Chi ha paura muore ogni giorno di BogartBacall (/viewuser.php?uid=115725)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Titoli di testa ***
Capitolo 2: *** La vita va ***
Capitolo 3: *** Noi bambine non abbiamo scelta ***
Capitolo 4: *** E così sia ***
Capitolo 5: *** La morte (non esiste più) ***
Capitolo 6: *** La guerra è finita ***
Capitolo 7: *** Gli Spietati ***
Capitolo 8: *** Nessuno muore ***
Capitolo 9: *** Titoli di coda ***
Capitolo 1 *** Titoli di testa ***
Titoli di testa
Note dell'autrice
Questa
storia ha partecipato al contest "A Black's life" indetto da
MissMalfoy97
sul forum di EFP, classificandosi seconda. Obiettivo del contest è
scrivere una storia ambientata
prima del 31 ottobre 1981
che abbia per protagonista uno dei cinque Black della Old Generation
(Narcissa, Bellatrix, Andromeda, Sirius, Regulus). Ho scelto come
protagonista Narcissa e il pacchetto da me selezionato, Sectumsempra,
aveva come tema la paura.
La
storia è una raccolta di racconti brevi di momenti particolari della
vita di Narcissa in cui la paura è stata la protagonista, vissuti come
flashback in un momento particolare della vita della protagonista, che
apre e chiude la storia. Dei sette capitoli centrali, cinque sono
quelli originali che hanno partecipato al contest. Gli altri due,
ambientati dopo il 31 ottobre 1981, sono una specie di "bonus" che ho
voluto aggiungere per chiudere il cerchio.
Come per altre storie che hanno i Malfoy per protagonisti, mi sono
rifatta agli avvenimenti come li ho narrati in "Come il
sole, all'improvviso",
ovvero LA mia storia su Lucius e Narcissa. Tuttavia questa raccolta
risulta leggibile anche senza conoscere la trama dell'altra.
I titoli dei capitoli, prologo ed
epilogo inclusi, sono tutti titoli di canzoni dei Baustelle.
Al termine dell'ultimo capitolo
troverete la valutazione completa della storia.
Dopo questa introduzione,
decisamente troppo lunga, non mi resta che augurarvi buona lettura!
BB
PS - Da oggi mi trovate anche su Facebook Bogartbacall efp
Titoli
di testa
Paura.
Narcissa Malfoy, nata Black, conosceva bene quella sensazione. Aveva
imparato presto a riconoscerla, a percepirne i segnali, a
padroneggiarne gli effetti. Ad un certo punto della sua vita si era
pure convinta che fosse diventata parte integrante di lei, una compagna
fedele, presente in ogni momento importante della sua esistenza. Era
stato allora che aveva capito che non doveva temerla, non doveva
contrastarla, ma accettarla e conviverci. Solo così sarebbe riuscita a
vivere davvero.
Una
mano calda e forte strinse la sua, ormai fredda e debole.
Aprì
gli occhi, trovandone un paio grigi che la scrutavano, apprensivi.
Sorrise, passando una mano fra i capelli biondi di suo figlio.
“Hai
paura, Draco?”
L’uomo
annuì, nervoso “Un po’…” rispose, la voce strozzata.
Narcissa
scosse la testa, chiudendo gli occhi “Molto male, tesoro, molto male”
lo ammonì, serena.
Suo
figlio le restituì uno sguardo interrogativo.
“Non
devi avere paura” continuò “Chi ha paura, muore ogni giorno.”
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Capitolo 2 *** La vita va ***
la vita va
La vita va
Era l’estate
del 1971, luglio, per la precisione. Da pochi giorni si era celebrato
il matrimonio fra due membri delle più illustri casate magiche di tutti
i tempi: Bellatrix Black, primogenita di Cygnus e Druella Rosier, si
era unita in matrimonio all’erede della famiglia Lestrange, Rodulphus.
Era stata, senza bisogno di dirlo, una cerimonia in grande stile,
sfarzosa e solenne, e nessuno dei membri dell’alta società era voluto
mancare.
Gli occhi di
tutti erano puntati sulle tre ragazze Black, così diverse l’una
dall’altra, ma assolutamente affascinanti. Bellatrix, la sposa,
carattere forte e determinato, bella e fiera come la stella di cui
portava il nome, non particolarmente femminile e aggraziata, Andromeda,
la secondogenita, simile nell’aspetto alla sorella maggiore, ma dotata
di due luminosi occhi dolci, di carattere riservato e umile e Narcissa,
la piccola, straordinariamente bella e aggraziata, timida in modo quasi
patologico, capace di arrossire per un’occhiata fugace, così
incredibilmente diversa dalle sorelle.
Erano
diverse anche nell’esternare le loro emozioni, le sorelle Black. Come
quel giorno, ad esempio. Bellatrix, a regola colei che doveva essere
più emozionata, era impassibile, fredda e distaccata, quasi come fosse
un evento quotidiano, l’essere data in sposa ad un mago purosangue fra
i più nobili. Narcissa sorrideva nervosa, gli occhi fissi sulla sorella
e il suo sposo, nel timore di incrociare lo sguardo interessato di
qualche uomo. Andromeda, invece, sembrava strana, triste, pensierosa.
Anche a
distanza di giorni, quando tutto in casa Black pareva essersi quietato
e la vita di tutti i giorni era ripresa senza intoppi, Narcissa notò
che la sorella era assente, cupa.
Un pomeriggio l’aveva raggiunta in giardino, al gazebo vicino alla fontana, dove si era rifugiata.
“Che c’è?” le aveva chiesto, sedendosi di fianco a lei e notando che aveva gli occhi gonfi di pianto.
“Niente…” cercò di minimizzare, sfregandosi gli occhi con i palmi delle mani “Stavo solo… pensando…”
“A cosa?” la incalzò, passandole una mano attorno alle spalle.
Andromeda
sospirò “Non trovi… frustrante che siano i nostri genitori a scegliere
chi dobbiamo sposare?” le domandò, cercando di trattenere le lacrime.
Narcissa
sentì il suo cuore accelerare di colpo “Vuoi dire che stanno già
cercando un marito anche a te? Ti hanno detto qualcosa?” domandò,
spaventata.
“No…”
rispose l’altra, scuotendo la testa “Ancora no… Ma non tarderanno a
farlo… Ormai mi sono diplomata, non hanno altre aspirazioni, per me.
Presto o tardi decideranno con chi mi devo sposare e io mi dovrò
accontentare, senza osare fiatare!” constatò, in un crescendo di rabbia.
“Beh, magari
il marito che sceglieranno per te ti piacerà. Magari è qualcuno che
conosci…” cercò di consolarla, attraverso l’ingenuità dei suoi sedici
anni.
Andromeda
sorrise, amara “No, ne dubito… Non credo potrei mai farmi piacere… o
innamorarmi di nessuno… Di nessun altro!” e scoppiò in un pianto
dirotto.
Narcissa
rimase a bocca aperta “Perché tu… Sei già innamorata di qualcuno?”
chiese, stupita “Dovresti dirlo ai nostri genitori!” esclamò, raggiante
“Magari potrebbero decidere di fartelo sposare!”
“No!” urlò l’altra, facendola sobbalzare “No, ti prego, Cissy, non dirlo a nessuno! Giuramelo!”
“Sì, ma…” tentò di ribattere.
“No, Cissy,
niente ma. Non è una persona che gradirebbero. Devi giurarmi che non
dirai niente a nessuno, mai. Neanche se si venisse a sapere, tu devi
giurare che non ne sapevi nulla. Promettimelo!”
La guardò negli occhi, scorgendo solo disperazione “Lo prometto…”
“E devi
promettermi, anche, che, qualunque cosa succederà, qualunque decisione
io prenda, tu non mi giudicherai mai. Io, per te, rimarrò sempre e
comunque tua sorella, nel bene e nel male!” aggiunse, guardandola con
occhi di supplica.
“Io… io te lo prometto, Andromeda, ma…” balbettò, confusa.
Non riuscì a
terminare la frase, ritrovandosi stritolata fra le braccia della
sorella, scossa dai singhiozzi. Una sensazione di morsa allo stomaco,
così strana e assolutamente nuova, la colse all’improvviso. Qualcosa
stava cambiando e, dentro di lei, sapeva che sarebbe stato per sempre.
La
sensazione di oppressione al petto proseguì per le settimane seguenti,
aumentando la sensazione che qualcosa di grosso stesse per accadere.
Andromeda
non le aveva più fatto parola della loro discussione, ma, ogni giorno
che passava, era sempre più silenziosa e inquieta.
Vedere sua
sorella ridotta in quello stato non l’aiutava certo a non pensare: di
lì a poco anche Andromeda se ne sarebbe andata e, nel giro di un paio
d’anni, sarebbe toccata la medesima sorte anche a lei. Di nuovo, il suo
stomaco si strinse, quasi provocandole dolore, e il battito del suo
cuore accelerò, le sue mani si fecero fredde. Non conosceva quella
sensazione, almeno, non l’aveva mai sperimentata così intensamente.
Qualunque cosa cercasse di fare, qualunque pensiero la sua mente
cercasse di elaborare per scacciare quella percezione, non erano
minimamente sufficienti, non erano abbastanza felici.
Si alzò dal
letto, rassegnata all’idea che non sarebbe riuscita a chiudere occhio,
nemmeno quella notte. Uscì di soppiatto dalla sua stanza e sgattaiolò
verso quella di sua sorella. Bussò, aprendo contemporaneamente la
porta. Quel che vide entrando, però, la paralizzò.
“Cosa stai… Cosa stai facendo?” chiese, con un filo di voce.
Andromeda si voltò di scatto, una pila di abiti ancora fra le mani.
“Devo farlo, Narcissa…” si giustificò, ferma “Devo!”
“Io… io non capisco…” borbottò confusa la piccola.
La maggiore gettò i vestiti a terra e la prese per mano, facendola accomodare sul letto, accanto a lei.
“Ci sono
cose molto più grandi noi, Cissy, cose a cui, anche se cerchiamo di
opporci, non riusciamo a resistere” iniziò, stringendole forte la mano
“Tu sei piccola, dolce, ancora convinta che quello che i nostri
genitori decidono per noi corrisponda al meglio. Per me, purtroppo, non
è così. Quello che desidero non corrisponde a quello che loro vogliono.
E io non sono disposta a sacrificare la mia felicità per il loro
tornaconto.”
“Cosa significa, Andromeda?” le chiese, timorosa.
“Me ne sto
andando, Narcissa. Fuggo, come una codarda qualsiasi, perché non ho la
forza per combattere, ma soprattutto, so che perderei.”
“Cosa???” domandò l’altra, sconvolta “Ma come, perché?” continuò, confusa.
Andromeda abbassò lo sguardo, affranta “Forse dovresti chiedermi con chi…”
La piccola Black le restituì uno sguardo interrogativo.
“Scappo con il ragazzo che amo, Cissy…” confessò, affranta.
Narcissa sgranò gli occhi, raggiante “Ma è magnifico!”
“Lo sarebbe” intervenne l’altra “Se l’oggetto del mio amore non fosse Ted Tonks…”
Il gelo calò nella stanza. Narcissa si ritrovò in piedi, di fronte alla sorella.
“Ted Tonks?” chiese, basita “Ted Tonks il Nato Babbano?” chiese conferma “Andromeda, come hai potuto?”
“Non ho deciso io, Cissy!” singhiozzò la più vecchia “È capitato! E non ho potuto farci nulla!”
Narcissa la guardò piangere, incapace di reagire, di capire.
Andromeda rialzò il capo, asciugandosi le lacrime con le mani.
“La tua
promessa…” iniziò “Devi ricordarti la tua promessa, Cissy. Non
giudicarmi. Un giorno anche tu ti innamorerai, te lo auguro dal
profondo del mio cuore. E quel giorno capirai perché lo sto facendo.
Nel frattempo, cerca di non essere troppo severa con me.”
Si alzò e raccolse le sue cose, facendole entrare con un incantesimo in una piccolissima pochette.
Si avvicinò
alla sorella e le stampò un bacio in fronte “Addio, Cissy. So che,
contrariamente al resto della famiglia, non ti dimenticherai di me.”
Narcissa
chiuse gli occhi, sentendo i passi della sorella allontanarsi in
direzione della finestra e, infine, il suono della sua
smaterializzazione.
Scoppiò in
lacrime, accasciandosi sul letto che era stato di sua sorella, la
sensazione di morsa al petto sempre più opprimente.
Ora capiva di cosa si trattasse. Era paura. Paura di crescere.
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Capitolo 3 *** Noi bambine non abbiamo scelta ***
Noi bambine non abbiamo scelta
Noi bambine non abbiamo scelta
No,
non era possibile. Lei non poteva essersi innamorata, no di certo! Non
poteva aver ceduto così platealmente alle lusinghe di un uomo, di quell’uomo.
Lei non poteva innamorarsi, per svariati motivi.
Il
primo: non era lei a dover scegliere chi sposare, per cui non valeva la
pena affezionarsi a qualcuno, con il rischio di compromettersi e
commettere qualche tragico errore.
Il
secondo: lei era nota a tutti per essere la fredda, glaciale,
impassibile Narcissa Black. Tutti erano convinti che lei non potesse
avere sentimenti e, alla lunga, aveva finito per convincersi lei stessa
di non essere in grado di provare alcunché, per nessuno.
Il
terzo: lei non poteva innamorarsi di lui. Di tutti, ma non di lui.
Lucius Malfoy non poteva essere l’oggetto del suo amore, per nessuna
ragione al mondo.
La sua
mente continuava a dirle di fuggire, di divincolarsi dal
quell’abbraccio letale, ma lei sentiva che solo lì, in quel momento,
cinta da quelle braccia, per la prima volta, si sentiva veramente se
stessa, come se per tutta la vita le fosse mancata quella parte che
aveva trovato fra le braccia di Lucius Malfoy. Il gelido, calcolatore,
opportunista Lucius Malfoy. Lo stesso Lucius Malfoy che le stava
carezzando i capelli e baciando la fronte, giurando di non essere un
Mangiamorte e che mai avrebbe fatto qualcosa che potesse ferirla.
Ma
com’era successo? Quando i suoi sentimenti, apparentemente ostili, si
erano tramutati in amore? Nei mesi precedenti, quando aveva iniziato a
frequentarlo, aveva capito che lui era diverso da come voleva apparire,
almeno lo era con lei. Era stata reticente, all’inizio. Non capiva cosa
lui volesse da lei, quale fosse il suo reale obiettivo. Ma quando,
incontro dopo incontro, lui si era aperto con lei, raccontandole alcuni
particolari della sua vita molto intimi, e lasciandola parlare allo
scopo di conoscerla meglio, aveva capito che era proprio quello, il suo
obiettivo: capire chi fosse realmente Narcissa Black, la timida,
schiva, riservata Narcissa Black. E, settimana dopo settimana, lei si
era lasciata scoprire, finendo per aspettare con impazienza ogni loro
incontro.
Erano
anche arrivati ad un soffio da un bacio, qualche tempo prima. Si
sarebbero baciati, sì, se non fossero stati interrotti, scatenando una
cascata di eventi che li aveva portati ad allontanarsi, gettando Lucius
fra le braccia di un’altra ragazza e Narcissa in un baratro di
disperazione.
Ma
nonostante questo, Narcissa aveva negato con ogni parte di sé si essere
innamorata di Lucius. Questo, finché non aveva sentito dire, da due
compagne Serpeverde, che lui era un seguace di Voldemort.
No. Non era possibile. Non lui. Tutti, ma non lui. Lui non poteva essere uno di loro.
Non poteva essere uno di quegli esseri spregevoli, che odiavano,
torturavano, uccidevano, ma soprattutto non amavano. Perché se fosse
stato uno di loro, lui non sarebbe stato mai capace che di odiare. Non
sarebbe mai stato capace di amare. Di amarla.
Era stato quel pensiero, a illuminarla. Era inutile negarlo. Lei era innamorata di lui, senza possibilità di scampo.
Ma
come, quando era successo? Com’era potuta cadere in quella trappola
così ben congegnata? Era stata attenta a non lasciare trapelare nulla,
nemmeno il suo più minimo pensiero o turbamento. Eppure… lui si era
insinuato in lei, minando le sue più ferme convinzioni.
Era
stata così stupida… Quelle come lei non si innamoravano! Quelle come
lei erano destinate a diventare mogli-oggetto, ad essere immolate per
la prosecuzione della specie magica più pura. Sapeva che da che era
nata aveva avuto gli occhi delle maggiori famiglie purosangue puntati
addosso: tutti erano interessati alla sua evoluzione, volevano essere
sicuri che fosse la perfetta moglie purosangue per indole e aspetto, in
grado di garantire alla propria famiglia una progenie geneticamente
pura. Era così che funzionava, da secoli. Chi aveva figlie femmine le
cedeva al migliore offerente, in cambio di un’ingente quantità di
galeoni e del nome della casata inserito nell’albero genealogico di
qualche altra famiglia purosangue, evitando, così, di cadere
nell’oblio. Era il suo destino, da sempre. Non c’era posto per i
sentimenti, sarebbero stati solo un’inutile complicazione.
Avrebbe
davvero voluto crederci, avrebbe voluto essere convinta che il suo
destino era già scritto e che l’amore sarebbe rimasto solo un’ipotesi
non contemplata. Invece, con il passare dei mesi, aveva iniziato a
pensare che, forse, i suoi genitori avrebbero potuto considerare l’idea
di farle sposare qualcuno che non le fosse così ostile, qualcuno che
fosse purosangue, ma allo stesso tempo che le fosse gradito. Qualcuno
tipo Lucius. Di cui non era innamorata, ma quanto meno lo conosceva. E
l’idea di sposarlo, baciarlo, farci l’amore… non le sembrava tanto
male. Anzi, la trovava quasi piacevole.
Di nuovo, si maledisse per i suoi pensieri. In un matrimonio combinato non si faceva l’amore. In un matrimonio di convenienza ci si accoppiava per generare figli. E in nessun caso lo si trovava piacevole. O, almeno, così le aveva sempre detto sua madre. Ma lei, in fondo, sapeva di non averci mai creduto.
Era
sempre stata una sognatrice, Narcissa. Non era mai riuscita ad
accettare le rigide regole imposte dai genitori, ma, soprattutto,
proprio non ci si vedeva a vivere una vita senza amore.
D’improvviso,
le tornò in mente un’immagine. Lei, Andromeda e Bellatrix,
rispettivamente 10, 12 e 14 anni, un pomeriggio d’estate. Stava
giocando con le sue bambole, Andromeda le pettinava i capelli, mentre
Bellatrix stava sdraiata scomposta sul letto, quasi incurante delle due
sorelle.
“Voi cosa sarete, da grandi?” chiese, d’un tratto.
“Beh,
Cissy…” iniziò Andromeda, annodandole un fiocco in fondo alla treccia
che aveva realizzato “Penso che saremo delle mogli e delle madri…”
“Sì, ma a parte questo… Cosa pensi che sarai?” ripeté la piccola, continuando a giocare.
“Io…
non lo so…” balbettò l’altra, confusa, cercando l’aiuto della sorella,
che si era sollevata, con sguardo confuso “Tu cosa credi che sarai?”
Narcissa sollevò lo sguardo, eccitata “Io sarò innamorata!”
Andromeda rimase a bocca aperta “Come, prego?”
“Ma
sì!” continuò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo “Io sarò
innamorata. Di mio marito, ovviamente!” precisò “D’altronde, noi
bambine non abbiamo scelta: siamo destinate ad innamorarci di un uomo
meraviglioso che ci farà sentire importanti!” aggiunse, seria.
Andromeda la guardò con tenerezza, mentre Bellatrix scoppiò a ridere, sgraziata.
“Sono
tutte stupidaggini!” gracchiò la maggiore “Nessuna di noi si
innamorerà! L’amore è per le sciocche sentimentali, noi siamo nobili
streghe purosangue. Abbiamo altre cose a cui pensare!”
Narcissa la guardò, accigliata “E come sceglierai tuo marito, allora?” domandò, con aria di sfida.
“Non
lo sceglierò io, infatti. E neanche tu. Spetta a mamma e papà decidere
chi dobbiamo sposare!” rispose la sorella, trionfante.
Narcissa
ricordava perfettamente quel momento: era stato il giorno in cui
qualcosa si era spezzato per sempre in lei, ponendo fine
definitivamente alla sua infanzia.
Ma
quando Lucius era entrato nella sua vita, sconvolgendola, l’idea che
qualcosa di magico come l’amore potesse esistere anche nella sua vita
di vergine purosangue destinata al migliore offerente era tornata
prepotentemente a farsi largo in lei. E, inaspettatamente, la sua
reazione, fu tutt’altro che positiva.
Perché
mentre era avvolta dall’abbraccio caldo e totalizzante di Lucius
Malfoy, non riusciva ad essere felice. O, meglio, avrebbe voluto
esserlo, ma quello che sentiva era la solita, inquietante morsa allo
stomaco, e il battito del suo cuore, aumentato dalla vicinanza forzata
con l’oggetto dei suoi desideri, era ulteriormente accelerato da quella
sensazione incontrollabile di paura.
Sì,
perché mentre stava abbracciata a Lucius Malfoy, realizzando di essersi
perdutamente innamorata di lui, Narcissa, per la seconda volta in vita
sua, aveva paura. Paura di amare.
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Capitolo 4 *** E così sia ***
E così sia
E così sia
No. No, non era possibile. Non lui, no. NO!
Lo stava
guardando con sguardo disgustato, se ne rendeva conto. Come aveva
potuto? Lui l’aveva giurato! Aveva giurato che non sarebbe mai
diventato un Mangiamorte perché non avrebbe mai fatto nulla che potesse
ferirla! E, invece, l’aveva tradita, così platealmente, così
spudoratamente.
Continuava a
fissarlo, incapace di distogliere gli occhi da lui, e ogni istante
sembrava durare ore mentre osservava il disgustoso serpente strisciare
fuori dalla bocca del teschio ghignante.
Gli sputò
contro il suo risentimento, la sua rabbia, con tutto l’odio di cui
disponeva, gettandogli addosso parole di puro veleno e, quasi
meccanicamente, sentì uscire dalla sua bocca parole che mai si sarebbe
aspettata di riuscire a pronunciare.
“No, Lucius. L’amore non basta. È finita”
Voltò i
tacchi, rapida, ignorando le sue grida di richiamo, perché sapeva che
non avrebbe resistito ai suoi occhi di ghiaccio che la imploravano di
restare. Perché lei non poteva restare. Lei non poteva essere la
fidanzata e poi moglie di un Mangiamorte.
Non riusciva
a vedersi in una vita di angoscia, preoccupazione e orrore. Non sarebbe
riuscita a guardare in faccia suo marito, conoscendo i crimini di cui
si macchiava. Non era disposta a dividere ciò che era suo, l’amore
della sua vita, con un pazzo sanguinario di cui non condivideva gli
ideali e che di certo non rispettava.
Sì, di certo
era meglio così. Meglio chiudere quella storia subito, prima che le
cose degenerassero irreparabilmente. Perché sì, sarebbero degenerate,
lei lo sapeva. Sapeva che effetto potesse avere quel marchio sulle
persone. Sapeva che, in breve tempo, ogni traccia di amore sarebbe
scomparsa dal corpo di Lucius, lasciando posto solo a odio e
devastazione. Lo sapeva, perché aveva visto con i suoi occhi sua
sorella, già cinica e disillusa, divenire spietata e sanguinaria.
Non voleva
rovinare i ricordi meravigliosi che serbava di lei e Lucius. Preferiva
fuggire, mandare tutto all’aria ora, quando ancora la sua mente e il
suo cuore erano pieni di lui, piuttosto che ritrovarsi ad odiarlo, con
il rischio di dimenticare quanto lui l’avesse fatta sentire importante
e speciale. O, peggio, ritrovarsi a doverlo piangere, caduto in qualche
scontro di cui lei francamente non capiva il senso o la necessità.
Un forte
senso di nausea l’assalì, incontrollabile. Aveva pensato che lasciarlo,
allontanarsi da lui, fosse la cosa peggiore che potesse succederle. Non
aveva considerato la possibilità che lui potesse morire. Sì, perché
checché ne dicessero lui, Bellatrix, gli altri Mangiamorte, Voldemort
in persona… la possibilità di morire esisteva, ed era anche piuttosto
concreta. Quella era una guerra e, si sa, solo i morti hanno visto la
fine della guerra.
Si fermò, respirando a pieni polmoni, cercando di ricacciare indietro quel fastidioso senso di malessere, invano.
Si accasciò a terra, sforzandosi di trattenere le lacrime e cercando di frenare il battito impazzito del suo cuore.
Perché c’è solo una paura, più forte del timore della morte stessa. La paura di perdere la persona che si ama.
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Capitolo 5 *** La morte (non esiste più) ***
La morte (non esiste più)
La morte (non esiste più)
Dolore, infinito dolore. Poi, lentamente, ritorno alla normalità. Si
accasciò a terra, priva di forze, sentendo gli occhi chiudersi.
No, non poteva farcela. Era decisamente troppo doloroso, troppo intenso, troppo lungo. Era troppo, troppo per lei.
Era preparata al dolore fisico, sapeva che non sarebbe stata una
passeggiata, ma mai si sarebbe aspettata un’esperienza così dolorosa.
Ma soprattutto, non avrebbe mai pensato che partorire sarebbe stato
psicologicamente devastante.
Ogni contrazione, corrispondeva all’elaborazione perfetta di un momento
particolarmente doloroso e triste della sua vita, in un crescendo di
angoscia e sofferenza. Grazie al cielo la natura sapeva rendere le cose
perfette e, ad ogni contrazione, contrapponeva un momento di pausa e
assenza di dolore, in cui i ricordi di maggiore felicità risollevavano
il suo animo.
Così, durante quelle ore di travaglio, le immagini della sua vita si assecondarono rapide e nitide nella sua mente.
Le liti con Lucius, ai tempi di Hogwarts, quando ancora negava di provare interesse per lui.
La prima volta che l’aveva abbracciata, facendole capire quanto lo amasse, rassicurandola sul fatto che non era un Mangiamorte.
L’opposizione dei suoi genitori alla loro relazione, la loro decisione di darla in sposa ad un uomo che non amava.
Il primo, intenso bacio che si erano scambiati, l’ultimo giorno di
scuola di Lucius, sull’espresso di ritorno da Hogwarts. Inaspettato,
rubato, meraviglioso.
La scoperta dell’affiliazione di Lucius ai Mangiamorte, il Marchio sanguinante, la paura di perderlo.
La prima volta che avevano fatto l’amore.
Ma ora… Ora la sua mente era sgombra, sentiva che la fine era vicina.
Sentiva solo dolore, dilatazione, lacerazione, pressione e morte.
Perché nessuno sarebbe mai stato in grado di sopportare un dolore
simile, tantomeno lei. Si sentiva morire, sentiva che le sue forze
stavano venendo meno e che, presto, la vita avrebbe abbandonato il suo
corpo esile e stremato.
Un’altra contrazione, un’altra spinta, altro dolore, un’innaturale
impressione di sentirsi dilaniare da qualcosa di irrefrenabile, la
consapevolezza che, dopo quello, ci sarebbe stata solo la morte.
E, di nuovo, sentì l’ormai familiare sensazione di panico farsi strada
in lei. Ma questa volta, qualcosa la bloccò, proprio da dove aveva
solitamente origine, dal cuore. Al suo posto, riusciva a sentire solo
calore, immenso calore.
Aprì gli occhi e abbassò lo sguardo, verso la genesi della sua pace.
Una manina era appoggiata sul suo petto, all’altezza del cuore. Spostò
di nuovo lo sguardo, incrociando quello del bambino che le avevano
adagiato sul petto. Due penetranti occhi grigi la fissavano, quasi
offesi dal fatto che lei ci avesse messo tanto a cercarli. Gli stessi
occhi grigio ghiaccio che, anni prima le avevano fatto conoscere
l’amore.
Di colpo, la sensazione di morsa al petto cessò e un sorriso felice comparve sul suo volto.
Perché guardare tuo figlio negli occhi per la prima volta può farti vincere anche la paura di morire.
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Capitolo 6 *** La guerra è finita ***
La guerra è finita
La guerra è finita
Lampi, rumori sordi di esplosioni.
Benché Villa
Malfoy fosse posta a miglia di distanza da qualsiasi centro abitato,
riusciva comunque a sentire gli echi della battaglia.
Da poco si era
coricata, aveva atteso che Lucius fosse di ritorno perché mai, come
quella notte, aveva avuto timore di non rivederlo vivo. Ma lui era
tornato. Prostrato, spaventato, fragile. Aveva dovuto raccogliere i
resti di quello che una volta era stato il suo fiero e sprezzante
marito e aveva dovuto dare loro la forza di rimettersi insieme.
Era spaventato,
Lucius. Il Signore Oscuro era caduto, sparito nel nulla dopo aver
lanciato una Maledizione Senza Perdono contro un bambino, lasciando i
suoi fedeli seguaci nel panico, in balia della loro stessa follia.
Alcuni erano
caduti combattendo, difendendo fino alla fine la fede nel loro Signore,
rifiutandosi di consegnarsi alla giustizia.
Altri, come sua
sorella, avevano portato a termine compiti ormai inutili, al solo scopo
di mostrare la loro devozione ad un uomo che non esisteva più, ed erano
stati, infine, catturati, pronti per una vita di disperazione ad
Azkaban. Una vita infausta, infelice e senza amore. Una vita, rifletté
Narcissa, non del tutto dissimile a quella che avevano vissuto in tutti
quegli anni di fedele militanza fra i Mangiamorte.
Altri ancora
erano stati catturati, ma tutti sapevano che avrebbero parlato e
tradito tutto quello in cui avevano fino a quel momento creduto, in
nome della libertà.
Molti avrebbero
negato, spergiurato di non essere loro, quelli che, maschera in volto e
bacchetta sguainata, avevano inflitto maledizioni e terrore a quelle
vittime innocenti. Loro stessi, erano vittime di una Maledizione
Imperius, sapientemente eseguita da qualche fedelissimo dell’Oscuro
Signore. Ma sì, come potevano non essersene accorti? Non erano loro
quelli che accettavano di essere marchiati come animali da macello, non
si erano accorti del cambiamento, dello sguardo privo di luce, ma
carico di terrore che li aveva caratterizzati in quegli anni?
Narcissa si
voltò verso suo marito, che si lamentava nel sonno. Doveva averne viste
di tutti i colori, in quegli anni e ciò giustificava il lento, ma
inesorabile cambiamento della sua personalità. Non che fosse mai stato
una persona gioviale e solare, ma sicuramente la presenza del Marchio
aveva contribuito ad accentuare quelle zone d’ombra del suo carattere
che da sempre la spaventavano.
Era per questo
che non poteva permettere che finisse ad Azkaban. Un solo giorno
trascorso in quel luogo, a stretto contatto con quelle creature
mostruose e raccapriccianti che rispondevano al nome di Dissennatori,
avrebbe finito per distruggere l’uomo che lei conosceva. Sì, perché
lei, lei sola sapeva che dietro al Mangiamorte, dietro al purosangue
altezzoso, c’era un uomo, un uomo meraviglioso e buono, capace di amare
e farsi amare.
Lo guardò
ancora, cercando di ritrovare nei suoi lineamenti induriti dal tempo e
dagli orrori di cui erano stati testimoni il ragazzo di cui si era
innamorata quasi dieci anni prima. Senza troppi sforzi di fantasia
riuscì a figurarselo, perché era esattamente così che lei lo vedeva,
ogni volta che lui faceva qualcosa che le dimostrasse il suo amore.
Aveva deciso.
Avrebbe mentito. Avrebbe dichiarato che era sotto Imperius, a costo di
finire lei stessa ad Azkaban per spergiuro, perché il suo posto, il
posto di Lucius Malfoy era lì, accanto a lei, a Draco, il loro bambino.
Loro sarebbero riusciti a sconfiggere gli effetti del Marchio e a far
trionfare Lucius, l’uomo, su Malfoy, il Mangiamorte.
Aveva paura, Narcissa, lo sapeva bene, non poteva negarlo. Aveva paura delle conseguenze, per sé, per Lucius, per Draco.
Cosa avrebbe
pensato, la gente? Avrebbe creduto a quella messinscena? Sicuramente
no. Tutti erano in attesa di vederli fallire, come lo erano stati alla
morte del padre di Lucius, sicuri che, data la sua giovane età, non
sarebbe mai riuscito a mantenere alto il nome del casato. Ma lui era
forte, era già riuscito a cambiare le carte in tavola una volta, cosa
vietava al destino di essere ancora dalla loro parte? Soprattutto,
avevano davvero bisogno dell’approvazione dell’intero mondo magico?
L’importante è che loro, solo loro tre rimanessero uniti, nel bene e
nel male.
Si girò verso
suo marito e gli lasciò un fugace bacio a fior di labbra. Chiuse gli
occhi, attendendo che il sonno la cogliesse, gettandola fra le braccia
di Morfeo, e udì il rimbombo sordo del suo cuore, nel petto, scandire
il ritmo della sua paura. Perché era proprio quella, l’essenza di tutte
le paure: il timore del futuro.
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Capitolo 7 *** Gli Spietati ***
Gli spietati
Gli spietati
Era fatta. Anche Draco, il suo Draco, era diventato Mangiamorte. Marchiato, vincolato e privato di un’anima per sempre.
Narcissa voleva urlare, sì, urlare tutto il suo disappunto, la sua rabbia, la sua frustrazione.
Perché
proprio a lei? Lei che aveva giurato di rimanere fuori da tutto quello,
lei che aveva sempre guardato con compassione e disappunto i suoi
coetanei che bramavano quel vessillo di odio e morte. Lei, che ora si
ritrovava ad essere moglie e madre di due di quegli esseri spregevoli.
Le
avevano tolto tutto. Gli spietati seguaci di Lord Voldemort erano
arrivati a farle detestare la sua stessa vita. Odiava il nome che
portava, il suo status sociale, la sua condizione di purosangue… Tutto,
l’aveva portata verso di lui, verso quell’individuo che detestava, ma
in nome del quale aveva dovuto immolare tutto ciò a cui più teneva.
Aveva sacrificato se stessa, il suo unico figlio, il suo sogno di una
vita tranquilla con l’uomo che amava… Quello stesso uomo che avrebbe
continuato ad amare, nonostante fosse rinchiuso in una cella ad
Azkaban, lontano da lei, da Draco, che mai come in questo momento
avrebbe avuto bisogno di lui.
L’avevano
condannato, non avevano potuto fare altrimenti. Colto in flagrante,
l’avevano sbattuto seduta stante in una cella ad Azkaban, come il
peggiore dei criminali, come fosse lui stesso il responsabile di quel
pandemonio, come se fosse stato proprio lui a riportare a nuova vita il
suo padrone. Non aveva avuto nemmeno il tempo di salutarlo, di dirgli
un’ultima volta quanto lo amasse. Tutto ciò che era stata in grado di
fare, mentre andava incontro al fallimento, tentando di farle credere
quello di cui nemmeno lui era realmente convinto, ovvero che quella era
una missione contro un gruppo di ragazzini, da cui sarebbe uscito
vincitore, era stato lanciargli uno sguardo carico di disappunto,
voltandogli le spalle, disgustata da quella sua smania di potere.
Dimenticando per l’ennesima volta che lui non aveva scelta. Anche
volendo, non avrebbe mai potuto ribellarsi al volere del Signore
Oscuro, non senza morire e condannare lei e Draco alla medesima sorte.
L’aveva
rivisto solo all’udienza del Wizengamot, da lontano, provato, gli occhi
vuoti, già segnati dalla vicinanza con i Dissennatori. Aveva cercato di
attirare la sua attenzione, di avvicinarlo, ma quello sguardo spiritato
l’aveva spaventata a morte. Aveva temuto che lui potesse respingerla,
riversarle addosso il suo odio e la sua umiliazione. Aveva paura che
lui si fosse scordato di lei, di loro, di quello che erano stati. Così,
al termine del processo, se n’era andata. Aveva tenuto gli occhi
incollati su di lui per tutto il tempo, sperando che volgesse il capo
verso di lei, ma, nel momento stesso in cui l’aveva visto muoversi, si
era alzata e se n’era andata, voltandogli le spalle. No, non ce
l’avrebbe fatta. Non sarebbe riuscita a sopportare lo strazio nei suoi
occhi, non di nuovo, non quella volta.
E ora,
quella nuova, devastante svolta. Quando era rientrato a casa, curvo su
se stesso, spaventato, tremante, Narcissa aveva capito subito. Lui
aveva colpito, di nuovo. L’Oscuro Signore si era frapposto fra lei e
l’uomo che amava, ancora una volta. Ma l’uomo in questione, quella
volta, era una parte di lei. Era cresciuto in lei, si era nutrito al
suo seno. Non poteva ignorare il muto grido di dolore che le stava
lanciando. Non poteva fuggire, come aveva fatto quando aveva scoperto
che suo padre era un Mangiamorte no, non poteva. Perché, quella volta,
il Marchio era anche parte di lei.
Sarebbe
rimasta al suo fianco, l’avrebbe supportato, aiutato, difeso,
nonostante quel simbolo la terrorizzasse, nonostante quella volta non
fosse certa che ce l’avrebbe fatta. Perché, con il peso di Lucius ad
Azkaban tutto sulle sue spalle e il destino di Draco nelle sue mani, la
paura di fallire era davvero, davvero troppa.
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Capitolo 8 *** Nessuno muore ***
Nessuno muore
Nessuno muore
Era finito. Quell’orrore era finalmente finito.
Si
guardò attorno, smarrita. Non le interessava che gli altri la
guardassero con disprezzo, lei sapeva di aver fatto la sua parte, in
quel momento voleva solo riabbracciare la sua famiglia. Aveva rischiato
tanto, tutto per i suoi due uomini. Aveva mentito al Signore Oscuro,
facendogli credere che Harry Potter era morto, riportandolo dritto
nelle fauci della battaglia, là dove il Prescelto aveva potuto
annientarlo definitivamente. Aveva seguito la battaglia stando ai
margini, disarmata. Già, disarmata. Aveva ceduto la sua bacchetta a
Draco, dopo che aveva perso la sua durante la fuga di Potter da Villa
Malfoy e l’aveva fatto istintivamente, senza pensare. Sapeva che
sarebbe stata più utile a lui, perché lui doveva
salvarsi. Affidandogliela, l’aveva pregato di essere prudente, ma già
sapeva che lo sarebbe stato: la sua reazione trovandosi di fronte Harry
Potter le aveva fatto capire che, come lei, aveva già deciso da che
parte stare. Nonostante il Marchio, nonostante la paura.
Il suo
Draco. Così straordinariamente simile a suo padre, così incredibilmente
simile a lei. Il risultato perfetto di un’unione perfetta.
Finalmente
lo intravide, in un angolo della Sala Grande, il capo chino, smarrito.
Gli corse incontro, il cuore che batteva all’impazzata. In una frazione
di secondo anche Lucius, che si era allontanato alla ricerca di Draco,
le fu accanto e, insieme, investirono il loro unico figlio con un
abbraccio totalizzante. Non dissero nulla, restarono in religioso
silenzio, godendo di quel contatto che per troppo tempo si erano
negati, perdendosi in quella sensazione di amore e famiglia che
temevano di aver perduto per sempre.
Niente,
da lì in avanti, sarebbe più stato come prima e Narcissa capì che il
motivo era che non avrebbero mai più avuto paura. E la vita non può che
riservarti sorprese meravigliose, quando smetti di aver paura della
paura stessa.
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Capitolo 9 *** Titoli di coda ***
Titoli di coda
Titoli di coda
Il suo respiro
si fece sempre più lento, cadenzato da lunghe pause che avevano il
potere di far mancare il fiato anche a suo figlio, seduto al suo fianco.
Sollevò le
palpebre, pesanti come macigni, di ritorno dai suoi ricordi e, per un
attimo, quando ancora i contorni delle figure attorno a lei apparivano
sfuocati, pensò che al suo capezzale non ci fosse suo figlio, ma
qualcuno che aveva i suoi stessi occhi.
Fece per
sollevarsi, ma ricrollò sul letto, sfinita. Era davvero allo stremo
delle forze.
“Non sforzarti,
mamma” sussurrò Draco, carezzandole i capelli, utilizzando quel
vezzeggiativo che era solito usare solo quando erano nell’intimità
della loro famiglia, al posto del freddo ‘madre’ che più si confaceva
alla loro condizione di purosangue.
“Draco…”
mormorò, con un filo di voce “Io… ti voglio bene…” biascicò, lasciando
cadere una delle lacrime che da giorni si sforzava di trattenere lungo
la guancia scavata dall’età e dalla malattia.
“Lo so, mamma”
rispose, prendendole la mano “Te ne voglio anch’io!”
“Sai, quel che
ti ho detto prima, a proposito dell’aver paura?” chiese, a fatica “Beh,
mentivo. Ho paura, Draco.”
Guardò suo
figlio, benevola. Non era vero. Non aveva paura, ma sentiva che lui ne
aveva e voleva fargli sentire che era con lui, in quel momento.
“Non avere
paura, mamma. Io sono qui, con te” esclamò lui, accorato, cercando un
briciolo di coraggio nel profondo del suo animo.
Narcissa gli
strinse la mano, più forte che riuscì e Draco rispose con una stretta
vigorosa, salda. Una stretta che significava tante cose, la più
importante delle quali era “Non lasciarmi”.
Qualcosa dentro
il suo petto si fece improvvisamente leggero e guardò suo figlio
un’ultima volta, ben sapendo che non sarebbe riuscita ad accontentarlo,
non in quell’occasione. Vide l’immagine di suo figlio sbiadire, mentre
alle sue spalle compariva una figura a lei ben nota, che le porgeva la
mano. La figura dell’uomo che, unitamente a Draco, aveva amato più di
ogni altra cosa al mondo.
Un sorriso si
dipinse sul suo volto, mentre la sua anima lasciava per sempre il suo
corpo, sotto forma di un ultimo, profondo respiro.
Seconda
classificata
Sweet
Cupcake - BogartBacall su EFP
Grammatica:
9,5/10
Stile e
forma: 10/10
IC e
caratterizzazione: 10/10
Originalità:
5/5
Utilizzo
appropriato del tema assegnato: 5/5
Attinenza
alle regole del contest: 4,5/5
Gradimento
personale: 5/5
Totale:
49/50
Grammatica
Non ho
trovato errori, se non un piccolo “problema” – se vogliamo chiamarlo
così – con i dialoghi. Quando scrivi, ad esempio, L’uomo annuì, nervoso
“Un po’…” rispose, la voce strozzata. dovresti mettere un punto dopo
“nervoso” e poi andare a capo, o se proprio non vuoi andare a capo,
mettere un punto e basta. Non è un errore grave, ma aiuta per la
chiarezza del testo.
Stile e forma
Il tuo
stile mi è piaciuto molto, è buono. Anche se la tua one-shot era
abbastanza lunga, la lettura è stata scorrevole e è riuscita a
“rapirmi”. Direi che anche la punteggiatura è inserita correttamente,
non ho altro da dirti se non di continuare così.
IC e caratterizzazione
Hai
dato un’idea generale di Narcissa che mi è piaciuta molto ed è stata
convincente, è simile a come l’ho sempre immaginata io. Anche gli altri
personaggi sono ben caratterizzati, da Andromeda che un po’ si sente in
colpa per ciò che fa, ma segue il suo cuore, a un Lucius innamorato, ma
sempre un po’ freddo e contenuto. Brava.
Originalità
Non c’è
bisogno di rivoluzionare il fandom per scrivere una storia originale, e
tu l’hai dimostrato con questa one-shot, che rivede in modo
personalizzato alcuni avvenimenti della vita di Narcissa, legandoli tra
loro con un filo conduttore e – probabilmente anche grazie alla sua
lunghezza – riesce a dirci qualcosa in più delle solite cose.
Utilizzo
appropriato del tema assegnato
Hai
capito lo spirito del contest, legando la paura a Narcissa e mostrando
l’evoluzione di questo sentimento durante alcuni momenti della sua
vita; perché dimostri che lei ha sempre avuto il timore di qualcosa,
anche se ha cercato di vincerlo.
Attinenza alle
regole del contest
Mi
avevi chiesto se era possibile raccontare un periodo precedente al
trentuno ottobre partendo da un momento successivo, e per questo non
c’è stato problema, anzi! Ho apprezzato l’originalità della tua idea.
L’ultima parte della tua storia – La guerra è finita, intendo – è,
appunto, ambientata dopo la fine della guerra. Si tratta comunque di un
periodo appena successivo ad essa, magari novembre o dicembre del 1981,
quindi non mi fiscalizzo troppo e ti tolgo mezzo punto come all’altra
concorrente che ha fatto una cosa simile.
Gradimento
personale
La tua
storia mi è piaciuta molto, rivive la vita di Narcissa partendo dalla
donna sul letto di morte, e dimostra tutta, o quasi, l’evoluzione di
questo personaggio. Sei riuscita a coinvolgermi, brava.
Link del contest - A Black's life
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