L'Arte dei sogni

di Glasscompass
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lo scenario ***
Capitolo 2: *** Il Pittore ***
Capitolo 3: *** Un' ombra qualsiasi ***
Capitolo 4: *** Lo spartito bruciato ***
Capitolo 5: *** A due passi dal risveglio ***



Capitolo 1
*** Lo scenario ***


Alle spalle un villaggio arso vivo dalle fiamme

Alle spalle un villaggio arso vivo dalle fiamme. Nel mentre, la luna argentava placidamente un sentiero acciottolato.

Un’ombra scura e immobile si stagliava nella notte, avvolta dal calore delle fiamme. Tra il villaggio e il sentiero era come se esistesse un confine immaginario.

Sentiva che intraprendere quella strada avrebbe comportato grandi cambiamenti o forse solo grandi grane.

Fino ad allora nessun abitante del piccolo borgo di Bruma aveva mai osato pensare che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe dovuto dirgli un arrivederci, senza ritorno. Quel giorno sarebbe nato di lì a poco, sulla linea dell’orizzonte.

Tutti gli sforzi compiuti dai brumani, per far sì che l'amata cittadella potesse essere un piccolo giardino felice, erano andati letteralmente in fumo.

L’ombra infine si decise e mosse il primo passo.

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Capitolo 2
*** Il Pittore ***


Immerso in una radura di salici stava Picto

Immerso in una radura di salici stava Picto. Era ancora assonnato, ma l’ispirazione era stata talmente repentina, bruciante a dir poco, che non aveva resistito e si era cacciato a forza fuori dal letto. Aveva imparato che l’ispirazione andava seguita in qualunque luogo o momento. Il giovane pittore si era difatti trovato già più volte ad “inseguirla” mentre era a tavola, per esempio. Risolse la questione nel modo diplomatico che lo contraddistingueva. Con una mano reggeva la posata, mentre con l’altra in gesti rapidi e soavi faceva volare l’agile pennello sulla tela.

Ora il Vento Notturno si alzava dalla terra, con tutta la sua forza. L’elegante figura snella di Picto sfrecciava nel bosco senza alcuna difficoltà. Per lui, luce o buio non facevano la differenza e così si muoveva sicuro nei suoi passi leggeri. Persino il felino più dotato avrebbe potuto invidiare la sua capacità di schivare rami bassi o infide radici d’albero in piena notte. Placida la Luna osservava la sua corsa e le stelle trattenevano il fiato nel vederlo inseguire la propria Ispirazione tra la fitta boscaglia, con tanto di tela e cavalletto sotto il braccio. Infine il richiamo che aveva sentito cessò. Quel filo luminoso d’attrazione, che aveva fatto muovere i suoi passi agili e senza incertezza, si era perso tra l’erba bagnata. Sentì il proprio cuore palpitante di rapita concitazione, piombare nello smarrimento. Ma no invece. Era giunto a destinazione! L’ampia radura lo accoglieva tra le sue braccia di salice che al passaggio del pittore era come se chinassero a dargli il benvenuto. Tirò finalmente il fiato. Aveva percorso tutta la distanza, dalla sua abitazione fino alla familiare radura di salici, in apnea. Ed eccola. Sistemò il cavalletto davanti alla roccia su cui si sedette a gambe incrociate. Tirò fuori accuratamente, dalla tasca dei pantaloni, il suo pennello di crine di Pavone marino. I crini bianco-ghiaccio del pennello d’argento risplendettero alla luce notturna. Occhi delle creature del bosco, incuriosite, si fecero avanti tra il fogliame. Picto sorrideva. Era di carattere gioviale ed umoristico e pensava a cosa avrebbero potuto dire gli abitanti del villaggio casomai l’avessero visto sfrecciare via di casa con la tela sotto il braccio, in tenuta per dormire. Sicuramente qualcosa di molto simile a –Te guardalo. Dove mai andrà a quest’ora… Si può avere attacchi di demenza senile già alla sua età? Mah, povero ragazzo… sono cose da Picto comunque!-

Aveva aspettato abbastanza. Iniziò. L’ispirazione che aveva avuto era stata, stranamente, vaga, ma ben sapeva che una volta cominciato le pennellate sarebbero sgorgate fuori dal pennello come acqua da una fonte. Continuò così per l’intera notte e nulla lo disturbò. Sentiva la presenza degli Animali Notturni alle sue spalle, seguire i suoi tratti veloci con innocente curiosità, ma non poteva e non voleva fermarsi. Non era stanco quando, soddisfatto intinse nella boccetta d’acqua marina, il pennello. Aveva finito. Con la manica del pigiama si asciugò la goccia di sudore che per l’intensità del lavoro svolto, gli rotolava sulla fronte. Il pigiama doveva essere veramente lercio dopo quella notte. Altri commenti dei compaesani sarebbero, sicuramente, sorti a riguardo. Scese dalla roccia su cui era stato appollaiato per l’intera notte, l’aggirò e fece qualche passo indietro. Alla fine si voltò.

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Capitolo 3
*** Un' ombra qualsiasi ***


L’ombra che durante la notte era partita da Bruma, aveva serpeggiato con passo impercettibile da fantasma per miglia e miglia,

L’ombra che durante la notte era partita da Bruma, aveva serpeggiato con spettrale, impercettibile passo per miglia e miglia, lontano da quell’ inferno. Come l’umidità sospesa, sul far del mattino, si spruzza tangibile in frizzanti gocce d’acqua sparse sulle foglie, così l’ombra rassegnatasi all’ accaduto, si era condensata, “assumendo” una forma umana. Cosa restava di quella notturna visione apocalittica? Fuliggine, sugli abiti, sulla pelle, nelle narici. I passi risoluti si erano fatti, con il passare delle ore, stanchi e strascicati. Camminare tra i sassi appuntiti e la neve con le misere calzature di stoffa l’avevano resa insofferente. I polpacci le facevano male dalla lunga marcia, ma ormai andava avanti per inerzia e per nulla al mondo si sarebbe fermata. Finché tra lei e il proprio borgo natale non si fossero accumulati monti e pianure, selve e laghi in abbondanza non si sarebbe fermata. Stanca, stanca, ma risoluta. Le gambe di piombo, la testa, evanescente, iniziò a girarle per la stanchezza.  Si fermò e decise di lasciarsi andare per riprendere l’energie perse. Cadde in ginocchio, con uno sbuffo di neve. Tra lei e Bruma c’erano ormai fili d’erba a sufficienza. Il respiro era regolare, ma la testa e quello che c’era dentro rimbalzava come una palla, sbatacchiando di qua e di là. Serrò gli occhi con forza, credendo che questo bastasse per imbrigliare sotto le palpebre il turbine mentale. All’improvviso quello che era in movimento e che in realtà non s’era mai mosso, si fermo gradatamente. Tre, ancora due giri turbinosi e i pensieri smisero di ballare la loro danza conturbante. Aprì gli occhi. Dove si trovava? Ah, mistero. Ma poco importava, da qualche parte i suoi piedi l’avrebbero condotta. Abbassò lo sguardo sulla manica che copriva il polso sinistro, la scostò e vide il familiare tatuaggio che da 30 giorni dopo la sua nascita l’accompagnava: un piede stilizzato. Sorrise. Subito però le tornarono in mente le fiamme divoratrici di quella notte. Quell’ immagine, ignorata a forza durante l’intero cammino, non era stata riposta in un angolo. Aveva invece fatto da sfondo a qualunque pensiero le venisse in mente. Tutto doveva confrontarsi con quell’immagine. Botteghe costruite con fatica e gioia corrose, pietre sacre annerite in profondità. Lussureggianti campi fioriti divenuti cenere. Qualcosa all’improvviso si mosse poco lontano. Un barlume. No, fuoco, ancora! Non ne sopportava più la vista e con rabbia s’alzò. Fronteggiò col mento alto e lo sguardo aguzzo il barlume d’orato, nemico. Rifletteva su vetri sporchi, ma colorati... Una locanda! Alla cieca le corse con foga incontro inciampando, graffiandosi. I piedi l’avevano condotta lì e lì avrebbe fatto la prima sosta.

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Capitolo 4
*** Lo spartito bruciato ***


D’improvviso una melodia raggiunse il suo orecchio

D’improvviso una melodia raggiunse il suo orecchio. Pervase l’aria, ghermendola, facendosi spazio con forza, fino a quando fu la padrona invisibile della stanza. Forse c’era sempre stata, in attesa dietro l’angolo, sospesa. Aveva trattenuto il respiro, scivolando tra i corridoi deserti, sino a raggiungere la stanzetta dove si trovava. Ed eccola fare la sua entrata dirompente. Come quando si sta passeggiando tra gli alberi e ad un tratto il mormorio spezzato d’un fiume sale dal sottobosco. Si cammina fintantoché la fonte si svela in tutta la sua forza impetuosa. Così si era manifestata anche quell’ inattesa musica. Lo incuriosì a tal punto che senza accorgersene, a passi lenti e autonomi si trovava già in corridoio. Non si doveva fermare per capire da dove provenisse il suono, era come se la strada che portasse ad esso, fosse una ed una sola, tutte le altre non erano nemmeno prese in considerazione. Proseguì, senza fretta, nella casa addormentata. Arrivò ad una porta socchiusa, in fondo ad un corridoio nella penombra. Un fascio di luce bianca lo colpì non appena spalancò delicatamente la porta. Nel farlo non si chiese cosa poteva aspettarlo nella stanza, sentiva che non c’era alcun pericolo. Come si poteva aver paura di quella giovane donna che assorta stava seduta ad un magnifico Centocorde di ebano lucido, percorso da un’intricata maglia d’argento. La donna non si accorse della silenziosa presenza del giovane e continuò a seguire il proprio spartito come aveva fatto sino a quel momento. Il ragazzo non potè fare a meno di osservarla e di notarne la bellezza illuminata dal fascio luminoso. Una lunga chioma morbidamente intrecciata le ricadeva frizzante lungo la schiena. I suoi ricci fulvi, catturavano la luce come pagliette d’oro. Muoveva con vigore le agili mani, pizzicando le corde. Il ragazzo fu colpito da tanta destrezza. Indossava una lunga giacca a due code, con grossi polsini; questa immagine la rendeva una persona dinamica ed energica. Fino a quel momento non si era mosso né aveva parlato per paura che la giovane donna sorpresa cessasse di suonare. Si limitò ad accennare un passo in avanti, tendendo una mano verso di lei, come per avvertirla della propria presenza, quando in un lampo dal pavimento di legno divamparono alte fiamma azzurrine che si alzarono sino ad occludere la visuale della pianista al ragazzo. Riuscì solo a scorgere, in un ultimo attimo, la testa della ragazza voltarsi verso di lui, le mani che continuavano a danzare senza sosta tra le corde, e rivolgergli con due luminosi occhi lilla un sorriso che non era di rimprovero, ma che burlescamente sembravano dirgli << Cos’altro ti aspettavi?>>.

Spyrok si svegliò sconvolto e sudato nella brandina che il locandiere gli aveva benevolmente offerto per la notte. Si era svegliato urlando le parole che la pianista gli aveva suggerito con gli occhi ..Cos’altro ti aspettavi?!.. e l'elegante figura illuminata dal fascio di luce bianca già si dissolveva  nel mentre tornava al mondo reale ... Non era abituato ad avere sonni agitati e questo lo lasciava interdetto.

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Capitolo 5
*** A due passi dal risveglio ***


Ma il momentaneo stato di disorientamento post risveglio, durò poco

Ma il momentaneo stato di disorientamento post risveglio, durò poco. Nell'intervallo in cui solitamente s'inizia a ricordarsi chi si è e dove ci si trova, una morsa lo afferrò al collo. Spyrok, ceco nel buio, anaspò come un animale in gabbia. Sentiva i suoi occhi dilatarsi nel buio, cercare di farsi strada in quella nera foschia, perchè sapeva che intorno si trovavano i mobili della stanzetta senza pretese che gli era stata offerta per quella notte, la borsa di tela in cui qualche ora prima, o qualche giorno addietro, ora non ricordava, aveva cacciato alla rinfusa le prime cose che gli erano venute alla mano, scappando dal rogo. Disperato e impotente. Come quando un guerriero nella foga del combattimento per la vita o la morte sua e dei suoi nemici non si rende conto che i  compagni d'armi sono caduti nel silenzio, è abbandonato dal coraggio che l'aveva accompagnato per mano, vedendo lì gli amici di sempre, crolla. Così persa ogni volontà di difesa, smise di ghermire il vuoto con le unghie e di agitarsi. Era solo spreco d'energie. Allora dall'apparente nulla emerse una voce. << Cos'altro ti aspettavi? Ahr, ahr, ahr! Oh, io questo proprio non lo so, gentil donzella appena risvegliata, una cosa è sicura. Certo non noi. Ahr,ahr,ahr! ... Vedo che inizi a capire che agitarsi non ti servirà a nulla, se non vuoi che la mia presa attorno al tuo collo si faccia più esauriente delle mie parole.>> Spyrok si sentì sollevare dal letto, sempre stretto al collo, come a sottolineare quello che la voce aveva appena affermato. Una seconda voce meliflua, intervenne. << Su, su,Ston, non essere scortese. Non è questo il modo di stringere amicizie, prendendo per il collo le persone. Ohohoh.>> fece una pausa e il suo tono di voce aggiunse una nota di glacialità. << Certo il nostro amico due passi avrà capito che il tempo dei giochi è andato in fumo, letteralmente in fumo, capisci cosa intendo, Duepassi?! >> Spyrok avvertì che quel nomignolo scandito con cinismo era riferito a lui. Sebbene solo ora si rendesse conto di essere braccato da due individui che certo non avevano intenzione di chiacchierare del più e del meno con lui, nel buio, lo sopraffece l'immagine di Bruma, in un dorato pomeriggio estivo. Il grano che ondeggiava all'allegra brezza,respiro estivo... Fu distolto dalla cullante visione dallo scossone che evidentemente Ston gli aveva assestato. La voce freddamete meliflua lo punzecchiò. << Allora Duepassi, non avrai perso l'uso della favella... La timidezza non è mai stato il tuo forte. Rispondi!>> Rispondere che non aveva capito la domanda che gli era stata posta perchè perso nei suoi ricordi, non sarebbe stato il massimo dell'astuzia. << Ti.ho.chiesto.Duepassi.Dov'è.finita.lei?! UH? >> Ormai stordito dall'inaspettata situazione, Spyrok, trovo il tutto particolarmente comico o così gli parve in quel momento e scoppiò in una fragorosa risata << AHAHAH! Certo che siete buffi eh.  Se siete frutto dei miei sogni, AH, mi devo congratulare con me stesso, ehee, che fervida immaginazione!>> L'espressione assunta da Spyrok nel buio era quella d'un ebete imbambolato. Era solo che un ragazzo, appena uscito dalla fase della vita destinata alla spensieratezza. La reazione ad un momento di panico è una reazione, quindi non prevenuta logicamente. La reazione di Spyrok era di ridere piuttosto che piangere. Nel mentre la risata sonora di Spyrok doveva aver disturbato il sonno dei coinquilini del piano sottostante. La scala di legno fuori dalla stanza dove si trovavano scricchiolò. Si poteva avvertire lo sguardo d'intesa scambiatosi nel buio tra Ston e l'altro personaggio dalla voce meliflua. Quest'ultimo parlò. << Duepassi. Non dormire troppo tranquillo. >> Detto questo la morsa che attanagliava il respiro a Spyrok cessò di colpo e senza preavviso il ragazzo atterrò rovinosamente sul pavimento, poco prima di svenire ebbe il tempo di scorgere la porta spalancarsi, la sagoma del locandiere vagamente disegnata dalla lanterna che reggeva in mano e udire << Figliolo! Cosa diavolo... >>, per poi chiudere gli occhi.

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