Mio fratello è figlio unico!

di Tsuki Hoshizora
(/viewuser.php?uid=135167)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Marionetta ***
Capitolo 2: *** Speranza ***



Capitolo 1
*** Marionetta ***


Marionetta

Romano si girò di scatto. «Una domanda... o meglio, solo una curiosità, per quanto sciocca e inutile che sia. Hai mai voluto davvero bene a qualcuno?»

«Voler bene a qualcuno? A che scopo?» chiese l'italiano, alzando un sopracciglio. Un lungo sospirò seguì quelle parole.

«Lasciami essere più chiaro. Ci sono poche e semplici regole che mi sono state impartite fin dal principio: prima di tutto, usa chiunque ti serva, anche se dovessi ricorrere all'inganno; secondo di poi, non provare niente che possa intralciare i tuoi doveri. Massimo massimo provo rispetto nei confronti di qualche nazione, ma si contano sulla punta delle dita di una mano. I sentimenti sono per gli esseri umani, Romano... anche se, come puoi ben vedere, persino i miei cittadini non sembrano inclini all'amore. Disprezzano tanto il Sud quanto le altre nazioni, a momenti si odiano pure tra di loro!» Una risata vuota incrinò l'aria, spegnendosi quasi immediatamente.

«La risposta è no. Non ho mai voluto bene a nessuno né intendo cominciare».
 
«Da come parli, deduco tu non sappia neanche cosa siano, i sentimenti. Dal momento che sfuggono al controllo della logica, se mai li avessi provati non parleresti come se si potessero sopprimere a tuo piacimento...» constatò amaramente l'altro.
 
«Tu invece sembri conoscerli molto bene, non è così?» ribattè seccamente il più giovane, sorridendo ironicamente.
 
Il bruno abbasò mestamente la testa, stringendo i pugni e ricacciando indietro le lacrime.
 
«Vedi, è questo che ti rende debole! Ti abbassi al livello dei mortali» disse l'altro, aprendo in un ampio gesto le braccia, per poi scrollare le spalle, con noncuranza.
 
«Beh, tanto meglio per me, suppongo~»

Gli occhi color verde-ambrato si spalancarono completamente, andando a posarsi sul viso di Veneziano con una sorta di stupore. Adesso finalmente lo capiva: quello che aveva sempre chiamato scioccamente "fratello", non era altro che una marionetta.

Fissò intensamente quegli occhi così simili ai suoi, eppure così diversi, lo sguardo carico di pena nei suoi confronti; poi, prima di essere costretto a dover sentire altro, si voltò e uscì dalla stanza.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Speranza ***


Speranza

«Mi hai portato via tutto: le ricchezze della mia terra, la mia dignità di "italiano", i miei cittadini che, pur di lavorare, venivano da te ed erano costretti a cedere buona parte della loro identità culturale... Mi hai persino privato delle relazioni con le altre nazioni, hai avuto la faccia tosta di sfruttare a tuo piacimento la mafia, il parassita che mi sta tormentando da anni!» urlò in preda alla rabbia l'italiano.

«Veneziano, tu e la tua gente siete i miei carnefici e lo sai benissimo!» aggiunse, respirando pesantemente. Le parole uscivano dalla sua gola come lame affilate, lacerandolo senza alcuna pietà. Una parte di lui, in preda alla disperazione, si augurò che avessero lo stesso effetto sull'altro, se non triplicato.

Calde lacrime pizzicavano fastidiosamente agli angoli dei suoi occhi, minacciando pericolosamente di uscire. Rise istericamente, la voce che cominciava a incrinarsi per il dolore. «Sai cos'è ironico, in tutto questo, come se la natura non mi avesse già donato una vita di merda e un fratello bastardo? Non lo sai, è così? Io... non ho mai smesso di sperare e credere in te. Anche quando era ormai evidente persino ai neonati che non ve ne fregava un cazzo di noi, anche allora.
»

Il più giovane era rimasto in silenzio durante tutto quel tempo e non sembrava dare segno di voler aprire bocca. Il suo volto era inespressivo, gli occhi parevano assenti, come se fosse altrove. Avrebbe potuto dedurne che non lo stava minimamente ascoltando, se non fosse stato per quella mascella visibilmente contratta: sembrava che qualcosa stentasse a venir fuori e quella snervante attesa, sicuramente vana, non aveva altro effetto se non quello di farlo innervosire ulteriormente.

L'altro schiuse appena le labbra, inspirando aria, ma le richiuse all'istante, senza aver detto niente; per un attimo, Romano fu quasi certo di poterli intravedere, quei fili invisibili attaccati lungo tutto il corpo, mentre si muovevano abilmente, controllando le azioni di quelle membra prive d'autonomia.

«Sei stato tu a firmare quel folle progetto, approfittando del fatto che io non ho alcuna voce in merito, non è forse vero?» chiese debolmente, pur sapendo già la risposta.

«Sì».

Percepì un brivido lungo tutta la spina dorsale, glaciale quanto quella breve affermazione. Si sentiva tanto debole che le gambe gli cedettero, facendolo cadere in ginocchio. Si sentiva così stanco, avrebbe voluto poter dormire su un letto comodo e risvegliarsi, scoprendo di aver avuto solamente un brutto incubo. Peccato che i sogni non fossero così concreti.

Dei passi sottili si allontanarono, ma non vi fece particolarmente caso. Era stato abbandonato a una morte lenta e dolorosa, assieme a quel che restava del suo popolo. Niente sembrava più avere importanza, esclusa la fitta lancinante che percepiva distintamente all'altezza del cuore.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1556546