Little Guardian

di SilviAngel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il lupetto e il chiacchierone ***
Capitolo 2: *** Istantanee ***
Capitolo 3: *** Brutta sorpresa ***
Capitolo 4: *** Rischiare ***
Capitolo 5: *** Io rido in faccia al pericolo ***
Capitolo 6: *** Alleati? ***
Capitolo 7: *** Spalle al muro ***
Capitolo 8: *** Una mossa improvvisa ***
Capitolo 9: *** Deve stare bene ***
Capitolo 10: *** Legami ***
Capitolo 11: *** La prima battaglia ***
Capitolo 12: *** Programmi per il week end ***
Capitolo 13: *** Occasioni e possibilità ***



Capitolo 1
*** Il lupetto e il chiacchierone ***


Buonasera, ecco qui il primo capitolo di una nuova mia piccola fatica!
So che ho già parecchia carne al fuoco, ma questa ff (quasi conclusa) era lì che chiedeva a gran voce di vedere le luci della ribalta!
Spero piaccia e vi vada di sarmelo sapere.
Buona lettura.


Cap. 1

Il lupetto e il chiacchierone
 
Era mattina, a voler essere precisi una noiosa e piovosa mattina di aprile e Derek era appena stato tirato giù dal letto dalla sorella “Forza pelandrone! Jenna ha avuto il bambino e mamma vuole passare all’ospedale e tu devi venire. Forza spicciati!”
 
Derek era sì un lupacchiotto di quasi sei anni sempre pieno di vita e voglia di scorrazzare per i boschi che circondavano la villa, ma nonostante ciò adorava avvoltolarsi nelle coperte per ore dopo essersi svegliato e godersi il tepore e la tranquillità della casa, con i suoni della cucina che giungevano dal piano di sotto, il rumore del getto della doccia che piano e lento lo cullava e la voce del padre che dalla soglia salutava tutti, lui incluso, consapevole lo potesse benissimo udire.
 
Per tutti questi motivi odiava essere costretto ad alzarsi troppo presto la mattina.
Ma perché le umane del branco non potevano partorire come le lupe? In casa, senza essere portate urlanti in quell’edificio che puzzava di disinfettante e morte?
Stropicciandosi gli occhi e pantofolando giù per le scale, il piccolo Derek sbucò nella cucina, trovando la madre che già perfettamente vestita e pettinata terminava di preparare la sua colazione “Forza! Dobbiamo andare a conoscere il nuovo piccolo. Mangia e poi andiamo a vestirci e farci belli”
 
Mentre la mamma gli abbottonava il maglione – altra cosa che odiava erano quei vestiti da perfettino che doveva indossare ogni volta che lo portava in città, come se dovesse mettere in mostra un bambolotto – Derek valutò cosa avrebbe potuto chiedere in cambio del suo comportamento da bravo bambino e con questi pensieri che fluttuavano inconsistenti nella sua testolina, furono raggiunti dal resto della famiglia e lasciarono la casa. 
 
Derek legato sul sedile posteriore da quell’insulsa cintura di sicurezza – quale sicurezza avrebbe mai potuto dargli dato che non si sarebbe comunque mai fatto davvero del male – guardava fuori dal finestrino interrogandosi sul perché sua madre fosse così elettrizzata all’idea di vedere l’ennesimo pargoletto urlante, sbrodolante e puzzolente e non comprendendo anche il malcelato orgoglio del padre alla prospettiva dell’ampliamento della parte umana del branco e insofferente a questi pensieri, decise di concentrarsi sul paesaggio esterno.
Arrivati nel parcheggio del bianco edificio, dopo aver lasciato il padre al lavoro, il piccolo lupo iniziò già a storcere il nasino al solo pensiero del lezzo che lo avrebbe colpito di lì a pochi minuti.
Trascinato per scale e corridoi, il minore di casa Hale giunse davanti a un lungo corridoio rallegrato da fresche tinte pastello dove convenne che l’odore fosse meno terribile di quanto si sarebbe aspettato e riuscendo a far sgusciare via la propria mano da quella morbida e calda della sua mamma, rallentò per guardare con attenzione tutti i disegni di bimbi paffuti, cavoli e cicogne che ornavano la parte alta delle pareti. Con il viso all’insù, Derek non si accorse di essere rimasto indietro e rivolgendo lo sguardo di fronte a sé, vide solamente la gonna svolazzante della sorella sparire dentro una stanza.
Rimasto solo e cercando di temporeggiare, Derek iniziò a bighellonare nel corridoio, camminando a zig zag e sbirciando in ogni porta che si apriva sia a destra che a sinistra, fino a che non venne distratto da uno strano pigolio proveniente dalla camera che aveva appena superato.
Incuriosito il moro fece dietro front e poggiando attento le manine sullo stipite della porta, si sporse quel tanto che fu sufficiente per cercare di individuare la fonte di quello strano rumore.
Nella stanza illuminata vi era un solo letto e in esso era seduta, adagiata su numerosi cuscini, una mamma.
Era bella e sorridente e non staccava mai gli occhi dal mucchietto di coperte azzurre che stringeva tra le braccia.
Derek comprese subito che proprio quel groviglio di stoffa fosse il punto d’origine del rumore che lo aveva lì attirato e facendosi forza – e coraggio – perché le persone lo intimorivano, dato che il suo papà – che sapeva sempre tutto – una volta gli aveva detto che gli umani avrebbero sempre avuto paura dei lupi e anche senza volere avrebbero potuto essere pericolosi.
“La paura fa fare cose stupide e potrebbero metterti in pericolo anche senza volerti davvero fare del male. Solo pochi umani, umani speciali, sono capaci di accettare gli esseri come noi”
Per questo motivo il lupacchiotto aveva timore, ma al tempo stesso tanta voglia, senza sapersi spiegare il motivo, di dare un’occhiatina dentro quella coperta.
Muovendo un paio di passi nella camera, si accorse che non c’era nessun odore fastidioso. C’era il profumo della signora che sapeva solo di mamma, un po’ come la sua, e poi un miscuglio dolciastro che proveniva da dove lei era coricata.
 
Senza il più piccolo rumore, Derek giunse così vicino al letto da poter appoggiare le mani sul lenzuolo e in quel momento il viso della donna si alzò di scatto.
“OH” esalò lei, stringendosi istintivamente il fagotto al petto “mi hai fatto paura. Ciao”
Derek cercò di sfoggiare il suo migliore sorriso, anche se il risultato non fu dei migliori vista la finestrella causata dall’ultimo dentino caduto “Ciao” rispose agitando una mano.
“Ti sei perso piccolo?” chiese preoccupata.
“No, la mia mamma e quella rompiscatole di mia sorella sono andate a trovare un‘amica. Sai, lei ha avuto un bimbo. Anche tu ne hai avuto uno?”
“Sì, il mio tesoro! Lo vuoi vedere?” e muovendo le lunghe dita pallide e affusolate, scostò un lembo di stoffa celeste, ma da dove si trovava, Derek non vide nulla se non una minuscola manina rosea.
“Posso?” chiese educatamente facendole capire l’intenzione di salire sul letto e sedersi più vicino a lei.
“Certo” riprese la donna spostandosi di poco.
Con agilità innata, il bambino saltò sul materasso e si accomodò per bene allungando il collo il più possibile e fu allora che lo vide.
Era piccolo piccolo, con gli occhioni grandi e luminosi spalancati e mai fermi, Derek pensò che lo stessero fissando concentrato – non sapeva che appena nati i bambini seguissero perlopiù udito e olfatto – le mani chiuse a pugno e la bocca aperta intenta a emettere ancora quegli squittii acuti e singhiozzanti.
“Il mio piccolo chiacchierone!” mormorò con voce giocosa e allegra la donna, abbassandosi per posare un leggero bacio sulla fronte del bebè.
“Bella signora?”
“Che c’è caro?”
“Io mi chiamo Derek e lui come si chiama?”
“Lui si chiama Genim, lo so che è un nome strano, ma”
Il licantropo la interruppe “Ge-Genim… mi piace” e allungando lentamente un dito sfioròcon premura e attenzione il dorso della mano del neonato.
 
In quell’attimo il moro avvertì la presenza di Laura in avvicinamento e non si stupì quando sentì la sua voce chiamarlo dal vano della porta.
“Derek? Si può sapere cosa stai facendo? Mamma ti sta cercando!” e poi rivolgendosi a chi occupava la stanza stessa “Scusi per il disturbo”
“Nessun disturbo” rispose la donna mentre Derek scendeva mestamente dal letto e si portava accanto alla sorella.
“Ciao” e salutando, uscirono entrambi dalla visuale della signora Stilinski.

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Capitolo 2
*** Istantanee ***


Cap. 2
“Istantanee”
 
Derek venne trascinato a forza nella camera in cui la sua famiglia si stava stringendo attorno a Jenna e a sua figlia, ma lui voleva solo tornare dalla bella signora che aveva conosciuto e dal suo bambino chiacchierone e sbuffando si sedette su una seggiola in disparte, aspettando di tornare a casa.
Il momento di levare le tende arrivò e con un rapido salto il piccolo fu in piedi e corse alla porta dalla quale lanciò un vago saluto prima di imboccare il corridoio, purtroppo la sua fuga venne ostacolata dalla mano della madre che chiudendosi con decisione sul suo braccio e andando poi in cerca della mano, lo costrinse a rallentare.
Quando però passarono davanti alla camera dove Derek era stato poco prima, fu questo a ridurre la velocità fino a fermarsi e tirare poi il genitore verso l’interno.
“Bella signora?” iniziò il moro e dopo aver catturato l’attenzione della donna “ci sei ancora domani?”
“Certo…” rispose lei con un morbido sorriso.
“Mi scusi, spero che la mia piccola peste non l’abbia infastidita?” chiese con mille premure la lupa.
“No, si figuri, abbiamo solo fatto le presentazioni”
“Congratulazioni per la nascita” chiosò la signora Hale portando via con sé il figlio e senza neppure attendere la risposta.
 
Al sicuro nella sua cameretta, mentre gli ululati dei beta di ronda cercavano di condurlo al sonno, Derek ripensò alla mattinata trascorsa e alle persone che aveva conosciuto: doveva assolutamente fare in modo di convincere la madre a tornare all’ospedale il giorno successivo.
E con questo chiodo fisso in testa, il bambino si addormentò rilassato e felice.
 
La mattina dopo, purtroppo il piano di Derek si scontrò contro mille intoppi dovuti alle incombenze della madre, quale moglie dell’Alfa del branco, e ai resoconti di alcuni lupi che parlavano di nuove persone giunte dal nulla a Beacon Hills.
Tutte cose che al moro non interessavano minimamente: lui doveva tornare all’ospedale, voleva tornare a vedere Genim.
A pensarci bene, rifletté, era davvero un nome strano, che lui non aveva mai e poi mai sentito.
In suo aiuto giunse però, quando oramai le speranze erano davvero perse, la telefonata di Jenna che chiedeva compagnia dato che il marito era stato chiamato per un’urgenza in ufficio.
Così in cinque minuti lui e la mamma erano di nuovo in auto: destinazione Genim.
 
Mentre i piedini scalpitavano nel vano dell’ascensore, in attesa di arrivare al sesto piano, Derek tentava di escogitare un valido piano di fuga, valutando se fosse meglio schizzare via all’apertura delle porte o sgattaiolare nella camera che gli interessava dopo che la madre si fosse messa a chiacchierare con la sua amica.
La scelta non era per nulla facile.
Il lupetto, alla fine, non ebbe bisogno di decidere proprio nulla, dato che venne preso in contropiede dall’apertura delle porte. Vide, infatti, la signora conosciuta il giorno prima seduta su una sedia a rotelle e con il bambino in braccio, entrambi accompagnati da un uomo vestito di bianco.
Ora nell’ascensore sarebbero stati un poco stretti, ma a Derek non importava assolutamente.
“Ciao” salutò felice agitando la manina.
“Ciao” disse sorridendo la donna prima di rivolgere un “Buongiorno” educato alla madre.
“Cosa ci fai qui?” domandò curioso.
“Siamo andati a trovare il dottore e ci ha detto che stiamo tutti e due benissimo. Vero tesoro?” sussurrò volgendo lo sguardo al figlio addormentato che stringeva tra le braccia. 
Il dlin dell’ascensore riuscì a distrarre il moro e riportando lo sguardo davanti a sé, accolse per nulla di buon grado il dover accompagnare il genitore ben oltre la camera in cui avrebbe tanto voluto entrare.
 
Per fortuna sua madre si perse quasi subito in ciance e pettegolezzi con Jenna e così senza fare rumore e muovendosi lento, Derek lasciò la stanza e non appena messo piede nel corridoio prese a correre verso la camera di Genim.
Varcata la soglia i suoi occhi volarono immediatamente al letto sfatto addossato alla parete, trovandolo desolatamente vuoto e guardandosi attorno preoccupato, perlustrò l’intero spazio fino a quando la sua ricerca non si concluse appena a lato della finestra, dove la madre stava seduta su una poltroncina rossa.
“Ciao bella signora” il moro palesò la propria presenza parlando sottovoce e avvicinandosi alla seggiola si appoggiò al bracciolo, allungandosi per curiosare all’interno del bozzolo di coperte.
“Ciao, Derek”
Il lupetto le sorrise, ma un attimo dopo già stava riportando lo sguardo verso il basso.
“Sta ancora dormendo” riprese la donna “ma avresti dovuto vederlo durante la visita, non se ne stava fermo un attimo. Sempre a sgambettare e a fare mille smorfie”
“Adesso si sveglia però?” chiese quasi insofferente il bambino che desiderava vedere di nuovo quegli occhioni spalancati e le espressioni di cui la donna parlava.
“Penso che tra poco lo farà, anche perché non manca molto all’ora della pappa. Genim… forza sveglia il tuo amico è venuto a trovarti”
Questo tentativo andò miseramente a vuoto e Derek si lasciò scappare un piccolo sbuffo contrariato.
“Vuoi fare il dormiglione?” scherzò la mamma occhieggiando furba il neonato “Allora facciamo così: Derek, per favore, siediti al mio posto”
La donna si alzò per permettergli di scivolare sulla poltrona e appena lo vide accomodarsi ben indietro, lasciando così ciondolare i piedini nel vuoto, continuò “Metti le braccia come le mie”
Il piccolo eseguì senza porre domande e quando ebbe formato una piccola culla, la signora si abbassò depositandovi, lentamente e con estrema cura, Genim.
Derek avvertì il peso – per nulla eccessivo – del corpicino del bimbo e per paura gli potesse sfuggire, lo strinse a sé, calibrando accuratamente la propria forza.
“Bravo, tienilo bene” dette quelle poche parole lei si allontanò per andare a rovistare in un borsone posto ai piedi del letto.
Derek non perse tempo a osservare le azioni della donna, rapito com’era dallo spettacolo che teneva tra le braccia. Forse per lo spostamento o forse perché come aveva detto la madre era quasi ora di mangiare, il neonato stava uscendo dal sonno. Le prime a muoversi furono le dita che presero ad artigliare l’aria, subito seguite dalle gambe.
Il moro spaventato che a causa di quell’agitazione gli sfuggisse dalle mani, rinsaldo ancora di più la presa.
“Ma guardatevi” pigolò la mamma “siete due tesori. Fermi lì” e dopo essersi inginocchiata a un paio di metri da loro, sollevò di fronte al proprio viso una macchina fotografica.
“Derek, scosta un poco la coperta, così riesco a fotografare anche il suo faccino buffo”
Una volta compiuto il gesto, il pulsante venne pigiato e la prima immagine impressa.
“Mmm.. questa non è un granché… riproviamo”
Il lupo avvertì l’impazienza del piccolo crescere a dismisura e abbassando lo sguardo – fino a un secondo prima rivolto alla macchina – lo trovò completamente sveglio e sollevandolo anche se di poco se lo avvicinò al viso.
Aveva un odore strano, cioè non aveva odore.
Sapeva di borotalco e crema protettiva, sapeva di latte e conservava il sentore della sua mamma, ma nulla di tipicamente suo arrivava alle narici di Derek.
Fu in quel momento che la macchina scattò fulminea, non una ma due fotografie.
“Ah! Queste sì che sono favolose” squittì tutta orgogliosa del proprio operato la donna, avvicinandosi nuovamente alla poltrona con le istantanee tra le mani “Guarda!” continuò spronando il moro a distogliere lo sguardo dal figlio e posarlo sulle immagini.
Dopo qualche attimo di esitazione, Derek fece quanto la signora si aspettava da lui e osservando la fotografia, rivide se stesso stringere il bambino e sorridergli felice.
Il lupetto non si soffermò però troppo sulla realtà immortalata, potendo continuare a viverla e riabbassando gli occhi notò il visetto concentrato e immobile, quasi corrucciato, del neonato.
“Signora mamma, guarda. Perché fa così?” domandò curioso e anche un poco preoccupato.
Non ebbe la possibilità di attendere una risposta dato che con un piccolo terremoto sentì qualcosa di caldo che prima non c’era premergli sul braccio che teneva a contatto con il piccolo e avvertì un odore pestilenziale salire dal corpo che teneva stretto, mentre l’espressione di Genim tornava a distendersi.
“Oh oh!” esordì la madre “Mi sa tanto che è giunto il momento di cambiargli il pannolino. Dammelo pure Derek” e chinandosi riprese tra le braccia il figlio, spostandosi verso il fasciatoio collocato in un angolo.   
 
Derek strusciò sulla pelle della poltrona fino a giungere sul bordo e tornato a toccare il pavimento, si avvicinò all’umana, constatando che i suoi occhi a malapena arrivavano al ripiano del mobiletto. Spingendosi sulle punte dei piedi e tenendosi saldo alla spugna che rivestiva il legno, il moro aumentò il suo campo visivo.
Genim era disteso sulla schiena, con la madre che armeggiava con la sua tutina bianca e blu cercando di slacciare i bottoncini.
“È una trappola!” borbottò tra sé e sé la donna e Derek ingenuamente si impaurì, sapeva cosa fossero le trappole, il suo papà gliene aveva parlato e aveva detto che gli avrebbe insegnato a riconoscerle ed evitarle.
A pensarci attentamente però Derek ora non capiva: Genim era una trappola e quindi era pericoloso o lo era la tutina?
Alla fine poco gli importava.
 
Tornando a prestare attenzione ai gesti della signora, il lupo vide le gambe secche secche di Genim che si muovevano a tratti veloci e a tratti più lente, come se stessero facendo delle prove dato che la stoffa, che le ricopriva fino ad un attimo prima, era stata tirata via.
“Allora ora prepariamo l’occorrente come mi hanno mostrato le infermiere: salvietta, pannolino pulito, borotalco e cremina. C’è tutto, siamo pronti” 
E sul finire della frase alle parole si unirono due fastidiosi strap e subito dopo l’aria attorno a loro fu invasa da una puzza terribile che colpendo in modo molto potente le nari del lupetto, lo costrinse a indietreggiare.
“Mamma mia Genim!” disse ridendo la donna “È insopportabile” e avvolgendo con gesti concitati il pannolino sporco su se stesso lo gettò nel secchio vicino.
Subito dopo Derek tornò ad avvicinare il viso al bordo del fasciatoio e mentre le mani della mamma ripulivano con cura il piccolo, il moro si godette le smorfie del bambino che tranquillo e ignaro del trambusto generato era tutto concentrato nel tentativo di muovere mani e piedini.
Tutto quel movimento non aiutava di certo la signora, dato che impiegò più del dovuto a infilare di nuovo le gambette dentro la tutina.
 
Tornando verso la poltrona, Derek sentì la madre chiamarlo, con tono pacato, dalla porta “Forza andiamo, dobbiamo tornare a casa”
“Mamma no! Per favore posso restare ancora un pochino pochino” la pregò il figlio nella speranza di riuscire a passare ancora qualche minuto con Genim.
“Non possiamo Derek, tuo padre e tua sorella stanno per rientrare e loro” indicando la bella signora e il suo bambino “devono riposare”
“Non è vero! Genim ha dormito fino ad adesso” obiettò il moro.
“Derek! Non farmi arrabbiare, ringrazia e vieni con me”
La signora Stilinski era rimasta in silenzio tutto il tempo, comprendendo non fosse il caso di intervenire nella discussione, anche se avrebbe voluto far sapere a quella donna che il piccolo Derek non era stato per nulla un peso o un fastidio.
Il lupacchiotto riconoscendo il tono di ordine nella voce della madre, decise alla fine e a malincuore di obbedire e avvicinatosi al neonato gli sfiorò una manina “Ci vediamo Genim” e dopo aver fatto ciao con la mano alla bella signora, si diresse verso la porta e se ne andò.

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Capitolo 3
*** Brutta sorpresa ***


Cap. 3
“Brutta sorpresa”
 
“Su Derek, ora non diventare un musone come al solito. Domani dobbiamo tornare in ospedale per portare a Jenna alcune cose che il marito si è scordato di comprare, quindi ora” chinandosi per guardare il figlio negli occhi “fammi un bel sorriso”
Derek non aspettò neppure l’invito della madre e non appena comprese che il giorno successivo sarebbe tornato a trovare Genim, le labbra si tesero da sole.
Arrivato a casa, al sicuro nella sua cameretta, il moro iniziò a guardarsi attorno per cercare un posto dove nascondere la fotografia regalatagli dalla signora e alla fine decise che avrebbe chiesto alla mamma di regalargli una bella cornice colorata e per il momento l’immagine finì nel cassetto più in alto del comò.
Il pomeriggio passò noioso come al solito nella grande casa in mezzo al bosco, Laura troppo presa con i compiti di scuola, la mamma persa nelle faccende di casa e nessuno degli altri membri del branco che avesse voglia o tempo per giocare con lui e così prese a scarabocchiare con i colori, quando ad un certo punto gli venne in mente di fare un bel disegno da regalare al suo amico.
Si mise d’impegnò e dopo vari tentativi riuscì a stringere tra le mani un ritratto di cui poteva ritenersi abbastanza soddisfatto: c’erano lui e Genim al centro e sul fondo le loro belle mamme.
Derek si era disegnato più grande e grosso di come fosse in realtà, voleva che l’altro bambino capisse che era lì per proteggerlo e che mai nessuno gli avrebbe fatto del male perché aveva un lupo come migliore amico.
Poche ore prima, mentre la bella signora era indaffarata a rivestirlo, Derek glielo aveva detto “Io sarò il custode di Genim”
“Il custode?” aveva ripetuto lei incuriosita.
“Sì, come gli angeli me ne ha parlato la mia mamma. Nessuno lo farà mai piangere. Io lo proteggerò sempre sempre”
La donna chinandosi gli aveva regalato un dolcissimo bacio sui capelli, prima di abbracciare il suo tesoro.
 
Il mattino successivo non fece nessun capriccio, si alzò ancor prima che la sorella andasse a chiamarlo, mangio la sua farina d’avena senza fare le boccacce come al solito e si lasciò addirittura vestire da damerino. Tutto pur di uscire di casa il più in fretta possibile.
Erano solo le dieci del mattino e chiunque fosse passato di lì avrebbe visto un bambino di all’incirca sei anni trascinare una donna all’interno dell’ospedale di Beacon Hills.
Non appena le porte dell’ascensore si aprirono quel tanto che gli permetteva di passare, Derek corse verso la porta della camera di Genim con in mano il disegno accuratamente piegato, ma una brutta sorpresa era lì ad attenderlo: la stanza era completamente vuota.
Due infermiere vestite di bianco stavano cambiando le lenzuola al letto e la finestra era stata spalancata del tutto.
Non c’era più alcuna traccia né di Genim né della bella signora, nessun borsone o vestito, niente di niente e il bambino sentì chiudersi la gola mentre ritornando in corridoio andava a cercare la sua mamma.
“Mamma, mamma” ripeteva Derek tentando di attirarne l’attenzione.
“Cosa c’è? Non vedi che sto parlando?” lo redarguì la madre con sguardo severo.
“Non c’è più. Il bimbo chiacchierone non c’è più” disse mentre gli occhi diventavano liquidi e due grosse lacrime minacciavano di attraversare le guanciotte paffute.
“È normale. Sarà tornato a casa con la sua mamma e il suo papà così come anche Jenna farà domani con la sua bambina” e sperando di aver chiuso il discorso si voltò verso l’amica per riprendere la chiacchierata.
“Ma io come faccio?” le interruppe nuovamente il moro “Io lo devo trovare. Come faccio a dargli il regalo e poi… poi io voglio vederlo. Voglio giocare con lui quando viene grande”
Questa volta gli occhi della madre si posarono dolci su di lui e dopo un piccolo sospiro tentò di calmarlo “Se è destino, piccolo mio, lo ritroverai. Forse sarà proprio lui a venire da te”
“Ma io non voglio aspettare” ribatté Derek passandosi il dorso della manina sulle guance tentando di asciugarle.
“Puoi provare a riconoscere il suo odore”
“NO… non ne sono capace. Genim non aveva nessun odore. Sapeva di crema e pannolini”
La donna cercò invano di tranquillizzare il figlio, ma quando comprese che a nulla sarebbero valse le sue parole, salutò l’amica e tenendo Derek, mogio come non mai, per la mano, se ne tornò a casa. 
 
Il moro cercò il piccolo amico ovunque andasse. Oramai i genitori erano abituati, ogniqualvolta si trovavano in un posto affollato, a vederlo con il nasino all’insù nella speranza di ritrovare almeno l’odore della bella signora, notando come scrutasse serio e attento tutte le persone che lo circondavano.
Un paio di mesi dopo, una sera, dopo aver mandato a letto entrambi i loro figli, la madre di Derek intavolò con il proprio marito una discussione spinosa “E se nostro figlio avesse già trovato il suo umano?”
“Non dire sciocchezze cara, è troppo piccolo”
“Ma nulla vieta che accada. Quando io ho conosciuto Karen” e un’ombra passò nei suoi occhi chiari al ricordo dell’amica scomparsa “ero poco più grande di lui”
“Di questo ti do ragione, ma frequentavate la stessa scuola, eravate quasi coetanee. Invece quel bambino è appena nato, non possono aver instaurato alcun legame”
“Caro, non possiamo saperlo. Il modo in un cui un licantropo sceglie l’umano di cui fidarsi anche a scapito della propria vita è talmente misterioso che nessuno di noi può essere convinto e sicuro di sapere come funzioni. Conosci tuo figlio, è abbastanza schivo e taciturno, timido addirittura, ma con quel piccolo era così diverso. Non so, penso valga la pena tentare di dargli una mano”
“Anche volessi, Derek non conosce neppure il suo odore o meglio ancora il suo cognome”
“Tesoro, dimmi solo che proverai” lo supplicò baciandolo delicatamente sulle labbra.
“Va bene, ma non prometto nulla”       
 
Purtroppo i vari tentativi messi in atto dal padre non ottennero il risultato sperato e per giorni il piccolo Derek attese alzato il ritorno del genitore, con la speranza che portasse con sé buone notizie.
La tristezza e lo sconforto accompagnavano le giornate del licantropo e quando una mattina, la madre lo prese in braccio dopo essersi accomodata sul divano, capì che non avrebbe mai più ritrovato il suo Genim.
“Derek, ascolta, papà ha cercato, ma nessuno dei nostri amici sembra conoscere quel nome e sai che non possiamo permetterci di fare troppe domande agli umani, sarebbe sospetto”
Il lupetto tirò su con il naso, non volendo scoppiare a piangere davanti alla mamma e in silenzio scese dalle sue ginocchia e si incamminò verso la propria cameretta.
Cercando di essere forte, strinse in una mano la fotografia e nell’altra il disegno che avrebbe tanto voluto regalare al suo amico, sarebbero diventati i suoi tesori e un giorno forse avrebbero potuto ricondurlo fino a lui.
Avvolse con cura l’istantane nel foglio di carta colorato e chiuse poi entrambi nella scatola di latta delle meraviglie – che conteneva ogni oggetto che reputasse prezioso e che aveva trovato girovagando nei boschi – e la infilò nuovamente sotto l’asse di legno del pavimento, quella che si apriva, tirando un poco, tra il letto e il comodino.
 
I mesi passarono e Derek iniziò la scuola.
Un giorno prese con sè la foto e chiese a tutti i suoi compagni di classe se conoscessero un bambino di nome Genim, ma non ebbe alcuna fortuna.
Il moretto si ripromise che avrebbe continuato a cercare ma, come tutte le cose lontane, anche quel ricordo sfumò lentamente e dolorosamente fino a ché tutto precipitò e nella mente del figlio dell’Alfa vi fu posto esclusivamente per lei.
Lei che lo attirava, lo irretiva e lo spingeva a fare cose che mai avrebbe pensato di essere in grado di compiere.
E Genim venne inghiottito e ricoperto da una nebbia di desiderio.
 
Poi tutto divenne fuoco e morte.
Le fiamme si mangiarono uomini e lupi, giochi e ricordi di una vita intera e a lui non rimase più niente se non una sorella che, nonostante fosse felice che almeno lui si fosse salvato, lo guardava con in fondo agli occhi una strisciante sensazione di dubbio.
Entrambi abbandonarono Beancon Hills correndo lontano, chiedendo ospitalità ai branchi nei cui territori si trovavano a passare, dando sempre l’immagine di una coppia di fratelli pacifica, specificando ogni volta che Laura non aveva nessun interesse a scontrarsi con altri Alfa.
Alla fine neppure loro due riuscirono a superare indenni la tragedia della famiglia Hale e separatisi, non si videro per un po’, pur continuando a tenersi in contatto costante. Per questo motivo Derek si allarmò nel momento in cui si rese conto che erano circa due settimane che Laura con lo chiamava e precisamente da quando gli aveva comunicato che sarebbe tornata nella loro città natale.
Costretto a rivedere Beacon Hills, il moro iniziò a cercare ovunque indizi, fino a ché due ragazzini non si misero a giocare al detective, ostacolando con i loro odori le sue ricerche.
Fu però grazie a uno di questi che si imbatté nei resti del corpo senza vita di sua sorella. Riconobbe Laura, seppur nella sua completa forma animale, e perdendo di vista l’adolescente, si accasciò al suolo.
Chi mai aveva osato invadere quello che per generazioni era stato il territorio degli Hale?
 
La prima volta in cui Derek si scontrò, alla luce del sole, con quei due piantagrane, capì immediatamente che uno dei due era stato morso e a giudicare dall’incapacità di questo di avvertire la sua presenza, doveva essere accaduto da poco tempo.
Laura era morta.
Laura, il suo Alfa, sua sorella, il suo intero mondo era morta.
Derek era rimasto completamente solo – se si escludeva lo zio vegetale ricoverato da sei anni nell’ospedale della città – e solo in un secondo momento si domandò perché non avvertisse scorrere nelle vene l’energia tipica del rango di capobranco, posizione che avrebbe dovuto essere oramai sua.
Con un riso amaro a deturparne il viso, Derek dovette ammettere che la natura, probabilmente, non lo reputava degno di tale onore e concluse che il clan della propria famiglia si sarebbe estinto, riservando a lui solo una scelta: diventare un omega.

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Capitolo 4
*** Rischiare ***


Cap. 4
“Rischiare”
 
Quei due adolescenti alla fine erano riusciti a incastrarlo, certo non era stato molto furbo nel sotterrare la sorella a un paio di metri dalla propria casa e forse soprattutto per questo motivo si trovava ora ammanettato, spinto da un uomo in divisa dentro l’auto della polizia.
Con una tranquillità davvero notevole, il più mingherlino dei due era riuscito a intrufolarsi sul sedile anteriore della volante e non faceva altro che stordire il licantropo con chiacchiere inutili.
Derek lo fissava indeciso se rimanere lì a subire quella valanga di parole o tentare una fuga che lo avrebbe messo ancora di più nei guai, alla fine preferì la prima ipotesi, sperando che lo sceriffo compiendo il proprio dovere nel migliore dei modi avrebbe convenuto che non vi erano prove a suo carico, liberandolo in tempi brevi.
Intanto quel ragazzino continuò a parlare a macchinetta come se non avesse poi neppure bisogno di prendere fiato di tanto in tanto, fintantoché non venne trascinato di peso fuori dell’abitacolo dallo stesso sceriffo.
“Cosa pensi di fare?”
“Io? Beh io…” balbettò Stiles colto in flagrante dal padre.
“Ieri ti ho trovato in mezzo al bosco, ora sei qui a parlare con un sospettato di omicidio? Mi dici che devo fare con te?” si arrese alla fine l’uomo.
“Amarmi alla follia sempre e comunque dato che sono tuo figlio?” cercò di fare il simpatico il castano.
“GENIM STILINSKI! Tu ora fili a casa e non ne uscirai fino a quando non avrai intenzione di dirmi cosa diavolo stai architettando” e rivolgendosi ad un collega “Per favore Jordan, accompagnalo a casa”
“Papà!” si lamentò il giovane tentando di impietosirlo senza risultati apprezzabili, ma Derek da dentro l’auto non poteva credere a ciò che aveva appena sentito. Quel nome, proprio quel nome, che aveva inciso indelebile nei suoi ricordi e che negli ultimi anni era stato soffocato prima da Kate, poi dal dolore e dal senso di colpa, ora ritornava prepotentemente a galla.
Quel bambino che aveva giurato di proteggere e quel ragazzino logorroico erano la stessa persona.
Alla fine, come gli aveva predetto la madre, era stato Genim stesso a trovare lui.
 
Da quel giorno, iniziò a gravitare attorno ai due ragazzi, senza neppure rendersene conto, decidendo poi di sfruttare a proprio vantaggio il fatto che il moro – che aveva scoperto chiamarsi Scott – fosse stato morso da un fantomatico e misterioso Alfa, proponendosi come guida o insegnante, anche se Derek riteneva di non essere in grado di ricoprire nessuno dei due ruoli.
Trovava difficile non focalizzare in modo costante la sua attenzione sull’altro adolescente, che chissà per quale motivo ora rispondeva al nome di Stiles, e infatti spesso si ritrovava a ignorarlo in modo talmente forzoso da risultare ridicolo.
Il moro annaspava in una situazione del tutto nuova per lui. Non sapeva cosa fare e soprattutto non aveva la benché minima idea dell’eventualità che Genim sapesse chi lui fosse oppure no.
Il licantropo avrebbe, da un lato, voluto parlargli e raccontargli tutto, ma dall’altro era terrorizzato dalla possibilità che l’intera questione si trasformasse nell’ennesima debolezza che avrebbe trovato la via per distruggere quel poco che di lui rimaneva.
Così i giorni passavano e i casini – sempre più grandi – si susseguivano senza che Derek avesse capito come fosse meglio agire e Stiles finiva con l’essere sempre più spesso in pericolo, vuoi per negligenza sua, vuoi per la scarsa lungimiranza dell’amico.
 
Dopo omicidi, inseguimenti – mai che i cacciatori si facessero gli affari propri quando serviva – e il ritorno inaspettato e per nulla gradito di Kate, Derek finalmente trovò il punto di svolta dell’intero enigma proprio grazie al ragazzino impertinente.
 
Quello che pensava sarebbe stato tempo perso, si rivelò essere per merito di una trovata improvvisata di Stiles un nuovo punto di partenza, con l’aiuto di un compagno di scuola venne infatti alla luce lo strano luogo di origine del messaggio che poche sere prima aveva attirato Allison, Lydia e Jackson in trappola: tutto era partito dall’ospedale di Beacon Hills.
Dandosi del cretino e snudando le zanne, Derek dovette a malincuore convenire che l’unico essere che in quel posto avesse una qualche connessione con lui era lo zio che pensava fesse in stato vegetativo.
Ricordava ancora quando, poco tempo prima aveva mostrato a Scott di cosa fossero capaci i cacciatori proprio portandolo a trovare Peter, il quale non aveva dato il minimo cenno di essere cosciente della loro presenza in quella stanza.
Purtroppo doveva accettare l’idea di essere stato preso in giro e ferito quasi a morte dall’unico parente che gli restava.
Dopo un allegro siparietto in camera di Stiles, durante il quale il ragazzo aveva rischiato un mezzo infarto a causa della totale mancanza di rispetto che il licantropo aveva per lo spazio personale altrui e l’abitudine a rimanere a torso nudo, vista l’elevata temperatura corporea, lupo e umano lasciarono la casa dello sceriffo, per dirigersi al nosocomio.
Lungo la strada il silenzio si insinuò tra i due occupanti della Jeep e fu all’ultimo istante possibile che Derek ordinò al liceale di svoltare dall’interstatale e inoltrarsi lungo la strada che perdendosi nel bosco conduceva alla sua diroccata abitazione.
Parcheggiata l’auto sullo spiazzo che distava solo qualche centinaio di metri da casa Hale, il moro scese senza proferire parola alcuna, sperando che la curiosità che aveva, da sempre, fissa dimora in Stiles lo spingesse a seguirlo e così fu.
Il mannaro non rispose a nessuna delle domande che lo bersagliavano passo dopo passo, sicuro che quello fosse il modo più semplice e sicuro per stimolare l’altro a non perderlo di vista. Arrivati a pochi passi dalla veranda, Derek si fermò improvvisamente – e Stiles accorgendosene troppo tardi finì inesorabilmente con l’andar a sbattere il naso contro la schiena di questo – e senza voltarsi parlò “Non so cosa potrebbe succedere arrivati all’ospedale, Peter è pur sempre un Alfa, quindi ben più forte di me, per questo voglio che tu veda una cosa” e senza attendere oltre riprese a camminare verso l’ingresso con alle calcagna il piccolo umano.
 
Stiles non aveva saputo ribattere alle poche e lapidarie parole di Derek, pareva avesse davvero paura di scontrarsi con lo zio e il liceale non riusciva a immaginare cosa potesse esserci di così importante da dover essere mostrato proprio in quel momento e salendo le scale sgangherate che portavano al secondo piano, i più assurdi pensieri presero forma nella sua mente.
Giunti in cima alla scalinata, Derek voltò a destra infilandosi sicuro nella prima porta che si apriva sul pianerottolo.
Quando anche Stiles oltrepassò la soglia di quella camera, nella penombra che oramai tingeva l’aria, vide il moro accucciato sul pavimento, senza comprendere immediatamente cosa diavolo stesse combinando.
“Derek” tentò di attirarne l’attenzione, ma questo non lo degnò minimamente, continuando a trafficare con le assi del pavimento, fino a che riuscì a divellerne uno, che a causa del fuoco che in parte lo aveva divorato, si spezzò tra le mani del lupo e venne con forza scagliato lontano.
Seguendo la traiettoria dei pezzi di legno, Stiles si distrasse per alcuni attimi e quando riportò gli occhi sul suo compagno di viaggio, lo vide in piedi intento a cercare di pulire una piccola scatola di latta tutta ammaccata e annerita.
“Voglio che tu veda questo” la sua voce tagliò il silenzio che regnava e seguendo il cigolio metallico Stiles fissò con trepidante attesa le mani del maggiore.
Senza più proferire verbo, Derek allungò il braccio stringendo tra le dita un pezzo di carta – o almeno così pareva – attendendo che il figlio dello sceriffo lo prendesse.
Stiles sfiorò coi polpastrelli ciò che l’altro gli stava offrendo e avvicinandosi alla finestra così da sfruttare tutta la poca luce rimasta, si apprestò ad aprire quel piccolo rettangolo ingiallito.
 
Non poteva credere a quanto i suoi occhi si ostinavano a mostrargli: una fotografia e in essa due bambini. L’adolescente si rivide in quel neonato e lo stupore dilagò nei suoi occhi, velandoli, quando la sua mente dedusse che il bambino che lo stringeva a sé altri non fosse che quel lupo lunatico che gli aveva da qualche tempo invaso la vita.
Ricordava perfettamente di avere una foto uguale nel proprio album, a casa, anche se in uno stato di conservazione decisamente migliore e gli vennero d’un tratto in mente tutte le volte in cui la madre gli aveva narrato di questo ragazzino che la andava a trovare in ospedale, senza però mai dirgli il suo nome.
Ora a distanza di anni veniva a scoprire che colui che la madre diceva essere stato il suo primo amico, o a volte addirittura il suo angelo custode, fosse Derek Hale.
“Ma… allora eri tu” balbettava Stiles senza riuscire a concludere dignitosamente una frase “e da quando lo sai?”
“Da quando tuo padre mi ha arrestato dopo la morte di Laura. Io pensavo ti chiamassi Stiles e quando invece lo sceriffo ha usato il tuo vero nome, subito dopo averti tirato fuori dall’auto della polizia, ho capito che eri tu”
“Perché non me lo hai detto prima?”
“Pensavo che tu non sapessi nulla di tutto questo. Come potevo sapere cosa tua madre avesse fatto dell’altra foto? Ma adesso, non ho idea di cosa possa accadere dal momento in cui entreremo in quell’ospedale e ho voluto rischiare”
“Rischiare?”
“Sì, rischiare di fare la figura del cretino che ancora si ricorda di una stupida foto e dei due giorni in cui ha passato un po’ di tempo con te. Non puoi sapere quanto ho cercato quel bambino”
“Io ero convinto fosse una favola che mi raccontava mia madre per tirarmi su di morale quando tornavo da scuola triste perché nessun bambino voleva giocare con me. Quando ero piccolo era difficile starmi dietro: parlavo sempre troppo e iniziavo dieci giochi contemporaneamente senza poi concluderne nessuno. Per questo ero sicuro che avesse inventato un amico immaginario appositamente per me”
Alzando il capo, l’adolescente trovò Derek più vicino di quanto non ricordasse e abbozzando un sorriso, tornò a guardare quella piccola polaroid sgualcita e anche un po’ fusa dal calore a cui era stata sottoposta anni prima.
“È meglio che tu ora torni a casa e vedi di restarci” se ne uscì ad un tratto il moro.
“Perché? Pensavo avremmo svelato il mistero”
“No, è troppo pericoloso per te. Se quello che penso si rivelerà reale, avrò da affrontare qualcosa di molto potente e forte, non voglio che tu venga coinvolto”
“Se ti fosse sfuggito, sono coinvolto dal momento in cui Scott è stato morso”
“Non mi importa, ho promesso a tua madre che”
“Che cosa?” domandò sbalordito nel sentire l’altro parlare della sua mamma.
“Che ti avrei protetto, le ho giurato che lo avrei fatto”

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Capitolo 5
*** Io rido in faccia al pericolo ***


Cap. 5
“Io rido in faccia al pericolo”
 
“Non provare a lasciarmi fuori dai vostri casini” osò puntando il dito contro il lupo “Ora facciamo finta che questa deviazione non sia mai avvenuta, risaliamo in auto e andiamo in ospedale. Se sopravvivremo, ne riparleremo” 
“No” ringhiò con tono che voleva essere il massimo del minaccioso che il lupo era in grado di raggiungere, ma Stiles essendoci oramai abituato non si fece spaventare più di tanto.
“Sì invece, la macchina è mia e guido io, poi per non destare troppi sospetti entro io, posso sempre fingere di essere lì per parlare con la madre di Scott”
“Non se ne parla, tu non entrerai da solo, non sappiamo neppure chi o cosa potresti trovare”
“Non rompere, io sono la mente, tu il braccio e tutto il resto di muscoli di armamentario, quindi io decido. Forza andiamo” e senza attendere oltre, si incamminò giù per le scale e poi fuori dalla casa, con la fotografia stretta nella mano chiusa e affondata nel giubbotto.
Nell’abitacolo regnava un insolito silenzio, Derek avrebbe voluto urlare e minacciare in modo da costringere l’altro a rimanere rintanato nella Jepp, ma al tempo stesso sapeva che sarebbe stato tempo perso.
 
Stiles aveva una dannata paura di entrare in quel posto, ma sapeva fosse la via più logica e, deciso a dare una mano, si impose di non pensare, spegnere il cervello e concentrarsi sulla guida.
Arrivati nel parcheggio a pochi metri dalla porta a vetri dell’ospedale, il liceale strinse istintivamente le dita sul volante, rilasciando un profondo sospiro.
“Non devi farlo se non” tentò un ultimo attacco il lupo.
“Non vorrei farlo, ma lo farò. Tu aspetta qui, appena sono dentro ti telefono” non attese risposta e saltò giù dall’auto.
 
Derek fissava in modo insistente il dispay ancora buio del suo cellulare, attendendo che si illuminasse e dopo un paio di minuti avvenne.
Stiles aveva superato indenne il punto informazioni, dove oramai, quale amico di Scott, era conosciuto e quindi mai fermato e si stava districando tra i mille corridoi del piano lunga degenza alla ricerca della camera di Peter Hale.
Dopo aver letto su una tabella appesa al muro, che si trovava all’iniziò dell’ennesima curva, il nome di colui che stava cercando, chiamò Derek.
“Ci sono, pochi metri e sarò nella sua stanza. Ora dimmi la verità: è meglio che io lo trovi o che io non lo trovi?”
“Cerca di calmarti, riesco a sentire il tuo cuore battere impazzito anche attraverso il telefono. Non so quale delle due sia l’alternativa migliore, comunque limitati a dare una sbirciata e dimmi”
Il castano si apprestò a fare quanto gli era appena stato detto e mantenendo aperta la comunicazione, si portò davanti alla porta aperta e alzando gli occhi perlustrando la camera avvolta nella penombra, constatò che era desolatamente vuota.
Diede immediatamente questa informazione a Derek che con un panico mai sentito nella propria voce gli urlò di scappare via.
 
Peter Hale era l’Alfa assassino che stavano cercando.
 
Le parole del moro giunsero solo in parte a destinazione, perché la comparsa dello stesso zio lo spaventò così tanto da fargli cadere di mano il cellulare.
Indietreggiando verso l’uscita, Stiles sgranò gli occhi confuso dalle opposte speranze che albergavano in lui, da un lato pregava che Derek giungesse in suo soccorso, dall’altro anelava che si salvasse fuggendo lontano da quel pazzo, ma tutto finì in secondo piano nel momento in cui Peter con una, all’apparenza innocua, manata lo spinse con forza contro il muro, facendolo poi scivolare a terra.
Cercando di evitare che il proprio viso si scontrasse con il pavimento, il liceale buttò le mani avanti e a causa di quel gesto un piccolo rettangolo di carta ingiallita sfuggì alla sua presa, svolazzando allegramente accanto a lui.
L’Alfa seguì con lo sguardo il lento cadere del foglietto e muovendosi rapido lo agguantò ancora prima che toccasse terra e se lo portò con attenzione davanti al naso.
Un rauco e ruvido ringhio arrivò dal corridoio e un attimo dopo Derek balzò tra i due presenti, portandosi davanti a Stiles sfoderando unghie e zanne in direzione del parente.
“Ciao Derek” salutò cortesemente il maggiore continuando a scrutare l’immagine che stringeva tra le dita come a voler richiamare alla memoria qualcosa che sapeva di conoscere e d’un tratto spalancando gli occhi riprese “Ora mi ricordo! Il tuo piccolo umano… dannazione quanto hai rotto le scatole all’intero branco per riuscire a trovarlo! E così alla fine ce l’hai fatta. Beh, un po’ di merito deve essere riconosciuto pure a me, se non avessi morso il suo amico, non avresti mai prestato loro un briciolo di attenzione Mister Scorbutico”
 
“Non tentare di giustificarti in alcun modo” ringhiò il beta abbassandosi sulle gambe leggermente piegate e allargando le braccia in posizione di attesa.
Pronto all’attacco o alla difesa del suo umano se le circostanze lo avessero richiesto.
Purtroppo Peter, pareva ancora malconcio ma era solo apparenza e infatti non appena i due licantropi si scontrarono, Derek dovette convenire che lo zio fosse in realtà nel pieno della propria forza di lupo e di Alfa.
Si rese conto troppo tardi di quanto Stiles fosse in pericolo e urlandogli contro in un attimo di tregua, lo costrinse alla fuga anche se ben visibile sul suo volto erano il desiderio di rimanere e forse l’ansia di saperlo in pericolo, ma decidendo di fidarsi di lui, il liceale obbedì e dopo che Derek gli ebbe liberato la strada dall’inquietante infermiera, corse all’auto e poi dritto filato a casa propria.
 
Mordicchiandosi le unghie e facendo avanti e indietro dal letto alla scrivania, Stiles stava letteralmente consumando il pavimento. Era preoccupato. Erano passate due ore da quando aveva abbandonato l’ospedale e pur avendo immediatamente sguinzagliato Scott, nessuna notizia gli era giunta.
L’amico lo trovò così, nel bel mezzo dell’ennesimo andirivieni che lo portava a raggiungere il tavolino da cui proveniva l’unica luce della camera: lo schermo del laptop.
Sentendo l’abituale rumore del legno scricchiolante dell’infisso, prova del fatto che qualcuno stesse tentando di scavalcare la finestra, Stiles voltò il capo e titubante chiamò “Derek?”
“No, sono”
“Ciao Scott, novità? Hai idea di cosa diavolo stia succedendo e del perché quello scemo di un lupo non risponda al cellulare?” lo travolse con furia il castano.
“Non so nulla. Sono passato dall’ospedale e c’era solo il caos che quei due si sono lasciati alle spalle, a casa di Derek non ho trovato nessuno. Quindi non posso rispondere a nessuna delle tue domande”
“Dannazione”
“Da quando in qua sei così in pena per lui? Mi sono perso qualcosa?” buttò lì il moro lasciandosi cadere con malagrazia sul letto.
“Da quando…” iniziò a dire in modo automatico il liceale, fermandosi però immediatamente riflettendo sul fatto che forse quel lupone scontroso non aveva nessuna voglia di far conoscere i fatti propri ad altri, considerando che era stato restio addirittura ad informare lui, diretto interessato e così, deviando in corso di risposta, continuò “Non lo so da quando? Sarà l’essermi imbattuto in quel pazzo psicotico dello zio e toccare con mano che fosse in grado di sbatterlo a terra come fosse un bambolotto”
Scott parve soddisfatto e portando le mani all’indietro a poggiarsi quasi al centro del materasso, con una preoccupazione differente da quella del padrone di casa, riprese “Allora abbiamo davvero a che fare con qualcuno di più pazzo, più forte e più lupo di Derek? Questo sì che è un enorme problema”
Non sapendo che dire, entrambi se ne stettero in silenzio, sino a che Scott non sentì l’incipit ancora sussurrato della propria suoneria e sfilando il telefono dai pantaloni, si stupì nel constatare che la chiamata giungesse proprio dal licantropo.
“È Derek” e in automatico rispose “Ciao, si può sapere che stai facendo e dove sei finito?”
Stiles attese, martoriandosi le unghie, che l’amico gli comunicasse la parole di Derek e non appena questo chiuse la conversazione, gli fu addosso.
“Allora? Dov’è? Sta bene? Ha bisogno di qualcosa? È ferito? No, in teoria anche se lo fosse starebbe già guarendo”
“Stiles, zitto un attimo se vuoi che ti risponda” e ottenuta una tregua, riprese “Penso stia bene e mi ha detto di raggiungerlo al campo da lacrosse, quindi ora vado e al ritorno ti dirò”
“No, tu ora aspetti, io mi infilo le scarpe e poi andiamo, così saprò tutto di prima mano”
“Scordatelo, può essere pericoloso”
“AH! Io rido in faccia al pericolo” lo sbeffeggiò infilandosi le snickers e agguantando le chiavi della Jeep.
Scott abituato da anni a non contraddirlo, anche perché consapevole fosse del tutto inutile, lo seguì giù dalle scale e poi si sedette comodamente al suo fianco.  
 
Giunti in prossimità dello spazio erboso illuminato a giorno, Stiles vide nel buio del lato opposto baluginare due paia di occhi non umani: uno apparteneva a Derek ed era di un blu abbagliante, il secondo, che gli incuteva a pelle una fottuta paura, era rosso come il sangue.
“Scott, forse avrei fatto meglio a seguire il tuo consiglio. Cosa diamine ci faccio qui?” piagnucolò il liceale e con l’amico si fermò nel bel mezzo della zona illuminata.
Derek e l’Alfa avanzarono lentamente permettendo ai fari di mostrare i loro volti e, arrestandosi ad alcuni metri dai due ragazzi, attesero.
Sfoderando un coraggio che non pensava di avere, Stiles parlò “Cosa ci fai con lui? È un assassino“
“È mio zio, è il mio Alfa ed è anche l’unica speranza di fermare i cacciatori” rispose il nato mannaro in modo completamente asettico e monocorde.
“Scott” si intromise l’uomo “mi appartieni. Avendoti morso, sei un mio beta e mi devi obbedienza”
“Mi dispiace, ma sono lo stereotipo dell’adolescente ribello, non ubbidisco facilmente, men che meno a te”
Urtato e arrabbiato per la risposta ricevuta, l’Alfa si spinse in avanti con velocità altissima e all’ultimo deviò i suoi movimenti ritrovandosi a stringere con una sola mano la gola di Stiles, arrivando a sollevarlo di parecchi centimetri dal suolo.
“Forse, Scotty  vuoi rivedere, sotto una nuova luce, l’ultima tua?”
“Lascialo stare, bastardo” mostrò istantaneamente le zanne l’amico, vedendo scattare al proprio fianco anche Derek.
“Mettilo giù” ringhiò il beta dagli occhi blu abbassando il suo baricentro, pronto all’attacco.
“Stai calmo nipote, è tutto nelle tue adorabili mani: fai un passo avanti e gli spezzo il collo. Resta dove sei e rinfodera gli artigli e forse vedrà l’alba di domani”
Entrambi i beta dovettero cedere.
La vita di Stiles era drammaticamente in gioco e la stabilità dello stato emotivo di Peter era assai labile, per questi motivi arretrarono visibilmente.
L’aria tornò a circolare, anche se inizialmente in modo difficoltoso, nei polmoni del piccolo nell’istante esatto in cui quella morsa – costituita dalle dita dell’Alfa – allentò la presa e il proprio corpo stramazzò al suolo.
“Bene” riprese Peter “ora che abbiamo un accordo, possiamo parlare. Scott dobbiamo individuare i cacciatori ed eliminarli”
“No, scordati pure che io ti aiuti a commettere uno o più omicidi”
“Vuoi che torni a giocare con la gola del tuo amico? No? Allora non ti resta che assecondarmi. Ora fai il bravo e permettimi di mostrarti una cosa” facendosi prossimo, arpionò la nuca di Scott e, permettendo solo ad un artiglio di allungarsi prendendo forma ferina, lo ferì.

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Capitolo 6
*** Alleati? ***


Cap. 6
“Alleati?”
 
Il beta si accasciò a terra, incapace di affrontare il dolore acuto e profondo che lo stava attraversando con la forza di una scarica elettrica e piegato nell’animo dalle immagini che avevano iniziato a scorrere nella sua mente.
 
Vedeva lingue di fuoco fendere il buio e sullo sfondo il profilo di una casa.
Grida e terrore permeavano l’aria almeno con la stessa intensità del fumo che saliva in lente spirali verso il cielo.
Mani piccole e grandi si levavano confidando in un aiuto che non sarebbe mai arrivato in tempo.
 
Così come erano arrivati, quei flash sparirono, lasciando Scott svuotato e senza forze, ancora inginocchiato a breve distanza dall’amico che, a terra, lo fissava preoccupato, mentre Derek fattosi prossimo al castano cercava di sincerarsi fosse ancora tutto intero.
A un paio di metri Peter attendeva silenzioso, tamburellando i polpastrelli gli uni sugli altri, che il suo operato giungesse al termine e quando si rese conto che il suo beta era tornato in sé, si rivolse a lui “Allora visto qualcosa di interessante?”
“Che cosa mi hai mostrato?”
“Oh, niente di che, solo la notte in cui la vita mia e di mio nipote è tragicamente andata a puttane”
Gli occhi verdi e profondi di Derek lasciarono per un attimo Stiles saettando rabbiosi verso il parente.
“Perché lo hai fatto?” lo interrogò ancora il liceale.
“Per farti capire chi sono realmente i cacciatori e fino a dove sono in grado di spingersi pur di perseguire la loro folle caccia alle streghe. Hai visto ciò che hanno fatto. Hanno dato fuoco a una casa piena di persone, di bambini. C’erano i miei bambini in quel seminterrato!” terminò urlando, ringhiando e facendo baluginare di rosso le iridi.
 
Mentre l’Alfa e il suo beta disquisivano, Stiles si voltò verso il moro perché aveva avvertito il suo corpo irrigidirsi e tendersi alle parole di quel pazzo e non appena i suoi grandi occhi marroni trovarono il viso di Derek, la tristezza che vi lesse si impadronì anche di lui.
“È tutto vero?” mormorò alla volta del licantropo e questo mestamente, tagliando fuori tutto ciò che fosse loro due, annuì.
“C’erano davvero dei bambini?” chiese turbato e con le lacrime che facevano capolino agli angoli degli occhi.
“C’erano bambini licantropi e non, adolescenti e adulti”
“Non licantropi?” si intromise Scott “Perché mai? Cosa diavolo stavate combinando?” insinuando che il pack avesse per chissà quale oscuro motivo dei prigionieri umani.
“Che cosa ci fa Stiles nei tuoi casini quotidiani? Perché ora è qui e una manciata di minuti fa ha rischiato la vita? Noi lupi abbiamo degli amici sai!” chiosò in tono sarcastico Derek.
“Quello che mio nipote sta, gentilmente, cercando di farti capire, è che così come sta succedendo al qui presente signor Stilinski, vi è sempre attorno a un branco una componente umana. Possono essere amici, parenti dei membri che sono stati morsi o familiari non mannari, sai non ci accoppiamo solo tra mutaforma. Io ho perso mia moglie e le mie due bambine. Derek ha perso entrambi i genitori e una sorella minore”
“Ok, è stata una tragedia, ma come fai ad essere sicuro che sia legata ai cacciatori” indagò Scott.
“Me lo sentivo di aver morso quello scemo” borbottò Peter massaggiandosi la fronte “Hai presente i cadaveri che mi sono lasciato alle spalle? Bene! Non li ho scelti a casaccio, stavo indagando, in un modo forse poco ortodosso, ma comunque alla fine ho scoperto che tutto portava ad una ragazza che aveva posto mille domande sulle dinamiche degli incendi e su come far si che una volta appiccati, divampassero senza possibilità di essere domati. Questa giovane donna indossava un particolare ciondolo che mi ha ricondotto a un clan di cacciatori in particolare”
“E allora?”
 
Stiles perse di nuovo la concentrazione sulla discussione, che per quanto importante, non valeva la millesima parte del bisogno che sentiva di sincerarsi che Derek stesse bene.
Peter aveva appena messo in piazza con nonchalance i loro lutti e il piccolo conosceva bene cosa volesse dire perdere qualcuno. Non poteva e non voleva neppure immaginare cosa si potesse provare nel non avere più nessuno o quasi da un momento all’altro.
Se lui avesse perso anche suo padre, non avrebbe di certo retto.
Strusciando sull’erba si portò davanti al moro e costringendolo a sollevare il capo cercò di scorgere nel suo sguardo il suo stato d’animo.
“Tutto ok? O almeno vagamente ok?” cercò di sorridere, piegando verso l’alto un angolo della bocca, ma riuscendo solo a disegnare un insolito e distorto ghigno.
“Niente che non sia in grado di gestire” e mettendosi in piedi, richiamò l’attenzione di Peter “Gli hai detto quello che volevi sapesse” parlando dell’altro beta “ora andiamo”
“Quanto sei frettoloso, nipote. Non ti andrebbe di fare una bella chiacchierata con il tuo ritrovato amichetto d’infanzia?”
A quelle parole Scott, alzatosi a fatica, fece correre lo sguardo da Derek a Stiles, non capendo di cosa stessero parlando “Amico, che diavolo sta dicendo?”
“Lascia stare, te ne parlo poi” tagliò corto l’unico umano presente.
 
Derek si allontanò di un paio di passi, senza rivolgergli più neppure un’occhiata e affiancando l’Alfa diede le spalle ai due adolescenti, sperando di convincere così lo zio a seguirlo.
Questo però aveva altri piani e muovendosi in modo diametralmente opposto, si portò di fronte a Stiles che spaventato cercò di indietreggiare, cosa che gli fu impedita dalla mano dell’Alfa che, come una morsa, si serrò sul suo braccio, facendolo gemere dal dolore.
“Stiles, so di aver fatto molto probabilmente un terribile errore di valutazione, che ne dici di entrare a far parte della famiglia? Potrei morderti anche adesso”
Due ringhi fendettero l’aria.
I due beta si erano mossi all’unisono, trasformandosi e abbassandosi sulle ginocchia in posizione di possibile attacco.
“Oh ma quanto rompete! Ho solo fatto una domanda” sbottò Peter lasciando andare il ragazzo che si allontanò rapido.
“E perché mai non l’hai fatta anche a me quella domanda?”
“Ero trasformato, un po’ fuori di me e tu stavi ficcanasando dove non dovevi. Fidati, potessi tornare indietro non lo rifarei, non fai che piangerti addosso come una mammoletta. Per non parlare del fatto che ti sei preso una cotta per l’unica discendente di una famiglia di cacciatori, in assoluto un pessimo cliché. Non che sia la prima volta, vero Derek? Ora vado, ho da fare. Ci faremo sentire noi”
 
Scott aveva continuato a ringhiare, oltre al danno pure la beffa: era stato trasformato in quello che per lui a tutti gli effetti era un mostro e poi gli veniva detto che sceglierlo non era stata una grande idea.
Il suo cuoricino stava dannatamente soffrendo, ma soprassediamo su tale inutile e noiosa circostanza, tornando a elementi più interessanti.
 
Il castano, maledetta la sua boccaccia, richiamò l’attenzione di entrambi i licantropi “Aspettate, non potete venire qui, minacciarci, cercare di uccidermi, vomitarci addosso il vostro passato senza darci poi una spiegazione o un motivo”
“Vuoi un motivo?” si volse per l’ennesima volta il mannaro più anziano “Abbiamo bisogno di aiuto. Siamo solo noi due” indicando se stesso e il nipote “e io voglio vendetta. I cacciatori si muovono in squadroni, non avremmo nessuna speranza di sopravvivere, ma forse con il suo aiuto” rivolgendosi con un’alzata di mento a Scott “e la tua testolina macchiavellica al nostro fianco potremmo”
“Potreste fare un’altra strage?” osò interromperlo Stiles aprendo davanti a sé le braccia con fare incredulo e cercando poi gli occhi di Derek alle spalle dello zio “E tu sei d’accordo? Vuoi metterti ad ammazzare delle persone?”
“Non cercare di fare presa sulla sua coscienza sfoderando le tue doti da cucciolo sperduto. Avrete anche scoperto questa cosa” facendo i segni delle virgolette con le dita “che vi lega, ma lui è e rimane prima di tutto un beta del mio branco e mi deve obbedienza. Andiamo” ringhiò l’ultima parola proprio al nipote e prima che il ragazzo potesse replicare, i due erano già spariti nella boscaglia.
 
Stiles urlò dalla frustrazione e battendo i piedi a terra, abbandonò il campo e si diresse verso la Jeep.
Scott lo seguì a ruota “Ehi, calmati e fammi capire di cosa parlava quel pazzo?”
“Ma niente, è pazzo, lo hai detto pure tu” tergiversò il castano salendo in auto e mettendo in moto.
“Stiles, non prendermi per il culo anche tu, per favore”
Messo alle strette e sentendo lievitare a dismisura quel groppo in gola che non voleva saperne di sciogliersi, decise di accostare sul ciglio della strada e confidarsi con il compagno di scuola.
“Ricordi che da piccolo a volte quando ero triste mi pavoneggiavo di avere un amico grande e fortissimo?”
“Sì, l’amico immaginario creato da tua madre” rispose Scott facendogli segno di continuare.
“Beh, non era per nulla immaginario, era semplicemente… Derek”
“Derek?” ripeté scioccato il moro.
“Sì, io ero appena nato e lui era in ospedale e per un paio di giorni, come mi aveva raccontato la mamma, era venuto a trovarmi”
Scott, slacciatasi la cintura di sicurezza, si sedette in modo da guardare il guidatore “Sei certo che non fosse solo un modo per cercare di conquistare la tua fiducia anche in vista dell’incontro di poco fa con Peter?”
“No, non può essere. Quando me lo ha detto, ancora non sapevamo che suo zio fosse l’Alfa assassino e poi, poi aveva una foto uguale alla mia, quella in cui un bambino che non conosco mi tiene in braccio. La foto scattata da mia madre. Non può essersi inventato tutto. È lui, è davvero lui” si infervorò il castano gesticolando per quando l’abitacolo della sua piccola gli permettesse e accalorandosi tanto da divenire paonazzo.
“Calmati Stiles, il tuo cuore sembra un rullare di tamburi impazziti, se continui così ti verrà un attacco” cercò di calmarlo l’amico e dopo alcuni respiri più profondi del normale, il battito rallentò fino a tornare quasi normale.
 
Il primo a parlare su il beta “Quindi ricapitolando: Derek è il tuo amico segreto che pensavi non esistesse, che si è rivelato alcune ore fa e che ora fa comunella con quello che mi ha reso un mostro e che per di più è matto da legare e sta organizzando una strage che coinvolgerà la famiglia della ragazza che amo”
“Non sapevo avessi il dono della sintesi arguta e ironica?” cercò di sdrammatizzare Stiles “Comunque hai inquadrato la realtà”
“Quello che vorrei sapere è se quello che hai scoperto oggi influirà su di te e sul tuo punto di vista. Cosa pensi di fare con Derek?”
“Bella domanda. Ad essere sincero, posso solo dirti che voglio conoscerlo per davvero e non limitarmi a tremare come una foglia ogni volta che lo incontro e poi voglio parlargli e cercare di capire se davvero ha intenzione di seguire il volere dello zio”
Il viaggio riprese in silenzio e dopo aver lasciato Scott a casa, si diresse indisturbato fino alla propria.
Salutato il padre, spaparanzato davanti alla TV, salì le scale per rifugiarsi in camera, desiderando solamente mettere la parola fine a quell’assurda giornata.
Si gettò, incurante del caos che regnava nella stanza, a peso morto sul letto, fino a che lo sceriffo non bussò alla sua porta.
“Figliolo, ci sono visite per te”
Raggiunto l’ingresso, il padre gli fece cenno di seguirlo in soggiorno e lì, proprio al centro del divano, stava seduto rigido e serio Derek. 

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Capitolo 7
*** Spalle al muro ***


Cap. 7
“Spalle al muro”
 
“Figliuolo” chiamò lo sceriffo per riportare su di sé l’attenzione di Stiles.
Prima che l’uomo potesse continuare, il ragazzo si rivolse al lupo “Derek, che cosa ci fai tu qui?”
Il moro non rispose, facendo cenno con il capo verso il padrone di casa che ancora attendeva che il minore lo prendesse in considerazione.
“Potresti spiegarmi questa?” riprovò il padre e facendo un passo nella sua direzione sventolò davanti al suo viso la fotografia sgualcita dei due bambini, ad essere precisi, la copia di Derek.
“Te l’ha ridata” constatò Stiles stringendo tra le dita l’immagine e alzando gli occhi finalmente verso il padre e decidendosi a rispondergli “Papà, ricordi che la mamma parlava di un bambino che la andava a trovare quando era in ospedale per me?”
“Sì, certo, anche se io non l’ho mai incontrato”
“Beh, era lui. Era Derek” confessò in un respiro il liceale.
“Stai scherzando? Lui? Quello che ho interrogato per la morte di quella povera ragazza?”
“Sì, quello che hai poi anche scagionato” cercò di far guadagnare punti al mannaro che in silenzio attendeva il concludersi di quel piccolo battibecco.
“E l’hai scoperto solo ora?” si decise a domandare James, dato che voleva assolutamente vederci chiaro.
“Me lo ha detto poche ore fa, anche se lui lo sapeva da un po’”
“E perché hai aspettato ragazzo?” chiese lo sceriffo rivolgendosi per la prima volta a Derek e attendendo un responso.
“Ho capito che fosse lui, solo il giorno in cui mi ha prelevato da casa per condurmi in centrale. Era arrabbiato perché suo figlio era presente e ha usato il suo vero nome per riprenderlo e lì ho scoperto la verità. Tutto ciò che conoscevo di quel neonato era il nome con cui lo chiamava la madre: Genim, ma non ho mai trovato nessuno che portasse un nome del genere” spiegò con la calma – quasi freddezza – che lo contraddistingueva.
“Ciò non spiega il passare del tempo, cosa vuoi ora da lui?” lo interrogò ancora l’uomo che manifestava il tipico atteggiamento di chi vuol proteggere con tutto se stesso ciò che gli sta più a cuore.
“Ho aspettato… non so perché ho aspettato. Forse avevo paura che non sapesse nulla di me, che sua madre mi avesse dimenticato e non gli avesse mai raccontato di me”
Un piccolo sbuffo provenne dallo sceriffo e gli altri presenti nella stanza sollevarono lo sguardo su di lui che sorridendo scuoteva leggermente la testa “Eri diventato una specie di supereroe. Ogni volta che Stiles era triste o arrabbiato o deluso, la madre gli diceva che c’era questo ragazzino che lo avrebbe protetto sempre. Ricordo una volta, avrà avuto a dir tanto cinque o sei anni, in cui avevo dovuto sgridarlo per bene e gli avevo rifilato pure uno sculaccione e lui”
“Papà” sperò di fermarlo Stiles non sapendo quale ridicolo aneddoto stesse per raccontare, ma il genitore non accennò a interrompersi.
“Lui mi si è parato dinnanzi con i pugni sui fianchi e fissandomi risentito mi ha detto Lo dirò al mio amico specialissimo… e ora sei qui, no hai idea degli arretrati che dovrai smaltire”
“Io vorrei diventare per davvero amico di suo figlio” ammise Derek senza paura, ma forse con un poco di imbarazzo a velarne la voce “me lo permetterà sceriffo?”
“Penso che non sia compito mio concedere o negare una cosa del genere e ora se non vi dispiace vorrei vedere il film western in programmazione alla TV. Voi potete andare a chiacchierare di sopra”
 
Spiazzati dalla tranquillità con cui l’uomo pareva aver reagito, i due ragazzi rimasero immobili senza dar cenno di aver compreso fino in fondo le parole del padrone di casa, che immediatamente si fece sentire ancora “Forza fuori” e accendendo il televisore sprofondò nel divano.
Stiles fece strada, attendendo che Derek lo seguisse su per le scale e poi nella sua stanza e arrivati a destinazione, il giovane si sedette in silenzio in fondo al letto.
Il moro rimase in piedi a pochi passi da lui e in rigoroso silenzio, fissandolo in attesa che parlasse, perché sapeva lo avrebbe di certo fatto per primo e così accadde, anche se il lupo di sicuro non si aspettava quel tono.
“Cosa ci fai qui?” chiese trattenendo a stento l’irritazione che lo stava divorando.
“Dovevo” provò a rispondere il maggiore, ma venne interrotto, come se Stiles non si fosse neppure accorto che avesse aperto bocca.
“Hai idea di… no, certo che non ce l’hai! Dannazione Derek! Peter? Davvero? Sono arrabbiato come non ricordo di essere mai stato. Mi spieghi perché stai con lui? È pazzo ed è un assassino, no, anzi è un pazzo assassino”
“Lo so, ma” ritentò il moro.
“Non ti azzardare a dire È l’unico parente che mi resta” e non resistendo più scattò in piedi e, portandosi a un soffio da Derek, quasi lo minacciò “Se pensassi di avere la speranza di non distruggermi le nocche, ti prenderei a pugni” grugnì dalla frustrazione e, passandosi le mani avanti e indietro sui capelli, il respirò si ruppe in mille frammenti facendo accelerare l’alzarsi e l’abbassarsi del suo petto, nonché il battito del suo cuore.
Per la miseria! Stiles sapeva perfettamente cosa preannunciassero quei segnali: gli stava venendo un attacco di panico e correndo alla finestra, la spalancò sperando che l’aria della sera avrebbe aiutato i suoi polmoni a riprendere a lavorare a un ritmo normale.
 
Il capo piegato in avanti e le mani poggiate sul piccolo davanzale, il piccolo si ostinava a tenere gli occhi chiusi cercando di isolare anche il proprio udito, come a convincersi che in camera non ci fosse nessuno a parte lui.
Il beta si avvicinò cercando di non spaventarlo ulteriormente e giunto al suo fianco, lo chiamò più e più volte, ma il liceale si ostinò a isolarsi nel suo mondo pieno fino a scoppiare del tum tum forsennato del proprio cuore.
“Stiles, stai bene?” domanda assurda visto le circostanze, ma null’altro al momento passava per la mente del lupo e come se fosse stato punto su un nervo scoperto, il figlio dello sceriffo reagì a quelle poche parole.
“Ti sembra che io stia bene? Razza di licantropo microcefalo! Certo che non sto bene. Ho paura, sono incazzato, sono preoccupato e tutto grazie a te” sbraitando, Stiles aveva sollevato il busto e aveva iniziato a picchiettare l’indice al centro del torace di Derek, rimarcando le proprie parole.
“Non devi avere paura, non gli permetterò di toccarti dovessi anche”
“Oh bene!” disse con tono esasperato “Ora pensi di scendere a patti con lui? È un mostro”
“Anche io lo sono” obiettò portando i propri occhi nei suoi.
“Non sto parlando di zanne e artigli, è la sua mente ad essere mostruosa” cercò di spiegarsi il castano.
“Lui può arrivare a chi ha massacrato la nostra famiglia” cercò di perorare la scelta compiuta di affiancarsi all’Alfa.
“Certo, seminando cadaveri dietro di sé. Pensi davvero sia una decisione giusta? Sta uccidendo innocenti” gli ricordò Stiles.
“È l’unica possibilità che ho al momento” si difese il moro.
“Non è vero, puoi continuare a  cercare una soluzione con me e Scott” ma vedendo che le proprie parole non scalfivano la convinzione del licantropo, il nervoso ebbe la meglio “Allora dimmi, se questa è la strada che hai deciso di percorrere, cosa sei venuto a fare qui? Perché hai voluto far sapere a mio padre chi sei?”
“Pensavo che”  
“Non dirmi che pensavi davvero che ti avrei appoggiato in questa follia?” spalancò le braccia Stiles, allontanandosi dalla finestra e muovendo qualche passo in giro per la camera.
“Pensavo che mi avresti concesso almeno la possibilità di spiegare, ma evidentemente mi aspettavo troppo da un banale essere umano quale sei” ringhiò alla volta dell’altro permettendo alle iridi di tingersi di blu cos’ da far arretrare ulteriormente il ragazzo.
Derek, deciso ad andarsene, posò le mani sull’infisso della finestra e sollevò una gamba per scavalcare il davanzale, ma la voce del padrone di casa non glielo permise “Fermati”
Il mannaro obbedì, colmo di speranza, che venne però delusa nell’attimo in cui l’umano continuò “Devi andartene dalla porta, mio padre sa che sei qui”
La delusione si dipinse sul volto del maggiore, ma in silenzio fece ciò che gli era appena stato detto e, uscito dalla camera, scese di sotto e congedatosi dallo sceriffo, se ne andò.
 
Stiles si sedette a terra, esattamente sotto la finestra ancora spalancata e piegate le gambe, incrociò su esse le braccia e vi poggiò la fronte, maledicendosi all’istante.
Non avrebbe dovuto urlargli contro a quel modo.
Derek era solo ed era venuto da lui, mettendosi a nudo come non mai, mostrandogli una sua debolezza o comunque un bisogno di sostegno e di appoggio che lui gli aveva ottusamente negato.
Cosa avrebbe fatto lui se qualcuno gli avesse offerto la possibilità di avere tra le mani un capro espiatorio per la morte di sua madre?
Un sorriso amaro si disegnò sulle sue labbra.
Erano tutti bravi – e lui lo era stato – a riempirsi la bocca di belle parole e sacrosanta morale, ma alla fine tutti, forse nessuno escluso, potendo, si sarebbero lasciati tentare dalla sana e antica vendetta.
Derek si era visto portare via quasi l’intera famiglia e ora gli veniva offerta l’occasione di dare sfogo alla rabbia che per anni aveva custodito in sé e alimentato facendola crescere a dismisura.
 
Questi pensieri tristi vennero interrotti da un debole bussare.
“Avanti” e il padre entrò.
“Ho visto Derek uscire e mi chiedevo se, beh, se volessi parlarne” si avvicinò lo sceriffo.
“Non c’è molto da dire. Pensavo che avremmo potuto diventare amici, ma siamo troppo diversi”
“Avete discusso?” chiese incuriosito e preoccupato al tempo stesso, visto e considerato il musetto abbattuto di Stiles.
“Sì, ma niente di che” il liceale sperò che il padre non tentasse di approfondire perché non avrebbe trovato facilmente un motivo plausibile, e fasullo, di discussione da propinargli.
“Io non so cosa lo abbia fatto scappare, ma se posso darti un consiglio, cerca di essere comprensivo e disponibile con lui, ne ha passata talmente tante” e assestandogli una pacca sulla spalla, lo lasciò al buio della sua stanza, tornandosene dai suoi cowboy.
Il ragazzino, rammaricato per tutto ciò che gli era uscito poco prima dalla bocca, raggiunse il letto e senza neppure svestirsi, si coricò.
 
Intanto in mezzo al bosco, un certo beta sfogava la collera sradicando ogni cosa che gli capitasse a tiro. Tronchi, anche abbastanza grandi, e rocce volavano attorno a lui e Peter, raggiuntolo, dovette schivarne un paio prima di poterlo avvicinare tanto da parlargli “Che ti prende nipote? Problemi con il tuo nuovo amico?”
Un ringhio poderoso e subito dopo l’intero corredo lupesco si abbatté sull’Alfa che, con un abile movimento delle braccia, come se fosse stato nulla di più che un fastidioso insetto, scansò il corpo di Derek facendolo rotolare a terra.
“Pensavo avessi imparato a contenere la rabbia, non puoi combattere come un animale. Ti serve un bel po’ di disciplina” e facendo baluginare di rosso i propri occhi si lanciò all’attacco, atterrando il beta in pochi attimi per poi rialzarsi subito dopo, riassestandosi i vestiti.
“Allora mi spieghi cosa è successo?” chiese senza ironia nella voce e incrociando le braccia al petto.
“Lui” rispose Derek mentre le zanne arretravano fino a scomparire del tutto “non vuole capire”
“Non vuole capire perché stiamo andando a caccia di cacciatori? Mi sembra naturale, è un umano e per di più parecchio intelligente, sarebbe davvero un favoloso acquisto per il mio branco”
“Non ti azzardare a toccarlo, te l’ho già detto” tornò a ringhiare il minore.
“Oh, bene, vedo che ho appena scoperto l’elemento di scambio definitivo, anche se lo avevo già intuito. Tu mi aiuterai e mi obbedirai in tutto e per tutto e io in cambio mi impegno a non sfiorare neppure per errore la pelle candida del piccolo e dolce Stiles. Affare fatto?”
Derek annuì e subito dopo sparì nel bosco.

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Capitolo 8
*** Una mossa improvvisa ***


Io adoro Peter ma, per pura necessità narrativa, ho dovuto.
Buona lettura.
 
Cap. 8
“Una mossa improvvisa”
 
La notte insonne di Stiles fu un vero e proprio incubo.
Il ragazzo passò ore a rigirarsi nel letto cercando di fare chiarezza tra i mille pensieri che affollavano la sua mente e le numerose sensazioni che gli stringevano il petto. Da un lato vi era Scott, da sempre scettico sulla possibilità di fidarsi del moro e dalla parte opposta, a sorpresa, era possibile trovare lo sceriffo che, pur avendo arrestato il rampollo degli Hale in passato, aveva consigliato al figlio di dargli una seconda occasione.
E lui?
E il piccolo e solitario Stiles che cosa avrebbe fatto?
Al momento il cuscino era schiacciato sul viso dell’adolescente, sintomo della sua frustrazione e indecisione.
Non poteva di certo negare che Derek fosse forse la persona meno brava a ispirare fiducia e quell’aspetto da bello e dannato, da tipico bad guy, non aiutava di certo, ma qualcosa dentro di lui si era spezzato quando aveva visto la fotografia che il lupo aveva conservato per tutto quel tempo.
I muri di strafottenza e risate facili, che aveva costruito per difendersi dal mondo tropo spesso ostile, si erano sgretolati come gli accadeva solo con suo padre o con Scott.
 
Stanco, arrabbiato e con due occhiaie profonde, Stiles accolse con gioia il suono della sveglia che decretava la fine di quell’infernale nottata e sedendo sul letto, si stropiccio la faccia sperando di limitare i danni e mitigare gli effetti della mancanza di sonno.
Si lavò, si vestì e con la miglior espressione da funerale del proprio repertorio, raggiunse il padre in cucina e avvicinandosi alla caraffa si verso un’abbondante tazza di caffè nero.
“Mangia qualcosa” cercò di convincerlo James, preoccupato dalla brutta cera del figlio.
“Meglio di no, pa’. Mi serve solo una buona dose di caffè e poi iniziare a pregare che qualcuno mi eviti tutte le interrogazioni questa mattina. Dopo la scuola ho l’allenamento, ci vediamo per cena?”
“Ho cambiato turno con Carol e quindi mi tocca fare nottata in centrale. Oggi ingannerò il tempo mettendo un po’ di ordine nel caos del garage e cercherò di lasciarti qualcosa di pronto per la cena. Ci vediamo domani mattina allora, mi raccomando non metterti nei guai”
“Cercherò di fare il possibile” rispose sforzandosi di sorridere, addentando una fetta di pane tostato per fare felice il padre, prima di correre fuori casa.
Allungò il proprio tragitto per passare a prendere Scott, così da evitargli poi il ritorno in bicicletta il pomeriggio tardi e i due amici arrivarono a scuola appena in tempo per la campanella.
 
Durante il viaggio e in ogni pausa tra le lezioni, Scott cercò di convincere il castano a confidarsi con lui, arte che aveva affinato negli anni.
Perché se a prima vista Stiles pareva essere una persona in grado di stordirti a suon di chiacchiere, a saper leggere tra le righe ci si accorgeva ben presto che non parlava quasi mai di sé o di come si sentiva davvero.
Le sue parole erano descrizioni e spiegazioni assurde, mille nozioni inutili che riempivano l’aria della sua voce ma al tempo stesso lo nascondevano dalle domande che potevano essere maggiormente personali.
Scavando e rompendogli le scatole, il moro riuscì a venire a conoscenza della visita a sorpresa di Derek e dell’accoglienza calorosa che gli aveva riservato lo sceriffo.
“Certo che tuo padre è strano quando vuole” borbottò McCall addentando un trancio di pizza, seduto al loro solito tavolo solitario in mensa.
“Che vuoi farci? Mi è andato in modalità buon samaritano e non ho potuto evitarlo” convenne l’amico mentre martoriava la sua insalata di pollo e giocherellava con la bottiglietta d’acqua.
“Ma alla fine cercherai di parlare ancora con Derek o lasci perdere?” indagò ancora Scott.
“Non lo so amico. Fosse solo per lui, sì, ci parlerei. Il problema è lo zio psicopatico che sembra manovrarlo come un pupazzo. Forse se avessimo a che fare solo con Derek, sarebbe propenso ad ascoltarci, ma Peter è spaventoso”
“Non è solo spaventoso” specificò il moro “ricordo bene come mi sentivo quando si divertiva a giocare con la mia mente e i miei ricordi, spingendomi addirittura a dubitare di me stesso. La sua posizione di Alfa gli permette di avere un potere su di noi che davvero non puoi immaginare. Penso che anche volendo un beta non possa sottrarsi al suo volere senza soffrire, senza dimenticare che è talmente forte da uccidere chiunque”
“Certo che così non aiuti”
“Mi spiace amico” e tornando al proprio pranzo il discorso si interruppe.
 
La scuola finì e dopo un massacrante allenamento, Stiles finalmente si ritrovò a camminare, stanco morto, verso la propria auto, affiancato dal beta.
La sua piccola lo accolse e lasciandosi guidare docile, gli permise di non pensare per alcuni minuti e quasi senza accorgersene, arrivò davanti alla casa dell’amico.
“Grazie per il passaggio, ci vediamo domani a scuola e mi raccomando non fare cazzate”
Il guidatore si limitò a sollevare la mano in un cenno di saluto e rimettere in moto.
La strada che da casa McCall conduceva alla propria costeggiava per un lungo tratto la riserva e numerosi erano gli accessi ad essa che dal lato opposto della strada si inoltravano nel bosco. Stiles sapeva oramai quali strade sterrate lo avrebbero portato vicino alla proprietà degli Hale e pur avendone sorpassate un paio, non riuscì ad evitare l’ultima e imboccandola, condusse la sua auto nella penombra che dominava la boscaglia.
Fortunatamente il percorso pur essendo buio e dissestato, non presentò grandi ostacoli e dopo pochi minuti giunse allo spiazzo che distava solo qualche decina di metri dai fatiscenti resti della villa.
Inerpicandosi su per una piccola salita, arrancando in un paio di punti e facendo leva con alcune radici sporgenti, sbucò finalmente davanti a casa Hale.
Se Derek era nei paraggi, certamente aveva già avvertito la sua presenza e sarebbe comparso di lì a breve. Il bisogno di vederlo e di provare a parlare di nuovo con lui – se necessario era disposto anche a chiedergli scusa – che aveva sentito e che lo aveva spinto all’ultimo a deviare dalla strada principale era stato così immediato e diretto da non portarlo a valutare l’eventualità che qualcun altro avrebbe potuto fargli gli onori di casa.
 
Derek non si mostrò, ma Stiles non demorse e muovendo pochi passi arrivò alla porta e dopo un profondo respiro, la spinse verso l’interno rabbrividendo al cigolio che scaturì da tale suo gesto.
La poca luce che entrava dai buchi vuoti che erano state le finestre faceva danzare i granelli di polvere, ma non permetteva di scorgere granché e quando allo scricchiolio del pavimento di legno prodotto dai propri piedi, se ne aggiunse un secondo proveniente dall’alto, sorridendo ingenuamente, sollevò il capo, scorgendo una sagoma scura in cima alle scale.
“Ciao Derek, sperò non ti dispiaccia che io sia passato, ma volevo parlare con te, ieri”
“Piccolo e ingenuo Stiles” una voce irriverente e con note stridule, così diversa da quella roca ma al contempo morbida di Derek gli gelò il sangue nelle vene e maledicendo la sua impulsività, il castano cercò di fare un passo indietro, consapevole che non sarebbe servito a nulla provare a scappare se l’Alfa avesse voluto acchiapparlo.
“Come si dice” riprese Peter “ti sei infilato nella tana del lupo. Immagino che tu stessi cercando mio nipote, ma sai mi pare di aver capito che lui stia facendo la stessa cosa, suppongo sia appostato sotto la tua finestra. Che cosa dolce e romantica, vero? Dovrò sincerarmi delle intenzioni del mio giovane ragazzo, non sia mai che la tua virtù venga colta da un poco di buono” scherzò il mannaro, scendendo le scale lentamente.
“A-allora è meglio che io me ne torni a casa” il liceale indietreggiò ancora di un passo, stupendosi che fosse così semplice sgattaiolare via da lì.
“Fermo Stiles. Pensi davvero che ti lascerò andare via così? E come la mettiamo con la reputazione da lupo cattivo?” e in un solo balzo lo raggiunse, atterrando a un palmo dal suo naso.
Il figlio dello sceriffo aveva serrato istintivamente gli occhi, ma aveva avvertito lo spostamento d’aria così maledettamente vicino e se ancora qualche dubbio fosse rimasto, evaporò all’istante considerato che le parole successive vennero accompagnate dal fiato caldo dell’Alfa direttamente sul suo viso.
“Dimmi, ieri sera hai cercato di convincere Derek a disobbedirmi?”
Stiles scosse il capo.
Schioccando ripetutamente le labbra, Peter lo canzonò “Piccolo stupido umano, non mentirmi. Riproviamo: hai cercato di far nascere nel cuoricino traumatizzato di mio nipote qualche assurdo scrupolo morale?”
Questa volta il liceale annuì.
“Lo sapevo” e sbuffando si avventò su di lui, scaraventandolo contro ciò che rimaneva di una parete e riacciuffandolo per costringerlo a rimettersi in piedi, gli permise di appoggiarsi allo stipite di una porta “Penso sia utile informare Derek che ti sto intrattenendo in attesa del suo ritorno”
 
Stiles cercava di guardarsi attorno e rimanere lucido, anche se qualcosa di denso e pesante spingeva affinché chiudesse l’occhio destro.
Sollevando una mano, si rese conto che si era ferito e un lungo taglio gli attraversava il sopracciglio, sanguinando abbondantemente.
Un attimo dopo Peter aveva recuperato il proprio cellulare e la sua voce tornò a farsi sentire “Ehi, Derek, non immaginerai mai chi è passato a trovarti a casa, il buon vecchio Stiles! Oh non preoccuparti, gli faccio compagnia io”
Il figlio dello sceriffo era così vicino al corpo di Peter che riuscì addirittura a sentire il ringhio che Derek si lasciò scappare.
“Ti prego, lasciami andare, ti prometto che non mi intrometterò più. Non cercherò più di”
“Non serve sai, anche se fossero vere le tue parole, non sarebbe sufficiente. Derek è debole e perché? Perché ti adora. Quando ti conobbe, divenne insopportabile, era tutto un Genim qui e Genim là. Ora che ti ha ritrovato, basterà che tu chiocchi le dita o sbatti i tuoi occhioni e potrai farne tutto quello che vuoi e io non posso permettermelo, non adesso”
Peter, parlando, si era avvicinato pericolosamente al corpo tremante del ragazzino e tenendolo fermo con una mano serrata sul fianco, con l’altra gli sollevò il braccio scoperto “Fidati, prima o poi apprezzerai” e azzerando la distanza, snudò le zanne conficcandole nella carne tenera e giovane.
 
Un grido straziante si levò dalla vecchia casa degli Hale e Derek, che senza respiro stava correndo in quella direzione, si bloccò con gli occhi sbarrati e nel cuore la paura di essere arrivato troppo tardi.
Entrò in casa come una furia e ciò che vide lo fece infuriare come non mai.
Stiles era a terra, una pozza di sangue che si allargava sotto il braccio dilaniato e il resto del corpo scosso da piccoli spasmi, mentre Peter poco più in là era intento a pulirsi il viso con la manica della camicia.
“Cosa hai fatto?” urlò, scagliandosi contro di lui, ma venendo facilmente respinto.
“Cosa ti ho detto sugli attacchi dettati dall’impulso? Sono spesso poco efficaci” lo istruì sorridendo il lupo più anziano.
“Perché lo hai morso? Potrebbe morire” Derek si rimise in piedi.
“Ho valutato le alternative. Se vive avrò tre beta, se muore avrò un problema in meno, dato che ti stava facendo il lavaggio del cervello”
“Se muore” sibilò minaccioso il moro.
“Se muore, ti raggomitolerai in un angolo a piangere disperato? Ma per piacere Derek, abbiamo altri problemi al momento”
“Se muore, io me ne vado” sancì cupo e risoluto.
“Che coraggio, nipote. Davvero diventeresti un omega per lui? Sono generazioni che la famiglia Hale non conta tra le proprie fila un omega” continuò a farneticare, ma il beta non lo stava ascoltando, troppo occupato a prendere tra le braccia il ragazzino e, lasciandosi alle spalle le rovine, accompagnarlo alla Jeep per poi guidare fino a casa sua.

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Capitolo 9
*** Deve stare bene ***


Buonasera!
Come anticipato in altre ff, la settimana prossima sarò in viaggio e i preparativi (e soprattutto i postumi)mi impediranno aggiornamenti almeno fino al 15 maggio.
Spero di ritrovarvi al mio ritorno.
Buona lettura.
 
Cap. 9
“Deve stare bene”
 
Mentre guidava la Jeep sgangherata di Stiles, Derek si rese conto che non poteva di certo riportare il ragazzo a casa del padre e sfilando il cellulare dalla tasca dei jeans si mise in contatto con Scott, urlandogli contro di farsi trovare davanti allo studio del veterinario dove lavorava entro dieci minuti.
“Perché mai dovrei fare ciò che mi dici?” sbottò dall’altra parte dell’apparecchio.
“Non è per me. Stiles… lui è, lui è stato, Peter ha perso il controllo e”
“Cazzo. Potevi dirlo subito. Una manciata di minuti e sono lì”
 
Quando Derek svoltò nel piccolo parcheggio di fronte allo studio medico, trovò il beta ad attenderli. Non appena la portiera del passeggero venne spalancata, l’odore forte del sangue colpì le narici del liceale che correndo verso l’auto non poté che osservare il corpo apparentemente senza vita del suo migliore amico essere sollevato e preso in braccio dal moro.
“Ora mi spieghi cosa”
“Non c’è tempo. Apri quella dannata porta” ringhiò lasciando libera la sua natura ferina e mutando il colore degli occhi.
Stiles era ora disteso su quell’asettico e freddo tavolo di metallo, mentre i due licantropi lo privavano della felpa e della maglietta, constatando così quanto fosse profonda la ferita delle zanne dell’Alfa.
“Ora cosa facciamo?” si ritrovò a chiedere il compagno di scuola del moribondo senza forze e con il terrore dipinto in volto.
“Non possiamo fare molto: ripulirlo dal sangue e sperare che sopravviva al morso”
“Perché il mio migliore amico sta lottando tra la vita e la morte?” sbottò Scott.
“Ritengo sia colpa mia. Penso fosse venuto alla riserva per parlare con me, ma ha trovato quel pazzo”
“Ma perché morderlo?”
“Io e te non siamo sufficienti” e davanti allo sguardo smarrito dell’altro beta, Derek continuò “il numero minimo di lupi per poter essere davvero un branco e poter fornire un potere stabile al proprio Alfa è di tre lupi. A ciò bisogna poi aggiungere la paura di mio zio che Stiles riuscisse ad allontanarmi da lui e a farmi riconsiderare il mio appoggio al suo personale metodo di azione”
“Vaffanculo” si sfogò il ragazzo tirando un pugno all’antina di un mobiletto piegandone la lamiera.
“Vedi di rimetterla a posto prima di andartene”
I due lupi si voltarono verso la porta vedendo avanzare, con il suo solito mezzo sorriso sulle labbra, meravigliandosi di non averlo sentito arrivare, il veterinario che senza scomporsi troppo domandò “Chi è stato?”
“Stiles era nel bosco e… ed è stato attaccato da un animale” borbottò l’apprendista sperando che l’uomo gli credesse.
“Scott, non insultare in questo modo la mia intelligenza. Allora chi è il lupo che lo ha morso? Spero per lui fosse un Alfa”
Gli occhi verdi di Derek schizzarono a legarsi a quelli scuri dell’uomo di colore “Come fa a”
“Per molto tempo il mio compito è stato aiutare e sostenere la tua famiglia Derek Hale”
“È stato mio zio” rispose, rassegnato a doversi per il momento fidare di quelle poche parole, e riportando poi lo sguardo su Stiles.
“Peter? Mi aveva sempre insospettito il suo stato vegetativo. E così si è risvegliato con la forza dell’Alfa nelle vene” disse tra sé e sé prendendo, da un paio di cassetti, quanto necessario a ripulire le ferite e il sangue “Da quanto tempo è stato morso?”
“Circa mezz’ora” comunicò Derek.
“E i suoi segni vitali, battito e respiro per intenderci, sono sempre stati come ora?”
“Sì, sempre deboli ma stabili”
“Allora penso che un nuovo lupacchiotto sia appena nato” sospiro in parte sollevato il dottore.
“Come fa a dirlo con così tanta sicurezza?” si mosse il suo aiutante affiancandosi alla testa dell’amico.
“Il morso se non ti trasforma, ti uccide in modo molto rapido. Penso di poter dire che Stiles è fuori pericolo, ma non sarà più umano”
“Non penso lo volesse” bisbigliò Scott.
“Il morso è un dono” si irrigidì Derek, portandosi esattamente di fronte al beta.
“Per chi lo vuole, ma né io né Stiles lo abbiamo mai desiderato”
Il moro strinse i denti e trattenne ogni altra parola, venendo poi distolto da ogni intenzione belligerante dal veterinario stesso.
“Scott si sta facendo tardi, penso che dovresti tornare a casa e se potessi trovare una scusa per lo sceriffo, così che io possa tenere Stiles sotto controllo qui da me fino al suo risveglio, sarebbe perfetto”
“Come posso fare?” prese ad andare avanti e indietro il ragazzo “Non è in grado di chiamare il padre e dirgli che si ferma da me”
“Prima di venire qui” suggerì Derek senza distogliere lo sguardo da Stiles “ho raccolto da terra il suo cellulare, non sarebbe sufficiente un sms?”
“Possiamo provare e sperare che allo sceriffo non venga voglia di chiamarlo”
“In questo caso dovresti tenerlo tu l’apparecchio e all’evenienza inventarti qualcosa” concluse il mannaro allungandogli il telefono e andando poi a prendere una sedia spostandola al capezzale del piccolo e sedendosi accanto a lui.
 
Rimasti soli, dopo la partenza di Scott, Deaton si portò al fianco di Derek “Allora è giunto il momento di fare due chiacchiere”
“Non ora. Ho mille domande da porle e penso anche lei a me, ma ora l’unica cosa che mi interessa è che lui sia bene. Stiles deve stare bene, altrimenti io”
“Non capisco il motivo per cui tu ti senta tanto legato al piccolo Stilinsky. Sei sempre stato molto taciturno e solitario, come mai ora sembra che tu voglia diventare il migliore amico di uno dei ragazzi più – e lo dico con affetto – insopportabili di tutta la città?”
“Perché lui” sollevando una mano e posandola sui capelli di Stiles in una morbida carezza “è il mio umano”
“Come può essere lui”
“È irritante e spesso ti verrebbe voglia di fermare l’auto e lasciarlo lì, pur di non sentire per qualche minuto la sua vocetta petulante, ma questa sera quando l’ho visto in un lago di sangue e come se mi avessero strappato il cuore dal petto. Ne sono sicuro è lui e ora non capisco cosa succederà. Il legame si instaura tra lupo e umano, ma se lui diventa come me”
“Da quanto sai che è lui?” chiese sorridendo l’uomo.
“Lo so dal momento in cui l’ho conosciuto, ma l’ho realizzato solo quando mio padre mi ha parlato per la prima volta di come si formasse la componente umana di un branco”
“Allora non penso ci saranno problemi. Tutto è successo quando era umano, ciò che è accaduto dopo è, per il legame, completamente indifferente”
In quel momento un sottile gemito si levò dal corpo steso sul metallo e Derek scattò in piedi, piegandosi in avanti osservando con preoccupazione i minimi movimenti del viso.
 
Stiles aprì gli occhi dopo alcuni altri borbotti senza senso, trovando a una distanza del tutto inappropriata quelli verdi del lupo, e incapace di controllarsi, gli gettò d’istinto le braccia al collo, tirandolo a sé e stringendo forte.
“Stiles, mollami. Mi stai facendo male”
“Male? Ma che diavolo dici, tra i due mi pare sia tu quello grande e grosso” lo contraddisse allentando l’abbraccio, ma senza permettergli di andarsene dalla sua stretta.
“Cosa ricordi?” lo spinse a riflettere il moro legando i loro occhi e rimettendosi seduto, mentre in silenzio il veterinario levava il disturbo, tornando al proprio appartamento al piano di sopra, ricordando loro di spegnere poi le luci.
“Sono venuto a casa tua, volevo parlarti, ma tu non c’eri. Poi tuo zio ha iniziato a sbattermi contro i muri e infine, Oh mio Dio! Mi ha morso, quello stronzo di tuo zio mi ha morso” finì con l’urlare “ma aspetta: mi ha morso e sono vivo. Quindi sono… oh per la miseria sono diventato un licantropo. Ora sono come te e Scott”
“Sì, mi spiace” esordì Derek posando la sua mano sulla guancia del piccolo.
“Certo, non mi sono mai soffermato a pensarci troppo. So che ha Scott ha portato solo casini, ma forse non è un male”
“Come non è un male? Non sei più umano, dovrai iniziare a mentire a tuo padre”
“Più di quanto già non faccia, intendi!” cercò di alleggerire i toni il castano.
“Non è uno scherzo” gridò il maggiore.
“Lo so che non è uno scherzo, ma forse potrei essere più utile. Senti, vuoi che sia sincero? Bene. Se avessi potuto decidere forse avrei detto No, grazie, sono a posto così ma non sono stato interpellato, quindi tanto vale far buon viso a cattivo gioco. Posso aiutarti a tenere a bada il tuo zietto psicopatico”
“Ora lui è il tuo Alfa, non sarà facile resistere al potere che ha su di te, figuriamoci sperare di fermarlo”
“Scott alla fine ce l’ha fatta. Tu e lui dovete solo spiegarmi come fare e poi saremo tre contro uno”
Il sorriso contagioso di Stiles spinse Derek a rilassarsi un poco e a distendere le spalle che neppure si era accorto di aver irrigidito.
“È buio, penso sia meglio che io” propose, scendendo dal tavolo e accorgendosi di essere a torso nudo.
“Scott ha detto a tuo padre che avresti dormito da lui, anzi, dovresti chiamarlo e dirgli che stai bene”
“Ok, ma usciamo di qui, l’odore di disinfettante mi sta dando alla testa” scontrandosi per la prima volta con i suoi sensi da lupo.
 
Non appena misero piede fuori dallo studio veterinario, entrambi si bloccarono.
Peter era in piedi accanto alla Jeep e sorridente iniziò ad avvicinarsi.
“Stiles non hai idea di quanto io sia felice che tu stia bene. Ho dovuto rischiare, ma dannazione, mi riempie di gioia averti in famiglia adesso”
Derek non trattenne l’odio profondo che sentiva crescere nel petto e ringhiando si portò davanti al liceale come se fosse ancora necessario preoccuparsi della sua incolumità.
“Nipote, per favore non rompere le palle” e aprendo le braccia, sfoderò il suo potere di Alfa, a cui non aveva mai fatto completo ricorso con Scott, e lo chiamò a sé “Forza piccolo Stiles vieni da me”
Per la prima volta gli occhi castani del liceale assunsero una sfumatura sovrannaturale, mentre il primo passo verso l’uomo veniva coperto.
“No, Stiles, no!” cercò di trattenerlo, serrando le mani sulle sue braccia “guarda me, ti prego. Resisti e guarda me” a nulla valsero però le parole di Derek e Stiles si ritrovò ben presto avvolto da un sinistro abbraccio.
Il piccolo si voltò solo una volta e il moro vide i suoi occhi, innaturalmente tinti da trame dorate, vuoti e privi della vivacità che li contraddistingueva e che aveva imparato ad amare.
“Bene, noi ora andiamo. Devo istruirlo per bene e il tempo stringe. Se volete unirvi a noi, tu e Scott” rivolgendosi all’altro beta “sapete dove trovarci” e senza lasciare la presa sulle spalle del liceale, Peter si allontanò ed entrambi vennero inghiottiti dal buio al limitare del parcheggio.
Derek ringhiò alla falce di luna che aveva fatto capolino da dietro una nuvola e ripromise a se stesso che lo zio l’avrebbe pagata cara.
Stiles era suo, solo e soltanto suo.

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Capitolo 10
*** Legami ***


Buonasera!
Nuovo capitolo, un po’ più corto dei precedenti, ma ho dovuto interrompermi per esigenze narrative.
Buona lettura.
 

Cap. 10
“Legami”
 
Derek cercò di calmare la bestia che si agitava nel suo petto e senza esitazione chiamò Scott.
“Peter ha preso Stiles”
“Cosa stai dicendo? Aspetta, questo vuol dire che quindi sta bene?”
“Sì, si era appena svegliato e, uscendo dallo studio, mio zio era lì ad aspettarlo” spiegò il maggiore.
“E tu hai lasciato che lo portasse via?”
“Peter è il suo Alfa, ha usato il carisma che ha su di lui e l’ha convinto a seguirlo, non avrei potuto”
“Ok, ora dobbiamo riflettere, vieni da me” e la conversazione si interruppe in modo brusco.
Il nato lupo corse a perdifiato per raggiungere casa McCall e trovando il piano basso illuminato, suonò il campanello attendendo sull’uscio.
“Entra” si rivolse a lui, con il volto tirato, il padrone di casa.
Seduti sul divano i due rimasero in silenzio per alcuni minuti, incapaci di formulare in modo corretto o almeno coerente ciò che stava rivoltando loro le viscere.
Il primo a riscuotersi da quell’inusuale torpore fu il liceale “Dobbiamo fare qualcosa, lui è il mio migliore amico, non voglio che gli venga fatto del male”
“Fidati, penso che la sua incolumità sia l’unica cosa di cui possiamo essere certi”
“Non ti capisco”
“Peter non gli torcerà un capello se non sarà dannatamente necessario, la mia paura è che lo costringa a fare cose di cui potrebbe pentirsi”
“Potrebbe usarlo per commettere degli altri omicidi, costringendolo ad uccidere delle persone?” si inorridì Scott.
“Nulla è da escludere. Lo hai sentito anche tu l’altra sera, vuole vendetta e la otterrà a qualunque costo, poco gli importa di macchiare per sempre Stiles”
“Dov’è? Dobbiamo fermarlo il prima possibile, dobbiamo”
“Dobbiamo riflettere. Non possiamo presentarci da mio zio senza un piano – e che sia un ottimo piano – altrimenti ci ridurrà in poltiglia”
 
Continuando a recriminarsi comportamenti od omissioni, i due battibeccarono ancora un po’ fino a che entrambi convennero sull’unica alternativa che si apriva loro: Deaton.
Non ci misero molto a raggiungere di nuovo l’entrata dello studio e, tirato giù dal letto l’uomo, convincerlo ad aiutarli.
Purtroppo l’aiuto che il veterinario fu in grado di offrire non soddisfò minimamente Derek. “Non possiamo presentarci a lui carichi solo di buoni propositi e belle speranze. Ha una vaga idea di cosa voglia dire contrastare apertamente o tentare di avere comportamenti ostili contro il proprio Alfa? Io, anche se può sembrare strano dato che è parte della mia famiglia, riesco a combattere l’influenza che ha su di me perché la sento malata e distorta, rispetto ai legami che ho avuto in passato. Loro due” intendendo Scott e il figlio dello sceriffo “sono ignari di tutto e soprattutto Stiles è ancora vittima dell’euforia post-morso”
“Però è sempre Stiles, forse” cercò di convincerlo l’altro beta.
“Forse cosa?”
“Derek” ne attirò l’attenzione l’uomo di colore “potresti ricorrere al legame che vi lega”
“Non voglio”
“È l’unica cosa in grado di combattere il suo sentirsi unito al proprio Alfa” spiegò Deaton.
“Scusate di cosa state parlando? Quale legame?”
Alzando gli occhi al cielo, il licantropo si ritrovò costretto a raccontare “Sai che io e Stiles ci siamo conosciuti da piccoli, ciò che non sai è che io ho subito sentito che in lui c’era qualcosa di speciale e particolare”
“Derek, mi stai spaventando”
“Come posso spiegarti, lui è la mia Allison” decise di buttarsi nel vuoto Hale.
“Dimmi che ho capito male. Tu non puoi… e lui di certo non può”
“Fammi spiegare. Partiamo da te, probabilmente ti saresti innamorato di lei anche se non fossi un lupo, ma fatto sta che l’hai incontrata dopo il morso e la tua natura di licantropo nel momento in cui l’hai conosciuta ha centuplicato l’intensità dei tuoi sentimenti. Il lupo ti spinge a cercare la tua metà in modo più viscerale di quanto non accada agli altri esseri umani”
“Tu sei innamorato del mio migliore amico?”
“Sì, ma non è solo questo. Ciò che ti lega al compagno della tua intera vita, va addirittura aldilà dell’amore, è appartenenza totale e completa”
“È spaventoso” spalancò gli occhi Scott.
“Sì” sorrise impacciato Derek “può essere terrificante l’idea che un’altra persona abbia su di te tale potere o rendersi conto di averlo nei confronti dell’altra parte di te”
“Ma Stiles ama Lydia, la ama praticamente da sempre”
“Lo so” si incupì il maggiore.
“Lui sa che tu hai, cioè che tu senti, come dire che ti” prese a gesticolare Scott incapace di concludere una sola frase.
“No, e non ho intenzione di dirglielo e tu darai lo stesso. Voglio che viva la sua vita senza sentirsi invischiato in un rapporto a dir poco soffocante”
 
Ritornando al motivo che vedeva due lupi adolescenti e uno strambo veterinario chiacchierare nel bel mezzo della notte, Scott rifletté a voce alta “Ma se è un legame così potente, come dici tu, potresti davvero usarlo per strappare il mio amico dall’influenza di quel pazzo?”
Derek rimase in silenzio per lunghi attimi, indeciso su cosa dire, optando alla fine per la cruda verità “Potrei provare, ma correrei il rischio di spezzarlo. Ora Stiles avverte Peter come suo Alfa e non è minimamente cosciente del legame che lo unisce a me. Se lo forzassi a scegliere, il suo io – la sua coscienza come preferisci chiamarla – potrebbe sentirsi strattonata tanto da dilaniarsi. Se accadesse una cosa simile dovresti dire addio all’amico che conosci”
Scott rimase senza fiato e senza parole. Quelle parole avevano aperto una prospettiva agghiacciante che lo congelava nell’anima, ma serrando gli occhi e scuotendo con forza il capo, riprese lucidità “Come prima cosa troviamo Stiles e tuo zio e poi vediamo il da farsi, ma se fosse necessario, dovrai provare. Non abbiamo alternative”
“Scott ha ragione” gli diede man forte il veterinario, cosicché Derek dovette capitolare.
 
I due mannari lasciarono Deaton e si inoltrarono nel bosco stringendo nelle proprie tasche alcune siringhe di sedativo arricchito di aconito.
Nell’ipotesi in cui fossero riusciti ad avvicinarsi a sufficienza a Peter, avrebbero potuto tramortirlo e guadagnarsi il tempo necessario a darsela a gambe con Stiles.
“Dove saranno secondo te?” bisbigliò il liceale.
“Nel posto più logico e semplice: casa mia. Non dimenticarti che il sogno proibito di mio zio e averci tutti nel suo branco. Vuole essere trovato”
“Allora sbrighiamoci” sibilò Scott mettendosi a quattro zampe e iniziando a correre.
 
I beta sbucarono nella piccola radura davanti al portico di casa Hale e trovarono ad attenderli sia l’Alfa che il loro amico.
“Bene nipote, vedo che alla fine hai capito che non ti conveniva metterti contro di me”
“Stiles” lo ignorò completamente Scott, facendo un paio di passi nella direzione del compagno di scuola.
“Fermo lì Scotty” e lasciando baluginare le sue iridi rosse continuò “Sei qui per unirti a me, o avete qualche buffa e assurda idea destinata al fallimento nelle vostre testoline?”
Derek non riuscì a trattenere un sordo ringhio e, riportandosi accanto al suo alleato, a malincuore accettò il rischio e cercò di creare un contatto con il nuovo lupo.
“Stiles, ascoltami” ma il ragazzino continuava a rimanere immobile, un passo dietro al proprio Alfa, con il capo rivolto al logoro pavimento di legno “Guardami per favore”
Il dolore e la preoccupazione che grondavano da quelle poche parole imposero a Stiles di sollevare il viso e ricercare l’origine di quella sofferenza.
Derek attese che gli occhi dorati del liceale si posassero finalmente sui suoi e solo a quel punto, allungando una mano davanti a sé, parlò di nuovo “Vieni da me. Ti accompagno a casa, tuo padre sarà in pensiero”
Con voce atona e priva delle mille sfumature che la caratterizzavano il destinatario di tale supplica gelò ogni speranza “Non ho bisogno di te o di mio padre. Ho Peter, solo a lui devo obbedienza”
“Stiles” ritentò Derek muovendo ancora un passo, ma venendo zittito dall’Alfa.
“Non starai cercando di portarmelo via usando una puerile amicizia infantile? Pensavo fossi più furbo, ma evidentemente ti sopravvalutavo”
“Si vede che non sei un grande osservatore zio, lui non è solo un amico. Stiles è il mio umano e non ti permetterò di rovinarlo, contaminandolo con la tua follia”
“Sto solo cercando di ottenere una giusta vendetta verso chi ci ha privato di tutto” serrò i pugni Peter trattenendo a stento la propria natura, mentre per la prima volta la certezza di averli in pugno vacillava.
La paura che il legame tra compagni fosse più potente della mera gerarchia deformò il volto dell’Alfa in un ghigno distorto e indusse Peter a rivolgersi con rabbia al proprio seguace “Piccolo occupati di Derek e mi raccomando, non avere nessuna pietà. Rendimi orgoglioso di te”

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Capitolo 11
*** La prima battaglia ***


Cap. 11
“La prima battaglia”
 
Tutto accadde in un attimo.
Stiles con un balzo fece sua la distanza che lo separava dall’Alfa e senza alcun indugio si lanciò contro Derek che, preso in contropiede, si ritrovò ad indietreggiare e schivare i colpi che, dettati dall’inesperienza, erano troppo scoordinati per sperare di andare a segno.
Il giovane beta aveva però dalla sua la frenesia della prima trasformazione e il desiderio di compiacere il proprio capo che aggiunti all’iperattività naturale del liceale creavano un mix comunque pericoloso.
Era difficile per Derek evitare di farsi ridurre alla stregua di un colabrodo e al tempo stesso non ferire il ragazzo che, del tutto incurante della propria incolumità, continuava a cercare lo scontro diretto e cruento.
“Stiles, dannazione” urlò esasperato da quella lotta inutile e profondamente dolorosa “ti vuoi fermare” e in quell’attimo strinse nei suoi pugni quelli del castano contrastandone l’avanzata e cercando un contatto visivo che mancava da troppo tempo.
“Cosa stai aspettando?” giunse dalle loro spalle la voce arrabbiata di Peter preoccupato dall’evolversi di quella situazione “Atterralo e mettilo fuori gioco”
Senza distrarsi, ogni tentennamento poteva essere fatale, Derek richiamò su di sé anche l’attenzione di Scott, spronandolo a fare qualcosa. Se davvero voleva avere la speranza di infilarsi nella mente di Stiles e strapparlo al legame gerarchico, suo zio doveva essere così occupato da non mettergli i bastoni tra le ruote.
 
Scott decise quindi di gettarsi nella mischia e ringhiando costrinse il vecchio lupo a spostare su di lui l’attenzione “Piccolo, non temere! Anche se sei stato un beta cattivo, avendo cercato di fare di testa tua, sono disposto ad accoglierti in famiglia. Pensaci: manchi solo tu”
“Non accadrà mai. Io ho già la mia famiglia e Stiles ne fa parte, ma di certo tu no” dopo un profondo respiro il beta si avvicinò al licantropo, pronto per ingaggiare la lotta.
 
Lo stallo in cui si trovavano da parecchi secondi il figlio dello sceriffo e Derek sembrava non voler avere fine.
Stiles infondeva alle proprie braccia la massima forza che era al momento in grado di generare e il moro la contrastava perdendo di tanto in tanto alcuni centimetri, per nulla agevolato dal terriccio smosso.
“Stiles, ascoltami ti prego. Non deve necessariamente andare così. Scott è riuscito a contrastare il potere di Peter, so che ce la puoi fare anche tu. Io ti posso aiutare, ma devi permettermelo”
Il ragazzo sentiva le parole pronunciate dal moro, le avvertiva conficcarsi sottopelle e bruciare e quegli occhi, che non lasciavano i suoi neppure per un attimo, di certo non rendevano semplice il tentativo di contrastare la portata delle sensazioni che si contorcevano nel suo profondo.
Qualcosa di istintivo, irrazionale e fortissimo lo spingeva a dare retta a quello che sapeva essere il pazzo psicopatico che aveva terrorizzato la città negli ultimi mesi.
Di contro vi era un calore strisciante, desiderato e agognato che si ingigantiva ogni volta che Derek gli rivolgeva la parola e lo costringeva a rimanere occhi negli occhi.
“Io, io non posso” balbettò Stiles.
“Tu puoi, lo so che puoi. Sei forte, razza di ragazzino insopportabile, molto più di quanto tu possa immaginare. E lo eri anche prima di essere morso. Credimi ti prego, credimi”
 
La battaglia tra Scott e Peter che si svolgeva alle loro spalle era alquanto patetica, perché anche se l’Alfa aveva mantenuto la sua forma umana, era in grado di avere la meglio sul liceale, che veniva sbattuto ripetutamente a terra o contro gli alberi circostanti, mettendo a dura prova la sua capacità rigenerativa.
Il moro certamente non era contento dello svilupparsi della battaglia, ma doveva ammettere che quello fosse il modo più semplice e immediato per rimanere a stretto contatto con la bestia. Non appena il compagno di scuola avesse dato segno di essere tornato in sé, sfruttando quella prossimità, gli avrebbe conficcato una buona dose di sonnifero allo strozzalupo e tutti loro se la sarebbero data a gambe levate.
 
Derek decise di giocarsi il tutto per tutto e permettendo alle sue unghie di allungarsi il più possibile, trafisse il dorso delle mani di Stiles causandogli un dolore pungente e improvviso che lo costrinse a urlare e ringhiare.
Allentando la presa e lasciando andare le mani oramai quasi del tutto guarite del ragazzino, il maggiore si lanciò di peso contro di lui, buttandolo giù.
A una distanza irrisoria dal suo viso, dopo averlo bloccato schiena a terra inchiodandogli i polsi ai lati del capo, Derek parlò nuovamente “Pensa a tua madre, Stiles, te la ricordi vero? Quando l’ho conosciuta non faceva che ripetere che eri il suo piccolo angelo, il tuo tesoro. Vuoi davvero avere le mani che grondano sangue? Desideri così tanto avere morti innocenti o meno sulla coscienza? Io voglio vendetta, sarebbe stupido negarlo, ma non a prezzo della tua innocenza”
I riverberi dorati che riempivano le iridi del liceale iniziarono a pulsare, perdendo e riguadagnando terreno, in uno snervante andirivieni. A seguito di quelle parole, fu il liceale stesso a infliggersi dolorose ferite chiudendo i pugni e serrando gli occhi.
“No, Stiles, non farlo” e spostando di poco le mani cercò di far aprire quelle del minore, distendendo, poco alla volta, le proprie dita su quelle contratte dell’altro sovrapponendole in un impacciato e goffo intreccio.
Quando Derek rivide gli occhi castani – di nuovo del tutto umani – sprofondare nei propri, si aprì in un piccolo sorriso che volse rapido in una smorfia di dolore mentre dalla bocca aperta prendeva a colare sangue, molto sangue.
“Nipote guastafeste” ringhiò Peter.
 
Il giovane beta abbassò lo sguardo alla ricerca della fonte del dolore che distorceva i lineamenti perfetti del moro e vide togliendosi da sotto il suo corpo che l’Alfa aveva, con la sola forza della mano, attraversando parte del torso di Derek, utilizzando poi l’arto conficcato in profondità per spostarlo a lato.
Mentre il moro sputava sangue, cercando di riprendere le forze e alzando il capo alla ricerca di Stiles, questo era stato sollevato in piedi e poi afferrato per il bavero della camicia in modo brutale “Stupido ragazzino, non pensare di fregarmi. Tu.Sei.Mio”
Mantenendolo in quella posizione, prese a fissarlo con i suoi occhi rossi completamente concentrato nel tentare di avviluppare nuovamente la mente del minore con il suo potere. Nonostante ciò, riuscì comunque ad avvertire Scott strisciare alle sue spalle e voltandosi di scatto bloccò la sua mano giunta a pochi centimetri dalla metà.
Il moro stringeva tra le dita una lunga siringa con dentro un denso liquido azzurrognolo.
Avvicinando l’ago alle narici, il vecchio mannaro avvertì prepotente il sentore dell’aconito e deridendo Scott domandò “Buona idea, davvero notevole! Ma davvero pensavi che saresti riuscito a infilzarmi? Davvero ritenevi possibile arrivarmi così vicino?”
Ridendo Peter lanciò quanto teneva in mano lontano nel buio che li circondava e senza neppure portare lo sguardo sul castano, riprese a dargli ordini “Ora va Stiles e questa volta non deludermi. Uccidi mio nipote, tanto lui non avrà il coraggio di difendersi”
Stiles abbassò il capo e si incamminò verso il moro ancora accasciato a terra.
Senza dargli alcuna possibilità, in un attimo gli fu addosso, puntando le ginocchia ai lati della sua vita e serrando con vigore le dita attorno alla gola di Derek.
 
Dopo avergli riservato alcune occhiate fugaci, Peter riportò il suo totale interesse a Scott “Mi sto annoiando e fidati se ti dico che mi spiace doverti uccidere, avevo previsto grandi cose per me e te, ma poco male. Ora ho quel cucciolo favoloso e sarà facile reclutarne altri per avere un branco completo. Quindi bando alle ciance, fatti un favore, non opporre troppa resistenza, vorrei che tua madre avesse un corpo sufficientemente integro da seppellire”
 
Confidando nel fatto che Peter fosse così concentrato su se stesso da non notare ogni dettaglio attorno a lui, Stiles allentò la morsa sulla gola del moro e allontanando una mano, prese a tastarne il petto e le tasche del giubbotto, fino a che sentì sotto le dita la forma di un piccolo cilindro “Speravo ne avessi una anche tu” sussurrò il castano sorridendo e sfilando una siringa intatta dalla tasca di Derek “Ora reagisci e lanciami il più vicino possibile a loro”
“È pericoloso” mimò con le labbra il rampollo di casa Hale.
“Fidati” soffiò a un battito dal suo viso sfiorandogli la guancia con una fugace carezza.
E Derek lo fede, si fidò di quel ragazzo.
Stiles, dopo un piccolo volo, strusciò sul terreno fino a giungere a poco più di un metro di distanza dalle gambe di Peter che dopo aver – per l’ennesima volta – battuto Scott, si girò e vedendolo a terra gli offrì il braccio per aiutarlo a rimettersi in piedi e poter tornare al suo compito.
 
L’Alfa non si accorse di nulla.  
Si stupì però del sorriso soddisfatto che il ragazzo gli donò ed era in procinto di domandargliene il motivo quando un leggero pizzicore, accompagnato da un fastidioso formicolio, prese a intorpidirgli le membra e ricercandone la fonte vide – ancora conficcata nel suo avambraccio – una di quelle dannate siringhe. Sgranando gli occhi, si rese conto della sua completa disfatta e cercando di concentrare le ultime forze in un unico colpo, provò a squarciare la gola di quel piccolo traditore, dovendosi però accontentare di ghermire l’aria appena prima di crollare al suolo privo di sensi.
Scott urlò di gioia e raggiunto Stiles lo abbracciò con foga “Amico, questa volta ho davvero avuto paura di perderti. Da questo momento lavoreremo per far si che quello stronzo non riesca più a ingarbugliarti il cervello”
“Non per rompervi le scatole” biascicò il beta maggiore rimettendosi in piedi a fatica “ma sarebbe meglio andarcene in fretta, non penso che durerà molto l’effetto di quella roba”
Il castano si districò dalla stretta dell’amico e correndo riuscì a sorreggerlo evitandogli di rovinare di nuovo a terra. Cingendogli la vita con un braccio e portando uno dei suoi sulle proprie spalle, i due si incamminarono e, affiancati da Scott, si allontanarono il più in fretta possibile dalla tenuta.
 
Raggiunta la strada, Derek consigliò loro di dirigersi verso la propria casa.
“Scusa” lo interruppe il castano “ma mi pare che l’abbiamo appena lasciata”
“Davvero pensavi che io vivessi lì?” quattro occhi fuggirono un possibile confronto “Oh per la miseria come potevate credere che stessi in un rudere del genere? Lasciamo perdere, ora ci conviene recuperare un’auto e se non mi sbaglio la più vicina è la Jeep che si trova dal veterinario”
“Tuo zio sa dove abiti?” chiese Stiles.
“No”
“Bene, allora basto io” convenne sicuro il figlio dello sceriffo.
“Che stai dicendo?” si intromise il compagno di scuola.
“Se quel pazzo non sa dove trovarci, possiamo dividerci senza correre troppi rischi. Tu torni a casa tua, così potrai anche reggermi il gioco dato che mio padre pensa che io passi la notte da te”
“E tu?” borbottò Scott.
“Io vedrò di rattoppare Derek”
“Non ho bisogno del tuo aiuto” lo contraddisse il maggiore.
“Ah davvero?” lo canzonò il giovane privando il corpo del moro del sostegno fornitogli dal proprio e vedendolo ruzzolare malamente a terra “Scura, cosa stavi dicendo? Io verrò a casa tua e mi prenderò cura di te. Per questa volta non hai voce in capitolo, mi dispiace” intanto, allietati dai ringhi di Derek, i tre erano arrivato nello spiazzo antistante lo studio “Scott ci vediamo domani mattina da te, non lasciare la finestra aperta, non è sicuro, mi farò sentire”

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Capitolo 12
*** Programmi per il week end ***


Cap. 12
“Programmi per il week end”
 
Raggiunto l’appartamento di Derek, Stiles faticando non poco, riuscì a portare il corpo ancora sanguinante del moro sul letto, imbrattando per bene pavimento e coperte.
“Dov è il bagno?” chiese in modo frettoloso e avute le indicazioni necessarie, incamminandosi aggiunse “Spero tu abbia una seppur basilare valigetta del pronto soccorso”
Armeggiando tra cassetti e ante, non trovò nulla di lontanamente utile e tornando indietro si domandava come avrebbe potuto aiutare il lupo, ben sapendo che le ferite che gli aveva inferto lui non erano nulla di grave, se rapportate allo squarcio creato da Peter – che pareva addirittura trapassarlo da parte a parte – quello sì, che poteva diventare un problema e borbottando incazzato, attaccò Derek “Mi dici come faccio a curarti se non c’è neppure un cerotto in questa casa?”
“Armadio” biascicò il maggiore.
“Armadio? Che centra l’armadio adesso?”
“Guardaci dentro, porta centrale”
 
Il ragazzino fece quanto gli era stato appena detto e sbalordito esultò “Evviva, ora si che si ragiona” e spostando una grossa scatola bianca di plastica sul letto, si sedette accanto al corpo martoriato di Derek.
Non fu per nulla semplice levargli maglietta e calzoni, anche perché non si poteva di certo dire che il padrone di casa collaborasse più del fantomatico sacco di patate.
Più di una volta il dolore provato costrinse il nato lupo a ringhiare cercando di non urlare.
“Scusa… scusa” continuava a cantilenare Stiles, tentando di fare il più in fretta possibile e quando si trovò finalmente davanti il petto ferito del maggiore, non poté impedirsi di ripetere, ma con tono completamente differente l’ennesimo “Scusa, io non volevo farti male, ma”
“Stiles lascia perdere. Peter te lo aveva ordinato, non potevi fare altrimenti”
“Non è vero! Potevo cercare di contrastare quella fottuta voce che mi urlava nel cervello e”
“Davvero, smettila, l’ultima cosa di cui ho bisogno sono i tuoi mugugni indistinti e pietosi” la frase si interruppe però nell’esatto istante in cui le dita leggere e calde del ragazzino presero a percorrere i bordi frastagliati di alcune unghiate che lentamente si stavano rimarginando da soli.
Vedendo ciò e sorridendo, il figlio dello sceriffo si volse alla scatola, aprendola “Santo cielo Derek. Questa non è una valigetta del pronto soccorso, questo è il pronto soccorso”
“Non posso sapere cosa potrebbe servire per rimettermi insieme”
“Ok, ma, ago e filo per suture, davvero?” e armeggiando all’interno della cassetta trovò ciò che stava cercando: cotone e disinfettante “Cominciamo con il ripulire e disinfettare le ferite”
Imbevendo per bene un grosso batuffolo di ovatta con un liquido verdognolo, il castano prese a tamponare con tocchi leggeri i bordi dei tagli ancora aperti, portando via sangue e terra e ricevendo in cambio un fastidioso sibilo.
“Stiles, brucia”
“Cosa? Il grande e grosso lupo cattivo patisce un po’ di disinfettante?”
“Sì, se lo poggi sulla carne viva” obiettò con voce rotta e gli occhi, resi lucidi dal dolore, che tendevano di tanto in tanto al blu brillante.
Terminato di occuparsi dei graffi meno gravi, deglutendo e prendendo coraggio, convenne fosse giunto il momento di occuparsi del cratere al centro della schiena e facendolo voltare non riuscì a evitare un gemito di disgusto.
Poco sotto il tatuaggio si apriva uno squarcio ben più grande di un pugno chiuso e profondo un numero discreto di centimetri.
“Non dirmi che ti stai sentendo male” disse Derek volgendo il capo e abbandonando la guancia sul cuscino “anche se immagino non sia proprio un bellissimo spettacolo”
“Fa letteralmente schifo” confessò sincero il ragazzino limitandosi a sfiorare con il cotone i bordi della lesione “che cosa devo fare? Non guarisce come quelle che ti ho inflitto io. Non so cosa fare” terminò quasi piagnucolando.
“Non c’è nulla che tu possa fare. Quella che hai davanti è una ferita inferta da un Alfa, guarisce in tempi molto più lunghi e non scomparirà mai”
“Ti rimarrà la cicatrice quindi?”
“Sì, tutto ciò che puoi fare è ripulirla con attenzione e poi aiutarmi a serrare per bene le bende in modo che i lembi siano il più vicini possibile. Poi non mi resterà che aspettare”
“Ok” Stiles accolse con buona pace ciò che gli era stato detto e iniziò con gesti ancora più attenti a disinfettare lo sfregio di pelle e muscoli.
“Nei prossimi giorni tu e Scott dovete stare ancora più attenti”
“Perché?” domandò ingenuamente il liceale.
“Peter sa di avermi messo fuori gioco per un po’ e non vorrei che riprovasse ad attirarti dalla sua parte o a farvi del male”
“Durante il giorno siamo a scuola, costantemente in mezzo alla gente, non credo che”
“Può obbligarti a fare tutto ciò che vuole, pensavo te ne fossi accorto”
“Me ne sono reso conto, grazie tante. Però mi chiedo perché non è successo lo stesso con Scott, è perché sono più debole di lui?” pigolò imbarazzato dalle sue stesse parole.
“No, non è per quello. Penso che mio zio non si sia impegnato nello stesso modo, sa benissimo che se riuscisse ad averti con sé, io lo seguirei molto più fedelmente”
“Oh, perché sei mio amico?”
“Ma torniamo a ciò che stavamo dicendo prima, forse hai ragione, Peter non è così scemo da avvicinarvi a scuola, ma la sera? La notte? Sicuramente sa dove abitate e”
“Possiamo venire qui da te. Ti servono due giorni su per giù? Bene, domani notte possiamo dire ai nostri genitori che dormiamo da me, mio padre è di turno e quella dopo è venerdì, potremmo dire che andiamo a fare campeggio”
“Venire a dormire qui?” ripeté incredulo il mannaro più anziano.
“Beh, perché no? Hai un bel divano di là e il letto è grande e… no non volevo insinuare che dormiremo con te come una cucciolata, anche se l’immagine è divertente”
“Calmati Stiles. Vale la pena di provare, è plausibile supporre che la scusa del campeggio possa coprirvi per l’intero week end vero?”
“No, no, no frena! Io sabato sera ho un favoloso appuntamento. Quello che aspetto da una vita intera: andrò al ballo con Lydia. Ci credi? Lydia Martin verrà al ballo di fine anno con me”
“Ballo? AH!” gridò per il dolore il moro che, essendosi mosso di scatto, aveva urtato con le pareti della ferita contro le dita del castano.
“Stai fermo, maledizione. Ecco, vedi, ha ripreso a sanguinare” tamponando una piccola porzione di pelle.
 
La fasciatura era stata tesa fino a levare il respiro al moro, ma così aveva lui stesso desiderato, per far sì che la pelle si rigenerasse più in fretta e mentre Stiles faceva ordine, rimettendo la valigetta nell’armadio e gettando nella spazzatura quanto usato per medicarlo, Derek ancora a pancia sotto, si addormentò.
Stiles si fermò un attimo sulla soglia della camera osservandolo dormire. Sembrava tranquillo, un normale ragazzo di poco più di vent’anni che si concedeva un meritato riposo e usando le sue nuove capacità, il liceale poté constatare il respiro regolare del moro e il ritmico e lento battito del suo cuore.
 
Spostandosi nel soggiorno e lasciandosi cadere stremato sul sofà, per la prima volta, pensò a mente lucida agli avvenimenti delle ultime ore.
Era stato morso, era un mutaforme adesso. Un licantropo proprio come Derek e Scott.
Non sapeva ancora se esserne felice o al contrario essere incazzato nero; così come era successo all’amico, quel pazzo di Peter non gli aveva domandato il permesso, non gli aveva chiesto se desiderava o no quel dannato dono, ma poco valeva ora rimuginarci su.
Era accaduto e da quel giorno in poi avrebbe dovuto convivere con una parte di sé completamente nuova e imprevedibile.
Stendendosi completamente sui cuscini del divano, dopo essersi levato le scarpe, era pur sempre ospite a casa di Derek, e sinceratosi ancora – serrando gli occhi e concentrandosi sui rumori attorno a lui – che il padrone di casa stesse ancora dormendo, si assopì.
 
Il mattino portò con sé l’abituale quantità di rumori in grado di infastidire a tal punto Derek da costringerlo ad aprire gli occhi. Al primo tentativo di un minimo movimento, una fitta profonda e pungente gli attraversò la schiena e tutto gli tornò in mente.
La lotta con Stiles e la ferita inferta dallo zio, fino alle premurose cure che il beta gli aveva elargito su quello stesso letto e premendo il viso sul cuscino il licantropo rilasciò un roco ringhio di frustrazione.
Aveva il ragazzo in casa sua, addirittura seduto sul suo letto e il moro non poteva impedire alla mente di fantasticare su ben altre attività pur mantenendo inalterati i soggetti.
Lo immaginava impacciato e a disagio sotto i suoi tocchi e le sue carezze, rosso in viso con gli occhi socchiusi per i suoi baci e i suoi morsi, a bocca spalancata per i suoi graffi e le sue spinte.
Ma d’improvviso, come a volergli rammentare la sua vita fatta di sfortune e disgrazie, nella sua testa risuonò la voce contenta di Stiles che gli comunicava che di lì a un paio di giorni avrebbe avuto un appuntamento con la donna della sua vita.
 
Muovendosi con attenzione e cercando di non pensarci, riuscì a portarsi seduto, ad alzarsi e strascicando i piedi lentamente raggiunse il soggiorno. La luce entrava impietosa dalle grandi vetrate obbligandolo per un attimo a serrare gli occhi, ma quando mise a fuoco lo spazio attorno a lui, sorrise genuino nel vedere il piccolo ancora addormentato sul divano.
Era coricato sulla pancia, un braccio a penzoloni con il dorso delle dita a sfiorare il pavimento e la bocca dischiusa intenta a modulare un tenue e continuo russare.
Era – e Derek si maledisse da solo – dolce.
“Stiles” lo chiamò, consapevole non ci fossero alternative “se non ti alzi immediatamente, arriverai in ritardo a scuola”
“Cinque minuti papà” borbottò nel dormiveglia.
“Non sono tuo padre Stiles” disse serio Derek avvicinandosi di qualche passo.
Non appena il ragazzino registrò un movimento a lui molto vicino, i sensi da lupo scattarono, gli occhi si aprirono e in un secondo fu seduto e vigile.
Con un lamento, si stiracchiò per bene “Non mi piace la sveglia del lupo. È come accendere la luce. È uno SBAM! Non mi piace, preferisco le cose un poco più soft e graduali”
“Muoviti, ricordati che devi anche passare a prendere Scott. Vai a darti una ripulita mentre cerco qualcosa che ti possa andare bene?”
“Qualcosa di tuo?” quasi si strozzò il castano “Sembrerò un bambino con abiti da grande” ma adocchiando le macchie di terra in bella mostra sui jeans, dovette acconsentire.
 
Dopo una rapida doccia nella super lussuosa ed enorme doccia di casa Hale, Stiles tornò in camera con addosso solamente i boxer e un asciugamano arrotolato attorno al collo e trovò in un angolo del letto un paio di vecchi jeans e una semplice maglietta blu.
Derek dalla soglia della stanza lo stava osservando in silenzio cercando di non perdersi neppure un movimento, neppure un fotogramma di ciò che stava avvenendo a pochi metri da lui.
Stiles era praticamente nudo ai piedi del suo letto ed era bellissimo.
Il suo corpo non aveva ancora subito le trasformazioni conseguenti al morso, ma nonostante ciò era tutt’altro che mingherlino, come aveva erroneamente pensato, e il suo odore, Dio, lo stordiva ancora di più ora che lo sporco e l’adrenalina della sera precedente erano stati lavati via.
“Mi spiace, ma questo è tutto ciò che mi rimane di un paio di taglie in meno” si riscosse il padrone di casa, appena in tempo per non essere colto a mangiarlo con gli occhi dallo stesso oggetto di quegli sguardi.
Senza rispondere, il figlio dello sceriffo posò il telo e indossò i pantaloni.
“Certo mi stanno parecchio comodi, ma non ti preoccupare, vanno benissimo” commentò Stiles tendendo con le dita il bordo dei jeans fino a far si che tornasse visibile – anche se per poco – l’elastico dei boxer.
Anche la maglietta trovò la sua collocazione e come un tornado, tra un Grazie e un Ci vediamo dopo, il ragazzino sparì oltre la porta del suo appartamento.

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Capitolo 13
*** Occasioni e possibilità ***


Eccoci arrivati alla fine di un’altra mia storiella che, senza pretese, spero vi abbia fatto compagnia.
Ringrazio come sempre chi ha letto, commentato e/o inserito la ff in una delle categorie presenti su EFP.

 
Cap. 13
“Occasioni e possibilità”
 
Per Stiles le ore di scuola volarono via anche se le numerose domande di Scott su cosa avesse combinato a casa del mannaro non gli avessero dato tregua e oramai allo stremo e al suono dell’ultima campanella, esasperato il figlio dello sceriffo ordinò “Ora vai a casa, recuperi il necessario per la notte dicendo a tua madre che starai da me e aggiungi il sacco a pelo per fingere di andare in campeggio domani notte”
“Ma cosa”
“Andremo a stare da Derek per almeno un paio di notti. Eviteremo così di essere facili bersagli per quel pazzo e cercheremo di impedire che il nostro caro lupacchiotto ci lasci le penna per chissà quale motivo”
 
Tutto andò liscio e Derek vide piombare in casa propria, poco prima del tramonto, i due ragazzi equipaggiati di tutto punto.
Fece finta di non notare lo sguardo da cucciolo bastonato che Scott di tanto in tanto gli rivolgeva soprattutto quando il padrone di casa si incantava ad osservare il castano che gironzolava per casa come una trottola.
Stiles era stato inflessibile e aveva dichiarato che avrebbe cucinato qualcosa di commestibile dopo aver visto le confezioni di cibi precotti nel freezer e i cartoni del take away e, alla ricerca di questo o quello per cassetti e antine, riempì il ripiano della cucina aggiungendo quanto recuperato nella tappa compiuta poco prima al supermercato.
 
“È meglio lasciarlo fare, fidati” disse a un certo punto Scott, incoraggiando il maggiore a seguirlo fuori dalla cucina e solo una volta seduti sul grande divano del soggiorno, riprese “Tanto per sapere, come hai intenzione di… cioè pensi di dirgli quello che”
“No”
“Ma come? Se quello che mi hai detto è vero”
“È vero” lo interruppe, togliendogli ogni dubbio.
“Ok, allora mettiamola così: considerando quello che mi hai detto, hai intenzione di lasciare le cose come stanno? Senza”
“Cosa diavolo vuoi che gli dica Scott?” di nuovo Derek impedì al beta di parlare “Sai Stiles io e te siamo destinati a stare insieme, ah, dimenticavo, per tutta la vita, quindi scordati chiunque altro sulla faccia della Terra, io ho solo te e tu avrai solo me?”
“Beh, forse non proprio così, però, non puoi neppure permettere che”
“Se deve succedere, succederà”
“Oh, un grande piano, davvero” lo sbeffeggiò Scott “intanto lui sabato se ne andrà al ballo con Lydia”
Derek non rispose, ma rimettendosi in piedi ancora un po’ a fatica, lo lasciò lì da solo e raggiunse Stiles.
 
“Ehi, ciao” lo accolse il piccolo, intento a spadellare una non ben identificata verdura “come stai”
“Bene”
Lo sguardo non convinto del castano, costrinse il lupo a rivedere la sua precedente risposta, intavolando una leggera e tranquilla conversazione che Scott evitò accuratamente di interrompere, fino a quando non venne chiamato a tavola dall’amico.
 
La serata e la notte passarono veloci e, solo quando vide i due lasciare il suo appartamento il mattino dopo per recarsi a scuola, Derek iniziò a darsi dello stupido.
Scott aveva ragione – forse – non poteva pensare all’eventualità che l’appuntamento con la rossa andasse bene e alle conseguente che ciò avrebbe comportato.
Derek sarebbe rimasto solo, dannatamente solo.
Si arrovellò tutto il giorno a ipotizzare cosa quell’assatanata avrebbe potuto fare con il suo Stiles e tutte le possibilità gli mandarono in poltiglia il cervello.
 
Il moro non doveva avere una bella cera quando il figlio dello sceriffo e il beta rientrarono nel tardo pomeriggio se il suo compagno gli corse incontro con l’espressione preoccupata e accovacciatosi a terra accanto al divano posò ingenuamente la mano sulla fronte “Stai male?”
“No, sono solo stanco. Tu, voi tutto bene?”
“Sì, nessun pazzo all’orizzonte e questa sera si va in campeggio” esultò alzando entrambe le braccia e rischiando di perdere l’equilibrio.
“Campeggio? “ ripeté Derek.
“Sì, abbiamo i mashmallow, siamo riusciti a farci comprare qualche birra e questa notte bivaccheremo nel bel mezzo del tuo salotto. Contento?”
“Da morire” ironizzò il lupo.
 
Ogni volta che si perdeva ad osservare il volto sorridente e rilassato, nonostante gli eventi degli ultimi giorni di Stiles, Derek si sentiva stranamente bene anche se cercava di impedire alle sue labbra di piegarsi all’insù.
Anni e anni di allenamento però non aveva reso per nulla semplice resistere a quell’accozzaglia di sentimenti che credeva oramai a lui non destinati e che sembravano aver preso dimora in un angolo difficile di difficile collocazione, ma piantato lì nel profondo, tra lo stomaco e i polmoni.
Anche quella notte passò, con il padrone di casa perso in mille fantasie, alcune decisamente inenarrabili e al mattino i due ragazzi lo lasciarono di nuovo solo, salutandolo dalla porta appena prima di sparire giù per le scale.
 
Quella giornata fu per Derek eterna, sapeva che Stiles e Scott avrebbero tardato dovendo passare a ritirare lo smoking per il ballo, ma questa consapevolezza non lo aiutò.
Solo quando sentì il motore della Jeep tossicchiare in strada, tirò un paterno sospiro di sollievo, anche quella volta fortunatamente non era successo nulla di male e andando loro incontro spalancò la porta.
“Ehi, guarda qui, il mio primo abito da adulto” trillò il castano agitandogli davanti un appendiabiti accuratamente ricoperto da una pellicola opaca e rivolgendosi poi al compagno di scuola “Dato che abbiamo fatto più tardi di quanto pianificato, vuoi andare a prepararti tu per primo? Io cucino qualcosa intanto”
“Ma mi pareva di aver capito che non avremmo cenato qui” puntualizzò Scott, avviandosi verso il bagno.
“Lo so, ma lui sì” indicando con un cenno del capo Derek.
 
Dopo aver adagiato con cura il completo sullo schienale del divano, il figlio dello sceriffo si incamminò verso la cucina, seguito a vista dal padrone di casa.
“Non è necessario che tu perda tempo a”
“Non sto perdendo tempo e poi se non ci penso io a te, chi lo fa? Scommetto che ordineresti di nuovo qualche schifezza. Lascia fare a me e poi per un’insalata e una bistecca non servono di certo delle ore”
Il moro lo lasciò fare e appoggiandosi al bordo del tavolo lo osservò muoversi per tutta la stanza con una disinvoltura che gli solleticò il cuore.
“Allora questa sarà la sera del grande ballo” ruppe il silenzio il maggiore.
“Non ci posso credere, io al ballo con la più bella ragazza della scuola. Non hai idea di quante volte me lo sono ripetuto oggi, tentando di convincermi fosse vero”
Come predetto da Stiles, bastarono pochi minuti e la casa si riempì del profumino della carne che rosolava e con un tempismo perfetto, la cena fu pronta nell’istante esatto in cui Scott, entrando in cucina, invitò gentilmente l’amico a darsi una mossa.
 
Dopo una doccia veloce e una maniacale sistemata ai capelli, Stiles scivolò in quello smoking nero e lucente che lo abbracciava come una seconda pelle e regalata un’ultima occhiata allo specchio, tornò in soggiorno.
Scott era in piedi accanto alla porta e Derek seduto, all’apparenza tranquillo, sul divano.
I loro occhi vennero calamitati dall’entrata in scena del figlio dello sceriffo e il maggiore rimase letteralmente senza parole.
Stiles era uno schianto. Non c’erano altre parole che potessero descriverlo meglio.
La stoffa avvolgeva con cura e maestria le gambe e le spalle del ragazzo disegnando e modellando perfettamente il suo corpo e l’imbarazzo che gli colorava le guance lo rendevano un bocconcino a dir poco prelibato.
“Allora sono o non sono stupendo?” chiese pavoneggiandosi, improvvisando una piroetta.
Se Derek non fosse stato anticipato dall’altro beta avrebbe certamente risposto “Sì, lo sei” ma fortunatamente Scott reagì per primo “Sì, mi ti farei! Ma ora datti una mossa Casanova”
“Aspetta” disse con urgenza il padrone di casa e alzandosi di scatto raggiunse il castano. Portandosi esattamente davanti a lui, alzò le mani fino a stringere tra le dita i lembi del farfallino “Lo hai fatto in modo pessimo” e tirando in direzioni opposte, rinsaldò il nodo “Beh, buona serata”
“Grazie, ci vediamo dopo”
E i due ragazzi scapparono via verso le loro belle, lasciando il lupo triste e solo.
 
Quella era di gran lunga la serata più noiosa della sua vita.
In poco più di due ore, Derek aveva fatti zapping passando e ripassando su tutti i canali della TV via cavo senza trovare nulla di suo gradimento, si era dedicato a un po’ di esercizio fisico sperando di scaricare il nervoso, si era concesso una doccia e addirittura aveva iniziato a riordinare i cassetti.
Tutto pur di non pensare a Stiles che al momento, molto probabilmente, era avvinghiato a quella sciacquetta dai capelli rossi che non lo aveva considerato minimamente fino a pochi giorni prima.
Ancora perso nei suoi pensieri, venne preso alla sprovvista quando, poco prima delle dieci di sera, la porta del suo appartamento si spalancò rivelando la figura del castano che con il cravattino slacciato e la giacca buttata su una spalla gli sorrideva.
“Cosa ci fai qui?” domandò curioso il padrone di casa.
“Ci credi se ti dico che non lo so neanch’io? Cioè, un attimo prima stavo cercando di avere la conversazione più brillante della mia vita per fare impressione su Lydia e un attimo dopo non me ne importava più niente e poi è arrivato Jackson”
“Ti ha mollato per quel biondino slavato?” incalzò il moro.
“No, anzi, a dirla tutta sono stato io a mollarla a lui” e scuotendo il capo, si sedette accanto a lui sul sofà, puntando i gomiti sulle ginocchia “davvero ad un certo punto le ho detto Perché non vai a ballare con lui? Lei mi ha guardata e dopo un frettoloso bacio sulla guancia è corsa via. Meglio per tutti”
“Mi dispiace” sussurrò sincero il moro.
“Anche a me. Fa sempre male quando un sogno o una fantasia si infrangono o semplicemente ti rendi conto che sono passate”
“Passate?” ripeté Derek.
“Sì, credo che questa cotta decennale alla fin fine non avesse né capo né coda, era solo un’abitudine, una cosa che rimaneva lì fissa e immobile dandomi l’illusione che nulla nella mia vita fosse cambiato, ma non è così”
Dopo un attimo di silenzio, il liceale riprese “Vado a mettermi qualcosa di meno ingessato, poi ti va se ci guardiamo un film?”
Derek non rispose, ma semplicemente annuì, ricevendo in cambio un sorriso mentre il ragazzo lo superava per raggiungere il borsone, recuperare gli indumenti con cui era solito dormire e dirigersi poi verso il bagno.
 
Derek continuò a fissare il punto in cui l’altro era temporaneamente sparito. Forse il destino gli aveva concesso una possibilità, la sua possibilità di accaparrarsi finalmente un angolo felice, di mostrare il proprio cuore ferito alla una persona che sarebbe stata al suo fianco per sempre, contro tutto e tutti.
 
Aprendosi in un adorabile ghigno prese consapevolezza che il suo compagno era appena tornato su piazza e Derek Hale non si sarebbe lasciato sfuggire una così ghiotta occasione per nulla al mondo. 

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