In My Veins

di Lennyk192
(/viewuser.php?uid=133779)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Ignorance is your new best friend ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: From the frying pan to the fire ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: First impressions ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Incompatible ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Meeting ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Sweet dreams ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Stalemate (Him) ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Stalemate (Her) ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: Temporary Insanity ***
Capitolo 10: *** Cap 10: Trick or treat? ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11: Troubles ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12: Escape ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13: Back to real life ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14: Alexander ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15: Trust ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16: The Sramana ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17: Stand by me ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18: The day after ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19: Truth ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20: The secret deal ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21: Superhuman touch (part 1) ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22: Superhuman touch (part 2) ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23: The real deal ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24: Sacrifice ***
Capitolo 25: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Ignorance is your new best friend ***


Capitolo 1: Ignorance is your new best friend





Corridoio in fondo a destra.
Sesto scaffale da sinistra.


I suoi passi risuonavano nella biblioteca silenziosa e l'impressione che tutti i presenti alzassero il proprio naso dai libri per lanciarle occhiate di fuoco non faceva che aumentare ad ogni metro.
Quinn Taylor cercò invano di spostare il peso sulle punte dei piedi, sentendosi allo stesso tempo goffa e ridicola e pensando che al più presto avrebbe dovuto presentare una lettera di protesta al proprietario dell'edificio, il quale pretendeva che le dipendenti miseramente stipendiate portassero la divisa color avio arricchita dalle schifosissime scarpe col tacco.
Neanche si trattasse dell'aeroporto JFK!
Certi accessori avrebbero dovuto giovarle, dato che la sua altezza raggiungeva miseramente il metro e sessantacinque, a differenza di tutte le altre donne della sua famiglia, ma in quel frangente non rappresentavano altro che un fastidio.

La studentessa minuta che le aveva domandato dove trovare il libro di Storia dell'arte volume 3, attendeva nell'atrio contorcendosi le dita per l'agitazione. Tipica reazione di chi si riduce a studiare all'ultimo minuto.
Quinn conosceva dannatamente bene quella sensazione, aveva passato così tanto tempo a lavorare per pagarsi la retta universitaria, che ormai era diventata una vera esperta in materia.


L'espressione disperata sul suo viso la costrinse ad affrettare il passo, per quanto possibile.
Imboccò lo stretto corridoio e sbirciò tra i milioni di titoli esposti.
Il tomo che cercava ovviamente si trovava in alto e Quinn guardò con aria sconsolata la ripida scaletta di legno affiancata allo scaffale. Pretendere che la gente salisse su quei mostri traballanti senza rischiare di rompersi l'osso del collo era una pazzia, ma decise di sacrificarsi per una buona causa.
"Coraggio Quinn, puoi farcela" disse a se stessa, pregando di non sbagliarsi.
Salì lentamente un gradino cigolante alla volta, rabbrividendo nella leggera camicetta bianca, quando un spiffero di vento la sfiorò dalla grande finestra in alto. Finalmente la sua mano agguantò il libro di finta pelle e la ragazza emise un sospiro di sollievo.
Mentre si apprestava a trascinare la scala al suo posto, un sibilo sferzò l'aria alle sue spalle e la fece voltare di scatto, con lo strano presentimento di essere osservata. Le succedeva spesso ultimamente.
Inoltre, più di una volta si era svegliata di soprassalto nel mezzo della notte, terrorizzata da qualcosa che non sapeva spiegarsi.
Qualcosa di oscuro che la riportava alla realtà strappandola al sonno.
Tuttavia il resto della biblioteca sembrava immobile e immutato nella sua tediosità, e la sua fastidiosa frequenza cardiaca raggiunse nuovamente i normali standard. 
Quinn scosse la testa, dandosi mentalmente della visionaria.


Poche ore più tardi, la ragazza lottava con se stessa per mantenere l'attenzione sul libro che aveva davanti. Fuori infuriava un forte temporale e i lampi illuminavano a intermittenza l'intero edificio, ormai quasi del tutto vuoto.
Se solo non ci fosse stato tutto quel rumore sarebbe riuscita a concentrarsi per cinque minuti sullo stesso paragrafo, invece continuava a distrarsi e a guardarsi intorno, neanche fosse una liceale svogliata.
Chiuse il pesante libro con un tonfo che riecheggiò tra le pareti ricolme di scaffali e sbuffò. Per terminare quei sei capitoli non avrebbe dormito per ameno due giorni, pensò risolutamente.
Le luci della biblioteca si spensero e riaccesero più volte e Quinn gettò un'occhiata confusa al suo orologio.
Oddio, le dieci e mezza!


Teoricamente avrebbe dovuto staccare dal lavoro tre quarti d'ora prima. Solo Mr Adams restava fino a tardi a controllare accuratamente tutti i corridoi e lei sapeva che tra poco l'avrebbe colta in flagrante. Fece per raccogliere le sue cose quando un rumore impercettibile alle sue spalle la immobilizzò sul posto.
In quell'istante ebbe la nettissima sensazione che ci fosse qualcuno dietro di lei, poteva sentirne il respiro contro il collo scoperto.
Se solo non si fosse fermata i capelli con quella penna...pensò irrazionalmente.
Cazzo, mettersi a riflettere su dettagli ridicoli e insignificanti è un chiaro sintomo di una crisi di panico!
Lo so, l'ho studiato.
"Ciao bambina" disse una voce gutturale alle sue spalle.
Le ginocchia le tremarono, mentre il resto del corpo s'irrigidiva lottando contro l'impulso di scappare.
Essere la figlia di un militare in certi casi dovrebbe aiutare, pensò deglutendo sonoramente.
Ora lo affronterò e...
Una mano callosa si poggiò sulla spalla, facendola voltare in malo modo. Il fiato le si bloccò in gola facendola quasi soffocare mentre alzava gli occhi sull'essere  mostruoso che aveva davanti.
Due spaventosi e vuoti occhi neri la fissavano come se fosse una succulenta bistecca di un chilo offerta ad un branco di cani affamati, la sua pelle era quasi color porpora con bizzarri simboli tribali, che sembravano incisi a fuoco più che tatuati, e la bocca era aperta in un ghigno diabolico da cui spuntavano un paio di canini decisamente troppo appuntiti per appartenere al genere umano.
Quinn liberò d'un colpo l'aria nei polmoni, cacciando un urlo acuto, mentre tentava di divincolarsi dalla stretta d'acciaio del mostro che ora rideva selvaggiamente...


La suoneria insistente del suo cellulare la fece sobbalzare e le note di I Can't Get Next To You le riempirono la mente.
Si era addormentata.
Era stato tutto un incubo.
Sollevò il capo dalla superficie dura del tavolo e diverse paia di occhi indagatori e scocciati le suggerirono che quel sonno non era stato dei più silenziosi. Ovviamente.
"Scusate" mormorò agli studenti seduti di fronte a lei.
Prese il telefono e uscì in fretta dalla porta d'ingresso, constatando soddisfatta che il temporale era stata tutta una sua invenzione e che fuori la sera era fredda, ma quieta.
"Sì, pronto?"
"Quinn tesoro, dove sei? Ancora al lavoro?" la voce serena e allegra della donna la tranquillizzò per un attimo.


Negli ultimi quattro anni, non potendosi occupare lei stessa della casa dei suoi genitori e con il Colonnello e sua madre sempre in giro per lo Stato, la loro domestica settantenne, nonché sua ex baby sitter, era l'unica custode della grande villa.
Vi si recava la mattina presto, arieggiava, spolverava e si dilettava ad utilizzare l'aspirapolvere in ogni angolo, prima di tornarsene nella casa in fondo all'isolato.
"Ciao Pamela, sì sono ancora alla biblioteca, ma stacco tra pochissimo. Qualcosa non va?"
"No, volevo solo invitarti a cena. Non provare a dirmi di no, signorina, perché so bene che quando sei sotto esame mangi si e no una barretta proteica al giorno" disse con tono di rimprovero.
Quinn sorrise.
Riusciva ad immaginarsela, con l'aria severa e quel cipiglio imbronciato, la mano sul fianco, nella posa che assumeva quando discuteva con qualcuno.
"In effetti ho ancora qualcosa da studiare..." qualcosa come sei capitoli "...ma credo di riuscire a passare. Grazie"
"Fantastico allora metto tutto nel forno e ti aspetto. Ci sarà anche mio nipote Cliff!" rispose entusiasta.
Con figlio e nuora in viaggio di nozze, il bambino le era stato affidato per un paio di settimane. L'ultima volta che Quinn l'aveva visto era piccolo come un fagiolo, sperduto fra le varie macchie chiaro scure dell'ecografia e sperava che crescendo non fosse diventato un diavoletto fastidioso come il figlio dell'amica Cassidy, il quale scambiava il sale con lo zucchero e il bicarbonato con la farina dando vita a disgustosi esperimenti culinari.
Riattaccò cercando di non ripensare a quell'incubo che l'aveva terrorizzata poco prima.
Aveva proprio una fervida immaginazione, cavolo!


                                                                                                                                       ***


La tremula luce della candela illuminava a stento la grande stanza, tra le cui pareti sembravano ancora riecheggiare gli ansiti e i sospiri, testimoni della passione appena consumata.
Una mano pallida e vellutata gli accarezzò il petto, prima che un paio di labbra gli catturassero maliziosamente il lobo dell'orecchio.
"Sei stupefacente" mormorò la donna stesa al suo fianco.
Un moto di repulsione improvvisa gli salì in corpo e s'irrigidì, pensando ancora una volta che l'essere blaterante nel suo letto non era altro che un succubo, la cui unica ragione di vita era appagare sessualmente uomini frustrati attraverso i loro sogni.
L'aveva sempre considerata piuttosto patetica, ma almeno in quanto ad esperienza Aud non mancava di nulla e lui trovava divertente la sua compagnia. Almeno quando teneva la bocca chiusa e non s'impicciava nei suoi affari.


"Alec? Mi stai ascoltando?"
La sua vocetta lamentosa lo riportò tra quelle quattro mura e il demone sospirò scocciato, prima di scostarla da sé in malo modo.
Solitamente si limitava ad annuire quando lei prendeva fiato, ma a volte le sue parole gli penetravano nella testa contro il suo volere.
"Purtroppo sì" mormorò più a se stesso che alla donna, che imbronciata si inginocchiò sul letto, facendo combaciare il suo petto all'ampia schiena di lui, intento a rivestirsi.
Per quanto sgarbato e bastardo fosse dopo il sesso, restava sempre il miglior partner avesse mai avuto e si reputava fortunata che le permettesse ancora di girargli intorno.
"Hai tempo per un altro round? Ho tutta la sera occupata dopo..." sussurrò, appoggiandogli mollemente la guancia sulla spalla.
Quasi si aspettava che la respingesse ancora, dato il suo caratteraccio, invece il demone si limitò a ghignare scuotendo la testa.
"Spiacente, se tutto è andato come previsto, tra poco sarò ad attaccare un covo" la informò soddisfatto, pregustando la sensazione di beatitudine che avrebbe seguito la battaglia.
Aud non commentò né domandò a cosa si riferisse, lo sapeva già.


Erano secoli che la guerra tra le due diverse fazioni di demoni creava scompiglio in tutti gli Inferi.
Ormai chiunque sapeva che in presenza di un demone della rabbia e uno della vendetta la cosa migliore da fare era defilarsi.
Come capitava sempre nel mondo degli umani, le cause di tale situazione erano attribuibili ad una donna, sebbene i Signori di entrambi i clan si fossero rifiutati categoricamente di riconoscerlo pubblicamente e il tutto fosse stato ricondotto alla politica.
Circa trecento anni prima Dahak, il capo dei demoni della rabbia, era riuscito a ferire a morte il suo nemico millenario.
Paranoico com'era, il comandante del clan avverso, si era precedentemente coperto le spalle rivolgendosi a potenti stregoni, praticanti di magia oscura.
Si diceva infatti che il suo corpo fosse stato accuratamente conservato da una sorta di maledizione a carico dell'assassino di turno, in attesa di qualcosa che potesse riportarlo in vita, nuovamente in forma e pronto a guidare i suoi figli in battaglia. Nonostante questo, i demoni della vendetta non si erano tirati indietro e avevano risposto colpo su colpo ogni agguato da parte degli altri.
C'era da concederglielo, pensò Aud, avevano fegato.


Qualcuno bussò violentemente alla porta e la voce imperiosa di Kegan irruppe nella stanza.
"Ehi, Raggio di Sole, muovi il culo e trascinati fuori. Ci sono delle novità!" esclamò dall'altra parte del legno robusto.
Alec ordinò alla donna di rivestirsi e continuò ad assicurarsi i pugnali al petto.
Immaginava che tipo di notizie avrebbe ricevuto e un sorrisetto gli si dipinse sulle labbra prima che uscisse, ignorando volutamente il sarcastico 'ci vediamo, eh' di Aud.
"Ti avevo detto di smettere di frequentare quella vipera rossa" lo accolse il gigante bruno fermo davanti al suo appartamento, indirizzando il suo sguardo verso la figura nella penombra.
Completamente vestito di pelle nera, Kegan sembrava uno di quei depravati fanatici della frusta, mentre la sua carnagione scura e i capelli rasta che gli ricadevano rigidi sulle spalle, gli ricordavano Bob Marley nella sua versione peggiore.


Il demone lo squadrò aggrottando la fronte "Da quando mi dai ordini aspettandoti che io li esegua?" rispose cercando di accantonare il fastidio procurato dal suo atteggiamento ostile.
Kegan era l'essere che più si avvicinava ad un amico che lui avesse al momento, ma era anche un soldato di suo padre e Alec sapeva che i suoi, in realtà, erano ordini 'dall'alto' che dovevano essere riferiti assolutamente.
"Non essere idiota, sai che dei succubi non ci si può fidare. Ti entrano nella mente e rubano informazioni..." 
"Dacci un taglio K, mi hai già stufato" lo interruppe bruscamente scuotendo la mano nervosamente.
"Ehi, fai come ti pare" riprese l'altro alzando gli occhi al cielo "Dico solo..."
"Niente. A meno che non si tratti di qualcosa di interessante"
Tra i due cadde un silenzio pesante e Alec vide gli occhi del demone farsi più scuri, segno che cercava di calibrare la rabbia per evitare di spaccargli la faccia.
In certi casi essere figlio del capo era una figata pazzesca!


"I miei uomini hanno seguito alcuni demoni della vendetta fino al Varco Dimensionale che si affaccia in Blaker St, davanti alla biblioteca umana, si recavano lì ad intervalli regolari, ad orari precisi" iniziò il demone, rilassandosi un po'. "Credo che siano interessati a qualcuno in particolare, ma non sono riuscito a capire perché" continuò rimarcando le ultime parole con tono rabbioso.
"Mmh" rispose distrattamente Alec, sinceramente annoiato.
"In ogni caso pare che sia una femmina. L'hanno presa verso mezzanotte, in un quartiere residenziale di Rhode Island"
"E' importante?" domandò l'altro scrollando le spalle.
"Dovresti sapere che nessuno di noi si preoccuperebbe tanto di un umano se non fosse collegato a qualcosa di importante"
"Nient'altro?"
"Ovviamente. Uno di loro ci ha gentilmente indicato il rifugio in cui lei si trova" ammiccò sorridendo maligno, e mostrando le zanne appuntite. Emanava quasi gioia all'idea di dover combattere.
"Perché non me l'hai detto subito, invece di rompere le palle con i dettagli inutili?"
"Perché sono davvero convinto che ci sia sotto..."
"Staremo a vedere. Intanto andiamo a divertirci!"

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2: From the frying pan to the fire ***


Capitolo 2: From the frying pan to the fire





Rinvenne sentendosi terribilmente male: tremava ed era spaventata oltre ogni limite.
Il cuore le martellò nel petto mentre metteva a fuoco la cella buia e umida, un odore acre le fece venire la nausea, ma cercò di immettere abbastanza ossigeno per mantenersi lucida.
Sentiva la testa pesante e le braccia non rispondevano al comando del cervello di spostarsi dal suolo polveroso.
Qualcosa di freddo era chiuso attorno ai suoi polsi e quando provò con un enorme sforzo a sollevarne uno, quello ricadde con tale violenza che sbatté le nocche della mano a terra.
Erano ceppi di metallo attaccati ad una catena fissata alla parete retrostante.
Quinn continuò a ripetere a se stessa che si trattava di un altro incubo, reale quanto il precedente, ma la sua mente non riusciva proprio ad elaborare quella bugia come descrizione fedele della realtà.
Poco lontano si sentivano uomini urlanti, ci mise un po' a capire che stavano festeggiando qualcosa: avevano voci profonde e cavernose, ma si poteva distinguerne l'ilarità di fondo.
Percepiva echi dei loro movimenti, ma non aveva idea di quanto fossero distanti.
Ne approfittò per stringere le dita attorno alle catene e tirare con tutte le sue forze verso il basso. La fronte le si imperlò di sudore e indirizzò le sue energie verso quell'unico scopo.
Il metallo scricchiolò appena nella pietra, ma non si spostò dalla posizione d'origine.
Tentò di ricordare come avessero fatto a trascinarla fin lì, ma tutto ciò che sapeva era che qualcuno l'aveva afferrata alle spalle proprio fuori dalla casa di Pam e tappato la bocca, la sensazione di farfalle allo stomaco, prima lieve poi sempre più intensa e infine un feroce strappo che l'aveva fatta urlare.
Che cosa mi è successo?


Quando qualche ora dopo il cancello sbarrato si aprì emettendo un fastidioso stridio, accompagnato da una folata di aria fredda, Quinn ebbe a malapena la  forza di sollevare lo sguardo.
Due figure scure si stagliavano sulla soglia, parlottando tra loro attraverso grugniti indistinti. Avrebbe voluto sentire meglio, ma le appariva tutto confuso e ovattato e per quanto impegno ci mettesse, non riusciva a vedere nulla nel buio.
La sua mente lavorava al rallentatore, come se fosse stata drogata.
Uno dei due uomini avanzò di qualche passo, fermandosi accanto a lei e sistemandosi alla sua altezza. Le afferrò il mento con dita ossute e lo sollevò senza molte cerimonie, studiando attentamente il suo viso mentre le stringeva la mandibola. 
Quinn cercò di divincolarsi, ma più si muoveva e più la testa le girava vorticosamente.
"Chi sei? Non...non toccarmi" protestò debolmente con voce roca.
Da quanto tempo non beveva? Le sembrava di avere la gola ricoperta di carta vetrata.
"Chiudi il becco" la zittì quello mollando la presa e prendendole un polso.
Trafficò nel buio e la ragazza percepì un lieve rumore metallico prima che un intenso bruciore le attraversasse il braccio.
L'aveva tagliata con un coltello.
Non vedeva quasi nulla, ma ne aveva la consapevolezza.
Avvertì qualcosa di caldo e denso colarle dalla pelle al suolo e un odore metallico si disperse nell'aria.
L'ultimo suo pensiero fu che forse era stata sequestrata da pazzi squilibrati per un qualche desiderio sadico, poi non ci fu altro che un buco nero che l'inghiottì.


                                                                                                                                        ***


Entrare nel loro nascondiglio fu un gioco da ragazzi.
L'edificio era privo di finestre e aveva un solo ingresso, attraverso le pareti sottili sentiva qualcuno muoversi e parlare.
Al suo fianco, i demoni sorridevano soddisfatti delle prime vittime, per metà già ricoperti di sangue scuro.
Lui no.
Alec non si sprecava per i demoni di bassa lega.
Era un predatore e voleva scontrarsi con qualcuno alla sua altezza. Qualcuno di forte e pericoloso.
Proseguì attraverso la scia di cadaveri senza degnarli di uno sguardo, dritto verso i sotterranei, mentre gli altri gli coprivano le spalle.
Urla strazianti si levavano nell'aria, ma il demone non se ne curò minimamente raggiungendo finalmente la sua meta.
Due soldati del vecchio esercito di Thren, Signore della vendetta, ora guidato dal figlio di sangue Zane, si trovavano a guardia di una piccola cella.
Si accorsero subito della sua presenza e lanciarono un tonante grido di battaglia prima di attaccarlo con ferocia.
Alec, per nulla sorpreso, si scostò repentinamente evitando con cura ogni pugno. Si picchiarono selvaggiamente pur essendo armati, senza mai riprendere fiato, in un corpo a corpo senza esclusione di colpi. 
Infine, stanco di quel gioco, Alec afferrò uno dei due per il collo, lasciando che l'altro lo colpisse alla schiena con un pugnale.
Con un semplice movimento del polso lo ribaltò e la creatura atterrò scomposta su un fianco con un rumore di ossa rotte che lo fece ghignare.
Un leggero pizzicore gli rammentò l'assalto del demone alle sue spalle e con una rotazione improvvisa e violenta se lo scrollò di dosso, scagliandolo contro la parete rocciosa.
Quello si rimise in piedi, frastornato e sanguinante.
Il liquido nero gli attraversò il corpo ferito formando rapidamente una pozza scura a terra.
Alec inclinò il capo ghignando e lo squadrò sarcastico.
"Tutto qui?" disse, sapendo di farlo infuriare.
Lo scontro che seguì fu sanguinoso e lungo, e alla fine Alec si ritrovò più ferite sparse per il corpo, ma la soddisfazione di aver vinto gli impedì di sentire dolore.


Il silenzio surreale dei sotterranei fu interrotto da un suono simile ad un singhiozzo.
Voltò la testa di scatto.
La cella buia riapparve nella sua visuale e aprì cautamente il cancello, guidato dal forte odore di sangue che già gli incendiava le vene.
Una giovane donna era in ginocchio sul pavimento, incatenata alla parete.
I lunghi riccioli biondi le ricadevano sulle spalle, aveva la testa leggermente china mentre lo fissava attraverso le folte ciglia con i suoi occhi di ghiaccio. 
Era stata trattata proprio come tutti gli altri prigionieri.
Il che era strano, calcolando il mistero che aveva preceduto il suo rapimento.


Quinn pensò che doveva essere svenuta di nuovo, perché
quando tornò in sé era completamente rigida, come se fosse rimasta distesa sul pavimento a lungo.
Una fitta alla tempia e la sensazione appiccicosa sulla pelle le suggerì invece che qualcuno l'aveva colpita.
Ecco, sì.
Era certa di aver ricevuto una gran botta.
Con il manico di un coltello.
In sottofondo udiva urla sconnesse, grandi tonfi, come di mobili che si spaccavano e corpi che si scontravano.
Ancor prima di ricordare di essere immobilizzata contro la parete, si ritrovò in ginocchio, a cercare di alzarsi e scattare verso la porta di ferro. Il suo corpo si tese e qualcosa la strattonò di nuovo giù.
Maledizione.
Gridò, tanto per la paura quanto per il dolore, ma non uscì altro che un lamento soffocato.
All'improvviso qualcuno si materializzò sulla soglia e col cuore in gola, si sforzò di sollevare lo sguardo.


Lui la stava fissando.
Pregò che la luce proveniente dall'esterno lo mostrasse più imponente di quello che era.
Fisicamente si limitò a sussultare, ma dentro di lei si scatenò una rivoluzione.
La poca calma rimasta vacillò del tutto e il panico prese il sopravvento. La testa le pulsava e girava di nuovo.
Quinn tentò di rimettersi in piedi, quantomeno per essere in grado di indietreggiare, ma le gambe non ressero e prima che potesse ricadere al suolo, due forti braccia la mantennero ferma e stabile.
Notò che i suoi occhi erano di uno strano grigio-verde, le ricordavano l'acqua di una palude, quasi completamente coperti dai capelli biondo scuro che gli ricadevano scomposti sulla fronte e la sua pelle era...rossa.
No, ricoperta di ferite aperte, si corresse. Sanguinava.

Aspirò quel poco di ossigeno rimasto mescolato all'odore pungente di quell'uomo, rendendosi conto dei numerosi pugnali assicurati in vita, solo quando li toccò con il fianco.
"Stai lontano da me" sibilò dimenandosi per allontanarlo da sé. Boccheggiò, come se si sentisse annegare.
"Shh, sta buona" le sussurrò carezzevole all'orecchio spostando lentamente una mano verso la catena, che si spezzò sotto una lieve pressione. La ragazza deglutì sonoramente e lo fissò con occhi sgranati. "Come hai...?"
Diavolo.
Solitamente non riusciva a stare zitta e ora non riusciva nemmeno a formulare una frase per intero!
Quello scrollò le spalle con fare noncurante "Magia" bisbigliò agitando le mani davanti al suo viso come se stesse parlando con una bambina piccola "Andiamo, ti porto fuori da qui" ordinò poi, avviandosi all'uscita. Lei continuò a spostare lo sguardo dalla parete su cui giaceva la catena dondolante ai suoi polsi.
"A meno che tu non preferisca restare" aggiunse sardonico davanti alla sua esitazione.


Quando Quinn mise piede fuori dalla porta, qualcuno dalla straordinaria velocità aggredì quello che doveva essere il suo salvatore, facendogli distogliere finalmente l'attenzione da lei.
Senza la minima esitazione rispose all'attacco, colpendo l'uomo alla mascella con un gancio destro tanto forte da fare invidia a Cassius Clay
, e piegandosi su di lui gli tagliò la gola di netto, interrompendo il suo ruggito rabbioso.
L'urlo stridulo che squarciò l'aria fece in modo che i loro occhi si incontrassero di nuovo, prima che lui le si piazzasse davanti chiudendole la bocca.
"Stai zitta. Non è proprio il momento per le crisi da patetica umana" ringhiò minaccioso "Volevi che ti uccidesse?" domandò con finta condiscendenza, lasciando lentamente cadere la mano.
"Io...no" bisbigliò la ragazza gettando un'occhiata incerta all'uomo che li aveva aggrediti.
Anche se definirlo uomo sarebbe stato azzardato. Le parole di ringraziamento che stava per pronunciare vennero inghiottite in fondo alla gola, balbettò a vuoto per qualche secondo, provocandogli un breve ghigno divertito.

La creatura ai suoi piedi aveva la pelle chiazzata di blu e un paio di...corna? gli sbucavano dalle tempie incurvandosi all'indietro, tutt'intorno alla testa.
Il liquido scuro che fuoriusciva dalla ferita alla gola era nero come il carbone.
Sangue nero.


Quinn sollevò lo sguardo velato dall'orrore. "Chi era quello?" la sua voce, costantemente ricca di una nota indignata e determinata, era ridotta a un sussurro tremulo. Non può essere vero...forse il risultato di qualche esperimento? Ma dove sono finita?
"Credo che la domanda giusta sia 'cosa era quello?'. Semplice, dolcezza"
Dolcezza?
"Era un demone"
Un che?
"Come me"

                                                                                                                                        ***


Quando si risvegliò, era stesa su qualcosa di morbido. Sbatté le palpebre più volte, attendendo che la sua vista offuscata dal sonno tornasse a posto. Abbassò lo sguardo su quello che riconobbe come un materasso.
Letto. Era su un letto. Morbido e comodo. Quasi le sfuggì un sospiro di sollievo.
Avevo ragione.
E' stato tutto un assurdo incubo.


"Bentornata nel mondo dei vivi, dolcezza"
Forse no.
Quella voce. Calda, dal tono sarcastico e vagamente scocciato.
Quinn posò gli occhi azzurri sulla figura appena uscita da una stanza adiacente a quella in cui si trovava lei.
Sembrava un bagno, convenne, sbirciando le piastrelle bianche e il grande lavandino in marmo.
L'uomo indossava una camicia aperta sul torace e un paio di pantaloni scuri, bassi sui fianchi. 
Era lo stesso che l'aveva aiutata ad uscire da quel buco scuro dove l'avevano trascinata...


"Non ricordavo che gli umani dormissero così tanto" proseguì quello, sedendosi ai piedi del letto dandole le spalle e prendendo a frizionarsi i capelli con un grande asciugamano bianco.
Aveva usato di nuovo quel termine, umani, con quella nota di estraneità, come se non appartenessero realmente alla stessa specie.
Rammentando la conversazione avuta precedentemente, Quinn emise uno sbuffo irrigidendo la mascella.
Addio paura, benvenuta rabbia.
"Smettila. Questa storia è ridicola e mi ha stufato! Voglio sapere subito chi c'è dietro" sbottò acida, tentando di sollevare i polsi ancora pesanti a causa dei ceppi metallici, per incrociare le braccia sul petto.
L'uomo si voltò con un sorrisetto sulle labbra. "Prego?"
"Hai capito benissimo. Cos'è, una specie di scherzo di cattivo gusto?" il suo cipiglio interrogativo, venne sostituito in un attimo da un'espressione che rifletteva il suo stato di panico. "Oh mio Dio! E' per mio padre, vero? Avrei dovuto immaginarlo. Ma rapirmi non servirà, non scucirete niente da lui. Potete togliervelo da quella mente bacata, stupidi, perfidi, figli di..."
"Sei fuori strada" la interruppe lui con voce dura. Sembrava mortalmente serio e questo le suggerì di chiudere la bocca per qualche secondo. Prese un respiro profondo prima di riprendere.


"E' inutile negarlo. Non sono neanche così impressionata, nel ventunesimo secolo, mi sarei aspettata di meglio da un branco di terroristi" borbottò riducendo gli occhi a due fessure.
"Ti si è sciolta la lingua, eh? Temevo che sarebbe successo" fece, fingendosi afflitto. Si spostò verso di lei, fino a sedersi al suo fianco, e sorrise di più vedendola ritrarsi.
"Ascoltami, perché te lo spiegherò solo una volta e non amo ripetermi"
Quinn fece per parlare e, quando lui la zittì con un gesto improvviso della mano, temette che volesse schiaffeggiarla.
Non lo fece.
Si limitò a scostarle i capelli dal collo senza che lei potesse fermarlo, tesa com'era.
"Apri.bene.le.orecchie" sillabò poi maligno, accostando la bocca al suo orecchio.
"Questo non è un gioco. Sei stata coinvolta, per immensa sfortuna di entrambi, in una guerra che non ha niente a che vedere con il tuo mondo umano. Siamo demoni. Creature infernali. Questa è la verità, principessa. Se non ti piace, non è un problema mio"


La ragazza sgranò gli occhi guardandolo come se fosse pazzo. Sapeva che esistevano dei soggetti mentalmente disturbati che pensavano di essere qualcosa di più che semplici umani, che soffrivano di un disturbo schizotipico di personalità, ma non ne aveva mai incontrato nessuno finora.

"Vorresti davvero farmi credere di essere..."
Venne interrotta da un suono minaccioso, simile al rombo di un tuono, ma meno forte, che proveniva da...lui.
Un ringhio.
Simile a quello di un cane. Seguito da uno sguardo infuocato tutto rivolto a lei e la sua linguaccia.
Oh mio Dio.
"Non posso..." bisbigliò dopo interminabili secondi.
"Cosa?" la interrogò lui, addolcendosi appena. L'ultima cosa che voleva era scatenare un'altra crisi isterica come quella avuta nei sotterranei prima che perdesse i sensi. Ricordava ancora la sensazione dei suoi piccoli pugni contro il petto, le unghie nella pelle, e i timpani deboli per le urla assordanti. Decisamente sgradevole.
"Crederti"
Alec scrollò le spalle e alzò gli occhi al cielo, appellandosi a tutti i sentimenti negativi che solitamente alimentavano la trasformazione completa di un demone.
Scosso da un fremito violento, strinse i denti quando la sentì arrivare, alterando il suo corpo in una morsa di dolore quasi liberatoria. Le ossa si allungarono, i muscoli si espansero, più possenti...
Sentì i cambiamenti del suo tessuto epiteliale che da pallido e rosato diventava sempre più scuro.
Il calore agli occhi era il campanello d'allarme che il loro attuale colore era  nero come le cavità di granito e il lieve fastidio alle gengive segnava l'estensione delle zanne.


Quinn emise una sorta di squittio, mentre il fiato le si mozzava in gola, e il cuore le prese a martellare così forte che sentiva il sangue pulsare nelle orecchie.
Rinunciando a cercare una spiegazione razionale a quell'orribile spettacolo, si precipitò fuori dalla porta, superando a tutta velocità la mostruosa creatura davanti sé e pregando di trovare libera la strada verso la salvezza.
Doveva uscire da quel manicomio, poi se ne sarebbe tornata a casa e avrebbe chiamato la polizia.
O magari l'FBI o la CIA...
Non aveva la borsa né il cellulare, che era certa di aver lasciato accanto alla sua auto quando l'avevano portata via, ma anche a costo di elemosinare un passaggio, sarebbe scappata lontano.
Quando individuò la strada, uscì senza esitazioni sotto la pioggia scrosciante, senza curarsi dei suoi vestiti già fradici dopo pochi secondi. Raggiunto il marciapiede di fronte all'abitazione, proseguì velocemente fino ad un grande incrocio.
Rimase in piedi, immobile sotto la furia degli elementi, mentre il vento, violentissimo, le scompigliava i capelli.
Qualcosa non andava.
Guardandosi intorno confusa, si rese conto che la strada principale della città, solitamente molto trafficata, era completamente deserta.
Impossibile. Ma dove sono finiti tutti?


Alec tornò nella sua normale forma, mentre attraversava il grande atrio e scendeva in strada sbuffando. Avvertì la presenza di qualcuno alle spalle e non ci fu bisogno di voltarsi per sapere chi fosse.
"E' andata da quella parte" lo informò stancamente Kegan, indicando l'uscita del vicolo.
"Lo so. Riesco a percepire la sua paura" fece con un sorrisetto da schiaffi stampato in faccia. Era sempre appagante riuscire a terrorizzare qualcuno per il proprio aspetto minaccioso, era qualcosa che ingigantiva l'ego di un demone.
"Si può sapere perché l'hai lasciata in vita? Sai benissimo che quelli come lei creano solo guai"
"Dahak vuole vederla" commentò atono, girando l'angolo.
"Ma perché non metterla in una delle celle?"
"Perché no!" sbottò furioso resistendo appena alla tentazione di estendere nuovamente le zanne.
Non voleva ammettere di non conoscere la risposta.
L'aveva vista crollare tra le sue braccia, ferita, spaurita, e qualcosa si era risvegliato in lui. 
Tutta colpa della sua metà umana, sicuramente, che lo metteva spesso nei guai.
Registrò distrattamente il borbottare sommesso dell'amico, mentre la individuava in Carlson Avenue: completamente bagnata, tremava per il freddo e il terrore, guardando spaesata la distesa di cemento davanti a sé.

Scosse il capo, sospirando.
"Umani. Sempre a cercare la verità, poi quando la trovano scappano come topi" sibilò disgustato Kegan.
Demone puro fino al midollo, non riusciva a capacitarsi del fatto che la specie umana non si fosse ancora estinta.
Alec lo ignorò, lasciandolo al centro della strada, mentre si materializzava alle spalle della ragazza senza il minimo rumore.
La vide trasalire, ma non si curò di dargli a vedere la consapevolezza di saperlo lì.


"Non vorrai svenire ancora" la punzecchiò.
"Dove sono?" replicò ostinata, fingendo di non cogliere il suo divertimento. Non c'era timore nella sua voce. Era terrorizzata, eppure riusciva a mascherarlo alla perfezione.
"In un luogo in cui è meglio non essere sola, se ci tieni a restare intera"
"Dove?" insistette lei, voltandosi finalmente dalla sua parte.
Lo guardò con gli occhi che brillavano per un misto di determinazione e furia così potente che gli fece scollegare il cervello per un minuto. Niente male.
La pioggia continuava a cadere scrosciante sopra di loro e i tuoni rimbombavano in lontananza, attutendo il tono di sfida dell'umana.
La camicetta bianca le faceva ormai da seconda pelle, lasciando ben poco spazio all'immaginazione sul tipo di biancheria indossata.
Lo scenario perfetto per una conversazione.
"Non preferiresti discuterne dentro?" domandò con un ghigno, lanciando uno sguardo lascivo lungo tutto il suo corpo.


Quinn abbassò appena lo sguardo e arrossì furiosamente, prima di portarsi a fatica entrambe le braccia a coprirsi il petto, mentre scuoteva la testa con forza.
"Torniamo indietro. Devi liberarti di quella roba" aggiunse con tono più acido, indicando col mento i ceppi ai suoi polsi. Si stava quasi abituando a tutto quel peso, ma immaginava l'orribile stato della sua pelle sotto il metallo.
"Non vengo da nessuna parte con te"
"La mia non era una richiesta amichevole"
Ancora quel tono intimidatorio.
"Non mi interessa" s'intestardì la ragazza, indietreggiando di un paio di passi. Perché nei film la protagonista ha sempre ottime vie di fuga, mentre nella realtà bisognava trovarsi in un deserto illusorio, circondata da mostri?
Vide la sua mascella contrarsi nervosamente, prima che la raggiungesse in una falcata e le afferrasse un braccio in una morsa d'acciaio.
Quinn tentò di non gemere dal dolore e si costrinse a non abbandonare la sua finta sicurezza.

'Non dare mai al nemico l'occasione di scorgere la tua paura'.
Le parole di suo padre le risuonarono nella testa. Aveva miseramente fallito finora, ma avrebbe rimediato.

Provò a divincolarsi, puntò i talloni a terra, e siccome lui non diede il minimo segno di cedimento, gli morse la mano a sangue.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3: First impressions ***


Capitolo 3: First impressions





"Finito" esclamò soddisfatto, mentre buttava dall'altro lato della stanza il metallo arrugginito, che cadde con un tonfo rumoroso.
"Certo che sei conciata proprio male, eh?" commentò poi, studiando la pelle dei polsi lacerata e sanguinante.
Fece per afferrargliene uno, ma lei si scostò bruscamente, più per il bruciore che per repulsione.
Alzando lo sguardo sulla ragazza, sospirò constatando che la furia nei suoi occhi era ancora presente.
Solo io mi potevo beccare una delle poche donne con le palle presenti nel mondo.
Seduta ai piedi del suo letto, con gli abiti ancora bagnati, i lunghi capelli ricci pesanti e sgocciolanti sulle spalle, poteva sembrare un animaletto indifeso. Tuttavia il broncio dispettoso e gli occhi ridotti a due fessure suggerivano che di lì a poco sarebbe esplosa di nuovo.
Quando gli aveva morso la mano, non solo aveva dovuto rafforzare la presa su di lei prima che riprendesse a correre, ma aveva anche dovuto fermare il braccio robusto di Kegan, che dopo averle sferrato uno schiaffo da far girare la testa, si apprestava a colpirla di nuovo con violenza. Assurdo. Come se lui non potesse allontanarla da solo.
Odiava il fatto che quel demone non facesse distinzioni né di sesso né di razza prima di agire e sopra ogni altra cosa odiava la violenza sulle donne. 
Per quanto a volte si divertisse a spaventarle, a
veva sempre sostenuto che ci fossero altri modi per renderle docili.
Ora invece fissava con disappunto la macchia violacea formatasi sullo zigomo, una volta perfetto, della ragazza.
Maledizione K, sei veramente una testa di cazzo.


"Fatti un bagno e poi penseremo alla medicazione" proseguì alzandosi in piedi.
Il lungo silenzio che seguì le sue indicazioni, lo innervosì. Quasi la preferiva quando parlava a macchinetta.
Non era più abituato ai comportamenti umani. Erano almeno cinque anni che non veniva mandato in mezzo a loro a tempo pieno. Abituato a frequentare solo demoni, famosi per il loro agire d'istinto, come bestie, non ricordava bene come trattare qualcuno di specie differente. Certo, l'aver soffocato testardamente la sua metà umana non lo avrebbe aiutato.
"Dì qualcosa" ordinò Alec, con voce ingannevolmente dolce.
Non avrebbe mai voluto arrivare ad essere gentile. Lei sarebbe morta presto e a lui non importava renderle più piacevole il breve soggiorno negli Inferi. Una parte piccolissima nella sua mente però, insisteva fastidiosamente affinché lui trovasse un modo per scusarsi della scarsa ospitalità ricevuta fino a quel momento.
Schiaffo compreso.
"Vattene al diavolo" disse allora lei, usando lo stesso tono. Sorrise, sinceramente colpito.
Poi si chinò nuovamente per raggiungere il suo livello e si spinse in avanti così da riuscire a sussurrare "Sarà interessante averti in giro per un po', dolcezza"


Senza smettere di fulminarlo con lo sguardo, Quinn si staccò i capelli bagnati dal collo, poi fece per asciugarsi il viso con il polsino della camicia. "No, ti conviene startene buona e ferma finché non sarai pulita o peggiorerai solo la situazione" la bloccò lui, senza toccarla.
Aveva ragione.
Il sangue rappreso colato lungo il braccio aveva fatto diventare la manica destra completamente rossa fino al gomito e dall'altra parte l'aspetto non era migliore.
Dava l'impressione di aver fato il bagno in una vasca di vernice scarlatta dall'odore metallico. 
"Dio, che schifo" riuscì a mormorare. La sensazione appiccicosa dell'acqua era già abbastanza fastidiosa, ma quello...era troppo.
Cercò di respingere un'ondata di nausea, mettendosi in piedi e contemporaneamente respingendo l'uomo (se ancora poteva chiamarlo così) di fronte a lei, avviandosi verso il bagno.
"Se ti serve una mano ad insaponarti, conta pure su di me"
Pervertito.
"Non so neanche il tuo nome" disse senza guardarlo. Si pentì subito di quell'uscita ridicola, non volendo dargli una qualunque importanza. Sarebbe stato troppo pericoloso per il suo attuale stato mentale.
Lui inarcò un sopracciglio, vagamente sorpreso da quella dimenticanza. Gli umani sono fissati con i nomi.
Conoscere il genere cui si apparteneva non bastava. Che pazienza.
"Alec" l'accontentò.
La ragazza fissò gli occhi di ghiaccio nei suoi con aria interrogativa, attendendo che proseguisse. "E poi?"


Oh già. Aveva un cognome umano, una volta, ma non lo utilizzava da secoli, non lo ricordava quasi più. "Solo Alec" replicò seccato.
"Ok...non c'è bisogno di scaldarsi" brontolò lei a mezza bocca. "Io sono Quinn Taylor" specificò, marcando l'ultima parola con una strana nota di divertimento nella voce, che a lui non sfuggì.
"Lo so"
"Come..?" sospirò "Lasciamo perdere"
"Probabilmente è meglio. Allora...ora che ci siamo presentati ufficialmente, posso farlo?"
"Che cosa?" chiese confusa. Il sorriso furbo che si stampò in faccia le suggerì a cosa si riferisse e inorridì.
"Certo che no! Prova ad avvicinarti a meno di tre metri da quella porta e giuro che io..."
Venne interrotta bruscamente prima di terminare quella patetica minaccia, quando lui le gettò in faccia qualcosa di morbido.
"Indossa questa dopo. E sbrigati, non ho tutto il giorno" sentenziò rude scomparendo davanti ai suoi occhi.


                                                                                                                                       ***


La prima cosa che pensò Quinn sbirciando nell'armadio del demone fu che, per essere ciò che era, appariva stranamente ordinario. Sistemate una di fila all'altra vi era una sfilza infinita di camicie, perlopiù scure, un paio di abiti gessati e svariate paia di jeans.
Buffo.
Le rare volte che era successo, aveva fantasticato sulle creature infernali immaginandole molto più simili a bestie feroci costrette a prendere ordini da un essere cornuto con la coda a punta dall'aspetto ripugnante, più che a uomini qualsiasi con un normale abbigliamento casual, abitanti di una sorta di città parallela del tutto simile alla sua.
Avrebbero dovuto vivere all'Inferno, la cui descrizione doveva essere più o meno quella che aveva letto nel Paradiso Perduto di Milton: un luogo aspro, pauroso e desolato, un'orribile prigione buia nonostante le fiamme.
Quinn non aveva mai pensato che curassero la propria igiene, o che avessero un'enorme vasca di marmo in cui godersi un bel bagno caldo, come lei aveva appena fatto.
All'inizio il sapone bruciava a contatto con le ferite, ma era un dolore sopportabile per far sì che la sua pelle raggiungesse nuovamente il suo colore naturale. La nuvola di vapore che l'aveva avvolta era stata come una coperta soffice per la sua mente scioccata dagli ultimi eventi, e alla fine solo le sue dita raggrinzite l'avevano costretta ad uscire dall'acqua.
Comunque troppo presto per i suoi gusti.


Si era asciugata il corpo accuratamente, senza strofinare troppo, e poi aveva indossato la maglietta larga di Alec.
Tipica T-shirt maschile, nera, bassa com'era le arrivava fin sopra le ginocchia e per una volta fu felice della sua statura.
Mentre gironzolava per il salotto inspirò a pieni polmoni quella sorta di profumo aromatico e frizzante che doveva appartenere al demone. Si ritrovò ad arrossire, trovandolo piacevole, e distolse la mente da quei pensieri frettolosamente.
Al centro della stanza c'era un grande tavolo ovale di legno scuro, accanto al quale era sistemato un carrellino per gli alcolici con il secchiello del ghiaccio pieno. Il camino era accesso e il fuoco crepitava vivace, così si sedette a gambe incrociate sul divano vicino, adocchiando la zona cucina, sulla sinistra, accanto all'ingresso.
Era una casa luminosa. Non c'era nessun altro termine per definirla.
Niente mucchi d'ossa negli angoli, ragnatele al soffitto, strani totem o raffigurazioni blasfeme di Satana.
"Finito d'impicciarti?" la sua voce dura la fece sobbalzare.
Quando è arrivato?
"Hai la capacità di renderti invisibile?" domandò sospettosa, mentre lui si accomodava al suo fianco.
"No. E' che sei troppo distratta" disse con voce stranamente roca. I suoi occhi erano concentrati su tutto tranne il suo viso.
Quando Quinn abbassò lo sguardo si rese conto che la maglietta si era sollevata, lasciando intravedere ben più di quanto avrebbe dovuto. Arrossì e saltò in piedi prendendo a lisciarsela con gesto decisi.
La risatina gutturale di lui la raggiunse e fu tentata di spaccargli una delle sue numerose bottiglie di Brandy sulla testa.
Le prudevano le mani dal nervoso.
"Dai, smettila e siediti" ordinò lui, tirando fuori delle bende e un flacone di disinfettante.
Quando eseguì, lui la osservò accavallare con noncuranza le gambe.
Incapace di resistere alla tentazione, il suo sguardo si posò nuovamente su di loro, prima di risalire verso il viso.
Stava fissando la boccetta nelle sue mani con aria interrogativa.
"Dove hai preso questa roba?" s'informò infatti. Carina. Voleva sapere in che modo si poteva lasciare quella dimensione.
Alec le afferrò un braccio e cominciò a tamponare i tagli lentamente, senza degnarla di una risposta.
Probabilmente lei si aspettava un tocco brutale, perché serrò gli occhi per svariati secondi, prima di riaprirli esitante.
Una reazione infantile che lo fece sghignazzare.


La benda umida la sfiorava leggera come il tocco di una farfalla.
Sospirò rassegnata capendo che non le avrebbe mai detto ciò che lei fremeva di sapere, così non insistette.
Solo allora si accorse che le ferite che gli attraversavano il petto la sera precedente erano del tutto scomparse.
Non c'era traccia di cicatrici sulla sua pelle. Anche il segno del suo morso era sparito.
Eppure le sembrava di aver stretto così forte...Spalancò la bocca senza emettere alcun suono.
Dissimulando la sorpresa per non aver notato prima la mancanza di vestiti sulla parte superiore del suo corpo, si concentrò per formulare una qualche frase di senso compiuto.
"Sei guarito completamente"
"Grazie di aver sottolineato l'ovvio" l'incalzò lui con una nota di divertimento, prendendo a lavorare con l'altro polso.
L'aver rammentato il sangue di poche ore prima, le aveva riportato alla mente anche l'immagine dell'attacco subito dal demone.
Alec era stato così letale nell'affondare il pugnale, che dubitava avesse usato le stesse mani con cui ora la stava medicando.
Quinn parlò, come succedeva spesso, senza pensare. Era un'abitudine in aperto contrasto con la sua personalità metodica, ma non riusciva a trattenersi. "Perché mi stai aiutando?" domandò quindi, approfittando di quel momento di quiete.
"Non lo sto facendo" fu la risposta secca di lui.
"Ah no? Eppure sei qui a curarmi dopo avermi tirata fuori da una cella"
"Eri prigioniera di un nemico, ti ho liberata perché sapevo che i demoni si sarebbero incazzati"
"Sì, ma..."
"
Fine della storia"
"Sei consapevole di avere seri problemi di comunicazione?" borbottò, indispettita dal suo riepilogo privo di empatia.
"Abbastanza" replicò di nuovo con tono ironico.


"Insomma..."
Esasperato, il demone soppresse un ringhio. "Cosa?" domandò in malo modo, alzandosi per gettare le bende sporche.
"Perché sono qui? Veramente. Cioè, tra sei miliardi e passa di abitanti hanno scelto proprio me"
Dunque, il clan dei demoni della vendetta ha trovato divertente l'idea di rapire un'umana per chissà quale rituale, che nella loro mente bacata sarebbe capace di riportare in vita il loro grande Signore Thren, e prima di affidarmi l'ordine di farti a pezzi, paparino ha deciso di conoscerti.
Semplice, diretto, sincero.
Forse troppo.
Commise l'errore di guardarla negli occhi e capì quello che aveva bisogno di sentirsi dire. Qualcosa come 'tranquilla, tra poco ti porterò a casa e di questa storia ti resterà solo un pallido ricordo'.
Ma perché mentirle per farla stare meglio?


"Ti domandi come mai hai tanta fortuna, eh?"
Si beccò un'occhiataccia. Sospirò e decise di concederle qualcosa...tipo l'ultima cena del condannato a morte.
"E' complicato. Cercerò di farti un riassunto, ok?"
Lei annuì.
"Nel nostro mondo ci sono diversi clan, controllati da demoni potenti, i Signori. Di fatto, un demone di quel livello dispone di poteri incredibili e una resistenza tale da poter essere considerato pressoché invulnerabile, ma può essere ucciso se il suo corpo viene danneggiato a sufficienza" cominciò.
Quinn lo seguiva con attenzione, torturandosi le mani e faticando a mantenere inalterato il suo respiro. "Credevo che i demoni...ho sempre immaginato che rispondessero..."
"A Satana? Lucifero? O qualunque altro sia il nome con cui lo chiamano" la precedette lui, derisorio.
La ragazza si sentì un'imbecille per quella domanda, però scrollò le spalle in un gesto d'assenso.
Gli occhi di lui brillarono divertiti. "Personalmente non ho mai incontrato nessuno che brandisse un tridente"
"Ah"
"Vuoi ancora che risponda alla tua prima domanda, o preferisci continuare a discutere di altre stupide leggende?"
"Continua" sussurrò subito dopo lei.
"Quando uno dei Signori venne ferito gravemente in guerra, il suo corpo si conservò tra la vita e la morte, e si pensa che certe condizioni siano reversibili. Non ci sono precedenti e francamente penso che sia una stronzata, ma alcuni suoi soldati pensano seriamente che quando il sangue di un discendente del suo nemico mortale lo nutrirà, lui tornerà completamente in forze" concluse, come se stesse raccontando una noiosa giornata di lavoro.
"Continuo a non capire. Cosa c'entro io?"
"Riuscire a rapire un discendente di sangue di un demone potente risulta praticamente impossibile. Sono tutti molto forti" disse, e la ragazza decifrò un certo compiacimento nella sua voce "Tuttavia si vocifera che uno di loro abbia avuto rapporti con una donna umana, dando alla luce un mezzosangue. Da lui se ne sarebbero generati altri e così via, fino ad arrivare a te. In definitiva...la parola sacrificio non ti suggerisce niente?" le sussurrò con voce trasudante sarcasmo.
La ragazza divenne un blocco di ghiaccio, sbatté le palpebre e si portò una mano alla testa, come se fosse un automa si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Io...sarei io la discendente del demone? Di tutte le assurdità che ho sentito nelle ultime ore..."
"E' quello di cui loro sono convinti e presto ci accerteremo che sia un errore" affermò il demone.


"Non è proprio possibile" sbottò Quinn.
Lui alzò gli occhi al cielo. "Sono d'accordo. E' ridicolo. In te non può esserci un grammo di sangue demoniaco. Sei troppo..."
"Troppo cosa?"
"Umana" sputò con disprezzo.
E tu sei troppo mostruoso, ma non sto a dirlo ad alta voce!
"Beh, mi dispiace che la mia condizione non ti esalti, ma non posso farci niente" urlò allora Quinn, stringendo i pugni "E smettila di dire quella parola come se fosse una bestemmia!"
"No"
"No?"
"Esatto. Ora ti decidi a chiudere quella boccaccia o hai bisogno di un invito più esplicito?" sibilò rabbioso.
La ragazza lanciò un'occhiata al pugnale assicurato alla cintura, con cui aveva preso a giocherellare, minaccioso ed eloquente.
"Cos'è, hai intenzione di tagliarmi la gola?" chiese diffidente.
"Potrebbe essere un'idea" Sperò che quella velata minaccia potesse zittirla. Il silenzio durò circa sette secondi. Forse meno.
"Però, che grande atto di forza prendertela con chi ti è inferiore" la sentì invece brontolare.
"Maledizione, ti è chiaro il concetto che sono un demone? Non devi parlarmi come se fossi un tuo amico"
La voce di Alec era un ringhio basso e pericoloso.
Il nervosismo arrivò alle stelle e il demone considerò seriamente l'ipotesi di ucciderla prima di ricevere l'ordine diretto.
Nessuno riusciva ad irritarlo così da anni. E quei pochi che lo facevano non avevano di che vantarsi.
La cosa peggiore era che in lei c'era qualcosa che non riusciva ad afferrare: qualcosa di importante, di sfuggente.
Lo percepiva a livello mentale, ma non riusciva a coglierlo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4: Incompatible ***


Capitolo 4: Incompatible





Alec aveva passato tutta la giornata fuori, troppo occupato con i demoni a contrattaccare i tentativi di ribellione di un gruppo di vampiri sotto il loro controllo. Dahak gli aveva affidato il comando dell'operazione tre giorni prima, ma la questione spinosa con l'umana l'aveva costretto a rimandare in continuazione, almeno finché non aveva saputo di un nuovo carico di vittime ritrovate completamente dissanguate dalla polizia. Era assurdo che i vampiri avessero deciso di alzare la cresta proprio in quel periodo, dopo secoli di relativa tranquillità. Solitamente seguivano le direttive dei demoni superiori cui sottostavano, senza sgarrare, per paura di essere decimati come era quasi accaduto in passato, durante la grande guerra dei clan.
Quella mattina, intorno alle cinque, aveva lasciato ad uno degli umani di cui suo padre deteneva l'anima, il compito di portare del cibo a Quinn, senza permetterle di uscire dalla camera da letto dove l'aveva rinchiusa per evitare spiacevoli sorprese al suo rientro.
Sembrava trascorsa un'eternità dalla loro ultima conversazione e mentre si allontanava dagli altri per tornare al suo appartamento, si ritrovò a sorridere ripensandoci.
L'aveva trovata a trafficare in cucina con la sua maglietta blu che le arrivava al ginocchio e si era comodamente appoggiato allo stipite della porta ad assistere allo spettacolo.


Sbuffò più volte, borbottando a mezza bocca senza accorgersi minimamente della sua presenza.
Aprì tutti gli sportelli della cucina, poi il frigorifero per la seconda volta, evitando accuratamente il freezer.
Probabilmente aveva già scoperto la sua scorta di sacche di sangue.
Il demone guardò il livello della sua rabbia elevarsi sempre di più. Alla fine si voltò verso di lui, individuandolo all'improvviso e il suo respiro si spezzò bruscamente per lo spavento.

"Non c'è niente di commestibile in questa topaia?" gli  chiese, con finta gentilezza, dopo essersi schiarita la gola.
"No" Fu la risposta divertita. La sera prima che lei arrivasse i suoi uomini avevano ripulito tutto senza troppi sforzi e il cibo era sempre l'ultima cosa a cui lui pensava quando aveva da ideare una missione. Era abituato a saltare i pasti anche per giorni, dopo quello che aveva passato i primi tempi nel mondo demoniaco, non ci faceva neanche troppo caso.
"E' la tua parola preferita, eh?" Le braccia incrociate sul petto, il suo viso imbronciato. Era comica. Lui rise. 
"Quindi è così. Mi tieni rinchiusa qui a digiuno e speri che muoia di fame? O di noia?"
"In entrambi i casi chiuderesti finalmente la bocca, quindi è indifferente" 
"Sei veramente odioso" borbottò a bassa voce, come se parlasse con se stessa.
"E' sempre bello sentirselo dire"


Era notte inoltrata quando in corridoio incontrò il povero malcapitato, Kyle, che gli accennò ai diversi tentativi della ragazza di stenderlo e osservò compiaciuto il suo occhio gonfio e la pelle violacea dello zigomo.
Immaginò di dover affrontare la sua furia una volta oltrepassata la soglia di casa, ma concentrandosi su di lei, si rese conto di non avvertire nulla del genere.
Si materializzò in bagno, pienamente cosciente della presenza di Quinn nella vasca. Doveva essersi addormentata.
Appariva tranquilla e in pace, immersa in quel calore liquido.
Lanciò un'occhiata lussuriosa al suo corpo pallido immerso nella schiuma profumata.
Aveva il capo appoggiato stancamente all'indietro, sul bordo, dove aveva arrotolato un asciugamano per stare comoda.
I ricci biondi, fermati in modo scomposto con una matita, lasciavano libere alcune ciocche che le incorniciavano il viso delicato, a forma di cuore, ricco di deliziose efelidi.
Alec lasciò che per qualche minuto i suoi occhi vagassero lungo il collo candido, la gola esposta che lasciava intravedere l'arteria vulnerabile.
Era di una bellezza assoluta e incredibile, e ora che si era concesso di notarlo, non riusciva a smettere di fissarla.
"Svegliati piccola, il mostro è tornato" bisbigliò malignamente dopo qualche minuto.
Quinn sobbalzò e spalancò i suoi occhi azzurri piantandoli nei suoi. "Oh mio...che cosa diavolo credi di fare?" urlò con voce più rauca di quella che sperava di avere, tirandogli addosso la spugna che galleggiava sul pelo dell'acqua.
Quella notte non era riuscita a chiudere occhio stringendosi nella coperta di lana morbida, accoccolata sul divano del soggiorno. Lui l'aveva ovviamente invitata nella sua stanza, garantendole che sarebbe stato assente per gran parte del tempo, ma di sicuro il suo comportamento e la sua natura non ispiravano fiducia, così aveva finito per restare sveglia a fare la guardia per la sua sicurezza, cercando invano di non pensare a cosa le sarebbe accaduto.


"Oh, rilassati tigre!"
"Rilassati un accidenti! Nessuno ti ha insegnato a bussare?" L'espressione incredula di lui la fece diventare paonazza.
Ma che diavolo dico?
Questo non è un hotel a cinque stelle, ma il covo di un demone e io sono prigioniera in casa sua.
"Hai veramente detto bussare? Sei davvero uno spasso"
"Esci.subito" sillabò tentando di farlo passare per un ordine minaccioso, le braccia strette al petto su cui indugiava lo sguardo insistete di lui.
Il demone si fece più vicino, per quanto fosse possibile starle più addosso. Avvertì un lieve brivido di anticipazione scorrerle sotto pelle e il suo sorriso si allargò.
"Questo è il mio bagno, esci tu" la invitò con voce carezzevole.
Bastardo arrogante.
Quinn decise che non si sarebbe lasciata sopraffare dalla paura stavolta. Fissandolo furibonda e con aria di sfida, gli occhi ridotti a due fessure, si sollevò dalla vasca, le braccia stese rigidamente lungo i fianchi, e senza preoccuparsi di afferrare un asciugamano per pulirsi della schiuma, si diresse in camera da letto, sgocciolando acqua insaponata su tutto il pavimento.


Pensò seriamente che lui l'avrebbe uccisa, come minimo, per quell'esempio di alterigia, invece rimase in bagno lasciandola sola per un tempo che le sembrò infinito, senza la minima parola.
Probabilmente sta escogitando il modo di farmela pagare, pensò indossando velocemente
la divisa da bibliotecaria che qualcuno le aveva lasciato pulita sul letto. Mentre finiva di abbottonarsi la camicetta candida, vide la porta aprirsi e la figura imponente del demone occupare la soglia. Si sforzò di non apparire un'ebete con la bocca spalancata e si concentrò a far entrare il bottone nell'asola giusta. 
Portava solo un paio di pantaloni di tuta blu scuro e piccole gocce d'acqua gli attraversavano pigramente il collo e il petto, segnato da piccole striature rosate che avevano l'aspetto di ferite rimarginate da tempo. La pelle liscia si tendeva, mentre sollevava il braccio per strofinarsi i capelli bagnati, e i muscoli asciutti denotavano una forza poliedrica e micidiale.
I suoi gesti le
lasciarono intravedere un tatuaggio simile a un rampicante dalla forma tribale che si estendeva dal polso fino alla spalla destra e gli conferiva un'aria pericolosa.
Più del solito, comunque.
Possibile che non l'abbia notato prima?
Promemoria nel caso resti in vita: eliminare la voce 'spirito d'osservazione' dal curriculum!
Se non fosse stato un maniaco assassino, sarebbe stato persino sexy.


"Allora, ti piaccio?"
Quinn trasalì, come un bambino beccato con le mani nella marmellata. Merda. "Come dici?" domandò, fingendosi perplessa.
Quando Alec sollevò gli occhi sul suo corpo, un brivido la attraversò penetrando nelle ossa.
Non era certa che dipendesse dal timore, ma cercò di convincersi che fosse così.
"Avresti dovuto avvertirmi che volevi giocare a 'ti mostro il mio, se mi mostri il tuo'. Mi sarei preparato" scherzò il demone sfoderando un ghigno malizioso.
Quinn emise un sospiro scocciato. "Mi hai chiesto tu di uscire" ammise con un filo di voce, ancora tesa come una corda di violino.
"Vero"
Cos'è quel tono di voce basso? Perché sta avanzando verso di me? Oddio...
"Se avessi saputo prima di questa tua voglia di esaudire i miei desideri, ci saremmo divertiti di più"
Ma che...
"Tutto qui? Un commento ironico e vagamente osceno è tutto quello che hai voglia di...Dio, starti dietro è snervante!"
Lui la guardò visibilmente confuso. "Come?" le chiese infatti mentre si allontanava impercettibilmente, permettendole di tornare a respirare regolarmente.
"Ero convinta che volessi..."
"Cosa?" Inclinò il capo da un lato, come se tentasse di stare dietro alle idee bizzarre dell'idiota farfugliante che aveva davanti.
"Ehm..." non dirlo, non dargli suggerimenti "Non so, mangiarmi o qualcosa del genere" concluse sentendosi improvvisamente la preda che balla invitante davanti al leone affamato.
Cretina.
La sua risata roca le mozzò il fiato in gola: nei film accadeva sempre qualcosa di orribile quando un pazzo aveva reazioni del genere. E lui era un fottuto mostro degli Inferi.
"Sei gentile a offrirti come cena, ma in realtà non mi nutro di persone. Preferisco la pizza"
"Ma...sei un demone!" disse con ostinazione, come se quel termine rappresentasse una spiegazione sufficiente. Non era una di quelle giganti bestie pelose e cornute che governavano la sua fantasia, ma qualche tratto animale doveva pur averlo!


In meno di un secondo, si ritrovò costretta contro il muro dal peso del suo corpo, le sue mani sulle spalle, così che poté a malapena agitarsi quando il suo alito caldo le sfiorò l'orecchio.
"E tu, da grande esperta in materia, pretendi di conoscere le mie abitudini alimentari?" sibilò con voce bassa, derisoria.
Poteva percepire il respiro accelerare, anche se lei con determinazione cercava di nasconderlo.
Aveva la sicurezza tipica delle donne che sanno di essere brillanti e la cosa era terribilmente eccitante...oltre che snervante.
Per colpa di quella piccola vipera aveva dovuto farsi una doccia gelata e terrorizzarla un po' gli sembrava una punizione adatta.
"Ero...ero convinta di sì" rispose in un sussurro strozzato.
Il sorriso di Alec era di puro trionfo, quando ritrasse le mani e le appoggiò contro il muro all'altezza della testa di lei, in modo da tenerla prigioniera senza però toccarla.
"Beh, ho una notizia flash per te: smania omicida a parte, funziono esattamente come un umano. In tutto e per tutto" sussurrò carezzevole, volutamente provocatorio. Poi lanciò uno sguardo eloquente in direzione del suo ventre. "Per certi versi, poi, sono decisamente migliore" aggiunse, la sua voce ridotta ad un borbottio roco.
Quinn cercò nella sua mente che lavorava frenetica, una qualche risposta tagliente delle sue, ma aveva la bocca asciutta e il calore del corpo pressato contro il suo non l'aiutava a concentrarsi. Aveva bisogno di prendere una boccata d'aria fresca, libera dal testosterone.

Sentì uno strano formicolio al bassoventre e il panico iniziò a logorare gli argini del suo autocontrollo quando si rese conto di essere irrazionalmente attratta dal demone.
No. Va tutto bene.
E' colpa della Sindrome di Stoccolma, è perfettamente normale per una nella mia situazione.


Lui rise. "Inoltre, non sono io il cattivo che tira cazzotti agli innocenti. Kyle mi ha detto che hai un gran bel gancio"
Quinn strinse i pugni. Aveva le nocche della mano destra ancora indolenzite, ma la soddisfazione di aver reagito la colmava più di qualunque dolore fisico. Per tutto il giorno era rimasta intrappolata fra quattro mura, l'unica interazione avuta col prossimo era stata quella con lo strano individuo che le portava da mangiare senza però rivolgerle la parola.
Quando aveva capito che non era un demone e l'aveva pregato di aiutarla, aveva ricevuto in cambio uno sguardo di malcelato disprezzo che l'aveva fatta infuriare.
Sollevò il mento, con aria di superiorità.
"Se quel tale lavora per te, deve essere tutto tranne che innocente"
"Ti assicuro che lo è...più o meno. Si è venduto l'anima qualche anno fa, ma chi non lo farebbe in cambio di ricchezza spropositata e la compagnia di tante belle donne?" 
"Qualcuno con un cervello, magari!" suggerì con voce melliflua.
"Sei sempre così critica con tutti o qui ci siamo guadagnati un'attenzione particolare?"
Alec pensò che normalmente si sarebbe già stufato di quel botta e risposta, ma quella ragazzina era talmente provocante, con il suo aspetto e il suo comportamento, che lo portava ad una piacevole esasperazione.
Lo trattava come un suo pari, anche quando la metteva con le spalle al muro dimostrandole la sua superiorità, lei trovava il modo di ribattere senza perdere la sua dignità supplicandolo, come chiunque aveva sempre fatto.


Quinn fece spallucce senza degnarlo di una risposta. Dire la verità questa volta le sarebbe costato la vita. 
Un suono roco, a metà tra un colpo di tosse e un ringhio riecheggiò nella stanza salvandola da quella situazione imbarazzante.
Quando Alec si sollevò leggermente da lei, ne approfittò per piantargli le mani sul petto e spingerlo via.
Sospettava che senza il suo consenso, non si sarebbe spostato di un millimetro.
Una donna dai capelli rosso fuoco, la fissava come se fosse una mosca fastidiosa. Il top aderente color argento che indossava era grande come un fazzoletto e le copriva a malapena il petto e gli stivali al ginocchio saltavano all'occhio decisamente più della minigonna di jeans. Era molto alta, sicuramente più di lei (ci voleva poco) e sembrava che le gambe non finissero mai.
"Aud"
"Mi dispiace disturbare, tesoro. Mi hai detto 'passa più tardi' e sono qui" esordì con voce mielosa, gli occhi di uno strano colore viola che brillavano solo per Alec.
Quinn ebbe voglia di ridere davanti ai suoi modi da gatta morta, ma si trattenne. Era certa di essere di troppo.
A meno che lui non avesse invitato quella sirena per offrire lei come dessert dopo una serata di sesso sfrenato.
Quel pensiero le fece fare un passo verso l'uscita. Ti prego Dio, fa che non abbia mentito e che non si cibino di carne umana.


Il demone alzò gli occhi al cielo.
Sì, le aveva concesso di passare, ma solo per togliersela dai piedi prima di andare in missione e invece ora se la sarebbe dovuta sorbire.
Aud guardava nervosamente l'umana come se non vedesse l'ora di strapparle l'intestino e i suoi artigli erano incurvati e si conficcavano nella pelle, mentre stringeva i pugni lungo i fianchi.
Ci manca la zuffa fra gatte.
Per il suo bene, ordinò con voce dura a Quinn di andarsene fuori dalla stanza e per una volta lei fu totalmente d'accordo ed eseguì rapida.
"Non avevo capito che la tenessi in casa tua" disse acida l'altra pochi secondi dopo.
"Probabilmente perché non l'avevo specificato"
"Infatti. Ma non capisci che cosa rischi?"
Era visibilmente seccata da qualcosa che sicuramente non aveva nulla a che fare con la gelosia, e lui non aveva il tempo né la voglia di indagare. La osservò spostare il peso da un piede all'altro, incrociando le braccia al petto.
"Andiamo Aud, io non ti devo niente. Lo sai, tu vieni qui per scopare, io ti accontento. Fine"
La vide irrigidire la mascella e quasi percepì la collisione dei denti nella sua bocca, poi un lampo argenteo le passò negli occhi e sembrò tornare quella di sempre. Gli dedicò un falso sorriso complice e gli si avvicinò ancheggiando in modo esagerato.
"Giusto. Allora che stai aspettando?"
Crisi scampata.


                                                                                                                                        ***


Quinn si aggirava irrequieta per l'appartamento.
Era il momento migliore per tentare di andarsene una volta per tutte da quel posto orribile e, dai versi che sentiva provenire dalla camera da letto, era certa che Alec non se ne sarebbe accorto se non qualche ora più tardi.
Tuttavia, quando senza il minimo rumore nonostante gli stupidi tacchi, aveva provato a forzare la serratura della porta, quella non si era decisa a collaborare minimamente.

Chi ha bisogno di una porta blindata?
Basta comprarne all'ingrosso nel mondo demoniaco
.

Eppure lei aveva acquisito una certa esperienza nell'arte dello scasso, data la sua adolescenza non proprio tranquilla.
Alec non le aveva mai parlato di incantesimi o roba del genere, ammesso che esistessero, ma qualunque forza riuscisse a tenere serrato quel pezzo di legno, non era mai stata analizzata scientificamente, questo era sicuro!
Intravide la lunga grondaia della cucina, ma quando tirò con forza il bordo della finestra, quella rimase immobile come se fosse inchiodata. Quasi urlò per la frustrazione, prendendo a pugni il vetro che sembrava fatto di ferro.
Che stupidaggine pensare che un demone fosse troppo distratto per pensare a come rinchiudere la propria prigioniera.
Per questo aveva lasciato che uscisse, sapeva che non aveva speranze di scappare.
Voglio tornare indietro, pensò, sul punto di scoppiare a piangere. 
Voglio andare a casa e dimenticarmi di questo maledetto posto.
Le lacrime le pungevano insistenti gli occhi, ma lei le ricacciò prontamente indietro. Non poteva farsi vedere in quello stato, doveva sembrare più forte, non avrebbe dato  a nessuno la soddisfazione di vederla a pezzi.


Mentre Aud era impegnata a fare qualcosa di peccaminoso a diverse parti del suo corpo, Alec non riusciva a distogliere l'attenzione dai disperati tentativi di fuga dell'umana.
Saperla oltre quella parete sottile lo innervosiva ed esaltava allo stesso tempo.
Quando la sentì imprecare, il suo petto si sollevò mentre rideva e il succubo staccò la bocca carnosa dal suo capezzolo, per guardarlo negli occhi, confusa.
"Lo trovi divertente?" domandò rabbiosa, graffiandolo con gli artigli e lasciandogli quattro striature rosse sulla pelle.
"Ehm...no. Continua pure se vuoi"
"Se voglio? Credevo ti piacesse!" strillò con voce lamentosa. Il demone serrò un lembo di lenzuolo nel pugno per impedirsi di afferrarla per la gola e zittirla. Siamo vecchi amici, non si uccidono gli alleati.
"Sì, assolutamente" mentì, poco convincente perfino per se stesso.
"Sai, sono davvero stanca di te. Se mi bastasse l'atto fine a se stesso mi accontenterei degli uomini con cui opero" sibilò, sollevandosi furibonda e raccogliendo i suoi vestiti, sparsi per la stanza.
"Allora fallo. Per favore" fu la risposta sarcastica.
Il demone allungò un braccio verso il comodino per afferrare il pacchetto di sigarette mezzo consumato e mettendosene una tra le labbra. Lo faceva sempre, dopo, per eliminare il suo sapore e l'odore di fiori che si portava sempre dietro.
Dal salotto proruppe un colorito insulto che attirò l'attenzione di entrambi: uno appariva divertito, l'altra irritata alla follia.
"Dunque è dovuto a quella, il cambiamento nei miei confronti"
Come no.
"Non cominciare Aud"
Alec emise un lungo sospiro, segno che si stava davvero innervosendo.
"Sai, c'è un motivo se demoni come noi, troppo a contatto con la realtà umana, non devono mai farsi coinvolgere in certe questioni. E' pericoloso...specialmente per te che sei..."

"Sparisci" le intimò rabbioso, interrompendo l'ennesima lezione di 'buone maniere' infernali e fingendo di non ascoltare la bestemmia che gli regalò mentre lo accontentava.
Sbuffò, stanco di tutte quelle cazzate sulla sua parte umana. Come se, dopo tutto quello che aveva fatto, l'essere mezzosangue lo rendesse ancora debole agli occhi di chiunque.
Ormai quella parte di lui era sotto chiave da tempo, troppo tempo, e non correva alcun pericolo di essere liberata solo per il breve soggiorno di Quinn nella sua esistenza.



Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5: Meeting ***


Capitolo 5: Meeting





Poteva sentire crescere in lei una sensazione che non sapeva definire.
Oppressione, ansia, preoccupazione, presentimento?
Naturalmente stava provando tutte queste emozioni insieme.
Si stavano avvicinando al posto al quale erano diretti, qualunque fosse, e la situazione non le piaceva affatto.
A quanto aveva capito, il luogo in cui vivevano i demoni era una sorta di mondo parallelo, nel quale qualunque via corrispondeva esattamente a quella reale. Lei viveva a Rhode Island da tutta la vita, ma non aveva mai notato nulla di vagamente simile a ciò che stava osservando in quel momento.
Il suo sguardo stava risalendo un alto pendio, con in cima un grande palazzo. Persino nella luce della luna riusciva a vedere quanto fosse malandato: mancavano alcune tegole e persiane, e c'era almeno una finestra rotta.
Quinn lanciò un'occhiata nervosa al demone al suo fianco.
Non le aveva rivolto la parola per tutto il tragitto, dopo averle annunciato che avrebbe incontrato suo padre - il grande capo- e questo l'aveva preoccupata più che se le avesse detto la verità su quello che le avrebbe fatto.
La grande abitazione se ne stava appollaiata, solitaria, nel mezzo di una vasta distesa di terra che era stata rozzamente spogliata di qualunque cosa potesse proiettare un'ombra. Questo non avrebbe dovuto peggiorare la situazione, ma di colpo cominciò a tremare. La punta della scarpa s'inceppò su quella che doveva essere una radice scoperta, così inciampò e un nanosecondo dopo era avvolta da un paio di braccia calde e forti.
Sorpresa dal suo intervento, farfugliò un "Posso farcela da sola" meno arrabbiato di quanto volesse.
"Davvero?" domandò sarcastico Alec, mentre la riportava in posizione eretta.
Ah, adesso parla!
"Mi metterò delle scarpe più comode se mai dovessi uscire viva da questa storia" sibilò lei di tutta risposta.
"Peccato. Sei molto sexy con i tacchi" le sussurrò con una voce bassa e roca, ignorando la stoccata sarcastica della ragazza e riprendendo a camminare.



Alec la lasciò andare mentre attraversavano il portone imponente ed entravano nell'ampio atrio dove suo padre di solito attendeva i suoi sottoposti, prima di giustiziarli o affidare loro compiti, quando era in superficie.
Come molti demoni di vecchia generazione, Dahak indossava sempre abiti raffinati e classici sotto un trench nero un po' stile Goth, che alle sue spalle tutti defin  ivano kitsch.

Completavano il look i capelli neri, lucidi e lunghi fin sotto le spalle, e delle labbra vermiglie su un volto pallido e severo.
Nessuno avrebbe mai seriamente pensato che fosse suo padre di sangue, tanto erano diversi esteticamente, se il Signore dei demoni della rabbia non lo avesse dato per certo tre secoli prima.
Seguendo chissà quale istinto, afferrò il polso sottile della ragazza e la tirò leggermente contro di sé.
"Tieni a freno la lingua qui dentro" si raccomandò sotto forma di minaccia, aspettandosi che l'ordine venisse eseguito. Naturalmente avrebbe fatto meglio a non illudersi, sapendo con chi aveva a che fare.
"Sì padrone"
E' come parlare al muro. "Dico sul serio. Lui non è come me, non farti ammazzare prima del tempo, piccola idiota" aggiunse con un ringhio, mentre stringeva la presa.


"Alec" la voce cavernosa dell'uomo che le mostrava le spalle, la fece sussultare, e seppellì la voglia improvvisa di portarsi dietro il corpo del demone al suo fianco sotto strati d'orgoglio.
Aveva un tono magnetico e al contempo autoritario; del genere che ti faceva desiderare ardentemente di obbedirgli a qualunque costo, per la sensazione irrazionale che in caso contrario sarebbero sicuramente successe cose molto sgradevoli e molto dolorose. Vide Alec irrigidirsi e guardare il suo polso come se stesse toccando la cosa più ripugnante dell'universo, senza però lasciarlo.
Chinò leggermente il capo, mentre con voce rispettosa rispondeva "Signore".
L'uomo enorme finalmente si voltò e nella luce lunare che filtrava dalla finestra, Quinn rimase sconvolta nel constatare che non dimostrava più di una trentina d'anni. Eppure era certa che Alec le avesse detto di essere suo figlio.
Lo sguardo era così incandescente, con quelle iridi rosse, che le avrebbe indotto una combustione spontanea a momenti.
Le si avvicinò silenzioso come un predatore che vuole cogliere di sorpresa la propria preda.
"E' un piacere conoscerti, signorina Taylor" La smorfia che accompagnò la frase diceva tutt'altro.

Quinn fece per rispondere, ma un'altra stretta imperiosa le ricordò la presenza di Alec e il suo avvertimento.
Dal momento che lei si rifiutò d'indietreggiare, ora erano molto vicini. Il demone la squadrò dall'alto in basso, fissandola dritto negli occhi. "La tua presenza qui ha alimentato tante di quelle dicerie che mi sarei aspettato qualcosa di decisamente migliore"
Era un insulto?


Nella sua mente contorta elaborò il pensiero che quell'essere aveva utilizzato gli stessi termini con cui Alec aveva descritto le sue prestazioni sessuali, ma a differenza del figlio, lui non possedeva quel fascino pericoloso che le faceva tremare le ginocchia per l'eccitazione. No. Era spaventoso e basta.
"Ti avevo detto che era una semplice umana, mi sembra" intervenne Alec con voce seccata, attirando su di sé quei fari vermigli.
Dio, non può essere vero.
Io non sono realmente qui. Con questo mostro.
"L'hai fatto. Tuttavia certe questioni sono più intricate di quanto si pensa"
"Che vuol dire?" sbottò allora la ragazza, pentendosene all'istante. Due paia di occhi furiosi svettarono sulla sua figura.
Entrambi i demoni la fissavano in cagnesco, l'enorme uomo emise una specie di ringhio bestiale e le afferrò la gola con la grande mano, bloccandole la respirazione in un secondo.
Ok, tengo la bocca chiusa. Ho capito.
Cristo, sto soffocando
.


Alec emise un sospiro esasperato davanti alla violenta reazione del demone. Secoli di evoluzione e lui ancora si comportava come un cavernicolo. Forse se si fosse sforzato di uscire più spesso dai maledetti sotterranei di quella cavolo di bettola...
"Dahak, se la uccidi ora, non potrà più servirti a niente, ti pare?" la sua voce era seriamente scocciata, tuttavia non sopportava la visione del segno rosso formatosi sullo splendido collo della ragazza. Istintivamente strinse forte il pugno lungo il fianco.
Non fare cazzate. Non ne vale la pena.
"Nessun essere inferiore mi rivolge la parola senza il mio permesso" sibilò mantenendo la mano esattamente dov'era. Sembrava la protesta infantile di un comandante viziato, il che ovviamente corrispondeva al vero.
"Non lo farà più. Suppongo che non sia così stupida" Che mi tocca fare.
Gli occhi cupi lo inchiodarono per un attimo, poi il padre tornò a rilassarsi, lasciando che l'umana prendesse una gran boccata d'ossigeno e tossisse furiosamente. 
"E sia"


Dahak s'incamminò stancamente verso l'unica finestra aperta e incrociò le braccia al petto, assumendo la posizione retta e sostenuta che non presagiva mai nulla di buono.
Alec osservò lo sguardo di Quinn farsi sempre più terrorizzato e quando lei si accasciò al suolo come priva di forze, non ebbe bisogno di domandarsi nulla su ciò che stava accadendo. Lui stava scavando letteralmente nella sua testa.
Una pratica piuttosto dolorosa per quanto potesse ricordare: come se un corpo estraneo ti penetrasse lentamente nel cranio, rubando tutte le informazioni di cui necessita. Un parassita demoniaco che faceva desiderare che la tua esistenza terminasse immediatamente. Probabilmente era quello a cui stava pensando l'umana in quell'istante.
La sentì urlare forte, portandosi le mani alle tempie in un blando tentativo di fermare quelle fitte alla testa. 
La sua mascella s'irrigidì e seppellì il folle impulso di urlare a Dahak si smettere. Il suo istinto di conservazione ebbe la meglio su quello suicida, per sua enorme fortuna.
Quando tutto finì, il Signore dei demoni della rabbia diede loro le spalle e sospirò rumorosamente.
"Dannazione. Ero convinto che fosse una follia, ma ora capisco di essermi sbagliato. Quei demoni saranno pure inutili, ma stavolta ci hanno visto giusto"

Alec aggrottò la fronte, ma non si azzardò ad interrogarlo, attendendo che proseguisse. 
"Questa umana è effettivamente una mia discendente. Così lontana che probabilmente non è degna nemmeno di essere chiamata 'mezzosangue', ma riesco a percepire frammenti di me in lei" concluse con aria torva.
Guardò quel fagottino tremante ancora rannicchiato al suolo. E' così fragile...No, non può essere.
"Lei...come è possibile?"

"Qualche anno prima che tu nascessi, uno dei miei figli di sangue si ribellò alle leggi e s'infatuò di una donna umana, dando vita ad una generazione di mezzosangue che, nonostante i miei interventi, si è evidentemente protratta fino a lei" raccontò con disappunto.
Pura disapprovazione brillò negli occhi di Dahak.
Il disgusto per la specie umana trapelava da tutto ciò che diceva e Alec si domandò se avesse del tutto rimosso le ragioni che l'avevano spinto a portarlo con sé alla fortezza sotterranea, tanti anni prima.
Quinn divenne rigida e socchiuse gli occhi, ma non disse nulla. Non avrebbe più osato replicare.

"Cosa vuoi che ne faccia?" 


Il battito cardiaco sembrò fermarsi di colpo, quando il mostro dai capelli neri borbottò l'ordine accompagnato da uno sguardo di biasimo, come se avesse detto a suo figlio 'certo che respiro con il naso, che razza di domande fai?'
Quinn si morse il labbro e abbassò gli occhi per impedirsi di scoppiare a ridere.
La situazione era così ridicolmente tragica da essere quasi divertente.
Lei e le sue reazioni inappropriate.
Vide Alec abbassare il capo con espressione pensierosa e annuire, prima di sollevarla e trascinarla fuori senza una parola.

Con la nausea e le ginocchia molli, Quinn si costrinse a uscire dalla grande sala buia senza opporre la minima resistenza.
Sentì il suono della porta che si chiudeva dietro di lei e il catenaccio di metallo arrugginito che strideva nelle guide bloccandosi con uno schiocco sinistro. 

Quando si trovò nuovamente all'aperto, i suoi polmoni ripresero vita e la gola le bruciò per la troppa aria inspirata.
Il demone le sfiorò una spalla e lei pensò che stesse per strattonarla ancora, invece la fece voltare verso di sé e le studiò il volto con occhio critico. Lei tremava incontrollabilmente, e non per il freddo pungente, ancora incredula .
"C-Che cosa mi ha fatto?" riuscì a sillabare, mentre la testa continuava a pulsarle forte.
"Cercava la verità sul tuo codice genetico. Fai dei respiri profondi, passerà presto" le raccomandò mentre si sporgeva a massaggiarle le tempie con insolita delicatezza. Lentamente il dolore cessò e lei rimase a fissare intensamente quelle iridi grigio-verdi, visibili anche con la debole luce, quasi incantata.


Ancora una volta si ritrovò a confrontare i due demoni che, pur appartenendo alla stessa specie, sembravano così diversi.
Non appena lui terminò quella pratica, uno strano formicolio inondò il suo corpo e lo stomaco sottosopra subì uno strappo interno che la fece urlare dallo spavento, mentre serrava le palpebre.
Ebbe l'impressione che la sua testa si fosse rimpicciolita, aprì gli occhi si scatto solo per ritrovarsi nell'appartamento di Alec che, con un sopracciglio inarcato, era stranamente in attesa che facesse qualcosa.
Si accorse
di essersi praticamente artigliata alla sua maglia e di non averla ancora lasciata andare. "Scusa" bisbigliò imbarazzata.
Non sapendo dove posare lo sguardo, lo fissò su di lui, confusa. "Perché non ci hai smaterializzati per andare da tuo padre?"
"Avevo voglia di camminare" E soprattutto di riflettere sul da farsi.
"Ah"
Attirò nuovamente il suo sguardo su di sé.
"Tutto qui? Non hai altro da dire? Non ti lamenti perché ti ho fatta affaticare attraversando la città con quei tacchi?"
"Io...se non stessi ancora congelando per quella bora artica, lo farei. Giuro"
Una debole protesta.
Non ammise ad alta voce che, al momento, ciò che gli ronzava in testa erano solo le parole fredde del demone dagli occhi rossi.
"Liberatene"


Alec sorrise, le si avvicinò e la costrinse ad indietreggiare in direzione della porta chiusa del bagno.
"Che cosa fai?" sussurrò spaventata dai suoi gesti calcolati, da predatore. Non poté impedirsi di pensare che in quel momento, anche lui le faceva venire i brividi dalla paura. Non aveva più quell'aria beffarda che la spingeva a rispondergli con tono pungente in ogni occasione, sapendo che pur essendo irritato la trovava comunque divertente.
Ora sembrava che, guardandola, non vedesse altro che una missione da portare a termine. Forse prima si era sbagliata, forse era davvero uguale all'altro mostro.
"Ti accontento, naturalmente" lo sentì dire infatti, contemplando compiaciuto la confusione che le si dipinse sul viso.
"Non ti aspettavi che ti mangiassi o qualcosa del genere?" aggiunse con tono basso, godendo alla vista dei suoi occhi azzurri spalancati.
Quin
n boccheggiò. "No!"
"Sicura? Eppure me lo ricordo" affermò, fingendo di concentrarsi sulla loro conversazione. "Ho un'ottima memoria"
La sentì deglutire sonoramente e il suo ghigno malizioso arrivò prontamente ad increspargli le labbra.
"Ora che ci penso, ricordo bene anche qualcos'altro" fece con voce carezzevole, tornando ad intrappolarla giocando al gatto col topo.

"Com'è che l'hai chiamata? Sindrome di Stoccolma. Non è quella strana condizione psicologica in cui un ostaggio manifesta dei sentimenti nei confronti del proprio rapitore? Sembra interessante"


Ok, frena.
Come diavolo fa a sapere...
"Tu! Sei entrato nella mia testa!" lo accusò con voce sottile, velata dal terrore.
"Beh, diciamo che ogni tanto amo invadere la privacy di certe persone. Non è così male"
"Tale padre tale figlio" sibilò inacidita.
Il demone sbatté le palpebre, studiando la sua figura e quando le sue mani le scivolarono sulla vita, il fatto che fosse con le spalle al muro le tornò in mente. Il senso di pericolo che le trasmetteva era spaventoso e seducente allo stesso tempo, mentre percorreva il lato del suo collo con le labbra. Una carezza umida, bollente...e troppo inquietante.
"Stai...giocando con me, questo lo capisco. Ma perché perdere tempo? Credevo dovessi uccidermi" fece allora, spazientita, tentando di mantenere almeno in apparenza un tono deciso.
"Esatto" 
Odiava il fatto che continuasse a rimandare l'inevitabile. Se prima pensava che lo facesse perché c'era ancora speranza di tornare indietro, ora sapeva per certo che non era così. Meglio finirla subito.
"Allora fallo" mormorò debolmente, distogliendo lo sguardo da lui.
"Hai così tanta fretta?" le domandò rude, mentre un'ombra oscura passava nei suoi occhi chiari.
"Cambierebbe qualcosa se ti dicessi che non voglio morire?" domandò atona.
Lui si limitò a fissarla in silenzio.
La ragazza pensò tra sé ci siamo. E poi il panico scoperchiò il barattolo in cui aveva rinchiuso le preghiere e le implorazioni.
"Lasciami andare"


Un sussurro così flebile che lui si stupì di averlo sentito. La fissò con espressione dura, impenetrabile. "No"
Quinn aveva gli occhi gonfi dalle lacrime che si ostinava a non versare, e la mascella serrata come se avesse avuto paura che aprendo la bocca ne sarebbero usciti solo singhiozzi.
Alec trovava ammirevole quella debole dimostrazione di testardaggine, ma sapeva che sarebbe durata pochissimo. Osservava le sue mani tremare lungo i fianchi, attendendo quella richiesta che sapeva sarebbe giunta.

"Ti prego"
Appunto.
Una risata divertita gli sfuggì dalle labbra e probabilmente in quel momento lei lo odiò con tutta se stessa. Non c'era più la minima traccia della gratitudine che le aveva letto negli occhi quando l'aveva tirata fuori dalla cella.
Lo guardava esattamente come tutte le altre sue vittime, un misto di disgusto e anticipazione che solitamente lo esaltava.
"Un consiglio, piccola: mai pregare un demone, si godrà la tua umiliazione e basta" le mormorò, portandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio, in un gesto da considerare quasi tenero, se non fosse stato fuori luogo.


Poi Quinn si sentì afferrare per le braccia, l'odore piacevole e pungente di lui così vicino...
E di nuovo quello strappo, il dolore acuto alla testa e il buio.



Odore di cannella.
Le sembrava di essere a casa. Piccola, ma confortevole. 
Il suo rifugio, con il profumo della sua infanzia, quando sua madre aveva ancora il tempo di preparare la colazione di domenica per tutta la famiglia. La cannella penetrava nella sua stanza, mentre sognava, accompagnandola dolcemente fino al risveglio.
Da adulta aveva cercato invano di ricreare quell'atmosfera, dilettandosi a comprare
quintali di candele profumate per spargerle in tutte le stanze. Stupido, ma in qualche modo confortante.
Succedeva quello dopo la morte? Si tornava nei luoghi amati in vita? Prese un respiro e aprì gli occhi.
Dio. Non era solo una sensazione. Era a casa: Chambers St, terzo piano.
Gettò un'occhiata al divano rosso ad angolo che dominava il salotto, lo stesso che aveva pagato in dodici scomodissime rate due anni prima. Il bancone della cucina ancora stracolmo dei libri su cui si addormentava sorseggiando caffè in piena notte, la camera da letto in vista oltre la porta socchiusa, lì a destra.
Era proprio vero.
Così come il demone mozzafiato che le stava davanti e studiava le sue reazioni con attenzione.
"Cosa ci facciamo qui?"
Non si prese neanche la briga di chiedergli come facesse a sapere dove viveva, data la rivelazione fatta qualche minuto prima.
"Mmh, credevo fossi più sveglia. Ti dò un indizio..."
si avvicinò lentamente al suo orecchio "Mi sto liberando di te"
Quinn lo osservò in cerca di qualche traccia di derisione, ma non la trovò. Sembrava stranamente risoluto.
Non la stava prendendo in giro. "Non capisco"
"Infatti non devi"
Poi sparì di colpo, lasciandola sola e confusa
.



Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6: Sweet dreams ***


Capitolo 6: Sweet dreams





Quinn guardò la sveglia digitale.
Segnava l'una e cinquanta. Cavolo. Mancavano parecchie ore all'alba e dormire era fuori questione. Quando chiudeva gli occhi rivedeva attorno a sé le pareti umide di pietra, sentiva le risate dei demoni, il sangue...ricordava Alec.
Soprattutto lui.
Continuò a girarsi e rigirarsi facendo cigolare il materasso, e sbuffando incrociò le braccia al petto e si mise a sedere.
Maledizione. Era tornata a casa da una settimana e ancora non riusciva a passare una nottata tranquilla.
La cosa che detestava di più era la sfilza di domande che si accumulavano nella testa.
Com'è possibile che sia ancora viva?
Perché mi ha riportata a casa quando gli era stato ordinato di uccidermi?
E perché non riesco a smettere di pensarci?


Accese la luce sul comodino e recuperò la rivista abbandonata qualche ora prima, aperta sull'articolo 'Diventa un cameriere in 5 mosse: regole di base per farsi apprezzare e non insultare'.
Dopo aver lasciato il lavoro alla biblioteca, aveva rinnovato il contratto telefonico con ADSL e integrato la tecnologia nella sua vita. Dopotutto, i computer dovrebbero sostituire i libri no? Almeno era ciò che tutti sostenevano.
Aveva quindi ripreso a lavorare alla sua
tesi di Psicologia, anche se lei stessa avrebbe avuto bisogno di uno strizzacervelli.
Il bar vicino casa cercava una cameriera e lei non c'aveva pensato due volte a presentarsi.
Qualche cliente cafone a parte, era un bell'ambiente e, cosa che l'aveva convinta davvero, non era costretta a portare tacchi, ma solo un grembiule rosso e una T-shirt bianca con il marchio del bar a forma di libellula.
Sembrava che tutto fosse nella norma, ora le rimaneva solo da riadattare il suo orologio b
iologico ai vecchi ritmi.


                                                                                                                                       ***


"E' il quinto tentativo che respingiamo. Per quanto ancora andremo avanti?" domandò spazientito Kegan, pulendo la lama insanguinata del pugnale contro la maglia del demone morto ai suoi piedi.
Non aveva saputo resistere ad unirsi all'amico quando glielo aveva chiesto, ma la sua presenza lì non passava certo inosservata, con i suoi continui brontolii.
Alec alzò gli occhi al cielo per la terza volta, quel giorno.
"Ti ho già detto che continueremo finché non capiremo chi c'è dietro" gli disse a denti stretti.
Per catturare tutti i demoni fedeli a Thren doveva solo aspettare e tenere d'occhio l'umana, anche se la decisione di risparmiare Quinn e rimandarla a casa sua, gli aveva reso la vita difficile, facendolo quasi pentire.
Oltre che fermare i continui tentativi di rapimento, doveva fare in modo che Dahak non venisse a saperne nulla. Non si era dato la pena di controllare finora. La morte dell'umana non era una necessità, ma una ripicca personale.

Uno di quegli stupidi capricci demoniaci cui lui non voleva dare retta.
Per quanto ne sapeva, raramente uno della sua razza era riuscito a procreare con un mortale, e i loro figli non sono erano quasi mai sopravvissuti. Lui e quella ragazza erano gli unici mezzosangue che conosceva.


Era questo il secondo motivo a base del suo gesto magnanimo, oltre il fatto che gli sarebbe piaciuto da morire riuscire a portarsela a letto, ovviamente. Ma quello era stato solo un incentivo.

L'aveva osservata continuamente negli ultimi giorni, annotando mentalmente che, impegnandosi, riusciva ad essere anche minimamente gentile. Come quando parlava con la sua vicina di casa, Mrs. Callaway, o coccolava il cane di un tizio incrociato al parco. Aveva notato il modo in cui si copriva la mano con la bocca, quando rideva di qualcosa, mentre le guance si tingevano di rosso. Gli piaceva, le donava un'aria innocente che lei tentava di nascondere.
E i momenti in cui gli piaceva di più erano quelli in cui tirava fuori le unghie, tornando ad essere la ragazza sostanzialmente acida che aveva conosciuto, che fosse con un cliente maleducato o con qualcuno che si prendeva troppe libertà facendo apprezzamenti pesanti per la strada. Aveva la strana abitudine di insultare utilizzando termini particolarmente forbiti, che lasciavano di stucco chiunque.
Quella notte un paio di demoni si erano intrufolati nel bar dove lei lavorava, seguendo ogni sua mossa
senza che ne avesse il minimo sospetto. Quando la ragazza si era recata nel magazzino, gli idioti si erano spinti troppo in là per i gusti di Alec e li aveva fermati prima che potessero raggiungerla e portare a termine la missione.
E nonostante le chiacchiere, anche K era soddisfatto del piano.
Ancora un pò di pazienza e sarebbero riusciti a stanare i più forti.


Due giorni dopo


Quinn imboccò il vicoletto illuminato dalle numerose insegne a neon e dal grande hotel a cinque stelle che padroneggiava sull'intero quartiere. Fece un cenno di saluto al portiere, che ricambiò con un ampio sorriso, felice che finalmente qualcuno lo considerasse un essere umano decente.
Era stata una giornata piena di soddisfazioni: la presentazione della tesi al professor Ruben era andata alla grande e ora non doveva far altro che presentarsi alla cerimonia con tocco e toga e ritirare il 'pezzo di carta' che le avrebbe permesso di trovarsi finalmente un impiego degno del proprio nome.
I suoi amici del college l'avevano convinta che festeggiare insieme sarebbe stato un ottimo rito propiziatorio e lei, del tutto decisa a riprendere in mano la sua vita, si stava recando al pub con la sua migliore gonna di jeans e il top rosso che sua madre Hope, per telefono, le aveva ordinato di indossare per far impallidire tutti gli uomini presenti.
Il bello di avere un genitore giovanile!
Ecco fatto, sono pronta per tornare in pista.
Basta pensare alle strane presenze, le ombre, i rumori sospetti...i demoni sexy.
Quel demone sexy in particolare.



Qualche ora dopo, la terza birra in mano, Quinn si trovò a ridere ad una battuta cretina del suo collega Jim-qualchecosa, mentre lui l'attirava a sedere sopra le proprie ginocchia.
Per la miseria, si era dimenticata di quanto diventasse frivola quando beveva!
Il fatto di non essere riuscita a pensare ad Alec in più di due ore la fece sorridere, compiaciuta di sé, almeno fino a quando non capì di esserci appena ricaduta.
Com'era quella regola?
Quando ricordi di dimenticare, vuol dire che stai ricordando.

Individuò un uomo sulla soglia del locale e non poté nulla nell'impedire al suo cuore di fare una capriola.
Proprio come si sente uno spiffero d'aria fredda, aveva avvertito quello sguardo sinistro che saettava
da una parte all'altra della sala. Aveva occhi d'acciaio, freddi e penetranti.
Alto almeno un metro e novanta, sembrava attirare su di lui tutta l'attenzione.
Spalle larghe, capelli scuri e lunghi fin sopra le spalle, doveva aver assorbito tutto l'ossigeno presente perché Quinn si sentì soffocare. Non è umano.

La sua mente tornò stranamente lucida mentre formulava quel pensiero.
Quando lo vide uscire velocemente, quasi inciampò sugli stivali, mentre afferrava la borsetta e si precipitava al suo inseguimento. Arrivò con il fiato corto al vicolo buio dove l'aveva visto incamminarsi, ma non trovò altro che la sua immagine riflessa sui coperchi rotti dei secchi della spazzatura.
Uno scricchiolio alle sue spalle...


                                                                                                                                       ***


Alec lo colse impreparato mentre si nascondeva nell'ombra dietro un edificio. Lo sbatté contro il muro sollevandolo per la gola e tenendolo a penzoloni.
"Ciao stronzo!" lo salutò con finta allegria.
Quello cercò di divincolarsi, invitandolo a fargli male. "Vediamo di fare due chiacchiere, ti va?"
"Mettiamo che adesso io ti lasci andare. Tu saresti così bravo da andare dai quei fottuti vendicatori a dire che io continuerò a fare a pezzi tutti quelli che cercheranno di avvicinarsi a lei? Sai, non mi costa niente, è per puro divertimento" Lo colpì al viso e rafforzò ancora la presa sulla sua gola.
"A meno che, naturalmente, tu non preferisca dirmi chi diavolo c'è dietro tutta questa storia, facendo risparmiare ad entrambi tempo prezioso. Che ne pensi, ti piace l'idea?" continuò imperterrito, mentre la trachea si spezzava sotto le sue dita e la grossa testa dell'uomo si muoveva per emettere 
un suono che somigliava vagamente a un 'vaffanculo'.
Lui finse di non sentire.

Lo smaterializzò lontano, sapendo per certo che sarebbe tornato alla carica con demoni più forti, e tornò a concentrarsi su Quinn. E le tracce della sua paura.


Velocemente si portò alle spalle della figura che incombeva su di lei, nel vicolo vicino, e l'afferrò tirandolo indietro.
Quando fu sufficientemente distante dalla ragazza, tirò un pugno sul muso della bestia, godendo dello scricchiolio della cartilagine sotto le proprie nocche.
Quella caracollò tenendosi il naso rotto e sanguinante, e Alec gli piombò addosso colpendolo ripetutamente e con violenza, comprimendogli il collo per impedirgli di respirare, prima di ferirlo con un pugnale e abbandonare il corpo, privo di conoscenza.
Si voltò verso Quinn che, immobile, guardava in direzione della creatura con i suoi fantastici occhi azzurri spalancati.
Fece per parlarle, ma Kegan li raggiunse imprecando.
"Cristo, mi giro un attimo e tu scompari? Chi ti ha detto che non volevo partecipare alla festa?"
Solo lui poteva definire festa un pestaggio.
"Scusa, avevo voglia di farmi un solitario. Ma se vuoi puoi occuparti di questo, mentre io scorto questa rompipalle a casa" gli disse indicando la ragazza con un cenno del capo.
"Mi prendi per il culo? E' praticamente morto!" esclamò il demone mentre l'altro scrollava le spalle.
Poi lanciò un'occhiata interessata a Quinn, che dal basso lo fissava sconcertata, e u
n sorrisetto curvò le labbra dell'amico.
"Dovevi metterti in mostra, eh? Fa pure con comodo. Certe fortune bisogna godersele" concluse smaterializzandosi e lasciando i due soli.


Quinn si sforzò di mettere a fuoco la mano che Alec le stava offrendo, poi ne afferrò una delle tante che le si muovevano davanti. Fortunatamente quella giusta. Calda, grande, la sollevava senza sforzo.
"Chi era quello? Io...lo conosco" gli domandò in un sussurro, cercando di tenere la testa ferma. Le tornò in mente una scena del film 'L'esorcista'. Anche la sua testa stava girando a 360°?
"Kegan. Certo che lo conosci. Ti ha amorevolmente mollato un ceffone qualche giorno fa. Un gesto così dolce che temo vi abbia legati per sempre" fu la risposta ironica di lui.
"Mm...non ricordavo che fosse carino" borbottò, senza un motivo preciso.
Una risata cristallina le riempì le orecchie, mentre camminavano.
"Mi dispiace, piccola, ma tu e lui non avrete un futuro insieme"
"Perché?" ribatté prima di potersi fermare. Stupida birra, stupido cervello.
Rise, notando che i palazzi intorno a lei erano tutti inclinati da una parte e ruotavano incessantemente. Due dita le sollevarono il mento e lei sbatté le palpebre.
I muri tornarono dritti e si soffermò sul viso di Alec che si piegava verso il suo.
"Lui detesta gli esseri umani" affermò con voce stranamente distante, poi cominciò a girare. 
"Ah" Fece una pausa.
"Mi sento strana. Non mi sento più i lobi delle orecchie. E' strano...hanno forse terminazioni nervose?"
Alec si domandò come facesse a pronunciare parole come 'terminazioni nervose' nello stato in cui era. Vaneggiava alla grande.
"E' cartilagine. Sono sempre insensibili" La vide corrucciare la fronte, cercando di interpretare le sue parole.
"Beh, i miei lo sono più del normale" Lui soffocò una risata.
"Temo di essere sbronza"
"Sì, in una maniera assurda" le riferì mellifluo una volta arrivati davanti alla porta di casa sua.


Quando gli ho detto dove vivo?
Il pensiero si interruppe quando rischiò di inciampare per le scale e le braccia di lui la sorressero saldamente.
"Mmh no, odio questi scalini. Sono faticosi!" si lamentò senza alcuna logica.
"Allora traslocherai come prima cosa domattina" scherzò l'altro aiutandola a salire l'ultimo gradino. "Dai, prendi le chiavi" ordinò poi sventolandole una mano davanti alla faccia, vedendola troppo incline ad accasciarsi al suolo.
Chiavi. Nella borsa.
Frugò rumorosamente finché non sentì sotto le dita qualcosa di appuntito e freddo. Bingo!
Sembravano pesare un quintale e non riusciva a tirarle fuori, quando una mano si posò sulla sua e l'oggetto vide finalmente la luce.
Quinn emise un sbuffo e appoggiò la testa pesante contro la superficie dura della porta, mentre si sforzava di infilare la chiave nella serratura. "Sono così stanca...non puoi portarmi a letto e basta?"
Accidenti! Nonostante la spossatezza si rese conto di ciò che aveva appena detto.
Lui rise, cogliendo la palla al balzo. "Bastava chiedere, dolcezza"
Quinn imprecò. Se l'era cercata. "Intendevo con quel tuo...teletrasporto demoniaco. O quello che è"
"Non ci sarebbe niente di divertente"


Alec portò la ragazza nella sua camera, si avvicinò al letto e la mise giù. Era leggera come se non avesse reale peso, tra le sue braccia. Aveva il volto arrossato, i capelli che le ricadevano disordinatamente sulle spalle.
La osservò con uno scintillio negli occhi e un diabolico increspamento delle labbra.
Era bellissima e seducente. E lui doveva andarsene immediatamente.
Ma invece di lasciarlo andare, Quinn gli si aggrappò saldamente al collo, premendo il proprio corpo contro il suo.
Lo guardò da sotto le lunghe ciglia, accarezzandogli la nuca. "Hai un buon odore..." bofonchiò con voce soffice.
Con le dita dell'altra mano gli tracciò una linea sul torace, scendendo verso lo stomaco.
Alec trattenne il respiro, contraendo gli addominali sotto le sue carezze.
Quello era un territorio decisamente pericoloso per entrambi. Meglio darci un taglio.
Deciso ad allontanarla, sollevò una mano per afferrarle una manciata di capelli. Ma, invece di tirarla via, la spinse verso di sé con una tale velocità che ebbe appena il tempo di respirare prima che la sua bocca scendesse con forza su quella di lei.
La lingua si spinse tra le labbra per aggrovigliarsi a quella della ragazza, e Alec grugnì sentendo il suo sapore.
Invitante, intossicante...
Il sapore dolce-amaro della birra sembrava rappresentare la sintesi perfetta di entrambi, di quello che sarebbero stati insieme. 
Sempre in contrasto. Come il bene e il male. Il fuoco e il ghiaccio.
Era ridicolo sentirsi così bene in presenza di qualcuno tanto diverso.
La sentì abbandonarsi completamente sul suo petto e gemere piano
, spingendolo a staccare le labbra da quelle di lei per scendere a scostarle i capelli dal collo e posarle piccoli baci sulla linea azzurrina della giugulare, sulla mandibola, nell'incavo della spalla.
Quella strana delicatezza...non era assolutamente da lui
.

L'aveva portata in braccio a casa, dopo averle salvato la vita. Di nuovo.
Cristo.
Sto diventando un cazzo di eroe delle favole.
Si rese conto di quello che stava facendo, e un lampo di gelo gli trapassò il corpo. Si ritrasse, cercando di mantenere il controllo, come se fosse in bilico sulla lama di un rasoio.

Doveva uscire. Subito.



Quando Quinn si svegliò, gettò un'occhiata assonnata alla sveglia: le cinque e un quarto.
Era ancora presto, ma l'alba illuminava la sua stanza di una deliziosa sfumatura di rosa.
Corrugò la fronte, domandandosi come aveva fatto a tornare a casa in quelle condizioni. Per essere un'astemia convinta, dopo una brutta avventura avuta a sedici anni, la sera prima si era lasciata troppo andare, ed era strano che fosse riuscita a mettere insieme le forze per chiamarsi un taxi e trascinarsi fino a letto.
Un frammento di ricordò s'insinuò nella sua mente.
Un vicolo.
Un essere dalle grandi corna nere e le zanne scoperte, insanguinate.
Poi una mano le offriva aiuto.
E qualcuno la baciava...Ale
c?
Istintivamente portò le dita alle labbra, sentendole stranamente sensibili. Che fosse stato tutto un incubo?

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7: Stalemate (Him) ***


Capitolo 7: Stalemate (Him)





"Amico, tu mi preoccupi" esordì Kegan quella mattina.
Dopo aver commesso l'imperdonabile errore di raccontargli che tra lui e Quinn non era successo niente, non era riuscito a liberarsi di quella sua occhiata sospettosa che sottintendeva le frasi da grande saggio tipo 'la tua umanità repressa sta prendendo il sopravvento' o 'il tuo collega là sotto non funziona come dovrebbe'.
Alec si voltò a guardarlo, le gambe leggermente divaricate, la testa piegata da un lato e le braccia conserte; la sua posizione abituale, quando tratteneva la rabbia.
Da quella sera non era più riuscito a mettere piede in uno dei Varchi per controllare la situazione nel mondo umano e K sosteneva che il suo cattivo umore derivasse dalla preoccupazione.
Lui invece pensava di essere il primo demone ad avere malattie mentali.
Non riusciva a credere di aver avuto la possibilità di scoparsela e aver rinunciato. Per cosa, poi?
Passare da gentiluomo non approfittando di una ragazza ubriaca?


Dahak gli aveva rinnovato il compito di tenere sotto controllo l'ennesima rivolta dei vampiri e per farlo doveva restare nella loro zona di caccia.
Aveva seriamente preso in considerazione l'idea di mandare qualcuno a controllare Quinn, ma loro non erano angeli custodi e sarebbe stato ridicolo, per non dire pericoloso, se mai la notizia fosse arrivata all'orecchio del padre.
"Sul serio, che significa che vuoi farlo da solo?" lo interrogò nervosamente K, già così furioso che gli tremavano le braccia.
"Esattamente quello che ho detto"
Aveva saputo che negli ultimi tempi l'attività dei non-morti era fiorente.
Non si limitavano ad uccidere utilizzando i Varchi di passaggio dei demoni, sembrava che avessero messo su una specie di tratta,
attirando l'attenzione della polizia del mondo umano e dei Signori degli Inferi.
Casualmente, nello stesso periodo, un manipolo di demoni tentava di far risvegliare Thren.
Una strana coincidenza. Una pessimo diversivo.
Queste erano le classiche mosse false che lo facevano incazzare.
La maggior parte dei demoni si limitava a portare avanti le guerre interne dei vari clan, poi ce n'erano altri che gestivano i rapporti con il mondo parallelo in modo da non far scoprire la propria esistenza.
Dahak apparteneva un po' ad entrambi i gruppi e, con suo grande disappunto, aveva sempre affidato a lui certi incarichi burocratici.
La tana dei vampiri non era lontana e aveva tanta di quella adrenalina da scaricare che pensava sarebbe stato uno scherzo. Niente di cui preoccuparsi. 

"Ma perché? Sai che i vampiri sono roba nostra. Roba da squadra, da demoni, al plurale!"
Adesso urlava e le vene delle braccia erano in rilievo.
I demoni della rabbia sono favolosi!



                                                                                                                                       ***


Nell'istante in cui Alec si materializzò a Elancourt St, capì che c'era qualcosa di storto.
Seguendo le tracce di sangue e di cenere sul terreno, arrivò ad un vicolo in cui individuò un imminente scontro tra demoni e vampiri.
I primi dei quali erano guidati da Zane.
Il figlio di sangue di Thren in tutti i suoi due metri e passa d'altezza, torreggiava su un'area affollata da altre creature, con l'aspetto di soldati trasandati. Tutti erano a petto nudo con un'ampia banda di cuoio che gli attraversava trasversalmente il petto, cui erano fissati sei pugnali dal manico argentato e svariati paletti di legno.
Che grandissima rottura di palle.
Sapeva per certo che i vampiri non svolgevano quel genere di lavoro senza attirarsi l'ira dei demoni del luogo, ma sperava di finirli prima che provocassero troppi guai.
In pochi istanti la rissa si estese come un incendio furioso sull'erba secca. Gli esseri cominciarono a trasformarsi, gli occhi a cambiare colore, i comportamenti a mutare radicalmente, altre armi comparvero apparentemente dal nulla.
Entrambe le fazioni pronte a farsi a pezzi.
E lui sarebbe stato una cazzo di esca viva in mezzo a un branco di pescecani.


Così, mentre i demoni si scontravano con i vampiri, inferiori numericamente, lui attirò l'attenzione del più letale dei presenti. Quello stronzo di K me l'ha tirata, riuscì a pensare prima che Zane si scagliasse su di lui.
Non aveva mai visto nessuno lottare come lui, metodico ma spietato... così abile. I suoi canini erano affilati come rasoi, i muscoli del petto e del collo tesi per lo sforzo.
Quando il primo pugno lo colpì al mento, non riuscì a restare fermo sulle sue gambe.

Indietreggiò, faticando a restare in piedi.
Zane era il degno figlio di un Signore dei demoni.
Troppo forte per un mezzosangue: era come combattere contro Dahak in persona.
Rispose ai suoi colpi come poté, mentre lo sentiva ordinare ai demoni di sottrarre la merce nella tana.
Non sentì traccia di fatica nella sua voce, o nei pugni che gli affibbiava. Inghiottiti in una nuvola di polvere, con gli arti aggrovigliati mentre ognuno dei due lottava per avere il predominio, rotolarono sul terreno sabbioso.


Alec annaspò in cerca d'aria, maledicendosi per aver pensato che la missione sarebbe stata una passeggiata.
Non aveva neanche abbastanza energie per convocare Kegan e gli altri.
Qualcosa di bagnato gli colava lungo il fianco, facendogli sentire fastidio alla gamba destra.
Si domandò distrattamente quando il bastardo fosse riuscito a ferirlo, ma non riuscì a rispondere.
Troppo veloce.
Cazzo.
Gli piantò un pugno nello stomaco e lo stese con un calcio per...cinque secondi.
Quelle iridi brucianti, iniettate di sangue erano fisse su di lui. Zane gli rivolse un lento sorriso arrogante, e quando si rialzò arrivandogli alle spalle, un bruciore lancinante gli suggerì che la lunga lama argentata stava giocando con la sua spina dorsale, mentre il demone gliela rigirava nella carne.
La vista gli si annebbiò, ma sapeva che non sarebbe crollato al suolo.

Tutto l'opposto.
Si stava trasformando.
Il solito bruciore agli occhi era riconoscibile nonostante il dolore.
Riuscì a voltarsi per afferrarlo e sbatterlo lontano, contro un muro. La sua forza era raddoppiata, ma non sapeva quanto sarebbe durato. Poi gli si avvicinò e lo colpì forte al petto, fino a togliergli il fiato e la sua mano artigliata si aprì un varco all'interno. Avrebbe voluto avere una mina da lasciargli come regalo, ma si accontentò di bloccare il suo battito cardiaco con il palmo stretto a pugno. Chiuse le dita sempre più forte, mentre quello si contorceva dal dolore, e si assicurò che avesse perso i sensi, prima di allontanarsi.


Oppresso dalla stanchezza, in gran parte tenuto in piedi dall'orgoglio, Alec si avviò verso la tana, situata a una certa distanza dalla zona in cui lottavano i vampiri, impregnata del sangue versato nel corso della loro 'cena'.
Il vampiro di guardia al cancello si piazzò davanti a lui e sorrise, scoprendo un paio di lunghe zanne, poi cominciò a girargli intorno.
Lui studiò le sue mosse, la ferita al fianco era più grave di quanto pensasse e a quella alla schiena non voleva neanche pensare. Sentiva la pelle lacerata bruciargli ad ogni passo: aveva bisogno di uccidere per stare meglio.
Uccidere i vampiri che l'avevano colpito, per vendicarsi.
Quando l'altro si mosse contro di lui, non ebbe il tempo di morderlo, sfiorarlo, anche solo respirargli vicino.
Il pugnale gli aprì il torace in un colpo solo.
Accecato dalla rabbia, senza nemmeno rendersene conto, il demone lo fece rotolare sul ventre.
Poi lo finì con il paletto.



Gli effetti della trasformazione lo stavano abbandonando, colpa della sua condizione umana che interferiva nei momenti meno opportuni. Poteva restare demone completo solo per poco tempo, rispetto agli altri, per questo aveva passato anni ad affinare le tecniche di combattimento nella sua forma normale.
Il suo corpo fu placcato e sbattuto al suolo con la forza di un treno merci. Delle mani robuste lo afferrarono, tirandolo in piedi. Due demoni lo tenevano.
Il petto di Alec si sollevò mentre inspirava l'aria.
Ancora uno sforzo e sarebbe stato fuori da quel disastro.
Spalancò le braccia, scagliando lontano i due che lo trattenevano. Scattò in avanti verso il primo demone.
Serrò le mani attorno alla sua gola, stringendole con tutta la sua forza, prima di sbatterlo violentemente contro il terreno.
Quando si voltò verso l'altro, lo vide sparire.
Meglio per me.
Racimolando quel po' di energia rimasta, materializzò gli umani rinchiusi nella cantina verso il Varco più vicino. Fortunatamente erano tutti e dieci privi di sensi, sarebbe stato una rottura doverli uccidere per non farli parlare.
Contando su chissà quale forza, si trascinò fino alla sua camera da letto, poi collassò sul pavimento di marmo.


                                                                                                                                       ***


Una piccola mano gli accarezzava la fronte e uno strano peso sullo stomaco lo fece grugnire per il fastidio. Il profumo di fiori attivò i suoi neuroni suggerendogli l'identità della scocciatrice in questione.
"Oh, il bell' addormentato si è svegliato" rise della piccola rima, facendolo sbuffare.
"Aud. Togliti, mi stai soffocando" farfugliò, lanciando un'occhiata alla cicatrice rosata che gli attraversava il fianco.
Tra poche ore sarebbe scomparsa del tutto. Perfetto.
La fitta che gli attraversò la schiena non fu altrettanto incoraggiante.
"Porca puttana" esclamò mentre tentava di sollevarsi.
"Ehi, ti sembra il modo di parlare in presenza di una signora?" lo rimproverò civettuola.
"Quando ne vedrò una, me ne preoccuperò"
Avrebbe fatto qualunque cosa pur di liberarsi di lei. Aveva delle cose da fare, incontrare suo padre era in cima alla lista.
Il fatto che un demone del livello di Zane si fosse scomodato per il rapimento di tanti umani, non presagiva nulla di buono. Stava cercando la discendente di Dahak tra le vittime dei vampiri, perché loro c'entravano in qualche modo con il rituale? Non sarebbe stato assurdo, Thren era sempre suo padre...


"Sempre il solito ingrato. Una ti tiene lontani gli impiccioni per farti riposare e tu..."
"E' venuto qualcuno?"
"Il tuo stronzissimo amico Kegan, tesoro. Gli ho detto che eravamo impegnati e a quanto pare ci ha creduto, perché ha fatto una smorfia disgustata guardando la mia maglietta e se n'è andato" gli riferì con una risatina.
Solo allora Alec individuò la sua maglietta firmata addosso a lei.
Immaginò il prossimo sermone del demone, non appena l'avesse visto, ma le fu stranamente grato di averlo tenuto fuori mentre era k.o.
"Grazie. Non avevo voglia di sorbirmi le sue sclerate"
"Figurati" mormorò pensierosa "Ero preoccupata per te" ammise dopo un po'.
La risata cristallina e leggermente roca di lui la fece arrossire, così si corresse "Sì, insomma...ho saputo che eri stato ferito e pensavo che stessi morendo in qualche angolo buio della strada, così sono venuta a cercarti, sperando che non fossi cosciente, altrimenti non avrei potuto raggiungerti. Invece eri già qui..."
"Come facevi a saperlo?" chiese dopo aver prontamente superato la fase 'è stato un pensiero gentile da parte di una che risucchia energia agli uomini facendoci sesso in sogno'.
"Oh, io...era un po' che volevo dirtelo, ma non si è mai presentata l'occasione e..."
"Aud"
Seguì un momento di silenzio in cui lei s'impegnò per non incontrare il suo sguardo, poi cedette.
"Ho una specie di storia con Zane" ammise con un filo di voce.


Però...
Tra tutte le cose assurde che poteva pensare, questa non gli sarebbe mai venuta in mente!
Non seppe spiegarsi il perché di quella pugnalata invisibile al petto, ma quello che sentì dopo lo lasciò sbigottito.
Tradimento.
Prese a camminare nervosamente avanti e indietro per la stanza, ignorando persino il dolore.
Non provava niente per il succubo, di questo era certo, tuttavia i sentimenti contrastanti nei confronti del demone della vendetta l'avevano reso furioso per quel segreto appena svelato.
"Che cazzo dici?"
"Lui mi piace"
"Ti...piace?" esordì, scoppiando in una risata amara.
"Forse lo amo" aggiunse Aud, sollevando il mento in un gesto fiero della serie 'beccati questa!'
"Sei un demone. Sappiamo bene entrambi che non sei capace di provare quel genere di sentimento!"
Un lampo di tristezza le passò negli occhi e senza un motivo preciso lui ripensò a Quinn e al suo commento circa la sua difficoltà nel comunicare. Era assolutamente certo delle sue parole: i demoni si 'accoppiavano' per necessità fisiologica, quasi mai per amore.
Raramente riuscivano a provare emozioni umane.
Raramente le comprendevano.
Quando erano due adolescenti, lei gli aveva chiesto se nel loro mondo potesse esistere l'amicizia di cui aveva tanto sentito parlare.
Lui le aveva risposto facendo spallucce. "Non ne sono sicuro, ma so che noi siamo amici"
Stupido demone.


Ora la guardava negli occhi e si sentiva ingannato in un modo che non credeva fosse possibile.
"Devi credermi Alec, lui non è come pensi. E' diverso da Thren e sta cercando di rimediare a tutti i casini che ha procurato vostro padre. E' tuo fratello! Dovresti..."
Non appena terminò la frase, la mano del demone le afferrò la gola.
Non utilizzò tutta la rabbia che gli scorreva nelle vene, ma strinse la presa abbastanza da zittirla per qualche secondo.
"Non.dirlo.mai.più" le sibilò avvicinando il volto al suo "
Avere lo stesso sangue che ti scorre nelle vene non fa una famiglia. Se Zane è diverso dal padre, non me ne sono accorto, ero troppo interessato alla lama conficcata nella mia spina dorsale!" le urlò furioso. L'attimo dopo si ritrovò nient'altro che fumo tra le mani.
"C'erano i suoi uomini. Per il suo onore..." sussurrò Aud comparendo di nuovo alle sue spalle.
"Fanculo l'onore. E anche voi due" 
Alec fece un sorriso tirato. "Quando K verrà a saperlo se la farà sotto dalle risate. Mi aveva sempre avvertito di non fidarmi di te"
"Nonostante tutto, voglio che tu sappia che non mi ha mai chiesto nulla sul tuo conto e anche se l'avesse fatto, io non avrei parlato"
"Sono lieto di sapere che non ero argomento di conversazione tra un round e l'altro" le disse freddamente.
Ci mancherebbe altro.


Lei sbuffò e si sdraiò sul suo letto, ignorando lo sguardo omicida del demone.
"Non è stato facile conquistarlo. E' stronzo almeno quanto te, quando si tratta di 'fare sul serio' "
"Piantala"
"Per questo, credo, continuavo a venire a letto con te"
"Beh, hai collaborato a dare una nuova definizione alla parola put..." 
"Ci usavamo a vicenda ed è sempre andata bene così, no?" lo interruppe, prima che potesse offenderla.
"Aud..."
"Poi però lui si è convertito alla monogamia"
"Chiudi quella dannata boccaccia, stupida oca!" urlò spazientito, spaccando il muro con un pugno.
Aud si alzò e studiò la sua mano malmessa. Lo fissò come se fosse un bambino sporco di fango.
"Ti sembra intelligente quello che hai fatto? Ora sanguini di nuovo"
"Fottiti"
La rabbia sembrava essersi dissolta e una traccia di divertimento era riconoscibile nella sua voce.
"Smettila di essere così sboccato o non ti dirò una cosa che riguarda la tua umana"
Alec ridusse gli occhi  due fessure e strattonò la mano che gli teneva.
"Uno: non è mia. Due: non crederò ad una sola parola che uscirà dalle tue labbra"


Aud mise su un finto broncio, poi gli sorrise. "Beh, te lo dico lo stesso, per farmi perdonare: qualcuno, non-sto-a-fare-nomi-Marek, ha inviato una squadra di demoni camaleonte a rapirla. E non sono certa che lui non ci vada di persona. Ti ricordi quanto è...imponente, vero?" Altroché.
La mascella di lui s'irrigidì impercettibilmente. "Quando?"
"Mmh, diciamo adesso? Ma non preoccuparti, Kegan è andato a sorvegliarla. Gli ho detto che era un tuo ordine" spiegò.
"E perché diavolo l'avresti fatto?"
"Semplice: lei ti piace, e non impegnarti a smentire perché conosco questo genere di cose meglio di chiunque altro. Sono un succubo" si lasciò sfuggire una risatina "Comunque non pensare che mi sia ammorbidita. Se non fossi interessata ad un altro, non esiterei ad ucciderla e tenerti tutto per me. Ma visto che io sono felice non ho più bisogno di rendere infelici gli altri. Perciò...prego!"
"Non era mia intenzione ringraziarti. K vorrà spellarmi vivo per averlo costretto a farle da balia"
"Stare in contatto con gli umani lo aiuterà, magari è la volta buona che impara a comportarsi come si deve"
"Credici" borbottò lui, sistemandosi numerose armi sul corpo e preparandosi a raggiungere il Varco più vicino.
"Alec?"
Lui si voltò a guardarla, il timore aleggiava nei suoi occhietti viola, mentre si mordicchiava il labbro inferiore.
"Ancora amici, vero?" esordì melliflua.
Non udì alcuna risposta.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8: Stalemate (Her) ***


Capitolo 8: Stalemate (Her)





"Sta dicendo che l'uomo è semplicemente... sparito nel nulla?"
Il poliziotto non riuscì proprio a nascondere un tono incredulo. Probabilmente la ragazza davanti a lui avrebbe voluto dargli uno schiaffo, ma si trattenne. Chissà quanto ancora poteva resistere. Aveva già il corpo attraversato da tremori nervosi, indecisa se spaccargli la faccia o strappargli quel dannato rapporto dalle mani.
"Come ho detto, quando ho alzato gli occhi se n'era già andato"
"Nessuno l'ha visto là fuori, signora" disse il poliziotto per la terza volta, aggiungendo una nota a penna. Sicuramente consigliando una visita psichiatrica, come si faceva spesso in certi casi.
L'altra perse la pazienza. "Questo perché erano tutti dentro quando siamo stati aggrediti...e comunque sono una 'signorina'!" Prese un respiro profondo, prima di proseguire.
"Senta, quel tizio ha soffocato mio fratello con una mano e quando ha perso i sensi, l'ha trascinato via"
"E perché avrebbe lasciato in vita lei, una testimone scomoda?"
"Non lo so! Mi ha fatto segno di stare zitta e poi...ha sorriso mostrandomi delle zanne" concluse inorridita, suscitando l'ilarità dei poliziotti che l'attorniavano.



Quinn osservava la scena da un angolo nascosto, in fondo alla strada, desolata che nessuno prendesse sul serio la dichiarazione della ragazza. Forse per lei sarebbe stato un bene, l'ignoranza degli agenti l'avrebbe protetta.

Seguendo il notiziario, gli aggiornamenti sulle continue sparizioni avevano suscitato il suo interesse, così aveva cominciato a prestare attenzione ai dettagli.
Tutti i testimoni avevano qualcosa in comune: erano sbronzi, drogati o svenuti al momento dell'aggressione.
In questo modo, pur avendo visto qualcosa di realmente sovrannaturale, nessuno avrebbe creduto loro.
Ma per lei era diverso.
Neanche tre settimane prima era stata rapita da un branco di demoni che volevano utilizzarla come sacca del sangue ambulante, e per quanto non volesse ammetterlo, era cambiata.
Dopo aver sollevato il velo che aveva tenuto sugli occhi per tutta la vita, era più che normale che credesse tutto ciò che stava ascoltando in quel momento.
Ora che sapeva cosa si aggirava nella notte, non riusciva a fare finta di niente. 
Poche ore prima, passando per il quartiere,
aveva avvertito qualcosa di strano. Un'oscurità di cui nessun altro si era accorto. Così aveva individuato velocemente l'uomo completamente vestito di pelle nera fermo all'uscita di un locale, distinguendosi dagli altri come se un'aura di crudeltà lo circondasse.
Si era appostato in attesa di qualcuno, fumando una sigaretta.
Ad occhio inesperto, poteva sembrare uno qualunque, tanto che Quinn credette di essere impazzita ad aver pensato che non fosse umano.
Però c'era...quel qualcosa di sovrannaturale nel suo atteggiamento che la spinse a spiarlo a debita distanza.
Una coppia era uscita sbandando e ridacchiando, l'uno di fianco all'altra, e i suoi occhi erano diventati bizzarramente rossi. Aveva gettato la sigaretta da un lato e aggredito il ragazzo alle spalle con una velocità tale, che sembrava che il suo corpo si sbattesse contro il muro e rimbalzasse da solo.
Le urla della ragazza non distrassero minimamente il mostro, che continuò la sua opera finché non si decise a scomparire nel nulla trascinando il povero malcapitato con sé.
Non c'erano tracce della sua presenza, sulla scena del crimine. Anche i mozziconi di sigaretta si erano dissolti.
Niente avrebbe mai potuto ricondurre a lui.



                                                                                                                                       ***


Aspettò di essere lontana, prima di fare una telefonata ai genitori.
Non li sentiva dal giorno della laurea in cui, attraverso Skype le avevano fatto i loro migliori auguri.
Con voce stranamente felice la informarono che si sarebbero fermati in North Carolina per ancora cinque settimane.
Non sarebbe stata la vacanza più romantica del mondo, ma avrebbero passato da soli le feste natalizie per la prima volta. Sua madre era preoccupata di lasciarla a festeggiare in solitario, ma lei la tranquillizzò.
Non era mai stata una gran fan del Natale.
Poi decise di controllare la sua segreteria telefonica, nel caso ci fossero novità sul fronte lavorativo.
Ne dubitava, il professore della sua facoltà l'aveva caldamente raccomandata come assistente ad uno psicologo di New York di sua conoscenza, ma le aveva assicurato che non le avrebbe fissato un colloquio tanto presto, visto che era oberato di impegni. 
Digitò il codice e rimase in attesa dei fatidici dieci secondi.
Al quarto iniziò a giocherellare con il foglio di un giornale, strappandone una striscia.
Al settimo qualcuno sollevò la cornetta, e il panico esplose.
Oddio, una fuga di gas!
Sono i pompieri che mi dicono...
"Chi..."
"Spiacente signorina, l'utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile. La preghiamo di tornare a casa e lasciarsi dissanguare lentamente" gracchiò la voce dall'altra parte del telefono, prima di scoppiare a ridere in modo sguaiato.
No.
Ti prego, non di nuovo
.



Quando Quinn si appoggiò al muro retrostante, per impedirsi di svenire, notò una figura scura dall'altra parte della strada. Non stava osservando la polizia che abbandonava la via.
Nè la povera ragazza accasciata al suolo in singhiozzi.
Fissava lei.
Prima di scappare a gambe levate, attese che uscisse dal cono d'ombra che le impediva di metterlo a fuoco.
Quell'uomo dalla carnagione scura, capelli rasta e abbigliamento discutibile, l'aveva già visto prima.
Lui sollevò un braccio e la salutò con la mano, come facevano i bambini da un finestrino all'altro delle macchine. Il volto squadrato, non lasciava scappare la minima traccia di divertimento, era fieramente cosciente di spaventarla.
Il suo respiro si spezzò, poi dei ricordi cominciarono a riaffiorare nella sua mente.
Era l'amico demone di Alec. Quello che l'aveva picchiata.
Decisamente non era un buon segno.


L'essere inclinò il capo, guardandola serio mentre si avvicinava a lei.
Quinn mosse un passo nella sua direzione, poi si bloccò. Perché incontrare il pericolo di sua spontanea volontà. 
Una cosa era certa: c'era qualcuno di poco umano a casa sua e nessuno le assicurava che non si trattasse di una trappola.
Quel demone era lì per portarla a morire?
Doveva trovare un rifugio alternativo in fretta e al momento ne aveva solo uno a disposizione.
Girò l'angolo camminando velocemente, cosciente di essere seguita. Sapeva che lui avrebbe potuto sbarrarle la strada da un momento all'altro, ma sembrava divertito all'idea di spaventarla lentamente.
Le mani le tramavano mentre tirava fuori dalla borsa le chiavi dell'auto e cercava di ricordarsi dove l'avesse parcheggiata.


Era strano sentirsi al sicuro in una macchina ferma, con le portiere chiuse, ma Quinn si lasciò comunque andare ad un sospiro si sollievo. Mise in moto e con i fari illuminò l'uomo immobile a pochi metri dal cofano.
"Un pò presto per tranquillizzarsi" avvertì il suo commento acido attraverso il vetro appannato. Si scambiarono un'occhiata di sfida, prima che lei facesse marcia indietro e si portasse di nuovo in avanti. Si era aspettata che si spostasse, ma non lo fece.
D'accordo, te la sei cercata, amico!
Quinn chiuse gli occhi e schiacciò il piede sull'acceleratore scagliandosi verso di lui.
Non sentì alcuno schianto e quando si voltò a controllare, non vide nessun cadavere sull'asfalto.
Con il cuore che le batteva forte, si avviò verso casa dei suoi. Era un viaggio di circa venti minuti, ma le sembrò di non arrivare mai.
Il silenzio pesante nella vettura la innervosì, quindi cambiò nervosamente le stazioni radio.
Ogni tanto gettava un'occhiata allo specchietto retrovisore, per verificare l'eventuale presenza di auto sospette, pur sapendo che i demoni si spostavano velocemente tramite smaterializzazione.


Parcheggiò davanti al cancello d'ingresso.
Le luci dei lampioni del portico erano tutte spente e si domandò perché suo padre avesse staccato la corrente dal contatore esterno, prima di partire. Non lo faceva mai, per scoraggiare i ladri. Era qualcosa che le raccomandava sempre di risordare, quando restava sola.
Con un groppo in gola e le lacrime agli occhi, strinse le mani tremanti attorno al volante, prima di girare la chiave e spegnere l'auto.
Respira.
Mantieni il controllo.
Mantra che le erano utili come una busta di plastica sotto una tempesta.
Si recò sul retro della grande villa, attraversando il giardino correndo.
Odorava di erba bagnata e le sue scarpe affondavano nel terreno fangoso ad ogni passo.
La luce d'emergenza sopra la cassetta di metallo del contatore era accesa e alzò un braccio per sollevare la leva d'accensione, quando una grande mano le tappò la bocca e qualcuno le artigliò la mano, portandole il braccio dietro la schiena, a contatto con quello che doveva essere un petto.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9: Temporary Insanity ***


Capitolo 9: Temporary Insanity





"Ti lascio sola cinque minuti e guarda che combini"
Quella voce roca e bassa al suo orecchio la immobilizzò.
Quando la mano che le tappava la bocca l'abbandonò, Quinn cercò di dimenarsi furiosamente, ma non riusciva a fargli mollare la presa ferrea.
"Lasciami, maledizione, LASCIAMI!" gli urlò allora nei timpani.
"Vuoi andare a farti ammazzare? Non te lo consiglio" la interruppe Alec con tono severo.
Lei continuava a muoversi tra le sue braccia e questo era irritante ed eccitante insieme. Alla fine gli assestò una gomitata sulle costole, proprio in corrispondenza della cicatrice semi-guarita, e gli tolse il fiato per un attimo.
"Resta immobile, se non vuoi farmi incazzare"
Quinn sembrò rilassarsi qualche secondo, e quando il demone l'accontentò, lei lo ricompensò voltandosi e sferrandogli un gran calcio sugli stinchi che lo fece irritare non poco. Però non reagì.
Incrociò le braccia e la guardò in cagnesco.
"Sei un tantino feroce, oggi"
"Che significa farmi ammazzare?" gli domandò fissandolo di traverso, indispettita dalla sua presenza.


Dio, aveva quasi dimenticato l'intensità dei suoi occhi azzurri. Era perfettamente riconoscibile anche alla debole luce della luna. Alec si prese un attimo prima di rispondere.
"Significa" cominciò a bassa voce trascinandola nell'ombra, voltò la testa verso destra prima di parlare ancora, per seguire un rumore di foglie schiacciate "che ti hanno teso una trappola e tu ci sei caduta in pieno"
"Cosa?"
"Lì dentro" proseguì indicando la casa con un cenno del capo "ci sono dei demoni..."
"Cosa?"
"...che stanno aspettando te"
"COSA?"
"Sei monotematica, piccola. E abbassa la voce" le ordinò spazientito.
Quinn si zittì, mentre gonfiava il petto emettendo uno sbuffo rumoroso, incurante del fatto che, con quel gesto, aveva solo attirato l'attenzione di lui sul suo seno.


La ragazza sembrò volerlo incenerire col pensiero, quando seguì la direzione del suo sguardo malizioso.
"Ehi, io sono venti centimetri più su!"
Lui fece spallucce e sfoderò un sorriso da schiaffi. "Colpa tua"
Non si prese la briga di interrogarlo circa il commento assurdo. "Credevo che i demoni fossero a casa mia, hanno risposto al mio telefono, per questo sono venuta qui!" spiegò cercando di non urlare.
Alec le lanciò uno sguardo indecifrabile prima di degnarsi di risponderle. "Sei fin troppo prevedibile e loro non sono stupidi. Ce ne saranno una dozzina, in giro a cercarti. Si sono separati. Una cosa è certa: quando entrerai in questa casa, non sbucheranno da dietro il divano per urlare sorpresa!" disse alla fine.
"Oh, ti prego, fa che quello non fosse sarcasmo"
"Chiamalo come ti pare, comunque devi andartene. Subito" le riferì guardando in alto.
Quinn fece lo stesso, senza vedere nulla di sospetto. "Ma che stai..?"
"Lascia perdere. Siamo circondati" sbuffò, prima di ghignare entusiasta per qualcosa che lei non afferrò. Quando la vide allontanarsi, alzò gli occhi al cielo con fare esasperato. "Dietro di me" le ingiunse ringhiando.
Fortunatamente anche lei percepì un rumore e istintivamente si mosse alle sue spalle.


Brava bambina.
Quando Kegan l'aveva avvertito della sua fuga, aveva pensato che si fosse bevuta il cervello, invece a quanto sembrava qualche neurone era rimasto a farle compagnia.
Quasi subito si occupò di due demoni con cui si era spesso incrociato durante certe rappresaglie da parte di mercenari. Marek doveva aver assunto qualche killer esperto per l'incarico. Li finì giocando sporco, ovviamente, colpendo duramente dove sapeva che sarebbero stati vulnerabili. Non gli sembrava il caso di seguire le regole.
Un altro gli saltò addosso dall'alto. Doveva essere un vampiro, considerato come puntava al collo.
Lottò con lui, tenendone a bada i canini aguzzi, e lo fece fuori in un minuto.
Mentre incastrava uno stiletto nel suo cuore, il vampiro assunse un'espressione incredula, poi i suoi lineamenti cominciarono a raggrinzirsi. Ne afferrò uno prima che arrivasse alla ragazza e quello subì lo stesso trattamento.
Poi qualcuno lo sbatté con poca grazia contro la parete fredda dell'abitazione, creando una profonda crepa sul muro.
Sentì un gemito strozzato a poca distanza da lui e girandosi, trovò un enorme demone camaleonte che teneva Quinn per un braccio, divertendosi a schivare i suoi pugni.
Notò che la spalla della ragazza aveva uno strano aspetto, non gli ci volle molto per liberarsi dalla presa d'acciaio e schiantare il malcapitato contro l'albero che dominava il giardino.
Poi raggiunse Quinn e la spinse in direzione del cancello, prima di assestare un gran pugno sul muso dell'altra creatura. Il pugnale terminò il lavoro per lui.
Si accorse che Kegan li aveva raggiunti, spezzando rumorosamente il collo di un altro uomo.
Quando si materializzò al suo fianco aveva il solito aspetto trasandato e letale, pronto a far fuori chiunque gli si presentasse davanti. In quel momento però, la priorità era un'altra.
"L'umana" gli disse solo, prima di vederlo allontanarsi, tirando la ragazza per il braccio sano. Tuttavia quella continuava a dibattersi, chiamandolo con epiteti molto poco signorili.
"Vattene!" le urlò Alec, occupato a schivare un colpo alla testa.
L'ultima cosa di cui doveva preoccuparsi era tenerla a bada, mentre due bestioni si avventavano su di lui.


Quinn venne trascinata nel parcheggio di casa dal demone che aveva quasi investito.
Si domandava come potesse fidarsi a restare in disparte con lui mentre Alec lottava contro tutti gli altri, ma si costrinse a restare nascosta, ascoltando grugniti e rumori di pugni che riempivano l'aria. Erano tutti velocissimi e i movimenti con cui attaccavano, schivavano i colpi o si difendevano erano umanamente impossibili.
Spaventosi e impressionanti.
La spalla le faceva un male cane, ma non aveva ancora il coraggio di guardarla.
Non era un portento in anatomia, ma qualcosa di storto c'era di sicuro.
Aveva qualcosa di spigoloso e ossuto che spuntava dalla pelle, quando sarebbe dovuto stare da un'altra parte, e la spalla le stava diventando rapidamente violacea.
Si accorse vagamente che l'uomo accanto a lei si era alzato, sfoderando l'ennesimo pugnale.
Con una velocità tale da risultare invisibile, qualcuno gli saltò addosso e lui si rovesciò sulla schiena, inchiodandolo al suolo. Un lampo di luce argentea e un liquido nero fuoriuscì dal petto del demone.
Tuttavia non diede a vedere di essersene accorto, assestò una gomitata nell'occhio del tizio ancorato a lui, che gemette di dolore, e poi infilò la grande lama in una tempia, uccidendolo.
Era pericoloso come aveva pensato che fosse la prima volta che l'aveva visto.
Il suo non era un aspetto ingannevole.
Quinn si domandò se, sul retro, anche Alec stesse combattendo in quel modo brutale.
Rabbrividì al pensiero.
Tutta questa violenza...io sono figlia di una hippie: predico pace e amore!
Istintivamente, notando il sangue rappreso del demone, sgranò gli occhi e allungò una mano per sfiorare le cicatrici rosate. La loro capacità di guarigione era strepitosa!
La pelle di Kegan fu percorsa da un brivido, così come il resto del corpo, e il demone emise un sibilo disgustato. Quinn ritirò di scatto le dita. "Mi dispiace" farfugliò.
"Stai alla larga da me, inutile umana" sputò quello impugnando saldamente il coltello affilato, gli occhi neri e minacciosi puntati su di lei.


Con uno strattone il demone di nome Marek lo attirò a sé e gli affondò un cazzotto nel fianco.
Ma perché cazzo tutti mirano in quel punto stasera?
Alec riuscì a tirarsi indietro all'ultimo secondo, perciò non riuscì a colpirgli l'intera cassa toracica, ma probabilmente gli distrusse un rene. Si piegò in due, tossendo sangue cremisi, a malapena capace di respirare.
"Già stanco, mezzosangue?" lo sentì sghignazzare sprezzante.
Quanto lo odiava.
Da giovane, durante l'addestramento, si era scontrato con lui quando era ancora prigioniero di Thren.
L'aveva quasi fatto a pezzi, facendosi beffe di lui tutto il tempo.
Ricordava quando, dopo ogni calcio nello stomaco, gli urlava in faccia che era troppo umano per sopravvivere in quel mondo, che lo avrebbero usato per sempre come punching ball per gli allenamenti dei veri demoni.
Diceva che gli piaceva da matti vederlo sanguinare perchè il suo sangue era rosso, a differenza del loro.
Lui era uno dei soldati più fedeli di Thren, e ora lavorava per il minore dei suoi figli: Aidan. Per questo sapeva la verità sul suo conto, conosceva il peso della sua metà umana.
Con riflessi ferini, Alec rispose con un diretto alle costole del demone, strappandogli un ruggito gutturale dal petto nello stesso momento in cui quello gli assestava un colpo micidiale sotto il mento.


"Vuoi correre a piangere dalla mamma?"
Bastardo.
Approfittando di quell'eccesso di boria, si lanciò contro di lui, usando la velocità della carica per fare leva e lo costrinse a terra. Poi gli strinse la testa, girandola violentemente con tutta la rabbia che aveva.
Si sentì il rumore di qualcosa che si rompeva, ma non fu abbastanza. Il demone cercava di liberarsi, portando le grandi mani attorno alla sua gola.
Così Alec tese tutti i muscoli mentre tirava con l'ultimo sprazzo di forza che possedeva, usando le gambe per reggersi; poi si abbandonò all'indietro con la testa di Marek in braccio.
Strano souvenir, ma meglio di niente.
Si lasciò andare a una risata liberatoria e quando sentì dei passi, il profumo di Quinn lo raggiunse prima che potesse pensare che fosse qualche altro nemico.
Forse sarebbe stato meglio.


                                                                                                                         ***


Seduta per terra, con la schiena contro la macchina, Quinn si stringeva la spalla.
Tremava impercettibilmente per il freddo,  il dolore e la paura.
Dopo aver sentito i brevi mormorii dei due demoni e aver visto Kegan andarsene con i vari cadaveri, aveva seguito le direttive di Alec - stare immobile e non fare casini- che intanto controllava il perimetro per accertarsi che non ci fosse più nessuno. Neanche a dirlo, lo sentì combattere ancora.
Cercò di non fermarsi a pensare alla scena di cui era appena stata testimone, per non sembrare una debole ragazzina impressionabile, ma l'immagine le scorreva nella mente come se qualcuno l'avesse messa in loop.

Quando l'aveva aiutata, si era fatta un'idea completamente sbagliata di lui. Immaginava che fosse un po' più umano degli altri. E invece... Gli ha staccato la testa a mani nude!
Sentì dei rumori alle sue spalle e un secondo dopo Alec le si accovacciò accanto.
"Fammi vedere come va"
La sua voce era tornata calma e carezzevole, e lei si sforzò di non ritrarsi, se non altro per non provocarlo.
Ora che sapeva di cosa fosse realmente capace non l'avrebbe più fatto, anche a costo di mettere il suo carattere polemico sotto i piedi.
"Sto morendo, ma grazie dell'interessamento"
Voleva sembrare il più naturale possibile, ma il dolore e la tensione le fecero venire la voce stridula.
"Starai bene, è solo lussata" mormorò lui studiandole la spalla "Ora devi rimanere ferma, ok?" le intimò spostando una mano più in alto, sul suo braccio. Quinn emise un rantolo e il demone si limitò a fissarla con uno sguardo irritato.


Con un movimento rapido e uno scricchiolio sospetto, la spalla tornò al suo posto lanciandole una fitta di dolore intenso, che la attraversò tutta. Aprì la bocca, ma non emise alcun suono, così si limitò a deglutire.
"Oddio, sapevo che l'avresti fatto!" fece con voce soffocata poco dopo. Aveva visto abbastanza stagioni di ER per sapere che era necessario, ma non aveva mai realizzato che potesse fare così male.
Quando alzò lo sguardo vide che le loro teste erano a pochi centimetri di distanza e le ginocchia di lui premevano contro le sue. A disagio, cercò di portarsi indietro.
Tirò via il braccio e si spostò per evitare di sentire ancora il suo fiato caldo contro la pelle. 
Fece un colpetto di tosse per schiarirsi la gola. "E ora ehm...dove si va?"
Il demone inarcò un sopracciglio e lei pensò che sicuramente aveva di meglio da fare che aiutarla a trovare un posto sicuro in cui stare.
Era una creatura infernale, un assassino, come poteva credere che potesse avere dei piani per lei?
Doveva trovarsi una stanza in hotel, o qualcosa del genere...magari con agenti armati fuori dalla porta.
"Cioè, credi che possa tornare a casa, prima o poi? O quei tuoi amici hanno deciso di pagare l'affitto al mio posto?" farfugliò arrossendo.
Non aveva chiesto nulla che potesse farlo arrabbiare, allora perché la stava fissando in quel modo strano?



Alec osservava, senza ascoltare, le sue labbra carnose muoversi velocemente.
Quando le si era avvicinato, prima, pensava che lei sarebbe scappata urlando, come minimo. Invece no.
Aveva finto straordinariamente bene di non essere sconvolta.
Meglio, non avrebbe voluto gestire una cosa del genere. Ammirava il coraggio, da qualsiasi specie derivasse.
Deglutì, cercando di smettere di pensare ad assaggiare di nuovo il suo sapore femminile, e concentrandosi sulle sue parole. Decifrò 'casa' e 'affitto', notando le sue guance imporporarsi in attesa di una risposta che non arrivava.
"Non so quando potrai tornare lì. Per ora non se ne parla" fece immaginando di cosa stesse parlando, poi si sollevò e le offrì la mano. Lei rimase immobile per qualche secondo, spostando lo sguardo dalla mano al suo viso, e notando probabilmente il suo fastidio nell'avvertire quell'esitazione. Così l'afferrò, riluttante, per poi lasciarla andare non appena si trovò in piedi. La vide pulirsi sulla stoffa dei pantaloni impolverati, a testa bassa. 
Non voleva guardarlo negli occhi.
Uno strano fastidio aleggiò nel suo stomaco. Non capiva perché la cosa lo turbasse tanto, ma non voleva che lo considerasse un mostro, leggere quell'espressione allarmata sul suo volto lo faceva quasi vergognare di sé stesso.
Una sensazione che odiava.
Stringendo i denti, la tirò contro di sé come fosse una molla e fece materializzare entrambi nella sua camera da letto.


                                                                                                                   ***


Il demone non disse una parola per diversi minuti. Si limitò a fissarla finché lei non alzò gli occhi azzurri su di lui.
La rabbia e la brama si mescolavano nella sua espressione, ed erano entrambe così intense che Quinn rabbrividiva ogni secondo di più. La lasciò andare camminandole intorno come se la braccasse, lo sguardo che solcava il suo corpo. Si voltò anche lei, lentamente, fino a che non si ritrovarono uno di fronte all'altra.
Sapeva che era arrabbiato perché aeva seguito ogni suo gesto, si sentiva respinto e temeva le conseguenze.
"Perché diavolo non sei rimasta con Kegan?"
La sua voce bassa le si rovesciò addosso, le sembrò di sentirla rimbombare e deglutì rumorosamente mentre tentava di inventare qualcosa per giustificarsi.
"Mi dispiace" iniziò incerta. La voce le uscì in un bisbiglio soffocato e le mani tremanti attirarono l'attenzione di lui.
Qualcosa cambiò nel suo sguardo. Le sembrò...forse più rilassato?
Fece un passo verso di lei, spingendola ad indietreggiare istintivamente. "Ti dispiace? Da quando sei così accondiscendente?" fece con tono mellifluo, falso come non mai.
Quinn alzò le spalle, vaga, distogliendo lo sguardo e puntandolo nel vuoto.
"Hai finalmente paura di me?" le chiese quasi sorridendo in quel modo sicuro che solitamente le urtava i nervi.
Si morse un labbro per reprimere l'istinto di ribattere in malo modo.
"No" Sì.
Un altro passo verso di lei, un altro passo verso il muro. Lo vide chinarsi su di lei e strinse gli occhi, trattendendo il respiro e irrigidendo ogni singolo muscolo.
"Dimostramelo. Sii di nuovo te stessa" fu la richiesta sussurrata all'orecchio. Cosa?
"Non so proprio di che parli" fece, espirando lentamente.
"Sì, invece. Coraggio, dimmi quello che stai pensando"


Davanti al suo silenzio, decise di proseguire. "Giuro che non ti farò del male se non dovesse piacermi la risposta. Prendilo come una sorta di tacito accordo tra noi: finché non mi darai veramente sui nervi, potrai dire tutto quello che ti passa per la testa"
Come no, dov'è la fregatura?
"Perché dovresti permettermelo?" preferì domandare.
"E' infinitamente più divertente che avere intorno un burattino"
L'aveva appena paragonata ad uno di quei cosi di legno che lei detestava almeno quanto i clown. Senz'anima, senza cuore...e soprattutto senza cervello!
"Se proprio insisti..." fece incerta, guardando un punto oltre la sua spalla racimolando un pò di coraggio.
Lui le afferrò il mento con assoluta delicatezza, incatenando lo sguardo al suo. "Insisto"
"Bene, il motivo per cui non sono rimasta con Kegan, è che il tuo stupido amico ha rizzato il pelo e mi ha fissata come se fossi la sua cena. Ho preferito evitare di assecondarlo, questa volta. E lo so che mi hai detto che voi non mangiate la gente, ma fa lo stesso. Mi sono sentita minacciata e sono scappata via!" sbottò alla fine, mentre un ghigno soddisfatto compariva sulle labbra di lui.
"Certo, non credevo di trovare qualcosa di peggiore a cui assistere" aggiunse abbassando la voce e tornando a guardare altrove, imbarazzata. Lui sembrò vagamente ferito, poi nascose rapidamente quell'espressione cupa dietro un sorriso sarcastico e incrociò le braccia al petto.
"Non essere melodrammatica. Sono stato grande!" esclamò, tronfio come un pavone.
"Abbiamo diverse idee di grandezza"
"Ovviamente"


Quinn si guardò intorno, riconoscendo l'ambiente. "Non vorrai di nuovo rinchiudermi?"
Si sentiva un opprimente peso sul petto solo all'idea.
"Qui è sicuro. Entro solo io"
"E questo in che modo dovrebbe rassicurarmi?"
Alec scrollò le spalle e la ragazza si zittì per un secondo, mentre lui cominciava, incurante della sua presenza, a sfilarsi la maglietta insanguinata e mezza strappata. Il petto muscoloso era ricoperto di cicatrici. Alcune sembravano essere state causate da artigli e altre da morsi e bruciature.
La ragazza trattenne il respiro quella vista. "Perché lo stai facendo?"
"E' da buttare"
ARGH!!! Prima o poi lo ammazzo!
"Sai a cosa mi riferisco. Perché continui ad aiutarmi?"
"Credevo che a quest'ora l'avessi capito. Salvarti la vita non mi interessa, ma se loro arrivano a te..."
"Sì, lo so. Mi succhiano tutto il sangue e resuscitano non-mi-ricordo-come-si-chiama. Per questo ti sto chiedendo come mai non mi hai...non ti sei liberato di me in modo definitivo, ecco"


Alec le lanciò un'occhiata perplessa, sembrò che volesse dire qualcosa di sprezzante, ma si trattenne.
"Sai, tu mi preoccupi" esordì pochi istanti più tardi, facendole aggrottare la fronte.
"Perché?"
"Non ho mai conosciuto un essere umano con più istinti suicidi di te. Non è normale"
Con la coda dell'occhio la vide stringere le labbra in una linea severa e seppe per certo che si stava trattenendo dall'imprecare. Dai, per favore, fallo.
"Io sto solo cercando di capire" la sentì sibilare.
"Beh, risparmiati la fatica. Ringraziami e dacci un taglio" Lei aprì e chiuse la bocca più volte.
Lo divertiva da morire la sua irascibilità. Quella ragazzina era assolutamente una diretta discendente di un demone della rabbia. Una volta avuta la certezza, era stato più facile distinguere i vari segnali rivelatori.
Adorava stuzzicarla. Gli rispondeva a tono, sempre, non importava quanto fosse critica la situazione in cui si trovava.
Gli faceva tornare in mente quei comportamenti umani che gli piacevano da giovane.
Il che era pericoloso, forse, ma non abbastanza da preoccuparlo.




Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Cap 10: Trick or treat? ***


Cap 10: Trick or treat?





Quinn si affrettò a raggiungere il suo pianerottolo, salendo gli scalini due a due.
Anche se Alec le aveva assicurato che la casa era ormai libera da qualunque presenza demoniaca, non vedeva l'ora di uscirne. In un modo che non sapeva spiegarsi, quello che prima era il suo rifugio le sembrava così diverso...
Il demone le aveva permesso di stare nel suo appartamento nell'ultima settimana, tenendola praticamente murata viva, ma lei aveva insistito a voler recuperare almeno una parte del suo guardaroba, per evitare di continuare ad utilizzare le sue magliette. Ogni volta, cercare di coprirsi alla meglio per evitare che lui sbirciasse era una tortura.
Tirò fuori dalla tasca dei suoi jeans un post-it su cui aveva appuntato la lista di tutto ciò che le occorreva e si precipitò nella sua camera da letto, respirando affannosamente.
Il contenuto dei cassetti era stato completamente rovesciato per terra e le ante dell'armadio erano spalancate.
Una addirittura spaccata a metà e penzolante.
Dopo pochi istanti, Alec la raggiunse, e lei lo fissò con un'espressione perplessa sul volto.
"Che c'è?" le domandò ridendo, incapace di resistere.
"Una domanda: cosa speravano di trovare nella mia biancheria, che fosse vitale per la rinascita del loro capo?"
"Signore"
"Quello che è!"
Lui scrollò le spalle, dando un'occhiata distratta ai completi intimi. "Lo sai piccola, siamo demoni, mica santi!"
Sollevò con un ghigno malizioso un reggiseno rosso carminio arricchito da pizzo nero. "Forse non è stata una cattiva idea tornare a prendere le tue cose" commentò sornione.
"Davvero simpatico!"
"Dovresti portarlo con te, sul serio. Anche se devo ammettere che preferisco pensare che non indossi niente sotto i miei vestiti" Santissimo cielo!


Da quando lo aveva incontrato la prima volta, la barba era lievemente cresciuta e gli ombreggiava la mascella e gli zigomi, conferendogli un'aria ancora più sinistra. E affascinante.
Quando le parlava, nella maggior parte dei casi, la sua voce suonava roca e sexy, da brividi.
Una reazione che detestava avere.
"Non ti eccitare troppo, quella roba non è sulla mia lista" bofonchiò paonazza, abbassando la testa per non farsi vedere.
Un nanosecondo dopo, lui le strappò il pezzo di carta che stringeva in mano, spostando in alto il braccio nel momento in cui lei tentava di riafferrarlo. "Non hai niente di meglio da fare?" farfugliò allora Quinn, sbattendo il pugno contro il petto muscoloso del demone.
"No" rispose quello, impertinente. Sapere che non poteva sentire dolore per i suoi colpi lo soddisfaceva in maniera inimmaginabile. Odioso.
"Ascolta, non ho tempo da perdere. Voglio andarmene in fretta da qui"
"Davvero? E' solo la centesima volta che lo dici"
"Potrebbe tornare qualcuno"
"No"
"Come lo sai?"
"Lo so e basta"
Quinn sbuffò inviperita, all'ennesimo tentativo fallito. Poi ridusse gli occhi a due fessure, giocandosi un'altra carta.
"Se mi restituisci il post-it... farò la brava per tutto il resto del tempo che passerò con te"
Un sorriso compiaciuto si dipinse sulle labbra di lui.


Ah, la mette così.
"Spiacente, ma se devo accettare un accordo, le condizioni le decido io" sussurrò con voce suadente, allungandole la lista. 
La vide corrugare la fronte, con aria interrogativa. 
"Te le farò sapere non appena mi farà comodo" aggiunse allora.
"Ti avverto: non accetterò niente che non includa l'essere vestiti, in salute e fuori dal letto!" precisò sollevando tre dita.
Alec scoppiò di nuovo a ridere, mentre la osservava borbottare e porre altri limiti raccogliendo un informe maglione blu. 
"Immagino che chiederti di darmi una mano sarebbe inutile" sbottò dopo poco, con un cassetto stracolmo di abiti tra le braccia e un ginocchio sollevato mentre barcollava cercando di tenerlo in equilibrio.
Era esilarante.
Lui scosse la testa. "Ti risulta che io sia un tipo gentile?" disse con voce morbida e beffarda, beccandosi un colorito 'fanculo che non era proprio riuscita a trattenere. Si sistemò in modo scomposto alla sedia della sua scrivania, con i piedi sul bordo e le braccia dietro la nuca, in paziente attesa.
"Non puoi andare a sfogare la tua antipatia altrove?"
"Certo che no. Prima ti riporto indietro, prima posso uscire con gli altri, e senza di me, te la prenderesti troppo comoda"
La vide fermarsi a riflettere sulle sue parole per un attimo, poi si recò in bagno dove gettò letteralmente tutto il contenuto dell'armadietto nella valigia (compresi gli antidolorifici per la spalla che la stava facendo impazzire da giorni) prima di buttarla di peso sul letto e chiudere la lunga lampo.
Gli rivolse un sorriso compiaciuto.
"Ecco fatto"
"Non sei una maniaca dell'ordine, eh?" Buon per me.
Si avviarono all'uscita e il demone gettò un'occhiata curiosa al resto della casa, che prima aveva volutamente ignorato.
Il tocco femminile era evidente, ma per nulla esagerato.
La sua attenzione si fermò sulla ragazza, non appena intravide il lampo di tristezza nei suoi occhi chiari.
Squadrava l'appartamento come se non lo riconoscesse più. Era un luogo in cui si sentiva al sicuro ed era stato violato. Fece per dirle qualcosa, ma ci ripensò. Non erano affari suoi e non doveva lasciarsi coinvolgere.


                                                                                                                       ***


Quinn camminava stancamente avanti e indietro per il grande salotto, nell'appartamento deserto.
Il suo respiro era sempre stato così rumoroso?
Tra quelle pareti candide e silenziose era l'unica cosa che riusciva a percepire.
Era notte fonda e una persona normale si sarebbe messa a dormire.
Ma lei aveva approfittato del tempo a disposizione per sistemare la sua valigia ingombrante sotto il letto, come il demone le aveva poco gentilmente ordinato di fare, e sistemare i suoi flaconi di shampoo alla camomilla in bagno e il suo bagnoschiuma alla vaniglia.
Sorrise appena, ricordando la smorfia di Alec nel comunicarle che profumava come una caramella e che a stento riusciva a controllarsi con lei nei paraggi.
Sospirò affranta riflettendo che era la prima volta, dopo anni, che conviveva con qualcuno.
Da quando lo ricordava, s
uo padre era sempre stato in viaggio e per qualche tempo il resto della famiglia si era spostata con lui. Poi aveva cominciato a lasciare a sua moglie il compito di vegliare su di lei, fermandosi stabilmente a Rhode Island e limitando le assenze a tre o quattro giorni la settimana.
Ma dopo che lei ebbe compiuto sedici anni, Hope si era trasferita con il Colonnello alla base di San Francisco, lasciando la figlia alle cure di Pam. Tuttavia, a un certo punto della giornata la donna doveva tornare alla sua vita, da suo figlio, e Quinn restava puntualmente da sola a badare a se stessa.
Non se n'era mai lamentata però. Le andava bene, e le riusciva alla perfezione.
Non le piaceva dover dipendere da qualcuno.
Per questo nell'attuale situazione si sentiva un pesce fuor d'acqua. Odiava il fatto di non poter muovere un passo fuori da quella casa, senza che un demone lo venisse a sapere.
In ugual modo però, si sentiva in debito con Alec per aver disobbedito al padre e averle risparmiato la vita.

Ergo, niente uscite in solitario, se non voglio smascherare entrambi...


Una bella rissa come si deve. Era quello che gli ci voleva per togliersi quella ragazzina dalla testa.
Ignorando i graffi e i lividi appena procurati, ordinò un altro boccale di birra.
Al suo fianco demoni di ogni taglia e razza sghignazzavano soddisfatti della missione riuscita.
Un altro clan di vampiri era stato sistemato. Sfortunatamente, non senza un considerevole numero di vittime umane di cui occuparsi. Ma quella sarebbe stata una rottura di palle esclusivamente di Dahak, perché lui non aveva il potere - o la voglia- di farlo.
Mentre ascoltava un racconto particolarmente sanguinoso di un tizio seduto a capotavola, si sentì osservato e alzò lo sguardo. Kegan lo stava fissando con insistenza dall'altra parte del locale, un bicchiere di brandy quasi finito in una mano, l'altra stretta a pugno.
"Problemi?" gli domandò quando lo raggiunse.
Quello gli fece cenno di seguirlo fuori, e raggiunsero una strada buia e deserta. Uno dei posti dove solitamente si sfogava l'adrenalina in eccesso con una dei demoni femmina del quartiere.
Alec si guardò un po' intorno, inarcando un sopracciglio. "Hai intenzione di provarci con me, K?"
"Non fare il coglione. E' ancora da te?"
Lui sbuffò di tutta risposta: ancora lei. "Sì, certo. Dove vuoi che la mandi?"
"All'inferno sarebbe un'idea"
"Lo faccio. Almeno tre volte al giorno" affermò di rimando, facendolo solo innervosire di più.
"Falla finita! Conosci tuo padre e le sue capacità. Ogni giorno spreco tutte le mie energie per impedirgli di cercare informazioni su voi due nella mia fottuta testa. E ne pago le conseguenze in battaglia" sputò Kegan, indicando la lunga ferita che recava al collo.
Era stato quasi sgozzato, quella sera. Cazzo. Alec sapeva che la prima regola di un demone era: mai scusarsi.
Ma in quel momento dovette fare violenza su se stesso per trattenere quelle parole.


Rientrò a casa in tarda mattinata sbattendo la porta d'ingresso, che per poco non si scardinò.
Si diresse con la delicatezza di un elefante al carrello degli alcolici e si versò un bicchiere di Scotch.
Una cosa che odiava di sé era che ci metteva un secolo prima di ubriacarsi a dovere, persino quando ne aveva davvero bisogno. Se lo scolò in meno di un secondo.
Poi entrò nella sua camera da letto, sapendo già di trovarla occupata. Lui e l'umana facevano i turni; praticamente lui viveva la notte e dormiva di giorno. La individuò, rannicchiata nella coltre di coperte calde, e per un attimo provò l'assurdo desiderio di raggiungerla.
Imprecò mentalmente, dandosi dell'idiota.
"Cristo, sei solo carne da macello" mormorò, passandosi una mano tra i capelli.
"Con chi stai parlando?" chiese una voce assonnata.
Una voce assonnata con un immediato effetto eccitante. Maledizione, tutto in lei gli faceva quell'effetto.
"Magari con te" sbottò a denti stretti.
Quinn ridusse gli occhi a due fessure, afferrò un cuscino e glielo tirò addosso.
Lui non si prese neanche il disturbo di sollevare le braccia per proteggersi.
"Ti ha mai detto nessuno che visione gioiosa sei la mattina?" lo schernì lei, alzandosi dal letto con passo elegante e dirigendosi in bagno.
"No" fu la replica rabbiosa. Il demone si gettò di peso sul letto, sentendolo ancora caldo e profumato di...qualcosa di dolce. Gemette.
Vaniglia.
Ma certo, lei aveva una vera ossessione per la dannata vaniglia.
Come diavolo faccio a dormire e cercare di togliermela dalla testa, immerso nel suo profumo?
Sentì il rumore dell'acqua scorrere nella doccia e la situazione non migliorò, mentre immagini dell'ultima volta che l'aveva vista coperta solo di sapone gli affioravano nella testa.


Alec si sedette al bancone in cucina, la testa tra le mani. Ma chi me l'ha fatto fare?
Se lo chiedeva spesso ultimamente, e soprattutto, se l'era sentito domandare.
Da Aud. Kegan.
Una aveva la strana abitudine di confondere il suo lavoro con quello di Cupido, il secondo amava semplicemente ricordargli che la natura demoniaca richiedeva omicidi come se fossero boccate d'ossigeno.
Quella notte, lui gli aveva espressamente chiesto di fare il suo dovere. Ucciderla.
Perché non l'avrebbe più coperto con Dahak. E questo sarebbe stato un problema.


                                                                                                                          ***


Quinn uscì dal bagno, avvolta in una nuvola di profumo. I capelli ricci attorcigliati in modo scomposto con un elastico che lasciava libere numerose ciocche bionde.
Si avviò al bancone e si versò una tazza di caffè nero, che aveva preparato da circa quattro ore, prima di addormentarsi.
Poi prese posto sullo sgabello vuoto di fronte al demone e afferrò uno dei muffin al miele dal vassoio.
Il tutto senza degnarlo di uno sguardo.
In effetti, era perfettamente cosciente degli occhi infuocati di lui fissi sulla sua figura, mentre si muoveva come se vivere lì fosse ormai un'abitudine. Non capiva se lui ne fosse infastidito o...compiaciuto.
Non riusciva a leggerlo. Il che le risultava strano, vista la professione che si era scelta.
Cercò di ignorarlo mentre si portava il dolce alla bocca e tirava un morso. Delizioso. Poi un altro. E un altro ancora.
Finché non avvertì una folata di vento alle sue spalle e notò che lui era sparito.
"Smettila di gemere a ogni fottuto boccone" le intimò, il respiro caldo le sfiorò l'orecchio.
Lei sobbalzò; la sua velocità era davvero straordinaria, constatò nuovamente. Si girò a guardarlo con aria di sfida, lottando con un'ondata di sensazioni contrastanti, che mai avrebbe voluto provare. "Altrimenti?" lo provocò.


La bocca di Alec si arricciò in un ghigno malizioso.
Fece scorrere un'occhiata languida sul suo corpo, prima di passarsi la lingua sulle labbra in modo vagamente osceno, facendola avvampare. Ah, beccata! Era troppo innocente per giocare a fare la femme fatale.
"Meglio che tu non lo sappia. Mi stanno venendo in mente migliaia di circostanze infinitamente piacevoli in cui farti ripetere certi suoni. Non ti conviene mettermi alla prova" la minacciò, suadente.
Si erano appena avventurati su un terreno pericoloso. Di nuovo. Succedeva troppo spesso ultimamente.
Ma questa volta aveva terribilmente voglia di andare fino in fondo, senza preoccuparsi di tutte le stronzate che l'avevano fatto tirare indietro in precedenza, la notte in cui era ubriaca.
Il solo ricordo di quel bacio lo fece infiammare di più, tanto che dovette portare una considerevole distanza tra loro.
Tornò in camera e si chiuse la porta alle spalle, con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra.
Riusciva a percepire le emozioni contrastanti che regnavano in lei.
Confusione. Paura. Eccitazione...


"Posso farcela" la sentì arrivare alle sue spalle. La voce flebile. Un sussurro roco.
"Come?"
"Posso sentire quello che hai da dirmi. Davvero, non sono mica una puritana o roba del genere"
Alec la squadrò ancora. Si domandò distrattamente perché avesse insistito per tornare a prendere i suoi vestiti se per dormire continuava ad indossare quella sua vecchia maglietta che, tra l'altro, le stava magnificamente.
Fissò gli occhi nei suoi, cercandovi un qualche segno di cedimento, ma niente. Continuava a sfidarlo con lo sguardo di ghiaccio, il mento sollevato, le braccia incrociate al petto.
"Come no" la stuzzicò. Voleva la stimolare la sua curiosità.Voleva che si creasse delle aspettative, che pensasse a come sarebbe potuto essere, perché lui l'aveva già fatto un miliardo di volte.
"Andiamo, sono curiosa"
"No"
"Sì" disse lei, irritata. Arrossì di nuovo, quando lui inarcò un sopracciglio davanti al suo tono deciso.
"Non credevo fossi interessata"
"Non lo sono. Vuoi farmi credere di poter fare chissà cosa, ma p
enso che tu sia solo un irrecuperabile megalomane, tutto fumo e niente arrosto" Per definizione la megalomania è uno stato psicologico caratterizzato da fantasie di onnipotenza a largo spettro che, ovviamente, quando risultava fasulla faceva crollare tutto come un castello di carte.
Quinn era stanca di sentirsi indifesa nelle grinfie di un demone, voleva far crollare il suo enorme ego. Così saremmo pari.


"Come vuoi" Alec sospirò con fare drammatico. "Vedi, qualunque cosa io intenda farti, ci condurrà inevitabilmente al sesso" la vide deglutire, ma la sua espressione continuava ad essere scettica. Ragazzina testarda.
"Un'esperienza che non reggeresti" concluse.
"E perché?" chiese sostenendo il suo sguardo coraggiosamente.
"Cercherò di spiegartelo in modo semplice...vedi,
il sesso con un demone può diventare una dipendenza"
"Una...dipendenza" ripeté sollevando un sopracciglio.

"Beh, forse non con tutti" sorrise lui "Alcuni assumono sembianze piuttosto bestiali, perché l'atto sessuale a volte provoca la trasformazione completa, sai...non è molto sexy. Per me fortunatamente non conta"
"Perché sei un mezzosangue" Era un'affermazione.
"Già" ringhiò lui, infastidito dal termine con cui era stato sempre classificato.
"Non mi sembra così tremendo" finse di liquidare la faccenda con un noncurante gesto della mano "Tanta gente ha delle dipendenze: alcol, svariate droghe, gioco d'azzardo. Probabilmente si troverebbe un rimedio anche per questo. Magari con dei cerotti come quelli alla nicotina..." scherzava, fingendosi pensierosa "A meno che tutto questo non renda le donne delle vere ninfomani, a quel punto si dovrebbe utilizzare tutta un'altra terapia..."
"Tu non capisci" mormorò con voce così profonda da farla indietreggiare lentamente contro la porta chiusa.


Alec si chinò in avanti piegando gli avambracci contro il legno, dietro di lei. Le era così vicino da sentire il calore che irradiava e il suo respiro leggero sovrastato dal rumore assordante del cuore che le pulsava nelle orecchie.
La bocca iniziò a scendere fino a toccare lievemente il suo orecchio con le labbra.
Le ginocchia le tremarono appena e fu felice che si trovasse contro una superficie solida, perché sentiva che sarebbe potuta cadere da un momento all'altro come una pera cotta e che lui non l'avrebbe afferrata al volo come se si trovassero in un ridicolo romanzetto rosa che sua madre amava leggere.
"Devi sapere che il piacere va oltre ogni immaginazione, molto al di là che con un essere umano. E' possibile che dopo non si desiderino più relazioni normali perché non sarebbero soddisfacenti allo stesso modo, tanto è intenso. Prova ad immaginarlo, dolcezza. Come se tutto il tuo essere si fondesse col mio e non esistessero più confini. Il bisogno ti penetrerebbe nella pelle, nelle ossa. Non saresti più la stessa. La tua mente apparterrebbe a me, ne avrei il pieno possesso, così da poterla manipolare a mio piacimento. Credimi, non sarebbe una passeggiata dimenticarlo. O farne a meno" fece con voce sensuale, passandole il pollice sulla guancia arrossata. 


Quinn stava praticamente iperventilando quando raggiunse il bagno. Chiuse la porta dietro di sé e vi collassò contro.
Solo ascoltando le sue parole impertinenti, la sua voce bassa e leggermente rauca, era riuscita a malapena a reggersi in piedi. Quello là fuori non poteva che essere un demone, perché ogni cosa di lui la attirava e terrorizzava allo stesso tempo. Rappresentava la tentazione perfetta.
Così aveva sempre immaginato che ci si sentisse sotto l'influenza del male.
'Posso farcela'...parole sue.
Non aveva idea del perché le avesse pronunciate, visto che ora non faceva che immaginarsi milioni di scene a luci rosse.
Da studentessa di Psicologia sapeva di doversi 'rapportare al fenomeno' per riuscire a comprenderlo a pieno, tuttavia la sua idea di analisi non prevedeva il trovarsi a letto con una creatura degli inferi.
"Accidenti" borbottò, cercando di calmare il battito impazzito del suo cuore. Si sciacquò il viso in modo frenetico, con acqua gelata, nel vano tentativo di liberarsi di quel rossore che suggeriva il suo imbarazzo.
Almeno spero che abbia pensato che fossi imbarazzata, pensò, conoscendo le sue vere sensazioni.
Attraverso la porta chiusa lo sentì ridacchiare.
Di lei. Della sua stupida reazione infantile.
Che idiota. Ho dimostrato che aveva ragione lui.
Si guardò allo specchio.
L'aveva spaventata, derisa e forzata a sopportare la vista di scene assurdamente violente, trascinandola nel suo mondo.
Era giunto il momento di una piccola, meritata vendetta.
Si diresse all'uscita, incurante della vocina nella sua testa che le urlava di non farlo. Il suo istinto di conservazione l'aveva guidata per tutta la vita, ora era arrivato il momento di dargli un gran calcio e riprendersi la sua dignità.


                                                                                                                          ***


Il demone era di spalle, accanto alla finestra, intento a tirare le tende per prepararsi a una lunga dormita.
Quinn gli si avvicinò silenziosamente, anche se sapeva bene che lui doveva averla sentita.
"Ti sei ripresa, Bambi?" la canzonò infatti, senza voltarsi.
Lei represse uno sbuffo. Doveva calarsi nella parte. Sperava solo che fosse troppo distratto per leggerle la mente. 
"Avevo solo bisogno di un attimo. Non sono abituata a sentirmi dire certe cose" sussurrò con voce calda, cercando di non apparire come una pornostar. Allungò una mano e gli sfiorò la schiena nuda, spingendolo a guardarla negli occhi.
Finalmente.
Lei fece scorrere lo sguardo sul suo petto ampio, sui fianchi stretti, sulle gambe lunghe.
"Ma non significa che non abbia voglia di sperimentarle" aggiunse maliziosa. Sfacciata.  
"Insomma, visto che devo restare qui...per un pò"
Lo vide corrugare la fronte, prima che potesse smorzare il suo entusiasmo con una frase antipatica delle sue, allargò le mani sul suo petto, e lo vide dilatare lievemente le pupille. Indugiò sulle cicatrici e sull'ombelico, tracciò un cerchio, e si spostò verso il basso.
Procedette in silenzio, sentendo le gote andare a fuoco. Ma non le importava. Quella era la sua rivincita, doveva godersela.
"Sai, tu mi preoccupi" gli disse con dolcezza, schernendolo con le sue stesse parole, mentre si avvicinava per guardarlo negli occhi.
"Perché?"
Oh, chissà come mai ha quella voce soffocata, pensò deliziata.
Fece spallucce. "Hai smesso di parlare. Non è da te"


Doveva restare in bagno, a pregare che quell'incubo finisse il più presto possibile, pensando a quanto lui fosse pericoloso e bugiardo. Invece eccola lì, a tentare di sedurlo.
Con gli occhi ipnotizzati dal suo collo, Alec si passò la lingua sui canini.
Quando gli si sono allungati? pensò distrattamente, colta dall'improvviso timore che potesse farle del male.
Sospirò cercando di calmarsi, senza perdere di vista lo scopo di tutta quella commedia.
"Riesco a vedere la tua pulsazione" le disse affannoso.
Quinn si sollevò in punta di piedi; il suo respiro caldo gli accarezzò l'orecchio e il suo corpo lo sfiorò attraverso la stoffa.
Lo vide attendere dubbioso, probabilmente incapace di indovinare la sua mossa successiva.
Non sapeva da dove venisse quell'atteggiamento spavaldo, ma non c'erano dubbi sull'eccitazione che gli procurava. 
"Allora concentrati su qualcos'altro" rispose lei suadente, strappandogli una risata roca.
"Con piacere, piccola" mormorò.


Lentamente, un po' per volta, le scostò i capelli dal viso.
Il suo tocco era delicato, quasi un soffio sulla pelle della ragazza.
Nonostante questo però, le terminazioni nervose di Quinn diventarono gelatina e lei rabbrividì. Non di disgusto o paura, purtroppo. I suoi sospiri spezzati, bruschi, le sfiorarono la pelle mentre la toccava; e all'improvviso qualcosa sembrò rompersi dentro di lui.
Le pareti che l'avevano trattenuto crollarono miseramente e si trovò le sue mani sulla vita per portarla più vicina, il calore del suo corpo che filtrava dentro di lei.
Poi la sua bocca morbida che le divorava lo zigomo, la mascella, la gola, tracciando un percorso incandescente.
Finché non la baciò.
La sua bocca doveva essere l'unica parte morbida di lui. Soda, certo, e irresistibile, anziché esigente e
dura.
Seducente. Capace di coinvolgerla in una danza lenta e lieve, di annientare il suo buonsenso leccandola, mordicchiandola, succhiandola poco alla volta e facendo saettare la lingua bollente tra le sue labbra.
Il suo sapore la invase come una droga inebriante, Quinn mugolò, ma lui soffocò quel rumore con le labbra e tenendole la testa con entrambe le mani, gliela fece inclinare come voleva.
Istintivamente lei portò le braccia attorno al suo collo, quasi volesse fondersi con il demone, completamente su di giri.


Non aveva mai provato nulla di così meraviglioso.
Il suo profumo l'avvolgeva, incendiandole il sangue, e le arrivava fino alle ossa, scatenando ogni tipo di esigenza.
Una vampata di calore intenso e pulsante la percorse. Il piacere che si propagò in lei, fu quasi scioccante nella sua violenza; una libidine allo stato puro che si abbatté sul suo autocontrollo. 
E si stavano solo baciando.
Aveva ragione lui: era più intenso con un demone che con chiunque altro.
Era come se la sua mente fosse miracolosamente vuota, tranne per la consapevolezza di non essersi mai sentita così prima: come se corpo e anima fossero concentrati sulla stessa cosa.
Lui.
Era il più potente afrodisiaco del mondo. Da consigliare.
Si scostò da lei, per permetterle di riprendere fiato un secondo, prima di attirarla con forza contro di sé e baciarla ancora. Un delicato, possessivo incontro di labbra che la lasciò di nuovo senza respiro e senza forze.
Poi premette una coscia muscolosa tra quelle di Quinn.
Le mani scesero sui suoi fianchi e la tennero ferma, mentre si muoveva lentamente contro di lei.
In genere, quando una donna diceva di un uomo che era caldo, parlava metaforicamente. Alec, invece, emanava calore in senso letterale; non sarebbe rimasta sorpresa se si fosse trovata addosso i segni delle sue dita impressi a fuoco.


Quando la lasciò andare, passione e una smania primitiva e qualcosa di ancora più oscuro si annidavano nei suoi occhi, ma quello che la lasciò senza fiato fu il colore. Prima erano splendenti, grigio-verdi e spettacolari nella loro unicità.
Come sempre.
Ora erano neri. Ipnotici, spaventosi.
Lo stomaco di Quinn fu attraversato da un fremito e, stordita dal piacere, lasciò che la sua paura la spingesse ad allontanarsi di scatto dal demone, come scottata.
"Visto? Ancora perfettamente in me" la voce tremolante la tradì, così cerco di ricomporsi "Scusa, ma le possibilità che quello che vuoi accada sono prossime allo zero!" scherzò, mascherando la tensione. Vigliacca. 
"Vipera" le sussurrò lui, un'ombra di sorriso sulle labbra, prima di gettarsi sul letto con un tonfo, respirando forte.
L'ho fregato, pensò osservando il suo petto sollevarsi e abbassarsi velocemente al ritmo del suo respiro affannoso, i muscoli dell'addome tesi e la mascella contratta.
O forse lui aveva fregato lei, dato il tremore che l'aveva colta quando il contatto con il suo corpo si era interrotto.



Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11: Troubles ***


Capitolo 11: Troubles





Mezzanotte e cinquantadue.
Controllava l'ora ogni cinque minuti, mordicchiandosi il labbro inferiore nervosamente. Lui non era più uscito dalla camera da letto dalle sei del pomeriggio.
Quanto sarebbe stato prudente piombare in camera da letto e svegliarlo, dopo quanto era successo tra loro?
Sebbene non l'avesse forzata a fare nulla contro la sua volontà, non riusciva a non pensare che avrebbe potuto piegarla facilmente, se solo l'avesse voluto. Dopotutto, la sua era una natura maligna.
Ripensò ai suoi occhi neri, selvaggi, e rabbrividì.
Niente più giochetti, si ordinò mentalmente. Non posso, non con un demone.


Quinn sbadigliò, più di noia che di sonno. Spense la tv in soggiorno e si diresse a piccoli passi verso la porta in legno massiccio, sostando sull'uscio, aperto abbastanza da permetterle di sbirciare all'interno. 
Alec era ancora a torso nudo, sembrava seriamente esausto, sdraiato in modo scomposto sul letto, le coperte erano state gettate sul pavimento. Quinn rabbrividì.
C'erano zero gradi fuori, lei aveva addosso un maglione pesante sopra la sua maglietta rossa e i jeans, e quello se ne stava mezzo nudo in una stanza gelata?


La luce del soggiorno filtrò attraverso lo spiraglio e illuminò lievemente la figura addormentata.
Quinn individuò le numerose cicatrici che gli solcavano la pelle liscia della schiena, la maggior parte erano appena rosate, tranne una, posta proprio al centro. Aveva l'impressione che fosse più vecchia delle altre, eppure il suo aspetto era peggiore.
Sembrava la ferita di un coltello, ma aveva un diametro più grande, come se qualcuno avesse rigirato la lama più volte.
Doveva essere molto profonda...e doveva aver fatto un mal atroce.
La ragazza distolse lo sguardo per un attimo, poi lo riportò su di lui.
Quando dormiva perdeva quell'aria pericolosa che possedeva normalmente, e lei non poté fare a meno di pensare che quell'uomo la sconvolgeva da morire.
Con un sorriso sognante si passò le dita sulla bocca. Era una fortuna che Alec l'avesse spaventata, quella mattina: ancora qualche secondo di quel bacio devastante e gli avrebbe consentito di fare tutte le cose perverse che aveva in mente.
Dandosi della pazza, aprì ulteriormente la porta e si preparò a svegliarlo nel modo più indolore possibile.
Non stuzzicare il cane che dorme...vale lo stesso per i demoni?
Mancava meno di un passo quando, con un movimento repentino, tese un braccio nudo verso di lei, per afferrarla.
La ragazza venne schiacciata dal suo corpo muscoloso contro il materasso.


Alec era perfettamente cosciente della presenza di lei alle sue spalle.
Si era svegliato circa due ore prima, aveva passato la successiva mezz'ora sotto la doccia e poi si era ributtato sul letto, incapace di raggiungerla in salotto senza lasciarsi trasportare dagli ormoni.
La osservò arrossire furiosamente, serrare le labbra indignata e afferrare un cuscino per colpirlo.
"Che diavolo stai facendo?" esclamò sconvolta, presa alla sprovvista.
Lui lasciò scorrere lo sguardo sul suo corpo, avvolto in quegli abiti pesanti, con aria contrariata.
L'avrebbe decisamente preferita nuda. 
Le prese il cuscino dalle mani e lo gettò con forza contro la parete retrostante.
"Ehi, calmati piccola! Cos'è tutta questa riluttanza? Dopo quello che è successo tra noi..." le mormorò fingendosi ferito, abbassando la testa fino a raggiungere il suo orecchio. Avvertì dei brividi percorrerla e sorrise soddisfatto. 
"Smettila! Lasciami andare, stupido...mostro!" sbraitò cercando di divincolarsi. La sua presa era lieve ma ferma, e lei non riusciva ad uscire da quella gabbia di pelle e calore. 
"Mmh, non dirmi che ti sei pentita"
La vide fermarsi per un attimo ed inspirare bruscamente. Risparmiava forze per cercare di scappare di nuovo.
"Era solo...un esperimento il mio"
Sollevò un angolo della bocca, trattenendo una risata. "Ma davvero?"
"Già. E non è neanche riuscito, quindi..."
"Ah no? Beh, allora mi costringi a farti cambiare idea. Sai, ne va della mia reputazione"
"Ma di che parli? Lasciami!" lo incalzò Quinn, riprendendo a scansarlo, cercando di mettersi seduta. Con le mani sulle sue spalle, Alec la spinse nuovamente giù e sogghignò. "Non sfidarmi"


Aveva studiato la sua espressione, dopo il loro bacio:  le labbra erano rosse, umide e gonfie e lei vi passava la lingua come per assaporare quel che restava del suo gusto.
Gli aveva mentito, mostrandosi pronta per lui.
E poi gli aveva mentito ancora, fingendosi distaccata.
"Non..."
Qualunque fosse l'obiezione, il demone la troncò alla propria maniera. Le labbra bollenti si posarono sulle sue, sfiorandole appena.
Stuzzicandola per poi ritrarsi, in modo da permetterle di voltarsi per evitare il contatto. Lei non lo fece.
Le scivolò addosso, pur sentendo le mani della ragazza tentare qualche resistenza. Infastidito, le afferrò i polsi e glieli tirò sopra la testa, bloccandoli contro il cuscino. Aveva il respiro grosso, il suo corpo oscillava e si strofinava su quello di lei.
"Ricordi quando hai detto che avresti fatto la brava, se ti avessi restituito la tua preziosa lista? Devo ancora dettare le mie condizioni" le ricordò suadente. La vide spalancare gli occhi, immaginando cosa le avrebbe ordinato di fare.
Avvertì la sua agitazione, la delusione, l'attesa dell'umiliazione.
La bocca di lui si aprì in un sorriso indolente.
Come se avesse voluto farle del male dopo aver rischiato il culo per salvarle la pelle...
"Rilassati. Voglio solo che tu stia ferma"


Lentamente, chinò il capo e pretese ancora la sua bocca, le succhiò il labbro inferiore e lo prese fra i denti mentre le accarezzava la schiena, poi le passò l'altra mano sulla curva dei fianchi e la sentì abbandonarsi contro di lui, intrecciare la lingua alla sua, attirandolo più vicino e passandogli le mani sulle spalle. Finalmente.
Il suo tocco si spostò più giù, oltre la stoffa dei pantaloni, dove il suo ampio palmo e le lunghe dita emanavano un intenso calore. Il battito di Quinn accelerò quando le afferrò la nuca con l'altra mano, inchiodando i loro sguardi, accarezzandole con il pollice la sensibile pelle dietro l'orecchio.
Alec poteva vedere la sua eccitazione nella vena che pulsava rapida alla base del collo delicato, vibrava di vita e l'effetto che questo esercitava su di lui era inebriante. Lei s'inarcò sotto il suo assalto, come se fosse stata attraversata da una scossa elettrica e un gemito di sorpresa le uscì dal petto.
Avido di ogni singola parte di lei, si chinò per catturarle nuovamente le labbra, ma qualcosa lo frenò.
"No. Cazzo" ringhiò, appoggiando la fronte a quella di lei. Non adesso, non adesso. Sentì le tempie battere per il nervoso.
"C-Cosa?" 
"C'è qualcuno alla porta" mugugnò affannoso, cingendole la vita con le braccia e vezzeggiandola con un gesto lento e suadente, per nulla intenzionato a lasciarla.
Quinn spalancò gli occhi, probabilmente rendendosi conto di quanto stesse facendo, e lo spinse via.
Stavolta lui non oppose resistenza. Rotolò accanto a lei, sbuffando e imprecando contro il malcapitato che in quell'istante bussò alla porta d'ingresso.


L'odore penetrante del sangue demoniaco lo colpì ancora prima che la rabbia ribollisse nelle sue vene.
"Hanno attaccato il locale Fahrenheit" l'accolse la voce profonda e nervosa di Kegan.
Barcollava appena e dalla gamba destra, che presentava uno squarcio dalla coscia fin sopra il ginocchio, fuoriusciva copiosamente un liquido nero.
Alec lo fissò per un secondo, cercando di mettere insieme un ragionamento coerente che non lo facesse andare in bestia.
Gli allungò una confezione di sangue, per rimetterlo in forze, senza ricevere nemmeno un cenno di ringraziamento.
"Chi erano?"
"Secondo te?" domandò scorbutico, mostrandogli segni di morsi sull'avambraccio.
Vampiri.
"Quelli della tana?"
"Non lo so. Lavoravano per un demone, comunque. Ho visto il marchio"
Solitamente i demoni di alto livello marchiavano tutti i loro 'dipendenti', come se fossero loro proprietà, come indicazione per i nemici. Chiunque fosse il loro padrone, si era dato da fare con i traffici umani per distogliere l'attenzione dal rito di risveglio di Thren, quindi se lui fosse riuscito a trovarlo, avrebbe cominciato a capire qualcosa di più di tutta la storia.
"Stavano cercando lei. Non l'hanno detto, ma lo so" proseguì l'altro.
"Prega che non ti abbiano seguito"
Kegan balzò in piedi e lo spinse contro il muro, piantandogli un gomito sulla gola.
"E' questo tutto quello che ti interessa? Che la trovino qui?" urlò, mentre i suoi lineamenti iniziavano a mutare.
La pelle scura si tirava e deformava la sua fronte, mentre le punte arrotondate delle corna spingevano per emergere.
Fantastico.


Con uno sforzo considerevole che non diede a vedere, Alec riuscì a spingerlo via, facendolo atterrare sul tavolo di legno che si spezzò sotto il suo peso, come se fosse fatto di vetro.
Il demone si sollevò, rivelando le sue corna rosse in tutta la loro grandiosità.
Kegan gli balzò addosso, atterrandolo con un pugno e bloccandolo contro il pavimento, gli artigli conficcati nella gola e in una spalla, strappandogli la maglietta grigia che aveva indossato.
"Rilassati K. Non voglio che arrivino a me. L'ultima volta mi hanno quasi ammazzato. L'umana non c'entra" mentì, cercando di farlo ragionare. Di solito funzionava.
Si era trovato spesso in situazioni simili, sopraffatto dall'amico, senza voler reagire.
Essendo figlio di un Signore dei demoni, anche come mezzosangue la sua trasformazione lo avrebbe reso più potente di Kegan, ma non intendeva ferirlo, così si limitava a sdrammatizzare finché lui non si calmava.
La presa sulla gola sparì, e dopo un minuto il demone gli offrì la mano, riluttante.
"Spiegati" sputò con astio.
Sputtanamento in arrivo fra tre, due, uno...


"Quella missione che mi ha affidato Dahak...si è rivelata un tantino più complicata del previsto. Ho incontrato Zane. A quanto pare lui è interessato a questa storia dei traffici" spiegò, sdraiandosi sul divano, mentre K si accomodava sulla poltrona. Distrattamente pensò che sembravano uno strizzacervelli e il suo paziente.
"Hai combattuto con Zane" dedusse l'altro.
"Sì, amico. Mi ha fatto vedere le stelle, ma poi me ne sono liberato"
K sollevò un sopracciglio.
"E'  la verità, brutto miscredente infedele!" lo riprese allora, offeso.
Quello lo guardò truce, puntandogli l'indice contro. "Ti avevo detto che era roba da squadra"
Eccolo che comincia. "Quasi mi piaci di più quando cerchi di ammazzarmi" grugnì contrariato.
Un silenzio colmo di rancore calò su di loro. "Per questo hai mandato la tua sguarldrina a darmi ordini. Eri ferito"
Già, si era quasi dimenticato di Aud. "Io non ho mandato proprio nessuno. Ero privo di sensi"

"Te la sei cercata"
Stronzo. "Grazie"


"In ogni caso, sai che non si fermeranno qui. Continueranno a cercarla" continuò K, tornando al vecchio argomento con disinvoltura disarmante.
"E tu lasciali venire. So che non è Zane a darsi da fare per far risvegliare il paparino, altrimenti non avrebbe intercettato quei vampiri. Voglio sapere chi c'è dietro e posso scoprirlo solo continuando a tenerla in vita"
"Così ci metti tutti nei casini. Da quando l'hai liberata, c'è da combattere un giorno sì e l'altro pure" l'ammonì l'altro.
Alec scrollò le spalle "E non lo trovi elettrizzante?" scherzò, cercando di allentare la tensione.
"Non se mi farà finire sottoterra prima del tempo" borbottò Kegan, inchiodandolo con lo sguardo "Ti avverto: un'altra serata così, e quella sparisce. Non m'importa in che modo la prenderai, ma succederà"
Alec serrò la mascella, avvertendo la rabbia inondare i suoi neuroni. Brutta storia, davvero. "E' una minaccia?"
"Una promessa, direi. Lo so che è l'unico esemplare della tua razza, seppur alla lontana, ma noi non possiamo rischiare più di così. Fai quello che devi con lei, se proprio ci tieni, ma poi liberatene. Sul serio" sibilò, prima di andarsene sbattendo la porta.
Stavolta avrebbe tenuto fede alla promessa, ne era certo.
I guai non vengono mai da soli. Prima la sua umanità latente che lo mandava fuori di testa per Quinn e ora quello.
Alec aveva scelto tanto tempo prima da che parte stare, e sapeva di dover tornare ad essere se stesso.
Non posso mollare tutto adesso.


"Se n'è andato?" gli domandò la voce soffice alle sue spalle, facendolo irrigidire. Non per una donna, comunque.
"Sì" fu la risposta stentata.
"Che è successo al tavolo?"
"Niente" Non voltarti. Non guardarla.
"Oh, certo. Anche tutti i rumori di prima erano niente?"
"Esatto"
La sentì sbuffare e la immaginò con l'aria seccata, il broncio e le braccia incrociate al petto.
"Credevo che foste amici" udì il suo borbottio sommesso.
Gli venne da ridere. Avevano una differente idea del concetto di amicizia, tra i demoni era a malapena sinonimo di lealtà in battaglia. Per gli umani...era molto di più.
"Lo siamo" rispose controvoglia, ruotando la spalla per distendere i muscoli contratti.

Quando, facendo violenza su se stesso, si girò nella sua direzione, constatò che la sua immaginazione non aveva fatto un buco nell'acqua. Quinn se ne stava appoggiata allo stipite della porta, con la sua larga maglietta rossa che le faceva da camicia da notte, la stessa che lui avrebbe voluto strapparle via, e l'espressione corrucciata sul volto.
Ho bisogno di uscire.
Uccidere.
Cercarmi una femmina.
La vide trasalire e avvicinarsi a passi silenziosi, e quando sollevò una mano per sfiorarlo, le bloccò il polso a mezz'aria ed emise una specie di sibilo. Non avrebbe tollerato il suo tocco.
"Il tuo labbro... sta sanguinando" sussurrò Quinn, per giustificare il gesto.
Osservandola arrossire, Alec deglutì rumorosamente, sentendo il suo stomaco sobbalzare.
"Sto bene" dichiarò con voce affannosa.
Si specchiò in quegli occhi terribilmente magnetici e come se fosse il polo opposto, si ritrovò a chinarsi su di lei.
'Noi non possiamo rischiare più di così', le parole di K gli balenarono nella mente facendolo ritrarre.
Espirò, cercando di respingere l'ondata di eccitazione e si smaterializzò.



Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12: Escape ***


Capitolo 12: Escape





Quinn osservò confusa il punto in cui lui era scomparso poco prima.
Quando l'aveva visto fissarle le labbra, era stata tentata di chiudere gli occhi e invitarlo a procedere. Che deficiente totale!  
Sicuramente lui non aspettava altro che la sua resa per umiliarla.
Era un demone, non doveva dimenticarlo mai e per quanto la stesse aiutando, non era certo lei il vero motivo.
Voleva solo fermare i nemici, servendosi del potere che lei esercitava. Se avesse potuto, se ne sarebbe andata all'istante.
Alec le aveva ricordato più volte che non sarebbe stata capace di riconoscere il pericolo, tornando alla sua vita, e sarebbe durata pochi secondi. Lei aveva sbuffato, ma in fondo era convinta che avesse ragione.
Ne sarebbe mai uscita del tutto? Illesa, magari? Forse era pretendere troppo.
Aveva origliato la conversazione tra i due demoni. Il tizio di nome Kegan l'avrebbe uccisa. E la cosa che l'atterriva di più era sapere che Alec non avrebbe fatto nulla per impedirlo. Non avrebbe potuto salvarla di nuovo.
Doveva trovare il modo di farlo da sola. Se sapessi come...
A malincuore s'infilò a letto, rifugiandosi tra le coperte calde come se fossero un sacco a pelo.
Cercò invano di non inalare il profumo maschile presente sul cuscino e quando fallì, lo afferrò e lo gettò via, imitando il gesto del demone. "Accidenti a lui" borbottò tra sé.
Non gli avrebbe permesso di insinuarsi nei suoi sogni. Per niente al mondo. La notte porta consiglio, dunque concentrandosi sul problema, con un pò di fortuna, la mattina dopo si sarebbe svegliata con la soluzione in tasca.
Sbadigliò, domandandosi quando fosse diventata così ottimista.
Pian piano cominciò a calmarsi, si lasciò cullare tra le braccia di Morfeo, sperando di ritrovarsi in un luogo diverso, in una vita piatta e patetica come quella di cui si lamentava da sempre.


                                                                                                                               ***


Avvertì il tocco di una mano calda sulla gamba. Una carezza delicata, appena accennata.
Risalì lentamente dal polpaccio alla coscia, morbida e leggera come una piuma. Era piacevole...allora perché le metteva agitazione? Si rigirò nervosamente tra le coperte, un lieve sudore le ricoprì la fronte.
La mano invisibile le afferrò l'orlo della maglietta e la sollevò procedendo a piccoli passi, finché non si ritrovò nuda dalla vita in su. L'aria fresca le soffiò sulla pelle facendola rabbrividire. Nel sonno non riusciva a distinguere la persona accanto a lei, che continuava ad accarezzarla, prendendo poi a sovrastarla. Qualcosa le sfiorò il collo. Bollente. Umido.
La sensazione di soddisfazione era a un soffio da lei, l'anticipazione del piacere un desiderio ardente.
Tutto quello che doveva fare era lasciarsi trasportare dal sogno. Ma non ci riusciva. Mugolò infastidita.
Non era un tocco familiare. Non era quel pervertito di Alec, aveva un profumo diverso.
Cercò di scostarsi, ma il peso non scomparve.
Facendo appello a tutte le sue forze, si concentrò per tornare alla realtà, come faceva sempre quando aveva un incubo spaventoso da cui non riusciva ad evadere.
Quinn sbattè le palpebre più volte, ancora assonnata, prima di sollevarle del tutto e mettere a fuoco.
Oh mio Dio!
Non era un sogno. C'era davvero qualcuno sopra di lei.
Solo che non si appoggiava sul suo corpo come pensava, levitava nell'aria, a pochi centimetri di distanza da lei.
I tratti delicati, i capelli scuri e quel fascino che traspariva dalla sua espressione, le suggerirono la sua natura.
Perfino ai suoi occhi inesperti era chiaro che non si trattava di una creatura angelica: era un demone anche lui, per quanto fosse attraente, lo sapeva per certo. 
"Rilassati" sussurrò l'uomo con voce profonda, rivolgendole un sorriso lento e seducente "Non hai niente da temere da me. Io so dare solo piacere" confidò allungando una mano su di lei.
Furia e terrore, dolore e frustrazione le infusero forza e coraggio sufficienti a prenderlo a pugni.
Gli piantò un gancio destro dritto sul naso.
Lo vide trasalire, confuso, mentre si portava una mano sul punto dolente, poi sul suo viso si disegnò una smorfia maliziosa e minacciosa allo stesso tempo che la spaventò sul serio.
Così urlò con tutto il fiato che aveva in gola finché quello non sbatté la schiena contro la parete di fronte, le mani rosse di sangue. Poi imprecò e scomparve, lasciandola sola.


Nello stesso momento la serratura all'ingresso scattò e quando la porta si aprì alla luce del corridoio, lei distinse solo una figura imponente e scura, così serrò le palpebre riprendendo a strillare più forte.
"Ehi, ma cosa..." fece una voce maschile, dal tono sorpreso. Quando avvertì qualcuno avvicinarsi e sfiorarle le spalle, saltò in piedi e attraversò la stanza di corsa, sistemandosi vicino alla porta chiusa della camera, respirando affannosamente. Cercò a tentoni la maniglia e quando la trovò, iniziò a strattonarla con furia, senza alcun risultato.
Una mano si posò sul suo polso, facendola trasalire e spingendola a ritrarsi in fretta con un rantolo. Aveva la gola in fiamme e le lacrime agli occhi. Non sapeva che altro fare se non prendere fiato e addossarsi più che poteva alla parete legnosa.
Poi, con l'ausilio della debole luce, riconobbe davanti a lei la sagoma quasi rassicurante di Alec.
Avrebbe voluto ricordarsi dove fosse l'interruttore. Era stanca dell'oscurità.
"Si può sapere che diavolo ti prende?" le fece il demone, rude. Come se avesse letto nella sua mente, le luci tornarono
gradualmente nella stanza, come se ci fosse un regolatore d'intensità.
NullaHo solo perso dieci anni di vita.
"Quinn?" la sua voce roca la riportò alla realtà. Cosa ha chiesto?
"Ah, niente...io sto bene" disse incerta, mentre lo guardava avvicinarsi con passi lenti, quasi non volesse spaventarla ulteriormente. Poi si guardò intorno, paonazza. Terribilmente a disagio.
"Quindi...scusa" esclamò, stringendosi nelle braccia e tentando di indietreggiare con scarsi risultati.
"No, fermati" le ordinò lui afferrandola per l'avambraccio, senza farle alcun male.

"Vieni qui" continuò, portandola contro di sé. L'osservò attentamente, con uno sguardo freddo e impersonale. Lei capì che la stava studiando per capire in che condizioni fosse.


"Che è successo? E smettila di dire che stai bene, perché lo so che è una stronzata. Stai tremando" sembrò accusarla, con una nota preoccupata nella voce. Avrebbe preferito che non ci fosse, ma ormai era andata. Non aveva potuto farne a meno.
Esattamente come quella notte non aveva potuto impedire alla sua mente ottusa di far balenare l'immagine di lei, accaldata e arrendevole sotto di lui, mentre si divertiva con un'altra.
La vide abbassare lo sguardo sul pavimento e fissò la macchia rossa che risaltava sul legno chiaro. Sangue.
Non era di Quinn, aveva un odore differente. Qualcuno era riuscito a penetrare in casa sua. Cattivo segno.
"Io...ho aggredito un demone, credo"
"Cosa?" Impossibile.
"Sì. Lui era tipo...sopra di me e credevo di...sì insomma, di essere nuda, poi mi sono svegliata ed ero vestita, in effetti, però..."
"Shh, respira" le sussurrò lui. La spinse a sedersi sulla sponda del letto, poi si abbassò alla sua altezza.
"Tu non capisci. Quel...coso, stava fluttuando e facendo delle cose..." esclamò dopo aver ripreso fiato, sventolando le braccia e gesticolando furiosamente.
Sarà capace di farle ancora per poco, pensò il demone senza riflettere.
Nel tentativo di darle conforto e di fermare quei tremiti terribili e irrefrenabili, lui sollevò una mano e la posò gentile sulla sua guancia morbida, bollente.
Ma non dovevo prendere le stramaledette distanze?
"Probabilmente era un incubo" soffiò, rincuorandosi. Niente di ingestibile.
Era abbastanza normale che un'umana fosse capace di colpirlo senza farsi troppo male. Gli incubi non ricevevano addestramento, a meno che non venisse richiesto specificatamente.
"No. Era reale!" Alec sogghignò, osservando il suo petto alzarsi e abbassarsi velocemente.
"Non quel genere di incubo, piccola. E' un tipo di demone" Un demone morto, aggiunse tra sé.
"Ah"
"Comunque è praticamente innocuo, a meno che qualche sogno erotico non ti faccia male"
La vide sgranare gli occhi. "E' questo che stava facendo? Mi ha spaventata a morte, cavolo!"
"Già, chissà perché. Di solito gli umani lo trovano piacevole" ammise senza pensarci. Tranne al momento del risveglio, quando si ritrovano con l'energia vitale dimezzata. Ma non era il caso di parlargliene, visto che lo stava già guardando malissimo. 


Quinn respirò a fondo per qualche minuto, finché non smise di girarle la testa.
Lui aveva ancora la mano sulla sua guancia e di tanto in tanto l'accarezzava con il pollice. Continuava a studiarla senza dire niente. Sembrava quasi dolce in quel momento, tanto che si domandò se non avesse un fratello gemello umano imbavagliato da qualche parte, che tirava fuori solo quando gli faceva comodo. Scosse la testa, dandosi della stupida. Sono troppo agitata.
Anche i miei pensieri ne risentono.

Non aveva neanche idea di che ora fosse: se era lui rientrato doveva essere già mattina.
Con un certo sforzo che non le passò inosservato, si scostò dal demone e raccolse le ultime briciole di dignità rimasta, sollevandosi senza barcollare, mentre si passava nervosamente le mani tra i capelli.
"Ok. Ora sto davvero bene. Puoi...metterti a dormire tranquillo" farfugliò indicando il letto disfatto. Si era alzata così in fretta che le coperte erano completamente saltate via. Ma tanto lui non le usava mai.
Gettò un'occhiata alla maglietta leggera che indossava il demone e che aveva rapidamente raggiunto il pavimento. Così ruppe il silenzio per prima con la solita mossa che faceva quando era a disagio: cambiò completamente argomento.
"Non hai mai freddo?" esordì, dandosi dell'imbecille un milione di volte, subito dopo.
Che razza di domanda idiota.
Sono da curare.


Lo osservò inarcare un sopracciglio, divertito da quell'uscita infelice. Prese a liberarsi dei pugnali che aveva assicurato al petto, mentre parlava. "Noi demoni soffriamo solo le temperature più estreme. Penso che in Antartide avrei dei problemi"
"Ma certo, è ovvio. Voi guarite da soli, non sentite caldo o freddo, entrate nella mente della gente..."
"Nessuno guarisce da solo, genio. E' il sangue che ci fa quest'effetto" la interruppe, parlandole come se fosse una bambina.
Ok. Fermi tutti.
"Tu bevi sangue? Io...credevo che fosse una prerogativa dei vampiri" lo interrogò, ancora sorpresa che lui la stesse assecondando, rispondendo ad ogni assurdità le passasse per la testa. Lo faceva per distrarla? C'era riuscito fin troppo.
Santo cielo. Quindi non mi prendeva in giro quando parlava della mia pulsazione.
Ed ecco spiegata anche la scorta nel freezer
Che.schifo.
"Non me ne servo per vivere come loro, ma lo uso" minimizzò, sfilandosi la cintura dai pantaloni. Quel gesto le rammentò la sua idea di farsi una doccia. Fredda, gelata. E ora distogli lo sguardo, Taylor.
"Non pensarci nemmeno" disse lui, passandole accanto. Si avvicinò così tanto da addossarla alla porta.
"D-Di che parli?" 
"La doccia. Prima io. A meno che tu non voglia farla in compagnia, personalmente non ho niente in contrario" 
Oh. Meglio non rispondere.
"Se ti chiedessi di stare fuori dalla mia testa, lo faresti?" gli domandò, con finta dolcezza, stringendo i pugni lungo i fianchi.
"Non credo"
"Ne ero certa. Puoi almeno spiegarmi come fai a comportarti così?" 
Lui inclinò il capo stringendo gli occhi, come a voler afferrare il concetto.
"Un momento riesci ad essere così" dolce, premuroso "umano. E quello dopo torni ad essere" un demone "uno stronzo!"
"Ah, quello. Credo di essere un po' lunatico" affermò con un'ombra di sorriso sulle labbra. Suo malgrado, Quinn si ritrovò ad arricciare le labbra per evitare di ridere. Bisognava ammetterlo: quell'uomo sapeva far tornare il buonumore.
"Faccio in fretta" le disse, facendole l'occhiolino e sparendo dietro la porta.


                                                                                                                             ***


Passarono quattro giorni prima che Dahak lo convocasse. Q
uattro giorni durante i quali si sforzò di non fare a pezzi Kegan per aver ceduto all'influenza di suo padre. Era una certezza, ormai, lui era un dannato demone di parola. 
Alec attraversò a grandi passi le porte principali della tenuta nello stesso modo in cui era entrato sempre, senza parlare ad anima viva, per poi dirigersi in un solo posto. La sala principale. 
L'aria era densa del tanfo disgustoso del terrore di qualcuno, così palpabile che riusciva ad avvertirne il sapore sulla lingua.
"Signore" disse chinando il capo. Come sempre, il padre iniziò a parlare con tono minaccioso e irato.
"Ho sentito degli ultimi attacchi da parte dei succhiasangue. Non sono affatto soddisfatto"
"Di me?"
"Quello è scontato" lo schernì, scrocchiandosi le lunghe dita ossute. Sospirò. "Naturalmente preferirei che tu non mi avessi mentito. Tuttavia devo ammettere che i motivi che ti hanno spinto ad agire in questo modo, sono validi"
Alec s'irrigidì. La tranquillità con cui pronunciò quelle parole era pericolosa. Significava che l'offesa era stata grande.
"Ti assicuro che fa tutto parte di un piano. Ho solo pensato che la tua richiesta non fosse..."
"Ponderata?" Già.
"So in che modo tenerla in vita possa tornarci utile. Mi domando solo chi diavolo pensi di essere per mettere in discussione un mio ordine" Lui strinse i pugni lungo i fianchi, teso.
"Assolutamente nessuno" ringhiò, esternando la rabbia in un borbottio sommesso. Alzò appena lo sguardo, giusto in tempo per vederlo annuire compiaciuto dalla sua ammissione.
"Immagino che l'umana sia sotto la tua...tutela" domandò con disprezzo malcelato, fissandolo con i suoi occhi vuoti.
"Sì. Lasciandola nelle celle rintracciarla sarebbe stato troppo facile e qualche demone troppo tentato di tradirci"
"Bene"


Bene?
"Avevo capito che fossi contrariato dal modo in cui ho gestito la cosa" fece lui, ironico. 'Contrariato' era un puro eufemismo.
"E' così, infatti. Ma so per certo che numerosi clan stanno escogitando diversi tentativi di impossessarsi del sacrificio umano che risveglierà Thren, sperando di conquistare la sua lealtà e salire di grado" spiegò con voce spaventosamente calma.
"Dunque devono essere eliminati"
Ma dai! "Cosa vuoi che faccia?"
"Ero seriamente convinto di averlo già detto"
Colpito e affondato.

"Suppongo che tenere l'umana con noi, aiuterà a sterminare molti di loro" sibilò lentamente "Per ora tienila d'occhio da vicino. Sarà questo il tuo incarico primario, ma continuerai a gestire le missioni che ti ho affidato" gli lanciò un'occhiata di biasimo.
"Dovrei farle da balia?" domandò quasi schifato, sperando che fosse uno scherzo crudele.
Non poteva, doveva allontanarla da sé, non il contrario.
"Non fingere che ti dispiaccia"
Alec non replicò.
"Ti avverto che nessun altro demone ti aiuterà. Li ho già impiegati altrove. Inoltre, dovresti sapere che ti ho eliminato dalla sfera protettiva. E' ora che tu ti assuma le tue responsabilità, ragazzo"
Un minuto dopo Alec era inginocchiato in una piccola pozza di sangue che continuava ad allargarsi: le profonde ferite che si aprivano sul suo petto si rigeneravano per qualche secondo, prima di cominciare a sanguinare di nuovo; la mandibola dolorante, tesa nello sforzo di non mostrare alcuna reazione.
Era come se qualcosa gli penetrasse nella carne come gli artigli di un'aquila, strappando con la forza il respiro dai suoi polmoni.
Suo padre sapeva punire i traditori in modo piuttosto efficiente e lui sapeva  che gli stava riservando solo il minimo indispensabile. In un certo senso era un gesto gentile, da parte sua.

Assumermi le mie responsabilità, eh? L'aveva già fatto molti secoli prima, entrando a far parte di quel mondo oscuro. Si era impegnato a diventare un demone irreprensibile, degno di Dahak.
E ora invece si sarebbe ritrovato senza cavalleria, al centro del mirino, niente a nascondere la sua posizione.
Tutto questo, per difendere un'umana.
"Presto ti convocherò per gli aggiornamenti. Ora vai"
lo freddò severo il demone dagli occhi rossi, mentre lo fissava sollevarsi senza sforzo, le ferite già ridotte a piccole striature rosate.
"Grazie Signore" rispose l'altro con più sarcasmo di quanto il padre avrebbe potuto tollerare.



                                                                                                                             ***


Quinn uscì dal bagno, avvolta nel suo soffice accappatoio azzurro.
Lasciò che i suoi capelli ricadessero mezzi bagnati sulle spalle, perché assumessero il solito aspetto riccio, non troppo crespo.
Si infilò in fretta la biancheria, un paio di jeans e una T-shirt dell'Hard Rock di Londra con una felpa sopra, tenendo d'occhio la porta, nel caso Alec fosse rientrato. Va bene che l'aveva vista già completamente nuda, ma non voleva ripetere l'esperienza.
O meglio voleva, ma non doveva.
Si diresse in cucina lanciando un'occhiata all'orologio: mezzanotte e sei minuti. Si versò del succo d'arancia in un bicchiere, per quanto fosse una caffeinomane patentata, non le sembrava il caso d'imbottirsi di certe sostanze a quell'ora tarda.
Posò il cartone nel frigorifero e chiuse lo sportello. Le sembrò di essere attraversata da una specie di scossa elettrica a basso voltaggio e si voltò come se si aspettasse di trovare qualcun altro dietro di lei.
Quando non vide nessuno, curvò le spalle, confusa. Era convinta di non essere più sola in casa. 
Lo sentiva sotto la pelle, in qualche modo bizzarro.
Nonostante questo, l'individuo con i capelli scuri e la lunga cicatrice sulla guancia destra che le si parò davanti all'improvviso, la fece sobbalzare e urlare a pieni polmoni. Il bicchiere cadde a terra con uno schianto di vetri rotti e lei si ritrovò pressata contro l'uomo possente che la stringeva con un braccio grosso quanto la sua coscia, facendole sentire dolore come se la sua mano artigliata alla vita le stesse stritolando gli organi interni. Più tentava di muoversi, più faceva male.
Riusciva a sentire il suo alito bollente contro l'orecchio e respinse l'ondata di nausea che la travolse.
"Trovata" le sibilò strascicando ogni vocale. Le venne in mente l'immagine di un serpente.
Viscido e strisciante. In piedi dietro di lei.
Quando provò a gridare ancora, dalla bocca non uscì fiato sufficiente e prima che si potesse accasciare tra le sue braccia, pensò atterrita che stavolta sarebbe davvero finita male.


Non aveva nemmeno finito di formulare quel pensiero che Alec corse loro incontro, comparendo dal nulla, muovendosi più velocemente di quanto gli occhi di lei potessero seguire.
Un attimo era a più di sei metri di distanza e l'attimo dopo l'aveva afferrata per un braccio, strappandola dalle grinfie del demone e piazzandogli un bel montante in faccia.
Quinn venne sballottata finché non si ritrovò a scivolare a terra, la schiena contro il duro legno della porta, mentre quei due ci davano dentro per ammazzarsi a vicenda, così rapidi che lasciavano dietro di loro solamente sagome evanescenti e spettrali.
Tenne gli occhi chiusi per la maggior parte del tempo, poi qualcuno emise un urlo strozzato e lei sentì il rumore metallico di un coltello che scivolava sul pavimento.
"Oddio" farfugliò tentando di rimettersi in piedi. Le gambe tremanti la fecero scivolare di nuovo giù quando Alec la raggiunse, un pò sanguinante, ma vivo e con tutti gli arti a posto.
"Stai bene?" le domandò affannato, mentre passava le mani sul suo corpo, quasi ad accertarsene di persona. La vide annuire.
"Immagino che quello non fosse innocuo, eh?" scherzò con voce soffocata. Lui sorrise appena, offrendole la mano per sollevarsi.
"No. Decisamente non lo era"
"Come ha...come hanno fatto ad entrare? Avevi detto che potevi farlo solo tu" aveva la voce sottile, tremava di nuovo, ma la nota d'accusa era perfettamente riconoscibile.
"Lo so. C'è stato un problema con...il mio sistema d'allarme. Non sei più al sicuro qui. E nemmeno io" Gli costò tantissimo ammetterlo. Stupido arrogante figlio di puttana. Non aveva mai dato tanta importanza alla storia della protezione paterna, ma doveva riconoscere che abitare in una casa che possedeva un filtro percettivo era una fortuna.
Nessuno lo costringeva a cambiare rifugio ogni notte, come facevano tutti gli altri. 
Quinn lo fissava silenziosa, immagazzinando l'informazione e attendendo che lui continuasse.
"Siamo ufficialmente in fuga, piccola. Però sai, forse ho una buona notizia per te" esordì, dopo essersi scolato una tazza di sangue per rigenerarsi, avendo il buongusto di non utilizzare un bicchiere di vetro.
"Davvero?"
Alec annuì. "Credo che la cosa migliore sia restare nella tua realtà per un po'"
"Quindi posso tornare a casa mia?"
"No!" esclamò sprezzante, rendendo ridicola quella proposta. La osservò abbassare lo sguardo, delusa.
"Beh, forse solo per stanotte" cedette alla fine, vedendo una traccia di sorriso curvarle le labbra "Ma non è prudente fermarsi troppo a lungo in un posto. In effetti, non dovremmo più neanche essere qui"




Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13: Back to real life ***


Capitolo 13: Back to real life





"Qual è il problema?" le domandò il demone, spazientito davanti al suo ennesimo rifiuto, la mano protesa verso di lei, che non si decideva ad afferrarla.

Dopo più di un'ora, l'agitazione era scemata e Quinn era tornata a tirare fuori le unghie come sempre.
"Che razza di domanda idiota!" la sentì rispondere inviperita.
Alec pensò che la preferiva terrorizzata, perché era molto remissiva ed obbediente.
"Cosa pensi che abbia? Ho paura!" urlò la ragazza.
Lui la guardò confuso, come se avesse appena detto un'assurdità colossale. "Perché?"
Quinn sbuffò spazientita, agitando le mani come se volesse affondarle nei capelli, in un gesto di pura disperazione.
"Perché...non ho più controllo su niente! E lo odio. Non so se ti rendi conto, ma dei demoni mi vogliono morta. Insomma demoni! Fino a poche settimane fa ero una normale ragazza e ora sono il piatto del giorno sul loro menù. Sono legata a te e non posso uscirne; e anche se volessi lasciarti non potrei andarmene perché non ho idea di come usare un...Varco. E adesso tu mi dici che dobbiamo scappare da qui per andare chissà dove per non si sa quanto tempo!"
Il demone sbatté le palpebre più volte, poi abbassò la mano e si sedette in modo scomposto sul divano.
"Non so proprio che farci"
"Come?"
"Non c'è un modo facile di risolvere la cosa, Quinn"


Quinn.
Non la chiamava quasi mai per nome. Suonava davvero strano.
"Almeno dimmi che hai un piano" mormorò abbandonandosi al suo fianco.
Lui si voltò a studiare il suo profilo con uno sguardo imperscrutabile. Sembrava sempre sicuro di sé e di tutto quello che faceva, e lei voleva solo che la rassicurasse. Sentiva che era in qualche modo diverso dagli altri esseri degli Inferi.
Era più...buono. Per quanto fosse folle pensarlo dopo tutto ciò cui aveva assistito.
Una volta le aveva urlato contro che non era un suo amico, ma per quanto sincero potesse essere al momento, Quinn non sarebbe sopravvissuta senza di lui.
Non era una cosa a cui le piaceva pensare. Non voleva dipendere da nessuno.
Pregò che trovassero presto una soluzione che la facesse restare viva, ma con la piega sconfortante che quella notte aveva già preso, dubitò che la sua preghiera sarebbe stata ascoltata.
"Certo: dobbiamo andarcene il prima possibile. Questo è il piano e se mi prendessi la mano, potrei provvedere" le disse il demone, calibrando il tono seccato. Più perdevano tempo lì e più aumentava il rischio di essere attaccati.
"Vuoi...smaterializzarti con me?"
Lo vide sorridere malizioso. "Per come l'hai detto, fa pensare a una strana pratica erotica" la stuzzicò, facendole l'occhiolino.
Quinn alzò gli occhi al cielo di tutta risposta. "Sei un porco" borbottò a mezza bocca.
"Ne farei volentieri a meno, però. Quel dolore allo stomaco è insopportabile!" si lamentò lei, avvicinando lentamente la mano a quella più grande e sicura del demone.
Alec la tirò in piedi e la strinse contro il suo petto, bisbigliandole all'orecchio "Questo si può risolvere facilmente, piccola. Se ti baciassi, giuro che non te ne accorgeresti neanche..." la tentò con voce soffice.
Lei trattenne una risatina nervosa.


"Quinn" mormorò il suo nome con voce roca, sexy, quasi gustandolo sulle labbra, tentandola.
La sentì sciogliersi appena tra le sue braccia, poi recuperare lucidità e irrigidirsi. Che palle.
"Non ci contare" borbottò al suo indirizzo. Alec sbuffò e in un attimo vennero inghiottiti da una sorta di vortice luminoso.
Poi si ritrovarono nel piccolo salotto dell'appartamento della ragazza. Lui abbassò lo sguardo su di lei.
Era pallida e si era portata una mano alla tempia.
"Vorresti aver accettato l'offerta, eh?" la prese in giro, cercando di distrarla. Quinn barcollò leggermente, senza accennare a staccarsi da lui, aveva ancora le dita artigliate alla sua maglietta.
E' fuori fase.
"Se non parli entro cinque secondi, ti porto a letto in braccio" la minacciò, suadente.
Non sarebbe la prima volta, pensò deliziato.
Davanti all'espressione truce di lei, il demone ghignò.
Non riusciva ad emettere alcun suono, a volte la smaterializzazione sortiva certi effetti sugli umani. Era come se i canali neuronali dovessero aggirare qualche ostacolo, era temporaneo, ma fastidioso.
"Ok" disse, prima di abbassarsi e passarle un braccio sotto la piega delle ginocchia.
Era leggera come ricordava e neanche stavolta aveva la forza necessaria per ribellarsi.


La testa le pulsava così violentemente che dubitava sarebbe stata in grado di andare fino in stanza sulle sue gambe.
E poi era così bello essere cullata tra le braccia potenti di Alec...sentiva l'eccitazione e la gratitudine crescere pericolosamente dentro di lei. Si domandò se anche lui provasse lo stesso.
Ammise che le sarebbe piaciuto.
Scossa da un fremito, Quinn aggrottò la fronte: lui non avrebbe dovuto desiderarla e lo stesso valeva per lei.
Che diavolo vado a pensare?
Lottò contro di lui, tentando debolmente di spingerlo via e di rimettere i piedi a terra. "M-Mettimi giù. Posso camminare"
"Tempo scaduto, piccola"
"Alec, lasciami andare. Adesso" sibilò, sforzandosi di non fargli capire quanto si sentisse bene in quel momento.
"Se ti muovi così, non fai che premere il tuo corpo contro il mio"


Quinn si immobilizzò e lui ne fu felice e deluso allo stesso tempo.
Il corpo di lei era caldo e sapeva di vaniglia e ogni volta che si muoveva lo faceva sentire più vivo che mai.
Cristo, mi sono proprio bevuto il cervello, pensò mentre la posava sul materasso.
La vide sospirare di piacere e stringere il cuscino tra le braccia, affondandoci il viso.
"Mmh, casa" sentì mormorare dolcemente.
Una fitta di desiderio lo colpì violentemente, attraversandogli il corpo. Respirò a fondo, cercando di non lasciarsi trasportare. Quando la ragazza si voltò, fissandolo negli occhi, pensò che volesse chiedergli qualcosa, o insultarlo per averla costretta a stargli in braccio. "Grazie" gli disse invece, con voce vellutata.
Il demone annuì e distolse lo sguardo: la gratitudine lo metteva a disagio.
Così decise di uscire e lasciarla sola nella stanza, sistemandosi sul divano morbido del salotto.
L'avvertì sospirare ancora, compiaciuta, e imprecò sottovoce.
Sarebbe stata una lunga notte.


                                                                                                                        ***


Si era lasciato convincere a restare un altro giorno.
Pur sapendo benissimo che non sarebbe stato né saggio né minimamente furbo. Voleva vedere quanto tempo avrebbero impiegato a fiutarla nel mondo umano. Conoscendo il suo sangue, ormai i demoni la raggiungevano ovunque si trovasse e Alec sperava di riuscire a portarla in un posto sicuro prima di trovarsi davanti una schiera di vendicatori.
Quella mattina era stranamente irrequieto.
Stare troppo a contatto con Quinn e i suoi comportamenti umani, lo infastidiva. Tutto quel sentimentalismo, lo infastidiva.
C'aveva dato un taglio trecento anni prima e non ne sentiva la mancanza. 
Anche quando era piccolo e viveva con sua madre, c'era sempre stata una strana ombra sulla sua esistenza.
Non c'era spazio per amore e calore.
Per anni, Liz aveva vissuto con la paura di essere scoperta, temendo che i demoni potessero darle la caccia e torturarla per la sua fuga, aveva il terrore che chiunque guardasse Alec scoprisse la verità, ovvero che lui non era chi sosteneva di essere.
L'insolita abilità di penetrare nella mente altrui, cambiare il colore degli occhi quando provava emozioni particolarmente intense, la sua forza fuori dall'ordinario, erano stati tutti segnali che l'avevano reso un mostro agli occhi della donna.
Lo amava in quanto sua madre, certo, ma lui sapeva che quando lo guardava attentamente riconosceva troppo di suo padre.Un certo velo di disgusto nei suoi confronti aleggiava sempre nelle iridi chiare. 
Sua madre, con i suoi capelli così chiari da sembrare bianchi e quel portamento austero che la faceva sembrare una regina delle nevi. 
Lo detestava, ma era tutto ciò che aveva.
Lei non avrebbe mai voluto che lui abbandonasse la sua metà umana, come invece era successo.
Aveva fatto di tutto per impedirlo.
Ma dopo la sua morte, la rabbia l'aveva convinto ad affidare il resto della sua vita nelle mani di un Signore dei demoni.
Stare nella realtà creata apposta per loro, gli aveva permesso di vivere molto più a lungo che se fosse rimasto dall'altra parte, così da poter consumare la sua vendetta. E adesso invece, si ritrovava incastrato nel suo vecchio mondo, ad affrontare la parte di sé che non avrebbe mai voluto riportare in superficie.
Era snervante.


Quinn cercava di tenersi occupata, per non pensare che entro poche ore sarebbe stata di nuovo lontana da casa.
Restare in un posto fisso non era prudente, ma non se la sentiva di lasciarsi tutto alle spalle. Ogni volta che si svegliava, sperava con tutto il cuore che si fosse trattato solo di un crudele scherzo della sua fervida immaginazione. 
Ma niente, bastava mettere gli occhi sul demone al suo fianco per sbattere violentemente la faccia contro la dura realtà.
Al telefono i suoi genitori le erano sembrati felici, per quanto nel mondo militare fossero tutti restii nel mostrare gli stati d'animo. Era contenta di quella sistemazione, non avrebbe proprio saputo spiegare la sua scomparsa, altrimenti.
Il suo ex collega Jim infatti, le chiedeva dove fosse finita in un messaggio da mezzo ubriaco, con un sottofondo di musica caraibica. Aveva dato buca ai suoi amici per la gita fuori porta che organizzavano da mesi.
La segretaria del dottor Lennox, lo psicologo di New York, le aveva lasciato il numero dell'ufficio per la conferma di un appuntamento entro la fine del prossimo mese e lei non aveva ancora richiamato.
Cosa poteva dirle? 'Sì, le farò sapere con certezza nel caso sia ancora viva'
Tutti andavano avanti con le proprie vite, mentre lei era alle prese con un incubo indegno anche del peggiore film di serie B.


Vide Alec materializzarsi in salotto, mentre in tv Carrie Bradshaw si disperava con le sue migliori amiche per qualche uomo che l'aveva piantata in asso. 'Fossero questi i miei problemi', pensò amareggiata Quinn.
Il demone si mosse silenzioso per il bagno, non riusciva a distinguere i suoi passi, per quanto avesse abbassato il volume quasi al minimo. Alla fine la curiosità vinse.
"Hai bisogno di qualcosa?" gli chiese sbucando dalla porta semiaperta.
Lui era a petto nudo, intento a sfilarsi qualcosa di metallico. Un proiettile?
"Oh mio Dio! Ma che è successo?" Non avrebbe voluto urlare in quel modo, ma lo fece senza neanche rendersene conto.
"Niente di che, mi hanno un po' sforacchiato. Tutto nella norma" rispose guardandola attraverso lo specchio.
"Erano...vicini? Dobbiamo andare via?"
"No. Ho fatto un salto a casa mia per recuperare delle armi e li ho trovati lì" spiegò con noncuranza.
Quando si voltò verso di lei aveva l'aria divertita. "Che c'è? Sei in pena per me?"
Calcolando che sei l'unico capace di proteggermi, sì.
E molto
.
"C-Cosa? Certo che no...è che mi stai sporcando di sangue tutto il tappeto"
Di tutta risposta il demone scoppiò in una risata roca, che le fece quasi tremare le gambe. "Mi farò perdonare. Ma ora, in effetti, avrei proprio bisogno d'aiuto. Mi sembra di avere due mani sinistre"
"Oh. Intendi dire...che devo tirartelo fuori io?"
"Sarebbe un'ottima idea" ammise scrollando le spalle, sforzandosi di non farle notare il doppio senso della sua frase.


Alec si sistemò contro il bordo del lavandino, lasciandole constatare quanto la ferita avesse un brutto aspetto.
Così, tanto per aggiungere punti alla sua causa.
La vide riflettere qualche secondo su come agire, poi lei si sporse oltre la sua spalla ad afferrare qualcosa, lasciandolo a fare i conti con
i propri ormoni, a causa del calore di quel corpo femminile così vicino al suo.
Quando si ritrasse, facendogli reprimere un verso contrariato, aveva qualcosa di argentato stretto in mano.
Pinze.
Oh, quelle sì che avrebbero fatto male. Ma, in fondo, sempre meglio delle dita.
Quinn posò la sua piccola mano su una porzione di pelle integra, mentre con l'altra si apprestava ad estrarre quel dannato proiettile. Alec odiava i demoni che usavano le armi da fuoco.
Erano dei deboli figli di puttana che mascheravano le loro mancanze nascondendosi dietro la polvere da sparo.
Sentì una fitta di dolore all'addome, che lo riportò con i piedi per terra.
"Bel lavoro" le disse soddisfatto.
"Aspetta, resta fermo un secondo"
La vide trafficare con la bottiglia di disinfettante, stava per dirle che non ce n'era bisogno, che aveva già assunto del sangue e che, una volta estratta la pallottola, sarebbe guarito in pochi minuti, ma non lo fece.
Invece lasciò che si prendesse cura di lui, pulendogli il sangue incrostato dalla pelle con minuziosa attenzione.



                                                                                                                              ***


Per tutto il tempo, in bagno, Quinn cercava di non arrossire.
Lo sto facendo solo per salvare il tappeto, continuava a ripetersi. E' candido e morbido e non di merita di venire macchiato dal sangue di un demone...per quanto sexy possa essere, mezzo nudo nel bagno...
Scosse la testa, interrompendo il flusso di pensieri. Decise che scegliere Sex and the city come serie tv da vedere quella sera, non era stata una buona idea. Troppo fuorviante quando hai intorno un uomo. 
Quando entrarono nella sua camera da letto, decise che gli avrebbe chiesto spiegazioni. Aveva tutto il diritto di sapere dove sarebbe finita. Sperò che la risposta 'sotto i ponti' non fosse contemplata. "Senti, forse..."
"Non ora" sospirò lui "Niente discorsi profondi e impegnativi, d'accordo? Sono troppo stanco per pensare, figuriamoci per discutere di qualsiasi cosa con te" Sbadigliò e si appoggiò contro la testiera. Quinn rimase impietrita per qualche secondo.
"Hai intenzione di addormentarti qui? Nel mio letto?"
Lui aprì un occhio e picchiettò la mano sulla porzione vuota di letto di fianco a sé. "C'è posto anche per te. Non ti aggredirò, promesso" Quinn sbarrò gli occhi.
"Cosa ti fa pensare che crederei ad una tua qualunque promessa?"
"Il fatto che ti ho salvato la vita tipo un milione di volte?"
"L'hai fatto quattro volte, ma capisco che esageri per esasperare l'effetto drammatico. In ogni caso, resti un demone" disse con fare saccente, spostando il peso da un piede all'altro.
"Colpevole"


Affondando i denti nel labbro inferiore, Quinn scostò rapidamente il copriletto e si infilò tra le lenzuola fresche e pulite.
Si rannicchiò sul fianco, il più lontano possibile da lui, troppo consapevole dei battiti accelerati del proprio cuore.
"Cambiato idea, piccola?" si sentì domandare. La sua voce era un roco mormorio di scherno.
"Beh, visto e considerato che questo è il mio letto, non ho nessuna intenzione di lasciarlo solo a te. Purché tu rimanga dalla tua parte" gli lanciò un'occhiata truce "E smettila di chiamarmi 'piccola', chiaro?"
"E' quello che sei. Per come la vedo io, sei praticamente un embrione, in confronto al sottoscritto"
"Sei davvero così vecchio?"
"Oh sì"
"Ma non lo dimostri"
"Arrivati ad un certo punto, se resti in pianta stabile nella realtà demoniaca, il processo d'invecchiamento rallenta.Parecchio"


Ne seguì un lungo silenzio, profondo e pesante, durante il quale lei cercò di ricordare quand'era stata l'ultima volta che aveva diviso il letto con un uomo. Mike Buchanan, secondo anno di college. Una storia di sei mesi.
Ma per quanto si sforzasse di ripensare a Mike, a quanto gli piacesse con quei capelli neri a spazzola e gli occhi scuri, a come la facesse ridere e l'assecondasse in tutte le sue follie, nessun uomo con cui era stata aveva niente a che vedere con quello che ora occupava l'altro lato del letto. Probabilmente lui stava pensando a quanto si sarebbe divertito se non fosse stato inchiodato lì con lei.
Sbuffò.
Non aveva sonno.
Sapeva che se avesse chiuso gli occhi, avrebbe sicuramente avuto uno dei suoi soliti incubi con il sangue e i mostri come protagonisti. Voleva distrarsi. Voleva parlare.
Si voltò nella sua direzione e studiò il bel profilo fino a portare l'attenzione sulla pelle del petto, nuovamente liscia e perfetta, priva di qualunque cicatrice. Rapprividì appena, senza sapere bene perché.
"Alec?" lo chiamò in un sussurro timido. So già che me ne pentirò.
"Sì?" Anche dalla voce si poteva capire che era esausto. Aveva ancora gli occhi chiusi. Una domanda e basta.
"Tanto ehm…per curiosità" iniziò, lottando contro l'angioletto sulla sua spalla che le urlava di lasciar perdere, che la risposta non le sarebbe piaciuta "...come passeresti la serata nel tuo demoniaco universo, se non dovessi farmi da balia?"
Sentì un grugnito seguire l'ultima parola, e sorrise malignamente.
Oddio, la sua influenza è più pericolosa di quanto pensassi!
Già s'immaginava racconti di grandi battaglie sanguinose o sbronze colossali in bizzarri locali del sottosuolo.
Attese in silenzio qualche secondo. Adesso lui aveva lo sguardo fisso nel suo, ma ancora non parlava. Lei pensò che probabilmente l'unica cosa che voleva fare era lasciar cadere l'argomento, così fece per voltarsi di nuovo, ma una mano grande l'afferrò alla vita e il calore delle dita passò attraverso la T-shirt, mentre lui la teneva ferma contro il suo petto caldo.
Le depositò un bacio umido sul collo, facendola avvampare. Grazie al cielo è buio.
"Probabilmente...verrei a cercarti...e ricomincerei dal punto in cui ci siamo interrotti a casa mia"
Una frase così tipica di lui che Quinn si sorprese di esserne così sconcertata.
O forse lo era semplicemente per la scia infuocata che le aveva lasciato sulla pelle ad ogni parola.
"Cosa?" domandò con un filo di voce dopo quella che sembrò un'eternità, senza osare muovere un muscolo. 
Il demone rise. "Sentiti pure libera di immaginare la scena nel modo che preferisci" le soffiò all'orecchio con voce roca.
Ok, sogni d'oro Quinn.
Puoi dare il via al sogno erotico del secolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14: Alexander ***


Capitolo 14:  Alexander





"Ti hanno squarciato dappertutto" disse Quinn con voce strozzata, facendo scorrere lo sguardo preoccupato sulle ferite. Avevano un aspetto orrendo, sembrava reduce dall'attacco di un orso feroce...finito male.
In effetti la cosa non era neanche tanto lontana dalla realtà, considerato quanto era accaduto.


Qualche minuto prima


Dopo aver abbandonato per giorni la sua auto davanti alla casa dei genitori, una telefonata dal carro attrezzi le fece sapere di doverla andare a ritirare ad un deposito lì vicino, dato che era stata prelevata in seguito ad una simpatica soffiata dei vicini.
Quei bastardi dei Templeton non le avrebbero mai perdonato di aver mollato il loro "perfetto" figlio pochi giorni prima dell'ultimo ballo della scuola, spingendolo quindi ad invitare Catherine Barrowman, famosa per la sua pessima reputazione, che ancora frequentava.
Così dopo aver sistemato i suoi documenti e qualche cambio in un borsone,  lasciarono la sua abitazione nel tardo pomeriggio.
Il demone borbottò qualcosa circa l'inutilità dell'impresa, preferendo rubare una BMW o qualcosa del genere.
"Sarebbe più adatta ad un tipo come me, rispetto alla tua carretta arrugginita"
"Scordatelo! Non lascio la mia auto, vale molto più di quanto pensi" ribatté testardamente lei.
"Per caso nascondi dell'oro nel bagagliaio?" la schernì maligno, lanciandole un'occhiata divertita.
"No" farfugliò contrariata "E' stato il primo, vero acquisto fatto con il mio stipendio e si dà il caso che ne vada dannatamente fiera"
Non s'illudeva che lui potesse davvero comprendere l'importanza di quell'atto d'indipendenza. Quando lo spiò sottecchi si accorse della strana espressione sul viso, sembrava quasi rispettosa...e durò circa un secondo. Poi entrambi lasciarono cadere l'argomento.
Arrivati a destinazione, l'idiota in ufficio fece una paternale di venti minuti, guardandola con aria di biasimo, e assicurandosi che gli restituisse la penna con cui aveva firmato i moduli di rilascio.
Per tutto il tempo, lei osservò Alec guardarsi nervosamente intorno, domandandosi cosa cercasse, in un cimitero di automobili.
Lì era tutto così a pezzi e deprimente...
Poi tutto accadde in un lampo.
Qualcuno afferrò il collo dell'uomo davanti a lei e il rumore molesto dell'osso che si spezzava la raggiunse ancora prima che la sua mente potesse permettersi di formulare un pensiero coerente, poi un essere dalla pelle scura le afferrò il braccio oltre il bancone, senza preoccuparsi minimamente del cadavere che crollava ai suoi piedi.
Quinn non ebbe neanche il tempo di urlare, perché Alec la liberò in fretta, ordinandole di correre. Per una volta obbedì senza la minima esitazione, notando numerose figure muoversi verso di loro. Restò nascosta dietro un'auto con i vetri scuri per tutto il tempo, avvertendo il suono del proprio cuore pompare nelle orecchie.


Era stata una lotta violenta e impari, come sempre quando si trattava di lui, ma alla fine se ne era liberato, lasciando tutti i demoni storditi e sanguinanti. Sollevata di vederlo avvicinarsi vivo e vegeto, si era lasciata scappare un sorriso, ma quando lui le aveva dato le spalle, Quinn aveva notato il sangue sui suoi vestiti.
"Sopravvivrò, ora cammina" disse in tono volutamente distaccato.
"Ma…"
"Vuoi perdere tempo in chiacchiere?" ringhiò il demone, lanciandole uno sguardo torvo. "Bene, fai pure. Ma appena quei bastardi saranno in grado di muoversi, ci daranno la caccia. Vuoi essere qui quando lo faranno o preferisci metterti al sicuro?"
"D'accordo, ma datti una calmata. Tanto puoi essere scorbutico quanto vuoi, ma non mi fai paura"
Era quello che voleva fargli credere, ma da come si voltò a guardarla, capì che non se l'era affatto bevuta.
"Come ti pare, ma sappi che tendo ad essere irritabile quando sono ferito"
"Sei sempre ferito. E sei sempre irritabile" ribatté piccata. In tutta risposta gli occhi di lui divennero neri in un istante e un suono cavernoso e cupo gli risalì dalla gola, facendola deglutire nervosamente.
"Ricevuto. Ti seguo e sto zitta"
"Grandioso"
Il demone si fermò di colpo e lei, che gli arrancava alle spalle, andò a sbattere dritta contro la sua schiena, beccandosi un'occhiataccia.
"Perché diavolo ti sei fermato all'improvviso?" brontolò massaggiandosi il naso.
"Siamo arrivati alla tua auto" 
"Ah"


                                                                                                                                     
 *** 


La strada era deserta; il quartiere che stavano attraversando tranquillo, e a Quinn tornò in mente il periodo estivo durante la sua infanzia, quando gli unici suoni che provenivano dalle finestre, lasciate aperte per alleviare il calore umido della sera, erano le voci animate delle famiglie che si riunivano per la cena e il rumore delle stoviglie.
Si era levata una brezza che recava gli odori combinati di erba appena tagliata e di quella che sembrava carne alla griglia...
Quinn si sforzò di ricordare i suoi propositi e non lasciarsi trascinare dalla nostalgia.
Sarebbe andato tutto per il meglio, si disse per la centesima volta.
Accanto a lei, il demone sembrava un alieno caduto per sbaglio su un pianeta straniero.
Avventurarsi tra sentieri troppo intrisi di umanità non doveva fargli troppo bene. Era silenzioso da quando avevano lasciato il deposito, il che era strano, visto l'entusiasmo con cui la stuzzicava continuamente.
Non che potesse vantarsi di conoscerlo bene, i suoi tira e molla comportamentali le andavano ancora stretti, ma qualche dettaglio della sua personalità cominciava ad esserle chiaro.


Erano in viaggio da quasi tre ore e la pioggia tamburellava regolare sul tettuccio dell'auto.
La nebbia si era infittita, e i fari riuscivano a malapena ad illuminare la strada mentre gli alberi sembravano assorbire la poca luce disponibile. La strada era passata dal colore noioso dell'asfalto a quello brioso della campagna. Nessun cartello con nomi di città, nessuna stazione di servizio nei paraggi da chilometri. Poco incoraggiante.
"Insomma si può sapere dove andiamo? A Eremita City? Qui non c'è anima viva!" sbottò lei, rompendo il silenzio dopo un tempo interminabile. Alec si voltò nella sua direzione e la guardò come se si fosse appena ricordato della sua presenza.
Davvero lusinghiero.
"In un luogo sicuro gestito da gente a posto"
Mmh, chissà perché non mi convince.
"Che intendi dire?" volle sapere invasa da curiosità e timore "Probabilmente il tuo 'a posto' corrisponde all'avere un occhio al centro della fronte, una marea di zanne e artigli affilati come lame!"
"E' gente che conosco da un po'. Tutto qui" minimizzò nervoso, nel tentativo di zittirla.
"Non perderti troppo nei dettagli, eh. Non sia mai che tu possa abbandonare la tua posizione da uomo dei monosillabi e grugniti per un intero minuto!"
"Cazzo, sei l'equivalente umano delle unghie che stridono sulla lavagna! Vuoi chiudere la bocca?"
Lo sentì sbuffare e borbottare a mezza bocca qualcosa circa la sua fissazione di fare domande, che l'avrebbe condotta ad una morte lenta e dolorosa. Lottando contro la voce nella sua testa che le suggeriva di ribellarsi, Quinn strinse i pugni e appoggiò la testa al finestrino gelido, sistemandosi la sciarpa al collo, sicura che facesse più freddo nel veicolo che fuori, a parecchi gradi sotto lo zero e in mezzo al nulla.


Si svegliò quando avvertì l'immobilità della macchina. Non sapeva assolutamente per quanto tempo avesse dormito e non si
capacitava di aver potuto prendere sonno in quell'esiguo spazio dominato da un tipo come Alec.
Forse era intervenuto l'istinto di conservazione.
Fuori era tornata la luce del sole e l'orologio sul cruscotto segnava le dieci e cinque del mattino. Il posto del guidatore era vuoto, nessuna traccia del demone. Guardandosi intorno si accorse di trovarsi in un parcheggio, e attraverso il vetro vide la scritta rosso rubino 'Shelter Inn' affissa sulla porta d'entrata. Si domandò se non fosse uno di quei rifugi per criminali evasi.
Di sicuro l'aspetto trasandato non suggeriva nulla di buono.
"Buongiorno!"
La voce di Alec la fece sobbalzare. Era appoggiato allo sportello e le porgeva una tazza di caffè bollente. I raggi luminosi si riflettevano sui suoi capelli rendendoli più chiari e lei si specchiò nelle lenti nere dei suoi occhiali da sole. Chissà a chi li aveva rubati.
"Ehi...siamo arrivati?" Ti prego, dì che avevi solo voglia di sgranchirti le gambe!
"Già. Scendi, così lasciamo la roba in camera"
Lo sapevo. Aspetta, ha detto..."Camera? Al singolare?"
"Proprio così, piccola. Ci hanno mollato la dependance, e c'è una sola camera da letto. Pare che sia il rifugio preferito degli imbecilli in viaggio di nozze!"
Quinn alzò gli occhi al cielo prima di lasciarsi sfuggire una risatina.
"Bel modo di definire due persone innamorate, che si stimano a vicenda e decidono di restare legati per sempre" fece, con una vocetta volutamente saccente, da maestrina. Lo vide scrollare le spalle. Come sempre non si curava di quello che gli usciva dalla bocca.


                                                                                                                                       ***


Fingere.
La regola numero uno nel mondo umano.
Tornare nei luoghi della sua infanzia, per quanto fossero mutati, minava il suo autocontrollo. Aveva voglia di radere al suolo l'intera struttura in cui riusciva ancora a distinguere la presenza di sua madre. Era troppo dura.
Gli umani che gestivano adesso la locanda, erano lontani parenti di quelli che li avevano ospitati una volta, garantendo loro protezione,  e morendo nel tentativo di tener fede alla promessa.
Tutti a parte qualcuno, ricordò con rabbia.
Il filtro percettivo posto sull'intero perimetro era molto più potente adesso, non quanto quello di Dahak, ma comunque meglio di niente. La sera prima Kegan gli aveva assicurato che non ci sarebbe voluto ancora molto per rintracciare la tana dei demoni ribelli interessati a Quinn, e presto sarebbe tornato alla sua vita di sempre.
Questo era l'unico pensiero positivo che poteva concedersi in quella circostanza.


Chissà per quale motivo il suo istinto era convinto di trovarsi al sicuro.
Quinn annotò mentalmente di dargli meno credito, da quel momento in poi.
Era in mezzo al nulla, con un demone dal controllo precario, braccata da altri demoni che volevano farle la pelle. Il fatto che lui si divertisse a confonderla, poi, avrebbe decisamente potuto significare guai.
Mentre rifletteva sulle implicazioni di quel pericolo, gettò un'occhiata alla struttura bianca con le imposte blu e una piccola veranda sistemata su un lato. Alec tirò fuori dalla tasca dei jeans una chiave con attaccato un cartellino e aprì la porta.
Dopo fece un passo indietro e le accennò di entrare.
Non fare il gentiluomo con me, potrei cascarci.
Mentre lui chiudeva la porta, Quinn controllò la dependance. C'era il classico arredamento da motel economico, semplice, ma carino: tappeto, tende e divano abbinato a due poltrone, tutto in
blu cobalto, mobili di frassino e il piccolo camino al centro del salotto. L'unica camera da letto presentava gli stessi colori, di qualche tonalità più scura.
Aveva il suo fascino, ammise.
"Cristo, sembra che qui dentro sia esploso un Puffo!" commentò disgustato il demone comparendo al suo fianco.
Quinn alzò nuovamente gli occhi al cielo "Quanto sei fine" borbottò.


"Allora, il piano è restare qui per il resto della mia vita o cosa?" domandò posando a terra la sua borsa. Si passò una mano sulla spalla dolorante, mentre la ruotava con una smorfia. Aveva quasi terminato gli antidolorifici e si domandava quanto ancora c'avrebbe messo a tornare in forma. Erano passati giorni, ma ancora le capitava di sentire qualche fitta.
Niente di grave, ma n
on aveva certo bisogno di un'ulteriore debolezza, accidenti.
"O cosa"
"Non vuoi dirmelo?"
"Non dovrai fare altro che startene tranquilla. Punto. E ricordi cosa ti ho detto tempo fa? Non amo ripetermi"
"Ecco che ritorni ad essere sgradevole" Per non dire despota.
"Mi hanno chiamato in modi peggiori"
"Ma non mi dire"
Lo vide sorridere appena, poi nel suo sguardo passò un'ombra. Lei fece per voltarsi e lasciarlo solo per gettarsi sul letto invitante, ma lui le si parò davanti e le afferrò un polso delicatamente guardandola negli occhi.
Perdendosi in quelle pozze verdi e grigie, sentì distrattamente qualcosa di metallico posarsi sul palmo della sua mano. Le chiavi.
"Stai andando via?" gli chiese con aria confusa, incapace di trattenere il tono dispiaciuto.
Alec annuì. "Ho delle cose da sbrigare"
"Fai sul serio?"
"Non voglio che tu abbia alcun tipo di rapporto con la gente della locanda, quindi non uscire. Chiuditi dentro e non aprire a nessuno. Torno appena posso" continuò perentorio, ignorando la sua domanda.
"Parli come un telegramma"
"Dico l'indispensabile. Tienilo a mente" disse picchiettandole l'indice contro la tempia, prima di smaterializzarsi.


                                                                                                                                       ***


Quinn passò l'intera giornata a guardare la tv e sgranocchiare schifezze ipercaloriche.
Alle nove e mezza di sera aveva già consumato due pacchetti di patatine (uno alla salsa barbecue e uno al formaggio), mezza stecca di cioccolato al latte e mezzo pacchetto di gomme; più che altro perché si limitava a masticarne una per dieci minuti, prima di passare ad un'altra. Era annoiata e arrabbiata.
Alec se ne poteva andare in giro, mentre lei doveva restare relegata tra quattro mura.
Non riusciva a sopportarlo. Di questo passo, se mai quella storia fosse andata a finire bene, tornando a casa non sarebbe riuscita a passare per la porta d'ingresso.
Aveva anche provato a sbirciare l'attività all'interno della locanda, per distrarsi, ma sembrava non ci fosse nessuno.
Sarà gestita da fantasmi, arrivò a pensare alla fine.
Finite le repliche di Sex and the city, spense il televisore e sbuffò, arrovellandosi il cervello in cerca di un nuovo passatempo.
All'improvviso avvertì dei sussurri indecifrabili provenire dall'esterno e, sbirciando dalla finestra, aggrottò la fronte nel vedere la sagoma di una vecchia signora ferma sul portico di legno della locanda.
Si domandò se fosse possibile che la voce provenisse da lei, in fondo era piuttosto lontana.
Scosse la testa, dandosi della matta. Era pura e semplice suggestione, si ripeté.
Tuttavia, non appena si diresse al frigorifero per prendere una bottiglietta d'acqua fresca, quelle strane voci la raggiunsero ancora.
Come se dietro di lei ci fosse qualcuno che si dilettava a soffiarle parole incomprensibili all'orecchio.
Ma che diavolo...
Respirando affannosamente, individuò nuovamente la donna e si accorse che era voltata verso la dependance.
La fissava.


Prese il cappotto dall'attaccapanni e se lo infilò in fretta, prima di raggiungerla.
"Salve" salutò gentilmente una volta fuori.
La donna alzò la testa, mettendo a fuoco la sua figura sotto le lunghe ciglia chiare. "Buongiorno cara"
Quinn pensò distrattamente che dovesse essere finlandese o qualcosa del genere, data la carnagione e i lineamenti rivelatori.
"Scusi, non volevo disturbarla. Io, ehm...l' ho vista qui fuori e ho pensato di chiederle se potevo offrirle qualcosa di caldo"
Bugiarda.
Dì piuttosto che pensavi ti stesse parlando a metri di distanza.

"Oh, ma che gentile. Immagino che mia figlia ne abbia ancora per molto, là dentro" indicò con un dito grinzoso il grande portone dietro cui la donna doveva essere scomparsa.
"Lo faccio volentieri. Cosa preferisce caffè, thè?"
"Del buon caffè andrà benissimo. Bisogna stare svegli da queste parti" scherzò debolmente. Quinn sorrise, l'aveva pensato anche lei, per questo l'aveva già preparato.
"Beh...torno subito" disse gentile, facendo cenno alla dependance.
La vide irrigidirsi notevolmente alle sue parole. "Lei...alloggia lì?" le chiese con voce improvvisamente dura. 
"Ehm sì, solo da qualche ora. Non ero mai stata a Coventry prima, sembra un posto carino" mentì sforzandosi di sembrare tranquilla, mentre evitava gli occhi chiari puntati su di lei. Sembrava le stesse facendo la radiografia e questo la innervosì.
Quando tornò con una tazza di caffè fumante tra le mani, la donna la ringraziò e senza toglierle gli occhi di dosso bevve un sorso.

"Credo di avere qualcosa che appartiene al proprietario di quel terreno" le rivelò dopo un lungo silenzio.
Quinn si schiarì la voce. "Davvero? E chi sarebbe?"
Senza ricevere risposta, la osservò allungare un braccio per prendere qualcosa appoggiata sul tavolino accanto a lei.
La vecchia le porse una scatola in legno che presentava una serratura a cuore sul davanti, che le ricordava quella della cassapanca nello scantinato di sua nonna. Erano molto famose nel '700. Quei gingilli non si potevano forzare facilmente.
Era sempre stata su quel tavolo? "La prenda lei" fu l'unica cosa si sentì dire.
"Come...perchè?"
"La prego, signorina Quinn"


La ragazza rientrò alla dependance parzialmente sconvolta. Non le aveva detto il suo nome, com'era possibile che lo conoscesse?
La parte razionale di lei le suggerì che forse l'aveva sentita chiamare da Alec, ma quella donna aveva qualcosa di oscuro nello sguardo, mentre la fissava, e quello strano sussurrare che continuava a sentire le dava i brividi.
Spostandosi sul divano, abbassò lo sguardo sulla scatola di legno scuro che stringeva tra le mani, fino a farsi sbiancare le nocche. Respirò a fondo e s'impose la calma, prima di recuperare la cassetta degli attrezzi sistemato sotto il mobile della cucina. Facendo leva sul buco della serratura con un cacciavite a stella, usò il martello per colpire con decisione e spaccare il catenaccio interno. Dopo qualche tentativo, che le lasciò un braccio dolorante, riuscì nell'impresa.

Si lasciò scappare un sorriso, dedicandosi ad un'accurata analisi dell'oggetto.
Conteneva solo una piccola trottola di legno perfettamente intagliata e decine di conchiglie delle forme più disparate, con colori meravigliosamente bizzarri, che lei non aveva mai visto prima. Era un bottino infantile, forse di un bambino.
Quando liberò il fondo dagli oggetti, la scritta incisa sul legno le suggerì che forse ci aveva visto giusto, diceva Alexander
.
Guardandosi intorno, decise di sistemare il 'tesoro' sotto lo strato di maglioni nella sua valigia, per nascondere il misfatto alla perfezione. Soddisfatta, decise d'intrufolarsi nella locanda, con lo scopo di chiedere spiegazioni alla signora del mistero.
Una volta aperto il pesante portone, adocchiò la reception vuota.
"E' permesso?" domandò senza aspettare una vera risposta. Dopotutto, era lì da settantadue ore e aveva visto ben poche persone. Iniziava a chiedersi se Alec non avesse voluto prenderla in giro, dicendo che non voleva che avesse rapporti con la gente del luogo.


                                                                                                                                        ***


"Riesci mai a fare quello che ti si dice?"
Porca miseria.
La voce tesa del demone la fece sobbalzare, così lasciò che la porta d'ingresso si chiudesse con uno schianto.
"Sei tornato" divagò, fingendosi entusiasta della cosa. Lui continuò a fissarla, impassibile, e non replicò.
"Giuro che sono rimasta sempre qui, ma mi annoiavo e volevo andare a fare due passi. Stai tranquillo, non ho perso tempo in chiacchiere con la gente della locanda,  non c'era nessuno" spiegò la ragazza innocentemente. In fondo non era proprio una bugia.
Alec lasciò vagare lo sguardo sui suoi jeans impolverati e inarcò un sopracciglio.
"Quindi immagino che tu non abbia niente da nascondere nella tua valigia, vero?"
Lei lo fissò furente. "Ti sei di nuovo intrufolato nella mia testa" sibilò sena ammettere di essere stata colta in fallo.
"In realtà no. Ti ho solo spiata" 
Ah, ecco. Di bene in meglio. "Da quanto sei qui, esattamente?"
"Da un po'. Sapevo che non ci si poteva fidare di te" disse lui, scrollando le spalle.
"Cosa vuoi che sia curiosare in giro? E' tutto ciò che posso fare, ti pare?" controbatté l'altra, avvicinandosi di qualche passo a lui, osservandolo in tutta la sua minacciosa altezza.


Il demone fece per dire qualcosa, poi strinse la mascella con forza e si allontanò da lei.
"Cerca di non fare casini, non devi andartene in giro da sola. Qui ci ospitano solo per paura. Di me" ringhiò a mezza bocca "Se sapessero che non ci sono ne approfitterebbero" Cosa?
"Che vuoi dire? Pensavo fossero a posto?" domandò facendogli il verso.
"E' lì che sbagli: quando pensi! Sono umani, quindi non possono farmi niente. Non posso dire lo stesso per quanto ti riguarda"
"Potrebbero farmi del male? Ma se non li conosco nemmeno!" sbraitò lei.
Potrebbero avermi osservata di nascosto.
Se mi avessero aggredita alle spalle non me ne sarei nemmeno accorta.
"Loro conoscono te e la connessione con Thren. Potrebbero voler trattare con i demoni. E' solo un'ipotesi, ma è sempre meglio pensare il peggio ed evitare fregature"
Quinn sbarrò gli occhi, sconvolta. Aprì e chiuse più volte la bocca, in cerca delle parole giuste. Era indecisa se arrabbiarsi con lui per averla mollata lì, pur sapendo i pericoli che avrebbe potuto correre, o chiedergli di andare in qualche altro posto, lontano da eruditi conoscitori di pratiche demoniache.


"Allora perché mi hai portata qui?" la voce le uscì in un sussurro atterrito. Lo vide sbuffare e sedersi scompostamente sul divano.
"Beh, questo resta comunque l'ultimo posto schermato sulla faccia della terra"
"Schermato?"
"Già. Com'era casa mia prima del tuo arrivo" borbottò lanciandole un'occhiataccia.
"Come se fosse colpa mia"
"Lo è"
Quell'unica frase sibilata con rabbia malcelata la fece infuriare.
"Non ti ho mica puntato un'arma alla tempia. Sei tu che mi ci hai portata, di tua spontanea volontà!" farfugliò visibilmente contrariata. Sì, lei aveva causato un po' di casini, ma in fin dei conti erano stati tutti una conseguenza del comportamento di Alec nei suoi confronti.
O a dirla tutta, non si sarebbe creata alcuna strana situazione se i demoni l'avessero lasciata in pace.
"Dopo averti salvato il culo, di nuovo"
"Un'altra decisione esclusivamente tua" replicò piccata, pentendosene all'istante. Non era quello che intendeva dire. Gli era davvero grata per averla tenuta al sicuro a casa sua. Accidenti.
"Alec..." tentò di rimediare, ma quando alzò lo sguardo lo trovò a fissarla con un paio di occhi scuri.
Neri.
Come quella volta che si erano baciati, solo che adesso sembrava più furioso che eccitato. No, no...
"Avrei dovuto lasciarti marcire in una di quelle belle e accoglienti celle che ti piacciono tanto. Magari la prossima volta"  
La minaccia trattenuta nella sua voce era spaventosa, e i suoi occhi mandavano lampi. Si alzò diretto in camera da letto, con l'aria che sembrava sfrigolargli attorno, e la porta sbatté alle sue spalle con un tonfo sordo...senza che lui la toccasse.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15: Trust ***


Capitolo 15: Trust





Quinn restò impietrita davanti alla soglia della porta per un tempo indefinito. Non era certa di quello che aveva appena visto.
Ricordò di avere già sentito quella sorta di elettricità nell'aria: quando i demoni avevano cercato di rapirla a casa dei suoi genitori e quando era stata aggredita al deposito.
Era come se la loro forza li circondasse, un'aura maligna di cui si servivano per terrorizzare la gente.
Non le era mai capitato di vederla attorno ad Alec. Fino a quel momento. Rifletté che doveva essere legata alle emozioni o più semplicemente alla furia omicida. Meglio tenersi alla larga in ogni caso.
Non sapeva se considerarsi in qualche modo offesa per le sue parole aspre. Dopotutto, lei gli aveva rinfacciato il suo aiuto.
Nessun demone avrebbe rischiato di ospitare una prigioniera a casa, astenendosi dal farle del male, per quanto tentato dall'istinto. Anche se non è stata una permanenza piacevole, puntualizzò la sua coscienza.
Probabilmente, quando l'aveva lasciata andare, non immaginava tutto quello che avrebbe dovuto affrontare, altrimenti l'avrebbe uccisa all'istante.
Quinn sentiva di dovergli essere grata, ma non riusciva a mandare giù il groppo in gola che le saliva ogni volta che la trattava come se il suo valore fosse uguale a quello di una qualunque esca per pescecani.
Lei era un essere umano, accidenti, meritava rispetto e...
Ma chi diavolo voglio prendere in giro?
Io sono un'esca. Per questo sono qui, con un demone a farmi da baby sitter.


Erano passate più di tre ore, mezzanotte era volata e i programmi decenti da seguire in tv, miseramente finiti.
Quinn poteva sentire Alec aggirarsi nervosamente per la stanza. Sebbene le sue palpebre si fossero fatte pesanti, non poteva dormire al suo fianco. Avrebbe potuto aggredirla in un raptus improvviso.
Le tornarono in mente quegli occhi neri...così attraenti nonostante la ferocia che emanavano. 
Niente da fare, di là non ci vado.
Sicuramente si sarebbe aspettato le sue scuse o qualcosa del genere, ma lei non aveva alcuna intenzione di assecondarlo.
Tendeva a scusarsi raramente quando aveva torto, un vizio regalatole da suo padre. Una questione d'orgoglio.
Fissò lo sguardo ostinato sul televisore e fece zapping finché la faccia orrenda e simpatica di Stewie Griffin non fece capolino fra i canali. Perfetto.
Magari ridere un pò le avrebbe alleviato il freddo penetratole nelle ossa.


Alec abbassò lentamente la maniglia della porta.
Il piccolo salotto era illuminato da una luce azzurrina e la testa bionda di Quinn era appoggiata mollemente alla testiera del divano. Sospirò contrariato e le tolse il telecomando dalla mano abbandonata sul cuscino.
Si addormenta ancora sul divano come una bambina, pensò scuotendo la testa.
Si sarebbe meritata di restare a morire congelata, avvolta in quella mini trapunta di cotone, ma spinto da chissà quale impulso, si sforzò di prenderla tra le braccia e portarla in camera.
Durante il breve tragitto, la sentì gemere soddisfatta, la guancia gelida a contatto con il suo petto caldo.
Poi si svegliò cauta, una volta a letto.
Sbatté le palpebre e borbottò un lamento circa il suo non essere capace di tenere gli occhi aperti, mentre si allontanava da lui strisciando su un fianco, con un'espressione alarmata e truce allo stesso tempo.
Il demone sollevò una mano per arrestare qualunque sproloquio avesse intenzione di mettere in piedi.
"Dormi. Potrai insultarmi domani" le concesse con un ghigno divertito.
Lei lo guardò con quei fari azzurri che sembravano risplendere anche al buio, si mise a sedere e incrociò le braccia al petto.
"Non mi scuserò con te, nemmeno se ti impegni per farmi sentire in colpa" bofonchiò con voce roca per il sonno.
"Te l'ho chiesto?"
La sua voce si era fatta improvvisamente più tagliente. Sbalzo d'umore numero 13469...Quinn aveva perso il conto.
"No, ma volevo mettere le cose in chiaro. E' una di quelle cose che non faccio mai, e specialmente con chi è la causa dei miei casini" sottolineò acida.
"Buono a sapersi, l'aggiungerò alla lista di cose che ti rifiuti di fare. Sei una donna della peggior specie, eh?" osservò lui.
"Come sarebbe a dire?"
"Sei fottutamente viziata"
Era incapace di tenere la bocca chiusa per più di cinque secondi, doveva mettere bocca su ogni decisione o avvenimento. Qualunque cosa sentisse o pensasse, glielo faceva sapere. Non doveva indovinare niente.


Quinn si trattenne appena dal dargli un pugno, solo perché sapeva che poi sarebbe stata lei quella bisognosa di ghiaccio.
"Niente affatto. Sono solo un pò orgogliosa, ma..."
"Sei peggio"
"Beh, anche tu!" urlò, arrossendo furiosamente.
Fortunatamente il riverbero della luna non la illuminò abbastanza da farglielo notare.
Si passò nervosamente le mani tra i capelli e cercò di respirare profondamente quando lo sentì ridacchiare, quindi ritentò il dialogo con un tono più calmo.
"Senti, so che hai rischiato tanto quando mi hai riportata a casa e poi di nuovo quando mi hai salvata. Ma l'hai fatto di testa tua, ok? Io non ti ho mai chiesto niente!"  Se proprio doveva sorbirsi le sue lamentele, voleva almeno poter ribattere.
Vide il corpo del demone irrigidirsi.
"No. Tu aspettavi solo di morire" mormorò con voce vagamente severa, come di rimprovero. Incredibile!
"Certo, che altro avrei potuto fare?"
"Non hai neanche lottato"
"Ti ho chiesto di lasciarmi andare" gli ricordò.
"Mi hai pregato" sottolineò il demone.
Infido e crudele, non c'era bisogno di dirlo. Era stato il momento più umiliante della sua vita.
"Ed è stato patetico" continuò lui sghignazzando.
Ride.di.me. 
"Però mi hai ascoltata"
Alec scoppiò in una fragorosa risata che le fece vedere rosso. Avrebbe voluto schiaffeggiarlo tanto forte da fargli rivoltare la faccia, ma probabilmente se solo avesse sollevato il braccio nella sua direzione la situazione si sarebbe scaldata troppo.
E non le sembrava il caso. Così si limitò a guardarlo piena di livore.
"Sei esilarante, piccola. Come se a me potesse importare delle tue preghiere. Faceva solo parte del piano"
Oh, giusto. Stanare i demoni che volevano Thren vivo e vegeto, più assetato di vendetta che mai.
Lo aveva già spiegato. Chissà perché sperava che una piccola parte di lui lo avesse fatto per lei.


                                                                                                                                ***


La mattina seguente, quando Alec entrò in cucina, venne accolto da una deliziosa mescolanza di musica jazz e profumo di pancake e caffè. Colazione. Non ne faceva una decente da anni.
Si fermò sulla soglia, l'anca appoggiata allo stipite della porta. Incrociò le braccia sul petto e osservò Quinn.
Sembrava stranamente a suo agio, nonostante tutto.
Si muoveva sicura tra i fornelli, assaggiando lo zucchero a velo, mentre faceva saltare le frittelle in padella.
Scosse la testa, divertito. Non aveva mai pensato di imbattersi in una creatura del genere.
Coraggiosa e forte, fragile e innocente allo stesso tempo.
Alec si rese conto che mantenere pensieri casti era davvero arduo quando aveva vicino quella ragazza.
E perché diavolo la trovasse sexy quando si arrabbiava restava ancora un mistero.
Aveva trascorso l'ennesima notte in bianco, un po' per via del fuso orario demoniaco che lo portava a dormire di giorno e un po' per il pensiero di lei stesa al suo fianco. Era un ingombro piuttosto piacevole da sentire. 
Assurdo.
Non aveva mai avuto di questi problemi: non era il tipo che passava una notte intera con una femmina (non con la stessa comunque) e di sicuro non ci mangiava insieme.


Come se avesse avvertito la sua presenza, Quinn volse la testa verso di lui. Quando lo inchiodò con il suo sguardo penetrante, il demone restò senza fiato, come se avesse preso un pugno nello stomaco.
Lei gli rivolse un sorriso raggiante. Sicuramente finto. "Ciao. Hai fame?"
Alec annuì e varcò la soglia della camera, pur sapendo che avrebbe dovuto girare sui tacchi e andarsene.
Per il bene di entrambi.
Quel profumo, quella ragazza...e la panna spray sul bancone avrebbero minato i suoi prossimi sogni.
Quando le si fermò davanti, Quinn allungò un braccio verso di lui offrendogli un piatto con una montagna di pancake.
"Credo di avere esagerato un po' con le porzioni" gli disse ironica, mordicchiandosi un labbro.
Lui avvertì il battito precipitoso del suo cuore e si portò a breve distanza. "A cosa devo l'onore? C'è qualcosa sotto, vero?"
"Come sei malfidato"
"Dimmelo" le ordinò perentorio, mentre prendeva a mangiare. Il silenziò calò tra loro, con il sottofondo mielato di Ella Fitzgerald.


"Voglio proporti un accordo"
Il demone la guardò con un'espressione indecifrabile sul viso. "So già che non accetterò"
Lei lo fulminò con lo sguardo. "Ho deciso che non ti creerò più problemi, o almeno ci proverò" riprese fissandolo negli occhi.
Di nuovo grigio-verdi. Meno male.
"Mmh, quindi d'ora in poi farai tutto quello che ti ordinerò?" chiese con una strana inflessione carezzevole nella voce.
"Nei limiti del possibile. Però sì"
"Bene"
"In cambio voglio uscire" aggiunse lei in fretta, un sorriso spontaneo spuntò sulle sue labbra quando lo vide inarcare un sopracciglio, con fare scettico.
"Una volta al giorno" piagnucolò quando lui non rispose. Non lo avrebbe pregato mai più, ma un po' di buon vecchio 'lecchinaggio', magari avrebbe funzionato. Era stufa di passare le giornate chiusa in casa o sul terrazzino.
Lui sbuffò sonoramente.
"Siamo a Coventry, piccola. E' la città più brutta e noiosa che l'uomo abbia mai concepito" rispose poi, disgustato.
"Mi basterà, davvero"
"Non mi fido di te. Dovrei comprarti un guinzaglio"
Lei sbuffò e lo fissò in tralice. "Dove vuoi che vada da sola? Mi hai ripetuto in continuazione che senza di te sono morta!"
Alec alzò gli occhi al cielo, mandando giù un grosso boccone. Grosso come il 'no' che avrebbe voluto dirle.
"Vedremo" mormorò invece, prima di accendere la tv.
Per ora sarebbe stato sufficiente.

                                                                                                                                       
                                                                                                                               ***


I suoi passi riecheggiavano per la sala spoglia, mentre l'arazzo da parete oscillava sotto i forti colpi del vento.
Aud voltò l'angolo speditamente, tentando di non attirare l'attenzione su di sé.
Un gruppo di vampiri l'aveva adocchiata all'entrata e lei poteva avvertire i loro sguardi alle spalle.
Conosceva così bene il suo tocco che non si spaventò quando lui l'afferrò bruscamente per un braccio trascinandola per diversi corridoi  che non aveva mai visto prima nella fortezza e poi in una stanza buia.
"Nuovo passaggio. Meno scocciature" le mormorò per giustificarsi, prima di calare le sue labbra su di lei.
Aud rispose con entusiasmo e passione, come sempre, prima di ricordarsi il vero motivo del loro incontro.
"Zane" tentò di richiamarlo mentre scendeva a baciarle il collo, le sue mani che frugavano dappertutto. Aud sollevò lo sguardo mentre cercava di allontanarlo debolmente da sé.
I suoi occhi neri suggerivano che la desiderava, e lei avrebbe dato qualunque cosa per assecondarlo.
Dopo.
"Cosa?" le ringhiò contro scocciato, mentre insinuava una mano sotto la sua gonna ad accarezzarle le gambe.
"Dobbiamo parlare" sospirò, gelandolo.
Quella frase suonava tanto come un avvertimento. Una di quelle cose che nel mondo umano anticipavano chiarimenti a livello sentimentale. Il succubo sospirò e sollevò una mano per sfiorargli la guancia resa ispida dalla barba corta.


"Bene. Ti ascolto" le fece roco, ricominciando a stuzzicarla senza sosta.
"Ti ho...già detto che l'umana e Alec sono al sicuro, adesso" riuscì a dirgli tra un sospiro di piacere e l'altro.
Lo vide socchiudere gli occhi in una minaccia silenziosa, come ogni volta che si nominava il fratello. Tasto dolente.
"Sì" sibilò irritato, staccandosi da lei.
"Beh, ho sentito delle voci a riguardo. Durante un mio...lavoro ad un Satariel, ho trovato nella sua mente informazioni su un possibile demone intricato nei vari tentativi di rapimento"
Tecnicamente avrebbe dovuto utilizzare la sua capacità di penetrare nella mente solo per realizzare le fantasie dei 'clienti', ma restava pur sempre una creatura degli inferi e le piaceva avventurarsi per certi sentieri proibiti.
"Chi?"
"Questo è un po' complicato..." cominciò Aud, visibilmente a disagio.
Zane la osservò con impazienza, bisognoso di chiudere la conversazione al più presto.
"Dimmi il nome" le ordinò senza però utilizzare il suo solito tono severo, portandosi nuovamente vicino a lei.
"C'erano tante immagini, tutte confuse, ma..." s'interruppe di nuovo il succubo, facendogli domandare cosa la spaventasse tanto. Il demone portò una mano al suo mento per sollevarle il viso.
"Sta tranquilla. Sai che puoi dirmi ogni cosa" le sussurrò mellifluo sulle labbra.
La vide deglutire e arrossire leggermente, mentre scuoteva il capo.
Aud si alzò in punta di piedi e raggiunse il suo orecchio mormorando qualcosa.


Qualcosa che lo fece scostare con rapidità disumana che le mozzò il respiro.
Delusione e dispiacere veleggiavano gli occhi viola di lei.
Zane la fissò con astio per un tempo indecifrabile e poi, semplicemente, le ordinò di andarsene.


                                                                                                                                ***


"Allora, non vuoi proprio dirmi come mai conosci Coventry? Non mi sembri il tipo di demone che visita città, zaino in spalla, annotando i posti più in!" lo stuzzicò Quinn, camminando per la via arricchita da luci colorate.
Natale era alle porte e, a quanto pareva, anche la gente della più noiosa città del mondo si era data da fare per addobbare ogni quartiere. La strada principale era adorabile: c'erano boutique caratteristiche, ristoranti a gestione familiare e negozi di ortofrutta, inframmezzati ogni tanto da un'enoteca o una galleria d'arte.
Alle sue spalle Alec sbuffava ad ogni passo, fulminando ogni Babbo Natale che chiedeva loro delle offerte. Più di una volta lei aveva dovuto trascinarlo via, prima che scatenasse una rissa con uno di quei panciuti individui.
In confronto al demone Scrooge era un fanatico della festa.
"Non c'è molto da dire. Ho vissuto qui per un tempo limitato, una cosa come tre milioni di omicidi fa" le rispose, smorzando il suo tono scherzoso, mentre la sorpassava.
"Beh, sei già stanca?" la schernì vedendola immobile in mezzo alla strada con aria incredula.
Quinn incrociò le braccia al petto guardandolo in cagnesco. "Tanto lo so che lo dici solo per farmi zittire"
"Lo dico perché è vero" ribatté senza ripensamenti.
"Tu hai davvero ucciso tutte quelle persone?" chiese sottovoce, evitando la spallata dell'ennesimo passante.
Dì di no.
Lo vide alzare gli occhi al cielo. "Definisci persone quelli che possiedono tratti caratteristici dei demoni?"
Grazie a Dio!
"Quindi non hai mai fatto del male agli umani?" fece, visibilmente sollevata.
"Non ho detto questo" esclamò lui sogghignando, facendola bloccare di nuovo.
Ok, ritiro tutto.


Quando rientrarono alla dependance, a notte fonda, lei si diresse veloce come un proiettile in camera da letto, non prima di aver lanciato sul divano giaccone e tracolla, e si gettò a capofitto sul materasso rimbalzando più volte.
Alec la osservò seccato.
Prima insisteva per sapere la verità e poi si rifiutava di rivolgergli la parola se non riusciva ad accettarla.
Con passo pesante si avviò alla porta, l'aprì e la vide sdraiata, i capelli biondi sparsi sul copriletto blu notte, il petto che si alzava e abbassava rapidamente. Stava per dare di matto.
Mmh, si prospetta un'altra notte indimenticabile.
Alec si sistemò vicino allo stipite e attese in silenzio. Dopo qualche attimo lei sollevò la testa fissandolo intensamente.
"Beh? Perché sei qui?" abbaiò con voce tesa. La vide mettersi seduta e appoggiarsi alla testiera del letto, abbracciandosi le ginocchia.
"Mettiamola così, piccola: non sono il demone adatto per sentire le tue proteste, ma se vuoi so come farti distrarre" sorrise malizioso, ritrovandosi accanto a lei in una frazione di secondo.
Quinn si spostò sul materasso per porre una decisa distanza tra loro. "Grazie, ma le tue distrazioni" disse mimando le virgolette "non mi interessano affatto!"                                           
"Non essere perversa, volevo solo offrirti un drink!" replicò allora lui, esibendo un'adorabile espressione ingenua.
Quasi angelica.
Assolutamente estranea alla sua persona.


"Un...drink? Alle tre del mattino?" domandò confusa. Solo lui poteva proporre una bevuta dopo averle confessato certe cose, della serie 'tirati su con un goccetto e butta tutto nel dimenticatoio'.
Lo vide annuire e poi smaterializzarsi, prima di udire dei rumori in cucina.
Quando tornò al suo fianco, aveva in mano una bottiglia di Scotch ancora sigillata.
"Non sapevo che ci fosse alcol qui" borbottò lei, prendendo il bicchiere che le offriva. Era ancora incerta, ma in fondo non avrebbe potuto fare altrimenti, se non assecondarlo.
"Io riuscirei a trovare alcolici anche nel Sahara" mormorò, lanciandole quel suo sguardo obliquo, sexy da morire.
Oh no, non lasciarti incantare Quinn Taylor!
"So cosa stai cercando di fare"
"Ah sì?"
"Mmh, cerchi di rendermi docile. Ma non accadrà, io reggo bene questa roba!" Come no.
"Allora non hai niente da temere"


Un'ora dopo, la testa iniziava a girarle. Cavolo, quella era stata ben più di una distrazione, era praticamente sbronza.
Già cominciava a sparare parole a vanvera, mentre raccontava delle assurde feste al college e il concorso di Miss Maglietta Bagnata a cui la sua amica Cassidy l'aveva convinta a partecipare, facendo sorridere il demone che aveva di fronte, perfettamente sobrio. Ma come era possibile dopo aver fatto fuori un'intera bottiglia?                                                                                 
"Sai, dovresti ubriacarti di più. Sei quasi più divertente del solito" le soffiò lui all'orecchio.
"Dovrebbe essere un complimento?" borbottò Quinn, infastidita, mentre si sdraiava sul letto in posizione opposta a quella di lui.
"Direi di sì, essere divertenti anche da sobri, non è cosa facile per voi umani! Fidati"                           
"Beh, grazie!" disse incerta. Ha appena insultato la mia razza o me lo sono solo immaginato?
"Bisogna essere demoni per esserlo davvero?" aggiunse poi, mentre fissava il soffitto sopra le loro teste. 
Alla sua domanda seguì un lungo silenzio e lei si domandò distrattamente se non l'avesse offeso.
Immaginò la sua espressione omicida della serie 'riesci sempre a rovinare i momenti di calma'.
"Ehi...sei svenuto?" scherzò sentendo subito dopo una debole risata provenire da vicino. Si rilassò leggermente e le scappò un gemito sommesso quando provò a sollevarsi e si ritrovò a respingere un capogiro. Imprecò e ripeté l'operazione, che fallì ancora.
"Perché non resti così? Mi sto godendo la visuale" mormorò il demone attirando la sua attenzione.
Oh, cavolo.
Indosso una maledetta gonna sopra il ginocchio.


Quinn si lasciò scappare un sorriso nervoso, mentre chiudeva gli occhi compiaciuta e incrociava le caviglie, per impedire che lui sbirciasse oltre il consentito.
"Smettila, non sei il mio tipo"
Voleva essere un commento ironico, per chiudere l'argomento e tornare a parlare di frivolezze.
Ma evidentemente Alec non era dello stesso avviso.
Il calore del suo corpo muscoloso sopra il suo la riportò immediatamente alla realtà. Doveva ancora abituarsi alla super velocità in stile  Clark Kent. Sollevò le palpebre e inquadrò l'espressione di lui, così straordinariamente intensa da farle venire i brividi.
"Bambina cattiva. Lo sai che non si dicono le bugie" sussurrò con note di rimprovero e divertimento nella voce.
"Non era una bugia" disse respirando a fatica, dicendosi che il groppo che aveva in gola era solo una combinazione di sindrome premestruale e troppo
Scotch.
Quello scintillio negli occhi di lui la metteva a disagio. Sembrava volesse divorarla, ed essendo un demone, non c'era nulla di lusinghiero in quel desiderio.
"Mmh, continua a ripeterlo"
"Levati di dosso" borbottò, cercando di spostarlo puntandogli le mani sul petto. Inutile.
"No" fu la risposta arrogante.


Alec si prese il suo tempo, sfiorandole prima la bocca con la sua e poi seguendo la linea del labbro inferiore con la lingua e iniziando a mordicchiarlo. Voleva farla impazzire?
Il respiro l'abbandonò lasciandola ansante e irrequieta sotto di lui. Era crudele e provocante.
Stupendo da strangolare.
Non appena le loro labbra si unirono in un contatto più profondo la sua opinione mutò radicalmente.
Quell'uomo era passionale, la sua lingua bollente. La ragazza, dopo i primi secondi di smarrimento, si abbandonò languida a quel bacio, posandogli delicatamente le mani sulle spalle.
Il suo corpo era rigido sopra di lei. Per qualche ragione, si appoggiava sul palmo delle mani in modo che solo le bocche si toccassero. Come
se non volesse forzarla ad andare oltre.
Aveva uno strano modo di comportarsi da creatura maligna. Nonostante lo sguardo da predatore che gli aveva incupito gli occhi, l'istinto le diceva che lui avrebbe smesso subito, se lei lo avesse voluto. 
Per una volta Quinn avrebbe voluto lasciarsi andare, ma sapeva che se l'avesse fatto non sarebbe riuscita a gestire la situazione, nemmeno con la mente obnubilata dall'alcol.
Sarebbe stato un errore enorme.

Anche se i suoi baci le facevano pulsare tutto il corpo.
L'autocontrollo era la chiave. Quante volte si era chiesta se fosse giusto controllarsi sempre e comunque, oppure se qualche volta era meglio non pensare troppo e accettare qualche rischio?
Troppe, e ogni volta la risposta era stata una sola.
"Non posso farlo" sussurrò lei, sorpresa per aver trovato la forza di formulare quel pensiero e di dargli voce. Farfugliò qualcosa di indistinto contro se stessa, spingendolo via e saltando in piedi come una molla.
Poi si precipitò in bagno chiudendo la porta a chiave.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16: The Sramana ***


Capitolo 16: The Sramana





Imbarazzante.
Non riusciva a pensare a nessun'altra parola, mentre si avviava stancamente in cucina, trascinandosi fino allo sgabello.
Aveva passato la notte in bianco, sul duro e gelido pavimento del bagno, sentendosi più sola e stupida che mai.
Era stato terribilmente infantile, ma si vergognava troppo per raggiungere Alec sul letto dove si era consumato il misfatto.
Si era lasciata trasportare.
Lo desiderava e l'aveva ricambiato, senza rendersi conto di quanto fosse sbagliata l'intera questione.
Era stato strabiliante quanto il loro primo bacio, che aveva (a malincuore) giudicato come un'esperienza a dir poco trascendentale. Solo che questa volta c'era stato un tocco di familiarità in più.
Lui aveva usato una combinazione perfetta di labbra e lingua, la pressione ideale, la giusta quantità di passione.
Non c'era dubbio che avesse una vasta esperienza cui attingere, eppure Quinn aveva avuto l'impressione che stesse tenendo a bada il suo potenziale.
Stare accanto a lui la sconvolgeva in mille modi: si sentiva annegare nella sua oscurità, l'attraeva quando avrebbe dovuto allontanarsi. Si era sentita travolgere e si era spaventata. Non le aveva fatto male, ma le cose erano andate troppo in fretta e lei non era stata in grado di comprendere quello che le ribolliva dentro. 


Si strinse nelle braccia per riscaldarsi, era infreddolita e tremava.
La dependance era vuota.
Il demone l'aveva di nuovo lasciata sola.
Si domandò dove andasse così spesso. La maggior parte delle volte era tornato ferito o malconcio, ma sempre soddisfatto.
Andava in cerca di creature da uccidere? Rabbrividì al solo pensiero.
Nel suo mondo c'era così tanta violenza che non riusciva ad immaginare come potesse essere diverso. Probabilmente era stato addestrato a fare del male fin da neonato. Una cosa da barbari.
Aveva sempre aberrato questo genere di cose. Ancora si chiedeva come avesse fatto una predicatrice di pace e amore come sua madre a sposarsi con un militare!
E lei, povera idiota, provava attrazione per un individuo peggiore. Folle.
Doveva ricominciare quel rapporto dall' inizio. Porre dei limiti che entrambi avrebbero dovuto rispettare.
Non c'era alternativa.
Mentre rimuginava razionalmente sul problema, Quinn sentì delle voci provenire dall'esterno.


Spiò dalla finestra e intravide la donna anziana di qualche giorno prima.
Questa volta era sostenuta da una più giovane, probabilmente sua figlia, che cercava di sistemarla sul sedile anteriore di una macchina. Sembrò che discutessero di qualcosa di importante, su cui lei non era d'accordo. Poi rientrò nella locanda sbattendo il portone.
Nervosetta, la ragazza.
Dopo qualche minuto Quinn uscì sulla piccola veranda.
Poggiò entrambe le mani attorno alla tazza di caffè bollente, rischiando di ustionarsi, ma quel calore le penetrò fin dentro le ossa e la fece sentire meglio.
Le assi del pavimento scricchiolarono sotto i suoi piedi, mentre andava ad appoggiarsi alla ringhiera, constatando che la situazione era rimasta immutata. 
Quel posto sembrava inghiottire chiunque vi entrasse, pensò guardando la signora stringersi la sciarpa attorno al collo.


Aveva intenzione di domandarle a chi appartenesse la scatola, chi fosse Alexander, ma quando la raggiunse l'anziana donna si limitò a porle una domanda che per un momento la lasciò sconcertata.
"E' qui con quell'essere, vero?"
La sua voce era un sussurro disgustato, e Quinn ripensò a ciò che aveva detto Alec. Quelle persone sapevano chi fosse, e avevano paura di lui. La ragazza non rispose, a disagio, e lo sguardo dell'altra si addolcì lievemente mentre la squadrava.
"Lei non è come lui" affermò allora.
Intende un demone?
"Mi scusi?" si finse confusa. In che razza di situazione mi sono andata a cacciare?
"Non si fidi di quelli della sua razza, non è prudente" continuò la donna con tono severo, aumentando il suo imbarazzo.
"Lei conosce Alec?"
L'altra sorrise tetra mormorando il nome del demone come se si trattasse di una bestemmia, prima di riportare lo sguardo su di lei, le afferrò una mano e la strinse tra le sue, per farla avvicinare.
"Da tanto tempo. Abbastanza da sapere che è capace di ottenere la sua fiducia. I demoni non hanno bisogno di mentire, perché sanno sempre come trarre vantaggio da qualunque situazione. Può sembrarle affidabile, ma alla fine la parte malvagia di lui prevaricherà sulla sua natura umana. Come è successo in passato"


"Non...non capisco"
"Lo farà presto"
"Ascolti, la scatola che mi ha dato..." Quinn s'interruppe quando avvertì un rumore di passi e osservò la signora giovane avvicinarsi a loro con sguardo truce. Si sforzò di sorriderle, mentre si liberava dalla presa ferrea dell'altra.
"Buongiorno"
"Che cosa vuole?" domandò senza mezzi termini, la luce del sole che splendeva su
i capelli chiarissimi, mentre incrociava le braccia al petto e distoglieva la sua attenzione dalla madre.
"Io volevo solo...niente. Lasci stare, è meglio che torni dentro. Scusate il disturbo" farfugliò tornando dentro e chiudendosi a chiave. Al sicuro.
Sbirciando ancora dalla finestra vide madre e figlia discutere ancora animatamente, prima di mettere in moto l'auto ed andarsene a tutta velocità.
Una cosa era certa, quel posto era gestito da gente veramente strana.


                                                                                                                                   
                                                                                                                              ***


Zane se ne stava seduto al buio, il rumore del vento a fargli compagnia, troppi pensieri per la testa.
Era l'alba? Una luce grigia filtrava attraverso i tendaggi scuri, mentre il demone rifletteva ancora su ciò che era successo.
Quello che Aud gli aveva rivelato lo aveva infuriato e deluso allo stesso tempo.
Se si fosse verificata una situazione del genere qualche tempo prima, non ci avrebbe pensato due volte ad uccidere il succubo per infamia. Ma le cose erano cambiate, sapeva di potersi fidare di lei e ciò rendeva le cose più complicate.
Gesti minori del tradimento venivano puniti con la morte, al diavolo, tutto nel loro mondo andava incontro allo stesso destino. Era facile, efficace.
Tuttavia Zane non riusciva a capacitarsi che qualcuno così vicino a lui potesse averlo tradito così, sotto i suoi occhi.
Si diede dello stupido un milione di volte. Avrebbe dovuto capirlo subito.
Suo fratello Aidan era sempre stato una testa calda, poco incline all'ordine e al controllo anche in battaglia, spinto dall'odio incondizionato verso Alec e la sua debole madre umana.
A capo dei demoni camaleonte, lui e Marek erano inseparabili e Zane si rimproverò mentalmente di non essere arrivato a capire prima che c'era lui dietro tutto quanto.
E' uno di tanti, si corresse. Se ciò che Aud aveva intravisto nella mente di quel Satariel era vero, membri del suo clan e di quello avversario si erano alleati per far tornare in vita il secondo Signore degli Inferi, in modo da ristabilire l'equilibrio delle forze.


Per secoli Zane aveva pensato alle possibili conseguenze di un tale ritorno.
Quando suo padre era vivo, la guerra tra le varie fazioni era ancora più violenta. Era questa la situazione in cui lui era cresciuto. I Verandert, coloro che mantenevano sotto controllo l'attività demoniaca nel mondo umano, erano in continuo fermento, poiché quasi nessun demone riusciva più a rispettare dei limiti.
La profonda rivalità tra Dahak e Thren aveva fatto subire al mondo degli Inferi numerose perdite inutili, e Zane non aveva alcuna intenzione di tornare al caos che regnava in principio.
Avrebbe fatto qualunque cosa per evitarlo.


                                                                                                                               ***


"Ok, lo ammetto: avevi ragione!" lo accolse Quinn al suo ritorno, la voce vagamente tremante e l'espressione preoccupata.
Alec non si stupì, immaginando che doveva averne combinata un'altra delle sue.
"Cos' hai fatto?" le domandò rassegnato, meno rude di quanto volesse. La vide mordicchiarsi nervosa il labbro inferiore e le intimò mentalmente di smettere o non avrebbe mantenuto a lungo la distanza tra loro.
"Io volevo solo essere gentile"
"Quinn"
Si era accorto che gli veniva spontaneo chiamarla per nome quando era arrabbiato. 
Le bastò guardarla insistente per indovinare, senza neanche sondare la sua mente. I suoi occhi chiari volarono verso la finestra, in direzione della locanda e non ebbe bisogno di dire nulla. Alzò gli occhi al cielo e le si avvicinò.
"Hai parlato con loro?"
"C'era una donna anziana là fuori, l'avevo già vista prima e ho pensato...comunque non succederà più. Avevi ragione, devo lasciar stare. Fuori da qui è tutto troppo inquietante, la gente è fuori di testa. Mi fa venire i brividi!" esclamò senza accorgersi di alzare la voce di qualche ottava.
Il demone si portò una mano alla tempia per contrastare l'emicrania lancinante che l'aveva colto da qualche ora.
Doveva calmarsi o sarebbero stati guai. La sciamana. Dopo tanti anni ancora interferiva nella sua vita.
"Che ti ha detto?" le chiese tra i denti.
"Niente, era totalmente..."
"COSA?" ripeté con voce dura, afferrandole un polso con forza senza curarsi di farle male. Non c'era un motivo al mondo per cui avrebbe voluto informare l'umana del suo patetico passato.
La vide sbarrare gli occhi, confusa e spaventata dal suo repentino sbalzo d'umore, poi la sua espressione mutò, tornando ad essere ostinata come sempre. "Che non devo fidarmi di te! E non avevo alcun bisogno che me lo dicesse una vecchia pazza" sibilò, prima di strattonare il braccio per liberarlo dalla sua morsa d'acciaio.


Quinn non riusciva quasi a respirare quando raggiunse la camera da letto.
Non per via del terrore, no, ma per la rabbia. Profonda, divorante. Non si era mai sentita in quel modo.
Avrebbe volto colpirlo forte. Non era una sensazione insolita quando Alec era nei paraggi, ma non era mai stata così intensa.
Si era resa conto del suo nervosismo nel capire ciò che aveva fatto, ma non riusciva a comprendere la furia che gli aveva letto negli occhi subito dopo aver saputo della persona con cui aveva parlato.
Deve essere qualcuno che conosce fin troppo bene.
E viceversa, a quanto ha detto.
Per quanto folle, quella donna le aveva soltanto fornito degli avvertimenti. Erano stati uno shock per il suo stupido istinto di conservazione che era tanto fedele al demone, ma in fondo non erano cose tanto assurde cui fare riferimento.
Come avrebbe potuto affidarsi completamente a lui, quando scattava in quel modo violento per una sciocchezza?


Quando la porta si aprì, Quinn fu tentata di chiudersi nuovamente in bagno e passarci il resto della vita, invece rimase dov'era. Incrociò le braccia al petto fissando torva l'uomo che le si parò davanti.
Sembrava essere più calmo adesso, così la ragazza deglutì e si schiarì la voce, mentre lui si sfilava la maglietta con movimenti stranamente lenti e calcolati.
"Allora puoi dirmi chi diavolo era?" chiese, sapendo benissimo che non avrebbe dovuto sperare troppo in una risposta.
Un'occhiataccia di fuoco fu la risposta. "Non rompermi le palle" le disse con voce stranamente roca.
"Ti ho solo fatto una domanda" borbottò lei, abbassando leggermente lo sguardo sulla ferita alla spalla di cui  prima non si era  assolutamente accorta. Balzò giù dal letto e gli si avvicinò preoccupata.
Era un foro con un diametro pari a trevolte quello di un proiettile, ma l'aspetto non era così differente, compreso quel gonfiore livido tutt'intorno che le fece venire la pelle d'oca.
"Sei di nuovo sanguinante" gli fece notare stupidamente, sollevando una mano come per toccarlo.
"Ma dai!"
Quando lui fece per girarsi lei fece un passo indietro, imbarazzata dallo stupido impulso che era stata costretta a soffocare.
Niente più contatti.
"Per questo sei così intrattabile?" azzardò acida, provando a dare una spiegazione a se stessa. Lo vide inarcare un sopracciglio con la faccia di chi trovava quella domanda la più deficiente mai posta.
"Non è che di solito io sia uno zuccherino" ribatté infatti.


"Insomma chi era?" tornò alla carica dopo qualche secondo.
Alec la inchiodò con lo sguardo, ma sentiva che questa volta le avrebbe risposto.
Magari con una parolaccia, ma l'avrebbe fatto. 
"Solo una fottutissima sciamana che tende ad essere teatrale. Non ha 
nessuna importanza" sibilò con aria omicida, dopo aver emesso una sorta di ringhio soffocato.
Quindi esistono sciamani veri.
Meglio prendere nota.
"Sei sicuro? A me sembra che ne abbia, se ti fa infuriare così" lo incalzò la ragazza, mentre lui si voltava e rivelava meglio la ferita aperta sul pettorale sinistro.
Poi sollevò lo sguardo su di lei, non c'era più rabbia, il suo umore era tornato quello di sempre.
"Che ne sai tu di quello che mi fa infuriare?" la voce era come un sussurro. Una carezza che nascondeva malizia.
Assolutamente nulla in effetti, pensò sperando che non si riferisse al comportamento di quella notte.
L'aveva illuso e poi lasciato solo. Sicuramente avrebbe voluto fargliela pagare, dopotutto era un demone.
Quinn fece spallucce. "Magari il fatto che mi abbia detto la verità su di te"
"Se l'avesse fatto veramente, dolcezza, la tua reazione sarebbe stata diversa"
Lei passò rapidamente in rassegna le parole della vecchia. Aveva accennato qualcosa circa il suo passato. 
"Che vuol dire?" sussurrò timidamente, seguendo le sue mosse con lo sguardo, senza muoversi.
Alec abbassò bruscamente la mano dalla spalla dopo aver tolto quelle che sembravano schegge di legno e si voltò, prendendo a camminare lungo il corridoio, diretto alla cucina, con passi più veloci e pesanti di prima.
"Niente"


Dopo qualche ora la ferita si cicatrizzò e lui si ritrovò a pensare al combattimento di quel pomeriggio.
Il demone di quasi due metri d'altezza che aveva concluso un affare nel vicolo di fronte alla sua vecchia sistemazione, l'aveva aggredito senza un reale motivo.
Lui aveva pensato di potersene sbarazzare presto e scolarsi una birra al Fahrenheit, prima di tornare da Quinn.
Si erano scontrati in un violento e divertente corpo a corpo, durante il quale si era reso conto che la merce del demone non era altro che sangue di vampiro. Andava per la maggiore in certi club esclusivi.
Verso la fine, quello
l'aveva colpito ripetutamente, stringendogli la gola fra gli artigli affilati e quando lui aveva tentato di liberarsene e trasformarsi per finirlo, l'energia l'aveva abbandonato.
Di solito la scarica di adrenalina scorreva in tutto il corpo e poi gli effetti del cambiamento cominciavano a farsi sentire.
Occhi neri e brucianti, zanne, pelle scura...
Invece non era accaduto niente.
Aveva mantenuto la sua forma umana e si era beccato un paletto da vampiro nella spalla.
Negli ultimi tempi era stato sempre più difficile affrontare una trasformazione completa, e Alec pensava che dipendesse dal suo vivere nel mondo oltre i Varchi.
Dovevano trovare i traditori al più presto o la sua metà demoniaca l'avrebbe abbandonato rapidamente, lasciandolo privo di forze e questo non se lo poteva permettere.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17: Stand by me ***


Capitolo 17: Stand by me




Vagava svogliatamente per il salotto.
La tv accesa sul programma di televendite, il più ridicolo mai creato, il volume azzerato per evitare quelle voci esaltate tipiche dei presentatori. 
Era maledettamente stanco di quelle quattro mura, voleva combattere, uccidere, vendicarsi.Viveva per quello.
Stare troppo a contatto con una donna senza concludere niente lo rendeva iper nervoso, non riusciva a darsi una calmata. Tra poco sarebbero dovuti uscire, una pessima idea, per come la vedeva lui, perché passare del tempo in mezzo alla gente lo avrebbe fatto impazzire, ma era l'ora d'aria di Quinn. In fondo, si era accontentata di poco.
"Andiamo?" fece per chiamarla attraverso la porta del bagno.
"Sì, un secondo" avvertì la sua voce soffocata e capì che era di nuovo al telefono con i suoi. Era il sedici dicembre, e più le feste si avvicinavano, più i contatti con la famiglia divenivano fitti.
Lui non riusciva più a capire questa necessità, ma ricordava com'era sentirsi vicini a qualcuno.
Quando la porta si aprì un minuto più tardi, vide di sfuggita i suoi occhi lucidi  e distolse in fretta lo sguardo respingendo la vaga morsa di apprensione che gli sfarfallò nello stomaco.


Era stato insolitamente taciturno e scostante per tutto il giorno.
Raramente si era avvicinato a lei, cosa che invece prima faceva spesso, solo per metterla in uno stato d'agitazione che sembrava renderlo euforico. Quasi lo preferiva così.
Il demone sarcastico che non prendeva nulla sul serio e si dilettava a fare a pugni con quelli della sua specie.
Incredibile che le piacesse di più quando era arrogante, compiaciuto e irritante.
Quinn era confusa: sapeva per certo che cedere una volta alla tentazione che lui rappresentava sarebbe stato una gioia e un disastro allo stesso tempo, ma non riusciva a smettere di pensare a come sarebbe stato. Pensieri pericolosi, senza ombra di dubbio, specialmente se i suoi sbalzi emozionali si susseguivano in modo così veloce.
Quella sera si erano finalmente allontanati da Coventry e ora giravano per il mercato di Providence, entrambi senza la minima traccia di entusiasmo.
Ognuno con i propri pensieri per la testa.


Alec la sentì sospirare affranta passando davanti all'ennesima vetrina senza degnarla di uno sguardo.
Di solito le donne non impazzivano per i saldi natalizi?
"Tutto ok?" le mormorò poco interessato alla risposta, avvicinandosi di un passo alle sue spalle. Anche se non la stava toccando, era abbastanza vicino da farle sentire il calore del proprio corpo, tanto per stuzzicarla un po'.
"Ehm...sì, sicuro"
"Sul serio? Quindi questa tua espressione da funerale è perfettamente nella norma" commentò ghignando. Vide le sue labbra, rese lucide dal suo continuo movimento con la lingua, arricciarsi leggermente.
"E' solo che si muore di freddo qui" si lamentò con voce sottile, mentre arrivavano alla fine della strada, vicino ad un ponte ancora bianco, dopo l'ultima neve. Quinn si appoggiò con i fianchi al bordo gelido di metallo e lui la imitò.
Erano controvento, e il profumo dolce di lei lo raggiunse facendolo irrigidire.

"Vuoi che ti tenga al caldo?" scherzò per stemperare la tensione.
"Ecco che ritorni in modalità pervertito. Cambi umore più in fretta di qualsiasi persona abbia mai conosciuto" commentò voltandosi a fissarlo. Nei suoi occhi aleggiava il solito sarcasmo e questo, in qualche modo bizzarro, la tranquillizzò.
Dov'era finita la ragazza che non intendeva fidarsi di una creatura delle tenebre?


"Evito i fastidiosi sprechi di energie. Letteralmente"
"Cioè?"
Lui soppesò l'idea di eludere la domanda, prima di spiegarle. "Essere costantemente rancorosi e irritati è il tipico stato d'animo dei demoni. Sono i sentimenti che stimolano il nostro cambiamento, ci sguazziamo dentro come se fosse ossigeno. Essendo demone solo per metà, io non funziono esattamente così. La mia forza è maggiore della loro in forma base, e anche se sono incline alla rabbia, tendo a perdere lucidità quando m'innervosisco troppo e devo sforzarmi per mantenerla durante la trasformazione o rischierei di uccidere chiunque mi si pari davanti"
Quinn annuì stringendosi nel cappotto per una folata di vento, e Alec dovette stringere una mano a pugno, per non spostarle una ciocca di capelli davanti al viso e lasciare che lo facesse da sola.
"Così sei più reattivo quando sei tranquillo?"
"Sì, anche se è raro che succeda nel nostro mondo" Ovviamente, si rischia la vita un secondo sì e l'altro pure.
"Ma quando ti trasformi...come hai fatto quella volta in una deliziosa dimostrazione della tua meschinità..." s'interruppe lanciandogli un'occhiataccia quando lui scoppiò a ridere "Tu utilizzi quel genere di sensazioni"
Non era una domanda, l'aveva osservato abbastanza da conoscere certi lati di lui.
"Già, però ho un limite di tempo quando sono in quello stato. E dopo mi sento...spompato. Per questo preferisco mantenere la forma umana il più a lungo possibile" ammise controvoglia.

Perché le sto dicendo tutto questo?
"E il sangue ti aiuta a rimetterti così come cura le ferite?"
Alec sorrise. "Non proprio. Di solito mi aiuta qualcos'altro" le rivelò marcando le ultime parole, desiderando che equivocasse.
"Oh! Ma non... insomma, non dovrebbe essere il contrario?" domandò incredula. 
"Ehi, io parlavo dell'adrenalina da combattimento, piccola maniaca!" la prese in giro, vedendola diventare di mille sfumature di rosso e blaterare che si era espresso in modo ambiguo.
Fissava le sue labbra muoversi ininterrottamente e respinse la voglia di tirarla a sé e baciarla ancora.


Fortunatamente qualcosa distolse rapidamente la sua attenzione da lei.
Ora era concentrato sulle quattro figure in nero apparse in un vicolo, tra due edifici ben nascosti, lontani dalla folla. Riconobbe l'abbigliamento nero di pelle di Kegan, le lame dei demoni Gothel che lo accompagnavano sempre, e soprattutto l'espressione stampata sulle loro facce. Quella omicida e piena di aspettative che precedeva un combattimento coi fiocchi.
Vide di sfuggita Quinn cercare di seguire la traiettoria del suo sguardo e la trattenne, prendendo il suo mento tra le dita e spingendola a voltarsi verso di lui.
"Dobbiamo andare via"
Moriva dalla voglia di fare una bella scazzottata, ma non poteva permettersi di lasciarla sola e smaterializzarsi in mezzo a tutta quella gente era fuori discussione. Inoltre lei non gli avrebbe mai permesso di mollare quel catorcio di metallo che definiva auto.
"Perché?" protestò lei, soffocando un gemito quando lui l'afferrò malamente per un braccio.
"
Perché sì. Non fare domande stupide" le intimò, perentorio.
"Non è stupido voler sapere che diavolo succede!" si ribellò lei, testarda, puntando i piedi mentre lui tentava di trascinarla via. Tra tutti i momenti in cui si metteva a fare la bambina ostinata, quello era il peggiore.
"Te lo dirò appena saremo lontani" le rivolse quelle parole in un tono che non ammetteva repliche.


"Non vieni?" lo raggiunse una voce familiare. 
"Scusa K" fece voltandosi e  incrociando lo sguardo dell'amico "non sono qui per questo" spiegò riluttante, indicando la ragazza con un cenno. Gli prudevano le mani, sapendo cosa stava per succedere.
"Come vuoi, ma c'è Aidan in quell'edifico. Sta selezionando le prossime vittime umane per la tratta" lo tentò l'altro.
Cazzo, Aidan.
Se c'era qualcuno che detestava più di Zane, era quello psicopatico di suo fratello.
Un bastardo anche per gli alti standard degli Inferi. Un po' come suo padre.
Desiderava farlo fuori da quando aveva masso piede nel suo mondo.
Alec sentì la ragazza al suo fianco trasalire alla notizia, sicuramente preoccupata per quelli della sua specie e sospirò, teso.
"Non posso"
"Vai"
Parlarono all'unisono.
Il demone si voltò in direzione di chi aveva emesso quella richiesta sussurrata. "Come?" le domandò sconcertato. 
"Questo è un luogo pubblico, io sono relativamente al sicuro, no? Quindi puoi lasciarmi qui"
Non tentarmi.
"No"
"Vai, lo so che vuoi" lo invitò spingendo debolmente una mano sul suo petto.
Lo voleva eccome.
Il richiamo alla battaglia per un demone era troppo forte. E se normalmente gli altri
erano guidati dall'istinto e commettevano omicidi spinti dalla propria natura, lui lo faceva per pura cattiveria, per sete di vendetta, in modo del tutto razionale e cosciente. Era qualcosa di cui aveva bisogno per esorcizzare i suoi fantasmi.
La guardò ancora negli occhi per individuare un segno di esitazione, ma non ne trovò.
Le piaceva farsi vedere forte, eppure in lei c'era una vulnerabilità che tirava fuori un istinto protettivo che Alec non aveva mai saputo di possedere. "Tienila d'occhio. Se riescono ad arrivare a lei siamo fottuti" intimò infatti a Kegan, che annuì, rigido.

                                                                                                                                 
                                                                                                                                       ***


La vecchia fabbrica vuota era abbastanza buia e polverosa, sebbene si trovasse al centro della città e un tempo avesse una grande importanza. Alec e il suo seguito individuarono i demoni camaleonte, intenti ad incatenare gli umani.
Dovevano essere almeno una decina.
Ne facevano sparire solo pochi alla volta, per attirare meno l'attenzione della polizia.
Studiò il perimetro controllando tutte le uscite, studiando la disposizione delle finestre e individuando quelle utili come vie di fuga. Quando Aiden uscì allo scoperto, Alec non riuscì più a resistere.
"Beh, come si dice: chi non muore si rivede" gli sibilò quello con voce strascicata e un timbro cavernoso, scorgendolo in fondo alla grande sala centrale.
Il suo essere per metà vampiro gli conferiva un paio di zanne più affilate e grandi di quelle di un qualunque altro demone, e si vedevano chiaramente spuntare tra le labbra pallide ogni volta che parlava.
"Risparmiati le massime Aidan, fanno tanto vecchio secolo" soffiò lui, caustico, mentre altre sagome scure li circondavano.
"Lasciate stare ragazzi. Sono affari privati"
Alec sapeva che in realtà non avrebbe esitato a farsi dare una mano dai suoi bestioni se le cose si fossero messe male.
"Già, sapete com'è. Il richiamo del sangue" sputò allora, in una risposta rancorosa e sarcastica.


Il coltello del mezzo vampiro affondò nel fianco del fratello, provocando un'esplosione di dolore che si diffuse in tutto il busto. Porca.puttana.
"Niente conto alla rovescia, prima di cominciare?"
Estrarre la lama fu tremendo e il demone si ritrovò a stringere i denti così tanto che quasi li sentì scricchiolare.
"Odio perdere tempo"
In pochi secondi iniziarono a volare i pugni.
Uno degli attacchi di Aidan colpì l'altro alla bocca così violentemente da fargli vedere le stelle e assaporare il gusto del sangue. Immediatamente Alec affondò il gomito nella gola dell'altro e lo colpì così forte che, per un attimo, quello sembrò restare inerme.
Un istante dopo, però, si ritrovò a volare all'indietro, scontrandosi contro una parete che interruppe la traiettoria, spezzandogli quasi la spina dorsale. Aidan lo colpì ripetutamente all'altezza dello sterno con la punta di ferro dei suoi stivali, mentre lo teneva per un braccio, che poi spezzò in un movimento rapido.


Dolore e rabbia invasero il demone come una furia. 
Alec rotolò, chiuse la mano attorno alla caviglia del vampiro e lo trascinò verso di sé. Le nocche del fratello riempirono la sua visuale, e lui riuscì a malapena a schivare il suo colpo.
Nonostante ciò, un secondo pugno raggiunse lo zigomo provocando una fitta di dolore che s'irradiò su tutto il viso.
Ringhiando, si precipitò sull'altro e gli piantò un ginocchio nello stomaco, facendolo gemere di dolore.
Era ora!
Gli restituì il gesto, sbattendolo talmente forte contro il muro vicino che questo si accartocciò su se stesso.
Quando Aidan fu finalmente a terra, quasi inerme sotto i suoi colpi, si sentì chiamare da una voce familiare alle spalle.
Uno dei suoi gli lanciò un pugnale insanguinato e lui lo piantò rapidamente in uno dei polmoni del vampiro, che emise un urlo silenzioso, prima che il sangue prendesse a scorrere copiosamente dalla ferita.
Avrebbe dovuto ucciderlo, ma non lo fece.
La prossima volta, magari, pensò prima che altre creature infernali gli si gettassero addosso con violenza.


                                                                                                                   ***


"Perché non sei ancora guarito?" domandò Quinn con una smorfia sul viso. Quei lividi avevano un aspetto orribile e le altre ferite...preferiva non pensarci neppure.
"Ehi, non è stata una passeggiata! Mi serve più tempo" mise su un finto broncio, strappandole un sorriso tirato.
La ragazza inclinò il capo e lo studiò attentamente, ancora appoggiata allo stipite della porta.
"Forse non avresti dovuto passarci su il sapone" rifletté.
Alec scrollò le spalle, prima di gettarsi a peso morto sul letto e gemere di dolore.
"E se ci mettessi del ghiaccio come noi comuni mortali?"
"Naa, non ne ho bisogno. Tra un po' il sangue farà effetto" borbottò, prendendo a fissarla insistente. "Perché non vieni più vicina?" domandò sornione, vedendola a disagio.
"No, grazie, ti vedo bene anche da qui!" Fin troppo, pensò squadrando le macchie violacee che gli attraversavano il petto.


Solo ripensare all'aspetto disastroso che aveva prima della doccia le fece tremare le ginocchia. Ora il sangue era stato lavato via per la maggior parte e le ossa del braccio erano tornate nella loro solita posizione.
Era stato un errore lasciarlo andare, ma le era sembrata la cosa più giusta sul momento. Aveva letto la delusione nei suoi occhi, la sua lotta interiore, e aveva deciso di aiutarlo.
Anche se non riusciva proprio a comprendere come potesse piacergli farsi ridurre in quel modo.
Magari è un masochista convinto
"Dai, non ti faranno impressione quattro lividi!" la stuzzicò il demone.
Porre delle sfide di solito funzionava con lei, tuttavia in quella situazione era diverso. Se avesse voluto vedere corpi martoriati si sarebbe iscritta alla facoltà di Medicina, non a Psicologia! Un conto era guardarli in tv, dove regnava la finzione, ma così era esagerato.
"Non sono quattro lividi: ancora cinque minuti là dentro e ti avrebbero tirato su col cucchiaino!" sbottò, facendolo ridere debolmente, prima che la sua mano si sollevasse a massaggiare un fianco.


"Tutto bene?" chiese allarmata avvicinandosi al letto, senza rendersene conto.
"Dacci un taglio piccola o potrei pensare che ti preoccupi davvero per me" tentò di scherzare il demone.
"Ma figurati" farfugliò, portandosi un passo indietro. Meglio non rischiare di entrare nel suo raggio d'azione.
"Comunque ci ho ripensato: voglio quel ghiaccio"
Quinn cercò di non pensare al fatto che le avesse appena dato un ordine e si avviò velocemente in cucina, a mettere tutti i cubetti di ghiaccio presenti in freezer in un fazzoletto di stoffa.
Quando tornò in camera, vide che si era sollevato, poggiando la schiena contro la testiera del letto.
"Ecco" mormorò sedendosi accanto a lui, a testa china.
Sollevando il braccio, lasciò che fosse lui a posizionarle la mano tremante che stringeva il panno gelato sulla chiazza viola più grande, la quale occupava quasi tutta la parte destra dell'addome.
"Già che c'eri, avresti potuto farti prendere a calci anche di là, così ci sarebbe stata una fantastica tinta unita" bofonchiò a mezza bocca. Fu più un rimprovero che una battuta sarcastica.
"Sembri una mammina...è strano che lo trovi eccitante?" fu il commento malizioso che ricevette in cambio.


"Sei incredibile, anche in un momento del genere pensi a certe cose!"
"Sempre. Mi piace provocarti, sei irresistibile quando ti imbarazzi. Hai le reazioni di un'innocente ragazzina cattolica" sussurrò con quel tono di voce suadente che la faceva impazzire.
"Tecnicamente sono mezza ebrea"
Ansimò per la sorpresa, quando lui la spostò a cavalcioni sulle sue gambe e lo fulminò con lo sguardo. Doveva evitare di perdere la testa, altrimenti gli avrebbe dato un ulteriore motivo per sogghignare soddisfatto.
Demone, di nome e di fatto.
"Ti vedo meglio da qui. Non vorrei aggiungere il torcicollo alla lista dei miei traumi" si giustificò con aria quasi innocente.
Si schiarì la gola per ingoiare il nodo d'emozione che le si era inconsciamente formato.
"Come ti pare" sussurrò in pieno imbarazzo. Lo vide sorridere spudoratamente e si schiarì la gola nervosamente.
"Allora...seguendo il tuo ragionamento, è previsto che ora io assuma tipo tredici tonalità di rosso e scappi via da questa posizione inopportuna, passando per una povera frigida?"
"Ah ecco, ora che l'hai pianificato non è più divertente, ma in definitiva, direi che più o meno le cose stanno così" concluse, senza neanche sforzarsi di essere serio.
Stronzo.


Si finse offesa, spostando
lo sguardo dal suo viso: i suoi occhi le facevano sempre uno strano effetto quando assumevano la colorazione più scura. Le ricordavano troppo il suo lato demoniaco che ovviamente preferiva dimenticare.
"Tu non mi conosci bene" borbottò, lasciando il ghiaccio sul comodino e prendendo a giocherellare con i capelli, senza sbilanciarsi troppo su di lui, per non fargli male. Lui assunse un'espressione indecifrabile.
"No, eh?"
"No. Vedi, se mi impegno…" continuò con voce suadente, attorcigliandosi un ricciolo attorno al dito.
Lo vide deglutire, mentre continuava a fissarla, con occhi colmi di curiosità e quella sfumatura nera che diventava ancora più evidente. Quinn sapeva che presto avrebbe del tutto inghiottito lo straordinario colore che li caratterizzava.
Si avvicinò al suo viso, lentamente, godendosi la sua espressione frustrata.
"Posso diventare davvero brava a nascondere la mia vena folle"
Alec rabbrividì e portò le mani sui suoi fianchi, stringendoli lievemente.
"Così brava da sembrare quasi un angelo" scherzò melliflua.
"Mmh, un demone e un angelo. Il massimo del cliché" sussurrò l'altro, riprendendosi e facendo vacillare il suo controllo.
Rilassati...era solo uno scherzo.
"Peccato che odi gli stereotipi" disse cercando di recuperare terreno, staccandosi da lui.


Il demone sospirò e chiuse gli occhi, adirato.
Perché continuava a temerlo? Non le aveva fatto del male, anche se ne aveva avuto l'occasione più di una volta.
Riaprì gli occhi e si accorse che lei si era spostata dall'altro lato del letto, fuori dalla sua portata, la pelle chiara illuminata dalla tonalità calda delle lampade, mentre tornava a fissarlo.
"Ti stai divertendo a prendermi in giro?" ringhiò quasi dalla frustrazione.
 
Il suo sorriso si fece più ampio mentre si muoveva verso di lui andando ad aderire al suo corpo, così vicina che credette stesse per baciarlo davvero, questa volta. Invece le sue labbra procedettero oltre.
Con la guancia pressata contro la sua, gli si avvicinò all'orecchio.
"Scusa. E' che ridotto così non fai tanta paura"
scherzò con un filo di voce.
Lo sentì rilassarsi debolmente. "Immagino di no"
Lei lasciò scorrere lo sguardo per intero sulla sua figura, perdendo il lampo di divertimento che aveva negli occhi, e poggiò i palmi aperti sul petto, gli carezzò il busto passando attorno alle ferite e scendendo verso il basso, indugiando sui torniti avvallamenti e sulle convessità dei muscoli.
L'idea era quella di donargli un po' di sollievo, ma Alec socchiuse gli occhi con le palpebre pesanti, aprì la bocca per emettere quello che sembrava quasi un'imprecazione, e il suo livello di eccitazione crebbe ad ritmo vertiginoso.
"Ti faccio male?" chiese, incapace di nascondere una nota di compiacimento nella voce.
"Sì" la beffeggiò lui, roco "Un dolore lancinante"
Passandole una mano tra i capelli dorati, le voltò il capo fino a che non si trovarono a pochi centimetri uno dall'altra.
Il tempo sembrava essersi fermato mentre Quinn aspettava di sentire la sua bocca sulla propria.
Sembrava che stesse aspettando una conferma, così gli accarezzò una guancia, coperta da una barba chiara e corta che le pizzicò piacevolmente la punta delle dita.
Lui si sporse in avanti e la baciò, inclinando la testa di lato per rendere il contatto immediatamente profondo e appassionato.


Quinn lo assecondò, non potendo fare diversamente: Alec era la passione totale, le toglieva il fiato.
Dava e prendeva con la stessa, intensa ferocia. Lei si sentì andare a fuoco.
Gli conficcò le unghie nel cuoio capelluto mentre gli insinuava le dita tra i capelli ancora umidi, posandogli i pollici sulle tempie, come se temesse che stesse per allontanarsi da un momento all'altro. Cosa che, forse, sarebbe stata saggia.
Si lasciò sfilare il maglione senza protestare.
Lui l'assaggiava a morsetti, per poi scendere pian piano con le dita dalla nuca alla schiena, giù lungo la spina dorsale premendo dolcemente su ogni vertebra per poi risalire allo stesso modo.
Sentire sulla pelle quel palmo calloso la fece fremere.
Il punto di rottura si stava avvicinando e se non fosse fuggita subito, il demone avrebbe scoperto nel giro di un minuto quanto in realtà non avesse affatto voglia di smettere. 
Ma non riuscì a muoversi, perché stava troppo bene tra le braccia di lui. Dannato mostro!
Sembrava quasi prenderla in giro, tirando la corda all'inverosimile, provando a tendere il suo ritegno un centimetro dopo l'altro fino a spezzarlo. Lei fu tentata di scostarsi solo per insultarlo.
Deve essermi entrato nella testa. Deve...
Alec allungò le braccia dietro di lei per afferrarle i glutei e stringerla finalmente a sé, e Quinn sentì la pelle nuda e liscia, ovunque toccasse la sua. L'erezione le premeva con insistenza contro l'addome e lei emise un ansito di sorpresa. 


Lui fece una risatina roca. "Stai bene?"
Era la prima volta che quella domanda gli usciva di bocca durante i momenti d'intimità, ne era ben consapevole.
Cercò di pronunciarla con una nota beffarda, senza lasciare trasparire il timore che lei potesse respingerlo ancora.
Non avrebbe avuto la forza di lasciarla andare e non voleva farle del male.
Quinn si ritrovò ad annuire contro la sua spalla, mentre veniva liberata del resto dei suoi vestiti con un leggero fruscio.
Il demone stava lentamente ingentilendo i tocchi delle sue mani sul corpo della ragazza, in uno stridente contrasto con la spietata violenza di quella sera.
Lanciò un gemito dentro la sua bocca, gutturale e selvaggio, poi
la fece sdraiare sotto di lui, ignorando le stupide fitte di dolore. Scese con le labbra dalla sua guancia rosea fino al collo, si avventurò verso lo sterno e si fermò tra i seni avvertendo il caldo battito del suo cuore, mentre lei abbandonava la testa contro il cuscino, inspirando bruscamente.
Con spietata lentezza si dedicò alla morbida pelle dei fianchi, per poi seguire ripetutamente il contorno dell'ombelico, giocandoci con la lingua, facendola sobbalzare al contatto umido e bollente.
Continuò a scendere, descrivendo un incandescente percorso di baci, succhiando avido, finché non raggiunse la sua meta, soffermandosi a vezzeggiarla con sapiente maestria per interi minuti, pigramente e languidamente, spingendola ad arrendersi a lui.
Lei mugolò, ondeggiò e tremò sul punto di esplodere.
La torturava fino a portarla sull'orlo del piacere, si tirava indietro e ricominciava ad un ritmo più incalzante.
Quasi a v
olerla sfinire, eccitandola ad ogni tocco. Le sembrava che l'aria intorno a loro crepitasse, come se fosse densa di elettricità statica.


Quinn fece dei respiri profondi, in una disperata ricerca d'ossigeno, mentre una mano si intrufolava tra i capelli del demone. Non era certa di volerlo allontanare o avvicinare. Non era nemmeno certa di trovarsi ancora sul pianeta Terra.
"Guardami" le ordinò persuasivo, gettando nello scompiglio il suo sistema nervoso.
Il loro sguardo s'incrociò e, nella confusione che le imperversava nella testa, lei riconobbe la solita arroganza che lo distingueva e il lampo di desiderio che gli illuminavano gli occhi scuri.
Lui improvvisò viziosamente un movimento sinuoso, che le fece vedere le stelle e soffocare un rantolo, accendendola di nuovo. Il piacere sembrò prolungarsi per un'eternità.
Poi Quinn s'inarcò in preda al desiderio febbrile, stringendo spasmodicamente il lenzuolo, finché il suo corpo non fu attraversato da una scarica potente, pura estasi che le fece mordere forte il labbro inferiore per non urlare il suo nome.
Sembrava tutto così magnifico, spaventoso e inevitabile…
Il demone si sollevò, ripercorrendo con le labbra aperte in un sorriso soddisfatto ogni centimetro di lei, come se non ne avesse ancora abbastanza. Le sembrò che avesse più di due mani, perché il suo tocco rovente era ovunque e accendeva milioni di fuochi sulla pelle, facendola gemere. Gli bastava far vagare lo sguardo su un punto preciso e lei vi percepiva immediatamente una lieve pressione, come una carezza profonda e invisibile.
Poi si rese conto della cosa più sorprendente che le fosse mai capitata: riuscì a percepire come Alec percepiva lei.
Quando gli percorse lentamente la schiena muscolosa e tesa con la mano, avvertì lo stesso tocco sulla propria spina dorsale. Una sensazione incredibile che la fece gemere di piacere e incredulità.
"Mmh, adoro quel suono. Voglio sentirlo ancora" le sussurrò all'orecchio, roco e sensuale, contenendo a fatica la disperata impazienza che lo invadeva mentre si posizionava tra le sue gambe.


Cosa le aveva promesso circa il sesso con un demone?
Piacere oltre ogni immaginazione.



Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18: The day after ***


Capitolo 18: The day after


 

Sentì Quinn sorridere, mentre lui le lasciava una fila di baci lungo il lato del collo, prima di portarla possessivo al suo fianco.

Rimasero sdraiati l'uno accanto all'altra per un tempo infinito, attendendo che il loro respiro si regolarizzasse.
Non c'erano dubbi che lei stesse forzando le sue resistenze, in tutti i sensi, eppure ad una minuscola parte di sé non dava affatto fastidio, appariva... giusto, come un qualcosa destinato ad accadere.
Era la prima volta che stringeva una donna tra le braccia in quel modo e si ritrovò ad accarezzarle i lunghi capelli biondi che gli ricadevano sul petto, morbidi riccioli da attorcigliare attorno alle dita.
Non era mai stato così.
Di solito, per lui doveva esserci una veloce congiunzione dei corpi e un altrettanto veloce distacco.
Piegò la testa in modo da poterla osservare in volto: aveva gli occhi accesi, le labbra schiuse, le guance arrossate.
Poco sotto il collo, il segno del suo morso era ben visibile, come un marchio d'appartenenza.


Il suo profumo dolce, i respiri ruvidi e irregolari, i gemiti brevi e acuti, lo avevano fatto impazzire.
Doveva tenere bene a mente che lei non era come le sue solite compagne di letto. Era umana, debole, minuta, ma s
entire quelle piccole mani sulla pelle gli aveva reso la decisione di andarci piano dannatamente difficile. I demoni di sesso femminile con cui passava la notte, erano violenti, esigenti: graffi e morsi erano il minimo che si poteva ricevere. Non aveva idea che il sesso con qualcun altro potesse essere passionale allo stesso modo, ma con una nota di dolcezza che solo in sogno era stato capace di concepire.
Quando lei gli affondava le unghie nella pelle, era come sentire il solletico. Piacevole, non doloroso.
Non c'erano stati incoraggiamenti esagerati né osceni, ma i suoni che le uscivano dalle labbra aveva sortito lo stesso un effetto devastante sul suo ego.
Dopo la prima volta, le aveva concesso un po' di tempo per rilassarsi, rallentare il battito cardiaco accelerato, come non aveva mai fatto con nessun'altra.
Ma quella piccola strega aveva fatto una battuta sarcastica circa il suo non riuscire a starle dietro, data l'avanzata età, e in tutta risposta lui le aveva affondato scherzosamente i denti nella carne soffice della spalla, strappandole un piccolo suono a metà tra un gemito e una protesta, prima di dimostrarle quanto fosse in torto. Con quel ricordo in mente, si lasciò trasportare dalla stanchezza, sentendosi finalmente rilassato.


Lui era ancora supino, un braccio abbandonato sulle lenzuola e l'altro a cingerle le spalle, sfiorandole il seno con le nocche.
Anche lei era ancora raccolta contro il suo fianco, con un braccio posato di traverso sul suo torace e l'altro nascosto al caldo sotto il cuscino.
Le sembrava di non avere forma né sostanza...e di non essersi mai sentita tanto bene in tutta la sua vita.
Ricordare di aver dormito con un demone però, le fece uno strano effetto. Anche se lui era stato favoloso.
Attento, seducente e provocante ma non brutale, come si sarebbe aspettata. Avevano perfino scherzato.
Assurdo Taylor, scendi dalle nuvole.
Non aveva mai voluto abbellire la realtà e non l'avrebbe fatto ora, così qualche minuto sotto l'acqua fredda le sembrò un'ottima idea per liberare la mente da pensieri contorti e illusori.
Rotolò sul letto e mise un piede fuori dal bordo, ma in un istante si ritrovò di nuovo con la schiena contro il materasso sotto il peso di Alec.
Lui la guardò socchiudendo gli occhi, che diventarono immediatamente di un intenso colore dell'ossidiana.
Non aveva capito che fosse sveglio.
La guardò con espressione seria e famelica, le scostò i capelli dalla fronte e le accarezzò una guancia con il dorso della mano.
"Hai fretta di andartene?" la sua voce aveva un suono caldo e ricco, incredibilmente sensuale.
"Volevo solo fare una doccia" Gelata.
"Dopo" rispose sfiorandole la gola con la punta delle dita. "Dopo che avrò finito con te"
Agli ordini...


                                                                                                                               ***


Quando finalmente riuscì a trascinarsi fuori dalla stanza era talmente sottosopra da optare per un rilassante bagno nella grande vasca, e lì, immersa nell'acqua calda e profumata, scoprì di essere anche piacevolmente indolenzita.
Arrossì al pensiero di quanto era successo.
Decisamente Alec non era un demone dall'ego gigantesco, o meglio lo era, ma non aveva affatto mentito circa le sue capacità amatorie. Era stata senza dubbio l'esperienza sessuale più travolgente che avesse mai sperimentato.
Nella sua mente rimbombavano ogni parola e ogni respiro, fluttuavano immagini confuse e l'eco delle proprie urla le risuonava nelle orecchie. Sentiva la pelle ipersensibile e si domandò se non fosse solo una sua impressione.
Uscì dalla vasca molto tempo dopo, allungando un braccio a cercare l'asciugamano, se lo sistemò al meglio, prendendo a strofinarsi i capelli gocciolanti mentre si guardava allo specchio.
Aveva ancora le labbra gonfie e rosse, il morso scherzoso spiccava come un succhiotto e, sospirando, attese l'imminente vampata di rimorso, senso di colpa e autoflagellazione.
L'eccitazione e il piacere di poche ore prima, lasciarono il posto ad un profondo senso di disagio.
Santissimo cielo, ho davvero fatto quelle cose?


"Ehm...il bagno è libero" mormorò al demone in attesa fuori dalla porta, senza guardarlo.
Lo sentì attraversare la stanza e con la coda dell'occhio lo sbirciò mentre si voltava nella sua direzione, così si finse indaffarata a cercare i propri vestiti. Lo ringraziò mentalmente di non averle rivolto la parola, quando lui sparì dietro la porta.
Non aveva idea di cosa si aspettasse.
Non era mai stata il tipo che dopo il sesso diventava appiccicosa con un uomo, semmai era l'opposto.
I suoi ex l'avevano definita difficile, fredda, a tratti irraggiungibile.
Ma lei era semplicemente insicura, una di quelle persone si trovava meglio da sola.
Che forse era anche peggio.
Dopo essersi infilata un paio di jeans chiari sfilacciati al ginocchio e un maglione nero, si legò come poté i capelli fissandoli in uno chignon morbido, con qualche immancabile ricciolo sfuggente ad incorniciarle il viso, mentre si truccava rapidamente.
Si preparò una tazza di caffè bollente, lasciandone una sul bancone per lui, sperando che un po' di caffeina le avrebbe sciolto i neuroni e dato qualche idea su come comportarsi.
Fare finta di niente, come sicuramente avrebbe fatto l'altro?
Mettersi a discuterne seriamente l'avrebbe fatta passare per una psicotica con la mania del controllo?
"Sono proprio brava a mettermi nei casini" farfugliò tra sé.
"Quanto è vero" le fece eco una voce maschile sarcastica e rassegnata.

Lui la fissava, immobile, con le braccia incrociate sul petto e la testa leggermente inclinata da un lato.
Era appena uscito dalla doccia, e aveva addosso solo un asciugamano legato alla vita.
Oh.mio.Dio.


Quinn si sistemò oltre il divano, fulminandolo con lo sguardo quando lui sorrise, divertito.
"Cos'è hai bisogno di una distanza di sicurezza?" la schernì, muovendo un passo avanti, solo per vederla trasalire.
Recuperò un po' di quel beneamato autocontrollo, che l'altro si dilettava a minare, e sollevò il mento con aria fiera.
"Esattamente" replicò, ostinata.
"Pensi di non riuscire a trattenerti dal mettermi le mani addosso?" le domandò in un sussurro arrogante. Il suo tono era basso, ma non sembrava particolarmente scontento dalla situazione. La osservò sollevare un sopracciglio.
"Un po' troppo pieno di te, non trovi?" il suo borbottio lo fece sorridere.
Si sta solo prendendo gioco di te, idiota.
E lo sai.


Alec mosse un passo verso di lei, evitando di muoversi più rapidamente, per non farla sentire in trappola. Se avesse ricominciato a respingerlo l'avrebbe strozzata, sul serio. 
"No, no, no. Fermati" Lui obbedì, confuso. Possibile che fosse spaventata?
"E'…troppo strano!" esordì la ragazza, un istante dopo "Insomma siamo noi, capisci?" balbettò, quando l'altro si accigliò.
"Grazie per l'acuta delucidazione" disse in un mormorio roco.
Si era visibilmente rilassato, dopo aver capito che non era la pura il problema, e aveva recuperato la sua aria strafottente.
"Potresti comportarti da persona seria, per un minuto? Per favore" fece, seccata, piantando gli occhi azzurri nei suoi.
Lo vide sospirare, con fare drammatico. "Se insisti"
Ancora passi avanti, uno dietro l'altro. Aggirò il divano e si fece più vicino, con lentezza.
"Non sono esperta di queste cose" sussurrò irritata, fissandolo in cerca di risposte.
"Cosa? Il sesso? Non te la sei cavata male"
Anzi...
"No! Intendo cose tipo...oh, lo sai. E' stato un errore di dimensioni bibliche! Non sarebbe mai dovuto accadere niente tra noi"
"Oh Cristo! E' di questo che stiamo parlando?" Salvatemi dai riflussi di coscienza.


Quinn lo guardò in silenzio, eloquente.
Lo sentì scoppiare in una risata che le fece venire i brividi. Era sensuale anche quella, di lui.
Il tempo di prendere un respiro e se lo trovò davanti, a pochi centimetri il nero profondo dei suoi occhi. Fece per aggiungere qualcosa, ma riuscì solo a dischiudere la bocca, prima che lui riducesse la poca distanza che li separava.
Velocemente la trasse a sé, passandole un braccio attorno alla vita per farla aderire al proprio corpo, raggiungendo le sue labbra. Le mordicchiò leggermente, insinuando la lingua tra di esse.
Fu un bacio breve alla fine del quale lui si deliziò della visione della ragazza completamente abbandonata contro di lui, una traccia di rimprovero negli occhi chiari.
"Non preoccuparti, tesoro" soffiò sulle sue labbra, prima di allontanarsi. "Sei proprio umana" aggiunse scuotendo il capo.
"Che...cosa vuol dire?"
Lui alzò le spalle, avviandosi al bancone per afferrare la sua tazza di caffè e poi nuovamente in bagno per finire di asciugarsi.
"Vuol dire: non rimuginarci troppo su. E' successo e basta. Goditi il momento"
Come se fosse facile!



                                                                                                                           ***


Aidan si risvegliò con le mani legate sopra la testa.
Era con le spalle contro una parete umida e scura in una casa per niente familiare. La stanza in vecchio stile era illuminata da candele che gettavano ombre danzanti tutto intorno a lui e si sentiva circondato da sussurri.
Esaminando la stanza trovò Zane, in piedi, a poca distanza da lui. La sua espressione non prometteva nulla di buono, e lui capì che in qualche modo doveva aver scoperto tutto.
La rabbia gli oscurò la vista. Non l'avrebbe fatto morire. Non in quel modo. Nonostante sanguinasse ancora molto e riuscisse a respirare a fatica, strinse le corde e tirò con tutta la forza che aveva.
"Finalmente sveglio" la voce tirata e minacciosamente bassa gli fece riportare lo sguardo sul fratello.
"Dammi del sangue, idiota, questa fottuta ferita mi sta uccidendo!" gli urlò, avvertendo immediatamente un dolore lancinante.
Zane sembrò soppesare l'idea, poi scosse la testa. "Credo che riuscirai a durare abbastanza"
Aidan sentì la corda cedere un poco. Continuò a tirare, dedicando la sua completa attenzione a quell'unica possibilità di riconquistare la propria libertà. Conosceva le intenzioni del demone e non aveva alcuna voglia di assecondarlo.
Voleva vincere lui, questa volta.
"Allora, fratellino, ora mi accomoderò qui" fece quello afferrando una delle poltrone di pelle presenti nella stanza "e noi due parleremo un po'. Che ne pensi? Non accetto obiezioni"


Aidan gli sibilò contro, scoprendo le proprie zanne.
Una freccia di legno lo colpì al bicipite destro, facendolo urlare.
"Sii più collaborativo" gli intimò l'altro con voce placida. Incrociò le braccia dietro la nuca e si mise più comodo, come se stesse facendo una conversazione piacevole e non fosse occupato a torturarlo.
"Vai a farti fottere" fu la risposta acida del mezzo vampiro.
Un'altra freccia attraverso l'aria con un sibilo e si conficcò nella sua gamba.
"Non ci siamo. Comincerò con una domanda semplice, ma cruciale: chi sono gli altri demoni invischiati in questa follia?"
Aidan scoppiò a ridere, prima di sputare sangue e rivolgergli un ghigno.
Non poté fare a meno di pensare a quanto fossero simili. Entrambi avrebbero fatto qualunque cosa per il potere: Zane per tenerselo e lui per conquistarlo.
A differenza dell'altro però, il primo non aveva l'appoggio di numerosi demoni di livello superiore.
Tutti volevano un cambiamento. Tutti volevano tornare ad avere la grandezza di un tempo.
I demoni della vendetta non sarebbero più stati solo un ricordo.
Sarebbero risorti insieme al loro Signore.


                                                                                                                       ***


"Credevo che non se ne sarebbe fatto più niente dopo quello che è successo ieri" la nota d'incertezza non nascondeva l'entusiasmo nella sua voce cristallina.
Il demone la guardò raggiungerlo alla porta, mentre tirava su la lampo del giubbotto scuro.
"Ehi, sei stata tu a volere l'accordo. Se non vuoi uscire, per me..."
"No, va benissimo. Pensavo che mi volessi tipo...murare viva qui dentro, visto che i demoni sono arrivati così vicino"
Oh, ti vorrei murare viva qui dentro, ma per altri motivi. Si morse l'interno della guancia per non dirlo ad alta voce.
"Non erano lì per te, e non ti hanno vista, quindi non c'è problema per ora"
Esattamente ciò che aveva riferito a suo padre.

Quel pomeriggio Alec si era recato alla vecchia fortezza per fornire i dettagli sulla sua lotta con Aidan.
Dahak era stato soddisfatto di tutto, specialmente del fatto che aveva abbandonato Quinn per combattere, lamentandosi solo perché quel mezzo vampiro ambulante era ancora vivo.
Ovviamente. Non era stata una scelta furba, e nonostante si fosse ripetuto che non sarebbe stato una minaccia, lui stesso non riusciva a capire i motivi del suo gesto.



"Stupendo" esclamò lei con voce soffice.
Mentre gli passava davanti, venne catturato dal profumo vanigliato del suo bagnoschiuma e alzò gli occhi al cielo
emettendo un suono strozzato, a metà tra un gemito e un sibilo: restare chiuso nell'abitacolo della macchina con lei sarebbe stata una tortura.
Lei lo guardò e i suoi occhi azzurri scivolarono giù verso l'apertura della camicia, con l'intensità di chi si ricordava come era stato sentirlo contro di sé. Le sue labbra si dischiusero e vi passò sopra la lingua, come faceva sempre quando era nervosa.
"Sai...dovresti, non so, metterti una giacca o qualcos'altro. Giusto per uniformarti al resto della popolazione. Siamo quasi dieci gradi sotto zero" mormorò con aria da maestrina qualche secondo dopo.
"Ho la giacca di pelle in auto"
La vide annuire distrattamente, mentre posava la mano guantata sulla maniglia, e si chinò fino a raggiungere il suo orecchio.
"Comunque, ho sempre preferito distinguermi" scherzò, beccandosi un'occhiata di biasimo.
"Non avevo dubbi"


Quando uscirono nel parcheggio, stavano entrambi sorridendo.
Quinn si guardò istintivamente intorno e oltre il vetro di una delle finestre della locanda, intravide la figura austera della sciamana.
La fissò con quei suoi occhi gelidi e scosse la testa con aria di rimprovero, poi aprì la bocca per mimare delle parole che lei non riuscì ad afferrare. Le ricordava la scena di quel vecchio episodio di X-files che non l'aveva fatta dormire per giorni.
"Che stai guardando?"
La ragazza si voltò di scatto verso il demone e indicò la finestra. "Non la vedi?"
Alec inarcò le sopracciglia, confuso, poi la sua espressione assunse un'aria truce velata di consapevolezza. In silenzio, fece il giro della macchina e aprì lo sportello anteriore. "No. Ora entra in auto" le ordinò, cercando di non sembrare troppo duro.
"Sta dicendo qualcosa!" replicò lei, sforzandosi di comprendere quegli strano movimenti di labbra.
Sembrava stesse ripetendo la stessa cosa all'infinito.
Era inquietante da morire.
"Quinn, in auto. Adesso"
Gli obbedì portandosi al suo fianco e, quando gettò alla finestra un'ultima occhiata, la vecchia era sparita.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 19: Truth ***


Capitolo 19: Truth



C'era un fuoco, poteva percepirne il calore.  
Bruciava e crepitava sulla terra scura e arida. Qualcuno parlava.
Una donna anziana dagli occhi bianchi.
Una litania continua. Parole in una lingua antica che si insinuavano nella sua mente.
Un volto apparve oltre le fiamme.
Liz.
Poi c'era  un bambino, tremante, ricoperto di sangue non suo. E una creatura con un paio di grandi corna e la pelle rossa, lucida.
Avvolgeva con le grandi braccia il corpo del bambino.
Era mostruoso, ma non ne aveva paura. Lo conosceva.
Era lui.
Il suo demone proteggeva il bambino che era stato...


Alec si sollevò a sedere, ansimante, il cuore che batteva all'impazzata contro la cassa toracica.
Era stato tutto un fottuto incubo. Come non ne aveva da anni.
Di quelli senza senso che ti lasciano irrequieto per il resto della giornata.
Sentì qualcosa muoversi al suo fianco e non si ricordò dell'umana fino a che non distinse la sua sagoma, al buio. 
La sentì mormorare qualcosa di indistinto e rannicchiarsi di più contro di lui.
Sospirò sollevato.
Almeno non l'aveva svegliata, non avrebbe voluto rispondere ad un interrogatorio circa i suoi disturbi del sonno.
Alec si sforzò di tornare a dormire, portandosi all'altezza di lei, fissò i tratti dolcemente rilassati del suo volto e sollevò una mano per scostarle i capelli dalla fronte, senza disturbarla.
Una mano stretta a pugno, posta davanti alla bocca, le donava un'aria teneramente infantile e il demone si ritrovò a sorridere appena, scuotendo la testa.
Trasmetteva tranquillità. La stessa di cui lui, inconsciamente, aveva un disperato bisogno.


                                                                                                                                         
                                                                                                                             ***



Un altro grido di dolore provenì dalla grande stanza oltre la porta.
Aud rabbrividì al pensiero di quello che stava accadendo al suo interno e ricordò a se stessa di non far arrabbiare mai Zane o non ne sarebbe uscita viva. Il solo pensiero le causava un fiotto di bile in gola e una paura agghiacciante.
Erano trascorse più di sedici ore dall'inizio dell'interrogatorio e a quanto riusciva a sentire, Aiden non si era fatto scucire una sola parola. Sembrava che andasse avanti da un'eternità.


Percepita la sua presenza,  Zane sbucò dalla porta di legno massiccio e la strinse tra le braccia, come se nel corso della giornata non avesse fatto altro che aspettarla.
Aud non resistette all'impulso di ricambiare, senza però scacciare il pensiero che il demone non aveva esitato un istante a torturare il suo stesso fratello. I demoni di alto livello, come lui, Alec e quel suo amico antipatico, erano ottimi soldati.
I migliori.
Erano creature sanguinarie e per quanto ne invidiasse la forza e la sicurezza, non avrebbe mai voluto essere come loro.
Tuttavia, non poteva fare a a meno di amare almeno uno di loro.
Lasciarsi andare con quel demone così temuto, odiato e disprezzato dagli altri, sapendo che con lei riusciva ad apparire diverso, era come assaporare la vera felicità per un succubo costretto a vagare nella mente perversa degli uomini per restare in vita.
Le labbra, il collo, le spalle: ovunque la toccasse, Zane era come fuoco liquido sulla pelle, incandescente e indelebile.
Lo adorava.


"Immagino che tu non abbia avuto fortuna" gli sussurrò sulle labbra, accogliendo il suo ringhio con una risatina.
"Non ci contavo. E' figlio di Thren e, cosa peggiore, gli è fedele"
"Mmh, magari potrei provare a farlo sciogliere un po'" fece pensierosa, mentre scorreva l'indice sul suo petto. Avrebbe aperto una breccia nella sua bella testolina dura, mentre...
"Assolutamente no!"
Il dolore al braccio la raggiunse prima del suo sibilo rabbioso. Il sentimento della gelosia era poco contemplato nel mondo demoniaco. Si trattava di possesso e basta. Come quando i cani marcavano il territorio.
Come se lei fosse l'albero più ambito.
Aud sapeva di non doversi illudere, eppure sentì uno strano calore salirle alle guance e il cuore aumentare i battiti a quelle parole.
"Va bene. Volevo solo esserti d'aiuto" mormorò, senza smettere di stringerlo a sé.
"Lo sei già"
Lo spero.
"Anche se..." iniziò con un sussurro incerto "Forse potresti aiutarmi a portare a termine il mio piano"
"Come?" la voce le uscì in un ansito di piacere, mentre la mano calda del demone le accarezzava ritmicamente un fianco.


"Hai una vaga idea di dove si trovi l'umana?"
Forse.
"No" ribatté sospettosa. Se mai fosse arrivato il momento di scegliere da che parte schierarsi tra Zane e Alec si sarebbe uccisa.
Uno era il potenziale amore della sua vita, l'altro era il suo unico amico da sempre.
"Davvero?" la voce del demone apparve improvvisamente sospettosa "Non le farei del male" concluse con una smorfia, come se quell'ammissione gli trasmettesse brividi di disprezzo per se stesso.
"Non è quello che mi preoccupa. Dimmi cos'hai in mente e deciderò se risponderti sinceramente oppure no"
"Sei intelligente. Puoi arrivarci da te"
La parola esca le risuonò nella testa più volte mentre deglutiva, nervosa. "Perché dovresti voler arrivare a lei, se non per eliminare la minaccia che rappresenta?" E fare incazzare di brutto tuo fratello, aggiunse tra sé.
Lo vide stringere la mandibola in un gesto di stizza nei suoi confronti e le sue mani si allontanarono da lei, come se l'avesse offeso. "Visto che Aidan si rifiuta di collaborare, agire dall'interno mi sembra il modo migliore per sbarazzarmi dei miei rivali, non ti pare?"
"Vorresti fingerti d'accordo con i demoni che eseguiranno il sacrificio? Non funzionerà mai"
"Forse no. Ma se offrissi loro il giusto...incentivo, potrebbero iniziare a fidarsi"


                                                                                                                     ***


Quando si era svegliato quella mattina, tutto sembrava essere dominato dalla solita noiosa banalità della vita umana.
Si era fatto una bella camminata per schiarirsi le idee e scacciare dalla mente le immagini dell'incubo di quella notte, e al suo ritorno una fumante tazza di caffè lo aveva accolto in cucina.
Era diventata una consuetudine ormai e quella parvenza di normalità nella sua vita da demone lo faceva sentire allo stesso tempo fuori posto e a suo agio, contro ogni logica.
Per essere uno che viveva solo da secoli, trovava fin troppo piacevole il fatto di riuscire a percepire la presenza della ragazza nella dependance anche quando lei non c'era.
Bastava sentire il suo profumo nell'aria, dare un'occhiata alla perfetta disposizione del cibo nel frigorifero, pensare a
lla fine del suo vizio di saltare i pasti, trovare la sua giacca di pelle sempre accuratamente sistemata allo schienale della sedia come lui non si sarebbe mai sognato di fare. Quinn non gli imponeva mai niente, ma il suo stile di vita si era comunque silenziosamente mescolato al suo.


In quel momento lei era al telefono con suo padre.
La sentiva discutere a bassa voce fuori dalla porta, imbacuccata nel suo giaccone se ne stava seduta sugli scalini di legno all'entrata. Dondolava stancamente una gamba e si arrotolava nervosamente un ricciolo attorno all'indice, per poi lasciarlo andare qualche secondo dopo. Sta mentendo, pensò, incapace di frenarsi.
La consapevolezza di aver riconosciuto quel gesto come una sua abitudine, lo colpì fastidiosamente allo stomaco. 

Da quando si annotava gli strani comportamenti delle donne?
Quando lei rientrò, chiuse la porta rumorosamente e sbuffò.
"Mentire è sfiancante" esordì con voce piatta, togliendogli la tazza dalle mani e scolandosi l'ultimo goccio. "Scusa, ma ne avevo bisogno" aggiunse arrossendo appena, dopo essersi realmente accorta di quanto aveva fatto.
"Ti ho mai detto che divento un vero stronzo se non finisco il mio caffè?" la minacciò con tono scherzoso.
La ragazza sorrise, sbattendo le lunghe ciglia. "E quando mai non lo sei?"
Lei e la sua lingua lunga.
Fosse stato un altro tipo di demone, non l'avrebbe lasciata fare. Ma lui la trovava stimolante.
Solitamente le donne tendevano ad essere remissive e seducenti, nessuna di loro si era mai azzardata a redarguirlo o prenderlo in giro. Erano semplicemente ottime attrici, false fino al midollo, non c'era nulla di genuino nei loro atteggiamenti. Mai.
"Che cosa gli hai raccontato?"


Lo guardò interrogativa, prima di connettere. "Oh...vediamo: ufficialmente sto passando le vacanze natalizie a casa di una mia amica a Pasadena. Ovviamente non conosco nessuno laggiù, ma ho sempre voluto andarci, così..."
La sua migliore amica Cassidy, si era trasferita con il marito Dominic a Martha's Vineyard dopo il secondo anno di college, che aveva ovviamente mollato per dedicarsi all'organizzazione di frivoli ricevimenti insieme a ricche befane maniache del consumismo.
Avevano preso a sentirsi solo una volta a settimana, di solito il giovedì sera, ma lei non l'aveva mai invitata a trascorrere il Natale insieme, come quando i suoi erano fuori città, durante l'adolescenza.
Così Quinn aveva preferito inventarsi un'amica più sensibile e intuitiva.


"Allora qual è il problema?"
Il problema è che non dovrebbe fregartene un cazzo di conoscere il problema!
"Semplice! Mio padre è un Colonnello dell'esercito e io sono una frana ad inventare balle" spiegò brevemente con un'alzata di spalle. "Comunque ho sentito mia madre rimproverarlo e minacciarlo, quindi penso che la smetterà con gli interrogatori" aggiunse più serena, in un tono confidenziale che lo fece sorridere.
"Posso immaginare il tipo di minaccia"
"Ti prego, non dire certe cose: stiamo parlando dei miei genitori!" l'aggredì con aria disgustata, tappandosi le orecchie con le mani.
"Andiamo, non dirmi che non li hai mai beccati in atteggiamenti compromettenti?" la stuzzicò, portandosi di qualche passo più vicino, per tormentarla meglio. Sembrava così pudica, su certi argomenti.
"Certo che no! Oddio, quest'idea mi perseguiterà in eterno, lo sento"
"Mmh, non penso che tu debba preoccupartene a lungo"
Scoppiò a ridere quando la osservò sbarrare gli occhi, interpretando il significato di quelle parole.


"Che c'è?" chiese innocentemente con quella sua faccia da schiaffi, allungando un braccio attorno alla sua vita sottile.
Un fremito di piacere le sfuggì mentre cercava di sottrarsi alla sua stretta, ma il demone continuò a trattenerla, stranamente restio a interrompere il contatto fisico tra loro.
"Ti sembra normale scherzare su certe cose?" farfugliò lei, con tono d'ammonimento.
"Dobbiamo lavorare sul tuo senso dell'umorismo, ok?" le fece eco, sfiorando la pelle dei suoi fianchi in una voluttuosa carezza.
"Non credo"
"Sì, invece" una mano salì sul collo, stimolando l'area sensibile "Prendi quello che ti dico troppo sul serio"
"Me lo ricorderò la prossima volta che mi darai un ordine" ribatté piccata, ma con voce malferma. Segno che la sua vicinanza non le era proprio indifferente, come voleva dare a vedere.
Lui la fissò con aria di rimprovero. "E' diverso. Tecnicamente quello che ti impongo di fare è per la tua sicurezza" sussurrò, tentato di baciarla per renderla più docile.
"E nel tuo interesse" aggiunse lei. Alec vide i suoi occhi addolcirsi un po', prima che abbassasse lo sguardo per un attimo e si portasse una mano alla tempia, come colta da un capogiro.


Il demone si allontanò leggermente, per guardarla meglio.
Riconobbe gli occhi bianchi e vitrei dell'incubo, mentre si specchiavano nei suoi. Oh, cazzo.
"Quinn?" la chiamò con voce ruvida, velata di preoccupazione.
Lei schiuse le labbra e le mosse senza far uscire alcun suono. Diceva qualcosa, ma lui non riusciva a capirlo.
Continuava a fissarla, sembrava posseduta e Alec non sapeva cosa fare.
La scosse leggermente, senza farle male, continuando a ripetere il suo nome, nel tentativo di farla uscire da quella specie di trance.
S'insinuò nella sua mente e finalmente riconobbe le parole. Era la stessa litania che aveva sentito quella notte, nella lingua Sami.
E' il momento di ricongiungere le parti.
E' il momento
di ricongiungere le parti.
Lui la conosceva perché sua madre la parlava fluentemente, essendo originaria di quell'area nel Nord Europa chiamata Sápmi.
Percepì i pensieri confusi della ragazza.
Non riusciva a capire cosa stesse facendo. Non aveva il controllo sul suo corpo. Era spaventata.
All'improvviso tutto cessò.
Quinn svenne tra le sue braccia, e quando lui le controllò le pupille, avevano assunto il solito aspetto.


                                                                                                                                ***


Alec si precipitò verso la camera 25B come una furia.
Fu tentato di buttare giù la porta, ma sbattere la testa contro il muro all'idiota della reception era già stato sufficiente a sfogare la sua frustrazione.
Bussò forte alla porta. Una volta, due.
Al terzo tentativo si aprì. Il demone entrò sapendo per certo che non vi avrebbe trovato nessuno dietro.
C'era solo una persona nella stanza. Seduta immobile davanti alla finestra, lontana diversi metri da lui.
Intravedeva le mani rugose posate sul grembo. Da quanto poteva ricordare, sembrava che l'aspetto della vecchia sciamana non fosse cambiato da quando lui era bambino. Era stata sempre una figura angosciante della sua infanzia.
"Hai ricevuto il mio messaggio" la voce strascicata e tetra lo raggiunse alimentando la sua rabbia.
"Già, e sono venuto a recapitarti il mio: stai alla larga da me!"
"Non essere timido, so che c'è dell'altro"
"Proprio no"
La vecchia fece una risata amara, senza voltarsi. Alec vide che stringeva qualcosa di marrone tra le dita. Un sacchetto di tela.
Anche Liz aveva una collezione di quella roba, ma non l'aveva protetta granché.
"Domandamelo" insistette senza scomporsi davanti alla minaccia di morte che gli lampeggiava negli occhi. Probabilmente ne aveva ricevute troppe nella sua lunghissima esistenza. Forse più di lui.
Alec soppesò l'idea di uscire dalla porta per non rimettere più piede in quella stanza.
"Domandamelo"
Ti dirò ciò che vuoi sapere, gli promise una voce nella sua testa.
"Smettila!" le gridò, trattenendosi dal buttarla di sotto con tutta la sedia e la sua incrollabile saggezza.
"Domandamelo e lo farò"


"Perché adesso? Dopo tutti questi anni..."
"Sapevo che la tua parte umana sarebbe tornata completamente nel momento in cui tu glielo avresti permesso"
"Non l'ho fatto"
"Non ne hai più il controllo...forse non l'hai mai avuto"
"Sì invece o non sarei riuscito ad andare avanti"
"Forse sei giunto dove era destino che tu arrivassi. Ciò che ti ostini a rinnegare fa parte di te: è un pezzo della tua anima che devi recuperare. E' stato deciso tutto molto tempo fa"
"L'unico destino che riconosco è quello che mi sono creato. Non mi bevo più le tue stronzate da una vita, quindi dimmi come impedirlo e poi vattene all'inferno"


Aveva lottato troppo per far emergere la giusta parte di sé, l'unica veramente meritevole, e ora non poteva pensare di soffocarla come era accaduto in passato.
Liz pensava che mantenerlo umano lo avrebbe salvato, ma si era sbagliata.

Sosteneva sempre che lui avrebbe potuto dominare il male dentro di sé, e in linea di massima era vero. La sua convinzione però l'aveva solo reso troppo debole per impedire che venisse uccisa e trascinato lui in un mondo asservito alla violenza.
Una volta entrato a farne parte, nessuno poteva uscirne.

Quei fattori imprevisti, le tragedie che gli avevano invaso l'esistenza, avevano anche reso labile la sua immunità al male, e così tutto a un tratto, quello aveva attecchito e preso il sopravvento.
Alec aveva visto troppo, fatto troppe cose orrende per essere capace di sopportare l'urlo della sua coscienza, quando quella avesse fatto ritorno. Semplicemente non poteva.


"Non c'è niente che tu possa fare, arrivato a questo punto"
"Sto perdendo forza e questo mi farà ammazzare. Immagino che questo ti faccia piacere"
La sciamana emise uno sbuffò, accompagnato da un'aria profondamente disgustata. "Ti sbagli. La tua parte demoniaca è più forte che mai e potrai affrontare un trasformazione completa nel momento in cui riceverai il giusto stimolo"
Roba da matti.
Come se salvarmi il culo non fosse abbastanza stimolante
.
Chi parlava con tono da grande saggio gli faceva salire il sangue alla testa, e quella vecchia l'aveva già tradito una volta.
Era facile dirgli che ormai non c'era più nulla da fare per impedire quel processo, lei non si rendeva conto che solo acquisire pieno controllo della parte demoniaca, sopprimendo ogni emozione umana, l'aveva fatto sopravvivere negli ultimi tre secoli.
Quanto la odiava.
Aveva cominciato a farlo dopo l'aggressione dei demoni e la morte di sua madre, e quel sentimento si era  rafforzato nel tempo.
"Dimmi la verità: sei venuto da me per chiedermi questo...o perché eri preoccupato che potessi fare del male alla tua umana?"
Senza degnarla di una risposta si smaterializzò nella camera da letto della dependance e collassò sul materasso.
Quinn era andata a fare un giro in auto da sola, su sua esplicita richiesta. Inizialmente le era sembrata preoccupata all'idea, ma anche elettrizzata da quella parvenza di libertà.
Sarebbe rimasto lì ancora qualche minuto prima di recuperarla.


                                                                                                                                 ***


"Dobbiamo parlare"
Quando Quinn si era vista apparire quella donna aveva quasi urlato dallo spavento. Colta alla sprovvista, in mezzo a tutta quella gente, si era appena resa conto che il demone si trovava riflesso in uno specchio.
Era esattamente come la ricordava. Una donna stupenda dai capelli rosso fuoco e un paio di innaturali occhi viola.
Deglutì e si schiarì la voce, prima di guardarsi intorno per rintracciare qualche occhiata curiosa.
Nessuno sembrava essersi accorto di nulla.
"Chi sei?" un sussurro ostile, che provocò una risatina.
"Alec non ti aveva detto il mio nome?"
"Che cosa vuoi?" sibilò contro la superficie fredda. Sentiva che l'avrebbero rinchiusa se l'avessero vista parlare con la sua immagine.
"Solo proporti un accordo veloce per poter tornare alla tua vecchia, patetica vita"


"Come diavolo hai fatto a trovarmi?" Non c'era quel maledetto scudo?
"Lascia perdere, tanto non dirò a nessuno come farlo"
Quinn alzò gli occhi al cielo. "E pensi davvero che mi fiderei di un demone?"
"Abiti e dormi con uno di noi" le ricordò quella in un moto d'acidità.
Vero. Ma lui era diverso, essendo per metà umano, e sembrava possedere sentimenti. "Non ho intenzione di starti a sentire"
"Non è me che devi ascoltare, ma un demone potente che vuole il ritorno del suo Signore almeno quanto te" la schernì la donna dagli occhi viola. "Si chiama Zane e vuole parlarti. Da sola, ovviamente"
"Digli pure di restare all'inferno"
Vide la donna nello specchio socchiudere gli occhi, quasi a volerla incenerire. "Chiudi la bocca,
piccola bipede senza cervello"
"Non preoccuparti, non ho più niente da dire" fece per andarsene.
"Aspetta!"
Quinn prese un respiro profondo e si voltò nuovamente nella sua direzione.
"Ascolta: ti sto offrendo una via di fuga da questa situazione, credevo ti interessasse. O hai qualche motivo particolare per voler lasciare le cose come stanno?" ringhiò irritata. 
"Ovviamente no"
"Bene" recuperò il buonumore "Devi venire al ponte di Providence, domani a mezzanotte"
Quinn la vide sparire sorridendo come se avesse accettato, senza neanche darle la possibilità di rifiutare e mandarla al diavolo.


                                                                                                                                   ***


"Sei arrabbiato?" la sentì domandare quando sbatté violentemente lo sportello della sua povera auto. Dopo averla trovata in quel negozio, l'aveva spinta fuori senza dirle una parola. Le era sembrava vagamente scossa, ma non si era preoccupato di domandarle nulla.
Distanza. Basilare, necessaria distanza.
"No"
Quinn afferrò al volo le chiavi che le lanciò e la vide arrancare per stargli dietro. "Senti, sono meno ottusa di quanto pensi. So benissimo che c'è qualcosa che..."
"Fai un favore a te stessa e stammi alla larga" la interruppe bruscamente, sfoderando il suo sguardo autoritario. La trascinò riluttante all'interno della dependance, e chiuse a chiave la porta.
Non avrebbe voluto trattarla male, specialmente dopo quello che la vecchia pazza le aveva fatto, ma non riusciva ad essere minimamente gentile con tutto quello che aveva saputo.
"Almeno stavolta non ce l'hai con me" la udì borbottare, mentre metteva su il broncio e cominciava meccanicamente a prepararsi la cena. Lo fece quasi sentire in colpa e questo non fece che accrescere il suo cattivo umore.
Le parole della vecchia gli frullavano nella testa. "Già, vedi di non farmi cambiare idea. Stare qui è una tortura e ne ho le palle piene di tutta questa maledetta storia
" si sentì dirle, con voce dura.
L'espressione di Quinn divenne riflessiva, poi depressa e quindi arrabbiata. "Di qualunque cosa si tratti, vedi di risolverla senza mettermi in mezzo, chiaro? Non sono il tuo cazzo di punching ball" sbraitò agitando le posate.
"Non preoccuparti, tesoro. Per quanto tu sia irritante, non ho intenzione di aggredirti
" replicò caustico.
Si rifugiò in camera senza aggiungere altro.


Quinn bolliva dalla rabbia. Certe volte sapeva essere veramente un coglione vanesio e presuntuoso.
Sapeva che era successo qualcosa da quando l'aveva praticamente buttata fuori qualche ora prima, senza darle una spiegazione sul perché lui rinunciasse ad accompagnarla. Poi rammentò di aver avuto modo di farsi spiegare quella specie di vuoto di memoria nel corso della mattinata, così lo raggiunse.
"Credo che dovremmo parlare"
"Quinn" le disse solo, come avvertimento. Non stressarmi o ti mordo.
"So benissimo come mi chiamo, grazie, e sai che cos'altro so?"
"No e non voglio sentirlo"
"Che non tollererò di essere tenuta all'oscuro" fece una breve pausa, raccogliendo le idee "Lo so che è successo qualcosa, dopo che abbiamo parlato stamattina: mi sono svegliata a letto senza ricordarmi come c'ero finita. Quindi mi sembra abbastanza ovvio aspettarmi una spiegazione dettagliata..."
"Non so come potrei dirtelo più chiaramente: non ho intenzione di condividere niente con te"
"Ma perché?"
"Perché riguarda me, il mio passato e basta. Cristo, non avevi detto che non avresti più creato problemi? In realtà non riesci a fare altro. Sei come una dannatissima spina conficcata nel fianco!"
La vide spalancare gli occhi e rabbuiarsi di colpo, come se avesse in qualche modo toccato un tasto dolente.
Dov'era finita la furia entrata in camera pochi secondi prima? Solitamente non gli rendeva facile il compito di ferirla.
"Io non..." bofonchiò con voce rotta, spostandosi verso l'uscita, prima che lui le afferrasse un polso e la trascinasse contro di sé.
Non voleva ammorbidirsi ancora di più nei confronti di quell'umana: la sua vita era stata già abbastanza complicata dalla sua presenza. Ma non aveva potuto fare a meno di toccarla.
Sospirò, rassegnato.

In quell'istante, la sua mente venne attraversata da un ridicolo pensiero: non riusciva a restare in collera con lei. Si diede dell'imbecille, sapendo che non poteva permettere che avesse un potere così forte su di lui.
"Faresti impazzire anche un santo, liten" l'ammonì suadente, mentre appoggiava le labbra sulla sua tempia destra, mozzandole il respiro per quel gesto insolitamente dolce. "Ascolta, non voglio parlare di questo. Si tratta della mia vita, e tu non saresti dovuta finire in mezzo"



                                                                                                                                  ***


Erano trascorse molte ore dalla loro discussione, e Quinn si chiedeva se avesse sbagliato a non raccontargli della strana apparizione di quel pomeriggio e dell'appuntamento a cui non si sarebbe presentata.
Ripensò alla sua stupida reazione alle parole del demone. Non riusciva a credere di essersi lasciata sopraffare dalla sua insicurezza tanto da spingerlo ad essere più...umano nei suoi confronti. Quanto patetica era potuta sembrare?

Si sarebbe voluta sotterrare dalla vergogna.
Fin da bambina, era stata abituata a vivere in punta di piedi, per non dare troppi pensieri alla madre o a suo padre, troppo impegnato ad addestrare soldati. Si era abituata ad affrontare tutti i suoi problemi da sola, con falsa fierezza, pur
di non recare disturbi a nessuno, terrorizzata dall'essere considerata un peso.
Inoltre, essendo figlia unica, incarnava così tante speranze e sogni che era sorprendente che non fosse ancora collassata.
Decisamente non era la degna figlia di un Colonnello, forse non lo era mai stata.
Continuava a rigirarsi nel letto, cosciente di irritare Alec, steso al suo fianco, ma non riusciva a farne a meno.
Alla fine optò per una tazza di caffè bollente, tanto ormai la caffeina non le faceva più alcun effetto, se non quello di scaldarla.


Quando rientrò in camera, trovò il demone in piedi, davanti alla finestra.
Un braccio piegato contro il muro, l'altra mano a stringere convulsamente il davanzale in marmo.
Apparentemente sembrava stesse contemplando il cielo stellato, ma lei capì che ripensava a quello di cui si rifiutava di parlare.
"Stai bene?" gli domandò, fermandosi ad ammirare la forma sinuosa della sua schiena.
Lui le lanciò un'occhiata eloquente da sopra una spalla e lei sorrise. "Capito, domanda idiota"
Alec si voltò completamente a guardarla, lasciando scorrere lo sguardo sulle sue gambe e lei arrossì, consapevole del suo interesse.
"Sei svenuta" mormorò dopo aver preso un bel respiro "E' questo che è successo"
"Oh. Davvero?"
Lui annuì. "Non è dipeso da te. Qualcuno ha preso il controllo del tuo corpo per mandarmi un messaggio. Mi dispiace"
Un messaggio?
Chi avrebbe potuto farlo?
Il demone nello specchio non sembrava ansiosa di vederlo, quindi era da escludere.
"Non credevo che le scuse facessero parte del vocabolario demoniaco" smorzò la tensione.
"Forse provengono da quella vecchia umanità latente"
"Posso chiederti che cosa significa quel termine che hai usato prima?" Aveva un suono dolce, perciò dubitava che fosse una parolaccia.
Alec la guardò confuso, poi ricordò e scrollò le spalle con noncuranza. "Liten? E' la stessa parola con cui ti chiamo sempre, ma nella lingua che parlavo quando ero..."
"Più giovane?" Lo vide annuire. 
Quinn lottò con se stessa per impedirsi di affrontare il discorso sul suo passato. Era stato sincero. Inoltre la parte che la riguardava, in quella storia, ora la conosceva. Eccetto...
"Chi è stato?"
"Dolcezza, questi non sono affari tuoi"
Accidenti! "E' stata lei, vero? La sciamana inquietante" Ne era certa. Lo vide irrigidirsi visibilmente e non attese oltre.
"Lo sapevo che ce l'aveva con te, le cose che mi ha detto...Ha accennato al tuo passato. Le hai fatto qualcosa?"
"No" Il tono di Alec era secco e sibilante come una frustata.
"E allora perché vorrebbe tormentarti?"
Lui non rispose, limitandosi ad indurire i bei lineamenti del suo viso.
"Senti, tu sai praticamente
tutto di me. Non sarebbe giusto che anch'io sapessi i tuoi segreti? Perché non vuoi fidarti di me?"
E' un demone, ecco tutto, le rispose la sua coscienza. "Io l'ho fatto" aggiunse con un filo di voce
"Alec, per favore"


"Maledizione, perché devi essere così assillante?" le domandò con stizza.
La vide sollevare lo sguardo su di lui, fissandolo innocentemente. "Voglio solo conoscerti"
Non guardarmi così. "Vuoi psicanalizzarmi" la corresse.
"Beh, chiamala pure deformazione professionale, ma sono sicura che se riuscissi a parlarne con qualcuno, ti sentiresti meglio. Certi fantasmi del passato ti restano incollati addosso e per quanto sia dura affrontarli e liberarsene, è anche necessario!"

"Non per me"
"Specialmente per te. Probabilmente l'unico motivo per cui non sai approcciarti al tuo lato umano è perché ti limiti a reprimere e non esprimere. E non t'illudere: i tuoi attacchi d'ira quando ti trasformi non ti aiuteranno a sfogarti"
"Devo per forza sorbirmi questo sermone, Freud? Con la parlantina che ti ritrovi, avresti dovuto scegliere un altro mestiere. Gli strizzacervelli non restano col culo sulla poltrona a sentire chiacchiere per tutto il tempo, senza aprire bocca?"
Quinn sbuffò, prima di avvicinarsi a lui.
"Guarda che non riuscirai a distrarmi. Andiamo, sai che con me puoi parlarne. A chi vuoi che lo racconti?
Molto probabilmente finirò in una bara entro la fine dell'anno"
Lui s'irrigidì appena a quelle parole. Non voleva pensarci. "Ma piantala" protestò debolmente.
"Alec..." Lei sollevò una mano per sfiorargli la guancia in modo così delicato, che lui fu tentato di chiudere gli occhi per godere appieno di quel gesto. 


Sospirò profondamente e rispose prima ancora di riuscire a fermarsi. "Vivevo qui con mia madre"
La osservò sedersi sul letto, tra le lenzuola aggrovigliate, mentre ascoltava con attenzione e puntava i suoi occhi azzurri su di lui.
"Lei...era stata rapita quando era adolescente da un alchimista per via del suo sangue raro. Rimase sua prigioniera per anni, poi ci fu uno scontro con dei demoni e lui rimase ucciso. Quando la liberarono, la offrirono al loro Signore: Thren"
Quinn trasalì e lui si domandò se non fosse il caso di smettere. Poi la ragazza sollevò nuovamente il viso e vi lesse la muta richiesta di proseguire. Alec si sedette al suo fianco, lasciandosi avvolgere dal suo profumo.
"Sì, beh...è inutile dire che non fu una permanenza piacevole" 
"Mi dispiace tanto" avvertì il suo sussurro, prima che lei gli spostasse i capelli che gli ricadevano sulla fronte in un gesto che gli fece stringere lo stomaco in una morsa d'acciaio.
Stava precipitando in caduta libera, udiva la voce di Quinn, sentiva il suo tocco, il calore del suo corpo, ma in qualche modo gli sembrava distante, come se lui fosse racchiuso in una bolla.
"Fu Dahak a portarla via. Nessuno mi ha mai spiegato esattamente cosa successe, ma so che...lui riuscì a conquistare i prigionieri di Thren a seguito di una perdita a livello territoriale. Qualcosa in mia madre lo colpì e...provò pietà, immagino. Lei era già incinta di me e si rifugiò nella città che oggi è Coventry, dove viveva una potente sciamana. Avevano le stesse origini sami, e la vecchia le garantì protezione e un posto in cui abitare a tempo indeterminato. La nostra casa sorgeva in questo preciso punto del terreno"


Quinn non sapeva cosa dire. Aveva sempre immaginato che Alec fosse nato e cresciuto negli Inferi.
Quando aveva scoperto che era per metà umano si era domandata come fosse possibile, ma quei demoni erano così spietati che immaginare una violenza non era stato così difficile.
Specialmente dopo aver conosciuto Dahak: l'odio nei confronti degli umani era stato palpabile non appena le si era avvicinato.
E invece non era stato lui, ma l'essere orribile che con il suo sangue si sarebbe risvegliato.
Immaginò i pensieri di Alec a quel proposito e cominciò a capire perché la stesse a tutti costi tenendo lontana da chiunque volesse il ritorno di Thren. Sarebbe stato un vero incubo.
Improvvisamente si guardò intorno cercando di immaginare come fosse quel posto quando Alec ci viveva con sua madre.
Si figurò un bambino biondo con gli occhi grigio-verdi scorrazzare nei campi che li circondavano.
Poi capì.
"La scatola che mi ha affidato la sciamana...Alexander eri tu"


S'irrigidì nel sentire quel nome.
Con tutte le donne che aveva avuto, non aveva mai, mai lasciato affiorare l'argomento. Era chiuso ermeticamente in una parte remota della sua mente, e avrebbe preferito che vi rimanesse per sempre.
"Siamo rimasti qui fino ai miei dieci anni,
era il 1713 quando venimmo attaccati dai demoni della vendetta"
La sentì distrattamente trattenere il respiro a quella notizia.
"Uno di loro mi tenne fermo, mentre gli altri cercavano Liz, mia madre. Ascoltai le sue urla all'interno della casa e lottai per liberarmi, spinsi come un pazzo, senza risultati. Non la vidi più uscire. Pensai che avrebbero ucciso anche me"
Sorrise appena. Un sorriso finto, arido.
"In effetti lo speravo" disse poi, ricordando benissimo quella sensazione, quel desiderio di farla finita.
Aveva persino pregato un Dio in cui non credeva. Ma evidentemente sua madre aveva ragione: non c'era abbastanza bontà in lui perché potesse anche solo sperare di essere ascoltato da quell'entità misericordiosa.
Strinse i denti, costringendosi a continuare.
"Mi portarono via con loro e per sette anni ho dovuto combattere nei campi d'addestramento di Thren, fino a che non riuscii a scappare compiendo il mio primo omicidio"


Il cuore di Quinn fece un piccolo balzo all'idea che Alec avesse sofferto e, dannazione, non avrebbe voluto che sobbalzasse affatto.
Aveva  molti più anni di quanto pensasse, era incredibile che ne dimostrasse meno di venticinque.
"E' stato allora che sei andato da Dahak?"
"No. Lui mi ha trovato. Ero finito in uno di quei club dove per sopravvivere dovevi combattere sul ring"
"Una sorta di Fight Club
demoniaco?" mormorò Quinn, scettica sulla possibilità di uscire da un ambiente del genere senza ferite profonde. Lui si lasciò sfuggire una sorta di sbuffo, prima di annuire.
"Non era molto divertente, ma avevo da mangiare e un posto dove dormire. Quegli incontri erano l'unica cosa positiva della mia giornata" fece una pausa "Almeno da quando cominciai a vincerli tutti" specificò, riassaporando quella sensazione di potenza assoluta.
"Dahak mi ha avvicinato dopo che avevo steso un demone di livello medio. Disse che avevo del potenziale, che raramente provava ammirazione per qualcuno così giovane, e mi ha offerto di entrare  nel suo clan. Mi ha spacciato per un suo figlio illegittimo, così da giustificare la presenza di un mezzosangue alla fortezza, e mi ha insegnato a controllare meglio la mia forza e le altre facoltà, promettendomi che in quel modo non sarei più stato un bersaglio di Thren. Qualche anno dopo, trovò il modo di...ucciderlo, congelarlo o qualunque cosa gli abbia fatto"
"E' stato premuroso, per essere..."
"Un demone?" la interruppe lui con tono duro, infastidito.
"Stavo per dire un perfetto estraneo"
Lui stesso aveva sempre pensato che fosse un comportamento sospetto. Non si era fidato di Dahak per i successivi cinquant'anni, nonostante avesse messo a repentaglio la sua reputazione inventandosi la relazione con una donna umana.


"Sei mai tornato qui? Prima d'ora, voglio dire" volle sapere lei, trattenendo l'impulso di allungare la mano e passargli le dita lungo la perfezione maschile del bicipite fino alla forza compatta dell'avambraccio, dove spiccava l'intricato disegno del tatuaggio che, aveva scoperto tempo prima, copriva delle strane cicatrici orizzontali.
Probabilmente risalivano a prima che la sua parte demoniaca prendesse il sopravvento.
"Non ci ho più rimesso piede"
"Beh, è normale. Lo capisco" Anche se non ha aiutato granché, aggiunse tra sé.
Quando tornò a guardarlo con attenzione, le sembrò rigido e irraggiungibile, per quanto le stesse alla distanza di un braccio, e cercò di comprendere cosa si agitasse dietro quello sguardo privo di emozione. 
 
"Non capisco perché tu abbia rinnegato la tua parte umana, però" disse a mezza bocca. Aveva catalizzato tutta la rabbia e il dolore in un intento vendicativo e se ne faceva forza.
Tuttavia era evidente che amava sua madre, perché allontanare l'unica cosa che lo collegasse a lei?


"Se l'avessi fatto davvero, adesso avrei meno problemi" rispose lui con una risata amara.
Molti meno problemi.
A cominciare dall'aver tradito la fiducia dell'unico che mi abbia mai dato una possibilità. 

Quei pensieri gli rimbombarono nella testa per un tempo indefinito, finché le mani di Quinn non si posarono sulle sue. 
Gli strinsero le dita per un attimo, ma fu sufficiente a fargli alzare la testa.
I suoi occhi brillavano di una luce strana, anche se piacevole, e il debole sorriso sulle sue labbra non era di biasimo.
Aveva uno di quegli sguardi compassionevoli che solo gli umani sono capaci di assumere.
L'evidente apprensione che le si leggeva in volto, lo toccava  profondamente, più di quanto avrebbe voluto.
Da quanto tempo qualcuno non si preoccupava per lui?
Era diffidente, eppure provava uno strano calore al petto, perché gli piaceva quella premura.


Quinn lo sentì tremare impercettibilmente, con i muscoli tesi come se volesse allontanarla, ma non lo fece.
Invece le prese lentamente il viso nei palmi delle mani e le fece reclinare il capo all'indietro per guardarla negli occhi.
Lui aveva le pupille dilatate e il nero luccicante inghiottiva quasi completamente le iridi.
Sembrava sperduto, solo. E lei capiva entrambi i sentimenti. Li aveva provati per la maggior parte della sua vita.
Poteva solo immaginare cosa volesse dire provarli per trecento anni.
Non c'erano luce né calore sul suo volto. Solo un dolore seppellito così nel profondo da non risultare visibile a nessuno.
Un dolore lacerante, che non dava requie. Ma lei riuscì a vederlo, a sentirlo come un'entità tangibile, e per uno strano scherzo del destino provò quasi tenerezza nei suoi confronti.
Lavorando come volontaria al fianco di una bravissima psicologa infantile, aveva già incontrato individui che presentavano le stesse caratteristiche che ora riconosceva in lui.
Solo che, essendo ancora bambini, era stato più facile far imboccare loro
una via d'uscita da situazioni spiacevoli. 
Qualcosa che Alec non aveva ancora fatto.


Un ruggito gli rimbombò nel petto e le labbra si dischiusero impercettibilmente.
Le sfiorò le labbra con un tocco lieve e fugace, come se temesse di prendere troppo o di allarmarla.
Poi, con un profondo gemito di gola, reclamò un bacio selvaggio, e si sentì quasi morire per la perfezione del suo gusto caldo, dolce. In tutta la vita non aveva mai conosciuto un desiderio così urgente, come se la fame per lei fosse qualcosa di vivo che si impadroniva del suo corpo.

Il respiro divenne affannoso, man mano che i baci si facevano più appassionati, lui l'attirò più vicino tenendola per la vita sottile e le mordicchiò delicatamente il labbro inferiore.
Quinn gli posò una mano sulla guancia. Quell'accenno di barba le solleticò il palmo, provocandole un brivido lungo il braccio.
Lui chiuse gli occhi e inspirò profondamente, come se stesse godendo del contatto con lei.

Sarebbe stato più saggio farla finita una volta per tutte, si disse, prima che la brama che gli ardeva dentro consumasse anche l'ultima briciola del suo autocontrollo. Si sforzò di creare il distacco cui faceva sempre appello quando era con una donna.
Doveva controllarsi, era necessario.
Allontanarsi da lei, ora che la sentiva abbandonarsi tra le sue braccia, fu un'impresa più difficile di quanto avesse immaginato.
Lei lo guardava confusa e imbarazzata, gli occhi brillanti che sembravano leggergli dentro, come se riuscisse ad immergersi in quel piccolo pezzo ancora integro della sua anima umana e percepisse la malinconia, l'insofferenza, il dolore che vi si albergava da secoli. Prese un profondo respiro, cercando di chiuderla fuori dalla sua mente.
"Qualsiasi cosa possa esserci fra di noi non è una buona idea"
Le sue parole furono una doccia fredda di realtà: quel suo rifiuto la colpì nel profondo.
Lo osservò in tralice: la mascella era tesa, gli occhi fissi su muro di fronte.
In quel momento sembrava così freddo, di nuovo distante, lontano milioni di chilometri da lei.
"Sì, lo so" mormorò, sentendosi improvvisamente patetica.
Alec assorbì quelle parole, chiedendosi
come avrebbe fatto a tenere le mani lontano da quella ragazza.
Chiedendosi
come diavolo fosse finito in quella situazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 20: The secret deal ***


Capitolo 20: The secret deal



Nella doccia, Alec lasciò che l'acqua gli scorresse sulla testa e sulle spalle. Era abbastanza calda da pungergli la pelle, ma aveva bisogno di qualche distrazione e il dolore fisico faceva sempre il suo effetto. Puntò le braccia contro la parete di marmo e vi si appoggiò, sentendo i muscoli della schiena tirarsi e l'acqua colpirlo dietro al collo.
Cercò di sciogliere la tensione con movimenti circolari delle spalle, anche se sapeva che non avrebbe risolto niente.
Infatti niente gli dava sollievo ultimamente e percepiva la pressione che il suo corpo stava immagazzinando.
Quanto desiderava poter tornare indietro.
Sentire i suoi singhiozzi nella cella e proseguire oltre.
Eseguire l'ordine di Dahak, senza curarmi di catturare i demoni ribelli...o di quanto lei gli piacesse.
Col senno di poi, era facile pensare a quello che avrebbe dovuto fare, ma all'epoca aveva visto solo una ragazza stupenda incatenata ad una parete. Aveva immaginato Liz al suo posto e si era lasciato sopraffare.
Poi aveva ripetuto lo stesso errore, ancora e ancora.
Era solo colpa sua se adesso si trovava incastrato in una fottuta dependance da dividere con lei.


Quinn si svegliò di colpo.
Sbirciando nella luce fioca dell'alba, il corpo teso, cercò di capire che cosa avesse disturbato il sonno in cui era crollata per la stanchezza. Sentì lo scrosciare leggero dell'acqua nel bagno e registrò in quel momento l'assenza del demone al suo fianco.
Dio, se era stato imbarazzante addormentarsi vicino a lui, dopo quanto si erano detti.
Ma una volta chiariti i rispettivi ruoli e messe le dovute distanze, si sentiva come libera da un peso.
Scivolò fuori dal letto, diretta allo specchio. Si diede una pettinata ai ricci ribelli e, mentre si dirigeva fuori dalla camera ad attendere il suo turno per il bagno, la porta si aprì e il fiato le si mozzò in gola.
Alec era nudo fino alla cintola, e indossava solo un paio di pantaloni neri.
Distolse lo sguardo velocemente e si rifugiò in cucina, brontolando tra sé contro quella dolce sensazione di desiderio al centro del petto. La sentiva crescere ogni istante che passava con lui, sia che flirtasse con lei o la ignorasse completamente, ma sapeva che alla fine non le avrebbe procurato altro che dolore.
Doveva allontanarsi da lui il prima possibile.
Ma l'alternativa che le era stata offerta l'avrebbe sicuramente portata a rischiare la vita.


Dopo essersi preparata si precipitò fuori, decisa a saperne un po' di più sulla donna dagli occhi viola che Alec sembrava conoscere così bene. Forse non le avrebbe dato buca, una volta capito che genere di demone fosse. Se avesse scoperto che durante la trasformazione le spuntavano due teste supplementari o degli strani tentacoli, avrebbe lasciato perdere tutto. 
Lui era in piedi in salotto, con una tazza fumante in mano. Se la portò alle labbra, e i suoi occhi visibili oltre il bordo di porcellana erano puntati intensamente su di lei, come due fiamme verdi.
"Ciao" lo salutò, apparendo più intimidita che spavalda.
"Allora parli. Credevo ti fosse rimasto solo il dono della vista, ormai" la schernì lui, con un mezzo ghigno sulle labbra.
Quinn scrollò le spalle. "Non sapevo che fossi in bagno" mentì. Idiota. Aveva solo passato i minuti successivi al risveglio ad immaginare di essere l'acqua che gli scorreva sul corpo. "Volevo lasciarti la tua privacy, dovresti imparare a farlo anche tu"
"Sicuro" borbottò divertito prima di bere un altro sorso.
Lei ridusse gli occhi a due fessure, ma non ribatté. Voleva sembrare spensierata e per niente curiosa.
"Allora...devo preparare qualcosa?"
"Dipende, se per 'preparare qualcosa' intendi 'versare dei cereali in una scodella', posso fare da me"
Lei fece un sorrisetto tirato. "Dolce come sempre. Nella tua lingua questo si tradurrebbe come 'Grazie Quinn, mi farebbe tanto piacere un pasto decente, ma sono troppo stronzo per chiederlo gentilmente?"
Alec sorrise. "Più o meno. Ci avrei messo meno enfasi"
"Bene" si lasciò sfuggire una risatina divertita, prima di affrontare l'argomento che veramente le stava a cuore. "Senti...dovrei chiederti un paio di cose" si sforzò di restare sul vago.
"Mmh, me l'aspettavo. Guarda che averti raccontato qualche stronzata su di me, non ti dà carta bianca"
Antipatico, arrogante, pallone gonfiato...


"Certo, lo so" sibilò a denti stretti "E' che stanotte non mi sembrava il caso di approfondire, però...come è possibile che quella donna sia ancora viva dopo tutto questo tempo? Insomma, è anziana, dimostrerà almeno ottant'anni, ma non..."
"Trecento?" l'incalzò lui.
"Già"
Il demone scrollò le spalle. "Mia madre la conosceva come la più grande sciamana del tempo. Immagino che abbia macchinato qualcosa per rallentare il processo d'invecchiamento. E' molto comune tra gli stregoni...falsi bastardi"
Ok. Ha senso.
Alla faccia dei trattamenti estetici e dei bagni di fango...
"Qual è l'altra?" si sentì domandare.
"Come?"
"Hai detto di avere un paio di cose da chiedere" le ricordò indolente "Spara e togliti il pensiero"
Giusto. La questione spinosa.
"Io...mi domandavo solo...tu ti fidi ciecamente di quel tuo amico, il fanatico di Matrix?"
Sembrò rifletterci su un secondo, prima di collegare il riferimento al demone in questione. "Kegan è a posto"
"Pff, come lo era la gente della locanda?" La domanda le venne fuori in tono più acido di quanto volesse.
Tendeva sempre a dire la cosa sbagliata al momento sbagliato: quando era piccola la suora di una delle numerose scuole frequentate le ordinava di colpirsi la mano con un elastico che teneva costantemente al polso, ogni volta che diceva qualcosa in modo sarcastico o sprezzante. Ovviamente lei, testarda com'era, aveva ripreso il vizio quando era andata al liceo.
E tanti saluti a Suor Sophie!


Il demone si mise a ridere, sorprendendola. "Un po' di più"
"Sei sicuro che non direbbe proprio a nessuno che io sono qui? Tipo a quella tua amica con i capelli rossi...non mi sembra che abbia l'aspetto di uno affidabile"
"Sei fuori strada, piccola. Lui non sopporta Aud" Certo, era quello il nome! "E poi la mamma non ti ha insegnato a non giudicare nessuno dall'aspetto?"
Quinn sbuffò, incrociando le braccia al petto. "Beh, non sono un'esperta della mentalità maschile, quindi non capisco perché catene e similpelle nera dovrebbero rappresentare la virilità, ma tendo a diffidare da uomini del genere"
"Spero che voi due non vi troviate mai soli nella stessa stanza, perché K si divertirebbe da matti a dipingerla con il tuo sangue"
Lei fece una smorfia disgustata in risposta.
"Come mai non gli piace quella donna? E' davvero...bellissima" E capace, se è riuscita a trovarmi.
"Sì, ma è un demone succubo e si prende gioco degli uomini"
"Succubo..." ripeté a pappagallo, cercando di immagazzinare l'informazione. Aveva letto qualcosa sul suo portatile, dopo aver avuto l'incontro ravvicinato con il demone sessuale maschio, o incubo. Sapeva quindi che quel genere di demoni, svolgevano un compito piuttosto raccapricciante, rubando l'energia vitale alle loro vittime senza che se ne accorgessero mentre erano impegnati...in altro.
Terribile. Proprio la persona giusta di cui fidarsi.
"Quindi lei non ha delle altre...strane abilità?"


Alec quasi si strozzò con il caffè.
Probabilmente aver definito abilità quello che lei sapeva fare, gli aveva procurato una risata che era stato incapace di trattenere.
"Nessuna, a parte quelle ovvie. Perché tutte queste domande?" le chiese tossendo, con un sorrisetto ironico ancora sulle labbra. Quinn non poté fare a meno di ripensare al primo incontro con Aud, nella camera da letto di Alec...un moto di stizza le salì lungo il corpo e si costrinse a smettere di immaginare certe cose.
"Così. Tanto per fare conversazione"
"Stronzate"
"Invece è vero" mise su il broncio, indaffarata a sbattere le uova nella ciotola, lasciandosi nascondere il volto arrossato dalla riccia cortina dorata dei capelli.
Se lo ritrovò vicino in un secondo, e il suo profumo pungente l'avvolse, invadendole i sensi. Pensa ad altro.
"Avevi ragione: fai davvero schifo a raccontare balle" le disse, sollevando una mano per portarle una ciocca dietro l'orecchio.
Tu e la tua maledetta voce sexy... "Allora dammi lezioni, Maestro Yoda" ribatté fissandolo negli occhi, pregando che non le leggesse la mente in quell'istante. Per un lungo momento tra loro regnò il silenzio, poi lei decise di darci un taglio, prima che la situazione precipitasse. "Sono sincera, era tanto per sapere..."
"Ascolta: non inventarti niente, ok?" l'avvertì tra il minaccioso e il divertito prima di lasciar cadere l'argomento, poi si allontanò senza aggiungere nulla, ma non smise di lanciarle occhiate sospettose per tutto il giorno.


Erano appena le undici di sera quando la stanchezza sopraggiunse.
Le sue palpebre si chiudevano pesantemente e se non si fosse trovato da solo con un'umana, Alec avrebbe pensato di essere stato drogato.
La sua mente era troppo debole per riuscire ad elaborare un pensiero coerente o per cominciare a preoccuparsi sul serio.
Barcollò per la stanza, raggiungendo il bagno per sciacquarsi il viso.
L'acqua fredda non gli fece alcun effetto, sembrava che avesse le vertigini. Quando allungò una mano per chiudere il rubinetto, quello pare scomparire sotto la sua presa. Chiuse gli occhi con forza e li riaprì cercando di mettere a fuoco l'ambiente circostante. Questa volta avvertì il gelo del metallo sotto il palmo e girò la manopola.
Deglutì e si diresse in camera da letto, mantenendosi con la mano alla parete, prima di crollare pesantemente sul materasso.

La stanza prese a girare vorticosamente, come se si trovasse nell'occhio del ciclone, ad assistere inerme mentre lo stordimento prendeva il sopravvento.
L'oscurità dentro di lui lottava per salire in superficie, proteggendolo da una minaccia inesistente, che lui stesso non riusciva a identificare. C'era qualcosa di demoniaco che stava prendendo il controllo del suo corpo e la sua mente lottava per riemergere.

Così lasciò che il buio lo avvolgesse, mentre un dolce profumo di vaniglia gli aleggiava nella mente e una presenza femminile si materializzava al suo fianco...

                                                                                                                                 ***


"Posso chiederti di nuovo come hai fatto a rintracciarmi? Alec mi ha detto che ero protetta da un filtro...ehm..."
"Percettivo" le suggerì Aud, acida come un vasetto di yogurt bianco. "E' vero, ma un amico mi ha dato una mano a raggiungere la tua mente. Solo quella. Tecnicamente non ho ancora idea di dove vi siate rifugiati tu e Alec. Nel caso non l'avessi capito, nello specchio potevi vedermi solo tu"
Bene, questo mi farà apparire ancora più psicopatica.
"Quindi non tutti possono venire a sapere dove mi trovo?"
"No"
Dunque nemmeno lei sapeva niente di Coventry. "Bene"
"Naturalmente potremmo sempre torturati finché non ti ritroveresti ad urlarlo in agonia" mormorò poi, facendole sbarrare gli occhi e accelerare il battito cardiaco, già più veloce del normale.
Aud scoppiò a ridere e le diede una pacca scherzosa sul braccio, facendola barcollare. "Scherzavo, naturalmente. Abbiamo bisogno di te viva e al sicuro" Quinn non si sentì affatto rincuorata.
Il 'per ora' che il demone non aveva pronunciato, ma sicuramente pensato, aleggiò nella sua mente durante tutto il tragitto.
Avevano attraversato un Varco e alle due del mattino il riverbero della luna non era più tanto intenso, le strade erano deserte e i locali chiusi. Era la solita città di sempre. Erano ancora a Rhode Island, ma nella parte demoniaca dell'universo.
"
Dove stiamo andando?" domandò Quinn, non riuscendo a distinguere quasi nulla, con il buio che c'era. Aveva abbandonato la sua auto a Providence, universo umano, in un quartiere poco raccomandabile e non era certa di poterla ritrovare. Sperava solo che Aud mantenesse la parola e la riportasse indietro illesa. 
"Quante domande? Sei sempre così curiosa? Alec deve odiarti"
"Beh, litighiamo spesso. Lui m'ispira risposte particolarmente antipatiche" borbottò per giustificarsi.
Si prese del tempo per affrontare il senso di colpa.


Mentre si domandava come avrebbe potuto raggiungere Aud sul ponte, se non stordendo Alec con lo scolapiatti, si era resa conto di non averlo più visto uscire dalla camera da letto.
Era andata a sbirciare e l'aveva trovato disteso sul letto,
un braccio muscoloso abbandonato sul petto che si alzava e abbassava ritmicamente seguendo il suo respiro, profondamente addormentato. Sembrava che si fosse appoggiato sul letto con l'intenzione di restarci solo qualche minuto, finendo per non riuscire più ad alzarsi per la stanchezza.
Così si era decisa ad uscire il più silenziosamente possibile.
Trovava assurda tutta quella situazione e non si fidava di quella donna, ma lei appariva così entusiasta e sicura che per un attimo le sembrò di fare la cosa giusta.
Il demone dagli occhi viola la guardò intensamente e scoppiò a ridere. "Ha trovato...come si dice? Pane per i suoi denti. Gli sta bene, ma mi sorprende che non ti abbia già uccisa o almeno imbavagliata"
Certo, nel loro mondo il libero arbitrio contava meno di zero, rifletté irritata.
"Insomma che senso ha tutto questo? Perché un demone dovrebbe propormi qualcosa invece di costringermi con la forza?"
"Lo preferiresti?"
"No, ma non capisco..."
"Tu non devi capire. Entra e basta" abbaiò quella, prima di indicarle quella che sembrava un'abitazione abbandonata.
Il cigolio della porta le fece venire i brividi. All'interno era ancora più buio e la cosa non le piaceva affatto.


"Era quasi ora" 
Quinn sussultò quando numerose candele si accesero attorno a lei e sgranò gli occhi davanti all'intruso. Non l'aveva sentito arrivare, eppure ora era davanti a lei, materializzatosi all'improvviso, o forse rimasto ad attendere invisibile.
Avrebbe voluto guardare da un'altra parte e invece si ritrovò costretta a fissarlo: era alto, con lucenti capelli scuri e occhi di un arancione dorato. Era muscoloso come Alec e bello.
Non quanto lui, però, con quel bagliore infernale che gli brillava nello sguardo.
"Scusa tesoro. Sto tenendo il nostro amico demone buono e inchiodato a letto. Mi ci è voluto un po' per farlo crollare"
L'uomo rispose con un grugnito a metà tra il divertito e l'indignato, mentre Quinn si voltava a guardarla sconvolta.
"Che cosa gli hai fatto?"
La domanda venne ovviamente ignorata.
"Lei è Quinn, dolcezza. E lui è Zane, il fratello di Alec"
"Aud!" la rimproverò imperioso.
"Oh, giusto: fratellastro. Ma non vogliono che si sappia il loro legame di parentela" bisbigliò alla ragazza "Non ti devi preoccupare, qui siamo tutti in famiglia, amore. A giudicare dalle fantasie di Alec...dev'essersi preso una bella cotta. Potrebbe essere la futura cognatina!" proseguì affabile, sbattendo le lunghe ciglia in direzione del demone.
Quinn arrossì di rabbia e imbarazzo.
Vide Zane sospirare e lanciare un'occhiataccia al succubo, che lo raggiunse sedendosi sulle sue ginocchia. "Bene, dato che qui nessuno ha voglia di sprecare tempo prezioso, consiglierei di arrivare al punto"
Lei deglutì sentendosi inchiodata dal suo sguardo, e annuì.

 
"Noi due faremo un patto" Aveva la stessa sicurezza di Alec. Un marchio di famiglia che lo rendeva irritante.
"Ah sì? Io non credo"
Se uno sguardo avesse potuto incenerire, lei sarebbe stata trasportata a casa in un'urna. A quanto sembrava, non amava essere contraddetto. "Non essere tanto frettolosa. Non hai ancora sentito quello che ho in mente"
"Spara, allora"
Lui la studiò in silenzio per qualche secondo, arricciando le labbra in un mezzo sorriso. Aud gli mormorò qualcosa all'orecchio e lui sbuffò contrariato, prima di annuire.
"Dunque, prima di 'sparare', vorrei assicurarti che non ho alcuna intenzione di farti del male" sputò tra i denti, evidentemente poco incline a volerle offrire rassicurazioni. "Dopo questa premessa, passiamo alle cose serie"
Ergo, la mia vita non è una cosa seria.
"La mia è una semplice richiesta: vorrei che accettassi di fare da esca, per permettermi di eliminare i ribelli del mio clan"
Se lo aspettava. Si era preparata un'espressione imperturbabile da sfoderare in quel momento, per non evidenziare la sua condizione di inferiorità davanti ai due demoni.
"Io...cosa dovrei fare esattamente? Immolarmi nella speranza che tu riesca ad ucciderli tutti prima che io muoia?" chiese con voce meno determinata di quanto volesse.
"Faremo solo credere loro che il sacrificio si possa portare a termine. Non ti chiederò di fidarti di me o di affidarmi la tua vita"
"Anche se potresti" intervenne il succubo.
"Ma è l'unica possibilità che hai per liberarti per sempre di tutti noi" proseguì Zane, incurante del resto.


Tornare alla mia vita.
Le piaceva la sua ordinata, organizzata e, cosa più importante, tranquilla esistenza. E le mancava da morire.
"E tu lo vuoi, vero?" chiese Aud guardandola con attenzione.
Era la seconda volta che lo domandava, come se non ne fosse del tutto certa. Quel tono inquisitorio mandò in bestia Quinn.
"Più di ogni altra cosa al mondo" ribatté.
"Posso fare in modo che si perdano le tue tracce. Completamente" la tentò Zane con voce suadente.
"Ho bisogno di pensarci. Sai, visto che la metti in modo così persuasivo" commentò vagamente acida, prima di rammentare di stare parlando con un demone puro al cento per cento e non con uno che si divertiva solo a spaventarla.
"Per favore" chiese allora con un filo di voce, torturandosi le mani nervosamente.
"Non mi sarei aspettato diversamente. Aud sa come contattarti" disse, avvicinandosi con passi eleganti e silenziosi "Spero che tu faccia la scelta giusta" mormorò al suo orecchio prima di andarsene.
Stranamente la pacatezza con cui pronunciò quelle parole la fece rabbrividire.


                                                                                                                                       ***


Arrivate a pochi metri dal Varco, Aud si portò una mano alle tempie e barcollò leggermente, come se faticasse a restare in piedi.
"Accidenti, il tuo demone mi sta facendo indebolire" ringhiò frustrata.
"Non è mio" ribatté Quinn, stupidamente più preoccupata di correggerla che del fatto che di lì a poco Alec si sarebbe svegliato e avrebbe scoperto la sua fuga.
"Dobbiamo sbrigarci, c'è qualcosa che..."
Il succubo venne interrotto da voci biascicate provenienti dalla strada opposta alla loro.
Quelli che sembravano dei motociclisti con tanto di groupie si spostarono nella loro direzione. Il fioco bagliore di un lampione illuminava soltanto metà faccia dell' uomo più imponente dei tre, mentre il resto di lui pareva quasi ingoiato dal buio. La ragazza studiò gli sguardi avidi e maligni degli altri due maschi, mentre Aud sembrava essere diventata improvvisamente pallida.
"Li conosci?" bisbigliò alla donna.
"Fin troppo bene, purtroppo. Diciamo che non sono esattamente miei sostenitori e visto che sei con me, penseranno che anche tu sia un succubo" fu la risposta sibilata.
Un brivido le percorse la spina dorsale, ma Quinn si sforzò di respirare profondamente, con le ginocchia che le tremavano.
Al suo fianco Aud sembrava spaventata quanto lei. Di sicuro non era rassicurante. 


Alec si svegliò di colpo e l'immagine della ragazza addormentata sul suo petto svanì.
Il letto era vuoto e le lenzuola aggrovigliate al suo busto.
Tese attentamente l'orecchio verso il silenzio dell'appartamento, solo un momento, poi corse per il corridoio. Guardò in salotto, in cucina. Quando tornò nell'ingresso, una voce dentro la sua testa aveva iniziato a urlare.
L'auto non era più nel parcheggio, e c'era qualcosa di strano. Qualcosa che non avrebbe voluto credere e che gli fece ribollire il sangue nelle vene. Andarsene in quel modo non era da lei, aveva troppa paura dei demoni per uscire da sola, senza avvertire.
Prima che potesse infuriarsi e fare a pezzi qualcosa, uno strano flusso di energia attraversò il suo corpo come un richiamo.
Aud.
Era il modo in cui di solito gli faceva sapere di essere disponibile e in attesa del suo arrivo.
I vari pezzi del puzzle trovarono rapidamente il loro posto: la sua improvvisa stanchezza, i sogni...e la sparizione di Quinn.



Si avvertì uno spostamento d'aria. Aud si girò su una gamba e colpì violentemente con l'altra, raggiungendo il loro assalitore al fianco. Poi si abbassò per evitare il cazzotto che mirava alla sua testa.
Quinn indietreggiò, sentendosi stupida e impotente.
Fece un passo indietro. Poi un altro. E un altro ancora...
Come figlia di un comandante dell'esercito era cresciuta tirando di boxe invece che andando a lezione di piano come le sue amiche, ma in quel momento non riusciva a connettere.
La sua mente era come un foglio bianco, e comunque dubitava di riuscire a reagire contro delle creature infernali come quelle.
Registrò l'immagine sfocata di qualcuno muoversi verso di lei e riuscì a distinguere un paio di penetranti occhi rossi, prima che il demone aprisse la bocca e le rivelasse i canini appuntiti.
La prese per le spalle e la scaraventò contro il muro di mattoni.
Colta alla sprovvista sia dall'aspetto che da quell'attacco inaspettato, cercò di colpirlo ma quello le bloccò la mano, l'afferrò per la gola e la spinse di nuovo contro il muro con una forza incredibile.
Le fece malissimo, ma non fu nulla in confronto a quello che le provocò squarciandole il collo.
Quinn urlò e tentò di divincolarsi per sfuggire a quella presa, ma il suo misero tentativo fallì ancora e un dolore acuto le mozzò il respiro. Portò lentamente lo sguardo verso il basso, dove era ben visibile la lacerazione provocata da una lama.
Il demone con il pugnale fece un passo nella sua direzione per finirla, le labbra distorte in un ringhio bestiale, ma venne colpito alla testa da Aud e, prima che un altro ferisse la donna alla schiena, Quinn intravide la sagoma familiare di un uomo frapporsi all'improvviso tra lei e la grossa mano tatuata.


Il Satariel balzò su Alec: il viso gli si era trasformato in qualcosa di orrido e malvagio, con una bocca piena di denti affilati e una lingua biforcuta. Il mondo prese a vorticare e Quinn vide i due rotolare giù da un pendio, finendo contro una recinzione di pietra.
Alec colpì in faccia l'avversario, i denti del demone gli scorticarono le nocche, e lui imprecò.
Agganciò la schiena del demone con le gambe e lo girò, violento e veloce. Quando gli assestò un altro pugno contro la mandibola, il ringhio dell'altro si interruppe e quello rimase fermo, momentaneamente stordito.
Poi scattò in piedi e tirò un pugno all'uomo dalle lunghe zanne che tentava di aggredirlo alle spalle, mettendolo al tappeto e tagliandogli la gola, che iniziò a sanguinare copiosamente.
Affrontò senza sforzo il successivo, ogni mossa elegante ed efficiente
. Quando lo colpì sul muso, quello gli lanciò un'occhiata omicida e si scagliò di nuovo contro di lui brandendo un coltello.
Alec parò il colpo deviandolo con il braccio. Facendo perno sul gomito, afferrò il demone per il polso e lo tirò verso il basso finché l'avambraccio non si ruppe con un fragoroso crack, finendo così fuori uso.
Poi approfittò dell'immobilità del momento per sbattere violentemente la testa del mostro su una pila di mattoni abbandonati in un angolo, due volte, tre...sette, fino a fargli perdere i sensi.


Portandosi le mani all'addome, Quinn si chinò in avanti, piegata in due dal dolore. Si sentiva vacillare sull'orlo di un abisso senza fine, buio come l'inferno, ed era a un soffio dal precipitare a capofitto in quella fossa soffocante.
Il dolore era devastante, come un veleno corrosivo che le scorreva nelle vene. A terra, Aud cercava di riprendere fiato, un manico di pugnale le sbucava dalla schiena e si teneva una mano premuta sul fianco sinistro.
Quando Quinn sollevò lo sguardo e lo posò su Alec, il suo volto era indecifrabile. Il corpo era in tensione, immobile.
Gli occhi completamente neri. Lei capì che era furioso e voleva tenersi a distanza.
Invece le fu accanto in un battito di ciglia.
Si morse un polso con le zanne e lei lo fissò interrogativa finché non lo sollevò all'altezza della sua bocca e le ingiunse di bere.
La ferita continuava a sanguinare e bruciare, ma lei scosse il capo. Una grande mano le afferrò la nuca e fu costretta a portare le labbra sulla sua pelle da cui gocciolava del liquido rosso rubino.
Lei buttò giù un sorso e si sentì soffocare: il sapore era metallico e dolce insieme, ma il solo fatto di sapere che si trattava di sangue le faceva venire voglia di sputare tutto.
"Inghiotti" ruggì Alec.
Ci riuscì a fatica e una volta finito di tremare di disgusto, gli lanciò uno sguardo collerico. Tentò di aprire la bocca e dirgli qualcosa, ma gradatamente i suoi pensieri cominciarono ad annebbiarsi e le si appesantirono le palpebre.


                                                                                                                                   ***


Quinn si lasciò sfuggire un gemito: le tempie le pulsavano e il cervello pareva andarle a fuoco. Si impose tuttavia di aprire gli occhi, decisa a capire che cosa non andasse, e lacrime ardenti le appannarono la vista.
Tentò di orientarsi e si rese conto di essere stesa sul divano blu della dependance. Doveva essere passato poco tempo considerato che fuori dalla finestra il cielo appariva ancora buio.
Si sollevò lentamente guardandosi intorno in cerca del demone che, ancora una volta, l'aveva salvata.
Quando lo vide entrare in salotto, senza nemmeno rendersene conto gli saltò al collo, fregandosene delle circostanze, delle barriere tra le specie e del fatto che non fossero neanche amici. L'aveva visto uccidere, e senza mai tradire alcuna emozione.
Era un mostro, non un essere umano.
Ma era il suo mostro, deciso a proteggerla, e non erano possibili altre considerazioni: aveva bisogno di lui e basta.
Sopraffatta dalla gioia di essere tutta intera, non si accorse subito che lui era rimasto rigido, non ricambiando il suo abbraccio.  
Si schiarì la voce, allontanandosi appena dal suo corpo muscoloso, improvvisamente a disagio.
"Possiamo parlare di quello che è successo?" Lui la fissò negli occhi con uno sguardo gelido.
"Certo...parliamo pure del tuo tentato suicidio" le disse con voce pericolosamente calma. Brutto segno.
Paradossalmente la sua calma era più terrificante della sua ira.

"Immaginavo che l'avresti vista così. Mi dispiace, ma... Aud mi aveva detto che c'era un demone che voleva offrirmi un accordo. Un certo Zane" sbirciò la sua reazione, ma l'espressione del demone rimase risoluta.
"Ho pensato di chiederti di accompagnarmi, ma sapevo che non avresti mai accettato"


"Perché non ci si può fidare dei demoni. Infatti tu e quella deficiente ci avete quasi rimesso la pelle" sbottò Alec all'improvviso, sempre senza tradire alcuna emozione, per poi farsi vicinissimo "Quanto sei stata via, tipo cinque secondi? Ed eri già ferita" affermò in un sibilo, indicando l'addome, attraversato poco prima da una profonda lesione.
"Lo so, io…anche Aud è rimasta ferita" replicò stupidamente. Lei era indubbiamente più forte di un'umana, dunque non doveva considerarla debole solo perché era finita sul menù di quel mostro dai denti aguzzi.
"Ho notato. Devo dire che il coltello piantato nella schiena le donava"
"Alec!"
"Cosa? Dovrebbe dispiacermi per lei, dopo quello che ha fatto?" Le aveva afferrato un braccio e lo stringeva con forza facendola gemere di dolore. Non parve curarsene più di tanto e Quinn iniziò a preoccuparsi.
Sapeva di aver esagerato, ma farlo infuriare non era mai stata sua intenzione.
"Mi fai male" rantolò, cercando di sottrarsi a lui.
"Non m'interessa" La nota rabiosa nella sua voce ora era evidente.
"Lei mi ha solo fatto una proposta. Andare è stata una mia scelta" sottolineò ostinata, divincolandosi dalla sua presa. Il demone serrò le dita, poi con un lampo di colpevolezza per il suo gesto prepotente, la lasciò.
"Una scelta idiota" commentò acido. Lo colse un nuovo fiotto di irritazione, al pensiero di quello che era stato messo a rischio.  
"Come hai potuto pensare di credere ad una sola parola di quella donna? Dovrei andare ad ammazzarla solo per averti contattata" ringhiò. Lo farò presto.
D'istinto, la ragazza gli trattenne il braccio. "No, ha cercato di proteggermi..."
"Voleva proteggere solo se stessa"
"E poi ti ho detto che la responsabilità di quello che è successo non è sua!" continuò, ignorando il suo intervento.
"Infatti è te che dovrei uccidere" le mormorò rude, mentre allontanava il braccio su cui ancora erano serrate le mani della ragazza, e chinava il capo fino ad appoggiare la fronte contro la sua, in un contatto bollente.
"Non fai che creare disastri" sibilò, mentre tentava di non pensare a tutto quello che aveva provato non trovandola.
Era andato totalmente nel panico, pensando a un milione di scenari diversi, uno più cruento dell'altro.
Detestava ogni secondo di quella sensazione d'impotenza.


Cazzo.
Provare dei sentimenti per lei: questa era davvero la più grossa, la peggiore, la più pericolosa stronzata potesse venirgli in mente.
Appena se ne rese conto, nel brevissimo istante durante il quale le dita di Quinn erano salite a carezzargli la guancia, il demone si ritrasse bruscamente. Passandosi le mani tra i capelli, esalò un respiro profondo.
Avrebbe voluto sapere quello che stava facendo.
Fino a quel momento niente era andato come aveva previsto e di certo non si era aspettato di essere così interessato a lei.
Era una follia, considerando che rappresentava un gigantesco problema.
Imprecando tra sé, si strofinò gli occhi ma, per quanto si sforzasse, non riuscì a liberarsi delle immagini che gli scorrevano di continuo nella mente, rischiando di farlo impazzire.
Si ripetevano senza fine, torcendogli le viscere e tormentandolo fino a fargli perdere il controllo...
Lei nella cella buia, la prima volta che l'aveva vista.
Lei che lo tratteneva quando era ubriaca, quella notte a casa sua.
Lei circondata dai demoni, sanguinante.


Lo vide stringere i pugni lungo i fianchi. "Mi dispiace davvero. Devo ripeterlo all'infinito?" gli sussurrò. Non ignorarmi.
Nessuna risposta. "Alec?" 
Non ignorarmi.
"Sta zitta" La voce dal tono così crudele che non gli apparteneva.
"Ti prego..."
Non riusciva a credere di stare pregando un demone. Di nuovo, dopo aver giurato di non farlo mai più. Tentò di toccarlo ancora, aveva bisogno di instaurare un contatto, prima che lui si allontanasse definitivamente.
"No" Si sentì respingere ancora una volta.
"Sei così testardo" borbottò "E va bene, allora insultami pure. So che muori dalla voglia di farlo. Andrà bene, basta che tu mi dica qualcosa!"
"Basta parlare" ringhiò prima di attirarla violentemente a sé e baciarla.


Non c'era alcuna dolcezza in quel contatto, non era un delicato sfiorarsi delle labbra, un leggero indugiare sulla bocca dell'altro.
Il bacio del demone era un vero e proprio assalto alla sua bocca, un contatto profondo e divorante, famelico.
Possessivo.
Con la mente ancora annebbiata e confusa dal suo comportamento, Quinn emise una sottospecie di mugolio portando una mano sul suo petto per allontanarlo appena, ma lui non diede quasi segno di percepirla, continuando a baciarla ovunque ed infilando le mani sotto il suo maglione per toccarla con foga crescente, spasmodica, prima di sfilarlo e gettarlo lontano.
Il tragitto fra il salotto e la camera da letto fu intervallato da numerose soste alla fine delle quali, quando Alec la adagiò sul materasso, Quinn si ritrovò addosso solo la biancheria. 
Non esitò a bloccarle i polsi sopra la testa con una mano, rudemente, mentre con l'altra le lasciava una lenta e languida carezza lungo la schiena. Poi calò con forza la bocca sulla sua, strattonando il resto degli indumenti.
Lei gemette all'ennesimo tocco della sua lingua e sollevò il bacino contro il suo, in un silenzioso invito a lasciarla libera. Le sembrava che volesse punirla con il suo modo di fare, ma lei aveva bisogno di sentirlo vicino.
Quindi, dopo che lui l'accontentò,
con la punta delle dita gli sfiorò il collo, la clavicola e scese sui pettorali ben delineati, facendolo sospirare compiaciuto. 
Lui l'accarezzò ancora, baciandole ogni punto del corpo che riusciva a raggiungere, con un bisogno quasi febbrile.
Poi le sollevò i fianchi e le scivolò dentro, mozzandole bruscamente il respiro.


Mentre il suo corpo asciutto iniziava a muoversi furiosamente, Quinn gemette ancora e automaticamente si aggrappò a lui.
La sua rabbia continuava a bruciarle dentro, ma le piacevoli fitte al bassoventre che rispondevano ai suoi affondi e il calore intenso che s'irradiava nel suo corpo, la distrassero in fretta.
Si perse in lui, sorprendendosi della sensazione di riuscire a escludere qualsiasi altra cosa con tale rapidità.
In quel momento era lì, stretta all'unico demone mezzosangue capace di farla impazzire, il sangue le pulsava nelle vene, tamburellandole nelle orecchie e mescolandosi al suono dei loro respiri affannosi. 

La bocca di Alec scivolava piano sulla sua pelle, e ogni volta che la lingua di lui la toccava, era un brivido, un tremito di nervi.
Avrebbe voluto odiare la sua abilità perché sapeva che derivava da anni di esperienza, ma era tutto troppo meraviglioso per lamentarsi. Quando il piacere travolse entrambi, i muscoli di lui continuarono a fremere, investiti da spasmi di piacere simili alle scosse di assestamento di un violento terremoto.

Quinn tornò lentamente alla realtà e si spostò leggermente fra le braccia di Alec.
Lui continuava ad accarezzarle la coscia per tutta la sua lunghezza, riluttante a muoversi, per non porre fine a quel momento.

"Se provi a sparire di nuovo, ti uccido sul serio" mormorò con voce affannosa vicino al suo orecchio, prima di stringerle il lobo tra i denti, mordicchiandolo e leccandolo.
Dietro il suo tono burbero e i suoi gesti, lei riuscì a leggere la preoccupazione che doveva aver provato, e ne fu stranamente contenta.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 21: Superhuman touch (part 1) ***


Capitolo 21: Superhuman touch (part 1)




Mentre era sepolto sotto strati soffocanti di un sonno profondo, le immagini del passato gli assalirono i sensi.
Rivoltandosi tra le lenzuola, Alec risentì le grida terrorizzate della donna che riecheggiavano nell'aria, mentre i demoni si accanivano su di lei. Nessuno ad aiutarla, nessuno a proteggerla...
Si costrinse a svegliarsi.
Con il petto ansante, il corpo intriso di sudore e indolenzito per la tensione muscolare, si ritrovò a fissare il soffitto della piccola stanza. Si passò le mani tra i capelli, chiuse gli occhi e inspirò il profumo dolce e rassicurante della ragazza addormentata al suo fianco.
Era l'alba.
Avevano dormito nemmeno due ore e fuori la pioggia cadeva a ritmo costante contro i vetri offuscati, mentre i lampi illuminavano ad intermittenza la sua figura.
Prese un profondo respiro, lasciando che le sue dita vagassero tra i morbidi riccioli biondi, lungo la pelle liscia della sua schiena. Il tocco non la svegliò, ma emise un gemito fioco quando le sfiorò l'orecchio con la lingua.
Vide le sue palpebre sollevarsi e immediatamente gli occhi azzurri lo inchiodarono, avvolti da un velo di preoccupazione non appena poterono studiarlo meglio. "Hai un aspetto orribile" gli sussurrò con voce arrochita dal sonno.
"Grazie. Tu invece non sei niente male" rise, continuando a far vagare la mano sul suo corpo.
Lei parve seria e non gli rispose per le rime, come avrebbe fatto normalmente.
Si allungò a sfiorargli la guancia con le nocche, l'espressione carica di qualcosa vagamente simile alla compassione che lui volle spazzare via velocemente.


Era stato implacabile con lei.
Ogni suo gesto di quella notte era stato dettato da collera e avidità; ogni emozione, distinta e inconfondibile, aveva rivelato una parte di sé che sapeva di dover tenere nascosta.
Si era aspettato che lei lo respingesse, rendendosi conto di che razza di creatura fosse in realtà, pericolosa e rancorosa, ma la resistenza era durata solo un secondo e poi la ragazza si era lasciata andare completamente.
Era stata perfetta.
Incredibilmente, quando si sforzava di essere più umano lei gli voltava le spalle, quando diventava rude e si lasciava dominare dalla sua natura demoniaca, sembrava che non volesse allontanarsi. 
Conosceva il potere, lo anelava da tutta la vita, ed era cosciente del fatto che quella ragazzina l'avesse soggiogato.
Lo teneva in pugno anche in quel momento, mentre gli stringeva il viso tra le mani. Gli sfiorò la fronte corrucciata con la punta delle dita, e inconsciamente lui desiderò che facesse sparire tutte le sue preoccupazioni. Le sue elucubrazioni sulla necessità di mantenere il giusto distacco non stavano funzionando affatto, avevano solo ottenuto l'effetto contrario.
Le prese una mano, la portò alle labbra e la baciò. Poi le lanciò un'occhiata lenta e possessiva.
Abbassò la bocca su di lei, facendole intravedere i canini: almeno aveva smesso di guardarli con paura.


Quinn chiuse le palpebre e trattenne appena il fiato quando le labbra del demone si appoggiarono sulla pelle rosea, le morse delicatamente la spalla, sullo stesso punto in cui poche ore prima spiccava il calco dei denti dell'essere che l'aveva aggredita. Dopo aver bevuto il sangue di Alec - un brivido di disgusto l'attraversò a quel ricordo- entrambe le sue ferite erano guarite perfettamente, per quanto fossero gravi.
Si abbandonò ad un sospiro e lasciò che lui cacciasse dalla mente qualunque cosa avesse reso il suo risveglio così tormentato. Sapeva che non gliene avrebbe parlato. Quello era il suo modo di dimenticare.
Sicuramente lo è sempre stato.
D'altra parte, non dovette impegnarsi molto per far cadere qualsiasi tentativo di protesta di lei. Bravo com'era, riusciva ad catturarle la mente e il corpo in un colpo solo, spazzando via qualunque cosa non avesse a che fare con lui.
Mentre la bocca del demone studiava avidamente ogni avvallamento del suo corpo, sperò di essere, solo per una volta, la persona che avrebbe scacciato i suoi incubi. 
E nell'esatto momento in cui quei pensieri aleggiarono nella sua mente, Quinn si rese conto di tenere a lui e questo la colse totalmente di sorpresa. Non doveva andare così, si rimproverò. Non doveva sentire un legame così forte con lui, soprattutto dal momento che si trattava di una creatura infernale, ma la faceva sentire protetta, per quanto folle potesse essere anche solo pensarlo.

                                                                                                                                       
                                                                                                                               ***



L'odore penetrante del caffè la riscosse dal torpore.
"Sveglia piccola, è ora di uscire" la raggiunse una voce roca, con una nota divertita di fondo.
"Non importa" farfugliò portandosi la trapunta sopra la testa.
Era al caldo, stava comoda e l'ultima cosa che voleva era alzarsi. Poi un movimento improvviso, un fruscio...e la luce del sole l'accecò.
Mise a fuoco la figura seduta sul bordo del letto, accanto a lei, che le aveva appena strappato via la coperta.
"Come accidenti fai ad essere così pimpante? Sei posseduto o cosa? Mi sembrava di ricordare che fossi intrattabile la mattina" gli chiese, concedendosi giusto un istante per guardarlo, per ammirare l'atletica e muscolosa perfezione del suo corpo. Si era già fatto la doccia ed emanava quel delizioso profumo fresco e frizzante, che le faceva venire in mente l'oceano, la inebriava con le sue note aromatiche, rendendolo irresistibilmente sensuale.
Accidenti a te.
Un fugace sorriso gli piegò le labbra, illuminandogli gli occhi, e lei seppe con assoluta certezza che le aveva letto nella mente. Alec si sporse sul letto, posò le mani sul materasso e chinò la testa, carezzandole il viso con la guancia resa ispida dal sottile velo di barba, per poi catturarle le labbra in un bacio profondo.
Nonostante la stanchezza, lei rispose con passione al suo assaltò, e l'attirò più vicino, tenendolo stretto finché non lo sentì allontanarsi bruscamente con un grugnito contrariato.
"In piedi. Subito, se non vuoi che ti tenga inchiodata qui tutto il giorno"
Non aveva mai ricevuto una minaccia così invitante...
Poi la sua bizzarra capacità di mettere insieme pensieri razionali appena sveglia, le ricordò un dettaglio della sera prima.
"Oh cavolo! La mia auto. L'ho lasciata al ponte di Providence"
Probabilmente, avevano già provveduto a distruggerla e venderne i pezzi.
Lo vide irrigidirsi appena, e capì che era ancora arrabbiato, nonostante tutto.
"E' proprio qui fuori" mormorò quasi con stizza.
Quinn sbatté le palpebre più volte, stupita dal fatto che si fosse adoperato a recuperare quello che aveva più volte definito 'ferraglia'.
Era stato un gesto...dolce. Gli sorrise in risposta, sinceramente grata.


"Stavo pensando..." disse Quinn
raggiungendolo, qualche minuto dopo, tenendo con una mano il nodo dell'asciugamano mentre con l'altra faceva ricadere sulle spalle la massa lucente di riccioli umidi. "Perché mai Zane vorrebbe impedire il risveglio di suo padre, quando questo implicherebbe una ripresa dei demoni della vendetta?"
Incontrò il suo sguardo incandescente che la squadrava con interesse e si passò la lingua sul labbro inferiore. Attese in silenzio finché non richiamò l'attenzione del demone per interrompere quel lungo momento di imbarazzo.
"Potere, dolcezza. E' il capo e non vuole perdere la sua posizione" le rispose spostando lo sguardo altrove, per il bene di entrambi.
"Tutto qui?"
"Già. E gradirei che non lo nominassi di prima mattina" proseguì con tono autoritario, più lamentoso che minaccioso, facendola sorridere. "Come ti pare"
Tornò in camera e indossò un maglione rosso che lasciava scoperte le spalle e
un paio di jeans scoloriti sopra gli stivali da cowboy. Quando tornò in cucina, notò che lui stava studiando ogni sua mossa con attenzione. Si sforzò di non arrossire.
Versò una tazza di quel meraviglioso, corroborante caffè e, voltandosi in direzione del demone, ritrovò il suo petto a pochi centimetri dal viso. Evitò di sobbalzare e si limitò ad osservarlo con aria interrogativa.


"Cosa ti ha detto?"
"Scusa?" finse di non capire.
Lo vide alzare gli occhi al cielo, mentre si chinava a sbarrarle ulteriormente la strada.
"L'accordo con Zane. Cosa vorrebbe che facessi?"
"Credevo non volessi nominarlo" rispose con tono carezzevole, mentre aggiungeva due cucchiaini di zucchero alla tazza che aveva in mano, iniziando quindi a mescolare in senso orario.
Lo osservò irrigidire appena la mandibola, mentre fissava gli occhi grigio-verdi nei suoi. Le sue labbra le sfiorarono l'orecchio, poi spostò delicatamente i capelli per depositarle un bacio bollente sul collo. Poi un altro, e un altro ancora...
Quinn abbassò lo sguardo, le guance in fiamme, ma il demone tese una mano per sollevarle dolcemente il mento con un dito. "Dai, dimmelo" soffiò a un centimetro dalla sua bocca, trasformandola in gelatina.
Il suo fiato caldo le fece venire i brividi, ricordandole le attenzioni ricevute solo qualche ora prima.
Sforzandosi di tenere immobili le gambe, sull'orlo del crollo, sollevò il mento in un gesto di stizza e si schiarì la voce.
"Niente che tu non possa già immaginare. Vorrebbe che facessi da esca, per poter penetrare nel gruppo di ribelli e ucciderli tutti"


Alec seguì ogni parola, la fronte corrugata e la bocca ridotta ad una linea sottile.
"E' ridicolo. Non ci cascheranno mai" borbottò, allontanandosi da lei. Quinn respinse un moto di delusione a quel gesto.
"Ha promesso che non mi accadrà niente di male" puntualizzò.
"Come se fosse capace di garantirtelo" Lo vide sorridere sinceramente a quel pensiero e s'infastidì.
"Sembrava molto sicuro"
Il demone la scrutò immediatamente con sguardo furente. "Non avrai intenzione di accettare, Quinn?" 
Addio all'uomo dolce di stamattina
.
Lei scrollò le spalle, sinceramente indecisa. La voglia di tornare a vivere una vita normale, la tentava più di qualunque altra cosa, le scorreva sotto la pelle dandole un briciolo di gioia di vivere.
Non avrebbe resistito ancora molto, in quelle condizioni. Inoltre, ciò che iniziava a provare per Alec la spaventava e non desiderava che si trasformasse in qualcosa di più profondo. Non poteva permetterselo nel modo più assoluto.


Lui parve intravedere la sua lotta interiore, e le si materializzò davanti in un attimo.
"Non pensarci nemmeno. Quest'opzione semplicemente non esiste!"
Non le avrebbe permesso di farsi ammazzare stupidamente dopo averle salvato la vita tante volte. Lei non poteva sapere quanto fossero bugiardi i demoni. Mantenevano le promesse, certo, ma erano capaci di creare scappatoie anche per i contratti di sangue.
Giocavano con le parole, con le speranze della gente. Sapeva che avrebbero tradito anche Quinn.
"Perché?"
"Perché no!"
"Che risposta matura e convincente"
"Cosa vuoi fare? Affrontare decine di demoni con il tuo arsenale di frecciatine avvelenate?" le sibilò ostinato.
Lei s'inumidì le labbra, cercando di parlare senza riuscirci e sollevò una mano per farlo spostare. Inutile.
Alec rimase immobile.
Il contatto con la sua pelle morbida gli sembrò di fuoco e sentì che le batteva forte il cuore. Sorrise appena.
Magari un po' di paura gli avrebbe fatto comodo per convincerla.
Zane non sarebbe stato in grado di impedire che le facessero del male. Probabilmente avrebbe assistito impotente al risveglio di Thren. Era molto forte ma, ammesso che lo lasciassero recitare la parte del figlio premuroso, i ribelli erano tutti demoni di livello superiore e occuparsi di loro, non gli avrebbe permesso di sorvegliare adeguatamente Quinn.
"Io...gli ho detto che avrei avuto bisogno di tempo per pensarci e lui me l'ha permesso"
Il demone inarcò un sopracciglio, dubbioso. "Se dovessi dirgli di no, ti obbligherebbe comunque"
"Non è quello che ha detto. E ho intenzione di rifletterci veramente su, Alec. Voglio solo..."
"Morire?" chiese rabbioso.
"Voglio solo tornare a casa e sentirmi finalmente al sicuro" concluse lei in un sussurro sofferto.
"Tu sei al sicuro" disse, con tono incredulo. Era quasi ferito.
Inconsciamente voleva davvero che lei si fidasse del fatto che l'avrebbe protetta.
Perché adesso era davvero capace di proteggere qualcuno.
La vide trasalire a quelle parole, per poi scuotere il capo e riprendersi. "Non dovevamo uscire?"


                                                                                                                               ***


"Ne sei certa?"
"Assolutamente sì, l'ho visto con i miei occhi. Presto ci sarà da divertirsi"
Aud e  Zane giacevano abbracciati tra le lenzuola di seta nere. Le ferite sul corpo del succubo erano ormai perfettamente guarite, quanto all'orgoglio, prevedeva di rivendicarlo a breve.
"L'umana si spaventerà e vorrà tagliare i ponti con questo mondo ancora di più" mormorò compiaciuto il demone. La sentì irrigidirsi leggermente e si sollevò per poterla guardare in viso.
"Cosa c'è?" chiese con quel suo solito tono burbero, segnato da una nota di preoccupazione, che si affrettò a nascondere.
"Nulla" soffiò lei, passandogli delicatamente le lunghe dita sul braccio.
"Non mentire"
Aud sospirò. Come avrebbe potuto spiegargli la delusione e la profonda tristezza che l'avevano avvolta quando i suoi occhi viola avevano incrociato quelli neri di Alec? L'aveva visto curare l'umana con apprensione, anche in preda alla furia cieca, ma non si era interessato minimamente a lei.
L'aveva abbandonata sanguinante, circondata dai Satariel privi di sensi, e si era smaterializzato.
Era stata una fortuna che le fossero rimaste abbastanza forze per strisciare fino alla vecchia rimessa dove si incontrava sempre con Zane. Lì aveva atteso il suo ritorno per un giorno intero, prima di ricevere le cure necessarie a rimettersi in sesto.
"Mi odia. Lui mi odia" disse solo.
Fu il turno di lui di irrigidirsi, il respiro tremolante di rabbia le sfiorò l'orecchio. Sentì il peso abbandonare il letto e quando si voltò, lo vide intento a rivestirsi.
"Cerca di capire, Alec è un amico. Lo conosco da quando avevo quindici anni.
Ci siamo sempre trattati da schifo a vicenda, ma era un modo scherzoso. Io...non volevo ferirti"
Tanti secoli prima, quando lui arrivò alla fortezza di Dahak e il Signore lo presentò a tutti come suo figlio di sangue, lei era l'unico demone giovane del clan. Lo aveva visto impaurito e debole, mentre cercava di nascondere il suo dolore dietro la sua forza fisica e aveva assistito alla sua prima trasformazione completa quando s'intestardì a volerla difendere dall'attacco di vampiri imbestialiti per i suoi interventi notturni.


"Non dire stronzate" ringhiò Zane, interrompendo quel flusso di ricordi.
"Oh, giusto. Io non conto abbastanza da poterti ferire" farfugliò acida Aud, offesa e indignata dai suoi continui rifiuti.
Si chiese quanto riuscisse a sopportare una donna, seppur innamorata, prima di abbandonare un uomo testardo e disinteressato a qualunque sentimento. Lui si voltò lentamente e quando si mosse verso di lei, Aud seppe di essersi spinta troppo oltre.
Nei suoi occhi non c'era più traccia dell'amante gentile che aveva stretto tra le braccia. Indietreggiò sul materasso morbido, attorcigliandosi le lenzuola fresche attorno al corpo, in un inutile gesto protettivo. Un senso di incertezza le si insinuò dentro e le penetrò nel sangue. Non le avrebbe fatto del male, non poteva essersi sbagliata tanto.
"Zane..."
"Taci. Hai idea di quanto mi stia sforzando di non andare a cercarlo e farlo a pezzi per averti lasciata in quello stato?"
Mmh, questa è bella. "Io..."
"Non osare mai più nominarlo con quel dolore negli occhi. Mai più"
Aud riuscì a respirare dopo svariati secondi e il fiato le uscì in un sibilo strozzato. Il demone si allontanò e tornò a darle le spalle.
"Non avrei alzato un dito su di te" sibilò poi, sembrando quasi disgustato all'idea che lei avesse provato tanta paura nei suoi confronti.
"Lo so. Mi dispiace" lo raggiunse in un baleno e posò con dolcezza la guancia contro la sua schiena ampia, sentendo i suoi muscoli tendersi al contatto.


"Hai già tastato il terreno con i ribelli?" domandò, per calmare le acque.
"Sì. Ho detto ai loro uomini che Aidan è ancora troppo debole per prendere parte agli incontri. Mi hanno riferito che mi accetteranno come suo sostituto" le confidò, mentre si rilassava tra le sue braccia.
"Senza fare storie?"
"Ho dovuto...convincerli"
Un brivido le attraversò il corpo, mentre immaginava ciò a cui si riferiva . C'era un solo modo per dimostrare lealtà nel mondo demoniaco: un patto di sangue. Prevedeva un rituale alla presenza di uno degli stregoni. Se il patto veniva infranto, la punizione sarebbe stata la morte. Nessuna clausola di rescissione.
"Cos'hai giurato? Di portare a termine il risveglio di tuo padre?"
"Di non colpire a morte nessuno dei ribelli partecipanti al rito"
Aud si staccò dal suo corpo, rischiando di incespicare nelle coperte, mentre indietreggiava. "Ma come...credevo che il tuo piano prevedesse proprio..."
"Immaginavo di dovermi sottoporre al patto, ma pensavo riguardasse Thren. Dovrò solo rivedere alcuni dettagli"
"Alcuni? Se non puoi ucciderli, come farai a impedire che il risveglio avvenga?"


                                                                                                                                   ***


Due giorni dopo la loro conversazione in cucina, Quinn si scervellava ancora in cerca di una risposta.
Avrebbe voluto essere una di quelle persone risolute che prendevano decisioni giuste in un secondo, senza pentirsene mai.
Non era mai stata così, dannazione.
Sempre insicura, cercava l'appoggio delle statistiche, delle sue liste di pro e contro.
Buona parte del suo coraggio risiedeva nella consapevolezza di avere le spalle coperte dal Colonnello, anche se non ne aveva mai approfittato, ma non avrebbe potuto domandargli aiuto in quelle circostanze.
Sembrava una di quelle scelte epiche, tipo l'essere o non essere dell'Amleto.
Era stata un'altra mattinata dominata da noia e occhiate gelide del demone con cui viveva, almeno finché lui non le aveva detto che sarebbe andato a - testuali parole - prendere a calci in culo qualche bestia.
Alec attendeva che gli desse una risposta, o meglio la risposta. L'unica che avrebbe accettato.
Avrebbe dato qualunque cosa per entrare nella sua mente e capire se poteva davvero fidarsi. La fiducia derivava dalla comunicazione, ma come poteva fare con un testardo che si rifiutava di ascoltarla e discutere in modo calmo e pacifico?
Ma chi voglio prendere in giro? Lui non potrà mai essere pacifico.
Inutile crogiolarsi nell'illusione.


Quando il demone rientrò, quella sera, aveva l'aria abbattuta di chi aveva appena trascorso una pessima giornata.
Fortunatamente lei si trattenne dall'indagare. Mossa intelligente.
"Ciao" lo salutò in un mormorio.
Un grugnito fu la sola risposta che le diede. Era cosciente di comportarsi come un ragazzino musone, ma non tollerava l'idea che lei potesse affidarsi a Zane, anche solo per un attimo. Se l'avesse fatto, lui non avrebbe potuto fare nulla per aiutarla.
Non che lo volesse, si corresse. Non doveva importargli della sua sorte.
Quel giorno, mentre si dava da fare per spezzare il collo ad un demone fuori perimetro, aveva scoperto che la sua trasformazione completa veniva ancora annullata a seguito di un processo attivato solo da lui. Risultato: era sudato, dolorante e di umore nero.
Tutta colpa di Quinn.
"Hai detto qualcosa?" si sentì domandare.
"No"
"Sei sicuro? Mi sembrava..."
"Non ti ho detto un accidenti, chiaro?" ruggì. E ora chiudi il becco prima che ti tagli la gola.
"Ehi, non c'è bisogno di minacciare!" sibilò quella in risposta, mettendosi le mani sui fianchi, inconsapevole di quanto gli piacesse quando assumeva quella posa.
Ma che cazzo... "Che vai blaterando?"
"Lo sai benissimo"
Alec sbuffò, senza replicare. Non aveva tempo da perdere con i suoi giochetti.
Dahak gli aveva riferito che Kegan e gli altri demoni avevano rintracciato dieci dei quindici ribelli responsabili del rapimento di Quinn.
Lui sapeva che uno di quelli rimasti era Aidan e che Zane avrebbe preso il suo posto, ma non aveva detto nulla a suo padre.
La sua mente era stata impenetrabile per tutte le tre ore passate nel sottosuolo, mettendo a dura prova la sua energia.


"Sai, hai più sbalzi d'umore tu di una donna al nono mese di gravidanza" le sentì borbottare pochi minuti dopo.
"Sono stanco e non ho voglia di parlare"
"E di cos'hai voglia?"
Il demone inarcò un sopracciglio a quella domanda equivoca, vedendola arrossire immediatamente. "Non intendevo niente di quel genere" si affrettò ad aggiungere, distogliendo lo sguardo da lui e alzandosi dal divano, senza spegnere la tv.
Mentre gli si avvicinava, corrugò la fronte, guardandolo interrogativa.
"Cosa?"
"Hai uno strano odore, sembra..."
"Zolfo" terminò per lei. Era uno dei motivi per cui detestava andare alle riunioni alla fortezza di Dahak, preferendo invece la vecchia abitazione decadente dove anche Quinn l'aveva incontrato. L'aria del sottosuolo era ricca di quella schifezza,
ti restava attaccata addosso per ore, ti penetrava nei polmoni. Se fosse stato un semplice umano l'avrebbe ucciso. Inoltre, mescolata all'idrogeno, produceva quell'odore che gli umani superstiziosi collegavano alla presenza del maligno e che lui semplicemente non sopportava.
"Non l'ho mai sentito quando ero da te"
"Non si trova in superficie" disse solo, evitando di avventurarsi in discorsi troppo complicati sui diversi tipi e utilizzi di un Varco.
Quinn lo fissò confusa ancora per un secondo, prima di voltarsi e afferrare una boccetta d'acqua dal frigorifero.
Meglio filare. "Vado a farmi una doccia"
"Oggi non mi chiedi se ho concluso qualcosa?" gli domandò con stizza, prima che lui potesse sparire dietro la porta.
Sbuffò. "Se avessi deciso me l'avresti già detto" 
"Forse" gli fece eco lei, con un fare pensoso che lo innervosì. 
"Ascolta...non volevo costringerti a seguire gli ordini di Dahak. Puoi fare quello che ti pare" la rassicurò, con fare conciliante, suo malgrado.


Subito l'espressione della ragazza mutò, un guizzo maligno gli trapassò gli occhi azzurri.
"Già. Al contrario di te"
"Che cosa?" si sentì sibilare, il corpo rigido per l'insinuazione della sua sottomissione.
"Tu sei il suo cagnolino, no? Fai tutto quello che lui ti ordina, e l'unica volta che hai disobbedito sei stato punito e relegato qui con me"
Quella ragazza aveva un intenso desiderio di soffrire, pensò. "Io non sono il cagnolino di nessuno" ringhiò al suo indirizzo.
"Invece sì. L'hai mitizzato solo perché ti ha salvato una volta, secoli fa"
"Mi ha salvato, esatto. Dahak mi ha insegnato a uccidere per divertimento e piacere. Mi ha reso potente e chiesto di fare cose terribili per lui e io ho obbedito. I
n cambio della mia lealtà aveva promesso di vendicare Liz e ha mantenuto la parola. Non devo rispondere a te di quello che faccio!"
Alec sentì la furia crescere dentro di lui e tentò di regolarizzare la respirazione per evitare di esplodere.
Era troppo vicino al limite, anche per colpa dell'ultima missione di qualche ora prima. L'adrenalina gli scorreva ancora in corpo come un fiume in piena e la mancata trasformazione aveva alterato la sua rabbia in violenza a stento trattenuta.


Lei non indietreggiò né si spaventò minimamente per la sua reazione, nonostante avesse notato il tremore sospetto del suo corpo. "Se puoi decidere con la tua testa, allora verresti con me se te lo chiedessi?"
"Venire dove?" Non dire quello che penso.
"Da Zane ovviamente. Per...aiutarmi" sembrò incerta nel pronunciare quelle ultime parole, mentre gli si avvicinava di un passo.
Appunto.
"Assolutamente no"
"Paparino si arrabbierebbe?" Un altro passo avanti.
"Smettila. E stammi lontano quando sono così..." Indietreggiò appena. La sua pelle iniziava a subire il cambiamento, diventando più scura ogni istante di più. Doveva calmarsi o le avrebbe fatto del male.
"Allora qual è il problema? L'odio nei confronti di tuo fratello? Sei davvero così infantile?" proseguì incurante degli avvertimenti.
"Non è mio fratello!" iniziava ad avere difficoltà a parlare con i canini che gli spuntavano oltre le labbra.
"Avete lo stesso sangue, lo stesso padre. Negarlo è da stupidi..."
Un ringhio bestiale seguì quelle parole. Alec non riuscì più ad impedire la trasformazione: riusciva a vedere i suoi tratti mutati riflessi negli occhi di Quinn, appena prima di afferrarla per la gola.


In un batter d'occhio lui le fu accanto, con il viso così vicino che la ragazza non riusciva a focalizzarne i lineamenti. Ma non c'era bisogno di vedergli l'espressione, da come la sua grande mano le stringeva la trachea doveva essere davvero furioso.
Le sembrò di risvegliarsi da una specie di trance.
Cosa diavolo le era preso? Perché aveva dovuto stuzzicarlo fino a farlo arrivare a quel punto?
Il fatto che lui avesse ammesso di aver esagerato avrebbe dovuto farle piacere, invece un campanello nella sua testa l'aveva scambiato per un gesto di debolezza e la parte cattiva di lei aveva infierito.
Voleva aprire la bocca per chiedergli di fermarsi, ma non fuoriuscì alcun suono.
La presa era troppo ferrea. Il demone scoprì i denti appuntiti come se volesse morderla.
Sarebbe morta e la colpa era da attribuire solo a se stessa.
In quel momento gli occhi di lui splendevano di una furia scevra da ogni artificio, a stento contenuta e così selvaggia che Quinn catalogò il suo sguardo come quello di un mostro in procinto di uccidere. 
All'improvviso dalla bocca di Alec si liberò un fiume di violente imprecazioni e, con un profondo respiro, lui si allontanò immediatamente, sbattendo le palpebre più volte.
Aveva sentito la gola di lei muoversi sotto la sua mano, e come un secchio d'acqua fredda gettato sulla sua testa, mettere bene a fuoco il viso di Quinn l'aveva fatto tornare lucido.
Fu scosso da fremiti, mentre le zanne si ritiravano e la pelle tornava ad essere chiara, anche se un po' troppo pallida rispetto a prima. "Cazzo" soffiò con voce roca, mentre lei si lasciava cadere in ginocchio, tossendo forte.


La gola le bruciava e non riusciva ad inghiottire.
"Mi dispiace" le sussurrò spiazzato, ancora alla deriva nell'oscurità che si era levata in lui, si chinò e le spostò i capelli dal collo, per analizzare il segno rosso che spiccava come fosse un collare. La sua esclamazione soffocata lo riempì di vergogna, quando lei si ritrasse bruscamente, lottando con le sue gambe per alzarsi.
"Quinn..."
Scosse la testa, come a volerlo zittire.
La voce l'aveva abbandonata e la mente stava debolmente mettendo in piedi la cosa giusta da dire.
Ogni atomo di buon senso le stava suggerendo di allontanarsi da lui, perché era fuori controllo.
Poi commise l'errore di guardarlo negli occhi, assistendo alla rapida ripresa del colore grigio-verde che inghiottì il nero.
Era tornato in sé e la stava guardando con un'aria così contrita, che lei avvertì un senso di costrizione al petto.
"Non so cosa mi sia preso" riuscì a formulare poco dopo, con voce strozzata "Era come se fossi un'altra persona. Volevo farti arrabbiare, era tutto ciò a cui riuscivo a pensare. Io...è tutto il giorno che mi sento strana" tentò di spiegargli, sperando di non risultare ridicola.
Ora capiva il significato della frase 'vedere rosso'.
"E' solo colpa mia" si limitò a dirle a denti stretti. Quinn avrebbe voluto ribattere, ma riuscì solo a respingere le lacrime che le pizzicavano gli occhi.
Sto impazzendo?




Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 22: Superhuman touch (part 2) ***


Capitolo 22: Superhuman touch (part 2)



Alec lasciò la fortezza e proseguì lungo il tunnel. Guardando a destra e a sinistra si assicurò che non ci fossero demoni nelle vicinanze, attivò il Varco e tornò in superficie.
Le parole aspre di suo padre gli risuonavano ancora nella testa. Non aveva potuto replicare nulla a sua discolpa.
Aveva dato il via ad un bel casino e lasciato che Zane raggiungesse Quinn e le mettesse in testa strane idee.


Quella notte l'intera fortezza era deserta, e questo non aveva fatto che accrescere il suo disagio.
Dahak non si liberava mai di nessuno dei demoni al suo servizio, se non per evitare che ascoltassero conversazioni di massima importanza. Alec aveva attraversato il grande salone centrale, sempre dominato dal lampadario di cristallo che, da quanto poteva ricordare, non aveva mai visto acceso.
Suo padre amava il buio, per muoversi come il predatore che era, silenzioso e letale, e quella condizione di luce gli giovava fin troppo.Lo vide emergere da un cono d'ombra, gli occhi rossi attraversati da un lampo d'ira.
Fece per aprire la bocca e concedergli il solito saluto, ma lui lo interruppe con un gesto stizzoso della mano.
In meno di un secondo gli si parò davanti.
"Non so neanche da dove cominciare per esprimerti la mia frustrazione. Hai lasciato che un succubo rintracciasse la tua posizione, che prendesse l'umana, la portasse a fare accordi con il nostro nemico...e infine le hai offerto il tuo sangue!"
Quell'ultima frase venne sputata con più disprezzo delle altre e Alec capì che era ciò che gli bruciava di più.
"Sarebbe morta"
"Non spettava a te salvarla!" urlò a pochi centimetri dalla sua faccia. Solitamente lui non si scomponeva mai, neanche in preda all'ira più feroce.
Prese a girargli intorno, studiando la sua espressione accondiscendente e Alec pensò che volesse punirlo di nuovo.

"Ti chiedo scusa" sibilò allora tra i denti "Mi avevi detto di tenerla in vita e l'ho fatto"


"Dal momento in cui ha messo piede nel territorio di Zane, la sua vita non rientra più nei miei interessi"
"Non ha fatto alcun accordo..."
"Come lo sai? Te l'ha detto lei?"
Il suo silenzio fu eloquente e il demone proseguì.
"Dunque credi ad un'inutile umana. Sei disposto a disonorare il mio nome, per lei" Erano affermazioni, come se desse per certo ciò che stava semplicemente presumendo.
"Vuoi che partecipi attivamente alla conversazione oppure il tuo è solo uno sfogo?" borbottò sarcastico beccandosi un'occhiataccia.
Sospirò, rassegnato. "Ti sbagli" si affrettò ad aggiungere.
"Eppure è ciò che hai fatto. Prima era solo un debole involucro senza alcuna importanza, ora potrebbe rivelarsi problematica"
"Non accadrà, io..."
"Credo che tu abbia già fatto abbastanza" lo mise a tacere, lanciandogli uno sguardo truce con i suoi occhi rossi. "Qualunque sia la sua decisione, rischieremmo troppo. La faccenda non è più nelle nostre mani"
"Ma la sua parte demoniaca si è già attivata. Anche se in minima parte è una di noi"
"E chissà se Zane vorrà ancora prendersi la briga di tenerla in vita, se anche il suo piano andasse a buon fine" lo schernì Dahak, lasciandosi andare ad uno dei suoi sorriso crudeli.
"Morirà in ogni caso" convenne Alec, sforzandosi di non mostrare alcun segno di protesta.
"Voglio che torni qui il prima possibile. Puoi ucciderla per evitare che lo faccia qualcun altro in modo peggiore, se proprio lo desideri. E' più di quanto abbia mai concesso. Poi sarà finita. Ci occuperemo dei ribelli uno ad uno, a modo nostro"


                                                                                                                              ***


Il silenzio della stanza era interrotto solo dal rumore delle pagine che venivano girate e dal gracidare degli animali del posto. Le rane dello stagno vicino, creavano una sinfonia di suoni alquanto fastidiosi e le cicale frinivano dagli alberi in un sottofondo che invadeva la mente e faceva cozzare i neuroni tra loro, in quella che altrimenti sarebbe stata una tranquilla mattina.
Tipica quiete dopo la tempesta di quella notte.
Eppure, la ragazza che se ne stava seduta sulla poltrona imbottita vicina al fuoco, muoveva veloce le dita sulla tastiera del portatile, senza fare caso a nulla di tutto questo.
Alec si fermò sulla soglia della porta, solo per osservarla.
L'espressione concentrata, le gambe accavallate e i capelli ricci che ricadevano sulle spalle lasciate scoperte dalla maglia di almeno due taglie più larga del dovuto. Era stupenda. 
Perché il sacrificio a Thren non è un umano di sesso maschile, timido e taciturno?
Sarebbe stato tutto più facile.


Ma no, invece doveva essere una bellissima bionda con degli occhi da favola, espressivi e profondi, il sarcasmo nelle vene e un corpo da sballo. Per la centomillesima volta si domandò quale potenza superiore avesse orchestrato un insieme di geni così perfetto. Chi ha deciso che una singola persona al mondo meritasse quella pelle?
Era davvero troppo per i suoi gusti.
Quinn si sentì osservata e arrossendo lievemente, probabilmente riconoscendo il suo sguardo colmo di desiderio, gli sorrise.
Il demone guardò altrove mentre si gettava a sedere scompostamente sul divano e si lasciava andare ad un sospiro amareggiato.  
"Tutto ok?" chiese la ragazza inclinando il capo e spostandosi al suo fianco. Aveva un modo tutto suo di studiare la gente.
Un modo sexy, constatò lui. Ti guardava come se potesse leggerti nella mente e analizzarne ogni singolo pensiero.
Cosa che, grazie al cielo, ancora non immaginava di saper fare.
Alec sbuffò e si mise disteso appoggiando la testa sulle gambe della ragazza.
Sì, devo ucciderti o lasciare che lo facciano altri, ma nel contesto va tutto alla grande, le rispose nella sua testa. Si limitò ad annuire, non volendo inventarsi qualche bugia che, detta ad alta voce, non avrebbe retto minimamente.


Per qualche secondo lei trattenne il respiro, sentendo il cuore battere furiosamente. Poi si calmò respirando a fondo e finalmente i battiti rallentarono. Sapeva che lui aveva appena mentito.
Odiava parlare di sé. Come se fuggisse dalla profondità di certi argomenti.
Quindi si limitarono a rimanere in silenzio per un po', mentre le mani di Quinn si immergevano tra i capelli di Alec, cercando di rammentare le sensazioni che provava quando sua madre lo faceva per lei e trasmettergliene qualcuna. Lo vide chiudere gli occhi ed abbandonarsi completamente alle sue attenzioni.
Il tempo in cui rimasero zitti sembrò durare un'eternità, e infine fu lei a parlare per prima.
"Ti eri già accorto che c'è qualcosa di strano in me, vero?" chiese guardando fisso il fuoco davanti a sé.
Alec alzò lo sguardo, avvertendo la preoccupazione nella voce della ragazza.
"Forse sbagliavo quando mi dicevo che sarebbe stata una cosa provvisoria"
Il demone tentò di parlare ma lei proseguì prima che lui riuscisse a dire una sola parola.


"Nell'ultimo periodo mi sono successe delle cose che, se le raccontassi a qualcuno, mi garantirei una stanza in un istituto psichiatrico per il resto della mia vita. Ma il punto è questo. Io so quello che ho visto, so che è reale" fece una pausa di qualche istante in cui lo osservò con la coda dell'occhio. Lui aveva la fronte ancora corrugata, ma l'ascoltava paziente.
La cadenza melodiosa di quella voce, il suono delle parole, il movimento delle sue labbra, lo avevano rapito completamente.
"E sono sicura di non essermi immaginata niente circa i miei...sintomi. Questa mattina, mentre eri fuori, mi sono spazientita perché non riuscivo ad aprire una stupida confezione di caffè e gli occhi hanno cominciato a bruciare"
Normale amministrazione, rifletté lui tra sé.
"Quando sono corsa in bagno ho visto che il nero della mia pupilla stava letteralmente inghiottendo l'iride. Un pò come...come succede a te. Mi sono spaventata a morte" ammise con voce tremante.                                             
Alec la guardò per qualche istante perplesso. Avrebbe voluto dirle qualcosa che potesse esserle di conforto, ma non aveva idea di quanto ci si potesse sentire sperduti a seguito di un'esperienza del genere. Quando era successo a lui, aveva rappresentato il raggiungimento di una meta, non qualcosa di cui essere terrorizzato.
Schiuse la bocca mentre lei gli faceva scorrere la punta dell'indice sul labbro inferiore, con aria assente. "Che cos'ho che non va?" gli domandò poi con voce flebile. In quel momento lui si sentì davvero un mostro.
Si sollevò, sedendole accanto e la sentì tremare leggermente.
"Shh, andrà tutto bene" mentì, afferrandole la mano e deponendole un bacio sul palmo.                                      
Avrebbe dovuto dirle la verità, ma in quell'istante riusciva solo a lasciarsi trascinare dall'eccitazione, da quella voglia irrefrenabile di lei, che lo portò ad incontrare le sue labbra, a lambirne lentamente i contorni con la lingua, prima di insinuarsi all'interno e rendere il bacio più intenso, facendo passare tutte le altre questioni in secondo piano.


Qualche tempo dopo, le dita di Alec giocherellavano fra i ricci della ragazza, in un gesto che sembrava essere diventato usuale.
Lesse nei suoi occhi quella confusione che era diventata parte integrante di lei, da quando l'aveva inconsciamente spinto alla trasformazione. Provava rimorso per quello che le aveva fatto e si odiava. Stava diventando seccante quel senso di vergogna per aver commesso un atto che avrebbe trovato perfettamente naturale in passato. Aveva semplicemente omesso qualche particolare, ma non era giusto che lei soffrisse per questo. "E' colpa mia" le confessò a mezza bocca.
"Che dici..."
"La verità. Il motivo per cui noti certi cambiamenti...è il sangue"
La mente di Quinn si annebbiò. "Quale sangue?"
"Il mio. Non ho avuto l'occasione di dirtelo prima" bugiardo "e probabilmente non farà molta differenza nel quadro generale, ma il fatto è che la notte in cui ti ho curato, tu hai bevuto il mio sangue"
L'espressione della ragazza sembrava concentrata a seguire il filo del discorso.
"Vista la tua discendenza però…penso abbia rimesso un po' in moto la tua parte demoniaca" concluse lui, non riuscendo più a sostenere il suo sguardo sconcertato.


Un brivido le percorse la spina dorsale. Era indecisa se chiedergli di smettere di scherzare o credergli.
Doveva essere pronta in ogni caso. Sarebbe diventata un demone dagli occhi neri e lunghe zanne anche lei?
No.
"Ha messo in moto cosa esattamente?" sibilò, alzandosi di scatto dal divano.
"L'istinto di scatenare la furia è un tratto tipico dei demoni della rabbia. Ma è una parte veramente minuscola di te, Quinn. Probabilmente dovrai solo allenarti un po' a mantenere la calma" disse con una tale noncuranza che lei divenne rossa dal nervoso.
Tirò indietro la mano, ma lui l'afferrò prima che lo schiaffeggiasse, poi le prese l'altra mentre la sollevava verso la sua guancia.
"Non provarci, sai che ti faresti male" si sentì dire in tono beffardo.
Passarono alcuni secondi e quando le liberò i polsi, Quinn li massaggiò dove l'aveva stretta.
"Ascolta..." cominciò in tono conciliatorio.
"Tu…come hai...non riesco a credere che tu non mi abbia detto niente!" lo interruppe urlando. Come si aspettava, la ragazza si scagliò su di lui e gli tempestò il petto di pugni, la furia e il dolore davano forza a ogni colpo. Stavolta Alec non cercò di fermarla.
"Non ero sicuro che sarebbe successo"
"Come no! Che cosa mi hai fatto diventare?"
"Perché diavolo fai tante storie? Ti ho salvato la vita! Avresti preferito morire in un lago di sangue?" ringhiò alla fine, bloccandole i polsi con una mano.


Purtroppo aveva ragione.
Ma non poteva essere vero. Era come se le stesse crollando il mondo addosso. Ancora una volta.
Desiderava solo scappare dalla verità e restare da sola, lontana anche da Alec. S'incamminò verso la porta con aria risoluta, ma lui fu più veloce, allungò il braccio, appoggiandolo allo stipite per impedirle di uscire.
"Dove credi di andare?"
"Fuori. Io n-non riesco a stare chiusa qui dentro con te. Mi sento...soffocare" Maledizione, non balbettare!
La ragazza gli piazzò una mano sul petto e lo spinse. Lui non si spostò di un millimetro e questo la fece sentire piccola e quasi indifesa. "Spostati" soffiò a denti stretti.
"Non puoi andartene"
"Ah no? Beh, sta a vedere!" Rabbia, frustrazione e dolore le ribollirono dentro, rischiando di farla soffocare mentre lo spingeva di nuovo, questa volta con più forza.
Alec provò a sfiorarle una mano, ma lei si ritrasse bruscamente. "No. Non ti azzardare a toccarmi"
"Va bene" alzò le mani, in segno di resa "Tu resta qui, me ne vado io"
"No! Non voglio, odio questo posto!"
"Non fare la bambina, uscire da sola sarebbe un errore" protestò lui, mortalmente serio.
Quinn deglutì il nodo che le serrava la gola e si sforzò di ritrovare la voce. Sollevò il mento, scoccandogli un'occhiata gelida.
"L'unico errore che abbia mai commesso è stato quello di fidarmi di te. E ora lasciami andare" riuscì finalmente a dire, seppur con una nota disperata. Forse colpito dalle sue parole, lo vide scostarsi dalla superficie di legno per permetterle di sorpassarlo.
Lei chiuse la porta sbattendola forte, un secondo prima che le lacrime prendessero a scorrere lungo le guance.


                                                                                                                                      
                                                                                                                                       ***


La tempesta di quella notte aveva reso il terreno morbido e bagnato, e le ruote slittarono facendola finire quasi fuori strada più di una volta, mentre tentava contemporaneamente di asciugarsi rabbiosamente gli occhi e mantenere il volante dritto.
Non era certa di voler raggiungere una meta precisa, voleva solo allontanarsi il più possibile. 
Era già buio quando Quinn parcheggiò l'auto sul lato di una strada semideserta. Non riusciva neanche a respirare.
Voleva riprendersi, in qualche modo.
Si abbandonò contro il poggiatesta, stringendosi le gambe al petto, in attesa che quella sensazione di pizzicore sotto la pelle passasse e la vista tornasse lucida.
Ogni piccolo rumore all'esterno della vettura la spaventava e, nel giro di pochi minuti, aveva già i nervi a fior di pelle.
Un'ora dopo, era esausta, al punto da voler piangere ancora.
Il dolore e l'orrore combattevano dentro di lei con la rabbia, lasciandola in un costante stato di shock.
Era una stupida.
Quando Alec l'aveva curata, si era sentita in colpa per essere uscita di nascosto e aver fatto rischiare la vita ad entrambi.
L'aveva stretto a sé, pensandolo il suo salvatore, di nuovo.
Invece l'aveva ingannata, trasformata in un mostro irascibile e violento. La cosa che più la feriva era il fatto che, nonostante tutte le bugie che si era raccontata e che gli aveva detto, si era sempre fidata di lui. Iniziava a provare dei sentimenti profondi nei suoi confronti, pensando che, in fondo, non fosse così male. Che fosse un demone con un cuore e che tenesse realmente a lei, anche se in un modo lievemente contorto. Cretina, cretina...
Non avrebbe potuto sbagliarsi di più.


Rientrò alla dependance, intenzionata a raccogliere le sue cose e andarsene subito dopo.
Sembrava che non ci fosse nessuno ad attenderla, ma lei sentiva che il demone si sarebbe materializzato presto.
"Quinn" la sua voce era roca, poco più di un sussurro. La raggiunse in camera, mentre era intenta a riempire la sua valigia. L'avrebbe lasciata a casa sua e poi sarebbe tornata da Zane per accettare l'accordo.
Non le importava nemmeno che funzionasse o meno, quello era l'unico piano che aveva per liberarsi di tutto. Si sentì chiamare ancora.
"Cosa?" grugnì lei, consapevole di comportarsi da perfetta idiota.
"Hai intenzione di continuare ad evitarmi?" le chiese Alec in tono sommesso.
"Ieri mattina te ne sei andata e sei sparita per tutto il giorno"
"Non ti sto evitando. Sto solo cercando di farmi passare l'incazzatura e l'odio nei tuoi confronti" rispose lei, soffocando un verso di frustrazione. Il demone le accarezzò la spalla con un tocco delicato, gentile, comunicandole una strana dolcezza che Quinn fu sorpresa di riconoscere. C'era qualcosa che la legava a lui, una specie di consapevolezza che amplificava ogni sensazione.
Che la rendeva ipersensibile a ogni respiro, a ogni gesto, a ogni ombra di turbamento che attraversava il suo volto.


No, accidenti.
Non poteva cavarsela così. Incontrarlo le aveva cambiato la vita in molti sensi, la maggior parte poco positivi.
Si scrollò la sua mano di dosso.
"Vuoi dirmi dove sei stata?" gli domandò con calma, abbassando il braccio lentamente.
"Non sono affari tuoi. Sono tutta intera, no?" farfugliò. L'esca è ancora perfettamente in grado di svolgere il lavoro.
Represse l'impulso di dirgli che si era fermata da sola, in mezzo ad una strada buia, con il pericolo di essere aggredita.
Si sarebbe arrabbiato e non sarebbe stato giusto. Sono io quella ingannata!
Lo sentì sbuffare e Quinn si voltò verso di lui. Lo sguardo cadde sulle sue labbra piene, e ricordò il loro sapore, la loro consistenza.
"So che avrei dovuto dirtelo subito, ma sapevo che ti avrebbe sconvolta"
"Non fingere di averlo fatto per il mio bene" sibilò ostinata.
"Assolutamente no. Sai che non sono il tipo. Sono esattamente come mi vedi: uno stronzo, un egoista bastardo che usa la gente. Ti desidero e non volevo farti allontanare da me"
Figlio di...
Avrebbe voluto gridare, infuriarsi di nuovo, ma ormai sapeva che non avrebbe portato a nulla. Quel che è fatto è fatto.
"Però, non ti sforzi neanche di mentire, eh?"
Lo vide sollevare le spalle come a dire 'che posso farci?'.  Era in preda all'irritazione e alla frustrazione, cui si aggiungeva il senso di impotenza e un'acuta consapevolezza del fatto che il suo intervento le avesse salvato la vita.
"Sei la bestia più arrogante che abbia mai incontrato!" soffiò acida a pochi centimetri dal suo viso.
"Lo so" affermò lui, limitandosi a sorridere davanti all'espressione indignata di lei.
"Ti detesto"
Lui le scoccò un'occhiata dubbiosa, così decise di rincarare la dose. "Dico sul serio. Disprezzo la tua persona a livello molecolare, come non mi succedeva da anni"
"Cercherò di abituarmi all'idea"


Quinn gli diede nuovamente le spalle, dirigendosi impettita e silenziosa in salotto.
Alec si sforzò di non costringerla a parlargli con la forza. Non sarebbe stato giusto, dopo tutto quello che le aveva già fatto, ma non sopportava quella finta indifferenza da parte sua.
"Voglio accettare l'offerta di Zane" Forse era meglio il silenzio.
"Scordatelo" sbottò, sentendosi stordito come se fosse stato colpito violentemente sulla testa. Quella frase appena sussurrata era penetrata nella sua mente azzerando ogni pensiero.
"Non puoi impedirmelo, è una mia scelta"
"E sappiamo benissimo quanto tu sia brava a fare quella giusta" la schernì, rancoroso.
"Va all'inferno! Voglio darci un taglio il prima possibile. Farla finita con tutta questa follia. Qualunque cosa tu voglia, non mi interessa. Avrei dovuto accettare fin dall'inizio, senza perdere tempo"
"Non permettere alla rabbia di parlare per te. Cerca di ragionare, lui non ti proteggerà"
Lentamente, con il cuore che gli martellava furioso contro le costole, la vide voltarsi a guardarlo. "E neanche tu" sibilò con gli occhi carichi di delusione mista a qualcosa che non riuscì a decifrare, mentre si lasciava cadere sulla poltrona blu, come priva di forze.
"Cosa cazzo pensi che abbia fatto finora?"
Calò un silenzio spezzato solo dal sommesso mormorio di lei. "A parte prenderti il lusso di distruggere la mia vita? Non molto"
Prima che Quinn riuscisse a far altro che trasalire, si ritrovò strappata in malo modo dalla poltrona. Alec le stringeva le braccia fermamente, tenendola dritta davanti a sé mentre la fulminava con lo sguardo.
"Non hai la minima idea di quello che ho dovuto subire a causa tua, ragazzina. Stavo alla grande prima che arrivassi tu a risvegliare la mia fottuta umanità. Ho sempre detestato quella parte di me e adesso mi ritrovo a farci i conti, di nuovo. E come se non bastasse, ogni volta che combatto rischio di crepare prima che la trasformazione s'inneschi. Dici che ho distrutto la tua vita? Tu hai fatto mille volte peggio con la mia"
"Non è vero" soffiò, incredula davanti a quell'accusa.
"Sì invece. Avrei dovuto eseguire l'ordine e ucciderti la prima volta che me l'ha chiesto!" ringhiò, più duro di quanto avesse voluto. Il senso del dovere lottava contro i sentimenti che gli provocavano un senso di costrizione al torace.
Il conflitto pesava una tonnellata su quel po' di coscienza rimasta in lui.


"Che significa la prima volta?"
L'occhiata che le lanciò fu più che eloquente e la vide portarsi una mano al petto, il battito cardiaco impazzito.
"Te lo ha chiesto di nuovo. Per questo mi hai aspettata qui? Devi terminare il lavoro"
"Sì…in teoria" biascicò. La vide alzare lo sguardo e vi riconobbe un velo di delusione.
Sapeva di dover fare la cosa giusta, per se stesso, per la sua gente. Ma non poteva cancellare quella sensazione di calore che provava quando si specchiava nei suoi occhi. Avrebbe dovuto odiarla, e la parte demoniaca di lui lo faceva, però gli era in qualche modo entrata dentro con prepotenza e non riusciva a liberarsene.
"Forse non te ne rendi conto, ma questa cazzo di situazione è tutta un gran casino" le disse allora dando voce ai suoi pensieri, con tono calmo, come una carezza sulla pelle di lei.
"Già" lo assecondò tesa, indecisa se cercare una via di fuga o restare e farla finita.
"Però…" cominciò il demone, sfiorandole una guancia con la punta delle dita, per poi scendere lentamente lungo la gola, facendola rabbrividire "Si può sempre fare di meglio" proseguì, sfiorandole le labbra con dolce malizia. Poi appoggiò la fronte liscia e calda contro la sua, inspirando lentamente per recuperare il controllo.
Quinn si tirò indietro con uno sforzo evidente, mentre tentava di capire il senso di quelle parole. "Che vuoi dire?"
Alec cominciò a spingerla verso la parete e lei lo lasciò fare, ancora confusa.
Lui posò una mano contro il muro, accanto al suo viso e si inclinò in avanti. Poi, depositando una scia di baci bollenti sul suo collo, le mormorò all'orecchio: "Lo capirai"
Incredibilmente, Quinn rimase immobile, aspettando che si decidesse a baciarla. Ridicolo, nonostante tutto, ancora riusciva ad imbrogliarla e incantarla. Come ho potuto anche solo immaginare di provare dei sentimenti per un manipolatore del genere?
Non doveva dimenticare di avere a che fare con un demone, un demone molto vecchio e con troppa esperienza.
"No, basta" protestò debolmente puntandogli le mani sul petto, nel tentativo di allontanarlo. "Non voglio che mi tocchi, devi stare lontano da me" 
"Non ci penso nemmeno" le bisbigliò sulle labbra prima di unirle alle sue. Passò il pollice sull'angolo della bocca, in un silenzioso appello ad accoglierlo più in profondità.


Quinn sentì la sua mano salirle alla nuca, per portarla più vicina, il profumo pungente di lui le annebbiava i sensi.
Sopraffatta da un'ondata di panico, provò a liberarsi, con tutte le sue forze. Ma lui non si spostò di un centimetro.
Era come essere bloccata da un blocco di cemento.
Lottò per resistere, cercò di pensare ad altro, ma dopo un lungo momento di resistenza, si lasciò trasportare con un fremito di anticipazione. Appariva così sicuro di sé, sensuale, con lo sguardo ardente.
Il sangue le ribollì nelle vene, mentre un desiderio intenso le invadeva il ventre e la risposta alla sua domanda si faceva strada nella mente. Provo dei sentimenti per lui perché è un manipolatore dannatamente eccezionale.
Se anche fosse stato un diversivo, per distrarla nel caso in cui stesse per conficcarle un'enorme lama nella schiena, non le sarebbe importato. Sentiva le ginocchia deboli e, dopo quella nottata d'inferno, persino il tocco di un demone rappresentava qualcosa di bello a cui aggrapparsi.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 23: The real deal ***


Capitolo 23: The real deal




Lui la teneva stretta a sé, talmente vicina che non avrebbe potuto stabilire dove la sua pelle finisse e dove iniziasse quella di lei.
Erano diventati un corpo solo.
Le mani iniziarono a esplorare il ventre tonico per poi risalire alla base del seno. Allargando le dita, lo percorse lentamente, un'ombra di sorriso sulle labbra, e iniziò a giocherellarci gentilmente avvertendo un fremito attraversarle il corpo.

Con un sospiro lei si offrì a quel palmo, a quelle dita virili e allo stesso tempo sensuali.
Il demone
si spostò in modo da gustare completamente il contatto dei loro corpi. Spalancò gli occhi completamente neri ed emise un debole verso da animale ferito, quando lei insinuò maliziosamente una mano tra loro.
Il suo petto si sollevava ritmicamente, 
poteva sentire il suo respiro corto e spezzato contro di lui, e questo lo inebriò.
Incrociò le dita di una mano alle sue e il desiderio si fece sempre più incontenibile, più acuto.
Continuando a stringerla, si mosse con frenetica urgenza, appagando finalmente la propria eccitazione.  
Nell'impeto della passione gli graffiò la schiena con le unghie, e Alec sibilò di piacere mentre le sue labbra esigenti premevano su quelle di lei con sensuale insistenza.
Avvertì alla base della spina dorsale un formicolio elettrico che si sprigionò lungo tutta la colonna vertebrale e diffuse nel corpo un calore intenso. Si sentiva in paradiso ma, insieme al piacere, provava l'istintivo terrore di chi ha raggiunto una beatitudine di cui non si sente degno e teme che abbia vita breve. 


Quinn si abbandonò completamente a quelle sensazioni, come se fosse in un sogno, mentre la pelle le bruciava al contatto con la sua. Pensò che non ne avrebbe mai avuto abbastanza di quel demone, che faceva esplodere in lei una voglia la cui urgenza continuava ad aumentare, rendendo le sue preoccupazioni solo un brusio di sottofondo.
Ciò che aveva tentato con tutte le forze di evitare era accaduto.
Ne era totalmente dipendente, ormai era capace di indovinare la sua tenerezza dietro le piccole accortezze: il modo in cui le spostava i capelli dal viso quando era sopra di lei, il fatto che cercasse di trattenere la sua forza per non ferirla, gli apprezzamenti sussurrati con voce roca all'orecchio.
Quando il piacere arrivò per l'ennesima volta, fu come se
centinaia di particelle atmosferiche le danzassero davanti in coreografie luminose e il respiro le si fermò in gola, mentre il corpo tremava incontrollabilmente.
Le dita del demone si fecero strada lungo la sua spina dorsale e poi si insinuarono tra i riccioli chiari. Le accarezzò la nuca e le fece piegare dolcemente la testa all'indietro, puntando gli occhi densi e carichi nei suoi.
Quinn lesse in quello sguardo una muta domanda di scuse, una richiesta di fiducia.
Ricordò le sue parole di quella sera, quando si era rifiutato di lasciarla andare. Non voleva dare un'interpretazione sbagliata alla frase, né farsi incantare dalla sua espressione adorante. Così distolse l'attenzione dal quel viso, stringendosi al suo fianco, la testa sotto il mento di lui, in modo che gli fosse impossibile distinguere i suoi occhi lucidi.


Fece scorrere distrattamente una mano lungo il suo braccio, avvertendo sotto le dita la sua pelle cicatrizzata.
"Come ti sei procurato queste?" domandò con un filo di voce, sfiorando i contorni scuri dell'intricato tatuaggio.
Lo sentì trattenere il respiro per un attimo, e una parte di lei pensò che non le avrebbe risposto. Immaginò si trattasse di qualche tortura subita durante l'adolescenza e fu tentata di far cadere l'argomento.
"Conseguenze dei salassi"
La vide spalancare gli occhi e sorrise appena.
"Quando ero piccolo mia madre pensava che avessi bisogno di una costante depurazione del mio sangue. Lei e la sciamana intendevano eliminare le tracce demoniache per non rischiare che facessi del male a qualcuno" spiegò, rigido.
Quinn trasalì. Era stata sua madre a sfregiarlo in quel modo?
"Ma è assurdo"
Non poté trattenersi. Le sembrava una follia e una pratica crudele a cui sottoporre un bambino.
Lui rise. "Abbastanza"
"Quanto spesso lo facevano?"
"Una volta a settimana, più spesso se mostravo segni di...squilibrio"
Lei sentì lo stomaco accartocciarsi su se stesso.
Dunque sua madre non lo aveva mai realmente amato nonostante avesse ancora la sua parte umana. Si era preoccupata di cancellare solo la parte malvagia di lui, senza impegnarsi a riconoscere quella buona. Come se non avesse importanza. 
Per questo era così importante per lui mantenere intatta la sua natura demoniaca: quella era una condizione in cui si sentiva accettato. Forse aveva ragione quando diceva che lei aveva incasinato tutto, pensò.
Lo aveva fatto cacciare dall'unica vera vita che avesse mai conosciuto, per quanto discutibile potesse essere ai suoi occhi.


"Non hai fatto niente del genere" sembrò rimproverarla lui, in un mormorio indolente. Ancora una volta, il demone la osservò mordersi nervosamente il labbro inferiore per trattenersi dall'insultarlo per quell'invasione di privacy.
"Non negare. L'hai detto poco..." gettò un'occhiata all'orologio "...beh, qualche ora fa"
Lui non mancò di sentire il dolore insito in quell'affermazione. "Lo so" 
Non aveva mentito, ma si era reso conto che quella piccola umana non avrebbe avuto una tale influenza sulla sua esistenza, se lui non glielo avesse permesso. E in fondo lei aveva solo portato alla luce una parte di sé che non conosceva molto, con cui non sapeva approcciarsi, ma che gli apparteneva già.
"Diciamo che quanto a complicazioni, entrambi ci siamo dati parecchio da fare" concluse sincero.
Calò un lungo momento di silenzio, in cui lui si limitò ad ascoltare ad occhi chiusi il battito del suo cuore tornare regolare.
Abbassò lo sguardo su di lei.
La debole luce della luna le illuminava le guance, baciandole la pelle rosea, facendola risplendere e rendendola ancora più femminile. Vederla così, fece disperdere ogni dubbio presente nella sua mente: non sarebbe stato capace di farle del male.
Non un'altra volta, almeno.
In una vita dove la violenza, la territorialità e le guerre tra clan dettavano legge, era piacevole avere una tregua.
La pace, la fiducia, il calore che lei riusciva a dargli. Il suo lato umano la bramava.


Non l'avrebbe mandata da Zane da sola.
Si sarebbe assicurato che restasse viva e poi sarebbe finita, decise. Niente più strane idee, niente morsi allo stomaco in sua assenza. Sarebbe tornata a casa e lui se ne sarebbe dimenticato.
Ricordò egoisticamente e con un filo d'orgoglio che, malgrado gli sforzi, Quinn non sarebbe mai stata capace di fare lo stesso.
Ogni cosa del demone sarebbe rimasta con lei per sempre, presente in ogni fibra del suo essere.
Avevano stabilito una connessione tramite il sangue, la mente e il corpo, troppo difficile da spezzare.
Lui l'avrebbe accompagnata per il resto della sua vita umana, anche nel caso in cui si fosse legata a qualcuno.
Al solo pensiero di vederla con un altro uomo, qualcosa si tese in lui e un fastidio al centro del petto lo portò ad afferrare la mano che lei gli stava facendo delicatamente vagare lungo l'addome.
Le baciò la punta delle dita e le succhiò una ad una, guardando i suoi occhi di ghiaccio farsi nuovamente torbidi.
Sorrise amaro, con la certezza che nessun'altra gli avrebbe più fatto un simile effetto.
Ogni parte di lui fremeva per lei.
Era una cosa febbrile, istintiva, e non aveva idea di come poterla controllare.

Il respiro passò attraverso le labbra socchiuse di Alec, e la sentì sussurrare il suo nome con voce soffice.
Riuscì a percepire in lei un velo di resistenza e, non essendo ancora pronto a lasciarla per discutere i noiosi dettagli del suo futuro, la trascinò nuovamente sotto il suo corpo caldo.
Non gli sfuggì il suono sorpreso che le uscì dalla bocca, ancora rossa e gonfia per le sue attenzioni, sensuale.
Sentì l'insolito bisogno di farle provare la stessa, feroce brama di lui e si concentrò per portare a contatto le loro menti, in modo da condividere ogni più piccola sensazione.
Le barriere umane erano facili da infrangere e nella mezz'ora successiva, muovendosi con spietata risolutezza, il demone imparò ogni magnifica risposta del suo corpo delizioso, con gli occhi che gli brillavano per la consapevolezza di essere in totale supremazia.


                                                                                                                                       
                                                                                                                               ***



"Che razza di demone era quello? Con tutte quelle grinze, sembrava la brutta copia di uno Shar Pei!" esclamò Quinn, avanzando oltre il tunnel che li avrebbe condotti al territorio dei demoni della vendetta.
Alec soffocò una risata e si sforzò di recuperare un tono autoritario nell'ordinarle di fare silenzio.
Si spolverò dai jeans i rimasugli fastidiosi della cenere della creatura che aveva appena ucciso, posta a guardia del terreno.
"E' da questa parte" le disse, indicando un locale notturno nella zona peggiore del mondo demoniaco.
"Perché non possiamo usare il Varco con cui Aud mi ha condotta lì la prima volta?"
"Perché io non potrei sconfinare e se qualcuno mi vedesse sarebbe autorizzato a farmi a pezzi"
"Ma..."
"Quel Varco è troppo esposto. Ascolta, prima entriamo e raggiungiamo la scorciatoia, prima rivedrai i termini dell'accordo. Intesi?" le intimò. Non era entusiasta all'idea di dover entrare in una di quelle bettole in cui si incontravano i demoni, i cosiddetti 'punti di confine' tra due regioni, ma non c'era altro modo per passare inosservati.
"Devo fingermi un demone? Non sono molto brava a sembrare una assetata di sangue"
"Non dovrebbe essere complicato. Tecnicamente, sei una di noi"
Quinn gli assestò un pugno sul braccio. "Io sono umana, chiaro?"
"Come ti pare. Comunque cerca di non sembrare troppo spaurita, se non vuoi dare nell'occhio" si raccomandò, prendendole la mano. La vide seguire il gesto con gli occhi leggermente sgranati, come se non se lo aspettasse.
"Rilassati, fa parte della messinscena. Penseranno che tu sia la mia ultima conquista" le mormorò, chinandosi su di lei e sfiorandole volutamente l'orecchio con il suo respiro.
"Grandioso. Così mi farò la nomina di sgualdrina in meno di cinque secondi" commentò acida.


La musica assordante del locale, la colpì come uno schiaffo.
La voce maschile cavernosa che fuoriusciva dagli altoparlanti le ricordava quella di Marilyn Manson.
L'atmosfera Goth le fece venire i brividi.
Se qualcuno le avesse chiesto di descrivere come sarebbe stata una festa al cimitero, lei l'avrebbe descritta così.
Il posto era stracolmo di esseri dai tratti più assurdi, nell'aria c'era odore di alcol e sangue, una sorta di cubista si muoveva languidamente sulle note di quel sound angosciante, all'interno di una gabbia.
Erano in sei, notò poco dopo, ognuna posizionata al centro di una folla, con una specie di collare al collo, e dovevano spostarsi in direzione di chiunque le chiamasse per offrire il polso a qualche demone con le zanne di fuori. Sembravano la versione demoniaca delle prostitute.
In fondo alla sala erano stipati dei séparé, e passandoci davanti Quinn intravide altre ragazze occupate ad intrattenere quelli che dovevano essere dei pezzi grossi.


"Non credevo che ci potesse essere qualcosa di più squallido di certi posti umani...mi sbagliavo" fece ad Alec, tentando di superare il volume troppo alto della musica. Lo vide ridere e gli strinse la mano, pensando che quel contatto le dava un senso di sollievo inimmaginabile. Sapeva che lì, con lui, non le sarebbe accaduto niente.
Chi altro al mondo sapeva muoversi con tanto agio in mezzo a tutte quelle creature senza apparire minimamente insicuro?
Alcuni demoni lo lasciavano passare spostandosi quasi con riverenza.
Assurdo.
"Pensa che questo è uno dei migliori locali" la scioccò lui, mentre passava accanto ad un energumeno che non si faceva mancare la vista del fondoschiena di una delle ragazze in gabbia.
Quinn tentò di celare il disgusto alla vista dei segni di morsi su entrambe le braccia della bionda.
"Cosa ci trovano di tanto divertente nel mordersi tra loro?"
Sentiva la testa martellare per la confusione, mentre si spostava per lasciar passare una coppia di vampiri.
"Loro chi? Quelle sono come te"
La ragazza sperò di aver frainteso, ma l'occhiata divertita che le lanciò Alec in risposta alla sua espressione, la fece ricredere.
"Sono umane?" urlò. Lo vide annuire prima di trascinarla dietro uno di quei séparé.
Improvvisamente il mondo si fece silenzioso.
La musica non filtrava. Del frastuono e del caos di dentro non restava che un sordo battito, più una vibrazione che un rumore.
Restò sconcertata nell'avvertire quello stacco improvviso, sentendo i timpani pulsare per protesta.


"Stai bene? Sembri un tantino fuori di te" la schernì il demone, attirandola sulle sue ginocchia, mentre si accomodava sul divanetto in pelle nera. La osservò deglutire e scuotere nervosamente la testa.
"Pe-Perché dovrebbero volere una cosa simile? Aspetta...le hanno costrette, vero? Le tengono qui contro la loro volontà!" esclamò, passando dallo sconvolto all'indignato in meno di un secondo.
"No. Assolutamente no"
la frenò, prima che partisse in modalità 'sobillatrice'.
"Allora cos'è, un contratto retribuito o una perversa voglia di mettersi in mostra?"
Lo vide alzare gli occhi al cielo prima di rispondere. "Sono qui per soldi" 
"E' ridicolo!"
"I demoni le pagano bene per i loro servizi e garantiscono la massima sicurezza. Hai visto le gabbie no?"
"Quindi servono per proteggerle, non per umiliarle pubblicamente come se fossero animali allo zoo?" domandò scettica.
Alec sorrise alla vista della piccola ruga che le si formava sempre tra le sopracciglia, quando si concentrava per seguire un discorso.
"Entrambe le cose credo" l'accontentò lui, passandole un dito sulla fronte aggrottata.
Quinn arrossì in un modo delizioso e il demone la vide abbassare le palpebre quando le sue labbra si posarono su quel tratto di pelle. La mano di Alec vagò sicura e ruvida contro la morbidezza di lei: i lineamenti del viso, un bell'ovale, la mascella delicata, poi sulla bocca, giù verso il collo. Si soffermò sulla giugulare a sentire il battito del cuore, e quando i loro occhi s'incontrarono, avvertì il momento preciso in cui aveva accelerato.
Incoraggiato da quella reazione la baciò, un bacio lento, accurato, come se avessero tutto il tempo del mondo. Lui avrebbe voluto che fosse così. Quei separé erano così comodi che non approfittarne sembrava un vero delitto.
Una carezza le risalì la gamba e il demone s'impegnò a proiettare immagini
scabrose nella sua mente, sentendola mugolare e fremere contro il suo corpo.
"Non riesco a respirare" farfugliò lei dopo qualche secondo, staccandosi appena.
Il sorriso di Alec fu puro e primordiale trionfo maschile.
Gesù, pensò lei, quel sorriso dovrebbe essere accompagnato dall'avvertimento: "ATTENZIONE: l'esposizione prolungata può causare desiderio, lussuria e stupidità irreversibile"
"Non farlo" la schernì con un filo di voce, trascinandola in un altro bacio travolgente.
Con squisita delicatezza, la sua lingua rovente disegnò una scia sul suo collo, accendendole i sensi. 
Quando infine si allontanò leggermente da lei, le lanciò un'occhiata interrogativa. "Sei più tranquilla ora? Torniamo di là?" le sussurrò recuperando una briciola di autocontrollo, mordicchiandole la pelle e ricevendo una risatina nervosa in risposta.
Tranquilla, non era il termine adatto a descrivere il risveglio violento dei suoi ormoni, ma si sforzò di annuire. "Andiamo"
Lui le offrì la mano e lei la strinse respirando profondamente.
Quando le accarezzò il palmo con il pollice, quel semplice gesto le sembrò dolorosamente intimo.


Un minuto dopo si trovavano vicino alla porta custodita dalle due guardie. O meglio, due bestioni dalla carnagione grigiastra, ben visibile anche con quella luce fioca, e gli occhi che sembravano due braci ardenti.
Lanciarono uno sguardo d'intesa ad Alec e sorrisero maligni ammiccando in direzione della ragazza.
"Una bella preda stanotte" disse uno, strascicando le parole in un modo che gli fece venire i nervi. Il demone strinse la mascella in un movimento rigido, prima di sfoderare il suo solito ghigno malizioso.
"Mi conosci, voglio solo il meglio. E a questo proposito..." accennò alla porta rossa alle loro spalle "La signorina vuole provare qualcosa di frizzante e pensavo che farle fare una visita guidata nei territori nemici l'avrebbe accontentata"
"Eccitante" grugnì il demone, mostrando le zanne raccapriccianti in quello che doveva essere un sorriso.
"Ma non si può fare amico" lo smontò l'altro.
Alec sentì Quinn irrigidirsi nella sua presa e, represse l'istinto di spaccare la testa di quel tizio contro la porta blindata.
"Andiamo, un'eccezione non è mica una tragedia. Prometto che me ne ricorderò se mai ti servisse un favore" lo tentò, l'aria più minacciosa che convincente. Gli occhi scuri tremolarono lievemente, interpretando correttamente la promessa di morte certa in caso di rifiuto. "Spiacente, ma no"
"Come vuoi" Lui lo colpì violentemente allo stomaco con la mano libera, mozzandogli il fiato mentre si piegava in due, sotto lo sguardo compiaciuto dell'altro demone che lo spinse da una parte come se fosse un sacco di patate e abbassò la maniglia della porta. "Mi piacciono i gesti spontanei" scherzò Alec, oltrepassando la soglia e scivolando dentro il vestibolo.
"Divertitevi" si sentì augurare alle spalle.


"Non hai attirato l'attenzione su di noi?" domandò nervosamente Quinn, seguendolo per il lungo corridoio.
"No"
Sembrava poco convinto, ma continuava a tenerle la mano donandole la giusta quantità di sicurezza. Arrivarono ad un particolare tipo di Varco. Il solito arco di pietre troneggiava davanti a loro, ma all'interno la luce era rossa e non azzurra, come tutti quelli che aveva attraversato finora. Rappresentava un reale invito ad intrufolarsi all'Inferno.
"Sei sicuro che sia questo?"
Lui sollevò un sopracciglio, mentre portava la mano alla base della sua schiena stringendola a sé e attraversando la soglia.
Quinn sentì un forte formicolio alle terminazioni nervose, come sempre lo stomaco sembrò essere colpito da un pugno e la testa girò.Una volta tornata con i piedi per terra, aprì gli occhi trovandosi davanti all'abitazione abbandonata dove aveva incontrato Zane. Tirò un sonoro sospiro di sollievo al quale il demone rispose con un'occhiataccia. "Grazie della fiducia, piccola"
Quinn abbozzò un sorriso. "Scusa. Mi sentirò meglio quando torneremo a...alla dependance" si morse la lingua prima che potesse pronunciare la parola casa.
Possibile che avesse preso a considerare quel posto come una vera casa? No, è ridicolo. Io non sono una mogliettina alle prime armi e lui sicuramente non è un marito premuroso. Viviamo insieme per costrizione. Questo è tutto, si sforzò di pensare.
"Sento uno strano rumore di ingranaggi. Che stai pensando?" la stuzzicò Alec, inclinando la testa e studiando la sua espressione imbarazzata, facendole comprendere che conosceva perfettamente la risposta.
"Che non vedo l'ora di incontrare tuo fratello. Sai, lui è così..." spaventoso "...affascinante" replicò maligna e volutamente civettuola. Gli occhi di lui si fecero improvvisamente più scuri di qualche tono e il sorrisetto soddisfatto scomparì istantaneamente dal suo viso.
"Muoviamoci" le ordinò freddamente.


L'aria era pesante e umida, non fecero in tempo ad oltrepassare la porta, che lui si ritrovò sbattuto con forza contro la parete di pietra, un pugnale contro la gola e la figura autoritaria e oscura di Zane che incombeva su di lui.
Sentì Quinn urlare dallo spavento, mentre lui scoppiava a ridere.
"Gran bei riflessi" commentò, studiando gli occhi profondi che lo guardavano con odio crescente.
"Sei più imbecille di quanto pensassi oppure hai tanta voglia di farti scuoiare?" sibilò l'altro, la faccia a pochi centimetri di minacciosa distanza.
Alec non diede segno di volersi liberare da quella presa, voleva prendersela comoda e farlo incazzare per bene.
"Come, non sei felice di vedermi?"
La risposta fu il bruciore della lama sulla pelle, all'altezza della vena giugulare.
"Rilassati. La prossima volta mi farò annunciare decentemente"
"Non ci sarà una prossima volta"
"Lascialo andare" gli urlò Quinn, cercando di strattonare il braccio con cui impugnava l'arma. Zane se ne liberò come se fosse una
fastidiosa zanzara e lei crollò a terra.
I dieci secondi che quello impiegò a riconoscerla, servirono al demone per afferrarlo e ribaltare la posizione, piantandogli un pugno sulla mascella e provocando un sonoro scricchiolio quando la sua testa scattò all'indietro, contro le rocce.
I suoi occhi bruciavano e lui seppe che erano diventati neri dalla rabbia, mentre si chinava a sollevare l'umana con insolita delicatezza. "Provaci di nuovo e non sarò responsabile delle tue lesioni" sbraitò in direzione del moro, senza lasciare intendere se tale minaccia facesse riferimento all'aggressione nei suoi confronti o in quelli di Quinn.
"Perdonate la scarsa accoglienza, ma Zane ha pensato che ci fossero intrusi pericolosi" la vocetta stridula di Aud raggiunse le sue orecchie e il suo petto vibrò in un ringhio molto poco incoraggiante, che però il succubo ignorò, avvicinandosi a Quinn e afferrandole la mano destra, ferita dal brusco contatto col terreno.
"Oh, ma guarda. L'hai fatta sanguinare" sussurrò, con finto dispiacere.
Alec notò con ammirazione la ragazza allontanarla da sé con una parolaccia e lanciarle uno sguardo omicida.


"Immagino che tu sia qui per un motivo preciso Alec, a parte spaccare la faccia al mio uomo"
"Aveva proposto un accordo, no?" replicò freddamente, senza staccare gli occhi dal demone che ora si dirigeva verso di loro.
La sua furia vendicativa aleggiava nell'aria, ma sembrava che la presenza di Aud riuscisse a tenerlo a bada.
"A meno che tu non voglia ritirare l'offerta, penso che lei ti debba una risposta"
Zane incrociò le braccia al petto, rivolgendosi a Quinn. "Ci sono stati dei problemi con gli altri ribelli" esordì con voce ruvida, evidentemente poco entusiasta della cosa.
"Ma non mi dire" lo schernì Alec. La ragazza al suo fianco chiuse gli occhi, respirando a fondo. Probabilmente si aspettava che qualcos'altro sarebbe andato storto e aveva paura di sentire il resto della storia.
"Mi hanno sottoposto ad un rituale facendomi giurare di non arrecare danni a nessuno di loro" proseguì quello, tra i denti.
"Strano che non l'avessi pianificato, sei così brillante" la voce dal tono sarcastico venne soffocata da un gemito di dolore, quando Zane gli affondò il coltello nello stomaco con un lancio perfetto e veloce come una saetta.
"E permaloso a quanto pare" continuò a stuzzicarlo, afferrando il manico per tirare fuori la lama.
Vide Quinn osservare il suo sangue preoccupata e respinse l'impulso di rassicurarla.
"Ok, quindi il tuo piano è saltato. Non se ne fa più niente, giusto?" domandò lei con voce tremante.
"Beh, diciamo che forse, e sottolineo forse, si potrebbe andare avanti se tu fossi disposta a rischiare un po' di più"
"No" fu Alec a rispondere alla proposta impertinente di Aud. Il demone pensò che, dopo tutto quello che le aveva combinato l'ultima volta che erano state insieme, il succubo avrebbe fatto meglio a tenere la bocca cucita. La sua irritazione cresceva ogni secondo che passava tra quelle mura, in loro compagnia.


"Non credevo che lasciassi decidere un demone per te, umana. Mi sembravi più sveglia, l'ultima volta"
L'insinuazione di Zane l'innervosì e la offese allo stesso tempo. Aveva ragione. Era sempre stata una sua decisione, perché alla fine della storia, per quanto Alec potesse sforzarsi di aiutarla, se la sarebbe vista brutta comunque.
Lei sola.
"Definisci rischiare. Significa farmi dissanguare?"
"Non ti mentirò. C'è più di una possibilità che questo accada" disse il demone con voce melliflua, ignorando il grugnito poco felice del fratellastro, che si limitava a guardarlo in cagnesco. "Ma cercheremo di evitarlo ad ogni costo. Ovviamente non per te, ma perché la tua morte significherebbe il ritorno permanente di Thren"
Brutale sincerità. Era strano che lei l'apprezzasse?
"Immagino che tu resterai nei dintorni per ehm...dare una mano" chiese il succubo ad Alec. Lo guardava con una strana luce negli occhi, come se avesse paura di una sua qualunque reazione. Prevedibile.
Quinn non udì alcuna risposta, ed essendo di spalle davanti a lui non poté vederlo annuire o meno, ma qualcosa sembrò far sorridere Aud. "Bene" disse infatti, entusiasta.
"Zane mi permetterà di penetrare nelle menti dei ribelli per sbirciare un po', questa notte. Poi domani sera ci incontreremo qui e via!"
"Lei non ha ancora accettato" puntualizzò Alec, una voce gelida e distaccata che stentò a riconoscere.
"Ma lo farà. E' la sua unica via d'uscita" lo rimbeccò Zane.
"Perché lo dici tu?"
"Esattamente"

Quinn fu tentata di chiedere sarcasticamente ai due se volevano essere lasciati soli. C'erano parecchie faccende in sospeso e aveva l'impressione che avrebbero cominciato ad uccidersi da un momento all'altro.
"Ehi, voi! Lei è ancora nella stanza. Vi dispiacerebbe smetterla di parlare di me come se non fossi nemmeno qui?" Ricevette due sguardi silenziosi e carichi di rimprovero che la irritarono ancora di più.


"Forse non ti rendi conto di quello che accadrà" le disse Alec, addolcendo appena il tono di voce. Avrebbe voluto trascinarla fuori appena sentita la prima frase di Zane. Sapeva che sarebbe andata male e detestava l'idea di metterla ancora più nei casini.
"Nemmeno tu puoi saperlo" gli mormorò, a disagio per la presenza dei due demoni, nemici per di più, che assistevano alla conversazione. Quinn pensò che parlarne in privato sarebbe stata la cosa migliore, ma non si poteva pretendere troppo, considerato con chi aveva a che fare.
Lui le regalò il suo solito sorriso sghembo. "No, ma ho tanta immaginazione. Se volevi evitare di rischiare la vita, questo è il modo peggiore per farlo. Ti farai ammazzare"
"Sei incoraggiante"
"Sono onesto. E tu sai che ho ragione" Sì, purtroppo.
Quinn fissò gli occhi azzurri e vagamente lucidi nei suoi e lui si sentì impotente, ancora una volta. Incapace di garantirle la sicurezza che cercava, non poteva prometterle nulla. Ancora una volta sarebbe stato praticamente inutile.
"Ho paura" gli confessò a bassa voce, quasi vergognandosi dell'ammissione, esattamente come l'ultima volta che glielo aveva detto. "Ma ho davvero, davvero voglia di finirla" continuò trattenendo a stento le lacrime.
Il demone la guardò con un'espressione indecifrabile per un tempo che le sembrò infinito, in un modo che le fece venire voglia di gettargli le braccia al collo. Poi annuì controvoglia.
Un battito di mani la fece tornare alla realtà, mentre Aud la trascinava lontana da lui sparando parole a raffica.
"...naturalmente sarebbe più sicuro se voi restaste qui, invece di fare avanti e indietro, non ti pare?" ciarlava con la sua vocetta irritante, come se fosse una sua vecchia amica e le stesse chiedendo un parere sul vestito da indossare.
"Aspetta, non si era mai parlato di un soggiorno all'Inferno!"
"Ma è la soluzione più pratica. Alec ha bisogno di sangue, qui ne abbiamo e tu sarai stanca da morire. Non vorrai passare di nuovo per localacci malfamati, no?"
Doveva ammettere che sapeva indurla in tentazione. Gettò un'occhiata al demone che era comparso al suo fianco e Alec le fece capire con un cenno che la decisione spettava a lei.


Si ritrovarono a seguire Aud su per una lunga rampa di gradini in pietra, con Zane al seguito.
Il corridoio sembrava estendersi all'infinito, come un lunghissimo tunnel di cui non si poteva vedere l'uscita.
Le pareti erano gremite di splendidi dipinti a olio raffiguranti paesaggi spettacolari che le ricordavano quelli irlandesi.
Arrivati davanti alla soglia di una camera che, nonostante l'aspetto trasandato dell'abitazione all'esterno, sembrava degna di un hotel a cinque stelle, il succubo si fece da parte per lasciarli entrare.
Alec le passò davanti senza nemmeno degnarla di uno sguardo e a Quinn parve di intravedere un'espressione ferita sul bellissimo viso di lei, prima che si riprendesse e rivolgesse loro un sorriso smagliante. Forse gli anni di pratica nell'irretire gli uomini l'avevano resa più talentuosa di quanto pensasse nell'arte della recitazione.
"Ha un che di bizzarro: noi quattro sotto lo stesso tetto" bisbigliò più a se stessa che agli altri. L'insulto poco velato di Alec la fece irrigidire visibilmente e si congedò in fretta.
"Beh, io ho del lavoro da fare. Forse più tardi potrei farvi una visitina veloce, nel frattempo
non fate niente che io non farei, mi raccomando!" scherzò per stemperare la tensione, passando un braccio attorno alla vita di Zane.

"Non creare casini con i demoni, Aud" l'ammonì lui, con voce profonda.
"Promesso"
"Né con lui" aggiunse, beccandosi contemporaneamente un'occhiata omicida del diretto interessato e una gomitata dal succubo.





Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 24: Sacrifice ***


Capitolo 24: Sacrifice




Alec sembrava un leone in gabbia. 
Poche ore prima, Aud gli aveva portato del sangue per far curare la ferita allo stomaco. Non le aveva rivolto la parola, aveva afferrato la sacca trasparente e chiuso la porta con un tonfo violento, lanciando un'imprecazione che aveva fatto trasalire Quinn.
Non aveva aperto bocca per un bel pò, dopo, rendendo l'aria elettrica intorno a loro.
La sentì schiarirsi la gola rumorosamente e le lanciò un'occhiata in tralice, trovandola stesa sul letto a baldacchino protetto da cortine bianche, un braccio a sorreggere la testa riccioluta mentre lo scrutava attentamente.
"Perché diavolo mi fissi in quel modo?"
La vide scrollare le spalle. "Sei di nuovo incazzato, il che è strano considerato che sono io quella che potrebbe morire domani"
La sua ironia gli strappò un sorriso e grugnì sentendo una stretta allo stomaco quando fu investito dall'immagine di lei stesa inerme su un qualche altare. La cosa lo colpiva più di quanto avrebbe dovuto.
"Non dovresti essere capace di scherzarci su. Sei umana, mettiti a fare una scenata isterica!"
"Quello sarebbe più normale?"
Alec annuì, pensando distrattamente a quanto fosse dannatamente difficile restare arrabbiato con lei intorno.
Stavano già tornando ad essere gli stessi di prima, capaci di beccarsi con freddure e battute sarcastiche anche nel territorio nemico.
Anche sapendo tutto quello che sarebbe successo.
"Beh, mi dispiace, ma io ho tempi di reazione molto lenti"
"Non me n'ero mai accorto"
Il tono malizioso ed equivoco con cui pronunciò quelle parole, la fecero arrossire di colpo e lui scoppiò a ridere.
"Sai, per essere così vecchio, sei terribilmente infantile" brontolò lei, affondando la testa nel cuscino con la federa di seta nera.
"Certe cose non cambiano mai" si giustificò il demone, serafico.
Un secondo dopo si sdraiò al suo fianco, attirandola tra le sue braccia, senza sapere bene se lo faceva solo per fornirle una mera consolazione e distrarla dalle preoccupazioni o semplicemente perché gli procurava un enorme senso di appagamento.
In ogni caso, quel gesto non gli era mai appartenuto prima.


Quinn gli si raggomitolò contro, come se per lei quello fosse il posto migliore al mondo.
Alec sentì il suo respiro accelerare e sorrise compiaciuto dell'effetto che sortiva su quella ragazza.
Si puntellò su un gomito, mentre premeva il proprio corpo contro di lei, poi abbassò la testa in modo da far incontrare le loro labbra. Aumentò progressivamente la pressione, alternando leggeri baci a piccoli morsi e tenere carezze con la lingua, finché non la sentì gemere piano. Spinto dal bisogno di assaporarla, si staccò dalle labbra di Quinn per farle scorrere la lingua sulla gola pulsante.
Si aspettava che lei si ritraesse, che lo respingesse... che cercasse di fermarlo.
Invece, gli affondò le mani nei capelli e si premette la sua bocca contro il collo.
La udì emettere un mormorio di sorpresa quando con una mano le afferrò la nuca, e con l'altra le strinse la vita per avvicinarla di più a sé, una gamba muscolosa infilata tra le sue, ancora sorpreso di come lei lo lasciasse fare.
Era come se gli si affidasse completamente e questa consapevolezza lo rese euforico.
Incapace di trattenersi più a lungo, fece scivolare la mano sinistra sotto la maglia pesante che indossava, a contatto con la sua pelle morbida e bollente, fino a posarla intorno al seno.
Il battito del suo cuore gli rimbombò nelle orecchie mentre memorizzava la forma perfetta di quel morbido rilievo, accarezzandolo con gesti esperti. Lei soffocò un gemito di piacere e posò la fronte contro la sua.
Aveva il respiro affannoso e il desiderio di andare fino in fondo gli incendiava i sensi.
Un unico pensiero gli aleggiava nella mente: doveva averla. Sapeva che quegli attimi rubati con lei l'avrebbero tormentato ogni ora una volta lontani, mentre li riviveva con la mente, ma in quel momento non gliene importava.
Era stranamente affamato, selvaggio. Qualcosa non andava.
Sentì sbriciolarsi quel pò di autocontrollo che era solito mantenere in certe occasioni. Troppo presto le gengive cominciarono a bruciare, a farsi calde e pesanti. Alec si strappò da quel bacio per paura di non riuscire a trattenere la fuoriuscita delle zanne del demone, che lottava per emergere. Sembrava che nemmeno quella parte di lui la detestasse più di tanto.
Il profumo dolce della ragazza lo spingeva oltre i limiti della ragione, una parte irrazionale di sé lo pungolava urlandogli di continuare e approfittarsi della situazione, ma si accontentò di tenerla semplicemente stretta, avvertendo improvvisamente la sua paura come se fosse un urlo lancinante nella testa.


La notte silenziosa era accogliente, l'oscurità profondamente sensuale, tuttavia le riusciva impossibile dormire.
Quinn non voleva che quella fosse la sua ultima notte. Non voleva finire in un posto dove non sarebbe stata altro che un ricordo.
Quando era piccola aveva creduto nel Paradiso, come la maggior parte delle persone. Poi, crescendo, la sua visione del mondo aveva iniziato ad indurirsi. Ora non vedeva più colline verdi e nuvole soffici nel suo futuro.
Solo il buio. 
Pensò a quanto alcune cose fossero difficili da confessare persino a se stessi, perché se solo si facesse, bisognerebbe smettere di essere ciò che si è da sempre e quell'immagine costruita con tanta fatica si sbriciolerebbe.
Tuttavia Quinn non riusciva a smettere di ripetere nella sua testa che aveva paura. Tanta. Troppa.

Non poteva credere che non avrebbe visto il Colonnello e Hope nemmeno per un'ultima volta. Adorava sua madre e quell'uomo burbero e autoritario a cui non aveva mai detto 'ti voglio bene'.
Si pensa sempre di avere tutto il tempo del mondo per recuperare certe mancanze, ma se così non fosse stato?
Lui non l'avrebbe mai saputo.
Alla sua amica Cassidy non avrebbe mai confidato di aver visto il suo attuale marito baciare la seconda damigella d'onore a tredici ore dalle nozze. Aveva sempre atteso che si presentasse l'occasione giusta...
Con sua grande sorpresa, tra i suoi pensieri spuntò anche il volto di Alec. Lui era elettrizzante. Pericoloso. Misterioso.
E lei era stata così stupida da innamorarsi.
Ne era più sicura che mai, specialmente in quel momento, mentre lui le passava lentamente la mano tra i capelli, quasi a volerla tranquillizzare.
Nonostante i suoi sentimenti, Quinn non nutriva illusioni sulla possibilità che lui li ricambiasse.
Imboccando quella strada, avrebbe finito per uscirne distrutta. E aveva già abbastanza preoccupazioni, senza doverci aggiungere anche quelle, combattendo una battaglia persa.


Odiò le lacrime che all'improvviso le colarono lungo le guance, mentre il suo corpo tremava convulsamente per i singhiozzi appena trattenuti. Sentì il demone irrigidirsi contro di lei e pianse più forte per la sua patetica dimostrazione di fragilità. La stanza le sembrava sempre più stretta e non riusciva a trovare una via di fuga o quantomeno abbastanza aria per poter continuare a respirare.
"Quinn" si sentì chiamare dalla sua voce incerta.
"Oh mio Dio, sono davvero..." cercò di recuperare il fiato. "
Questa non sono io, e mi fa sentire stupida. Solitamente non sono così deprimente" si sentì blaterare senza senso.
Lui si schiarì la gola.
"Lo so" sussurrò esitante, mentre le accarezzava il volto con un tocco leggerissimo, facendo scorrere le dita sopra la guancia ad asciugarle le lacrime, passandole il pollice sul labbro inferiore.
"A dire la verità è quasi un sollievo. Hai mantenuto il controllo troppo a lungo, con tutte le cose che ti sono accadute, e stavo iniziando a sviluppare un complesso di inferiorità" la schernì debolmente il demone, rammentandole che lui era il suo esatto opposto.
"Già, ma reprimere le emozioni è una cosa normale per me. Piangere come un'idiota no...e poi qui, con te..." fece con voce rotta, quasi rimproverandosi di essere miseramente ridotta ad un fagottino tremante, mentre stringeva a pugno la mano sulla camicia di lui.
Oh Dio...sono la Regina dei patetici!


La mascella di Alec era serrata così forte che i suoi molari sarebbero potuti andare in frantumi, la sua testa pulsava come dopo aver affrontato una trasformazione.
Riusciva a percepire la mortificazione di Quinn così profondamente, che gli sembrava di provarla lui stesso.
Non avrebbe dovuto legarsi in quel modo a lei, era senza alcun dubbio la più grande cazzata che avesse mai fatto.
"Mmh, sei insopportabilmente orgogliosa, me lo ricordo bene" si sforzò di controbattere in modo scherzoso, sebbene continuasse a rassicurarla, quasi cullandola tra le sue braccia. La sentì ridacchiare e si rilassò un poco anche lui.
Cristo, si era proprio rovinato. Da quanto tempo qualcuno o qualcosa non gli ispirava tenerezza?
Gli erano bastate poche settimane con lei ed ecco che si ritrovava in quelle condizioni.
Un mezzosangue era già di per sé una barzelletta vivente.
Ma un mezzosangue che lasciava prevalere i sentimenti era un coglione totale.
Avrebbe dovuto approfittarsi di lei e della sua sofferenza, sentiva che aveva bisogno di essere consolata, rassicurata e lui avrebbe dovuto fingere di assecondare i suoi desideri, curandosi in realtà di se stesso.
Ne avrebbe tratto piacere, quello lo sapeva per certo, e se fosse stato lo stesso demone di qualche settimana prima lo avrebbe fatto.
Si sarebbe comportato dal solito bastardo, lasciandola sola subito dopo senza curarsi d'altro, tornando al suo lussuoso appartamento e alla guerra tra clan.
Ma la sola idea gli sembrava assurda adesso. Semplicemente non riusciva a imporsi di ferirla in quel modo.

                                                                                                                             
                                                                                                                                    ***
 

Risvegliandosi, Quinn si stiracchiò languidamente.
Era stato il peggior sonno della sua vita, ma stranamente privo degli incubi che si era aspettata.
Aprendo gli occhi, fu sorpresa di trovare la propria testa appoggiata sul ventre di Alec. L'aveva tenuta stretta per tutto il tempo?
Non indossava la maglietta e la sacca di sangue era completamente vuota sul pavimento. Dunque doveva essersi alzato, nutrito, per poi sistemarsi di nuovo al suo fianco, pensò quasi deliziata.
La mano destra di lui affondava fra i suoi capelli, e dai respiri profondi e regolari capì che era ancora addormentato.
Erano passate più o meno tre ore, ma la luce dell'alba filtrava dalla piccola finestra e illuminava debolmente entrambi. Le pareva che osservarlo a sua insaputa potesse farle scoprire qualcosa di più sul suo conto. Ma era sempre il medesimo: il profilo netto, la bocca ben
disegnata, l'espressione calma e vagamente divertita. 
Si sporse un po', sfiorando dolcemente la bocca con la punta delle dita. Ne seguì i contorni e sentì vagamente gli occhi pizzicarle al pensiero di quello che le sarebbe successo di lì a poco. Fece un respiro profondo e decise di approfittare ancora di quei secondi di tranquillità. Si chinò a posare le labbra su quelle di lui.


Doveva essere una sorta di bacio d'addio, o qualcosa di simile, ma a quanto pareva il suo corpo non aveva recepito il messaggio e la fece indugiare più a lungo di quanto volesse in principio.
Nell'istante in cui si ritrasse gli occhi del demone si aprirono di scatto, e lei trasalì, perché non aveva mosso nemmeno un muscolo prima, per avvisarla. Non sembrava arrabbiato o infastidito, però.
"Non volevo svegliarti" In realtà non volevo svegliarmi neanch'io oggi...
"Non importa" le disse con voce roca e sensuale, che le fece scorrere dei brividi di eccitazione lungo il corpo.
Lui la studiò con uno sguardo di fuoco, le sembrò che volesse toccarla. O divorarla. L'osservò sollevare un braccio muscoloso per scostarle un ricciolo dal viso e la sua temperatura corporea s'innalzò bruscamente al pensiero di quello che avrebbe potuto seguire quel gesto. Invece Alec si allontanò bruscamente e si alzò con movenze leggere, infilandosi la maglietta abbandonata sulla sedia senza staccarle gli occhi di dosso.
"Avresti dovuto dormire di più" mormorò una manciata di minuti dopo.
"Ah sì?"
"Beh, l'hai detto tu: stasera rischierai di morire, hai bisogno di forze" la beffeggiò, guadagnandosi uno sguardo sconcertato.
"Divertente" sibilò lei, incrociando le braccia al petto.
"Vai da qualche parte?" gli domandò poi, vedendo che si sistemava le armi alla cintura.
"Ho una cosa da fare. Tu non uscire da qui per nessun motivo, chiaro?" fu la risposta autoritaria che le biascicò prima di sparire.
Beh, se il buongiorno si vede dal mattino...
"Hai...intenzione di tornare?" Si odiò immediatamente per quella domanda stentata, ma non era riuscita a trattenerla. Il demone la guardò scocciato, come se l'avesse offeso nel peggiore dei modi. Con passo da predatore tornò accanto a lei, che si sforzò di non indietreggiare, con una mano le sollevò il mento e i suoi occhi carbone catturarono il suo sguardo spaurito.
"Pensi davvero che ti lascerei qui?" fu il suo mormorio rabbioso.
"Non sei costretto a restare. Non lo sei mai stato"
"Siamo insieme in questa cosa, Quinn" ribatté energicamente, irritato che lei non l'avesse ancora capito.
Lei scosse il capo. "Non è vero. Tu, al contrario di me, puoi tirarti indietro quando vuoi" Ma ti prego, non farlo.
Una sorta di ringhio gli risuonò nel petto, profondo e animale. Un suono basso e tormentato. "No, non posso"
Sparì prima che potesse chiedergli spiegazioni.
 


                                                                                                                                 ***


"Legala" ordinò svogliatamente Zane, molte ore più tardi. Aveva passato la giornata a contatto con i ribelli, preparandosi per il rituale.
Il corpo di Thren era stato 'scongelato' ed era pronto al risveglio.
"Cosa?" domandò Quinn, mentre il succubo le teneva fermi entrambi i polsi e stringeva forte le corde robuste.
 "Maledizione, sono troppo strette!"
"Davvero?" le fece l'altra, controllando che le sue unghie laccate di rosso non si fossero spezzate.
"Non ti aspetterai che ti porti a morire in carrozza, principessa" la schernì il demone. Spostò lo sguardo alle sue spalle, verso la camera che avevano occupato quella notte ed emise un ringhio poco incoraggiante. "Dov'è il mezzosangue?"
Quinn soffocò una protesta nel sentire pronunciare quella parola con tanto disgusto.
"Ti mancavo già?" replicò con tono beffardo una voce alle sue spalle. Soffocò un sospiro di sollievo nell'avvertire la presenza di Alec così vicina. Lui le posò le mani sulla vita e la portò contro il suo petto, il respiro caldo nell'orecchio.
"Cerca di fare la brava bambina e urla parecchio, ok? Ricorda che tecnicamente ti consegna a loro contro la tua volontà" sussurrò, mentre strappava di mano le corde a Aud e le sistemava in modo che i nodi sembrassero più sicuri, ma fossero allo stesso tempo più lenti, per non farle male. Con il pollice le accarezzò dolcemente l'interno del polso, un gesto che gli altri non notarono.
Le gambe tremolarono di gratitudine e la sensazione di morso allo stomaco le impedì di aprire la bocca per dire qualcosa di coerente, così si limitò ad annuire. Lo sentì sfiorarle una tempia con le labbra, in un contatto veloce ma bollente, prima che la lasciasse andare.
Zane lanciò un'occhiata ai suoi polsi e sollevò gli occhi arancioni sul demone. "L'hai imparato nei boy scout, nullità?"
"No, era l'hobby notturno di tua madre"
Quinn sbarrò gli occhi, preoccupata di una reazione violenta, ma entrambi si limitarono a fulminarsi reciprocamente.


Raggiunsero un magazzino che sembrava abbandonato da secoli.
Le finestre ad ampi pannelli erano scure, alcune rotte e parzialmente sbarrate con assi di legno. Le porte un tempo rosse ora erano scrostate e tenute assieme da una spessa catena con lucchetto che Aud fece saltare, prima di andare a trovarsi un posto sicuro per radunare il resto dei demoni della vendetta che li avrebbero raggiunti in seguito.
Entrando nell'edificio uno a uno, si sparpagliarono a ventaglio e si soffermarono all'interno della stanza buia e vuota, ricoperta da almeno un decennio di polvere, ragnatele e sporcizia.
Un paio di uomini di Zane si erano già uniti a loro e apparivano piuttosto contrariati dalla presenza di Alec.
"Il luogo dove si svolgerà il rituale è di sotto" annunciò Zane con voce dura. "Voi sbarazzatevi di loro il più silenziosamente possibile, prima che arrivino gli eserciti. Io penso al sacerdote" ordinò, fingendo di non notare quanto uno dei tre uomini fosse riluttante nell'eseguire. Quinn si lasciò trascinare dimenandosi e imprecando fino al seminterrato, che scoprì essere una grande caverna di pietre scure come la pece. Il rumore cupo e sordo della pietra che si spostava e apriva loro il passaggio le fece venire la pelle d'oca.
Il tipo che  aveva indicato come il sacerdote, era il demone più imponente che avesse mai visto. Perfino più di Dahak e Zane.
Un paio di occhi gialli e crudeli la studiarono sotto le folte sopracciglia scure, mentre delle corna gli giravano tutto intorno alla testa, donandogli un'aria particolarmente orrenda.
L'essere li accolse con finto entusiasmo, anche dopo averla riconosciuta, ma sembrò che il piano funzionasse bene.
I ribelli si racchiusero in cerchio attorno a lei, che si dimenava e scalciava, guardandola avidi e pronunciando delle strane parole in una lingua sconosciuta.
Il sacerdote le afferrò un braccio e le procurò un lungo taglio dal gomito al polso, raccogliendo delle gocce vermiglie e posandole sulla propria fronte, disegnando quello che Quinn riconobbe come una sorta di croce con una freccia in cima, il tutto all'interno di un cerchio.
Quella che doveva essere una recita ben presto si tramutò in realtà. Aveva talmente tanta paura, che si sforzò di non mordere a sangue il braccio di Zane, che la teneva immobile, per poter scappare a gambe levate.
Quando quella cantilena finì, un vampiro alto e dalle fattezze minacciose si complimentò con il demone per l'ottimo intervento, mentre gli altri tre individui si preparavano per il rito di mezzanotte.


                                                                                                                                     ***



Nascosto in una delle rientranze nella parete umida, Alec attese che il demone Satariel gli si avvicinasse ancora di qualche passo.
Coraggio, mostriciattolo.
Ci sei quasi.
Silenziosamente si sistemò alle sue spalle e gli tagliò la gola in modo abile e veloce, riducendo il rumore della caduta afferrandolo per le braccia, prima di scaricarlo in un angolo buio.
Quando arrivò il turno del mostro dalle grandi corna blu, quello si voltò verso di lui con un sibilo e cercò di accoltellarlo. Alec gli spezzò il polso, facendogli cadere il coltello di mano. Gli tappò la bocca facendo attenzione ai suoi denti aguzzi, mentre lo finiva.
Mancavano il
Verandert, la cui presenza lì restava un mistero, il vampiro e quell'imbecille del sacerdote.
Aud aveva detto che, passeggiando nella mente dell'ultimo, aveva scoperto che oltre il sangue di Quinn, serviva una goccia di ciascun demone coinvolto che, sfortunatamente, possedevano già.
Questo metteva l'umana in una gran brutta situazione, poiché niente avrebbe potuto evitare che il risveglio venisse portato a termine, se avessero fallito.
Avvertì distrattamente i due demoni di Zane occuparsi di altri due ribelli il più silenziosamente possibile, seppur con violenza.
Niente male.
Qualcosa sfrigolò nell'aria e le luci si spensero. Poi dei demoni uscirono dall'oscurità e attaccarono.
Mentre combatteva, Alec ascoltò il vampiro schernire Zane. "Pensavate seriamente di poterci cogliere di sorpresa?"
Decisamente no. Ma i demoni sottoposti ai potenti non erano alla loro altezza, per quanto potessero essere numerosi.
"Io e miei uomini avevamo voglia di sgranchirci un po', succhiasangue" lo sentì rispondere con voce affannata, prima che colpisse la creatura con una paletto, sparandola nell'aria in mille scintillanti frammenti inceneriti.
Si ritrovarono schiena contro schiena, a fronteggiare le schiere di demoni che sembravano crescere di minuto in minuto.
Alec non aveva mai pensato che Zane potesse essere un alleato così valido. Era una strana collaborazione che fruttava ottimi risultati.
Poi delle urla femminili interruppero la loro danza letale e Zane gli diede il via libera, prima che il sacerdote trascinasse via Quinn.
L'aveva quasi raggiunta quando una sensazione di soffocamento lo colse all'improvviso. Come se annegasse sulla terraferma avvertì l'aria abbandonare i suoi polmoni, appena prima che al suo corpo venisse imposta la smaterializzazione.
L'ultima cosa che sentì fu Quinn che gridava il suo nome, mentre spariva dalla sua vista.


Una solida massa di muscoli la colpì al fianco, facendole uscire tutta l'aria dai polmoni, e due braccia robuste la strinsero.
Si sentì sollevare da terra e portare via a una rapidità incredibile.
Quinn si dimenò furiosamente, continuando a fissare il punto da cui il demone era stato strappato via. Non riuscì a credere che fosse scappato intenzionalmente, lasciando che la prendessero, perché l'espressione scioccata sul viso di lui era ben impressa nella sua mente.
Due vampiri la tennero ferma, mentre un terzo uomo incappucciato le fissava i polsi e le caviglie al freddo altare di pietra scura, in fondo alla caverna. Ansia e senso d'impotenza s'impossessarono di lei e il cuore iniziò a batterle forte contro la cassa toracica.

Il gelo le paralizzava il sangue nelle vene, la trama dei pensieri.
Con gli occhi sbarrati fissava le crepe su quel soffitto grigio fatto di roccia irregolare ed umida. Sentiva il freddo nelle ossa mentre la certezza che la sua ora fosse arrivata si faceva strada nelle sue membra come una strisciante nenia, e come aveva più volte temuto, era sola in quel momento, come aveva immaginato, come era previsto. 
Al suo fianco venne sistemato una sorta di sarcofago al cui interno era posto un uomo del tutto simile a Zane, privo di conoscenza e dall'aspetto simile ad un frutto essiccato. Le vene in rilievo erano scure e la pelle diafana s'increspava intorno agli occhi e la bocca bluastra. Il sacerdote utilizzò ancora il suo sangue per tracciare altri segni sulla sua fronte, i suoi occhi luccicavano di lussuria mentre un sorriso gli imperlava le labbra.
Sembrava impaziente di terminare il rituale, quasi fremeva per l'emozione quando le sorrise malignamente e la ringraziò di aver reso le cose così semplici.
Quinn lo studiò atterrita per qualche secondo, prima di urlare e riprendere a muoversi, tirando i ceppi con strappi violenti, con l'unico risultato di provare ancora più dolore.
Sentì la sua guancia bruciare quando uno dei demoni le assestò uno schiaffo da rivoltarle la faccia.
La testa vorticò e quasi svenne per la violenza dell'impatto, ma prima di scivolare nell'oblio qualcosa pizzicò i suoi polsi e gli avambracci e uno stupido pensiero le sfiorò la mente.
Il giorno dopo sarebbe stata la Vigilia di Natale.


                                                                                                                                       ***



"No, maledizione. No!" esclamò distinguendo il buio antro della fortezza, nel sottosuolo.
La smaterializzazione non funzionava e per quanto si sforzasse non riusciva a tornare alla caverna.
"Dalla tua reazione presumo che stessi proprio fremendo dalla voglia di combattere, laggiù" la voce profonda di Dahak, gli fece stringere i pugni dalla collera.
"Riportami indietro, figlio di puttana!"
Il Signore dei demoni della rabbia non si scompose minimamente, guardandolo con il capo inclinato da un lato, come se stentasse a riconoscerlo. "Ho dovuto utilizzare molte delle mie energie per attirarti qui. Immagino che tu sappia come questo sia potuto accadere" disse con una finta calma che gli gelò il sangue nelle vene.
Alec lo sapeva eccome. Quando demoni potenti cominciavano a perdere il controllo sui loro sottoposti, significava che questi erano morti, feriti...o perduti. Se la sua parte umana avesse preso il sopravvento, Dahak avrebbe smesso di esercitare qualsiasi potere su di lui.
"Ascolta" tentò di ammorbidirlo "Sono riuscito a trovare tutti i ribelli rimasti. L'umana è con loro adesso. Devo tornare e impedire che il sacrificio avvenga"
"Hai già mandato i miei soldati ad occuparsene, mi sembra"
Era vero. Aveva avvertito Kegan poche ore prima che si avventurassero al magazzino, quando aveva lasciato Quinn da sola alla residenza di Zane. Dopo averle detto che non poteva tirarsi indietro.
Non aveva mentito, in effetti. La sua stupida umanità lo avrebbe ucciso per i sensi di colpa se le fosse successo qualcosa. L'unico modo per impedirlo era che la fazione dei demoni della rabbia entrasse a far parte del piano. Quando c'era da uccidere, nessuno di loro si tirava indietro. Tuttavia, nessuno si sarebbe curato di salvare Quinn, nessuno se non lui.
"Devo esserci!"
"E perché mai?"


Per la mia vendetta.
Per lei.
Quando lui rimase in silenzio, Dahak lo studiò con un'espressione sprezzante. "Sei cosciente del fatto che lei non è Liz? Salvarla non ti priverà del senso di colpa per averla lasciata morire. Niente potrà mai farlo" rigirò il dito in una piaga aperta da secoli.
"Lo so" ringhiò fra i denti. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era trovarsi in un dannato stato di impasse.
Il sangue ribolliva nelle vene dalla voglia di uscirne al più presto.
"Ma vuoi comunque aiutarla. Dopo ciò che ha riportato alla luce? La tua debolezza, la tua coscienza. I sentimenti. Quella donna ti ha distrutto, ora lascia che riceva lo stesso trattamento" concluse con disprezzo.
Un perfetto discorso da padre palloso, se solo non avesse scelto quel momento per calarsi nel ruolo...
"Smettila con queste stronzate e lasciami andare!" Alec emise un basso ringhio nella gola mentre ricacciava indietro l'impulso di scaraventare l'uomo contro la parete opposta. I tratti del suo viso cominciavano a mutare, a testimonianza della furia crescente.
Non avrebbe attaccato un Signore, avrebbe significato morte certa,  ma le mani gli prudevano comunque dalla voglia di spaccargli la faccia. Riusciva solo a pensare alle urla di Quinn.
Urla di un'altra persona che lui non sarebbe stato in grado di proteggere.
"Hai perduto tanto tempo fa le parti di te che ti rendevano umano. Non rovinare tutto adesso, figliolo"
Troppo tardi, pensò, cosciente che lui l'avrebbe udito.
In un nanosecondo si ritrovò a colpirlo con tutta la forza che possedeva, facendolo crollare al suolo, con aria vagamente ferita, ma non sorpresa. Sapeva cosa stava pensando. Questa versione di lui gli ricordava il ragazzo del club in cui l'aveva trovato.
Un mezzosangue a cui non importava di rischiare di morire. Pieno di furia e voglia di vendetta.
Alec lo colpì con un calcio alla schiena e, appena quello cadde in ginocchio, lo afferrò per i capelli e lo costrinse a piegare la testa all'indietro. Avrebbe potuto liberarsi in un attimo, senza sforzo, ma Dahak non lo fece. Voleva vedere fin dove si sarebbe spinto.
Allora lui parlò.
Quando lo fece, una corrente di aria gelida lasciò le sue labbra insieme alle parole, pronunciate con una voce che non aveva nulla di umano. "Io non sono tuo figlio. Sono solo un mezzosangue che hai reclutato per il tuo esercito" sputò al demone con livore.
"Sei stato scelto per uccidere"
"E allora fammi tornare indietro, cazzo!"
Osservò gli occhi di Dahak farsi vuoti, e si preparò ad un violento assalto cerebrale. Ma non accadde nulla nella sua testa. Il Signore si stava collegando alla mente di qualcun altro. Ghignò con soddisfazione e tornò in sé.
Brutte notizie. Fu l'ultima cosa che Alec pensò.


                                                                                                                                       ***


Quando piombò nel mezzo della battaglia che infuriava nella caverna, atterrò un vampiro annullando il suo tentativo di morderlo, ma prima che potesse voltarsi a cercare Quinn, un paio di occhi grigi si fissarono nei suoi.
Il fiato gli si arrestò in fondo alla gola, quando riconobbe nel demone i suoi tratti estetici: stessa mascella squadrata, stessi zigomi alti, stesso naso dritto e regolare, lo stesso lampo di odio nello sguardo.
Era troppo tardi ormai. Per questo quel bastardo di Dahak l'aveva mandato in battaglia.
Non c'é più niente che possa fare.
Thren era stato risvegliato.


Non riuscì a fare neanche un passo nella sua direzione, perché una grande montagna di muscoli lo sbatté a terra con un violento pugno che gli fece vedere le stelle. Alec alzò lo sguardo furente sull'enorme demone che gli si era parato davanti.
Lo circondava un'aura oscura e letale. Un'aura come quella attorno a un predatore selvaggio che prometteva una morte lenta e dolorosa. Il gigante gli trafisse lo stomaco con tale velocità che lui non riuscì neppure a riconoscere l'arma usata.
Il metallo penetrò in profondità e un fiotto di sangue sgorgò dalla ferita, inzuppandogli il petto e il ventre.
La bile gli bruciò in gola e nel naso, mentre Alec si dimenava e imprecava.
Quello lo colpì nuovamente. E poi ancora.
Il dolore era terribile, la pelle sembrava ardere. Ebbe a malapena il tempo di prepararsi prima che la mazza chiodata del demone entrasse finalmente nella sua visuale e gli penetrasse di nuovo nella carne. La fitta fu lancinante quanto le precedenti.
Lo vide sollevare l'arma, quando una lama saettò sulla gola del mostro. Una sottile linea rossa cominciò ad espandersi attorno al suo collo, prima che crollasse al suolo. Tra il dolore e la confusione, Alec riconobbe la sagoma sbiadita di Zane.
Gli aveva appena salvato la vita.
"Ringrazia che non era uno dei ribelli o ti avrei lasciato a morire" bofonchiò Zane, offrendogli la mano per tirarsi su. Lui la respinse e si puntellò sulla mano insanguinata, sollevandosi con uno sforzo smisurato, ma una punta di orgoglio.
"E' stato comodo abbandonare la lotta per la maggior parte del tempo, eh? Sei tornato solo per farti pestare?" lo stuzzicò il moro, gli occhi arancioni puntati nei suoi.
"Fottiti"
Non aveva tempo per rispondere a tono alle sue provocazioni. Aveva solo una cosa in mente: uccidere Thren.
"Non vorrai togliermi l'onore" ringhiò Zane, accennando al padre, intento a fare brandelli ogni singolo demone incrociasse il suo cammino. Per essere uno appena risvegliato, la forza che mostrava era impressionante.


"La storia insegna che non ci si può fidare nemmeno dei propri figli. Un'amara lezione" sibilò Thren con la voce rauca che Alec ricordava così chiaramente, quando li vide schierarsi armati contro di lui.
Erano tre secoli che aspettava un momento del genere: far pagare a quel bastardo tutto quello che lui aveva dovuto subire.
Gli orrori commessi contro sua madre.
Prima di scappare dal suo campo d'addestramento, sanguinante e in fin di vita, da buon discendente del Signore della vendetta, aveva giurato che sarebbe arrivato il giorno in cui lo avrebbe fatto a pezzi.
Beh, eccolo. Quale migliore occasione.
Aveva rinunciato alla sua vita nel clan per tornare alla caverna e affrontare qualunque fossero le conseguenze del rituale: ne sarebbe valsa la pena. Si sforzò di non pensare a Quinn e alla fine che aveva fatto.
Canalizzò la sua rabbia verso un unico obiettivo.
"Salute padre" disse Zane, con tono di finta riverenza. Era stato ferito, notò Alec abbassando distrattamente lo sguardo sul suo corpo. Aveva dovuto combattere con chiunque gli si trovasse davanti, ribelle o demone della rabbia.
Un centinaio contro uno, ma incredibilmente riusciva ancora a stare in piedi, con un guizzo di follia nello sguardo diretto al padre.
L'aria attorno a lui sfrigolò e schioccò a tempo col suo stato mutevole. La trasformazione si completò in un secondo, sotto gli occhi compiaciuti di Thren, che pregustava la loro sconfitta con quel suo modo di fare strafottente.


Zane si lanciò verso suo padre, che respinse ogni attacco con il minimo sforzo, rendendo vano ogni tentativo di colpirlo.
Gli aveva sferrato una quantità di pugni senza scalfirne minimamente l'energia o la forza. Erano ancora impegnati in quel corpo a corpo, quando uno degli altri demoni presenti aveva sparato.
Zane si era subito chinato, rotolando su se stesso e schivando il colpo per un pelo, mentre Alec lo disarmava.
Dopo averlo sistemato, si voltò in direzione del fratello e, guardandolo con attenzione, si accorse che perdeva sangue copiosamente da una ferita alla testa e aveva la schiena squarciata da un colpo di mazza chiodata.
A quanto sembrava, il gigante di prima aveva messo sotto anche lui.
Thren utilizzò la sua debolezza per far penetrare una delle mani artigliate nel suo petto.
Gli avrebbe strappato il cuore, se solo Alec non gli avesse fatto saltare via un orecchio con un colpo di pugnale. Il dolore lo distrasse per un momento, lasciò cadere il corpo del figlio rumorosamente sul terreno polveroso, per potersi dedicare all'altro.
Uno sprazzo d'incredulità brillò nei suoi occhi grigi, nel trovarsi faccia a faccia con quello che aveva reputato un errore di passaggio.
Aveva pensato che fosse morto durante qualche scontro sul ring, dopo essere scappato dalle sue grinfie, e non si trattenne dall'apprezzare la sua resistenza
ad alta voce, con un ghigno compiaciuto.
Una strana forza lacerò Alec, come se qualcuno stesse separando i suoi muscoli dalle ossa. La pelle diventò scura e il resto della trasformazione si innestò. Il demone strinse i denti e resistette.


No.
Non adesso.

L'avrebbe ucciso, ma in forma umana. Sarebbe stato ancora più umiliante.
Tuttavia utilizzò quell'energia per colpirlo più forte. I due rotolarono a terra in un violentissimo corpo a corpo, una tecnica di combattimento in cui Alec eccelleva proprio a causa degli anni passati a combattere per il divertimento del padre.
"Non hai il fegato di affrontarmi nella tua vera forma, ragazzo?" lo schernì, torcendogli il braccio, prima di colpirlo forte in faccia.
Alec si sollevò e gli piantò un pugnale nella gola, sforzandosi di non gemere di dolore.
"E' proprio quello che sto facendo"
Entrambi i demoni continuarono a colpirlo e ferirlo con diverse armi: per fermare uno dei Signori, bisognava indebolirlo dissanguandolo.
Thren afferrò Alec per la nuca e lo sbatté ripetutamente contro la parete della caverna, finché non la vide macchiata di sangue a sufficienza da tirarlo indietro e sibilare al suo orecchio "Sei troppo umano, figliolo"
Quella voce derisoria fece ribollire il sangue nelle vene del figlio. La stessa identica frase che gli urlava quando lasciava che i demoni lo pestassero nel suo campo, quando lo considerava solo un pietoso spreco di aria e spazio.


"Dovresti ringraziarmi, Alexander. Se non fosse stato per i miei geni, non saresti sopravvissuto così a lungo" aggiunse, sinceramente soddisfatto di sé quando lo sentì imprecare.
"E' la tua voglia di vendetta che ti ha spinto fino a questo punto"
Zane si sollevò e colpì brutalmente l'addome di Thren con un pugno e un'atroce agonia accompagnò il suono bagnato e orrendo della carne che si lacerava, facendogli mollare la presa sul fratello, che ne approfittò per scivolare a terra e procurarsi una di quelle asce arrugginite con cui i demoni Satariel si divertivano ad andare in battaglia.
Mentre Zane lo teneva fermo per le braccia, lasciandosi colpire nei diversi tentativi di liberarsi, lui lasciò roteare il manico nell'arma e la sollevò imprimendole tutta la forza che possedeva.
Il colpo vibrò veloce e violento, fischiando nell'aria pesante, tagliando di netto la testa di Thren.
L'ascia scivolò dalle mani insanguinate di Alec. Cadde nella pozza di sangue che si allargava ai suoi piedi sul pavimento polveroso.
Privo della parte superiore, il corpo del demone crollò a terra con un'insolita grazia, atterrando in un groviglio di arti inanimati.


Era andato. Finito.
Mentre il fratello veniva trascinato in un altro violento scontro, senza neanche avere il tempo di godersi la vittoria, Zane si alzò faticosamente da terra, reggendosi alla parete di pietra, sentendola umida e fredda sotto il palmo.
Una volta in piedi, per qualche insana ragione le sue gambe gli ricordarono due di quelle lampade che sembrano contenere lava fluida, perché entrambe sembravano liquide, all'interno.
Il ginocchio sinistro cedette, facendolo crollare giù.
Qualcosa non va. Quel pensiero lo colpì profondamente.
Si accorse appena della presenza di Aud, al suo fianco, e si domandò quando fosse arrivata.
Gli stava sussurrando qualcosa dal suono dolce. Ti amo. Gli aveva detto così?
Sperò di non esserselo immaginato, avvertendo un gran senso di calore nel petto,
mentre si lasciava trascinare nel buio.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Epilogue ***


Epilogue



"Alec, maledizione, svegliati!" brontolò una voce profonda e scorbutica sopra di lui.
Subito dopo una mano grande e rude lo colpì con violenza alla guancia, il dolore gli attraversò tutto il viso fino a raggiungere la tempia che pulsò dolorosamente, svegliandolo.
"Grazie K, ma penso di averne prese abbastanza per oggi" gracchiò.
"Il tuo intestino sta facendo compagnia al pavimento, bello"
Immagini della lotta gli balenarono in testa e all'improvviso rammentò gli occhi grigi di Thren che si spalancavano increduli e irati prima che la vita lo abbandonasse per sempre. Il ricordo di tutto quello che era successo gli fece venire quasi la nausea, sensazione che aumentò quando incastrò i tasselli mancanti del puzzle. 
Cristo, il sacrificio.
"Dov'è lei?"
Non sapeva perché lo stesse chiedendo. Se il Signore della vendetta era stato rianimato, lei doveva essere morta.
Tuttavia voleva accertarsene. Forse poteva vederla un'ultima volta, come non era stato possibile fare con la madre.
"Lascia stare, devi rimetterti in sesto" gli rispose quello con voce dura, mentre incombeva su di lui, le mani sulle spalle, per aiutarlo ad alzarsi con gesti meccanici. Per un demone del genere, era ammirevole il fatto che gli offrisse il suo sostegno, nonostante lui avesse voltato le spalle a Dahak. 
"Levati dalle palle" gli ringhiò in risposta, per nulla interessato a quel raro momento di gentilezza. Respinse la forte vertigine che lo colse, e si ricordò di aver lasciato metà della sua testa su una delle pareti.
Chiuse gli occhi e si concentrò sulla ricerca.
Riusciva a distinguere l'odore del sangue dell'umana a pochi metri da lui, ma non poteva ancora individuarla attraverso le montagne di corpi ammassati tutt'intorno.
Barcollando si sollevò, portandosi una mano allo stomaco, quasi completamente squarciato. Pensò distrattamente che ci sarebbe voluto un secolo per rimettere tutto dentro.


Inquadrò la figura minuta sull'altare in fondo alla grande caverna e la raggiunse. Gli parve che ci volesse un'eternità a coprire quella distanza, ma finalmente si portò accanto a lei con le viscere strette in una morsa di paura.
Era cerea come non mai, di un bianco spettrale e le labbra quasi blu, ogni goccia del suo sangue era stata prosciugata dal corpo.
Il petto sembrava essere completamente immobile.
Alec sollevò la mano tremante e la portò alla sua gola, preoccupandosi nel panico di averle sporcato la pelle di rosso.
In un primo momento non sembrò avvertire nulla e il respiro gli si bloccò nel petto. Poi, con più attenzione si ritrovò a tastare delicatamente l'arteria e finalmente ottene una risposta.
Il battito sotto le sue dita era lento, debolissimo, ma almeno c'era.
Probabilmente la piccolissima traccia di DNA demoniaco aveva rallentato l'intero processo di dissanguamento. 
Trattenendosi dal ringraziare Dio, chiese a Kegan il suo pugnale, fulminandolo con uno sguardo carico di odio, quando gli consigliò di lasciarla morire.
Doveva funzionare, non aveva fatto tutta quella fatica per niente.
Voleva disperatamente che si svegliasse. Lei non poteva fare la stessa fine di Liz, non per colpa sua. Non di nuovo.
Aveva bisogno che i suoi occhi azzurri si aprissero. Voleva vederla alzarli al cielo quando lui faceva una battuta idiota, ridurli a due fessure quando gli disobbediva o lo sfidava e illuminarsi dopo una vittoria...
Andiamo dolcezza, svegliati.
Lo so che non me lo merito, ma tu fallo lo stesso.


Qualcosa di bollente e denso scorreva nella gola di Quinn.
Sapeva di vino rosso speziato con un retrogusto metallico, ma era fortissimo, come un concentrato di dieci bottiglie.
L'aveva già assaggiato prima.
Ne voleva ancora, ma era troppo debole per inghiottire una seconda volta. Poi quel calore raggiunse lo stomaco e si propagò al resto del corpo, scacciando il pesante torpore che la paralizzava e dandole energia.
Socchiuse gli occhi e vide Alec chino su di lei, il polso sulla sua bocca chiusa, su cui il sangue colava.
Aprì le labbra per pregarlo di smettere, disgustata, ma un altro sorso scivolò fino allo stomaco e la riempì di forza.
"Brava, piccola, così" la incoraggiò lui.
Lo studiò di sottecchi: sottili rughe di tensione si diramavano dagli occhi azzurri e dalla bocca, e appariva pallido. La tensione e la sofferenza su quel volto bello e fiero penetrarono oltre la sua confusione, offrendole un terreno a cui aggrapparsi.
Respirò lentamente e alla fine si calmò, restando sola con i suoi pensieri.
Ricordava di essere stata immobilizzata da due energumeni con due paia di zanne aguzze.
Qualcosa di appuntito le veniva infilato nelle braccia. Poi la stanza aveva cominciato a girare, le luci ad affievolirsi.
Aveva intravisto Zane colpire a morte il sacerdote, finché non c'era stato nient'altro che buio.


                                                                                                                                       ***


Alec scese gli scalini velocemente.
Varie schiere di demoni attorniavano il corpo sanguinante di Zane. Al suo fianco Aud sembrava inconsolabile: rannicchiata al suolo, piangeva a dirotto, gli parlava all'orecchio, come se fosse convinta che potesse ancora ascoltarla.
Provò pena per lei.
Aveva sottovalutato i suoi sentimenti per il demone, guidato dai pregiudizi circa la sua razza. L'altro invece era andato oltre e, forse, a modo suo l'aveva anche ricambiata.
Dopo aver portato Quinn a riposare alla fortezza di Zane, aveva lanciato a Kegan e il resto dei suoi uomini un'occhiata d'intesa, sapendo che se li avesse incontrati di nuovo, non ci sarebbe stata alcuna lealtà nei suoi confronti.
Era un demone 'civile', ormai. Non avrebbe più combattuto in prima linea.
Era diventato in meno di ventiquattr'ore, uno di quelli che sorbivano impotenti gli effetti della guerra tra i clan senza poter fare nulla per cambiare la situazione. Che schifo.
Ora non gli restava che occuparsi dei corpi, che dovevano essere bruciati secondo tradizione su terreno neutrale tra le due più grandi fazioni demoniache, e ovviamente fare in modo di stabilizzare Zane.
Suo fratello. Anche se il solo pensare a quella parola gli faceva ancora venire la pelle d'oca.


Quando entrò in camera, alle nove di sera, era completamente a pezzi.
Non tanto a livello fisico, perché le ferite erano guarite, anche se le cicatrici ci avrebbero messo un po' a scomparire del tutto, quanto a livello mentale, con tutto quello che aveva affrontato.
Una parte del suo passato aveva trovato finalmente pace, ma per fare in modo che questo accadesse, aveva dovuto sacrificare il suo presente e il futuro. Per non parlare della sua condizione da mezzosangue, ora più vera che mai.
Nonostante questo, i demoni del posto lo seguivano e gli parlavano come se fosse il nuovo comandante in carica e questo lo faceva sentire vagamente disgustato di se stesso.
Se nel suo corpo non ci fosse stato il sangue di Thren, non gli avrebbero affibbiato meriti che non voleva.
Lanciò una rapida occhiata al letto rifatto: Quinn doveva essere in piedi.
Quando l'aveva portata fuori dalla caverna sembrava più spaurita che mai e si era rannicchiata tra le sue braccia lungo tutto il tragitto, come si era sempre rifiutata di fare prima. Sperò che non si trovasse in uno stato di shock o qualcosa del genere.
Aveva bisogno di assicurarsi che lei stesse bene prima di lasciarla.


Mentre si decideva ad eliminare ogni traccia di preoccupazione dalla voce per chiamarla, la vide uscire dalla camera adiacente, con gli abiti presi in prestito da Aud per rimpiazzare quelli insanguinati e ridotti a brandelli, e i suoi riccioli biondi che le saltellavano sulle spalle. Aveva ripreso il suo solito colorito, le labbra nuovamente rosse e gli occhi azzurri vivi come non mai.
Gli rivolse un sorriso che, se fosse stato un altro, l'avrebbe fatto cadere sulle ginocchia.
"Ehi!" esclamò, abbracciandolo di slancio.
Lui s'irrigidì appena, trattenendo il respiro, poi si lasciò andare e allungò le mani per abbracciarla a sua volta.
L'ultima volta che era successo, lui non aveva ricambiato. Era furioso con lei perché si era quasi fatta ammazzare e aveva lottato con se stesso per non seguire l'impulso di farle male.
Ma le cose erano cambiate.
L'effetto che gli fece quel gesto fu devastante e l'eccitazione schizzò alle stelle.
Desiderò tenerla stretta a sé per un tempo infinito, sprofondando nel suo profumo dolce che ora li avvolgeva entrambi.
Si permise di chiudere gli occhi ed assaporare il momento.


Quando si allontanarono, lei arrossì lievemente sotto il suo sguardo incandescente.
"Sei dannatamente bella" le sussurrò con voce roca, ammirando il modo in cui i jeans le fasciavano le gambe e il maglione rosa antico con il collo a V lasciava intravedere il solco tra i seni.
E io sono un patetico coglione.
La vide superare il momento di timidezza e sollevare il mento con aria fiera, poi gli sorrise.

"Beh, senza tutto quel sangue appiccicato addosso, anche tu non sei proprio da buttare via. Dove ehm…sono finiti tutti gli altri?"
L'immagine della furiosa battaglia le rimbombarono nella testa in tanti piccoli flash. Ricordò i demoni, il sangue, le urla.
Aveva perso i sensi fuori dalla caverna e si era risvegliata su un comodo letto, in una stanza che non aveva mai visto prima, degli abiti nell'armadio che non erano i suoi, a cercare di rimettere insieme i pezzi di quella folle giornata, trascorrendo la maggior parte della Vigilia di Natale a dormire e a recuperare le forze, in attesa di rivedere Alec.
"Sistemano Zane nei sotterranei"
"Ah. Non per essere scortese, ma Zane non è morto?"
Lui scosse la testa, portandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Maledizione, non riusciva a staccarle le mani di dosso."E' sospeso tra la vita e la morte. Se fosse in un ospedale umano, direbbero che è in coma"
"Mi dispiace...anche per Aud" 
Lui alzò le spalle con noncuranza, senza riuscire ad ammettere di provare la stessa cosa.


"Oh andiamo! Non fingere che non t'importi nulla. Vi siete aiutati a vicenda laggiù e avete sconfitto suo padre insieme. Avrà pur significato qualcosa, no?"
Il demone la ringraziò mentalmente per non aver detto vostro padre. "Come fai a sapere quello che è successo? Eri praticamente andata!" le chiese, incrociando le braccia al petto.
"Qui ne parlano tutti" spiegò con un sorrisetto furbo che gli fece capire che con ogni probabilità aveva origliato diverse conversazioni nell'arco della giornata. Dubitava che i demoni potessero averne parlato direttamente con lei.
"Dicono che con Zane fuori gioco e Aidan scomparso, ora sia tu il legittimo capo dei demoni della vendetta" aggiunse incerta. 
"Stronzate. Subentrerà il suo secondo" sbuffò lui. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era che qualcuno lo costringesse a prendere il comando. Nei suoi momenti migliori sapeva a malapena gestire se stesso.
"Ma ormai non fai più parte del clan di Dahak, giusto?"
"No" disse senza rimpianti. Potendo tornare indietro, l'avrebbe abbandonato ancora se questo avesse significato ottenere la sua meritata vendetta... e salvarle la vita.
"E che hai intenzione di fare adesso?" la sua voce suonò stranamente tesa, come se temesse la risposta.
"Il nomade, il mercenario, chissenefrega…" borbottò scrollando le spalle. Qualunque cosa decidesse, sarebbe stata uno scherzo rispetto a quello che aveva passato finora. Compreso avere a che fare con lei.
"Hai le idee chiare"
"Beh saputella, qualcosa la farò di sicuro: riportare il tuo bel culetto a casa"
"Casa?"
"Sì, hai presente?
Quel bell'appartamento a Chambers St, Rhode Island, Terra, sistema solare..?"
Vide un'ombra passare sul suo bellissimo viso e sollevò un sopracciglio, confuso. "Non era quello che volevi?"
Una stupida parte di lui si aspettò che negasse. Aveva l'espressione di chi stava per accettare un regalo per pura cortesia e neanche una briciola di entusiasmo.
"Ma certo. Ehi, sono giusto in tempo per Natale!" si finse felice, mentre il suo cuore si faceva pesante come un macigno.
Alec annuì. "Bene. Tra un paio d'ore andiamo"


"Alec..." lo richiamò,prima che s'incamminasse verso l'uscita. Ammirò le sue spalle muscolose per non alzare lo sguardo e incontrare i suoi occhi, mentre lui emetteva un sospiro che rivelò tutta la sua stanchezza.
"Sì?" domandò senza fiato.
"Perché non resti da me per un po'?" propose senza riflettere. Lo vide inspirare a fondo e guardarla come se fosse completamente pazza. Fantastico, proprio la reazione che speravo!
"Insomma non da me, in senso stretto, io intendevo…nella realtà umana" balbettò correggendosi come una ragazzina idiota, arrossendo fino alle punte dei capelli.
Il suo volto si rilassò e le sue labbra si tesero in un sorriso triste. "Non posso"
"Perché?" il tono con cui lo chiese non mascherò la sua delusione. Cercò di non sembrare triste e fingersi sinceramente interessata alla sua risposta, ma non riusciva a capire la voglia di mantenere le distanze dalla sua vecchia natura.
"Quinn" Un ammonimento debole.
Sapeva che non l'avrebbe zittita , ormai aveva imparato a conoscere la sua testardaggine. E l'adorava.  
"Dammi una buona ragione" riprese infatti "Voglio dire, non è che tu abbia tanti di quei progetti da…"
"Non c'è niente per me là fuori, non capisci?
Non ho la minima idea di chi io sia adesso. Non sono più solo un demone e sicuramente non sono un umano. Per quanto mi sforzi, non riesco più ad annullare deliberatamente una delle due parti. Ci ho provato, non...funziona più" le disse, frustrato. Non avrebbe voluto sfogarsi con lei, ma era l'unica persona con cui ci fosse mai riuscito davvero, nel bene o nel male.


Tra loro calò un silenzio carico di emozioni contrastanti.
"Sei semplicemente tu. E' indispensabile un'etichetta? Puoi essere finalmente te stesso in modo completo, come non hai mai fatto prima. Potrei...aiutarti" la sentì sussurrare.
Il tono dolce con cui pronunciò quelle parole lo fece vacillare. Per un attimo fu tentato di crederle, perché sembrava sincera.
Desiderò baciarla fino a farsi girare la testa, incorniciandole le guance tra i palmi solo per sentire la sua pelle morbida in cui trovare un'ombra di conforto, invece si limitò a guardarla, scombussolato.
L'umano che era stato una volta non meritava di essere salvato, ma lei l'aveva fatto lo stesso.
Aveva portato confusione e pace allo stesso tempo, dentro di lui.
Ma era tempo di separarsi, per la sanità mentale di entrambi. Fece un passo indietro e la sua voce profonda le trasmise il gelo nelle ossa.
"Già, che meraviglia!" esclamò sarcastico, vedendola corrugare la fronte, contrariata. L'oscurità dentro di lui aveva messo radici così profonde che Alec sapeva di non potersene più liberare. "Non ero nessuno prima che Dahak mi trovasse. La sola cosa che so fare è uccidere, Quinn, quindi non sprecare il tuo tempo con me. Finiresti per rimpiangerlo" mormorò abbassando la maniglia della porta e aprendo uno spiraglio.
"Non è vero...e non andartene così!" replicò lei, così determinata da farlo innervosire. Sbuffò e richiuse la porta con un tonfo, voltandosi nella sua direzione e scontrandosi con il suo sguardo limpido e insistente, che riusciva a privarlo di ogni resistenza.
"Cosa cazzo pretendi che ti dica?"
"Non lo so. Che proverai a convivere con quello che sei senza opporti, magari!" ribatté piccata. Non era minimamente influenzata dalla sua rabbia. Non le faceva affatto paura, maledizione.
"Ma che t'importa? Perché diavolo non vuoi lasciarmi in pace?"
"Tu che pensi, idiota? Perché ti amo!" gli urlò all'improvviso portandosi più vicina a lui, senza abbassare lo sguardo. 


Stordito dalle sue parole, Alec la allontanò da sé.
Pareva raggelato, tanto testardo ad non voler credere che quel sentimento potesse appartenerle davvero. 
Era sempre stato un fallimento su ogni fronte, e cedendo ai suoi stupidi impulsi si era concesso ogni briciola di piacere potesse ottenere da lei, perché non aveva altra scelta.
Era stato necessario quanto respirare, per colmare il senso di vuoto e inadeguatezza che provava da tutta la vita.
Quella ragazza sconvolgeva il suo mondo, gli dava la sensazione di poter ricomporre i pezzi della sua anima nel modo giusto.
Niente più parti mancanti: finalmente intero.
Ma quanto sarebbe durato?
Non aveva mai conosciuto nessuno che pensasse che lui valesse qualcosa al di fuori del mondo demoniaco. Quando si sarebbe accorta di aver preso un enorme abbaglio? E soprattutto, fino a che punto lui gli avrebbe ancora permesso di domarlo?
Non poteva amarlo, era impossibile. In lui vedeva solo una sorta di penoso caso clinico da aiutare. Spinto da quel pensiero, lasciò che l'istinto demoniaco prendesse il sopravvento su quel piacevole senso di calore che l'aveva avvolto nel sentirla parlare.
"Non farlo" disse, una risposta secca, pronunciata forse più per sé che per lei.

"Cosa?"
Alec recuperò la lucidità e assunse un'espressione imperturbabile che lei non riuscì a decifrare. "Credere di amarmi. Ti stai solo prendendo in giro"
"Pensi che non sia in grado di capire quello che provo? Per tua informazione sono abbastanza qualificata per farlo" la voce leggermente alterata e rotta dall'emozione. Era ferita, se ne sarebbe accorto anche un cieco.
"Allora dacci un taglio e basta. Ti distruggerà. Io non sono capace di…una cosa del genere" sibilò duramente, uscendo dalla stanza.


Quinn rimase sola per un tempo indefinito.
Aveva confessato i suoi sentimenti ad un demone. Si era esposta e almeno lui non l'aveva derisa come aveva temuto che facesse.
L'aveva respinta mostrando la sua paura: credeva di non essere capace di amare.
Probabilmente non credeva nemmeno di meritarsi l'amore di qualcuno.
Il che era assolutamente ridicolo.
L'aveva usata, le aveva mentito, l'aveva sedotta e fatta impazzire, ma vedeva in lui il potenziale per diventare ciò che era destinato ad essere. Provava un amore sincero per l'uomo che diventava abbassando appena la guardia, vedeva il buono in lui e sapeva per certo quello di cui sarebbe stato capace, senza tutta quella sete di vendetta ad avvelenargli la vita.  
Ma Alec non aveva la minima fiducia in sé. Non capiva che cosa lo spingesse a detestarsi così.
Da quello che aveva potuto evincere dai suoi rari momenti di vulnerabilità, lui aveva la convinzione di vivere nell'errore, di mancare in ogni cosa, di essere capace solo di fare il demone e provare sentimenti negativi.
Sicuramente si sentiva in colpa per morte di sua madre, per non essere riuscito a salvarla, e questo lo aveva condotto ad un'esistenza solitaria, priva dell'amore di cui la sua parte umana aveva disperato bisogno.
Quinn si domandava come facesse a non rendersi conto di essere migliore di quanto pensasse.


                                                                                                                                        ***


Era appena uscito dalla doccia quando, dopo aver afferrato le prime cose appese nell'armadio, era piombato davanti a lei senza neanche passare per la porta.
I capelli bagnati gli ricadevano scomposti sulla fronte, ma non se ne curò. Voleva riportarla a casa il prima possibile e chiudere quel capitolo della sua vita.
Quinn se ne stava appollaiata su una delle poltrone della stanza, assorta nei suoi pensieri, e sobbalzò appena quando lo vide.
"Sei pronta?" le domandò senza guardarla.
"Sì" un sussurro ricco di determinazione ed entusiasmo appena trattenuto, che gli fece indurire la mascella. Sembrava avesse recuperato tutta la voglia di tornare a casa in poco tempo.
Gli sembrò di avvertire mille scariche elettriche attraversargli il corpo, quando la portò vicina prendendole la mano e si smaterializzò.
Sapeva quanto lei odiasse quella pratica, ma non diede segni di instabilità quando si ritrovarono all'interno della sua piccola camera da letto. Forse ci si era abituata, dopotutto. Come si faceva con qualunque altra cosa.
Lui si sarebbe abituato alla sua assenza, per esempio.
Aprì la bocca per darle un saluto sprezzante e sparire prima che potesse ripensarci, ma lo sguardo di lei lo inchiodò al suolo e gli fermò le parole in fondo alla gola.
"Ho bisogno di dirti un'ultima cosa" 
"Che novità!" scherzò Alec, negando a se stesso quel senso di panico che gli serpeggiò dentro, al pensiero che lei stesse per dirgli addio.


Quinn lo fissò, restia ad ammettere di non sapere da dove cominciare. Era l'ultima chance, e doveva giocarsela per bene.
"Ti amo davvero, lo sai? E penso che per te sia lo stesso" disse infine, avanzando di un passo, invasa all'improvviso da una sicurezza che non sapeva minimamente di possedere.
A quella dichiarazione chiara e coincisa il sangue gli pulsò nelle vene e il cuore perse un battito; sollevando le sopracciglia Alec si sforzò di guardarla con espressione divertita. "Il tuo ego non ha alcun limite, eh?"
Doveva essere risoluto e cattivo.
Lei aveva logorato quell'involucro che il demone aveva costruito intorno a sé quando si trattava di cedere ai sentimenti umani.
Non era riuscito ad impedirglielo.
Cazzo.
Il non panico cominciava ad assumere proporzioni allarmanti, ma Alec sbuffò e si costrinse a fissarla severo.
"Sei una ragazza intelligente, dovresti sapere che c'è una differenza notevole tra quello che vorresti che provassi per te e quello che realmente provo. Quindi smettila di spacciare per veri sentimenti che, tra l'altro, io non ho mai detto di ricambiare" sputò con livore, sperando di sortire l'effetto desiderato: allontanarla.


Lei era umana, nonostante le ultime novità. Sicuramente più di lui.
Ed era la cosa più bella e pulita che avesse mai trovato nella sua vita.
Meritava un'esistenza normale, con un uomo veramente capace di apprezzare tutto ciò che lei offriva, non con uno abituato a respingere tutto ciò che lo rendeva umano per votarsi al male.
Quell'amara consapevolezza piena di rimpianto gli calò sulle spalle come un peso opprimente.
Per la prima volta dopo tanto tempo, Alec avrebbe voluto essere capace di amare come prima. 
La vide abbassare lo sguardo e mordicchiarsi il labbro inferiore, mentre torturava l'orlo del maglione con le mani.
Provò l'insano impulso di gettare al vento tutte le stronzate appena dette e affondare le mani nei suoi capelli per tenerla stretta di nuovo.
Guardami, non poté impedirsi di pensare.
Lei lo fece.
Non lesse dolore nel suo sguardo. Era beffardo, divertito e vagamente malizioso.
"
Non sapere quello che si prova non è lo stesso che non sentire nulla. Niente ti impedisce di imparare a trattare con quei cosi tanto spaventosi chiamati sentimenti. Ormai fanno di nuovo parte di te e me ne prendo tutto il merito!" esclamò raggiante "Così, penso che dovresti restare nei paraggi perché possa insegnarti qualcosa in proposito"


Non c'era niente da fare, con lei.
Doveva sempre avere l'ultima parola e la maledetta cosa giusta da dire.
Non riusciva a smettere di guardarla, e non riuscì neppure a tirarsi indietro quando gli si avvicinò ancora con passo elegante e sicuro, privo dell'esitazione che aveva sempre dimostrato, incantandolo.
"Dovresti cominciare a guardare avanti piuttosto che indietro. Puoi essere e fare tutto quello che vuoi adesso" gli mormorò, sperando che riconoscesse la verità di quell'affermazione, poi gli posò lentamente una mano sul cuore che palpitava contro la cassa toracica.
Quelle mani non avrebbero dovuto esercitare nessun potere su di lui, e tuttavia lo facevano bruciare in profondità e gli davano un sollievo incredibile. Scosse impercettibilmente la testa e la fissò imperturbabile.
"Ho passato la maggior parte della mia vita senza provare niente, piccola. Non posso ricambiarti. E tu vuoi che resti con te?" chiese, trattenendo il respiro mentre lei depositava piccoli, dolci baci sul suo collo, sicuramente sentendo il battito impazzito contro le labbra. 
"Mi sembrava di averlo chiarito" replicò serafica, sfiorandogli la guancia.

Era il tocco di un amante, una carezza così gentile, adorante e allo stesso tempo sensuale, che un'ondata di piacere gli increspò la pelle.
"Non sapevo che fossi una masochista" mormorò allora, sentendosi confuso ed eccitato.
Voleva smettere di parlare, smettere di resisterle.
"Sono solo fiduciosa"
Era certa al cento per cento che fosse più che capace di provare sentimenti, solo che non voleva ammetterlo.
Lo aveva già dimostrato, senza rendersene conto. Il solo fatto che le avesse salvato la vita per l'ennesima volta, nonostante fosse libero da ogni obbligo nei suoi confronti, ne era la prova lampante. 


Esalò un respiro. "Non ti aspetterai che io
semplicemente ignori la mia parte demoniaca, vero?"
Stava per cedere, lo sentiva. 
Fece spallucce, spingendolo a sedere sul materasso, e lo sguardo di lui si fece torbido quando con la lingua inumidì il labbro inferiore. Alec allungò un braccio per portarle il viso più vicino e lei si lasciò sfuggire una risatina divertita, schiaffeggiandogli  la mano.
"Non ho intenzione di soffocare o cambiare alcuna parte di te. Anche se, in effetti, potrebbe esserci una piccola clausola nel contratto" scherzò, mentre si sistemava comodamente su di lui, passandogli languidamente le braccia attorno al collo. Un famelico ruggito gli risuonò nel torace quando non gli permise di baciarla.
"Lo sapevo che c'era la fregatura" ansimò sentendola mordergli un lobo per farlo zittire.
"Circa il fatto di esercitare le tue 'capacità' contro gli umani...penso seriamente che potresti farne a meno" ammise slacciando lentamente i bottoni della camicia nera. I suoi palmi scivolarono sul torace, facendogli contrarre i muscoli. Stando attenta a muoversi lentamente, Quinn cominciò a stuzzicarlo con la bocca. Da come lui respirava, capì che le sue attenzioni erano molto gradite. 
"Ah sì?" soffiò lui, mordendosi la lingua per evitare di emettere un gemito tormentato.
Lei sorrise, radiosa.


Gli sfiorò le labbra con un bacio, premendo e mordicchiando prima di avanzare con la lingua e tracciare la forma seducente di quella bocca mascolina, respingendolo dolcemente quando lui si sporse per approfondire il contatto.
"Cristo, Quinn!" lo sentì imprecare rudemente, incapace di resistere ancora.
Le mani di Alec ormai erano artigliate alla sua vita, sollevando quel sottile strato di lana che lo separava dalla sua pelle setosa.
L'accarezzava frenetico con le dita bollenti, agognando la fine di quella tortura.
La stringeva forte, mentre il suo cuore picchiava vigoroso e il calore del corpo di Quinn filtrava nella sua pelle come un balsamo. 
"Sai come si dice: a Natale sono tutti più buoni"
Lo sentì grugnire in risposta. Il solito scettico.
Così decise di persuaderlo ancora un pò.
G
li prese il viso tra le mani e lo tenne fermo per dargli finalmente un bacio profondo, prendendo ad ondeggiare provocante su di lui, soffocando con le sue labbra il gemito soddisfatto del demone.
Lui le sfiorò il seno con le nocche, il che fu sufficiente a metterla in subbuglio, ma non rinunciò al suo intento.
Quando Alec si sdraiò sulla schiena, trascinandola giù con sé,  Quinn sollevò il capo,
opponendo resistenza alla forte presa di lui.
"Sai, la scelta è tua...E dipende soprattutto da quanto tremendamente vuoi passare il tempo con me" soffiò a un passo dalle sue labbra, sbattendo le palpebre con aria innocente.
Mentre il grande pendolo in soggiorno segnava rumorosamente lo scoccare della mezzanotte, con voce roca e implorante, il demone sibilò sorridendo "Sei dannatamente sleale".



                                                                                                                                                                          The End

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1587313