio una bella figura!
Il bambino grassoccio, come risvegliandosi da un sogno, riuscì a staccare lo sguardo da Harumi e a indirizzarlo verso le sue cose.
“Quello è ancora così incantato che non si rende nemmeno conto della figura da scemo che ha fatto…” commentò Yu, grattandosi la testa, “Vediamo quanto ci mette prima di accorgersi che dovrebbe raccogliere tutto!”
“Ah, e poi quella senza cuore sarei io, vero?” lo rimbeccò Mami.
Harumi, che come gli altri si era bloccata quando il portapenne era caduto, sorrise: si era presa un bello spavento, tesa com’era, ma in effetti quel portapenne era stato provvidenziale… aveva rotto l’atmosfera pesante che si era creata, e ora lei si sentiva molto meglio; non perse tempo e si chinò a raccogliere le varie matite e penne che si erano sparse. Hiroyuki era così inebetito da non riuscire a far altro che guardarla, ma lei sembrò non curarsene: dopo aver raccolto tutto, lo ripose nel portapenne e – rialzandosi – lo riappoggiò sul banco del bambino. Hiroyuki, arrossendo come un pomodoro davanti ai suoi occhi neri, balbettò un: “Grazie….”
Harumi gli sorrise di nuovo e si sedette al suo posto, accanto a lui.
La classe era sbigottita: infondo quella bambina non aveva fatto niente di speciale… aveva solo raccolto un astuccio che era caduto a terra… e non c’era nulla di affascinante o spettacolare in quel gesto. Eppure era riuscita a farlo con una grazia che aveva ammutolito tutti. E poi il suo sorriso: com’era bello! Quando sorrideva quella ragazzina riusciva a brillare… un solo suo movimento bastava per immobilizzarli tutti… un suo solo gesto inaspettato era capace di incantarli…
Il rumore della porta che si apriva e i passi frettolosi della madre superiora che faceva il suo ingresso nella stanza ruppero improvvisamente la magia: come frastornati, i bambini si voltarono verso di lei che li salutò come al solito cortesemente.
La donna prese posto alla cattedra, preparandosi a iniziare la lezione: stava ancora preparando i vari libri sul tavolo quando si accorse che i suoi bambini erano fin troppo calmi quella mattina… alzò la testa per osservare incuriosita la sua classe… e dagli sguardi dei suoi piccoli allievi capì che cos’era successo. Avevano la stessa espressione che aveva visto sulla faccia di Daigoro. E anche la stessa che avevano avuto la sera prima lei e l’altra suora che avevano accolto Harumi. Quella strana quiete era un omaggio alla nuova arrivata. La suora sorrise: era strano il fascino che quella bambina riusciva a esercitare sugli altri… beh, a quel punto, tanto valeva fare le presentazioni ufficiali. In effetti, li aveva fatti attendere anche troppo.
“Bambini… come vi avevo già detto, oggi abbiamo tra di noi una nuova ospite!” esordì, introducendo il discorso. Poi, rivolgendosi ad Harumi: “Vuoi venire tu a presentarti?”
La piccola annuì e si alzò per raggiungerla accanto alla cattedra. Di nuovo la bambina si ritrovò nella spiacevole condizione di essere al centro assoluto dell’attenzione: cercò di mascherare il rossore che si sentiva sulle guance e il tremolio delle gambe con un tono di voce gentile ma sicura.
“Il mio nome è Harumi Kawajima…” disse, inchinandosi leggermente. Poi, raddrizzandosi e sorridendo ai suoi nuovi compagni, aggiunse: “Molto piacere!”
Di nuovo la classe rimase un po’ sconvolta davanti al fascino che emanava la loro nuova compagna, e la donna si rese conto che quella esile figurina, con quei lucenti occhi neri, li aveva già conquistati. Per cui fu più che altro per soddisfare il consueto rito che aggiunse: “Di certo vi ricorderete quanto eravate emozionati e forse anche un po’ spaventati quando siete arrivati qui la prima volta… per cui vi prego di essere gentili con Harumi e di farla sentire a suo agio, d’accordo?”
Tutte le testoline, a quelle parole, annuirono: la madre superiora sorrise. Non ne aveva dubbi…
Solo un testa era rimasta ferma: quella di Gono.
La suora lo squadrò rapidamente: nulla, nella sua espressione, sembrava essere diverso dal solito. Sospirò un po’ sconsolata: aveva sperato che Harumi sarebbe riuscita a smuoverlo, almeno un po’… invece…
“Puoi tornare pure al tuo posto, cara… così potremo iniziare la lezione!” si affrettò a dire alla bambina, cercando di non permettere a nessuno di capire quali fossero i suoi pensieri, “Immagino che tu abbia già un buon livello d’istruzione, ma nel caso non dovessi capire qualcosa, basterà solo che me lo dica, d’accordo?”
“D’accordo!” rispose Harumi, ritornando al suo posto felice di non essere più la protagonista di quel siparietto.
“Accidenti… che fortuna, Hiroyuki…” sospirò tristemente Yu, accasciandosi sul banco, “Come vorrei essere al suo posto…”
“Non credi di essere un po’ maleducato verso di noi?” gli chiese acidamente Mami, facendogli notare come lei e Rui gli stessero sedute accanto.
“Avete visto com’è bella? E che voce dolce che ha!” si intromise Rui, ignorando il precedente discorso, “Non vedo l’ora di diventare sua amica!”
“A chi lo dici!” annuì Yu sognante.
“Già, come tutti… a parte uno…” commentò Mami, alludendo alle sue spalle dove Gono, apparentemente un po’ annoiato, aspettava di poter iniziare la lezione guardando fuori dalla finestra.
Rui scosse la testa mentre Yu non riuscì a trattenersi dallo sbottare: “Ma di cosa è fatto quello? Di pietra? Come può rimanere così indifferente?”
Mami e Rui stavano per dire la loro quando, improvvisamente, videro qualcosa che le spinse a rimandare il discorso, e ad aprire frettolosamente il libro, chinandocisi sopra come diligenti studentesse. Yu rimase perplesso a guardarle: “Beh? Ma che cavolo vi prende?”
“Yu!” lo chiamò una voce che il bambino conosceva molto bene. Impallidendo, si voltò lentamente per ritrovarsi davanti al banco la madre superiora in persona, che lo fissava severamente con le braccia conserte.
“Yu, se hai tanta voglia di parlare, posso interrogarti anche subito se vuoi!” disse la donna, scatenando il panico nel ragazzino: “No, no, no, la prego, madre!”
Divertita dalla reazione del piccolo, la suora disse bonariamente: “Allora apri come gli altri il libro di matematica e risolvi il problema che ho indicato alla lavagna! Coraggio, è ora di lavorare!”
Mentre la madre superiora camminava silenziosamente tra i banchi e Yu faceva un baccano terribile cercando il libro giusto e la pagina giusta, Gono sollevò leggermente lo sguardo verso la prima fila. Indugiò per qualche istante sulla nuova arrivata con i suoi freddi occhi verdi; poi, senza mutare minimamente espressione, li riabbassò sul libro e cominciò a risolvere l’esercizio.
La sua matita scriveva sulla carta veloce e sicura: come al solito, il problema che era stato scelto era tanto facile per lui da sembrargli ridicolo. Come al solito, sarebbe stato il primo a finire. E come al solito avrebbe dovuto aspettare una vita prima che gli altri riuscissero ad arrivare alla soluzione, annoiandosi a morte.
Già rassegnato a doversi sorbire la solita minestra, Gono si stava accingendo a scrivere la soluzione finale quando un rumore totalmente inaspettato lo spinse ad interrompersi e ad alzare la testa. Quel rumore… lui lo conosceva bene! Era il rumore della matita che viene appoggiata sul banco… Gono era incredulo: qualcuno era stato più veloce di lui! Ma chi poteva essere stato? Nessuno degli altri bambini era mai stato in grado di…
“Harumi!” esclamò la madre superiora, leggermente stupita anch’essa, “Hai qualche difficoltà? Non ti è chiaro qualcosa?”
La bambina la guardò perplessa: “No…” rispose imbarazzata, “Ho solo finito…”
A quelle parole, tutti gli altri si interruppero, come se avessero sentito uno sparo: finito? Prima di Gono? Com’era possibile?
La suora tossicchiò: “Ah… bene! Allora… portami pure il quaderno! Così posso correggere!” disse; poi, guardando Gono, aggiunse: “Se c’è qualcun altro che ha finito, venga pure…”
Il bambino rimase ancora per un po’ a guardare Harumi che si alzava e portava il quaderno alla cattedra; poi, sistemandosi gli occhiali, riprese da dove si era interrotto. Con pochi, rapidi movimenti della matita finì l’esercizio e si alzò a sua volta, raggiungendo la cattedra.
Nessuno degli altri bambini, a quel punto, si sarebbe sognato di proseguire con il problema: assistere a quell’inaspettato scontro tra Gono e Harumi era un’occupazione decisamente più divertente ed elettrizzante!
La suora appoggiò entrambi i quaderni aperti sulla sua cattedra, confrontando le due risoluzioni. Mentre la donna stava cercando nel cassetto una penna rossa, Gono non resistette alla tentazione di sbirciare su quello della bambina che gli stava di fronte. Sbirciò e impallidì: la soluzione finale del problema era la stessa. Lui non aveva sbagliato. Ma ciò che lo aveva colpito era che Harumi era arrivata alla soluzione attraverso un ragionamento diverso dal suo. Diverso, ma più veloce. Diverso, ma migliore. E quella era la prima volta che gli succedeva. Era la prima volta che Gono provava l’amaro in bocca di chi arriva secondo. Per uno come lui, abituato ad avere nelle sue capacità intellettuali uno dei pochi capisaldi della sua vita, quella consapevolezza stava diventando sempre più bruciante, sempre più fastidiosa.
Anche se la madre superiora tentava di nasconderlo, allo sguardo attento di quegli occhi verdi non sfuggì quanto perfino lei fosse imbarazzata da quella situazione: “Oh, beh… a quanto pare, entrambi avete indovinato! Ottimo a tutti e due!” aveva detto la donna. Ma Gono non era soddisfatto per niente: era la prima volta che gli succedeva. E la causa era di quella ragazza. Lui aveva sempre camminato davanti agli altri: da quel punto di vista, non si era mai sentito inferiore a nessuno. Da quando aveva cominciato a rendersi conto delle cose, aveva saputo di avere un’intelligenza fuori dal comune. Non c’era mai stato niente che non avesse saputo fare, e anche in quel momento la fiducia nelle sue capacità era ben salda. Ma in quel momento, per la prima volta, cominciò a sentire dentro di sé una tensione strisciante: la tensione del dubbio di aver trovato una persona migliore di lui.
Harumi non capiva: aveva solo fatto quello che le era stato detto di fare, ma per qualche ragione sembrava aver di nuovo sollevato un polverone. Sapeva che era sciocco vergognarsi se non si era fatto nulla di male, ma non riuscì a fare a meno di tenere lo sguardo basso: per quanto cercasse di essere discreta, alla fine veniva sempre sbattuta al centro dell’attenzione. E lei non voleva questo: l’ultima cosa che voleva era dare di sé un’impressione sbagliata. br> Riavuti dalla suora i loro quaderni, entrambi ritornarono in silenzio al loro posto. Harumi ignorò completamente gli sguardi colmi di ammirazione che le venivano lanciati da ogni dove: dal suo punto di vista, l’aver scatenato tutta quella storia era stato un errore. Ma per gli altri bambini, la sua era stata un’impresa vera e propria! “Non ci credo!” disse sottovoce Yu a Mami, carico di entusiasmo, “Ha sconfitto Gono!”
La bambina gli fece cenno di stare zitto: “Vuoi farti sentire da lui? È a qualche banco di distanza, non a chilometri!”
“Tanto che vuoi che mi faccia?” si difese il bambino, “Gelido com’è, mi stupirei di vederlo arrabbiarsi!”
Rui scosse la testa e con un gesto suggerì a Yu di girarsi nella direzione di Gono; quello obbedì, d’istinto, e trasecolò: fissi com’erano su Harumi, gli occhi del bambino avevano perso la consueta freddezza per lasciare il posto ad una strana luce.
Per la prima volta da quando l’avevano conosciuto, gli occhi di Gono stavano bruciando.

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Capitolo 3
*** terzo capitolo ***


(Grazie a Jaly Chan e Speedlink per le recensioni!Ah, Speedlink:hai ragione!^^'! pensavo che il tag per andare a capo fosse già installato, quindi non mi sono minimamente preoccupata di metterlo! se non mi avvertivi, chissà quanto andavo avanti prima di accorgermene!)

Harumi si era resa conto, suo malgrado, di avere attirato fin troppo l’attenzione dei suoi nuovi compagni: a partire dalla sua entrata in classe, passando per la strana reazione che tutti, madre superiora compresa, avevano avuto quando aveva portato a correggere il compito… era una bambina più che sveglia, e si aspettava, una volta finita la lezione, di essere avvicinata da qualcuno. Quello che non aveva immaginato era di ritrovarsi letteralmente assediata da tutta la classe in contemporanea!
C’era stato solo un attimo di pace: la campanella aveva suonato, e la madre superiora era uscita dalla classe. Appena la porta si era richiusa alle sue spalle, una folla indisciplinata si era gettata su di lei, attorniandola da ogni lato e tempestandola di domande e di richiami. Harumi era tanto sorpresa che non sapeva nemmeno chi guardare o a chi rispondere.
"Insomma, fate silenzio! Stiamo facendo più baccano di galline in un pollaio!” sbottò a un certo punto una bambina, salendo su un banco per sovrastare gli altri.
"Piantala Mami! Ti vuoi solo mettere in mostra!” la rimbeccò Yu, tirandola per la gonna in modo da farla scendere. Lei rispose minacciando di calciarlo via, e continuò imperterrita la sua arringa: “Se continuiamo a parlare tutti assieme, nessuno ci capirà niente!” sentenziò, col fare da grande retore. Harumi sorrise divertita: quella ragazzina da capelli rossi aveva davvero un grande piglio!
Notando soddisfatta di aver ristabilito l’ordine, quella si rivolse ad Harumi: “A nome di tutti quanti ti do il benvenuto tra di noi! Io sono Mami!”
"Allora ringrazio tutti per il benvenuto! E sono molto felice di conoscerti, Mami!” rispose cortesemente l’altra, continuando a sorridere.
"Io sono Rui!” esclamò un’altra bambina, saltellando per farsi vedere. Harumi sorrise ancora di più, divertita: anche la piccoletta sembrava avere energie da vendere!
"E io sono Yu! Per qualunque cosa, chiedi pure a me!” si offrì galantemente il bambino, facendosi avanti.
"Oh! Ti ringrazio!” rispose un po’ imbarazzata Harumi.
"Smettila di fare il galletto!” lo rimbeccò Mami.
"Senti chi parla! Perché solo tu puoi fare la primadonna, eh?” ribatté lui.
"Oh, no! Non vorrete ricominciare di nuovo?” protestò Rui, incrociando le braccia e sbuffando.
"Ehm… non devi farci caso… loro… loro fanno sempre così…” balbettò timidamente Hiroyuki, trovando il coraggio di dire qualcosa. Harumi lo fissò con i suoi occhi neri e il bambino abbassò lo sguardo.
"Come ti chiami?” gli chiese lei allora. Si era resa conto che il suo compagno di banco era un tipo piuttosto timido, e che aveva bisogno di aiuto per potersi aprire agli altri. E lei, affamata com’era di affetto, non glielo avrebbe certo negato.
Il bambino la guardò per un istante, quasi incredulo che Harumi avesse posto proprio a lui quella domanda: “Hi- Hiroyuki…” rispose alla fine, con voce tremante.
Lei gli sorrise gentile: “Sono contenta di essere la tua compagna di banco!”
"D-davvero?” fece lui.
"Ehy, Hiro, da quando sei diventato balbuziente, eh?” lo prese in giro bonariamente Yu, notando l’emozione del ragazzino. Hiroyuki sorrise, ancora rosso in volto, e si grattò imbarazzato la testa.
Harumi si sentiva impazzire di gioia: mentre, uno dopo l’altro, ognuno dei suoi nuovi compagni si presentava, sentiva che la sua speranza di vivere una vita nuova serenamente poteva avverarsi.
La disgrazia che le era capitata l’aveva ferita sotto vari aspetti: l’aver perso le sue belle cose, l’essere diventata povera, l’aver dovuto lasciare la sua casa e le sue comodità. Era stata dura dover rinunciare così all’improvviso a ciò che l’aveva sempre attorniata, era stato penoso vedere le sue cose portate via per essere vendute a chissà chi… Aveva pianto molto pensando che qualche altra bambina avrebbe giocato con le bambole che erano state sue, che qualcun altro avrebbe sfogliato i suoi libri e si sarebbe seduto sulla poltrona sulla quale da piccola si addormentava sempre davanti al camino. Ma ciò che le aveva fatto male più di tutto era l’aver perso ogni appoggio sentimentale. L’essere rimasta assolutamente sola. Più sola di quanto mai, nella sua vita, si sarebbe immaginata. Quando suo padre era vivo, molta gente le era stata attorno: le mamme erano felici che lei giocasse con i loro figli, molte persone l’andavano a trovare e la riempivano di complimenti e di attenzioni. Ma da quando suo padre era diventato povero, nessuna di quelle persone era tornata da lei. Nessuna. E solo allora aveva capito, forse troppo presto per la sua età, una lezione importante della vita: che l’amore vero non chiede niente e non vuole niente, tranne che l’amore stesso. Lei ora non aveva da offrire agli altri nient’altro che affetto: e, con sua enorme gioia, sembrava che a quei bambini la sua offerta bastasse.
"Senti, Harumi, tu sei più intelligente di Gono?” le chiese a un certo punto Rui, guardandola attentamente con i suoi occhietti blu.
"Gono?” chiese spiazzata lei, guardandosi attorno: non si ricordava di aver sentito nessuno presentarsi con quel nome.
"Ah, è inutile che lo cerchi! Quello se ne sarà andato via subito, appena ha suonato la campanella…” le spiegò Yu, intuendo i suoi pensieri. “Piuttosto, tu! Che domande fai?!” continuò, guardando di storto Rui.
"Ma che cosa vuoi? Non hai visto oggi quanto è stata brava?” si difese la piccola, spalleggiata da Mami: “Già! E non sei stato tu a sbottare una cosa simile qualche tempo fa, eh?”
A quelle parole, Harumi intuì a chi si stessero riferendo: “Gono è forse quello che ha consegnato il compito assieme a me?”
"DOPO di te, Harumi!” la festeggiò Yu, “Ti assicuro che da quando lo conosco – e sono parecchi anni ormai – nessuno era riuscito a dargli un simile smacco! Ah ah ah! L’hai proprio stracciato!”
"Avresti dovuto vedere la faccia che ha fatto quando ti ha visto finire prima di lui!” continuò concitata Mami, “Questa volta non ha potuto darsi tante arie, vero?”
"Già! Harumi, tu hai vendicato tutti noi! Sei stata grande!” disse ancora Yu, con tono eccitatissimo.
Harumi gli sorrise gentilmente: “Grazie… ma non capisco…”. Si interruppe per un attimo, e in quell’attimo nei suoi occhi scuri passò un lampo di tristezza: “Perché ce l’avete tanto con lui? Che cosa ha fatto?”
"Ah, è insopportabile!” sbottò Mami, “Semplicemente insopportabile!”
"Gono non parla mai con nessuno di noi… sembra che ci odi, anche se non gli abbiamo fatto niente!” continuò la piccola Rui, sbattendo i suoi innocenti occhioni.
"E, oltre a tutto questo, si crede chissà chi solo perché è bravo negli studi…” completò Yu, “A volte ci tratta come se fossimo tutti un branco di cretini… quel suo atteggiamento di sufficienza mi dà i nervi!”
"Forse è timido…” ipotizzò Harumi, ma Mami la contraddisse immediatamente: “No, è proprio odioso! Vuoi la riprova? Guardati intorno! Lo vedi da qualche parte?”
Harumi, istintivamente, lo cercò con lo sguardo, ma Mami aveva ragione: non c’era da nessuna parte. Se n’era andato via veramente.
"Che cosa gli costava fermarsi qualche minuto per presentarsi? Infondo sei nuova!” continuò Yu infiammandosi, “Il fatto è che lui si sente troppo superiore per mischiarsi a noi poveracci… anche se oggi l’hai costretto ad abbassare la cresta, he he he…”
Tutti concordarono con le parole del bambino, e Hiroyuki, timidamente, aggiunse: “Gono… fa paura, a volte…”
"Fa paura?” chiese perplessa Harumi.
Hiroyuki, senza trovare il coraggio di guardarla negli occhi, annuì leggermente: “Una volta l’ho visto cadere dalle scale. Stavamo scendendo tutti e due. Un gradino era vecchio e ha ceduto un po’, così lui ha perso l’equilibrio… mentre cadeva, l’ho visto sbattere il braccio, e quando si è fermato non riusciva più a raddrizzarlo. Allora sono corso a vedere come stava, ma lui mi ha cacciato via. Poi si è alzato come se niente fosse ed è andato a cercare la madre superiora. Quando l’ho rivisto, quella sera, aveva tutto il braccio fasciato…”
"Sì, me lo ricordo!” s’intromise Rui, “Hanno anche chiamato il dottore quella volta! La madre superiora era preoccupatissima!”
Hiroyuki annuì e poi riprese: “Dev’essersi fatto veramente molto male… ma non l’ho visto versare nemmeno una lacrima. Nemmeno una…”; fece una pausa e poi riprese: “Non ha pianto, né ha mostrato di stare soffrendo… non sembrava nemmeno vivo…”
"Gono non cambia mai espressione: è sempre imbronciato, qualunque cosa accada accanto a lui. Voi l’avete mai visto ridere?” chiese Mami, e la folla rispose con un “no” generale.
Harumi abbassò lo sguardo pensierosa; Rui se ne accorse, e allora le disse: “Vuoi venire a giocare insieme a me?”
"Certo!” le rispose subito l’altra, sorridendole e lasciandosi prendere la mano da quella della bambina, che cominciò a trascinarla fuori dalla classe.
"Ehy! Voglio giocare anch’io!” protestò Mami, inseguendo le due.
"E perché, noi chi siamo? Forza, tutti fuori!” esortò Yu, facendo lo stesso imitato da tutti gli altri bambini. In pochi secondi, la classe rimase vuota.

Aprendo la porta della biblioteca, la madre superiora sapeva benissimo chi vi avrebbe trovato dentro. Gono se ne stava al suo solito posto, intento nella lettura dell’ennesimo libro di turno. La suora sospirò leggermente, guardando fuori dalla finestra: tutti gli altri orfanelli si stavano divertendo un mondo… e Harumi sembrava aver già conquistato la simpatia di tutti, come previsto. Tutti tranne uno…
"Gono, non ti sembra un po’ troppo difficile quel libro?” gli chiese, cercando un pretesto per parlargli.
Il bambino non mosse gli occhi dalla pagina: “Considerando che sono già arrivato a più di tre quarti, dovrebbe aver capito da sola che non è affatto troppo difficile per me… altrimenti non sarei arrivato a questo punto nella lettura.” disse con fredda tranquillità.
"Oggi è una bella giornata… perché non esci un po’ anche tu? Il libro lo puoi leggere quando ti pare, anche questa sera se preferisci…” tentò di convincerlo la donna.
"Tra lo stare fuori a fare niente e lo stare dentro a istruirmi, in quanto mia educatrice non dovrebbe consigliarmi la seconda possibilità?”
"La vita di un bambino non è solo studio, Gono! Tu stai esagerando! Il tuo corpo ha bisogno di movimento, di aria, di sole! Che differenza può fare se ritardi un po’ la tua lettura? Sei già il più intelligente della classe, nessuno ti…”
"Questo non è vero.” si limitò a contestarla il bambino. Aveva usato il suo solito tono gelido e calmo, ma la suora – che lo conosceva bene – aveva notato una strana inflessione nelle sue parole. L’episodio della mattina doveva averlo colpito molto più di quanto non avesse creduto.
"Harumi ha potuto godere di un’ottima istruzione, non c’è nulla di che stupirsi per quanto è successo.” spiegò la suora con sussiego, “E poi questo potrebbe farti piacere, no? Con lei potresti parlare di molte argomenti, anche di quelli che normalmente non potresti trattare con gli altri bambini: non ti sembra che sia una buona idea?”
"No.” rispose laconicamente Gono.
"Non sarai invidioso di lei?”
"No. È solo che mi dà fastidio.”
"È strano… mi è sembrata una bambina molto gentile… che cosa in lei ti dà fastidio?”
"Tutto. A partire da come ti guarda. È insopportabile il modo in cui ti guarda senza dire una parola. E poi il modo in cui parla e si muove: si atteggia come se fosse la principessa di un castello. Invece è solo una povera orfana come tutti noi. Evidentemente è troppo sciocca per rendersene conto.”
"Io non ci vedo niente di male in questo… solo perché è diventata orfana dovrebbe comportarsi male? Dovrebbe essere sgarbata e maleducata?”
Gono rimase un attimo in silenzio, come a riflettere; “E poi… i suoi sorrisi… sono… sono inutili.” concluse alla fine, esprimendo con la voce tutto il suo fastidio.
La madre superiora lo guardò con un sorrisetto ironico: per uno come Gono, i sorrisi di tutti erano inutili… non era forse per questo che lui non sorrideva mai? Ma c’era una cosa che l’aveva colpita nelle parole del bambino; qualcosa che le aveva riacceso nel cuore la speranza di poterlo, forse, vedere cambiare…
Si rialzò dalla sedia su cui aveva preso posto e si diresse verso la porta: “Certo, Gono, che devi averla osservata proprio bene per aver colto tutti questi difetti in lei…” disse, prima di uscire, “Questo è strano, non l’avevi mai fatto con nessun altro prima…”
Gono strinse forte il libro che teneva in mano: “Come avrei potuto non notarla, con tutta la confusione che ha creato?” si giustificò.
"Io credo che dovresti darle una possibilità… sai, finora nessuno è riuscito a capirti, ma forse… forse Harumi potrà farcela. Forse lei potrebbe capire quello che cerchi negli altri e che non riesci a trovare…”
Gono si sistemò meglio gli occhiali: “Non credo. Io negli altri non cerco niente. E una come lei non potrebbe mai capirmi.”
Detto questo, il bambino si rituffò nella lettura, ostentando una concentrazione tale da scoraggiare qualsiasi altro tentativo di conversazione da parte della donna. La madre superiora richiuse la porta senza fare rumore. Forse Gono non aveva tutti i torti: lui e Harumi erano diversi quanto il giorno e la notte. Lei era tanto dolce e solare quanto lui era cupo e gelido: e se Harumi ricordava tanto il calore primaverile, Gono dava invece la sensazione di un inverno perenne. Eppure qualcosa nel suo cuore le diceva che c’era qualcosa che legava quei due in modo misterioso. E questo strano legame avrebbe potuto giovare ad entrambi.

Rimasto solo dentro la biblioteca, Gono si risolse a chiudere il libro che teneva: per quanto ci avesse provato, non riusciva a leggere con la solita attenzione. Rimase serioso a osservare il nulla nella penombra della biblioteca: per quanto gli desse fastidio ammetterlo, la madre superiora aveva ragione. Prima di allora non aveva mai fatto tanta attenzione ad un altro. E la cosa che più lo innervosiva era che, per qualche strano motivo, non riusciva a farne a meno. Perfino in quel momento, in cui era da solo, riusciva a trattenersi a stento dalla tentazione di affacciarsi alla finestra e osservarla.
"Harumi! Vieni! Vieni con noi!” sentì gridare qualcuno dal cortile.
Gono abbassò lo sguardo, e riaprì il libro cercando di recuperare il segno. Anche se sentiva questo strano interesse verso di lei, questo non implicava che la madre superiora avesse ragione; non implicava che Harumi sarebbe veramente stata in grado di capirlo. Anche lui aveva avvertito la sensazione di luce e calore che lei riusciva a comunicare… ma proprio per questo, come avrebbe potuto comprenderlo?
"Se trova così tanti motivi per sorridere a tutto e a tutti, allora vuol dire che non è intelligente come sembra.” concluse Gono, rituffandosi nella lettura.

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


(Grazie alla solita Jaly Chan ;D e anche a Sylvia e Kyoko! Arigato!)

Erano ormai passate delle settimane da quando Harumi era arrivata all’orfanotrofio. Ormai la bambina si era fatta molti amici, Mami, Rui, Yu e Hiroyuki in primis. Gono aveva scelto di sopportare in silenzio la fastidiosa presenza della “rivale” nella classe. Yu e gli altri sostenevano che fosse perché aveva paura di rivelarsi inferiore a lei; ma la realtà era che il bambino voleva evitare qualunque contatto con Harumi. Si rendeva conto di stare subendo in qualche modo il suo fascino, e questo lo infastidiva da morire. Per questo rifiutava anche il minimo pretesto per parlare con lei, per avere qualche contatto con lei. Perfino se il pretesto in questione era uno scontro.
Harumi, dal canto suo, sembrava non interessarsi più di tanto alla cosa: anche se Gono in tutto quel tempo non gli aveva rivolto una sola parola, lei sembrava comunque serena e appagata dalle altre amicizie che aveva fatto. Solo Hiroyuki, che tra i quattro amici era quello che era rimasto più colpito da lei e che le si era affezionato di più, solo lui aveva notato come – a volte – Harumi osservasse il taciturno compagno; e come, in quei momenti, lo sguardo solitamente sereno della bambina si facesse stranamente malinconico. Ma era solo un lampo, che subito si perdeva nella consueta luce dei suoi occhi neri che, immediatamente, tornavano a brillare come sempre.
Gono, con i suoi ragionamenti, era arrivato a questa conclusione: che Harumi non sentiva il bisogno di lui. E questo, se da una parte gli lasciava un incomprensibile e seccante amaro in bocca, dall’altra lo confortava molto. La speranza di soffocare quello strano interesse che lei era riuscita a risvegliargli si faceva sempre più forte, assieme alla confortante sicurezza che, presto, tutto sarebbe tornato come prima.
Fu per questo che, quella mattina, il comportamento di Harumi lo sconvolse tanto da non permettergli di dire di no.

“Avete preparato tutto il materiale? Avanti, Rui, tira fuori i fogli! Forza, vedrete che oggi vi divertirete!” aveva promesso loro la madre superiora, apprestandosi ad iniziare la lezione giornaliera. Quella mattina toccava al disegno: e, conoscendo i gusti dei suoi ragazzi, la donna sapeva che sarebbe stata una lezione piacevole.
Mentre tutti armeggiavano con fogli, gomme e matite, la suora ripensò orgogliosa alla trovata che aveva avuto: ormai i bambini avevano disegnato mille e mille volte i soliti soggetti… vasi di fiori, bottiglie, frutta, brocche… ci voleva qualcosa di nuovo per invogliarli a fare bene e meglio. E, visto che era ancora inverno e non avrebbe potuto portarli fuori alla ricerca di qualche paesaggio suggestivo da copiare, aveva avuto una buona idea: perché non far loro ritrarre un loro compagno a scelta? Sarebbe stato divertente e anche interessante vedere con che occhi quei piccoli monelli si guardavano l’un l’altro!
"Che cosa disegniamo oggi, madre?” chiese Rui, finalmente pronta con la matita in mano.
"Oggi quello che dovrete fare è scegliere un vostro compagno di classe e fargli il ritratto!” spiegò brevemente la donna.
La classe la guardò ammutolita e piacevolmente sorpresa.
"Uno qualsiasi?” chiese Yu.
"Certo, potete ritrarre chi volete! A patto che il vostro modello se la senta di finire sulla carta, sia chiaro!” scherzò l’altra. Poi continuò, più seriamente: “Non prendete sotto gamba questo esercizio: per riuscire a rendere realistico un ritratto, non basta essere bravi a disegnare… bisogna riuscire a riprodurre anche l’anima della persona. Alla fine sarà interessante verificare come gli altri vi vedono, non trovate?”
"Hiroyuki, io voglio ritrarre te! Posso?” esclamò Rui, alzando la mano come per prenotarsi. Il bambino grassottello le sorrise, arrossendo come il suo solito.
Yu si stava alzando per andare a temperare la sua matita, quando sentì la mano di Mami fermarlo: “Dove credi di andare? Se ti allontani troppo, come faccio a copiare il tuo brutto muso?” gli disse lei con un sorrisetto.
Yu la guardò ricambiando l’acido sorriso, ma non protestò e si tornò a sedere.
"Fammi bello, mi raccomando!” le ordinò, assumendo una posa teatrale.
"Che pagliaccio!” commentò l’altra, cominciando a tracciare i primi segni. Approfittando del fatto che Mami era intenta a disegnare, Yu lanciò un’occhiata ad Harumi: chissà chi avrebbe scelto lei…
Ma quando il bambino la cercò con lo sguardo al solito posto, si stupì di non trovarla seduta: Harumi si era alzata e si stava dirigendo con fogli e materiale verso il fondo della classe.
Come sempre in occasioni come quelle, Gono era rimasto nel suo angolo a giochicchiare con la matita, prendendo tempo: sapeva che nessuno sarebbe venuto a cercarlo, e per quanto riguardava lui, non aveva nessuna intenzione di chiedere ad uno dei suoi ‘compagni’ di farsi ritrarre. Tanto, di certo, chiunque gli avrebbe risposto di no.
Si era risolto a ritrarre la madre superiora, e stava già temperando la matita quando, con sua enorme sorpresa, sentì qualcuno che, dopo averlo raggiunto, gli chiese con una gentilezza rara nei suoi confronti: “Gono, ti posso ritrarre?”
Lui alzò lo sguardo inebetito: Harumi, che gli stava davanti con tutto l’occorrente in mano, aspettava una sua risposta. Teneva gli occhi bassi, sembrava non avere il coraggio di guardarlo: assurdo, visto che pretendeva di fargli un ritratto. Gono avrebbe voluto dirle di no: “No nel modo più assoluto. Vattene via, non scocciarmi mai più, non provare più a rivolgermi la parola, né a starmi vicino! Io non ti voglio!”. Queste erano le parole che il suo cervello continuava a formulare incessantemente, ma che la sua bocca non diceva. Era come se la normale trasmissione degli impulsi venisse interrotta a metà strada, e tutte le cattiverie che la sua mente formava si dissolvevano appena gli arrivavano alla gola. Con enorme disappunto, Gono si rese conto che non ce l’avrebbe mai fatta a mandarla via: così, più per non ritrovarsi come gli altri imbecilli della sua classe, che rimanevano imbambolati a guardarla ogni volta che apriva la bocca, le rispose freddamente: “Se vuoi… fai come ti pare…”, e si voltò verso la finestra.
Harumi prese una sedia e la sistemò in modo da ritrovarsi di fronte a lui: Gono si accorse che i suoi movimenti erano piuttosto frettolosi… forse quella stupida aveva paura che lui cambiasse idea e la mandasse via, per questo cercava di iniziare il prima possibile…
"Grazie… ma per favore… puoi voltarti da questa parte? Se rimani voltato non riesco a vederti bene…” disse lei timidamente. Gono sospirò sempre più contrariato, ma obbedì; si girò e si mise a guardarla con tutto l’astio di cui era capace. Almeno quello riusciva a farlo.
"Oooh! Perché lui???” si lamentò Yu, con una smorfia da antologia.
"Ehy! Vuoi che ti ritragga con quella faccia da scemo?” lo apostrofò Mami. Il bambino riassunse subito la sua posa originaria, ma continuava a guardare deluso Harumi e Gono. Chiunque sarebbe stato più che felice di essere ritratto da lei… e invece quel bambino insopportabile le stava addirittura tenendo il muso!
"Ah… chi ha pane non ha denti, e chi ha denti non ha pane…” borbottò tristemente Yu.
"Cosa?” domandò Mami.
"Niente, niente! Continua a disegnare, piuttosto, che mi stanno venendo i crampi alla faccia!”

Gono credeva che quella del ritratto fosse solo una scusa per attaccare bottone: si era accorto di quanto Harumi fosse dannatamente socievole, e sapeva di essere l’unico che ancora non le rivolgeva la parola.
Probabilmente una come lei viveva la cosa come una sfida: visto che era sempre stata ammirata e benvoluta da tutti, si aspettava di ricevere lo stesso tipo di attenzioni anche ora, e il fatto che lui le rompesse le uova nel paniere doveva darle molto fastidio…
"Di sicuro comincerà con uno dei suoi stupidi, insulsi discorsi per farmi vedere quant’è buona e quant’è brava…” pensava seccato, mentre lei – concentratissima – continuava a lavorare, “… oppure lo ha fatto apposta solo per dimostrare che è così gentile da trattare bene anche uno come me…certo, la principessa deve mostrarsi come tale, se no non è soddisfatta…”. Aspettando il momento in cui avrebbero avuto inizio le chiacchiere, Gono rimase ad osservarla, scettico: “Oppure… oppure mi sta sfidando… forse vuole usare me per prendere un altro voto alto e dimostrarmi la sua superiorità…” ipotizzò ancora. Smise con le sue elucubrazioni mentali sono quando si rese conto di stare sfociando nella paranoia… eppure doveva esserci un motivo se Harumi aveva scelto proprio lui. E visti i loro difficili rapporti, Gono non riusciva a non pensare male.
Ma, contrariamente alle sue aspettative, dalla bocca di Harumi non uscì una parola. Gli aveva chiesto di poterlo ritrarre: lui l’aveva interpretata come una scusa, ma sembrava davvero che l’unica intenzione della bambina fosse quella di ritrarlo e basta.
Era ormai quasi finita la lezione, e Harumi non aveva pensato ad altro che al suo disegno: l’espressione di Gono, che all’inizio era infastidita e scettica, piano piano era diventata perplessa. Non riusciva a capire: dove voleva andare a parare? Se non c’era un secondo fine nella sua scelta, perché tra tutti i bambini che c’erano in classe lei aveva scelto proprio lui, l’unico che non le parlava, l’unico che la evitava sempre?
Stava ancora rosicchiando quell’osso, quando Harumi chiuse il suo album da disegno. Il rumore delle pagine che si chiudevano fu come una scossa per Gono, che si scrollò come se si fosse appena risvegliato da un lungo sonno.
"Ho finito.” gli spiegò Harumi e poi, sorridendo, aggiunse: “Ti ringrazio di avermi sopportato. So che non è stato piacevole per te…”. Detto questo, non aspettò la risposta e si diresse verso la cattedra.
Gono esitò per qualche attimo: finito così? Così velocemente? E poi, il ritratto… a quel punto avrebbe voluto vederlo… Sentì l’impulso di seguirla e chiederle di vedere l’album, ma lo represse subito: chi se ne importava di lei e dei suoi disegni? La cosa importante era che quella tortura era finita, punto e basta.
Gono aveva voglia solo di potersene andare: non era cieco, anche se gli altri sembravano non rendersene conto visto che continuavano a fissarlo come se fosse un fenomeno da baraccone. Che fastidio… si voltò verso la finestra. Prima o poi si sarebbero stancati di guardarlo…
"Hai fatto, Harumi?” sentì che le chiedeva la madre superiora.
"Sì…” aveva risposto lei, porgendole l’album: Gono riusciva ad osservare la scena riflessa sui vetri delle finestre.
La donna aprì curiosa l’album, cercando il foglio giusto: e a quel punto assunse un’espressione così strana che Gono non riuscì a trattenersi e, infischiandosene di quello che avrebbero pensato gli altri, si voltò verso di lei a fissarla. Harumi continuava a guardare il foglio, come a voler controllare che tutto fosse veramente perfetto. La sua espressione era comunque tranquilla, come al solito. La madre superiora, invece, aveva uno sguardo teso e quasi incredulo.
Gono sentì crescergli nel cuore un insopportabile desiderio di sapere: perché quella faccia? Come l’aveva disegnato? Che cosa c’era in quel ritratto che aveva colpito così tanto la suora?
Quella guardò Harumi sbalordita: “Ma… l’hai fatto veramente tu?”
La bambina ricambiò con uno sguardo perplesso: “Sì… certo…”. Che domande le stava facendo? Non l’aveva forse vista disegnare con i suoi occhi?
La madre superiora si sentì un po’ stupida a quelle parole, ma aveva dovuto chiederglielo. Lo stupore che l’aveva presa davanti a quel disegno era stato troppo grande.
"Sì… scusa, hai ragione… beh… è molto bello. E soprattutto… è riuscito…” commentò, mostrandosi ancora un po’ sconvolta. Con un sorriso stentato, richiuse l’album e lo riconsegnò ad Harumi. Lei, tranquilla come era venuta, tornò al suo posto e lo mise sotto al banco.
A quel punto, però, non era solo Gono ad essere incuriosito: tutta la classe, avendo assistito alla scena, voleva vedere quel ritratto!
La campanella suonò poco dopo: una volta finita la lezione, Mami e Hiroyuki si avvicinarono ad Harumi, esitanti. Lei, però, sembrava non avere intenzione di dar peso alla curiosità che aveva scatenato.
"Oggi fa freddo!” esordì Harumi sorridendo ai due amici, “Andiamo in cucina a chiedere alla cuoca se ci prepara un po’ di the? L’ultima volta ci ha allungato anche qualche biscotto!”
"Oh… sì, va bene…” balbettò Mami, non trovando nulla di meglio per introdurre il discorso.
"Senti, Harumi…” s’intromise Hiroyuki, timidamente, “…che cosa… che cosa hai disegnato in quell’album?”
Lei rimase a guardarlo con gli occhi neri dubbiosi, come se non avesse capito la domanda: “Come che cosa ho disegnato? Ho ritratto Gono…”
"Sì, ma lui intendeva… insomma… come lo hai ritratto? Perché la madre superiora ha fatto quella faccia strana quando l’ha visto?” cercò di spiegarsi meglio Mami.
Harumi scrollò le spalle: “Non lo so… forse l’ho fatto male! Dai, andiamo!” disse, cercando di convincerli ad andare in cucina.
"D’accordo, ma… perché hai scelto proprio… proprio lui?” insistette l’altra bambina sottovoce, accennando con la testa a Gono che, dal suo banco, con apparente indifferenza stava in realtà ascoltando.
Hiroyuki notò negli occhi scuri dell’amica passare nuovamente il solito, strano velo di tristezza: “Non avrei potuto ritrarre nessun altro…”.
Gono strinse istintivamente i pugni, mentre tutti gli altri bambini la guardarono allibiti: ma prima che venisse detta qualunque cosa, Harumi si affrettò ad esclamare di nuovo serena: “Adesso basta parlare di scuola, però! La campanella è suonata, no? Possiamo pensare a divertirci!”
"Aspetta… non potresti farcelo vedere?” le chiese ancora Hiroyuki, guardando impazientemente il sottobanco da cui sporgeva l’album.
Harumi prese le mani dei due amici: “Scusatemi… ma preferisco di no.”. Poi, con un sorriso, cominciò a tirarli fuori dalla classe.

“Che cosa aveva?” chiese freddamente Gono, andando subito al sodo. La madre superiora si girò stupita: non si era nemmeno accorta che il piccolo l’aveva seguita.
"Che cosa?” finse di non capire, prendendo tempo per pensare alla risposta.
"Il mio ritratto. Che cosa aveva?” replicò subito lui, che invece voleva subito sapere.
"Perché non chiedi ad Harumi di mostrartelo?” cercò di svicolare lei, ma il bambino non mollò l’osso: “Non me lo farebbe vedere. Gliel’hanno già chiesto Mami e Hiroyuki, e lei ha detto di no. E io non ho voglia di perdere tempo, né di pregarla…”
La suora sospirò: “Il tuo ritratto non aveva niente, Gono… è solo che era, come dire… somigliante…”
"Ad un ritratto si richiede questo, se non sbaglio…” commentò lui.
"È vero…” ammise lei.
"E allora perché si è stupita guardandolo? È normale che un ritratto assomigli alla persona presa a modello!”
"È vero anche questo…” concesse la donna, “Beh, non so davvero come spiegartelo, Gono…è solo che mi ha molto colpito che… che una bambina come Harumi sia riuscito a farlo. Tutto qui. Ora vai a giocare anche tu… io devo sbrigare delle faccende!” disse, e con queste parole se ne andò lungo il corridoio.
Gono rimase a riflettere su quelle parole: che cosa significavano? E quelle di Harumi? “Non avrei potuto ritrarre nessun altro”… che sciocchezza! Qualunque cosa o persona può essere ritratta! Basta cavarsela un po’ con la matita!
Improvvisamente gli tornò in mente la frase che, quella mattina, la madre superiora aveva detto loro: “…Per riuscire a rendere realistico un ritratto, non basta essere bravi a disegnare… bisogna riuscire a riprodurre anche l’anima della persona. Alla fine sarà interessante verificare come gli altri vi vedono, non trovate?”
Gono sentì il cuore cominciare a battergli forte: infastidendosi per quella reazione così poco tipica di lui, cercò di riflettere con calma. Beh, quella era davvero l’ipotesi più improbabile di tutte: Harumi era un’insopportabile bambina che, avendo sempre avuto tutto, non poteva avere la minima idea di quale fosse la sua visione del mondo. Era vero, aveva perso il padre, ma non si comportava certo come una che stava soffrendo per la cosa. Né come una che, avendo riflettuto sulla sua nuova situazione, l’aveva trovata spiacevole o soffocante… Gono sorrise amaramente: probabilmente… probabilmente quella stupida l’aveva ritratto sereno. Per questo la madre superiora era rimasta tanto colpita…
Lentamente cominciò a camminare, ritornando sui suoi passi. Si ricordò che Harumi aveva lasciato l’album sotto al suo banco, non l’aveva portato con sé. Gono si fermò un istante: d’accordo. Lui voleva sapere. E c’era solo un modo per farlo.
Con passo deciso si diresse verso la classe vuota.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


La porta della classe si aprì lentamente, cigolando: la grande stanza, solitamente luminosa e chiassosa, si offriva agli occhi verdi del bambino come lugubre e vuota. Era sempre così, quando non c’era lezione, ma a Gono non dispiaceva per niente. Per quelli che erano i suoi gusti, la preferiva di gran lunga così piuttosto che piena dei suoi petulanti “compagni”… Tese l’orecchio per accertarsi di essere solo sul piano: per niente al mondo avrebbe voluto farsi pizzicare in quella situazione! Sarebbe stato terribilmente umiliante per lui ammettere di essersi interessato ad un altro a quel modo… rimase in ascolto qualche istante: gli unici schiamazzi che riuscivano a giungergli all’orecchio provenivano dal cortile.
Entrò nella stanza cupa e richiuse la porta: ringraziò l’abitudine delle suore di tirare sempre le tende delle finestre a fine lezione… in quel modo, anche se qualcuno fosse passato lì fuori, non avrebbe potuto vederlo.
Con rapidità, il bambino si diresse verso il banco di Harumi: sarebbe stata questione di un secondo. Tirò fuori dal sottobanco l’album, appoggiandolo sul tavolo per aprirlo. Assurdamente sentì di stare provando un po’ di tensione: “Che sciocchezze…” si rimproverò mentalmente, “… Tutto questo non è assolutamente razionale.”. Lo infastidiva un sacco ritrovarsi a provare simili emozioni: si era sempre considerato diverso dagli altri bambini proprio per la sua più spiccata razionalità…
Con stizza aprì l’album e cominciò a girare i fogli: osservò con finto disinteresse gli altri disegni contenuti all’interno. Tanto per cambiare, Harumi era brava anche in quello. Gono fece un sorrisetto ironico: dove aveva nascosto quella bambina i suoi difetti? Sembrava non ne avesse: sempre educata, sempre sorridente, gentile con tutti, intelligente, socievole… non pareva nemmeno vera.
“Già, forse è questo il suo più grande difetto…” considerò, continuando a girare i fogli. In tutto quel tempo, non era riuscito a trovarne altri. Ma tutti questi suoi pensieri si interruppero di colpo quando arrivò al foglio che cercava.
Quello del suo ritratto.

Gono sbatté alle sue spalle la porta, non ricordandosi nemmeno di tutte le precauzioni che aveva preso per non farsi sentire, e prese a correre a più non posso verso la sua camera. Fece le scale senza fermarsi una sola volta, nonostante fossero molte e in salita, e solamente quando si ritrovò da solo nella sua stanza si lasciò cadere sul letto, a riprendere fiato.
Mentre ansimava, con gli occhiali storti in faccia e la gola che gli bruciava per aver inspirato troppa aria fredda di colpo, i suoi occhi erano fissi sulla finestra; il vetro rifletteva la sua immagine… vedeva il suo viso, appoggiato alle coperte, e non riusciva a distogliere lo sguardo.
Gli bastò qualche minuto per riprendere fiato completamente; ma il problema non era tanto l’aver corso a spron battuto fino lì. Il vero problema era credere a quello che aveva visto. Ora capiva, finalmente, perché la madre superiora fosse rimasta tanto colpita da quel disegno… Ma non capiva com’era possibile che quel ritratto l’avesse fatto proprio Harumi.
Si sedette sul letto: ancora una volta si era comportato in modo irrazionale. Aveva chiuso l’album e l’aveva lasciato sul banco, scappando come se avesse visto un mostro… Adesso sarebbe stato chiaro che qualcuno aveva visitato l’aula alla ricerca del ritratto. E, visto che lui era l’unico a non essere sceso in cortile, sarebbe bastato molto poco per fare due più due. Considerò la possibilità di scendere di nuovo e risistemare tutto mentre gli altri erano ancora fuori, ma l’idea di ritrovarsi tra le mani quel foglio lo fece desistere.
Gono si alzò e fece qualche passo verso la finestra: il vetro lucido mostrava la sua immagine sempre più nitida, man mano che si avvicinava. Perché vedersi riflesso in quel modo non gli faceva niente, mentre vedere il ritratto che gli aveva fatto Harumi lo aveva spaventato così tanto?
“È perché l’occhio che mi guarda nello specchio è il mio…” rifletté, fissandosi nel vetro, “…mentre l’occhio che mi guarda nel ritratto è di un altro?”
Una delle prime cose che aveva capito era che le cose cambiano a seconda del punto di vista da cui le si guarda: questa consapevolezza l’aveva disilluso su molti aspetti della realtà. La generosità della gente che lo circondava, ad esempio: gli altri la chiamavano carità, ma per lui era solo ipocrisia. La speranza in un Dio misericordioso e salvifico, ai suoi occhi era mera illusione. I bambini lì dentro vedevano l’orfanotrofio come una casa; lui non poteva che sentirla come una prigione. La realtà cambia a seconda del prisma da cui la si guarda. Il ritratto che gli aveva fatto Harumi non era che un’ulteriore riprova di quella regola: lui aveva creduto di ritrovarsi davanti l’immagine di sé che era abituato a vedere. Quella che i suoi occhi avevano imparato a riconoscere. Ma nel ritratto, Harumi aveva messo il suo punto di vista. Aveva ritratto Gono come lei lo vedeva. Il bambino da tempo non riusciva più a trovare nella sua espressione le tracce dei sentimenti che nascondeva nel cuore: il suo odio per quella situazione, il senso di soffocamento che gli dava il pensiero della sua vita lì dentro, la rabbia e il terrore di non poter cambiare nulla, l’impotenza di non riuscire a scappare… tutto questo era così radicato in lui che aveva finito per diventare invisibile ai suoi occhi. Ma Harumi l’aveva notato. E l’aveva disegnato. Era stato l’essere messo così brutalmente davanti a tutta la sua sofferenza che l’aveva spinto a scappare a quel modo.
Ma come era possibile che una persona come Harumi, che sembrava la quintessenza della serenità e pareva non avere un solo problema al mondo, come era possibile che proprio lei fosse riuscita a rilevare tutto questo in lui? Che ne sapeva lei di questi sentimenti, come aveva potuto descriverli così bene?
Ancora perso in questi suoi pensieri, Gono si affacciò alla finestra: proprio sotto di lui, gli altri bambini stavano giocando. Harumi, al solito assieme a Mami, Yu e gli altri, rideva felice. L’aveva sempre vista così. Ma allora perché? Gono strinse i pugni, nervosamente. Odiava non capire le cose…
“Perché ci sei riuscita? ” mormorò, senza nemmeno accorgersene.

“Ehy! Cos’è??” chiese eccitatissima Rui, mettendosi a saltellare sul posto. Mami e Yu, intenti com’erano ad osservare la passeggiata di un ragno attraverso il cortile nemmeno la sentirono. Harumi e Hiroyuki, invece, si girarono verso la piccola, ma non videro nulla che potesse giustificare tanto entusiasmo. Rimasero zitti a scrutare attentamente l’aria, più o meno nel punto in cui la bambina indicava con la sua mano guantata.
“Guarda che me ne sono accorto che ti fa schifo, sai?” sibilò sadico Yu a Mami, alludendo al ragno.
“Tsè… non è assolutamente vero.” ribatté lei in tono di sfida.
“Scommetto che se te lo metto addosso ti metti a piangere di paura!” continuò quello.
“Scommetto che non avresti il coraggio di prenderlo in mano nemmeno per tutto l’oro del mondo!” rispose Mami con un sorrisetto.
“Guardate, guardate!” insistette entusiasta Rui, battendo le mani dalla gioia.
“Ma cosa? Io non vedo niente!” chiese Harumi, non riuscendo a capire bene nemmeno dove guardare.
“La neve! La neve!” urlò festante la bambina, cominciando a fare piroette senza staccare gli occhi dal cielo. Hiroyuki si alzò in piedi e, fatto qualche passo in avanti, si mise a guardare in alto: da dove stavano seduti, sulla panchina, non si riusciva a vedere bene perché c’erano i rami degli alberi che coprivano la visuale, me… qualcosa gli finì contro le lenti degli occhiali. Se li tolse per pulirli e anche lui cominciò a sorridere: “È vero! Nevica!” festeggiò, raggiungendo Rui che continuava la sua solitaria danza della neve. Alla conferma di Hiroyuki, anche Mami e Yu si voltarono; scrutarono il cielo con occhi attenti, e poi si guardarono: “Appena ce ne sarà abbastanza, ti massacrerò di palle di neve!” lo minacciò Mami, correndo al centro del cortile per dare la notizia a tutti.
Yu, non avendo la risposta pronta, le fece una boccaccia; poi, notando che Harumi era rimasta seduta sulla panchina da sola, corse verso di lei e, tirandola per le mani, le disse: “Dai, Harumi! Che fai lì? Vieni a vedere la neve!”
Yu a volte non riusciva a capire che cosa succedeva ad Harumi: a suo modo, anche lei era strana. Qualunque bambino, alla notizia di una nevicata in corso, si sarebbe immediatamente fiondato assieme agli altri a seguire la neve cadere dal cielo! Non ci avrebbe proprio pensato due volte! Sì, a parte Gono… ma lui non si poteva certo considerare un bambino “normale”… Invece Harumi non si era mossa dalla panchina. E per farle raggiungere gli altri aveva dovuto tirarla! Non è che mostrasse di essere riluttante, non sembrava scocciata dalla situazione: ma sembrava essere distratta da altri pensieri, da altre riflessioni.
“Che ci sarà mai da riflettere?” si chiese, non riuscendo a capire. Poi, a voce alta, continuò: “Guarda che stupidi quei due!” indicando Hiroyuki e Rui che, per pochi fiocchi di nevi, stavano ballando da qualche minuto come se stesse cadendo oro dal cielo, “Dai, divertiamoci anche noi!”
Harumi sembrò accorgersi in quel momento che Yu stava parlando proprio a lei: lo guardò quasi un po’ stupita. Poi sorrise come al solito: “Va bene! Andiamo!” e raggiunse Mami che, a qualche passo da lì, se ne stava piegata in due dal ridere per il ridicolo balletto degli altri due amici.
Yu rimase colpito da quell’improvviso cambiamento di umore: eppure non era la prima volta che vedeva Harumi comportarsi in quel modo. Spesso gli succedeva di notare nella sua nuova amica quell’espressione strana, e di vederla osservare gli altri bambini come… beh… come se li stesse studiando. Sì, sembrava assurdo, ma la sensazione che aveva guardandola era quella! Harumi sembrava studiare il loro modo di parlare, di comportarsi, perfino di ridere o giocare. Il tutto durava pochi secondi: poi tornava l’Harumi di sempre. Yu davvero non sapeva che pensare: quel suo ragionamento gli pareva tanto una sciocchezza. Che bisogno aveva una come Harumi di studiare gli altri? E per fare che? Per copiare il loro modo di fare? A che scopo? D’altro canto… come spiegare altrimenti quel suo strano sguardo?
“Guarda! Yu se ne sta lontano perché ha paura di finire seppellito dalle mie palle di neve!” sentì che lo stava pizzicando Mami, fingendo di parlare ad Harumi.
Punto nell’orgoglio, il bambino abbandonò immediatamente queste sue riflessioni: “Stai scherzando? Non vedo l’ora che ci sia abbastanza neve! Mi devo ancora vendicare dell’ultima volta: mi hai tirato una palla con dentro un sasso! Per un pelo non mi ammazzavi, brutta scema!” gridò con finta rabbia, raggiungendo di corsa i suoi amici.

“Ci vuole ancora un po’ di neve qua, guarda!” indicò Hiroyuki ad Harumi, che subito si chinò per raccoglierne. Poi, seguendo le indicazioni del bambino, la aggiunse con cura al loro pupazzo di neve. In poco tempo aveva preso a nevicare molto forte, ed era scesa una bella coltre bianca. Le suore non avevano permesso ai bambini di restare all’aperto fintanto che nevicava, ma ora che aveva smesso era iniziata la vera festa. Come promesso, Mami e Yu avevano aperto ufficialmente le ostilità, e la loro battaglia a palle di neve andava avanti da un bel po’… Harumi, Rui e Hiroyuki avevano optato per un’occupazione più pacifica, quella di costruire pupazzi di neve. Ma, per rimanere in tema coi loro amici, avevano deciso di rappresentare proprio i due contendenti con la neve.
“Non ho trovato niente per i capelli di Mami…” si lamentò Rui, tornando dal suo giro di perlustrazione alla ricerca di oggetti strambi da aggiungere come dettagli.
“Aspetta! Forse mi è venuta un’idea!” disse Harumi, e – togliendosi la sciarpa arancione di dosso – la appoggiò sulla testa di uno dei due pupazzi, in modo da farla sembrare una chioma rossa che ricadeva sulle spalle.
“Grande, Harumi!” la festeggiò Hiroyuki, “Invece per i capelli di Yu potremmo usare dei bastoncini di legno! Guardate, li infiliamo nella neve così…” spiegò, procedendo alla dimostrazione pratica di quanto diceva. Tutti i pezzettini di legno ficcati così nella testa del pupazzo ricordavano effettivamente la chioma ispida e spettinata di Yu che però, intento com’era a battagliare, non poté apprezzare la creatività degli amici.
“Ha ha ha! Ma sembra un porcospino, Hiro!” rise Harumi, imitata da Rui, mentre l’altro con pazienza e precisione continuava il suo lavoro.
“Tregua! Tregua!” si sentì Yu gridare e Mami, per tutta risposta, gli scaricò addosso una tonnellata di palle di neve.
“Evvivaaa! Ho vinto anche stavolta!” esultò felice la bambina, saltellando davanti al nemico sconfitto. Yu, sputacchiando e cercando di scrollarsi la neve di dosso, mormorò: “Sei una bambina terribile… e non mi riferisco solo alla faccia…”
“Perché non sai perdere?” gli chiese Mami, ricoprendolo con ulteriore neve e fermandosi appena un attimo primo di seppellirlo. Poi, soddisfatta della sua schiacciante vittoria, raggiunse gli altri tre: “Ma cosa avete fatto qua? Che cosa sono ‘sti pupazzi?”
“Ma come, Mami, non vedi?” domandò sorpresa Rui, indicando i due capolavori, “Questo è Yu, e questa qui invece sei tu!” La bambina si mise ad osservare i due pupazzi di nevi con occhio attento e critico: poi, dopo averci riflettuto un po’, disse: “Quello di Yu non va bene… è troppo grosso… il naso è troppo piccolo, e la bocca va fatta più larga!”
Yu, avvicinandosi agli amici, assunse ad arte la stessa espressione meditabonda della bambina, poi disse: “Nemmeno il pupazzo di Mami è troppo somigliante… fate una cosa, la neve che togliete dal mio aggiungetelo al sedere del suo!”
Mami sorrise acida: “Vuoi un’altra lezione?”
“Quando preferisci!” rispose lui battagliero, indietreggiando di qualche passo e preparandosi al secondo round.
“Oh, no…” disse Hiroyuki, scuotendo la testa, mentre Harumi e Rui ridevano divertite.
Yu e Mami rimasero a studiarsi per qualche istante, come predatori; poi, con uno scatto, Mami si voltò e cominciò a correre. La neve su cui stavano ormai era già stata calpestata, non ci si sarebbero potute fare delle belle palle… invece poco più in là c’era un bel cumulo di neve ancora fresca! Con quella avrebbe tirato delle bombe!
Yu non perse tempo, e approfittando del fatto che il nemico gli stava dando le spalle, si chinò per formare una palla di neve; in quattro e quattr’otto era pronta, e il bambino si alzò per tirarla. Ma proprio mentre stava per farla partire, si sentì un rumore sordo e Mami cadde lunga distesa per terra.
I quattro rimasero per un attimo pietrificati a guardarla; poi, come se i loro cervelli avessero lavorato in contemporanea, si fiondarono verso l’amica, che ancora se ne stava a terra, massaggiandosi una gamba.
“Mami!” la chiamò Rui a un passo dalle lacrime, inginocchiandosi accanto a lei.
“Che cosa è successo?” chiese Harumi preoccupatissima, facendo lo stesso.
“Ahi… ho urtato qualcosa…” spiegò lei, controllandosi lo stinco e ritrovandosi un bel taglio sia nella calza che nella gamba.
“Oddio, sangue!” gemette Rui, agitatissima, ma Hiroyuki la tranquillizzò mettendole una mano sulla spalla: “Non ti preoccupare Rui, non è mica niente! Non è detto che solo perché esce sangue sia una ferita grave!”
“Rui, vai a chiamare la madre superiora! Noi aiutiamo Mami ad alzarsi!” le disse Harumi, e la piccola schizzò verso l’ufficio della suora come se fosse inseguita da un branco di lupi.
“Rui si impressiona troppo facilmente!” minimizzò Yu, “E’ un taglietto da niente! Non serviva chiamare la madre superiora!”
“Guarda che è meglio disinfettare…” osservò Hiroyuki, aggiustandosi gli occhiali.
“Ma che disinfettare! Basta passarci un po’ di neve sopra, così!” continuò l’altro, e – usando la palla di neve che aveva ancora in mano – cominciò a strofinarla sul taglio, per pulire la ferita. Ovviamente Mami non gradì molto l’operazione, e – tirandogli l’ennesimo schiaffo sulla testa – protestò: “Argh! Ma sei scemo o cosa??”
“Non ce la fai a tirarti su?” le chiese Harumi, offrendosi di aiutarla.
“Non preoccupatevi! Ci vuole ben altro per stendermi!” li rassicurò la bambina e, afferrando una mano di Harumi e una di Hiroyuki, si issò in piedi. Certo, la gamba le faceva male, eccome: non era solo per il taglio che si era fatta, era soprattutto per la botta che aveva preso.
“Vorrei tanto sapere contro che cosa sono finita…” brontolò, facendo qualche saltello stentato, ma Yu la fermò subito: “Vuoi suicidarti? Se saltelli così sulla neve fresca, come minimo ti spacchi una gamba!” la sgridò. Poi, facendosi passare un braccio della bambina attorno alle sue spalle, disse: “Dai… andiamo dentro, piaga!”.
Harumi sorrise: Yu e Mami non facevano che bisticciare, ma si volevano un bene dell’anima… Già… loro si volevano bene… la bambina rimase come incantata a guardare i due che si allontanavano lentamente, mentre Hiroyuki cominciò a sondare il terreno, come cercando qualcosa.
“Ecco su cosa ha inciampato!” disse trionfante alla fine, e quelle sue parole ebbero l’effetto di strappare Harumi ai suoi pensieri.
“Come?” chiese lei, frastornata.
“Guarda! È un secchio…” spiegò il bambino, mostrando un vecchio secchio di legno che aveva estratto dalla neve, “Chissà chi l’ha lasciato qui in giro.. beh, comunque la neve l’ha coperto e così Mami ci è finita contro…”
“Ah… ecco perché…” commentò Harumi, rabbuiandosi. Hiroyuki si allontanò un istante per mettere il secchio da un’altra parte, evitando così che altri bambini si facessero male. Quando tornò da Harumi, notò che lo sguardo della bambina non era più allegro e sereno come al solito: i suoi occhi neri erano cupi, tristi. Erano irriconoscibili.
“Harumi… non stai bene?” le chiese preoccupato.
Lei se ne stava fissa ad osservare i fiocchi che avevano ricominciato a scendere: “Non mi piace la neve…”
“Ah… beh, è strano…” cercò di sorridere lui, spiazzato dall’uscita dell’amica, “Tutti i bambini la trovano molto divertente!”
“È fredda … non la si può fermare… e copre le cose in modo da nasconderle. Come è successo al secchio di Mami. Copre le cose e poi non si può più vedere cosa c’è sotto…” continuò lei, senza staccare lo sguardo.
Hiroyuki era sempre più preoccupato: non aveva mai sentito Harumi parlare con quel tono di voce così… vuoto.
“Non si può più vedere in profondità…” sussurrò la bambina dopo una pausa, più a se stessa che all’altro.
“Bambini! Tornate dentro! Ha ripreso a nevicare!” li chiamò una suora, facendo capolino dalla soglia. In effetti i fiocchi avevano preso a cadere con nuovo vigore, e di lì a poco avrebbe dato un’altra buona imbiancata. Harumi però non si muoveva.
“Dai, andiamo…” le disse timidamente Hiroyuki, prendendole preoccupato una mano, “Andiamo dentro… hai sentito la suora?”
Harumi si voltò verso di lui e cercò di recuperare il suo solito sorriso: “Sì, scusami! Stavo pensando… ma non importa, entriamo! Fa freddo! E poi voglio sapere come sta Mami!”. Detto questo, senza lasciare la mano dell’amico, si incamminò di corsa verso l’orfanotrofio.
Hiroyuki la seguì senza dire una parola: per quanto si fosse sforzata di apparire naturale, quella volta Harumi non c’era riuscita. Più di una volta aveva notato ombre comparire nei suoi occhi, ma fino ad allora non avevano fatto altro che balenare per pochi istanti e poi scomparire, lasciandogli perfino il dubbio di averle viste veramente. Invece ora l’ombra era rimasta nei suoi occhi neri. Non se ne andava via. Non se ne voleva andare via…

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


(Ops... mi sono accorta adesso, spulciando la sezione FAQ che le risposte che ho mandato a tutte le recensioni non possono essere visualizzate...^^'... scusatemi, come al solito mi sveglio tardi! Beh, ne approfitto prendendomi un po' di spazio qua: ringrazio la fedelissima Jaly Chan! Per quanto riguarda la domanda che mi hai fatto, sul perchè Harumi odi la neve, beh.. non voglio spoilerare troppo.. diciamo che la neve tende a coprire le cose, e ad Harumi spaventa proprio questo, il non riuscire a vedere le cose in profondità. Di più non posso dire senza rovinare tutto, ma fra pochissimi capitoli si spiegherà l'arcano! Basta chiacchiere, ora! Buona lettura!)

Erano passati alcuni giorni dalla grande nevicata: ormai la neve era quasi tutta sciolta, e quella del cortile – in special modo – era tutta calpestata e sporca.
“Peccato… niente più battaglie…” gemette Yu, guardando lo spettacolo desolante dalla finestra della sala.
“Ti è andata solo che bene!” lo apostrofò Mami, che aveva ancora la gamba fasciata, “Ti avrei umiliato un’altra volta!”
“Parla la stupida che stava per rompersi una gamba!” ribatté Yu, al solito, “Io almeno non mi sono fatto male da solo!”
“Insomma, Mami! Tocca a te! Ti decidi a scartare?” la incitò Rui, con le carte in mano. Avevano deciso di giocare insieme, ma come al solito, Mami si distraeva sempre per litigare con Yu. E Rui aveva fretta che arrivasse il suo turno: aveva un bel tris da scartare!
“Sì, Mami! Ogni volta che tocca a te ci metti un secolo!” aggiunse Hiroyuki, dando man forte alla bambina.
Mami, scocciata, si affrettò a pescare una carta dal mazzo: “Eeh,, quanto la fate lunga!”. La rossa guardò per qualche istante la carta pescata e poi, con una smorfia di delusione, la gettò tra le altre scartate. Mentre Rui, felice come una Pasqua, provvedeva a pescare a sua volta, Mami ribatté: “Comunque nemmeno tu, Hiro, mi sembri molto concentrato! Pensa per te!”
Hiroyuki non disse niente, e istintivamente guardò verso Harumi, che stava leggendo un libro seduta su un divano poco più in là. In realtà era molto preoccupato per lei: dopo quel pomeriggio in cui Mami si era fatta male, non aveva più mostrato quel lato di sé così diverso, così vuoto e triste. Ma quell’episodio l’aveva così turbato che Hiroyuki aveva cominciato a dubitare che l’Harumi sempre serena e sorridente fosse la vera Harumi. Quando l’aveva conosciuta, aveva pensato che nessun altro nome sarebbe stato più appropriato per lei: chi meglio di lei avrebbe potuto incarnare la primavera? Sembrava spandere luce e calore ad ogni gesto che faceva… ma in quei pochi attimi, Hiroyuki aveva avuto l’impressione di intravedere un mondo del tutto diverso.
“Ecco fatto!” sentenziò Rui, appoggiando con cura e orgoglio il suo tris sul tavolo, “E ora scarto.. uhm… scarto questa!” continuò, lanciando sul cumulo un asso di picche.
“Vai Hiro…”lo incalzò Mami, notando che grazie al tris di Rui avrebbe potuto scaricare un po’ di carte; il bambino stava allungando la mano per pescare dal mazzo, quando si sentì la porta della sala richiudersi. Istintivamente tutti si girarono e rimasero a bocca aperta: Gono?? Da quando in qua Gono si faceva vivo nella sala di ricreazione? Per quale stranissimo motivo aveva deciso di entrare lì invece di starsene tumulato in biblioteca, come al suo solito?
Gono decise di non badare ai fastidiosissimi sguardi indagatori degli altri bambini: avrebbe dato chissà che cosa per potersi evitare quella scocciatura, ma non ne poteva più di aspettare. Per due giorni aveva aspettato l’occasione di trovare Harumi da sola, per poterle parlare e chiederle una volta per tutte spiegazioni sul suo ritratto… ma sarebbe stato più facile vedere gli asini volare, piuttosto che riuscire a beccare quella bambina senza qualcuno attorno. Per cui aveva avuto poca scelta: o tenersi dentro tutti i suoi dubbi, oppure decidersi e farsi avanti.
Rispondendo con il consueto gelo alle occhiate meravigliate degli altri, Gono cercò con lo sguardo Harumi e, dopo averla individuata, si diresse con decisione verso di lei.
“Ma che cavolo sta succedendo?” bisbigliò Yu agli altri, ma Mami lo zittì con un gesto, continuando a seguire con tanto d’occhi la scena.
Harumi aveva avuto una reazione strana: quando aveva visto che Gono si stava muovendo verso di lei, era arrossita e aveva ripreso a leggere, come nel tentativo di trovare una scusa per non guardarlo.
“Ma che fa, arrossisce? Non sarà mica che le piace Gono?” sussurrò contrariata Rui.
“Ma che t’inventi?” tagliò corto Yu. Assurdo. E poi l’imbarazzo di Harumi non era quello di timidezza… il suo sembrava essere un vero e proprio disagio…
Nemmeno quando Gono fu arrivato praticamente accanto a lei, Harumi alzò gli occhi dalla pagina. Fu solo quando le parlò che dovette a malincuore rinunciare alla scusa della lettura e voltarsi verso di lui.
“Posso parlarti un momento?” le aveva chiesto freddamente lui.
“Certo che puoi…” aveva risposto la bambina, chiudendo lentamente il libro.
Gono l’aveva scrutata attentamente con i suoi occhi verdi; poi aggiunse: “Non qui. Vieni fuori.” e, detto questo, si voltò e – senza neanche controllare che lei lo stesse seguendo – si ridiresse verso la porta, incurante degli sguardi spaesati degli altri e del silenzio tombale che era sceso sulla sala.
Harumi si morse il labbro, osservando il bambino che se ne andava. Poi, appoggiando il libro sul divano, si alzò e lo seguì fuori dalla stanza.
“Ora qualcuno mi vuole spiegare che cavolo sta succedendo?” domandò allibito Yu, qualche istante dopo che la porta della sala fu richiusa.
“Ma che ne so io?” ribatté scocciata Mami.
“Sentite… non è che… non è che Gono la vuole picchiare?” azzardò timidamente Rui. Gli altri tre la guardardono spalancando gli occhi. Davanti a quella reazione, la piccola si sentì in dovere di spiegarsi meglio: “Sì, beh… secondo me Gono è invidioso di lei…”
Mami abbassò gli occhi: “Questo è vero…”
“D’accordo, ma per quanto sia Gono, non credo proprio che arriverebbe a picchiarla!” protestò Yu con vigore.
“Però potrebbe minacciarla… Gono non è normale, ricordatelo!” rifletté Mami, cominciando a mordersi nervosamente le unghie.
“No, impossibile! Lo escludo!” continuò Yu, scuotendo la testa.
“Secondo me dovremmo controllare!” concluse l’altra, sbattendo nervosamente a terra le carte che teneva in mano.
“Ma se non sappiamo neanche dove sono andati!” protestò Rui, cominciando ad agitarsi.
“Non importa! Ci dividiamo: tanto i posti dove va Gono sono sempre gli stessi, no? Io vado in biblioteca. Tu, Yu, vai a vedere attorno alla chiesa. Rui, tu controlla le camere. E tu, Hiro, cercali in cortile. D’accordo? Chiunque li trovi e veda che Harumi è in difficoltà, corra ad avvisare gli altri!” spiegò rapidamente Mami. Detto questo si alzò in piedi e concitatamente corse fuori dalla sala, diretta alla sua meta.
“Aspettami!” la chiamò Rui, fiondandosi fuori a sua volta.
Yu sospirò: “Quando si mette in testa una cosa, quella… va beh… secondo me è una stupidaggine, ma non si sa mai…”e, lentamente, si alzò dal suo posto accanto alla finestra.
“La verità è che vorresti ascoltare cosa dicono, vero?” disse Hiroyuki. Yu, punto nel vivo, si voltò imbarazzatissimo: “Ma no! Cosa dici, Hiro??” “Non preoccuparti… anche per me è lo stesso.” confessò il bambino, arrossendo un po’ dietro gli occhiali. “Nemmeno io credo che Gono sarebbe capace di fare una cosa simile… ma prima Harumi sceglie di ritrarlo… e adesso lui la viene a chiamare…”
“Già… è strano, vero?” concordò Yu.
“Sì… e non mi dispiacerebbe capirne di più…” ammise l’altro, tirando verso di sé la maniglia della porta.

“Non sopportavo più di sentirmi addosso i loro sguardi. Per questo ti ho chiesto di uscire.” spiegò Gono, una volta raggiunto un posto che sentiva lontano abbastanza dalla sala e dalle orecchie e dagli occhi indiscreti degli altri bambini. “Comunque non ho intenzione di trattenerti a lungo…”
“Va bene…” rispose Harumi, “Cosa c’è?”
Quello era un momento molto difficile per Gono: in realtà, non aveva molto chiaro nemmeno lui che cosa avrebbe dovuto chiederle. “Come hai fatto a ritrarmi?” … era una domanda stupidissima. “Hai notato anche tu quanto odio il mondo?” … questa forse lo era ancora di più…
“Intelligente come sei, dovresti aver già capito perché ti ho chiamata…” commentò ironicamente.
Harumi annuì: “Ah… è per il ritratto…” disse, “Avevo capito che l’avevi guardato. Il giorno dopo l’album non era dove l’avevo lasciato io…”
“Perché non me l’hai fatto vedere?” le chiese freddamente. Lei lo guardò con i suoi occhi neri, stupita: “Scusa… non pensavo che ti sarebbe interessato.”
“Avresti potuto anche chiedermelo… che cosa ne sai tu di quello che penso io?” sbottò lui, per poi interrompersi. Senza accorgersene, aveva pronunciato proprio le parole che avrebbe voluto dirle… “Già, che ne sai tu di quello che penso?” si chiese tra sé e sé.
“Ti chiedo scusa… beh… comunque l’hai visto, no?” rispose Harumi. Il suo tono era gentile come sempre, ma diversamente dal solito, non stava sorridendo. Gono si chiese dove fosse finito quell’alone di primavera che era capace di spandere attorno a sé: per la prima volta da quando la conosceva, la sensazione che provava standole vicina era quella di vuoto…
Harumi rimase in silenzio, aspettando che l’altro le dicesse che poteva andarsene. Ma Gono, invece, le pose un’altra domanda: “Perché hai detto quella frase su di me?”
“Quale frase?”
Gono si voltò per non rischiare di arrossire sotto ai suoi occhi: “Che non avresti potuto ritrarre nessun altro…”. Aveva fatto bene: si sentiva le guance calde, benché il vento fosse tanto gelato da intirizzirgli le dita. “Insomma, è una sciocchezza! Qualunque cosa può essere copiata! Volevi farti bella agli occhi degli altri?”.
Gono si fermò in attesa della risposta: non era quello il tono con cui avrebbe voluto parlarle, ma l’imbarazzo per quella situazione lo spingeva ad essere più aggressivo del solito.
“È… è questa l’impressione che do?” gli chiese Harumi, esitando.
Gono sogghignò irritato: non poteva semplicemente rispondergli, invece di deviare il discorso?
“L’impressione che dai è quella di una perfettina, di una specie di principessa che è sempre gentile e generosa, che non ha difetti né un solo problema al mondo!” si sfogò tutto d’un fiato lui, girandosi verso l’altra, “Il che, per noi orfani, è quanto di più fastidioso possa esserci!”
“Perché parli come se io non fossi una di voi?” domandò Harumi, studiandolo con i suoi occhi neri, “Anch’io sono orfana…”
“Tu sei molto diversa da noi. Non puoi capire un bel niente della nostra vita!”
Gono si stupì della rabbia che stava usando nel rivolgersi a lei; era come se sfogasse con le sue parole tutte le incertezze che l’arrivo di Harumi gli aveva scatenato nel cuore. Vista la sua aggressività, non si sarebbe sorpreso di vedere la bambina scoppiare in lacrime. Invece dagli occhi neri di Harumi non scese nemmeno l’ombra di una lacrima: non sembrava minimamente offesa dalle sue parole… più che altro, pareva che stesse riflettendo.
“Ah… allora è per questo che non ci sono ancora riuscita… non sapevo… io non me n’ero resa conto…” mormorò alla fine. Gono non capiva: c’era tristezza nella sua voce, era vero, ma non sembrava dipendere da quello che si era sentita dire da lui… eppure ci era andato pesante!
Harumi alzò lo sguardo e lo guardò: “Devi dirmi ancora qualcos’altro?”
“Sì.” rispose Gono, prima ancora di rendersi conto di aver aperto la bocca.
“Che cosa?” domandò lei, paziente.
Il bambino si aggiustò gli occhiali: basta con le esitazioni. Basta girarci intorno: l’aveva chiamata lì per sapere una cosa ben precisa. E l’avrebbe saputa.
“Perché sei riuscita a farmi il ritratto?” domandò, scandendo con precisione ogni singola parola.
Harumi tentò un sorriso: “Non hai detto tu che qualunque cosa può essere copiata?”
“Smettila!” rispose infastidito lui, “Sai benissimo che cosa voglio dire! Come hai fatto tu, che sei felice, a capire certe cose di me?”
Harumi assunse un’espressione che Gono non le aveva mai visto addosso: “Perché credi che io sia felice?”
Lui rimase spiazzato da quella domanda: “Se non sei felice, perché sorridi sempre?”
Harumi si voltò verso una statua della Madonna che, a pochi passi da loro, li osservava semicoperta dalla neve. Le si avvicinò e, con delicatezza, scostò la neve dal suo viso, osservandolo con attenzione: “Lei ha un volto sorridente che sembra non conoscere né odio né rabbia, vero? È gentile, mite… sembra che possa aiutare a sopportare qualunque cosa. Solo chi è stato capace di superare tristezza e dolore può essere capace di una simile espressione. Lei ha il sorriso di chi ha raggiunto la piena serenità…”
“E allora?” le domandò Gono, fermo a qualche metro da lei.
Harumi si voltò verso di lui: il bambino, in quel modo, riusciva a vedere sia il suo viso che quello della statua. “Il mio sorriso, invece, Gono… il mio è solo un sorriso.”
“Che significa?” chiese l’altro, sgranando gli occhi.
Harumi abbassò lo sguardo e sorrise. Era il solito sorriso di sempre, quello che riusciva a far provare agli altri il senso di primavera e calore incombente: ma ora, confrontandolo con quello della Madonna, Gono non riusciva a credere ai suoi occhi. Era diverso. Era… vuoto. Harumi riusciva a dare solo l’impressione di calore, perché la sua bellezza riusciva a riscaldare il cuore di chi la guardava. Ma non c’era nulla dietro al suo sorriso: non c’era serenità nei suoi occhi. E l’abisso che divideva quell’espressione da quella della statua era così enorme che Gono si chiese come avesse potuto, fino a quel momento, essere stato così cieco da non averlo notato prima.
“Adesso hai capito? Anche io ce ne ho messo di tempo, sai? L’ho scoperto poco prima di te…” spiegò Harumi, continuando a sorridere amaramente.
“Ma… perché…” tentò di continuare lui, ma non sapeva con quali parole esprimere quello che provava.
“L’unica differenza che c’è tra me e te, Gono, è che io sorrido sempre, e tu invece mai. Ma dietro a questa mia scelta di mostrarmi, come dietro alla tua, c’è la stessa tristezza. Per questo ho detto che non avrei potuto ritrarre nessun altro a parte te. Era la verità. Io non avrei… non avrei saputo rappresentare la serenità degli altri. Perché non la conosco.”
“Non posso credere che, con la vita che hai vissuto prima di venire qui, tu non sia mai stata felice!” tentò di protestare Gono, ma il tono della sua accusa si era molto indebolito.
“Io credevo di esserlo. Non ne avevo dubbi. E per questo non ho mai cercato di verificare se quello che sentivo era felicità o apparenza.” rispose Harumi con un’ombra nello sguardo. Poi, voltandosi verso l’orfanotrofio, disse: “Beh… ti ho risposto. Posso andare adesso? Ho freddo a stare qui fuori…”
Gono sentì una fitta di insoddisfazione mentre le rispondeva: “Vai…”. Non era quello che voleva: avrebbe voluto continuare a parlare. Avrebbe voluto capire più a fondo quel discorso. Harumi… Harumi non era quella che mostrava di essere. Ma se davvero era tanto simile a lui, perché si sforzava di mostrarsi diversa? Perché, se aveva capito quanto fosse illusoria e bugiarda la vita, si adoperava a quel modo pur di farsi accettare dagli altri? Perché cercava di dimenticare se stessa e di diventare un’altra Harumi?
Prima di rientrare a sua volta, lanciò un ultimo sguardo alla Madonna di pietra, che continuava a guardarlo: quando aveva deciso di fermarsi, non si era nemmeno accorto di quella statua. Coperta com’era dalla neve, gli era sembrato un paletto, chissà cos’altro. Già, proprio come Harumi: l’aveva giudicata una stupida… ma lo stupido era lui, che non era riuscito a riconoscere né la statuetta coperta di neve, né la maschera dietro alla quale – per qualche motivo – quella bambina si nascondeva.

Hiroyuki attese che anche Gono se ne andasse prima di uscire dal suo nascondiglio: non era agile come Yu, e non aveva potuto avvicinarsi troppo ai due che parlavano, quindi molte parti del loro discorso gli erano sfuggite. Ma una cosa l’aveva capita: che le sue preoccupazioni su Harumi erano ben fondate. Che c’era un’ombra nel cuore dell’amica che non le stava dando pace.
Con passi stentati, stando attento a non scivolare sulla neve disfatta, si diresse verso l’entrata posteriore dell’edificio.
“Allora?” lo incalzò Mami, vedendolo rientrare, “Che cos’è successo? Sono tornati giusto adesso!”
Hiroyuki si tolse gli occhiali che, per l’escursione termica, si erano appannati. Mentre le si puliva, rifletté se fosse il caso di raccontare quello che aveva sentito. Era appena venuto a conoscenza di un grande segreto di Harumi… ma era venuto a conoscenza di questo spiandola. Non era stata lei a confidarglielo. E non gli pareva giusto mettere in piazza a quel modo una cosa che per lei era tanto importante.
“Scusatemi…” mentì, rimettendosi gli occhiali, “Ero troppo lontano e non ho sentito niente”
Mami e Yu fecero una faccia che era la maschera delle speranza infrante: “Ma come?!?” protestarono in coro.
“Eh… se mi fossi avvicinato mi avrebbero visto…” si giustificò lui arrossendo e sorridendo, “E poi… l’importante era vigilare che Gono non facesse del male ad Harumi, vero? E non l’ha fatto…”
Mami arrossì a sua volta, imbarazzata; in realtà anche lei avrebbe voluto sapere che cosa si fossero detti quei due, ma non voleva apparire impicciona: “Già… infatti! Beh, tanto meglio!”
Poi, girando sui tacchi, continuò: “Allora… se non sbaglio, abbiamo una partita di carte da finire…”
“Sì! E stavo vincendo io!” cinguettò Rui.
“Hiro, tu non vieni?” lo chiamò Yu, notando che l’amico era rimasto un po’ indietro.
“Sì… arrivo…” rispose quello. Poi, dopo aver lanciato un’ultima occhiata al cortile ormai deserto, seguì il suo gruppetto nella sala.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Hiroyuki non aveva fatto che osservare Harumi per tutti quei giorni. Non riusciva a capirla: se c’era qualcosa che la turbava tanto, perché se la teneva dentro a quel modo? Perché non si confidava? Né con lui, né con Mami o Rui, né con Yu… E poi c’era un’altra cosa. Il pensiero che Harumi avesse rivelato quella parte di sé solo a Gono lo riempiva di un sentimento che uno calmo come lui faceva fatica a riconoscere, ma che poteva essere chiamato rabbia. Sì, provava rabbia… Perché Gono? Gono che non aveva fatto altro che ignorarla o trattarla con arroganza… Erano loro i suoi amici, non lui! Forse non erano intelligenti come Gono, ma… ma qualcosa avrebbero potuto farla per aiutarla, no?
Ogni giorno, ogni mattina, in ogni momento Hiroyuki era in attesa; ma Harumi non sembrava cogliere le sue richieste mute. Era veramente incredibile come le riuscisse facile nascondere i suoi fantasmi agli occhi degli altri. Ogni tanto si accorgeva dello sguardo attento di Hiroyuki, ma si limitava a sorridergli, senza capire il perché di tanto interesse. Del resto, lei non sapeva che lui l’aveva ascoltata…
Ma c’erano altri due occhi che, con maggiore discrezioni, cercava di carpire il segreto che nascondeva nell’animo quella bambina: Gono non capiva. Non sapeva che cosa ci fosse a monte di una scelta come la sua: nascondere volontariamente una vuotezza interiore soffocante per mostrarsi agli altri serena e felice. Un comportamento simile, una simile finzione che altro poteva fare se non aumentare ancora di più la propria sofferenza? Per quanto si sforzasse, Gono non riusciva a capire. Sapeva solo che tutte le spiegazioni, le motivazioni che riusciva a elaborare non erano giuste. La scelta di Harumi era talmente illogica che non era possibile trovarne razionalmente una giustificazione.

“Ehy, e questo? Non te l’avevo mai visto addosso!” disse Mami, prendendo con delicatezza in mano un piccolo crocifisso dorato che pendeva dal collo di Harumi.
“Ehy, fra poco comincia la lezione! Lasciala andare al suo posto, Mami!” la rimproverò Yu. Ogni mattina quella doveva perdersi in chiacchiere…
“Non vedo la madre superiora…” rispose acidamente lei, “Quando entrerà in classe smetterò di parlare!”
“Che bello!” commentò Rui, ammirando il luccichio dell’oggetto, “E com’è piccolo!”
“Sì… è piccolissimo! Le suore ne hanno uno più grande al collo!” commentò Mami.
“Forse è perché il loro non è fatto d’oro…” aggiunse sarcastico Yu e Rui, prima che Mami potesse rispondere qualunque cosa: “Sarà perché è così piccolino che non l’abbiamo mai notato!”
“No…” ripose Harumi sorridendo, “È che lo tengo sempre sotto ai vestiti. Ho paura che mi si impigli da qualche parte e di perderlo…”
“Beh, ti capisco… sarebbe un peccato! Anche se è piccolo deve valere molto!” commentò con aria saccente Mami.
“Sì, vale molto per me…” spiegò Harumi, intristendosi un po’, “Io l’ho… beh…”. Si fermò un attimo e poi riprese con tono ancora più mesto: “Me l’ha dato mio padre.”
Hiroyuki, che fino a quel momento se n’era rimasto in silenzio a guardare la scenetta con aria distratta, si fece più attento: forse la chiave per capire lo strano comportamento di Harumi era legata a suo padre… in effetti, Harumi aveva raccontato molte volte a loro, incitata da Rui, di come viveva prima… ma di suo padre non aveva mai detto una parola. Era la prima volta che ne accennava.
“Oh… capisco…” osservò Mami, lasciando andare il crocifisso. Poi sospirò, guardandola con aria desiderante: “Beata te che hai un ricordo simile dei tuoi genitori…”
Harumi arrossì un po’, ma rispose con studiata disinvoltura: “Sì, è una fortuna! Ma devo stare molto attenta! Piccolo com’è, se lo perdessi chissà se poi riuscirei a ritrovarlo!”
“Se hai tanta paura di perderlo, perché non lo tieni in camera?” le chiese una voce alle loro spalle.
Tutti e cinque si girarono sorpresi: Gono! Da quando in qua ascoltava le chiacchiere mattutine dei suoi compagni? E soprattutto, da quando in qua si degnava di prendervi parte?
Ignorando gli altri quattro, che continuavano a guardarlo a bocca aperta, il bambino continuò a rivolgersi ad Harumi, col suo solito tono scostante: “A portarlo in giro, le probabilità di perderlo sono molte. Non sarebbe più sicuro se lo lasciassi tra le tue cose?”
Lei lo fissò attentamente. Poi, con la sua solita gentilezza, rispose: “Sì, è vero. Ma io ho bisogno di averlo sempre con me.”
“Uno come te non può capire certe cose!” lo liquidò freddamente Mami, dandogli le spalle e spostandosi in modo da “chiudere fuori” Gono dalla conversazione. Poi, a mezza voce, brontolò: “Ma guarda un po’ se deve fare il saccentone anche su questo! Proprio lui che ha il cuore di pietra, che ne capisce di cosa sia la mancanza di una persona?”
Harumi abbassò gli occhi. Hiroyuki strinse i pugni, nascosti com’erano dal banco. Perché Harumi, invece di restarsene in silenzio, non diceva niente? Il bambino, da dietro ai suoi occhiali, aspettò invano che lei parlasse, ma ancora una volta le sue speranze rimasero insoddisfatte.
La porta si aprì e la madre superiora entrò nella stanza. Subito scattò un via vai dei bambini che, velocemente, tornarono ognuno al loro posto per cominciare la lezione. Hiroyuki, prima di sedersi, non resistette alla tentazione di voltarsi verso il fondo, verso Gono. L’altro se ne accorse e lo guardò col suo solito sguardo freddo e imperscrutabile. Messo a disagio da quegli occhi verdi, Hiroyuki si affrettò a sedersi al suo posto. In realtà non era tanto la freddezza di Gono ad averlo infastidito; quello che non riusciva a mandare giù era che Gono, e solo lui, fosse quello che – in quel momento – si trovava più vicino ad Harumi. Per quanto sembrasse assurdo era così. Nervosamente cominciò a mordicchiarsi le unghie, e lanciò una rapida occhiata alla sua vicina di banco, per poi riabbassare lo sguardo sul banco.
Lui era timido. Non era come Yu o Mami, che erano espansivi e non si facevano problemi a mettersi in mostra. Lui non era come loro, preferiva rimanere più in disparte. E da quella posizione aveva imparato bene ad osservare la gente: e prima, mentre Harumi e Gono parlavano, si era accorto di una cosa. Che, quando Harumi gli aveva risposto, Gono era riuscito a cogliere qualcosa in quella risposta. Qualcosa che a lui, invece, era sfuggito.
Gono: in quel momento era lui, solo lui la persona più vicina all’anima di Harumi.

Era passato qualche giorno da quella mattina. La lezione era finita e la madre superiora, come ogni giorno, stava richiudendo le tende prima di uscire dall'aula vuota. I bambini erano come al solito usciti a giocare in cortile, e già si sentivano i primi schiamazzi. Gono, come al solito, aveva preso le sue cose ed era scomparso nel corridoio, diretto probabilmente in biblioteca. Tutto regolare, insomma. Tutto come sempre.
Era esattamente la stessa cosa che stava pensando il bambino, allontanandosi lungo il corridoio verso le scale. Solo che lo stato d’animo che lo animava era ben più cupo rispetto a quello della donna.
Stava per svoltare l’angolo quando uno strano luccichio lo distrasse dai suoi pensieri. Gono si voltò in quella direzione: era stato solo un attimo, ora non lo vedeva più. Si avvicinò al punto da cui era partito lo sbarluccichio e lo osservò con attenzione, inginocchiandosi a terra per vederci meglio: un piccolo crocifisso dorato se ne stava abbandonato sul pavimento. Gono lo raccolse: era quello di Harumi. Si guardò bene intorno e notò poco più in là la catenina a cui era legato. Il gancio era rotto. Evidentemente Harumi non se n’era accorta, ma la catenina doveva esserlesi sfilata di dosso. E così aveva perso il suo prezioso tesoro.
Gono si rialzò e si mise in tasca crocifisso e catenina. D’istinto fece per tornare indietro, verso il cortile: Harumi se n’era uscita con gli altri, l’avrebbe trovata di certo fuori. Ma dopo qualche passo si fermò di botto. Un pensiero gli aveva attraversato il cervello: girò sui tacchi e riprese la strada verso la biblioteca. Non aveva intenzione di rubarle nulla: per quanto fosse scontroso e freddo, non era certo un ladro. Però, prima di riconsegnarle ciò che aveva perso, voleva verificare una cosa. Sarebbe stata la sua ricompensa per averglielo ritrovato.

“Harumi, Harumi!” la chiamò Rui, saltellandogli vicino.
“Cosa c’è?” ansimò ridendo la bambina, fermando la sua corsa. Avevano deciso di giocare a rincorrersi, ma stare dietro a Yu era sempre più dura! Quel bambino correva come il vento!
“Harumi, Naoko non ha mai visto la tua collana! Gliela puoi far vedere?” le chiese l’altra, guardandola con sguardo supplichevole.
“Rui, la smetti di trattare Harumi come un fenomeno da baraccone??” sbottò Mami, fermandosi accanto a loro a riprendere fiato, appoggiandosi le mani sulle ginocchia.
“Ehy! Io sono qua!” gridò Yu, incitando le due a riprendere la corsa.
“Ma va’ a quel paese…” brontolò Mami, senza neanche voltarsi.
“Yu, non ce la facciamo più a correre! Aspetta un momento che ci riprendiamo!” gli urlò Harumi, invitandolo con un gesto ad avvicinarsi.
“Allora? Gliela fai vedere? Dai…” la continuò a pregare Rui, infischiandosene del rimprovero di Mami.
“Va bene…” acconsentì Harumi, sedendosi a terra, esausta “Però valla a chiamare e falle venire qui… io non ho la forza di fare un altro passo…”
Rui scattò nella direzione da cui era venuta, mentre Yu le raggiungeva ancora fresco come una rosa.
“Ma come cavolo fai a correre tanto? Sei un bambino o un cavallo?” sbottò Mami, sedendosi a sua volta.
“Tsè… siete voi che siete delle pappemolli!” ribatté orgogliosamente lui, “Allenamento, mie care! Dovete fare allenamento se volete che…”
“Oddio!” esclamò Harumi, con voce agitatissima.
“Cosa c’è?” fece di scatto Mami, allarmata dal tono usato dall’amica.
Harumi non le rispose, ma continuò a tastarsi il collo. Poi, guardandola con aria sperduta, balbettò: “La catenina… l’ho persa…”

“Ma tu sei sicura di averla avuta sempre addosso?” le domandò ancora una volta Yu, con grande serietà. “Magari ieri sera l’hai tolta e stamattina non ti sei ricordata di rimettertela…” Harumi scosse la testa, continuando ad ispezionare ogni centimetro del cortile: “Non la tolgo mai, nemmeno per andare a dormire.”
“Non preoccuparti, Harumi! La ritroveremo di certo!” la rassicurò Mami, anche lei china a scrutare il terreno, “Con tutto quello che hai corso, può essere che ti si sia sganciata! Ma se ti è caduta qui, non ci sfuggirà!”
“Infatti! Rui ha avvisato anche tutti gli altri! Vedrai che qualcuno la vedrà di sicuro!” confermò Yu , “E Hiro è andato dentro a controllare che non ti sia caduta lì!”
“Non ha scampo!” scherzò l’altra, per tirare su di morale l’amica.
Harumi si alzò un attimo ad osservare i due, chini alla ricerca del crocifisso. Poi, con un sorriso triste, disse: “Grazie… non so come ringraziarvi…”
“E di cosa?” si schernì Yu, “Siamo amici, no?”
“Infatti! E poi te l’ha data, e quindi per te è importante!” aggiunse Mami, rivoltando qualche pietra per controllare che dietro non ci fosse nulla.
Harumi sentì una fitta nello stomaco a quelle parole; poi, tristemente, riprese la sua ricerca.
Tutti avevano fatto del loro meglio per trovarlo, ma del crocifisso non c’era nemmeno l’ombra. Avevano battuto in lungo e in largo il cortile, e anche l’aula, i corridoi, e tutti i posti dove Harumi ricordava di essere stata. Ma non c’era stato niente da fare. La collana sembrava essersi volatilizzata. Hiroyuki, Mami, Yu e Rui erano più che desolati: non avevano mai visto Harumi tanto giù di morale. Così avevano passato tutta la sera in sala a farle compagnia.
“Non è possibile…” continuava a scuotere la testa Mami, senza darsi pace, “Le cose non possono sparire…” “Non importa, Mami…” le disse piano Harumi, “Non ti devi tormentare così. È stata colpa mia. Avrei dovuto stare più attenta.”
“Sì… però… tu ci stai male…” protestò lei.
Harumi tenne la testa bassa e non rispose subito: “Aveva ragione Gono… avrei dovuto tenerla in camera mia… non portarla in giro.”
Hiroyuki si irrigidì leggermente a quelle parole, mentre Yu ribatté: “Non dire sciocchezze! Se per te era importante tenerla con te, hai fatto bene! Non potevi immaginare che sarebbe successo!”
“Questo stupido per una volta ha ragione!” confermò Mami, “Che senso avrebbe avuto tenere a quel modo un ricordo di tuo padre, se non potevi mai guardarlo?”
“Vi ricordate quello che è successo a Ryoichi?” disse Rui, timidamente, “Quando gli hanno regalato quei pattini?”
“Già! Aveva tanta paura di rovinarli che li ha tenuti nell’armadio per un anno! Poi, quando si è deciso ad usarli, si è accorto che il piede gli era cresciuto e non li poteva più mettere!” spiegò Mami.
“Comunque domani ricominciamo a cercare! Non ci sfuggirà un’altra volta, vedrai!” esclamò in tono battagliero Yu, cercando di essere ottimista.
Harumi sorrise con gratitudine, e poi si alzò dal divanetto in cui stava seduta: “Grazie… per tutto quello che avete fatto.”
“Domani si ricomincia, eh!” disse Mami, fingendo di rimboccarsi le maniche.
“Certo! Domani si ricomincia…” ripeté l’altra, cercando di mostrarsi allegra, se non altro per ricompensare gli sforzi che avevano fatto i suoi amici per aiutarla. Ma la realtà, nel suo cuore era molto diversa.
“Io sono un po’ stanca… non vi dispiace se vado a dormire?” chiese, cercando una scusa per potersi allontanare e stare un po’ da sola.
“No, figurati! Vai pure!” la rassicurò Yu.
“Buonanotte, Harumi!” la salutarono in coro Mami e Rui, mentre Hiroyuki si limitò a salutarla con un cenno della mano.
Quando la porta della sala fu finalmente richiusa, Harumi sospirò. Lentamente cominciò a incamminarsi verso le scale, diretta in camera sua. Ma a metà strada notò che c’era qualcuno che, appoggiato al muro, sembrava starla aspettando.
“Gono…” lo riconobbe.
“Se quello che hai perso era un ricordo di tuo padre, hai davvero uno strano modo di reagire…” esordì lui.
“Perché?” chiese Harumi, spiazzata.
“Beh… non hai pianto nemmeno un po’.” commentò Gono, aggiustandosi gli occhiali, “Sarebbe stata una cosa naturale… visto che sei tanto attaccata a quella collana.”
Harumi non rispose, ma abbassò lo sguardo come a riflettere sulle parole che le erano appena state dette. Gono fece una pausa e poi riprese: “Visto che te l’ha data tuo padre, dev’essere molto importante per te. Ma forse a tuo padre non eri tanto affezionata, è così?”
“No, non è così…” smentì lei, guardandolo con occhi turbati, “È solo che… non mi piace che gli altri mi vedano piangere. Tutto qui.”
“E ora come farai?” le chiese ancora lui.
Harumi lo guardò come se non avesse capito ciò che aveva detto.
“Hai detto che ne avevi bisogno…” spiegò Gono, immobile nella sua posizione.
Una strana luce passò negli occhi neri di Harumi; anche lei fece una pausa, sentendosi come un groppo in gola che non le permetteva di parlare. Alla fine sussurrò desolata: “Posso farcela… anche senza…”
Gono rimase ad osservarla nella penombra del corridoio, con la mano ferma nella tasca. Fu solo quando Harumi fece per proseguire la sua strada che si decise a dirglielo: “L’ho trovata io.”
“Cosa?” si voltò lei, piena di speranza e assieme di incredulità.
Gono si tolse di tasca la catenina e il crocifisso e glieli porse: “Ti si era rotto il gancio. L’ho trovata sul corridoio della classe, stamattina.”
Harumi prese il suo tesoro sentendosi gli occhi gonfiarsi di lacrime. Poi, ricacciandole indietro, guardò Gono: nel suo cuore sentiva sentimenti contrastanti. Da un lato gli era riconoscentissima per averle ritrovato la collana, ma dall’altro sentiva anche una gran rabbia. “Sapevi che la stavo cercando…” disse alla fine, cercando di controllare l’aggressività nella sua voce, “Perché non me l’hai portata subito?”
Il bambino abbassò gli occhi un istante, per poi piantarglieli in faccia: “Volevo avere una conferma. La conferma di aver capito giusto.”
“La conferma di cosa?” chiese Harumi.
“Non è per nostalgia che ti porti dietro quella collana, vero?” disse con tono tagliente Gono.
Harumi ebbe un lieve tremito a quelle parole, ma davanti agli occhi indagatori del bambino non riuscì a fingere: “No… non è per quello…”
“E allora perché dici che ne hai bisogno?” le chiese ancora lui.
“Perché… mi serve per ricordare dove ho sbagliato.” fu la breve e sofferta spiegazione che gli diede la bambina.
Gono aggrottò lievemente le sopracciglia: “Perché non la smetti di parlare in modo così enigmatico? Non puoi essere più chiara?”
Harumi lo scrutò a sua volta perplessa: “Gono… tu vuoi davvero starmi a sentire?”
Il bambino distolse per un attimo lo sguardo da lei. Poi, tenendolo fisso a terra, con un sussurro che però riuscì a riempire il silenzio del corridoio, rispose: “Sì.”

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Piccola intrusione! Volevo solo ringraziare Francy222, Jaly Chan e Speedlink! Per Speedlink: sono contenta che la mia storia possa toccarti così a fondo, anche se spero che la tua situazione, rispetto a quella di Harumi, sia migliore… beh, ad ogni modo, in questo capitolo si troveranno tutte le risposte! Per Jaly Chan: non preoccuparti, è stato un periodo di vacanze per tutti! L’importante, per me, è che continui a seguirmi! Ringrazio anche tutti quelli che leggono, ma li prego anche di spendere un minuto per lasciare un commento. So che può sembrare una sciocchezza, ma anche solo una frase di incoraggiamento è invece molto importanti per chi scrive! Buona lettura!

“Non so se ce la farò a spiegartelo, Gono…” esordì Harumi. Per quanto lui le avesse assicurato che nessuno si sarebbe sognato di entrare in biblioteca a quell’ora, e che quindi non correva nessun rischio di essere ascoltata da altri, per la bambina era molto difficile riuscire a parlare. “Non ho mai parlato a nessuno di questa cosa. E… e nemmeno io ho mai voluto affrontarla con chiarezza…”
Gono si limitò a guardarla senza dire una parola: la poca luce che rischiarava la stanza faceva brillare i suoi occhi al buio.
“Non credo che avrò molte difficoltà a capirti…” mormorò piano.
Harumi sospirò, e rimase qualche istante in silenzio, pensando a da dove poter cominciare; strinse con delicatezza la collanina che stava ancora tenendo in mano.
“Questo crocifisso… non è vero che me l’ha dato mio padre…” cominciò lei, tristemente.
“Non era suo?” le chiese Gono, “E di chi era?”
“No, era suo.” spiegò meglio Harumi, “Ma non me l’ha dato lui. Me lo sono preso da sola. Anche se… probabilmente… non è stato giusto.”
“Glielo hai rubato?” domandò il bambino, cercando di vederci chiaro.
“Se si può dire così, sì…” ammise con un sorrisetto amaro Harumi. Poi, dopo un sospiro, riuscì a sussurrare a fatica: “Era già morto quando gliel’ho preso.”
Gono rimase in silenzio qualche secondo: “Era comunque tuo padre…” disse poi, riflettendo, “Anche se fosse stato vivo, te l’avrebbe dato…”
Harumi si morse le labbra: “Me lo sarei meritato?…” chiese, rivolta più a se stessa che a lui; Gono non riusciva a vederla bene, ma poteva giurare che stesse facendo l’impossibile per trattenere le lacrime.
“Gono, lo sai che cosa è successo?” gli domandò a bruciapelo poi, dopo una lunga parentesi di silenzio.
Lui, spiazzato da quella richiesta improvvisa, tentennò: “Io… ho sentito che tuo padre è andato in rovina, e poi è morto…”
La bambina scosse la testa, mantenendo lo sguardo basso, fisso sulle sue mani intrecciate in grembo: “Credevo che l’avessi sentito… gli adulti ne parlano spesso, quando credono che io non senta. Sono sicura che anche le suore dell’orfanotrofio ne sono venute a conoscenza.”
“Di cosa? Che cosa sanno?” domandò Gono, non riuscendo a capire dove stesse andando a parare.
“Mi hanno fatto credere che mio padre fosse morto per il dolore di essere andato in rovina. Questa è stata la versione ufficiale. Ma in effetti, questa è solo una mezza verità. Un giorno ho ascoltato di nascosto dei signori che vedevo spesso venire a casa nostra. Erano due avvocati di mio padre, e c’era anche un prete con loro. Stavano parlando nel salotto. Il prete sosteneva di non poter seppellire mio padre in suolo sacro, per quello che aveva fatto. Il tono della discussione era molto alto, e allora non ho resistito e mi sono messa ad origliare.” iniziò Harumi, torcendosi le mani nervosamente, “So che non avrei dovuto farlo, ma volevo… volevo sapere perché non mi permettessero di vederlo. Mi dicevano che sarebbe stato troppo brutto, per una bambina, vedere certe cose. Ma anche questa era solo una mezza verità. Una verità apparente. Come lo è stata tutta la mia vita…”
“Che cosa significa ‘verità apparente’?” la incalzò Gono, “Perché non parli chiaramente?”
Harumi sorrise gelidamente, e sollevò i suoi occhi neri sul viso del ragazzo: “La malattia che ha ucciso mio padre, Gono, si chiama colpo di pistola alla tempia.”
Gono si sentì irrigidire, e per una manciata di secondi non riuscì a proferire parola: la cosa che lo aveva gelato, soprattutto, era stato il tono con cui Harumi gli aveva rivelato quel segreto così terribile. Un tono piatto e apparentemente tranquillo, ma ugualmente carico di un dolore sordo. Di più, di una rassegnazione alla prospettiva di soffrire per sempre.
“C…Che…” cercò di balbettare lui, per rompere il silenzio, ma Harumi riprese il discorso, riabbassando lo sguardo: “Mio padre si è suicidato. Per questo non volevano farmelo vedere. Certo, gli altri avevano ragione: se lo avessi visto, sarebbe stato un colpo troppo forte per me. Perché io non lo sapevo. Così come in parte era vero che ad ucciderlo erano state le preoccupazioni per la nostra rovina. Ma non nel senso che hanno voluto farmi credere. E solo allora mi sono… mi sono accorta…” fece una pausa per reprimere un singhiozzo che le era nato in gola, “… mi sono accorta di aver vissuto in una… bugia.”
“Una bugia?” ripeté incredulo Gono, ancora troppo sotto shock per ribattere in altro modo.
Harumi si prese ancora un po’ di tempo per calmarsi, e poi riprese: “Tu credi che sia un bene poter avere tutto quello che si desidera?”
“Beh… certo che lo è…” rispose l’altro.
“Anch’io pensavo così. Perché se la felicità è vedere i propri desideri realizzati, allora doveva essere un bene per forza. Ma forse… dipende da cosa si desidera… forse è veramente felice solo chi riesce a vedersi realizzare i desideri giusti…”
“Harumi…” la interruppe Gono, “Che cosa vuoi dirmi? Perché sposti il discorso così?”
“Non lo sto spostando… sto cercando di farti capire… e di capire meglio io stessa” spiegò lei, sempre a capo chino. Rifletté ancora per qualche secondo, poi continuò: “Io non ho mai sentito il bisogno di niente, perché fin da quando mi ricordo, ho sempre avuto tutto quello che volevo. Qualsiasi mio capriccio veniva accontentato. Qualsiasi mia richiesta, ascoltata. Per me, quello era essere felice. Non riuscivo a vedere nient’altro dietro a quella situazione. Non credevo nemmeno che ci fosse altro…”.
Harumi si rincantucciò di più sulla poltrona, portandosi le gambe al petto: “E così non mi sono resa conto del grande inganno in cui vivevo.”
Gono aggrottò le sopracciglia, meditabondo: “Inganno? Quale inganno? Non sai quanti altri bambini avrebbero fatto di tutto pur di essere al tuo posto?”
“Questo lo dici perché anche tu ti fermi solo all’apparenza. Come fanno tutte le persone. ” rispose irritata di getto Harumi, freddando l’obiezione dell’altro con un tono che Gono non le aveva mai sentito usare. “E come ho fatto anch’io.” aggiunse tristemente. “Guardavo tutte le belle cose che avevo e mi sentivo felice. Sentivo tutti i complimenti delle persone che mi circondavano, e mi sentivo amata. E così ho… ho finito per scambiare quella felicità per La Felicità, e quell’amore per L’Amore. Sicura che non mi sarebbe mai venuto a mancare nulla, ho sempre dato tutto per scontato. Non mi sono mai fatta domande, neanche per una volta. Né mai mi è venuto il dubbio che la realtà come la vedevo io fosse priva di profondità. Per me, i sorrisi che i soci d’affari di mio padre mi rivolgevano, erano veri sorrisi. Non mi… non mi ha mai sfiorato il pensiero che… sotto… potesse esserci altro.”
“E cosa è riuscito a farti cambiare idea, allora?” le chiese Gono, “L’essere diventata povera?”
“No. Cioè, anche quello. Il fatto è che… che a me è successo come se… come se, d’improvviso, qualcuno mi avesse tolto da davanti agli occhi il velo con cui erano coperti. È stato tutto così improvviso e… imprevedibile…” Harumi sospirò, concentrandosi per trovare le parole giuste. “Ed è stato in questo modo che ho cominciato a provare per la prima volta dei veri sentimenti. È stato allora che mi sono accorta di aver vissuto fino a quel momento solo in superficie… solo l’apparenza.”.
La bambina fece un appena accennato sorrisetto amaro: “Sai… sai qual è stato il primo sentimento che ho provato?”
“Il dolore?” azzardò Gono.
“No. La prima cosa che ho sperimentato è stata l’indifferenza. Fino a un giorno prima, tutti mi coprivano di regali e complimenti. Ma improvvisamente era come se non esistessi.”
“Quella gente non faceva i complimenti a te, ma al denaro di tuo padre…” commentò Gono, tagliente.
“Certo. Non era poi così difficile da capire, vero?” disse con amara ironia lei, “Eppure io… non credevo. Non pensavo fosse così.”
I due rimasero in silenzio per un po’, poi Harumi riprese: “La seconda cosa che ho imparato è stata la solitudine.” Ridistese le gambe sulla poltrona, cambiando posizione, ma sempre tenendo lo sguardo fisso nel vuoto: “Credo sia una conseguenza dell’indifferenza, vero? Visto che ero diventata povera, era anche inutile starmi vicino… visto che mio padre non avrebbe più potuto sborsare i suoi soldi. La servitù di casa, la tata che mi aveva cresciuta al posto di mia madre, tutte quelle persone non potevo più mantenerle, e sono state allontanate. Tutte le altre hanno ritenuto opportuno voltarmi le spalle. Se non lo avessero fatto, avrebbero rischiato di vedersi accollare la seccatura di dover badare a me.”
Gono abbassò gli occhi: era Harumi a parlare, ma quelle parole avrebbero potuto benissimo essere state dette da lui. Ad animare la bambina che gli stava di fronte erano gli stessi sentimenti di pessimismo e di cinica disillusione che aveva sempre provato.
“E infine… la terza cosa che ho provato è stata la sofferenza.” concluse lei, con un sospiro, “Perché ho capito che… che non ero una vittima. Io stavo e sto ancora pagando per la mia colpa… per il mio errore.”
Gono la guardò sprezzante: “Ma di che cosa stai parlando? Non è certo colpa tua se la gente è vuota ed egoista? Che cosa c’entri tu se gli altri credono che tutto gli sia dovuto, indipendentemente da quello che fanno? Di che errore parli? Hai fatto tu in modo che le persone credano di meritarsi tutto?”
Harumi lo guardò con gli occhi neri colmi di dolore, e poi – dopo averli riabbassati – rispose con voce rotta: “Gono… io ho fatto esattamente lo stesso.”
“Ma no!” protestò lui, spiazzato, “No, tu hai…”
“Io ho fatto esattamente lo stesso” ribadì fermamente Harumi, riprendendo il controllo.
Il bambino rimase a bocca aperta per qualche istante: stava riflettendo velocemente, cercando di capire il perché di quell’ultima uscita.
“Quando mi hanno detto che mio padre era morto, ho pianto tanto. Io gli volevo bene. Ma una delle cose che mi hanno detto subito i grandi è stato che.. che non era colpa di nessuno se era successo. Che Dio ci chiama a sé quando vuole, e noi non possiamo farci niente. Questo pensiero, in qualche modo, riusciva a darmi una certa… pace. Ma poi… ho scoperto che mio padre non era morto di malattia. Lui si era suicidato. Hai capito?”
“Sì, ho capito!” rispose lui, “Ma questo cosa cambia?”
“Perché si è ucciso, Gono?” chiese Harumi, non riuscendo più a trattenere le lacrime. Quella domanda, assieme allo spettacolo di Harumi, proprio Harumi, in lacrime tolse completamente le parole di bocca al bambino, che non riuscì a far altro che rimanere a guardarla impotente.
“Aveva perso tutto, è vero…” continuò lei, tra un singhiozzo e l’altro, “Ma… io… io gli ero rimasta! Aveva me… perché non sono stata abbastanza? A me non sarebbe importato di… di non avere più niente… ci avrei fatto l’abitudine… Io sarei rimasta con lui lo stesso… ma questo per lui… non era abbastanza…”
Harumi si girò verso il muro, e continuò a piangere per qualche minuto. Non avrebbe voluto farlo, ma era da troppo tempo che teneva nascoste quelle lacrime. Quando riuscì a calmarsi, in un certo senso si sentì meglio. Quel pianto non avrebbe risolto il suo problema, ma l’essersi sfogata, anche se per poco, le dava un po’ di sollievo.
Gono, dal canto suo, non aveva avuto il coraggio di fermarla: più volte aveva sentito l’impulso di fare qualcosa per lei, ma la sua mente – per quanto sveglia e pronta – non aveva potuto aiutarlo. Non era riuscito a pensare a nulla capace di consolarla. Anche se avrebbe voluto.
“Se mio padre ha preferito suicidarsi… significa che non mi amava. Allora…” riprese Harumi, con un sospiro, “…allora mi sono chiesta se io avessi fatto qualcosa di male. Se, in qualche modo, l’avessi offeso, o fatto arrabbiare… se mi fossi accorta di averlo deluso, allora per lo meno avrei capito perché avesse scelto così. E… ed è stato allora che ho capito che cosa avevo sbagliato.”
Harumi guardò con sguardo grave gli occhi verdi di Gono: “Io gli volevo bene. Ma non l’ho mai dimostrato, nemmeno una volta. Tutto quello che facevo era chiedergli nuove cose, nuovi capricci. Lo seguivo quando mi dicevano di farlo, ma non andavo mai a cercarlo io. Io… credevo che lui sarebbe sempre stato lì per me. Io…” si interruppe, fissando il vetro della finestra, che dava sul cortile ormai buio. “Io l’ho usato come tutti gli altri.” concluse con un soffio di voce.
“Harumi…” balbettò Gono, “La tua situazione è diversa… tu eri sua figlia…”
“Per questo, sarei stata giustificata?” domandò di rigetto lei, fissandolo con gli occhi neri ardenti. L’altro tentò di ribattere, ma dovette abbassare la testa: “No… nemmeno questo ti avrebbe giustificata…”
“Sono stata… egoista…” continuò Harumi, di nuovo con lo sguardo fisso nel vuoto, “…e… superba.”. Sospirò di nuovo e poi aggiunse: “…Crudele…sì, crudele…”
Harumi rimase a fissare la notte fuori dalla finestra, così presa dai suoi pensieri da dimenticarsi quasi della presenza di Gono nella stanza. Così sobbalzò quasi sorpresa quando quello le chiese: “Da come hai parlato, sembrerebbe quasi che tu consideri quello che ti è successo come una giusta punizione.”
Lei si voltò e non rispose. Gono era rimasto a lungo in silenzio a riflettere, ma ora continuò: “Quindi perché fingi?”
“Fingo?”
“Dal momento in cui sei arrivata in questo orfanotrofio hai recitato la parte della bambina felice e tutto sommato fortunata. Se il discorso che mi hai fatto è vero, se questi sono i veri sentimenti che provi, non li hai mai mostrati, neanche una volta.” spiegò meglio l’altro.
Harumi abbassò lo sguardo, ma questa sua remissività non fermò Gono, che riprese imperterrito: “Dici di aver vissuto nell’apparenza e di aver sbagliato, ma adesso stai facendo la stessa cosa.”.
Lei alzò lo sguardo e aprì la bocca come per dire qualcosa, ma le parole le morirono in gola. Gono rimase a guardarla, rendendosi conto di non aver mai guardato un altro a quel modo: il suo sguardo era severo e indagatore come sempre, ma anche pieno di tristezza. Un lato di sé tendeva a soffrire con Harumi ad ogni suo singhiozzo, mentre sentiva un’altra parte di sé, spaventosamente fredda, che aveva analizzato la situazione e non riusciva ad accettare l’incoerenza del suo discorso.
“Tu sei… la persona più bugiarda che io abbia mai conosciuto…” aggiunse a mezza voce Gono. Harumi trovò il coraggio di guardarlo negli occhi. La sua non era un’accusa: era una constatazione. E infatti, a dispetto delle parole, quella frase era stata pronunciata con un tono infinitamente triste. E quegli occhi verdi non mostravano né rabbia né ostilità: c’era solo una grandissima, sconfinata delusione. “Hai mentito prima e continui a farlo adesso. Dici di aver imparato la lezione, ma continui a nasconderti ancora. Dici di aver capito quanto faccia male l’apparenza, ma ti ci rifugi ancora.”
“Ma io…” tentò di protestare Harumi, ma Gono non la lasciò finire: “Tu hai mentito e menti a Yu, Mami e gli altri, alla madre superiora e alle altre suore, a me e perfino a te stessa. Sei convinta di aver capito il tuo errore, ma fai in modo che di te emerga solo l’apparenza. Sei una bugiarda. E quindi non c’è più motivo che io resti qui ad ascoltarti.”
Gono non aveva alzato la voce nemmeno per un attimo, ma il fiume gelido delle sue parole aveva congelato Harumi, lasciandola pietrificata. Nemmeno se si fosse alzato e le avesse dato uno schiaffo, o se si fosse messo a ridere di lei sarebbe riuscito a farle tanto male. Harumi rimase a guardarlo mentre si alzava e si allontanava. Avrebbe voluto poter ribattere, poterlo fermare, convincerlo a rimanere ancora a parlare con lei. Ma la sua mente era completamente vuota, e non poteva aiutarla. Si voltò verso la finestra, riempendosi gli occhi col buio della notte, ad aspettare il rumore della porta. Per un attimo sperò di non sentirlo, sperò che Gono ci ripensasse e restasse con lei. Ma, impietoso, lo scatto della serratura rimbombò nella stanza vuota, e Harumi si ritrovò completamente sola.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Salve a tutti! Volevo solo fare un piccolo appello: fra poco questa fan fiction finirà. Ho avuto lettori gentilissimi che mi hanno dedicato un po’ del loro tempo e che con i loro commenti mi hanno guidato e motivato. Non li ringrazierò mai abbastanza per questo. Ma purtroppo non sono stati tanti quelli che lo hanno fatto, e io ora, a un passo dalla fine, mi chiedo che cosa vi abbia lasciato questa storia. Vi è piaciuta? Non vi è piaciuta? E perché? L’avete trovata interessante, o ingenua, o noiosa o invece piacevole? Vi prego, fatemelo sapere. Lasciatemi un commento, anche brevissimo, non chiedo poemi! È solo per sapere che risultati ha portato questo mio lavoro. Vi chiedo solo qualche secondo di tempo: non è molto! Grazie in anticipo a chi esaudirà questo mio piccolo desiderio!

Capitolo 9

“Non è ancora salita…” concluse Mami, richiudendosi dietro le spalle la porta della camera di Hiroyuki. Dovevano stare attenti, loro quattro, a non fare troppo baccano. Come al solito, ogni loro riunione notturna avveniva con la paura di farsi scoprire dalla suora che, a turno, controllava che, durante la notte, tutto fosse in ordine.
Rui sbadigliò esausta e riappoggiò la testa sulla spalla di Yu, sedutole accanto: “Ma dobbiamo aspettare ancora?” domandò con gli occhi che le si chiudevano.
“Quando ci ha salutato, Harumi ha detto che sarebbe salita a dormire.. invece nel suo letto non c’è nessuno!” spiegò piano piano Mami, sedendosi sul letto.
“Senti, Mami… questi non sono affari nostri.” commentò Yu, stropicciandosi gli occhi. Mami, come al solito, era riuscita a convincere tutta la combriccola a riunirsi, ma quella volta lui non era molto d’accordo. E in più cascava dal sonno.
“Sciocchezze… lei è una nostra amica, quindi sono anche affari nostri.” ribattè lapidaria lei.
“Stai diventando troppo impicciona…” continuò Yu, scocciato.
“Sei tu che sei un cuore di pietra e non te ne frega niente degli altri!” lo aggredì l’altra.
“Non è che non me ne frega niente degli altri, è che questo tuo modo di fare è molto fastidioso! Piantala di giocare al detective! Ti stai comportando come una vecchia ficcanaso, Mami!” fece il bambino, aggrottando innervosito le sopracciglia, “Ci possono essere mille motivi diversi per cui Harumi ha deciso di cambiare idea e non andare a dormire, e non sta a noi controllarla o chiederle spiegazioni. Lei è libera di fare quello che le pare…”
“Andiamo a dormire…” li supplicò Rui, compiendo sforzi sovrumani per tenere aperte le palpebre.
“Certo, io me ne vado a letto.” concluse Yu, acconsentendo alla richiesta della bambina e alzandosi in piedi, “Ma guarda un po’ se sono costretto a rimanere sveglio per tormentare la gente e impicciarmi negli affari suoi! Vieni, Rui!” e detto questo, prese la mano dell’altra e cominciò a guidarla verso la porta.
“Non si tratta di impicciarsi… è solo che questo è l’unico modo che abbiamo per capirla…”
Yu si fermò e si voltò sorpreso. Hiroyuki, fino a quel momento, se n’era rimasto seduto e zitto, a testa bassa, senza dire una parola. E anche in quel momento, sebbene avesse parlato, non accennava minimamente ad alzare lo sguardo.
“Cosa vuoi dire?”
“Harumi non ci dice mai niente di sé. Non ci ha mai raccontato molto di quello che faceva prima, di com’era la sua vita… noi siamo stati vicino a lei da quando è arrivata, ma non sappiamo quasi niente di lei.” spiegò mestamente Hiroyuki.
“Questo cosa c’entra, Hiro? Può essere che ricordare il passato la faccia star male, tu che ne sai?” obiettò Yu, mentre Rui, ciondolante come un pendolo, gli si era praticamente addormentata addosso.
“Può essere che non voglia raccontarlo a noi…” insinuò l’altro, sempre a capo chino.
“Perché, l’ha raccontato ad altri? Non mi sembra…” ribatté il primo, deciso. A quelle parole, Hiroyuki sollevò appena lo sguardo. Mami notò una strana espressione sul suo viso, ma durò giusto un istante… e poi, con la penombra, non avrebbe nemmeno saputo dire se aveva visto davvero giusto.
Yu rimase fermo davanti alla porta a guardare gli altri due, aspettando eventuali repliche. Ma, visto che né Hiroyuki né Mami sembravano avere altro da dire, si esibì in un largo quanto ironico sorriso e disse: “Buonanotte!”. Poi si girò e uscì dalla porta, tirandosi dietro Rui che, come un automa, lo seguiva nel sonno.
Aveva appena fatto qualche metro quando sentì dei passi salire le scale del loro piano; bianco di spavento e lesto come un gatto, si rifiondò indietro, rifugiandosi nella stanza di Hiroyuki.
“Arriva qualcuno!” si giustificò davanti agli altri due, stupiti per il suo cambio di rotta.
Tutti e quattro rimasero in silenzio tombale, ascoltando col cuore in gola i passi avvicinarsi: se la suora di ronda avesse aperto la porta per controllare quella stanza e li avesse trovati svegli tutti insieme lì dentro, sarebbero stati guai grossi!…
Il legno cigolava piano sotto il peso del misterioso visitatore notturno: i suoi piedi si appoggiavano lievi sul pavimento, a ritmo regolare, con delicatezza. Ma erano troppo leggeri per essere quelli di un adulto…
“È Harumi?” sussurrò Mami. Hiroyuki prese coraggio e si avvicinò alla porta, socchiudendola quanto bastava per poter sbirciare sul corridoio.
“Harumi… sei… sei qui?” balbettò Hiroyuki, aprendo la porta per rivelarsi.
Gli altri tre attesero la risposta di lei, ma questa non venne. Forse si era limitata a fare qualche cenno.
“Noi, ehm… eravamo un po’ preoccupati…” continuò il bambino, cercando disperatamente di aggrapparsi a qualcosa da dire. “Ah, hai ritrovato la tua catenina… dov’era?”
Di nuovo dalla bambina non giunse risposta.
“Harumi… va tutto bene?” domandò allora lui. Anche se la domanda era piuttosto sciocca, a dire il vero: non aveva mai visto l’amica in quello stato. Faceva quasi paura.
“No.” disse finalmente lei, ma così piano che quasi non la si sentiva.
“V.. vuoi entrare? Sai, qui ci sono anche gli altri… se possiamo fare qualcosa per te, noi…”
Harumi rimase in silenzio per un po’; poi, sussurrando, fece: “Andate a dormire, Hiro… se la suora passa di qui e vi trova là dentro, finirete nei guai…”. Poi, senza aggiungere altro, si diresse verso la sua stanza. Incredulo, Hiroyuki rimase sbalordito a guardarla fino a che non sentì la porta chiudersi.
Nella stanza cadde un silenzio glaciale.
“Beh… io… vado a dormire…” balbettò Yu, cercando un pretesto per rompere la tensione che si era creata, “Vieni, Mami…”
La bambina si alzò senza dir nulla: entrambi erano molto scossi per il modo in cui Harumi li aveva trattati, ma la cosa li aveva spiazzati così tanto che non riuscivano a reagire. E probabilmente, la cosa migliore da fare era proprio andare a dormire.
“Buonanotte, Hiro…” lo salutò Yu. L’altro, fermo ancora davanti alla porta, non rispose nemmeno. Quando Mami richiuse piano la porta, l’altro aveva ancora sul volto la strana espressione che gli aveva visto addosso qualche tempo prima… e quegli occhi persi nel vuoto, quegli occhi di solito sempre timidi e gentili, parevano davvero animati da un sentimento che mai avevano ospitato prima…

“Hiro non l’ha presa troppo bene, vero?” sussurrò Yu a Mami, quando ormai erano arrivati davanti alla loro stanza. Rui, dal canto suo, era troppo intontita dal sonno per capire cosa stesse succedendo. “Zitto, fai chiasso!” lo fece tacere lei. In realtà, la paura di farsi scoprire a quel punto era solo una scusa: la verità era che in quel momento nemmeno lei aveva voglia di parlare.
Aprirono piano la porta e si intrufolarono come ladri all’interno. La camera era buia, per cui non si accorsero subito che qualcun altro, là dentro, era ancora sveglio.
“La finirete mai di girovagare per i corridoi? Un giorno o l’altro vi scopriranno, e magari metterete nei guai anche me…” li rimproverò piano una voce.
Sia Mami che Yu sobbalzarono, voltandosi terrei nella direzione da cui proveniva.
“Gono?!” balbettò impaurito Yu, portandosi d’istinto una mano al cuore, come per frenare il suo battito.
“Sei matto? Vuoi farci prendere un colpo??” lo aggredì Mami, sedendosi sconvolta sul suo letto.
“Vedete di piantarla, invece…” continuò severamente l’altro, infilandosi sotto le coperte.
“Parla per te…” ribatté Yu, “Anche tu sei appena rientrato, no? Predichi bene e razzoli male!”
Gono abbassò lo sguardo e non rispose niente. Anzi, si distese e si coprì bene con le coperte, troncando di netto ogni possibile conversazione.

“Non te la senti proprio di scendere, Harumi?” le chiese piano la madre superiora, in tono carezzevole.
“No… se è possibile…” rispose lei, con un filo di voce che appena riusciva a sentirsi.
La donna esitò ancora qualche istante e poi, senza fare rumore, riaccompagnò la porta per chiuderla. Harumi si rincantucciò ancora di più tra le coperte, cercando di abbandonarsi a quel sonno liberatore che sembrava non volere arrivare più.

Hiroyuki si voltò per l’ennesima volta verso il banco accanto al suo, ancora vuoto. Harumi non era scesa nemmeno per la colazione, quella mattina. E lui, dalla sera precedente, non aveva ancora detto una parola. Mami, Yu e Rui lo guardarono preoccupati: non avevano mai visto quel ragazzo solitamente così tranquillo, timido e gentile comportarsi in quel modo. Sembrava essere roso da qualcosa. E i suoi occhi sempre sereni e buoni erano adombrati da una velo di risentimento che davvero non sapevano come spiegarsi.
Hiroyuki se n’era accorto, ed era proprio per evitare le occhiate turbate e impensierite dei tre che quella mattina aveva deciso di sedersi immediatamente al suo posto, ignorandoli completamente. Loro non potevano sapere che cosa si agitasse nel suo cuore.
Per tutta la notte non aveva fatto altro che rigirarsi nel letto, senza trovare pace: quella domanda era diventata il suo chiodo fisso, e lo tormentava. Perché Gono sì e loro no? Era perché erano meno intelligenti di lui? Era perché Harumi li considerava incapaci, perché non si fidava di loro? Oppure era semplicemente perché non li considerava suoi amici? Ogni volta che si ripeteva quegli interrogativi sentiva una fitta allo stomaco, mentre gli saliva la voglia di piangere: dal primo momento che l’aveva vista, era rimasto letteralmente affascinato da lei. Una bambina tanto bella e intelligente… e si era dimostrata da subito gentile verso di lui. Verso di lui che era imbranato, timido e impacciato in tutto quello che faceva. Le aveva voluto bene fin dall’inizio, dal primo sorriso che si erano scambiati si era reso conto che avrebbe fatto qualunque cosa pur di poter diventare suo amico. E quando aveva creduto di esserci riuscito, gli era parso di aver toccato il cielo con un dito. Ma non era così. A un amico non ci si nega come aveva fatto lei la sera precedente. Non si nasconde il proprio cuore ad un vero amico…
Hiroyuki si strinse ancora di più la testa tra le mani, per non mostrare agli altri la sua espressione; era tanto concentrato nei suoi pensieri che quasi non si accorse dei passi che stavano sopraggiungendo alle sue spalle. Gono lo superò senza neanche calcolarlo, dirigendosi verso il cestino accanto alla porta; Hiroyuki si mise a fissarlo mentre quello temperava la sua matita.
Sapeva bene che Gono non c’entrava niente, che non aveva certo qualche colpa… ma non riusciva davvero a sopportare che fosse proprio lui l’unico lì dentro ad aver potuto conoscere la verità di Harumi. Per quanto questo stupisse lui stesso, provava una terribile, fortissima gelosia nei suoi confronti. Il solo vederlo riusciva a fargli crescere nell’animo una rabbia che mai, prima, aveva provato per qualcun altro.
Che cosa aveva fatto lui per meritarsi quell’onore? Non l’aveva mai calcolata, l’aveva sempre ignorata con freddezza, e anche in seguito il suo atteggiamento verso di lei non era cambiato di molto. Non aveva mai dimostrato la minima volontà di aiutarla, mentre lui e gli altri sì, mille volte! Anche quando aveva perso la sua catenina, Gono si era forse degnato di cercarla? Neanche per idea! Mentre loro avevano perso l’intera giornata a cercare.
“Sei stata ingiusta, Harumi…” pensò, abbassando lo sguardo sul suo banco.
Gono soffiò sulla punta della matita per eliminare gli ultimi trucioli, e poi – impassibile com’era venuto – si affrettò a tornare al suo posto. Hiroyuki rialzò appena la testa, quel tanto che bastava per osservarlo senza farsi troppo notare. E fu così che vide. In realtà fu una cosa tanto veloce che probabilmente nessuno se ne sarebbe accorto. O forse era sembrato a lui, perché era troppo roso dalla gelosia… ma Gono aveva esitato davanti al banco di Harumi. Aveva esitato e in quell’istante brevissimo nei suoi occhi verdi era passata una luce, un’espressione che Hiroyuki giudicò subito inequivocabile. Anche Gono la stava cercando. Anche lui in quel secondo aveva mostrato con gli occhi tutta la preoccupazione che serbava nel cuore per Harumi. La preoccupazione di un amico. E fu questo a farlo scattare.
“Smettila di guardare quel banco!” urlò Hiroyuki fuori di sé, balzando in piedi e lanciando lanciandogli un’occhiata fulminante.
L’intera classe piombò nel silenzio più assoluto: tutti si erano bloccati, allibiti per la reazione di Hiroyuki. Anche Gono era rimasto pietrificato davanti a quell’assalto, e continuava a fissarlo quasi senza capire se quelle parole fossero riferite effettivamente a lui.
Hiroyuki continuò a guardarlo con occhi di fuoco; si sentiva la faccia in fiamme, tanto si era innervosito. Gono, al contrario, era pallidissimo, ma la sua espressione non tradiva il turbamento che di certo lo aveva colto almeno per un attimo. Abbassò rapidamente gli occhi verdi, e poi li riposò sul volto del bambino: avevano di nuovo assunto la solita espressione distaccata. Senza dire una sola sillaba, Gono riprese a camminare verso il suo banco, vi si sedette e, come se niente fosse, tirò fuori un libro e si mise a leggerlo.
La madre superiora scelse proprio quel momento per entrare in classe e si stupì molto nel ritrovarsi davanti a quello strano spettacolo: invece del solito cicaleccio mattutino al quale i suoi bambini l’avevano abituata, nella classe regnava il più assoluto silenzio. Hiroyuki se ne stava in piedi, davanti al suo banco, con aria tiratissima a guardare il vuoto, mentre tutti gli altri avevano dipinta in volto una espressione talmente sbigottita e frastornata da sembrare caricature di se stessi.
“Buongiorno…” li salutò perplessa, “Ma che cosa succede oggi?”
Nessuno aprì bocca. L’unico risultato di quelle sue parole fu quello di far sedere Hiroyuki, senza comunque riuscire a sbloccarlo da quella specie di trance che pareva averlo preso.
La donna non riusciva a capire, ma a quanto sembrava si doveva essere accumulata un sacco di tensione in sua assenza, e probabilmente l’inizio delle lezioni avrebbe potuto stemperarla. Per cui si affrettò a salire in cattedra e a cominciare.
Una manina si levò in alto, aspettando di essere interpellata.
“Sì, Rui? Cosa c’è?” la chiamò la suora, col gesso ancora in mano.
La bambina esitò un istante, guardando prima Hiroyuki e poi Mami che le stava accanto.
“Ecco… volevo sapere…” tentennò ancora. Poi, spinta dagli sguardi d’incoraggiamento di Mami e Yu, continuò: “…Volevo sapere dov’è Harumi, madre…”
La donna si voltò e prese a scrivere la data sulla lavagna. “In camera sua.” Spiegò, “Per oggi non verrà. E adesso cominciamo la lezione.”

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

“Hiro…” lo chiamò timidamente Yu alla fine delle lezioni. Anche Mami e Rui l’avevano seguito, ma non avevano trovato il coraggio di chiamarlo. La sfuriata che aveva avuto il loro compagno appena qualche ora prima li aveva lasciati completamente spiazzati.
Il bambino non si voltò nemmeno: “Sì?” rispose con tono tanto sommesso da non essere quasi percepibile.
“Senti… ti va di parlare un po’?” gli chiese l’altro, sempre esitante.
Hiroyuki si appoggiò alla sedia, inclinando un po’ la testa da un lato: “Va bene…” acconsentì alla fine, ma senza dar segno di esserne troppo entusiasta.
“Ehm…” esordì Mami, stranamente timida, “…Perché hai… cioè, insomma… Cosa…?”
“Perché ho aggredito Gono a quel modo?” la anticipò Hiroyuki, leggermente infastidito dagli imbarazzanti tentennamenti dell’altra.
Mami arrossì un po’, ma confermò ugualmente: “Sì... insomma, che ti è preso? Lo sappiamo che Gono è irritante, ma stavolta che ti aveva fatto?”
“Lasciate perdere…” rispose lui, con un vago gesto della mano.
“Lasciate perdere?? Ma che dici? In tutti questi anni che ti conosco non ti ho mai visto non dico gridare, ma neanche arrabbiarti!” scattò Yu, a metà tra il preoccupato e l’offeso, “Avanti, parla! Che ti ha fatto, eh?” “Che mi ha fatto chi?” domandò Hiroyuki senza riuscire a capire.
“Ma Gono, no?” chiarì Rui, guardandolo con gli occhi grandi e preoccupati, “Deve averti fatto qualcosa per forza, se no tu non avresti mai gridato! Io lo so!”
Hiroyuki sospirò: “Gono non mi ha fatto proprio niente, invece… Anzi, immagino dovrò andare a scusarmi con lui…” “Sciocchezze! È impossibile! Tu non avresti mai perso la testa per niente! Credi che non ti conosciamo?” lo rimbeccò Mami.
“Non devi avere paura a dircelo!” lo incoraggiò Yu, ma a queste parole Hiroyuki si mise a ridere: “Già… siamo amici, no?”
I tre si lanciarono un’occhiata preoccupata: stava forse impazzendo?
“Certo che lo siamo…” gli rispose Mami.
Hiroyuki rimase in silenzio ancora per un po’: stava decidendo se era arrivato il momento di spiegare anche a loro il motivo di tutto quel suo turbamento.
“D’accordo… adesso vi dirò tutto.” Concluse alla fine “Io so come trattare i miei amici… Io lo so…”

Gono richiuse la porta della stanza senza riuscire a capire: la madre superiora aveva detto che Harumi era rimasta nella sua stanza, ma là non c’era nessuno. La serratura scattò, ma il bambino non accennava ancora a togliere la mano dalla maniglia. In realtà stava riflettendo velocemente: se non era nella sua stanza, dove poteva essere? Con pochi passi veloci raggiunse la finestra che stava in fondo al corridoio e ci guardò attraverso: in cortile non c’era. Gono lo controllò attentissimamente con i suoi occhi verdi, ma davvero non c’era. Con un sospiro si decise ad andarsene: se Harumi si fosse allontanata con l’intenzione di stare via poco, sarebbe già tornata. Era da un po’ che la aspettava, ma non si era fatto vivo nessuno.
Sempre rimuginando scese le scale, diretto alla biblioteca. Quello era il posto migliore per pensare. Aveva quasi sceso tutta la rampa quando si ricordò di aver dimenticato in camera sua un libro che aveva preso di nascosto. Le suore non volevano che i volumi uscissero dalla biblioteca, ma a volte, stando molto attento, se ne portava qualcuno in camera, per poterli leggere durante la notte, quando la biblioteca ovviamente era chiusa. Finora non si erano mai accorte di niente, anche perché lui era sempre stato molto cauto; ma lasciare troppo a lungo i libri incriminati nella camera, benchè ben nascosto, avrebbe potuto diventare rischioso.
Senza pensarci due volte, Gono invertì la rotta e risalì le scale: meglio evitare di mettersi nei guai.
E poi quello era senz’altro il momento migliore per restituire il maltolto: gli altri bambini giocavano nel cortile e le suore erano troppo impegnate a badare a loro per accorgersi di lui. Con un sorrisetto aprì la maniglia della porta della sua camera. Sarebbe stato come al solito un giochetto da…
“Non credevo si potessero portare via…” gli disse piano Harumi mentre, seduta sul suo letto, teneva in mano il libro che era venuto a riprendere. Gono sbatté tanto d’occhi: cosa ci faceva lì? Lo stupore fu tale che stavolta non riuscì a fare niente per nasconderlo. Per cui, infastidito e imbarazzato per quella sua debolezza, tentò di dissimulare la causa di tanto sconcerto: “Come hai fatto a trovarlo? L’avevo nascosto bene!”
Harumi gli sorrise appena: “L’hai fatta tu quella nicchia sul muro?” gli chiese, indicando il punto esatto del suo nascondiglio.
“No… l’ho trovata così…” confessò lui. Era stata una piacevole sorpresa: una mattina, mentre riordinava, aveva per sbaglio urtato la parete spingendoci contro troppo forte il comodino e così, come il meccanismo di una trappola, si era aperta quella fessura. Il muro, in quel punto, era ricoperto da sottili assi di legno.
Probabilmente qualcuno, prima di lui, era riuscito a staccarne una e a ricavarci un piccolo buco in cui nascondere i propri segreti. Lui non aveva segreti da nascondere lì dentro, ma l’aveva trovato un ottimo posto dove tenere i libri che si portava via dalla biblioteca.
“Quando sono entrata, l’asse era caduta…” spiegò Harumi, “Si vede che qualcuno, stamattina, deve averla fatta scattare… Beh, comunque è meglio se lo riporti…”
“Infatti ero venuto qui per questo…” disse lui, avvicindandolesi per prendere il libro che gli stava porgendo “Tu, piuttosto… che cosa sei venuta a fare qui?”
Harumi lo guardò senza dire niente.
“Credevo che mi avessi detto tutto…” continuò Gono, fissandola con gli occhi verdi severi.
“Sono successe delle novità…” spiegò lei, quasi distrattamente.
“Ah sì?” fece il bambino, “E sarebbero?”
“Fra pochi giorni me ne andrò di qui.”
Queste ultime parole vennero pronunciate dalla bambina col solito tono di sempre, per qualche strano motivo Gono le sentì come una doccia fredda, come punte acuminate che lo ferivano.
“Stamattina la madre superiora è venuta a dirmelo. Verrò adottata. Dopodomani o forse il giorno dopo ancora i miei nuovi genitori verranno a portarmi via.” Continuò Harumi, guardando a terra.
Gono rimase impalato a guardarla, come stordito: “Beh… beata te… sei stata fortunata…”
Harumi assunse un’espressione poco convinta: “Io avrei preferito restare qui…”
“Stai scherzando? Come puoi preferire l’idea di restare ad ammuffire qua dentro alla possibilità di andartene e iniziare una nuova vita?” sbottò lui, sentendosi quasi offeso per la sua ultima uscita.
“Tu non ti trovi bene qua…” sussurrò lei.
“No, per niente! Odio questo posto, e se solo mi capitasse l’occasione per…”
“Solo perché tu la pensi così credi che tutti ragionino allo stesso modo?” lo interruppe lei.
A Gono morirono le parole in gola: Harumi aveva un modo di dire le cose così semplice e secco, a volte, che era capace di spiazzare.
“Non voglio andare via. Qui mi sento bene… qui io… mi sento amata, protetta…” riprese a spiegare la bambina. Dopo un sospiro, continuò, cercando le parole giuste: “Io ho pensato molto a quello che mi hai detto ieri…”
“Pensavo fosse per quello che non ti sei presentata stamattina…” disse Gono.
“No… anche per quello…” lo corresse lei, “Non sono venuta perché la notizia che fra poco dovrò andarmene è arrivata troppo in fretta.”
Sospirò piano di nuovo e poi riprese il discorso da dove si era interrotta: “Tu avevi ragione, sai? È vero, io ho continuato a fingere anche qui. Mi sono chiesta perché l’avessi fatto. E sai cosa mi sono risposta?”
“No…” fece Gono.
“L’ho fatto perché avevo paura di non riuscire a piacere. Avevo paura di rimanere ancora una volta indifferente, di non riuscire ad amare… né ad essere amata. Per cui ho cercato di mostrare il lato migliore che riuscivo a creare di me. Mi dicevo, se sorriderò sempre, mi accetteranno… se sarò gentile, disponibile, non mi lasceranno in disparte. E vedendo che gli altri ricambiavano i miei sorrisi, proprio adesso che non avevo nient’altro da offrire loro, ho pensato di avere imparato come si fa a volere bene agli altri. Ma mi sbagliavo di nuovo… se tu non me lo avessi detto, non me ne sarei mai accorta. E forse, un domani, avrei perso tutto di nuovo…”
Gono si sedette accanto a lei. Non sapeva cosa dirle, ma sentiva che era giusto starle vicino.
“Se potessi rimanere qui… imparerei come si fa…” sussurrò Harumi, sollevando appena la testa.
“Non si può imparare ad amare. E non si può imparare come farsi accettare dagli altri.” Le rispose lui, con gentile decisione. Harumi si voltò verso di lui, cercando di capire.
“Non è una cosa che dipende da noi… sono gli altri che devono decidere se volerci bene oppure no. Ma non è giusto ingannarli come hai fatto tu, perché finiranno per amare una persona che non esiste. E quando la vera Harumi avrà bisogno di loro, loro non potranno aiutarla, perché non la riconosceranno.” Continuò lui brevemente. Non era bravo a parlare di quelle cose: l’amore e la ricerca dell’affetto degli altri non erano certo gli argomenti su cui rifletteva più spesso. Ma anche lui si era posto certe domande…
Harumi rimase in silenzio per un po’, riflettendo su quello che lui aveva appena detto: “È giusto.” Disse alla fine.
“Se vuoi essere accettata veramente dagli altri, per quello che sei, devi anche rivelarti per quello che sei.” Spiegò ancora il bambino, mentre l’altra accanto a lui annuiva.
“È vero.” Disse piano Harumi.
“Se hai capito, allora è tutto a posto.”
“Ma se non piacerò?”
Gono la fissò con il suo solito sguardo: “Potrà succedere. Ma quel rifiuto sarà un rifiuto vero. Non avrai più attorno a te falsità o adulazione. Avrai solo sincerità. E non è questo che cerchi? Sentimenti sinceri?”
Harumi abbassò di nuovo lo sguardo: “Sì… sincerità. Come la tua…”
Gono arrossì e si girò dall’altra parte: non se ne era accorto, davvero, non se ne era proprio reso conto. Ma mai prima d’ora aveva parlato a qualcun altro col cuore in mano come aveva fatto con Harumi.
“Io… devo andare in biblioteca…” balbettò, cercando una scusa per cavarsi d’impaccio. Odiava trovarsi in quelle situazioni imbarazzanti, non sapeva come gestirle. Per cui, senza nemmeno guardare la bambina che gli stava ancora seduta accanto, con un piccolo balzo scese dal letto e si diresse verso la porta.

Harumi lo seguì con lo sguardo mentre usciva. Per quanto riguardava lei, non era ancora ora di tornare nella sua stanza. C’era ancora una cosa che doveva fare, prima.
Quattro persone, più di tutti, le avevano sempre dimostrato calore e affetto. Ma lei non aveva permesso loro di vedere la Harumi che stava in profondità. A quel punto, a costo di perderli, voleva che sapessero la verità su tutto. Aveva ancora così troppo poco tempo da passare con loro… se se ne doveva andare, voleva farlo senza rimorsi.
Mentre aspettava che Yu, Mami, Rui e Hiroyuki salissero in camera, la bambina estrasse di tasca la catenina d’oro che aveva perso appena il giorno prima. Con un sorriso ci giocò per qualche istante, e poi si alzò. Cercò sulla parete la zona esatta dove aveva scoperto la nicchia segreta e la aprì; poi, ci mise dentro la collanina e la richiuse.
Quello sarebbe stato il suo ringraziamento.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


CAPITOLO 11

“Avete scritto? Avete scritto tutti?” si assicurò la madre superiora, passeggiando per i banchi con il libro aperto in mano. Doveva sempre stare molto attenta quando faceva un dettato: la lentezza della lettura faceva spesso distrarre i bambini che finivano per perdersi a guardare fuori dalla finestra, invece di seguire le sue parole. E poi da qualche giorno, alcuni di loro sembravano particolarmente distratti.
“Mami! Hai fatto?” le domandò, notando che la bambina sembrava proprio avere la testa persa nei suoi pensieri. Sentendosi chiamare quella trasalì appena e si affrettò ad annuire vistosamente.
“D’accordo… andiamo avanti.” Disse sospirando la donna, e riabbassando gli occhi sul libro continuò lentamente: “…Il bambino si stupì di come le gemme ricoprissero l’albero, visto che la primavera era ancora lontana…”. Di nuovo sollevò lo sguardo sulla classe: “Yu! Hai scritto?” lo riprese, notando l’ennesimo sguardo distratto. Si avvicinò al suo banco: aveva scritto “giemme, la lbero, l’ontana”, ma aveva scritto.
“… ancora lontana, due punti.” proseguì la suora, scuotendo un po’ la testa, “Avete messo i due punti?”.
Alcuni annuirono, altri si limitarono a guardarla mentre, con le penne sospese a mezz’aria, attendevano il resto della frase. Altri ancora, come Rui ed Hiroyuki, probabilmente non si erano nemmeno accorti che aveva ripreso a dettare.
“Bambini, ma cosa vi prende oggi?”. Questa era la domanda che probabilmente avrebbe fatto se non si fosse accorta in tempo della direzione che avevano preso i loro sguardi. Un banco vuoto in prima fila.
Ah, ma certo. Era chiaro. Era quello il problema.
Un velo di preoccupazione passò sul suo viso; di botto chiuse il libro, e – tornando verso la cattedra – si inventò lì per lì una frase per concludere: “… scrivete… scrivete ‘tutto quello era molto strano, punto.’ Poi portatemi i fogli, va bene? Mentre io correggerò i dettati, potete disegnare.”
I bambini si guardarono un po’ stupiti per il brusco modo con cui la suora aveva messo fine al compito, ma il loro stupore lasciò presto il posto alla felicità di aver finito di sudare. Per cui si affrettarono a fare quello che la madre superiora aveva detto, e in quattro e quattr’otto si era formata una piuttosto instabile torre di fogli su un angolo della cattedra.
La donna prese il primo della pila e se lo pose sotto gli occhi, fingendo di esaminarlo. In realtà aveva interrotto il dettato perché voleva poter riflettere. Sollevò lo sguardo per controllare che i bambini fossero intenti a disegnare: il leggero brusio che accompagnava ogni lezione di artistica la tranquillizzò, e le permise di riconcentrarsi sulla questione.
Aveva sottovalutato l’impatto che la notizia della partenza di Harumi avrebbe avuto sui bambini. Sapeva che tutti le volevano bene, e che alcuni di loro si erano affezionati molto a lei. Ma non era mai successo che chi era rimasto soffrisse così per la partenza di un altro. Da quando se n’era andata, Mami, Hiroyuki, Rui e Yu erano sempre distratti, sfuggenti. Non giocavano più come prima, ma se ne stavano tutto il giorno chiusi nella sala di ricreazione, in un angolo. All’inizio aveva creduto si trattasse di nostalgia.
“Non dovete essere tristi!” aveva detto loro una volta, per consolarli, “So che vi eravate affezionati a lei, ma Harumi non è andata alla gogna! Ha avuto una grande fortuna, ha trovato un nuovo papà e una nuova mamma! Dovreste essere felici per lei, non credete?”
I quattro, che come al solito si erano rifugiati in un angolo della sala ricreatoria, l’avevano guardata annuendo piano. Ma se la loro intenzione era dirle di sì, i loro sguardi facevano capire tutt’altro. C’era qualcosa che non volevano dirle, ma che li faceva stare male. E lei non sapeva cosa fare per aiutarli…
Decise che ne avrebbe parlato anche con le altre sorelle dell’orfanotrofio; magari loro ne sapevano più di lei… e poi non avrebbe potuto ritardare all’infinito la correzione dei dettati!
Si concentrò su quello che aveva preso per primo: il nome, ordinatamente segnato in alto, era quello di Cho Gono.
La donna si lasciò sfuggire un sorrisetto: e così il destino non voleva proprio che lei cambiasse argomento!
Gono aveva reagito in modo strano… ma, trattandosi di lui, aveva imparato da tempo a non stupirsi più delle sue uscite. Quando aveva annunciato alla classe che Harumi se ne sarebbe andata, era rimasto indifferente come sempre. Era quasi come se lo sapesse già. E probabilmente era così… l’aveva capito, ormai, che lui e Harumi si erano parlati a lungo, in quegli ultimi giorni. Per quello, in effetti, era stato un vero peccato che la bambina se ne fosse andata: era la prima volta, da quando lo conosceva, che Gono permetteva a qualcun altro di avvicinarglisi così. Ed era la prima volta che dimostrava interesse verso un’altra persona.
Non aveva avuto coraggio di chiedergli che cosa si fossero detti; e anche se l’avesse avuto, sicuramente lui le avrebbe risposto che non erano affari suoi, e avrebbe avuto ragione.
La madre superiora alzò la testa e guardò il banco in fondo alla classe, dove una testolina scura chinata nascondeva quegli occhi verdi capaci di espressioni tanto adulte: perché aveva reagito così? Era perché non gliene importava niente davvero? Oppure era perché aveva capito che per Harumi era meglio così?

“Hai voglia di giocare?” chiese Mami a Yu, indicandogli con lo sguardo un mazzo di carte.
“No… magari dopo…” le rispose lui, sistemandosi meglio nella poltrona della sala giochi. Hiroyuki e Rui erano come sempre accanto a loro. Il primo era intento a leggere un libro, mentre l’altra se ne stava seduta a terra e, con un pastello, tracciava di malavoglia delle linee su un foglio.
“Forse la madre ha ragione… dovremmo smetterla di pensarci…” fece Yu, cominciando a dondolare nervosamente le gambe avanti e indietro.
Mami alzò le spalle: “Non ci riesco… mi sento tremendamente in colpa…”
Hiroyuki sospirò e si riassestò gli occhiali.
“Abbiamo detto molte cose cattive…” commentò Rui senza girarsi, continuando a segnare di colore la carta.
Nessuno degli altri tre aveva la voglia né le parole per continuare, ma la memoria di tutti loro tornò indietro di qualche giorno, quando salendo in camera si erano ritrovati Harumi ad aspettarli.
Erano infuriati. Hiroyuki aveva raccontato tutto quello che sapeva: del fatto che lei facesse finta di essere com’era, del fatto che avesse raccontato tutto a Gono e a loro no… Si sentivano traditi e imbrogliati. Si sentivano furiosi e allo stesso tempo addolorati. Era stato con quello stato d’animo che erano entrati in camera. Ed era stato con quello stato d’animo che l’avevano aggredita appena l’avevano vista.
Non credevano nemmeno loro di essere stati in grado di trovare parole capaci di fare tanto male… e si erano ritrovati quasi sorpresi nel rendersi conto che stavano provando soddisfazione a dirgliele, che stavano scegliendo apposta le frasi peggiori per il gusto di colpirla. Volevano sfogarsi su di lei, lei che era la causa del loro turbamento.
Ognuno di loro aveva dato il peggio di sé: Mami urlava, Rui piangeva accusandola, Yu le aveva lanciato frecciatine al veleno, Hiroyuki si era rifiutato perfino di guardarla in faccia.
Poi, quando il loro uragano si era sfogato, aveva parlato Harumi.
Era strano. Non aveva alzato la voce, non aveva ribattuto a nessuna delle cattiverie che aveva ricevuto. Aveva fatto un lungo discorso, un discorso che in partenza avevano deciso di non ascoltare nemmeno, ma che alla fine non erano stati in grado di ignorare.
E quando Harumi ebbe finito di parlare, tutti e quattro si sentirono degli enormi stupidi.
Se li aveva tenuti all’oscuro di tutto, non era perché li considerava meno intelligenti di Gono, o perché non si fidasse di loro. Era perché loro per primi in tutta la sua vita le avevano dimostrato calore… un calore che temeva di perdere raccontando loro la verità. Perché chi poteva voler bene ad una persona egoista e falsa come aveva capito di essere lei?
“Però ci ha perdonati…” mormorò Mami, interrompendo la lunga fase di silenzio che era seguita alle parole di Rui.
“Questo ti fa sentire meno un verme?” le chiese Yu.
“No… ma mi fa sentire meglio il pensiero che non ce l’ha con noi.”
Quel giorno erano rimasti tanto colpiti dalle parole di Harumi che non erano nemmeno stati in grado di scusarsi per averla aggredita. Era stata lei a precederli e a spiegare che li capiva, che era stata lei a sbagliare per prima, che non aveva capito che a degli amici si può e si deve parlare sempre con sincerità.
“Tanto… non la rivedremo più. Non sapremo mai più niente di lei…” si intromise Hiroyuki, girando lentamente pagina.
Gli altri tre chinarono il capo depressi. Era quello che li tormentava più di tutto. Il pensiero che, ora che finalmente la amicizia tra loro e Harumi aveva preso il via definitivo, ora che sapevano come aiutarla, tutto era finito. Finalmente l’ostacolo del silenzio era crollato, ma se n’era frapposto un altro, altrettanto odioso e doloroso: la distanza.

“Gono, vieni un attimo…” lo chiamò la madre superiora, trovandolo tanto per cambiare in biblioteca.
Il bambino sollevò la testa dal volume che aveva in grembo e la fissò stupito: da quando la donna aveva sul volto un sorriso così largo? Fino a poche ore prima sembrava di tutt’altro stato d’animo…
“E poi sarei io lo strano…” pensò, scivolando giù dalla poltrona e seguendo la donna fuori dalla stanza.

Ormai era sera, e i quattro bambini si accingevano a terminare un’altra giornata all’insegna della malinconia e del rimorso.
“Dobbiamo andare a prepararci per la cena…” fece Rui.
“Tanto non ho fame…” borbottò Yu, dando segno di non aver voglia di alzarsi.
“Neanch’io…” disse a sua volta Mami.
“E io neppure…” esclamò Hiroyuki.
“Allora cosa facciamo, restiamo qui?” domandò Rui, incrociando le braccia.
Gli altri stavano per risponderle, quando sentirono che qualcuno aveva aperto la porta. Gono comparve sulla soglia e, tranquillamente, si diresse verso di loro.
Hiroyuki arrossì e si voltò dall’altra parte: si vergognava ancora troppo per quella scenata che gli aveva fatto. Ogni volta che ci ripensava si sentiva più idiota… non sarebbe più riuscito a guardare Gono negli occhi.
“Sei venuto a chiamarci per la cena? Dì alla madre che non abbiamo fame…” gli disse Yu, cercando di indovinare il motivo della sua visita. Ma Gono non lo degnò di attenzione, e si piazzò piuttosto davanti a Hiroyuki.
Non aspettò che l’altro si decidesse a voltarsi e a guardarlo. Con la sua solita espressione neutra in volto, si tolse dalla tasca una lettera e gliela porse.
Hiroyuki mosse la testa appena per capire che cosa gli stesse tendendo.
“È di Harumi. È arrivata oggi.” si limitò a dire Gono.
Il bambino rimase imbambolato a guardare la busta, quasi senza crederci. Poi, lentamente quasi che un movimento affrettato avrebbe potuto farla scomparire come nei sogni, la prese con mano tremante. La rigirò per leggere il mittente. Era vero. Era di Harumi!
Gli altri tre balzarono in piedi e si misero tutti attorno a lui per poter guardare a loro volta.
“Che aspetti, Hiro?! Aprila! Vediamo che ci ha scritto!”
“Ma è per noi? È davvero per noi?”
“Ma certo, stupida, non vedi a chi è indirizzata?”
“Dai, Hiro, apri, apri, apri!”
Come stordito da tutto quello che stava succedendo, il bambino strappò la busta e spiegò per bene il foglio che vi era contenuto. Mentre procedeva a questa operazione, Gono si voltò e senza tante cerimonie ritornò sui suoi passi. Prima che fosse giunto alla porta, Hiroyuki lo chiamò: “Gono!”
Lui si fermò: “Sì?”
L’altro si sentì avvampare in faccia, ma continuò deciso: “Anche tu ne hai ricevuta una?”
Gono sembrò esitare per un attimo: evidentemente, pensò Hiroyuki, ricordava ancora la scenata che gli aveva fatto in classe.
“Sì…” confermò semplicemente, voltandosi verso di lui.
Hiroyuki annuì e, incredibilmente, si ritrovò a guardare dritto in quegli occhi verdi, quegli occhi che mai aveva avuto il coraggio di sostenere: “È giusto così…” disse alla fine.
Gono rimase fermo a guardarlo; poi si voltò di nuovo e uscì dalla porta. Hiroyuki non aveva imparato a conoscerlo bene. Ma gli era come sembrato che, nell’espressione fredda del compagno, fosse passato quasi un sorriso.

“Harumi, ti ho aggiustato il gancetto!” disse il suo nuovo papà entrando in camera sua. Era un signore alto e gentile, e aveva la faccia simpatica perché si ostinava a portare degli strani baffetti.
La bambina gli sorrise e tese la mano per prendere la collanina.
“No, aspetta, te la lego io!” si offrì l’uomo, “Così vediamo se tiene, no?”
“Va bene!” acconsentì lei, sollevando i capelli in modo che non impicciassero l’operazione.
“È molto bella… sei stata fortunata ad averla ritrovata!” commentò lui, mentre chiudeva con attenzione la catenina al quale era legato un piccolo crocifisso.
“Non l’ho ritrovata io! È stato uno dei bambini dell’orfanotrofio!” precisò Harumi.
“Allora sei stata due volte fortunata! La prima perché hai trovato la collana, la seconda perché hai trovato un vero amico! Dev’esserlo senz’altro, se è stato così onesto da rendertela!”
Lei sorrise e non disse niente.
Prese la piccola croce tra le dita e ripensò a quando se l’era ritrovata in camera, appoggiata sopra la valigia, proprio la sera prima della partenza. Accanto a quella c’era un biglietto non firmato, ma non era necessario che lo fosse. Sapeva benissimo chi l’aveva scritto.
“Fino ad oggi, questa croce ti ha ricordato un errore. Da oggi in poi, voglio che ti ricordi un amico.”


E un giovanetto domandò: Parlaci dell’Amicizia.
Ed egli rispose dicendo:
Il vostro amico è il vostro bisogno saziato.
È il vostro campo che seminate con amore e mietete con più riconoscenza.
È la vostra mensa e la vostra dimora.
Poi che, affamati, vi rifugiate in lui e lo cercate per la vostra pace.

Se l’amico vi confida il suo pensiero, non nascondetegli il vostro, sia rifiuto o consenso.
Quando lui tace, il vostro cuore non smette di ascoltare il suo cuore;
poi che nell’amicizia ogni pensiero, desiderio, speranza nasce in silenzio e si divide con inesprimibile gioia.
Se vi separate dall’amico, non provate dolore;
poi che la sua assenza può schiarirvi ciò che è più in lui amate, come allo scalatore la montagna è più chiara dal piano.
E non vi sia nell’amicizia altro intento che scavarsi nello spirito, a vicenda.
Poi che l’amore che non cerca soltanto lo schiudersi del proprio mistero, non è amore, ma il breve lancio di una rete in cui si afferra solo ciò che è vano.

La parte migliore sia per il vostro amico.
Se egli dovrà conoscere il riflusso della vostra marea, fate che ne conosca anche il flusso.
Quale amico è il vostro, per cercarlo nelle ore di morte?
Cercatelo sempre nelle ore di vita.
Poi che egli può colmare ogni bisogno, ma non il vostro nulla.
E dividetevi i piaceri, sorridendo, nella dolcezza amica.
Poi che nella rugiada delle piccole cose il cuore scopre il suo mattino e si conforta.


(Kahlil Gibran)

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Capitolo 12
*** Postfazione ***


Odiavo l’idea di aggiungermi da sola una recensione per rispondere a chi aveva commentato, per cui ho pensato di far seguire alla storia un nuovo “capitolo” che capitolo in realtà non è, piuttosto una postfazione in cui vorrei rispondere a chi ha tanto gentilmente commentato. Tanto per farvi capire che, se non vi interessa, non vi perdete niente… ^^;

Inizio rispondendo a Hisoka:
Gestire il personaggio di Harumi è stato molto più difficile di quanto mi fossi immaginata, è verissimo. Me ne sono accorta subito, dai tempi – appunto – di Fanfiction.it (anch’io sono abbastanza depressa, ma mi dicono che non è morto, che sta per risorgere, anche se ci mette molto più dei canonici tre giorni ;P).
All’inizio giustamente mi era stato fatto notare da te e anche da altre persone che la stavo facendo troppo perfettina. Era vero. Al tempo non avevo ancora la storia molto chiara in testa, pensavo di farle accadere qualcosa di “pesante” durante il suo soggiorno al collegio, ma non sapevo ancora cosa. Poi, riflettendoci, ho pensato che se il problema era la sua troppa “perfezione”, l’avrei potuto risolvere facendo diventare la sua perfezione qualcosa non di innato, ma di calcolato. A questo punto, la faccenda del suicidio del padre e della conseguente autoanalisi si è scritta da sé. E così avevo umanizzato Harumi e l’avevo “salvata” dalla banalità del personaggio solare, perfetto e impeccabile. Ma per tappare il buco da una parte, dovevo lasciarne uno aperto dall’altra: tu dici bene, Harumi non parla da bambina. Il fatto è che Harumi doveva aver capito cosa era successo, doveva esserne consapevole al 100%, altrimenti non avrebbe pensato di mascherarsi, di nascondersi. Ma nello scegliere di renderla consapevole del suo trauma, ho dovuto per forza anche scegliere di farla maturare prima del tempo. Quello che intendo, è che la mia è stata una scelta mirata. Harumi e Gono vanno d’accordo proprio perché sono uguali. Tutti e due hanno in comune questo fatto, di aver perso l’innocenza dell’infanzia, di essere bambini che già ragionano da adulti.
E qui entrano in gioco anche Mami, Yu e gli altri. Originariamente avevo pensato di usarli come spalle, giusto per il primo capitolo. Mi piaceva l’idea che l’arrivo di Harumi fosse descritto da altri. Poi ho notato che avevano più successo della stessa Harumi, perché risultavano più spontanei, e allora li ho mantenuti. E quando ho fatto la scelta di rendere Harumi “più grande” ho cercato di metterle accanto i quattro proprio per segnare questa differenza. In Rui, ad esempio, ho cercato di rendere il carattere fanciullesco più marcato, perché è la più piccola. Hiroyuki, invece, doveva essere il più maturo dei quattro. Ma non parla né si comporta come Gono o Harumi proprio perché lui sì ragiona da bambino.
Questo era quello che volevo fare, ma in fin dei conti, mi sono accorta di non esserci riuscita. Per Gono, come dici tu, il problema non si poneva, perché è la stessa Minekura che lo dipinge così freddo e “innaturale”. Mia mancanza, invece, è stata quella di non aver saputo spiegare bene che lo stesso vale per Harumi. Lo dico perché non sei l’unica ad avermi fatto notare che Harumi parla troppo da adulta. Il problema, quindi, non è tanto che io mi sia immedesimata troppo in lei (in realtà la “maschera” che usavo io era quello della madre superiora, che osservava i bambini senza interferire con loro più di tanto), è piuttosto che non ho saputo chiarire questo aspetto di Harumi. Errore mio, ma come si dice, sbagliando si impara!
Grazie comunque per la recensione attenta e precisa! È anche grazie all’attenzione di gente come te che ho potuto alla fine avere una visione obiettiva di quello che ho scritto, cosa che è fondamentale per chi cerca di migliorarsi!

Per Speedlink:
In realtà Gibran lo conoscevo io! ^^! Quella poesia è stata alla base di tutto. Leggendola mi è nata l’idea per la fan fiction, per cui ho pensato di aggiungerla a conclusione della storia.
Ti ringrazio per i complimenti che hai fatto: la tua proposta non può che lusingarmi. Questa era una fan fiction molto psicologica (quasi esclusivamente psicologica, visto che l’unica cosa che accade è l’arrivo e la partenza di Harumi), che quindi si giocava principalmente sui caratteri dei personaggi. Se ti sono piaciuti, vuol dire che l’obiettivo che mi ero preposta è stato raggiunto. Non ho proprio beccato il centro del bersaglio, per i motivi esposti qui sopra, ma l’ho preso e ne sono felice. Detto questo, ti rispondo brevemente: difficilmente credo che scriverò un seguito, e il perché è legato a colui che è il protagonista della vicenda, cioè Gono. Ho letto nel forum del sito molti topic che riguardavano discussioni su quanto sia legittimo modificare un personaggio quando si scrive una fan fiction. Io sono dell’idea che sarebbe giusto evitare gli OOC: è un buon esercizio cercare di afferrare la psicologia dei vari personaggi e farli muovere di conseguenza.
Gono, in Saiyuki, è un personaggio estremamente cupo: sempre taciturno, sempre ombroso, pessimista e cinico. Non si fida di nessuno e non crede in niente, almeno fino a che non incontra Kanan, e da quel momento la sua visione della vita cambia. Ma bisogna aspettare Kanan, appunto. Io ho già creato, con la mia fan fiction, un’interferenza notevole nella natura di Gono: l’ho fatto avvicinare ad una persona “prima del tempo”. Ma per limitare l’influenza che questo rapporto avrebbe avuto su di lui, ho fatto in modo che lui e questa persona riuscissero appena appena a sfiorarsi, nulla di più. Capisci cosa intendo dire? Dev’essere Kanan la persona che farà cambiare Gono. Ma se scrivessi un sequel della storia, non sarebbe più così. Perché sarebbe Harumi a prendere il posto di Kanan. È il problema di aver ambientato la vicenda nel passato del personaggio anziché nel suo futuro. Normalmente si tende a cogliere un momento X del viaggio di Sanzo e compagni, e far succedere le cose da lì in poi. Così si è liberi di procedere un po’ come più pare. Io ho le mani legate, perché è già stabilito che cosa succederà in seguito a Gono. E non posso interferire.
Facendo un seguito andrei troppo contro il mio gusto, e non verrebbe certo fuori una bella storia. Per cui non credo lo farò. Resta il fatto che mi ha fatto molto piacere che tu me l’abbia proposto! ^^ Davvero!

Mi riservo la possibilità di modificare questo capitolo nel caso arrivino altre recensioni!
Grazie a tutti quelli che mi hanno seguito!
Ashura
24 settembre

E’ stata una bella sorpresa trovare tutte quelle recensioni! Non perdo tempo e rispondo subito.

Per Francy: Grazie per aver commentato anche tu e grazie per le cose che hai scritto. Non possono che farmi un gran piacere! Mi incuriosisce molto la proposta che mi hai fatto, e senz’altro al più presto ti manderò una mail!

Per Speedlink:
Caspita! Senza togliere niente agli altri che hanno recensito (sono molto contenta di aver ricevuto osservazioni sempre intelligenti e attente), senz’altro il tuo è stato il commento più approfondito che abbia mai ricevuto! E visto che dentro ci hai messo non solo un punto di vista competente, ma anche motivazioni più che fondate, non devi proprio aver paura che mi sia offesa! Non ci riuscirei nemmeno se volessi farlo apposta!
Veniamo al punto: come ti ho già spiegato, trovo molto difficile creare un seguito di “Gono”, e non mi va di rischiare di scrivere qualcosa di così così. Preferisco voltare pagina direttamente e scrivere una nuova storia. Il tuo discorso sulla verticale del ruolo e sull’esplosione, però, può tornarmi utile ugualmente, e mi ha molto interessato. Anch’io amo il teatro (anche se non lo pratico… comunque avrei dovuto sospettarlo che eri un “animale” di spettacolo dai molti riferimenti nella tua fan fiction! ;D) e mi affascina sia come manifestazione culturale sia come metodo di narrazione. Io non ho fatto corsi di scrittura, sto cercando di imparare facendomi le ossa da sola, e quindi simili spiegazioni sono manna dal cielo per me!
Vediamo se ho capito quello che volevi dirmi (immagino che questo discorso, tra l’altro, possa essere utile anche ad altri autori, quindi è di interesse comune e invito chi sia capitato qui a seguirlo): in una narrazione (che sia teatrale o letteraria) i personaggi devono partire da una “verticale di ruolo”, cioè devono avere delle caratteristiche che li distinguono. Ma, giustamente, senza un’esplosione (cioè un avvenimento) non ci potrebbe essere una storia, ci sarebbero solo personaggi “immobili”, giusto? L’avvenimento è la storia in sé, e interagisce coi personaggi facendoli “cambiare”. Se è una storia lunga, poi, ci saranno più “esplosioni”, se invece è una storia breve, ne basta anche una. Ho capito giusto? Essendo ignorante in cose di teatro te lo chiedo, perché non vorrei aver preso fischi per fiaschi!
Comunque: tu dici che il problema della mia storia è che questa “esplosione” non interagisce a sufficienza con i personaggi. Cioè c’è l’avvenimento, ma dopo questo il personaggio non assume una “nuova verticale”, bensì si cristallizza nuovamente in quella che aveva prima, per cui l’esplosione non ha effetto. Spero di aver capito correttamente il tuo punto di vista.
Dopo che ho letto il tuo commento, quindi, mi sono messa a riflettere sulla storia. Il problema per me era fondamentalmente il tempo, sia nella sua dimensione reale (cioè il tempo vero e proprio che ci impiegavo per finire la storia) sia nella sua dimensione “letteraria” (cioè il tempo della fan fiction, quello che passa per i personaggi insomma). Non cambiando praticamente mai la scena, mi rendevo conto che tirare troppo per le lunghe la storia avrebbe finito per renderla noiosa. Insomma, un libro di avventure qua e là per il mondo, tra giungle e deserti, montagne e paludi può durare tranquillamente anche 50 capitoli senza annoiare mai il lettore, ma una storia che si concentra in un solo posto (fra l’altro neanche tanto vitale o allegro, essendo un orfanotrofio) rischiava di risultare pesante se ci mettevo troppi capitoli. E inoltre, siccome appunto volevo che il rapporto tra Harumi e Gono fosse una “toccata e fuga”, qualcosa di estremamente effimero, non potevo permettermi di far scorrere troppo tempo narrativo. Le cose dovevano succedere subito, e subito finire, altrimenti questo sfiorarsi tra i due non avrebbe potuto esserci. Alla fine, quindi, mi sono accorta di essermi cacciata da sola in un bel problema. Dovevo essere rapida ma ugualmente esauriente. Ci ho provato e, evidentemente, non ci sono riuscita come avrei voluto. Giustamente tu, da lettore, mi fai notare che la fine non ti lascia completamente soddisfatto secondo il punto di vista della “maturazione” (ripeto, sempre che io abbia interpretato bene quello che hai scritto).
Io allora, da autrice, cerco di spiegarti quello che avevo in mente di fare: la “verticale” di partenza è quella che hai già analizzato tu. Gono parte chiuso e cupo, Harumi parte bella, intelligente ecc., Yu parte bulletto, Hiroyuki timido e riflessivo ecc. Poi, per ogni personaggio avrebbe dovuto esserci la sua “esplosione”: per Gono è la visione del ritratto che gli ha fatto Harumi (da quel momento capisce che lei ha qualcosa di strano e cambia, cioè invece di disinteressarsi degli altri come sempre, tenta di capirla); per Hiroyuki è lo spiare Harumi e Gono che parlano (da lì anche lui intuisce che Harumi ha un segreto, ma da quel punto comincia anche a provare invidia verso Gono e risentimento verso Harumi). Per Harumi l’esplosione avrebbe dovuto essere la perdita del crocifisso e la conseguente “confessione” a Gono (perché da lì smette di nascondere la verità e comincia a capire in che modo deve affrontare gli errori se vuole veramente non farne più). Discorso un po’ diverso per Mami, Yu e Rui: per le ragioni di tempo di cui sopra, non potevo sviluppare tutti i personaggi in modo completo, per cui ho “sacrificato” un po’ di più loro. La loro esplosione è limitata, e avviene quando Hiroyuki racconta loro il segreto di Harumi e quando poi la stessa Harumi si spiega. Praticamente gli ultimi capitoli. E così passano dall’essere amici “per finta” (perché non conoscevano davvero Harumi) all’esserlo per davvero (dopo che hanno sentito la verità).
Questo avrebbe dovuto essere lo schema. Io non conoscevo quella storia delle verticali e delle esplosioni che mi hai detto tu, ma da lettrice (e spettatrice) evidentemente l’avevo interiorizzata e per istinto, nell’ideare la trama, ne ho tenuto conto. Solo che non la devo aver descritto come Dio comanda, lasciandoti quindi una sensazione di incompletezza. Ho dato la precedenza alla sintesi (per questo, ad esempio, nell’ultimo capitolo ho voluto riprendere il discorso da quando Harumi era già partita, per non dover aggiungere il momento del chiarimento, il momento dell’addio ecc.) a discapito dell’approfondimento. Tu mi fai notare che non hai sentito il cambiamento di Harumi, né di Gono. Per quanto riguarda Harumi è vero, ma perché ho voluto terminare la storia prima di far vedere come è effettivamente cambiata (volevo lasciare intuire che, ora che Gono le aveva spiegato come fare, avrebbe seguito la via giusta, ma senza mostrarlo esplicitamente). Per Gono, invece, avevo tentato di mostrare “l’Hakkai” che c’è in lui, ma forse sono stata troppo ermetica: a questo dovevano servire comportamenti come il cercare Harumi, l’ascoltare la sua storia, il preoccuparsi per lei quando non è in classe, il consigliarla e – alla fine – il “sorriso” che concede a Hiroyuki quando gli porta la lettera. Probabilmente, per la paura di sbilanciarmi troppo e dar vita ad un Gono troppo espansivo, ho tirato troppo la cinghia e ne ha risentito la chiarezza.
Beh, questa è la mia spiegazione al tuo interessantissimo commento. Ti ringrazio perché mi hai permesso di riflettere ancora una volta sulla storia e di individuare altri punti su cui in futuro potrò lavorare meglio! Grazie quindi per avermi fatto crescere, e invito ovviamente chiunque altro a farlo! ;)
Ashura

26 settembre

Sono contenta che anche ora che la storia è finita i commenti continuino ad arrivare!
Ecco la risposta per Chibichan
Ho capito quello che intendevi dire, tranquilla! E sono felice perché una delle cose che volevo appunto trasmettere era quello strano sentimento che, in effetti, non è facile definire.
Ad ogni modo, perché ho scelto di chiamare la storia Gono? Ci sono più motivi: il primo, il più banale, è che coi titoli non ho mai avuto molta fantasia… intitolare una storia come uno dei personaggi è una scappatoia facile e il risultato è piuttosto onorevole.
Il secondo è più “commerciale”: usando il nome di Gono nel titolo, il lettore poteva già intuire che cosa aspettarsi. Era più facile per me, quindi, “venderla”: se a qualcuno piaceva Saiyuki (o direttamente, se gli piaceva Gono), ho pensato sarebbe stato molto facile che si fermasse a dare un’occhiata. Se l’avessi intitolata “Harumi”, sarei riuscita ad attirare, probabilmente, molta meno gente.
Il terzo è il motivo letterario: anche se la protagonista risulta essere Harumi, ho elaborato la storia partendo proprio da Gono. Nella creazione della trama, tutto è partito da lui. Insomma, un giorno mi sono chiesta: che cosa sarebbe successo se Gono, da bambino, avesse incontrato una persona come Kanan? E allora, di conseguenza, ho creato Harumi. Harumi è un personaggio nato per analizzare Gono, anche se alla fine la storia sembra accentrata su di lei. In realtà, infatti, alla fine anche Gono cambia e cresce. Questo almeno era quello che volevo raccontare. Sotto a questo punto di vista, non era giusto togliere a Gono l’onore del titolo. Infondo la storia era nata per merito suo, per cui la scelta mi è venuta naturale!
Spero di averti risposto!
Grazie ancora per aver lasciato il tuo commento!
Ashura

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