Same breath.

di Black ashes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Diverso. ***
Capitolo 2: *** La maglietta dei Guns. ***
Capitolo 3: *** Come la canzone dei Coldplay, Green Eyes. ***
Capitolo 4: *** La Borghese e lo Stronzo. ***
Capitolo 5: *** La cosa migliore. ***
Capitolo 6: *** This pullman have a sweet symphony. ***
Capitolo 7: *** Sms. ***



Capitolo 1
*** Prologo - Diverso. ***


Prologo.
Jack respirava piano, cercando di non farsi sentire.
Medici, medici e ancora medici.
Tutti accalcati intorno alla sua schiena nuda, a osservarla.
Lui non era un mostro. Lui era come tutti gli altri. Solo un po' diverso.
Non aveva mai fatto male a nessuno, e allora cosa volevano questi? Era solo un bambino, per la miseria!
Nell'orfanotrofio lo prendevano tutti in giro. "Dai Jack, facci vedere come voli via! Dai gallinella, vogliamo vederti sbattere le ali!"
Lui se ne stava zitto e subiva quelle frasi in silenzio, accumulando la rabbia sottopelle.
E poi medici, medici e ancora medici.
Studiosi che volevano capire se c'entrava qualcosa la genetica col suo 'problema'.
Ma la mamma non era così. E nemmeno il papà. Erano morti per sbaglio, non era stato lui.
Almeno di questo era sicuro.
Serrò i pugni e sbuffò. Dodici anni sono pochi per volare via. Sono pochi per andarsene.
Lui però poteva andarsene, volendo. Sarebbe bastato solo spiegare le ali e volare fuori dalla finestra...
«Su, Jack, entra. Da bravo...» Il dottore era appena uscito dalla stanzetta col lettino di pelle nera.
Jack si alzò e ubbidì, docilmente, come al solito.
Rimase lì, in piedi, mentre John, il suo 'tutore' firmava un sacco di scartoffie, seduto davanti al medico che faceva qualcosa con un blocchetto di carte.
Fu allora che vide la finestra aperta.
Spalancò gli occhi, deglutì.
Gli venne in mente cosa gli aveva detto Janice, una bambina dell'orfanotrofio: tupe fien, o roba del genere. Era latino.
Ma cos'era, cos'era... Carpe diem, ecco! Cogli l'attimo!
Il dottore e John si alzarono e gli sorrisero, poi il medico lo guardò. «Stenditi Jack.»
No, non proprio ora!
Jack strinse le labbra, poi sentì il familiare brivido alla spina dorsale, e gli oggetti sulle mensole caddero a terra.
Molti barattoli si ruppero, ma non gl'importava.
La maglietta si era squarciata nei due punti fra le scapole, lasciando che il freddo dell'aria sfiorasse la sua pelle.
Sia John che il dottore lo guardavano terrorizzati. «Jack, ti prego...» Supplicò il medico, le mani sporte in avanti come a fermarlo.
Jack sorrise. Gli piaceva fare paura.
«Oggi niente visita.» Rispose, in tono pacato. Poi strinse le ali a sè e corse verso la finestra, spiegandole quando sentì il vuoto sotto di sè.

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Capitolo 2
*** La maglietta dei Guns. ***


1.


«Sophie! Sophie! Mamma ha detto di svegliarti!» Gridò Meg, tirandomi una ciocca di capelli rossi sulla nuca.
Meg aveva cinque anni, i capelli castano chiaro e gli stessi occhi color mare della sorella maggiore.
Non ho mai capito cos'hanno i bambini nel sangue: sono sempre maledettamente attivi. Saltellano di qua e di là così, senza mai stancarsi.
Ero sicura di non esser mai stata una bambina arzilla, mia madre mi diceva sempre che sono nata con il cervello di un adulto.
Mi rigirai nel letto, dando le spalle a Meg.
La bambina, per tutta risposta, mi saltò addosso mozzandomi il fiato.
«Muoviti!» Meg mi afferrò con forza una spalla e mi scosse violentemente, facendomi cadere dal letto.
Sentii un dolore sordo al gomito sul quale mi ero appoggiata cadendo. Maledetta bambina.
Scattai in piedi prima che la mia sorellina decidesse di uccidermi definitivamente e alzai le mani in aria «Ok, ok, sono in piedi!»
Meg fece una risatina soddisfatta e corse giù dalle scale verso la cucina.
La seguii con l'agilità di un bradipo alle prese con i postumi di una sbornia pesante.
A metà scala mi raggiunse il profumo familiare di caffè e brioche calda, che risvegliò quasi del tutto i miei sensi intorpiditi dal sonno.
Finii di fretta le scale e corsi in cucina, arrestandomi ad un millimetro dalla madre che trasportava la caraffa di caffè bollente sul tavolo.
«Buongiorno, cara.» Susanne mi stampò un bacio sulla fronte «Siediti, ho comprato i tuoi croissant preferiti.»
«Mamma, te l'ho mai detto che ti amo?» Mi sedette davanti alla tazza fumante di caffè appena versato da Susanne.
«Me lo dici tutte le volte che ti compro roba da mangiare che ti piace. Comunque, 'sta sera zuppa e insalata.» Mi avvisò.
La guardai male. «Non fare la 'vegetariana vissuta', che lo sei da due settimane.»
Lei sorrise senza rispondere e bevve un sorso di caffè.
Susanne Marie Jones, trentaquattro anni. Se vi siete fatti due conticini, dovreste essere arrivati ad un unico risultato: già, sono nata che mia madre aveva diciassette anni. Credo si dica ragazza madre, o roba così.
Capelli lunghi, castano cioccolato e occhi del medesimo colore. Solo le sopracciglia rivelavano il vero colore dei suoi capelli: biondo-rossicce. Come i miei capelli prima che li tingessi di rosso fiammante.
«Stavo pensando,» cominciò, mentre attaccavo la mia colazione, «ieri mentre tornavo a casa dal lavoro ho visto dei manifesti di un circo, qui vicino.» La testa di Meg scattò su all'istante, le orecchie tese ad ascoltare, la bocca già contratta in un mezzo sorriso.
«Mamma, io devo vedere Kirk dopo.» La interruppi, prima che potesse crearsi stupide speranze.
«Lo so, lo so, ma pensavo che potessimo fare una di quelle gite di famiglia che fanno tutti. C'è anche un uomo con le ali.» Aggiunse, come se potesse interessarmi.
«Un angelo!» Esclamò Meg, incantata.
Mamma annuì. «Sono convinta che ti piacerebbe, davvero. E poi oggi non riesco ad accompagnare Meg, devi portarcela tu.»
«Scommetto che stai cercando di rifilarmi una scusa del tipo 'devi passare più tempo con la tua sorellina per farle vedere quanto sei responsabile' e bla bla bla. » Risposi, sollevando le sopacciglia.
«Ti prego Soph! Ti prego!» Scongiurò la bambina, sporgendosi sul tavolo verso di me.
«Ti compro la maglietta dei Guns N' Roses.» Contrattò mia madre.
Le guardai entrambe, poi sospirai. «Ok, mando un messaggio a Kirk e lo avviso.»
Ancora non lo sapevo, ma mia madre aveva appena cambiato inconsapevolmente la mia vita con una maglietta dei Guns.

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Capitolo 3
*** Come la canzone dei Coldplay, Green Eyes. ***


2.


Finii di fare colazione e uscii nel giardinetto sul retro.
Era una giornata di sole, ma sapevo che non sarebbe durata molto: il cielo s'incupiva di nuvole grigie verso est.
L'aria era frizzantina, mi scompigliava i capelli rossi davanti agli occhi.
Presi il cellulare e entrai nella Rubrica, selezionando Kirk. Premetti il tasto verde e attesi.
«Pronto?» Domandò la familiare voce calda e profonda di Kirk, dopo tre squilli.
«Ciao» Risposi io, aggiunstandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Ehi, che c'è?» Potevo immaginare benissimo i suoi occhi azzurri vagare irrequieti nel nulla, ascoltandomi.
«Niente, c'è una specie di problema per oggi.»
«Spara.» Lo vidi passarsi una mano fra i capelli color grano e mordersi il labbro inferiore con sguardo attento.
Sbuffai. «Devo accompagnare mia sorella al circo.»
«Perfetto, vi porto io.» Rispose prontamente. «Fra quanto?» S'informò.
«Due ore...» Risposi, leggermente stordita. Il vento si alzò più forte e più freddo, trascinando le nuvole nere sempre più vicine.
«Sei sicuro di poter venire? Guarda che se c'è qualche problema...»
«Non preoccuparti tu. Starò con te e tu starai con tua sorella. Due piccioni con una fava. Ci vediamo fra un'ora e... cinquanta?»
«Sì, emh, va bene.»
«A dopo allora. Tuu. Tuu. Tuu.» Aveva chiuso la telefonata.
Premetti anch'io il tasto rosso e corsi in casa.
Mamma si affacciò dalla cucina con una tazzina insaponata in mano. «Chi hai chiamato tesoro?»
«Un amico. Ci accompagna lui. Vado a farmi una doccia.» Risposi brevemente, prima di scomparire su per le scale.
Feci la doccia e asciugai i capelli. Mancava ancora un'ora.
Infilai una maglietta nera dei Nirvana e un paio di jeans. Un filo di matita nera nell'interno palpebra e un po' di mascara sulle ciglia, poi scesi a piedi scalzi mentre mamma usciva stampando un bacio in testa a Meg. «Vado a lavorare. I soldi sono sul tavolo in cucina e...»
«E state attente ai tipi strani che cercano di avvicinarvi.» Completai io a memoria.
Mamma si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. «Stavo per dire 'e saluta Kirk da parte mia', ma va bene anche quello.» Mi rivolse un occhiolino e uscì.
Sesto senso di mamma: lo odiavo.
Meg accese la televisione e la sintonizzò subito su uno di quei canali dove trasmettono tutto il giorno cose come 'Dora l'esploratrice' e 'I Barbapapà', così non trovando di meglio da fare uscii in terrazza con I Pilastri Della Terra di Ken Follett. M'immersi nella lettura fino a quando Meg non arrivò. «E' arrivato il tuo moroso.»
Gettai uno sguardo giù in strada e vidi la macchina di Kirk parcheggiata davanti al cancello. La sua testa bionda sembrava a metà fra il divertito e lo scocciato mentre aspettava che aprissimo. Saltai in piedi. «Tu non dovresti sapere che è il mio moroso.»
Corsi giù e aprii a Kirk, poi afferrai le Converse nere e me ne infilai una in fretta. Mentre infilavo anche l'altra, Kirk entrò. «A quanto pare sono un tipo strano che tenta di avvicinarvi.» Si sedette sul divano accanto a me.
Guardai Meg che scendeva dalle scale. «Meg, lo conosci da quando sei nata. Perchè non gli hai aperto?»
«Perchè non sapevo che doveva entrare.» Rispose lei, facendomi la linguaccia.
«Sì certo, come no.» Mormorai, poi mi alzai e presi il portafoglio, infilandoci i soldi che mamma aveva lasciato in cucina.
«Pronte?» Domandò Kirk, guardandoci.
«Pronte.» Confermai stancamente.
Meg saltellò entusiasta fino all'auto, salendo dietro.
Kirk tentò di baciarmi mentre mi voltavo dopo aver chiuso la porta, ma io lo schivai e gli diedi un calcio lieve al ginocchio. «Idiota.»
Salii al posto del passeggero davanti mentre il ragazzo ridacchiava e accendeva l'auto.
«Ascolti ancora i Nirvana?» Domandò, gettando un'occhiata veloce alla mia maglietta mentre imboccava la strada.
«Sempre e per sempre.» Risposi, come se fosse ovvio.
«Dai, sono superati!» Esclamò lui, mentre Meg dietro iniziava a cantare.
Gli tirai un pugno sulla spalla. «Taci, idiota.»
«E' la verità.» Rispose, cambiando marcia e alzando le spalle.
«Col cavolo che è la verità.» Sbuffai.
«Ok, ok, hai ragione tu, non mi picchiare.» Sollevò le sopracciglia.
Dopo una decina di minuti eravamo al parcheggio.
Scesi e aprii la portiera di Meg, che mi stritolò la mano tenendola fra le sue.
«Dovrebbe essere la biglietteria.» Dissi, indicando con il mento una specie di casetta di circa un paio di metri quadrati di ferro dipinto d'azzurro scrostato e arrugginito.
Non c'era fila, e dentro stava solo una vecchia pesantemente truccata con una sigaretta stretta fra le labbra mollicce. Mentre ci avvicinavamo, arrivò qualcuno.
Qualcuno di molto attraente.
Portava un giubbotto di pelle nera in stile anni '70, aperto sulla maglietta bianca.
I capelli neri scompigliati contrastavano pesantemente con la pelle color avorio.
Parlò un po' con la vecchia, che alla fine se ne andò lasciandogli il posto alla biglietteria.
Quando arrivammo davanti a lui, Meg mi saltò sul braccio. «Chiedigli dov'è l'angelo! Chiedigli dov'è l'angelo!» Ordinò, eccitata.
Il ragazzò sorrise. «L'angelo?»
Meg si paralizzò all'istante quando lui la guardò, e corse dietro di me.
«L'angelo è il penultimo.» Continuò lui, mentre staccava tre biglietti. «E' il più bravo di tutti.»
Porse a Kirk il resto e i biglietti. «Buon divertimento.» Augurò, guardando il ragazzo biondo di fianco a me.
Poi, finalmente, posò lo sguardo su di me, trafiggendomi con occhi di un verde impossibile. «Bella maglietta.» Disse, indicandola.
«Grazie.» Risposi, mezza stordita.
«Ma adesso dov'è l'angelo?» Domandò Meg, recuperando un po' di coraggio.
Il ragazzo la guardò sorridendo. «Come ti chiami?»
«Meg.» Rispose lei.
«Vedi, Meg, l'angelo è strano. Non è neppure un angelo, ha solo un paio di ali. Sarà qui in giro, come al solito.» Si guardò attorno.
«Come si chiama il ragazzo con le ali?» Domandò Meg, affascinata.
«Jack.» Rispose lui.
«Ora dobbiamo andare.» Kirk salutò freddamente il ragazzo dagli occhi verdi.
Presi per mano Meg e ci avviammo verso il tendone, poi lei ad un certo punto si voltò verso la biglietteria. «E tu come ti chiami?» Urlò al ragazzo.
Lui si voltò e le sorrise. «Jack.»

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Capitolo 4
*** La Borghese e lo Stronzo. ***


3.


«E' stato fantastico! Quando torniamo?» Meg aveva un sorrisone che le andava da un orecchio all'altro.
«Di solito gli spettacoli si vedono una volta sola.» Disse Kirk.
«Non lo escluderei.» Bisbigliai, la testa fra le nuvole.
«Cosa?» Kirk mi guardò interrogativo.
Feci spallucce. «Tornare.»
Kirk sorrise amaramente. «Cosa ti è piaciuto, lo spettacolo o i biglietti?» e al contempo Meg strillò e scappò dalla mia presa, correndo verso una roulotte con la porta aperta.
L'angelo stava fumando una sigaretta seduto sugli scalini della porta, non si era ancora tolto il trucco di scena: la pasta bianca spalmata sulla faccia, le palpebre dipinte di nero con una lunga striscia che si allungava fino alle tempie, i capelli tirati indietro. Aveva indossato una maglietta nera e un paio di shorts che non gli stavano niente male, ma non mi sorpresi: quel ragazzo sarebbe potuto stare sotto la pioggia per tre ore con tutto quel trucco colato sulla faccia e sarebbe sembrato comunque un modello di profumi.
Si voltò e i suoi occhi verdi incontrarono Meg, che gli si stava praticamente catapultando addosso. Fece appena in tempo a buttare via la sigaretta e a sventolare una mano davanti al fumo ancora sospeso davanti al suo viso che la bambina gli buttò le braccia al collo saltellando.
Corsi verso di lei proprio mentre dichiarava il suo amore all'angelo, e lui rideva così forte che sembrava che la roulotte tremasse.
«Oddio, Meg! Sei pazza?! Vieni via dal...» non sapevo che dire: angelo? Ragazzo? Modello per profumi? «Vieni via dal signore!» Conclusi, sentendomi un'idiota appena pronunciata l'ultima sillaba. La presi in braccio e la misi davanti a me, bloccandola con tutte e due le braccia.
Il ragazzo rise. «Non preoccuparti, Nirvana. L'unica cosa che mi ha dato fastidio è esser stato chiamato 'signore'.» Poi spostò lo sguardo su di Meg. «Mia cara, temo che tu sia un po' troppo giovane per me.» Le sorrise.
«Guarda che ti ho visto che fumi, ma non m'interessa perchè anche Soph fuma e mi ha detto di non dirlo alla mamma.» Disse Meg.
«Andiamo.» Intervenne Kirk. «Devo passare in Università a prendere un libro, e fra poco chiude.»
«Posso stare qui?» Domandò Meg, guardandomi.
«Ma figuriamoci.» Risposi io.
«Che c'è, non ti fidi di noi 'zingari'?» L'angelo mi guardò, uno sguardo duro e tagliente che sarebbe stato maledettamente attraente se non fosse stato indirizzato a me.
«Non dopo questa domanda.» Risposi, ricambiando con tutta la stronzaggine che riuscivo a mettermi nello sguardo. «Stando sulla difensiva non mi rassicuri di certo.»
Si accese un'altra sigaretta, fissandomi. «Suppongo che tu sia sempre stata abituata a gente con la battuta pronta.» Indicò Kirk con la Marlboro Rossa.
«In realtà sono stata abituata a gente che non cerca di attaccarmi dopo aver scambiato con me sette parole.»
Sputò il fumo parlando. «Borghese.»
«Stronzo.»
«Dai, andiamo.» Kirk mi mise una mano sulla schiena e mi spinse verso il parcheggio con gentilezza.
Mentre camminavamo, sentii l'angelo che mi chiamava. «Ehi, Nirvana!»
Mi voltai, e lo vidi che sorrideva, un sorriso tutto scintille bianche e denti perfetti.
Alzò la mano destra e mi mandò a quel paese.
«Fottiti, scherzo della natura!» Urlai.
Lo odiavo, ma Dio se era bello.

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Capitolo 5
*** La cosa migliore. ***


4.


Rientrai in casa e accesi le luci.
Meg corse in camera sua e tornò in sala trafficando con bambole e vestitini vari.
Andai in cucina con Kirk e riempii una tazza con acqua di rubinetto, poi la misi nel microonde e tirai fuori tè verde e zucchero di canna, in silenzio.
«Te la sei presa per quel coglione?» Domandò Kirk, mentre tiravo fuori la tazza dal microonde e mettevo la bustina nell'acqua bollente.
«No, figurati... solo non ho capito perchè trattarmi così. Non credo di aver detto nulla di male.» Aggiunsi lo zucchero.
«Mi sono trattenuto solo perchè poi ti saresti incazzata.»
«Hai fatto bene. Te l'ho detto un milione di volte di lasciarmi discutere da sola.» Mi sedetti davanti a lui, che aveva preso posto contro il muro. «Vuoi qualcosa da bere?» Indicai la caraffa di caffè sul piano della cucina.
Scosse la testa. «Sono a posto.»
«Non dovevi passare in Università a prendere i libri?» Bevvi un sorso ustionante, ma ignorai il calore.
Sorrise. «Era una scusa per portarti via. Te lo guardavi troppo, quello psicopatico.»
Sorrisi anch'io, fissando il tavolo. «Non lo stavo guardando. Non troppo, almeno.»
«Mai quanto tua sorella. Che per la cronaca, non ha un filtro tra cervello e bocca.»
«Nemmeno con le gambe: manco Bolt l'avrebbe superata mentre si buttava sull'an... sul ragazzo.» Guardai sopra la spalla di Kirk e la vidi giocare in salotto, facendo volare il Ken dai capelli neri nell'aria.
«Beh, almeno non si è incazzato quando tua sorella gli è saltata addosso.» La voce di Kirk riportò il mio sguardo sul suo viso.
«In effetti è stato dolce con lei, a suo modo.» Finii il tè velocemente e mi misi in piedi sulla sedia per raggiungere la pianta finta sulla mensola. Tirai fuori dal vaso un pacchetto di sigarette e ne sfilai una, poi rimisi a posto tutto.
«Esco un secondo.» Dissi, accendendola con la fiamma azzurra della cucina.
«Ti seguo.» Kirk e io salimmo in terrazza, io a velocità razzo prima che Meg sentisse l'odore del fumo.
Mi sedetti su una seggiola di plastica e presi un tiro.
Anche Kirk si accese una Lucky Strike e si sedette accanto a me. «Come va con tuo padre?» Domandò.
«Come vuoi che vada? Male, ovviamente.» Sorrisi amaramente.
«Ti stressa ancora per la scuola?»
«Sì, ma è la cosa migliore. Sembra che gli importi solo di se stesso. Eppure ogni volta mi dice che io e Meg siamo la cosa migliore della sua vita e tutte quelle stronzate da padre orgoglioso... ipocrita di merda.» Sospirai.
Finimmo le sigarette e scendemmo.
Kirk mi salutò con un bacio sulla porta e mi sussurrò che quando lui diceva che ero la cosa migliore della sua vita era vero. Salutò Meg prendendola in braccio e lei gli baciò una guancia, poi entrò in macchina e se ne andò.
Dopo una decina di minuti, mamma entrò con due buste della spesa e mi guardò: «Come è andata al circo?»
«Benissimo! Io e il ragazzo con le ali ci sposiamo!» Strillò Meg, saltando sul divano. «Però secondo me piace anche a Soph!»
«Certo, certo. Preparo io la cena, passa qua.» Presi i sacchetti e me ne andai in cucina sentendo gli occhi di mamma trapanarmi la schiena.

La mattina dopo mi svegliai con un senso di nausea alla bocca dello stomaco.
Scesi e incrociai mamma che faceva colazione con il suo solito caffè e latte, già vestita e pettinata.
«Lunedì.» Dissi, sbuffando.
«Ultima settimana di scuola!» Mi disse tutta frizzante lei. «Non sei contenta?»
«Gne gne.» Risposi io, facendole la linguaccia e versandomi il caffè caldo nella tazza vuota. Il sorso bollente mi svegliò un po'.
«Vuoi un passaggio a scuola?» Domandò.
«No, prendo il pullman.»
Lei arricciò il naso. «Non capirò mai come fai a bere il caffè senza zucchero.»
«Come sei limitata. Open your mind, Susanne.»
«Non riesco ad aprire la mente il lunedì. Oh mio Dio, il lunedì mattina alle sette meno un quarto no.»
Feci spallucce. «Per le 13 potresti provare.»
«Forse.» Si alzò e mi baciò la fronte passandomi accanto. «Ti porto giù una maglietta. Quale vuoi?»
«Beatles.» Risposi, poi finii il caffè e andai in bagno. Mi feci la doccia e lavai i capelli, poi scesi e mi vestii.
Presi lo zaino, salutai e uscii di casa.
Aspettai il pullman e salii.
Fu allora che mi bloccai fra i sedili.

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Capitolo 6
*** This pullman have a sweet symphony. ***


5.


Era seduto al penultimo posto, con un paio di Ray Ban classici, arrotondati, di quelli con le lenti riflettenti, che non ti fanno vedere gli occhi.
La solita giacca di pelle anni '70, una maglietta bianca con scollo a V che recitava la scritta "Nobody asked you" in stile macchina da scrivere nera, al centro. Un paio di jeans consunti e anfibi ancor più consumati.
Sembrava che quella mattina i suoi capelli avessero deciso di arruffarsi sulla sua testa in modo tremendamente sexy, dandogli un'aria da trasandato affascinante.
Mi guardai attorno: era pieno di urlanti ragazzini delle medie che occupavano ogni posto, alcuni stavano anche in piedi.
Era tutto occupato. Tutto.
A parte il sedile di fianco allo Stronzo.
Sbuffando mi feci strada tra i ragazzini, arrivando di fianco alla sua coppia di sedili.
Se ne stava attaccato al finestrino con un paio di cuffiette nelle orecchie, isolato da tutto e da tutti.
Aveva posato nel sedile di fianco una borsa nera rettangolare nera di tela resistente, a tracolla. Teneva i piedi contro il bracciolo di plastica grigia del sedile che dava sul corridoio del pullman, le caviglie appena sopra alla borsa.
Gliele afferrai e le spinsi dal suo lato, poi gli buttai la borsa in grembo e mi sedetti sul sedile di fianco al suo.
Un paio di ragazzine dei sedili dietro lo stavano guardando imbambolate e tentavano in ogni modo di attirare la sua attenzione, urlando frasi senza senso. Quando mi sedetti di fianco al ragazzo si zittirono e mi guardarono male.
Lui si girò verso di me e mi guardò in faccia. Poi sorrise. «Nirvana! Che spiacere rivederti!»
«Non sono in vena di litigare.» Borbottai io, poi alzai il cappuccio della felpa e accesi l'IPod. Selezionai la playlist "Wake up!" e partì Spitting Fire, dei The Boxer Ribellion.
Lui disse qualcosa, poi si raddrizzò sul sedile e la sua spalla premette contro la mia.
Profumava di menta e di un odore particolare, che non sapevo definire. Probabilmente era il suo odore naturale, quello della pelle. Un profumo unico, che nessuno avrebbe mai portato se non lui.
Mi chiesi se anche io avevo un odore così buono. O se avessi un profumo mio. O se lui stesse analizzando il mio odore come stavo facendo io col suo.
«...Ella.» La sua voce fece breccia nei miei timpani quando finì la canzone.
Tolsi una cuffietta. «Cosa?»
«Dicevo, la canzone che stai ascoltando l'ho già sentita. E' bella.» Ripeté.
Lo guardai confusa. «Ah.»
Lui fece ripartire la canzone che stava ascoltando, poi dopo un paio di secondi si strappò via le cuffie e rimise in pausa Sheena is a punk rocker dei Ramones.
«Senti, scusami per ieri.» Si tolse gli occhiali e se li appese alla maglietta. «E' che non mi piace essere chiamato "signore".» Spiegò.
«Perchè? Ti fa sentire vecchio?» Domandai.
Lui scosse la testa. «No, no, non è quello. E' una lunga storia.» Mi guardò negli occhi, piantandomi uno sguardo talmente verde che se non fossi stata seduta mi avrebbe piegato le ginocchia. «Allora... sono perdonato?»
Finsi di pensarci un po' su, e lui sorrise. Io annuii.
«Mi chiamo Jack, ma gli amici mi chiamano Stronzo.» Disse, porgendomi la mano.
La strinsi, lentamente, cercando di prolungare il più a lungo possibile quel contatto. «Mi chiamo Sophie. Ma gli amici mi chiamano Nirvana.»
Sorridemmo entrambi, senza smettere di stringerci la mano. Dopo un po' lasciammo la presa, e lui prese una mia cuffietta e mi guardò. «Posso? Ho visto dei pezzi in "Wake up!" che mi interessano molto.»
«Prego.» Risposi io.
Lui infilò la cuffietta e selezionò Bitter Sweet Symphony dei Verve.
Si dovette avvicinare un po' per non tendere il filo delle cuffiette, e sentii il suo profumo di menta invadermi.
Stavo il mio cuore iniziò a battere veloce quando la sua mano sfiorò la mia appoggiandosi all'unico bracciolo centrale dei sedili.
Improvvisamente mi vibrò il cellulare e quando lessi il nome sullo schermo tutte le mie fantasie su Jack esplosero in una nube di polvere.
Un messaggio da: Kirk.

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Capitolo 7
*** Sms. ***


6.

Il pullman si fermò davanti alla mia fermata.
Lo guardai. «Devo scendere.»
Lui corrugò le sopracciglia per un secondo, poi rimise gli occhiali da sole. «Come ti pare.» Sembrava triste, tutto d'un tratto. Come un bambino a cui tolgono un gioco perchè deve fare i compiti.
«Prendi tutte le mattine questo pullman?» Chiesi, mentre aprivo il messaggio di Kirk.
«Non lo so. Tendo a non avere abitudini quotidiane. E poi, fra un paio di settimane smontiamo baracca e burattini, andiamo via.» Rispose lui, mestamente.
«Ah... va bene. Ciao, allora.» Dissi, incupita dall'informazione.
Lui mi fece un segno col mento. Feci qualche passo verso la porta, mordendomi le labbra nell'indecisione, poi mi voltai bruscamente e mi avvicinai a lui, anche se un paio di sedili più avanti.
Ora o mai più. Prima di pentirtene. «Se vuoi ci possiamo rivedere, prima che te ne vada.»
Lui fermò la mano che stava infilando una cuffia nel suo orecchio. Mi guardò. Poi mormorò qualcosa.
«Come?» Chiesi, non capendo.
Lo disse di nuovo, a voce più alta. Erano cifre. «Segnatelo.»
Storsi la testa. «Non capisco...»
Lui disse qualcos'altro.
«Vuoi alzare quella caz...»
«STAI PERDENDO LA FERMATA!» Urlò lui, allora.
Era vero. Il pullman si muoveva.
Mi fiondai giù mentre le porte iniziavano a chiudersi.
Il pullman avanzò qualche metro, prima che vedessi il Jack avvicinarsi al finestrino e buttare giù qualcosa di argentato, poi mi guardò e lo indicò.
Il pullman svoltò ad una curva e io mi avvicinai alla cosa argentata.
Era la carta di una gomma da masticare. Con gomma masticata inclusa.
Stavo per buttarla a terra quando vidi che c'era scritto qualcosa. O meglio, c'era inciso qualcosa.
Un numero di telefono. Il suo.
Me lo segnai sopra un post-it del cellulare. poi lanciai via la carta.
Aprii il messaggio di Kirk. "Sei libera oggi? Pleeease, tell me yes. Need you. Ok, la smetto di scrivere stronzate in inglese. Ah, buona giornata, amore."
"Sei l'ultima persona che voglio vedere. Non perchè mi hai tradito o mi stai sul cazzo o robe simili. E' che ho incontrato ancora l'angelo, hai presente? Quello figo da impazzire con gli occhi verdi e i pettorali scolpiti - sì, ho guardato solo quelli durante lo spettacolo. - Parlo dello stronzo che mi ha dato della borghese e che mi ha detto che la maglietta dei Nirvana è bella, che non li trova superati. Che conosce i Boxer Ribellion e Bitter Sweet Symphony. Quello che ogni volta che mi guarda negli occhi mi fa sentire una gelatina alla frutta, come facevi te i primi tempi e come fai ancora ogni morte di papa. Mi ha dato il suo numero, e non è di quelli che ci provano alla prima occasione. Non so se gli piaccio, credo di no. Anzi, è ovvio che non gli piaccio. Ma è simpatico, carismatico e sorprendentemente gentile. E mi sembra di tradirti mentalmente ogni volta che sono a un metro da lui."
Rilessi la mia risposta, poi sospirai e la cancellai.
"Ok. Serata sushi."

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