Guerra e Pace

di LuluXI
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 11 novembre 1812: Krasnoi (Prologo) ***
Capitolo 2: *** 4 dicembre 1809: Mosca ***
Capitolo 3: *** Dicembre 1809 – Gennaio 1810: Mosca ***
Capitolo 4: *** 30 Agosto 1812: Mosca (parte 1) ***



Capitolo 1
*** 11 novembre 1812: Krasnoi (Prologo) ***


PREMESSA IMPORTANTISSIMA:
Siamo sempre nell’ambito della Challenge “Chi, con chi, che cosa facevano” (si, lo so, non ne potete più di questa Challenge, ma io intendo completarla!)
Questa volta mi rifaccio alla traccia n° 20: “AU! 8 accompagna un famoso personaggio storico in un’impresa grandiosa!” Il mio n° 8, indovinate un po’ chi è? Ma Milo, ovviamente! Non ci sarà solo lui eh però sarà il protagonista (come impone la traccia). Il primo personaggio storico che mi è venuto in mente è Napoleone, ma poi mi sono ricordata che Napoleone perde in Russia, perciò…quale impresa grandiosa migliore, della vittoria dei Russi sui francesi, capitanati da Kutuzov, quando tutti li davano già per spacciati? Ed è qui che è ambientata la fanfic. Se avete letto Guerra e Pace di Tolstoj,  forse i cognomi (e magari anche qualcosa delle vicende xD) non vi saranno nuovi: ho preso ispirazione anche da lì, perché amo quel libro e mostra bene la realtà russa di quel tempo. Poi, ho scritto senza avere il libro sotto mano, ma lo ricordavo ancora bene. Si, insomma, è una versione Saintseiyana di Guerra e Pace (presa moooooolto alla larga). I personaggi, ovviamente, non sono miei, ma di Kurumada e nulla è scritto a scopo di lucro, ma per puro divertimento. Dedicata a chi mi segue da sempre: spero possa piacervi. (si, la premessa serviva solo per specificare il collegamento con Guerra e Pace xD)
 

Guerra e Pace

Ainsi, toujours poussés vers de nouveaux rivages,
Dans la nuit éternelle emportés sans retour,
Ne pourrons nous jamais sur l’océan des ages
Jeter l’ancre un seul jour?
 
Ô lac! L’année à peine fini sa carrière,
et près des flots chéris qu’elle devait revoir,
Regarde! Je viens seoul m’asseoir sur cette Pierre
Où tu la vis s’asseoir!(*)


11 novembre 1812: Krasnoi
 
“Ufficiale Bolkonskij, il generale Kutuzov desidera vedervi”.
Milo Bolkonskij si alzò dalla branda e uscì dalla sua tenda, intenzionato a raggiungere quella del generale il prima possibile. Con la coda dell’occhio poté scorgere gli altri aiutanti di campo, ossia ufficiali a capo di un unità militare dell’esercito Russo, che come lui si stavano dirigendo da Kutuzov. La riunione di quella sera era di vitale importanza: il giorno dopo ci sarebbe stata la battaglia decisiva, quella che avrebbe decretato, se tutto andava secondo i piani, la sconfitta di Napoleone e della Grande Armata, che ormai aveva perso buona parte dei suoi uomini.
 
Ascoltò le indicazioni del generale senza dir nulla, limitandosi ad annuire quando lo informarono che lui avrebbe combattuto nell’ala sinistra, in prima linea: era quello che voleva. Fu un po’ meno contento all’idea che accanto ai suoi uomini avrebbero combattuto quelli che erano stati i soldati dell’ufficiale Kuragin. Non perché fossero soldati inetti, anzi! No, il problema era il loro nuovo ufficiale, un biondino che rispondeva al nome di Hyoga Denisov, che ricopriva quella carica da poco più di un mese; da quandolui era morto.
 
Mentre rientrava nella sua tenda fu costretto a fermarsi, richiamato proprio dall’unica persona con cui non voleva parlare.
“Ufficiale Bolkonskij, è per me un onore combattere al vostro fianco”.
Milo squadrò da capo a piedi il suo giovane interlocutore: doveva avere l’età che aveva avuto lui al tempo del suo ingresso nell’armata Russa. Qualcuno aveva avuto il coraggio di scambiarli per fratelli solo perché entrambi erano biondi e avevano gli occhi azzurri; come se fosse difficile trovare quelle caratteristiche fisiche a Mosca.
“Bhe, non soffermatevi troppo a lungo a guardarmi, altrimenti i francesi potrebbero anche decidere di spararvi”. Rispose così, anziché dirsi a sua volta onorato, perché sarebbe stata una bugia.
 
“Ora vogliate scusarmi Denisov, ma sono molto stanco e domani ci aspetta una battaglia molto importante.” Senza aggiungere altro si allontanò, rifugiandosi nella sua tenda: lì poteva star lontano da quell’ufficiale, ma non certo dai ricordi che quel luogo gli riportava alla mente. Lo avrebbe sognato di nuovo; avrebbe sognato il giorno della sua morte, o forse quello del loro primo incontro. Ma non aveva importanza quale ricordo lo avrebbe assalito quella notte: l’importante era che Camus Kuragin ci fosse.
 

(*)Ora,sempre sospinti verso delle nuove rive
Portati via senza ritorno nella notte eterna,
Non potremo mai sull’oceano degli anni
Gettare l’ancora un solo giorno?
 
Oh Lago! L’anno ha appena finito il suo corso
E presso i flutti cari che lei doveva rivedere,
Guarda! Io vengo solo a sedermi su questa pietra
Dove tu l’hai vista sedersi!
(Alphonse de Lamartine: Le Lac)

 
 
NOTE:
Si…una Milo & Camus…avete intuito bene! E’ da Natale che dico “arriverà una nuova Fic, e non la pubblico mai… Questo prologo è un ben misero inizio, ma spero di rifarmi in futuro con i prossimi capitoli. Grazie a tutti voi che mi seguite: se non lo state già facendo, fate un salto a leggere “Revenge”… potrebbe interessarvi (si, mi faccio un po’ di pubblicità xD)
Come sempre, mi scuso per eventuali “orrori” di grammatica.
Effettivamente Camus è francese…metterlo tra i russi è strano ma visto che lui è stato “trapiantato” in Siberia nella serie classica…non vedo perché no! : )

 

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Capitolo 2
*** 4 dicembre 1809: Mosca ***


(*)Tu mugissais ainsi sous ces roches profondes;
Ainsi tu te brisais sur leurs flancs déchirés;
Ainsi le vent jetait l’écume de tes ondes
Sur ses pieds adores
 
Un soir, t’en souvient-il? Nous voguions en silence;
On n’entendait au loin, sur l’onde et sous les cieux,
Que le bruit des rameurs qui frappaient en cadence
Tes flots harmonieux.


 
4 dicembre 1809: Mosca
 
Milo Bolkonskij odiava i salotti e le feste, abituato com’era al campo di battaglia. Tuttavia quando suo padre e sua madre, mentre era in licenza, gli avevano chiesto di prendere parte agli eventi della vita mondana di Mosca, non aveva potuto rifiutare: i suoi genitori, ci tenevano troppo. Così si era seduto su quella carrozza che lo avrebbe portato a casa Bezuchov, dalla famiglia più importante della città. Non appena aveva messo piede in casa la padrona, Saori Bezuchov, lo aveva accolto con un calore a suo parere eccessivo, dato che si erano visti si e no due volte. In poco tempo gli vennero presentati tutti gli invitati ma dopo cinque minuti aveva già dimenticato tutti i nomi.
 
“Oh, ecco la figlia di mia cugina! Venite, ve la presento!”
Il nome della ragazza fu l’unico che a Milo non fu concesso dimenticare, viste le lodi che furono intessute per lei, la giovane Shaina Kuragin, pupilla della signora Bezuchov. Milo si pentì ben presto di aver accettato l’invito, visto che fu costretto a passare tutto il tempo con la ragazza che per lui non aveva niente di speciale. Di una bellezza comune e con un carattere da maschiaccio malcelato, Shaina gli ricordava più un amico con cui ubriacarsi che una donna da chiedere in sposa. Stando a come si comportava la padrona di casa, che gli aveva presentato tutta la famiglia, elogiandolo con parole che prima di allora aveva pronunciato solo sua madre (da lì nacque in lui il sospetto che sua madre potesse aver preso parte a quel piano per fargli trovar moglie), sembrava che l’intenzione fosse proprio quella: far si che, presto o tardi, si potesse combinare il matrimonio.
 
Si intrattenne con la famiglia Kuragin a parlare di politica e di affari militari, raccontando di qualche battaglia a cui aveva partecipato, fino a quando dalla porta del salone non entrò un ragazzino della servitù annunciando l’arrivo di Camus Kuragin.
“E’ mio fratello maggiore” specificò Shaina sebbene non fosse, secondo Milo, strettamente necessario: in fondo avevano lo stesso cognome e se erano fratelli la somiglianza si sarebbe notata. Ma mai in vita sua Milo fece una previsione più sbagliata: quando Camus Kuragin fece il suo ingresso l’ufficiale Bolkonskij faticò a credere che il ragazzo entrato nella sala in quel momento potesse essere il fratello della ragazza con cui stava parlando. L’unica cosa che avevano in comune era la forma degli occhi: il portamento, i lineamenti del viso, l’incedere sicuro e altezzoso di Camus nulla avevano a che vedere con quelli della ragazza. Ma ciò che più colpì Milo del suo aspetto furono i capelli rossi, che sembravano fiamme più vive di quelle che danzavano nel camino. Che fosse valsa la pena di partecipare a quell’estenuante conversazione?
 
“Voi siete nell’esercito?” gli domandò Camus una volta concluse le presentazioni e Milo si ritrovò ad annuire.
“Allora ricordo bene” proseguì il giovane Kuragin “Mi era parso di avervi già visto.”
“Io invece non ho mai avuto quest’opportunità” rispose Milo, chiedendosi come avesse fatto a non notarlo: l’esercito russo contava molti soldati, questo era vero… ma se Camus lo aveva visto, possibile che lui non lo avesse notato in mezzo alla folla?
Giusto per assicurarsi di non essere stato confuso con qualcun altro riportò la conversazione sulle campagne militari che aveva combattuto e i luoghi che aveva visitato: effettivamente lui e il giovane Kuragin si erano ritrovati nello stesso luogo nella stessa occasione almeno due volte: dunque era possibile che Camus si fosse accorto di lui.
 
Dopo una lunga conversazione venne l’ora per i Kuragin di ritirarsi e lo stesso fece Milo. In carrozza ripensò a quanto successo ed era grato alla signora Kuragin per averlo invitato a far loro visita quando preferiva. Certo, era stato invitato perché potesse passare il suo tempo con Shaina ma dato che anche Camus era in licenza ci sarebbe stato anche lui: dunque le probabilità di rivederlo erano alte. Rientrato a casa dovette raccontare ai suoi genitori com’era andata la serata e lui parlò con piacere della famiglia Kuragin fino a quando non venne l’ora di coricarsi.
 

(*)Muggivi così sotto queste rocce profonde;
Così ti rompevi sui loro fianchi strappati,
così il vento gettava la schiuma delle tue onde
sui suoi piedi adorati.
 
Una sera, ti ricordi? Navigavamo in silenzio;
Non si udiva da lontano, sull’onda e sotto i cieli,
Che il rumore dei rematori che colpivano con ritmo
Le tue onde armoniose.
(Alphonse de Lamartine: Le Lac)
 

 
Note:
Si, è un capitolo terribilmente breve. E si, non è neanche scritto benissimo. Perdono, davvero. La scuola mi sta massacrando. Non ho quasi più tempo neanche per dormire (il che, è grave). Se non fosse stato per la mia passione per la scrittura, avrei già smesso di scrivere fan fiction da qualche mese… invece tiro a campare. Il tutto, grazie anche a chi mi segue e sostiene sempre. Alla prossima! :)

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Capitolo 3
*** Dicembre 1809 – Gennaio 1810: Mosca ***


 
Tout à coup des accents inconnus à la terre
Du rivage charmé frappèrent les échos;
Le flot fut attentive, et la voix qui m’est chère
Laissa tomber ces mots
 
Dicembre 1809 – Gennaio 1810: Mosca
 
Milo Bolkinskij passò la maggior parte delle giornate della sua licenza a casa Kuragin, parlando con Shaina, ma pensando a Camus. Quest’ultimo a volte si limitava a salutarlo per poi sparire in un’altra stanza, altre volte si intratteneva con loro per qualche ora; in altre ben più rare occasioni per tutto il pomeriggio. Milo non sapeva spiegarsi perché, ma ogni giorno che passava si sentiva sempre più legato a lui, nonostante i loro caratteri opposti; paradossalmente, manteneva una formalità e una compostezza innaturali con Shaina e solo quando si rivolgeva a Camus riusciva a mostrare il suo vero carattere.
 
Il 25 gennaio, ultimo giorno delle sua licenza, Milo si presentò a casa Kuragin con un mazzo di fiori per Shaina e una giacca nuova per Camus. I fiori li aveva comprati sua madre, convinta che tra lui e la ragazza ci fosse qualcosa di più di un’amicizia; alla giacca aveva pensato lui dopo aver, per puro caso, sentito Camus lamentarsi di quella usurata ed essendo imminente il compleanno del giovane Kuragin. Raggiunta la casa, venne accolto stranamente solo da Camus, che lo invitò comunque ad entrare.
“Mia madre e mia sorella si scusano per la loro assenza ma un’amica di famiglia è malata e ha chiesto di vederle: così hanno lasciato a casa me per accoglierti e porgerti le loro scuse.”
Milo, grato a Camus per la gentilezza con cui gli si era rivolto, mantenne un’espressione serena e consegnò i suoi doni all’interlocutore. Tuttavia, era tutt’altro che sereno dato che l’assenza di Shaina era un grosso inconveniente: non potendo usare la scusa della visita alla ragazza sarebbe stato costretto ad andarsene subito.
“Bhe, questo è il mio ultimo giorno a Mosca: consegnali tu i fiori a Shaina.”
Utilizzò quel tono confidenziale, dato che lo aveva usato anche Camus e attese una risposta dell’altro, che non tardò ad arrivare.
“E’ vero, avevi informato tutti della fine della licenza…” disse, annuendo.
“E’ durata fin troppo” aggiunse l’altro, porgendogli anche la giacca impacchettata “Questa è per il tuo compleanno: Shaina mi ha detto che è domani.”
 
Tacque in attesa che lui aprisse il sottile involucro che fungeva da pacchetto, godendosi la sua espressione stupita. Poi, prima che Camus potesse dire qualcosa, prese la parola.
“So che detesti gli eventi mondani quanto me, ma credo che avere una giacca da parte per le grandi occasioni sia essenziale.”
Pronunciò le stesse parole che gli aveva sentito rivolgere alla signora Kuragin quando le aveva detto che desiderava acquistare una giacca nuova, nonostante odiasse salotti e feste. Sentendo quelle parole, Camus scosse il capo: ormai si era abituato a quelle uscite ad effetto.
“Grazie” si limitò a rispondere porgendo la giacca ad una cameriera affinchè la portasse nella sua stanza.
“Di nulla” fu la risposta “Ora, se devi recarti dall’amica di famiglia, tolgo il disturbo.”
 
A quelle parole, Camus scoppiò a ridere: la sua era una risata semplice, cristallina, sincera. Milo non lo aveva mai sentito ridere e ne rimase sorpreso, quasi incantato.
“Non devo andare da nessuna parte: non sono ben visto in quella casa”.
Milo non dovette domandargli nulla: bastò la sua occhiata curiosa a convincere Camus a proseguire.
“Quest’amica di famiglia e mia madre volevano a tutti i costi un fidanzamento ufficiale tra me e Seika, la figlia. Una ragazza graziosa, dolce, ma troppo timida persino per uno come me. Da quando ho detto che avrei preferito di gran lunga sposare suo figlio Seiya, non vuole avere più niente a che fare con me. Quindi, se vuoi, puoi restare” concluse. Milo aprì la bocca per parlare, ma non riuscì a dire nulla. Doveva capire se quella frase era stata detta solo per evitare un matrimonio indesiderato o perché era la pura verità. Che quella fosse una confessione? Non poteva saperlo. Così fece ciò che gli veniva più naturale: si mise a ridere. Camus lo lasciò fare.
 
“Ti capisco perfettamente” disse infine Milo, trovando la forza per tornare serio, dimenticandosi però di dare del “lei” a Camus, concentrato com’era su ciò che doveva dire. “Mi ritrovo nella stessa situazione in questo momento, per un piano ordito da tua madre e mia madre. Non ho nulla contro tua sorella ma, potendo scegliere, sceglierei te” concluse con schiettezza come faceva sempre, e rimase a fissare la reazione del suo interlocutore: forse aveva rovinato tutto, ma non poteva tenersi quel peso dentro. Se anche Camus avesse preso le distanze, lui sarebbe partito per tornare in servizio il giorno dopo, forse per morire in battaglia: quella poteva essere l’ultima occasione che aveva per dire la verità.
 
Camus annuì tra sé e sé prima di rivolgergli nuovamente la parola.
“Meglio così Milo, credimi” disse, chiamandolo per nome, cosa che accadeva assai di rado “Perché anche mia sorella ha confessato di non provare nulla per te. Semplicemente, visto che venivi tutti i giorni, non aveva il coraggio di respingerti, così come mia madre che all’inizio aveva progettato tutto.”
Milo non replicò, troppo sbalordito per parlare.
“Io avevo intuito che le tue visite erano più di cortesia che per altro, ma non mi credevano. Questo però non le ha fermate quest’oggi: la signora non sta male ma, semplicemente mia sorella voleva passare del tempo con Seiya senza avere il timore di veder arrivare te a casa all’improvviso, dato che per questi due mesi lui era qui ogni mattina e tu arrivavi ogni pomeriggio.”
Milo rimase in silenzio, ma si sentiva decisamente sollevato: quella farsa poteva finalmente avere fine, il che era un bene per lui ma anche per Shaina; inoltre se a Mosca si fosse venuto a sapere che la ragazza frequentava due giovani contemporaneamente la sua reputazione sarebbe stata sicuramente compromessa e Milo non voleva che ciò accadesse.
 
“Mia sorella stravede per Seiya” proseguì Camus, strappandolo bruscamente dai suoi pensieri “Io invece non lo posso soffrire: preferisco di gran lunga la tua compagnia.”
Ogni tassello del puzzle trovò il suo posto, dipingendo una chiara visione della situazione nella mente di Milo, che gli si avvicinò e, senza chiedergli nulla, lo abbracciò.
“Grazie per avermi detto la verità: domani partirò col cuore un po’ più leggero.”
Camus non replicò, limitandosi ad annuire: sul suo volto era ricomparsa la sua solita espressione distaccata, ma ciò non gli impedì di ricambiare l’abbraccio. Si staccarono ben presto l’uno dall’altro e, un istante dopo, Shaina e sua madre, di ritorno dalla visita, fecero il loro ingresso nel salotto. Milo colse l’occasione per salutarle e informarle entrambe del fatto che, visto che la sua presenza in casa poteva risultare compromettente, non sarebbe ritornato se non per delle sporadiche visite di cortesia e per parlare con Camus. E fu proprio a quest’ultimo che la signora Kuragin rivolse il suo sguardo di rimprovero; tuttavia Camus non si scompose minimamente e rimase impassibile, così come lo sarebbe stata una statua di ghiaccio. Semplicemente si offrì di accompagnare Milo alla porta.
 
Giunti all’esterno, Milo si girò a guardarlo.
“Spero di non averti messo nei guai con la mia affermazione di poco fa…”
“Sopravviverò alla furia di mia madre” rispose l’altro senza cambiare espressione.
“Ehi, sono io quello che pronuncia frasi di questo genere!” protestò il giovane Bolkinskij, ridendo. Poi, prima che l’altro potesse replicare, lo spinse nuovamente nell’ingresso, in modo da celarsi alla vista di chi si trovava in casa e di chi passeggiava per la via e poi lo baciò. Ci mise tutto se stesso in quel bacio, ben consapevole del fatto che non sapeva né quando né se ne avrebbe ricevuti altri. Camus in un primo momento sembrò volerlo respingere, ma poi cedette. I loro capelli si intrecciarono per un istante, oro contro rosso, formando un piccolo fuoco nel bianco della neve di Mosca, che entrava dalla porta socchiusa.
 
“Quando entrambi saremo ufficiali” sussurrò Milo all’orecchio di Camus “Combatteremo insieme ogni battaglia e non ci sarà giorno che passeremo senza vederci.”
Era una sorta di promessa, la sua, una promessa che fece senza preoccuparsi di chiedergli se era quello che voleva anche lui; senza preoccuparsi se tutto ciò era davvero realizzabile.
Un istante dopo era già sparito per le strade di Mosca, senza aspettare una risposta.
 
Improvvisamente accenti sconosciuti alla terra
Dalla riva colpirono gli echi;
i flutti furono attenti, e la voce che mi è cara
lasciò cadere queste parole
(Alphonse de Lamartine: Le lac)
 
 
Note:
Ok,ok, ritardi su ritardi, mostruosi ritardi e storie bloccate... millemila storie bloccate! Chiedo perdono, soprattutto a chi attende l'ultimo capitolo di Revenge, ma devo ancora sistemarlo, sincerarmi che mi piaccia davvero messo giù così e trovare la forza per concludere quella storia. Però non sono riuscita a non comparire con un capitolo di questa storia, ferma da molto più tempo. Che dire, non ero molto convinta di questa storia, per questo ci ho messo tanto. O meglio, all'inizio lo ero e poi mi è passata. Poi però rileggendo le bozze dei vari capitoli, i vari passaggi già scritti, ho avuto nostalgia: perciò eccoci qui. So che la psicologia dei personaggi non è molto approfondita, ma la cosa è voluta: in questa vicenda preferisco concentrarmi sui vari legami tra i personaggi che compariranno man mano e sulle vicende, piuttosto che soffermarmi su grandi introspezioni. Poi magari viene uno schifo, ma volevo provare a farla così xD Che dire... scusate ancora la lentezza e, se vi va, recensite; a me fa sempre piacere ricevere suggerimenti, consigli per migliorare e pareri di vario tipo. Alla prossima! :)

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Capitolo 4
*** 30 Agosto 1812: Mosca (parte 1) ***


 

Ô temps, suspends ton vol! et vous, heures propices,
Suspendez votre cours!
Laissez-nous savourer led rapides délices
Des plus beaux de nos jours!
 
30 Agosto 1812: Mosca (parte 1)
 
Milo e Camus, nei due anni seguenti, si videro molto di rado, proprio a causa della guerra. L’arrivo di Napoleone e delle sue armate in Russia resero impossibile ricevere licenze, se non per casi eccezionali. L’unico contatto duraturo che riuscirono a mantenere era quello epistolare: si spedivano diverse lettere e, benché fossero molte di più quelle che andavano perse rispetto a quelle che ricevevano, avevano imparato a far tesoro delle poche che giungevano a destinazione.
Da parecchio tempo ormai le armate russe stavano facendo terra bruciata, mentre ripiegavano su Mosca: molti ufficiali non comprendevano la tattica di Kutuzov, ma Bolkonskij si; il generale stava aspettando l’alleato più potente: l’inverno.
 
Milo si allontanò da casa col passo pesante: solo qualche ora prima aveva sepolto suo padre, nello stesso identico modo in cui, due mesi prima, aveva seppellito sua madre. Le vie di Mosca erano praticamente deserte e per strada non incontrò quasi nessuno, fatta eccezione per due giovani, uno dei quali, con una cicatrice che gli solcava l’occhio destro, attirò la sua attenzione. Non appena gli passarono accanto, Milo si fermò, voltandosi verso il giovane per richiamare la sua attenzione.
“Isaak? Isaak Rostov?”
Il ragazzo si voltò, spalancando ‘occhio sano per lo stupore.
“Milo Bolkonskij?” esclamò tornando sui suoi passi, lasciando indietro il suo compagno.
“E’ da parecchio che non ci vediamo…”
“Da quando sei diventato ufficiale di campo, in pratica…” rispose Isaak e Milo potè solo annuire. Era passato un anno e mezzo, forse meno: non avrebbe saputo dirlo con certezza.
“Stai tornando a casa?”
Questa volta fu il giovane Rostov ad annuire e Milo decise di accompagnarlo, in ricordo dei momenti passati insieme sul campo di battaglia: in fondo, lui aveva assistito al colpo che aveva privato Isaak di un occhio.
 
“Che cosa ci fai a Mosca in un momento come questo, tu che non chiedi mai licenze?”
“Si sposava mia sorella”.
Sentendo quella risposta, Milo sorrise: Isaak era troppo patriottico per stare lontano dall’esercito senza una valida motivazione. Era entrato nell’esercito prima di lui, ma il suo carattere non gli aveva permesso di far carriera altrettanto in fretta: troppo legato all’obbiettivo finale, la vittoria, agiva spesso d’impulso. Solo per quella ragione Milo era riuscito a diventare ufficiale di campo prima di lui ma Isaak non gli serbava rancore; anzi, nonostante la differenza di gradi, erano rimasti ottimi amici.
“Tu invece come mai sei qui?”
“E’ morto mio padre”.
Tra i due, per un attimo che parve eterno, scese il silenzio.
“Mi dispiace. Immagino rimarrai a casa con i tuoi fratelli per…”
Milo scosse il capo, interrompendolo.
“Ikki, Pandora e Shun sono al sicuro qui: c’è bisogno di me al fronte” rispose, con una voce priva di espressione.
“Tu invece? Cosa pensi di fare?” gli chiese, ritrovando il suo tono cordiale.
“Il mio ufficiale mi attende a Borodino: tra tre giorni dovrebbe essere là, con il grosso dell’esercito; parto domani mattina.”
“Anche io sono diretto a Borodino: tutti i miei uomini sono lì” riferì Milo, fermandosi davanti a casa Rostov. “Chi è il tuo ufficiale ora?”
A quella domanda, il volto di Isaak si illuminò.
“Ho l’onore di essere il braccio destro dell’ufficiale Kuragin.”
 
Milo non riusciva a credere alle sue orecchie: sapeva che Camus era diventato ufficiale, ma non sapeva di quale unità.
“Kuragin? Camus Kuragin?”
Quando Isaak annuì, Milo gioì tra sé e sé delle fortunate circostanze: di lì a tre giorni avrebbe rivisto Camus. Tre giorni però, in guerra, erano un’eternità: Camus poteva morire durante qualche battaglia. Milo decise di non pensarci e tornò a guardare Isaak. Si rese conto che, se fosse stato lui a diventare ufficiale, i ruoli si sarebbero invertiti e in quel momento sarebbe stato lui il braccio destro di Camus. Una parte di lui rimpianse la carriera fino ad allora compiuta ma fu solo una minima parte: era fiero della sua carica perché gli permetteva ancora di più di impegnarsi per difendere la sua patria.
“Partiamo insieme” disse infine, prima che Isaak rientrasse in casa “Domani.”
Il giovane Rostov annuì e sparì nell’ingresso.
 
Quando Milo rientrò a casa, Pandora stava suonando l’arpa mentre Shun sedeva sul divano, col capo reclinato e gli occhi chiusi, in ascolto; Ikki nel frattempo era appoggiato con la schiena alla parete, accanto alla finestra. Milo rimase a guardare da uno spiraglio della porta: sapeva che il suo ingresso avrebbe interrotto quel momento di quiete. Soffermò il suo sguardo su ognuno di loro, uno alla volta, per poi guardarli nel loro insieme: a volte si chiedeva come potessero essere tutti fratelli. Se non fosse stato per i capelli corvini e gli occhi scuri nessuno avrebbe detto che Ikki e Pandora erano fratelli, benché fossero due gemelli. Ikki infatti assomigliava molto di più a Shun mentre Pandora aveva il viso dolce di sua madre; Milo, il fratello maggiore, aveva invece ereditato le caratteristiche fisiche dei nonni paterni e, per questo, non assomigliava a nessuno di loro.
Senza dire una parola, si avviò nella sala da pranzo, dove fu ben presto raggiunto dai suoi fratelli.
 
Cenarono in silenzio, ancora afflitti dal lutto e, sebbene il nero non risaltasse in modo particolare sui due gemelli, abituati ad indossare abiti scuri, stonava su Shun che prediligeva abiti colorati e Milo si sentiva piangere il cuore a quella vista. Finito il pasto il maggiore dei fratelli Bolkonskij annunciò l’imminente partenza, prima di ritirarsi nella sua camera, avvisando i fratelli che, se volevano parlargli, lo avrebbero trovato lì. Così, mentre preparava il suo parco bagaglio, li attese, perché sapeva che sarebbero arrivati, uno ad uno. Un tempo era riuscito a confrontarsi con loro, tutti assieme, senza troppi problemi ma i due lutti ravvicinati e l’orrore della guerra lo avevano cambiato: con tutta la morte che aveva visto sul suo cammino, ogni discussione famigliare gli pareva futile ed insensata.
 
Il primo dei tre bussò alla porta, con un unico colpo, secco e deciso.
“Vieni Ikki” lo chiamò Milo, pronto per la prima discussione.
 
"Oh tempo! Sospendi il tuo volo, e voi, ore propizie!
Sospendete il vostro corso;
lasciateci godere il fugace sapore
dei nostri giorni più belli!"
(Alphonse de Lamartine: Le lac)
 
 
 
Note: rieccomi con questo capitolo. Che dire? TADAAAAAAAAAAAN! Nuovi personaggi. La scelta di dare a Milo tre fratelli è nata di impulso e mi è sembrata, se non geniale, in ogni caso interessante. Anche perchè mi piaceva l'idea di accostare quei tre lì. Sì, insomma, la loro storia già in Saint Seiya è molto particolare (vedasi la questione Shun=reincarnazione di Ade) e allora ho pensato di inserire questo loro rapporto nella fanfiction (e, per dargli spazio, dovevo per forza accostarli a qualche personaggio più rilevante nelle vicende).  In questo capitolo fa il suo ingresso anche Isaak, giusto per completare l'allegra (?) famigliola siberiana. Detto questo, spero che qualcuno possa trovare il tempo per lasciarmi due righe di recensione: so che è periodo di esami (e per qualcuno di vacanze) ma mi farebbe molto piacere ricevere qualche parere. Inoltre, colgo l'occasione di farmi un pò di pubblicità occulta: se siete fan di GOT passate anche a leggere "Sola" & "Decipit Prim Frons" (la seconda va bene anche per i fan di Kingdom Hearts).

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