Quando la neve diventa letale di Merlins (/viewuser.php?uid=319320)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non sempre é quel che sembra ***
Capitolo 2: *** Se non é zuppa é pan bagnato ***
Capitolo 3: *** Addio, monti sorgenti dall'acque.. ***
Capitolo 4: *** Ti ricordi di me, amore? ***
Capitolo 5: *** Principessina dal cuore d'oro ***
Capitolo 6: *** Sul far del tramonto ***
Capitolo 7: *** I morti non camminano..? ***
Capitolo 8: *** Vecchie conoscenze ***
Capitolo 9: *** Incertezze ***
Capitolo 1 *** Non sempre é quel che sembra ***
«Dai
mamma muoviti!!»
Quella
mattina dell’anno 1983 fui svegliata da
mio figlio, Daniel, che continuava a correre e saltare sui letti.
«Ma
sei impazzito?! Torna a dormire Daniel, sono
solo le sei di mattina!» dissi, riportandolo in camera.
«Ma
io credevo.. nonsono
le otto? »
«No
Daniel, mancano ancora due ore.. e adesso
torna a dormire, altrimenti a scuola ti addormenterai sul
banco!»
«Va
bene mamma.. però quando sono le sette e
mezza svegliami, non dimenticartelo.»
«Certo,
tesoro. Notte»
Mi rinfilai sotto le
coperte, il clima
autunnale portava il freddo in casa; per giunta dovevo far riparare il
riscaldamento, anche se avevo chiamato gli addetti più di
una settimana
fa.
Da
quando mio marito ci aveva lasciati, morto
mentre salvava delle vite in un incendio, vivevamo soli: era molto
difficile, spesso il mio lavoro non era sufficiente per le spese
familiari e dovevo assumere una badante che si prendesse cura di mio
figlio.
In
realtà, quella che ora non riusciva a dormire
ero io. Pensavo a Daniel: domani era il suo primo giorno di scuola, per
questo era così agitato. Sei anni.. stava crescendo il mio
piccolo
ometto.
Alle
sette e mezza precise vidi arrivare un
bambino un po’ sonnambulo, che si buttò sul letto,
lasciandosi andare.
«Cosa
ti avevo detto eh?» lo presi in braccio,
portandolo in cucina.
Gli
preparai del latte, aggiungendoci anche
cacao in polvere, assieme a un pacchetto di biscotti.
«Allora,
sei emozionato per il primo giorno?»
gli chiesi, sorseggiando una tazza di tè.
«Si
si certo.. però ho tanto sonno.. » si
addormentò con la faccia nella scodella.
Presi
tutte le sue cose e le riordinai. Dieci
minuti dopo si sentì il clacson dell’autobus
richiamare tutti i bambini.
Svegliai
Daniel, gli diedi un bacio, poi lui si
avviò verso il pullman, salterellando con il suo zaino sulle
spalle.
«Mi
raccomando Daniel! Non parlare con gli
sconosciuti e comportati bene a scuola!» lo salutai.
Rientrai
in casa. L’aria era leggermente più
calda della scorsa notte, tuttavia il vento soffiava a grande
velocità.
Mentre stavo sistemando la cucina, suonò il telefono.
«Pronto?»
sbadigliai.
«Pronto..
capo? Mi spiace averla svegliata, ma
un anziano signore é passato in centrale, dicendo che aveva
un
problema. Mi ha pregato di avvisarla e di invitarla a raggiungerlo a
casa sua e..
capo? Si sente bene?» era Lenzi, mio fido aiutante e
investigatore.
«Oh
si, scusami ma questa notte non ho dormito
per niente.. dicevi?»
«Le
stavo dicendo di questo signore, Sir Edwick
Morgan, che ha richiesto la sua consulenza. La prega di raggiungerlo
alla sua abitazione in Viale Italia 2. Penso sia importante.»
«Bene, sarò
da lui tra mezzora. Ti
dispiace accompagnarmi?»
«Oh
no capo, si figuri!»
«Grazie
mille, Lenzi. E non chiamarmi capo»
dissi, riagganciando la cornetta.
Esattamente
mezzora dopo, una macchina si fermò
davanti a casa mia: una Volksvagen blu metallizzato, perfettamente
pulita e senza un graffio.
Suonò
il campanello, così andai ad aprire.
«Ah!
Eccola qui, signor Lenzi. Bella macchina,
nuova?»
Lui
si limitò ad annuire con un cenno del capo,
nascondendo le mani nel cappotto per il freddo.
Salimmo
in macchina, dove mi avvolse un fresco
odore di pino. Alberelli profumati per auto.
«È
molto taciturno oggi. Va tutto bene?» chiesi
al mio assistente.
«Non faccia caso a me, capo. Sono solo
un po’
assonnato, ma è normale con questo tempo uggioso..»
«Già.
A proposito, dove si trova la casa del
signor Morgan?»
«Viale
Italia 2, è qui vicino. Mi pare di aver
capito che sua moglie sia una vera signora.. non so se mi spiego.. una
di quelle ricche e potenti, che sono consapevoli della loro
superiorità» abbassò lo sguardo.
«Agli
occhi della legge siamo tutti uguali. Hai
altre informazioni su questa donna?»
«Non
molto in realtà. So che è vedova, ha due
figli e vive in una grande villa, proprio nella zona meridionale di
Livorno. La casa è molto bella, artistica, e in famiglia
sono tutte
persone perbene.»
«Angeli,
insomma. Perfetto Lenzi, grazie delle
informazioni.»
Cinque
minuti dopo giungemmo a destinazione: una
grande villa color ambra si ergeva in tutta la sua imponenza,
illuminata dalla luce soffusa del sole.
«Sembra
proprio che siamo arrivati nel posto
giusto!» disse Lenzi, stiracchiandosi.
«Sì,
senza dubbio. Tuttavia ho un brutto
presentimento...» mi avvicinai al cancello
d’entrata e suonai.
Neanche
il tempo di terminare la frase che vidi
un uomo sui quarant’anni correre verso di noi, ansimante.
«Salve,
siamo gli investigatori Lenzi e Corsini.
Siamo lieti di conoscerla e..»
«Sisi
d’accordo molto piacere però adesso
sbrigatevi, venite di qua, presto!» l’uomo correva
e si disperava, ogni
tanto lanciando imprecazioni e voltandosi per vedere se lo seguivamo.
«Diamine,
che maleducazione!» Lenzi mi sussurrò
all’orecchio.
«Non
farci caso, ci deve essere un problema
molto serio se si comporta così»
«Lo spero per lui, perché
l’ultima cosa che
voglio è farmi prendere in giro da un..»
Si
bloccò. Lo spettacolo che si presentava ai
nostri occhi era sconcertante. Il corpo giaceva li, inerme in mezzo
alla stanza. Sangue sul tappeto e una pallottola nel petto. Era morta.
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Capitolo 2 *** Se non é zuppa é pan bagnato ***
«Ma
cosa diavolo..?» mi
precipitai vicino al corpo; ormai era già morta da molto
tempo, le membra erano
fredde.
«Era
per questo che vi
avevo mandata a chiamare con così tanta urgenza..»
disse un anziano signore che comparve
da dietro la porta. Si reggeva con un bastone e avanzava sorretto anche
dall’uomo che ci aveva condotti lì.
«Ma
che vi salta in mente?!
Non avete chiamato un’ambulanza, la polizia o i soccorsi?! E
noi cosa dovremmo
fare ora??» Lenzi si disperava.
Il mio
collega era solito
avere attacchi di panico quando c’era di mezzo un delitto,
guai con la legge o
la sua amata Volksvagen. «È
l’orgoglio
del suo papino» diceva sempre.
«Siamo
terribilmente
desolati! Ma il telefono.. la corrente, non andava.. e il panico.. insomma non è
stata colpa nostra! Non ci
posso ancora credere che sia morta..» aveva mormorato
l’uomo in piedi, che
avevamo scoperto essere il figlio della signora.
«Certo..
comunque un medico
bisognerà pur chiamarlo, almeno per stabilire intorno a che
ora è morta» emisi
un sospiro, cominciando ad esaminare il resto della stanza.
«Oh,
certo.. se volete
scusarmi, vado subito a chiamarlo» il figlio si
dileguò nel lungo corridoio.
Mentre
io e Lenzi
esaminavamo la scena del crimine, l’anziano signore rimasto
vicino alla porta
ci scrutava con i suoi occhietti furbi e indagatori.
«Forse
sarebbe meglio
portarlo fuori..» ed entrambi ci girammo a fissare la figura
di quell’uomo, che
rimaneva appoggiato alla porta e ci osservava attentamente.
«Va
bene capo, ci penso io»
Lenzi si alzò, dopodiché prese per un braccio
l’anziano e lo condusse nel
soggiorno.
Intanto
io continuai ad esaminare
il luogo del delitto: la signora era stesa a pancia in su con le gambe
divaricate, sul suo viso un’espressione contorta simile a un
ghigno malefico.
Era raccapricciante.
Dietro
la nuca, una scia di
sangue secco che probabilmente era fuoriuscito dalla schiena. Non
c’erano impronte
di alcun tipo, l’arma del delitto era sparita e sul tavolo
una lettera di poche
righe scritte a macchina: «Me ne
devo
andare. Spero che il mio sacrificio varrà la pena».
Molto
singolare come
suicidio. Ovviamente se davvero di questo si tratta.
Il
resto della stanza era
stato messo in disordine, probabilmente una rapina andata a male.
«Anche
se» mormorai tra me
e me «i soldi sono ancora nella cassaforte e i gioielli pure.
Qualcosa non
quadra..» mi avvicinai alla finestra.
Scostai
le tende e vidi che
stava nevicando. Era successo già due giorni fa, nonostante
fossimo in pieno
autunno.
«Capo,
i parenti della
donna si sono riuniti giù in salotto, se vuole possiamo
incominciare ad
interrogarli» Lenzi si presentò alla porta e con
un cenno mi fece segno di
seguirlo.
«D’accordo,
andiamo pure..
ma cosa? Aspetti un secondo, Lenzi..»
«Trovato
qualcosa capo?»
«Si
anche se non si capisce
cosa sia.. si, sembra un ciondolo d’oro, a forma di
angelo»
«Uff,
beh almeno abbiamo
qualcosa per le mani..»
Finalmente
giunse il
medico, che si mise immediatamente al lavoro.
«Come
mai ci avete messo
così tanto a chiamarmi? Questa poveretta è morta
da più di quarantotto ore!»
Il
medico girò il corpo
dell’anziana signora e chiamò i suoi due
assistenti, che arrivarono con la
barella.
«Piacerebbe
anche a noi
saperlo.. può darci qualche altro ragguaglio sulle
circostanze di morte?»
chiesi al dottore, mentre Lenzi, come un provetto Sherlock Holmes,
esaminava
tutto minuziosamente con una lente d’ingrandimento e prendeva
appunti sul suo
taccuino.
«Per
adesso posso solo
dirvi che è morta per emorragia interna. Guardi, il
proiettile ha mirato dritto
al cuore e direi che l’ha proprio centrato. Considerando la
temperatura della
pelle e il colore direi che il fatto è accaduto due giorni
fa, naturalmente
sarò in grado di fornirvi maggiori dettagli solo dopo
l’autopsia»
«Grazie
mille intanto
dottore».
Scesi
giù in salotto, dove
trovai i parenti riuniti attorno al tavolo centrale, evidentemente
tutti in
preda ad un nervosismo cronico.
«Bene
signori e signore» annunciai
«sarò lieta di sentirvi circa gli avvenimenti di
oggi nello studio qui accanto.
Prego, entrate uno alla volta seguendo le istruzioni del mio
collega».
Mi
sistemai nello studio
del signor Morgan: una stanza molto ampia, con scaffali traboccanti di
libri e
antichi manoscritti. Al centro, un grande tavolo di mogano scuro e una
poltrona
in pelle color borgogna.
Le
pareti erano dipinte di
un grigio sbiadito, che davano all’ambiente un’aria
un po’ trascurata.
«Il
signor Morgan ha una
certa età, non penso sia ancora in grado di occuparsi
dell’intonaco delle
pareti» pensai tra me e me.
Stavo
immersa nelle mie riflessioni
quando sentii bussare alla porta. «Avanti» dissi.
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Capitolo 3 *** Addio, monti sorgenti dall'acque.. ***
Mi voltai e vidi
entrare questa dolce ragazza, capelli raccolti in una treccia e avvolti
in un
delicato aroma al gelsomino. Aveva occhi chiari come il ghiaccio,
sorriso
perfetto e i piedi da ballerina.
«Salve, sono
l’ispettore Corsini. Piacere di conoscerla»
«Piacere, io sono Emma
Morgan, la figlia dei coniugi» feci per stringerle la mano in
segno di saluto,
ma lei stette ad osservarmi con uno sguardo svanito, per poi toccarmi
con la delicatezza di una piuma.
«Inizio subito col dire
che mi dispiace per la sua perdita. Immagino debba essere molto
difficile..»
«In effetti, sarà
dura
andare avanti senza di lei, ma ci proveremo» tolse il
fazzoletto dal suo
vestito vermiglio e si asciugò le lacrime.
«Mia cara, se non se la
sente, posso far chiamare qualcun altro, se ha bisogno di
riprendersi..»
«No, va tutto bene. Mi
dica, cosa vorrebbe sapere?»
«Innanzitutto,
perché
avete aspettato tanto tempo per chiamare un medico? La signora
è morta quasi da
tre giorni ormai..»
«Si, ha ragione. Ma il
fatto è che ultimamente abbiamo avuto problemi con il
telefono, la corrente eh..
beh, tutto necessita di essere riparato.»
Adesso stava muovendo
freneticamente le mani, le tremavano le gambe e leggevo i suoi occhi:
erano sconvolti.
«In tal caso.. non potevate
chiedere ai vicini? Oppure andare direttamente
all’ospedale?»
«Si, è vero,
però non
avevamo tempo ed eravamo terrorizzati, poi abbiamo trovato il suo
numero e
l’abbiamo chiamata, contando ovviamente sulla sua
discrezione.»
«Naturale, anche se
penso sarebbe meglio informare le autorità.. tornando
all'omicidio, quando l’avete trovata?» cambiai
discorso, notando che era sempre più restia a parlare.
«Due giorni fa..
è
stato mio fratello Louis a trovarla, può immaginare che
shock per un ragazzino
di appena diciassette anni.. l’abbiamo trovata esattamente
così, non abbiamo spostato
nulla da allora.»
«Mmh, bene.
Un’ultima
cosa.. so che sembra una domanda fuori luogo ma.. ecco, lei dove si
trovava al
momento dell’omicidio?»
«E’ buffo, sa? Non
ho
un alibi per quel momento. Posso dire che ero fuori per una
passeggiata, ma
come potrà verificare nessuno ne sarà
sicuro.»
«In effetti, questo
complica un po’ le cose.» dissi, accompagnandola
fuori. Mi rivolsi poi a tutti
i presenti: «Scusatemi, un attimo di attenzione. Mi
sembrate tutti
alquanto scossi dall’accaduto e, francamente, preferisco
lasciarvi tempo per
riprendervi. Continueremo nel tardo pomeriggio. Intanto, grazie a tutti
per la
disponibilità.»
I presenti si
allontanarono. Riuscii però a scorgere il figlio del signor
Morgan, Louis, che
entrava nello studio. Incuriosita, mi avvicinai, e posai
l’orecchio contro il
portone.
«Allora,
è tutto pronto? Si, certo.. tranquillo, ormai non dobbiamo
più
preoccuparci di quella.. assolutamente, concluderò
l’affare.. e la
riunione?Dimmi.. ah,tra una settimana all’Hotel Continental..
d’accordo, ci
sarò.. a presto.»
Sentii i suoi passi
avvicinarsi alla porta, così mi appiattii contro il muro.
Lui uscì, si guardò
intorno per assicurarsi che nessuno lo stesse spiando, e se ne
andò via
raggiante. Credeva di fregarmi, quel furbacchione.
Guardai l’ora. Era
passato mezzogiorno, infatti il mio stomaco cominciava a brontolare.
«Lenzi!LENZI!»
urlai
dal fondo della scala.
«Eccomi capo! Che
succede?» scese tanto in fretta le scale che mancò
il gradino, capitombolando
giù come un sacco di patate.
«Accidenti! Lenzi, come
sta? Mi risponda!» lo scuotevo energicamente.
«Starei sicuramente
meglio se la smettesse di sbatacchiarmi come una pallina da
ping-pong..»
«Ops, mi scusi.. le va
di andare a mangiare qualcosa?»
«Sto bene capo, e
sì,
accetto volentieri l’idea!»
«Ti ho già detto
di non
chiamarmi capo.»
Rientrammo poco dopo,
giusto un quarto d’ora per mangiare un panino, quando
sentimmo un urlo.
«Ohh no, e adesso cosa
succede?!»
«Signora, la prego
faccia presto! Emma è sul balcone e si vuole buttare nel
vuoto!» la cameriera
prese i lembi della sua veste e cominciò a correre su per le
scale, seguita da
noi due.
Spalancata la porta,
vedemmo tutti i parenti riuniti nella stanza di Emma. La ragazza si
trovava
sull’orlo del balcone: indossava un vestito di tulle color
grigio perla, i
capelli color ebano raccolti in una coda di cavallo e le mani protese
verso il
cielo.
«Per carità! Emma
non
faccia sciocchezze!» urlò il maggiordomo di
famiglia.
«Emma.. che stai
facendo?» mi avvicinai lentamente a lei.
«Vado a trovare la
mamma, chissà come sta adesso.. sono stufa di questo mondo,
persone che odiano
senza provare ad amare, chi di loro ha tutto e chi niente, persone che
hanno
dimenticato le storie e la magia delle favole antiche e proseguono solo
con
gossip e scandali.. l’amore puro, ormai nemmeno quello esiste
più.»
Mentre parlava le
lacrime le rigavano le guance, sorrideva d’un amara dolcezza
e fissava il
cielo, come se avesse voluto aver le ali e fuggire via.
«Hai ragione, Emma, ti
capisco. Ma non puoi sacrificarti per peccati che non hai commesso..
non è
colpa tua, e lo sai.»
Non feci in tempo a finire la frase
che Emma si lanciò nel
vuoto. Vidi le sue lacrime cadere come goccioline di pioggia, vidi il
suo
sguardo, perso, amareggiato, mentre sfidava il destino lasciandosi
andare.
Attimi che sembrarono un’eternità.
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Capitolo 4 *** Ti ricordi di me, amore? ***
Non
sentii il fragore
del suo corpo contro il pavimento.
So
solo che mi precipitai al balcone e la vidi: era stata afferrata in
tempo da un ragazzo, che la guardava con gli occhi gonfi di lacrime.
Almeno era
salva.
Corremmo
tutti in direzione dell’ingresso, dove trovammo i due
abbracciati.
«Emma,
tesoro stai bene?» il vecchio Morgan fece per avvicinarsi, ma
lei gli fece cenno di bloccarsi.
«Ti
prego, lasciami stare ora. Ho bisogno di rimanere sola con Nico.
Scusatemi, adesso ci ritiriamo e gradiremmo non essere
disturbati» detto questo
prese per mano il ragazzo e sparirono.
Strana
ragazza, quella. Ormai tutto in quella famiglia mi sembrava
anormale. Telefonate in segreto, tentativi di suicidio e continui
bisbigli..
qualcosa di oscuro che non riuscivo a comprendere.
«Edwick,
lasciala perdere, sai come sono gli adolescenti!» disse una
donna accanto al maggiordomo.
Ah,
certo, gli adolescenti.. peccato che quella ragazza abbia
già
venticinque anni, penso proprio che l’adolescenza ormai sia
terminata per lei.
Ignorai quel commento, rivolgendomi a tutti i presenti.
«Bene
gentili signori e signore, mettendo da parte questo spiacevole
evento, vorrei sentire il prossimo parente della vittima.» e
mi avviai verso lo
studio.
Poco
dopo sentii bussare energicamente alla porta: ne entrò un
uomo
sulla quarantina, capelli brizzolati e occhialetti tondi, il naso
aquilino e un
vago odore di grappa addosso.
Era
talmente brillo che mancò la sedia su cui si doveva
accomodare,
finendo con il sedere in terra.
«Tutto
bene?» dissi, aiutandolo ad alzarsi.
«Ma
certo tesoro! Dai, facciamo questo bel colloquio che poi posso
tornarmene in camera!» aveva il singhiozzo e continuava a
tossire.
«D’accordo..
dunque, per prima cosa, qual’e il suo ruolo qui?»
«Il
mio che?! Ahaha signora mia, il mio ruolo potrebbe essere responsabile
della dispensa e delle cantine! A parte quesssto, sono Paul, il
fratello di
Edwick.. o meglio, del signor Morgan, anche se tutti qui lo chiamiamo
Ed»
«Ah,
molto chiaro.. e lei ha visto o sentito niente quando è
avvenuto
l’omicidio?»
«Lei
ha detto.. omicidio? Ma è impossibile! La porta era chiusa a
chiave, come avrebbe fatto l’assassino poi ad
uscire?»
«Sta
nevicando molto anche se siamo in autunno!»
«E
adesso questo cosa c’entra?»
«Senta,
andrò dritta al punto. Qui c’è qualcosa
che non mi convince,
il suicidio perfetto,la lettera con l’addio, la pistola nella
mano destra
nonostante la signora fosse mancina.. no, sembra tutto troppo perfetto,
come
architettato da qualcuno.. perciò ora mi vuole dire dove si
trovava tre giorni
fa?!»
«
Stavo facendo una passeggiata con Marley, il nostro cane..
può
chiedere alla cameriera Jessica se non mi crede.»
Mandai
a chiamare la ragazza, che entrò timidamente nello studio
mentre il signor Paul la fissava con uno sguardo da pesce lesso. La
povera
ragazza avrà avuto sui vent’anni, capelli biondi
sciolti sulle spalle e occhi
verdi color smeraldo. Mi confermò che aveva accompagnato
Paul Morgan nella
passeggiata. La ringraziai e congedai anche il mio interrogato, che
nell’uscire
si scolò un'altra bottiglietta di grappa.
Sprofondai
nella sedia e chiusi gli occhi. Certe volte il lavoro mi
esauriva.
Guardai
fuori dalla finestra. Nevicava ancora, ma vedevo un bambino in
giardino con una donna sui trent’anni. Appena mi vide, il
bimbo mi salutò con
la mano e io ricambiai.
«Aha!
E quelle? Mmh, si, sembrano proprio impronte!» le notai anche
se
erano leggermente sbiadite, pianta decisamente corta e tacco a punta:
direi
proprio scarpe da donna.
Più
tardi avrei mandato Lenzi ad esaminarle, adesso mi predisponevo
per accogliere il prossimo parente.
Bussarono
di nuovo alla porta. Non dissi nemmeno avanti, ma Emma entrò
lo stesso.
«Commissario,
credo di doverle delle spiegazioni..» si sedette. Emanava
profumo di aroma all’arancia.
«Se possibile, si, gradirei che mi chiarissi
perché hai..»
«Già. Non avrei mai pensato
di arrivare a tanto. Il ragazzo di prima si chiama Nico Gori, era il
mio
fidanzato fino a due anni fa.. se ha voglia, le racconterò
la storia. »
«Ti prego, dammi del tu. Vai
pure avanti» incrociai le gambe.
«Nico è sempre stato un bravo
ragazzo: lavorava nell’industria meccanica, in
un’officina nel centro della
città. Ci siamo conosciuti
all’università, e da lì ci siamo
innamorati. Parlava
di una storia seria, della famiglia che avremmo avuto, con tanti
figli...»
«Bei piani, bei progetti..
poi che successe?»
«Fu arrestato dalla polizia»
«Che aveva fatto?»
«La cosa più orribile.. venne
accusato di omicidio»
«Oh.. e chi aveva ucciso quel
povero sciagurato?»
«In realtà.. si trattava di
mia sorella».
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Capitolo 5 *** Principessina dal cuore d'oro ***
Deglutii,
incapace di proferire parola.
«Già, mia
sorella Gwen.. Fu
tutto uno sbaglio. Nico allora aveva diciott’anni, come me.
Mia sorella Gwen
aveva solo otto anni, era ancora molto piccola. Mi ricordo quel giorno
come se
fosse ieri..».
«Emma,
quando torna la mamma?»la mia piccola Gwen
giocava con le bambole sul tavolino nella veranda, io da fuori la
osservavo
mentre giungevano le prime ombre della sera.
«Presto,
tesoro. Dai, vieni con me al parco, potremo
guardare meglio il sole che scompare.. e poi, ci siederemo
sull’altalena che ti
piace tanto e voleremo in alto, fino alle stelle!»
«Ti
voglio tanto bene Emma, sei la sorella migliore
del mondo!»e, detto questo, mi prese per mano e la
accompagnai al parco,
proprio dove stava la sua altalena.
«Guarda
il sole.. chissà dove va tutto solo» quella
principessina dal cuore d’oro sorrideva e volava su, su e
ancora più su.
Proprio
allora vidi giungere Nico, il mio ragazzo, che
correva e ansimava a causa della corsa.
«Che
sta succedendo Nico?»
«Devi..
aiutarmi, loro sono qui! Mi uccideranno!»
farfugliava parole insensate.
«O
Dio, Nico, che cos’hai combinato?!» piangevo,
perché ogni volta che lo incontravo era immischiato in
faccende più grandi di
lui, tipo dovere soldi agli spacciatori o aver rubato nei negozi.
«Non
c’è tempo! Aiutami, ti prego!» ma prima
che
potessi chiamare qualcuno un omaccione col volto coperto gli fu
addosso. Nico
allora tirò fuori la pistola.
«Santo
cielo! Ti prego, non farlo!» corsi a tutta
velocità verso mia sorella Gwen, mentre lei, dopo aver
sentito quelle grida,
correva verso di me.
Fu
allora che accadde. Nico sparò un colpo verso il
suo aggressore, ma questi era
riuscito a
piegargli il polso di lato mentre il proiettile era appena partito..
quando mi
voltai, Gwen era a terra.
«Gwen!
GWEN!» urlai con tutto il fiato che avevo in
corpo, tanto che feci scappare quell’uomo, poi corsi verso
Gwen e presi il suo
corpicino inerme tra le braccia.
«Sono
riuscita a toccare le foglie dell’albero prima
sull’altalena. Hai visto, ce l’ho fatta
finalmente..» chiuse dolcemente gli
occhi, finchè le sue labbra non emisero più alcun
suono e il suo battito si
fermò.
Nico
era corso vicino a me. Sapevo che non era colpa
sua, ma in quel momento il mio cuore e la mia mente erano pieni di odio
nei
suoi confronti. Aveva strappato metà del mio cuore, il mio
piccolo angelo.
«Emma..
io.. mi dispiace..»
«Vattene!
Non ti voglio vedere mai più, sparisci dalla
mia vita!»
«Ma
cosa racconterai alla polizia?»
«E’
meglio se ti costituisci.. se non altro
chiariranno che si tratta di omicidio involontario»
«Però
io volevo-»
«Vattene.»
Nico
se ne andò, sparendo nel bosco, mentre io,
portando in braccio il corpo sanguinante della mia piccola sorellina, mi diressi al commissariato,
con l’intenzione di
spiegare tutto l’accaduto.
Fu
una tragedia. Mia madre e mio padre mi chiusero in
camera, proibendomi di uscire per mesi; a mio fratello Louis fu
affidata una
tata e per tre giorni sparimmo dalla circolazione.
Al
funerale mi permisero di uscire. Non volevo che la
seppellissero nel cimitero, troppo spoglio e cupo.
«Ma
tutti i defunti vengono seppelliti nel cimitero!
Non puoi cambiare questa cosa!» sbraitò mio padre.
«Gwen
non è un defunto qualunque! E’ una principessa,
e pertanto merita di essere seppellita in un posto
speciale..».
Fu
dura, ma ottenni che seppellissero Gwen nel parco, proprio
vicino all’albero che per tanto tempo l’aveva
accolta e protetta. Per anni
continuai a recarmi davanti a quell’albero, ogni volta
portando una rosa
bianca, la sua preferita.
Stavo
piangendo. Non me ne rendevo conto, ma ero in lacrime.
«Ancora oggi
mi reco a quella tomba, ogni giorno al tramonto.»
«E in quanto
a Nico?» dissi, asciugandomi con un fazzolettino di stoffa.
«Non ne seppi
più nulla. Gli avevo raccomandato di costituirsi, ma fu
sempre irreperibile.
Una volta lo trovarono, ma lui scappò invece di arrendersi.
Allora venne
incriminato per omicidio colposo, e la caccia contro di lui divenne
frenetica:
guardia forestale con i cani, polizia, agenti speciali e guardia
costiera. Alla
fine lo trovarono e lui fu costretto ad arrendersi. Nonostante la mia
testimonianza, venne incriminato, almeno per omicidio involontario
aggravato
per resistenza all’arresto e fuga: si beccò cinque
anni.
E adesso è di
nuovo qui.. scommetto che se papà avesse un po’
più di forza lo avrebbe già
ammazzato.»
«E lei.. lo
ha perdonato?»
«In un certo
senso.. sì. Ho promesso che gli parlerò ancora e
ci terremo in contatto, ma per
ora non me la sento di stare ancora con lui.»
«Emma, Emma
cara.. grazie per avermene parlato. Al tramonto, se non ti dispiace,
vorrei
venire con te»
«Assolutamente.
Appena sarò pronta, la manderò a
chiamare» disse, e se andò. Il volto coperto
da un velo di tristezza, le mani fredde come il ghiaccio e il vestito
di tulle
che ondeggiava, accompagnando ogni suo passo.
Vi piace il
capitolo? Fatemelo saperee, voglio tantissime recensionii <3
(anche negative s'intende)
Per questa
settimana non riuscirò a pubblicare niente, domani vado in
Spagna per una settimana :D
Comunque..
niente, solo vi amo tutte/i <3
|
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Capitolo 6 *** Sul far del tramonto ***
In
poco tempo
si erano fatte le quattro: dovevo andare a prendere Daniel.
Presi
la macchina del mio collaboratore e mi diressi verso la scuola
elementare: fuori trovai moltissime mamme che spettegolavano sugli
ultimi scoop
della giornata, cinguettando come canarini. Io non mi interessavo molto
di moda
e tv, meglio leggere un libro o uscire per una passeggiata.
«Ciao
cara!!» appena vidi che si rivolgevano a me capii che non
c’era
via di scampo.
«Salve!
Che si dice in giro?» tentai di introdurmi nelle loro
conversazioni.
«Non
ne sei al corrente?! La amatissima, e soprattutto ricchissima,
signora Morgan è stata uccisa!»
E
menomale che i giornalisti dovevano stare alla larga da quella casa,
pensai.
«Davvero?
Ma chi è questa donna? Non credo di averla mai sentita
nominare..» finsi di essere all’oscuro di tutto,
per il momento non avevo
neanche l’intenzione di rivelargli che ero
un’investigatrice.
«Come
come? Non la conosci?! Mia cara Sophie, dove vivi? In una
caverna? Devi sapere che..» e qui iniziò la lunga
serie di sproloqui che non
sto nemmeno a raccontarvi.
Sgusciando
tra le signore dei quartieri alti, vestite con abiti in
lino, cappellini di seta, pochette in mano e trucco impeccabile,
riuscii a
mettermi davanti alla folla e attesi il suono della campanella.
«Bambini!
Fate piano! Mi raccomando, domani siate puntuali!» la porta
si aprì e ne uscì una donna dinoccolata con
capelli ingrigiti, probabilmente la
preside.
«Ciao
mamma!» vidi il mio piccolo, vivace bambino correre verso di
me.
«Daniel!»
lo abbracciai forte, scoppiando a piangere.
«Mamma,
perché piangi?»
«Non
è niente.. solo, grazie di essere ancora qui con
me».
Come
di consueto lo portai dalla nonna paterna, lì sarebbe stato
infatti fino alle otto.
Tornai
alla villa, trovando un’orda di paparazzi incollati davanti
al
cancello.
Mi
feci largo tra la folla ed entrai in casa: tutti i parenti erano
ancora riuniti nel salotto, Emma compresa.
«Bene,
dopo aver sentito Emma e il caro signor Paul, vorrei parlare
con Louis.»
Mi
sedetti sulla poltrona dello studio, ormai era diventata
un’abitudine,
poi entrò un ragazzo: capelli neri pieni di gel rizzati in
piedi, due dilatatori
nelle orecchie, occhi di un azzurro intenso e vestiti stracciati.
Chissà se
Daniel nel futuro sarebbe diventato come lui. Speravo proprio di no.
«Allora,
Louis.. innanzitutto, quanti anni hai?»
«Diciassette.»
«Beh,
sei ancora piuttosto giovane.. riguardo all'accaduto, mi dispiace molto
per la tua perdita.»
«Ce
ne faremo una ragione.. la cosa più strana è che
sia stata..
uccisa, qui.»
«C’era
qualcuno che poteva volere la morte di tua madre?»
«Non
che io sappia. Ma è sicuro che sia un omicidio? Voglio dire,
niente impronte, niente indizi, nessun testimone.. non sono queste le
informazioni che quelli come lei devono cercare?»
«Si,
abbiamo già alcuni elementi che vanno a favore
dell’omicidio.
Parlando d’altro, stamattina ho sentito che chiamavi
qualcuno.. posso sapere di
chi si trattava?»
«Adesso
non si può nemmeno avere un po’ di
privacy?»
«Si,
ovvio.. tuttavia quella telefonata mi ha incuriosita..»
«Era
per la scuola. Una mia amica mi chiedeva dei compiti»
Masticava
rumorosamente il chew-gum e sedeva con gambe e braccia
incrociate, chiaro segno di impazienza.
«Capisco..
e dove ti trovavi al momento dell’omicidio?»
«Ero
fuori nella veranda con il mio migliore amico.»
«Per
adesso è tutto.. ma tieniti a disposizione, avrò
ancora bisogno
di te»
Lui
se ne andò, senza prestare minimamente attenzione a quello
che gli
avevo detto. Nascondeva qualcosa, ormai era chiaro come il sole;
toccava a me
scoprire cosa.
Fuori
aveva smesso di nevicare. La coltre bianca ricopriva i tetti
delle case e si sfaldava a contatto con qualsiasi cosa. Mi avvicinai
verso il
punto in cui avevo visto quelle impronte: poiché
quell’area era parzialmente
riparata dalla tettoia, le impronte erano ancora abbastanza nitide.
Erano
scarpe con tacco, e a giudicare dalla lunghezza direi numero
trentasette. C’erano
anche delle piccole macchioline di sangue.
Fu
in quel preciso momento che me ne accorsi: qualcuno mi stava
osservando. Primo piano, seconda finestra a destra. Non riuscivo a
capire chi
fosse, fatto sta che appena mi voltai la figura sparì
nell’ombra.
C’era
qualcosa di profondamente sinistro e cupo in quella casa.
...
Il
tramonto arrivò, circa alle sette.
Scesi
dalle scale del piano superiore e trovai Emma ad aspettarmi al
pian terreno.
«Emma!
Grazie per avermi aspettata»
«Si
figuri ispettrice..»
«Ti
prego, chiamami Sophie»
«Sophie..
magari in quel luogo potrai trovare qualche indizio per
l’indagine».
Accompagnate
dal fedele maggiordomo ci incamminammo verso il parco,
lungo una stradina lastricata in pietra costeggiata da palme e oleandri
in
fiore.
«E’
bellissimo questo posto.. dovrei tornarci più spesso con mio
figlio»
«Ha
dei figli Sophie?»
«Si,
Daniel, di sei anni»
«Che
piccolo.. scommetto che è un angioletto..»
Attraversammo
un ponticello e giungemmo in un grande prato.
Eccolo
là, il parco. Ed ecco il maestoso albero, che in
realtà era una
quercia di dimensioni gigantesche. Sotto l’albero, una rosa
bianca e una
piccola lastra in pietra, con una dedica.
“Qui
riposa in pace
Gwen, piccola stella che ha illuminato i nostri cuori e che ora brilla
nel
firmamento”
|
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Capitolo 7 *** I morti non camminano..? ***
Capitolo
VII
Emma
s’inginocchiò,
in lacrime.
«Deve
sapere, Sophie» mi disse lei alzandosi «che non
c’è stato giorno
in cui non mi sentissi colpevole della sua morte. Mamma e
papà da quel giorno
mi guardano con occhi diversi: torno a casa, loro mi ignorano, si
limitano a
fissarmi, senza dire nulla. Il peggio è stato stamattina,
quando mi sono
ritirata nella mia stanza con Nico.»
«A
volte capita..» sussurrai io.
Emma
mi guardò stranita.
«Intendo
che a volte capita di sentirsi colpevoli per un avvenimento,
quando invece in realtà non potevamo fare niente per
evitarlo..»
«Lei
capisce, Sophie?»
«Si.
Anche quando mio marito è morto in un incendio io, per un
mese o
forse di più, ho continuato a rimproverarmi. Ogni mattina,
quando mi alzavo
dicevo “hai fatto morire tuo marito, sei una creatura
ignobile”..»
«Mi
dispiace..» Emma mi mise le mani sulle spalle, i suoi occhi
incrociarono i miei.
«Ormai
è passata.. fidati, tu non hai colpa, smetti di
tormentarti».
Emma
mise la rosa bianca sulla tomba, le foglie di quercia si
rimescolarono in un piccolo vortice d’aria creato dal vento.
Girai attorno all’albero: una grossa quercia di quasi
cinquecento
anni, con un tronco robusto e molto ramificata sulla cima.
Probabilmente il
proiettile non aveva oltrepassato il corpicino della piccola Gwen,
altrimenti
ci sarebbe tuttora un forellino nel tronco.
Fu allora che lo vidi: una parte cava nel tronco, dentro la quale si
poteva scorgere una lettera. D’istinto la presi e la infilai
in tasca,
probabilmente l’avrei letta dopo.
Continuai a ispezionare il terreno, ma non trovai nulla che potesse
essermi d’aiuto.
«Sophie,
se lei ha finito, io me ne andrei» Emma comparve alle mie
spalle.
«Si,
direi che qui non c’è più nulla da
fare».
Ormai
era diventato buio e non si vedeva a un palmo dal naso: il
maggiordomo accese una torcia e proseguimmo anche aiutate dalla luce
dei
lampioni.
A casa, tutti attendevano il nostro ritorno con ansia.
«Era
ora! Sapete che ore sono?!» sbottò il signor
Morgan.
«Papà
stai calmo, come vedi siamo ancora vive e vegete» Emma lo
guardò
seccata, per poi sbuffare.
«Cari
signori miei, oggi è stata una giornata davvero intensa.
Torneremo domani per ascoltare i rimanenti, intanto grazie a tutti e
buonanotte» mi congedai con eleganza.
Tutti
i parenti si mossero verso le loro stanze, però ad un certo
punto Louis si bloccò sulle scale, fissandomi: feci finta di
non accorgermene,
anche se quel ragazzo diventava un enigma sempre più
complicato col passare dei
giorni.
Presi la macchina, guidando abbastanza spedita poiché erano
già le
otto e venti. Ad un incrocio passai con il verde, ma mentre mi trovavo
nel
punto d’intersezione delle quattro direzioni una macchina
sfrecciò a tutta
velocità davanti a me, quasi tamponandomi. Stavo per
imprecare contro quell’idiota,
ma guardandolo meglio mi accorsi che alla guida c’era la
signora Morgan.
«Ma
che diavolo..?!» proruppi in un’esclamazione di
sorpresa, mentre
dietro di me gli automobilisti suonavano i clacson perché mi
togliessi dalla
strada.
No, non c’era dubbio, quella era la signora Morgan. E a
questo punto, o
i morti camminano da soli, o c’è qualcuno che si
sta facendo beffe di tutti.
Arrivai dalla nonna ancora scioccata, con una bella rigata frontale
sulla Opel Corsa nera.
«Mamma,
sei in ritardo» mio figlio era offeso perché ero
arrivata
mezzora dopo.
«Lo
so amore scusami, mamma ha avuto tanto da fare al lavoro.. che ne
dici di una bella crêpe?»
«Con
la nutella però!» Daniel corse verso
l’auto e si cacciò dentro.
Salutai
la povera Agnese, che aveva perso il figlio e il marito quasi
contemporaneamente, dandole un bacio e porgendole una scatola di
cioccolatini.
Avevo sentito sempre parlare di mogli che erano in un eterno conflitto
con le suocere, tutto un tirarsi le mine e giudicarsi a vicenda. La mia
cara
suocera, invece, era un angelo.
Ci fermammo da Mc Donald’s sulla strada accanto, dove Daniel
prese due
crêpes enormi: Dio solo sa come avremmo fatto a mangiarle.
«Come
va al lavoro, mami?» si voltò verso di me, la
bocca tutta sporca
di cioccolato.
«Bene
tesoro, oggi ho parlato con molte persone»
«Cosa
è successo?»
«Oh
niente.. pensavamo che una signora fosse morta, invece me la sono
ritrovata poco fa che guidava come una pazza»
«Ma
mamma, i fantasmi non esistono!»
«Hai
ragione.. magari è solo colpa mia, sono un po’
stanca e potrei
avere avuto un’allucinazione.»
Daniel
scese dalla macchina in tutta fretta, e andò a giocare in
camera con l’aereoplanino che Aldo gli aveva regalato. Mi parlava sempre di lui,
era il vicino di
casa della nonna.
Preparai la cena, anche se nessuno di noi due osò toccare
cibo dopo la
scorpacciata di prima.
Così arrivò il momento fatidico: presi la
lettera, un po’ spiegazzata
per colpa del disordine che avevo in borsa. Quel pezzo di carta mi
fissava, era
come se mi dicesse «Dai, aprimi.»
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Capitolo 8 *** Vecchie conoscenze ***
Il
foglio di
carta era stropicciato e l’inchiostro un po’
sbavato, probabilmente per colpa
dell’acqua piovana.
Nonostante
tutto, le parole si leggevano ancora chiare e concise.
«Oh, piccola Gwen, sapessi quanto mi
dispiace. Mi sento un mostro, forse lo sono addirittura davvero, ma
niente può
giustificare quello che ti ho fatto. E’ stata tutta colpa
mia, non posso
biasimare Emma e i suoi parenti. Spero che almeno tu, con quel sorriso
contagioso che t’illuminava ogni giorno e con quella purezza
d’animo tipica di
un angelo, possa perdonarmi..»
Alla fine
non si riusciva a distinguere la firma, ma immaginavo fosse di Nico.
Quello era
un sincero pentimento, un umile costernazione, chiamatela come volete,
ma il ragazzo
deve aver vissuto tutti questi giorni con un immenso senso di colpa,
autopunendosi per ciò che aveva fatto. Il
carcere dev'essere stato un inferno per lui.
Mi
addormentai sulla poltrona, le mani lasciarono cadere la lettera che,
svolazzando a destra e sinistra, si adagiò sul tappeto in
filigrana.
.
. .
«Mamma
svegliati! Perderò il bus!»
Socchiusi
leggermente gli occhi, trovando Daniel che sbracciava davanti a me e mi
scuoteva energicamente. «Oh santo cielo! Che ore
sono?» dissi, buttando i miei
vestiti di ieri sera nella cesta per i panni. Nella fretta non mi
accorsi che
avevo calpestato quella povera lettera più volte.
«Mancano
cinque minuti alle otto! Dai mamma sbrigati!» mio figlio
salterellava per la
stanza cercando di infilarsi i calzini, mentre ingoiava a fatica una
brioche
intera.
«Daniel
calmati! E smettila di ingozzarti così, finirai per
soffocare!» sbottai di
colpo.
I suoi occhi
diventarono cristallini e una goccia cadde dal suo occhio sinistro.
Daniel, non
devi piangere. Io ci sto male, mi si stringe il cuore ogni volta che lo
vedo
triste.
«Scusami..
non l’ho fatto apposta..» disse, cominciando a
strusciarsi le maniche del
giubbino sugli occhi pieni di lacrime.
«Su, non è
niente. Adesso preparati, vedo che sta per arrivare il bus»
Infatti in
due minuti si sentì il suono di un clacson, che richiamava i
bambini ai loro
doveri. Daniel mi scoccò un bacio sulla guancia e corse
verso i suoi compagni
di scuola.
Finii di
pulire gli ultimi mobili, poi mi sistemai raccogliendo i capelli in uno
chignon
laterale, che metteva in risalto il biondo miele dei miei capelli.
Uscii in
fretta, decisa a raggiungere il mio collega, che a quest’ora
doveva già
trovarsi alla villa.
«Bene, bene,
bene chi abbiamo qui?» disse una voce alle mie spalle,
proprio mentre stavo per
salire in macchina.
«Bè, di
sicuro sono molto più sorpresa io di vederti qui..
Luca» risposi senza neanche
voltarmi per vedere se fosse lui. Ah già, Luca. Storia un
po’ vecchia: già da
pochi mesi dopo la morte di mio marito aveva cominciato a vessarmi,
chiedendomi
di dargli una possibilità oppure di passare una sera a casa
sua. Certo, quell’uomo
voleva solo portarmi a letto, vivere l’avventura di una notte
per poi
scaricarmi come un avanzo. Eh no, per il mio onore di donna non avrei
mai
permesso questo. Comunque, anche quel don Giovanni era diventato
commissario,
ma da quando si era trasferito a Roma non ne avevo più
sentito parlare.
E invece ora
eccolo qui, proprio davanti a me.
«Che vuoi
adesso, specie di depravato sociale?» dissi, poi lo osservai
dalla testa ai
piedi: era invecchiato, e anche parecchio. Era pieno di rughe e i
capelli
bianchi cancellavano ogni segno del Luca di dieci anni fa.
«Questo
depravato sociale qui presente, se la signora mi concede, è
stato incaricato
dal R.I.S. a Roma di investigare sul caso di omicidio scoperto
ieri» sorrise
con aria beffarda.
«Scordatelo!
Questo caso è in mano al mio commissariato!» lo
affrontai tenacemente.
«Sarà anche
cosi, ma da oggi siamo costretti a collaborare, zuccherino. Che ne dici
di una
bella cenetta stasera a casa mia, per inaugurare il nuovo
duo?»
«Vuoi sapere
una cosa? Vai al diavolo!» gli voltai le spalle e salii in
macchina.
«Vedo che
non sei cambiata, sei tuttora la stessa donna irascibile e focosa di
alcuni
anni fa. In ogni caso, ci si vede sul posto dolcezza!» disse
quasi urlando,
dato che io avevo premuto l’acceleratore ancora prima che
iniziasse la frase.
Tsè, sbruffone, egoista e prepotente. Vada a farsi fottere.
Ad
accogliermi all’ingresso della villa una dolce e gentile
Emma, in procinto di
raccogliere deliziosi crisantemi dalle tonalità pastello.
«Ciao Emma!»
la salutai con un ampio movimento del braccio.
«Salve
Sophie! Finisco di raccogliere questi fiori e la raggiungo!»
disse, scomparendo
tra
piccoli
arbusti di cerato stigma, che in quel periodo avevano un colore blu
intenso.
«Ah, eccola qui capo! Il signor
Morgan la cerca, si è offerto volontariamente per parlare
con lei» Lenzi
accennò a un sorriso, poi tornò ad occuparsi del
rilevamento di impronte nella
stanza da bagno.
Lo studio del signor Morgan era
insolitamente al buio, solo un pallido spiraglio di luce si faceva
strada nelle
persiane delle finestre. Spinsi leggermente la porta. Silenzio.
«Così, si è decisa a venire
finalmente» bisbigliò una voce
nell’ombra.
Quel suono, e quella flebile
folata di vento proveniente dall’armadio mi fecero trasalire:
d’istinto misi la
mano sul cane della pistola, pronta a sparare quantunque qualcuno mi
avesse
colpito alle spalle.
«La metta giù commissario, non è
necessaria» disse una figura piuttosto bassa che fu
illuminata dalla luce.
«Venite avanti, prego, così
potremo parlare»ribadii io, sedendomi sulla poltrona davanti
alla scrivania.
Piano piano si fece avanti l’esile
corporatura del signor Morgan, seduto su una sedia a rotelle.
«Signor Morgan! Cosa è mai
accaduto?» mi sporsi dalla poltrona per vedere meglio.
«L’età è quella che
è, mia cara,
e la verità è che le mie gambe ormai sono deboli,
fiacche, così necessito di un
piccolo aiuto per muovermi.»
Prese un bastone dal pomello d’argento,
il legno finemente intagliato e lavorato. Notai anche due iniziali,
A.C.,
proprio sul pomello luccicante.
«Sa, commissario, ci sono molte
cose di cui lei è all’oscuro.. tuttavia vorrei
prima avere la sua parola che
non diventeranno oggetto di diffamazioni giornalistiche o di
gossip» iniziò il
signor Morgan.
«Signore, posso darle la mia
parola, ma comprenderà che alcuni elementi sono essenziali
per le indagini,
pertanto alcune informazioni dovranno essere rivelate, almeno alla
polizia..»
«E va bene, accetto. Dunque, le
stavo dicendo..»
Prima che potesse proferire
parola, una sgommata di un’auto da corsa ci fece sobbalzare.
Notammo che i
giornalisti di fuori si stavano raggruppando in cerchio attorno a
qualcosa.. o
a qualcuno.
Ehilà scrittori!
Vi piace come prosegue il
capitolo? Fatemelo sapere nelle recensioni, è davvero molto
importante per me :'D
A parte questo.. sciau a
presto, vi amo tutti beliiii <3
-Merlins
|
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Capitolo 9 *** Incertezze ***
«Ma
che..?»
Entrambi
corremmo fuori dalla stanza, diretti verso il cancello
d’entrata. Eccolo li, quel farabutto.
«Certo,
la polizia di Roma provvederà a risolvere il caso.. si,
signori miei, me ne occuperò personalmente.. sicuro,
collaborerò con la polizia
locale.. per adesso non ho altre dichiarazioni da fare, vi terremo
aggiornati
sullo sviluppo delle indagini.» disse l’ispettore
Luca Esposito.
Entrò
con quel suo fare da spavaldo, facendosi fotografare accanto
alla casa e sorridendo con una faccia da ebete.
«Se
proprio vuoi renderti utile comincia con l’ispezionare la
villa» lo affrontai.
Lui
si girò, con il sorrisetto malizioso che copriva sempre il
suo
volto e mi mandò un bacio; dopodiché
salì le scale, mentre io corsi a chiudere,
o piuttosto a sbattere, la porta in faccia a quei ficcanaso dei
giornalisti.
«Chi
è quell’individuo?» mi chiese il signor
Morgan dalla sala
principale.
«Un
gradasso dei R.I.S di Roma. Purtroppo dovrà collaborare in
quest’indagine, sempre che ne abbia
l’intenzione!» risposi, dirigendomi verso
il primo piano. Lenzi mi salutò dal fondo
del corridoio, indicando il luogo del delitto; quando entrai vidi
Esposito che
stava tastando il pavimento, forse alla ricerca di qualcosa che aveva
perso. Un
mio movimento brusco gli fece alzare lo sguardo.
«Ah,
eccoti qui Sophie..»
«Stai
cercando qualcosa in particolare?»
dissi, chinandomi accanto a lui.
«No,
però.. avete trovato qualcosa accanto al
corpo?» mi chiese, mentre il contatto ravvicinato tra i
nostri visi aveva
acceso le sue goti d’un colorito purpureo.
«Niente
di particolare purtroppo.. a parte
questo» gli mostrai il ciondolo.
Tutt’ora
non riesco a descrivere
l’espressione del suo volto, ma mi ricordo che i suoi occhi
si illuminarono e
prese tra le mani quell’indizio con un fazzoletto di stoffa.
«Questo
potrà essere molto utile! Lo porto
subito in commissariato!» disse, più euforico che
mai.
«E
il resto delle stanze? Non ti fermi ad
analizzarle?» esclamai, non senza un po’ di
sorpresa.
«Più
tardi mia cara, adesso questo ciondolo
dorato ha la precedenza! Ti chiamo io oggi pomeriggio»
Lo fulminai con lo sguardo,
mentre lui mi mandava un altro bacio. Eh no, adesso basta! Si sta prendendo decisamente
troppa libertà per i
miei gusti.
«Cosa
voleva quel mentecatto?» Lenzi entrò
nella stanza e si sedette accanto a me.
«Deduco
che nemmeno a te sia simpatico,
giusto?» gli sorrisi dolcemente.
«E’
troppo spavaldo e si fa beffe di tutti..
e il modo in cui le si rivolge, capo! E’ inaudito!»
«Non
ti preoccupare, basta non badarci.
Stasera ti andrebbe di venire con me a prendere Daniel da sua
nonna?» gli
proposi.
Daniel
giocava a calcio nel tempo libero, di
solito tutti i sabati e le domeniche. Anche Lenzi da giovane aveva
giocato a
calcio, così avevo fatto incontrare i due un giorno
d’estate: adesso erano
migliori amici e regolarmente si divertivano con due tiri al pallone
per
passare del tempo insieme.
«Certo
capo! Mi manca tantissimo quel furbetto
di Daniel!» rispose, sorridendo a trentadue denti.
Ci
alzammo entrambi dal pavimento, per poi
andare lungo il corridoio alla ricerca di qualche traccia:
c’era del sangue per
terra. Sangue essiccato.
«E
questo? Non mi sembra ci fossero macchie
quando siamo arrivati la prima volta» considerò il
mio collega.
«No,
infatti..» confermai, apprestandomi a
seguire quelle chiazze: portavano dritte alla stanza del signor Paul.
Grazie
alle ante di vetro dell’armadio sistemato accanto alla porta,
riuscii a intravedere
il diretto interessato che mi fissava nell’ombra.
«Avanti,
venga fuori, mi dovrà spiegare un
paio di cose..» mi voltai e fissai
l’oscurità dell’altra stanza, sapendo
che li
in mezzo si nascondeva lui.
Infatti
poco dopo il bell’imbusto di
cinquanta e passa anni uscì con uno sguardo da gattino
indifeso: vedesse che
cambiamento da quando faceva il cascamorto con la cameriera.
Entrammo
nello studio e, di malavoglia,
chiusi la porta a chiave. Lui mi guardò terrorizzato.
«Stia
calmo, non ho intenzione di torturarla
o di legarla alla sedia elettrica. Solo desidero che non se ne vada da
questa
stanza fino a quando non mi avrà raccontato tutto per filo e
per segno.
Si
tranquillizzò, mentre io gli porsi una
tazza fumante di tè caldo; poi mi sedetti di fronte a lui.
«L’alcol
è uno dei miei peggiori problemi,
mia cara Sophie.. posso chiamarla Sophie, ispettore?»
«Assolutamente
si. Vada pure avanti»
«Capita
molto raramente che io non sia
ubriaco.. e di questo la signora Morgan se ne era accorta.» e
qui notai che la
sua voce assumeva un tono sempre più grave.
«Cos’è
successo tre giorni fa?» lo
incoraggiai.
«Lucia,
ovvero la signora Morgan, mi aveva
beccato in camera mia con una cameriera. La scena doveva essere
raccapricciante, me ne rendo conto, fatto sta che si infuriò
molto. La
raggiunsi nella sua stanza, cercando di spiegarle; ma lei non volle
sentire
scuse, disse che avrebbe detto tutto a mio fratello..»
«E
per la sua dignità, lei non poteva
permetterlo, giusto?» intervenni io.
«In
parte si.. ma capisce, in quel modo avrei
perso l’affetto di mio fratello, l’unica persona
che è stata buona con me! Così
presi una statuetta e la colpii sulla schiena.. lei cadde a terra,
esanime.»
«Capisce
che questa è una confessione in
piena regola, vero?»
«Si,
e sono pronto a confermare tutto quanto:
io ho ucciso Lucia.» disse, scoppiando a piangere.
Lenzi,
che per tutto quel tempo era rimasto
accanto a me, fece chiamare due agenti che ammanettarono Paul.
«Un’ultima
cosa, signor Morgan.. era lei che
mi osservava dalla finestra ieri, mentre ero di fuori?»
«No,
commissario. Ieri sono rimasto tutto il
tempo in camera mia, che si trova sul lato opposto rispetto al
giardino»
«Grazie
Paul, mi è stato di grande aiuto» mi
venne l’istinto di abbracciarlo, ma alla fine gli strinsi
solo la mano; sarà
stato anche un ubriacone e un donnaiolo, ma il suo cuore in fondo era
buono.
«E
così, il caso è chiuso..» Lenzi fece
per
andarsene, ma io lo bloccai.
«Direi
di no, invece.. insomma non ci ha
detto nulla del ciondolo, abbiamo trovato la signora con un proiettile
conficcato nel corpo, mentre lui ci ha detto di averla colpita con una
statuetta.. no, qualcosa non quadra.»
«Magari
per assicurarsi che fosse morta potrebbe
aver sparato un colpo, in seguito potrebbe aver gettato via la pistola,
completando la messa in scena con una lettera.»
«Io
non mi fermo qui. C’è qualcun altro
implicato in questa faccenda, e voglio scoprire chi.»
«In
questo caso, capo.. sono con lei! Qual è
la nostra prossima mossa?»
«Vediamo
di interrogare quella donna.. come
si chiama? Ah si, Anita , la sorella della vittima. Ho il sospetto che
anche
lei ci stia nascondendo qualcosa»
«Ed
ecco la nostra investigatrice Corsini che
si lancerà in un'altra entusiasmante avventura, accompagnata
dal suo fido
collaboratore.. riuscirà anche questa volta a districare il
nodo di enigmi e
domande irrisolte? Restate con noi!» urlò Lenzi,
imitando la voce del
presentatore del telegiornale mattutino.
«Cretino!»
risi, dandogli un colpetto sulla
testa.
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