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Alle spalle un villaggio arso vivo dalle fiamme. Nel
mentre, la luna argentava placidamente un sentiero acciottolato.
Un’ombra
scura e immobile si stagliava nella notte, avvolta dal calore delle fiamme. Tra il
villaggio e il sentiero era come se esistesse un confine immaginario.
Sentiva
che intraprendere quella strada avrebbe comportato grandi cambiamenti o forse
solo grandi grane.
Fino
ad allora nessun abitante del piccolo borgo di Bruma aveva mai osato pensare
che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe dovuto dirgli un arrivederci,
senza ritorno. Quel giorno sarebbe nato di lì a poco, sulla linea
dell’orizzonte.
Tutti gli sforzi
compiuti dai brumani, per far sì che l'amata cittadella potesse essere un piccolo giardino felice, erano andati
letteralmente in fumo.
Immerso in una radura di salici stava Picto. Era ancora
assonnato, ma l’ispirazione era stata talmente repentina, bruciante a
dir poco, che non aveva resistito e si era cacciato a forza fuori dal letto. Aveva
imparato che l’ispirazione andava seguita in qualunque luogo o momento. Il
giovane pittore si era difatti trovato già più volte ad “inseguirla” mentre era
a tavola, per esempio. Risolse la questione nel modo diplomatico che lo
contraddistingueva. Con una mano reggeva la posata, mentre con l’altra in gesti
rapidi e soavi faceva volare l’agile pennello sulla tela.
Ora il Vento Notturno si alzava dalla terra, con tutta la
sua forza. L’elegante figura snella di Picto sfrecciava nel bosco senza alcuna
difficoltà. Per lui, luce o buio non facevano la differenza e così si muoveva
sicuro nei suoi passi leggeri. Persino il felino più dotato avrebbe potuto invidiare
la sua capacità di schivare rami bassi o infide radici d’albero in piena notte.
Placida la Luna osservava la sua corsa e le stelle trattenevano il fiato nel
vederlo inseguire la propria Ispirazione tra la fitta boscaglia, con tanto di
tela e cavalletto sotto il braccio. Infine il richiamo che aveva sentito cessò.
Quel filo luminoso d’attrazione, che aveva fatto muovere i suoi passi agili e senza
incertezza, si era perso tra l’erba bagnata. Sentì il proprio cuore palpitante
di rapita concitazione, piombare nello smarrimento. Ma no invece. Era giunto a
destinazione! L’ampia radura lo accoglieva tra le sue braccia di salice che al
passaggio del pittore era come se chinassero a dargli il benvenuto. Tirò
finalmente il fiato. Aveva percorso tutta la distanza, dalla sua abitazione
fino alla familiare radura di salici, in apnea. Ed eccola. Sistemò il
cavalletto davanti alla roccia su cui si sedette a gambe incrociate. Tirò fuori
accuratamente, dalla tasca dei pantaloni, il suo pennello di crine di Pavone
marino. I crini bianco-ghiaccio del pennello d’argento risplendettero alla luce
notturna. Occhi delle creature del bosco, incuriosite, si fecero avanti tra il
fogliame. Picto sorrideva. Era di carattere gioviale ed umoristico e pensava a
cosa avrebbero potuto dire gli abitanti del villaggio casomai l’avessero visto
sfrecciare via di casa con la tela sotto il braccio, in tenuta per dormire. Sicuramente
qualcosa di molto simile a –Te guardalo. Dove mai andrà a quest’ora… Si può
avere attacchi di demenza senile già alla sua età? Mah, povero ragazzo… sono
cose da Picto comunque!-
Aveva aspettato abbastanza. Iniziò. L’ispirazione che aveva
avuto era stata, stranamente, vaga, ma ben sapeva che una volta cominciato le
pennellate sarebbero sgorgate fuori dal pennello come acqua da una fonte. Continuò
così per l’intera notte e nulla lo disturbò. Sentiva la presenza degli Animali Notturni
alle sue spalle, seguire i suoi tratti veloci con innocente curiosità, ma non
poteva e non voleva fermarsi. Non era stanco quando, soddisfatto intinse nella
boccetta d’acqua marina, il pennello. Aveva finito. Con la manica del pigiama
si asciugò la goccia di sudore che per l’intensità del lavoro svolto, gli
rotolava sulla fronte. Il pigiama doveva essere veramente lercio dopo quella
notte. Altri commenti dei compaesani sarebbero, sicuramente, sorti a riguardo. Scese
dalla roccia su cui era stato appollaiato per l’intera notte, l’aggirò e fece
qualche passo indietro. Alla fine si voltò.
L’ombra che durante la notte era partita da Bruma, aveva serpeggiato con
passo impercettibile da fantasma per miglia e miglia,
L’ombra che durante la notte era partita da Bruma, aveva
serpeggiato con spettrale, impercettibile passo per miglia e miglia, lontano da
quell’ inferno. Come l’umidità sospesa, sul far del mattino, si spruzza
tangibile in frizzanti gocce d’acqua sparse sulle foglie, così l’ombra
rassegnatasi all’ accaduto, si era condensata, “assumendo” una forma umana.
Cosa restava di quella notturna visione apocalittica? Fuliggine, sugli abiti,
sulla pelle, nelle narici. I passi risoluti si erano fatti, con il passare delle
ore, stanchi e strascicati. Camminare tra i sassi appuntiti e la neve con le
misere calzature di stoffa l’avevano resa insofferente. I polpacci le facevano
male dalla lunga marcia, ma ormai andava avanti per inerzia e per nulla al
mondo si sarebbe fermata. Finché tra lei e il proprio borgo natale non si
fossero accumulati monti e pianure, selve e laghi in abbondanza non si sarebbe
fermata. Stanca, stanca, ma risoluta. Le gambe di piombo, la testa,
evanescente, iniziò a girarle per la stanchezza.Si fermò e decise di lasciarsi andare per riprendere l’energie
perse. Cadde in ginocchio, con uno sbuffo di neve. Tra lei e Bruma c’erano
ormai fili d’erba a sufficienza. Il respiro era regolare, ma la testa e quello
che c’era dentro rimbalzava come una palla, sbatacchiando di qua e di là. Serrò
gli occhi con forza, credendo che questo bastasse per imbrigliare sotto le
palpebre il turbine mentale. All’improvviso quello che era in movimento e che
in realtà non s’era mai mosso, si fermo gradatamente. Tre, ancora due giri
turbinosi e i pensieri smisero di ballare la loro danza conturbante. Aprì gli
occhi. Dove si trovava? Ah, mistero. Ma poco importava, da qualche parte i suoi
piedi l’avrebbero condotta. Abbassò lo sguardo sulla manica che copriva il
polso sinistro, la scostò e vide il familiare tatuaggio che da 30 giorni dopo
la sua nascita l’accompagnava: un piede stilizzato. Sorrise. Subito però le
tornarono in mente le fiamme divoratrici di quella notte. Quell’ immagine,
ignorata a forza durante l’intero cammino, non era stata riposta in un angolo.
Aveva invece fatto da sfondo a qualunque pensiero le venisse in mente. Tutto
doveva confrontarsi con quell’immagine. Botteghe costruite con fatica e gioia
corrose, pietre sacre annerite in profondità. Lussureggianti campi fioriti
divenuti cenere. Qualcosa all’improvviso si mosse poco lontano. Un barlume. No,
fuoco, ancora! Non ne sopportava più la vista e con rabbia s’alzò. Fronteggiò
col mento alto e lo sguardo aguzzo il barlume d’orato, nemico. Rifletteva su
vetri sporchi, ma colorati... Una locanda! Alla cieca le corse con foga
incontro inciampando, graffiandosi. I piedi l’avevano condotta lì e lì avrebbe
fatto la prima sosta.
D’improvviso una melodia raggiunse il suo orecchio
D’improvviso una melodia
raggiunse il suo orecchio. Pervase l’aria, ghermendola, facendosi spazio con
forza, fino a quando fu la padrona invisibile della stanza. Forse c’era sempre
stata, in attesa dietro l’angolo, sospesa. Aveva trattenuto il respiro, scivolando
tra i corridoi deserti, sino a raggiungere la stanzetta dove si trovava. Ed
eccola fare la sua entrata dirompente. Come quando si sta passeggiando tra gli
alberi e ad un tratto il mormorio spezzato d’un fiume sale dal sottobosco. Si
cammina fintantoché la fonte si svela in tutta la sua forza impetuosa. Così si
era manifestata anche quell’ inattesa musica. Lo incuriosì a tal punto che
senza accorgersene, a passi lenti e autonomi si trovava già in corridoio. Non
si doveva fermare per capire da dove provenisse il suono, era come se la strada
che portasse ad esso, fosse una ed una sola, tutte le altre non erano nemmeno
prese in considerazione. Proseguì, senza fretta, nella casa addormentata.
Arrivò ad una porta socchiusa, in fondo ad un corridoio nella penombra. Un
fascio di luce bianca lo colpì non appena spalancò delicatamente la porta. Nel
farlo non si chiese cosa poteva aspettarlo nella stanza, sentiva che non c’era
alcun pericolo. Come si poteva aver paura di quella giovane donna che assorta
stava seduta ad un magnifico Centocorde di ebano lucido, percorso da
un’intricata maglia d’argento. La donna non si accorse della silenziosa
presenza del giovane e continuò a seguire il proprio spartito come aveva fatto
sino a quel momento. Il ragazzo non potè fare a meno di osservarla e di notarne
la bellezza illuminata dal fascio luminoso. Una lunga chioma morbidamente
intrecciata le ricadeva frizzante lungo la schiena. I suoi ricci fulvi,
catturavano la luce come pagliette d’oro. Muoveva con vigore le agili mani,
pizzicando le corde. Il ragazzo fu colpito da tanta destrezza. Indossava una
lunga giacca a due code, con grossi polsini; questa immagine la rendeva una
persona dinamica ed energica. Fino a quel momento non si era mosso né aveva
parlato per paura che la giovane donna sorpresa cessasse di suonare. Si limitò
ad accennare un passo in avanti, tendendo una mano verso di lei, come per
avvertirla della propria presenza, quando in un lampo dal pavimento di legno
divamparono alte fiamma azzurrine che si alzarono sino ad occludere la visuale
della pianista al ragazzo. Riuscì solo a scorgere, in un ultimo attimo, la
testa della ragazza voltarsi verso di lui, le mani che continuavano a danzare
senza sosta tra le corde, e rivolgergli con due luminosi occhi lilla un sorriso
che non era di rimprovero, ma che burlescamente sembravano dirgli <<
Cos’altro ti aspettavi?>>.
Spyrok si svegliò sconvolto
e sudato nella brandina che il locandiere gli aveva benevolmente offerto per la
notte. Si era svegliato urlando le parole che la pianista gli aveva suggerito
con gli occhi ..Cos’altro ti aspettavi?!.. e l'elegante figura illuminata
dal fascio di luce bianca già si dissolveva nel mentre tornava al mondo reale ... Non era abituato ad
avere sonni agitati e questo lo lasciava interdetto.
Ma il momentaneo stato di disorientamento post risveglio, durò poco
Ma il momentaneo stato
di disorientamento post risveglio, durò poco. Nell'intervallo in cui
solitamente s'inizia a ricordarsi chi si è e dove ci si trova, una morsa lo
afferrò al collo. Spyrok, ceco nel buio, anaspò come un animale in gabbia.
Sentiva i suoi occhi dilatarsi nel buio, cercare di farsi strada in quella nera
foschia, perchè sapeva che intorno si trovavano i mobili della stanzetta senza
pretese che gli era stata offerta per quella notte, la borsa di tela in cui
qualche ora prima, o qualche giorno addietro, ora non ricordava, aveva cacciato
alla rinfusa le prime cose che gli erano venute alla mano, scappando dal rogo.
Disperato e impotente. Come quando un guerriero nella foga del combattimento
per la vita o la morte sua e dei suoi nemici non si rende conto che icompagni d'armi sono caduti nel silenzio, è
abbandonato dal coraggio che l'aveva accompagnato per mano, vedendo lì gli
amici di sempre, crolla. Così persa ogni volontà di difesa, smise di ghermire il
vuoto con le unghie e di agitarsi. Era solo spreco d'energie. Allora
dall'apparente nulla emerse una voce. << Cos'altro ti aspettavi? Ahr, ahr, ahr! Oh, io questo
proprio non lo so, gentil donzella appena risvegliata, una cosa è sicura. Certo
non noi. Ahr,ahr,ahr! ... Vedo
che inizi a capire che agitarsi non ti servirà a nulla, se non vuoi che la mia
presa attorno al tuo collo si faccia più esauriente delle mie parole.>>
Spyrok si sentì sollevare dal letto, sempre stretto al collo, come a
sottolineare quello che la voce aveva appena affermato. Una seconda voce
meliflua, intervenne. << Su, su,Ston, non essere scortese. Non è questo
il modo di stringere amicizie, prendendo per il collo le persone.
Ohohoh.>> fece una pausa e il suo tono di voce aggiunse una nota di
glacialità. << Certo il nostro amico due passi avrà capito che il tempo
dei giochi è andato in fumo, letteralmente in fumo, capisci cosa intendo,
Duepassi?! >> Spyrok avvertì che quel nomignolo scandito con cinismo era
riferito a lui. Sebbene solo ora si rendesse conto di essere braccato da due
individui che certo non avevano intenzione di chiacchierare del più e del meno
con lui, nel buio, lo sopraffece l'immagine di Bruma, in un dorato pomeriggio
estivo. Il grano che ondeggiava all'allegra brezza,respiro estivo... Fu
distolto dalla cullante visione dallo scossone che evidentemente Ston gli aveva
assestato. La voce freddamete meliflua lo punzecchiò. << Allora Duepassi,
non avrai perso l'uso della favella... La timidezza non è mai stato il tuo
forte. Rispondi!>> Rispondere che non aveva capito la domanda che gli era
stata posta perchè perso nei suoi ricordi, non sarebbe stato il massimo
dell'astuzia. << Ti.ho.chiesto.Duepassi.Dov'è.finita.lei?! UH? >>
Ormai stordito dall'inaspettata situazione, Spyrok, trovo il tutto
particolarmente comico o così gli parve in quel momento e scoppiò in una
fragorosa risata << AHAHAH! Certo che siete buffi eh.Se siete frutto dei miei sogni, AH, mi devo
congratulare con me stesso, ehee, che fervida immaginazione!>>
L'espressione assunta da Spyrok nel buio era quella d'un ebete imbambolato. Era
solo che un ragazzo, appena uscito dalla fase della vita destinata alla
spensieratezza. La reazione ad un momento di panico è una reazione, quindi non
prevenuta logicamente. La reazione di Spyrok era di ridere piuttosto che piangere.
Nel mentre la risata sonora di Spyrok doveva aver disturbato il sonno dei
coinquilini del piano sottostante. La scala di legno fuori dalla stanza dove si
trovavano scricchiolò. Si poteva avvertire lo sguardo d'intesa scambiatosi nel
buio tra Ston e l'altro personaggio dalla voce meliflua. Quest'ultimo parlò.
<< Duepassi. Non dormire troppo tranquillo. >> Detto questo la
morsa che attanagliava il respiro a Spyrok cessò di colpo e senza preavviso il
ragazzo atterrò rovinosamente sul pavimento, poco prima di svenire ebbe il
tempo di scorgere la porta spalancarsi, la sagoma del locandiere vagamente
disegnata dalla lanterna che reggeva in mano e udire << Figliolo! Cosa
diavolo... >>, per poi chiudere gli occhi.