Sand Walk

di Nunki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Totalmente diversa dal mio solito stile di fan fiction, questo breve racconto è nato un anno fa come regalo di compleanno per una persona speciale che mi ha insegnato ad amare la natura. E' a te, quindi, che la dedico anche qui, in un tentativo di far riaffiorare alla memoria tutti i bei momenti che abbiamo vissuto insieme e che non torneranno più.

Mentre a voi che la leggerete per la prima volta auguro Buona Lettura, sperando che possa piacervi e farvi sorridere!

 

 

Sand Walk.

 

1.

 

 

La sua curiosità aveva ironicamente seguito il cammino dell’evoluzione in versione leggermente riassunta.

A quattro anni aveva scoperto che sulle sue mani vivevano centinaia e centinaia di esseri microscopici e che questi andavano lavati via tutte le volte che era pronto in tavola. L’idea di tante piccole famiglie che popolavano tante piccole casette invisibili sulle sue dita lo affascinò così tanto che pensò bene di evitare qualsiasi movimento brusco con le mani nel caso in cui potesse causare loro qualche disturbo. Ebbe anche la clemenza di non inondarli costantemente prima di ogni pasto, almeno fino a quando la madre non gli spiegò che avevano bisogno anche loro di un bel bagno come minimo cinque volte al giorno. Per mesi, comunque, continuò a camminare con i palmi all’insù e quando doveva stringere qualcosa lo faceva con la massima delicatezza.

L’anno successivo scoprì la magia delle piante. In un esperimento scolastico aveva seguito, giorno dopo giorno, la trasformazione di una lenticchia piccola e marrone in una piantina lunga, sottile e verde. Ovviamente decise di riprovare l’esperimento in casa con tutto ciò che riuscisse a trovare: dai fagioli all’aglio, dalle patate ai semi d’arancia fino ad alcuni bulbi di tulipano. Questi erano stati un regalo della madre come disperata richiesta di pace per il suo povero cortile disseminato di vasi e terreno e ormai non più praticabile da alcun essere umano che desiderasse mantenere i propri abiti puliti. Non tutti i tentativi di germinazione risultavano in un successo però e molto presto il suo rapporto con le piante mutò da puro amore a semplice interesse scientifico.

Arrivò poi l’ingresso nel regno degli animali e fu un’esplosione di novità e curiosità. Iniziò con le lumache che circolavano tra le sue piante e che attiravano la sua attenzione mentre piantava qualche nuovo seme o controllava la salute delle foglie tutto intorno. Passò ai lombrichi che lo aiutavano ad aerare il terreno come aveva letto in qualche guida al giardinaggio che gli aveva portato il padre e poi alle formiche che in lunghe file marciavano ordinatamente ovunque guardasse. Le trovava piuttosto divertenti soprattutto quando, lungo la fila zigzagante che procedeva in un’unica direzione, qualche formica si avventurava controcorrente. Poteva scommetterci che, dopo un iniziale saluto cortese ed educato, tutte le altre formiche si riunissero per deriderla. Ma lui era sempre pronto a sostenere quelle avventurose rivoluzionarie con qualche mollica di pane come incoraggiamento.

Venne poi il periodo del mondo marino quando, in gita con la classe, andò a visitare il suo primo acquario. Era veramente un mondo mostruoso ed affascinante, pieno di forme tra le più varie per colori e dimensioni. Rimase particolarmente affascinato dalle tartarughe marine e dagli squali che per lui risultavano molto più eleganti che spaventosi. Inutile dirlo, il giorno stesso chiese ai genitori se poteva avere un piccolo pesciolino rosso tutto per sé: arrivò in breve tempo con la sua boccia di vetro e nel giro di pochi anni altre specie acquatiche giunsero a tenergli compagnia in una teca molto più grande.

Anfibi, rettili, uccelli e mammiferi si ritrovarono tutti insieme ad interessare la sua curiosità quando scoprì i documentari televisivi e gli furono regalati i primi libri in materia. C’era così tanto da imparare e scoprire che si ritrovava spesso a trascurare i compiti per poter leggere di qualche nuovo affascinante vertebrato che con la sua sola esistenza gli rubava tutto il tempo. Per non parlare delle obbligatorie osservazioni sul campo che facevano correre le lancette dell’orologio a più non posso. Fortuna che il suo migliore amico era un portento in matematica ed insieme riuscivano a superare le varie prove scolastiche con risultati accettabili.

Negli anni, nonni, zii e genitori, gli avevano regalato quello che adesso poteva definirsi un vero e proprio zoo domestico e all’età di 12 anni, Roberto, poteva ritenersi piuttosto soddisfatto di gestire quell’interessante piccolo estratto del mondo animale. Se ne stava disteso per ore a pancia in giù sul tappeto, a fissare i movimenti della fauna locale e a prendere appunti sulle relazioni che intercorrevano tra una specie e l’altra e sui particolari che costituivano i singoli individui.

Quel giorno, annotava osservazioni sugli occhi del gatto.

Se faccio movimenti veloci, le pupille diventano subito più grandi.

Era l’unico appunto di rilevante interesse che aveva preso prima che con un verso innervosito il grosso felino dal pelo nero si alzasse e uscisse dalla stanza tutto impettito.

“Meo, dai! Fatti guardare per almeno dieci minuti!” gridò spazientito Roberto, voltandosi supino sul tappeto e rimanendo a braccia aperte; taccuino e matita ancora stretti tra le mani.

Charlie arrivò subito. Iniziò ad annusargli i piedi e salì velocemente fino al viso sulla cui guancia lasciò una generosa leccata.

“Grazie, ma oggi non ho bisogno di studiare te” gli disse, rimettendosi in piedi in un lampo e regalandogli una grattatina dietro l’orecchio. “MEO!” urlò poi, inseguendo il gatto.

Charlie, un cane dal pelo lungo e rossiccio, gli trotterellò dietro facendo sobbalzare la lingua al di fuori del muso.

“Roberto, organizza le tue ultime cose che tra mezz’ora partiamo”

“Ok, mamma” arrestò la caccia al felino e rientrò nella sua cameretta.

Questa era una sorta di museo naturale. Su di una parete erano appese delle teche contenenti insetti delle specie più disparate, ognuna etichettata con il proprio nome scientifico. Il suo pezzo preferito era un punteruolo rosso che era contento di possedere per la semplice soddisfazione di aver contribuito alla salvaguardia delle palme, prelevando l’esemplare dalla natura.

Su di un’altra parete piena di scaffali, sostavano decine di libri suddivisi a seconda dell’interesse che suscitavano in lui: in alto, più difficilmente raggiungibili, erano posizionati disordinatamente i libri scolastici, sul ripiano inferiore c’erano storie d’avventura frapposte a piccole riproduzioni in plastica di animali della savana, ed in basso l’ultimo scaffale era invaso da raccolte enciclopediche e fotografiche di zoologia poste alla rinfusa. Ciò che però denotava maggiormente il suo spirito naturalistico era la scrivania: come ogni altro bambino della sua età possedeva un computer ma nel suo caso questo era abbondantemente ricoperto da adesivi di associazioni ambientaliste e da guide naturalistiche poste in una pila al di sopra dello schermo. Inoltre, tra vari fogli scribacchiati e strappati, si poteva intravedere un vecchio microscopio ottico e una valigetta che conteneva un set per la conservazione degli insetti comprendente una lente di ingrandimento, barattoli e spilli entomologici.

Roberto riversò sul letto il contenuto del suo zaino e lo sostituì con una paio di guide al riconoscimento di artropodi e alberi, la lente d’ingrandimento e un libro che gli aveva regalato il padre come lettura estiva e che raccontava le avventure di un giovane futuro naturalista. Prese poi il taccuino e lo inserì in una tasca anteriore dello zaino insieme ad una penna e ai pastelli colorati: in questo modo poteva tenerli pronti all’uso se avesse dovuto appuntare qualche osservazione durante il viaggio. Mise la cartella in spalla e andò nel cortile dove prelevò Oscar dall’habitat che era stato la sua casa per quell’ultimo anno e lo spostò in un contenitore più piccolo che ricreava pressappoco le stesse condizioni di umidità.

Oscar era una Rana esculenta, o almeno questa era la nomenclatura che aveva trovato essere corrispondente alla foto più somigliante all’anfibio. L’aveva prelevata l’anno precedente da un piccolo stagno nei pressi della casa al mare con l’intenzione di studiarla comodamente durante il periodo scolastico e di riportarla poi nel suo ambiente naturale quando sarebbe ritornato in vacanza.

Dopo essersi assicurato che la vicina si sarebbe presa cura di Pallino (il suo criceto) e che sarebbe andata a versare una manciata di mangime per pesci nell’acquario almeno una volta al giorno, si avvio all’auto dove avrebbe dovuto sistemare per il trasporto il suo piccolo zoo.

Meo li avrebbe raggiunti la settimana successiva con suo padre che a causa del lavoro non poteva partire con loro quel giorno. Charlie aveva il suo comodo giaciglio nel portabagagli e pigro com’era, se ne sarebbe lamentato solo in caso di urgenti necessità fisiologiche. Oscar, nella sua boccia, poteva viaggiare sulle sue gambe e Lorenzo nel suo solito posto, agganciato al cruscotto accanto alla madre. Lorenzo non faceva esattamente parte del suo zoo anche se era ciò che di più simile ad una scimmia avrebbe mai potuto ospitare tra la sua fauna ed era sempre interessato ad osservarlo interagire con gli animali di casa. È bene specificare che l’oggetto di questo studio era suo fratello nato da poco meno di un anno ma già co-direttore onorario del giardino zoologico di casa.

Il paesaggio filò velocemente al di là del finestrino per le successive cinque ore. Di tanto in tanto, lungo le zone alberate al ciglio dell’autostrada, scorgeva qualche uccello particolare e non si tratteneva dall’urlarne la scoperta. Presto l’individuazione dei volatili divenne una gara tra lui e la madre e questo contribuì a rendere il viaggio molto meno noioso. Si fermavano regolarmente per soddisfare le varie esigenze del gruppo e fu durante una di queste soste che vide qualcosa di particolare muoversi tra l’erba alta. Trascinò la madre ed il fratello via dalla lunga fila per i bagni e andò a controllare: alla ricerca di qualche nocciolo, un piccolo scoiattolo dal manto scuro saltellava tra le foglie cadute, rovistando nel mezzo. Sarebbe stato veramente difficile sbagliare a identificarne la specie dato che sapeva perfettamente che in quella zona d’Italia ne esisteva solo una e cioè lo scoiattolo comune che, tra l’altro, proprio lì al sud era caratterizzato dall’avere quel pelo fulvo.

La madre corse a prendere la macchina fotografica nell’auto mentre lui rimase ad osservarlo, cautamente nascosto dietro ad un bidone dell’immondizia. Ne aveva visti diversi in foto sui libri e in movimento su internet ma mai uno dal vivo nel suo ambiente naturale. Era affascinato dai suoi occhi vigili e dalle zampe anteriori con i loro movimenti buffi che sembravano quasi esageratamente teatrali come quelli di un personaggio dei cartoni animati.

“Tieni, ho trovato anche qualche nocciolina in macchina” sussurrò la madre, ritornando. “Anche se non dovremmo dargli da mangiare, lo sai. Ma quelle carte unte che sta annusando non sembrano molto salutari”.

Roberto rise piano. Prese una manciata di noccioline e prudentemente si avvicinò allo scoiattolo facendo meno rumore possibile, lasciando indietro la madre ed il fratello profondamente addormentato nel carrozzino. Sentì una serie di scatti provenienti dalla macchina fotografica ed il rumore sembrò interessare anche lo scoiattolo. Roberto si voltò e fece gesto alla madre di non fare tutto quel fracasso mentre teneva ancora d’occhio l’animaletto sospettoso. Si inginocchiò e protese una mano piena di noccioline verso di lui ma dopo cinque minuti di attesa lo scoiattolo non sembrava ancora fidarsi della sua presenza. Così gli lasciò il cibo sull’erba ed indietreggiò fino a ritornare al nascondiglio a ridosso del bidone. Aspettarono un altro po’ e finalmente il simpatico amico peloso decise che era sicuro avventurarsi, annusò le noccioline e ne provò una. La macchina fotografica scattò a ripetizione e mentre la guancia dello scoiattolo si gonfiava per la presenza della frutta secca, Lorenzo decise di svegliarsi e rilasciare un urlo.

“Direi che è ora di andare” decise la madre, mentre lo scoiattolo si ergeva sulle zampe posteriori per capire cosa stesse accadendo. Roberto lo salutò animatamente e ritornarono in fila per accedere ai bagni.

Mezz’ora dopo proseguiva la loro caccia agli uccelli mentre l’auto correva veloce sulla strada e, quando il viaggio si concluse, Roberto poteva contare quarantadue individui scorti, cosa che però non lo rendeva il vincitore dato che la madre lo aveva superato di ben otto esemplari. Ma se il premio per la numerosità era andato a lei, certamente quello per il riconoscimento delle specie era il suo con un punteggio di nove specie classificate contro zero. Nell’elenco che aveva compilato comparivano addirittura un gheppio ed un piccolo falco.

Si sistemarono velocemente in casa, fecero arieggiare le stanze e Roberto dovette cacciare diversi gechi che nel corso dei mesi in cui l’abitazione era rimasta chiusa avevano preso possesso delle camere con sommo disappunto della madre che ne era terrorizzata.

Charlie si sistemò sul suo bel cuscino accanto alla finestra e si addormentò nonostante non avesse fatto altro durante tutto il viaggio. Posizionò Oscar su di una mensola nella sua stanza, avendo promesso al suo amico che l’avrebbe aspettato prima di liberare nuovamente la rana nello stagno e si gettò sul letto, ripensando allo scoiattolo e alla fantastica casualità che li aveva fatti incontrare in un posto così poco naturale.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


2.

 

 

 

Due giorni dopo, la casa accanto venne occupata come ogni anno da quando riuscisse a ricordare, dalla famiglia di Stefano, il suo migliore amico e vicino di casa anche in città.

L’avventura poteva dichiararsi iniziata.

Prese sotto braccio la boccia di Oscar con uno scatto veloce e ricevette un gracidio di fastidio in risposta per l’improvviso spostamento inatteso.

“Charlie, vado in giro. Vuoi venire con me?” chiese con un sorriso.

Il cane diede un grosso sbadiglio, posò la testa sulle zampe incrociate sul grande cuscino e lo fissò dal basso con uno sguardo derisorio che pareva tanto dire ma ti pare?.

“L’avevo immaginato” rise e andò ad avvertire anche la madre della sua uscita.

“Mi raccomando…” iniziò lei ma Roberto la interruppe subito.

“Sì, mamma… niente serpenti, niente ragni e niente animali più grandi della mia mano in generale”

“E niente lucertole o gechi” aggiunse lei.

“Ok, mamma… a dopo!” urlò mentre usciva, agitando una mano in aria come segno di saluto.

“E niente pesci né polpi! A meno che non me li lasci arrostire per cena!”

Rise a quest’ultimo avvertimento che gli ricordò di aver lasciato la maschera subacquea nella sacca del mare. Ritornò indietro, la recuperò e si avviò ancora una volta verso la casa accanto, sentendo la madre riassumere nuovamente l’elenco degli animali off-limits.

Bussò al campanello e il rumore di passi veloci sul pavimento anticipò l’apertura della porta.

“Stefano, c’è Roberto!” urlò Emma, la sorellina del suo amico, subito dopo aver salutato lui e Oscar con un gesto veloce della mano.

“Grazie” rispose con un sorriso a quell’accoglienza.

Sentì la signora Francesca elencare qualche avvertimento al figlio e un attimo dopo Stefano gli sfrecciò accanto.

“Andiamo!”

Si avviarono allo stagno che avevano scoperto l’anno precedente con passo quanto più svelto potesse consentire Oscar che ad ogni sbalzo un po’ più violento si lamentava con un nervoso craa.

Entrarono nel giardino pubblico del piccolo paese, si addentrarono tra le felci piantate nella zona più distante dall’entrata e raggiunsero il posto maggiormente ombroso e umido di quella zona. Contro una roccia ampia e bassa scorreva una lenta cascata artificiale che si riversava in una vasca d’acqua colma di alghe e alquanto limacciosa. Il loro arrivo improvviso fece increspare la superficie in piccole onde causate dai tuffi delle altre rane che saltavano all’interno, spaventate.

“Merita un discorso di addio, che dici?” domandò Stefano e lui fu d’accordo.

“È stato bello conoscerti. Prova ad essere meno brontolone con gli altri. E fai qualche amicizia. Ciao!”

“Ciao!” gli fece eco Stefano e con un sonoro ploff Oscar si tuffò nello stagno.

Rimasero in attesa per qualche minuto, senza produrre alcun rumore e quando credettero che non ci fosse più nessuno, diverse rane affiorarono in superficie, restando con i soli occhi al di fuori del pelo d’acqua. Furono seguite dopo poco da altre che saltarono al di fuori dello stagno e si posizionarono su di una lastra di pietra sulla quale batteva qualche raggio di Sole. Fu solo quando una rana (che erano sicurissimi fosse Oscar) con un balzo sicuro salì sul dorso di un’altra, che decisero di togliere il disturbo tra varie risatine.

La spiaggia non distava molti metri e con una breve corsa la raggiunsero in pochi minuti. Era ancora poco affollata a quell’ora e sulla sabbia fine poterono lasciare senza problemi una scia di vestiti mentre se ne disfacevano per raggiungere l’acqua fredda del mattino. Immersero completamente piedi e caviglie, calarono entrambi le proprie maschere subacquee sugli occhi e dopo aver contato fino a tre si tuffarono in avanti, schizzando grandi quantità d’acqua.

Lungo la costa il mare era limpidissimo e il fondale rimaneva basso per lunghe distanze. Non c’era molto da guardare a parte i piccoli pesciolini che nuotavano sempre sotto riva alla ricerca di piedi ricchi di pellicine da mangiucchiare. Si spostarono un po’ più lontano ma il fondale non cambiò di molto a parte la presenza sempre maggiore di sassi insabbiati. Cacciò la testa da sotto la superficie e si sfilò la maschera per poter respirare meglio dal naso. Per un momento fissò perplesso il suo amico che sembrava affascinato dai gorgoglii che si creavano in acqua quando immergeva velocemente la mano e poi gli toccò la spalla con un dito.

“Andiamo più verso la scogliera?”

“Ok” disse Stefano la cui voce era modificata dal boccaglio stretto tra i denti. Alzò poi un pollice in segno di approvazione per rendere più chiara la sua decisione.

Si avviarono verso la fine della spiaggia sabbiosa un po’ a nuoto e un po’ camminando, schizzandosi a vicenda ad ogni buona occasione. Arrivati sotto la scogliera riabbassarono le maschere sul volto e cominciarono la perlustrazione degli anfratti rocciosi.

Lì dove l’acqua oscillava sulla superficie ruvida della roccia, uno strato di patelle sostava immobile, imperturbate dalla loro presenza. Tutto intorno un tappeto di alghe verdi e limacciose rendevano scivolosa la superficie dello scoglio. Più giù, ben saldati alla roccia, c’era un gruppo di cirripedi con i loro ventagli in movimento, protesi per afferrare il nutrimento necessario dall’acqua: trovava il loro moto piuttosto inquietante, come se tante mani affusolate lo invitassero ad avvicinarsi. Diede un colpo nell’acqua con la mano e quelli si ritirarono nei loro vulcanetti calcarei.

Qualcosa si mosse in una cavità della roccia poco più in profondità rispetto a dove si trovavano loro. Roberto lo notò con la coda dell’occhio e con un dito indicò all’amico il punto in cui aveva avvistato il movimento. Rimasero in attesa, respirando nei loro boccagli ma per un paio di minuti non accadde nulla. Solo quando un tranquillo pesciolino grigio andò a nuotare sotto la scogliera videro cosa era stato ad attirare la loro attenzione: con uno scatto veloce, una serie di tentacoli scuri erano sbucati dalla cavità, afferrando la vittima solitaria e strattonandola all’interno.

“Wow!” esclamò Roberto nel boccaglio.

Si avvicinarono alla scena del delitto e osservarono una massa molliccia muoversi tra le rocce. Era certamente un polpo ed avevano appena assistito alla sua caccia. Nuotarono nei pressi di quell’anfratto roccioso ancora un po’, sperando in qualche nuovo attacco o almeno di rivederlo in movimento ma nulla accadde e decisero di ritornare alla spiaggia.

Arrivati al luogo nel quale avevano distrattamente gettato i loro vestiti, trovarono che questi erano stati raccolti, piegati e sistemati agli agganci di due ombrelloni che riparavano le loro madri dai cocenti raggi solari. Grondanti di acqua salata, corsero ad avvolgersi nei teli da mare per ripararsi dalla fresca brezza marina. Roberto gettò la maschera ai piedi dell’ombrellone, proprio accanto a dove Lorenzo giocava tutto contento con un rastrello da spiaggia e non perse tempo a raccontare nei minimi dettagli e con profondo entusiasmo la mattinata che aveva appena trascorso con il suo amico.

“Sarebbe stato ottimo alla griglia” commentò la signora Francesca dopo aver ascoltato dell’avventura del polpo.

“O all’insalata” aggiunse sua madre sorridendo.

Roberto scambiò con l’amico un’occhiata di disappunto e silenziosamente concordarono che non c’era altro da fare lì. Appena finito di asciugarsi, fecero sapere che sarebbero andati a perlustrare la spiaggia alla ricerca di conchiglie da collezionare ma dovettero conquistare quella libertà a duro prezzo: una fredda striscia di crema solare gli ricoprì le spalle e rabbrividendo alla viscida sensazione che questa gli procurava, dovette spalmarla fino a quando non si assorbì del tutto.

La spiaggia ormai era affollata di bagnanti che giocosamente urlavano, rincorrendosi in acqua o tuffandosi in lontananza. Roberto e Stefano camminavano a testa bassa, attenti a non lasciarsi sfuggire nemmeno il più piccolo frammento calcareo, ma presto divenne arduo proseguire in linea retta. Tra signore a mollo nelle acque basse della riva e bambini desiderosi di raggiungere il mare scavando profonde buche nella sabbia, dovevano deviare dalla loro rotta sempre più di frequente. Avevano comunque racimolato un bel bottino nelle tasche dei costumi quando raggiunsero una sezione di spiaggia lunga e totalmente deserta se non per poche singole persone in lontananza. Su di un paletto inserito a fondo nella sabbia, un’insegna di ferro in diverse lingue invitava i vacanzieri a limitare la sosta in quel tratto e, soprattutto, a non usare ombrelloni. Incuriositi da questo divieto, si inoltrarono per scoprire a cosa fosse dovuto visto che solo l’anno scorso quella zona era affollatissima.

“Guarda lì giù. Cos’è?” urlò Stefano, indicando diverse piccole strutture in lontananza e iniziando a correre in quella direzione.

Poco prima del limitare della spiaggia, dove la sabbia fine e bianca diradava in fitti cespugli spinosi, diverse strutture di legno simili a capanne indiane senza tende erano state poggiate a protezione di qualcosa. Ognuna portava un cartellino con su scritti dei numeri che sembravano indicare un mese ed un giorno: quello che stavano guardando ora, riportava la data del giorno precedente.

“Ehi, voi! Cosa state facendo?”

Un giovane ragazzo veniva loro incontro con un’espressione del tutto contrariata. Portava una maglietta verde e sul petto aveva appuntata una spilla con un disegno che Roberto non ebbe difficoltà a riconoscere come il logo del WWF.

“Volevamo capire cosa fossero queste strutture. L’anno scorso non c’erano. Sei del WWF?” chiese Roberto.

Notando l’entusiasmo e le buone intenzioni di Roberto, il ragazzo si tranquillizzò e divenne subito più amichevole.

“Questa spiaggia è diventata zona protetta del WWF. Quest’anno son tornate a nidificare molte tartarughe marine.”

“E questa è arrivata ieri?”

“Precisamente. E a largo ne abbiamo avvistate altre che dovrebbero deporre nei prossimi giorni.”

“E quando si schiuderanno le prime?” chiese sempre più interessato.

“Dovrebbero iniziare tra una decina di giorni” rispose il ragazzo con un sorriso. “Comunque io sono Sal” disse porgendo la mano.

Si presentarono educatamente anche loro e subito Roberto continuò con le sue domande, impaziente di scoprire altro.

“Possiamo esserci anche noi quando si schiuderanno?”

Sal sembrò dubbioso a riguardo. “Veramente non lo so. La schiusa avviene di notte e dopo una certa ora chiudiamo la spiaggia ai visitatori. Inoltre non ci sono orari precisi, potrebbe avvenire in qualsiasi momento della notte.”

“Per favore! Siamo tranquilli, possiamo aiutare. Non diamo fastidio.”

Stefano annuiva deciso con la testa. Il ragazzo sorrise ad entrambi e sospirò.

“Vedrò cosa posso fare. Non spetta a me prendere certe decisioni. Però dovete chiedere il permesso ai vostri genitori altrimenti non se ne parla proprio!”

I due amici si guardarono trionfanti, sapendo che non sarebbe stato troppo difficile convincere le madri.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


3.

 

 

La settimana successiva arrivò il padre e con lui Meo il quale, dopo aver perlustrato casa da cima a fondo, decise che il più comodo giaciglio che potesse scegliere fosse proprio la lettiera nuova. Fu un’ingente fatica convincerlo della poca igiene della sua scelta ma ogni sforzo fu vano e alla fine dovettero spostare il suo bagno privato nel coperchio di una scatola vuota.

Tra le diverse cassette piene di provviste portate dalla città, Roberto individuò un oggetto lungo e sottile ben impacchettato in una carta marrone poco appariscente. Lo tastò per tutta la lunghezza ma la consistenza restava invariata, non fornendogli alcun indizio utile circa il contenuto del pacco misterioso. Solo ad un’estremità poteva sentire che qualcosa di simile ad una corda sottile avvolgeva l’oggetto.

“Puoi anche smettere di provare ad indovinare e aprirlo. Tanto è per te” sopraggiunse suo padre, ammiccando con un mezzo sorriso.

Roberto non esitò minimamente. Strappò via la carta con crescente eccitazione fino a scoprire un retino portatile nuovo di zecca. Lo guardò sorpreso per qualche secondo prima che, con un balzo, saltasse al collo di suo padre per abbracciarlo.

“E non è finita qui” aggiunse lui, affacciandosi in un’altra scatola e prendendo un nuovo pacchetto.

La forma di questo rendeva più facile la deduzione del contenuto ma non per questo Roberto sprecò del tempo ad indovinare: con uno strappo deciso mise in mostra la copertina di un libro che si rivelò poi essere una guida al riconoscimento delle farfalle.

Dispensò ringraziamenti in ogni dove mentre con occhi illuminati dalla gioia non smetteva di osservare i suoi nuovi possedimenti. Charlie sembrò incuriosito dall’agitazione di Roberto e si concesse una breve sbirciatina nella stanza. Notando però che la generale euforia non aveva nulla a che fare né con cibo e né con nuovi oggetti potenzialmente ottimi da mordicchiare, ritenne opportuno ritirarsi di nuovo nel suo angolino.

Roberto decise che la mattina seguente si sarebbe svegliato di buon ora e sarebbe andato a caccia di farfalle. Gli amici del WWF con i quali aveva fatto amicizia quella settimana, gli avevano detto che non sembrava essere prevista alcuna schiusa in quelle sere e quindi poteva permettersi di saltare una veglia notturna ai nidi. Quando comunicò la sua decisione ai genitori, il padre si premurò di elargire qualche utile avvertimento.

“Mi raccomando, quando catturi una farfalla stai attento a non ferirle le ali” disse molto calorosamente. “Una volta individuata la specie, fai in modo di capire in che periodo si riproduce e se la stagione è questa, liberala. Se invece è passata da parecchio puoi prenderla per la tua collezione di insetti. È molto importante che tu segua questo consiglio, sarebbe un peccato togliere alla natura qualche raro esemplare di farfalla”

Roberto fece un solo, deciso accenno con la testa e come se gli fosse appena stato dato un consiglio di vitale importanza, con espressione serissima affermò un forte “Capito!”

Andò a letto presto, subito dopo aver consumato un’abbondante cena in compagnia della famiglia di Stefano durante la quale si garantì l’entusiasta compagnia del suo amico per l’escursione in programma. Ma nonostante i buoni propositi, il sonno tardò ad arrivare e gran parte della serata la passò a leggere e rileggere le caratteristiche principali delle specie di lepidottero che avrebbe potuto incontrare il giorno successivo.

La sveglia suonò alle sei in punto e, a dispetto degli occhi assonnati, Roberto la spense con grande energia e in poco tempo fu già pronto con il suo berretto, il taccuino in una tasca ed il retino in spalla. Sulla tavola in cucina trovò uno zaino con accanto un biglietto sul quale c’era scritto: All’interno trovi tutto il necessario per la sopravvivenza. Buona avventura. Ti voglio bene. Lo voltò e ricambiò il gesto d’affetto scrivendo anche lui qualche dolce parola per sua madre. Fece poi scivolare la guida al riconoscimento delle farfalle nello zaino, la caricò sulle spalle e corse via.

Stefano era già fuori ad aspettarlo: seduto di fianco alla porta di casa, stringeva tra le braccia uno zainetto rigonfio e sopra questo poggiava la sua faccia buffamente distorta e ronfante.

“Psss! Sveglia… andiamo!” lo richiamò in un sussurro, non volendo disturbare troppo il denso silenzio che regnava tutto intorno.

Stefano si risvegliò con un sobbalzo ma fu veloce a rimettersi in piedi e a raggiungerlo. Con passo deciso si avviarono verso la loro meta.

Il paese nel quale si trovavano non era molto grande e tutto intorno, esclusa la costa sulla quale batteva il mare, era circondato da una moltitudine di campi coltivati. Attraverso questi si snodava una strada che conduceva verso sentieri pietrosi tra la bassa montagna sui quali gli allevatori del posto lasciavano pascolare il proprio bestiame. Per una di quelle stradine, Roberto aveva camminato a lungo negli anni precedenti con suo padre e sapeva che alla fine, dopo una dura salita, avrebbe trovato ad aspettarli una grossa fontana che riversava copiose ondate d’acqua fredda in una vasca di pietra. Nell’acquitrino che si veniva a creare, diverse libellule deponevano le loro uova e non era raro trovare qualche muta svuotata e ottima per la sua collezione.

Si incamminarono su per quel sentiero conosciuto e ben presto iniziarono ad intravedere le prime farfalle. Su di una pianta dai fiori violacei, una cavolaia dalle ali bianche punteggiate simmetricamente di nero sostava ferma, intenta a nutrirsi. Era una specie molto comune e spesso l’aveva vista volare anche nel cortile di casa in città. Con una gomitata reciproca, Roberto e Stefano attirarono l’attenzione dell’altro, indicando la farfalla e avvicinandosi piano. Lentamente e in completo silenzio Roberto accostò il retino e quando pensò di essere ad una buona distanza, con un movimento di polso lo ruotò e zac! se la fece scappare.

Scoprirono presto che usare in modo adeguato il retino non era affatto semplice come avevano immaginato. Ad ogni farfalla scappata si alternavano alla gestione di quell’oggetto infernale correndo, saltando e spesso ruzzolando sul terreno mentre l’altro si lasciava andare ad una sonora risata.

Due ore dopo, sudati e totalmente coperti di polvere, si accasciarono su di una roccia all’ombra di un olivo con la conta delle farfalle catturate ancora ferma a zero.

“Almeno qualcuna l’abbiamo riconosciuta” disse Stefano per rincuorarlo, dopo qualche minuto di silenzio passato a riprendere fiato.

“Sì. Ci sono un sacco di Pieris, quella dal nome strano Polyommatus, abbiamo visto due Vanessa e diverse Melitea di diverse sottospecie” elencò Roberto, dando un’occhiata ai suoi appunti.

“E poi c’erano tutte le altre troppo lontane o troppo veloci per riuscire a guardarle”

“Già” disse desolato.

Il brontolio dei loro stomaci allontanò per un momento i pensieri di Roberto dalla deludente e disastrosa caccia alle farfalle. Si concessero una pausa, rifocillandosi con acqua fresca e panini al prosciutto e dividendosi una brioche al cioccolato. Quando furono sazi e le energie tornarono a motivarli, decisero di dare un’altra possibilità al retino e si incamminarono nuovamente verso la cima della stradina.

Mezz’ora dopo, un risonante urlo di gioia accompagnò la prima gloriosa cattura: una Pieris napi batteva rapidamente le ali tra i sottili fili di nylon. Roberto la prese per il piccolo corpo e insieme la studiarono attentamente, ammirando i neri e grandi occhi composti, le lunghe antenne e la spiritromba che di tanto in tanto si srotolava per poi tornare rapidamente ad avvolgersi su se stessa. Nonostante sapesse che il suo periodo di riproduzione era passato e che non era una farfalla rara, Roberto decise di volerla ugualmente liberare, preferendo ammirarne il volo piuttosto che la sua figura immobile appesa nella cameretta.

Più raggianti e risoluti di prima, conclusero la strada verso la fontana canticchiando allegramente e riuscendo ad afferrare un’altra farfalla ciascuno per poi liberarla dopo un’attenta osservazione. Raggiunsero la loro meta dopo una ripida salita, abbandonarono gli zaini sul terreno senza troppa accortezza e corsero a rinfrescare i volti accaldati sotto lo scroscio freddo dell’acqua che gorgogliava dalla fontana.

Ispezionarono poi la vasca, alla ricerca di larve di libellula. Con delicatezza, Roberto recuperò un guscio vuoto trovato lungo il bordo di pietra e lo lasciò scivolare in un barattolino di vetro che aveva trovato nello zaino. Lo sigillò, risistemandolo in una tasca e poi si andò a distendere sull’erba accanto all’amico, entrambi completamente distrutti.

Guardarono a lungo il cielo azzurro e le sottili nuvole che scivolavano via, portate dal vento leggero e quando una di queste offuscò brevemente il Sole, decisero che era tempo di tornare indietro. Fu mentre si davano una veloce ripulita dai fili d’erba e dalla polvere che videro l’esemplare di farfalla più maestoso di tutti: grande quando il palmo di una mano, un Macaone volava lentamente all’ombra di un masso, battendo con eleganza le ampie ali gialle ricche di venature nere e bluastre e con due macchie rosse in prossimità delle lunghe code sottili che la rendevano ancora più magnifica. L’ammirarono a lungo senza proferire parola fino a quando non volò via dalla loro visuale.

La strada del ritorno fu breve e tutta in discesa. Una corsa a perdifiato terminò la loro escursione, portandoli dritti in spiaggia dove, nonostante le proteste dei genitori, si disfecero dei vestiti e si tuffarono in costume nella fredda acqua cristallina. Le poche energie residue furono investite in chiassosi giochi d’acqua, folli corse ad inseguirsi e allegre risate in compagnia e quando tornò a casa, dopo un abbondante pranzo, Roberto pensò di non aver mai visto nulla di più accogliente del suo letto sul quale sprofondò addormentato per diverse ore.

Quella sera, la piazza del paese venne addobbata da mille luci colorate e da ogni borgo nelle vicinanze arrivarono carretti pieni delle più svariate golosità. Una musica festosa si riversava nelle vie mescolata a profumi dolci e salati che sfidavano Roberto e Stefano ad essere messi alla prova. Le tasche di entrambi erano rigonfie di caramelle e liquirizie e nella mano stringevano entrambi l’ultimo morso di un hot dog ancora fumante che avevano deciso di ricoprire con tutte le salse possibili. Avevano già diviso tra loro un secchiello di pop-corn formato gigante ed ora riflettevano sull’idea di dedicarsi ad un bastoncino fumoso di zucchero filato per completare la serata. Non persero tempo a pensarci oltre.

Degustarono il loro acquisto passeggiando allegri tra la folla e quando la musica terminò, passata la mezzanotte, raggiunsero le proprie famiglie per avvertire che sarebbero andati in spiaggia a controllare come procedeva l’incubazione delle uova, avendo saltato la visita della sera precedente.

Sfilarono le scarpe, arrotolarono le lunghe gambe dei pantaloni fino alle ginocchia e affondarono i piedi nella sabbia fredda della sera. La luna piena illuminava il loro percorso verso la spiaggia riservata alle tartarughe e il suono del mare che in piccole onde si allungava sulla riva, li accompagnò fino alla meta, coprendo il brusio lontano della gente che ancora restava in paese.

Raggiunsero le corde che delimitavano l’inizio della zona protetta e vi passarono attraverso. Nulla si muoveva nei nidi e la sabbia tutta intorno risultava intatta, segno che nessuna nascita improvvisa e nessuna deposizione notturna era avvenuta fino a quel momento.

“Almeno non abbiamo perso niente” sussurrò Roberto.

Si spostarono un po’ più giù verso riva e si distesero sulla sabbia. Le stelle risplendevano nel cielo scuro sopra di loro, leggermente smorzate dalla più imponente luminosità della luna piena. Stefano iniziò ad elencare i nomi di quei puntini brillanti e a collegarli tra di loro, dando forma a diverse costellazioni. Si conoscevano da una vita e non c’era stato giorno nel quale non fossero stati legati da amicizia, ma Roberto ancora non riusciva ad apprezzare pienamente quella determinata passione del suo amico. Stefano era un compagno d’avventure perfetto, sempre interessato a tutto ciò che gli raccontava, poneva le giuste domande e non si tirava mai indietro quando gli proponeva di effettuare qualche escursione un po’ più pericolosa, eppure non riversava il suo totale interesse nelle sue stesse passioni. Mentre lui era un appassionato di tutto ciò che stesse in basso, Stefano sembrava particolarmente attratto da tutto ciò che stava in alto, dal cielo notturno a quello del mattino e a tutti gli eventi atmosferici che vi passavano attraverso. Ne comprendeva l’attrazione ma non la condivideva. Questo però non creava alcun ostacolo al piacere della sua compagnia.

“E quella è la costellazione dell’Orsa maggiore” concluse Stefano, indicando con un dito un punto del cielo.

Rimasero in silenzio per un po’, assopendosi con il lento suono delle onde che rilassava i sensi dopo quella faticosa giornata. Stavano quasi per addormentarsi al fresco della spiaggia, quando Roberto sentì dei lenti fruscii provenire da poco lontano. Con uno scatto si rivoltò sulla pancia e puntò lo sguardo verso i nidi: una piccola ombra nera si spingeva goffamente nella sabbia, cercando di avanzare in linea retta verso il mare. Un’altra figura altrettanto scura si muoveva più avanti, agitandosi più del dovuto.

Si stavano schiudendo le uova.

Roberto si avvicinò carponi, nelle orecchie il battere nel proprio cuore copriva ogni altro rumore e solo come se fosse lontano chilometri e chilometri, percepì Stefano raggiungerlo e sistemarsi al suo fianco.

Sotto la struttura artificiale di legno a protezione del nido, si intravedevano altri movimenti camuffati dall’oscurità. Un’altra tartarughina dalle pinne movimentate scivolò lungo una collinetta di sabbia, capovolgendosi più e più volte fino ad atterrare in posizione dritta con un trionfale balzo. In poco tempo quel tratto di spiaggia si riempì di tante piccole tartarughe che con movimenti impacciati cercavano di raggiungere i riflessi lunari che risplendevano sulle calme acqua del mare. Era uno spettacolo emozionante, da togliere il fiato. Quegli esseri così piccoli che lasciavano il riparo sicuro del proprio nido per avventurarsi nella vastità del mare, alla ricerca di cibo e di acque calde. Chissà fin dove si sarebbero spinte, chissà che avventure avrebbero vissuto.

E mentre la luna illuminava le orme dell’ultima tartaruga che lentamente scivolava in un’onda, Roberto comprese che nulla al mondo avrebbe mai potuto eguagliare quel momento e che non avrebbe mai amato nient’altro più di quanto amasse quella magia che era la natura.

 

Piccola nota esplicativa: il titolo di questa storia si riferisce ai passi delle piccole tartarughe nella sabbia ma anche al percorso circolare che costruì Charles Darwin sul retro della propria abitazione per passeggiare tra ombra e zone assolate, pensando alla natura e alle proprie teorie e che chiamò proprio Sand Walk.

Spero vi sia piaciuta tanto quanto è piaciuto a me scriverla! :)

Nunki

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