Wyrda un Yelid

di Eragon36
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il Castello ***
Capitolo 3: *** Rivelazioni ***
Capitolo 4: *** Allo Specchio ***
Capitolo 5: *** Sogni ***
Capitolo 6: *** Nemici vecchi e nuovi ***
Capitolo 7: *** Partenza ***
Capitolo 8: *** Re per una notte ***
Capitolo 9: *** Addestramento ***
Capitolo 10: *** Verso il deserto ***
Capitolo 11: *** Ricongiuzione ***
Capitolo 12: *** Parole di conforto ***
Capitolo 13: *** Notizia inaspettata ***
Capitolo 14: *** Buone notizie ***
Capitolo 15: *** Un lungo viaggio ***
Capitolo 16: *** Nella Foresta ***
Capitolo 17: *** Elessar ***
Capitolo 18: *** Una nuova vita ***
Capitolo 19: *** Vita da Principe ***
Capitolo 20: *** Tu non combatterai. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Arya era sulla rupe di Tel'Naeir seduta sulla zampa anteriore destra di Fìrnén; le mancava Eragon: erano passati ormai 2 anni da quando lui e Saphira, l'azzurra dragonessa che 20 anni prima aveva portato con sè attraverso Alagaesia quando era ancora un uovo; avevano lasciato Alagaesia per sempre , 2 anni da quando si erano parlati per l'ultima volta sul fiume Edda, 2 anni in cui 4 uova di drago si erano schiuse e i Cavalieri, due nani, un Urgali e un elfo, si erano recati nel luogo segreto scelto da Eragon per essere addestrati. I primi, l'Urgali di nome Dazhgra e l'elfo Dusan, erano già tornati e avevano iniziato a esercitare il loro ruolo, facendo rapporto a lei in quanto luogotenente di Eragon in Alagaesia. Mentre discuteva con Fìrnen sul da farsi per domare una rivolta scoppiata nella città di Feinster e guidata da un certo Lord Odin, quando percepì Lord Dathedr avvicinarsi velocemente: la allarmò il panico che emanva dai suoi pensieri. Non appena arrivò, il suo più fido consigliere portò la mano voltata la petto in segno di rispetto, poi disse: "Arya Drottning, Murtagh e Castigo si stanno avvicinando da Est!" L'elfa ci mise un momento a ricordare di chi stava parlando il suo consigliere: i due, Cavaliere e drago, si erano liberati dai giuramenti a Galbatorix e avevano aiutato lei e Eragon a uccidere Galbatorix e Shruikan. "Sono già passati da Gilderien il Saggio?" si informò la Regina.
"Non ancora, ma se gli negherà il passaggio temo che non esiteranno a eliminarlo"
"Gilderien-elda non ha motivi per negargli il passaggio, se le loro intenzioni sono oneste, e se consentirà loro di passare, voglio sentire cos'hanno da dire, e soprattutto come hanno fatto a trovarci"
"Ma... potrebbero attaccarci"
"No, se Gilderien-elda li farà passare dubito che possano attaccarci"
"Come desideri, Arya Drottning"
Arya si alzò dalla zampa di Fìrnen, mentre il drago le diceva:
Non ti preoccupare, se tentano di attaccarti ci sarò io a proteggerti.
Mi fido di Murtagh, ha fatto molto per Eragon in passato e non vedo perché debba essere tornato per seminare morte di nuovo.

In quel momento vide comparire la rossa sagoma di Castigo nel cielo, e pochi minuti dopo il drago rosso atterrò con un tonfo sulla rupe.
Smontato da Castigo, Murtagh si inchinò al suo cospetto, ruotò la mano destra e la posò sul petto, e disse:"Atra esternì ono thelduìn, Arya... Shur'tugal?"
"Atra du Evarynia ono varda, Murtagh. Sì, Shur'tugal, e anche Drottning"
Murtagh spalancò la bocca, poi si ricompose e disse:
"Sto cercando Eragon. Sai per caso dove sia? Non riesco a percepirlo, e ogni volta che divino Nasuada lui non c'è mai, e lei nemmeno l'ha mai nominato. A quanto pare, però, un Cavaliere è destinato a regnare su una razza di Alagaesia, sempre"
Soltanto allora Arya notò che Murtagh aveva lasciato Zar'roc su Castigo, dalla parte opposta rispetto alla sua, segno che non voleva combattere.
"Eragon-elda è partito con Saphira nelle terre inesplorate a est del fiume Edda, per addestrare i nuovi Cavalieri. Io sono il suo luogotenente qui. Se posso, esaudirò tutte le tue richieste."
Murtagh parve stupito da quell'affermazione, e, passando all'Antica Lingua, disse:
"Non ho alcuna richiesta, voglio solo raggiungerlo. Io e Castigo abbiamo deciso che è ora di dare il nostro contributo alla nuova generazione. Ho notato che ci sono altri Cavalieri in Alagaesia, per cui noi qui non serviamo più a nulla."
 

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Capitolo 2
*** Il Castello ***


2 anni prima
Eragon se ne stava nella sua cabina sulla Talita, la bianca nave elfica su cui viaggiavano da un mese circa, a discutere con gli eldunarì sui modi migliori per addestrare i draghi e i Cavalieri che si apprestavano a nascere, e ognuno pareva voler dire la sua. Per Eragon le opinioni migliori erano quelle di Umaroth e Glaedr: avrebbe continuato lui stesso a studiare e impratichirsi con la magia fino a raggiungere il livello di Vrael, il Cavaliere di Umaroth, che ai suoi tempi era considerato il migliore stregone di Alagaesia, e nel contempo addestrare i Cavalieri per livelli: una prima parte che si sarebbe conclusa, come si è conclusa per lui, quando nell’ora di meditazione il Cavaliere avrebbe sentito tutto fino a non sentire più nulla, e una seconda parte dopo un anno o due in cui Cavaliere e drago avrebbero appreso le nozioni più segrete sulla magia e sui draghi: la verità sui cuori dei cuori, come trasportare oggetti da un luogo all’altro, cantare le piante, scambiare energia con altri esseri viventi e così via. Quella discussione lo impegnava tutti i giorni da una settimana ormai, e Eragon si accorse che era riuscito, per un certo momento, a non pensare più a Roran, Katrina e soprattutto Arya, mentre Saphira era ancora dolente per aver lasciato Fìrnen.
Andiamo, le disse Eragon, sono sicuro che prima o poi si uniranno a noi, probabilmente quando ci saranno abbastanza Cavalieri in Alagaesia.
Sì, lo spero anche io, però il destino è crudele: ci dà un assaggio della vita e poi ci toglie tutto. Ora, siete riusciti a trovare un accordo? Sono stanca di starmene a terra tutto il giorno, ho voglia di fare un voletto con te.
Sì, alla fine li ho convinti. I Cavalieri…
Eragon! C’è un castello all’orizzonte!
Subito dopo nella sua cabina entrò Blodhgarm: "Ammazzaspettri, abbiamo avvistato un castello a prua!"
"Sì, Saphira mi ha avvisato un attimo prima che entrassi tu. Col tuo premesso, io le lei ce ne andiamo a fare un voletto, e, già che ci siamo, a salutare il castellano, chiunque egli sia. Porteremo con noi molti eldunarì."
Blodhgarm abbassò il capo."Come desideri, ammazzaspettri."
Eragon si alzò, allacciò Brisingr alla cintura, pronunciò l’incantesimo che consentiva agli eldunarì di racchiudersi in una minuscola sacca di spazio e uscì dalla cabina, dove vide che  Saphira lo stava aspettando sulla riva sinistra dell’Edda. Dopo aver chiesto all’elfo al timone di accostare, scese dalla nave e montò sulla dragonessa:
Andiamo a conoscere i castellani?
Più tardi, piccolo mio. Ora voglio volare.
E detto questo, si alzò in volo, battendo le ali sempre più in fretta per arrivare alla velocità giusta, Saphira sfruttò una corrente ascensionale dopo l’altra, e i due si ritrovarono presto a contemplare le dimensioni di quell’enorme castello: persino ora, che l’Edda non era altro che un piccolo filo d’argento nella pianura e loro vedevano chiaramente che il castello distava circa 10 miglia dal punto in cui si trovava la nave, quella costruzione improvvisa sembrava enorme.
Figuriamoci quando saremo ai piedi delle mura, disse Saphira
Speriamo non ci sia nessuno,  o che gli abitanti siano amici, non voglio combattere di nuovo, e per giunta contro nemici che devono essere di dimensioni formidabili, per aver costruito un castello così grande.
Bé, prima divertiamoci un po’. Detto questo, la dragonessa si lanciò in picchiata sulla pianura, e quando non erano che a cinquanta piedi  dal suolo, riaprì le ali e ricominciò a batterle, sfruttando prima lo slancio della discesa e poi le sue forze per riprendere quota e velocità, e avvicinarsi all’enorme castello.
Hai rischiato,disse Eragon,sei arrivata a cinquanta piedi da terra, se non meno.
Avevo il perfetto controllo della situazione: non ti farei mai schiantare a terra. E poi, che divertimento c’è senza un po’ di brivido?
Sì, ma la prossima volta stai a cento piedi.
Hai paura? La sua voce aveva una nota divertita.
No, è solo che non voglio schiantarmi al suolo. Non adesso, almeno.
Hai paura. E la dragonessa si mise a ridere, un rombo così fragoroso che a Eragon ricordava quello di una cascata.
Non ho paura, si difese Eragon;
Paura o no, siamo arrivati, disse Saphira ancora ridacchiando.
Il castello era davvero enorme: le mura erano alte almeno 300 piedi, mentre il maschio arrivava a 500. Non c’erano porte,  a parte una minuscola porticina incassata ai piedi delle mura, abbastanza grande da far passare un drago di 2 mesi, un cucciolo. Saphira disse:  Bé, a quanto pare dovremo entrare dall’alto. E riprese a salire, fino a trovarsi più in alto delle mura, che superò agevolmente, anche se erano spesse almeno 50 piedi. Atterrò nella Corte, dove, appeso sul retro della porticina, trovò un biglietto scritto nell’ Antica Lingua che diceva:
In cima al maschio, troverai un’apertura abbastanza grande da far passare il tuo drago. Io ti aspetto lì. Non ho cattive intenzioni.
Che ne pensi? Chiese Eragon
 Andiamo a salutare questo misterioso castellano solitario.
Avevano infatti notato che il castello sembrava completamente deserto, anche se il biglietto da Eragon dimostrava il contrario.
Eragon risalì in groppa a Saphira, che si rialzò in volo e raggiunse la cima del maschio, in cui trovò un’apertura a goccia identica a quella della sua abitazione a Ellesméra.
Entriamo?  Chiese la dragonessa.
Aspetta, voglio vedere se è una trappola. Eragon pronunciò il nome dei nomi, e dopo essersi accertato che non c’erano incantesimi  diede il suo consenso a Saphira per entrare.
Appena entrati, Saphira notò che in un lato della stanza in cui erano atterrati c’era un giaciglio abbastanza grande per ospitarla, e disse:
Bè, chiunque abbia costruito questo posto, l’ha fatto per i draghi.  E vi si accoccolò. Eragon si sedette su un letto a fianco del giaciglio di Saphira, e notò che era incredibilmente morbido, più di qualsiasi letto in cui si fosse mai coricato. Erano lì seduti da qualche minuto, quando alla porta della stanza bussò qualcuno, e una voce che Eragon non aveva mia sentito disse nell’Antica Lingua: "Ammazzaspettri, finalmente sei arrivato! Posso entrare per parlarti a quattr’occhi? Giuro che non ti farò del male."
"Prego, entra pure, chiunque tu sia"
"Ah, grazie", disse la voce mentre si apriva la porta. "E’ molto tempo che ti osserviamo, e penso sia ora di parlare"
Appena vide la figura che si accingeva a entrare, Eragon trattenne a stento un’esclamazione di stupore.

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Capitolo 3
*** Rivelazioni ***


Davanti a Eragon c’era un elfo, il cui viso, anche se solcato da piccole rughe d’espressione, il Cavaliere sapeva di conoscere. L’aveva visto circa un anno e mezzo prima a Tarnag, in un bassorilievo che raffigurava la storia di Alagaesia, e in quel ritratto l’elfo aveva un’espressione così dolce che Eragon  lo rassomigliò a sé stesso. Ora vedeva che non aveva sbagliato: Eragon, il Primo Cavaliere, stava in piedi davanti a lui, e l’Ammazzaspettri notò che il viso dell’elfo ricordava vagamente quello di Brom, e ancora più vagamente il suo.  L’unica differenza che saltava subito all’occhio erano i capelli, per l’elfo grigi come cenere, mentre per il Cavaliere castani. C’erano altre piccole differenze, come il naso, più lungo e ricurvo quello dell’elfo, e la fronte, più ampia di quella del Cavaliere. Il giovane Eragon disse: "Tu sei… Eragon, il Primo Cavaliere?"
"Sì. E’ tanto tempo che io e Bid’daum ti aspettiamo, compagno, e penso sia ora di parlare faccia a faccia."
"Ma voi siete morti!" protestò Eragon.
"Come vedi io sono ancora vivo e vegeto. Abbiamo intuito che stavi per arrivare, e così sei mesi fa abbiamo iniziato, con la magia e le mani, a costruire questo castello, e l’abbiamo ultimato solo ieri."
Eragon-elda, disse Saphira, stupita quanto il suo Cavaliere, dov’è Bid’daum? Sono curiosa di vedere come diventerò fra un paio di migliaia di anni, e sono anche curiosa di incontrare il fondatore del mio ordine. Dalle sue parole Eragon percepì eccitazione, ma anche una curiosità irrefrenabile.
Quando Eragon ripeté la domanda, l’elfo rispose: "Purtroppo solo io sono vivo e vegeto… di Bid’daum sopravvive solo l’eldunarì… E’ stato ucciso cinquecento anni fa da un Ra’zac… Il nonno di quelli che hai ucciso tu. Ho ucciso quel maledetto, ma non ho potuto fare nulla per salvare il corpo di Bid’daum… Fortunatamente aveva espulso l’eldunarì solo due settimane prima…"
Eragon mormorò la parola Ra’zac sottovoce, poi chiese: "Hai detto che ci avete osservati. Da questa distanza? E… non avrete interferito sugli eventi come gli eldunarì, vero?"
"Sì, Eragon, con la divinazione si può osservare anche da grandi distanze. Quando ho saputo che in Alagaesia c’era un umano che portava il mio nome io e Bid’daum abbiamo deciso di aiutarlo, chiunque egli fosse… Quando eri piccolo, molto piccolo, siamo entrati nella mente di tuo zio Garrow e attraverso i suoi occhi ti abbiamo visto. Quando l’uovo di Saphira si è schiuso per te, decidemmo di aiutarti come meglio potevamo, ma tutto sembrava andarti per il meglio, ora so perché. No, l’unica volta che abbiamo interferito è stato quando Saphira rischiò di morire e Belatona. Abbiamo fermato la Dauthdaert, non potevamo permettere che un altro drago morisse per quella lancia… non dopo Bid’daum."
Eragon rimase sorpreso: "Vuoi dire che..."
"Sì, il Ra'zac impugnava Du Niernen, altrimenti non sarebbero neppure riusciti ad avvicinarsi. I miei incantesimi avrebbero impedito loro addirittura di vederci, ma purtroppo quel Ra'zac aveva trovato la lancia in una montagna della Grande Dorsale, e nemmeno sapeva cosa fosse. Purtroppo me ne resi conto troppo tardi anche io, e quando lo vidi volarci incontro pensai non ci vedesse neppure, quindi dissi a Bid'daum di abbassare appena la traiettoria, così da evitarlo: non si sarebbe neppure reso conto della nostra presenza.>>
<> concluse Eragon.
< Eragon spalancò la bocca.
"A ogni buon conto, mi imbarcai, e intanto riflettevo sulla profezia. Decisi di seguire alla lettera la profezia, e comunicai a Vrael la mia decisione. Subito dopo venni qui, dove mi costruii una casa e restai a osservare Alagaesia e tutto ciò che vi accadeva. Ideai anche io, assieme a Oromis e a Vrael, la rocca di Kuthian, ma intanto avevo fatto giurare loro nell’antica lingua di non rivelare a nessuno che me n’ero andato, per mantenere il segreto."
"Aspetta. Questa… Ismira, era per caso una donna minuta e con una gran massa di riccioli scuri?"
"Come lo sai?"
"Perché ha predetto il futuro anche a me con gli Astragali,ma si faceva chiamare Angela. E mi ha detto che avrei lasciato Alagaesia per non tornare mai più"
"E’ strano. A me non ha detto che avrei lasciato Alagaesia, solo che avrei costruito questo castello."
"E… sai che Roran è mio cugino, vero?"
"Sì. Che strano scherzo del destino."
"Potremo dire agli elfi che ci accompagnano di te? Lo scopriranno, quando approdremo qui."
Eragon sentì Umaroth premergli nella mente.
Sì, è il fondatore del nostro ordine, che ha lasciato l’incarico dopo appena duecento anni di governo. Posso confermarlo perché la sua voce e la sua mente sono le stesse che ricordavo.
"Sì, potrete dirlo agli elfi che vi accompagnano. Ora andate, risponderò alle vostre domande quando tornerete con tutti i vostri compagni. Ho approntato stanze per tutti. Tu, Eragon, e tu, Saphira, potrete alloggiare qui"
"Ma ora che sappiamo di te, vorrai rivendicare il titolo di gran Maestro dell’Ordine."
"Assolutamente no. Sarò il tuo primo consigliere, ti aiuterò ad addestrare i giovani Shur’tugal, ma non voglio il comando dell’Ordine. E’ un titolo che hai più che meritato. Quando torni, però, raccontami del duello con Galbatorix, poiché le sue difese mi hanno impedito di seguirti anche all’interno della sala del trono."
"Sì, Eragon-elda".

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Capitolo 4
*** Allo Specchio ***



Eragon sistemò gi Eldunarì in una stanza appositamente creata dal suo predecessore, dopodiché si recò dal vecchio elfo e gli raccontò del duello con il re.  Terminato il racconto,  l’elfo disse: "Bè, devo farti le mie congratulazioni, Eragon. Hai attaccato il re nell’unico modo possibile. Ti consiglio comunque di lanciare un incantesimo di oblìo per far sì che anche se qualcuno sente il Nome non lo ricordi. E’ una risorsa troppo preziosa per rischiare che un tuo avversario lo conosca. Ora, io e Bid’daum siamo curiosi di vedere fino a che punto si sono spinti Brom e Oromis nell’addestrarti. Poi toccherà anche a te, Saphira, e vedremo cosa insegnarti, anche se da quello che abbiamo potuto vedere ci sarà veramente poco.
Eragon lanciò l’incantesimo, e poi prese a mostrare al suo maestro tutti i trucchi che conosceva. Per tutta l’esercitazione utilizzò solo la sua forza e quella di Saphira, come avrebbe fatto in un normale addestramento.
Alla fine il suo maestro si congratulò con lui:" Nemmeno Vrael sarebbe stato così  abile nelle magie che hai utilizzato. Tuttavia devi imparare come addestrare i novizi, visto che tu sei stato addestrato molto in fretta. Ecco ciò che dovrai fare…"
E iniziò a spiegargli come si addestravano  i novizi prima della Caduta, dalla scrittura alla lettura alle tecniche di combattimento con la spada, fino alla magia, che veniva fatta scoprire ai novizi attraverso lunghi e noiosi esercizi, come riempire una scodella d’acqua bucata, oppure creare accendere un fuoco di notte lasciando il Cavaliere al freddo.
Lasciato il Primo Cavaliere, Eragon andò nella sua stanza a cercare uno specchio.
Per primo divinò il cugino, Roran, ma trovò nella stanza dello specchio la moglie, Katrina, intenta a giocare con la piccola Ismira. La donna si sorprese di vederlo, e quando si riebbe dallo stupore disse:  "Eragon? Sei tu? Mi senti?"
"Sì, ti sento, e sono io. Ti avviso che abbiamo trovato il luogo per addestrare i Cavalieri. Roran è in casa?"
"Te lo chiamo subito"
Pochi minuti dopo, Roran entrò nella stanza - Eragon notò che si era tagliato la barba-  e disse:
"Fratello! Sono contento di vederti! Tutto bene? Dalla stanza intorno a te deduco che hai trovato il luogo per i Cavalieri e i Draghi, e che hai già costruito il castello… Non pensavo che la magia fosse così potente da permetterti di costruire un castello in così poco tempo…"
"Sono contento anche io di vederti" lo interruppe Eragon "Sì, tutto procede per il meglio, e il castello non l’ho costruito io. Purtroppo ho giurato a chi l’ha costruito che non avrei mai rivelato la sua esistenza ad alcuno che non l’avesse visto prima con i suoi occhi. Tu, invece? Come procede la ricostruzione di Carvahall? E… com’è andato il viaggio di ritorno?"
Il cugino lo informò che in quel momento si trovava a Therinsford, e che gli abitanti del villaggio si stavano affannando per fare più in fretta possibile, ma al momento erano state ricostruite solo la taverna di Morn e la fucina di Horst, e lo informò che "durante il viaggio di ritorno, Arya non ha detto una parola, se non un qualche convenevolo del tipo “siamo quasi arrivati”. Non la conosco molto, ma sono sicuro che la tua partenza l’abbia ferita nel profondo, quasi quanto la morte della regina Islanzadi. Secondo me dovresti parlarci."
"Lo vorrei, ma gli elfi non hanno ancora eliminato le difese magiche intorno alla foresta, e finché non lo faranno non posso parlarle. Ora devo parlare con Nasuada, quindi se vuoi scusarmi, fratello…"
"Spero di vederti presto" E l’immagine del cugino svanì dallo specchio di Eragon, che rinnovò subito l’incantesimo, questa volta rivolto a Nasuada. Rimase sorpreso quando vide Trianna allo specchio.
"Eragon." Lo salutò la maga, la voce tagliente come un rasoio.
"Salve anche a te, Trianna. Ho interrotto una comunicazione importante? Posso sciogliere l’incantesimo e richiamare più tardi, se desideri."
"No, ti chiamo subito Nasuada." Detto questo, la maga uscì come un turbine. Passarono molti minuti, e finalmente Nasuada apparve nella stanza.
"Eragon! Che piacere! Scusami per l’attesa, ma ero in riunione con il Consiglio degli Anziani, e Trianna mi ha avvisato solo alla fine della tua chiamata. Il viaggio è andato bene? Come sono le nuove terre?"
Eragon rispose come al solito.
"Ah, Eragon, ti informo che l’uovo che abbiamo donato agli Urgali si è schiuso di fronte a un giovane chiamato Dazhgra, che ha raggiunto Arya nella du Weldenvarden e tra poco partirà per raggiungerti. Siamo preoccupati però per i nani: l’uovo non si è schiuso davanti a neanche un  giovane, e non abbiamo potuto fare altro che portarlo nella du Weldenvarden, dove invece si è schiuso al cospetto di un elfo di nome Dusan. Anche lui tra poco partirà assieme a Dazhgra. Arya mi informa che i due allievi sono molto amici, e hanno fatto enormi progressi. Presto avrai del lavoro, Eragon. Ora scusami, ma devo lasciarti, ho un colloquio con re Orrin e Lord Rishtart fra poco. Dobbiamo parlare di che fare dell’ordine che ti sei rifiutato di guidare, Eragon.
"Mi dispiace, ma non potevo. Che le stelle ti proteggano, Nasuada." E dissolse l’incantesimo.
Per ultima, cercò Angela. Trovò l’erborista nel luogo in cui l’aveva incontrata la prima volta, nella bottega a Teirm.
"Salute Eragon. Bello vero il castello? Il tuo omonimo ha fatto un ottimo lavoro, proprio come gli ho detto cinquecento anni fa."
"Salute anche a te… Ismira? Come facevi a sapere che quell’ uomo era IL Cavaliere?
"Oh, sì… Ismira.  Non posso tenere lo stesso nome a lungo…  molti inizierebbero a sospettare della mia longevità, quindi sono costretta a cambiarlo ogni cento anni. Magari fra cent’anni mi chiamerò Katrina, che ne pensi? In quanto a Eragon… tutti abbiamo dei segreti. Ora scusami, è entrata una cliente. Ti dirò un’ultima cosa, anzi due. La prima è che sono vecchia quanto il tuo coinquilino, la seconda è che ti stanno arrivando due nuovi allievi. Arrivederci, Eragon il Giovane. Bè? Che aspetti? I clienti aspettano!
Eragon sciolse l’incantesimo, turbato.
Informò Saphira della novità, e la dragonessa disse:
Bè, penso che ci sarà da divertirsi.

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Capitolo 5
*** Sogni ***


Passando anch’ella nella sua lingua madre,  Arya disse: "Allora permettimi di offrirti ospitalità finché uno dei due Cavalieri già in Alagaesia, ora impegnati  in un’ambasceria presso Nasuada e Orik, possa raggiungerci e accompagnarti da Eragon. Li contatterò tra poco. Ora, vorresti raccontarmi del tuo viaggio? Eragon ha detto che cercavi tranquillità… Cosa ti ha spinto a tornare così presto?"
"Quanta curiosità, Arya Svit-kòna. Bè… ho intenzione di soddisfare le tue curiosità… in seguito. Preferirei riposare. Io e Castigo voliamo da una settimana, e ci siamo fermati solo una volta per mangiare, quattro giorni fa, e per dormire. Quindi col tuo permesso… domani risponderò a tutte le tue domande."
"Ti capisco. Ah, ma tu non conosci ancora Fìrnen. Lascia che te lo presenti. Fìrnen, lui è Murtagh, colui che ha aiutato Eragon a uccidere Galbatorix."
Il drago verde espanse la mente e disse al Cavaliere: E’ un piacere conoscerti, Murtagh-non-più-nemico, il mio Cavaliere mi ha parlato molto di te, e so che hai avuto una vita molto difficile. Perciò sarò lieto di accoglierti  come compagno di avventure, e Castigo come compagno di caccia.
Ti ringrazio, Fìrnen.
Mentre montava su Castigo, Murtagh sentì che il drago rosso e Fìrnen presero a parlare della caccia in cui si sarebbero avventurati l’indomani.
Murtagh seguì Arya e Fìrnen fino alla base di un albero alto almeno cinquanta piedi, con una casa quasi in cima e una lunga scala a chiocciola che saliva fino a essa.
Arya disse in tono formale: "Murtagh-vodhr, questa è la residenza in cui alloggerai durante la tua permanenza qui. E’ l’alloggio costruito per il Capo dei Cavalieri in visita a Ellesméra. Eragon l’ha utilizzato per la sua permanenza qui, e ora io lo assegno a te, in quanto il sei il Cavaliere più alto in grado in tutta Alagaesia."
"Ti ringrazio, ma io non sono il Cavaliere di grado più alto: sei tu."
"No, tu hai più esperienza di me, quindi è giusto che tu sia il maggiore fra noi due."
"Allora grazie, Arya Drottning, che le stelle di proteggano. A domani."
"Sì, a domani."
Murtagh salì nel suo alloggio, ed esplorandolo notò che le scale che portavano al secondo piano notò che vi erano parecchi graffi sul pavimento e sulle pareti. Avrebbe dovuto ricordarsi di chiedere a Eragon il motivo della loro presenza, poiché sospettava che il fratello centrasse qualcosa.
Si sistemò sul suo giaciglio e si addormentò all’istante.
Era nella sala del trono a Uru’ Baen, dolorante per le ferite, quando sentì che esse svanivano per una magia molto potente. Aprì gli occhi e trovò Galbatorix davanti ai suoi, con Eragon al suo fianco.
"Fratello… che è successo?"
"Avevi ragione. Il mondo del Re è il mondo perfetto. Ho ucciso Arya e giurato fedeltà a Galbatorix, e gli ho rivelato il mio vero nome. Tu hai osato tradirci, e per questo soffrirai amaramente."
E sentì una fitta lancinante al fianco destro.
Murtagh si svegliò e si tastò il fianco: nulla, solo un grosso livido. Castigo dormiva vicino a lui, in un giaciglio per draghi, così, rassicurato, tornò a dormire, e non ebbe incubi fino alla mattina.
_______
Arya tornò alla rupe di Tel’Naeir con Fìrnen, e, entrata nel capanno,  si distese per la notte. Avrebbe cercato i due Cavalieri l’indomani.
Era in volo con Fìrnen, quando vide un puntino blu avvicinarsi in lontananza. Attese qualche secondo e riconobbe Saphira. Sul dorso, Eragon sedeva, bello come non mai, in una scintillante tunica color rosso bordata d’oro. Non appena lo vide disse a Fìrnen di atterrare, e Saphira lo seguì. Mentre i due draghi volavano via insieme, Arya raggiunse Eragon e disse: "Mi sei mancato"
"Anche tu" Poi le labbra dei due si avvicinarono…
Arya si svegliò nel suo letto, vedendo che era l’alba. Si alzò, si lavò in una tinozza d’acqua riscaldata con la magia, e, senza smettere di pensare al sogno che aveva appena fatto e che faceva ormai da tre mesi tutte le notti, pronunciò l’incantesimo di divinazione che le avrebbe permesso di parlare alla persona cercata.
Dopo pochi secondi, sulla superficie dello specchi comparve Dusan.
Il giovane elfo, dai capelli biondi come le stelle, la salutò toccandosi le labbra con due dita e disse: "Atra esternì ono thelduìn, Arya."
"Atra du evarynìa ono varda, Dusan-finiarel. Come vanno le riunioni?"
"Si sono concluse giusto ieri. Stavo per contattarti io stesso."
"Sono lieta di sentirlo. Devo affidarti un’importante missione. Tu e Iormungr raggiungetemi  a Ellesméra appena potete.>>
"Partiremo subito, Arya Svit-kona"
Arya sciolse l’incantesimo.
Subito dopo Fìrnen la avvisò: Castigo sta arrivando
Arya uscì dal capanno e salutò Murtagh, appena smontato da Castigo.
Mentre i due draghi si avviarono per la caccia, Arya portò fuori dal capanno un vassoio di frutta e disse:"Mentre racconti, che ne dici di mangiare qualcosa? Castigo è un po’ che non mangia, ma anche tu hai l’aria di non mangiare da giorni."
Murtagh la ringraziò e iniziò a raccontare.

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Capitolo 6
*** Nemici vecchi e nuovi ***


Murtagh raccontò della sua partenza da Uru’ Baen dopo la morte di Galbatorix, veso nord. Raccontò di essere approdato a Ceunon dopo due giorni di viaggio, e di come da lì lui e Castigo partirono, dopo aver fatto provviste a sufficienza, per attraversare l’oceano che si estendeva a nord della città. " Abbiamo viaggiato per tre giorni e due notti prima di avvistare il primo isolotto abbastanza grande da ospitare un po’ di selvaggina per permettere a Castigo di rifocillarsi. Dopo aver dormito e mangiato a sazietà siamo ripartiti, e abbiamo volato altri 2 giorni e due notti, quando all’alba del quinto giorno abbiamo avvistato un’isola enorme,  con una costa che ricordava l’estensione del deserto di Hadarac. Non abbiamo avuto dubbi:  era il posto ideale per un po’ di tranquillità. Una volta atterrati, io ho costruito una bella casetta simile a questa" e indicò il capanno di Oromis "e Castigo è andato a caccia. Le giornate iniziarono a susseguirsi monotone: l’isola sembrava completamente deserta. Un giorno, circa un anno fa, io e Castigo abbiamo deciso di andare in esplorazione"
Arya lo interruppe: "Quindi a nord c’è un’altra terra? Non ti scomodare a rispondermi, vado a prendere il pranzo. Potrai continuare a espormi i fatti dopo il pasto."
Detto questo,  l’elfa si alzò e entrò all’interno del capanno, uscendone cinque minuti dopo con due piatti di zuppa di verdure. Murtagh la ringraziò e iniziò a mangiare la sua razione, accompagnandola con una pagnotta di segale. Quando ebbero finito, Arya raccolse i piatti e li portò in casa. Dopodiché uscì e si sedette di nuovo di fronte al giovane. Aveva un’espressione divertita.
"Che c’è?" Chiese Murtagh.
"No nulla, è che Castigo sta dando una bella lezione di volo a Fìrnen… Vedi, lui non ha mai avuto un maestro, tutto ciò che sa l’ha imparato da solo. Castigo è un ottimo volatore, Fìrnen sta provando a imitarne le mosse, con scarso successo a quanto pare."
Murtagh toccò i pensieri di Castigo e scoppiò a ridere. "Già. Lo diceva anche Shruikan che Castigo è un volatore eccezionale."
Al nome di Shruikan, Arya si fece seria. Murtagh lo notò e disse: "Mi dispiace"
"Anche  me. Avrei voluto salvarlo…."
"E’ inutile rimuginare sul passato."
"Bé, tu hai un racconto da finire."
"Già. Dicevo… Io e Castigo siamo andati in esplorazione…"
Raccontò dell’isola, piena di foreste, di grotte e di laghi. Al centro si trovava un grande lago salato, come se l’isola fosse una ciambella enorme.  Al cento del lago c’era un ulteriore isolotto, che, con stupore di Murtagh e di Arya quando udì il racconto, a seconda delle maree era collegato alla costa del lago da un sentiero oppure completamente isolato.
"Decidemmo di stabilirci lì, perché ci sembrava il più  bel posto su tutta l’isola: per metà giorno, la marea ci proteggeva, e per l’altra metà dovevamo stare in guardia dalle bestie feroci, le quali abbondavano. Fra esse, tra l’altro, ne ho viste alcune molto strane: ne ho fatto dei fairth, che vorrei mostrarti."
Murtagh si alzò, e prese dalle bisacce che Castigo aveva lasciato alcune tavolette di ardesia, e le consegnò ad Arya, che le appoggiò sul tavolo a faccia in giù. Poi prese la prima e la voltò. Recava il ritratto di una specie di gatto rossastro dal pelo striato di nero e di bianco, che se il disegno era preciso era però alto fino al suo bacino. Il felino aveva contemporaneamente un’aria affettuosa e aggressiva, capace di incutere nelle prede un timore secondo solo a quello dato dalla vista di un drago. Poi la regina voltò il secondo, e vi scorse un altro felino simile al primo, solo con una criniera tutto intorno alla testa, il muso più schiacciato, e aveva tutto il corpo coperto da una pelliccia color oro. Quei due felini, disse Murtagh, non avevano esitato ad attaccare Castigo, che li aveva feriti gravemente, decidendo però di risparmiare loro la vita per ammirazione al loro coraggio. Poi Arya voltò il terzo, raffigurante una specie di cavallo a strisce bianche e nere, e il quarto, raffigurante un animale simile al precedente, ma con il collo lungo almeno 7 piedi. Quegli ultimi, disse Murtagh, erano stati il sostentamento di Castigo per tutto l’anno appena passato.
"Infine", disse Murtagh," Una settimana e mezza fa abbiamo fatto l’incontro più spiacevole: una sera, ro fuori dalla capanna a parlare con Castigo, quando ho sentito un rumore dietro di me. Mi sono girato e ho visto una creatura completamente nera uscire dalla boscaglia, e contemporaneamente Castigo è stato attaccato da un’altra creatura, e l’attacco veniva dal cielo. Quella creatura è stata la prima delle sue dimensioni che abbiamo visto in quel luogo. Avrei riconosciuto quel volatile ovunque: era un Lethrblaka"
Arya spalancò la bocca. "Quidi la creatura nera era…"
"Sì, era un Ra’zac. Ho fatto appena in tempo a riscuotermi dallo stupore e a prendere Zar’roc dal tavolo in cui la tenevo appoggiata per parare l’il primo affondo. Il Ra’zac è riuscito a ferirmi a una spalla e al fianco. Ho tenuto quest’ultima ferita come prova per la veridicità del mio racconto." Detto questo, si sollevò la tunica e mostrò un’ampia cicatrice al fianco destro, circondata da un’ampia chiazza bluastra.
"Fortunatamente non è riuscito a ferirmi oltre, dato che i suoi due assalti successivi li ho parati con facilità, e alla prima occasione gli ho ficcato Zar’roc nella gola."
Arya era ancora stupita dalla ferita. La preoccupava che un guerriero come Murtagh, al livello di Eragon nell’arte della spada, si fosse fatto ferire con tanta facilità da un Ra’zac.
"Dopo averli sconfitti Castigo ha proposto di tornare, soprattutto per me. Infatti il Ra’zac è riuscito a ferirmi, spero, soprattutto perché erano due anni che non mi allenavo seriamente, e anche per la sorpresa. Dopo che Eragon ha ucciso gli ultimi due qui in Alagaesia, erano gli ultimi nemici che mi aspettavo di trovare. Per questo ho deciso di riunirmi a Eragon, oltre che per aiutarlo. Hai sentito la mia storia. Ora, che ne pensi di raccontarmi che è successo in Alagaesia mentre non c’eravamo?"
"Relativamente poco. Io sono diventata regina del mio popolo quattro mesi dopo la morte di Galbatorix, e sei mesi dopo Eragon ha deciso il posto migliore per allevare i draghi selvatici e i nuovi Cavalieri. Temeva di essere troppo legato a tutte le razze, per cui ha deciso di andare nei territori a est di Alagaesia per rimanere neutrale. Io e Fìrnen siamo rimasti qui come luogotenenti. In più Eragon ha dovuto adempiere a una profezia che diceva che avrebbe lasciato Alagaesia per non tornare mai più."
Murtagh ridacchiò. "Avrebbe dovuto fare di meglio. Galbatorix diceva che anche quei territori fanno parte di Alagaesia. Una volta lui e mio padre sono andati in quella direzione per vedere se c’erano altre città. Non hanno trovato nulla, se non una grande terra inesplorata. Ho una richiesta da farti, Arya."
"Dimmi pure" disse Arya, a cui si era rinnovata la speranza di rivedere il ragazzo che sognava da mesi.
"Vorrei contattare Nasuada. Due anni fa ci siamo separati in malo modo e vorrei parlarle in privato."
"C’è uno specchio collegato con il suo nel capanno. Vai pure, non ti disturberò." Pronunciò l’ultima frase nell’ Antica Lingua.
Murtagh la ringraziò e entrò nel capanno di Oromis. Arya invece rimase ad aspettare il ritorno dei draghi, che non tardarono ad arrivare.

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Capitolo 7
*** Partenza ***



Murtagh entrò nel capanno, prese una sedia e si sedette davanti allo specchio magico. Stette lunghi minuti a fissare la sua immagine riflessa nello specchio, pensando alle parole da dire a Nasuada. Dopotutto, erano due anni che non si vedevano, e lui non l’aveva nemmeno cercata una volta. Che cosa avrebbe detto, quando lui sarebbe apparso sulla superficie dello specchio? Si sarebbe certamente ricordata di lui, certo, ma l’avrebbe accettato? Avrebbe accettato che lui, l’unico uomo che avesse mai amato, se ne fosse andato poco dopo la fine della guerra e fosse tornato dopo due anni? Non voleva ferirla, ma certe cose era meglio chiarirle di persona. Uscì dal capanno, e Arya gli chiese: "Già fatto?"
"Sono argomenti che vanno trattati di persona."
"Sono d’accordo." Non aveva mai cercato Eragon per lo stesso motivo. "Dusan, il giovane Cavaliere che ti accompagnerà da Eragon, sarà qui fra due giorni. Nell’attesa pensavo di mostrarti Ellesméra. Che ne pensi?"
"Ne sarei molto contento."
"Allora a domani, Murtagh. Se vuoi allenarti con la spada vai al campo di addestramento, darò disposizioni perché un elfo si batta con te fino a quando vorrai."
"Ti ringrazio. Oggi non voglio allenarmi, però. Domattina un’ora dopo l’alba sarò lieto di incrociare la spada con qualcuno."
Detto questo, salutò Arya, montò su Castigo e tornò alla casa che lui e Castigo condividevano, e che aveva ospitato anche suo fratello e Vrael.
Castigo decollò e gli disse: Fìrnen è un ottimo drago, ma non ha mai avuto un’istruzione adeguata. Lui e Arya dovrebbero venire con noi, almeno per lui.
Hai ragione, ma lei non può sottrarsi ai suoi doveri qui. Proverò a parlarle domani.
Castigo planò nella casa e si accoccolò nel suo giaciglio. Murtagh scese e salì al secondo piano, dove trovò uno studio con scaffali pieni di libri. Ne prese uno, poi sedette sulla poltrona quando sentì una presenza estranea toccargli la mente. Si ritrasse, ma poi capì che era Arya e accettò il contatto.
Ho ordinato che domani mattina ti siano dati abiti nuovi e cibo. Se vuoi lavarti vai nella stanza con la cavità al centro. Nella parete troverai due cannelli. Aprili e potrai fare il bagno con l’acqua alla temperatura che più ti aggrada.
Grazie, Arya Svit-kòna.
Murtagh si sedette e iniziò a leggere il rotolo che aveva preso dallo scaffale:
Nel regno lambito dal mare,
sui monti screziati di blu,
D’inverno nacque un uomo,
con un unico scopo e nulla più:
 
Uccidere il nemico nella terra di Durza,
La dimora delle ombre…
Al nome di Durza si interruppe: era infatti lo Spettro che suo fratello aveva sconfitto nella battaglia del Farthen Dur. Era impossibile che qualcuno avesse scritto una ballata sul suo antico nemico, così cercò il nome dell’autore. Alla fine del rotolo lo trovò, e lanciò un’esclamazione sorpresa. Su quel rotolo, sotto la voce “Autore”, c’era il nome di Eragon. Era impossibile che suo fratello, il giovane Cavaliere che aveva conosciuto e da cui era stato separato dai Gemelli, ormai morti e sepolti grazie a suo cugino Roran. Lesse ancora, e più leggeva più si convinceva che era suo fratello l’autore.
Ormai si era fatto tardi,  per cui scese le scale e andò a coricarsi nel suo letto. E sognò.
Era in una stanza, una grande stanza quadrata. Castigo stava dormendo in un giaciglio identico a quello di Ellesméra. Alle pareti stava appeso un quadro con il volto di Nasuada, e al suo fianco un altro con il volto di un giovane con la pelle del colore del legno di betulla. Poi sentì una porta aprirsi e una voce dire:
"Murtagh-elda, è ora."
"Arrivo"
Si svegliò all’alba, ma al contrario delle solite mattine in cui si svegliava turbato dai suoi sogni, oggi era sereno. Aprì la porta della casa sull’albero e vide un enorme vassoio contente: un pasticcio di verdure, una tortina di semi  e due pagnotte grandi quanto il suo avambraccio. A fianco del vassoio c’erano, ripiegati, una tunica color blu scuro con le maniche orlate in oro, un paio di calze di lana che sembravano impalpabili, un paio si schinieri leggeri in cuoio e bracciali sempre in cuoio ornati con glifi nell’antica lingua. Murtagh ringraziò silenziosamente Arya, fece colazione e poi salì nel vestibolo a lavarsi. Dopo ave fatto il bagno, si rivestì coi nuovi abiti donatigli dagli elfi, montò su Castigo e scese nella radura sottostante la casa. C’era Arya ad aspettarlo. Aveva un’espressione solenne.
Parlando nell’Antica lingua, Arya disse: "Mi rincresce, ma non potrò mostrarti Ellesméra come promesso. Il giovane Cavaliere che ho chiamato per guidarti da Eragon è giunto ieri sera, per cui oggi potrete partire."
"Grazie, Arya, per l’ospitalità che ci avete mostrato. Sì, partiremo subito."
La regina batté le mani due volte e un gruppo di elfi comparve dagli alberi circostanti. Portavano ognuno un pacchetto.
"Ti facciamo dono, Murtagh Shur’tugal, di questi abiti. Sono stati tessuti dalle nostre migliori tessitrici.
"Inoltre, come a Eragon, ti facciamo dono di questo." Aprì una scatola di legno e ne trasse un arco di legno di tasso." Ho cantato io stessa questo arco da un albero di tasso, e gli ho imposto alcuni incantesimi: l’arco e la corda non si spezzeranno mai e  Non colpirai mai in tuo alleato in caso di errori di mira."
Murtagh prese l’arco, lo rimise nella sua custodia e mise quest’ultima in una delle bisacce di Castigo."Grazie, Arya Drottning.  Vi siamo molto grati per questi doni. Tuttavia vorrei il permesso di portare con me questo. Ho iniziato a leggerlo ieri sera, e quando ho scoperto il nome dell’autore ho deciso di chiedergli chiarimenti." Ed estrasse il rotolo con il poema di Eragon de una tasca. Arya lo esaminò e disse: "E’ strano che tu abbia trovato proprio il poema di Eragon nella biblioteca."
"Quando l’ha composto?"
"Tre anni fa, alla vigilia dell’ Agaetì Blodhren. E’ stato il suo dono per la festa. Mi ha molto stupita quando l’ho ascoltato."
"Grazie, Arya"
"Ho una richiesta io ora." trasse un rotolo di carta dalla tunica e lo consegnò a Murtagh. "E’ una lettera privata per Eragon. Potresti consegnargliela? E, dovresti anche giurarmi di non aprirla mai."
"Va bene, Arya Svit-Kòna. Giuro che consegnerò questa lettera ad Eragon e non la aprirò finché non sarà lui a farlo."
"Ti ringrazio"
In quel momento un giovane elfo comparve dagli alberi, si fermò davanti a Murtagh e disse:
"Atra Esternì ono Thelduìn, Murtagh-elda. Io sono Dusan, il Cavaliere che la regina ha scelto per guidarti."
"Atra du Evarìnya ono varda, Dusan-finiarel"
"Il mio maestro mi ha parlato molto di te. E’ un onore conoscere te e Castigo. Se volete seguirmi, io e Iormungr siamo già pronti a partire."
Murtagh ringraziò di nuovo Arya e gli elfi e si incamminò dietro al Cavaliere, seguito a ruota da Castigo.
Arrivarono in una radura spoglia, in cui li aspettava un drago color crema. Dusan si voltò e disse: "Murtagh, Castigo, vi presento Iormungr."
Il drago espanse la mente verso i due e li salutò."Dusan-finiarel, ho una richiesta da farti. Prima di andare nelle terre in cui ti sei addestrato, potresti accompagnarmi da Roran e a Uru’ baen da Nasuada?"
"Come desideri. Sappi però che la regina Nasuada ha ribattezzato quella che fu Uru’baen in Ilirea appena si è insediata sul trono. Prima da Roran, quindi? Seguitemi, la valle Palancar non è lontana." Detto questo montò su Iormungr e si alzò in volo. Murtagh lo imitò. Iniziarono a volare in direzione Sud-ovest, verso la valle Palancar.

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Capitolo 8
*** Re per una notte ***


Murtagh e Dusan volarono verso la valle Palancar fermandosi solo per dormire l’unica notte di viaggio. Non appena arrivarono nell’ormai città di Carvahall, il fratello di Eragon non trattenne un grido di stupore. Eragon gli aveva raccontato di essere nato n un piccolo villaggio, non nella città con tanto di fortezza al centro che vedeva ora. Dusan gli disse: "Aspetta qui, vado ad annunciarci. Quando ti cercherò con la mente vieni alla fortezza." Senza attendere risposta, Iormungr scese in picchiata e atterrò in città. Dalla piazza in cui era atterrato si levarono esclamazioni sorprese e di gioia. Murtagh e Castigo attesero volando in circolo per pochi minuti, poi sentì il contatto di Dusan: Potete venire, ci riceveranno. Castigo imitò Iormungr, e dopo pochi secondi era a terra a fianco del drago grigio. Murtagh smontò in fretta, e raggiunse l’altro Cavaliere all’ingresso. Un ragazzo si parò davanti a loro.
"Salve, Cavalieri dei Draghi. Io sono Nolfavrell, figlio di Quimby. Vi accompagnerò subito dal Conte Roran Fortemartello."
Il ragazzo si avviò nella fortezza, e mentre li guidava nel corridoio Murtagh si accorse che molte parti interne erano ancora in costruzione, segno che almeno la fortezza era di recente costruzione.
Arrivarono a una grande porta in legno, e Nolfavrell disse: "Cavalieri, il Conte vi aspetta." E aprì la porta.
Seduto su una sedia in fondo alla stanza c’era quello che doveva essere Roran, un uomo poco più alto di Eragon, ma molto più muscoloso e con una folta barba intorno alle guance.
"Benvenuti, Cavalieri," Esordì Roran, "Siete qui per le uova? Mi sembra strano che due Cavalieri abbiano finito l’addestramento così in fretta, comunque dopo questo colloquio darò ordine a tutti i giovani della valle saranno qui in pochi giorni."
Rispose Dusan:"No, Conte Roran, i  due Cavalieri che sono partiti con me sei mesi fa non hanno ancora completato l’addestramento. Puoi risparmiare ai giovani un viaggio inutile. Siamo qui solo perché questo Cavaliere si sta recando da Eragon, e voleva incontrarti prima di lasciare questa terra."
"Grazie, Dusan" disse Murtagh. "Potresti lasciarci soli? Vorrei parlare in privato con mio cugino."
"Come desideri, Murtagh." L’elfo uscì e chiuse la porta alle sue spalle.
Murtagh si rivolse a Roran: "Immagino che tu ti stia chiedendo cosa ci faccio qui. Mio fratello deve averti detto che ero partito per il nord a cercare tranquillità."
"Sì infatti. Ma soprattutto vorrei informarti che se sei venuto a minare la pace in Alagaesia Eragon ti distruggerà."
"Non ho intenzione di minare la pace della mia terra. Non più. No, sono qui solo per conoscere mio cugino. Non ci siamo mai conosciuti, io e te. Io però ho sentito parlare di te da Galbatorix, quindi risparmiati il racconto della tua fuga da qui con tutto il villaggio. Vorrei piuttosto sapere come hai fatto ad uccidere Lord Barst, dato che so che sei stato tu. E vorrei anche conoscere tua moglie Katrina." 
Roran gli raccontò della battaglia, fino ad arrivare al duello con Barst. Quando finì, Murtagh disse: "Congratulazioni! In pochissimi avrebbero fatto ciò che hai fatto tu… Io no,sicuramente. Se non fossi stato Cavaliere, sarei stato uno di quei poveri soldati trucidati. E’ ammirevole che tu sia qui per raccontarmelo."
"Volevi conoscere mia moglie, vero? Bè, è ora di pranzo, per cui permettimi di invitarti a unirmi a noi."
Murtagh accettò e dopo mezz’ora si trovava con Roran e una donna dai capelli ramati che intuì essere Katrina. Mentre arrivava la prima portata Roran disse: "Murtagh, ti presento mia moglie Katrina."
"E’ un vero onore" disse il Cavaliere. Stette con i due fino alla fine del pranzo, poi si congedò, e raggiunse gli alloggi che gli erano stati riservati. Cercò con la mente il suo accompagnatore,e gli disse:
Domattina, tre ore dopo l’alba, partiremo. All’alba trovati fuori dalla città. Porta la tua spada, voglio riprendere un po’ di abilità con la spada.
Come desideri, Murtagh-elda.
Al mattino, dopo una sconfitta con l’elfo che non fece altro che confermargli di quanto la sua abilità fosse diminuita, Murtagh e Dusan si congedarono da Roran.
Tre giorni dopo arrivarono a Ilirea, e per volere di Nasuada furono ricevuti separatamente. Prima  Dusan, che rimase dentro una manciata di minuti.
Quando venne il suo turno, Murtagh era teso come la corda di un arco. Entrò, e in fondo alla sala del trono vide Nasuada che lo aspettava in piedi. Non c’era nessuno all’infuori di loro due nella grande sala. Nasuada disse: "Murtagh…?"
Il Cavaliere si avvicinò alla regina, entrando nel cono di luce che filtrava dalla finestra. "Mia signora."
Nasuada non riuscì a trattenere le lacrime. Murtagh si avvicinò e la abbracciò. La regina in lacrime gli disse in un sussurro: "Mi sei mancato"
"Anche tu"
"Perché sei tornato? Pensavo che non ti avrei più rivisto, da quando mi hai dato l’addio due anni fa."
"Perché ho sentito il bisogno di ridare il mio apporto alla causa dei Cavalieri. E perché volevo vederti."
Murtagh le raccontò di quello che aveva passato nella nuova terra, e quando finì il racconto del duello col Ra’zac  la donna lo baciò sulle labbra.
Murtagh si ritrasse e la guardò con espressione interrogativa
"Erano due anni che volevo farlo. E dopo il tuo racconto, tutto quello che hai passato, quello che hai rischiato per me…te lo dovevo."
"Grazie."
"Ora te ne andrai subito da Ilirea?"
"Mi rincresce, ma sì. Vorrei rimanere più tempo con te, ma non posso."
Nasuada riprese a piangere."Si è fatto tardi. All’esterno della sala del trono troverai un ragazzo che ti accompagnerà nei tuoi alloggi."
"Grazie"
Murtagh uscì e seguì il paggio fino a una stanza con un grande letto coperto da trapunte color rosso sangue. Il Cavaliere si spogliò e si coricò. Diede la buonanotte a Castigo e si addormentò. Durante la notte sentì un rumore e si svegliò.  La porta si stava aprendo lentamente. Murtagh  fece finta di dormire, aspettando di vedere chi era il suo ospite. Per poco non svenne quando vide che era Nasuada. La donna era in camicia da notte, così intuì che era andata lì di nascosto. La donna si avvicinò a lui e lo baciò sulle labbra. L’uomo finse di svegliarsi in quel momento, e mentre apriva gli occhi vide la regina di Alagaesia che si toglieva la camicia da notte. Gli sorrise, sollevò il lenzuolo e si sdraiò completamente nuda di fianco a lui.
I due continuarono a baciarsi, e Murtagh sentì una parte primordiale del suo essere risvegliarsi.
Si amarono, consci del fatto che non sarebbe potuta durare più di quella notte. Quando finirono, la regina si sdraiò e gli appoggiò la testa sul petto."Lo sai vero che sei andata oltre?"
"Non m’importa."
I due si addormentarono così, e quando al mattino Murtagh si svegliò non trovò la regina, segno che era andata via prima dell’alba per non farsi cogliere in flagrante con il Cavaliere. Si vestì, e raggiunse Dusan che lo aspettava nella piazza della città assieme a Nasuada, Iormungr e Castigo.

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Capitolo 9
*** Addestramento ***


Eragon si alzò dal suo letto all’alba, come al solito. Appena alzato, svegliò Saphira con la mente e la dragonessa gli rispose: Buongiorno, piccolo mio.
Il Caddestramento del castello, dove lo aspettava il suo primo consigliere e omonimo.
"Bene, Eragon" disse l’elfo."Oggi duellerai con me. E’ da un po’ che non tiro di scherma, ma ero considerato il miglior spadaccino dell’ordine quando l’ho lasciato cinquecento anni fa."
"Io posso essere probabilmente considerato il migliore di Alagaesia, al pari con mio fratello Murtagh."
"Allora sarà un bello scontro."
I due smussarono le lame, e si piazzarono uno di fronte all’altro, assumendo una posa di combattimento.
L’elfo fu il primo ad attaccare. Coprì i trenta piedi che li separavano in un secondo o due, e la sua spada bianca, non la lama di un Cavaliere, poiché l’aveva lasciata all’Ordine prima di andarsene, cozzò contro Brisingr che Eragon aveva prontamente alzato a difesa. Scintille sprizzarono tra le due lame. L’elfo arretrò, e Eragon ne approfittò per tentare un affondo verso il petto del suo omonimo, che scartò di lato all’ultimo evitando la lama azzurra. Approfittando dello sbilanciamento del suo avversario, il Primo Cavaliere tentò di colpire il fianco sinistro di Eragon, ma questi fece la sua stessa mossa e evitò la lama. Duellarono per almeno un’ora, e alla fine il vecchio elfo disse: "Mi dichiaro sconfitto. Non ne posso più. Sono troppo stanco. In resistenza mi batti, Ammazzatiranni. Ripeteremo l’esperienza domani."
"Come desideri, maestro."
Tolse la magia alla sua spada, e la rinfoderò. Solo allora si accorse del tempo che era passato, e si stupì del fatto che non si sentiva affatto stanco. Montò su Saphira e gli chiese: Cos’hai in mente oggi per Jura e Akor?
La dragonessa gli inviò un’immagine dell’opera che aveva fatto per l’Agaetì Blodhren. Fuoco. Hanno entrambi sputato fuoco, l’altro ieri. E’ ora di sviluppare la loro resistenza. E tu per Durok e Korgan?
Continuerò con il Tuathua du Orothrim con entrambi… Non hanno ancora imparato a espandere la mente, anche se Korgan ieri ci è quasi riuscito. Oggi proverò a fargli toccare gli esseri della terra, anche perché se non riescono non potranno mai iniziare a lavorare con la magia.
Arrivarono al campo di addestramento, dove trovarono i due nani seduti a terra davanti ai loro draghi. Appena Eragon e Saphira atterrarono, i due allievi scattarono in piedi. "Buongiorno, Maestri" dissero in coro.
Per la prima volta Eragon chiese ai due allievi: "Cosa hanno fatto i vostri draghi ieri pomeriggio per la prima volta?"
I due nani si guardarono ."Non lo sappiamo, Maestro."
Poi si rivolse a Jura e Akor:  "Che esseri hanno toccato con la mente i vostri Cavalieri ieri pomeriggio? Che impressioni ne hanno avuto?"
Non lo sappiamo, Maestro.
Saphira ruggì, e i Cavalieri, tranne Eragon, facero un balzo indietro.
Siete Cavalieri da sei mesi e ancora non sapete cosa significa essere compagni di vita? Dovete condividere ogni minuto della vostra vita con l’altro. Si rivolse a Korgan e Durok. Combattereste mai senza un braccio? Dovete pensare ai vostri compagni come parti di voi stessi. Imparate questa lezione e sarete molto avanti nell’addestramento. Per ora non siete altro che novellini. Jura, Akor, con me.
La dragonessa arancione e drago indaco si librarono in volo dietro a Saphira. Mentre i draghi si allontanavano, Eragon si avvicinò ai suoi due allievi, che dissero: "Ci dispiace, Maestro. Faremo meglio."
"Non chiedo di meno. Ora riprendete i vostri esercizi di ieri. Dovete riuscire ad acquisire pieno controllo sulla vostra mente, altrimenti come farete a cercare il vostro drago se vi perderete di vista in mezzo a una battaglia? O a percepire le cattive intenzioni dei nemici? Avanti."
Vide i due nani chiudersi in sé stessi per lunghi minuti, poi Korgan, un nano alto per la media, di venticinque anni, appartenente al Durgrimst Quan, con lunghi capelli rossi che gli scendevano sulle spalle e una barba dello stesso colore appena accennata, disse: "Ce l’ho fatta! Ci sono otto vermi nel terreno sotto di me, due dei quali lunghi più di un piede!" Eragon espanse la mente a sua volta per controllare, e vi trovò gli otto vermi. "Ben fatto" disse. Aveva eretto all’insaputa degli studenti una barriera magica che impedisse all’uno di sentire le parole dell’altro, così da far  dire a uno le stesse cose una volta che l’altro fosse riuscito nel compito
"Ora prova a espandere la mente verso di me." Poco dopo, senza vedere particolari cambiamenti nell’espressione di Korgan,sentì una debole pressione verso le sue barriere mentali. Subito dopo, lanciò un contrattacco con una potenza inferiore alla metà delle sue possibilità, sfondando le barriere mentali del nano e provocandogli un attacco di panico. Discreto, ma devi rafforzarti. Si ritrasse e disse: "Quel contrattacco era di una potenza minore della metà delle mie possibilità."
"Sì, Maestro. Farò del mio meglio."
Eragon annuì e cercò Blodhgarm con la mente. Quando l’elfo si accorse della sua presenza e gli diede accesso alla sua mente, gli disse: Korgan  è riuscito a espandere la mente. E’ ora che impari l’antica lingua. Ancora non sa che serve per la magia. Dovrai spiegarglielo tu. Oggi pomeriggio inizierete le lezioni di lettura, scrittura e parlato. Preparati.
Come desideri, Ammazzatiranni.
Si rivolse di nuovo a Korgan. "Ora prova a espandere la mente e cercare Jura. Sono lontani meno di una lega." Poi cercò a sua volta Saphira:
Avverti Jura che il suo Cavaliere la sta cercando con la mente. Se riuscirà a raggiungerlo, digli che lo lasci entrare, e che te lo dica.
Ce l’ha fatta? Benissimo. Jura è una sputafuoco straordinaria. Ha sputato fuoco per cinque minuti, e non appare stanca. Diventeranno ottimi Cavaliere e drago, penso. Rispose la dragonessa
Korgan attirò la sua attenzione. "Ce l’ho fatta, maestro. E’ come se un muro nella mia mente si  fosse distrutto."
Chiese conferma a Saphira, che disse: Si, me l’ha appena riferito. Avvertilo, io l’ho già detto a Jura.
"Benissimo. Da domani in poi al mattino andrai al campo di addestramento, dove troverai delle spade in legno, e potrai chiedere a un qualunque elfo di allenarti con lui. Ti insegnerà a maneggiare una spada. So che voi nani siete abituati ad asce e martelli, ma tu dovrai abituarti a una lama. Dopo due ore di addestramento, verrai qui e continueremo l’addestramento con la mente. Da oggi pomeriggio invece, tutti i pomeriggi rimarrai al castello e ti eserciterai a parlare, leggere e scrivere nell’Antica Lingua. Una volta che avrai padroneggiato questo linguaggio, potrai andare al prossimo livello di addestramento."
"Sì, maestro."
Anche Durok a quel punto esultò: "Ce l’ho fatta! Maestro, nel boschetto dietro di me vi sono dieci uccelli, tre serpenti non velenosi e una vipera. Inoltre c’è anche una colonia di formiche  e almeno novanta fra vermi e bruchi da qui a quel boschetto!" Eragon controllò e scoprì che diceva il vero. Il boschetto era il luogo in cui stava per mandare Korgan, in cui assieme al suo omonimo aveva cantato una quercia in modo da creare una sedia incassata nel tronco per permettere agli apprendisti di meditare come faceva lui a Ellesméra.
"Ottima prova, Durok-finiarel. Hai dimostrato molta più estensione mentale immediata del tuo compagno, e quindi ora seguirai il suo addestramento. Korgan, vai nel boschetto. Troverai un albero con una sedia incassata nel tronco. Siediti lì, apri la mente e ascolta tutto finché non senti più nulla. Poi torna a riferirmi."
"Sì, Maestro." Korgan si avviò nel boschetto.
"In quanto a te, Durok… " E gli impartì le stesse istruzioni che aveva impartito prima all’altro allievo, e quando Durok le superò senza problemi Eragon gli prospettò lo stesso programma del compagno.
Il nano sembrò entusiasta della prospettiva di imparare la lingua degli elfi.
Un’ora dopo, Korgan tornò dal boschetto, dove fu inviato Durok.
Ovviamente, Eragon non fu soddisfatto delle risposte del giovane nano, e gli disse che da quel giorno in poi avrebbe dovuto passare almeno un’ora al giorno su quella sedia nell’albero.
Lo stesso successe per Durok.
Dato che quel pomeriggio sarebbe stato libero, decise di passarlo divinando i territori di Alagaesia, per monitorare la situazione.  Non voleva parlare con nessuno. Divinò quindi in successione Gil’ead, Dras-Leona, Feinster, Aberon, Tronjheim, in cui vide un insolito tumulto ma decise di non indagare, Ilirea, e infine Carvahall. Fu contento di vedere che la fortezza di Roran era quasi terminata, ma fu più strano vedere Iormungr, il drago di Dusan, accucciato all’esterno. L’avrebbe cercato più avanti per dei chiarimenti.
Si rassegnò a aspettare il pomeriggio. Decise che avrebbe accompagnato Saphira, Jura e Akor nel loro addestramento. Le dragonessa fu entusiasta dell’idea.

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Capitolo 10
*** Verso il deserto ***


Murtagh si vestì in fretta e scese le scale del palazzo fino a ritrovarsi nell’atrio. Lì lo aspettava Castigo, che gli disse: Nasuada, Dusan e Iormungr sono andati nella piazza principale della città. Ti stanno aspettando, e Nasuada vuole che tu parli al popolo in qualità di nuovo alleato.
E cosa vuole che dica?
Questo dovrai deciderlo tu.
Il Cavaliere montò su Castigo, già sellato e col le bisacce, notò, piene di cibo. Quando gli chiese spiegazioni, il drago rosso disse:E’ stato Dusan a sellarmi, e Nasuada ha dato disposizioni per il cibo. Hanno riempito le bisacce pochi minuti fa.
Devo ringraziare Nasuada.
Sarai sempre in debito con lei. E gli inviò un’immagine di lei nuda davanti al suo letto. Murtagh arrossì.
Castigo si avviò verso la piazza, e Murtagh notò che non c’era nessuno per strada. Chissà dove sono tutti. Quando arrivarono in piazza lo capì. Davanti all’uscita della via da cui provenivano c’era un palco immenso, abbastanza grande da ospitare Castigo, Iormungr e molte altre persone. Il drago color crema era accucciato su un lato del palco, mentre il suo Cavaliere era seduto tra Nasuada e quello che Murtagh ricordò chiamarsi Jormundur, e essere il primo consigliere di Ajihad.
Non appena Murtagh e Castigo salirono sul palco, dalla folla si levò un’esclamazione mista tra sorpresa e terrore. Il Cavaliere la ignorò, e andò a sedersi nello scranno libero alla sinistra di Jormundur. Mentre andava a sedersi, Nasuada gli sorrise, e lui, esitante, ricambiò il sorriso. La regina si alzò, e salì su di un piccolo podio situato nella parte anteriore del palco. La folla esplose in esclamazioni gioiose. Con voce amplificata dalla magia di uno degli stregoni del suo seguito, la regina iniziò a parlare:"Gente di Ilirea! Oggi per noi è giorno di gaudio!" E iniziò a raccontare della guerra contro l’impero, partendo dalla battaglia di Tronjheim, in cui suo padre fu ucciso e Murtagh fu rapito dai Gemelli. Poi passò alla battaglia delle Pianure Ardenti, in cui lui e Castigo erano ricomparsi come servi di Galbatorix, quasi sconfiggendo Eragon e quindi quasi pregiudicando la loro lotta. La regina raccontò di Gil’ead, in cui, controllati da Galbatorix, avevano ucciso Oromis e Glaedr. In quel momento Castigo iniziò un lugubre lamento di cordoglio, una nota bassa simile al suono di un contrabbasso. Contemporaneamente dalla folla si levò un grido di orrore. Infine arrivò alla battaglia di Uru’baen, in cui Murtagh si era ribellato al suo padrone, e la folla iniziò a mormorare. " Murtagh ha distratto Galbatorix permettendo a Eragon di ucciderlo. La clemenza di Eragon gli ha permesso di rimanere in vita, e lui ha deciso di ritirarsi in isolamento per riflettere sulle sue azioni e per decidere cosa fare degli anni che gli rimangono da vivere. Ora lui e il suo drago, Castigo,  sono tornati, e ieri sera mi hanno giurato che non hanno intenzione di minare la pace in Alagaesia, ma bensì aiutare a preservarla, raggiungendo Eragon e aiutandolo ad addestrare i nuovi membri dell’Ordine dei Cavalieri!"
La folla esplose in esclamazioni di gioia, incitando il nome del Cavaliere. La regina scese dal podio, si avvicinò a Murtagh e gli disse:"Ora tocca a te." E si sedette. A quel punto lui si alzò, e la folla aumentò il rumore. Murtagh salì sul podio e disse: "Io e Castigo vi ringraziamo molto per l’accoglienza. Sappiate che, nei limiti delle nostre possibilità, serviremo il nostro Ordine e la Corona di Alagaesia, finché sarà in mani giuste. I nemici di Nasuada e di Alagaesia avranno due nuovi avversari!" Castigo ruggì a sottolineare l’avvertimento. La folla esultò e Murtagh si congedò. Nasuada gli fece cenno di seguirla, e lui e Castigo si avviarono a palazzo con lei.
"Permettetemi di invitarvi a pranzo prima che ve ne andiate. Vi attendo nel giardino del castello fra tre ore."
"Ci saremo." Murtagh avvisò Dusan e si preparò per un volo con Castigo. Volarono in alto, così in alto che l’enorme città sotto di loro sembrava una piccola macchia scura. Rimaserò lì per lunghi minuti, felici della rispettiva compagnia. Poi Castigo allungò il collo verso sud e disse: Guarda! Murtagh aguzzò la vista e scorse in lontananza un drago color oro volare basso. Castigo chiuse le ali e si avvicinò in picchiata all’altro drago, molto probabilmente selvatico, fino a trovarsi alla sua stessa altezza. Il drago dorato virò verso di loro, e si fermò davanti al muso di Castigo. Fra i due, percepì Murtagh, ci fu un intenso scambio di pensieri, che terminò con un pensiero affermativo da parte del drago selvatico.
Che succede? Chiese Murtagh.
Nulla, gli ho solo chiesto da dove venisse. A quanto pare nel posto in cui andremo ci saranno altri duecento draghi selvatici, cioè tutti quelli che due anni fa erano chiusi nella uova di cui Eragon e Saphira ci hanno parlato. La mia razza vive di nuovo!
 La felicità del drago era evidente. C’era dell’altro, ma Murtagh non sapeva di cosa si trattasse.
Tornarono da Nasuada, pranzarono con lei e si apprestarono a partire. La loro partenza fu salutata dalla sola Nasuada, la quale diede un solo ultimo bacio sulle labbra a Murtagh, poi si allontanò da Castigo. Murtagh sapeva che stava per piangere. Raggiunsero Dusan e Iormungr in cielo, e si accodarono a loro viaggiando verso est. Quando passarono il fiume Ramr, Murtagh sentì un ruggito, si voltò e vide il drago dorato del mattino che si affiancava a Castigo, entrambi dietro a Iormungr che puntava verso il deserto di Hadarac.

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Capitolo 11
*** Ricongiuzione ***


Eragon era preoccupato e contento allo stesso tempo:  Quel giorno, dopo soli sei giorni di pratica con l’antica lingua, Durok aveva lanciato un incantesimo, distruggendo il tavolo su cui stava scrivendo e quasi uccidendosi. Solo l’intervento tempestivo di Yaela, la sua insegnante, che si era affrettata a fornirgli l’energia necessaria a sostenere l’incantesimo, gli aveva permesso di sopravvivere. Dal giorno dopo si sarebbe esercitato con lui nelle arti magiche. Nel frattempo Jura e Akor, i due draghi, stavano migliorando sempre più: oramai Jura sputava fuoco senza sforzo per un’ora intera, mentre Akor resisteva solo mezz’ora. In più entrambi i draghi ora eseguivano senza problemi le manovre più acrobatiche, un paio di volte anche con i loro Cavalieri sul dorso. Per la verità, le simulazioni di battaglia erano state abbastanza disastrose per i due allievi, che in caso di vero scontro sarebbero stati sopraffatti in pochi minuti. Al contrario di ciò che avevano mostrato all’inizio dell’addestramento, il migliore allievo in questo compito si dimostrò Durok, che apprendeva le nozioni di Eragon senza il minimo sforzo. Nelle battaglie simulate tra di loro, sconfiggeva sempre il suo compagno. E ora, aveva usato la magia. Quel nano non finiva più di stupirlo. E’ strano,disse a Saphira.Fino a meno di una settimana fa era un allievo quasi incapace e ora è il migliore.
Un po’ come te. Ricorda che solo tre anni fa eri un ragazzino con una cicatrice sulla schiena che gli provocava dolori lancinanti a ogni movimento, e faticavi a tenere testa a Vanir, figuriamoci ad Arya o Blodhgarm. Ricordi come non riuscivi a meditare? Ora sei molto migliorato, sei il Capo dei Cavalieri di Alagaesia, hai sconfitto Galbatorix e, a mio vedere, in questi due anni sei maturato molto anche nella mente.
Eragon ricordò con dolore i mesi del suo addestramento, per via del dolore alla schiena e anche, la notte dell’ Agaetì Blodhren, il rifiuto di Arya. Quel ricordo lo riempì di tristezza, anche se subito dopo Saphira gli fece ricordare anche quando, poco prima di partire, l’elfa aveva riacceso la sua speranza, dando al tempo e alla saggezza la possibilità di istruire Eragon.  Il Cavaliere sorrise, e si coricò per la notte. Buonanotte, Saphira.
Buonanotte, piccolo mio.
Eragon sognò.
Si trovava in aria, su Saphira. Il vento gli sferzava la faccia. Guardò giù, e vide un’enorme foresta, molto simile alla Du Weldenvarden. A un certo punto avvistò nel cielo davanti a loro un puntino verde, che man mano che si avvicinavano diventò sempre più nitidamente Fìrnen. Sul dorso, Arya lo vide e lanciò un grido. Fìrnen puntò verso terra, e Sahira lo seguì. I due Cavalieri smontarono dai rispettivi draghi e si corsero incontro. Parlò per prima Arya. "Mi sei mancato."
"Anche tu." Le labbra dei due si avvicinarono, a un soffio l’una dall’ altra, poi si sentì una voce dire:"Molto bene, finalmente ho occasione di affrontarvi entrambi insieme."
Si voltò e una figura strana gli si parò davanti agli occhi. Non riusciva a vederla bene, però.
Poi tutto tremolò, e sentì la voce di Saphira dire: Piccolo mio, è tardi, devi svegliarti!
Eragon si svegliò di soprassalto. Era nel suo letto nel castello, e l’alba era già passata da un pezzo. Andò nella stanza con la vasca da bagno, si lavò, si rase e corse alla zona di addestramento dei Cavalieri, dove i suoi allievi lo aspettavano. Korgan lo salutò e si recò nel boschetto di meditazione, mentre Durok rimase in attesa di nuove istruzioni. Eragon prese un sassolino da terra e disse: "Conosci le parole per sollevarlo?"
"Sì, maestro."
"Quali sarebbero?"
"Reisa du Stenr."
"Basta Stenr Reisa. Non mettere articoli inutili, se dai un ordine direttamente alla pietra usa gli imperativi."
"Sì , ebrithil."
Eragon gli consegnò il sassolino, e Durok disse con voce decisa: "Stenr Reisa!"
Il sasso schizzò davanti agli occhi del nano, e lì rimase per appena pochi secondi, poi Durok sciolse la magia e il sasso tornò a terra.
"Ottimo. Di nuovo. Ora mantienilo sollevato finché puoi."
Durok ripeté il comando e di nuovo il sasso schizzò davanti ai suoi occhi. Lo mantenne per un minuto, poi lo lasciò cadere, ansimante. Era madido di sudore.
"Non preoccuparti" lo rassicurò Eragon " riuscirai a mantenerlo più a lungo col tempo. Adesso che so quanta energia hai posso dirti le regole fondamentali della magia. "
"Devi sapere che per compiere un incantesimo serve tanta energia quanta ne servirebbe se dovessi compiere quell’azione con le mani e i piedi.  Quindi attento a ciò che fai. Non cercare di riportare in vita i morti. Ora, difenditi!"
E lanciò un attacco contro la mente del nano. Durok tentò una lieve ma vana resistenza, e Eragon penetrò senza problemi nelle difese dell’allievo. Si ritrasse e gli disse: <>
"Va bene, maestro."
In quel momento percepì alcune presenze sopra di loro. Guardò in alto ma non vide nulla. Pochi istanti dopo vide Iormungr planare, veloce ma non troppo, fino ad atterrare a fianco di Eragon. Dal drago color crema scese agilmente Dusan, che disse a Eragon: "Atra esternì ono thelduìn, Ebrithil."
"Atra du Evarìnya ono varda, Dusan Shur’tugal. Che ci fai qui? Non è ancora ora per il secondo grado del tuo addestramento. E poi sono… un po’ impegnato."
Dusan guardò Durok e disse: "Chiedo perdono, Maestro. Ma c’è una questione importante. Una persona ha chiesto di te e Arya Drottning ha deciso di assecondare le sue richieste e mi ha chiesto di accompagnarlo."
"Fallo venire." disse Eragon, curioso.
Dusan si chiuse in sé stesso per alcuni istanti.
"Fatto."
Non attesero che pochi istanti e Eragon spalancò la bocca dallo stupore. Dalle nuvole sopra di loro era emerso Castigo, che stava atterrando tranquillamente volando in circolo Sul dorso Murtagh, a capo scoperto e con una tunica di fattura elfica di colore blu scuro, si reggeva al collo del drago rosso per non essere sballottato da una parte all’altra. Al fianco sinistro pendeva Zar’roc, e a tracolla portava una faretra con un arco simile a quello che la regina Islanzadì aveva cantato per lui. Castigo atterrò, e Murtagh smontò da lui in fretta.
"Tu!"disse Eragon, ancora stupito.
"Ti aspettavi qualcun altro,fratello?"
"Non mi aspettavo nessuno! Che ci fai qui? Hai parlato con Arya? Come sta?"
Murtagh rise. "Quante domande! Ti risponderò stasera… e tu devi dirmi come hai fatto a costruire quel castello in così poco tempo, dato che Dusan mi ha detto che era già qui quando lui e l’altro Cavaliere sono arrivati qui, appena  quattro mesi dopo la tua partenza, ed è enorme."
"Anche io ti risponderò stasera. Ti presento Durok, uno dei miei allievi. L’altro, Korgan, è in meditazione."
Si voltò verso il nano, il cui volto era diventato una maschera di rabbia.
"Barzul!" Urlò. "Rothgarz klither!" Eragon non capì, ma intuì il senso della frase, e si affrettò a trattenere il nano prima che si scagliasse contro suo fratello.
"Calmati!"gli disse."Era sotto il controllo di Galbatorix quando l’ha ucciso!" Non era vero, ma sperava che il nano gli credesse. E così fu.
"Allora grazie, Maestro, per avermi impedito di fargli del male. Stavo per commettere un atto riprovevole. Giuro che non tenterò più di vendicare il mio re… anzi, il re dei nani, visto che oramai sono un Cavaliere, al di sopra di ogni autorità."
"Vedo che capisci i come ragionano i Cavalieri. Ti prego di dire tutto anche a Korgan. Per oggi abbiamo finito. Aspetta che torni e poi vai a meditare."
"Sì, Maestro."
"E oggi pomeriggio continuerai a imparare l’antica lingua."
"Sì, maestro."
"E tu vieni,  dobbiamo parlare. Sono passati due anni da quando ci siamo separati, fratello."

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Capitolo 12
*** Parole di conforto ***


"Va bene, fratello. Ma... Castigo? Dove può scaricare le bisacce? E… non potrebbe andare a caccia mentre parliamo?"
"Vieni, ti aiuto a togliergli la sella. Poi potrà raggiungere Saphira e aiutarla ad addestrare i giovani draghi dei due Cavalieri che stiamo addestrando in questi mesi."Eragon si rivolse a Dusan. "Tu e Iormungr potete andare al castello a riposare. Iormungr, puoi andare a caccia. Domani o dopodomani passerò da voi a darvi istruzioni. E… grazie per aver accompagnato Murtagh."
"Non c’è di che, Maestro." Dusan montò su Iormungr e entrambi volarono in direzione del castello.
I due fratelli tolsero la sella a Castigo, e, dopo che Eragon gli ebbe dato le indicazioni per raggiungere Saphira, il drago rosso si alzò in volo emanando la sua gratitudine.
Eragon guidò Murtagh al castello, dove entrarono dalla piccola porticina nelle mura. Si sedettero su una panchina ai margini del campo di combattimento, ora deserto, e si guardarono. Murtagh parlò per primo. "Bé, abbiamo due anni a testa da raccontarci, fratello. Chi comincia? Tu o io?"
"Le tue avventure saranno certamente più interessanti delle mie, perciò inizia tu.  Un’ultima domanda, se posso: avevi detto che cercavate tranquillità, per cui cosa vi porta qui dopo appena due anni?"
Murtagh rise."Come vuoi, Eragon Ammazzatiranni. Sappi che è stato Castigo a insistere perché tornassimo, per la mia incolumità."
"Mi hai incuriosito. Racconta."
Come aveva già fatto con Arya, Murtagh raccontò del suo viaggio, della nuova terra e del luogo in cui avevano trovato rifugio quell’ultimo anno. Raccontò delle bestie feroci che vi aveva trovato, e Eragon rimase molto impressionato dai fairth, soprattutto perché lui non era mai stato capace di farne di così perfetti. Rimase ancora più stupito del fatto che le due specie di felini troppo cresciuti trovate da Murtagh non avevano esitato ad attaccare Castigo, il quale si era comunque difeso senza problemi, risparmiando loro la vita in segno di ammirazione verso il loro coraggio. Infine Murtagh arrivò al duello col Ra’zac, e Eragon per poco non svenne. Non gli sembrava vero che i suoi nemici giurati, coloro che erano stati la causa indiretta della caduta dell’Impero, vivessero ancora, da qualche parte nel mondo. Pensava di averne estinto la razza a Dras-Leona, distruggendo quelle uova nei sotterranei della cattedrale. Inorridì nel vedere la cicatrice del fratello sul fianco destro, e in quel momento capì perché Castigo aveva insistito per riportarlo indietro. Infatti lo ricordava al suo pari, e il fatto che si fosse fatto sconfiggere da un Ra’zac significava che aveva perso molte abilità.
Quando concluse, Murtagh disse: "Mi credi, fratello? Non vorrei ripeterti tutto nell’antica lingua."
"Sì, ti credo, Murtagh figlio di Morzan,e ti giuro che un giorno io e te andremo lì e liberemo quella terra da quei mostri."
"Bene. Ora posso guarirmi la cicatrice." Detto ciò, Murtagh evocò un incantesimo di guarigione e si curò la ferita.
"Ora tocca a te, fratello. Raccontami di questo castello."
"Aspetta."
Cercò con la mente il fondatore dei Cavalieri, e gli chiese: Murtagh vuole sapere del castello. Posso parlargli di te?
Certo che puoi.
Grazie.
"Bene. Il costruttore di questo castello mi ha dato il permesso di parlarti di lui. Galbatorix ti ha istruito sulla storia dell’Ordine dei Cavalieri, giusto?"
"Sì, ma questo che c’entra?"
"E ti ha mai detto che il nostro fondatore, il mio omonimo, è morto?"
"No. Non vorrai dire che…"
"Proprio così. Cinquecento anni fa Bid’daum fu ucciso da un Ra’zac con una Dauthdaert, la stessa che ha ucciso Shruikan, e il suo Cavaliere, il fondatore del nostro ordine, fece giurare a Vrael di non parlare mai a nessuno della sua partenza, e con un incantesimo rimosse la sua figura dalla memoria di ogni Cavaliere. Poi è venuto qui per adempiere a una profezia, e ha costruito questo castello. Magnifico, non trovi?"
"Splendido" Commentò Murtagh. "A proposito di profezie, Galbatorix diceva che questa terra è compresa in Alagaesia. Dovevi sforzarti di più per lasciarla e non tornare mai più."
Eragon sorrise."Stai dicendo che posso tornare quando voglio?"
"Esattamente."
"Magnifico! Che ne diresti, ora che i dubbi di entrambi sono stati fugati, di…"
Eragon si interruppe,quando vide Korgan avvicinarsi da lotano. Non appena il nano vide Murtagh, scattò in avanti e tirò un pugno nello stomaco a Murtagh. Il Cavaliere si piegò in due dal dolore, e Eragon, prima che Koragn potesse colpire di nuovo Murtagh, urlò: "Letta!" Il nano si bloccò, e Eragon gli si parò davanti. "Ma che cosa intendevi fare? Vuoi coprirti di ridicolo? Colpire un tuo superiore in grado. Se tu non fossi un Cavaliere ma un nano comune ti manderei via da qui imponendoti di giurare di non fare più ritorno. Ma sei un mio allievo. Non posso farti nulla che ti possa nuocere gravemente alla salute. L’unica cosa che puoi fare ora, se non vuoi che io ti lasci qui al freddo per tutta la notte, è chiedere scusa e spiegarmi la ragione del tuo comportamento. Poi mi riferirai della tua meditazione, e giurerai di non attaccare più un ospite. Mai più. Nell’antica lingua."
"Sì, maestro."Disse il nano con voce avvelenata.
"Su, inizia a raccontare."
"Come benissimo saprai, questo… Cavaliere ha ucciso il mio re, Rothgar. Tu hai giurato sulla sua tomba di vendicare la sua morte, ma evidentemente sei venuto meno al tuo giuramento, Maestro. Volevo solo vendetta."
"Sappi che quando ha ucciso Rothgar, Murtagh era sotto l’influenza di Galbatorix. Il suo vero nome è cambiato, da allora. Altrimenti non avrebbe potuto ribellarsi a lui e io non avrei potuto ucciderlo. Non è più la stessa persona che ha ucciso il re dei nani, e io ho ucciso colui che aveva creato quella persona, cioè Galbatorix. Quindi ora giura e dimmi ciò che hai sentito. Questo sono le parole che devi dire…"
"Allora vi chiedo scusa, Ebrithil e Murtagh-Elda."
Il nano giurò, e, dopo che Eragon ebbe sciolto la magia che lo legava, raccontò della sua meditazione.
Quando finì, Eragon disse: "Ci sei quasi. Ora vai a pranzo, poi Blodhgarm ti aspetta. Domani scommetto che riuscirai nella meditazione."
"Sì, maestro." Korgan si allontanò mestamente.
Eragon si rivolse di nuovo a Murtagh."Scusalo, te ne prego."
"Nessun problema, non mi ha fatto nulla."
"Bene. Dicevo… che ne diresti di un duellino prima di pranzare? Vorrei vedere di quanto sono calate le tue abilità. Da domani mattina potrai duellare tutti i giorni con me, con Eragon l’antico o con un elfo a tua scelta."
"Va bene, è un po’ che non ci battiamo, io e te."
Si  disposero uno di fronte all’altro nel campo di addestramento, e smussarono le spade. Murtagh si dispose in posizione di attacco, e subito dopo attaccò. Eragon notò che il fratello sembrava più lento, anche se molto più veloce di qualsiasi umano. Parò il suo primo fendente, un colpo diretto al torace, deviando Zar’roc dalla traiettoria pericolosa. Poi Eragon tentò un affondo contro la spalla destra del fratello, scoperta. Murtagh tirò indietro Zar’roc velocemente e bloccò Brisingr a due pollici dalla sua spalla. Eragon fece appena in tempo a recuperare l’equilibrio e parò il successivo assalto del fratello, scartando a sinistra. Come se fosse un movimento fluido, abbatté Brisingr su Zar’roc, facendola volare a dieci piedi da Murtagh. Il Cavaliere si inginocchiò.
"Hai vinto, fratello."
Eragon recuperò Zar’roc e gliela restituì.
"Sei molto peggiorato,in questi due anni. Ricordi i duelli nel viaggio per il Farthen Dur? O il nostro duello nella sala del trono? Quel Murtagh deve tornare."
"Ecco perché sono qui." Poi Murtagh cambiò espressione. "Arya mi ha dato questa lettera da darti. E’ privata e strettamente confidenziale. Che c’è fra voi due, fratello? Mi è sembrata molto felice, quando ha saputo che tu potrai tornare a trovarla quando vorrai."
"Bé… è un po’ difficile da spiegare… diciamo che lei mi ha rifiutato ma poi ha deciso, prima che io partissi, di dare tempo al tempo… Diciamo che mi ha dato delle speranze."
"Ah."
"E fra te e Nasauada? Non l’ho mai vista così triste come quando te ne sei andato…"
"Ora è più felice."
"Io ho risposto alla tua domanda, fratello, e ora tocca a te."
"E va bene…" E raccontò di tutto quello che le aveva evitato nella stanza dell’Oracolo, e di come il loro rapporto si era evoluto, fino ad arrivare all’ultima notte prima di partire. Lì Eragon non poté trattenere un grido di stupore.
"Ebbene sì."
"Bè, grazie per avermi raccontato tutto, fratello, e grazie per essere tornato. Mi mancava una voce amica qui. E non avrei desiderato altri che te… O Arya."
"Grazie per la fiducia, fratello. Andiamo a pranzo? Ho una fame da lupi!"
"Va bene. Seguimi."
Dopo pranzo, Eragon guidò Murtagh per il castello, e gli assegnò una stanza a pochi metri dalla sua, anche questa con un’apertura per Castigo.
Al pomeriggio, mentre i suoi allievi erano a lezione di Antica lingua, Eragon prese la lettera di Arya e la guardò. Poi decise che avrebbe aspettato la sera per leggerla, assieme a Saphira. Poco prima del tramonto la dragonessa arrivò, e, dopo avergli riferito gli avvenimenti del giorno, compreso l’aiuto che Castigo le aveva dato nell’addestrare i due draghi e la sua gratitudine per averlo mandato da lei. Poi Eragon le raccontò di Murtagh e di tutto quello che gli aveva raccontato. Saphira disse: Ne hanno passate tante… Castigo mi aveva riferito del Lethrblaka, ma la storia di Nasuada… è sorprendente. Ora, che aspetti a leggere quella lettera? La tua impazienza si sta trasmettendo da te a me.
Come desideri, scusa.
Eragon aprì il rotolo di carta con dita tremanti, e iniziò a leggere i glifi dell’elegante scrittura di Arya.

 
 
Eragon,
sono passati due anni da quando ci siamo visti per l’ultima volta.  Ti confesso che, se non ci fosse stato Fìrnen a ricordarmi i miei doveri di Cavaliere e Regina ti avrei raggiunto molto tempo fa.  Questi due anni sono stati il periodo più brutto della mia vita, secondo solo alle torture di Gil’ead. Avevo già vissuto questo periodo, durante il tuo addestramento ad Ellesméra, e la tua rivelazione durante la Celebrazione del Giuramento di Sangue mi ha sconvolto come il tuo fairth con Oromis.Dopo la battaglia delle Pianure Ardenti, il fatto che Murtagh potesse averti catturato era arrivato a sconvolgermi. Ma non per le sorti della guerra. Da quel giorno ho capito che c’era dell’altro… qualcosa di più della semplice amicizia e alleanza. Quando poi Saphira è tornata dall’Helgrind senza di te, mi sono sentita in dovere di venirti a cercare… Anche per passare del tempo con te. Ti ho accompagnato sotto Dras-Leona e nella sala del trono contro l’opinione di mia madre, poiché temevo di perderti e tornare nella situazione in cui mi trovavo dopo aver perso Faolin. Dovresti leggere questa lettera dopo che Murtagh ti ha parlato del suo viaggio e che ti ha detto che Alagaesia non è finita dove sei tu. Ti prometto, con il più vincolante dei giuramenti, che partirò con te la prossima volta, Eragon, ovunque andrai. Sei troppo importante per me. Ti ho divinato in questi anni, Cavaliere, e ti sto divinando mentre scrivo queste righe. Sappi che la saggezza che ti chiedevo durante il Giuramento di Sangue è proprio quella che stai mostrando ora come maestro di Cavalieri. Sei la persona più importante della mia vita, Eragon, e non voglio perderti. Se dovessi scegliere fra te e Fìrnen sceglierei Fìrnen, poiché tu sei capace di difenderti da solo. Se vuoi vedermi, vieni alla rupe di Tel’Naeir… Dobbiamo dirci molte cose. Prima di tutto io ti devo rivelare il mio nuovo vero nome, ma ti prego di comportarti come se il mio vecchio Nome fosse ancora il mio.
Spero di vederti presto,
 
Arya.
 

Eragon terminò la lettera con le lacrime agli occhi.
Torneremo presto, promise.

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Capitolo 13
*** Notizia inaspettata ***


I giorni successivi trascorsero veloci per Eragon. Durok migliorava con la magia a vista d’occhio, e ormai era un buon mago, poco al di sotto del suo livello quando combatté contro Durza. Contemporaneamente, Murtagh apprendeva come addestrare i Cavalieri, e fu molto curioso del trattamento che Eragon avrebbe riservato a Korgan. Si stupì quando Eragon ordinò al nano di spostare un mucchio di pietre grandi ciascuna quanto un suo pugno senza poterle toccare con le mani. Dopo una settimana di apprendimento, Murtagh disse: "Fratello, sono pronto per addestrare dei nuovi Cavalieri da solo. Ho appreso molto da te, e penso di poter tramandare a mia volta le conoscenze dei Cavalieri."
"Ve bene, fratello. Domani congederò Dusan con due uova di drago. Dovrai aspettare un po’ probabilmente prima dell’arrivo dei nuovi Cavalieri."
"Lo so. Intanto continuerò ad apprendere da te."
Quella sera, mentre Eragon stava per coricarsi, sentì la porta della sua camera bussare, allora si alzò e disse: "Avanti!"
Era Murtagh.
"Scusa l’ora, fratello. Mi è venuta in mente una domanda che mi porto dietro dalla morte di Galbatorix"
"Dimmi pure."
"Come hai fatto a ucciderlo? L’ho sentito urlare “Cos’hai fatto?”. Hai usato la magia? Se sì, come hai fatto a evitare che lui ti fermasse vanificando l’incantesimo col Nome dei Nomi?"
"Non lo sai?" Chiese Eragon stupito.
"So cosa?"
In tutta risposta Eragon, senza dire una parola, fece chiudere la porta della sua stanza.
"Come hai fatto?"
"Galbatorix si è ribellato quando il suo addestramento era ancora incompleto, per cui non sapeva molte cose sulla magia. Cose che non puoi apprendere se non le cerchi, o se non te le fai dire da un insegnante che le sa. Come l’antica lingua influisce sulla magia, Murtagh? In che modo la controlla?"
"Con l’antica lingua si possono evocare incantesimi, e la magia è sottomessa alla lingua."
"Soltanto? Ciò significa che se un animale riuscisse a imitare le parole Deyja e Brisingr potrebbe uccidere qualcuno o far scoppiare un incendio?"
Murtagh non ci aveva pensato.
"Allora come…?"
E come Oromis aveva fatto con lui, Eragon raccontò al fratello la storia del Popolo Grigio, di come avevano lanciato un incantesimo per imbrigliare l'antica lingua, e gli spiegò le relative implicazioni, e i relativi rischi.
"Per questo, quando formuliamo un incantesimo, pronunciamo le parole anche se potremmo evitare.  Ora sai come ho battuto Galbatorix."
"Hai usato la magia senza parlare. Hai evitato le sue difese. Mi congratulo con te, fratello. Hai trovato il suo unico punto debole e l’hai usato contro di lui. Bé, si è fatto tardi, buonanotte. Ti ringrazio per le spiegazioni. Ora sono pronto per addestrare nuovi Cavalieri."
"A domani."
Il giorno dopo, Eragon cercò Dusan e gli disse: "Oggi stesso tu e Iormungr partirete. Murtagh ha deciso di addestrare i Cavalieri novizi, per cui porterete con voi due nuove uova di drago."
"Molto bene, Maestro."
"Fra cinque anni tornerete qui per completare il vostro addestramento.  Riferisci questo anche a Dazghra."
Gli occhi dell’elfo si illuminarono."Non mancheremo, maestro."
Eragon andò nel luogo in cui erano conservati gi Eldunarì, sotto al castello, prese due delle ventidue uova di drago rimaste, una blu e una nera, e le portò a Dusan, che lo aspettava in sella a Iormungr.
"Ora potete andare,"disse consegnandogli le uova, "Quando entrambe si schiudono portate i Cavalieri qui."
"Sì, maestro."
Poche settimane dopo fu Dazghra a tornare con i due Cavalieri. Lui e Hìrador, marrone come la corteccia di una quercia, comparvero nel cielo a mezzogiorno, e fecero scendere i due nuovi Cavalieri: un elfo di nome Amdir, di dodici anni, dai capelli corvini e dagli occhi azzurri, davanti al quale si era schiuso l’uovo nero, e il drago era stato chiamato dal suo Cavaliere Gretiem, e un’umana di quattoridici anni di nome Dana, con capelli rossi come fuoco – o come Castigo, osservò Murtagh – e occhi marroni; davanti alla quale nacque un drago azzurro come Saphira, ma maschio e chiamato dal suo Cavaliere Atma.  L’elfo raccontò di venire dalla città di Osilon, nella parte occidentale della du Weldenvarden, mentre Dana disse di venire da una piccola città di nome Agrod’est, a nord di Melian. Eragon ricordò quel villaggio con stupore: era stato lì durante il suo viaggio di ritorno dall’Helgrind, e lì aveva incontrato Arya. Entrambi erano più che entusiasti di essere stati chiamati a servire l’Ordine. Eragon, dato che i suoi due allievi erano a lezione di Antica Lingua, accompagnò Murtagh e i due allievi a esplorare il castello. Quando ebbero finito, cenarono insieme e i due fratelli risposero alle domande dei due neo allievi, soprattutto di Dana. La ragazza sembrava smaniosa di diventare uno dei migliori Cavalieri della storia. Alla sera, dopo aver loro mostrato i loro alloggi, si congedarono e si prepararono per la notte. Eragon stava per addormentarsi, quando alla sua porta sentì bussare. La porta si aprì e entrò Murtagh, con un’espressione di puro terrore sul volto. "Fratello, è successo un guaio."
"Calmati." gli disse Eragon alzandosi dal letto. "Siediti e spiegami tutto."
"Oh, è semplice,"disse Murtagh con una punta di sarcasmo nella voce."Ricordi quando ti ho detto della mia notte con Nasuada?"
"Certo. E’ stato un po’ inaspettato ma… sì, ricordo."
"Bene. Nasuada mi ha appena cercato per dirmi che… non ci fermeremo solo a quella notte."
"Spiegati meglio."
"Aspetta un figlio, Eragon, ed è mio. Sarò padre, e per lei sarà un grande disonore poiché ha avuto un figlio prima di sposarsi. Lei è contenta, ma teme per le maldicenze che potrebbero nascere da questo.. inghippo."
"Dille di non preoccuparsi delle malelingue. Ricorda che anche io sono figlio di Brom e di nostra madre, e non erano sposati, anzi, peggio, mia madre era sposata con tuo padre. Se è saggia, non deve preoccuparsi di ciò che dice la gente."
"Grazie, fratello. Glielo dirò. Ah, col tuo permesso, ho deciso che nostro figlio rimarrà a Ilirea e sarà cresciuto come un principe, per governare Alagaesia quando Nasuada se ne andrà."
"E’ tuo figlio, le scelte sono tue. Ti consiglio però di andare a trovarlo ogni tanto."
"Non mancherò." Murtagh uscì dalla stanza.
Murtagh diventerà padre, pensò Eragon.E’ strano, mi sembra di essere sempre più vecchio…
Non preoccuparti,lo confortò Saphira. Arriverà anche il tuo momento. Potrebbe arrivare più presto se tu volessi tornare da Arya, ma tu preferisci aspettare.
Devo addestrare i Cavalieri, disse lui.
Sei un caso disperato.

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Capitolo 14
*** Buone notizie ***


Nei mesi seguenti, Durok divenne sempre più abile sia con la magia che con l’antica lingua, e Korgan, dopo aver lanciato il primo incantesimo per spostare quel mucchio di pietre, aveva preso a migliorare velocemente, e in poco tempo aveva raggiunto il suo compagno di studi. I due ormai erano maghi provetti, e spesso loro e Eragon tralasciavano gli allenamenti con la magia e volavano coi i rispettivi draghi addestrandosi in feroci battaglie aeree,  in cui Saphira aveva gioco facile contro i due giovani allievi, e lo stesso valeva per Eragon. Non eccellevano ancora nell’osservazione mentale, e questo impediva loro di concludere il loro addestramento. Eragon notò che i due nani faticavano ancora a rimanere saldamente in sella ai draghi, soprattutto mentre questi facevano le loro evoluzioni e loro contemporaneamente dovevano combattere sia con la spada che con la mente. Come aveva fatto Oromis, Eragon li addestrò nello scoprire e neutralizzare i vari veleni, e da quel giorno in poi essi dovettero cercarne in ogni cibo o bevanda che assumevano. Cinque volte uno di loro fu avvelenato e o Eragon o Blodhgarm dovettero curarlo, ma tutto sommato apprendevano bene. Jura e Akor, intanto, erano diventati ottimi draghi, e all’età di nove mesi Saphira dichiarò: Non ho più nulla da insegnarvi, Jura e Akor. Io con voi ho concluso. Da dopodomani noi tre andremo con Castigo, Atma e Gretiem, per aiutare Castigo ad addestrare i due cuccioli. Domani andremo in esplorazione verso nord.
Sì, maestra.
 
Nel frattempo, Eragon seguiva, anche se senza interferire, a meno che non glielo chiedesse il fratello, l’addestramento di Dana e Amdir. La ragazza, dopo i primi tempi in cui si sentiva in soggezione a fianco all’elfo, più preparato di lei, sfoderò una tenacia e una determinazione senza pari, impegna dosi al massimo per raggiungere le abilità del suo compagno di studi. Murtagh sembrava lieto di avere due allievi così intraprendenti. Erano ancora all’inizio, ma dopo due mesi di addestramento i due maestri dovevano già impegnarsi  per penetrare le loro menti. Nulla in confronto agli sforzi contro Galbatorix o Durza, ma paragonabili a quelli che Eragon aveva dovuto fare per rintracciare i membri del gruppo di stregoni di Galbatorix sulle Pianure Ardenti. Inoltre, con stupore di Eragon, la ragazza dai capelli rossi era già capace di espandere la mente, avendolo toccato per chiedergli chiarimenti sull’addestramento che Murtagh stava conducendo con lei. Eragon l’aveva riferito a Murtagh, e il fratello gli aveva chiesto di aiutarlo per fare in modo che lui potesse continuare ad addestrare Amdir e intanto lei potesse sviluppare le sue abilità. Eragon accettò con entusiasmo. Dana gli ricordava lui quando aveva la sua età: spavalda, tenace e precoce. La ragazza, una volta rimasta sola con Eragon, prese a fargli delle domande in modo assillante: Da dove venisse, se era vero che aveva ucciso uno Spettro,  domande sulla storia dei Cavalieri, sugli elfi, sui nani e sulla storia della guerra contro l’impero. Per contro, Eragon scoprì una cosa che lo lasciò stupito: l’identità del padre della ragazza. Dalle sue descrizioni infatti capì che si trattava del comandante della formazione di soldati che lui e Arya avevano battuto durante il ritorno dall’Helgrind, quell’uomo coi baffi che lui stesso aveva trafitto con un sasso nella fronte. Il Cavaliere si guardò bene dal rivelarle la verità, per paura di perdere la sua fiducia, e decise di rivelargliela solo una volta che lei avesse completato l’addestramento.
 
Il mattino dopo, Saphira si svegliò all’alba, svegliò il suo compagno di vita e lo avvisò di dove aveva intenzione di portare Jura e Akor quel giorno. Eragon approvò, e la dragonessa uscì dalla camera del Cavaliere e si diresse nel campo di addestramento, dove trovò i due draghi ad aspettarla. Insieme partirono in direzione Nord.
 
Eragon si alzò e prese a eseguire, come suo solito, la Rimgar. Un’ora dopo terminò. Erano ormai cinque anni che tutte le mattine faceva quegli esercizi, e ormai aveva raggiunto una flessibilità e una grazia sorprendente: si toccava la punta dei piedi con i capelli. Nulla a che vedere con quella del suo omonimo, però. Il vecchio elfo arrivava a toccare terra con il naso. Un giorno ci riuscirò anche io, pensò Eragon. Dopo la Rimgar si lavò e si rase. Dopo aver terminato le sue abluzioni solite, uscì e andò al campo di addestramento. Con sua sorpresa, trovò Dana ad aspettarlo. "Buongiorno, Maestro" gli disse.
Eragon guardò la ragazza dai capelli rossi e sorrise. "Buongiorno, Dana-finiarel. Tu e Atma avete riposato bene?"
"Sì, grazie."
"Lui dov’è ora?"
"E’ già con Castigo."
"Iniziamo, fratello?"
Eragon alzò gli occhi e vide Murtagh con Zar’roc sguainata. "Oggi vuoi impegnarti, Murtagh?"
Murtagh rise. "Certo. Mi devi due rivincite, Eragon. Andiamo. Ah, vedo che c’è Dana con te. Nessun progresso rilevante?"
"No" disse Eragon nell’Antica lingua. Continuando nella lingua elfica, aggiunse: "Pensavo di farle iniziare a studiare l’antica lingua, poiché con la mente ormai è abile sia a difendersi che a combattere. Stamattina inizierò le lezioni, poi la manderò nel boschetto. Amdir come procede?"
"Bene. Ancora non riesce a espandere la mente a grande distanza e a fare altro mentre lo fa, ma impara in fretta. Lui non avrà bisogno delle lezioni di Antica lingua, perciò una volta padroneggiati questi argomenti inizierò con la magia."
"Ottimo. Ora, in guardia!"
Eragon disse a Dana di allontanarsi, poi estrasse la spada e, pronunciando l’incantesimo in modo che la sua allieva non lo sentisse, disse: "Geuloth du Knifr." Il fratello fece lo stesso.
Murtagh partì all’attacco con un affondo al fianco destro di Eragon, che il ragazzo parò facilmente. Prima che avesse modo di rispondere, però, Murtagh rigirò la spada nella sua mano, e la lama cremisi scorse su Brisingr, e puntò alla spalla sinistra di Eragon, che mosse il busto per evitarla, più fulmineo di qualsiasi umano. Da quella posizione Eragon tentò un affondo al torace indifeso di Murtagh, ma appena prima che la punta smussata di Brisingr potesse toccarlo Murtagh fece un salto indietro e evitò il colpo. Eragon sorrise, e contemporaneamente al fratello riportò la spada in posizione di guardia. I due presero a studiarsi, aggirandosi senza sosta. Dopo lunghi minuti, fu Eragon a rompere la tregua, saltando verso il fratello con la spada rivolta verso i suoi piedi, parallela alle gambe. Murtagh alzò Zar’roc a difesa, e Eragon lo sorprese alzando in fretta Brisingr, per spostare la spada di Murtagh. Ormai indifeso, Murtagh si chinò fulmineo sulle ginocchia, evitando la spada diretta alla sua spalla sinistra. Eragon atterrò dieci piedi dietro Murtagh, con una capriola. Rialzandosi si voltò, e vide il fratello che stava già attaccando. Schivò l’affondo al petto flettendosi all’indietro come un arbusto al vento. Si accorse però che il Cavaliere stava calando Zar’roc su di lui, quindi si gettò a terra e rotolò di lato, mentre la spada rossa si abbatteva di taglio nel punto in cui si trovava. Rialzandosi notò che Murtagh sembrava aver perso l’equilibrio, così tentò un affondo sul fianco sinistro del fratello. Invece Murtagh levò Zar’roc e deviò Brisingr. Il colpo fu così violento che le spade volarono in aria, andando a conficcarsi nel terreno a trenta piedi di distanza, e a meno di cinque da Dana.
La ragazza raccolse le spade.
"Bè, oggi siamo pari, eh fratello?" disse Murtagh mentre si avvicinava all’allieva per riavere Zar’roc.
Eragon lo seguì. "Concordo. In due mesi sei ritornato te stesso, ti faccio le mie congratulazioni. Era tanto che non duellavo così."
I  due giunsero da Dana, che però si rifiutò di consegnare loro le lame. La ragazza guardò i due maestri e disse: "Voglio imparare anche io a combattere come voi! Quando inizieremo?"
"Presto." Le disse Eragon. "Prima devi imparare a parlare nell’antica lingua, a leggerla e a scrivere. Poi inizieremo con questo e altri argomenti."
"Va bene, maestro." E riconsegnò loro le spade. I due rimossero la magia dai fili delle lame e le rinfoderarono.
"Dana, anche oggi tu andrai con Eragon. Amdir deve ancora imparare a controllare la mente, cosa che Eragon mi dice che sai fare benissimo."
"Sì, maestro."
Eragon cercò Murtagh con la mente, e gli chiese di poter parlare con Castigo. Una volta ottenuto il permesso, si rivolse al drago rosso chiedendogli le attività e i miglioramenti di Atma il giorno prima. Una volta saputi, lo ringraziò e si ritrasse. Mentre accompagnava Dana nel luogo in cui si esercitavano di solito, Eragon gli chiese, per la prima volta: "Come si distinguono le nuvole di tempesta da quelle innocue?"
La ragazza parve sorpresa dalla domanda, ma disse: "Quelle più basse sono di tempesta, ed è più facile volarci attraverso, mentre quelle più alte sono innocue."
"Perfetto. Tu e Atma avete compreso appieno il significato di essere compagni di vita. Mi hai soddisfatto di nuovo, Dana." Poco dopo sentì che Castigo lo cercava per informarlo delle risposte del drago.
La ragazza arrossì, rendendo indistinguibili le lentiggini sulle sue guance.
"Grazie, maestro."
I due proseguirono, e quando arrivarono Eragon disse: "Bene.  Oggi inizieremo i combattimenti mentali. Difenditi!"
E attaccò la mente della ragazza a piena potenza, e la trovò protetta d forti barriere, composte perlopiù dai ricordi che lei aveva di lui. In poco tempo riuscì a prenderne possesso e immobilizzarla. Si ritrasse e le disse: "Ottimo tentativo, ma non basta. Devi imparare a difenderti anche mentre fai altro. Ora riproviamo, ma nel frattempo dovrai spostare qui quelle pietre." E indicò il mucchio che usava per gli allenamenti magici.
"Tenterò, maestro."
Ripresero a combattere, e la ragazza durò la metà, spostando le pietre.
"Non ci siamo, Dana. Devi imparare a difenderti senza pensarci. Riproviamo."
Continuarono così per circa due ore, poi Eragon disse: "Per oggi basta così." E la mandò a meditare nel boschetto. "Ti aspetto a ora di pranzo  al castello."
"Sì, Maestro."
Eragon si recò al castello e andò a verificare i progressi dei suoi allievi Korgan e Durok, che si stavano allenando con la magia assieme a Blodhgarm e a un’elfa che Eragon ricordò chiamarsi Melime. Quest’ultima lo informò che i due continuavano a fare progressi, e che volevano iniziare a parlar loro delle parole di morte. Eragon approvò, e si congedò. Attese l’ora di pranzo conversando con gli Eldunarì.
Al pomeriggio Eragon iniziò a istruire Dana sull’antica lingua. Quella sera, appena dopo il tramonto, avvertì Saphira, Jura e Akor che stavano tornando. Le chiese: Com’è andato il viaggio? Trovato nulla di interessante?
Direi proprio di sì. Ma lo vedrai con i tuoi occhi. Lo stiamo portando qui lì. Com’è andata oggi?
Dana fa progressi enormi, e non ha fallito alla richiesta sulle attività di Atma. E Murtagh è tornato quello di un tempo. Eragon le inviò le immagini del duello.
Bel combattimento, commentò la dragonessa.
Torni presto?
Eccomi. Eragon sentì un ruggito e vide tre vampate di fuoco  - una azzurra, una violacea e una arancione - rischiarare il cielo. Pochi secondi dopo Saphira atterrò sulle zampe posteriori, reggendo un masso enorme fra le zampe posteriori. Pochi attimi dopo vide anche Jura e Akor atterare, con altri due massi di dimensioni paragonabili al suo fra le zampe anteriori
Per poco non svenne quando capì che aveva davanti tre enormi pezzi di acciaio luce, i due portati da Jura e Akor erano grandi almeno il doppio di quello che aveva trovato tre anni prima sotto l’albero di Menoa. Quello di Saphira era il doppio degli altri due.
Dove l’avete trovato?
Poco distante da qui c’è un pezzo enorme di questo materiale, gli disse Jura. Abbiamo lavorato tutto il giorno per staccare questi pezzi. Il masso originale era grande come me.
Grazie, Jura. Ottimo lavoro, potete andare. A domani.
Mentre i due draghi si allontanavano, Eragon chiese a Saphira: Come l’avete trovato?
Devo ringraziare una dragonessa selvatica. Mi ha detto che c’era qualcosa di strano e ci ha accompagnati sul posto. L’ho ringraziata e ho iniziato a staccare questi pezzi assieme a Jura e Akor. Era dello stesso colore di Glaedr…
Bè, dobbiamo informare Runhon, non credi?
Già… potresti liberarla dal giuramento e lei potrebbe iniziare a forgiare nuove spade.
Giusto.
Il giorno dopo riferì del ritrovamento a Murtagh, che gli disse: "Non ti ho detto tutto ciò che mi è capitato nella du Weldenvarden… o meglio, quello che è capitato a Castigo."
Il fratello gli riferì che Castigo aveva riscontrato una carenza nelle abilità di Fìrnen, e che il drago verde necessitava di un addestramento.
Eragon lo ringraziò e gli disse: "Riesci a badare anche a Dana mentre sono via?"
"Penso che sarebbe più opportuno che venga anche lei con te…"
"Va bene."
Eragon informò Saphira della decisione, e la dragonessa non riuscì a contenere la gioia.

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Capitolo 15
*** Un lungo viaggio ***


Dopo aver parlato col fratello, Eragon andò in una stanza del castello, in cui Dana lo aspettava. Per tutta la mattina si esercitarono nella lettura e nella scrittura dell’antica lingua, e alla fine della mattinata le disse: "Dana-finiarel, lo sai perché abbiamo iniziato queste lezioni?"
"Perché sono pronta per apprendere questa lingua."
"Non te l’avrei mai insegnata se non fossi sicuro della tua preparazione, ma c’è anche un altro motivo. Cosa sai della Du Weldenvarden?"
"Poco. Nel mio villaggio, Agrod’est, quella foresta è vista come un posto maledetto. Secondo le voci che girano, chi entra in quella foresta esce impazzito e farneticante, oppure non esce affatto."
"Bé, io ti sembro pazzo e farneticante?"
"No. Perché?"
"Perché io in quella foresta ci sono entrato e uscito tre volte, e direi che è il luogo più bello di Alagaesia."
"Vuoi dire che non è pericolosa?"
"Non ho detto questo. E’ il luogo in cui risiedono gli elfi, il loro regno. Il tuo compagno di studi, Amdir, proviene dalla città elfica di Osilon, situata nelle vicinanze del margine occidentale, quello più vicino alla città di Ceunon. E’ da lì che tre anni e mezzo fa gli elfi iniziarono la loro marcia sull’Impero. Se non fai attenzione potresti uscire da quella foresta, specie in alcuni periodi dell’anno, veramente intontito. Io stesso nel primo periodo della mia permanenza ho rischiato grosso, come anche l’attuale re dei nani Orik, all’epoca mio accompagnatore in qualità di ambasciatore ufficiale del suo predecessore Rothgar. E’ lì che ho ricevuto il mio addestramento, grazie al quale ho sconfitto Galbatorix e ho fatto molte altre cose."
"Quindi incontrerò i tuoi maestri?"
"Purtroppo no. Sono stati uccisi da Galbatorix durante la battaglia di Gil’ead."Nella sua mente sentì due lunghi pensieri di cordoglio, uno di Saphira e uno di Glaedr, che si era unito a lui per controllare la lezione, in modo che lui non facesse errori.
"Mi dispiace."
"Ma stiamo divagando. Io devo andare nella du Weldenvarden perché il mio luogotenente, Arya, ha richiesto la mia presenza. Murtagh ritiene che il tuo addestramento proseguirebbe meglio se tu e Atma mi seguiste. Che ne pensi?"
Sul volto di Dana si stampò un largo sorriso.
"Ma prima vorrei anche andare a salutare alcune persone."Proseguì Eragon, e il sorriso di Dana si allargò.
"Verrò volentieri con te, maestro."
"Molto bene. Si parte domani due ore dopo l’alba. Atma è troppo giovane perché tu lo cavalchi, per cui volerai con me su Saphira."
"Sarà un onore, maestro."
"Ora andiamo  a pranzo, oggi pomeriggio continueremo a lavorare con la mente, poi inizierai a maneggiare una spada."
"Sì, maestro."
I due pranzarono insieme con un pasto a base di zuppa di verdure e pasticcio di semi di lino. Al pomeriggio rimasero al castello, e Eragon la condusse sulla panchina sulla quale si erano seduti lui e Murtagh a conversare quando lui era tornato. Per circa metà del pomeriggio la allenò a parare gli attacchi mentali, e notò che la sua abilità si era accresciuta dal giorno prima, tanto che riusciva a resistere anche cinque minuti mentre spostava pietre. Quando il sole iniziò a tramontare Eragon la portò al campo di addestramento, dove le consegnò una spada di legno.  Si piazzò a trenta piedi di distanza da lei e estrasse Brisingr. Dopo aver smussato con la magia la lama della sua spada, si mise in una posizione rilassata, non la sua solita guardia, e disse all’allieva:"Su, attaccami!" La ragazza aggiustò meglio la presa sulla spada di legno e lo attaccò, un rozzo affondo al petto, che Eragon parò spostandosi appena verso destra. Dana perse l’equilibrio  e per poco non cadde a terra. Dopo aver ripreso l’equilibrio, si volse attonita verso di lui, stupita per la rapidità della sua azione. Lo attaccò di nuovo, più veloce di prima, stavolta mirando al fianco destro del Cavaliere. Stavolta Eragon parò l’attacco alzando Brisingr all’ultimo momento. Prima che Dana potesse recuperare la posizione, calò lievemente la lama sul braccio sinistro della ragazza, per poi passarla rapidamente sul destro e farle perdere l’equilibrio. Dana si ritrovò per terra, sbigottita. Eragon posò la punta di Brisingr sul suo petto e le disse, con voce calma e sorniona:"Morta. E così finirai finché duellerai con me, Murtagh o qualsiasi altro elfo, anche il più debole in assoluto. Ora riproviamo, ma cerca di essere meno avventata." Continuarono così per due ore, finché non fu troppo buio e la ragazza troppo stanca e piena di lividi per continuare. Andarono a cena, e in quell’occasione Eragon informò Blodhgarm e gli altri elfi della sua imminente partenza. Con sua sorpresa, non ebbero nulla da dire. Li informò anche, con la mente perché gli allievi ancora non ne sapevano nulla, del desiderio di portare con sé alcuni Eldunarì, tra cui quelli di Glaedr, Umaroth e Valdr. Anche su questo fatto non dissero nulla. Alla fine della cena Blodgharm gli disse: "Porta i nostri saluti ad Arya Drottning, ammazzatiranni. Ti giuro che addestreremo i nuovi Cavalieri al meglio delle nostre possibilità,anche se ormai hanno poco da imparare. I loro miglioramenti verranno in futuro, quando la loro energia aumenterà."
"Grazie, Blodhgarm-elda. Mi fido di voi."
"Atra esternì ono thelduìn, Eragon-elda."
"Atra du Evarynìa ono varda, Blodhgarm-elda."
"un varda onr"
Eragon si apprestò a salutare anche Murtagh, ma il fratello lo fermò e gli disse: "Risparmia i saluti, sarò lì quando partirai. A domani."
Il Cavaliere rise.
"A domani."
Eragon andò nella sua stanza, dove lo aspettava Saphira. Finalmente ti sei deciso a tornare da Arya, zuccone.
Era la cosa giusta da fare. E poi, se sei d’accordo, vorrei passare prima dal Farthen Dur, poi da Ilirea, e infine da Carvahall.
Se proprio dobbiamo…  va bene. Vuoi far fare a Dana il giro di Alagaesia?
Voglio rivedere le persone che amo. E poi, una bella esplorazione non le farà male. Se vuole, la farò anche tornare per qualche ora al suo villaggio natale.
Il Cavaliere iniziò a grattarla sotto la mascella, e la dragonessa emanò un enorme piacere, e iniziò a mugolare. Allungò il collo, e posò la testa sulle gambe di Eragon. Il Cavaliere la grattò con entrambe le mani e più energicamente. A quel punto Saphira prese a fare le fusa. Rimasero così per circa un’ora, quando Saphira disse: E’ tardi, e domani ci aspetta una giornata molto lunga. E’ meglio se andiamo a dormire.
A domani, Saphira.
Dormi bene, piccolo mio.
Eragon si stese sul suo letto, e si addormentò. Come accadeva spesso, i sogni dei due compagni di vita si mescolarono, dando vita a strane alchimie.
Il mattino dopo, un’ora prima dell’alba, Eragon si svegliò, e, attento a non destare Saphira, prese a eseguire come d’abitudine la Rimgar. Poi andò nello stanzino da bagno, si rase e si lavò. Cercò delicatamente Dana con la mente per controllare che fosse sveglia, e con suo piacere scoprì che stava già riempiendo le bisacce per il viaggio. Eragon si vestì, riempì a sua volta le bisacce, uscì dalla sua stanza e, assicuratosi di non essere seguito da nessuno, si recò nello stanzone al centro del palazzo in cui erano conservati gli Eldunarì, e ne prelevò una ventina, fra cui quello del suo maestro, quello di Umaroth e quello di Valdr. Li mise nelle scatole foderate che utilizzava Galbatorix, poi tornò nella sua stanza. Svegliò Saphira, e con il suo aiuto pronunciò l’incantesimo per racchiudere i cuori dei draghi nella piccola sacca di spazio dietro di lei. La sellò, legò le bisacce alla sella e montò su di lei. Planarono all’interno delle mura, vicino ai tre enormi blocchi di acciaioluce che giacevano sul terreno. Eragon rimpicciolì anche quelli come gli Eldunarì, e li pose in un’altra sacca di spazio a fianco di quella con i cuori dei cuori. Dopodiché si rialzarono in volo e superarono le mura. Dall’altra parte trovarono Murtagh e Castigo.
"Arrivederci, fratello." Disse Murtagh.
"Addestra bene Amdir mi raccomando."
"Tranquillo. E… quando vedi Nasuada, dille che non vedo l’ora di rivederla e che fra un mese la cercherò con lo specchio magico. In più dille che una settimana prima del parto sarò là con lei."
"Non mancherò, fratello. Te lo prometto." In quel momento arrivò anche Dana, affiancata da Atma, attraverso la porticina alla base delle mura.
"Maestro Murtagh. Meastro Eragon. Maestri Saphira e Castigo."
"Buongiorno, Dana-finiarel" disse Murtagh.
Atma scambiò i saluti con i maestri.
"E’ ora di andare" disse Eragon. Aiutò Dana a montare su Saphira, poi salì a sua volta e fissò le stringhe per le gambe attorno a quelle di entrambe. Saphira dispiegò le ali e ruggì, imitata debolmente da Atma e con più vigore da Castigo. La dragonessa saltò due volte per darsi lo slancio, poi batté energicamente le ali e prese a salire di quota, imitata da Atma, che le si affiancò. Mentre volavano, Eragon spiegò a Dana tutto ciò che doveva sapere sui nani, la loro prima tappa, e anche, rispondendo a una delle sue domande più frequenti,  sui cambiamenti che il legame dei Cavalieri imponeva al corpo. Rimase sorpresa nell’apprendere tutte le trasformazioni, e ancora di più quando si accorse che le sue orecchie ora terminavano leggermente a punta. Dopo aver soddisfatto le richieste dell’allieva, i due ripresero gli esercizi, e stavolta partecipò anche Atma. Quando Dana e il drago univano gli sforzi per Eragon era difficile penetrare nei ricordi dei due, ma un paio di volte vi riuscì. Ma quando il drago blu e Eragon si univano contro la ragazza, questa non esisteva più di un minuto. Dopo nove giorni di viaggio – la notte riposavano – i quattro arrivarono alla confluenza del fiume Hedarth con l’Edda, il luogo in cui Eragon e Arya si erano separati due anni prima. Saphira, seguita da Atma,  virò a sinistra, conducendo Eragon, Dana e il drago blu verso i monti Beor. Dopo altri due giorni di viaggio arrivarono a Tronjheim, e quando entrarono e la folla di nani li vide scoppiò in un boato di acclamazioni. "Ammazzatiranni!" gridavano. E anche: "Argetlam e Kriftzgr!" Eragon non conosceva il significato di questa terza parola, per cui decise di chiederlo a Orik in seguito. Molti gli chiedevano di guarire parenti malati, ciechi o storpi, o di benedire i neonati. Dana sembrava a disagio, per cui Eragon la tranquillizzò dicendole: "E’ normale che facciano così. I Cavalieri sono amati ovunque. Inoltre, da quando ho permesso ai nani di entrare nell’ordine mi sono ancora più grati. Per cui, chiudi la mente e fai entrare solo me e Saphira qualora ce ne fosse l’occasione, e ovviamente Atma." Eragon alzò una mano a saluto, e la folla prese ad acclamare con più vigore. I quattro giunsero nell’anticamera della sala del trono, e attesero che Orik li ricevesse. Non passò nemmeno un minuto che dalla sala del trono uscì un nano tarchiato, completamente pelato e con una cicatrice sul sopracciglio destro che disse loro: "Eragon Ammazzatiranni, Saphira tagliagemme, bentornati a Tronjheim. Potrei sapere i nomi dei vostri compagni…?"
"Ma certo" Eragon indicò la ragazza."Lei è Dana, ed è una mia allieva. Questo è il suo drago, Atma."
"Benvenuti a voi, Dana e Atma. Re Orik vi riceverà fra pochi istanti."
In quel momento un altro nano, che Eragon riconobbe essere Iorunn, la grimstborith del clan Vrenshrrgn, i lupi da guerra, uscì dalla sala del trono, ammiccò a Eragon e gli sorrise. "E’ un piacere rivederti, Cavaliere."
"Lo stesso per me, grimstborith Iorunn."
"Potete entrare."
Eragon, Saphira, Atma e Dana varcarono la soglia della sala del trono. All’interno, alla fine dei mausolei dei passati regnanti dei nani, li aspettava Orik. Quando riconobbe Eragon, il nano emise un grido di stupore e meraviglia. "Eragon! Fratello mio! Da quanto tempo, per Morgothal! Devi cercarmi più spesso su quel dannato specchio, sai? Pensavo di tornare alla pietra senza più vederti!"
"Anche io sono contento di vederti" disse Eragon con un sorriso. Poi Orik lo sorprese, correndo giù dal trono e abbracciandolo forte. "Dobbiamo festeggiare il tuo ritorno. Permettimi di…"
"No. Non possiamo fermarci. Rimarremo qui per la notte, per recuperare le forze, ma poi dovremo passare a Ilirea, a Carvahall e infine raggiungere Arya a Ellesméra. La mia presenza è richiesta per una… questione importante."
"Capisco, Eragon." Il nano rivolse la sua attenzione a Dana e ad Atma."Allora non avevo le visioni quando ho visto un’altra persona con Eragon! E nemmeno quando pensavo di aver visto due Saphire! Come ti chiami, Argetlam?"
"Dana, maestà."
"E il tuo, drago?"
Atma, rispose il drago.
"Allora benvenuti a Tronjheim, Dana e Atma. Immagino che siate con Eragon per proseguire il vostro addestramento. Permettetemi di offrirvi ospitalità almeno per questa notte. Se lo gradite sarete sistemati a fianco dei vostri maestri."
"Grazie, maestà."
Orik li accompagnò fuori dalla sala del trono, e con sorpresa di Eragon e di tutti i presenti li accompagnò fino alla rocca su cui Eragon e Saphira avevano alloggiato durante la loro prima visita alla città, prima della battaglia contro Durza, sopra Isidar Mirthim. I cinque attesero la cena conversando. In particolare il re chiese novità sull’addestramento di Korgan e Durok, e fu lieto di sentire che mancava ancora poco tempo prima che i due finissero il primo grado dell’addestramento. Eragon da parte sua chiese come andavano le cose in Alagaesia dopo la sua partenza, e la risposta del re dei nani fu che la situazione è stata vicina a precipitare per il primo anno, a causa della sua partenza. Molte rivolte si erano scatenate, la maggior parte delle quali di poco conto, ma la più pericolosa, sedata ormai un anno e mezzo prima, era arrivata a coinvolgere tre città: Feinster, Dauth e Arughia. Fortunatamente non si era reso necessario l’intervento di Arya, visto che i primi due Cavalieri si stavano ancora addestrando.  Dana invece rimase inspiegabilmente silenziosa, e quando Eragon le chiese mentalmente delucidazioni disse: Non mi sento a mio agio nel parlare a un monarca con tanta confidenza. Maestro, domattina mi insegneresti le pose che ti ho visto fare tutte le mattine durante il viaggio?
Certo. Sappi che si chiama Rimgar nell’antica lingua, e in questa lingua è detta Danza del Serpente e della Gru.
Grazie, maestro. Comunque, mi sento più a mio agio quando parlo con te o con Murtagh che con altri.
Capisco, disse Eragon, e si ritrasse.
La cena non tardò ad arrivare: mezzo nagra cotto allo spiedo con contorno di funghi e patate per Eragon, Dana e Orik; un nagra intero per Saphira e la metà rimanente del pasto dei tre per Atma. I cinque si avventarono sul pasto, e cenarono per circa un’ora. Orik fece postare due barili di idromele per Saphira e uno per Atma. "Non si sa mai" aveva detto, e Eragon scoppiò a ridere. La dragonessa scolò entrambi i barili, e Atma, vedendo la sua insegnante, prima assaggiò dal suo con diffidenza, poi lo scolò completamente, dimenando la coda per il gusto dolce del miele. Quando mezzanotte era appena passata, secondo il computo di Eragon, Orik si congedò e li lasciò soli. I due Cavalieri e i due draghi entrarono nelle stanze a loro assegnate e si sistemarono per la notte. Il mattino dopo, Eragon fu svegliato da Saphira a quella che immaginava fosse l’alba, anche se nella città-montagna era difficile verificarlo. Eragon si alzò, si mise solo i pantaloni e andò nel luogo in cui avevano cenato la sera prima, dove si sedette a gambe incrociate ad aspettare Dana. La ragazza arrivò una decina di minuti dopo, vestita con pantaloni di pelle e un giubbotto anch’esso di pelle a coprire le sue forme appena accennate. Arrossì nel vedere Eragon a torso nudo, ma poco dopo si ricompose. Eragon si alzò, e le disse:"Buongiorno, Dana. Riposato bene?"
"Sì, maestro."
"Ne sono lieto. Iniziamo dunque. Questa è la Rimgar, una serie di esercizi inventati dagli elfi per aumentare la flessibilità e l’agilità."
Le impartì una seri di comandi, e scoprì che la ragazza aveva la flessibilità, per usare le parole di Saphira, di un tronco di quercia. Quando finirono, la ragazza era madida di sudore, mentre Eragon, poiché erano solo le pose del primo livello, non era nemmeno affaticato. "Riprenderemo domani, Dana. Ora vai a lavarti e a prepararti per la partenza. Una sola curiosità: quali erano i tuoi compiti, prima di diventare Cavaliere?"
"Nessuno, maestro. Ero promessa in sposa a un giovane del villaggio, e per questo mio padre prima della guerra e mia madre poi mi tenevano chiusa in casa nel timore che potesse succedermi qualcosa. Quando ho sentito che i Cavalieri cercavano due nuovi allievi sono scappata di casa per andare a Ilirea a partecipare alla selezione dei nuovi allievi. Quando Atma è nato per me e sono tornata a dirlo a mia madre accompagnata dal Cavaliere Dazghra, lei è andata su tutte le furie, dicendo che non avevo i diritti per diventare un Cavaliere perché dovevo sposarmi, ma Dazghra l’ha convinta a accettare il fatto, e ci siamo lasciati con la promessa che sarei tornata a trovarla il prima possibile."
"Ti piacerebbe tornarci? Mentre andiamo a Ilirea possiamo passare."
"Moltissimo."
"Allora vai a lavarti che partiamo."
La ragazza si volse e si diresse verso la sua stanza, e Eragon fece lo stesso. Mezz’ora dopo, mentre si vestiva, Eragon sentì bussare alla porta. "Avanti!"
Entrò Dana, che però richiuse la porta vedendo che il suo maestro era in braghe di lana e null’altro.
"Scusa, Dana."Disse Eragon."Non pensavo fossi tu. Partiamo subito." Indossò la tunica di lana bianca, i gambali felpati, i bracciali in cuoio nero decorati con glifi dorati della Du Silbenia Datia.  Allacciò Brisingr alla cintura, indossò gli stivali e uscì. Dana lo aspettava fuori dalla porta, le bianche guance tinte di un rosso poco meno intenso di quello dei suoi capelli. La ragazza si scusò per l’intrusione, e lei e Eragon andarono a salutare Orik e a ringraziarlo per l’ospitalità. Dopo aver scambiato i saluti, i due Cavalieri montarono su Saphira che uscì dalla porta occidentale della città, la stessa da cui erano entrati cinque anni prima inseguiti da un branco di Kull ululanti. Passarono la cascata, e Eragon evocò un incantesimo che li proteggesse dall’acqua per non trovarsi fradici ancora prima di partire. Saphira volò per tutto il giorno, e stavolta, di comune accordo con Atma, decise di proseguire anche la notte. I due draghi azzurri proseguirono per lungo tempo, e al terzo giorno di viaggio, dopo due notti in sella, si fermarono per trascorrere quella a terra. Eragon si stupì nel capire quanta strada avevano già fatto: erano già in prossimità della vallata che collega i monti Beor al deserto di Hadarac, e avevano coperto un percorso che, quando fuggivano dai Kull con Arya svenuta, lui e Murtagh a cavallo avevano fatto in una settimana. A dorso di drago avevano impiegato due giorni e due notti. Il mattino dopo virarono verso il deserto, e una volta usciti dalla catena montuosa ripresero a procedere verso ovest per altri due giorni e due notti, fino a giungere a in prossimità di Furnost, dove si accamparono nella foresta che orla il lago Tudosten, dove trovarono i resti di una città elfica che Eragon ricordò essere Luthivìra, la città natale di Oromis. Al mattino ripartirono, e alla sera arrivarono ad Agrod’est. Quando furono avvistati nel cielo di Agrod’est, dal villaggio si alzò un boato, e la gente accorse fuori di casa per vedere i due draghi atterrare. Dana giudò Saphira ad atterrare davanti a casa sua, dove quella che Eragon pensò essere sua madre, una donna di media statura, con i capelli rossi come quelli della figlia, si apprestava a uscire di casa. Il Cavaliere aiutò l’allieva a scendere, e lei corse incontro alla madre, abbracciandola. La donna piangeva di gioia. Dopo un lungo minuto si staccarono, Dana si voltò e disse: "Madre, lui è il mio maestro Eragon. Il drago su cui siamo arrivati è il suo, e si chiama Saphira." La dragonessa si spostò appena rivelando Atma, atterrato dietro di lei."Mentre l’altro drago è il mio Atma."
"E’ un onore, Cavaliere. Sei lo stesso Eragon che ha ucciso Galbatorix? Mia figlia si comporta bene?"
"L’onore è mio, madama. Sì, sono quell’Eragon. E sono anche stato qui, tre anni fa circa." Sul volto dei presenti si impresse stupore, misto a paura."Stavo tornando dopo aver ucciso i Ra’zac nel loro covo, e Saphira aveva accompagnato mio cugino, il conte Roran, all’accampamento dei Varden. Io ero rimasto per esplorare il covo, anche se lei non era molto d’accordo." Saphira ringhiò. "Sono rimasto qui una notte, per poi ripartire il mattino dopo prima dell’alba. Per rispondere alla tua ultima domanda, Dana è il mio miglior allievo, si impegna anima e corpo nel suo addestramento, raggiungendo risultati che dopo soli due mesi nemmeno io avevo raggiunto."
"E’ un onore ricevere queste notizie. Quando potrà tornare casa?"
"Alla fine dell’addestramento quando vorrà. Ma dovrà essere sempre disponibile a viaggiare per Alagaesia. Non potrà sposarsi, né penso lo vorrà."
La donna trattenne una smorfia, e leggendole nella mente Eragon avvertì la sua disapprovazione per il fatto che la figlia non potesse sposarsi, dato che ora la madre la considerava un partito ancor più ambito in quanto Cavaliere dei Draghi. Li invitò a passare la notte a casa sua, e i due accettarono. Saphira e Atma restarono fuori, accucciati. La notte passò tranquilla per Eragon, e al mattino, dopo una sontuosa colazione in compagnia di Dana, sua sorella e sua madre, e dopo aver risposto ad altre domande della famiglia, si congedò, e Dana lo imitò. Insieme montarono su Saphira, e, tra le lacrime della madre di Dana e le acclamazioni di gioia degli altri abitanti del villaggio, i due draghi partirono in volo alla volta di Ilirea. Dopo un giorno e mezzo di viaggio, circa a mezzogiorno, giunsero a Ilirea, dove atterrarono nella fortezza reale. Non appena smontarono da Saphira, Jormundur uscì trafelato dal palazzo, e disse: "Eragon, Saphira! Siete veramente voi?"
"Sì. Salve, Jormundur."
"La regina Nasuada vi riceverà immediatamente: ha appena concluso una riunione con il consiglio degli Anziani"
"Regina, maestro?" Chiese sottovoce Dana.
"Certo, regina. Non preoccuparti, è molto gentile ed educata. Sa cosa significa per te essere qui, quindi sono certo che non ti metterà in imbarazzo."
"E’ solo che… Non avrei mai pensato di incontrare la Regina di Alagaesia, colei che è succeduta al trono che fu di Galbatorix e che tu hai liberato."
"E devi ancora conoscere la regina degli elfi" disse Eragon con un sorriso.
"Conoscerò anche lei?" Disse Dana sorpresa.
"Certo. E’ lì che stiamo andando."
"Sarà un onore."
In quel momento dalla porta principale del palazzo uscì Nasuada, circondata dai soliti Falchineri. La regina indossava un vestito lungo fino ai piedi di color mattone, stretto in vita da una cinta di stoffa che metteva in risalto il suo ventre, che iniziava a presentare un leggero rigonfiamento. Quando la regina riconobbe Eragon, gli corse incontro e lo abbracciò, quasi soffocandolo con la sua stretta. "Eragon." disse. Lui si divincolò dall’abbraccio e le disse: "Per servirti."
Senza abbandonare il sorriso che le si era stampato in faccia, Nasuada chiese: "A cosa devo questa visita? Nessuno mi aveva avvertita."
"A niente. Stiamo andando da Arya, e abbiamo fatto una piccola deviazione passando da Orik, e siamo venuti qui. E’ bello rivederti in carne e ossa, dopo due anni."
"Lo stesso vale per me, Eragon. Forse Orik te l’ha già detto, ma quando te ne sei andato sono scoppiate numerose rivolte, che hanno richiesto molto sangue per essere represse."
"Ne sono al corrente, e so anche che non avete chiesto aiuto agli elfi."
"Volevamo provare a contare solo sulle nostre risorse"
"Immaginavo."
"Murtagh ti ha informato anche della mia… situazione?"
"Certo. Ti fa sapere che sarà qui una settimana prima che inizino le doglie e rimarrà qui un altro mese dopo il parto."
"Splendido." Poi i suoi occhi si spostarono verso Dana, e la studiarono con evidente interesse."E la tua compagna, Eragon? Non me la presenti?"
"Certo" disse lui."Nasuada, ti presento Dana. E’ una mia allieva, e il suo drago, Atma, è l’ultimo nato finora, dalle ultime due uova che Dusan ha portato qui."
"E’ un onore, conoscerti, Dana. Io sono, come forse ti ha già detto Eragon, la regina di questo Paese, ma su di te, come sul tuo maestro, non ho alcuna autorità."
"L’onore è mio, maestà. Il mio maestro mi ha parlato molto bene di te."
"Potrei, se non è scortese, chiederti quanti anni hai? Mi sembri molto giovane, anche secondo i canoni umani."
"Ho quattordici anni, maestà."
La regina si rivolse a Eragon. "E’ giovane. Tu quanti anni avevi quando…"
"Soltanto uno e mezzo più di lei."
"Pensavo fossi più vecchio, sai Eragon?"
"A me sembra di essere invecchiato molto, ma in realtà tutto è iniziato soli quattro anni e mezzo fa."
"Già, sembra un’eternità… Permettetemi, Eragon e Dana, di invitarvi a pranzo."
"Volentieri."
Pranzarono all’aperto, nel giardino del palazzo. Durante il pranzo la Nasuada chiese a Eragon come procedevano i nuovi Cavalieri, e per contro raccontò al Cavaliere e all’allieva gli avvenimenti degli ultimi due anni , compreso il suo fallimento nell’istituire l’ordine dei maghi, di cui accusò Eragon. Il Cavaliere si difese dicendo che non avrebbe mai potuto guidarlo, poiché non si trovava d’accordo coi suoi stessi principi. Nasuada lasciò correre, anche se Eragon intravvide una scintilla di rabbia nei suoi occhi. Alla fine del pranzo, la regina si congedò per i suoi impegni,  e Cavaliere e allieva continuarono l’addestramento. Mentre si faceva sera, un ragazzo di circa diciassette anni si presentò da Eragon, che stava duellando contro Dana – l’allieva usava una spada presa in prestito, e portava anche uno scudo – dicendo che la regina aveva assegnato loro due stanze, e lui aveva il compito di guidarli ai loro alloggi. Eragon gli chiese di aspettare fino alla fine del duello, che risolse in pochi minuti a suo favore, disarmando Dana sia della spada che dello scudo con due rapidi fendenti. Seguirono il ragazzo, che si chiamava Jan, fino alle stanze a loro assegnate. Dopo essersi sistemati, Dana e Eragon cenarono nuovamente con Nasuada, che si congedò da loro, dicendo che non avrebbe potuto essere con loro al momento della loro partenza il giorno dopo perché doveva recarsi a Gil’ead per un’udienza col governatore della città Martland Barbarossa, e quindi doveva partire prima dell’alba. Dopo una notte tranquilla, Eragon e Saphira partirono alla volta di Carvahall. Dopo una giornata di volo arrivarono in vista della valle Palancar, e Eragon disse a Dana: "Questo è il posto in cui io e Saphira siamo nati, il posto i cui i primi umani si sono insediati,  e tra poco incroceremo il luogo in cui il mio predecessore a capo dei Cavalieri, Vrael, fu ucciso da Galbatorix a tradimento. Il luogo, un avamposto elfico di nome Edoc’sil, ma dopo la morte di Vrael fu ribattezzato Ristvak’baen, che significa Luogo del Dolore." Concluse la frase proprio nel momento in cui passarono davanti alla torre diroccata. Dana rimase a guardarla, come in trance, volgendo la testa finché il collo glielo permetteva. "E’ un onore per me essere qui, maestro."
Sul far della sera arrivarono in vista di Carvahall, quindi decisero di accamparsi sulla Grande Dorsale, così i draghi poterono andare a caccia, e loro avrebbero potuto trascorrere una giornata intera con Roran, Katrina e Ismira, oltre agli altri abitanti di Carvahall. Eragon accese il fuoco con la magia, e lui e Dana duellarono di nuovo, stavolta con due rami secchi. A Eragon venne una struggente fitta di nostalgia, poiché la situazione gli ricordava il suo viaggio con colui che aveva scoperto essere suo padre, Brom. Nuovamente Eragon batté Dana, ma la ragazza, dal loro primo duello, era migliorata notevolmente. Ora era capace di parare i suoi affondi più lenti, e a volte riusciva anche a contrattaccare. Prima di andare a dormire, Eragon insegnò a Dana le formule di saluto elfico, che avrebbe dovuto usare una volta nella du Weldenvarden. Quella notte trascorse tranquilla, per Eragon più del solito. Una sensazione di felicità lo pervadeva, poiché era tornato nel luogo in cui era nato. Saphira condivideva la sua sensazione. Come non accadeva da tempo, Saphira si distese a fianco di Eragon, gli avvolse il corpo con la coda muscolosa e lo coprì con un’ala. Eragon mormorò e appoggiò la testa sul suo ventre caldo. Si addormentarono così, felici della felicità dell’altro. All’alba Saphira sollevò l’ala e svegliò Eragon, che si schermò gli occhi con la mano sinistra per ripararsi dalla luce del sole nascente. Dana, dall’altra parte della radura in cui si erano accampati, si stava svegliando in quel momento. Salutò il suo maestro e prese a preparare la colazione per entrambi. Dopo aver mangiato a sufficienza, Eragon e Dana montarono su Saphira e partirono alla volta di Carvahall. Eragon si stupì nel vedere com’era cambiata la cittadina in cui era nato. Ora, grazie al titolo nobiliare che Nasuada aveva conferito a Roran e allo scrigno che lui aveva donato al cugino prima di partire, Carvahall era diventata una città fortificata, con tanto di fortezza al centro, dove Eragon immaginava vivesse Roran. I draghi atterrarono nella piazza davanti al castello, tra la folla ammutolita. Quando lo riconobbero, molti abitanti di Carvahall iniziarono a gridare:"Bentornato Eragon!"  Da una via laterale emerse Horst, accompagnato dalla moglie Elain, la piccola Hope e da uno dei figli, Baldor. Il fabbro corse incontro a Eragon e lo abbracciò forte. "Bentornato Eragon! Che io sia dannato se non mi sei mancato in questi due anni, figlio di Brom."All’abbraccio di Horst si aggiunsero quelli di Baldor e Elain, mentre Hope rimase in disparte, non capendo chi fosse quell’individuo. Elain disse: "Non sei cambiato di una virgola in questi due anni, Eragon. Beati voi Cavalieri che non invecchiate mai!"
"Anche voi siete rimasti gli stessi." disse Eragon. "Mi siete mancati." Poi si rivolse a Hope, che si nascondeva dietro la gonna della madre. "Ciao Hope. Io sono Eragon."
La bambina parve sorpresa del fatto che lo straniero conoscesse il suo nome. "Ciao, Eragon. Conosci la mia mamma?"
"Sì, la conosco. Ero con lei quando sei nata."
"Davvero?"
"Sì."
"Allora sei mio amico?"
Eragon sorrise. "Certo che sono tuo amico."
"Evviva!" La bambina corse verso Saphira, che abbassò la testa per permetterle di arrampicarsi sul suo muso, e tirarle i ciuffi di squame che aveva sulla parte alta del muso. In quel momento dal castello emersero Roran  e Katrina, che teneva in bracco Ismira. Appena Roran vide Eragon, gli corse incontro e lo abbracciò, quasi soffocandolo nella sua stretta. Il Cavaliere si divincolò, e vide che Roran aveva le lacrime agli occhi, e come lui Katrina. "E’ tanto che non ci vediamo, fratello."
"Troppo. Devi dirmi tutto ciò che ti è capitato in questi due anni."
Roran sorrise. "E tu lo stesso. Ho l’impressione che tu abbia vissuto molto in questi due anni"
Eragon fece un cenno con la mano a indicare il castello."E tu no?"
"Già, anche io. Non mi presenti la tua accompagnatrice?"
Eragon si voltò verso Dana, che stava osservando la scena impassibile. "Certo, fratello. Lei è il Cavaliere Dana, mia allieva nel luogo che ho scelto per i draghi."
"Benvenuta a Carvahall, Dana. Io sono Roran, il cugino del tuo maestro, nonché governatore di questa valle. Lei è Katrina, mia moglie, e la bambina che tiene in braccio è mia figlia Ismira. Ma ora, venite dentro. Vorrei sapere il perché di questa visita a sorpresa. Un’ultima cosa, Dana. Come si chiama il tuo drago?"
"Atma, signore" Rispose la ragazza.
Roran si rivolse al drago: "Benvenuto anche a te, Atma. Se vuoi cacciare, la Grande Dorsale è piena di branchi di cervi."
"Atma ti fa sapere che è già andato a caccia ieri sera ma che comunque gradisce l’offerta."
"Molto bene. Se volete seguirmi…"
Roran si incamminò nel castello, e i due Cavalieri lo seguirono. Per tutta la mattina parlarono dell’addestramento dei Cavalieri, del castello di Roran, di Dana, che fu felice di rispondere alle domande di Roran in quanto era il primo a prenderla seriamente in considerazione, di come si era sentita quando Atma era nato davanti a lei, e cosa fosse per lei studiare sotto la guida di Eragon. Arrivò l’ora di pranzo, e Katrina entrò nella stanza accompagnata da Ismira. La donna portava in mano due piatti di zuppa di farro, e dietro di lei veniva Elain con altri tre piatti. Katrina e Roran ringraziarono Elain per l’aiuto, e la donna si congedò. Katrina prese posto a fianco al marito e insieme pranzarono. Dopo pranzo, mentre Roran, Katrina e Dana riprendevano a parlare, Eragon notò che Ismira stava giocando con una piccola scultura di legno di un drago, si alzò e si avvicinò alla bambina. "Ciao, zio Eragon."
"Ciao, Ismira. Posso giocare con te?"
"Sì. Guarda, drago vola!" E prese a far volare con la mano il drago di legno. "Bello" disse Eragon. "Se la tua mamma vorrà, dopo ti faccio venire con me sul mio drago, va bene?" La bambina lo abbracciò forte, poi corse dalla madre a chiederle il permesso, che Katrina non esitò a concedere. Eragon prese la bambina con sé, e iniziò a lanciarla delicatamente in aria, come faceva suo zio Garrow con lui quando era piccolo. La bambina gridava di gioia, e iniziò a ridere di una risata così pura e cristallina che un elfo avrebbe faticato a fare di meglio. Roran si voltò a guardarlo e sorrise. Prima che venisse buio, Eragon caricò Ismira sulle sue spalle e la portò fuori, poi la mise sulla sella di Saphira, le legò le gambe con le cinghie per le braccia, infine salì anche lui e Saphira partì. La dragonessa volò in alto, e Ismira iniziò a urlare gioiosamente, agitando le braccia e dicendo: "Più in alto! Più in alto!" Saphira obbediva, e raggiunta l’altezza massima si lanciò in picchiata, con la bambina che diceva: "Veloce, veloce!" Eragon mormorò un incantesimo che impedisse alla bambina di farsi del male. Saphira frenò bruscamente a cento piedi dal suolo, e rimase tranquillamente in aria. "Ti è piaciuto?"
"Ancora! Ancora!>>
<<Saphira è stanca, ora deve riposare."
Rischierebbe troppo, disse Saphira, e Eragon concordò. La dragonessa atterrò, e i due smontarono dal suo dorso. Eragon prese in braccio Ismira e rientrò nel castello, dove Katrina lo aspettava. "Tutto bene?" Chiese.
"Magnificamente."
Si rivolse a Ismira."Ti sei divertita con zio Eragon?"
"Sì. Molto."
"A quanto pare l’hai fatta felice, Eragon. Ti ringrazio."
"E di cosa?"
Quella sera cenarono, e Eragon e Dana si congedarono, poiché sarebbero partiti l’indomani all’alba. Roran, Katrina e Ismira li salutarono, e Katrina e Ismira ringraziarono di nuovo Eragon. Il mattino dopo, Eragon, Dana, Atma e Saphira partirono nuovamente, per l’ultima tappa: la du Weldenvarden. Tre giorni dopo arrivarono alla foresta, e i draghi atterrarono per entrare nella foresta, passando le barriere magiche. Dopo altri due giorni arrivarono a Ellesméra. Saphira puntò verso la rupe di Tel’naeir, senza esitazioni. Man mano che si avvicinavano, Eragon vide Arya seduta su una panchina fuori dal capanno, ma Fìrnen non c’era, probabilmente a caccia. Non appena sentì il rumore delle ali dei due draghi, Arya alzò la testa, probabilmente pensando al ritorno di Fìrnen. Spalancò la bocca e sorrise, quando riconobbe Saphira. La dragonessa atterrò, e Eragon aiutò Dana a scendere, poi scese a sua volta. Dana salutò Arya: "Atra Esternì ono thelduìn, Arya Shur’tugal."
"Atra du evarinya ono varda, Dana-finiarel."
"E’ un onore conoscerti, Arya Drottning. Il mio maestro mi ha parlato molto di te."
"L’onore è mio, Dana-finiarel." Poi gli occhi verdi dell’elfa si posarono su Eragon. "Atra Esternì ono thelduìn, maestro Eragon."
"Atra du evarinya ono varda, Arya Drottning-Shur’tugal."
Era chiaro che l’elfa voleva parlare con Eragon da sola, ma Dana glielo impediva, per cui trascorsero la giornata a parlare di argomenti poco rilevanti, tranne il motivo dell’arrivo di Eragon. Su questo Arya commentò: "Murtagh ha ragione. Fìrnen non è mai stato addestrato, e ignora parecchie cose. Grazie di essere venuto, Eragon."
"E’ un piacere."
Quella sera, Arya accompagnò Dana al palazzo di Tialdarì, e lei e Eragon si congedarono da lei.
"So che mi vuoi dire molte cose, Arya, ma prima c’è una cosa che devo fare."
"E cosa?"
"Vedrai" I due andarono da Runhon, intenta a lavorare a un paio di forbici, e dopo averla salutata Eragon le chiese: "Runhon-elda, ora che Galbatorix è stato sconfitto, vorresti  riprendere a esercitare la tua arte?"
"Non posso, ammazzatiranni."
"Sì che puoi. Posso liberarti dal tuo giuramento."
"Sai che non potrei. Non ho l’acciaioluce che mi serve."
"E' qui ti sbagli, Runohn-elda." Eragon sciolse l’incantesimo e rivelò i tre enormi blocchi di acciaioluce che avevano portato con loro dal castello, trovati da Saphira, Jura e Akor.
Runohn corse verso i massi, e iniziò ad accarezzarli, con dita tremanti.
"E questi sono tre piccoli pezzi di un blocco enorme. C’è tutto ciò che ti serve."
"Allora liberami dal giuramento, Cavaliere, così che io possa  tornare a fare il mio lavoro."
Eragon la liberò dal giuramento, e Runohn, commossa, lo ringraziò. Eragon, Saphira e Arya si congedarono, lasciando i massi di acciaioluce nel giardino della casa del fabbro. "Saphira, Fìrnen è tornato dalla caccia, e ti aspetta alla rupe" Disse Arya. La dragonessa ruggì, dispiegò le ali e partì, felice. Eragon e Arya invece andarono nella dimora del soggiorno del Cavaliere a Ellesméra, e, non appena Eragon chiuse la porta della stanza da letto, Arya gli si gettò al collo, piangendo. Eragon capì che erano le lacrime che tratteneva da tutta la giornata, le lacrime accumulate in due anni di lontananza. L’elfa si staccò, lo guardò negli occhi – I suoi occhi verdi riflettevano quelli di Eragon – e disse: "Sei venuto."
"Sì, sono qui."
L’ elfa sussurrò il vero nome di Eragon, e il Cavaliere sentì il suo essere riverberare dentro di lui.
"Mi hai detto che il tuo nome è cambiato."
"Infatti." L’elfa avvicinò le rabbia all’orecchio di Eragon e sussurrò il suo nuovo nome, questa volta più intriso dei sentimenti per lui e per Fìrnen. Eragon si ritrasse, e disse: "Il tuo nome è migliorato, Arya. Prima sembravi… disinteressata a Fìrnen"
"E a te."
"E a me."
L’elfa, continuando a guardarlo negli occhi, si avvicinò a Eragon, lo abbracciò di nuovo, questa volta più delicatamente, e posò le labbra sulle sue.

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Capitolo 16
*** Nella Foresta ***


Eragon si ritrasse, sorpreso. Senza staccare lo sguardo dagli occhi verdi di Arya, disse "Oh."
Arya gli disse: "Desideravo da lungo tempo di trovarmi sola con te per questo, Eragon. Quando ho iniziato a divinarti pensavo di essere impazzita, di vedere cose che non esistevano. Da quando ci siamo separati, due anni fa, a quando ho iniziato a seguirti, due mesi dopo, avevi avuto un cambiamento così repentino nel carattere che non ti riconoscevo. Da lì ho iniziato a capire, a capire cosa avevo perso. Intendo mantenere tutto ciò che ti ho scritto, Eragon. D’ora in poi, se lo vorrai, sarò sempre con te."
"Apprezzo queste tue parole, Arya. Ma riguardo all’ultima parte… ritengo, per ora, che sia più opportuno che tutto rimanga come è stato finora. Tu per me sei stata una grande distrazione, durante la guerra. Ora ho un compito ancora più importante: addestrare i nuovi Cavalieri. Per cui, almeno finché Dusan non completerà l’addestramento, preferisco che tu rimanga qui a rappresentarmi. Ti amo ancora, Arya, non pensare a questo come a un rifiuto. Ma la stessa saggezza che tu hai visto e voluto in me mi sta facendo prendere queste decisioni dolorose. Un giorno, col tempo, staremo insieme. Ma ora no, non è il momento."
Arya aveva le lacrime agli occhi, ma disse:"Hai ragione, solo che non volevo più aspettare. Avevi il diritto di sapere i miei sentimenti." E lo baciò di nuovo.
"Né avrei voluto aspettare un giorno di più. Ti ringrazio, Arya, per aver dato un senso alle mie speranze."
L’elfa si staccò da lui, e gli disse: "Ti prego però di non dire nulla a nessuno, almeno finché dovrai rimanere alla guida dell’ordine dei Cavalieri. Questo deve rimanere fra me, Saphira e Fìrnen."
"Vel einradhin iet." La mia parola. "Elrun ono."
"Bè, si è fatto tardi, vado a dormire. Che hai intenzione di fare domattina? Addestrerai Dana?"
"Certo. E Saphira addestrerà Atma e Fìrnen."
"Posso assisterti?"
"Ne sarei lieto."
"Allora a domani. Grazie di essere venuto, Eragon."
"Sono venuto perché Fìrnen fosse addestrato. E, in egual misura, per rivederti."
"A domani, Cavaliere." L’elfa chiuse la porta dietro di sé, e Eragon la sentì scendere le scale. Il Cavaliere, ancora scosso per le azioni di Arya, solitamente più riservata e meno incline a queste manifestazioni, si spogliò, si coricò sul suo letto e si addormentò. Era su Saphira, e la dragonessa ruggiva tutta la sua rabbia. Sotto di lui, una grande battaglia infuriava, più grande di quella delle Pianure Ardenti. Sentì dall’alto uno stridio agghiacciante, poi un altro. Poi, a fianco a lui, Iormungr precipitò, con un’ala completamente ustionata. Dalla parte opposta, Heridor fece lo stesso. Eragon guardò in alto, ma il sole oscurava la sua vista. Vide un dardo precipitare verso il suo braccio destro, e contemporaneamente sentì un sibilo profondo. Eragon!
Eragon si svegliò, madido di sudore. Accanto a lui c’era Saphira, che lo guardava con occhi pieni di apprensione. Il Cavaliere capì che era stata lei a chiamarlo. Grazie. Disse.
La dragonessa gli inviò un’immagine di Arya. Così si è fatta avanti eh?
Ha solo esternato i suoi sentimenti.
Cosa che non aveva mai fatto finora. Firnen mi aveva detto che aveva intenzione di fare qualcosa di insolito per la sua razza, ma non immaginavo tutto questo.
E tu con lui?
Ci siamo… divertiti. Disse Saphira con una punta di malizia.
Eragon sbirciò nei suoi ricordi e arrossì. Sei qui da molto?
Un paio d’ore. Dormivo beatamente, ma il tuo incubo mi ha svegliato, e ti vedevo contorcerti nel sonno. Così ti ho svegliato.
Ti ringrazio.
Torna a dormire, ora, piccolo mio. Domani ti aspetta una lunga giornata. Ci sono io con te.
Eragon, confortato, tornò a dormire, e la dragonessa infuse in lui ricordi piacevoli, come il volo con Ismira o i momenti passati con Arya la sera prima. Il mattino dopo, Eragon si svegliò all’alba, cercò Dana con la mente per informarla di recarsi alla rupe di Tel’Naeir, poi si vestì e fece colazione con il cibo portatogli dagli elfi nella notte. Mentre lui faceva colazione, Saphira si stirò come un gatto, poi disse: Fai bella figura con Arya, oggi, mi raccomando. Non cacciarti in qualche guaio con l’addestramento di Dana.
E tu giurami che sarai un’insegnante inflessibile per Firnen come per Jura e Akor.
Lo giuro.
Bene. Sei pronta?
Certo, piccolo mio.
Saphira si accucciò per consentirgli di salire, poi si alzò in volo dalla casa che condividevano, puntando alla rupe di Tel’Naeir. I due arrivarono poco tempo dopo, e trovarono Arya e Fìrnen ad aspettarli. L’elfa lo abbracciò, poi lo salutò. Fìrnen, invece, mordicchiò Saphira sulla coscia sinistra. Una decina di minuti dopo arrivò Dana, vestita con una tunica verde come le foglie in primavera,  in chiaro stile elfico, un paio di stivali nuovi e, pendente al fianco sinistro c’era una spada elfica protetta da un fodero color quercia. A fianco a lei trotterellava Atma. La ragazza scambiò i saluti con Eragon e Arya, e il drago fece lo stesso. Poi Dana ringraziò Ayra dei vestiti e della spada. La regina rispose che non doveva preoccuparsi, che finché sarebbero stati loro ospiti avrebbero ricevuto questo trattamento. "Atma, tu seguirai Saphira e Fìrnen, oggi. Dana, tu rimarrai con me e Arya, per proseguire il tuo addestramento"
"Sì, maestro" Risposero entrambi contemporaneamente, lei con la voce, lui con la mente.
Presero a eseguire la Rimgar, tutti e tre, e Eragon constatò – ma lo sospettava – che l’elfa era infinitamente più flessibile di lui, eseguendo senza alcun problema la maggior parte delle pose del quarto e ultimo livello dell’esercizio. Dana invece aveva ancora problemi col primo, ma era comprensibile, poiché si esercitava da una settimana circa. Dopo la Rimgar Arya accompagnò Dana al ruscello per lavarsi il sudore, e quando le due donne tornarono andò lui. Mentre andava, informò mentalmente Arya del successivo passo dell’addestramento, cioè il combattimento. L’elfa rispose che avrebbero aspettato lui per continuare. Eragon si lavò nel ruscello, come ai tempi del suo addestramento, solo che oggi non c’era Oromis con lui. Dopo essersi lavato, tornò al capanno, dove trovò Dana contratta in una smorfia e Arya che con espressione naturale lo salutò. Subito dopo anche Dana recuperò l’abituale espressione e lo salutò. "Perdonami" disse l’elfa."Volevo solo testare le sue abilità nel combattimento mentale. L’hai addestrata bene, Ebrithil Eragon."
"E’ lei che apprende bene e in fretta. Potrei essere il miglior insegnante di Alagaesia, ma se l’allievo non si applica nello studio gli insegnamenti valgono ben poco."
"Ti ringrazio, maestro."
"Iniziamo con le armi, Dana?"
"Prima vorrei combattere io con te, Eragon"lo interruppe Arya. "Dana potrebbe imparare molto vedendoci combattere. E poi vorrei vedere quanto sei migliorato in questi due anni. Se sei migliorato, ovviamente."
"Certo che sono migliorato, Arya Drottining. Tu, piuttosto, sei migliorata o sei rimasta in ozio per due anni?"
"Non ti resta che scoprirlo, yelid iet." Detto questo, l’elfa sfoderò Tamerlèin, e ne smussò i bordi con il solito incantesimo. Eragon si stupì nel sentire quell’epiteto pronunciato da lei, e si rallegrò che Dana non sapesse ancora l’antica lingua molto bene. Sfoderò Brisingr a sua volta, la smussò e si piazzò a trenta piedi da lei in posizione difensiva. Arya assunse la stessa posizione e i due presero a aggirarsi studiandosi a vicenda. Dopo un minuto Arya lo caricò, lanciando un ringhio felino per distrarlo. Eragon alzò Brisingr a parare l’affondo diretto al petto, ma l’elfa spostò Tamerlèin all’ultimo istante, mirando alla coscia destra. Eragon schivò il colpo spostandosi di lato, e l’elfa superò il punto in cui si trovava prima a una velocità esorbitante. Eragon recuperò l’equilibrio e tentò di colpire Arya, ancora sbilanciata, ma, prima che Brisingr arrivasse sul braccio teso dell’elfa, lei lo ritrasse e sferrò un colpo sul lato piatto della lama azzurra, con l’intendo di fargli perdere la presa sulla spada. Eragon non si fece sorprendere, ma spostò la lama verso il braccio scoperto di Arya, che di nuovo scartò di lato e si allontanò da lui. Continuarono così per mezz’ora, poi entrambi riuscirono, contemporaneamente, a superare la guardia dell’altro e puntare le spade alle rispettive gole. "Siamo entrambi morti" rise Arya.
"Già. Sei migliorata, Arya Drotting."
"Non quanto te. Chi ti ha addestrato?"
"Gli ho giurato di non dirlo a nessuno, ma se verrai con me quando sarà il momento potrai conoscerlo. Ne rimarresti… affascinata."
Arya inarcò un sopracciglio. "Davvero?"
"Sì." Poi Eragon si rivolse a Dana. "Con chi preferisci combattere?"
"Se per te non è un problema, vorrei misurarmi con Arya."
"Certo. Dammi la tua spada." Dana gliela porse e lui, dopo averla smussata, gliela restituì.
Le due donne presero a studiarsi, Dana più nervosa del solito. Dopo un breve combattimento durato non più di una decina di minuti, Arya atterrò Dana, che era completamente esausta. Le due combatterono altre due volte, e Dana durò sempre meno. Dopo l’ultimo combattimento, Eragon accompagnò Dana sul ceppo che usava anche lui durante il suo addestramento e le diede le stesse istruzioni che le dava quando si recava nel boschetto vicino al castello. Quando tornò, si sedette a fianco di Arya, che appoggiò la testa sulla sua spalla. Lui le cinse in fianco con la mano destra, posandola sulla gamba destra di lei. Arya gli chiese di raccontarle ciò che gli era accaduto in quei due anni, ma lui fu piuttosto vago a causa del suo giuramento al Primo Cavaliere. Per contro lei gli raccontò una parte degli avvenimenti nella foresta: erano nati tre bambini, ad Ellesméra, e altri sette in tutta la foresta. Tutti da coppie sopravvissute dopo aver partecipato alla guerra.  Quando esaurirono la voglia di parlare, i due rimasero così, felici della rispettiva compagnia, attendendo il ritorno di Dana, che tornò due ore dopo essere andata a meditare, e riferì molte delle cose che vi erano, ma non ancora abbastanza da esaurire le richieste di Eragon e Arya. I tre pranzarono insieme, e al pomeriggio fu la volta delle lezioni di Antica Lingua. Dana stupì Arya per le sue conoscenze, e l’elfa si complimentò con Eragon per l lavoro svolto.  Alla sera, dopo aver accompagnato Atma e Dana al palazzo di Tialdarì, Eragon e Arya cenarono nuovamente insieme, nella casa del Cavaliere. Dopo cena i due si coricarono sul letto i Eragon, Arya con la testa posata sul petto del compagno, e rimasero a contemplare il tramonto. Quando il sole fu tramontato, Arya si alzò e propose: "Vorrei accompagnare Dana a visitare Ellesméra. Che ne pensi? Non può rimanere sempre chiusa nella sua stanza."
"Certo, stavo per proportelo io. Potremmo farle fare visita anche a Runhon, nel frattempo. Ho come la sensazione che necessiterà di una spada molto presto."
"Lo penso anche io." Arya aiutò Eragon ad alzarsi, gli diede un piccolo bacio e si avviò giù dalle scale. Eragon si rivolse a Saphira. E tu? Non vieni?
Certo che vengo. Non posso permettere che tu e Arya vi… lasciate andare in pubblico.
Non lo faremmo mai.
Forse. Ma un po’ di controllo non vi farà male.
Che dici, mi porti giù tu o scendo le scale?
Non hai la forza per fare le scale, pigrone? Dai, andiamo…
Eragon montò su Saphira, che saltò fuori dalla sua entrata e planò delicatamente nella radura sotto la sua casa. Arya arrivò pochi secondi dopo. "Pensavo mi accompagnassi sulle scale, Cavaliere."
"Volevo scambiare due parole con Saphira" Mentì Eragon.
Ah si? E quali? Ridacchiò la dragonessa.
Insieme andarono a prendere Dana al palazzo di Tialdarì, e la ragazza fu entusiasta di andare con loro. Portarono lei e Atma a esplorare Ellesméra, e Dana si sorprese nel vedere l’albero di Menoa, perché non aveva mai visto nulla di così grande, e si sorprese ancora di più nello scoprire che l’albero era vivo e senziente. La visita da Runhon la lasciò scossa. Si era abituata alla cortesia e alla gentilezza degli elfi e trovarne una così burbera l’aveva spiazzata. Circa a mezzanotte la riportarono a casa, e Arya disse:"Domani sera se ti va potremmo proseguire con il giro della città, Cavaliere."
"Mi piacerebbe moltissimo."
"Bene. A domani, Dana-finiarel." Per la prima volta la ragazza capì il significato dell’appellativo.
"A domani, Regina Arya e maestro Eragon."
Eragon accompagnò Arya alla rupe su cui si era addestrato, e le disse: "Oggi hai rischiato, con quello Yelid iet. E se Dana avesse saputo che significava?"
"Potrei giustificarlo dicendo che l’ho detto per turbarti, che in effetti non è molto lontano dalla realtà. Lo penso veramente, ma l’ho detto anche per turbarti, ma non ha funzionato."
"Sono abituato ai tuoi giochetti."
"Lo immaginavo. Buonanotte, Eragon Ammazzatiranni." I due si diedero un bacio di commiato e si separarono.
Passarono circa due mesi, in cui Dana fece enormi progressi, arrivando a lanciare il suo primo incantesimo e riuscendo nella meditazione. Parallelamente Eragon e Arya sfruttavano ogni loro momento libero insieme, separandosi solo per dormire. I due raggiunsero un livello di intimità mai raggiunto prima, ma in pubblico il fatto era ancora sconosciuto. L’unica che forse sospettava qualcosa era proprio Dana, per il fatto che i due andavano sempre a prenderla insieme per farle esplorare Ellesméra, e per il fatto che con le sue conoscenze di Antica lingua era arrivata a comprendere il significato di Yelid. Secondo Saphira, anche Atma stava progredendo magnificamente, e l’intento dei due era di ripartire da Ellesméra soltanto dopo che il drago avesse sputato fuoco, e fosse quindi diventato abbastanza grande da portare il suo Cavaliere, e combattere. Firnen invece, forse perché aveva iniziato l’addestramento in età relativamente avanzata, progrediva molto più lentamente, tanto che addirittura Atma era più abile di lui. Saphira era preoccupata, e spesso se ne lamentava con Eragon, che la rassicurava come meglio poteva, dicendole che avrebbe imparato presto. In quel periodo i due una volta ogni due o tre giorni i due volavano insieme, partecipi ognuno delle gioie e delle preoccupazioni dell’altro. Un giorno, mentre Eragon addestrava Dana a controllare i vari elementi – erano alle prese con il fuoco – percepì due presenze sospette avvicinarsi. Si preparò a combattere, sia mentalmente che fisicamente, e avvisò Saphira e Arya, che era andata con lei. Percepì come risposta un ruggito da parte della dragonessa, e l’elfa lo avvisò che sarebbero tornati in caso di pericolo concreto. Non disse nulla a Dana, poiché la ragazza era impegnata a manipolare il colore di un fuoco fatuo blu grande un pugno, e preferì non distrarla. Dai recessi alberati della Du Weldenvarden emerse un gattone peloso, che Eragon faticò un attimo a riconoscere. Pochi passi dietro al gatto avanzava Angela, vestita con una tunica verde come le foglie d’estate e il cappello con le rune incise a cui l’aveva visto lavorare a Ilirea quando si era congedato da Nasuada. Le rune, completate, recitavano Raxacollicofallapatorius. Ovviamente, il gatto al suo fianco era Solembum. Angela si piantò davanti Eragon e gli disse: "Bè? Sei andato da tutti fourché da me? E’ così che si tratta un’amica che oltretutto ti ha salvato la vita un paio di volte? Sarai anche il capo dei Cavalieri, ma sei anche un gran villano!" Dana si voltò, ma Eragon le fece cenno di non muoversi e aspettò con pazienza il termine del sermone con cui l’erborista lo informava di quanto villano fosse, del fatto che aveva dovuto raggiungerlo da Teirm e che era stato un viaggio pieno di insidie, che per fortuna nessun coniglio mannaro l’aveva attaccata e che per poco non si perde nella foresta. Quando finì, Eragon disse: "Hai ragione, Angela. Ho sbagliato a non venirti a trovare, ma non sapevo dove fossi. La prossima volta ti cercherò con la divinazione prima di partire"
"Molto bene." Poi si rivolse a Dana."Tu sei il Cavaliere Dana, vero? Molto piacere, sono Angela, e sono un’erborista. Come ti sembra Ellesméra?"
"E’… un onore, Angela. Ellesméra è… bellissima, la città più bella di Alagaesia. Ma… come sai il mio nome?"
"Basta sapere dove ascoltare. So anche che vieni da Agrod’est, e che il tuo drago si chiama Atma."
Dana spalancò la bocca.
"Eragon, io e te dobbiamo parlare in privato, più tardi."
"Non mancherò."
"Bene. Dana, avanti, mostrami che hai imparato!"
La ragazza guardò Eragon, esitante. Lui le fece un cenno di approvazione, per cui lei si preparò a lanciare la magia. Prima che potesse dire una sola parola, però, Angela mormorò qualcosa e Dana si ritrovò con mani e piedi poggiati a terra, impossibilitata a muoversi. Dana fu stupita dall’attacco della maga, per cui impiegò qualche istante per formulare il controincantesimo. Poi disse: "Itgala du vanyalì sem huildar reimr un kalfya iet." A poco a poco Dana riprese a muoversi, con grande fatica, e poco dopo Angela sciolse l’incantesimo."Ottima difesa, Dana. Complimenti. Hai imparato bene, inoltre conosci la magia da meno di due mesi, per cui sei già ad un ottimo livello. Eragon, ti aspetto davanti all’albero di Menoa stasera. Devo passare a salutare un paio di amici. Arrivederci!" E si allontanò di fretta, seguita da Solembum.
"A… arrivederci." disse Eragon ancora interdetto. Angela lo lasciava sempre così: senza parole. Anche Dana sembrava condividere il suo disagio. "Maestro… chi era quella donna? E come fa a sapere tanto?"
"Vorrei sapere anche io chi è. Il suo nome, o meglio, quello che usa, è Angela, ed è una maga umana vecchia oltre ogni dire.  Sospetto non sia nemmeno umana, ma se glielo chiedessi dopo la risposta sarei più confuso di prima. Vive a Teirm, ed è stata un’ottima alleata nei combattimenti contro l’impero. Buona parte della conquista di Dras-Leona la dobbiamo a lei."
"Ah. E’ sempre stata così… bizzarra?"
"Da quando la conosco. Comunque, ottima scelta di parole. Oltre a te, solo Dusan aveva evitato gli assoluti nel suo primo controincantesimo"
"Gli assoluti?"
"Sì, gli incantesimi che prevedono solo la morte come alternativa al successo. Non avresti mai potuto battere Angela in una battaglia magica e mentale. Probabilmente nemmeno io potrei. O forse sì, con l’aiuto di Saphira. Ma non voglio provare. Probabilmente è la migliore maga di Alagaesia. Le ho visto fare cose che ritenevo impensabili. Ma non divaghiamo. Visto che Angela ha fatto emergere quell’argomento, ora inizieremo a parlare degli incantesimi di difesa. Ma prima, dammi una mano."
Dana arrossì, e porse la mano destra a Eragon, che la prese nella sua e attraverso di essa le passò una quantità di energia sufficiente a farla ristorare completamente. "Ecco. Ora saprai difenderti adeguatamente. Iniziamo…" Dana lo ringraziò e Eragon iniziò a istruirla sugli incantesimi di difesa di ogni genere, da quelli di contromagia a quelli che permettevano di individuare e neutralizzare un veleno, a quelli che fermavano spade, frecce e altre armi. Ogni volta che la ragazza memorizzava un incantesimo, Eragon la attaccava, e lei era costretta a difendersi.
Alla sera, dopo averla accompagnata nei suoi alloggi, Eragon si congedò da lei e andò da Angela. Saphira, Firnen, e Atma avevano deciso di proseguire l’addestramento con lezioni di volo notturno. Andò all’albero di Menoa, dove vide Angela seduta su una radice molto alta con la schiena appoggiata al tronco. Solembum era su uno dei primi rami dell’albero, accucciato a fianco di Maud. "Buonasera, Angela."
"Buonasera, liberatore di Alagaesia"
"Che mi volevi dire di così importante?"
"Nulla, solo fare due chiacchiere su cose che nessuno sa. Tranquillo ho già evocato un incantesimo per impedire a chiunque di origliare. Com’è stato incontrare il tuo omonimo?"
"Direi… inaspettato. Lui e Bid’daum sono i primi Cavalieri, per cui io e Saphira abbiamo imparato molto da loro. Ma… come sapevi che ci eravamo incontrati?"
"Perché quando ho letto il suo futuro ho visto un incontro particolare… e quando ho letto il tuo anche. Perciò non mi sono opposta quando hai detto di lasciare Alagaesia, sebbene sapessi benissimo che in quella direzione non l’avresti lasciata. Ti avrebbe fatto solo bene incontrarlo… e poi speravo di reincontrarti prima o poi. Non volevo che te ne andassi per sempre. Sei un tipo interessante sai?"
"Quindi tu sapevi tutto?"
"Certo. In un certo senso, vi ho fatti incontrare io. Come va con Arya? Sì, so tutto anche di voi due."
Eragon arrossì, imbarazzato. "Doveva rimanere un segreto."
"Tranquillo, non lo saprà nessuno oltre a me. Nemmeno Solembum lo sa. Dovete mantenere un segreto, e io sono la persona giusta. Chi ha più segreti di me? E inoltre l’avevo previsto, ricordi?"
"Hai ragione, ma non avevi detto che non riuscivi a prevedere se sarebbe andata a finire bene o male? Comunque ti sarei grato se non lo dicessi."
"Infatti lei ti ha respinto inizialmente vero? Comunque ti ho già detto che non lo farò mai."
"Bene. Sappi allora che va molto bene. Non potevo sperare di meglio."
"Molto bene. Ora me ne vado, Eragon ammazzaspettri, perché Galbatorix si è suicidato." La donna si alzò e se ne andò, seguita da Solembum e da Maud. Eragon si alzò a sua volta dal tronco di Linnea e si incamminò verso il suo alloggio. All’interno lo aspettava Arya. L’elfa lo baciò e gli disse: "Che voleva Angela, yelid?"
"Parlarmi di una persona che ho conosciuto al castello."
"Ah. E null’altro?" L’elfa sembrava invidiosa.
"Sa tutto di noi due."
Arya spalancò la bocca."Davvero?"
"Sì, ma mi ha assicurato che nessun altro lo saprà finché non lo decideremo noi."
"E’ troppo tardi perché io vada a casa, ora. Posso dormire qui?"
"Certo."
L’elfa lo baciò di nuovo e si preparò per la notte. Dormirono abbracciati, il petto di lei appoggiato sulla schiena di lui, il braccio destro dell’elfa attorno al fianco di Eragon. Il mattino dopo, Eragon si svegliò e si divincolò dalla dolce stretta di Arya, che ancora dormiva. Salutò e svegliò Saphira, che era arrivata quella notte e non aveva nascosto la sua gelosia nelle poche battute che si erano scambiati prima di addormentarsi, e andò a lavarsi nello stanzino. Quando uscì, trovò Arya che si rivestiva. L’elfa disse: "Buongiorno, Yelid iet."
"Buongiorno, glind"
"Ti aspetto fra poco alla rupe con Dana, Atma e Saphira. Io vado a cambiarmi e a lavarmi. A dopo." E uscì dalla casa. Eragon si vestì a sua volta, fece colazione e andò a prendere Dana al palazzo di Tialdarì. Insieme andarono alla rupe di Tel’naeir, dove Arya li aspettava, già lavata e con una tunica diversa. Iniziò così un altro giorno per maestri e allievi.

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Capitolo 17
*** Elessar ***


Passarono quattro mesi in fretta, e Eragon tornò al castello con Dana e Atma, che nel frattempo avevano completato entrambi l’addestramento. Dana fu la prima a beneficiare delle nuove spade prodotte da Runhon, e tornò con al fianco una lama blu zaffiro come Brisingr, ma più sottile e appuntita. La ragazza chiamò la lama Felkr, cielo. Durante il viaggio di ritorno fecero tappa ad Ilirea, dove una maga di nome Alara li aveva informati che per Nasuada era ormai prossimo il parto. Qui Dana si era stupita della sua abilità nella scherma, riuscendo agevolmente a battere il miglior spadaccino del regno in poche battute. Al ritorno di Eragon Murtagh gli fece rapporto sugli avvenimenti degli ultimi mesi, e chiese a Eragon se Korgan e Durok potevano considerare concluso l’addestramento. Eragon approvò, e i due si recarono da Runhon per ricevere le loro spade. Murtagh partì con loro, ma anziché andare nella Foresta si recò a Ilirea, per stare vicino alla madre di suo figlio al momento della nascita di quest’ultimo, e per aiutarla in caso di complicazioni post-parto. Il Cavaliere arrivò a Ilirea quattro giorni dopo essere partito. Appena arrivò fu accolto da Trianna, il capo dei maghi umani, e condotto negli alloggi della regina. Quando arrivò davanti alla porta, sentì un groppo in gola, poi bussò.<> rispose Nasuada da dentro. Quando lo vide, la regina trasalì. <>
"Certo che sono qui, te l’avevo promesso, no?
"disse Murtagh con un sorriso.
"Grazie…La regina gli si avvicinò e gli diede un bacio sulle labbra. Murtagh ricambiò il bacio con passione, e la abbracciò, attento a non stringere troppo per non nuocere al bambino. "Orik e Arya lo sanno?"
"Li ho informati un mese fa…"
"E Orik che ha detto? Sai che mi odia per aver ucciso suo padre vero?"
"Ha detto che le mie scelte sono mie e di nessun altro, e che ti ha perdonato da quando Eragon gli ha detto che avevi ucciso Rothgar sotto l’influenza di Galbatorix"
"Davvero?"
"Sì. Ha anche detto che sarai accolto fra i nani con gli stessi onori di Eragon"
"Ne sono lieto. E tu, come stai? Questo… dono ti sta dando problemi?"
"No. A parte qualche calcio ogni tanto, è il bambino più tranquillo che ci sia."
"Hai già pensato a un nome? Io ci ho pensato a lungo mentre addestravo Amdir, e sinceramente non mi sono venuti in mente nomi adatti. L’unico importante per me è Tornac, che è l’uomo che mi ha insegnato l’uso della spada, e ovviamente Castigo, ma lui non vuole che io dia il suo nome a mio figlio."
Sarebbe ridicolo, gli disse il drago.
Effettivamente… non è un nome molto comune fra gli umani.

"Io invece qualche idea ce l’ho… Vorrei chiamarlo come mio padre, Ajihad, ma non vorrei che tu lo considerassi troppo egoistico. Per cui ho pensato ad alcune alternative. Cosa ne dici di Edwin?"
"No… non so perché, non lo vedo come nome per mio figlio."
"Allora dimmi che ne pensi di Jarsha."
"Come per Edwin. Non lo vedo su mio figlio."
Potrei darvi una mano? Disse Castigo a entrambi. Durante i tuoi studi, Murtagh, hai incontrato una sfilza infinita di nomi. E, per me, ce ne sono di davvero interessanti. Come Edmund, di cui hai letto nei tuo studi sugli Urgali, che fu il primo umano a batterne uno in una gara di lotta, oppure Roman, che depose re Palancar e firmò il trattato che consentiva agli umani di diventare Cavalieri, o Elessar, che gli propose l’accordo.
Qual è l’ultimo che hai detto, Castigo? Gli chiese Nasuada.
L’elfo Elessar, perché?

"Elessar Murtaghson. Che ne dici?"
"Perfetto. Se anche tu sei d’accordo sarà il suo nome."
"Allora così sia."
"Molto bene.Poi nei pensieri di Murtagh giunse un dubbio. "E se fosse femmina?"
"Se fosse femmina la vorrei chiamare Joanna."
"A me va bene."
Dopo aver deciso il nome di loro figlio, i due si sedettero sul letto di Nasuada, e Murtagh prese a accarezzarle il grembo. Appena posò la mano sentì un colpo nel punto preciso in cui l’aveva posata. Contemporaneamente Nasuada si piegò in avanti per il dolore. "Sembra che sia contento di vederti. Non aveva mai scalciato così prima d’ora."
Murtagh avvicinò le labbra al grembo di Nasuada e disse:"Ciao, figlio mio. Sono il tuo papà, Murtagh. Ricordati questa voce, perché la sentirai poche volte, poiché io ci sarò poco nella tua vita. Comunque sono lieto di essere tuo padre." Sentì in debole colpetto in risposta.
Insieme, Murtagh e Nasuada si alzarono e uscirono dalla stanza, per raggiungere il cortile interno del castello, dove Castigo era accucciato. Il drago, quando vide il suo Cavaliere e la sua compagna avvicinarsi, inarcò il collo e avvicinò il muso al ventre della regina, e lo annusò. Poi fece salire Nasuada e Murtagh sul suo dorso, e così rimase, con i due abbracciati sulla schiena, fino a quando Nasuada chiese: 
"Castigo, ci porti a fare un voletto? Non ho mai volato su un drago, a parte quando mi avete rapito, e vorrei provare la sensazione di volare liberamente."
 Volentieri, Rispose il drago.
Insieme si librarono in volo, e si alzarono per contemplare un panorama che il drago rosso e il suo Cavaliere conoscevano fin troppo bene: la città di Ilirea. Era lì che era nato, che era cresciuto e in cui Galbatorix lo aveva reso schiavo, abusando del suo corpo facendolo crescere in maniera innaturale per poter affrontare Saphira, di cui aveva sempre invidiato la libertà, e che aveva spesso considerato una compagna ideale. Non aveva mai provato a corteggiarla, prima perché erano nemici, poi perché Fìrnen gli aveva riferito di essersi accoppiato con lei prima che partisse. Era invidioso del drago verde, ma in fondo non provava rimorso: non avrebbe mai potuto corteggiare la sua ex nemica giurata, né tantomeno sarebbe stato giusto. Sul suo dorso, sentì Murtagh e Nasuada giurarsi amore eterno, poi dispiegò le ali e mantenne una posizione orizzontale. Dopo aver rischiato di ribaltarsi a causa di una turbolenza piuttosto forte, Murtagh gli disse: Vai!
Sicuro, cucciolo? Non avete la sella, Nasuada e tuo figlio potrebbero cadere.
Ho lanciato un incantesimo per impedirlo.
Allora tenetevi forte!
Si lanciò in picchiata, le ali aderenti al corpo, e sentì il vento che gli sferzava la faccia. Chiuse le palpebre interne per proteggere gli occhi, e intanto vedeva il terreno avvicinarsi. Arrivò a circa ottanta piedi dal lastrone di roccia che sovrastava Ilirea, poi riaprì le ali, recuperò la posizione orizzontale e ruggì, eruttando una vampa di fuoco, rischiarando il cielo del tramonto. Dietro di lui, sentì Nasuada scoppiare a ridere, gridando tutto il suo gradimento per l’evoluzione del drago, poi la sentì dire: 
"Non pensavo che fosse così bello cavalcare un drago. Complimenti, Castigo, sei un eccezionale padrone dell’aria."
Grazie, rispose. Poi si rivolse a Murtagh. Volete volare ancora o vi riporto al castello?
No, riportaci al castello, gli disse il suo compagno di vita.
Castigo si diresse verso la fortezza, diversa da quella dove era nato e cresciuto, che era stata distrutta quando Eragon aveva ucciso Galbatorix il distruggi-uova. I bipedi umani l’avevano ricostruita più grande e più colorata di prima. Ai suoi occhi, la parete frontale appariva sgargiante, dato il suo colore rosso, mentre quella laterale, blu, era sbiadita. Atterrò nel prato del cortile interno, si accucciò e fece scendere Nasuada e Murtagh, poi si preparò a trascorrere la notte, appoggiando la testa sulle zampe anteriori.
Nasuada scese da Castigo, facendo attenzione a non urtare troppo forte la pelle coriacea del drago con il ventre in modo da non nuocere al nascituro, poi attese che Murtagh la raggiungesse. Insieme si incamminarono verso il castello, quando vide Farica correrle incontro. Sembrava preoccupata. 
"Mia signora" le disse. "Pensavamo te ne fossi andata, mia signora. Si è diffuso lo sgomento nel castello quando Jormundur non ti aveva trovato. Immaginavo che foste andati insieme, ma lui ha insistito per mandare i falchineri in città a cercarti…"
"Dai il segnale per richiamarli, e poi manda a chiamare Jormundur. Sto bene, Murtagh mi aveva solo fatto fare un giro su Castigo."
"Lo immaginavo, ma Jormundur non ha voluto sentire ragioni…"
"Ora sentirà le mie, di ragioni. Lo aspetto nella sala del trono fra mezz’ora."
"Vado, mia signora." La cameriera fece un inchino e si allontanò in fretta.
"Avresti dovuto avvertire qualcuno" Le disse Murtagh .
"Lo so, ma non volevo perdere tempo. Ne abbiamo poco insieme, noi, e non intendo sprecarne. Poi ultimamente quell’uomo è iperprotettivo, con la scusa del figlio mi ha raddoppiato la sicurezza. Volevo semplicemente passare una giornata con l’uomo che amo… in pace."
"In questo caso hai fatto più che bene."
"Ti ringrazio per la comprensione."
Lei e Murtagh entrarono nel castello, dove decise di farlo dormire con lei nello stesso letto, dato che ormai condividevano la cosa più importante della vita, cioè un figlio. Un figlio che sarebbe nato entro pochi giorni. Murtagh era stato puntuale: nell’ultimo colloquio che avevano avuto allo specchio, le aveva detto che sarebbe venuto da lei un paio di settimane prima del giorno in cui avrebbe dovuto partorire, e così era stato. Lui era lì. E per almeno un mese sarebbe stato completamente suo. Suo e di nessun altro. E per questo era felice. Rimproverò aspramente Jormundur per essere stato troppo apprensivo, e gli disse di iniziare a preoccuparsi solamente quando non l’avesse trovata per più di una notte. Contemporaneamente però lo ringraziò per l’interessamento, e per la preoccupazione mostrata nei suoi confronti. Dopo che l’ufficiale se ne fu andato, lei andò in una delle sale da pranzo del castello, dove cenò con Murtagh. Passò la sera, come al solito, esaminando i dati provenienti dal regno, con le entrate, le spese e i problemi maggiori da parte delle città. Murtagh dal canto suo stette nella loro stanza a leggere una pergamena che si era portato dietro dal castello, e di cui lei ignorava i contenuti. Quando mancava poco a mezzanotte, lo raggiunse nella camera, si spogliò, rimanendo in sottoveste, poi si mise la camicia da notte e si coricò sul letto. Murtagh si voltò, la vide, per cui chiuse la pergamena e la raggiunse e si coricò a fianco a lei. Le diede un bacio delicato. "Che stavi leggendo?"
"Un poema scritto da Eragon"
"Davvero? E quando l’ha scritto? Non ne sapevo nulla"
"Durante il suo addestramento a Ellesméra, per l’Agaetì Blodhren. Mi ha veramente stupito, E’ una storia magnifica. Mi dispiace che tu non potrai leggerla perché è scritta nell’ Antica Lingua, e non è una lingua facile da comprendere."
"Lo so. Chiederò a Vanir di tradurla per me nel nostro alfabeto, così potrò leggerla anche io."
"Buonanotte, amore mio. Sono contento di essere di nuovo qui. Mi sei mancata."
"Anche tu."
Si coricò, e con un soffio spense la candela sul comodino, unica fonte di luce rimasta nella stanza.
Si svegliò in piena notte, senza sapere il perché. Pochi istanti dopo essersi svegliata, sentì un dolore indescrivibile al basso ventre, e sentì di essere bagnata all’interno delle cosce. Gridò per il dolore, poi capì cosa stava succedendo: il momento era giunto. Accanto a lei, Murtagh si svegliò a sua volta, e lei gli disse: 
"Corri a chiamare Farica, nostro figlio ha deciso di nascere ora!" Senza nemmeno vestirsi, Murtagh si alzò e uscì in fretta dalla stanza, mentre lei urlava di nuovo, scossa da una nuova contrazione. Pochi interminabili minuti dopo, il suo uomo tornò con la cameriera, ancora in camicia da notte, ma con in mano una moltitudine di panni asciutti. "Mia signora, sdraiati, o farai del male al bambino!" Nasuada obbedì, poi sentì Farica che le sollevava e le divaricava le gambe, non prima di aver posato uno straccio pulito sotto di lei per impedire al letto di sporcarsi ulteriormente, anche se ormai il danno era stato fatto. Poi la sentì dire: "Mia signora, sta già uscendo, vedo già la testa. Spingi, aiutalo a uscire. Durerà poco, se ti impegni. Forza!"
Nasuada spinse con tutte le sue forze, e sentì il suo respiro mozzarsi, e contemporaneamente il suo cuore battere più forte, e riempirsi di gioia: stava creando una vita. Di nuovo sentì Farica dire: "Ancora uno sforzo, mia signora, ed è fatta!" La regina spinse di nuovo, poi, dopo un tempo che le parve infinito, sentì un vagito fortissimo e poi Farica dire: "Ce l’hai fatta, mia signora! E’ uno splendido maschietto!" Nasuada si abbandonò alla stanchezza, per poi alzare la testa e vedere Farica che le si avvicinava, dopo aver tagliato, con l’aiuto della magia di Murtagh, il cordone ombelicale del neonato, che aveva preso a piangere sonoramente. "Mia signora, mio signore, ecco vostro figlio. Come lo chiamerete? Come il nonno materno, Ajihad?"
"No, Farica," le rispose Murtagh,"si chiamerà Elessar. Abbiamo deciso di comune accordo questo pomeriggio."
"Davvero un bel nome. Elessar Murtaghson, ecco i tuoi genitori." E le porse il fagotto contente il bambino, che si tranquillizzò, una volta fra le braccia della madre. Elessar aveva la pelle color caffelatte, una media esatta tra il colore scuro di Nasuada e la pelle chiara del padre. Aveva gli occhi scuri, e un piccolo ciuffo nero sulla testa. Murtagh avvicinò un dito al viso del neonato e questo lo prese e lo tirò a sé con una forza innata. Era suo figlio.

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Capitolo 18
*** Una nuova vita ***


Passarono la notte coccolando Elessar, che non dava accenno a piangere, segno che era tranquillo. Quando si addormentò anche i due genitori si concessero un meritato riposo, e Nasuada lo posò fra lei e Murtagh, e si addormentò abbracciata al compagno. Al mattino furono svegliati dai vagiti del piccolo, che reclamava il suo pasto. Nasuada, ancora intontita ed esausta per il parto durante la notte, si alzò, aprì le tende della stanza da letto e contemplò il giardino del castello. Era felice: suo figlio era nato, l’uomo che amava era accanto a lei, e nulla avrebbe potuto turbare la quiete che stava vivendo. Prese Elessar in braccio, lo calmò cullandolo dolcemente, poi scoprì un seno e iniziò ad allattarlo, continuando ad ammirare quel meraviglioso giorno. Dopo una decina di minuti sentì due mani cingerle il grembo, e Murtagh, da dietro, la baciò sul collo. "Buongiorno."
"Visto che bella giornata? Sembra che anche il mondo voglia salutare nostro figlio." disse Nasuada.
"Non poteva nascere in un giorno migliore. Tutto va per il verso giusto. Grazie."
"Non ho deciso io di farlo nascere."
"No, ma tu mi hai accettato quando tutti mi credevano un traditore, tu solo hai creduto in me... e ora sei madre di mio figlio.  Quindi... grazie di tutto." Nasuada si girò e baciò Murtagh.
Quando Elessar fu sazio, Nasuada si vestì, con una tunica blu scuro con le maniche lunghe,  cinta in vita da una cintura rossa che Angela aveva tessuto per lei, che recava in glifi dell’antica lingua una parola a lei sconosciuta. Aveva chiesto più volte a Vanir di tradurle la scritta, ma l’ambasciatore si era rifiutato, per ché aveva giurato all’erborista di non rivelarlo. Avrebbe dovuto chiederlo a lei direttamente, ma la donna non si trovava da nessuna parte. Non era neanche nella sua bottega a Teirm. Per un attimo si chiese dove fosse sparita, ma poi decise che era libera di andare dove voleva, e non ci pensò più. Lei e Murtagh andarono nelle cucine e fecero colazione, e ovunque andassero tutti chiedevano di vedere il piccolo principe, e si complimentavano con la coppia per il suo aspetto, dicendo che era il bambino più bello di Alagaesia. La regina andò nella sala del trono, dove si preparò, come tutti i quarti giorni della settimana e con Elessar in braccio, risolvere le dispute minori di Ilirea. Tutti i cittadini che entravano le facevano i complimenti per il figlio, e le auguravano che fosse un degno erede per una regina come lei. Pranzò assieme a Murtagh, poi Elessar piangendo reclamò di nuovo il suo nutrimento, e come quella mattina lo accontentò.  Al pomeriggio doveva incontrare l’ambasciatore Vanir, per avere un rapporto sull’addestramento di Dana, che aveva chiesto ad Arya di riferirle. Aveva come l’impressione che quella ragazza fosse importante, ma non ne sapeva il motivo. L’elfo si presentò in una stanza del castello ornata con delle decorazioni rappresentanti Eragon, Saphira e la battaglia delle Pianure Ardenti. "Buongiorno, maestà"
"Buongiorno, ambasciatore"
L’elfo indicò Elessar. "Questo è tuo figlio Elessar vero?"
"Sì."
"Posso vederlo?"
La regina inclinò il fagotto in cui era avvolto il figlio e lo porse a Vanir, il quale tese la mano destra e recitò: "Atra gulai un ilian tauthr ono."
Nasuada ritrasse Elessar. "Che hai fatto?"
"Tranquilla, mia signora. L’ho solo benedetto. Dovresti imparare l’antica lingua, prima o poi. Ti sarebbe utile."
"Lo penso anche io, ma non ora. Più avanti magari. A proposito di Antica Lingua, proprio non puoi dirmi che c’è scritto qui?"
"Certo. La venerabile mi aveva fatto promettere di rivelarti il significato dei glifi solo una volta visto tuo figlio. All’epoca non pensavo te l’avrei mai rivelato, poiché non sapevo che fossi incinta. Invece aveva ragione."
"Ancora non mi hai detto che c’è scritto."
"C’è scritto Elessar."
Nasuada spalancò la bocca. "Davvero?"
"Lo giuro sul mio casato."
"Ma come sapeva che avrei chiamato così mio figlio, soprattutto quando non avrebbe nemmeno dovuto sapere che ne attendevo uno?"
"Non è la prima volta che sa cose che non dovrebbe. Sapeva della morte di Oromis e Glaedr, perché ha mandato un messaggio alla regina Islanzadì il giorno dopo con le condoglianze al popolo elfico. Nessuno avrebbe dovuto nemmeno sapere della loro esistenza."
"Infatti Eragon mi ha informata solo dopo la loro morte."
"Comunque, immagino tu non mi abbia chiamato solo per sapere il significato di quei glifi."
"Infatti. Volevo avere un rapporto completo sull’addestramento del Cavaliere Dana."
"Ah. La mia regina mi ha permesso solamente di condividere alcune fasi salienti, perché l’addestramento dei Cavalieri è una cosa segreta, come lo è sempre stato." E le riferì dei mesi che la ragazza aveva passato nella Foresta, in cui aveva appreso le arti magiche, della scherma e del combattimento mentale sotto la guida di Eragon e Arya. Quando Nasuada fu soddisfatta delle sue risposte, lo congedò. Era turbata per la rivelazione di Vanir: come faceva quella donna a sapere tutto quello che accadeva in Alagaesia? Ricordava che era arrivata al Farthen Dur pochi giorni prima di Eragon, come se sapesse dell’imminente battaglia, poi a Dras-leona, secondo il rapporto di Eragon e Arya, ha usato una magia apparentemente impossibile. Addirittura Elva non poteva nulla contro di lei. Non poté fare a meno di chiedersi chi fosse, poi decise che era inutile e riprese a godersi la giornata. Stava tornando nella sala del trono, quando in una stanza nel corridoio sentì cantare. Si fermò, attirata dal canto, e Elessar prese a piangere. Lo cullò, ma non accennava a smettere. Eppure non c’era nulla di strano, solo quel canto in quella che capì essere l’antica lingua. Corse a cercare Murtagh, sperando che la misteriosa maga, dato che si trattava di una voce di donna, non smettesse di cantare. Lo trovò nella biblioteca, intento a leggere un libro.
"Buongiorno, amore mio. Mi cercavi?"
"Devi venire subito!" Disse Nasuada preoccupata. "Qualcuno sta usando la magia!"
"Dimmi dove."
"Seguimi" La regina lo condusse alla stanza, dove per fortuna la donna all’interno stava ancora cantando. Murtagh si fermò un momento ad ascoltare, poi disse alcune parole nell’Antica lingua a sua volta, ma la donna non si fermò. Tuttavia, il Cavaliere disse: "Possiamo stare tranquilli, ho usato il nome dell’antica lingua per invalidare qualunque incantesimo stia lanciando ora."
"Grazie. Ma cosa stava facendo?"
"Non lo so. Non è una magia che ho imparato, e se Galbatorix non me l’ha mai insegnata significa che è veramente abominevole."
A quelle parole Nasuada si accigliò. "Non dovremmo scoprire chi è?" In quel momento il canto si spense un una lunga nota bassa.
"Pare che lo scopriremo presto."
Si sentirono alcune parole indistinte dall’interno della stanza, ma pare non fossero troppo felici, poi Trianna uscì come un turbine. Si bloccò quando vide la regina e il suo compagno davanti alla sua porta.
"Cosa stavi facendo?" chiese la regina.
"Cercavo di inventare un incantesimo, ma apparentemente senza successo."
"Se ci riesci vieni a riferirmi."
"Non mancherò, mia signora."
I due si congedarono dalla maga, che rientrò nella sua stanza, e Murtagh riaccompagnò Nasuada nella sala del trono, e si congedò da lei, dicendo che andava a fare un voletto con Castigo.
Murtagh rimase con lei per circa un mese, poi un Cavaliere nano di nome Durok, che cavalcava una dragonessa arancione di nome Jura, giunse a Ilirea con due nuove uova di drago, una dorata e una rossa, e gliene affidò una dicendo che era già passato dagli elfi e che nessuna delle due uova si era schiusa, e che lui sarebbe andato dai nani, mentre Murtagh doveva recarsi da Urgali e umani.
Murtagh si congedò quindi da Nasuada e da Elessar, che appena sentì il padre dire "A presto, figlio mio" scoppiò a piangere. Nasuada lo guardò montare su Castigo, e alzarsi in volo seguendo Jura. Prima di alzarsi in volo, il Cavaliere la guardò per un lungo momento, uno sguardo colmo di dispiacere.
 
Nei mesi successivi, Murtagh non tornò mai, ma la cercò più volte allo specchio magico, riferendole che le due uova si erano schiuse: quella dorata davanti a un umano di nome Hans, che aveva chiamato il drago, una femmina, Ophelia, e a un Urgali, di nome Hursit, che aveva chiamato il drago rosso Kenan. Entrambi erano stati accompagnati da Eragon ad addestrarsi.

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Capitolo 19
*** Vita da Principe ***



9 anni dopo
Elessar si alzò, un nuovo mattino nella sua noiosa vita. Anche quel giorno, come tutti i giorni da tr anni, si apprestava ad andare a noiosissime lezioni su gente morta, come quel Galbatorix che ammirava per essere riuscito a governare Alagaesia per cent’anni, o suo nonno Ajihad, che aveva dato il via alla rivoluzione guidata da sua madre, o la ex-regina degli elfi Islanzadì, perita in quella stessa città nell’ultima battaglia della rivoluzione. Al pomeriggio si divertiva di più: doveva imparare la lingua dei nani con il suo maestro, una nana scorbutica di nome Anuhin, poi la stessa gli dava anche lezioni sulle loro tradizioni e sui loro clan. Lei apparteneva ad un clan chiamato Durgrimst Vrenshrrgn, che significava Lupi da Guerra. Dopo quella lezione, in cui si divertiva a farla irritare fingendo di non sapere nulla per poi uscirsene con tutti i nuovi apprendimenti all’improvviso, lo aspettava il suo momento preferito: la lezione di antica lingua. La sua insegnante, un’elfa che doveva avere dieci anni più di lui e si chiamava Melime, era arrivata assieme alla prima visita di suo padre, quasi quattro anni prima, era altra come sua madre, ma al contrario di lei aveva i capelli biondissimi, quasi bianchi. Era un’insegnante intransigente, ma ottima, ed era anche una bellissima donna. Ormai parlava fluentemente il linguaggio degli elfi, e con lei non poteva parlare in altro modo. Dopo la lezione di Antica lingua lo attendeva la parte più dura: l’allenamento di scherma. Sapeva che per un principe e futuro re era indispensabile, ma ne avrebbe fatto volentieri a meno. Odiava il suo insegnante, soprattutto per la corazza che indossava, che sospettava portasse anche a letto. Si chiamava Fredric, e la corazza in questione era una corazza di pelle e peli di bue che puzzava più del bue vero e proprio. Inoltre con la spada non ci andava per nulla leggero, tanto che aveva accumulato già più lividi che capelli in testa. Era più di otto mesi che suo padre non si faceva vivo, eppure l’ultima volta aveva detto che erano ormai sei anni che nessun uovo si schiudeva, nemmeno quelli selvatici. Decise che non era ancora compito suo indagare per cui si vestì e scese a fare colazione. Quando aprì la porta della sala da pranzo in cui era solito recarsi, rimase di stucco. Dentro c’era l’ultima persona che si era aspettato di vedere: suo zio Eragon. Anche se non l’aveva mai visto di persona, lo riconosceva perché ogni tanto compariva dietro suo padre nello specchio magico che usavano per comunicare. Il Cavaliere era intento a gustare una fetta di torta ai semi aromatici. "Buongiorno, zio Eragon."
Eragon alzò gli occhi. "Ah, buongiorno, nipote. Dormito bene?"
"Sì grazie. Quando sei arrivato? Mia madre non mi aveva avvertito della tua visita"
"Sono qui solo di passaggio. Nessuno sapeva del mio arrivo. Sono giunto ieri sera, dopo quattro giorni di volo, e sarei dovuto ripartire oggi stesso. Tua madre però mi ha chiesto alcuni consigli, così ho deciso che partirò domani mattina all’alba."
"Posso farti una domanda, zio Eragon?"
"Dimmi pure."
"Io potrò mai diventare Cavaliere come te e papà?"
"Se un drago ti riterrà il compagno ideale e farà schiudere il suo uovo davanti a te, certamente. Sarai addestrato, non da me né da tuo padre per evitare debolezze legate alla parentela, ma dall’elfo Dusan, e poi sarai un Cavaliere."
"E allora perché nessuno mi ha mai portato un uovo di drago?"
"Perché sei troppo giovane ancora. Devi aspettare un altro anno."
"Aspetterò. Voglio diventare un Cavaliere."
"Intanto studia ora, perché se no dovresti studiare dopo. E’ vantaggioso avere allievi già preparati."
"Va bene." Arrivò in quel momento un cameriere con in mano un’altra fetta di torta ai semi  aromatici, che posò davanti al principe, che prese a mangiare di gusto. "Un’ultima domanda."
"Dimmi"
"Hai detto che un drago mi riterrà un compagno ideale e farà schiudere il suo uovo davanti di me. Com’è possibile? Non è vivo, nell’uovo, da quanto ho studiato. E come sa che io sarò un buon compagno?"
"Ti legge nella mente. Devi sapere che un drago è pronto per nascere appena il suo uovo viene deposto, ma attende le condizioni esterne favorevoli per venire alla luce. Se l’uovo è destinato ai Cavalieri, invece, oltre alle condizioni favorevoli attende di essere alla presenza di una persona che il drago stesso ritiene ideale. Da cosa lo capisca non ci è dato saperlo."
"Capisco."
"Ora tua madre mi attende. A presto, Elessar-finiarel."
"Arrivederci, zio Eragon." Il Cavaliere si alzò e uscì dalla stanza lasciandolo a riflettere. Avrebbe fatto di tutto per essere un compagno ideale quando fosse stato il momento di scegliere i nuovi Cavalieri. Si sarebbe impegnato ancora di più nello studio, così, pensava, avrebbe avuto più possibilità di essere scelto. Si avviò con rinnovato entusiasmo alle sue lezioni. Per la prima volta non fece esasperare Anuhin, che si complimentò con lui per il grado di conoscenze raggiunto, arrivando a sostenere un discorso complesso nel ruvido linguaggio dei nani. Alla lezione sulla cultura nanesca scoprì che i nani facevano parte dell’Ordine dei Cavalieri da soli undici anni, e che era stato proprio suo zio Eragon a permettere loro di entrare, come anche agli Urgali. Chiese alla sua insegnante perché, sebbene i nani fossero la razza più antica di Alagaesia, facessero arte dell’Ordine da così poco tempo, e lei gli rispose che era a causa della loro antica rivalità coi draghi. Il loro re, Orik, era fratello adottivo di Eragon, quindi aveva accettato la sua proposta di far entrare anche la sua razza nell’ordine. Molti avevano storto il naso, ma ora si iniziavano a vedere i vantaggi: la razza prosperava, ed erano più ricchi di quanto non lo fossero mai stati. La loro economia non poteva essere più prospera, e ormai nessuno piangeva più le vittime della guerra. Anche con Melime fece del suo meglio, e ora riuscì a sostenere l’intera lezione nel linguaggio nativo dell’elfa, che si complimentò con lui a fine lezione. Ora lo attendeva la lezione più difficile: la scherma. Non che non gli piacesse combattere, ma odiava quella corazza che il suo maestro indossava continuamente. Gli impediva la concentrazione, distraendolo con la puzza. Era impegnato a pensare a come contrastare la puzza di bue bagnato, per cui trasalì quando, ad aspettarlo al campo di addestramento non trovò Fredric ma bensì due draghi, di cui uno visibilmente più grande dell’altro, ma entrambi azzurri come il cielo. Non erano i primi draghi che vedeva, ma l più grande dei due era sicuramente più grande di quello di suo padre. Seduta sulla zampa anteriore sinistra del drago più piccolo c’era una donna. Non era un’elfa, ma non gli sembrava nemmeno umana: aveva i capelli rossi come il fuoco, la pelle bianchissima. Le orecchie leggermente a punta fermavano i capelli cadenti sulla schiena, e sugli zigomi alti comparivano pallide delle lentiggini dello stesso colore dei capelli. Portava una tunica colore dell’erba, e pantaloni di pelle. Stretta alla vita una cintura bianca metteva in risalto i fianchi sottili. Dalla cintura pendeva una spada chiusa in un fodero blu come i due draghi. Sul fodero riconobbe il glifo dell’antica lingua che recitava Felkr, cielo. Elessar la trovò bellissima, e doveva avere poco più del doppio dei suoi anni. Appena lo vide, la donna si alzò e gli disse, con una voce dolce e melodiosa:"Salve, principe Elessar Murtaghson. Io sono Dana, e sono un Cavaliere dei draghi come tuo padre e tuo zio. Lui" e indicò il drago su cui era seduta "si chiama Atma, ed è il drago che ha scelto di unire la sua vita alla mia, e lei>> e indicò l’altro drago <<è Saphira, ed è la compagna del maestro Eragon."
"S-s-salve>> balbettò Elessar. << è un onore conoscervi."
"L’onore è nostro. Siamo qui perché oggi il tuo maestro ha avuto un impegno, e noi siamo qui con Eragon. Tua madre, la regina Nasuada, mi ha chiesto di occuparmi del tuo addestramento di scherma, e così farò."
Quasi non credeva alle parole di Dana. Gli si chiedeva di combattere con una donna! Anche se era un Cavaliere, non aveva alcuna possibilità contro di lui. Non poteva essere più debole di una donna.
Prese una spada di legno da addestramento, e si mise in guardia. Dana estrasse la sua lama, molto sottile e affusolata, e pronunciò a voce bassa alcune parole, poi prese a passare il pollice e l’indice lungo il filo della spada. Quando finì si piazzò e disse: "In guardia!" Elessar la attaccò, correndo al massimo della velocità, e provò un fendente che aveva funzionato anche contro Fredric: una finta bassa al ginocchio per poi spostare all’ultimo la spada sulla spalla opposta, in modo tanto rapido da non dare all’avversario il tempo di reagire. Non ce l’aveva fata Fredric, perché avrebbe dovuto farcela una donna?
Invece Dana levò la spada e boccò l’affondo, con una naturalezza disarmante. Elessar arretrò, attonito. Com’era possibile? Provò una serie di colpi in rapida successione, sicuro che almeno uno sarebbe andato a segno, e invece no, Felkr era sempre lì a bloccare la sua spada. Quando alla fine si trovò esausto, non era mai riuscito a toccare quella donna. Non poté fare a meno di chiedersi come fosse possibile che una donna avesse sviluppato una tale abilità nella scherma, poi lo capì. Doveva essere a causa dell’addestramento dei Cavalieri. Evidentemente tutti i Cavalieri, sia maschi che femmine, erano allo stesso livello di scherma, che era molto più alto di un qualunque spadaccino del regno. Ora Dana lo attaccò: l’affondo fulmineo si abbatté contro la sua spalla sinistra, dove la sua arma non era arrivata in tempo a ripararsi. In poche altre mosse, Flekr si abbatté sulla sua spada e gliela fece cadere di mano, poi scese verso la sua gola, dove si posò. Elessar era sconcertato. Aveva sottovalutato il suo avversario. Non sarebbe più accaduto. Non se voleva essere Cavaliere.

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Capitolo 20
*** Tu non combatterai. ***


Quella sera, Nasuada cenò con Elessar, come al solito, e anche con Eragon e Dana. A quest’ultima chiese i progressi del figlio con la spada, e fu soddisfatta dei progressi del figlio. A nove anni era quasi al livello di uno spadaccino medio del regno, meglio di quanto potesse sperare. Aveva avuto notizie positive anche da Anuhin e da Melime, quindi quel giorno era soddisfatta di lui. Anche il consiglio con Eragon per l’apparente rivolta di alcune città del sud, tra cui Belatona e Feinster, aveva dato buoni frutti, poiché aveva ottenuto l’appoggio del neonato Ordine dei Cavalieri. Una sola cosa la preoccupava: non si sapeva ancora il nome del capo di quella rivolta. Le sue spie non erano mai riuscite a estorcere la minima informazione, oppure non avevano mandato la minima risposta, segno che avevano cessato di vivere. Quella rivolta, oltre a preoccuparla, la irritava: dopo undici anni di pace assoluta, per la prima volta qualcuno si era organizzato e aveva dato vita ad una rivolta seria. Proprio ora che suo figlio stava crescendo avrebbe dovuto lasciarlo per imbracciare le armi alla guida dell’esercito, anche se sperava per poco tempo. Aveva già concordato con Eragon le strategie da utilizzare: prima la mediazione pacifica, poi, in caso di fallimento, i Cavalieri avrebbero superato le mura e aperto le porte all’esercito, e le città sarebbero state punite. Eragon aveva deciso di non portare i Cavalieri a ranghi completi, ma solo lui, Murtagh, Arya, Dana, Dusan e Dazghra. I migliori. I giovani Hursit e Hans dovevano ancora concludere l’addestramento, che sarebbe stato sospeso, mentre Amdir, Korgan e Durok erano stati designati come guardiani del castello, delle uova e degli Eldunarì che non sarebbero andati in battaglia. Si sarebbero mossi entro due settimane: aveva già provveduto anche a mandare un messaggio a Roran, che aveva scelto come suo vice al comando dell’esercito, e aveva ricevuto risposta affermativa. L’esercito si stava già radunando a Dras-Leona, per iniziare la marcia. Lei sarebbe andata con Murtagh al suo arrivo. A dorso di drago avrebbe impiegato due giorni, così da passare tutto il tempo possibile con Elessar. Per tutta la cena evitarono l’argomento, per non turbare Elessar, ma era chiaro che nessuno riusciva a pensare ad altro. Dopo cena diede la buonanotte a suo figlio e andò a letto a sua volta. La sua notte fu funestata da incubi, in cui suo figlio Elessar moriva nella rivolta che raggiungeva Ilirea, oppure provava a combattere e veniva ferito a morte. In ogni sogno perdeva suo figlio, e si svegliava ogni volta più spaventata. Al mattino si svegliò più stanca della sera prima, ma non importava, perché aveva molto da afre quel giorno. Dannazione, perché non c’era Murtagh? Aveva bisogno di confidarsi con qualcuno, qualcuno di cui si poteva fidare sinceramente, qualcuno a cui dedicare i pochi momenti liberi della sua piena giornata. E’ Eragon il capo dei Cavalieri, non io. E più giusto che venga lui. Queste erano state le sue parole allo specchio la settimana prima. Lo aveva odiato, ma poi aveva compreso che aveva ragione. Si lavò, si vestì, poi Farica le raccolse i capelli in un’alta acconciatura che richiese almeno venti minuti di lavoro, e infine uscì e andò a fare colazione. Trovò la sala della cucina vuota: Eragon e Dana erano già partiti alla volta di Ellesméra, per informare Arya. Fece colazione con un piccolo pezzo di formaggio e una pagnotta, poi si avviò nei suoi studi, dove prese a studiare le carte con i prezzi che occorrevano all’esercito di rimettersi in marcia. Per fortuna l’immenso tesoro sottratto a Galbatorix era ancora quasi intatto. Era lì da circa due ore quando sentì bussare. "Avanti!"
Entrò Jarsha, uno dei camerieri del castello. "Mia regina, il conte Roran Fortemartello chiede di vederti."
"E’ qui?" Nasuada era stupita.
"Sì, mia signora. E’ qui con Katrina, Ismira e un accompagnatore di nome Baldor."
"Falli venire qui."
"Si, mia regina." Jarsha girò i tacchi e uscì. Pochi secondi dopo, dalla stessa porta, entrarono le quattro persone annunciate dal cameriere. Roran la colpì più di tutti: Non era più come lo ricordava, un giovane muscoloso, affascinante e con la determinazione negli occhi. O meglio, la determinazione c’era ancora, ma il corpo aveva subito tutti i segni che il tempo aveva lasciato su di lui. Aveva gli occhi più incavati, qualche piccola ruga intorno a essi e le braccia appena meno muscolose di undici anni prima. Katrina sembrava sospesa nel tempo: Gli occhi erano ancora perfetti, i capelli ramati ancora splendidi come li ricordava, la vita sottile, e non una piccola ruga sul viso, immacolato. Ad attirare la sua attenzione però fu Ismira: la bambina si apprestava ad entrare nell’adolescenza, e si vedeva chiaramente da chi aveva preso i suoi tratti principali: le braccia forti del padre, piuttosto muscolose per una ragazza di quell’età, e i capelli ramati della madre. Negli occhi vedeva la stessa determinazione che aveva visto nel Roran dei tempi d’oro. Il conte entrò, e dopo essersi inchinato, disse: "Salve, mia signora. Mi hai detto che hai bisogno di me per comandare un esercito, per cui sono venuto a raccogliere maggiori informazioni."
"Certamente. Ecco la nostra situazione..."
"Aspetta, te ne prego." Indicò Katrina e Ismira."Dove possiamo sistemarci almeno per questa notte? Domani possiamo tornare nella valle Palancar, ma per stanotte abbiamo bisogni di un tetto."
"Certo. All’esterno della stanza troverete Jarsha, colui che vi ha condotti qui. Chiedetegli di mostrarvi i vostri alloggi, vi condurrà in due stanze vicino alla mia e a quella di mio figlio Elessar. Alloggerete lì. E, se per voi non è troppo disturbo,  vi chiederei di rimanere finché Roran non partirà con me per Dras-Leona, in cui l’esercito si sta radunando. Roran, nuove armi ti saranno fornite domani stesso."
"Volentieri, mia signora."
"A dopo, amore mio" disse Katrina, baciandolo sulle labbra.
"Ciao, papà." lo salutò Ismira.
Roran le salutò entrambe, poi disse: 
"Bene, ora puoi ragguagliarmi come vuoi"
"Bene. La nostra situazione è questa: Dauth, Feinster, Belatona e Arughia sono in completa rivolta. Secondo le spie che sono riuscita ad infiltrare, stanno radunando un esercito e intendono, forse, marciare sul regno. In ogni caso penso sia più adatto prenderli alla sprovvista e attaccare le città prima che abbiano il tempo di muoversi. Il nostro esercito si sta già radunando, alla spicciolata, nei dintorni di Dras-Leona, per marciare su Belatona. Io personalmente assumerò il comando di quell’armata, e voglio te come mio secondo. Sei l’unico ex ufficiale dei Varden ancora in grado di combattere, e se hai conservato il tuo acume, sarai molto più utile di almeno cento guerrieri. Ora sai tutto: marcerai al mio fianco, Fortemartello?"
"Puoi contare su di me, mia regina. Non voglio che mia figlia e i miei nipoti crescano in un regno straziato dalla guerra, e nemmeno in un nuovo Impero. A quanto ammontano le loro forze?"
"Non lo sappiamo, purtroppo. Riescono, non so come, a deviare la nostra cristallomanzia, per cui l’esatta entità delle loro forze ci è sconosciuta."
"E le nostre?"
"Disporremo di circa cinquantamila uomini. Basteranno, non credi? E avremo anche sei Cavalieri al nostro fianco."
"Molto bene. Allora, se posso, vorrei darti un consiglio."
"Dimmi pure. Li accetto sempre"
"E’ conveniente, per noi, affrontarli in campo aperto piuttosto che assediare ogni città. Dovremmo quindi cercare un modo per convincerli a scendere in campo subito, e forse ho un piano per farlo."
"Dimmi pure."
Per l’ora e mezza seguente, Roran le illustrò il piano, e Nasuada pensò che non solo il suo acume in battaglia non era diminuito, ma era persino aumentato. Pur conoscendo da pochi minuti la situazione, aveva già elaborato un piano di gran lunga migliore del suo, e se tutto avesse funzionato per il meglio avrebbe risparmiato mesi di guerra e molte vite umane.
"Davvero un ottimo piano, Fortemartello. Vedo che hai conservato tutta la tua abilità tattica. Ho già mandato un messaggio agli Urgali per chieder loro aiuto, e nei prossimi giorni attendo una risposta"
"Se saranno dei nostri sarà ancora più facile."
"Già."
"Grazie, Fortemartello. Ti sei ancora una volta dimostrato un validissimo soldato."
"Sono qui per servirti."
Nasuada pranzò insieme a Roran e alla sua famiglia, oltre ad Elessar. Lui e Ismira presero a litigare quasi subito: a quanto pare non si sopportavano, ma i motivi li ignorava. Nasuada si informò della situazione della valle Palancar, scoprendo con piacere che era una delle valli più ricche dell’impero, e che i loro prodotti erano venduti persino nel Surda. Nel pomeriggio, aiutata da Roran, si occupò di nuovo delle truppe, modificando il numero di spadaccini e di lancieri in base alla nuova tattica. Aumentò gli arcieri, mentre Rorna disegnò una disposizione del campo innovativa da adottare per la battaglia. Quella sera, non sapeva perché, si addormentò più tranquilla. Forse era Roran a infonderle sicurezza.
 
Un grido terrorizzato la svegliò. Guardò all’esterno e vide che era ancora notte. Si alzò di soprassalto, si mise una sopravveste e uscì dalla camera. Un nuovo grido la riscosse, soprattutto per la sua provenienza. La stanza di Elessar. Vide Roran uscire a sua volta dalla sua stanza, con un pugnale in mano. 
"A quanto pare tuo figlio ha visite"
"Vorrei sapere chi è."
"Allora andiamo a scoprirlo."
"Ti seguo."
"Katrina è andata a cercare le guardie."
"Bene."
Roran si avvicinò alla porta della stanza e provò a girare la maniglia, ma era chiusa a chiave. Strano, gli ho vietato di dormire con la porta chiusa, e ho fatto addirittura togliere la chiave perché non lo facesse. Roran allora sferrò un calcio alla porta, che si aprì con uno schianto secco. Entrò, elei lo seguì. Per poco non svenne quando vide la scena all’interno. Elessar aveva le mani legate assieme da una corda, tenuta in mano da una donna alta più del normale, con la pelle senza colore e i capelli sanguigni. Dalle descrizioni di Arya e Eragon, capì di cosa si trattava. I suoi modi di fare e la sua voce glielo confermarono."Oh, salve, regina Nasuada. Noi siamo Urwen. Scusa se ti ho svegliato, ma dovevamo essere sicuri che tu non avessi partecipato alle prossime battaglie, e questa mi sembra la precauzione migliore." disse lo Spettro. Elessar tirava e cercava di divincolarsi, ma Urwen non sembrava accennare reazioni. "Posa subito mio figlio, creatura immonda!" Urwen, in tutta risposta, sferrò uno schiaffo a Elessar, che urlò di nuovo. Roran sembrava impietrito, ma capì che era sotto attacco mentale. "Bene. E’ ora di andare, principino. Slytha." Elessar si accasciò a terra. "Che gli hai fatto?"
"Nulla, dorme. Ma tu non combatterai, Nasuada. Tu non combatterai, altrimenti non rivedrai più tuo figlio."
"Chi sei?"
"Fino a tre anni fa chiamavi questo corpo Trianna, e non ti fidavi di lei, sebbene fosse il tuo più fidato esperto di magia, vero? Ora capirai il tuo errore. Io sono Urwen, Nasuada, e tu non combatterai."
"Morirai. Non stasera, ma morirai."
"Vedremo chi morirà prima. Io o il principino? Ora addio. Roran Fortemartello, ci vediamo a Belatona!"
Detto questo, lo Spettro rise e si lanciò giù dalla finestra. Roran riprese a muoversi, e corse alla finestra dalla quale erano usciti Urwen e Elessar. "Sono scomparsi, mia signora."
"Avrà usato un incantesimo." Disse Nasuada. Avevano rapito suo figlio. Scoppiò a piangere, e nella sua mente riecheggiarono le parole di Urwen: Tu non combatterai.

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