Universi Paralleli.

di Scarlet Jaeger
(/viewuser.php?uid=41304)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nuova vita (Parte 1) ***
Capitolo 2: *** Una nuova vita(Parte 2) ***
Capitolo 3: *** Vita o Morte? (Parte 1) ***
Capitolo 4: *** Vita o Morte? (Parte 2) ***
Capitolo 5: *** Vita o Morte? (Parte 3) ***
Capitolo 6: *** Vita o Morte? (Parte 4) ***



Capitolo 1
*** Una nuova vita (Parte 1) ***


Universi Paralleli-Una nuova vita (Parte 1)



XXI secolo.
Fu un momento, un breve momento nel quale perse la percezione del tempo. Tutto gli sembrò vuoto e nero, nonostante i colori di quell'aula erano ben distinti.
Quando si sentì chiamare, sbattè le palpebre due volte prima di ricordarsi il motivo per il quale era li. Si trovava seduto su una comoda sedia e teneva i gomiti poggiati su una cattedra di legno; sotto di essi era aperto il registro di classe e di fronte a lui, una quindicina di bambini lo stavano guardando preoccupati.
-Maestro Hasgard.-Iniziò una bambina, seduta nel posto davanti alla cattedra.-Tutto bene?-Chiese, preoccupata.
-Si, tutto a posto cara.-Si illuminò in un sorriso, scacciando il passato momento.
Il possente uomo però, si soffermò a guardarla ed un ombra oscurò il suo sguardo. Era come se quella bambina gli ricordasse qualcuno, qualcuno di già conosciuto. Ma chi? E perchè quel pensiero gli era venuto in mente proprio in quel momento?
-Deve finire la spiegazione!-Suggerì il bambino accanto a lei.
Hasgard guardò anche lui, rimanendo quasi a bocca aperta. Guardando entrambi, aveva provato la stessa sensazione. Eppure, aveva sotto gli occhi dozzine di bambini tutti i giorni, nelle sue classi. Magari era solo per il semplice fatto che gli ricordava qualche bambino delle altre sezioni.
Prese un bel respiro e tornò a sorridere.
-Avete ragione!-Dichiarò, facendo tirare un sospiro di sollievo agli alunni che si misero composti per ascoltare, rapiti dalle parole dell'uomo.
-Come dicevo, il cosmo è una parte di voi; Dovete imparare a riconoscere il piccolo universo che vi contraddistingue. Potete farcela, basta credere in voi!-
Disse quella frase, fissando un bambino in particolare, che lo guardava con il sopracciglio alzato.
-Maestro..-Si difese il bimbo, credendolo impazzito.-Stavamo parlando del Sistema Solare.-
L'insegnante lo guardò confuso, ricordandosi solo in quel momento di aver totalmente confuso gli argomenti. Ma che argomento era quello? Non lo sapeva neanche lui, stava parlando quasi a vanvera.
-Scusate, inizio ad avere una certa età!-Sogghignò, facendo sorridere anche i bambini.
-No, se poi è vecchio non insegnerà più e noi come faremo?-Chiese la bambina.
-Oh, stai tranquilla. Il vecchio Hasgard ha ancora anni d'insegnamento davanti a sè.-Le fece l'occhiolino, alzandosi in piedi.
L'altezza dell'uomo sovrastava i piccoli banchi dove erano seduti i bambini di prima elementare mentre la sua stazza poteva mettere in soggezione; nulla di questo accadde però, il suo limpido e gioviale sorriso faceva ricredere tutti.
Spiegando e disegnando sulla lavagna, per far capire agli alunni, girava logorroico per la classe mentre i bambini con lo sguardo o con le teste lo seguivano in ogni angolo immaginando le sue parole, rapiti sempre di più da esse.
Quando succedeva ciò, lui era sempre più soddisfatto del suo insegnamento. Quando, a fine lezione, con le manine alzate ed espressioni curiose volevano porre una domanda, lui rispondeva gentilmente con le sue spiegazioni. Gli volevano tutti bene, sia gli insegnanti, sia gli alunni.
Era contento di quella scelta, anche se volte qualche pensiero strano gli balenava in mente; come se quella realtà non fosse adatta a lui, si sentiva un alieno, in un mondo apparentemente troppo normale. Come quando i suoi occhi si posarono su tre alunni in particolare: la ragazzina curiosa che faceva domande interessanti, il bambino accanto a lei e quello che lo aveva ripreso poco fa. Come se i loro visi, gli facevano ricordare qualcosa accaduto prima, molto tempo prima.



Su una spiaggia Siciliana, un ragazzo era steso sulla sabbia. Indossava comuni bermuda da spiaggia con una cnottiera colorata; gli occhiali da sole calati sugli occhi blu, nonostante la giornata fosse quasi finita, gli davano un'aria sbarazzina da cattivo ragazzo. Nonostante il suo carattere scorbutico però, era un ragazzo con la voglia di vivere e con tanta allegria. Era difficile vederlo triste, nonostante fosse rimasto solo con il suo tutore.
Cercava sempre di differenziarsi dalla massa per quanto poteva, come in quel momento. I ragazzi della sua età, al tramonto, raggiungevano sempre la movida cittadina insieme agli amici per un drink e qualche chiacchera; lui no, preferiva rimanere da solo e pensare. Passava intere giornate sul litorale, facendosi cullare dal vento che alzava ogni tanto piccoli vortici di sabbia e le onde che si infrangevano sul bagnoasciuga rapendo con il loro incanto.
-Manigoldo.-
Una voce, a lui non sconosciuta, gli arrivò alle spalle. L'uomo si sedette accanto a lui, cercando di non far entrare molta sabbia nelle scarpe.
I lunghi capelli grigi erano raccolti in una coda, sotto un cappellino che riparava il suo pallido viso dal sole. Portava degli abiti civili e dei sandali comodi.
-Ti trovo sempre qua, che sia estate, che sia inverno.-Sorrise l'uomo, riservandogli un'occhiata di sfuggita.
Le labbra del ragazzo si aprirono in un sorriso divertito, senza scomporsi più di tanto. Rimase sdraiato, con le mani dietro la nuca per rialzare la testa dalla sabbia.
-Mi piace il mare. Amo tutto della mia terra!-Sogghignò, come se l'uomo non potesse capire il suo stato d'animo.
-Lo vedo, ma non puoi continuare ad oziare così. Hai quasi ventitre anni! Non ti arrabbierai vero, se ti ho trovato un lavoro?-Gli sorrise l'altro, guardandolo in viso.
Manigoldo si alzò di scatto, togliendosi gli occhiali dagli occhi. Raggiunse lo sguardo divertito del suo tutore, che immaginava già la sua reazione.
-Cos'è Sage, non mi vuoi più fra i piedi?-Rise per quella frase, ma dentro di se si sentiva triste solo a pensare che l'uomo volesse liberarsi di lui.
-Ma cosa vai a pensare!-Gli rispose, scioccato.-Vorrei solo che prendessi in mano la tua vita! Ti ho insegnato a vivere quando i tuoi genitori sono venuti a mancare. Ho scelto te fra tutti i bambini in quell'orfanatrofio perchè fra tutti, mi sembravi un ragazzino con la voglia di far vedere quanto valevi. Sul tuo volto non c'era traccia di infelicità, sorridevi nonostante il tuo passato. Come adesso, continui a farti beffe di tutti! Sono vecchio, non potrò mantenerti per sempre.-Sorrise tristemente.-Vorrei che iniziassi a capire come andare avanti ecco...-Sospirò.
-Tranquillo, avevo capito!-
Si alzò stirandosi come se avesse dormito per ore. Il sole oramai in procinto di lasciare il posto alla luna, aveva tinto il paesaggio di un rosso vivo che giocava un bellissimo chiaroscuro di ombre sui loro visi.
-Allora, vecchietto, dov'è questo posto?-Chiese, aiutandolo a rialzarsi dalla sabbia.
-Nell'orfanatrofio della città.-Gli sorrise.
Manigoldo rimase un attimo interdetto da quelle parole. Non seppe dire il perchè la parola "orfanatrofio" lo avesse così turbato. Non si era mai fatto problemi lui, nonostante sapeva benissimo di essere stato preso in custodia da Sage, anni prima. Nonostante quella certezza, tutto ciò che ricordava, erano solo i racconti del suo tutore; lui non ricordava quasi nulla di tutta la sua vita, prima dell'incontro con Sage. Anche quello aveva molte lacune, comunque.
Cercò di non pensarci e concentrarsi solo su alcune domande da porre all'uomo.
-E, cosa dovrei fare li dentro? Non è un lavoro da donne?-Si preoccupò, ma il viso limpido di Sage smentì il tutto.
-Dovrai occuparti della mensa. Far mangiare i bambini. Un compito molto importante, per la crescita di essi.-Spiegò, ma lui rimase con il sopracciglio alzato per tutta la durata della spiegazione.
-E se non mi danno retta, dovrò convincerli presumo!-Un ghigno malefico si disegnò sulle sue labbra.
-In modo rispettabile, ovviamente.-Sorrise l'altro, capendo le intenzioni del ragazzo.
-Dubiti di me?-Proferì, falsamente scioccato.-Così mi offendi!-Sogghignò.
-Assolutamente no, avevo timore per il tuo carattere!-Disse, reggendo il gioco.
-Stai tranquillo, non ti deluderò!-Sorrise, mentre insieme raggiungevano la fermata dell'autobus.




Il lieve bussare alla porta da parte di qualcuno, distolse dalla conversazione che sta avendo al cellulare, un uomo seduto su una comoda sedia girevole dietro una lussuosa scrivania.
La stanza era ben arredata e ogni cosa si trovava al suo posto.
-Avanti...-Proferì l'uomo, con una nota seccata nella voce.-Scusami, devo riattaccare. Penseremo ai dettagli più avanti, buona giornata!-Riattaccò, aspettando di veder entrare la persona che aveva bussato.
-Ambasciatore, devo rettificare gli impegni di questa settimana.-Ricordò l'uomo appena entrato. Era un ometto di bassa statura, abbastanza in ciccia e con espressione sempre allegra.
-Dov'è mio fratello. E' lui che si occupa di questo.-Sbuffò, allungandosi sulla sedia.
-Deuteros non c'è, sig. Aspros; si è dovuto assentrare un attimo e mi ha detto che: per qualsiasi problema avrei dovuto rivolgermi a lei!-
Chiuse gli occhi di getto, aspettandosi un'alzata di voce da parte del suo superiore. Aspettò qualche secondo, ma quelle parole di astio non arrivarono.
-Ti ha detto dov'è andato?-Sospirò.
Riaprì gli occhi di scatto, posandoli in quelli azzurro/verdi di Aspros.
-No signore, è uscito poco fa!-
-Ho capito. -Disse solamente, massaggiandosi le tempie. Il gesto non passò inosservato al sottoposto che lo guardò un po' incredulo. Non era mai stato così transigente sugli affari e neanche sulla poca competenza del fratello, che lo vedeva sempre secondo rispetto a lui.
Deuteros lo adorava come fratello, solo che si vedeva sempre superato dalla sua figura. Secondo tutti Aspros era sulla punta della piramide, e lui veniva sempre dopo. Si sentiva così, etermanente il numero due; una fotocopia del gemello costretto a rimanergli sempre dietro.
Per Aspros invece, non era lo stesso. Certo, approfittava di lui sul lavoro a volte, però gli voleva bene a modo suo. Cercava di farglielo capire, nonostante non fossero poi così uniti. Avevano ventisette anni, e si lasciavano dietro i vari sentimentalismi, decretandosi troppo cresciuti per determinate cose.
-Per favore, parliamone dopo. Ho bisogno di uscire un momento.-Gli disse l'Ambasciatore, prendendo dall'attaccapanni la sua giacca perfettamente stirata.
-Certo..-Rispose solamente, trovandosi solo nella stanza pochi istanti dopo.
Uscì di casa prendendo la sua auto. Quando la mise in moto, alcuni pensieri iniziarono a scorrergli nella mente: come l'utilizzo di quel veicolo. Gli sembrava come se fosse un estraneo in una realtà che lui non conosceva e che si sforzava di imparare, come se lui stesso fosse messo li per una qualche ragione. Non seppe spiegarlo neanche a se stesso; riprese coscienza in poco tempo, ingranando la prima ed uscendo dal parcheggio con un rombo del motore.
Guidò quasi sovrappensiero fino ad un promontorio roccioso. Non seppe dire il perchè fosse diretto proprio in quel luogo, magari ci era solo finito per caso.
Uscì dall'abitacolo, chiudendolo con la sicura, e prese a salire il sentiero roccioso che lo divideva dalla vetta. Man mano che saliva, sentiva l'aria farsi più fresca attraverso la giacca sbottonata dove indossava solo una leggera camicia bianca.
Il terriccio sabbioso gli aveva sporcato le scarpe scure di polvere ma in quel momento sembrava non importargli, come se non fosse la prima volta che sporcava di quel materiale i suoi indumenti. Strano, si disse, non era mai arrivato in quel posto per colpa dei vari impegni, ma sembrava che nonostante tutto gli ricordasse qualcosa. Un vecchio ruolo, o addirittura un vecchio ricordo che non seppe dire veramente se apparteneva o meno a sè.
Arrivato in cima, trovò le rovine del Partenone di Atena devoto al culto di essa. Accarezzò la bianca struttura quasi rapito da quella visione come se in un lontano passato tutto quello aveva a che fare con una ragione.
Camminò ancora sulle rocce e trovò seduto su una di quelle una persona. La leggera brezza smuoveva i suoi lunghi capelli, lasciati sciolti, sbattergli sulla camicia di un colore diverso dalla sua.
-Deuteros.-Lo chiamò, sicuro che fosse lui.
-Aspros!-Si meravigliò, una volta girato verso il suo interlocutore.-Anche tu qua? Perchè?-Chiese.
-Sinceramente, non lo so. Devo esserci arrivato per sbaglio..-Inziò, guardando il cielo sgombro da nuvole.-E tu, come mai sei qua?-
-Ci vengo spesso. In questo luogo, mi sento come a casa. Non ci sono rumori, c'è una strana quiete ed un'aura misteriosa. Ho la senzasione che questo luogo non mi è del tutto sconosciuto. Non saprei, forse vecchi ricordi o forse solo la mia vita precedente..-Sospirò, guardando il profilo del fratello, seduto accanto a lui.
-Sai, forse è vero che i gemelli sono empatici. Sto provando le stesse cose.-Azzardò.
-O forse non è empatia... Semplicemente la verità..-
-Bè, risulta difficile ai giorni nostri, pensare che tutto questo è avvenuto in un passato così tanto lontano.-Sorrise.
-Forse...-
Rimasero in silenzio per qualche istante, assaporando solo il rumore del vento.
-Non hai risposto alla mia domanda. C'è un motivo per il quale raggiungi questo posto?-
-Si, c'è. In quella grande villa mi sento soffocare. Io apprezzo i tuoi sforzi ed il tuo lavoro, come apprezzo il mio e l'aiuto che ti sto dando; tuttavia mi sento solo una tua fotocopia, l'eterno secondo costretto a vivere all'ombra del fratello. E' sempre stato così, Aspros. Non ci sarà mai nulla per me la fuori!-
-Ma cosa dici, è solo una tua idea!-
-No fratello, è la realtà che tutti voi mi state facendo provare..-Proferì.
-Non avevo idea che ti facesse soffrire così tanto. Si è vero, a volte ti ho usato per qualche scopo ma è stato tutto a fin di bene. Mi capisci?-Aspros voltò lo sguardo sul viso del fratello, identico al suo. Era più scuro di carnagione, ma per il resto era veramente uguale a lui. Purtroppo per quel particolare era sempre scansato da tutti. Con il suo carattere poco aperto verso gli altri pensavano a lui come un mostro, mentre lui stesso cercava di farsi volere bene (a modo suo). E' vero, a volte era burbero e scontroso, ma lo faceva per il bene di tutti; era pur sempre un uomo importante e non tollerava fallimenti da nessuno!
-Me ne sono accorto..-Sorrise, rassegnato.
Rimasero così, a guardare il panorama e parlare dei vari problemi che, per il poco tempo di entrambi, non erano mai riusciti a chiarire.





Era oramai notte fonda nella città di Atene. Era una notte limpida e senza nuvole quella, il cui cielo era ornato di brillanti stelle complete di costellazioni. La luna, occupava stabile il cielo, bellissima e piena.
Un uomo, insonne, uscì sulla balconata del suo palazzo con in mano una fumante tazza di tea. Sorseggiava a brevi intervalli quella bevanda bollente sentendola scendere fino allo stomaco. Non faceva freddo comunque, beveva solamente per il gusto di fare qualcosa in quella notte.
Ogni volta che gli succedeva, usciva fuori nella sua sedia a dondolo e si lasciava cullare mentre poneva gli occhi sulla volta celeste. Quella miriade di stelle riusciva sempre a rapirlo,come un grosso dipinto che si ergeva imponente sulle loro teste, ogni notte sempre diverso. Gli piaceva paragonare tutto ciò a qualcosa, così da tenere la mente impegnata.
Quando suo nipote, che viveva con lui, si accorse della sua assenza lo cercò per tutta la casa trovandolo poi all'aria aperta.
Sorrise nel vederlo spensierato, mentre lo osservava dallo stipite della porta.
-Zio Sisifo...Ti divertono le stelle?-Sorrise facendolo strozzare con la bevanda.
-Regulus, non ti ho sentito arrivare. Cosa ci fai ancora sveglio?-Chiese guardando l'ora.
-Veramente mi sono appena svegliato! Sei tu che sei ancora sveglio.-Rispose divertito.
-Hai ragione, non riesco a dormire.-
-Posso farti compagnia?-Chiese, indicando il posto accanto allo zio.
-Certo, vieni pure.-Gli fece spazio per farlo accomodare.
-Sei sempre con il naso all'insù, hai una vera e propria passione per gli astri tu!-Rise.
-Diciamo che mi ci sento atratto!-Sorrise, guardando il nipote divertito.
Era un normalissimo ragazzino di quindici anni. Aveva degli amici e frequentava una scuola pubblica; non gli aveva mai dato problemi e ne era così fiero. Aveva perso i genitori tempo prima e quindi lui, single per scelta, decise di prendersene cura.
Non sapeva per quale motivo non si sentiva attratto da nessuna donna; sentiva che il suo cuore apparteneva ad una persona che non poteva avere, ma per quanto si sforzasse i lineamenti di quella persona non riusciva proprio a ricordarli.
-Sai zio, oggi ho fatto un disegno sovrapensiero. Ero pensieroso, ho acceso il mio I-Pod ed ho iniziato a disegnare. Sinceramente, mi sono accorto di aver disegnato quello che mi sembra un elmo, solo alla conclusione. Non so perchè, ma mi sento così atratto da quel disegno che pensavo di tatuarmelo, se tu mi dai il permesso.-Chiese, un po' imbarazzato.
Sisifo rimase basito da tali parole, con ancora la tazza a mezz'aria. Regulus però, non sembrava come il suo solito divertito; era serio e lo fissava senza batter ciglio.
-Bè, diciamo che sei un po' troppo piccolo per queste cose, non credi?-Cercò di farlo ragionare.
-Si, lo capisco benissimo. Ma ti dico che non è un capriccio, sono serio. Sono disposto anche ad aspettare, se proprio devo. C'è qualcosa in quell'oggetto che, non lo so; come se in qualche modo mi appartenesse o facesse parte di me.-Spiegò.
-Posso vederlo?-Chiese lo zio.
-Si, certo. Lo vado a prendere!-
Si alzò di scatto diretto in camera sua. Torno qualche secondo dopo, con in mano un foglio d'album che porse nelle mani dell'uomo.
Accese la luce del terrazzo e fissò incuriosito il disegno. Era colorato in bianco e nero, con una tecnica chiaroscuro per mettere in risalto le ombre. Era il simbolo del Leone, segno zodiacale di Regulus, con un oggetto che, come descritto dal ragazzo, sembrava proprio un elmo. Era diverso da quelli visti in tv per i soldati o qualche altro rango.
-Lo hai già visto da qualche parte?-Chiese, cercando di capire.
-Che io mi ricordi no, solo che mi sembra di averci avuto a che fare. Non so, è una sesazione strana!-
-Capisco. Fatto sta che sei troppo piccolo ancora, forse per il diploma se ne riparlerà.-Gli sorrise, sperando che capisse.
-Ok. Aspetterò.-Sospirò alzando lo sguardo anch'esso verso il cielo.
-E' una notte magica.-Fece rapito Sisifo.
-Adatta a te. Dillo che lo hai fatto apposta di non voler dormire!-Rise, seguito dallo zio.
Rimasero così, per due ore buone, cercando di riconoscere le costellazioni in cielo alzano le braccia per indicarle.
Si addormentarono quasi all'alba, quando i colori iniziavano a farsi più nitidi e l'aria più calda; l'uno accanto all'altro, serenamente.




Un ragazzo biondo, con indosso una tunica bianca, uscì dal convento dove era solito pregare. Aveva poco più di vent'anni e la sua scelta di diventare un religioso non fu contestata. Lo lasciarono andare per la sua strada visto che la sua decisione non ammetteva repliche.
Molte volte veniva paragonato ad un angelo; era biondo ed i lunghi capelli che gli ricadevano sulla schiena sembravano una distesa di grano sotto i raggi del sole. Gli occhi azzurri erano luminosi e sinceri. La pelle diafana, così pallida, lo rendeva divinamente etereo.
Stava spesso in silenzio, parlando solo se necessario o interpellato. Non aveva molti amici, preferiva restare in meditazione da solo. Usciva solo quando fuori c'erano delle belle giornate come quella.
Il sole era altro in cielo ed illuminava il giardino del convento, colorato da fiori multicolore.
Asmita raggiunse un'aiuola dove erano piantati degli Iris blu; avevano un colore così intenso che sembravano rispecchiare i suoi occhi.
Li osservò per un po', come se non ne avesse mai visto uno e ne assaporò l'odore; voltò in un secondo momento lo guardo anche sugli altri fiori. Era strano, come tutto gli sembrasse così colorato e vistoso. Non riusciva a capire come quel luogo, che aveva sempre avuto sotto il naso, gli risultasse così nuovo e bello. Ogni colore catturava il suo sguardo e la sua attenzione. Ogni particolare lo osservava come se non avesse mai avuto il piacere di guardarlo. Come se fino a quel momento fosse stato cieco verso il panorama.
Era una sensazione molto strana, a cui neanche lui riuscì a trovare una spiegazione; sorrise solamente, accarezzando dolcemente uno dei tre petali di quel fiore azzurro.
Quando sentì dei passi di fronte a lui, alzò il viso per vedere chi fosse. Era un ragazzo di circa la sua età, uno dei pochi con cui raramente parlava; gli rivolse però un sorriso, molto cordiale che l'altro ricambiò.
-E' un po' che ti guardo dall'uscio. Stai osservando questi fiori come se non li avessi mai visti.-Ridacchiò.
-Bè, forse in un certo senso è così. Non mi ci sono mai soffermato più di tanto, durante le mie meditazioni.-Sorrise.
-Sei molto strano, sai?-Gli disse, alzando un sopracciglio.-Osservi il tutto come se fosse una cosa a te nuova.-
-Forse. Quest'oggi mi sembra di vedere il mondo da una prospettiva diversa. E' tutto colorato, tutto ha più un senso. Non so qual'è il motivo che mi fa parlare in questo modo.-Iniziò.-Forse, nella mia vita precendente, dovevo essere stato cieco. E' per questo, credo, che le meraviglie del mondo appaiono così belle ai miei occhi..-Sospirò, lasciando che un'uccellino si posasse sul suo dito.
-Ogni tuo gesto è di pura eleganza.-Il ragazzo con il quale Asmita stava dialogando, si abbassò alla sua altezza per accarezzare il piccolo animaletto.
-Nonostante il mio rifiuto di dialogare con gli altri, cerco sempre di essere gentile con tutti. Che siano uomini, che siano donne, che siano animali che piante. Ognuno di queste cose ha un'anima, esattamente come me; per questo cerco sempre di rispettarla. In nome della religione a cui sono devoto.-Spiegò, lasciando che l'uccellino riprendesse il volo.
-Sei una persona fantastica.-Si complimentò "l'amico".-Porti sempre con te anche il rosario!-Indicò la corona di grani.
Il biondo distolse l'attenzione dai fiori e posò lo sguardo sulla collana. Se la tolse dal collo e la tenne in mano osservando tutti i 108 grani, facendoli passare uno per uno tra le dita.
-Questo, è molto più di un rosario.-Azzardò a dire.
-Come mai?-Chiese l'altro, incuriosito.
-Non lo. Sento che c'è qualcosa che va oltre il vero ed effettivo utilizzo di questa collana; chiamala attrazione, devozione, quello che vuoi. Per quanto ricordo, l'ho sempre avuta. Che strano, ha sempre fatto parte di me e l'ho sempre avuta sotto mano ma: sembra come se fosse la prima volta che ne  osservo il colore.-Sorrise benevolmente.
-Sei un uomo misterioso, forse troppo.-Ricambiò l'altro.-Io torno dentro. Tu cosa fai?-
-Resterò ancora fuori all'aria aperta. Non ho ancora finito di osservare tutti i confini, laggiù, fin dove il mio sguardo riesce ad arrivare.-Disse, guardando verso l'orizzonte.
-D'accordo. A presto!-Lo salutò, rientrando nel convento e lasciandolo solo, accovacciato di fronte alla distesa di Iris blu dove il vento intrecciava i suoi capelli con i petali colorati.
Fine capitolo 1

......

Eccomi qua alla fine di questo primo capitolo *-* Premetto che è la prima volta (a parte "Liceali" dove appaiono alcuni personaggi) che scrivo sul Lost Canvas, quindi spero di essere stata abbastanza coerente. Ho messo la nota OOC per qualsiasi evenienza!
So che ho all'attivo alcune fiction, ma ho passato tutta la notte a pensarci e finchè non l'ho scritta non sono riuscita a stare tranquilla >.<
Iniziamo a dare qualche spiegazione, come il titolo:
Allora, universi paralleli si intende la realtà diversa in cui sono capitati; totalmente diversa dalla loro, visto che sono vissuti nel 1700. Non è un salto nel futuro, solamente una prova come se fossero stati tutti mandati nell'Another Dimension. Non so se sono stata chiara :(
Per gli Iris, ho trovato quei fiori molto belli per colorare il convento visto che si presenta in tanti colori diversi ed ha un significato molto bello (nonchè il fiore che io amo!)
Per il tatuaggio di Regulus invece, ho fatto omaggio al mio ultimo: appunto l'elmo del Leone con il simbolo *-* (ve lo lascio come illustrazione alla fine*-*)
Nel prossimo capitolo, vedremo il resto dei Gold! Ho voluto dividerli per non farlo risultare troppo lungo!
Che dire, spero vi piaccia questa piccola idea ^^
Un bacione a tutti, specialmente alla mia adorata Sagitter No Tania che, come il solito, mi aiuta con le idee *-*
Al prossimo capitolo!

Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Una nuova vita(Parte 2) ***


Universi paralleli 2 Universi Paralleli-Una nuova vita (Parte 2)



XXI secolo. Grecia.
Nell'università di Lingue di Atene, le lezioni erano cominciate da poco. Quella mattina erano tutti presi dalla spiegazione di Francese dell'attuale  professore.
L'unico che non stava seguendo, particolarmente annoiato da quell'incomprensibile lingua, era un ragazzo seduto in seconda fila.
Aveva un gomito poggiato sul bancone e si reggeva il capo con la mano. La frangia di capelli blu scuro gli ricadevano sugli occhi, nascondendogli lo sguardo perso nel vuoto.
Più la spiegazione andava avanti, più il ragazzo sentiva le palpebre sempre più pesanti. Stava quasi per addormentarsi ma ciò non accadde grazie al bussare alla porta da parte di qualcuno, che lo distolse dai suoi pensieri.
Alzò di colpo il capo, voltandolo insieme agli altri verso la porta.
Entrò la segretaria: una volgare donna sempre vestita con abiti succinti e sempre truccata impeccabilmente. Era seguita da un ragazzo dell'età dei presenti. Aveva dei lunghi capelli verdi che gli ricadevano lungo la schiena; gli occhi color smeraldo, nascosti dietro un paio di piccoli occhiali, erano curiosi di fronte all'affollamento dell'aula.
Guardava incuriosito i visi di ogni presente, soffermandosi poi su di uno.
Quando il professore parlò alla classe del nuovo arrivato, Kardia si fece più interessato alla spiegazione ascoltando ogni parola.
-Ragazzi, da oggi avremo un nuovo studente. Viene dalla Francia, si è trasferito da poco nella nostra città. Ancora non parla benissimo la nostra lingua, spero possiate farlo sentire a suo agio.-Disse il professore, ma gli occhi di Kardia continuavano a scrutare il Francese, cercando di capire dove poteva averlo visto. Anche per lui, il suo viso, non era del tutto sconosciuto. O forse c'era solo qualcuno che gli somigliava? Non ne era del tutto sicuro.
Non credeva alle cose lasciate al caso, cercava sempre una spiegazione in tutto ciò che avveniva; come in quel caso.
-Vuoi presentarti?-L'insegnante si rivolse a lui con un sorriso, per farlo sentire il benvenuto, e lui annuì un po' imbarazzato.
Voltò di nuovo lo sguardo sui ragazzi, in particolare sulla persona che aveva notato appena entrato. Anche lui provò la strana sensazione di conoscerlo. Un misto di ricordi che non li appartenevano, si disse. Si, perchè era sicuro di non averlo mai visto, eppure il suo cuore ed il suo cervello erano sicuri di quella sensazione provata all'incrocio del proprio sguardo con il suo. Quegli occhi, blu come il mare, gli avevano provocato un turbine di emozioni.
-Mi chiamo Degel.-Iniziò, arrossendo lievemente, distogliendo lo sguardo da Kardia che invece continuava a guardarlo con occhi inquisitori.-Come ha detto il vostro professore, sono Francese. Non conosco ancora bene la vostra lingua, però sono sicuro che ci verremo incontro. Magari, insegnandovi la mia lingua, voi potreste insegnarmi la vostra.-Sorrise, masticando un Greco non del tutto perfetto.
-Ne sono più che sicuro.-Continuava a sorridergli cordialmente il professore.-Vai pure a sederti dove vuoi.-Indicò la prima fila con la mano.
Degel ringraziò, avanzando verso il posto vuoto di fronte a Kardia. Sentiva il suo sguardo ancora addosso mentre raggiungeva la sua postazione e per quello si sentì un po' imbarazzato ed impacciato. Prima di sedersi, gli lanciò un'occhiata curiosa ed un piccolo e cordiale sorriso di scuse per dovergli dare le spalle. Era un ragazzo gentile e cortese, molto ossequioso per le regole a differenza di Kardia che: prendeva tutto sul gioco e sullo scherzo; era molto impulsivo, non aveva paura di nulla e si buttava nelle cose a capofitto e senza pensarci sopra.
-Benvenuto, Degel.-La voce del ragazzo dietro di lui lo meravigliò. Era gioviale e sincera e per qualche motivo, neanche quella gli risultò del tutto sconosciuta, come se si fosse beato di quel suono per molto tempo in passato o in un qualche momento della sua vita che però, in quel momento, non riusciva proprio a ricordare quale fosse.
-Benvenuto..-Si bloccò, rendendosi conto che non conosceva ancora il suo nome.
-Kardia, piacere.-Gli sorrise, allungando una mano verso di lui.
-Piacere.-Sorrise anche lui, un po' confuso da quel gesto. Mai nessuno, prima d'ora, si era mostrato così amichevole nei suoi confronti. Lui era un ragazzo solitario, che amava isolarsi leggendo libri e studiando per gli esami. Non aveva avuto spazio, per sentimentalismi di ogni genere. Eppure tutto quello in cui aveva sempre creduto, in quel momento, stava cedendo sotto lo sguardo di quello sconosciuto che, con quel sorriso, stava riscaldando in un baleno il suo freddo cuore.
Si voltò di scatto, non sapendo rispondere a quello strano interesse. Aprì sul banco i suoi libri, nonostante il Francese per lui non avesse segreti, e cercò di seguire la lezione per distrarre la mente dai pensieri e per non avere l'impulso di girarsi. Sentiva che gli occhi di Kardia stavano ancora fissando le sue spalle.
Al termine delle lezioni, quando la campanella riportò alla realtà tutti gli studenti, Degel si alzò di scatto riponendo tutto il materiale nella sua cartella. Scese di fretta i pochi gradini che lo dividevano dal piano della classe, cercando di uscire il prima possibile, passando di fronte al professore che però lo bloccò poco prima che uscisse.
-Degel. Kardia. Vorrei che rimaneste un attimo.-Disse, rivolto ai due ragazzi.
Si lanciarono un'occhiata interrogativa, chiedendosi mentalmente cosa poteva volere da loro. Il viso dell'insegnante però, era aperto in un sincero sorriso che preoccupò non poco i due.
-Ho notato, da un po' di tempo a questa parte, che nelle mie lezioni sei sempre distratto. Tra poco avrete l'esame e se non sei preparato in Francese...-Si rivolse a Kardia, bloccando la frase per lasciargli intendere la conclusione.
-Questa lingua non mi entra proprio in testa.-Si lamentò, abbastanza falsamente visto che non era mai attento.
-Me ne sono accorto, per questo motivo volevo interpellare te Degel.-Si rivolse poi all'altro che lo guardò un po' disorientato.-Vorrei che lo aiutassi con la lingua. Lui, potrà aiutarti con il Greco. Che ne dici?-
Il Francese continuava a guardarlo, non sapendo cosa dire. Rivolse anche un'occhiata al compagno di corso, che lo fissava sperando che dicesse di si.
Non per la lingua, ovviamente, ma voleva sapere qualcosa in più su di lui. Voleva capire il perchè di quella strana sensazione che lo aveva accompagnato per tutta la durata della lezione.
-Se per lui va bene.-Dichiarò infine, rivolgendosi a Kardia.
-A me va benissimo!-Rispose il ragazzo prima di venire interpellato dal professore.
Incrociarono di nuovo lo sguardo, questa volta consapevoli. Sentirono però che tutto quello che era successo per caso. Come se il destino li avesse fatti incontrare per qualche ragione, anche se entrambi erano sempre stati all'oscuro della vita dell'altro. Ma allora, perchè i loro volti risultavano così familiari?



Spagna. Madrid.
Nel palasport della città, si svolgevano gli allenamenti di Fioretto da parte degli altleti che avrebbero preso parte alle seguenti Olimpiadi.
C'erano molte persone che svolgevano vari sport, per allenarsi in fronte delle prossime sfide. In particolare, quel giorno, si allenavano gli altleti di Fioretto.
Un ragazzo, seduto su una delle panche, fissava la sua "arma" in modo confuso. Non era certo la prima volta che la usava, ci aveva vinto molte medaglie, però quel giorno c'era qualcosa che non gli tornava. Come se quel corpo estraneo, fosse per lui cosa nuova.
Era pronto per scendere in campo in allenamento, rivestito con tutte le protezioni che richiedeva quello sport, aspettando che il round dei suoi compagni finisse. Spostò l'oggetto da una mano all'altra, incerto di quel poco peso che aveva, provando a lanciare qualche fendente verso un campo vuoto nell'angolo della palestra.
-Ti stai mettendo proprio in gioco, eh El Cid?-
Un suo compagno si tolse l'elmo, scoprendosi il volto divertito. Il ragazzo neanchè si girò a guardarlo, riconoscendo la sua voce.
-Già. Le olimpiadi saranno prossime, voglio essere in forma!-Gli rispose leggermente scocciato per quell'intrusione, poco gradita, da parte dell'"amico".
-Già. Peccato però, che non hai accettato di prendere parte nella gara a squadre.-Continuò, non accorgendosi che non lo stava per niente prendendo in considerazione.
-E allora? Non mi piacciono i giochi di squadra, non avrei scelto il Fioretto altrimenti..-Sbuffò, chiaramente annoiato dal discorso e gli riservò un'occhiataccia, che però non ebbe l'effetto sperato. Il ragazzo continuava a guardarlo con la sua solita aria da presuntuoso.
-Bè certo. O forse perchè non vai d'accordo con nessuno.-Ridacchiò, appoggiandosi comodamente al muro di fronte a lui, che continuava ad ignorarlo.
Rispondeva solamente alle sue domande perchè l'ultima parola, doveva essere sua. Aveva un carattere scontroso, doveva riconoscerlo. Il più delle volte voleva prevalere sugli altri e non accettava le sconfitte. Proprio per quel motivo continuava a dedicare il suo tempo all'allenamento.
Con il fioretto in mano, era una vera scheggia. Giocava d'astuzia, muovendo i 90 centimetri di spada come un vero campione, riuscendo sempre a prevalere sugli altri. La sua mente era vuota e devota a quello sport quando scendeva in campo. C'era solo lui e la sua arma, come se fosse una parte integrante del suo braccio.
-Non mi interessa la comprensione della gente. Mi basta andare d'accordo con l'allenatore.-Cercò di rispondere, sperando di metterlo a tacere. Ma ciò non accadde.
-Ohh, no certo!-Ridacchiò ancora l'altro, più per provocazione che per altro.
-Mi stai dando sui nervi.-Lo ammonì, lanciando un fendente poco distante da lui, per fargli capire che doveva andarsene. Il ragazzò non si impietosì, rimase con le braccia conserte attaccato al muro; sul viso l'espressione maliziosa, che mandò il povero El Cid su tutte le furie, non era per niente cambiata.
-E' la stessa risposta che dai anche alle tue fan?-Rise, mettendosi una mano di fronte alla bocca per non essere sguaiato.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. El Cid lasciò cadere il Fioretto a terra e, voltandosi di scatto, alzò il braccio destro sopra la testa.
-Excalibur!-Gridò, abbassandolo di colpo come se volesse tagliare l'aria di fronte a sè.
Seguirono alcuni istanti di imbarazzante silenzio fra i due. Il primo, che inconsciamente aveva eseguito quello strano gesto, rimase basito da ciò che aveva appena fatto. L'altro lo guardò sgranando gli occhi; era confuso ed impressionato da tutto ciò. Stava per colpirlo con un braccio invece che con la spada. Perchè?
-Tu sei pazzo!-Sospirò, con ancora gli occhi sbarrati dalla sorpresa.
-Io, non so cosa mi sia preso!-
El Cid osservò attentamente la sua mano come se ci fosse scritto sopra il perchè di quello strano comportamento. Non riusciva a capacitarsene nonostante le tante domande che in pochi secondi si era mentalmente posto.
Excalibur, pensò, era una spada vera, ben lontana dal somigliare ad un Fioretto. Perchè allora quel gesto? Perchè liberarsi dell'"arma", per colpire con il braccio?
Senza dare altre spiegazione,raccolse l'oggetto da terra e corse in bagno. Con un getto di acqua gelata cercò di riprendere un contegno, ma la sua immagine riflessa nello specchio lo inquietò, come se fosse solamente un fantasma rinchiuso in quel corpo.



Amsterdam, Paesi Bassi.
Il figlio di un ricco imprenditore, Albafica, stava passeggiando nel giardino della sua villa. Era abbastanza vasto e ben coltivato con rose rosse, bianche e nere che sfoggiavano i loro petali in mezzo al verde. Era lui che le coltivava, portandosi dietro quella passione da quando era nato, tramandata dalla madre. Purtroppo i genitori erano troppo impegnati per farlo quindi, lasciarono che fosse lui a mantere perfetto quel luogo.
Ovviamente c'erano anche i servitori ad occuparsi della casa ma lui fu abbastanza perentorio su ciò.
Passava pomeriggi interi nel suo giardino, sistemando i petali rovinati ed accarezzando quelli sani, come quel giorno.
Si inginocchiò di fronte alle rose rosse, posandoci i polpastrelli come se con quel tocco potesse conversare con loro. Era un bel ragazzo, purtroppo molto solitario. Preferiva condurre il suo percorso scolastico insieme ad un insegnante privato, nonostante i suoi genitori gli permettessero di svolgere delle normali attività in scuole pubbliche.
Erano due persone fantastiche, non lo privavano di nulla e non gli facevano mai mancare niente; era sempre circondato di attenzioni, nonostante non fosse figlio unico. Non si dimenticavano mai di lui e di chiedergli come fosse andata la giornata, nonostante tutti i giorni gli dava sempre la solita risposta.
Lui non era però scorbutico e scontroso, come tutti a palazza pensavano; era solo una persona che stava sulle sue ed i genitori cercavano di non stargli troppo addosso.
Nonostante fosse voluto, amato e considerato da loro, c'era qualcosa che lo inquietava all'interno della villa. La relazione che aveva con loro ed il sentirsi pieno di attenzioni, era qualcosa che non riusciva a spiegare. Era lusingato da tutto ciò, quello si, ma gli sembrava fuori luogo. Aveva l'impressione di avere a che fare con un grosso inganno. Come se quelle persone si stessero sforzando di volergli bene e qualche volta non riteneva neanche possibile il fatto di essere figlio loro. Come se fosse imprigionato in una vita non sua. Per questo cercava di stare meno a contatto con le persone. L'unica con cui andava d'accordo, era la sorellina.
Lei lo faceva sentire sempre amato ed a casa, più degli altri. Forse, era per il suo sorriso benevolo e quelle fossette che gli si creavano sempre sulle guance paffute ogni volta che rideva.
.
-Ciao fratellone!-Gli disse, dopo averlo seguito senza farsi scoprire.
Lui si girò non troppo sorpreso, perchè sapeva che lo stava seguendo.
-Ciao Tanya!-Le riservò un tenero sorriso.-Come mai qua?-Le chiese, ma sapeva già la risposta. Lo fece solamente per renderla partecipe di quel momento. Ci teneva al rapporto con lei, nonostante non fosse poi granchè come compagnia.
-Volevo stare un po' con te, mi piace guardarti in mezzo alle rose!-Gli sorrise apertamente.
-Sono belle, non è vero?-Disse, abbassandosi per inalarne l'odore.
-Si! Sia quelle rosse, sia quelle nere, sia quelle bianche!-Saltellò eccitata la bambina.
-La bellezza ha molti significati e uno di questi, sono sicuro, è proprio la rosa. Non trovi?-Le disse, distogliendo lo sguardo dai petali rossi.
Lei lo guardò con un sopracciglio alzato, non capendo il significato della frase appena detta. Annuì solo per non contraddirlo. Ovviamente lui se ne accorse ma non disse nulla; abbassò lo sguardo di nuovo, divertito.
Lei si inginocchiò accanto a lui per prenderne una ma, non facendo caso alle spine che fioriuscivano dallo stelo, si punse un dito.
-Ahia!-Si lasciò scappare, ritraendo la mano.
Un rivolo di sangue aveva già preso a calarle dalla ferita.
Allarmato, Albafica, si voltò subito verso di lei.
-Oh no! Non dovevi avvicinarti, quelle rose sono velenose! Una sola puntura ed il veleno ti entrerà in circolo nel corpo. Dobbiamo fare presto, svelta, chiamiamo un medico!-
Si alzò di scatto, cercado di trascinarla, ma lei fece peso sulle gambe sottraendosi dalla sretta. Lo osservò basita e scioccata dalla reazione esagerata, tanto che scoppiò a ridere poco dopo per l'espressione allarmata che lui aveva ancora sul volto.
-Ma cosa dici!-Rise.-Le rose non sono velenose! Queste rose, così belle, potrebbero mai fare del male alle persone?-Continuava a ridere e fece rendere conto al ragazzo della reazione esagerata avuta poco prima.
-Bè, non è tutto innocuo ciò che è bello.-Pronunciò.-Ovviamente, le rose di questo giardino lo sono ma..-Bloccò la frase, cercando la motivazione che lo spinse a dire ciò.-Magari, da qualche parte... In un passato...-Disse, alzando gli occhi al cielo.
-Ma cosa dici, le rose hanno solo le spine! E' per quello, che fanno male alle persone! Ma cosa vuoi che sia una puntura?-Sorrise.-Guarda, non sanguina più!-Gli mostrò il dito, che prese fra le sue schioccandoci un lieve bacio.
-Adesso non farà più male!-Le sorrise anche lui.-Vieni, torniamo dentro.-La prese per mano, conducendola insieme a lui verso la villa.
Prima di varcare l'imponente portone d'entrata, Albafica lanciò un ultimo sguardo verso il suo giardino perfetto. Osservò tutti i colori delle sue piante, pensieroso.
"Dolce ma letale, il tocco della rosa di sublime bellezza."
Fine capitolo 2

......

Eccomi qua alla conclusione anche di questo secondo capitolo^^ Abbiamo visto il resto dei Gold *-* Spero di essere stata abbastanza coerente e di aver pensato per loro qualcosa di unico e non banale!
Per quanto riguarda l'ultima frase, ho voluto metterla come omaggio ad Aphrodite (anche se non c'incastra nulla U,U). Mi piace troppo quella frase *-* Spero vi sia piaciuto anche questo capitolo!
Che dire, ringrazio i recensori! Chi ha messo la storia fra le seguite/preferite ed un bacione alla mia Sagitter No Tania!
Al prossimo capitolo!!





 


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Vita o Morte? (Parte 1) ***


Universi Paralleli 3 Universi Paralleli 3-Vita o morte?(Parte 1)


Era una bella giornata quel giorno. Il sole alto nel cielo riscaldava ed illuminava la città di Atene.
Hasgard decise di andare al parco per fare quattro passi, così da poter cogliere le iniziali temperature primaverili.
Uscì di casa subito dopo aver pranzato visto che abitava in una grande casa da solo. Non doveva rendere conto a nessuno, per quello dedicava tutto se stesso all'insegnamento; verso quei bambini che lo facevano sentire vivo ed amato. Nonostante la loro tenera età, gli manifestavano sempre la loro gratitudine ed entusiasmo in qualsiasi cosa che faceva. Di questo si riteneva soddisfatto.
Tre di loro, però, lo avevano colpito nel profondo; continuava a pensare ai loro visi attenti ed alle loro espressioni curiose nelle sue spiegazioni. Nonostante fosse la prima volta che li vedeva, di quello ne era certo, c'era qualcosa di strano in quelle tre creature; come se in qualche modo, ed in qualche occasione, si fossero già conosciuti. Ma forse stava vaneggiando. Questo si disse quando raggiunse una panchina, all'interno del parco, togliendosi dal viso una ciocca di capelli argentei. Si sedette, allargando le braccia sullo schienale, inspirando una boccata d'aria fresca; rimase così, beandosi dei raggi caldi del sole, ascoltando il vociare della vita che stava trascorrendo in quel luogo.
-Guardate, ma quello è il maestro Hasgard!-
La tenera voce di un bambino lo riportò alla realtà. Aprì gli occhi, abituandoli di nuovo alla luce, cercando con lo sguardo chi avesse parlato.
I tre bambini a cui pensava poco fa, arrivarono correndo con un gioviale sorriso sulle labbra.
-Saro! Teneo! E anche tu Selinsa!-Rimase per un momento interdetto da quell'arrivo precipitoso, guardandoli con aria confusa.
I bambini annuirono, accerchiandolo; avevano un sorriso contagioso che non potè rifiutare. Aprì le sue labbra facendo notare i denti bianchissimi.
-Ma guarda che sorpresa, anche voi qui!-
Scompigliò teneramente i capelli di ogniuno, aiutandoli a sedersi accanto a lui. Guardò a giro per vedere se qualuno li stava cercando, ma non notò nessuno.
-Come mai siete soli?-Chiese.
-No, ci sono le nostre mamme, ma stanno chiaccherando insieme poco più in la!-Rispose la bambina indicando tre donne a poca distanza da loro.
-Siamo venuti a salutarla, visto che era da solo!-Continuò il bambino di nome Teneo.
-Che carini, è stato un bel pensiero!-Sorrise Hasgard.
-Maestro, ci racconta una storia?-Chiese di getto Saro, che aveva gli occhi fissi su di lui.
-Una storia eh.-Ridacchiò l'uomo portando il bambino sulle sue ginocchia.-Vediamo, che tipo di storia?-
-Continui la storia del Cosmo che ha accennato in classe!-Si eccitò il bambino.
Il maestro ridacchiò, pensando a cosa poter dire per coinvolgerli.
-La stessa energia che le stelle hanno in loro come conseguenza del Big Ben voi lo avete dentro di voi, dentro il vostro corpo. Siete governati dalla forza delle stelle e la vostra anima racchiude in sè lo stesso potere di un'intera costellazione. I Saint ottengono i loro poteri sovrannaturali grazie all'esplosione che avviene dentro di loro, dell'intero Cosmo racchiuso in un così piccolo spazio. Grazie a questa immensa forza, i Saint possono tutto!*-Spiegò, rapendo e coinvolgendo nelle sue parole i tre bambini che lo guardavano ammaliati da tale racconto.
-Voi mi ricordate così tanto coloro a cui rivolsi queste parole.-Sorrise tristemente, quasi in trance. Ma chi erano veramente quelle persone a cui aveva rivolto queste parole? Quando si sforzava di capirlo, otteneva solamente una forte emicrania.
-I vostri nomi..-Si portò una mano alla tempia e chiuse gli occhi.-Saro, Teneo, Selinsa!-Sospirò, portando indietro la testa per colpa di una fitta al cuore. Si portò l'altra mano all'altezza dell'organo.
Iniziava piano piano a ricordare. Quell'emicrania continuava a mischiare nel suo cervello alcune immagini:
Due bambini, una bambina con una maschera inespressiava sul volto. Le loro urla di spavento ed incitamento verso colui a cui dovevano la loro devozione, oltre ad Athena.
La Cloth lucente, di cui era rivestito, che rispecchiava il viso maligno e divertito dello spectre di fronte a lui.
Una battaglia all'ultimo sangue e poi, il buio.
Poi, si era ritrovato in quel mondo, più di duecento anni dopo; in un mondo a lui totalmente sconosciuto dove aveva ritrovato quelli che, probabilmente, erano le reincarnazioni future dei suoi amati allievi. Li sentiva di nuovo così vicini, così estranei alla guerra. Tutto quello che aveva sempre sognato per loro, si era avverato. Chiuse gli occhi, qusta volta credette per sempre, con un sorriso triste sulle labbra.
Non era ancora pronto, a lasciare quel mondo.
-Benvenuto, giovane Saint!-
La voce calma ed eterea di una donna, arrivò di colpo alle sue orecchie. Si sentiva fluttuante e leggero, in mezzo a quella semi oscurità in cui era catapultato.
-Dove mi trovo!-Chiese, cercando di rimettersi in piedi pur non avendo appoggi.
-Questo è l'oblio, ciò che divide impercettibilmente la vita e la morte.-Spiegò la prima donna.
Di fronte a lui ce n'erano due; la prima era vestita di un candido e lungo vestito bianco, che risaltava nell'oscurità di quel "nulla". L'altra, si mimetizzava più nell'oscurità con la sua tunica scura, che le ricadeva fino ai piedi. In mano reggeva una torcia, unica fonte di luce in quello spazio; tra i capelli invece, aveva un cerchietto dove partivano alcuni spunzoni affilati.
Hasgard osservò il tutto, ingoiando un po' di saliva, continuando a far balenare lo sguardo da una figura all'altra.
-O.oblio?-Balbettò, non capendo nulla di quella situazione.-E voi chi sareste?-
-Si.-Iniziò la donna dal vestito candido.-Io sono Mnemosine, una Titanide. Figlia del cielo Urano e della terra Gea. Sono la personificazione della Memoria.-Concluse, lasciando la parola all'altra.
-Io invece, sono Ecate. Sono una divinità psicopompa, in grado di viaggiare liberamente nei tre mondi: quello degli umani, quello degli Dei e quello dei Morti. Sono colei che accompagna le anime all'aldilà.-
Rimase per un momento interdetto da quelle spiegazioni, continuando a far vagare lo sguardo sulle due figure.
-E, cosa volete da me?-Chiese.
-Ti è stato concesso di vivere la tua seconda vita in questo mondo parallelo: il futuro grazie alla forte devozione in Athena prima di morire. Il suo amorevole cosmo vi ha concesso una seconda possibilità, ma nel momendo in cui avresti ricordato il passato, avresti dovuto compiere una scelta.-Iniziò Mnemosine.
-Una scelta? Che tipo di scelta?-Continuò Hasgard, curioso.
-Se continuare a vivere nel mondo cui sei stato catapultato, oppure morire e lasciarlo per sempre.-Continuò Ecate.
Lui ci pensò un attimo. Quindi, non era del tutto finito. Poteva ancora scegliere?
-E se dovessi scegliere la vita, quale prezzo dovrò pagare?-Chiese, con espressione scettica.
-Un piccolissimo prezzo.-Prese parola Mnemosine.-La tua memoria! Sono colei che ne è la Dea, ed il prezzo per la vita: è la tua memoria della tua vita passata. Non ricorderai più nulla del tuo passato, sarai un uomo normale, con una vita normale. I tuoi ricordi non ti perseguiranno come hanno fatto fin ora, non ricorderai più nulla dei tuoi allievi, se non l'amore che provi per loro come alunni.-Concluse.
Era abbastanza accettabile la proposta, visto che comunque da quando era piombato in quell'universo, rimase senza i suoi ricordi. Si affidava solo al suo sesto senso, quello che gli permise di riconoscere gli animi dei suoi passati allievi in quelli di questi futuri studenti.
-Siamo in attesa della tua decisione!-Disse Ecate, intransigente.
-La mia decisione è presa! Vorrei poter continuare a vivere, continuare ad insegnare. Continuare a stare accanto, anche se incosciamente, ai miei tre allievi.-Concluse con veemenza.
Le due donne si guardarono per un momento, annuendo. Ecate sparì dalla vista di Hasgard, e rimase solamente Mnemosine in posizione eretta di fronte a lui. Avanzò fluttuante, tenendo un braccio disteso nella sua direzione; quando gli fu di fronte, poggiò la fredda mano sulla fronte dell'uomo, che impallidì.
-I tuoi ricordi adesso mi appartengono.-
La voce solenne della donna divenne un eco lontano, mentre uno strano bagliore si faceva padrone dei suoi occhi. Dopo di ciò, di nuovo il buio.
Quando li riaprì, notò che sopra di lui c'era ancora lo splendido sole che ricordava ed i tre bambini che lo fissavano con aria interrogativa.
-Dove eravamo rimasti?-Chiese, sfoggiando un tenero sorriso che conquistò i presenti.
-Ai Saint, ed al Cosmo!-Lo incitò Selinsa.
Lui la guardò scettico, non sicuro che fosse stato proprio quello l'argomento di cui parlavano; ad essere sincero, non ricordava neanche di cosa stava parlando.
-Saint, Cosmo?-Scoppiò a ridere.-Vi va invece un bel gelato?-
Dimenticandosi del resto, i tre bambini saltellarono felici e corsero verso le loro mamme per avvertirle.
Adesso Hasgard, era veramente felice.



Sotto il caldo sole della sua Sicilia, Manigoldo percorreva la strada che lo divideva dalla sua meta: l'orfanatrofio dove avrebbe dovuto lavorare.
In mano teneva le indicazioni stradali scritte da Sage, suo tutore, in modo che potesse trovare facilmente il luogo con i mezzi di trasporto.
Quando arrivò di fronte alla costruzione, si guardò attorno per vedere se era veramente quel modesto edificio la sua meta.
Era provvisto di giardino, dove molti bambini stavano giocando sotto oservazione delle tutrici, e la porta d'ingresso era aperta. Non ci pensò due volte, nonostante la strana sensazione che attanagliava il suo cuore, ad indossare il suo solito sorriso menefreghista e varcare la soglia.
Fu fermato da una delle donne, vestita con un camice bianco ed una coda di cavallo fatta da lunghi capelli biondo cenere.
-Buongiorno, cerca qualcuno?-Gli chiese la donna, fermandolo prima che entrasse nella struttura.
-Non proprio, sono qua per lavoro.-Spiegò il ragazzo.
-Ah, tu devi essere Manigoldo, Sage ci ha parlato di te.-
Il Siciliano alzò gli occhi al cielo, il suo tutore aveva proprio pensato in grande.
-Vieni, ti mostro subito le tue mansioni.-Non perse tempo la donna, conducendolo immediatamente all'interno.
Gli fece fare il giro dell'edificio in tutta la sua grandezza: dalle stanze dei bambini, alla sala adibita alla mensa dove lui avrebbe dovuto lavorare.
Le sue mansioni erano semplici come servire ed aiutare i bambini più piccoli a mangiare; amichevolmente e facendoli sentire a casa. Ce l'avrebbe fatta? Lui stesso era ignorante su certe cose, lui che non aveva mai avuto trattamenti benevoli, a parte quelli dell'uomo che faceva le veci dei suoi genitori, prematuramente scomparsi. Lui stesso era stato cresciuto in un ofranatrofio, a quanto Sage raccontava; si perchè non aveva ricordi dei primi anni della sua vita e, per quanto si sforzava, riusciva ad avevre solo una forte emicrania.
-Tra poco sarà ora di pranzo, mi raccomando, affidiamo a te i bambini!-Gli sorrise la donna, con un sorriso che gli attanagliò lo stomaco; non era sicuro di essere all'altezza del compito. Era sempre stato una persona differente dai ragazzi della sua età. Preferiva la calma alla folla, preferiva rimanere a guardare l'orizzonte, invece che divertirsi come una qualunque persona. Tuttavia, non voleva deludere le aspettative di nessuno, tantomeno di Sage. Aveva accettato l'incarico e lo avrebbe portato avanti; era in sfida con sè stesso, ed a lui piacevano le sfide.
Indossò il suo sorriso migliore e raggiunse la stanza dove, l'addetta, gli avrebbe donato il camice appostito per iniziare le sue mansioni.
Poco dopo, si ritrovò nella stanza con una baraonda di bambini urlanti e scalmanati, seduti ai tavoli, che gridavano e ridevano tra loro.
Cercando di rimanere calmo, iniziò a portare le pietanze ai vari tavoli, sforzandosi di essere gentile.
-Ma non mi piacciono le verdure!-Si lamentò un bambino sbattendo il pugno, con ancora il cucchiaio in mano, sul tavolo. Aveva il viso piegato in un'espressione imbronciata.
-Tu le mangi!-Si girò inviperito con i capelli appiccicati alla fronte, quei pochi che rimanevano fuori dal cappellino bianco che gli avevano affibbiato.
Il bambino sgranò gli occhi, spaventato dal viso truce del ragazzo, ed iniziò a mangiare (controvoglia) il piatto fumante che aveva davanti.
-Ma, ci sono anche le carote!!-Fu una bambina dietro di lui a parlare, ma non si lasciò intenerire dal suo visino angelico; anche a lei mostrò un'espressione divertita e maliziosa.
-Vuoi diventare cieca, piccola?-Ridacchiò e la bambina ingoiò un po' di saliva, sgranando gli occhi.
-Cieca?-Soffiò, spaventata.
Manigoldo annuì, rimanendo con l'espressione beffarda stampata sul viso.
-Non lo sai, le carote fanno bene alla vista!-Spiegò, soddisfatto dell'attenzione che gli riservavano i bambini.
In poco tempo, tutti i presenti erano chini sui piatti e non parlarono fino a che non finirono tutte le pietanze nei piatti. Rimase a guardare la scena con le braccia conserte sul petto, assolutamente soddisfatto di quel primo giorno di lavoro.
Quando due donne entrarono nella stanza, preoccupate dal silenzio, rimasero di stucco guardando scioccate il ragazzo che annuiva con veemenza.
-E' stato facile!-
Finito il turno, Manigoldo uscì dall'orfanatrofio tirando un sospiro di sollievo; non era stata pesante la giornata, ma lo stare rinchiuso per qualche ora dentro quattro mura, gli aveva messo nostalgia dell'aria aperta. Inspirò a pieni polmoni quella brezza calda che sentì dentro in pochissimo tempo. Raggiunse la spiaggia, dove era solito andare, trovandola come il solito semi vuota.
Non si preoccupò di sporcare scarpe e vestiti, continuò ad affondare i piedi nella sabbia calda, fino ad arrivare al bagno asciuga dove, con un gridolino di liberazione, si distese togliendosi le scarpe e lasciando i piedi nudi a mollo.
Era una senzasione benevola, che gli serviva per riprendersi completamente dallo stress della giornata; doveva riconoscere che, nonostante le urla dei bambini e la pesantezza delle ore in piedi, non era stanco per niente.
Continuava a pensare alla struttura, e quella parte di quartiere non del tutto sconosciuta. C'era una parte di lui che continuava a ripetergli che c'era già stato. Degli antichi ricordi che cercavano di riaffiorare nella mente.
Chiuse gli occhi, cercando di scacciare il mal di testa che quei pensieri gli provocavano, respirando corpose boccate d'aria.
Fu in quel momento che immaginò o ricordò, non era ben chiaro, delle scene passate. Riconobbe lui stesso da piccolo, seduto in un angolo di un palazzo crollato. Non era la stessa città di quel periodo, ma era comunque un luogo non del tutto sconosciuto. Indossava una tunica sporca e logora, con il cappuccio calato sugli occhi. Era circondato da piccole fiammelle che, non riuscì a capire come, riconobbe come fuochi fatui; non ne era spaventato, li osservava sorridendo cercando di accarezzarli con i polpastrelli. Un rumore di passi distolse il sè stesso bambino dalle sue attenzioni. Il viso di Sage lo steva guardando inespressivamente.
Dopo, il buio.
Aprì gli occhi di soprassalto, ricordando tutto. Lui era un Gold Saint del Tempio, morto nella battaglia contro Thanathos, uno degli Dei Gemelli.
Disegnò un ghigno soddisfatto, una volta cosciente, osservando il luogo dov'era finito. Era uno spazio in mezzo al nulla perso nella semi oscurità.
Continuo a far balenare lo sguardo a destra e sinistra, riconoscendo di non essere solo. Due donne stavano fluttuando come lui a poca distanza. La prima era vestita con un lungo e candido vestito bianco, la seconda con una tunica scura e portava una torcia in mano.
-Chi siete? Dove mi trovo?-Le aggredì con quelle domande, ma loro non si scomposero neanche un secondo.
Fu la prima donna a rivolgergli parola.
-Benvenuto Manigoldo.-Sentendosi chiamare per nome trasalì per la curiosità più che per lo spavento.-Io sono Mnemosine
, una Titanide. Figlia del cielo Urano e della terra Gea. Sono la personificazione della Memoria.-Concluse, lasciando la parola all'altra, così come fece con Hasgard.
-Io invece, sono Ecate. Sono una divinità psicopompa, in grado di viaggiare liberamente nei tre mondi: quello degli umani, quello degli Dei e quello dei Morti. Sono colei che accompagna le anime all'aldilà.-Spiegò compostamente la donna vestita di nero.
Manigoldo aprì le labbra in un ghigno più pronunciato del primo, leccandosi il labbro superiore.
-Colei che accompagna le anime all'aldilà eh..-Pronunciò, guardando il suo dito indice.-Chissà, magari non sei l'unica..-Puntò lo stesso dito verso le due che sorrisero comprensive della stupidità degli umani.
-Sei colui in grado di separare l'anima dal corpo con il tuo colpo segreto: il Sekishiki Meikaiha. Tuttavia non ti servirà a nulla qui; Siamo nell'oblio, l'attimo che divide la vita dalla morte e noi siamo due Divinità mostrate nella loro divina forma. Non possediamo il corpo mortale.-Spiegò Ecate tranquillamente, ma il ragazzo grugnì. Non era abituato ad essere messo a tacere in quel modo.
-Cosa volete da me, e perchè sono finito qua?-Chiese, continuando a mantenere la sua espressione imbronciata.
-Come tutti i tuoi compagni, siete finiti in questo universo parallelo dopo la vostra presunta morte. E' stato l'amorevole cosmo della vostra Dea, e la vostra volontà devota alla giustizia a catapultarvici così da poter avere una seconda possibilità; ad una condizione però: qualora i vostri ricordi si fossero risvegliati, avreste dovuto intraprendere una scelta.-Mnemosine mise a tacere la curiosit del ragazzo che, però, aveva molte altre domande da porre.
-Una scelta? Assurdo..-Biasciò.-Che tipo di scelta?-Chiese, lievemente titubante.
-Continuare a vivere nella realtà parallela in cui siete stati catapultati, o morire.-Spiegò la donna e lui scoppiò in una sonora risata.
-Mi stai chiedendo di decidere se vivere o morire?-Ridacchiò ancora sotto i baffi.
-La vita, caro Manigoldo, non si concede a chicchesia senza una condizione!-Chiuse gli occhi per un momento, aspettando la reazione del ragazzo che non fu quella da lei pensata.
Il Gold Saint rise, puntando gli occhi su Mnemosine. Aveva iniziato a capire, in effetti gli pareva fin troppo facile.
-Allora, a cosa dovrò rinunciare?-Chiese divertito. Lui era fatto così.
-Alla tua memoria. I tuoi ricordi della vita passata. Nulla che ricondurrà i tuoi pensieri alla tua vita vissuta al Tempio.-
Manigoldo alzò le spalle, continuando a mantenere il sorriso sulle labbra.
-Solo questo? Non mi sembra una rinuncia poi così grande. Premetto che non mi importa nulla del mio destino, di vivere, o di morire. Mi dispiace più per Sage, che ha passato entrambe queste vite a vegliare su di me. Devo tutto me stesso a quell'uomo.-Spiegò.-Quindi, vorrei tornare in quel mondo, poter continuare il mio lavoro e la mia vita.-
-Bene, Mnemosine, lo lascio a te.-Concluse infine Ecate, dopo aver ascoltato il discorso del ragazzo, dileguandosi nell'oscurità del luogo senza spazio e tempo.
La personificazione della Memoria avanzò verso di lui, fluttuante, poggiando una mano sulla sua fronte. Si sentì immediatamente svuotato di ogni pensiero e ricordo, dopo di ciò un fascio di luce tagliò l'oscurità del "nulla".
Quando riaprì gli occhi con foga, respirando affannosamente, si accorse di trovarsi ancora disteso sul bagnoasciuga della spiaggia. Si issò a sedere osservando il tramonto di fronte a lui e le onde che si infrangevano contro i suoi piedi.
-Bentornato tra noi!-
La voce di Sage lo riportò alla realtà. L'anziano era, come di consueto, seduto accanto a lui. Lo guardò divertito, osservando la sua espressione per poco spaesata ed evidentemente rintontita dal sonno.
-Sage!-Scandì la parola.-Quando sei arrivato?-Chiese confuso.
-Poco fa, stavi riposando. Il lavoro è stato duro?-Chiese, ridacchiando per il comportamento del ragazzo che scuotè la testa in un gesto negativo.
-No, non più di tanto. A dire la verità mi piace. Mi piace essere d'aiuto ai bambini che sono rimasti orfani.-Chiuse gli occhi, beandosi di un'espressione soddisfatta.
-Anche tu hai un cuore, Manigoldo?-Ridacchiò il tutore.
-Forse. Magari è la vicinanza con un certo vecchietto!-Sorrise maliziosamente, alzandosi da terra e cercando di aiutare Sage a farlo.
-Vorresti arrivare alla mia età e nelle mie condizioni!-
-Chissà....-Sorrise guardando il cielo, preparandosi a quella nuova vita da vivere in compagnia.
Fine capitolo 3


--------
Eccomi qua, alla conclusione di questo capitolo! Come avevo preannunciato, non sarà lunghissima! Ho deciso comunque di descrivere il destino di due Gold alla volta. Questi due hanno deciso di vivere *-* Gli altri, chissà..
Per quanto riguarda l'asterisco, il monologo sul cosmo di Hasgard: è una frase ripresa dalla prima puntata dell'anime classico. Lo dice Marin a Seiya. Mi piaceva come frase in quel contesto, visto che ho sempre pensato ad Hasgard come un uomo colto!
Per il resto, spero di non aver deluso le vostre aspettative! Mi scuso per i vari errori, purtroppo correggo da sola le mie storie T.T molte cose mi sfuggono!
Un bacione i recensori, chi ha messo la storia tra le seguite/preferite, e alla mia Sagitter No Tania che è sempre presente *-*
Un bacione a tutti, alla prossima!


 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Vita o Morte? (Parte 2) ***


Universi paralleli 4 Universi Paralleli 4: Vita o Morte? (Parte 2)




Faceva caldo quel giorno, nonostante l'aria fresca che inumidiva l'atmosfera dopo il tramonto. Come di consueto, Sisifo si beava di quella brezza leggera seduto sulla sua sedia a dondolo nel terrazzo del suo appartamento in Atene. Tirava in silenzio una boccata di fumo, ributtandolo fuori e  lasciando che si disperdesse nell'aria.
Si sentiva inquieto quel giorno per colpa di un sogno ricorrente che da giorni offuscava il suo sonno; non era un incubo, nè una cosa bella, era un qualcosa da interpretare. Cercava di darsi una spiegazione da solo, visto che era un uomo colto e sognatore, ma con i piedi ben saldati a terra.
Continuava a rivedere la freccia della sua immaginazione, che era stata scoccata da lui stesso, roteare su sè stessa in tutto il suo dorato splendore. Una, due, tre volte fino a che non si conficcava nel suo cuore.
Non capiva il perchè di quel sogno e per quel motivo mostrava inquietudine e voglia di arrivare al fondo di quella indagine. L'unico modo sarebbe stato quello di fare una ricerca.
Regulus non era in casa, in quanto ancora fuori con amici; era un ragazzo spontaneo ed allegro, nonostante a volte preferiva rimanere perso nei suoi pensieri mentre disegnava, quindi, quando finì la sua sigaretta, prendendosela comoda si alzò dalla sua postanzione stirando i muscoli. Tornò all'interno dell'abitazione, dove aleggiava un clima non molto differente dalla temeratura esterna. Si recò in camera del nipote, dove tutto era perferramente in ordine (persino il letto, nonostante i ragazzi a quell'età non avessero decisamente voglia di sistemarselo da soli), ed accese il suo Laptop sedendosi alla scrivania dove Regulus aveva lasciato sparsi i suoi disegni. Primo, in cima alla pila di fogli, troneggiava quello del tatuaggio a cui lui tanto aspirava. Lo guardò rapito, soffermandosi sulle sfumature e sui tratti di quell'elmo che, non sapendone il perchè, non risultava del tutto sconosciuto. Non si capacitava del perchè lo volesse proprio tatuare!
Quando finalmente la schermata di Windows apparve nel desktop, aprì il motore di ricerca e cercò il significato della freccia nei sogni. Del perchè lo trafiggesse proprio al cuore, quello ancora non riusciva a capirlo. Voleva almeno sapere cosa poteva significare quella freccia che ruota.
Trovò immediatamente lo scopo del suo sapere, in una pagina di Google dove recitava queste parole:

La freccia nei sogni, è legata al superamento di uno stato: la freccia va al di là, il suo scopo è centrare il bersaglio, oppure filare via rapida e silenziosa. Sognare di scoccare una freccia, è l'immagine precisa di una volontà di andare oltre (con i pensieri e con le azioni), di fare una scelta, di proiettarsi verso il futuro.*

Rimase interdetto da quella spiegazione, rileggendola varie volte per assimilare meglio. Continuava a far balenare lo sguardo dallo schermo alla finestra della stanza, verso l'orizzonte. Ora che ci pensava, la freccia l'aveva anche il sagittario: suo segno zodiacale. Che centrasse qualcosa?
Il lieve mal di testa che scaturì dalla presenza di troppi pensieri si fece sentire, quindi chiuse il tutto in attesa del rientro a casa del nipote per cena, così gli avrebbe in definitiva parlato della possibilità di farsi il tatuaggio. Sentiva che c'era qualcosa di più che una semplice moda dietro la sua intransigenza di volerlo a tutti i costi. Lo avrebbe accompagnato visto che era ancora minorenne.
Rgulusus tornò a casa con la sua solita aria spensierata e sorridente, salutando Sisifo come se fosse il suo vero padre. Non disse nient'altro, qundo sedette al tavolo della cucina osservando lo zio cucinare.
-E' andata bene la giornata?-Gi chiese ed il ragazzo annuì soddisfatto raccontando di quella giornata non troppo piena di avvenimenti.
-Senti, dovrei parlarti di una cosa.-Continuò, sedendosi al tavolo di fronte a lui provocando nel quindicenne un'espressione curiosa ed interrogativa.
-Ho fatto qualcosa che non va?-Chiese cercando di scorgere l'espressione dell'uomo, ma non v'era traccia alcuna di rimprovero.
-No, assolutamente.-Mise a tacere la sua curiosità.-Ho deciso di accompagnarti a fare quel tatuaggio che tanto desideri!-Gli sorrise.
La reazione di Regulus fu di sorpresa, sgranando gli occhi per quelle parole; non se le sarebbe mai aspettate. Poi, quando iniziò a capire che non era uno scherzo, si aprì in un sorriso di ringraziamento. Era così tanto eccitato che non sapeva neanche lui cosa rispondere.
-Grazie zio!-Optò solamente.-Quando andiamo a prendere l'appuntamento?-Chiese fremente.
-Direi subito domani. Sai, anche io ho pensato di farmene uno!-Ammise e la prima reazione del nipote fu di stupore.
-Mi meravigli! Non pensavo ti piacessero!-Rise.-Quindi, hai già deciso cosa tatuarti?-Chiese in preda alla curiosità.
-Certo, ma per il momento è un segreto!-Gli fece l'occhiolino.-Io inizio a sentire un buon odorino, dev'essere pronto. Si mangia?-Sviò la conversazione e trovò il consenso di Regulus che stava morendo di fame.
Qualche giorno dopo, in seguito all'appuntamento preso in quello studio, si recarono sul luogo: emozionati ed ansiosi di entrare. Erano seduti sui divanetti d'aspetto, con il cuore in gola e lo sguardo perso sui quadri degli interni; raffiguravano tutti disegni dove, probabilmente, i tatuatori traevano le loro opere.
-Regulus?-Chiamò un ragazzo dai folti capelli arruffati (pettinati in una strana maniera con il gel) e con le braccia piene di disegni. Indossava dei jeans larghi ed una felpa aperta per metà.
Il ragazzo guardò lo zio per qualche secondo come a dire "fammi coraggio". Sisifo gli sorrise facendoli un segno positivo con la mano, quando il quindicenne si apprestò a seguire il tatuatore.
-Mi firmi questo foglio per favore!-
La ragazza che gestiva l'agenda lo richiamò al bancone per riempire e firmare il foglio di tutela del minorenne ed il suo, con i suoi dati visto che era maggiorenne da un bel pezzo. Quando terminò, la ragazza riprese il tutto e lo fece accomodare dentro un'altra stanza dove arrivò un altro ragazzo simile al primo, poco dopo.
Uscrirono dalle stanze l'uno a distanza dall'altro di pochi minuti; prima Sisifo, che aveva un disegno abbastanza facile da realizzare, dopo Regulus, un po' frastornato ma straordinariamente contento. Saltellò eccitato fino allo zio che gli sorrideva con il suo gioviale e bellissimo sorriso.
Pagarono il tutto e si apprestarono a tornare a casa per vedere l'opera conclusa.
-E' molto bello, veramente!-Si complimentò Sisifo, alla vista del disegno posto sulla scapola di Regulus che aveva un'espressione soddisfatta.
-Il tuo invece?-Chiese eccitato allo zio, che si tolse la maglietta per farlo osservare meglio nonostante il celofan.
-Una freccia?-Il ragazzo alzò un sopracciglio, avvicinando lo sguardo per vedere quel tatuaggio colorato di un colore dorato. C'era un arco ed una freccia all'altezza del suo cuore.
Si era sentito così vicino a quegli oggetti, che sentì come se quel sogno volesse comunicargli qualcosa; dopo che ne aveva letto il significato, si era sentito ancora più vicino alla freccia d'oro che roteava nei suoi pensieri.
Raccontò al nipote del suo sogno, di come quella freccia scoccata dalle sue mani raggiungeva il suo cuore così facilmente.
-Ti sei sentito subito attratto. Anche io quando disegnai il mio, questo elmo ed il simbolo del mio segno zodiacale, mi hanno attratto fin da subito; come se qualcosa mi stesse dicendo che per me era come un destino, qualcosa di già vissuto. Ma cosa?-
Si guardarono negli occhi per qualche istante, quegli occhi intensi di un colore molto simile.
Nella loro mente, silenziose, presero a vagare alcune immagini per loro senza senso; Sisifo con indosso una strana Cloth dorata, con la freccia del suo sogno conficcata nel cuore. Era freddo ed immobile, seduto su un ripiano di quella che sembrava una stanza.
Regulus invece aveva squarci di passate battaglie; una proprio contro un combattente dalle scure vestigia, in risalto con i biondi capelli.
Ricordi, o pensieri non era ben chiaro, che accentuarono il forte mal di testa accennato. Dopo di ciò, il buio.
Si, proprio il buio. Quello era il posto dove erano finiti quando riaprirono gli occhi; si trovavano fluttuanti in mezzo al nulla, privo di leggi sulla gravità. Si guardarono in giro, cercando un appiglio o una risposta (che non tardò ad arrivare).
Di fronte a loro si ergevano imponenti due donne: una vestita di bianco, e l'altra con una lunga tunica nera. Oltre i colori dell'abbigliamento, ciò che differenziava le due, era la strana torcia che reggeva in mano la "scura".
-Chi siete?-Azzardò Sisifo, socchiudendo gli occhi fino a farli diventare due fessure.-Che posto è questo?-Continuò.
-Questo posto è l'Oblio, ciò che divide in maniera quasi impercettibile la vita e la morte. Io sono Mnemosine, una Titanide. Figlia di Urano, il Cielo, e di Gea, la Terra. Sono colei che personifica la Memoria.-Concluse la spiegazione, lasciando la voce piatta e senza emozione, per dare parola alla "collega".
-Io invece sono Ecate, una divinità psicopompa in grado di viaggiare liberamente fra i tre mondi: quello degli uomini, quello degli Dei e quello dei Morti. Sono colei che accompagna le anima all'aldilà!-Disse, assottigliando lo sguardo, illuminata dalla luce della fiaccola.
-E da noi cosa volete, perchè ci troviamo in questo posto?-Le rimproverò Regulus, messo poi a tacere da una mano sulla spalla di Sisifo, che cercava di fargli riprendere serietà di fronte alle due divinità.
-Vi è stato concesso, grazie alla vostra devozione verso la Giustizia e grazie all'amorevole cosmo della vostra Dea, di vivere questa seconda opportunità. C'era un limite però: qualora le vostre menti avrebbero ricordato la vostra vita passata, sareste stati sottoposti ad una scelta. E' giunto il momento di scegliere!-Comunicò Mnemosine.
-Che tipo di scelta?-L'uomo rimase quasi impassibile, con fierezza e fermezza di un vero Gold Saint.
-Vita o Morte.-Concluse sbrigativa Ecate facendo intendere il fine.
Zio e nipote si guardarono negli occhi per qualche secondo. Quale pazzo sceglierebbe la morte?
-Se scegliamo di vivere..-Iniziò Regulus.-Ci sarà sicuramente un prezzo da pagare..-Sospirò verso Sisifo.
-Esattamente ragazzo.-Si intromise la Dea illuminata dalla torcia.
-Qualora sceglierete di vivere, dovrete rinunciare ai vostri ricordi di Gold Saint. La vostra devozione in Athena, le vostre battaglie, i vostri compagni, la vostra Cloth.-Continuò Mnemosine, logorroica.
Ci fu un momento di silenzio, dove i due valutarono a pieno la situazione.
-Bè, è una proposta allettante..-Sisifo richiamò su di sè l'attenzione.-Ho sempre sperato in qualcosa del genere, che la vita ci potesse riservare un qualcosa di diverso rispetto al nostro precedente incarico. Purtroppo la nostra presenza come Gold Saint al Tempio è stata quasi obbligata dal destino, ma ho sempre sperato di poter dare a mio nipote una vita normale; vivere al suo fianco come una vera famiglia.-Gli sorrise ed il ragazzo sentì il familiare pizzicore delle lacrime arrivare alle sue iridi blu.
-Anche per me è lo stesso! Sono pronto a liberarmi di tutto il mio passato, e vivere al meglio questo generoso futuro!-Concluse.
-Quindi, la vostra decisione è presa. Rinunciate ai vostri ricordi?-Chiese Mnemosine, per esserne sicura ed iniziare così il rito.
Annuirono all'unisono e, mentre Ecate con un inchino reverenziale uscì di scena, la Dea si avvicinò a due ex Gold fluttuanti. Gli mise una mano sulla fronte, lasciando che la candida luce che sprigionavano i suoi palmi, risucchiasse via il loro pegno.
Quando riaprirono gli occhi, si trovarono di nuovo nella cucina della loro casa a fissarsi increduli e spaesati.
-Stavi dicendo?-Chiese Regulus, come svuotato dai pensieri.
-Non mi ricordo.-Sentenziò l'uomo.
-Zio, non dirmi che stai invecchiando.-Ridacchiò il ragazzo.
-Può darsi!-Contraccambiò la risata, alzandosi dal tavolo.
Continuarono a ridere insieme, spensierati, finalmente come due persone normali.




-Dov'è mio fratello?-
L'ambasciatore chiamato Aspros, pose quella domanda al suo segretario che si era precipitato nel suo studio per ricordargli gli impegni di quella settimana.
Rispose solamente con quella domanda, massaggiandosi le tempie per il continuo parlare logorroico dell'uomo.
-Non vediamo il Signor Deuteros da questa mattina presto. Non voglio mettergli la pulce nell'orecchio Signore, ma vostro fratello sta scansando tutte le sue mansioni ed io non vorrei..-Fu messo a tacere da un'alzata di mano da parte del gemello, di fronte alla sua bocca.
-Basta così, ti ringrazio. Sono stanco.-Sbadigliò.-Vorrei rimanere un momento da solo.-Si tolse gli occhiali dal viso, riponendoli sulla scrivania per massaggiarsi anche le palpebre.
Seguì l'uomo paffuto con lo sguardo fino a che non uscì dalla porta con un inchino, tirando finalmente un sospiro di sollievo ed alzandosi da quella sedia che oramai aveva preso il segno del suo posteriore (o viceversa).
Si stiracchiò prima di raggiungere la finestra, poco lontano dalla scrivania, aprendo per far passare la brezza di quel giorno, beandosi di quel tocco sulla pelle del suo viso. Si lasciò cullare da quel piacere che smuoveva simultaneamente tutte le ciocche dei suoi capelli, in una danza silenziosa.
Si accese una sigaretta, quando riuscì a muovere le braccia per raggiungerle in fondo alla tasca dei pantaloni, tirando una corposa boccata di fumo che subito lo rilassò.
Continuava a guardare l'orizzonte, con quella strana sensazione nel cuore; era diventato Ambasciatore, uno degli uomini più potenti, ma sentiva che quella carica tanto agognata non era quello che lui fortemente desiderava. C'era qualcosa nei recessi della sua anima, nei suoi ricordi e pensieri, che gli ricordavano che non era nato per quello. Certo, si sentiva fatto per regnare così come il suo carattere forte lo metteva sempre in competizione con le persone; la prima era proprio suo fratello cn il quale, avendo il carattere molto simile se pur molto più fragile e suscettibile, era sempre in competizione.
Osservò di nuovo quella lontana linea che delimitava l'infinito fatto di palazzi e cielo, in quel punto dove tutto si confondeva. Aveva bisogno di evadere, di fare chiarezza dentro di sè; di trovare suo fratello e magari passare quel tempo con lui che, per via gli affari, non riusciva mai a concedergli.
Prese come di consueto la giacca del completo attaccata all'attaccapanni dietro la porta ed uscì dallo studio, annunciando ai suoi sottoposti la sua assenza. Scese di nuovo nei sotterranei, dove la sua lussuosa auto non aspettava altro che essere messa in moto.
Con un rombo frastornante, che lasciò interdetto Aspros, si accese in tutta la sua magnificenza e potè così partire verso la città. Guidò per le vie di Atene, raggiungendone l'uscita, diretto in un punto preciso: l'acropoli del Partenone, dove le rovine del Tempio di Atena sovrastavano la città.
Parcheggiò la macchina lontano da terra e polvere, percorrendo a piedi la via che lo divideva dalla cima. Si sporcò le scarpe lucide, ma questo non gli importò.
Seduto sulle rovine del Tempio, notò suo fratello Deuteros che osservava il cielo limpido di quella giornata. I capelli lasciati sciolti, erano cullati dalla brezza che glieli scompigliava dietro la schiena; il suo viso, esattamente uguale al proprio, si piegò in un'espressione di disappunto quando lo vide avvicinarsi.
-Aspros.-Commentò.-Che ci fai qua?-Chiese.
-Non posso concedermi un momento di pausa?-Gli porse una sigaretta che lui accettò di buon grado portando alle labbra il filtro, in attesa dell'accendino.
-Certo.-Soffiò Deuteros insieme al fumo, imitato dal gemello.
-Perchè continui a scappare dalle tue mansioni?-Andò diretto al sodo, beccandosi un'occhiata di sottecchi da parte di due occhi colore del mare.
-Non sto scappando. Semplicemente non mi va di rimanere insieme a delle persone che mi considerano un "mostro" e diverso solo perchè tu sei a capo di tutto ed io sono solo il numero "due".-Si confidò senza guardarlo negli occhi.
-E chi lo avrebbe detto scusa?-Chiese cordialmente Aspros guardando i lineamenti del profilo dell'altro.
-Direttamente nessuno, è una cosa che mi sento. Non lo so, è un pensiero che da tempo attanagli ail mio cuore.-Sospirò lo scuro di pelle, finalmente posando lo sguardo nelle iridi del fratello.
-Una sensazione?-
-Esatto.-Rispose Deuteros, alzando lo sguardo verso il cielo.-Magari, mi sbaglio.-
-Secondo te chi ci viveva?-Chiese di getto Aspros, ignorando totalmente la risposta dell'uomo di fronte a lui, concentrandosi sulle rovine del Partenone.
Si alzò in piedi ed accarezzò la porosa superficie di marmo di quella struttura, soffermandosi con le dita su alcuni ornamenti. Deuteros alzò il sopracciglio, colpito da quella repentina e strana domanda posta di getto.
-Secondo te? E' il Partenone di Atena, chi mai poteva viverci?-Allargò un sorrisetto divertito.
-Certo, questo lo so.-Sbuffò.-Mi chiedevo, ecco magari mi sbaglio, non ce n'erano tredici?-Continuò l'altro, sognante.
-Tredici?-Anche lui si fece serio, iniziando a far balenare lo sguardo dal consanguineo alla struttura.
-Si, è una sensazione strana. Come se.-
-Come se tutto d'un tratto la realta conosciuta fino ad ora fosse solo una menzogna..-Fu Deuteros a finire la frase, suscitando meraviglia nel fratello. Lo guardava comprensivo e felice di non essere il solo a delirare in quel modo.
-Gemelli.-Pronunciarono all'unisono, avvicinando l'uno all'altro la punta del loro polpastrello in un unico gesto.
Quel tocco lieve provocò una scossa nei loro corpi, facendogli battere il cuore all'impazzata e provocandogli un sonoro mal di testa. Dopo di ciò, il buio.
Riaprirono gli occhi di scatto, cercando di capire dove fossero finiti.
-Ma che..-Iniziò Aspros, riconoscendo solo il fratello e non le due strane figure davanti a loro.
-Benvenuti, Gold Saint dei Gemelli!-Iniziò la donna dal vestito latteo.
-Ora ricordo tutto, che è successo? Dove siamo?-Fu Deuteros ad alzare la voce, inveendo contro la donna.
-Calma "mortale", siete nell'Oblio: il luogo che divide impercettibilmente la vita e la morte. In seguito alla vostra apparente morte siete stati catapultati in un Universo Parallelo, una sorta di seconda possibilità concessa dalla vostra fede in Athena e grazie al suo cosmo amorevole e devoto alla Giustizia.-Spiegò la Dea.
-E voi chi siete?-Chiese, calmandosi.
-Io sono Mnemosine, una Titanide. Figlia del Cielo Urano e della Terra Gea, personificazione della Memoria.-Si presentò tenendo dei toni calmi e rispettosi verso quegli uomini.
-Io invece sono Ecate, una Divinità psicopompa, in grado di viaggiare liberamente nei tre mondi: quello degli uomini, quello degli Dei e quello dei Morti. Sono colei che accompagna le anime all'aldilà.-Fece pacata la donna vestita di nero.
-E perchè ci troviamo in questo Oblio?-Chiese Aspros.
-In seguito alla vostra ritrovata memoria. La vostra vita avrebbe avuto un limite qualora avreste ricordato la vostra vera natura. Dovrete affrontare una scelta..-Continuò Ecate.-Vivere, o morire.-
-Vivere, significa in questo mondo parallelo?-Volle accertarsi Deuteros e quando la donna annuì mettendo a tacere la sua curiosità, l'uomo scosse la testa.
-Preferisco morire, che continuare vivere di nuovo all'ombra di qualcuno! Almeno, la mia vita al Tempio era devota ad una Dea; adesso non ho motivo di restare in un mondo che non mi accetta. Non sono fatto per la tecnologia.-Soffiò Deuteros in un sibilo.
-Ma, fratello...-Cercò di dissuaderlo Aspros, ma lui fu intransigente nella sua scelta.
-E tu?-Gli rivolse parola Mnemosine.-Vita, o morte? Cosa scegli?-
-Non posso continuara a vivere sentendomi responsabile, anche inconsciamente, della morte di un parente.-Avanzò fino ad essere vicino al gemello; entrambi con la stessa espressione in quel viso decisamente identico, se non per il colore della pelle.
-Bene, procedi pure.-La personificazione della Memoria lasciò spazio ad Ecate, allontanandosi gradualmente.
-Prego, seguitemi...-
La donna illuminò il sentiero dietro di sè con la sua torca; delle fiammelle fatte di azzurri fuochi fatui arrivarono ad accerchiarli, portandoli per sempre in un regno dove sarebbero potuti stare finalmente insieme e considerati in ugual maniera.
Fine capitolo 4


----
Ed eccomi qua, oggi ho aggiornato anche questa! XD Bè, che dire: troviamo altri quattro Gold alle prese con la loro decisione che, questa volta, non per tutti è andata a buon fine :( E dire che i gemelli li adoro >.< ma li ho immaginati più cosi!
Per quanto riguarda l'asterisco: quella frase è presa da Google veramente xD
Che dire, ringrazio i recensori e chi sta seguendo la storia!
Un bacione alla mia adorata Sagitter No Tania*-*
Al prossimo capitolo!




Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Vita o Morte? (Parte 3) ***


Universi paralleli 5 Universi Paralleli 5: Vita o Morte? (Parte 3)



Era una bella mattina quella che si affacciò sul convento; i raggi caldi del sole illuminavano il giardino colorato dai fiori di Iris di ogni colore.
Uscì di buona lena Asmita, raggiungendo i fiori che tanto amava, prima di chiudersi in preghiera con gli altri. Quei giorni dove il sole riscaldava l'atmosfera, il giovane biondo preferiva rimanere all'aria aperta, solitario come il suo solito.
Non disse nulla quando si svegliò, vestendosi con la sua tunica bianca, spazzolando i suoi lunghi fili d'oro lasciandoli sciolti lungo la schiena. Legò alla vita una stuola rossa, che gli facava da cinta, ed uscì senza fare colazione. Era ancora presto.
Si fermò appena fuori dal grande porticato d'ingresso, richiudendolo alle sue spalle con un sordo ed assordante rumore, beandosi del silenzio che si udì poco dopo. Prese un bel respiro, chiudendo gli occhi e lasciando che le orecchie percepissero ogni movimento.
La brezza leggera e calda gli scompigliava i capelli, lasciandoli in aria leggeri e puliti; la tunica di tessuto leggero, si muovava lungo i fianchi e lungo le gambe con un movimento fluido ed un rumore quasi impercettibile. Il canto degli uccellini fra i rami degli alberi, intonavano un cinguettio leggero che faceva da colonna sonora a quegli istanti.
Aprì gli occhi poco dopo, abituandoli pian piano alla luce del sole appena sorto. Gli occhi celesti e penetranti, così espressivi e curiosi, guizzavano da un particolare all'altro tutte le mattine come se fosse la prima volta che osservavano tutto ciò.
In effetti, era da un po' di tempo che ci pensava; la sua attenzione era sempre rapita da tutti quei colorati particolari, come se nei suoi ricordi non fossero mai esistiti. Quel piccolo particolare lo inquietava non poco ogni volta che ripensava al suo passato, non trovandoci nulla che avesse un colore oppure una forma.
Si accigliò, raggiungendo tranquillamente i fiori di Iris blu. Si accucciò per terra, prendendo tra le dita la corolla di uno di essi, sfiorando con i polpastrelli i loro petali. Rimase così, assorto negli inquieti pensieri, a fissare con le sue iridi profonde quei fiori dello stesso colore.
Era talmente assorto nei pensieri, che non si accorse che il portone del convento si aprì e si chiuse a distanza di pochi secondi. Una persona stava andando verso di lui, con passo lento ed epsressione curiosa; non era meravigliato però di trovarlo li, a fissare distrattamente quei fiori come se fossero un mezzo per visionare l'intero mondo.
-Ti trovo sempre qua.-Ridacchiò la voce, ridestandolo dal vortice dei pensieri dov'era caduto.
Si voltò di scatto, sganando gli occhi. Davanti a lui c'era il suo "amico, o meglio: l'unico con cui avesse mai parlato, con le mani poggiate sui fianchi ed espressione divertita.
Asmita contraccambiò il sorriso, tornando in piedi e guardandolo negli occhi.
-Mi piace stare in mezzo alla natura, riesco a meditare e pensare a molte cose, anche se..-Lasciò la frase in sospeso, guardando l'azzurro e limpido cielo sgombdo da nuvole, dove il sole era oramai quasi alto.
-Anche se?-Lo incitò l'altro.
-Anche se molte cose mi inquietano. Ci sono molti particolari, che sarebbe meglio non vedere. Era meglio quando ero cieco.-Sospirò e l'altro si accigliò, alzando un sopracciglio.
-Cieco? Quando mai tu sei stato cieco?-Chiese, sgranando gli occhi, non capendo di cosa stesse parlando.
Asmita lo fissò incredulo, non riusciva a capirne il motivo neanche lui. Cieco, perchè lo aveva detto?
-Io, non lo so!-Soffiò.
Il ragazzo lo guardò di sbieco, ancora interdetto da quelle parole. Il biondo si accomodò di nuovo con le ginocchia per terra, osservando i fiori cullati dalla brezza; rimase così per qualche minuto, in estremo silenzio, come se qualche parola potesse spezzare quel magico momento da lui creato.
-Bè, io torno dentro. Ci vediamo.-Alzò le braccia al cielo, senza aspettare risposta, tornando verso l'interno del convento.
Il biondo voltò appena lo sguardo, seguendo le spalle del ragazzo sparire dietro il grande portone. Sospirò quando fu di nuovo solo, alzando lo sguardo al cielo.
"Non è tutto rosa e fiori.." pensò, lasciandosi sfuggire un altro sospiro.
Chiuse gli occhi per un momento, lasciando che alcune immagini scorressero nella sua mente. Vide il viso di un ragazzo, che non riconobbe in un primo momento, con addosso un'armatura grigia; aveva un'espressione di disappunto, e gridava contro un ragazzo biondo che indossava un'armatura colore dell'oro. Era sè stesso. Teneva in mano il suo rosario, quello che ricordava avere sempre avuto e che ornava la sua tunica all'altezza del collo, ed era avvolto da una strana Aura; stava morendo. Voltò il viso verso il ragazzo, con un sorriso bellissimo e quasi stanco, aprendo qugli occhi blu tanto profondi. Adesso ricordava: lui era stato cieco!
Aprì gli occhi di scatto, per vedere se era solo un sogno o un brutto incubo, ma quando notò che non era più nel giardino del convento si accigliò. Si guardò intorno, nonotante fosse perso nella penombra di un luogo a lui sconosciuto, e riconobbe due figure a poca distanza.
Cercò di mantenersi in equilibrio, nonostante la poca gravità di quel luogo gli impedisse una posizione eretta. Fissò interdetto quelle due figure, così diverse tra loro: la prima indossava un abito bianco, lungo fino ai piedi, tipico di una Dea Greca; l'altra, più cupa e misteriosa, indossava una tunica scura, cui i lineamenti si perdervano nell'oscurità del luogo, ed in mano reggeva una torcia illuminata.
-Benvenuto, Gold Saint di Virgo.-
A quelle parole della donna vestita di bianco, tutta la memoria che gli era stata negata in quella nuova vita tornò nella sua mente. Ricordò la sua posizione, le sue battaglia, la Guerra Santa ed i suoi compagni. Faveva male ricordare tutto in quell'istante, ma strinse a sè il suo rosario come per espiare tutte le colpe di cui, anche inconsciamente, si era macchiato.
-Voi chi siete?-Chiese tranquillamente, non meravigliandosi del loro sapere.
La donna vestita di nero, dopo un'occhiata d'intesa verso l'altra divinità, si avvicinò a lui.
-Io sono Ecate, colei in grado di viaggiare nei tre mondi: quello degli uomini, quello delle divinità e quello dei Morti dove sono l'accompagnatrice delle anime.-Spiegò, lasciando la parola all'atra Dea.
-Io invece sono Mnemosine.-Iniziò l'altra.
-La Dea della Memoria!-La precedette un Asmita meravigliato; non riusciva a capire cosa volessero da lui quelle due divinità così misteriose e perchè fosse in quel posto.
-Perspicace, non a caso sei l'uomo più vicino agli Dei!-Pronunciò la Dea ed il ragazzo sorrise di soddisfazione.
-E questo posto? Perchè sono finito qua?-Chiese.
-Questo è l'oblio, che divide impercettibilmente la vita dalla morte. Duratente la Guerra Sacra, in seguito alla vostra morte, grazie alla devozione in Athena ed il suo magnifico Cosmo a difesa dei suoi Saint, avete avuto la possibilità di vivere nuovamente la vostra vita in un Universo Parallelo, perdendo ogni ricordo della precedente. Solo quando tali ricordi avrebbero ripreso possesso della vostra mente, avreste dovuto operare una scelta: vivere o morire!-Spiegò molto tranquillamente.
Asmita rimase per un momento in silenzio, assimilando il tutto prima di esporre le sue domande.
-Vivere o morire? Devo scegliere tra la vita e la morte?-Chiese, con la sua solita aria comprensiva e le due Dee annuirono.
-Se sceglierai di vivere: tutti i tuoi ricordi della vita passata verranno cancellati, se sceglierai di morire...-Lasciò intendere Ecate.
Asmita ci pensò un attimo; era stato uno dei più grandi e potenti Gold Saint al servizio di Athena, colui che aveva creato con i frutti della Magnolia degli Inferi la sua corona, donandola ai suoi successori. Per un motivo a lui sconosciuto, l'aveva conservata fino ad allora. Era veramente pronto a perdere tutto ciò per rimanere silenzioso ed anonimo dentro il convento, possedendo solo la vista come dono?
Sospirò, prendendo definitivamente la sua decisione.
-Un miracolo ha fatto sì che io riaquistassi la vista nel momento della mia morte, donandomela anche in questo universo. Mi sono ridestato come religioso, osservando il mondo nel suo splendore come non avevo mai potuto vedere; mi sono accorto tuttavia, che non è tutto meraviglioso come credevo. Nonostante i fiori ed i colori facevano parte della mia vita, i giorni trascorrevano tutti uguali; mi mancava qualcosa e quel qualcosa è morto nel momento che io sono risorto. Sono nato cieco, ed ho imparato ad adattarmi al mondo, diventando un Saint a difesa della mia Dea. Senza la mia carica sono un uomo come tutti gli altri e non sono sicuro di volerlo.-Sospirò.
-Quindi, la tua decisione è quella di lasciare per sempre il mondo dei vivi?-Chiese Ecate, pronta ad accoglierlo.
Il biondo annuì, esprimedo un ultimo desiderio porgendo a Mnemosine il suo rosario.
-Non potendo farlo io, desidero che questa mia corona che imprigiona le anime degli Spectre di Hades, torni sulla terra cercando il prossimo successore.-Spiegò.
-Sarà fatto.-
Fece come gli era stato chiesto, portando con l'oggetto anche le sue ultime parole. Così come era stato, Asmita, si sacrificò di nuovo accompagnato da Ecate.
Il giorno dopo, il ragazzo che viveva al convento insieme al Saint, uscì di prima mattina pensando di trovarlo assorto nei suoi pensieri osservando i fiori di Iris; non fu così però.
Asmita non c'era ed un moto di preoccupazione si impadronì del suo cuore. Era stato sempre li, in tutti i giorni che andava a fargli visita.
Si avvivinò al giardino e si meravigliò di trovare il rosario che il biondo portava sempre al collo, riverso in mezzo ai fiori insieme ad un biglietto.
Si abbassò per raccoglierlo, mettendolo al collo, ed aprì il foglio che recitava queste parole:
"Il mondo è più bello se ascoltato."



Ad Athene, lo studente universitario Degel, si apprestava a raggiungere la casa del suo compagno di corso Kardia per dargli ripetizioni di Francese. Da quando lo aveva conosciuto, sentiva un moto di inquietudine attanagliarli lo stomaco; quei suoi occhi blu, così profondi ed inquisitori, lo fissavano sempre come se dovesse mettergli a nudo l'anima. Anche quella sua strana sensazione di averlo già visto, ma non ricordando dove, gli metteva ansia. Era assolutamente sicuro di non averlo mai visto, era la prima volta che andava in Grecia, eppure il suo viso gli era così famigliare; quei riccioli scuri, di un colore molto simile alla notte, e quegli occhi chiari ed espressivi aperti come le labbra in un sorrisetto sempre divertito, lo lasciavano sempre di stucco. Perchè si sentiva così in sua presenza?
Con questi pensieri arrivò fino la sua meta e suonò il campanello dove la voce calma di Kardia lo ridestò dai suoi pensieri, facendogli battere il cuore all'impazzata.
Quando spiegò chi era, sentì il sonoro aprirsi del cancello e lo varcò raggiungendo la porta d'entrata dove il compagno lo stava aspettando.
Era una casa di modeste dimensioni, ben arredata e silenziosa; doveva essere solo.
-Vieni, andiamo in camera mia.-Propose lo Scorpione, voltando le spalle e lasciando che lo seguisse.
Anche lui era abbastanza inquietato dalla presenza dell'Aquario; ogni volta che osservava i suoi lineamenti ed i suoi occhi glaciali, il suo cuore perdeva un battito e la sua mente vagava in quelli che, secondo lui, erano strani e vaghi ricordi. Come un sogno, oppure un pensiero, che covava la sua mente alla vista dei capelli verdi di Degel che ricadevano dietro le spalle del ragazzo.
Kardia non aveva molta voglia di studiare o stare attaccato ai libri, quel giorno si sentiva poco bene. Aveva freddo ma il suo corpo era bollente; tuttavia non voleva farsi notare in quello stato. Cercò di riprendere un contegno, quando sedettero alla scrivania della sua camera tirando fuori i libri.
-Hai provato a fare qualche esercizio?-Chiese Degel con il suo solito sguardo inquisitore che fece arrossire lievemente il ragazzo che scosse la testa, vergognandosene.
-Vediamo il tuo livello.-Sospirò cercando qualche esercizio facile nelle prime pagine del libro di Francese, facendo appello a tutta la sua conoscenza della lingua Greca.
Kardia rimase in silenzio, fissando il viso assorto del compagno di corso, con la mente da tutt'altra parte; non si dava pace il suo cuore, e non se ne sarebbe dato fino a che non sarebbe riuscito a capire dove e quando avesse incontrato quello strano ragazzo che tanto appariva nei suoi pensieri.
-Mi stai ascoltando?-Chiese infastidito Degel, vedendo che l'attenzione del ragazzo era persa chissà dove.
-Come?-Chiese, ridestandosi dai suoi pensieri.-Scusami.-Proferì poi vedendo l'espressione indispettita dell'Aquario che sospirò dopo le sue scuse.
-Tranquillo, allora continuiamo. Dov'eravamo rimasti?-
Ascoltò di nuovo la voce di Degel, ma questa volta una fitta di dolore, seguita da un senso di nausea, attanagliò il suo stomaco provocandogli un gridolino di disappunto che non sfuggì al compagno; si girò di scatto, distraendo l'attenzione dal libro per vedere cosa stesse succedendo.
Kardia si portò una mano alla fronte, sicuro di avere qualche linea di febbre, mentre con l'altra si reggeva lo stomaco.
-Non sto molto bene, scusami!-Proferì con voce languida mentre lo sguardo dell'altro si tramutò in scetticismo; pensò fosse una scusa per sottrarsi allo studio, ma si ricredette poco dopo, quando vide lo Scorpione sudare freddo.
-Aspetta, forse è meglio che ti sdrai!-Propose Degel, aiutando l'amico ad alzarsi dalla sedia per raggiungere il letto dall'altra parte della stanza.
-G..grazie.-Gli disse d'un tratto, quando fu finalmente sdraiato.
Tremava, nonostante la temperatura corporea fosse elevata.
Degel, quasi in un riflesso condizionato, gli alzò la maglia. Lui lo guardò con un sopracciglio alzato, del tutto meravigliato ed interdetto da quel gesto, quando sentì la mano fredda dell'amico all'altezza del suo cuore, irrigidendosi a quel tocco non capendone il motivo.
-D..Degel, cosa stai facendo?-Chiese meravigliato, rosso come un pomodoro.
Il sopra citato si ridestò dai suoi pensieri, come se fosse stato in trance, sbattendo le palpebre due volte prima di notare l'espressione interrogativa di Kardia.
-Scusa... Stavo cercando di raffreddare il tuo cuore.-Disse semplicemente. In verità non sapeva neanche lui quel che stava dicendo.
-Raffreddare il mio cuore?-Chiese l'altro ponendo gli occhi inquisitori nelle iridi dell'altro.
Si guardarono per un lungo, interminabile istante, dove alcuni pensieri presero il piede libero nelle loro menti.
Un letto dove Kardia era steso; il suo lungo ansimare per quella malattia che contagiava il suo cuore; la fredda mano di Degel posata sul suo petto, che faceva appello al suo Cosmo devoto alle energie fredde, pronto a curarlo in qualsiasi situazione.
-La tua malattia.-Parlò Degel, iniziando a capire.
-Il mio cuore malato!-Proferì l'altro.-Ora ricordo! Ecco perchè il tuo viso era così familiare, l'ho osservato così tante volte..-Continuò.
-Anche il tuo..-Annuì Kardia.-Non mi eri del tutto sconosciuto, ed adesso sappiamo entrambi il perchè.-
Sentì una fitta di dolore anche l'Aquario, che aveva un cuore sano. Si portò una mano al petto, chiudendo gli occhi per il dolore. Di nuovo anche Kardia, sentì quella stretta al cuore forse troppo familiare. Dopo, il buio.
Riaprirono gli occhi entrambi, nello stesso momento, trovandosi in un luogo a loro sconosciuto. Si guardarono per un momento, scambiandosi qualche occhiata.
-Benvenuti nell'oblio, giovani Saint, il luogo che divide la vita dalla morte. Siete pronti ad una scelta?-
La voce di Mnemosine li riportò alla realtà. Girarono il volto verso la voce che aveva appena parlato, trovandosi di fronte due donne.
-Oblio? Scelta?-Chiese lo Scorpione, portando le mani sui fianchi.-E poi si può sapere chi siete?-
Portò il suo dito indice dove luccicava la punta della sua ritrovata unghia scarlatta verso la donna, constringendola a parlare con l'espressione di disappunto disegnata sul volto.
-Ti basti sapere che siamo due Divinità. Io sono una Titanide, personificazione della Memoria. Il mio nome è Mnemosine, mentre lei..-Lasciò la frase in sospeso, spostando la mano verso la sua "collega", lasciandole parola.
-Il mio nome è Ecate, mortale, sono colei che accompagna le anime all'Aldilà.-Disse semplicemente, facendo balenare lo sguardo da Kardia a Degel.
-Siamo al cospetto di due Divinità; c'è un motivo?-Chiese quest'ultimo.
-Il motivo è semplice: avete risvegliato i vostri ricordi. Siete stati mandati in un Universo Parallelo in conseguenza alla morte. E' stato pensato per voi qualcosa di diverso per permettervi di vivere la vostra vita al di fuori delle guerre, ma ad una condizione: non ricordare nulla di quella passata. Ma, dato che i ricordi sono ben vivi nelle vostre menti, siete costretti a prendere una decisione: vita, o morte? Se sceglierete di vivere, tutti i vostri ricordi saranno cancellati dalla sottoscritta. Se sceglierete di morire, Ecate vi accompagnerà nell'Ade.-Spiegò Mnemosine di nuovo, rimanendo composta.
I due ragazzi si guardarono per un momento con quegli occhi profondi e silenziosi che lasciavano intedere molte cose; cercavano di capirsi così, senza parlare. Entrambi avrebbero voluto vivere una vita a fianco dell'altro, come non erano mai riusciti a fare per via della loro posizione di Gold Saint. Anche senza ricordi, si sarebbero appartenuti per sempre.
-Allora, qual'è la vostra decisione?-Chiese impaziente la donna vestita di nero.
-Mi dispiace, non siamo ancora pronti per rivedere Hades.-Sogghignò Kardia, lasciando intendere la risposta.
-Quindi, scegliete di vivere.-Iniziò Mnemosine.-Ma, sapete la condizione.-Ricordò.
Degel e Kardia si guardarono di nuovo, annuendo con soddisfazione; si, erano pronti a perdere i loro ricordi pur di iniziare insieme un nuovo percorso. Anche se non si sarebbero riconosciuti, avrebbero imparato a conoscersi in un mondo ancora a loro sconosciuto.
-Procedete.-Intimò Kardia.
La Dea si avvicinò a loro, mentre l'atra sparì nell'oscurità facendo perdere le sue tracce; poggiò una mano sopra le loro fronti lasciando defluire il suo divino Cosmo in modo da far suoi i loro ricordi.
Una luce intensa ed accecante, che li costrinse a chiudere gli occhi, li pervase completamente ed il nulla fu padrone di loro ancora una volta.
Quando riaprirono gli occhi, erano di nuovo nella camera di Kardia e Degel aveva ancora la mano fredda poggiata sul cuore del ragazzo. Si stavano fissando increduli, come se fosse passata un'eternità.
-Inizio a stare meglio ora che sono sdraiato, mi dispiace non aver potuto studiare. Eri venuto apposta.-Si scusò Kardia, con voce bassa.
-Non preoccuparti. Ho visto che sei solo in casa, se vuoi posso farti compagnia.-Si propose Degel, nonostante il suo rifiuto ad avere rapporti sociali, ma quel ragazzo lo aveva colpito più di quanto desse a vedere.
-Davvero lo faresti?-Si meravigliò lo Scorpione. Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per lui e vide Degel annuire.
-Allora, sarei felice se dedicassi il tuo tempo a me.-Sorrise soddisfatto.
-A patto che quando starai meglio, dedicherai al Francese le tue attenzioni.-Scherzò, mostrando un lieve sorriso. Bellissimo, anche se appena accennato, che sciolse di nuovo il cuore di Kardia.
Fine capitolo 5


-----
Eccomi qua e ben ritrovati^^ In questo capitolo abbiamo visto la scelta di questi tre Saint. Secondo voi, è stata coerente? Per Asmita boh, ho preferito così nonostante adorassi il personaggio!
Bè, che altro dire se non ringraziare ancora i recensori e le persone che seguono la storia!
Un bacio alla mia adorata Sagitter No Tania!
Al prossimo capitolo!


Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Vita o Morte? (Parte 4) ***


Universi Paralleli 6 Universi Paralleli 6: Vita o Morte? (Parte 4)





Era una mattina come tutte le altre per El Cid, alzato dal letto forse un po' troppo presto. Come al solito non riusciva a dormire, colpa degli strani pensieri che vagavano nella sua mente.
Si alzò quasi barcollante, riuscendo a vestirsi nel migliore dei modi e sistemarsi per andare in palestra. Riusciva a liberare la mente solo in quel momento, non pensando a nulla mentre fendeva l'aria con il suo fioretto. In quei giorni però i pensieri erano molti, ed erano squarci di ricordi, secondo lui, che non gli appartenevano; o forse si?
Raggiunse la palestra scacciando quei pensieri e mentre si cambiava nello spogliatoio, la sua attenzione fu rapita dal suo braccio. Lo guardava come se avesse qualcosa che non andasse. Il ricordo dell'ultima volta, quando tentò di colpire il suo "nemico" con il braccio, facendo appello alla sacra spada Excalibur, lo aveva turbato non poco. Continuava a ripensarci e cercare una spiegazione logica a ciò; ma per il momento non esisteva e la cosa lo lasciava ancora più turbato.
Si accorse in un secondo momento di essere arrivato un po' troppo in anticipo, vedendo la palestra vuota; non c'era ancora nessuno, neanche il suo allenatore.
Decise di iniziare i suoi allenamenti con il fioretto, fendendo l'aria con precisione come se ci fosse un avversario invisibile di fronte a lui. Continuò così per un po' di tempo, fino a che non sentì il bisogno di bere ed asciugarsi il sudore.
Fece una breve pausa prima di riprendere, ma non prese la sua leggera spada dal posto in cui l'aveva poggiata. Fu talmente sovrappensiero, lasciando che i pensieri tornassero a vagare nella sua mente, che si dimenticò di prenderla. Raggiunse il centro della palestra ed iniziò a lanciare fendenti con il braccio destro, in silenzio.
Non si accorse però dell'arrivo di qualcuno, troppo preso com'era da ciò che stava succedendo.
-El Cid...-Lo chiamò meravigliato un uomo.
Lui si girò, quasi spaventato dalla repentina presenza di quella figura che riconobbe essere il suo allenatore.
-Cosa stai facendo?-Gli chiese scettico, fissandogli il braccio ancora in aria.
Il ragazzo non capì inizialmente, ma quando vide che l'attenzione dell'uomo era spostata verso il suo arto e non il suo viso, capì; lo aveva fatto di nuovo.
-Ho bisogno di una pausa.-Riuscì solo a dire, inespressivo.
Lasciò l'allenatore, basito, nel centro della palestra mentre lui corse fino allo spogliatoio, chiudendo la porta dietro di sé lasciandosi scivolare sulla superficie fino a toccare terra, dove si lasciò andare in ricordi.
Perché quegli strani pensieri proprio in quel periodo? Perché fendere l'aria con il braccio e non con la spada? Perché tutto quello?
Chiuse gli occhi per un momento, reggendosi la testa con una mano, dando libero sfogo a tutte le possibili risposte ma quello che si susseguì nella sua mente, non furono ricordi bensì scene, sequenze già vissute; ma quando?
Lui, perché riconobbe sé stesso, rivestito di una corazza dorata, mentre combatteva contro uno strano uomo rivestito di una corazza nera. Una lotta incredibile, poi il suo braccio venne spezzato ma lui continuava a combattere anche senza, come se fosse stato solo il fodero della spada posta nel suo braccio. Una lotta contro il tempo per liberare un compagno.
In quel momento fu tutto più chiaro: lui era un Gold Saint di Athena!
Ma riconoscerlo non servì a nulla. Sentì un dolore lancinante al petto ed alla testa, poi il nulla.
Quando riaprì gli occhi era nell'esatto centro del "nulla", un luogo buio e tetro, senza leggi di gravità. Fluttuava inerme in mezzo a quello spazio senza limiti e di fronte a lui, due donne erano erette e serie.
Le guardò per un momento, facendo balenare il suo sguardo sia verso di loro, sia verso quello strano luogo, prima di chiedere spiegazioni.
-Che posto è questo, e chi siete voi?-Chiese atono, senza mostrare alcuna emozione.
Una delle due donne, precisamente Mnemosine, quella vestita di bianco, fece un passo verso di lui quasi volendolo intimorire ma  non si mosse dalla sua posizione, rimase fermo e fiero come un vero guerriero.
-Sei nell'oblio. Ti chiederai cosa sia, tipico.-Sospirò fiera.-E' il luogo che divide, in maniera sottile ed impercettibile, la vita dalla morte.-Riprese.
-E cosa ci faccio qua?-Chiese, continuando a tenere inespressivo il suo volto.-E voi chi siete?-
-Sei stato condotto in questo posto dal momento che i tuoi ricordi sono riaffiorati nella tua mente. Hai vissuto la tua vita fino ad oggi, in questo universo parallelo, ma c'era un limite.-Iniziò la divinità.-Qualora i tuoi ricordi di Saint fossero riaffiorati, avresti dovuto affrontare una scelta. Quello che hai vissuto fino ad ora, non è stato scelto direttamente da te; la tua scelta viene adesso ed io, Mnemosine, Dea della Memoria e lei, Ecate, colei che scorta le anime all'aldilà, ti metteremo di fronte alla tua prossima scelta. Vita, o morte? Scegli tu stesso la tua sorte.-Concluse la Dea, lasciando interdetto il Saint.
-Quindi, dovrò decidere da solo il mio destino?-Alzò gli angoli della bocca in un sorriso quasi divertito.-Non male.-
-La tua scelta..-Fece intransigente Ecate cui la pazienza iniziò a vacillare.
-La mia sorte l'avevo già decisa, e nonostante questa deviazione, non cambio idea. Non ho null'altro da fare in questo mondo, la mia vita non è quella che avevo scelto per me. Il mio l'ho fatto, non mi resta che prendere il posto che mi spetta nell'Ade.-Concluse, avvicinandosi alle due donne.
-Quindi, scegli di morire?-Chiese Ecate, per esserne finalmente sicura ed El Cid annuì.
-Bene, la decisione è stata presa.-Si congedò Mnemosine, lasciando che la scia di fuochi fatui illuminassero il cammino verso il regno degli Inferi che il Saint, preceduto dalla Dea, percorse fiero.




-Sapevo che ti avrei trovato qua.-
La voce divertita di una bambina, giunse alle orecchie di Albafica come un torrente in piena nel silenzio di quella mattina.
Era, come di sua abitudine, fuori in giardino; si beava del silenzio e del profumo delle sue rose. Lui voltò la testa verso la sua interlocutrice, sorridendo teneramente.
Tania correva verso di lui, sorridente, fino a raggiungerlo.
-Come mai tanto entusiasmo?-Chiese lui, scompigliandole i capelli.
-Non posso mostrarmi così a mio fratello?-Chiese scettica e lui si incupì. Il sorriso tenero e sincero della bambina lo turbò per un momento, come se fosse la prima volta che qualcuno sorridesse solamente a lui.
Si dette dello stupido poco dopo, era logico per sua sorella sorridere a quel modo verso di lui, visto che era per lei l'unico fratello; però, c'era qualcosa di strano in tutto ciò. Tutta la famiglia lo turbava non poco. Nonostante il suo rifiuto a stare in società, continuavano a trattarlo come un figlio prediletto senza fargli mancare nulla. Forse, era proprio quello che non gli tornava.
Come unica compagnia, aveva la sua vasta distesa di rose nel giardino; si sentiva protetto ed al sicuro con esse, così fiere e colorate.
Poi, c'era sua sorella. L'amava come farebbe un fratello per una sorella più piccola, però il suo manifestare gioia così evidente lo mandava in confusione e continuava a chiedersi il perché.
-Tutto bene?-Chiese ancora la piccola vedendo l'espressione turbata del fratello, che aveva mancato di risponderle.
-No no.-Sorrise.-Va tutto bene, scusami.-Sorrise ancora, scompigliando di nuovo i capelli della bambina che sorrise a sua volta.
-Volevo proporti una cosa, mamma e papà mi hanno dato già il permesso!-Saltellò lei, eccitata.
-Per cosa?-Lui non fu molto convinto, ma l'espressione della sorellina lo fece ridacchiare.
-Ti voglio portare da una parte!-Concluse, tirandolo per la manica della maglia.
Lui, stranito, si fece trascinare fino fuori il cancello senza dire una parola; era fiducioso ma non mancò di chiedere spiegazioni dopo qualche minuto che stavano camminando.
-Dove mi stai portando?-Chiese.
-Tu non preoccuparti e seguimi!-Gli disse Tania sicura di sé.
Fece come gli era stato ordinato, seguendola fino a che lei non gli lasciò la manica.
Finalmente libero dalla stretta della bambina, che ora correva poco più avanti, camminarono per un bel po' di minuti, fino ad arrivare ad una distesa colorata da fiori multicolor. Era uno spazio verdeggiante con piante di ogni tipo e ogni colore.
-Ti piace?-Chiese la bambina vedendo la sua espressione meravigliata.-Noto che osservi sempre le tue rose ed ho pensato che ti piacessero i fiori. L'ho scoperto con i miei amichetti della scuola.-Sorrise al fratello che la guardò dolcemente.
-E' bellissimo.-Disse lui, nonostante il suo cuore fosse attanagliato da strani ricordi.
Quella distesa colorata gli ricordava qualcosa, ma per quanto si sforzasse non riusciva a ricordarlo chiaramente. C'erano molte cose che non  apparivano molto chiare ai suoi occhi e quindi gli lasciavano un senso di inquietudine che non riusciva a mettere a tacere.
Nonostante quello stato d'animo, seguì la sorella; lei si muoveva tranquillamente in mezzo alla distesa, come una piccola principessina che lui osservava quasi tristemente.
-Allora, vieni?-Lo chiamò lei, poco distante, mentre si sdraiava per terra.
Lui annuì e si avvicinò a lei, sdraiandosi anch'esso; l'aria gli scompigliava i capelli e smuoveva le corolle dei fiori che accarezzavano il suo corpo. Rimase così, con gli occhi chiusi, beandosi di quegli attimi; ma qualcosa gli riaffiorò nei ricordi. Delle immagini iniziarono a scorrergli nella mente come un film: un uomo, con indosso una strana corazza dorata e dei lunghi capelli rossi che svolazzavano nella brezza serale, camminava in una distesa di rose rosse, dello stesso colore dei suoi capelli, fino a che non si trovò davanti uno strano fagotto. Si abbassò per vedere cos'era e trovò un bambino in fasce. Il bambino dormiva tranquillamente e si svegliò solo quando fu fra le braccia dell'uomo. Quel bambino era lui.
Appena riuscì a collegare quella scena, spaventato aprì gli occhi, ma quello che vide non fu la distesa dei fiori dove sapeva di trovarsi, bensì un luogo oscuro e privo di gravità dove lui fluttuava leggero.
Di fronte a sé, Mnemosine ed Ecate gli dettero il benvenuto.
-Albafica, mancavi solo tu.-Disse la prima donna, quella vestita di bianco.
-Conosci il mio nome?-Chiese lui, interdetto.
-Non è difficile per delle divinità come noi.-Rispose solamente.-Immagino non saprai perché ti trovi qua.-
Il ragazzo scosse la testa, facendo balenare lo sguardo fra le due strane figure femminili.
-Immaginavo.-Sospirò la Dea.-Ti trovi in questo posto, l'oblio, in seguito al riacquisto della tua memoria; qualora i tuoi ricordi ed il tuo passato ti fossero stati più chiari, avresti dovuto scegliere tu stesso la tua sorte. La vita, o la morte. E' questo che dovrai scegliere. In questo luogo tu sei sospeso impercettibilmente, ancora, fra il vivere oppure il morire.-Spiegò Mnemosine.
-Ancora non mi è chiaro il motivo. In seguito alla mia memoria? Cosa significa? Ricordo di essere morto combattendo uno Spectre, allora perché ho vissuto fino ad ora un'altra vita?-
-Perché è stato il volere della vostra Dea e la vostra devozione per essa. Ma c'era un limite: il riacquistare la memoria. Se sceglierai di vivere, io Dea della Memoria, sarò costretta a portarti via il tuo passato di Saint. Se morirai..-Lasciò la parola all'altra.
-Io stessa ti accompagnerò nell'Ade.-Concluse Ecate.
-Sono stato abbandonato dai miei genitori in una distesa di rose, e fui trovato dal mio maestro Lugonis; grazie a lui sono diventato un Saint ma per colpa del mio sangue venefico, ho ucciso involontariamente colui a cui devo la mia investitura, e per questo ho vissuto isolato da tutto e tutti, nell'ultima Casa del Tempio. In questa nuova vita, ho due genitori che mi amano, una sorellina che adoro, non ho intenzione di morire.-Disse intransigente lasciando che le due donne acconsentissero.
-Bene, dovrai rinunciare alla tua vita di Saint.-Lo mise in guardia la prima Dea, avvicinandosi a lui.
-Sono pronto!-
Prima che la fredda mano della Dea raggiunse la sua fronte, e con un fascio di luce privarlo di una parte di lui, il suo ultimo pensiero andò proprio a Lugonis.
Per un breve istante il viso rilassato del suo maestro, ed i suoi lunghi capelli rossi svolazzanti, gli apparve di fronte agli occhi e lui sorrise benevolo. Poi, tutto ciò scomparve e di fonte a lui ci fu solo la distesa di fiori.
-Tutto a posto fratello?-
La voce di Tania lo riportò alla realtà e lui la guardò un po' scettico, ancora scosso da quello che aveva appena vissuto. Ma cosa avesse appena vissuto non lo ricordava.
-Non ti piace qua? Vuoi tornare a casa?-Chiese lei tristemente.
-Non ci penso neanche!-
Con un gesto repentino la prese di peso e se la portò sulle gambe, iniziando a farle il solletico. Si beò delle del suono delle sue risate, seguendola con ilarità.
Rimasero così, insieme, a ridere come due bambini. Finalmente era un ragazzo normale, con una vita normale ed era amato dalle persone a lui care.



Grande Tempio, 19xx.
Il Grande Sacerdote Shion, era seduto sul trono nella sala adibita alle riunioni. Come gli aveva detto il suo maestro Hakurei, durante l'ultima Guerra Santa, quando lui era il fiero ed abile Saint dell'Ariete: "un giorno un altro Sacerdote osserverà quella porta, seduto su questo trono; chissà, magari potresti essere tu."
Quelle parole continuavano a scorrergli nelle orecchie, con lo stesso tono di quando le udì. Aveva ragione Hakurei, adesso ad osservare la porta chiusa della stanza c'era proprio lui con indosso le sacre vesti Sacerdotali.
Nonostante il suo sguardo fosse catturato dalla porta, la sua mano destra accarezzava un Pandora Box argenteo posto accanto a lui.
Vari pensieri vagavano nella sua mente, mentre i suoi polpastrelli seguivano i ricami dello scrigno, ma furono interrotti dall'arrivo di un Saint che entrò nella stanza, richiudendo la porta dietro le sue spalle.
-Mi avete mandato a chiamare nobile Shion!-Chiese il nuovo arrivato, inginocchiandosi reggendo un lembo del mantello.
L'uomo vestiva la sacra Cloth che un tempo apparteneva al suo maestro: quella dell'Altare e questo lo rendeva così fiero che gli si illuminarono gli occhi.
-Nikol, si.-Sorrise all'uomo appena entrato.-Ho da proporti una cosa.-Gli disse, diventando serio.
Il Saint appena giunto cambiò espressione, diventando curioso verso quelle parole.
-Che tipo di proposta?-Chiese.
-Il Cosmo di Urania si è manifestato; non può continuare ad essere solamente un'ancella. Ha bisogno di un addestramento e solo tu puoi farlo.-Spiegò intransigente, accarezzando ancora lo scrigno accanto a lui.
-Se posso chiedere, mio Signore, come mai proprio io?-Chiese fiero di essere stato scelto. Questo volava dire che il Grande Sacerdote nutriva forte fiducia in lui.
-Sei l'unico che possa allenare la piccola Urania, predestinata a diventare il Saint della Gru.-
Disse quelle parole spostando la sua attenzione sul Pandora Box: lo scrigno che fino a quel momento accarezzava fiero.
-Come ben sai, sono più di 200 anni che non ha un custode. Nessuna delle donne fin ora arrivate al Tempio, ne sono state degne; ma la piccola è diversa. E sai perchè?-Gli sorrise ma l'uomo scosse la testa, scettico.
-Perchè è nata sotto la stella protettrice di Yuzuriha.-Disse, voltando lo sguardo fuori dalla finestra, verso il cielo limpido di quel giorno.
-Non è un Caso se la bambina ha sviluppato un Cosmo, non è un caso che si trovi al Tempio. Nulla è lasciato al caso, mio caro Nikol. Tu hai ereditato la Cloth del mio maestro Hakurei, maestro anche di Yuzuriha. Sei il più adatto a questa impresa. Urania ha bisogno di un addestramento uguale alla mia compagna, purtroppo scomparsa. Dovrai trasmetterle tutto il suo sapere, temprarla alla guerra e temprare il suo carattere perché non si arrenda mai. Da lassù, Hakurei e la stessa Yuzuriha vi stanno osservando.-Sorrise verso la volta celeste.
-Farò del mio meglio, nobile Shion. Non la deluderò, statene certo!-Si alzò in piedi, inchinandosi repentinamente verso il Sacerdote.
-Ne sono sicuro!-Sorrise ancora, ricambiato da Nikol.-Adesso puoi andare, Urania ti starà aspettando nella nona Casa; il nobile Aiolos ha provveduto ad alleviare le sue paure. Il nuovo Saint del Sagittario è un ragazzo in gamba.-Sorrise.
-Certo mio Signore.-
Il Saint dell'Altare si inchinò di nuovo di fronte al pontefice e, dopo averlo salutato, si congedò dalla stanza.
Shion rimase solo, seduto sul grande trono dorato, accanto al Pandora Box ancora chiudo della Cloth della Gru che continuava a strofinare con il polpastrello guardando fuori dalla finestra.
Sospirò lievemente dopo pochi minuti di silenzio, alzandosi di peso per riuscire a guardare tranquillamente il cielo, ed alcuni pensieri invasero la sua mente.
"Yuzuriha, mia valorosa ed abile compagna d'addestramento, il tuo Cloth è ancora custodito nel Tempio; nessuno dei Saint giunti in questo luogo è riuscito a conquistarlo o indossarlo, ma vedo che hai scelto la tua erede." Sorrise benevolo."Sono sicuro che la tua stella la proteggerà sempre da lassù."
Nonostante la lacrima che prepotentemente scese dal suo occhio destro, continuò a sorridere verso il cielo; ma questa, è un'altra storia.
Fine



-----
Eccomi qua alla conclusione di questa storia! Siamo arrivati all'ultimo capitolo ed abbiamo scoperto la scelta che hanno affrontato El Cid e Albafica! Ve l'aspettavate? ;)
Per quanto riguarda l'ultima parte, quella al Grande Tempio, forse vi devo delle spiegazioni XD
E' il mio ipotetico prequel, una specie di Missing Moment, della splendida fic di Sagitter No Tania: Love Will Keep Us Alive.
Ringrazio i recensori e chi ha seguito questi sei capitoli!
Un bacione a tutti
alla prossima!






Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1571446