La Stagione delle Piogge

di aquariusff
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


L'Amore non ha tempo.
L'Amore non ha età.
L'Amore ritornerà alla fine della Stagione delle Piogge.


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Capitolo I

Kora era seduta sul divano e sorseggiava lentamente una tazza di tè alla menta.

Sospirò pesantemente.

Si annoiava in quella casa enorme dove non c’era mai niente da fare.

Si voltò verso la finestra e notò che aveva ricominciato a piovere.

Si alzò e si diresse alla finestra: il cielo era completamente ricoperto da spesse nuvole grigie e la pioggia veniva giù fitta fitta picchiando rumorosamente contro i vetri.

Un fulmine la fece retrocedere di qualche passo e il fortissimo boato che ne seguì la fece rabbrividire.

Guardò l’elegante orologio da polso: erano le quattro e suo padre non era ancora arrivato.

Forse l’aereo aveva tardato o forse era rimasto imbottigliato nel solito caotico traffico di Amburgo.

Tornò a sedersi e lanciò una rapida occhiata ai libri sul  tavolino di cristallo.

Sbuffò facendo una smorfia.

Non aveva alcuna voglia di riprendere in mano quel noiosissimo libro di filosofia.

Non aveva voglia nemmeno di starsene seduta su quel freddo divano di pelle nera e tantomeno  ascoltare ancora il ticchettio di quel vecchio pendolo che scandiva con lentezza esasperante i secondi in quella casa così silenziosa.

Doveva fare qualcosa e subito altrimenti sarebbe morta di noia!

E pensare che doveva restare lì per altri tre mesi: lei, Hugo il cane di suo padre e Gertrude, la vecchia governante che si prendeva cura della casa e cucinava…..uno strazio!

Quella donna sembrava un fantasma:  aveva i capelli bianchissimi come la neve raccolti in un austero chignon, il passo felpato, il suo incedere lento e cadenzato e quando, per necessità era costretta a rivolgerle la parola, lo faceva così sottovoce che quasi sembrava un sospiro proveniente dall’aldilà.

Un brivido le corse nuovamente lungo la schiena.

Ma come diavolo faceva a vivere lì suo padre? Lontano dal mondo civilizzato, immerso nei boschi e il primo centro abitato più vicino  che distava almeno 10 Km!

Se almeno ci fosse la nonna!

Con lei sì che ci si divertiva sempre.

Nonostante l’età e gli acciacchi sprigionava una vitalità incredibile ed era sempre pronta a raccontarle un aneddoto o una marachella che combinavano suo padre e suo zio quando erano ancora piccoli.

Era buffo vedere la faccia di suo padre quando la nonna raccontava in che razza di guai si cacciavano….

-Mamma! Non è il caso di raccontarle certe cose! E’ ancora una bambina e potrebbero venirle strane idee in testa. Kora, non ascoltare la nonna. Io e lo zio eravamo degli scavezzacollo. Certe bravate non si fanno; intesi?-

poi lanciava un’occhiataccia alla madre e scuoteva la testa.

Che trasformazione…ora era un padre attento e premuroso e si sforzava di insegnarle le regole e le buone maniere proprio lui che, con tutte le sue forze, aveva lottato contro il conformismo della società ed i clichè!

Era troppo divertente.

 La nonna, fingeva di rammaricarsi, ma non appena suo padre usciva dalla stanza, continuava a raccontare e insieme si sbellicavano dalle risate.

La nonna era assolutamente fantastica e poi,  le aveva trasmesso la passione per l’arte.

 Le aveva insegnato a dipingere, a mescolare i colori quando era ancora una bambina.

Aveva intinto il pennello nella tempera rossa e poi glielo aveva messo in mano dicendole di lasciarsi guidare dall’istinto e dai sentimenti.

Secondo lei tutto è  colore: basta scoprire come la nostra anima li recepisce e li trasforma. Per la nonna la passione era il giallo, la malinconia l’arancione e la paura il blu.

Le aveva insegnato ad esprimere i suoi stati d’animo attraverso la pittura: aveva liberato la sua creatività e di questo gliene sarebbe stata grata per tutta la vita.

Si voltò a guardare la grande tela che era posta proprio sopra il camino.

Kora l’aveva dipinta per suo padre: rappresentava l’amore.

Schizzi di colori accesi che si alternavano a linee dalle tinte fosche e dove i colori prevalenti erano il blu elettrico e il rosso.

Un caro amico della nonna le aveva organizzato una piccola mostra delle sue opere: aveva una promettente carriera davanti a sè, se solo avesse dato al più presto quell’esame di maturità che era l’unico ostacolo ai suoi sogni!

Sua madre non aveva sentito ragioni e le aveva posto un veto: prima la scuola e poi tutto il resto.

Suo padre aveva appoggiato in pieno le decisioni di sua madre e a nulla era valso ricordargli che per seguire il suo sogno, lui aveva mollato la scuola quando aveva appena 15 anni.

Scosse la testa rassegnata: ormai mancava poco e poi finalmente sarebbe stata libera.

Guardò di nuovo l’orologio: erano passati solo pochi minuti.

All’improvviso vide la palla di Hugo e le venne un’idea.

La prese e si avvicinò lentamente:

“Hugo, Hei Hugo! Hai voglia di giocare?” ;

il pesante labrador se ne stava sdraiato sul tappeto davanti al camino e, al suono della sua voce sollevò appena la testa.

“Dai bello, vieni a giocare”; prese la pallina e gliela mise davanti al muso ma il cane non era affatto interessato.

“Su, forza pigrone! Dai, valla a prendere!” e la lanciò lungo il corridoio.

Il cane la guardò per un attimo poi, allargò le sue grosse fauci in un enorme e rumoroso sbadiglio e lasciò andare di nuovo la testa sul tappeto, tornando a dormire.

Kora lo guardò sbalordita: quel cane era quasi più pigro di suo padre!

Rassegnata, abbandonò l’idea di riprovarci così, cominciò a gironzolare per casa.

Su ogni parete vi era qualche riconoscimento o delle foto di suo padre.

Quanto era giovane!

E come era conciato! A guardarlo adesso non riusciva quasi a credere  che potesse indossare abiti pieni di paillettes e di piume o coprirsi il viso con quintali di trucco.

Ora, il massimo che si concedeva era un tocco di nero ai capelli, quando il bianco bussava alle soglie delle tempie o della fronte.

Quanti dischi d’oro e di platino!

Era il tempo sfolgorante dei successi, dei viaggi in giro per il mondo, del sogno americano…..suo padre aveva visto tutto quello che c’era da vedere in quel mondo e aveva rapito il cuore di migliaia di ragazze, adesso donne, che avrebbero fatto qualsiasi cosa per un suo sorriso.

Col tempo le cose erano cambiate: prima lo zio Tom aveva aperto uno studio di registrazione tutto suo ed era rimasto a vivere negli Stati Uniti poi  Gustav aveva deciso di aprire una scuola di musica a Magdeburgo; Georg aveva aperto una catena di ristoranti ed infine era arrivata lei, all’improvviso e suo padre si era assunto le sue responsabilità sposando la mamma.

 La loro storia però, non aveva funzionato fin dal principio e così dopo pochi anni divorziarono e adesso lei era lì perchè sua madre stava per risposarsi….con Robert, il suo dentista.

Suo padre alla notizia  era rimasto completamente indifferente: la sua  unica preoccupazione era sua figlia e la sua felicità e se lei era contenta della scelta di sua madre e di vivere con lei e con il suo patrigno, lui non aveva niente da obiettare.

Era sicura che suo padre non fosse mai stato veramente innamorato della mamma: glielo leggeva negli occhi, nella sua presenza lontana, nei suoi atteggiamenti affettuosi ma distanti.

Kora, era convinta che suo padre avesse conosciuto il vero amore e che l’avesse perduto e da quel momento in poi, la sua vita  era divenuta solo grigia monotonia.

Tranne quando era con lei, ovviamente.

Era il papà più tenero ed affettuoso del mondo, a volte severo ma sicuramente comprensivo ed un gran chiacchierone.

La maggior parte dei bambini si addormenta ascoltando una favola presa da un libro qualunque; lei si addormentava con i racconti della vita di suo padre, dei suoi fantastici viaggi, delle cose meravigliose che i suoi occhi così caldi ed espressivi avevano catturato e custodito gelosamente nel suo cuore.

Mentre pensava a queste cose, si ritrovò a fissare la sua immagine nello specchio del piano superiore: gli stessi occhi caldi ed espressivi, gli stessi lineamenti delicati, le stesse labbra morbide.

 Si, gli assomigliava  molto tranne per il colore dei capelli. I suoi erano castani, tendenti al rosso e ricci, esattamente come quelli di sua madre.

D’istinto aprì la porta della camera di suo padre.

Sorrise pensando a quanto lo rappresentasse quella stanza: una enorme cabina armadio, ricoperta di specchi fumè; un morbido letto di pelle e lussuose lenzuola di seta color champagne che si contrapponevano con forza al piumino nero.

In un’altro angolo vi era una scrivania in cristallo fumè e acciaio ed una morbida poltroncina di pelle nera. Sulla scrivania vi era un computer costosissimo di ultima generazione e tutte le cose di suo padre, di cui era gelosissimo. Fin da bambina le aveva assolutamente proibito di toccare tutto quello che era sistemato su quella scrivania.

Kora osservò quegli oggetti con ossequioso rispetto, memore delle  numerose sgridate ricevute.

Alle pareti c’erano dei quadri che non possedevano un reale valore  ma  a suo padre piacevano moltissimo. Sul tavolino accanto al letto una sua foto di quando era bambina ed un’altra  scattata al suo sedicesimo compleanno.

Senza un perchè, avvertì una struggente malinconia: quella stanza, in effetti, trasmetteva la vera essenza della vita di suo padre, della sua profonda ed immotivata solitudine.

  Davanti alle enormi finestre che ricoprivano un’altra parete della camera, era sistemata una chaise long. Suo padre si sedeva spesso lì a contemplare  lo splendido panorama del giardino e andando più in là con lo sguardo, i boschi,  fino ai piedi della collina. Con un pò di dispiacere lanciò uno sguardo al tavolino: le solite bottiglie di liquore pregiato ed un bicchiere….

Le tornò in mente una scena a cui aveva assistito quando era ancora una bambina, nella casa in cui abitava con i suoi genitori.

 Era strano come il passare degli anni non avesse nemmeno lontanamente scalfito quel triste ricordo e il dolore provato allora era ancora così vivo, così pungentemente presente.

  Era già ora di andare a dormire e suo papà non si era visto: di solito entrava nella sua stanza, controllava che avesse spazzolato bene i denti e poi le raccontava una delle sue storie prima del bacio della buonanotte.

Si sdraiava accanto a lei e la teneva stretta stretta e lei adorava sentire il suo buon profumo che si mischiava all’odore del tabacco. Adorava la sua voce calda che scandiva lentamente le parole e quella sensazione di sentirsi al sicuro, protetta.

La mamma le aveva detto di lasciar perdere per quella sera e di andare a letto lo stesso ma lei non poteva e non voleva rinunciare all’abbraccio del suo papà.

Aveva finto di obbedire  e non appena la mamma uscì dalla sua camera, scese dal letto e, senza fare rumore, facendo attenzione a non farsi vedere da nessuno, aveva cominciato a cercarlo.

Andò nella camera da letto dei suoi genitori, era convinta di trovarlo lì, seduto sul letto a guardare la tv e invece la stanza era vuota. Richiuse la porta ma poi qualcosa attirò la sua attenzione.

Sentì la voce della mamma provenire dal salotto al piano inferiore  mentre parlava al telefono con qualcuno a bassa voce.  Scese piano alcuni gradini: la moquette faceva il solletico ai suoi piedini nudi.

Man mano che si avvicinava, udì sempre più chiaramente sua madre   dire che era alle solite, che  aveva di nuovo perso il controllo e aveva cominciato a bere, infischiandosene del fatto che la bambina potesse vederlo e poi la sentì piangere e dire che prima o poi l’avrebbe lasciato solo…che non ce la faceva più a sopportare quella situazione.

Lei si era nascosta dietro un angolino e aveva ascoltato tutto e iniziò ad avere paura.

 Corse  nello studio di suo padre e la scena a cui assistì fu straziante:  una bottiglia vuota sul pavimento, un bicchiere rotto, il forte odore di alcool e suo padre riverso supino  sul divano.

Lo chiamò a gran voce ma lui non rispose, allora si avvicinò e cominciò a strattonarlo e a gridare più forte:  – Papà svegliati! Svegliati! Apri gli occhi Papà!-

Istintivamente si coprì le orecchie: non voleva più sentire quella voce, non voleva più vedere suo padre in quelle condizioni, non voleva rivedere sua madre mentre la trascinava a forza fuori dallo studio cercando di calmarla….non voleva più ricordare.

Chiuse gli occhi e scosse vigorosamente la testa poi spostò lo sguardo da un’altra parte.

 Provò una pena enorme per quell’uomo tanto fortunato sotto certi versi e tanto solo: avrebbe dato qualsiasi cosa per conoscere la ragione di quella pacata tristezza che si celava in fondo ai suoi occhi e dietro quella nota di rassegnazione sul suo sorriso!

Si ritrovò a fissare l’ennesima foto di suo padre, con i capelli cortissimi e biondi mentre, assieme allo zio Tom, giravano per le strade di Los Angeles.

Improvvisamente, qualcosa colpì la sua attenzione.

Sul soffitto aveva notato una piccola botola.

Che strano…da quanto tempo era lì? Eppure era sicura di non averla mai vista prima.

Si avvicinò e incuriosita decise di arrampicarsi fin lì e vedere cosa fosse.

Si guardò intorno, prese la poltroncina di suo padre e la spinse fin sotto la botola.

Si tolse le scarpe e salì sulla poltrona, afferrò saldamente la maniglia e tirò.

 Con sua grande sorpresa, si aprì una piccola scaletta di legno che conduceva ad una stanza al piano superiore,  proprio sotto il tetto.

Iniziò a salire quella scala…..

                                                                                                                                                        continua

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


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Capitolo II

Kora salì lungo la scala di legno.

Era tutto avvolto dal buio, solo un minuscolo spiraglio di luce, che proveniva da un piccolissimo lucernario sul tetto, riusciva ad illuminare a malapena l'ultimo gradino.

Si guardò un pò intorno alla ricerca di un interruttore...

Quanta roba doveva essere ammucchiata in quella vecchia soffitta polverosa! Girava con circospezione, facendo attenzione a non inciampare.

Quel luogo, aveva un aspetto così tetro; poteva essere tranquillamente il rifugio di un vecchio fantasma.

Sorrise al pensiero di trovarsi faccia a faccia con uno spettro.....

Il frastuono di un tuono la fece sobbalzare dalla paura.

Sentiva il cuore battere velocemente tanto da farle dolere il petto ed il respiro accelerare.

Fece qualche passo verso la luce quando:

"Accidenti!" disse a voce alta toccandosi il ginocchio dolente;

"Ma che diavolo è questo?" afferrò l'oggetto contro il quale era andata a sbattere.

Era un vecchio sgabello.  Ci si sedette tentando di riprendersi dallo spavento e dall'urto . Ripensò all'idea del fantasma e cominciò a ridere a crepapelle.

Forse per un attimo, la suggestione le aveva giocato un brutto scherzo.

Si guardò intorno con un pò di timore: le sagome indistinte avevano un aspetto sinistro e più passava il tempo e più aveva voglia di scappare ma la sua curiosità era anche più forte della paura.

Sollevò la testa verso il lucernario ma questa volta notò qualcosa che assomigliava ad una vecchia lampada che penzolava dal soffitto.

Si alzò cercando a tentoni:

"Oh, finalmente!"  disse pigiando l'interruttore proprio sopra la lampada .

"...E luce sia!".

Ora  la luce illuminava completamente quel luogo angusto e non le sembrò più così spaventoso come poco prima.

Si guardò intorno sorridendo: le sagome che l'avevano terrorizzata non erano altro che vecchi mobili ricoperti da teli ormai ingialliti.

Sorrise della propria ingenuità, poi curiosa guardò con più attenzione:  le brillavano gli occhi come se avesse scoperto un grande tesoro.

Lì erano custodite tutte le  cose di suo padre.

Su un appendiabiti mezzo arrugginito, vecchi costumi di scena, ricoperti dai celophane facevano bella mostra di sè: tute in lattice, giacche con spuntoni enormi, pettorali dall'aspetto fantascientifico...

Cielo erano microscopici! Ma come diavolo aveva fatto suo padre ad entrare in quelle trappole!

Solo a vederle trattenne il respiro.

Si voltò un pochino e vide, incolonnati ordinatamente, una montagna di amplificatori, due aste per microfoni e,una piccola scatola di alluminio con sopra scritto "Bill".

La aprì delicatamente e all'interno, protetti dalla polvere, un paio di microfoni.

Era bellissimo vedere gli strumenti che suo padre aveva adoperato durante la sua carriera. Poteva vederlo, con quegli abiti attillati, le sue pettinature strane, il suo trucco marcato, mentre stringeva tra le mani uno di quei microfoni e la sua voce si diffondeva melodiosa mandando in visibilio migliaia di fans.

Una sola volta lo aveva visto  esibirsi dal vivo...era uno dei ricordi più belli della sua vita.

Se ne stava in piedi su quel grande palcoscenico, da un lato c'era lo zio Tom e dall'altro lato Georg.

 Gustav, seduto alla batteria, scandiva il tempo picchiando sulle sue bacchette e poi, quando finalmente iniziarono a suonare le urla che partivano prima piano, quasi sommessamente, aumentavano d'intensità: sempre più forti, sempre più acute fino a sovrastare il suono degli strumenti e quando la sua voce melodiosa, intonava le prime  note di una canzone, cessavano per un attimo per poi esplodere più vive e più decise di prima.

Suo padre sorrideva felice e scuoteva la testa, meravigliandosi di tutto quell'affetto e di quel calore: si voltò verso di lei, seduta accanto alla mamma  e le mandò un bacio.

Un altro tuono la destò da quei ricordi.

Si guardò ancora un pò in giro: vi erano vecchie poltrone,  delle sedie ed un tavolino e poi, nascosto dalla penombra,  un vecchio baule.

Era molto bello, sebbene si intravedesse appena e catturò completamente la sua attenzione.

Spostò una pila di libri e qualche scatolone e si avvicinò a quel baule.

Lo trascinò un pò verso la luce....cavolo quanto era pesante!

Arrivò proprio sotto la lampada e li, dopo un ultimo sforzo, gli diede un'altra occhiata.

Sì era veramente un oggetto delizioso.

In legno, tutto intagliato, con dei fregi preziosi color oro, esattamente come le maniglie e la piccola serratura; peccato che fosse così pieno di polvere....chissà da quanto era lì.

Senza pensarci troppo, prese un bel respiro e soffiò con tutta la forza che aveva nei polmoni: una nuvola di polvere si sollevò provocandole qualche colpo di tosse ed un paio di starnuti.

Adesso, almeno, riusciva a  vedere il  colore naturale del legno.

Doveva essere di mogano, o forse di ebano perchè era scuro ma non poteva dirlo con precisione.

Afferrò la piccola chiave nella serratura e la girò.

Con mani insicure ed  una sorta di religioso rispetto, lo aprì delicatamente, quasi a scusarsi di violare i segreti in esso contenuti.

Diede una rapida occhiata: per l'emozione le vennero le lacrime agli occhi.

Teddy.

Era il suo giocattolo preferito.

Suo padre glielo aveva messo nella culla appena nata.

Quando divenne un pò più grande le spiegò che quello era il suo portafortuna e che, se l'avesse trattato con rispetto, prendendosene cura e volendogli bene, Teddy avrebbe portato fortuna anche a lei.

Lo sollevò tremante e lo guardò a lungo: i colori si erano sbiaditi, la stoffa consumata ed un braccino era mezzo strappato dal resto del corpo.

Quanto le era mancato!

Dopo il divorzio dei suoi genitori e il trasferimento nel nuovo appartamento, non era più riuscita a trovarlo ma, suo padre non aveva abbandonato il vecchio Teddy: lo aveva conservato con cura durante quei lunghi anni.

Se lo portò al petto e lo strinse forte forte esattamente come quando era bambina.

Dopo averlo strapazzato di coccole per un pò, si sedette sul pavimento ed incrociò le gambe e, con Teddy ancora stretto a sè,   continuò ad esplorare il baule.

C'erano moltissime foto di suo padre e dello zio Tom ancora bambini accanto ad un signore che non aveva mai visto prima.

Chissà chi era quell'uomo...

-Papà sembra così felice in questa foto - pensò tra sè e continuò a scorrerle lentamente, una dopo l'altra.

Le appoggiò sul pavimento e continuò a rovistare: l'angolo di una cornice  spuntava dietro vecchi documenti ingialliti.

La tirò fuori e vedendola un nodo le strinse la gola.

Respirò profondamente e tentò di non piangere ma una lacrima sfuggì al suo controllo.

Era la foto del matrimonio dei suoi genitori.

Suo padre era impeccabile nell'abito scuro e sorrideva  mentre la teneva in braccio.

La mamma era splendida in quell'abito rosa, lungo fino al ginocchio e quel minuscolo bouquet di rose bianche.

Si asciugò gli occhi....era tutto così bello: in quella foto sembravano davvero una famiglia.

Sospirò con rammarico.

Meglio metterla via, quello era un ricordo troppo doloroso e non voleva passare il resto della serata a piangere e a rimurginare sul passato.

Il baule era ancora pieno di sorprese e di piccoli grandi segreti da scoprire.

 Quanti spartiti!

Era la musica di suo padre.

Li prese in mano ed uno dopo l'altro lesse i titoli, erano tutti scritti a mano. Non riconobbe la calligrafia ma in un angolino c'erano scritti due nomi: Bill e Tom.

Tra le sue mani vi erano "Durch den Monsun", "Reden", "In Die Nacht", "Hilf Mir Fliegen" c'era l'intera storia musicale dei Tokio Hotel.

Ricordi...

In quel baule c'erano le cose più belle e più preziose della vita di suo padre.

Si sentì improvvisamente una ficcanaso: ripose tutto esattamente come era prima ma, un attimo prima di richiudere il baule qualcosa catturò la sua attenzione.

Assomigliava ad un libro, ma era troppo grande e troppo delicato per esserlo.

Lo afferrò: era piuttosto pesante ma era conservato veramente bene.

La copertina era rivestita di tela bianca e sopra vi erano delle spighe di grano, dei fiori di campo secchi ed un nastro di colore azzurro.

Chissà quali altri misteri avrebbe rivelato.

Lo aprì con delicatezza, le pagine erano un pò ingiallite.

Era un album di foto; era stato confezionato a mano e, nonostante fosse passato tanto tempo, era ancora in ottime condizioni.

Immediatamente riconobbe la calligrafia di suo padre:

Luglio 2009, l'estate più bella della mia vita - 

Spostò la velina e vide una foto: una ragazza dagli occhi scuri e dai lunghi capelli sorrideva felice.

Era molto bella: i lineamenti delicati, i capelli nerissimi erano scompigliati dal vento; la carnagione abbronzata contrastava vivacemente con il candore della camicia di lino che indossava. Aveva gli zigomi alti e un sorriso dolce e gentile. 

Aveva un'aria così solare: se avesse dovuto rappresentare la serenità, Kora avrebbe dipinto il suo ritratto.

Chissà chi era....

 Sullo sfondo si intravedeva il mare.

Era di un colore blu intensissimo, ma dove era stata  scattata?

Poteva essere la Grecia o forse la Spagna; da quella foto non si riusciva a distinguere.

Voltò pagina e vide altre foto di quella ragazza e qualche annotazione scritta a mano in un angolo della pagina.

Peccato che la luce fosse così fioca.

Ad un tratto sentì Hugo abbaiare forte e una strana agitazione al piano di sotto.

"Accidenti è arrivato papà! Se mi trova qui saranno cavoli amari!" Chiuse di corsa il baule, spense la luce e si precipitò giù dalla scaletta.

Aveva il cuore che batteva velocemente  per l'agitazione.

Richiuse la botola, sistemò la sedia e uscì di corsa dalla sua camera.

"Kora! Kora dove sei? Sono a casa tesoro" la voce di suo padre la fece sobbalzare.

Santo Cielo! Per la fretta non aveva riposto l'album e lo teneva stretto ancora tra le mani.

"Ah, vuoi giocare a nascondino eh? Ma non sei cresciuta per questo gioco?" suo padre stava salendo le scale....doveva nascondere l'album e in fretta.

Aprì la porta della sua camera, si buttò sul letto, con una mano nascose l'album sotto le coperte e con l'altra prese le cuffie dell'i-pod e se le infilò nelle orecchie.

Bill aprì la porta di scatto:

"Ecco dove ti eri nascosta! ";

fingendosi sorpresa si mise in ginocchio sul letto, si sfilò le cuffie e allargò le braccia in attesa di un abbraccio.

"Papà sei arrivato! Scusa avevo la musica a tutto volume e non ti ho sentito".

Bill la strinse in un abbraccio affettuoso e le diede un bacio su una guancia.

"Sei in ritardo!" lo rimproverò bonaria;

"Si lo so. Fuori c'è un tempo orribile e l'aereo ha impiegato un'eternità ad atterrare e poi le strade sono allagate...un disastro arrivare fin qui".

"Questo perchè vivi in un posto lontano dal mondo" lo rimbeccò Kora.

"Non ricominciare con la solita storia. Piuttosto, quando sei arrivata?";

"Ieri mattina. Robert e la mamma mi hanno accompaganta qui all'alba si può dire. Erano nervosi e stressati...sai com'è mancano solo pochi giorni al loro matrimonio e devono finire i preparativi".

Bill si sedette sul letto e senza guardarla chiese:

"Come sta tua madre?";

"Oh, lei sta bene. E' tanto felice. Mi ha fatto vedere il suo abito da sposa...è un sogno papà. Ha fatto arrivare la stoffa direttamente da Parigi ma tanto la vedrai al matrimonio".

Christine aveva fatto le cose in grande stile questa volta.

Ripensò al loro matrimonio, lei con un semplice abito rosa in quella piccola sala del comune di Amburgo. Solo pochi intimi avevano assistito alla cerimonia. Tutto era così vuoto, privo di significato: l'unica cosa bella era il sorriso di Kora.

"Senti papà, io ho una gran fame. Che ne dici se andiamo di sotto a mangiare la deliziosa cenetta che ha preparato Gertrude? Sai è stata tutto il giorno in cucina a preparare le tue pietanze vegetariane ".

"Allora andiamo";

Kora scese dal letto e suo padre la guardò con ammirazione.

"Però! Quanto è cresciuta la mia bambina!".

"Papà non sono più una bambina! Sono quasi maggiorenne e a proposito di questo vorrei ricordarti che tu ed io abbiamo fatto un patto";

"Un patto? ";

"Dai papà non fingere di non aver capito....la mostra";

"Ah la mostra..." fece con finta aria sorpresa.

"Sei sempre il solito! Fingi sempre di non capire quando non ti conviene";

Bill scoppiò a ridere poi la abbracciò.

"Ma non avevi detto di aver fame?" Kora sorrise ed insieme uscirono dalla stanza.

Un attimo prima di chiudere la porta della sua camera, lanciò un'occhiata furtiva all'album nascosto sotto le coperte.

 

                                                                                                 .............continua  

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


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Capitolo III

La tavola era stata elegantemente apparecchiata: Gertrude aveva tirato a lucido le cristallerie e le posate d'argento: sapeva quanto il Sig. Kaulitz tenesse a sua figlia e voleva che fosse trattata come una principessa quando era ospite in casa sua.

"Che profumino! Che ha preparato di buono?";

"Tagliatelle al pesto, tortino di patate e zucchine e per dessert coppa al caffè";

Kora aveva già l'acquolina in bocca, lei e suo padre erano dei grandissimi consumatori di caffè: lo prendevano in tutti i modi ma  la coppa di Gertrude era una vera squisitezza! Il resto invece....storse il naso solo al pensiero di tutte quelle verdure... e avrebbe continuato a mangiarle nelle prossime settimane.

Erano già molti anni che suo padre era diventato vegetariano e, non ammetteva che alla sua tavola, si consumasse carne così i suoi ospiti dovevano adattarsi alle sue scelte.

"Cosa c'è? Qualcosa non va?" chiese Bill guardando la sua espressione nauseata.

"Oh no! Figurati....pensavo che sarà una cena fantastica....così salutare...." e intanto pensava che non appena sarebbe andata in città si sarebbe catapultata in un fast food e si sarebbe rimpilzita fino a scoppiare di hamburger e altre cose simili.

"Sono felice che tu lo apprezzi quanto me" Bill sorrise a sua figlia;

"Ovvio" sorrise di rimando.

"Allora, come va la scuola?";

Kora sbiancò.

Si aspettava quella domanda: era sospesa nell'aria ma sperava ardentemente di ritardarla il più  possibile; chissà perchè suo padre tirava sempre in ballo questo argomento tutte le volte che si mettevano a tavola!

Sembrava quasi che lo facesse di proposito.

Il poco appetito che le era rimasto, adesso era del tutto scomparso!

"Bene"; rispose vaga.

"Mmm....davvero?" Bill la squadrava con attenzione mentre si versava dell'acqua.

"Si";  si limitò a rispondere evitando accuratamente di guardarlo negli occhi.

Allungò la mano verso il cestino del pane e ne prese una fetta.

"...Non è esattamente quello che mi ha detto la mamma".

Kora si affrettò a riempirsi la bocca....in questo modo avrebbe guadagnato qualche secondo per trovare una scusa plausibile.

Certo che sua madre avrebbe anche potuto starsene zitta!

Aveva i preparativi a cui pensare, perchè non si era limitata a quelli?

Adesso si sarebbe beccata una lavata di testa coi fiocchi e in più, se suo padre era di cattivo umore, poteva mettere seriamente in pericolo la sua mostra.

"Ah.....e cosa ti ha detto?"  le parole le uscirono un pò strozzate.

"Che matematica e filosofia sono ai minimi termini".

Ecco!  Adesso era davvero spacciata.

"Si, insomma.... il test di matematica non è andato come speravo".

"Hai preso 3";  disse guardandola  negli occhi.

Voleva proprio vedere come si sarebbe giustificata a riguardo.

"Papà vedi....ecco, si.....uffa. E' inutile girarci intorno: io e la matematica siamo proprio distanti".

"Anni luce direi!";

Kora scoppiò a ridere.

 Quando voleva, sapeva essere molto spiritoso ma appena vide il suo sguardo truce smise immediatamente.

Si raddrizzò sulla sedia e deglutì a vuoto.

Raramente lo aveva visto così arrabbiato: ora le avrebbe inferto una sonora strigliata e conseguente punizione;  si preparò al peggio.

"Kora, nessuno più di me può capirti, io odiavo la scuola. La detestavo con tutto me stesso ma, nonostante ciò ero bravo o meglio, mi sforzavo di esserlo. Se proprio non ti va a genio la matetmatica, in questi tre mesi che passerai con me, prenderemo un insegnante che ti dia una mano ma filosofia....";

"No; lì è stata solo una distrazione papà...vedrai la prossima volta andrà sicuramente bene";

"Voglio sperarlo tesoro. Lo sai che ti voglio tanto bene ma sulla scuola non transigo".

"Lo so"; teneva gli occhi bassi.

"Se tieni alla mostra, dovrai mostrarmi dei miglioramenti....";

 era arrivato al nocciolo della questione.

Ora le avrebbe impedito di esporre i suoi quadri così tutti i suoi sogni sarebbero finiti in frantumi.

"....ma sono sicuro che ce la farai alla grande!".

Un enorme sorriso le illuminò il volto.

Per questa volta era andata.

Kora tirò un enorme sospiro di sollievo: si rilassò  sedendosi un pò più comodamente sulla sedia.

"Puoi starne certo, papà".

Si versò dell'acqua e ne bevve un paio di sorsi, aveva ancora la gola arida ma l'aria di colui che sa di aver fatto la cosa giusta e la soddisfazione per le risposte ricevute, dipinte sul viso di suo padre la tranquillizzò.

"E a te com'è andata? Hai incontrato lo zio Tom? Come sta?";

"Tutto bene. Lo zio ti saluta e mi ha detto di ricordarti di chiamarlo un pò più spesso!";

"ma se l'ho chiamato ...vediamo...due settimane fa!";

"Sono passati tre mesi. Comunque non si è dimenticato di te. Nella mia valigia, c'è un regalino da parte sua".

"Evvai!" esclamò felice.

Lo zio Tom era molto, molto generoso con lei e le regalava sempre cose costose e all'ultimo grido nel campo della tecnologia.

"Ricordati di ringraziarlo";

"Certo, papà, non preoccuparti. A proposito la mamma mi ha chiesto di ricordarti lo smoking"; Bill si colpì la fronte con la mano.

Doveva essersene completamente dimenticato.

"Non si preoccupi Signor Kaulitz, ho provveduto io a mandarlo in tintoria. Sarà pronto domani".

Meno male che ci aveva pensato Gertrude! Sembrava una mummia ammuffita ma in effetti era la donna più efficiente del mondo e cucinava le zucchine in maniera accettabile.

"Gertrude, non so come avrei fatto senza di lei".

L'anziana sorrise felice e se ne andò in cucina, silenziosa, esattamente come era arrivata.

Il resto dell cena filò liscio come l'olio.

Kora divorò il dessert  e dopo cena si accomodarono in salotto dove gli fu servito il caffè.

 La pioggia non aveva smesso un attimo di venire giù.

Apparentemente, l'atmosfera sembrava serena e distesa ma Kora era preoccupata per suo padre.

Lo vedeva fumare la sua sigaretta con l'aria stanca, il volto segnato da pesanti occhiaie e stranamente le sembrò più vecchio.

"Papà?";

"Mmm?";

"Che ne pensi del matrimonio di mamma?";

Bill si voltò a guardarla con un'espressione interrogativa.

"Vedi, te l'ho chiesto perchè finora non ne abbiamo parlato e vorrei sapere cosa ne pensi".

"Kora, io e tua madre siamo divorziati da tantissimo tempo. Credo sia giusto che lei si rifaccia una vita accanto a....come si chiama?";

"Robert, si chiama Robert".

"Si, con Robert. Io e la mamma siamo stati felici per un pò ma eravamo troppo diversi. Lei meritava sicuramente un marito migliore di me, che sapesse prendersi cura di lei, non un vagabondo. L'unica cosa che conti veramente per me sei tu. Avrei tanto voluto che ti trasferissi qui, da me...non immagini quanto questo mi avrebbe reso felice".

 "Si lo so papà ma ad Amburgo c'è la scuola, i miei amici...insomma la mia vita è lì".

"Certo. E' comprensibile".

Fissò un attimo la sigaretta accesa e poi inspirò un'altra boccata di fumo.

Kora lo osservò a lungo poi finalmente trovò il coraggio di chiedergli qualcosa che la tormentava da tanto tempo.

"E tu papà?";

"Io, cosa?";

"Tu quando ricomincerai a vivere? Sei sempre solo, lontano da tutto e da tutti. Chiuso nel tuo silenzio, nella tua perenne malinconia. Non so se sei felice, se sei innamorato, se hai qualcuno che pensi a te, che condivida le tue giornate".

Bill la guardò sorpreso: da quando sua figlia si preoccupava per lui?

Era cresciuta talmente in fretta che non si era ancora reso conto che non era più una bambina.

Lo fissava con l'aria preoccupata e gli occhi velati di tristezza.

Le sorrise dolcemente tentando di rassicurarla.

"Ci sei tu, e questo basta. Nel mio cuore occupi uno spazio talmente grande,che non c'è posto per nessun altro"; le sorrise ancora prima di continuare:

"Ora va a letto. Si è fatto tardi e domani sarà una giornata faticosa per entrambi".

Kora si alzò dal divano e si avvicinò a suo padre per dargli un bacio.

In un altro momento forse si sarebbe risentita di farsi mandare a letto come se avesse avuto 8 anni ma tornare in camera, significava fornirgli una tregua. Suo padre non amava affrontare discorsi che riteneva dolorosi e cercava sempre il modo per sfuggirvi.

"Buonanotte papà".

"Notte Kora"; suo padre la strinse forte a sè: continuava ad amare il suo odore  di muschio e spezie che si mischiava a quello del tabacco.

"A domani";

" a domani"; si staccò da lui e si diresse in camera sua lasciandolo solo con i suoi pensieri e Hugo, che come al solito sonnecchiava sul tappeto ai piedi del divano.

Che giornata difficile attendeva suo padre; sorrise tristemente e provò un'infinita tenerezza per lui.

Entrò in camera e richiuse la porta, anche per lei sarebbe stata una giornata faticosa ma prima c'era qualcosa che doveva assolutamente fare....qualcosa che la attraeva come una calamita.

Si sedette sul letto e sollevò le coperte tirando fuori l'album poi, dopo essersi sdraiata comodamente ed essersi sistemata un cuscino dietro la testa,  cominciò a sfogliarlo.

Quella ragazza aveva uno sguardo così misterioso, pieno di calore, di audacia e timidezza allo stesso tempo e, il suo sorriso era così dolce.

Il sole inondava il suo viso e le faceva brillare gli occhi.

Era così bella con quel bikini azzurro e quel buffo cappello di paglia.

Voltò pagina e un'altra foto suscitò maggiormente la sua ammirazione.

La stessa ragazza era seduta ad un tavolo; indossava dei grandi occhiali da sole e reggeva in mano un bicchiere e due cannucce colorate e sorrideva mettendo in mostra due file di denti bianchissimi.

Più la guardava e più si rendeva conto che aveva un fascino molto particolare.

Non era una ragazza che passava inosservata, sebbene fosse di una banalissima normalità.

Voltò ancora una pagina: il cielo era limpido, senza nuvole e si specchiava su un mare azzurro dove scintillavano i raggi del sole come tanti fili d'oro e sulla sabbia scura e bagnata  lungo la battigia, ripresa di spalle, c'era lei che passeggiava. I lunghi capelli agitati dal vento, le mani dietro la schiena, i fianchi fasciati da un pareo bianco e i piedi immersi nell'acqua.

Quella foto era stupenda: sembrava uno scatto d'autore, un ritratto rubato al tempo, un attimo fuggente sulla linea dell'eternità.

Chissà cosa aveva rappresentato per suo padre quella ragazza: c'erano tantissime foto, l'album ne era pieno e tutte erano state scattate con la stessa cura, quasi...con amore.

"E questa? Ma guarda....";

suo padre con quegli strani dreadlock  che portava legati sulla nuca reggeva in mano un ghiacciolo  mentre lei, seduta sulle sue ginocchia, gli dava un morso.

Suo padre sorrideva dietro i suoi grandi occhiali da sole: sembrava così felice.

Voltò la pagina e vide una splendida foto di lei con in dosso un abitino bianco, semplice con le spalline sottili ed un paio di sandali bassi di cuoio mentre sorreggeva una bicicletta rossa con un cestino di vimini adornato di margherite gialle, sorrideva all'obiettivo mentre reclinava leggermente la testa da un lato.

Improvvisamente sentì dei passi lungo il corridoio.

Chiuse l'album e lo infilò in un cassetto poi, ancora vestita si infilò sotto il morbido piumino e chiuse gli occhi fingendo di dormire.

Bill aprì silenziosamente la porta e sbirciò dentro.

Kora portava a galla la sua parte migliore, i suoi  veri sentimenti.

Era bellissimo avere a casa sua figlia.

Si sentiva sempre terribilmente in colpa  per averle fatto mancare l'affetto di una famiglia serena ed unita sebbene si fosse sforzato di rimanere in buoni rapporti con la sua ex moglie.

Non voleva che i suoi problemi con Christine ricadessero sulla bambina.

Si avvicinò al letto e si sedette accanto a lei: lo faceva sempre quando era piccola.

La guardò dolcemente: era ostinata e determinata proprio come lui e, in tanti aspetti di sua figlia vedeva se stesso.

Rivedeva l'adolescente malinconico e ribelle che a tutti i costi desiderava sfondare ma a differenza di lui, Kora avrebbe sempre potuto contare su suo padre.

Le sorrise e la accarezzò con lo sguardo poi spense la luce ed uscì cercando di non fare rumore.

Al buio e sola, si voltò in direzione della porta:

"Papà.....".

                                                                                                                                   continua

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


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Capitolo IV

La mattina seguente, Kora fu svegliata da due pesanti colpi alla porta.

Aprì gli occhi ancora intontita: si guardò intorno e riconobbe subito la sua camera a casa di suo padre.

Sbadigliò rumorosamente mentre si stiracchiava come un gatto.

I colpi si ripeterono di nuovo ma questa volta Bill fece capolino.

"Buon giorno"; le sorrise dietro il vassoio della colazione che Gertrude gli aveva preparato.

"Hai dormito bene?"; suo padre era l'uomo più premuroso del mondo e la faceva sentire come una principessa.

"Come un ghiro, grazie", si mise seduta mentre  le sistemava il vassoio sulle gambe, poi allungò le braccia in attesa di un abbraccio che non tardò ad arrivare.

"E tu?" chiese sorridente.

"Non  molto. Lo sai che sono un animale notturno".

"E' vero"  ricordava perfettamente quando, fino a notte inoltrata lo vedeva nel suo piccolo studio personale di registrazione ad ascoltare e riascoltare la stessa traccia per centinaia di volte.

"Stai scrivendo qualche nuova canzone?";

"Tante nuove canzoni. Ti ricordi di quel gruppo di Norimberga che avevo lanciato l'anno scorso?";

"Si certo; hai prodotto il loro primo album ed è stato un successo";

"Esatto, adesso stiamo scrivendo le canzoni per il nuovo album e la cosa mi entusiasma molto";

"Si ma così avrai l'aria stanca oggi pomeriggio ed io voglio che tu sia il papà più bello ed affascinante tra tutti gli invitati".

Bill sorrise allegro: "Fa colazione tesoro. Gertrude mi ha detto che fra meno di un'ora arriveranno l'estetista e la parrucchiera che ha prenotato tua madre, quindi cerca di essere pronta".

"Ok, non preoccuparti".

Suo padre uscì dalla camera e lei diede un rapido sguardo al vassoio.

Storse il naso: latte, yougurt, cereali, succo d'arancia e macedonia di frutta....

"Qualcosa di commestibile" disse prendendo i croissant e la marmellata di fragole.

Avrebbe preferito due belle uova con pancetta e un paio di salsicce....pazienza.

Appena finito di mangiare scostò il vassoio da un lato e scese dal letto.

Si affacciò alla finestra: come era diverso il panorama quella mattina.

Il sole splendeva alto e faceva luccicare le piccole gocce di pioggia intrappolate tra le foglie come vitrei cristalli.

Il cielo era sgombro dalle nubi e tutto lasciava presagire che sarebbe stata una splendida giornata; sua madre ne sarebbe stata tanto felice.

Aprì il cassetto dove aveva riposto l'album e lo tirò fuori.

Aprì la prima pagina e fissò quella foto. - Bella sconosciuta, sono proprio curiosa di scoprire chi sei. Sei stata molto importante per mio padre, forse lo sei ancora e potresti renderlo di nuovo felice.....come sarebbe bello -  sospirò speranzosa poi lo ripose con cura nel cassetto e andò a farsi una doccia.

"Kora! Kora sono due ore che sei chiusa in quella stanza, ti decidi a scendere? Siamo già in ritardo e tua madre si arrabbierà moltissimo se non arriviamo puntuali almeno al suo matrimonio".

Bill e sua figlia erano famosi per i loro ritardi.

"Kora! Mi hai sentito?"; Bill cominciava a spazientirsi e stava per salire le scale e andare nella sua stanza quando la vide.

Era bellissima nel suo abito verde smeraldo.

Era una giovane donna nel pieno della sua bellezza e suo padre era immensamente orgoglioso di lei.

Aveva i capelli raccolti con alcune ciocche che le incorniciavano il volto sottile e lo sguardo era stato accentuato dal trucco.

Scendeva lentamente le scale sicura di sè su quei tacchi alti e stringeva tra le mani un minuscolo bouquet di roselline rosa.

"Sei la damigella più bella che abbia mai visto";

Kora arrossì leggermente, non era abituata a ricevere complimenti.

Rivolse un'occhiata compiaciuta a suo padre: era impeccabile nel suo smoking nero.

La camicia immacolata contrastava con il  farfallino nero sapientemente annodato al collo: era opera di Gertrude, ne era certa: suo padre non sarebbe mai stato capace di fare un nodo perfetto come quello!

"Anche tu non sei niente male papà".

Bill scoppiò a ridere poi le porse il braccio:

"Andiamo signorina, l'autista ci sta aspettando. Gertrude non ci aspetti in piedi. Faremo molto tardi quindi vada tranquillamente a letto. Ci vediamo domani".

"Come desidera, Signor Kaulitz. A domani".

L'elegante limousine aspettava davanti all'ingresso di villa Kaulitz.

L'autista in abito scuro e cravatta rossa le aveva aperto lo sportello.

Kora era abituata a questo genere di cose ma, talvolta si sentiva a disagio: si rendeva conto di essere una privilegiata e cercava sempre di minimizzare o di omettere certi dettagli  quando  parlava con le amiche.

Tutti sapevano chi fosse suo padre e molti la evitavano credendola una ragazza snob e superficiale ma non tutti sapevano, quanto desiderasse essere trattata come una ragazza qualunque e soprattutto, essere giudicata per ciò che era e non per essere la figlia di un miliardario.

Durante il tragitto in auto lei e Bill si scambiarono brevi battute.

Suo padre era teso come una corda di violino.

Si vedeva lontano un miglio che avrebbe preferito essere in qualunque altra parte del mondo ma non al matrimonio della sua ex moglie.

Christine non le avrebbe risparmiato commenti sarcastici e raccomandazioni di troppo per ciò che riguardava Kora.

Sebbene fosse stato un pessimo marito, era comunque un buon padre.

Giunsero in perfetto orario nella chiesa Battista al centro di Amburgo.

Un enorme servizio di sicurezza era stato spiegato affinchè i paparazzi non disturbassero la cerimonia e che i fan di Bill non si intrufolassero tra gli invitati chiedendo autografi o foto.

Sembrava una cerimonia blindata ma quello era l'evento mondano della primavera e niente poteva andare storto.

Bill si era stampato un sorriso tirato e, dopo aver superato la barriera di curiosi e di paparazzi, era uscito velocemente dall'auto e, entrando in chiesa, si era sistemato in un angolino dietro una colonna.

Sentiva su di sè gli sguardi di tutti gli invitati e questo lo irritava rendendolo nervoso ed insofferente.

Aveva la gola arida, avrebbe tanto gradito buttar giù un goccio e rilassarsi.

L'arrivo della sposa fu annunciato dall'inizio della marcia nunziale.

Bill si voltò all'ingresso e la vide: Christine era bellissima nel suo abito bianco e viola.

Il tempo era passato anche per lei ma, con lei era stato clemente: il viso levigato appena truccato brillava di una luce particolare.

Si, era felice.

Felice accanto all'uomo che amava.

Quasi senza accorgersene tornò indietro nel tempo, al giorno del loro matrimonio.

Era tutto così diverso....

Era una fredda mattina di fine ottobre: l'aria era gelida e il cielo minacciava pioggia.

Nella grande sala del comune di Amburgo c'era la famiglia di Christine, la sua famiglia e pochi amici intimi.

E poi c'era lei, Kora.

Era così piccola, così indifesa.

Lei era il motivo che l'aveva spinto a sposarsi con Christine.

Voleva che lei avesse una vera famiglia, una vera casa dove crescere protetta e coccolata dalle persone che più l'amavano al mondo.

Le cose però, non avevano funzionato come aveva previsto.

Giorno dopo giorno, quel poco amore che lo legava alla madre di sua figlia si era dissolto e la convivenza era diventata insopportabile.

Non facevano altro che litigare.

Christine gli rinfacciava di non essere mai presente, di lasciarla sempre sola, di trascurarla e lui le ricordava che era un artista, che non aveva sposato un uomo qualunque.

Le incomprensioni tra loro li allontanarono sempre di più fino a quando, dopo l'ennesima scenata, lui si era scolato una intera bottiglia di whisky e Kora lo aveva trovato riverso sul divano dello studio, completamente ubriaco.

Si portò una mano alla fronte come se volesse nascondersi dai ricordi.

Nascondersi dal passato, dai suoi errori, dalle sue debolezze.

Il suono dell'organo lo destò da quei tristi pensieri.

Bill sollevò lo sguardo ed incrociò il sorriso dolce di Kora; gli sorrideva mentre sua madre infilava al dito di Robert la fede nunziale.

Per rassicurarla, le sorrise e le strizzò l'occhio.

Sua figlia era preoccupata per lui e studiava ogni piccolo particolare del suo viso, ogni espressione delle labbra o degli occhi.

Doveva restare calmo e fingere che andasse tutto bene.

La cerimonia filò liscia come l'olio e al termine, gli sposi si fermarono a salutare gli invitati prima di raggiungere la lussuosa villa che avevano prenotato per l'evento e dove si sarebbe servito il costosissimo buffet.

Kora raggiunse suo padre.

"Finalmente! Non vedo l'ora di togliermi queste scarpe".

"Ancora un pò di pazienza tesoro, tra un pò potrai sederti".

"Papà?";

"Si?" rispose evitando di guardarla.

"Stai bene?";

"Si, si, certo... sto bene non preoccuparti".

Le sorrise cercando di dissimulare il malessere che si portava dentro.

Sua figlia era esattamente come lui: era così sensibile ed attenta; non le sfuggiva nulla.

"Dai, andiamo a fare gli auguri".

Si avvicinarono agli sposi.

Bill si stampò il solito sorriso tirato e si schiarì la voce.

"Christine, sei splendida" le disse mentre le baciava una guancia;

"e tu Robert, un uomo fortunato. Hai sposato una donna meravigliosa".

Gli strinse la mano ma sentiva su di sè lo sguardo di sua moglie e di sua figlia.

"Grazie Bill. Si, hai ragione, lei è la cosa più bella che potesse capitarmi" ammise emozionato il novello sposo.

Christine continuava a guardarlo cercando di interpretare i suoi pensieri. Bill era sempre stato un mistero.

Chiuso nel suo mondo, gelosissimo dei suoi affetti più cari....forse solo suo fratello Tom poteva veramente comprendere cosa si agitasse sotto quella superficie di pacata tranquillità e rassegnazione.

"Bill";

"Si?";

"Occupati di Kora in queste settimane. Non permetterle di fare ciò che vuole. Stalle col fiato sul collo e soprattutto bada che studi e che recuperi quel brutto voto in matematica".

"Ma mamma!" brontolò imbronciata.

Bill le rivolse un'occhiata d'intesa.

"Non preoccuparti. Ho già provveduto ad assumere un insegnante privato e poi in questo periodo non mi muoverò da casa quindi, parti pure tranquilla e godetevi la vostra luna di miele".

Christine si voltò a guardare Robert sorridente e gli accarezzò il viso, poi guardò Bill e una nota di tristezza attraversò i suoi occhi verdi.

Bill sapeva cosa stava pensando.

Loro non avevano fatto la luna di miele.

Il giorno dopo il loro matrimonio, Bill era partito per gli Stati Uniti lasciandola da sola con la bambina in quella grande casa in periferia.

Lui distolse lo sguardo, non riusciva a reggere il rimprovero e il disappunto dei suoi occhi.

Aveva commesso un mucchio di errori nella sua vita ma, il più grande era stato sposare Christine.

Le aveva regalato le sue frustrazioni, le sue angosce, i momenti di depressione e tutta la sua malinconia: le aveva donato la parte peggiore di sè.

Aveva distrutto tutti i suoi sogni di fan innamorata del suo idolo, le aveva mostrato la dura realtà, l'altra faccia della medaglia di una rockstar consumata dall'alcol e dal successo.

.....continua

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


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Capitolo V

Quando gli sposi fecero il loro ingresso nella grande sala che era stata allestita  per l'occasione, Bill aveva già bevuto tre drinks ed era intenzionato a continuare.

Kora lo vedeva mandar giù un bicchiere dopo l'altro con la stessa naturalità con cui si beve un bicchier d'acqua.

Due grosse pieghe gli segnavano la fronte.

Kora lo osservava da lontano, in silenzio.

Sembrava così assente, perso in chissà quali tristi pensieri e non potè fare a meno, anche se per un breve istante, di provare compassione per lui.

Le venne in mente, ad un tratto, la ragazza delle foto.

Chissà se di tanto in tanto, ripensava ancora a lei.

Chissà, se nella solitudine della sua stanza, pensava a come avrebbe potuto essere la sua vita accanto a lei...

ripetè mentalmente le parole scritte da suo padre: L'estate più bella della mia vita.

"Kora, tesoro potresti andare da nonna Jaqueline? Se ne sta seduta lì tutta sola. Sono sicura che si sente a disagio e tu sai il perchè. Falle un pò di compagnia, vuoi? La renderesti molto felice".

"Ma certo mamma, non preoccuparti per la nonna, a lei ci penso io".

Con aria indifferente si avvicinò al tavolo e poi, in uno slancio di affetto le lanciò le braccia al collo e le fece scoccare un rumoroso bacio sulla guancia.

"Kora!" la rimproverò bonariamente l'anziana donna.

"Allora, come va?";

"Insomma....queste scarpe mi fanno male. Glielo avevo detto a tua madre ma lei ha insistito così tanto. Non vedo l'ora di togliermele".

"Si lo so nonna. Anche a me fanno un male cane" si sedette accanto a lei, appoggiandole la testa su una spalla.

La nonna le accarezzò dolcemente il viso.

Kora sollevò leggermente lo sguardo e vide suo padre camminare nervosamente avanti e indietro e anche la nonna sembrava averlo notato.

"Sembra un animale in gabbia"; si lasciò sfuggire.

Kora sollevò la testa dalla sua spalla.

"Di chi stai parlando?"; finse di non comprendere.

"Di tuo padre.Tua madre non doveva farlo venire, non al suo matrimonio".

Nonna Jaqueline non sopportava Bill, non le era mai andato a genio, sorattutto dopo che lui le aveva dato della "vecchia impicciona" e in modo, molto poco elegante le aveva chiesto di pensare agli affari suoi e di stare lontana da loro.

Non perdeva occasione di parlare male di lui e di ricordare continuamente a sua madre che se non si fosse fatta mettere incinta da quello scapestrato  irresponsabile e alcolizzato, avrebbe avuto una vita migliore.

"L'ho chiesto io alla mamma".

La nonna si voltò a guardarla con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata per la sorpresa.

"Nonna, lo so che per te è difficile da comprendere, ma loro sono i miei genitori ed io  adoro mio padre. Vorrei tanto che entrambi fossero  felici. Vorrei che ricostruissero una vita diversa, accanto ad altre persone...forse, in questo modo riuscirebbero a trovare quella serenità di cui hanno tanto bisogno e regalarla anche a me. Sono stanca dei loro continui litigi, delle discussioni sulla mia educazione, sui miei studi, sul mio futuro, sull'arte e sui miei dipinti. In un modo o nell'altro ci vado sempre di mezzo io".

La nonna impallidì.

Kora non aveva mai aperto bocca sulle questioni dei suoi genitori: accettava tutto con rassegnazione e sopportava in silenzio quel malessere che gli riversavano continuamente addosso.

Sospirò pesantemente.

Soffriva molto per quella situazione.

Guardò di nuovo suo padre.

Parlava al telefono mentre si allentava il nodo del papillon e si slacciava il bottone della camicia.

"Nonna scusa, torno subito".

Con discrezione si avvicinò a suo padre.

"Papà, va tutto bene?";

"Si tesoro, non preoccuparti. Ascolta ho bisogno di uscire, di andare via non resisto un attimo di più qui dentro. Ho chiamato un taxi, sarà qui tra poco. Appena la festa sarà finita, l'autista ti riaccompagnerà a casa. Hai le chiavi?";

"Si ";

"Bene, così non sveglieremo Gertrude. Saluta tua madre da parte mia. Ci vediamo più tardi".

Le diede un bacio e senza destare attenzione, uscì.

Kora lo osservò allontanarsi con un grosso nodo in gola.

La festa continuò fino a tardi e tutto filò liscio come l'olio.

Dopo aver salutato la mamma e Robert e dopo essersi sorbita il miliardo di raccomandazioni che sua madre le aveva profuso, decise di tornare a casa.

Erano passate le due quando l'autista la lasciò davanti alla porta.

Infilò la chiave nella toppa e delicatamente aprì: la prima cosa che fece fu togliersi le scarpe.

"Ahhh....che sollievo!";

camminare a piedi nudi sul parquet era così piacevole.

Hugo  le andò incontro col suo passo pesante e la coda che scodinzolava e dopo una veloce annusata tornò a dormire.

La casa era più silenziosa che mai, si sentiva solo il pendolo scandire i secondi.

Salì al piano superiore e bussò alla porta della camera di suo padre.

Non ricevendo risposta, la aprì.

Il letto era  intatto: ancora non era tornato.

Richiuse la porta e andò in camera sua.

Si sfilò il vestito e lo abbandonò sulla poltroncina ai piedi del letto, poi si sedette davanti allo specchio e cominciò a sciogliere l'elaborata pettinatura togliendo pian piano tutte le forcine.

Quando anche l'ultima forcina fu tolta, i capelli ricaddero sulle spalle.

In bagno, prese una salviettina e cominciò a struccarsi.

Si sciacquò il viso e si infilò il comodo pigiama di cotone.

Era stanca ma non aveva sonno così decise di aspettare suo padre.

Nell'attesa, avrebbe continuato a sfogliare quell'album e cercare di saperne di più.

Infilò le morbide ciabattone e scese al piano inferiore.

Il fuoco si era quasi completamente consumato.

Appoggiò l'album sul tavolino e provvide a ravvivarlo.

Quando le fiamme furono alte e consistenti, andò a sedersi sul divano e sollevò le gambe ancora risentite.

Aprì l'album nel punto in cui si era fermata la sera precedente.

Una foto la colpì più delle altre: oltre a suo padre, c'era anche lo zio Tom e altre ragazze e tutti insieme sembravano divertirsi moltissimo.

Guardando la foto successiva capì che si trovavano al Luna Park.

Doveva essere una serata incredibilmente calda perchè indossavano tutti degli abiti leggerissimi e le ragazze avevano dei graziosi sandali colorati.

Continuò a sfogliare l'album.

"Cielo che sguardo!" pensò ad voce alta.

Erano in piedi, sotto dei tigli verdissimi; suo padre le cingeva i fianchi e lei, in punta di piedi gli allacciava le braccia intorno al collo.

Lo guardava con così tanta ammirazione, con tanto amore.

Si vedeva lontano un miglio che era pazzamente innamorata di lui.

Era bellissima nei suoi shorts di jeans e la canotta nera.

Sorrideva mentre suo padre la teneva stretta a sè.

"Che ridere questa!";

Suo padre aveva indossato il suo cappello di paglia e faceva le linguacce. Certo che quei capelli erano orribili! Quei dreads bianchi e neri erano inguardabili.

"Come erano giovani e spensierati...";

In un'altra foto erano sulla spiaggia: quei costumi erano vecchissimi.

Suo padre indossava dei pantaloncini blu con dei grossi fiori bianchi mentre lei un bikini piuttosto succinto, nero. Suo padre  la portava in spalla ma, probabilmente esile com'era doveva averla fatta cadere perchè nella foto seguente erano entrambi in terra, sulla sabbia e ridevano a crepapelle.

Era bellissimo vedere suo padre così giovane e così allegro.

Sollevò lo sguardo e diede un'occhiata al pendolo.

Erano già le quattro e suo padre non era ancora rientrato.

Kora cominciava ad avvertire la stanchezza di quella lunga ed interminabile giornata.

Si accomodò meglio sul divano e si sistemò un cuscino dietro la testa e mentre continuava a guardare le foto, gli occhi divennero  sempre più pesanti e alla fine si addormentò stringendo l'album tra le mani.

Bill tornò a casa che cominciava ad albeggiare.

Le prime luci del sole, penetravano le fitte tenebre della notte e coloravano il cielo di riflessi rosa.

Aprì la porta e appoggiò le chiavi sulla mensola di cristallo dell'ingresso.

Quanto aveva bevuto! E quante sigarette aveva fumato? Non se lo ricordava neanche più.

Si sfilò la giacca mentre percorreva il breve corridoio  e, raggiungendo il salotto, la adagiò su una poltrona e solo allora si accorse di Kora.

Che bella che era la sua bambina.

Dormiva beatamente: i capelli scompigliati sul cuscino, le labbra appena socchiuse, il respiro lento e regolare.

Anche quando era bambina dormiva nello stesso modo.

Un sorriso gli si dipinse sulle labbra.

La accarezzava con lo sguardo osservandola con meticolosa  attenzione.

Cos'era quello strano libro che stringeva tra le braccia?

Lentamente, senza svegliarla, glielo sfilò.

Si infilò una mano nella tasca dei pantaloni  e tirò fuori un pacchetto di sigarette nuovo.

Ne mise una tra le labbra, la accese e inspirò avidamente una boccata di fumo poi, si sedette sulla poltrona accanto a lei ed iniziò a sfogliare quel libro.

Un rumore improvviso fece svegliare Kora di soprassalto.

La ragazza si mise seduta con il cuore che batteva all'impazzata e il respiro accelerato mentre con gli occhi sbarrati cercava di capire cosa l'avesse svegliata.

Si voltò e vide suo padre.

"Oh Ciao papà! Quando sei tornato? Sai ti ho aspettato a lungo ma poi mi sono addormentata senza accorgermene".

Bill non rispose.

Se ne stava seduto con la schiena curva, il viso perso nel nulla e la cenere della sigaretta che cadeva sul tappeto.

"Papà...va...va tutto bene?";

Ma Bill continuava a non rispondere.

Kora si avvicinò a lui.

Gli mise una mano sulla spalla.

"Che succede papà? Qualcosa non va?" solo allora suo padre, come se si fosse appena svegliato da un sogno, la guardò negli occhi.

Kora impallidì.

Bill reggeva sulle gambe l'album.

Era aperto su una foto che non aveva ancora visto.

Quella ragazza misteriosa stava piangendo.

Era sulla spiaggia, seduta al tavolino di un bar e fissava l'obiettivo con il viso inondato di lacrime.

Perchè stava piangendo? E perchè suo padre guardava quelle foto assorto?

"......preso questo?";

era talmente assorbita dai suoi pensieri che non capì quello che suo padre le aveva appena detto.

"Cosa?";

"Ti ho detto, dove hai preso questo?" la voce di Bill era palesemente alterata.

"Ecco....veramente io";

"Hai ficcanasato tra le mie cose non è così? ";

"No....io....o meglio si ma";
"Quante volte ti ho detto di non toccare le mie cose!" Bill era letteralmente furioso.

"Come hai fatto a trovarlo? Lo avevo messo in soffitta in un vecchio baule".

"Vedi papà....io mi annoiavo così.... per ammazzare il tempo...sono entrata in camera tua" e divenne piccola piccola in attesa di sentire le urla di suo padre che non tardarono ad arrivare.

"Sentiamo, quante volte ti devo ripetere che non voglio che tocchi niente!";

"Papà scusa, io non volevo....";

"Dici sempre così e poi fai sempre di testa tua. Ci sono cose che per me sono sacre e questo album è una di queste e tu non hai il diritto di violarle. Sono troppo importanti e troppo personali. Ti sei guadagnata una settimana di castigo per questo. Niente tv, niente uscite con le amiche e soprattutto niente telefono o cellulare e non uscirai dalla tua camera se non per consumare i tuoi pasti. Sono veramente deluso da te, Kora. Non mi sarei mai aspettato una simile mancanza di rispetto da parte tua".

"Ok, hai ragione. Non dovevo curiosare tra le tue cose ma tu sei sempre così misterioso, così taciturno. Sei sempre silenzioso e non parli mai con me delle cose che pensi, dei pensieri che ti turbano di quella eterna tristezza che ti trascini dietro come una palla al piede. Io vorrei solo sapere cosa ti angoscia perchè vorrei vederti felice: felice come in quelle foto, accanto a quella ragazza".

"Kora queste sono cose che non ti riguardano! Ma dove si è visto mai che un padre scarichi su sua figlia i suoi problemi!" il tono di Bill era sempre più aspro e più arrabbiato.

"Da quando tu e mamma vi siete separati non avete fatto altro! Mi avete scaricato addosso le vostre delusioni, le vostre frustrazioni, i vostri fallimenti quindi non venirmi a dire che non mi scarichi addosso i tuoi problemi".

Bill la guardava con gli occhi sbarrati.

Non conosceva il malessere di sua figlia, non immaginava che soffrisse così tanto, non sospettava quanto dolore nascondesse dietro il suo dolce sorriso.

“Ne riparliamo domani. Sono stanco e troppo arrabbiato”.

Il tono della sua voce adesso sembrava stremato, rassegnato.

Chinò il viso su quell'album e fissò intensamente quella foto.

“Dimmi solo chi è quella ragazza?”;

“Kora! Non peggiorare la situazione”.

Nervosamente inspirò una lunga boccata di quel veleno.

“Il nome. Dimmi solo il suo nome e ti giuro che filo di corsa in camera mia”.

Bill sollevò la testa dall’album.

Espirò lentamente il fumo della sigaretta.

Sapeva che sua figlia era un osso duro e sarebbe stata capace di condurlo allo sfinimento se non avesse risposto a quella domanda anche se questo le sarebbe costato un'altra settimana di castigo: dopotutto era sua figlia e in questo erano simili.

“Elena. Si chiamava Elena”.

..........continua

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


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Capitolo VI

La più lunga, dura e noiosa settimana della sua vita!

Erano passati solo tre giorni da quando aveva discusso con suo padre e già non ne poteva più: chiusa in camera, reclusa in quelle quattro mura, seppure comodamente ed elegantemente arredate, senza Tv, senza telefono e costretta a studiare tutto il santo giorno matematica! Quella, forse, era  la tortura peggiore.

Il professore che suo padre aveva assunto per darle ripetizioni era vecchio e terribilmente barboso....uno strazio.

Ogni volta che le spiegava qualcosa inevitabilmente finiva con lo sbadigliare e lui la inceneriva con lo sguardo.

L'unica nota positiva in tutto questo era che finalmente aveva cominciato a creare un feeling con quella materia a lei così oscura  ed era perfino riuscita a risolvere dei problemi da sola.

Per il resto era tutto grigio ed insopportabile.

La cosa che più la faceva soffrire era il silenzio di suo padre.

Quando si sedevano a tavola per il pranzo o per la cena, la guardava a malapena e le uniche parole che le rivolgeva si riferivano solo ed esclusivamente allo studio.

Non riusciva a sopportare il suo muso lungo e quell'aria da cane bastonato: si d'accordo, lei aveva disobbedito, si era appropriata di un ricordo molto speciale di suo padre ma questo non era certo un buon motivo per ostinarsi in quell'assurdo ed ostinato silenzio.

A pranzo Gertrude stava servendo del formaggio accompagnato da un piatto di verdure grigliate.

Kora sbocconcellava; non ne poteva più di quella dieta così rigida.

Passava i peperoni da una parte all'altra del piatto e questo atteggiamento non passò inosservato.

"Non hai fame?" la domanda di suo padre la colse di sorpresa.

"Si, ho molta fame solo che sono un pò stanca di questo regime alimentare. Ho voglia di una bistecca ma so che mi disapproveresti".

Bill taceva.

"....e poi, se vuoi saperlo sono stanca del tuo silenzio. Ho capito, ho commesso un errore papà ma cerca di comprendere....anche tu sei stato un ragazzo e anche tu sei curioso come un gatto!".

Bill scoppiò a ridere.

Kora aveva perfettamente ragione.

Quando era un ragazzino, la sua curiosità, in più di una occasione lo aveva cacciato nei guai.

"E va bene. Diciamo che il castigo può terminare qui".

Kora lo squadrava con una domanda ben precisa che le girava in testa, ma suo padre l'anticipò:

"Ah, prima che provi a chiedermi dov'è sparito quell'album, sappi che è in un posto dove tu non potrai più trovarlo".

"Ma papà!" brontolò infastidita.

"Comunque.....oggi puoi uscire con i tuoi amici se ti va. Chiamo il professor Miller e disdico la lezione di questo pomeriggio".

Un urlo si levò da quella tavola raggiungendo ogni angolo della casa.

"Kora! Ricordati le buone maniere" la rimproverò suo padre.

"Non mi importa niente delle buone maniere in questo momento"; si alzò da tavola e corse ad abbracciare suo padre.

"Grazie papà. Ti voglio tanto bene".

Bill la guardò con tenerezza: lei restava sempre la sua piccolina.

"Te ne voglio anche io" poi scostò la sedia e si alzò: "e adesso fila, prima che cambi idea. Che farai?";

"Ho intenzione di chiamare Susanne e di passare il pomeriggio in città se per te va bene".

"Niente in contrario. Torna per l'ora di cena".

"D'accordo. E tu, che farai?";

"Devo fare alcune telefonate di lavoro, contattare alcune persone della casa discografica e poi devo lavorare su una canzone".

"Capito. Sarai chiuso nel tuo studio fino all'ora di cena esatto?";

"Esatto".

"Allora ti lascio lavorare tranquillo".

Intanto Gertrude era tornata per servire il purè ma Kora, per la fretta di salire in camera e  chiamare la sua amica, per poco non la investì.

"Koraa!"; suo padre le rivolse un'occhiataccia.

"Oh mi scusi tanto Gertrude, non volevo";

"Non si preoccupi"; poi guardando il piatto ancora integro della ragazza continuò:

"Ma signorina, lei non ha toccato nulla".

"Mangerò stasera le sue delicate prelibatezze. A dopo" e correndo su per le scale raggiunse la sua stanza e sbattè forte la porta.

Bill scuoteva la testa disapprovando.

Il pomeriggio passò talmente in fretta che l'ora di cena arrivò in un baleno.

Dopo aver fatto un giro per negozi e trangugiato qualcosa di commestibile, Kora si accingeva a tornare a casa.

L'autista l'aspettava al solito posto.

Si davano appuntamento in un parcheggio poco lontano.

"A che ora viene a prenderti tuo padre?";

" Tra poco".

"Sono contenta che abbia deciso di toglierti il castigo";

"Anche io! Non ne potevo più di quella casa e di tutto il suo silenzio".

"Immagino; con quella  governante!".

Kora sorrise ripensando all'incidente di quel pomeriggio.

"Si però fa una coppa al caffè che non è niente male".

D'un tratto Susanne divenne seria e la guardò dritta negli occhi.

"Che intendi fare con tuo padre?";

"Che vuoi dire?";

"Si di quelle foto, a proposito di quella ragazza....come hai detto che si chiama?";

"Elena";

"Si proprio lei".

"Bah...." e sospirò pesantemente.

"Visto come ha reagito, credo che lei fosse veramente molto importante per lui. Non so.... una cosa è certa: appena ne avrò l'occasione cercherò di saperne di più. Voglio indagare e scoprire come si sono conosciuti e dove, voglio sapere quanto tempo è durata la loro storia e perchè è finita e, se è finita perchè mio padre custodisce così gelosamente le sue foto".

"Mi raccomando: prudenza e appena sai qualcosa chiama";

Kora scoppiò a ridere:

"Ma certo. Puoi contarci".

Salutò Susanne e poi raggiunse il luogo d'incontro con  Ernst.

"Buonasera signorina Kora" le disse aprendole lo sportello".

"Buona sera, come va?";

"Benissimo signorina e lei?";

"Ernst, mi conosci da quando ero bambina! Ti ho detto migliaia di volte di chiamarmi Kora e di farmi sedere davanti, accanto a te. Detesto essere trattata come una principessa".

"Si signorina, ma suo padre si dispiacerebbe molto se trasgredisse alle regole. Lo sa com'è fatto".

Kora sbuffò seccata.

"E va bene. Per questa volta faremo come vuole mio padre".

"Saggia idea" ma appena si accomodarono, ognuno al proprio posto Ernst le passò una barretta di cioccolato.

"Il tuo preferito";

"Te ne ricordi ancora eh?" e sorridendo affondò i denti nella deliziosa barretta.

"Ernst, mio padre ultimamente è più strano del solito".

"Si, l'ho notato".

"Perchè? Sai qualcosa a riguardo?";

"E' diventato molto taciturno, non parla molto. Quando è in auto o parla al telefono o controlla il computer. Ci scambiamo i soliti convenevoli e niente altro".

"Mi preoccupa molto. Non capisco cosa gli stia succedendo.....non parla neanche con me. Da quando la mamma gli ha detto che si sarebbe risposata, è cambiato qualcosa".

"Non saprei ma, se scopro qualcosa te lo faccio sapere. Ecco, siamo arrivati".

Ernst parcheggiò proprio di fronte alla porta d'ingresso poi scese e le aprì lo sportello.

"Buona serata signorina Kora".

"Grazie mille Ernst" e gli strizzò l'occhio.

Appena entrata in casa, fu accolta da Gertrude.

"Buona sera signorina".

"Buona sera. Mio padre è già a tavola?";

"No, il signore mi ha pregato di scusarlo e di dirle che questa sera cenerà da sola".

"Sta ancora lavorando?";

"Si e a quanto pare ne avrà ancora per molto".

"Grazie mille".

Poco dopo, era seduta a tavola e la governante iniziò a servirle la cena.

Kora fissava il posto vuoto di suo padre.

Ripensò a quando era piccola e tutti e tre erano seduti a tavola....quei pochi momenti felici erano rimasti impressi nella sua memoria.

"Papà.... se solo si potesse tornare indietro; se solo si potesse tornare ad essere una famiglia...."; afferrò il bicchiere e mandò giù un sorso d'acqua ma il nodo che le stringeva la gola la fece deglutire a fatica.

Era passato tanto tempo ma quella sensazione di smarrimento e di solitudine non aveva abbandonata.

Dopo la separazione dei suoi genitori si era ritrovata spesso in quella situazione: da sola a tavola a fissare dei posti vuoti.

Non finì nemmeno di cenare.

"Gertrude, vado in camera mia".

"Va bene signorina".

Kora si gettò sul letto.

Aveva tanta voglia di piangere.

Si sentiva divorare dai sensi di colpa: se non fosse nata, forse adesso non soffrirebbe per i suoi genitori, non si sentirebbe responsabile della loro separazione.

Avrebbe rinunciato volentieri a tutti i privilegi di cui beneficiava pur di avere una famiglia normale, una famiglia come tutte le altre.

Invece era sempre più sola: rimurginava sul passato e cercava di trovare un rimedio alla malinconia che giorno dopo giorno diventava insopportabilmente opprimente.

"Che ore sono?" si voltò verso la sveglia che era sistemata sul tavolino accanto al letto. Segnava già le tre e il sonno ancora non si decideva ad arrivare.

Continuava a rigirarsi nel letto, nella penombra della stanza senza riuscire a chiudere occhio.

Decise di alzarsi: tanto valeva scendere di sotto e bere una buona camomilla...chissà, magari l'avrebbe aiutata.

Si infilò le sue ciabattone e silenziosamente scese le scale ma a metà tra una rampa e l'altra, notò che la luce nel salone era ancora accesa.

Sentiva l'odore della sigaretta.

Anche suo padre, quella notte non riusciva a riposare.

Scese ancora qualche gradino e finalmente lo vide: la schiena curva, la sigaretta tra le dita, il posacenere colmo di mozziconi spenti.

Fissava qualcosa con lo sguardo perso in chissà quali ricordi e solo avvicinandosi ulteriormente, Kora scorse che si trattava dell'album.... di Elena.

Con un colpetto di tosse annunciò la sua presenza.

Bill chiuse l'album con un colpo secco e poi si voltò a guardarla.

"Kora, che ci fai ancora sveglia a quest'ora? Non ti senti bene?";

"E' tutto ok, solo non riesco a dormire".

"Qualche brutto pensiero?" chiese dolcemente.

"Molti brutti pensieri" e andò a sedersi sul divano proprio accanto a lui.

Suo padre la accolse tra le sue braccia mentre spegneva la sigaretta ormai consumata.

"E tu? Perchè non dormi?";

"Molti pensieri....";

"Belli o brutti?" chiese curiosa;

"Alcuni meravigliosi, dolcissimi....altri terribili".

"Riguardano.....Elena?" chiese con un pò di timore.

Bill annuì senza rispondere.

"Credo che sia ora di parlarmene, non ti sembra?" e con un pò di timore aprì l'album e fissò quel viso abbronzato che le sorrideva.

"Era così bella...";

"Già" disse sospirando pesantemente.

"La ragazza più bella che avessi mai visto".

"Più bella anche di me?" chiese con un pizzico di gelosia;

"Nessuna è più bella di te, tesoro" e le sorrise.

Soddisfatta, si accoccolò meglio tra le braccia di suo padre:

"Come vi siete conosciuti?";

"Oh, è successo tanto tempo fa...... per un equivoco; si, un banalissimo equivoco".

"Davvero? Dai, racconta".

"Io e lo zio Tom avevamo appena finito di registrare Humanoid, così prima di iniziare un intensissimo periodo con la sponsorizzazione, il lancio, il tour e tutto il resto, abbiamo deciso di prenderci una vacanza. Di solito andavamo alle Maldive";

"Infatti, ci andiamo ancora" lo interruppe.

"Non quella volta. Non potevamo  allontanarci troppo. Dovevamo tenerci costantemente in contatto con la casa discografica e il lancio dell'album era imminente, così scegliemmo una destinazione a caso: Italia, Toscana.

Ci eravamo stati da piccoli con la nonna e avevamo dei bei ricordi di quel posto.

In quel periodo eravamo molto famosi in Italia e non potevamo uscire senza scorta....quell'anno erano successe troppe cose sgradevoli. Infischiandocene di tutto e di tutti, prendemmo un aereo e raggiungemmo Firenze. Per un pò ci confondemmo tra la folla, facevamo di tutto per non destare attenzione. Per un pò riuscimmo quasi a sentirci come due ragazzi qualunque: era bellissimo passeggiare per le vie del centro, mangiare in un tipico localino, visitare i musei e le opere d'arte ma durò poco. Dopo quasi una settimana iniziò a spargersi la voce della nostra presenza e così fummo costretti quasi a scappare. Lo zio Tom aveva già la patente".

"E tu?";

"Emm.... io invece ero stato bocciato alla guida".

"Non ci posso credere: sei stato bocciato all'esame di guida" e scoppiò a ridere.

"Vuoi che ti racconti il resto della storia?";

"Si";

"Allora piantala di prendermi in giro"; Kora ammutolì di colpo.

"Noleggiammo un'auto e ci spingemmo verso Livorno...verso il mare. Trovammo un posticino tranquillo, una casetta a due passi dalla spiaggia, un piccolo rifugio immerso in una grande pineta: la spiaggia di sabbia chiara, il mare di un blu intenso e il cielo ancora più blu...tutto era incantevole. Una mattina ci alzammo presto, dovevano essere più o meno le undici. Avevamo voglia di fare un giro in barca così, dopo aver fatto colazione, ci dirigemmo verso il porto. Io e lo zio Tom restammo affascinati dalle ragazze del posto. Erano bellissime, abbronzate, con un sorriso aperto e sincero e sapevano divertirsi. Volevamo divertirci anche noi. Non fu difficile: rimorchiammo due splendide ragazze e per far colpo su di loro, decidemmo di  noleggiare una grossa barca a motore" si fermò un attimo e poi scoppiò a ridere.

"Perchè ridi papà?";

"Perchè quando ci chiesero la patente nautica, io e lo zio Tom ci guardammo in faccia e pochi attimi dopo le ragazze si erano dileguate nel nulla".

Kora scoppiò a ridere assieme a Bill.

"Che figura!" ;

"Si, avresti dovuto  vedere le nostre facce in quel momento!" e continuavano a sbellicarsi dalle risate.

Dopo quasi una decina di minuti di risate incontrollate, Kora chiese:

"E dopo che avete fatto?";

"Volevamo comunque andare in barca, così ci accompagnarono dove c'erano i gommoni ma erano già stati tutti noleggiati: erano rimaste solo le barche a remi".

Kora continuava a ridere senza fermarsi.

"Ti immagini io e lo zio Tom che remiamo?";

"Si, per quello sto ridendo".

"Già... proprio quando stavamo per salire a bordo, si avvicina una ragazza, dai capelli lisci, lunghissimi che mi guarda con i suoi incredibili occhi scuri e ci dice -Hei, voi due! Dove credete di andare? Quella è la nostra barca - ".

"La loro barca?";

"Si. Vedi, il figlio del proprietario aveva una cotta tremenda per quella ragazza,  così senza dire niente al padre, aveva preso la barca per darla a lei e a sua cugina per un giro al largo. Suo padre andò su tutte le furie: lei, sua cugina, il ragazzo e il proprietario iniziarono a scambiarsi una serie di battute con toni minacciosi in italiano ed io e lo zio Tom, ci guardavamo senza capire nemmeno una parola".

"E come è finita?";

"Che loro presero la barca e noi restammo come due stupidi a terra".

Kora si asciugò gli occhi: per il troppo ridere le erano venute giù le lacrime.

"Quando mi guardò negli occhi e mi sorrise dicendomi - Ciao - ...io non capii più niente".

.....continua

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


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Capitolo VII

"Quando mi guardò negli occhi e mi sorrise dicendomi - Ciao - ...io non capii più niente".

Kora guardava suo padre: gli occhi brillavano per l'emozione. Solo ricordare quel momento,  aveva riacceso in lui un'emozione forte.

"E poi?";

"E poi niente. Faceva troppo caldo per prendere il sole ed era tardi per andare a mangiare. Così ce ne tornammo a casa e passammo l'intero pomeriggio a fare niente".

"Quindi non l'hai rivista?";

"Quel giorno no. Due giorni dopo si alzò un forte vento e c'era la bandiera rossa, segnalavano che era pericoloso uscire in mare e anche fare il bagno, così  facemmo una lunga passeggiata sulla spiaggia, poi trovammo un posto davvero carino, uno stabilimento balneare molto chic e riservato. Al posto degli ombrelloni e dei lettini aveva comodi divani di vimini di forma circolare ed erano riparati da tende bianche.Pensammo subito che quello era il posto migliore per godersi quella giornata ventosa: relax, un cocktail ghiacciato e un massaggio defaticante....Cosa chiedere di più?";

Kora sorrise vedendo l'enfasi che suo padre metteva nel raccontare quell'episodio.

" Ero sdraiato e sonnecchiavo all'ombra mentre nella testa mi frullava una melodia, una nuova canzone. Ero totalmente rilassato e mi concentravo su quelle quattro note quando all'improvviso fui colpito da qualcosa".

"Davvero? E cosa?";

"Un cappello di paglia".

" E di chi era?";

"Lo scoprii poco dopo. Si avvicinò correndo, una ragazza dai lunghi capelli lisci e la pelle abbronzata. Indossava un costume bianco ed era così bella da sembrare un miraggio. Quando fu abbastanza vicina, la riconobbi immediatamente. Lei mi sorrise dicendo qualcosa in italiano. Io non capii assolutamente nulla di quello che stava dicendo ma non riuscivo a smettere di guardarla....ero completamente succube del suo sguardo e sorridevo come un ebete".

Kora scoppiò a ridere immaginandosi la scena.

"E poi?";

"Mi prese il cappello dalle mani, ed io: - Oh, scusa non avevo capito - lei mi rispose in  tedesco ed io fui rapito dal suono della sua voce e dalle sue parole, un pò sgrammaticate a dire il vero ma pronunciate con una tale dolcezza....";

"Cosa ti disse?";

"Niente di speciale. Mi disse solo - scusa, è tutta colpa di questo vento -".

Bill sembrava essere in un'altra dimensione.

Riviveva quell'attimo come se fosse accaduto solo pochi istanti prima.

Era tutto così nitido nella sua memoria, così incredibilmente attuale.

Poteva ancora sentire sulla sua pelle il calore del sole e la carezza di quel vento caldo. Rivedeva il volto di Elena, il suo sorriso dolce, i suoi occhi luminosi, il suo corpo esile e slanciato. Se chiudeva gli occhi poteva ancora ascoltare la sua voce, la sua risata allegra e sentire il profumo della sua pelle che sapeva di vaniglia e talco.

"Papà,  hei papà ci sei?";

"Cosa?!" chiese Bill destandosi dal torpore dei ricordi.

"Ma a cosa stavi pensando?";

"A niente, perchè?";

"Si, a niente...ti ho fatto una domanda per ben tre volte e tu hai solo mugugnato".

Bill si passò una mano tra i capelli abbassando lo sguardo.

"Ti ho chiesto che cosa è successo dopo?";

"Mi sono presentato; ovviamente ho omesso di dirle il mio cognome ma sono sicuro che lei sapesse esattamente chi fossi e ha finto di non conoscermi. Beh, signorina si è fatto tardi: è ora che vada a letto".

Kora osservò attentamente suo padre.

Non protestò per averla mandata a dormire.

Voleva restare da solo con i suoi pensieri.

"D'accordo. Ma domani mi racconti il resto, intesi?";

"Intesi. A domani, tesoro".

"A domani papà".

Kora gli diede un bacio affettuoso e si recò in camera sua ma salendo le scale si fermò a guardarlo.

Stringeva forte l'album, aveva lo sguardo perso nel vuoto e sorrideva.

Istintivamente sorrise anche lei poi, continuò a salire.

Bill intanto non era più nella fredda e piovosa Amburgo.

Era tornato indietro nel tempo, era in Toscana, su quella spiaggia assolata ed era di fronte a lei....

..."Parli molto bene il tedesco";

" Sei gentile ma non è così, lo studio solo da un anno";

"Io...io sono Bill" e le porse la mano.

Lei gliela strinse timidamente.

La sua mano era sottile e delicata e le dita lunghe ed affusolate. Le unghie erano ben curate e appena laccate con uno smalto rosa chiaro.

"Io sono Elena"; il suono della sua voce era così dolce e melodioso.

"Felice di conoscerti, Elena".

Lei sorrise sentendo pronunciare  il suo nome con quell'accento un pò strano.

"Tu abiti qui?" le chiese audace.

"No, sono di Milano ma vengo qui tutti gli anni in vacanza".

"Davvero?";

"Si. E tu? Da dove vieni?";

Lui ci pensò su un attimo poi disse:

"Da Hannover".

"Ovviamente, anche tu qui in vacanza";

"A-ha" abbozzò.

Elena annuì silenziosa.

"Beh, devo andare. Le mie cugine mi stanno aspettando. E' stato un piacere Bill".

"Lo è stato anche per me, Elena".

"Ciao";

"Ciao".

La vide allontanarsi stringendo quello strano cappello tra le mani.

Camminava adagio sulla sabbia umida mentre gli spruzzi di schiuma delle onde  che si infrangevano con forza sulla riva, le bagnavano le gambe.

Il vento le scompigliava i capelli, riversandoglieli sul viso. Lei li raccolse tutti mettendoli da un lato  e si sistemò una ciocca dietro l'orecchio.

La grazia dei suoi gesti e dei suoi movimenti lo ammaliava.

"Hei Bill! Svegliati fratellino".

"Eh?";

"Non lasciartela scappare!";

"Ma  la conosco appena!";

" E che importanza ha? Va da lei, e chiedile di uscire. Hai visto quanto è carina? Si vede lontano un miglio che ti piace, dai: muoviti!" e gli diede uno spintone.

Bill lo guardò un attimo poi si decise a raggiungerla.

Forse Tom aveva ragione.

Quella ragazza gli piaceva moltissimo; non capiva ancora il perchè ma era inspiegabilmente attratto da lei.

Si, era una ragazzina, avrà avuto più o meno 17 anni eppure esprimeva un fascino al quale non riusciva a sottrarsi.

"Elena! ";

Sentondosi chiamare si voltò.

Lui la raggiunse in un attimo.

Lo guardava interrogativa, con un'espressione curiosa dipinta sul volto e attendeva paziente che lui si decidesse a parlare.

"Ecco....io...insomma...";

"Si?";

"Mi chiedevo....che fai più tardi?";

Lei sembrò riflettere  guardandolo sospettosa.

"Perchè?";

"Io...pensavo che potremmo bere qualcosa insieme";

"E perchè?";

Bill la guardò sbalordito.

Nessuna ragazza  si sarebbe sognata di rispondergli in quel modo, anzi: le ragazze avrebbero fatto qualsiasi cosa solo per poter essere così vicine a lui, figuriamoci cosa avrebbero fatto per un invito!

 Ingenuamente aveva creduto che lei, come tante, avrebbe accettato immediatamente non aveva nemmeno lontanamente ipotizzato un rifiuto.

Lei era diversa, sì, era diversa da tutte quelle che aveva conosciuto e ne era piacevolmente colpito e spaventato allo stesso tempo.

 Improvvisamente, iniziò ad essere nervoso: passava il peso del corpo da una gamba all'altra dondolandosi e gesticolava vivacemente mentre parlava.

"Perchè.....ecco, perchè....si vedi, qui, a parte mio fratello, non conosco nessuno e mi piacerebbe passare un pò di tempo con te, conoscerti ...insomma fare amicizia";

disse la prima cosa sensata che gli passò per la testa perchè, se avesse dovuto dire ciò che pensava in quel momento le avrebbe detto: perchè sei bellissima, perchè mi piaci incredibilmente tanto, perchè adoro la tua pelle abbronzata e le tue labbra così invitanti.

"Mmm..." quella indecisione non faceva presagire niente di buono.

-Dì di si, ti prego....dì di si -  si portò la mano dietro la schiena ed incrociò le dita.

" Ok".

Il cuore sembrò fermarsi. Aveva accettato!

"A che ora?" gli chiese mentre lo fissava con quei suoi occhioni da cerbiatta;

"Alle dieci?";

"No. A quell'ora non posso".

"Allora alle nove?";

"Mi dispiace, non posso nemmeno alle nove".

"Ahh!";

la delusione sul suo volto doveva trasparire in maniera palese  così lei si affrettò ad aggiungere:

"Alle nove ceno con la mia famiglia. Possiamo fare alle sette, se per te va bene".

"D'accordo. Allora a stasera".

Elena stava per andarsene e Bill era talmente entusiasta che si voltò verso il fratello, sollevando il braccio in segno di vittoria.

"Bill?";

 quando sentì la sua voce s'irrigidì di colpo.

Non poteva crederci: che razza di figura!

Tom si coprì il viso con le mani.

Abbassò lentamente il braccio e si voltò adagio, deglutendo a vuoto.

 Lei lo guardava divertita.

"Emm.... si?" disse con un filo di voce;

"Volevo dirti che ci vediamo qui, al bar della spiaggia".

"Si- si, che stupido! Non ci avevo pensato. Ok; alle sette, al bar della  spiaggia. Ciao Elena".

"Ciao".

Si allontanò di qualche passo ed un gruppetto di ragazzine, la raggiunsero accerchiandola. Parlavano con lei poi spostavano lo sguardo su di lui e le loro espressioni erano di biasimo e di disapprovazione.

Lei invece gli sorrideva.

Quel sorriso era la cosa più bella che qualcuno potesse regalargli.

Tom lo raggiunse poco dopo.

Appoggiò un braccio sulla spalla di suo fratello e sfoderò uno dei suoi sorrisi accattivanti. Mise in mostra i suoi addominali scolpiti,  scostò un pochino gli occhiali da sole e fece ciao con la mano.

Un coro di gridolini entusiasti e di ciao si sollevò all'unisono.

"Visto? E' così che si fa. Guarda e impara!".

"Ma smettila. Ricordati che siamo gemelli".

"Si, ma tu sei la mia brutta copia".

Lo colpì affettuosamente su una spalla e tornarono indietro.

Si sentiva stranamente  emozionato e questo lo rendeva felice ed agitato allo stesso tempo.

Si sdraiò pigramente a prendere il sole ed inforcò i suoi occhiali scuri ma con lo sguardo continuava a cercarla:

Era stupenda mentre sdraiata sulla sabbia rovente, lasciava che il sole baciasse la sua pelle liscia e vellutata......

Si passò una mano tra i capelli e accese una nuova sigaretta.

Le labbra si distesero in un sorriso.

Si alzò dalla poltrona e si avvicinò alla finestra mentre aspirava avidamente boccate di fumo.

Guardava la sua immagine riflessa sul vetro: i tratti del viso stanchi e segnati, la fronte increspata di rughe....quanto tempo era passato?

Venti,  Trenta anni?.....

Ventisei.

Erano passati ventisei anni.

Poteva il respiro del tempo essersi dissolto davvero così in fretta?

Inarcò leggermente la schiena e lentamente mosse il collo prima in una direzione e poi in quella opposta.

Si massaggiò lentamente la nuca....

-Quante pazzie abbiamo fatto.... Te le ricordi  Elena? .....Ti ricorderai ancora di me e di quella estate meravigliosa dopo tutto questo tempo?-

Si sedette nuovamente e riprese a sfogliare l'album: guardava distrattamente, i suoi pensieri ripresero a  volare lontano.

                                                                                                                                     continua

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


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Capitolo VIII

....."Che ore sono Tom?";

"Due minuti dopo l'ultima volta che me lo hai chiesto";

"Che dici, sto bene con questa maglietta?";

"Si, stai benissimo...rilassati";

".....non posso. E se non venisse?";

"Vuoi stare calmo? Inizi a fare agitare anche me!";

"Hai visto come mi guardavano le sue amiche? Cavolo mi sono sentito uno sfigato!".

Tom si avvicinò a suo fratello guardandolo negli occhi: "La smetti con questa lagna? Verrà!".

"Come fai ad esserne così sicuro, eh?";

" Ho visto come ti sorrideva".

Bill tirò fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca dei jeans e ne accese subito una. Aveva bisogno di calmarsi e quella dose di nicotina gli era assolutamente necessaria. Non riusciva a stare fermo e continuava a camminare nervosamente avanti e indietro. Aspirò avidamente una boccata di fumo.

"Ciao Bill"; una voce alle sue spalle lo colse di sorpresa.

Si voltò e la vide: era bellissima con quel vestitino bianco e i capelli legati in una coda. Che buon profumo aveva la sua pelle e le sue labbra rosee appena velate di gloss catturavano completamente la sua attenzione.

Peccato che non fosse sola! Si era portata dietro proprio una di quelle ragazze che lo avevano messo a disagio.

"Ciao Elena, come va?";

"Bene grazie, e tu?";

"Bene anch'io".

"Spero che non ti dispiaccia ma ho portato anche mia cugina....";

"Figurati, anche io sono qui con mio fratello" ed indicò Tom poco distante che osservava tutta la scena.

Non si era accorto che il fumo della sigaretta era finito nella sua direzione investendola e quando si voltò a guardarla la trovò che si copriva il naso e la bocca con una mano.

"Oh...scusa ...non mi ero accorto che...." imbarazzato si allontanò di scatto.

"Stupido! " pensava mentre con rabbia spense la sigaretta in un posacenere posto su un tavolo.

"Ora...ora va meglio?";

"Si, grazie. Scusa ma l'odore del fumo mi fa venire la nausea" e gli sorrise.

Bill restò a fissarla con un'espressione indecifrabile: quella ragazza continuava a sorprenderlo. I suoi occhi erano così luminosi e quando sorrideva le si formavano due graziose fossette sulle guance.

"Bill?" Tom cercò di richiamare la sua attenzione ma lui era completamente assorto.

Si avvicinò a suo fratello e sottovoce gli bisbigliò:

"Bill, ti svegli? Che diavolo ti sta succedendo eh?";

"Perchè?!";

"E me lo chiedi? Ti stai comportando come un idiota! Invitala a sedere No?";

"Già, giusto....non ci avevo pensato".

"Emm....vogliamo....vogliamo";

"Sediamoci" finì Tom prendendo in mano la situazione.

Si sedettero ad uno dei tavolini e tutti e quattro si guardavano senza sapere cosa dire.

La cugina di Elena bisbigliò qualcosa al suo orecchio ed entrambe scoppiarono in una risatina.

Bill deglutì a vuoto, chissà cosa si erano dette.

"Come hai detto che ti chiami?"; Tom ruppe il silenzio rivolgendosi alla ragazza seduta accanto a lui.

"Alessandra, e tu?";

"Tom" disse mentre con il suo sguardo attento la squadrava dalla testa ai piedi, soffermandosi eloquentemente su alcuni punti nevralgici.

Bill invece se ne stava zitto e continuava a contemplare Elena che nel frattempo accavallava le gambe e si sistemava il vestito.

Tom continuava a chiacchierare e a fare battute divertenti e, a giudicare dallo sguardo, quella Alessandra doveva interessargli parecchio visto che non le staccava gli occhi di dosso.

"Bill?";

"Si?";

"Perchè non ordini da bere?";

"Si si vado subito" si alzò e raggiunse il bancone del bar.

Poco dopo tornò al tavolo e il cameriere gli servì 4 vodka lemon ghiacciate.

Bill e Tom presero il loro bicchiere e lentamente cominciarono a sorseggiare i loro drinks, le ragazze, invece, si guardarono perplesse.

Continuarono a chiacchierare e a bere e solo dopo un bel pò di tempo, Tom si accorse di un piccolo particolare.

"Come mai non bevete?": il ghiaccio era quasi completamente sciolto e i bicchieri erano ancora intatti.

"Ecco....vedi, c'è un piccolo problema"; Elena rispose timidamente.

"Un problema?!" Bill si drizzò sulla sedia, scattando come una molla.

"Si, emm...  noi non beviamo alcolici".

Bill si sentì morire....ne aveva combinata un'altra! Prima la sigaretta, adesso i drinks, non ne indovinava una! Ma che diavolo gli stava succedendo?

Si sentiva a disagio, imbarazzato ed impacciato e una cosa del genere non gli era mai capitata!

Era completamente senza difese:  di fronte a quella ragazza si sentiva un rammolito, un incapace insomma.

Non sapeva che dire, cosa fare, non sapeva se alzarsi o restare seduto, se scusarsi o continuare a rimanere zitto.

"E che problema c'è?" continuò Tom con la solita aria sorniona;

"Ora mio fratello vi farà servire  delle bibite".

Bill fu profondamente grato a Tom, era bellissimo, in certe situazioni, avere un gemello che ti cavava d'impaccio!

"Si certo,provvedo subito" scostò un pò la sedia e alzandosi, le numerose collane che portava al collo tintinnarono con veemenza e questo incuriosì Elena.

"Che belle!" esclamò con enfasi poi si alzò e si avvicinò al suo petto e le guardò con attenzione.

Il suo viso era così vicino, il suo respiro tiepido gli lambiva delicatamente il collo e, quasi senza accorgersene il cuore cominciò a battergli forte nel petto e il respiro era sempre più veloce.

"Questo ciondolo è proprio bello"; Elena indicò un piccolo rettangolo d'oro e smalto nero.

"Oh, questo?" Bill lo prese tra le dita.

"Si mi piace molto, è ...insolito. C'è una incisione sopra...che cos'è?";

Lui sorrise: "E' un segreto" disse sollevando un sopracciglio sfoderando un'aria misteriosa.

"Capisco".

Elena non aggiunse altro. Si sedette di nuovo e si voltò a guardare il mare e il sole che lentamente si accingeva a tramontare.

I raggi rossastri le inondavano il viso; oltre che bella era anche discreta, una qualità che apprezzava molto.

Per la prima volta sentì di potersi fidare, di poter raccontare  a qualcuno, qualcosa di personale senza il timore di poter essere tradito.

Era una sensazione che non provava più da tanto tempo; troppe volte le persone lo avevano ferito: avevano divulgato notizie, informazioni  sulla sua vita, sulla sua infanzia, sulla sua famiglia, ai giornali. Inevitabilmente  si era chiuso in sé stesso senza far trapelare mai le sue emozioni, i suoi sentimenti, i suoi pensieri.

"E' un portafortuna"; le parole gli uscirono senza che se ne accorgesse.

Elena si voltò a guardarlo:

"Davvero?";

"Si, me lo ha regalato mia madre e ne sono molto geloso";

Improvvisamente l'espressione sul viso mutò: abbassò lo sguardo smettendo di sorridere. Sembrava dispiaciuta, rammaricata. Si fissava le mani in grembo e lui non riusciva a capire perchè. Cosa aveva detto di sbagliato adesso? Forse l'aveva inavvertitamente offesa? Cosa?! Non ci capiva più niente.

"Scusa".

La sua voce era appena udibile e quella parola gli sembrò un soffio.

Bill la guardò meravigliato:

"Scusa...per cosa?";

"Per essere stata indiscreta, non volevo".

Quella ragazza aveva la capacità di sconcertarlo  come nessun' altra.

Si scusava per qualcosa che non aveva fatto.

"Non lo sei stata".

Elena tirò un enorme respiro di sollievo, il suo volto si rasserenò e, sulle sue labbra comparve di nuovo il sorriso.

"Sei così bella Elena...così sensibile....così delicata. Sei come la luce: a volte limpida, a volte prorompente....a volte solo penombra e mi sto accorgendo di stare bene accanto a te anche se ti conosco appena, anche se a malapena ti accorgi di me...."

"Allora cosa prendete?" la voce di Tom lo destò da quei pensieri;

"Un succo di frutta alla pesca" rispose Alessandra;

"Un tè freddo al limone, grazie".

Dopo aver bevuto le loro bibite, Elena propose di fare una passeggiata sulla spiaggia e, ancor prima di ricevere una risposta, si slacciò i sandali e a piedi nudi corse  fino a raggiungere la riva.

"Dai Bill, vieni!" sorrideva  e, sollevandosi un lembo del vestito, mettendo un pò in mostra le gambe tornite, lasciava che le onde le accarezzassero la pelle liscia.

Bill la guardava come se non avesse mai visto una ragazza! Seguiva attentamente ogni piccolo movimento estasiato.

Tom gli diede un colpetto sulla spalla:

"Che stai aspettando?".

Tra giocare a schizzarsi, a correre e a rincorrersi, a ridere spensierati, il tempo passò così velocemente che quasi non si accorsero che il sole era tramontato e le prime ombre della sera si allungavano in quel cielo terso e, prima che se ne rendessero conto, era già spuntata la prima stella.

"Elena, dobbiamo andare!" la voce di Alessandra le giunse da lontano riportandoli alla realtà.

"Ma che ore sono?";

Bill guardò il suo  prezioso orologio:

"Le otto e mezza perchè?";

"Oh Santo Cielo! E' tardissimo.... devo andare. Già lo sento: mio padre mi farà una lavata di testa!";

Bill non riusciva a capire.

Elena si infilò le scarpe velocemente.

"Ci vediamo domani?" gli chiese mentre si toglieva un pò di sabbia dalle gambe;

"Si, si certo se ti va";

"Allora domani mattina qui" poi si allontanò di corsa raggiungendo sua cugina ma improvvisamente si fermò, si voltò a guardarlo e tornò indietro e senza che lui avesse il tempo di capire quello che stava succedendo, gli stampò un bacio sulla guancia.

"Grazie per il magnifico pomeriggio. Ciao Bill".

Lui la vide allontanarsi e la seguì con lo sguardo finchè gli fu possibile.

Si sfiorò la guancia che lei aveva baciato, sentiva ancora il calore delle sue labbra.

"Ciao Elena......"

"Buon giorno papà";

Bill si voltò e vide Kora  alle sue spalle.

"Che succede, ti fa male un dente?";

"No, perchè?";

"Ho visto che ti toccavi la guancia";

"No, non preoccuparti, è tutto ok ma, come mai sei già in piedi a quest'ora?";

Kora lo guardò esitante.

"Papà sono  le nove e tra poco arriverà il prof per le ripetizioni di matematica";

"Le nove?!"; guardò sorpreso il suo orologio: il tempo era passato così in fretta che era sopraggiunto il giorno e lui non se n'era neanche accorto.

Kora si avvicinò e vide l'album aperto sul tavolino accanto al posacenere colmo di mozziconi spenti, una tazzina da caffè vuota rimasta lì dalla sera precedente e suo padre che indossava ancora gli  stessi abiti.

"Non dirmi che non sei andato a letto...";

Bill si passò una mano sulla testa poi fece spallucce.

"Si, è proprio così". Kora gli sorrise teneramente.

Sembrava quasi imbarazzato: aveva pensato a lei, a Elena per tutta la notte.

"I ricordi ti hanno tenuto sveglio, eh?";

"Già" rispose vago.

"Signor Kaulitz, signorina Kora, la colazione è servita".

Gertrude soffiava silenziosamente quelle poche parole alle loro spalle.

Santo Cielo! Quella donna  faceva venire i brividi!

"Certo, arriviamo subito".

"Kora, vado un attimo di sopra, ti raggiungo subito. Tu inizia pure senza di me";

"Ok papà, a dopo".

Bill raggiunse la sua camera da letto.

Aprì la porta del suo bagno e si sciacquò il viso poi si guardò allo specchio:i suoi ricordi erano ancora proiettati nel presente.

Rivedeva quel bicchiere di tè freddo al limone e i cubetti di ghiaccio, ricordava quel sorriso e quelle labbra morbide e ben disegnate che si stringevano intorno alla cannuccia, ricordava persino la luce intensa che i suoi occhi emanavano e gli sembravano due piccole stelle.

Sentiva la sua risata allegra echeggiare nelle orecchie e la sua voce sottile e melodiosa.

".....Elena".

continua


Colgo l'occasione per augurare a tutti una Pasqua serena a tutti. Bacio

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


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Capitolo IX

"Gertrude?!";

"Si Signorina Kora" l'anziana donna era intenta a lavare le verdure che avrebbe cucinato quella sera.

"Ha visto mio padre?";

"E' nel suo studio".

Bill, dopo la colazione di quella mattina, si era chiuso nel suo studio e ancora non era uscito.

Kora sapeva benissimo che quando suo padre lavorava era capace di dimenticare tutto ciò che lo circondava; si chiudeva in quella stanza buia, insonorizzata, illuminata solo da una piccola lampada e dalla luce fioca delle sigarette accese ma, mai come in quel momento, era preoccupata.

Non aveva chiuso occhio e, il passato, aveva tormentato il suo animo sensibile scuotendolo vigorosamente.

Si sentiva inerme, fragile; avrebbe voluto tanto aiutarlo ma lui non glielo permetteva.

Ergeva un muro invisibile a difesa dei suoi sentimenti e nessuno, nemmeno la sua adorata bambina riusciva anche solo minimamente a scalfirlo.

"Per favore, quando esce da quel buco, gli dice di venire da me? Sono nella mia camera.

"Ma certo signorina, glielo dirò".

Gertrude tornò alla sua cena e Kora salì in camera.

Chiuse la porta alle sue spalle e spalancò le pesanti tende che adornavano le sue finestre: la luce era magnifica.

Immediatamente fu colta dall'ispirazione.

Sistemò un grosso telo sul pavimento: originariamente era bianco, ma dopo l'uso frequente aveva assunto l'aria di uno straccio vecchio coperto da macchie indelebili di colore.

Aprì la porta dell'armadio e tirò fuori una tela immacolata ed una grossa scatola.

Con mani esperte cominciò a montare il cavalletto e appena fu pronto, vi sistemò  la tela.

Kora visualizzava chiaramente delle immagini: impugnò una matita  e senza accorgersene, le mani cominciarono a muoversi veloci.

Tratti orizzontali e verticali, luci ed ombre, una serie di chiaro-scuri e poi, quando quello  stato di estasi cessò, sollevò gli occhi  e contemplò lo schizzo.

"Si....è perfetto" mormorò compiaciuta.

Si avvicinò nuovamente alla scatola, aprì uno alla volta tutti i suoi colori poi, dopo aver controllato lo stato dei pennelli e averne scelti alcuni,  pian piano, cominciò a miscelarli  sulla tavolozza.

"Non così ....il blu deve essere più scuro e il giallo.....si forse ci siamo".

Miscelò i colori un'infinità di volte fino a quando ne fu soddisfatta; si legò i capelli con un elastico ed indossò un vecchio camice giallo, anch'esso macchiato di colori.

Sorrise mentre se lo abbottonava: sua nonna glielo aveva fatto indossare  la prima volta quando era piccola.

Kora si era macchiata il vestitino nuovo che le aveva comprato la mamma e la nonna, per non farla sgridare aveva cercato di nascondere la macchia.

Sapeva bene che Christine si sarebbe arrabbiata moltissimo: non voleva che la bambina le ronzasse intorno mentre dipingeva. Quello stesso pomeriggio la nonna uscì furtivamente e andò a comprarle un vestitino uguale a quello che si era rovinato e la mamma non venne mai a saperlo.

"E il nostro piccolo segreto....." le sussurrò in un orecchio.

Da allora, ogni volta che dipingeva, indossava quel vecchio camice.

Si sfregò le mani; chiuse gli occhi ed inspirò profondamente assaporando il piacere di intingere il pennello nel colore: quella era la sensazione più bella del mondo.

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"No, no...non ci siamo. Così non funziona....";

Bill aspirò una boccata di fumo e, schiacciando un tasto, fece tornare indietro la base musicale in un punto ben preciso.

Aveva riascoltato quella traccia almeno una ventina di volte ma c'era qualcosa che non lo convinceva.

"E' troppo banale" e, espirando una nuvola di fumo, cancellò con la preziosa penna l'intera strofa che aveva appena finito di scrivere.

Appoggiò il gomito sulla scrivania e con il pollice si toccò una tempia mentre tra le altre dita, la sigaretta si consumava lentamente.

"Vediamo....forse così potrebbe andare" e mentre elaborava una nuova stesura, il cellulare cominciò a squillare.

Appoggiò la sigaretta sul posacenere e rispose alla chiamata.

"Pronto?";

"....Pronto Bill? Sono Christine".

Bill strinse impercettibilmente la labbra:

"Ciao Christine, come va?";

"...Tutto bene, grazie; e lì?";

"Tutto bene anche qui" rispose con voce incolore.

"....Come va con Kora? Ti sta facendo impazzire?";

"La conosci....è sempre la solita".

"....Ha recuperato matematica?";

"Si, stai tranquilla. Il professore che ho preso per darle ripetizioni dice che è migliorata molto".

"....Mangia abbastanza? E' sciupata? Tu hai le tue idee a riguardo ma lei deve nutrirsi come si deve";

Bill sollevò gli occhi al cielo mentre cominciava a spazientirsi di tutte quelle domande.

"Sta bene, non preoccuparti!" disse alterando un pochino il tono della voce.

Ma di che diavolo si preoccupava? Sapeva perfettamente che era in grado di prendersi cura di sua figlia! Sempre le stesse, noiosissime domande alle quali era stufo di rispondere.

"....Ti ricordi che domani torna a scuola, vero?";

Ora aveva completamente perso la pazienza ma si controllò.

"Christine, goditi la tua luna di miele e salutami....." come si chiamava il tizio che aveva sposato?;

ci pensò su un attimo poi decise di farla breve:

"tuo marito. Ora ti passo Kora, credo che tu sia impaziente di sentirla".

"....si grazie Bill. Saluti".

Bill si alzò dalla sua poltroncina di pelle nera e aprì la porta dello studio lasciando filtrare all'interno un pò di aria fresca e la luce che proveniva dalla finestra della stanza di fronte.

"Kora?" disse avvicinandosi alla porta della sua camera ma la ragazza non rispose allora aprì la porta senza bussare ed entrò.

"Ko..." ma ciò che vide lo lasciò senza fiato.

Su una tela di medie dimensioni, era ritratto il mare....era così blu anche nei suoi ricordi e sullo sfondo il volto di una donna solo abbozzato.....

"Papà ma non si bussa?";

"Cosa?!"; a fatica staccò gli occhi dal dipinto mentre sua figlia lo guardava con aria di rimprovero.

"Hai bisogno di qualcosa?";

"Si....si, c'è la mamma al telefono; dice che le manchi e vuole parlare un pò con te".

Passò velocemente il telefono a sua figlia che fece un grosso sorriso.

"Mamma! Che bello sentirti; Come stai?";

Bill intanto non  la ascoltava più.

I suoi occhi erano attratti da quel dipinto...da quel volto di donna.

Come era possibile?

....Sembrava... Elena.

il suo viso ovale, i suoi capelli scuri lunghi e lisci agitati dal vento e i suoi occhi....i suoi occhi erano esattamente come nella realtà: forti, penetranti, espressivi e pieni di calore.

"Mamma vuoi scusarmi un attimo?";

Kora guardò suo padre: contemplava assorto quel volto.

La sua espressione era indecifrabile e lei non riusciva a comprendere quali sentimenti stesse provando in quel momento.

"Papà?";

"Mmm?!";

"Per favore potresti uscire dalla mia stanza? Vorrei parlare un pò con la mamma....sai cose tra donne";

"Si...si certo. Me ne vado".

Si allontanò suo malgrado e, con un peso sul cuore, tornò a chiudersi nel suo studio.

"...Allora, come va? Ti annoi lì col papà?";

"Un pò. Lo sai qui non c'è niente da fare. Vive in un posto così isolato";

"....Dimmi Kora.....come sta tuo padre?";

Christine era ancora molto legata al suo ex marito e nonostante tutto, non riusciva a smettere di preoccuparsi per lui.

"Diciamo che non lo so".

"...L'ho sentito così strano....beve?";

"Raramente. Da quando sono qui l'ho visto bere un drink solo una volta ma fuma troppo".

".....Già; se non è l'una è l'altra cosa ma continua a farsi del male. E' sereno?";

"Non saprei. Lo sai papà è sempre così silenzioso. Si chiude nel suo studio e sparisce per ore, lo vedo solo a pranzo e a cena".

"....Come ha preso la storia del matrimonio? Te ne ha parlato?";

"Si. Mi ha detto che tu meriti di essere felice accanto all'uomo che ami".

Christine rimase a lungo in silenzio.

Kora capì che quelle parole, forse, le avevano fatto molto male.

"Mamma, è tutto a posto?";

la sentì sospirare pesantemente dall'altro capo del telefono.

"...si, si va tutto bene. Tesoro adesso devo andare. Robert mi sta aspettando per una partita a tennis e non voglio farlo attendere. Mi raccomando: mangia e studia; intesi?";

"Intesi".

"....Ti voglio bene, piccola";

"Ti voglio bene anche io e salutami Robert";

"...Certo. A presto".

Kora terminò la conversazione.

Sua madre le era sembrata piuttosto nervosa e non riusciva a comprenderne il motivo.

Appoggiò il telefono sul comodino accanto al letto, riprese i suoi pennelli e continuò a dipingere.

Intanto Bill aveva lasciato perdere ogni cosa.

Si era acceso un'altra sigaretta e aveva preso a battere nervosamente la penna sulla scrivania.

Ma che cosa era saltato in mente a Kora?

Perchè stava dipingendo il volto di Elena?

Sentiva la testa scoppiargli.

Più cercava di non pensare a lei, di dimenticare, di chiudere i ricordi in un cassettino nascosto della sua memoria e di mettere a tacere il suo senso di colpa e più lei tornava prepotente ad impossessarsi  del suo cuore e dei suoi pensieri.

Perchè era tornato a galla quel vecchio album? Ormai lei era come un acquerello sbiadito eppure, improvvisamente i suoi colori erano tornati ad esplodere  vivacemente.

Lanciò la penna con poca grazia sulla scrivania e cominciò a massaggiarsi delicatamente le tempie.

"....Bill, hey Bill che ne dici se oggi pomeriggio prendiamo la barca e ci facciamo un giro?";

"Dico che sarebbe perfetto ma, non avrai mica intenzione di portare anche tua cugina?";

"Perchè?";

"Perchè vorrei stare un pò da solo con te....";

"Così magari mi racconti un'altra delle tue barzellette?" e scoppiò a ridere.

"No"; la sua espressione divenne improvvisamente seria.

"Mmm....che faccia scura hai. E va bene, andremo solo io e te";

"Me lo prometti?";

"Te lo prometto" gli rispose con la sua voce gentile mentre i suoi occhi si riepivano della sua immagine.

Come era bella con quel costume azzurro!

Il grosso cappello di paglia le proteggeva gli occhi dal sole e le sue labbra si dischiudevano in un sorriso.

"Elena! Dai sbrigati, dobbiamo andare" sua cugina la chiamava agitando vistosamente le braccia.

"Devi già andartene?";

"Si o i miei si arrabbieranno moltissimo. Vogliono che sia puntuale a tavola".

"Ma io sono appena arrivato..." brontolò imbronciato.

"Già, ma non è colpa mia se sei un dormiglione!" lo rimproverò bonaria.

"Su, non fare quella faccia....ti prometto che appena riesco a liberarmi, ti raggiungo immediatamente e passeremo tutto il pomeriggio insieme".

Un enorme sorriso si dipinse sulle labbra di Bill ed Elena restò a fissarlo per un pò.

"Elena! Allora ti muovi?" Alessandra la chiamò più forte di prima.

"Tua cugina sembra piuttosto impaziente";

"Lasciala pure gridare.....adesso non mi importa niente".

Bill la guardò interrogativo.

"Adoro il tuo sorriso..." e gli accarezzò delicatamente il volto.

"Dovresti sorridere più spesso Bill".

Quella innocua carezza  gli scatenò una miriade di sensazioni; il cuore gli batteva forte nel petto.

"....Cosa mi stai facendo Elena?....Quando mi guardi in questo modo, non ho difese....ti sei impossessata del mio cuore e ho paura....per la prima volta nella mia vita ho paura di ciò che sento..."

"Vado. Ci vediamo dopo, ok?" e correndo raggiunse sua cugina lasciandolo solo.

.............continua

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


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Capitolo X

"....Si può sapere che ti prende?" Elena lo guardò dritto negli occhi;

"è da un'ora che te ne stai seduto lì senza dire una parola!"; Bill abbassò lo sguardo e sospirò.

Elena scosse la testa.

"Mi dici  perchè hai insistito tanto per stare stare da solo con me se non fai altro che guardarmi e sospirare?";

ma Bill continuava a non dire nulla.

"Dai musone, dimmi, sei ancora arrabbiato con me per oggi? Lo sai, i miei sono  intransigenti.....però me la sono svignata appena ho potuto e sono corsa da te";

"Non è per quello....";

"e allora qual'è il motivo? Giuro io non riesco a capire!";

"non....non è facile";

"almeno provaci, no?";

"Elena, io....io....volevo dirti";

"Cosa?"; raddrizzò la schiena aspettando una risposta;

"Che io.....insomma, che tu...." Elena si rilassò sedendosi più comodamente.

"Di questo passo faremo notte!" ;

Si sporse appena dalla barca, raccolse un pò di acqua di mare e  lentamente cominciò a bagnarsi il viso.

"Bill, se non ti decidi a parlare, ti mollo qui e raggiungo la riva a nuoto! Fa caldissimo....".

Bill guardava quelle gocce di mare brillare sulla sua pelle come piccoli diamanti e accarezzarle piano il corpo scivolando lentamente come lacrime.

"Ecco...tu,tu..." ma all'improvviso gli mancò il respiro;

Elena  stufa aveva preso dell'acqua e gliel'aveva lanciata contro bagnandogli la maglietta.

"Continuerò fino a quando non mi dici cos'hai....anzi farò di peggio" si sporse verso di lui facendo oscillare paurosamente la piccola imbarcazione e cominciò a fargli il solletico.

"Basta, basta ti prego....ti prego...non resisto" Bill continuava a ridere ed Elena non accennava a smettere.

"Ah! Vedo che questo è il tuo punto debole eh? Bene...." e continuava a pizzicargli i fianchi;

"No per favore...per favore....basta..." poi all'improvviso le afferrò le mani e gliele strinse forte.

In quel momento i loro occhi si incrociarono e si fissarono per un lungo interminabile istante.

Lo sguardo intenso di Elena raggiunse l'angolo più remoto del suo cuore: quegli occhi penetravano tutte le sue difese, sembravano saper leggere tra le righe del suo essere e catturare l'essenza della sua stessa vita.

Sembrava quasi che quegli occhi fossero stati creati per dare finalmente pace al suo animo tormentato.

Con lei  sentiva di poter essere finalmente se stesso, come non lo era più da tanto tempo.

Con lei non riusciva a nascondersi, non gli riusciva di mentire, di indossare la solita maschera di finzione: con lei era semplicemente Bill...il ragazzo sensibile   ed emotivo che per una volta nella vita non aveva paura di mostrare la sua vera indole.

Lei sapeva vedere oltre l'immagine riflessa e lentamente, con il cuore che sembrava scoppiargli nel petto per ciò che sentiva e il respiro sempre più accelerato le liberò le mani e, delicatamente cominciò ad accarezzarle una guancia.

"Sei straordinaria...";

Elena restò in silenzio continuando a guardarlo negli occhi.

"Tu non immagini quanto sei importante per me. Vedi....da quando ti ho vista la prima volta...tu hai scatenato qualcosa dentro il mio cuore...qualcosa che non immaginavo potesse accadermi".

Una leggera brezza le scompigliò i capelli riversandoglieli sul viso.

Elena abbassò lo sguardo.

Bill prese una ciocca  e gliela sistemò dietro un orecchio.

"Sei bellissima Elena,  sei tenera e malinconica, sei entusiasmo e gioia di vivere. Io non ho mai conosciuto una ragazza come te. Tu non hai paura di essere come sei, non hai paura del giudizio degli altri e soprattutto dici sempre quello che pensi."

Le sollevò il mento e la guardò intensamente:

"Non so come ci sei riuscita ma,  mi sei entrata dentro... sei un fuoco  che non riesco ad arginare".

Si avvicinò ancora di più a lei tanto che i suoi respiri tiepidi gli lambivano il viso.

La vide rabbrividire e tremare mentre si mordeva le labbra.

Anche i suoi respiri erano veloci, anche il suo cuore martellava forte nel petto.....forse, forse anche lei provava le sue stesse emozioni, forse aspettava solo un suo gesto...una parola.

Le circondò la vita sottile e la attirò a sè : erano vicinissimi, i loro respiri simultanei, i loro cuori battevano all'unisono; i loro occhi si cercarono ancora una volta e finalmente le labbra di Bill sfiorarono le sue in un bacio innocente carico di significati.

Quando finì, Elena gli lanciò le braccia al collo ed appoggiò il viso sul suo petto.

"Perchè ci hai messo così tanto?"; aveva ancora il respiro corto.

Sollevò un pò lo sguardo e lo guardò timidamente:

"tu non lo sai ma, mi sono innamorata di te quel giorno sulla spiaggia, quando il vento ha fatto volare via il mio cappello e tu lo hai raccolto....pensavo che non ti saresti mai accorto di me".

"Stai scherzando? ";

lei sollevò la testa e la scosse vigorosamente facendo cenno di no;

Quello sguardo così intenso, la sincerità delle sue parole, le sue labbra che tremavano appena...

"Elena...io ancora non posso crederci. Dimmi che è tutto vero, dimmi che non stai mentendo, ti prego....dimmi che non ti stai prendendo gioco di me";

Lei gli prese le mani e le strinse tra le sue: "Io ti amo Bill...."

- Io ti amo Bill, ti amo Bill, ti amo -

Bill si sollevò di scatto senza sapere bene dove si trovasse: aveva gli occhi sbarrati e il cuore che gli batteva forte nel petto mentre quelle parole continuavano a riecheggiare nelle sue orecchie.

Si guardò intorno e riconobbe la sua camera.

Accese la lampada sul tavolino e guardò la sua immagine riflessa nello specchio: era nel suo letto, il torace nudo si alzava e si abbassava seguendo il ritmo accelerato dei suoi respiri, la fronte madida di sudore e le lenzuola di seta color crema riverse in parte sul pavimento.

Guardò la sveglia sul tavolino: erano appena le tre del mattino.

Un sibilo catturò la sua attenzione: il vento soffiava forte tra i rami degli alberi che sembravano piegarsi.

Era solo un sogno.

L'aveva tenuta ancora una volta tra le sue braccia e le aveva detto di nuovo le stesse parole di quel giorno: aveva rivissuto l'emozione di quel primo bacio....

Scostò le lenzuola e si mise seduto, stringendosi la testa fra le mani.

- Ti amo Bill - sentiva ancora la sua voce che glielo sussurrava piano.

"Elena...è passato tanto tempo perchè il tuo ricordo ancora mi tormenta? Ti ho fatto del male ma ho sofferto abbastanza non ti sembra? Ho pagato caro il mio conto con la vita".

Si alzò in piedi  ed iniziò a camminare nervosamente avanti e indietro per la stanza indossando solo un paio di boxer neri poi si avvicinò alla finestra e guardò fuori: il vento continuava a tormentare gli alberi con la sua forza irruenta, così, come i suoi ricordi scuotevano violentemente la sua anima.

Sollevò lo sguardo sulla sua immagine: era un'ombra; si era solo l'ombra di se stesso, di quello che era un tempo; perfino quei tatuaggi, ora sembravano solo macchie di colore prive di significato sul suo incarnato pallido.

Dove era sparito quel ragazzo? Perchè aveva perso il controllo sulla sua vita e sui suoi sentimenti? Quando aveva smarrito la giusta direzione?

Domande, sempre domande alle quali non sapeva rispondere e continuava a trascinarsele dietro come un pesante fardello, come la colpa.

Si passò una mano tra i capelli poi andò spedito nel suo bagno e si infilò sotto la doccia.

Era quasi giorno quando uscì silenziosamente dalla sua camera.

Aveva bisogno di una boccata d'aria: tra le pareti della sua stanza si sentiva soffocare.

In punta di piedi e con il fiato sospeso oltrepassò la camera di Kora; sperò che non lo sentisse sgattaiolare via, non aveva voglia di darle spiegazioni....non aveva voglia di parlare con nessuno.

Scese di sotto, nel grande salone: Hugo appena lo sentì balzò in piedi scodinzolando festosamente e mugolando.

"Buono Hugo, sta zitto!";

ma il cane sembrò non ascoltarlo così Bill si infilò la giacca, afferrò le sigarette sulla mensola dell'ingresso poi prese il guinzaglio e, seguito dal labrador, uscì.

Il vento, ancora piuttosto freddo, gli sferzò il viso.

Inspirò profondamente per un paio di volte poi si portò una sigaretta alla bocca e la accese.

I suoi nervi sembrarono calmarsi immediatamente sotto l'effetto della nicotina, Hugo intanto si era avvicinato alla siepe e dopo aver annusato per un pò, espletò i suoi bisognini.

Bill fece qualche passo e subito fu raggiunto dal cane poi, insieme proseguirono verso la collina.

"Buon giorno Gertrude";

"Buon giorno signorina Kora, la colazione è pronta e Ernst è qui fuori che l'aspetta per accompagnarla a scuola";

"Grazie mille. Dov'è mio padre?";

"Sinceramente questa mattina ancora non l'ho visto, credo che sia uscito col suo cane molto presto perchè quando mi sono alzata Hugo non c'era".

"Mmm...capisco. Prendo solo un toast e un caffè, per cortesia";

"Come desidera Signorina".

- Dove sei andato papà? Che cosa ti sta succedendo? Cos'è che mi nascondi?-

Kora era molto turbata ma decise che quelle domande prima o poi avrebbero trovato una risposta a costo di beccarsi una di quelle punizioni che si sarebbe ricordata per tutta la vita.

Due ore più tardi Bill rientrò in casa.

Si tolse la giacca e si avvicinò al camino; sistemò della legna e accese il fuoco.

La lunga passeggiata era servita a riflettere e a calmarsi ma era infreddolito e stanco.

Sprofondò nella poltrona, accavallò le lunghe e sottili gambe in maniera elegante e fissava le fiamme che crepitavano nel fuoco.

"Oh Signor Kaulitz, è rientrato finalmente" la flebile voce di Gertrude alle sue spalle lo fece voltare immediatamente verso di lei.

"La Signorina Kora era tanto preoccupata per lei".

.....Kora

"Dov'è adesso?";

"E' andata a scuola. Mi ha pregato di dirle che quando tornerà nel pomeriggio, ha bisogno di parlare con lei".

"La ringrazio Gertrude".

"Desidera la colazione?";

"Solo una tazza di caffè";

"gliela porto subito".

Appena Gertrude si allontanò, Bill lasciò andare la testa all'indietro sul bordo della poltrona e chiuse gli occhi.

Ma come aveva fatto a dimenticarsi di Kora, del suo rientro a scuola?

Doveva restare calmo, non poteva continuare in quel modo.

Kora aveva aperto le porte dei ricordi con tutte le conseguenze di quel passato e lui non era in grado di gestire quei sentimenti con la dovuta serenità e distacco.

Al suo ritorno avrebbe preteso delle spiegazioni....spiegazioni che prima o poi sarebbe stato costretto a fornirgli perchè tanto lo sapeva: sua figlia non gli avrebbe dato pace.

Sospirò pesantemente.

"Il suo caffè, signore".

Gertrude appoggiò il vassoio sul tavolino di fronte a Bill: Il liquido nero e profumato, fumava nella candida porcellana francese; Bill prese la tazzina e sorseggiò lentamente quella bevanda calda che sembrò restituirgli immediatamente calore e conforto.

Il pendolo alle sue spalle segnava le ore: erano già le undici.

"Meglio riprendere il controllo e rimettersi al lavoro".

Lasciò l'oziosa posizione e si recò al piano superiore ma passando davanti alla camera di Kora, notò che la porta era aperta e il dipinto era esattamente nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato il giorno precedente.

Entrò nella stanza e si pose proprio di fronte ad esso.

Infilò le mani in tasca e cominciò ad osservarlo criticamente.

Tutto era così reale.....

Kora era andata avanti a dipingere ma non era ancora finito.

Man mano che aggiungeva dettagli di colore, il volto di Elena si delineava con maggiore precisione.

I suoi occhi.....i suoi occhi erano proprio di quel colore: scuri come la notte che aveva lasciato nella sua anima.

.................continua

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Licenza Creative CommonsQuesto opera è distribuito con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Unported.

Capitolo XI

Bill se ne stava chiuso nel suo studio pensando alle parole adatte per scusarsi con sua figlia.

Era stato un errore imperdonabile aver dimenticato il suo rientro a scuola dopo il matrimonio di sua madre.

I ricordi di Elena lo logoravano ma questo non avrebbe mai potuto dirlo a sua figlia.

E poi c'era un altro problema: Christine.

Sicuramente avrebbe chiamato Kora per sapere della scuola....non osava immaginare la scenata che gli avrebbe fatto.

Poteva sentire chiaramente i suoi rimproveri con quella aria saccente e il continuo ricordargli che non era stato un buon marito ma che almeno si preoccupasse di essere un buon padre!

"Dopotutto, Kora è anche tua figlia o lo hai dimenticato!" quella frase rumoreggiava continuamente nella sua testa: Christine non faceva altro che rinfacciarglielo.

Rimurginava su quei pensieri quando il telefono cominciò a squillare.

Parli del diavolo.....pensò fra sè.

"Pronto?" sospirò pesantemente preparandosi al peggio.

"....Ciao fratellino, come stai?";

Bill tirò un enorme respiro di sollievo quando sentì la voce di Tom.

"Ciao, che bella sorpresa. Come va?";

"....A me bene ma non posso dire altrettanto di te, vero?";

Come sempre suo fratello aveva intuito i suoi stati d'animo.

"Già......non è un bel periodo".

"....Che succede? Quella piccola peste di tua figlia ti sta rendendo la vita difficile?";

"Diciamo....è tutto un insieme di cose".

"...  Ti decidi a dirmelo subito o come al solito ci giri intorno per evitare l'argomento?";

Suo fratello lo conosceva meglio di chiunque altro.

"Oggi ho dimenticato che Kora dovesse tornare a scuola....";

Tom non rispose, aspettò con calma che suo fratello continuasse.

"Questa notte ho avuto un incubo....sono uscito all'alba e sono rientrato solo poco fa".

".....Mmm, direi che hai fatto una c*****a enorme!";

"Questo lo so già, non hai bisogno di ricordarmelo!" ribattè seccato.

"....Dimmi di quell'incubo";

Bill era ancora infastidito dall'osservazione di suo fratello.

"Ma niente.....vecchi ricordi, scheletri nell'armadio tutto qui" tagliò corto cercando di evitare l'argomento.

"....Di un pò....si tratta di Elena?";

Sbarrò gli occhi per la sorpresa. Doveva aspettarselo, suo fratello poteva leggere i suoi pensieri, era sempre stato così fin da quando erano bambini.

"Si; si tratta proprio di lei: l'ho sognata".

Allungò una mano verso il pacchetto di sigarette, ne sfilò una e la accese.

".....Sputa l'osso. Che sta succedendo?".

Bill inspirò una boccata di fumo e con un pò di reticenza continuò:

"Sta succedendo un casino Tom. Qualche settimana fa Kora ha trovato quel vecchio album di foto....ancora non so come abbia fatto. Avevo persino dimenticato di averlo...sono così confuso, frastornato, io non ci capisco più niente";

".... Ha iniziato a fare domande?";

Annuiva mentre rispondeva a suo fratello;

"Già, puoi immaginare che discussione è saltata fuori. Lei ha insistito tanto per sapere chi fosse, io mi sono arrabbiato moltissimo, sa che non voglio che tocchi le mie cose....";

".....e come è finita?";

"Che io ho dovuto rivelarle il nome e lei si è beccata una settimana di castigo".

Tom conosceva bene entrambi e sebbene suo fratello si lamentasse della sua adorata bambina, lei non era altro che la versione in gonnella di Bill: petulante, asfissiante chiacchierona, curiosa e talvolta anche invadente.

Tuttavia era una ragazza dolcissima e sensibile e sicuramente era preoccupata per suo padre.

"....Kora è una donna ormai, sono sicura che saprà capire. E' troppo intelligente per farti una scenata di gelosia, poi adesso Christine si è sposata, ha una sua vita....";

" E' una donna, hai detto bene e sicuramente non è gelosa ma ha sofferto molto. Ho capito più cose di mia figlia in queste poche settimane che in tutti i suoi 17 anni.  Ha un grande istinto....ha intuito che per me, Elena ha significato veramente molto e ha cominciato ad indagare".

"....Per te significa ancora molto Bill...forse è stata l'unica nella tua vita che ha saputo davvero capirti".

"Lo so Tom...lo so. Il punto è che io non sono pronto a fare i conti con il passato, con i miei errori....con quello che le ho fatto".

".....Non puoi  continuare a nascondere la testa sotto la sabbia in eterno. Eravamo giovani, con il mondo ai nostri piedi non ci importava di niente e di nessuno".

"Io ho sbagliato con lei....sono stato un egoista e un vigliacco. Come faccio a spiegarlo a mia figlia, me lo dici?....Kora ha la stessa età che aveva Elena quando ci siamo innamorati, come credi che mi giudicherà? Quando ci penso mi sento un verme".

Tom non rispose.

"E non è finita. Sta dipingendo un quadro: il mare, il volto di Elena.... è come i pezzi di un  grande puzzle. Man mano che lei dipinge mi torna in mente un pezzo della nostra storia e posso assicurarti che i ricordi sono più vivi che mai. Sembra quasi che questi ventisei anni non siano mai passati".

Si passò una mano tra i capelli stringendo forte gli occhi.  Dopo una breve pausa continuò:

" Ti ricordi quanto era bella?".

"...Si. Era bella da togliere il fiato...ed era follemente innamorata di te."

Tom fece una lunga pausa.

"....Bill dovrai raccontarle la verità non hai altra scelta ma lo farai appena avrai raccolto le idee e ti sentirai pronto. Tua figlia non ti darà tregua fino a quando non le avrai detto tutto ma saprà concederti il tempo di cui hai bisogno. Dille.....dille che gliene parlerai appena avrà finito il dipinto. A quel punto tutti i pezzi di quel puzzle saranno al loro posto...";

" come i miei ricordi" Bill finì la frase al posto di suo fratello.

"....Ci sentiamo presto, ok?"; stava per riattaccare quando sentì la voce di Bill.

"Tom?.... Grazie".

"....la pianti con queste s******te?" e chiuse la conversazione.

Quella chiacchierata con suo fratello gli aveva restituito un pò di conforto.

Il passato ritorna sempre in un modo o nell'altro ed era arrivato il momento di affrontarlo, suo malgrado.

Sollevò lo sguardo verso l'album.

Lo aprì a caso e vide Elena e la sua bicicletta.

Un sorriso gli si dipinse sulle labbra.....

"....Oh dai Bill! Quante storie. Ti ho chiesto solo di fare una passeggiata in bici, non ti ho mica detto di scalare l'Everest!";

"Mi dici dove vado a prendere una bici?";

"Ti ho già detto che c'è quella di mio padre. La prenderò dal garage quando lui va a fare il suo sonnellino pomeridiano dopo pranzo e ce ne andiamo in giro, io e te.... da soli";

"Ti rendi conto che a quell'ora ci saranno almeno 40 gradi! Farà un caldo soffocante....";

"Vabbè, se non vuoi venire, non importa";

Elena aveva smesso di sorridere e aveva messo il broncio.

Era molto contrariata dai suoi continui rifiuti: doveva fare i conti con la sua pigrizia e questo molto spesso faceva a pugni con la sua innata voglia di vivere.

Lei non era mai stanca, non si annoiava mai, sapeva trovare il lato divertente anche nelle cose monotone.

Se ne stava zitta zitta, accigliata, le labbra strette in una smorfia ed evitava accuratamente di guardarlo.

Bill, al contrario, la guardava con attenzione ma non sapeva come comportarsi.

"Ti va un gelato alla nocciola?" tentò di rompere il ghiaccio;

"No, grazie".

"Un tè alla pesca?";

"No, grazie";  guardò l'ora sul cellulare e poi si alzò, raccolse le sue cose e le infilò nello zaino.

"Che succede? Perchè te ne stai andando?" le chiese preoccupato.

"Perchè è ora di pranzo".

"Ci vediamo dopo?";

"No".

"Come, no? E perchè";

"Perchè io vado a fare un giro in bici";

"E io?";

"Tu fai quel che vuoi."

Questa volta non era affatto disposta a cedere ai suoi capricci e alle sue lamentele.

"Stai scherzando......vero?";

"Mai stata più seria Bill. Ci vediamo".

Bill si aspettava il solito bacino  ma lei si allontanò senza nemmeno voltarsi.

"Elena!" la raggiunse velocemente.

"Dai ti riaccompagno a casa";

"Non è necessario. Alessandra! Alessandra aspettami vengo con te" disse rivolgendosi a sua cugina.

Si infilò il casco  e salì sullo scooter lasciandolo lì a fissarla.

"Che hai combinato? Perchè è andata via in quel modo?" suo fratello aveva assistito a tutta la scena.

"Si è infuriata perchè non voglio andare in bici oggi pomeriggio".

"Sei sempre il solito, Bill.....";

"Adesso non mettertici anche tu!" e stizzito si recò al bar a prendere qualcosa da bere.

Erano da poco passate le due; Elena aveva indossato un abitino di lino bianco, si era fatta due graziose treccine e facendo attenzione a non farsi sentire, sgattaiolò sul retro della casa.

La sua bicicletta rossa era lucidissima.

Quella mattina era passata al mercato e aveva comprato delle margheritine gialle di stoffa e le aveva sistemate tutte intorno al cestino di vimini.

"Posso venire con te?" ;

riconobbe immediatamente quella voce e voltandosi,  il viso le si illuminò dalla gioia.

Bill se ne stava appoggiato al  cancello di casa sua e la guardava con tenerezza.

"No" gli rispose secca ma sorridente.

Bill non si aspettava certo quella risposta, la guardò perplesso ma divertito stette al gioco.

"Allora vorrà dire che ti seguirò";

Lei lo guardò con i suoi grandi occhi scuri e continuava a sorridergli.

"Forse.... per questa volta....potrei fare un'eccezione e.... portarti con me";

Bill le si avvicinò, la strinse forte e guardandola negli occhi le sussurrò:

"Lo vedi? Solo tu sei capace di farmi fare anche ciò che non voglio".

"Sarà perchè ti amo pazzamente e tu non puoi resistermi?";

"....Soprattutto se te ne vai senza darmi nemmeno un bacio".

"A quello si può rimediare subito"; gli lanciò le braccia al collo e si sollevò in punta di piedi. Socchiuse gli occhi e lo baciò con trasporto.

Era un uragano di emozioni: il suo profumo,  le sue braccia che lo stringevano forte, le sue labbra morbide e vellutate.

Sentirsi parte di quell'universo di amore sconfinato era indescrivibile.

Non avrebbe mai voluto staccarsi da lei, avrebbe voluto che il tempo si fermasse solo per irradiarsi di quel calore e invece lei si allontanò lasciandolo frastornato.

Era corsa a prendere la bici di suo padre.

"Bill dai, vieni qui....aiutami";

"Sei sicura che non se ne accorgerà?";

"Figurati, puoi stare tranquillo".

Montarono sulle selle e cominciarono a pedalare velocemente.

Il sole li investiva con i suoi raggi caldissimi mentre il vento li rinfrescava con la sua brezza leggera.

"Dai pigrone muoviti!";

Elena rideva felice mentre Bill arrancava per raggiungerla.

Giunsero nella pineta e improvvisamente Elena rallentò fino a fermarsi.

"Beh? Che succede?" Bill tornò indietro di qualche metro;

"E' successo qualcosa? Hai bucato?";

"No. E' tutto perfetto. Chiudi gli occhi Bill";

" E perchè dovrei farlo?";

"Uff! tu chiudi gli occhi e basta".

Lui fece come le aveva detto.

"Lo senti questo odore?";

"Si...è l'odore dei pini";

"E senti il rumore delle onde che si infrangono?";

"Si, sento anche quello".

"Non è piacevole questo vento fresco che soffia tra gli alberi? Lo sento sulle guance, sugli occhi, tra i capelli....." aprì gli occhi e lo guardò.

"Questo è il mio senso di libertà e....volevo condividerlo con te".

Bill aprì gli occhi ma guardandola, la vide sotto una luce diversa.

Quella ragazzina gli stava rubando l'anima.

Lo stava trascinando in un mondo dal quale sarebbe stato difficile tornare indietro.

Lo stava catapultando nel suo mondo fatto di valori, di ideali, di passioni forti......

voleva che vedesse le cose con i suoi occhi, che provasse le sue stesse emozioni, che amasse la vita esattamente come la amava lei.......

"Signor Kaulitz, mi scusi, la Signorina Kora è appena tornata a casa" La voce di Gertrude proveniente dall'interfono lo destò da quei ricordi.

"Grazie mille, scendo subito".

Si alzò dalla sua poltroncina ed uscì dallo studio.

Scese velocemente le scale e raggiunse il salotto; Kora stava accarezzando Hugo che come al solito se ne stava sdraiato sul tappeto.

"Ciao tesoro";

"Ciao papà, come stai?";

"Mi scusi Signor Kaulitz, gradisce il pranzo?" Gertrude attirò l'attenzione di tutti smorzando un pò la tensione e l'imbarazzo.

"Ma come, sono le quattro e ancora non hai pranzato?" Kora lo rimproverò.

"Non ho fame ma non preoccuparti. Kora ho bisogno di parlarti".

"Anch'io ho bisogno di parlarti papà.....dobbiamo chiarire un paio di cosette e che tu voglia oppure no, questa volta dovrai ascoltarmi"

..................continua

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Licenza Creative CommonsQuesto opera è distribuito con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Unported.

Capitolo XII

“Anch’io ho bisogno di parlarti papà…..dobbiamo chiarire un paio di cosette e che tu voglia oppure no, questa volta dovrai ascoltarmi”.

"Andiamo nel mio studio, lì saremo più tranquilli";

"Solo se mi prometti che non inizi a fumare....non lo sopporto".

Bill sospirò rassegnato: "Ok , te lo prometto".

Salirono in silenzio le scale: Bill davanti e Kora dietro di lui.

Analizzava il suo incedere lento, le sue spalle curve, la testa leggermente inclinata in avanti e sembrava che su quelle spalle sostenesse il peso del mondo intero.

"Prego"; le aprì la porta del suo studio e la fece accomodare.

Kora si guardò intorno, quello era il regno di suo padre: il luogo in cui si dedicava al suo lavoro e dove si rifugiava durante le sue fughe dalla realtà.

Tutto era avvolto dalla penombra.

"Prendi quello sgabello e siediti qui, vicino a me".

Kora non se lo fece ripetere.

Si accomodò su quello sgabello alto ed osservava tutto dall'alto verso il basso; persino suo padre sembrava diverso, così insicuro....così indifeso.

La sua scrivania era coperta di fogli e spartiti,  una penna abbandonata, un bicchiere vuoto, una bottiglia di whisky intatta e il posacenere stracolmo di mozziconi.

"Innanzitutto volevo chiederti scusa";

la voce di suo padre la riportò alla realtà.

Kora lo guardò finalmente negli occhi.

"Ho completamente dimenticato che dovessi rientrare a scuola. E' stata una mancanza imperdonabile da parte mia ma";

"Non me ne importa niente papà".

Bill la guardò sorpreso.

"Io sono preoccupata per te, lo capisci?".

Kora aveva gli occhi tristi e le labbra piegate in una smorfia.

"Che ti sta succedendo? Me lo dici per favore? Non dormi, non mangi, fumi una sigaretta dietro l'altra e te ne stai rintanato in questo posto che puzza come una ciminiera".

Suo padre sorrise a quell'affermazione ma lo sguardo severo con cui lo osservava lo fece smettere immediatamente.

"C'entra Elena, ne sono convinta".

Bill sospirò di nuovo e stava per prendere il pacchetto delle sigarette quando si ricordò della promessa che aveva appena fatto a sua figlia.

"Già...riguarda lei...e me. Riguarda le nostre vite, una montagna di errori, un enorme senso di colpa che non mi abbandona mai...e l'Amore...l'unico vero amore che abbia mai conosciuto".

Kora sbarrò gli occhi per la sorpresa.

- E la mamma?....ed io? Cosa rappresentiamo noi?- quella fu la prima cosa che le saltò in mente ma  si guardò bene dal pronunciare anche una sola parola.

Doveva stare calma e controllarsi e soprattutto, doveva dare a suo padre la possibilità di spiegarsi senza mettersi sulla difensiva e magari, cercare di comprenderlo.

"Vedi"; continuò Bill,

"nego da così tanto tempo la realtà anche a me stesso che alla fine, mi sono abituato a convivere con questo malessere, questa incompletezza...questo vuoto che non si colma mai"

In quel momento quasi si vergognò di se stessa. Suo padre era così fragile.

Voleva sapere la verità, conoscere la ragione di quella malinconia e dissiparla dal suo cuore,  aiutarlo a ritrovare il sorriso e ad essere felice anche a costo di restarne ferita.

"Avevo riposto quell'album in soffitta tantissimo tempo fa e assieme ad esso, speravo di aver seppellito anche i ricordi ma tu, lo hai riportato nella mia esistenza e mi stai costringendo a fare i conti con il passato".

Kora abbassò la testa senza dire nulla.

"Non vado fiero di come mi sono comportato con lei e, cosa peggiore, ho paura del tuo giudizio".

"Ma che dici papà? Io non potrei...";

"E invece lo farai e sarai severa probabilmente come lo è stata lei in tutti questi anni.... sai, aveva la tua età quando ci siamo innamorati".

"Davvero?";

Bill annuì senza rispondere.

"Ho bisogno di un pò di tempo Kora; cerca di capire tesoro, devo..devo mettere  ordine nei miei pensieri  solo allora, potrò parlarti di lei".

"Non è una scusa per eludere l'argomento, vero?";

Bill la guardò contrariato.

"Non offenderti papà se ti parlo in questo modo ma troppe volte mi hai detto che avevi bisogno di tempo e poi hai sempre evitato di affrontare il discorso".

"Non questa volta. Facciamo un patto...come due adulti, vuoi?";

"D'accordo".

"Appena avrai finito di dipingere quel quadro, ti racconterò la nostra storia".

Kora inarcò il sopracciglio: era un tantino scettica ma decise di accettare.

"Ok. Ci sto".

"Mi dici cosa ti ha spinto a fare quel ritratto?";

sua figlia sembrò riflettere sulle parole da usare.

"Non lo so. C'è qualcosa che mi attira molto nel suo volto...una grande forza, una determinazione che raramente ho visto negli occhi di una ragazza....forse solo nei tuoi.  Quando ho visto le sue foto, beh, non so...ho avvertito la sua positività, non so se mi spiego";

Bill la ascoltava incredulo ed affascinato allo stesso tempo.

Anche lui, quando l'aveva vista la prima volta, non si era fermato all'aspetto esteriore; i suoi occhi avevano parlato immediatamente al suo cuore.

Elena era proprio così: forte, determinata, diretta e cristallina come una goccia d'acqua.

"Capisco perfettamente" disse sorridendo.

" E' solare, sincera...e quando ti guarda papà...";

Bill trattenne il respiro;

"Doveva amarti veramente tanto" concluse.

Suo padre sentì il cuore martellargli furiosamente nel petto; sua figlia, con il suo animo sensibile aveva saputo guardare attraverso quelle foto e leggervi l'essenza di Elena, la purezza dei suoi sentimenti e ancora una volta non potè fare a meno di  disprezzarsi.

"Papà?";

"Si?" la sua voce lo destò da quei pensieri.

"Posso prendere un attimo il tuo album?";

Bill non capiva il motivo di quella richiesta ma accennò un sì.

Kora si alzò, lo prese con cautela e lentamente sfogliò le pagine fino a quando trovò la foto che stava cercando e gliela mostrò.

"Ecco, guarda... vedi come ti guarda? Con quanta forza  esprime ciò che prova per te...forse tu non ci hai nemmeno fatto caso".

Guardò attentamente quella immagine: l'aveva vista e rivista mille volte quella foto. Quello fu un giorno speciale per loro, un giorno che lui non avrebbe mai dimenticato.

"Così, aveva la mia età eh? ...ahhh!"  sospirò e con un gesto plateale tornò a sedersi:

" La invidio".

"E perchè?" gli chiese curioso.

"Perchè ha avuto il  tuo amore, i tuoi pensieri, la parte migliore di te per tutti questi anni".

Bill arrossì leggermente e abbassò lo sguardo.

"Anche tu hai avuto la parte migliore di me: non sono poi da buttar via come padre....o sbaglio?";

"Eccetto oggi?" rispose pungente.

Bill colto sul vivo non replicò;

"eccetto oggi".

"Sei un bravo papà e, non mi hai mai fatto mancare il tuo affetto e le tue attenzioni nonostante tutto. Vabbè, vado a studiare. Per domani ho una montagna di compiti".

"Ok" disse sollevato.

La conversazione era finita, almeno per il momento e Kora si era dimostrata matura e comprensiva.

Stava per uscire quando si ricordò di un altro problema spinoso da risolvere:

" Per caso hai sentito ...tua madre?";

"Non preoccuparti. Ci ho pensato io" disse anticipandolo.

"Quando mi ha chiesto di te, le ho detto che stavi parlando con il prof di matematica".

Bill, tirò il fiato per un attimo.

"Sono in debito con te".

"Già, non dimenticartene. Ricorda la tua promessa papà: il ritratto a breve sarà finito e tornerò qui ad esigere delle risposte".

Bill la vide aprire la porta dello studio e richiudersela alle spalle.

Scosse leggermente la testa.

Ora non aveva più scuse dietro le quali nascondersi, ora doveva guardare in faccia alla realtà, esaminare a fondo la sua coscienza, porsi davanti allo specchio della sua anima e ammettere una volta per tutte che aveva distrutto i sogni di Elena e con quelli, aveva distrutto anche se stesso.

Si voltò a guardare quella foto: quegli occhi scuri adesso come lo avrebbero guardato?

Con odio, con risentimento....con beffarda ironia?

Se solo avesse saputo, in tutti quegli anni, quanto le era mancata....

..... "Dai Elena, andiamo. Fa troppo caldo e ho voglia di bere qualcosa di fresco".

"Solo un attimo Bill".

Avevano trascorso l'intera mattinata in giro per negozi e il caldo intenso e la lunga camminata lo avevano stancato.

La guardava rovistare tra parei, costumi, allegri foulard colorati, sulla bancarella del negozietto del porto.

"Cosa stai cercando?" le si avvicinò curioso.

"Questo. Guardalo Bill, è bellissimo, mi piace tantissimo".

Tra le mani stringeva un foulard azzurro con delle striature di colore beige e blu scuro. Doveva piacerle veramente molto perchè lo guardava entusiasta.

Quando vide il cartellino col prezzo, le labbra assunsero una strana espressione e lo mise via.

"Andiamo" disse prendendo la mano di Bill, allontanandosi.

"Perchè non lo hai preso? ".

"Perchè non è poi così bello" rispose increspando un pò la fronte.

Si sedettero al tavolino del bar e Bill ordinò due tè freddi e passarono lì la mezz'ora successiva fino a quando la riaccompagnò a casa per il pranzo.

Sulla strada del ritorno, passò per quel negozietto e cercò il foulard.Trenta euro erano eccessivi e sicuramente non li valeva ma non ci pensò un attimo.

Lo prese e si fece fare un bel pacchettino.

Glielo avrebbe dato quel pomeriggio.

Voleva tanto vedere l'espressione sorpresa e felice che si sarebbe disegnata sul suo volto.

Il tempo sembrava non passare mai e i minuti sembrarono ore.

Erano quasi le tre quando la vide spuntare dal piccolo sentiero in mezzo alla pineta che conduceva alla spiaggia.

Aveva il cuore che gli batteva all'impazzata, era impaziente ed entusiasta mentre stringeva il pacchetto dietro la schiena.

Appena lo vide, Elena gli sorrise e lo raggiunse più velocemente che potè.

"Ciao pigrone! Che ci fai qui così presto? Di solito non ti vedo arrivare  prima delle quattro";

Si sporse in avanti e lo baciò.

Bill aveva una strana espressione sul viso ed un largo sorriso stampato sulle labbra.

"Dì un pò...c'è qualcosa che vuoi dirmi?";

"No, perchè?";

"Perchè non me la conti giusta.... Sembri...strano";

"No è solo una tua impressione".

"Bah...sarà. E....se non sono indiscreta, mi dici perchè nascondi le braccia dietro la schiena?";

"Non sto nascondendo proprio niente";

"Ah no? Allora vediamo che hai lì dietro" e si sporse un pò per guardare ma lui si allontanò di scatto.

"Ma niente, ti ho detto che non ho niente";

"Davvero?" e cominciò a fargli il solletico.

Bill spostò le braccia in avanti rivelando il pacchetto.

"Non avevi niente eh? Bugiardo!".

"Uffa, ma non ti si può fare una sorpresa!" si lamentò con un finto broncio sulle labbra.

"Una sorpresa? Per me?" chiese con gli occhi che le si illuminarono per la gioia.

"Si, è per te" e le porse il minuscolo pacchetto avvolto in un semplice foglio di carta da regalo con i papaveri rossi e un grosso nastro verde.

Elena lo stringeva tra le mani senza avere il coraggio di dire niente.

"Aprilo" la incalzò Bill;

lei lo guardò un attimo negli occhi e poi, con mani incerte iniziò ad aprirlo.

Quando finì di scartarlo e vide il foulard che le piaceva tanto, il voltò le si illuminò dalla felicità.

Bill si aspettava che da un momento all'altro lanciasse un urlo e facesse un salto, dopotutto desiderava quel foulard e invece...

la sua reazione lo lasciò completamente di stucco.

Elena strinse a sè quel foulard e chinò la testa.

Improvvisamente vide il suo corpo scosso da un leggero tremore.

Si avvicinò e con l'indice, le sollevò il mento per poterla guardare.

Bill sbarrò gli occhi: grosse lacrime le solcavano il viso.

"Hei, che succede?" le chiese preoccupato.

Lei non rispose.

Continuava a piangere silenziosamente.

"Forse non è quello che volevi?";

Lei scosse la testa.

"Mi dispiace....devo averlo confuso....eppure ero certo che fosse questo".

Elena gli lanciò un braccio intorno al collo mentre l'altro stringeva il foulard.

Appoggiò il volto al suo petto e le sue lacrime gli bagnarono la leggera camicia di lino bianco.

Bill se ne restò in silenzio senza capire.

La strinse forte a sè e la tenne così fino a quando si calmò.

"Grazie Bill" la sentì sussurrare.

"E' il regalo più bello che potessi farmi".....

continua

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Ciao a tutti, 
vorrei scusarmi con tutti i miei lettori per questa lunga attesa ma sono veramente incasinata tra patente, test all'università e maturità che, ahimè inizia settimana prossima.
Spero di essere più presente.
Intanto vi anticipo che il prossimo capitolo lo posterò martedì prossimo e tenete le dita incrociate per me!!!!!!!
Buona lettura e grazie della pazienza.
aquarius


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Capitolo XIII

Il tempo scorreva inesorabile e man man che i giorni passavano Bill diventava sempre più inquieto, sempre più assente.

Kora aveva quasi terminato il suo dipinto: il momento della verità era  vicino.

Quasi non riusciva più a vedere suo padre; tutti i giorni si rintanava nel suo studio e non ne usciva nemmeno per i pasti.

Ogni tanto, durante la notte, lo sentiva camminare nervosamente avanti e indietro nella sua camera e spesso, lo aveva sorpreso nella sua stanza a guardare il ritratto di Elena.

Sicuro di non essere visto, dava libero sfogo alle sue emozioni.

Sembrava soffrire molto: quando guardava quel viso impresso sulla tela, aveva una  espressione indecifrabile.

A volte i suoi occhi erano tanto lucidi da poter essere distinti anche nella penombra;

altre volte allungava una mano verso la tela, sembrava quasi volesse accarezzare quel volto....

Kora provava tanta pena in fondo al suo cuore.

Cosa aveva fatto di così grave suo padre da tormentarlo fino a quel punto e per tutti quei lunghi anni?

Il grande Amore della sua vita era apparso al suo orizzonte quando era ancora troppo giovane e forse lui non aveva saputo apprezzarlo, custodirlo, proteggerlo come meritava.

-E invece mi giudicherai e sarai severa probabilmente come lo è stata lei in tutti questi anni- quelle parole continuavano a girarle in testa e più le riascoltava e più aveva paura.

Si aveva davvero paura: paura di non saper capire, di non poter accettare uno sbaglio di suo padre senza poi esserne influenzata e giudicarlo.

Aveva paura delle sue reazioni, di se stessa...di non meritare, forse, la fiducia di suo padre e le sue confidenze.

Si era cacciata in bel guaio quando aveva ritrovato quell'album qualche mese prima; certo non immaginava il polverone che avrebbe sollevato nella sua vita e in quella di suo padre.

Sarebbe stata all'altezza di ciò che le aspettava? Avrebbe saputo sopportare le cose anche dolorose che suo padre avrebbe potuto rivelarle? Soprattutto avrebbe saputo mettere da parte l'amore di figlia verso sua madre?

Christine, sebbene si fosse risposata, non aveva mai smesso di amare Bill...

La mamma, purtroppo non era riuscita a reggere il confronto con Elena e da quanto aveva potuto capire da quelle poche parole scambiate con suo padre, Lei era ancora presente nel suo cuore.

"Povera te Kora!" disse scuotendo la testa prima di spegnere la luce sul comodino.

Distesa nel suo letto, al buio, si voltò su un fianco e guardò fuori dalla finestra: la luna illuminava il cielo notturno, gli alberi, la collina.

"Domani il dipinto sarà finito....domani" sospirò pesantemente poi chiuse gli occhi e si addormentò.

Nella stanza di fronte, Bill continuava a rigirarsi tra le lenzuola.

Domani avrebbe parlato a sua figlia e mentalmente  si preparava il discorso.

Chissà cosa sarebbe accaduto....forse l'avrebbe persa per sempre o forse avrebbe compreso le sue scelte...

continuava a dilaniarsi nel dubbio, a rigirarsi il coltello nella piaga.

Cosa avrebbe pensato di lui dopo averle raccontato tutto? Kora amava sua madre.

Quando era bambina l'aveva vista piangere e soffrire troppe volte per colpa sua; l'aveva  accompagnata troppe volte a casa dei nonni per andarlo a cercare nel cuore della notte in qualche bar di periferia, ubriaco fradicio e sporco del suo stesso vomito.

Che razza di uomo era diventato?

Che razza di marito era stato?... E Kora sicuramente non glielo avrebbe mai perdonato.

Adorava sua madre.

Ricordò tristemente il giorno della loro separazione, quando con forza Christine le strappò la bambina dalle braccia urlandogli che non meritava di essere padre, che non meritava l'amore di nessuno perchè non era capace di amare nessun altro se non se stesso....

Allontanò di colpo le lenzuola mettendosi seduto e stringendosi la testa fra le mani.

"Buon giorno signorina Kora, desidera la colazione?"; Gertrude stava finendo di apparecchiare la tavola.

"Non si disturbi per me. Prendo solo un caffè e una di quelle deliziose ciambelle che prepara tutte le mattine per mio padre".

L'anziana donna sorrise compiaciuta.

Era la prima volta che la vedeva sorridere e per la prima volta notò i suoi incredibili occhi azzurri che risaltavano di vitalità a dispetto della fitta rete di rughe e dei capelli bianchissimi.

"Sono in cucina, ora vado a prenderle".

Kora si guardò intorno: suo padre ancora non era sceso.

Sicuramente quella notte non aveva chiuso occhio.

Decise di lasciarlo tranquillo e di fare colazione senza di lui. Quella grande tavola apparecchiata era così desolante....

Gertrude le servì il caffè e la ciambella e stava per allontanarsi quando Kora  le chiese di riferire un messaggio a suo padre.

"Per favore gli dica che questa sera abbiamo un appuntamento importante, che sarò puntuale e che mi aspetto che faccia altrettanto".

"Ma certo signorina, non si preoccupi".

Mangiò in fretta poi, prese le sue cose ed uscì di casa ma prima di salire in macchina alzò gli occhi verso le finestre di sue padre.

L'interno era ancora buio e le pesanti tende erano ancora tirate.

"A questa sera papà".

Le ombre della sera si allungarono velocemente sul chiaro cielo di Amburgo.

Bill, accese la lampada sul tavolino accanto alla chaise long.

Era rimasto a lungo seduto lì, davanti alla finestra a guardare la collina e a riflettere ma la sera era arrivata fin troppo in fretta.

Era ora di andare e, per nessun motivo voleva tardare a quell'appuntamento: l'aveva rimandato per ben ventisei anni.

Tirò un grosso sospiro poi si alzò lentamente, spense l'ennesima sigaretta nel posacenere ormai colmo poi,  prese l'album ed uscì dalla sua stanza, richiudendosi la porta alle spalle.

Raggiunse il salotto.

Kora aveva trasportato il cavalletto di sotto, accanto al camino e su di esso il dipinto.

Bill restò senza fiato nel vederlo.

Sua figlia era davvero una grande pittrice ed era veramente orgoglioso di lei e del lavoro che aveva fatto.

Il volto di Elena sembrava reale: le labbra erano morbide e rosee ed i capelli, neri e lunghi mossi dal vento...poteva quasi sentire il loro profumo di vaniglia e salsedine, come quel giorno sulla spiaggia.

Quegli occhi scuri sembravano fissarlo benevoli, lo circondavano affettuosi e sembravano dirgli - Avanti, Coraggio. Dì la verità...solo questo potrà salvarti-

"Ciao papà".

"Ciao tesoro".

Guardò ancora una volta il dipinto e disse la prima cosa che gli venne in mente per rompere quell'atmosfera gelida che era piombata tra di loro.

"Hai...hai fatto un ottimo lavoro. E' stupendo".

Kora si avvicinò a lui e gli appoggiò la testa sulla spalla.

"Sono felice che ti piaccia. E' tuo. Te lo regalo".

Bill si voltò a guardarla sorpreso.

"Non vuoi esporlo alla tua mostra? E'...così bello".

"No. In questo ritratto è racchiusa la tua vita, i tuoi sentimenti e vorrei restituirteli in qualche modo...magari assieme a lei".

Bill la abbracciò affettuoso.

"Andiamo a sederci....sarà una lunga chiacchierata" e si diressero verso il grande e freddo divano di pelle.

Un attimo prima di sedersi, Bill chiamò la governante che senza farsi attendere arrivò con il suo solito incedere silenzioso.

"Per favore Gertrude, non mi passi telefonate. Non voglio essere disturbato questa sera".

"Come desidera Signor Kaulitz" e, esattamente come era arrivata sparì alle loro spalle.

"Papà, io"

"Sono stato un vigliacco" la interruppe esordendo.

Kora lo guardava con il cuore che le batteva forte.

"Perchè?" chiese timidamente.

"Perchè l'ho abbandonata quando più aveva bisogno di me....sembra che io non sappia fare altro nella mia vita....lei, tua madre...e anche te".

Kora aveva un grosso nodo in gola che quasi non la faceva respirare.

"Ti ricordi la foto che mi hai mostrato nel mio studio?";

Annuì senza rispondere.

"Quel giorno le regalai quel foulard azzurro che aveva legato intorno al suo cappello di paglia. Mi colpì talmente tanto la sua reazione a quel semplice dono, una cosa di poco valore comprata su una bancarella di un negozietto del porto che le giurai che per nessun motivo al mondo l'avrei lasciata. Le confessai che l'amavo come non avevo mai amato nessuno nella mia vita, che saremmo rimasti insieme per sempre perchè mi aveva trascinato nella sua vita, nel suo mondo dove tutto era così pulito, così trasparente, così pieno di calore, di amore per la vita. Più mi innamoravo di lei e più facevo fatica ad accettare quella che era stata la mia vita degli ultimi anni.

Scappammo via, ci isolammo da tutto e da tutti: non esisteva più niente: nè il tempo, nè lo spazio...solo io e lei ed il nostro immenso amore che ci travolse come un fiume in piena. Era una calda sera d'estate e i nostri corpi giovani impazienti di conoscersi, di toccarsi, di appartenersi.

Era poco più di una bambina ma il suo amore era talmente grande...e lo donò a me...capisci?";

Kora respirava a fatica: quel nodo in gola continuava a stringere e le lacrime cominciarono a salire agli occhi.

"Fu mia...ci amammo per tutta la notte su quella spiaggia deserta...ricordo come se fosse ieri il suo viso illuminato dalla luna e i suoi occhi che risplendevano più delle stelle".

Il suo sguardo sembrava lontano, perso nel ricordo di quei momenti così importanti.

"Mi disse - Ti amo Bill, ti amerò per tutta la vita e anche oltre- ed io le credetti perchè sapevo che ne sarebbe stata capace. Il suo cuore apparteneva a me per sempre. Fu una notte meravigliosa... la notte più bella della mia vita. Lei mi fece capire cosa significasse sentirsi amati... donarsi ad un' altra persona  completamente, senza paure, senza riserve; abbandonarsi completamente tra le sue braccia senza il timore di doversi difendere. Era una sensazione così bella, così immensamente grande:  profonda e sconosciuta allo stesso tempo. Mi sentii finalmente un uomo libero, non mi importava più del successo, dei soldi, della carriera....a cosa potevano mai servirmi? Io avevo già tutto. Avevo lei."

Sospirò con tanta malinconia e i suoi occhi si incupirono leggermente.

"Il giorno che seguì purtroppo segnò l'inizio della fine.

Suo padre ci scoprì sulla spiaggia. L'avevano cercata tutta la notte e quando la trovarono me la portarono via...me la strapparono dalle braccia. Non servì a nulla dire ai suoi genitori che l'amavo più della mia stessa vita. La rinchiusero in casa per giorni senza riuscire a vederci. Intanto David ci telefonò dicendoci di rientrare in Germania. La vacanza era finita e i miei doveri mi riportarono tristemente a quella che era la mia realtà.

Grazie all'aiuto di sua cugina riuscii a farle avere un messaggio dicendole che sarei partito presto e che volevo rivederla, che avevo un miliardo di cose da dirle e che mi mancava terribilmente.

Non so come riuscì a fuggire. Mi raggiunse sulla spiaggia, a quel bar dove ci eravamo dati il nostro primo appuntamento.

Quando mi guardò negli occhi capì immediatamente che quello sarebbe stato un addio.

Iniziò a piangere ancor prima che aprissi bocca.

Cercai di consolarla, le feci mille promesse, la rassicurai che sarei tornato a riprenderla alla fine della primavera e saremmo fuggiti insieme.

Le promisi che sarei tornato alla fine della stagione delle piogge, in quel luogo,  e lei giurò di aspettarmi lì su quella spiaggia per tutti i giorni della sua vita".

Ad un tratto si interruppe come se non avesse avuto più la forza di continuare.

Kora si avvicinò a lui e gli prese la mano.

La voce era solo un soffio, smorzata da tutte quelle emozioni ma sapeva che non era ancora finita.

Doveva farsi coraggio e porre quella domanda.

"Sei tornato a cercarla?";

Suo padre indurì la mascella.

Aspettò qualche secondo prima di rispondere.

"No".

continua

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


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Capitolo XIV

"Sei tornato a cercarla?";

suo padre indurì la mascella.

Aspettò qualche secondo prima di rispondere.

"No".

Kora si sentì crollare il mondo addosso.

Come aveva potuto suo padre fare una cosa del genere?

Lo guardò dritto negli occhi cercando una motivazione, una qualsiasi giustificazione nel suo sguardo ma non la trovò.

Quello che lesse fu solo commiserazione e rimorso.

Un rimorso che lo aveva tormentato per ben ventisei anni.

Improvvisamente gli lasciò la mano e fissò il ritratto.

Era così delusa, così amareggiata.

"Perchè?" ebbe solo la forza di chiedere.

"Ero giovane... egoista....non lo so. Sono passati tanti anni e sinceramente ancora non so perchè  l'ho fatto".

Kora scosse la testa con disappunto ma poi vedere lo sguardo di suo padre così mortificato la fece desistere dall'infierire.

Bill si alzò dalla poltrona e si avvicinò alla finestra.

Aveva lo sguardo fisso nel vuoto, alla ricerca di qualcosa oltre il buio.

Si infilò le mani in tasca e sospirò per l'ennesima volta.

"Appena tornai a casa i primi giorni mi sembrò di impazzire; non vedere il suo volto, non sentire la sua voce, non tenerla stretta tra le mie braccia era una sofferenza atroce, un dolore insopportabile.Non facevo altro che pensare a lei, giorno e notte. Non riuscivo a concentrarmi su niente, nemmeno sul lavoro.

Me ne stavo chiuso nella mia stanza al buio, a ripensare a tutte le cose che avevamo fatto, a tutte le promesse che ci eravamo scambiati e solo questo mi dava un pò di sollievo. Feci stampare tutte le foto che avevamo scattato insieme e non facevo altro che guardarle e riguardarle per ore.

La nonna, un giorno, non potendone più di vedermi così triste, mi fece questo album" e lo prese tra le mani.

"Giorno dopo giorno, attaccai tutte le foto e quando finii, era già ora di partire per sponsorizzare l'album. Poi ci furono i concerti, le campagne pubblicitarie e alla fine, quasi senza accorgermene, la stagione delle piogge era finita e con essa si era spento anche il mio dolore. Ero tornato alla mia vita di sempre, alle feste, alle uscite notturne con lo zio Tom, alla vita senza regole che avevo sempre condotto. Elena era solo un ricordo, un'avventura estiva finita esattamente come era iniziata così, quando arrivò l'estate, invece di tornare da lei, come le avevo promesso, mi trasferii a Los Angeles assieme allo zio Tom, alla nonna e Gordon".

"Tu...l'hai abbandonata!" la voce di Kora risuonava come uno schiaffo in pieno viso.

Cosa si aspettava? Del resto se lo meritava, sapeva ciò che aveva fatto ed ora doveva renderne conto.

"Si. L'ho abbandonata" disse annuendo tristemente e sempre con lo sguardo fisso nel buio.

"Non sono fiero di ciò che ho fatto. Ho passato tutta la mia esistenza a torturarmi per questo ma non basta. Il rimorso non mi da pace. Vedi, ero sicuro di averla dimenticata e invece...il suo ricordo è come un fantasma che ancora mi perseguita. Ho distrutto i sogni di Elena ma, allora non sapevo...non immaginavo che con quelli avevo distrutto anche la mia vita perchè lei è stata l'unica donna che mi abbia amato veramente".

"E la mamma?" gridò d'impulso.

Era talmente accecata dalla collera e dal dolore che non riuscì a trattenersi.

"La mamma è stata solo una vittima. Un errore".

Kora sbarrò gli occhi sempre più furente.

"Anch'io sono stata un errore?";

si voltò a guardarla dritto negli occhi prima di rispondere.

"No. Mai, neanche per un secondo ho pensato che tu fossi un errore. Tu sei la cosa migliore che io abbia fatto nella mia vita, l'unico motivo di gioia".

Si avvicinò a lei, allungò la mano per poterla accarezzare ma vederla piangere sommessamente fu una pugnalata al cuore; la ritrasse, tremante.

Kora era così avvilita...così frustrata che lui non ebbe il coraggio di sfiorarla.

Sapeva che le stava causando un grande dolore ma doveva proseguire, adesso non poteva più tornare indietro.

"Ho conosciuto tua madre a Los Angeles qualche anno dopo. Lei era lì per un master universitario.  Io, lo zio Tom e alcuni amici eravamo in un locale, un venerdì sera. Los Angeles era diventata la nostra seconda casa ma questo non significava che non ci mancasse la nostra terra, le nostre abitudini. Sentii una voce femminile parlare la mia stessa lingua....era così bello e familiare... mi voltai e la vidi. La prima cosa che notai, oltre al suo  sorriso, furono i suoi bellissimi capelli....i tuoi sono esattamente come quelli della mamma".

Riuscì a strapparle un sorriso in quella maschera di lacrime e trucco disfatto.

"Mi incuriosiva il suo modo di parlare, sembrava spiritosa, intelligente, allegra e anche molto matura...quasi senza accorgermene mi avvicinai a lei e dopo qualche istante ero seduto al suo tavolo. Mi affascinava il modo con cui mi parlava di sè, dei suoi sogni, dei suoi progetti....".

Kora prestò molta attenzione alle parole che diceva suo padre. La mamma non le aveva mai raccontato nulla su come si fossero conosciuti.

"Mi sentivo tanto solo....quella notte avevo bisogno di sentirmi amato, di sentire di nuovo il calore di una compagna, di qualcuno che scaldasse di nuovo il mio cuore dopo tanto tempo. Finimmo in un albergo poco distante da quel locale..... Da quel giorno ci vedemmo spesso e tutte le volte finivamo col fare l'amore ma dopo, quando i sensi si appagavano, non avevamo niente da dirci, niente da condividere....niente. Quando lei se ne andava, io mi sentivo ancora più solo di prima.... e facevo i conti con la mia coscienza. Quando la stringevo, cercavo disperatamente qualcosa che lei non poteva darmi....cercavo Elena, i suoi occhi, il suo sorriso".

Kora piangeva a dirotto.

Ora capiva il perchè di tante cose.

In quel momento odiava suo padre con tutte le forze ma al tempo stesso provava tanta pena per lui.

"Decisi che non poteva più continuare quella storia. Non era giusto per tua madre. Non era giusto per me. Quando le dissi che non dovevamo più vederci, che tra  noi era finita, lei mi confessò di essere incinta".

Kora si asciugò il viso con il dorso della mano.

I suoi occhi lanciavano bagliori di rabbia, sembrava che dicessero - anche io sono stata un errore, qualcosa che non volevi e che non avevi programmato nella tua vita perfetta!-

Bill si affrettò a rispondere a quella tacita domanda.

"All'inizio ero spaventato...io non ero capace di prendermi cura di me stesso, figuriamoci di un bambino ma poi, quando accompagnai la mamma dal dottore per la prima ecografia e ti vidi, pensai che tu saresti stata il mio riscatto. Avevo finalmente qualcuno da amare e che mi amasse incondizionatamente. Qualcuno che, nonostante tutto, nessuno mi avrebbe potuto portare via...strappare  dalla mia vita o dal mio cuore".

La guardò ancora negli occhi e questa volta il suo sguardo si era ingentilito.

Kora non vedeva più il mostro di poco prima: adesso rivedeva il suo papà con il solito sguardo triste e l'aria malinconica di sempre.

Adesso capiva la sua sofferenza, il suo dolore, i suoi incomprensibili silenzi.

"Ricordo perfettamente il giorno in cui sei nata. Era una calda sera d'estate. Ti misero tra le mie braccia, avvolta in un telo chirurgico e il tuo pianto disperato, era musica per le mie orecchie. Con la tua manina mi stringesti l'indice con tutta la tua forza. In quel momento capii che il nostro legame era indissolubile, che per te avrei fatto qualsiasi cosa, che ti avrei protetta e mi sarei preso cura di te e che diversamente da me, tu avresti avuto un papà  presente, sempre al tuo fianco pronto a sostenerti in qualunque situazione. Tu non saresti mai stata sola, mai".

Kora singhiozzava più forte di prima.

"Così decisi di sposare la mamma, sebbene non la amassi. Tu venivi prima di tutto e inoltre, quello sarebbe stato il giusto castigo per il male che avevo fatto ad Elena: avevo abbandonato il vero amore per vivere accanto ad una donna che non amavo ma che mi aveva fatto un dono prezioso: te, Kora".

continua

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


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Capitolo XIV

"......Papà, devi  cercarla! Le hai fatto una promessa....una promessa.....una promessa.....una promessa".

Quella frase continuava a riecheggiare nella sua testa.

Sorrise guardando la sua immagine riflessa; come se avesse potuto dimenticare, anche per un solo istante nella sua vita, quei pochi giorni di totale, completa, assoluta felicità accanto ad Elena ed il male che le aveva fatto.

Kora era una idealista, una sognatrice ed il suo cuore innocente e romantico, si sforzava di trovare un pò di conforto per quello ormai stanco e malandato del suo vecchio padre.

Per lei, tutto era possibile, tutto poteva essere sistemato, cambiato....come se fosse facile, tornare indietro e provare a rimediare, provare a spiegare la superficialità e la leggerezza con cui non aveva tenuto fede a quella promessa.

".....Kora sono passati più di vent'anni! Ti rendi conto che è una cosa impossibile?";

"Non è impossibile papà. Se lei ti amava, ti starà ancora aspettando".

"Tu sogni, bambina. Sarebbe bello se fosse come dici ma io l'ho abbandonata capisci? Si sarà sentita umiliata, ferita e, quando non mi ha visto tornare alla fine della Stagione delle Piogge, mi avrà odiato con tutte le sue forze maledicendo il giorno in cui mi ha conosciuto, il momento in cui si è innamorata di me, l'attimo in cui ha deciso di essere mia, di appartenermi.

Il tempo è passato per entrami.

Ventisei anni sono lunghi, tanti....troppi.

Forse si è ricostruita una vita....magari si è sposata, avrà avuto dei figli.....e....mi avrà dimenticato e se per errore, il ricordo del mio volto, qualche volta avrà sfiorato i suoi pensieri....lo avrà ricacciato con forza nelle tenebre dal quale è affiorato".

"Ma tu non l'hai mai dimenticata";

"E come avrei potuto?";

"Anche lei potrebbe non averti dimenticato".

"Smettila di fantasticare, Kora. Lei è parte di me, della mia vita e lo sarà per sempre ma, è parte di un passato che non ritornerà".

"Come fai ad esserne così sicuro? Io sono certa che lei è ancora lì, su quella spiaggia, seduta al tavolino di quel bar, con il suo bel cappello di paglia e il suo sorriso dolce e gentile che aspetta di vederti tornare".

"Il sorriso dolce e gentile, si sarà trasformato in un ghigno amaro di rabbia e di risentimento...e quel cappello di paglia... beh, lo avrà gettato via assieme a quel foulard azzurro e a tutto il resto delle cose che le facevano pensare a me".

"Papà, tu dimentichi  una cosa molto importante".

"Ah si? E cosa?";

"Il vero Amore, non ha tempo. Il vero Amore non ha età. Il vero Amore vive per sempre".

Vive per sempre....

Già.

Nel suo cuore, l'amore per Elena non si era mai spento. Sebbene avesse lottato con tutte le sue forze contro quel sentimento, per cercare di dimenticare, il suo cuore non glielo aveva permesso. Forse...

"I Signori passeggeri sono pregati di allacciare le cinture di sicurezza, di portare i sedili in posizione verticale e di richiudere i tavolini. L'atterraggio al Los Angeles International Airport è previsto entro pochi minuti. Grazie".

La voce dall'altoparlante in perfetto inglese lo distolse da quei pensieri.

Si allacciò la cintura di sicurezza, si stiracchiò un pochino i muscoli intorpiditi dal lungo viaggio e poi guardò fuori dall'oblò: Poteva già distinguersi il Theme Building e la sua magnifica imponenza illuminato dalle familiari luci blu.

Tom lo stava aspettando al Tom Bradley International Terminal.

Quando lo aveva chiamato per dirgli del suo arrivo, non ne era rimasto sorpreso.

Conosceva bene il suo fratellino e sapeva che dopo tutto quello che era accaduto con Kora, quanto gli era costato raccontarle tutta la verità, aveva bisogno di un pò di tempo; tempo per tirare il fiato, per riordinare i pensieri e soprattutto per prendere una decisione.

Bill gliene era veramente grato: come al solito aveva capito, senza fare domande.

L'abbraccio affettuoso con cui lo accolse e la pacca sulle spalle, lo fecero sentire immediatamente a casa.

Dopo i soliti convenevoli, piombarono nel silenzio.

Tom era intento a guidare: gli occhi fissi sulla strada, qualche imprecazione di tanto in tanto a causa del solito traffico cittadino e qualche sguardo sfuggevole in direzione di suo fratello che invece fissava le luci della città con aria distaccata.

"Allora, come va?";

"Bene....tutto sommato".

"E Kora?";

"La scorsa settimana è tornata a casa da sua madre. Detesta abitare in periferia, così appena ha potuto, si è ritrasferita in città".

"Non puoi certo biasimarla.....la tua casa sembra quasi un eremo".

Bill lo guardò torvo;

"A me piace moltissimo.....e poi è lontana dal rumore, dai ficcanaso e soprattutto....dai paparazzi" ed indicò due fotografi che affiancavano la loro auto, scattando foto ed illuminando con i loro accecanti flash, l'abitacolo della vettura.

"Figurati....ormai ci sono abituato".

"Domani mattina, le nostre belle facce saranno stampate sui giornali di mezzo mondo!";

"E chi se ne frega! Un pò di pubblicità ogni tanto e gratis, non fa affatto male".

"Sarà, ma a queste cose non ci sono più abituato e soprattutto non voglio altri pettegolezzi sulla mia vita privata, sulla mia carriera o sul mio attuale impegno".

" La band che stai producendo, non deve lanciare un nuovo cd?"

"Si, manca poco ormai";

" Penseranno che sei qui per lavorare..... incontrare gente della casa discografica, mettere appunto l'uscita dell'album......utile e conveniente".

Suo fratello aveva sempre una ragione per tutto.

Lo ammirava molto per questo suo modo di vedere le cose, era sempre stato la spalla forte a cui appoggiarsi.

"Sei stanco? Hai fame?";

"Si, sto letteralmente morendo di fame".

"Dove vuoi andare a mangiare un boccone?";

"Prendi un paio di pizze e qualche birra e andiamo a casa. Non ho voglia di uscire, nè di vedere gente. La mamma come sta?";

"Benissimo. Il clima di Los Angeles le è congeniale. Dice che il sole e le arance le migliorano l'umore e anche le ossa".

Entrambi scoppiarono a ridere.

"E' impaziente di riabbracciarti".

"Anche io non vedo l'ora di stringerla forte. Non la vedo da almeno...vediamo un pò....";

"Sei mesi".

"Hai tenuto il conto?" rispose piccato.

"Non io, la mamma".

Bill si grattò la testa.

Doveva prepararsi ad una solenne ramanzina.

"E' arrabbiata?" chiese con un pò di imbarazzo.

"Non proprio. E' preoccupata per te e soprattutto per Kora".

"Kora sta benissimo. Lei ha saputo comprendere. Mia figlia è una ragazzina straordinaria...";

"Mmm.....se ti sentisse chiamarla ragazzina, andrebbe su tutte le furie!".

Bill sorrise immaginandosi la scena.

"Già....non è più una ragazzina....ora è una giovane donna, con un futuro promettente ed una brillante carriera. E' una grande artista....vedessi il ritratto di Elena....è perfetto.

"Davvero?";

"Si. L'ho portato con me, è in una delle valigie; voglio farlo vedere alla mamma, sentire cosa ne pensa: il suo giudizio è molto importante".

"Dopotutto è merito suo: le trasmesso la passione per l'arte".

"Già. Adesso non vede l'ora di finire gli studi e mettersi all'opera con la mostra. Sembra sia il suo chiodo fisso: la sua esposizione e .....tormentarmi".

Tom scoppiò a ridere.

"Ancora? E per cosa?";

Bill sbuffò scuotendo vigorosamente la testa.

"Vorrebbe che prendessi una decisione che....non solo non mi piace affatto ma al contrario, credo che sia un'autentica follia".

"Non mi meraviglia: tua figlia è esattamente come te".

"Lascia perdere, lei è molto peggio; te lo assicuro".

Il suono del cellulare nella borsa di Bill interruppe la loro chiacchierata.

Lo afferrò da una tasche interne e poi guardò il display:

"Ma guarda: parli del diavolo.... Pronto Kora?";

".....Ciao papà, sei arrivato?";

"Si, sono in auto con lo zio Tom. Sto andando dalla nonna".

".....Com'è andato il viaggio?";

"Bene; noioso, interminabile e pieno di turbolenze";

".......C'era da immaginarselo in questo periodo dell'anno. A proposito papà: la stagione delle piogge è quasi al termine....hai pensato a quello che ti ho detto?";

"Kora non ricominciare per favore. Concedimi una tregua, ok? Sono venuto qui apposta per non essere continuamente asfissiato da questa domanda".

"....Passami lo zio Tom!".

Bill gli passò il cellulare: "La tua adorata nipotina desidera parlarti";

"Inserisci il viva-voce, adesso non posso fermarmi".

Bill fece come gli aveva chiesto suo fratello.

"Ciao ranocchietta, come stai?";

".....Bene ma starei anche meglio se la smettessi di chiamarmi in quel modo. Fra poco meno di due mesi compio 18 anni, non sono più una ranocchietta, capito?";

"Oh.....mi scusi principessa" e rise insolente.

"....Tu come stai?";

"Bene grazie. Allora, continui a dare il tormento a tuo padre eh?";

".....Per forza, qualcuno deve pur fargli capire che se vuole tornare ad essere felice, deve andare a cercare Elena".

Tom sbarrò gli occhi per la sorpresa.

"Cosa?! E' questo che vuole da te?" disse rivolto al fratello.

"A-ha" annuì Bill.

"...Per favore zio Tom, cerca di convincerlo. Diglielo anche tu che deve almeno provare a fare un tentativo....che gli costa?";

"Beh, sono passati tanti anni, piccola. Non puoi certo pretendere che lei sia ancora lì ad aspettare il tuo papà";

"....Io invece ne sono assolutamente sicura. Me lo sento, io....io non lo so il perchè ma ho la sensazione di qualcosa che è rimasto incompiuto, sospeso nell'aria; qualcosa che  mi spinge a credere che lei lo ami ancora".

"Kora, ne abbiamo già parlato tante volte, sai come la penso a riguardo e non cercare di convincere lo zio Tom. Non trascinarlo in questa storia che è solo frutto della tua fantasia".

"Beh, io non ne sarei così sicuro. La piccola potrebbe aver ragione".

continua

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


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Capitolo XVI

Era già passata una settimana dal suo arrivo: una settimana passata a rilassarsi e a godere dell'affetto della sua famiglia.

Le sue responsabilità di padre e di artista, spesso gli facevano dimenticare il piacevole ruolo di figlio; le attenzioni premurose di sua madre gli regalavano una sorta di protezione, lo richiudevano in una piccola bolla fatta di amore e comprensione che lo facevano sentire al sicuro.

Peccato che Kora, faceva di tutto per rovinargli quei pochi momenti sereni.

Non gli dava tregua e, ormai, dalla sua parte si era schierato anche Tom.

La mamma invece non si era pronunciata: dopo aver osservato con grande attenzione il dipinto della sua amata nipote, si era limitata a chiamare il suo vecchio amico di Amburgo e decantargli le lodi della ragazza, del suo innato talento  e a stringere in maniera tempestiva, gli ultimi accordi riguardo all'esposizione  ormai prossima.

Bill si ritagliava del tempo nel corso della giornata: andava a trovare i suoi vecchi amici, pranzava nei localini che frequentava quando abitava a Los Angeles e faceva lunghe passeggiate a Venice Beach: il cielo sempre azzurro, la brezza tiepida e profumata, l'oceano nella sua profondissima grandezza e le sue onde che accarezzavano le sue orecchie come musica erano un toccasana dopo le burrascose vicissitudini degli ultimi tempi ......eppure.....

per quanto fosse caldo, il sole non riusciva a scaldare il suo cuore e le acque dell'oceano, fin troppo gelide, lo rattristavano enormemente.

Nei suoi pensieri c'erano il sole e il mare della Toscana e il languido pensiero di Elena.

Più passavano i giorni e più viveva in una sorta di limbo, cullato dai ricordi e in balia di strane emozioni, animato da una speranza nuova, forse un pò assurda, di riassaporare il gusto della felicità.

Cominciava a  prendere coscienza del fatto  che forse Kora potesse avere ragione;

forse poteva fare un tentativo,chissà......

magari lo stava  ancora aspettando e proprio come lui, soffriva per quella lontananza durata ben 26 anni.

Ma come poteva fare a ritrovarla?

Da dove doveva iniziare?

Non ricordava più il suo cognome, il suo numero di telefono  si era perso nelle spire del tempo e della dimenticanza.

Più si animava di speranza e più il suo cuore era ottenebrato dai dubbi.

E se invece, fosse un errore?

Perchè forzare il passato?

Cosa avrebbe fatto se avesse scoperto qualcosa di cui era terrorizzato?

Già, più dell'odio di Elena temeva che lo avesse dimenticato, che dopo ciò che le aveva fatto, avesse cancellato dal suo cuore e dai suoi ricordi quei momenti che per lui invece rappresentavano tutto il suo universo.

Scosse la testa.

Si massaggiò vigorosamente le tempie.

Improvvisamente si sentì accarezzare teneramente la testa.

Immediatamente riconobbe quel tocco affettuoso.

"Cosa c'è? Hai di nuovo mal di testa?";

La voce di Simone aveva un tono gentile e premuroso.

"Si".

"Troppi pensieri?";

"Già".

Si sedette sulla poltroncina accanto a lui.

Il vento le scompigliava i capelli e quel lungo kaftano di colore rosso. Aveva lo sguardo fisso all'orizzonte ma la sua presenza non lo disturbava affatto, anzi.

Lei riusciva a rincuorarlo, nei suoi lunghi momenti di malinconia e di insicurezza.

Oltre a suo fratello, sua madre era sempre stata l'altro grande punto di riferimento della sua vita.

"Non sai che fare, vero?" si voltò a guardarlo attraverso i suoi spessi occhiali da sole scrutando con attenzione ogni piccola piega sul volto di suo figlio.

"Proprio così. Da una parte c'è Kora, con le sue idee romantiche e strampalate, dall'altra c'è Tom che non fa altro che supportarla e spingermi a tornare in Italia";

"E Tu?";

Bill non rispose.

"Tu, cosa vorresti fare?";

"Io vorrei....forse più di quanto immagini....mi piacerebbe tanto.....";

"Ma hai paura".

Sospirò sconfitto.

Chinò la testa senza rispondere.

"Ti capisco e non vorrei essere al tuo posto" ammise sincera.

Gli toccò un braccio ed iniziò ad accarezzarlo lentamente: faceva così anche quando era bambino.

"Bill, tesoro, hai passato tanti anni lontano da lei ma nel tuo cuore hai continuato a cercarla. Hai cercato nei sentimenti e nel corpo di un'altra donna quell'amore che solo lei è stata in grado di darti; hai cercato negli amici la complicità e l'intesa che solo con lei hai condiviso. La vita ti sta offrendo un'altra opportunità, non devi sciuparla".

"Lo so mamma, sono più di vent'anni che mi logoro nel rimorso e nel rimpianto ma, adesso potrebbe essere troppo tardi....potrebbe avere una famiglia, dei figli....";

"....essere felice anche senza di te?";

Sospirò di nuovo.

".....E se mi avesse dimenticato?";

"E' questo ciò che ti spaventa di più. Sapresti accettare il suo odio, il suo disprezzo ma non potresti sopportare che ti avesse dimenticato. Non posso biasimarti ma e' un rischio che devi correre: devi affrontare e sconfiggere quei demoni che affollano il tuo cuore e i tuoi pensieri e poi correre da lei oppure....";

"Oppure?";

"Oppure continuerai a  vivere di rimpianti il resto della tua vita. Pensaci bene figliolo. La felicità è un bene prezioso ma basta un respiro, un battito di ali e fugge via per sempre. Sei ancora in tempo".

Bill annuì silenziosamente.

Simone si voltò di nuovo a guardare l'oceano poi dopo qualche istante si alzò.

"Fa troppo caldo qui, me ne torno a casa, al fresco dell'aria condizionata e a sorseggiare una limonata fredda";

sorrise a suo figlio accarezzandolo con lo sguardo prima di andarsene:

"piccoli privilegi concessi ad una vecchia signora".

****

"Bill, hei Bill sei qui?";

Tom bussò vigorosamente alla porta della camera del fratello ed entrò prima di ricevere una risposta.

"Ma che diavolo.....";

Tutti gli abiti di Bill erano gettati alla rinfusa sul letto.

Nella sua stanza sembrava fosse appena passato un tornado: scarpe lasciate in giro sul pavimento, camicie  gettate senza riguardo su una poltrona, gioielli e ninnoli vari sparsi sul comò e sui comodini, i cassetti tutti aperti, le ante dell'armadio spalancate e suo fratello che teneva il cellulare appiccicato all'orecchio mentre davanti ad uno specchio si provava una maglietta ancora sistemata sull'omino.

"Tom.....dove cavolo sono i miei costumi?";

"Eh?! I costumi? E che cosa devi far";

"Schhhh!" suo fratello lo zittì portandosi un dito sul naso.

"Pronto? Si sono ancora qui....allora c'è un volo fra un'ora....no non credo di farcela. Il prossimo?.... Domani mattina alle nove?E' troppo tardi....Ma non potrebbe cercarne uno con un'altra compagnia?.....A questo punto va bene qualunque cosa.....";

Tom cominciava a capire le intenzioni di suo fratello ed un enorme sorriso gli si disegnò sulle labbra.

".....Alle undici è perfetto! Durata del volo?....A-ha undici ore circa.....quindi dovrei arrivare più o meno...a mezzogiorno è esatto?Ah, si è vero, non avevo considerato il fuso orario......Il nome dell'aeroporto? ....Galileo Galilei di Pisa. Ok, e sa dirmi se c'è un autonoleggio?.....Ah, perfetto! Vorrei noleggiare un'auto con autista.....Non potete noleggiare un'auto con autista? Accidenti, questo è un problema".

"Che succede Bill?";

"Niente, non hanno l'autista"; poi continuò a parlare al telefono.

"....Cosa? No, vorrà dire che guiderò io"; poi coprì il microfono con un dito e si rivolse a suo fratello:

"sempre che mi ricordi come si fa!"

Tom rise a quella affermazione.

"....No, gradirei un'auto non troppo grande.....No, nemmeno un'utilitaria....Ma figuriamoci!";

ricoprì il microfono:

"volevano darmi una Fiat";

"digli che è meglio che ti trovino un'Audi o ti rivolgi a qualcun altro" gli suggerì Tom.

Bill annuì mentre continuava a rispondere al telefono.

"A-ha...senta, io ho bisogno di una Audi. Lei è in grado di procurarmela? Altrimenti mi rivolgerò altrove......Ah, bene; perfetto".

"......A chi devo intestare il volo ed il noleggio dell'auto?" la voce dell'impiegata gracchiava alla cornetta;

"Bill Kaulitz".

"D'accordo Sig. Kaulitz. Troverà il biglietto e i documenti del noleggio presso il nostro box informazioni. Mi raccomando, si presenti due ore prima della partenza del volo per il chek-in e per i controlli alla dogana.  Arrivederci e Buon Viaggio".

Bill riattaccò il telefono e lo gettò con poca grazia sul letto.

"Allora parti?";

"Già".

"Vai a cercare Elena?";

"Si" ammise senza distogliere lo sguardo dalla valigia e senza interrompere quello che stava facendo.

"Cosa ti ha spinto? Certamente nè io nè la piccola ranocchietta....";

"Le parole della mamma".

Tom sollevò un angolo delle labbra in un ghigno compiaciuto.

"Cosa ti ha detto per convincerti?";

"Che la vita mi sta offrendo un'altra opportunità per essere felice....e questa volta non intendo sprecarla"; sollevò lo sguardo  e fissò negli occhi suo fratello:

"La troverò Tom....ho una paura f*****a ma, devo concedermi una possibilità".

Tom gli si avvicinò e gli diede una pacca sulla spalla.

Finalmente il suo fratellino aveva preso la decisione giusta.

Chissà, forse Elena lo stava ancora aspettando su quella spiaggia.... adesso era tutto nelle mani del destino ma era così bello veder finalmente sorridere suo fratello. Era da tantissimo tempo che non lo vedeva così entusiasta e pieno di energia.

"Dai, dammi una mano, così finisco prima. Cosa volevi prima?";

"La cena è quasi pronta, dobbiamo scendere di sotto ma a questo punto, la cena dovrà aspettare. Vediamo un pò dove sono finiti i tuoi costumi....è una vita che non li indossi.....magari ti darò qualcuno dei miei".

"Lascia perdere, li prenderò in Italia. Piuttosto passami quelle magliette".

Dietro una piccola fessura della porta, Simone aveva ascoltato tutta la conversazione.

Sorridendo, si allontanò silenziosa.

continua

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


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Capitolo XVII

Il caldo sole pomeridiano, filtrava attraverso le fessure delle persiane socchiuse.

Nella penombra di quella camera d'albergo, solo il rumore del condizionatore infrangeva il silenzio.

Bill si voltò su un fianco e socchiuse leggermente gli occhi.

Dove si trovava?

Lentamente, man mano che si risvegliava, i ricordi tornavano alla mente.

Era in Italia, in Toscana....era tornato per cercare Elena.

Il solo sapere di esseri lì per lei, gli procurava il batticuore.

Ma che ore erano?

Si voltò verso il comodino ed afferrò il prezioso orologio: quasi non riusciva a crederci!

Quanto tempo aveva dormito?

Dieci? No, dodici ore di fila!

Erano anni ormai che dormiva solo una o due ore per notte; l'insonnia  era diventata la sua fedele compagna di nottate lunghe e burrascose.

Tirò un enorme respiro: si sentiva bene, rilassato ed era una sensazione così piacevole.

Si sentiva in pace con sè stesso e con il mondo; la sua anima tormentata, aveva finalmente finito di scalpitare e si sentiva  libera.

Il suo cuore era tornato a casa.

In quel momento di tranquillità, sdraiato sul letto e con gli occhi fissi al soffitto capì che aveva fatto la cosa giusta.

......"Papà sono felicissima per te, spero tanto che riuscirai a trovarla. Promettimi solo una cosa";

"Cosa?";

"Che non ti arrenderai subito, che alla prima difficoltà non mollerai tutto per tornartene a casa";

"Kora....";

"Prometti.....per favore";

"Ok. Ti prometto che farò del mio meglio per trovarla"....

Sorrise ripensando alla telefonata con sua figlia e alla promessa che gli aveva strappato: indubbiamente lo conosceva molto bene.

Senza indugiare ulteriormente, si alzò dal letto e corse ad infilarsi sotto la doccia.

L'acqua tiepida scivolava sui suoi capelli, sui suoi occhi chiusi, sul suo viso, lungo il suo  corpo ancora tonico e il suo bacino stretto; il profumo del bagnoschiuma si diffondeva nel piccolo bagno lasciando le sue note decise e un pò amarognole sospese nell'aria.

Mentre si risciacquava dalla schiuma pensava ad Elena.

Chissà se era davvero ancora lì ad aspettarlo....

Un nodo gli stringeva la gola e sentì il petto schiacciato in una morsa.

Come si sarebbe comportato  davanti a lei?

Cosa le avrebbe detto?

Sarebbe stato capace di sostenere il suo sguardo? Sopportare il rimprovero dei suoi occhi?

I suoi occhi.....quelle piccole stelle scintillanti che gli avevano rubato l'anima, quelle profondissime pozze scure che sapevano leggere ogni piccolo turbamento del suo cuore.

Il solo ricordo gli provocava una ansiosa agitazione.

Ma che diavolo gli stava succedendo?

Si sfregò con più forza la testa e i capelli.

Si stava comportando come un ragazzino!

Era tornato indietro esattamente a ventisei anni prima e riprovava di nuovo quelle emozioni che il tempo aveva sopito.

Uscì dalla doccia, si tamponò il corpo con un telo di morbida spugna poi si avvicinò allo specchio.

Era completamente ricoperto di vapore; lo asciugò un pochino e si guardò: stentò a riconoscere la figura che quello specchio rifletteva.

Il viso disteso, le rughe meno segnate, le labbra che si aprivano in un sorriso e i suoi occhi....

i suoi occhi avevano ritrovato quel colore e quella luminosità che avevano perso da troppo tempo.

Sentiva il cuore battergli forte nel petto e i respiri erano diventati più veloci: si sentiva di nuovo vivo.

Si vestì in fretta, indossò una camicia leggera e dei freschi pantaloni di cotone dal taglio classico che gli fasciavano completamente le gambe e slanciavano la sua figura.

Si pettinò i capelli i capelli ancora bagnati all'indietro poi inforcò gli occhiali da sole, prese le chiavi della camera ed uscì.

La luce accecante del sole lo investì in pieno.

Come era strano, ritrovarsi in quel luogo dopo tanto tempo.

Tutto era così familiare e, allo stesso tempo così diverso.

Quante cose erano cambiate e quante invece erano rimaste intatte.

Camminava lento, si sentiva frastornato, con mille pensieri per la testa ma la destinazione era ben chiara: il porto.

Continuava a  guardarsi intorno con l'aria smarrita di chi manca da tanto  e cerca nei luoghi, negli sguardi dei passanti gli occhi di una persona cara.

Il sole picchiava forte ma la solita brezza fresca, lo accarezzava  donandogli un pò di sollievo.

Aveva dimenticato quanto fosse calda l'Italia.

Ad un tratto, dietro un paio di palazzi che si ergevano dritti contro quel cielo azzurro, si aprì il viale che conduceva al porto.

Si fermò un attimo: aveva paura di non riconoscerlo, che fosse cambiato, diverso da come si ricordava e invece, tutto era rimasto  uguale.

Le barche ancorate ai moli, il solito vocio dei turisti allegri, le bandiere colorate agitate dal vento, il rumore delle tazzine da caffè servite ai banconi dei bar e lo sciabordio delle barche erano i suoni e i colori che aveva portato con sè in quegli anni e adesso li ritrovava esattamente come li aveva lasciati.

Si tolse gli occhiali e si voltò a guardare il mare: era ancora così incredibilmente blu e le onde che si agitavano lungo la grande spiaggia di sabbia scura, agitavano anche il suo cuore.

I ricordi erano diventati tangibili: si rivedeva correre felice assieme ad Elena attraverso quelle stradine, fermarsi al solito caffè e bere un tè freddo, passeggiare mano nella mano, di sera mentre le luci del porto, illuminavano il lungomare.

Poi si voltò verso i negozi e cercò con lo sguardo quella piccola bottega, dove le aveva comprato quel foulard azzurro.

Era ancora lì, con i suoi costumi, le cartoline, i giochi per i bimbi.....

Spinto dall'emozione, si avvicinò e sbirciò all'interno: la vecchia signora dai capelli grigi, che gli aveva fatto il pacchetto con quella carta con i papaveri non c'era più.

Al suo posto, c'era una bella ragazza dai capelli castani e gli occhi chiari.

Incuriosito le si avvicinò e, in perfetto inglese le chiese della vecchia proprietaria.

La ragazza gli rispose dicendogli che era sua nonna.

Dopo anni di duro lavoro, era andata in  pensione e lei aveva preso il suo posto.

Bill si guardava intorno con il cuore gonfio di commozione: sembrava che il tempo si fosse fermato, non era cambiato nulla da allora.

Sembrava che quel foulard l'avesse comprato solo ieri e le parole di Elena riecheggiarono forti nella sua testa:

....." Grazie Bill; è il regalo più bello che potessi farmi".

Se fosse rimasto solo un attimo in più in quel negozio sarebbe esploso, così, dopo aver ringraziato la ragazza, uscì di corsa.

Camminò ancora un pò.

Aveva bisogno di riprendersi ma, il suo viaggio nel passato non era ancora finito.

Aveva ancora molti luoghi da ritrovare e altre opportunità per cercare Elena.

Respirò profondamente, indossò di nuovo i suoi occhiali e si incamminò verso il noleggio delle barche.

Era lì che l'aveva vista per la prima volta.

Si sentiva agitato, senza una ragione comprensibile.

Il cuore gli batteva forte nel petto e, quasi senza accorgersene, sulle labbra si disegnò un sorriso.

Qualcosa nel suo animo cominciava a scuotersi: più tornava indietro e più sentiva che si stava riavvicinando ad Elena, si riappropriava dei suoi sentimenti: sentiva sulla sua pelle di nuovo, il calore del suo amore.

Aveva il respiro corto, i brividi lungo la schiena e un leggero tremore alle gambe e, mentre analizzava quello che gli stava succedendo, si ritrovò davanti al vecchio stand in legno con quella buffa insegna.

Il vecchio ufficio era stato ristrutturato e quel portoncino di legno verde aveva lasciato il posto a due ampie porte di vetro scorrevoli.

Bill guardò all'interno cercando di scorgere qualche viso familiare:  il ragazzo cicciottello che guardava Elena con occhi sognanti, adesso era un signore di mezza età, dall'aspetto distinto, i capelli brizzolati  che dava direttive ad un gruppetto di impiegati alle sue dipendenze.

Le barche erano sistemate esattamente come vent'anni prima anche se la flotta era notevolmente aumentata.

Camminò lungo il molo e raggiunse il punto esatto dove era ormeggiata quella piccola barca a remi.

Era esattamente come allora: il caldo torrido, il sole cocente, il vento.....

Ciao....

come un sussurro che si perdeva nelle spire del tempo sentì la sua voce.

Si voltò di scatto, ma dietro di lui, non c'era nessuno.

Che sciocco! 

Si era lasciato influenzare dai suoi sentimenti confondendo i ricordi con la realtà; eppure i suoi occhi vedevano Elena.

La rivedeva davanti a sè proprio come allora: con il suo bel corpo abbronzato, il sorriso dolce, gli occhi scuri  e profondi che scrutavano la sua figura, e i lunghi capelli agitati dal vento.

"Dove sei Elena? Io devo trovarti".

Passò il resto della giornata ritornando nei luoghi in cui erano stati felici.

Ritornò alla pineta.

Noleggiò una bicicletta in paese e ripercorse la strada che avevano fatto insieme quel pomeriggio.

Fece il sentiero in mezzo alla pineta ben cinque volte.

Andava su e giù e si fermava a guardare attentamente ogni signora che passava di lì.

Chissà, forse lo avevano  scambiato per un vecchio pazzo ma, nei loro volti, nei loro movimenti, nei loro capelli, nei loro occhi lui cercava qualcosa che gli permettesse di riconoscere Elena.

A volte pronunciava il suo nome ad alta voce: in fondo al suo cuore, sperava che qualcuna si voltasse....

Sconfitto, si diede per vinto e dopo un pò decise di tornare indietro ma prima sarebbe passato da casa sua.

L'impresa si rivelò più ardua del previsto.

Quelle case, adesso, sembravano tutte uguali; guardava attentamente nei giardini, attraverso i cancelli  ma le siepi erano così alte e fitte che non riuscì a distinguere nulla.

Demoralizzato, era sul punto di tornare indietro ma qualcosa lo spinse ad andare avanti.

Verso la fine del vialetto, c'era una villetta, con le persiane rosse e un grosso glicine.

Si avvicinò incuriosito e finalmente un enorme sorriso gli illuminò il volto: l'aveva trovata!

Tutto era rimasto intatto, proprio come allora.

La casa, i colori, i fiori, i profumi tutto era esattamente come allora solo il pino era cresciuto a dismisura.

Suonò il campanello con timore: il cuore gli batteva forte nel petto e l'agitazione stava prendendo il sopravvento.

"Che le dico se mi apre? Ciao sono Bill, ti ricordi di me? Sono il farabutto che ti ha abbandonata ventisei anni fa.....";

deglutì a fatica mentre la gola era divenuta improvvisamente arida.

Nessuno rispose.

Il cuore batteva ancora impazzito contro la cassa toracica e il respiro era sempre più veloce ma nessuno venne ad aprire.

Le persiane erano chiuse e, sebbene il giardino fosse ben curato, la casa sembrava chiusa.

Da un lato si sentì sollevato: non era ancora pronto a quell'incontro ma dall'altra, cominciava a rendersi conto che trovare Elena era difficile se non addirittura impossibile.

Passò dall'euforia allo sconforto nel giro di pochi istanti.

"Promettimi che non ti arrenderai, papà" 

si ricordò della promessa fatta a Kora ; sospirando si allontanò da quel cancello, salì sulla bicicletta e tornò indietro.

Gli restava un ultimo posto dove cercarla: la spiaggia.

Pedalò più forte che potè, fino quasi a farsi scoppiare i polmoni.

Doveva andarci al più presto e senza pensarci troppo.....

troppi ricordi.

Su quella spiaggia si erano innamorati e quella notte, su quella stessa spiaggia, Elena gli donò il suo amore giurandogli che lo avrebbe amato per sempre e, sempre su quella spiaggia le aveva detto addio.

Arrivò lì sudato, col fiato corto e completamente stordito dai ricordi.

Appoggiò la bici alla staccionata del sentiero e lentamente si avvicinò alla spiaggia.

Ad ogni passo, sentiva che le gambe avrebbero potuto cedere da un momento all'altro.

Aveva le mani sudate e i brividi lungo la schiena.

Camminava a testa bassa come se avesse paura.

Attraversò tutto il sentiero e quando questo terminò in mezzo alla grande distesa di sabbia grossa e scura, si costrinse a sollevare lo sguardo: il sole tramontava su quella immensa distesa blu e con i suoi raggi rossastri inondava il cielo sul quale cominciavano ad allungarsi le ombre della sera.

Si portò una mano al petto e afferrò con forza i lembi della camicia stringendoli.

Si sentiva soffocare.

Il bar dove si erano dati il primo appuntamento era ancora lì con i suoi tavolini bianchi e le sedie dello stesso colore.

Le onde si infrangevano violente sulla sabbia e il vento scuoteva forte i suoi abiti: era tutto proprio come quel giorno, quando il vento le portò via il cappello.

Quel nodo alla gola stringeva sempre di più: Bill indurì le mascelle e strinse forte i pugni.

Nel cielo era spuntata la prima stella della sera mentre il sole era quasi completamente inghiottito dal mare.

"Quanto tempo è passato ma non è cambiato niente Elena. Niente. Io ti amo proprio come allora, più di allora perchè adesso so che cos'è l'amore ma tu non ci sei. La Stagione delle Piogge è finita da un pò ma tu non sei qui. Torna. Torna Elena, ho bisogno di te. Ho bisogno del tuo amore".

Queste parole gridava il suo cuore mentre il suo sguardo si perdeva lungo la linea dell'orizzonte.

continua

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII ***


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Capitolo XVIII

Era già passata una settimana ma di Elena nessuna traccia.

Le giornate erano tutte uguali, passate in giro tra il porto, il noleggio delle barche, la pineta e la spiaggia.

L'entusiasmo dei primi giorni aveva lasciato il posto allo sconforto.

Più i giorni passavano e più si rendeva conto di aver perseguito un' idea assurda.

Era un pomeriggio come tanti: se ne stava sdraiato su un comodo lettino fissando il mare e si lasciava trasportare dal rumore delle onde.

Il caldo era opprimente e il vento, che soffiava da sud,  rendeva l'aria soffocante ma il suo corpo era scosso dai brividi.

Non faceva altro che pensare ad Elena e la sua assenza lo rattristava enormemente, forse più di quanto credesse di poter sopportare.

La malinconia e la consapevolezza lo rendevano schivo ed insofferente.

Ma che diavolo si era messo in testa? Dopo tanti anni....come avrebbe mai potuto ricordarsi di quella vecchia promessa? Promessa che oltretutto lui non aveva mantenuto.

Che si aspettava? Di ritrovarla lì su quella spiaggia ad attendere  ancora il suo ritorno?

Kora, con il suo sentimentalismo da adolescente lo aveva spinto a credere che forse, lei avrebbe continuato a tenere fede a quella promessa, e lui, che probabilmente cercava solo un pretesto per poter tornare, aveva cullato l'idea di poter essere di nuovo felice accanto alla donna che amava da sempre.

Si chiedeva chi, tra lui e sua figlia fosse il peggior sognatore, sentimentale, con la testa tra le nuvole e irrimediabilmente senza speranza....

Elena si era stufata di aspettare e lo aveva dimenticato: era questa la realtà.

Anche se faceva fatica ad ammetterlo doveva essere onesto ma quanto era difficile da accettare!

Era un boccone troppo amaro da mandare giù.

Si prese la testa tra le mani: era disperato.

In fondo al suo cuore sperava ancora di vederla apparire da un momento all'altro su quella spiaggia, sognava di poterla tenere stretta ancora una volta tra le sue braccia e baciarla e accarezzarla e dirle tutto quello che si teneva dentro da ventisei anni.

Desiderava ardentemente sentire la sua voce, specchiarsi nei suoi occhi scuri e perdersi nella loro profondità.

Agognava un perdono che non sarebbe mai arrivato e mettere a tacere definitivamente i suoi sensi di colpa.

Auspicava un futuro sereno, accanto ad Elena, immaginando la loro vita insieme.

Tornare in Toscana, ritrovare quei luoghi, rivivere quei momenti lontani non era servito a nulla.

Lei non c'era.

Doveva mettere un punto e voltare pagina.....se solo fosse  meno doloroso.

Basta.

Il passato aveva chiuso i conti e lui aveva perso....

Era ora di tornarsene a casa.

Ma sì, forse era meglio così.

Si sarebbe messo il cuore in pace anche se il ricordo di quella meravigliosa estate non lo avrebbe mai abbandonato come non lo avrebbe abbandonato il rimorso e il rimpianto per una felicità perduta per sempre.

Si alzò indolente da quel lettino, raccolse tutte le sue cose dal tavolino e prima di andarsene fissò per un'ultima volta il mare e la spiaggia.

"Addio Elena. Resterai per sempre nel mio cuore. Sii felice ovunque tu sia." e mesto e, con la testa bassa, inforcò i suoi occhiali da sole e si allontanò.

Tornato in albergo, si chiuse in camera.

Chiuse tutte le persiane e spense tutte le luci.

Si gettò sul letto e affondò la testa sul cuscino.

Aveva mal di testa ma quella, in fondo, era solo una scusa.

Voleva solo dimenticare tutto; annullare ogni pensiero, cancellare tutti i ricordi.

Se avesse avuto una bottiglia a portata di mano...

quello era il momento giusto per affogare i dispiaceri nell'alcol!

Per un momento quel pensiero si insinuò pericolosamente nella sua testa: afferrò la cornetta del telefono che era posto sul comodino e stava per comporre il numero del servizio in camera poi, in un barlume di lucidità si rese conto che non sarebbe servito a nulla.

Avrebbe bevuto fino a collassare e perdere i sensi ma al risveglio, con ancora la mente annebbiata, il suo dolore sarebbe tornato prepotente.

"Maledizione!" imprecò con veemenza.

Si mise seduto ed iniziò a massaggiarsi lentamente le tempie.

Sentiva quel dolore bruciargli l'anima e non poteva fare nulla per arginarlo.

Si alzò di scatto e agì senza riflettere.

Aprì l'armadio, afferrò le valigie e le scaraventò sul letto.

Con poca grazia, prese tutti i suoi vestiti e li scagliò dentro.

Con rabbia  aprì tutti i cassetti rovistando e raccattando ovunque le sue cose.

Era furente, ce l'aveva con il mondo intero.

Chiamò l'aeroporto e si fece preparare un biglietto per tornare in Germania e poi provò a chiamare Kora.

"Dannazione Kora! Hai sempre il telefono occupato! Quando torno a casa dovremmo mettere delle regole anche  a questo!" pensò ad alta voce.

Scrisse velocemente un messaggio e glielo inviò senza nemmeno curarsi di controllare cosa avesse scritto poi andò in bagno e si infilò sotto la doccia.

Intanto il sole era calato da un pezzo.

Il buio con le sue ombre e i suoi fantasmi, regnava indisturbato.

Uscì dal bagno avvolto in un candido accappatoio di soffice spugna bianca.

La lunga doccia gli era servita a calmarsi ma non aveva cambiato idea sulla decisione di ritornare a casa.

Controllò il cellulare ma Kora non aveva ancora risposto.

Si rivestì con calma, si pettinò i capelli ancora umidi poi chiuse la valigie, prese le chiavi dell'auto che aveva preso a noleggio e dopo una rapida occhiata  alla stanza, spense la luce e chiuse la porta.

Trascinò i bagagli fino all'ascensore, attese pochi istanti l'apertura delle porte e scese all'ingresso.

Appena lo vide, l'addetto alla reception lo salutò cordialmente.

"Buona sera Signor Kaulitz";

"Buona sera. Per favore il conto.

"Lascia la suite Signore? Qualcosa forse non è di suo gradimento?";

"No, no assolutamente. Ho ricevuto una telefonata per un impegno improvviso; devo ripartire."

"Ma certo, capisco".

Mentre l'impiegato preparava il conto si sentì un rumore allegro di tacchi che si avvicinavano.

Il cellulare di Bill iniziò a vibrare nella tasca dei pantaloni.

Lo afferrò e guardò il display: era l'aeroporto.

"Pronto?";

"....Pronto? Il Signor Kaulitz?";

"Sono io.....".

"Buonasera Giorgio"; una suadente voce femminile si rivolse all'impiegato della reception;

"Oh Signorina Rossi! Che piacere vederla. Quando è arrivata?";

"Poche ore fa".

"Il viaggio è andato bene?";

"Si grazie: noioso come al solito.....I Signori Brambilla, sono in camera?";

"No, sono nella sala d'aspetto"; Bill notò che l'uomo era stranamente gentile e parlando con quella donna, i suoi toni erano particolarmente affettuosi.

"Potrebbe avvisarli che sono qui?"

"Ma certamente".

Bill parlava al telefono ma era distratto da quella curiosa conversazione della quale ovviamente non aveva capito nulla visto che parlavano in Italiano.

Ad un tratto, quella figura femminile si allontanò di pochi passi e si avvicinò alla porta dalla quale era entrata pochi minuti prima lasciando dietro di sè una delicata scia di profumo.

Chissà perchè quel profumo gli era familiare....ma dove lo aveva sentito prima?

Si voltò a guardarla ma lei era girata di spalle.

Era alta, capelli scuri, un elegante tubino nero lungo fino alle ginocchia e raffinatissimi sandali dal tacco vertiginoso.

"Si signorina,  ho capito. Sarò lì fra circa un'ora";

".....troverà la nostra incaricata ad attenderla. Le auguro buon viaggio Signor Kaulitz".

"Grazie mille".

Bill fissava insistentemente quella donna. Non sapeva il perchè ma ne era incuriosito.

"Signor Kaulitz, il suo conto".

"Si certo...." aprì il portafogli ed estrasse la carta di credito.

Intanto una coppia uscì dalla sala d'aspetto.

Lo superarono appena quando una voce maschile disse:

"Elena, finalmente!".

Sentendo quel nome il suo cuore perse un battito.

Si voltò in direzione della porta di scatto e quando la vide voltarsi gli mancò il respiro.

Era Elena; ....la sua Elena.

Sbarrò gli occhi per la sorpresa e sbiancò.

Si sentì mancare la terra sotto i piedi: il sangue pulsava velocemente nelle tempie, la gola improvvisamente arida, i polmoni  che reclamavano ossigeno mentre gocce di sudore freddo precipitavano lungo la schiena.

Era un'apparizione, un fantasma.....non...non poteva essere lei! E, proprio come quando ci si trova difronte ad un fantasma, era impietrito: il corpo rigido, le gambe pesanti come tronchi e gli occhi completamente rapiti dalla sua immagine.

Il suo cuore non accennava a calmarsi e lo sentiva martellare con forza nel petto.

Provò a pronunciare il suo nome ma non riuscì ad emettere alcun suono.

Quanto era bella!

Il tempo era passato ma con lei era stato clemente.

Il viso levigato, la figura alta e sottile, le gambe tornite, le caviglie sottili.....si era proprio come allora.

Quegli occhi scuri appena segnati da un trucco leggero, erano sempre gli stessi: luminosi e pieni di calore.

Il suo sorriso era esattamente come lo ricordava, sincero e contagioso e, mentre sorrideva, le sue belle labbra morbide e piene disegnavano due piccole pieghe ai lati della bocca e il suo viso esprimeva calma e serenità sebbene fosse segnata dalla stanchezza.

La sua pelle morbida e vellutata aveva ancora i toni bruni del miele.

Solo i capelli erano più corti: le lunghe ciocche lisce avevano lasciato il posto ad un elegante caschetto.

Era lì, a pochi passi da lui....poteva quasi sfiorarla.

Non riusciva a crederci, dopo ventisei anni era difronte a lui.

"Quest'anno ti sei fatta attendere, cara";

l'anziano signore si sporse in avanti baciandola su una guancia.

"Me ne dispiace tanto ma il lavoro mi ha trattenuta a Bruxelles".

"Non importa; ciò che conta è che sei qui adesso. Quanto tempo ti tratterrai?";

la signora al suo fianco le stringeva calorosamente la mano.

"Fino alla fine di luglio, spero".

"Come ogni anno";

"Si, come ogni anno....".

La sua voce....

era un suono così dolce e melodioso anche se non aveva capito nulla di quello che stava dicendo.

Improvvisamente si destò da quel torpore e cosciente della sua presenza, un tremito lo scosse violentemente: non stava sognando.

No, non stava sognando ad occhi aperti.

Aveva desiderato così tanto rivederla.....  la sua mente non stava proiettando la sua immagine per torturarlo.

Era tornata....era tornata per davvero.

"Signor Kaulitz...si sente bene?";

"Cosa?!" la voce del receptionist lo scosse bruscamente.

"Le chiedevo se si sente bene, è pallido e madido di sudore: qualcosa non va?;

"No...no; va tutto bene grazie".

"Ok.  Come preferisce saldare? Assegno o Carta di Credito?";

Si voltò verso la porta di nuovo e li vide allontanarsi, mentre sorridenti continuavano a chiacchierare fittamente.

"Signor Kaulitz? Mi scusi ha sentito cosa le ho detto?"; si voltò verso l'impiegato infastidito e confuso.

"Ah! No. Io- io non parto più".

"Come?! Scusi non capisco";

"Ho deciso di fermarmi ancora" i suoi occhi erano nuovamente  su di lei.

"E' sicuro?";

"Come non lo sono mai stato in vita mia" e con lo sguardo continuava a seguirli.

"E per quanto tempo si fermerà?";

"Ancora non lo so....forse un giorno....o forse tutta la vita". L'uomo lo guardava interrogativo chiedendosi se il suo interlocutore fosse improvvisamente impazzito.

Ad un tratto Bill lo guardò con un enorme sorriso sulle labbra:

"Per favore, potrebbe chiamare qualcuno e far riportare i bagagli nella mia camera? Scusi ma, ho una certa fretta" poi gli elargì una grossa mancia e si precipitò fuori.

continua

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX ***


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Capitolo XIX

Quella notte non riuscì a chiudere occhio.

Rientrò in albergo che erano quasi le tre ma era talmente emozionato e preoccupato allo stesso tempo che non riuscì ad addormentarsi.

Ripensava a come gli eventi fossero mutati così rapidamente, nel giro di pochi istanti e con essi anche la sua vita poteva prendere forse una svolta diversa.

Rivedeva Elena, il suo sorriso, i suoi occhi dolci, la gentilezza dei suoi modi, la grazia dei suoi movimenti….

Quanto era bella!

Sembrava che il male che le aveva inferto, non avesse minimamente scalfito il grande entusiasmo, la gioia di vivere e la grande e profonda intensità con cui affrontava gli eventi….persino quelli più dolorosi.

Era un dolce, meraviglioso, piccolo, grande sogno e lui non voleva assolutamente risvegliarsi.

E se avesse avuto ragione Kora?

Se veramente attendesse il suo ritorno?

Il solo pensiero gli faceva battere forte il cuore.

Cielo! Doveva darsi una calmata!

Si stava comportando come un ragazzino….

però, era una gran bella sensazione!

Aveva dimenticato cosa si provasse a sentire di nuovo le farfalle nello stomaco, ad emozionarsi ed avere quel sorriso da ebete stampato sul viso.

Era bello riscoprirsi innamorato alla sua età…

E se invece non fosse lì per lui?

Cosa avrebbe fatto?

Come avrebbe reagito?

Sarebbe stato in grado di affrontare la situazione senza sembrare patetico o da commiserare?

“Non voglio pensarci! Non adesso”; 

ma più cercava di scacciare quel pensiero e più affiorava prepotente trasmettendogli inquietudine e irrequietezza.

E intanto il tempo passava e la notte lasciava il posto ad un nuovo giorno.

Solo all’alba, i pensieri cessarono di scalpitare e gli concessero un pò di riposo.

Qualche ora più tardi, si svegliò di colpo con il cuore che batteva velocemente.

Si mise seduto sul letto e si strofinò vigorosamente gli occhi.

La luce accecante del sole filtrava attraverso le persiane semi-chiuse.

Quanto tempo aveva dormito?

Con la vista ancora annebbiata prese il suo prezioso cronografo dal comodino e guardò l’ora.

Erano già le undici!

Doveva sbrigarsi.

Elena era mattiniera e, se non aveva perso quell’abitudine, era già sulla spiaggia a prendere il sole.

Corse in bagno a farsi una doccia, si fece la barba e si rivestì più velocemente che potè  poi raggiunse la spiaggia con il cuore in gola.

Confondendosi tra i bagnanti, attraversò tutto il sentiero nella pineta e appena arrivò sulla spiaggia, si tenne il più lontano possibile dal vecchio bar e dallo stabilimento balneare.

La cercava con lo sguardo in mezzo a quel caos di persone, di risate allegre, di musica a tutto volume, di ragazze che passeggiavano lungo la riva e bambini che facevano disperare le loro mamme perchè volevano assolutamente restare in acqua.

Il suo sguardo si spostava da un lato all’altro di quella grande spiaggia senza riuscire a vederla.

Ma dove era finita?

Non poteva aver cambiato abitudini e, se veramente era lì per lui, non poteva aver cambiato spiaggia!

Poi, d’improvviso, vide qualcosa che catturò la sua attenzione.

Per una strana, quanto sconosciuta ragione, i suoi occhi catturarono un cappello di paglia.

Era una cosa alquanto curiosa visto che erano passati di moda ormai da quasi vent’anni.

Focalizzò meglio quel cappello e….la sua proprietaria.

Se ne stava distesa al sole con quel cappello appoggiato su una borsa  mentre sorseggiava una bibita ghiacciata.

Si avvicinò di qualche metro restando comunque nell’anonimato sebbene i suoi tatuaggi non passassero inosservati e attiravano gli sguardi dei curiosi.

La donna appoggiò il bicchiere al tavolino accanto, poi prese il cappello di paglia e lo indossò.

Il cuore di Bill iniziò a battere forte: …il suo foulard.

Per tutti quegli anni, Elena aveva conservato  quel vecchio foulard.

Stava per avvicinarsi ancora un pò quando sentì il cellulare squillare.

Senza badare chi fosse, rispose in automatico:

“Pronto?”;

….”Pronto? Pronto papà?” la voce di sua figlia sembrava lontanissima e disturbata.

“Kora? Mi senti tesoro?”;

…”Male ma sì, ti sento. Papà ho letto il messaggio che mi hai mandato ieri… non dirmi che sei partito! Non puoi andartene proprio ora. Aspetta ancora qualche giorno….concediti ancora un pò di tempo…..almeno pensaci su, non fare come al solito, non mandare tutto all’aria! Papà…papà mi senti?”;

Bill sorrise sentendo quanto entusiasmo e quante speranze aveva riposto sua figlia in questo viaggio.

“Si, ti sento e no: non sono partito”;

….”Oh meno male!” La sentì tirare un enorme respiro di sollievo.

“L’ho vista”;

….”Cosa?!” ;

Kora diede un urlo che Bill fu costretto ad allontanare il  cellulare dall’orecchio.

….”Vuoi dire….vuoi dire che”;

“Si è qui, proprio davanti a me”; sorrise e si passò una mano tra i capelli.

….”Non ci credo, non ci credo non ci credoooo!  E’ bellissimo papà. Ti rendi conto dopo tutti questi anni lei è lì ma raccontami….voglio sapere tutto e non omettere nessun dettaglio capito?”;  in questo era identica a suo padre: curiosa e chiacchierona.

“Ecco ieri sera, dopo che ti ho mandato quel messaggio, ho fatto le valigie, intenzionato ad andarmene. Sono sceso nella hall per pagare il conto e farmi portare l’auto quando mi si avvicina una donna. Onestamente non ho badato a lei, stavo risponendo  ad una telefonata quando  ho sentito qualcuno alle mie spalle dire - Elena!- mi sono voltato e lei era lì”.

…”Oddio papà ma è una cosa meravigliosa!” ; Kora non era più nella pelle.

“Già è una cosa meravigliosa”.

….”E dimmi com’è? E’ ingrassata, ha tante rughe? E’ ancora una bella donna?”;

“Più bella di quanto la ricordassi!”.

….”Ha ancora quei capelli lunghissimi?”;

“No, li ha tagliati. Adesso ha un taglio dritto molto elegante, i capelli le arrivano alle spalle e sai una cosa?”;

…”Cosa?”;

“Adesso indossa le scarpe con i tacchi altissimi”;

“Davvero?”;

“Si. Da ragazzi la prendevo in giro perchè indossava sempre scarpe molto basse e per ripicca scommise con me che nel giro di poco avrebbe imparato ad indossare i tacchi”.

….” Bellissimo. E tu che hai fatto? Sei andato da lei, ti sei fatto riconoscere? E lei? Lei cosa ha fatto quando ti ha rivisto? Oddio immagino che sia rimasta senza parole per la sorpresa….mi immagino tutta la scena”;

“Calma, calma non correre”.

….”Che vuol dire? Forse si è dimenticata di te? Non ti ha riconosciuto? Ti ha detto forse che dovevi andartene e non farti più vedere?”.

“Kora! Insomma mi lasci il tempo di spiegare?”

finalmente silenzio.

“Ecco io…quando l’ho vista…insomma….”;

…”Papà ti decidi a dirmi che è successo?”;

Sospirò rassegnato: con quella ragazza non c’era proprio niente da fare.

“Non è successo niente”.

….”Come non è successo niente?”.

“Ecco, vedi, io quando l’ho vista, non ho saputo reagire. E’ stato uno shock credimi. Vederla così bella, vedere quel suo sorriso dolce, quegli stessi occhi scuri….insomma mi sono sentito talmente insicuro….tu mi conosci, lo sai che non sono un pappamolle no? Eppure non ho avuto il coraggio di presentarmi da lei e dirle - Ciao Elena, sono Bill. Ti ricordi di me?”.

….”Quindi lei ancora non sa che sei tornato?“;

“No”.

….”E che hai fatto dopo? L’hai lasciata andare via?”.

“No figurati, l’ho seguita…per tutta la sera”.

….”Cosa?!  E se ti avesse scambiato per un delinquente?”;

“Ma no, che dici? Sono rimasto a debita distanza e poi lei non era sola”;

….”Era con un altro?“;

“No con una coppia di anziani, direi che sono amici di vecchia data o almeno questa è l’impressione che ho avuto. Sono andati a mangiare in un ristorantino sul mare…da giovani ci andavamo spesso insieme”;

…”E poi?”;

“e poi hanno fatto una passeggiata sul lungomare e più o meno alle due l’hanno riaccompagnata a casa. Non ci crederai, ha ancora quella casetta  dove veniva da ragazza con la sua famiglia a trascorrere le vacanze”.

….”E’  tutto così bello ma, adesso che pensi di fare?”;  il tono di Kora era diventato improvvisamente serio.

Bill si sistemò meglio gli occhiali da sole.

“Onestamente non lo so”;

….”Ma papà! Devo insegnarti proprio tutto! Devi andare da lei e subito, altrimenti sciuperai altro tempo prezioso!

Come al solito quella piccola peste si rivelava più saggia e più matura della sua età.

….”Che hai addosso?”,

“E questo che importanza ha?”;

….”Ha una importanza enorme invece! Devi essere più bello ed affascinante che mai. Devi fare colpo su di lei”;

“Un costume blu a fiori bianchi”;

….” Ma è vecchio quasi quanto te!”

“Lo so ma è l’unico che sono riuscito a trovare prima di partire”.

….”Beh,pazienza….e sopra?”;

“Quella camicia di lino bianco che ti piace tanto”.

….”Perfetto. E lei? Che indossa?”;

“Perchè vuoi saperlo?”;

….”Perchè sono curiosissima! Se potessi, in questo momento, vorrei diventare piccola piccola e vedere quello che succede”.

Bill scoppiò a ridere.

“Un costume nero con delle perline mi sembra…”;

….”Bikini o intero?”;

“Intero”;

….”E’ di classe. E, niente altro?”.

“Un cappello di paglia, esattamente come quello che aveva nelle foto: non ci crederai ma ha ancora quel vecchio  foulard azzurro”.

….”E’ incredibile! Lo sai che vuol dire?” urlò forse più forte di prima;

“Che è molto affezionata a quel cappello?”;

….”Papà tu non capisci niente!” disse con un tono al limite dello sconforto e della rassegnazione;

“Perchè?”;

….”Perchè quel cappello è un segnale, un modo per farsi riconoscere nel caso un giorno tu tornassi da lei!”;

“Ecco, io-io non ci avevo pensato”.

….”Questo significa che spera ancora di vederti arrivare su quella spiaggia….”.

Bill si voltò a guardarla: possibile che Kora avesse ragione? Che dopo vent’anni lei fosse ancora lì ad aspettarlo?

….”Papà, adesso va da lei”.

“Non credo di essere in grado di farcela”;

….”Non avrai più un’occasione come questa. Adesso devi scoprire se lei è lì per te”.

“E se invece non lo fosse?”;

…..”La smetti di preoccuparti? Prendi un bel respiro e buttati”.

“Ok, ok… farò così, un bel respiro e mi butto. Allora ciao eh?”;

…”Papà?”;

“Si?”;

…”Ti voglio bene”.

“Anch’io tesoro ” e riagganciò.

Bill prese un bel respiro, poi ne prese un altro e un altro ancora ma non si decideva a fare un passo nella sua direzione.

Ripeteva mentalmente le stesse parole e cercava di farsi coraggio.

“Dai, posso farcela, si, posso farcela dopotutto che ci vuole? Mi avvicino a lei con l’aria disinvolta, le sorrido, poi mi tolgo gli occhiali….o forse è meglio metterli via? Magari non mi riconosce subito e mi scambia per uno che vuole provarci….beh, in fondo voglio provarci….ma che diavolo vado a pensare?”;

Lei intanto si era alzata dal lettino e si stava dirigendo verso il bar.

Improvvisamente si sollevò un vento forte che le fece volare via il cappello.

Elena iniziò a rincorrerlo ma il vento lo trasportò lontano fino a quando si fermò ai piedi di Bill.

Lui  lo raccolse  e un nodo gli strinse la gola: la storia continuava a ripetersi….il loro destino era legato a quel vecchio cappello.

Sorridente, con l’aria imbarazzata gli si avvicinò lentamente:

“Grazie mille. Mi scusi, ma” non riuscì a terminare la frase che Bill la terminò al posto suo in tedesco;

“….ma è tutta colpa di questo vento”.

Elena sollevò lo sguardo: era paralizzata dallo stupore.

Gli occhi sbarrati lo fissavano cercando di riconoscere qualche dettaglio del suo volto, le sue labbra tremavano, aveva il respiro corto e affannoso, il cuore batteva forte nel suo petto mentre una tempesta di emozioni e di sentimenti la scuoteva violentemente.

Boccheggiava, sembrava volesse dire qualcosa ma la voce non voleva saperne di venire fuori.

Improvvisamente gli occhi le si riempirono di lacrime e sentì che le gambe stavano per cedere.

Bill, con mani incerte le porse il cappello:

“Ciao Elena “.

Quella voce…..

Lei chiuse gli occhi e trattenne il respiro:  nelle orecchie risuonarono con forza le ultime parole che si erano scambiati:

-Tornerò alla fine della Stagione delle Piogge e ti porterò via con me. Mi aspetterai?-

- Ti aspetterò per tutta la vita, te lo giuro-

Sentiva i brividi correre lungo la schiena e per un attimo credette di svenire.

Richiamò a sè tutto il suo coraggio, riaprì gli occhi e, sebbene le mani continuassero a tremare, prese il cappello dalle sue.

Bill si tolse gli occhiali e finalmente riuscì a trovare la forza per incrociare il suo sguardo.

“Bill…sei proprio tu?”.

continua

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Capitolo 20
*** Capitolo XX ***


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Capitolo XX

"Bill...sei proprio tu?";

Bill annuì senza rispondere.

Elena si specchiava nei suoi occhi marroni e non riusciva a credere che fosse tornato dopo tanto tempo.

Le girava la testa, sentiva le orecchie ronzare e le gambe sempre più molli.

Mille ricordi le tornarono alla mente mentre il suo cuore batteva ancora troppo velocemente.

Entrambi si scrutavano a vicenda ma nessuno dei due aveva il coraggio di aprire bocca.

Erano l'una di fronte all'altro, esattamente come ventisei anni prima e proprio come allora, gli occhi di Elena erano pieni di lacrime.

Sembrava che il tempo si fosse fermato, che i minuti, i secondi, durassero una eternità.

Era tutto così irreale,  sospeso in una bolla,  come se non esistesse più niente: nè il chiasso dei bambini, nè il vento tiepido che scuoteva i loro corpi rigidi ed ansimanti, nè il rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia.

C'erano solo loro due, i loro sguardi insicuri, le loro labbra tremanti, i loro battiti impazziti, i loro mille pensieri, le loro mille domande lasciate a vagare...

Poi, d'improvviso qualcosa si sbloccò; le labbra di Bill si aprirono in un sorriso un pò imbarazzato ed Elena, a sua volta, sorrise un pò incerta mentre una lacrima sfuggita al suo controllo precipitò lungo il suo bel viso.

Bill si sentiva inerme; quella tempesta burrascosa di sentimenti e sensazioni gli faceva mancare il respiro mentre Elena, con un gesto rapido, si asciugò  quella lacrima quasi vergognandosene.

"Che...che ci fai qui?";

"Come stai?";

Le loro voci si sovrapposero allegramente.

Si guardarono negli occhi e si sorrisero.

"Prima tu"; disse Elena.

"No, prima tu"; rispose Bill.

Elena abbassò lo sguardo: aveva il cuore in tumulto e mille domande le affollavano la testa.

"Che sorpresa.... non-non mi sarei mai aspettata di rivederti".

Bill annuì ancora una volta senza rispondere.

Il vento le scompigliava i capelli riversandoglieli sul viso.

Era così bella...proprio come allora.

Trovare delle parole che non suonassero patetiche o scontate in quel momento gli risultava veramente difficile.

Quel nodo che gli stringeva la gola gli impediva quasi di respirare.

"Come...come stai?";

la voce gli uscì un pò strozzata.

Elena gli sorrise dolcemente:

"Sto bene, grazie... e tu?";

anche lei era a disagio e come lui cercava di controllare le emozioni.

"Bene. Bene".

La conversazione era uno scambio di battute meccaniche; entrambi erano tesi ed impacciati eppure lei non sembrava affatto arrabbiata.

Era pacata, serena, la sua voce calma e  melodiosa gli trasmetteva una sicurezza che era ben lungi dal provare.

"Quando sei arrivato?" gli chiese ad un tratto.

"Una settimana fa più o meno";

"E... sei qui... da solo? Voglio dire" si affrettò ad aggiungere: "tuo fratello non è venuto con te?";

"No. Lui è rimasto a Los Angeles. Sono qui da solo".

Elena annuì continuando a sorridere.

"E tua cugina? Mi sembra che si chiamasse Alessandra";

"Oh, lei si è sposata e ha avuto due bambini. Adesso vive a Roma ma torna qui per le vacanze ogni anno. Ti ricordi? Lei e tuo fratello non facevano altro che litigare!" e scoppiò a ridere.

"Già. Discutevano e si rimbeccavano per ogni sciocchezza ma alla fine, erano diventati molto amici".

"E' vero".

"E tu.... tu sei qui ...da sola?";

Elena lo guardava teneramente con quei suoi occhi scuri e grandi.

"Si.... da sola".

Bill azzardò un pò imbarazzato guardandosi la punta dei piedi:

"Niente marito... o figli?";

Elena lo guardò di sottecchi:

"Niente figli e.... niente marito".

Bill tirò un enorme respiro sperando che lei non se ne accorgesse; il suo sguardo era capace di abbattere ogni sua difesa e proprio come tanti anni prima, lo faceva sentire insicuro.

"Tu, invece hai una figlia stupenda".

Bill sbarrò gli occhi per la sorpresa.

"E' una ragazza molto bella... ti somiglia molto: ha i tuoi stessi occhi".

Così conosceva Kora....ma come faceva a saperlo?

"Ho sempre saputo chi fossi, Bill Kaulitz".

Il cuore di Bill accelerò i battiti.

"Perchè ti meravigli tanto?";

" Ecco io....credevo che....veramente"; iniziò a balbettare.

"Non preoccuparti. Non ce l'ho con te per aver cercato di nascondermi la tua identità".

"Davvero?" le chiese come un bambino che è stato sorpreso a rubare dal barattolo delle caramelle.

"Davvero".

"....In tutto questo tempo tu... tu hai sempre saputo".

Elena annuì.

"E perchè non mi hai mai detto niente?";

"Perchè avevo compreso che volevi vivere quella vacanza come una persona qualunque. Volevi solo essere Bill, il ragazzo sensibile e gentile e non la rockstar di successo.  Avevi bisogno di mostrare la parte vera di te: il ragazzo premuroso e un pò imbranato che desiderava tanto avere degli amici e, che  per una volta, non doveva  nascondersi dietro quella maschera di trucco e di bugie".

Bill chinò di nuovo lo sguardo, non riusciva più a sostenere la luce che sprigionavano i suoi occhi.

"Ora capisco..."; sussurrò appena.

"Cosa?"; gli chiese curiosa.

"Perchè non mi chiedevi mai niente, non mi facevi mai domande... ".

Elena annuì di nuovo sorridendo.

Bill continuava a tenere la testa bassa: ora si sentiva ancora più fragile; ancora più vulnerabile.

Continuava a ripensare alle parole che aveva appena udito: ancora una volta Elena era stata capace di sorprenderlo.

Sapeva chi era, sapeva dove trovarlo, sapeva che si era sposato, che aveva una figlia....  e non era mai andato a cercarlo per rinfacciargli quella vecchia promessa che non aveva mantenuto.

Perchè?

Quella domanda cominciava a rumoreggiare vorticosamente nei suoi pensieri;

E perchè, dopo tanti anni era ancora lì su quella spiaggia e portava con sè quel vecchio foulard?

"Ti va di fare due passi?";

quella strana richiesta lo destò portandolo alla realtà.

"Ma certo....con piacere".

Elena stringeva forte quel cappello e con le dita accarezzava nervosamente il foulard.

"Vivi ancora a Los Angeles?" gli chiese all'improvviso.

"No. Da quando io e Christine abbiamo divorziato sono tornato a vivere ad Amburgo per stare più vicino a Kora".

"Capisco".

"E tu? Vivi ancora a Milano? Stai sempre con i tuoi?".

La vide sospirare e mordersi le labbra.

Forse aveva toccato una nota dolente.

"I miei vivono ancora a Milano.  Io mi sono trasferita a Bruxelles".

"A Bruxelles? E come mai?" gli chiese curioso;

"Forse non te ne ricordi ma, il mio sogno era diventare ambasciatore".

Bill cercò di tornare indietro con la memoria ma per quanto si sforzasse, proprio non riusciva a ricordare.

"E ci sei riuscita?";

Camminavano lentamente, fianco a fianco potevano sentire l'uno il calore della pelle dell'altra ma entrambi facevano molta attenzione a non sfiorarsi.

"No" gli rispose sorridendo poi continuò: " la carriera diplomatica è riservata pochi eletti. Lavoro all'Europarlamento".

Bill la guardò carico di ammirazione.

"Deve essere un lavoro molto impegnativo...prestigioso anche".

"Impegnativo sicuramente ma non prestigioso. Sono la collaboratrice di un membro della Commissione. Traduco documenti, preparo discorsi, mi occupo degli appuntamenti ufficiali....cose del genere".

"Interessante" replicò cercando di immaginarsela mentre indossava un austero tailler che dettava ordini a destra e manca dietro una grande scrivania.

"E tu? Cosa fai adesso? Di cosa ti occupi?";

"Continuo a scrivere canzoni. Sono un produttore ma non dirmi che non lo sapevi....";

"Le ultime notizie che ho di te le ho apprese dai giornali e riguardavano il matrimonio della tua ex moglie. Eri.... molto elegante ".

Bill rimase in silenzio a lungo.

Chissà perchè quelle parole lo colpirono duramente.

Che idea si era fatta di lui in tutti quegli anni? Doveva aver sofferto molto a causa sua. Il tono rassegnato e dimesso con cui aveva pronunciato quelle poche parole  lo scossero profondamente.

Doveva cercare delle risposte e non era certo che Elena fosse disposta a dargliele.

Immaginava quanta sofferenza le avessero procurato le foto della nascita di sua figlia,del suo matrimonio mentre lei, su quella spiaggia attendeva il suo ritorno.

Si sentì un vigliacco per l'ennesima volta e per l'ennesima volta si vergognò di se stesso e di quello che le aveva fatto.

Certo lei non poteva sapere che tutta la sua vita era stata tormentata dai sensi di colpa e dal vuoto che lei gli aveva lasciato nel cuore.

Non poteva immaginare che il suo desiderio più grande era quello di poter tornare indietro per non ripetere quell'errore.

Non poteva comprendere la solitudine e l'amarezza che erano state sue fedeli compagne durante quei lunghi ventisei anni.

Doveva scoprire se c'era ancora qualcosa di quell'amore che li aveva uniti così profondamente quando erano ragazzini; voleva sapere a tutti i costi se quel sogno che lui aveva infranto poteva essere ricostruito; se le ferite che aveva causato al suo cuore erano finalmente rimarginate o se il suo ritorno ne aveva procurato delle nuove.

Si portò una mano alla testa e si massaggiò nervosamente una tempia sulla quale pulsava vistosamente una vena.

Senza accorgersene, avevano superato il tratto di spiaggia riservato ai lidi ed erano giunti in un tratto un pò isolato di quella grande spiaggia.

Un grande tronco liscio, consumato dall'acqua salata e dalla salsedine sembrava un relitto abbandonato alla deriva.

Elena si sedette e fece cenno a Bill di sedersi accanto a lei.

Entrambi guardavano la linea dell'orizzonte senza dire una parola.

I gabbiani volavano alti nel cielo e si lasciavano trasportare pigramente dal vento.

"E' tutto come allora" bisbigliò Elena;

Tu, io, questa spiaggia....sembra che il tempo non sia mai passato".

A quelle parole Bill si animò di speranza e stava per dirle qualcosa quando lei gli appoggiò un dito sulle labbra mettendolo a tacere.

"Non dire niente Bill... non voglio sentire nulla. Non voglio che ti scusi e nemmeno voglio leggere il rammarico nei tuoi occhi".

Lui la guardava senza capire.

"Il tempo ha lasciato i suoi segni e sono molto profondi. Ognuno di noi sceglie il proprio destino. Tu hai percorso la tua strada....io ho seguito la mia ma niente scuse....niente giustificazioni. Non so perchè sei qui, nè perchè sei tornato dopo tanto tempo...non mi importa".

Quegli occhi velati di lacrime che lo guardavano fin dentro l'anima gli causarono una fitta allo stomaco.

Era sempre la stessa ragazzina, con tanto amore per la vita e con un cuore generoso e forte che aveva sofferto per colpa sua.

Si era la sua Elena.

La sua Elena.

continua

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI ***


Ciao a tutti. Voglio chiedere scusa a quanti seguono questa storia. Sono sparita da oltre un mese, ho avuto un pò di problemi ma adesso è tutto ok e tornerò a postare con regolarità tutti i mercoledì. Grazie a tutti coloro che commentano e che hanno inserito la storia tra le preferite o le seguite: ne sono immensamente felice. Bacio

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Capitolo XXI

Erano rimasti lì, seduti su quel vecchio tronco chissà per quanto.

Elena fissava il mare e poi si voltava a guardare Bill ed inevitabilmente, tutte le volte i suoi occhi erano fissi su di lei.

La guardava con tenerezza e il suo sorriso esprimeva parole che in quel silenzio potevano essere ben udite dal suo cuore che, ancora incredulo, batteva  forte.

Lei gli sorrideva accarezzandolo con lo sguardo ma Bill non riusciva a decifrare quel sorriso, quegli sguardi velati di malinconia.

Nonostante il silenzio, le distanze che volutamente avevano creato fra di loro, sentirla così vicina  era un'emozione indescrivibile.

Percepire il suo respiro, sentire il fruscio del vento tra i suoi capelli, il suo profumo così intenso e così delicato lo rendevano vulnerabile.

Guardandola avvertiva prepotente dentro di sè il desiderio di toccarla, di sfiorare con una leggera carezza quel viso delicato, di stringerla forte al suo petto e di assaporare di nuovo quelle labbra che lo tentavano ad ogni sorriso.

Avrebbe voluto sussurrarle piano che gli era mancata terribilmente, che senza di lei la sua vita non era più la stessa e che ancora una volta voleva tornare in quell'universo di pensieri e di sentimenti che lei era e che tuttora rappresentava.

Voleva gridarle forte che l'amava profondamente e che mai nessuna aveva preso il suo posto in tutti quegli anni, desiderava ardentemente abbracciarla e rassicurare quegli occhi smarriti che questa volta non sarebbe scappato: che questa volta era tornato per restare.

In quel momento gli  bastava solo stringerle le mano ma, lei non glielo permetteva.

Era stata chiara: ognuno di loro aveva fatto delle scelte ma le sue dove l'avevano condotta? L'avevano cambiata? E fino a che punto era disposta ad aprirsi di nuovo a lui?

Comprendeva che era solo un meccanismo di difesa: in quei lunghi anni, la sofferenza e la disillusione dovevano essere state un prezzo molto alto da pagare ma lui doveva fare assolutamente fare qualcosa.

Doveva scoprire se provava ancora qualcosa per lui, se non era troppo tardi per loro, se finalmente era disposta a renderlo di nuovo immensamente felice....

Doveva procedere cautamente e soprattutto non doveva farsi trasportare dalle  emozioni.

Doveva restare lucido e aspettare i suoi tempi, procedere per gradi ed essere pronto a tutto, anche ad un suo rifiuto....

già....un rifiuto ma sarebbe stato in grado di sopportarlo? Proprio ora che si erano ritrovati, proprio ora che la felicità era a portata di mano.

"A cosa stai pensando?";

Elena aveva letto sul suo volto i suoi pensieri.

"A tante cose Elena...";

"anche io ho tanti pensieri..." disse mettendosi in piedi.

"Belli o brutti?" gli chiese curioso.

"Alcuni sono bellissimi" e il suo sguardo si illuminò assieme al suo sorriso ma all'improvviso cambiò espressione: increspò  la fronte e le labbra assunsero una piega di dolore e di cinismo che non gli conosceva.

"Altri invece, vorrei solo dimenticarli. La mia vita è stata un lungo cammino in salita...forse....forse un giorno te  lo racconterò ma non adesso. Piuttosto";

continuò sorridendo:

" sarebbe il caso di togliersi dal sole, rischi di prendere una scottatura con quella pelle chiara che ti ritrovi".

"Che...che ne dici se andiamo a mangiare un boccone ...ti va?" azzardò Bill;

"Mangiare? Ma che ore sono?";

"Le due" le rispose dopo aver guardato l'orologio.

"Cielo! Sono in ritardo....me ne sono completamente dimenticata! ";

afferrò il suo cappello e camminando a passo spedito si incamminò in direzione dei lidi.

Bill la raggiunse in un attimo:

"Allora, che mi rispondi?";

"Mi dispiace  ma ho già un impegno per pranzo....o meglio ce l'avevo mezz'ora fa".

"E per cena? Hai impegni?".

"No".

Bill sorrise compiaciuto: era solo un invito a cena ma era già un piccolo traguardo.

"Che ne dici di quel  ristorantino al porto? Te lo ricordi?".

"E come potrei dimenticarlo? Ci andavamo sempre".

"Va bene se passo a prenderti alle otto?";

Elena si voltò a guardarlo sorpresa: possibile che si ricordasse dove abitava dopo tanto tempo?

Scosse leggermente la testa:

"Non è il caso: ho la mia auto. Ci vediamo direttamente lì alle otto e trenta se per te va bene".

"Ok. Come preferisci".

Intanto erano arrivati proprio davanti a quel vecchio bar.

Elena si voltò in direzione del  lettino e fece un cenno con la mano ai due anziani signori che la attendevano con l'aria preoccupata poi si rivolse a Bill: "Beh, a questa sera".

"A questa sera..." Bill le sorrise mentre si allontanava per raggiungere i suoi amici quando all'improvviso  si fermò e tornò indietro.

"Bill io..." ma le parole morirono sulle sue labbra.

Abbassò lo sguardo senza avere più il coraggio di continuare.

Bill la guardava intensamente..... sentiva il cuore martellargli con forza contro il petto.

"Dimmi...cosa c'è?" le sussurrò piano avvicinandosi lentamente a lei e controllando a malapena l'impulso di prendere la sua mano e stringerla forte tra le sue".

"Niente. A questa sera".

Bill annuì vedendola allontanarsi e raggiungere la coppia. Solo un attimo prima di andar via,  si voltò a guardarlo e notò che lui era ancora lì a fissarla.

Lei gli sorrise poi indossò quel vecchio cappello e se ne andò.

Chissà cosa voleva dirgli....

Era euforico e una strana sensazione si impossessò di lui....era ....felice?!

Poteva finalmente pronunciare di nuovo quella parola dopo tanto tempo?

Si.

Era felice proprio come allora, quando il cuore di Elena batteva solo per lui.

Col cuore gonfio di aspettative e di speranza, tornò al suo albergo.

Elena  si era preparata con cura per quell'appuntamento.

Aveva indossato il suo vestito più bello, un abito nero dalle spalline large che lasciava interamente scoperta la schiena, stretto in vita e morbido sui fianchi lungo fin sotto al ginocchio.

Un grazioso scialle di leggera organza di colore rosa  avvolgeva le braccia e tra le mani stringeva una minuscola pochette.

Si era truccata leggermente e aveva indossato una semplice parure di diamanti composta da piccoli orecchini e da un collier dalla montatura sobria e raffinata.

Prima di scendere dall'auto si diede un'ultima occhiata nello specchietto retrovisore e si accorse che del rossetto non era rimasta traccia.

Aveva continuato a mordersi le labbra durante tutto il tragitto facendosi mille domande.

Perchè era tornato in Toscana?

Era tornato per lei? E se veramente era tornato per lei, cosa si aspettava? E lei? Come doveva comportarsi?

Quando lo aveva rivisto su quella spiaggia, non aveva creduto ai suoi occhi.

Era tutto troppo bello per essere vero....

Forse era tornato solo per mettere a tacere la sua coscienza.... non doveva illudersi di nuovo.

Bill era sempre Bill e questo non si poteva cancellare, come non si poteva cancellare il dolore, l'umiliazione, la solitudine.

L'immagine che quello specchietto rifletteva era quello di una donna spenta, senza più speranze o illusioni.

Tirò un enorme sospiro.

Aprì la borsetta e tirò fuori il rossetto, se lo applicò velocemente poi,  uscì dall'auto e dopo essersi stampata sul viso un sorriso di circostanza,  raggiunse l'ingresso.

Esitò solo un attimo prima di spingere la pesante porta.

Appena entrata fu investita da un allegro vocio di persone che chiacchieravano amabilmente e da una melodia che un pianista  eseguiva con maestria.

In quegli anni quel piccolo ristorante, poco più che una trattoria, aveva subito una grande trasformazione ed ora era il più elegante e sofisticato locale della zona.

Le luci soffuse rendevano l'atmosfera calda e accogliente e i piccoli dettagli come le tovaglie di pesante damasco e le candele accese lo rendevano il luogo ideale dove trascorrere una serata piacevole.

Si guardò intorno nel tentativo di vedere Bill seduto a qualche tavolo ma non lo vide.

Lui invece l'aveva notata fin dal momento in cui aveva varcato la soglia.

Era seduto al bancone del bar a bere qualcosa: aveva bisogno di rilassarsi e di ingannare l'attesa.

Appena la vide un enorme sorriso gli si disegnò sulle labbra ed iniziò ad agitarsi.

Era bellissima.

Il cuore all'improvviso accelerò i battiti ed una strana sensazione si impossessò di lui.

Quel vestito fasciava completamente le sue belle forme esaltandole.

Finalmente anche lei lo vide ed appena i loro occhi si incontrarono il suo cuore perse un battito.

Trattenne il respiro quando lo vide alzarsi ed avvicinarsi a lei.

Era bello da togliere il fiato con quella camicia bianca e la giacca scura che slanciava ancora di più la sua figura snella.

Le spalle larghe e dritte, i fianchi stretti, le lunghe gambe messe in evidenza dal taglio dritto e sottile dei pantaloni...e quel sorriso....quello sguardo.

"Buona sera Elena".

Elena sentì un brivido correre lungo la schiena.

"Buo-buona sera Bill" rispose timidamente.

"Prego, da questa parte" e la guidò al tavolo.

Si avvicinò alla sedia e l'aiutò ad accomodarsi.

"Grazie" disse con un filo di voce mentre tentava di sottrarsi al suo sguardo così intenso.

Si sedette di fronte a lei e la fiammella delle candele accese illuminava i loro volti.

"Sei bellissima".

Elena sorrise abbassando lo sguardo:

"E tu sei molto galante".

"Non è vero: dico solo ciò che penso".

Quella ammissione la fece sentire ancora più a disagio: Bill era disarmante; in questo non era affatto cambiato.

L'arrivo del cameriere interruppe la magia di quell'istante.

"Se i signori vogliono ordinare".

Elena diede una rapida occhiata al menù e scelse un'orata ai ferri accompagnata da patate speziate; Bill optò per un piatto di pasta al pesto e delle verdure grigliate.

"E da bere?";

"Del vino bianco secco, per favore" chiese Elena.

Bill la guardò interrogativo....da quando era diventata una estimatrice di vini?

"E per lei signore?";

"Ah...lo stesso grazie".

Elena aveva catturato la sua espressione di poco prima.

Sicuramente era sorpreso, così rispose a quella tacita domanda.

"Ho fatto un corso per sommelier qualche anno fa... con il mio lavoro è necessario avere molte conoscenze...e da lì ho imparato ad apprezzare il vino".

Bill annuì senza rispondere.

La fissava con occhi adoranti, come se la vedesse per la prima volta.

Elena invece si sforzava di non far trapelare le sue emozioni.

Col tempo aveva imparato a fingere molto bene, a dissimulare i turbamenti: semplicemente indossava una maschera di imperturbabilità e apparente calma.

Quegli occhi continuavano ad esercitare su di lei una grande influenza: quando la guardava in quel modo, le faceva provare delle sensazioni ormai sopite, emozioni che in tutti quegli anni si era sforzata di dimenticare senza riuscirci.

La faceva sentire bella e ammirata; le faceva battere il cuore talmente forte che sembrava dovesse scoppiare; la faceva sentire desiderata.

Solo le sue labbra tradivano quella inquietudine: tremavano quasi impercettibilmente e sebbene tentasse di nasconderlo, non era del tutto sicura che Bill ignorasse quel piccolo dettaglio.

Bill invece lo aveva notato e questo lo rese un pò più sicuro, un pò più audace.

"Sei sempre la stessa Elena";

"Che...che significa?" disse distogliendo lo sguardo dal suo.

La tenue luce delle candela rendeva i suoi occhi ancor più luminosi

Bill  scrutava con attenzione ogni gesto, ogni piccolo dettaglio, ogni singola espressione del suo viso;  appoggiò la mano sulla sua e con il pollice iniziò ad accarezzarle il dorso.

Elena sbarrò gli occhi.

Un nodo le strinse la gola mentre un lungo brivido le corse lungo la schiena.

Sollevò di scatto gli occhi specchiandosi nei suoi mentre i suoi respiri sempre più accelerati le facevano alzare ed abbassare il petto, seguendo il loro ritmo ansante.

Dopo tanto tempo sentire di nuovo il calore della sua pelle era  quasi un dolore.

"In tutto questo tempo, non sei cambiata affatto; sei la stessa ragazzina che ho conosciuto tanti anni fa".

Elena deglutì a vuoto.

Quel nodo stringeva sempre più forte e gli occhi le si velarono di lacrime.

"Puoi fingere di essere indifferente quanto vuoi ma io ti conosco, conosco il tuo cuore. Tu provi ancora qualcosa per me, significo ancora qualcosa nella tua vita....tu non immagini quanto"; ma lei sottrasse bruscamente la mano dalla sua e scattò in piedi come una molla.

"Tu non sai niente invece. Dici che conosci il mio cuore.... ma non hai esitato a farlo a pezzi e a gettarlo via. Perchè sei tornato Bill? Perchè non sei rimasto dove eri?" poi senza aggiungere altro scappò fuori.

"Elena!".

continua

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Capitolo 22
*** Capitolo XXII ***


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Capitolo XXII

"Elena!";

Bill si precipitò fuori dal ristorante nel tentativo di raggiungerla ma era troppo tardi.

Le ruote stridettero sull'asfalto mentre si allontanava velocemente da lì.

"Elena.....";

incrociò il suo sguardo solo per un istante: aveva il viso inondato di lacrime.

"Maledizione!" imprecò a denti stretti.

L'ultima cosa che voleva era farla soffrire ancora.

Rientrò nel locale, pagò il conto e poi si avviò al parcheggio.

Si avvicinò alla sua auto con l'aria mesta.

Quelle lacrime erano una sofferenza atroce.... e le parole che gli aveva detto....

si sentiva un verme.

Camminava avanti e indietro senza sosta, come un animale in gabbia.

"Sono un idiota! .....un perfetto idiota....".

- non hai esitato a fare a pezzi il mio cuore e a gettarlo via -

Prese a calci con forza una ruota e si strinse la testa fra le mani: quelle parole continuavano a riecheggiare nelle orecchie...forse un pugno sul viso avrebbe fatto meno male.

Doveva fare qualcosa.... non poteva restare lì, con le mani in mano mentre lei era chissà dove....

doveva cercarla, doveva spiegarsi; adesso doveva assolutamente dirle ciò che provava per lei, ciò che aveva rappresentato nella sua vita in tutti quegli anni.

- perchè non sei rimasto dov'eri? -

"Già....forse sarebbe stato meglio!" pensò con amarezza.

Con quanto dolore aveva pronunciato quella frase....sentiva il petto schiacciato in una morsa.

Senza attendere oltre salì in macchina e mise in moto.

Anche se avesse dovuto girare tutta la notte l'avrebbe trovata.

Vagò a lungo per le stradine secondarie e semi sconosciute, per le vie del centro, al porto ma di lei nessuna traccia.

Pensò che potesse essere tornata a casa.

Magari la quiete ed il silenzio di quelle quattro mura  l'avrebbero fatta sentire al sicuro....

Frenando bruscamente, invertì la direzione di marcia sollevando un coro di proteste e di clacson inferociti.

Non li sentì neanche.

Imboccò il viale alberato a tutta velocità, arrivò al cavalcavia quasi senza accorgersene e poi sul ponte che sovrastava l'autostrada fino alla grande rotonda facendo stridere le gomme sull'asfalto.

Arrivò al vialetto in preda all'agitazione e allo sconforto: vedeva i suoi occhi così tristi, quell'espressione così affranta, quelle lacrime precipitare lungo il suo bel viso....

Parcheggiò proprio davanti al suo cancello: si precipitò fuori dall'auto e suonò al citofono ma nessuno gli aprì.

Tutto era silenzioso e buio; si spostò un pochino per controllare se  sul retro ci fosse la sua auto.

Increspò la fronte ed iniziò a mordersi nervosamente le labbra: non era nemmeno lì.

Dove poteva essere?

Dove era andata a rifugiarsi?

Era quasi sul punto di arrendersi quando gli venne in mente l' ultimo posto dove ancora non l'aveva cercata.

Raggiunse la spiaggia che ormai era notte fonda.

Il cielo era coperto di nuvole: solo a tratti permetteva alle stelle di spuntare timidamente in quel cielo blu cobalto.

Procedeva adagio lungo il sentiero poco illuminato che conduceva al parcheggio della spiaggia.

"Finalmente!" si rincuorò appena vide la sua auto.

Immediatamente parcheggiò accanto alla sua  e si precipitò fuori.

"Elena!" gridò forte il suo nome ma lei non rispose.

"Elena, dove sei?"; ma ancora nulla.

"Elena rispondimi per favore...." ancora silenzio.

Corse fino alla spiaggia.

Il mare impetuoso, schiantava con forza le onde sulle sabbia e il vento agitava i pini e anche il suo cuore.

"Dove sei Elena...." man mano che passava il tempo la preoccupazione prendeva il sopravvento.

Aveva guardato praticamente ovunque ma non era ancora riuscito a trovarla.

"Se ti è successo qualcosa per colpa mia....io...non potrei mai perdonarmelo" pensava sempre più in ansia.

"Elenaaaa!" continuava a gridare il suo nome ma la sua voce era appena udibile; il rumore delle onde e il vento la coprivano disperdendola  nell'aria.

Raggiunse il vecchio bar, i lidi ma Elena sembrava sparita nel nulla.

Camminò lungo la spiaggia, alla ricerca di un indizio, di una traccia poi, quando il suo cuore ormai era in preda alla paura e all'angoscia, finalmente la vide.

Le nuvole si erano diradate un pochino permettendo alla luna di illuminare la spiaggia ed il mare in burrasca.

Elena se ne stava rannicchiata ai piedi di quel vecchio tronco.

Con le braccia si cingeva le gambe e aveva la fronte appoggiata alle ginocchia.

Bill si portò una mano al petto e tirò un enorme respiro.

Finalmente l'aveva trovata.

Si avvicinò lentamente a lei: la sentì piangere mentre tentava di nascondere il viso.

In quel momento avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non vederla in quello stato.

Era ad un passo da lei.

Vedeva il suo corpo scosso dai singhiozzi.

Non riuscì ad aprire bocca....

Elena si voltò a guardarlo: quegli occhi rossi e gonfi di pianto e di vento erano una lama conficcata nel petto.

Si sentiva inerme, annientato.

Era lui il responsabile di tutto quel dolore e non poteva fare nulla per alleviarlo.

Non riusciva a trovare il coraggio di parlarle, di confortarla.

In silenzio si sedette accanto a lei.

La guardò con tenerezza:  sentiva un nodo stringergli la gola e i respiri erano quasi un dolore.

"Elena, io..." ma non riuscì a finire la frase.

Elena gli appoggiò il viso sul petto lasciandosi andare ad un pianto sconsolato.

Bill le passò un braccio intorno alle spalle e la strinse più forte che potè.

"Perdonami amore mio... " il suo cuore gridò forte ma dalle sue labbra non uscì alcun suono;

".... perdonami".

Restarono così abbracciati a lungo in quella notte di tempesta.

Elena aveva pianto tanto: le emozioni l'avevano sfinita e si era addormentata con la testa ancora sul suo petto e stretta tra le sue braccia.

Bill si era sfilato la giacca, facendo attenzione a non svegliarla e poi la coprì per non farle prendere freddo.

La guardava mesto: cosa si nascondeva nel suo cuore? Cosa si agitava sotto quella apparente calma? Cosa era successo in tutti quegli anni durante la sua assenza?

Anche lei aveva sofferto molto e quella reazione ne era la dimostrazione evidente.

Cosa ne era stato della sua vita? Dei suoi sogni? Dove era finita quella ragazzina dolce e sognatrice che lo aveva fatto perdutamente innamorare di sè?

A guardarla così, mentre dormiva stretta a lui sembrava che il tempo fosse rimasto fermo a vent'anni prima.... solo che adesso non erano più dei ragazzi spensierati e le ferite erano ancora aperte.

-Cosa ho fatto?.... In tutti anni ho pensato soltanto a me, alla mia vita incasinata, ai miei fallimenti, ai miei errori... ma tu, tu non dovevi pagare un prezzo tanto alto.... non volevo Elena, credimi.  Mi sono illuso... si, ho sperato, ho voluto fortemente credere che tu fossi felice, che mi avessi dimenticato. Forse era il modo più semplice di mettere a tacere la mia coscienza, i miei sensi di colpa ma vederti così... non posso accettarlo. Mi si spezza il cuore. Avresti potuto avere una vita serena, avresti potuto avere una famiglia...magari dei figli e invece. Sei ancora qui, su questa stessa spiaggia a piangere ancora per me, per quella promessa che non ho saputo o forse non ho voluto mantenere... - pensava a tutte queste cose mentre la stringeva più forte.

Sapeva perfettamente che non avrebbe mai potuto rimediare al male che le aveva fatto ma, se lei glielo avesse permesso, avrebbe passato il resto della vita che gli rimaneva a cercare di farsi perdonare e a renderla felice...a rendersi felici perchè adesso come mai prima di allora aveva compreso che lei era tutto ciò che mancava nella sua vita.

Sebbene si sentisse una canaglia per come si era comportato, quel malessere, quel senso di vuoto che si trascinava dietro  lo aveva finalmente abbandonato: era come se la sua anima si fosse improvvisamente ricongiunta a quella di Elena ritornando ad essere una cosa sola.

"Mmm..." Elena si sfregò gli occhi con una mano mentre il suo respiro veniva smorzato da un singulto.

Aprì gli occhi lentamente e vide la sua immagine sfuocata.

Bill le sorrise dolcemente.

"Buon giorno".

"Non era un sogno..." disse mettendosi dritta e scostando un pochino la sua giacca.

Le prime luci del mattino cominciavano ad affiorare nel cielo ancora buio della notte.

"Avresti preferito che svanissi assieme alla notte appena trascorsa?" le chiese intimorito.

"No"; finalmente si voltò a guardarlo negli occhi.

Aveva il viso segnato, il trucco disfatto e gli occhi ancora rossi.

"Non bisogna aver paura del proprio passato, affrontare i suoi fantasmi e fare i conti con il proprio dolore".

Si mise in piedi a fissare l'orizzonte.

Aveva ripreso il controllo di sè e della situazione: indossava di nuovo quella maschera di risolutezza e di distacco ma non aveva perso la sua dolcezza.

Bill la guardava con ammirazione: c'era tanta dignità e forza d'animo in lei che non poteva non esserne impressionato.

"Sii sincero con me Bill, almeno questa volta";  Elena lo guardava implorante.

"Perchè sei tornato qui dopo tutti questi anni?"

Bill sospirò pesantemente, rivolgendo lo sguardo alle onde che pigramente si allungavano sulla spiaggia mentre le acque del mare specchiavano come un immenso manto di velluto blu, le ultime stelle del cielo della notte.

"Non lo so. Non so cosa mi abbia spinto a venire fin qui....forse l'insistenza di Kora, forse i ricordi di una estate meravigliosa, forse trovare finalmente un pò di pace....se solo sapessi quanto sono stanco di questa vita".

Elena  guardava le sue spalle curve, quell'aria così afflitta e quegli occhi velati, lei non aveva mai visto tanta malinconia in quegli occhi che ricordava così profondi ed espressivi

"Forse sto solo cercando di ritrovare me stesso".

"Capisco" disse dopo un lungo sospiro.

Quante attese disilluse.

Perchè si aspettava che fosse tornato per lei? Perchè sperava ardentemente che anche lui, forse si sentiva incompleto, che quella forza che la spingeva inevitabilmente a tornare in quel luogo, nello stesso periodo, spingesse anche lui a mantenere fede a quella vecchia promessa, a completare la sua vita così vuota e così insignificante da quando non era più tornato.

"Ti-ti auguro di trovare al più presto quella serenità che tanto cerchi Bill... " si voltò,  raccolse i sandali e lentamente si incamminò lungo la spiaggia.

Aveva percorso solo pochi passi quando la voce di Bill la raggiunse.

"Sarà difficile che io trovi la serenità, se te ne vai".

Elena sentì una fitta proprio in mezzo al petto, sentiva il cuore battere forte ed il respiro accelerare.

Si voltò un tantino e lo vide  ancora seduto ai piedi di quel vecchio tronco che la guardava.

Si fissarono a lungo senza dire nulla.

"...Se riuscirai a dimenticare il tempo....se riuscirai a  perdonarmi  per il male che ti ho fatto....forse potrebbe esserci una seconda possibilità per noi....una seconda possibilità per  essere felici".

Si alzò e lentamente la raggiunse.

Ora erano l'uno difronte all'altra, i loro occhi si riflettevano come specchi nelle spire dell'anima.

"Tu sei quella pace che tanto desidero Elena.... sei tu che manchi in questa mia vita ..."

Bill le prese il viso tra le mani ed Elena abbassò lo sguardo e all'improvviso le sue labbra si posarono sulle sue delicatamente,  con timore.

Lei tremava tra le sue braccia: era così fragile e vulnerabile in quel momento ma all'improvviso gli lanciò le braccia al collo e rispose a quel bacio con una dolcezza struggente.

Si stringeva forte a lui e aveva quasi il timore che da un momento all'altro svanisse.

Bill si stacco da lei per un attimo per poterla guardare negli occhi.

"Sono tornato per restare Elena... non andrò mai più via, te lo giuro".

Elena aveva gli occhi velati di lacrime.

"... Te lo giuro".

continua

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Capitolo 23
*** Capitolo XXIII ***


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Capitolo XXIII

"Kora, per caso hai visto in giro la mia collana di perle?";

La voce di Christine proveniente dal corridoio non le fece distogliere lo sguardo dai libri.

"L'hai lasciata in bagno...";

Christine andò a recuperare la collana:

"Che distratta!";  esclamò entrando nella sua camera mentre, davanti al grande specchio di Kora, indossò la collana e si guardò con l'aria soddisfatta.

"Sei proprio sicura di non voler venire con noi stasera?";

"Mamma, lo sai fra qualche giorno ho gli esami e non posso concedermi distrazioni. Voglio finire alla svelta per dedicarmi ai preparativi della mia mostra".

"Mi sarebbe piaciuto tanto passare la serata tutti e tre insieme, è da tanto che non lo facciamo ma d'altro canto gli esami hanno la priorità".

Finalmente Kora si decise a sollevare gli occhi e a guardare sua madre.

La osservò per alcuni istanti con sguardo critico:

"Sei molto bella mamma, quel vestito ti sta veramente molto bene".

"Grazie tesoro" le sorrise attraverso lo specchio mentre si metteva il rossetto; quel complimento tanto inatteso quanto spontaneo di sua figlia le fece immensamente piacere.

Negli ultimi tempi Kora sembrava così distante.

Era sempre concentrata sullo studio o passava il suo tempo chiusa nel suo piccolo laboratorio a dipingere.

Era diventato pressoché impossibile riuscire a passare un pò di tempo insieme.

Ripensava a quando era bambina e non si staccava un attimo da lei...poi tutto era cambiato.

Il divorzio l'aveva resa schiva, silenziosa a volte irraggiungibile.

Quando la guardava Christine non poteva fare a meno di provare dei rimpianti e un enorme senso di colpa per averla separata da suo padre che adorava.

Una profonda ruga le segnò la bella fronte: il passato aveva lasciato segni indelebili anche per lei.

Bill era sempre stato il grande amore della sua vita e, nonostante tutto lo amava ancora ma il loro matrimonio, la loro vita insieme era stato un terribile, tragico errore.

"Mamma, stai bene?";

"Cosa?!" la voce di Kora la destò da quei pensieri.

"Avevi una strana espressione sul volto poco.... il tuo sguardo vagava nel vuoto. A cosa stavi pensando?";

"A nulla di importante" si affrettò a rispondere mentre distrattamente si sistemava i capelli.

Tirò un grosso respiro e poi si sedette sul letto, accanto a sua figlia.

Le accarezzò il bel viso e le sistemò una ciocca ribelle che le copriva gli occhi, dietro un orecchio.

Si specchiò brevemente in quegli occhi marroni e non potè fare a meno di pensare che quello sguardo, quella intensità, l'espressione dei suoi occhi era identica a quella di Bill.

"Cosa stai studiando?";

"Storia....";

"Mmm.... quando andavo alle superiori detestavo questa materia. Non ho mai avuto buona memoria con le date";

quell'affermazione strappò un'allegra risata a Kora.

"Ah! Vedo che mi prendi in giro, eh?";

"No, figurati" affermò con forza.

"Al contrario; papà mi ha detto che eri una sorta di genio!";

quell'affermazione la sorprese.

"Tuo padre ti ha parlato di me?";

"Papà parla spesso di te" e tornò a ficcare la testa su quel paragrafo della rivoluzione russa che faceva una gran fatica a ricordare.

".....e cosa ti ha raccontato di me?";

"Che sei brillante, spiritosa, molto determinata e che quando vi siete conosciuti è rimasto colpito dai tuoi splendidi capelli ricci e rossi e dal tuo entusiasmo".

"Davvero ti ha detto questo di me?";

"Già".

Christine sospirò pesantemente.

Si alzò dal letto e si affacciò alla finestra.

Il solito chiasso caotico del traffico serale di Amburgo, le luci gialle che illuminavano le strade e il suo sguardo perso nei ricordi.

"Mamma?";

"Mmm?";

"Mi racconti di quando hai conosciuto papà?";

Christine si voltò a guardarla: Kora non le aveva mai chiesto niente del suo passato.

"Che... strana domanda".

"E perchè? Papà mi ha raccontato tutto di voi, di quando vi siete conosciuti a Los Angeles.... e tutto il resto".

Chissà perchè Bill aveva fatto una cosa del genere....

"Cosa vuoi esattamente sapere?";

"Cosa hai pensato quando lo hai visto la prima volta? Papà è un uomo molto bello e sicuramente non era un tipo che passava inosservato.

"Già"; sospirò di nuovo.

Si avvicinò a sua figlia e tornò a sedersi sul letto.

"Credo.... credo di essere sempre stata innamorata di tuo padre. Da ragazza adoravo la sua musica. Una volta sono perfino scappata di casa per andare a vedere un suo concerto!.... Nonna Jaqueline quando lo scoprì mi mise in castigo per un mese" e scoppiò a ridere.

Kora osservava sua madre con molta attenzione.

Da quando aveva iniziato a parlare di suo padre il suo sguardo si era illuminato e un sorriso allegro si era dipinto sulle sue belle labbra.

"E' strano il destino... tanti anni nella stessa città senza mai incontrarsi e poi.... dopo tanti anni, a tanti chilometri di distanza, in una città straniera... è stato immediato, direi fulmineo. Mi incantò con il suono della sua voce, con la sua risata strana ma tanto buffa, con i suoi sguardi che ti arrivano fin dentro l'anima, con i suoi modi galanti. Eravamo soli, in un Paese che non era il nostro, avevamo bisogno l'una dell'altro. Credo che quello sia stato il periodo più bello e felice della mia vita.... poi sei arrivata tu e tutto era assolutamente perfetto: non avrei potuto chiedere di più dalla vita".

"E poi... cosa è successo?" Kora la incitò a proseguire e a tirare fuori gli scheletri del passato: mai come in quel momento lei e sua madre erano state tanto vicine.

Lo sguardo di Christine si rabbuiò.

"Vedi tesoro, tra me e tuo padre c'è sempre stato qualcosa che ci divideva.... qualcosa che non ci permetteva di essere felici come avremmo dovuto.... credo che Bill ce l'abbia messa tutta per far funzionare le cose ma forse, io non ero abbastanza.... non ero la persona giusta".

La guardò con tanta tristezza.

Quell'ammissione doveva essergli costata tanto.

"I suoi ricordi lo tenevano continuamente lontano da me. Si sentiva un uccello in gabbia e per quanti sforzi facessi, il mio grande amore, non era abbastanza. Il suo cuore apparteneva irrimediabilmente ad un'altra donna".

"Ti riferisci....ad Elena?"

Sua madre la guardò incredula: le lacrime cominciarono a rotearle negli occhi e il mento iniziò a tremare.

"Come... come sai di lei?" disse a fatica.

"Papà mi ha raccontato tutto. Tu, invece come lo hai scoperto?".

"Nel modo peggiore" tagliò corto.

"Che vuoi dire?" ma sua madre non rispose.

"Perchè non vuoi dirmelo mamma? Parlarne non può fare altro che aiutarti. Ora sei finalmente felice con Robert, ti sei ricostruita una vita... devi dimenticare il passato e guardare avanti".

"Non è così facile come sembra tesoro. Non si può dimenticare una cosa come questa.... non si possono cancellare attimi indescrivibili passati tra le braccia dell'uomo che ami e sentirsi chiamare con un nome che non è il tuo".

Kora ammutolì di colpo.

Con quanta sofferenza sua madre aveva pronunciato quelle parole.

"Io.... io non volevo, scusami mamma".

"Non scusarti tesoro, non è colpa tua. La colpa semmai è mia ma ero troppo giovane e troppo innamorata. Ho pensato che con il tempo le cose sarebbero cambiate, che sarei riuscita a fargli dimenticare quella donna e che forse un giorno mi avrebbe amato esattamente come lo amavo io.... invece è stato tutto un errore".

Christine faceva fatica a controllare il dolore ed una lacrima scivolò lungo il suo viso levigato di porcellana.

"Una sera... una come tante.... tuo padre aveva alzato il gomito. Aveva bevuto talmente tanto che faceva fatica addirittura a stare in piedi. Lo avevo chiamato tante volte per darti la buonanotte ma non ero riuscita a trovarlo da nessuna parte. Andai nel suo studio.... era seduto sul divano.... aveva il bicchiere in mano... guardava un album di foto.  Piangeva come un bambino e continuava a pronunciare il suo nome... ero furiosa, arrabbiata, ferita. Nemmeno dopo la tua nascita era riuscito a dimenticarla. Mi avvicinai a lui, afferrai la bottiglia e la lanciai con forza sul pavimento poi presi quell'album e stavo per gettarlo nel fuoco... volevo bruciarlo! Volevo bruciare quelle foto, volevo bruciare il suo ricordo, cancellare il suo nome, distruggere ciò che rappresentava...tuo padre me lo strappò dalle mani e mi spinse con forza facendomi cadere rovinosamente sul divano. Mi gridò in faccia che non mi amava... che non mi aveva mai amato e che nessuno mai avrebbe preso il posto di Elena nel suo cuore".

Kora si avvicinò a sua madre e la strinse più forte che potè.

"Lo lasciai da solo, nello studio, a continuare ad affogare il suo dolore nell'alcol e scesi di sotto a telefonare alla nonna. Ormai stare insieme non aveva più senso, ci facevamo solo del male".

"Mi ricordo di quella telefonata".

Christine si allontanò da sua figlia quel tanto che bastava per poterla guardare negli occhi:

"Come? Ti ricordi di quella sera?";

Kora annuì:

"Ricordo ogni singola frase di quella telefonata. Ero piccola ma sentii chiaramente che dicevi alla nonna che eri stanca e che quella era l'ultima volta. Dicesti che lo avresti lasciato da solo. Ero talmente spaventata che iniziai a cercare papà ovunque e poi finalmente lo trovai, nello studio, riverso sul divano. Lo chiamai tante volte... ma lui non rispondeva poi, arrivasti tu a portarmi via".

"Lo feci  solo perchè non volevo che vedessi tuo padre in quello stato.... lui era il tuo adorato papà e ti amava profondamente".

"Adesso comprendo tante cose mamma.... ";

"Non essere arrabbiata con tuo padre Kora, ha fatto tanti errori ma anche io ne ho fatti molti. Ognuno di noi segue ostinatamente il proprio cuore...io cercavo il suo mentre lui...si tormentava per Elena".

"Adesso ha finito di soffrire anche lui".

"Che vuoi dire tesoro?".

"L'ha ritrovata. Ha trovato la sua Elena".

"Come?! Io...".

"L'ho convinto a tornare in Italia e a cercarla. Deve mettere a posto le cose, deve riordinare il suo passato come i tasselli di un puzzle... forse solo così smetterà di logorarsi nel dolore e nel senso di colpa e riuscirà a trovare un pò di pace".

"Christine? Tesoro, sei pronta?" La voce di Robert proveniva dal corridoio.

"Ricomponiti mamma, non deve vederti in questo stato".

Christine si asciugò gli occhi ed il viso poi corse allo specchio a sistemare il trucco disfatto.

"Robert, vieni è in camera mia!".

Robert fece capolino nella stanza di Kora.

"Non trovi che la mia mamma sia stupenda con quel vestito?".

Robert sorrise guardando Christine: "La tua mamma è sempre stupenda, ed io sono l'uomo più fortunato del mondo".

"Sei sempre così gentile. Allora tesoro, noi usciamo. Non fare troppo tardi  ok? Cerca di riposare un pochino. A domani"; si avvicinò a sua figlia e le diede un bacio sulla fronte.

"A domani. Divertitevi!".

Kora li guardò allontanarsi ma un nodo le stringeva la gola impedendole quasi di respirare.

                                                                                 ******

La serata era particolarmente piacevole.

Il cielo era una immensa distesa di stelle luccicanti, l'aria profumava di gelsomino e i grilli cantavano una deliziosa serenata.

Elena era seduta sul vecchio dondolo nel giardino della sua casa ma non era sola.

Carla e Renato erano insieme a lei e le facevano compagnia.

"Dopo tanto tempo è tornato a cercarti" Renato scrutava i suoi occhi scuri.

"Già. Dopo ventisei anni; ventisei lunghi anni.... mi ha detto che è tornato per restare.... me lo ha giurato".

"E tu gli credi, bambina?" Renato le parlava come un padre.

"Non lo so...io non so più cosa pensare".

"Però sei tanto felice cara.... i tuoi occhi dicono più di mille parole".

Elena le strinse forte la mano.

"Lo sono immensamente Carla. Se è un sogno, non vorrei più svegliarmi.... è tutto così bello, troppo ed io ho paura che la storia possa ripetersi. Resterò di nuovo da sola e questa volta non.....non so se riuscirei sopportarlo".

"E' passato tanto tempo cara. Eravate solo due ragazzini, ora le cose sono cambiate" continuò Renato.

Elena annuì silenziosa.

"Gli racconterai la verità?" insinuò Carla;

Elena sollevò lo sguardo terrorizzata fissandola dritto in quelle pozze azzurre che la fissavano amorevolmente.

"Io...ecco io... non lo so" ammise rassegnata.

"Non so se ne avrò la forza".

continua

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Capitolo 24
*** Capitolo XXIV ***


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“Gli racconterai la verità?” insinuò Carla;

Elena sollevò lo sguardo terrorizzata fissandola dritto in quelle pozze azzurre che la guardavano amorevolmente.

“Io…ecco io… non lo so” ammise rassegnata.

“Non so se ne avrò la forza”.

Tirò un enorme respiro ma quel peso, che le opprimeva il petto, era diventato troppo doloroso, un fardello divenuto insopportabile soprattutto adesso che Bill era tornato nella sua vita.

Ripensare al passato, alle umiliazioni subite, ad dolore sordo che le aveva attanagliato l'anima in tutti quegli anni, alle lunghe notti insonni, passate a ricordare i momenti magici in cui era stata felice accanto a Bill, alle lacrime che aveva versato per tutto ciò che era accaduto dopo la sua partenza era una ferita ancora aperta.

Sentiva ancora echeggiare rumorosamente le parole di suo padre, la sua durezza, la crudeltà con cui le rinfacciava il suo errore, la paura di quella scoperta, le litigate furiose, il difendere con le unghie e con i denti le sue scelte e poi.... il nulla.

Di tutto questo, restava solo il silenzio assordante di quella grande stanza dalle pareti bianche.

A quello, si aggiunse la delusione, la disattesa, una promessa non mantenuta... un amore  che le aveva dato una immensa felicità e che l'aveva ripagata con la dimenticanza prima e con la rassegnazione poi: la consapevolezza di un abbandono che il suo cuore faceva fatica ad accettare.

"Non rattristarti, cara";

Carla le strinse ancora più forte la mano.

L'anziana donna sapeva leggere tra le righe dei suoi pensieri e prima che questi prendessero il sopravvento, li interruppe bruscamente.

"Lo sai, non possiamo tornare indietro e cancellare le cose che ci hanno ferito. Il tempo, in certi casi è il nostro migliore alleato, perchè allevia il nostro dolore ed il futuro è ciò che ci dona speranza ed il tuo, piccola, cara Elena non potrà che essere meraviglioso. Hai sofferto tanto nella vita, adesso la vita ti sta restituendo un pò di ciò che ti ha tolto".

Elena annuiva silenziosa mentre le lacrime cominciavano a rotearle negli occhi.

"Non piangere più, tesoro. Su questo bel viso non voglio più vedere le lacrime. In tutti questi anni ti ho vista piangere troppe volte. Adesso voglio solo vederti sorridere" le disse mentre con le dita, asciugava quelle piccole gocce di sale che ancora una volta precipitarono dai suoi occhi scuri.

"Cerca di essere felice bambina; afferra con forza tutto quello che ti sta accadendo e non lasciarlo scappare via".

Elena annuì stringendo le labbra e cercando di mandare giù quel nodo che le stringeva la gola e che quasi non la faceva respirare.

"Elena? Hei tesoro, dove sei?" la voce di Bill la raggiunse alle spalle.

"Su, ricomponiti: non deve vederti in questo stato".

Elena prese dalle mani di Renato il candido fazzoletto e si soffiò il naso poi si schiarì la voce e rispose.

"Sono sul retro Bill, sono in giardino" disse in un tremante tedesco.

Appena udì la sua voce, un grosso sorriso illuminò il viso di Bill che fece capolino.

"Ciao!....Scusami, non sapevo che avessi ospiti" disse appena si accorse che non era sola.

Elena gli andò incontro e lo prese per mano.

"Loro non sono ospiti, sono persone molto speciali per me e voglio presentartele".

Si avvicinarono alla coppia ed Elena fece le presentazioni:

"Loro sono Carla e Renato Brambilla, amici  preziosi".

"Nice to meet you" disse in  perfetto inglese porgendogli la mano.

"Beh... non c'è che dire: E' un gran bel figliolo!" esclamò Carla, dopo avergli dato un'occhiata eloquente, suscitando l'ilarità di tutti mentre Bill li guardava perplesso senza capire.

"Ho...ho detto qualcosa di sbagliato?";

"No, affatto!" rispose Elena tra le risate.

"Carla ha solo detto che sei un ragazzo molto affascinante".

"Ah...." e sorrise un pò impacciato.

"Si è fatto tardi tesoro, è ora di andare a letto per noi. Ci vediamo domani a pranzo, ok?";

"Ok"; rispose mentre Renato le baciava affettuosamente una guancia.

"Buonanotte, Elena".

"Ciao Carla, a domani".

Elena li vide allontanarsi ma all'improvviso Bill la attirò con forza a sè stringendola forte.

"Così, la tua amica pensa che io sia un ragazzo molto affascinante....";

"Già, è proprio quello che ha detto" gli rispose ammiccante mentre gli cingeva il collo con le braccia.

"Mmm.... allora non mi  spiego una cosa";
"Cosa?" chiese sorniona;

"Come mai, visto che sono così affascinante, non ho ancora ricevuto un bacio?";

Elena scoppiò a ridere.

"Beh, se vuoi un bacio non devi fare altro che chiederlo....";

Bill la guardava intensamente.

I suoi occhi scrutavano ogni piccolo dettaglio delle sue iridi scure e profondissime e per un attimo trattenne il respiro.

Le sue labbra morbide si aprivano in un sorriso e il suo profumo, così tenue, così familiare lo avvolse come un caldo abbraccio.

Era lì tra le sue braccia e sentiva il calore della sua pelle, i suoi respiri affrettati che gli lambivano il collo mentre il suo cuore batteva sempre più forte.

Per un attimo si sentì confuso, frastornato: non sapeva più se fosse reale o semplicemente un sogno; uno dei tanti che negli ultimi ventisei anni lo avevano continuamente tormentato.

Inspirò forte il suo odore e quasi senza accorgersene la strinse più forte a sè.

Elena si accorse di quello sguardo e un brivido le corse lungo la schiena.

Erano persi l'uno negli occhi dell'altra ed erano emozionati, fragili come sottile cristallo, insicuri e storditi dall'intensità di ciò che provavano.

Elena gli accarezzò delicatamente il viso con mani tremanti mentre il cuore sembrava che dovesse scoppiarle nel petto da un momento all'altro.

Abbassò gli occhi quasi vergognandosi.

"Mi sembra un sogno Bill... dopo tutti questi anni.... ho paura di dovermi svegliare da un momento all'altro e rendermi conto che è solo il frutto della mia fantasia"

"Baciami" le sussurò piano.

Elena sollevò lo sguardo: Bill la fissava con una strana luce negli occhi e prima che potesse rendersene conto, le sue labbra erano sulle sue.

Lei chiuse gli occhi e si lasciò trasportare da quel turbine di emozioni che le faceva sentire le gambe molli e le farfalle nello stomaco.

"Dai Elena, vieni con me....";

"Bill sono troppo stanca, ho avuto una giornata davvero pesante ".

"Dai, non fare la pigrona";

"Sentiamo: dove vorresti andare?".

"Tu fidati di me".

Le prese la mano e la condusse fino al vialetto dove era parcheggiata la sua auto; le aprì lo sportello e la fece accomodare     .

Bill salì e mise in moto e mentre Elena fissava il suo bel viso illuminato dalle luci del cruscotto, le disse:

"Ti ricordi quella spiaggetta,  dove andavamo di notte a fare il bagno?";

"Certo! Che pazzi eravamo...non dirmi che...;

"Oh si" le prese la mano e se la portò alle labbra.

"Non vorrai mica... no, vero?

"Già e tu non puoi dirmi di no".

"Bill...veramente io, ecco ....potrebbe essere pericoloso!";

Ma lui non la ascoltava  più.

"Bill, non puoi parlare sul serio...";

"E invece si; guarda, siamo arrivati".

Parcheggiò l'auto, scese in fretta  e le aprì lo sportello.

"No dai Bill.... non posso crederci".

Bill le prese la mano ed iniziò a correre verso la spiaggia.

"Bill! Bill fermati ho i tacchi alti! non ce la faccio a correre, non sono più una ragazzina sai?";

Bill si fermò di scatto guardandola dritto negli occhi.

"Lo so, adesso sei una splendida donna...";

Elena abbassò lo sguardo imbarazzata ma non ebbe il tempo di riprendersi dall'emozione che Bill la prese in braccio e percorsero così il breve tratto di strada che conduceva alla spiaggia.

Il cielo notturno di un blu cobalto era tempestato di stelle.

Bill aveva uno sguardo indecifrabile e fissava i suoi occhi che risplendevano di una luce particolare.

"Dai, mettimi giù....sono pesante";

"E invece sei una piuma";

"Ho voglia di togliermi le scarpe e di camminare sulla sabbia".

"Ogni suo desiderio è un ordine, mia principessa" e molto delicatamente la mise giù.

Elena si slacciò i sandali: Bill non riusciva a smettere di guardarla.

Si tolse anche lui le scarpe e le sorrideva felice.

Dio, era così bello da togliere il fiato, sentiva quegli occhi fissi su di lei, il respiro accelerare  e il cuore battere sempre più forte.

Camminavano piano, mano nella mano, in silenzio, sorridendosi mentre i loro sguardi erano sempre più intensi.

Giunsero alla riva ed immersero i piedi nell'acqua.

Il mare era una immensa distesa buia, sulla quale, si riflettevano come su uno specchio le migliaia di stelle di quella notte magica mentre la luna faceva capolino, dietro una bianca nuvola solitaria.

Un brivido li scosse entrambi e poi scoppiarono a ridere all'unisono.

"Freddina eh?";

"Direi proprio di si";

"Allora sai che facciamo?";

"Non ne ho la più pallida idea";

"Facciamo un falò" e dicendo questo si mise alla ricerca di pezzi di legno, tronchi consumati dalla salsedine e dal sole.

"Bill è vietato! Noi non possiamo farlo...";

"Anche da ragazzi mi ripetevi la stessa cosa";

"E proprio come allora tu non mi dai retta!"

"Esatto! Dai vieni a darmi una mano".

Elena lo raggiunse ed insieme recuperarono in fretta dei pezzi di legno e dopo un pò erano entrambi seduti davanti ad un allegro fuoco scoppiettante.

Le fiamme illuminavano i loro volti e facevano brillare i loro occhi.

"Andiamo..."

"Vuoi davvero fare il bagno?"

"Certamente";

"Nudi?!";

"Ovvio, altrimenti che gusto c'è?".

"In tutti questi anni non sei cambiato affatto. E va bene...ma non sbirciare intesi?";

"Lo stesso vale per te";

"Allora voltati da quella parte, io mi volto da questa parte";

"Ok" .

Bill le diede le spalle e lentamente iniziò a sfilarsi la maglietta mettendo in mostra la sua bella schiena liscia.

Elena guardava  il tatuaggio sul fianco.

Lo ricordava fin nei minimi dettagli. Il tempo non aveva nemmeno scalfito il ricordo del suo corpo.

Non era più così esile, le braccia muscolose, l'addome scolpito, i fianchi stretti, nuovi tatuaggi adornavano la sua pelle candida.

"A-a!!! Signorina Elena Rossi, non avevamo detto di non sbirciare?";

"Scusa, io non volevo" rossa di vergogna si voltò dandogli le spalle.

Lentamente slacciò la lampo sulla schiena: abbassò una spallina, poi l'altra e lentamente l'abito scivolò a terra.

Bill la guardava incantato.

Quanto era bella!

Il suo corpo non era affatto cambiato.

La sua pelle abbronzata era esattamente come la ricordava: le gambe toniche, la vita sottile, la morbida linea dei fianchi....

Si scosse da quel torpore e poi iniziò a correre verso la riva:

"L'ultimo che arriva è una pappamolle!"

Elena fini di svestirsi in fretta e lo raggiunse tuffandosi in acqua.

Al contatto con l'acqua gelida, avvertì un brivido ma non seppe ben capire se fosse per la temperatura dell'acqua o per le mani di Bill che sfioravano piano la sua schiena.

"Hai freddo?" le chiese premuroso.

"No" rispose imbarazzata.

"Allora perchè stai tremando?";

"Io...io".

"Dimmi che anche tu mi desideri quanto ti desidero io" la strinse teneramente al suo petto.

"Dimmi che anche tu muori dalla voglia di sentire di nuovo il calore del mio corpo....Elena in tutti questi anni non ti  ho mai dimenticata.   Tu mi sei entrata dentro, sei nel mio cuore, nella mia testa, nelle mie vene, nel  mio stesso respiro, sei tutto per me. Sei sempre stata tutto..... amami Elena, metti a tacere questo bisogno così urgente che ho di te. Amami con tutto il tuo cuore, con il tuo corpo, con quella splendida anima che hai. Amami per quello che sono, per le mie debolezze, per le mie paure, per gli errori che ho commesso. Amami perchè senza di te la mia vita non ha significato. Amami come quella notte, Elena: fammi entrare di nuovo nel tuo mondo, in quell'universo di amore sconfinato che mi hai donato e che stupidamente ho perso".

Elena tremava ancora più forte tra le sue braccia.

Quanta sofferenza nelle sue parole....quanto dolore nei suoi occhi.

Allungò una mano e gli accarezzò il viso.

"Io ti amo Bill, ti ho sempre amato e ti amerò per sempre".

...........continua

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