Amori sbagliati

di Bale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Noah ***
Capitolo 2: *** Atterraggio ***
Capitolo 3: *** Katherine ***
Capitolo 4: *** Libri e Ricordi ***
Capitolo 5: *** Nuvole e Caffè ***
Capitolo 6: *** Al Colosseo ***
Capitolo 7: *** Tutta la Verità ***
Capitolo 8: *** Amori Sbagliati ***



Capitolo 1
*** Noah ***




Noah
 







Sentiva ancora il respiro di Katherine sulla pelle.

Non aveva neanche fatto la doccia, come per paura di lavare via quei ricordi, quelle sensazioni.

Non voleva dimenticare, non poteva lasciare che lei uscisse completamente dalla sua vita.

Avrebbe lasciato che mantenesse un posto nel suo cuore, il più buio e il più nascosto perché Katherine era sempre stata per lui una gioia segreta.

Non aveva mai parlato di lei ai suoi fratelli, non ne aveva mai parlato neanche con gli amici. Se l’era sempre tenuta stretta, nascosta. Aveva sempre avuto paura di rendere la cosa troppo reale perché le cose reali hanno il brutto vizio di finire male.

Si passò una mano tra i capelli, mentre con l’altra teneva ben saldo il suo cellulare.

Voleva chiamarla, ma sapeva di non poterlo fare.

Era finita, non doveva far altro che farsene una ragione. Non sarebbe stato affatto semplice, ma doveva farcela, doveva almeno provarci.

Un’assistente di volo gli passò accanto. Lo guardò con aria di sfida, poi gli ricordò di spegnere il cellulare.

Lui sorrise imbarazzato, poi eseguì.

Sprofondò nel sedile, sempre più giù, sempre più a fondo. Si portò le mani alle tempie, aveva un gran mal di testa. Quasi rimpianse di non aver fatto una bella doccia calda prima di correre all’aeroporto. Ne avrebbe avuto tutto il tempo e nessuno lo avrebbe disturbato nella sua camera d’albergo.

Sospirò rumorosamente.

L’assistente di volo passò di nuovo tra i sedili. Questa volta gli chiese se desiderava qualcosa. Lui scosse la testa quasi infastidito. Aveva voglia di dormire, di dimenticare. A volte desiderava essere un robot, desiderava poter azzerare la sua mente, resettarla completamente e ricominciare tutto dal principio.

Chiuse gli occhi e si abbandonò a quel momento, a quella situazione.

Si trovava su un aereo diretto a Roma. Sarebbe arrivato in poche ore e l’indomani sarebbe stato ospite in una storica libreria del centro per la presentazione del suo nuovo libro.

Faceva lo scrittore da pochi anni, ma aveva già raggiunto un discreto successo.

Almeno quel traguardo era riuscito a raggiungerlo, non era un totale fallito.

All’improvviso desiderò di non aver mai incontrato Katherine, di non essersene mai innamorato. La sua vita sarebbe stata abbastanza complicata anche senza di lei, anche senza amore.

Jack, il protagonista di uno dei suoi libri, riteneva invece che tutto quello che abbiamo passato, bello o brutto che sia, ha contribuito a plasmarci, a renderci quelli che siamo. Secondo lui, quindi, non bisognava mai rimpiangere nulla.

Sorrise. Fu un sorriso di disperazione.

Possibile che i suoi migliori amici fossero fatti di carta? E soprattutto erano personaggi che aveva creato lui stesso e che in un certo qual modo avevano un pezzo di lui nel profondo.

Avrebbe voluto prendersi a calci da solo per aver pensato a Jack come a un esempio da seguire, come qualcuno da cui accettare consigli.

Riaprì gli occhi divertito. L’aereo era ormai quasi pieno. Il decollo era imminente.

Roma. La città eterna. La città dell’amore.

Portò lo sguardo da finestrino, con la speranza di intravedere già qualche monumento, magari il Colosseo oppure la Cupola di San Pietro.

Amava Roma e forse, in quel momento, la amava anche più che in passato perché era l’unica città che lui e Katherine non avevano mai visitato insieme.

Era sempre andato da solo in Italia, non si era mai portato dietro neanche il suo agente. Era il paese che amava di più al mondo. Quei paesaggi e quei monumenti riuscivano a dargli una pace interiore che gli permetteva di scrivere libri su libri, pagine e pagine in pochi giorni, in pochi mesi.

Una volta era andato al mare al sud, in un paesino della Calabria. Aveva visitato anche la Puglia, la Sicilia e aveva degustato dei vini in Toscana. Forse avrebbe potuto trasferirsi lì, in Italia. Avrebbe ritrovato se stesso, la gioia di scrivere e soprattutto quella di vivere. Si sarebbe allontanato per sempre da Katherine e da tutto ciò che lo aveva fatto soffrire. Sarebbe cambiato, sarebbe diventato un uomo migliore, un uomo diverso.

Scosse la testa per imporsi di ritornare in sé. Stava un po’ esagerando.

Magari avrebbe potuto semplicemente comprare una bella villa, magari in riva al mare.

L’avrebbe tenuta come rifugio, non ci avrebbe mai portato nessuno. In fondo molti personaggi famosi possedevano delle ville in Italia, molti autori avevano scritto opere bellissime guardando quelle montagne, quei paesaggi, quei mari.

Si addormentò senza neanche accorgersene, mentre Londra diventava sempre più lontana.

L’Italia era vicina, e con lei mille meraviglie.

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Capitolo 2
*** Atterraggio ***











L’aeroporto era pieno come sempre, ma lei sapeva come muoversi.

Raggiunse ben presto l’uscita che cercava e si sedette accanto ad una coppia di tedeschi ad attendere l’uomo che le era stato affidato.

Estrasse dalla borsetta il suo specchietto e controllò che fosse tutto in ordine.

Era impeccabile ed elegante come sempre. Sul suo volto non c’era l’ombra di un sorriso, la sua espressione era del tutto professionale.

Accavallò le gambe e portò lo sguardo davanti a sé.

Non doveva mancare molto all’atterraggio. Lei, previdente com’era, ara arrivata con una buona mezz’ora di anticipo. Aveva sorseggiato una tazza di caffè in un bar al secondo piano, sfogliando distrattamente l’ultimo libro di Noah Gallagher.

Parlava di un uomo che aveva perso suo padre e analizzava a fondo il rapporto tra i due.

Era una trama abbastanza commovente, un libro ben scritto.

Per un attimo quella donna di ferro si era sentita toccata nel profondo dalle parole sulla copertina:



“La vita vera è quella che respiriamo dopo aver corso a perdifiato su un prato fiorito, con il fiatone, con il sapore della primavera in bocca, con la luce dell’amore negli occhi”
 


All’improvviso aveva sentito tutto il peso della sua vita sulle spalle. Aveva pensato alla sua infanzia, alla sua adolescenza e, per un attimo, le era parso di non aver mai vissuto a pieno.

Aveva sempre fatto ciò che i suoi genitori avrebbero voluto che facesse, non aveva mai fatto ciò che loro non volevano che lei facesse.

Non era mai andata a ballare, non aveva mai cantato una canzone d’amore a squarciagola guidando da sola in macchina, non aveva mai amato veramente.

Aveva sinceramente sperato che quello che il signor Gallagher aveva scritto in quel libro non fosse vero, si era augurata in cuor suo che l’amore non fosse realmente l’unica cosa in grado di permetterci di vivere pienamente la nostra vita.

Aveva chiuso il libro, facendo riecheggiare il tonfo lungo le scale e il corridoio dei ristoranti. Aveva finito con calma il suo caffè e si era avviata verso l’uscita dalla quale avrebbe visto sbucare l’autore che stava aspettando.

Allungò le gambe in cerca di una posizione più comoda, mentre la coppia di tedeschi accanto a lei iniziava a litigare ad alta voce.

Lei li ignorò. Afferrò di nuovo il libro che aveva portato con sé e sbirciò la foto sul retro.

L’uomo che stava aspettando era sicuramente un tipo di bella presenza. Un po’ trasandato, certo, ma i veri artisti lo sono sempre.

Sorrideva, dal retro della copertina, in maniera timida. Il suo sguardo diceva quasi: “Comprate il mio libro, non ve ne pentirete”

Ripose il volume nella borsa e si alzò per avvicinarsi all’uscita.

Presto quell’uomo sarebbe comparso, presto ci avrebbe parlato, lo avrebbe accompagnato in albergo. All’improvviso si rese conto di detestarlo. Come poteva un uomo sostenere che solo amando si può vivere realmente? Che presunzione! Cosa ne sapeva lui della vita vera? Era giovane, inesperto, e probabilmente non aveva dovuto fare chissà quali sacrifici per arrivare dov’era. Aveva un conto in banca cospicuo, non rischiava certo di non riuscire ad arrivare a fine mese. Cosa poteva saperne dei veri problemi della vita?

All’improvviso un uomo alto, con la barba incolta e un borsone appeso alla spalla destra le comparve davanti.

Lei si era persa per un attimo nei suoi pensieri, era stata così occupata a detestarlo da non accorgersi che i passeggeri del suo volo si stavano riversando nell’aeroporto.

-Lei è la signorina Ranieri?-   disse sorridendo. Aveva lo stesso sorriso della foto sulla copertina del libro.

-Molto perspicace, signor Gallagher-   rispose lei in un perfetto inglese.

Si avvicinò a lui con fare professionale e fece per prendergli il borsone.

-Vuole scherzare?-   disse lui scansandosi   -Non potrei mai farmi portare il bagaglio da una signora-

Lei colse la sua galanteria, ma non si fece abbindolare. Era solo uno stupido ragazzetto pieno di sé, nient’altro.

-Bene, allora mi segua. L’auto è nel parcheggio-   disse avviandosi verso l’uscita.

-Possiamo parlare in italiano. Lo conosco, l’ho studiato-   disse faticando a starle dietro.

Non le aveva fatto una bella impressione quella donna. Era fredda, distaccata. Non gli aveva neanche chiesto se il viaggio era andato bene.

Fece un balzo per raggiungerla e, una volta al suo fianco, le chiese in quale albergo avrebbe alloggiato.

-Non si preoccupi, è un hotel a cinque stelle-   rispose lei in italiano   -Non è lontano dalla libreria in cui la ospiteranno domani. Ad ogni modo, mi occuperò io dei suoi spostamenti-

Noah non fece altre domande. Si limitò a seguirla come un cagnolino fino al parcheggio sotterraneo.

Raggiunsero una berlina nera, parcheggiata poco lontano dall’uscita. Lei aprì il cofano con un tasto del telecomando e finse di aiutarlo a riporre il borsone.

-Ha portato poca roba-   disse senza guardarlo negli occhi.

-Non dovrò trattenermi molto-   rispose lui, cercando sempre di essere cordiale e di buona compagnia.

Salirono in auto senza dire altro e partirono alla volta di Roma e delle sue meraviglie.

Anche se il suo soggiorno in Italia non era cominciato proprio nel migliore dei modi, Noah sospirò e si abbandonò alla musica della radio. Sarebbe andato tutto bene, lo sentiva.

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Capitolo 3
*** Katherine ***




Katherine


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L’acqua calda sgorgava fuori dalla doccia emanando un leggero e dolce vapore.

Scivolava sul corpo nudo di Noah lavando via i brutti pensieri, i ricordi. Portava con sé la sua storia d’amore appena finita e lui non era del tutto sicuro di volerlo impedire.

Katherine lo aveva profondamente ferito. Era stata maligna, egoista, perfida.

Noah chiuse gli occhi e alzò la testa verso il getto d’acqua.

Sentì il viso bagnarsi e le sue lacrime si confusero con quelle gocce calde.

Per un attimo rivide il suo viso, quel viso tanto amato e tanto disprezzato e fu, improvvisamente, assalito dai ricordi.

Era cominciato tutto quattro anni prima.

Noah era un giovane di belle speranze, pieno di sogni nel cassetto e di progetti per il futuro.

Era entrato in un caffè senza neanche leggere il nome sull’insegna.

Era stato attirato dalla vetrina, dai cupcakes in bella mostra sul bancone, dalla torta di mele calda e fumante, dalle cameriere con grembiule e crestina ricamati a mano.

Si era messo in fila per ordinare un caffè da portare via. Sotto il braccio teneva il suo computer portatile. Sarebbe andato al parco a scrivere.

Si trattava del suo primo romanzo. Era un giovane ancora molto confuso e non sapeva proprio da dove avrebbe potuto cominciare.

Si era grattato la testa in cerca di un aiuto, un segno dal cielo ed era stato allora che l’aveva notata.

Una giovane donna con i capelli scuri era seduta ad un tavolino poco lontano da lui. Teneva tra le mani un libro e lo leggeva sorseggiando il suo caffè. La cosa che colpì Noah dritto al petto fu un minuscolo e meraviglioso dettaglio: la ragazza aveva messo un fiore tra le pagine. Era una rosa rossa, fresca.

Noah era rimasto lì a guardarla per quasi un’ora, poi era corso via senza neanche ordinare il caffè. Era andato dritto al parco e si era seduto sulla sua panchina preferita. All’ombra di un pino aveva iniziato a scrivere di getto. Le parole erano uscite dalla sua mente e dal suo cuore come un fiume in piena. Aveva scritto pensando a lei, alla donna misteriosa della caffetteria.

Alla fine si era ritrovato tra le mani il suo primo ed unico romanzo con una protagonista femminile. L’aveva chiamata Rachel e l’aveva descritta esattamente come la donna che l’aveva ispirato. Le aveva persino fatto indossare un maglione arancione, proprio come quello che aveva Katherine quando lui l’aveva vista per la prima volta.

Rachel era una ragazza semplice, comune, per certi versi anche un po’ banale. Se ne stava tutto il giorno seduta nella sua sala da the preferita a leggere libri e, di tanto in tanto, alzava lo sguardo verso la vetrina. Osservava la gente passare in strada e si lasciava andare alle riflessioni, ai sogni. Analizzava il mondo da lì, dal suo tavolino, con il suo libro in mano. Guardava il mondo attraverso una vetrina e non sempre le piaceva lo scorcio che quel suo amato posto le concedeva.

Noah aveva fatto i salti di gioia quando l’editore gli aveva comunicato che avrebbe pubblicato il suo libro. Si era sentito, all’improvviso, una persona diversa. Una persona di successo, una persona perfettamente in grado di raggiungere gli obiettivi che si prefigge, una persona in grado di realizzare i propri sogni.

Era corso in quella caffetteria, sperando di trovare quella donna.

Il suo cuore batteva forte e lui avrebbe di sicuro trovato il coraggio di avvicinarsi, di parlarle. Era quello il momento giusto.

Aveva corso a perdifiato per tutta Londra, ma ne era decisamente valsa la pena.

Lei, infatti, era proprio lì, seduta allo stesso tavolino di allora.

Teneva un libro tra le mani. Si trattava di un libro diverso, ma la rosa tra le pagine era la stessa. Aveva i petali secchi, ormai e le foglie erano accartocciate e raggrinzite. A lei, però, non importava.

Leggeva il suo libro con aria beata, noncurante di tutto ciò che accadeva all’esterno.

Noah era entrato nel locale ancora con il fiatone ed era andato dritto al suo tavolo.

-Salve-   le aveva detto con un sorriso. Teneva il suo manoscritto ben saldo sotto il braccio.

Lei, per un attimo, si era guardata intorno come se non fosse sicura del fatto che quell’uomo stava parlando proprio con lei.

-Posso sedermi?-   aveva insistito lui.

Lei aveva sorriso e con un cenno della mano lo aveva invitato ad accomodarsi.

Lo aveva fissato con aria confusa, ma curiosa di sapere ciò che aveva da dirle.

-Mi chiamo Noah-   aveva detto mentre le porgeva la mano sopra la sua tazza di caffè.

-Io sono Katherine-

Lei era sembrata spaesata. Lui aveva presto cancellato la confusione dalla sua mente raccontandole la sua storia.

Le aveva detto tutta la verità. Aveva raccontato di averla notata qualche mese prima seduta a quello stesso tavolo e che quella sola visione era bastata a dargli l’ispirazione necessaria per scrivere un libro. Le aveva persino detto che l’editore, non più di un’ora prima, aveva dato il via libera alla pubblicazione.

Lei aveva ascoltato con aria interessata, quasi affascinata. Le sue guance si erano colorate di rosso alla fine.

-Le spetterebbe una percentuale sulle vendite-   aveva scherzato lui.

Lei aveva riso. La sua risata era dolce, incantevole. Era calda come una carezza, piacevole come quella di un bambino.

Noah l’aveva guardata ridere. Era rimasto lì incantato per diversi istanti senza dire una parola. L’aveva accarezzata con lo sguardo, corteggiata con le parole. Non c’era stato bisogno di dire o fare nient’altro.

Alla fine aveva pagato il conto e se ne era andato via, ma entrambi sapevano che si sarebbero rivisti proprio in quello stesso posto, magari proprio l’indomani.

Noah uscì dalla doccia lasciandosi sfuggire un lamento.

L’acqua non aveva lavato via i suoi ricordi. Il cuore faceva ancora male.

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Capitolo 4
*** Libri e Ricordi ***




Libri e Ricordi








Noah salì in macchina. Si sforzò di sorridere mentre si voltava verso la sua autista per rivolgerle un saluto.

-Buongiorno-   disse guardandola bene in viso.

Aveva qualcosa di diverso. Decisamente. Sembrava quasi un’altra persona.

Noah notò ben presto il leggero trucco che aveva sugli occhi. Inoltre aveva sciolto i capelli, lasciandoli ondeggiare liberi sulle sue spalle.

Il suo volto e la sua espressione, però, non erano cambiati. Non c’era l’ombra di un sorriso su quel viso. Non sembrava affatto felice di vederlo, proprio come la sera precedente.

Rispose al suo saluto con un distratto cenno della mano, poi mise la marcia e ripartì.

Raggiunsero la libreria in pochi silenziosi istanti.

Si trattava di un piccolo negozio nascosto in un vicoletto. La posizione era molto caratteristica.

Noah adorava quel tipo di negozi. Profumavano di libri nuovi, i proprietari erano sempre degli anziani con mille episodi da raccontare. Erano negozi con una storia, niente a che vedere con quegli impersonali megastore che stavano spopolando ormai in tutto il mondo.

Si lasciò precedere dalla sua accompagnatrice che spalancò la porta facendo tintinnare il campanellino posto proprio al di sopra di essa.

Lui la seguì immediatamente, tuffandosi in un mondo in cui poteva veramente essere se stesso. Quello era decisamente il suo ambiente naturale.

Dimenticò, per un attimo, tutti i dolori, le sofferenze. Abbandonò i brutti ricordi prima di farsi largo tra la folla e andare a sedersi al tavolo che avevano preparato per lui.

Olga Ranieri lo guardò attraversare la libreria con aria attonita.

Non aveva aspettato le sue istruzioni, aveva fatto tutto da solo.

In fondo, lei non era stata proprio ciò che si può definire un buon chaperon. A pensarci bene non gli aveva neanche chiesto come era andato il volo la sera prima e non aveva neanche detto buongiorno quando lui era salito sulla sua macchina con un sorriso dipinto sul volto.

Non ce l’aveva proprio fatta. Lo detestava. Lo considerava solo un ometto saccente, convinto di poter dire al mondo come si vive davvero.

La sera prima, nel letto di casa sua, aveva letto diversi capitoli del suo nuovo libro e si era ritrovata ad odiarlo sempre di più. Quell’uomo aveva scritto cose impossibili, troppo idealistiche e utopistiche.

Il protagonista del suo libro rifiutava di fare un lavoro che andava contro i suoi principi morali e si era licenziato senza troppe remore.

Secondo Noah Gallagher la gente comune doveva compiere azioni come quelle per poter essere considerata grande?

Olga scosse leggermente la testa e chinò lo sguardo.

No, non era affatto d’accordo con quell’insulso ometto che stava iniziando a parlare proprio in quel momento.

“La gente grande è quella che si alza presto tutte le mattine, quella che anche quando una cosa non è perfetta ingoia il rospo e va avanti. La gente grande è quella che trova la forza di vivere in un mondo infamante e oltraggioso come il nostro”   pensò mentre tornava a guardarlo.

Due o tre ragazzette erano sedute in prima fila e pendevano dalle sue labbra. Annuivano ad ogni sua parola e lo guardavano con aria sognante. Come diavolo facevano? Come poteva quell’uomo avere degli ammiratori così assidui e così numerosi?

Era senza dubbio un uomo molto interessante. Quella sua barba incolta e l’aspetto leggermente trasandato gli attribuivano un fascino del tutto particolare.

Olga prese ad osservarlo attentamente, come per analizzarlo bene.

Indossava un paio di pantaloni grigi, una camicia dello stesso colore ed un gilet nero.

La camicia era leggermente aperta sul petto, lasciando intravedere un ciondolo con una strana forma appeso al collo. Era una pietra nera con dei fili d’argento tutti intorno. Olga, per un attimo, si chiese cosa significasse.

All’improvviso fu sopraffatta dai ricordi. Fu riportata indietro al lontano 2006.

Era sera, una piacevole serata d’estate. Lei era seduta su una panchina e aspettava Andrea. Il suo sguardo era sognante, il suo cuore batteva forte.

Aveva indossato il suo vestito più bello, si era fatta truccare e pettinare da sua sorella.

Aveva messo al collo il ciondolo che lui le aveva regalato e se lo rigirava tra le mani impaziente.

Ci aveva pensato su mille volte, ma alla fine aveva deciso di andare. Andrea era un uomo incredibilmente bello, con gli occhi azzurri e i capelli color cioccolato. Le era piaciuto fin da subito, aveva risvegliato in lei strane sensazioni. Lei lo aveva amato, forse per poco, ma lo aveva amato sul serio. Si era lasciata coinvolgere. Gli aveva permesso di portarla sulla luna, per poi cadere giù toccando violentemente il suolo.

Andrea, quella sera, non si era presentato. Non l’aveva neanche chiamata dopo. Non l’aveva degnata di una spiegazione. Semplicemente era finito tutto lì, su quella panchina di quel parco chissà dove.

Olga si era sentita sperduta e alla fine era diventata ciò che era in quel momento. Era diventata fredda, glaciale. Si era costruita un muro tutt’attorno. Si era chiusa in un guscio impenetrabile.

Gli applausi la riportarono al presente, mentre le tre ochette della prima fila si alzavano in piedi con i loro volumi tra le mani, pronte a chiedere l’autografo del signor Gallagher.

Lei rimase lì a guardare per qualche minuto, poi estrasse dalla borsa un libro.

Era vecchio e consumato. Si trattava del primo romanzo di Noah. Era l’unico che le fosse mai piaciuto.

Non aveva molta voglia di ammetterlo, ma alla fine si fece coraggio e, con un sospiro, si mise in fila.

Girò il libro e passò una mano sulla copertina.

“Nuvole e Caffè”   diceva il titolo.

Olga si era identificata in ogni capitolo con la protagonista. Rachel era esattamente come lei. Tenera e morbida dentro, ma ben corazzata fuori.

Era una donna impaurita dal mondo, una donna che ha timore di mostrarsi per quello che è davvero. Era fragile, sensibile. Era una donna vera, con delle paure vere. Era una donna del tutto umana, faceva pensieri spontanei e naturali e aveva il coraggio di non vergognarsene mai. Aveva commesso errori, peccati, si era lasciata abbagliare dal luccichio del mondo. Era una donna stanca, provata, ma che, nonostante tutto, non perdeva la forza e continuava a stringere i denti in attesa di ciò che la vita le avrebbe riservato.

Olga chinò lo sguardo e, per un instante, si chiese cosa il destino aveva in serbo per lei.

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Capitolo 5
*** Nuvole e Caffè ***




Nuvole e Caffè







Gli faceva male il polso. Aveva autografato almeno una cinquantina di copie del suo nuovo libro.

All’improvviso, però, qualcuno gli mise davanti una vecchia copia del suo primo romanzo. Era una prima edizione. Risaliva almeno a quattro anni prima.

La copertina era consumata. Il suo volto nella foto sul retro era giovane e inesperto. Era innamorato.

Alzò lo sguardo per scoprire che la persona che gli aveva appena messo davanti una copia di “Nuvole e Caffè” era Olga Ranieri.

Lei sorrise, ma non sembrava affatto allegra. Il suo era solo un sorriso di cortesia, come per ringraziarlo anticipatamente dell’autografo che avrebbe fatto. Era una cosa dovuta.

Noah si rigirò la penna tra le mani, poi aprì il libro  e prese a scrivere la sua dedica.

Richiuse subito il libro con un tonfo e riconsegnò il volume alla donna bionda di fronte a lui.

-Nuvole e Caffè?-   disse infilandosi la penna nel taschino del gilet.

Di colpo i ricordi tornarono a prendere forma nella sua mente, catapultandolo in una realtà passata e ormai lontana.

Katherine era seduta ancora a quel tavolino e lui entrava in quel locale per la terza volta nella sua vita. Erano al loro secondo incontro e lei era diventata ancora più bella.

Aveva un nuovo libro tra le mani, ma la rosa era sempre la stessa.

Noah le aveva chiesto chi gliel’avesse regalata, lei aveva scosso la testa come a far capire di non volerne parlare.

Avevano chiacchierato tanto, si erano rivelati pian piano sempre più particolari delle loro vite così diverse, così complementari.

Erano andati avanti per giorni, per mesi. Si erano sempre visti lì ed erano rimasti a chiacchierare seduti a quel tavolino finché fuori non fosse diventato buio.

Ogni sera ritornavano alle loro case con qualcosa in più, arricchiti l’uno dall’altra.

Si erano amati in quel modo per tanto, forse troppo tempo.

Non si erano baciati, non si erano abbracciati. A pensarci bene, Noah credeva di non averla mai toccata, neanche sfiorata con un dito nei primi mesi.

A loro bastavano le parole, gli sguardi, i sorrisi. Non erano una coppia comune, non erano persone banali e insignificanti come quelle che passavano sul marciapiede fuori dalla caffetteria. Loro erano speciali, erano persone vere, reali.

Era cambiato tutto una fredda sera di Dicembre. Katherine gli aveva telefonato.

Si erano scambiati i numeri di telefono pochi giorni prima.

-Così puoi avvisarmi quando non puoi venire-   aveva detto, scarabocchiando delle cifre su un tovagliolo.

Lui aveva accettato con un sorriso e poi aveva fatto lo stesso.

-Bene, questo è il mio numero. Chiama pure quando vuoi, giorno e notte-

Le sue guance si erano colorate di rosso a quelle parole.

Due sere dopo aveva usato quel tovagliolo per telefonargli.

-Ti va di vederci?-   aveva detto senza neanche presentarsi.

Noah aveva capito che era lei. Si era fatto dare il suo indirizzo ed era corso a casa sua.

Quella sera si erano finalmente baciati per la prima volta, avevano vissuto la loro storia d’amore con i loro corpi oltre che con le loro anime.

Noah si era risvegliato la mattina dopo nel suo letto e, allungando un braccio le aveva accarezzato la schiena. Lei gli aveva depositato un bacio sulla punta del naso, prima di alzarsi per andare a preparare la colazione.

Lui era stato davvero felice in quel momento, ignaro del fatto che presto tutto sarebbe cambiato. Katherine sarebbe cambiata.

La voce di Olga lo riportò bruscamente al presente.

-Se devo essere sincera è l’unico libro scritto da lei che mi sia piaciuto veramente-

Noah impiegò diversi istanti per realizzare di cosa stesse parlando.

-Oh, davvero?-   rispose infine.

Lei annuì e si diresse verso l’uscita.

Noah si trattenne qualche istante a parlare con il proprietario del negozio. Era un uomo anziano, proprio come lo aveva immaginato. Indossava una camicia a quadri e delle vistose bretelle rosse. Lo scrutava attraverso gli occhiali spessi e sorrideva divertito. Parlava lentamente, in italiano, come se non fosse del tutto sicuro che lui potesse capirlo.

Noah gli aveva stretto la mano e lo aveva ringraziato prima di seguire Olga fuori dal negozio.

-Crede di essere professionale?-   sbottò non appena fu accanto a lei.

Olga lo guardò confusa.

-E’ uscita dal negozio senza nemmeno salutare!-

Lei si accese una sigaretta. Lo scrutò per diversi istanti, poi lo degnò di una risposta:

-Il mio compito è solo quello di occuparmi dei suoi spostamenti. I convenevoli li lascio a lei, signor Gallagher-

Lui sgranò gli occhi. Non credeva alle proprie orecchie.

Si diresse verso l’auto ed aprì lo sportello indignato.

-Mi chiedo come faccia a piacerle quel libro-   disse prima di entrare, indicando il volume che Olga aveva ancora tra le mani.

Lei gli lanciò un’occhiataccia.

-All’inizio ho pensato che, essendo l’unico romanzo in cui la protagonista è una donna, lei si fosse identificata con Rachel-    urlò   -Poi ho visto come si è comportata e ho capito che lei non ha proprio nulla in comune con lei. Katherine è diversa. E’ fragile, è umana-

Olga spense la sigaretta e la gettò sotto la macchina.

-Chi è Katherine?-   chiese con aria indecifrabile.

Noah divenne improvvisamente pallido. Sentì lo stomaco contorcersi e strinse con tutte le sue forze lo sportello dell’auto.

-Vo-volevo di-dire Rachel-   balbettò imbarazzato, mentre l’immagine di Katherine seduta al loro tavolino si faceva di nuovo vivida nella sua testa.

Olga sorrise. Fu un sorriso trionfante. Era quasi felice di averlo messo in difficoltà.

Che diritto aveva di rimproverarla? Non era mica la sua balia?

Noah entrò in macchina e chiuse lo sportello imbarazzato.

Lei aprì la borsa per riporre il suo libro e solo in quel momento si accorse di non aver neanche letto la dedica scritta dal signor Gallagher.

Decise di soddisfare la sua curiosità.

Solelvò leggermente la copertina e lesse.

“A Olga,

con la speranza che un giorno il suo sorriso possa ricominciare ad essere illuminato dalla gioia.

Con affetto,

Noah Gallagher”

Divenne all’improvviso pallida. Il suo volto assunse un’espressione del tutto sconvolta.

Come diavolo si era permesso? Chi credeva di essere?

Non sapeva niente di lei, non sapeva niente della vita vera.

Non sapeva niente del dolore e della sofferenza.

Decise di ingoiare il boccone amaro e di tacere, prima di entrare in macchina e ripartire.





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Capitolo 6
*** Al Colosseo ***




Al Colosseo







Passeggiava intorno al Colosseo.

Si era fatto lasciare lì dalla signorina Ranieri.

Voleva allontanarsi da lei il più possibile. Non voleva vederla, parlarle.

Probabilmente avrebbe preso un taxi per l’aeroporto l’indomani, pur di non rivedere quel ghigno soddisfatto sul suo volto.

Le aveva involontariamente parlato di Katherine e nel pronunciare il suo nome un brivido gli aveva attraversato la schiena.

Katherine. La sua gioia più segreta, il suo dolore più profondo.

L’aveva amata e l’aveva odiata. Aveva desiderato di non averla mai incontrata.

Alzò per un attimo lo sguardo su una coppia di giapponesi in cerca di qualcuno che scattasse loro una fotografia con lo sfondo del Colosseo.

Li superò e proseguì la sua passeggiata in silenzio. Sospirò, ben consapevole che stava per essere di nuovo assalito dai ricordi.

La sua ormai ex ragazza comparve ancora nella sia mente. Il suo viso era ben chiaro e definito. Sorrideva.

Quell’immagine lo riportò bruscamente indietro, fini ad una serata invernale che sembrava ormai troppo lontana. Eppure Noah la ricordava perfettamente. Era la sera in cui tutto era cambiato.

Era seduto sul tappeto con le gambe incrociate e le mani tese verso il camino.

Lei era in piedi davanti a lui e sorrideva

-Noah?-   lo chiamò all’improvviso, imponendogli di voltarsi a guardarla.

Lui lo fece meccanicamente. Voltò il capo e la guardò con un’espressione confusa.

In realtà non riusciva a spiegarsi il motivo della sua visita. Si era presentata a casa sua senza avvisare e si era seduta sul divano. Avevano passato qualche ora fermi lì a fissare il fuoco ardere ne camino. Non si erano parlati e non si erano neanche guardati.

Alla fine Katherine si era alzata in piedi e lo aveva chiamato.

Lui la stava fissando e all’improvviso sentì il cuore pesare nel petto. Aveva un brutto presentimento.

-Non verrò più qui-   disse dopo una lunga pausa.

Noah si alzò in piedi e le si avvicinò. La fissava interdetto. Temeva di non aver capito bene le sue parole.

Le andò incontro e le prese il viso tra le mani. Non riusciva a parlare, si sentiva la bocca impastata, lo stomaco freddo.

-Mi sposo tra due settimane-   continuò lei noncurante dell’effetto che quelle parole stavano avendo su di lui.

Noah sobbalzò e si scostò da lei lasciandola andare.

No, doveva aver capito male. Raccolse il suo coraggio e tutte le sue forze per controbattere.

-Mi prendi in giro?-   riuscì a balbettare senza guardarla in viso.

Lei scosse la testa.

-Quando ci siamo conosciuti Peter mi aveva appena chiesto di sposarlo-   cominciò anche se non era del tutto sicura che a Noah interessasse davvero tutta la storia   -Tu sei piombato in quel locale all’improvviso con la storia più dolce e romantica di questo mondo e io non ho saputo resistere-

A quelle parole Noah non riuscì più a trattenere la rabbia.

Strinse i pugni e si voltò a guardarla con il viso paonazzo.

-Non hai saputo resistere alle mie lusinghe? Tu stavi per sposarti e non hai saputo resistere alle mie lusinghe?-   ripetè incredulo.

-Io mi sono innamorata, Noah-   urlò lei con le lacrime agli occhi   -Ci ho provato con tutta me stessa, ho provato a resisterti. Non ci sono riuscita-

-E’ per questo che sei venuta a letto con me quella sera? E Peter dov’era? Scommetto che avevate litigato e tu hai deciso di usarmi per consolarti-

Katherine rimase interdetta per qualche istante. Aprì la bocca ma non ne uscì alcun suono.

Noah si avvicinò alla finestra e, scostando leggermente le tende, sbirciò fuori.

Era convinto che anche il mondo là fuori si fosse fermato dopo quella notizia e invece il traffico continuava a scorrere normalmente, mentre alcuni passanti attraversavano con il semaforo giallo.

-Peter non c’entra-   riprese Katherine dopo alcuni minuti   -Quella sera ho deciso di chiamarti perché volevo farlo. Lui non c’entra-

-Come fai a dire che non c’entra? Lui c’entra eccome! Stai per sposarlo!-   ribatté Noah sempre più adirato.

Lei sospirò e chinò lo sguardo.

-Mi dispiace-   sussurrò.

-Voglio che tu vada via-

Noah tornò a guardare fuori dalla finestra. Non sarebbe riuscito a sostenere il suo sguardo dispiaciuto. Era troppo arrabbiato, deluso. Mille emozioni si facevano largo nel suo cuore e nel suo stomaco.

Cominciava ad avere la nausea.

Katherine non disse nient’altro. Raccolse la sua borsa e si diresse verso la porta d’ingresso.

-Ah-   esclamò lui, bloccandola. Lei si voltò speranzosa. Era sicura che le stesse chiedendo di restare almeno per quella notte, l’ultima notte.

-Stai attenta per strada. Potresti incontrare qualcuno che ti ha dedicato una canzone o una poesia e potresti finire con l’innamorarti anche di lui-

Katherine spalancò la bocca. Noah non lo notò, era ancora voltato verso la finestra.

Uscì di casa sbattendo la porta, mentre lui si abbandonava ad un urlo di disperazione.

Ritornò al presente quando urtò con il gomito una giovane turista.

Si scusò con un sorriso timido, lei mormorò qualcosa in una lingua sconosciuta.

Proseguì la sua passeggiata sempre con il capo chino, fino a quando non entrò nel suo campo visivo un bel paio di scarpe nere con il tacco. Aveva già visto quelle scarpe.

Alzò la testa confuso e si ritrovò davanti il volto glaciale di Olga Ranieri.

Trasalì. Era convinto che lo aspettava un ceffone.

Lei, invece, sorrise leggermente. Si trattò di un sorriso diverso da tutti gli altri che Noah le aveva visto fare. Sembrava stranamente sincero.

-Posso offrirle un cappuccino?-

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Capitolo 7
*** Tutta la Verità ***




Tutta la Verità



-Chi è Katherine?-

Erano seduti in un grazioso locale poco lontano dal Colosseo.

Olga era di fronte a lui e lo osservava con aria indagatrice.

Noah era confuso. Non sapeva bene come doveva sentirsi. Era tutto così strano, così inaspettato.

Dopo aver atteso invano una risposta alla sua domanda, Olga prese il menu e cominciò ad analizzarlo con attenzione.

-E’ quasi ora di pranzo in effetti-   disse poi sbirciando l’orologio.

Noah non la sentì. Guardava fuori e quella assurda situazione gli ricordava troppo quello che aveva passato con Katherine.

Il tavolino di un bar li aveva uniti e allo stesso tempo divisi per così tanto tempo e lui, da allora, faticava a starsene seduto in un locale senza pensare a lei.

-Era la mia ragazza-   rispose all’improvviso.

Olga alzò gli occhi dal menu. Sembrava sorpresa.

-O forse dovrei definirla amante-   proseguì in preda ad un attacco di sincerità   -Non so bene cosa fosse quello che c’era tra noi. Non lo so più-

Chinò lo sguardo sulle sue mani che teneva giunte in grembo.

Olga lasciò andare definitivamente il menu e posò i gomiti sul tavolo sporgendosi verso di lui con aria interessata.

-Io ero innamorato, di questo ne sono sicuro-   continuò lui imperterrito senza riuscire a guardarla in viso   -Ma sono anche sicuro di averla odiata per quello che mi ha fatto.

-Cosa è successo tra voi due?-   chiese lei dopo essersi schiarita la voce.

Sembrava rapita da quel racconto così come era stata rapita dalla storia che Noah aveva raccontato nel suo libro “Nuvole e Caffè”.

-Abbiamo avuto una storia, ma un bel giorno lei mi ha confessato di avere già un fidanzato. Si sarebbero sposati poco dopo-

Olga non ebbe alcuna reazione. Continuò a guardarlo interessata. Lui proseguì.

-Non ci siamo più visti per un anno intero. Lei si è sposata, io ho scritto altri libri. Un bel giorno, però, si è presentata alla mia porta e io ci sono ricascato-

-La amavi ancora?-   chiese Olga appoggiando il mento sulle mani strette a pugni.

Noah scosse la testa e sospirò. Riportò lo sguardo fuori, ai passanti che camminavano sul marciapiede e ai turisti che scattavano foto a destra e a manca.

-No-   rispose infine   -Avevo solo bisogno di sentirla muovere i piedi per riscaldarli mentre dormiva accanto a me. Avevo bisogno di un suo bacio, di un suo abbraccio. Avevo bisogno di fare l’amore con lei. L’ho fatto per  me stesso, per egoismo-

Sospirò di nuovo.

-No, non l’ho fatto per lei-   mormorò dopo diversi istanti di silenzio scuotendo la testa.

-Ti ha mai detto perché?-   chiese Olga senza smettere di guardarlo   -Perché è venuta da te anche se era sposata e aveva un marito?-

-Non ho mai voluto saperlo e lei non ha mai voluto dirmelo. La mattina dopo mi sono svegliato e lei non c’era più. Mi sono sentito quasi sollevato-

Una cameriera si avvicinò al loro tavolo con carta e penna pronta per l’ordinazione.

Olga le chiese di attendere ancora qualche minuto.

Lei si allontanò quasi infastidita.

-Un mese dopo lo ha rifatto. E’ venuta a casa mia e io ho ceduto ancora-

Olga riportò i gomiti sul tavolo e riprese ad osservarlo con attenzione, come per studiare ogni sua espressione. Non voleva perdersi neanche una parola di quel racconto.

-E’ successo altre volte, ma dopo un po’ ho avuto finalmente il coraggio di dire basta-

Olga sorrise. Era quasi soddisfatta del suo comportamento. Aveva decisamente fatto la cosa giusta quando aveva deciso di mandarla al diavolo. Non si può mica tenere il piede in due staffe insomma.

Noah si zittì di nuovo. Non portò lo sguardo fuori, ma continuò a guardare le sue mani contorcersi.

Avrebbe tanto voluto uscire da lì e fuggire via lontano. Scappare, correre a perdifiato fino a non poterne più. Una volta lo aveva fatto fare al protagonista del suo libro: lo aveva fatto correre per ore, in stile Forrest Gump. Quel personaggio da lui inventato, però, alla fine non si era affatto sentito meglio. Era ritornato ben presto alla vita di sempre e soprattutto aveva commesso di nuovo gli stessi errori come se da quella pazzia non avesse imparato niente. Soltanto in quel momento Noah si rese conto di quanto fossero autobiografici i suoi libri.

Olga rispettò il suo silenzio. Continuò a guardarlo, ma senza obbligarlo a proseguire il racconto.

Chiamò la cameriera e ordinò due panini. Decise da sola, senza chiedere a Noah cosa volesse. Non voleva distoglierlo da quei ricordi che, seppur dolorosi, erano parte integrante della sua vita e del suo essere.

-Poco più di un mese fa è tornata da me. Erano passate poche settimane dal nostro ultimo incontro-

Noah riprese il racconto non appena la cameriera si fu allontanata. Finalmente trovò il coraggio di alzare lo sguardo e di guardare Olga. Gli sembrava bella nonostante i suoi lineamenti duri e ben poco rassicuranti.

Era davvero un controsenso: si stava aprendo e confidando con la persona più ostile e fredda che avesse mai conosciuto.

Sospirò e decise di proseguire. Parlare gli stava facendo bene. Ad ogni parola si sentiva un po’ più leggero.

-Mi ha detto di essere incinta e che il bambino probabilmente era mio-

Olga spalancò la bocca, mostrando per la prima volta i suoi sentimenti.

Per tutto il tempo aveva ascoltato il racconto senza reagire, ma dopo l’ultima frase non era proprio riuscita a trattenersi.

Noah tacque di nuovo, ma non smise di guardarla.

Sentì uno strano calore sulla pelle, come un abbraccio. Si sentiva inspiegabilmente al sicuro.

-L’ho mandata via, le ho detto che non volevo saperne-   proseguì con la voce rotta dal dolore   -Eppure durante la notte non ho fatto altro che pensare a quella creaturina. Mio figlio-

Olga sorrise. Noah le faceva tenerezza.

-Due settimane dopo ho trovato un suo messaggio in segreteria. Diceva che aveva perso il bambino. Un aborto spontaneo-

Noah chinò di nuovo la testa, mentre Olga allungava una mano per toccargli un braccio. Prese ad accarezzarlo delicatamente, mentre lo guardava con compassione.

Era il loro primo contatto fisico, ma ad entrambi parve così naturale, come se si conoscessero da anni.

-Prima della mia partenza per Roma è tornata da me dopo molto tempo. Non la sentivo dal giorno in cui ho ascoltato il suo messaggio registrato sulla mia segreteria, non la vedevo da quando mi aveva annunciato la sua gravidanza-

Olga lasciò andare il suo braccio per fare spazio sul tavolo.

La cameriera aveva portato i loro panini caldi e fumanti, ma sicuramente loro li avrebbero lasciati lì fino a farli diventare freddi e umidi.

-Abbiamo parlato del bambino che non abbiamo mai avuto e abbiamo fatto l’amore-   concluse Noah quando furono rimasti di nuovo soli.

Non disse nient’altro. Riportò lo sguardo fuori, oltre la vetrina del bar poco lontana da loro.

Olga rimase incantata dal vapore che si sollevava lento dai panini e che si disperdeva nell’aria. Avrebbe voluto farlo anche lei: fluttuare via lontano, disperdersi e confondersi con tutto il resto.

Avrebbe anche voluto alzarsi per abbracciare Noah, ma naturalmente non lo fece.


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Capitolo 8
*** Amori Sbagliati ***




Amori Sbagliati


Noah era in piedi davanti a lei e la guardava con aria dispiaciuta.

Il borsone gli pendeva dalla spalla destra. Erano in aeroporto. Stava per partire.

-Non avrei mai creduto di dirlo-   cominciò Olga guardandolo dritto negli occhi con decisione   -ma è stato un vero piacere conoscerla-

Noah sorrise.

-Ti prego, diamoci del tu-

Lei annuì e rispose al suo sorriso.

Per un attimo si perse in quegli occhi tanto tristi e le ritornò alla mente Andrea. Il suo Andrea.

 

Erano passati molti anni ormai, ma Olga sapeva che non avrebbe mai dimenticato quel giorno.

Era mattina presto. Lei era ancora a letto quando il telefono prese a squillare insistentemente.

Non voleva rispondere. Si rigirò nel letto e lo lasciò squillare.

Quando scattò la segreteria la voce della sua amica Sara riempì la casa:

-Olga? Ci sei? Ti prego, rispondi!-

Sembrava realmente preoccupata.

Olga spalancò gli occhi e afferrò la cornetta dal comodino.

-Che cosa c’è? Sono le sei di mattina-   protestò.

-Olga?-

La voce della sua amica si incrinò per un instante. Lei si mise a sedere sul letto sconvolta. Sentiva che era successo qualcosa e doveva essere qualcosa di terribile.

-Si tratta di Andrea-   proseguì Sara.

Olga trasalì. Strinse la cornetta fino a farsi diventare le nocche bianche.

-Ieri sera avevi un appuntamento con lui, vero?-

La risposta non fu immediata, si fece attendere qualche istante. Un timido raggiunse infine l’orecchio della sua amica.

-Ha avuto un incidente-

Olga trattenne il respiro, mentre le lacrime cominciavano a scendere sul suo viso di porcellana.

-E’ morto sul colpo-   concluse Sara.

Seguì il silenzio più assoluto, più assordante. Dopo quella che parve un’eternità, Sara mormorò un timido “mi dispiace”.

-Devo andare ai funerali. Quando…?-

-Olga, non puoi!-   la interruppe Sara con tono di rimprovero   -Ci sarà sua moglie, ci saranno i suoi figli…-

-E ci sarò anche io-  concluse lei gelida.

-No che non ci sarai!-   la rimproverò ancora l’amica   -Sua moglie sa bene che Andrea stava venendo da te ieri sera. Potrebbe prendersela con te. Sappiamo bene quanto è avventata quella donna, senza contare che è anche distrutta dal dolore-

-Stai dicendo che è tutta colpa mia?-   chiese Olga mettendo finalmente bene a fuoco la situazione   -E’ colpa mia se Andrea è morto?-

-No!-   si indignò Sara   -Certo che no!-

Seguì di nuovo il silenzio, questa volta carico di imbarazzo.

-Non andarci, ti prego-   supplicò infine la sua amica   -Poi andremo insieme a portargli dei fiori al cimitero-

Quella mattina Olga si lasciò convincere, senza sapere che non sarebbero mai andate al cimitero ad inginocchiarsi sulla sua lapide. Non ce l’avrebbe fatta, non ci sarebbe mai riuscita.


 
-E’ stato un piacere anche per me!-

La voce di Noah distolse Olga dai suoi dolorosi ricordi.

Si voltò a guardare il tabellone delle partenze.

-Devo andare-   disse poi.

Gli occhi di Olga si riempirono di lacrime.

Nessuno dei due riusciva bene a capire cosa fosse nato tra loro. Forse erano legati dal fatto di aver vissuto degli amori dolorosi, degli amori sbagliati. Forse erano anime gemelle. O forse si erano solo incontrati nel momento giusto, anche se apparentemente erano decisamente partiti con il piede sbagliato.

-Buon viaggio, Noah-

Olga, stupendo persino se stessa, si lanciò in un abbraccio. Lo strinse con ardore, con passione. Lasciò che qualche lacrima scendesse sul suo volto, mentre lui le accarezzava la schiena.

-Magari un giorno ci rivedremo-   disse poi, lasciandolo andare.

-Magari-   confermò lui con il suo solito sorriso da bambino.

Le accarezzò dolcemente il viso e sparì tra la folla.

Olga rimase lì ferma per diversi minuti, poi tornò a casa vuota, triste. Era come se un pezzo di lei fosse andato via con Noah. Le mancava qualcosa.

Si versò da bere e si lasciò cadere sul divano, ignara che due mesi dopo avrebbe ricevuto un manoscritto accompagnato da una lettera di Noah Gallagher che chiedeva la sua opinione sul suo nuovo libro e chiedeva il permesso per la pubblicazione.

Quel libro avrebbe parlato di lei.



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