Devotion

di DK_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I parte ***
Capitolo 2: *** II parte ***
Capitolo 3: *** III parte ***
Capitolo 4: *** IV parte ***



Capitolo 1
*** I parte ***


Devotion

Una Fanfiction su Final fantasy VIII

by DK

L’amore è troppo giovane per sapere cos’è la coscienza.

-William Shakespeare

i.

Rinoa Heartilly si svegliò mentre un grido si faceva strada con forza attraverso la sua gola.

Non fermarlo stavolta, Rin, disse un’esile voce metallica da qualche parte nella sua testa. Non pensavo che saresti riuscita a trattenerlo tanto a lungo. Sei sempre stata una persona che urla tanto, lo dicevano sia il tuo papà che Seifer. Certo, era per ragioni diverse, ma rende lo stesso l’idea, no?

Rinoa non urlò. Un basso gemito smorzato le uscì dalle labbra mentre si chiudeva la bocca con le dita, i denti che affondavano nel palmo della mano. Lacrime di dolore e di terrore si formarono agli angoli dei suoi occhi e barcollò per un momento, presa da un capogiro, alla deriva nel buio con nient’altro che la sua stessa paura, di poco tranquillizzata, a tenerle compagnia, col respiro che si faceva affannoso e veloce come se stesse scopando o morendo o tutte e due le cose.

Nei primi giorni aveva pensato che fosse un incubo, un qualche cosa di sfuggente che inseguiva furtivamente la giungla del suo sonno, alimentato dalle sue paure, incombendo su di lei e riducendola in brandelli prima di svanire al suo risveglio. Aveva sofferto di più di quanto le toccasse davvero, specialmente dopo la morte di sua madre, e ricordava ancora di essersi svegliata spesso a causa di incubi, strillando per lo spavento, con sulla spalla la mano di suo padre che la rassicurava nel buio. E’ stato solo un brutto sogno, Rinoa, le diceva (lui non la chiamava mai Rinny, non una volta, ma andava bene perchè lo rendeva speciale), solo un mostro immaginario, torna a dormire.

Non posso, papà
, pensò, ed ecco che improvvisamente aveva di nuovo cinque anni, ed era da sola, con una coperta d’oscurità che le si stringeva addosso così stretta e calda che pensava di soffocare. Non posso, perchè non ho paura di quello che vedo quando dormo. Ho paura di essere sveglia.

Sembrava ridicolo anche a lei, ma era innegabile. Voleva urlare ogni volta che si svegliava non perchè avesse sognato, ma perchè, mentre il velo veniva strattonato via, il suo orrore rispuntava come prima, costringendola a capire di nuovo e di nuovo che era successo tutto davvero. Timber. Era successo proprio tutto quello che ricordava - nessun errore dettato dall’isteria, niente momenti immaginati, niente illusioni. Solo la realtà, fredda e dura e affilata, spietata, come la punta di un gunblade -

(PER FAVORE, andiamo, lei non sa niente, lo giuro, davvero -)

BASTA.


Rinoa si alzò, i capelli che ricadevano in serpenti bagnati di sudore sulle sue spalle candide. Li spostò con la mano, lanciando un’occhiata dispiaciuta alle ciocche biondo platino. Nell’ultimo mese, avevano già iniziato a sbiadire, le radici stavano già tornando al loro colore originale. Nel giro di qualche altro mese, sarebbero tornati completamente alla normalità, a differenza di tante altre cose.

(Lo faresti?)

La luce lunare deviò tra gli spicchi delle tendine, proiettando fioche strisce di luce nella camera da letto. L’orologio digitale dall’altra parte della stanza annunciava il tempo con precisi, dritti numeri militari: 2:53. Non aveva dormito neanche un’ora, allora. Non ricordava neanche di essere andata a dormire; doveva essersi semplicemente assopita.

Squall dormiva rannicchiato accanto a lei, col viso rivolto verso la finestra, la sua figura solo una vaga massa nella stanza buia. Respirava silenziosamente e profondamente. Non aveva fatto sempre così. Le prime volte che avevano dormito insieme, di solito si svegliava di soprassalto al rumore più insignificante, cercando a tastoni il suo gunblade, mettendo le mani davanti a sè sulla difensiva. Ora si fidava abbastanza di lei da permettersi di dormire completamente e profondamente. Quando aveva capito il motivo per cui il suo sonno si faceva sempre più profondo, ne era rimasta colpita più di qualsiasi altra parola goffa ma sincera che le avesse mai potuto dire; ora, era semplicemente lieta di non averlo svegliato.

A quanto pare ci siamo scambiati il modo di dormire, Squall. Allungò una mano per toccargli la guancia, rigata dalla luce della finestra, e poi -

(Asfodelo Nero)

la ritirò, bruscamente.

Non è giusto, si disse. Ma non importava se fosse giusto, importava se fosse vero, e importava che quella canzone, che quella stupida, sporca -

(Lo faresti?)

La voce echeggiò nella sua testa, dolce e risonante e accusatoria. Femminile e lenta, sentimentale e fluente come il miele. Lo stomaco di Rinoa si rivoltò.

(Lo faresti, potresti?)

BASTA.


Rinoa prese un profondo, tremante respiro, sforzandosi di stare calma. Tranquilla. I numeri sull’orologio cambiarono.

3:00.

I pensieri di Squall erano quieti; il lento brusio regolare di una mente dormiente. Era lieta che in compenso lui non potesse sentire la sua.

C’erano molte cose sul legame che ora condividevano che lei non sapeva. Quando avesse iniziato a formarsi, per esempio (pensava che forse potesse essere quella notte a Balamb in cui Squall, che era ubriaco come un delinquente e si comportava in maniera molto diversa dal solito, si era dichiarato grandiosamente suo cavaliere e lei, ridacchiando, gli aveva accarezzato la spalla col piede prima di buttarlo sul letto), o quanto avrebbe potuto diventare forte un giorno. Sembrava crescere esponenzialmente; all’inizio non aveva neanche capito che i piccoli suggerimenti che stava avendo su cosa lui provasse venivano da qualcosa in più dell’intuito femminile, ma ora poteva sentire ogni suo cambiamento d’umore senza doverci neanche provare.

Era ovviamente uno scambio a senso unico, dato che Squall ne era rimasto all’oscuro come sempre. Non sapeva ancora come dirgli che lei poteva vedere nella sua mente. Era stato solo per tanto tempo che si sentiva ancora a malapena a suo agio nel parlarle dei suoi sentimenti, e non sapeva che cosa avrebbe fatto se avesse scoperto che poteva vederli. Smetterla non era un’opzione - non avrebbe più potuto smettere di ascoltare a meno che non si fosse tagliata la testa. L’unico modo che conosceva per spezzare il legame era la morte di uno dei due.

Forse a qualcun altro questa cosa avrebbe dato fastidio, ma a lei aveva fatto solo piacere. Squall, dopotutto, la affascinava perché stava visitando un territorio inesplorato, e fino a quando lui non avesse avuto qualcosa da nascondere, non aveva niente da temere. Lei non era una persona tanto meschina da essere gelosa di un occasionale pensiero libidinoso su una passante in strada, e aveva creduto che quello fosse l’unico segreto che avrebbe mai potuto tenerle nascosto.

Così era prima di Timber. Così era prima che il suo castello, costruito fin nei minimi dettagli, iniziasse a crollare, facendola precipitare dalle sue finestre più alte e scaraventandola per terra prima di sprofondarle addosso.

Il suono dei demolitori che arrivavano sulla spiaggia era rasserenante, e sapeva che se si fosse alzata e avesse camminato fino alla finestra, rivelata da uno spiraglio delle tendine, avrebbe visto l’oceano sotto la scogliera avvolgere la sabbia, bianca come ghiaccio, e scintillare alla luce lunare. Sarebbe stato bellissimo. Era bellissimo.

E’ fantastico, Rin, aveva detto Selphie, un ampio sorriso a illuminarle il volto. Era saltata giù dalla sedia e aveva spalancato le braccia magre, parlando con voce eccitata mentre piroettava sul posto. E’ il posto perfetto per una vacanza, vi piacerà da morire! La sabbia si riscalda di giorno e trattiene il calore tutta la notte, vi potete rigirare da tutte le parti come vi piace. Pure io e Irvine l’abbiamo fatto quando abbiamo avuto la nostra settimana libera!

Ma conosceva benissimo Selphie. L’aveva già vista nascondere le sue emozioni dietro quella facciata allegra, ed era proprio quello che stava facendo quando le parlò allora. Cosa c’era dietro quegli occhi? Rimpianto? Paura? Non lo sapeva. Non voleva saperlo. Se l’avesse saputo, allora forse avrebbe saputo come sentirsi.

Selphie… come ti sentiresti…

(Io ne ho il diritto, tu non puoi)
(Lo faresti davvero?)

BASTA.


La ventola sul soffitto ronzava come un pigro insetto in punto di morte. Rinoa sedeva nell’oscurità, le gambe incrociate sotto di lei sul letto, e ascoltava quel rumore costante e calmante. Il tempo sembrava passare a strani scatti irregolari, brevi istanti di chiarezza sparpagliati a caso nel groviglio dei suoi pensieri.

Pensiero.

Non l’avrebbe mai lasciata sola. Avrebbe voluto pensare ai suoi amici o a suo padre o a quel gelataio all’hotel o a come stesse aspettando l’arrivo del suo ciclo il giorno dopo, a tutto, a tutto tranne che all’unico pensiero che continuava a correre nella sua mente, su e giù. Più ci pensava, più semplice diventava pensarci, come se si stesse sciupando col tempo che passava, indossando le sue punte frastagliate, infide e consumate mentre penetrava nel suo cervello. Come una vecchia registrazione rotta, bloccata sull'autoreverse, che si consumava per le continue riproduzioni, fino a ridursi in polvere.

Sapeva di quale registrazione faceva parte.

(Potresti farlo davvero?)


Nota della traduttrice: salve a tutti:D Spero di non aver fatto casini con l’HTML, l’ho messo manualmente… Bah. Mi intrufolo qui soltanto per spiegare un paio di cose e inserire qualche ringraziamento: in originale la storia è stata pubblicata come one-shot in nove parti, di cui questa è la prima, per un totale (in italiano) di un settanta pagine. Dato che mi sembrava un po’ troppo, col permesso di DK, ho spezzettato il tutto in quattro parti compreso questo prologo. Visto tra l’altro che l’autore le aveva postate tutte insieme per non spezzare la tensione, per la prossima settimana sarà già tutto pubblicato. Ah, e vi suggerisco di prendere il rating seriamente.
I ringraziamenti riguardano invece i vari beta-reader che ho avuto per questa parte e questa parte soltanto (XD), quindi un grazie mille a: Edhel, kar85 (maschio, femmina, androgino… XD Io ti ringrazio lo stesso per quanto hai corretto, nonostante sia abbastanza inutile.), Gaia Loire e infine (L’UNICA SUPERSTITE XD Grazie ancora ;_;) a caith_rikku, che invece mi ha sostenuto fino alla fine (;_;).
I commenti verranno inoltre tradotti e inviati all’autore dalla sottoscritta, grazie dell’attenzione e spero vorrete continuare a leggere:)
Youffie

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Capitolo 2
*** II parte ***


Nota della traduttrice: ecco qui altre due parti. No, non ho mancato un pezzo, la successione è proprio questa, tutto si spiegherà a fine fanfiction. Grazie a chiunque leggerà, e aggiungeteci un 'mille' per chiunque commenterà:)


iii.

La donna che incontrarono alla fermata del treno sembrava abbastanza giovane da essere una studentessa del Garden e camminava quasi con quella stessa precisione militare. Era magra e sottile, riempiva a mala pena la sua uniforme blu della Repubblica di Timber, e portava un berretto dritto sui capelli castani rasati a zero. Rinoa si ritrovò con un sorriso che cercava di aprirsi lentamente sul suo viso nonostante la sua generale avversione per la battaglia e la milizia. Le uniformi di Timber le erano sempre sembrate così graziose, così, beh, pittoresche, e il fatto che non avesse mai visto un soldato di Timber sparare per davvero ai tempi dell’occupazione della città aiutava a preservare l’immagine di un decoro innocuo.

La donna si diresse sulla piattaforma, sgusciando tra i passeggeri che erano scesi con facilità. Rinoa non poté fare a meno di notare che la folla era poca, e consisteva principalmente di persone d’affari apparentemente tormentate, di quelle che vivevano nelle zone dei sobborghi più popolate a sud di Timber.

“Dove sono tutti i turisti?” domandò Rinoa a nessuno in particolare. “Anche quando Timber era sotto occupazione, ce n’erano di più di adesso.”

“La guerra non fa bene al turismo, Signorina Heartilly,” disse la donna soldato, fermandosi di fronte a loro, con la bacchetta del fucile sulla schiena diritta. “Abbiamo avuto la nostra porzione di turisti all’inizio, ma sono bastati un paio di bombardamenti per farli scappare dove le cose sono molto meno… interessanti.”

Mentre la donna tendeva la mano in segno di saluto, Rinoa notò dopotutto qualcosa di diverso sull’uniforme; un nastro bianco le fasciava il braccio sinistro, ornato da un gufo nero stilizzato, con gli artigli allungati. Le strinse la mano con un po’ di incertezza, non le piaceva quel gufo, o la forza nella stretta della soldatessa, o il fucile segnato che portava a tracolla sulla spalla. Quella donna non assomigliava per niente ad un soldatino di piombo; Rinoa sentiva di poterlo dire anche soltanto dallo sguardo indagatore negli occhi di Squall, dal basso ronzio di diffidenza che sentiva da qualche parte nella sua testa.

Squall le strinse la mano tranquillamente. Il ronzio si affievolì. Non era una minaccia.

“Comandante Leonhart, Signorina Heartilly.” La soldatessa fece un cenno ad entrambi. “Sono il maggiore Grant. Desidero darvi il benvenuto a Timber per conto del presidente e dello Staff Generale della Seconda Repubblica di Timber. Il mio compito é quello di condurvi alla vostra suite dell’albergo, rispondere a qualsiasi domanda vogliate farmi lungo la strada, e farvi stare più a vostro agio possibile.”

“Grazie,” Rinoa sorrise. “Spero che il fatto che io sia venuta non abbia dato fastidio… So che avete pagato solo per Squall.”

“E’ esattamente il contrario, Signorina Heartilly. Siamo felici di dare ospitalità ad una figura così importante della lotta di Timber per l’indipendenza. Sono certa che la sua presenza qui eleverà significativamente il morale.”

“Beh, ecco…” Rinoa si morse il labbro inferiore, facendo scorrere una mano tra i capelli ossigenati. “Non l’ho fatto per la mia immagine. Speravo di non attirare troppa attenzione.” Era per lo più vero, anche se lei e Selphie avevano passato un bel po’ di tempo a schiarirle i capelli, a stare alzate fino a troppo tardi, a ridacchiare come ragazzine di cinque o sei anni più piccole e a ingozzarsi di cioccolata mentre giocavano al gioco del chi-si-sposerà-prima.

“Non si preoccupi, Signorina Heartilly, nessuno sa ancora che lei é qui. I miei superiori hanno intenzione di rivelare la sua presenza tra qualche giorno.”

“Public relations,” Squall si sistemò gli occhiali da sole, la sua voce era bassa e aspra. “Ne ho avuto abbastanza di quella roba alla fine dell’ultima guerra. Siamo qui per lavorare, non per dare spettacolo.”

Il maggiore alzò le spalle. “Non é mio compito dirvi quello che dovrete fare, Comandante. Io sono solo l’autista. Già che ci siamo, ora dovremmo dirigerci alla jeep. Lungi da me criticare i vostri travestimenti, ma le vostre facce sono state affisse in ogni parte del globo per gran parte degli ultimi due anni e sono sicura che nessuno di voi due voglia essere assalito.”

Mentre la giovane donna li conduceva rapidamente giù per le scale e poi nella piazza ricoperta di ciottoli, Rinoa lasciò vagare gli occhi in giro per la prima volta. Timber le ricordava l’uniforme del maggiore – sembrava sempre la stessa, ma anche lì c’era qualcosa di diverso. Qualcosa nel modo in cui la gente si muoveva, come se stessero scappando, qualcosa nel modo in cui facevano strada al Maggiore Grant, negli angoli ricoperti di immondizia, nei graffiti dipinti a spray sui muri.

“Silenzio,” Rinoa abbassò lo sguardo sulle strade vuote e piene di rifiuti. “Di solito qui c’era molto più traffico.”

“Abbiamo proibito i mezzi di trasporto civili nel centro della città per il momento,” disse il Maggiore Grant. “La maggior parte dei mezzi civili é stata requisita da una delle due fazioni nelle ultime guerre, comunque, e questo ci permette di prevenire le incursioni dei ribelli. Avevano una grande passione nel muovere le forze armate usando veicoli civili.”

La jeep che li aspettava all’angolo era una massa informe e sfasciata di metallo, verniciata di un marrone stanco rovinato dalle intemperie. Macchie di ruggine ne ricoprivano la superficie in uno schema tale che sembrava quasi fatto apposta.

“Era un po’ che non vedevo questo modello,” osservò Squall mentre teneva aperta la portiera di dietro per Rinoa. “Le GAMV-4 non sono più una produzione di massa da circa cinquant’anni.”

“Magari non é bellissima, ma andrà bene,” disse il Maggiore Grant, scivolando al volante. Mentre il motore si accendeva al terzo giro di chiavi, ruggendo come un leone malaticcio, una nube scura di fumo maleodorante sprizzò dal tubo di scarico, facendo bruciare gli occhi di Rinoa. “Ci accontentiamo di quel che abbiamo, Comandante.”

“Spero solo non sia questo quello che state facendo con me,” disse Squall. Tacque per un istante mentre il Maggiore Grant faceva girare la jeep in una severa U. “Pagare per un solo SeeD operativo, richiedere me personalmente, permettere a Rinoa di venire con me, e metterci tutti e due in televisione. Sembrerebbe quasi che voi vi stiate accontentando di me.”

“Non ho il permesso di esprimere la mia opinione in proposito, Comandante.” La voce del Maggiore Grant si era fatta tagliente e dura ora, abbandonato tutto il calore dietro il bastione dell’autorità militare.

Continuarono in silenzio per qualche minuto mentre la jeep rotolava nella periferia della città. C’erano ancora dei caffé e dei negozi aperti lungo la strada, e masse di persone accalcate attorno ai propri tavoli come mendicanti disperati, ma erano quasi tutti semi distrutti, con le facciate frantumate da una qualche esplosione, suppose. Delle macerie riempivano le strade, incombendo da edifici fatiscenti. Sembrava che la città fosse soggetta ad un brutto caso di forfora.

Rinoa rise quasi a quel pensiero, fino a quando non vide un gruppo di bambini in piedi accanto a un vicolo, con gli occhi incavati e vuoti. Il più grande teneva il cadavere di un cane munito di un asticella per la coda, trascinandoselo dietro di sé. Stavano gridando a proposito di qualcosa, una qualche specie di gioco, immaginò lei. Fu solo quando si saltarono addosso e la jeep svoltò l’angolo che realizzò che stavano combattendo per il cane.

Rinoa si allungò per afferrare il braccio di Squall, traendo forza dal suo silenzio. Senza dubbio lui aveva visto di molto peggio, ma lei, lei- “E’… terribile.”

“Non quanto possa sembrare, Signorina Heartilly.” Il maggiore Grant li guidò oltre l’ossatura di un hotel. Il fuoco aveva sventrato l’edificio; le finestre li fissavano dall’alto vuote, bordate da fuligginose macchie che sembravano lacrime scure. Qualcuno aveva dipinto con lo spray rosso e nero degli slogan sulla sua superficie grigia, urla congelate nel tempo contro il calcestruzzo: LA RIVOLUZIONE NON E’ STATA IN VANO/FIN QUANDO RIMARRA UN VERO GUFO, MUOIANO I ROSSI, I CANI DI GALBADIA. Un gufo rosso gigante dominava il muro, con le ali spiegate. Qualcuno vi aveva dipinto frettolosamente sopra una X nera.

“Questi ultimi due anni sono stati duri, ma gran parte della città é di nuovo nostra, e i Rossi si sono stabiliti nelle province dei dintorni. Si sono abbassati a tattiche da disperati, bombardamenti di terrore e cose così. I buoni stanno vincendo.”

“Non sembra.” La voce di Rinoa era tranquilla. “Non sembra che stia vincendo nessuno. Non ho mai visto Timber così.”

Il Maggiore Grant le diede un’occhiata da sopra la spalla mentre girava un altro angolo oltrepassando la carcassa distrutta e consumata dalle fiamme di un bus. “Allora suppongo che lei manchi qui da davvero molto.”

La sottile punta d’accusa che Rinoa sentì nella voce della donna avrebbe dovuto irritarla, suppose, ma non le fece nient’altro che male. Aveva giurato di combattere per l’indipendenza di Timber una volta tanto tempo prima, ma poi aveva incontrato Squall, e di rado l’idea le era ritornata in mente. Aveva sempre ritenuto che battere Artemisia sarebbe stata la parte difficile; dopo di quello, il mondo era destinato a sistemarsi. Ma erano passati mesi e mesi e Timber andava sempre peggio, e lei non aveva fatto nulla per rimetterla a posto.

Forse quell’uomo- ma non poteva chiamarlo così, non nel profondo del suo cuore - forse papà aveva ragione. Forse ero solo una stupida ragazzina che giocava a fare il soldato, solo per ribellarsi contro di lui. Sentì le lacrime pungere agli angoli degli occhi e le spazzò via con rabbia con un battito di ciglia. Beh, io non sono una stupida ragazzina. Ora sono una strega, e posso cambiare qualsiasi cosa se lo voglio. Tutto quello che devo fare é provarci.

Si voltò improvvisamente verso Squall, che stava esaminando placidamente i paraggi. “Squall, perché sei così arrabbiato per quello che ha detto il maggiore? Forse possiamo davvero essere d’aiuto se andiamo in televisione, forse darebbe speranza alla gente, forse-”

Squall chiuse gli occhi e sospirò, ma solo per un momento. Poi li spalancò di nuovo, analizzando i tumuli di calcinacci per controllare che non vi fossero pericoli mentre li oltrepassavano.

“Rinoa… come puoi essere così-” si fermò. “Continuo a dimenticare che non sei un SeeD. Sai qual é la prima regola di ogni operazione SeeD?”

Un angolo della sua bocca si increspò verso l’alto in un sogghigno. “Vivi da duro, lavora duro, gioca duro?”

Il suo cipigliò aumentò, e lei sentì uno stralcio di frustrazione attraversargli la mente. “No. La prima regola é: vai in fretta, torna in fretta, zero rumore.”

Rinoa arricciò il naso. “Fa molto Seifer.”

Lui strinse gli occhi, con la mente che lo stuzzicava col pensiero di lei e Seifer insieme, per quanto lei avesse potuto a suo tempo fraseggiare la cosa per minimizzarla, e sentì una fitta di fastidio mista a contrizione. Un giorno, avrebbe superato questa sua limitazione e avrebbe iniziato a coltivare un senso dell’umorismo.

“Significa che il nemico non dovrebbe mai sapere che sta combattendo contro un SeeD fino a quando non se lo ritrova di fronte in battaglia,” spiegò Squall in tono annoiato. “Il nemico non dovrebbe avere il tempo di prepararsi, nessun avvertimento, nessuna possibilità di tendere un agguato. Un SeeD o una SeeD non annuncia la sua presenza. Un SeeD lascia che la sua presenza parli per sé.”

“Un eccellente traguardo sul campo di battaglia, Comandante,” s’intromise il Maggiore Grant, le sue parole quasi si persero in un improvviso ruggito del motore. “Non funziona benissimo in politica. Non vogliono far altro che spettacolo.”

La jeep svoltò un angolo nella piazza centrale della città. File su file di veicoli militari erano allineate nello spazio vuoto, pattugliate da guardie con cani che sembravano tutt’altro che amichevoli come Angelo. Mentre il Maggiore Grant parcheggiava tra un paio di veicoli blindati apparentemente pesanti, Rinoa notò che la televisione gigante stava trasmettendo sempre lo stesso messaggio: I ROSSI SONO IN MEZZO A NOI - SOSTIENI LA REPUBBLICA - ENTRA OGGI NELLE FORZE ARMATE DI DIFESA - VINCEREMO - I ROSSI SONO IN MEZZO A NOI.

Squall alzò lo sguardo all’insegna, e Rinoa sentì qualcosa di brutto dimenarsi nella sua mente. “La SeeD non è un’organizzazione politica.”

“No?” Il sorriso del Maggiore, piccolo e affilato come lei, andò a segnarsi sul suo volto in un arco sobrio. “E’ la più bella battuta che abbia sentito in tutto il giorno.”

“Il Garden accetta qualsiasi datore di lavoro,” disse Squall mentre uscivano dalla jeep. La sua mente scintillava di fastidio, e Rinoa sapeva che non si sarebbe disturbato a discutere se il Maggiore Grant non avesse toccato un punto dolente. “La SeeD non si schiera politicamente.”

Il Maggiore Grant chiuse a chiave la porta e prese il comando, guidandoli tra le file di veicoli. “Ma la SeeD ha fatto davvero la differenza politica nel mondo. Assassini, guerriglie. Mi sta dicendo che nessuno di questi conta solo perché lei non ci crede?”

Squall tacque, la sua mente ora crepitava. Il Maggiore sembrava non notarlo, diventando quasi allegra mentre li portava in una tortuosa strada secondaria e attraverso un checkpoint di sicurezza.

“Sapete, fin da quando ero piccola ho sempre voluto essere al servizio dell’esercito di Timber. Suppongo che il desiderio si sia formato prima che capissi quanto fossimo ridicoli sotto il controllo di Galbadia, ma l’impulso ha resistito anche in seguito. Ero già fuori dall’accademia quando scoppiò la guerra di liberazione e scacciammo i Galbadiani. Fu una guerra breve.”

Le strade che stavano percorrendo ora erano più pulite, ma anche qui gli edifici sembravano colpiti, e c’erano in giro ancora meno persone, la maggior parte delle quali vestita in uniforme militare.

“Dopo le elezioni, quando i pezzi grossi stavano cercando di ricominciare il reclutamento e i Rossi stavano già causando problemi, iniziarono ad offrire un bonus per far arruolare la gente nell’Esercito Repubblicano. C’era questo ragazzo con cui andavo alle superiori che si unì a noi. Era ancora inutile come quando sfogliava riviste porno in fondo alla classe. Non gl’importava della repubblica, gli serviva solo un lavoro. Un paio di settimane nella Guerra Civile, ed ecco che i Rossi avevano accerchiato noi due in una centrale di gas a solo un paio di caseggiati da qui. Il resto del plotone era morto. Voleva arrendersi. Diceva che non valeva la pena morire per una busta paga.”

“E?” Rinoa si era, suo malgrado, coinvolta nella storia.

“Gli urlò di smetterla di sparare e scappò. I Rossi gli fecero gettare l’arma e gli spararono una pallottola in fronte. Io tenni duro per qualche altro minuto fin quando non arrivarono i rinforzi. Me ne andai con la pelle salva, e per di più con una promozione.”

Squall annuì, e sentì un’onda di comprensione rivestirlo, sebbene lei non fosse riuscita ancora a capire. Si doveva tuttora abituare a quella sensazione, una delle più frustranti che avesse mai provato.

“Quindi…” Rinoa lasciò in sospeso la frase, sperando di ottenere una spiegazione.

“Non mi fraintenda, Signorina Heartilly. Sono certa che tutti i suoi amici al Garden sono bravi in quello che fanno. Ma salvo imprevisti, e a volte nemmeno quelli, non c’è niente di più mortale di qualcuno che combatte per una causa in cui crede davvero. Sono sorpresa che la SeeD non lo capisca. Suppongo sia un bene per noi che non ci riesca. Se un SeeD avesse una causa per cui combattere, è impossibile dire quello che potrebbero fare.”

Ma ce l’hanno, realizzò Rinoa. Il loro scopo è distruggere la strega. Me.

Faceva caldissimo, ma improvvisamente soppresse un brivido, unendo il braccio a quello di Squall. Almeno avrebbe sempre potuto contare sul fatto che ci fosse un SeeD a proteggerla.

Il mio cavaliere.

Era un sentimento che non aveva mai conosciuto prima. Aveva conosciuto persone che avrebbero combattuto volentieri al suo fianco, o anche di fronte a lei per proteggerla, ma mai per lei. Era un altro territorio inesplorato, ma non poteva pensare a un altro uomo che avrebbe combattuto più ferocemente e seriamente per difenderlo.

Non avrei mai pensato che sarei stata una causa, pensò, mentre un sorriso s’infiltrava nel suo umore inacidito.

iv.

Le stanze che la Repubblica di Timber aveva loro assegnato erano sicuramente tra le migliori in città: una suite rivestita di pannelli color ciliegia in cui avevano alloggiato numerosi dignitari in visita, incluso, forse, lo stesso Vinzer Deling. Dal bancone si poteva ammirare mezza città, e da lì gli occhi di Rinoa poterono seguire le minuscole vene e le arterie delle strade di Timber con la sua periferia e fin dentro la campagna. Si sedette lì con il sole che tramontava, le gambe penzoloni fuori della ringhiera, abbracciando le sbarre e scalciando i piedi all’aria, osservando la città che una volta aveva lottato per liberare.

Da quel ventesimo piano, Timber appariva ancora come una città da cartolina; la distanza e la foschia pomeridiana avevano velato le cicatrici e gli sfregi sui vecchi edifici murati in pietra, dando alla città l’aspetto di una vecchia donna che nasconde le sue imperfezioni sotto montagne di trucco. Funzionava quasi. Le persone che si muovevano in basso erano più piccole di puntini colorati, e potevano essere chiunque, vivere una vita qualunque.

Mentre il giorno trascorreva lentamente e lei aspettava che Squall tornasse, aveva dato loro dei nomi, costruito storie sulle loro vite per ammazzare il tempo. Erano storie noiose, ma buone, il genere di storie che non si leggono mai nei libri, perché non succede niente di male. Da lì su, quelle storie potevano ancora essere vere. Da lì su, poteva ancora crederci.

Era egoisticamente lieta che il balcone non si affacciasse a nord, dove lo schermo televisivo proiettava la sua corrente senza fine di slogan bellici, dove pennacchi di fumo si levavano ancora dalla Vecchia Città oltre il fiume.

Avrebbe rovinato le sue storie.

Non deve succedere. Sistemerò Timber, in un modo o nell’altro. Non mi è stato donato questo potere per starmene appiccicata ad una sedia tutto il giorno a non far niente.

Nulla di ciò cambiava il fatto che aveva obbedito quando Squall le aveva detto di rimanere lì mentre lui incontrava il presidente e lo Staff Generale, nascondendosi sul balcone come una ragazza che fa da tappezzeria a un ballo, stendendo felici fantasie e non facendo nulla per farle avverare.

“Rinoa, sei rimasta qui tutto il giorno?” Squall non faceva mai molto rumore, ma se non avesse pensato così intensamente a Timber, forse avrebbe potuto sentirlo avvicinarsi. Stava migliorando sempre di più. Un’altra caratteristica del legame.

“No, certo che no.” Strinse le sbarre con più forza. “Sarebbe stupido.”

Le mani di lui si posarono sulle sue spalle, strofinandole con delicatezza. “Ti sei scottata.”

Era ovvio che se ne accorgesse.

“E va bene,” disse lei, facendo spallucce per la seccatura e per l’imbarazzo, scrollandosi le sue mani dalla pelle cocente. “La tua ragazzetta cretina è stata seduta fuori al sole tutto il giorno a fissare nel vuoto come l’idiota che è diventata fino a friggersi come le patatine fritte. Soddisfatto?”

Lui l’aiutò ad alzarsi, prendendola da sotto le braccia dove non le avrebbe fatto male, stringendola a sè, e cullandola fra le sue braccia. Nascose il viso tra i suoi capelli, e sentì il suo respiro caldo sul collo.

“Non finchè non mi dirai il perché.”

“Squall…” Si sentì cedere sotto di lui, e parte di lei, la parte aveva appena insistito nel rimettere a posto tutto quello che non quadrava nel mondo, odiava il modo in cui lui la faceva sempre sciogliere, come una principessa in una fiaba, ma il resto di lei lo amava per questo.

“Quando hai detto che venivi a Timber, io non… io non pensavo… Come potevo non sapere di tutto questo? Ho promesso a Watts e Zone e a tutti gli altri che avremmo liberato questo posto… e poi… Me ne sono dimenticata con la velocità con cui me ne sono andata.”

“Eri occupata.” Lo disse senza alcuna traccia di sarcasmo, e lei riuscì ad udire e sentire una velata nota di dolore. Era partita perché aveva incontrato lui, e temeva che lo odiasse per questo.

“Sì, per un po’. Immagino… Semplicemente non c’ho mai pensato… Sentii che c’era stata una guerra, e che Timber era libera, e pensai che non ci fosse più alcun bisogno che io tornassi qui. Forse quell’uomo aveva ragione su di me.”

“Rinoa- non-”

“Voglio solo fare qualcosa, Squall.” Si voltò per guardarlo, avvolgendogli le braccia scottate attorno al collo, premendo la fronte sulla sua. Si accorse con fastidio che stava lottando per trattenersi dal piangere.

“Per favore. Andiamo in televisione, facciamo qualche foto, qualcosa, qualsiasi cosa. Quella regola SeeD non si deve applicare tutte le volte. Potremmo fare talmente tanto bene semplicemente stando in piedi e-”

“Non è per questo che mi hanno chiamato qui” disse Squall, la voce addirittura severa. Da qualche parte nella sua testa, sentì i suoi pensieri serrarsi a vicenda, formando un muro. Su questo non avrebbe ceduto. “Magari l’idea gli sarà venuta ora che sei con me, ma non è per questo che sono qui. E né io né te ci avvicineremo anche solo di striscio a un giornale fino a quando non avrò completato la mia missione. La regola esiste per un motivo.”

“Ma il Maggiore Grant ha detto che i Gufi Rossi erano battuti, che sono disperati-”

“Un nemico disperato è il peggiore, Rinoa.” La lasciò e si girò, guardando fuori sulla città. “Un nemico con niente da perdere fa qualsiasi cosa. Se scoprissero che siamo qui, noi, tu, immediatamente diverremmo un obiettivo.”

Rinoa lo strinse con le braccia, sussultando quasi per il dolore che vi divampava. “Posso prendermi cura di me stessa.”

Le spalle di Squall si piegarono appena; si accasciò sulla ringhiera, facendo ciondolare le braccia. “Rinoa. Se ti accadesse qualcosa, io non-” Si fermò, e lei capì che stava lottando di nuovo con le parole, come faceva sempre quando parlava così, come se fosse costretto a scalpellarne una per volta dalla pietra.

“Farei di tutto per farti stare al sicuro, Rinoa. Tutto. Se questo significa farti stare incazzata con me per qualche giorno, che sia. Non m’importa dell’immagine della Repubblica. Non m’importa che genere di foto vogliono farci. M’importa di te.”

Lei fece un passo verso di lui, la voce penetrante, acuta. “Allora non t’importa di quello che voglio? Squall, non capisci, io sento-”

“Non avrei mai dovuto portarti.” La sua voce era piatta, bassa. Non stava cercando di provocarla. Non lo faceva mai. Era una semplice, schietta affermazione, e questo la rendeva un milione di volte peggiore.

“Squall, io-” Oddio, ecco che arriva l’acquedotto, non piangere, incazzati, arrabbiati, sgridalo, non piangere, non PIANGERE- “Mi dis- dispiace-”

Lui si voltò, spalancando gli occhi non appena si rese conto della sua reazione, e poi lei si ritrovò fra le sue braccia, con Squall che le passava le dita tra i capelli schiariti ed i suoi pensieri congelati che si fondevano in rimpianto e in quel suo goffo tipo d’amore.

“Rinoa. Non intendevo in quel senso. E’ che- mi hanno detto qualcosa di nuovo. Andiamo dentro e ti spiegherò.”

“… okay.” Tirò su col naso contro la sua spalla, le lacrime si stavano asciugando, ed era sollevata al pensiero di Squall che risentiva del suo male più di quanto avrebbe mai potuto immaginare, e fu allora che realizzò, in un modo che non aveva mai provato prima, che lui era ormai un’inseparabile parte di lei.

L’aveva sempre voluto, dal primo istante in cui l’aveva visto appoggiato al muro in quell’uniforme SeeD, quello sguardo meditabondo sul viso. Aveva voluto farlo ridere, farlo aprire, spiegazzare quella faccia in un sorriso.

E aveva funzionato. Squall era così diverso in quei giorni, così tanto più aperto. Era dura per lui, lo sapeva, ma era felice di essere al suo fianco per aiutarlo. Ogni sguardo o parola che condividevano aveva il sapore di una vittoria. Le dava la sensazione di aver trovato una cantina nascosta piena di tesori e di dover cercare e cercare ogni pezzo prima di portarlo al mondo. C’era sempre qualcosa di nuovo da imparare su di lui, e di solito lei era sempre la prima a conoscerlo. Voleva conoscerlo completamente.

Per tutta la sua vita, molte persone avevano cercato di far sentire Rinoa speciale. Suo padre l’aveva adorata, comprandole qualsiasi cosa avesse mai potuto sperare e circondandola di lusso. Seifer aveva soddisfatto tutta la sua sete di avventura e di dissolutezza adolescenziale. Zone e Watts e il resto dei Gufi l’avevano chiamata principessa. Ma Squall era diverso. La faceva sentire speciale soltanto esistendo. Nessun altro era in grado di farlo.

Ora, sapeva di aver bisogno di lui esattamente quanto lui aveva bisogno di lei. Aveva bisogno di lui perché lui l’amava, perché non gli importava che lei era una strega, perché lui era il suo cavaliere e perché lui era Squall, con tutte le sue pecche e i suoi difetti, e lei non avrebbe mai potuto amare nessun altro allo stesso modo. Sentiva di non averlo mai voluto.

Qualche minuto più tardi, si sedettero entrambi sull’enorme letto della suite, Squall appollaiato sul bordo con un portatile in equilibrio sulle ginocchia, lei raggomitolata dietro di lui, sbirciando da sopra la sua spalle, con le braccia avvolte attorno alla sua vita. Era andata a prendere una bottiglia di vino stagionato di Galbadia dal minibar ancora sorprendentemente rifornito, ma se ne dimenticò in fretta appena Squall cominciò a richiamare immagini sul monitor.

“Okay, Rinoa.” Prese un respiro profondo. “Cominciamo dall’inizio. Come sai, anche quando l’ultima Guerra della Strega doveva ancora cominciare ad allentarsi, Timber organizzò una rivoluzione contro Galbadia.”

“Già. Fu rapida, giusto?”

“Sì. Galbadia barcollava ancora per le sue perdite e nessun funzionario incaricato era dell’umore di cercare di trattenere le proprie possessioni estese. Il Generale Caraway in persona firmò gli accordi.” Il brusco grugnito di lei lo bloccò per un istante, ma poi proseguì. “Timber tenne le sue prime elezioni solo un mese dopo. Il vincitore fu un certo Jonas Marshall.” Apparve una foto di un uomo alto, dalle spalle larghe, con l’uniforme appena rigonfiata sulla pancia da mezz’età.

“Lo conosco!” sbottò Rinoa, facendo capolino da sopra la spalla di Squall per guardare da vicino. “E comunque non mi ricordavo neanche il suo nome fino ad ora. Non avrei mai pensato che fosse stato lui ad aver vinto le elezioni. Era un ministro altolocato del governo quando i Galbadiani erano al potere.” Indugiò per un momento sulla sua foto, un sogghigno che si faceva strada sul suo viso. “Una volta scrissi ‘testa di cazzo’ su un poster con la sua faccia.”

Le spalle di Squall scattarono in alto in una breve risata, ma quando ricominciò a parlare, utilizzò lo stesso tono che usava sempre per un’informativa su una missione. La fece sentire un po’ strana, ma sentirlo così mentre erano entrambi nel letto e lei lo teneva stretto lo faceva sembrare anche piuttosto carino.

“Manco a dirlo, una significativa porzione della popolazione non fu lieta per i risultati dell’elezione, specialmente coloro che erano stati più attivi nella resistenza prima della rivoluzione. Accusarono Marshall e i suoi seguaci di aver manipolato le elezioni nel tentativo di conservare il potere che avevano avuto sotto i Galbadiani. Per tutta risposta, Marshall e i suoi sostenitori affermarono che i capi dell’opposizione erano anarchici che volevano capovolgere completamente la struttura sociale dello stato. Non avevano del tutto torto. Queste… Differenze, condussero alla Guerra Civile di Timber.”

“Ed è allora che hanno iniziato ad usare i colori.”

Squall annuì. “Inizialmente, entrambe le parti cercarono di adottare la bandiera tradizionale di Timber, ma si produsse troppa confusione. Alla fine, gli oppositori di Marshall scelsero di cambiare il vecchio simbolo, dipingendo il gufo di rosso a simboleggiare il sangue dei veri rivoluzionari che avevano combattuto insieme per l’indipendenza di Timber. Le forze armate di Marshall conservarono il gufo com’era sempre stato. Gli eserciti delle due fazioni divennero i Gufi Rossi e i Gufi Neri.”

“I media non hanno detto praticamente nulla-”

“I Gufi Neri sono stati molto attenti a controllare il flusso di informazioni verso l’esterno. Il loro accesso ai meccanismi dello stato li ha resi dei propagandisti molto più efficaci dei Rossi. Da sempre, hanno dipinto il conflitto come una mera insurrezione anarchica con nessuna ingiustizia legittima. Vero o meno che sia, sta funzionando. Il Maggiore Grant non mentiva quando ti ha detto i Gufi Rossi sono ridotti allo stremo delle forze.”

Batté un paio di tasti, richiamando la mappa della città. Gran parte di essa era tinta di nero, solo un singolo punto rosso torreggiava come un occhio malevolo dalla parte più a nord e più vecchia della città.

“Il Ducato di Dollet ha inizialmente fornito ai Gufi Rossi armi e addestramento. I Gufi Neri sono riusciti a spezzare quel legame facendo pressione economica, e una volta che la corrente di armamenti si è fermata, hanno iniziato a riconquistare le province di cui i Gufi Rossi si erano impadroniti nei primi giorni della guerra. Ora tutto quello che è rimasto è quella piccola area nella Città Vecchia. Sono stati circondati, gli sono stati tagliati i viveri. Stanno setacciando la Città Vecchia tutti i giorni da settimane. L’intelligence della Repubblica suggerisce che ci sia solo qualche altra centinaia di Gufi Rossi ancora a lottare.”

“Orribile.” Rinoa affondò il viso nella schiena di Squall, respirando profondamente il suo odore, desiderano un mondo bianco o nero come una volta aveva creduto che fosse. Nessuno dei due schieramenti che combatteva questa guerra le sembrava buono. “Ma allora perché hanno bisogno di noi? perché i Gufi Neri ti hanno assunto?”

La voce di Squall perse il suo timbro da Comandante del Garden, diventando bassa, lenta, esitante. “In parte a causa della legittimità che questo conferirebbe al regime una volta che avrò finito. Ma principalmente, perché vogliono che io… fermi qualcuno.”

“Oh… Squall… Vuoi dire… Ucciderli?”

La voce di lui si era fatta legnosa, i suoi muscoli improvvisamente rigidi sotto la guancia di lei.

“Non sarebbe la prima volta. Lo sai.” Lei provò a toccargli la mente, ma stava bruciando, si stava irritando. C’era qualcosa che si muoveva lì dentro e non era certa di volerne prendere il controllo.

“Solo Artemisia, giusto? Ma lei era cattiva…”

“Lo è anche questo obiettivo, fidati.”

Seguì il suo consiglio, e non diede voce alla domanda che le pendeva dalle labbra. Avrebbe importanza? Avrebbe importanza, Squall, se ti avessero chiesto di uccidere la persona più buona del mondo? Lo faresti anche in quel caso?

(Lo faresti davvero?)

(Lo faresti, potresti?)

Non farlo, no per favore no, no
- Rinoa socchiuse i suoi occhi e pensò alle sue braccia attorno a lei, alle sue mani sul suo seno, allo sguardo di stupore nei suoi occhi quando l’aveva preso dentro di lei la prima volta, la sua risata. La sua voce: Rinoa, ti amo.

Ti amo, Squall. Sei una brava persona, lo so. Non potrei amarti se tu non lo fossi.


“I Gufi Rossi hanno un nuovo leader. Nelle ultime tre settimane, hanno fatto un gran numero di sortite devastanti nella loro efficacia. Il governo sta tenendo sotto segreto questo fatto, ma l’ultima dozzina di operazioni ha sventrato con successo un intero battaglione. I Gufi Neri non hanno molti uomini di cui fare a meno. Il leader opera in prima linea nei suoi attacchi, indossando un cappuccio rosso e una maschera.” Si fermò per un istante. “Hanno foto, videotape. E’ uno dei migliori combattenti che abbia mai visto. Le sue mosse potrebbero rivaleggiare contro quelle dei migliori SeeD che conosco. Lo chiamano Red Death. Per qualche vecchia storia, sembrerebbe.”

Rinoa annuì, spazzando via quell’informazione. Odiava quella storia, voleva saltare subito alla fine per finire i suoi compiti e uscire con Jill e gli altri. Qualcos’altro le solleticò la mente, mentre ricordava la conversazione del giorno prima tra Squall e il Maggiore Grant. Red Death era buono perché si preoccupava per Timber, o perché non lo faceva?

“Quindi è nuovo. Ma da dove viene? Forse… Potrebbe essere un SeeD?”

“No. Ho controllato le liste dei SeeD prima di accettare la missione e di nuovo poco fa. Nessun altro sta servendo Timber da entrambe le parti del conflitto. Diversi SeeD stanno lavorando a Galbadia, un’altra manciata è al servizio di una Corporazione di Mercanti di FH come protezione sul posto, e Shu sta lavorando come guardia del corpo privata nella parte nord di Dollet da diversi mesi, ma nessuno di questi lavori ha qualcosa che coinvolga Timber nei profili delle missioni. Se l’avessero, non avremmo neanche considerato questa missione. Il database del Garden esiste per garantire che i SeeD non debbano mai affrontarsi l’un l’altro in combattimento.”

“Allora chi è?”

“Non lo so,” ammise Squall. Aggrottò le sopracciglia in quel suo adorabile cipiglio perplesso, con gli ingranaggi della sua mente che cominciavano a girare inutilmente. “Un SeeD ritirato, uno Speciale Soldato Operativo di Galbadia, qualcuno che è incappato sulle armi senza mercato di Esthar. Non ha importanza. Non voglio che sappiano che tu sei qui.”

Rinoa inarcò le sopracciglia. “Pensi davvero che possano competere con una strega? Mi basterebbe schioccare le dita per farli arrostire sul posto.” spiegò – la prima parte, almeno – con un sogghigno.

“Ma non lo farai.” Mise il computer da parte, voltandosi per guardarla, nascondendo il viso nell’incavo fra il suo collo e la spalla.

(Lo faresti?)

“No.” Abbassò lo sguardo al letto, facendo scorrere con aria assente una mano lungo le costose lenzuola di cotone di Dollet, con la voce bassa e tremante. Un anno fa, non avrebbe mai immaginato di sentire quella critica da qualcuno, figurarsi dall’uomo più importante della sua vita. “Non posso.”

(Potresti?)

Tu potresti, Squall. Ma non l’hai fatto. Lo so. Lo so e ti amo, ti amo così tanto che non m’importa, perché sei più di quello che hanno fatto di te, ora sei mio, e io posso fare di meglio, io posso-


“Ti amo.” E poi le labbra di lui furono sulle sue e le sue mani stavano vagando tra i suoi capelli colorati, attorcigliando qualche ciocca, spingendole la testa verso di sé. Rinoa gemette nella sua bocca, accogliendo il suo peso, permettendo che lui la coprisse completamente, che salisse su di lei. Riusciva a sentire la sua mente tamburellare contro la sua, il suo cuore agitarsi dentro il suo petto.

Non lo faceva quasi mai – ricordava ancora le prime volte, il suo respiro rapido, il modo in cui le sue mani si muovevano goffamente esitanti. Era stata colta da stupore e anche da un pizzico di tristezza, ricordava di aver pensato, Sa lanciare qualsiasi incantesimo del suo libro, combattere un GF in preparazione con la sua mente, far volteggiare quel gunblade come se fosse una piuma, e non riesce a decidersi a slacciarmi il reggiseno…

Ma le cose erano cambiate. Le sue mani le sfilarono le spalline del vestito, scendendo con le labbra sino alla sua gola, ora fredde contro la sua carne infuocata, e le fecero male, e non vi badò. Le sue dita lasciavano scie di dolore sulla sua pelle tirata e sbucciata, e non vi badò, e la bottiglia di vino si rovesciò e si frantumò rumorosamente sul pavimento, e non vi badò, perché era Squall, e lui la voleva, e lei aveva bisogno di lui, ora.

“Sì,” disse quando lui si spinse dentro di lei, e quando sentì i suoi pensieri fondersi in un unico, impetuoso stimolo insistente, e poi ancora quando lui chiamò il suo nome, con la voce roca, e poi ancora e ancora e ancora, mormorandolo fra gli ansiti, urlandolo.

Sì, sììì è un qualcosa che loro non ti hanno mai insegnato, sono stata io, è un qualcosa che loro non possono darti, è un qualcosa che loro non possono portarti via, solo io, sì, solo io e solo tu e sì sì SÌ

Si addormentarono dopo un po’, lui aveva posato la testa sul suo seno, il suo corpo modellato a quello di lei sotto il lenzuolo sottile, inviandole con la mente scintillanti scrosci del piacere che tuttora perdurava. Rinoa tremò leggermente, colpita da un colpo di freddo da insolazione, tracciando i contorni del suo corpo con le mani, toccando una cicatrice dopo l’altra, percorrendole come se fossero una mappa stradale. Un buco raggrinzito dove un proiettile gli aveva lacerato un bicipite, un minuscolo taglio a mezzaluna dove una scheggia di uno shrapnel che un robot Galbaniano esplodendo gli aveva perforato la pancia, l’orribile superficie di carne corrugata sul suo petto dove il frammento di ghiaccio di Edea l’aveva trafitto, e, certo, quell’elegante squarcio tra i suoi occhi, cortesia dell’altro uomo della sua vita.

Tantissime. Neanche papà ne ha così tante, ed ha più del doppio dell’età di Squall. Non è giusto.

Allora sentì la voce di suo padre, che le diceva che la vita non era giusta. Era uno dei suoi ritornelli preferiti. Immaginava fosse vero, ma questo non migliorava la situazione. Sapeva che Squall e gli altri avevano vissuto vite brutali prima di incontrarli, di incontrarli a causa di quelle vite, ma questo non rendeva il risultato più semplice da accettare. Amava l’uomo, non il SeeD, e desiderava che questi la smettesse di fare una tale impressione sull’altro, dentro e fuori. Non che lei avrebbe mai detto qualcosa; sapeva stare in silenzio, tenere il tutto sotto controllo.

(Lo faresti, potresti?)

Una serie di esplosioni rimbombò nella città, tuoni di guerra, e lo sapeva già, da qualche parte c’era del sangue, ma non lì, non ora. Lì c’erano solo cicatrici, ed erano vecchie cose morte, e non significavano niente. Niente di niente quando aveva lui accanto a lei, che viveva e respirava e le solleticava il petto con il suo respiro lento e tranquillo. Non quando riusciva a sentire la sua anima nel profondo, non quando avevano girato e salvato e creato un mondo insieme.

(Potresti farlo davvero?)

“Sì,” bisbigliò alla stanza silenziosa. “Posso farlo.”

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Capitolo 3
*** III parte ***


v.

Rinoa se la prese con sé stessa mentre finiva di mettersi il mascara, chinandosi pericolosamente sul ripiano del bagno e cercando di non infilarselo nell’occhio – di nuovo. Lo specchio era enorme, e a momenti si sentiva quasi persa nella sua superficie. Riusciva appena a vedere cosa stava facendo, e probabilmente si stava spiegazzando il vestito nel processo, e non era nemmeno un vestito buono, solo un coso color zafferano pallido che aveva preso a Balamb, e comunque stava meglio a Selphie, e non era del colore giusto per quei capelli, che erano spaventosi, così ineleganti, le radici stavano già ricrescendo, ma che avevano in testa-

Non ti va mai bene niente, Rinoa, la rimproverò la voce di suo padre.

Zitto, papà. Buttò il mascara da qualche parte, dandosi un altro sguardo allo specchio, lisciandosi la gonna corta contro le gambe candide. Le macchie rosse e le sbucciature della sua insolazione erano sparite durante la notte, e non aveva neanche dovuto usare i suoi poteri consciamente. Un altro vantaggio dell’essere una strega, suppose.

Chissà quando mi verranno le borse sotto gli occhi. Si sorrise maliziosamente nello specchio, arricciando gli occhi, con delle rosse labbra color ciliegia –oh chissà cosa penserebbe papà di quelle- che facevano spazio alla dentatura bianca. Forse mai.

Qualcuno bussò bruscamente alla porta. “Signorina Heartilly?”

“Arrivo!” disse Rinoa spaesata in una quantità allarmante di forcine per capelli. Si infilò disperatamente le ultime rimaste, appuntando in su i capelli in un nodo folle che sperò di poter far passare per una pettinatura alla moda. Il risultato non assomigliava esattamente a quello di Quistis, ma immaginò importasse poco, dato che comunque Squall non era mai stato interessato a lei.

Aprì rapidamente la porta, senza neanche prendersi il tempo di controllare attraverso lo spioncino come Squall aveva insistito facesse. Il Maggiore Grant aspettava fuori, immobile nella sua uniforme, la schiena dritta e le spalle quadrate. La donna la squadrò da capo a piedi, inarcando un sopracciglio scuro.

“Beh, Maggiore, che ne pensa?” Rinoa si sentì improvvisamente allegra, il suo sangue si era tramutato in champagne frizzante. Piroettò in un cerchio grazioso, facendo in modo che la gonna le sferzasse le gambe in maniera deliziosa.

“Non esattamente il mio genere, Signorina Heartilly, ma a lei sta bene.” Il Maggiore Grant distolse lo sguardo incerta, e Rinoa notò nuovamente i suoi sottili fianchi mascolini e il suo petto piatto. “E’ pronta ad andare?”

“Sì,” Rinoa chiuse la porta dietro di lei, girando energicamente la chiave e mettendola da parte in un borsellino che era decisamente troppo piccolo per servire a qualsiasi cosa oltre che essere messo in mostra. “E chiamami Rinoa, per favore.”

“Se lo dici tu.” Il sorriso del Maggiore Grant sembrava ancora disciplinato e diffidente come il resto di lei. “Ora faremmo meglio a sbrigarci, la macchina ci sta aspettando e c’è una lunga camminata da fare.”

Camminarono nel corridoio completamente coperto da moquette fianco a fianco, stivali da combattimento e scarpette da ballo senza fibbia che calpestavano parimenti più polvere di quanto avrebbero dovuto. Passare l’aspirapolvere in quel luogo era probabilmente l’ultima cosa che avrebbe attraversato la mente di chiunque ad eccezione di lei, e di sicuro non si sarebbe offerta volontaria per farlo di persona. E non era certo l’unica cosa che non andasse in quel posto. L’ascensore non funzionava ancora, e dopo un paio di scalinate piene di silenzio, il lungo viaggio per le rampe di scale divenne assolutamente insopportabile.

“Qual è il tuo nome?” chiese infine Rinoa, il volto vagamente arrossato, tutta concentrata sui gradini ripidi. “Intendo il tuo nome vero, non il tuo grado.” L’ultima parola le lasciò uno sgradevole sapore in bocca.

“Oh.” Il maggiore scrollò le spalle, fissando la successiva rampa di scale. “Leslie. Non che sia importante.”

“Certo che è importante!” Un irregolare pezzo di legno la costrinse ad un rapido passo traballante, ma riacquistò rapidamente l’equilibrio. “Ci sarai alla Residenza Presidenziale stanotte?”

“No… Io… Mi sono stati affidati dei compiti da qualche altra parte. Il Comandante Leonhart ha richiesto che venissi a prenderti, comunque, quindi sono stata temporaneamente sviata dai miei programmi.”

“Oh. Beh, grazie.” Rinoa arrossì leggermente. Non essere ridicola, Rin, hai avuto un Generale per padre, dopo tutto. I Maggiori non vengono invitati alle funzioni di stato.

A telefono nemmeno Squall le era suonato felice di essere stato invitato. Il Presidente Marshall gli aveva assicurato che la cena sarebbe stata piccola, un incontro intimo con solo pochi ministri e ufficiali di alto rango presenti, ma anche così temeva che ci sarebbero state delle infiltrazioni. Eppure, la Repubblica di Timber aveva pagato un’extra per l’incarico, e tecnicamente un tale aspetto poteva contare come obiettivo da conseguire. Una volta venuta a galla la verità, aveva presto deciso che Rinoa, che lo aspettava all’hotel, dovesse raggiungerlo, e perciò c’era stata la telefonata, la fretta, e la disperata ricerca di un vestito elegante, e il maggiore. Squall e gli altri sarebbero arrivati in poco tempo in una macchina; a quanto pareva si fidava del Maggiore Grant –Leslie– tanto da darle il permesso di scortare Rinoa per un pezzo di strada accessibile al traffico del settore al centro della città.

Come se non potessi farlo da sola. Prima giravo in macchine rubate per queste strade ogni notte. E che notti gloriose erano state, i capelli corvini che fluivano dietro di lei al vento, lei che rideva, ubriaca e libera, bruciando l’asfalto e lasciandosi l’inferno alle spalle, facendo dichiarazioni gridando e spruzzando insolenti slogan sui muri. Ma non era un gioco, non lo era-

Uscirono per una porta laterale, emergendo in una strada stretta e silenziosa, uno dei numerosi rami del viale principale della città. I lampioni illuminati sopra la sua testa ancora ardevano di un rosso elettrico, proiettando uno spazio di luce per terra, sebbene la maggior parte di quelli lungo la strada fossero stati rotti o avessero semplicemente smesso di funzionare – la strada era un mosaico di luce sgargiante e buio impenetrabile.

La notte era calda e asfissiante, e non offriva loro nessun sollievo dopo l’estenuante viaggio giù per le scale. Rinoa fece schizzare in alto le braccia, facendosi aria in un movimento che sapeva dovesse sembrare ridicolo e tuttavia era disperatamente necessario. Sperò di non doversi sentire in imbarazzo macchiandosi il vestito col sudore, ma non poteva davvero far altro che sperare, indifesa nella morsa dell’umido calore afoso che aveva afflitto la città per tutta la loro visita.

Missione, la corresse la voce di Squall nella sua testa.

Timber non aveva mai sofferto una tale ondata di caldo da che si ricordasse, e il fatto che stesse sudando era peggiorato dalla proliferazione di mosche. Le peggiori di tutte erano quelle grasse, verdi mosche cavalline, dello stesso tipo che l’avevano sempre fatta strillare di paura quando era una bambina ogni volta che andava a visitare le stalle. Il loro sonoro ronzio e i loro morsi penetranti erano andati pericolosamente vicino a rovinare persino il divertimento di un pony. Ora, cercava soltanto di non pensare con tutte le sue forze a quello che potevano star mangiando, o a dove potessero star crescendo.

Il Maggiore Grant fece qualche passo nell’oscurità, percorrendo con lo sguardo la città. “La macchina dovrebbe essere solo un paio di isolati più in là, e siamo all’interno della Zona Verde, quindi non dovrebbe succederci niente. Il Comandante Leonhart avrebbe voluto portarti lì personalmente, ma lo Staff Generale vuole tenerlo vicino per il momento. Io-”

“Non preoccuparti, Ma- Lesile. Me l’ha spiegato per telefono, sono certa che andrà – owww!” Come se pensare alle mosche cavalline le avesse invocate, una di loro le morse la nuca, mandandole una fitta glaciale di dolore per tutto corpo. “Stupide mosche-”

Riflessivamente, alzò una mano per toccarsi il morso e sentì- sentì-

Metallo?

Cos-?

Le sue dita si strinsero attorno a qualcosa di freddo e metallico. Strattonò l’oggetto assentemente, come se stesse sognando, e se lo sfilò dalla carne: un dardo d’acciaio, dalla cui estremità spuntava una coda quasi comica di piume nere. “Che sta-”

Il Maggiore Grant si voltò per guardarla in faccia, sgranando gli occhi e formando con la bocca una “o” di sorpresa, e la scena avrebbe potuto sembrare buffa, dato che il suo volto serio era per una volta finalmente vivo. Prese il fucile dalla spalla, sganciando col pollice la- la- sicura, e-

Un soffio d’aria, un altro morso di una mosca sulla coscia, un altro soffice dardo che spuntava dalla sua pelle. Rinoa fece un barcollante passo in avanti, agitando le braccia, la notte le avvolse gli occhi, e poi tutto accadde molto velocemente.

Sbucarono da oltre l’angolo, scagliando dardi attraverso le macchie di luce e oscurità, i corpi svolazzanti per l’illuminazione fugace in un modo che le ricordò improvvisamente alla sua mente languida dei ballerini a un rave di Deling City. L’impressione fu solo rafforzata dalla loro apparenza – una sviante macchia di rosse bandane, nastri rossi al braccio, loghi rossi ricamati su giacche logore, della pittura rossa sul viso che spiegava le sue ali lungo le loro guance – niente uniforme caratteristica per questi Gufi, nessun ordinata sartoria o colori in coordinato.

Le loro pistole piccole ed esili fecero uno strano rumore, segnando sul marciapiedi incerte linee di arma da fuoco. Schegge di asfalto e proiettili deviati risplendevano e sibilavano attorno a lei.

“Giù!” Il Maggiore Grant diede a Rinoa un forte spintone, ma non fu quasi necessario, perché le sue gambe si erano già fatte di gomma, costringendola a cadere a terra in un movimento scomposto e senza grazia. Sbatté la testa contro un palo della luce, e il dolore che le sfrecciò attraverso il cranio la scosse per un momento dallo stupore. Sbatté le palpebre e vide il maggiore fiondarsi di fronte e a lei, la sentì aprire il fuoco col suo fucile di gran lunga più grosso di quelli dei Gufi Rossi, cucendo una scia di proiettili tra le loro forme in avanzamento.

Il primo cadde quasi immediatamente, colpito dalla forza dei proiettili che gli perforarono la testa, ma il secondo continuò a muoversi per qualche istante prima di barcollare all’indietro, col corpo che si muoveva in modo spasmodico e sussultante per i ripetuti colpi di maglio, ballando una folle danza della morte, strisciando sull’asfalto, contorcendosi come in quella vecchia canzone, quella in cui devi ballare fino a che non crolli crolli crolli e ancora non puoi fermarti. Un terzo strillò come un animale mentre la sua coscia destra esplodeva in un vulcano di sangue e carne. Continuò a correre senza sosta fino a quando la sua gamba non si rese conto di non avere più il necessario per funzionare, scivolò, incespicò, rotolò fino a fermarsi accanto a un tombino, strillando ancora come un forsennato.

Rinoa riusciva a sentire un grido di terrore devastarle la gabbia toracica, circondato però da un calore ovattato, quasi un insetto intrappolato nell’ambra. Il mondo veniva sospinto dentro e fuori dalla sua concentrazione. Sentiva il suo stesso sangue scorrerle nelle orecchie, precipitarsi nelle sue vene e nelle sue arterie a un milione di miglia l’ora. Le bastò concentrarsi un secondo perché la magia le sfiorasse le punte delle dita, ma proprio quando tentò di avvicinarla, quella le sfuggì di mano. Se avesse potuto fermarla solo per un secondo per-

Un altro, pensò, Quando è successo? Il nuovo dardo si era piantato nel suo petto, proprio sotto la minuscola voglia che a Squall piaceva trovare con la lingua, pulsava allo stesso ritmo del suo frenetico battito cardiaco, cavalcando il crescendo dei suoi rapidi respiri. Molto lontano, riuscì a sentire il Maggiore Grant –Leslie- urlare nella sua radio in cerca di supporto e riferire le loro posizioni.

Una figura sgusciò dalle ombre direttamente di fronte a Rinoa, materializzandosi nel suo campo visivo drogato come un incubo e strano come una cosa che aveva visto alla Mostra di Arte Moderna di Deling, dei sottilissimi, affilati angeli dalle proporzioni impossibili. La sua tuta era nera, il mantello e il cappuccio che la ornavano rossi, e il suo volto – il suo volto-

-e il suo mantello le fece pensare a quella storia, quella stupida vecchia storia, la sua testa era riempita soltanto da storie e canzoni in quei giorni-

O nonnina che occhi grandi che hai

Enormi occhi vitrei eclissavano quel volto, annidati sopra un becco quasi grazioso a uncino. Dove avrebbe dovuto esserci la pelle c’era solo una distesa di corte piume marroni, quasi come quelle sui dardi. Rinoa aprì la bocca, parte per urlare dal terrore e parte per avvertire il maggiore, ma la sua lingua sembrava come impastata nel miele.

Il Maggiore Grant doveva aver sentito i suoi passi strascicati nella realtà concreta. Si voltò, roteando con il fucile, ma il Gufo fece semplicemente un passo in avanti, impugnando il calcio dell’arma e forzandolo in un angolo acuto. L’arma da fuoco latrò, sobbalzò come un essere vivente, sparando proiettili in aria oltre la spalla del Gufo, strappando altri pezzi di muro dal già devastato palazzo dietro di loro, e di sicuro qualcuno doveva aver sentito, Squall doveva aver sentito, perché non veniva, perché non venivano ad aiutare-

L’altra mano del Gufo scattò in avanti, scagliandosi nel piccolo ventre del maggiore, la violenza del pugno piegò quasi in due il suo corpo sottile. Tre acuti, appena percettibili sibili, e tre buchi rossi apparvero sulla schiena della donna mentre il suo intero corpo sussultava. Il tempo rallentò e si riscaldò; dicono che in queste occasioni il tempo si congeli, ma non è così, si allunga, come un elastico tirato fino al limite massimo, fremente, teso. Un involucro caldo scese sulla nuda caviglia di Rinoa lasciando un bruciante fumo nero, e pensò, insanamente, mi si è rotto un tacco.

Il tempo fece uno scatto. Il maggiore sgranò gli occhi, le zampillò del sangue dalla bocca. Ci fu un sibilo, mentre la sua vescica si svuotava, scurendo l’inforcatura della sua piccola e caratteristica uniforme, colando giù per le sue gambe in rivoli osceni, e in qualche modo quella era la parte peggiore, in qualche modo l’oltraggio di quell’atto sembrava peggio della precedente violenza. Gemette silenziosamente, lasciando la presa sulla pistola mentre cadeva all’indietro sulla strada, rotolando su un lato e dando a Rinoa una visione diabolicamente perfetta dei suoi grandi occhi marroni.

Una volta, suo padre aveva provato a stare con lei portandola con Angelo nei boschi vicino a Deling in un campeggio. Quei boschi erano mansueti, i mostri dell’ultimo Pianto Lunare avevano da tempo imparato a starvi lontani, e pensava che sarebbe stato un buon modo per avvicinarla. Per una volta aveva quasi avuto ragione, e fu davvero abbastanza divertente fino a che lei e Angelo non decisero di esplorare. Lo aveva distolto dai sentieri sicuri con elogi e dolci, e per questo era tutta colpa sua se era caduto in quella vecchia trappola per orsi. Rinoa ricordava il modo in cui era stato ferito e gli si era lacerata la zampa anteriore, e poi come tutti avessero cercato di aiutarlo, come avesse roteato gli occhi e implorato per essere aiutato anche quando impazziva nella stretta delle fauci d’acciaio.

Il maggiore ora aveva gli occhi di Angelo, pieni di ottusa paura animale, e papà non era lì ad aiutarla ad uscire dalla trappola, e Rinoa non poteva muoversi, non poteva neanche pensare, quello che le avevano fatto, quello-

Il maggiore tese la mano verso Rinoa, le dita distese, supplichevole. Il Gufo la calpestò, mettendosi a cavalcioni sulla sua forma prona – che ora sembrava così pietosa, così accartocciata e piccola, il corpo di un bambino – il tamburo fumante della sua pistola angolata verso il basso. In quel momento Rinoa seppe che non avrebbe mai potuto dimenticare quel movimento - la freddezza, la sua terribile, meccanica efficacia. La pistola fischiò un’altra volta; la guancia del maggiore sobbalzò sull’asfalto, i suoi occhi animali si sporsero e poi divennero vitrei. Il suo braccio cadde, la sua mano si muoveva ancora in modo sgraziato e invano come un pesce fuor d’acqua, con le dita che si agitavano spasmodiche sull’asfalto.

Maggiore. Leslie. Il sangue di Leslie si era espanso fino alla sua gonna; catturava e tratteneva su di sé la luce del lampione, con tre gocce perfettamente rotonde di sangue rosso rubino.

Stanotte devo andare ad una cena, pensò Rinoa mentre il mondo vacillava attorno a lei e il cadavere del maggiore aveva un altro spasmo. Nulla di tutto ciò può succedere perché mi rovinerebbe il vestito e stanotte devo andare ad una cena.

Aveva la testa di piombo, i suoi muscoli del collo si erano infiacchiti. Le ci vollero tutte le sue forze per alzare la testa. Il Gufo ora era in piedi sopra di lei, fissandola con i suoi enormi occhi vuoti che alteravano l’illuminazione del lampione, e stava diventando sempre più grande, eclissando qualsiasi cosa nella sua vista.

I boschi di Timber sono cambiati, ma i Gufi ci sono ancora, disse una voce ridacchiante nella sua mente, e poi sentì lo stridore di pneumatici, e colpi di arma da fuoco in lontananza, e quello che rimaneva di lei scattò in avanti, con la mente tamburellante di elettricità, emettendo un ultimo, disperato appello.

SQUALL! SQUALL AIUTAMI PER FAVORE AIUTAMI SQUALL HO BISOGNO-

Qualcosa di pesante si scaraventò sulla sua nuca con sconcertante brutalità. Delle luci esplosero alla sua vista e poi riconobbe solo l’oscurità.

vi.

“-conosceva i rischi.”

La prima cosa di cui Rinoa si rese conto era il dolore, che pulsava insistentemente sul retro del cranio come se qualcuno l’avesse presa a pugni in testa e l’avesse lasciata a ciondolare. I suoi pensieri erano velati e confusi, e si chiese se si trattasse di semplici postumi da sbornia. Quella era roba da niente; ne aveva avuti più che a sufficienza durante l’Estate di Seifer, dopo tutto. Ma quanto diamine doveva aver bevuto-

“Vaffanculo!” Questa voce era più sonora, più profonda della prima. “Non lasceremo uno di noi dietro.”

Un momento di silenzio. Poi toccò di nuovo alla prima voce, alta, smorzata. “Non poteva neanche stare in piedi. Non avremmo mai potuto portare tutti e due fuori da quel tunnel, specialmente non quando eravamo sotto di due uomini. Se non l’avessimo presa, sarebbe stato tutto inutile.”

“Allora avremmo dovuto aspettare, provare di nuovo. Ho perso tre amici lì fuori, dei bravi soldati, e in cambio abbiamo guadagnato una troia inutile.”

La sua mente si stava schiarendo, e ora ricordava gli ultimi eventi con subitaneità aguzza, immagini vivide lampeggiarono sulle sue palpebre come se stessero ancora accadendo. La mano del Maggiore Grant, la gamba inutile del Rosso che si dimenava, gli enormi, impassibili occhi del Gufo, anche se almeno quello doveva essere stato una qualche allucinazione- ma se pure fosse stato così, aveva ucciso il maggiore, e lei era lì, ed era circondata, e cosa le avrebbero fatto-

Rinoa si fermò in tempo dall’emettere un gemito disperato, la mente che correva ad altissima velocità, espandendosi. Squall. Per favore. Non riusciva a sentire nulla attraverso il legame, sebbene non si trattasse di una cosa insolita. A meno che non fosse nella stessa stanza con lei, ogni sua impressione che riceveva tendeva a essere come minimo sfocata. Ciononostante, si concentrò più che poté, cercando di inviargli il suo grido d’aiuto. Lui era il suo cavaliere. Doveva sentire qualcosa, in qualche modo.

E io sono una strega. Si tese in cerca della magia, tentando di convincere la calda sfera di creazione e distruzione che batteva sotto il suo cuore. Nulla. Non è come l’ultima volta… allora c’era, solo che… era sfuggente. Ora è sparita. Sparita. Sentì il suo cuore saltare dolorosamente un battito. Che faccio?

La prima voce parlò ancora, da qualche parte dietro di lei.

“Questa ‘troia inutile’ è l’unica Strega conosciuta al mondo. E’ così importante per Wallace laggiù che ha risistemato tutti i miei piani per garantirsi la sua cattura. Tutto quello che ho fatto è stato assicurarmi che tutto andasse liscio come l’olio. Tu non sai di cosa sono capaci lei e Leonhart. Siamo stati fortunati a scappare senza gravi perdite, e se abbiamo rattoppato quell’operazione, di sicuro non avevamo altre chance. E’ costato una fortuna preparare quei dardi col silenziatore da soli, e il tuo caro Wallace è a corto di fondi in questi giorni. Infatti, l’unico errore che ho fatto è stato lasciare vivo Winston per poter dire loro dove-”

Una terza voce la interruppe: giovane, maschile, imponente. “Basta così, tutti e due. Vince, Winston era morto per noi il minuto in cui quella puttana di Timber gli ha sparato alla gamba. Se è ancora vivo, renderà fieri di lui i Gufi Rossi. Non parlerà. E se non vado errando, Red Death,” Rotolò la parola nella sua bocca con insolenza. “Eri tu sulla mia busta paga, e dovevi seguire i miei ordini. Giochiamo a modo tuo fin quanto pare a me. Indossa le tue mascherine, organizza le tue missioncine, fai i tuoi piccoli riti vudù, ma non dimenticarti che sono io a dare gli ordini.”

“Per un’altra settimana, patetico e mediocre stronzetto. Nulla nella descrizione del lavoro dice che mi debba piacere.”

Rinoa aprì gli occhi di una piccolissima frazione, abbastanza per vedere almeno in che buco dell’inferno era sprofondata. La luce era insopportabilmente accecante persino per la sua visione socchiusa, e spostò leggermente la testa, ancora intorpidita di confusione. Realizzò grazie a un velo di altre fitte e dolori che le sue mani erano piegate scomodamente dietro la sua schiena, legate assieme con una corda stretta. Aveva i piedi intirizziti; altro spago le affondava nella carne del ginocchio, segregandola alle fredde gambe della sedia di metallo.

Una voce acuta dall’angolo. “Si sta svegliando!”

“Lasciatela stare.” Nuovamente la voce smorzata. “Non ci farà del male.” Rinoa ebbe la sensazione che qualcosa le battesse i polsi incrociati e sentì un debole suono metallico. “Non con un paio di queste addosso.”

Dottor Odine, pensò Rinoa, colma di un improvviso scoppio d’ira nei confronti suoi, di Esthar, e anche del padre di Squall, Laguna. Adele non era stata un’ottima strega, ma forse se l’avessero smessa di ingegnarsi ad escogitare modi per ferire le streghe, forse queste sarebbero state più propense a lasciare chiunque altro in pace.

Questa volta Rinoa aprì gli occhi per davvero, sbattendo le palpebre fino a che la luminosità non diminuì abbastanza da permetterle di vedere. Era legata ad una sedia, a un capo di una lunga stanza angusta. La luce che l’aveva accecata veniva da una fila di grandi finestre alla sua sinistra, polverose e piene di crepe, molte anche rotte e frettolosamente ricoperte di brandelli di cartone e vecchi giornali. Alla sua destra c’era un basso muro di gesso spoglio, screpolato e bagnato, le lettere rosse TIMCO verniciate sulla sua superficie che si erano sbiadite in un patetico rosa. L’alto soffitto della stanza era più che andato, ridotto ad uno scheletro di tegole e fluorescenti lampadine fulminate attaccate con fili di isolamento che oscillavano come carne putrida ridotta a brandelli.

Diverse spesse colonne di calcestruzzo svettavano attraverso la stanza; i suoi occhi le seguirono in alto verso il tetto fino al pavimento frantumato seguente, e poi quello dopo ancora, attraverso cornici d’acciaio e penzolanti linee del telefono fino ad arrivare ad una chiazza di terso cielo grigio. Un ammasso di vestiti messi alla rinfusa e rovinati giaceva in un angolo, e un manichino senza volto e senza braccia era eretto di profilo contro una delle finestre distanti, con ancora indosso i rimanenti strappati di un vestito verde, con scure macchie di muffa che spiccavano sul tessuto. La stanza puzzava di muffa, umidità e sudore: un odore rancido, di marcio, selvaggio che non aveva sede in città.

Il suo stomaco si rovesciò, per la fame o la nausea o la paura. Prese un respiro tremante. Sii coraggiosa. Sii coraggiosa. Squall, ti prego sbrigati.

“La principessa si è svegliata alla fine.” Era la voce sonora e profonda, ma l’uomo a cui apparteneva le sembrò sin troppo piccolo. Percorse la stanza di fronte a lei, con le sottili spalle simili ad un uccello curvate in una gobba sotto una cenciosa giacca di pelle. Un tatuaggio si trascinava sul lato destro del suo viso, ricordandole per un istante Zell, ma quello di Zell era ben fatto, carino, addirittura, e questo invece era solo uno stupido, sciatto Gufo Rosso, modellato con linee approssimate, e il suo colore sbiadito quasi quanto quello del logo sulla parete.

Notando il suo sguardo, si voltò bruscamente per guardarla in faccia, curvando la bocca in un sogghigno beffardo che deformò ancora di più il gufo. “Hai qualcosa da dire?”

“Chi siete voi? Che cosa volete?”

“Sta zitta,” Dalla donna rannicchiata nell’angolo. Si accovacciò su un secchio, i capelli arruffati e sporchi raccolti da una bandana rossa, i pantaloni attorno alle anche. Un soffocato sibilo metallico si levò dal secchio mentre orinava. Nessun altro nella stanza sembrò notarlo o importarsene.

Rinoa distolse lo sguardo, concentrandolo sul proprio grembo, dove il sangue del Maggiore Grant si era asciugato in brutte macchie nere. “Mi avete chiesto voi di parlare.”

L’uomo dalla voce fragorosa, avvicinandosi ancora di più, scagliò improvvisamente un pugno sul braccio della sua sedia, scuotendola violentemente. Cercò di non tirare indietro la testa.

“Ti ho chiesto se avevi qualcosa da dire, troia. Non ho detto niente a proposito di rispondere alle tue fottute DOMANDE!” Adesso stava urlando, il volto a pochi centimetri dal suo, il respiro caldo e maleodorante nelle sue narici. Gli uscì della saliva dalla bocca, coprendole le labbra, le ciglia.

Hai affrontato cose peggiori, non aver paura, non aver paura. Oh, ma ne aveva, ne aveva, perché non si era mai sentita così indifesa prima di allora, anche di quando l’avevano portata ad Esthar. Almeno non l’avevano trattata in quel modo perché erano spaventati da quello che avrebbe potuto fare. Queste persone sembravano troppo selvagge e feroci per aver paura, e lei era totalmente alla loro mercé.

Poi una mano dalle dita sottili si posò sulla sua spalla, il tocco stranamente gentile, quasi confortante se si fosse trovata da qualsiasi altra parte. Lì, un tocco dolce sembrava ancora peggio di uno crudele, e le venne la pelle d’oca al pensiero di cosa potesse significare.

Squall. Sono qui. Sbrigati.

“Basta così, Vince.“ di nuovo la voce smorzata, quella che loro chiamavano Red Death, il Gufo. Perché era così gentile con lei? Ci sono i buoni e i cattivi, proprio come in tutti quei film che andavo a vedere a Deling, tutti fingono e basta. Non gli importa di me. Vuole soltanto piacermi per farmi parlare.

“Sono stanco di sentire cosa basta per te, Red. Non sei il mio capo.” Tuttavia, il minuscolo ometto feroce indietreggiò, appoggiandosi ad una delle colonne di calcestruzzo e guardandola subito torvo.

Ha paura. Da quello a cui aveva assistito, aveva ogni ragione per averla.

Un ragazzo strisciò per un davanzale, la sua figura venata dalla luce screziata dalla polvere che irradiava la stanza. Era vestito in una versione rossa dell’uniforme che portava il maggiore, una folta chioma di capelli neri che spuntava da sotto il suo berretto rosso. Era diverso dagli altri, poteva esserne sicura dal primo sguardo - un segno che tutte le funzioni sociali a cui suo padre l’aveva trascinata quand’era un’adolescente non erano completamente inutili.

Gli altri, a parte Red Death, apparivano per quello che erano: combattenti sulla parte che sta per perdere di una guerra disgustosa, stanchi e affamati e aggrappati a qualsiasi cosa con le unghie. Questo invece era ordinato e raffinato dagli stivali di combattimento al viso simile a quello di una bambola di porcellana. Mentre si alzava, Rinoa vide che anche la sua andatura era unica: precisa, delicata, aristocratica. Avrebbe potuto scommettere un bel po’ di guil che non avrebbe mai potuto beccarlo a fare pipì in un secchio, e non sarebbe probabilmente apparso fuori posto alla cena di stato della sera prima.

“Signorina Heartilly, essendo tu stessa stata una combattente della resistenza per tanto tempo, sono sorpreso che tu non riesca a riconoscere i suoi confratelli quando ne vedi.” Il giovane le sorrise, inchinandosi con finta teatralità. Anche la sua voce era diversa da quella degli altri, untuosa, di plastica e zuccherosa, con un tocco di un certo accento che non riuscì a riconoscere. “Sono Wallace, e questi sono i miei associati. Siamo, per dirla con semplicità, patrioti.”

“Siamo la vera Timber Maniacs,” disse Vince, allungando il braccio oltre la sua testa. Il suo sogghigno mancava di più che qualche dente.

“Pensavo che scrivessero giornali.” La voce di Rinoa era tranquilla, i suoi pensieri amari. Scommetto, che allora non eri neanche nato, stupido idiota.

“Per pulirsi la coscienza, e non tutti.” Vince stringeva in mano un rasoio dritto col manico d’acciaio. Lo apriva e lo chiudeva in continuazione, probabilmente nel tentativo di terrorizzarla. Funzionò. “Le parole non cambiano mai nulla. Anche il pezzo grosso del Maniacs, Laguna-Il-Fottuto-Presidente-Loire, l’ha capito. Non dirmi che ha cercato di spodestare Adele dal suo trono parlandole. Con le streghe si può trattare in un modo solo - tagliando le loro teste di merda, magari con dei rasoi.”

La mano sulla sua spalla si strinse lievemente, il più infimo degli abbracci.

“Non avreste il coraggio di dirlo se non fossi legata.” Rinoa sentì una scintilla di rabbia sollevarsi, e la ventilò disperatamente, sperando che le sue fiamme potessero tenere a bada la paura. “Io potrei-”

“Sì, giusto.” La donna dell’angolo chiuse la zip dei pantaloni e si appoggiò alla parete. I suoi occhi, piccoli e gretti come quelli di un furetto, perforarono quelli di Rinoa. “Non farai un cazzo. Non l’hai mai fatto. Pensi che non ricordiamo? Tutto quello che hai fatto è stato giocare a fare piani che non avresti mai attuato. Quando hai avuto il potere per fare veramente qualcosa, te ne sei andata via come se niente fosse. Per te era tutto un gioco.”

“Non è vero!” Arrabbiati, arrabbiati, e ora era facile, perché lo era davvero, suonavano come suo padre, come Seifer, come tutti quelli che l’avevano criticata per voler aiutare. “Ho fatto tutto quello che ho potuto.”

“Stronzate,” La donna increspò le labbra in sua direzione e sputò, sputò per davvero, nessuno mi ha mai fatto qualcosa del genere, queste persone davvero- “Hai presente questi uomini che la tua puttana di Timber ha sparato? Loro hanno fatto tutto quello che potevano. Tu, ti chiamavano principessa, ed è proprio così che ti comportavi. Non hai mai voluto sporcarti le mani.”

“E- e allora?” Il cuore di Rinoa accelerò nel suo petto, e realizzò di essere più arrabbiata che spaventata per un momento, e più ferita che arrabbiata. E’ una cosa stupida. Queste persone sono assassini e ti hanno rapita, che t’importa di quello che dicono? “Pensi che l’unico modo utile sia essere un’assassina come te? Sei arrabbiata perché non ho bombardato un mucchio di persone innocenti per dimostrare una cosa così stupida?”

“Quello che la mia cara collega Juliet sta cercando di dire, Signorina Heartilly,” intervenne Wallace, il sogghigno di plastica ancora incollato al viso, “E’ che quando uno combatte per un ideale, deve farlo con il conseguente ammontare di… dedizione. Passione.”

Juliet. Che bel nome per una persona così orrenda. Le ricordava il nome di sua madre, e si ritrovò a pensare ancora una volta alla canzone che avevano sentito sulla strada per Timber.

(Lo farai?)

Ti prego… Squall…


Wallace si voltò, puntando lo sguardo fuori dalla finestra su file dopo file appartamenti sfasciati e di strade coperte di macerie, parlando col tono di un attore che ha fatto bene le prove. La rese più nauseata di quanto avesse potuto il tanfo di quel luogo.

“Non sono nativo di Timber, sai. Non l’ho mai visitata fino a quando non sono venuto qui per studiare al college. Ma sono finito per voler bene a questo posto, ad odiare quello che i Galbadiani gli avevano fatto. E quando ho visto l’opportunità di cambiare le cose, l’ho colta. In qualsiasi modo e ogni volta possibile, qualsiasi fossero le conseguenze.”

“Amo Timber, capisci. Non quello che è ora,” E qui si voltò per un istante per sfoderare una falsa smorfia, indicando la devastazione fuori. “Ma quello che potrebbe essere. Quello che dovrebbe essere. E amo abbastanza quell’ideale per fare tutto il necessario per realizzarlo. Lo stesso vale per i miei colleghi qui. Stiamo combattendo per amore, come tutti quei grandi romantici del passato. E’ per questo che i Gufi Neri non possono fermarci, non importa quanti di noi ne uccideranno. Sono patetici criminali o mercenari, che combattono per la scelta più facile, nascondendo la testa nella sabbia con quei leccaculo Galbadiani piuttosto che drizzarsi a sedere e guardare il mondo attorno a loro. Non hanno passione. E’ per questo che loro non riescono a capire perché non cederemo.

Wallace si girò di nuovo, indicandola distrattamente, pigramente. “E’ questo che non va con il nostro amico ‘Red Death’, ed è questo che non va con te. Semplicemente non ami abbastanza.”

Rinoa pensò alla storia del maggiore. Forse era stata in disaccordo con le accuse di Wallace ai Gufi Neri, ma aveva detto grossomodo la stessa cosa, e Rinoa si chiese se lei avrebbe mai potuto fare cose crudeli come quelle che aveva fatto lui per quello in cui credeva.

(Lo faresti davvero?)

(Potresti farlo davvero?)

(Lo faresti, potresti?)

Non è questo l’amore. Non sapete
nulla. Non si considerava un’esperta del campo, ma dopo quello che le era accaduto l’anno precedente, sapeva tutto sull’amore, l’aveva vissuto completamente, fino alle ossa. L’amore poteva risolvere ogni problema, ma non con le bombe o le pistole o il sangue. Non dovevi combattere per lui anche se potevi morire per lui, c’era e basta e tu lo sapevi e basta e poteva cambiare le persone, non ucciderle. Si trattava di creare qualcosa di bello, non di distruggerlo. Si trattava di vita, non di morte. Si trattava di-

Squall. Sono una strega.

Non m’importa.


-fiducia.

“Parli in maniera molto commovente, Wallace,” disse Vince. Lui e Juliet condivisero un breve sguardo. “Per un uomo che combatte con noi da forse un mese.”

Wallace scrollò le spalle. “Se non vado errando, è stato allora che avete cominciato a vincere.”

“Non grazie a te,” disse Juliet, facendo un cenno in direzione di Rinoa. Red Death rimase in silenzio.

Non apprezzano neanche Wallace, realizzò Rinoa. Pensano che faccia parte di questo posto quanto me, ma hanno bisogno di lui. Forse io… Ma lei non era Quistis, che avrebbe potuto trovare un modo per farli rivoltare l’uno contro l’altro, o Selphie, che avrebbe potuto acquietarli e fargli abbassare la guardia in un falso senso di confidenza, o Squall, che avrebbe potuto farli a pezzi con la sua semplice forza di volontà. Lei era solo Rinoa, e si sentiva soltanto indifesa e sola.

“Oh, intendi Red. E’ qui solo per soldi. I miei soldi. E quando il Garden avrà pagato per la Signorina Heartilly qui presente, ce ne saranno molti di più. Abbastanza per aprire di nuovo le comunicazioni con Dollet, abbastanza per pagare una dozzina di ‘Red Death’.” Fece l’occhiolino a Rinoa. “E poi, potrai tornare a casa, mia cara, e vivere la tua piccola, tiepida vita in compagnia del tuo piccolo fidanzato psicopatico, e poi sarà tutto bello come prima.”

Fu allora che le ricordò suo padre, che accondiscendeva con lei come se fosse una bambina, e questo creò un impeto di rabbia dal suo petto. Riusciva a sentirlo divamparle in viso, e sapeva che le sue guance erano rosse quanto lo erano state quando si era presa l’insolazione. Non era lei a pensare che amare significava uccidere persone. Lei non si pavoneggiava in un’uniforme contraffatta, fingendo di essere qualcosa che non era. Era Wallace il soldato giocattolo, che giocava a un violento giochetto per bambini, senza mai capire chi feriva.

“Non importa. Comunque perderete.” Gli diede un’occhiata torva. “Tutti voi siete stupidi. Non fate altro che starvene seduti qui a lamentarvi e a mettere su piani per uccidere persone, e questo non risolve nulla. Vi farà soltanto odiare di più.”

Le dita sottili affondarono nella sua spalla. Vince estrasse di nuovo il suo rasoio, voltando la lama per catturare la luce, muovendosi verso di lei a passi risoluti. Non può farti niente, si disse Rinoa, ricordalo. Se ne dimenticò quasi quando sentì un lato del rasoio premuto contro la sua guancia, così freddo che bruciava.

“Potrei tagliarti la faccia, puttana.” Ma non l’avrebbe fatto, non l’avrebbe fatto, e stava già facendo marcia indietro. Lo odiava, odiava i suoi occhietti gretti e la sua voce forte e la sua scadente e vecchia giacca di pelle e sì anche quel coso.

Rinoa sorrise in modo affettato, arricciando il naso nello stesso modo che faceva arrabbiare da morire Papà. “Se hai intenzione di tagliar via qualcosa, perché non cominci con quel brutto tatuaggio rosa?”

Vince rise, un breve, rozzo latrato fatto per pura apparenza. “Grazie per la soffiata, Rinoa. Anch’io ho qualcosina per te.” Raggiunse rapidamente l’angolo, e Rinoa dardeggiò con gli occhi per controllare la reazione degli altri. Né Juliet né Wallace sembravano sorpresi per il suo sfogo. Probabilmente faceva così tutto il-

Il contenuto del secchio schizzò su di lei a tutta forza, strappandole il respiro dai polmoni, infradiciandola fino alle ossa, incollandole i capelli al cuoio capelluto. Annaspò, tremando per la bruschezza del gesto, sentendoselo gocciolare dalle frange e colare sulla sua nuca e sulle ginocchia, e poi la colpì il puzzo ed era pipì e riusciva a sentirla sugli occhi e sulle labbra e bagnarle il vestito e le mutandine sotto e poi sentì la nausea, tanta nausea, il suo stomaco si rivoltò violentemente, il suo intero corpo perse tutto il contegno che lo contraddistingueva.

Rinoa cercò di voltare la testa, ma non fu abbastanza veloce; si vomitò addosso, imbrattandosi il seno, il vestito, senza fine, anche dopo che il suo stomaco si era svuotato e non poté fare a meno di boccheggiare spasmodicamente. Le corde incisero dolorosamente le gambe mentre il suo corpo si contorceva e le sue dita si artigliavano inutilmente all’aria. Fu allora che li sentì ridere.

Non si era mai sentita così sporca, così volgare e brutta e degradata, e realizzò che anche dopo aver finito di vomitare il suo corpo continuava a tremare e scuotersi. Stava piangendo, non le lacrime dignitose che accompagnavano un film triste o un litigio con Squall, ma il singhiozzare profondo e indifeso di un bambino, così forte che sembrava come se qualcuno le avesse strappato il cuore dal petto, e non sarebbe finito, non sarebbe finito, voleva Squall e voleva una doccia e voleva andare a casa.

per favore per favore aiutatemi qualcuno per favore-


Un soffice panno si premé sul suo viso mentre la figura dietro di lei cambiava posizione, permettendole di vederla per la prima volta. Red Death indossava ancora lo stesso soprabito, la stessa maschera da Gufo con gli occhi vitrei. Sapeva che aveva ucciso il Maggiore Leslie e probabilmente era il peggiore di tutti loro, ma mentre le asciugava il mento con la punta del mantello, non riuscì a sentire altro che un senso di gratitudine cruda e disperata così forte che le fece quasi venire di nuovo dei conati di vomito.

“Hey,” disse Juliet. “Credo che Red sia troppo dolce con lei.”

Rinoa alzò lo sguardo verso di lui. Non riusciva a vedere nulla nei giganti occhi di vetro se non il suo stesso viso, contuso, venato di fanghiglia e rosso per il pianto. I suoi occhi erano la cosa peggiore, gonfi e dilatati, pieni di evidente paura. Come aveva potuto pensare di poter far loro credere che non aveva paura quando aveva questo aspetto?

“Suppongo che sia una possibilità,” disse Wallace, imperturbato. “Solo non affezionarti troppo, Red. In un modo o in un altro, non resterà in giro per molto.”

vii.

Il giorno passò lentamente, le ore scorrevano in un astioso silenzio. Dopo un certo tempo, il divertimento dei Gufi sulla sua condizione era misericordiosamente scemato, rimpiazzato dai doveri del giorno. A un certo punto mangiarono qualcosa da dei piatti da elemosina, litigando aspramente tra di loro per la scelta delle porzioni. A Rinoa non fu offerto nulla e lei stessa non era comunque dell’umore per mangiare. Dopo un po’ di tempo, si accorse di dover fare pipì e alla fine la fece lì dov’era seduta, odiando loro per averla ridotta ad un animale, odiando se stessa per il sollievo che la inondò quando nessuno di loro la notò e rise di lei.

Red Death trascorse il giorno fuori dal suo campo visivo. Dopo il suo precedente gesto, e il commento di Wallace, non parlò più.

Una luce rossa proruppe nella stanza mentre le ore si trascinavano pian piano, arrampicandosi sull’economico muretto di gesso accanto a Rinoa, spiegando il suo profilo distorto lungo la sua superficie. La fissava tranquillamente, piena di vergogna per il suo precedente sfogo, piena di paura di uno peggiore, la sua mente concentrata a raggiungere lui.

Squall.

La luce scivolò sul muro in una marea prossima alla ritirata mentre dentro s’instaurava il crepuscolo, gettando la stanza in smorte tonalità di grigio. Alla fine Juliet e Vince finirono la loro cinquantesima partita a Triple Triad e lasciarono la stanza. Quando tornarono cinque minuti dopo, un ronzio appena percettibile palpitò attraverso l’edificio e le poche e spoglie lampadine sul soffitto cominciarono a ballonzolare, bagnando la stanza di una sterile luce bianca che le fece apparire tutti loro come malaticci, facendo diventare la loro carne cerea e pallida, trasformando i loro occhi in profonde orbite vuote.

Un crepitio dalla minuscola radio all’angolo, e Juliet era lì, infilandosi una cuffia che era stata azzardatamente riparata con dello scotch. Ascoltò con un momento, la testa ritta, poi abbaiò: “Affermativo, rimanere in silenzio fino al cessato allarme.”

Prima che avesse potuto anche solo riporre le cuffie, stava gridando agli altri, raccogliendo di tutta fretta il fucile del Maggiore Grant dall’angolo. “Wallace, la postazione del sud ha visto una volante andare verso nord, pare che sia un aeroplano. Un Cargo rimesso in sesto, probabilmente. Se avessero avuto qualcosa di meglio ce l’avrebbero già usato contro.”

Squall. Un barlume di speranza si accese dentro Rinoa, bruciando intensamente e dolorosamente nel suo petto. Deve essere così. Non riusciva a sentire la sua mente, non ancora, ma doveva essere lui. Raddoppiò i suoi sforzi mentali, chiudendo gli occhi, cercando di raffigurare il luogo in cui la tenevano. Sono qui, Squall. Sbrigati.

Wallace buttò via il libro di citazioni politiche che aveva sfogliato sino ad allora e raccolse anche lui la sua piccola mitragliatrice. “Spegnete le luci.” La stanza piombò nell’oscurità mentre Vince dava un colpetto all’interruttore alla parete e Wallace si agitava frettolosamente per mettere delle tende pesanti di fronte alla finestra. “E spegni quella fottuta sigaretta, Vince.”

Qualche minuto dopo, lo sentì: un basso ronzio attraverso la notte, che si avvicinava sempre di più alla loro posizione.

“Non se ne vedevano di areoplani dalla loro parte in questi giorni,” La voce di Vince uscì dall’oscurità da qualche parte di fronte a lei. “Devono davvero pensare che sei speciale, Principessa.”

“Quella cosa del cazzo sta venendo dritto da noi,” Juliet tolse la sicura dal suo fucile con un click. “Winston ha cantato.”

“Non è possibile!” disse Vince. “Non avrebbe-”

“Se l’ha fatto, non la riavranno mai viva,” La voce di Wallace era sufficientemente pragmatica da far tremare Rinoa. “Ora state zitti.”

E poi sentì qualcosa, un semplice solletico, ma era lì. La mente di Squall stava trasmettendo con feroce intensità, ordine e caos mischiati insieme, una gabbia di disciplina che tratteneva una macchia rossa di rabbia, paura, e qualcos’altro, qualcosa che non riconobbe del tutto. Era furioso, aveva paura, ma stava venendo per lei, e aveva un piano.

E qualcos’altro. Qualcosa di alieno, che odorava di ozono e di temporali. Quetzal. Non riusciva a leggerlo come riusciva con Squall, ed era ignaro come lui della sua presenza, ma era lieta che Squall avesse deciso di junctionarlo.

Il ronzio si trasformò in un ruggito, ed ecco che l’aeroplano stava passando sopra di loro, un piccolissimo lampo di luce e movimento contro lo sfondo scuro del cielo. Non si fermò, né rallentò, né virò come seconda mossa; continuò semplicemente verso nord, come se non fosse assolutamente interessato a loro.

Parte per le storie che le avrebbe raccontato e parte dalle cose che aveva spigolato dalla sua mente -e lì dentro non si trovavano solo quelle cose, non è così, Rinny, e rabbrividì nella casa sulla spiaggia- avrebbe visto spiegato il piano di Squall. Avrebbe visto come lui avesse messo l’autopilota al grande e maldestro mezzo di trasporto, come se fosse sceso arrampicandosi sullo sportello e poi sull’ala, il vento che gli sventolava la giacca, gli strattonava i capelli e gli sferzava il viso mentre aspettava che l’aereoplano passasse sul devastato scheletro d’acciaio del grande magazzino.

Aveva steso le braccia e si era lasciato cadere all’indietro nel vento, reso invisibile dai suoi abiti scuri contro la notte mentre piroettava in caduta libera. Si allungò dentro di sé in cerca del luogo in cui Quetzal si era appollaiato sulla sua mente, dando un rapido comando. La prima breve esplosione di vento magico rafforzò la sua discesa; la seconda l’aveva fermata completamente, permettendogli di aggrapparsi al lato frontale dell’edificio, facendo ciondolare una gamba dall’altra parte della gigante O al neon della scritta TIMCO come un cowboy Galbadiano a cavalcioni su un cavallo selvaggio. Poi, cominciò a scendere, facendosi strada a mani nude come un ragno attraverso il labirinto di travi d’acciaio arrugginite, il calcestruzzo frantumato, e dondolandosi tra i fili mentre il vento cercava di sradicarlo.

Tutto questo lo seppe più tardi.

Allora, sentì soltanto l’aereoplano passare accanto a loro e superarli. La disperazione le zampillò nella gola, ostruendole i polmoni, lasciandola senza fiato e senza speranza. NO non può non può lui deve TROVARMI. Sentì di nuovo la vergognosa puntura bagnata delle lacrime e si morse il labbro fino a che non sentì il sapore del sangue, odiandosi per aver lasciato che loro la vedessero in quello stato. Sono una strega, quelle come me non dovrebbero - cos-?

Sebbene il suono del motore dell’aereo fosse diminuito, il flusso mescolato di paura, rabbia e determinazione più nera strofinò la sommità della sua mente più feroce che mai, più forte, diventa più forte ogni secondo di più-

E’ ancora qui. Rinoa cercò di sembrare quanto più possibile accuratamente miserabile, cosa che non era poi realmente difficile, circondata com’era da persone che le avrebbero sparato alla prima occasione, e il suo stesso sporco che le riempiva le narici. Almeno non potevano vederla al buio, anche se quello significava che neanche Squall poteva.

Fa attenzione, Squall. Chiuse gli occhi per un istante, cercando di visualizzare la stanza e le persone che vi erano presenti quando le luci erano accese, mandando a lui le loro immagini. Non aveva nessun dubbio che avrebbe potuto infliggere una pesantissima umiliazione a Wallace e ai suoi amichetti in un attimo, ma Red Death era qualcosa di completamente diverso, e se Squall non sapeva che lui era lì-

Una forte esplosione perforò il silenzio, e spalancò gli occhi. Juliet scattò verso la cuffia, cercandola a tastoni nel buio prima di schiaffarsela contro l’orecchio. Passò solo qualche secondo prima che parlasse di nuovo, la voce traboccante di trionfo.

“Affermativo.” Lasciò cadere la cuffia. “L’hanno preso! Un paio di missili Marquis, sparati dai nostri due strade più giù. Hanno controllato, niente superstiti.”

Vince schiamazzò in segno di vittoria, riaccendendo le luci in un rapido movimento trionfante. La reazione di Wallace fu più delicata, ma anche più nauseabonda. Un sorriso acquoso, un vago cenno del capo in direzione di Rinoa.

“A quanto pare la Forza Aerea dei Gufi Neri… che come puoi vedere non vale granché… è sotto di un altro ridicolo aereoplano. E il tuo ragazzo non verrà a farci una visitina molto presto.”

Rinoa abbassò lo sguardo al suo grembo, pregando che non avesse letto la speranza che doveva trovarsi sul suo viso.

“Non mi piace,” parlò per ultimo Red dalla sua posizione accanto alla finestra. “E’ stato troppo facile. Qualsiasi cosa si possa dire sui Gufi Neri, non sono stupidi. Non avrebbero sprecato uno dei loro mezzi aerei in un gesto inutile come quello.”

“Chi se ne frega?” disse Vince, gettando uno sguardo truce oltre la sua spalla a Rinoa. Aveva rinunciato al Triple Triad e ripreso la sua posizione curva contro la colonna. “Non sarebbe la prima cosa stupida che fanno. Cazzo, forse il ragazzo di questa puttana ha deciso di rubarne uno e di andare in una missione di salvataggio da solo.” Il suo viso era troppo smussato per riuscire a fare un sorriso compiaciuto, ma ci provò lo stesso. “Le cose che le persone fanno per amore.”

Wallace era ancora in piedi con la schiena alla finestra, l’arma da fuoco in mano. “Vince potrebbe aver ragione,” disse in un tono che suggeriva che questo non accadesse spesso. “Timber non è l’unica variabile in quest’equazione, dopo tutto. Ma in ogni modo importa poco ora, no?”

“Voi non lo conoscete,” insisté Red.

“E tu sì?” Il sopracciglio sinistro di Wallace si fece lentamente strada lungo la sua fronte, come per caso. “Ma certo, allora, perché non ti presenti a Rinoa qui e-”

Non fu un suono fortissimo; un flebilissimo rumore da qualche parte oltre il muro di gesso. A Rinoa, suonava come se avesse potuto essere qualsiasi cosa: un topo, un uccello, qualcosa di sfiorito abbandonato dal vento. Non era mai stata una persona curiosa sui rumori strani nella notte; preferiva aspettarli con calma con la testa sotto le coperte. Una parte di lei non voleva fare nient’altro al momento, solo chiudere fuori il mondo, solo essere al sicuro tra le sue braccia.

Squall, sei tu?

Per il tempo in cui Wallace alzò una mano per ottenere il silenzio, Red Death era a già a metà strada dalla porta, il corpo spigoloso curvato come un gatto pronto all’inseguimento. Voltò il suo viso senza espressione verso Wallace per un momento, facendogli un affilato gesto con la mano prima di sgusciar via senza far rumore nella porta spalancata e nell’oscurità oltre.

Continuate a parlare, labializzò sottovoce Wallace agli altri. Poi, sonoramente. “Idioti. Pensavate che avessero imparato la lezione dopo la battaglia di Monroe.”

Vince non sembrò capire, ma Juliet si riprese abbastanza rapidamente. “Forse quelle armi le hanno fregate a Galbadia. Forse avrebbero un po’ di fegato in più se avessero più aeroplani da sprecare.”

Rinoa sentì una scossa di cruda adrenalina correre lungo il filo del legame, così forte che le sue stesse vene iniziarono ad ardere, il suo stesso cuore ad agitarsi dolorosamente. Un’improvvisa smania s’impadronì di lei, consumando il suo pensiero consapevole, guidando l’aria dai suoi polmoni. Lui era in pericolo, stava per essere ucciso, doveva FARE QUALCOSA FA QUALCOSA

“SQUALL!” Il grido le scappò prima ancora che sapesse che era lì, nutrito dalla sua collera e dalla sua paura, come lo strillo acuto e forte di un uccellino. “SQUALL SANNO CHE SEI QUI STA ATTENTO STA ATTENTO!”

Anche mentre le parole la lasciavano, realizzò sconvolta che l’emozione che aveva sentito fino ad allora era di lui, percosso da un’intensità febbrile per il bisogno di salvarla.

Accadde tutto nello spazio di dieci secondi.

Wallace aveva fatto un singolo passo dalla finestra quando quella esplose dietro di lui, spargendo per la stanza vetro e ritagli di vecchi giornali. Un braccio vestito di pelle nera si serrò alla sua gola, affondando profondamente nella sua trachea. Ebbe soltanto il tempo di dimenarsi una volta prima che l’altra mano di Squall arrivasse dalla destra in un gesto di disinvolta brutalità, fracassandosi contro la tempia di Wallace con la piena forza del corpo di Squall dietro di esso. Il collo di Wallace diede un umido schiocco, da cartilagine strappata, la sua testa sbandò lateralmente, i suoi occhi si spalancarono, della bava spumeggiò dalla sua bocca. La pistola gli scivolò dalla presa, risuonando sul pavimento tra i suoi talloni scalcianti. Mentre Squall lo rilasciava, il corpo cadde a terra, atterrando con lo scricchiolio del vetro rotto e lo schiaffo della carne cruda sbattuta su un bancone da macello.

Quando ho imparato che suono fanno i corpi che cadono? Il pensiero le attraversò la mente così rapidamente da essere quasi subconscio, e non vi fu il tempo di soffermarcisi.

Vince si tuffò verso la sua pistola mentre Juliet sfoderava il fucile del Maggiore Grant, sparando selvaggiamente nel panico. Dei proiettili urlarono nell’aria, rimbalzando sulle colonne di calcestruzzo, depositandosi sul gesso di poco valore, infrangendo le finestre. Squall balzò lateralmente, sospingendosi con le gambe magre un passo oltre l’arma da fuoco mentre attraversava la stanza verso di lei.

Prima che Rinoa potesse anche solo registrare a dovere cosa stesse avvenendo, Squall aveva aggirato la colonna di fronte a Juliet ed era saltato in avanti. Raccolse le braccia dietro la testa prima di fendere l’aria col gunblade in un arco scintillante che catturò e poi sparpagliò la luce asettica della stanza.

Non sembrò nulla di più di un brutale colpo dall’alto fino all’ultimo istante, quando Squall girò i polsi, lasciando che la punta della sua arma scorresse fluida e lenta attraverso la gola di Juliet. Rinoa ebbe un lampo momentaneo di un concerto al Parco di Deling City, i violinisti che tendevano gli archi sulle corde, prima che un improvviso schizzo di sangue prorompesse dal collo della donna e distruggesse l’illusione.

La mano di Juliet si strinse convulsamente sul grilletto mentre cadeva, cucendo sul pavimento un inutile filo di proiettili. Batté la testa contro il tavolo di fortuna con un solido thunk, facendolo crollare in un geyser di carte del Triple Triad. Caddero attorno a lei, volteggiando nell’aria come uccelli feriti prima di discendere sulla sua figura immobile.

“Jules!” Vince barcollò verso Squall, la pistola dimenticata nel suo dolore, facendo volteggiare il rasoio. I due uomini si scagliarono l’uno contro l’altro con il liquido suono setoso dell’acciaio che squarcia la pelle.

Un altro suono che ho imparato.

“Sei fottuto, brutto figlio di puttana!“ urlò Vince, e Rinoa vide con suo sommo orrore che stava dicendo la verità. Aveva fatto roteare il rasoio in un arco ampio e rozzo, ma era riuscito a intagliare un accurato canale oltre la giacca di Squall, fino alla carne. Il sangue zampillò di fronte a lei, svanendo nello sfondo nero della giacca. “Sei fottuto, fottu-… oh.”

Vince arrancò lontano da Squall, il rasoio che risuonava per terra mentre lui cercava di usare entrambe le mani per trattenere le sue interiora. Mentre aveva puntato verso l’alto, Squall aveva mirato in basso, conficcando il filo del suo gunblade nell’altro uomo così aspramente che quello non se ne era neanche accorto. Anche solo intravedere la ferita fu troppo; Rinoa sentì la bile calda bruciarle in gola, tenuta soltanto dalla stretta di ferro della sua paura. Più tardi, avrebbe vomitato, si disse, più tardi, e sarebbe stata tanto, tanto bene.

Il Gufo Rosso aveva perso il combattimento, assieme alla maggior parte del suo sangue. Si inginocchiò accanto al corpo esanime di Juliet, accarezzandole teneramente la guancia, mentre il loro sangue si mescolava.

“Tu… non dovevi… perché hai fatto del male a lei?” La sua voce ora era docile, il suo corpo scosso da singhiozzi soffocati. “Era… perché le hai… ohhh fa ma-”

Squall ruotò su un piede solo, spingendo il gunblade alla base del collo di Vince e tagliandogli la spina dorsale in un tocco fluido ed efficiente. L’ometto si scagliò in avanti, cadendo sul corpo di Juliet, mentre la lama di Squall scivolava agevolmente fuori dalla sua carne mentre la gravità li divideva.

Squall lo degnò di una semplice occhiata prima di voltarsi verso Rinoa, ponendo la lama a riposo sulla sua spalla incolume. La sua mente era una gabbia di ghiaccio, così fredda che la scottò quando la toccò, e dentro, qualcosa stava ancora sbatacchiando le sbarre nella sua fretta convulsiva di scappare.

“Rinoa.” La sua espressione di pietra si addolcì quando notò i suoi lividi, le macchie che la coprivano. “Stai bene?“

“Ce n’è un altro, Squall!” La sua voce scoppiò in un improvviso sbotto. “E’ quello che-”

“Lo so.” Gli occhi di Squall erano fissi sul corridoio dove si trovava ora Red Death, la pistola in mano. “Pensavo che sarebbe stato qui.”

La gabbia mentale di Squall tintinnò di nuovo. “Sono qui per prendere Rinoa. E per ucciderti. C’è forse qualcosa di cui parlare?”

Per tutta risposta, Red Death sollevo la mano libera, ripiegando indietro il cappuccio, sfilandosi la maschera e gettandola con indifferenza da parte. Il viso che aveva nascosto era di porcellana bianca, delicato in un modo quasi artificiale, tutto angoli affilati dalle labbra rosa agli occhi stretti. Era un viso che conosceva.

“Molto,” disse Shu.

Rinoa non riuscì a credere a quello che stava vedendo per i primi secondi, la sua sorpresa che si fondeva con quella di Squall da qualche parte nella sua mente. Poi, si sentì piena di una rabbia calda e feroce. Lei e Shu non erano grandi amiche - e non lo sarebbero mai state, vista la sua avversione per la disciplina militare e la fissazione al contrario dell’altra donna per questa - ma si parlavano quando si incontravano nelle sale, si vedevano nelle sere fuori, e c’era stata anche una volta in cui aveva bevuto un bicchiere di troppo a Balamb e Shu l’aveva aiutata a barcollare fino al taxi e Shu le era sempre sembrata a posto allora ma Shu era rimasta lì impassibile mentre loro la coprivano di insulti e di sporcizia e la minacciavano e Shu aveva ucciso il Maggiore e-

-Squall farebbe la stessa cosa, se fosse in missione? Ma Shu non poteva essere in missione, o Squall l’avrebbe saputo-

“Non capisco.” Squall scosse leggermente la testa, senza distogliere neanche per sbaglio gli occhi da Shu. La cosa che vagava predatrice nella gabbia della sua mente ora era diffidente, nell’osservare un suo eguale come se si aspettasse di scagliarglisi addosso ad un qualsiasi momento. “Non dovresti essere qui, Shu. Tu lavori a Dollet.”

Shu indicò con la mano libera il cadavere di Wallace. “Per una famiglia di aristocratici di Dollet, i Wallace hanno delle tendenze particolarmente rivoluzionarie. Mi era stato dato il compito di fare da guardia del corpo per un mese quando quell’idiota laggiù ha deciso che voleva scuotere un po’ le cose a Timber.”

“Perché?”

Scrollò le spalle strette. “Onesto fervore rivoluzionario. Un vantaggio nelle industrie belliche di Dollet. Entrambe. Non lo so. Qualsiasi fosse la ragione, volevano che stessi qui, e il Wallace più anziano ha pagato un piccolo extra per un comando operativo sul posto. Non avevo molta scelta.”

Le costole di Rinoa parvero contrarsi; il suo respiro si trasformò in rantoli brevi e rapidi, i suoi polmoni si dibattevano negli angusti confini del suo petto. Rabbia mista a paura pulsò nella sua testa con ogni frenetico battito del suo cuore. All’inizio non sapeva perché dovesse sentirsi così arrabbiata ora che era finita, ma poi realizzò che la rabbia di Squall stava nutrendo la sua, trapelando lungo la loro connessione come catrame bollente, infangando la sua mente fino a quando non riuscì a provare altro che pura collera.

“Allora è per questo che l’hai fatto?” Le parole le esplosero dalla bocca in una corrente incontrollabile. “E’ per questo che mi hai sparato, e hai ucciso il Maggiore Grant, e hai lasciato che loro mi trattassero in questo modo? Perché quel tizio ha pagato un piccolo extra?”

“Rinoa, mi dispiace,” disse Shu, ma i suoi occhi non lasciarono mai Squall e la scintillante lama affilata della sua arma. “Non sapevo che tu avresti fatto parte del piano fino a questa settimana. Wallace ha sentito che eri in città da uno dei suoi contatti governativi e ha ordinato l’operazione. Ti ho protetto meglio che potevo sotto le circostanze.”

“Mi hanno fatto paura,” disse Rinoa. “Tu mi hai fatto paura. Pensavo- pensavo che fossimo amiche.”

“Rinoa, noi-” La sua voce si irrigidì, l’autorità militare sosteneva la temporanea debolezza nelle sue difese. “Questi sono affari.”

“No, non lo sono,” disse Squall con la voce stanca di un uomo con il doppio dei suoi anni. Le sue spalle sembrarono cedere lievemente sotto il peso del gunblade, ma Rinoa poté leggere nei suoi pensieri che era uno stratagemma. “La tua missione è finita. Il tuo principale è morto, i tuoi legami al campo troncati.”

Legami. Rinoa lasciò che il suo sguardo vagasse sui cadaveri dei Gufi Rossi. Era davvero questo tutto quello che erano stati? Tutto quello che era stato il maggiore? Tutto quello che Squall e Shu erano? Una serie di esplosioni distanti lacerò l’aria, seguita dal flebile vibrare di armi da fuoco. Rinoa voltò la testa per guardare, e anche gli occhi di Shu guizzarono per un istante oltre le finestre, ma Squall proseguì, imperturbato.

“I Gufi Neri hanno ottenuto la posizione di almeno metà delle basi dei Rossi durante l’interrogatorio. Stanno lanciando il loro attacco maggiore dall’inizio della guerra, e con l’esperienza che hanno, vinceranno. La guerra è persa. Lascia andare Rinoa, va via, e considereremo entrambi le nostre missioni concluse.”

Shu guardò Rinoa per un secondo, facendo l’errore forse fatale di distogliere gli occhi da Squall. L’indecisione di un momento, ma solo un momento.

“No.”

“Shu-”

“E’ suo padre ad avere il contratto. Si trova a Dollet, e questa storia non è finita.” Shu indietreggiò di un passo, facendo un movimento brusco eppure quasi impercettibile con l’arma che aveva in mano. Rinoa quasi strillò un avvertimento, ma poi si rese conto che se lei aveva notato una cosa del genere, di sicuro lo stesso doveva essere stato per Squall. Shu tuttavia non era ancora pronta a fare un qualcosa di brutto; stava ancora parlando, usando le parole invece dei proiettili, sebbene quello che dicesse faceva male quasi allo stesso modo.

“Non le farò del male, Squall. Stavano solo bluffando. Non hanno mai avuto l’intenzione di ucciderla; era l’unico gettone di contrattazione che avevano. Prometto che non lascerò che nessuno le faccia male, ma non posso dartela. Non ora, non finché il contratto non scade. E’ solo un’altra settimana.”

“Shu,” La voce di Squall era acida, la gabbia di ghiaccio un’isola nel violento vortice rosso della sua mente. I suoi passi chiusero la distanza tra di loro. “Lasciala andare, ora. Che cazzo c’è che non va?”

Shu fece un altro passo indietro, il dito che si piegava nella guardia del proiettile della sua pistola. “Non posso,” disse, e per un momento, la sua voce si tinse di un accento maniaco prima che la riportasse sotto controllo.

“Non posso. Saprebbero che io sono sopravvissuta e lei scappata. Potranno pure essere a corto di soldi, ma hanno ancora una buona influenza. Squall, lo diranno alla gente. Se i SeeD non mantengono la loro parola, non sono buoni. Nessuno si fiderà più del Garden. La nostra reputazione sarà rovinata. Saremo finiti.”

“Non m’importa,” ringhiò Squall, e Rinoa sentì la speranza dilatarsi dentro di lei. Non è un soldato, è un uomo, e mi ama più di quel posto. “Lasciala andare.”

“Il mondo ha bisogno del Garden,” Le dita di Shu si serrarono sulla presa dell’arma, i suoi occhi si strinsero. “Io ne ho bisogno. Non ti permetterò di distruggerlo, non così. Non per nessun motivo-”

“Il motivo più importante,” disse Squall. La rabbia era defluita dalla sua mente, la freddezza stava tornando con incedere maestoso, una tormenta mentale con dei fiocchi invece che di neve, di ferro. Quando parlò di nuovo, la sua voce era sonora, tonante, formale.

“Tu mi vedi, Shu?”

Che cosa stupida. Ovvio che lei-

“Squall, non deve finire così.” L’espressione di Shu vacillò.

“Tu mi vedi?”

“Sì.” Quella parola era come una scheggia di ghiaccio.

Squall sguainò lentamente il gunblade dalla sua spalla, impugnando fermamente l’elsa con entrambe le mani. “Tu mi riconosci?”

“Sì.” Shu alzò la pistola, entrambe le mani strette con forza attorno la presa. Un frammento di luce scivolò sul cilindro del silenziatore in una linea luminosa, bruciante.

Il vento ululante graffiava sulla fiancata dell’edificio con un milione di unghie imperfette, insinuandosi attraverso le finestre infrante, agitando le lampadine dondolanti e spoglie in una maniera quasi giocosa. Le ombre dei SeeD schizzarono ferocemente sui muri.

“Tu mi contrasti?”

“Sì.”

“Tu mi rifiuti?”

Si muovevano circolarmente l’uno attorno all’altro, lentamente, ora, come un paio di avvoltoi intorno ad una preda, gli occhi cauti che saettavano dalle armi ai volti. Si allungò il silenzio, e Rinoa aprì la bocca per chiedere cosa diamine stessero facendo, per implorarli di fermarsi perché la stavano spaventando di nuovo, per fare qualcosa e fu allora che finalmente Shu parlò.

“Sì.”

I loro movimenti si fecero più veloci e più brevi, facendoli avvicinare, due lupi in cerca di un modo per affondare i denti nel collo dell’altro. Rinoa riuscì a sentire il sospetto pungere la mente di Squall. Lui sapeva che Shu non avrebbe infranto le regole del duello, qualunque esse fossero, ma il suo corpo non confidava in questa consapevolezza; doveva scattare, muoversi, preparare un attacco fasullo. Lo stesso valeva per il corpo di Shu.

Si mossero nuovamente in cerchio, gli occhi di lei fissi in quelli di lui con un’intimità che le avrebbe di sicuro provocato delle fitte di gelosia in un qualsiasi altro momento, ma che ora servì soltanto a terrorizzarla.

Fu Squall a parlare per prima. “Visto.”

Del sudore imperlava la fronte di Shu. “Riconosciuto.”

“Contrastato.”

“Rifiutato.”

Squall girò la presa, mettendo il gunblade in una posizione di difesa di fronte a lui, la sua lucida superficie screziata dal sangue dei Gufi. “Solo uno può sopravvivere.”

“Solo uno può sopravvivere,” gli fece eco Shu. I suoi occhi erano imperscrutabili, persi nell’oscurità delle loro cavità infossate.

“L’altro deve morire.” Smise di camminare, indietreggiando di qualche passo verso il muro di gesso. Dinanzi a lui, Shu si trovava davanti alla fila delle finestre rotte, il vento che le scompigliava i capelli lisci e appiccicaticci per il sudore.

“L’altro deve morire.” La voce di Shu sembrava fredda come la mente di Squall, e Rinoa sentì che qualcosa dentro di lei voleva urlare.

Non lo fanno davvero, non possono-

Una grossa falena svolazzò intorno alla lampadina più vicina, proiettando la sua ombra su di loro, il fioco suono del suo corpo che batteva il vetro udibile nel totale silenzio.

Per un istante la mano di Shu sembrò tramare prima di stabilizzarsi. “Accetto l’Asfodelo Nero.”

Squall annuì. “Le mie scuse ti seguano fino alla tomba.”

E così, cominciò.

La pistola di Shu fischiò tre volte, brusca, stridula. Apparirono dei buchi nel muro alla spalle di Squall con degli sbuffi di vecchio gesso mentre si gettava di lato per terra, rotolando per un secondo prima di riprendere l’equilibrio e di scattare. Shu corse parallela a lui, la pistola puntata verso di lui in un braccio esile mentre sparava, i suoi proiettili pizzicavano le caviglie di lui e intagliavano pericolose ferite nel pavimento e sul muro.

Squall si tuffò dietro uno dei pilastri di calcestruzzo della stanza, facendosi temporaneamente scudo dall’arma da fuoco di Shu. Shu fece marcia indietro, prendendo una mira quasi casuale prima di sparare tre colpi in aria. Ognuno di essi ruppe una lampadina, immergendo la stanza nel buio.

L’oscurità si schiacciò contro gli occhi di Rinoa, ingoiando il mondo. Soltanto la fioca luce della luna filtrava nella stanza attraverso le finestre infrante, ma a poco serviva ad illuminare la stanza. Shu e Squall si erano entrambi fusi col buio senza particolare sforzo, favoriti dal loro abbigliamento scuro, e lei non riusciva a sentire assolutamente nulla; non un singolo rapido respiro, né il fruscio di un passo. Era come se fosse stata lei a morire, invece di- invece di-

Come possono farlo? Che faccio? Il pensiero di gridare ad entrambi di smetterla le attraversò la mente e represse velocemente l’impulso di farlo. Se l’avesse fatto, avrebbe anche potuto peggiorare la situazione, o distrarre Squall, e questo l’avrebbe ucciso.

Preferiresti piuttosto che lui uccida Shu? La sua mente si rifiutava di rispondere a quella domanda, non che riuscisse a pensare a dovere con la concentrazione di Squall che come uno scalpello martellava i suoi pensieri. La sua tensione le vibrava nella testa come una corda di chitarra strappata sul punto di scattare; riusciva quasi a sentire il suo cuore battere all’unisono col proprio.

I secondi si allungarono, battuti dagli spari di distanti armi da fuoco. Mentre i suoi occhi cominciavano ad abituarsi all’oscurità, riuscì a riconoscere piccoli dettagli… le colonne più vicine a lei, vaghi esempi di luce e di oscurità, e -

LI’

Il pensiero di Squall fece eco al suo mentre individuava un brandello di rosso nell’angolo lontano. Un rapido scalpiccio di piedi, il suono di una lama che fendeva l’aria, e poi l’esplosione mentre Squall premeva il grilletto, portando la sua arma a velocità supersoniche. Il lampo della carica portò nella stanza un improvviso sollievo tinteggiato di arancione, mentre delle frastagliate ombre rompighiaccio correvano sul pavimento e sui muri. Dal meccanismo simile a quello di un revolver della sua arma, fuoriuscì una singola cartuccia dello spessore del suo polso, che sembrò rimanere sospesa nel chiarore della luce.

La metà superiore del manichino volò attraverso la stanza come strattonato su una corda invisibile, piroettando continuamente nella caduta, trascinandosi con sé il soprabito come un brandello di carne lacerata. Si scaraventò contro una delle finestre ancora intatte, distruggendola con uno schianto. La luce che fluì nella stanza dall’ultima breccia illuminò Squall, ancora in piedi accanto all’altra metà del manichino, col gunblade a mezz’aria.

La metà inferiore del manichino cadde, risuonando sul pavimento proprio mentre Shu piombava giù dal soffitto spoglio, atterrando in piedi, la mano impugnata di fronte a lei con entrambe le mani. Corse verso Squall, la pistola che fischiava stridula.

Squall ebbe appena il tempo di schivarla, gettandosi per terra mentre i proiettili sibilavano sull’aria sopra di lui. Shu continuò a correre, riprendendo la mira, e lui fu costretto a rotolare su un fianco, cadendo con un tonfo sulla schiena e lasciando andare il gunblade mentre i proiettili di lei stracciavano il pezzo di pavimento in cui si era trovato pochi attimi prima. Poi si mise a cavalcioni su di lui, premendogli la canna della pistola sulla fronte e stringendo il dito sul grilletto.

NO!

Click


Le braccia di Squall strisciarono verso l’alto, mentre le sue mani afferravano Shu per le spalle e le facevano abbassare bruscamente le mani. La colpì con la fronte in pieno volto, rompendole il naso con un rumore sordo. Entrambi incespicarono all’indietro, Squall ricadendo di nuovo per terra, Shu barcollando, lasciando cadere la pistola, mentre il suo naso cominciava a perdere copiosamente sangue. Prima che potesse riaversi, la gamba sinistra di Squall scattò in avanti, dandole una ginocchiata crudele tra le gambe. Shu espulse tutta l’aria che aveva in corpo con un sonoro whuff, mentre il suo corpo si richiudeva su se stesso a fisarmonica mentre un altro colpo le spazzava le gambe da sotto di lei, facendola crollare sul pavimento col capo.

Scivolando da un lato, Squall si rimise in piedi, raccogliendo in fretta il suo gunblade e sollevandolo oltre la sua testa in un unico movimento. Grugnendo per lo sforzo, fece roteare l’arma in un pericoloso arco al di sopra delle sue spalle in direzione del pavimento, premendo violentemente il grilletto.

Click

Senza l’esplosione di accompagnamento, la rotazione non fu abbastanza veloce; Shu puntellò le mani sul pavimento e si spinse in piedi, con il corpo che si contorceva in modi impossibili mentre con una capriola si allontanava dalla traiettoria dell’attacco. Seguì lo slanciò, rimettendosi in equilibrio e ritirandosi verso l’angolo opposto mentre il gunblade sfregiava di un’altra enorme incisione il pavimento. Si mosse con più rapidità e più precisione che mai, sebbene ora il suo affaticamento stesse iniziando a mostrarsi, con le spalle che si appesantivano, e la sua bocca aperta per aspirare avidi respiri.

“Anche tu a corto di proiettili, Squall?” La voce di Shu era piatta, madida del suo stesso sangue.

Prima che Squall potesse replicare, sorse dalle ombre su di lui, il fucile che una volta era appartenuto al Maggiore Grant tra le mani. L’ultima raffica di Juliet aveva esaurito le munizioni dell’arma, ma la baionetta sulla punta era più affilata che mai e Shu la usò a dovere, emergendo dall’oscurità con un turbine di coltellate a tradimento. Mise tutto il peso del suo corpo a spago dietro ogni affondo, dardeggiando con le braccia tese fluidamente, la punta dell’arma persa in una macchia informe di movimento.

Squall ricadde a terra, muovendosi verso Rinoa, il suo corpo e la sua lama che si contorcevano convulsamente mentre eludeva e scansava gli impeti implacabili. Riuscì ad evitarne molti, ma qualcuno riuscì a prenderlo, segnando delle ferite contro il suo corpo che infiammarono brevemente il legame: un taglio lungo e superficiale sulla gamba sinistra, una ferita più profonda sul fianco destro, numerose lesioni sugli avambracci.

Ora che la sua arma aveva assaggiato il sangue, Shu impose sul suo attacco una disperata, ferita ferocia. Squall le si avvicinò, e sul muro i loro fantocci d’ombra danzarono una danza spietata e all’ultimo sangue.

Shu si chinò sotto l’attacco di Squall e riemerse con una frecciata della sua arma. Squall rovesciò la testa all’indietro, evitando il contatto con l’arma per pochi centimetri, e fece ruotare la propria lama in una sferzata orizzontale che avrebbe dovuto decapitare Shu. Ma lei era veloce, anche ora, talmente veloce, mentre girava i polsi e catturava il gunblade in una delle scalanature della baionetta con uno stridore metallico e una spruzzata di scintille. Il gunblade fremette, intrappolato nella morsa di metallo della baionetta. Shu mantenne il fucile di lato, fissandolo lì con un pugno talmente serrato da farle diventare la nocca bianca, tenendosi in equilibrio su una gamba mentre l’altra si alzava, in procinto di consegnare un calcio a tradimento al ginocchio di Squall.

Il volto di Squall era contorto di rabbia e di fatica, le sue labbra scoprivano i denti quasi fosse un cane ringhioso, ma i suoi occhi erano freddi, duri e piatti, e quando parlò, lo si sentiva anche dalla sua voce da briefing, formale e informativa, che non aveva più niente di carino.

“Mi ero tenuto una strada aperta.”

Il gunblade urlò e spaccò il mondo a metà, sbocciando in un fiore di fronte agli occhi di Rinoa. Li chiuse per riflesso, sentendo l’aria calda colpirla in viso come un pugno, bruciandole le sopracciglia, inaridendole le lacrime di dolore. Il ruggito sembrò consumare il mondo per un momento, ma oltre ad esso si poteva sentire l’irrefrenabile gridare di Shu. Era un suono animale, il guaire di un neonato, colmo di nient’altro che crudo dolore e angoscia.

Rinoa aprì gli occhi e le rivenne quasi da rimettere.

Il fucile di Shu giaceva sul pavimento, ancora stretto convulsamente tra le sue mani, e la sua baionetta si era frantumata in uno sprazzo di frammenti d’acciaio. Shu aveva fatto qualche passo indietro, tenendosi le braccia monche e insanguinate di fronte al suo viso, gridando e gridando e gridando fino al punto che Rinoa pensò che quel suono l’avrebbe fatta impazzire. Brancolò alla cieca lontano da Squall, sbattendo sul muro. Vi raspò furiosamente contro per un momento come se stesse cercando di scavarci dentro, lasciando tremende macchie rosse. Quando si voltò, il suo sguardo incontrò quello di Rinoa, e Rinoa si rese conto che i suoi occhi erano gli stessi del maggiore, di Angelo, spalancati e terrorizzati e pieni di frenetica energia animale.

Tutto a causa mia, pensò Rinoa, mentre Shu scivolava sul muro, tracciando una scia rosso fuoco lungo tutto l’intonaco da quattro soldi. Quando si accasciò sul pavimento, aveva smesso di gridare. La mente di Squall tamburellava e sibilava come una teglia da forno, ancora bollente per lo sforzo e il fremito del combattimento. E’ successo… tutto a causa mia.

Il mondo divenne grigio, appannandosi di fronte ai suoi occhi come l’immagine su una televisione di pessima qualità. Indistintamente, marginalmente, era conscia del fatto che Squall stava rinfoderando il gunblade, occupandosi delle sue ferite, sondando il battito di Shu, ma non riusciva a pensare ad altro che allo sguardo negli occhi dell’altra donna, al modo brutalmente efficiente in cui Squall l’aveva uccisa, al suo gunblade che affondava nella schiena di Vince. Aveva combattuto al suo fianco, ma contro dei mostri. Non avrebbe mai immaginato che avrebbe potuto fare una cosa del genere, così brutale, così rapida, così meccanica.

Squall ora era dietro di lei, stava recidendo premurosamente col gunblade (e adesso ci era schizzato sopra anche il sangue di Shu) le sue catene. I suoi polsi si erano talmente intirizziti che non si accorse che lui l’aveva liberata dai bracciali di Odine finché non sentì la magia rifluire nella sua mente. Fece girare i polsi, facendoli strofinare reciprocamente, piegando le dita, e abbassando infine lo sguardo al suo grembo.

“Squall… Hai ucciso Shu.” La sua voce suonava distante e sciropposa alle sue stesse orecchie.

“Lo so.” Riuscì a sentire un pizzico di rimpianto nella sua mente, ma subito dopo quello, una marea crescente di calore. “Non ti avrebbe lasciato andare, Rinoa.”

“Lei non… Non mi ha fatto del male…”

“E se le avessero ordinato di farlo?” Si accovacciò di fronte a lei, poggiando le dita calde sulle sue ginocchia. “Non potevo correre il rischio, Rinoa. Non con te.”

“Squall…” Le sue dita seguirono i lineamenti del viso di lui, indugiando sulla scottatura circolare che la canna dell’arma di Shu aveva lasciato sulla sua fronte. Lasciò che il suo sguardo le percorresse, si abbassasse sulle sue altre ferite - nuove cicatrici. Anche quelle sono state tutte a causa mia. Non avrebbe mai immaginato che il loro amore avrebbe potuto essere un fardello così pesante, tanto da potergli far del male in quel modo. E Shu…

“Non potevo, Rinoa,” ripeté. “Pensavo che ti avrei persa, e io- io non riuscivo a pensare a nient’altro da fare.”

La abbracciò, non badando al fatto che era sporca, e sentì le sue braccia stringersi attorno a lui quasi di propria spontanea volontà. Posò il suo viso bruciato di polvere nella sua spalla, odorando il suo profumo sotto il sangue e il sudore, e in quel momento seppe che qualsiasi cosa fosse successo, lui era ancora Squall, e lei lo amava ancora. Aveva desiderato che lui venisse a salvarla, e l’aveva fatto, rischiando la propria vita per la sua, ponendosi dalla parte del torto. Un cavaliere, alla fine, guidato attraverso un dungeon soltanto dalla semplice, pura forza del loro amore.

“Squall…”

In seguito, si sarebbe detta che quello avrebbe potuto sopportarlo. Avrebbe potuto perdonarlo per quello che aveva fatto a Shu, e per l’insabbiamento che ne conseguì, e per la violenza che aveva inflitto ai Gufi Rossi. Non c’era stata altra scelta, e loro erano altrettanto riluttanti a cedere quanto lo era stato lui, e avrebbero davvero potuto ucciderla, nonostante Shu l’avesse negato.

Quello sarebbe stato tollerabile. Non perfetto, neanche lontanamente, ma sufficiente. Se fosse finita lì, le loro vite sarebbero tornate alla normalità presto o tardi, una volta che le loro ferite si fossero rimarginate e i loro ricordi sbiaditi.

Ma mentre lo abbracciava, il sollievo e l’amore che inondavano la sua mente si sovrapposero alla gabbia di ghiaccio, divorandola, e la cosa all’interno riuscì a fuggire, precipitandosi attraverso il legame, battendo e intrappolando la sua mente. Il legame non aveva mai brillato di una tale intensità, non le aveva mai dato un così chiaro assalto di emozione e di visioni e di ricordi in un solo istante. Era come se qualcuno avesse praticato un buco nel suo cranio e vi avesse versato dentro i ricordi di lui, riempiendo il suo cervello al punto da sommergerla di immagini che si rovesciarono poi nei suoi occhi.

La comprensione fu quasi istantanea, e mentre le immagini ondeggiavano di fronte alla sua visione e Squall bisbigliava contro il suo collo, un caldo respiro nel suo orecchio, Rinoa realizzò che stava ricacciando indietro l’impulso di urlare, di divincolarsi, di correre più veloce e più lontano che poteva.

Le sue braccia non le davano la sensazione che aveva immaginato avrebbero dovuto. La strinsero sempre di più e di più, intrappolandola in una gabbia di carne. Squall si avvinghiò a lei come un uomo in preda ad uno spasmo tremendo, e avrebbe dovuto essere romantico, ma faceva male, e non riusciva a respirare, e il sangue di Shu ricopriva entrambi, e poteva vedere i cadaveri dei Gufi morti oltre la sua spalla, ed era sbagliato, era tutto sbagliato, non avrebbe dovuto essere così-

“Ti amo.”

Rinoa si accasciò contro di lui, i suoi muscoli la stavano abbandonando per la spossatezza e l’orrore intorpidente. Fuori, l’artiglieria schiamazzò. L’edificio tremò sulle sue fondamenta, e grossi pezzi di muro e lampadine sciolte crollarono sul pavimento attorno a loro.

“Dobbiamo andarcene,” disse Squall, mettendola in piedi. Ma non andò bene; dopo tutte quelle ore sulla sedia, le sue ginocchia si rifiutarono di piegarsi, e lui dovette tenerla saldamente per evitare che cadesse. I suoi pensieri ora erano fusi in tenera apprensione, ma sembravano distanti e ovattati, irraggiungibile oltre le braccia della cosa che attanagliava la sua mente e che le stava mostrando cose che non avrebbe mai potuto immaginare di vedere neppure nel suo peggiore incubo.

“Shu…” La testa della donna morta ciondolò innaturalmente sul suo collo, e i suoi morti occhi fissi sembrarono accusare Rinoa, rinfacciarle le sue stesse parole. Pensavo fossimo amiche, Rinoa. Non lasciarmi qui come cibo per cani e vermi. Non trattarmi peggio di un animale morto.

“Non c’è tempo. Non capirebbero comunque, Rinoa.” Squall l’alzò di nuovo, mettendo le braccia sotto le sue ginocchia e la sua schiena come se si stesse preparando a farle varcare una soglia impossibile da superare altrimenti.

E allora pensò: Forse lui l’ha già fatto.


Nota della traduttrice: a-ehm. Non ho nulla da dichiarare :o Vi chiedo solo un favore: se lascerete delle recensioni, cercate di evitare spoiler sull'identità di Red Death, e sul suo assassinio, così nessuno rischia di rovinarsi la sorpresa. Grazie mille! A breve l’ultima parte.

Youffie

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Capitolo 4
*** IV parte ***


viii.

“Com’è stato?” Selphie non la stava neanche guardando, concentrata com’era nel far girare un cucchiaio nella sua tazza.

La luce del sole pomeridiano sgorgava a piena forza nella caffetteria, macchiando i riflettenti tavoli bianchi di un cisposo arancione fiabesco. A quell’ora del giorno, con la maggior parte degli studenti a lezione, il posto si profilava cavernoso e tranquillo, file su file di tavoli immacolati immobili nella loro silenziosa precisione. Rinoa, Selphie e Irvine sedevano in gruppo alla fine di una di esse, gli ultimi due parlando in modo assolutamente troppo rumoroso e ridendo per la battuta occasionale, lei meditabonda e silente.

“Cosa?” Le sembrava che la sua mente fosse stata avvolta nell’ovatta. Scrostò la superficie del suo piatto con la forchetta, spargendo distrattamente ovunque il suo contenuto.

Salsa di mele. Sono i mercenari più mortali del mondo, e mangiano salsa di mele. Una volta ci avrebbe riso su. Ora non riusciva a pensare ad altro che-

(per favore non-)

BASTA


“Essere salvata dall’uomo che ami, sciocchina!” Selphie le diede un giocoso calcio col piede sotto il tavolo. “E’ il sogno di ogni donna, no, quella cosa del cavaliere con tanto di armatura sfavillante. E’ così romantico.”

Irvine s’inclinò nella sedia, mettendo i piedi sul tavolo e colpendo leggermente il cappello per celarsi il viso. In quel momento sembrò, non una virgola in meno, il cowboy Galbadiano che da ragazzina sognava di sposare. “Pensavo che preferissi i tuoi cavalieri come mamma li ha fatti.”

“Ti ammazzo!” strillò Selphie per metà deliziata, per metà inorridita, mentre balzava via dalla sua sedia per schiaffeggiargli l’orlo del cappello, facendolo in questo modo precipitare sul pavimento. Entrambi si abbassarono per prenderlo, scontrandosi in una zuffa di lembi all’ultimo sangue.

Rinoa di solito si sarebbe unita a loro nel loro comportamento ridicolo; lei era, dopo tutto, la persona che una volta si era fatta tre giri di corsa per i corridoi del Garden, tenendosi l’ultima copia di Pupurun sopra la testa per allontanarla dalle mani disperatamente avide di Zell. Ma quello era stato prima di Timber, prima delle cose che aveva visto e appreso, e adesso riusciva soltanto a fissarli stupidamente, con l’ultima frase pronunciata da Selphie tenacemente appesa ai suoi pensieri.

Come l’avresti fatto, Selphie? Quanti modi ti hanno insegnato? Vai per la gola? Per gli occhi? Quante volte

(PER FAVORE)

l’hai

(lei non-)

già

(niente di male)

fatto?

(BASTA BASTA BASTA)


“Rin?” La voce di Selphie ora denotava un accento di preoccupazione, sebbene fosse particolarmente ridicolo dato che indossava il cappello da cowboy di Irvine, un bordo posizionato in un’angolatura sbarazzina. Lei e Irvine erano tornati ai rispettivi posti, col fiatone e le facce accaldate e sudate. “Stai-?”

“E’ stato molto veloce,” La voce di Rinoa uscì in un soffio d’aria, e lei lasciò correre, consapevole del fatto che stava balbettando, di volersi fermare ma senza riuscirci. “Io non… Non sapevo neanche cosa stesse accadendo, credo… Fino a che non è finito tutto. E’ stato… Lui è stato… Uno dei Gufi è stato sventrato. Le sue interiora sono finite dappertutto.”

“Bleah!” Selphie fece una faccia disgustata per un secondo prima di sciogliersi in tante risatine.

“Già…” Rinoa studiò il suo riflesso sulla superficie del tavolo. Vide di nuovo Vincent, mentre si inginocchiava di fronte al cadavere di Juliet, mentre Squall gli spaccava in due la spina dorsale con un movimento rapido e spietato. Rivide Shu torreggiare sul maggiore, la rivide spararle con la stessa, brutale efficienza. Sentiva Selphie ridacchiare sul genere di cose che la tenevano sveglia la notte, a ricacciare indietro le urla, e sentì qualcosa dibattersi come un’anguilla nel suo stomaco e pensò che avrebbe vomitato.

“Rin?” La mano di Selphie si posò sulla sua, come aveva fatto centinaia di volte prima di allora, come quando erano andate insieme a fare shopping o a fare una passeggiata in città o nelle notti passate a ingozzarsi e a lamentarsi degli uomini delle loro vite e della loro stupidità senza speranze. Ma ora era diverso; il suo tocco era arido, ruvido, febbricitante, come se stesse bruciando per una strana malattia. Rinoa sentì l’irrefrenabile impulso di riprendersi la mano, per timore che lei potesse accorgersene.

“Niente, okay. Non è nulla, sto bene.” Spinse la sedia lontana dal tavolo e si alzò per andarsene.

“No, non è vero.” La mano di Selphie si irrigidì sul suo polso. Rinoa poteva sentire la forza in quelle dita, sottili ma tenaci, come nastri di ferro. Sapeva che il resto del corpo di Selphie era così - non un grammo di inutile grasso, muscoli attentamente modellati, come dei cavi d’acciaio sotto la carne morbida - buffo che l’avesse già notato prima con tutte le SeeD donne che le stavano attorno, senza mai pensare a cosa potesse significare.

“Che c’è che non va?” chiese di nuovo Selphie.

In quel momento tutto si posizionò al posto giusto, i tasselli confusi di un puzzle si erano incastrati per mostrarle qualcosa che non aveva mai voluto vedere prima: i suoi amici erano delle armi. Eretti e allenati, levigati nel corpo e nello spirito per poter uccidere chiunque con un colpo di polso e poi riderci sopra il secondo successivo, cresciuti insieme in un Garden che nascondeva la loro singolarità e rafforzava la loro fermezza. Energia giovanile e proposito omicida intrecciati assieme.

Vuoi sapere cosa non va, Selphie? Non va che sto cominciando a pensare che i miei amici sono tutti pazzi, e il fatto che loro non riescano a vederlo li rende le persone più spaventose che abbia mai conosciuto.

Irvine si chinò oltre il tavolo, il volto scavato di sollecitudine. “Ti comporti in modo molto strano ultimamente, Rinoa.”

Sta zitto, Irvine, pensò. Sei tu quello che ha cercato di sparare alla tua stessa mamma. La folle risata che cercava di scaturire dal suo petto fu assorbita dalla sconvolgente verità di quell’affermazione. Se Edea non avesse fermato quel proiettile, sarebbe morta per mano di Irvine, e se quel pensiero l’aveva tenuto sveglio la notte, lo nascondeva bene.

Forse nulla li turbava, forse Squell non si sarebbe neanche dovuto disturbare a nascondere la realtà della morte di Shu in fondo a degli archivi, forse loro tutti avrebbero semplicemente scrollato le spalle e avrebbero detto fa parte del lavoro. Forse se fossero stati al posto di Shu avrebbero ucciso il maggiore e poi sarebbero rimasti lì impassibili mentre i Gufi la spaventavano e forse avevano già fatto qualcosa di peggio e non voleva neanche pensarci, qualcosa di crudele come quello che aveva fatto Squall e forse non se ne curavano nemmeno-

Non posso amare l’uomo e non il SeeD. Sono la stessa persona. Sono la stessa persona e lo sono sempre stati e lo saranno sempre e io non posso farci niente, non posso, NON POSSO-

Avevo paura!” gridò Rinoa, mentre tutta la sua emozione esplodeva. Ne ho ancora.

Strattonando la sua mano dalla presa di Selphie con uno strappo doloroso, si alzò e si allontanò rapidamente dal tavolo, ignorando gli appelli strillati di Irvine e Selphie che la pregavano di tornare e gli sguardi fissi degli studenti nella stanza, ignorando il perplesso saluto di Zell mentre si imbatteva in lui nel corridoio, ignorando tutto, mentre il suo mondo si contraeva ad una visione simile a quella di un tunnel e le diceva di correre, corri.

Rinoa non si fermò fino a che non si chiuse a chiave nella stanza che lei e Squall condividevano, ma la cosa da cui stava cercando di scappare era già lì ad aspettarla. Scivolò sulla porta, cedendo alle sue lacrime, ma quella non accennava ad andarsene. Le stava azzeccata addosso come un parassita, prosciugandola, apparendo nei momenti peggiori, sollevando la sua piccola testa orrenda e urlando la verità a chiunque volesse sentire e a chiunque non lo volesse.

Lei non voleva. Non aveva mai voluto sapere qualcosa di meno, ma quella continuava a scuoterla con inflessibile intensità, stridendo sulla porta fino a che alla fine lei non la lasciava entrare per liberarsi del rumore. Poi si perdeva nel suo orrore per un certo periodo prima di sbatterla fuori, ricominciando nuovamente il ciclo.

Non riusciva a ricordare chiaramente gran parte dell’ultimo mese. Era come una foschia di semi-dimenticabili notti fuori, di disperate-allegre facce, e di sesso di legno con Squall, tutto mescolato in una chiazza nauseabonda come il vomito che vorticava sul fondo di un secchio. Non si ricordava nemmeno chi avesse suggerito per primo questa vacanza, o di come Squall fosse riuscito a combinarla, o anche del viaggio fino a quel posto. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era- era-

(PER FAVORE)

La cosa che aveva visto nella sua mente era sempre con lei, anche ora, specialmente ora, nella tranquilla e ronzante oscurità della casa sulla spiaggia. Si appostava nella sua testa, rincorrendo frammenti della canzone di sua madre ancora e ancora. E anche mentre ci pensava, anche mentre Squall si tuffava accanto a lei e mentre le onde s’infrangevano sulla tavola da surf, quella tornava da lei.

Le immagini erano ancora vivide come la prima volta, a causa di una qualche infernale caratteristica del legame che qualche anziana strega aveva indubbiamente escogitato per essere il più utile possibile. Il ricordo l’accostava sempre di più alla follia ogniqualvolta arrivava a sfiorarlo, rifiutandosi di essere negato. Bastava soltanto pensarci, e tornava da lei come aveva fatto in quel momento in cui Squall l’aveva abbracciata nel deteriorato deposito del dipartimento; sentiva di nuovo ogni suono, odore, sensazione, come se l’avesse provato nella pelle di lui con lui.

La cresta dell’onda si affievolì nelle sue orecchie, mentre la stanza diventava sempre più indistinta, si dilatava, e-

(Ti hanno abbandonato, Winston. Non so davvero perché rimani tanto fedele a qualcuno che ti ha lasciato con una gamba a pezzi-)

-si sentì-

(Era più importante prendere quella. Questo già lo sapete e io non vi dirò altro, pezzi di merda.)

-scorrere via, per tornare-

(Io non ne sarei così sicuro. Il Comandante Leonhart si è offerto di assisterci in quest’operazione a causa della sua implicazione personale nella faccenda.)

-a quando:

ix.

Piastrelle verdi, che brillavano debolmente sotto le severe lampade al neon. Un vecchio tavolo di legno sfaldato e la relativa sedia. Assomigliava di più ad una cucina lasciata in disordine che ad una sala degli interrogatori, immagine rovinata però dall’uomo seduto alla sedia, legato mani e braccia e un viso molto più bianco della fasciatura insanguinata stretta attorno alla sua coscia. Aveva occhi non troppo vispi e vuoti, la bocca serrata in una linea determinata mentre fissava Squall.

L’uomo stava parlando, la voce sommessa ma ancora forte.

“Dovrei essere in un ospedale. Mi avete sparato alla gamba, maledetti figli di puttana, avete sparato alla mia fottutissima-”

“Sta zitto.” La voce di Squall risuonò minacciosamente sulle piastrelle. Rinoa non l’aveva mai sentito parlare con quella voce prima di allora, bassa e rude come se tutto ciò che vi era di piacevole fosse stato estirpato. “Dicci dove sono. Sappiamo che lo sai. Le cose sarebbero molto, molto più semplici se tu cooperassi.”

“Vaffanculo,” L’uomo fece una breve, dolorosa risata. “Non vi dirò niente.”

Squall si mise al lavoro.

Le grida echeggiarono e rimbalzarono sulle piastrelle, ma Squall non si intenerì, e continuò a premere il pollice sempre più profondamente nella ferita gocciolante sotto la benda. L’uomo legato si dimenò, afferrando inutilmente con le mani l’aria dietro la sedia, tamburellando con i talloni un rapido motivo sul pavimento. All’inizio, si era persino scagliato in avanti per mordere Squall; adesso, una delle guardie si era messa dietro la sedia, un braccio stretto attorno alla sua gola, mentre l’altra lo teneva fermo per la fronte. Sembrava quasi che gli stesse dando lo stesso abbraccio che Selphie e Irvine si erano scambiati un milione di volte, e sarebbe stato divertente se non fosse stato per il modo in cui si contorceva e combatteva e sputacchiava ovunque, se non fosse stato per il suo mento rosso per il sangue che gli usciva dal labbro rotto, se non fosse stato per il fatto che stava gridando moltissimo, fortissimo.

I pensieri e la voce di Squall erano di ghiaccio, tutti affari. Non gli piaceva, quello poteva ben dirlo, ma non gli faceva nemmeno abbastanza male da farlo fermare. La sofferenza del Gufo Rosso non era niente di più e niente di meno dei mezzi che gli servivano per raggiungere il suo scopo, e quello era quasi peggio, specialmente quando considerò qual era lo scopo in questione.

“Dove l’avete portata? Dove sono le basi dei Gufi Rossi?”

L’uomo tossì, prendendo un respiro tremante. “Vai. A. Fanculo.”

Squall gli diede un pugno nella gamba ferita, provocandogli dei crampi di allarme ai muscoli sotto la sua pelle come larve frementi mentre il suo corpo in agonia cercava di contorcersi. La sedia scricchiolò quasi afflitta dato che i movimenti dell’uomo sforzavano i suoi vecchi chiodi arrugginiti.

“Stronzi,” annaspò il Gufo Rosso. “Fottutissimi stronzi, pensate di potermi estorcere la risposta con la forza? Se il Garden non risponderà alla nostra offerta per mezzanotte, quella puttana è morta. Proprio come lo sarete voi Galbadiani- l’amore-”

Il suo monologo fu interrotto mentre Squall lo colpiva in faccia, e quando ricominciò a parlare, assieme alle sue parole vennero fuori anche dei denti, che gli caddero sul grembo tra rivoli di sangue.

“Credi che io non riesca a resistere a lungo? Ho passato tutta la mia vita in questo paese… abbastanza a lungo da sapere che è meglio morire con dei bastardi come voi al governo. Tanto vale andarmene con onore.”

Squall gli volse seccamente le spalle, nascondendogli la sua frustrazione e la sua paura crescente. Era impotente; se quello non avesse ceduto, Rinoa sarebbe morta; non avrebbe mai potuto convincere gli azionisti del Garden a pagare un riscatto talmente esorbitante per una strega, e il Generale Caraway non aveva più il denaro o le risorse per occuparsene. Fu allora che pensò a Rinoa; al modo in cui lei riusciva sempre a tirarlo su di morale e a farlo sorridere, al suo profumo, al suo pessimo gusto in fatto di televisione, alla sua risata. Pensò a tutte quelle cose e si sentì bruciare di una necessità e di un’intensità che avrebbero potuto consumare un pianeta.

Quel sentimento toccò Rinoa più di ogni altra cosa al mondo, e rese tutto quello che venne dopo incredibilmente peggiore.

Il pensiero di perderla per un capriccio dei Gufi Rossi infuriava e terrificava Squall. Loro due avevano osservato tutto il mondo insieme dallo spazio, e poi l’avevano salvato, quello passato, presente e futuro. Lui era il suo cavaliere. Lei gli aveva insegnato cosa volesse dire essere di nuovo una persona, gli aveva mostrato quanto vuota fosse stata la sua vita di prevedibile e ostile sicurezza. Senza di lei, lui non era nulla, e ora che l’aveva trovata, non poteva sopportare il pensiero di perderla. Avrebbe ucciso l’uomo dall’altra parte del tavolo in un istante per evitarlo. Avrebbe ucciso ogni singolo Gufo Rosso. Avrebbe-

La porta d’acciaio dall’altro capo della stanza si aprì rivelando un giovane soldato, il viso pallido, butterato e contorto di disgusto quando si accorse dell’uomo nella sedia e del sangue: sul pavimento, sulla superficie di legno del tavolo, sulle mani di Squall.

“Uh-” balbettò il giovane, “L’abbiamo trovato con il system… si chiama Winston Walters. Vive nei sobborghi a sud, dalle parti di Greenville. Un arresto per taccheggio nel periodo dell’Occupazione, ma nient’altro. Disoccupato. L’unica persona che è saltata fuori è stata una donna che stava a casa sua. Si è identificata come Mia Jones, apparentemente non sa perché si trova qui.”

La donna che i due soldati spinsero nella stanza era alta e magra, con dei voluminosi capelli castani che ricadevano in ricci flosci attorno al suo viso candido e allungato. Indossava una giacca verde e malandata a maniche lunghe su una camicia da notte rosa pallido, gambe nude e affusolate che sbucavano da sotto l’orlo e terminavano in un paio di pantofole. Fu quasi buffo per un secondo, ma appena la donna vide l’uomo dall’altra parte della stanza, il suo viso perse quell’espressione di sbalordita confusione, adottandone invece una di orrore, mentre la sua bocca si spalancava per lo shock.

Winston, tesoro, che cos-

Squall prese una delle sedie che stava accanto al muro e le diede un calcio, facendola stridere sulle piastrelle in sua direzione. Quando lei non si mosse, i soldati a fianco a lei la costrinsero bruscamente a sedere. Lei non fece ulteriori proteste, sedendo con le spalle curvate, le gambe strette, e le mani giunte sulla difensiva sul grembo, tremante.

“Mia Jones, lei è qui per essere sospettata di attività terroristiche contro la Seconda Repubblica di Timber,” disse uno dei soldati. Con la barba che si ritrovava, il suo volto paffuto sarebbe benissimo potuto passare per quello di qualche zio bonaccione se non fosse stato per il veleno nel suo sguardo. Rinoa non avrebbe potuto saperlo, ma la mente di Squall la informò che i gufi d’oro sul suo colletto lo rendevano un colonnello. “Il suo… associato, Winston Walters, è stato leso stanotte in un attacco terroristico che si è risolto con la morte di uno dei nostri soldati. Dato che il tradimento è un reato punibile con la morte, la invito a renderci partecipi di qualsiasi informazione le venga in mente.”

Mia - no, la donna, Squall stava cercando con gelida e irrefutabile determinazione di pensare a lei solo come alla donna - si guardò in grembo per un istante, sbattendo le palpebre. Poi sollevò gli occhi a Winston, esaminando la portata delle sue ferite.

Mi guardi!” Rombò l’uomo dal viso paffuto, e Mia sobbalzò come se fosse stata colpita. Voltò la testa, alzando lo sguardo verso di lui, gli occhi verde brillante già umidi di lacrime non ancora versate.

“Non so che sta… perché… Winston non avrebbe mai fatto niente del genere. Perché è ferito?”

“Ferite sostenute durante la cattura,” rispose l’uomo avventatamente. “Ora risponda alla domanda.”

Lei lo guardò come se non gli credesse, ma non osò esprimere il suo disaccordo. “Winston non è un terrorista. Lui è, lui- insomma, non ha un lavoro, ma prima faceva il falegname, poi è venuta la guerra- ma quello- cioè, non importa, è un brav’uomo e non so perché state lanciando queste accuse, ma-” e la sua voce si fece più forte, più sicura, come un esausto viaggiatore perduto che alla fine inciampa su un terreno familiare. “Ma- tutti e due abbiamo diritti come cittadini di Timber, e possiamo richiedere-”

“Lei, Signorina Jones, non è nella posizione di richiedere nulla.” Il sorriso che fiorì sul volto del colonnello era piatto, unticcio. A Rinoa ricordò Wallace.

“Lei non ne sa niente,” s’intromise Winston con voce incerta. “Non le ho mai detto niente. L’ho incontrata prima della guerra e all’inizio non volevo che si preoccupasse e poi che sapesse. Cazzo, è una bibliotecaria.” La sua ultima frase suonava più disperata che arrabbiata, e Rinoa si chiese se nel profondo del suo cuore lui sapesse già cosa stesse per accadere.

La mente di Squall prudeva di irritazione e impazienza; il Garden gli aveva insegnato a riconoscere i bugiardi, e la donna era chiaramente ignara quanto dichiarava. Farle domande su operazioni terroristiche era una perdita di tempo prezioso. Dio solo sapeva cosa avrebbero fatto a Rinoa nel frattempo - alla sua Rinoa - alla sua strega.

I soldati di Timber si guardarono a vicenda incerti, e Rinoa seppe che non avrebbe mai dimenticato quel momento, fu Squall ad avanzare, in silenzio, gli occhi congelati e d’acciaio. Gli altri lo guardarono, con la paura che compariva sui loro volti come fiori che sbocciano in ritardo mentre improvvisamente capivano. Si acquietarono e indietreggiarono, evitando quegli occhi, e lui sapeva e lei sapeva che quegli occhi erano i suoi.

Squall non faceva parte della loro struttura di comando. Non aveva alcun diritto di essere lì, nessuna legittima autorità, nessun ruolo se non quello di un mercenario profumatamente pagato. Aveva soltanto la sua forza di volontà, un’intensità meccanica, una concentrazione brutale, le cose che il Garden gli aveva marchiato a fuoco sulla pelle. Aveva un comparto apposta per ogni tecnica di tortura che era stata usata negli ultimi cinquecento anni, e tutte si riducevano alla stessa cosa: il desiderio di far male a qualcuno per raggiungere il proprio obiettivo.

Era sufficiente.

Il maggiore aveva avuto ragione. Non c’era niente che potesse sconfiggere un SeeD con un motivo per cui combattere, e Rinoa gliene aveva dato uno. Le sue viscere ribollivano, il suo amore per lei era come una lancia bollente che lo spronava, trasformando l’impazienza in ferocia, la paura in collera isterica.

(Lo faresti, potresti?)

(Lo farai?)

(L’hai fatto?)


Squall si spostò al lato sinistro di Mia, posando una mano sulla sua spalla. Il suo volto era diventato come una maschera mortuaria sotto l’austera luce fluorescente. La donna girò la testa per guardarlo brevemente, tornando poi a Winston, come se lui possedesse la risposta a tutto ciò. E si accorse che lui lo sapeva, lei era la chiave.

“Dimmi dov’è Rinoa,” intimò Squall. “Ora.”

“Ti ho già detto che lei non lo sa,” disse Winston, agitando la testa contro la stretta del soldato di Timber. Vide qualcosa negli occhi di Squall, allora, e spalancò i suoi, mentre la sua voce divenne acutissima. “Per favore, andiamo, lei non sa niente, lo giuro, lei non-” Le sue parole furono violentemente frenate quando un altro dei soldati gli si parò davanti per imbavagliarlo.

“Lo so che lei non lo sa,” disse Squall. “Ma tu sì.”

Squall non si voltò neanche mentre schiaffeggiava il volto di Mia con un rumore pari a quello di un colpo d’arma da fuoco, facendole girare la testa di lato in un getto di saliva e sangue. Solo i suoi occhi la seguirono mentre scivolava via dalla sedia, atterrando con un tonfo sul pavimento, aprendo le gambe affusolate sulle piastrelle. Dall’altra parte della stanza, Winston ruggì qualcosa nel bavaglio, ma dai suoi occhi si poteva dire che l’azione l’avesse soltanto fatto arrabbiare. Doveva andare più a fondo.

Per un istante, Mia alzò lo sguardo verso Squall con un’espressione di orrore intontito, come se non riuscisse a credere che un giovane così bello avesse fatto una cosa del genere. Un lungo segno rosso contrastava enormemente contro la carne pallida della sua guancia sinistra. Alzò una mano tremante per toccarsela, e quando si mise le punta delle dita di fronte al viso e vide il sangue, le lacrime nei suoi occhi cominciarono a straripare. La sua voce vacillava.

“Perché… perché mi-”

Le sue parole languirono in un grido patetico mentre lui le tirava i capelli. La mise in piedi con uno strattone veemente, scaraventandola sulla sedia. Andò a sbattere col fianco contro il bordo della sedia e le sue gambe cedettero, gettandola goffamente di lato, ma prima che potesse avere anche solo il tempo di reagire, Squall la colpì di nuovo.

Lo schiaffo sembrava quasi disinvolto, ma era abbastanza forte da romperle il labbro, bagnandole il mento di sangue. La colpì ancora, e ancora, e ancora, e ancora, e i colpi risuonarono ed echeggiarono, ingoiando i suoi guaiti e le grida smorzate di Winston.

Delle gocce rosso cremisi impregnavano il viso di lei e quello di lui, ricoprendo i loro abiti. Le sue dita erano coperte di sangue e, Rinoa era abbastanza vicina alle profondità più recondite della sua mente per sentirlo, calde e appiccicose, riusciva persino a sentire la sensazione della scossa che gli percorreva il braccio ad ogni colpo. Erano freddi, meccanici, accuratamente dosati per causare il maggior dolore col dispendio minore di forze ed energie possibile.

La cosa peggiore di tutte era la calda linea di pensiero che serpeggiava per la sua mente come un filo bruciante di rame, che si ripeteva continuamente con la stessa violenza dei suoi colpi misurati, dandogli forza durante un qualcosa a cui neanche il condizionamento SeeD l’aveva preparato. Se non l’avesse fatto, Rinoa sarebbe morta. Lei viveva nella sua mente, e il suo viso, le sue parole, il suo profumo e il suo modo di essere e di sentire le cose lo spronavano ad andare avanti, brutalmente, senza sosta.

Ti amo, Rinoa, pensò, e il suo stivale pesante entrò in contatto con lo stinco di Mia, lasciando dietro di sé una scia di lividi e di rossore.

Ti amo.

-e con le nocche serrate batté la guancia sinistra già gonfia, riaprendo il primo taglio e aprendone uno nuovo sopra l’occhio-

Ti amo.

-e le colò dall’orecchio una striscia di sangue-

Ti amo.

-e alla fine lei alzò le braccia scheletriche, agitandole alla cieca, cercando di proteggere il suo volto sfigurato e gemendo silenziosamente. Il braccio di Squall scattò all’indietro per un istante prima di proseguire, affondando profondamente nel suo stomaco indifeso. Le sue grida si assottigliarono e sparirono mentre tutta l’aria che aveva le usciva dai polmoni, e quando lui fece un passo allontanandosi, cadde dalla sedia, in preda a dei conati di vomito, atterrando sulle mani e sulle ginocchia sul pavimento piastrellato.

Mia non era mai stata carina, ma ora tutta la sua carne spoglia era contusa e sanguinante, il suo viso una rovina di lividi e tagli. Un occhio si era chiuso per il gonfiore, l’altro era ridotto a nulla di più che ad una fessura sottile circondata da carne arrossata e pesta. Perdeva sangue dal naso, dalla bocca e dall’orecchio sinistro, segno che probabilmente le aveva parzialmente leso l’udito. Non si era trattato di un qualcosa di voluto, ma la sua mente stimava il tutto un risultato accettabile. Qualsiasi cosa sarebbe andato bene per questo. Per lei.

Ti amo.

Per favore.” Mia alzò lo sguardo verso di lui, mentre dalle sue labbra lacerate uscivano a stento quelle parole, ostacolate da singhiozzi soffocanti. La sua figura era scossa da spasmi quasi come quando lui l’aveva picchiata. “Per favore…”

Implorare una pietra. Dare un pugno al ferro. Parlare ad un muro.

Il calcio di Squall fu lesto e brutale, arrivando fin sotto il braccio di lei. Sentì i muscoli della donna contorcersi spasmodicamente, le sue costole cigolare e rompersi mentre lei rotolava sulla schiena. Un singhiozzo soffocato le sfuggì dai polmoni e ritirò braccia e gambe, curvandosi ermeticamente sul fianco mentre il suo corpo compiva l’ultimo, disperato e istintivo tentativo di proteggersi.

Ecco. Ora sono pronti. La voce che attraversava la mente di Squall era bassa, roca e sicura, la voce del condizionamento SeeD. Rinoa la odiava.

“Tu puoi fermare tutto questo in qualsiasi momento,” disse Squall, voltandosi per incontrare lo sguardo di Winston mentre un paio di soldati risistemava Mia nella sedia. L’uomo aveva passato gli ultimi minuti ad urlare nel bavaglio. Il suo viso bruciava per lo sforzo, con lacrime di rabbia e frustrazione a rigarglielo. “Dimmi dov’è Rinoa.”

Una voce alle sue spalle; il colonnello dal volto paffuto. “Dicci dove sono le basi dei Gufi Rossi.”

La guardia dietro Winston slegò il bavaglio, e tutto il suo corpo insorse in avanti, dimenandosi nella sedia.

La voce di Winston esplose. “Mi dispiace, Mia. Mi dispiace tanto, piccola, io-”

RINOA!” urlò Squall, sbattendo il pugno sul tavolo, perforando le parole di Winston.

Lui esitò per un momento, una mera frazione di secondo, che fu però abbastanza perché l’istinto di Squall la riconoscesse per il suo significato. “Non lo so! Non mi dicono mai un cazzo. Posso dirvi di alcuni posti in cui sono stato ma non so dov’è lei. Non conosco tutte le basi, non so tutto. Solo per favore, non farle più del male, lei non ha fatto niente di male.”

“Oltre a scopare te,” schernì uno dei Gufi Neri.

Dall’altra parte della stanza, Mia poté solo gemere in risposta, raggomitolata nella sua sedia come una bambola rotta, il braccio destro piegato stretto sul suo petto. Aveva piegato le ginocchia fin sotto al mento, mentre tutto il suo corpo sottile si era ripiegato su se stesso come un gioco da tavolo. Una delle sue pantofole le era caduta, e aveva i capelli sparati in tutte le direzioni. E tutto questo, considerata la sua disposizione probabilmente passiva, la rendeva soltanto una dimostrazione più efficace della ferocia del SeeD.

“Stai mentendo,” disse Squall con semplicità. Accennò istruzioni ai soldati dietro di lui, che lo guardarono, qualcuno con risoluzione, qualcuno con atterrita comprensione. Si mossero tutti per obbedire ai suoi ordini, temendo più lui che le sue disposizioni.

“Per favore no,” disse ancora Mia, divincolandosi contro le mani dei soldati di Timber mentre la prendevano per le spalle. Rinoa pensò che avrebbe potuto combattere con più forza se avesse visto l’interno della mente di Squall, secca e inflessibile, fredda e calcolatrice.

“No. No.” Quando la strattonarono all’indietro, strappandole la giacca svelando le sue spalle nude e angolari e le sua braccia pallide, cominciò a combattere, agitandosi impotente per un po’ prima che uno dei soldati la facesse smettere con un colpetto alle sue costole ferite. Rinoa non poteva leggerle la mente, ma sapeva cosa si aspettasse l’altra donna, una delle stesse cose che aveva temuto con enorme vigore quando era stata nelle mani dei Gufi.

Quello che aveva in mente Squall era molto peggio.

Un altro soldato afferrò il braccio sinistro di Mia e lo allungò sul tavolo di fronte a lei. Lei tentò immediatamente di riprenderselo, ma il soldato sostenne la sua stretta, costringendo inflessibilmente il suo polso sulla superficie di legno duro. Un altro si spostò all’altro suo fianco, schiacciandole un coltello alla gola.

“Piantala di dimenarti,” disse. Era quello che l’aveva schernita prima, e nei suoi occhi c’era un barlume umido e sofferente. “O ti taglierò una di quelle cose che chiami tette.”

Si immobilizzò.

Squall abbassò lo sguardo sul tavolo per un istante solo prima di voltarsi, ma anche dopo aver cambiato la propria visione, riusciva a ricordare ogni singolo dettaglio. Il modo in cui la mano dalle dita affusolate era aperta sulla sua superficie, la pettinatura dei capelli scuri che tempestavano la sua schiena, il neo sul suo pollice. Una memoria fotografica del genere era un altro segno del suo addestramento SeeD, come lo era la fermezza che lo pervadeva, e la velocità con la quale guidò il suo gunblade, voltandosi, prima che chiunque nella stanza potesse avere l’opportunità di reagire.

Ti amo.

Il primo pensiero di Rinoa fu che il suono della lama del gunblade aveva fatto risuonando contro il legno fosse esattamente lo stesso che ricordava dalla sua infanzia, quando sua madre, sia l’affascinante superstar fuori che la donna di casa di dentro, tagliuzzava la verdura sul ceppo da macellaio nella loro cucina.

Il secondo, mentre Mia guardava quelle che prima erano le sue dita e cominciava ad urlare, fu: E’ successo tutto a causa mia.

Squall si allungò con indifferenza, spazzando via con la mano aperta le diverse dita dal tavolo mentre il soldato più vicino indietreggiava per lo shock, rilasciando il braccio della donna. Mia riprese la sua mano, ululando e strillando quasi come se fosse impazzita. E forse lo era, perché anche Rinoa si sentiva quasi folle mentre osservava la ponderatezza meccanica e pacata di Squall.

Tutto a causa mia. Solo mia.

Rinoa aveva inizialmente creduto che il sangue fosse dovunque; mentre la mano di Mia continuava a zampillare, si accorse dell’ingenuità del pensiero. Il sangue brillava come un rossetto economico sotto le luci fluorescenti, imbrattava il viso di Mia, la sua camicia da notte, il pavimento, il tavolo, i soldati che la tenevano, il gunblade- il muro, come aveva fatto ad arrivare sul muro-

Che casino terribile
, pensò Rinoa, e sentì un singhiozzo convulso dilaniarla. Ed è tutto a causa mia.

(Lo faresti?)

(Potresti?)


Mia si divincolò abbastanza da sfuggire dalle grinfie dei soldati, scivolando di nuovo per terra. Gridava e si dimenava sulle piastrelle, rotolando sullo stomaco per proteggere la sua mano ferita. Mentre i soldati attorno a lei facevano un ulteriore passo indietro, Squall distolse lo sguardo da lei e diresse la sua attenzione a Winston.

Il volto del Gufo Rosso era un’immobile maschera d’orrore. Stava ancora cercando di urlare, ma si era dimenticato di respirare. Riuscì a espellere solo un po’ d’aria, un sibilo perso tra le urla molto più sonore di Mia.

La voce di Squall era a stento più alta, fredda e ferma come la lama della sua arma. A suo modo, era un’arma; le sue parole, consegnate in un tono uniforme che rivelava la profondità del suo convincimento, non ferì solo il Gufo Rosso, ma anche Rinoa.

“Ha ancora una mano. Ora smettila di farmi sprecare tempo.”

E Winston aprì la bocca e questa volta non ci fu alcuna esitazione, nessuna mezza verità, quasi nessuna pausa per respirare mentre parlava e parlava e parlava, gridando, balbettando, infilando una parola dopo l’altra in un torrente confuso che lei riuscì a mala pena a comprendere. La prima cosa che disse loro fu dove si trovasse Rinoa, e una volta che Squall seppe quello, una volta che lesse negli occhi del Gufo che stava dicendo la verità, si girò verso la porta, la sua mente si riorganizzò, chiudendo in una gabbia di gelida determinazione il ricordo della tortura, e Mia e Winston completamente dimenticati.

“Hey… uh… Comandante Leonhart-” lo interruppe uno dei soldati. “Ha- ha finito qui? Cosa vuole che ci facciamo con loro?”

Squall non si voltò nemmeno. La sua mente stava già correndo alla salvezza di Rinoa, mostrando al suo corpo la strada. Il Gufo Rosso e la sua ragazza non importavano più. La Repubblica non avrebbe mai potuto lasciar vivere i prigionieri, non dopo tutto quello che aveva fatto. Sarebbero stati certamente uccisi… prima o poi. Ma non aveva neanche il tempo di dirlo, e i Gufi Neri dietro di lui lo sapevano già - avevano solo abbastanza paura di lui da non farlo fino ad un suo ordine. Discutere non sarebbe servito a niente, oltre a divorargli tempo prezioso.

Mia - la donna - si contorse sul pavimento, piagnucolando come un bambino perso. Squall la sorpassò senza neanche guardarla.

“Non m’importa.”

L’immagine si disturbò fino a sparire, rimpiazzata da un telaio di luce e ombra, dal suono del mare che scivolava sulla pietra, al suo tranquillo e cauto respirare. L’orologio scintillò nell’angolo come un occhio malefico. Le 3:05 del mattino.

Cinque minuti. E’ durato tutto solo cinque minuti. I ricordi, l’avventura, l’impeto e il crollo della speranza e la schiacciante realtà. Cinque minuti.

Millequattrocentoquaranta minuti in un giorno. Era sempre stata in gamba con la matematica, sebbene sapesse scrivere pessimamente. Suo padre le aveva detto che avrebbe dovuto considerare ingegneria quando era andata al college, ma era stato anni e anni prima, prima che scappasse a Timber per giocare a fare il soldato, prima che ne avesse incontrato uno vero. Sette giorni in una settimana. Trecentosessantacinque giorni in un anno.

La sua vita si allungava di fronte a lei, non espandendosi ma contraendosi. Ogni minuto l’avvolgeva strettamente, comprimendosi attorno a lei con più tenacia possibile. La sua mente e la sua realtà erano diventate come di stucco, deformate in forme così strane che non poteva neanche più sperare di riconoscere, e ogni tanto era convinta di star assolutamente impazzendo, perché altrimenti come avrebbe potuto vedere solo lei quanto terrificante fossero tutto e tutti coloro che la circondavano?

E poi c’erano le voci.

Non è giusto, si lamentò una parte di lei nella voce acuta e penetrante di com’era a otto anni. Lui ti ama. Ti ama davvero. Nessuno di quei ragazzi di Deling ti amava e specialmente Seifer. Tutto quello che sei stato per loro era qualcosa da scopare. Non so neanche se papi ti ami, lui ci ha provato, ma vedeva sempre troppo di tua madre in te, solo guardarti in un certo senso gli faceva male, ma Squall è diverso, lui ti vuole bene, lui è il tuo cavaliere, non lo capisci?

Mia s’intromise, Sì, ti ama. Se vuoi una prova, guarda anche solo a quello che ha fatto a me. Forse un giorno, se non fossi morta, perché lo sono, sai, Squall non ne è il responsabile ma ha dato la sua benedizione alla mia morte, avrei trovato anch’io un uomo capace di tagliare le dita di una donna innocente per il mio bene. E’ il genere di cose che ogni ragazza sogna, prova a chiedere alla tua amica Selphie.

E’ vero, Rin!
spumeggiò Selphie. E’ il genere di cose che ti fa capire quanto tengano a te. Si chiama devozione, lo sai? Per questo giusto ieri Irvine ha sparato ad Edea in fronte per il mio compleanno e allora l’ho fatto a pezzettini se capisci quel che intendo-

Io ti amo, Rinoa.
La voce di Squall. E’ il genere di amore che esiste solo nelle favole. Ucciderei un intero continente per te. Mi piacerebbe passare il resto della mia vita a massacrare persone per te. E’ naturale. Ricordi quando Seifer mi ha torturato? E’ il genere di cose che un cavaliere fa per la sua strega.

Si chiese se fosse vero. Forse tutte quelle storie horror erano motivate nient’altro che dall’amore. Ma quello non importava. Peggiorava solo le cose. Non voleva essere lei la causa di cose come quelle che erano successe. Non voleva che l’amore fosse- fosse-

(Per favore)

Lo faresti?
Cantò Julia nella sua mente, prima di passare al tono con cui la rimproverava quando la sorprendeva a sgranocchiare biscotti o a scrivere sui muri. In caso contrario, allora suppongo che tu non sia una vera romantica.

Semplicemente non ami abbastanza
, aggiunse Wallace, la voce piatta e affaticata a causa del collo rotto.

Non farai un cazzo, raspò Juliet attraverso la rovina rossa della sua gola. Non l’hai mai fatto.

Stai facendo tutto ciò per ribellarti
, la voce di suo padre era piatta e perentoria.

Irvine: Ti comporti in modo molto strano ultimamente, Rinoa.

Non è giusto
, la voce sottile piagnucolò di nuovo. Cosa vuoi che faccia, comportarmi come se niente fosse? Legarli ad una collana di memoria?

Non esattamente il mio genere, Signorina Heartilly, disse il Maggiore Grant. Ma a lei starebbe bene. La sua voce si affievolì incerta, e Rinoa notò che Shu si era fatta saltare di nuovo la testa.

“Basta così,” mormorò Rinoa con urgenza, ed era un cattivo segno, un segno veramente cattivo, perché se era già abbastanza cattivo sentire le voci era anche peggio discutervi. “Non è colpa mia, no, io non ho fatto niente di male.”

Oltre a scoparti lui, schernì il Gufo Nero. E ora che ci penso, lo stai facendo ancora ora. Non che in questi giorni te lo stia godendo più di tanto, eh, ma lui non sembra notarlo, forse a lui piace quando sei lì immobile e lo prendi come uno di quei cadaveri che è così bravo ad accatastare-

Ecco; si scagliò via dal letto, correndo lungo il pavimento fittamente tappezzato fino al bagno - le piastrelle erano bianche, perlomeno - e presto si inginocchiò sulla tazza spalancata del gabinetto, in preda ai conati di vomito.

Rinoa vomitò per un tempo che le parve infinito, perdendo la sua cena a base di Aragosta di Dollet e il suo pranzo di scampi con l’arancia e il pane e quello che sembrava la maggior parte del suo stomaco. Sembrava quasi che tutte le brutte cose accadute negli ultimi mesi si stessero riversando fuori di lei insieme alla sua bile, ma quando finì e si ritrovò lì sul pavimento, tremante di debolezza e le braccia ancora strette alla porcellana, riusciva ancora a sentire quell’anguilla nel suo stomaco, il suo dimenarsi solo momentaneamente acquietato dallo scoppio del suo corpo.

La sua mano sinistra ornava ancora il bordo della toilette, così pallida che era appena notabile sulla porcellana. Lei la guardò e pensò all’ultima volta che aveva vomitato, legata ad una sedia, gocciolante di pipì, disgustata, degradata, sporca.

L’anello al suo dito era dell’oro più fine, sormontato da uno sfaccettato zaffiro di Centra che aveva luccicato come un qualcosa proveniente da un altro mondo quando lui gliel’aveva infilato quella notte al ristorante. La faceva sentire ancora più sporca, e non poteva fare a meno di domandarsi se Mia avesse mai voluto un anello come quello. Se fosse stata torturata e uccisa solo perché lei aveva desiderato un anello come quello. Se Squall realizzasse l’ironia nell’infilare un anello ad un dito e tagliarne via cinque nello stesso mese.

Lo stomaco di Rinoa si agitò ancora, e si sentì piena dell’improvvisa compulsione di strapparsi via l’anello e di buttarlo da qualsiasi altra parte, ma non sarebbe stato molto carino, non era il genere di cose che faceva la principessa al termine delle storie.

E vissero per sempre felici e contenti, pensò, alzandosi e tirando lo scarico, e aprendo il rubinetto. Millequattrocentoquaranta minuti in una volta sola. Ogni giorno una nuova avventura, una nuova scoperta.

Si pulì la faccia, rabbrividendo quando rivoli di acqua fredda gocciolarono lungo il suo collo. Scoprire cose su Squall non assomigliava più al tirar fuori dei tesori da una cantina com’era stato un tempo. Era più un dragare il fondo di un lago e ritrovare cadaveri. Cadaveri che la spaventavano con i loro occhi morti e accusatori. Cadaveri che parlavano.

E io gli somiglio. Aveva perso oltre sei chili, e in un qualsiasi altro momento ne sarebbe stata contentissima. Ora, fissando il suo riflesso nello specchio, le venne in mente il corpo di sua madre durante gli ultimi mesi, quando la malattia l’aveva consumata.

Forse aveva imparato qualcosa da Selphie, ma non l’aveva irrobustita - l’aveva soltanto scolpita, aguzzando le sue curve ad angoli rigidi. Riusciva a vedere gli spogli contorni del suo bacino, e poco sopra le deboli macchie quasi indistinte sul suo ventre che sapeva indicassero le sue costole. Le sue guance erano giallastre e i suoi occhi rigonfi, e la sua clavicola sporgeva in enorme contrasto con le sue spalle.

E lui continua a dirmi che sono bellissima.

E’ perché ti ama
, l’informò la voce di sua madre. Dio mio, tutto quello che ha fatto è stato per te e non sei ancora soddisfatta. E’ stato l’amore che gli ha permesso di trovarti, sai. Solo non nel modo che credevi tu.

Squall si stava stiracchiando quando tornò dal bagno, il groviglio assonnato dei suoi pensieri che andava schiarendosi abbastanza perché riuscisse ad alzare confusamente lo sguardo verso di lei e chiedesse, “Stai bene?”

No.

“Sì… sono solo troppo eccitata per dormire, suppongo.” Le sembrava che le sue gambe fossero fatte di legno, ma riuscì ad oltrepassare la stanza e a scivolare sotto le coperte accanto a lui. Il suo intero corpo represse l’impressione che le fece, come se ogni singolo muscolo stesse cerando di allontanarsi il più possibile da lui.

“Scusa.” Si spostò di lato per lasciarla avvicinare, rannicchiandosi al suo fianco. “Sono troppo stanco per fare qualsiasi cosa ora.”

Bene. Il sesso con lui era diventato repulsivo e meccanico, ricordandole morbosamente un omicidio simulato. Sentiva le grida di Mia in ogni suo gemito, osservava le sue mani strisciare sul proprio corpo e le vedeva sporche di sangue, sentiva il soffice tocco delle sue labbra sul collo e si chiedeva se si stesse preparando a strapparle la gola a morsi.

Non essere ridicola, la sgridò Julia. Lui fa male soltanto alle altre persone per te.

Almeno lui non aveva notato niente di strano. Si sarebbe aspettata che fosse in grado di constatare la differenza in quei giorni, ma apparentemente un orgasmo simulato o due era sufficiente. O forse non vi aveva mai davvero prestato molta attenzione. Era dura dirlo. Era dura ricordare qualsiasi cosa fosse successo prima, circondata da sparpagliati frammenti di quello che era ora.

Scappa, l’incalzò la voce lamentosa dopo che lui ripiombò nel sonno accanto a lei. Ma non ci fu risposta. Non poteva scappare da quella situazione. Anche se fosse fuggita agli angoli più distanti del globo, il legame tra di loro avrebbe continuato ad esistere, inviolato ed inviolabile, il risultato di un’azione tanto sconsiderata quanto lo erano state tutte quelle che l’avevano condotta sino a quel punto.

E se fosse scappata, che avrebbe fatto? Cosa avrebbe potuto dirgli allora? Che il Garden era peggio delle streghe? Che doveva essere distrutto? Che il pensiero di stare accanto a qualcuno di loro, specialmente a lui, la riempiva di terrore e disgusto?

Cosa sarebbe stata allora, se non un’altra vecchia strega impazzita che si celava nell’oscurità, un’altra storia con cui spaventare i bambini?

Forse funziona sempre così. Con le streghe ed i loro cavalieri, e con chiunque. Forse l’amore è proprio questo. Forse tu sei stata solo abbastanza fortunata da vedere di che cos’è fatto davvero. E così presto, con così tanti anni di fronte a te-

(Lo faresti?)

-pittoresche stragi nel paese di Winhill, atrocità al prezzo di un budget ragionevole.

(Potresti?)

Ci saranno bambini? Oh, sì, i pupilli del loro padre. Spero non si comportino male - improbabile, dato il genere di allenamento che riceveranno.

(Lo faresti, potresti?)

Vivrai più a lungo di lui, sai. Le streghe vivono molto. Ma prima o poi ti sentirai sola e troverai qualcun altro. E può succedere di nuovo tutto.

(Lo farai?)

No,
pensò disperatamente. Non posso, non posso, non posso. Per favore, volevo solo essere amata, per favore.

(Per favore, per favore)

E lo sei
, ora la voce di Julia era compiaciuta.

Squall si avvicinò, i suoi pensieri nient’altro che assopito calore. Rinoa rabbrividì al tocco del suo respiro, fissando senza batter ciglia l’orologio dall’altra parte della stanza. Numeri rossi in grassetto marchiarono inesorabili la verità sulla sua mente frenetica. 3:15. Si morse il labbro inferiore e cercò di non gridare mentre il coro di voci nella sua testa si risollevava di nuovo

Millequattrocentoquarantaquattro

Sposami
, disse Squall. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo.

Sette

Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo.

Trecentosessantacinque

Ti amo. E’ il genere di amore che esiste solo nelle favole. Ucciderei un intero continente per te. Mi piacerebbe passare il resto della mia vita a massacrare persone per te.

Per sempre.


In quel momento, Rinoa sentì la maschera sgusciare via e infrangersi, seppe che se si fosse di nuovo fermata di fronte allo specchio, avrebbe visto la sua bocca spalancarsi per l’orrore intirizzito proprio come aveva fatto quella di Mia. Che quei folli occhi animaleschi che aveva visto nel viso di Shu, in quello del Maggiore Grant, sul muso di Angelo le avrebbero restituito lo sguardo fisso.

Si chiese se lui se ne sarebbe mai accorto. Si chiese se gli sarebbe importato. Si chiese se sarebbe impazzita, come tutti loro nei loro ultimi istanti, quando erano-

Quando erano-

Squall si mosse nel sonno, sospirando. Il suo braccio si curvò attorno al petto di Rinoa, lieve, delicato, opprimendola col peso dell’omicidio, della tortura, dello stupro, del genocidio, dell’amore.

Quando erano-

Le parole emersero da qualche credenza vecchia e stantia della sua mente, volteggiandovi debolmente mentre veniva meno in un sonno esausto che sperò non avesse mai fine.

In trappola.

(ii.) Il Treno per Timber

La cassetta non era in ottimo stato, e la voce che emergeva dal mobiletto dello stereo riempiendo lo scompartimento del treno era modulata e metallica. La deformazione del brano scoppiettava sul sottofondo, dietro al sassofono jazz e al violoncello, mentre la musica andava e veniva, saltando dei pezzi.

A Rinoa non importava; la voce di sua madre le era sempre sembrata meravigliosa, e questa era la sua canzone preferita. Dopo che i manager l’avevano scaraventata in una serie di brutti singoli e un secondo album veramente pessimo, la gente aveva cominciato a pensare a lei come ad un’insignificante cantante da quattro soldi, un prodigio di un successo. “Devotion” era stato un ritorno sbalorditivo, un pezzo profondo e sentimentale di musica che aveva zittito le critiche e provato una volta e per tutte che Julia Heartilly era davvero la “Next Big Thing”.

Rinoa la amava. “Eyes on Me” era una canzone agrodolce, ma “Devotion” riguardava il puro potere dell’amore che avvicinava due persone. Era una canzone che rappresentava il trionfo suo e di sua madre.

“Ancora non capisco perché non te ne sei comprata una versione più nuova,” disse Squall dall’elegante poltrona dello scompartimento. Squall era semi-sdraiato, con la testa appoggiata al braccio. Aveva gli occhi chiusi, ma era fondamentalmente per far vedere; l’unica volta che si era addormentato su uno di quei treni era stato quando Ellione ci aveva messo lo zampino, aveva raccontato poco prima a Rinoa, la traccia di un sorriso sul suo viso.

“Scemo.” Distolse lo sguardo dallo stereo per guardarlo dritto negli occhi e lui aprì i suoi di uno spicchio per guardarla muovere a passo di musica. “Questa è la prima edizione dell’album! Ha un valore sentimentale e nostalgico.”

“Ah,” disse, e tacque. Ovviamente non capì - il Garden era in uno stato di costante cambiamento tecnologico, fornendo ai suoi SeeD sempre il meglio negli ultimissimi equipaggiamenti tecnologici. Soltanto nell’ultimo anno, il contatto con Esthar aveva portato un mare di nuove convenienze.

Però, sempre meglio che un suo solito “Non m’importa.”.

“Sono lieta che tu capisca.” Rinoa ridacchiò mentre andava al divano e si sedeva accanto a lui. Lui allungò un braccio per respingerla pigramente, e lei gli prese il viso tra le mani. Lui glielo permise. C’era voluto così tanto perché glielo potesse permettere.

La luce prendeva piede attraverso le finestre mentre il treno affiorava dal tunnel sottomarino di nuovo sotto il suolo, avviandosi sempre di più verso la sua meta. Era stato un viaggio tranquillo e pacifico - nessuno li aveva disturbati nella vettura di prima classe eccetto qualche dipendente ben intenzionato, e Squall sembrava positivamente rilassato.

Ciononostante, forse proprio a causa loro, Rinoa riusciva a stento a contenere la sua agitazione. Mancava a Timber da mesi, da prima che diventasse una repubblica, e non stava nella pelle al pensiero di poter vedere da vicino che progressi avessero fatto.

“E tu, Squall?” chiese. La sua voce era evasiva, dispettosa, e ribolliva di un’energia a malapena trattenuta. “Faresti tutto per amore?”

Lui si mosse, come faceva sempre quando si sentiva a disagio, e non ebbe bisogno del razzo di calore che percorse il legame per sapere che si sentiva un po’ ridicolo. “L’hai letto in una rivista?”

Lei si chinò in avanti, scostandogli i capelli dalla fronte, sfiorandogli le labbra con le sue. Aveva un buon sapore e un buon odore, di cuoio e di mogano. “No. A differenza di certe persone, non devo leggere qualcosa per sapere che è vera. E’ questo il bello dell’amore, no? E’ più grande di te e di me. E’ più grande di tutto.”

“Suppongo.”

Lei indirizzò un pugno giocoso al suo petto. “Sei irrecuperabile.”

Le intrappolò il polso con precisione tipicamente SeeD - un riflesso per tutti quegli anni di addestramento, immaginò - ma la sua stretta era leggera, e lui le sorrise. “Lo pensi davvero?” L’attirò dolcemente a sé, mettendosela addosso. “Ne sei sicura?”

Per quando l’altoparlante scoppiettò e li informò che il treno sarebbe presto arrivato a Timber, aveva deciso che tutto sommato non era poi così irrecuperabile.

Agosto 4, 2005

Lo faresti?

Potresti?

Lo faresti, potresti?

Lo faresti davvero

Potresti farlo davvero

Lo faresti, potresti?

Lo farai?

L’hai fatto?

Farlo davvero

Per il nostro amore?


-Julia Heartilly, “Devotion”

PROTOCOLLO #24-A: ASFODELO NERO

L’Intelligence e l’Amministrazione del Garden si sforzano costantemente di mantenere ordine e disciplina in tutte le Operazioni SeeD. I SeeD sono altamente addestrati e specializzati in missioni operativi, volte a dirigere un ampio spettro di operazioni in una vasta gamma di luoghi d’azione. Secondo il Codice del Garden all’articolo B Paragrafo Due, a nessun SeeD deve essere assegnata un’operazione che, conformemente ai parametri forniti, lo o la porrà in conflitto con un altro SeeD. Sebbene alle volte taluni incontri siano inevitabili, la prima priorità di entrambi i SeeD, oltre all’accorgimento della presenza di un nemico sul campo di battaglia, è annunciare la propria presenza a quel nemico e poi allontanarsi, se possibile occupando differenti posizioni nell’ampiezza del conflitto. Se questo dovesse dimostrarsi impossibile, rimane un’unica opzione. Il SeeD che cerca di prendere la vita dell’altro SeeD, deve invocare il Protocollo dell’Asfodelo Nero, che deve essere verbalmente riconosciuto. L’invocazione dell’Asfodelo Nero dichiara un’esplicita volontà di uccidere o di essere ucciso dal nemico. Non è una mossa da prendere alla leggera, e difatti nella storia del Garden non è mai stato invocato. Il protocollo comincia…

-Da Il Manuale Del SeeD



Nota dell’autore: per evitare che qualcuno faccia confusione, mi sposto qui per spiegare che la scena spazialmente ultima della storia non è necessariamente l’ultima cronologicamente (ci sono anche i numeretti, gh ndt). Non è intesa come happy ending, ma puramente come contrasto.

Beh, CHE SONO QUELLE FACCE? IL TEMA DEL GIOCO E’ L’AMORE, OKAY?

Scherzi a parte, grazie mille per aver letto (specialmente considerando la lunghezza), e mi piacerebbe sentire cosa ne pensate. Vi chiedo solo di non spoilerare la seconda metà della storia, che penso debba rimanere ignota per i possibili lettori per terrificare davvero. Cosa che credo sia avvenuta - di sicuro ha funzionato su di me, e io sapevo già cosa stava per succedere (ha funzionato anche con me… ndt).

Posto così raramente che ho difficoltà ad immaginarmi dei fan, ma vi <3 tutti in una maniera totalmente e fondamentalmente platonica. Senza un pubblico, un autore è come un figlio di una donna dai facili costumi che grida all’aria rarefatta, e dato che gli autori di fanfic non vengono pagati, sapere che vengono letti è un ottimo sostituente della paga.

Diffondete la death!Shu nelle vostre fic!

RINGRAZIAMENTI:

A Zachere, per beta-reading estensivo, sopportazione intensiva, incoraggiamento, critiche, pianti orripilati, ecc. Se vi va di leggere delle buone alternative universe (non il genere in cui la cricca va a scuola)(ma ci sono delle AU in cui la cricca va a scuola belle ;_; *coffCaskaLangleycoff* ndt), vi consiglio la sua “Scaling the Butterfly”. Anche l’altra sua roba è buona, sebbene lei sia capace di flagellarvi nel caso nel caso lo diciate.


Alle altre due donzelle del mitico trio, Myshu e Tami (Guardian1) per aver letto (leggasi: resistito al trauma - Citazione autentica: “IT MADE ME PHYSICALLY SICK”, ovvero: MI HA FATTO STARE FISICAMENTE MALE ndt), prestandomi interesse e sostegno, provvedendo commenti e domande, e spiegando a questo povero maschio eterosessuale a quali difficoltà sarebbe andata in contro Rinoa al momento del trucco. Leggete le loro fanfic per ogni sorta di interazioni godibili e perverse tra uomini, alberi e Tango Neri psicotici.

Grazie, meine Freundinnen! Il Maggiore Saffo vi saluta!

Alla prossima,

-DK

Nota della traduttrice: … Devo dire che Final fantasy VIII mi ha lasciato delle perplessità sin dalla prima volta che ci giocai. Insomma, Selphie. E’ PAZZA. Seriamente, devono averle asportato qualche rotella quand’era piccola, perché altrimenti non si spiegano alcune uscite come: “Sì, distruggiamo il treno con i bazooka! Evvai!”. Pazza, vi dico. Potrei dilungarmi per ore sul perché l’ho tradotta (e chi mi conosce sa che non mento:D), ma non vi rubo ulteriore tempo. Mi raccomando allora: cercate di non fare spoiler neanche su quest’ultima parte, okay? Grazie:*
Ah, btw, un’ultimissima cosa prima di sparire: tanto per la cronaca, se a qualcuno interessa, la fanfiction di Tami/Guardian1 con i Tango Neri psicotici (è tutto vero oO) la sto traducendo. Giuro, si è trattata di una pura coincidenzaXD Non è ancora online perché non sono arrivata nemmeno a metà, però se visitate il suo account gestito da me (pubblicità occultissima) troverete una sua fanfiction su FFX, e a breve una one-shot su FFVII.
Per quanto riguarda invece Zachere, stavo ponderando di tradurre una sua fanfiction su Kingdom Hearts con uno dei crack pairing più crack che abbia mai visto, ma sono ancora indecisa. Vedremo.
Grazie, soprattutto a coloro che hanno commentato e commenteranno, e un abbraccio alla mia beta.
A presto,

Youffie

EDIT DOVEROSO (e spero ultimo): visto che più di un lettore ha avuto qualche perplessità riguardo il finale, ho chiesto spiegazioni a DK che mi ha gentilmente (come sempre *_*) risposto. Ecco qui quanto mi ha scritto:
La decisione di Rinoa è veramente aperta alla libera interpretazione – penso che se dicessi la mia al riguardo, rovinerei la storia per alcune persone, dato che dipende interamente dal lettore decidere come leggerla. Ora, personalmente, secondo me non riuscirà mai a superare del tutto la cosa, ma rimarrà comunque con Squall, perpetrando questo inferno vivente in cui è precipitata. MA non si tratta dell‘unica risposta possibile, e nemmeno di quella principale – è un finale aperto.

Insomma, interpretatela come meglio volete, ogni ipotesi è plausibile. DK non verrà a disturbare i vostri sogni per questo :D

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