UNTITLED Without End di Cap_Kela (/viewuser.php?uid=15140)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il mio inizio sei tu. ***
Capitolo 2: *** Una piccola bugia. ***
Capitolo 3: *** Festa grande. ***
Capitolo 4: *** Here I am... ***
Capitolo 5: *** Better days. ***
Capitolo 6: *** Ferita dell'animo. ***
Capitolo 7: *** Wayfarers. ***
Capitolo 8: *** Epiphany. ***
Capitolo 9: *** Illusion. ***
Capitolo 10: *** I don’t wanna miss a thing ***
Capitolo 11: *** Misery non deve morire. ***
Capitolo 12: *** Sweet Nightmare. ***
Capitolo 13: *** Il novellino. ***
Capitolo 14: *** Brando ***
Capitolo 15: *** Dead Men Tell no Tales ***
Capitolo 16: *** Occhio Malocchio ***
Capitolo 17: *** Unbrothers ***
Capitolo 18: *** Choice ***
Capitolo 1 *** Il mio inizio sei tu. ***
chap1
Nota
delle autrici:
Salve
a tutti, un caloroso saluto dalla Capitana e il Capo!! =D
Torniamo
qui oggi come tante volte promesso con UNTITLED- With out End, il
seguito della nostra prima ff Untitled.
Vi
abbiamo lasciati il 24 Aprile di quest’anno con la
conclusione di questa vicenda che con Untitled in realtà
è solo iniziata, c’è molto
più ma molto più assai (alla Jack XD) da
raccontare!! ^^
Quel
giorno è stato come aver compiuto un piccolo miracolo,
piccolo piccolo ma pur sempre un miracolo! =)
I
primi tempi era stato difficile mandarla avanti questa storia e
riuscire a portarla avanti fino alla fine, mettere quel sospirato
“the end” dopo che è finito tutto
è stata davvero una gioia immensa!!
Ringraziamo
di cuore: Laura Sparrow, Haput, la mia
tigrotta-Picci-Moschettiera-Capa-Lu-Luana XD, Mikiminu, Rinoa, Evan88,
Salsero, Frulli =D, Giugi, Mascia, la mia
Fra-France-Pazzerella-Johnnyjack XDXD, la nostra fuggitiva purtroppo
alla fine sempre scoperta =( Katy[sorpresina x te nel prologo
;)]-Schumi95, Jiùjiù Giulia =D, Chihiro, Alezka,
LauraJoe, Glo88, micia, daphne greengrass, Anduin, Hilly89,
Liegibastoliegi, pelo ponneso, SimmyLu, la nostra Lucrezia bambigi =D,
Love Jack Sparrow e infine Perla per aver detto la vostra e averla
apprezzata e non! ^^
Lascio
qui un ringraziamento anche alla mia regista personale Vale per aver
realizzato un video su Unty che mi ha portato fino alle lacrime.
Tim… sei licenziato, basta! Fattene una ragione!!! XD
Grasie!!! =’)
E
allora rieccoci qui per vostra fortuna o sfortuna! :P
Non
vogliamo anticiparvi nulla, ne parleremo man mano se ne avrete voglia ;)
Vi
posso solo dire che inizialmente vi imbatterete in un prologo, dove al
contrario di quasi tutto il resto della storia, il narratore non
è Jennyfer ma qualcun altro!
Starà
a voi identificare questo individuo, anche se in una parte è
detto esplicitamente di chi si tratta.
C’è
anche un piccolo riferimento a un fatto di Potc3 ma ormai non lo chiamo
più spolier, in ogni caso sapete che
c’è ;)
Nel
primo capitolo abbiamo esteso un riepilogo che narra parte dei fatti
più importanti che sono accaduti in Untitled1 (che noi
chiamiamo amorevolmente Unty) e ci sarà la presentazione di
un nuovo personaggio!
Questo
soggetto esisteva già in Unty1 ma non ne abbiamo mai
parlato, qui avrete largo modo di conoscerlo!! =D
La
fine del capitolo potrà sembrare una song-fic
perché ho inserito una strofa di una canzone del duetto
Tosca-Fiorello “il
mio inizio sei tu”, ma sarà
l’unica canzone della fic, come una colonna sonora ;)
Ho
trovato strano che nessuno ci abbia mai chiesto come stranamente
all’inizio d Unty1 Jenny sapeva fare a malapena una banana
splint e nel concludersi della storia cucinava tranquillamente, non ci
avevate fatto caso?
Bhe
noi vi diamo la soluzione =D
Avvertenza: per
leggere e comprendere :P le battute di questo nuovo personaggio dovrete
improvvisare un bell’accento francese!! XD
Alla
fine del capitolo1 troverete dei “fuori scena” dei
commenti tra me, il Capo e i personaggi.
Sono
sperimentali cioè stabilirete voi se dovremo lasciarli o
meno :P Fateci sapere!
Buona
lettura a tutti voi!! La Capitana passa e chiude :P
Diteci
come siamo andate! ^^
Un
bacione, a presto! =D
Le ancora in carreggiata
Kela and Diddy.
(Capitana
and Capo)
Untitled Without End
Dedicata
a quattro persone in particolare:
La
nostra amatissima cuginetta al quale abbiamo preso in prestito il nome
per interpretare un personaggio chiave di questa fan fiction,
ti
vogliamo un mondo di bene Scilla!!!
Alla
nostra fan numero uno che ci ha seguito fin dal principio con passione
appoggio ed entusiasmo Luana!! ^^
Te
l’avevo promesso un regalino per essere stata anche la
centesima a recensire, era questa dedica particolare, spero t piaccia!
:P
A
una persona che adoro e ammiro per tutto quello che fa e sa essere, per
la sua infinita gentilezza, disponibilità e
spontaneità.
Per
averci sempre difeso e messa anche nei guai per colpa nostra, per
avermi aiutato sempre anche inconsciamente, a te Fra!!! =)
Dedicata
infine alla mia prima prof di italiano Polimeni, una persona che darei
il mondo per rivederla, per parlarci ancora una volta e dirle che ho
espresso il suo segreto desiderio e che mi seppellirei viva sotto la
sabbia se leggesse questa storia XD Quella persona che è
stata il primo idolo della mia vita =)
Grazie
per aver sempre creduto in me!
-Prologo-
Never forget.
Percorre
l’ampio corridoio deciso e a passo svelto.
Quella casa su
tre piani è troppo grande, l’ha sempre pensato.
La suola
infangata delle sue scarpe lascia qualche lieve impronta sul raffinato
pavimento di marmo appena lucidato.
“Ma…
Signorino Allyson, ho passato la lucidatrice solo qualche minuto
fa!!”
L’affermazione
fatta dall’assistente domestica giunge al suo orecchio come
una giusta protesta.
“Oh…
Ehm… Mi dispiace Consuelo!” Si scusa voltandosi
verso la donna non sapendo cos’altro dire a sua discolpa.
Lei sospira
rumorosamente, ma essendo una donna paziente senza alcun borbottio
riaccende il rumoroso aggeggio elettrico che riempie
l’immenso silenzio di quei alti muri definiti a volta per
creare un lungo corridoio che attraversa tutto il secondo piano della
villa.
Quel dannato
posto come il resto della casa è interamente ornato da fiori.
Piante
arrampicanti che arrivano al soffitto, vasetti con boccioli rigogliosi
sparsi qua e là in ogni angolo.
E’
una cosa che fa rabbrividire essere circondato da questa
“boscaglia”, sembra di passeggiare per il viale di
un cimitero.
I
muri sono grigiastri come la pietra, le numerose porte delle stanze
ricordano lapidi di legno e i fiori incorniciano il tutto.
Mancano
soltanto le immaginette dei defunti per distinguerne i luoghi di
sepoltura e quei fiochi lumini destinati a far luce sulla foto del
morto e nei casi migliori anche sulla incisione della lapide.
E’
la padrona di casa ovvero Loren Allyson ad aver voluto creare questa
sottospecie di serra che quasi sostituisce la mobilia ormai.
“Se
avessi avuto una figlia femmina mi sarei presa cura di lei e non di
questa foresta pluviale che si è creata nella nostra
abitazione. Ma tu sei un ragazzo Dylan, gli uomini non hanno amore per
la natura come noi donne, lo so perché sono 30 anni che
conosco tuo padre!”
Mi
ripete questa frase ridicola tutte le volte che mi sorprende a
disprezzare i suoi fiori.
Quando
c’era Jenny era molto meglio, la mamma decorava solo gli
angoli con un vasetto di qualche fiore tropicale trovato
chissà dove o proveniente da una floricoltura esclusiva.
Ora
sembra riempire il vuoto che ha lasciato (Jennyfer NdAutori)
con quei ingombranti arbusti verdi che costituiscono l’anima
di questa casa spenta della sua presenza.
Invece
hai torto marcio mamma! Ce l’hai una figlia, si chiama
Jennyfer Catherine (dedicato
alla nostra piccola Kathy che odia anche lei il suo nome ;) NdAutori)
Allyson ed ora non è più qui perché si
trova in un posto lontano, persino in un secolo diverso dal nostro dove
ha trovato quello che una persona nella vita si augura di scovare prima
o poi, in un uomo che… Ah ti piacerebbe mamma!
Lo
prenderesti subito in simpatia e affascinerebbe anche te!
E’
strambo, stralunato, irriverente, un mezzo furfante, ha una passione
sfrenata per il rhum che adoro anche io… Anzi no, detto
così non si presenta bene, ma ti assicuro che è
anche estremamente buono se vuole e ha persino le caratteristiche che
scherzosamente hai sempre richiesto tu per i ragazzi che possono
frequentare Jen: ricco, nobile e famoso.
Abbiamo
conquistato il tesoro di Isla Oculta al suo fianco sai? E’ il
bottino più antico di tutti i Caraibi!!
E’
uno dei 9 pirati nobili, ma non sai neanche questo vero? Al museo dove
ho “preso” la mappa erano conservate delle copie
dei 9 pezzi da otto, non erano monete in realtà, ma pezzi di
tutto! Tra questi ho riconosciuto le perline della tibia di renna che
Jack portava sempre attaccata alla bandana.
Anche
dei documenti originali riportavano il suo nome tra i 9 membri del
consiglio, sembra assurdo lo so, quando l’ho scoperto non
potevo crederci neanche io!!
Famoso,
bhe… Prova ad andare a Tortuga chiedendo di lui o in
qualsiasi altro porticciolo con taverne allegre e superfrequentate,
neanche un cane negherà di averci avuto a che fare per una
buona o cattiva circostanza!!
Quei avventurosi
ricordi accompagnano il giovane fino alla terzultima stanza del
corridoio serrata da una spessa toppa che si apre solamente con una
grande chiave appartenete a lui e a nessun’altro.
Tira un lungo
respiro di sollievo per darsi coraggio, si guarda intorno per
assicurarsi di non esser visto e sforzando un poco la vecchia serratura
entra.
Viene subito
investito da una forte luce che abbaglia per qualche istante i suoi
occhi chiari costringendolo a socchiuderli.
Ma non si tratta
di quel bagliore bianco che per ben due volte l’ha fatto
viaggiare nel tempo, non l’ha mai confidato a sua sorella ma
in quei lunghi attimi d’attesa credeva che qualcosa sarebbe
andato storto e fosse morto senza accorgersene, bensì il
chiarore proveniente dai due grandi finestroni che si aprono sul
balcone della stanza, la sua camera da letto di quando era bambino!
Già,
di quando ERA perché non è più un
mocciosetto da tanto tempo!
Il funghetto
pestifero e lentigginoso ora ha 18 anni e mezzo,
sono trascorsi dieci anni da quel giorno che la sua mente si impone di
non dimenticare.
“Allora
me ne torno a casa da solo” sembra uno stupido capriccio ma
sono queste le parole che gli hanno cambiato la vita per sempre.
Muove qualche
passo verso la finestra, con occhi mesti osserva la pioggia riversarsi
insistente del giardino.
“Questo
odioso fenomeno atmosferico” grugnisce con disprezzo.
Si perde qualche
istante nell’osservare delle auto che sfrecciano incuranti
sulla via che fronteggia l’abitazione.
Vorrei
vedere ancora una volta quella Porsche nera rincasare nel vialetto e io
trasformare le mie gambe in quelle corte di quando ero bambino per
correrti incontro e ricevere ancora il tuo abbraccio seguito da un
“Ciao piccolo pirata” con quella allegria che avevi
solo tu.
Porta lo sguardo
un poco affranto sul vetro bagnato dall’acqua piovana,
qualcosa alle sue spalle gli spezza il fiato e provoca in lui un
brivido che gli percorre tutta la schiena.
Sgrana gli occhi
incredulo deglutendo rumorosamente, è spaventato ma allo
stesso tempo euforico.
Non sa
esattamente cosa sta succedendo alle sue spalle e non vuole saperlo,
attende solo impazientemente che si concluda al più presto
per assistere all’esodo finale.
Il suo battito
accelera notevolmente e riprende a respirare anche se in modo affannoso.
Si aspetta di
vivere una qualche scena di un film dove quando sta per succedere
qualcosa di significativo un vento violento o qualcosa di
fantascientifico proveniente da chissà dove spalanca di
colpo la finestra e la furia della sua folata scaraventa il
protagonista a terra mettendolo K.O.
Invece nulla,
niente di tutto questo, ma dietro di se avverte che in quella stanza
sta per scatenarsi qualcosa più grande di lui e cerca di
individuarne la natura dal riflesso sul vetro della finestra.
Promette a se
stesso di mantenere la calma e rimanere girato di spalle
finché nel locale non torna la quiete, ma un leggero panico
prende il sopravvento su di lui e non resiste all’impulso di
voltarsi verso il centro della stanza per vedere cosa accade.
Il ciuffo ancora
zuppo di pioggia gli finisce negli occhi e offusca la sua vista per
qualche istante.
Nonostante porti
i capelli corti non vuole saperne di tagliare il ciuffo, lo tiene
sempre un po’ lungo e con una piccola parte che gli ricade
sugli occhi.
Gli rammenta
quando era sua sorella a pettinarlo sempre con le dita per
sistemarglielo e non intende ancora liberarsi di quel ricordo.
A volte riesce
ancora a percepire quelle mani candide che giocherellano con la sua
mora chioma.
Diceva di odiare
quel gesto ma mentiva spudoratamente, amava farsi toccare i capelli
soprattutto con la dolcezza che ci impiegava lei.
Avanti,
andiamo…Su, forza!!!
Si ritrova ad
incitare nemmeno lui sa cosa, vuole solo che finisca in fretta per
partecipare al suo compimento.
In effetti
qualcosa nell’armonia che regnava nella camera da letto
è mutato, nel punto centrale della stanza si è
formato una specie di anello di luce che proietta un cono abbagliante
di albore sollevando un vortice d’aria.
Istintivamente
reagisce a tutto questo piegandosi leggermente sulle gambe e tenendo
salda la presa sul davanzale della finestra per non esser spazzato via.
Sulle sue labbra
si allarga un sorriso compiaciuto, inizialmente lo spaventava a morte
quello che sarebbe successo, ma ora riesce ancora sentire a un palmo da
naso quel dolce profumo di emozionante avventura e sconfinata
libertà che per tutto il tempo l’aveva
accompagnato nel suo breve viaggio nel passato.
Ora finalmente
si sente davvero pronto ad affrontare in tutto e per tutto
ciò che l’aspetta e possiede persino lo spirito
giusto per affrontarlo come solo lui è in grado di fare.
Qualsiasi
cosa succeda… Io ti aspetto qui!!
Capitolo 1
Il mio inizio sei tu.
Mi chiamo
Jennyfer Allyson, ho 17 anni compiuti all’incirca 5 mesi fa!
5
mesi… come è cambiata in 5 mesi la mia vita!!!
5 mesi fa
credevo che la mia vita fosse la più noiosa in assoluto, ma
durante una gita scolastica successe l’imprevedibile.
Vidi in un museo
il quadro magnifico di una nave: la Black Pearl che senza saperlo
sarebbe diventata la mia casa, e questo grazie al nano di mio
fratello…Dylan.
Cavolo, quanto
mi manca quella piccola peste!
Non passa giorno
senza che la mia mente mi giochi il brutto scherzo di vederlo ancora
scorazzare con un sorrisetto furbo e allegro sul ponte di questa bella
nave, proprio il luogo dove mi trovo ora affacciata alla balaustra
mentre osservo il mare malinconica sorreggendo la testa con una mano.
La sua vocetta
scherzosa mi rimbomba ancora nelle orecchie sottoforma di qualche presa
in giro o del suo nomignolo preferito che mi dava in continuazione: mozzarella.
Per il colore
annualmente biancastro della mia pelle è certo, cosa darei
per sentirglielo dire solo un’altra volta…
Insieme abbiamo
intrapreso un’avventura al di fuori di ogni immaginazione,
venimmo scaraventati in un’altra epoca per colpa della mappa
che lui stesso aveva rubato di nascosto.
Non sono mai
riuscita a spiegarmi come abbia fatto, ma anche se può
apparire sbagliato dato che si tratta di un furto è la cosa
più giusta che abbia mai commesso.
Qualche parola
senza senso e una grande luce bianca che ci circonda, ecco
l’ultimo ricordo che ho del futuro.
Una volta
ritrovateci qui volevamo a tutti i costi tornare a casa, ma come
successivamente scoprimmo ci serviva la mappa intera, noi ne avevamo
solo metà!
Da subito
entrammo contro il nostro volere a far parte della ciurma di una nave
chiamata Red Ocean e venimmo attaccati dai pirati della Black Pearl.
La prima
impressione di questo vascello è stata folgorate, nemmeno
dal dipinto mi sarei mai immaginata che emanasse tale incanto alla sua
vista.
Non avevo la
minima idea che la nottata passata con il mio fratellino in una fredda
cella fosse solo l’inizio della mia vita.
Eravamo
prigionieri, ma quando il Capitano (e che Capitano!!! *_* NdCapitana)
venne a sapere che noi possedevamo metà della mappa decise
di aiutarci anche se, in realtà, i suoi scopi erano ben
diversi: lui voleva trovare il tesoro dell’Isla Oculta, il
più grande tesoro mai esistito nei Carabi!
“Jenny…”
Mi giro di
scatto e vedo Andrè, un pirata francese (ke culo!! NdCapo)
che fa parte di questa nave.
ANDRE’:
“Le Capiten mi ha oRdinato di diRti che devi contRollaRe le
vele… con tuto questo vento potRebbeRo esseRsi
danneJate!” spiega riluttante osservando il cielo dove le
nuvole si spostano velocemente a causa della brezza.
Mastica bene
l’americano ma non rinuncia a mescolarlo con la sua lingua
d’origine e a volte risulta molto difficile capirlo.
IO:
“COSAAAA??? Con il vento che tira oggi devo arrampicarmi fin
lassù!?!?!” sbotto dopo aver impiegato qualche
secondo a decifrare le sue parole spiazzata dall’ordine
assurdo imposto da Jack.
Scuote la spalle.
Povero
Andrè, è da quando ci siamo conosciuti che deve
subire i continui ‘battibecchi’ tra me e il
Capitano!
Ricordo
perfettamente quel giorno:
Mi trovavo in
cucina e avevo preparato sul ripiano da lavoro alcuni ingredienti per
cucinare qualcosa, però non avevo la più pallida
idea di cosa fare e da dove iniziare!
“Cosa
me ne faccio di voi??” dicevo sospirando.
All’improvviso
sentii dei passi dietro di me e con molta sorpresa vidi
quell’uomo.
IO:
“Lei chi è?”domandai sorpresa, non mi
faceva mai visita nessuno in cucina a parte i pirati incaricati di
servire i pasti in tavola.
ANDRE’:
“Non aveR pauRa madamoiselle, je suis Andrè, molto
piaceRe. Non Sci siamo mai pResentati!”disse molto amichevole
prima guardandosi attorno incuriosito e poi tranquillizzandomi con un
sorriso.
IO:
“Il piacere è mio, io sono Jennyfer”
reagii cordiale porgendogli la mano.
Lui
l’afferrò con immensa delicatezza e rispose:
“Me oui, incantato”
Mi
stupì tantissimo quel gesto!
IO:
“Lei è sicuro di far parte della ciurma di questa
nave? Il suo aspetto è troppo curato per essere un
pirata…”notai sarcastica dopo aver potuto
osservarlo da vicino.
ANDRE’:
“Questo peRchè il mio pRimo lavoRo che feci quando
aRRivai nel neveu monde fu il baRbieRe! E adoRo cuRare il mio
aspetto” (è
Gay!! lol NdAutori) spiegò appagato.
IO:
“Ah compren…cioè capisco!!” (questa è
l’influenza del Capitano NdCapitana)
ANDRE’:
“Vedo che qui Sce un petit pRoblema!!”
commentò esaminando con occhio attento ciò che
avevo disposto di fronte a me.
IO:
“Già non sono molto esperta di cucina, anzi me la
cavo a malapena!!” ammisi un poco in imbarazzo e tenendo la
testa bassa.
ANDRE’:
“Non peR annoiaRti con la stoRia della mia vita, ma duRante
la mia giovineSa en France ero un cuisinier!” (il cuoco NdAutori)
IO:
“Allora potrebbe aiutarmi e insegnarmi qualche piccolo
trucco?” domandai con un filo di esitazione dopo aver
decifrato la sua affermazione che mi appariva poco chiara a causa della
pronuncia molto incerta.
ANDRE’:
“Ma ceRtamente, con immAnso piaceRe…
peRò non dobbiamo diRlo al Capiten, altrimenti mi
prendeRebbe in giRo!”rispose prima trionfante di gioia poi
incupendosi e abbassando addirittura la voce.
IO:
“Perché?”
ANDRE’:
“E’ una lunga stoRia,
madamoiselle…” rimase del tutto vago.
Nonostante tutto
mi diede un sacco di sicurezza! Da quel giorno trovai un nuovo amico a
bordo della Black Pearl.
Chiese al
Capitano il permesso di invertire il suo compito con quello di un altro
pirata, avrebbe dovuto solo trasportare i piatti con le pietanze dalla
cucina alla sala da pranzo ma in realtà fece molto di
più: mi insegnò a cucinare qualsiasi cosa!
Le sono molto
grata per questo, ormai lo considero quasi come il padre (o la madre lol NdCapo)
che “non ho mai avuto”!
Interruppi
controvoglia i miei ricordi e sconsolata iniziai ad arrampicarmi
goffamente sulle sartie. (cavo
che sostiene trasversalmente gli alberi della nave NdAutori)
Il vento
è troppo forte e continua a farmi oscillare da una parte
all’altra.
Sudo freddo
tutto il tempo, le mani non riescono a mantenere una presa salda sui
cavi e la suola dei miei stivali tende a scivolare di tanto in tanto.
Abbasso lo
sguardo e incontro quello divertito di Jack che mi osserva da lontano
con le mani sui fianchi scuotendo la testa.
Guarda te se,
col vento che tira oggi, IO mi devo arrampicare fin quassù,
tra queste corde consumate, per il divertimento di quello
là, che ghigna alle mie spalle…!!
Finalmente
arrivo in cima al pennone, (asta
di legno che costituisce il lato superiore delle vele NdAutori)
tirando un sospiro di sollievo. Non sono ancora caduta per fortuna!!
La situazione
è stabile, le vele tengono bene nonostante la furia del
vento.
Tra vari insulti
rivolti al Capitano e con la paura “nera” di
cadere, riesco a scendere.
IO:
“Capitano, ti sembrava forse il caso di farmi immedesimare in
Spiderman proprio oggi, con il vento che tira???” affermo
alterata andandogli incontro.
Si blocca di
colpo irrigidendosi frastornato e risponde: “…Va
bene, questa è una di quelle parole che non capisco e non
capirò mai, vero?”
IO:
“Bhe non importa, ma ti sembrava il caso di farmi salire per
dare una controllatina alle TUE vele??”dico in un broncio
offeso come ne manifestava molti Dylan.
JACK:
“Non stavi facendo niente!”spiega allargando le
braccia e inarcando leggermente la schiena all’indietro
mostrando la dentatura dorata in un sorriso divertito.
“Stavo
PENSANDO” Rispondo senza rifletterci sporgendo il labbro
inferiore sempre offesa e distogliendo lo sguardo dal suo sempre
più vittorioso. (A
lui riesce difficile anche a capire qst termine NDCapo Aia la Capitana
mi ha dato una sberla)
“E a
cosa pensavi??” Dice di scherno formando una specie di
cerchio con le mani davanti alla mia faccia, per poco non scoppio a
ridere.
“Pensavo
a come mi hai cambiato la vita Jack!” Rispondo armoniosa
avvicinandomi a lui cambiando del tutto tono e incrociando le braccia
dietro il suo collo.
“E in
che modo ho cambiato la tua vita?” dice inizialmente stupito
dalla mia asserzione sussurrando poi quelle parole con un sorriso
stampato sulle labbra.
Questa domanda
mi fa divenire improvvisamente seria, triste…
Poco fa
ripensare al mio passato non mi aveva causato questa
reazione… Malinconia certo, una punta di mestizia, ma ora
non so proprio cosa mi sia preso!
L’hai
cambiata Jack, eccome anche!
Ho scelto di mia
volontà di abbandonare per sempre le cose più
preziose che abbia mai posseduto nella mia esistenza, beni materiali a
parte.
Per te ho
rinunciato alla mia famiglia, a Dylan, a tutte la comodità
del ventunesimo secolo, ma in cambio tu mia hai fatto scoprire cosa
vuol dire amare, non c'è prezzo per questo! (Mastercard: insegnare ad
amare= nn ha prezzo!! NdCapitana Battere i tendeski in casa=
nn ha prezzo!! NdCapo)
Magari dalle
cose che ti ho raccontato, dentro di te, pensi che nel futuro non ci
sia cosa che non si possa comprare ma non è così!
Non c’è modo ne costo per pagare ciò
che provo in questo luogo, in questa epoca, in questo istante, con
te…
Non posso dirti
queste cose, ti farei sentire in colpa e non te lo meriti per niente.
Poco tempo fa ho
preso una decisione che ha cambiato per sempre non solo la mia vita ma
anche quella di tutte le persone che mi circondando, era la cosa giusta
da fare ormai ne sono convinta, persino Dylan mi ha spinto a farlo e
fidandomi di lui ho fatto bene.
Nulla
riuscirà a farmi cambiare idea! Anche se a volte
ripensandoci una fitta di disagio mi trafigge il petto e cancella un
mio sorriso.
IO:
“Lo sai benissimo, non c’è bisogno che
te lo dica! Quello che è successo non si può
cambiare…”
JACK:
“Forse un giorno me lo racconterai…”
risponde quasi con una nota di sfida.
Come fai ad
essere sempre così dolce con me?!
Con
te, che io voglio riempire i miei giorni.
Te,
che io voglio far veri i miei sogni
Te,
questo viaggio ha porti sicuri
Chiari
contorni.
Ci
sarò per la fine del mondo,
ci
sarò per amarti di più
e
così se chiami rispondo:
Il
mio inizio sei tu…Jack!
________________________________
FUORI
ONDA
JENNY:
"CAPITANOOOOOOOO le vele la prox volta te le guardi tu!!!!!"
Capo:
"NOOOOOOOOOOOOO non farlo venire qui ti prego!!!"
Capitana:
"Che scema!! No no, tu vieni qui!!"
JACK:
"Chi io??"
Capo
morto di paura, Capitana morta per le troppe emozioni provate in un
solo istante!
ANDRE':
"E CHI SAREBE GAY??"
TUTTI:
"TOI!!!"
ANDRE':
O.O "UFF [piange]"
Capitana:
"Meglio tornare alla storia!!"
|
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Capitolo 2 *** Una piccola bugia. ***
Nota delle autrici:
Un salutone a
tutti quanti! =D
Prima di tutto,
parlando anche a nome del Capo, siamo felicissime che Unty non sia andata del
tutto dimenticata e ci onora l’entusiasmo con cui avete reagito alla prima
pubblicazione! ^^
Al termine di
questa nota ci sono tutti gli opportuni ringraziamenti
=D
Intanto volevo
chiarire a tutti i lettori un dubbio che si è creato praticamente tra tutti voi
XD
Come ben sapete
Unty1 era formulata intorno a un solo viaggio del tempo, quello tra
Jennyfer e Dylan.
Ora in Unty2 il
viaggio continua, ma non solo quello di Jennyfer =) Anche quello di Dylan
stesso!
E di qualcun
altro, ma solo più avanti saprete chi è :P
Ma i nostri ex
protagonisti si trovano su due “spazi temporali” diversi: Jennyfer è rimasta a
17 anni come l’avevamo lasciata alla fine d Unty, mentre la situazione di Dylan
nel momento descritto nel prologo si trova 10 anni più
avanti.
Abbiamo fatto
questa scelta perché nel corso della FF ci tornerà utile, chiedo scusa per
essermi dimenticata di informarvi XD Ho detto un sacco di cose e quello mi è
scappato di mente -.-
Per questo ho
lasciato la nota “cross-over” mi sembrava adeguato
;)
Questo prologo
l’ho scritto in 3 giorni una settimana prima della pubblicazione, non era per
niente previsto ma per rendere più interessante il capitolo 1 l’ho inserito, era
per introdurvi qualcosa che in ogni caso si concluderà alla fine di
Unty2, vi terremo sulle spine fino all’ultimo (il Capo emette una risata
diabolica o_0) Ma non ci siamo dimenticate del piccolo Dylan, tranquilli!
=D
Informo tutti che
la data di pubblicazione di ogni prossimo capitolo sarà segnalata nel mio
profilo di efp, precisamente a questo indirizzo: http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=15140
Così ne sarete
sempre al corrente ;)
Vi sono piaciuti
i fuori onda?! Ok allora li inseriremo, ma per ora ci sono solo nei primi 10
capitoli, dite di scriverli anche per gli altri?
Allora passiamo
al capitolo 2: Si parte con una avventura-flash alla Sparrow XD Una marachella
che Jenny non approverà… ma forse sì!
Bhe a Jack e a
Jennyfer sarete abituati ;) Ma assisterete anche al confronto tra l’affascinante
Capitano di quel nel gioiello nero e il mastro cuoco Andrè XD
E poi
l’inguaribile sentimentale qui della Capitana ci ha aggiunto un pizzico di
romanticismo *.* Perché no?! ;)
Buona lettura a
tutti voi!! =D
Grazie per i
pareri di…
johnny
jack: Fraaaa XD Sei stata
la prima a recensire come volevi tu, hai visto? :D lol Grazie alla gentile Laura
che ti ha permesso di rimaner sveglia a quell’ora =* Ricordati di fare la scorta
di fasuleti :D In questo cap non ti serviranno, ma tienili a portata di mano per
la prossima volta =) Una meraviglia addirittura?! XD Woow! :D Bhe, grazie mille
ancora!! ^^ Tranquilla sono già riconoscente alla tua gestapo per averti
permesso di leggere il capitolo a quell’orario :D Eh si Jack è sempre il solito
furfante, ma è un brav’uomo come ben sappiamo, sa sempre farsi perdonare!
XD
Ci hai azzeccato!
L’avventura di Dylan non è per niente finita, anzi va a ruota con Jen, continua
anche per lui, avremo il tempo di spiegare tutto!! ^^ In questo capitolo 2
partiamo già sull’onda dell’avventura, sarai contenta =D I miei ossequi anche a
te mia pazzerella :P Grazissssime ancora per tutto, bacionionioni
=*
Blue
Tiger: Ciaooo mia Picci!!!
=D La mia fan numero1 XD lol Ti sei fatta soffiare il primato questa volta, eh
no no, fatti valere Lu!!! XD Ti ringraziamo tantissimissimo dei tuoi
complimenti, tr buona sul serio, non ce lo meritiamo =$ Salutami i tuoi
omaccioni, ho trovato il regali per Max!!! :D hi hi hi W le moschettiere!!!
Bacioniii =*
Daphne
Greengrass: Salute a te
nostra conosciuta lettrice! :D Siamo felici che hai apprezzato il primo
capitolo, speriamo tanto che il resto non deluda ^^ Certo che ti crediamo, anche
noi aspettavamo il 28 agosto impazienti, eravamo stufe di aspettare -.- Ti
offriamo tutti i nostri ringraziamenti =D A presto, un bacione!
=*
micia: Hola!!! :D Io non parlo spagnolo, quello
lo devi parlare con il Capo, mi scuso per l’ignoranza -.- XD Una promessa è una
promessa ;) Abbiamo lavorato tanto al sequel di Untitled, quello che diciamo
cerchiamo di prometterlo :D Nella nota qui sopra ho spiegato (spero bene) il tuo
dubbio, per qualsiasi altra cosa chiedi pure, tranquilla! Ecco, però c’è una
“complicazione”! No, Unty2 non è per niente completa, speravo di sì ma questa
estate non mi è bastata, l’avrei voluto tanto =’( Come ho già detto la data di
pubblicazione la scrierò nel mio profilo d efp, nella parte
finale.
Purtroppo non
sarà molto frequente proprio per questo, la fic non è finita (sono solo al
capitolo 19 perché mi sono ritrovata a doverla accorciare se no uscivano 60
capitoli in totale 0_0 esagerato eh!) e subentra il fatto che io da me sono una
gran lumaca a scrivere e quest’anno sia io che il Capo avremo gli esami alla
fine dell’anno, ciò rallenta tutto -.- Siamo spiacenti ma è così, ci scusiamo in
anticipo! =’( Baci =*
Bily: Ciao, ci fa piacere conoscere un lettore
nuovo! =D A quanto pare ci hai seguite anche per quanto riguarda Untitled, ne
siamo onorate =$ Grazie mille, speriamo di rimanere allo stesso livello
proseguendo :D un Bacione!
Bambi: Ciao Letizia!!! :D Urca hai fatto un salto
del genere?! Sei da Guinness!! XD lol A parte tutto ti ringraziamo molto =D Ma
come, Jack solo?! Non ha la sua Jenny? Ok dai non strapazzarmelo troppo e digli
di venir qui da me ogni tanto se no sta fan fiction non va avanti più! XD hi hi
hi Eri curiosa di sapere che mi ha ricordato il tuo nick eh! Devi sapere che
Bambi… E’ il nome del primo amore di Johnny! Non ci crederai ma è così XD Che
nomi strani danno in America 0_0 il nostro Jo aveva 13 anni, lei era una
cheerleader bionda, occhi azzurri (tipica barbie) e Johnnyno caro ha perso la
testa… Ma pensa un po’! Lui non era popolare per niente e lei lo rifiutava, per
me oggi a vederlo quella si mangia le mani altro che unghie!!! XD l’ho letto in
una lettera scritta da Johnny ripensando a quell’età. Una lettera stradolce *.*
dovresti leggerla! Non avete idea di come è romantico quest’uomo!!! Svelato il
mistero :D lol A prestissimo allora!! ^^ Bacioni
=*
Hilly89:
Ciao!!
^^ Caspita, non sappiamo che
altro dire davvero =$ Se non grazie infinite per I tuoi complimenti e
l’entusiasmo :D Ti piace “il mio inizio sei tu”? Ah bhe per me e il Capo è una
“droga” dai tempi in cui il Capi era più alta di me ha ha ha (Adesso mi picchia,
aiuto scappo!!!) e guardavamo tutti i titoli di coda di Anastasia per ascoltarla
fino alla fine XD
Scusami se sono
pignola in questo, ma si scrive Johnny non Jhonny, rompo a tutti se sbagliano
tranquilla XD
Come si fa a non
venerarlo dico io?! *.* lol
Bhe io lo plasmo
in questa fic dal mio punto di vista, meno male che anche qualcun altro lo vede
così, mi fa piacere!! =D
Ma no Johnny non
è sposato, è fidanzato con Vanessa anche se hanno 2 splendidi bimbi
:D
Allora quando
parti per Plan de la Tour dai uno strappo anche a
me?
Il Capo dice che
rimane volentieri a casa -.-
Spero che allora
questo secondo capitolo ti piaccia! =D
Urca, “stelle del
firmamento cosmico”, che nomome, non ce lo meritiamo XD A presto stellina =*
Bacioni!
Laura
Joe: Buongiorno a te cara!
=D Anzi ormai è pomeriggio -.- Mettere te come tutti gli altri nei
ringraziamenti è stato il minimo, non sapete che piacere è un commento, anche il
più piccolo per noi =)
Ah meno male,
almeno abbiamo iniziato con il piede giusto, speriamo di non inciampare XD Anche
per te ho spiegato il tuo dubbio nella nota qui sopra, ma se non è chiaro te lo
rispiego volentieri, basta dirlo =P
No non sei tu
tardona, è colpa della sottoscritta stordy XD
Purtroppo ho una
brutta notizia anche per te, questa volta non potremmo proprio pubblicare
spesso, ci dispiace ma è così =(
Mi prendo tutta
la colpa io -.-
Facci sapere cosa
ne pensi di questo nuovo capitolo =) bacioni! =*
La Capitana passa
e chiude! =D
Alla prossima, un
gran bacione a tutti!!!
Kela and Diddy
(Capitana and Capo)
Capitolo 2
Una piccola
bugia.
Al termine della cena mi
dirigo in cabina insieme a Jack, questa sera lo vedo stranamente più felice del
solito.
Camminiamo per il corridoio
l’uno accanto all’altra e noto un’insolita euforia persino nei suoi passi che
compie a dir poco saltellando.
IO: “Come mai sei così contento?!”domando stranita varcando la soglia
della camera e chiudendomi la porta alle spalle con un rumore sordo.
JACK sussulta e poi risponde
stupito: “Ehmm… ti dovrei informare di una cosa…”
Cosa avrà combinato
adesso?!?!?! 0_0
JACK: “Ebbene… Siamo diretti
verso un deposito di navi, lo raggiungeremo domani all’alba!” spiega con il tono
basso di un bambino che sta pensando a come inventare una degna scusa per
giustificarsi verso la mamma.
IO: “Potrei saperne il
motivo?” chiedo incrociando le braccia sul petto in una posa esaminante.
Non ne starai mica combinando
una delle tue vero Jack?!
JACK: “Vedi chèrie, il vento
di oggi ha causato più danni di quelli che credi. Ci servono dei materiali di
ricambio per la nave e quello è il posto migliore dove possiamo trovarli!”
afferma esitante muovendosi verso di me, seguendo l’andamento ondeggiante della
nave per poi posizionarsi al mio fianco passandomi una mano attorno alle
spalle.
E va bene, è stato abbastanza
efficace per quanto mi riguarda.
Seppur non molto convinta
decido di credergli, altrimenti sarebbe capace di farmi girare tutto il vascello
per mostrarmi i danni subiti uno ad uno, meglio concludere questa discussione
alla svelta!!
IO: “D’accordo Capitano, se
lo dice lei…”
-
Il giorno seguente, come
previsto da Jack, raggiungiamo il deposito alle prime luci del
mattino.
Muovo i primi passi sul ponte
soffocando uno sbadiglio, mi sfrego un po’ gli occhi e noto immediatamente la
presenza del Capitano oltre il boccaporto.
Eccolo là, che si diverte a
impartire ordini gesticolando animatamente e assumendo un tono più cupo nel
rivolgersi alla sua ciurma.
ANDRE’: “Bonjour Jennyfer!”
IO: “Ah, ben svegliato
Andrè!” accolgo il pirata con un’espressione serena in
viso.
ANDRE’: “Ja a le pRemier luSci dell’alba, le Capiten ha iniSiato ad
assegnaRe compiti a tuto l’equipajo! Gli piaSce faRe di queste cose…” spiega
guardando di sbieco Jack in lontananza.
Annuisco
sorridendo.
Il Capitano si gira dalla
nostra parte, nel vedermi sfoggia un buffo inchino e un magnifico sorriso.
Contraccambio un po’
imbarazzata al saluto, è perfettamente consapevole che sono riservata e mi
mettono in suggestione le effusioni in pubblico, ma non rinuncia mai a
trasmettermi la sua dolcezza.
Quando vede Andrè al mio
fianco lo fulmina con lo sguardo accorgendosi che non sta
lavorando.
Il pirata avverte
perfettamente il messaggio e si affretta ad eseguire l’ordine “indiretto” del
suo Capitano anche perché tra pochi istanti saremmo giunti a
destinazione.
ANDRE’: “ToRno all’opeRà
altRimAnti iniSia a RimpRoveRami!!”
Annuisco divertita, ormai so
anche io di che pasta è fatto.
ANDRE’: “Festa gROnde
staseRa!!!” Dice dandomi una pacca sulla spalla e dileguandosi rapidamente.
Cosa? Festa grande?!?
Nessuno mi ha informato di
una festa!
Che strana
affermazione…
Ah già dimenticavo, di che mi
preoccupo?!?
I pirati festeggiano per ogni
cosa!
Il deposito delle navi che
stiamo per raggiungere è situato all’interno di un arcipelago nell’isola di
Great Inagua. (isola situata a nord tra cuba e la Repubblica Dominicana
NdAutori)
È accessibile attraverso una
grotta, ha proprio l’aria di un luogo lugubre e abbandonato.
Nessuna nave naviga nel
raggio di miglia oltre la nostra!
Una strana allegria è
stampata sui volti dei pirati, non riesco a capirne il motivo.
In fondo andiamo solamente a
recuperare dei pezzi di ricambio per la Black Pearl,
giusto?!
Qualcosa mi dice di
no…
Per insediarci
nel deposito dobbiamo attraccare su di un’altra nave, questa è la “carcassa”
migliore tra tutte almeno secondo il mio parere. Le altre sono veramente vecchie
e mal messe!
Mi avvio verso prua per
assistere all’attracco. (io mi ricordo che l’ancora
della Perla è a prua, se non è così ditemelo please che correggo :P grazie! ^^
NdCapitana)
Jack da dei comandi alla
ciurma, ma sono troppo lontana e non riesco a capire di cosa si tratta.
Ora la Black Pearl è
“ancorata” ad un vecchio relitto.
“ALL’ARREMBAGGIO!!!!” grida
entusiasta l’intera ciurma prima di invadere i ponti delle navi che
fronteggiamo.
Cosa? All’arrembaggio??? Ma
questa parola non vuol dire… 0.0
IO:
“JAAAAAACK!!!!!”
Mi guardo intorno cercandolo,
ma si è già volatilizzato.
Dove sarà
finito???
Di certo starà depredando uno
di questi vascelli come gli altri pirati. Che saccheggi tutto quello che vuole,
io l’aspetto qui!!
Dopo circa un quarto d’ora i
primi pirati sono di ritorno, con se portano dei grandi bauli carichi di statue,
lampade, vestiti, vari oggetti…
Non mi sembra che questi
oggetti servano per la riparazione della nave!!!
Senza neanche farlo apposta
ecco apparire il Capitano che con fare soddisfatto mette in evidenza un
bracciale d’oro incastonato di diamanti che porta al
polso.
Appena vede la mia faccia in
preda alla collera, il suo sorriso trionfante muta in una
smorfia.
IO incrociando le braccia sul
petto collerica: “Capitan Jack Sparrow, MI DEVI UNA
SPIEGAZIONE!!!”
JACK: “Ehmmm… Tesoro... te
l’ho mai detto che ti amo tanto?!?!?” dice con fare innocente.
IO: “L’hai appena fatto, ma
NON CAMBIARE DISCORSO!!!”
JACK:
“Andiamo, sono solo navi abbandonate, non se ne accorgerà nessuno!!” afferma in
tono di scongiuro socchiudendo gli occhi.
IO: “Bugiardo che non sei
altro, mi hai mentito per prenderti un..un BRACCIALETTO!!!” mormoro confusa
dalla rabbia.
“Però devi ammettere che mi
sta bene, mi dona un certo…fascino!” risponde
trionfale sfregando con la manica i diamanti vistosi del
bracciale.
Il fascino non è esattamente
ciò che ti manca mio caro.
IO: “Ma se si vede appena!!!”
controbatto per togliere validità alla sua
affermazione.
JACK: “Appunto, si vede
appena ! Non vedo cosa ho fatto io di male!” Si legittimizza
attonito.
In quel momento arriva anche
Andrè che interviene rivolto a Jack: “Capiten, deve cambiaRe Scintura! Le
Blanche dei diamanti non si aBina ale sue vesti!”
“Cosa ti intrometti tu??? Non
c’è niente da cambiare!!!!”Afferma scrutandolo
offeso.
“eRa solo un
consiglio!”risponde André buttando gli occhi al cielo
esasperato.
JACK: “Non ho bisogno di
consigli da un francese… eunuco!!!” (l’unica cosa con il quale concordo con il Capiten!!
NdCapo)
ANDRE’ rivolto a me: “Vedi
cosa intAndevo quando diScevo che mi pRende in
giRo!!”
JACK: “E quand’è che avreste inteso questo??”domanda
sospettoso.
IO: “Ehmm… [adesso cosa mi
invento??] me lo stava dicendo giusto… quando tu ti sei dileguato per rubare
quel braccialetto!!”
Nonostante la mia insicurezza
Jack si convince della mia affermazione: “Bhe, io vado a metterlo al
sicuro!”
Mentre si allontana gli urlo
ancora infuriata “E NON PENSARE CHE IO ABBIA FINITO CON
TE!!!”
Lui risponde un cenno alzando
il braccio per farmi capire che ha sentito, ma nel farlo esibisce ancora di più
con vanità la sua nuova conquista.
ANDRE’: “PeR poco non Sci
scopRiva, colpa dela mia linguaScia!!” dice impaurito seguendo i movimenti di
Jack con lo sguardo.
IO: “Non ti preoccupare,
penso che ci sia cascato!!” cerco di rincuorarlo.
ANDRE’.
“SpeRiamo, escusez-moi madamoiselle, oRa devo pRopRio
scapaRe!!”
Neppure il docile Andrè
riesce a sfuggire al suo impulso pirata…!
Rimango di nuovo da sola sul
ponte mentre tutti gli altri continuano a fare razzie sulle altre navi.
-
Jack è appena uscito dalla
sua cabina, non sono riuscita a fermalo ed è già tornato all’opera su un’altra
nave.
Non mi sta per
niente ad ascoltare perciò decido di seguirlo di
nascosto!
Salgo a bordo della nave di
fronte a dove mi trovo, credo che quel mascalzone sia
qui.
Il ponte è
deserto, immagino che se ci sono dei pirati siano sottocoperta.
Mi guardo intorno ancora e…
Devo aver sbagliato nave, qui non c’è proprio
nessuno!!
Delle luci provenienti dal
corridoio alla mia sinistra attirano la mia attenzione, che il Capitano sia
qui?
Mi addentro cautamente anche
se sembra che a bordo non ci sia anima viva.
Un corridoio lunghissimo con
pareti rivestite da tappezzerie rovinate dal tempo, porte di stanze prive di
luce e quadri con cornici ridotte a schegge mi si presentano
davanti.
Cosa è successo qui, è
passato un uragano??
Noto una piccola porticina
alla mia destra, fin da piccola mi hanno sempre appassionato i ripostigli
segreti. E poi magari nessun pirata è ancora passato di qui, e potrei trovare io
qualche bel tesoro!
Ma che sto dicendo?! Ho
guardato troppe volte Peter Pan…
No, quel
filibustiere non è di certo qui, si noterebbe di certo la sua
presenza.
Scruto a fondo in torno a me
per essere sicura che nessuno mi veda e piena di curiosità varco la
porticina.
Entro abbassando leggermente
la testa, mi ritrovo in una stanza buia, polverosa e piena di ragnatele.
Oddio, CHE SCHIFO I
RAGNI!
Sulla parete destra si
trovano, ricoperte da uno strato di polvere, delle spade abbandonate.
Mi sono ritrovata
nell’armeria? E io che pensavo di trovare qualcosa di
interessante…
Sono circondata da barili di
polvere da sparo vuoti, ma una cosa attira la mia attenzione: un baule di legno
ornato accuratamente da decorazioni argentee.
Mi avvicino e
noto che non ha il lucchetto, spero solo che non sia
vuoto!!
Avanzo sempre di più molto
lentamente, ma all’improvviso una trave sotto di me cede.
Il pavimento
si apre sotto ai miei piedi e io finisco nella stanza sottostante alzando una
nuvola di polvere che raggiunge quasi il
soffitto.
CHE DOLORE!!!! Ho la gamba
incastrata tra due travi!!
Raccolgo le forze e riesco a
liberarmi.
Nulla di grave, solo una
botta e il fondoschiena dolorante per fortuna!
Con mia gran sorpresa vedo
che sono finita in una stanza bellissima, raffinata ed
elegante.
Alle pareti si trovano
diversi quadri e un tappeto persiano ricopre il pavimento.
Nella caduta ho colpito un
letto a baldacchino che si è parzialmente distrutto, la stanza è oscurata da
spesse tende di raso rosso e di fronte a me si estende un bellissimo armadio
“antico”.
Prendo coraggio, cammino al
buio per la stanza verso l’unica spirale di luce che proviene da [spero] una
finestra.
Apro le tende in modo da far
filtrare un po’ di luce, ma sembra che ci sia la nebbia a causa di tutta la
polvere che ho sollevato.
Avevo ragione, davanti a me emergono due ampie finestre con il vetro
imbrattato di sporco e in alcuni tratti ridotto a frantumi dai colpi di cannone
di una battaglia passata.
Ora che ho una migliore
visuale muovo qualche passo e mi imbatto in qualcosa che per poco non mi fa
inciampare.
Mi chino e vedo che si tratta
di una cassettiera di legno non molto alta con maniglie d’oro ornato da fiori
dipinti.
Che
meraviglia!!!
Jennyfer non è tua, non
dovresti aprirla...
Sono troppo curiosa però,
chissà cosa contiene!!
Apro il primo cassetto, ma in
realtà gli altri cassetti sono finti e quello è
l'unico.
La cassettiera contiene degli
oggetti che scopro potrebbero essermi davvero molto utili: camicie, gilet,
federe di lino, vari accessori, unguenti per
capelli…
Mi
servirebbero proprio alcune di queste cose, decido di
provarmele!
Indosso un gilet e vado
davanti alla specchio.
Mentre osservo la mia
immagine riflessa intravedo una strana sagoma alle mie
spalle.
Mi volto e noto un
appendiabiti sul quale è appoggiato un, a dir poco, bellissimo
vestito.
Rimango a fissarlo a bocca
aperta è semplicemente meraviglioso: non ha le spalline, è bianco, molto
attillato sul ventre, ma larghissimo sui fianchi fino ai piedi.
È rivestito da
un tulle leggero color celeste, il corsetto è decorato da tantissimi diamanti
che risplendono di tutti i colori alla seppur fioca luce che penetra dalla
finestra.
Rimango a bocca aperta,
caspita, è bellissimo!!!
Ho quasi paura a toccarlo con
il timore che si rovini.
Neanche Valentino
sarebbe capace di creare un abito del genere!!!
Desidererei troppo poterlo
indossare, chissà se mi sta!!
Non in mezzo a tutta questa
polvere però.
Cerco lì intorno un
contenitore per portarlo sulla Black Pearl insieme agli altri oggetti che ho
trovato in modo che non si rovinino nel
trasporto.
Spero che Jack non sia ancora
tornato in cabina così posso provarmelo in tranquillità e nascondere tutto il
resto.
Cosa mi direbbe altrimenti?
Io per uno stupido braccialetto gli ho fatto una scenata... Meglio non
pensarci!
Piego accuratamente il
vestito e lo metto in una scatola scovata in un angolo della stanza.
“Armata” di quel contenitore
ancora robusto nonostante il tempo trascorso ad ammuffire in un angolo cerco
impaziente un’uscita, la porta di questa camera sembra del tutto
sbarrata.
Chiunque possedesse queste
quattro mura in cui mi trovo voleva fortemente che rimanessero
segrete.
La finestra
come via di fuga l’escludo, sbircio dai vetri malconci e noto che mi trovo di
fronte alla Black Pearl, perfino all’altezza del ponte, ma tra le due navi c’è
un varco largo cinque o sei metri e alto almeno altri 30 che si conclude con una
rinfrescatina nell’acqua stagnate di questo
deposito.
Non posso rischiare di
improvvisarmi Tarzan e fare un salto del genere per poi finire rovinosamente
nell’acqua rovinando così questo capo raffinato,
(Capo, tu raffinata? Da quando scusa?? In
sedici anni che ti conosco non lo sapevo 0_0 NdCapitanaconfusa) meglio
trovare un’altra soluzione!
Quasi del tutto sconsolata
alzo distrattamente la testa verso il soffitto… La falla che ho
provocato!!
Con tanta fatica,
prima per uscire sana e salva da quella stanza segreta e poi per ritrovare
l’accesso al ponte di questo relitto, mi ritrovo ancora all’aria
aperta!
Si fa per dire, odora di
legno marcio questo deposito…
Il ponte della
Black Pearl è ancora deserto, ne approfitto per sgattaiolare in cabina
indisturbata.
Entrando però mi dimentico di
chiudere la porta, ho troppa voglia di provarmi questo vestito!!
Mi tolgo le mie vesti e le
butto disordinatamente una sedia.
Stando molto
attenta a non rovinarlo riesco a indossare l’abito e vado di fronte allo
specchio per osservare la mia immagine
riflessa.
Mi sta proprio bene,è
perfetto!!!
“E quello dove l’hai
preso???”
Oh No… JACK!!!!!
0.0
Mi giro di scatto:
“Opsss!!”
JACK: “E poi accusi me di
essere un ladro, solo per aver preso un misero BRACCIALETTO, mentre tu puoi
rubare un vestito!!!!!!” mi accusa offeso.
IO: “Non l’ho rubato!…volevo
solo vedere come mi sta!”
Sul suo viso si dipinge un
aria ironica-offesa.
JACK: “Ah si certo, volevi
solo vedere come ti sta!”
Mi avvicino con fare
innocente:“Jack, non ti ho mai detto che ti amo
tanto???”
JACK: “Quella battuta è mia.
E poi non cambiare discorso!!” (invece QUELLA BATTUTA è mia!!!!!
NdCapo)
Uff non ha
funzionato!!
JACK: “L’hai trovato in una
di queste navi, vero?” domanda con sguardo
sospettoso.
IO: “E va bene lo
ammetto…”
JACK: “Allora, dato che
hai visto come ti sta, adesso lo riporti subito dove l’hai
trovato!!”conclude altezzoso.
IO: “Solo se tu porti anche
il braccialetto!”controbatto subito scontrosa.
JACK:
“No!!”
IO: “E invece
SI!!!”
JACK: “Ma neanche per
sogno!!”
IO:
“SI!!!!”
JACK: “NOOO!!! Il Capitano
sono io e quindi decido io!!”
IO: “Non vale!” Ecco, la
ragione deve essere sempre sua!
Ormai rassegnata: “Bhe,
almeno dimmi come mi sta!”
JACK: “Sembri
un angelo, l’angelo più bello che esista… il mio
angelo…!”
Il suo tono semi-minaccioso
di poco prima scompare e si trasforma in note dolci e
armoniose.
Dopo quella frase rimango
immobile, senza parole a fissare quei occhi profondi come il mare che sanno dire
più di mille parole…
(ma il mare è azzurro O.o
NdCapo... fa niente!!
NdCapitana)
_______________________________________
FUORI
ONDA
JENNY:
"LADRO!!"
JACK: "Uff
senti chi parla!!"
Capitana:
"Ragazzi calma.... in fondo l'avete fatto tutte e
due!!"
Capo:
"COSA???"
JACK: "EH
sapessi!!"
Capitana &
JENNY: "MA CHE STAI A DI???"
Capo:
"Niente!! Voi che pensavate???Maliziose!!"
Capitana: "Chi
noi??"
Capo:
"grrrrrrr quella è la mia battuta!! come questa del resto!!
CAPITO??"
Jack
fischietta ed esce di scena.
|
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Capitolo 3 *** Festa grande. ***
Nota delle
autrici:
Salute a tutti!!!
:D
E di questi tempi
ce ne vuole davvero un bel po’! -_-
Con sto caldo e
freddo che ci fa ammalare tutti…
Persino io che
non mi ammalo mai sono qui che respiro con una narice sola
XD
Dunque siamo qui
per il terzo capitolo di Untitled 2! =D
Capitan Jack
Sparrow con l’inganno come è da lui ha sgraffignato un nuovo piccolo bottino
nello scorso capitolo… adesso che farà?
Che cosa i pirati
non perdono mai occasione di fare se non festeggiare? XD
Quest’altro
capitoletto è sempre sul genere comico, c’è da farsi 4 risate ma sarà forse
l’ultimo di questo genere, incomincia a farsi più serio da ora in poi
^^
Annoto qui che in
questo capitolo c’è una cosa che prima d’ora in Untitled non è mai successa,
nemmeno in Unty1! =D
Vediamo se siete
lettori accorti e la scoprite XD
Allora fateci
sapere cosa ne pensate e a voi buona lettura!!! :D
Grazie per i
pareri di…
johnny jack:
Hey ciao mia
pazzerella!!! XD Sempre la
prima! Lol ma nu ti abbiam fatto davvero scompisciare così?! :D ah bhe allora
questo sarà solo l’inizio hi hi hi ^^ Procurati fasuleti anche per quest’ultimo,
ne avrai un bel po’ da ridere qui :P
Aaaaaargh, nn mi
dire XD io amo quella frase!!! *_* Eh no, anche il Capo dice che Jack non manca
di fascino e se lo dice lei… C’è seriamente da crederci te l’assicuro!!!!
XD
Grazie come al
solito per i tuoi pareri, sei ducissima =* Un bacioneoneone mia Fva!!!
^^
A presto
principessa, quel cavaliere azzurro t sta cercando, ha solo perso la bussola XD
Gli imprestiamo di nascosto quella d Jack e vedi che t troverà! :D
kissss
micia:
Ni hao!!! :D Sì, c’è da ammettere che in realtà Unty2 ha
una struttura piuttosto complicata andando avanti (vedrai già dal prossimo
chapter come si intreccia ^^) per ora siamo ancora abbastanza in acque
tranquille, ma il mare è imprevedibile, spingendosi all’argo arriva la
tempesta!!! 0_0
Forse potremo
esaudire il tuo desiderio riguardo Jenny e Dylan! =D Ziiiii, pensa che io
Jennyfer&Jack li chiamo “i miei sbaciukioni” *.* XD Lascia perdere i miei
schizzi di pazzia.
Wow siamo
contente che se Unty fosse stata lunghissimissima com’era non te ne saresti
dispiaciuta! :D Grazie per tutti i tuoi complimenti! =* Un grande
bacione!!
Bambi:
Ciao Letizia!!! =D Uuuu
grasie =$ Non ci meritiamo tutte queste lodi, ma in ogni caso siamo a dir poco
strafelicissime che dici così e l’apprezziamo moltissimo :D Io nostro lavoro non
va sprecato :P Jack cambiato? Ma no! Lasciamolo così cm è che è perfetto *_* Ma
si in ogni caso rispediscilo qui che mi serve per moooolti e molti capitoli
ancora XD
Mammasaura quella lettera!!! *.* “baciarla
sino a consumarci le labbra” *_____________* *ç* ehmm… mamma…? Papà?? Posso cambiare
nome, vero?!? Pleaaaaaaase =’(
lol XD
Un bacione grande
grande cara!! =D E a questo punto
non consumargli troppo le labbra a quest’uomo che le ha troppo belle, sarebbe un
peccato XD A presto! =*
JiuJiu91:
Giulia, ciaaaooo!! =D hey
finalmente quel tuo pc burlone ti ha permesso di dire la tua :P Mi fa paicere!
^^
Ce l’avrà su
anche lui con Unty -_-
Dunque,
Andreuccio è un personaggio un po’ ambiguo, come Jack un po’ ma in modo
diverso.
Sì, sul fatto che
sia molto tendente all’omosessualità non c’è dubbio XD lol Proprio per il modo d
parlare ci hai azzeccato e anche perché tiene agli abbinamenti
:P
Anche se ti svelo
che in realtà io e il Capo pensavamo che in Francia avesse famiglia, moglie e
qualche figlio!
Ma non è una cosa
che per ora potrebbe centrare qualcosa nella trama della fic, per cui è rimasta
in sospeso… vedremo!
Sul fatto che sia
innamorato di Jennyfer proprio no, esci di strada! Come dice anche lei è un po’
“il padre che non ha mai avuto” anche perché da una parte si prende cura di lei,
la difende… Ma non c’entra proprio amore qui XD Certo che sì! Non è per nulla
lasciato al caso =D
Uuuu a proposito!
Grazie mille per l’appunto, modifico subito quel grOnde :P lol Da oggi in poi ti
nomino nostra esperta di italo-francese :D hahaha se noti qualche frase che
andrebbe detta diversamente dì pure!! XD
Eh si la frase
dell’angelo è la mia preferita!!! *w*
Lol va bhe dai
Jack è estremamente geloso dei “suoi effetti”, immagina dove si sarà cacciato
per recuperare quel bracciale nei relitti XD Avrà tempo di farsi perdonare
tranquilla :P A presto, grazie per il tuo commento, un gran bacione!!! ^^
=*
Daphne
Greengrass: Ciao!!! :D Oh
grazie, siam contente che hai apprezzato quest’ultimo capitolo!! ^^ Urca hai
preso davvero seriamente quello che ho scritto eh! =D Brava XD
lol
Mannaggia adesso
ho perso il foglietto con scritto le date di pubblicazione =S Dovrò un po’
inventare =(
Comunque non
preoccuparti le scriverò sempre nel mio profilo!!
^^
A prestissimo
bacioni! =*
Laura Joe:
Ciao!! :D Hey, se ancora
non ti è chiaro qualcosa nella prossima recensione scrivilo e te lo rispiego
volentieri! =D
Altrimenti puoi
contattare me o il Capo dall’indirizzo e-mail ;)
Eh, Dylan non
verrà nominato molto spesso, ma non manca mai tranquilla! Fisicamente… Il Capo
dice che mi mozza la lingua e le dita per cui meglio tacere!!!
-_-
Bhe sì Jennyfer
era abituata a tutt’altra realtà poco tempo fa, no?! XD Ogni giorno impara
qualcosa di nuovo della vita che si è scelta, è normale :P Eh si l’aggiornamento
è davvero un problema e la colpa va maggiormente alla sottoscritta che è una
lumacona a scrivere, scusatemi! -_-
Siamo felici che
ti sia piaciuto il capitolo e ti ringraziamo molto!!
=D
Mah se vuoi un
vestito del genere ti consiglio di rivolgerti a Valentino lol, ma si è ritirato
dalla moda quello =(
Ti mettiamo qui
un abbozzo :P http://img218.imageshack.us/img218/4052/jennyferabitoangelown3.png
Qui puoi vedere
una sorta di Jennyfer (se va bhe nella realtà non aveva ali e resto eh XD
lol)
Se riesci a
procurartelo ne volgiamo vedere una copia in foto eh!! :D A presto e grazie, un
gran bacione!! =*
Blue Tiger:
Luuuuu ciao!!! XD Aaaargh
meno male che finalmente ho migliorato la mia scrittura fatta con i piedi lol
Qualcuno ne sarebbe stata contenta :D
Anche in
quest’altro capitolo ci sarà da ridere XD Ma non abituatevi troppo a questo,
cambierà in seguito!!! ^^
Allora tutte le
moschettiere da te e Zla domani sera eh :P Quanti anni ha scusa? o_0 nn te l’ho
mai chiesto! :D
A
prestissimissimo allora mia tigrotta :P Un grande bacioneoneone!! =*
tvttttttttttttb
Hilly89:
Ciao!! =D Ti ringraziamo
molto per il tuo apprezzamento ^^ Sì ai miei “sbaciucchioni” (Jennyfer&Jack)
gliene facciamo fare di tutti i colori :P lol Oh benissimo un’altra fan d Andrè!! XD
“Je suis honoré mademoiselle *.*” dice XD lol Ma si dai Jack alla fine scherza,
ammira Andrè ma non l’ammetterebbe mai, fa il solito furfante distaccato e
lo usa come valvola di sfogo per divertirsi un po’ :P
lol
Ah bhe io non
odio del tutto gli insetti ma ci sono alcuni che non posso neanche vedere, le
api ad esempio!! 0_0
E i ragni non son
da meno, mi fan senso :S
Capo idem se non
peggio XD XD Vediamo che ne pensi di queste altre loro avventure! =D a presto,
baci!! =*
La Capitana qui
passa e chiude :P
A presto, un
bacio a tutti!
Kela and Diddy
(Capitana and Capo)
Capitolo
3
Festa grande.
Venuta la sera non finimmo
neanche la cena che già iniziarono i
festeggiamenti.
Solitamente a tavola basta
una bottiglia di rhum ogni 4 o 5 persone, ma finirono tutte subito dopo la prima
portata, mai vista una cosa del genere!!
La ciurma si riunisce intorno
alla tavolata quasi tutta in gruppo, tutti a parte Jack ancora alle prese con la
spartizione del bottino depredato questa mattina nel doppio fondo della
nave.
Tutti i pirati sono
soddisfatti delle loro conquiste, già ipotizzano il modo come spenderli: cibo,
rhum e piacevoli compagnie naturalmente.
Arrivata nella sala mi faccio
spazio tra i resti di avanzi e bottiglie vuote disseminate sul pavimento, siedo
al mio solito posto: alla destra del Capitano.
Scuotendo la testa penso
rattristata che tanto toccherà a me pulire…
Dietro di me arriva Andrè.
ANDRE’: “Ti Ansegno en
chose…! (una cosa NdAutori) i Capitani plus
fuRbi nascondono tuti il loRo pResiosi aveRi in una botola del pavimAnto nela
pRopRia cabina! Sono SceRto che non te l’aveva deto nesuno!” afferma
fiero.
IO: “In effetti Jack non me
ne ha messa al corrente, deve nascondere qualche scheletro nell’armadio quel
farabutto!” confuto divertita.
ANDRE’ ridacchia a sua volta:
“En ogni caso non pensavo di tRovaRe tuto quel ben di dio a boRdo di quei
vaSceli aBandonati, solitament non si tRova un gRanchè!” dice cambiando discorso
e sedendosi alla mia destra con un piatto vuoto in
mano.
IO: “Neanch’io!” affermo
d’impulso.
Oh, no!!! 0.0
"Significa che hai tRovato
qualche cosa di inteResante anche tu, oppuRe sei Rimasta sempRe a boRdo della
Black Pearl?"
IO: "No, sono sempre rimasta
qui!!" cerco di essere efficace anche se si nota subito che
mento.
ANDRE':
"SicuRa?"
IO : "-_-' E va bene, ho
trovato un pò di oggetti utili e perfino un bellissimo
vestito!!"
ANDRE': "Mon dieu, cest
magnifique!!! L'hai fato vedeRe al
Capiten??" quasi grida entusiasta.
IO: "Si, anche lui trova che
mi stia benissimo" commento con un gran sorriso ripensando al suo magnifico
complimento.
ANDRE': "SpeRo che pRima o
poi lo indosseRai!!" dice speranzoso attendendo una mia
risposta.
IO: "Non credo, non si addice
ad un componente di una ciurma pirata!" dissuado tristemente senza alzare lo
sguardo.
ANDRE': "Non potResti diRe
sempliScemont che non si adiSce ad un piRata?" domanda
inconsapevole.
Jack spunta alle mie spalle e
avendo sentito l'ultima frase di Andrè dissentisce: "Per carità! Non dirle una
cosa del genere!! lei PIRATA??? Neanche sotto tortura direbbe una cosa del
genere!!!!" sbotta stralunando gli occhi.
Una volta ho pensato di poter
diventare un pirata, ma preferisco essere quella che sono per
ora!
IO: "Ah a ha, divertente
Capitano. Dove ti eri cacciato??" domando osservando divertita i suoi movimenti
a scatti e del tutto contorti perfino quando si
siede.
JACK: "Stavo ACCURATAMENTE
separando i miei vecchi tesori da quelli nuovi!" risponde soddisfatto
accomodandosi finalmente e ingurgitando già il primo
boccone.
ANDRE': "Ne è Rimasto poco di quello dell'Isla oculta??" domanda stranito
ovviamente dopo aver inghiottito e masticato per bene il boccone, non con la
bocca piena come fa in modo alquanto disgustoso tutto il resto
dell’equipaggio.
JACK: "Non dire sciocchezze!
ce n'è ancora a sufficienza!"dice accigliato ma allo stesso tempo deliziato
dalla carne cotta a vapore che consiste nella sua
cena.
IO: "Non abbiamo ancora
trovato il modo per spenderlo tutto, vero Capitano!?" lo schernisco facendo
l’occhiolino ad Andrè.
JACK: "Già… In piacevoli
compagnie ormai non devo più spenderne!" dice dolcemente passandomi un braccio
intorno alla vita ma continuando sempre a mangiare con
l’altra.
Rimango per un istante a
fiato sospeso scrutandolo ammaliata.
"Ti assicuRo che una volta
non avRebbe deto così!!" dice il nostro cuoco ufficiale [tranne per il fatto che
Jack non ne è a conoscenza, io mi ritengo solo un’assistente della cucina]
compiaciuto.
Scoppiamo a ridere tutti e
tre all’unisono.
IO: "Non ti conviene,
altrimenti te la dovrai vedere con me Capitan Jack Sparrow!!" dico puntandogli
contro minacciosa una forchetta come se fosse la più affilata delle lame in
attesa solo di spargere sangue.
JACK: "Abbassa quella
ferraglia!" afferma “allarmato” dall’intimidazione ancora ridendo.
"Perché tu sei l'unica ad
usare le posate a tavola?"chiede quasi stranito.
IO: "Forse un briciolo di
educazione IO l'ho ricevuta!!" rispondo esasperata appoggiando malamente la
posata sulla tavola.
ANDRE': "Ben detto, il
galateo a tavola è esSensiale!" puntualizza sollevando la nuca e il naso
appuntito verso l’alto in posa nobiliare.
Questo francese in un'altra
vita lo vedo bene come uno dei fidati maggiordomi alla corte francese del Re
Sole.
JACK: "Sta zitto tu!!
Aspetta, io non ho ancora brindato! Dov'è il MIO rhum???" dice inquieto
facendosi prendere dal panico.
IO: "E’ finito alla prima
portata stasera, vado a prendertene dell'altro! Non scannatevi durante la mia
assenza voi due!!!" raccomando prima di dirigermi verso la stiva per procurare
qualche altra bottiglia.
Mi accerto che seguano il mio
avvertimento voltandomi indietro prima di oltrepassare l’entrata della sala:
Andrè ha un aria irritata, scuote la testa osservando i modi grezzi e grossolani
del suo Capitano intento a raccogliere gli avanzi del proprio pasto con le mani
e un pezzo di pane.
Soffoco una risata e poi mi
inoltro nel buio fitto del ponte.
Raggiungo facilmente la
stiva, ormai so arrivare in ogni punto della nave anche ad occhi
chiusi.
Apro la porta sforzando un
poco la serratura, accidenti è sempre difettosa!
Afferro una delle candele
depositate in un angolo dell’entrata per farmi luce e muovo qualche passo verso
gli scaffali.
Quante bottiglie devo
portare, quattro basteranno? Con il Capitano non credo
proprio…
Bhe le mie braccia riescono a
trasportarne quattro alla volta, se l’ubriacone ne vuole altre alza i tacchi e
viene a prendersele!!
Sul primo ripiano non ne
trovo, immagino che quel mascalzone le abbia nascoste altrove per tenerle solo
per se.
Perdo ben 10 minuti a
ispezionare ogni centimetro degli scaffali attonita, con mia grande sorpresa
tutti gli spazi riservati all’amatissimo liquore di questa nave sono vuoti!!
o.0
IO: "Adesso come lo dico a
Jack???" Saranno guai…
Entro nella sala da pranzo
ridendo tra me e me, mi immagino già l’ eccessiva reazione a questa "brutta"
notizia.
Ritorno a tavola a mani
vuote, a causa del trambusto i due pirati che ho accanto non si accorgono di
questo particolare.
IO con tono rassegnato: "Capitano ehmm, non so come dirtelo, ma... La
stiva è...VUOTA!"
JACK sgrana gli occhi, si
alza di scatto facendo cadere la sedia dietro di se e urla: "COOOOOOOSAAAA?? …Oh
mannaggia… NO RHUM... NO BENE!!!"(si... no martini no
party!! ahahahaha NdAutori) L’intera ciurma sussulta di
stupore.
IO: "Ehmmm… Dai non farne una
tragedia, se siamo vicini a qualche porto domani potremmo fermarci!" cerco di
rassicurarlo in modo convincente.
JACK: "Ma io adesso con cosa
festeggio?? lo devo trovare!! E' praticamente impossibile che sulla MIA nave sia
finito il RHUM!!!" controbatte in agitazione vittima di uno sbigottimento
incontrollato.
In effetti è mooolto strano,
ma non impossibile!
Lo vedo sfrecciare fuori
dalla sala in uno scatto degno di un felino senza neanche finire la
cena.
Già, immaginavo una reazione
del genere…
Non lo si può più fermare in
alcun modo, stiamo parlando del rhum, per lui è un affare di vita o di morte!
Bah…
ANDRE’: “Quell’uomo è
impoSibile!”
IO concordo con un assenso
del capo: "Pensa che all'inizio lo soprannominavo Capitano questo è rhum
!!”
Entrambi scoppiamo di nuovo a
ridere, ma delle risate molto più insistenti attirano la nostra
attenzione.
Un gruppetto di alcuni membri
della ciurma si è riunito intorno ad un "palco" formato da tre tavoli uniti
insieme.
Uno di loro sfila su di esso
con le braccia a penzoloni, la schiena inarcata e le ginocchia piegate
farfugliando parole incomprensibili acclamato da quelli che lo circondano con
fischi e risa.
ANDRE': "Mais cosa sta
suScedeNdo??"
IO: "Non lo so, ma... andiamo
a vedere, sembrano divertirsi un mondo!!" rispondo entusiasta afferrandolo per
un braccio, facendo rovesciare sul pavimento il contenuto del suo piatto e
iniziando a correre nella direzione dello
"spettacolo".
Sembra essere la cosa più
eccitante della serata, non esiste ancora la tv per rilassarsi sul divano con un
sacchetto di unte patatine fritte dopo cena!!
ANDRE': "Pianò Madamoiselle,
io nn ho più l'età per coRReRe così!!!"
Ci uniamo alla piccola folla
che vi si è creata intorno, ma per il caos non riusciamo a vedere
nulla.
Andrè mi precede educatamente
e poi dice ad alta voce per farsi sentire da tutti: "Fate spaSio ala fanSciula
pRego!"
I pirati lì intorno guardano
Andrè malamente, borbottando qualche insulto e poi creano dello spazio per farmi
passare ed arrivare "in prima fila".
"Andrè non ce n'era bisogno,
ti sei preso degli insulti inutilmente per causa mia!" sussurro imbarazzata
girandomi verso di lui.
ANDRE': "Non pReoccupaRti
JennyfeR Sci sono abituato e poi l'educaSione è l'educaSione!" ribadisce in posa
regale.
Gli sorrido divertita dalla
sua "mania" per la gentilezza e le buone maniere, una cosa troppo insolita per
un pirata, ma che in Andrè esiste in abbondanza!
Noto che il "palco" è
preceduto da una lunga fila di uomini mezzi ubriachi che osservano lo spettacolo
impazienti di fare la loro "sfilata" senza rinunciare a brindare con interi
calici di rhum che si contendono furiosamente come un grande
tesoro.
Jack non è l'unico ad
apprezzarlo così tanto su questa nave, capisco perché è praticamente
introvabile questa sera!
Continuo ad osservare confusa
queste strane "esibizioni" senza riuscire a cogliere il motivo di così tanto
divertimento ed euforia.
ANDRE': "PeR te
madamoiselle!"
Mi fa sobbalzare. Ero così
presa dalla confusione creatasi intorno a me che non mi sono neanche accorta di
non avere più Andrè al mio fianco!
"Grazie Andrè" rispondo per
niente entusiasta afferrando il bicchiere di rhum che mi porge
allegramente.
ANDRE': "Non gradiSci il
rhum?"
IO: "Si, insomma... non è che
mi faccia impazzire!"
"Questa donna è completamente
pazza!! Non gli piace il rhum, roba da matti!!!"
Urla un pirata all’apparenza
un po' più arzillo di tutti gli altri che invece non smettono di brindare,
intonare canti e divertirsi assistendo a quella specie di
"sfilata".
IO: "Ognuno ha i suoi gusti!"
rispondo quasi orgogliosamente bevendone un piccolo sorso, così facendo zittisco
quell'impiccione e intorno a noi si sollevando le risa degli altri
pirati.
"Albert zittito da una donna,
non è da te amico mio!!" dice uno di loro dandogli una pacca sulle spalle di
conforto ancora sogghignando.
Ora mi osserva rabbioso
perchè ho "ferito" il suo orgoglio.
ALBERT: "Certo, quando non
sanno frenare la lingua..."
ANDRE': "Scè qualche pRoblema
AlbeRt? Non rieSci ad aScetare di non aveRla vinta peR una volta??" lo
interrompe Andrè scontroso come non
è da lui, credo lo faccia solo per mettersi alla pari dei suoi uguali qui
intorno.
ALBERT: "Non ti mettere di
mezzo anche tu vecchio!" sbotta digrignando i
denti.
ANDRE': "Chi saRebbe VECCHIO
qui???"
Non ci credo è riuscito a
pronunciarla bene questa parola! Purtroppo Andrè puoi prenderlo in giro su
tutto, ma non sulla sua età!!
IO: "Ok basta, basta
facciamola finita per favore!!"
Mi piazzo in mezzo a loro due
facendoli allontanare in modo da evitare un eventuale
rissa.
Questa volta non sta
litigando scherzosamente con il Capitano, potrebbe diventare una cosa seria e
poi con Andrè quando si "toccano" certi argomenti... proprio come faceva il mio
caro fratellino Dylan.
Prendo il francese
sottobraccio e ci posizioniamo in disparte, mentre ci allontaniamo si innalza un
borbottio generale.
Io me ne disinteresso ma al
contrario di me vedo Andrè ancora un po' arrabbiato, cerco di sdrammatizzare:
"Dai, non te la prendere! Sono sicura che tu avrai all'incirca... l'età di mio
padre[credo]!"
Non sembra consolarlo
molto.
ANDRE': "Ti RingRasio, ma
adeSo non penSiamoSci godiamoSci lo spetacolo piutosto!" si rallegra
riacquistando luce nei suoi occhi grigi e stanchi.
IO: "A proposito! Cosa crea
tutto questo baccano??Non ci capisco niente!!" domando
confusa.
Si accosta alla mia sinistra
e risponde intrigato: "ORa lo scopRiRai, ascolta atentamoNt quelo che
dicono!"
Mi concentro sul loro
discorso "allontanando" temporaneamente il chiasso che mi circonda dalla mia
mente.
"HIC... Son..HIC!...Sono il
Capitano Jack Sparrow HIC!...
COMPRENDI??...ahahaha!!!"
"Ma cosa dici
pezzente??HIC!...sono IO il Capitano!!"
"Alla forca idioti! Non siete
capaci di far nulla voi due!!! Guardate qua che camminata" dice imitando la
buffa camminata dondolante di Jack.
"...che amano l'avventura...
noi siamo pirati HIC...e ci piace perchè...HIC... la vita è fatta per
noi…"
Lo stanno prendendo in
giro!!
Oh mio dio! Penso ridendo, se
lo venisse a sapere Jack... Li farebbe impiccare tutti
quanti!!!!
IO: "...Ma cosa stanno
facendo?? Se li vedesse veramente il Capitano!!" affermo
divertita.
ANDRE': "Quando il gato non
scè i topi balano!!!" risponde piegandosi in due dalle risate.
Spero proprio per loro che il
gato non arrivi altrimenti i topi farebbero una brutta
fine!!!
Andrè sale agilmente sul
"palco" con un balzo facendo quasi cadere a terra gli altri tre pirati
parzialmente sobri e stando attento a non rovesciare il bicchiere di rhum che ha
tra le mani.
ANDRE': "Chi è il VECHIO
adeso???" sfida tutti trionfante.
Ecco fatto, la "magia" è
finita, non fa più alcun effetto, non perderà mai il suo
accento!
Presa
dall’euforia di questa situazione mi metto ad applaudire a mia volta come tutti
con le lacrime agli occhi per le gran
risate.
Il dandy
francese non si fa scappare questa occasione nel quale i suoi buzzurri compari
l’ ammirano, si adopera immediatamente per accontentarli e dar
spettacolo.
Assume una strana posa
trasformando il suo sguardo in quello stralunato di Jack, già qui esplodono le
prime risate.
Nel corso di quei pochi
istanti dove la mia attenzione è del tutto rivolta al “palco” con mia grande
sorpresa sento una mano dietro di me avvolgermi intorno ai
fianchi.
ANDRE': "Je suis le
Capi..... Capiten!"
Jack si
materializza alle nostre spalle probabilmente attirato da tutta questa
confusione nella sala.
OPSSSSS!!!
0.0
Nella sala
cala improvvisamente un silenzio spettrale.
JACK: "Che succede qui,
Andrè??" domanda sospettoso.
Ecco lo
sapevo, ora se la prenderà con il nostro povero cuoco come al
solito!!
ANDRE': "Ehmmm..." (Merd..
oltre ad aver perso i
mondiali sti sfigati si fanno sgamare subito!! NdCapo lol) balbetta guardandosi intorno
spaurito.
Jenny inventati qualcosa!!!
Sì, ma cosa???
Evitando apposta lo sguardo
indagatore di Jack e liberatemi dalla sua presa salgo sul palco afferrando il
bicchiere di Andrè.
IO: "Voleva offrirti
gentilmente il suo rhum... dato che non hai potuto brindare stasera...
Tutti hanno il diritto di festeggiare, giusto?!" improvviso al momento
porgendogli il bicchiere e tornando con i piedi per
terra.
La ciurma emette un urlo di
assenso.
Per fortuna questi beoni una
volta tanto mi assecondano!!
JACK [spero convinto] dopo
che torna il silenzio: "Ah grazie, molto gentile Andrè!" dice sollevando in alto
il bicchiere nella sua direzione con un sorriso soddisfatto dato che riuscirà a
brindare finalmente!
Ecco il bambinetto
viziato che deve averla sempre vinta avvicinare a se il bicchiere in
procinto di sorseggiarlo quasi fosse una bevanda
divina.
Che ci trova in quel vino
diluito??
Sfortunatamente nello stesso
istante uno dei pirati sul palco, che poco prima si sbellicava delle risate
nell'imitarlo, sviene per la sbornia cadendogli proprio addosso e rovesciando
completamente [forse] l'ultimo calice di rhum rimasto sulla Black
Pearl.
Nella sala si urge un verso
di stupore e sbigottimento.
Adesso si mette male, mooolto
male!!!!!
Jack rimane per qualche
secondo a terra rintontito, poi scuote la testa e aiutato da altri pirati si
libera di quel peso morto.
Si rialza in piedi
spolverando con le mani la sua giacca scura, alza lo sguardo e incontra il mio
seriamente preoccupato.
JACK: "Sto bene chéri, non
preoccuparti!" mi rassicura vittorioso non afferrando il motivo della mia
preoccupazione.
IO: "Si...." rispondo incerta
cercando di abbozzare un sorriso.
Ora anche la sua faccia si fa
scura : "Ciò nonostante potrò festeggiare con un altro bicchiere di rhum ora...
NEVVERO???"
Scuoto leggermente la testa
in senso di negazione senza riuscire ad articolar parola, già avverto la sua
rabbia crescere.
Tutti ai ripari, il gato
è tornato!!!!!!
JACK: "E' FINITO DAVVERO IL
RHUM????" urla con sgomento afferrandomi le mani e portandole a
se.
IO spaventata a morte con la
voce ridotta ad un sussurro: "Ho paura di si..." Moooolta
paura!!!!!
Sul suo viso appare un
espressione furibonda/disperata: "MA COME???...NON è
POSSIBILE!!!"
IO: "Come diresti tu è
improvabile, ma non impossibile !!!" smentisco
tremante.
La ciurma già al corrente
delle reazioni strambe del loro Capitano apre prevenuta un varco che conduce
fino all'uscita sperando che non si imbatta in uno di
loro.
Jack mi lascia, fa una buffa
giravolta su se stesso e "corre" dondolante sul ponte diretto chissà
dove.
Quando abbandona la stanza la
ciurma tira prima un respiro di sollievo per averla scampata egregiamente, poi
riprende a festeggiare animatamente creando il solito
caos.
Non’appena scende dal palco
mi si avvicina Andrè, ancora con le gambe tremanti, fissando ad occhi spalancati
il punto dove un attimo prima si trovava Jack.
IO: "Io ci ho provato..."
affermo sollevata sperando di confortarlo.
Il suo sguardo incredulo si
sposta su di me.
Oddio, fa quasi paura, non
l'ho mai visto così!!! o.0
Le sue mani mi avvolgono
scompostamente il collo soffocandomi in un abbraccio smisurato:
"JENNYFER!!!!!!!! MERCI MERCI MERCI!!! Mi hai salvato la vita, come poSo
RingRaSiaRti??"
IO: "Ehmm...non c'è di che
Andrè, ma così fai finire la mia di vita!!!" supplico con flebile voce
asfissiata dalla sua stretta.
Allenta la presa e con
sincero dispiacere risponde: "Escuse-moi Madamoiselle, mi sono fatto pRendere da
la felicitè, pardon-moi peR il mio Jesto
maleducato!!!"
IO: "Tu maleducato???? Fammi
il piacere, non dirlo nemmeno! Neanche se fossi completamente sbronzo
riusciresti ad esserlo!!!"
Ride anche se ancora
visibilmente scosso.
Appoggio una mano sulla sua
spalla per infondergli coraggio.
IO: "Forza! Vediamo se
riusciamo a sgraffignare qualche altro bicchiere per festeggiare!!" esorto
trascinandolo con me tra marmaglia dei lupi di
mare.
A tarda serata vengo travolta
dalla stanchezza, saluto Andrè e mi dirigo a piccoli passi verso la
cabina.
Mi soffermo qualche secondo
sul ponte ad osservare il cielo, cerco di rendermi conto di che ora possa
essere.
Cavoli, niente luna questa
notte. Qualcuno qui ha un orologio? No vero? Com’è che fa Jack? Si lecca il dito
e poi l’ innalza verso il cielo…?
Ma no, che dico! Quello serve
a individuare la direzione del vento!! Va bhe, ci rinuncio. Sono davvero al
limite della lucidità.
Barcollante come non mai
attraverso il corridoio fiancheggiando le cabine vuote, do per curiosità una
veloce occhiata all'interno dato che le porte rimangono sempre aperte fin quando
non vengono occupate.
Infine eccomi rientrare in
cabina, spero che il Capitano non si arrabbi dato che sono rimasta a festeggiare
sin ora, in giro per la nave non l’ho visto, deve esser per forza
qui!
Come immaginavo vi trovo
Jack, ma lo sorprendo inginocchiato a terra con testa infilata completamente in
uno scomparto dell'armadio intento a cercare qualcosa senza rivolgermi la minima
attenzione.
Povero, significa che non ha
ancora recuperato neanche un residuo del suo venerato liquore
amarognolo.
IO: "Buonasera Capitano,
posso chiederle cosa sta cercando??"
Come se non lo
sapessi....
JACK: "Io sono sicuro di
averlo messo qui.... ne sono praticamente certo, dannazione! Sto ancora cercando
il rhum!!" farfuglia agitato.
IO: "Lo immaginavo..." dico
vaga iniziando a sfilarmi gli stivali per riporli ordinatamente in un
angolo.
I suoi borbottii spazientiti
accompagnano i miei lenti movimenti mentre già mezza addormentata mi spoglio
delle vesti usate quest'oggi e indosso la camicia "da
notte".
IO: "Non so te, ma io sono
completamente distrutta vado a dormire... Ma… JACK COSA STAI
COMBINANDO???"
Mi giro verso di lui e vedo
che preso dalla "disperazione" afferra tutto quello che gli capita sottomano e,
se non si tratta di una bottiglia di rhum, inizia a gettarlo
ovunque.
All'improvviso si blocca,
qualcosa di insolito ai suoi occhi attira l’attenzione: "E QUESTO cos'è?!?"
domanda stranito mostrandomi uno dei gilet trovato questa mattina a bordo di
quell’ antico relitto.
Io: "Ehmmm... Cercavi il
rhum????" mi giustifico con fare da angioletto cercando di deviare il
discorso.
Ripone il gilet, si alza in
piedi e mi fissa con sguardo malizioso: "Non ti avevo forse detto di restituire
tutto?"
IO: "Tu hai rimesso il
braccialetto al suo posto??" domando arrabbiata incrociando le braccia sul
petto.
JACK: "NO! E comunque ad una
domanda non si risponde con un' altra domanda!!!" contesta
rabbuiato.
IO: "Allora ti RISPONDO che
siccome tu non hai intenzione di restituire ciò che hai preso non lo farò
neanche io!!" concludo zittendolo del tutto.
1 a zero per me,
siii!
Scuote la testa rassegnato,
sorrido vistosamente incassando la vittoria. Ha ragione Andrè, quest’uomo è
davvero impossibile!
Mi avvicino suadente
ancheggiando apposta per dimostrarmi provocante.
Rallento solo quando mi trovo
distante un respiro dal suo viso.
Jack mostra dipinto su quella
sua bocca mendace un sorrisino beffardo.
Faccio scorrere lentamente
una mano dalla sua spalla verso il collo fino a raggiungere il copino e
incrociare le braccia dietro al suo collo perché non fugga alla mia presa:
"Sogni d’oro Capitano!" sussurro con dolcezza prima di alzarmi leggermente sulle
punte e porgergli il mio bacio della buona notte.
Quello scaltro filibustiere
non si ritrae indietro di certo.
Se non…
Per avversare: "Aspetta, MA
TU HAI BEVUTO IL RHUM???"
Me n’ero
dimenticata!!
IO: "Ehmmm... Sì, solo un
bicchiere... ma per brindare, così!!!!" cerco di legittimarmi
spaurita.
Ti prego non mi uccidere!!!
o.0
JACK: "Sai cosa significa
questo??" domanda terribilmente serio come gli ho visto fare una volta soltanto
da quando lo conosco.
Bhe almeno quella volta mi ha
confessato che anche lui mi ama…
Significa che mi strangoli
con le tue mani e poi mi butti in mare??
IO: "No..." ammetto
deglutendo rumorosamente.
JACK: "Che ti bacerò per
tutta la notte..." dice trasognante mostrando la dentatura dorata in un
magnifico sorriso.
Ok… Jenny respira,
tranquilla!!
Fiiiiiu, nessuna minaccia di
morte, sono salva -_-
Il Capitano Questo è Rhum
mi ha graziata!
IO: "E chi dice
niente?!"
____________________________________
FUORI
ONDA
Capitana:
"shhhhhhhhh tutti dormono!"
Capo: "+ o
meno!! Da qui provengono strani rumori, in più la nave ondeggia... ma non c'è
mare mosso!!"
Capitana:
"DAIIIIIIIIIIII!!!"
Capo:
"=P"
Meglio
continuare a scrivere cose "intelligenti" và!!!
|
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Capitolo 4 *** Here I am... ***
unty
Nota delle
autrici:
Un salutone a
tutti!! ^^
Non ci credo, ce
l’ho fatta!!! XD LOL
Ho dovuto
riscrivere metà chapter in un pomeriggio solo, le fatiche di Ercole sono molto
meglio :P lol
Fiiiù ce l’ho
fatta però! =D
Non me la sentivo
proprio di deludere coloro che erano informati del fatto che si pubblicava oggi
rimandando la pubblicazione a domani =)
Allora ecco qui a
voi il capitolo 4!!!
Come ho già
accennato da qui in poi Untitled with out end prende un po’ la piega più seria
che poi avrà fino alla fine, ma tranquilli non è che cambia del tutto eh!
XD
Introduzione di
un altro nuovo personaggio!
Questa volta non
apro bocca su nulla, qui ve ne diamo un assaggio prossimamente avrete modo d
conoscerla/o meglio :P
Ho aggiunto di
getto anche la spiegazione di un episodio di Unty1… Ditemi come mi è uscita!
^^
E’ riferito al
capitolo 2 di Unty1.
Eh eh eh miei
lettori, non avete lontanamente azzeccato la cosa mai successa nemmeno in Unty1
eh… Bhe era relativamente molto semplice! Si trattava del fatto che Jennyfer non
avesse mai dato un bacio di sua iniziativa a Jack! (i miei sbaciucchioni *_*) In
realtà nella versione originale di Unty 1 accadeva una volta però ho modificato
anche quella invertendo i ruoli per far risultare proprio questa cosa
:P
Sì sn pazza non
c’è bisogno di ribadirlo XD
Allora… Lo scrivo
qui per tutti!
Io e il Capo
abbiamo pensato molto alla vostra accesa richiesta di riavere Dylan come
personaggio fisso all’interno della storia.
Ma io stessa con
il cuore infranto confermo che ciò non è possibile
=(
Per il fatto che
fa saltare tutti i poteri della mappa! Li
ricordate?
Se Dylan tornasse
nel 1600 Jack non saprebbe minimamente chi è e Jennyfer perderebbe ogni ricordo
della sua avventura vissuta al fianco del suo funghetto preferito ^^
Conserverebbe solo i ricordi che ha di lui quando vivevano nel futuro cioè prima
del viaggio temporale.
Si devasterebbe
un poco la fic in questo modo =’( o no?
Piacerebbe tanto
anche a me sapete -_-
Come “premio di
consolazione” ho fatto una cosa per voi che ho messo nel mio profilo personale d
Efp :D
E’ un disegno che
realizza Dylan a circa 13 anni (eh ha preso dalla sorella l’arte del disegno XD)
con relativa dedica-lettera che trovate sotto all’immagine ^^ (in realtà quelle
2 immagini sarebbero il fronte e retro dello stesso foglio ma lo so che non si
capisce proprio benissimo -_- era solo per fare a voi “un
regalo”)
Va bene, la
pianto con le mie ciance e vi lascio alla lettura!
:P
Grazie per i
pareri di…
johnny jack_
La nostra indiscussa
campionessa di velocità nelle recensioni!! :D loool XD In Unty1 quei 2 ti
facevano piangere e adesso sbellicare, che cambiamento!!! XD Meglio così! =D
Grazie principessa per i tuoi commenti ^^ Fraaaaaaaaaaaa faccio un monumento al
boscaiolo!!! *_* E’ tornato cn la legna evvaaaai XD XD XD Lo aspettavo da aprile
qnd mi sn spenta =’) Ok kela puoi smetterla di dire kakiate
XD
Alla prossima
nostra dolce pazzerella!!! =* Un bacioneoneone grande
grande!!
micia_
Salut!! ^^ grazie per i tuoi complimenti, onorate come
sempre =$ Se a quei tempi non esistevano centri di recupero come dici te ne
aprivo uno io personalmente solo x accogliere Jack!!! XD e tenerlo tutto x me
*ç* ok kela puoi finirla di sbavare sulla tastiera XD XD Non sei per nulla
l’unica che vorrebbe essere al posto di Jenny!! =D
A me fa piacere
che ti stia simpatico Andrè, al Capo un po’ meno XD Quella scena è stata
tremenda, il nostro francese ha rischiato di perderla del tutto la vita!!! O_o
lol
Ti ringraziamo
tantissimo ancora! =D A presto bacioniiiii! ^^
Aggiunta: scusami
cara, ma la lumaca qui è lenta a scrivere la nota delle autrici, per colpa di
questa ci ho messo tanto! =( Scusa ancora per il ritardo, colpa mia!! ^^’
=*
daphne greengrass_ Hola!!!
=D Andrè uguale a un tuo amico,
parla anche lui così?! O_0 Ti porti sempre dietro un dizionario di francese? XD
skerzo! Uuuu bhe io credo abbia i suoi vantaggi poter identificare un
personaggio con una persona reale, rende la cosa ancora più divertente!!!
=D
Tranquilla,
vedrai che in questo nuovo chapter Jack ritrova per sua grande gioia il suo
amato rhum e… non solo! ^^
A presto, grazie
per la tua recensione, fa sempre piacere!! Bacioniii
=*
JiuJiu91_
Ciao Giulia!!! :D Tres bien! Alor ti piace il ruolo che ti
abbiamo affidato!! ^^ Non sei costretta, era solo perché ho visto che sei una
intenditrice del settore XD lol
Lol, oh
mammasaura, non credo che tu sia esagerata quanto Jack quando manca di aver
sorseggiato il rhum!! :D o forse sì o_0 skerzo!! XD
Sì, se non erro
anche io Jenny ha bevuto circa 2 volte in Unty1 anche se non da perdere i sensi
magari XD Riguardo al “mare mosso”… (Mannaggia a te Capo che mi esci fuori
con ste cose!!) Ti assicuro che in Unty1 non c’è mai stato (già tanto se me la
cavicchio a scrivere nelle righe figuriamoci oltre!! Lol) e in Unty2 è previsto
che ci sarà ma una volta solo diciamo senza che vi aspettate una descrizione di
chissà che, per me ha poca importanza e poi personalmente non mi permetto di
descrivere cose del genere, sono affari loro!! ^^
Ho troppo
rispetto nei confronti della persona reale che interpreta il personaggio (che
credo tu conosca molto bene a causa d una tua amica =D Lol) per spingermi a
scrivere una cosa di questo tipo.
Risolto il
mistero bestiola! :D lol a prestissimo, grazie millissime per il tuo parere, un
gran bacioneoneone!!! =*
schumi95_
Ciaaaaaaao mia piccola!!!!! =’D Che bello risentirti e
riaverti qui!!!! ^^ Adesso sei tu che devi perdonare me, ti chiedo scusa se non
ti ho ancora risposto alla mail che mi hai mandato, ho già iniziato a scriverla
quell’accidenti di risposta ma non l’ho finita e non te l’ho ancora inviata
-_-
E’ che qst è
stata una settimana d inferno, piena di verifiche a scuola, circa 2 al giorno :S
Io sono stata poco bene di salute e il pochissimo tempo che mi è rimasto ho
cercato di rispettare la data di pubblicazione che avevo assegnato ad Unty! =(
Scusami davvero tantissimissimo!! :’(
Sono
strafelicissima che la sorpresina ti sia piaciuta :P
=*
Dunque, Andrè
esisteva già in unty1 sì ma non aveva alcun fine in quella fic per cui è rimasto
a voi lettori sconosciuto, solo nel primo chapter d Unty2 abbiamo rivelato che è
grazie a lui che ora Jenny se la cava a cucinare!
^^
Ci sembrava
opportuno giustificare questa cosa nei vostri
confronti.
Sì “il mio inizio
sei tu” è quella canzone meravigliosa che puoi ascoltare nei sottotitoli di coda
del cartone di Anastasia *_*
No! Jack non è
cambiato di mezza virgola! La Perla Nera che ricordi tu credo che sia quella d
Potc1 ancora sotto il comando di Barbino (Capitana muore *ç*) dove essendo un
vascello fantasma aveva le vele del tutto ridotte a groviera, fantasticheeeee!!!
XD
Io le amavo così
*_* ma è impossibile navigarci per cui nel secondo e terzo film le hanno
mantenute nere ma le hanno rattoppate credo con qualunque stoffa nera che
avevano a disposizione XD hi hi hi
Il Capo dice che
adesso t dedica una statua perché provate lo stesso odio per quel francesino
effeminato XD LOL
Io non lo trovo
tanto male, mi fa morire dalle risate associato a Jack!!!
:D
Nel capitolo 3 ti
confido che ho scritto quella frase ispirandomi alla scena vicina alla fine
della maledizione della prima luna, quando Jack ha tra le mani il tesoro di
Cortés e l’analizza monile per monile mentre tratta con Barbino mio adorato e
poi libera Will ^^
Non so, magari in
quella scena del film faceva così per confondere Barbino però io l’ho
interpretata così come l’hai trovata scritta :D
Grazie
tantissimissimo per il tuo commentone, a me non dispiace leggerne d così lunghi,
traqnuillissima!! XD Alla prossima piccola mia, domani tornata da scuola ti
rispondo alla mail, promesso!!! =* un immenso bacione!
^^
Blue Tiger_
Ciaaau Lu!!!
=D Lol aaaargh sn
contentissimissima che t piacciono i nostri “siparietti” XD XD
lol
Ne vedrai delle
belle anche più avanti, più si va avanti più la nostra pazzia peggiora :P
hahahaha
No dai nn è
arrivato al suicidio!! XD Ma ce mancava poco -_-
Urca 26 anni il
tuo bel maritino!!! :0 nn me l’aspettavo sai!
Eh si si mi
ricordo come ballavi sui tavoli eh XD e chi se lo
dimentica!
Alla prossima,
grazie millissime per la tua recensione mia Picci ^^ Un baciooooneoneone!!! =*
=*
Hilly89_
Ciao !!! =D Uuuuu ma
ke duci il tuo ragazzo *_* eh perdona la romanticona qui XD Meno male ke i miei
J&J siano una bella coppia XD
Bhe… ecco… Andrè
non è un bel giovanotto come credi tu… Ho fatto io un po’ l’errore di non
descriverlo interamente ma almeno per un personaggio volevo lasciarvi libera
interpretazione!
Nel chapter 3
Jenny dice che avrà all’incirca l’età d suo padre ma lo fa per non offenderlo
perché in realtà Andrè è ancora + vecchio, avrà un 50 anni suonati altro che
giovincello!
Ti dirò, i suoi
capelli io li immagino grigi così come gli occhi, chiari e non con un colore ben
definito ^^
Ma poi alla fin
fine l’aspetto non ha incisiva importanza :P
Io credo che Jack
si ritrova con una fidanzata che sopporta poco il rhum è proprio il colmo XD lol
ma si dice che gli opposti si attraggono, allora è vero
*_*
Grazie sempre
millissime x il tuo “stelline del firmamento cosmico” =$ il nomone come lo
chiamo io XD lol
A presto!!!
Bacionionioni!!! =*
A tutti una buona
lettura, qui Capitana passa e chiude 8-D
Un gran bacione a
tutti!!
Kela and Diddy
(Capitana and Capo)
Capitolo
4
Here I
am…
Come sono
pesanti queste casse!!!
Stamattina abbiamo
approdato al porto di West Caicos (piccola isola
appartenente all’insieme delle isole Turks e Caicos NdAutori) per fare rifornimento.
Di cosa se non ben
17 casse di rhum?! Forse è il numero di quest’ultime che mi ha portato
sfortuna…
Temo che il
Capitano mi abbia davvero preso in parola ieri sera quando ho detto: “…se
siamo vicini a qualche porto domani potremmo fermarci!" è stata esattamente
la prima cosa che ha fatto non’appena ci siamo imbattuti nella prima isoletta a
disposizione!!
Così non ho
nemmeno fatto in tempo ad aprire gli occhi poco fa che mi sono ritrovata in mano
non so quanti chili di scheggiata cassa legnosa contenente 12 bottiglie di
amarissimo rhum.
Tutto perché a
bordo non è rimasta un anima, si sono avventati tutti su questa a me estranea
falda di terra, a bordo non rimaniamo che io e
Jack.
Sembrano anni
che trasporto avanti e indietro questi dannati barili tintinnanti… Non posso
nemmeno fare una pausa perché quell’ubriacone incallito ancora in astinenza di
Jack si trova qui a pochi metri da me sul molo che attende impaziente l'arrivo
delle ultime casse, mi controlla a vista continuamente come un radar della
CIA!!
Tranquillo mio
caro, non scappo mica via con tutto questo fendente peso in mano, non riuscirei
nemmeno a correre.
Sbuffando
spossata lancio un ultima occhiata alla deliziosa isoletta in cui ci siamo
fermati e rientro all'interno della stiva della Black
Pearl.
Nella sottile
penombra abbandono malamente l’ennesimo contenitore e mi soffermo un attimo a
stiracchiarmi la schiena dolorante.
Ad occhio credo
di averne trasportate parecchie di casse, dopo averle contate confermo che sono
16, manca solo l’ultima!!
Porto qui quella e
mi precipito in cucina, il mio stomaco brontolante reclama la colazione che non
ha ancora consumato e in ogni caso non ho voglia di continuare a fare il
facchino qui!!
Mi muovo lungo
il ponte quasi trionfante con un gran sorriso stampato in
viso.
Mentre scendo a
terra percorrendo la passatoia noto una figura avvicinarsi al Capitano.
Chi sarà mai
cost..ei!? Avvicinandomi riesco a scorgere distintamente la persona: si tratta
di una donna. Un mantellino grigio avvolge il suo corpo, al di sotto indossa un
vestito rosso porpora con cintura di stoffa rossa e bianca che la stringe in
vita fermata da una spilla decorata da un brillante bianco. Un lungo cappuccio
copre quasi tutto il viso a parte bocca e naso.
Continuo la mia
avanzata nella loro direzione accelerando il passo incuriosita, mantengo
comunque una certa distanza.
... :
“JACK!!!!” bercia gioiosa la strana donna.
Allora lo
conosce penso sorridendo (Nooo,
ma davvero???? NdAutori),
chissà chi è!
Jack ruota il
busto lievemente con un sopracciglio inarcato, non deve aver riconosciuto subito
la voce di chi l’ha interpellato.
Lei sembra
decisissima invece, gli si pone davanti senza nemmeno lasciar lui il tempo di
controbattere, afferra il suo bel viso tra le mani e lo porge a se finché le
loro labbra non si uniscono in un procace
bacio.
Il mio sorriso
si trasforma in una smorfia sorpresa e stupita. (ma soprattutto incazzata lol
NdCapo)
Credo che in
quel momento gli occhi mi siano usciti fuori dalle orbite e la mia mascella si
sia dilatata a livelli esorbitanti.
ECCOME CHE LO
CONOSCE ALLORA!!!!! Penso colma di rabbia.
E quel
maledetto traditore di un pirata cosa fa?!? Non oppone nemmeno la minima
resistenza!!!
No, certo! Non
pensa di aver già una fidanzata lui!!
L’ira per un
istante muta in qualcosa di simile alla paura, rabbrividisco al sol pensiero che
tra tutte le cose che Jack ancora non mia ha detto ci sia anche…
un’altra…
Respiro
affannosamente, non posso crederci… A questo punto non me lo sarei mai
aspettata… Scuoto la testa incredula.
Bugiardo
bugiardo bugiardo, dannato mentitore!!!
Accidenti, avrebbe
potuto renderlo chiaro fin dal principio!
Se nella tua vita
c’era già una donna, allora… Io cosa ci sto a fare
qui…?
Mi avvicino a
entrambi febbricitante di rabbia, raggiungo una vicinanza di appena pochi metri
da loro aspettando impaziente una reazione alla mia
presenza.
Stringo a più non
posso i pungi per trattenere un improvviso attacco d’ira, esigo davvero una
degna spiegazione questa volta brutto mascalzone, ignobile, farabutto,
spregevole…
A quanto pare la
mia vicinanza non serve proprio a nulla, ma non credere che io rimani qui a
fissarvi zitta e buona ancora per molto mio caro!!
Sto quasi per
esporre tutta la mia rabbia, quando improvvisamente mi blocco… Lungo il viso di
quella donna scorrono delle lacrime.
Non so come, ma
in quel istante qualcosa mi ha trattenuta impedendomi di
proseguire.
Forse si è
trattato solo di un bacio voluto dalla disperazione e non dall’
amore…
In ogni caso
non doveva usare Jack come cavia per lo sfogare il suo
sconforto!!!!
La donna
[finalmente!!!!] allontana il suo viso dal Capitano riprendendo
fiato.
Rimane prima un
istante ammaliata, poi sussurra accarezzando amorevolmente le sue labbra
socchiuse con la punta delle dita: ”Erano così fredde l’ultima volta...”
Jack scruta la
donna quasi incredulo, neanche lui riesce a capire cosa sta
succedendo.
Bravo, fai pure
il finto tonto adesso!
...: “Ora devo
andare, ma molto presto vi raggiungerò ancora, sono qui per aiutarvi…!” Conclude
girandosi verso di me.
Vengo presa da
un sussulto, conosce anche me? No… Com’è
possibile??
Rimango del
tutto sbigottita, aiutarci… ma che significa??
Molto presto
poi, ah benissimo!! La prossima volta che faranno per salutarsi?!? Non ci voglio
neanche pensare!!!!
La donna
rivolge un ultimo sguardo al Capitano prima di allontanarsi rapidamente
scomparendo tra la boscaglia che circonda il molo.
Io rimango nel
punto in cui mi trovavo stringendomi nelle spalle atterrita, fisso con lo
sguardo vuoto l’ultimo punto in cui mi è stato possibile
vederla.
Jack mi si
avvicina ondeggiando stralunato e a testa bassa.
Anche io torno
in me, la collera mi causa un tremolio del labbro inferiore, ma compio un grande
sforzo per cercare di non dare i numeri.
IO: “La
conoscevi Jack?” riesco a domandare di getto rivolgendomi direttamente a lui che
non osa ancora guardarmi in faccia. Mi stupisco anche io che il mio tono sia
così calmo.
JACK: “No
chèrie, non so chi sia!” ammette scuotendo il capo con sguardo
serio.
“Cosa??...”
rimango del tutto perplessa.
“…No, non è
vero, non ti credo! Diamine, non so mai se mi dici la verità o menti, se fidarmi
o meno di te…” farfuglio furiosa concludendo con voce
spezzata.
Il Capitano mi
scruta interrogativo.
IO: “Lei
sembrava conoscerti molto bene invece, questo intendevo!!” ribadisco arrabbiata
riacquistando animo.
JACK: “Sarà
perché a voi donne faccio sempre questo effetto!” esibisce con orgoglio e uno
strano brillio negli occhi. (ESATTO!!!
NdCapitana)
Spregevole
farabutto, non si sente neanche in colpa, si vanta
pure!!
IO: “Di che
effetto parli??” domando isterica.
JACK: “L’hai
visto con i tuoi occhi!!” esorta allargando le braccia come se fosse
ovvio.
IO: “Jack,
quella donna stava piangendo!!!” contrasto la sua fierezza con
afflizione. (questo effetto!! :P NdCapo ke bastarda NdCapitana)
Il suo viso che
aveva assunto appositamente un’ espressione ironica diventa più
serio.
JACK: “Per caso
io ho le labbra fredde?!” domanda frastornato dopo qualche istante di silenzio
portandosi una mano alla bocca ripensando probabilmente ancora a
lei.
IO: “Ma…ma
santo cielo, cosa diamine c’entra??” sbotto arrabbiata perdendo il
controllo.
Riduco gli
occhi pieni di spasimo a una fessura.
Accorgendosi
che non accenno altra risposta finalmente il Capitano mi rivolge uno sguardo
esaminante.
Il dolore si fa
più intenso, mi trafigge pienamente tutto il petto.
Possibile che
non capisci le conseguenze delle tue azioni??
Sento le
lacrime quasi fuoriuscire dagli occhi ma mi faccio forza e le reprimo almeno per
ora che sono ancora di fronte a lui.
“Hai tutta la
bocca cosparsa di rossetto, datti una risposta da solo! Io me ne torno a bordo!”
concludo fredda e infuriata volgendogli del tutto le spalle e proseguendo nella
mia intenzione.
Cammino a
grandi passi per allontanarmi il più velocemente possibile da lì, raggiungo la
passerella e una volta messo piede sulla Black Pearl mi volto di scatto, ma non
verso Jack.
In un istante di
sconsideratezza tiro un violento calcio alla passerella che conduce a terra poi
giro nuovamente i tacchi e mi rifugio
sottocoperta.
La trave di
legno cade in acqua alzando un leggero schizzo che inumidisce la punta consunta
degli stivali del Capitano posizionato poco distante dal bordo del
molo.
Ha tentato si
seguirmi, ma ora non ha modo di far ritorno sulla sua nave anche se non sarà di
certo questo a fermarlo. Jack Sparrow è come la manica di un prestigiatore, ha
sempre un trucco! (Ok era
pessima, fate finta ke nn l’abbia scritta XD lol NdCapitana)
-
Ho scelto come
rifugio la cucina. Non per un motivo particolare, quando ho bisogno di pensare
mi piace star da sola e mettermi a fare qualcosa.
Questa mattina
è deserta, Andrè gentile come solito ha lasciato tutto lindo e in ordine, riesco
quasi a specchiarci il mio viso mesto nel fondo delle pentole qui appese sopra
il piano da lavoro.
Emetto un altro
sospiro seguito da un lieve singhiozzo prima di chinare nuovamente la nuca sulla
ciotola dove all’interno ho mescolato qualche ingrediente con l’intento di farci
un dolce.
Il silenzio che
regna sulla nave mi rasserena, è interrotto ritmicamente soltanto dal mestolo di
legno che sbatto sulle pareti della ciotola per amalgamare la sostanza
giallastra che è uscita fuori dal mio primo “esperimento” in fatto di
pasticceria senza la supervisione del nostro cuoco di
bordo.
Improvvisamente
avverto dei passi pesanti avvicinarsi alle scalette scricchiolanti discendendole
lentamente.
Alzo
leggermente lo sguardo e incontro quello “con fare innocente” del
Capitano.
“Ah… sei tu!”
dico per niente sorpresa.
Lo sapevo che
sarebbe riuscito comunque a raggiungermi!
Osservo
indagatrice i movimenti bizzarri che compie avvicinandosi: tiene le mani unite
dietro la schiena e attraversa la stanza a passi lunghi procedendo a rilento verso la mia
direzione.
JACK: “Ti sei
offesa dolcezza?” domanda con intonazione colpevole per aver da me una
conferma.
Chi, io?! Ma
nooooo… Per me potevate andare avanti in eterno!
Soprattutto
sotto i miei occhi!! IO: “Ciò che quella donna ti ha detto… mi ha fatto
pensare!!” dichiaro vaga in tono piatto, che bugiarda
sono.
Acconsente la
mia risposta con un cenno del capo, cammina fino a raggiungermi dietro il
bancone dove allunga verso di me le sue belle mani fregiate di anelli con
l’intendo di scostare le chiocce di capelli che mi ricadono sulle spalle per
appoggiarvi sopra il mento circondandomi dai
fianchi.
JACK: “Dal tuo
tono non si direbbe!!” osserva saccente.
Cavolo! Ecco,
come solito mi ha beccato!!
“…Cosa cucini?”
domanda curioso affondando il viso nella mia
spalla.
D’istinto vengo
presa da un brivido che mi fa incurvare leggermente la schiena, no no, non devo
fargli capire come sto in realtà!!
Jenny sii
forte, non cedere ai suoi giochetti…
IO: “Non
saprei, quando sono nervosa mi metto a far qualcosa e non penso a quello che
faccio…”
OPSSS, troppo
tardi!!!
JACK: “Ah, ma
allora sei nervosa!” confuta con una nota di adempimento.
Centrata in
pieno!
Devo trovare il
modo per deviare questo discorso!!
Mi sposto verso
destra “liberandomi” dalla sua presa, raccolgo con il mestolo una gran quantità
del mio esperimento e l’assaggio per individuare di che si
tratta.
IO: “Uhmmm…
sembra crema!!” assaporo deliziata.
Andrè sarebbe
fiero di me se fosse qui!
Jack esplode in
una risata.
IO: “Cos’hai da
ridere??”
JACK: “Per
assaggiare quella roba dorata ti sei sporcata tutta la faccia!!” risponde
divertito.
Scoppio a
ridere anche io, sono sempre la solita sbadata!!!
Un po’ di
arrabbiatura si è dispersa in una cucchiaiata alla
crema.
IO: “Tieni,
assaggia anche tu” l’esorto inzuppando quasi del tutto il mestolo nella pentola
[in modo che si sporchi anche lui!], poi mi giro nella sua direzione e trovo il
suo viso così terribilmente vicino al mio…
Le sue labbra
si appoggiano sulle mie e io non riesco ad ostacolarlo, forse nemmeno
voglio.
Quando vi si
trattengono troppo punto le dita della mano libera che mi è rimasta sul suo
petto e amareggiata l’allontano da me.
“Uhmmm… buona!!
Forse dovrei farti arrabbiare più spesso!!!” sogghigna pacato studiando la mia
reazione.
IO: “Certo,
perché io sono il tuo burattino! Una sciocca marionetta che puoi sempre
manipolare come vuoi a tuo piacimento…!” confuto amareggiata guardandolo negli
occhi.
Aggrotta la
fronte rabbuiato prima di capire forse per la prima volta dall’episodio avvenuto
poco fa ai piedi della Black Pearl il motivo anche per cui me la sono presa
tanto con lui.
JACK: “Sai
dolcezza, una volta credevo davvero che gli angeli fossero come il paradiso:
devi morire per vederli…! Invece a me è bastato prendere l’assurda decisione di
far rotta a 50 miglia marine da Tortuga… Per incontrarne uno…” introduce
trasognante fissandomi intensamente.
Abbasso lo
sguardo che al suono di quelle parole non riesce più a mantenere il suo fingendo
di farmi distrarre da altro.
E quell’angelo
sarei io?
JACK: “E’ stata
la mappa di cui la parte mancante la possedevate tu e Dylan a condurmi fin alla
Red Ocean! La notte prima il pezzo nelle mie mani era rimasto malamente
abbandonato sul tavolo della mia cabina perché ero quasi intenzionato a
rinunciare alla ricerca della sua parte mancante… Poi successe qualcosa di
strano: un oscillamento improvviso della Black Pearl ha fatto rovesciare sulla
tavola parte di una bottiglia di rhum che ha macchiato una porzione della
cartina. L’ultima goccia del più pregiato liquore di tutta Cuba si è fermata nel
punto in cui il giorno dopo ho strappato via il mio angelo dalle luride grinfie
di quella ciurma di manigoldi, comprendi?” conclude chinando il capo per
ricercare il mio sguardo.
Rimango
sgomenta e a bocca spalancata, allora è così che è andata! E io che gli ho
sempre rimproverato di essere uno spregevole corsaro interessato solo ad
arricchirsi senza nessun’altro interesse…
L’ attacco alla
Red Ocean non è stato causale, come se la mappa avesse voluto farci
incontrare…
Mi guardo
intorno confusa cercando di evitarlo acquistando tempo per
riprendermi.
Infine ricado
inevitabilmente su di lui trovando però modo di riscattarmi: “Lo sai che il
mestolo sta gocciolando sulla manica della tua giacca!?” enuncio ridendo.
JACK: “Oh
mannaggia, NO!! Mi hai fatto macchiare tutto!!!”
IO: “Aspetta,
faccio io!” ceco di rassicurarlo mentre già si fa prendere dall’agitazione per
aver rovinato uno dei suoi effetti.
Con uno
straccio inumidito con dell’acqua cerco di ripulire la crema sulla sua
manica.
IO: “Oh, ma
guarda! Ti sei sporcato anche qui, qui, qui e
qui!!”
Ora la macchia
di crema si è sparsa su tutta la faccia di Jack.
Scoppio di
nuovo a ridere poi comincio a correre verso la parte opposta della stanza per
sfuggire alla sua reazione al mio dispetto.
Il Capitano
reagisce all’intimidazione e non fa che inseguirmi per tutta la
cucina.
Approfittando
di una sua distrazione mi fiondo fuori sul ponte e richiudo dietro di me la
porta per cercare di rallentarlo.
E’
completamente deserto, di sicuro la ciurma si trova ancora in giro a zonzo per tutta West
Caicos!
Mi soffermo
sulla porta per bloccarla, non riuscirò nel mio intento a lungo, Jack è molto
più forte di me!
Non appena lo
sento avvicinarsi cerco un nascondiglio sicuro da qualche parte, ma non riesco a
trovarne!!
Rassegnata mi
precipito verso il parapetto di poppa, Jack esce dalla porta della cucina, devo
affrettarmi!!
Mi sporgo
stupidamente cercando una via d’uscita ma scivolo e senza volerlo finisco in
acqua.
Per fortuna non
perdo i sensi, sento le tiepide acque color del cristallo sommergere il mio
corpo trasportandolo in profondità.
Raggiungo il
fondo, ma non mi do la spinta per risalire subito: voglio vedere se Capitan Jack
Sparrow verrà a salvarmi!!
Dopo pochi
secondi sento l'acqua al mio fianco dimenarsi facendomi perdere
stabilità.
Qualcuno mi
afferra prontamente per trasportarmi verso la superficie. Fingo di essere un
corpo inanime per farlo preoccupare ancora di più, così
impara!
Quando torno a
galla respiro lentamente dal naso tenendo sempre gli occhi chiusi per non far
capire a Jack che sono cosciente.
Mi riporta sul
molo facendomi sdraiare sulle assi inumidite della
banchina.
Scostandomi i
capelli dal viso dice irritato: "D’accordo morta annegata, adesso fingi di
tossire e torniamo sulla Black Pearl!!"
IO: "....Come
hai fatto a capire che non sono svenuta???" rispondo amareggiata aprendo
leggermente un occhio, mi stavo divertendo!
JACK: "Ti ho
sentito riprendere fiato appena siamo usciti dall'acqua!!!" contesta
irritato.
Beccata d
nuovo! Non poteva funzionare…
IO: "Perché
devo far finta di tossire?" domando stranita cercando di
rialzarmi.
JACK trattenendomi a terra: "Perché non
so se te ne sei accorta tesoro, ma il tuo "tuffo" ha attirato l'attenzione di
mezza West Caicos!!!!” afferma a denti stretti.
OPSS!!!!
Alzo
leggermente il capo e vedo una sorta di piccola folla di pescatori e umili
abitanti del villaggio raggrupparsi nelle vicinanze incuriositi.
E’ meglio che
faccio come dice!! Come se non fosse successo niente mi rialzo e a testa bassa
risaliamo entrambi a bordo.
Mi siedo a
terra appoggiando la schiena contro al parapetto per nascondermi, lontana dagli
sguardi “indiscreti” del porto.
Quando scorgo
il mio salvatore in arrivo scoppio a ridere divertita da questa nostra assurda
figuraccia.
Jack osserva
ancora il porto per un secondo, poi si dirige verso di me e urla indispettito:
"Mi hai fatto venire un infarto, NON FARLO MAI
PIU'!!!!!"
Rimango seria
per un secondo e poi riscoppio a ridere di nuovo.
JACK: “Hai
fatto un tuffo che neanche ti immagini, potevi farti male seriamente, ci hai
fatto fare una figuraccia e adesso mi prendi anche in
giro?!?”
Cerco di nascondere
la mia risata portandomi una mano alla bocca ma non serve a
granché.
Il Capitano si
abbassa alla mia altezza sorridendo visibilmente, comprende da se che
aggiungendo qualsiasi parola non fa altro che farmi ridere ancora di
più.
IO: “Grazie
Capitano per essere venuto a salvarmi!” dico sincera porgendogli una
mano.
JACK: “Dubitavi
forse che non l’avrei fatto??” domanda esaminante afferrandola aiutandomi così a
rimettermi in piedi.
IO: “Mah, non
saprei…! Da te ci si può aspettare qualsiasi cosa!! Una volta ti ho paragonato
ad un pianeta inesplorato dell’universo…”rispondo placando le risa e
strizzandomi i capelli bagnanti con la testa leggermente piegata in avanti
.
E’ vero, non
gliel’ho mai detta questa cosa!
JACK: “Io un
PIANETA???”dice divertito togliendosi di dosso la giacca completamente
zuppa.
IO: “Esatto:
strano, affascinante ed imprevedibile!
Si gira di
scatto scrutandomi quasi stupito senza dire nulla.
Questa volta
sono io ad averlo lasciato senza parole!!
_______________________________________
FUORI
ONDA
Capo:
"Pianeta???? si quale?? il sole, che non puoi guardarlo altrimenti rimani
cieca?!?"
BANG BENG
BUNG
Capo morta
uccisa da Capitana e da Jennyfer!! lool
Capitana: "Eh
che invidia a questa Scilla!! Jenny sei una pessima attrice però senza
offesa!!"
JENNY: "NON TI
CI METTERE PURE TU!!" Dice alzando una spranga di
ferro.
Capitana: "Ok
ok nn dico più niente a riuguardo!!"
-_-'''
JENNY: "E
vedete di nn fare più queste scene!!CAPITO??????"
Capitana:
"siiiiii!! capito!"
Jack sussurra
alla Capitana: "Magari si potrebbero fare di
nascosto!!"
JENNY:
"COSAAAAAAAAAAA???"
JACK: "Chi ha
fiatato??"
JENNY: "Meglio
così!!"
...:
"psss...Capitana....!"
Capitana:
"Capo sei viva!!" Capo: "si ma ora è meglio filarcela!!" Capitana: "Già meglio
così!!" noi: "VIA!!!"
|
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Capitolo 5 *** Better days. ***
Nota delle
autrici: (Continua a piè di pagina)
Buona sera a
tutti quanti!!! =D
Mi scuso a nome
di entrambe le autrici per l’avviso smonco che ho messo in questi giorni nel mio
profilo di efp, ma la data di pubblicazione era il 6 Novembre e poi “imprevisti
sono sopraggiunti” dati da alcune vostre recensioni (che qui sotto ringrazieremo
sempre individualmente) ci avete fatto notare che la reazione di Jennyfer a
quello che è successo nel capitolo 4 non è del tutto adeguata e avete
perfettamente ragione ^^
In questo modo allora abbiamo strutturato il capitolo 5 in
varie parti (sottocapitoli) che speriamo riaggiustino tutto, il problema è che a
oggi di questo capitolo è pronta solo la prima parte!
In documento word
mi risultano che sono solo 5 pagine, poche lo so, ma per rispettare il termine è
pronto solo questo =(
Ho già quasi
finito la seconda parte e tra qualche giorno prometto solennemente che
metterò un avviso in grassetto nell’introduzione di Untitled-With out End
per informarvi di qualsiasi aggiornamento! ^^
E’ successo che
in queste settimane ho approfittato del ponte dei morti per un viaggetto nella
capitale e la scuola ha preso me e il Capo seriamente per cui abbiamo avuto poco
tempo e ce ne scusiamo con voi -_-
Allora vi
possiamo dire che in questa prima parte c’è il ritorno poco gradito di una
vecchia conoscenza di Unty, i più se la dovrebbero ricordare :P E Jenny assaggia
una parte di piccola vendetta nei confronti di Jack!! >= ) hi hi hi
^^
Grazie per i
pareri di…
daphne greengrass: Ciao
ehm… (Alessandra
[bellissimissimo nome *_*], Francesca o Giada, sorry ma non l’ho capito XD =$)
Hai battuto il record dei record questa volta! :D lol Hai tolto il primato alla
mia Fra XD Scherzo!! ^^ Caspita, e io che pensavo di aver scritto una schifezza
nella reazione di Jenny a quello che è successo ^^’ (e così è stato Kela, cha
stai a dì?!), Grasie! =)
Dunque… Devo
essere stata poco chiara… Per tutto quello che riguarda Dylan come personaggio
fisco cioè che partecipa di persona alla fic ho spiegato per tutti che ci duole
informarvene così ma non è in alcun modo possibile farlo rientrare in questo
modo in Unty2 =’(
Se ti va puoi
rileggere il capitolo 14 di Untitled dove si racconta per bene il potere che
nasconde la mappa e vedrai che quella caratteristica della mappa non valeva mica
solo per Jennyfer e Jack, non si fan distinzione, vale per chiunque possieda la
mappa, in questo caso Dy ;)
Se Dylan tentasse
di tornare nel passato per rivedere Jennyfer, lei si ricorderebbe di lui (a
partire dalla sua nascita fino al giorno in cui dal futuro si sono ritrovati nel
passato, ma tutto il viaggio nel passato no) e Jack non saprebbe nemmeno chi è
perché prima che arrivasse con Jenny dal futuro non poteva
conoscerlo!
Crediamo che si
sconvolgerebbe un po’ tutta la storia così, o ci
sbagliamo?
Per quanto
riguarda ricordi, flash back, pensieri… Allora qui sì che Dylan ci sarà! Abbiam
scritto quasi capitoli interi più avanti dove parliamo di Dylan ^^ Ma il
personaggio reale e fisico ci dispiace ma è impossibile -_-
:’(
Ti prometto, e lo
dico a tutti quanti, (speriamo che leggano XD lol) che io e il Capo ci siamo
ingegniate a creare un personaggio nuovo che sostituisce un poco l’adorabile
funghetto in questo sequel di Untitled, perché l’elemento “disturbo” non può
mancare :P
Non è un bambino
ne dolcissimo come il nostro piccolo Dylan ma di disastri ne farà uguale!
^^
Ah come ti
capiamo a mamme rottura di rocule XD Ne abbiamo 2 così anche noi e il peggio è
che sono sorelle e a parte l’aspetto fisico di carattere sono identiche
<_< Grazie per seguirci sempre con il tuo entusiasmo =* Un gran
bacione!
johnny jack:
Fra Fra! Mi perdi I colpi
qui tu XD lol Ti sei fatta soffiare un titolo, c’è da rimediare! :P hi hi hi
^^
In questo prossimo capitolo 5 ho fatto scrivere al Capo le
note finali solo per te =D lol così ti fan piacere ^^
Eh già Immi eh
*_* Si ma qui mi sa che te lo devo rispedire il boscaiolo io a te per venirti a
ripigliare che con Jack dagli occhi blu lì ti ho persa XD he he
he
“I sogni non
hanno mai fine, basta crederci!” dice il mio James *w* e ha ragione!!!!!
:’)
Eh sì, l’ho
scritta apposta quella frase, noi lasciamo sempre degli indizi che vi fanno
capire ma in pochi li colgono, state attenti!! XD
Nulla è lasciato
al caso :D
Si va bhe non
esageriamo, uno dei più belli non direi XD A me a volte piace rileggerne
tutt’altri =D E’ stata l’introduzione di una delle chiavi che compongono Unty2,
ma in ogni caso apprezzo tantissimo il tuo appoggio che ricevo sempre, grazie
tantissimissimissimo!!! =’) =* =*
Allora vado a
lefare quel vecchiaccio del boscaiolo al pino e torno eh! XD Alla prossima mia
dolce principessa pazzerella, ti voglio troppo bene!! Baciiii
JiuJiu91:
Ciao Giulia! :D E’ stata la tua scorsa recensione a farmi
riflettere per prima ^^
Sì, ammetto che
io insomma non ho mai assistito o partecipato a una scena del genere di persona
(anzi sì ma con il mio cervello malato, non è che prendeva me principalmente XD)
per cui sono andata molto a spanne, ho scritto tutto in grandi linee e appunto
ero preoccupata di aver creato una schifezza :S
Nella parte 2 di
questo capitolo 5 Jack dirà perché non si è sottratto alla “donna incappucciata”
XD lol come la chiamo tu! ^^
Spero che almeno
in questo capitolo Jennyfer riesca a riscattarsi un po’ e a riconquistare la tua
fiducia, sostegno… insomma quello che è!! XD
Jenny disegnata
da Dy non è disegnata da nessuno, è proprio la persona vera che è così! :D lol
Oddio spero di non averti distrutto un sogno XD
E’ solo passata
sotto le mie mani e photoshop dove l’ho rimodellata a mo di disegno ed è uscita
così! ^^
Grazie come
sempre, a presto! Un grandissimo bacione!!! =D
micia:
Eh si cara la nostra Micia noi alla fine siamo state
puntuali (come cerchiamo sempre di essere ^^’ Un termine è un termine!) Ma tu no
XD LOOL Ma dai scherzo, stai tranquillissima!! :P
Siamo contente
che piaccia anche a te il disegno di Jenny fatto da Dy!
:D
Era il nostro
regalino per voi a cui manca il tenero funghetto ^^
Suvvia, Jenny si
è buttata perché voleva vedere cosa avrebbe fatto Jack! Si un gesto un po’
stupido, c’è da dirlo (vuoi che quello non si butti?? Ha salvato pure la racchia
di Liz! Ops ^^’ eh si quanto voglio bene a quella ragazza io <_<) ma si sa
che l’amore è follia ;) Spero che questo capitolo 5 ti piaccia!
:D
Adesso c’è solo
una parte, ci vorrà ancora un po’ per leggerlo completo
-_-
A prestissimo!
Bacioniii =*
Nekomi:
Ciaaaao Laura!!! :D Che piacere averti nella nostra fan
fic!!! J
Oh, meno male che
è interessante ^^ lol Per me ormai è noiosa, le ho lette troppe volte queste
parti XD
Certo, ogni
coppia prende le sue pieghe, ma i miei sbaciukioni non si spezzano, traqnuilla
;) ^^
Ti ringrazio
davvero tantissimissimo per il tuo incoraggiamento
:D
A prestissimo,
vedremo cosa ci dirai di questo chapter 5!! ^^ E tu mir’accomando con il canto
della sirena XD XD
Un grande
bacione!!!
Blue Tiger:
Picciiiii mia dolcissima
*.* Ciaaoooo XD Allora, io ho cercato di corrompere il tizio del treno domenica
pomeriggio e pure di sviarlo, ma niente -_- Al posto che andare a Cassino è
tornato a Milano, t sarei passata a trovare! =’(
Mah <_<
Anche Jo si è arrabbiato (e io naturalmente non ho capito che ha detto eh,
figurati XD) ma non c’è stato nulla da fare! Uff!
LOL
XD
Yes, nel capitolo
scorso i protagonisti erano i miei due sbaciukioni e per l’identità della donna
misteriosa ci vorrà tutto Unty2 per scoprirlo XD lol Ma il nome lo saprete nel
capitolo 6, anche se è facile da scoprire, l’ho rivelato in una dedica del
capitolo 1 ;)
Eh bhe sì esatto,
per quella parte mi sono liberamente ispirata a una mia reazione che ho avuto
nel secondo film, mi hai scoperta XD ha ha ha ha
Ci credo, ho
rotto così tanto per sta storia ^^’
Maledetta scopa
vestita!!! <_< Ma le moschettiere te l’han fatta pagare *ristata diabolca*
XD vero Lu? :D
A prestissimo, un
bacione anche ai tuoi 2 omaccioni =* =* =* =*
68Keira68:
Ciao carissima Sara!!! =$ Dunque, io e il Capo prima di
tutto dobbiamo ringraziarti non solo per i tuoi pareri dei primi 4 chapter di
Unty2 ma a questo punto anche per unty1!! ^^ lol
Ti ringrazio qui
perché ormai in Unty1 non posso più farlo, se no ogni volta devo modificare
tutto un capitolo per scrivere 4 righe ;)
Il tuo
ringraziamento è davvero speciale perché, a parte l’enorme infarto che mi hai
fatto pigliare e te l’ho detto XD XD ha ha ha :D Ma tu hai fatto qualcosa di
più!
Hai capito la
vera essenza della scorsa FF, quello che hai scritto e capito è esattamente
tutto ciò che volevamo esprimere noi, siamo strafelici e onorate che qualcuno
l’abbia colta, capita ed apprezzata =’)
Mi ha colpito e
commosso (Kela dalla lacrima facile XD lol) quello che hai scritto,soprattutto
nelle 2 recensioni dell’ultimo chapter, l’ho riletto un po’ di volte perché era
magnifico davvero!! =) Quello che speriamo allora è che Unty2 sia alla pari del
primo se non qualcosa di meglio, cresciamo scrivendo e l’abbiamo notato!
(rileggendo i primi capitoli mi vengono i capelli bianchi e adesso capisco
davvero quello che mi dicevano ^^’)
Bene allora io
chiudo bocca tanto tu hai già capito tutto, adesso mi dici anche la fine d Unty
2 e siamo a posto XD lol
No dai, non dico
sul serio! :D
Aaaaallora… Parto
dall’inizio…
Si diciamo che
non è il vestito di Cenerella ma quasi XD lol (nel capitolo 3 ho lasciato un
link per farvelo vedere! :D)
Aaaaargh sn
contenta che la storia dell’angelo sia piaciuta a tutti perché io l’amo!!
*.*
Eh bhe, Jack è
Jack 8-D Lui è il fascino in persona, anche il Capo dice che è affascinante per
lo meno, ed è tutto da dire eh!!!!
Si, poi
naturalmente ha mille debolezze tra le quali il rhum XD lol Ma quelli sono
“dettagli” come dice sempre il Capo ;)
Sai che tu sei
come io e Gore, ragioniamo allo stesso modo, e non va bene questa cosa XD lol
perché io mi sono rovinata sempre il film per colpa di questo e tu da lettrice
questa fan fiction ^^’
Eeee… dunque se il Capo non mi taglia le
dita posso dirti che il tuo ragionamento non è sbagliato ma nemmeno tutto giusto
riguardante “l’incappucciata”, basta io non ho detto niente!!!
XD
Capo non leggere
0_0
Ah già! Andrè qui
ti ringrazia calorosamente per l’apprezzamento (Kela spinge via il pirata
francese dallo schermo del pc che urla “MERCI MERCI MERCI” a raffica e altri
ringraziamenti in francese che Kela non capisce) -_-‘’’’’ Cero certo, non ho
capito come è uscita fuori questa cosa che sia innamorato di Jennyfer ma è un
enorme malinteso che non è assolutamente vero, tranquilli! XD
lol
Bhe allora ti
ringrazio ancora di tutto, sei una lettrice attenta e preziosa!
=)
Un grandissimo
bacione!!!! =* =*
Hilly89: Caro
Lorence… Eh si qui Mara ti ha
scambiato per uno un bel po’ avanti con gl’anni!
Mi dispiace ma il
nostro Andreuccio è così ^^’ lol
Su su non te la
prendere che Mara ti ama lo stesso! :D LOL
Non ti
preoccupare, anche noi abbiamo sti momenti di pazzia incontrollati, anzi la
sottoscritta in particolare li ha dalla mattina quando si sveglia alla sera cha
va a dormire per cui ti capisco, no problem ;)
Uuh bhe grazie :$
io sto miglioramento lo vedo poco ma se lo dice un lettore esterno da me diciamo
che ci credo ^^
Non ci ho pensato
che Jack potrebbe avere una doppia vita da agente segreto XD
lol
Ma no dai! Non è
che la sfrutta, anche in Unty1 era così! Qualcosa dovrà pur fare sta ragazza,
non è che perché è la protetta del Capitano allora non fa nulla
;)
Io la troverei
noiosa se sta lì tutto il giorno a far nulla!
Certo che
potrebbe trovare impieghi meno pesanti, ma su una nave non c’è molta scelta, o
ti sporchi le mani o niente!
Quando scoprirai
chi è la “zoccoletta” non dirai più così ^^’ lol
Non ti dico come
reagirai…
Bhe si potrebbe
essere una scenetta carina ma non sono pratica di lotta a mani nude io per cui
usciva una schifezza, meglio a parole dai!! ^^’ hi hi hi
:D
Mi è piaciuto
tantissimo il modo in cui hai inquadrato Jenny :D Sì, lei racchiude un po’
quello ma anche molto altro, vedrete che le aspetta in
Unty2!!
Grazie come al
solito per il nomone seppur esagerato da associare a noi =$ Un immenso
bacioneoneone!!
A prestissimo e
scusate ancora molto per tutto l’inghippo che abbiamo causato, ci faremo
perdonare :D promesso!
Un
bacione.
Kela and
Diddy
(Capitana and
Capo)
Capitolo
5
Better days.
Shiny.
Ripiego ancora una volta in
più strati il sudicio “straccetto” per non tagliarmi e lo faccio scorrere lungo
la lama di una spada strofinando con forza ai lati dove l’arma deve essere più
affilata e resistente.
Mi trovo seduta per terra tra
le 4 mura basse e strette dell’armeria, intenta a cimentarmi in qualcosa che Jack
ritiene sempre essenziale: Un buon pirata mantiene sempre puliti e lustri i suoi
effetti!
E va bene, penso sospirando,
allora proviamoci…
Sfrego più volte la stoffa
sgualcita e logora prima di fermarmi ad osservarla compiaciuta: Sì, la sto
proprio consumando per bene!!
Il drappo di cui mi servo per
apportare un po’ di pulito agli armamenti abbandonati di questa stanza è ciò che
rimane di una camicia del Capitano, più precisamente si tratta di un indumento
che tempo fa avevo già macchiata di marmellata…
Ora, in questo stato grigio
polvere lo si potrebbe scambiare per un qualsiasi cencio, chissà se si accorgerà
che gli appartiene!
Oh, benissimo! Questa dannata
lama è lustra final…
… “Finalmente ti ho
trovata!”
Sussulto spaurita, credevo di
essere completamente sola invece davanti a me giungono Jack seguito da Diego,
quell’eruditissimo pirata
che poco tempo fa mi ha allietato delle sue magnifiche proposte indecenti.
-_-‘
Li guardo entrambi di
sottecchi, mantengo lo sguardo basso fingendo di continuare ad occuparmi del
gladio.
JACK: “Ti ho cercata ovunque,
ho mobilitato persino Diego!” cerca di legittimarsi indicando il volgare
bucaniere con un ampio movimento del braccio.
Annuisco con un cenno: “Sono
sempre stata qui” esorto scrollando le spalle.
Non credere che io sia
incline a darti alcuna soddisfazione dopo quello che hai fatto e per il quale
non mi hai ancora chiesto scusa.
Il Capitano assume una posa teatrale
scrutandomi indagatore con la testa leggermente
piegata.
JACK: “A far cosa di
grazia?!” domanda in una nota di nervosismo.
IO: “Lucidavo le sontuose spade riposte qui se proprio vi interessa!”
rispondo in tono presuntuoso, guardandolo dritto negli occhi con aria di sfida,
non curandomi della presenza di un membro della ciurma.
DIEGO: “Forse il Capitano
apprezzerebbe di più che tenessi a lucido qualcos’altro…” suggerisce
sogghignando a denti stretti. (però forse il Capitano
gradirebbe che non usassi il panno sporco..NdCapo) (Ecco il commento cn un certo doppio senso del Capo…
NdCapitana)
Cosa…Come prego? …Che dice
quello???
Rimango del tutto spiazzata,
contraggo le sopracciglia in un’espressione colma di furia e
sconcerto.
Al suono di questa
affermazione Jack ruota il busto rivolgendo un’occhiataccia minacciosa al suo
marinaio semplice.
Diego vedendo la reazione che
riceve da trionfante diviene intimorito, china la testa rifugiandosi sotto il
berretto striminzito che indossa per coprire i primi segni di
calvizie.
Razza di bucaniere
svergognato, non gli permetto di dirmi certe cose!!! Alle donne andrebbe portato
ancor più rispetto degli uomini mentre in questa epoca di giurassici sono
trattate alla pari di un animale.
Mi alzo in piedi decisa a
riversare su quel sozzo porco tutta la mia rabbia, ma il Comandante mi precede e
intima con un tono iroso che non ammette repliche: “Fuori di
qui!”
L’adepto esegue l’ordine
all’istante, si dilegua tremante con la coda fra le
gambe.
Rimasti soli Jack si volge a
me con un sorrisino compiaciuto nell’angolo destro della
bocca.
La mia reazione invece è
tutt’altro che la medesima, scuoto la testa fissandolo a braccia incrociate.
IO: “La tua ciurma non è
altro che una marmaglia di sboccati manigoldi e tu risolvi sempre tutto così,
alla leggera!” lo rimprovero con rammarico.
JACK rimanendo sbigottito:
“Avrei dovuto aprire il fuoco per una battutina appena sussurrata?! No, così
quello sboccato manigoldo si darebbe dato troppa importanza...” replica
sdrammatizzando in un sogghigno.
Ti comporti sempre così
quando speri nel perdono vero Jack?
IO atteggiandomi ironica ad
un’esperta spadaccina: “Bhe, se l’avessi lasciato a me ora sarebbe ridotto a
girare in mutandoni e mi sarei servita solo della mia spada!” preciso altezzosa
sfoderando l’arma dalla cintura per eseguire dei movimenti che risultano un poco
goffi, non sono per niente capace a maneggiarla come si
deve.
JACK ridendo: “Oh, ma certo!
Già me lo vedo e provo pena per quell’indifeso bucaniere intimorito e leso dalle
tue spaventose minacce.” ipotizza strabuzzando gli occhi e portando le mani
verso l’alto per schernirmi.
Sporgo maggiormente il labbro
inferiore per assumere un broncio contrariato e
offeso.
“Suvvia, non
fare così… Sai che non resisto a quel faccino furente.” afferma accattivante
indietreggiando lentamente verso la porta con l’intenzione di tornare a compiere
i propri doveri sul ponte di comando.
Vedendo che
non trovo modo di ribattere alla sua provocazione prosegue nel suo intento
volgendomi le spalle.
IO: “Jack…!”
Si blocca già
sulla soglia voltandosi incuriosito.
Mentre era
girato ho raccolto una spada da terra, stabilita la sua attenzione lo raggiungo
a grandi passi tenendo l’arma nascosta dietro la
schiena.
Giunta di
fronte a lui mi porgo sempre più verso il suo viso fino a quasi
carezzarci.
Il Capitano
non si oppone di certo, accoglie ignaro il mio gesto cingendomi a se con una
mano appoggiata sulla mia schiena.
La sua testa
si china per volgersi verso le mie labbra, nel frattempo io sollevo il braccio
che impugna la spada.
Quando ormai
il suo respiro si sta per confondere con il mio rilascio il gladio che va
ricadere nel fodero della cintura di Jack con un fruscio
metallico.
Questo rumore
fa trasalire il Capitano che si allontana da me incontrando il mio sguardo
soddisfatto: “Questa vi appartiene, ve l’ho sottratta senza che nemmeno ve ne
accorgeste. La sottoscritta invece… Bhe, dipende tutto da voi!” affermo
allontanandomi del tutto da lui e inoltrandomi ancora una volta nel buio
nell’armeria.
Jack annuisce
compiaciuto, abbandona la stanza accettando la sfida con brillio euforico negli
occhi.
-
Fine
primissima parte.
___________________________________
FUORI ONDA
JENNY: “DIEGOoooOooooOOoooo… Vieni subito
qui!!!”
Un Diego tremante : “Si!?”
JENNY:
*Guarda te se devo litigare con uno che si chiama come Zorro, il mio eroe di
quando ero bambina!!*
JACK:
“Chi sarebbe questo Zoro???”
JENNY:
“Si chiama Zorro e poi… lasciamo perdere…!
Hey!
Diego non scappare!!!!!”
Diego
torna indietro a testa bassa.
JENNY:
“A cosa ti riferivi prima!?!?! Ti sembrava una battuta
divertente??”
DIEGO:
“Bhé si.. comunque mi riferivo…”
JACK:
“A questo!!” dice sogghignando aprendo con entrambe le mani la
giacca.
DIEGO:
0_0
JENNY:
0///0
CAPITANA
(come al solito): *ç*
CAPO:
<_<
Dopo
un momento di sorpresa nell’aria riecheggiano delle
risate.
JACK:
“Cosa avete tutti da ridere???”
DIEGO:
“Signore, se permettete, io non mi riferivo alla sua
spada!!”
JACK:
“Una volta tanto che non voglio essere malizioso guarda un po’ sti due cosa mi
dicono! Autrici io mi ribello!!!!!!!” >= (
E
con la sua solita camminata dondolante va a prendersi un caffè dietro le
quinte…
Se siete giunti fino
a qui avete letto (come scritto appena sopra) solo la prima parte di
questo capitolo 5.
Adesso non so dirvi
quante saranno le altre, ma in totale dovrebbero essere altre 3 per cui questo
capitolo sarà composto da 4 sottocapitoli.
Ci saranno molti capitoli
di Unty2 fatti da sottocapitoli, questo è solo il primo
;)
Vi lasciamo già scritto qui la
data di
pubblicazione degli altri
sottocapitoli
di questo capitolo 5: 19
Novembre.
Se qualcuno di voi lo
sa già benissimo, altrimenti lo diciamo qui per tutti: abbiamo scelto questa
data perché è il giorno del compleanno delle 2 autrici qui, si si, sia la
Capitana che il Capo XD
Per cui se lasciate
una recensione, che in ogni caso fa sempre piacere, gli auguri sono d’obbligo :P
lol
Per questa volta siccome sarà il
giorno del nostro compleanno siamo buone e vi diciamo già ora anche
l’ora di
pubblicazione se
volete: dopo le
18:40.
Perché la Capitana
torna tardi da scuola quel giorno
-__-
Dato che fate sempre
una gara, questa volta la rendiamo una gara di velocità! :D
lol
Scherziamo
naturalmente ^^
Allora a prestissimo,
fateci sapere cosa ne pensate di questa prima
parte!
Al 19 Novembre :P e
ricordate che è un giorno importante!
Bacionissimi
Kela and Diddy
(Capitana and Capo)
Nota delle autrici:
Salve di nuovo a tutti quanti!
:D
Lascio questa breve nota solo per
spiegare due cosucce, i ringraziamenti di questo chapter li ritroverete scritti
nel capitolo 6!! ^^
In questa seconda parte del capitolo 5
ritroverete il nostro caro Andrè purtroppo odiato dalla maggioranza di voi, ma
vi assicuro che ha un suo scopo :P lol
A dire il vero questo capitolo 5 non
era previsto, l’ho scritto dopo aver letto i vostri commenti passati ^^ Per cui
se trovate qualche difetto, qualche cosa che ho trascurato o che si svolge
troppo velocemente ditelo :P A me da brava romanticona piace la parte finale… Ma
insomma, fateci sapere! =D
E’ uscita fuori una cosa di 14 pagine
che + le 5 della prima parte sono 19 per cui non so se in un minuto ce la fate a
leggerle tutte ^^
Però facciamo così: il primo o la
prima :D lol che finisce gli dedichiamo il chapter 6 che è parecchio romanticoso
e da lì inizia la parte importante di questa fic! ^^
Spero che tutti si ricordino che oggi
non è un giorno qualsiasi se lasciate una recensione XD
Vi lasciamo alla lettura :D
Alla prossima!!
Un bacione grande.
Kela and Diddy [finalmente sedicenne e
diciottenne :P]
(Capitana and Capo)
Come un libro
aperto.
Giunta la sera mi trovo sul
ponte ad osservare il tramonto nel mare appoggiata al parapetto, questo gesto
ormai è divenuto mia abitudine quando sono pensierosa.
Il movimento delle onde di
solito riesce a tranquillizzarmi, ma quest’oggi non è molto
d’aiuto.
Al mio fianco c’è Andrè che
non so da quanto ormai mi sta raccontando qualcosa su come ha trascorso il
pomeriggio, mi dispiace non starlo a sentire ma è più forte di me, troppi
pensieri offuscano la mia mente.
Siamo ancora fermi al porto,
lo odio questo posto, non vedo l’ora di salpare! Evito in ogni modo di
rivolgere il minimo sguardo alla terra ferma per non rivedere la brutta immagine
di stamattina.
Quello screanzato del
Capitano non si è ancora nemmeno degnato di darmi una minima spiegazione per
quello che è successo, e io non posso fare a meno di pensarci continuamente
supponendo ogni inimmaginabile interpretazione.
Presa dalla rassegnazione,
appesantita ancor di più dalla tristezza, chino la nuca in avanti incurvando la
schiena.
“Jennyfer?”
“Oh! Ehm, sì Andrè?! Che
mi dicevi di questo pomeriggio?” domando scattando nella posizione originaria
molto scossa. Poverino, non ho ascoltato nulla di ciò che ha
detto.
: “Mais, rien
vraiment. (ma niente veramente
NdAutori) Ho solamont RioRdinato le pentole
e le stoviglie dela cuScina!”
Ammette scrollando le
spalle.
“Ma no. Potevi chiamarmi, ti avrei dato una mano!” affermo dispiaciuta.
ANDRE’: “Non Scè pRoblema
mademoiselle, ho fato anche da solo. InveSce tu sembRi aveRne uno, opuRe mi
sbaglio?” chiede incerto scrutandomi rabbuiato.
Non c’è niente
da fare, sono come un libro aperto per
quest’uomo!
IO: “E va bene.. l’ammetto,
c’è eccome…! E’ successa una cosa molto strana questa mattina al porto: mentre
caricavo le ultime casse nella stiva ho visto una donna avvicinarsi al Capitano.
Era vestita in modo stranissimo ne nobile ne comune e aveva il viso
completamente coperto da un cappuccio grigio… a parte la bocca!” spiego
con calma cercando di non delirare.
ANDRE’: “Pourquoi hai
pronunSciato boca in quel modo
contRaRiato?”
IO: “Meglio lasciar perdere…”
suggerisco sollevando un braccio per poi farlo immediatamente
ricadere.
ANDRE’: “Tutto qui le
pRoblem?!” chiede stranito.
IO: “No, gli ha anche detto una cosa stranissima, poi rivolgendosi anche
a me ha enunciato di volerci aiutare. Tutto questo prima di dileguarsi.” Spiego
sforzandomi di mettere da parte la mia ira per ricordare.
ANDRE’: “Pour moi n'est
pas une chose ainsi grave!” (Per me non è una cosa così grave
NdAutori) borbotta in francese a voce
bassa.
IO: “Non è questo il punto…”
contraddico sospirando.
ANDRE’: “Come diSci? Pardon
moi, mais je suis duRo di compRendonio!” ammette portando una mano dietro
l’orecchio per sentire meglio. (eh, è l’età!
NdCapitana)
“Nulla…” esorto cercando di
abbozzare un lieve sorriso.
Il pirata ne rimane
sconcertato, questa volta reagisce riconsiderando tra se e se, credo, gli
elementi che ho fornito lui fin ora.
Lungo il parapetto regna il
silenzio per qualche decina di secondi, poi il cuoco di bordo obietta con voce
squillante sempre più incuriosito: “Nient’altRo?”
Quando ti ci metti sei
davvero impiccione Andrè! …Ecco che ritorna la rabbia… Speravo di non esser
costretta a rivelare anche questo!!
IO: “E va bene, l’ha baciato!
Ma stava piangendo, si vedeva benissimo… E non riesco proprio a capirne il
motivo. Lei sembrava conoscere più che bene Jack, lui invece dice di non saperne
nulla…” dico tutto d’un fiato per non soffermarmi a riflettere sui dettagli
allargando così ancor di più una ferita da poco
aperta.
ANDRE’: “ImmaJino che le
Capiten non abia oposto molta ResistonSa…” confuta portandosi una mano al
mento.
IO: “ANDRE’!” lo zittisco
infuriata.
ANDRE’: “Chiedo scuSa
mademoiselle. La tRovo una cosa plus che stRana en efeti!” valuta prendendo atto
di quello che gli ho riferito.
IO: “Sai, in realtà quella
donna mi è sembrata fragile, quasi indifesa. Sono certa che non vuole farci del
male, ma mi preoccupa…!” ammetto in tono mesto.
ANDRE’: “Che bruta coSa la
JeloSia…” commenta dando uno sguardo al ponte per evitare il
mio.
Lo fulmino
all’istante.
ANDRE ridendo: “Io scherSo
Jennyfer! Non devi pReocupaRtene, secondo me Sci dev’eseRe un motivo peR quelo
che vi ha deto e, se Scè una raJone particulier, si RifaRà viva!” cerca di
rassicurarmi appoggiando una mano sulla mia spalla.
IO sospirando: “Forse hai
ragione Andrè…”
Anche se mi duole, ammetto
che temo un ritorno di quella baciatrice con dal volto celato, come mi dovrei
comportare la prossima volta?
Devo davvero lasciar passare
questo fatto come se nulla fosse?! …NO e poi no! Sono una gran permalosa e
finché non ricevo uno straccio di scuse rimango del tutto
offesa!
ANDRE’: “Alor, tu hai
intansion de parteSipè à la réunion informatique?” cambia argomento credendomi
sollevata.
IO: “Reunion-che?? Scusami
André ma non capisco a cosa tu ti stia riferendo!” Come spesso accade non ho
compreso del tutto il suo Americano francesizzato.
ANDRE’: “Regarde avec tes beaux yeux!”
Seppure non comprendo mezza
parola della sua ultima affermazione, riesco a intenderne il significato
dall’ampio gesto che compie indicando il raggruppamento creatosi alle nostre
spalle da parte dei membri della ciurma.
…Cosa succede
qui?
ANDRE’ porgendomi la mano con
la sua innata gentilezza: “PoSo acompagnaRvi
mademoiselle…?”
Mi avvicino alla piccola
folla seguita da Andrè che mi spiega a tono basso per non farsi sentire da Jack
posto al centro del gruppo: “Queste adunate il Capiten si diveRte a chiamaRle
Riunioni infoRmative ! Mi chiedo coSa si saRà inventato adeso…" conclude
scuotendo la testa sfiduciato.
IO: "Stiamo a vedere"
rispondo intrigata.
Il Capitano attende che si
plachi un po’ di brusio per rivolgersi alla sua ciurma agitando le mani in aria
nel suo modo stravagante per farlo diminuire fino a
scomparire.
JACK: "Bene, visto che
attualmente ci siamo tutti. Miei uomini… [rivolto a me] Dolcezza! [Andrè mi fa
l’occhiolino], questo pomeriggio ho inviato due membri della ciurma dalla parte
opposta dell’isola per recuperare un mio ordine. Li raggiungeremo domani
all’alba, acquisteremo le ultime provviste e ripartiremo prima del tramonto!”
spiega velocemente dato che l’equipaggio non ha ancora brindato questa sera e
non è consigliabile far aspettare troppo degli alcolisti incalliti o
dovrei dire “uomini impazienti”…
Qualche accenno di assenso si
innalza alle mie spalle, altri annuiscono con la nuca assecondando il loro
superiore.
Jack porta le mani lungo i
fianchi, storce la bocca e inarca le sopracciglia scure scrutando malamente ogni
singolo pirata, probabilmente si aspettava più entusiasmo da
loro.
JACK: “Che dite voi?!”
marca a tono più alto rabbuiato.
TUTTI: “AYE!” urlano
infervorati.
Un debole “Mais oui!” si
distingue dal coro e tutti si voltano a rivolgere un’occhiataccia al vecchio
francese per nulla in imbarazzo contrariamente di me lì al suo fianco.
Fingo di massaggiarmi una
tempia per abbassare lo sguardo, i bucanieri che ci circondano invece commentano
con delle ingiurie.
Infine Jack scuotendo la
testa seccato stabilisce che la riunione è sciolta.
Non riusciamo nemmeno ad
allontanarci dal ponte principale che improvvisamente un colpo di cannone in
lontananza conclude in grande stile l’annuncio del
Capitano.
Per il gran spavento mi
aggrappo al braccio di Andrè.
Gli altri pirati della Black
Pearl inizialmente si allarmano scrutando curiosi nel buio tutte le navi
approdate nel porto dal parapetto, ma dopo breve capiscono la stabilità della
situazione e ognuno di loro torna a svolgere il proprio
dovere.
“C…Che cos’era?” domando
tremante avvinghiata all’avambraccio del mio amorevole dandy
francofono.
“Stai tRanquila Jennyfer!”
cerca di rassicurarmi in tono premuroso sovrastando con la propria mano la mia
che lo tiene ben stretto.
JACK: “…Sembra che ci siano
in corso dei festeggiamenti questa sera nelle vicinanze!” dice apparendo dal
buio all’improvviso e circondandomi dalle spalle, mi fa quasi scappare un urlo
per lo sgomento, non è sempre molto ben illuminato questo
posto!
IO: “OH!… [mi schiarisco la
voce per riacquistare contegno] Così sembra…!” commento a tono basso mostrando
finto disinteresse.
ANDRE’: “Otimo discoRso
Capiten!” afferma entusiasta rimediando alla mia risposta sostenuta.
JACK: “Non era un discorso,
ma semplicemente una riunione informativa!” puntualizza seccato in una
smorfia.
ANDRE’: “Te l’avevo deto” mi
rammenta abbassando la voce e donandomi il sorriso.
JACK: “A proposito di
festeggiamenti! Dolcezza, che ne diresti se festeggiassimo anche noi questa
sera?” domanda assumendo quel tono così sensuale…
Io lo
rimprovero in imbarazzo.
JACK: “Eh no, niente MA!”
definisce staccando sprezzante la mia mano dal braccio di Andrè e appoggiandola
sul suo con l’intento di portarmi via.
Lascio
immediatamente la sua presa infastidita e mi aggrappo ancora una volta ad Andrè.
Il povero cuisinier è
costretto a subirsi questa nostra sceneggiata patetica che si ripete per
parecchi minuti prima che qualcuno vi porti fine.
IO: “Smettila!!!” infine urlo
stremata nella pazienza scrollandomi della sua stretta
testarda.
“Scordatelo mio caro, serviti
della tua damigella incappucciata che fingi di non sapere chi sia se vuoi
compagnia questa notte. Su di me non contare.” stabilisco infuriata senza dare
conto al fatto di non esser sola con Jack.
Il Capitano strabuzza qualche
istante gli occhi stranito, poi rivolgendosi ad Andrè dice in tono cortese: “Se
vuoi scusarci noi avremmo da fare, Buona notte” conclude sbrigativamente per
poi rivolgermi un’occhiata sinistra che mi lascia
confusa.
Riceve dal francese un
accenno solenne con il capo (hahahaha, con il
Capo!!! XD hi hi hi Povera Capo! NdCapitana) prima di cingermi e
trascinarmi verso le cabine sussurrando a denti stretti di non voler più sentir
ragioni.
Questa volta sono costretta a
lasciarmi trascinare seppur dolente. “Andrè…” dico fingendo di supplicarlo
disperata allungando il braccio nella sua
direzione.
Il pirata cerca di afferrarlo
scherzosamente sporgendosi in avanti, ma sapendo di non poter contestare il suo
Capitano risponde semplicemente con un: “Bonne nuit madamoiselle!” poco prima
che io scompaia definitivamente nel corridoio che porta alle cabine condotta a
forza da Jack.
Sentences.
Varco la soglia dell’andito
senza forzature e ancor prima che il Capitano possa richiudersi la porta alle
spalle sbotto alterata:
“Se con ‘avremmo da fare’
inten-…” devi…
JACK: “Shhh!” mi zittisce
prontamente appoggiandomi un dito sulla bocca per impedirmi di
continuare.
“Non ancora!” suggerisce in
modo pacato. “Devo prima parlarti!” continua serio muovendo qualche passo e
facendomi cenno di seguirlo con un fischiettio.
Mi ha preso per il suo
cagnolino personale con quel verso??
Non muovo mezzo muscolo,
rimango immobile sulla soglia del corridoio fissandolo
contrariata.
Se mi hai scambiato per il
tuo animaletto domestico ammaestrato che risponde a ogni tuo comando ti sbagli
di grosso Jack.
IO: “Certamente, così tu puoi
raggirare tutto a tuo favore fin da subito prendendomi in giro come al solito.”
commento irosa.
Il Capitano blocca la sua
camminata ondeggiante all’istante, ruota sulle piante degli stivali rivolgendomi
un’espressione stralunata e mi contempla confuso.
Respiro profondamente per
rianimarmi d’animo, poi cerco di emettere un tono vocale lineare per non farla
tremare di insicurezza: “Mi hai detto che non conoscevi quella donna del porto
giusto!? E mi hai confessato anche di non averla mai vista prima d’ora, allora
spiegami per quale diavolo di motivo non hai reagito allontanandoti subito da
lei e come facevi a stabilire di non conoscerla se non hai nemmeno potuto
vederla in viso” affermo con sguardo austero incrociando le braccia sul
petto.
JACK: “Sì alla prima, sì alla
seconda, ma per il resto avrei una giustificazione che non apprezzeresti o
eventualmente considereresti possibile.” si legittima agitando le braccia in
modo bizzarro ed infine arricciando il naso in una smorfia
buffa.
Nonostante questo non trovo
niente che mi faccia ridere ora come ora… Rimango spiazzata, ferita…
Delusa.
Le braccia si sciolgono dal
loro intreccio e il mio sguardo svuotato della cattiveria contempla perso quello
fermo e velato di una irritante ironia di Jack.
IO: “E’ così che ti comporti
sempre?” domando quasi in una nota retorica con un filo di
voce.
JACK: “Ormai dovresti
conoscermi!” risponde sornione con un ghigno muovendo lunghi passi verso di
me.
"Il fatto è che io non ti
capisco… Non ti conosco affatto!” ammetto afflitta con gli occhi lucidi di
amarezza.
La mia reazione comporta in
lui una espressione interrogativa: “…Cosa vorresti
sapere?”
IO: “Vorrei solo potermi
fidare di te! Darti ciecamente fiducia…Tutto qui. Non trovarti avvinghiato a
ventosa con un'altra donna!” confesso con voce
spezzata.
“Jennyfer, forse tante volte
ho prediletto la menzogna alla verità…” IO: “Ah, solo
forse?”
“…Ma il punto è che realmente
non so chi sia colei per cui sperperi tanta rabbia!”
E io dovrei
crederti?
Per apparire più attendibile
mi si avvicina appoggiandomi le mani sulle spalle e fissandomi negli occhi
intensamente mentre continua: “Sono conscio di essere in errore” stabilisce con intonazione ferma
credendo di essere efficace.
Che lo riconosca è già
qualcosa…!
Dopo aver ricevuto parte di
ciò che mi aspettavo di diritto, distolgo il suo magnetico sguardo perdendomi nel
vuoto.
Le mie orecchie non riescono
ad isolare il suono delle sue parole dato che si trova proprio di fronte a me,
ma posso sempre distrarmi dalla vista del suo viso
mentitore.
“Devi sapere che io da sempre
ho una convinzione: si possono amare molte donne nel corso della propria
esistenza, ma solo una di essa per volta! Che sia per una notte, la durata di un
lustro… Non ha importanza. Un cuore non ha spazio a sufficienza per racchiudere
in se più di un solo nome” conclude sollevando delicatamente il mio mento per
rivolgerlo a se.
“E io voglio che il tuo ci
rimanga inciso sopra per tutta la vita dolcezza, nessuna dama senza volto lo
laverà via!” conclude ponderato e deciso.
Le sue parole per un attimo
mi causano una fitta che mi toglie il fiato e mi porta a spalancare leggermente
la bocca in un’espressione stupita, ma allo stesso tempo del tutto
ammaliata.
Scruto confusamente ogni
centimetro del suo viso che non si distoglie dalla propria ferma convinzione ed
inizio a rilassare la mia postura rigida di rabbia assunta in precedenza, da
quando ho varcato l’ingresso dinanzi questo
corridoio.
Prima che la mia incertezza
prolungata muti in un imbarazzante silenzio, definisco seppur in un filo di voce:
“Promettermi che una cosa così com'è successa oggi non si ripeterà mai
più…”
Da parte del Capitano ricevo
una risposta sottoforma di un maestoso inchino teatrale, si leva persino il
cappello dal capo ed esclama in tono solenne: “Giuro sul mio onore!” recita con sicurezza tenendo i suoi occhi fissi sui
miei.
IO: “Metti in gioco persino
il tuo onore, sei davvero serio allora!!” commento sarcastica ma con
ancora una nota cupa.
JACK: "Ad ogni modo, per evitare una
eguale reazione da parte tua, ti è proibito avvicinarti a qualsiasi uomo se non
il sottoscritto, ma dato che tu stessa oggi hai infranto questo obbligo allo
stesso mio modo con il caro Andrè sei condannata sedizioso angelo!!”
controbatte in un ghigno beffardo.
“COSA?Andrè?!? Ma di che
parli? E condannata a cosa poi??” sbotto confusa e
spiazzata.
JACK: “Mi riferisco a qualche
minuto fa sul ponte” spiega in tono fintamente
offeso.
IO: “Perché l’ho preso
sottobraccio quando mi sono spaventata a morte per quella terribile cannonata?
[Jack scuote la testa in segno affermativo] …Mah! Diamine, sei proprio un
bambino Jack!” confermo rassegnata come ho fatto tante
volte.
JACK: “Intanto mia bella sei
condannata a trascorrere un’eternità di reclusione della mia cabina…” ribadisce
in un sorrisetto malizioso scandendo ogni parola con intonazione
soddisfatta.
La mia espressione muta in
una triste-divertita mentre ancora spero che non dica sul
serio.
Invece Capitan Jack non
scherza affatto, con le sue movenze da gentiluomo mi conduce fin a poca distanza
dalla cabina e attende impaziente che vi faccia
ingresso.
A testa bassa seguo la procedura della mia
Condanna, segnando la mia
entrata con un broncio supplichevole.
Jack invece appare
impassibile e totalmente determinato a farmela
pagare.
Dopo aver scostato la porta
anziché aprirla ancor di più per far entrare anche il Capitano la trattengo con
una mano: “Mi perdoni mio signore una domanda, voi avete stabilito che io debba
trascorrere un’eternità nella vostra cabina nevvero?” domando in tono del tutto
innocente e formale.
JACK: “Sono le mie esatte
parole, tesoro!” sdrammatizza in un sorriso ancora
sornione.
“Bene… Dunque, non vi
dispiacerà… Se questa eternità la trascorrerò DA SOLA” concludo il più in
fretta possibile, mantenendo una maschera seria per non scoppiare in una gran
risata nel momento in cui richiudo energicamente la porta in faccia al Capitano,
che ne rimane turbato.
Serro i ganci e le catene per
assicurarmi che non possa entrare, poi mi piego in due dalle risate immaginando
la sua faccia al di là della superficie di legno in questo
istante.
Jack rimane incredulo,
non era preparato a una reazione del genere, forse sì ma non in una occasione
come questa in cui lui si immaginava con una conclusione ben
diversa.
Riflette qualche istante
serrando le mani prima articolate bizzarramente, no non
resiste a questo affronto, deve trovare un
riscatto!
I suoi vellutati occhi
corvini viaggiano lungo le pareti del corridoio che lo circonda soffermandosi
immediatamente sulla porta di una vicina cabina che ben conosce.
Chi vi dormiva si è appena presa gioco di lui come non
succedeva da tempo, quasi gli mancava, e adesso dopo appena un istante sa già
come recuperare il torto: c’è sempre la porta confinante della cabina
accanto!
_______________________________________
FUORI
ONDA
JENNY: "Adesso
anche André ci si mette....grrrrr odio Scilla!!"
Capo &
Capitana: "AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHA"
JENNY: "Ma che
hanno da ridere a mo quelle due??"
JACK: "BHOO!"
"AHAHAHAHAHAHAH"
JENNY: "è
meglio se chiudiamo questa parentesi.. queste due sono proprio
s****e!!"
Capo: "a
ciccia... guarda che ti abbiamo creata noi...e cmq portaci rispetto altrimenti
Scilla si divertirà di + cn Jack!!!"
JENNY: "COSA??
no ok ok faccio la brava!!"
Capo: "Bene!!"
hihihihih
Capitana: "si
ciccia vai piano Jack nn è un burattino!!"
Capo: "Ma
credo ke a lui nn dispiaccia... vero??"
Jack contina a
fischiettare [almeno nn sappiamo se lo sappia fare
veramente!!NdCapo]
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Capitolo 6 *** Ferita dell'animo. ***
Capitolo 6
Ferita
dell’animo.
Drawstring.
Durante la notte, come
previsto, attraversiamo l'isola costeggiando un area piuttosto tortuosa.
Al sorgere del
sole giungiamo al porticciolo dove ci attendono Juan e Robert, gli uomini
incaricati da Jack per recuperare il suo
ordine.
I due pirati salgono a bordo,
come programmato con il pacco richiesto dal Capitano che si assicura venga
riposto nella stanza da lui indicata.
Osservandoli bene sono certa
di non aver mai conosciuto entrambi!
Mi trovo sul castello di prua
intenta ad armeggiare col sartiame, è ancora presto e sul ponte regna
un’atmosfera tranquilla, Andrè in cucina può benissimo cavarsela da solo con
tutta calma.
Ormai sono
diventata abbastanza abile in questi lavoretti manuali, riesco persino a
intrecciare le cime con una discreta velocità senza guardare quello che faccio
proprio come sto agendo in questo momento.
E poi mi ricorda tantissimo
come prendeva seriamente anche una piccola cosa come questa il mio dolce
Dylan.
In delle corde di canapa
consumate rivedo le sue manine arrossate dal ruvido cavo, che si insinuano
benissimo nelle piccole fessure, realizzando con una facilità sorprendente anche
un Gassa d’amante (nodo simile al cappio ma con una
funzione diversa NdAutori) , e poi disfarlo come nulla fosse. Dio
quanto mi manchi, piccolino.
A volte vorrei
avere anche solo la metà del coraggio da te dimostrato, dove hai trovato tutta
la forza per affrontare ciò a cui sei andato in contro con la tua
scelta?
Ah, ma non temere. Un giorno
troverò il modo per chiedertelo! La tua Mozzarella ti troverà ovunque tu
sia.
Sono
sopravissuta alla pistola del temibile Hayez Nick, non c’è nulla che mi possa
fermare. Attraverserei a nuoto anche l’immenso mare dei nove cieli celesti per
giungere fino a te.
Così tu, piccolo birbante,
potrai essere il mio testimone di nozze. Io ti cucinerò le patatine fritte con
il ketchup, le mangeremo insieme a Jack ed infine ci racconterai come te la
passi nel tuo secolo lontano.
Sappi che non
perderò la speranza di rincontrarti fin quando non avrò anche solo un’unica
particella d’aria nei polmoni o la vitalità di un battito nel mio
cuore!
Fantastico su questi miei
desideri in silenzio, con un lieve sorriso sottilmente amareggiato che sfocia in
qualche lacrima che non riesco davvero a
trattenere.
So bene che il mio funghetto
detesterebbe vedermi piangere, perciò porto una mano al viso per asciugarmele in
fretta, ma il mio gesto viene ostacolato da un appiglio: l’intreccio nodale che sto creando si attorciglia a
un sottile laccio nero che porto legato intorno al
polso.
Ridacchiano
divertita lo sciolgo e rimango a contemplarlo per un istante rammentando la
scorsa notte:
“Tieni
questo!”
“Che cos’è Jack, filo
interdentale seicentesco che hai ricavato sfilacciando una vela della tua
preziosa nave?!”
Ricevetti da lui
un’occhiataccia sinistra, mentre dentro di me risi a più non posso, cercando di
non darlo a vedere.
JACK: “No viziata
saputella…”
IO: “Cosa?!? 3
parole 2 insulti? Sei scorretto!” ammonii
ingiuriata.
JACK: “Pirata” ribadì
orgoglioso con un sorrisino sornione.
Dopo riavermi messo il
broncio, continuò in tono pacato: “Apparteneva al tuo coraggioso fratellino!”
“Cos…?” Mi si spezzò
letteralmente la voce in gola mentre porsi la
mano per prenderlo.
JACK: “L’ho conservato perché
supponevo che ti avrebbe fatto
pi-…”
“Grazie Jack!”
l’interruppi quasi con gli occhi pieni di
lacrime.
“Di nulla dolcezza.” Rispose
dolcemente.
Nella
commozione non riuscii quasi a tenerlo fra le mani, così affinché non lo
perdessi il Capitano si preoccupò di tenerlo al sicuro intorno al mio
polso.
“Questo filo intercostale
come dici tu…”
“I-n-t-e-r-d-e-n-t-a-l-e
Jack, interdentale! Non intercostale!” lo corressi
ridendo.
“E io cosa ho detto?!” sbottò
infastidito. “…Serve anche per ricordarti che al calar del sole sulla linea
dell’orizzonte sei unicamente mia!”
Unicamente
tua eh…
Argh, razza di gelosone
sentimentale che non sei altro…! Non ti sei mai reso conto che lo sono dal primo
istante in cui chissà per quale motivo sono incappata in una delle celle della
tua nave?!
“HEYLA’!”
Un vocione alticcio mi fa
sussultare notevolmente.
“Salve
zuccherino…”
Zuccherino a
chi?!?
Nonostante il viso arrossato
e gonfio riconosco alla distanza di pochi passi da me quell’infame manigoldo
di nome Albert che poco tempo fa si è permesso
di contestare il mio poco amore verso il rhum coinvolgendo anche il povero Andrè
che non ne aveva colpa.
Mi metto in
guardia assumendo una postura più rigida e uno sguardo minaccioso, per quanto
possa servire nei confronti di un ubriaco fradicio.
Compie squallidamente
parecchie vedute complete del mio corpo, come se alla pari di Superman potesse
vedere al di sotto dei miei vestiti, dopo di che inizia a parlare con voce
impastata e sguardo ammiccante, stringendo con forza a se il bottiglione di
liquore del tutto vuoto per l’eccitazione.
Se solo prova
a sfiorarmi ho una gamba libera e pronta a sferrargli un calcio, dopo il quale si
ritroverebbe un mio stivale in gola e almeno la metà dei denti che ora
possiede!
ALBERT: “Posso…hic…Aiutarti
magari, diciamo… Ad impiegare il tempo in miglior
modo…?”
Perché nessuno
mai di questa ciurma mi offre una tazza di the o che so
io!?!
IO: “Siete ‘gentile’, signore.
Ma come vede sono già ben occupata!” controbatto
innervosita.
ALBERT: “Ne
siete davvero certa, cara?” insiste avvicinandosi ancora un po’ di più, cercando
di assumere una intonazione libidinosa.
Una sensazione di nausea
m’invade, dalle narici percepisco il suo cattivo odore misto a sterco, cenere,
alcool e sudore.
Diiiiiio mio,
ecco perché questi tizi non vivevano a lungo: se li rinchiudevano tutti in una
stanza morivano asfissiati, sono peggio dei lacrimogeni, sono armi a distruzione
di massa!!!
Ok Jen, non vomitare non
vomitare non vomitare, trattieni il respiro più che puoi e pensa a
qualcosa!!!
“B-bhe…”
balbetto cercando di tapparmi il naso, senza attirar
l'attenzione.
Mentre cerco
di allontanarmi a piccoli sforzi dalla sua nube maleodorante, abbasso lo sguardo
a terra e scorgo il Gassa di diamante che ho intrecciato prima. Mi è venuta
un’idea!
“In effetti… Potresti essermi
utile tu per qualcosa…” sussurro suadente sbattendo più volte le
ciglia.
ALBERT: “Davvero?!”
controbatte stupito.
Mi sto per
pentire amaramente di ciò che sto per fare, ma trovo sia l’unico modo per
levarmi una latrina ambulante di dosso. dato che questo maledetto ponte quando
serve è sempre vuoto. Dannazione!
IO: “Oh si, bel
stallone [piano Jen, così esageri! Se lo viene a sapere Jack mi attacca una
palla di piombo al piede…] “Avvicinati un pò di più…” esorto in un sussurro,
muovendo avanti e indietro l’indice.
Non’appena
compie un passo in più, il suo piede si attorciglia nel complicato nodo. Sei in
trappola, puzzone!
Con uno strattone faccio in
modo che si stringa intorno alla sua caviglia e quando lo è abbastanza, tiro
ancora bruscamente la corda, in modo da far finire quel delinquente per terra a
pancia all’aria.
Mi sento un
po’ Indiana Jones, mi manca solo il cappello da
Cow-boy.
Albert mugola dal pavimento
qualche verso di dolore per la forte botta alla testa, anche se gli effetti
inebrianti non gli fanno cogliere lucidamente il compiersi della mia
azione.
IO: “Ben ti
sta. Se fossi in te userei almeno una volta all’anno un briciolo di sapone.
Sai, almeno per decenza!” suggerisco disgustata prima di abbandonare lì quel
miserabile, ancora del tutto sconvolto e scosso, senza alcun minimo accenno di
soccorso.
-
Really bad eggs.
Dopo una
veloce colazione, dal ponte finalmente animato della Black Pearl si può vedere
quel piccolo frammento di terra prender vita
lentamente.
I pescatori
hanno rimosso le reti da pesca già durante il nostro arrivo ed ora si dirigono,
come noi, verso il mercato che è allestito nella piazza al centro del paese.
Io, Jack e altri cinque
membri della ciurma siamo scesi a terra, doveva esserci anche il caro Albert, ma
stranamente accusava un fortissimo mal di testa che ha
riconosciuto come un effetto post-sbornia. Sono fiera del mio
lavoro!
Camminiamo un po’
scompostamente per le strette stradine lastricate in pietra, seguiamo una sorta
di flusso migratorio creato dall’eccedente via-vai dove tutti si accalcano per
conquistarsi prima di ogni altro un angolo del mercato dove piazzare la propria
bancarella o farvi visita.
Durante il nostro passaggio
però succede qualcosa che mi ferisce profondamente: per raggiungere la piazza
dobbiamo attraversare il centro abitato e qui ci imbattiamo per caso in dei
ragazzini. Questa parte dell’isola sembra non essere particolarmente ricca, bensì
piuttosto disagiata.
Non ho ancora avuto occasione
di osservare i bambini di quest’epoca, mi ritrovo a soffermarci lo sguardo con
un luminoso sorriso involontario.
Gli altri pirati proseguono,
solo Jack vedendo che ho rallentato il passo mi aspetta
paziente.
Quei giovincelli vestiti di
pezze stanno giocando con una specie di trottola di legno molto arcaica, ma che
loro si contendono un po’ a testa, ritenendola più prestigiosa del cibo.
Rallento fino a fermarmi
dinanzi loro con aria trasognante, appoggiata distrattamente alla parete di
un’umile casa.
Non hanno neanche dei
scarponcini ai piedi, ma solo dei calzari di stoffa consunti e infangati, nei casi
migliori, altrimenti sfoggiano dei piedini neri e callosi.
Giocano in un punto un po’
pericoloso: proprio in mezzo alla strada, luogo che non si può di certo dire
sicuro e confortante, ma probabilmente è tutto ciò che
hanno…
Sono molto vispi e attenti,
seguono i movimenti circolari del giocattolo come se da quello dipendesse la
loro vita stessa, e ascoltando i loro discorsi seppur storpiati da uno strano
accento che non capisco perfettamente sembrerebbe che ci apportino delle specie
di scommesse.
In palio c’è una buccia di
frutta o un mezzo biscotto, non hanno altro per il quale
ambire.
Improvvisamente uno di loro
eletto “sentinella del gruppo” incrocia lo sguardo con il mio e sbianca in
volto.
Tramortisco anche io per la
sorpresa, che succede?
Il fanciullo di vedetta
scuote tutti gli altri atterrito mantenendo lo
sguardo fisso su di me. Quando assume l’attenzione generale, sussurra balbettante ,
in un accento che interpreto come spagnolo o messicano:
“Pirata”.
Pirata io?!? NO! Oh si, Ne ho
tutto l’aspetto a dire il vero.
Nel giro di un secondo quei
14 occhietti vispi che osservavo spensierata, ricordandone altri 2 uguali ai miei
(Dylan NdAutori), sono incollati completamente sulla mia figura.
Chi di loro
spaventato, tremante oppure solo zittito.
Sta di fatto che la mia mente
farà fatica a dimenticare quei 7 sguardi colmi di
terrore.
I miei arti si pietrificano e
dallo stomaco mi giunge una fitta di dolore misto a dispiacere… Che cosa hanno
fatto di così terribile i pirati a questi poveri bambini per farli reagire in
tal modo?
Dischiudo la bocca per dire
qualche parola che dovrebbe risultare rassicurante, ma ne fuoriescono solo suoni
indistinti i quali non risolvono proprio nulla.
Jack interviene arrivando
alle mie spalle, non’appena mi si avvicina i bambini afferrano le pochissime
cose che possiedono e scompaiono come ombre negli stretti vicoli di West
Caicos.
JACK: “Vieni, tesoro…
andiamo. Ogni uomo che indietro rimane indietro viene lasciato!” sussurra
crucciato una volta da soli, trascinandomi via per riprendere il passo del resto
della ciurma.
Sono ancora
confusa e del tutto mortificata, ma seguo l’esortazione del comandante senza
tirarmi indietro.
Mi avvolge dalle spalle prendendomi sotto
la sua ala custode e ci incamminiamo allontanandoci sempre più da quel stretto
vicolo, diretti alla piazza principale.
Prima che sparisca dalla
nostra visuale mi volto in fretta ad osservare ciò che ci lasciamo alle spalle:
la stradina è ancora interamente vuota, a causa mia quei bambini non vi faranno
mai più ritorno.
Riporto lo sguardo afflitto
dritto di fronte a me, ma non riesco a tenerlo più alto della punta dei miei
stivali.
La reazione di quei
giovinetti mi ha lasciato un grandissimo vuoto e un senso di inadeguatezza quasi
lancinante.
Essendo pirati sapevo di non
essere ben visti dalla gente, li disprezzavo anche io che non dovevo conviverci
nel mio tempo, ma non credevo così! Li temono come la
peste…
Lascio che la mia nuca si
pieghi lentamente fino ad appoggiarsi sul petto di Jack ricercando un soffio di
sicurezza almeno in lui.
“Cosa intendevi con quella
tua affermazione?” domando con tono spento di ogni
emozione.
JACK: “Il codice dei pirati è
chiaro!” sostiene spavaldo.
Il cosa?!
“Esiste un codice di voi
pirati?!?” domando frastornata.
JACK: “E’ solo
una sorta di traccia…” conviene chiudendo in fretta il
discorso.
Non mi convince affatto, lo
dice solo perché mi crede troppo ingenua. Oppure questo fatto non gli va
particolarmente a genio, (infatti è così!!! Lol Riguardo paparino Teague :P
NdCapitana) Jack Sparrow non è uomo da sottomettersi a precise regole, neanche
se fosse Dio in persona a dettarle. Persino il suo cognome è una chiara
allusione alla libertà!
Nel corso del
tragitto, mentre ci avviciniamo sempre di più al mercato, noto che alcune case
hanno subito dei gravi danni: segni evidenti di saccheggiamenti, vetri rotti,
stanze devastate, porte diroccate…
Ora ho un’allettante conferma
e motivazione della reazione a cui mi han
sottoposta.
Anche se, riflettendoci bene…
Le persone che vivono in questo luogo non dovrebbero essere abituate a
scontrarsi spesso con certi individui? Come mai si sono spaventati in quel modo
dinanzi a me, cosa sarà mai accaduto qui?
“…Secondo te… Per quale
motivo quei bambini hanno reagito in modo così atterrito vedendomi?” domando al
Capitano in un mesto filo di voce.
JACK: “Perché non hanno mai
visto un angelo alla luce del giorno!” confuta guardandosi intorno evitando il mio sguardo.
Probabilmente nemmeno lui sa
qualcosa di quest’isola, altrimenti me l’avrebbe riferito con il suo
atteggiamento saccente.
IO: “Non è il momento di fare
il sentimentale sai… Io sono seria!” l’avverto con una nota
spazientita.
Finalmente abbassa la nuca su
di me e mi rivolge un'occhiata eloquente: “D’accordo dolcezza, come vuoi tu!”
stabilisce altezzoso.
Corrugo la fronte in
un’espressione interrogativa, cosa vorresti dire?
JACK: “E’ perché… Siamo
pecore nere, gente spietata…” canticchia con un vocione sorniona, mettendomi
il sorriso.
“…Trinchiamo allegri
yo-ho!” conclude quasi saltellando sul posto giocoso, provocando in me una
risata.
Ma io come devo fare con te?!
Riesci sempre a dipingermi il riso sulle labbra, non si può tenerti il muso per
più di dieci minuti. Come diceva Dylan sei l’uomo della mia vita e anche il più
prezioso degli scrigni perché dentro di te racchiudi un bene prezioso: tutta la
mia felicità!
Marciando
ancora per pochi metri raggiungiamo la piazza del mercato: un modesto spiazzo
affollato da un grande afflusso di persone e una bercia indistinta ci investono
vista ed udito quasi intontendoci.
Non riusciamo
quasi a stare fermi, riceviamo spintoni da tutte le parti, abbiamo imboccato una
via di passaggio critica, dobbiamo allontanarci da
qui!
Persone di
ogni gruppo sociale formano una sorta di fiume umano in piena che ad ogni costo
cerca di entrare ed allontanarsi il prima possibile dal luogo in cui ci
troviamo.
IO: “Ma che
diavolo succede?” sbotto rabbiosa, cercando di ribellarmi dalle incuranti
percosse che ricevo su tutto il corpo.
JACK: “Stanno
per passare di qui le giubbe rosse della compagnia delle indie, la maggior parte
dei commercianti che si sistemano in questa piazza non hanno un permesso scritto
per starci, sono illegali. Perciò la gentaglia di qui si affretta a comprare ciò
che può prima che li scoprano e mettano dietro le sbarre.” Mi spiega a gran
voce e con fatica, dato che lui sta subendo il mio stesso trattamento. Riusciamo
a stare “vicini” solo attraverso una salda stretta di
mano.
Se qualcheduno
di questi individui cadesse a terra morirebbe calpestato da tutti gli altri,
trovo ciò a dir poco assurdo.
Improvvisamente un forte strattone proveniente dalla mano
di Jack mi conduce in una stretta nicchia fra due case costruita in
mattoni.
Riprendo fiato
ancora tramortita, osservando ad occhi sbarrati la furiosa “corrida” che si
verifica davanti ai nostri occhi.
Quando anche
il Capitano riacquista la quiete si scusa dispiaciuto: “Perdona il gesto poco
delicato chérie, ma era l’unico modo di tirarci fuori da quel mezzo
inferno.”
IO mutando subito il mio sorriso
rassicurante in uno beffardo: “Uhm, per questa volta ti perdono…” rispondo
incrociando le braccia sul petto, trattenendomi il più possibile dal
ridere.
JACK erompe
alterato: “Dovrei essere io quello che ti deve ancora perdonare per ieri sera.
Con quella cuscinata ho temuto per il mio osso del
collo!”
IO: “Oddio
tesoro, ti fa ancora male?” mi accerto preoccupata tastando delicatamente il suo
mento con la punta delle dita.
Dopo avergli
chiuso la porta in faccia ho creduto per un secondo di essere al sicuro, ma una
porta serrata a chiave non è cosa da fermare Capitan Jack
Sparrow!
Soprattutto se
ti dimentichi l’entrata secondaria aperta.
Nel giro di
trenta secondi, mentre avevo gli occhi ancora del tutto offuscati dalle lacrime
per il tanto ridere, me lo sono ritrovato davanti con un ghigno
furioso.
E’ iniziata
un’agguerrita battaglia di cuscini tra minacce digrignate ridendo, morbide
percosse ed inevitabili dispetti.
Jack preso
dall’astio per l’ingiuria appena subita, ha rovesciato a terra l’olio di una
lampada sul comò, servendosi del cuscino, provocando altresì la caduta di alcuni
oggetti lì depositati, con il solo intento di farmi
cadere.
Ma è toccato a
lui soccombere della beffa, infatti mentre mi rincorreva, dopo aver ricevuto una
mia cuscinata proprio sulla nuca con l’intento di allontanarlo, è scivolato
sulla sua stessa diabolica pensata, urtando un oggetto appuntito e causandosi da
solo un bel buco nel mento.
Ho dovuto
convocare in piena notte Andrè affinché medicasse il riluttante
Capitano.
“Nooo,
FERMA! Quel francese eunuco non oserà sfiorarmi neanche con un dito, ti
proibisco di chiamarlo!!!” si dimenò in panico come un bambino sulla poltrona
del dentista.
“Tranquilla,
tesoro. Sto benissimo, vedi? Non esce più neppure il sangue!” negò furbesco
davanti l’evidenza, mentre un rivolo vermiglio si spandeva fino al solino della
sua camicia, lungo tutto il collo.
Io l’osservai
tralice con un sopracciglio alzato e la mano appoggiata sulla maniglia della
porta.
Infine in un
gesto fulmineo spalancai la porta, mi precipitai lungo il corridoio e poi sul
ponte alla ricerca di rinforzi prima che potesse
trattenermi.
Con quel solco
nella mascella non l’avrei di certo lasciato così a versare una cascata di
sangue per tutta la notte, avevo bisogno del mio caro
dandy.
Che dopo
qualche minuto si presentò sul pianerottolo della nostra cabina, le membra gli
tremavano e i suoi occhi grigi gonfi di sonno tralasciavano l’impressione di
sapere che il suo superiore sarebbe stato molto astio nei suoi
confronti.
ANDRE’: “I-i-il est
permis?” (E’ permesso? NdAutori) balbettò a testa bassa.
Jack con in
viso un’aria truce dal primo momento in cui lo vide stette per cacciarlo via, ma
intervenni in tempo da non scoraggiare il gentile cuisinier : “Il
Capitano avrebbe bisogno del tuo aiuto, Andrè!” chiarii, definendo ogni singola
lettera a denti stretti verso Jack, per fargli capire di non essere sgarbato.
ANDRE’: “Pour
vous tuto l’aiuto che seRve, mademoiselle!” rispose solenne in un dolce
sorriso.
JACK: “Il
Capitano non vuole il tuo aiuto Andrè!!!” controbatté adirato in
falsetto.
Lui per
fortuna non gli diede ascolto e con il mio appoggio riuscì, seppur a fatica, nel
suo intento di medicare la ferita non proprio superficiale del
comandante.
“Mi avete
chiamato apena en tempo, la feRita non ha fato enfesione, ma dovRete teneRla
desinfetata almeno una volta ogni oRa adeso che est encore apeRta!” mi
raccomandò dopo la medicazione.
IO: “Grazie
mille, Andrè. Come faremmo senza di te? Anche Jack ti è molto grato, anche se non
lo da a vedere.” lo rassicurai prima che lasciasse di nuovo la cabina per
procurare i necessari medicamenti per tener pulita la ferita.
All’interno
della nostra camera da letto Jack si stava dimenando buffamente per strappare un
pezzo di stoffa dalla sua camicia, ormai ridotta a una maglia consunta e
rossastra.
IO: “Dunque ho
fatto bene o meno a far intervenire Andrè?!” domandai mordace, portando le mani
ai fianchi.
JACK: “Sì, la
volevo una medicazione, ma non di certo da quello!!!” rispose con un broncio
offeso tamponando il lembo di stoffa sopra la ferita, per fermare il sangue che
stava fuoriuscendo di nuovo.
IO: “Un
perfetto uomo di mare come te non è al corrente che certe lesioni così profonde
non si guariscono da sole?”
Domandai
contrariata andandogli incontro.
JACK: “Volevo
che la medicassi tu con le tue manine delicate…” mi beffeggiò in un sorriso
malizioso.
Forse fu
quello a convincermi di abbandonarmi sulla sedia al suo fianco e prendermi cura
io stessa della ferita che stava
peggiorando.
IO: “Argh!
Lascia fare alle mie manine delicate, se continui a premere in quel
modo rozzo finisce che il povero Andrè deve rimanere qui un’altra mezzora a
medicarti!” lo rimproverai prendendo mano alla
situazione.
JACK: “Certo,
gioia. Tu non preoccuparti di questo cane che muore dissanguato. Pensa al
tuo francofono impotente che perde preziosi minuti di sonno!” ribatté
sprezzante.
IO: “Andrè
doveva metterti dei punti sulla bocca, altro che sul mento" dissi avversa,
lanciandogli contro il lembo di stoffa, sul punto di
andarmene.
La sua mano mi
trattenne prontamente e in tono pacato si scusò pregandomi di
rimanere.
“Promettimi di
chiedere a scusa anche al tuo medicatore!”
JACK: “Uhm,
forse… Un giorno o l’altro…” rimase vago.
Premetti di
più sulla ferita lasciandogli sfuggire un lamento di
dolore.
JACK:
“D’accordo cherié, come vuoi tu. Mi hai convinto…” si arrese smaltendo il male a
denti stretti.
Sorrisi
soddisfatta, per una volta riuscii a
raggirarlo!
Passarono
alcuni minuti che trascorremmo in silenzio, si sentiva solo il moto ondoso
cullare dolcemente la nave e la ciglia corvina della Black Pearl infrangere la
distesa d’acqua senza alcun dissesto.
Percepivo gli
occhi di Jack fissi su di me, ma fingevo di occuparmi della ferita per non farci
caso.
JACK: “…Sei
così bella che fai male” spezzò la quiete con voce roca e lievemente
assonnata.
Ebbi come un
sussulto e per un secondo sentii quasi il cuore fermarsi, non mi aspettavo che
erompesse così con certe affermazioni.
Mi trattenei dall’arrossire e risposi
distogliendo lo sguardo: “E’ il mento a farti male, non
io…”
JACK: “No,
sento male al cuore! Il mento è molto aldilà del dolore ormai” concluse ridendo
amaramente di se stesso.
Rimasi qualche
istante senza parole, poi presa dall’imbarazzo scelsi di rispondere in modo
ponderato: “La bellezza è una cosa futile e temporanea, nemmeno io non sarò così
per sempre, Jack.”
Annuì non
potendo negare il fatto, ma subito dopo disse accorto: “Ecco perché in tutto
questo tempo non avevo mai trovato la donna giusta!”
Corrugai la
fronte interrogativa non afferrando il significato della sua
affermazione.
“Non era
ancora nata!”
Ho trascorso
tutta la notte a svegliarmi continuamente per prendermi cura della voragine
nella mascella del Capitano, ma fortunatamente grazie alla giusta accortezza,
ora è migliorata fino a richiudersi, anche se non del
tutto.
JACK: “Avanti,
non dicevo sul serio dolcezza! Ti sei già fatta perdonare abbastanza
quest-..”
Mentre tentava di rimediare
alla sua precedente affermazione inopportuna (“Dovrei
essere io quello che ti deve ancora perdonare per ieri sera!! Con quella
cuscinata ho temuto per il mio osso del collo!!!” NdAutori) qualcuno ci urta entrambi e ricade sul Capitano
allontanandoci del tutto.
Io mi aggrappo
al muretto che ci circonda e riesco subito a riprendere l’equilibrio per
accorgermi di cosa accade.
Al mio fianco
invece vedo Jack chinarsi su una donna con un mantello grigio.
L’estranea è piegata a terra, intenta a raccogliere delle verdure che ripone frettolosamente
nel grembiule, impiegato come busta della
spesa.
No, ancora lei.
“E NON FARTI
PIU’ RIVEDERE INTORNO ALLA MIA BANCARELLA, LURIDA SQUATTRINATA!!!” un vocione
furioso e ingiuriato proveniente da un fruttaiolo a poca distanza da noi insulta
la donna, inginocchiata a terra e
singhiozzante.
Una stretta mi
chiude lo stomaco, sgrano gli occhi incredula, come l’altra mattina, incapace di
muovermi.
Il Capitano si
china su di lei domandandole aiuto, sento mancarmi il respiro, cosa diavolo sta
facendo?
Ma lei non si
volta nemmeno a guardalo in volto, balbetta un grazie e fugge nella folla
divenendo parte d essa.
Non era
lei.
Nota delle Autrici:
Felice 2008 a tutti voi dalla Capitana
e il Capo!!! ^^
Oggi concludiamo la seconda parte del
capitolo 6 ma ce ne saranno altre 2 che posteremo prossimamente, non finisce qui
:P
Nel mio profilo d efp vi abbiamo
lasciato un regalino per tutti voi =D
Fateci sapere cosa ne pensate di
questa prima parte romantica *w*
Grazie a tutti, buona lettura e
auguroniii!!!!
Kela and Diddy
(Capitana and
Capo)
|
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Capitolo 7 *** Wayfarers. ***
Nota delle Autrici:
Salve a tutti e Buon carnevale!
=D
Per alcuni è già finito, per me e il Capo inizia oggi per
cui lo dico in generale ^^
Prima di tutto auguri alle befane :P ih ih ih In
ritardissimo ma ci perdoneranno =P
Inizio con le news, non abbiamo pubblicato
oggi e nel frattempo fatto niente, anzi!
Il 6 Gennaio abbiamo aggiunto la seconda parte del capitolo
6 che se non avete letto correte a farlo altrimenti di questo capitolo non
capirete granché! ^^
Successivamente abbiamo riscritto per bene il capitolo 12
di Untitled1 aggiungendo dei mini spoiler riguardanti Untitled Without end (poi
la Capitana qui si è cimentata in una FF nuova definita “terapeutica” ma non ci
interessa XD) e in conclusione anche a questa nuova parte che risulterà come
capitolo 7 ma in realtà non lo è ;)
Aggiungo per chi legge il capitolo 12: Sia in Unty1 che
Unty2 abbiamo messo la nota “cross-over, What if? (e se…)”, Cross per il viaggio
nel tempo e What if perché ci sono e saranno ben 2 personaggi che nel film di
Potc3 sono morti tutti e 2 =’( Invece in Unty saranno presenti, uno è Will ad
esempio!
Per cui teniamo conto di Potc3 solo per il fatto che Jack è
ancora nel mondo dei vivi ^^ Fiiiu! Mi sono dimenticata di aggiungere il
“regalino natalizio” spoileroso (lo lascio ancora una settimana nel mio profilo
d efp e poi lo levo perché è già venuta la Befana un paio di volte a dirmi che
le feste son passate XD) da parte mia e del Capo che è un po’ ridicolo ormai per
l'appunto! Lol
Appunto sul capitolo
6: ho
letto che molti di voi si sono preoccupati della “voragine” sul mento che si è
fatto da solo il Capitano nello scorso capitolo, si io ho esagerato nel
descriverla lo so, ma era intesa come quella ferita-bruciatura che Jack ha
realmente nel film, in basso a destra sulla mandibola, non so se ci avete mai
fatto caso.
http://img352.imageshack.us/img352/4492/johnny20depp2020potc20evr2.jpg E’ questa per
intenderci!
Eh lo so i
suoi occhioni distraggono *w* In ogni caso non è nulla di grave, Jack sta bene è
qui tutto pimpante XD Volevo rassicurarvi!
^^
Il
titolo di questa nuova parte, Wayfarers, in
italiano è tradotto con "viandanti", è ispirato all'opera di Friedrich
"viandante sul mare di nebbia" quadro
bellissimo!!
Sarà completata nel corso di questo mese e quando lo farò
ci sarà la scritta in neretto nell’introduzione di Unty2 come solito
^^
Ringraziamo tantissimo…
johnny
jack, la
mia principessa sempre :P meno male che ti facciamo ridere almeno basta
fasulet!! ^^ lol Ehm matrimoni?! Jack adora i matrimoni, da bere per
tutti!!
Porti pazienza altezza =D La dedica era dovuta =* Un
immenso bacioneoneone le vogliamo troppo bene
^^
Vanessola, ave a lei Mater
superiora 8-D La nostra Jenny si scrive con la Y, JennYfer e non Jennifer, per
gli americani è sbagliato perché per loro Jenny e Jennifer sono 2 nomi diversi
o_0 ma noi l’abbiamo resa particolare apposta ^^ Saprete in questo capitolo che
han combitato i pirati cattivoni per spaventare così i bimbi =) Ringraziamo sia
io che il Capo, non ci meritiamo certi complimenti =$ Ti aspetto da me oggi
pomeriggio con Vostra Onnipotenza XD LOL Un grande bacione!!!
=*
68Keira68, ciao Sara!! :D (sono
contenta che hai aggiornato la tua fic, aspettavo quel chap!!! *w*) Anche in
questo chap Jenny saprà farsi valere mica male ^^ Siamo davvero contente di
averti entusiasmato :D La paura dei pirati da parte dei bambini sarà spiegata
meglio nella parte successiva di “wayfarers”! Con
una romanticona come la sottoscritta nella nostra fic non mancheranno certe
parti romaticose =D Grazie tantissimo per il tuo impeto ^^ Un bacio grande
grande!! =* =*
daphne
greengrass, ah-ha! Svelato il
mistero :P Perdonatemi, non volevo essere indiscreta o impicciona, ma quando
scrivo i ringraziamenti non so se riferirmi a una o a 3 persone per cui mi sono
informata XD Il Capo e io siamo contente di fare anche da rimedio alla noia, wow
^^ hai visto Capo? Jenny-ninja ha fatto successo!!
Lol
Grazie mille per seguirci sempre e per i vostri commenti
positivi, fiiiu meno male ^^’ Tanti bacioni al vostro fantastico trio =D =*
=*
Luana, Luuu ciao mia Picci!!!
*.* Assaggio gustoso, caspita, non parliamo di cibo XD ho mangiato troppo in
questi giorni! Gracie mille per aver trovato il tempo di seguire queste due
pazze qui ancora dagli inizi ^^ =’) Lo apprezziamo tanto!! Grande segreto dici
tu? XD Dico solo che scoprire l’identità di quella donna è una delle chiavi per
scoprire il finale di Unty2! E una mia amica l’ha già capito <_< Dobbiamo
darvi meno indizi qui!! Salutami i tuoi uomini =D Un bacione a tuttiii,
organizziamo qualcosa per carnevale dai! ^^ lol Ti vogliamo tanto
bene!!
Hilly89:
Mara, Lorence! Che combinate? XD Ci fate preoccupare! Sì è vero ci siamo
appassionate anche a noi a Lor caro, ci hai scoperte! =D Ehm… Ehm.. Per quanto
riguarda Dylan come abbiamo già stradetto la faccenda è in fase di trattativa
per cui non sappiamo darvi una risposta precisa ma io direi di non perder la
speranza ^^ In Wayfareres
spiegheremo la faccenda del tumulto di quei bimbi e Jenny saprà ancora farsi
valere =) Grazie ad entrambi per l’entusiasmo che ci dimostrate, ne siamo
onorate =D Un grandissimo bacione!!
JiuJiu91, ciao Giulia!! =D Che bello risentirti ^^ Tranquilla anche
noi due siamo super incasinate con la scuola e mi è toccato fare questo capitolo
di fretta, infatti sono preoccupata di cosa ne sia venuto fuori :S Lo so che è
brutto da dire, ma inizialmente Dylan svolgeva il ruolo di “oggetto disturbo”
come dico sempre io, cioè l’intralcio in alcune occasioni. Successivamente è
diventato una chiave di unty1 ^^ In unty2 l’oggetto disturbo sarà rimpiazzato ma
non da Andrè :P il nostro francese eunuco è nella categoria “aiutante delle
chiavi” lol XD ok, la pianto con ste chiavi =D Grazie mille per la tua
recensione e il messaggio da parte di kathy ^^ Sono riuscita a parlarle anche io
poi ma grazie mille davvero per averla preceduta, ci stava facendo preoccupare
=(
A presto! =D Tanti
bacioni!!
giu91, ciao
Giulia!!! ^^ Uhhh =’) Gracie per essere uscita allo scoperto, siamo onorate di
averti colpita :D Urca, lo odio persino io il mio modo di scrivere XD Ih ih,
l’ho detto io Capo che Jenny-ninja fa faville!! Lol Uhm, non so cosa dirti
esattamente riguardo la tua affermazione perché rivelerei troppi dettagli… Posso
solo dirti che stai prendendo la via giusta e che non sono la stessa persona!
Magari leggendo questa nuova parte wayfareres
potrai capire meglio :P Aspetto io trepidante tue nove meraviglie
su quella coppia tanto insolita quanto meravigliosa *.* Un grandisssimo bacione
e ancora grazie! :D =* =*
Buona lettura a tutti di questa nuova parte, fateci sapere
cose ne pensare!
Bacioni, a presto.
Kela and Diddy
(Capitana and
Capo)
Wayfarers.
“Dannati inetti con le braghe bianche! Per causa loro adesso sono
rimasti solo i commercianti più fraudolenti e dispendiosi!” impreca tra se e se
il Capitano, maneggiando articolatamente alcune scartoffie srotolate sul banco di
un eccelso disegnatore.
Il
suo tono forte e contrariato mi scuote dal mio stato attonito e per lo stupore
mi sollevo dal bordo del banco, al quale ero appoggiata a braccia
conserte.
Prima
di esaminare il motivo dell’agitazione di Jack rivolgo lo sguardo verso la
piazza ormai desolata: mette i brividi, è quasi come se fossero passati di qui
gli Unni!
Sembra un luogo fantasma dove si odono solo i richiami in
lontananza di qualche mercenario che cerca di persuadere i rari viandanti in
transito qui.
Per
fortuna nessuna traccia di cappuccetto grigio!
“Mannaggia!” inveisce ancora buttando all’aria l’intera
bancarella.
Ma
che combina??
IO:
“Fermati Jack! Il signore qui potrebbe alterarsi se gli scompigli tutte le
cartine così!” lo rimprovero riferendomi all’artigiano, che invece non ci degna
della minima attenzione, ma continua a rifinire i dettagli d’ una illustrazione
seduto su di uno sgabello dinanzi un cavalletto.
JACK:
“Con tutti gli scellini che mi sottrae questo predone per un consunto foglio di
carta raffigurante due insulse isole, posso scombussolare tutto il bancone come
più mi pare!!” bandisce fissando torvo quell’omino che si nasconde dietro un
fintissimo parrucchino color paglia e un paio di occhialetti buffi.
“Avete trovato la vostra mappa di Isla Oculta, signor Sparrow?”
domanda ridacchiando consapevole sempre assorto nella sua ultima
opera.
Muovo
qualche passo girando attorno alla bancarella per ammirare meglio le bellissime
creazioni dello scribacchino, aguzzando l’udito. Mi suona familiare
quell’isola...
JACK: “Capitan, Capitan Jack
Sparrow!! [sottolinea irritato] Ma certo, cosa credi?!” afferma altezzoso
mettendosi quasi in posa.
Me lo
ricordo bene quando l’abbiamo trovata, seppure io ero troppo indaffarata a
cercare un modo per dirti addio…
“Completa anche?”
Afferro la riproduzione di una statua antica e l’avvicino al viso
per scrutarla da vicino a dir poco incantata.
JACK:
“Senza dubbio! Me l’ha portata un dolce angelo neanche io so come…” pronuncia
vago posando i suoi occhi cioccolato fondente su di me.
Inizialmente rimango spiazzata, poi ripresa dalla sorpresa
reagisco abbassando lentamente la tela con un ampio sorriso memore arrossendo un
poco.
“Dio!! Voi… Voi milady… [farfuglia il disegnatore avvicinandosi
frastornato a me] Avete un sorriso che potrebbe illuminare a giorno il cielo
stellato dal manto vespertino!!” pronuncia ammaliato in uno sguardo quasi
funesto, calando lentamente verso il basso la tela ellenica per osservarmi
meglio.
Sgrano gli occhi turbata: “Ehm, la… ringrazio signore…!” rispondo
guardinga, non deve avere tutte le rotelle al proprio posto questo
tizio!
“Dove
avete colto questo raro fiore Capitano??” domanda ancora incredulo, in un
atteggiamento teatrale che interpreto quasi come una mossa
affaristica.
IO
innervosita: “La bellezza eterna, caro signore, l’avrete solo nelle vostre opere
probabilmente rubate che rivendete qui a quattro soldi!” sbotto con
rabbia.
“Ma
cosa dite?!?” controbatte colto nel segno aggiustandosi bruscamente gli
occhialetti sul naso.
IO:
“Questa riproduzione è la Dama Bianca, si trova in un luogo parecchio distante
da qui, non credo abbiate mai avuto modo di riprodurla su tela dal vero…”
confuto scrutando il disegno ammirata.
“E
voi come fate a supporre ciò eh?! Capitan Jack Sparrow portate via dalla mia
vista questa angelica megera e fatele mordere la lingua!!” sbraita indignato
agitando le braccia.
Lo
sapevo, era come supponevo io! Si trova nel torto e ora cerca di chiudere qui il
discorso.
JACK:
“Allenta i toni imbrattacarte” tuona parandosi davanti a me
minacciandolo.
IO:
“Se siete così certo di quel che dite allora illuminateci! Dove si trova la Dama
Bianca?” domando facendomi spazio dal fianco di Jack, imitando il fare calmo e
snervante che assume sovente il Comandante ed esibendo in viso un’espressione di
sfida nei confronti del contafrottole.
“Io…
I-io… Ho viaggiato molto milady, non ricordo con esattezza!” si
legittima, mentendo come dimostrano i rivoli di sudore che scorrono lungo le sue
tempie per l’agitazione.
IO:
“Almeno il continente, non ditemi che non ricordate neppure quello!” incito
sempre più interessata.
Jack
assiste alla scena del tutto serio, ma i suoi forvi occhi somigliano a quelli di
un bambino che assiste catturato e divertito ad uno spettacolo di
marionette.
“Era
l’Asia giovinetta spiantata, ed ora ridatemi quel capolavoro.” boccheggia scosso
allungando la mano tremante d’ira.
IO:
“Sbagliato! Ma ci siete andato vicino, si trova in Europa caro divulgatore di
falsi.” controbatto soddisfatta, porgendogli la tela.
“Non
si fa fortuna con le bugie!” concludo sminuente, mentre l’uomo oltraggiato in
ogni senso mi strappa di mano con prepotenza la falsa copia ed io mi allontano
dalla bancarella precedendo un Jack sogghignante.
“Per
questo amo quella donna!” ammette sottovoce per deridere l’imbrattacarte,
appoggiandosi con noncuranza al banco finendo col spiegazzare qualche rotolo
cartaceo.
La
gente di qui si riduce a vivere di paura e menzogne per scalare il lunario,
purtroppo non ci sarà modo di migliorare tutto questo ancora per molto e molto
tempo…
JACK:
“Altro che la fortuna requisita ad Isla oculta… Non tutti i tesori sono d’oro e
d’argento.” riferisce mantenendo lo sguardo fisso su di me.
“Cosa? Dunque avete realmente trovato l’isola e l’antico
bottino con essa!?!” domanda incredulo il mendicante dal parrucchino di
paglia.
JACK:
“Proprio così Scribbler (nome del mercante
NdAutori)!” definisce in posa fiera.
SCRIBBLER: “Immagino dunque che avrete le tasche piene di denaro
da spendere.” riconosce fregandosi con avidità le mani al sol pensiero di guadagnare molti
quattrini.
JACK: “Sì, ma non da te vecchio volpone!” lo deride
ancora una volta ad indici alzati, abbandonando a passo oscillante la bancarella
per raggiungere me al centro della piazza.
Al suono del suoi passi distolgo i miei occhi vigili
dal circondario, mi volto leggermente per assicurarmi che sia lui e gli rivolgo
un lieve sorriso.
IO: “Che razza di gente popola queste parti!” dico
attonita scuotendo la testa.
JACK: “Non possono fare a meno di essere tali”
risponde in tono grave, venendomi vicino.
Me ne rendo perfettamente conto.
“Deduco che se reagisci in questo modo devi esserti
ritrovato negli stessi loro panni in passato.” affermo leggermente divertita,
immaginando le mille disavventure da lui vissute, mascherando bene un brivido
che mi percorre lungo tutta la schiena quando la sua mano tesa mi sfiora
delicatamente il collo.
JACK: “Altresì peggiori di questi!” ammette ridendo.
L’assecondo scrutando ammaliata la sua rauca risata tanto
piacevole.
“E di me non hai nulla da ravvisare?” domanda
impaziente, aggrottando la fronte seminascosta dalla bandana purpurea.
Rievocando le sue parole dette poco prima dinanzi la
bancarella e distogliendo lo sguardo dal suo per non impacciarmi, mormoro vaga
in un sorriso: “Mai lo zucchero guastò vivanda… E tu sei stato
dolcissimo!”
Sulla sua bocca si dipinge di un sorriso furbesco
mentre con l’estremità del pollice mi carezza lievemente la
guancia.
Trascorre qualche istante studiando attentamente
l’alveo del mio sguardo e ne percepisce subito lo stato d’animo: “Cosa c’è che
non va?” indaga intrigato.
IO: “Nulla” controbatto immediata con una nota di
stupore, come se trovassi la domanda insolita.
Socchiude gli occhi in un ghigno buffo ruotando
leggermente il capo per niente convinto.
“Questa mattina hai atterrato come un ninja un membro
della mia ciurma [oddio Albert!!! 0_0 Chi gliel’ha detto??], lungo la strada hai
visto un branco di frugoletti e ti sei pressoché commossa. Ti porto a fare spese,
come piace a voi signore, e hai lo sguardo del tutto perso. Un istante or sono
noti un insignificante scarabocchio sulla carta e ti metti a fare la critica
d’arte antica…”
IO: “Mi metto a fare cosa?!?” domando divertita
incrociando le braccia semi-offesa.
Al suono delle mie parole il Capitano restringe lo
stomaco, gonfia il petto e assume
una fastidiosa vocina acuta: “La donna lattea non si trova in Asia mio
caro menzognero, ma in Europa!! Io lo so perché vengo dal ventunesimo secolo e
sono enormemente colta!” declama con una mano posata sul fianco e
pavoneggiandosi con la seconda. (Dialogo
ispirato al comportamento di Sua Onnipotenza, Vanessa tu la conoscerai :P lol
NdCapitana)
“Io non faccio così!” controbatto divertita,
serrandogli le braccia per farlo smettere.
“Orbene, cosa comporta in te questo insolito
atteggiamento?” domanda riprendendo il filo del discorso dapprima sogghignando,
ma divenendo ad ogni parola sempre più serio.
Sospiro profondamente rassegnata, non c’è modo di
nascondergli qualcosa…
“E’ sempre per colpa di quella…” dichiaro
riferita alla ‘donna misteriosa’ buttando gli occhi al
cielo.
JACK: “Quella chi??” sbotta stranito con un
bizzarro scatto del collo all’indietro.
Rimango del tutto sconcertata, cosa significa quella
chi?
Una sorta di pesante fardello proveniente dallo
stomaco risale alla velocità di un fulmine lungo tutta la mia gola ed infine si
riversa fuori con la sua medesima scarica elettrica: “No, no… Non è possibile
Jack… [inizio turbata] Ora tu stai davvero cercando di farmi credere con le tue
movenze bizzarre che ti sei già dimenticato di quella… Non è
così?! [definisco avvilita] Ma tale non lo è per niente invece…! [riconosco
amaramente mordendomi il labbro inferiore per la rabbia] Sei solo un lurido
approfittatore senza coscienza ecco quello che sei! [urlo rabbiosa spingendolo
via da me, senza ricevere una minima opposizione da parte sua se non uno sguardo
profondamente afflitto] Non mi hai ancora nemmeno chiesto scusa per l’accaduto…
[rilevo affranta scuotendo il capo da parte a parte] Neppure un lieve accenno se
non mi rendo conto di aver commesso un errore…- proseguo con voce
spezzata, le sue labbra si dischiudono per intervenire, ma recido subito il suo
tentativo -Continua pure a sprecare fiato per intrattenerti con le tue damigelle
tristi!” concludo furiosa ricacciando le
lacrime.
Non lascio al Capitano neanche la possibilità di
difendersi, mi allontano percorrendo a passo svelto la piazza, quasi interamente
svuotata, con la mente colma di rabbia e caotici pensieri.
Voglio tornarmene al porto, risalire a bordo della
Black Pearl e andarmene via da questo antro maledetto!
Venga dannata la mia boccaccia che non sa mai tenersi
le cose per se, maledetta anche l’attaccatura morbosa di Jack al rhum, al rogo
quella sventurata mappa e che sia condannata a morte certa persino quella
ridicola cappuccetto grigio insieme alle sue labbra
scarlatte.
Mi stringo nelle spalle muovendomi velocemente tra le
anguste vie di West Caicos, stringo i pugni per estinguere la collera ma non
riesco in alcun modo a calmarmi.
Affino l’udito per ascoltare se alle mie spalle
proviene un passo svelto o pari al mio senza dovermi
voltare.
Nulla… Niente di rilevante almeno. A parte un berciare
confuso all’interno di una taverna nel momento in cui vi passo vicino e gli
starnazzi di qualche animale domestico in procinto di essere trasformato nel
pranzo di oggi da dentro un cucinino.
Riporto lo sguardo mesto al selciato ghiaioso e
proseguo il mio disorientato cammino lungo una discesa.
Ma chi voglio pendere in
giro…Eh?
…La colpa non è che mia… Sono solo una patetica
permalosa! Un brutto aspetto che era presente nel caratteraccio di mia madre ed
è rimasto in me.
Chissà il mio Dylan come se la passa con quei
“genitori fantasma”… Spero solo che non lo facciano sentire solo, non perdonerei
mai una mancanza del genere a quei due ora che io non ci sono
più!
Già, io non sono mai venuta al mondo per loro…
Io non esisto…
L’ennesimo brivido mi pugnala la schiena a quei
pensieri.
La mia immagine è presente solo nella mente di Dylan…
Oh funghetto mio, non dimenticarti mai di me… Ti prego!
Quando ne combinerai una delle tue pensa alla tua
sorellina rompiscatole che ti avrebbe rimproverato con la minaccia di dirlo a
mamma e papà… Se cammini per il corridoio del secondo piano in casa nostra e
passi dinanzi la mia stanza vuota affacciati all’interno, cerca di ricordare
com’erano disposti i mobili… Nell’angolino del letto rammenta la mia figura
assorta su di un libro con lo sguardo rapito… Ogni volta che ammiri il tramonto
ricordati quel triste giorno che mi hai fatto una promessa, ti voglio davvero
presente alle mie nozze! E per tutte le volte che ti mancherò…
Ti scongiuro, perdonami se puoi…
Allontano dal viso quelle lacrime dolorose e
diminuisco il passo per apprestarmi ad attraversare la strada, in una manciata
di minuti mi condurrà direttamente al porto.
Sollevo lo sguardo affranto per scrutare il lato
sinistro e destro della via che trovo totalmente deserti, quindi avanzo
tranquillamente.
A metà del breve tragitto, tra i due versanti opposti
della strada, la mia attenzione ricade su di una figura famigliare, di cui sono
certa non essermi accorta prima.
Guardando più attentamente riconosco
la donna incontrata ieri mattina fissarmi con un sorriso compiaciuto da sotto la
mantella plumbea.
Il respiro profondo che stavo
compiendo mi muore letteralmente in gola, sgrano gli occhi incredula bloccando
ogni movimento degli arti inferiori, senza più riuscire a spostarli di un solo
millimetro.
La mia persona si ‘pietrifica’ al
centro della stradina, incapace di muoversi con la paura più assoluta impressa
nello sguardo, come se il tempo si fosse fermato.
Una fitta gelida si insinua nelle
mie ossa come una lama acuminata, ma non riesco nemmeno a gemere di rimando, mi
sento congelare, soffocare… Sono impedita da qualcosa più grande di me che ha la
meglio sul mio corpo fragile e recide ogni mio tentativo di movimento, assorbendo
tutta la mia forza vitale.
Quella strana donna suscita in me
qualcosa … Un singolare timore… O paura, che non so spiegare…
Sono certa che mi sta fissando da
sotto quell’ampia stoffa grigia, anche le sue maledette labbra rosse lo
dimostrano attraverso quel sorrisetto inespugnabile. Cosa vuole da me, da Jack?
In che modo intende aiutarci??
La mia mente continua il suo normale
corso, ma io rimango a fissarla, immobile, senza riuscire a fare
altrimenti.
Intorno a me si è placato ogni
singolo rumore, tutto si è fermato insieme a lei… No, non è così! Avverto ancora
in lontananza qualche schiamazzo…
Sono solo io che mi sento
così?
Tutto continua a muoversi secondo il
proprio normale corso, tranne me.
Sento persino una voce lontana che
mi chiama per nome, ma non riesco a distinguerla in alcun
modo.
D’improvviso credo proprio di
essermi sbagliata, non era una richiamo nei miei confronti, ma il trotto
regolare di due cavalli in avvicinamento, trainanti qualcosa di pesante alla pari
di una carrozza.
Sono diretti nella mia direzione e
sembrano non aver alcuna intenzione di rallentare, non devono essersi ancora
accorti della mia presenza.
Un lungo brivido scuote il mio corpo
che non vacilla nemmeno, vorrei fuggire via come il vento ma sento i piedi come
radicati al suolo.
Dannazione, possibile che non
riescano a vedermi?
Già… Ma… Io non
esisto…
A questo punto non dovrei esistere
più in nessuna epoca, tanto meno trovarmi qui… Se ora scomparissi non
importerebbe ad alcuno, dopo quello che ho detto Jack tanto meno a lui… Ti ho
amato così tanto…
In ogni caso devo farlo almeno per
il mio piccolino, gliel’ho promesso prima di dirgli
addio!
E allora vienimi a prendere se ci
riesci! Chiunque e qualsiasi cosa tu sia… Sono qui, pronta a confrontarmi.
Ancora immobilizzata cerco si
stringere i pugni e riempire d’aria i polmoni che ne sono ormai quasi del tutto
assenti.
Il mio corpo viene investito da una
forza estranea che mi trascina a terra con se, quasi scaraventandomi al suolo,
dove ricado sbattendo la testa e colpendo involontariamente qualcosa sotto di
essa.
Nonostante la randellata contro il
suolo ciottoloso riesco a riaprire gli occhi un istante: un elegante carro
trainato da 2 corsieri attraversa frettolosamente la stradina, senza ridurre
l’andatura nemmeno di un trotto.
Da una finestrella della cocchio si
sporge una figura femminile dai capelli chiari e ondulati che si riversano sul
suo viso mascherando un’espressione di orrore e preoccupazione.
…Somiglia un poco a quella donna…
Colei che ho quasi investito la mattina della gita, ancora nel futuro… Ma non è
possibile, sarà la botta in testa ad avermelo fatto pensare… Come mi aveva
detto? Ah già!
Ci rivedremo Jennyfer, non molto presto ma
solamente nel momento in cui avrai più bisogno di me!
Questo era decisamente il momento più opportuno, anche
se, nel caso in cui era lei, non mi è stata molto d’aiuto…
La mia vista si annebbia, il respiro si assottiglia e
gli occhi mi si richiudono pesantemente, forse per sempre…
-
La
Capitana ringrazia tantissimo la sua principessa pazzerella Fra per la zampa, il
sostegno e la pazienza che ci vuole con questa fuori di testa ^^’ Mille volte
gacie =’) =* =* =* =*
Volo di luce.
…Promettimi che ci arriverai a mangiare il
ketchup…dimmi che lo mangerai e lo farai assaggiare anche a
Jack…
…Io sarò sempre qui…e spero anche qualche volta
nei tuoi pensieri…
…Sorellina sono qui!
Sto benone, ti vorrò sempre bene, non dimenticarti di me,
ADDIOOO…
…Si impara dai propri errori e questo decisamente
non lo è! …La verità è che io ti amo…
…In che modo ho cambiato la tua vita? …Sembri un
angelo, l’angelo più bello che esista, il mio angelo…
…Sono qui per aiutarvi… Che bruta coSa la
JeloSia…
…Un cuore non ha spazio a sufficienza per
racchiudere in se più di un solo nome e io voglio che il tuo ci rimanga inciso
sopra per tutta la vita…
…Siamo pecore nere, gente spietata, trinchiamo
allegri yo-ho!
…Quella chi? …Io non
esisto…
Una impetuosa tempesta di frasi, immagini e ricordi si
scatena nella mia mente del tutto incosciente.
Il mio corpo non trova la forza di reagire, rimane
disteso a terra pienamente esanime, sovrastando a peso morto il braccio e il
torace dolorante di… Jack.
Non avevo tutti i torti riguardo la donna della
carrozza, a me è apparsa come una specie di miraggio, ma la sorte ha voluto che
fosse proprio lei; colei che nella mia epoca in un secondo di distrazione stavo
quasi per uccidere, la stessa che qualche istante fa stava per portare a termine
la mia vita e la medesima ora, mentre rientra col busto dal finestrino
del cocchio ostentando un’espressione sgomenta e di rammarico.
Si abbandona sconvolta sul sedile anteriore e ancora
con la bocca semi-spalancata spera con tutto il cuore, torturandosi le mani, che
io, nonostante l’incidente, per lo meno sia illesa e al sicuro.
Non è stato affatto l’impatto con la carrozza a
trascinarmi a terra, sul ciglio della strada perlomeno dove sarei stata più
protetta che in concomitanza delle ruote coriacee, ma l’intervento tempestivo
del Capitano il quale si è sgolato più volte nel richiamare in tempo la mia
attenzione, ma poi vedendomi inerte non ha esitato un solo istante ad
intervenire per mettermi in salvo.
Ed ora si rialza da terra a fatica, per gli arti
ammaccati dalla caduta, puntando tutta la forza che gli rimane sui gomiti,
riuscendo così a levarsi lentamente nonostante sia sfavorito dal peso del mio
corpo privo di sensi ancora tra le sue braccia.
“Jennyfer! Perché sei così fredda? Jenny… Tesoro,
apri gli occhi…” mormora agitato scrollandomi lievemente, distribuendo il peso
sulle ginocchia nonostante le brucianti spellature.
Mi solleva la testa portandomi più vicina a se, si
accerta che respiro percependo un lieve fiato sull’estremità della guancia e
rallegrato dal mio stato unicamente di sopore profondo, cerca un modo per farmi
ridestare.
“…Mozzarella…?” bofonchia impensierito.“Suvvia… Non
starai fingendo tuttora vero?!” nessuna risposta da parte mia. “Sei solo una
bimbetta viziata! …Testarda, ehm no…pigrona! …Gran permalosa!!” cerca di
provocarmi ma non serve proprio a nulla, io non posso
sentirlo…
“Cosa devo fare con te?!” domanda in forma retorica
buttando gli occhi al cielo.
Sbuffa spazientito, mi distacca da se riponendomi
delicatamente a terra dove i miei arti si affievolisco al suolo senza preciso
comando.
Si leva la giacca e l’arrotola con una mano per
riporla con accortezza sotto la mia nuca, anche lui sa che la testa va sempre
tenuta più in alto rispetto al resto del corpo quando si ha di fronte un
individuo privo di conoscenza.
Scostandomi con cura alcune ciocche dal viso, scopre un
modesto rigonfiamento sanguinante nella parte sinistra della mia fronte e si
appresta a reciderlo immediatamente con un lembo della camicia, senza
preoccuparsi di macchiare un suo prezioso effetto come accade
solitamente.
“Io che avrei voluto vendicarmi dei tuoi
dispetti… Adesso sei contenta
testaccia dura?! Mi trovo costretto a rimandare!” borbotta ironicamente
offeso, tamponando il punto in cui ho battuto la testa contro il
suolo.
“Sei fuggita via spiccando il volo così velocemente da
non darmi nemmeno il tempo di trattenerti con me…” confuta afflitto in poco più
che un sussurro. “Ed ora dopo che ti cacci nei guai… Ne esci pallida di morte”
definisce scuotendo la testa contrariato in un assolo
drammatico.
Fa scorrere amorevolmente un dito sotto la mia
palpebra chiusa scoprendola umida di lacrime, ed una tenue fitta di dispiacere
si leva in lui per avermi fatto piangere.
“Ti sbagli sai, sarò pure un lurido approfittatore, ma
ce l’ho una coscienza, anzi ne ho persino due!” sdrammatizza sorridendo per
discolparsi.
“Una buona ed un’altra più cattiva, stanno proprio
qui, sulle mie spalle! Si celano nella mia zazzera e sbucano fuori
all’occorrenza. Singolare, nevvero?” parlotta picchiettandosi sulla clavicola, in
un sogghigno rivolto alla mia persona che inizia a riacquistare i sensi ma non
può ancora controbattere.
Dopo aver atteso parecchio tempo prestando attenzione
ad ogni mio minimo ansito, l’intrepido Capitano sta quasi per cedere al
panico.
“Torna da me angelo mio…” invoca supplice portando la
mia mano debolmente stretta nella sua alle labbra.
Intorno a noi qualche curioso si è soffermato ad
osservare, ma dopo aver riconosciuto le nostre vesti truffaldine, quei abitanti
spauriti preferiscono allontanarsi alla svelta, senza indagare troppo sulla
questione.
Le mie funzioni vitali iniziano a ristabilirsi, il
battito del cuore si consolida e prendo di nuovo a respirare
normalmente.
Inspiro dal naso un’esile folata di vento che mi
riempie interamente i polmoni ridandomi vigoria.
Socchiudo gli occhi a poco a poco per farli abituare
alla gran luce che li investe una volta aperti, quando la vista diventa nitida
scorgo una distesa bianca al di sopra di me.
Bianco? Bianco… Candido come una nuvola, niveo alla
pari della neve …bianco come il soffitto della cameretta di Dylan.
Dove… Dove mi trovo, sono a
casa??
IO: “Nooo!” un grido lancinante e disperato
riecheggia in ogni più celato vialetto di West Caicos.
Mi rialzo in tumulto scontrandomi con qualcosa che mi
fa immediatamente ritornare in posizione supina, un forte dolore alla fronte
provoca in me un gemito e persino le lacrime agli occhi.
I-io non posso essere a casa… No, non devo!
Questa volta non l’ho desiderato, neppure esplicato…
Inizio a singhiozzare tremando, i miei occhi sono così
piangenti che non vedo nemmeno, come se dovessero riprendersi dopo essere stati
colpiti da un forte bagliore.
“Jen! Dolcezza… Va tutto bene, calma. Sei al sicuro
adesso…” la sua voce calda e confortante, pronunciata con una nota di
contentezza mista a preoccupazione, culla il mio burrascoso risveglio. Il mio
provato cuore sobbalza, sollevo la nuca più rapida che posso e m’imbatto con
immensa gioia nel suo stravagante pizzetto a treccine.
…Non posso crederci…
L’affascinante comandante del galeone più veloce dei
sette mari percependo il mio movimento china il mento per accertarsi sul mio
stato di coscienza, permettendomi così di avere la conferma che in questi
interminabili istanti di turbamento avevo tanto sperato.
“…Jack…Sei proprio tu…?” mugolo incredula in un fiato,
scrutandolo allibita.
Un largo sorriso rischiara il suo viso bruciacchiato
dal sole che sfioro appena con la punta delle dita per accertarmi sia
vero.
JACK: “Il solo ed unico, chérie” risponde suadente, tenendo impresso il ghigno
sorridente.
Emetto un profondo respiro di sollievo, ero del tutto
sconvolta, per un istante ho creduto di dovermi rassegnare al fatto che gli
ultimi cinque mesi della mia vita fossero stati soltanto una meravigliosa
illusione.
L’istante seguente la mia mente inizia a rimembrare i
momenti anteriori alla mia scampata visita nell’Ade.
IO: “Dopo tutto quello che ti ho detto…” affermo
dispiaciuta in un singulto, riferendomi alla discussione avvenuta poco fa nella
piazzetta.
JACK ridacchiando: “Non permetterò certo che il moto
irregolare della luna possa portarmi porti via ciò che amo di più a questo
mondo!” definisce altero, migliorando la mia posizione tra le sue
braccia.
Rimango stupefatta senza saper esattamente cosa
dire.
Come tento di muovermi però vengo trafitta da una
acuminata fitta alla testa che mi riduce a restare immobile senza poter compiere
gesti azzardati.
“Che diavolo mi ha ridotto così?!” domando alterata
ancora inconsapevole, cercando di soffocare il dolore portando una mano al punto
dolente nella parte alta della fronte.
JACK: “Eri ferma al centro di questa stradina, ti ho
chiamato più e più volte a squarciagola senza ricever da te alcuna risposta e in
quel mentre una carrozza per poco non ti lacerava al suolo” spiega ponderato,
senza tanti mezzi termini.
Con un violento sussulto ricordo il perché di tutto
questo.
Soffoco i singhiozzi per non apparire come una preda
impaurita rivivendo quegli istanti terribili, presa dall’agitazione ruoto il
collo abbastanza da poter scrutare attorno a noi ricercando quel riso gelido ed
infrangibile che prima mi ha resa incapace di compiere qualsiasi
cosa.
Nei paraggi non sta avvenendo nulla di ciò che mi
aspettavo, il ciglio della strada è del tutto deserto, gli abitanti
dell’isolotto proseguono il proprio corso ad occhi bassi, indifferenti, sembra
tutto ordinario e silenzioso, forse anche troppo…
Mi sorprende e atterrisce tutto questo.
“Respira… Tranquilla! E’ tutto finito, sei in salvo…”
mi conforta carezzandomi i capelli.
IO: “I..io…io l’ho vista..io… Era qui, lo giuro…!”
balbetto scossa con voce infranta.
JACK: “Cosa, chi hai visto?” indaga inquieto
brandendomi dal mento per placare la mia agitazione.
Lascio trascorrere qualche istante prima di
rispondere, quando mi appresto a dischiudere le labbra per replicare avverto una
gran rabbia salire verso l’alto dallo stomaco fino a pugnalarmi il
cuore.
“Quella che tu non conosci…” affermo
amaramente volgendo lo sguardo altrove.
Mi aspettavo un riscontro offeso da parte sua, gli
occhi al cielo spazientito almeno, ma Jack Sparrow è sempre tutto fuorché
prevedibile.
Distende le labbra in un sorriso furbesco e obbietta
beffardo: “Vorrà dire che la prossima volta renderemo ben chiaro fin da subito a
suddetta donzella che il qui presente Capitano non è più disponibile per alcuna
donna con le sue medesime intenzioni!” definisce sollevandomi accuratamente dal
terreno ghiaioso, riacquistando così una postura eretta.
Quando si accerta di tenermi ben salda tra le sue
braccia dà il via ad una camminata storna e dondolante giù per la discesa del
vialetto dal quale avrei potuto non far più ritorno.
Resto colpita dalla frase che ha appena enunciato, ma
non ho intenzione di darlo a vedere e per controbattere prontamente improvviso
un tono di voce poco convinto: “Credo di poter camminare da sola” lo contesto
saccente.
Solo adesso si degna di dirmi
così?!
Jack si blocca con un gesto meccanico, mi lascia
andare prima le gambe e poi allontana la mano da dietro la mia schiena
domandandomi dubbioso: “Ne sei proprio sicura?”
Rispondo affermativamente: “Ma si, certo! Ho solo
battuto la testa a terra, non è stato nul-…” come tocco con i piedi il terreno
tentando di rimettermi in normale equilibrio, la vista si appanna e sono
costretta a reggermi alla sua giubba per non cadere.
JACK: “Hai proprio ragione tu tesoro, non è stato
nulla di che!” ribadisce mordace con una cadenza di
rimprovero.
Mi gira così tanto la testa che non sono nemmeno in
grado di controbattere, rassegnata mi accosto stancamente alla sua
spalla.
Il Capitano mi riprende pazientemente con se e
prosegue in direzione del porto a ritmo del suo passo strampalato.
“…Grazie Jack…” bisbiglio grata prima di chiudere gli
occhi per abbandonarmi al sonno.
JACK: “Non dormire, apri gli occhi! Resta qui con me”
impone consapevole che se mi fosse davvero successo qualcosa dormendo non
farebbe altro che peggiorare.
Cerco di dargli ascolto, ma è molto complicato, tutti
i miei muscoli sono rilassati seppur doloranti e si trovano sul punto di
abbandonarsi al sopore.
“Devo trovare un modo per mantenere la tua mente
impegnata mentre raggiungiamo la Pearl… -confuta pensieroso tra se e se- Ho
trovato! – annuncia festoso- Elencami i nomi dei 7 pianeti del sistema solare!”
Definisce serioso.
Solo 7? Ah, vero… Urano e Nettuno saranno scoperti tra
un centinaio d’anni. Tutt’ora però dovrebbero esserne noti solo
6…!
“Sette? Perché così tanti?!” domando divertita
socchiudendo gli occhi per sforzarmi di rimanere desta.
“Sei stata tu una volta a paragonarmi ad uno di essi…”
rammenta amabile alla mia memoria soggiogata da troppe emozioni avvenute tutte
in un singolo eterno momento.
-
“Basta Jack, ti prego! E’ la quinta volta che mi fai
cantare questa lagna” imploro esasperata.
JACK: “Perché tu per l’appunto non l’hai ancora
imparata!” si legittima con rimprovero.
Sbuffo spazientita rimpiangendo di non essermi
addormentata sul serio, a costo di rimanerci secca per una grave emorragia
celebrale.
Siamo sulla via del ritorno, oltre le spalle di Jack
intravedo il centro cittadino sempre più lontano e i primi moli delimitare la
distesa cristallina del mar caraibico.
JACK: “Su, avanti! Non ti sento intonare neanche un
suono e ciò non ti è affatto salutare!” sottolinea
insistente.
…Non rimane che arrendersi con tale sfrontata e
suadente cocciutaggine…
Sospirando profondamente:“Il re la colpì, quella dama rapì… -accenno
debolmente- Nel
mare si…?”continuo interrompendomi
sul finale della strofa perché non lo ricordo.
JACK: “Rianimò!”
suggerisce.
IO: “Si ecco, contento adesso?! Basta, fine! Da qui
non la ricordo più” mento stancamente accostandomi a lui.
JACK: “Non riesci a convincermi dolcezza! -fissa
altezzoso- Forza! Poi come continua? …Il
cielo più…?” canticchia tre lemmi di questa mesta
cantilena.
“Intenso” controbatto svogliata.
JACK: “Nel
mare…?”
IO: “Cobalto” azzardo ironica.
JACK: “Come dici?!” sbotta ridendo. (La parola giusta che Jennyfer doveva pronunciare è
immenso,
tratta dalla canzone intonata dai prigionieri all’inizio dei Pirati dei Caraibi3
Hoist the colours NdAutori)
“Il colore del mare, azzurro cobalto! Nevvero
Capitano?”
JACK: “Ti sbagli dolcezza!” si contrappone
pensieroso.
“Davvero?! Allora mi illumini gran cervellone,
ho battuto la fronte a terra ma riesco ancora a vederci bene!!” sottolineo
risentita.
JACK: “Spiacente tesoro, non ho qui con me il bagliore
portatile del sole per emanar luce come mi hai raccontato tu stessa una volta,
ma…”
“Lampadina Jack, nel futuro l’hanno designata come
lampadina ” gli ricordo divertita interrompendolo.
“Ecco sì, la piadina ” assolve velocemente in
una smorfia contorta che procura in me una risata.
Inaspettatamente interrompe il ritmo già di per se
irregolare del suo cammino e adagio mi ripone a terra. Subito mi aggrappo
intimorita alle falde della sua giacca, si ripeterebbe l’episodio di prima dove
per poco non ricadevo nuovamente a terra altrimenti, ma vengo rassicurata dal
suo tono confortante: “Ti tengo io, non credere che ti lasci volare via una
seconda volta!”
Gli rivolgo un sorriso fiducioso e lascio che mi
avvolga a se, in modo da stare in piedi ma con il suo fermo e sicuro sostegno
attorno alla vita.
Provo a sollevare la testa distaccandomi dalla spalla
di Jack, ma subito la lesione della fronte torna a pulsare bruciante e sono
costretta a tornare nella mia posa precedente.
Dopo aver chiesto conferma sul mio stato ricevendo un
acconsento da parte mia esplica estasiato: “Osserva tu
stessa!”
Rimango per un attimo smarrita, fin quando il suo
braccio si allontana leggermente da me per sollevarsi sino ad indicare
l’orizzonte dritto dinanzi a noi.
Ruoto leggermente il collo, a pochi centimetri dal
pontile su cui ci troviamo ravviso un’immensa distesa cristallina capace
letteralmente di mozzare il fiato costeggiarci smossa appena da un magnetico
impeto.
E’ davvero così bella la vista da qui…? Per tutto
quello che è successo non me ne sono proprio resa conto.
“Ebbene, cosa vedi ora?” domanda enfatico dopo qualche
istante di sbalordimento.
Possibile che noi sciocchi mortali non siamo neanche
in grado di apprezzare certi strabilianti spettacoli che la natura
silenziosamente ci offre? Se ci allontanassimo per un attimo, anche solo un
istante da ogni forma di saggezza e vile concretezza la vecchiaia non
esisterebbe neppure… Nel mio tempo siamo ridotti ancor
peggio…
“Acqua cerulea, schiuma bianchiccia… Onde, spuma,
bollicine, barche… Cosa dovrei distinguere di così singolare?” sostengo
incuriosita dopo essermi ripresa dallo sgomento.
JACK: “Quei colori prodigiosi ad esempio” esorta con
lo sguardo del tutto rapito dal dolce ondeggiare marino.
“Azzurro, blu, celeste… Pervinca! Cobalto…” elenca
ammaliato dilatando a poco a poco un sorriso.
Aguzzo la vista e mi rendo conto che ha davvero
ragione, non esiste un solo colore dove racchiudere la tonalità dell’intera
distesa acquea.
Ciascun onda che avanza e poi si frantuma sulla sabbia
porta con se una sfumatura differente mai simile ad un’altra, trascinandosi
dietro anche una nuova emozione.
“Non è una singola macchia colorata, ma uno sconfinato
specchio capace di portarti sin dove il sole nasce e muore oltre la linea
dell’orizzonte. Dovunque desideri andare esso ti conduce, il mare è questo in
realtà. Non è solo acqua, sale e bollicine, sì, il mare è fatto così, ma ciò che
è...ciò che come la Pearl è in realtà...è libertà!” pronuncia
nostalgico.
Assecondo la sua convinzione a dir poco incredula
prima di confutare scherzosa: “Ognuna di quelle tinteggiate frangenti sembra una
sfumatura della tua personalità…Ed io sono innamorata di ognuna di esse!”
confesso facendo scorrere debolmente la punta delle dita lungo il contorno del
suo viso situato a poca distanza dal mio.
Il fiero Capitano ne rimane colpito, ma non lo da a
vedere, si limita solamente a ricercare il mio sguardo per trarne una
conferma.
Rincuorato dalla mia espressione gaia si appresta a
chinarsi maggiormente su di me per sigillare il tutto con un bacio quando un
suono esterno seppur flebile lo interrompe tendendogli i
nervi.
Un sospiro trasognante giunto dall’alto richiama
l’attenzione del Comandante che ora ne ricerca il mittente con occhio
truce.
Ripercorre con gran velocità una chiglia nera che poi
riconosce come quella del suo stesso galeone corvino e dalla balaustra del ponte
individua affacciato verso il molo su cui posteggiamo il suo marinaio francese
osservarci incantato con la testa sorretta da una mano.
Jack contraccambia l’invadenza subita con un ghigno
rabbioso che fa atterrire io mio povero Andrè portandolo alla
fuga.
Meglio darsela a gambe prima che il gato ti
trovi!!
-
Mistake and forgive
“I messaggeri
d’amore dovrebbero essere i pensieri,
che corrono
dieci volte più ei raggi del sole,
quando
cacciano le ombre dalle cime dei monti.
Per questo
colombe dalle ali veloci portano Amore;
e per questo,
Cupido, fulmineo come il vento,ha le ali.
-William
S.-
Il passo baldanzoso del Capitano preceduto dal mio
tentennante e sofferto fanno ingresso sul ponte deserto della Black
Pearl.
Jack rivolge una minuziosa occhiata al circondario
senza avvistare con successo il cuoco francofono, quindi inizia a borbottare tra
se e se sprezzanti ingiurie mente mi assiste benevolo nel sedermi su di un baule
contenente del sartiame.
“Rimani pure qui tesoro, torno tra un momento.” si sforza di apparire gentile quando invece digrigna i denti per la
rabbia.
“Jack! –lo richiamo trattenendolo debolmente per un
braccio- …Se lo trovi non sgridarlo, per favore, non ha fatto nulla di male!”
gli prego con sguardo supplice riferendomi ad Andrè.
Non ricevo alcuna risposta da parte sua, benché prima
di proseguire ad andatura molleggiante increspa le labbra in una smorfia
spazientita come a significare controvoglia un “va bene”.
L’osservo allontanarsi sollevata, spero mantenga la
parola piuttosto, quindi nell’attesa cerco di oppormi al dolore proveniente
dalla fronte.
Provo a distrarmi per non pensarci diminuendo così il
tormento, in questo intento ci riesce benissimo un insolito sbattere d’ali
proveniente da poppa, accanto al castello del timone.
Mi chino in avanti per osservare meglio, ma dalla mia
posizione riesco a distinguere solo un’ombra in movimento.
Faccio forza prima sulle braccia ottenendo così un
bello slancio per alzarmi, in seguito sulle mie ancora deboli gambe che cedono
lievemente mentre mi trascino nella direzione dell’oscuro rumore reggendomi alla
balaustra.
Arranco sino a giungere nelle vicinanze, durante tutto
il tragitto percepisco i piedi come pesanti blocchi di ghiaccio in contrasto con
la mia avanzata, ma riesco ad arrivare a destinazione.
Con gioia mista a sollievo scorgo solamente il
brizzolato ciuffo di Andrè, intento ad addomesticare un piccione o almeno così
sembra.
Rimango qualche istante in disparte ad osservarlo
incuriosita e allo stesso tempo divertita: trattiene il volatile dalle zampe a
cui ha legato dei lunghi lacci, nel frattempo l’accarezza amorevole parlandogli
in francese con la voce ridotta ad un sussurro.
IO: “Psssst…!” sibilo con l’intento di attirare la sua
attenzione.
Il mio dandy si volta di scatto sobbalzando, per poco
non fa persino volar via il pennuto, alla mia vista tuttavia si tranquillizza
rivolgendomi un raffinato saluto.
ANDRE’: “Mademoiselle, vi pResento Charlotte! [dice indicando il piccione]
Charlotte, ma cher, saluta!” esorta raggiante rivolgendosi
all’animale.
Il columbidae (non è una
parolaccia, si scrive davvero così! Lol)
replica grugando (verso del piccione NdAutori)
ignaro, ruota leggermente il collo e
sbatte ad intermittenza gli occhietti arancio.
Ridacchio frastornata carezzando dolcemente il manto
piumato della creaturina ferrigna.
Dopo qualche lusinga rivolta all’animale l’umore del
pirata muta improvvisamente, diviene cupo, affranto…
A testa bassa mormora con la sua cadenza
inconfondibile: “SpeRo posiate peRdonaRmi peR pRima… Non volevo eseRe
minimamont d’impiScio!” ammette afflitto.
Scuoto la testa negando la sua affermazione in modo da
rassicurarlo.
“InveSce oui Jennyfer, vi ho pRivato di un baScio
d’amoRe …Et io steSo non so cosa daRei peR poteRne daRe seulement uno altRo encore à ma douce Marié!” s’incolpa greve profondamente
dispiaciuto.
IO: “Andiamo, non essere sciocco! Non importa, va
tutto bene, sul serio, stai tranquillo Andrè! –lo discolpo indulgente-
Piuttosto, chi è Marié, tua moglie per caso?” domando
incuriosita.
Dalla luce con la quale s’illumina il suo volto dopo
il mio quesito intuisco già la risposta: “Exactement! Insieme abiamo quatre splendidi bambini, non li vedo da ben sete anni
quand laSciai la mia amata FranScia peR le Nouveau Monde in SceRca de chance
(fortuna)…!”
racconta in un velo di
mestizia.
Imito il suo sguardo afflitto poggiando una mano sulla
sua spalla come supporto.
“SaRano ainsi (così) cResciuti…” confuta
abbozzando un sorriso triste.
“Capisco benissimo quanto ti manchino!” ammetto
ripensando al mio piccolo Dylan come spesso mi accade.
ANDRE: “Oji saRebe stato le notre anniveRsaRio di noSe!” rivela con occhi velati di
rammarico ma sempre sorridendo.
IO: “Dici sul serio?! Oh, tanti auguri Andrè!!
[comincio entusiasta] … Però mi dispiace davvero tanto, non potrai trascorrerlo
accanto lei…!” concludo crucciata.
“Merci (grazie)
Jennyfer. Devi sapeRe che moi et elle (io e lei)
abiamo come una tRadiSione selon lequel (secondo cui)
ogni ano in questo JoRno Sci inviamo a
viScenda un mesaJero comme Charlotte peR tRaspoRtaRe un petit mais romantique (piccolo ma
romantico)pensieRo…” favoleggia
attorcigliando accuratamente il lungo gambo di un fiore intorno alle zampe del
piccione.
…“Quella quaglia spennacchiata non volerà 10 miglia
più lontano da questa baia, come credi che sarà in grado di librarsi nell’aria
fino alla tua patria di eunuchi?!”
La figura del Capitano si materializza alle nostre
spalle interrompendo il racconto per infierire con voce sdegnata e un ciglio
esageratamente inarcato.
ANDRE’: “S-s… Salut Capiten!” balbetta tramortito stringendosi nelle spalle con
la schiena incurvata dalla paura.
“E’ un jesto symbolique signoRe, ahimè lo
so, ma cher Charlotte non Junjerà mai fino en France…” ammette contrito ultimando il mazzetto floreale
attorno agli artigli del volatile.
JACK: “Vorresti dunque spiegarci lo stolto motivo per
cui lo fai ugualmente?! …E’ un gesto balordo” commenta
avverso.
IO: “Invece io trovo che sia dolcissimo! –mi oppongo
in difesa del suggestionato francofono- Dimostra che nessun tipo di lontananza
sarà mai in grado di disgiungere due cuori innamorati. Potrebbe esserci il mare
nel loro mezzo, come Andrè e Marié, o persino l’intero
universo.
Ma il loro forte legame fronteggerà ogni distanza
e la passione
presterà loro il tempo, i mezzi e il modo per rincontrarsi e consolare le
estreme sofferenze con estreme dolcezze… [aforisma di W.S.]” definisco fiduciosa per rincuorare
Andrè.
L’intimidito pirata asseconda il mio pensiero
sovrastando delicatamente la mia mano e trattenendo sempre Charlotte nell’altra:
“C’est vrais mademoiselle!” (è vero) mormora consapevole.
Rispondo al suo tentennamento col sorriso, il caro
Andrè ha un’età molto più avanzata della nostra, ciò gli conferisce parecchia
esperienza. Capisco quanto deve soffrire lontano da casa, anche lui come me ha
lasciato tutta la sua vita per amore. Io devo ritenermi più fortunata di lui, ho
l’uomo che amo al mio fianco, mentre il caro cuisinier si accontenta di sognarla sempre e compiere una volta
all’anno quest’allegorica tradizione.
IO: “Non sei solo Andrè” assento avvolgendolo in un
abbraccio affettuoso, aumentando ancora di più l’irritabilità del
Capitano.
Lo stralunato filibustiere compie qualche passo
posizionandosi dinanzi a noi, non’appena è abbastanza vicino afferra bruscamente
per una spalla il marinaio francofono portandolo via da quell’abbraccio che gli
aveva tanto scaldato il cuore.
JACK: “Ti stai ghermendo di troppa libertà amico!”
intima minaccioso volgendo il proprio sguardo iroso a pochi centimetri sopra il
naso a patata di Andrè.
ANDRE’: “C… C-credo che voi stiate fRaintendendo
monsieur…!” tartaglia indietreggiando per guadagnare lo spazio
necessario a mettere in pratica una nuova fuga.
“Jack! -intervengo con rimprovero fiancheggiando il
mio ganimede per compromettere la sua disfatta- ti avevo chiesto di non
prendertela con lui!” gli ricordo corrucciata.
JACK: “Se non erro TU mi avevi promesso che non ti
saresti più avvicinata ad alcun uomo tranne il sottoscritto (vedi capitolo 5 - Better Days -
Sentences)” controbatte puntandomi
contro un indice accusatore e volgendo la bocca in una smorfia
contrariata.
“Io non ti ho promesso proprio niente, che razza di
condanna era poi quella?!” mi difendo alterata.
JACK: “Quale inutile significato ha, dunque, far
recapitare dall’altra parte del mondo 2 fiori e una letterina da un canarino
annerito in grado di fare solo il giro dell’isola prima di tornare indietro?!?”
replica carpendo il pennuto con volto truce per coinvolgere ancora una volta
l’innocente Andrè.
Il povero francese intona disperato una cantilena di
“…Nu nu nu nu nu… la pRego Capiten…”
Metto da parte per un istante tutti gli acciacchi
della caduta che mi impediscono di valorizzare al meglio le mie difese, per
esplicare con voce ferma ma efficace: “Al posto di criticare con cinismo prendi
esempio da lui piuttosto! Ama così tanto sua moglie da portarla sempre dentro al
cuore, a discapito di tempo e distanze. C’è fiducia, complicità, speranza… Amare
non significa recludere il soggetto del nostro amore in uno scrigno di cristallo
per il nostro piacere. Ha bisogno di essere nutrito con credito, intesa,
benevolenza… Non può essere sforzato ad essere tale sin dal principio, con
gelosia e sospetto! In questo modo finirà solo per marcire emanando l’olezzo
immemore della malerba. Ma tu che ne sai Jack… Non me l’hai mai neppure regalato
un fiore…” convengo spiaciuta.
Il Comandante reagisce in silenzio, per mezzo solo
degli occhi che si dilatano maggiormente la durata di un secondo, prima di
tornare immediatamente alla loro inerzia soffocante.
“Ed ora, se vuoi scusarci… -contesto irritata
strappando dalle sue mani la povera Charlotte- Andrè, andiamo a prenderci una
tisana in cucina?” propongo con tono più entusiasta possibile prendendo
sottobraccio l’attonito dandy ancora frastornato dalla nostra discussione di cui
ha preso parte ingiustamente.
JACK: “In cucina? Sempre quella maledetta cucina, mi
piacerebbe sapere cosa vi succede di tanto in tanto!” enuncia saccente con una
punta di sdegno per riprendere tono.
IO: “Vuoi proprio saperlo? Bhe, è il qui presente
Andrè l’artefice di tutto quello che finisce nei piatti e nelle pance smodate di
questa ciurma, se proprio ci tieni ad esserne informato!” definisco sdegnata
strattonando la giubba del cusinier il quale si fa prendere da un ondata di
agitazione ed inizialmente nega nel panico le mie parole, ma poi si trova
costretto a confermare la reale versione dei fatti.
Jack rimane a bocca aperta, ci fissa sconcertato,
forse nauseato, troppo sconvolto per reagire di rimando.
“L’eunuco qui presente con il grembiulino anche ai
fornelli??” sbotta torcendo il naso disgustato come
temevo.
Tronco quella sciocca obiezione con un dietrofront,
proseguiamo come prima stabilito nel regno culinario della nave, capitanato dal
migliore chef esistente nella Francia di questo tempo.
“E comunque qui sono IO il Capitano, perciò pretendo
di essere messo al corrente di tutto!!!” precisa iroso ormai in
lontananza.
Ci allontaniamo quieti dalla figura erronea del
Capitano, raggiunta una discreta distanza Andrè sibila preoccupato: “Non dovevi
diRglielo…! Hai visto, mi ha pReso en giRo…”
IO: “Prima o poi l’avrebbe scoperto da se”
ANDRE’: “Et puis ainsi (e poi così) faScendo si aRRabbieRà de plus mademoiselle! Lasciatemi il bRaScio almeno…”
IO: “Non ti stringo così per farlo innervosire, è che…
Non riesco a camminare se non mi tengo a te” rivelo titubante cercando di
zoppicare il meno possibile.
ANDRE’: “Pourquoi, cosa vi è suSceso?!?” chiede
preoccupato.
IO: “Posso assistere anche io alla partenza di
Charlotte?” domando prontamente per cambiare discorso.
“Jennyfer…” mormora il bucaniere con
rimprovero.
Mi appresto a rispondere rassegnata, quando la mia
voce viene sovrastata dal richiamo-ruggito iroso di Jack nei confronti del
marinaio europeo.
“Adeso mi amaSa adeso mi amaSa…” dice con voce
tremante rivolgendo un fulmineo sguardo alle nostre spalle dove si trova il
Capitano.
“Sta calmo, non ti succederà nulla! Deve passare sul
mio corpo prima” stabilisco infervorata per
tranquillizzarlo.
Annuisce pencolante, emette un respiro profondo prima
di tornare coraggiosamente sui suoi passi.
Al cospetto del Capitano mantiene la testa bassa e un
portamento solenne, ma viene sorprendentemente accolto da una calda pacca sulla
spalla seguita da un cenno di avvicinarsi per confabulare
qualcosa.
Vigilo il tutto da lontano assicurandomi che ad Andrè
non venga fatto alcun male, invece questa insolita reazione di Jack mi spiazza
del tutto, ancor di più suscita in me una irrefrenabile
curiosità.
…Cosa starà mai architettando?
Andrè al suo ritorno aveva negli occhi uno strano
luccichio, ha badato bene di sorvolare sul discorso tenuto con il Capitano, non
sono riuscita ad estorcergli mezza parola.
Vinta dal tormentarlo gli ho mostrato la mia fronte
malconcia, egli molto amorevolmente ha provveduto subito a medicarla con un
infuso di ricetta segreta.
“Le voilà!” annuncia vittorioso una volta terminata la
cura.
IO: “Secondo te rimarrà qualche cicatrice?” domando un
po’ preoccupata.
“Mais no (ma no)
Jennyfer, è solo un peu (poco) sbuSciato!
ImpiegheRà qualche joRno per guaRiRe poi saRai come nuova!” proferisce
fiducioso.
Tiro un lungo sospiro di
sollievo.
“Intanto posso mascherarla con il ciuffo” l’assecondo
rincuorata sistemando le ciocche di capelli con le dita.
Dopo essersi accertato che sono più tranquilla il
dolce cuisinier torna dietro il banco
da lavoro, spesso lo sorprendo a lanciare brevi occhiate al di fuori della cucina sul ponte
principale.
Incuriosita mi volgo anche io a
sbirciare, ma vengo subito interrotta
dal suo intervento inquieto: “NU mademoiselle, state comoda qui seduta!” esorta apprensivo
accorrendo al mio fianco per farmi raddrizzare sulla
sedia.
“Cosa succede Andrè?!” sbotto
insospettita.
ANDRE’: “Rien! Pourquoi?(niente! Perché?)
AnSi… Che ne diResti di andaRe a Riposare
un poco le tue membRa stanche en cabina, n’est pas?” propone trattenendomi di spalle dopo l’ennesima
adocchiata al di fuori della porta.
“Dimmi-subito-cosa-sta-succedendo!” scandisco irritata
così come non ho mai fatto con lui.
“GuaRda come sei tesa, il Riposo può faRti bien,
vas(vai)!” recita
imperterrito.
Con la sua innocente gentilezza mi aiuta ad alzarmi e
mi scorta sino alla porta.
“Che diamine avete architettato voi due, me lo dici?!
Nelle mie condizioni non sono in vena di scherzi, vi avverto.” definisco
bizzosa.
“Come diSci? Ma che sciocheSa! PRenditi tout
l'après-midi (tutto il pomeriggio) di Riposo ma cher! Alla cuScina penso io, non abiamo
neanche plus la pReocupaSione del Capiten oRa” avversa
sollevato.
Gli rivolgo un’occhiataccia indagatrice, ma lui non ne
fa peso. Con volto sereno continua ad indicarmi l’entrata del corridoio che
conduce alle cabine.
Se c’è sotto qualcosa di losco la faccio pagare cara a
tutti e 2 quei… PIRATI!
Mentre seguo il suo consiglio do una rapida occhiata
al circondario, non vorrei sbagliarmi ma ho come l’impressione di intravedere da
dietro un barile contenente polvere da sparo la bandana rosso porpora di Jack
prima mostrarsi e poi ritrarsi fulminea dietro al suo
nascondiglio.
No… Avrò solo visto male…
Scuoto la testa confusa e proseguo verso le
cabine
come suggerito da Andrè.
La porta del corridoio si apre con un cigolio, lo
trovo deserto come sempre, ogni stanza ha l’entrata spalancata pronta ad
accogliere caldamente lo spettatore con impeccabile ordine e il lusso che le
contraddistingue.
Cammino piuttosto svelta nonostante gli impedimenti
della caduta, ormai è automatico questo percorso, potrei raggiungere la nostra
ad occhi chiusi.
Temo un po’ per ciò che mi aspetta, le alternative di
vendetta tuttavia mi rasserenano.
Giunta all’uscio della camera da letto un’insolita
presenza al mio fianco mi fa sussultare, nel raggiungere la soglia non avevo
fatto caso ad un’enorme ombra nera alta almeno quanto uno stipo stagliarsi turpe
lungo tutta la parete.
Compio un balzo all’indietro ed assumo una posa
difensiva seppur nel mio sguardo vi è impresso solo
terrore.
Il battito del cuore rimbomba nella gola, le labbra si
seccano al punto di impedirmi di parlare, ma un vocione profondo e familiare mi
precede porgendomi il proprio saluto con una nota
divertita.
…: “Salute bellezza, come andiamo?”
Dalla penombra appare, con il viso celato da un
cappello piumato di larga visiera, il ponderoso Jimmy in tutta la sua imponente
vigoria.
Abbandono ogni ostilità, rimpiazzo le asce di guerra
con un largo sorriso seguito da un caldo abbraccio verso l’uomo che una volta mi
ha salvato la vita e senza cui adesso non mi troverei ancora
qui.
“Jim…!” affermo incredula semi-soffocata dalle sue
muscolose braccia.
JIMMY ridacchiando: “Ti ho forse
spaventata?”
IO: “Bhe, io… Non me l’aspettavo, cosa ci fai qui? Da
quanto tempo! Sei stato via molto, ci sei mancato!!” farfuglio incredula presa
alla sprovvista.
Dopo aver deciso di rimanere qui per sempre e Dylan di
far ritorno nel futuro Jimmy è rimasto ben poco insieme a noi, trascorsa qualche
settimana ha annunciato di avere qualcosa d’importante da sbrigare, raggiunto il
primo porto è sceso a terra per ripresentarsi solo ora.
JIMMY: “Sai com’è… Avevo da togliermi qualche sfizio,
ma ora sono pronto di nuovo a servire fedelmente il mio Capitano!” rivela
fero.
IO: “Ne sono molto contenta!” rispondo sinceramente
lieta di riaverlo con noi.
JIMMY: “…Per l’appunto ora metterò in pratica il primo
incarico affidatomi dal Comandante…” esorda inginocchiandosi a
terra.
“Com-..?” Non mi viene dato neanche il tempo di
braccare il senso delle sue parole, le mani brutali di Jimmy scendono sino ad
afferrarmi il tallone destro e lo ripongono sopra il suo robusto
ginocchio.
“…Posso?” domanda garbato impugnando il tacco dello
stivale. Annuisco seppur un poco sconcerta ed intimorita da questa insolita
esecuzione. Con il minimo sforzo sfila il calzare lasciandomi a caviglie e piedi
scoperti nonché sempre più perplessa. Fa lo stesso con il piede sinistro, questa
volta per non sbilanciarmi trovo appoggio sulla parete attigua, nonostante i
gesti di Jimmy siano molto cauti.
JIMMI: “Che piedini morbidi e graziosi!” commenta
alzandosi per riporre i miei stivali in disparte.
“Io aggiungerei callosi anche!” scherno contraria,
quando si indossano da mattina a sera degli stivali tutt’altro che comodi…
JIMMY sogghigna divertito: “Da questa parte dunque
occhio di pernice (specie di volatile, ma anche un detto per indicare i
duroni come in questo caso ^^’ NdAutori) sprona mostrandomi la porta della
prestigiosa cabina di proprietà del Capitano.
Rispondo con una smorfia del tutto offesa sporgendo
maggiormente il labbro inferiore.
Come mi ha chiamata?!? Argh, ringrazia che somigli
moltissimo a mio padre e sei grande come un enorme guardaroba a due ante
Jimmy!!
IO: “Ma che significa, siete impazziti tutti oggi?!”
domando attonita mentre, dopo essermi opposta al suo invito, vengo spinta
all’interno dalla sua energica manona.
JIMMY: “Non temere bocciolo!” mi rassicura prima di
forzare un mio ultimo passo richiudendosi in fretta la porta alle
spalle.
I miei piedi discinti affondano subito in qualcosa di
liscio e fresco innescando in me un sentore piacevolmente
rilassante.
Atterrita volgo subito lo sguardo al pavimento, con
immensa meraviglia mi accorgo dell’intera superficie nei dintorni del letto
immersa in un assortito fiume fiorito, il quale via via procedendo s’intensifica
sino a raggiungere l’altezza del ginocchio.
La cabina si presenta ai miei occhi rischiarata dal
delizioso sole del meriggio (influenza
Montaleniana :P NdCapitana), i finestroni lungo le
pareti sono stati del tutto privati delle tende scure che solitamente li
abbuiano. Il lettone matrimoniale è sfatto come sempre, ma le lenzuola sono
disposte con pieghe ben studiate per formare un ornamento elegante, in cornice
ad una distesa di petali rosei.
Le assi cupe del pavimento sono scomparse per essere
ricoperte da un variopinto tappeto di veri fiori in mille varianti e
colorazioni.
Lo stomaco si chiude in una morsa di stupore, il cuore
batte come un tamburo, le gambe tremano leggermente e la mia bocca è spalancata
dall’incredulità al punto che devo ricorrere ad una mano per chiuderla
altrimenti rischio di perdere la mandibola, è tutto così incredibile, disposto
alla perfezione…
Inspiro per un istante l’aria profumata della stanza
per convincermi che sia tutto vero, non solo il frutto di un miraggio.
Chiudo gli occhi per dei lunghi istanti, poi li riapro
esitante… E’ tutto ancora identico, non lo sto immaginando
allora!!
Mi ritrovo a ridere come una sciocca tra me e me,
presa da stupore, sbalordimento, commozione…
Strofino con le mani più e più volte gli occhi, ho
quasi paura di non essere del tutto sveglia ma di star aleggiando sulla scia di
un sogno, dopo energici pizzicotti riscontro per certa di esser
desta.
Prendo coraggio, emetto un respiro profondo e
“immergo” il primo piede nella distesa fiorita, tremante come il primo sole di
primavera.
Mi muovo molto lentamente tra i delicati petali,
assaporo ogni lieve tocco e mi rallegro di ogni contatto con questa magnifica
piana erbosa.
Allargo le braccia giocosa come se stessi camminando
in equilibrio, fino a giungere al letto dove per un altro istante il mio cuore
si ferma ancora.
(prospetticamente
imperfetta lo so ^^' abbiate clemeza, non li so fare i miracoli altrimenti non
sarei qui ma a riportare in vita qualcuno =P NdCapitana)
I petali di rosa che avevo distinto sopra cosparsi non
erano disposti casualmente, nel loro insieme formano una scritta! “Mi
dispiace” recita mesta.
Non sei proprio capace di dirlo a voce, vero
Jack?
Sorrido rincuorata finalmente, scuse accettate
mascalzone!
Nel muovere un altro passo avverto una puntura sulla
pianta del piede, mi sbilancio talmente tanto che finisco con il sedere per
terra.
“Ohiiii…” Mormoro a denti stretti massaggiandomi il
fondoschiena, ci mancava solo questa!
Da questa posizione individuo facilmente la causa del
danno, si tratta di uno stelo spinoso un tempo appartenuto alla rosa deturpata
da quel filibustiere per scrivere le sue scuse.
Spero che ti dispiaccia anche per questo!!
Mentre lancio silenziosi insulti a quell’incauto
bucaniere la mia attenzione viene attirata da un singolare fiore in risalto
rispetto agli altri per il suo particolare candore. Raccolgo dalla mischia una
corolla di gardenia, la tengo tra due palmi col timore di gualcirla e l’avvicino
alle narici respirandone la sua dolcissima fragranza.
Questo fiore è familiare… In quale altra occasione ho
avuto modo di trovarlo? La mia mente sta per materializzare un ricordo, quando
viene spezzato.
…“Cosa ne dici, possono bastare tutti questi?” domanda
riferendosi ai fiori.
Riconosco alle mie spalle il tono deciso del
Comandante, prima di rispondere lo lascio avvicinare assistendo quieta a tutta
la sua entrata pacata e dondolante nonostante sa benissimo di essere in torto
marcio.
Quando tenta di sfiorarmi mi volto di scatto
rivolgendogli un’espressione truce ben armata di “proiettili”
floreali.
Anche se mi trovo in svantaggio dovendo rimanere
seduta a terra, prendo bene la mira, implico un po’ di forza nelle braccia ed
inizio a bersagliarlo di corolle e bocci.
“Sei un farabutto, un brutto villano maleducato,
ingannatore, predone, disonesto, furfante!” inveisco rabbiosa di ogni oltraggio
durante i lanci.
Alcuni “proiettili” vanno a vuoto, altri colpiscono
Jack solo di striscio, molti si arrestano tra la zazzera scarmigliata dei suoi
capelli e da tutti trae riparo con le mani dinanzi al viso continuando comunque
ad avanzare.
Quando abbassa le difese per scrutarmi inorridito con
il suo caratteristico scintillio stralunato approfitto di un ultimo tiro che
atterra direttamente nella sua bocca impedendogli di
controbattere.
Il Capitano fa mostra di un’espressione disgustata, si
volge leggermente e sputa schifato il bocconcino vegetale non proprio
commestibile.
JACK: “Diamine, ma… Cosa diavolo ti è preso??” erompe
frastornato.
IO: “A
me?! Tu piuttosto!” replico infuriata armandomi di altre “munizioni” per
ricominciare il mio attacco.
Questa volta mi rendo più insistente, Jack evitando la
serie di colpi compie dei movimenti strapalati che infine gli fan rovinosamente
perdere l'equilibrio.
Approfitto del suo stato in bilico per metterlo a
tappeto con un’ultima spinta, faccio sì che non si divincoli portandomi sopra di
lui ancora a terra.
JACK ansando: “Ero certo di meritar ringraziamenti
migliori… Non tutti quei insulti!” protesta confuso.
IO: “Dopo tutto il male infierito ad Andrè puoi
scordarteli!” controbatto indignata.
Il Comandante strabuzza gli occhi spazientito prima di
riuscire a trarsi seduto almeno.
JACK: “Vedrò di farmi perdonare anche da quel
francesino fru fru…” borbotta per nulla convinto.
Se in questo momento potessi vedere le sue mani celate
dal fiume di fiori mi accorgerei delle sue dita
incrociate.
“Bene!” dico soddisfatta.
Segue un silenzio carico di tensione entro il quale il
Capitano mi fissa scrutatore, questa volta pronto a rispondere al
“fuoco”.
JACK: “C’è dell’altro per caso?!”domanda
impensierito.
“Ah si, dimenticavo! –replico portandomi più vicina a
lui- Ti amo mascalzone…” concludo carezzandogli la guancia e deponendo sulle sue
labbra uno dei più grandi baci d’amore che abbia mai dato.
Il filibustiere abbandona le “cartucce” di cui si era
attrezzato per avvolgermi a se.
“…Mi sei mancata” mormora sorridendo dopo essersi disgiunto leggermente seppur ancora ad
un soffio da me.
Per trarmi fuori dall’imbarazzo mi guardo intorno ed
esplico estasiata in un fil di voce: “Jack… Santo cielo, sono davvero splendidi…
Come hai fatto, tutto da solo?”
JACK: “Tesoro, stai dimenticando una cosa importante
di me… Sono Capitan Jack Sparrow!” pronuncia altezzoso.
Non ti smentisci mai!
“Sentivo l’assenza di tutto questo, per questo ho trattato male
Andrè ” rivela mentitore, con un furbesco ghigno
innocente.
IO: “Ora
non cercare scuse! -l’ammonisco ironicamente truce- Piuttosto… Arrenditi!”
sopraggiungo puntandogli al collo il gambo spinoso spoglio dei petali di rosa,
come se fosse il più affilato dei pugnali.
Jack si ritrae indietro istintivamente procurando in
me una sonora risata. Mostro lui la mia “arma letale” e sogghigna sollevato a
sua volta.
JACK: “Come avrei fatto senza più questo limpido
riso?” domanda in forma retorica sfiorandomi dolcemente i capelli. Con il suo
amorevole gesto ha modo di ostentare il polsino malridotto della sua camicia, il
mio sorriso muta subito in uno sguardo afflitto.
IO: “Cosa ti è successo??” domando angustiata
scoprendo a poco a poco quel lembo di stoffa consunto ed
insanguinato.
Cerca di rassicurarmi prestandogli noncuranza, ma quei
graffi mal rimarginati non mi convincono affatto! Se li è sicuramente causati in
seguito alla caduta dopo l’incidente di oggi…
“Togliti la camicia!” ordino alzandomi e volgendo in
tutta fretta verso l’armadio contenente le medicazioni necessarie usate anche la
scorsa notte per il suo mento malconcio.
“Devo togliermi la camicia…” confuta in tono malizioso
con un ghigno stampato in viso altrettanto malpensante.
Biasimo la sua affermazione con fare contrariato ma
sempre sarcastico: “Non farti strane idee briccone!”
A volte appare complicato tradurre l’amore in qualcosa
di fisico… Ma la cosa veramente importante è che rimanga sempre
amore!
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Capitolo 8 *** Epiphany. ***
(Immancabile)
Nota delle Autrici: *Nota
aggiunta a piè di pagina*
Salve
a tutti!! ^^
Qui
è la Capitana, appena liberata da quei dannati esami che mi hanno esaurito in
tutti i sensi (domani dicono i risultati, dita incrociate! :S), il Capo non ha
ancora iniziato per cui le facciamo un grandissimo in bocca al lupo!!! ^^
Forsaaaa Capoooo!!!
Nel
frattempo informiamo tutti che il capitolo 7 è completato, abbiamo
aggiunto parecchie parti dopo il primo aggiornamento dell’ 8 Febbraio (se non le
avete lette vi consigliamo di farlo altrimenti poi diventa tutto poco chiaro ;))
e adesso finalmente inauguriamo il capitolo 8 Epiphany
(eh si è
l’influenza di Sweeney Todd a farmi mettere sti titoli…), ma un’epifania lo sarà
davvero ^^’ Dico subito che non sarà così breve, questa è solo la primissima
parte, la fine di questo capitolo darà una svolta decisiva ad Unty2 perciò non
perdetevi almeno quella ^^ Aggiorneremo al più presto le altre parti di questo
chapter segnalandolo nell’introduzione come solito, spero che ormai sia a tutti
chiaro.
Il
titolo della prima parte tradotta significa “prova del
crimine” degna d C.S.I =P LOL
Grissommm *w*
Ringraziamo
soprattutto…
Giu91:
Giulietta,
ciaoooo!! =D Urca, e io che mi pongo sempre il problema “scrivo troppo poco” ^^’
bhe mi fa tanto piacere allora, grazie!! :D Eh sì, hai rubato il primato (lol)
alla mia principessa recensendo per prima! ^^ Sono contentissima che ti sia
piaciuta quella parte romanticosa *w* Ok allora le prossime mail te le mando
tramite Charlotte così sfugge ai languorini improvvisi di Jack :P loool =* =*
Luna
91:
New entry! =D Piacere di conoscerti Luna!! ^^ Uh, grazie =$ Siamo onorate che le
nostre fic abbiano avuto questo effetto su di te e anche per il commento sulla
scrittura, confesso che nel mio caso la odio persino io, spero almeno che verso
gli altri abbia un effetto migliore ^^’ Grazie ancora Baciii
68keira68:
Ciao
Sara!!! =D Fortuna che queste attese estenuanti ripagano un po’ almeno ^^’ Mi
aspetta un’estate d puro poltrire, per cui spero di riuscire a far qualcosa di
sostanzioso!! :S Superman è proprio l’unico supereroe che odio, facciamo Jack
come Batman o qualsiasi altro ma il superuomo no XD Jenny ha fatto scuola da
Jack negli imbrogli, ci hai azzeccato ;) In questo chap scoprirete della donna
incappucciata che non c’è solo scompiglio da portare! ^^ Esatto esatto la donna
della carrozza è la “gitana” (in realtà non lo era, ma dei vestiti del 1660
apparivano così a Jenny ^^’) del primo capitolo d Unty1! Non preoccuparti più
del disguido d quella parte del capitolo XD Non dovevi nemmeno! Ti ho spiegato
meglio come erano andate le cose perché ci tenevo che lo sapessi ;) ^^ Aaaargh e
sono stracontentissima che la parte finale romantica ha avuto l’effetto che
speravo *w* William è SEMPRE azzeccato, non deve mancare maiii 8-D Grazie grazie
grazie per il tuo immenso entusiasmo =* =* Ti vogliam un gran bene.
_Celia_:
Altesa,
mah, che dico a te? Vediamo, che senza di te tutto questo non ci sarebbe
neppure, con te i grazie non bastano mai e se non ci fossi tu bisognerebbe
inventarti davvero =’) In ogni caso grasieeee =* Per tutto quello che fai sempre
^^ Eh si la tizia della carrozza eri tu mia cara, Miss Celia Wallace! 8-D (Il
nome Celia l’ha usato anche S!!!!!) La mia creaturina qui non è anche tua solo
perché sei un personaggio che ne fa parte (il pilastro più decisivo d tutta la
fic^^) ma anche per tutto il resto, tu sai cosa =) Lo devi registrare il
principe quando parla come Andrè!!! Hahaha XD Te lo ricordi ancora quanto mi ha
fatto ridere quel “cussì innocent” vero??? XD HAHAHA Se incontri ancora
Charlotte dille di star lontana dalla perla perché Jack le sta tendendo un
agguato!! 0_0 Spero che l’avrai indirizzata in Francia da Mariè e non in Austria
XD LOL Allora ci si rivede all’Isla de la Tortue! ^^ Mi porto un’ancora da dare
in testa al cretino <_< Pronta a cronometrare i 31 secondi netti?? :P
Pronta…Via! Ti voglio un mondo di
bien =* =* =*
Vanessola:
Salve
Mater Superiora!! ^^ Ma è sempre così, nessun elettrodomestico mi vuol bene, li
sfrutto troppo, vedo che con te è lo stesso XD No che non va bene se dici così!!
=D E’ anche contro il regolamento :P *pernacchia* Vero che era un’imitazione
perfetta di Vostra Onnipotenza? 8-D Sarà fiera che la veneriamo anche qui! Così
me ne scampo da essere indegna perché non venero Enrico, e non uscirtene con le
tue battute adesso =P Jennyfer XD Non chiamarmi Michelina!! Inzio a
richiamarti Vanny sai! Sì lo ammetto non vedo mai l’ora di leggere le tue
recensioni XD Già, le tue pantofoline sono bellissime vero?? Eh ma non avevano
il faccione d Enrico con scritto “quanto sono figo bididibodididibu” se no le
compravo anche per me -.- Devi metterle anche adesso che è estate! =P Per
Capitan Jack Sparrow e Johnny non ci sono altre parole se non “che uomo!!!” 8-D
In ogni caso grazie mille anche a te =* Aggiorna presto Eragon!!
Baciiii
daphne
greengrass: Salve
ragazze!! =D (adesso ho imparato visto? XD LOL) Siamo contentissime che abbiate
apprezzato quella parte di raggiro alla Sparrow da parte di Jenny!! ^^ Speriamo
che vi piaceranno anche le prossime :D Grazie, bacioniii a presto =*
JiuJiu91:
Ciao
Giulia!!! =D Non ti preoccupare, sono una specialista del ritardo in qualsiasi
cosa anche io, ma l’importante è arrivarci prima o poi no? XD Urca latino :S Io
non se so mezza parola, siamo felici però di aver battuto questo avversario!! ^^
hahaha Ma si, tutti gli anni di teatro che hai fatto avrai raggirato benissimo
la tua mamma ;) Già, Jack ne ha combinata una delle sue però ha saputo farsi
perdonare dopo ^^ Ma ecco che in questo chap ci ricasca :P Insomma, volevamo
alleggerire un po’ il tutto prima della svolta che avverrà a partire dalla fine
del capitolo ^^ Non dico niente :P Grazie mille per pensarci sempre =* =*
Salutami Kathy! A presto un bacione!!!
Blue
Tiger: My
Picci, ciaaaoooo!!! =D Tranquilla, sappiamo come sei presa anche tu con gli
esami di questi tempi!! ^^ A proposito, un grandissimissimo in bocca al lupo!!!
=D Hai fatto una tesina stupenda (su S poiiiiii!!!!!!) andrai alla grande ne son
certa!!! Portati il tuo maritino ad assisterti, così il primo prof che lo fa
alterare un po’ fa la fine delle statue d Zio Oscar di Febbraio XD LOL Tu sai
cosa intendo! Si ma tu devi perdere il vizio di ballare sui tavoli, che esempio
diamo ai nostri pargolettini? :P Parlo io lol XD In questa prima parte del
Capitolo 8 avrai un po’ modo di rispondere alla tua domanda riguardo allo stato
d’animo d Jenny quando ripensa al futuro ^^ Al prossimo festino! Lol Terrò le
dita incrociatissime per te in questi giorni, non vedo l’ora della crociera di
40 gg!! Un grandissimo bacione e tantissimi grazie =* Ti vogliamo un sacco di
bene!!!
Frulli:
Ciao Virgy!!! ^^ Grasie anche per i tuoi complimenti =* Me lo dicono sempre che
sono eccessivamente smielata però son fatta così e ce lo metto un po’
dappertutto, è la mia natura ;) Va bien, proverò a contenermi! ^^ Non assicuro
nulla però XD Non mi viene facilmente :S Ho una lista infinita di fan fic da
leggere ora che ne ho modo, appena posso lo faccio, promesso! =D Baci a presto
=* =*
Non ho dimenticato nessuno
vero? XD
Ma un grande grazie anche a
chi solo legge =* (grasieee Calia!^^)
Buona lettura a
tutti!!!
A presto =D
Bacioni.
Kela and Diddy
(Capitana and
Capo)
Capitolo 8
Epiphany.
Test of
crime.
James Matthew
Barrie dirà : “Dio ci ha donato la memoria, così possiamo avere le rose anche a
Dicembre”.
Bhe, io davvero non lo capisco questo Dio che prima ci fa
nascere come fratello e sorella, crescere, condividere tutto, per infine
privarcene.
Non so se Dylan direbbe lo stesso, ma io ci penso spesso e
me ne rammarico talvolta. Soprattutto in momenti come questi, quando mi trovo
sdraiata sul letto, vestita con una maglia di Jack grande persino a lui, su di
me calzante come un mini abito, abbigliata nello stesso modo in cui mi coricavo
a letto ogni sera tempo fa quando durante la notte giunto il buio, quel piccolo
pirata spaurito accorreva a rifugiarsi nel mio grembo per il timore di ogni
minimo cigolio estraneo.
Facevo sì la spazientita, ma in realtà adoravo sentirlo
respirare sempre più piano, fin quando le sue palpebre stanche divenivano
pesanti, prima di abbandonarsi ad un puerile sogno. Giocherellavo con la sua
chioma nocciola sino a giorno, ascoltando curiosa i movimenti balzani nella
stanza accanto dove riposava quel seducente filibustiere, ora dormiente con il
viso eclissato tra la spalla e il mio collo, stringendomi gelosamente a se da
sotto il seno. Credo di aver sognato che mi cingessi così ogni singola
notte…
Nell’aria aleggia ancora la fragranza soave dei fiori sparsi su tutto il
pavimento attorno al letto, ora mescolati alla pioggerella scarlatta dei petali
di rosa affogati in precedenza con la movenza incurante delle
lenzuola.
Sorrido lievemente richiudendo gli occhi, così da eternare
nella mente quei dolci ricordi, seguendo inoltre il consiglio datomi dal
Comandante e da Andrè di provare a dormire.
Respiro profondamente sciogliendo i muscoli in tensione, il
silenzio mi aiuterà ad abbandonarmi al sopore.
“…Jennyfer… ATTENTA!!” un bercio improvviso del Capitano mi
fa riemergere brutalmente alla realtà.
Nonostante lo spavento reprimo un sussulto e fingo di
continuare a riposare, Jack invece dapprima ansima, ma poi accorgendosi di
avermi al suo fianco espira sollevato.
…Devono essere queste le parole che non riuscivo a
distinguere in quel stato comatoso prima del mancato incidente…
Dopo il malaugurato risveglio da un brutto sogno avverto il
battito del Capitano ristabilirsi pian piano all’altezza della mia schiena
leggermente inarcata.
S’innalza con destrezza, quasi non riesco a rendermene
rendo conto nonostante i nostri corpi combacino. Le sue mani scivolan via da me
con la tenuità di una carezza, se ne riappropria senza neppure smuovermi, deve
essere stato uno spigliato ladruncolo prima di divenire l’attuale “onesto”
Capitano.
Rotola sui gomiti sino al bordo del letto, ma calcola male
la distanza e casca rovinosamente nella distesa fiorita da lui stesso creata
senza però produrre alcun rumore.
Stringo gli occhi e sigillo le labbra per non far trapelare
alcun sibilo di riso.
Soffocando qualche ingiuria si rialza accorto e per alcuni
minuti non avverto quasi più la sua presenza, fin quando uno scalpiccio
irregolare si accosta di nuovo al letto.
Torna al mio fianco con fermezza felina, serro ogni muscolo del corpo per
risultare immobile come assorta nel torpore più profondo.
Accosta una mano al mio mento carezzandolo con dolcezza, contengo già i
brividi per non uscire allo scoperto, percorre morbidamente i contorni del viso
attraverso solo il tocco lieve dei polpastrelli ed infine scivola vellutato
lungo la gola, nonostante l’attrito ruvido delle bende attorno al polso, sino
alla spalla dove scosta attento il tessuto leggero della blusa avvolta sulla
clavicola sopra cui imprimere il contorno delle voluttuose labbra sue in un
tenero bacio.
Non resisto all’impulso almeno di dischiudere la bocca per
recuperare fiato, dopo averlo trattenuto a lungo durante gli istanti precedenti
in preda al batticuore.
Mi saluti così ogni mattino quando lasci la cabina senza
svegliarmi?
Scosta il volto dallo spigolo tornito della mia spalla muovendosi alla
pari di uno sbuffo di vento, ma quando deve fare lo stesso con la mano un
impiglio intricato lo trattiene a me: il reticolo della garza che protegge il
suo carpo malandato dalla caduta si è gravemente annodato ad un bottone della
mia collottola.
Tira più volte verso di se convinto che la trazione imposta
dal suo braccio liberi i fili della fasciatura dal bottoncino, al contrario
l’appiglio con il suo dimenarsi peggiora.
“…Mannaggia…
MAN-NAG-GIA…mannaggia mannaggia mannaggia!!!” bofonchia spazientito strattonando
nervoso con più insistenza.
Mi ritrovo ad essere percossa come una pignatta, Jack cosa
diamine combini???
Dopo un sospiro (dedicato unicamente a te Vanessa dalla Mater XD
hahaha) semi-rassegnato conta fino a tre
e da un ultimo strattone più energico degli altri riappropriandosi del polso, ma
in questo modo porta via con se un copioso lembo della mia (o dovrei dire sua)
camicetta.
Spalanco gli
occhi inorridita arrossendo notevolmente, per fortuna Jack è alle mie spalle,
incapace di scorgere l’espressione attonita ed imbarazzata del mio viso.
Il rumoroso crac cancella anche la sua esultanza,
non mi è concesso vedere la sua buffa espressione più stralunata dell’ordinario
con le pupille strabuzzanti del tutto perse nel vuoto dallo stupore, però posso
immaginarla…
Seguono dei movimenti suoi rapidi e nervosi, probabilmente
sta cercando di celare in qualche modo la “prova del crimine”, prima che si
smaterializzi convulsamente fuori dalla stanza come se non vi fosse mai
entrato.
Appena richiude la porta alle sue spalle socchiudo
leggermente una palpebra, trattengo il respiro qualche secondo per localizzare
la direzione in cui sono rivolti i suoi passi e quando lo percepisco abbastanza
lontano mi posiziono a pancia in giù soffocando una fragorosa risata liberatoria
nella fodera del cuscino.
Dopo essermi calmata ancora con le lacrime agli occhi, mi
alzo per rilevare la portata del danno causatomi da quel codardo del Capitano:
nulla di ragguardevole, se non la scollatura della camicia ora ampiamente
allargata e l’evidentissimo orlo malamente stracciato sulla collottola. Non sono
riuscita a ritrovare nei dintorni la falda strappata, deve averla tenuta con se
per rimediare all’impiccio causato dalle sue maniere grossolane di prima, a
volte dimentica cosa sia la delicatezza.
Per fortuna riesco a nascondere questo difetto stringendo
l’allargatura con una spilla ritrovata tra le cianfrusaglie di Jack e coprendo
il tessuto in eccesso all’interno del bordo dei pantaloni intorno alla cinta.
Non ho per nulla voglia di rimanere qui fino a sera,
splende un sole magnifico qui fuori, oltretutto devo trovare una sistemazione
per questa “serra” fiorita sul pavimento, sono così belli e profumati queste
corolle, è un vero peccato sprecarle.
Mentre annoiata balocco con quei petali delicati la mia
attenzione viene attirata da degli strepiti fanciulleschi al di fuori della
finestra che da sul molo a cui siamo attraccati. Affacciandomi ho modo di
confermare la mia supposizione: bambini.
Destinatari perfetti per i miei intenti!
=D
-
Cinderella. (titolo
definitivo)
…“A…a…at…aaaatciuuù!!!
Un
altisonante
starnuto riecheggia più volte lungo tutto il ponte della Black Pearl, assolato
da brevi raggi che anticipano il tramonto.
Il suo detentore si strofina il naso noncurante, nella
medesima mano stringe il collo di una bottiglia semivuota di rhum e prosegue ad
impartire ordini con la continuità esasperante del suo titolo di
Capitano.
Il Comandante di una nave viene eletto a pari merito da
tutta la ciurma, è esatto? Siamo proprio sicuri che sia avvenuto lo stesso nel
caso di Jack Sparrow?
JIMMY: “Qualcuno vi pensa, Capitano?” domanda ironico il
gigante buono, reggendo senza alcun briciolo di sforzo un’estenuante peso
nel possente braccio destro.
JACK: “Qualche
donzella da me lasciata col cuore spezzato… E’ probabile!- definisce pieno di
se, agitando vago le braccia a penzoloni della sua posa oziosa su di un’amaca,
improvvisata legando un vecchio lembo di vela al parapetto ed attorno ad una
gomena- No…-rivela poi d’un fiato sorseggiando altro liquore- sono quei dannati
fiori, tutto quel polline irrita le mie narici!” borbotta sprezzante
allontanando le labbra dal vetro ricurvo, di risposta all’unico marinaio
presente su tutto il ponte.
Il maestoso veliero corvino salperà a mezzanotte, ogni
membro della ciurma si è concesso un pomeriggio ed una serata di libertà, allo
scoccare del “coprifuoco” ogni ormeggio verrà rimosso e saluteremo West Caicos
almeno per un po’.
Mi faccio strada silenziosa tra le pareti di tenebra, nel
corridoio che conduce dalle cabine all’aria aperta. Devo prestare molta
attenzione a come mi muovo, ho con me 3 grandi ceste di vimini in cui sono
raggruppati gran parte dei dannati fiori, causa dell’anafilassi di Jack,
lo spazio è molto ristretto perciò bisogna spostarsi con cautela, così da non
urtare nulla e produrre il minimo rumore.
Giunta alla porta, unico ostacolo tra me e il ponte,
dischiudo una lieve fessura per sbirciare al di fuori: tutto tranquillo, posso
procedere!
Per sicurezza cammino prona muovendomi solo sulle gambe,
c’è una breve distanza non sicura perché esposta tra me e delle casse di viveri
ancora da riporre nella stiva, conducono fino alla passerella che porta a terra,
se riesco ad arrivare a quelle è fatta.
Do un’ultima rapida occhiata nei dintorni e in seguito mi
fiondo nella direzione delle vettovaglie.
A
metà tragitto invece una voce animata dal tono famigliare mi lascia impalata di
sasso.
Noooo, beccata!!
…
“Andiamo Jimmy, ora puoi riportarlo a galla…” esorta annoiato, alzando verso
l’alto come in un brindisi la bottiglia a pera di
rhum.
Il colosso ottempera all’ordine sogghignando, il suo
bicipite si gonfia leggermente e dall’acqua pesca il malcapitato Albert che ne
esce sputacchiando salsedine.
Buffo ravvisare il modo in cui, nonostante sia già riemerso
dalla sua prigione acquifera, agita ancora goffamente gambe e braccia, proprio
come se stesse nuotando.
“L-la prego Ca…Capitano… Non-mi-lasc…i…quiiii!!!” implora
quasi piangente, dimenando uno scalpello malridotto nella mano meno abile,
mantenendosi instabilmente a galla attraverso
l’altra.
JACK: “Dimmi, hai ripulito a fondo ogni singola spanna
della chiglia da tutti i viscidi crostacei sovra incrostati?” domanda
cattedratico sollevando il mento, come per afferrare meglio la
risposta.
“N-No… Ma… Vi preeego… Sto-per-affogare-quaggiù!!- urla
frastagliato in tono oppresso- Il piombo che mi avete legato alla caviglia mi
sta uccidendo!!” ultima strozzando in gola altra acqua insinuata nella sua
trachea dal tanto dimenarsi.
Porto velocemente una mano alla bocca per non proferire
fiato, mi affretto ad ultimare l’ultima parte del tragitto ed una volta al
sicuro considero ciò che sta accadendo rattenendo un nuovo
riso.
Scalpello, ripulire la chiglia, piombo?? Jack sta forse
punendo Albert servendosi di Jimmy per quello successo questa
mattina??
Quel beone
screanzato manigoldo se lo merita!! E poi in questo modo è si è garantito
persino un bel bagno gratuito, ne aveva davvero bisogno, il lezzo da lui emanato
avrebbe steso un branco di puzzole!!
JACK: “Se è così… Spiacente amico, riportalo giù per
un’altra immersione Jim!” stabilisce apatico, calandosi noncurante il
cappello a tricorno sul volto e sistemandosi più comodo sul proprio giaciglio,
intento a prolungare il pisolino prima interrotto da un brutto
sogno.
-
Il piano procede come
stabilito, sono giunta indisturbata sino a terra e nessuno a bordo, almeno fin
ora, se n'è minimamente accorto.
Appuro un'ultima volta di
passare inosservata, per poi infiltrarmi nella vegetazione accanto al molo,
lasciandomi guidare dai clamori fanciulleschi uditi poco fa dalla cabina.
Raggiungo uno spiazzo poco
distante alle navi, qui trovo altri giovinetti di West Caicos riuniti a cerchio
nell'intento di scambiarsi velocemente una palla costruita attraverso pezze,
stoffe, stracci tenuti insieme da corde piuttosto attempate intrecciate al
meglio. Dev'essere una sorta di patata
bollente !
Ripongo a terra le
ingombranti sporte divenute piuttosto fastidiose, nelle vicinanze recupero una
vecchia cassa di legno, probabilmente abbandonata da qualche manolesta in
seguito ad un furto fallito e seggo ad ammirarli incantata in posa trasognante,
sostenendo la testa con una mano accostata alla guancia.
Piccoli volti scarni
incorniciati da rotonde gote infantili, imbrattati di terriccio e sporcizia
dalla fronte al mento, a cui manca da troppo tempo il tocco amorevole di una
madre, ma nonostante tutto capaci di produrre suoni giocosi, come dolci melodie
che portan sollievo all'animo solo ascoltandole.
Guardarli motteggiare apre
il cuore e lo colma di tenerezza, ogni loro piccolo gesto compiuto goffamente
porta a sorridere.
E' bellissimo vedere come,
seppur circondati da un mondo così crudele, abbiamo trovato la forza di rimanere
ancora bambini.
D'improvviso l'armonia
creatasi nell'aria viene brutalmente alterata proprio da un componente del
gruppo, ad occhio e croce poco più grande degli altri, il quale allontana
malamente a causa della statura minuta una gracile
bambina.
La piccola prende male il
rifiuto, abbassa il mento, imbroncia lo sguardo e si copre il viso piangente
allontanandosi oscillante dal luogo di gioco.
Intervengo avvicinandomi con
cautela, raggiungo la bimba portando celato dietro la schiena un piccolo dono ed
in
prossimità del suo sguardo
mi piego sulle gambe per guardarla pressoché negli occhi.
Afferro con molta
delicatezza i suoi polsi, così piccoli e sottili da temere di spezzarli,
liberando due grandi occhioni vispi azzurro mar dei Caraibi, un colore
indescrivibile come sostiene il Capitano.
La sua vista liberatasi
dalle mani incontra il mio sorriso
confortante, temo a
pronunciarmi con lei, ho udito lo stesso
accento singolare di questa
mattina provenire dal gruppo di
fanciulli da cui si è appena
allontanata.
Infine ironicamente
sprezzante esplico scandendo ogni parola: "I Grandi, pretendono di poter comandare su
tutto e tutti!"
Lei non controbatte, ma
suppongo intuisce a cosa mi riferisco, infatti volge lo sguardo ceruleo al
maggiore della banda, che incurante del suo stato d'animo prosegue nel gioco.
Tira su col naso ostentando un labbro tremulo, devo propriamente trattenermi dal
darle una carezza per paura di spaventarla essendo forestiera qui.
Si guarda attorno come
spaesata sfregandosi le palpebre gonfie ed arrossate, ma quando mostro lei cosa
ho portato con me spalanca le grandi orbite, così trasparenti da riuscire quasi
a leggerne i pensieri, rimanendo incredula.
"Tieni, questa è per te!" dico porgendole benevola una
corolla di gardenia.
Impiega qualche secondo
prima di convincersi ad allungare la mano ed afferrarla, ma preso coraggio
solleva l'esile braccino catturandola tra le dita, mormorando in maniera appena
percettibile "Gracias"
Replico con un gran sorriso:
"Non c'è di che, puoi anche metterla tra i capelli se vuoi, ti farà ancora più
carina!!"
Seppur non afferrando
interamente l'esatto significato della mia affermazione, un riso prende il largo
sul suo visino rigato di lacrime.
"Il mio nome è Jennyfer, il
tuo invece?" cerco di familiarizzare.
"Cindy!"
La risposta non proviene
dalla piccola, bensì come il rombo di un tuono dal maggiore del gruppo che
appena un minuto fa l'aveva allontanata e in questo momento si avvicina con aria
allarmata.
"Ti avevo detto di tornar
subito a casa!" la rimprovera scuotendola per le spalle, mentre lei protesta
dimenandosi nel tentativo di eludere alla presa dispotica del
Grande.
Infine Cindy riesce
trionfante a sfuggirgli cercando in me un riparo, ora lo sguardo del giovine si
confonde minaccioso nel mio.
"Voi chi sareste, cosa
volete da mia sorella, signora?" sbotta rabbioso gonfiando il petto ed assumendo
impeto.
"Non è con la arroganza che
otterrai ubbidienza dalla tua sorellina!" l'ammonisco per
saviezza.
La piccola fa capolino
spaurita dal mio fianco convenendo l’affermazione con un cenno del capo, il
fratello maggiore si irrita ancor di più, questa volta urla rabbioso: "Voi non
siete nessuno per dirmi cosa devo fare!!"
L'eco di quell'ira giunge
sino al resto del gruppetto, il quale alla prima nota di smania abbandona ogni
svago per accorrere in difesa dell'amico.
Pochi secondi dopo quei
profili innocenti si accerchiano attorno a me, facendo mostra di sopracciglia
scure gravemente increspate e sguardi non più ingenui ma quasi adulti,
decisamente poco amichevoli.
Mi alzo in piedi così da
poterli affrontare, tuttavia alla mia vista i loro occhi perdono gran parte del
coraggio dimostrato in precedenza, surrogato da versi di stupore e un lungo
passo indietro da parte di ognuno di loro.
S'innalza un lieve brusio
indistinto, in cui contraddistinguo solo una parola: "Pirata".
Trascorsa l'iniziale
confusione il maggiore continua a fare da portavoce: "Siete una piratessa, è
così?!"
IO: "Non proprio direi..."
controbatto prima di essere interrotta nuovamente: "Cosa diavolo ci fate qui,
che intenzioni avete??" detona ostile.
"Questo! -replico additando
soltanto il fiorellino bianco che spicca dai vaporosi capelli ebano di Cindy- Ne
ho 3 ceste piene laggiù, sono tutte per voi!"
Flebili strepiti di gioia da
parte delle bambine presenti compongono un coro entusiasta, subito omesso da
gomitate e occhiatacce dei compagni.
"Intendete comprarci con due
fili d'erba?! Per poi far cosa, derubarci? …Raggirando tutti noi, compresa mia
sorella, lei ha solo 5 anni!" erompe svilente.
IO: “Proprio perché è così
piccola dovresti proteggerla e prenderti cura di lei, invece di tenerla alla
larga persino dal gioco” biasimo tacendolo del tutto.
Gli amici del piccolo
gradasso alzano brevemente lo sguardo su di lui, attendono un responso
abbastanza presuntuoso da ricominciare la contesa, ma quella ribatta non
arriverà mai.
Volgo loro le spalle la
durata di qualche istante, giusto il tempo di recuperare le gerle lasciate in
disparte e condurle nelle mani dei veri destinatari d’un gesto d’amore così
delizioso che non deve andar sprecato.
IO: “…In ogni caso non ne
traggo alcun profitto, sono tutti vostri, basta che li
prendiate!”
Non’appena poggio a terra le
3 ceste vengono letteralmente assalite dalle componenti femminili della gang,
con molta più diffidenza da parte dei maschietti.
Il più riluttante tra loro è
ovviamente il fratello maggiore di Cindy, mi fissa ancora attraverso un ghigno
ostile e gli occhi ridotti ad una fessura, mentre la piccola si è sistemata
giocosa sulle mie gambe nell’intendo di imparare ad intrecciare degli steli per
farne un bracciale.
“…Con le sue verdure
incanterà pure le ragazzine ingenue, signora, ma noi ragazzi come rientriamo nei
vostri intenti??” torna alla carica il giovane millantatore con tono più di
sfida che informativo.
Questo piccoletto darebbe
del filo da torcere a Jack, si somigliano molto!
“Sono fiori, non verdure.
Mica si mangiano!” controbatto divertita.
“Ah no?!” domanda un
componente grassoccio del gruppo il quale si era già accaparrato un mazzetto e
lo stava sgranocchiando come fosse un ciuffo d’insalata.
“No, faresti meglio a
sputarli, non sono destinati ad esser commestibili, temo ti facciano male!
–ribatto cercando di rimediare al guaio- E per voi ragazzi…- enuncio dubbiosa-
Bhe, potreste sceglierne uno da mettere all’occhiello! –mostro prendendo come
esempio un bambino dalla camicia bucherellata all’altezza del cuore, infilando
con riguardo una rosellina gialla nella sua blusa a groviera- Darebbe voi un
aspetto distinto- scherzo con voce gutturale- Oppure potreste giocare ai
gentiluomini regalandone un mazzetto alla vostra mamma, ad una ragazza che vi
piace… O qualcuno in difficoltà insieme al vostro aiuto!” concludo passando
amorevole una mano sulla fronte di Cindy che mi regala un altro sorriso
zuccherino.
Quando rialzo il mento non
posso fare a meno di notare l’espressione atterrita e allo stesso tempo
incredula del fratello rivolta a noi, cosa gli prende?
S’avvicina titubante,
scrutando sbigottito la piccola tra le mie braccia: “S-sono… Credo…Mesi che non
la vedo gioire così!” ammette sconcertato parlando a bassa
voce.
IO: “Sul serio?!” domando
stupita. “Che le avete fatto??” chiede attonito, incantato dal viso felice della
bimba.
“Ho solamente usato un po’
di dolcezza nei suoi riguardi. Sai, non nocerebbe che
ricevesse altrettanto da suo fratello di tanto in tanto!!” ammonisco senza
ricevere una replica, poiché annullata dalla felicità.
CINDY: “¡terminado!” annuncia trionfante
esibendo il bracciale verdeggiante.
“Es por ti…” (è per te) definisce peritosa porgendo al fratello
il monile erboso.
Lui n’è quasi commosso,
scruta incredulo il piccolo dono come fosse il bracciale d’oro zecchino più
prezioso al mondo, ed infine si scaglia in un abbraccio verso la piccola che
libera dal petto una risata cristallina almeno quanto le sue pupille
zaffiro.
Sentendomi di troppo in quel
tenero quadretto di ricongiunzione fraterna, torno lentamente sui miei passi,
non senza volgere un’ultima occhiata a quel tripudio di contentezza fatto
semplicemente di fiori usati come decori, coriandoli e qualsiasi altro arnese da
gioco.
“Havier…” pronuncia Cindy con tono di riprensione
verso il fratello.
HAVIER: “…Signora?” richiama
incerto la mia attenzione.
IO: “Sono troppo giovane per
esserlo già adesso, chiamami Jennyfer!” replico sarcasticamente
offesa.
HAVIER: “…Signora Jennyfer?”
ritenta speranzoso.
IO: “Chiamami Jenny e basta”
controbatto ridendo.
HAVIER: “Posso far qualcosa
por ringraziarte?”
“Uhm… Bhe, in effetti… Avrei
una sola domanda da porti…!” esplico dopo aver riflettuto qualche
istante.
“Mi risponderai sinceramente
senza chiedermi perché?” definisco guardinga.
HAVIER: “¡Seguro!”
IO: “Questa mattina al
mercato un gruppetto di fanciulli come voi al passaggio della ciurma di cui
faccio parte, come dire… Bhe non c’è un modo per raccontarlo diversamente… Sono
fuggiti a gambe levate! Come mai?”
Capisco il timore della
gente comune riguardo ai pirati, ma quello non era semplice
allarmismo.
HAVIER: “Avevo ragione, anche tu sei una piratessa!!”
sbotta rabbioso cancellando l’espressione pacifica di
prima.
Sangue caliente el chico!
“HAVIER! ¿ha sentido que ha dicho primera la señorita?” (hai sentito cosa ha detto prima la
signorina?) lo rimprovera la piccola con
il temperamento di una grande, provocando in me una fitta
d’orgoglio muliebre ed un leggero riso.
HAVIER controvoglia: “Chiedo
scusa… Ma es porque dalle nostre parti i pirati
non son ben accetti. Prima lo erano, rientravano persino in una fetta principale
di guadagno per l’isola, ma ora permettiamo di sostare aquí solo a quelli più feroci y
ubriachi, impossibili da cacciare corrompendoli”
Jack sarà orgoglioso di
rientrare in una o persino entrambe queste due categorie, “feroce” ed
“ubriaco”.
IO: “Prima? Prima di cosa?”
domando ancora confusa.
“Avevi detto una
pregunta (domanda) solo, una solo!” ribadisce
alterato prima di ricevere una gomitata discordante dalla
sorellina.
IO: “Anche tu hai
trasgredito al patto, avevamo concordato che non mi avresti fatto alcuna
domanda!” evidenzio furbesca.
Un sospiro di rassegnazione
precede le parole del ragazzo visibilmente contrariato: “Bueno… -fa una lunga pausa prima
di iniziare- Intendo prima dell’avvenuta di Vallenueva, il più terribile pirata
spagnolo in circolazione, ricercato per 200 ghinee d’oro! La sua Tiniebla
(in italiano significa “Tenebra”, nome della nave al comando di Vallenueva
[propriamente inventato ^^’] NdAutori)
al passaggio es devastante. Bada a non farti ingannare per conto della
bassa statura di quel farabutto, cela una crudeltà senza pari!” espone con il
tono penetrante di un esperto narratore.
IO: “E’ davvero così
terribile?” domando scettica.
HAVIER: “Molto più di
questo! –continua in tono grave- Es un sanguinoso pendenciero (attaccabrighe
NdA), non ci
penserebbe dos volte a spararti por una copa (bicchiere)
de Sangria. Ha
attaccato la nostra isla y così altre tres dell’arcipelago sotto
comando della Compagnia delle Indie Oriental requisendo todo lo que era
posible (tutto il possibile), uccidendo,
devastando campi, incendiando case e portando alla muerte di persone innocenti
como i nostri genitori, lasciando noi soli al mondo…”
(gracias Sueño para el español =*
NdCapitana) a queste ultime parole gli occhi di Cindy divengono cupi,
vuoti cm i loro pancini che non riceveranno cibo da settimane ed una lacrima
solitaria percorre le sue gote rosee.
“Oddio… -riesco a dire inetta-
Ecco perché vi trovavate così abbandonati a voi stessi, che cosa terribile,
merita di marcire all’inferno quel cane!” commento irosa.
“Se posso esservi d’aiuto in
qualche modo…” enuncio poggiando una mano sulla spalla di
Havier.
“NO! -si oppone restio-
Sappiamo cavarcela benissimo da soli, noi non abbiamo bisogno di nessuno…”
termina a testa china e corrucciata.
Non fare come me Havier, non
diventare parte della corazza che ti porti sulle spalle per proteggerti dal
male…
Cerco di attrarre la sua attenzione portandomi alla
sua visuale, pronunciandomi con voce comprensiva: “Sei molto coraggioso Havier,
capisco il peso più grande di te che porti sulle spalle, ma non chiuderti nel
guscio, se non vuoi farlo per te pensa almeno a Cindy! Un giorno quando sarai
adulto, se proverai ancora tutta questa rabbia, potrai metterti alla ricerca di
quel stramaledetto corsaro ed attuare la tua vendetta, ma per adesso, non far
soffrire anche chi ami, rimani semplicemente il ragazzino che sei… Sono certa
che i tuoi genitori non avrebbero voluto questo per te!”
HAVIER: “Tù non sabes
(sai) cosa volevano i miei
genitori!” contesta a denti stretti.
Tiene la testa dura también
el chico! (ha anche la testa
dura)
“D’accordo, –dico rassegnata-
sono imbarcata su quella nave, la distinguerete benissimo, ha le vele nere ed un
Capitano strampalato… Per qualsiasi cosa fino a mezzanotte mi trovate lì!”
Non ricevo nessun accenno di
acconsento se non un sorriso della piccola.
Sconsolata torno sui miei
passi diretta alla Pearl.
“Jenny!” la vocina limpida
di Cindy frastagliata dalla corsa per raggiungermi chiama il mio
nome.
Mi volgo in avanti come nel
primo approccio con lei per udire le sue paroline forzate in modo che pure io
possa capirle: “Non te ho detto adiós!”
IO: “Bhe, allora… Bada tu a
tuo fratello e… Adiós Cindy!” replico con malinconia.
Si porge in avanti
lasciandomi un bacino sulla guancia, sussurra a sua volta un’ultimo “adiós” e
fugge nella direzione da cui è venuta.
Sembrava spaurita, faccio
ancora paura nonostante tutto?
Come mi volto capisco la fonte
di timore della bimba: “Salve, Capitano…”
-
Maybe.
…"Cosa
facevano quei tediosi lattanti scalmanati nei dintorni della MIA nave?!" reclama
sdegnato arricciando il naso (sempre per la Mater ;))
com'è tipico di lui, senza mai distoglier dai bambini lo
sguardo.
IO:
"Andiamo Jack, non facevano nulla di male!" sostengo per
dissuaderlo.
La
sua espressione denigrante non muta di una virgola.
"Li
ho avvicinati io!" m'incolpo persino, ma nulla, la sua caparbia idea non
cambia.
JACK:
"Sono solo piccoli sciacalli miserabili in cerca di rogne per passare il
tempo..." li definisce borioso, seguendo con il suo irresistibile piglio
tenebroso l'allontanarsi della piccola banda.
Un
cerchio alla testa mi porta ad oscillare, ma m’impongo di rimanere lucida almeno
per assicurare un’attendibile difesa a quei poveri
innocenti.
IO:
"Sono vittime di un fato peggiore di quanto pensi invece!" proferisco greve,
faticando per mantenere il tono convincente di un
rimprovero.
JACK:
"Vittime dici... Non lo siamo tutti?" (questa era de Il
Corvo, scusate ma adoriamo quel film *w*) dice rivolgendomi finalmente
l'attenzione ostentando un sopracciglio inarcato.
Grrr,
deve avere sempre ragione lui!
JACK:
"In quanto a te, piuttosto, non dovresti trovarti in cabina a riposar le tue
membra stanche??" domanda saccente portando la testa in diagonale, inscenando
così una buffa posa teatrale nel mettersi a braccia conserte e picchiettando
insistentemente la punta dello stivale.
Opssss!!
Rimesso
piede a bordo mi viene subito imposto di far ritorno nella mia "prigione",
fortunatamente l'assetto tarda per via dell’intervento tempestivo di André:
“Mademoiselle!!!
-urla sfiancato, rincorrendomi con il suo passo zoppo, mentre già sono diretta
verso la cabina in tutta la mia rassegnazione, stringendo tra le mani in
precario equilibrio un pentolino dal fondo bruciacchiato imbandierato di
cucchiaione- Ti ho SceRcata partout (dappertutto)
solament pour faRti asaJaRe la mia famosa crème di ScetRiolì alla
Vinaigrette (salsa tipica francese NdA)
!!” pronuncia apprensivo porgendomi il tegame, orgoglioso della sua opera
d'arte culinaria come il più fiero dei padri nei confronti del
figlio.
ANDRE’:
“Devi rimeteRti en foRSe!” conclude con una nota
preoccupata.
IO:
“Uh, come sei dolce Andrè… Grazie! -mormoro afferrando il recipiente dai manici-
Sarò felice di assaggiare la tua prelibata specialità,
non ora però...”
concludo mesta, la vicenda di quei piccoli a cui il mondo intero ha rivolto le
spalle senza alcuno scrupolo mi lascia tutt'ora sconvolta.
ANDRE’:
“Et cussì il mon capolavoRo andRà spRecato...” delinea disilluso divenendo
cupo.
A
quelle parole un'altra idea balena nella mia testa e mi riporta
speme.
IO:
“No, non occorre che sia così!! Ne hai preparata dell'altra per caso?” domando
euforica.
ANDRE’:
“SceRto”
IO:
“Grandioso!!” sbotto gioiosa, rischiando di far prendere il volo al piatto
d'alta classe realizzato con maestria dal nostro cuisinier. Potremo offrirne un
poco a quei pargoletti!! Sono ancora solo dei bambini, quante possibilità di
sopravvivenza hanno rispetto ad un adulto? Pari a 0.
“Pianò...pianò!!”
supplica preoccupato a braccia alzate, già
predisposte per soccorrere la sua adulata creazione in caso di
bisogno.
Nell'esultanza
noto il Capitano nei pressi del parapetto scrutare ancora assorto verso
terra.
IO:
“Torno tra un istante, con permesso” annuncio porgendo distrattamente la pentola
al suo creatore, che per la fretta la ghermisce dal fondo, scottandosi così le
dita e finendo per ostentare una buffa danza scandita da brevi lamenti simili a
dei “...Uh!! ...Uh!!
...Ahi!! ...Ahiii!!”
Raggiungo
la figura rigida del Comandante con la viva speranza di trovare un
appoggio
anche
in lui, portandomi al suo fianco deduco che quel cipiglio
stralunato
è ancora rivolto ai bambini dell'isola.
IO:
“Sono scesa sul molo per donare loro una piccola parte degli splendidi fiori che
mi hai regalato” rivelo adempiuta.
In
risposta ricevo con mio grande spasso delle labbra serrate, due profondi occhi
spalancati e un paio di sporgenti
sopracciglia aggrottate, come
a significare uno sgomento
“Cosa??"
“Ne
ho tenuti alcuni però!” cerco di rifarmi
“Così da rallegrare con una punta di colore la nostra cabina, in cucina...”
proseguo
fintamente interessata alle venature lignee
del parapetto a cui siamo poggiati. “E poi... Non volevo che un bellissimo gesto
d'amore come questo andasse sprecato!" concludo dissestando la sua posa
curiosamente immota per accoccolarmi sul suo petto.
Nessun
biasimo, nessuna replica beffarda da parte del Capitano, solo il suo braccio
stretto intorno alla mia vita che mi avvolge a se.
IO:
“E' stato un uomo senza cuore e senza Dio a ridurli in quella miseria... "
incedo pervicace “Prima perlomeno avevano di che sfamarsi, in seguito alla sua
venuta invece si sono ridotti a vivere per le strade. Si tratta di uno dei più
temibili corsari spagnoli in circolazione -definisco spregiante- lo conosci
vero?" chiedo avversa sollevando il mento per scorgere distintamente il suo
viso.
JACK:
“...Ma certo, lo conosco eh...- ostenta tronfio - Lo conosco molto bene- afferma
più suasivo- Non credere che no!- oppugna altezzoso per ridarsi animo- ...Chi
è?" domanda infine per nulla consapevole.
IO
senza riuscire ad omettere una risata, per poi tornare immediatamente seria: “So
solo che il suo nome è Vallenueva ed è al servizio della corona inglese per
conto della Compagnia delle Indie Orientali"
Come
pronuncio quel nome un lampo frastaglia gli occhi bui del Capitano, la sua
espressione si fa riflessiva e scura.
JACK:
“Ma certo, ora mi è più chiaro…” bofonchia poi con lo sguardo sgranato e fisso,
accompagnato da un sorrisino ebete di chi è sotto l’effetto ipnotico di un
negromante.
IO:
“Cosa vuoi dire?” enuncio confusa.
JACK:
“Quella scaltra volpe ha tradito se stesso, ma così facendo si è assicurato una
miniera d’oro a vita. Noi, dal nostro canto, potremmo rintracciarlo e punirlo
per la sua frode lasciandolo a calzoni calati, senza più un centesimo!!” enuncia
infervorato agitando in aria le mani in strane movenze durante il
chiarimento.
IO
distaccandomi da lui nauseata: “Dici così perché pensi sempre e solo ad
arricchire te stesso!” avverso denigrata incrociando le
braccia.
JACK:
“No, chérie!
Perché gli devo un sacco di soldi… -confessa a voce più tenue- …E così facendo
aiutiamo persino quei da te tanto adorati marmocchi!” consente in prode
tono.
Ora
ci sto! L’importante è apportare un po’ di sollievo a questo luogo e alla sua
gente.
IO:
“Se la metti così… Accetto il compromesso!” stabilisco esaudita posando un
gomito sulla spalla del Comandante che ricambia increspando le labbra nel suo
caratteristico ed irresistibile sorriso a metà.
Provo
a sottrarmi all’incanto di quelle iridi velluto, così buie da riflettere luce,
ma mi è davvero impossibile, fin dalla prima volta in cui vi ho posato sopra lo
sguardo.
Mi
porto vicina a lui per assicurarmi la sua attenzione, sfiorandogli il braccio
protendo la bocca fermandomi a un centimetro dal suo orecchio, e cercando di
dimostrarmi il più decisa possibile bisbiglio: “Jack… l'avremo anche noi un
tenero pargoletto tutto nostro un giorno?”
I
suoi nervi si tendono come corde di violino, ha un forte sussulto e tutto il suo
corpo sembra divenire pietra, a malapena riesce a voltarsi verso di me per
scorgermi in viso. Distoglie subito lo sguardo, poi cerca di darsi contegno e
torna a guardarmi, si muove così nervosamente a scatti per numerose volte, fino
a quando tra di noi irrompe Andrè in un incontenibile boato gioioso: “Moooon
dieeeeu!!! (mio dio) –grida felice abbandonando
con incuria la pentola nelle mani del Capitano per abbracciarmi- un enfant…??
(un bambino...??) -esplica incredulo- C’est
magnifique!!!! (è magnifico)” salterella
commosso.
IO cercando di liberarmi dalla sua stretta soffocante:
“A-a…A-a-n-drè! –lo richiamo spazientita- Fermo, hai capito
male!!”
ANDRE’
bloccandosi di colpo: “Quoi? (cosa?)” chiede
disorientato.
IO:
“Non aspetto un bambino!” spiego divertita.
Il
mio dandy abbandona ogni esultanza mostrando una smorfia frustrata, per quanto
riguarda il Comandante invece non sono certa di aver udito distintamente un
respiro di sollievo, ma di certo ho potuto ravvisare le dita delle sue mani,
prima avvinghiate alla balaustra come artigli rapaci, distendersi tornando alla
normalità.
ANDRE’:
“CapiSco…” annuisce afflitto.
Jack
nella sua incuranza cerca distrazione nel composto prezioso a lui affidato:
porta alle narici come nulla fosse la raffinata crème, ne fiuta incuriosito
l’odore, ma il suo naso lo ripugna, così restituisce malamente il pentolino al
suo creatore e caccia via entrambi berciando: “Toglimi subito il tuo brodo di
zucchina da dinanzi gli occhi!!!”
Il
sottomesso cuisinier ci lascia di nuovo soli senza proferir parola
alcuna.
IO
attonita verso Jack: “Era cetriolo non zucchina e tu sei un gran
cafone!!”
JACK
con timbro innocente: “Intendevo solo mandarlo altrove, a volte è proprio una
scomoda spina nel fianco!” cerca di giustificarsi.
IO:
“Nemmeno tu sei tanto meglio, oltretutto mi avevi promesso che l’avresti
trattato degnamente!!” ribadisco alterata.
JACK
rimembrando la promessa: “Ah, già… Bhe, ma quello se l’è cercata!!” insiste per
mantenersi dalla parte del giusto.
IO:
“Argh, sei impossibile, è fiato sprecato tenere un discorso serio con te!”
rinuncio esasperata.
JACK
faticando per rimanere serio: “Sarà perché ho SEMPRE ragione io” attesta
vittorioso.
Rivolgo
lui un’ultima quanto inefficace occhiataccia, valevole solo a rinforzare la sua
esorbitante autostima.
Non
lo sopporto affatto quando fa così, sembra non distinguere più la differenza tra
bene e male, lo detesto!
Uhm,
ma forse conosco il modo adatto per mandarlo in tilt!!
…
“Dunque, quale sarebbe la tua risposta in merito al quesito che ti ho posto
prima dell’interruzione?!” domando pedante.
Rieccolo sudare freddo e la sua bocca impastarsi come
quando è seduto a tavola dopo le prime portate, mentre s’ingozza privo di ogni
riguardo con qualsiasi cosa basta sia mangereccia, nuovamente incapace di
proferire sillabe sensate: “Ehm… Ecco… Io…”
Andiamo
Capitano, dov’è finito tutto il tuo temperamento presuntuoso
adesso?
Inveisco
avvicinandomi a lui con fare speranzoso, sbattendo ininterrottamente le ciglia
implorante.
JACK
mettendosi a mani giunte ed accigliandosi: “B-b…E…e…pppf... F-f... –balbetta
cercando di pronunciare la cosa giusta da dire- Forse…!”definisce infine
prima di darsi alla fuga con la sua corsa ciondolante, sia mai che giungano da
parte mia altre presunzioni a riguardo.
Rimasta
sola sorrido sconsolata tra me e me scuotendo il capo, appena si parla
seriamente con Jack non tarda un secondo a darsela a
gambe!
…“Bien…
- s’intromette infine una voce dall’esterno- Non eRa ne oui (sì) ne non (no)!”
contempla ottimista facendo capolino da un barile di polvere da sparo il nostro
pettegolo marinaio francofono. Andrè, Andrè… nemmeno tu ti smentisci mai in
quanto ficcanaso!
“Non
posso crederci, sei scesa a terra un’altra volta!! Per aiutare quel lavapiatti
francese a sfamare delle piccole pesti messicane, con la brodaglia nauseabonda
di zucchine poi… puah!” attesta esasperato come un genitore austero,
trascinandomi in malo modo lungo il corridoio delle
cabine.
“E’
stato Andrè ad aiutare me, non dare subito la colpa a lui senza sapere come
stanno bene i fatti! I bimbi invece hanno gradito eccome la creme di
cetrioli se proprio ti sta a cuore –preciso oltraggiata- …E in ogni
caso avresti dovuto aspettartelo che avrei agito così, mi delude Capitan Jack
Sparrow!” lo canzono divertita.
JACK:
“La persona più corretta a bordo ero persuaso fossi tu” ammette ravveduto
tralasciando la provocazione.
IO:
“Ho avuto un buon maestro, l’amore mi ha corrotta anche in questo!” incalzo
faticando nel mostrarmi forte, quando invece tutto il mio corpo a partire dalle
gambe cede ormai per la stanchezza.
Il
qui presente maestro in questione non mi sta minimamente ad ascoltare, anzi,
accelera persino il passo.
In
poche falcate raggiungiamo la porta che da accesso alla nostra cabina, mentre
Jack armeggia con la chiave e la serratura tento un ultimo invano espediente di
riscatto:
“Guarda,
saltello come un canguro (termine coniato nel 1770
dal Capitano James
Cook, trovandoci circa 100 anni prima Jack non può conoscerlo! NdA)
–affermo inscenando goffamente le mie stesse parole- sto benissimo, non
capisco perché ti preoccupi in questo modo!” sostengo
boriosa.
JACK
rivolgendomi un’occhiata interrogativa: “Non so cosa tu intenda per
paguro [ne capisse mai una delle parole che gli dico -.-‘] ma per
quanto mi riguarda puoi dire qualsiasi lemma, non sono intenzionato a lasciarti
tornare dove ti ho ripescata per la seconda volta poco fa, comprendi? …Orbene,
per il vostro giaciglio l’entrata è da questa parte angelo!” fa mostra di un
plateale inchino, mentre zelante mi indica la porta
socchiusa.
Malgrado
l’imponente invito non smuovo un solo muscolo.
JACK:
“Ti ho accompagnato io stesso fin qui perché già supponevo ghiribizzi del
genere…” reclama annoiato.
IO:
“Conosci bene anche il mio lato testardo dunque!” predispongo con aria di sfida.
JACK:
“Sono disposto a ricorrere alle maniere forti!” avverte sfoggiando un riso
malizioso.
“…Libero
di provarci…” acconsento per nulla intimidita.
Muove
come preannunciato un lungo passo verso di me, ponendosi minatorio a pochi
millimetri dal mio viso.
IO:
“Non ne saresti mai capace” proferisco spavalda cercando di sminuirlo,
ricercando il suo sguardo per fronteggiarlo a pari merito. In riscontro
assottiglia maggiormente le palpebre, come a significare un audace “Ne sei
sicura?”
Dopo
parecchi secondi di silenzioso scontro irrompe per conto di un timbro
impensierito: “La mia è una semplice precauzione, il tuo colorito fa invidia
alla luna da quanto è pallido…!”
IO:
“Pallida lo sono sempre stata, Mozzarella rammenti?!” sostengo
innervosita.
JACK
tentando di mantenere la calma: “Voglio solo che tu stia a riposo, almeno fino
domani mattina –spiega sfiorandomi lievemente il ventre senza neppure rendersene
conto - in seguito sarai libera d-…”
IO:
“Cosa…?” L’interrompo colpita, sovrastando la sua mano poggiata sovra il mio
addome. Ha creduto davvero che le parole di Andrè riguardo il bambino fossero
vere?
Non’appena
realizza di aver compiuto quel gesto involontario s’affretta subito a ritrarre
l’arto, tentando di rifondersi vigore: “Intendi entrare oppure no?!” domanda
impaziente per l’ultima volta.
Sfrontata
nego nuovamente scuotendo la nuca.
Nel
giro di un secondo il mondo si capovolge: mi ritrovo a testa in giù, penzoloni
sulla spalla del Capitano come un sacco di patate, mentre superiamo vacillando
l’ingresso della cabina.
“Noooo!
Lasciami, mettimi subito a terra!” invoco poco convinta tra risa e finta rabbia
dimenandomi a mezz’aria.
JACK:
“Come più desiderate testaccia dura” concede servizievole esaudendo la mia
richiesta.
Mi
scaraventa giocoso sul letto facendomi rimbalzare più volte sul materasso
morbido, ignorando completamente le mie ulteriori proteste. Sempre senza darmi
retta si dirige altalenando verso il tavolo al centro della stanza, indirizza
uno sguardo tra l’attonito e lo stralunato al gran trambusto che regna su quel
mobile antico, prima di lanciarsi nella ricerca sfrenata di un fiammifero tra
tutto quel ciarpame mal ammassato così da accendere una lanterna o qualche
candela per attenuare l’oscurità della stanza.
Sentendomi
ormai del tutto inconsiderata mi rassegno a cercare di seguire il suo consiglio
rilassandomi, mi distendo sulla soffice trapunta leggera in posizione supina
chiudendo gli occhi.
Respiro più volte profondamente svuotando del tutto la
mente, in questo modo con sollievo inizio a sentire i muscoli dolenti
distendersi e lo spasmo diminuire.
Concentrandomi sul rumore regolare delle onde mentre
si infrangono sulla chiglia della Pearl provo a prendere
sonno.
Sto quasi per abbandonarmi a Morfeo quando tra tutto
lo sconsiderato trambusto creato dal Comandante avverto distintamente uno strano
rumore provenire dalla mia sinistra, somigliante ad un singulto
attutito.
Il mio cuore sobbalza violentemente, ma nonostante
questo trovo la forza d’issarmi nella direzione del fragore per scorgerne con i
miei occhi la mandante.
Nell’angolino più buio della stanza, ad una distanza
minima da me, rivedo la donna dal mantello ferrigno stringersi nella parete con
lo sguardo ancora celato dal cappuccio, ma rivolto verso il Capitano mentre
soffoca i singhiozzi serrando la bocca con una mano.
Un profondo tuffo al cuore, seguito da un groppo che
mi impedisce di respirare, questa la mia reazione. I polmoni si contraggono e
distendono velocemente cercando con disperazione di incanalare più ossigeno
possibile da mandare al mio muscolo cardiaco quasi fermo per lo sgomento.
Succede
di nuovo, rimango pietrificata sul letto, immobilizzata da una forza più potente
di me il quale padroneggia su ogni mio arto, incapace di parlare, muovermi,
reagire…
L’unica cosa che fuoriesce dalle mie labbra è un lungo
espiro di stupore con cui fortunatamente richiamo l’attenzione di
Jack.
Il Capitano si volge incuriosito verso di me,
distinguendo la mia espressione sgomenta si accorge subito della terza presenza
e tempestivo interviene.
JACK: “Non è possibile…! Abbiamo lasciato il porto un
ora fa, come… Cosa diavolo ci fai a bordo della mia nave??” obbietta
affrontandola a spada sguainata con cipiglio stralunato.
Lei
non risponde, ingoia a fatica quei sofferti singulti, abbassa la testa e sembra
cercare di ricomporsi.
Il
respiro mi torna seppur affannato, ignorando il penetrante buco allo stomaco che
mi trafigge tutto il busto e le gambe pesanti come macigni mi convinco a non
lasciarmi impressionare e reagire.
Raccolgo le forze, in uno scatto di rabbia afferro il
pugnale celato sotto al mio cuscino e non tardo un secondo di più a schierarmi
con una grinta a me inaudita al fianco di a Jack.
Nell’impeto
causato dall’ira verso di lei non mi accorgo neppure che Jack abbandona la messa
in guardia, deponendo il suo gladio nella fondina.
JACK:
“No, Jennyfer! Riponi
il pugnale -dissente sollevando un braccio- Non è armata… non può difendersi”
spiega in tono greve.
...“Chi le dice che io non sia armata, Capitano?”
pronuncia la donna contrapponendosi tra noi, sfoggiando un compiaciuto sorriso
ornato da due labbra carnose dipinte di rosso.
Nota delle Autrici:
Ecco
l'ultima parte del capitolo ^^
A partire
da qui avrà inizio il motore che metterà in moto tutta Unty2 =) Per il momento
vi teniamo ancora in sospeso, scoprirete di più nel capitolo 9 =D
Thanks Goddess
Dream =* =*
Stasera
alzate il naso verso il cielo, cadono le stelle!!!
Un
bacione, buona notte di San Lorenzo a tutti ^^
Kela and
Diddy
(Capitana
and Capo)
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Capitolo 9 *** Illusion. ***
Nota delle Autrici:
Sera gente!! ^^
La primissima parte di questo capitolo 9 per l’appunto
è di genere comico 8>P
La seconda invece, di tutt’altra pasta, l’ho quasi
terminata.
Nei
prossimi giorni appena sarà pronta la posterò ^^
L’ultima
parte del Capitolo 8 che continua in questo nuovo aggiornamento è stata postata
il 10
Agosto
per chi non l’avesse letta =)
Volete
iniziare a scoprire qualcosa di più riguardo la donna dal cappuccio grigio che
pare mettersi in mezzo tra Jenny e Jack? Leggete dunque quanto segue
=P
Mille
ringraziamenti a…
_Celia_:
Sogno,
always the first 8-D Sorry but qst sera ho in mente solo uno e cento modi per
strozzare il tuo caro Leonard ^^’ Nn capisce un accidente quel omo, è
allucinante! E sto ancora vomitando per quella parola che hanno affibbiato a
Wilde -.-‘’’ Ma cosa dici, le tue recensioni sn sempre tr duciii! =’) Anche la
canzoncina ci hai dedicato *w* urca =$ Non so ke altro dire se non Grasie
=*
Grazie mille per la zampa
immensa che mi dai e per sopportare sta povera pazza =P Devi insegnare anke a me
ad andare a cavallo :D Devo vederlo il Patriota!! Mah, speriamo d finirla prima
o poi qst collana ^^ Non per niente l’abbiam chiamata “without end” qst storia!
In questo capitolo quei 3 (Sci, Jenny e Jack) architetteranno un piano per far
arrivare il tuo figliolo ;) Vediamo che ne pensi ^^ Grazie ancora per tutto =*
Ti vogliam un mondo di bene!!!
JiuJiu91: Eh si me ne sono accorta anche io del
cambiamento di stile ^^ L’abbiamo appreso col tempo e scrivendo 53 capitoli
oramai =) lol Sn quasi se non del tutto diventata paranoica qnd scrivo ma poi mi
accorgo che qualcosa vale! Ne sono sollevata, a volte rileggendo le prime parti
di unty1 mi vengono i capelli bianchi XD tranquilla, qui nn si offende nessuno
=D ;) Da piccola avevo quasi convinto i miei a regalarmi un dalmata *w* Poi alla
fine l’ha avuta vinta mamma: “un animale in casa?? nemmeno per idea” -.- Però ho
sempre adorato sia il cartone che il film :D Siamo contente di riuscire a
strappare un sorriso =D Nella prima parte di questo capitolo ci saranno altri
scambi di battute comiche! ^^ La calma prima della tempesta… Per Dylan ci stiamo
pensando, promesso ;) Mah, secondo me i pirati durante la loro ora uscita libera fanno
quel che farebbero dei detenuti nell’ora d’aria se potessero avere accesso in un
innocuo paesino ovvero di tutto e di più ^^ lol Un abbraccione forte fino in
Australia!!! =D A presto =* =*
vanessola: Ave Mater Superiora! ^^ Dopo tutta questa
venerazione solo per il titolo del chap ci voleva in dedica un sospiro :P Eh he
vedi, soffri d’insonnia cm Tim ;) Vedi di dormire che poco sonno non va bene!!
And I’m fullll of
jooooooooooooooooooooooooooooy!!!! =P Siam contente che anche a te sia piaciuta
quella parte ^^ Vedi di aggiornare in fretta anche le tue ff eh! =) Tanti
baciii, a presto =* Dobbiamo andare a vedere Kong fu Panda e Hankok!Maters
4ever!
Jechan:
Ciao Jessica!
=D Urca =S Anche tu super
maratoneta!! Sei da olimpiade 8-D 2 giorni e hai letto sia Unty1 che 2! O.o Ti
abbiamo colpita, ne siamo onorate ^^ Jack per quanto posso cerco di renderlo
fedele a quello dei miei orsetti Teddy (gli sceneggiatori di potc) ma so che non
è per niente uguale, credo nessuno tranne i miei orsetti stessi e Rob Kidd
sapranno mai renderlo identico =) Già *w* Dopo aver visto Sweeney rimane così
impresso che è un impresa dimenticarlo *w* Grazie per i tuoi complimenti ^^ A
presto =D Un bacione!
schumi95: Kat, ciau!
=’) Ci sei mancata anche tu! ^^
Siam contente che Andrè inizi a prenderlo in simpatia =D Alla fine è molto dolce
e buono, i suoi difetti sono l’essere impiccione e il Capo aggiungerebbe
francese u.u Io credo che quei uomini come dici tu siano rariiiiiissimi ma
esistono, ne conosco uno =) Più grande di me di 28 anni e impegnato ^^’ però
esiste! Solida consolazione… Ecco, hai risolto da sola il mistero di quella
donna della carrozza! Eh si, nel passato ha un ruolo importantissimo, è una
chiave della storia, ne saprai di più nella seconda parte di questo capitolo :D
Sì, all’orizzonte ritroviamo Vallenueva, che se hai visto il terzo film dei
pirati dei caraibi è il membro spagnolo del Consiglio della Fratellanza che
litigava con l’incipriato francese ;) Ci serviva un antagonista e dunque ci
siamo riallacciate al film così è qualcuno di conosciuto! ^^ Buone vacanze
piccola, e grazie peri tuoi giudizi! =* Bacioniii
68Keira68: Bentornata Sara!!! =D Yep, Al davvero se lo
meritava ;) Jenny farà qualcosa tranquilla! =D L’hanno colpita troppo quei
pargoletti ^^ Bhe, Havier non ha imparato ancora bene la lezione, sul finale era
comunque ostile con Jennyfer, però sicuramente una lezioncina l’ha imparata =
) Certo, Jack è un pezzo di pane però agli occhi
di una bambina appare così strambo che di primo impatto secondo me scappa :P
lol Eh invece sulle bambine più grandi qui cm la sottoscritta ha un fascino
8-) …kela trattieniti! Ehm ehm, dicevamo? Ah si! Grazie per i tuoi complimenti immeritati cm
solito ^^’ A presto carissima! =D Un bacionone =* TI vogliam tanto
ben!
Buona
lettura a tutti!! ^^
Ricordate
di dare un’occhiata alla fine del capitolo 8 se leggendo questo inizio vi
trovate spaesati ;)
Un
bacione! A presto =D
Kela
and Diddy
(Capitana
and Capo)
Capitolo
9
Illusion.
Unknown.
JACK: "Quando
pongo una domanda esigo una risposta!" afferma temporeggiando in tono
autoritario.
Nel frattempo la
sua mente scaltra è già impegnata ad elaborare rapidamente un'efficace strategia
concerne alla situazione.
Con la coda
dell’occhio lo vedo portare per precauzione una mano intorno all’elsa della
spada, pronto a riutilizzarla immediatamente in caso di pericolo, sempre
analizzando vigile ogni minimo movimento della donna dinanzi a noi.
Io stringo
imperterrita il pugnale tra le mani.
... : "Stavo solo
scherzando signore -ammette ironizzando- vorrebbe perquisirmi per caso?" propone
portando le lunghezze della mantella oltre le spalle e posizionando le mani sui
fianchi sempre sorridendo, mettendo in mostra la veste scarlatta che fascia
delle forme burrose prima celata dall'ombra e il tabarro.
Non ti conviene
Jack, sono qui accanto a te, armata di pugnale perlopiù!!
Mio odio a parte,
sono sorpresa dal tono "naturale" con il quale lei si rivolge a Jack, non
provocativo, ma piuttosto confidenziale come se fosse da sempre abituata a
motteggiare con lui.
Il Capitano ogni
secondo che trascorre al cospetto della donna appare sempre più confuso,
stranamente non controbatte, ma attende accigliato la prossima mossa
dell'intrusa mantenendosi serio.
... : "Sembra il
caso che sia io a presentarmi per prima… -conclude rassegnata- Riguardo a voi
conosco già entrambi - ammette prima di volgersi nella direzione del Comandante-
Capitan Jack Sparrow: re dei Caraibi [re??]-le parole della straniera vengono
appurate da un inchino plateale di quest'ultimo- Pazzo come una volpe, ma molto
abile a volgere l'attimo a proprio favore con risultati sempre diversi e
confusi..." lo presenta trattenendo un riso quando Jack lancia lei
un'espressione offesa per la sua ultima sminuente definizione.
"E Jennyfer
Catherine Allyson..." riversa a me.
Sa il mio nome per
intero?? 0_0
IO: "Com...come
puoi conoscermi?"
E' impossibile!
Dylan era l'unico a saperlo, dev'esser necessariamente entrata in contatto con
lui quando ci trovavamo qui, è l'unica spiegazione possibile.
JACK:
"Catherine???" apostrofa scoppiando a ridere.
Aaaargh, perchè
diamine l'ha detto!!!
IO: "Sì Catherine, e
non una sola parola sul mio secondo nome!!" sbotto furiosa mettendo subito le
cose per interso.
JACK: "D'accordo
Cat!" definisce in tono giocondo unendo le mani dietro la schiena.
"Jack!!" lo
rimprovero oltraggiata.
JACK: "...Miao..."
proclama in tono innocente portando le mani al cielo. (Jack scherza sul fattore per cui cat in inglese
significa gatto NdA)
"Falla finita!!!"
urlo adirata.
JACK:
"Meeeeow…ffff…" replica portando le mani semichiuse all'altezza delle spalle e
allungandone una verso di me come fanno i felini con gli artigli per
difendersi.
IO seccata
rivolendomi all'intrusa : "Dovevi aggiungere peggio di un bambino
tra i suoi difetti!!"
La donna allietata
dai nostri futili bisticci torna seria nel terminare il suo discorso: "E tra i
tuoi pregi ce sei sagace, di bella presenza, colta, determinata, testarda, forte
all'occorrenza e proveniente da un tempo a noi ancora lontano definito terzo
millennio, è così?" domanda pedantesca sempre mascherata dietro un sorriso che
mi accorgo sempre più essere d'evenienza.
Ancora una volta
mi lascia pietrificata, dalla mia bocca fuoriescono solo sillabe farfugliate,
dettate dallo stupore, il quale cercano disperatamente di negare l'ovvio.
E' a conoscenza
anche di questo???
"Allora ho trovato
proprio chi cercavo! -attesta vittoriosa- Non smentir le mie parole Jenny, so
ogni cosa. Piuttosto, voi ancora non sapete nulla di me! Il mio nome è Scilla,
non temete, non sono un nemico per voi. Mi trovo qui semplicemente per aiutarvi,
come ho annunciato al nostro primo incontro..." accenna a voce più tenue,
intimidendosi rispetto a prima quando fronteggiò il Comandante con cotanta
vigoria.
E quello chi se lo
dimentica...
"Rammentiamo
benissimo quell'episodio!!" sottolineo infastidita buttando gli occhi al
cielo.
Jack si volge
verso di me ostentando un ghigno curioso tra il malizioso e il divertito,
seguito da un mio ad effetto fulminante.
SCILLA ridendo:
"Giust’appunto, come ho potuto esser così ingenua da dubitarne...!" si
rimprovera da sola portandosi una mano alla testa avvolta dal cappuccio
cenere.
"Eppure lo sei
stata!" evidenzio inacidita con un sorriso tirato. Il Capitano indirizza verso
di me un'occhiata abbuiata, ma pur sempre amena.
Non mi guardare
così mio caro, dopo questo scambio fraterno di battute tra voi torna ad essermi
poco chiaro quel passionale bacio che ti ha dato!
SCILLA: "E'
complesso ciò che sto per dirvi, non lo sanno molte persone al di fuori di un
paio perciò vi prego di ascoltarmi e non rivelarlo ad altri se non è
strettamente necessario" stabilisce dandoci fiducia.
Sia io che il
Capitano annuiamo divenendo seri.
SCILLA: "Vi
conosco perché entrambi possedevate come me un frammento della mappa
Hyubtat-le!"
Al suono di quel
termine così insolito entrambi ci scambiamo un’occhiata interrogativa.
JACK: “Crediamo di
non aver capito, gioia…” dice cambiando la sua espressione in una intrigata.
SCILLA: “Oh,
perdonatemi. Dovevo essere più chiara! Intendevo la mappa che poco tempo fa vi
ha condotto ad Isla Oculta –precisa- Sapete, ho trascorso dieci anni della mia
vita a studiare ogni suo millimetro quadrato, il suo nome perciò a me risulta
nauseante” ammette sogghignando.
JACK: “Dieci anni
sono lunghi!” attesta ammirato.
SCILLA: “Quasi una
vita intera…” l’asseconda in tono ormai privo di qualsiasi vigore.
IO: “Scusate se
interrompo il melodramma qui –erompo confusa con accento seccato- Ma siccome
dici di sapere tutto, Scilla, e se realmente ti riferisci alla mappa di Isla
Oculta… Dovresti saperlo da te che l’ho vista in un museo…”
“Il museo di Santa
Barbara in California, esatto” specifica lei cattedratica.
JACK come sorpreso
da un’illuminazione: “Giaaaà, Museo! –afferma scandendo la parola appena
rinvenuta dai meandri offuscati della sua memoria- Uno di quei luoghi dove sono
custoditi testimonianze storiche, oggetti, documenti antichi e il quadro della
MIA nave!!” condiscende orgoglioso. (Jenny spiegò a Jack in cosa consiste un museo nel capitolo
23 “Verso la fine di un nuovo inizio” di Untitled NdA)
IO sempre più
irritata: “Si, quello! –affermo brusca- Il punto è: quella Mappa non aveva
nessun nome, secondo il personale del museo era una semplice cartina
geografica antica esposta in vetrina, nulla più!”
SCILLA: “Ma hai
potuto verificare tu stessa il suo potere, come ti spieghi la tua presenza qui,
400 anni lontana da casa? Non è un semplice pezzo di carta Jennyfer, lo sai
benissimo”
Questo è vero
dannazione…
SCILLA: “So che
faticate a credere le mie parole, vi capisco. Sono un’ordinaria sconosciuta che
si presenta qui all’improvviso, conoscendo tutto di voi e al contrario non ne
sapete nulla, ma vi chiedo, ve ne prego, mettete da parte ogni preclusione per
un attimo ed ascoltatemi, non pretendo altro. Ne vale della vostra incolumità!”
stabilisce impensierita.
Jack si volta
verso di me con un sopracciglio inarcato come a significare “Sei d’accordo a
darle ascolto?”
IO spazientita: “E
va bene, ma prima vorrei spiegassi francamente questa faccenda del nome!”
SCILLA
rallegrandosi: “Come più desideri, ma per venire a conoscenza di quella fareste
meglio a mettervi comodi… è una storia piuttosto lunga!!” incomincia
entusiasta.
1535 d.C.
Quarantatre anni
dopo la scoperta del Nuovo Mondo, nel Nord dell’Europa, il sovrano Hans Nils di
Svezia (in onore del gran bel pezzo di maritino della mia Tigrotta
NdCapitana) ideò una mappa
alquanto differente dall’ordinario battezzandola con il nome di Hyubtat-le.
Questa è la, a noi
incomprensibile, pronuncia svedese, Huntatle ci somiglia di più e tradotta
consiste in Untitled, ovvero senza titolo.
Re Nils credeva di
aver stregato questo frammento cartaceo in modo che dopo averla consultata,
immaginando un determinato luogo e tempo, l’immenso potere in essa contenuto ti
ci conduceva all’istante.
Rese il
manoscritto anonimo, così facendo nessuno avrebbe sospettato i suoi poteri e
scoperto l’enigma che conduce ad Isla Oculta, sede dei tesori
appartenutegli.
Si credeva
l’utilizzasse per giungere in largo anticipo sul campo di battaglia,
sorprendendo il nemico e garantendosi la vittoria certa.
Oltretutto il suo
unico figlio maschio destinato al trono non si sposò, e mai ne ebbe intenzione,
per questo re Nils grazie al suo prezioso asso nella manica credeva di poter
vivere in eterno.
Le aspirazioni del
monarca però risultarono smodate, morì in guerra pochi anni dopo segnando la
fine della sua dinastia, ma confidando di rinascere un giorno in una nuova
reincarnazione, rese possibile l’utilizzo della mappa ad altri al di fuori di se
stesso trascrivendo su un foglietto la formula necessaria ad intraprendere il
viaggio nel tempo celandola poi all’interno del documento stesso.
Il manoscritto
antico realizzato, da mani sconosciute, si compone di una rappresentazione
accurata del globo suddiviso in 2 ellissi; all’altezza dell’arcipelago caraibico
le 5 mete che conducono ad Isla Oculta sono evidenziate con colori diversi
rispetto alle circostanti, ma Untitled non consiste solamente in questo.
Quando un
individuo ne entra in possesso diviene un vero e proprio oracolo del suo
destino!
Molti le
definiscono semplici decorazioni, in realtà sono chiari simboli della sorte. Vi
sono 4 figure negli angoli del foglio: una catena, il sole, un teschio ed infine
un galeone a vele spiegate.
In base a quale di questi simboli possiedi quando vieni in
possesso di un lembo di Untitled il destino deciderà per te una determinata
sorte.
… “No no, rallenta
gioia. Stai forse dicendo che suddetto foglio di carta senza cui non avremmo mai
scovato quell’ambito tesoro a cui conduce, introvabile perciò in mancanza di
esso è capace d’influire sul destino di chi lo possiede?” domanda perplesso con
un sotterfugio, interrompendo il racconto scrupoloso di Scilla.
SCILLA: “Esatto
Capitano!” annuisce piatta senza tralasciare alcuna emozione.
IO: “E se chi la
possiede non crede a tutto questo?!” irrompo restia apportando un dubbio anche a
Jack.
SCILLA voltando di
scatto la testa verso me, non credo sia cieca data la precisione con la quale
esegue i movimenti, sembra vederci benissimo al di sotto di quella mantella
cenere: “Non si tratta di una dottrina a cui si è liberi di credere o meno, è
così e basta!” scagiona divertita dalla mia contestazione.
Possibile che non
ci sia nessun modo per alterarla almeno un pochino, lei ci riesce benissimo con
me!!!
Il Capitano al
contrario si rilassa, distende all’indietro la schiena sulla sedia accomodata
nelle vicinanze del tavolo rotondo nel mezzo della cabina, e dopo essersi
beatamente stiracchiato inclina la seggiola sulle due gambe posteriori iniziando
a cullarsi come fosse accomodato su di un dondolo.
JACK: “Sentito? E’
così e basta amore mio!” interferisce rivolgendosi a me con un ghigno
mordace.
Io per tutta
risposta infliggo lui uno spintone che inclina la sedia a tal punto da far
ritrovare in un secondo il Capitano col fondoschiena dolorante a terra,
preceduto da un tonfo sordo.
“…A…a-aaahia…” si
lamenta a denti stretti.
Te lo do io Amore mio adesso!!
La spettatrice dinanzi a noi soffoca
una risata premendo una mano sopra la bocca vermiglia.
IO continuando come nulla fosse mentre Jack tenta
scompostamente di rimettersi in piedi, stordito dall’improvvisata: “Se non
sbaglio dicevi di possedere un frammento della mappa anche tu, ero convinta che
al di fuori di me, Jack e Dylan solo Hayez Nick ne fruisse un lembo!”
SCILLA: “Fu
proprio Nick a rubare il mio pezzo, se ne appropriò senza che io potessi
fermarlo…” confida dimessamente.
Ah…
JACK ormai
riaccomodato: “Ti ha fatto del male?” s’interessa esprimendosi in tono
greve.
SCILLA: “Non in
modo serio almeno” assicura accennando un sorriso.
Non crederà
davvero di esser stata l’unica vittima di quell’uomo, ha tentato di approfittare
anche di me con quelle sue sudice mani da porco!! In ogni caso noi non siamo un
ospedale, e raccontandoci le sue sventure non ci sta aiutando come aveva
predisposto, cosa vuole veramente??
“Mi dispiace”
ammetto però sincera ricevendo un accenno del capo, posso capirla in questo, non
afferro dove intende arrivare invece…
Le mani della
donna poggiate come in resa sul bordo del tavolo spariscono in uno scatto al di
sotto della sua mantella ferrigna, dove fruga qualche istante per poi tornare
alla luce con un frammento di carta ed un pennino. Trascrive su di esso 5 nomi
prima di renderlo visibile a tutti. SCILLA: “Il custode della mappa, ovvero il
primo proprietario in questa vicenda e l’unico all'altezza di decidere le sorti
di Untitled fu Dylan – enuncia sottolineando con un tratto fine e netto il suo
nome posto al culmine della lista – il secondo è stato Capitan Jack, poi io,
Hayez Nick ed infine Jennyfer” conclude scorrendo fino alla fine del pezzo di
carta.
IO: “Come sarebbe
a dire custode, deve deciderne le sorti?? –sbotto
scombussolata- Dylan è solo un bambino, non può sopportare anche questa
responsabilità!” insisto opponendomi alterata.
Scilla non pare
starmi a sentire, continua a disegnare per suo conto dei segni circolari sul
retro del foglio.
“MI VUOI DARE
ASCOLTO??” in un impeto di rabbia che nemmeno io controllo inveisco su di lei
con uno strepito iroso, sbattendo furiosamente una mano sulla superficie del
tavolo a pochi centimetri dalla sua.
Jack interviene
all’istante, issandosi in piedi con un guizzo prende il controllo della
situazione e mi afferra per le spalle trainandomi indietro, verso di se.
JACK: “Tesoro,
calma…calmati…!” sussurra piano al mio orecchio, affondando il viso nei miei
capelli anche se può percepire distintamente sottopelle i nervi tesi come corde
di violino.
Il fiatone si
mescola a singhiozzi e nei miei occhi iniettati di odio si specchia ancora il
suo volto tramortito.
“Puoi scusarci
solo un istante…?” domanda garbato per congedarci.
Ricevuto un debole
cenno di acconsento s’affretta a condurmi nella stanza accanto tramite la porta
confinante, la mia adorata vecchia camera da letto.
Il rumore
meccanico della serratura mentre si richiude dà inizio al mio sfogo: “Q-quella
non capisce…! Ha la minima idea di tutto quello a cui è già stato sottoposto e
costretto a sopportare mio fratello?? A-accettare il fatto che io non esisto più
ad esempio… E poi scuse, giustificazioni, bugie storielle inventate, n-non lo so
se nel futuro è come se io non fossi mai esistita o adesso c’è l’FBI che mi
cerca in 50 stati dandomi per dispersa!!” pronuncio estenuata con voce rotta dal
nervosismo vagando avanti e indietro senza pace.
JACK smarrito: “F-B-eh??”
IO: “Ufficio federale di investigazione, è un tipo di
Polizia…” accenno ispirando profondamente per calmarmi portando una mano alla
testa.
JACK: “Un tipo, ce
ne sono altre? Quante sfaccettature di forza dell’ordine avete nel tuo tempo??”
domanda angosciato stortando il capo.
IO: “Più di quante
immagini, Capitano! Per questo ti ricordo spesso che nel futuro un farabutto
come te non avrebbe alcuno scampo!!” pronuncio dissuasiva poggiando stancamente
le spalle contro il muro.
JACK: “Non
sottovalutarmi dolcezza –contesta smaliziato- stai parlando con Capitan Jack
Sparrow! Sono spartito sotto gli occhi di 7 agenti della Compagnia delle Indie
Orientali, rapito la figlia del governatore di Port Royal, evaso dalle loro
prigioni, requisito la nave più grande e veloce della marina intera, li ho presi
in giro, fatti naufragare in un uragano, trafugato un forziere sotto al loro
naso, danneggiato l’albero di Maestra su un altro veliero, divenuto loro alleato
per poi tradirli, beffeggiati, affrontati, bombardati ed infine vinti!” esibisce
borioso in un riso maligno, illuminando la stanza buia con un scintillio
dorato.
IO: “E nonostante
tutto questo sono ancora sulle vostre tracce ben allacciati alle tue calcagna…!”
sentenzio deprezzante.
JACK costernato:
“Quello è un dettaglio che cerco di non rimembrare –afferma sottecchi- Chiudo
gli occhi e fingo sia un brutto sogno, così vado avanti!” attesta allargando le
mani in un gesto plateale riacquistando il suo tono ottimista.
IO: “Vorrei tanto
pensarla nello stesso modo…” confesso in un debole fiato infranto dalle
lacrime.
Le sue braccia
prima schiuse per vanto si fanno più vicine, sino ad avvolgermi, lentamente, in
un tenero abbraccio.
Assaporo nel
pianto ogni suo singolo movimento, mescolato al sollievo sprigionato da
quell’infervorante stretta, finendo per affondare il viso nell’incavo tra la sua
spalla e il collo così da lenire ogni singhiozzo.
Jack a sua volta
s’accosta alla mia fronte sfiorandola più volte con le labbra.
IO: “…Per quanti
sforzi faccia, malgrado quanta forza ci impieghi Dylan non vivrà mai una vita
normale… In aggiunta a tutto questo non può esser sottoposto persino ad una
responsabilità di tale portata…” pronuncio dissipata.
JACK: “No, hai
ragione. Lui è destinato a qualcosa di molto più grande! –enuncia infervorato-
C’è la possibilità che non sia come credi, non hai ancora ascoltato il suo
discorso fino alla fine!” attesta fiducioso tornando coi piedi a terra.
Può andare peggio
di così?
IO espirando
profondamente per riprender risolutezza: “D’accordo… Torniamo dalla tua amica
dunque!” concludo con cadenza alterata.
Sto già per
avventarmi astiosa sulla maniglia della porta, quando la mia mano viene
prontamente sovrastata da quella del Capitano, nell’intento d’impedire la mia
fuga.
JACK: “Cosa
intendi con tua amica? -domanda esibendo un buffo
cipiglio interrogativo- Non so nemmeno chi sia!”
IO: “La tua bocca
guarda caso pareva di sì invece!! Mi riferisco al tono confidenziale con il
quale ti rivolgi a lei, inizio a dubitare seriamente che sia una sconosciuta
come mi hai detto!!” paleso risentita.
JACK: “Sono un
gentiluomo!” si difende divertito portando una mano al petto, mentre con l’altra
trattiene senza alcuno sforzo la porta ben serrata, nonostante io implichi tutta
la mia forza nel tentativo di aprirla.
Con un verso di
rabbia repressa rinuncio alla mia impresa, ritirandomi nel buio, sconfitta.
Nella stanza
rischiarata solo da un fascio di luna filtrato nel vetro consunto della
finestra, per qualche istante regna il silenzio, fin quando è lo stesso
Comandante a spezzarlo: “Quel mangia-rane di Andrè definirebbe questa scena un
jà-vue !” azzarda sogghignando.
Rimango una
manciata di secondi perplessa, poi in una nota seccata rettifico: “Semmai si
dice déjà-vu !… Cosa, perché ridi??” domando
frastornata dalla fragorosa risata in cui esplode Jack.
JACK: “Ci avrei
scommesso tutto il mio oro accantonato nella stiva che mi avresti corretto, se
così fosse stato adesso sarei straricco sfondato!!” esplica tra le risa.
IO: “Bene, allora
sentiamo riccone, in quale occasione avremmo già
vissuto questo momento?!” chiedo ormai del tutto spazientita.
JACK quasi con le
lacrime agli occhi: “Quando esattamente qui –dice portandomi vicino alla porta-
ti ho domandato se provavi un determinato sentimento per me e mi hai risposto no, mentendo!”
precisa lieto. (riferimento
al finale del capitolo 26 di UNTITLED “Carpe diem” NdA)
Oh, sì… Adesso
ricordo! Il mattino di quel giorno tanto terribile che tuttavia mi ha permesso
di iniziare a vivere…
Giurerei di
sentire ancora nell’altra stanza i passetti scalpitanti di Dylan mentre ci cerca
in ogni dove, bendato, e noi qui a discutere di fatti seri, troppo insolito per
me e Jack. Da un momento all’altro potrebbe spalancarsi la porta e fare il suo
ingresso trionfale quel soldo di cacio con un broncio ridicolo, mentre adirato
ci rimprovera di aver imbrogliato, ma ciò non accadrà. Seppure il tempo sembra
essersi fermato a quel giorno i fatti non sono cambiati, come Dylan non
rimetterà più piede qui.
L’intonazione
profonda ma decisa del Capitano mi desta dai miei pensieri: “Quando volevi
andare via ti ho sempre voluta tenere con me, ogni istante… Solo, dopo il tuo
rifiuto, ero certo non lo volessi –ammette amareggiato circondandomi il viso con
le mani- mi sono reso conto che forse tuo fratello e la tua famiglia avevano più
bisogno di te!”
IO: “Non quanto io
ho bisogno di te” definisco in un sussurro smorzato, vittima inerme delle sue
parole, mentre i miei occhi s’illuminando d’una patina lucida.
JACK
arridendo estasiato: “Da quando tutto ciò si è avverato ho dimenticato cosa sia
il rimorso, non ti cambierei per niente e nessuna al mondo…” definisce velando
appositamente i suoi intenti.
“Jack, cos’è che
vuoi dirmi?” lo interrompo svilita.
JACK: “Trovare
quel frammento di Untitled, Jenny, è stata la cosa più bella che mi sia mai
capitata, mi ha portato da te!” ribatte indubbio.
IO: “…E… Tu come
hai rinvenuto un lembo della mappa?” domando per minimizzare, rimasta da quella
frase senza parole.
JACK: “Non te l’ho
mai detto?!” pronuncia crucciato.
IO senza riuscire
a placare un riso, procurato dai suoi modi sempre stravaganti anche solo nel
parlare: “No, mai”
JACK: “Uhm,
vediamo…” appura facendosi riflessivo, scivolando dal mento ai miei fianchi.
IO: “Niente
storielle inverosimili inventate al momento, voglio la verità!” raccomando
ponderata puntando un indice teso verso di lui.
JACK inscenando un
abile narratore ben concentrato: “Ero di ritorno sulla Perla da una breve
avanscoperta, percorrevo il ponte con il mio passo fiero –enuncia gesticolando
con le mani, creando in aria cerchi immaginari- quando una scimmia non morta è
guizzat-…”
“JACK! ho detto la
v-e-r-i-t-à!!” scandisco spazientita in tono di rimprovero.
JACK: “Per
l’appunto! E non ti ho nemmeno detto che ho fatto ritorno a bordo usando per
scialuppa una bara e servendomi di un femore morto come remo. Poi la bestiaccia
è sbucata dal nulla qui, sulla mia spalla e mi ha rubato il cappello!” insiste
avverso.
IO: “Ma
cosa sei, un profanatore di tombe?? –sbotto atterrita in un verso di orrore- Una
scimmia non morta, questa poi… Andiamo, sono una ragazza del duemila, non mi
bevo certe trovate! Capitan Jack Sparrow non è riuscito a fronteggiare un
primate poi?! Mi meraviglio di te!” lo schernisco infine.
JACK:
“Quell’orangutango cappuccino è una bestiaccia così detestabile che il suo
proprietario, mio peggior nemico talaltro, gli ha dato il mio nome!!” sostiene
quasi per vanto. (Barbinoooooooo *w* Scusate ^^’ la Capitana è
andata…)
IO ridendo
sconsolata: “D’accordo, ti credo!”
Le inventi tutte
Jack per apparire originale…
“Rimasto a testa
scoperta, indegno per un Comandante, dovevo rimpiazzarlo con un altro similmente
onorevole -prosegue nel suo racconto- Mi ritrovai nella mia amata Tortuga, con
la speranza di esaudire un patto stretto da rispettare entro 3 giorni; nel bel
mezzo di una futile rissa occasionale mi aggirai per il locale provandomi vari
cappelli dei commensali”
IO: “Vai in giro a
rubare cappelli??” sbotto oltraggiata prima che le sue dita mi serrino le
labbra.
“Non ho ancora
finito! –ammonisce solenne- Con quello a me più agevole feci ritorno sulla nave,
durante la notte, mentre ammiravo la mia conquista della serata, notai la fodera
interna del copricapo cucita con un filo di colore diverso su una parte del
bordo. Scucendola rinvenii dal cuoio liso il frammento della mappa!” conclude
eccedente atteggiandosi in bizzarre smorfie, rivivendo quell’atmosfera di
stupore per mezzo dello sguardo.
JACK: “Non sapevo
a cosa portasse o se fosse una vera mappa, per un po’ di tempo dimenticai
persino di averla. Poi allorché vi fu un periodo di calma la ripresi tra le
mani, scavai a fondo sulla sua provenienza ed infine quando seppi del tesoro
arrivarono a bordo della mia nave un adorabile ragazzino molto vivace insieme
alla sua splendida sorellina, la cosa più preziosa a cui Untitled mi ha
portato!” conclude trattenendo i suoi occhi, prima guizzanti ovunque nella
stanza unicamente su di me.
Allora è così!
Anche per Jack fu il caso a condurlo alla mappa… Mi è sembrato abbastanza
sincero, dev’esserci una buona percentuale di verità nel suo resoconto.
Ma non l’avrete
vinta Capitano, non stanotte.
Avvicino il viso a
lui così da fargli udire meglio la mia risposta, ma il Comandante intende
tutt’altro, infatti sfoggia già un sorrisino tra il compiaciuto e malizioso da
me conosciuto fin troppo bene.
IO: “Ci sono
uomini che ti danno l'illusione di essere il diamante splendente più prezioso al
mondo... Altri invece che ti fanno sentire un tesoro ogni giorno. Spero di non
rientrare nella prima categoria, Jack!” auguro mesta, prima di spalancare la
porta alle mie spalle con un colpo secco cogliendo di sorpresa il Capitano,
impedendogli di ribattere, ma lasciandolo semplicemente lì, ad un passo dalla
porta con la fronte aggrottata ed una domanda senza risposta, fluttuante nel
profondo del suo enigmatico sguardo.
Nota delle Autrici: (30 Dicembre 2008)
“E Unty tornò da antri infernali, che recherebbero incubi
immondi a voi ingenui mortali”
Ma che è?? XD Perdonate questa pillola di follia… ^^’ Era
nostra intenzione solo chiedervi scusa per tutto questo tempo in cui questa FF
non è stata aggiornata -.- Ce ne sono fin troppi di motivi e non vogliamo
annoiarvi oltre… Chiediamo solo umilmente scusa a tutti!
La parte che segue è una grande svolta per Unty, un cambio
di rotta (change rout è il titolo appunto XD), inizia con il racconto narrato da
Scilla della “biografia” di un personaggio insieme al suo grande amore che molte
volte, qualcuno di voi ci hanno chiesto chi sia… Dalle prime righe capirete =D
Ci è voluto del tempo per metterla insieme perché si
attiene a persone reali, avevo bisogno di qualche consulto =P Quella che segue è
la prima parte, nel prossimo capitolo, il numero 10, si conclude J In Unty si chiamano Celia e Leonard ma nella realtà, per
me, sono semplicemente la terza coppia più bella del mondo =)
Eccovi accontentati! ^^
Change rout.
Poco prima
d’interrompere bruscamente la discussione in atto tra me e Jack, nella stanza
accanto, lasciata come alla nostra venuta, presiede Scilla: il suo corpo è
ridotta ad una figura misteriosa che l’ampia mantella grigia rende indefinita.
Non appare più elevata in posa austera, piuttosto del tutto abbandonata sulla
seggiola, adunata in se stessa. La schiena è ricurva, le dita tremule, candide
come le sue gote, si contorcono e tormentano allo stesso modo del mento,
levigato e tremante.
Dapprima di far
ingresso in questa stanza sapeva bene cosa dire, per anni ha declamato a memoria
quelle parole conservando la certezza di riportarle con fermezza, ma da quando i
suoi occhi han scorto dal vero i 2 innamorati che da innumerevoli notti popolano
i suoi sogni, si è risvegliato in lei un sentimento provato un tempo per un
uomo, ora perduto per sempre, il quale ha amato più di ogni altra cosa al mondo
ed ora ritrovato inconsciamente in quella leggenda nella sua stessa mente del Capitan Jack
Sparrow.
Avrebbe voluto
agire con freddezza, l’unica cosa che ormai popola il suo petto vuoto, ma dallo
sbarco a West Caicos, in quello sperduto oblio, qualcosa, una sottile speranza,
l’ha bruscamente scossa riattivandole il cuore.
Sospira sconsolata
lasciando cadere in avanti la nuca, pesante per la colpa e i troppi
pensieri.
Dalla finestra
posta in fronte la donna incappucciata una brezza frizzantina fa il suo
leggiadro ingresso, le ante rifinite in ferro battuto cedono al moto potente del
vento e si spalancano senza un cigolio, permettendo alla notte cerulea, scandita
solo da luna e astri, di far capolino.
Lo zefiro giunge
fino ai calzari di Scilla destandola dal suo reo assopimento. Istintivamente
solleva lo sguardo, imbattendosi su di un’ombra proiettata lungo davanzale del
finestrone. A quella visione le labbra della straniera si allargano in riso, ma
un lungo susseguirsi di singulti smorzati lo cancella come se non fosse mai
esistito.
Scilla volge in
piedi ed accorre in tutta fretta all’antro spalancato, dove quello scuro
prolungamento di tenebra prende le fattezze di una nobile dama, il cui esile
corpo è avvolto da uno spesso kimono di seta blu oltremare, lungo sino alle
caviglie, lasciando intravedere i piedi insolitamente nudi e le ginocchia
rannicchiate al petto, traente a se nelle lunghe mani affusolate una trapunta di
lana rifinita con un motivo vivace color pastello.
Una bionda chioma
fluente le incornicia il viso piangente, ricadendo scompostamente lungo le
spalle per tutta la schiena, seguendo la forma ondulata delle onde.
I suoi occhi color
miele hanno smarrito l’ardito splendore di un tempo e, svuotati da ogni
emozione, si rivolgono vacui verso il mare, intenti a scrutare ogni flutto, come
in cerca di qualcosa perduto.
SCILLA: “Celia!! –sbotta stupita sollevando lievemente il
cappuccio, perché le sue iridi incolore vedano meglio da sotto la maschera in
pizzo nero che le ricopre- Ti avevo vista circolare in carrozza quando
eravamo a terra, Jenny è quasi finita sotto le tue ruote, ma com’è
successo??”
Non riceve alcun cenno significativo di risposta.
“…Ma, soprattutto, cosa fai qui? –domanda ansiosa- Se
Calypso ti trovasse…” pronuncia impensierita, deglutendo a fatica al solo
pensiero.
La bocca della nobildonna si tende in un malinconico
sorriso, innalza maestosamente un braccio fasciato da ampie maniche verso il
viso, asciugandosi una lacrima con la punta del dito ed infine offre quella
stilla salina al mare, dove viene inghiottita dalle notturne correnti
ponentine.
CELIA: “Se quella
perniciosa ninfa dal cuore di granchio si fosse realmente accorta della mia
presenza qui, avrebbe già scatenato la sua solenne ira su questa nave –ribadisce
per nulla angosciata- Così non ha fatto, dunque acquietati cara!” conclude tersa
celando la commozione.
SCILLA: “E’
imprudente per te rimanere, lo sai meglio di me…!” riscontra sempre più
angustiata.
CELIA in un
flebile sussurro: “Era mia intenzione donare una piccola parte di me all’Incubo dei miei sogni… ” confessa esitante ritirando la
mano che scompare all'interno della manica spaziosa per stringere maggiormente
il coltre.
“…Diceva di avere
sempre freddo, anche quando la linea dell’orizzonte si colorava della vivace
tonalità estiva; venuta la sera, rabbrividiva al minimo spiffero –continua in
cadenza stanca- Ti ho seguita con l’intenzione di rendergli la sua amata coperta
–condiscende facendo mostra della calda tolda rannicchiata nel suo ventre vacuo-
Ma non riesco proprio a separarmene…” definisce mordendosi il labbro inferiore
per reprimere un singhiozzo, attanagliando con astio la trapunta fra le dita
gelide.
Una morsa fulminea
coglie Scilla al petto, spezzandole il fiato, obbligandola a sottostargli
reclinandosi in avanti per il dolore. Ciò avviene poiché la misteriosa giovine
ha scelto di condividere a metà i tormenti della donna posta davanti a se, a
patto di ricevere i propri poteri.
Quando lo spasmo
diminuisce, torna a scrutare ansimando la gentildonna, la quale invece ha
solamente contratto i bei lineamenti luminosi, rispecchianti la luce lunare, in
sguardo d’orrore e profonda tristezza.
Sembra aver smesso
d’invecchiare intorno ai 35 anni, non dimostra un solo giorno di più.
Alcun segno del tempo ha deturpato il suo grazioso viso dai
tratti fini, ma se solo si fa caso al passo allentato e stanco, il riso
sforzato, le perle di dolore di cui spesso si colmano i suoi grandi occhi vuoti,
perennemente velati di rammarico, pur non sapendo nulla sul suo conto, tragedia
e sgomento traspaiono brutalmente da ogni ansito.
Dinanzi a me
Celia, la Dea dei Sogni. Generata dal dio del sonno Ipno, e Nyx*, la meravigliosa personificazione della notte terrestre.
(* ßVedi nota a piè di pagina NdA)
Rinnegata fu
dall’Olimpo, dai suoi stessi padri, poiché, innamorata della vita terrena,
espresse il desiderio di portare aiuto agli uomini discendendo tra loro.
Tra mille ire la sua volontà venne accordata, ma non senza
condizioni: scegliendo di compierla sino infondo mai più rivide la sua dimora
divina, così come i suoi cari; poté prendere con se una sola cosa creata dagli
Dei, e tra inimmaginabili dovizie scelse Immi, la sua fidata cavalla Haflingher,
capace al contrario d’ogni altro essere vivente di leggere nella mente
umana.
Divenuta parte
degli mortali fu obbligata ad avere una identità terrena, ribattezzata per sua
scelta l’unigenita figlia dei coniugi Wilson che di bambini non poterono averne,
mantenendo ogni suo potere divino a patto di trascorrere una vita ordinaria.
Mai si pentì della
sua curiosità, per millenni da lassù, affacciandosi al mondo, vide pace e
guerre, fame ed abbondanza, dolore e passione, ma tra tutti questi custodì da
sempre l’ardente desiderio di scoprire da se l’unico inspiegabile sentimento,
presente seppur in minima parte in ognuno dei precedenti: l’amore.
I consorti Wilson
donarono lei un’infanzia molto felice, mercenari di cotone si spostarono
continuamente permettendole in pochi anni di attraversare il lungo e in largo il
globo, fino al trasferimento definitivo nelle Americhe, in una villa regale nel
tranquillo arcipelago caraibico di Caimanera, dove trovarono fortuna e
ricchezza.
Qui la famiglia,
entrata in contatto con la nobiltà del luogo, intraprese una vita sociale molto
movimentata, degna della reggia di Re Sole, costruita su sfarzi, eccessi, feste
da ballo, frivoli divertimenti, sale da the, ricevimenti, tutto incredibilmente
pesante per l’appena quindicenne Celia che iniziò da subito a patirne
insofferenze, fino a giungere ad una vera e propria ribellione a quel perbenismo
di facciata, non accettando il doversi sentire continuamente giudicata o messa
alla prova da una sfilza di superbi blasoni.
La sua “cattiva
condotta” costrinse a dei seri provvedimenti, in poco tempo venne inserita in un
collegio femminile prestigioso, ancora una volta lontana da casa e dalla sua
famiglia terrena, l’unica che abbia mai realmente avuto.
Visse un periodo
buio nel quale si sentì ripudiata e sola, ma a poco a poco trovò conforto in
quelle notti eterne, in cui l’era concesso divagare fino all’alba sottoforma di
scintillante corpo celeste, leggiadra come uno spiro di vento nella mente d’un
vicino sognatore, facendo poi divenire il suo sogno non più solo una
visione.
Seguì in parte
anche il volere dei consorti Wilson, vale a dire quello di formarsi come una
vera nobildonna rispettabile: prestò ascolto alle lezioni di danza, musica,
ricamo ed etichetta, dimostrò di volere imparare e mettersi in gioco in tutto
con ottimi risultati, ma al contrario delle sue compagne non lo fece per
apparire splendida agli occhi dei ricchi giovin signori del luogo e prender
presto marito, piuttosto allo scopo di migliorare se stessa, poiché anche le
divinità sono esseri imperfetti e hanno sempre qualcosa da imparare, ma in
particolar modo come rivincita verso i suoi genitori eterni che dubitarono
sempre del suo definitivo adattamento alla vita terrestre.
Trascorsero 4 anni
e quei scettici dovettero ricredersi, lei era ancora sommessa a quella prigione
dorata, ma senza più alcun dispiacere: ogni giorno apprendeva qualcosa di nuovo
e nei momenti di noia sapeva ben come ingannare Crono, Dio del tempo, balzando
in sella ad Immi e fuggendo al galoppo attraverso il viale alberato, collegante
il palazzo alla spiaggia, per giungere fugace in riva al mare, deliziandosi di
quell’infinito orizzonte di colori.
E fu proprio qui,
in un tiepido meriggio di metà Febbraio, che la sua tediosa vita prese una
svolta, da cui anche valendosi della più ardita forza esistente, non è più
possibile tornare indietro.
Il sole era spesso
offuscato da ombre brune, ansiose di apportare al più presto i primi cicloni di
stagione, la candida sabbia tempestata di conchiglie brillava dei suoi raggi,
tuttavia non erano quei molluschi invertebrati a destare meraviglia, lo era
piuttosto una fanciulla, in groppa ad una cavalla dal manto ruggine ed una folta
criniera chiara, tagliata a cresta all’altezza delle orecchie, lanciata in
lunghe falcate lungo il bagnasciuga, intente ad intraprendere una gara di
velocità e destrezza con i cavalli bianchi di Nettuno* che si infrangevano irruenti lungo la costa.
La giovine non somigliava alle ragazze della sua età:
indossava un ampio abito blu levantino al posto della triste divisa del suo
collegio, punitiva per un fisico così aggraziato, la chioma dorata in balia del
vento era sciolta e libera, alla pari della sua anima, da qualche ciocca
spuntava un esile ramo di fieno e il suo viso luminoso appariva leggermente
imbrattato dall’intera mattinata trascorsa a ripulire il fienile.
Il duello con gli
impetuosi destrieri del Dio romano del mare si propese fino al termine della
falesia, con una schiacciante vittoria del duetto gareggiante sulla terra ferma,
ma durante il loro esultare non si accorsero dell’improvvisa ritirata dei loro
avversari verso il mare aperto; fu un violento boato a destare il loro
sguardo.
Il mare si
acquietò di colpo, mentre il rimbombo dell’esplosione fece tremare tutta
Faimouth (località
marittima realmente esistente in cui si trovava il collegio femminile dove era
“rinchiusa” la nostra Dea Sogno NdA), il cielo del crepuscolo divenne un denso fumo nero e le
onde si dipinsero di rosso fuoco inscenando un angolo d’inferno.
Celia fece appena
in tempo a scorgere un albero di Maestra, pochi istanti prima che venisse
inghiottito completamente da quella gola nera.
I detriti del
veliero esploso raggiunsero il fondale del mare, e della gloria di quella nave
non rimase nulla, salvo cenere.
Le due spettatrici sulla spiaggia rimasero del tutto
inermi, incapaci di reagire, pietrificate dal terrore che privò loro di ogni
forza, ma non della determinazione d’accorrere in aiuto, seppure superfluo data
la tragicità dell’accaduto appena verificatosi.
Mentre il rogo in mare andava attenuandosi la riva si empì
di resti lacerati di mobilia, tronchi spezzati, ferraglia, brandelli di tela,
sartiame ancora ardente, eppure tra quella miserabile desolazione, qualcosa, o
meglio, qualcuno venne condotto a riva
integro dai canuti corsieri: un uomo. Il suo corpo esanime giaceva bocconi,
disteso sul torace, la gran parte delle membra sprofondate nella sabbia più
labile conferivano lui l’aspetto d’un relitto setto di luce. Sembrava non
respirasse più, le sue vesti strappate intrise di sangue testimoniavano una
lotta violenta, forse con dei nemici intenti a prendere il comando della nave,
forse tra se stesso e le onde nel disperato tentativo di rimanere in vita.
La fanciulla
impiegò del tempo a distinguerlo tra quel cimitero di sventura, trascorse
secondi infiniti augurandosi affranta non rinvenire nulla di respirante in
quella devastazione, ma quando finalmente lo trovò fu appena in tempo per
salvarlo. Il polso del naufrago era debole, le ferite gravi ed infettate. Celia
dovette spazzare via la sabbia dalle sue narici, la fronte, le gote, dalle
labbra, scoprendo a poco a poco il contorno spigoloso e marcato di un viso che
non avrebbe mai dimenticato.
Egli riprese
conoscenza per qualche istante, quanto bastò perché il cuore della Dea perdesse
un battito: le parve che due frammenti di cielo fossero discesi sulla terra per
incastonarsi all’interno di quei profondi occhi berilli*, richiusesi pesantemente un attimo dopo l’occhiata
sfuggente.
Senza indugiare
oltre, il superstite venne trasportato in gran segreto sul dorso di Immi, dal
litorale per tutto il viale frondoso, fino alle stanze private della giovine, la
quale si prese cura del malcapitato tutta la notte.
Nonostante lei
fosse una divinità, in questa circostanza non aveva alcun potere, poteva
solamente apportare il proprio aiuto nello stesso modo concesso ad un mortale:
con medicamenti e fasciature.
Osservò per lungo
tempo quella figura inanimata distesa sul suo letto, non aveva mai potuto
guardare un uomo da così vicino: l’etichetta declama cosa scortese fissare le
persone.
Seppure non fosse
in grado di assegnargli un’età ben precisa, le vesti truffaldine e l’arida pelle
annerita dal bacio del sole lasciavano intendere che fosse quasi certamente un
pirata. Profumava di mare e polvere da sparo, le sue mani erano visibilmente
lise dal raro utilizzo di materiali maneggevoli, e la folta capigliatura bruna
pareva acconciata dal respiro del vento.
Dopo aver vegliato
senza tregua su di lui ottenendo solo riscontro negativi, Celia iniziò a credere
che i suoi avi avessero attuato una procedura esistente fin dal principio dei
tempi nel celeste Olimpo, secondo cui quando avviene la morte prematura di un
giovane è perché gli Dei, gelosi della sua beltà, lo prendono con se, ma ciò non
era possibile poiché egli respirava ancora.
La giovine allora,
chinandosi sul volto del mortale, inumidendolo di lacrime amare, pregò che
almeno in sogno egli desiderasse guarire, solo in tale maniera avrebbe potuto
aiutarlo.
Quando ore
seguenti il mattutino Apollo condusse il proprio carro divampante nel cielo,
illuminando dei propri albori la camera da letto di Miss Wilson, un’altra
Dea, fuggita invece dalla
Terra a causa della cattiveria dell’umanità, provò pietà delle lacrime meste di
quella creatura divina, così dal fondo del vaso di Pandora fuoriuscì la Dea
Speme (speranza
NdA) portando conforto in
quel cuore malato d’affanno.
Il pianto di Celia
non erano vere gocce saline di dolore come nei comuni mortali, dai suoi occhi
dorati, discendeva poi sulle gote scarne del predone, polvere di stelle… Furono
proprio quelle sottili briciole cosmiche a risvegliare il superstite.
La ragazza si
addormentò poggiata alla sua fronte, con una mano sovra il suo petto per
ascoltarne il battito; le lacrime proseguirono nel sonno, e a poco a poco
scivolarono lungo il naso appuntito del pirata, facendogli riprendere lentamente
i sensi, benché inizialmente fu incapace di muoversi, stordito dal dolore
propago dal capo sino alle caviglie.
Il principio del
giorno risvegliò anche la Dea dormiente, che non si accorse delle sue amorevoli
cure andate a buon fine, ma s’allontanò dal naufrago insonnolita, dirigendosi
meccanicamente nei pressi del caminetto con l’intento di riscaldare
dell’acqua.
Alle sue spalle
l’uomo si ridiede animo, e protese il collo intorpidito per osservare meglio il
circondario. Trascorso qualche istante di smarrimento si soffermò
definitivamente sulla figura di Celia, perscrutandola ammaliato.
“Quell’esplosione
deve davvero avermi ucciso… Ero convinto mi aspettasse l’inferno oltre questa
vita, e invece? Mi ritrovo in una stanza da sceicco, in compagnia di una
donzella abbigliata solo d’una procace camicia da notte…” reputò sogghignante con voce
impastata.
Celia ancora voltata sobbalzò al suono improvviso di quelle
parole, e allo stesso tempo rabbrividì indignata dal loro significato. Era in
grado di comprendere tutte le lingue del mondo, ma quella cadenza malpensante
era inconfondibile in ognuna di esse.
“…E dal bruciore
di questi tagli profondi direi di essere ancora tra i vivi…” attestò sollevato.
La giovine si limitò a preparare una bevanda calda per
rinvigorirlo, senza replicare, gliel’offrì cordialmente e si accinse ad aprire
la finestra per scambiare l’aria viziosa con quella tiepida del mattino.
L’assistito
accettò la cortesia mostrandosi deluso, confidava che gli avrebbe subito ceduto,
ma l’apparente contegno aristocratico di lei rendeva ancora tutto più
stimolante.
LEONARD: “Profumate come un cavallo” la stuzzicò dunque, socchiudendo gli occhi alterato.
CELIA: “Uh, perdonate mio signore se prima di prestarvi
soccorso non ho avuto il tempo d’immergermi in acqua di rose perché il mio odore
vi recasse più sollievo!” lo beffeggiò inscenando un falsissimo inchino.
Il pirata ne
rimase colpito e irritato, non aveva mai ricevuto una risposta simile, si
trovava impreparato.
“Freddina la fanciulla…” apostrofò infine quando ella fu di ritorno dal davanzale,
sorseggiando cautamente il liquido caldo.
In uno scatto fulmineo le mani della Dea afferrarono una
benda del millantatore, che si strinse con forza intorno al suo braccio fino a
farlo berciare per il dolore.
CELIA: “Io non sono fredda –appurò condiscesa- sono cenere calda. Se soffi, si accende il fuoco!”
E Leonard Wallace
se ne potè rendere meglio conto negli anni che vi seguirono.
La divinità dei
sogni in quel vespro di Febbraio salvò la vita del Primo Ufficiale d’una ciurma
truffaldina, operante illegalmente nelle coste del sud. Venne accolto
nell’istituto in gran segreto, per qualche tempo, fintanto che non fu pienamente
risanato.
Nonostante un primordiale approccio ambiguo tra la dea e il
mortale, quello scambio di asserzioni divenne ben presto ciò che Celia aveva
sempre ritenuto indefinibile, quale l’amore.
Tutt’oggi ella non
sa ben spiegare come si sia innamorata di lui, fu proprio opera di una freccia
sventata di Cupido, poiché quando portò in salvo quel relitto umano non tenne
conto di quanto poi si sarebbe rivelato il più fatuo, malpensante,
individualista ed accentratore degli uomini, ma ciò che l’eterna giovine ammette
è come non lo amerebbe fin dopo la sua morte se egli non fosse stato così.
Allora un’altra donna credeva di possedere il cuore del
vice comandante Wallace: Sarah, una meretrice di mal’affare a cui Leonard
affermava di esser legato sentimentalmente, in verità solo per interesse, che la
Dea conobbe incidentalmente e non per conto del vice comandante, il quale rimase
sempre ben muto su questo.
Dopo aver ripreso le forze, la volontà del pirata fu quella
di rimettersi subito sulle tracce della ciurma da cui era ormai considerato
disperso, riprendendo il mare, non senza prima lasciarsi addietro un ricordo
poco piacevole: la notte prima della loro partenza definitiva, il collegio
femminile di Faimouth ricevette una visita inattesa.
Celia si trovava affacciata al balcone della propria stanza
come ad ogni vespro, fissava con aria enormemente triste un satellite pallido
appena sorto in cielo che riportava la sua mente alla madre nume, (=divina NdA) quando scorse delle ombre oscillanti divagarsi tacite nel
cortile del casato.
Scattò in piedi allarmata, ma non ebbe il tempo neppure di
avvertire la sua benamata vicina di stanza Alexia, perché dei pesanti colpi alla
porta, sfondarono il portone principale dell’edificio un attimo dopo.
Miss Wilson si smaterializzò dalla propria stanza per
giungere di soppiatto in quella accanto, dove l’amica frastornata era appena
stata ridestata dal sonno a causa di quel fracasso inscenato ai piani
inferiori.
CELIA: “Sei sveglia, grazie al cielo!!” berciò quasi sollevata andandole incontro.
ALEXIA: “…Cosa sta succedendo, come sei entrata qui? Credo
di non averti sentita…” barbugliò assonnata, sostenendo con una mano la testa
pesante gremita di bigodini.
CELIA sorvolò le parole della
compagna afferrandola per le spalle, così da avere la sua completa
attenzione:
“Alexia, devi ascoltarmi attentamente: ci sono degli uomini con
cattivi propositi al piano di sotto, li ho visti dal balcone, sono riusciti a
fare irruzione qui, mi son sembrati molto pericolosi, devi aiutarmi! Raduna
subito tutte le ragazze di questo piano e conducile nella palestrina della
pallacorda* qui fuori, lì non potranno entrare, sarete al sicuro, fai
presto!!” l’incitò in tono elettrico.
Nel frattempo dalla soglia dell’atrio faceva il suo
trionfale ingresso il vice comandante Wallace, seguito da un assetto di
filibustieri infervorati, pronti a distruggere, razziare, depredare e
saccheggiare ogni cosa trovassero sul loro cammino.
Il lupo faceva strage sul branco di pecore e morse la
stessa mano che fino a poche ore prima si era preso amorevolmente cura di lui,
anziché lasciarlo morire lentamente su di una spiaggia in balia di atroci
sofferenze.
Non che il gesto di Celia per lui contasse nulla, ma ne
valeva della sua reputazione di primo ufficiale, doveva riaffermarsi dopo la sua
presunta scomparsa verso i propri sommessi.
Ormai conosceva bene la disposizione dell’edificio e, dato
che la sua permanenza rimase sempre celata, era al corrente di ogni scorciatoia
recondita per non essere visto.
Attraversarono La piana degli specchi, come veniva definito un ampio salone dove si tenevano
lezioni di postura e ballo per le allieve; la sua struttura in legno, vetro e
superfici riflettenti la faceva apparire una serra, come scherzava il direttore
del collegio, ora invaso da una bercia di predoni digrignanti, ansiosi di
affondare le mani in qualcosa di luccicante e magari nelle carni di qualche
fanciulla.
Stavano per giungere alla scalinata posta all’estremo
opposto della stanza, collegante il salone ai piani superiori, quando Leonard,
in testa alla bordata, li fece improvvisamente arretrare.
LEONARD: “UOMINI… alt!!” ordinò sollevando un
palmo.
La sua ciurma sussultò bloccandosi di colpo, molti di loro
allarmati misero mano alle armi, esaminando ogni angolo alla ricerca di un
pericolo.
“…mi sta bene il ciuffo sistemato così, non è troppo
gonfio?!” domandò
impensierito avvicinandosi ad un ampio specchio e tormentandosi la chioma scura
cascante sulla fronte.
Alle sue spalle si sollevò un coro di sospiri sollevati e
versi disillusi.
“…Signore, pensavamo di essere qui per un assalto notturno,
non per dei sciocchi consigli di bellezza!!” lo rimproverò il suo
braccio destro, più coraggioso degli altri nel contraddire il loro
superiore.
“Già! Dov’è l’oro che ci avete promesso??” incalzò un altro
compare affiancando il Primo ufficiale, interessato unicamente a districare la
criniera con le dita.
“E le belle fanciullette indifese, eh signore?! – fece eco un terzo passandosi avidamente la lingua sulle
labbra, affamato di bramosia- Dove, dove!!” mugolò quasi non
contendo più l’euforia.
LEONARD: “Sono da quella parte…” rivelò distrattamente
indicando le scale.
Con un latro dal fragore animalesco, la ciurma sollevò armi
e milizie verso il cielo, esultando vittoriosi come avessero già asservito il
loro scopo, e nel giro di un secondo si accalcarono infatuati verso i gradini,
lasciando solo nel salone il comandante.
La Dea dei sogni si lanciò fuori dalla stanza di Alexia in
una disperata corsa contro il tempo, oltrepassò volando le scale e si ritrovò in
un lungo corridoio serrato da porte, conducenti direttamente ai piani in cui
stava infuriando quella feccia incontrollata di bucanieri, abitati dalla
servitù.
Sperando con tutto il cuore che il personale di servizio si
fosse già messo in allarme, accostò le mani ad ogni entrata e con il calore del
suo corpo, incandescente alla pari di una stella, saldò al muro ogni porta in
modo da renderla impenetrabile per chiunque volesse oltrepassarla.
Mentre si occupava degli ultimi ingressi, avvertì un passo
trottante discendere le scale e una voce familiare la fece trasalire:
“Miss Wilson! Cosa fate qui??” fu sorpresa dal
guardiano del collegio, armato d’accetta e provvisto di lume, il quale si
arrecava a sua volta ai piani inferiori nell’intento di prendere in mano la
situazione.
Fortunatamente l’uomo non vide in azione i poteri della
fanciulla, pensò unicamente che Celia fosse accostata alla porta per origliare
al di fuori.
CELIA: “Signor Heburne! I-io… io… Ecco, io ho sentito dei
rumori insoliti e mi sono precipitata a vedere…” improvvisò,
balbettante dalla tensione.
HEBURNE: “Sta accadendo il putiferio quaggiù, non ti dirò
nulla per allarmarti inutilmente, ma faresti bene ad uscire di qui. Rifugiati
nel parco, almeno fino a quando le forze della Marina Britannica non saranno
pervenute a recarci aiuto. Corri, VAI!” esortò conducendola con forza verso la rampa di scale da
dove era venuta.
Mancavano solo tre porte per terminare la trovata di Celia,
ma con l’intervento inaspettato del Signor Heburne la pensata non venne
conclusa, alla ragazza non rimase altro che seguire l’ordine dell’uomo, e mentre
inquieta tornava sui suoi passi, proprio da quei usci fecero irruzione i
dirottatori.
Il guardiano Heburne padroneggiò su un paio di loro, ma poi
venne assalito da un numero maggiore che ebbero la meglio. Celia non corse via
impaurita, un animo prode e coraggioso viveva dentro di lei, fu Atena ad
insegnarle a combattere, solo finora non ebbe mai l’occasione di mostrarlo.
Afferrò una trave rivestiva della parete, in parte già distaccata, e corse nella
direzione inversa a quella in cui si trovava, per soccorrere il guardiano.
Oscillò l’arma improvvisata verso di loro, non intendeva
fargli del male, ma in casi estremi si sarebbe trovata costretta ad usarla.
La maggioranza degli invasori sciamò incurante verso i
piani superiori, qualcuno invece si accorse della sua presenza e rimase sul
pianerottolo scrutandola infervorato.
…“Salute, bamboletta! Cosa fate sveglia a quest’ora della
notte? Uh, vi abbiamo svegliato? Come ci dispiace…”
ammise un
baldanzoso, inneggiato dalle risatine dei compari.
CELIA: “Fareste meglio a lasciare subito questo posto
signori, senza altri ripensamenti…” intimò stringendo più forte la sbarra di legno.
“Noi non andiamo da nessuna parte senza le tasche piene di
ninnoli luccicanti, tesoruccio –predispose indignato
dalla resistenza della fanciulla – perciò, se ci dici subito dove possiamo
trovarne, potremmo decidere di risparmiarti un po’ di dolore…” patteggiò il
pirata.
La Dea si accorse delle occhiate che l’uomo lanciava alle
sue spalle, ma non percepiva nulla dietro di se, perciò continuò a preoccuparsi
solo di chi aveva davanti, fin quando due sudice braccia l’afferrarono per il
collo nell’intento di disarmarla.
Si trattava di Gracco, detto Passo Sordo, per la
silenziosità impercettibile dei suoi calzari, creati da lui stesso per cogliere
l’avversario di soppiatto come fece con Celia, la quale però celava un’arma più
strinante di un passo tacito: il suo stesso corpo.
Infatti come Gracco la toccò, berciò ustionato lasciandola
subito andare “Bruciaaaa…ahi ahi…scotta scotta scottaaaa!!!”
Gli altri uomini rimasero attoniti, sgomenti dalle urla
inspiegabili di Passo Sordo, arretrarono come vigliacchi dinanzi all’inconsueta
minaccia.
La feccia del Comandante Wallace doveva aver soffiato sulla
cenere e riacceso il fuoco.
Celia approfittò prontamente della distrazione per fuggire
al di sopra. Giunta al primo dormitorio femminile, dove risedeva lei stessa,
s’imbatté in altri profittatori che fu costretta ad affrontare con la propria
“arma” lignea. Colpì sul collo il primo, nello stomaco il secondo, il terzo
indossava degli abiti molto larghi, per niente della sua misura, sgraffignati
probabilmente, bastò mirare ad un punto in cui la stoffa eccedeva e, già
intontito da altre percosse, renderlo innocuo appendendolo alla parete tramite
la trave, utilizzata a mo’ di chiodo.
In quanto Dea poteva esprimere qualsiasi desiderio, sia
d’un mortale che proprio, tranne far innamorare due persone [compito di competenza a suo
zio: il Dio Eros], resuscitare chi è già morto o, come in questo caso, uccidere
qualcuno.
Corse lungo il corridoio, approfittando della confusione
per non essere vista, così d’assicurarsi che le stanze fossero tutte vuote e le
sue compagne in salvo, nel locale in cui aveva ordinato ad Alexia di
adunarle.
Ogni camera a cui passava accanto pullulava di predoni
intenti a ribaltarla da cima a fondo, riempiendo tasche e forzieri di qualunque
utensile d’oro trovassero.
Per il momento non poteva soffermarsi ad impedirlo, doveva
prima assicurarsi che le sue compagne fossero tutte al sicuro.
Raggiunta la fine del corridoio avvertì delle voci
conosciute, una fitta di panico la pervase, dovevano sbrigarsi, non erano ancora
fuggite tutte?
Poi riconobbe la sagoma di Alexia sul balcone, intenta a
condurre le altre al piano superiore tramite una scaletta d’emergenza e
conducente al tetto, ma perché lo stava facendo? Non era quella la direziona per
la palestra!
ALEXIA: “Ho dovuto indirizzarle al secondo piano- si giustificò poi-
quando hai lasciato la mia stanza sentivo già qualcuno in avvicinamento,
così ho riferito a tutte di abbandonare le camere per fare una burla alla
governante che sta tenendo una perlustrazione di controllo notturna, era l’unico
modo per organizzare la fuga in modo ordinato, senza farle prendere dal
panico”
CELIA: “Hai fatto benissimo, ottimo lavoro!” la rassicurò abbracciandola, Alexia era l’unica di cui si
poteva fidare, seppur non fosse al corrente della sua identità celeste.
ALEXIA: “Di sopra ci attente Andrew, lui sa già tutto, gli
ho chiesto di aiutarci”
Costui era lo stalliere del collegio, per precauzione,
unica presenza maschile dell’istituto dopo il guardiano e il direttore.
L’occupazione preferita del giovine, all’incirca della stessa età delle alunne,
era prendersi cura di Immi e farsi lusingare da Alexia, la quale aveva una vera
e propria adulazione per lui.
CELIA: “Va tutto bene Andrew?” si assicurò una volta
che l’ebbe raggiunto.
ANDREW: “Ma certo, non sono mai stato meglio, grazie per
essertene affranta!” la confortò gaio, sfoggiando un largo sorriso che
assottigliava fino a far sparire i suoi grandi occhi azzurri ed ammaliò
Alexia.
CELIA: “Sciocchino, non intendevo questo, mi riferivo alle
ragazze!!” lo contraddì agitata.
ANDREW: “Ah… Bhe, allora è tutto sottocontrollo, nessun
problema. Le ho già esortate al silenzio per rimanere in tema al falso
scherzo” annuì
trionfale, mentre anche Celia e l’amica facevano ingresso nella stanza.
Lo stalliere diceva il vero, si procedeva quasi come
previsto, ma non potevano immaginare che nemmeno lì sarebbero stati del tutto al
sicuro.
Infatti pochi istanti dopo li raggiunse Gracco seguito a
ruota da altri malfattori.
…“Andrew, ci vuoi spiegare per quale ignobile motivo siamo
finite nella soffitta del collegio?!? Mi sto impolverando tutta la camicetta da
notte!!” iniziò a lamentarsi qualcuna, dopo che trascorso del tempo
e avvertito un chiasso dubbio sotto di loro, la fuga notturna improvvisa divenne
sospetta.
ANDREW: “Abbiate fede ladies, qualunque cosa succeda…” rassicurò solenne
allargando le braccia.
…“Dove credevi di scappare, bamboletta?!” tuonò il primo bandito
affrontato da Celia, oltrepassando l’ingresso della stanza seguito dai suoi
uomini, dopo aver riconosciuto nella fievole luce la sua vestaglia azzurra.
ANDREW: “…ci sono qui io ad… aiutAAAAaaaargh!!!” quel gran fifone alla vista dei pirati perse tutta la sua
indole eroica, e senza terminare la frase, si lanciò impaurito tra il resto
delle allieve, credendo ormai d’essere spacciato.
La giovine si voltò di colpo, colta di sorpresa, come
avevano fatto a giungere fin qui?
Subito si fece avanti con molto coraggio, era
principalmente lei quella di cui volevano vendicarsi.
I pirati stimolati dall’affronto proseguirono nell’avanzata
quasi accerchiandola. Alle spalle della Dea s’innalzarono grida di terrore e la
moltitudine di sue coetanee si compresse contro la parete, in un ultimo
disperato tentativo di sfuggire a quei rabbiosi malfattori.
GRACCO: “Come la mettiamo ora, pasticcino? Siamo 10 contro
una!” disse con un
orrendo ringhio che aumentò l’orrore già predominante nelle altre fanciulle.
CELIA: “Questo lo dite voi!” ribatté spavalda, per
nulla intimorita.
Ogni sillaba pronunciata a sproposito da quella ragazzina
insolente faceva ribollire il sangue nel vecchio scaltro Passo Sordo, il quale
in mancanza del vice capitano, pensò di prendere lui stesso comando per
anzianità, e dare inizio ad un assalto privo di qualunque parsimonia verso
quelle donzelle inermi.
Quando fu sul punto di parlare, una forza sconosciuta più
potente di tutti loro protese a terra le torce di cui erano muniti i briganti,
ma anziché prendere fuoco, dal pavimento si sprigionò un potente fascio di luce
che illuminò la stanza come fosse colpita da un fulmine ed accecò gran parte dei
banditi.
CELIA: “Alexia, Andrew! Adunate le ragazze e conducetele
dove era previsto fin dall’inizio, mir’accomando proteggetevi gli occhi!!” berciò ad alta voce,
approfittando della confusione per cogliere di sorpresa i predoni. Nessuno
riuscì a spiegarsi cosa fosse successo, ma intanto la soffitta fu sgombera dalle
alunne dell’istituto.
Eppure il più resistente dei malfattori superò quella
barriera abbagliante e riuscì a raggiungere Celia.
GRACCO: “Ah, eccoti! Dove credevi di scappare razza
d’insignificante put…” vociò arrivandole alle
spalle, attanagliandola tra le sue grinfie per i lunghi capelli ondulati.
“FERMO” dal nulla una figura
autoritaria sovrastò le rivoltanti imprecazioni di Passo Sordo, intervenendo
appena in tempo perché alla ragazza non venne inflitto altro male.
Al suono di quella voce profonda, nel corpo mortale della
Dea, il cuore smise di battere per un istante, lasciandole fuggire un lungo
espiro meravigliato.
LEONARD: “Da qui ci pensa il sottoscritto, vecchio mio!” definì riacquistando
la sua intonazione fiera.
GRACCO: “Ma, signore…” tentò di
contestare.
LEONARD: “SEI FORSE DURO D’ORECCHIO?” berciò in maniera da non ammettere repliche.
GRACCO: “No, signore…” definì in tono
sommesso.
LEONARD: “Allora, tutti voi, vedete di lasciare in pace le
fanciulle, racimolare più oro che potete e andarcene al più presto da qui o le
nostre teste saranno in palio sul patibolo al prossimo sorgere del sole!” stabilì commendatore.
Con una nota di amarezza la stanza si svuotò e vi rimasero
solo Celia insieme all’incubo dei sogni suoi.
Il naufrago, ora in perfetta forma, era scomparso da ben
due giorni dal collegio, senza lasciarsi addietro alcuna notizia di se. Neppure
la Dea era riuscita a rintracciarlo, probabilmente il pirata aveva dormito solo
qualche ora e l’aveva fatto di giorno, quando per la divinità è più complesso
usare i propri poteri.
LEONARD: “Dovreste ringraziarmi –puntualizzò sornione-
vi ho risparmiato dei guai seri cacciandoli via!”
definì
portandosi vicino a lei.
Celia ancora a terra, sconvolta, avrebbe voluto alzarsi e
riversare su di lui tutta la rabbia che ora, smascherato l’artefice dell’assalto
notturno, aveva in corpo, ma non trovò le forze; riuscì solo ad emettere dei
flebili singhiozzi strozzati, mentre riponeva l’energie rimaste nelle braccia,
su cui era atterrata cadendo a terra.
LEONARD: “Lasciate, vi aiuto io a rimettervi in piedi” si propose sfiorandole
le spalle.
“NON TOCCARMI” lo allontanò
sofferente, facendolo sussultare. In realtà non respingeva lui, ma se stessa,
quello che sentiva dentro di sé, mai provato prima d’ora.
Ciò che Celia più amava della sua condizione terrena era
proprio il poter provare emozioni, ma in nessuna occasione l’era capitato di
fronteggiare simili sensazioni tutte insieme, perlopiù così contrastanti tra
loro, e questo, come nella ordinaria natura umana, la spaventava.
Un volta sollevatasi dal pavimento polveroso, presa visione
della figura dinanzi a se, uno soffio di sollievo invece le alleggerì il cuore,
facendolo poi riprendere a battere alla velocità d’un trotto.
Spaurita dalla sua stessa reazione, portò tremante una mano
al petto, pensando di poterlo rallentare. Il Primo Ufficiale la vide fissare un
punto impreciso con sguardo smarrito, supponendo che stesse avendo un malore le
domandò se si sentisse bene.
CELIA: “NO! No… Io sono… arrabbiata…”ammise infine attonita,
lei stessa non sapeva ben definire quel sentore.
CELIA: “Sono…arrabbiata” ripeté esitante come a
convincere se stessa. Si ritrovò persino a ridere di della nuova scoperta.
LEONARD: “Sul serio? Mai successo prima?!” domandò incredulo
cercando di sviare al torto causatole.
CELIA: “No, a dire il vero” mormorò veridica
accigliando il mortale. “Tu… hai arbitrato tutto questo… proprio tu!
Come… come hai potuto, Leonard?” domandò attonita in un’impercettibile spiro frastagliato,
senza riuscire a guardarlo in viso.
LEONARD: “Si è trattato solo di una piccola visita a
sorpresa, non si è fatto male nessuno!” tentò invano di
avvalorarsi in cadenza innocente.
CELIA: “Qui c’è tutto quel che mi resta di una famiglia, lo
capisci? Quei depravati dei tuoi scagnozzi potevano causare… non voglio nemmeno
immaginare cosa. La chiami sorpresa questa??” replicò scossa.
LEONARD: “Bu!” ironizzò mimando con le braccia le fattezze di un essere
spaventoso.
CELIA: “Sei ignobile e…e infantile!” sentenziò livida d’ira con fine liberatorio.
LEONARD: “E voi una piccola aristocratica ingessata!” marcò di rimando rendendo buio il suo sguardo vitreo.
CELIA: “Perché? Perché mi sono sempre opposta al tuo stolto
rituale di corteggiamento fatto di quesiti inopportuni? –dichiarò fingendosi divertita- “Mi date un bacio?” “no” “Posso baciarti?” “No” “Dammi un
bacio” “NO!” sei del tutto insopportabile!! E la risposta è sempre
NO! Non si conquista una donna in questo modo, se mi è
permesso dissentire” definì austera.
LEONARD: “Pensate di non potervi innamorare di me, Miss
Wilson?” chiese incantatore, vestendo il proprio tono di sfida in
abiti ammaliatori.
CELIA cercando di far svanire l’incanto apportato dalla presenza
del bucaniere così vicino a lei: “Ho agito in quel modo solo per
difendermi” dichiarò ostinata, percependo il sentimento antecedente
esploderle in petto.
LEONARD: “Eccellente! Vediamo se riuscite a difendervi
anche da questa!” minacciò sfoderando la
propria spada per mirarla al mento di lei.
La Dea si fece indietro colta di sprovvista, non avrebbe
mai creduto che sarebbe giunto fino a questo punto, tuttavia non si sarebbe data
subito per vinta. Con una rapida occhiata esaminò il circondario alla ricerca di
qualunque cosa potesse venirle utile per difendersi, ma la vicinanza
dell’avversario le impediva ogni mossa.
Il disonesto malfattore pensò dunque di agire senza darle
la possibilità di ribattere: trafisse un punto più vicino alla dama mancandola
volontariamente di poco; ella riuscì a chinarsi appena in tempo, sebbene il
colpo sferrato le portò via una ciocca dorata. A terra recuperò un’asta dorata
facente parte di una tenda accostata ad una finestra del sottotetto, strumento
di difesa perfetto attraverso cui poté riscattarsi a dovere, infatti, sebbene
fosse in svantaggio, riuscì a respingere il secondo affronto.
L’intento di Leonard era unicamente quello di metterla alla
prova, gli affondi successivi furono poco energici e prevedibili, in realtà
stava molto attento a non farle del male. Celia da parte sua fu discretamente in
grado di difendersi, parava ogni colpo con più prontezza di volta in volta, ma
il peso dell’asta sbilanciava il suo equilibrio in continuazione.
LEONARD: “Non la facevo così combattiva, Miss! –dovette
ammettere-
A cosa è dovuto questo vostro spirito guerriero?” domandò curioso.
CELIA dandogli filo da torcere nelle controffensive: “Ad un Fato
che per tutta la vita non mi ha mai sorriso, ed io di rimando gli sorrido di
più!” ammise
fiduciosa, senza lasciarsi distrarre.
LEONARD: “Ve l’ho mai detto che siete pazza?” constatò in disaccordo, facendo nuovamente tintinnare con
una scintilla la propria spada contro l’asta dorata.
CELIA: “Come dici?!” sbottò offesa spingendolo via.
LEONARD: “Di certo non rientrate nel normale: nessuna
donzella come voi combatte in questo modo e si esprime altrettanto” osservò intrigato.
CELIA: “Pensi questo di me?! Ed io di te cosa dovrei
invece?!?” proclamò
alterata, facendosi più agguerrita anche nel combattere.
LEONARD: “Bellissimo, tenebroso, bastardo, affascinante… Ma
meriterei di rosolare nel fuoco infernale per l'eternità probabilmente!”
ammise sarcastico.
Il duello si portò avanti con un costante botte e risposta,
finché s’interruppe a mezz’aria, poco dopo, con l’intervento apportato dalla
Marina. Lo scaltro pirata avvertì per primo la loro intromissione e abbandonò
subito il proprio gladio per darsi alla fuga.
LEONARD: “Mi duole milady, ma non intendo trascorrere i
miei anni più belli in una cella!” si congedò precipitandosi verso la finestra.
CELIA: “Aspetta! –disse per rattenerlo- Vorrei prima…”
“…Celia Wilson, siete qui?” la cadenza anglicana e
il timbro basso del direttore Seward, in quel momento la convocò a gran voce dal
corridoio.
LEONARD: “Meglio che mi sbrighi!” approvò balzando sul
davanzale della finestra, pronto a calarsi giù fino al chiostro.
CELIA: “Solo un istante, non andartene! –pregò supplice, voleva prima mettere in chiaro le
cose-
torno immediatamente, se rimani non gli dirò che sei qui!” lo obbligò sbrigativa
abbandonando la stanza.
Quelle parole risuonanti come una supplica, uno scongiuro
lo erano davvero.
SEWARD: “Ah, bene! Siete qui Miss! Volevo solo rassicurarmi che stesse bene, è
così vero?” esclamò
l’ossuto proprietario dell’istituto quando lei gli venne incontro, prima di
sorprenderla con Leonard. Le vesti perennemente scure dell’uomo, il cinereo
pallore di morte sul suo viso e le dita eccessivamente lunghe, scarne come la
sua muscolatura, facevano spesso temere a chi gli stesse accanto che in realtà
fosse un morto camminante tra i vivi. La Dea tuttavia ne provava simpatia, se
non fosse stato per le sue iridi scure anziché vermiglie le riportava alla mente
Caronte*, un suo fratello divino.
CELIA: “Sì signore, neppure un graffio!” cercò di convincerlo
lestamente.
“Splendido dunque! Le docenti vi attendono nel cortile per
una adunanza di emergenza, devono verificare le presenze e in seguito i danni
provocati da quei barbari” li definì con sprezzo, arricciando le labbra sottilissime
da un unico estremo.
CELIA: “Certo signore, vengo subito! -lo rassicurò nella speranza che tornasse sui propri passi
senza trattenersi oltre- In quanto a danni, il Signor Heburne sta bene?” s’informò inquieta.
SEWARD: “Sufficientemente, ha riportato qualche ferita da
taglio. Se non altro se l’è cavata!” dichiarò
sollevato.
CELIA: “La ringrazio, Signore!”
disse cortese sentendosi meglio.
SEWARD: “Oh, quasi dimenticavo, c’è nessun’altro qui con
voi, Miss?” chiese
innalzando un esile indice in movenza inquisitoria, la giovine temeva simili
dubbi.
Cosa le conveniva fare a questo punto? Quel malfattore di
Leonard poteva benissimo non aver mantenuto la parola, quando lei fosse tornata
sarebbe già potuto fuggire abbastanza lontano da non diffondere alcun allarme in
tempo.
Rintoccarono all’orologio sfiorante le tre, attimi
infiniti, colmi di panico ed indecisione.
Una tempesta di sentimenti attaccò la Dea nello stesso
istante, scuotendo e tormentando il suo animo fin nel profondo, allorché dalle
sua bocca fuoriuscì un debole: “…Nessun’altro, signore”
Sebbene Leonard l’avesse pugnalata alle spalle quella
stessa notte, non potè fare a meno di riporre nuovamente in lui le proprie
speranze.
SEWARD: “Ottimo dunque! Siete attesa nel patio insieme alle
vostre sodali” le ricordò con il suo
singolare tono allegro, discrepante con l’apparenza torva della sua figura,
vedendo la fanciulla leggermente assente alla conversazione.
Quando “Il becchino”, come lo soprannominavano le compagne
di Celia scomparì dalla sua vista, la Dea si precipitò nella soffitta, con cuore
colmo di angoscia; giunta sull’uscio non aveva il fiatone per la corsa, ma a
causa della paura, tenaglia del suo respiro, di aver perso per sempre
quell’uomo, tentando nuovamente a fidarsi di lui.
Trovò la stanza buia e deserta, solo il vento proveniente
dalla finestra smuoveva un poco le tende spesse ed impolverate.
Celia percepì il mondo insieme all’intero Olimpo ricaderle
addosso, le sue braccia si rilassarono e caddero abbandonate lungo i suoi
fianchi, il fiato le tornò per un ultimo sospiro deluso e di rassegnazione,
accompagnato da una lacrima solitaria lungo il viso.
Doveva aspettarselo, forse, mai fidarsi di un pirata!
A quest’ora poteva essere giunto di corsa ben oltre la
boscaglia intorno al collegio, diretto alla propria nave dove lo attendeva una
ciurma trionfante che l’avrebbe accolto come si dovrebbe ad un novello Cesare o
un Dio.
Il Dio delle Tenebre come la fanciulla lo definiva.
CELIA: “Stupida sciocca” mormorò disattesa
lenendo le lacrime con il carpo della mano.
…“Credevate forse che me ne fossi andato?” predispose una voce
giunta dall’estremo più buio della stanza, così da impedire alla dama di essere
scorto.
“LEONARD!!!” La Dea urlò quel nome più forte che poté dentro di se.
Voleva gridare, ridere, ballare, voleva piangere, ma
riuscì solamente a dire, cercando di mascherare la gioia
mista allo stupore: “Sei rimasto…”
LEONARD: “Certo, mi avete minacciato!” replicò subente mostrandosi al chiarore.
CELIA: “Minacciato?! Per Giove, sei impossibile!” lo repulse scuotendo il capo. In un secondo era capace di
mutare completamente qualsiasi umore.
LEONARD: “Tu lo sei!” l’accusò sentito alterando il suo perenne sorrisetto furbo
in un broncio.
CELIA: “Freddina, ingessata, pazza, impossibile… Avete
altro per cui ingiuriarmi?!”
LEONARD: “Giusto, dimenticavo che siete una suora! A volte
mi chiedo se questo sia un collegio o un convento, avete 19 anni e non sapete
neppure come sia fatto un uomo!” diffamò irruente.
CELIA: “Se ti sconvolge tanto, perché sei ancora qui??” domandò trattenendo a stento un’altra spira di rabbia.
LEONARD: “Me l’ha chiesto una suora freddina, ingessata,
pazza e impossibile!” rivelò pacato.
A Celia non rimase altro che scoppiare in un fragore di
risate, costretta a reprimere per non farsi sentire, anche il primo ufficiale
abbozzò un riso.
LEONARD: “Cosa volevate dirmi?” chiese moderando il
tumulto, fissandola negli occhi.
CELIA tornando seria:
“Due giorni fa te ne siete andato senza un biglietto, un avvertimento, una
sola parola… Sono stata in pensiero!” disse assoggettata, con animo provato.
LEONARD: “Come dite, ho capito bene? Vi siete preoccupata
per me?? -appurò meravigliato- Quindi un po’ vi siete
innamorata!”
concluse appagato.
CELIA: “Non intendevo dire questo!!!” cercò di contraddire
immediatamente, per rimediare a ciò che stava causando.
LEONARD: “Ah, no. Bensì cosa, dunque?” propose sfidante.
CELIA: “Bhe, ecco, io… Volevo giusto assentirvi che ritengo
siate un uomo maturo, responsabile delle vostre decisioni, perciò, qualsiasi
cosa ora decidiate, vi auguro ogni bene Signor Wallace, arrivederci!”dichiarò come un
copione, stringendo la mano del predone in gesto di saluto, seppur al solo
pensiero di quell’uomo dinanzi lei lontano miglia e miglia verso una meta
lontana, avvertiva qualcosa morirle dentro.
LEONARD: “Cosa dite?!? Poco fa mi definivate ignobile ed
infantile!!” si
ribellò oltraggiato.
CELIA: “Devi aver frainteso!”
negò
imperscrutabile.
LEONARD: “Ho capito benissimo invece!! Mi state cacciando?
Rimangiatevi subito ciò che avete detto!” intimò facendosi scuro
di rabbia.
CELIA: “Ri…mangiarmelo?? Come si mangiano le parole?!?” osservò attonita nella
propria ingenuità, non sapeva ben cosa fossero i modi di dire.
LEONARD: “Non in senso letterale! …Argh, fatelo e
basta!!” insistette iroso.
CELIA: “Come, prego?!?”
LEONARD: “Ho detto FATELO” scandì
mantenendo salda in viso la maschera arrabbiata.
CELIA: “Per chi mi avete preso, uno dei vostri leccapiedi?
Giammai!” si rifiutò
radicalmente incrociando le braccia sul petto.
LEONARD: “Siete voi la rozza adesso!!!” osservò lapidario.
CELIA: “Come ti permetti!” controbatté
allibita.
LEONARD: “Mi permetto eccome, con una come voi si manda al
diavolo la galanteria!” dichiarò accondisceso.
CELIA: “Galanteria?? Tu non hai nemmeno idea di cosa sia!”
In breve si ritrovarono a litigare già come marito e
moglie, dalle armi vere passarono a quelle verbali.
CELIA: “Sacri lumi, siete un cafone stolto e maleducato! E,
sì, penso proprio che siate altresì ignobile e infantile, come tu stesso dici.
Mai conosciuto altro screanzato e prepotente come te…”
Leonard arrivò persino a non ascoltare più le parole della
fanciulla, ma sovrastò la voce della giovane con una cantilena simile a
“blablablablaBluuuBleeee…non vi sentoooo…eh?…Come
diteeee???”
Nemmeno questo funzionò, i rimproveri e gli insulti di
Celia proseguirono, cos’altro fare?
CELIA: “E non è finita! Ancora mi domando per quale diamine
di motivo mi sia saltato in mente d’andare in avanscoperta quel giorno sulla
spiaggia, al fine di cercare qualc-…” le parole della Dea questa volta si infransero sul nascere,
vennero spezzate improvvisamente quando le labbra salmastre del pirata si
accostarono delicatamente alle sue.
Il suo primo bacio. Non ne aveva mai ricevuti ne da umano
ne da immortale, e lui lo sapeva, era questo il torto: Leonard lo sapeva,
l’aveva costretta ad ammetterlo un tempo.
La giovine per un attimo percepì il proprio corpo tremare,
abbandonarla per ascendere di nuovo verso l’Olimpo, non più come Dea, sommesso
completamente a quel gesto piccolo, ma così immenso, prima di essere avvolta dal
calore dalle braccia dell’uomo.
Quando lui si scostò, l’incanto
venne un poco infranto dal tono querulo di CELIA: “…Perché?”domandò ad occhi bassi, discutendo la natura dell’
atto.
LEONARD trionfale: “Perché l’avete sempre voluto, anche se
non me l’avete mai chiesto…” ammise ridente.
Nel seguente caso, però, lei era
consapevole che si trattasse di un’azione discrepante all’amore, compiuta solo
per farla tacere senza usare alcuna violenza.
Così, quell’ istante infinito, venne infranto dalla volontà
di ferro della stessa Dea, che rispose al bacio sferrando un calcio al “cavallo”
del pirata.
Leonard si scostò piegandosi in due, crollò a terra in una
morsa di risate miste a gemiti sommessi.
LEONARD a denti stretti per tenere a freno il dolore: “Ci sono
donne che ucciderebbero per avere un mio bacio, Miss!” si vantò dirigendosi
dolorante verso la finestra.
CELIA: “Allora affrettati! Lanciati dalla finestra, rompiti
il collo e corri da loro! Razza di mascalzone…” borbottò sconvolta, non
sapendo più se gioire, infuriarsi o divenire triste per la sua immediata
partenza.
LEONARD: “E’ stato il più bel dispiacere della mia vita
conoscervi, Celia Wilson!” ammise già in piedi sul davanzale della finestra,
chiamandola per la prima volta per nome. Non l’aveva ancora ringraziata per
averlo salvato, ma forse ora lo stava facendo a proprio modo.
Un intricato nodo si formò nella gola della divinità dei
Sogni, impedendole persino di respirare, figuriamoci riferire qualunque replica.
Riusciva solo a rabbrividire, stringendo sempre di più i
pugni serrati, la paura non la rendeva libera di estendere i suoi veri
sentimenti, in quel momento odiava essersi incarnata in forma mortale.
LEONARD: “Mi amerete ancora domani mattina?” domandò infine ridacchiante, ironicamente speranzoso, dando
inizio alla propria discesa dei gradini, lasciando però la giovine senza
fiato.
Celia boccheggiò qualche istante, dopo quella istanza non
riuscì più a dire nulla. Capitava spesso che il primo ufficiale le ponesse
quesiti simili, ma mai così espliciti e soprattutto a cui ella, in altre vesti,
avrebbe risposto “sì” senza nemmeno rifletterci.
Era finita, da qui si prendeva la via per il
Nonritorno.
La Dea Sogno
lottava contro Celia Wilson, i caratteri ostinati, caparbi e valorosi di
entrambe si scontrarono in una tregua che non ci fu mai, nemmeno quando la
figura di Leonard Wallace scomparve nella notte lasciandola sola, in quella
soffitta tetra, tra vecchie poltrone abbandonate, con il cuore in subbuglio, il
fiato smarrito, gli occhi persi e l’anima completamente
vuota.
__Note__
Ipno e Nyx: Per esser ben precise ci siamo ispirate alla mitologia
greca secondo cui il Dio dei Sogni è Morfeo (almeno per Ovidio), noi invece ci
riferiamo proprio ad una Dea di nostra creazione. Ipno e Nyx erano 2 divinità
esistenti (secondo il mito madre e figlio ^^’) invece di recente abbiamo
scoperto che proprio da loro è stato generato Morfeo, noi avevamo adottato i
nomi di queste divinità da sempre già per Celia, senza saperlo ci abbiamo
azzeccato! :0 in ogni caso tutto questo è per segnalare che ci atteniamo molto
poco alle reali circostanze.
Nettuno: è un Dio romano, ma perdonateci, ci serviva la metafora
^^’
Berilli: Il Berillo è un minerale verde da cui si ricavano gli
smeraldi. Perciò gli occhi sono di questo colore ; )
Pallacorda: sport antenato del tennis. Ci siamo ispirate ad un evento
storico facente parte della rivoluzione francese: l’occupazione della Sala della
pallacorda da parte del Terzo stato, una delle cause della rivoluzione datata
circa 100 anni dopo all’epoca in cui è ambientata Unty, ma abbiamo ritrovato
delle fonti dove si attribuisce questo sport al 1571 per cui non vi è alcuno
sgarro ^^ Le donne aristocratiche hanno iniziato nel 1800 a professare delle
vere attività sportive, ma il nostro pensiero è stato che potessero farlo anche
nei secoli precedenti non pubblicamente.
Caronte: Traghettatore del fiume nell’oltretomba generato da Erebo
e Nyx.
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Capitolo 10 *** I don’t wanna miss a thing ***
chap
Attenzione!!! Il
capitolo si compone di tre parti differenti.
Per
ora
verrà pubblicata solo la prima, per dare la
possibilità
ad Unty di riemergere un po’ dagli abissi, dato che secondo
il
sito l’ultimo aggiornamento risale ad una vita fa, anche se
spero
sappiate non è proprio così.
Le
altre due
parti sono già in lavorazione, ma vanno riviste, si spera
nonostante tutto di pubblicarle presto, in ogni caso vi sarà
segnalato nell’introduzione della storia.
Nel
primo
capoverso il narratore è sempre Scilla come negli scorsi
capitoli, mentre per poi tornerà ad esserlo Jennyfer come in
tutto il resto della FF.
Piccolissssimo anticipo:
Nella terza ed ultima parte del capitolo verrà ripreso il
punto da dove si è interrotto il prologo di Unty2.
Ringraziamenti:
A Sogno&Leo, i
miei “musi” lol, grazie di esistere per davvero! =P
Grazie a giu91, in bocca al
kraken per la matura, come me T_T buuuu,
ci azzecchi
sempre eh =)
Ho
pensato che da parte di Leonard ci fosse oltre all’orgoglio
anche
un po’ di timore, come ne ha chiunque per ciò che
non
conosce.
Grazie
anche a Rebecca Lupin
per il tuo sostegno commuovente =’) davvero! Questo piccolo
“ritaglio” ci è sembrato giusto metterlo
per
chiarire da dove provenisse Celia, personaggio già presente
nel
primissimo capitolo di Untitled, forse è stato un
po’
pesante, me ne sono resa conto solo dopo, ma in seguito
chiarirà
moooolte cose, spero sia servito comunque ad emozionarvi almeno un
po’, quei due sbaciukioni tornano proprio in questo capitolo!
=)
Buona
lettura!
Capitolo 10
I don’t wanna
miss a thing
I
don't wanna close my eyes
I
don't wanna fall asleep
'Cause
I'd miss you baby
And
I don't wanna miss a thing
“Le
coperte non
scaldano i cuori infranti, Sogno, e non riportano indietro dalla morte
nessuno -suggerisce la donna incappucciata nelle vicinanze della
finestra- Però possono mantener vivo ciò che
rimane dei
tuoi ricordi, ed è per questo che non devi privartene
mai!” conclude sovrastando le piccole mani irte e gelide di
quella creatura, all’apparenza tanto fragile, la quale
però dentro di sé nutre tanto impeto da tenerla
in vita
con la sola speranza, un giorno, di riabbracciare il suo amato raggio
di tenebra.
L’espressione
mesta
della Dea prende ad ammorbidirsi leggermente, per spaziare in un
piccolo sorriso orgoglioso: “Senti, senti! Ti ho fatta
diventare
più saggia di me!- le riconosce sorniona-
D’accordo,
è tempo che io tolga il disturbo!” sussurra
lanciando
un’occhiata alla porta dell’altra stanza, da dove
Jennyfer
e Jack stanno per rientrare.
“Aspetta!
-l’arresta Scilla esprimendo rammarico- Celia... Io non so
proprio che fare, lo so che mi hai mandato qui per questo, ma come
posso dir loro una cosa simile...?! Non ne ho cuore...” si
appella al suo appoggio.
“...Se
io fossi a
conoscenza di tali informazioni nei tuoi confronti, non vorresti che te
le dicessi il prima possibile?”
I movimenti
meccanici della
maniglia al di là della porta secondaria fanno sobbalzare
entrambe, lasciando l’affermazione di Sogno sospesa
nell’aria.
...Rientro in
cabina sola,
colpevole, seguita da un frastornato Capitano pochi passi addietro, si
trascina nella stessa direzione con il suo passo instabile.
Per tutto il
tragitto
mantengo lo sguardo basso, tento di non farmi sopraffare dal
nervosismo, e prima di raggiungere il tavolo mi metto in cerca delle
parole adatte per scusarmi dell’accaduto verso la
sconosciuta,
ancora accomodata compostamente come prima l’abbiamo
lasciata,
solo con un’espressione più triste.
“Scilla,
io…
Sono spiacente per poco fa, devo esserti parsa una vera
maleducata” m’incolpo consapevole, serrando le mani
intorno
allo schienale di una sedia vicina, ed assumendo un tono efficacemente
contrito.
Lei reitera con
un lezio
allegro lasciandomi dubbia, non afferro se lo rivolge a me o
all’avanzata scomposta e dondolante del Capitano, mentre lo
vedo
far ritorno verso di noi.
Improvvisamente
l’estranea scatta in piedi, cogliendo entrambi di sorpresa:
stringe gelosamente al petto un frammento cartaceo, il bigliettino di
prima suppongo. Compie ponderata qualche passo, o dovrei dire
volteggio, dalle sue movenze leggere pare volare! Sembra non sfiorare
terra coi piedi, l’orlo della sua veste rasenta soltanto il
pavimento, quasi fosse un velo, fino ad atterrare al fianco del
Capitano che la fissa accigliato, sistemato in una delle sue pose
consuete: le spalle incurvate all’indietro, il bacino
infuori, i
polsi poggiati sull’impugnatura di spada e pistola.
L’aria
fredda pervenuta
dalla finestra si riempie della fragranza mielata che quella donna
trascina con se, una sorta di sapore sdolcinato e zuccherino, riporta
alla mia memoria un aroma conosciuto, forse un fiore…
Nel mentre dei
miei pensieri
osservo sdegnata l’intera scena, sono stata io a parlare,
perché a questa specie di fantasma interessa solo Jack?!
Sto quasi per
dimenticare i
miei buoni propositi ed impormi di nuovo astiosa, quando la sua sottile
voce scostante riprende il discorso prima interrotto: “Questo
è solo un abbozzo stringato di Untitled –accenna
rivelando
timidamente un pezzo di carta stropicciato, con sovra disegnate delle
sottili linee di china blu- i 4 simboli della sorte a mappa integra
sono posizionati in questo modo” esplica indicando i quattro
angoli del disegno.
“Jennyfer
e Dylan strapparono il manoscritto a metà in diagonale, il
loro
frammento comprendeva l’angolo della catena, il sole e un
piccolissimo ritaglio del teschio. Il Capitano Sparrow possedeva la
porzione del veliero a vele spiegate, io e Nick, invece,
l’intero
teschio con le ossa incrociate.” prosegue distinguendo ogni
simbolo.
“Hai
detto di conoscere
il significato di questi... scarabocchi -li dirime agitando in aria le
mani- Puoi rendercene parte?” richiede il Capitano
incuriosito.
Scilla impiega
qualche
secondo a dare il suo consenso, sorpresa dal tentennamento della donna,
all’apparenza cotanto risoluta, mi sporgo per scorgerne
meglio il
movente: il viso del Capitano l’è talmente
prossimo che,
se non fosse per lo spesso cappuccio della donna, i baffetti arricciati
all’insù del Capitano potrebbero solleticarle il
viso, e
lei tenta invano di attutire l’imbarazzo.
Questo avviene
poiché
d’insolita abitudine Jack tende ad avvicinarsi molto al suo
interlocutore quando discute saviamente, chiunque egli sia.
Al momento non
lo nascondo, gli metterei le mani al collo per tale usanza!!
“...Ma
certo! -riesce
infine a sussurrare Scilla con fiato smorzato, riprendendosi
dall’incanto- Il sole consiste metaforicamente ad un nuovo
inizio, un cambiamento radicale nella propria vita,
com’è
stato per Dylan la sua venuta qui e il ritorno nel ventunesimo secolo,
senza Jennyfer accanto... -al suono di quelle parole dimentico ogni
avversità, e mi spengo in tristi pensieri rivolti ancora a
quel
piccolo birbante- Il teschio con le ossa incrociate mi sembra sia il
più semplice da capire, sta a significare la fine della vita
stessa” spiega tristemente. A quel punto sorge spontaneo
chiederle cosa ci faccia ancora qui se è questo il
significato
del simbolo che era in suo possesso.
“In
effetti per me, poco tempo fa, è stato come morire e tornare
a vivere…” commenta amara.
Io e Jack ci
scambiamo un’occhiata interrogativa.
“Prima
di calarmi nelle
assidue ricerche sulla mappa dovetti affrontare la perdita della
persona che amai di più al mondo, ne ho cotanto sofferto da
credere di non uscirne viva…” chiarisce vedendoci
interdetti.
Una fitta
improvvisa mi
coglie al petto, le sue parole hanno una cadenza così mesta
da
spezzare anche l’animo più austero… Ad
ogni modo,
nonostante l’accaduto, niente l’autorizza a
riversare i
suoi rimpianti sugli uomini altrui!!
Il Capitano si
limita a chinare il capo ed a increspare le labbra in una smorfia
più infelice.
“Ma
questo non concerne
voi, perciò proseguo senza annoiarvi oltre
–continua
sbrigativa- Quando Nick entrò in possesso del lembo
notò
subito le due iniziali H.N. annotate sovra una didascalia illeggibile.
Si credette una sorta di predestinato o simile, in realtà la
sigla sta per Hans Nils, sovrano di Svezia. Spietato quanto sciocco
quel vecchio stolto…!” lo ricorda gaiamente.
Ma come? Dice
che Nick le ha
fatto del male e in seguito parla di lui sfoggiando un bel sorriso?
Cosa diamine le passa per la testa?!?
“Stolto
quanto scarso,
l’ho atterrato con un solo pugno!” Jack non perde
mai
occasione per pavoneggiarsi, le mostra persino, alla pari di un trofeo,
le nocche insudiciate con cui l’ha colpito.
Dalla bocca
purpurea di
Scilla giunge una breve risata cristallina, così vivace e
argentina da stupire lei stessa per prima, se ne scusa poi ritenendola
disdicevole riguardo la situazione.
Il tutto non fa
altro che
farmi angustiare di più, sembriamo tornati ai vecchi tempi
quando Jack mi faceva ingelosire cinguettando con le sue indisponenti
damine di porto...
“Se
posso, permetti una
domanda? -intervengo tra i due rivolgendomi a Scilla, mascherando il
tono alterato- A quanto dici sei entrata in contatto con Nick
più di quanto a noi è stato dato a sapere.
Ricordo
distintamente quell’uomo nell’atto di farneticare
su
un’altro tempo ritenendo noi tutti inferiori, tu sei al
corrente
di chi fosse realmente?” indago rievocando insieme a
quell’uomo il disprezzo provato per lui.
“Hayez
Nick appartiene
al tuo stesso secolo, Jennyfer. Nella sua epoca, non era altro che uno
sfortunato imprenditore fallimentare del 1960. Quando fu
sull’orlo di perdere tutto rinvenì in una partita
di
oggetti antichi il frammento della mappa. Fece molte ricerche a
riguardo, è stato lui a rivelarmi gran parte del
funzionamento
di quel frammento di pergamena, solo all’apparenza tanto
consueto. Nick vi vedeva un prezioso riscatto del suo successo, era
convinto di poter conquistare il mondo con la modernità di
cui
era a conoscenza partendo dal 1600, dove la mappa lo avrebbe condotto,
ma a quanto pare non era al corrente della leggenda che sottostava
dietro al nome svedese Hyubtat-le
e al resto che ora anche voi conoscete!” risponde esauriente
tornando al suo atteggiamento ferrato.
Jack si concede
un momento
per riflettere, quando è così incrocia le braccia
sul
petto portando le mani al mento, con cui si tortura incessantemente il
pizzetto intrecciato: “A me è toccato il veliero
con le
vele spiegate...” accerta solenne studiando il bozzetto in
mano a
Scilla.
“Esattamente.
Sta a
significare un lungo viaggio all’insegna
dell’ignoto o
libertà eterna” definisce ricercando
l’ombroso
sguardo penetrante del Comandante, il quale ad occhi bassi sorride
infervorato.
“C’è
stato
un viaggio, sì -ammette incalzante- Ma io non mi sono
ritrovato
in un’altra epoca, questo come te lo spieghi?” la
sfida
austero.
“E’
tutto
chiarito nella didascalia consunta sopra le iniziali H.N. -replica lei
con molta padronanza, preoccupandosi di indicargli anche precisamente
il punto- Voi, Capitan Sparrow, al ritrovamento del vostro frammento
eravate nell’ultimo luogo e tempo in cui la mappa
è stata
utilizzata da Hans Nils, perciò non avete avuto bisogno di
giungervi passando confini geografici e temporali come hanno fatto
Nick, Jennyfer e Dylan!” esplica lasciando trasparire un
lezio
altrettanto presuntuoso.
“Tu
parli lo svedese?!” domanda Jack stranito quanto divertito
dal piccolo diverbio.
“No
-definisce
semplicemente- Ma ho una cara amica che conosce tutte le lingue del
mondo...” conclude alludendo a Celia.
Jack non
nasconde la propria
divertita sorpresa, si volta ridendo verso di me, indicando la
misteriosa donna con un cenno enfatizzante.
La mia reazione
è
nulla, non smuovo un muscolo, continuo ad assistere sdegnata, ogni mio
singolo intervento mi ricade contro a favore di cappuccetto grigio.
“E la
catena?” domando spazientita in cadenza altera.
“Oh
-sospira lei
adorante- Quell’immagine simboleggia il fondamento di
qualcosa
d’immortale, l’amore n’è un
ottimo
esempio…!” dice afferrando entrambe le nostre mani
per
avvicinarle e stringerle insieme.
Il suo tocco
glaciale fa
sussultare ambedue, un freddo innaturale il quale reca con se un
sinistro brivido lungo tutta la schiena.
Le sue dita sono
così
gelide da stentare a credere che vi scorra del sangue
all’intero
di certe vene bluastre in trasparenza dalla sua pelle smorta.
E’
Jack a riprendersi
subito dal gesto insolito, prima fissa le nostre mani, poi si appresta
a rivolgermi un’occhiata molto intensa che in seguito ricade
nel
vuoto.
“...E’
stata la
mappa a far sì che ci incontrassimo?” domando
sull’orlo dello sconcerto, voltandomi verso di lui ed
accorgendomi di quello sguardo vacuo che ricade in un sorriso
malinconico e tirato.
“In un
certo senso, è proprio così!” conferma
quel volto celato e gaio.
Conduceva ad un
tesoro molto più grande dell’oro di Isla Oculta...
“Dunque,
era solo
questo l’aiuto che volevi darci, nevvero?”
interviene
all’istante il Capitano riprendendosi dal torpore.
“Non
è
così, ahimè! La faccenda è molto
più seria.
-definisce divenendo grave- Quello che sto per dirvi va al di
là
dei segnali raffigurati nella mappa... Si tratta del vostro destino.
Temo che i significati dei 4 simboli possano subire variazioni quando
non si è più in possesso di
Untitled...” preclude
chinando tristemente il capo.
“Come
dici?! Hai appena terminato di esplicare...”
“Jenny!
-tuona Jack
attutendo sul nascere un mio nuovo impeto di rabbia- Sta a sentire per
un momento...” esorta ammiccando nell’indicare
Scilla.
Ci mancava solo
che prendesse le sue difese adesso!
La donna lo
ringrazia
silenziosamente con un cenno del capo, compie un respiro profondo e
prosegue: “Ho avuto modo di prendere visione di alcuni fatti
che
avverranno in un vostro futuro molto prossimo. E’ qualcosa di
complicato da spiegare, non saprei dirvi con esattezza... Vi basti
sapere che tutto ciò avviene mentre sogno, riesco a scorgere
dei
frammenti di alcuni avvenimenti che devono ancora accadere”
enuncia con ferma convinzione alla presenza dei nostri sguardi
perplessi.
“So
cosa pensate, vi
apparirà alquanto strano, ma tutto questo avviene grazie
alla
Dea Sogno che durante la notte mi conferisce parte dei suoi poteri. Io
in realtà provengo da un tempo che rispetto a dove ci
troviamo
ora sta avanti 10 anni... Ho viaggiato indietro nel tempo grazie alla
mappa e in parte a Sogno” svela calibrando ogni parola.
“Però,
come ben
sapete, questo viaggio comporta la cancellazione della memoria,
perciò essa mi viene restituita a poco a poco ogni notte,
nel
sonno, e se accetterete il mio aiuto, sarò sempre qui quando
avrete bisogno di me!” offre il proprio sostegno.
“Fammi
capire con
maggior chiarezza...-replico dubbia- Poco fa hai ammesso di aver perso
chi amavi prima di iniziare le tue ricerche su Untitled. Queste tue
indagini sono durate ben 10 anni, ed ora che hai ottenuto, grazie ai
poteri di quella Dea che dici, la possibilità di tornare
indietro e cambiare il corso delle cose, preferisci aiutare
noi?!” contesto ogni sua incerta dichiarazione.
“Per me è già troppo
tardi, sono
qui per darvi una speranza...”
“Di
cosa dovremmo
esattamente sperare d’ottenere le tue speranze
sperate?”
chiede Jack incuriosito, ricorrendo ad uno dei suoi strampalati giochi
di parole che non mancano mai di sorprendermi.
“...Vi
prego di
prendere molto seriamente ciò che sto per dirvi. Dovrete
essere
gli unici al corrente di questo al di fuori di me, Sogno e pochi altri.
C’è un nemico sulle vostre tracce, brama da tempo
di
ottenere l’immortalità, cosa che solo grazie al
Capitano
potrà veramente raggiungere...” riferisce in preda
ad una
agitazione poco rassicurante.
“Chi
non la vorrebbe?!” scherza Jack per nulla allarmato dal suo
tono affannoso.
“Il
suo cuore è
piccolo, ma completamente accecato dalla vendetta… Presto vi
raggiungerà e sarete costretti ad affrontarlo, ma
l’esito
di questo terribile scontro sarà tutt’altro che
positivo...” predice scossa da violenti tremori.
“Ossia?”
insiste Jack piacevolmente incuriosito.
“...Vi
porterà alla morte, Capitano...” termina affranta.
Un muto
sussulto. Poi entrambe le mani corrono a ricoprire la smorfia
d’orrore che si dipinge sulle mie labbra.
“Cos..?”
mormoro in uno spiro straziato, mentre avverto il fiato risalire con
fatica dal petto, e gli occhi arrossarsi di pianto.
Non riesco ad
immaginare
niente del genere... Allontano tutto quello che si forma nella mia
testa a quel solo pensiero e continuo a scuotere la testa
incessantemente, come se così potessi impedirlo...
Ma quello che
più di
tutto mi sconvolge di più è la risata divertita
di Jack
mentre pronuncia con noncuranza le parole: “Non sei la prima
e
non sarai nemmeno l'ultima a dirmi qualcosa del genere!”
riferisce altruista.
Le braccia mi
ricadono
pesantemente lungo i fianchi. Quella specie di fantasma gli ha appena
detto che presto morirà e lui la prende col sorriso??
Fisso entrambi
più
volte con espressione incredula, senza ricavare nulla, eccetto due visi
impassibili, dunque mi trovo costretta ad intervenire io stessa:
“Prima mio fratello, poi Jack... Adesso basta!!
Perché mai
dovremmo crederti, chi sei tu per dire tutto ciò, hai delle
prove??” sbotto irrimediabilmente alzando pesantemente i
toni,
nel contrappormi tra i due con gli occhi colmi di lacrime.
“Hai
la mia parola che
non mi sto inventando tutto, non sarei qui altrimenti -giura portandosi
solennemente la mano destra al petto- Dispiace anche a me per prima
esser portatrice di brutte notizie, ma sto facendo quanto
più
è in mio potere. Se desiderate il mio aiuto vi
dirò come
intendo procedere, altrimenti, alla mia uscita da questa stanza, non mi
rivedrete più e potrete fingere di non avermi mai
incontrata!” dispone concorde.
“Non
sembri darci molte
alternative...” riconosce il Capitano in tono di ammonizione,
avverto il suo respiro all’altezza della mia spalla,
probabilmente si trova schierato dietro di me, con i riflessi
sull’attenti, pronto a bloccarmi in caso mi accanissi di
nuovo,
accecata dalla rabbia, sulla donna di fronte a noi.
“La
vostra scelta è del tutto libera” ribadisce lei in
cadenza ferma.
“Prima
voglio delle prove!” mi intestardisco sulla mia convinzione
nonostante il fiato smorzato dai singhiozzi.
“Per
ora posso solo
darvi la mia parola, non ho sognato molto di recente... -ammette
dispiaciuta- L’unica cosa che ricordo è un segno,
lo
riceverete presto da colui che è sulle vostre
tracce...”
“I
tuoi avvertimenti non sono divertenti!” legittimo irritata.
“Stai
fraintendendo
Jenny, l’unico motivo per cui sono qui è proprio
aiutarvi,
non arrecarvi altro danno!” replica Scilla supplichevole.
“Aiutarci?!
-canzono al
limite della tensione- Aiutarci come hai fatto al porto di West
Caicos?” rammento il vecchio attrito.
Se avessi gli
occhi sulla nuca potrei scorgere Jack sogghignare sommessamente, lo
diverte un sacco la mia spropositata gelosia.
“Oh,
capisco... -sembra
intendere- Di quello mi dispiace molto, mi scuso con entrambi,
soprattutto con voi Capitano! -dice a testa bassa, addolcendo la
postura altera- Ma, vedete... Mi sono lasciata coinvolgere dagli eventi
in modo eccessivo, ero troppo entusiasta di avervi raggiunto in tempo,
e... Sono davvero mortificata. Non si ripeterà in alcun
modo,
d’ora in poi prometto che starò al mio posto,
scusatemi
ancora!” inscena tutto il suo perdono.
Ti conviene
“mia cara”...
“Ebbene,
il tuo è solo un generoso
aiuto...-ironizzo
inquieta- Ma, realmente, per cosa lo fai, cosa vuoi ottenere in
cambio?” proseguo in tono duro scacciando gli accenni di
pianto.
“Nel
caso in cui
vorrete usufruire dei miei servigi, il mio unico compenso
sarà
la felicità personale d’aver recato aiuto a
qualcuno,
contrariamente a quanto è stato concesso a me...”
Quell’ultima
frase
colpisce profondamente entrambi, io per prima non mi sarei mai
aspettata un’affermazione simile da parte di quel mezzo volto
tanto colmo di sicurezza e spavalderia. In realtà deve
nascondere qualcuno di profondamente fragile...
Mi ammutolisco
del tutto,
assumendo inevitabilmente un’espressione in parte pentita per
esser parsa tanto avversa nei suoi confronti. Mi auguro solo che sia
sempre stata sincera...
Jack interrompe
l’imbarazzante silenzio creatosi nella stanza con la sua
scaltra
dialettica: “Passiamo al negoziato! Supponendo che io e il
mio
angioletto irrequieto qui accettassimo i tuoi servigi, cosa dovremmo
fare esattamente?” domanda riposizionandosi al mio fianco con
aria curiosa.
“In
quel caso dovrei
stabilire un contatto costante con voi, per sapere dove raggiungervi e
se necessitate della mia presenza. E siccome non mi sarà
possibile essere sempre qui, e convengo con voi che la mia presenza non
sarebbe sempre ben accetta, ho pensato per il primo inconveniente di
affidarvi questo... -propone Scilla rivelando dalle pieghe del vestito
un ciondolo dall’aspetto di un diamante cristallino,
contenuto in
una sottile catena dorata- E’ una pietra molto rara e
particolare, la dovreste indossare solo per reclamare il mio
intervento: a contatto con la luce del sole prende una colorazione
vermiglia e riflette un sprazzo luminoso che mi segnala il vostro
richiamo. Mentre per quanto concerne al mio secondo compito... Avevo
pensato di inviarvi qui un tramite”
accenna illuminandosi in un sorriso.
“Cosa
intendi per
quest’ultimo?” chiede Jack accigliato, assumendo
una
espressione buffissima data da un sopracciglio eccessivamente inarcato.
“Si
tratta del figlio
di Sogno, è un mio caro amico... -narra lieta- Un bizzarro
semidio, ma potrete fidarvi di lui, sarà del tutto innocuo!
Al
momento non sa ancora utilizzare appieno i suoi poteri, sebbene
è già capace di mantenersi in contatto con me
anche a
lunga distanza, perciò è l’unico che
potrà
esserci utile!” argomenta il tutto con ferma sicurezza.
“Non
lo vedo qui con te, dove si trova?” Sarà
invisibile anche lui?
“Al
momento è rinchiuso nelle prigioni di Mayan (località situata
a sud-ovest in una grande isola nel Mar dei Caraibi: Cuba NdAutori)
-ammette imbarazzata- Tranquilli, non vi è finito per nessun
reato grave! Ci hanno sorpresi nell’atto di inoltrarci
insieme
negli archivi della Marina, volevamo scoprire se erano sulle vostre
tracce e in quel caso deviare le loro rotte, ma io sono stata
l’unica a sfuggirgli- rammenta costernata- Se
accetterete
il mio aiuto sarà indispensabile liberarlo!" predispone
infine.
Lo sapevo che
c’era un secondo fine, lo sapevo!!
“E’
del tutto ridicolo! Non contribuirò anche a liberare un
detenuto!” mi oppongo ostinata.
“Tesoro...
-interviene Jack divertito- ti ricordo che anche tu una volta hai
trascorso una notte in prigione!”
Già,
grazie a te, maledetto!
Replico
semplicemente voltandomi offesa dal lato opposto al suo.
“Scusala...-
dice
rivolgendosi a cappuccetto grigio prima di assumere anch’egli
un
piglio serio - Al momento siamo diretti a Imìas, (località dalla
parte opposta di Mayan NdAutori)
è poco distante da qui, al nostro arrivo sapremo dare una
risposta alle tue alternative, in modo da poterne discutere nel
frattempo… insieme, eh, che ne dici?” conclude
guardandomi.
Annuisco alla
sua decisione ostentando tutto il mio inesistente entusiasmo.
“Andata!”
conferma Jack alla nostra interlocutrice più che soddisfatta.
“Sì,
è tempo che anche io vada…” riconosce
affrettandosi.
Entrambi, in
seguito, fummo
certi in quel momento di vederla indietreggiare verso la parete da cui
si era materializzata, con le braccia sospese, come in procinto di
prendere il volo, ma sul proseguo non sappiamo ancora darci
spiegazione...
Sappiamo solo
che quella
notte, improvvisamente agitò le braccia come un volatile
spiega
le ali, e poi, alla pari di una illusione, scomparve da sotto i nostri
occhi, lasciando solo, come testimonianza del suo passaggio, una
brevissima pioggerella di scintille luminose.
Io e Jack
saremmo rimasti per
molto e molto tempo immobili, in quello stato di sconvolgimento ed
incredulità, se dalla porta non fosse entrato sbraitando
soccorso un turbato membro della ciurma...
---Mi
scuso se l'html della prima parte del capitolo inizalmente si lasciava
un pò a desiderare, ma ho appena cambiato pc con un sistema
operativo tutto nuovo e devo ancora imparare a sfruttarlo al meglio,
sorry! Capitana.
Spagna
vs Francia
“Il
pandemonio, il
pandemonio...Un’inarrestabile baraonda!!!”
farnetica in
modo sconnesso per giustificare la sua violenta irruzione nella nostra
cabina, il madido pirata appena apparso dalla porta.
Il suo viso
ambrato e lucido
è sconvolto come i nostri dal turbamento, gli occhi quasi
guizzano fuori dalle sue palpebre sbarrate, il mento è
ripiegato
verso il basso in una innaturale smorfia di terrore.
Coward,
conosciuto anche come il pirata più superstizioso che abbia
mai percorso il ponte di questa nave.
Non mi ha mai
rivolto la
parola da quando mi trovo qui, e se gli capita di incrociare il mio
stesso percorso finge subito di non vedermi, una volta l’ho
sentito borbottare tra violenti tremolii che porta molto male avere una
donna a bordo, vede la sfortuna praticamente ovunque.
“Mastro
Conward!
Blateri più chiaramente le sue vuote ciance!” lo
riprende
Jack incollerito da tale intrusione.
“Si
tratta
dell’ispanico, Capitano! Quel vile demonio inviatoci dal
Sigliore
Iddio nostro creatore...” dice agitando le braccia verso
l’alto come una disperata supplica.
Il Capitano
ascolta, sbuffando sonoramente ai suoi deliri: “Ti riferisci
a Juan per caso? Cosa avrà fatto...”
“Come,
con ve ne siete
accorto, signore? -domanda il pirata stravolgendo ancora di
più
il suo sguardo allucinato -Da quando gli avete permesso di risalire a
bordo non ha fatto altro che attaccar brighe con quell’altro
strano...Andrè!” lo informa mimando nervosamente
mille
scongiuri, dopo aver estratto dal lurido giaccone crocifissi,
scacciaspiriti, un gris-gris (amuleto
vudù NdA)
spicchi d’aglio, peperoncini, ferri di cavallo, pentacoli, un
Ankh e altri oggettini scaramantici che stritola incessantemente tra le
dita timorose.
Sta davvero
menzionando il tenero e quieto Andrè?!
“Ebbene,
per quale motivo?” si fa più dubbioso.
“Non
so! Non so... Ma
sembrano posseduti, Capitano! Si ingiuriano e percuotono con tutto
ciò che capita loro sotto mano... -perpetua strattonando
nella
disperazione la sua chioma intrisa di sale- Deve intervenire
all’istante, prima che il diavolo si impossessi
definitivamente
di loro...!!” lo esorta trainandolo a forza con se al di
fuori.
Quali effetti
non comporta l’eccessiva esposizione al sole negli uomini...
Non credevo di
dovermi
realmente “armare” di acqua santa, o per lo meno di
un
solido scudo nell’affrontare lo spettacolo a cui assistemmo
giungendo sul ponte, da dove si distingueva già chiaramente
il
feroce caos presente nel salone:
“MAIS
COMBIEN…*BONG*… TU EN AS
JETE’???” (ma
quanto ne hai buttato? NdA)
“EL
AZATRA’N NO
ES UN PECADO…*SBANG*…ES UNA EXQUISITEZ! TU NO
ERES UN
COCINERO CALIFICATO PARA CRITICARME!!!”
(lo
zafferano non è un peccato.. è una prelibatezza!
Tu non sei un cuoco qualificato per criticarmi!)
“QUE
TU AS DIT?? JE N’AI PAS COMPRITE” (che cosa hai detto? non ho
capito!)
“EH??TU
NO COMPRITE?!?
AHORA TE HAGO ENTENDERME COME USA UNA
SANTE’N…SOBRE LA
CABESA DE UN FRANCE’S!!!”
(adesso
ti faccio capire io come si usa una padella..in testa a un francese!!)
“NE
PAS CE QUE TU ES EN TREN DE BREDOULLER...MAIS JE TE FAIS
VOIR!!!” (non
so cosa stai blaterando, ma ora ti faccio vedere io!)
Ingiurie miste a
percosse di
padellate con contorno d’urla, rabbia e uno spruzzo di
rivalità, l’antipasto servito in tavola quella
sera, notte.
La Pearl aveva
lasciato il
porto a mezzanotte e nessuno aveva ancora cenato, la ciurma affamata
cercò dunque rimedio nei due cuochi, i quali non si fecero
sfuggire l’occasione per dimostrare il loro prestigio, e
saziare
anche la reciproca “sete di affermazione” come il
migliore
sull’altro.
Ma, a giudicare
dal
risultato, il tutto finì in catastrofe, i due prepararono il
medesimo piatto secondo le loro due tradizioni europee differenti:
risotto! La colluttazione a cui assistiamo ha proprio questo come tema.
“Eh,
già quei
due folli vanno fermati... -s’avvede Jack intervenendo a
dividerli, mentre si stanno malmenando a suon di mestoli, padelle e
coperchi- SIGNORI…calma! Riponete le pentolacce -ordina
energico, disarmando entrambi- Ed ora spiegatemi il motivo di tutto
questo baccano a bordo della MIA nave!!” reclama scosceso.
E’ il
più
focoso, Juan, a farsi violentemente avanti per primo:
“Capitàn, esto stupido francés non
vuole che yo usa
el azafràn...zafferano nel mio
arroz…risoto!”
“Capiten
-si difende il
mio dandy supplichevole, anch’egli con il viso rosso per la
furia- cRedete al vostRo Andrè? Non so che diSce quel
moLusco…me, le safran è tRopo dentRo il
Risotto!!!”
“VostRo
Andrè?!
Allontanati dalla mia presenza tu!- lo ripudia disgustato spingendolo
via- Non prendo le parti di nessuno -mette subito in
chiaro-...Aspettate -riflette un istante- mi state forse dicendo che
sono venuto fin qui..perché state litigando... per un
RISOTTO?
Dei pirati che litigano su come CUCINARE del cibo?? -i due chef
annuiscono animosi-…se fosse stato rhum sarei con voi
compari,
ma per dell’insignificante ZAFFERANO...!” riconosce
sempre
più stranito.
A quelle
articolate parole
nella sala scende un pacato silenzio, si odono soltanto le lievi
orazioni di Coward, bisbigliate in almeno 5 lingue di altrettante
religioni diverse.
Gli
spadellamenti cessano di
rumoreggiare, e tutti i presenti, me compresa, rintanata nello stipite
della porta, ma con un occhio vigile ad assistere, attendono ansiosi
l’esito del Capitano.
“Orsù...
Poneteli in tavola ed assaggiamo entrambi!” esorta prendendo
il
suo posto a capotavola con una scintilla di curiosità
aleggiante
negli occhi.
In pochi
secondi,
dall’entrata della sala, ora molto più silenziosa,
seppure
animata dal vociferare impaziente dei presenti affamati, esordiscono
due ampi vassoi fumanti, uno color dell’oro e il secondo
scuro
quanto la pece, accompagnati da un sospiro generale dettato dalla fame,
nel loro volteggiare frenetico per aggiudicarsi
l’approvazione
del Capitano, colui che ricevere sempre il pasto per primo.
I due corridori
gareggiano
lungo le due estremità della lunga tavolata, i loro piedi
volano
sul scivoloso “selciato”, somigliate più
ad un
cimitero di residui di cibo in decomposizione. Si fanno largo tra
decine di pance vuote e volti voraci pronti ad assalirli, mantengono
sulle braccia e nei polsi un equilibrio incredibile, facendo,
nonostante la corsa, ondeggiare appena i grandi vassoi argentati, ed
infine giungono con il fiato corto sul collo del Capitano,
già
armati di mestolo e modi gentili.
La lotta sopra
il cappello a
tricorno di Jack (non ha mancato di indossarlo nonostante
l’emergenza) è all’ultimo sangue, inizia
con insulti
e minacce silenziose e si conclude con una gara di velocità
su
chi riempie più velocemente il piatto del Comandante,
finendo
per rilasciare nella stoviglia di porcellana un cumulo spropositato di
riso.
Jack
osserva quella poltiglia tendente al marrone, per il miscuglio del
dorato zafferano e l’oscuro... inchiostro di
seppia, senza celare una mezza smorfia di disgusto, poi volge uno
sguardo inceneritore ad entrami gli chef.
I sudori freddi
che colgono
quelle due canaglie testimoniano il loro timore e sconcerto reciproco,
dato che non capiscono proprio in cosa hanno errato.
“Vi
rammento che a
questo tavolo è presente anche una signora!”
ammonisce
Jack indicandomi al suo fianco, quella cadenza di tuono mi risveglia
dal la mia dissociazione momentanea dalla realtà, presente
da
prima nella mia mente, dove risuonano quanto un eco le aspre parole di
Scilla.
“...Come?
Oh, no.
Grazie, non ho appetito in questo momento!” cerco di oppormi
in
modo cortese, sento davvero lo stomaco oppresso da un peso.
“Mademoiselle,
se non
lo asaJate mi ofendo!” interviene Andrè,
volgendosi con
foga al mio fianco per esibire in tavola la sua portata.
Ma è
Juan il cuoco tra i due più vicino a me.
Scorgo con la
coda
dell’occhio l’ispanico affondare il ramaiolo nel
risotto
nero fumante, sollevare la porzione indirizzandola al mio piatto, ma
l’istante prima che ve la depositi, una violenta gomitata lo
scaraventa in avanti, facendo ruzzolare non solo lui, bensì
anche gran parte della sua creazione prelibata.
Il merito della
caduta va ad
Andrè che ora depone al suo posto, con aria trionfante, una
generosa cucchiaiata dorata ticchettando il mestolo ligneo sul bordo
del mio piatto.
Ma nel frattempo
tutti
veniamo perturbati da quel capitombolo tanto comico quanto pietoso,
poiché rappresenta sempre tante ore di duro lavoro in cucina
gettato al vento.
Juan Carlo
Ostras rimane per
un istante a terra con espressione turbata, in parte ricoperta da tanti
gustosi chicchi neri, ormai immangiabili, ad osservare di spalle la
figura florida e gongolante del francese.
Poi una fiamma
si accende in lui, gli parte dallo stomaco, risale dalla gola e
viene scagliata
fuori dalle
sue labbra con un forte urlo d’imprecazione, a tutti
incomprensibile, almeno fin quando non si indirizza febbricitante a
stagliarsi con le mani intorno al collo di Andrè.
Il vassoio del
riso dorato
viene rilasciato pesantemente sul tavolo, se non mi fossi spostata mi
avrebbe travolta, mentre il francofono reagisce per cercare di
difendersi.
Approfittando
dello
scompiglio generale, qualche coraggioso membro della ciurma, si
avvicina gattoni al fulcro della rissa e sgattaiola via con il
“bottino d’oro” per saziare finalmente
l’appetito.
Con un gesto
fulmineo trovo
riparo sotto al tavolo, dove cerco di ricreare un fronte di difesa
utilizzando le panche e le sedie lì attorno, se proprio quei
incivili con cui son costretta a convivere vogliono malmenarsi, che non
lo facciano in mia presenza!!
Sto per
terminare la muraglia
quando mi imbatto in qualcuno che probabilmente ha avuto la mia stessa
idea e riconosco come... Jack!
“...Capitano!
Che diavoli combini qui?!” domando in voce altera cercando
pur sempre di non farmi sentire.
“Ehm,
umm... Vedi, tesoro... I-io...” risale ad una scusante,
cercando di prendere tempo vaneggiando.
“Sono
i tuoi uomini
quelli là fuori, sei l’unico che può
fermarli! E
invece ti ritrovo qua sotto, nascosto come un topo”
interrompo i
suoi tentennamenti in cadenza delusa.
“Jenny-
replica
afferrandomi per le spalle- tu non sai cosa può diventare
Andrè in una rissa quando si parla di mangiare! -esordisce
preoccupato- Questa sua sciocca mania cancella tutto il suo perbenismo
di facciata e lo trasforma in una vera belva furiosa, non si ferma
finché non vince!” narra enfatizzante senza
mancare, anche
il questo spazio ristretto, di gesticolare come un forsennato.
Nel suo fiato
capto un odore
fin troppo concentrato di rhum, ecco perché farnetica in tal
modo... Avrà voluto mettersi a tavola solo per affogarsi in
quella vile bevanda.
Ammetto la mia
poca
convinzione, ma mi tranquillizzo, il trambusto sembra spostarsi dalla
parte opposta della tavolata, da quanto mi è concesso
capire,
ora tutti si stanno litigando la propria porzione del risotto rimasto,
e la rissa si è estesa a tutta la ciurma sebbene nei pressi
dell’entrata.
“Niente
paura,
chéri -dice facendosi più vicino, credendomi
intimorita-
Li ho visti litigare per molto meno, e per appetiti
migliori!”
allude con un sorrisetto sghembo.
“Immagino...”
acconsento dubbia, notando nelle mie vicinanze una posata scintillante
che si rivela poi essere un cucchiaio. Un pensile simile ad una
tavolata dove in genere si dilettano solo a mangiare con le mani??
“Puliranno
tutto loro
l’indomani, a zuffa conclusa, quando saranno abbastanza sobri
e
fiacchi!” decide sollevato, pensando così di
risolvere
tutto.
“E
dimmi, Jack... Hai trovato infine una buona ragione per cui ti sei
rintanato qui?” pongo sfidante.
“Perché,
ecco...
-esita ancora- Volevo ripararmi da eventuali imbrattamenti -trova poi
una valida argomentazione- sai, ci tengo ad essere sempre lindo e terso
per te...” inventa sfoggiando fare innocente.
Io non direi
proprio...
“Tu
trovi sempre spunto
per scherzare! -dico divertita- Allora, visto che sei qui, non ti
dispiacerà assaggiare...Questo!” con la posata
raccolgo
una piccola quantità di riso allo zafferano, colato dal
tavolo
sopra le nostre teste, e servendomi del cucchiaio come di una
catapulta, miro al naso di Jack centrandolo in pieno.
La mia mira non
è affatto calata!
Ora la sua
faccia impiastrata
di giallo si è rilassata in una espressione incredula che in
pochi secondi tramuta in demoniaca.Ma preferisco non trattenermi oltre,
e scampo per un pelo a quelle grinfie, facendomi goffamente largo tra
le mura da me stessa create, per poi scampare dalla sala da pranzo,
seppur slittando tra vetri rotti, schegge di legno e cibo sprecato,
attraverso la finestra che conduce direttamente al ponte di comando.
Cavalco
silenziosa
l’aria notturna, infranta da nuove grida di protesta in
lontananza, le quali ammutoliscono una volta rientrata nel vano che
conduce alle cabine. Nessun movimento alle mie spalle, Jack si
sarà ingarbugliato in quella stessa trappola da me creata
come
difesa.
Appena ritorno
al sicuro mi
privo degli abiti della giornataccia appena trascorsa per ricorrere
alla più comoda camicia da notte, e finisco con
l’abbandonarmi, questa volta del tutto, dalla mia
metà del
letto.
Sto quasi per
addormentarmi,
quando la porta della cabina si apre lentamente con uno scricchiolio
sordo, e dal passo incerto e pesante riconosco il Capitano in
avvicinamento.
Apro gli occhi
per avere un
accenno dei suoi movimenti, e dalla fioca luce lo scorgo intento a
levarsi gli stivali riponendoli scompostamente a terra, per poi
accomodarsi sul letto con la schiena rivolta alla spalliera, armato di
piatto e di cucchiaio. Non pare arrabbiato, né il suo naso
è più falbo.
Sorrido al suo
non mancare
mai di stupirmi per le sue stranezze, mentre lui porta il cucchiaio
alla bocca degustando quello che ravvedo come il risotto nero cucinato
da Juan.
“Mmm...
-approva estasiato assaporando tutto il boccone- Non sai cosa ti
perdi!”
“Come
hai fatto ad averne? Era andato quasi tutto perso...”
contesto in voce vaga.
In risposta
esibisce un ghigno furbo: “Sono Capitan Jack
Sparrow!”
Mai che manchi
di ricordarlo e di farmi ridere ogni volta.
“Jack...-dico
mutando totalmente tono- Ho paura..." ammetto stringendomi al suo
torace.
“Per
ciò che ha detto Scilla?” chiede conferma che
riceve con un mio cenno silenzioso del capo.
“Dolcezza...-
ridacchia
roco ponendo il piatto sul comodino- Non mi succederà
niente!
-dice altruista, con la sua voce calda, sollevando verso di se il mio
mento imbronciato- Ci sono andato vicino molte volte, so cavarmela! Mi
meraviglio di te, a credere così ciecamente a certe idiozie
sperperate da un volto di cui non sai nemmeno
l’aspetto!”
conclude sorpreso, fingendo rimprovero.
“Non
è questo...
-nego irritata- Quella donna ha un effetto strano su di me, come
dire... Sembra ipnotizzarmi! Mi rende del tutto incapace di reagire
-confesso adirata- come si è visto oggi...”
confermo
scoprendo la fronte dove si trova la ferita, ora bendata, resa
abilmente quasi invisibile dal ciuffo.
“Suvvia,
non è
niente -mi incoraggia allontanando le mie mani da quel taglio ancora
pulsante- Il peggio è passato, basterà solo un
po’
di riposo, che per l’appunto non ti sei ancora concessa,
quando
dovresti!” alleggerisce il tutto, preoccupandosi di
rimboccarmi
le coperte per incitarmi a dormire.
“...Ma
accetteremo il suo aiuto, Jack?” ignoro il suo gesto per
avere un’ultima conferma.
“Perché
dovremmo? -domanda crucciato- ...Ti preoccupa a tal punto?”
la
risposta affermativa l’ottiene dal luccichio delle lacrime
che si
impadronisce dei miei occhi.
“D'accordo,
d’accordo... Come vuoi, vediamo fino a che punto è
disposta a trascinarci... Ma io rimango della mia opinione!”
stabilisce col fare altezzoso di quando si trova in disappunto.
Il mio sguardo
smarrito muta
in uno più quieto e riconoscente che si fonde in un
abbraccio
tra mille miei “...Grazie!”
“Mi
pareva ti
dispiacesse l’idea di avere a bordo un’altro
galeotto...” riconosce a suo favore, rammentando i termini
della
ricorsa all’aiuto della donna.
“Umm,
no. Ve ne sono
già parecchi... E poi magari questo sarà
più
benevolo, e utile, aitante, e bello...” lo provoco
figurandomi a
fantasticare.
Sotto di me
avverto il suo corpo irrigidirsi e stizzire per
l’indignazione.
“Ci
sei cascato anche tu! ...Ti prendo in giro!!” lo derido
soddisfatta.
“A tal
proposito: sai, vero, che mi vendicherò di quanto
è accaduto poc'anzi?” definisce nefasto.
“Oh,
suvvia, Jack! E’ stata una stupidaggine!” Ma non
per lui.
Infatti a mia
insaputa,
già in quel momento, stava attuando la sua rivalsa...
Dandomi
semplicemente il bacio della buona notte, e approfittando del mio
totale abbandono a lui per fingere di carezzarmi i contorni delle
labbra, disegnando invece con la punta delle dita un paio di grandi
baffi scuri sotto al mio naso, servendosi dell’inchiostro
nero
del risotto.
2011 - Odissea nel passato.
Le trombe d’aria in California non sono un evento poi
così straordinario, se ne vedono spesso, e parecchie, ma
tutti sono sempre già pronti ad affrontarle con sofisticati
mezzi di sicurezza e superarle al meglio.
Non quando una di esse si scatena in camera tua però...
E Dylan per contrastarla non poté fare altro che contare
solo sulla sua resistenza, unita a testardaggine ed ebrezza del
pericolo, cosa a cui lui in 18 anni e mezzo non si è mai
sottratto.
Le nocche delle sue mani, serrate ormai da alcuni minuti intorno al
davanzale della finestra per impedirgli di essere spazzato via, sono
livide e doloranti, ma resiste, aspetta con il cuore in gola e gli
occhi infervorati di curiosità, ciò che lo
attende al cessare del bagliore accecante, concentratosi in un cerchio
di luce, al centro della sua vecchia camera da letto di quando era
bambino.
“Dai...dai...” mugugna a denti stretti, pregando
che il tutto finisca al più presto.
E tale invocazione viene esaudita, quando quei raggi luminosi si
intrecciano come lunghi rami, in un vortice che sale sopra di lui e
modella una vaga sagoma femminile, la quale irrompe nella stanza
riportando con se il semi-buio.
Il ragazzo ricade pesantemente a terra, lamenta di non sentire
più le dita e i polsi, ma ora finalmente, può
guardare in faccia cosa, o per meglio dire colei, la causa di
tutto questo trambusto.
“Oh...” mormora incredulo, colto da profonda
sorpresa, riconoscendo dal fioco bagliore che la donna emana,
contrastante il grigiore di quel meriggio di pioggia, la dea dei sogni.
Nonostante si senta lievemente intontito, rimane prostrato a terra
sistemandosi in una posa il più possibile somigliante ad un
elegante inchino, così da accogliere come dovuto la
divinità.
Sogno lo osserva accigliata trattenendo un riso: “Hai perso
qualcosa, Dylan?” domanda chinandosi a sua volta nei pressi
del viso prono del giovine.
Dylan rialza di scatto lo sguardo, incrociando gli occhi vispi e furbi
della donna che gli sorridono, e avverte di potersi sentire
più a suo agio.
“No, signora!” replica scattante.
“Signora?! -lo apostrofa fintamente indignata- Non sospetti
nemmeno lontanamente chi io possa essere?”
“Ma certo. Chioma fluida e bionda, veste azzurra... Sei la
fata turchina!” scherza rimettendosi in piedi, provocando
anche in lei una spassosa risata.
“Benvenuta in mia casa... -la omaggia di nuovo, imitando
l’accento rumeno del Conte Dracula-...Sogno! Patrick non fa
che parlarmi di te, e poi avete lo stesso sguardo buono -sorride come
ha già visto fare Jennyfer- Sono onorato di averti
qui!” non sa se abbracciarla, o solo stringerle la mano, come
si saluta una Dea? Forse un semplice sorriso può parlare
più di qualunque altro gesto.
“Ti ringrazio, Dylan -ammette sincera, quasi intimidita da
tale ingresso- E perdona disordine che ha suscitato il mio arrivo qui
dentro!” dice desolata
guardandosi attorno, in quell’altro sgombro da ogni forma di
mobilia, ma con le pareti interamente tappezzate di fogli scritti e
disegni, ora un po’ disseminati ovunque.
“Oh, nessun problema, ci son solo scartoffie
qui...” non ci bada, affrettandosi subito a raccoglierli e
riporli sul muro.
Sogno si offre di aiutarlo, ma Dylan rifiuta, sembra averli molto a
cuore.
La Dea dunque si avvicina lentamente ad una parete per scorgere la
natura di tali scartoffie,
ma non trova nulla di tutto questo, bensì dei magnifici e
realistici ritratti, ancorati al muro con delle puntine da disegno,
come si fissano i ricordi nel cuore, testimoni di un volto che non
appartiene più a questa epoca da lungo tempo.
I suoi tratti sono fini, morbidi, all’apparenza tristi, ma la
loro mestizia è scongiurata dagli occhi, al contrario
grandi, chiari e luminosi, fino a poterci leggere l’anima.
Identici a quelli che in questo momento la stanno realmente osservando
lì accanto: “Tremendi, vero? Quelli che stai
guardando sono solo i primi che ho fatto, ora sono un po’
migliorato...” le assicura scompigliandosi i capelli umidi di
pioggia per l’imbarazzo, con ancora un fascio di altri
disegni in mano.
“No, affatto! Sono magnifici Dylan, dico sul serio! Sembra di
averla qui...” nega complimentandosi con lui.
“Cerco di tenerla vicina, e così riporto su carta
l’immagine dei miei pensieri...” spiega volgendo lo
sguardo anch’egli ai disegni sulla parete, e le sue iridi
smeraldo si fanno più lucide nonostante sorride.
Sogno gli circonda una spalla, come farebbe con suo figlio, sente che
Dylan prova lo stesso vuoto che lei nutre per Leonard.
“Volevo scusarmi con te anche per il modo affrettato con cui
ti ho trascinato qui...! Ma non hai dormito molto in questi giorni,
vero?” i segni scuri intorno agli occhi del Signorino Allyson
lo confermano.
Il ragazzo la osserva per un attimo frastornato, poi ammette:
“Sì, per lavoro... In effetti ricordo di essermi
appisolato mentre rientravo a casa in metropolitana, di aver fatto un
sogno molto strano, e quando mi sono svegliato ho sentito il forte
bisogno di venire qui!” ripercorre ogni suo passo che
insolitamente quest’oggi l’ha riportato in questo
luogo, per lui colmo di ricordi.
La Dea ride sommessamente con aria furbesca.
“Ah, dunque sei stata tu!” la scova divertito.
“Che lavoro fai adesso?” domanda incuriosita per
sviare il discorso.
“Bhe, ecco, è una storia lunga -ma Sogno lo esorta
a continuare- Vedi... Dieci anni fa quando sono tornato nel futuro, per
tre anni non ho fatto che giocare ai pirati, i miei genitori erano
molto preoccupati, mi ero fatto regalare da loro un cappello giocattolo
da Capitano e non lo volevo togliere nemmeno per andare a dormire
-parla della sua infanzia con aria felice, giocosa- A 12 anni mi sono
buttato disperatamente sui libri di storia, è stato
lì che ho iniziato a sentire fortemente la mancanza di Jennyfer -pronuncia
il suo nome sommessamente, in tono grave. Saranno anni che non ne
può parlare con nessuno. Anche se non lo dà a
vedere, deve fargli molto male- E... Non so come... Volevo cercarla,
trovare una notizia su di lei, sulla Perla, su Jack... Ma le mie
ricerche sono state vane. Quando fui sul punto di arrendermi, sono
semplicemente tornato al museo, dalla mappa! Ed è stata
quella la mia chiave, non tanto il contrario -prosegue rimembrando le
parole di Patrick sul fatto che Dylan è, e sarà
sempre il custode della mappa- Ho iniziato a studiarla in tutto e per
tutto, e sono giunto al proprietario che l’ha ceduta al
museo. E’ ancora vivo e abita a San Francisco,
così quell’estate, anziché andare in
spiaggia come tutti i quattordicenni, prendevo il treno ogni giorno e
mi recavo da lui. -Non ti arrendi mai, vero?- Mi sono offerto come
tutto fare: gli selciavo l’immenso giardino, pulivo la sua
piscina... Le punizioni che mi infliggevano i miei genitori sono
servite, visto? Ho curato più casa sua di questo chiccoso
(sciccoso) rudere che ormai cade a pezzi... -scherza
sull’ancora bellissima residenza vuota che l’ha
visto crescere- E infine gli riordinavo lo studio, solo in cambio di
poter accedere alla sua biblioteca e a qualche altro prezioso documento
che potesse raccontarmi di lei...” ne parla come di un
angelo, l’angelo custode che ha perduto.
“Caspita, Dylan! Quanta passione hai impiegato in tutto
questo!” riconosce ammirata.
“In realtà... A me non pare di aver fatto
granché -ammette in tono triste massaggiandosi il copino- In
4 anni ho trovato poco niente come informazioni, ma il Conte Prinston
ora mi sta aiutando, si è appassionato anche lui di questa
storia, sa solo che Jennyfer potrebbe essere una mia
antenata!” ride appoggiandosi distrattamente al muro, dove la
sua mano si posa intorno alla guancia allargata in un sorriso della sua
adorata Mozzarella.
Lo sguardo di Sogno percorre velocemente tutta la parete sulla quale
è immortalata ogni possibile espressione di Jennyfer, in
alcuni ritratti Dylan l’ha pensata persino al fianco di Jack.
“Dylan... Non mi chiedi perché sono
qui?” lo interroga riacquistando l’attenzione del
giovane Allyson, smarritasi a sua volta lungo il muro.
“No...! Sarebbe da maleducati porre tale domanda ad un ospite
tanto prestigioso -sostiene imitando uno sprezzante rimprovero-
...Perché sei qui?” si contraddice sogghignando.
“Sono venuta qui... Per verificare con i miei stessi occhi se
meriti di ricevere un regalo!” rimane vaga, ma sfoggiando
un’espressione gioiosa.
“Meritare un regalo... E per cosa?” dice
incuriosito.
“Le altre divinità mi avevano detto:
“Non andare, Sogno! Cosa pretendi di trovare? Un diciottenne
alcolizzato già stanco di vivere che ha buttato via la sua
vita per qualcosa che non potrà mai riavere!” li
imita emulando una voce grossa e adirata.
“Ahahaha, hanno detto proprio così?! -la Dea
annuisce- Grazie per la fiducia miei cari!” ride di gusto
allargando le braccia e volgendosi al cielo, o in questo caso, al
soffitto, dove indirizza le sue parole.
“Oh, no. Alcol no. Semmai solo il rhum! -rassicura- I tuoi
parenti sanno essere proprio delle vipere eh!” scherza ancora
divertito.
“Hanno ben poca fiducia negli esseri umani ...Ma io sapevo di
poter contare su di te. E dunque, eccomi qui! ...Per tutto
l’impegno che vi hai impiegato, sono ormai certa che meriti
appieno questo dono!” dichiara divenendo sempre
più luminosa, mentre il sole alle sue spalle tramonta.
Il moderno Odisseo continua ad osservarla interdetto, senza capire.
“E’ qualcosa che hai sognato molte volte... -svela
sotto forma di indizio- Ed ora ho avuto la conferma di poterlo
realizzare! -aggiunge, prendendo tra le sue, quelle mani
d’artista- ...Ma! Devi promettermi di limitarti a guardare
-gli raccomanda- Non devi parlare, né dire chi sei, e tanto
meno tentare di sconvolgere la situazione in cui ti troverai.
E’ possibile che ti vedano, ma devi condurre la tua visita
alla pari di un fantasma...!”
May I keep you?
(posso tenerti con me)
Quiete e silenzio.
Chi l’avrebbe mai detto che una caotica giornata del genere,
infine, potesse concludersi così?
Solo quiete e silenzio.
Qualche schiamazzo in lontananza dal salone da pranzo con i lumi ancora
accesi, il rollare regolare del timoniere, le assi scricchiolanti sotto
ai suoi piedi, il sonnecchiare scandito dal russare sommesso delle
sentinelle notturne, il ponte deserto, la calma della notte e del mare
luccicante, dove le stelle vanitose si specchiano...
La fresca aria tranquilla si fa largo tra gli astri, e trova il suo
nascondiglio nelle finestre di una stanza, lasciate aperte per
distrazione, intrecciandosi nel respiro di due anime, legate
l’uno dall’altra, che si cercano in un abbraccio
anche nel sonno.
I loro occhi chiusi non possono accorgersi che uno di quei numi ha
appena sceso la scalinata di stelle per posarsi tra loro.
Due paia di piedi scalzi atterrano piano, nel buio fondale della
stanza, raramente illuminata poiché operativa solo di giorno.
Dylan si è privato delle scarpe infangate come gli
è stato chiesto da Sogno, per evitare ogni rumore,
sa di esser giunto a destinazione, ma ha ancora le palpebre strette di
chi ha paura di vedere, e forse deludere le proprie aspettative.
Inspira profondamente e sente già che l’aria
è cambiata, non è più quella frizzante
e rumorosa di Los Angeles, ma è piuttosto umida e afosa,
come di un luogo tropicale.
La mano che stringe la sua si allontana per ricadere sulla sua spalla,
sussurrando: “Ci siamo, puoi guardare adesso!”
pronuncia flebile una voce entusiasta al suo fianco.
Il ragazzo fa come gli viene detto, ma riaprire gli occhi,
inizialmente, è esattamente come averli velati: vede solo
una profonda oscurità dinanzi a se.
“Segui le indicazioni che ti ho dato -prosegue la voce- ma
ricorda che non manca molto all’alba, perciò
forza, sbrigati!” lo incita dandogli una piccola spinta di
incoraggiamento.
Il giovine barcolla in avanti, e ritrovata la stabilità si
concede qualche altro secondo per abituarsi al buio ed orientarsi un
poco.
Ha l’impressione che la stanza...ondeggi. Il rumore delle
onde che attraversa i finestroni glielo conferma: si trova su una nave!
Muove qualche passo incerto, avvertendo ad ogni movimento un odore
diverso: tabacco, sale, mirra, incenso, cera di candele... rhum!!
Il suo pensiero non può che andare ad un uomo molto insolito
di sua conoscenza, ma no, è impossibile...
Eppure, pensandoci bene, ha la sensazione di essere già
stato in quel luogo, non vuole crederci ma è così.
La sua incertezza viene colmata quando, inciampando in una sedia
lasciata fuori posto, si rende conto di conoscere la tavola a cui
appartiene: un raggio d luna traccia i contorni di uno scrittoio
cinquecentesco, più che un tavolo, ricco di intarsi
elaborati e colmo di mappe, scarabattoli, pennini, boccette di
inchiostro, pietre luccicanti e bottiglie vuote dalle pareti ridondanti
e il collo stretto.
“Ci arrivavo appena un tempo... Mi arrampicavo fin qui con le
mie dita salsicciose, riuscendo a sporgere soltanto il naso, quel poco
per rimaner incantato dalla magica punta del compasso che Jack faceva
roteare sopra le mappe, sognando di poterlo fare anche io un giorno,
girando il mondo...”
Tastando a lungo quel guazzabuglio trova un fiammifero, lo accende.
E’ solo uno spillo di luce imbevuto nelle tenebre.
Lo tende allo scrittoio: trova un diario! Lo sfoglia, sembra un diario
di bordo.
Guarda l’ultima data: 28 Febbraio 1661.
“Incredibile... Sono trascorsi solo due mesi da quando me ne
sono andato, e io ne ho vissuti dieci... anni!”
Sente mancargli il respiro e la testa girare, per poco non lo lascia
andare d’improvviso, causando altro rumore che questa volta
potrebbe costargli la sua presenza in quel luogo, mentre viene percorso
da mille sensazioni contrastanti come euforia, stupore,
incredulità, gioia, preoccupazione...
Serra le labbra socchiuse per lo sbigottimento con le mani,
così da non lasciarsi sfuggire alcuna asserzione che
potrebbe rilevare la sua presenza, e finalmente si rende conto di aver
sempre saputo fin dal primo istante dove si trova...
“E’ la cabina del Capitano...!” grida
dentro sé.
Il suo corpo viene scosso da una scarica d’adrenalina, mentre
il cuore soffocato, cerca di farsi spazio dentro quel petto palpitante,
ormai incapace di contenere tutta la felicità che lo colma.
Degli impercettibili movimenti lo fanno allarmare, e spegne subito il
fiammifero, gettandolo lontano da sé. E’ di nuovo
senza guide.
Compie una giravolta su se stesso per ricercare nuovi punti di
riferimento che possano orientarlo: alla sua destra intravede a fatica,
più vicina di quanto pensasse, la porta di ingresso,
rischiarata dall’ampia finestra spalancata che le sta di
fronte, sul lato opposto.
Ricordava immensa questa stanza, un grande covo di nascondigli, una
foresta di oggetti strampalati come il loro Re, mentre ora
tutto è rimasto affascinate, ma distante e meno visibile ai
suoi occhi.
Si ripete di stare calmo, e non lasciarsi prendere dal panico o
dall’entusiasmo. Richiude le palpebre e trattiene per qualche
istante il fiato, mettendo all’erta tutti i sensi, e
finalmente capta da lontano due regolari respiri.
Provengono da nord ovest, il letto è dunque rimasto
esattamente dove si ricordava.
Calibra ogni passo, preoccupandosi di bilanciare silenziosamente ogni
movimento, e svia il suo percorso verso sinistra, passando accanto alla
finestra come un’ombra.
Mentre la distanza che si separa dall’avverare il suo sogno
si riduce sempre di più, il pallido astro lunare disegna a
tratti la sponda del letto che cerca di raggiungere: un groviglio di
bianche lenzuola in lino fanno da cuscino alla morbida sagoma di un
piede.
Dylan si fa avanti con uno scatto, ma ciò che gli si
presenta da vicino è un arto irsuto, calloso, sporco,
decisamente poco femminile...
“...Jack...!” sogghigna il giovane, ammirando la
totale libertà dell’uomo che riposa in quel letto,
anche se non lo può vedere, e pensa a cosa darebbe per
essere un po’ più come lui.
Poco più in là scorge anche l’altro
piede, o per meglio dire calzare!
Il Capitano si è addormentato con ancora uno stivale
indosso...tipico.
Se lui riposa da questa parte, Jenny non potrà che essergli
accanto!
Infatti, la sola cosa che l’inesistente luce gli permette di
vedere è il lieve riflesso su quelle che crede siano un paio
di gambe nude.
Il ragazzo si muove intorno al letto, fin a giungere a tentoni vicino a
dove immagina si trovi il cuscino dell’amata sorellina.
“Se solo avessi la certezza che sei qui...” a quel
punto, brancolante nel buio, si siede a terra e affina
l’udito, accontentandosi anche solo di ascoltarla dormire,
per tenerla, quel poco che può, più vicina ai
suoi pensieri.
Ma una promessa, per essere tale, va esaudita in ogni sua richiesta,
perciò, come se qualcuno ascoltasse i suoi dubbi, una
scintilla più potente interrompe improvvisamente
l’oscurità, e accende crepitando la miccia della
candela riposta sul comodino.
Il lume si proietta sul giaciglio con un flebile raggio soffuso, ed
illumina una schiena ammantata da lucida seta violacea.
Una cascata di boccoli leggeri la ricopre, e in parte si adagia al
petto del Capitano, sopra il quale riposa un viso sereno, privo di ogni
cattivo pensiero. La pelle bianchissima non è più
tale, ma rimane comunque lattea a confronto del ramato braccio tatuato
che la stringe a sé.
Jack non cambia mai, è sempre lo stesso. Sembra impossibile,
ma mantiene il suo perenne sorrisetto compiaciuto anche nel sonno.
E’ così che li ritrova: abbandonati ai sogni,
persi insieme nei luoghi perfetti della loro fantasia.
Per la prima volta dopo dieci anni può non immaginarli
soltanto...
Li osserva a lungo con sconcerto, pensa a quanto vorrebbe poter dire
“Sono qui... Sono sempre
qui...”.
A poco a poco trova la forza di rialzarsi, anche se le gambe tremano,
ma resistono, non ha molto tempo, e non vuole perderne solo
perché l’emotività cerca di ostacolarlo.
Si muove lentamente lungo il perimetro del giaciglio, ma la sua mente
è vana, gli occhi fissi, spalancanti, increduli...
Infine, quando lo sguardo gli ricade pienamente sul viso di Jennyfer,
le sue idee si riordinano per formulare un unico pensiero:
“...Non potevo immaginarti più felice di
così...” E allora anche il suo animo si rasserena
e diviene più leggero.
La piccola fiamme arde rischiarando le ombre, brame colme
d’invidia che cercano di inghiottire quell’amore.
Assistere all’entità di tale spettacolo, da
così vicino, senza essere visti, disarma ogni giudizio,
lasciando scorrere solo l’emozione, come accade a Dylan
dinanzi a tutto questo, quando non riesce a far altro che piangere in
silenzio tutta la sua commozione.
Ma c’è pur qualcosa che deve fare, una traccia del
suo passaggio da lasciare... Nella sua mente, dove di piani diabolici
ne ha formulati spesso, finalmente balza un’idea!
“Vediamo se ricordo dove si trova la cucina...!”
Riprendo lentamente conoscenza, non so dire quanto ho dormito, poco a
quanto sembra...
Ho le palpebre gonfie e pesanti, non hanno alcuna intenzione di
aprirsi, ma gli altri miei sensi sono già vispi e impazienti
di rivedere la luce del sole.
Sono ancora qui, la notte cala, l’alba sta sorgendo, ma di
Sogno tuttora nessuna traccia, a quanto pare i sudditi del sonno
dormono ancora.
Sfrego le mani appiccicose, chissà se Jenny
capirà...
Poi, quasi a dare risposta al mio quesito, la vedo voltarsi, nel sonno,
la mano che mi sono imposto di non sfiorare per tutto questo tempo
s’avvicina pericolosamente alla mia, per fortuna senza
scontrarla.
Il volto della mia Mozzarella si scosta dal petto di Jack per rigirarsi
nel letto, e finire col ruotare dalla parte opposta, verso di me, come
se volesse silenziosamente parlarmi. Sento che ha cambiato respiro,
è più frequente ora.
La candela si è consumata ormai, vi sono i primi sprazzi del
crudele mattino a far luce, e proprio da quelli rivedo più
vicini i tratti che da anni cerco di disegnare, senza mai riuscire
davvero a riportarli in tutta la loro graziosa bellezza, che Jenny
spesso dimentica, impaziente quasi che il tempo la faccia svanire.
Proprio mentre parlo di bellezza, lo sguardo mi ricade al di sotto del
suo naso, dove si ergono due curve nere dipinte ad arte che si
arricciano lungo le guance. Non hai spuntato i baffi sorellina?!
Ma trovo in breve l’arma del delitto: il caso vuole che il
pollice di Jack sia casualmente inchiostrato.
Si amano sempre come i due bambini dispettosi che ricordavo, loro sono
da tre dispetti e un bacio.
Ma tutto ciò è talmente ridicolo ed esilarante
che questa volta proprio non resisto...
Un ronzio improvviso... No, una pernacchia?
Sembra...Sembra...
Una risata! Trattenuta... Che per giunta non ho mai udito...
Da chi...Da cosa è causata, da dove proviene?
La curiosità è davvero troppa, anche per i miei
occhi pigri e stanchi che finalmente riapro, trovandomi, con mia enorme
sorpresa, ad essere... osservata.
Non so cosa ci si aspetta esattamente di vedere quando ci si
risveglia...
E’ sempre questione di attimi, quei momenti in cui inspiri
forte e ti fai coraggio per incominciare un’altra dura
giornata. In genere non faccio mai caso alla prima cosa che vedo...
Forse è la parete, il mare fuori dalla finestra... Il volto
di Jack, il sole che ferisce gli occhi e maledici ogni mattina... Ma
ritrovarmi addosso il viso divertito di uno sconosciuto intento a
fissarmi intensamente, bhe no, non l’avevo mai preso in
considerazione.
Le mie palpebre da una impercettibile fessura che s’allarga a
fatica, si spalancano come fari. Un groppo in gola, le labbra serrate,
sento che sto per urlare.
L’intruso se ne accorge, diviene pallido, improvvisamente
serio, colto sul fatto, ma si spaventa anche lui. Inarca le
sopracciglia in espressione preoccupata, i suoi occhi chiari mi
supplicano di non farlo.
In ogni caso non mi riesce di dire una parola.
Cerco la forza di una spinta nelle braccia, e mi sollevo, arretrando di
corsa, appiattita verso lo schienale, il più possibile
lontana da lui, schiudendo solo le labbra per riprendere fiato,
divenuto affannoso.
Lui non si muove, rimane lì, fermo, continua a guardarmi
rannicchiato appena oltre la sponda del letto.
Chi diavolo sei tu...? Jack svegliati...svegliati...!
Con la mano meno in vista ricerco al mio fianco, muovendomi molto
lentamente seppur tremando, la zuccaccia di quel ghiro che mi dorme
accanto.
L’osservatore non invia alcun segnale che possa lasciar
cogliere i suoi intenti.
Lo sguardo curioso che gli fa da cornice al viso si allarga solo in un
gran sorriso, che cancella i leggeri baffetti incolti e coinvolge ogni
piega del volto, creando all’altezza delle guance due
fossette vezzose, prima che qualcosa alle sue spalle, di cui non
riconosco la natura, l’avvolge e lo spazza via nel semi-buio,
quasi fosse polvere e non più un uomo.
Trattengo il respiro a lungo, stupefatta, aspettandomi che riappaia
d’improvviso altrove, ma fortunatamente non accade...Ma
com’è sparito??
Impiego parecchi minuti per tranquillizzarmi, e comprendere se ho
sognato o è tutto vero.
Neppure io sono più stata capace di muovermi da quanto mi ha
spiazzato con quella asserzione gioiosa, ma ora il pericolo sembra
essere cessato.
Volgo il collo irto e rigido verso Jack e lo vedo con la faccia
affondata nel cuscino, a pancia in giù, che dorme ancora
alla grossa.
“J...ack...Jack!” squittisco sconvolta, agitandolo
animosamente.
In risposta mi giunge solo un mormorio indistinto e rabbuiato.
“Svegliati, ti prego... C’era un uomo
qui!”
“Se non aveva una grossa botte di rhum con sé...
Non è di mio interesse, tesoro!” si esprime
biascicando, ancora immerso nelle piume d’oca.
Perché non ho a disposizione una secchiata d’acqua
quando serve! A quanto sembra è del tutto inutile discutere
con il bello addormentato.
E se lo sconosciuto fosse ancora qui... Nascosto nel buio? No, non devo
farmi cogliere da certe suggestioni.
Piuttosto, chi era, e perché era qui? Non ha cercato di
farmi del male, mi ha sorriso... Ma anche spaventata a morte!
Impongo a me stessa di farmi coraggio ed alzarmi, per scongiurare ogni
dubbio, ma come poso i piedi a terra, vengo a contatto con una sostanza
viscida, fredda e appiccicosa sul pavimento.
Ritraggo subito il piede disgustata, e sporgendomi m’imbatto
nella seconda stranezza mattutina: le assi lignee,
all’altezza della mia parte del letto sono imbrattate di
quattro insolite sostanze: zucchero, piccole perle rosee e altre due
melme appiccicose quanto gelatinose.
Che cosa ci fanno qui?! Ma, aspetta... Non sono cadute, formano una
scritta...!
“Sognami con te” mormoro tra me e me.
Cosa vorrebbe dire?
Dimentico momentaneamente l’intruso, forse era solo la
terrificante conclusione di un incubo...
Ma questo almeno è reale: allungo un braccio verso la prima
poltiglia dorata e luccicante, ne raccolgo una quantità
minima col dito, l’assaggio... E’... miele! La
seconda non ancora identificata sembra essere invece marmellata di mele.
Zucchero, miele, marmellata di mele e perle rosa.
Forse sono degli ingredienti dolci legati ad un altrettanto amorevole
significato della frase che compongono... Ma di chi è opera
tutto questo?
Volgo di nuovo lo sguardo verso il bel dormiente.
“...Oh, Jack! Da quando sei così
poetico?” sussurro ammaliata distendendomi al suo fianco.
“Mmm...Sono cosa?” borbotta fiacco.
“Mi riferisco alla frase sul pavimento!” replico
entusiasta.
“Non so di cosa parli” confessa riemergendo
finalmente dal cuscino.
E’ impossibile, starà facendo il finto-tonto.
Per cercare di estorcergli la verità, e vederlo sveglio
almeno un minuto consecutivo, mi vedo costretta a ricorre ad una mossa
infallibile, nonché suo grande punto debole: il collo.
Così, per sfuggire alla tortura è obbligato a
trascinarsi almeno fino all’orlo della mia parte di letto,
vedendo lui stesso.
Dopo un’attenta visione assottiglia le palpebre semichiuse, e
sporge in avanti le labbra per formulare ad indice sollevato e sguardo
rabbuiato: “Ribadisco... Che non sono stato io!”
dichiara solennemente, come spesso deve fare quando è reduce
di qualche accusa, prima di crollare di nuovo, così come si
trova, nel mondo nei sogni.
E con lui anche ogni mia convinzione. Forse mi sbaglio davvero, dunque.
...Ma se non è merito di Jack, chi può essere
stato?
Riflettiamo: la porta della cabina è chiusa a chiave,
l’unico momento in cui ci siamo allontanati da qui
è stato per la “cena”, però
al nostro ritorno era tutto in ordine. L’unico accesso
possibile è la finestra, ma, no... a quale scopo?
Dopo qualche altro istante di considerazioni, penso a concentrarmi
principalmente sulla stessa scritta e i materiali che la compongono.
Cosa potrebbero significare per me questi 4 elementi?
A primo appiglio, mi ricordano... Le spassose burle di cui spesso ero
vittima poco tempo addietro.
Ed era Jack ad architettarle! Eppure il sospettato qui non ne sa niente.
Ma... Questo furfante non era solo! Collaborava con...
Per un istante, non so come, alle parole che sto per pronunciare, si
sovrappone nella mia mente l’immagine del muto osservatore.
“...Dylan!”
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Capitolo 11 *** Misery non deve morire. ***
Nota
delle Autrici:
Basta
fare il solito discorsetto introduttivo “Hey salve, come state?” bla bla bla XD
Mica è un programma televisivo!
In
questa occasione vogliamo usare la nota, il piccolo spazio riservato a noi, per
dei ringraziamenti particolari =) Che dobbiamo a molte persone e forse
non lo facciamo mai abbastanza ^^
In
primis a Sogno, che prima di essere un personaggio è una persona vera XD
Un pilastro senza di cui qui crollerebbe il mondo, sul serio! E insieme all’uomo
che ama rappresenta un elogio all’amore, quelli che oggi non esistono più perché
al giorno d’oggi ci si innamora quasi per liberarsi la coscienza e dire “ah sì,
sto con qualcuno, punto” e insieme a Romeo e Giulietta stanno sul podio delle
storie d’amore più meravigliose che io conosca ^^
A
Silvia, o qui in efp whateverhappened che non ho ancora straringraziato
per la titanica pazienza che ci vuole a correggere un mio scritto :S se così si
può chiamare… Ma le ho già promesso almeno un monumento =D
A
68keira68 e giu91 gli unici angeli oltre a Sogno che hanno avuto
la pazienza di esprimere un giudizio su gli ultimi due capitoli, a cui tengo
tantissimo proprio per Leonard&Celia, e spero che non mi fucileranno per
quello che ho in serbo dopo ^^’ Giulia, mi hai fatto piangere XD non che con me
ci voglia molto =P
E
dato che sono entrata in argomento, volevo chiarire che so perfettamente la
“qualità” di questo scritto. Purtroppo avrei voluto farlo meglio, avrei voluto
rendervene più parte, avrei voluto tante cose, ma è come diceva qualcuno: “Se io
mi sento da schifo anche quello che faccio mi esce da schifo” e qui è lo stesso.
Va bhe, pazienza.
Ma
intendo far sapere che ci teniamo da morire, e abbiamo bisogno di qualche
opinione per segnarci una traccia, come il codice dei pirati =) ed andare
avanti, in meglio si spera ^^ Perciò qualsiasi cosa ne pensiate
ditela! Per
favore ^^
E
per terminare il discorso da futura decadente Miss Mondo (XD) : Voglio la pace
nel mondo e da mangiare ai bambini poveri *.*
Ok,
ora posso andare a seppellirmi :D
A
tutti voi…
Buona
lettura, a presto =)
Vostre
Kela and Diddy
(Capitana
and Capo)
Capitolo
10
Misery non deve
morire
“Maledetto” fu la prima parola sensata, concepita dalla mente
caotica della Dea Sogno, dopo che Leonard Wallace uscì apparentemente dalla sua
vita, e la medesima risuonante nei suoi pensieri la mattina seguente, quando in
sella ad Immi accorse diretta al porto, alla ricerca di quel sfrontato
malfattore.
Durante la notte non svolse il
proprio compito divino, poiché intendeva adempirvi personalmente alla luce del
sole, nella sua veste umana.
Tuttavia si era risvegliata con una
nuova musica nel cuore: non faceva altro che volteggiare nell’aria, come agiva
la notte per spostarsi dal giaciglio di un sognatore all’altro, canticchiando
qualcosa d’incomprensibile.
Dopo essersi concessa un lungo bagno
caldo ed essersi abbigliata di tutto punto, uscì molto presto, senza avvertire
nessuno, prevedeva una giornata meravigliosa dinanzi a se, come mai fino a quel
momento.
Anche il pirata non era riuscito a chiudere occhio, festeggiò fino
all’alba insieme alla propria ciurma, e giunto il mattino, mentre i suoi
uomini preparavano le navi colme di bottino a salpare, s’isolò da loro per
recarsi di nascosto in postazione di vedetta, nell’intento di braccare da
lontano l’altura su cui troneggiava il collegio di Faimouth.
Seppure per orgoglio non lo ammetterà
mai in vita sua, nemmeno sotto tortura, sperava di ravvisare dal culmine della
falesia il profilo di una goffa figura femminile, dai capelli dorati e le vesti
turchine, accorsa in riva al mare appositamente per recargli un ultimo
saluto.
L’immagine del suo viso smarrito e
sofferente di quando le aveva detto addio lo tormentava, la vedeva
ovunque.
Egli era convinto che tutti potessero
mentire, ma vi era un’indiscutibile fonte di verità, presente anche nell’uomo
più astio ai sentimenti: gli occhi, e quelli ambrati di Celia Wilson gli avevano
saputo dire molto più di quanto sarebbe mai riuscito a detrarle in
parole.
…“Chou-chou mio, cosa turba i tuoi
pensieri? Ti fai venire le rughe così!” riconobbe una torbida voce accorrendogli incontro,
mentre discendeva dalla coffa.
Inizialmente proseguì senza darle
ascolto, ma quando fu trattenuto dalle sue lunghe unghie trivellategli nel
braccio, decise di fermarsi.
Rivolse un breve sguardo stanco a
Sarah, sua ufficiale compagna, ricercando nella parte più profonda del suo
sguardo pesantemente imbellettato la stessa incantevole scintilla, ravvisata
nelle ultime settimane in quello ingenuo di una fanciulletta freddina, ma vi
scorse solo un immenso vuoto, colmabile unicamente attraverso lussuria,
desiderio e nel culto di un’assidua bellezza
apparente.
All’insolito silenzio dell’uomo, la
meretrice rispose con un profondo acciglio.
LEONARD: “Sono fin troppo giovane
perché mi affligga delle rughe!”replicò svogliato affrettando il
passo.
SARAH: “Come dici?! –respinse stizzita- Oh, capisco… Il tempo trascorso
con quel vile pescatore che ti ha tratto in salvo dall’esplosione deve averti
fatto perdere il senno, ecco cosa ti accade!” legittimò apprensiva, accertando la sua
alterazione di pensiero.
Questa, la fandonia inventata dal
Primo Ufficiale per colmare il
periodo d’assenza.
Leonard annuì incurante, ma dentro di
se meditò che lo aveva salvato in tutti i modi in cui poteva salvarlo.
“Ma è stato proprio quel popolano a prendersi cura di
te?!” domandò ancora dubbiosa, non fu
molto dettagliato nei particolari mentre narrava a tutti
dell’accaduto.
LEONARD: “Bhe…No, conosceva… un
medico! Si è offerto di pagarmi le cure se, quando fossi stato meglio, avrei
lavorato come suo aiutante per un po’, così naturalmente non è
stato!” escogitò al momento cercando
di risultare credibile, non poteva certo rivelare di aver comodamente alloggiato
nell’appartamento di una nobildonna.
SARAH: “Già, il mio solito
mascalzone…” assentì infervorata
passandogli bonaria una mano tra i capelli.
Nel giro di un istante la donna fece aderire
violentemente il proprio corpo al suo, e rivolgendosi all’orecchio del vice
Capitano sussurrò piano: “Quanto mi sei
mancato…”
Non c’era nessun intonazione d’amore
in quelle parole, Leonard riuscì finalmente ad accorgersene, rimanendone
turbato.
L’istante dopo un lampo rischiarò la
sua mente, tracciando i contorni di un fresco ricordo: Una tediosa mattina di
fine Febbraio, il mese più corto dell’anno, da lui scorso prevalentemente
riposando, a causa degli acciacchi derivati dal suo incidente in mare, per
questo uno dei più perpetui che abbia mai
vissuto.
Impiegò, come di consueto, tutto il
tempo ad oziare nel giaciglio a dir poco regale di Miss Wilson, nell’attesa
d’esser servito e riverito. La Dea a quella fabbrica di sogni vi aveva apportato
un ingegnoso tocco personale, assente per incuria in ogni altra camera del
severo collegio: servendosi di 4 barriere da corsa per cavalli, rivestite di
stoffe così da mascherare il loro vero utilizzo, insieme a delle tende di raso,
ricreò nella propria dimora privata un confortevole letto a
baldacchino.
La cura d’ogni particolare che quella
ragazza apportava ad ogni oggetto in suo possesso, elevato al più prezioso del mondo seppur si
trattasse anche di un guscio vuoto, affascinava terribilmente il grezzo
briccone, il quale riteneva inutile persino la vita
stessa.
Celia quel mattino si trovava in
compagnia di Andrew, ne era certo: le loro chiacchiere indistinte risuonavano
allegre in tutto il retro dell’edificio, dove era posta la stalla. Probabilmente
erano intenti ad accudire quei maleodoranti equini, come il pirata li definiva.
Non potendosi muovere per verificarlo, aveva ancora una caviglia malandata,
pensò bene di continuare a dormire.
Più tardi fu destato dal rientro della fanciulla,
nonostante ella facesse molto piano, il Primo Ufficiale era abituato ad un
precauzionale sonno leggiero. Finse di dormire finanche lei s’avvicinò al suo
viso e, vedendolo ancora dormiente, sussurrò un divertito “pigrone”. Il destinatario rimase inebriato dalla sua essenza
obliante al miele, mescolata ad un’altra poco dissimile all’erba appena
tagliata, pure quando avvertì ormai lontana la presenza della
giovine.
Dischiuse leggermente un solo occhio
per vigilare lì attorno, ma ritrovò un vano vuoto, dove si era cacciata? In
barba al dolore, vinto dalla curiosità, decise d’indagare più a
fondo.
S’aggrappò ad un’asta del letto
riuscendo a rimettersi in piedi, zoppicò in silenzio per gran parte della stanza
ricercando qualche indizio, fin quando assottigliando l’udito captò da un locale
vicino, allestito a guardaroba, i movimenti della
dama.
Schiuse piano la porta, facendo ben
attenzione a rimanere incognito ed addentrarsi furtivamente all’interno, guidato
dal canto della Dea nella parte più recondita della stanza.
Pareva intenta a pettinarsi i
capelli, il pirata ponderò bene di regolare il proprio passo con il ritmo di
ogni districata per assicurarsi di non esser
udito.
Giunse fino ad un paravento bianco
realizzato in stile nipponico, con le pareti sottili in carta di riso e
decorazioni floreali in china, dietro di cui riconobbe l’ombra della
“vittima”.
Quando le fu abbastanza vicino,
meditò un istante prima dubbioso, su come sorprenderla nel più sinistro dei
modi, ma fu inaspettatamente preceduto.
Celia rimembrò improvvisamente di
aver scordato degli unguenti, scostò il paravento decisa ritrovando dinanzi a se
quell’insolita figura, la sorpresa l’atterrì tanto che trattenne a stento un
grido.
CELIA: “Signor Wallace!! Siete
voi… -realizzò
incredula-
Oddio, mi avete spaventata…” ammise
trafelata portandosi una mano al petto, palpitante non solo per lo
sgomento.
Il Primo ufficiale rimase a fissarla
attonito, non negava di averla immaginata in malafede molte volte nelle medesime
condizioni, ma la visione dinanzi a se andava ben oltre le sue aspettative: si
trovò al cospetto d’un esile corpo discinto, quasi fanciullesco, avvolto solo un
uno spesso panno spugnato fino a sopra le ginocchia. I capelli vaporosi e
scarmigliati la rendevano graziosa come una bambola, seppur vi fossero
impigliati dentro spighe e fieno di spunta da ogni dove, e per finire la punta
arrotondata del suo naso imbrunita di terriccio la faceva ancor più
deliziosamente buffa.
CELIA: “Per quale motivo mi
fissate così? Posso fare qualcosa per voi?” interrogò
impensierita.
Leonard riprese fiato, deglutì a
forza facendo scivolare lo sguardo per spostarlo oltre, dove scorse l’intento
della fanciulla: un ampio specchio appeso al muro rifletteva le sfumature dorate
della sua chioma, un mobiletto ad angolo adornato da candele, saponette
profumate e rametti d’incenso inebriava quel piccolo cantone, impiegato a mo’ di
toilette e completo di tinozza colma d’acqua calda
fumante.
La risposta divenne un commento svilente:
“No, trovo poco
erotica la vasca da bagno… Che ne dite di altrove?” propose
maldicente.
CELIA: “Come?? Argh… Diamine, ho
tratto in salvo uno sciocco depravato –riconobbe a se stessa- andate subito via!” lo cacciò
furiosa.
“Non vado da nessuna parte!”
si contrappose offeso dimenandosi.
CELIA: “Invece lo farete
all’istante, FUORI DI QUI!” alterò il
tono, cercando si spingerlo lontano da se.
“Altrimenti?” la sfidò portandosi pericolosamente vicino a
lei.
Un brivido lungo la schiena la
trafisse, nel giro di un secondo le guance presero un colorito oltremodo rubino.
“Io…” riuscì a dire smorzata. Si piegò indietro per
sfuggire al viso a lei prossimo, nel frattempo rovistò con le mani alla ricerca
di qualcosa utile ad allontanarlo.
“Vi bersaglierò con questi!!”
berciò giocosa scagliandogli addosso
quanti più oggetti poteva. Non riusciva ad esser arrabbiata con lui per più di
cinque minuti.
Leonard venne urtato da tutto:
sapone, candele, sale da bagno, portaincenso, ed allontanato dalla stanza con
intimidazioni e proteste furenti, tante come mai ne aveva ricevute in vita
sua.
Alle compagne delle stanze confinanti
la giovine raccontò poi che le urla erano rivolte ad un gabbiano disorientato,
entrato erroneamente dalla finestra.
Giunto alla porta, che poi sarebbe stata ben chiusa a
chiave, il “gabbiano” non mancò di notare dopotutto quanto Celia fosse
tremendamente bella anche ridotta con indosso solo un asciugamano azzurro e i
capelli pieni di paglia.
Dalla seguente memoria appurò di
trovare più amore in qualsiasi banale insulto da parte di Celia che nelle
affermazioni vogliose della propria amante. A quel punto l’ovvio lo colpì in
mezzo al petto così forte da impiegare del tempo prima di riprendere a
respirare.
Tornato in se, Sarah era intenta a
ricoprirgli il collo di baci per attrarre attenzione, pungolata dal mezzo
sorriso dipintosi sulle labbra del malfattore, non certo per le sue azioni
licenziose; dall’altura, luogo fornente la visuale completa della scogliera,
avvenne un vistoso cambiamento, il quale ridestò Leonard dai riverberi,
rapendolo completamente: un corteo di carrozze si stava allontanando rapidamente
dall’istituto, innalzando nell’aria un gran
polverone.
In seguito, quell’insolita “sfilata”,
si sarebbero rivelate forze dell’ordine locali intervenute ad apportare il
proprio sostegno per l’agguato notturno al prestigioso collegio, ma quel moto
bastò per non far accorgere in immediato il Vice Comandante Wallace della venuta
di due altrettanto impreviste ospiti a bordo della sua nave.
In poche cavalcate risalirono la
passerella e con un maestoso balzo finale, Celia ed Immi fecero il loro
trionfale ingresso, atterrando a bordo dell’imbarcazione su cui si trovava lo
screanzato Primo Ufficiale.
Era lì giunta a perdifiato con la scusante di
riprendersi le mercanzie trafugate alle sue compari, come avevano espresso
sottoforma di desiderio in sogno, ma sopra ogni altra cosa voleva apportare una
risposta al quesito lasciato in sospeso, posto dal bracconiere quella notte.
(Mi amerete ancora domani mattina?
NdA)
Gli zoccoli scalpitanti della cavalla
si fermarono distanti pochi metri dalla coppia voltatasi di scatto, atterrita e
turbata dall’inaspettata invasione.
In sella all’animale la Dea,
sfoggiante una maschera tronfia e beffarda che celava il suo sconfortato
desiderio di rivedere Leo prima di doverlo smarrire in mare, si frantumò come
argilla nell’attimo in cui vide una fluente chioma rosso fuoco, provenire
dall’incavo tra il collo e spalla del pirata.
Quei capelli cremisi rivelarono un
puntiglioso viso ostile, volto verso lei ostentando piglio truce, capace da solo
di fendere in due persino un ghiacciaio.
Nel fondo di quelle pire roventi di
gelosia attorniate da una carnagione alabastro vide il medesimo istinto
“protettivo” presente in una scarna belva feroce, pronta a sbranare chiunque si
ponesse poco più vicino al suo pezzo di carne sanguinante, che ella mangiava di
baci con cotanta foga.
Le membra della Dea divennero
immobili, fredde e pesanti come una stella spenta. Il sangue che prima le
scorreva gioioso nelle vene al solo pensiero di rivedere quello screanzato
capitano, si fece mercurio. Le mani stringevano senza forze le lunghe redini di
cuoio. Protese in avanti il capo per celare la propria reazione devastata
attraverso l’ampia visiera del cappello.
Trascorso qualche interminabile
secondo, in cui nell’aria si respirò imbarazzo ed indecisione, le parole di
saluto ideate da Miss Wilson a quella visione le morirono in gola, pensò di
premere con il tallone sul fianco di Immi e fuggire, ma la voce titubante e
incredula dell’uomo la convinse a restare, almeno per scusarsi della propria
presenza indiscreta.
LEONARD: “Ah, eccovi! Siete venuta
prima di quanto mi aspettavo Mrs. Wilson… Sono subito da voi!” proclamò ad alta voce sfoggiando sicurezza, seppur
inventando ogni singola parola esclamata.
Il senso illogico di
quell’affermazione stranì la Dea, la quale ormai non poteva più fuggire come se
nulla fosse, si trovò costretta a scendere da
cavallo.
SARAH: “E questa chi diavolo
sarebbe??” grugnì spazientita a denti
stretti rivolgendosi al filibustiere, senza ancora distaccarsi da lui, anzi, se
è possibile attanagliando di più le sue vesti per trattenerlo a
se.
“Lei è… la moglie del medico che
mi ha curato, deve esser venuta qui per qualche lamentela, tranquilla, me ne
libero subito!” la rassicurò
mentitore, lasciandosi finalmente alle spalle quella specie di assetata
vampira.
Celia faceva fatica a respirare, a
mantenere il busto in postura eretta, non si aspettava di trovarlo a braccia
aperte, ma nemmeno con un’altra donna, nell’attesa rimase sempre voltata di
spalle, la fronte abbandonata sul rotondo fianco di Immi e gli occhi stretti,
serrati, nel tentativo di dimenticare, per cancellare la visione terribile a cui
aveva appena assistito.
… “Celia!” bisbigliò colpito una volta raggiunta, toccandole da
dietro una spalla per farla voltare.
CELIA: “Non osare mai più
prenderti tale confidenza nei miei confronti, da quando io sarei diventata Mrs
Wilson??” proferì ansante respingendo
il suo gesto, scandendo una voce afflitta, rotta dai
singhiozzi.
LEONARD: “Si può sapere che ti
prende?? …Calma! –rispose alterato
dall’atteggiamento atipico della fanciulla- L’ho detto solo per tutelarci
tutti –ammise efficace, mentre alle
spalle della Dea Sogno Immi adagio s’allontanava- E poi sono io che dovrei
scacciare via te, è la mia nave questa! –disse risentito aggrottando la
fronte.
“Io sono venuta qua… Solo per
riprendere ciò che mi hanno richiesto a gran voce, come è mio compito”
spiegò sincera a stento, con lo
sguardo fisso alle travi dissestate del pontile, mentre sul dorso della cavalla,
al suo passaggio nei luoghi predisposti alla ciurma, si accumulavano i pochi
tesori deturpati con la forza nella notte appena trascorsa.
LEONARD del tutto ignaro: “Non sei un granché a recitar
bugie, pazzerella… -appurò in un
lezio divertito, non afferrandone il significato- speravo più in qualcosa del tipo
‘non potevo vivere senza di te’
!” impersonò conscio della natura romantica presente
nell’interlocutrice, sbattendo più volte le palpebre e dilatando i grandi occhi
verdi in trasognanti come non erano mai stati.
Celia sollevò di scatto lo sguardo per fulminarlo,
divertendo ancor di più il pirata.
Nelle vicinanze, al suono di quelle
risate sommesse, Sarah iniziò notevolmente a spazientirsi, era cotanto nervosa
che le sue membra ribollivano fino a tremare, le unghie limate affondavano nei
palmi serrati a pugno.
CELIA: “…E’ la tua fidanzata?”
chiese infine con un flebile espiro
di coraggio, ritrovato nel profondo di se stessa, osservando da debita distanza
gli irrequieti movimenti meccanici di Sarah.
Leonard si voltò a guardarla con noncuranza per
ricavare tempo, come se non conoscesse il soggetto a cui era indirizzata la
domanda. Impiegò qualche istante per riflettere, ma poi deciso ammise il più
gran timore della divinità: “Sì, lo
è”
Un tuffo al cuore, poi il nulla.
Celia percepì distintamente quel fragile ma allo stesso potente organo della
dimensione di un pugno, prima palpitante all’impazzata nel petto suo mortale,
fermar la propria corsa irrefrenabile.
Fu come se il sottile velo divino che
la ricopriva le fosse stato strappato via brutalmente dal volto, mostrando al di
sotto di quel fievole nitore il peso dei suoi travagliati 19 anni, la vera
Celia, senza più le dolci gote rosee da bambina, l’iridi sognanti, il colorito
candido, ma sostituiti da lievi increspature lungo la fronte, sui lati delle
labbra, intorno agli occhi, spalancati e attoniti di chi ha ricevuto il colpo di
grazia.
…“Non ne hai mai proferito parola
alcuna…” mormorò straziata portandosi
una mano al petto come per tentare di rianimarlo…
LEONARD: “Lo sai benissimo che non
mi piace parlare di me –obbiettò
quasi con rimprovero, del tutto insensibile alla reazione di
lei- tuttavia
l’accaduto dell’altra notte è privo di significato –alluse al bacio- una scemenza
dopotutto!”
CELIA: “Ti… ti riferisci al… cielo… cosa ho
fatto...? –sibilò incredula, capacitandosene soltanto ora- dovevo
dirti di no, respingerti subito, fare qualcosa…”
LEONARD: “Come dischiudere anche tu le labbra per esempio”
osservò sfacciato.
CELIA:
“Vai al diavolo Leonard Wallace! –sprezzò sottovoce, riprendendo subito
quello stato d’incredulità e colpevolezza pressante che le comprimeva il torace,
quasi asfissiandola- mi son comportata in maniera spregevole... perdonami, ti prego!” lo
scongiurò.
LEONARD: “Non sono sensi di colpa
quelli che giungono alle mie orecchie spero! –scandì avverso- Andiamo, è come se avessi sbagliato
traiettoria, era una cosa innocente, dalle tue parole sembra quasi che ti ho
portata a letto!” sciorinò alla
leggiera piuttosto seccato.
CELIA: “Invece è molto
grave! –sostenne alterata-
hai tradito
qualcuno che ami… -rilevò afflitta,
provando per la prima volta sulla sua stessa pelle la sinistra fitta della
gelosia- I-io mi sento complice, sporca…”
ammise flebile, sostenendo il busto,
pesto da troppi dolori tutti nello stesso
momento.
LEONARD: “Questo dipende dalle tue
abitudini igieniche, io non ho colpa!” si distanziò irreprensibile.
CELIA: “Dille che è stata tutta
colpa mia!” si responsabilizzò
supplice.
LEONARD: “Ora falla finita con
questa storia, Sarah non lo saprà mai. –definì categorico scrollandola per le
spalle- Sei
soddisfatta? Hai avuto quello che più desideravi. Non mi hai domandato nulla per
avermi salvato, io per il mio gesto faccio altrettanto, ed ora affrettati a
spiegarmi per qual motivo sei qui!” concluse allontanandola piuttosto
impaziente.
La fanciulla indugiò scossa, provata
da tutto ciò che l’aveva appena investita, ricedendole il cuore a
brandelli.
Allo stesso tempo Immi aveva concluso il secondario
obbiettivo della loro “visita”, il primo a questo punto era inutile.
La richiamò con un gesto della mano,
la splendida cavalla arrivò subito, non appena giunse vicino a Leonard appiattì
le orecchie in segno di rabbia, verso colui che era riuscito nell’intento di
pugnalare la Dea.
“Non vi è altro da aggiungere
Signor Wallace - stabilì rassegnata,
mentre si accingeva a risalire in sella per incamminarsi verso la
passerella- Vi
auguro buon viaggio, mare calmo e venti favorevoli. I miei migliori auguri ed
ossequi alla signora” concluse senza
guardarla direttamente, prima di far schioccare energicamente le briglie,
ripartendo a tutta carica com’era lì giunta.
Non si voltò più, proseguì diretta
alla pari d’una locomotiva, senza accorgersi di aver smarrito il cappello
abbinato all’abito domenicale, prima cascante in maniera impeccabile sul viso,
fendendolo a metà, esibendo solo in parte lo sguardo assorto e perso per l’unico
uomo che avrebbe mai amato. Prestò ancor meno attenzione alle piccole gocce di
diamanti, cedute al vento in una scia… Cosa che però non passò ignara al
filibustiere, il quale restò a guardarla sparire nella stessa direzione in cui
il suo “sogno” lì era arrivato…
Per quanto fu arduo il loro
allontanamento, lei non smise di seguirlo, non poté farne a meno, gli fu sempre
vicina, ogni notte, presente in ogni suo sogno e il pirata era come se potesse
sentirla, anche se lei non risultava essere altro al di fuori d’un fioco
bagliore nell’ombra.
La scoperta di Sarah conferì a Celia
una ferita profonda, tutt’oggi semi-rimarginata, la nobildonna non resistette ad
indagare sui reali sentimenti provati dalla meretrice verso il Primo Ufficiale,
infatti scoprì che erano unicamente menzogneri. Si serviva di lui per garantirsi
protezione, alloggio e pasti sicuri, anziché vivere per le strade, patire la
fame, sottomessa a qualche terribile sfruttatore come le sue compari, le bastava
tenersi stretto il suo Leonard, così tutto andava come lei voleva. Nella mente e
nei suoi sogni popolava la bramosia una vita agiata che la meretrice avrebbe
fatto di tutto per ottenere, fatta di gioielli sfavillanti, abiti preziosi, un
triclinio addolcito da ampi cuscini ed una schiera di discinti schiavi pronti a
scattare e a concedersi ad ogni suo capriccio.
La Dea soffriva terribilmente di ciò,
anche se non poteva provarlo ne rivelarlo ad alcuno, la sua unica sua confidente
era Immi. Capitava spesso che nel fondo della notte, Sogno tornasse nelle sue
sembianze umane per rintanarsi fra gli zoccoli della cavalla, ricercando un po’
di conforto nel suo più inamovibile
riferimento.
Tuttavia non passò molto tempo che
Leonard prese coscienza da se degli inesistenti sentimenti da parte di Sarah nei
suoi confronti. Era divenuta carbone incandescente di gelosia, pressante,
insostenibile, gli tolse ogni libertà tollerabile, ma Leonard Wallace non era
mai stato uomo da sottomissioni, soprattutto da parte di una
donna.
Avvertì il forte, disperato bisogno
di cambiare rotta, tornare indietro, in realtà dentro di se non era affatto
partito, e soprattutto questa volta aveva un validissimo motivo per farlo. Fu
così che con ben pochi ripensamenti frodò il mare facendo ritorno su quell’isola
dove aveva trovato salvezza nel corpo, ma anche nell’anima; non l’avrebbe
ammesso nemmeno con se stesso, eppure inconsciamente sentì per la prima volta di
aver trovato qualcuno da avere al suo fianco che non fosse unicamente
interessata ai suoi aspetti effimeri, bensì alla parte più celata di se,
sconosciuta persino a lui stesso.
Prese inaspettatamente alloggio con l’onesto incarico di garzone
in un casato poco distante dal collegio femminile di Faimouth, non poteva certo
chiedere sostentamento nell’istituto dopo la “sorpresa notturna”, e alla minima
mansione ne ricavò una buona scusa per arrecarsi in visita a quella prigione
sfarzosa.
Il suo aspetto non era affatto quello
di un giovane di campagna cresciuto in modo umile, ma rispettoso, pronto a
sacrifici, devoto ai lavori più modesti, appariva certamente il contrario, non
ebbe successo nel ricoprire il suo ruolo da uomo di mare, eppure bastò come
travestimento per non essere riconosciuto dai residenti dell’istituto
collegiale, eccetto una.
Affrontò a passo svelto e brioso i difficoltosi Mogotes
de Jumagua*, giungendo in meno di un ora alla cancellata funerea
dell’edificio, proprietà di Mortgomery Seward.
L’avanzata del giovine venne accompagnata da un ritmico
scricchiolio della ghiaia sotto ai suoi nuovi scarponcini di cuoio, sostituiti
agli stivali malconci, che si interruppe giunto all’entrata, dissestata e
abbattuta solo poco tempo prima, da una a lui nota
ciurmaglia.
Non era mai stato cotanto nervoso per una visita, decise di
togliersi immediatamente il pensiero o avrebbe trascorso tutta la mattinata
nell’indecisione dinanzi quel portone.
Dietro lo spesso pannello di legno, nelle stanze più interne al
palazzo, mormorii e risate fanciullesche dell’ora di colazione conferivano
tonalità armoniose all’aria primaverile proveniente dal sud, la quale ormai si
faceva largo in direzione del tranquillo
arcipelago.
Un piccolo campanello ondeggiò, richiamo cristallino della venuta
d’un ospite, restante fuori in impaziente attesa, stritolando tra le dita
l’elegante copricapo smarrito nella fuga da Celia, nonché motivata scusante
della visita.
Venne ricevuto cordialmente, ma si limitò solo a convocare Miss
Wilson, il suo volere fu quello di attenderla sulla
soglia.
Quand’ella giunse incuriosita al cospetto del visitatore, lo
stupore fu tale che credette in una burla della sua stessa vista sbarazzina, non
poteva essere vero… I folti capelli neri erano un poco cresciuti, la barba
incolta ed ispida delle gote scomparsa, il fisico appariva leggermente
affaticato e smagrito dagli scrupolosi orari di lavoro da seguire e rispettare,
le vesti cambiate, più anonime dei coloratissimi lini da lui prima indossati,
tutti evidenti segni dell’abbandono della vita di mare, ma per il resto era
rimasto il Leonard di sempre, profumava ancora di
sale.
La fanciulla dovette sostenersi allo stipite della porta per non
crollare, il suo corpo vibrava di stupore, gioia,
incredulità.
“Il vento ha cessato
di soffiare così voi di navigare, signor Wallace?” domandò in un sol fiato,
sconvolta, tentando almeno di risultare
pungente.
Lui
l’accolse con un sorriso:
“Affatto, Miss –lei pure non era affatto cambiata, conservava l’apparente
contegno e pazienza che da sempre lo faceva impazzire- Sbuffa ancora a pieno
regime, è solo che…” enunciò teso.
CELIA: “Solo che…?” incalzò impaziente, scongiurando una
poetica conclusione.
LEONARD: “Avevate dimenticato questo a bordo della mia nave
–rivelò affrettato, porgendole nervosamente il cappello, percependo dentro di se
l’ansia crescere- Ci tenevo lo riaveste”
CELIA offuscando la stupefatta delusione: “Oh… Grazie!
Siete… stato gentile a preoccuparvene, non vi era alcun bisogno. Avevo persino
rimosso di possederlo…” ammise abbozzando dei risi afflitti. Mantenne sempre
la testa china, non riusciva ad esser spiaciuta della visita, ma neanche al
settimo cielo. Molteplici sentimenti contrastanti s’impadronirono di lei,
mettendo a dura prova il suo solito autocontrollo, quando infine riuscì a dire
per eludersi altri dispiaceri: “Immagino dobbiate andare ora… Fate pure se
dovete, e scusate se vi ho trattenuto oltre”
“Non vi è alcuna fretta-ammonì riscattando il morale della Dea-
Intendo rimanere per qualche tempo, mi sono trovato piuttosto bene in
passato!” ammise fiducioso con sguardo proiettato lontano, verso un avvenire
più sereno ed intrigante.
CELIA: “Sappiate che non ho più alcuna intenzione di farvi da colf
personale” prese posizione, ammalando la gioia
d’alterigia.
“Chi ha mai menzionato il vostro nome? –esclamò accigliato-
Fortunatamente dovreste essere un’anima pia… -osservò sdegnato- Le
monache di questo cenobio non vi hanno insegnato che è peccato fare certi
pensieri riguardo un uomo alla vostra tenera età, Milady?” sentenziò
beffardo.
“A cosa alludete?!?” domandò
stizzita.
“Alla tua confessione, implicitamente hai espresso di volermi
tutto per te!” replicò dimenticando ogni tono di cortesia, facendosi
fisicamente sempre più vicino, nell’intento di
confonderla.
A quel punto per la Dea era
impossibile formulare qualsiasi tipo di pensiero, la superficie della sua pelle
si fece una distesa di brividi; aveva dinanzi a se uno degli uomini meno
raccomandabili che ebbe occasione di conoscere, malgrado ciò era il solo capace
d’imboccare la giusta via per giungere dritto al suo cuore. A vedersi erano
diametralmente opposti, ma era proprio il loro punto di non incontro a creare
un’attrazione trainante.
CELIA: “Devo chiederti di andartene ora” riferì a malincuore,
impersonando un portamento austero.
LEONARD: “Ma come! Ho rischiato l’osso del collo dirigendomi a
tutta velocità lungo le Mogotes
de Jumagua, ed ora non ho diritto ad alcun
indennizzo?” sentenziò da vittima, fingendo
meraviglia.
CELIA: “Fossi in te mi sarei evitata dapprima il disturbo!
–esortò risentita, tutto di lui era capace di imbestialirla, la durata di un
minuto…- Pertanto, sentiamo, cosa desideri in cambio? E poi recati lontano
da qui, sto saltando la colazione a causa tua!” sollecitò
affrettata.
“Un appuntamento” era tutto ciò che il pirata voleva. Non ne
aveva mai avuto realmente uno, desiderava condividere del tempo vero con lei,
dopo averla consciamente ferita in tante occasioni. Le donne della sua vita fino
allora erano state unicamente di passaggio, loro avevano fatto del male a lui, e
allo stesso tempo il filibustiere si sentiva nel giusto facendolo a propria
volta. Sarah fu solo la più perpetua dopo una schiera interminabile di altre
esattamente come lei, meno interessate ai possedimenti del Vice Capitano e più
ad una avventura di una sola notte. Nonostante lo shock, la risposta della
divinità fu comunque “no”, ma dovette ribadirlo molte altre volte nei
giorni che vi seguirono, poiché Leonard Wallace non si diede per vinto.
Perseguitò letteralmente la nobildonna, cercando in ogni modo di
estorcerle anche un “sì” appena accennato. L’attese per ore in giardino, si
nascose tra il fieno della stalla, la sua immagine sbucava da ogni finestra
dell'edificio, in una occasione lo colse persino sul balcone, la più
sorprendente di tutte si rivelò la dicitura purpurea “Esci con me” trascritta col
rossetto* sullo
specchio, trovata dalla giovine nella sua stanza dopo esservi rientrata. Ma fu
una ed una sola azione a convincere Sogno ad accettare: il consenso della sua
uditrice più fidata: Immi.
Accadde un tardo pomeriggio, ad un passo dalla stagione di
Flora*, in cui Celia
era fuggita in riva al mare per trovare un poco di pace dagli assidui tormenti
da parte di quel vile malfattore con la coda di paglia, e i sempre più rabbiosi
rimproveri pervenuti dalla governante del collegio, insofferente verso la
presenza dell’uomo così prossima all’istituto, cagione per cui ogni giorno tra
le allieve popolava generale subbuglio.
Quella distesa che in un punto indefinito dell’orizzonte diventava
a sua volta parte di cielo era da sempre uno sconfinato mistero per lei, e a
breve anche un nemico.
Ciononostante l’unico luogo in cui l’era facile pensare,
riflettere, rilassarsi, dimenticare per un attimo chi era ed essere
semplicemente parte della meraviglia attorno a
se.
Espirò a fondo l’aria salmastra, liberata sul suo viso ad ogni
venuta e ritirata di un’onda, procedendo così fin quando non avvertì più
distintamente nessuna parte del proprio corpo mortale, poiché totalmente
abbandonato a quel moto regolare.
L’ebbrezza continuò nel medesimo modo, sospendendosi solo nel
momento in cui venne distolta da una cavalcata dirompente, tenutasi a poca
distanza ed in imminente avvicinamento. Celia riaprì gli occhi volgendoli
fulminei verso l’incombente trotto, quel delittuoso tale ancora una volta la
lasciò senza parola alcuna: malamente avvinghiato alla criniera chiara della
cavalla, s’apprestava a raggiungere la solitaria fanciulla in precario
equilibro, sovra la schiena nuda della
consigliera.
Toccò terra più intontito ed oscillante che dopo una furiosa
tempesta in mare, ma alla vista della reazione allibita di Sogno, gonfiò il
petto del suo consueto ardimento e riformulò il tedioso quesito, da giorni
esasperato con ogni mezzo. Lo sguardo irrequieto della ragazza ricadde in quello
della cavalla, la quale adempì un cenno di consenso stabilendo il responso
finale. Immi aveva ragione, il malanimo di quell’uomo dipendeva unicamente dal
fatto ch’egli non conosceva altro al di fuori delle maniere un tantino villiche
e l’aria di sfida macchiata d’arroganza con cui si atteggiava verso chiunque.
Possedeva anche lui uno spicchio di cuore docile e romantico, solo aveva
dimenticato di averlo. Fortunatamente ne ritrovò parte in occasione del tanto
sospirato incontro: pianificò un ritrovo con la Dea a metà strada dalle loro
dimore, proprio al termine della rocciosa scogliera, dove la costa prende una
forma più sinuosa e limpida, dicono che da lassù col bel tempo si veda tutta
Cuba. (diametralmente a nord, nord-ovest della
località di Faimouth; solitamente divise da un’estensione di mare notevole
NdA)
Lui si presentò in largo anticipo, avrebbe potuto godersi tutta la
bellezza del dintorno a mezzogiorno, ma ancora una volta la tensione ebbe la
meglio. Temeva ch’ella non venisse, fosse trattenuta da altri o a causa di un
ripensamento improvviso, riuscì a rabbonirsi solo con l’arrivo effettivo della
dama, la quale prese con molta più calma il cammino, giungendo nel giusto
orario, desiderava assaporare ogni attimo di quel
momento.
Inizialmente non vi fu parola tra loro, troppo lo stupore,
l’incantevole meraviglia, solo uno scambio di sguardi, senza più nessuna
restrizione, nessun tipo di mura munite di “occhi e orecchie” come quelle del
collegio, pronte a separarli per sempre se solo colti in un atteggiamento più
naturale, meno composto e rigido di come il bon ton ambiva; finalmente liberi di
guardarsi davvero negli occhi, scavarsi dentro, parlare, di
amare.
LEONARD: “Vedo che hai preso sul serio la mia proposta,
dunque!” esclamò mimando una beffarda
indifferenza.
CELIA:
“Non proprio, ero quasi del tutto certa si trattasse di dei tuoi soliti scherzi"
svilì avversa.
LEONARD: "Ma come!
–berciò deluso- Non ti fidi ancora di me???" chiese fiducioso.
CELIA: "Fidarmi di
chi mi ha baciato pur essendo fidanzato con un'altra, scappato per poi
presentarsi sotto le spoglie di un predone, d’uno sfacciato che si permette di
chiedermi se domani lo amerò ancora e il giorno seguente mi associa alla moglie
di un medico immaginario per i propri insulsi interessi?! –enunciò esasperata- Presumo di no!” controbatté dura.
LEONARD sospirando
amareggiato: "… Donne, le consuete lunatiche..."
CELIA: " Che
coooosa??? Io sarei volubile? –vociò risentita- Sei
tu ad aver avuto la sfrontatezza di tornare qui come se nulla fosse, pretendendo
un appuntamento dopo esserti sempre preso gioco di me!" gli rimproverò corrucciata.
LEONARD: "Oh, beh… Se le cose stanno così, significa che contenterò il tuo
volere e ci salutiamo qui" dispose senza trasparire
alcuna emozione.
CELIA: "Come osi
–garrì afflitta- Brutto, brutto…!!!" tentennò
astiosa, ricercando il termine più opportuno nel disordine regnante la sua
mente.
LEONARD: "Eh, no dolcezza. Brutto no!!"
puntualizzò narciso, mostrando di voler occultare letizia.
La Dea Sogno
soffocò a fatica un brontolio iroso, scostò malamente da dinanzi a se il pirata,
ed avanzò per proprio conto lungo la costa, delimitando quell’avventato pendio
sinuoso.
Leonard sofferse
compiaciuto senza smuoversi, le permise di compiere appena qualche passo in
solitudine, sufficiente a farle credere di esser stata nuovamente abbandonata,
ma non resisté per molto, in pochi attimi le fu di nuovo accanto, sfoggiando
un’aria sorniona colma di lezio.
Dieci metri più in
là la tensione era svanita, si poteva già vederli procedere teneramente
sottobraccio.
Fu un evento per
quanto memorabile a sua volta incantevole, da quel momento proseguì nei migliori
dei modi: il filibustiere condusse la fanciulla in un delizioso antro della
foresta di lì a poco confinante, sbalordì ogni supposizione facendo mostra di
un’ indole da vero cavaliere, assistendola ad ogni movenza nell’arrampicarsi
sovra il tronco di un albero, dove giunti alla cima, da cui già traspariva una
vista mozzafiato, fece segno a Celia di sottacere, per poi smuovere impetuoso un
ramo, da cui spiccarono il volo decine di piccoli, ma coloratissimi pappagallini
tropicali, ricreando una scia d’arcobaleno, divenuti in seguito gli animali più
amati dalla Dea.
Venuta la sera
presero la direzione del porto, quel luogo affollato di individui rudi,
irritabili ed affaticati, coinvolti dal commercio d’ogni tipo di mercanzia, la
notte assumeva un aspetto quieto, ancora soffuso di voci, musiche e andirivieni,
ma del tutto privo dell’estenuante agitazione diurna. Su quei moli il duetto
passeggiava senza temere alcuna fretta, riuscivano magnificamente a parlare di
tutto, scherzare su ogni cosa, anche la più brutta vissuta dall’uno o
dall’altra, sbocciava così un’intesa che non vide mai la propria fine.
Leonard non antepose il porto per la sua vicinanza al mare,
c’era qualcos’altro di un poco nascosto a cui voleva che Celia assistesse: uno
spettacolo magico, tenutosi una sola sera ogni dieci anni, allestito dalla
compagnia famosa in tutto il mondo del Circo Medrano! *
Sogno nei suoi viaggi intorno al mondo non aveva mai preso
parte a nulla di simile, a parte qualche tediosa scenata di un giullare di
corte; il ceto agiato da cui proveniva in spoglie mortali l’aveva sempre tenuta
ben distante dai funamboli, ritenuti ingiustamente nomadi, gitani,
contafrottole, randagi, bruti da evitare e temere in quanto inermi come agnelli,
ma scaltri come volpi a privarti persino dei calzoni.
Qui invece poté ammirare quante incredibili abilità
nutrivano in loro quei soggetti sgargianti e vivacissimi: padroneggiavano
strumenti taglienti, scuri e pericolosi con la leggiadria di foglie nel vento,
mostravano un sorriso largo quanto una spanna camminando in equilibrio sull’orlo
di un filo a decine di metri dal suolo, ridevano provocando a loro volta altra
euforia lanciandosi in cerchi di fuoco a piedi legati, incantavano persino
serpenti lunghi quanto il Nilo, capaci da soli d’ingoiare e digerire un bue
intero. Con una miriade di altri numeri estremi e stravaganti trasportavano con
se quell’inconfondibile sapore esotico della loro terra lontana, talmente
affascinante ed eccitante che era impossibile stare solo fermi a guardare: tutti
battevano le mani, gioivano, trattenevano il fiato quando la scena si faceva
adrenalinica e pericolosa, sospiravano sazi, allontanandosi a spettacolo finito
dal largo tendone. Il pubblico presente non ricordò altra occasione in cui si
divertì tanto.
Quello show fu per tutto il tragitto di ritorno motivo di
confronti, pareri entusiasti e tantissime altre risate per i due giovini, ormai
giunti al termine del tanto atteso appuntamento. Il pirata si propose di
accompagnare la dama fino al cancello del collegio, tutt’altro che pentita di
aver accettato infine, ma al contrario, ancora tanto euforica ed entusiasta.
Raggiunta la cancellata di ferro, limite massimo concesso
al predone, vi fu un insolito accosto di sguardi: Leonard, posto in fronte alla
divinità, la fissò intensamente, studiandola di sbieco con una mano sovra la
bocca, come se potesse udire i suoi pensieri e stesse formulando qualcosa di
ingegnosamente furbesco per comprometterli; lei avvertiva il peso di quella
veduta, seppure fingeva d’osservare mestamente il vialetto, si ritrovò ad
arrossire senza nemmeno una parola; infine non percependo nessun’altro riscontro
sollevò timidamente lo sguardo su di lui, incrociando quegli occhi enigmatici.
LEONARD:
“Come pensi di oltrepassare questa tediosa inferriata dato che è serrata a
chiave?” domandò ricevendo un acciglio
interrogativo.
CELIA:
“Scavalcandola…?” replicò poco convinta. LEONARD:
“Allora ti aiuto io” si propose ancora una volta
magnanimo. La Dea tentò di contrapporsi, ma venne subito ostacolata, le
asserzioni contrarie non bastarono: il novello garzone era già chinato a terra,
pronto a porgerle un ginocchio piegato, a mo’ di scalino. Ella apprezzò
incantata l’ennesima cortesia del giorno, poggiandosi lievemente su quegli arti
robusti, preferì volare al posto che recare altro peso superfluo su di quello
sfrontato navigante cotanto gentile con lei.
LEONARD: “Caspita,
riesco a vedere tutto da qui! –esclamò famelico,
reggendo la ragazza in equilibrio sulla propria spalla, intenta a scavalcare
faticosamente la cancellata, per via dell’ampiezza eccessiva della sottana-
Che visione divina, non indossi nemmeno la biancheria…?!” stimò ironico mandandola su tutte le furie, in realtà
quelle affermazioni erano tutto fuorché veritiere, data la precaria posa era
impossibile ch’egli vedesse ciò per cui disperdeva tanto fiato.
CELIA: “Mentite!” sbottò astiosa,
prima di recare un ultimo
piccolo sforzo, tornando così ad essere l’ennesima reclusa di quella prigione
dorata.
LEONARD: “Suvvia,
volevo ne fossi sicura!” si giustificò mordace,
contemplandola con un fondo di tristezza attraverso le sbarre.
CELIA: “In quanto
a finezza sei incorreggibile!” lo redarguì alterata,
dandogli le spalle, intenta a prendere il tragitto di casa.
LEONARD: “Non mi
fido a lasciarti andare fin là tutta sola” ammise a voce
alta per farsi udire dalla fanciulla, ormai allontanatasi di qualche metro
diretta al dormitorio, situato in mirabile lontananza, appena distinguibile nel
buio poiché mascherato dalle ombre serotine di quel tiepido anticipo
d’estate.
Celia s’arrestò
colpita d’ascoltare ancora la sua voce, mentre camminava credeva di averlo
offeso e che avrebbe tenuto il broncio per molto tempo, invece tentò ancora di
rivalersi.
CELIA voltandosi con la fronte corrugata, discioltasi subito in
un traverso sguardo ammaliatore: “Sono grande e forte, so vestirmi,
pettinarmi e mangiare da sola –dichiarò pavoneggiandosi
ironicamente- In più ti ricordo che ho affrontato i tuoi leccapiedi con uno
stuzzicadenti, immagina se fossi stata munita di un gladio!” sfidò allettante, iniziava a subire l’influenza dei
Wallace.
LEONARD: “Peccato
non esserci, saresti stata eccitante!” rimarcò
divertito.
CELIA a sua volta ridente: “Buona notte Leonard” sussurrò trasognante, salutando l’amato mortale con un
lieve cenno della mano. Nyx accolse tra le proprie braccia tetre la figlia
immortale, rendendola tutt’uno con quell’oscuro infinito, travestimento
necessario per permettere alla giovine di aleggiare indisturbata, senza essere
vista da occhio terreno, fino alla sua dimora.
Il Primo Ufficiale
osservò la figura di lei in lontananza divenire una briciola, svanire
nell’immensità del buio.
Un istante dopo la
fiamma tremula di un lume invase le stanze vuote della fanciulla, apportando un
pesante cumulo di sospetti urticanti nella mente cinica del mortale.
Immi era una
docile bestia molto intelligente, apprendeva molte cose ascoltando i pensieri
delle persone, ma quella notte un dubbio fiorì come una rosa spina in lei, non
l’era mai capitato di vedere la sua padrona in quello stato: a tratti pareva
sull’orlo di scoppiare in lacrime, in altri rideva sommessamente, regalando
sorrisi seguiti da sospiri sognanti. Senza ombra di dubbio un nuovo bagliore
prese a splendere nei suoi occhi, solo la cavalla celeste non sapeva ancor bene
perché.
L’osservò
frastornata agghindarsi per adempiere al suo dovere, sebbene il vespro fosse
ormai sull’orlo di appassire, ponderò come saggio attendere in mitezza che fosse
la stessa a rivelarle ogni cosa con spontaneità. Nel contempo, si lasciò cullare
verso il sonno dalla lenta melodia intonata da Sogno. Il musone sporgente prese
a ciondolare, tutto intorno divenne annebbiato, velato di un contorno tremulo,
ed infine le pesanti palpebre della cavalla si richiusero. Dovette riaprirle
bruscamente poco dopo, per l’incombere di rumori inconsueti pervenuti
dall’esterno, versanti alla stanza.
Scorse Celia
indossare con gesta stimabili alle saette di Zeus la camicia da notte, soffiare
al di sopra del pallido lume rischiarante il dintorno, imbevendolo di buio, e
fiondarsi nel letto, protendendo le coperte fin sopra il mento. Gli attimi
guadagnati li impiegò per rallentare il respiro, divenuto turbato ed affannoso,
mimando un credibile sonno naturale, la consigliera si dileguò invece negli
spessi drappi della stanza-guardaroba, rimanendo comunque in grado d’assistere a
tutta la scena.
Un tonfo sordo dissestò la balconata, brevi passi
guardinghi l’attraversarono, un’ombra uniforme si proiettò sovra la finestra. Il
chiavistello dorato ruotò di 90°, forzato da un sottile pendaglio di ferro,
scattò subito senza altri forzi e l’invasore fu libero di procedere. Le persiane
si spalancarono imperiose, anticipando l’ingresso di un volto scosceso d’ansia:
due iridi guizzanti esaminarono in un secondo tutto il circondario, articolati
da un’espressione mista tra il collerico e l’inquieto: “Lui dov’è?!?”
La padroncina, già rianimata dall’impeto furente
dell’assalto, si protese seduta mormorando: “Ma, chi…Leonard?!” senza ricevere
alcuna considerazione, poiché sventata da una ispezione irrequieta del
dintorno.
Seguirono altre
imprecazioni irose e confuse rivolte allo stalliere del collegio, che il pirata
scandiva lanciando ogni cosa gli capitasse sottomano.
La dea era divertita dal piglio di gelosia, ma allo stesso
tempo turbata per la reazione sconsiderata del predone; quell’ardore dettato dal
tormento si placò come per incanto solo con un timido quesito mormorato dalla
immortale: “Siete per caso geloso, Capitano?”
Il Vicecomandante colto nel segno replicò sorridendo,
seppur visibilmente irritato: “Me? Oh… no! Per me potete trascorrere come e con chi
volete le vostre notti –dispose più indubbio, a quelle
parole nella mente della tessitrice di sogni Immi lesse solo “Non vorrei
passarne di diverse dalla tua compagnia” - Intendevo
solo assicurarmi che non lasciassi accesa alcuna candela prima di addormentarti
–si giustificò mentitore- data la tua sbadataggine
infantile!” schernì rivalutato.
Celia scostò in fretta le coperte per andargli incontro e
fronteggiarlo: “Ah, è così!” replicò
minatoria.
L’espressione del predone al suo arrivo mutò radicalmente,
distese ogni muscolo, come faceva solo nel sonno, gli occhi solitamente ridotti
a fessure maliarde si dilatarono come se dovessero abbracciare l’infinito,
incorniciati da folte sopracciglia scure, arcuate dalla
sorpresa: “Che cosa hai qui?” chiese rapito,
protendendo una mano verso i suoi capelli, guidato da una scia di lievi brividi.
Scostò quelle sottili reste dorate, sfiorando appena la curva del suo udito,
Celia avvertì un solletico appena accennato, poi il malfattore si allontanò dal
suo orecchio, porgendole plateale la corolla sboccia d’una rosa blu, in una
notte vittima d’incantesimi come quella, avvenne l’ennesima magia.
Celia era
attonita, proprio come una bambina: si tastò più volte l’orecchio sbalordita,
non poteva credere che quello splendido fiore fosse davvero apparso da lì;
esplose in un impeto di gioia raccogliendo lo stelo pungente tra le sue mani
tremule, l’accostò persino al volto per distinguerne il profumo, appurando che
fosse vera. Era certa di aver già visto un cespuglio di rose come quelle in un
dove, forse rampicante sul muretto di pietre, lungo il contorno del giardino, ma
in quell’istante nulla aveva importanza, tutti i mirabolanti numeri di prestigio
a cui aveva assistito quella sera si dissolsero per far largo al più
dolce.
CELIA: “E’ stupenda, com…Come hai
fatto??”
LEONARD: “Non sei
l’unica ad essere magica qui!” assentì esibendo un
altezzoso fare adempio.
CELIA: “Magica…? –quella parola scosse nel profondo le sue membra-
Secondo te, io… sono magica?” sussurrò intimorita,
lui sapeva?
Leonard lasciò passare un lungo silenzio, in cui la fissò
intensamente, con una volta leziosa nell’angolo della bocca: “Certo pazzerella, devi ancora dirmi come hai fatto a
giungere fino a queste stanze in un soffio di Eolo, quando un secondo prima
ondeggiavi i fianchi camminando dinanzi a me!” scoscese sfidante.
Immi tirò un
respiro di sollievo, il segreto era ancora al sicuro, poi commentò con uno
sbuffo irritato.
CELIA: “Non ho mai camminato in quel modo” intimò risentita.
LEONARD: “Per l'appunto, ti muovi sempre come
se avessi un bacchio conficcato nelle scapole!” inveì
gentilmente vendicativo.
CELIA sconfortata: “Sarebbe più facile smuovere l’Olimpo dal
suo letto che discutere con te!” esclamò ponendosi di
spalle offesa, pentita di essere rimasta ad ascoltarlo.
Leonard non se la prese come suo solito, ma piuttosto ne fu
ancor più intrigato; la seguì fino alla portafinestra, accoccolandosi sulla sua
spalla, stringendola forte a se come a volerla imprimere sulla sua pelle, le
sfiorò con il volto le guance calde e morbide che adorava e sussurrò piano in
voce gutturale per discolparsi: “Quando mandano il diavolo a fare il lavoro di Dio non
aspettarti misericordia!”
Celia si voltò per guardarlo negli occhi, voleva capire se
era realmente sincero, ma quella scaltra canaglia non le diede il tempo: fuggì
in fretta dal poggiolo, discendendolo attraverso le preziose sporgenze di marmo.
La fanciulla lo raggiunse per un soffio, s’affacciò al parapetto scoscesa
mormorando in risposta: “Non ne ho mai voluta”
Leonard finse di
esser troppo lontano, ma percepì distintamente quel sibilo colmo di rancore e
malinconia.
Da allora Immi
nella mente della adorata padroncina non lesse altri pensieri di conclusione
diversa ad una vita vissuta insieme a quel tale.
-
A quella notte
seguì la stagione delle tempeste fatta di continui temporali, uragani, mare in
burrasca, straripamenti dei ruscelli.
Tutto era
impossibile da navigare, coltivare, da attraversare, anche le strade
dell’isolotto di Faimouth scomparirono lasciando dietro a se solo brevi fiordi
fangosi, tenaglie mortali per carrozze, zoccoli dei cavalli e gli stessi calzari
degli uomini.
Quei tre mesi
resero il collegio una prigione più di quanto non fosse mai stata prima. Le
allieve al suo interno erano confinate tra quelle mura senza possibilità di
uscire, poiché non vi fu più un solo giorno di quiete in cui splendesse il sole
per azzardare una breve passeggiata almeno nei giardini.
Si ritrovarono
allo stremo delle forze e della fame, vi erano scorte per anni nei magazzini, ma
le forti inondazioni ne avevano distrutto una gran parte portando ognuno al
limite massimo di privazione, anche i pozzi d’acqua risultavano inquinati,
ciascuno pregava come poteva che quell’inferno vedesse presto la propria fine,
non si era mai assistito a tanta disperazione.
Tutti pativano
dolorosamente, chiusi nel silenzio, tutti tranne la Dea Sogno che certo non
aveva preoccupazioni simili: distribuiva ogni cosa poteva tra le sue compagne
con varie giustificazioni, per diffonder speranza. Il luogo che da sempre odiava
di più al mondo adesso le chiedeva tutto l’aiuto possibile, e lei vi si immerse
totalmente, ad occhi chiusi, senza pensarci un minuto di più.
Molti si
domandarono da dove proveniva quella forza ed entusiasmo instancabile che la
contraddistingueva,
ma il da fare era
sconfinato al punto di coinvolgerla interamente, tanto da allontanarla, almeno
fisicamente, seppur si trattasse solo di poche miglia, dal suo unico grande
affanno, situato in una fattoria poco più lontana, esposta forse ai rischi più
grevi trovandosi in riva al mare.
Non riuscì mai a
raggiungerlo, nemmeno sottoforma divina, era troppo il sostegno che la impegnava
al collegio, seppur gli fosse sempre vicina con ciò che dal cuore proviene senza
voler nulla in cambio.
Finalmente col
finire di Giugno tutto cessò, tornò la quiete, niente più squarci di tempesta o
cieli dilaniati da lampi e tuoni, solo pioggerella leggiera, umida, che con se
riportò all’equilibrio la primavera.
Faimouth, divenuto
un luogo di soli fantasmi, tornò a nuova vita, ricominciarono i commerci, gli
sbarchi, i mercati ben popolati, e anche poco più in là da quel fermento, sui
colli e sulla scogliera si riprese lentamente a vivere.
Gli abitanti del
collegio avevano ormai dimenticato quanto fosse piacevole sostare, anche solo
per un minuto, nel parco, quei tre tragici mesi in seguito fecero apprezzare
loro persino la fogliolina più secca del giardino.
Celia non ricorda
mai precisamente la data in cui quella bolgia infernale ebbe fine, rimembra solo
che un giorno si svegliò senza più sentire il tintinnio della pioggia sovra la
grondaia del tetto, destò tutte le sue compagne in gran fretta e con loro si
precipitò fuori, in cortile, per assistere in prima persona a
quell’incantesimo.
Sprofondarono coi
calzari in mille pozzanghere di fango, si bagnarono e insudiciarono tutte, la
governante era disperata, ma dopo tanta detenzione anche solo respirare aria
pulita e fresca era una magia.
Improvvisarono una
specie di balletto molto buffo, fatto di schiamazzi e movenze senza senso, per
ringraziare le capricciose divinità di averle infine ascoltate, quello fu il
fulcro massimo dell’euforia, poiché la danza scoordinata ricordò dopo alla
governante il mancato compimento di una tradizione che si ripeteva ogni 5 anni
nell’istituto, e fino a quel momento per nulla al mondo era stata rinviata: il
ballo di primavera.
Si trattava di un
evento puntualmente trasformato in una sorta di sfilata di moda: ad ogni allieva
veniva messo a disposizione il materiale necessario alla realizzazione di un
abito da gala, prevedeva l’intensificazione delle lezioni di ballo e portamento,
l’invio di almeno 1500 inviti a tutti i signorotti non impegnati
sentimentalmente dei dintorni, un ricco buffet a base di paté di qualsiasi
animale cacciabile, e alcool, tanto alcool, a fiumi, per stordire i presunti
pretendenti convincendoli a maritare una delle allieve e sgomberare presto altre
stanze del collegio.
Un avvenimento con
un fine alquanto squallido, che riportò alla memoria di Sogno il suo passato
fatto interamente di questo e da cui preferì fuggire, ma che ora le si
ripresentava alla porta come Nosferatu in carne e forca.
Venne sopraffatta nuovamente dall’abbandono, il vuoto
incolmabile che prima stipava la sua anima mortale, la quale aveva tutto, ma non
desiderava niente a parte amare, cosa a lei sempre stata negata fino a quel
momento, ed ora, dopo tanti sospiri, la tradiva di false speranze, poiché
nonostante fosse tornata l’estate, al contrario delle compagne, non ricevette
mai alcuna visita, da nessuno.
La giovine iniziò
a nutrire i propri dubbi di mille possibili ingannevoli spiegazioni: Sarah era
tornata? Leonard non era in buona salute? Era ferito? L’aveva dimenticata? Non
gliene importava più nulla di lei? Era ripartito alla volta del mare aperto?
Quesiti che
rimasero senza alcuna risposta. Sogno pensò di chiarirli recandosi da lui in
veste divina, ma reputò indegno usare nuovamente i propri poteri solo per motivi
fini a se stessa, aveva scelto di vivere sulla Terra per aiutare gli umani e non
soddisfare i propri capricci.
Così resistette a
lungo, pazientò, tenne duro, ma ogni ora che passava si faceva sempre più
straziante stare lontana da quel malfattore senza neppure sapere come fosse la
volta maligna, pacata o adirata del suo viso quel giorno.
Nel frattempo,
come da programma, le attività del collegio si ridussero ad essere interamente
collegate al gran ballo, per cui nell’aria era palpabile gran attesa e fermento.
Si ripresero tutti dalle disgrazie dei mesi di putiferio con gran prestezza, al
fine di dedicare priorità assoluta al grande evento; Celia vi partecipò come
poté, faceva solo il minimo indispensabile per non essere espulsa dall’istituto
e rimandata a casa in anticipo per le vacanze estive, cosa per tanto mai
successa dato che da 5 anni non vi faceva più ritorno, la maggior parte del
tempo lo trascorreva immobile, soprappensiero, indubbiamente lontano poiché
rivolto a Leonard.
Molte volte
fingeva solo di essere assorta, per non attirare su di se degli sguardi; capitò
che durante la lezione di cucito un’allieva si ferì con le forbici e mentre
tutte erano occupate a soccorrerla, Sogno si smaterializzò dall’aula per
azionare una delle sue note fughe al galoppo, indotta dalla noia più
intollerabile.
In un istante fu dalla sua trottante complice:
“Imiiiilin? Eccomi qui, dovevo solo indossare gli
stivalet-…” mentre salutava la fidata cavalla, alla
visione di ciò che si ritrovò davanti, per un secondo volle morire, rinascere,
esplodere come un fuoco d’artificio e piovere di nuovo sulla terra per rivedere
colui ora presente dinanzi a se: Leonard era lì, al fianco di Immi, con una mano
lungo il suo muso, nel palmo una carota rosicchiata e un sorrisetto sfumato
d’impazienza, forse di rivederla.
Fu come se Celia
si innamorasse di lui per la seconda volta. Venne investita da una vampata di
calore cocente,
attanagliata da una morsa gelata, scossa da brividi febbrili. Quell’uomo
le faceva dimenticare persino chi era, la meraviglia fu tale da renderla
incapace di pronunziarsi a parole, lo accolse solo con un sorriso disarmato.
“La belva è pronta per voi, Milady!” annunciò trionfante dando una pacca secca sulla schiena
della cavalla, provocando la spazientita reazione di una scalciata dei
posteriori a vuoto, che però inamidò il predone.
L’antipatia di
Immi verso quel tale si alimentò di nuove retrospettive.
“Non credo voglia essere chiamata così” osservò ridente, rassicurando prontamente Immi con delle
carezze, non riusciva a credere di avere alla distanza d’un dito la causa di
tutti i suoi affanni in quei ultimi mesi.
La Dea soffermò lo
sguardo su ogni suo piccolo particolare, ogni dettaglio, piccolezza… Voleva
imprimere nella mente più che poteva di lui, cosicché se fosse trascorso un
mese, un anno, una vita senza rivederlo, avrebbe sempre conservato nel proprio
cuore un suo indelebile ricordo.
“Mi fa molto piacere vedere che sei uscito
illeso dal trambusto procurato dalla stagione delle tempeste!” pronunziò allegra non sapendo da cos’altro cominciare,
trattenendo a stento tutto il proprio impeto, quante cose voleva chiedergli!
“In realtà, non è proprio così…” ammise angustiato, mentre riabbassava velocemente le
maniche rimboccate in precedenza della camicia, ricoprendo con la stoffa leggera
di lino i muscoli rinforzati in tutti quei mesi dal duro lavoro di garzone.
“Oh…” spasimò
afflitta.
“Ci sono state non poche difficoltà” sussurrò impenetrabile.
La Dea non volle
indagare oltre, lasciò ricadere nel vago quella affermazione, aveva imparato a
caro prezzo che il pirata non amava parlare di se.
Vi fu
un breve silenzio, infranto poi da un chiacchiericcio in lontananza, il quale
mise per un momento il pirata sull’attenti, ma poi si dissolse nel giardino e
non fu più motivo di preoccupazione.
“In cosa consiste tutto lo strepitio che
aleggia tra queste pie mura?” domandò scosceso prendendo
le distanze da Immi, in precauzione ad altri improvvisi scalci.
“A breve ci sarà un ballo! Tramutato più che
altro in un pomposo rituale di accoppiamento…” enunciò
riluttante.
“Come, come?” assentì
intrigato.
“Non è ciò che intendete voi –rifinì ipotizzando la sua interpretazione- Il
collegio deve liberare qualche stanza dalle vecchie reclute, così cerca loro
marito, come carne esposta al macello” espose
amareggiata.
“Sarebbe a dire?! La tua testolina puerile da
inguaribile romantica non è contenta che le sue compagne si sistemino?” chiese sorpreso in tono di rimbrotto.
“Non se vi si trovano obbligate!” si impose acquistando animo in loro difesa.
Forse prima di
distanziarsi da Immi doveva scampare dall’ira funesta della sua padrona.
Il
pirata sollevò le braccia in segno di resa, esibendo una espressione inebetita:
“Ti scaldi cotanto, ma sono certo che anche tu vi
parteciperai!” replicò in tono avverso, misto di
biasimo, eppure ornato di lieve curiosità.
“Certo, è un dovere…”
ammise tristemente, pensando alle serie conseguenze a cui l’avrebbe portata
quell’ennesima trasgressione, tra cui l’allontanamento definitivo da lui nel
caso in cui non fosse stata rispettata.
“Ah, è così! Lo sapevo, lo sapevo!!” disse amareggiato a se stesso, puntandole contro un dito
imputante.
“Sapevi cosa?! Per quale motivo sei qui??” domandò confusa, percependo in anticipo il peso
dell’accusa.
“Credevo di mancarti… Ma a quanto pare hai
ben altri pensieri. –ammise disilluso- Sei
esattamente come loro… Ti atteggi ad estranea, a
diversa, ma in realtà sei stata forgiata da questo mondo che tu lo voglia o
no, e niente potrà andare diversamente. Perciò smettila di deridere te stessa
quando affermi di odiare ogni singola mattonella di queste mura!” concluse greve, innalzando la voce e dimenandosi in mimiche
opprimenti.
La Dea si ritrovò
ridotta in lacrime e col cuore sanguinante: sentiva di adirarlo, deluderlo, il
peggio che poteva cagionare in lui. Avrebbe voluto rispondergli, spiegargli il
perché di tante cose, le proprie paure, i suoi vincoli, ma così facendo avrebbe
condannato entrambi ad un destino fin troppo avverso, perciò si vide costretta a
condannare a morte in primis se stessa.
La cosa
migliore da fare se ami una persona è lasciarla libera, certamente distante da
una fonte di cotanti problemi, e così doveva essere, doveva allontanarlo:
“Tu non puoi sapere come stanno le cose… E poi non ti
permetto di tornare qui per rivolgerti a me così!” definì ferma, marmorea come diaccio, le parve di trovarsi
all’esterno di tutto ed ascoltare la voce di qualcun altro senza la possibilità
d’intervenire.
“Oh-ho-oh! Da dove provengono questi artigli
affilati che sfoderi solamente ora? Non dirmi che tutto d’un tratto ti sei
invaghita di questa bigotta gattabuia!” rimarcò il
predone colmo di disappunto.
“Sì, è vero: la
odio con tutta me stessa, ma è anche l’unica casa che abbia mai avuto, perciò
intendo comunque proteggerla!” asserì questa volta
predicando a malincuore il vero.
“Quale bugiarda ti ha reso invece… -derise
scosceso- Cos’è accaduto a te, invece, in questi tre mesi? Il
contatto troppo ravvicinato con quei conservatori meschini ti ha reso come
loro?! Vai pure ai balli adesso!” riscontrò uscito di
mente dall’incredulità, non era certo la Celia che sperava di rincontrare colei
ora lì presente.
“Perché non posso fare altrimenti!” risaltò gridando, smarrito ogni
contegno, zittendo definitivamente il mortale.
“…Celia… Celia,
sei qui?” il timbro di quell’eccesso d’ira richiamò
l’attenzione di qualcuno altro all’esterno, in cerca da tempo dell’allieva
fuggitiva.
“Si può sempre
scegliere invece –marcò abbattuto- questo per giunta
me l’hai insegnato tu!” assentì Leonard, segnando
l’aspra perdita di ogni fiducia in quella giovine.
“Divertiti al
mattatoio mia cara!” le augurò all’orecchio, celando
ogni tono della voce, fiancheggiando Sogno prima di dileguarsi al più presto da
lì.
Rimasta sola con
la fidata destriera, Celia voleva solo lasciarsi cadere in ginocchio e piangere,
disperarsi fino a perdere i sensi. E’ già duro trovarsi costretti a perdere chi
ami in una vita, ma la prospettiva di convivere con il seguente pensiero per
l’eternità lo è molto di più.
Questa volta non
l’avrebbe mai rivisto di certo, non poté dirgli nemmeno addio… Ammesso che fosse
accaduto non le sarebbe stato rivolto nemmeno il minimo sguardo, poiché
suggellato dal troppo disinganno.
“Oh, Celia,
eccoti! Sapevo di trovarti qui -reputò Alexia sollevata, oltrepassando il portone
d’ingresso della stalla-Dove volevi fuggire anche stavolta? –le chiese
preoccupata- E poi… ti ho sentita urlare, con chi te la sei presa?”
Ci volle un po’ di tempo e numerosi richiami ansiosi da
parte della compagna di stanza, prima che la Dea fosse in grado di
risponderle: “N…niente… -disse infine
costringendosi a reagire- Ero angustiata con queste maledette briglie di
cuoio-dimostrò coinvolgendo il primo oggetto finitole
tra le mani- si attorcigliano sempre, non so che farci!” rise fintamente.
“Amy, piuttosto,
come sta?” domandò Sogno montando in sella, per cambiare
argomentazione, riferendosi alla vittima dell’incidente procurato dalle
forbici.
“Molto meglio!
Nulla di grave, non saranno necessari i punti di sutura.
–rassicurò fiduciosa- Però tu torna a lezione, ti prego! Se la signora
Wilburne si accorge della tua mancanza sarai di nuovo nei guai, questa volta lo
riferirà ai tuoi genitori!”
“Ne saranno alquanto lieti dunque, è l’unica notizia che
vogliono costantemente sentirsi dire per auto convincersi di quanto hanno fatto
bene a confinarmi qui!” accertò lei con noncuranza, scrollando le spalle, dando nel
frattempo ad Immi il segnale di muoversi, ma la cavalla non ubbidì, protestò
invece con un degente nitrito.
La creatura
anch’ella divina prese ad incepparsi su i suoi stessi passi: tentennò per pochi
centimetri, quasi inciampò ed infine prese a zoppicare con estrema fatica, non
era in grado di camminare, ancor meno di partire in corsa, eppure tentò in tutti
i modi di contentare la padroncina. Celia vi rinunciò, la ricondusse subito nel
rispettivo box e col petto ancor più gonfio di apprensione si precipitò insieme
alla compagna dal maggior esperto in materia della zona: Andrew.
La scaltra cavalla
riuscì perfettamente a mentire a chi meglio la conosceva al mondo, continuò a
recitare finché non rimase del tutto sola, una volta che attorno a lei vi fu
soltanto desolazione, lasciò ricadere il finto drappo di patimento inscenato sin
ora, e si lanciò al galoppo in direzione del porto, come mai prima dall’ora,
volta a raggiungere il prima possibile il vile fuggitivo scampato nuovamente da
quel luogo di reclusione.
Si spostava alla
velocità d’un spiro d vento, nessun mortale poteva esser in grado di vederla,
nemmeno la sua prossima vittima che ella rinvenne tra la boscaglia confinante
con la scogliera.
Gli passò accanto
fulminea, sbalestrando la sua andatura veloce e restia. Il garzone rimase per un
attimo scosso, poi appena riprese a camminare si trovò il sentiero sbarrato dal
muso incollerito della divina destriera.
“Oh! …Eh, salve
bel cavallino” porse il proprio saluto sorpreso.
Immi non replicò
altrettanto cortese, al contrario continuò a farlo arretrare sfidante.
“Caaalma, a
cuccia… Non te la sarai presa per quell’amichevole pacca innocente, vero?!” rise nervosamente sempre più impelagato.
La cavalla cabrò
sulle zampe posteriori atterrando il malcapitato mortale, ora il malfattore
doveva per forza darle ascolto se voleva scampo.
“D’accordo, te la
sei presa –appurò angosciato, costretto a terra- Ma
merito di esser calpestato per questo??” implorò
speranzoso.
Immi pensò allora
di dargli un piccolo ispiro scostandosi leggermente, mantenendo tuttavia la
guardia, ma come lo fece il strisciante predone sgattaiolò via tentando di
riprendere la fuga, sventata subito dai robusti denti della “belva” che lo
afferrarono prontamente per i calzoni.
“Molla l’osso
stupido equino puzzolente!!” imprecò strattonando con
forza il drappo dal lato opposto, finché la cavalla non ebbe la meglio ed uno
strappo secco lasciò Leonard a biancheria in vista.
“Dannazione,
guarda cosa hai fatto!” digrignò risentito.
La colpevole
apparve molto soddisfatta del lavoro svolto invece.
“E’ stata quella
mezza matta della tua padrona ad insegnarti questi scherzetti di pessimo
gusto?!” accentuò raccogliendo il drappo strappato,
sputacchiato in fare sprezzante da Immi.
La cavalla rispose
ciondolando il muso in segno di negazione, lasciando Leonard
attonito.
“Cosa significa, tu capisci quello che
dico?!” questa volta la risposta di Immi fu un sì.
“Follia…”
commentò sbalordito.
“Perché sei ancora qui, cosa vuoi da me?” domandò renitente, vedendo che l’animale dopo lo sgarbo non
accennava ad allontanarsi. Immi allora gli porse una busta chiara con un marchio
dorato raffigurate una S, chiusa da una spiccante ceralacca vermiglia.
Attraverso dei mugugni lo esortò ad aprirla e all’interno il pirata vi trovò un
invito ufficiale per il gran ballo “…Che si terrà l’ultimo giorno di Giugno al Collegio Seward
di Faimouth. Ma neanche per sogno!” sbottò dopo aver letto tutto attentamente, respingendo la
richiesta.
Immi strabuzzò gli
occhi, doveva farlo soprattutto per lei!! In protesta calpestò il piede del
mortale, portandolo ad acconsentire saltellando sgraziatamente dinanzi a lei,
tenendosi il piede malandato.
“E, dimmi. Non
sono un professore, un parente, ne un amico ben accetto, un servo, ne un
pretendente dovizioso in cerca di carne fresca, come pensi che io possa
parteciparvi munito solo di questo pezzo di carta?!”
predispose con una nota irritata.
A questo la
cavalla aveva già pensato: quel giorno non si portò dietro solo il prestigioso
invito…
-
Through the mirror (Attraverso lo specchio)
Poche ore
all’inizio della grande farsa.
L’ansia di
quell’atmosfera elettrica era palpabile, ma a sua volta intrisa a fondo di mille
altri sapori e profumi: le pietanze sui vassoi del buffet, le decorazioni
floreali del gran giardino, allestito a nozze da un’ampia pista da ballo in
parquet rossiccio, un’impalcatura per l’orchestra, occupata da ore a far le
prove, incorniciata da una necropoli di panchine bianche, più simili a lapidi
con sovra incisi i nomi delle allieve, destinate tristemente ad essere
cancellate da quel luogo per iniziare una nuova vita, se possibile migliore.
Era quella l’idea
pervenuta da Celia, vedeva quel grande allestimento come la vigilia d’una iniqua
condanna a morte, mentre le sue compagne cinguettavano ignare da una stanza
all’altra per compiere gli ultimi preparativi. Lei se ne stava inerme, dinanzi
la finestra, con la tenda appena scostata, a comporre irregolari cerchi di fiato
per poi scrivere sul vetro, ancora incredula di poter respirare come i suoi
amati esseri umani. Portava indosso il suo abito ceruleo da camera, era
seriamente intenzionata ad essere l’ultima a prendervi parte in quella messa in
scena.
Cercava di non
soffermare l’attenzione a lungo su nulla, voleva dimenticare tutto, la notte
stessa, appena sorte le stelle, quando nasce il chiaro di luna.
“Non vi siete
ancora abbigliata?!?” l’acuto timbro della governante,
irrotta senza preavviso nella stanza la fece rinvenire brutalmente dai suoi
mesti pensieri.
“Ma…Lady
Wilson!! –gracchiò stizzita- Fatelo
all’i-s-t-a-n-t-e –scandì bellicosa- ripasserò qui
tra mezz’ora precisa! In quanto allieva maggiormente perdura all'interno del
collegio, dovete occuparvi di accogliere, se vi è fattibile con calura, le nuove
aspiranti allieve, questa sera giunte apposta per prendere visione del luogo in
compagnia dei genitori” comunicò gracida come solo un
altoparlante rotto sa fare. Il tupé corvino della sua capigliatura severa poi la
faceva propriamente somigliare ad un microfono. Ancora non le perdonava
l’assidua frequentazione di quel sopruso garzone spesso girovagante nei
dintorni.
Neppure attese un accenno assertivo, si dileguò come la sua
venuta, Celia percepì di nuovo quel stridere pochi metri più avanti, nel vano
tentativo di alleviare l’eccessiva enfasi di alcune allieve infervorate dal
grande evento, “secondo l’etichetta…” come
l’amplificatore amava ripetere fin la nausea.
Cosa vi trovavano
in cotanto spreco di vivacità? La prospettiva di indossare due metri di stoffa
ben cucita ed incontrare un centinaio di uomini tutti in una sera, in modo da
non ricordarne nemmeno un nome?
Possibile che non
sapevano di dover solo pazientare, attendere, portare più fiducia nell’amore,
anziché forzarlo drasticamente in quel modo così retrogrado e combinato.
Lei stessa era una
prova, un emblema che quella speranza prima o poi viene sempre ascoltata. Per
incontrare Leonard le bastò rincorrere la sua libertà in riva al mare, in sella
ad un paio di ali munite di criniera punk e zoccoli, perché venisse come
folgorata da un lampo e scaraventata in una tempesta di sogni.
La serata sarebbe iniziata di lì a poco, non vi erano
ancora ne invitati ne accogliti, ma una carrozza già si dirigeva segretamente
verso il Collegio, lanciata a tutto gas, forse appositamente, per quelle
strade vorticose.
Attraversò il viale a gran velocità, innalzando intorno a
se polvere e ciottoli; del suo passaggio rimanevano solo tracce appena accennate
di zoccoli, così veloci da non sfiorare quasi il terreno, e solchi nel sentiero
fangoso per lo sfarzoso peso della cabina passeggeri fissata al rimorchio, dalla
quale provenivano urla colleriche di protesta, somiglianti a “APPENA ESCO FUORI DI QUI TI FACCIO DIVENTARE UNA BISTECCA
SUCCULENTA, STUPIDISSIMO CAVALLO!!!”
A comando di quel veicolo: nessuno. Solo un’aitante
cavalla
Haflingher determinata a rivedere la sua amata padroncina sorridere, e se doveva
essere per merito di quello screanzato predone narciso, che sia!
Si
occupò personalmente di passare a prendere Cenerentolo quella sera. Egli appena la vide arrivare tentò invano la
fuga, poiché già consapevole delle sue intenzioni, ma Immi partì subito
all’inseguimento e quando gli fu accanto con il cocchio, il giovine in corsa
fece appena in tempo a ravvisare due paia di braccia che lo trascinarono all’interno della
cabina passeggeri, e finire mezzo soffocato da un tulle rosa fiori di pesco.
L’aneddoto più
singolare fu l’abitacolo interamente vuoto, salvo considerare l’orrendo abito
femminile roseo che la cavalla gli aveva proposto d’indossare al ballo, e da cui
stava per essere asfissiato, come un secondo ingombrante “passeggero”. Chi era
stato dunque ad acciuffarlo?
Il tragitto fino
al collegio fu una centrifuga impazzita, Immi instancabile, determinata a non
fermarsi finché non fossero giunti a destinazione, qualunque cosa accadesse,
rallentò solo al “traguardo”, nel luogo in cui il suo piano avrebbe avuto
compimento.
Per Leonard
Wallace il mondo finì di ruotare turbinosamente in quell’istante: la portiera
del cocchio, fino ad allora bloccata, sì aprì con uno scatto meccanico e lui
crollò a terra nauseato, trattenendo a stento un rigurgito, rimembrando con
rimpianto le terribili tempeste in mare a confronto.
Non ebbe neppure
la forza di rialzarsi, si sentì solo trascinare di peso nella semi-incoscienza
in un ambiente chiuso, riconosciuto, una volta rinvenuto, come la camera da
letto in cui un tempo, a lui parso quanto quello di tutta una vita, aveva
trascorso più d’un mese segregato nel letto.
Avvertiva il
proprio corpo abbandonato in posa sospesa, ma ancora non comprese dove fosse
stato riposto.
Soltanto dopo una
manciata di istanti, quando il capo smise di roteare, sollevò la fronte
abbandonata all’indietro e la prima immagine che vide fu il riflesso scosceso
del proprio viso, mentre sedeva scompostamente sulla poltroncina imbottita, al
cospetto d’una vasta specchiera.
Contemplò ogni
dettaglio del proprio viso verdognolo per la nausea, inorridito dall’aspetto
scombinato in cui si trovava, domandandosi nel frattempo cosa ci facesse lì.
Sapeva della sua rapitrice, ma Immi non poteva averlo anche riposto fino a dove
si trovava.
I suoi dubbi vennero disciolti subito da un vocio
femminile, piuttosto spazientito, che fu incapace di vedere, proveniente dal
fondo della stanza, il quale lo fece dapprima sobbalzare: “Per Zeus, quanto
pesa quell’ammasso di carne e ossa, accidenti!”
“Non
imprecare Nyx, non sta bene! –ammonì una seconda, dalla
melodia più armoniosa- E poi ti ricordo
che stai nominando mio padre” dissentì risentita.
“Come puoi
sapere che è lui, Afrodite? Credevo che tuo padre fosse Urano (personificazione del cielo NdA).
Convochi uno, l’altro o entrambi solo per i tuoi comodi!” rimproverò la prima altezzosa. (questo perché l’origine della Dea Afrodite secondo la
mitologia è dubbia tra Zeus e Urano appunto)
“Perché tu
lo sai invece?!” sfidò in seguito all’avvisaglia,
cancellando il proprio timbro armonico.
“Certo –marcò la più cupa- esisto da molto prima di te!” (Anche se altre interpretazioni sostengono che Afrodite sia
la prima di tutte le divinità NdA)
“E con
ciò?” beffeggiò la più giovane.
“Significa
che sono più immortale di quanto credi” sostenne la
sediziosa.
“Semmai è
l’Amore ad essere eterno, la Notte vede la propria morte ad ogni venuta
d’Apollo!” incentivò la seconda, riacquistando
eufonia.
Di cosa
stavano discutendo con cotanta enfasi quelle voci? -si chiese il pirata- pareva
d’essere al cospetto di due fuori di senno.
“Mai
riunire delle divinità tanto difformi, aveva ragione Ermes (il messaggero degli Dei, quasi l’sms fatto a divinità ^^
lol NdA) a dirmi così!” rilevò la prima voce
sconsolata.
“Da quando,
proprio tu, dai ascolto a quel piccione viaggiatore?!”
“Basta così
Afrodite, non siamo qui per bisticciare. Abbiamo una missione!”definì Nyx temperante.
“Credevo
che tu essendo stata creata per prima sapessi già tutto, e potessi fare
altrettanto con le tue sole forze…” replicò la Dea
della Bellezza in cantilena vilipesa.
“Ho bisogno
del tuo sciocco animo sentimentale” ammise
l’incarnazione della notte terrestre con notevole sforzo, quasi dovendola
supplicare.
“Oh, bhe.
Allora è diverso! Molto bene, chi devo far innamorare?” domandò la bella entusiasta, riavvalendosi del suo carisma
amorevole.
“Non si
tratta di questo, sono già innamorati… -proferì Nyx in
tono più mielato- solo, dobbiamo fare in modo di coronare questo loro
amore!”
Afrodite
obliò il bagliore splendente del suo sorriso, conservandolo solo nel contorno
dei suoi occhi turchini.
“Stai
parlando di… Sogno, non è così?!” azzardò consapevole,
leggendolo nel limpido della sua anima immortale.
Probabilmente così dicendo risvegliò l’attenzione sperduta
dell’altra Dea, nonostante ella non ebbe il temperamento eversivo di
risponderle.
Leonard,
ancora privo della cognizione, ma incuriosito dall’inusuale scambio di
asserzioni, inclinò maggiormente la poltrona su cui risiedeva, per portarsi ad
esser più vicino ed udire meglio.
“Si vede da
come ti sta a cuore, sai? –definì compiaciuta d’averla
colta nel segno- E’ scritto lì e nel tuo
grembo di madre, dove è cristallino quanto il vero che tu non l’hai cacciata
dall’Olimpo degli Dei per spietatezza, ma poiché sapevi che meritava di meglio
di quel falso antro elevato al firmamento” ora riusciva
a comprendere molte cose.
“Orbene!! –esclamò la propagatrice
d’amore incassando il consenso - Chi sarà
il favorito dalla sorte per codesta fanciulla?
Abseo…Cisseo…Odisseo…Teseo…Perseo?? ” (nomi di eroi/personaggi celebri della Mitologia Greca
NdA) enumerò infervorata.
“…Cosa ne
dici di qualcuno che in questa epoca sia ancora vivo?!? –sbottò Nyx adirata- e poi chi sono tutti questi seo??”
“Ah,
nessuno di loro? –domandò Afrodite ingenuamente-
Bhe, ecco, io li vedevo come dei buoni partiti –attestò
fiera- E dunque chi mai sarebbe… Oh! Vuoi dire il mortale…?”
Al suono di
quella domanda, un sostegno anteriore della poltrona slittò sul pavimento ligneo
di parquet, e il mortale in questione cadde pesantemente a terra, attutendo
questa volta il ruzzolone con l’imbottitura del seggio.
Riaperti
gli occhi vide sbucare dai tendaggi dell’improvvisato letto a baldacchino una
fluida chioma, bruna quanto l’ebano, ed una seconda riccioluta color dell’oro.
“Sei sicura
che tua figlia abbia scelto proprio lui, com’è successo?” domandò insicura Afrodite.
“Non chiederlo a me, è TUO figlio che si diletta con le
frecce!” (riferita a Eros NdA) replicò la
Notte alterata.
In pochi
istanti lo raggiunsero fino a sovrastarlo e Leonard poté ammirare da vicino la
loro esotica beltà: una mora che pareva provenire senza indugi dalle mani
tormentate di Michelangelo e dalla tavolozza di Raffaello, la sua candida veste
riportava ogni colore conosciuto dall’uomo, ma allo stesso tempo lasciava
trasparire i tratti essenziali di una corporatura suadente.
Al suo fianco un breve raggio di sole dalla pelle di
porcellana e le labbra di rosa, la quale mostrava un sorriso radioso mormorando
intenerita “Povero mortaluccio, guarda quant’è indifeso, aiutami a
rialzarlo Nyx!”
“Fammi il favore di risparmiarmi certi accorgimenti
svenevoli!” brontolò nel frattempo la più corrucciata
obbedendole.
Senza la minima fatica fu riportato alla posa iniziale con
tanto di poltrona a seguito, chissà come potevano quelle due esili figure averlo
sollevato con tanta facilità e senza essersi quasi avvicinate.
“Ogni
qualvolta mi ritrovo qui è sempre per merito di qualche bella donzella –attestò l’ex vicecomandante piacevolmente sorpreso- e
sono lieto di constatare che di recente il numero è aumentato. Deve proprio
essere la vostra serata fortunata per avermi qui, ragazze!” ostentò tronfio nel rivolgersi ad entrambe con una smorfia
sagace.
Il suo malizioso tentativo ebbe però come esito solo un
risolino divertito della Dea dell’amore: “Hai visto Nyx, è pure simpatico!”
“Come
no…-commentò istrionica- Vediamo di fare come ti
ho detto e di sbrigarci anche, forza! Rimane poco tempo!!” esortò con rasoio e schiuma da barba alla mano, portandosi
subito all’azione.
“…Cosa intende dire?” domandò il burlone nel rivolgendosi alla più radiosa,
stranito dall’affermazione della bella bruna. Nel medesimo istante Nyx si
riavvicinò accerchiandogli il collo con una lunga mantella e un’acuminata
lama.
“ASPETTI, aspetti… Si fermi, la prego!! –supplicò il malfattore pensando al peggio-
Non era mia intenzione sembrare sgarbato
prima, le chiedo perdono, ma non…” il suo implorare
s’acquietò da se quando, ignorando i piagnistei, l’incarnazione della Notte
iniziò a stendergli sul viso una schiuma biancastra.
“Significa
che dobbiamo levarti questa barba puntigliosa dal viso se vogliamo farti
somigliare ad una donna vera, mio caro!” puntualizzò
l’amorevole Afrodite, passando un dito lungo il suo mento, prima di scomparirgli
alle spalle per attrezzarsi a propria volta.
“Cooome,
sono qui per questo? –contestò atterrito- E’ stato
il cavallo a dirvelo?? –s’agitò sul seggio,
cospargendosi così la schiuma da rasatura in mano a Nyx perfino dentro il
naso- Allora non sono pazzo… -mormorò
risollevato- Parla anche con voi…!”
“Certo, è
stata di Immi l’idea di farti accedere al ballo!” assicurò la dama dai capelli d’oro ondeggiando per tutta la
stanza.
“Vi
dispiace ripetere??” squittì sempre più vilipeso
“Non è mia intenzione parteciparvi, non
ne ho alcun motivo!” sostenne ritroso.
“Ci andrai eccome fifone, ci risulta che tu abbia qualcosa
in sospeso e devi risolvere qui!”
“Nyx, cosa
devo procurarti, dunque, per esser d’aiuto?” la
interruppe la divinità della Bellezza a gran voce, da qualche angolo remoto
della stanza da letto.
“Vediamo… -rifletté pensierosa
scrutando il mortale frastornato- ogni tipo di belletto che riesci a trovare, sapone, mooolto
sapone! Una parrucca bruna, ciglia finte, un corsetto e… cera calda per
depilazione…”concluse ripugnata, intravedendo la peluria rigogliosa, sbucante da
maniche e colletto della camicia.
La vittima
rabbrividì. “Io sono pienamente contrario
a tutto questo!!!” sbraitò oltraggiato, sapendo di non
potersi imporre.
“Nessuno ha
chiesto il tuo consenso –delineò la mora in accento
mordace- Se la ceretta ti atterrisce
cotanto, in alternativa abbiamo Immi, che può strapparti quei crini uno ad uno
coi denti…” spronò fingendo
magnanimo.
“N-No…
credo preferirò la cera bollente!” annunciò sempre più
terrorizzato, delineando un sorriso sghembo poiché già pregustante il
dolore.
“Ottima
scelta!” replicò lei dandogli una lieve pacca sulla spalla.
“…Ci conosciamo per caso? Ho come l’impressione di
averti già vista…”conversò Leonard, cercando allo
stesso tempo di decifrare quel sguardo zaffiro profondamente enigmatico
attraverso lo specchio.
Nyx,
aleggiandogli attorno, rivolse lui dapprima un sorriso beffardo ed
interrogativo. Non discendeva mai sulla terra, le faceva ribrezzo quel luogo
dove la vita era tanto breve, passeggera, spesso fatta di finzione e falsi
inganni, non era interessata alle dirompenti passioni di cui Sogno tanto parlava
prima di farne la sua eterna dimora.
Preferiva osservare tutto da lassù, con i suoi occhi severi
e rigidi sulle proprie convinzioni.
Poi, la sua attenzione ricadde su degli arredi sparsi per
quell’antro, mai ravvisati prima d’allora; e in quegli insoliti oggetti,
all’apparenza provi di alcun valore, rivide da vicino la sua bambina, la gioia,
l’allegria, la spensieratezza che la contraddistingueva pur essendo una divinità
notturna, e l’immenso coraggio d’una creatura tanto piccola, ma già munita della
forza e la determinazione di opporsi al volere di tutti gli Dei, per ottenere
qualcosa che ora, un poco smarrita, non aveva il vigore di raggiungere, e per
questo non poteva più esser lasciata sola. “Nei tuoi sogni…forse!” mormorò infine quella donna misteriosa, rimostrandosi
commossa, pensando a come quello strano mortale potesse aver rivisto gli occhi
di Sogno contemplarlo nei suoi.
“Ed ora, se
non vuoi ritrovarti la gola sgozzata… - preannunciò
ricomposta, innalzando il rasoio sotto il suo sguardo
perturbato- ti consiglierei di STARE IMMOBILE!”
-
Appena varcò le porte del collegio
di Faithmount, Celia venne avvolta in una confortante mantella d’aria notturna,
fatta di brevi stridi dei grilli in lontananza, un presepe di lumi di candela,
l’assopente umidità della sera, e un velo di mistero che da sempre ammalia i
mortali, ma lei riconosceva semplicemente come casa.
Rivolse uno sguardo supplichevole
al cielo, una muta richiesta d’aiuto che sperava sempre di ricevere e non si
avverava mai, eccetto per l’appunto quel giorno, ma non poteva ancora saperlo.
Dopo il solito responso, ribassò gli occhi in lacrime, prese i lembi laterali
del vestito, indossato malamente, per di più in tutta fretta, e col rigido passo
cerimoniale che l’era stato insegnato, iniziò a discendere lentamente la
scalinata.
Davanti a lei, invece, il tubino
stretto dalla marcia scattante che fasciava l’aspide governante Twetty, la quale
pur essendo già immersa nell’ondata di ospiti, non si degnava di rilassare la
sua espressione severa in un amichevole sorriso di benvenuto per nessuno.
“Molto bene, Lady Wilson –accertò
guardandosi intorno, quando Celia le fu accanto- ora incediamo come
precedentemente accordato… Levatevi subito quei laici brillanti dai capelli,
pare vi sia piovuto sulla chioma!!!”raccomandò
rimproverandola prima di farsi avanti ad una comitiva di pomposi
aristocratici.
Non erano veri brillanti come la
vipera pensava, ma frammenti di roccia cosmica, solitamente visibili in Sogno la
notte, quando le permettevano di trasformarsi in una sorta di luminosa stella, e
allo stesso tempo capaci di spegnersi per sempre se la Dea non fosse stata più
in grado di farli risplendere tramite un’emozione potente venuta dal cuore.
“Permettete che vi presenti… -interruppe il microfono puntato ad alti toni il brusio
creato dalla conversazione sofisticata dei gran signori - Miss Celia
Wilson, l’allieva su cui mi sono pronunziata” l’annunciò prostrando avanti quel viso infelice, riflesso
ancor di più nell’antro di assoluto buio dato dal suo abito nero.
“Quale onore presidiare al vostro cospetto, Miss –commentò il più corpulento di loro, stupito dalla
meraviglia di quella figura ultraterrena, ricevendo in risposta solo un cordiale
inchino- la signorina Twetty dice che qui sono molto fieri di voi- diede inizio ad un colloquio rimasto privo di risposte-
Ebbene… Diteci, posso affidare a questo luogo la mia bambina
prediletta?” richiese affrettato, dopo istanti di
imbarazzante silenzio, cingendo teneramente la figlia posta al suo fianco.
Nel guardare quel gioioso viso
infante, leggermente ostacolato dalla coppa di vino agitata in aria con euforia
dal pallido nobile ora tinteggiato su gote e naso di porpora, Sogno rivide un
po’ di se stessa, come era prima di tutto questo, di cosa l’avevano privata col
tempo.
Alla seguente questione, tutti nel
circondario aguzzarono incuriositi l’udito, Mrs. Twetty in particolare.
Come succedeva da sempre a Celia,
le persone di alto rango non potevano fare a meno di metterla continuamente alla
prova. Si prese un istante prima di rispondere, per fissare nella mente la
figura a cui aveva appena assistito, rimembrare le poche del suo passato,
confrontarle con quelle di un mondo aldilà che non
era più suo, riprovare miriadi di sensazioni strazianti che un tempo stavano per
uccidere strangolata persino lei, una Dea alla quale la morte non è concessa.
Poi entrò in azione un sentimento mai provato, del quale la divinità dei Sogni
aveva spesso sentito parlare, ma mai messo in atto, una di quelle emozioni che
animano guerre, lotte e persino amori; una sensazione che il suo stesso amore le
aveva insegnato, Leonard le diceva spesso: “La vendetta non cambia il mondo
tesoro, e spesso non fa bene a nessuno, se non a te. Almeno per attimo…”
Inghiottì a fatica fino all’ultimo
rospo e poi, decisa, si ribellò anche all’ultima catena: “Se intendete
recludere la vostra amata figlia in una prigione dorata… Fate pure! Dovete solo
firmare il modulo, proprio qui” definì scialba, con una
intonazione schernitrice ed alterata, indicando precisamente al signorotto, sul
foglio di carta in mano alla governante, il punto a cui si riferiva.
Il comportamento della fanciulla
sollevò nei nobili all’ascolto versi di stupore e sdegno, ma a Celia non
importò, si congedò aggraziata, prima di intraprendere la via della fuga il più
velocemente possibile.
-
Il corridoio dei dormitori era del
tutto disertato, lo abitavano solo le candele, vasti specchi, tavolini di
cristallo ornati a puntino di fioriti centritavola, e una insolita figura rosea
barcollante, lamentosa e pienamente sorretta alla parete per evitare la rovinosa
caduta sul pavimento, cosa già successa almeno una decina di volte.
“Più dritto con la schiena, Leonard. Una signora non
camminerebbe così! E poi rischi di inciampare nel vestito” redarguiva Afrodite, improvvisatasi maestra di posa,
vedendo il proprio allievo torto in avanti dal dolore. Con la propria singolare
persuasione di Dea era riuscita a convincerlo in tutto per farlo divenire una
dama provetta, ma per renderlo credibile la strada era ancora lunga e
tortuosa.
“Era proprio necessario il corsetto?? Come fate voi donne a
portarlo?!? Ditemi! –si lagnò ansando- Tutto
questo dannato trucco poi, mi sta uccidendo, brucia quanto l’inferno!” maledisse tentando di avvicinarsi agli occhi per levarsene
via almeno un poco.
“Ah, ah, ah! – intonò scacciando
quella mano- Non provare a toccarti il viso per nessun motivo!! E adesso,
da capo: Passo destro, anca a destra, sinistro, anca a sinistra, ti fermi e
riprendi…” cantilenò mimando le movenze femminili che
il poveretto avrebbe dovuto imparare nel giro di pochi minuti.
“Time out, la prego… -implorò
estenuato- Respiro a malapena –vittimizzò- ho
addosso almeno dieci chili di tulle color pesca –riconobbe schifato- in testa una parrucca che ne
peserà almeno altri cinque, un centimetro di belletto caustico in viso, questi
ricci boccolosi mi ingrassano! … e come se non bastasse qui è praticamente buio,
non vedo nemmeno dove metto i piedi!”
Persino alla Dea dell’Amore sfuggì
il pensiero che quel bell’imbusto alto e posato se portato in circostanza
critica si calava alla pari di una adolescente isterica.
“Nyx…” disse poi la Dea della
Bellezza in cadenza di rimprovero.
Dalle tenebre si innalzò una
risatina divertita, anticipante il ritorno della luce a lume di candela nel
varco.
“Fuori è molto buio, dovrà muoversi nelle medesime
condizioni, volevo abituarlo meglio!” giustificò
angelica la sua bravata.
“Al posto di lamentarti, ringrazia che non devi indossare i
tacchi, ma abbiamo approvato i tuoi stivali, Lea
!” lo schernì altezzosa, ricevendo in risposta solo una
saetta truce dallo sguardo del mortale, troppo occupato a riprendere fiato per
parlare.
-
-
With ring or in chest
Il pergolato del collegio, dove vi si recavano gli ospiti
all’accoglienza, venne colto da uno stupore generale, tra le bocche pettegole di
quei nobiluomini si espanse subito una maldicenza crudele riguardo un’allieva
dal fare libero e con una lingua troppo lunga che tutti ora osservavano in lieve
disprezzo, a distanza, mentre si allontanava confondendosi nel buio.
La governante abbrancò il suo polso come una tenaglia per
bestie feroci e la trainò a forza nell’ufficio del direttore, tra mille
rimproveri a cui la giovine non dava più alcuno ascolto. Avvertiva solo quella
cantilena inorridita rimbalzare tra le pareti dei corridoi ed echeggiarle nella
mente.
La fece sedere su di una poltrona
con un “Non osate muovervi da qui”, sola, al
cospetto della pedantesca scrivania or vuota del principale, dove, con le mani
raccolte nel ventre, attese la sentenza.
Nonostante lo sguardo chino, Celia avvertì avvicinarsi poco
dopo una sagoma pesante e voluminosa, certamente dissimile dall’esile
corporatura del becchino.
Sollevò il mento incuriosita e scorse Mrs. Martines Seward,
la corpulenta consorte del direttore, per l’occasione sciorinante tutta la sua
regalità: i pendenti di cristallo purissimo tintinnarono rumorosamente mentre
soggiaceva la sua stazza voluminosa, ancor più accentuata dall’ampiezza del
vestito, verde dorato e quasi con vita propria dato che i suoi drappeggi si
muovevano continuamente, per il vento, una sottile movenza o il lardo che sotto
vi stava, in contrasto con il viso lunare piuttosto morto, o almeno, il pesante
cerone bianco sfumato sulle guancie carnose di rosa, e il rossetto mattone
rendevano questa idea pagliaccesca.
“Perdonate l’attesa Miss, le scale sono molte da fare! –si scusò ancora accaldata, ricercando sollievo nel
sventolare un registro prima deposto sulla scrivania- per quale motivo è
stato necessario interrompere il mio ottavo giro al buffet?” domandò squadrando l’allieva dai suoi piccoli occhi
infossati.
Celia solitamente era un animo ingenuo, capace di stupirsi
di tutto, ma faccia a faccia con la crudeltà non si fece affatto impressionare:
“Sappiate che non ho alcuna intenzione di scusarmi con quei
tali, non mi sento in colpa, ho solo detto loro la verità!”
“Mi hanno informata della vostra…insolenza –sottolineò
angustiata- Ma ad un provvedimento per questo penseremo dopo, ora abbiamo
ben altro di cui occuparci” annunciò smettendo di sventagliare il registro per
consultarlo.
“Significa… che non volete punirmi?” domandò la fanciulla in
accento stranito.
“Oh, ma certo che lo faremo mia cara! –ribadì divertita
pregustando quel momento autorevole- Più tardi però… Ora, come ti dicevo,
devo informarti d’altro. Stamane mi è giunta una comunicazione dal nostro
ufficio delle entrate: m’informava che i tuoi famigliari non retribuiscono la
tua permanenza qui da almeno tre anni ormai!” proferì cercando
conferma sulla carta, accostando al viso un paio di occhialetti formali da
lettura.
“…Cos-?” riuscì solo a mormorare
turbata.
“Dunque –continuò senza darle modo
di disquisire- il pagamento del primo anno è stato attribuito insieme alla
tua iscrizione al nostro collegio –recitò categorica- Anche per il secondo anno pagamento
delle varie imposte regolare, è stato il medesimo in cui ti hanno inviato quella
cartolina da…?”
“Xuzhou, signora. Era quello il nome della località…Si
trova in Cina” ravvisò cercando nel frattempo di
attendere la disputa della verità restando calma, senza giungere subito a
cattive conclusioni.
“Esatto, e da quel momento in poi non abbiamo più rilevato
alcun contributo da parte loro.” concluse chiudendo di scatto il fascicolo sulla scrivania
lignea, rivolgendo alla giovine un cipiglio colmo di colpevolizzazione.
Una fitta lancinante all’altezza dello stomacò tentò di
piegare la Dea, tremante d’ostruzione e timore.
“I miei genitori… Potrebbero essere ovunque, dispersi da
tre anni e non mi avete mai informata di nulla??” esplicò incredula a
fatica.
Mrs. Martines rimase impassibile al dolore della giovane,
lo ignorò completamente, ritenendo più interessante contemplare il brillante al
suo grasso dito medio, un regalo del marito.
“Siamo piuttosto tediati da questa situazione Miss Wilson,
non conosco le ragioni di tale comportamento da parte dei suoi congiunti… -farfugliò ricercando
compulsivamente nel cassetto della scrivania qualcosa con cui deliziare il
palato- ma al terzo sgarro mi vedo costretta alle maniere forti! –accentuò quel gracidio
battendo un pugno chiuso sul tavolo, che scosse Sogno- Al termine del ballo
di stasera vi consiglio di far ritorno in camera vostra e accumulare nei bagagli
quanta più roba in vostro possesso- suggerì spassionata, recuperando la svilente calma nel suo
tono di voce per via d’un cioccolatino dalla rivestitura sgargiante- Avete a
disposizione un giorno per liberare la vostra stanza –ultimò impastata dal
dolce cacao che le si scioglieva lungo la gola- L’indomani, come ultimo
favore personale, vi ho già accordato un pratico mezzo di trasporto: il lattaio
sarà qui molto presto con la sua carretta, di solito dopo aver fatto visita a
noi si reca al porto, potete domandare a lui…” la ridicolizzò
perturbante leccandosi avara le dita.
“Mi state cacciando? –riconobbe incredula, tutte quelle divulgazioni in una
volta sola le facevano girar la testa- Come, come… Io non ho un altro posto
dove andare al di fuori di questo…” pronunciò in uno
spiro, sentendo nascerle in gola i primi singhiozzi.
“Da domani non sarai più un’allieva di questo collegio,
perciò, per quanto mi riguarda, ora è un tuo problema. Credo di aver già fatto abbastanza per
te! –si trasse pulita dall’impiccio, sollevandosi
faticosamente dalla poltrona per andarsene- ti consiglio di goderti il ballo
e non pensarci per stasera, avrai tutto domani per farlo, au revoir !” (arrivederci in francese, una delle lingue più in voga
nella nobiltà del tempo) la salutò maligna
agitando la mano, dilettandosi dei singhiozzi dell’esaminata, boccheggiante e
smarrita, ridotta a due occhi sbarrati, vuoti, caduti nell’oblio.
“In alternativa, non so, potresti scendere in giardino e
trovarti uno sciocco ricco marito!” suggerì minimizzante
spiando dalla finestra l’andamento della serata.
“Ma cosa dite…?!” contestò Celia
con accidie, ricercando con enorme sforzo dentro di se, il vigore di
reagire.
“Così facendo saresti più che sistemata, mi sbaglio? –perpetuò ostile- Avendo appena appurato la tua mancanza
perfino di un tetto sotto cui dormire…”
Uno scampanellio, tintinnio sottile e orchestrale,
proveniente da fuori, estraneo al caotico mattatoio, attrasse l’attenzione di
Celia.
Spalancò ogni senso per dedurne la provenienza, e a poco a
poco si fece più nitido, pressante, si accorse che giungeva da dentro di lei, e
non era proprio un campanello, ma una voce, limpida, seppur dalle parole aspre e
reiteranti: “Gli uomini si odiano, tutti. Trascorrono le loro miseri
brevi vite ad eliminarsi a vicenda, noi Dei dell’Olimpo abbiamo il duro compito
di placare questi istinti. Andando tra loro non farai che divenire tale tu
stessa.”
Quante volte l’aveva sentita? Pressappoco sempre quando
aleggiava lassù e per un istante assunse malgrado pericolosa veridicità, ma allo
stesso modo, venne subito smentita dai resti d’uno spirito profondamente
innamorato di tutto questo, che ancora permaneva in Celia.
No, non tutti sono così… Ogni cosa in se ha del buono, solo
non ci si sforza mai di cercarlo…
Così la fanciulla ritrovò se stessa: nella profondità del
suo medesimo dolore.
“Potete anche scordarvi che io segua i vostri bassi
espedienti, Mrs. Martines!” si contrappose agguerrita,
or consapevole di possedere la forza necessaria all’affronto.
La moglie del direttore agguantò la contesa optando
nell’aggressività per riprendere controllo: “Se non vi è ancora abbastanza chiaro, dolce Miss, l’unico modo per uscire da questo collegio è con
la fede nuziale al dito o nella bara!” predispose scagliandosi ad un centimetro dal viso della
Dea, con le pupille iniettate di sangue, ad un battito di ciglia da quelle
chiuse per metà della sfidante.
“Ed ora, dato che fino alla mezzanotte di oggi siete sotto
la mia tutela, devi recarti al ballo, come di dovere!”
concluse soffocandole il braccio sinistro sotto al suo, mentre l’accompagnava
fuori dall’ufficio.
“Vedi mia cara –proseguì fingendo
cortesia con fare altezzoso- C’è chi nasce per essere un sogno…! –sostenne indicando se stessa con un gesto plateale- e
chi, come te, solo per sognare…-disse rivolta alla
giovine in sdegno- con la tua indole ribelle sei destinata unicamente è
quello!”
E forse per una volta ebbe ragione, seppur Celia fosse
portata per entrambe le cose.
Quasi certamente, il destino della signora, invece, fu
morire della sua stessa cattiveria.
Pink Lady
I mormorii ininterrotti degli invitati al gran ballo si
placarono con un improvviso, sebbene strategico, blackout: i lumi rallegranti il
circondario furono spenti in simultanea, innalzando dapprima altro
sbigottimento, subito sostituito da meraviglia quando l’orchestra diede un
tacito via alle danze, e l’unica fonte di luce furono delle fontane illuminate
da mille colori diversi, ai lati della principale scalinata, dalla quale,
secondo una predisposta scenografia, discesero incantatrici, una ad una, tutte
le allieve dell’istituto, agghindate a festa come muse.
I loro abiti di manifattura propria parvero leggiadri
petali, in procinto di librarsi adagio verso il terreno, guidati dal vento. Un
applauso incantato accolse benevolmente loro, e le rispettive dame di compagnia
a seguito, tra cui faceva la sua apparizione una in particolare, ancor
sprovvista di fanciulla da scortare, la quale dopo montagne di rimproveri, tra
la massa, si muoveva senza più ondeggiare alla pari di un pendolo.
Solo il suo respiro affannoso, mentre discendeva le scale
celandolo come meglio poté con un ampio ventaglio di piume, infastidì
leggermente chi la circondava.
Giunta ai piedi degli scalini, avvertendo le costole
toraciche in procinto di dirompere dall’intricato strumento di tortura,
denominato corsetto dalle signore, si sostenne
ad un basamento marmoreo nel tentativo di riprendere fiato.
“Sembravi un taglialegna in gonnella che scendeva dal suo
mulo!” s’innalzò dall’ombra uno sbuffo, seguito da un
commento supponente.
“Non essere così dura, Nyx! Se l’è cavata bene infondo, per
aver imparato a camminare da gentildonna solo dieci minuti fa…” smentì la dolce voce dell’Amore.
“Grazie… per la chiarezza –ansimò
il taglialegna irritato- …e gli insulti!” disse rivolto a Nyx.
“Di nulla Lea, e ora và, dritta
quella schiena e fai quel che devi!” l’esortò la Notte
sbrigativa, conferendogli una spinta che lo protese definitivamente verso quel
gran macello, ora in visibilio dopo la venuta delle vittime.
Per un momento la confusione lo atterrì, fu come se potesse
assistere da sveglio al naufragio che lo aveva condotto su quella stessa isola,
or fatto di una ondata sconfinata di persone in regale abito da sera, intente a
discutere, mangiare, bere, brindare, flirtare, sussurrarsi segreti
inconfessabili all’orecchio, scambiarsi sguardi superbi, stralunati, sprezzanti,
gioiosi, maliziosi, tutte figure molto composte e tirate, le quali nell’insieme
però creavano il più grande trambusto a cui avesse mai assistito.
Arretrò ricoprendosi il viso delle piume rosee del
flabello, fornitogli dalle rapitrici come scaltro scudo per non essere
riconosciuto, mormorando tra se sperduto “Non ce la posso fare…”
Fu qualcuno d’inaspettato ad intervenire per incoraggiarlo:
l’artefice di tutta la messa in scena, Immi, la quale si materializzò alle sue
spalle e prese a spintonarlo con il muso. Il mortale, dopo essersi trattenuto
dall’inveire contro l’animale, avanzò coraggiosamente verso il palco, luogo in
cui presumeva di rinvenire colei per cui era rimasto in incertezza.
Dapprima ispezionò gli angoli e negli spazi più reconditi,
solo con lo sguardo, sperando di trovarla lì riparata, tentativo irrealizzabile
data l’alta concentrazione di individui; perciò si affidò alla ricerca di un
abito blu, fasciante un esile corpo puerile e dal volto certamente smarrito, in
quel crudele mondo a cui lei apparteneva solo per sbaglio.
Indagine vaga, nulla del genere si soffermò sulla sua
vista, Leonard iniziava ad affogare il nervosismo e la preoccupazione in un
bicchiere di troppo. La musica lo assordava, l’atmosfera calda faceva del suo
abito un aggeggio di tortura ancor meno sopportabile, quella gente lo rendeva
suscettibile, e l’ennesimo bicchiere di Whisky stava per vuotarsi…
ancora.
La sua tensione interiore stava sul serio per divenire…
Un’esplosione.
Accadde proprio questo: un chiassoso boato, nelle vicinanze
delle scale dalle quali erano discese teatralmente tutte le allieve poco prima,
divennero fumo, fuoco, panico, agitazione, urla…
Più tardi, a fuoco domato, i soccorsi riconobbero quel
grande spavento come “un fuoco d’artificio difettoso” riferendosi ad uno di quelli che creavano nelle fontane il
pirotecnico effetto colorato, ma in quel momento, nella mente angustiata del
pirata, passò un’unica preoccupazione: Celia!
Rimboccò velocemente il gonnone di tulle, fino alle
ginocchia, in modo da poter correre, fregandosene se al di sotto si
intravedevano i suoi stivali truffaldini, e si precipitò al fulcro del
terrore.
A metà strada fu costretto a rallentare, il corsetto non
gli dava tregua, e nell’affanno urtò erroneamente un gentiluomo. Costui si
voltò, secondo galateo, senza inorridirsi, ma prestando aiuto alla dama:
“State bene Milady?” domandò
cortese porgendogli una mano.
Lea la rifiutò masticando un’imprecazione, tentando di
riemergere da quella gabbia rosa che per l’ampio volume gli impediva ogni
movimento.
Il gentleman insisté, così il predone fu obbligato ad
esprimere riconoscenza mimando un inchino come tante volte aveva visto,
sfoggiando altresì un mezzo sorriso molto tirato, prima di aggiustare la
parrucca scarmigliata e svignarsela.
“Aspettate! –la bloccò- …È
vostra questa scarpetta?” disse mostrandogli un piccolo
calzare chiaro ritrovato nell’erba, appartenuto presumibilmente a qualche
donzella in fuga dal frastuono.
In risposta, la dama, sollevò discinta la sottana, per far
mostra degli stivali fino al ginocchio irsuto da lei indossati: “No di certo!” chiarì modellando
la propria voce poiché potesse apparire un minimo femminile, lo aveva omesso dal
conto in precedenza, mentre si faceva conciare da donna.
“…Posso sapere almeno il vostro nome?” espresse il galantuomo come unico desiderio, vedendola già
andare via.
“…Leonard…” ringhiò quello al
culmine dell’ira, per liberarsi al più presto del piantagrane.
“Come dite?!” chiese stranito
udendo un vago tono gutturale, augurandosi di aver sentito male.
“…Lea!” si corresse sfoderando la
vocina in farsetto più tenue che poté.
“Oh, immaginavo –commentò
sollevato- Ma, perdonate la mia petulanza, Lea sta per…?”
“per… LEVATI DAI PIEDI!” inveì con
la propria voce profonda, liberandosene del tutto.
A degli occhi comuni, la scena in cui la signora in rosa si
precipitava scompostamente proprio dove tutti in quel momento evitavano di
avvicinarsi, sarebbe parso soltanto balordo, ma ad un altro paio quasi materni,
molto vigili, seppur situati in disparte, parve una condanna a morte certa.
“Oh, no…!” sibilò in stato
d’allerta, mobilitando con uno strattone anche l’altra Dea rimasta con lei.
“Che succede Nyx, hai finalmente avvistato tua figlia per
caso?” domandò Afrodite, volgendo lo sguardo ove la
Notte atterrita guardava.
“No! E’ Leonard, osserva!! Si dirige verso
l’incendio…Dobbiamo fare qualcosa…” predispose in
affanno.
“E cosa, dar fuoco anche a lui per caso? –propose prevedendo la mossa della Divinità notturna-
Sei sempre la solita!” la rimproverò contraria.
“Non intendevo questo, imbecillità amorosa, dobbiamo
fermarlo!! -ingiuriò in agitazione- …Leonard non
deve morire…” sussurrò a voce spezzata.
Ora Afrodite intese al volo.
“Io intervengo, tu prendi gli abiti preparati da Immi e
aspettaci al salice!” stabilì ferma con lo spirito di
una guerra.
Ormai Leonard era ad un passo dalle fiamme, non sentiva i
richiami alle sue spalle di alcuni regali invitati che lo esortavano a stare
indietro, poteva ascoltare solo gli scoppiettii del braciere e fissare timoroso
quelle lingue di fuoco, dove non si augurava di rinvenire colei che stava
cercando; prestò ancor meno attenzione ai lembi della sua ampia gonna catturati
dal fuoco. Dalla folla si innalzò un inspiro di terrore, lo videro spacciato.
In quel momento più nulla poteva salvarlo se non si
risvegliava dall’incanto delle fiamme. A questo però ci pensò la Notte: lo
ghermì con se servendosi delle sue braccia avvolgenti, e il distratto mortale
sparì nel buio.
Si riprese poco dopo, atterrando a terra, quando la vista
gli fu liberata da quelle mani oscure che la ricoprivano, ma non ebbe il tempo
d’intendere dove si trovasse, poiché fu scaraventato con forza contro il tronco
curvo del salice, assalito al collo e da una voce adirata: “Razza di idiota! Volevi forse vedere cosa si prova ad
essere ridotti in cenere??” berciò la sua salvatrice
scagliando il capo dondolante del malfattore contro la corteccia, il quale gli
rimase attaccato al collo grazie all’intervento tempestivo della Dea più bella
dell’Olimpo, oppure quel luogo scelto per la sua riservatezza sarebbe divenuto
la scena di un omicidio.
“Per il labirinto di Teseo –esclamò
sorpresa arrivando alle loro spalle- sei forse impazzita, lascialo! –la esortò in extremis, prima che lo uccidesse per mano
sua- Mai colpire un umano così forte alla testa, rimane in stato
confusionale, come farà a parlare poi?!” sostenne
allontanando le grinfie omicide di Nyx dal collo di Leonard.
“Stai bene, caro?” si assicurò
amorevole, ricevendo in replica un vago mormorio affermativo.
“Splendido! Eccoti dunque i tuoi veri abiti, maschili –specificò mostrandogli una pila di indumenti-
Ora che sei riuscito ad immetterti nella festa, se assumi il tuo vero
aspetto, non ci sarà più nessuno a contestarlo!” sostenne entusiasta, spiegando pantaloni e camicia per
disporli ad essere indossati.
Il compito di sbarazzarsi delle vesti da donna fu di Nyx,
le mise indosso ad una qualsiasi fanciulla della festa, con una capigliatura
simile alla parrucca del travestimento, così da scongiurare chiunque avesse
assistito alla scomparsa nelle fiamme dell’intrepido confetto, e si stesse
chiedendo se fosse sopravvissuta o meno. Poi riapparse al salice poco dopo, con
un panno inumidito per togliere il trucco sul viso di Leonard, decisamente più
calma del principio in seguito allo sfogo, sebbene sempre angustiata.
Il pirata aveva quasi assunto l’aspetto di un gentiluomo
privandosi della parrucca, il belletto e con già indosso i calzoni, ma il
corsetto stretto intorno il suo torace, fremente di tornare a respirare, lo
ridicolizzava ancora un po’.
Nyx si protese dinanzi a lui, occhi fissi, glaciali, nessun
accenno espressivo, impose solo con assetto dispotico: “Petto verso il tronco, ti devo togliere questo groviglio
di lacci” spiegò prendendo mano al corpetto.
Il giovane le voltò le spalle malvolentieri, tossicchiava
ancora per il fumo che poco prima gli stava per avvolgere i polmoni, e si
sostenne all’albero, mentre la Dea armeggiava con il bustino.
In seguito prese la camicia di lino preparata da Afrodite,
quando dal tossicchio provenì un commento: “Poco fa avete dato prova di temere per la mia
incolumità, non credevo di suscitare cotanto interesse in voi!” schernì il predone, profondamente stupito.
Lei inizialmente pensò di non rispondere, l’aveva scoperta
infine, ma era pur sempre una Dea orgogliosa, non poteva mostrarsi vulnerabile:
“E’ gradevole punzecchiarti, ma se io fossi il felino che
abbranca la preda, ovvero te, in cosa consisterebbe il divertimento di quel
predatore poi?!” metaforizzò altezzosa, aiutandolo a
calzare le maniche.
Leonard rise un po’ deluso, aveva davvero a che fare con
l’unica donna che non si rassegnava a subire il suo fascino, e ciò lo metteva
non poco in difficoltà.
Ma un vero pirata sa sempre imbrogliare: “Sembra che per tutta la vita non avete fatto altro che
rivestire uomini…” le disse in piglio malizioso,
voltatosi verso di lei mentre la donna era impegnata con i bottoni.
Se gli occhi di Nyx avessero potuto far rumore, sarebbe
parso poco dissimile dal secco schioppo di una frusta: “Vacci piano o ti riporto tra le fiamme!”
“Fraintendete il mio complimento? –chiese sorpreso, assumendo una maschera innocente-
…Era solo un modo per ringraziarvi –spiegò certo-
anche se non so ancora esattamente in quale modo io sia sparito da lì, come
avete fatto a proposito?”chiese celando la curiosità con
un cipiglio sospettoso.
“Non sarò io a dirtelo!” rispose
compiaciuta pensando invece a Sogno, mentre sistemava il colletto della elegante
giacca appena fatta indossare al giovine.
“E chi lo farà, la signora bionda?” domandò indicando Afrodite.
“Sì, è bionda a sua volta, ma non mi riferisco a lei- indiziò rimanendo nel mistero, Leonard pertanto considerò
che al momento l’importante era non riportare qualche grave ustione ed essersi
liberato del corsetto - …Come sta?” cercò di
cambiare discorso mostrando la preda alla sua
complice divina di quella serata.
Afrodite parse per un attimo una di quelle zie alla lontana
che quando rivedi dopo tanto tempo esplodono letteralmente in fragori di gioia,
ti soffocano di svenevolezze e distruggono i tuoi zigomi da quanto li pizzicano
con insistenza, mentre parlano a monosillabi, quasi fossi ancora un bambino.
“Perfetto, meraviglioso! Meraviglioso! –ripeté entusiasta per l’ennesima volta-Ti manca solo
un dettaglio…” precisò attenta, annodando a fiocco
attorno al suo collo una sorta di sciarpa bianca, come dettava il cliché del
momento.
“Fatto, adesso sei impeccabile! Puoi andare, corri, và!” lo incitò di fretta, indicandogli il retro dell’edificio da
cui proveniva la musica incalzante del gran ballo.
“…E dove? Non ho ancora ben inteso cosa pretendete da me” domandò lui un poco disorientato.
“Ma come, alla festa! In qual altro luogo altrimenti?! E’
lì che hai un conto in sospeso e la possibilità di chiarirlo” dispose come sempre divertita da quel singolare
mortale.
Leo già in lontananza annuì col capo, seppur ancora in
dubbio.
“…Aspetta…!” compiuto qualche passo
fu trattenuto da una voce più vicina di quanto immaginasse.
Proiettatosi verso di essa rivide ancora una volta Nyx, si
domandò per un attimo come l’avesse raggiunto in un solo battito di ciglia,
tuttavia ciò che lo colpì di più fu l’aspetto della donna, gli parve estranea,
tutt’altra persona: era sollevata, il volto e le mani luminosi, come rischiarati
da una candela, seppur non vi fosse alcun lume nelle vicinanze, le sue iridi
chiare contornate di un anello più scuro divennero trasparenti e timide, non più
sfrontate quanto in precedenza.
Nei palmi celava protettiva qualcosa, ne fece mostra senza
una parola, si trattava della una corolla bianca di un fiore: una gardenia.
L’appuntò con riguardo e delicatezza alla giacca del
ragazzo mascherato da gentleman, a mo di spilla, bisbigliando solo
“Tieni… Lei adora questi fiori!”
Egli non si tirò indietro, ma ne rimase piuttosto
estraniato: “Lei chi?”
Non ricevette alcuna risposta, se non in termini
silenziosi, la Notte si limitò a sollevare lo sguardo e sorridergli, il sorriso
che finalmente gli fece ricordare dove lo aveva già veduto.
“…Celia?” domandò incerto,
scorgendo in lei quel lezio ampliarsi ancor di più, sino a perdere del tutto la
sua corazza algida e finire per ritrovarsi ad abbracciarlo, lasciandolo
stupefatto, sussurrandogli appena: “Aprile il tuo cuore, Leonard. Buona
fortuna!” prima di allontanarsi, diretta a disperdersi
nel buio.
“…Sei sua sorella?” azzardò ad alta
voce prima di perderla di vista.
“Non proprio” fu l’unica risposta
divertita che udì risuonare nel buio.
-
Come with me
“Mi concedete questo valzer Milady?”
“Oh, certo, con sommo piacere!”
Questa e altre decine di proposte simili, volendo più
indecenti, aleggiavano nell’aria di quella farsa, vista più alla pari d’un
evento mondano che festa da ballo.
Inizialmente si trattava di quesiti così semplici,
incolpevoli: un complimento sul vestito, primo drink, il baciamano, un cocktail,
passeggiata romantica al chiaro di luna lungo il poggiolo, seguita dal secondo
drink, poi il terzo, quarto, quinto, ennesimo brindisi e per finire fidanzamento
ufficiale, con tanto di contratto matrimoniale in cui si specificava, a
caratteri opportunamente illeggibili, che ogni bene apparteneva esclusivamente
allo sposo, il tutto nel giro di una sola sera. Spesso la futura maritata era
così alticcia da non riuscire ad apportarci la propria firma.
Se non di una bevanda sotto spirito, quei malfattori si
servivano delle belle parole, false promesse, sempre inattendibili, in ogni caso
riuscivano quasi tutti nei loro intenti.
Nessuno era davvero interessato all’evento invece, mentre
si dirigeva sconsolata verso le panchine attorno al palco, Celia vedeva attorno
a se tanti manichini vuoti, tutti armati di alcolici e pegni per dimostrare la
propria ricchezza, non si curavano di nulla al di fuori dell’apparente.
La pista allestita con grande fatica contava tante coppie
quanto le dita di una sola mano, l’orchestra suonava a vuoto, non veniva neppure
considerata, alcun invitato vedeva l’evento per come sarebbe dovuto essere, ma
piuttosto come occasione per abbordare delle creature ingenue quanto indifese,
ubriacarsi gratuitamente, discutere di pettegolezzi, denaro, politica…
Come la fanciulla prese posto in un cantuccio isolato,
rientrò nel mirino di una compagnia di sbarbati signorotti ancora derelitti da
dame. La squadrarono alla pari d’un pezzo di carne ed infine improvvisarono una
bambinesca conta per decidere chi di loro dovesse farsi avanti per primo,
insieme a scommesse in denaro su chi l’avrebbe trascinata nel proprio letto.
Il primissimo vincitore si fece avanti con camminata
sicura, pancia in dentro, petto in fuori, lisciandosi incantatore la chioma,
protendendosi fino a pochi passi da lei, sfoderando il tono più ammaliatore che
poté nel pronunciare “Posso…?”
“No” sforzo vano, dato che Celia
non gli diede nemmeno modo di formulare la frase, lo refrigerò all’istante.
Il secondo cercò di inscenare tutto come un avvenimento
casuale, gironzolò nel circondario, poi finse di adocchiarla e rimanere
folgorato da lei, a quel punto si fece avanti mimando incredulità:
“Oh, Milady, quale beltà risplende in voi, vi sarei grato
se mi concedesse questo bal-…”
“…No, grazie!”questa volta la
fanciulla rammentò gli insegnamenti delle buone maniere tanto imposte da quel
luogo, e lo ringraziò, anche se quel tale meritava solo di esser ingiuriato per
quanta falsità sperperava.
Sopportò anche le lusinghe del terzo, il quarto e il
quinto, sempre rifiutando, ma al sesto si vide sopraffatta dall’esasperazione:
“Per l’ennesima volta NO, e vale anche per tutti gli altri
in fila laggiù, la risposta è sempre e solo NO!” predispose sdegnata, cercando di mostrarsi più cortese
possibile. Credevano davvero che non si fosse accorta di tutto, pur mantenendo
lo sguardo sommesso?
Così
facendo riuscì finalmente a rimanere sola, per riflettere, voleva solo questo.
Avvertiva la testa pesante, carica di troppi pensieri e preoccupazioni. Non vi
era niente che la tratteneva lì, soltanto costrizione, le bastava trascorrere in
fretta le poche ore di obbedienza che ancora doveva al collegio Seward e poi
sarebbe stata finalmente libera.
Aveva
vissuto in due mondi, diverse epoche, fu molte persone diverse, ma ovunque
andasse si contraddistinse sempre come quel piccolo neo fuori luogo in contrasto
con il resto, la vita sull’Olimpo o sulla Terra non era poi così diversa.
Eppure a
lei bastava solo poter assaporare liberamente quella vita che l’era stata
donata, si sentiva troppo fortunata nell’essere lì, a poter apprezzare tutto di
quella magnifica possibilità, anche solo…
…Un
fiore.
Come se i suoi pensieri celassero il potere di tramutarsi
in realtà, un bocciolo di una rosa blu cadde a terra, poco distante dai calzari
della Dea, proprio ove era proiettato il suo sguardo triste e vacuo.
Si riprese tramortita, affrettandosi subito a raccoglierlo
per osservare meglio, una volta portato vicino al viso avvalorò ogni sua
supposizione: era la medesima corolla che l’era stata donata da Leonard poco
tempo prima, e lei aveva fatto appositamente essiccare per poterla
conservare.
Un fruscio di passi si protese dalle sue spalle al suo
fianco, e quasi per magia, quella notte si avverò un altro pensiero.
Quando Celia sollevò lo sguardo s’imbatté nell’ennesima
mano tesa, sebbene le parve più familiare. Si estese lungo quella figura, eppure
i suoi abiti non le suggerivano nulla, pareva l’elegante completo dell’ennesimo
spasimante, ma giunta al viso le mancò un battito e il fiato di reagire alla
sorpresa.
Dipinto da un insolito sorriso, sbucante dall’ampio
colletto di una giacca sfavillante, apparve il volto del suo amato Leonard
Wallace.
“Vieni con me” le disse mente lei
affidava la propria mano tremante alla sua.
Lo fissò stupefatta, stringendo quel palmo incredula e
lasciandosi debolmente guidare da lui, senza accorgersi nel contempo che si
stavano allontanando dal ballo.
Il dintorno cessò di esistere, ravvisava unicamente quel
viso divertito dalla sua fanciullesca reazione, il meraviglioso incanto si ruppe
solo per un attimo, mentre Leonard si voltò per rivolgersi ad una congrega che
Celia aveva già dimenticato: “Sono molto spiacente signori, ma lei viene con me!” annunciò deridendo il borbottio adirato, innalzato dal
gruppetto fallimentare di pretendenti che si era riunito per entrare nelle
grazie della ragazza.
___Fine prima parte, continuerà nel Capitolo 11__
___Note___
Mogotes de
Jumagua: scoscese formazioni calcaree a pan di
zucchero, ricoperte di vegetazione.
Rossetto: Invenzione
risalente pubblicamente all’anno 1677, sgarra leggermente da quello in cui è
ambientato Untitled, ma Celia è un personaggio senza epoca e poi oggetti di
belletto come il rossetto in altre forme crediamo siano sempre esistiti =)
Flora: Altra
divinità romana (della primavera) in realtà, vale lo stesso discorso che abbiamo
fatto nel capitolo precedente con Nettuno ;)
Circo Medrano: Nome
rubato ad una compagnia circense davvero esistita e tutt’oggi operante formatasi
però alla fine dell’ 1800. Appare anche in una serie di quadri di Picasso.
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Capitolo 12 *** Sweet Nightmare. ***
chappp
Nota delle Autrici:
Buona estate a tutti! ^^ Anche se non
manca tanto alla sua conclusione. Il contatore di efp giustamente
segnava che non aggiorniamo da Aprile @_@ ma spero vi sarete accorti
che invece abbiamo aggiornato molto più spesso nello scorso
capitolo ^^’ A proposito di questo! Come ho scritto anche
nella introduzione di Unty2, vi sarete accorti che il Capitolo 11 ha lo
stesso titolo che aveva prima il Capitolo 10, eh sì,
è stata una svista, chiediamo perdono!
Il Capitolo 11 Sweet Nightmare sarà la
continuazione del precedente Come
with
me
e con questo esauriremo la storia di
Celia e Leonard -sperando che fin ora sia stata di vostro gradimento
=)- e continueremo con i nostri affezionati sbaciukioni
Jenny&Jack ^^
Prima di augurarvi buona lettura e
ringraziarvi per la pazienza, i ringraziamenti veri a…
_Celia_ senta, ma lei
è nuova? Lol Non mi pare di averla mai ringraziata
(abbastanza) prima d’ora ^^ ihihi Bhe la mia più
grande paura era quella di travolgervi e romanzare troppo, ho fatto del
mio meglio, spero sia servito a qualcosa =P Io ho scritto che Immi gli
strappava i pantaloni hahah forse era davvero meglio la giacca a questo
punto XD Chi potrebbe essere Afrodite nella realtà? Mah! Non
ci sono parole per ringraziarti, sul serio! =) Non te ne
dirò mai abbastanza in una vita ^^ Spero che ti
divertirà anche questa prima parte, perché dopo
lo sai, va bhe… Avrai pietà d me? ^^’
lo spero!!! GRAZIEEEEEEEEE =) Baciiiiiiiii!!! =* =* =*
giu91 wiii ho trovato una
fan di Celia e Leonard :D Dico loro sempre anche io che sono il
completamento dell’altro *w* Mah, chissà se
succederà questo incontro tra Leonard e Jack ^^ Anche io
stravedo per la mitologia *.* *.* *.* ma ne so sempre troppo poco =( ho
avuto la fortuna di girare quasi tutta la Grecia e vederli di persona
quei posti, e dopo che i miei orsetti Teddy (gli sceneggiatori di Potc)
mi hanno messo Calypso *.* l’ho fatta mia =P lol e ho pensato
di agganciarle tutto questo =) ok, sto spoilerando troppo u.u (tu?? E
la foto che hai messo a inizio capitolo?!?) Dicevo? Ah si! Sono onorata
di averti fatto inconsciamente questo regalo, e ti ringrazio per
l’idea dell’incubo ;) la troverai qui di seguito.
Grazie infinite per tutto! Un bacione =*
A presto!!!
kela and Diddy
(Capitana and Capo)
Capitolo 11
Sweet Nightmare
Come
with
me
_seconda
parte_
I passi degli innamorati non fanno
rumore, li noti appena mentre ti camminano accanto, te ne accorgi solo
quando ormai sono lontani, dalla scia incantata che lasciano dietro se,
la stessa che Nyx dall’alto contemplava commossa, nel suo
buio infranto di stelle, fiera del proprio intervento andato a buon
fine.
Leonard
solitamente non rideva mai, non rideva spesso. Ma quando rideva lo
faceva con gli occhi, lo sguardo, con la bocca… con il
cuore! E per lui non vi era nessuno al mondo più buffo di
Celia.
“Continui
a guardarmi come fossi un fantasma” disse
rallegrato.
“Spero
tu non lo sia” si augurò scherzosa,
riprendendosi per un attimo dallo smarrimento di
quell’insolita quanto piacevole sorpresa.
“Me
lo auguro anche io!” assentì giocoso
tastandosi il torace, come assicurandosi di sentirne ancora il respiro.
Proseguirono
fin una radura, appena rischiarata dalla luce della luna, lì
attendeva il loro arrivo un’ombra, ma quei due cuori eran
troppo distratti l’uno dall’altra per poterla
già vedere.
“Ma
guarda, una passeggiata e ti sto già portando sulla cattiva
strada!” osservò il finto gentiluomo
esibendo, senza discrezione, un piglio orgoglioso.
“E
perché mai?” domandò la
fanciulla estraniata, soffermandosi di tanto in tanto a raccogliere
fiori di campo, sparsi nel soffice terreno.
“Dovresti
essere al ballo, o sbaglio? E’ un dovere!”
declamò mimando un rimprovero.
A
quelle parole Celia al posto che ridere divenne di nuovo triste,
poiché vi rivide il volto torvo di Mrs. Martines: “No… Ormai non
conta più” affermò
indifferente, seppur con molto dolore, cosa che il pirata non
mancò di notare.
“Spero
almeno ti importi ancora di questa”
pronunciò portando alla luce l’ombra posta fin
allora in disparte, la quale rivelò ai timidi sprazzi lunari
la più fidata delle consigliere, nonché
inseparabile destriera divina…
“Immi!!!”berciò
gioiosa andandole incontro, per avvolgere tra le braccia il suo muso
rossiccio frastagliato di bianco.
“Ecco
a voi chi si è offerta di farci da carrozza questa sera,
Miss Wilson” annunciò sfarzoso,
posizionandosi vicino alla sella della maestosa cavalla con una mano
posta a sostegno per la salita della dama.
“Oh,
grazie…” mormorò lei
stupefatta, accettando l’invito.
Prima
di raggiungerla, l’ex vicecomandante volle prima assicurarsi
di non discendere poi da quel dorso rigettando, così si
rivolse direttamente al pilota, in fare di sfida: “Vedi
di non farmene rimpiangere, stupido equino, intesi?!” digrignò
all’orecchio dell’astuta corsiera.
Persuaso
di essere al sicuro fece per montare in sella, quando dalla propria
parte si vide una sola gamba di Celia, e sopra la fanciulla al culmine
dell’entusiasmo, con già mano alle briglie.
“Sono
io che dovrei cavalcare in questo modo
–considerò contrariato- non mi fai fare
il cavaliere almeno per questa sera?”
La
ragazza rimase per un secondo indubbia, poi si rese conto di cosa
Leonard intendeva: “Diamine, hai ragione!
–annuì conscia, doveva montare ad amazzone-
Quale sbadata sono…” riconobbe ridente.
“Perdonami…Ma…-scandì
scavalcando con fatica il dorso di Immi a causa dell’ampiezza
del vestito, mentre il giovine ascendeva- Non
sono… Abituata…A cavalcare…-proseguì
in precario equilibrio- Così”concluse
ritrovandolo nell’appoggiarsi, senza volerlo, al petto di
Leo. Fu come sfiorare una reliquia sacra, un lieve tocco, cotanto
breve, ma capace di scavare in profondità, fino ad sentirne
quasi il ritmo pressante. Voleva allontanare subito la mano, renderlo
solo uno sbaglio, ma in realtà era qualcosa che la Dea
desiderava da sempre: ascoltare quel cuore.
“…Come
batte… -mormorò disarmata- v-voglio dire, che bel fiore porti
all'occhiello!” si corresse all’istante.
Il
predone ne rimase anch’egli per un attimo interdetto, poi
s’affrettò a chiarire: “E’
perché la tua cavalla non nutre grande simpatia nei miei
confronti” ammise sfoggiando falso convincimento.
“Oh
no, Immi se lo mangerebbe! Ma forse sei tu a non fidarti propriamente
di lei!- lo corresse più indubbia, zittendolo del
tutto- …Sai almeno come si fa per metterla in
marcia?” domandò divertita rompendo quel
silenzio.
Le
mani del pirata le sfiorarono lievemente i fianchi, trascinando con se
una scia di brividi, di quelli che scuotono fino alle ossa.
Afferrò le redini, le quali crepitarono in uno schioppo
scandito da un verso di incitamento, al cui suono Immi prese a trottare
allegramente, facendosi strada tra arbusti e felci.
Furono
quasi tre miglia di puro imbarazzo e stupore, nessuno dei due osava
proferir parola, mentre attorno a loro si apriva in silenzio un
suggestivo panorama notturno, accennato solo da sagome informi
disegnate dai raggi delle stelle. Poi la Dea dei Sogni prevalse
finalmente sulla morsa dei suoi pensieri, la quale assediava la sua
ragione ancor puerile di mille dubbi, ma perché opprimersi
quando aveva ormai varcato le mura della prigionia?
Pertanto
non indugiò oltre e s’affrettò ad
abbracciare il suo amato. “Oh, Leonard, sono
così contenta che tu sia qui! –mormorò
posando il viso sulla sua spalla, priva di ogni timore-!!! credevo
non saresti mai venuto ad un evento simile…soprattutto dopo
quello che mi avevi detto giorni fa”delineò
in voce spezzata, senza riuscire a trattenere quel rammarico.
Il
falso gentiluomo l’allontanò lievemente,
insospettito da quella cadenza affranta, per poter sollevare il suo
mento dalla bella curva arrotondata servendosi di pollice e indice: “Tu hai pianto, dico
bene?”
“Non
è niente” assicurò lei,
cercando di celare il viso ancora marcato dalle lacrime.
“Non
sembra affatto un pianto da nulla!”sostenne notando
il vecchio rossore solcante quei occhi innocenti.
“E’
solo che… -si rassegnò infine- giusto
poco fa mi hanno informata in modo poco appropriato della presunta
scomparsa dei miei genitori. Non si hanno loro notizie da almeno tre
anni, potrebbero essersi smarriti ovunque per mare, ho così
tanta paura…” ammise sgomenta,
ritrovandosi senza volerlo a tremare.
Leonard
a quel punto venne colto da una sorta di panico, non era mai stato
bravo a consolare poiché ogniqualvolta ci aveva provato era
sempre risultato indelicato, così si ritrovò a
mani legate, l’unico modo di uscirne pensò fosse
seguire il solo consiglio a cui aveva voluto dare ascolto in vita sua,
suggeritogli dalla donna più enigmatica con la quale si
confrontò mai.
Sciolse
i lacci della propria giubba, coi lembi di cui avvolse a se
quell’esile corpo spaurito, lasciandola inerme.
“Sai,
in vita mia credo di non esser mai stato veramente felice, ma questa
tanto ambita serenità ho il sentore di averla trovata, un
poco, stando con te…”
Celia
perdé anche l’ultimo respiro che la sua condizione
umana le concedeva,
poiché, mentre il mortale bisbigliava la verità,
il suo cuore fiero dalla membrana di pietra non aveva mai smesso di
accelerare, sintomo del suo essere sincero. La giovine
sollevò altresì lo sguardo per assicurarsene coi
propri occhi, da cui giunsero involontarie nuove lacrime, svelando in
parte all’incredulo predone la sua natura celeste.
“Cos’è
questa polvere luccicante che scende dalle tue palpebre? –domandò
atterrito, seguendone il tragitto con le dita- Io…
L’ho già vista, ne avevo un po’ in viso
al mio risveglio, quando mi trovasti…” si
impose di rimembrare.
I
segreti da celare stavano divenendo troppi, Celia ne avvertiva di
momento in momento il peso sempre più opprimente. In quella
vita le rimaneva poco da perdere ormai, e si sentiva pronta a rilevare
qualcosa che la riguardasse.
Stava
quasi per farlo, ma un insolito accorgimento ruppe il suo sforzo di
coraggio: “Tu
porti delle ciglia finte??” notò indosso
al novello gentiluomo, dopo averlo guardato attentamente.
“Ecco
cosa diavolo mi svolazzava davanti agli occhi…”inveì
lui liberandosene in tutta fretta.
“E…
questo sulle tue unghie è smalto?!”
domandò ancor più sgomenta osservando le sue mani.
“Ehm,
dovrebbe essere lucido per cavalli –la corresse al
culmine dell’imbarazzo- In effetti è
una lunga storia, in parte anche divertente…
-rise tra se e se nell’incredulità della
Dea- Bhe, ti sarai chiesta come io sia qui,
nevvero?”
Scesi
da cavallo, ormai lontani dal falso festeggiamento, il predone le
narrò brevemente i principali avvenimenti della serata, la
fanciulla lo ascoltò attentamente, rapita da ogni parola,
era così insolito poter dialogare con lui senza irrisioni,
impaccio o malignità.
Al
termine del resoconto ella era sbalordita, teneramente desolata, piena
di domande:
“Non posso credere che tu abbia fatto tutto
questo….- gli disse sconvolta- Mi
sarebbe piaciuto vederti tutto agghindato da donna –scherzò- Hai fatto tutto da
solo?”Leonard sarà stato anche un
gigolò, ma non propriamente un esperto in fatto di trucco e
merletti.
“La
grande idea è stata di Immi, o almeno così mi
è stato detto. Ma aveva delle complici ad attenderci nella
tua stanza: due donne, di singolare aspetto, azzarderei non di qui.
Della prima non ho ben afferrato il nome, pareva mitologico, ma la
seconda doveva chiamarsi Nyx” enunciò
incerto.
Celia
credé in una sciocca beffa del suo udito mortale,
frastornato da tutto il male che vi giungeva ogni giorno, non poteva
essere…
“C-come…Nyx
hai detto?” chiese tramortita.
“Esatto,
la tua reazione non mi stupisce -appurò vedendo la
fanciulla portare una mano alla bocca, spalancata in sconcerto-
Mi ha consigliato lei di indossare la gardenia, sembrava
conoscerti!”
La
Dea sentì il suolo mancarle sotto i piedi,
barcollò instabile: “…Mi ha
sentita, mi ha ascoltata!” spirò
riprendendosi dal sottile mancamento.
Leonard
tese subito in soccorso le braccia, esitante, confuso da quelle labbra
che avevano ritrovato il sorriso.
“Devi
sapere la verità” stabilì lei
infine, armandosi di tutte le proprie energie. “Forse
non mi crederai, o peggio, in seguito avrai timore di
me…”proseguì preoccupata.
“Paura
di un uccellino spaurito quale sei? Giammai!” la
interruppe lui divertito.
“Solitamente
molti reagiscono in tal modo… -assentì
in sguardo vago- Ma… -tentennò
ancora un poco, prima di sollevare decisa le sue iridi sincere, ancor
lucide di pianto- Non sono lacrime quelle che discendono dai
miei occhi…” ammise trepidante.
“Lo
sapevo -constatò con tono di sfida e piglio
malizioso- avevano qualcosa di strano. Dunque, di cosa si
tratta?” chiese intrigato.
“Polvere
di stelle” rispose corrugando già la
fronte per l’apprensione.
“Non
dirai sul serio” commentò il predone,
pensando alla seguente affermazione come ad una patetica dimostrazione
del nomignolo pazzerella, da sempre assegnatole.
“Invece
è così –disse seria- spero
tu riesca a capire…”
“Capire
cosa?” la interruppe in attesa, preoccupato dalle
sue titubanze.
“Io…
la notte fingo solo di dormire. Non ho bisogno di mangiare,
bere… I miei capelli non diverranno mai grigi,
sarò sempre come mi vedi adesso…” seguì
un breve silenzio in cui l’espressione di Leonard
mutò in una più accigliata.
“Buon
per te! –auspicò confuso-
Molte donne trascorrono i loro anni migliori ad affliggersi per questo,
a quanto pare tu non dovrai farlo…” blaterò
non sapendo cos’altro dire. Forse perché aveva
paura di pensare, di capire davvero ciò che Celia
disperatamente cercava di spiegargli.
La
fanciulla ignorò quell’ostilità dettata
dal timore, stabilì che il solo modo di farsi credere fosse
mostrare una prova concreta: s’allontanò
lievemente da lui, per timore di fargli del male, e con le poche forze
rimaste prese il suo vero aspetto.
Le
membra mortali si annullarono in un bagliore accecante, Leonard la
intravide solo dischiudere le braccia, come pronta a spiccare un volo
che non la portò a più di un metro da terra. Dopo
alcuni istanti di occlusione, in cui il ragazzo prese ad arretrare
nascondendosi il volto, distinse in quel balenio il corpo della stessa
Dea, intenta ad osservarlo dal proprio rilievo. Accese quella buia
notte brillando come una stella, nelle sue vesti permeate di luce. Di
quel viso candido come il pallore lunare si distingueva solo un
purpureo sorriso e i suoi profondi occhi ambrati, conservati anche
nella forma terrena.
Il
mortale la fissava stupefatto, incredulo, come immobilizzato, Sogno
poteva scorgere le sue enigmatiche orbite smeraldo dilatarsi fino al
possibile.
“E’
questo che sei…? –mormorò egli
infine, facendosi più vicino- Un sogno?”
Le
energie della Dea, già duramente messe alla prova nel corso
della serata, si esaurirono in quell’istante, e nella durata
di un momento abbandonò il bagliore celeste per tornare ad
essere Celia Wilson.
“…Proprio
così… -replicò commossa, con
il poco fiato che le rimaneva in corpo - Mi dispiace di
averti scosso, e anche mentito per tutto questo tempo, ma non mi
avresti mai creduto…” disse vedendo il
suo chiaro turbamento.
“Eri
tu a posarti ai piedi del mio letto ogni notte, quando sono partito da
qui? – Sogno annuì con un lieve riso
appena accennato, ostruito dall’imbarazzo- E io
che credevo di dimenticare sempre un lume acceso…”
replicò Leonard attonito.
“Spero
di non aver generato in te troppi cattivi pensieri –l’adescò
sornione- Ammettilo, avresti voluto saltarmi addosso
vedendomi in quello stato di assopimento!”
“Sì,
per strozzarti con le mie mani!!” replicò accecata dalla
rabbia.
“Dunque,
perché non l’hai fatto?” proseguì
quel duello a colpi di lemmi.
“Perché
sono fatta della stessa essenza di quelle strane donne che ti hanno
condotto qui stasera. Erano anch’esse due
divinità, come me…Nyx in particolare, è
mia madre…”
“Madre?!
Vorrai dire tua sorella!” la interruppe speranzoso.
“No,
io ho solo un fratello gemello, Morfeo! Lui si occupa di cullare voi
terrestri verso il riposo e io faccio il resto”
Le
parole pronunciate da Celia celavano un tono di convincimento troppo
elevato, sebbene parevano quelle di una alienata, il mortale era ancora
oltremodo in subbuglio per comprenderle a fondo.
“Divinità
-riprese sfogando l’incredulità in risa-
sapevo che eri bizzarra ma non al punto di essere… Aspetta,
è questo che cercavi di dirmi con i tuoi discorsi sul
mangiare, bere, invecchiare…?” si fece
più serio.
“Sì…
-annuì
tenue-
E in quanto tale posso esprimere qualunque desiderio mi sia domandato
in sogno, eccetto uccidere, far innamorare qualcuno di un altro o
resuscitare chi non c’è più” spiegò facendosi avanti
verso di lui, accumulando coraggio ad ogni passo.
“E
tu, invece, puoi innamorarti?” domandò poi, dopo
essersi concesso una breve pausa per accomunare i pensieri.
“Certamente,
lo sono già!” espose fiduciosa, volutamente senza
aggiungere altro.
Il
predone attese impaziente il rivelarsi nuovi particolari da
quell’animo sincero, ma al contrario non si manifestarono.
Arresosi alle titubanze della Dea, colmo di delusione, pensò
di attutire il tutto con un pizzico di cinismo: “Giusto…
è lecito esserlo. A quale individuo non spetta trascinare la
pesante croce dell’amore nel corso della propria
esistenza?” disse eloquente, masticando
dell’amaro nel palato.
“Pensi
sia davvero una croce?” chiese dispiaciuta, ormai prossima
all’uomo.
“Così
opprimente da doverla trainare in due o forse in tre a volte! –confermò
lui, convinto-
Ti auguro solo di essere felice con chiunque ne porterà il
peso al tuo fianco” concluse solenne, in cadenza
triste, salutando la fanciulla solo con un lieve accenno del capo,
prima di rivolgerle le spalle.
Sogno
rimase un attimo frastornata nel vederlo andar via, sebbene
riuscì a rimediare in tempo: “…Aspetta!
–berciò
per fermarlo-
Non andartene, perché credi che questa sera abbia rifiutato
quella sfilza di pretendenti senza neppure apportare loro il minimo
sguardo?- lo
interrogò trattenendo il suo impeto di fuggire, servendosi
di tutto il proprio corpo- Leonard… Io non amo che
te!” pronunciò
disperata.
Ci
riuscì infine, fu in grado di arrestare quella furia
soltanto sciogliendone ogni dubbio. Il vicecomandante Wallace si
voltò, incapace di credere alle sue orecchie e al proprio
tatto che percepiva un’intensa calura sprigionarsi da quelle
membra celesti, ne rimase cotanto sbigottito da afferrarle un braccio
per assicurarsene di persona.
“Tu
scotti…” constatò angosciato.
“Sono
fatta di calore e luce –ribadì
affranta- ma
non intendi ancora credermi!”
“E
dovrei forse confidare in quello che mi hai appena
confessato?” replicò in tono duro,
seppur non allontanando da se la fanciulla.
“E’
la verità, lo giuro” ammise in uno spiro.
“Se
è così, perché non me l’hai
mai detto?” si finse diffidente.
“L’unica
certezza che hai sempre avuto di me è proprio quella che ti
amo!” insisté lei con voce
frammentata dall’affanno.
Gli era così vicina da
poter posare le parole direttamente sulla sua bocca, ma non ne ebbe il
coraggio, preferì ribassare lo sguardo e far finta di
sistemargli il fiocco stretto intorno al collo. Fu Leonard a
congiungere le loro labbra, questa volta in un bacio vero, nessuna fuga
imprevista, nessun addio.
L’abito
di Celia, da buio quanto l’oblio, prese a brillare, come se
le stelle vi si fossero incastonate nella tela.
Soltanto
un dubbio, affiorato in seguito, strisciando in silenzio, come tutti i
mali, osteggiò la Dea e il mortale: “Celia… come pensi che
potrà funzionare? Io non avrò vita
eterna…” riconobbe il pirata angustiato,
senza riaprire gli occhi, come se così facendo
l’avrebbe potuto evitare.
“Preferisco
di gran lunga far fronte a questo rischio –proferì
valorosa- Comunque vada non vi è torto peggiore di
privarsi dell’amore ancor prima di averlo anche solo
provato!”
Altro
non li interruppe, non ancora. La stagione delle tempeste, cagione di
ritardo del ballo, pareva davvero finita, ma purtroppo fu solo una
breve quiete.
Nel
frattempo, almeno, quel tanto detestato ballo di primavera si concluse
così, coronato dalla rivelazione reciproca di un amore che
avrebbe attraversato difficili confini, sconosciuti agli uomini, ma
molto scomodi per alcuni Dei, invidiosi di quella unione tanto
impossibile quanto meravigliosa.
Trascorsero
insieme il resto di quella lunga notte fino ai primi chiarori del
mattino, quando si riavvicinarono al collegio, tornato deserto e
silenzioso come un tempo.
“So
di essere maledettamente affascinante così, abbigliato da
gentiluomo –vaneggiò Leonard,
lisciandosi la chioma scura- ma per tornare a pulire le
stalle della fattoria preferisco riavere i miei cenci da
straccione!” chiese mentre si incamminavano a
braccetto sul retro dell’edificio, diretti alle stanze di
Miss Wilson.
“Come
vuole Cenerentolo!” lo beffeggiò Celia.
“Quanto
ad affibbiare nomignoli sei proprio uguale a tua madre!” commentò irritato.
“Ah
sì? –disse stupida nel
riscontrare tra loro una somiglianza- Lei come ti chiamava?”
“…Lea…”
ostentò
contrariato, la fanciulla celeste dovette serrare le risa con le mani
per non scoppiare a ridere sfacciatamente.
“Sì
sì, ridi pure. Voglio proprio vedere come ti arrampicherai
quassù adesso! –la
sfidò ormai giunti al di sotto del suo balcone- dopo
di…” come si voltò verso
l’irriverente dama ella era già scomparsa, per
riapparire poco più su, già affacciata al poggiolo:
“Ancora
lì?! Andiamo, la facevo più agile signor
Wallace!!” vociò prima di fuggire
scherzosa all’interno.
“…te”
ringhiò
quest’ultimo rimboccandosi le maniche per affrontare la
scalata.
“Anche
Nyx mi faceva di questi giochetti: spariva e riappariva da un luogo
all’altro in mezzo secondo, come ci riescono??” borbottò salendo.
Valicata
la soglia sorprese Celia immobile a contemplare il circondario
tenendosi il petto, come se il cuore all’interno vi stesse
per scoppiare.
“Ma
ci pensi, lei è stata qui!!”pronunciò
entusiasta.
“Tua
madre è l’incarnazione della notte terrestre,
calato il sole è ovunque!” definì minuzioso.
“…Si
è guardata intorno, ha usato i miei
oggetti…” proseguì commossa,
senza starlo a sentire, sfiorando una boccetta di profumo lasciata
fuori posto.
“Già,
per torturarmi!” precisò borioso,
accomodandosi alla specchiera, come la sera precedente.
“Quale
supplizio peggiore di essere seviziato da ben due Dee!” lo sostenne in cadenza mordace,
sbucando col viso da una sua spalla.
“Almeno
n’è valsa la pena?” pose Celia in quesito.
“Ma
certo, guardami, sono irresistibile!-il pirata era davvero
incorreggibile. Nel profondo possedeva un lato romantico, solo non
sapeva mai bene come dimostrarlo- forse è meglio che
torni ai miei luridi stracci!” definì rialzandosi per
mettersi alla ricerca dei vestiti da garzone, dopo aver esasperato
nuovamente la giovine.
“Quelle
due erano impazzite, me li hanno letteralmente strappati di dosso,
spero siano ancora indossabili!” mentì per ingelosire
Celia.
“Raccontalo
a qualcuno che ti credi almeno” suggerì lei di rimando.
“Non
ti sconvolgerà vedermi nudo, vero?” riapparse da una sponda del letto
con in mano delle braghe malconce, dopo averle recuperate da
lì sotto.
Prima
che Sogno potesse rispondergli per le rime, avvertirono un vocio dal
corridoio, e dei pesanti passi in avvicinamento.
“Nasconditi
lì dietro!!” lo esortò indicando i
tendaggi dell’improvvisato letto a baldacchino.
Un
istante dopo la porta si spalancò, incurante persino di
attendere il permesso, e apparse Mrs. Martines Seward, in tutta la
sua ingombrante figura.
Il
pomposo abito da sera era stato sostituito con uno più
agevole da tè, ma dai segni scuri al di sotto dei suoi
occhi, abbuiati dal suo grasso sorriso esteso da orecchio a orecchio,
pareva non aver riposato quella notte. Forse un incubo? Come ad esempio
trovare la dispensa vuota?
“Voilaaà! Eccoci signori! Era questo
l’appartamento di qui vi ho parlato–fece largo a dei
futuri acquirenti che invasero la stanza- Non trovate sia adorabile?
Dispone anche di molto spazio! E una bella vista…”
adulò
incurante della presenza all’interno della occupante.
“…E
questo essere così grazioso è la nostra allieva
Miss Wilson, che ahimè ci sta lasciando… –recitò
affranta- ma
cosa ci volete fare? –a quelle parole Celia
avvertì uno sussulto dal fianco del letto, che per poco non
rivelò la presenza di un secondo individuo- A che punto siete con i bagagli,
mia cara?” perpetuò maligna.
La
ragazza rivolse un breve sguardo intimorito all’angolo in cui
si nascondeva Leonard, incontrando nella penombra
l’espressione sconvolta del mortale.
“A-a
buon punto, signora –mentì- Sarà tutto in ordine e
sgombro entro il termine prestabilito!” assicurò
riacquistando coraggio.
"Magnifico!-esultò la moglie del direttore-
Lasciamo
dunque questa cara ragazza ad ultimare i preparativi… Cosa
ne dite di placare il languore con una delizia alla
crema…?” concluse abbandonando la stanza insieme ai suoi
seguiti.
Rimasti soli, il predone
riapparse turbato: “Tu… stai
andando via? E quando??”
“…Domani”
rispose
soffocando i singhiozzi, perdendo la capacità di guardarlo
negli occhi.
“Come??
–berciò
infuriato-
Quando pensavi di dirmelo?!?”
“I-io
non posso più permettermi questo posto, ti ho detto dei miei
genitori mortali…” a questi alti toni non
poté più trattenere le lacrime.
“Stanotte
mi hai detto che mi ami e ora devi andare via?!?” disse collerico.
“Cosa
diamine c’entra adesso il mio amore per te??” rispose in presa ad una feroce
irritazione.
“Hai
sempre voluto andartene da qui, bastava dire di essere senza un
doblone, perché non l’hai mai fatto
prima?!” la provocò.
Il
respiro della Dea mentre contemplava confusa il suo amato era
affannoso, il viso rigato di brillanti, non riusciva più ad
avere il controllo delle emozioni.
“L’unico
modo di uscire da qui è nella bara o con una fede
nuziale…” disse rifacendosi alle parole di
Mrs. Martines.
“E
allora sposami Celia!” dispose in scongiuro prendendole
le mani.
“…Cos-?”
spirò
senza fiato, dando fine alle lacrime.
“Oh,
no
–mormorò presa alla sprovvista- Non devi sentirti obbligato, non
è necessario…!”sostenne in gran scompiglio,
lasciando quella presa.
“E
Dove penseresti di andare uscita da qui?”
“Posso
cavarmela comunque, sono immortale! –sostenne indubbia- tu hai la tua occupazione di
garzone…”
“Ma
quale garzone –negò divertito- La fattoria ora è
mia! Tre mesi fa il padrone è morto, pace alla sua anima, e
ha lasciato gran parte della proprietà a me, il lavoratore
più giovane. Nutriva molta fiducia nei miei confronti. I
terreni sono rimasti alle famiglie contadine che se ne sono sempre
occupate, ma la proprietà e il casato portano il mio nome
adesso!" narrò
fiero.
Ancora
una volta diede mostra di essere fin troppo di poche parole a volte,
Celia era tramortita.
“Così
anche tu mi hai mentito riguardo lo straccione!” ne
dedusse fingendosi offesa.
“Uhm,
giusto un poco
–riconobbe portando quell’esile corpo celeste
vicino a se- ero
impaziente di portarti in camera da letto -schernì malizioso- …sposami” le ribadì ad un
orecchio.
“E’
un ordine, Capitano? Come ‘baciami’,
‘esci con me’, ora è
‘sposami’?” domandò realmente
oltraggiata.
“Se
vuoi lo trascrivo sullo specchio come ‘esci con
me’, dove hai messo il rossetto?” propose schernitore.
“No,
Leonard. Non voglio che sia così… -si tirò indietro- Sembra
un’imposizione!” riconobbe contrariata.
Lo
amava perdutamente da sempre, ma non intendeva fare un passo
così importante per costrizione.
“E
va bene, come vuoi” parve arrendersi, volgendo i
propri passi verso la portafinestra che dava sul balcone, la fanciulla
temé per un attimo di perderlo.
“Ma
non credere di sfuggirmi, puoi scommetterci che riuscirò a
metterti quella fede al dito Dea dei Sogni!!” promise intrigato prima di
scomparire come ai vecchi tempi, da esperto furfante, calandosi
giù dal poggiolo.h
-
Celia trascorse il resto
della giornata tra le mura del collegio, volteggiando di gioia, presa
dai preparativi, senza fermarsi, temendo che altrimenti la malinconia
l’avrebbe sopraffatta, voleva solo assaporare per
l’ultima volta quel luogo, prima di non farvi più
ritorno.
Se
la prese in tutta calma, rivisitò ogni stanza,
ringraziò tutti i presenti, anche Mrs. Martines la quale ne
rimase molto sconcerta, per cinque anni erano pur stati la sua unica casa, ma la sorpresa più
bella l’ebbe dalle altre allieve, che venute a sapere di
quella definitiva partenza organizzarono in poche ore una cena a cui
aderirono tutte, in una locanda casereccia tra la campagna e il mare,
non volevano che quella cara amica di disavventure se ne andasse via
così, senza essere ricordata. L’umile taverna non
era proprio un luogo aristocratico, ma Faimouth non offriva molto altro.
Il
gruppo di fanciulle portavano nella modestia del posto un delizioso
tocco di allegria, creavano un gran brusio animato, discutendo del
ballo, gli ospiti, dei gentiluomini, e di rosee prospettive per il
futuro. Le loro vesti colorate, rimpiazzanti le tristi divise grigie
del Collegio Seward in libera uscita, davano vita ad una vivace
sfumatura nel fondo della sala.
Chiunque
entrava, nel vederle, rimaneva piacevolmente stupito, eccetto un tale,
già certo di stanare lì.
Si
trovavano a tavola, attendevano l’arrivo
dell’antipasto, senza fretta, quando dall’entrata
fece il suo ingresso un’altro individuo distinto, in abiti
eleganti. Inizialmente passò a tutti inosservato,
fuorché al proprietario che lo salutò con un
cenno, una vecchia conoscenza. Prese posto al centro della sala con
andatura sicura, portava un ampio copricapo piumato calato sul viso,
era impossibile dedurre altro della sua persona. Affidò il
mantello al cameriere, accorso poco dopo, ed in cambio
ordinò un fiaschetto di Whisky.
Sogno
lo notò solo in seguito, allorché levato il
cappello prese ad osservarla intensamente, gustandosi quella visione a
piccoli sorsi. Era intenta a chiacchierare, spensierata, come le
compagne, la sua fresca risata si confondeva nel clamore, quando volto
lo sguardo, i suoi occhi dorati s’incatenarono con un paio
berilli e suadenti, posti appositamente di fronte a lei nel mezzo del
salone, dandole sollievo al cuore. Lo spettatore giocherellava con
all’apparenza un dado di legno, mentre nell’altra
mano teneva sospeso il calice di Whisky, con il quale
delineò un saluto a Lady Wilson, prima
dell’ennesima sorsata. Lei in risposta gli rivolse uno
sguardo interrogativo, non capendo le sue intenzioni.
Vuotato
anche l’ultimo bicchiere, l’uomo lasciò
sul tavolo una lauta mancia, e si fece avanti con la solita
spavalderia, verso le dame. Non dirà mai che quel sedizioso
alcolico gli servì a farsi coraggio per ciò che
stava per fare.
“Buona
sera signore!” salutò cordiale,
giunto nei pressi della tavolata, riuscendo a placarne il clamore.
“Il
mio nome è Leonard Wallace –si presentò
plateale, portando il cappello al panciotto- ed è un onore
beneficiare della vostra compagnia in queste sperdute
campagne!” lusingò benevolo,
innalzando risolini e facendole arrossire, più di tutte
Celia che cercava nel contempo di attirare la sua attenzione, per
chiedergli spiegazioni. Gli indumenti a lui indosso parevano diversi da
quelli della sera precedente, seppure li portava in egual modo. Erano
più ampi del dovuto, quasi indubbiamente sottratti al
vecchio proprietario del suo casato, per non tradire il passato
trascorso da furfante, salvo questo, la lezione di galanteria tenuta da
Nyx e Afrodite aveva dato il suo frutto.
“Perdonate
la mia presenza inopportuna –si scusò
dispiaciuto-
ma si tratta di qualcosa di molto importante!–definì
posando l’espressione composta definitivamente su Celia,
calmando la sua agitazione- Permettete che rivolga una
parola alla vostra adepta, Miss Wilson?” domandò ricevendo un
ignaro assenso generale.
Ringraziò
tutte con un inchino, e mosse dei lenti, estenuanti passi intorno alla
tavolata, fino alla sedia della Dea, che lo seguì per tutto
il tempo con lo sguardo, sbarrato in stupore. Il predone aveva ripreso
a far roteare in aria il dado, rivelatosi poi, una volta più
vicino, un piccolo cofanetto rivestito non di legno, ma velluto scuro.
Pervenne rapace sino al suo schienale, non prima di esprimersi
garbatamente alla vicina, Alexia: “Vogliate scusarmi se
vi rivolgo le spalle, Madame”
“Cosa
fai qui??” berciò Celia in un
filo di voce, quando Leonard si prostrò al suo fianco.
Nelle
vicinanze si innalzò un imbarazzante silenzio carico di
tensione, tutte le studentesse erano impazienti di riscontrare le
intenzioni del gentile sconosciuto.
“Mantengo
una promessa” rispose lui a bassa voce,
prendendole cauto una mano. Con un gesto accurato dischiuse la
scatoletta, svelando ai suoi occhi uno zaffiro blu oceano, incastonato
in una cornice argentea estesa a cerchio, unita allo spiraglio
circolare di un meraviglioso anello.
Celia
avvertì la gola stringersi, le labbra serrarsi da un forte
sentore giunto dal fondo dello stomaco, fermatosi all’altezza
del petto. Era incredibile quanto potesse battere forte il cuore umano
cavalcando un’emozione, temé che Leonard potesse
sentirne il rimbombo, mentre inseriva il brillante riportante le
sfumature del cielo al suo anulare, lì dove, secondo
un’antica credenza, passa una piccola arteria che risalendo
il braccio arriva direttamente al cuore.
Il
predone vide il suo viso illuminarsi e quei occhi scintillanti
socchiudersi per contenere la commozione. Alle spalle della Dea
sbucarono decine di giovani testoline, accalcate l’una
sull’altra per indagare su cosa fosse dovuto il mezzo spiro
di stupore prevenuto dalla loro amica, ora sotto gli occhi di tutti.
Quando lo scintillio prezioso dell’anello raggiunse i loro
occhietti invadenti, tutte furono balzate indietro dalla meraviglia, lo
stupore, la gioia. A quell’adesione comune Leonard
sogghignò, e ricercando lo sguardo dell’amata
proferì sfidante: “Prova a dirmi di no
adesso!…Sposami…”
Celia
gli rispose con “mascalzone”,
ma
solo per via d’uno sguardo fulminante, poi senza una parola
prese quel viso da canaglia tra le dita, e lo baciò, come sì, tra fischi ammirati, applausi e
felicitazioni di tutti.
Non
sarebbe stato un matrimonio in grande stile, piuttosto una cerimonia
modesta, di pochi intimi, allestita nella campagna di Faimouth, nuova residenza dei due sposi,
ma prima vi era un difficile nodo da disfare: lasciarsi alle spalle il
passato trascorso nel collegio Seward.
Così
il mattino seguente, come stabilito, Celia si fece trovare puntualmente
sul portone, scortata da una lunga pila di bagagli, borse, bauli,
oggetti troppo ingombranti per essere riposti in valigia, e
l’immancabile Immi. La sua stanza nel contempo era divenuta
un antro triste e vuoto, presto già riassegnato ad una
novella vittima del prossimo macello.
Attendeva
un poco intimidita l’arrivo del suo destino, riposto nel
misero carretto di un lattiere, abitudinario del luogo; tuttavia
sfoggiava il suo abito da viaggio migliore e una postura risoluta: dopo
tanto tempo l’attendeva un’importante partenza, in
quel momento con destinazione ignota, ma di certo avrebbe salutato la
sua prigione dorata per l’ultima volta. A quell’ora
le sue mura dormivano ancora, si distinguevano solo respiri leggieri
immersi in mondi lontani delle fanciulle che le abitavano, mondi dalla
Dea ben conosciuti. Si sarebbero animate soltanto molte ore
più tardi, a sol levante, fu il portinaio ad aprire
l’uscio alla giovane per l’ultima volta.
L’alba
aveva fatto capolino da un pezzo, ma il lattaio si faceva attendere.
Celia, in pensiero, fu sul punto di chiedere spiegazioni
all’unico individuo desto del collegio, quando Immi
segnalò con uno sbuffo l’arrivo di un veicolo
trainato da buoi nella stradina.
“Bene
–sospirò la Dea- Ci siamo!”
definì chinandosi per raccogliere i bagagli da caricare su
schiena e spalle.
Ma
non dovette compiere di nuovo i medesimi sforzi, impiegati poco prima
nel liberare la sua stanza, poiché venne interrotta sul
nascere da un incubo:
“Celia…Celia!”
un dolce incubo.
Discese
dal carretto con un balzo e le corse incontro a perdifiato, fin ad
avvolgerla per le spalle.
“Leonard…?”
mormorò fissandolo stupita.
“Riponi
tutto, devi subito venire con me!” dispose
rimettendo a terra le valigie di cui si era fatta carico.
“Cosa?
E-e dove?”
“I
tuoi genitori sono vivi e stanno bene, sono sbarcati poco fa al porto.
Mi sono fatto dare un passaggio dal venditore del latte per riferirtelo
al più presto –indicò il
carretto alle sue spalle, su cui troneggiava un anziano contadino con
un berretto di paglia, una spiga tra le labbra e il viso paffuto,
incorniciato da una lunga e folta barba brizzolata- Vieni,
ti conduco da loro!” chiarì velocemente,
trascinandola con se ancora boccheggiante.
“Dici
sul serio, sei proprio certo che fossero loro??”
proferì colma d’ansia e incredulità.
Leonard
sospirò forte: “Mi hanno detto di
chiamarsi Wilson e di essere in cerca del collegio di questo antro
sperduto, conosci altri valorosi che farebbero un così lungo
viaggio per venire proprio in questo vile convento?”
disse poi soggiogante.
“D’accordo…
Ci porterà Immi, è più veloce, monta
in sella!” esortò sorridendo, con le
lacrime agli occhi, dopo averlo fatto lei stessa.
“…E
dei tuoi bagagli si occuperà questo gentiluomo, nevvero?
–disse riferito al lattaio, riempiendogli il taschino
anteriore della camicia con una manciata di tentennanti monete- Porti
tutto alla fattoria che troverà lungo questa strada, subito
dopo aver attraversato le Mogotes de Jumagua
–ordinò ricevendo un gioioso sorriso
sdentato dall’uomo, in seguito all’opulento compenso-
…e grazie di tutto, amico!” concluse
dandogli una pacca riconoscente sulla spalla.
I
tre partirono al galoppo il seguente istante, e anche il carretto si
avviò pian piano, carico di ogni sorta di bagaglio, lungo il
sentiero tortuoso di ghiaia.
Immi
sfrecciava quanto un auto da corsa, non avvertiva nemmeno il suolo
sotto i suoi zoccoli, dalla cima del dorso era impossibile riconoscere
distintamente il paesaggio attorno; il meno pratico Leonard
pregò per tutto il tempo, ben avvinghiato alla vita di
Celia, di non lasciare mai la presa e arrivare alla meta illeso, luogo
dove giunsero poco dopo e la pena ebbe fine.
Questa
volta, nonostante l’ampiezza dell’abito, Sogno
discese con più agilità, seguita da un
barcollante vicecapitano, il quale nonostante la nausea si accorse di
una lieve titubanza nella fanciulla.
“Ebbene?
Non mi chiedi dove sono i tuoi cari, non accorri da loro ad
abbracciarli?” ipotizzò commentando lo
sguardo smarrito e spaventato di lei.
“E
se fossero venuti qui con il proposito di rinnegarmi o lasciarmi per
sempre? Non erano mai arrivati a tanto in tutti questi
anni…” rifletté afflitta.
“Oh-ho,
cosa vedo! Una Dea che trema?!” pensò di
sdrammatizzare deridendola.
A
quel punto Celia sollevò lo sguardo flebile e
mormorò a sua volta ironica: “…Un
Capitano con il mal di mare?”
“Il
mio non è mal di mare, è male del tuo cavallo!
–si pose subito sulla difensiva- Mal
d’Immi o mal di galoppo, mal di equino forse!...” continuò
così per un po’, mentre accompagnava sottobraccio
la sua promessa sposa, verso un ufficio amministrativo molto affollato
già di primo mattino.
“Mi
hanno detto che si sarebbero fermati in questo posto per la colazione e
ottenere tutte le informazioni su come raggiungerti, dovrebbero essere
ancora qui!” enunciò con fervore mentre
attraversavano una vitrea porta girevole, conducente ad un ingresso
gremito di persone molto agitate, appartenute ad ogni ceto sociale, che
serviva da centro ad un vasto piano suddiviso in un’area di
attesa e una seconda di accoglienza. Il luogo aveva delle pareti color
crema rifinite in legno molto ospitali, ma dentro vi regnava il caos
più totale, ingestibile persino dagli addetti che si
sbracciavano nel mezzo, soffocati dagli individui del circondario
gridando “Silenzio!
Ordine, ordine!”, per più d’un
istante sconfortarono i due nuovi arrivati.
“Come
li troveremo?” domandò Celia preoccupata.
“Ci
dividiamo, io da questa parte, all’accoglienza e tu cerca in
sala d’attesa!” predispose il pirata
divenuto borghese, prima di ‘immergersi’ senza
ripensamenti in quella folla caotica.
Celia
invece si concesse prima un istante per prendere coraggio, chiuse gli
occhi, provò ad estraniarsi da tutto, un momento, per
ricordare come li aveva visti per l’ultima volta. Aveva
sognato da tanto tempo quel giorno e adesso che era arrivato non poteva
permettersi di avere paura.
C’era
persino Leonard al suo fianco, ad aiutarla, doveva farsi forza!
Riaprì gli occhi, vinta da un’energia che non
sospettava nemmeno di avere, rimboccò l’orlo della
veste per muoversi più agevolmente, ed attraversò
come una locomotiva quella scia interminabile di persone sparse
scompostamente per tutta la sala.
Scrutò
ogni visto, ascoltò ogni voce, nulla di famigliare,
nonostante la determinazione dovette muoversi a tentoni, la
concentrazione di gente in un luogo così limitato era
notevole. Aveva quasi raggiunto il fondo della sala, ad ogni passo
più scoraggiata, allorché nella ressa intravide
una figura solitaria, accomodata su di un grande baule, in un piccolo spiazzo risparmiato dalla
folla, intenta a scrutare il circondario estraniata, come se oltre a
Leonard e lei fosse la sola ad accorgersi di quale inaudito putiferio
popolasse quel luogo.
Era
quasi irriconoscibile senza il busto strizzato nel corsetto, i riccioli
scuri aleggianti sulle spalle e con indosso una lunga tunica
tinteggiata di mille tonalità diverse, tante quante i
sentimenti che il quel momento attraversarono Celia.
La
ragazza si paralizzò come colta da un sortilegio, le sue
membra tremavano, ostinate a continuare il cammino nonostante tutto,
venne colta da un groppo alla gola, il quale le impediva allo stesso
tempo di parlare e respirare, ma infine vinse anche questo, chiamandola
più forte che poté, fino a sormontare persino la
confusione tutt’attorno: “MAMMA!”
Acmena
Wilson non poté ancora vederla, ma si mobilitò
subito voltandosi all’istante verso di lei, non aveva mai
dimenticato li suono della voce della sua amata figliola. La donna si
sollevò in piedi sulle punte per scorgere nella folla una
bionda chioma ribelle, e a quel punto la vide, muoversi a spintoni nel
mezzo, per venirle incontro, con il viso rigato di lacrime gioiose e la
mano già tesa verso di lei, pronta a ricevere la sua.
“Oh,
tesoro… -l’accolse donandole
un lungo caloroso abbraccio- Tesoro mio… Fatti dare uno sguardo, ma sei
proprio tu?
–si chiese incredula dandole una rapida occhiata- Guardati! Come sei
cresciuta… Quanto ci siamo persi io e tuo padre di te in
questi anni…” riconobbe triste.
“Mamma…
-ripeté incredula di poter ancora pronunciare
questa parola- Non posso credere che sei davvero qui –disse la giovine in
voce spezzata, sfiorandole il volto con una carezza tremula- Temo ancora di sognare, mi siete
mancati così tanto tu e papà!” ammise
percependo il cuore riscaldarsi di lieve un torpore scordato da tempo.
“Anche
tu, non sai quanto! –corrispose con dolcezza-
…Ma lui dov’è? Caro, caro! Vieni qui
subito!!” richiamò il consorte da un
antro del locale.
“Cos’hai
da strepitare? –ricevé in replica da un
uomo con l’aria affaticata, dei lunghi baffi grigi arricciati
sulle punte e i suoi stessi abiti forestieri ampi e variopinti-
Ho preso i biglietti del ritorno finalmente! Come se queste scimmie
urlatrici intorno non facessero altrettan-…”
ma il borbottio del signor Wilson si infranse a metà, quando
vide chi teneva tra le braccia Acmena.
“Santo
cielo… Celia! Figlia mia!” accorse verso
di loro commosso, per unirsi all’abbraccio.
“Oh,
papà, ci sei anche tu…”
Quel
mattino l’ufficio amministrativo di Faimouth, come da molti
giorni ormai, si trovava in balia del tumulto generale in seguito
all’effetto devastante registrato dai tre mesi della stagione
delle tempeste.
Gli
uragani e le piogge avevano cancellato al loro passaggio non solo molte
vite, ma anche i confini dei terreni che esse abitavano, suddivisi
bonariamente secondo antichi accordi di
favore, per la maggior parte, perfino da tempi del medioevo. Di
conseguenza tutto ciò ora dava massima libertà a
chiunque di poter ricomprare legalmente suddette proprietà a
poco prezzo, visto l’alta concentrazione dei danni, e questo
causò non poche lamentele.
Erano
tutti troppo presi dal salvaguardare i propri interessi per prestare la
minima attenzione a quel tenero quadretto familiare che vi si era
riunito in disparte, tutti tranne uno spettatore silenzioso,
anch’egli alla ricerca della coppia di coniugi nella parte
opposta della sala, il quale ora, compiuto il proprio dovere,
poté beato godersene il risultato.
“Ma,
ditemi, voi due state bene? Cosa vi è successo?”
si dimenò dall’abbraccio preoccupata.
“Vedi
piccola mia, tre anni fa io e tuo padre eravamo in viaggio nei
territori dell’Asia, in quel luogo da cui ti inviammo una
cartolina…”
“Xuzhou!”
rammentò subito la Dea.
“Proprio
così, su di una nave mercantile. Dopo essere giunti
all’ennesimo porto ci informarono di aver smarrito i nostri
bagagli, caricati su di una seconda imbarcazione apposita. Poco tempo
dopo scoprimmo che la nave aveva fatto naufragio, così fu
del tutto impossibile recuperarli, perdemmo documenti, viveri ed ogni
nostro avere. Per molto tempo fu arduo convincere le persone del luogo
sulla nostra identità e provenienza per aiutarci. Hanno una
cultura molto chiusa e riservata, la nostra unica speranza era riposta in qualche
mercante di passaggio come noi, i quali tardarono ad arrivare. Ma ogni
giorno da noi trascorso laggiù non abbiamo fatto altro che
pensare a te!” disse dolcemente facendo sfuggire a
Celia un’altra lacrima.
“E’
così, tesoro!” confermò il
signor Wilson da sotto i baffi.
“Ricordo
proprio di aver pensato: cosa farebbe in questo caso la nostra piccola
Celia? Così ci rimboccammo le maniche e stringendo i denti,
infine, riuscimmo ad avviare una piccola bancarella dove vendevamo
abiti come questi” indicò afferrando i
lembi della propria veste colorata.
“Sono
davvero bellissimi, mamma…”
commentò ammirata.
“Da
quel momento con numerosi sforzi non abbiamo fatto altro che cercare di
accumulare un gruzzoletto necessario a tornare a casa. E’
stata davvero una esperienza meravigliosa, ha insegnato noi le vere
cose importanti della vita, come avere una figlia splendida! –riconobbe circondando
il viso di lei con le sue mani provate dagli anni, ma ancora capaci di
racchiudere tanto amore- Ci dispiace di averti fatto
sentire sola al mondo per così tanto
tempo…!” affermò la donna
senza più riuscire a trattenersi dal versare delle lacrime.
“No,
non devi dispiacerti! Sta tranquilla, ora so come sono andate veramente
le cose” la confortò più
serena.
“E
in conclusione –continuò il signor Wilson
sul filo della consorte- giunti qui ci siamo imbattuti in un
giovanotto che ci ha consigliato questo posto come adatto per ritrovarti. Oh, ma eccolo,
è lui!” indicò qualcuno colto
alla sprovvista alle loro spalle, il quale li risalutò di
nascosto.
Celia
sapeva già di chi si trattava, ma volle presentarlo ai suoi
genitori terreni come gli era dovuto.
Lo
prese sottobraccio e fece far loro conoscenza: “Mamma,
papà… Lui è Leonard Wallace, il mio
futuro sposo…!” annunciò
emozionata, era la prima volta che dovevano dichiararlo a qualcuno,
anche Leo ne fu un poco suggestionato, infatti era di colpo impallidito
e si mostrò buffamente rigido e formale verso i coniugi
Wilson, molto entusiasti delle nozze. Tanto da dimenticarsi quasi
ciò che avevano appositamente portato dalla Cina in dono per
Celia: degli splendidi kimoni turchini, come ne aveva sempre
desiderati, da quel momento la Dea non indossò altre vesti
per tutta la vita.
I
Wilson ripartirono per Caimanera la sera stessa, avevano il desiderio
di tornare finalmente a casa prima delle nozze, che si sarebbero
celebrate a giorni.
Celia
invece venne condotta dal suo futuro sposo nella loro nuova casa: la
fattoria Wallace.
Un’estesa
tenuta recintata da una solida staccionata fresca di pittura, che
racchiudeva un casato signorile di più piani, un mulino a
vento, altri rustici sul retro che servivano da stalle e fienili, dove
Immi in quanto unico cavallo del luogo poté avere un
trattamento da regina, ed immense distese di campi rigogliosi e verdi
in cui perdersi, riportanti in certi punti l’oro
dell’estate.
Era
ormai tardo pomeriggio quando vi arrivarono, tutto il casato si trovava
impegnato a terminare le mansioni in tempo per la cena, al ritorno del
nuovo padrone.
La
prima a farvi ingresso fu Sogno, subito scordata da Leonard, in un
cucinino sul retro da cui provenivano mille aromi invitanti, e lo
scampanellio di pentole e mestoli come una melodia incalzante, sullo
sfondo del vocio animato delle cuoche.
“Siete
voi, Signor Wallace?” chiese un richiamo curioso da
dietro i fornelli fumanti.
“Sì,
Amelia –rispose alla cuciniera- Venite,
ho un ospite con me!” informò il padrone
riponendo nel frattempo la propria giacca insieme a quella di Celia su
di un appendiabiti in ferro battuto.
“Ospite?!
–ripeté stupita- Potevate annunciarlo
in anticipo, signore! –quasi lo
rimproverò- Avrei apparecchiato per
due…” sostenne una cuffia sgualcita
facendo capolino dai fumi.
“Dovrete
apparecchiare per molti di più! –la
corresse scaltro- Voglio tutti i membri della casa presenti
a tavola questa sera, per una cena di benvenuto alla futura signora
Wallace!” anticipò sbalordendo
l’insolita invitata, faceva il suo effetto sentirsi chiamare
così per la prima volta.
Alla
vista di Celia al fianco del ragazzo, la cuoca si portò una
mano al petto, colta dallo stupore: “Oh… Ma voi
dovete essere la sua futura sposa! Se permettete è davvero
uno splendore, signore –stimò entusiasta-
Siate la benvenuta!” concluse con un dedito inchino.
“Grazie,
siete troppo gentile” arrossì lei in
imbarazzo.
“Questa
mattina un uomo ha portato qui dei bagagli, credevo fossero del signor
Wallace! –ammise Amelia ignara- Invece
devono essere vostri, non è vero? Accorro subito a
sistemarli in una camera per gli ospiti, e mi occuperò anche
di farvi trovare un bel letto caldo!” predispose
cordiale rivolta alla giovine, raccogliendo dalla cappa del caminetto
vicino il carbone ardente con cui riempire lo scaldaletto.
“Non
ce ne sarà bisogno, Amelia. Celia può dormire con
me…-si oppose il padrone- la mia stanza
è sufficientemente grande per due!” sostenne
senza nascondere un piglio malizioso.
“Oh,
no no no no no! –rinnegò più
volte sull’orlo dello scandalo- Siete forse
impazzito?!? Non posso permettervelo! Non in questa casa, e prima del
matrimonio per giunta –protestò-
E’ escluso!” lo rimproverò la
donna prendendo ancor più colorito in volto, già
arrossato dai vapori della cucina.
“Non
ammetto questo atteggiamento in casa mia, Amelia
–alzò la voce irritato- Il padrone
adesso sono io, e dovete fare come dico!” tuonò
dispotico con Celia accanto, assordata dalle urla, che lo
pregò di calmarsi.
“L’unica
cosa che il vecchio padrone vi ha chiesto in cambio della
proprietà è stata di mantenere questo luogo come
è sempre stato. La tradizione vuole così, e
così deve
essere!”
troncò la discussione incassando la parte del giusto, prima
di esortare Celia a seguirla.
“E’
la tradizione!!” schernì il mortale a sua
volta, prima di congedarsi con Amelia.
Le
fu assegnata una camera deliziosa, anche se solo per tre notti,
volutamente sul lato opposto a quella di Leonard, così da
mantenere intatti i rigidi divieti proverbiali, che il padrone
mascalzone tentò costantemente di raggirare, ma venne sempre
sventato dalla “guardia notturna” Amelia.
Così,
presa dalla compassione per i lamenti di solitudine ostentati dal
mortale di giorno, un vespro fu Sogno a far lui visita: si
materializzò nella sua stanza a notte fonda, quando la casa
si arrese completamente al sonno.
Non
vi era molta luce, ma in vesti divine il buio l’era agevole.
Lo scorse desto, agitarsi nel letto, avvolto solo dalle lenzuola, con
la testa sotto il cuscino, affondare dei pugni nel materasso per
attutire le ingiurie, sicuramente rivolte alla benevola cuoca;
l’intrusa dovette premere le mani sulla bocca per non far
udire la propria risata. Prese posto sulla sponda del letto, in modo
d’assistere comodamente a quello spettacolo comico, e attese
che scaricasse tutta la rabbia sull’innocente giaciglio.
“Sai,
è proprio bella questa casa!”
pronunciò incantata quando si fu calmato.
Al
suono di quella voce il “pugile” si
voltò di scatto riemergendo dal cuscino, e i suoi occhi
chiari vennero lievemente feriti dal bagliore a
distanza ravvicinata della Dea dei Sogni.
“Sapevo
che saresti venuta da me presto o tardi, non potevi resistermi a
lungo!” assentì compiaciuto, facendo leva
sulle braccia per mettersi seduto.
“A
dire il vero mi stavo solo assicurando che tutti, nei dintorni,
stessero facendo sogni tranquilli… A differenza
tua” lo canzonò rammentando
l’incontro di pugilato con il materasso appena conclusosi.
“Già…
-inghiottì il boccone acre-
Perché non vieni qui? –propose abbassando
la voce, divenuta appositamente roca- Questo letto
è così freddo…” alluse
scostando le lenzuola al suo fianco, dalla parte libera del letto
nuziale.
“Ovvio –replicò
pronta a reazioni del genere- Dormi tutto
scoperto!” lo biasimò risistemando le
coperte allontanate.
“Ma
io intendevo le lenzuola…!” tentò
di rivalersi ostentando una sottile intonazione maliziosa.
“Ahhh!
E’ colpa delle lenzuola dunque… -comprese
più astuta di quella volpe- Se è
così, problema risolto!” assicurò
prima di sfiorare il giaciglio con la sola punta del piede,
trasmettendogli parte del proprio calore celeste, il quale
abbrustolì per bene il fondoschiena
dell’inopportuno predone malpensante, facendolo sobbalzare
nel letto. Trascorso lo sconvolgimento iniziale da parte della vittima,
per il gesto inaspettato, si concessero entrambi una fragorosa risata.
“Funziono
meglio del rudimentale scaldaletto!” si
vantò ancora ridendo.
“Ho
capito, ricevuto, bisogna prestare attenzione a farti
arrabbiare!” si arrese portando le mani verso
l’alto.
“Ora
sai cosa intendevo quando ti dissi di essere cenere calda ”
reagì soddisfatta, sul punto di lasciare la stanza.
“…E
se un giorno mi inventassi che ti amo?” disse
Leonard dal nulla, per fermarla, sferrandole senza volerlo un duro
colpo, poiché non seppe trovare altro modo per trattenerla
oltre.
“I-inventassi…?
–ripeté sconvolta- Tutto questo
è solo un’invenzione per te?” domandò
turbata.
“No,
ma… Non ricordo di avertelo mai detto a parole” perpetuò
mancando di dare alla sua voce una ravvisabile espressione.
“Bhe,
mio caro, invenzione non è proprio un
termine adatto per compiacere una donna! –sostenne
adirata- E poi… -la sua rabbia si
frammentò in singhiozzi- ero certa me
l’avessi fatto capire in altri modi…”disse
sconfortata.
“Sappi
che è la verità! -ribadì lui
con animo- …Anche se non ho mai saputo
dimostrartelo” rivelò chinando il volto,
amaramente dispiaciuto.
“Ma
cosa dici…?” negò la Dea
confusa, ripercorrendo in fretta i propri passi.
“Una
volta credo mi dicessi che ti saresti innamorata solo di un uomo
disposto a dare la propria vita per te” rammentò
il mortale crucciato.
“E
tu mi dai persino retta? –disse un po’
risollevata per screditare quella sua stessa affermazione- Credi
davvero di non averlo fatto anche tu? –continuò
ricevendo una negazione col capo- Allora che mi dici di questa
–lo interrogò spalancando
l’anta di un armadio da cui apparve nell’ombra la
sua vecchia veste da Vicecapitano- Non era la tua vita?
Eppure vi hai rinunciato…-si ritrovò lei
stessa a doverlo consolare, era anche questo che amava del stare
insieme a lui: poteva sconvolgerle l’esistenza in un attimo- …E
da quel momento m’illudo di riuscire in qualche modo a poter
eguagliare ciò di cui ti sei privato, ti sarò
sempre infinitamente grata per questo…!” concluse
adagiandosi al suo fianco, dove venne subito catturata nelle sue
grinfie mortali per estorcerle un bacio.
“…Ma
non verrò a letto con te! –precisò
divertita, scampandogli di corsa, lasciandolo di nuovo a bocca
asciutta- Non stanotte, non ancora…” gli
tese una lievissima speranza dal davanzale della finestra.
“Dove
vai, fuggi come di consueto facevo io?” le
domandò divertito.
“Vado
a sistemare l’incubo dei sogni di qualcun altro,
perché il mio l’ho già castigato per
adesso –rispose guardinga- ...dormi
bene!” gli augurò appena in tempo, prima che le
sue palpebre si richiusero, il suo sorrisetto furbo si rilassasse e
quel respiro prendesse un ritmo calmo e regolare.
Gli occhi della Notte.
I
due giorni seguenti furono lunghi e intensi, iniziavano appena sorta
alba e si concludevano a sera inoltrata, non vi erano grandi
preparativi in corso per le nozze, solo il minimo indispensabile come
gli inviti, i fiori e la torta nuziale, ma nemmeno molto tempo ancora.
Il
casato era in pieno fermento, ogni componente voleva dare in qualche
modo il proprio contributo per la cerimonia, il vecchio proprietario
aveva lasciato in eredità un’ottima gerarchia
d’ordine, ed escluso qualche breve momento di usuale panico,
erano tutti molto ben organizzati ai propri posti.
La
quiete giungeva solo alla sera, quando l’unica apprensione
erano le eccessive attenzioni di Amelia.
La
donna si era improvvisata cameriera personale di Celia, e si
preoccupava di scortarla personalmente nella sua stanza ad ogni
imbrunire. I due innamorati potevano risalire le scale insieme, ma una
volta giunti nel corridoio, che divideva le loro stanze in due lati
antistanti, dovevano darsi lì la buona notte.
Leonard
n’era così esasperato che un vespro, andando a
letto, escogitò un discorso sconveniente per potersi
liberare della sentinella almeno qualche minuto: “Sai, tesoro. In quanto
tuo futuro marito devo essere del tutto sincero con te –presagì
emulando un tono insolito, che fin da subito fece intendere a Celia
l’affermazione seguente come uno scherzo, al contrario della
cuoca pettegola, la quale affinò subito l’udito,
mentre li seguiva nel salire la scalinata- Perciò
mi sento di dirti che la scorsa notte c’era una donna, con
me, in camera da letto” continuò a
recitare.
Amelia
ne fu sgradevolmente stizzita, sgranò i grandi occhi
contornati dalle pieghe del sorriso, per poi calare la cuffia sulle
orecchie così da non sentire oltre, e superandoli alla cieca
proferì solo, diretta al lavatoio: “Più tardi
verrò a portarvi la biancheria, Miss!”
“…Ha
funzionato!!” esultò il predone nel
vederla fuggire, stringendo finalmente a se la sua amata in tutta
libertà.
“L’avrai
sconvolta!” lo riprese Celia, provando pena per lei.
“Ben
le sta! Detesto quei suoi modi bigotti… -denigrò sdegnato-
…Verrai
a farmi visita anche stanotte?” le sussurrò
chinandosi verso il suo orecchio in tono seducente.
“Credo
proprio di… NO! –gli sfuggì
giocosa- Quale
folla si creerebbe nella vostra stanza altrimenti! Visto che ci
sarà già quell’altra donna ad attendervi…-resse
l’inganno con cui aveva raggirato Amelia- vi lascio dunque alla vostra amante, Dio delle tenebre” lo nominò per finta,
rifacendosi al suo consueto sguardo cupo, prima di scomparire con un
bacio della buona notte nell’antro buio del corridoio.
Lui
attese speranzoso un ripensamento, ma dopo il tonfo sordo con cui Celia
chiuse la porta alle sue spalle, si rassegnò che non sarebbe
più tornata. Fece ingresso nella propria camera padronale,
mettendosi subito alla ricerca di un lume per orientarsi,
poiché la stanza era interamente imbevuta nel buio. Le
candele sembravano dissolte, e la lampada ad olio sul comodino, sebbene
fosse già perfettamente disposta all’uso, pareva
non volersi accendere.
“…Dannazione!” ringhiò allora,
ricercando freneticamente almeno un misero fiammifero nelle tasche di
giacca e pantaloni, quando incombé un sudore freddo.
“…Dio
delle tenebre?” pervenne dall’ombra una
voce di donna, trainante con se un filo d’ilarità.
Leonard
si voltò bruscamente verso la finestra, dove venne sorpreso
da due occhi lampanti che lo fissavano in termini di sfida.
“Un
tale Dio non può essere incapace di vedere al
buio!” ridacchiò la voce,
coprendo lo strepitio di un cerino che si accese sul suo volto,
rivelando alle tenebre la posa contemplativa di Nyx. Il mortale ne
trasse un respiro di sollievo, avrebbe distinto tra mille quella risata
sempre rivolta a schernirlo.
“Così
va meglio?” disse guidando il lume fluttuante al
centro della stanza, in modo da rischiararla il più
possibile.
“Quale
onore, dunque,
presidiare alla cospetto della Notte in persona!” la
riverì accennando un inchino.
“Te
l’ha detto infine –riconobbe adempiuta- ma
attento Signore del buio, se tale credi di essere, nelle tenebre ci
troverai anche me!” lo mise in guardia ruotandogli
attorno con fare sinistro, come se lo stesse studiando.
“Piuttosto
–interruppe il suo oscuro girovagare- mi
hai chiesto il permesso di prendere mia figlia in sposa?” lo interrogò con un
retrogusto di disappunto.
Il
mortale ne rimase attonito, seppure trovò il fegato di
replicare audacemente: “Mi avete incoraggiato
voi stessa a farlo! Non erano vostre le parole ‘aprile il tuo
cuore Leonard’?”sostenne risentito.
“E’
così, ma in ogni caso non ti permetterò di
sposarla” stabilì contraria, scatenando
nel pirata un forte impulso di rabbia. Stava per protestare
animatamente, sollevando i toni, reclamando spiegazioni, quando la
Notte proseguì tranquilla: “…Non
abbigliato in quel modo almeno –precisò
più eloquente- Le vesti del tuo padrone ti
stanno troppo grandi, e i tuoi stracci truffaldini sono del tutto fuori
luogo per l’occasione” valutò
consumando di respiro in respiro l’impazienza del giovine.
“Ed
è proprio per questo che sono qui –ammise infine- ho con me il tuo regalo di
nozze!” annunciò elettrizzata,
spostandosi fin dove la luce penetrante dalla finestra e il lumino non
poteva arrivare, per trainare dalle grinfie del buio uno spettro nero
della forma di un uomo, privo della testa. Con un abile gesto
strappò decisa il telo nero che ricopriva il fantoccio
inanimato, svelando al futuro sposo un prezioso abito nuziale da uomo
dalle fattezze prestigiose.
Leonard
volle avvicinarsi poiché nello stupore non fu in grado di
riconoscere se fosse vero o solo immaginario.
“Ma,
come!
–commentò scontento- credevo che il mio vestito
dovesse essere bianco, pomposo, con una larga sottana in pizzo e il
corsetto di raso!”
“Come
vuoi, allora questo lo farò indossare a
Sogno…” dispose lei del tutto seria,
allontanando il manichino.
“No,
la prego. Si fermi!- ci ripensò ridendo- mi è bastata
l’esperienza del Ballo di primavera!”
assicurò trascinandolo a se.
“Lo
saprai indossare da te, vero? Io non verrò di certo ad
abbottonarti i polsini della blusa questa volta!” si premunì Nyx,
riconsegnandogli l’abito adeguato, il Dio delle tenebre
sogghignò annuendo.
“Eccellente!”disse soddisfatta.
“…Sarete
presente alla cerimonia, domani?” la interruppe sul punto di
tornare ad essere un tassello del cielo.
“Credi
forse che mi perda il giorno più importante della vita di
mia figlia?” predispose in un giocoso assetto
di sfida. “Certo
che no” sussurrò retorico.
La
Dea gli sorrise, ma non se ne andò, tornò su i
suoi passi, per guardarlo fisso negli occhi, avvolgendo con le mani
nivee quel bronzeo viso di carne e sangue.
“Giurami
solo, da questo momento in poi, di prenderti sempre cura della mia
bambina… L’affido al tuo cuore!” spirò con un lieve
accento di malinconia, definendola in tal modo per la prima volta.
Leonard
Wallace si soffermò un istante ad ammirare quello sguardo
enigmatico quanto irrevocabile, ed arresosi all’evidenza di
non poterlo mai in alcun modo decifrare, le rispose indubbio: “…Lo
giuro…”
-
Apollo si levò nella
sua maestosità dirompente poche ore più tardi,
spiato con curiosità in ogni gesto da uno spirito celeste,
attraverso le vetrate già infuocate di luce nel corridoio
dei vani per gli ospiti, riparandosi di tanto in tanto giocosa
nell’ombra del colonnato.
Aveva
appena fatto ritorno alle sue sembianze terresti, ed ora, come ogni
mattino, riappariva magicamente, quasi nulla fosse, e Celia Wilson
quella notte avesse solo dormito. Amava contemplare il mondo riprendere
vita, e colore, ma quel giorno tutto era accentuato da una sfumatura
più rosea, più bella, poiché giunta la
prossima sera, lei e Leonard sarebbero finalmente stati marito e
moglie. Marito
e moglie,
era ancora così bizzarro per lei poter pronunciare quelle
parole.
L’aria
profumava già di leccornie e dolci -merito di Amelia, al
lavoro da notte fonda- il giardino presto si sarebbe colmato di fiori
-come avviene a primavera- delle allieve del collegio -prime vere
testimoni delle nozze- insieme ai coniugi Wilson, tutti i componenti
della fattoria –quanto una grande famiglia- dello scompiglio
per la venuta straordinaria del sindaco di Faimouth -delegato a
celebrare le nozze- e l’animo della trepida attesa per gli
sposi, più emozionati di tutti loro.
Si
prospettava un evento molto discreto, nulla di eccelso, ma smise di
esserlo proprio dall’istante in cui Sogno fece rientro nella
sua stanza, dopo una notte trascorsa ad aleggiare su volti sognanti. Al
suo ritorno tra quelle mura l’attendeva un inconsueto
manufatto d’arredo, lo stesso che quella notte si era
ritrovato Leonard nella propria camera: un principesco vestito da sposa
confezionato da un bustino di raso e pizzo, terminante in una ampia
gonna a volta, in vari punti rimboccata in modo da creare delle
suggestive pieghe fermate da brillanti, che completavano la
preziosità di un tale abito unico nel suo genere.
Da
dove poteva essere apparso tale splendore? Chi era stato a deporlo in
quella stanza? Non destò sospetto la mancanza di Celia?
Chiunque
fosse non aveva lasciato alcun indizio, solo un piccolo biglietto
arrotolato a pergamena, rinvenuto dalla Dea incredula e commossa in una
piega del vestito, il quale, una volta spiegato, non riportò
nulla di scritto, solo una piccola candela di cera nera che tra le sue
mani si accese diffondendo… buio!
Solitamente
le candele hanno la mansione di creare luce, ma quella non era un lume
come qualunque altro, piuttosto un piccolo paradosso: generava
oscurità.
Magia
nera? O forse solo un gesto per implorare perdono.
In
quanto all’insolita fiamma della candela, poteva essere
generata solo dalla massima fonte del cupo…
E
cosa c’è di più buio della Notte?
-
Gli
imprevisti quel giorno non si limitarono solo ai due magnifici abiti
degli sposi comparsi dal nulla, poiché anche i coniugi
Wilson, di ritorno da Caimanera, si presentarono con un singolare dono
di nozze.
Conoscevano
il futuro genero solo dal breve colloquio che tennero con lui al porto
di Faimouth, ma per loro bastò a prediligere il miglior
regalo di cui potessero mai fargli omaggio. Il ragazzo aveva solo
accennato ai due signori di essere un uomo di mare in
verità, e di non averci più fatto ritorno in
seguito ad un naufragio -il tutto tenendosi ben distante dal rivelare
la sua identità di Vicecomandante d’una ciurma
pirata- pertanto i futuri suoceri supposero che Leonard avesse in se
nostalgia di tale passato, e fecero ritorno all’isola a bordo
di un magnifico veliero spagnolo, un tempo chiamato Anna Reina, lungo
ben 33 metri e non solo, del quale fargli dono.
Infatti
al comando vi posero ciecamente un singolare individuo, di cui il
predone aveva loro parlato e che i coniugi erano riusciti a
rintracciare, pensando di fargli cosa gradita: Viktor Hellburne, il suo vecchio Capitano. Non
potevano minimamente sospettare che così facendo gli stavano
sottoscrivendo un terribile patto irrevocabile con Persefone*.
Di primo sguardo il Comandante pareva una sorta di
moderno vichingo -sebbene egli sostenesse
di provenire dal Nord America, dalla penisola di Terranova*- forse per via dei lunghi
capelli chiari scarmigliati, la folta barba raccolta in trecce della
stessa lunghezza, i sandali di cuoio come calzari e le iridi tanto
chiare da sembrare trasparenti. Era sempre solito indossare indumenti
pesanti, in contrasto al clima tropicale, da cui sprizzava il suo
fisico massiccio e possente, ed un cappello fatto di osso
d’uno strano animale di cui andava fiero e non si voleva mai
separare.
Quando
i due nobiluomini lo trovarono, dicendogli di cercarlo a nome di
Leonard Wallace, il Capitano credé di esser vittima di una
burla di quel buontempone narciso, ma infine li seguì, vinto
dalla curiosità, ponendosi come parte del gioco, che
finì subito di sembrarlo quando sbarcarono nei pressi della
imponente tenuta di cui i Wilson avevano parlato.
Il
loro arrivo, un poco occultato, avvenne nei pressi del litorale
più attiguo alla fattoria, da dove si misero in cammino
verso il casato, in cui approdati vennero letteralmente sopraffatti dal
gran movimento frenetico, fatto di torri di vassoi in argento colmi di
pietanze ancora fumanti, foreste di sedie sfarzose, tavoli ritondi,
pile di tovaglie fresche di bucato, canestri fioriti, metri e metri di
nastro bianco da cui ricavare fiocchi come addobbi, calici di cristallo
per il brindisi, il tutto implicante gli ultimi ritocchi per la
cerimonia.
I
signori Wilson si congedarono all’istante con
l’ospite per prender parte al clamore, mentre Viktor
condisceso, rimase un attimo pietrificato sentendosi divelto dinanzi a
tanto convulso da fare, per poi esigere subito di parlare con il
novello proprietario del luogo.
Gli
fu piuttosto semplice trovare Leonard, in quanto sposo non poteva
essere altrove che anch’egli alle prese con i preparativi,
perciò al Capitano bastò l’irritata
indicazione di una cuoca spossata, la quale nel subbuglio lo
scambiò per un musicista folcloristico, per raggiungere una
delle stanze del primo piano.
Rinvenne
il fidato compare di disavventure dietro un uscio socchiuso, dinanzi lo
specchio, a contemplare se stesso -come lo ravvisava sovente quando
comandavano la stessa nave- alle prese con una fusciacca ormai
stropicciata per i troppi tentativi di annodarla quanto un perfetto
fiocco attorno al collo.
“Allora
sei ancora vivo, belloccio!” esordì poggiato allo
stipite della porta, ghignando a quella visione.
Il
Vicecomandate lo rivide nel riflesso, e seppur stranito accorse a
salutare con entusiasmo l’ex Capitano.
“Viktor!
Diavolaccio, non posso crederci, come hai fatto a trovarmi?”domandò dandogli una
energica pacca sulla robusta spalla.
“Ingegno
–osò millantatore- Ti vedo in forma, ragazzo!
–appurò
stupito dalla rinnovata vigoria del compare- I nostri uomini mi avevano
riferito che
ti eri rifatto vivo dopo qualche tempo dalla tua scomparsa, ma poi hai
tagliato la corda di nuovo, senza spiegazioni. Dunque sei venuto qui,
diventato uno sfacciato riccone, per lo più ti sposi, e
volevi che non lo venissi a sapere?! –tralasciò
un poco di suspense- …D’accordo, mi
hanno fatto strada i due vecchi della tua signora –proferì veritiero- a proposito,
dov’è il bocconcino?” digrignò impaziente
sfregandosi le aride mani, scavate da cicatrici e acqua di mare.
“Non
provare a metterle gli occhi addosso!” infervorò subito i
toni.
“Uh
no, certo che no! –si finse impaurito- Per
Diana, Wallace! Sembri già un maritino geloso…
Pensavo che noi due ci dividessimo tutto!” lo
beffeggiò rigando il viso costantemente arrossato di pieghe
irritate.
“Mia
moglie è escluso –precisò
alterato- siamo sulla terra ferma adesso!” definì
con certezza.
“Terra…”
ruggì il Capitano minatorio “sono
fortemente insofferente a questa massa informe di bitume –si
espresse divenendo rude- Preferirei il patibolo, una
condanna a morte, il rogo, ma non terra.
–disdegnò stomacato, fronteggiando con
abilità il cipiglio di sfida del ritrovato braccio destro- Tu
non appartieni a questa stia di signorine, Leonard! Ti voglio con me,
sul ponte di comando. Sei un granello di sale, quale lo sono io, una
volta sognavi una vita fatta di libertà e orizzonti, non
salotti da the e ossequi!”riversò in
poche parole tutto il proprio astio.
“I
miei sogni sono cambiati” lo svilì,
portando avanti imperturbabile i suoi attenti ritocchi.
Ma
il Capitano non si diede per vinto: “I lupi di mare, per
quanto esso possa essere pericoloso, non potranno mai starvi lontano a
lungo, ne saranno sempre attratti!” lo
redarguì altezzoso.
O sempre prigionieri…
E’
incredibile come soltanto pochi anni dopo quelle parole presero una
piega così vera.
I
forti toni tra i due si placarono come di consueto dopo un goccio di
whisky, rievocarono i vecchi tempi e tornarono ad essere amici, come
sempre, tanto che Viktor dall’ospite più
indesiderato fu promosso a “pastore” della
cerimonia.
Il sospirato matrimonio della Dea e
il mortale si
celebrò in forma opposta a quanto i due innamorati avevano
pensato, ma anche
come mai avrebbero immaginato.
Fu trasferito così
velocemente a bordo del nuovo
veliero di Leonard, che il tanto atteso Sindaco di Faimouth, una volta
giunto
in pompa magna alla Fattoria Wallace, rimase turbato e oltraggiato dal
benvenuto desertico che non si aspettava di ricevere. Nessuno si
preoccupò più
di lui.
Intanto, a bordo della Reina Anna,
lo spirito
della vecchia nave da guerra venne allietato dalla gioia per le nozze:
all’imponente castello di poppa fu improvvisato un altare su
cui si erse il
fiero Capitan Hellburne in posa solenne, pronto ad accogliere gli sposi
sotto
le sue ali di finto sacerdote.
Il ponte di comando divenne per
l’occasione la
navata centrale, in cui gli sfarzosi invitati vennero sistemati su
panchetti
rivestiti di velo bianco drappeggiante sui lati, divise tra le
trepidanti
allieve del Seward, le quali producevano tanti striduli cinguettii
puntigliosi,
e accanto i più composti abitanti della fattoria, al
contrario quieti nel
sfoggiare dignitosamente la loro veste migliore, come tante allegre
bomboniere.
Al centro venne lasciata
un’ampia corsia,
tracciata da un lungo arazzo rosso costellato di soffici petali di
rosa, al
termine di cui Leonard attendeva già in subbuglio
l’amata, con un lieve terrore
dipinto negli occhi, costantemente puntati alla passerella da cui
sarebbe
ascesa di lì a un minuto; spalle curve, le braccia strette
sul petto per
contenere l’apprensione, lottò a lungo con se
stesso nel tentativo di non
placare l’ansia iniziando a vagare in avanti e indietro,
avrebbe voluto
districarsi continuamente il ciuffo nell’agitazione, ma non
lo fece per non
sembrare scarmigliato, eppure tutti si accorsero della sua impazienza,
compreso
il suo compare di molte maree: “Nervoso,
amico?” domandò
Viktor divertito, dalla postura in ascesa spirituale che aveva assunto
per immedesimarsi
nel mite sacerdote.
Leonard sollevò la testa
di scatto, mutando subito
lo sguardo smarrito in finta pienezza di se: “No..” assicurò
poco convinto.
“Hai controllato se gli
invitati ci sono tutti? Il
tuo granello di zucchero potrebbe averci ripensato, ed essere
già scappata con
uno di essi” ipotizzò mordace,
sfoggiando alla folla un finto sorriso
cordiale.
“Sicuro, e da un momento
all’altro potrebbe
partire un colpo di pistola vagante che casualmente
colpirà in pieno petto il falso prete di tutta la messa in
scena se non chiude
subito il becco!” reiterò lo sposo in un
unico fiato, passando da una
intonazione agitata ad una minacciosa, anche se nel dubbio non
mancò di
rivolgere un futile sguardo ai presenti nella metà della
sposa, alla ricerca
dello stalliere Andrew, seduto invece pacato al fianco di Alexia.
“Ti preoccupi inutilmente
-ridacchiò il
vichingo in una smorfia altezzosa- sono certo che la tua
è solo curiosità! -argomentò
sollevando le larghe spalle su cui ricadevano a piccole onde le ciocche
disciolte, poiché prive delle consuete trecce- Sei
giovane, ti senti
indomito, vuoi provare ogni esperienza, non ti facevo così
folle da sposarti
però! -ammise meravigliato, aggrottando
l’ampia fronte- Tra pochi mesi
ti stancherai, e verrai ad implorarmi di tornare a far parte della mia
temibile
ciurmaglia!” presagì assodato, mimando
assenso con il capo, il quale
appariva fin troppo piatto senza la strana curvatura del suo
copricapo-trofeo.
“Fossi in te non ci
giurerei, vecchio mio, aspetta
di conoscere Celia!” ovviò
screditandolo, sicuro almeno quanto lui.
“Certo, certo -assentì
poco dissuaso- Ma
sappi che mi abbasso a tutta questa messa in scena solo
perché sei tu!” dichiarò
amareggiato, dibattendo i sandali di cuoio sul
‘podio’ dal quale si ergeva, e
gonfiando il petto avvolto in una tunica bianca da pastore, ricavata da
un attempato
lenzuolo.
In quell’istante, a
placare ogni incertezza, fece
la sua comparsa dal principio dell’antro centrale Acmena
Wilson, per farsi da
entusiasta portavoce dell’incombente venuta della figliola.
Con assenso ed euforia generale,
tutti si alzarono
dal loro seggio, per volgersi indietro, così da avere il
primo sguardo sulla
sposa; quando Leonard intravide la futura suocera prendere posto in
prima fila,
dimenticò ogni tensione, allentò ogni muscolo
rimanendo come pietrificato, col
fiato spezzato.
L’arrivo di Celia non fu
una marcia nuziale fatta
di piccoli passettini estenuanti a ritmo di ta-ta-ta-taaa... ma
piuttosto un...
galoppo!
Giunse al litorale in sella ad
Immi, in una
manciata di trotti e richiami echeggianti con cui anticipò
la sua venuta.
Dalla folla si innalzò
un inaspettato boato di
stupore e meraviglia, nel vederla apparire così, dal nulla,
bella ed elegante
come non mai, nonostante la veste leggermente sgualcita dalla cavalcata
e la
complessa pettinatura in parte disciolta dal vento, cascante sulle
spalle scoperte
in seguito alla corsa.
La Dea e la sua destriera
risalirono cautamente la
passerella e alla sommità vennero accolte dal signor Wilson,
che da quel
momento prese in mano le redini per scortarle all’altare.
Il primo sguardo di Celia fu
rivolto a prua,
oltrepassò la folla, titubò incerto in quella
distesa di volti festosi,
ammirati e commossi, che ella avrebbe ricambiato pochi passi dopo con
timidi
sorrisi onorati, e si rivolse impaziente laddove troneggiava il
pastore, alla
ricerca del dolce incubo suo.
Vi giunse scortata dai suoi cari,
stringendo tra
le mani tremanti d’emozione un bouquet di rose blu, rivolse
una riguardosa
riverenza al Capitano Hellburne in vesti da chiesa, e finalmente
poté
avvicinarsi al raggio di tenebra che tanto amava.
Gli andò incontro con le
iridi umide di gioia e un
ampio sorriso in volto, intorno a loro ogni arredo era stato velato di
seta,
qualunque angolo un tripudio di fiori e colori, come la schiera di
pappagallini
colorati che sormontavano il parapetto sovra l’altare, era
tutto meravigliosamente
perfetto... Tranne forse la reazione di Leonard, non propriamente
così
entusiasta.
L’accolse di sbieco, con
il capo chino, la fronte
corrugata e il sorriso increspato per lo sforzo, causando un netto
declino
nella gaiezza di Celia.
Solitamente si teme di
più per i ripensamenti
della sposa, ma in quel momento tutti presagirono l’opposto.
Nessun accenno di lode
proferì dalle labbra del
pirata, si chinò solo sull’orecchio di lei
sussurrandole “Seguimi”.
Sul ponte di comando esplose lo
sdegno quando
videro i due allontanarsi, incuranti di tutto, in un cantuccio, lontano
da
occhi indiscreti, senza rivolgere le proprie scuse ai presenti, ma solo
pregandoli di attendere.
Lo stesso Viktor
nell’imbarazzo generale
giustificò il gesto agli invitati con la frase:
“Lasciamo ai nostri colombi un istante di
raccoglimento”
Sogno fece quanto chiesto, sebbene
appena furono
soli domandò a Leonard spiegazioni: “Che succede, va tutto
bene? Ti vedo pallido...” disse con apprensione,
portando le mani lungo il
contorno del suo volto.
Il mortale non la guardava, si
teneva a debita
distanza, con le spalle contro il muro e lo sguardo, solitamente
spavaldo,
smarrito nel vuoto, la stava preoccupando a dir poco.
“Sì... -rispose
senza riflettere- Sì...cioè...No!”
strascicò confuso.
“Cos’è
che non va, Leonard?” tentò lei di
calmarlo, mutando il tocco in lievi carezze.
“Niente!
-replicò
di colpo- E’ tutto fin troppo magnifico...! -quasi
si lamentò- E
anche tu... sei...semplicemente... sublime... -riconobbe
avanzando verso di
lei ad occhi bassi, perdendosi il ritrovato sorriso della Dea- Ma
v’è un terribile
quesito che m’assale da un po’ di tempo, ed io non
ho ancora saputo dargli risposta...”
ammise dolorosamente.
“Ossia?” incalzò
la Dea.
Leonard rubò un attimo
all’attesa, per respirare
profondamente ed accumulare coraggio, poi iniziò:
“Accade spesso che io mi ritrovi a pensare: Perché
tra tutti gli uomini
dell’intero universo hai scelto proprio me? -disse
con la mano ripiegata sul
petto, quasi fosse una pesante colpa- Io non me lo spiego...
Perché non...
Andrew, sareste fatti l’uno per l’altra! O chiunque
altro, chessò, un altro Dio
per esempio. Il mondo è pieno di persone di ogni
tipo...” vaneggiò febbrile.
Sogno non poté
trattenere ancora a lungo un riso:
“Andrew? Dici sul serio?! -perpetuò
ridendo- A lui voglio molto bene, è
un caro amico, ma non potrei mai amarlo, mai. Io e lui siam fin troppo
simili,
finiremmo con l’esasperarci a vicenda!” stimò
certa.
“Sarà anche
vero -continuò interiormente
sollevato dalla rassicurazione- ma converrai con me che non
siamo
esattamente quelle che si definiscono “anime
gemelle”, non vi è nulla di simile
in noi... niente di niente...-alluse scoraggiato- E
allora PERCHE’?”
Celia ne fu ammutolita, fino a quel
momento non
aveva mai pensato che le loro diverse nature potessero servire da
ostacoli.
“Se è questo
che credi... Tu per me sei già un
Dio: il Dio delle Tenebre!” scherzò lei,
sdrammatizzando per sforzarsi di
sorridere.
“Tua madre non
è poi così d’accordo nel dover
dividere questo ruolo con me! -ghignò rimembrando
il loro ultimo incontro-
Me l’ha detto la scorsa notte, regalandomi questo, come dono
di nozze” spiegò
allentando il colletto della giacca lussuosa.
“Oh, cielo! E’
opera sua...? -sbottò incredula
ammirando la veste sfarzosa dello sposo- Anche il mio abito,
credo...” definì
non del tutto certa.
“Lei sì sa
come far risaltare una stella!” proferì
incantato nel cingerla a se, riferendosi alle gemme incastonate nel
vestito.Sogno distolse lo sguardo dalla sua visuale per non mostrarsi
nell’arrossire.
“Adoro quando le tue gote
brillano di rubino” confessò
sfiorandole con le labbra.
Quel dolce gesto non
servì d’antidoto agli idiomi
di veleno prima emessi con tanta leggerezza, il predone se ne accorse
dall’espressione smarrita perpetrante sul volto della
fanciulla, doveva esserle
parso troppo duro: “A volte mi chiedo se
sei vera... -tentò
di risollevarla- ...e tu esista davvero... o se quella
visione luminosa ai
piedi del letto deriva dalla mia deviata immaginazione.”
“...Certo che sono qui! -accertò
divertita
ricercando il suo sguardo- Riesci a sentirmi? Non vedono i
tuoi occhi? Le
tue mani... Non le chiamate “orecchie” queste? -definì
retorica seguendone i
contorni con le dita- ...Non ama questo cuore?” concluse
appellandosi a
quel forte petto.
“...E tu mi amerai ancora
quando avrò il corpo
intriso di rughe e pelle cadente?” pose sfidante.
“Oh, sì!
Queste sono solo le cose più vacue.”
“Anche quando mi cadranno
i denti, i capelli,
faticherò a parlare, muovermi, a camminare... Dovrai
imboccarmi di cibo
premasticato un misero cucchiaio per volta, e farò fatica
persino a rimanere
sveglio... Avrò la mente annebbiata e le ossa
sbriciolate!” considerò poco
speranzoso.
“Vorrà dire
che le riassemblerò io briciola per
briciola!” si propose giocosa poggiandosi alla sua
spalla come su di un
soffice cuscino.
“...Mi amerai ancora
quando sarò cenere?”
Un violento sussulto scosse
quell’abbraccio.
Celia si aspettava un pensiero
simile, ma la colse
ugualmente di sorpresa, sebbene fin ora pregò sempre di
evitarlo. Le sue
palpebre già socchiuse si strinsero forte, quasi a voler
contenere parte di
quel dolore, scandito dai singhiozzi.
Richiamando a se tutte le proprie
forze si scostò
leggermente da quel calore, così intenso perché umano, e sussurrò mostrando
molta commozione:
“Leonard... tu per me non
morirai mai!” dichiarò
afferrando disperatamente il suo viso, nel futile tentativo di portarlo
via
alla morte, come se così facendo potesse sfuggire a quella
figura onnipresente
nell’ombra, un vile avvoltoio pronto a piombare su membra
agognanti, e lo
trasse a se con un bacio.
Tutto parve zittirsi per un attimo
infinito, come
a volerlo far sembrare eterno, prima di esser brutalmente interrotto
dai
spazientiti richiami degli ospiti.
“Mi chiedi di sapere il
perché? -ultimò Celia-
Il perché non esiste, conosci tu cosa più
irrazionale dell’amore? Sono
soprattutto i tuoi difetti che amo di più, e sarò
sempre disposta a fare
qualunque cosa per starti accanto, se tu vorrai concedermi questo
privilegio...!” disse fiduciosa.
Il pirata ridacchiò
pensando di dover essere lui a
sentirsi onorato:
“Ma certo che lo voglio!” accertò
rincuorato.
“Hey, gente! -irruppe
tra loro facendo capolino
dallo
stipite della porta il viso
squadrato di “Padre”
Hellburne-
C’è una folla inferocita là fuori! Cosa
state lì
a fissarvi, andiamo! L’altare è da quella parte,
volevate forse iniziare senza
di noi?!” esortò trainandoli al di fuori
con se, probabilmente origliò buona
parte della conversazione.
La coppia di sposi si
ripresentò sollevata e
gioiosa al cospetto dell’adunata dei presenti, procurando un
generale sospiro
di sollievo.
Agli occhi di tutti parvero
luminosi, più distesi,
ma allo stesso tempo elettrizzati per tutto quello che ancora li
aspettava.
Anche Leonard tornò a
mantenere la testa alta e
fiera, finalmente ebbe tutte le certezze di cui aveva bisogno, ma il
mondo da
cui Sogno proveniva gli riservava ancora tante altre sorprese.
Una di queste lo attendeva proprio
nel tornare
all’altare tenendo sottobraccio la sua sposa: tra la schiera
degli invitati
nell’ala destra, vide in lontananza la sagoma di Immi
dirigersi allegramente
verso una figura poggiata alla balaustra. Morfeo accolse calorosamente
la
cavalla con abbracci e carezze, portandosi ad essere visibile alla
luce: si
trattava di un uomo dalla corporatura morbida, avvolta in un lungo
camice di
uno strano tessuto, poteva far quasi pensare ad una coperta; Le sue
gote
paffute e rotonde erano circondate da una lunga barba arricciata di
colore
bluastro, che faceva un tutt’uno con i capelli pettinati
all’indietro, per dar
luminosità ai suoi grandi occhi cupi, fissi e sorridenti al
mortale.
Leonard proseguì
imperterrito, ma rimase stranito
da quel tale, chi poteva essere? Non ricordava di averlo visto al
collegio e
tanto mento poteva trattarsi di qualcuno di sua conoscenza
Fu sul punto di domandarlo a Sogno,
ma volgendo il
capo al suo fianco scorse lungo la scalinata del castello di poppa
l’elegante
figura della Notte terrena, confusasi quasi con quella zona
d’ombra, e visibile
al giovane solo grazie alla distesa di luminose stelle che
incorniciavano il
lungo strascico del suo abito nero.
Glielo aveva promesso che ci
sarebbe stata, anche
il suo sguardo divertito e compiaciuto sembrava volerlo dire
silenziosamente,
accennando un saluto indolente con una mano, mentre l’altra
stringeva quella di
un angelo dalle ali scure e il corpo dorato, atterrato in quel momento
al suo
fianco, il Dio del sonno Ipno.
Il predone ricambiò in
un inchino onorato,
l’istante prima che il Capitano Hellburne diede inizio alle
nozze.
Non vi furono più
intoppi di lì in poi, i
festeggiamenti proseguirono nel migliore dei modi, ma quelle tre figure
dopo i
reciproci “Lo
voglio” si erano dissolte.
Lo
sposo li ricercò ovunque al termine dei
giuramenti, possibile che Sognio non li avessi Visti? Ma non li
ritrovò fin quando si avvicinò al banchetto
improvvisato
al centro del
veliero, per cercare sollievo in una fresca bevanda.
“Mia sorella ha fatto
bene a lasciare in nostro
mondo, guarda noi lassù cosa ci perdiamo qui!”
enunciò una voce avvolgente
pervenuta dalle sue spalle.
Nel voltarsi Leonard si
imbatté faccia a faccia
con il singolare uomo di prima che Immi parve conoscere bene.
Sorella, aveva detto proprio
così? Non poteva
trattarsi dunque che di... Morfeo...
“Non sono del tutto di
questa idea, qui è più
pericoloso di quanto sembri!” lo mise in guardia il
sospettoso mortale.
“Già, ma vale
la pena di affrontarlo se si è in
cerca del vero amore! -il Dio lo smentì riferendosi proprio a
Celia- Tu
devi essere Leonard Wallace, è così?” domandò
con una calda stretta di mano.
“Come sai il mio
nome...?” se ne stupì.
“Me l’ha
rivelato quel salice piangente laggiù -indicò
al di là della folla una singhiozzante figura di donna
seduta su di una
solitaria panchetta, in seguito rivelatasi la commossa Afrodite-
E’ bella
quanto facile alle lacrime! -commentò il
comportamento puerile della
divinità dell’amore- Tu qui sei
l’unico a poterci vedere!” gli
rivelò
accompagnando ogni parola con un largo sorriso scavato nel suo volto
tondeggiante.
“Neppure Celia
può vedervi?” chiese Leonard
stupito.
“Non ancora! -li
interruppe Nyx avanzando verso
di loro dopo essere apparsa da chissà dove- ...Ci
aiuteresti a farle una
sorpresa?”
-
**
Ultimo aggiornamento : 4 Gennaio **
“Dove mi stai
portando?” domandò
la Dea dei sogni
ridendo, lasciandosi trasportare, per la seconda volta quel giorno, dal
suo
sposo nell’ignoto.
“Come ho già
detto: è una sorpresa!” le rispose
Leonard tenendola delicatamente dai polsi, e guidandola in avanti
mentre lui
arretrava.
“Non sarà un
altro angolo buio, scoppierebbe un
secondo scandalo quest’oggi!” ironizzò pensando
agli attenti inquisitori del
circondario.
“E tu lasciali
parlare...! Bene, fermati qui
-dispose facendo cenno
alle altre divinità, poste alle spalle della fanciulla,
di farsi avanti- Ed ora... voltati!” disse
accompagnando il movimento
rotatorio, fino a volgerla verso la sua famiglia al completo che
l’attendeva
poco distante.
A
Celia si smorzò il fiato, sgranò i grandi occhi
commossi e corse loro incontro per dargli un caloroso abbraccio e
riaverli
vicino dopo tanto tempo reso ancor più straziante dalla
distanza tra quei due
mondi.
Fu
un gesto molto significativo per tutti loro,
dopo l’iniziale ed ineccepibile rifiuto alla scelta di Sogno
di vivere come
mortale, segnò il primo lieve riavvicinamento per la Dea
alla sue vere origini.
Tutti
ammisero il loro sbaglio, e Nyx in
particolare si scusò con lei nel seguente modo: “Mi
dispiace per non aver
capito così a lungo... E’ che ho sempre desiderato
solo il meglio per te, ma
poi, conoscendo a fondo questo luogo, ho constatato che non esiste
altro posto
in cui tu potresti essere davvero felice, se non qui, al fianco di chi
più ami”
riconobbe guardando
Leonard.
“Già,
è tutto merito mio se ho fatto cambiare idea
a quella testarda!” si
vaneggiò Afrodite ravvivandosi la fluida chioma, subito
fulminata dalla Notte con lo sguardo.
“Perciò,
bambina mia, tutti noi ci siamo recati
qui, in questo giorno tanto importante, per porgere a te a al tuo sposo
l’augurio del migliore avvenire possibile...!” continuò Nyx
facendosi portavoce
anche di Ipno e Morfeo, cacciando a stento le lacrime.
La
sposa, inerme, si chiese più e più volte se
tutto stesse accadendo realmente, o fosse solo il miraggio del suo
sogno più
bello, ma avendone la certezza ricercò nuovamente le loro
braccia, quel dolce
tepore quasi dimenticato, mormorando soltanto:
“...Adesso è davvero il più
bello della mia vita!”
I'm not There.
Trascorsero
5 lieti mesi da quel connubio, e
giunto il solstizio d’Inverno, a renderlo ancor
più gioioso vi fu la venuta al
mondo di Patrick Wallace.
Celia
e Leonard scelsero per lui un solo nome
mortale, così da non fargli vivere come peso la sua
metà divina.
D’aspetto
si direbbe conforme a qualunque bambino,
fu allevato pertanto nel medesimo modo, ma in sé nascondeva
una parte celeste
che si sarebbe manifestata totalmente in lui, rendendolo immortale,
solo quando
egli avrebbe compiuto un gesto degno di un Dio.
Fin
da prima del suo arrivo, Leonard si mostrò
sempre entusiasta, parlava e giocava con lui persino da dentro il
pancione,
improvvisando storie, battaglie, attacchi sottomarini, come se
già sapesse che
in seguito non avrebbe potuto farlo a lungo:
“Corpo di mille balene!
Uomini! Tutti in coperta,
tutti in coperta, le onde sono alte e minacciose, pericolo di
naufragio!! ...Oh
no, mi sono sbagliato... E’ solo la mamma che beve!”
Anche
Celia dovette adeguarsi alla dolce attesa,
doveva cibarsi quanto un essere umano e sottoporsi a frequenti e lunghi
riposi.
Sogno
mi ricorda spesso quanto furono esilaranti i
suoi primi giorni di vita: le capitava sovente di sorprende Leonard a
rimirare
incantato quell’esile corpicino dormiente dalla sponda della
culla. Le membra
del pirata erano abbandonate su di una poltrona, mentre si sorreggeva
il capo
con una mano ed osservava Patrick per ore, sempre con le iridi umide
spalancate
per lo stupore.
Oppure,
a volte, accadeva che gli occhi di Patrick
mutassero inspiegabilmente colore, divenendo da verdi ad azzurri, e
Leonard non
perdeva occasione per obiettare: “Perché
le iridi di nostro figlio sono
cerulee, non è che mi hai davvero tradito con
quell’Andrew?!”
“Dovresti rimembrare, mio
caro, che gli occhi di
mia madre sono di quello stesso colore!” era la costante risposta.
Patrick
crebbe nella fattoria di famiglia, i suoi
primi tre anni non furono differenti da quelli di qualunque altro
bambino, ma
con l’avvicinarsi del suo quarto anno, la loro
felicità priva di ricercatezza
fu turbata da un ritorno dal passato.
Capitò
un mattino, quando padre e figlio,
rincasati dal porto, dissero di aver fatto un piacevole incontro. Vi si
recavano
ogni venerdì per il mercato del pesce, e se veniva a mancare
durante il corso
della settimana rimediavano andando loro stessi a pesca, anche se il
piccolo
semidio si lasciava ancora scappare ogni pesce. (un
Dio come un Semidio non può uccidere nessuno! NdA)
Leonard cercava sempre
di insegnare a Patrick il più possibile per cavarsela in
ogni situazione e nel frattempo tentava di fargli amare il mare, senza
però
obbligarlo mai. Alla sua nascita decise che il veliero spagnolo, regalo
di
nozze dei Wilson, sarebbe stato di suo figlio, per farne ciò
che più egli
desiderava, e solo lui gli avrebbe conferito un degno nome un giorno.
Mantennero
intatto il loro segreto fino al
pomeriggio, quando Celia per la troppa curiosità stava per
scoprirlo da se,
torturando Patrick di solletico.
Per
averne la certezza dovette seguirli sulla
spiaggia, dove i due Wallace avevano organizzato una merenda per tre
con una
tovaglia, e un cesto di leccornie.
“Mamma, mamma, guarda!
Sono un dinoooosaaaurooo,
aaaaargh!” ruggiva
il piccolo saltellando goffamente per le dune ceree, facendo
mostra di due denti da latte già mancanti.
“Aspettami, dove corri!
Così somigli di più ad una
lepre!” si
mise ad inseguirlo lei per gioco. In pochi passi fu su di lui, lo
afferrò per il tondo pancino tra mille proteste scherzose e
disse portandoselo
vicino al viso, così da avere la sua attenzione: “Ti
mancano le squame per essere
un dinosauro...! Ma se hai le ali...-
continuò lanciandolo in aria- Sei un
dinosauro volante!!” lo
assecondò prendendolo al volo e ripetendo il gesto
più
e più volte, finché al bimbo non mancò
la terra sotto i piedi.
“Adesso voglio costruire
una torre di sabbia per
le formiche!!” annunciò
elettrizzato, correndo a perdifiato verso il
bagnasciuga, dove le onde si infrangono e la sabbia era più
morbida.
“D’accordo...
Ma cerca di non sporcarti troppo!”
gli
raccomandò pur sapendo di non essere ascoltata, lasciandolo
ai suoi svaghi
per portarsi al fianco di Leonard, disteso sulla tovaglia, pensieroso,
serio,
nell’osservare il mare colorarsi dei primi accenni del
tramonto.
La
Dea si poggiò al suo cuore e lo strinse in un
abbraccio, per un momento desiderò che tutto rimanesse
così per sempre.
“...Passo ogni singolo
giorno a chiedermi come
possa essermi meritato tutto questo...” sussurrò il predone
affondando il viso
nei suoi capelli.
“Adesso non fare il
sentimentale per cambiare
discorso! -lo
ammonì lei, pur sempre colpita- Di
cos’è che mi devi parlare? Non
ne fai parola con me da questa mattina, dev’essere qualcosa
di serio dunque!”
dedusse dal suo strano
comportamento, accomodandosi in modo da poterlo guardare
in via diretta.
“Stamane al porto abbiamo
incontrato Viktor Hellburne”
rivelò in un
unico fiato, senza alcuna intonazione.
“Il tuo Capitano! Quale
sorpresa, come sta?”
replicò contenta all’idea del vecchio vichingo.
“La sua non è
stata una visita di cortesia...-
si
fece serio- E’ venuto fin qui per chiedermi
aiuto, vuole che torni a fargli da
braccio destro per un po’-spiegò
meglio- Si tratta solo di poche settimane...”
definì
facendo intendere la sua preoccupazione a riguardo.
“Leonard... Io non ti ho
mai chiesto di cancellare
il tuo passato. Sei stato tu a voler iniziare una nuova vita come
fattore...”
“L’ho fatto per
formare una famiglia con te,
garantirci un futuro!...” la interruppe prendendo fragore.
“Comprendo il tuo
sacrificio, e te ne sono grata,
ma se adesso ti trovi incerto sul rivivere la tua vecchia esistenza o
meno,
temendo per me e nostro figlio, sono la prima ad incoraggiarti per
seguire ciò
in cui tu più credi e ti senti di fare!” lo assecondò piena di
convinzione.
“E’ che... -si calmò-
riflettevo sul fatto per cui
Viktor non sarebbe mai tornato a cercarmi se non fosse qualcosa di
molto
importante, significa che ha davvero bisogno di me. Ma allo stesso
tempo, ora
che la mia vita ha acquistato un vero significato, non ho alcuna
intenzione di
lasciarvi!” disse
a denti stretti e gli occhi colmi di tristezza, portando il
viso dell’amata più vicino a se.
“Io e il piccolo sapremo
cavarcela, filibustiere!
-lo rassicurò
scherzosa- Ci troverai sempre qui ad aspettarti... E poi
hai
detto che si tratta di qualche settimana! Quando dovreste
partire?”
“...Alle prime luci
dell’alba...” riferì
mesto.
“Oh... -gemé sorpresa-
...Così presto? Per questo
che tu e Patrick avete organizzato una magnifica merenda in spiaggia
quest’oggi?” il
predone annuì e Celia distolse il proprio sguardo reso
inquieto.
“Non me ne sto andando,
tesoro. Io desidero
passare tutta la vita con questa Dea irrazionale e sospettosa -riconquistò la
sua attenzione- ...con un assaggio di pazzia furente come
contorno... una
bottiglia di whisky che abbia il tuo sapore...e un bicchiere che non
sia mai vuoto!”
predispose prima di
finire con un bacio.
“So perfettamente come ti
rende felice la vita di
mare -riprese il
discorso Celia- ...Anche se non me l’hai mai
detto, lo vedo
quanto ti manca. Il modo in cui ti scorre fin dentro le vene...
E’ giusto che
tu vada!”
Così
fu deciso, la mattina seguente, poco prima
della venuta del sole, la nave di Hellburne era già pronta
sul molo per
salpare.
Leonard
fu l’ultimo a salirvi, trascorse ogni
secondo utile sul pontile, in compagnia della sua famiglia, per restare
il più
possibile con loro.
“...Percheeeè
non posso venire con te?” domandò il
piccolo Wallace dallo sguardo misto tra l’imbronciato e il
supplichevole.
“E’ ancora
troppo pericoloso per te, figliolo!”
sostenne Leonard
sganciando anche il penultimo ormeggio. L’essere padre gli
aveva anche conferito più moderazione e criticità.
Patrick
rifletté per un secondo alla ricerca di un
riscatto, ma in seguito fu costretto ugualmente ad incassare la
paternale:
“...Però prometti che un giorno mi
insegnerai a comandare la nostra nave!” si
aggrappò così ad una promessa.
“Affare fatto,
compare!” strinse
quel patto
porgendogli il mignolo, che il bimbo strinse al limite
dell’entusiasmo.
“Torno presto piccoletto -assicurò salutando
quel
pargolo semi-assonnato tra le braccia di Celia- tu nel
frattempo tieni d’occhio
la mamma!” raccomandò
dandogli un bacio sulla fronte e scompigliandogli il
ciuffo riccioluto.
“Ah-a, agli ordini
Capitano!”
esclamò con il suo
buffo visetto sdentato, portandosi la mano tesa all’altezza
della fronte per
imitare il saluto ufficiale.
“...Bravo il mio
bambino!” commentò
fiero.
Poi
si rivolse a Celia, la quale fino a quel momento
non aveva perso di vista nessuno di quei istanti, cercando invano di
tenerseli
stretti il più possibile. Il Vicecomandante Wallace
incappò nei suoi occhi
socchiusi, lucidi, ma all’apparenza felici, e
sentì una morsa dentro, era lui
stesso il primo a non voler davvero partire, eppure qualcosa gli diceva
che
doveva farlo.
“Shh...
Passerà presto! -tentò
di rassicurarla-
Non starò via a lungo!” ne trasse l’aspetto
positivo.
“Cerca di tornare... -disse lei, incapace di
celare la propria cadenza affranta- Noi saremo sempre
qui!” concluse
in sorriso
speranzoso.
Il
pirata ricambiò traendola a se fino a
stringerla così forte che nemmeno le proteste di Patrick,
quasi soffocato nel
mezzo servirono a dividerli.
Le
loro fedi dorate si confusero per un attimo in
un solo brillio, mentre il vicecomandante Wallace, già
diretto alla passerella,
tornò un istante indietro, per poter baciare
un’ultima volta le mani della Dea
che aveva tanto amato.
Risalì
lentamente l’asse di legno, ostacolo finale
a dividerlo dal mare, percependo ad ogni passo la pesantezza che lo
portava
via, conducendolo lontano da ciò che aveva di più
caro.
La
vocetta squillante di Patrick lo fece voltare
per l’ultima volta:
“Papà...! Quando mi insegnerai a navigare
sarò io il
Vicecomandate... Un giorno voglio essere come te!!” gli
urlò quando lui ormai
si trovava già a bordo. Celia e Patrick, dal molo, non
potevano già più
scorgere distintamente il suo viso a causa del forte controluce, ma
videro
quella sagoma scura sollevare il braccio in segno
dell’ennesimo saluto, se solo
l’alba non fosse stata così lucente avrebbero
potuto vederlo anche sorridere.
Il
veliero del Capitan Hellburne prese il largo,
mosso dal primo vento del mattino, e quella macchiolina scura lungo la
linea
dell’orizzonte non fece più ritorno per almeno 3
settimane.
Attesero
il suo arrivo ogni giorno, ignari che non
saprebbe mai arrivato.
Madre
e figlio si presentavano puntualmente di
primo mattino al porto, con indosso vesti pulite, un gran sorriso e
tanta
speranza a colmare il loro cuore. Per molto tempo furono certi di non
sperperarla invano, ma la smentita più grande
l’ebbero quando sulle rive di Faimounth
sbarcò una nave battente bandiera inglese, marchiata del
simbolo della
compagnia delle Indie Orientali, con a seguito una schiera di
prigionieri.
Erano
tutti pirati, furono scaricati a terra alla
pari di bestie, legati a polsi e caviglie con pesanti catene, frustati,
i loro
volti sofferenti, amareggiati, rabbiosi.
Niente
di nuovo per il posto, l’isola era famosa
per essere un deposito di detenuti in attesa di condanna, ma
ciò per il quale
quella ciurma si diversificava dalle altre era che per Celia erano
quasi tutti
volti familiari.
Appena
ne fu certa si precipitò in quella
direzione, tra la folla di curiosi incaricati dallo stesso governo
locale di
allontanarli, deriderli e farli apparire deplorevoli. Nella confusione
ricercò
la divisa di un ufficiale a cui rivolgersi per chiedere spiegazioni, ma
quando
lo trovò, al suo fianco l’attendeva il colpo di
grazia: l’ufficiale stava
discutendo proprio con il loro Capitano...
“Signor
Hellburne!!” gridò
la Dea volgendogli
incontro, incurante che per tutti si trattava di un pericoloso
prigioniero.
“Signor Hellburne...
Cos’è successo, perché vi
hanno ridotto così?- disse
provando pena per quelle spesse catene-
Dov’è
Leonard? ...Non l’ho visto tra il resto
dell’equipaggio...!” continuò in
pensiero, temendo che stesse per finire condannato come gli altri.
Il
fiero vichingo alla vista della donna si fece
pallido e muto quanto gli stracci di pelle animale che vestivano le sue
membra
possenti. Smise di ascoltare l’elenco di accuse mosse contro
di lui
dall’ufficiale inglese, e per un po’
continuò a fissare con le labbra cucite e
i propri occhi vacui il volto sconvolto della Dea.
“Leonard? -si espresse poi finalmente, ma
ancora
in stato confusionale, come appena risvegliato da un lungo sonno-
Lui... non fa
più parte della mia ciurma da molto tempo... E non
è più qui” furono le sue
uniche parole, prima che la giubba rossa lo trascinasse via.
“Come dite...? E dove
altro si trova? - non
si
diede per vinta- Aspetti, la prego! Mi faccia parlare con
quest’uomo!” chiese
trattenendo l’ufficiale per la giacca.
“State indietro signora! -ordinò lui con un
urlo
rombante- o sarò costretto a rinchiudere anche
voi!” la
minacciò prendendo mano
al fucile avvolto da una cinta scura intorno al suo braccio.
Celia
lasciò dunque la presa, e per qualche
istante fissò attonita, senza altre azioni sconsiderate
l’arresto di Hellburne
e la sua cirumaglia.
Le
poche parole pronunciate dal Capitano l’avevano
sconvolta, pareva ricordarsi appena del suo vice, aveva forse perduto
la
memoria o non ricordava di aver voluto lui stesso Leonard al suo fianco
per
quell’ultima dipartita? Cosa voleva dire esattamente? In
qualche modo doveva
scoprirlo.
Non
potendosi rivolgere a nessun altro, o
raggiungere Leonard ovunque si trovasse, Sogno prese il suo reale
aspetto per
recarsi con l’ausilio dei propri poteri a bordo del veliero
di Hellburne, dato
che i suoi passeggeri vi avevano fatto ritorno senza,
l’ultimo riferimento riconducibile
a Leonard che possedeva.
Le
sue capacità divine le permettevano solamente
di raggiungere luoghi, non persone, era compito suo cercare poi dove
esse si
trovassero.
devastato:Quando si
materializzò su quella nave, l’attendeva
uno scenario il fiero
galeone vichingo era stato ridotto dalla Marina Britannica ad un
relitto
malridotto e a stento galleggiante. L’involucro era disfatto
in tante schegge
di legno, nell’aria ancora i rombi dei cannoni, in quel poco
rimasto intatto
regnava desolazione, come nell’orgoglio ferito
dell’imbarcazione, e di chi un
tempo ne faceva parte.
L’animo
della fanciulla si colmò dello stesso
turbamento al pensiero che suo marito potesse trovarsi ferito, al di
sotto di
quelle reliquie. Prese a frugare ovunque mossa dalla disperazione,
mescolando
lacrime ad invocazioni a gran voce del suo nome, senza alcuna risposta,
finché
tutt’intorno prese a tremare come il vertice del cratere di
un vulcano, e dalla
chiglia lacera del galeone presero vita degli enormi tentacoli
d’acqua, i quali
parvero volerla stritolare fino a ridurla a brandelli.
I
resti del veliero le venirono incontro
travolgendola, Celia nella confusione trovò un unico
appiglio di salvezza
aggrappandosi all’albero più vicino, tenendolo ben
stretto, preparandosi
ad affrontare il più tremendo
fenomeno a cui avesse mai assistito. La nave oscillò in modo
inspiegabile per
così tanto tempo da sfinirla, e farle credere che anche solo
un’altra ondata avrebbe
potuto disintegrarla in mille pezzi. Lei poteva ancora tener duro,
resistere,
ma cosa n’era stato di Leonard?
A
darle una spiegazione di questo fu un’ultimo
vortice creatosi al suo fianco, inizialmente Celia pensò si
trattasse
dell’ennesimo “tentacolo”
d’acqua, ma smentì ogni sua certezza quando a poco
a
poco il moto convulso del mare si acquietò, per darle modo
di scorgere al picco
del vortice una figura femminile, dal corpo spoglio, ma ricoperto di
squame,
due occhi cupi con le stesse iridi di un serpente marino, ed una
fluente chioma
rosso fuoco estesa per tutta la schiena.
Per
qualche secondo si osservarono dubbiose, poi
fu la creatura marina a parlare per prima: “Sss...
Sssalve Ssssogno!” salutò
divertita facendo mostra di una lunga lingua biforcuta, senza
però essere
ricambiata.
La
divinità notturna la osservava avvilita,
sforzandosi di ricordare chi potesse essere dato che parve conoscerla.
“...CaSssspita, non ti
sSSsi riconoSsSce più
coSssSì malridotta! - la
criticò fingendo apprensione- ...Ma come! Non
sSSsssai
più chi SSsssono io? -constatò
sorpresa- Mi chiamo CalypssSso, ora rammenti?”
si presentò
plateale.
Già,
Calypso! Non poteva ricordare che aspetto
avesse poiché ne prendeva uno diverso a suo piacimento.
Inquieta e mutabile
come il mare, l’elemento di cui era la Ninfa. Il suo modo di
parlare lento,
calcolato e sminuente però non era affatto cambiato.
“Ma certamente, ora so
chi sei!” confermò
Sogno
rimettendosi in piedi seppur dolorante e malconcia dopo
l’eccessivo scotimento.
“Bene... -fece la Ninfa con cadenza
sprezzante- E,
dimmi... Per caso cercavi... Questo?” marcò facendo
rigonfiare nuovamente le
acque, fino a far emergere una fitta nube da cui lentamente riapparvero
le
bianche membra esanimi di Leonard Wallace.
Descrivere
la reazione di Sogno come una secca
pugnalata dritta al cuore sarebbe eccessivamente riduttivo. Cadde nel
panico,
incredula, respirava così piano da non poter parlare, eppure
il cuore umano che
l’era rimasto batteva all’impazzata, quasi volesse
esplodere.
Le
tornarono alla mente le parole di Hellburne
“...Non è più
qui”
Il
pirata rinvenì dalle acque trainato da un
invisibile letto di morte. Il suo corpo esangue era disteso, aveva
indosso solo
dei calzoni sgualciti, quasi ridotti a brandelli, le braccia spalancate
e
sospese, come in croce.
Nulla
di lui si muoveva, nemmeno il petto, pareva
realmente morto, forse annegato sul serio, questa volta non gli era
stato dato
scampo.
Celia
si spense in tanti piccoli singhiozzi che le
bloccavano la gola e offuscavano i suoi pensieri.
Calypso
ordinò alle acque di volgerlo a se, i
zampilli salini ubbidirono e cullarono il mortale fino al viso della
Ninfa del
mare che accostò a quello di Leonard. Quel tocco magico
addolcì i suoi grevi
tratti da mostro marino fino a farli divenire umani, simili a quelli di
una
donna che a Celia ricordava moltissimo Sarah, l’iniziale
compagna di Leonard.
A
trasformazione conclusa prese a carezzare i
capelli pettinati dal vento del predone, gioendo del dolore della Dea,
nel
mormorare incurante: “Vedo che lo conosci
dunque! ...Ora si tratta di un mio
trofeo -evidenziò
in cadenza maligna- Me l’hanno donato i suoi
stessi uomini,
in cambio di un dominio su queste acque che non gli ho concesso -rise tra se e
se- Anzi, sono stata buona! -riconobbe a se stessa- o
almeno rispettosa della
legge degli umani... Come tu stessa hai potuto vedere, ho subito
consegnato
quei pirati a chi di dovere!” alluse soddisfatta alla
Compagnia delle Indie.
Sogno
osservava la scena tramortita, incapace di
trovare la forza di intervenire, gliene era rimasta a sufficienza solo
per
scuotere la testa continuando a negare ciò che le passava
dinanzi agli occhi in
quel momento.
Era
davvero stato Hellburne a permettere questo, doveva
crederle?
Infine
ritrovò uno breve spiro di fiato, e lo
sfruttò per domandare: “Che cosa gli
hai fatto esattamente...Perché è ridotto
così??”
“Leonard oggi ha rincorso
un sogno che non eri tu
mia cara, e per questo è morto!” berciò con un
disprezzo inaudito che fece
gemere e tremare di dolore quell’animo colmo di tanti sogni
ora infranti.
“No, non è
possibile... Deve esserci stato uno
sbaglio... Non può essere!” balbettava Celia per convincersi
di non ascoltarla.
“Pensavi davvero che a
Viktor Hellburne fosse
improvvisamente venuto in mente di richiamarlo in mare con se? -prese a narrare
assumendo una intonazione roca e inquietante- Quello
stolto essere è troppo
orgoglioso e stupido per arrivare a tanto! -avanzò rabbiosa verso
di lei,
sfoderando anziché le mani, degli artigli minacciosi che
infransero anche ciò
che rimaneva del parapetto- E’ stata tutta opera
mia... -ammise con
fiera
perfidia, e movimenti sinuosi ricordanti di nuovo un serpente- Volevo
punirti
per la tua impudica propensione agli esseri umani. Sei nata come Dea, e
tale
devi rimanere! -la
ingiuriò di rimproveri mutando quello scorcio di volto umano
in una smorfia terrificante- Perché abbassarti
a questi individui privi di
un’anima, guarda come sono fragili! -esplicò prendendo lo
stesso Leonard come
esempio- E’ così facile dare fine
alla loro vita... Non li trovi del tutto
inutili?!”
“Oh, no... - rispose Celia, per nulla
impressionata, con uno spiro di fiato smorzato dai singhiozzi, non
sapendo più
cosa la manteneva ancora in vita, perché dentro di se era
morta tanto quanto
quel corpo esangue abbandonato alle spalle della perfida Ninfa- Sanno
amare più
di quando noi Dei sapremo mai fare...E dovresti saperlo anche tu...! -l’ammonì
senza più alcuna intonazione- Tu stessa, ancor
prima di me hai amato un
mortale...”
“Davy Jones? Ah! - quella osservazione la
divertì
moltissimo- Lui amava me, io non l’ho mai amato.
E se glielo fatto credere è
stato per dimostrare al mondo, che tanto lo temeva, quanto sotto la
corazza
fosse debole e vacuo!” si
giustificò risentita.
“Però... Se
c’è stato anche solo un piccolo
particolare interesse da parte tua per un uomo, qualcosa per lui devi
aver pur
provato!” sostenne
quell’esile figura ormai priva di forze se non per scambiare
poche parole.
“La metti
così, piccola nottambula?” accolse il
riscatto di Sogno come una sfida. Con un balzo all’indietro
tornò al capezzale
di Leonard e si accostò al suo viso immobilizzato dal sonno
eterno: “Ti ricordo
che io sono il mare, mia cara... E Leonard non ha accettato la proposta
di
Hellburne solo per amicizia, ma perché il mio richiamo
è infallibile...
-continuò
carezzando suadente la sua pelle marmorea per provocarla-
Potrai
anche ricorrere a tutti i sotterfugi possibili Sogno, ma noi puoi
negare
l’evidenza che Leonard mi ama molto più di quanto
possa provare verso di te e
il vostro moccioso!” si rivalse della
propria posizione per rimescolare di nuovo le carte in tavola.
Ogni
parola pronunciata da quella vile creatura
era un granello di sale in una ferita aperta, dopo tanto sopportare
Celia stava
per stancarsi e finire col reagire, l’apice massimo lo
toccò proprio
coinvolgendo anche loro figlio.
“Non osare rivolgerti a
lui in quel modo! ...E non
ti permetterò di distruggere la mia famiglia solo
perché tu non hai idea di
cosa significhi!” gridò
ridotta in lacrime lanciandosi incurante tra le grinfie
di quella strega.
Come
tentò di oltrepassare il parapetto, la nave
di Hellburne si inclinò tanto verso l’abisso da
farle sentire l’alito dell’Ade
sul viso.
“Non ti conviene!... -l’avvertì
Calypso prima di
immergersi nelle sue stesse acque- ...Ricordati che se
soltanto provi a
sfiorare il mare, anche tu sei mia! ...Lui adesso già mi
appartiene...” fu
l’ultima minaccia della Ninfa, prima di affondare nel buio
trascinando Leonard
con se.
Di
quei attimi Sogno ricorda soltanto gli occhi
alimentati dalle fiamme di quell’arpia mentre recitava i suoi
avvertimenti, ciò che lei rispose con rabbia alle sue
minacce:
"Tieni
gli occhi
puntati sulla
bassa marea"
...L’enorme
turbine di vento e acqua, che risucchiò con se
l’ultimo scorcio del viso
immobile di Leonard, e l’atroce urlo di dolore che lei stessa
emise nel
vederselo portare via, senza poter fare niente, dopodiché...
il buio.
La
ritrovarono poco dopo, sulla spiaggia dinnanzi
la fattoria, i suoi stessi domestici. Aveva un colorito orribile, il
volto
distorto in tanti solchi dati dal dolore e oscurato da
un’ombra spaventosa.
Quando le domandarono cosa fosse successo nessuno seppe spiegare le sue
gesta.
Spalancò
solo la bocca in espressione d’orrore
senza emettere alcun suono. Solo dopo breve, quando il fiato smorzato
dallo
shock tornò, emise un lungo straziante grido, per cui dopo
cadde a terra,
esanime, come morta, ma fu solo la sua parte mortale a perire in lei.
Nonostante
sono trascorsi molti anni d’allora non
ha mai scordato il dolore provato, è lo stesso che
tutt’oggi la tiene ancora in
vita, e per cui mi fece coraggio quando raccolse anche me con se, nel
momento
in cui mi ritrovai come lei a perdere qualcuno.
E
quando oggi si chiedono: Non ha occhi una Dea?
Non ha mani, sensi, affetti, passioni? Non si nutre anche lei di cibo?
Non
sente anche lei le ferite? Non è soggetta ai malanni e
sanata dalle medicine,
scaldata e gelata anche lei dall'estate e dall'inverno come un mortale?
Se
la pungi... sanguina?
Se
le fai il solletico... ride?
Se
l’avveleni... muore?
Se
mi domanderanno tutto questo, bhe...
Potrò
rispondere indubbiamente sì,
più di
qualunque altro essere umano.
*** Ci tengo a
ribadire anche qui la nota messa nella introduzione di Unty:
è iniziata la maturità, so di essere solo
all'inizio, ma vedo già da ora che mi sta portando via molto
del mio tempo.
Non ho intenzione di sospendere
il tutto, procederà molto lentamente ma
andrà avanti =) Spero siate clementi ^^' Se vi interessa
tenete spesso d'occhio i brevi aggiornamenti e non dimenticate di dire
cosa ne pensate ;) ***
__Note di fine pagina__
Persefone: In poche parole, senza
raccontarvi tutto il mito, la moglie di
Ade, Dio degli inferi.
Penisola di Terranova: scoperte
recenti hanno dimostrato la presenza di popolazioni vichinghe nella
penisola a partire dall'anno 1000, ossia mooolto prima di Colombo.
|
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Capitolo 13 *** Il novellino. ***
chap
Avvisi per i lettori:
La sottoscritta qui è felicissima del vostro
entusiasmo *.* e vi ringrazia come sempre dal profondo del cuore =)
Anche questo capitolo si compone di tre parti, e per il momento posto
solo la prima perchè le altre due pullulano di orrori e
vanno
risistemate al più presto, perchè così
come sono
non avrei il fegato di farle intravedere ad anima viva XD
Le date di pubblicazioni con mio enorme dispiacere sono imminenti ='(
Mi basta dire "tesina non ancora iniziata quasi" e "Prove di
simulazione" per spiegare e farmi già piangere
ç_ç
Uno spoiler che posso dare è che finalmente in questo
capitolo
si inizierà a capire di più su un nuovo
personaggio
già accennato che d'ora in avanti sarà sempre tra
i piedi
^^ scherzo =P
Ringraziamenti
(approfonditi):
_Celia_:il
cucciolo è in arrivo siiiiiiiiiiiì =P in questo
chap poi! ^^ ihihih Maledetto Wallace XD
Tranquilla, Ariel è lontana lontana, se lo tiene solo come
"trofeo" ;) speriamo... 0.0
Mille grazie come sempre!!!!!!!!! Se non ci fossi tu =')
Rebecca Lupin:
Grazie infinite anche a te, risolvo subito le tue
perplessità ^^:
Il luogo in cui si trova adesso è decisamente nuovo,
insolito e spaventoso per Jenny,
però lei già nel contesto in cui era inserita nel
futuro, era una buona studentessa,
che dedicava quasi tutto allo studio, non faceva che correggere Dylan
ecc. ecc.
In più subentra il fatto che, come avrai letto nello scorso
capitolo, lei ormai si trova già da
un po' di tempo nel passato, e converrai con me che l'uomo di natura ha
spirito di adattamento XD
Perciò se non aveva questo modo di parlare come lo definisci
tu forbito, già prima di andare nel passato,
a quest'ora lo avrà assunto con il tempo =)
_CandyStar_:
Come Candy Candy? *.* cariiiino! Lo vedevo da piccola :D
In ogni caso mi hai fatto arrossire tantissimo *///* gracie!!!!
O mio dio, ti abbiamo rapito? :o
Ca...volo, adesso sono pure maggiorenne e possono mettermi in prigione
per sequestro di persona! XD
D'accordo, vado a formulare un bel riscatto sostanzioso u.u
Ahahahahahahaha Joey? XD ...chi è Joey? :D
Spero intendevi Jenny =P ihihihih
Grazie di tutto, davvero =')
E anche a tutti i "lettori fantasmi", i "timidi" o quelli che a proprio
non interessa XD
Buona
lettura!
Capitolo 13
Il novellino.
Ticchetta la pioggia su un
animo spento.
Tic tac...
Rimbalza
sulle fredde pietre, sembra scandire un tempo che passa, ti sfiora, si
prende la tua vita, e conduce verso una strada con una sola crudele
meta.
Ma non per lui...
Non
invecchierà mai, né dentro né fuori,
un grande
eterno fanciullo, che racchiude in sé due anime, scalfite da
grandi mondi: una terrena, tormentata, malinconica, di un bambino
cresciuto con la morte apparentemente inspiegabile di un padre di cui
fatica a ricordare il volto, e l’amarezza di possedere dei
poteri
che non possono servigli in questo.
Annullata o rinsavita,
dall’animo succedutogli dalla madre, giocoso, vivace,
infantile... raggiante
come un Dio.
Ha
sempre vissuto nel mezzo di due realtà, ha conosciuto
l’Olimpo, l’hanno accettato con circospetto, si
sentiva
sempre giudicato lì.
Allora
ha preferito il mondo, girato le epoche, vissuto nel passato, nel
futuro, ma infine, dopo 23 anni ha deciso per “il
presente”.
Tra tutti i luoghi preferisce
vivere nell’unica realtà in cui suo padre
è esistito.
Spesso
gli capita di ricercarlo nel riflesso dello specchio, quando non
è troppo occupato come Narciso a decantare se stesso, dicono
che
si somigliassero, lui non ricorda in cosa.
Nella
sua mente è rimasta solo una sagoma di spalle, con i capelli
neri, che risale una banchina e si imbarca per mare,
accompagnato
da un’andatura profondamente triste.
Da cosa è data tale
somiglianza se lui ha la chioma color del grano?
Ma
il paradosso più grande di tutti è dato dal fatto
che lui
è il Dio della Memoria, e non ha ricordi di chi gli era
più caro al mondo...
Gli è stata data una
reminiscenza, certo. Ma spesso dura quanto il battito d’ali
di un pettirosso.
E’
stata la pioggia a risvegliarlo quest’oggi, si è
chiesto
“Com’è possibile se sono al
chiuso?” o rinchiuso.
Tra tre muri di pietra, di cui uno frastagliato d’una gabbia
di
metallo a cui ora sta appoggiato solo con la fronte, mentre il resto
del corpo si ripiega su se stesso in rassegnazione.
Poco
fa è passata una guardia, gli ha riferito in modi poco
gentili
che domani all’alba sarà giudicato e probabilmente
messo
alla forca.
Quel grasso essere in divisa si
è stupito di sentirlo ridacchiare da dentro la cella.
“Potrebbero
impiegarci un’eternità ad uccidermi!” ha
replicato altruista.
...Senza riuscirci mai
oltretutto.
Ed
ora eccolo tornare di nuovo, riconosce la cadenza stanca del passo
fiacco nell’energumeno svogliato: “Tieni riccioli
d’oro -dice in scherno- la cena è
servita” conclude
facendo cadere al di là dalle sbarre una piccola ciotola
ripugnante, con all’interno una sbobba dal contenuto
indefinibile
e l’odore nauseabondo.
Il prigioniero solleva il
cespuglio pagliericcio e commenta contrariato: “Ma
è ora di pranzo!”
“Bhe,
allora fattelo bastare fino a domani per entrambi!” replica
duro,
allontanandosi mentre gli infligge altre maledizioni.
Il
guardiano della memoria non rivolge alcuno sguardo a quello che fanno
credere “cibo”, gode solo della calma che in pochi
attimi
attutisce di nuovo ogni sibilo. Nemmeno il vento soffia più
dalle feritoie, ma è qualcos’altro di
più attutito
ad allertare i suoi sensi: somiglia a un rumore più tenue
della
neve, sì, ha la stessa breve intensità che un
inverno
vide imbiancare le strade di Parigi, lasciando sui marciapiedi una
lunghissima scia di sentieri fatti d’impronte, percorsi a
passo
svelto dalle coppie di innamorati, ancora più stretti
l’uno all’altro per il freddo.
Ricorda tanto stupore di quel
momento, nel trovarsi dinanzi alla “vera magia” di
cui gli han sempre parlato.
“Eh...”
sospira il giovane semidio, all’unisono con una seconda voce
che lo coglie impreparato.
“...Pensare
che tuo padre in questo momento sarebbe così fiero di
te!”
afferma la voce in tono contrariato, ma allo stesso tempo rassegnato...
“Mamma...?!”
esclama improvvisamente rinvigorito, voltandosi di scatto.
In
un angolo buio, dove dalla parete è stata ricavata una
sporgenza
che funge da “branda”, vi è seduta con e
mani
incrociate per il disappunto, la Dea Sogno, di pronto ritorno dal 2011,
dove ha appena riportato il giovane Dylan, come Atena protettrice di
Odisseo.
“Ah-ha!
-esulta Patrick gioioso, andandole incontro per abbracciarla-
Perché non hai profumo, mamma? Ti avrei subito
riconosciuta!” continua quasi soffocandola tra le sue ampie
braccia.
“Per
non preoccuparmi di averne uno come il tuo! -cerca di sfuggirgli
agitando una mano nelle vicinanze del naso- Hai il volto scavato dalla
stanchezza ed emani olezzo di tabacco e whisky.
Quand’è
stata l’ultima volta che hai visto acqua e
sapone?!”
domanda impensierita.
“Oh,
già... Questi ultimi due mi sono familiari, ma non li vedo
da un
secolo! Ci pensi tu a salutarli da parte mia?” sfoggia la sua
arguzia con abile fare inconsapevole, insomma, da Wallace.
L’espressione
rabbuiata di Celia non resiste, e si trasforma subito in una risatina
sommessa che tranquillizza anche il ribelle semidio.
“Suvvia,
a questa età vengo riconosciuto quale adulto in ogni epoca e
stato del mondo! E poi, sono o non sono il figlio di cui non ti devi
preoccupare mai?” scherza per tranquillizzarla, seguendo il
profilo del crine ondulato della madre con tenui carezze.
“Davvero stai
bene?” si accerta ancora dubbiosa, intravedendo
un’ombra oscura nel suo “bambino”.
“Bhe...no.
-rivela lui, allontanandosi per vagare accigliato, in cerca di
spiegazione, seppur nello spazio ristretto della cella. Aveva ben di
cui sospettare, dunque- A dire il vero, cosa molto rara da parte mia,
mi sento... strano! Riposo una notte intera e riesco a star sveglio per
i tre giorni seguenti. Non avverto quasi più il bisogno di
dormire, e lo stesso vale per il cibo!” confida inquieto.
Sogno
abbandona il proprio seggio in pietra per raccogliere dal pavimento la
ciotola spolverata di poltiglia: “Con quello che offrono come
pasto qui, fatico a credere che riesci a sfamarti!” osserva
nauseata.
“Io,
no. Ma ho trovato qualcuno che la considera una prelibatezza! -afferma
entusiasta, ritrovando il sorriso- Squiiitty, dove sei?”
chiama a
gran voce, accucciandosi buffamente per cacciare il naso in una
minuscola spaccatura di pietra della parete.
“...Ti
voglio presentare la mia mamma! Dovresti vederlo, è un
topino
simpaticissimo -rivela raggiante voltandosi verso di lei- Si occupa lui
di divorare il mio pranzo” spiega rialzandosi in piedi, dopo
un
cenno di Sogno.
“Secondo te cosa
significa tutto questo?” riprende il discorso, interrogandola
allarmato.
“...Che
stai diventando un vampiro!” replica secca la madre, in tono
a
tal punto fermo e serio da spaventarlo profondamente.
Le
palpebre del ragazzo sbattono più volte per poi spalancarsi
in
modo esorbitante e restare così per attimi interminabili.
“Anche loro non
mangiano e non dormono” argomenta Celia mantenendosi
imperscrutabile.
“Papà
era u...u-un vampiro?!?” chiede timoroso, allargando sempre
di
più sul suo viso un’espressione sconvolta.
La risata folgorante della Dea
gli fa emettere più di un sospiro di sollievo.
“Ma certo, come io
sono la fata turchina!” continua senza riuscire ad
ottemperarsi.
“Vieni qui che ti
abbraccio ancora!” cerca dunque vendetta, tentando giocoso
d’acchiapparla di nuovo.
“No,
pietà! -implora lei ridente, tentando di sfuggirgli senza
rimedio- D’accordo, te lo dico, te lo dico!”
persino la Dea
dei Sogni alle prese con questa canaglia si arrende.
“Significa...
Che stai diventando immortale!” dice infine stringendo le sue
mani, senza nascondere un filo di emozione.
Patrick
rimane immobile, elabora quelle parole senza inizialmente capirne il
vero significato, la fissa attonito, con la bocca socchiusa, poi i suoi
occhi
brillano,
e dalla loro graduazione color giada, divengono limpidi e azzurri come
il riflesso del mare. Come quelli di Nyx, quelli di un Dio.
Per un istante si fa
terribilmente serio, boccheggia, e ripete a se stesso:
“Immortale...?”
Celia
sta per intervenire, ma lui sa già cosa intende dire e la
precede: scatta in piedi per prendere aria, si dirige a vuoto verso
l’entrata fatta di sbarre passandosi una mano tra i capelli
arruffati nel tentativo di riflettere.
“Sapevi
che sarebbe successo prima o poi, è ciò si
è
verificato ora proprio grazie all’aiuto da te portato a
Scilla.
Hai sacrificato in spontaneità dieci anni della tua
esistenza
per tornare indietro con lei, esattamente in questa epoca. E’
solo così che si diventa un Dio a tutti gli
effetti...”
spiega con calma e la cadenza dolce ed orgogliosa di una madre
profondamente fiera.
“Mi
stai dicendo che anche tu hai smesso di invecchiare quando la salvasti,
8 anni fa?” deduce quindi, seppur per molti versi ancora
confuso.
Sogno annuisce con un sorriso.
"Non dirmi che non te ne sei mai accorto!" indaga più a
fondo.
Patrick cerca di mutare all'istante lo sguardo attonito in uno che
possa smentire ogni suo dubbio: "...Per me sei sempre la più
bella del mondo, mamma!" adulatore.
“Perché
non mi hai mai detto che accadeva in questo modo?” domanda
furbesco, guardandola di sottecchi.
“Ma
per ovvi motivi! Sapendolo già in precedenza il tuo non
sarebbe
mai stato un gesto sincero, bensì volutamente
opportunista!” chiarisce il tutto.
“Perciò...
Non crescerò mai più di
così?” osserva pacato.
“Esatto”
“...E
rimarrò sempre così maledettamente
bello??” ecco una delle perle di Narciso.
All’ennesimo
“sì” spazientito di Sogno, questa volta
viene
letteralmente travolta dall’entusiasmo gioioso del semidio:
“Oh, MAMMA! GRAZIE...Grazie...grazie...di...avermi messo al
mondo! ...So quant’è doloroso...!”
questa volta non
fa caso alle sue proteste e la ricopre di baci.
“No... Credo proprio
di no, neanche lo immagini bambino mio!” nega asfissiata.
“Piuttosto...!
-introduce liberandosi- Per quale motivo non hai menzionato a Dylan il
passaggio dal Portale di cui ha diritto? Ti avevo incaricato di
dirglielo, è importante!” lo rimprovera risentita.
“passaggio...dal
Portale? -replica accigliato- Ma certo! ...Portale...portale -finge di
scavare nei propri pensieri con risultati vani- Eeehm, potresti, solo
un attimo... Accennarmi brevemente... a cosa alludeva, così,
io...” tenta scaltramente di prender tempo, poiché
al
momento gli è del tutto estraneo.
“Dylan,
come guardiano della mappa, è il solo ad aver diritto di
tornare, 10 anni dopo il primo viaggio nel tempo, in questa nostra
epoca. Stanotte ha potuto sfruttarlo, anche se per poco, ma deve sapere
che la prossima volta dovranno trascorrere 20 anni prima che possa
usufruirne di nuovo, e altri 30 per la seguente, e così via
dicendo!”
“Oh...
-commenta grave-...Già, ora ricordo! E per far si che
avvenga
tutto ciò, ha bisogno...di...me!” rammenta
imbarazzato il
discorso che lui stesso avrebbe dovuto tenere.
“Scommetto
che non ti ricordi la formula perché ciò sia
possibile!” lo sfida quasi certa di aver ragione.
“Invece
questa la so, la so: In quanto Dio della memoria devo pensare ad una
cosa che non ho mai visto, sentito, e pensato!” declama a
memoria
piuttosto austero, finalmente qui lo trova preparato.
“E... posso chiederti
tu a che pensi?” domanda intimorita, con la paura forse di
ferirlo.
“Penso
che non ho mai visto papà piangere! -replica lui con il
sorriso
invece, sebben amaro- Non ricordo esattamente di averlo sentito
ridere...” continua abbassando lo sguardo, come se si
rendesse
consapevole di tali mancanze proprio confessandole.
E
non avrebbe mai pensato che ciò che lui amava di
più,
ovvero il mare, glielo avrebbe portato via, tanto presto...
-
Hard truth.
André è dall’alba che la osserva, e non
si è
mai scomposta dalla posizione in cui si trova tutt’ora.
Con grande sorpresa, questa mattina, ha trovato Jenny in cucina per
prima, rannicchiata sopra la grande credenza in legno dove lui stesso
ha adunato tutte le spezie in ordine alfabetico e per paese di
provenienza. Le francesi naturalmente sono le più a portata
di
mano.
Si è stupito di trovarla lì già a
delle ore tanto
acerbe, di solito lo raggiunge più tardi, quando le brande
della
ciurma sono quasi tutte vuote, non la vede mai prima della venuta del
Capitano, è sempre più lenta in questo, come si
addice a
una donna.
Credeva dormisse, ma dal respiro affannoso e poco regolare che gli
è dato sentire, anche se lo sta realmente facendo, non
dev’essere un placido sonno tranquillo, come dimostra anche
la
posa tormentata con il viso celato nelle ginocchia da lei assunta.
Il cuoco francofono si è subito messo all’opera,
come
d’abitudine, pensando per tutto il tempo in che modo
rallegrarla
al suo risveglio. Giusto in questo momento sta infornando dei dolcetti
sfiziosi mentre intona un motivetto, di cui la giovine sembra
accorgersene solo ora, ridestandosi.
Un tonfo sordo attira improvvisamente l’attenzione del cuoco,
subito seguito da un lamento di dolore.
Voltandosi nota che nel mutare la mia posizione fetale ho battuto il
capo contro la credenza al di sopra della mia testa.
“Uh! Bonjour! BentoRnata al mAndo Reale Jennyfer!”
mi accoglie divertito.
“Oh... André...” replico barcollante, in
tono tanto
flebile che di certo l’orecchio attempato del mio dandy non
avrà udito.
“Scusami, io... ” cerco una scusa per giustificare
il mio insolito giaciglio.
“TRanchila, me domando solo, dato che avevi la buona
compagnia
del Capiten, peRchè hai pRefeRito questo vechio?”
indaga
secondo la sua indole pettegola, sempre indaffarato tra pentole e
mestoli.
Non ho voglia di replicare, non conosco nemmeno io una degna
risposta... Avevo solo voglia di stare sola e riflettere.
“AloR, ti andRebe di aiutaRmi?” propone entusiasta
come
sempre, rinunciando ad approfondire dopo il mio silenzio. Il
“libro aperto” che sono per lui spesso si richiude
e per
qualche motivo non vuole più essere sfogliato.
“Sì, certo! Dunque... il grembiule!”
cerco di
connettere la mente e riordinarla mettendoci convinzione, anche se tra
tutto quello che l’ha attraversata nelle ultime 24 ore
è a
dir poco un pandemonio.
La “cerimonia” del grembiule: André non
lo mette se non con me, va fatta in contemporanea!
Come ogni giorno, la introduce sempre maestosamente: "pRima
di tuto, un toco pRofesional: bisogna indosaRe il gRembiule!"
Prende molto delicatamente una fascia di cotone immacolata, la distende
davanti a se e con molta calma la porta attorno ai fianchi. Le due
cordine agli estremi corrono dietro la schiena, e in poche mosse ne
ricava un perfetto fiocco, di quelli che avrebbero fatto invidia ai
regali di Natale.
Per quanto riguarda me, invece, seguo il maestro alla lettera, ma il
mio grembiule è indecentemente tappezzato da macchie di
tutti i
tipi, causate per certo dalla mia frequente disattenzione e
sbadataggine.
Lo lego velocemente con un doppio nodo e attendo la prossima mossa.
Andrè si accorge subito della solita "imperfezione" nel mio
nodo
e si appresta immediatamente ad aggiustarla in modo impeccabile.
"Eco fato!”
“A che punto è la colazione?” mi informo
rendendomi finalmente operativa.
“Buono!” replica il cusinier con la faccia cacciata
dentro un pentolone dove sta animatamente impastando qualcosa.
“Allora metto sul fuoco dell’acqua per il
thé” cerco di rendermi almeno utile in qualche
modo.
Mentre ci attiviamo per metterci a lavoro, sento un "trotto" scendere
le scale allegramente, e tra i raggi già roventi del primo
sole
appare Jack.
Ferma il suo corso ponendosi alla mia destra, appoggia un mano aperta
sul mio ventre compiendo una buffa giravolta intorno a me, e conclude
il tutto lasciandomi sulle labbra uno schioccante bacio, prima di dire:
"Buongiorno angelo mio!"
" ‘giorno Capitano"
“Mi aspettavo di trovarti tra le mie lenzuola questa mattina,
per
il saluto al sole, dove sei stata? Per un attimo ho temuto di averti
persa nel letto di qualcuno d’altro!” introduce in
tono
già polemico.
La mia reazione è una pronta fulminata con lo sguardo, so
che fa
così solo per alimentare il libro dei pettegolezzi di
André che ama arricchire quando è presente alle
nostre
discussioni.
“E’ un crimine su questa nave svegliarsi di buona
lena, per una volta?” controbatto fingendomi irritata.
“No, ma la prossima volta sveglia prima anche me!”
mi sussurra suadente ad un orecchio.
"Io non guaRdo, fate puRe come se non Sci fosi!" ci informa
l’uditore, fingendosi preso a preparate le tazze da riempire.
"Non conviene!" valuta il Capitano. Annuisco concordando perfettamente.
"Colazione al volo, la mia ciurma di manigoldi ha bisogno di una bella
dritta stamattina!!" annuncia impaziente di mettersi a comandare.
"Tieni, non ho messo lo zucchero" dico porgendogli la tazza di
thé caldo.
La prende con un dolce sorriso e poi si dirige verso André,
sul fondo della stanza, per aggiungercelo.
"Bonjour Andrè!... l'ho detto giusto?" aggrotta la fronte,
non
del tutto certo della sua affermazione, cominciando a ingurgitare il
thé a grandi sorsi.
"PaRola: Justa. PRonunScia: peSima!!" si esprime il cuoco indaffarato.
Inizio a ridacchiare mentre spalmo della marmellata su una fetta di
pane. "E' colpa dell'accento Americano!" lo scuso ficcandogli in bocca
la fetta di pane scottato tutta intera, quando torna verso di me.
"Grafie" risponde con la bocca impastata di marmellata, a quel punto lo
vedo avviarsi verso l’entrata per risalire sul ponte.
“Jack…!” chiamo incamminandomi sulle
scale dietro di
lui, per bloccare la sua figura diretta tra le braccia del mattino.
“Mhh?” replica semplicemente voltandosi, a causa
della
bocca piena, impegnata a masticare il pane tostato alla grossa.
“Sei sicuro di voler arrivare fin in fondo… a
questo
accordo con Scilla?” domando a quella sagoma nera con un filo
di
esitazione, mi costa caro ripensare a lei in modo pacifico.
“…ferto, non che io abbia pafura di moire
-garantisce
fiero- ma fe è quello che fuoi anche fu!” si
assicura
tornando dondolante sui suoi passi.
Me lo son chiesta a lungo poco fa…
“Preferirei non avere più nulla a che fare con
quella
donna –ammetto palesemente, procurando in lui un sogghigno
divertito- ma se è proprio necessario...” faccio
spallucce
con una smorfia svogliata.
Sebbene non possa vederle in controluce, le sue iridi cioccolato mi
studiano ancora qualche istante, mentre la mandibola continua a
sbriciolare e mandare giù: “D’accordo,
torno sul
ponte a dare indicazioni per Mayan!” deduce sorseggiando
avidamente il thè.
“Aspetta! Hai detto…Mayan?!? Non è il
luogo dove si
trovano le prigioni?” sbotto tesa impedendogli di nuovo di
lasciare quelle scale.
Lui reagisce mostrandosi spaesato: “Precisamente. Poco fa mi
è apparsa Scilla dicendomi di aver avuto in sogno il nostro
responso affermativo. Perciò mi ha consigliato di procedere
dritti alla meta, vi arriveremo prima di sera!” spiega con
naturalezza sistemandosi il tricorno sul capo.
“CHE COSA?! –erompo in cadenza alquanto stridula- E
tu hai
omesso d’informarmi su questi vostri incon… -il
silenzio
piombato intorno a noi e l’espressione attonita di Jack mi
fanno
capire di star un tantino esagerando, perciò mi sforzo di
graduare il tono di voce- incon…venienti?!”
concludo
ugualmente risentita.
“Stavi dicendo incontri per caso?” si fa
indagatore, senza celare un ghigno ridente.
“Volevo dire inconvenienti, ed è quanto ho
detto!” ribadisco facendomi altezzosa.
Il volto di Jack fa sfoggio della sua dentatura semi-dorata, prima di
sfiorare il mio collo irrigidito per sussurrarmi in un orecchio:
“Amo il manifestarsi incontrollato della tua
gelosia!” e
fugge via, lasciandosi alle spalle quel tremendo alone di mistero su
tutta la faccenda che mi fa ancor più spazientire.
Dopo un’intera mattinata china sui fornelli con
Andrè,
venuto il primo pomeriggio mi concedo un break in cabina, la stanchezza
di una notte praticamente insonne si fa ben sentire.
Appena mi richiudo pesantemente la porta alle spalle, e faccio per
distendermi sul letto, m’imbatto ancora una volta in quello
che
questa mattina, appena sorta l’alba, mi aveva inizialmente
condotta in cucina, prima di perdermi in mille pensieri: la scritta del
pavimento.
E’ ancora lì, a caratteri cubitali e tremolanti,
dev’esser stata composta in tutta fretta. Con un sorriso
sghembo
mi invita ancora a leggere “sognami con te”.
“Ma che cavolo vuol dire, e chi diavolo l’ha
scritta!” penso stancamente.
Mi ero inoltrata nel tempio di Andrè proprio alla ricerca di
un
panno umido per ripulirla, ma al momento non ho alcuna intenzione di
tornarci per perdermi ancora una volta in qualcos’altro.
Recupero in cabina un brandello di stoffa di fortuna e lo inumidisco
sacrificando un po’ dell’unica acqua potabile di
questa
nave, ma voglio davvero che quella dicitura sparisca e liberi i miei
pensieri, e per farlo sono intenzionata ad insistere finché
non
svanisce dalla mia vista.
Tornata nei pressi del letto, mi siedo a terra in postura comoda, e
comincio a strofinare via per sempre quelle assurde parole ricavate da
4 elementi familiari quanto insoliti in questo contesto.
Il miele è una glassa testarda, fastidiosa, e
appiccicaticcia da
eliminare, mi ricordo ancora quando ci impiegai almeno un giorno per
scrostarmelo dai capelli, dopo lo scherzo improvvisato da Dylan e Jack!
Lo zucchero poi, la sua gradevole dolcezza mi è stata
scongiurata dalla spiacevole sensazione sabbiosa di averlo lungo tutta
la schiena e non solo, quella stessa notte, rilegata a forza in un
letto di dolce tortura.
Le perle rosa (bleah per il colore) che formano il
“te”,
bhe… Mi ricordano solo quando le sequestrai
dall’antro
maleodorante, detto anche “bocca del mio
fratellino” pochi
istanti prima di un addio.
E infine, la marmellata l’associo ad un cuscino imbrattato di
questa melma fruttosa e un bacio scambiato con il Capitano, per timore
che fosse anche l’ultimo.
Ora, per fortuna, il pavimento è tutto pulito, di quella
scritta
inspiegabile non vi è più nessuna traccia,
eccetto per le
perle che mi son rimaste, cosa farne?
Il mio sguardo ricade sul mio comodino inutilizzato, se non come
appoggio di un portacandela: ha da sempre nella sua struttura interna
un cassettino vuoto, poiché non ho nulla da mettervi, queste
perle possono pazientare lì in attesa di tornare utili!
Deposto anche l’ultima traccia di quel che rimane della
frase,
riesco finalmente a sentirmi sollevata, mentre in quei stessi istanti
la nave rallenta e si ferma, per attraccare al porto come previsto.
Nel dormiveglia in cui cado in pochi istanti, avverto dei passi farsi
avanti nel corridoio, e proseguire con decisione fino alla porta, dove
arrestano la loro marcia spedita poiché prima di entrare
l’ho chiusa a chiave.
“Tesoro…sei qui?” riconosco la voce di
Jack.
“Qui non vi è nessun tesoro di alcun
tipo!” avverto a gran voce senza scostarmi di un centimetro.
“Jennyfer, avanti, apri la porta” chiede quasi
premuroso, credendolo sempre uno scherzo.
“Scordatelo” replico secca.
“Gira almeno la serratura e poi ci penso io ad aprirla se
proprio
lo desideri” propone rimanendo al gioco, prende sempre tutto
come
un divertimento.
“NO”
“…Per l’ultima volta: fammi
entrare!” esorta
facendosi più serio, bene, forse si sta innervosendo anche
lui!
“Altrimenti?!” seguo la sua intimidazione in
termini di sfida.
“Oppure io
soffierò…soffierò…e
soffierò ancora di più! Finché questa
porta
cadrà al suolo per la terribile potenza dei miei polmoni e
poi
tu sarai spacciata, razza di suino!” declama con voce
ruggente e
feroce.
Rimango per un attimo sbigottita dalle sue parole, domandandomi
più volte quale senso possano avere, poi ricordo: qualche
settimana fa gli avevo raccontato la storia del lupo e i tre
porcellini, deve averla presa alla lettera!
Soffoco una risatina divertita nel cuscino, così che non mi
possa sentila, ma ciò avviene comunque perché
come al
solito ho dimenticato un dettaglio importante: lui è Capitan
Jack Sparrow! E questa nave la conosce alla perfezione.
Infatti negli istanti successivi sbuca con la testa dalla porta
secondaria della cabina, accessibile dalla mia vecchia stanza:
“Avevi dimenticato che si può entrare anche da
qui,
nevvero?” dice soddisfatto alla vista della mia espressione
di
stupore nel ritrovarmelo lì, dopo che ho sbarrato la porta
principale per restare sola.
La mia accoglienza si conclude con un verso di disappunto, prima di
riaffondare la faccia nella piuma d’oca del cuscino.
“Si può ben sapere che ti prende? E’ da
quando hai
sbattuto la testa che sei tutta matta!” reclama sedendosi al
mio
fianco, lungo la sponda del letto, tentando di sollevarmi lievemente il
ciuffo che ricopre la ferita sulla fronte, senza riuscirvi,
poiché respingo subito la sua mano.
“Di quali vuote ciance blateravi stanotte? Quale uomo, quale
scritta?!” domanda mostrando il primo interesse verso le
stranezze susseguitesi durante la notte.
“Tu hai sempre solo domande da porre?” dico
riaprendo le palpebre svogliata.
“E tu hai sempre una futile ragione per
arrabbiarti?!” replica beffardo abbandonando il letto.
“C’era davvero un uomo stanotte, era qui, davanti a
me,
rannicchiato sul pavimento…!” cerco di spiegargli,
aggrappandomi ai dettagli per apparire il più possibile
veritiera.
Mi sollevo persino dal mio stato di abbandono, inginocchiandomi sul
materasso per rivolgermi a lui con maggior vigore, anche se al momento
il Capitano è semi-voltato nelle vicinanze del suo
scrittoio, e
armeggia con delle munizioni dorate.
“…Com’è che non sono stato
avvertito di questo terzo incomodo?” domanda sarcastico.
“E…come se non bastasse mi ricordava
moltissimo…” m’interrompo anche io, non
pienamente
certa di quello che sto per dire.
“Se ci fosse realmente stato qualcuno qui credimi che me ne
sarei
accorto, e non sarebbe uscito da quella porta sulle sue
gamb…
-continua a considerare tra se e se, senza darmi del tutto ascolto, poi
capta le mie ultime parole- ...Cosa stavi per dire, chi ti ha ricordato
questa volta?” mostra curiosità.
“Dylan…” dico in cadenza triste,
ribassando il capo.
Jack non ride, ma sono certa che ora lo trova quasi divertente:
“Dylan eh? Questa è nuova perlomeno, credevo
ancora… -si ferma un attimo per pensare- E’ Jimmy
che ti
ricorda tuo padre?!” continua a discorrere come alle prese
con un
folle.
“Jack puoi credermi, è davvero così!
Non so come
dimostrare che fosse lui, ma gli occhi…il
sorriso… Le
fossette lungo le guance... Mi son parse davvero le
sue…”
“Sei troppo malinconica!” considera Jack come unica
soluzione, scuotendo il capo.
“Non è questione di nostalgia, io sento la loro
mancanza
da tutta la vita! -erompo avvilita, non si sforza nemmeno di starmi a
sentire- E’ sconfortante non aver avuto nemmeno il tempo di
sapere chi fossero...” so che il pensiero appena espresso a
bassa
voce costituisce un dolore per Jack, però è la
dura
verità...
Il Comandante ripone la pistola carica nella stretta fibbia di tela che
gli circonda la vita: “Brr... è fredda!”
rabbrividisce sarcastico a contatto con il gelido metallo, poi ritorna
sui suoi passi, e sprofonda nel letto accanto a me.
“Strano, spesso tu hai una risposta per tutto! -dice
scostandomi
lentamente i capelli da dinanzi il viso- Ma non questa volta...
-ritiene amaro- Che ne dici se tu provi a costruirti un’idea
e
tieni fede a quella, chi potrà mai contestartela?”
propone
consolatorio.
Sollevo lo sguardo per vedere
se dice sul serio, o come spesso accade ha solo intenzione di prendermi
in giro.
Dal suo tono fermo e l’espressione decisa pare di no.
“Ok... -spiro sentendo per la prima volta dopo giorni un
po’ di sollievo- andiamo a privare dalle prigioni di questo
posto
un’altro manigoldo!” concludo rialzandomi, seppure
di
malavoglia per rispondere al compito datoci da Scilla.
“Jenny...? -si arresta combattuto, poco prima della porta-
Potresti dirmi esattamente che diavolo significa questo
okey?”
chiede controverso.
La mia reazione è tra la sbigottita e l’incredula.
...Non lo sa?!
Poi finalmente alla mia mente giunge la soluzione: il termine
“ok” risale solo alla guerra di secessione
americana!
L’utilizzavano nei bollettini sul fronte di guerra, per
segnalare
“zero killed”.
Il suo viso dubbioso che storce il naso dinanzi a cosa non capisce non
può che procurare una risata in me:
“D’accordo,
sì, va bene!”
-
Breve
nota: Pubblico la
seconda parte anche se manca l'ultimissima perchè con tutto
il
tempo che ho lasciato passare ve lo devo.
La seguente parte di storia non tiene conto della morte di Norrington
nel terzo film, ma invece sì per quanto riguarda quella del
Nano
Bastard...ehm... Beckett u.u
Il titolo significa “intralcio”, mi piaceva
perché
ha un suono molto nasale =P lol Ma se avete altri suggerimenti sono
sempre ben accetti ^^ Grazie per l’attenzione.
Snag.
Lo scafo della Black Pearl si dibatte nell’acqua come un
puledro
indomabile, se non fosse per la pesante ancora e le funi che la legano
a terra, galopperebbe via nelle onde selvagge.
Sistemata la paratia, Jack ne discende con disinvoltura, nonostante
quella misera asse di legno sia appena stabile e continui a muoversi,
d’altronde segue l’andatura naturale del Capitano:
oscilla!
La mia scesa è molto più riluttante e timorosa,
mi
preoccupo di calibrare ogni passo, e nonostante questo rischio ad ogni
movimento di ribaltarmi e cadere rovinosamente in acqua. A
metà
mi blocco del tutto, incapace di proseguire, tra vertigini e mal di
mare, quando un’onda più ponderosa mi colpisce le
caviglie.
Al suono di un mio infantile urlo semi-represso, il Capitano, troppo
concentrato a guardarsi intorno studiando il territorio, si volta e
vedendomi in difficoltà, con mio grande sollievo, allunga
una
mano da gentiluomo e mi aiuta a ritoccare terra.
Mi allontano dalla riva maledicendo il mare in burrasca, e a questo
punto domando al lupo
di mare dove ci aspetta la donna dalle mille sorprese.
La sua replica non è delle più confortanti:
“Onestamente... Tale ragguaglio sfugge alle mie conoscenze in
questo momento!”
Splendido, direi che iniziamo alla grande!
Prima di perlustrare della zona, il Capitano dà
un’ultima
raccomandazione alla ciurma: “Restate tutti a bordo, fareste
meglio a non allontanarvi o questo deserto sarà la vostra
ultima
dimora. Siete avvertiti, potrei dar ordine di ripartire da un momento
all’altro!”
“...Come, nessuno viene con noi?!” domando
allarmata.
“Nessuno, dolcezza, solo tu e io!” conferma con il
suo sorrisetto sghembo.
Sembra proprio che il pericolo lo mandi in visibilio.
Dobbiamo rischiare il collo, da soli, per scarcerare un tizio che
neanche conosciamo, a dir suo innocente,
cioè probabilmente un serial killer... E come se non
bastasse
tra poco farà buio, e di quel fantasma non una
benché
minima traccia!
Respiro profondamente per rimanere calma, niente panico, niente
panico...
Il vento freddo mi fa stringere nelle spalle e volgere lo sguardo a
terra: la riva su cui abbiamo attraccato è ricoperta di
terra
polverosa che diviene ghiaia ed erba procedendo
nell’entroterra,
ma nei ciottoli incolori del selciato, scritto dai segni di ampie ruote
di carro, vi è qualcosa che luccica.
Strano che Jack non se ne sia accorto, è attratto
dall’oro come le mosche ad un lume.
Vado più vicina a quella macchia lucente che scopro essere
una
specie di impronta, infatti ve ne sono molte altre, dorate, proprio
della forma di un piede, e seguono l’andamento del terreno
fino
ad una parete rocciosa.
In mancanza di altri riferimenti in questo landa dimenticata da Dio
stesso, le seguo!
Nel contempo il Capitano annuncia da lontano di aver avvistato le
prigioni, si trovano sopra una collina, più spostata
rispetto a
noi, ma non intende muoversi senza indicazioni.
Le tracce non conducono semplicemente ad un muro di pietra, ma ad una
conca della roccia, allestita a piazzetta, al centro di cui si trova
una fontana circolare, sostenuta da una imponente statua femminile
classicheggiante piuttosto in rovina.
Il corpo è avvolto in un drappo voluminoso, annerito, il
volto
in ombra. Le sue braccia di pietra salina sono tese, avvolte da un ramo
di edera, levate verso l’alto, reggono un’ampia
tinozza
dove zampilla acqua fresca, qualche dito delle mani delicate
è
mancante, ma nonostante la “fatica” le labbra
inferme sono
arcuate in un sorriso.
Cosa fa una scultura del genere qui quando vi è solo
prigionia, freddo e desolazione?
Sento dei richiami in lontananza, ma non vi presto attenzione, sono
troppo interessata alla statua, ha qualcosa di strano, è
assurdo
anche solo da pensare, ma... Sembra viva!
Stavo per distoglier lo sguardo un momento fa, quando
impercettibilmente sono quasi certa di aver visto il suo ventre
muoversi. E’ impossibile, Jenny. Sarà la
stanchezza che
gioca brutti scherzi.
Mi avvicino al volto, come una stupida, per assicurarmi se respira
davvero. Nessun fiato, ma le guance sono percorse da un alone opaco,
pare una lacrima. Sono certa che sfiorandola l’avvertirei
come
marmorea. Ad ogni secondo che passa mi convinco sempre di
più
che è tutto un’assurdità, e
forse, come dice
Jack, sto impazzendo sul serio...Ma a questo punto vale la pena tentare!
“...Siamo troppo esposti ai venti -la mia mano è
già prossima al suo volto quando vengo raggiunta dal
Capitano-
dobbiamo muoverci, o non so quanto la Pearl resisterà a
riva,
rischiamo di rimanerci noi stessi qui!” porta con se altre
notizie “rassicuranti”.
Nell’istante in cui sto per toccarla, la pietra
però si
ribella, e in certo senso prende vita davvero: quel corpo si frammenta
in migliaia di granelli di polvere dorata, e crolla su se stesso,
eccetto per la tinozza, l’unica a rimanere intatta, che
ricade
pesantemente a terra roteando come un piatto.
Colta dallo spavento, mi riparo di riflesso con le braccia, e senza
poterlo evitare cado all’indietro, ai piedi di Jack.
Nonostante lo sgomento, i miei occhi rimangono fissi al vuoto colmato
poco prima dalla scultura, ora ridotta in polvere, non so bene se per
mano mia.
Ma quel polvericcio non rimane a lungo tale, infatti si rianima,
cresce, modella una sagoma. Il calcare diviene tenera carne, il drappo
nericcio si colora di rosso, e la bocca voluttuosa torna al suo
colorito purpureo.
In sostanza: Scilla, dovevo immaginarmelo.
Lo sconforto muta a poco a poco quasi in un sospiro di sollievo, almeno
ora abbiamo una guida!
“Ben arrivati, vi aspettavo!” ci accoglie tradendo
il suo entusiasmo.
Il Capitano contraccambia sfiorandosi lo spigoloso copricapo di cuoio
ed allontanando poi la mano in un gesto plateale.
In quanto a me, sono troppo occupata a rimettermi in piedi per
replicare, cosa che eviterei volentieri se questa donna facesse delle
entrate in scena degne di noi poveri esseri umani.
Dopo essermi ricomposta, posso osservarla meglio, celando a fatica un
ghigno cagnesco: il drappo rosso, presente anche nella statua, ha preso
il posto in lei della mantella grigia che l’ultima volta
indossava, ed ora le incornicia il viso, avvolgendola morbidamente
intorno agli occhi e alla nuca.
“La vostra fama di navigatore vi precede, Signor Sparrow. Non
vi
attendevo che tra qualche ora!” lo lusinga ammirata,
naturalmente
Jack in risposta gonfia il petto e s’illumina di un sorriso
fiero. Sospiro altamente seccata.
Perdonate la mia fastidiosa presenza, come sempre...
“A tempo perso reggi fontane? -pone all’improvviso
in
quesito il Capitano, senza alcuna intonazione ben distinguibile, ma uno
sprazzo di sarcasmo nello sguardo- ...Stai bene?”
s’informa
poi da me. Annuisco con un cenno fiacco.
Scilla non replica, ma il suo sorriso per un secondo si storce in una
smorfia, prima di continuare: “Da come ha ben potuto udire
tutta
l’isola, avete già avvistato dove si trovano le
prigioni!
-debutta in resoconto- Vi ricordo di usare molta cautela in questo
posto” discorre in tono supponente.
Finalmente mostra al mondo di avere un’anima, e anche
piuttosto torrida.
Jack solleva di scatto le sopracciglia, il suo viso è un
misto
tra il piacevolmente sorpreso e un cipiglio menefreghista dei suoi.
Le sue mani anellate, fasciate dalle ampie maniche della giacca di
rappresentanza, si levano al cielo come a voler chiedere una comica
resa.
Questa volta non mi preoccupo di ridere sommessamente.
“In ogni caso -continua Scilla noncurante- l’unico
modo per
entrarvi è avere un permesso di accesso, firmato
personalmente
dal Commodoro Norrington, il gestore del centro di
detenzione...”
pausa evocativa, la vedrei bene in politica questa donna.
Commodoro Norrington? ...Oh, si! Ora ricordo, lo conobbi alle nozze di
William ed Elizabeth, prese parte agli invitati.
La reazione di Jack non è altrettanto tranquilla: si
irrigidisce
e non riesce più a stare fermo, mentre la mandibola si
storce
muovendosi a tic.
“Norrington cos’è a fare
qui??” irrompe nervosamente.
“Con l’eliminazione di Lord Cutler Beckett non
è
riuscito a guadagnarsi la stima di succedere ad un incarico
così
prestigioso, ma... A qualcosa vale la sua esperienza al
comando!”
spiega vaga, fiera di averlo colpito.
Il Capitano si copre gli occhi impensieriti con una mano, fingendo di
massaggiarsi la fronte, poi detrae: “Bhe, tanto noi il
permesso
non ce l’abbiamo, e il Commodoro non ce lo darà
mai.
Perciò, i miei ossequi, noi leviamo le ancore!!”
enuncia
frettoloso, pronto a fare dietrofront, trainando con sé
anche me.
Che significa?? Eri così entusiasta di tutta questa faccenda
e ora al primo ostacolo tagli la corda?!
“Invece sì...!” lo corregge lei,
ponendosi
d’intralcio sul sentiero per non farlo scappare, stringendo
in
una mano una pergamena di carta bollata, e poggiando su di un fianco
l’altra.
“Sei un inguaribile codardo, Jack!” commento
sprezzante,
sottovoce, mentre tutti e tre ci incamminiamo in salita, lungo
l’unico selciato serpeggiante che conduce alle prigioni.
Lui si volta verso di me con un’occhiataccia altezzosa:
“Tu
hai idea di che persona sia il Commodoro Norrington?!” dice
bruscamente.
“A me è parso una persona dabbene...”
esprimo ignara
l’unica opinione che mi è stata possibile
constatare al
matrimonio.
“E’ così dabbene che
se solo gli giunge all’orecchio della mia presenza qui... Ci
scatena addosso l’intera Marina Britannica!!!” il
suo animo
prende fuoco ed irrompe nella gola facendosi strada con rabbia.
“Shhhhhh! -ci zittisce Scilla, pochi passi avanti a noi-
...Sta arrivando!”
“Chi?!” domando allibita, all’unisono con
Jack, che
già immagina il Commodoro armato di cannoni aggirarsi
furtivo
per questi boschi, fiutando l’odore della sua paura da
lontano.
“La carrozza -smentisce lei- Presto, seguitemi, nel
bosco!” ci guida euforica.
Quando tutti e tre siamo ben nascosti nei cespugli, Jack prosegue:
“...E se quell’uomo è ubriaco finisce
anche
peggio!”
“State a sentire! -erompe Scilla con determinazione- Tra meno
di
un minuto passerà una carrozza per questa strada, vuota in
verità, io cercherò di rallentare, e si spera
fermare, il
suo corso. Fortunatamente è guidata da un cocchiere non
troppo
sveglio. Io proverò a distrarlo, facendolo rimanere dalla
parte
dei cavalli, ma nel frattempo voi dovete salire nella cabina
passeggeri, e il più velocemente possibile!!”
introduce il
piano.
Splendido, ho già una bruttissima esperienza con le
carrozze...
“E una volta arrivati in cima?!” domando allarmata.
“Jennyfer fingerà di essere la Contessa Wilbredon,
come
c’è scritto sul permesso, venuta qui in visita.
Questo
è quanto il cocchiere e i funzionari del carcere presumono.
Nella carrozza troverai già un abito per recitare meglio
questa
parte, se ti domandano qualunque cosa, fingi un accento francese.
Lascia che ti sistemi i capelli in modo credibile...” spiega
avvicinandosi a me per armeggiare con la mia testa.
Accento francese?! Diamine... Forse la compagnia di André
qui mi sarà utile.
Avverto sulle spalle l’incombere della sua presenza, non
riesco a
fare a meno di irrigidirmi, ogni volta che questa donna ci è
vicina non porta altro che guai, ma, contrariamente a quanto mi
aspettassi, le sue mani sono finissime, si fatica a sentirle. Quella
leggiadra delicatezza allenta un poco il nervosismo che mi ha scossa
dopo avermi riferito quale “ruolo”
assumerò in tutto
questo.
“Il Capitano, invece, avrà il compito
più
difficile, ma sono sicura che lo porterà a buon fine nel
migliore dei modi -si augura speranzosa- Nel fondo della carrozza vi
è una botola: quando essa si fermerà, dovrete
fuoriuscirne senza essere visto e dirigervi a est...!” Jack
al
contrario sembra elettrizzato all’idea di lanciarsi in un
compito
rocambolesco.
Il piano ideato da quella finta statua ci viene esposto in poche
parole, ho idea che toccherà a noi arrangiarci se qualcosa
va
storto, speriamo in bene... La prospettiva di dividerci in un luogo
tanto ostile e sconosciuto non mi entusiasma affatto.
Senza accorgercene avvertiamo già la vettura farsi strada
nella ghiaia, e ci mettiamo in posizione.
Qui è Scilla a farsi avanti per prima: con non poca
disinvoltura
si pone al centro del sentiero, in piedi, scontrosa, armata di un
cestino di vimini che ha preso non so dove, mi è sfuggito di
notarlo prima.
Io e Jack osserviamo tutta la scena dai rami di un faggio, pronti ad
infiltrarci nella cabina passeggeri al suo segnale.
La carrozza continua la sua corsa fino a metà del percorso,
quando finalmente il cocchiere svogliato, solleva lo sguardo e tira di
scatto le briglie verso di se, per non travolgere Scilla.
Con un verso di resa, i due cavalli che trainano il carro si fermano,
ed accompagnato da un’entusiasmo inesistente, il vetturale
discende dalla sua postazione per liberarsi della donna ed esimere il
passaggio.
Ecco il segnale: Scilla rotea il polso, mimando un invisibile cerchio,
ed inizia a colloquiare animatamente con l’uomo assonnato,
mentre
noi ci precipitiamo il più silenziosamente possibile dentro
la
carrozza.
“Che volete?” debutta il cocchiere,
rivolgendosi in modo poco cortese alla donna senza volto.
“Salve buon uomo, posso offrire una succosa mela ai vostri
cavalli affaticati?” pone quale mendicante, mostrandogli
nella
mano destra uno sferico frutto maturo, appena colto dalla cesta.
“Certo che no!” sento solo come irritata risposta.
“...Grandioso...-comunico sollevata, rientrando con il busto
dal
finestrino della cabina- la strega di Biancaneve lo sta distraendo per
bene, finora sembra non essersi accorto di noi!” informo
Jack,
seduto scompostamente di fronte a me.
“Bianca...chi?” sottolinea scompigliato e poco a
suo agio nel stretto antro riservato a pomposi passeggeri.
“E’ un’altra favola, ti
racconterò anche
questa. Ora procediamo: il vestito!” mi affretto seguendo la
fase
successiva del piano, e imbattendomi nella stoffa ripiegata ad arte sul
sedile al mio fianco.
“Posso esserle d’aiuto in qualche modo?”
si fa avanti
il Capitano, sogghignando malioso, mentre abbandono momentaneamente le
vesti truffaldine.
“Indietro, millantatore! -lo respingo divertita- Faccio anche
da
sola” assicuro finendo di indossare velocemente, nonostante
lo
spazio ristretto, l’abito color avorio.
“Ma se lei me lo permette, io son disposto...”
insiste.
“Voltati” intimo improvvisamente, fermandomi.
“Come? -le sue iridi cioccolato in penombra si illuminano per
un
istante di sorpresa- Ti ho già vista senza...”
“Ho detto voltati,
e non una parola!” lo interrompo fingendomi offesa.
“Se ne vada, non ho tempo da perdere con voi
zingari!”
sentiamo imprecare dall’esterno il cocchiere insonnolito,
prima
che si avvicini alla porta della cabina passeggeri, per verificare
l’incolumità dell’ospite, spaventandomi:
“Tutto bene, Contessa?”
Senza che possa fermarlo, vedo Jack farsi avanti impostore, protendere
le labbra vicino allo sportello e pronunciare in falsetto:
“Siii...”
Allontano subito quel viso da sfacciato imitatore e ribadisco
affacciandomi al finestrino: “PRocediamo puRe!”
La carrozza in breve riprende il suo cammino riluttante. Di Scilla,
com’era da aspettarsi, non vi è più
alcuna traccia.
“Sei forse impazzito, vuoi farci smascherare a tutti i
costi?!” attacco rabbiosa, sfilandomi gli stivali per
rimpiazzarli con delle scarpette da passeggio.
Quella donna come fa a conoscere la misura del mio piede?
“Mi perrrdoni umilmente contessa Wilbredon” replica
Jack ancora ridendo nel riproporre la mia goffa R moscia.
Io reagisco spazientita, rifugiandomi in un angolino della cabina, a
braccia conserte, mi accorgo solo in seguito che non ha mai smesso di
fissarmi ad occhi spalancati e viso fermo.
“Cosa c’è adesso?” dibatto
remissiva.
“Bhe...wow!” commenta squadrando allibito il
personaggio da me appena assunto.
“Ma smettila...- non gli credo- con questo coso addosso
sembro un
floscio tulipano!” commento l’esageratamente ampia
e
ridondante gonna di seta di cui sono fatte le vesti che porto.
Lui si alza con la sua risata roca, facendo tentennare ogni strano
aggeggio che ha appeso o annodato nei capelli, e si accomoda passando
al mio fianco.
Osservo tutto restando indisponente, ma fiutando sempre il suo sguardo
sulla mia pelle, e infine i suoi brevi ghigni camuffati mi fanno
volgere a lui con fare interrogativo.
“Non sei riuscita ad allacciare il vestito, vero?”
domanda
notando che reggo saldamente il bustino, e sono costretta spesso a
risollevare le spalline, nonostante sia un abito a maniche lunghe,
foderate in pizzo.
Sospiro rassegnata, proprio no... Non ho nemmeno capito
com’è fatto dietro questo arnese!
Mi scosto rassegnata dal sedile di pelle rossa, e con un movenze
svogliate, mi volgo per porgergli le spalle e farmi aiutare.
L’ha sempre vinta lui alla fine, maledetto.
Il Capitano non dice nulla, ma sono certa che mentre armeggia con il
vestito, sfoggia un ampio ghigno adempiuto.
Parte dal basso da dove risale a ritmo snervante, solleticandomi tutta
la schiena, per strapparmi un sorriso, e da ultimo ci riesce.
“Come procede, Capitano?” domando irrisoria,
scostando i
capelli che Scilla mi ha lasciato in piccole ciocche lungo le spalle,
contrariamente al resto, avvolto da un morbido chignon, sentendo che
spesso lui stesso si incaglia in qualcosa.
“Bah... Generalmente sono abituato all’azione
contraria ad
allacciare vestiti, ma direi che sono ugualmente bravo!”
sempre
così modesto.
Sorpassate le scapole, congiunge solo altri tre bottoncini e per finire
si avvicina al diverbio delle spalle, alla base del collo, dove soffia
piano e vi lascia sopra un tenue bacio, che mi fa rabbrividire fin
dentro le ossa.
Per non replicare, gli porgo velocemente anche un imponente girocollo,
trovato tra le parti del costume da contessa.
“Ah, e così ci hai preso gusto!” deduce
beffardo, zittito da una mia affettuosa
gomitata nel costato.
Indossato anche quello, non rimane che un piccolo particolare, trovato
accanto all’invito di Norrington. E’ sottile,
circolare,
quasi insignificante, però in questo momento averlo in mano
mi
dà le vertigini: la fede nuziale.
Visto il mio tentennamento, giunge tempestivo il commento
sdrammatizzante di Jack: “Cos’ha questo Conte
Wilbredon
più di me, per averlo sposato senza dirmi niente!”
dice
fingendosi offeso.
L’ennesima mancata risposta da parte mia lo spinge ad
ammettere
quello che desidera dirmi da lungo tempo: “Non posso
garantirti
che sarà così per sempre... Conosci il mio umore
mutevole, sebbene mai come il tuo -sottolinea solleticandosi il naso
appuntito con il dito indice che poi indirizza a me- Ma se un giorno me
lo chiedessi... La metterei la fede al dito per te!”
Un singhiozzo mi smorza il fiato, che trattengo a stento per la
commozione.
Entrambe le mie mani afferrano il suo viso dai contorni incavati per
esaudire la sete eterna che hanno le mie labbra di fondersi con le sue.
L’andamento scostante della carrozza rallenta, e infine si
ferma,
come l’abbraccio formato dalle grandi mani, calde e
screpolate
del Capitano, le quali sciolgono il “mantello”
creato
intorno a me per fuggire alla pari di un amante frettoloso nella botola
del pavimento, non senza una uscita plateale che conclude con la frase
in francese “Adieu
‘ma belle. Ci rivedremo presto!”
declama teatrale in ghigno furbesco, prima di scomparire nel buio.
La portiera in quell’istante si apre, e il pigro cocchiere mi
porge con una smorfia di evidente sforzo la mano.
-
La mia mano guantata afferra saldamente il finto gesto di cortesia del
vetturale, e velato da un ridicolo capellino da passeggio di pizzo e
fiori, viene alla luce il viso della cosiddetta Contessa Wilbredon.
Ho studiato il cambio
dei turni di
guardia, dal momento in cui arriverete nel cortile, Jack
avrà 7
minuti per introdursi nella sezione di custodia, trovare la cella e
procedere a liberare Patrick senza intoppi. E’
l’unico
detenuto in una cella singola, non può sbagliarsi!
Ricordo a me stessa le parole pronunciate faticosamente da Scilla per
esplicare il piano in breve, così da tranquillizzarmi ed
assumere un portamento naturale, almeno mentre varco la soglia degli
uffici amministrativi del carcere, anche se non posso fare a meno di
stare in pensiero per Jack.
Un impiegato di piccola statura e viso occhialuto mi accoglie
calorosamente, affogandomi di complimenti in francese di cui non
afferro mezzo significato.
Perché André non è venuto con noi??
Quando ancora mi sta facendo le feste, lo interrompo bruscamente,
pregandolo in tono fermo: “Mi paRli nella sua
lingua!”
Tutto questo è assurdo...
L’entusiasmo dell’uomo si spegne un poco, ma rimane
servizievole.
Mi trovo in una stanza arredata solo da imponenti scrivanie, pile
ciclopiche di foglietti, e tanti curvi scribacchini, chini su lampade a
olio e candele.
L’ometto prima mi porge il benvenuto, e dopo aver visionato
l’invito del Commodoro e il mio stemma nobiliare falso,
ricopre
la mia figura di ringraziamenti per, a suo dire, aver deciso di
finanziare la struttura.
Ecco perché sono qui, è questo che
l’amministratore crede.
Sull’invito ho letto il nome completo del Commodoro: James
Norrington. Non credevo si chiamasse così, pare un nome
tanto
innocuo. Scilla ci ha assicurato che mentre siamo qui non dobbiamo
preoccuparci di lui, a questo provvede lei, lo spero proprio.
“...Contessa...Contessa...?” mormora
l’omino,
spalancando le orbite ingigantite dallo spessore delle lenti poste sul
suo naso, per richiamare la mia fuggevole attenzione.
“Oh, oui?”
“Volete cortesemente accomodarvi nel mio ufficio per
procedere
alla compilazione delle pratiche?” mi invita con un gesto
della
mano.
E chi si intende di queste cose?!
“PRefeRisco visionaRe io steSa la stRucture
dell’edifiScio
pRima di fiRmare qualonque foglio de caRta” replico un
po’
goffamente, cercando di ricreare il linguaggio francofono del mio
dandy. In questo modo mi auguro di guadagnare un po’ di
tempo, e
avvicinarmi maggiormente a Jack, così da appoggiarlo nella
liberazione di questo Patrick.
L’amministratore rimane per qualche secondo attonito, lo
trova
esageratamente sconveniente per una signora, ma poi acconsente alla mia
richiesta, e mi guida nel sottosuolo che porta alle prigioni.
E’ una scala ripida, scivolosa e in pietra che le precede,
l’omino si offre di aiutarmi, ma rifiuto, anche se con
indosso
queste scarpette da bambola ogni passo è una morsa
lancinante di
dolore, e infine lo prego di lasciarmi proseguire da sola, una volta
inoltrata nella camerata.
Dopo varie strazianti insistenze, accetta. Quest’uomo
scenderebbe
a qualunque compromesso regale per ottenere un lauto finanziamento. Mi
assicura semplicemente che mi attenderà con pazienza
lì
sulle scale.
La stanza è apparentemente dominata dal silenzio e da un
forte
odore di chiuso, rimbomba solo il tocco secco dei tacchi di questi
strumenti di tortura, detti anche calzari
da passeggio,
cadenzato da qualche perdita d’acqua in lontananza che pare
scandire i 7 brevi minuti a nostra disposizione, e ticchetta
insistentemente sul pavimento, fatto a sua volta in pietra scura.
Quando mi trovo abbastanza lontana dall’entrata, e
l’omino
occhialuto non può più sentirmi, inizio a
chiamare
sottovoce Jack.
Procedo a passo vigile, la camerata è molto scura, solo gli
angoli più alti delle pareti ricoperti di muschio e catene
disciolte sono illuminati da rare torce, come diavolo ha fatto il
Capitano ad orientarsi qui dentro? Chissà dove sto mettendo
i
piedi...
Man mano che aumenta la distanza, alzo anche il tono di voce, sempre
più ansioso, ma giunta quasi a metà
dell’antro
percorribile, la sola risposta che mi giunge non è affatto
da
chi la vorrei sentire: le prime celle mi sono parse vuote, ma dai
numerosi grugniti ridenti, luridi fischi di apprezzamento, e termini
ignobili che giungono alle mie orecchie, quest’ultime sono
altresì subaffollate.
“Jack...? Sono io Jack, zuccherino! Avvicinati che te lo
faccio
vedere” erompe una voce, su tutte le altre, proveniente da un
braccio muscoloso, annerito e scavato dalle cicatrici che si allunga
con foga verso di me.
Lo schivo per un pelo con un verso di disgusto e un singulto
spaventato, grazie alle sbarre che lo limitano, ma vengo afferrata
ugualmente per la vita, da qualcuno sul lato opposto, dove pensavo di
essere in salvo, il quale senza fermarsi oltre, mi trascina via con
sé, recidendo sul nascere un mio grido.
La mia schiena finisce contro un petto saldo, e probabilmente percorso
da qualcosa da me riconosciuta come la fibbia di una cintura, prima che
un viso si accosti al mio orecchio e sussurri rassicurante:
“Cherié... Non riesci proprio a stare lontana da
me!”
“Razza di...!”
“Silence! -mi zittisce di nuovo Jack, prima che possa
insultarlo-
Potrebbe aggirarsi qualcuno da queste parti a nostra insaputa”
Con un respiro profondo e seccato cerco di calmare i nervi in subbuglio.
Mi ha trainata con forza in una specie di feritoia umida del muro, dove
al momento dobbiamo nasconderci stando appiccicati come sardine, e
l’ampiezza della gonna di questo dannato vestito non
è
d’aiuto.
Dopo qualche istante di silenzio tra noi, per tenere sotto controllo la
situazione, il Comandante esplica ridente: “Non mi
è mai
capitato di trovarmi in un luogo simile e ad una distanza tale con una
del tuo rango!”
“Non dirmi che non sei mai stato con una Contessa”
ammonisco incredula. Prima di rispondermi il suo sguardo si abbassa su
di me, forse per verificare se dico sul serio, con un ghigno furbesco
affatto rassicurante.
“Se dicessi no e negassi di aver mentito...
Mentirei!”
ecco, ho avuto quel che volevo, me le vado proprio a cercare...
“Diamine, tu saresti capace di far arrossire anche Casanova!
-il
suo cipiglio diviene giustamente interrogativo- Tranquillo... Non
nascerà se non tra una cinquantina d’anni...
Piuttosto!
Hai trovato il prigioniero?” mi informo sugli sviluppi.
“Certamente, ma il tempo a nostra disposizione è
già scaduto, perciò devi aiutarmi!”
scandisce a
voce bassissima.
“Dimmi come”
Il suo tono inizia a diventare scostante e agitato, deve aver sentito
qualcosa.
“Voglio che esci al più presto da qui, ti dirigi
alla Pearl e dai l’ordine di prepararsi a salpare, immediatamente,
comprendi?” dice a tratti, continuando a guardarsi
nervosamente intorno, temendo l’arrivo di qualche guardia.
“Cosa? -sbotto sbigottita- Io credevo di dover
aiutarti...”
“Jenny, fa come ho detto!” diviene dispotico.
“Io non ti lascio qui!” mi oppongo mentre
già stiamo
fuggendo dal nostro nascondiglio, afferrandolo per una manica della
camicia, e costringendolo a voltarsi.
“Temo tu stia trascurando una cosa importante di me,
dolcezza:
sono il Capitan Jack Sparrow!” pone come garanzia, anche se
continuo a fissarlo tremendamente preoccupata.
“E ora va, corri!” mi spinge via, nella direzione
opposta a
quella da lui intrapresa, molto distante dall’unica via
d’uscita.
Non posso fare altro se voglio aiutarlo, mi conviene stringere i denti
e sbrigarmi!
La tentazione di liberarmi delle scarpe è molto forte, ma la
corsa senza di esse sarebbe ancora più ardua. Rimbocco
velocemente il vestito, evito il confronto con i prigionieri e mi
allontano da quella catacomba più in fretta che posso.
Sulle scale per poco non travolgo l’omino in mia attesa, che
per
fortuna non riesce a starmi dietro, ma urla con tutto il fiato che ha
in gola di fermarmi e porgere delle spiegazioni.
Io replico con qualcosa di ovvio, in cadenza stridula:
“...Rats...Rats!” chissà come si dice
topo in
francese...
Seguito a gridare fingendomi terrorizzata anche nei corridoi, per non
destare sospetti nelle persone che incontro e sostenere
l’alibi
dei topi.
In breve raggiungo il cortile da cui sono venuta.
Salire le scale correndo, con addosso chili di sottane, pizzi e
merletti incide sul mio fisico disabituato, e mi costringe a fermarmi
per riprendere fiato e magari farmi venire un’idea, che mi si
presenta su un vassoio d’argento: il cocchiere svogliato si
è spostato con la carrozza dal centro del cortile polveroso,
e
sta rifocillando i destrieri all’ombra, con del fieno.
Il portone borchiato di ferro alle mie spalle si spalanca, e ne
fuoriescono alcuni funzionari allarmati dalle urla, che chiamano a gran
voce il nome del personaggio da me interpretato.
Senza nemmeno voltarmi, seguito a scappare, come da messinscena.
Mi dirigo in tutta fretta verso i cavalli in sosta, privo il cocchiere
di un coltello da caccia con cui stava sbucciando tranquillamente una
mela, in un momento di quiete, e passo alla carrozza.
I finimenti che legano i cavalli al veicolo mi sono d’aiuto
per
arrampicarmi sul dorso del mio prossimo mezzo di fuga, un maestoso
esemplare rossiccio dalla criniera dorata, sebbene fatico e scivolo,
liberandomi senza volerlo delle atroci scarpe.
Rimasta a piedi nudi riesco finalmente a sostenermi meglio e salire,
l’animale pare capire in modo sbalorditivo, mi facilita
persino
abbassandosi.
Con un rapido gesto del coltello, taglio in un colpo netto le redini
lunghe, l’ultimo fronte che unisce ancora il cavallo alla
carrozza, e una volta libero richiamo alla mente ogni reminiscenza
legata all’equitazione a me nota, per partire al galoppo
fuori di
qui.
L’agitazione mi confonde, per qualche istante nonostante ora
mi
trovi in terreno sicuro non so dove andare, quale via prendere, e
oltretutto il cavallo si dimena insistentemente contro il mio volere.
Nello scompiglio le redini mi vengono portate via con uno strattone dei
forti denti da parte dello stesso animale, che ora mi fissa torvo,
dall’altro del suo collo ramato, con un luccichio
significativo
negli occhi.
Quei occhi mi parlano, all’inizio come un rimprovero, ma poi
chiedono che io mi fidi di loro.
Lascia che mi avvinghi saldamente a lei, e poi è la divina
destriera di un sogno a condurmi senza più indugi in salvo,
verso riva.
Le urla sconnesse ed irose del cocchiere, ora resuscitato dal suo
perenne sonno, tentano di ostacolarmi nuovamente, pregando di chiudere
il cancello principale, ma non subito viene ascoltato, e quando la sua
supplica si esaudisce, io mi trovo già lanciata al trotto,
aggrappata con tutte le mie ultime forze al collo di Immi, lungo la
ghiaia del sentiero.
-
Leve
Leve.
I trucchi di quell’eunuco di Will tornano utili in situazioni
come queste!
E grazie alla solita
vecchia panca di legno, come sempre, Capitan Jack riesce a scassinare
celle e stupire.
Lo stesso esercita sul
semidio,
liberato, incredulo e grato per la facilità con cui adesso
respira di nuovo libertà.
Patrick è
così felice
da voler abbracciare il Capitano, ma son le guardie, tornate in
servizio e allarmate dal rumore, a sciupare il quadretto.
In pochi secondi una
decina di giubbe rosse irrompe da ogni lato della camerata e circonda i
due fuggiaschi.
Jack sguaina la spada e
lancia al
novellino una piccola sciabola di scorta, la quale Riccioli
d’oro
inizialmente non sa neppure bene come tenere in mano.
Appunto per il Capitano: impartire al ragazzo lezioni di scherma,
urgenti!!
L’impacciato
semidio pensa
principalmente a schivare, parare, sfuggire ai colpi impartiti dai ben
addestrati soldati, non può uccidere nessuno, come vuole la
sua
indole divina.
Il Capitano sa bene come
tenerli a bada, e nel contempo pensa ad un piano da mettere in atto
prima di subito.
La venuta dei soldati ha
spalancato
una porta “sul retro” della prigione, sbarrata
subito dopo
la loro entrata in scena, perciò inutile come via di fuga,
ma
pur sempre perfetta come fonte luminosa: ora la camerata è
più nitida, e lo scaltro pirata può distinguere
nettamente dei vecchi cannoni di battaglia accatastati alla parete,
più un vanto per gli inglesi che una vera arma, ma li trova
carichi e dunque efficaci.
Jack continua a
combattere,
volgendosi volontariamente sul lato opposto della stanza, rispetto gli
attempati cannoni, e una volta raggiunto il punto esatto da cui mettere
in pratica il suo piano, spara in aria l’ultimo colpo di
pistola
a sua disposizione, che va a vuoto sul nemico, e mira soltanto una
lampada ad olio della parete.
La lampada cade e urta
il retro di un cannone, puntato verso la loro cella, il quale inizia
subito ad incendiarsi.
A quel punto il Capitano
annuncia
inaspettatamente la propria resa, Patrick viene catturato a sua volta e
rinchiuso con lui nella prigione in cui si trova imprigionato ormai da
parecchi giorni.
Gli inglesi soddisfatti
di aver in
custodia un criminale tanto celebre come il Capitan Jack Sparrow,
iniziano a declamare i seri provvedimenti che applicheranno su di lui,
è un sottufficiale di Norrignton a parlare, il suo nome
è
Gillette, dando poca importanza all’odore di polvere da sparo
che
s'innalza alle loro spalle.
In breve la fragile
miccia si
consuma, innesca il cannone, e le giubbe rosse vengono sopraffatte dal
rombo di un colpo, che porta via con sé una decina di loro,
ferisce tutti gli altri e assicura ai due fuggiaschi una via di scampo
sicura.
“Ecco cos’è stato quel terribile
frastuono che ho
udito da lontano!” sbotto sgomenta, rialzando la testa dalla
spalla di Jack per guardarlo fisso negli occhi.
“Come vedi sono ancora qui, tutto intero, tesoro. Non hai
nulla
da temere!” conforta spavaldo con un ampio gesto della mano
attraverso cui sottolinea la sua persona.
Mi scuso con Scilla per l’interruzione.
“Continua, continua! Mi sto appassionando” esorta
infervorato la donna incappucciata che cinge, quello strano giovane
divino che mi scruta incessantemente con un sorrisetto sghembo da
dietro il tavolo.
“Ma tu eri presente, sciocco!” lo riprende Scilla
ridente.
“Questo è vero, ma adoro come lo racconti
tu!” ammette Patrick impacciato, in cadenza dolce.
“Bhe ormai si è quasi conclusa...”
afferma Scilla spaesata, deve aver perso il filo del discorso.
“Allora concludi!” la sostiene il suo aiutante
stringendola a sé dalle spalle.
Con
l’esplosione un cumulo di
terra atterra su di loro, ma i due riescono ugualmente a liberarsi,
usandola piuttosto come rialzo per raggiungere la falla sopra le loro
teste, la quale conduce ad una verde vallata sul retro del forte, e
alla libertà.
“Fine...”
E’ questa la storia riferita da Scilla, confermata da Jack e
che
ora gira su ogni bocca della ciurma, eccetto il particolare della vera
natura del ragazzo, di cui solo noi siamo a conoscenza, per narrare la
rocambolesca liberazione di Patrick.
“E, se posso, tu invece come fai a conoscerne distintamente
ogni
dettaglio, visto che non eri lì?” domando curiosa
sorseggiando del thé caldo a lume di candela, intorno ad un
tavolino della sala da pranzo dove ci siamo riuniti una volta salpati
da Mayan.
“Ho sognato ogni evento di quest’oggi ieri notte,
già sapevo...” replica Scilla.
“E’ stata mamma, vero?” deduce fiero il
semidio.
“Chi altri se no” dice la donna con un sorriso,
abbassandosi il mantello rosso che ricopre una copia perfetta del
vestito da Contessa, da lei stessa fattomi indossare poco prima.
Giunti alla nave e rinvenutala con quelle vesti mi ha spiegato di aver
distratto Norrington fingendosi a sua volta la Contessa, dato che il
Commodoro, in sede distante al carcere, non poteva conoscere i nostri
volti e smascherare l’arcano.
Dunque ogni tanto si scopre il viso, mi piacerebbe proprio vederlo!
Sono sempre più confusa riguardo questo bizzarro piano... Ma
l’importante è che abbia funzionato.
“...Vogliamo passare a me?- propone il semidio, passando da
una
postura rilassata ad una più composta, e cercando un cenno
di
assenso dalla compare- Bene... Se non sbaglio non ci siamo ancora
presentati!” debutta alzandosi in piedi scattante e porgendo
il
palmo aperto al Capitano.
“Capitan Jack Sparrow, benvenuto a bordo figliolo!”
ricambia con una stretta vigorosa.
“I miei rispetti Capitano, per me è un vero
piacere
conoscervi di persona, anche se non siete esattamente come vi
immaginavo...” ammette infine con sincerità,
rabbuiando
leggermente il suo fresco entusiasmo.
Scilla pare irrigidirsi di colpo.
“Non fraintendetemi, vi ammiro molto!” si riscatta
il
biondino, con un sorriso rassicurante il quale gli riduce occhi a due
fessure, riempiendo l’accigliato Jack di pacche sulla spalla.
“E tu... -enuncia passando a me. Si sistema i capelli
cespugliosi, pettinandoli con le dita e mutando la sua inclinazione
affabile ad una più suadente- Sono
estasiato...
E profondamente onorato della tua conoscenza -diviene la caricatura di
un gentiluomo, mimando altresì un inchino- Il mio nome
è
Patrick Wallace” replica prendendomi la mano con delicatezza.
“Jennyfer Allyson...” dico a mia volta, guardando
di sbieco
quella sua strana condotta. Ora, la luce proiettata su di lui mi
dà modo di distinguere nettamente quelle grandi iridi
che inviano cenni di consenso a
Scilla. Ho fiutato qualcosa tra loro, una muta intesa, un inenarrabile
segreto...
E’ incredibile come un colore così freddo possa
mancare di
stonare su un viso colorito come quello di questo giovine, squadrato,
marcato, ma obiettivamente bello.
“Lo so!” dice Patrick di colpo facendomi sobbalzare.
...O mio dio, legge anche nel pensiero?? penso arrossendo senza volerlo.
“So chi sei, perfettamente come ricordavo -ok, forse non ha
questo potere...- Caspita... Sempre da togliere il fiato, anche
se dovresti crescere ancora un po’...!” precisa
lisciandosi
il mento ricoperto da un accento di pizzetto.
Lo guardo attonita e sollevo un sopracciglio sarcastica per lasciare
intendere tutto, senza valermi di parole.
Cos’ha detto?! D’accordo, basta, tutte queste
attenzioni sono un un po’ troppo... Jack, attacca!!
Ma il mio fido segugio da sguinzagliare al momento opportuno
è
rimasto esattamente nella posizione di prima, e si tortura pensieroso
una treccina con il medesimo sguardo attonito di poco fa.
Probabilmente sta immaginando come Patrick immaginava di immaginare una
icona come lui nel mondo della pirateria.
Ho come il sentore che questo nuovo arrivato sarà un bel
grattacapo.
“Complimenti, Jack! -il semidio torna a discorrere col
Capitano-
Hai proprio una bella barca...!!” si appropria già
della
sua confidenza, poggiandogli un gomito alla spalla, e facendolo
sobbalzare.
Jack disgustato e oltraggiato da quel contatto, lo allontana e si
dà un tono di comando dei suoi: "Prima di tutto IO, TUO Capitano. E seconda
cosa: la Black Pearl è una NAVE!"
“Sissignore...Capitano!” replica sommessamente,
portando il
palmo chiuso alla fronte, prima di arretrare a passo felpato e
ripararsi fingendosi intimorito dietro a Scilla.
Ci mancava solo un giullare di corte a bordo, questi due insieme
saranno esilaranti.
“Dovete scusarlo Capitano- Scilla prende le sue difese-
E’
relativamente nuovo nel mestiere, anche se ha sangue pirata che gli
scorre nelle vene...”
Quest’ultimo particolare stuzzica l’attenzione di
Jack che si fa più interessato.
“Wallace eh...? -borbotta tra sé e sé
scrutando il
ragazzo- il primo Ufficiale di Hellburne, immagino” detrae
dai
ricordi dopo averci pensato a lungo.
“Esatto, signore. Il corpo mortale di mio padre ha baciato il
fondo del mare tanti anni fa, e non ne è più
tornato” narra mascherando la sua disinvoltura in cruda
serietà.
Deve provocargli ancora tanto dolore, se per dirlo deve abbassare lo
sguardo al pavimento e increspare le labbra in quel modo amareggiato.
“Allora vedi di arrecare onore al suo nome frattanto che sei
qui,
evitando di correre alle gonnelle per il minimo rimprovero. Quelle ti
servono, sì, ma.. ad altri... fini!”
lascia
intendere gesticolando davanti alla faccia, anche se è stato
perfettamente chiaro.
“Sissignore, e grazie, signore! -replica umilmente-
Sarò
un ottimo tramite tra voi e Scilla, vedrete!”
conclude
sheckerandogli la mano dalla gioia, per scoppiare poi in una risata
fresca e contagiosa, che si estende anche a Scilla, e si, lo ammetto,
un po’ anche me.
“Bene -dice Jack adempiuto- Credo sia ora di far ritorno alle
nostre stanze, e dato che il nostro ospite illustre si
tratterrà
a lungo, dico di iniziare assegnandogli un giaciglio per la notte.
Jenny, ci pensi tu?” propone senza celare una risata sotto i
baffi.
Oh no, io non mi inoltro in quella camerata di depravati.
Spalanco gli occhi con le labbra serrate per non mimare un no con la
testa, ma far comprendere la mia risposta a Jack, che al contrario
finge di non vedere.
“Io ti aspetto in cabina!” mi sussurra suadente
all’orecchio, prima di darsela a gambe in andatura dondolante.
Oh no, accidenti! Ora mi tocca farlo sul serio...Ma...Un momento, dove
si è cacciato Patrick?!?
Era qui fino ad un istante fa, in compagnia di Scilla, ma ora paiono
dissolti.
Setaccio tutta la sala da pranzo con lo sguardo, eppure è
sparito, deve aver imparato bene dalla sua compare.
Arresami, sto quasi per tornare in cabina, approfittando della scusante
di averlo perso, se non fosse che me lo ritrovo lì fuori,
sporto
dal parapetto, e intento a contemplare sognante il luccichio ammiccante
del paesaggio stellare.
“Ah, ecco dove ti eri cacciato!” commento
andandogli incontro svogliata.
Lui non replica, non a me almeno, infatti lo sorprendo a discorrere con
non so cosa di preciso, visto che siamo soli, Scilla si sarà
polverizzata come è solita fare.
Eviterei spiegazioni, ma lui mi precede: “Scusa, Jennyfer.
Parlavo con la nonna, era in pensiero per il suo adorato nipotino,
sapendomi dietro le sbarre” parla in tono discorsivo e
naturale,
è quasi da credergli.
Oddio... Jack mi ha lasciato in compagnia di uno schizzato...
Non sarà mica uno di quelli come ne esistono nel 2000 che
pensano, chessò... Di essere Elvis Presley, spero!
“Tua...cosa?!? E dove sarebbe, sentiamo” replico
scettica.
“Ma qui! -afferma convinto, indicando di fronte a
sé,
praticamente il nulla sospeso nell’acqua essendo questa nave
in
movimento- E qui, e qui...- continua sicuro, additando nessun punto in
particolare al suo fianco e vicino a me- E’ ovunque!- dice
infine
mimando un grande cerchio con le braccia- E’ ieri notte...
Questa
notte e tutte quelle che verranno” diviene finalmente chiaro,
anche se per me è ancora difficile accettare tutto questo e
prendere ogni sua parola per vera.
“Lei è Nyx- prosegue disinvolto, come se mi stesse
presentando ad una persona e sia ovvio che io la veda e la conosca- La
Dea della Notte!” palesa sorpreso.
“Perdona la mia ignoranza, ma non ne so un granché
di
mitologia” ammetto con dispiacere, è una di quelle
cose
per cui non mi è stato dato modo di rimediare.
Il semidio ostenta tutta la sua meraviglia con una specie di gemito:
“Una cervellona come te che mi cade in questo modo poco
elegante?!?” dice prima di mostrare un sorriso canzonatorio.
“E tu invece che razza di Dio saresti, dei
giullari?!” domando incuriosita.
“Io sono il Dio della Memoria, è un fatto recente
a dire
il vero! Fin dalla mia nascita sono sempre stato consapevole di non
essere la norma, avevo dei poteri simili ai miei avi, ma non ancora
miei” conversa amabilmente, anche con gesti, sguardi, senza
mancare mai di coinvolgermi. E’ assurdo e comico, sembra che
ci
conosciamo da sempre, non da una sera, ma lo trovo ancora a dir poco
strampalato.
“Invece ora, offrendovi il mio aiuto, sono stato riconosciuto
come Dio a tutti gli effetti. Ma non è finita qui! Devi
sapere
che ho una particolarità controproducente -la sua scelta dei
termini mi fa ridere in continuazione-Sì, è
così
-ride lui stesso- Sai, anche io ho vissuto per un po’ di
tempo
tra gli anni ’90 e 2000 -quest’ultimo dettaglio mi
fa
impallidire fino alla radice dei capelli, pare un tempo così
lontano, un altro universo quasi...eppure ci ho vissuto...- Stavo a New
York però, tranquilla, non mi aggiravo dalle tue parti
inseguito
dai piedipiatti” scherza mettendo un broncio serio e
pronunciato
nella mascella, come fosse un criminale malintenzionato.
“Mi trovavo lì per studiare e tentare di capire il
mio
“disturbo”. Vedi... Ho scoperto di non avere
memoria a
breve termine!” sostiene sconvolgendomi a dir poco.
“...Tu??” controbatto a bocca aperta.
“Già, me... I miei ricordi durano da qualche
secondo a
poche ore. Domani potrei anche dimenticarmi chi sei. A volte inizio una
frase, e prima di finirla... Che stavo dicendo?” domanda
spaesato
con la fronte corrugata.
“Che dimenti-...”
“Ahahah, scherzavo Jennyfer!” mi interrompe per
prendersi gioco di me.
“D’accordo che son smemorato, ma pochi secondi li
rammento ancora!”
“Sciocco, io mi preoccupavo sul serio!” ammetto
beffeggiata.
“Oh-ho, conto già così tanto per
te?” tipica
frase dal retrogusto di scherno, ma non troppo, che in breve avrei
identificato come “classica affermazione da
Wallace”.
*
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Capitolo 14 *** Brando ***
chap
Avvisi per i lettori:
Salve
gente!
Il
capitolo che segue avrà qualche sfumatura drammatica in uno
stile un po’ nuovo, avverto che amo il genere horror, ma
è
la prima volta che mi cimento in qualcosa di simile, perciò
confido sempre nel prezioso aiuto nei miei maestri Bram e Gaston XD
speriamo serva.
Sarà
suddiviso sempre nelle 3 solito parti di cui per il momento vi offriamo
la prima.
Non
dimenticate di dirmi se i miei maestri possono essere almeno un pizzico
fieri di me =)
Ringraziamenti:
Rebecca
Lupin:
Se Patrick è di tuo gradimento aspetta di vedere che
combinerà qui ;) E siamo solo all’inizio! Grazie
infinite!
_Celia_:
cara, vedi tu o meno che farne di quest’altro Wallace =P lol
Da
chi poteva prendere se non da Leonard? XD Shhh valà che se
non
fosse così dovrebbero inventarlo ^^ A parlare di
“fedi
nuziali” è proprio il periodo giusto questo eh?
eh? eh?
*w* non vedo l’ora di sbirciare la tua!!! grazie e Baciii!!!
_Kia_Smile_:
Temo che il fascino non sia nostro ma di quel disgraziato di un
Capitano mannaggia a lui *w* Per Dylan c’è solo da
aspettare ;) torna tra 20 anni no? :D (ok basta non posso
più
dire niente -.-) Patrick conosce Dy perchè Dylan
è il
guardiano della mappa e Patrick è una specie di esperto a
riguardo dopo tanti anni trascorsi con Scilla. Grazie per tutto
l’apprezzamento!! ^^
e già che ci
sono ringrazio anche...
chirkin:
io sto diventando una fanatica dei modi di dire americani,
perchè un giorno vorrei capirlo alla perfezione
perciò mi
appassiono di tutti sti termini per noi strani, ma questa
“soccer
mom” non l’avevo mai sentita :D grazie per la
precisazione!
Sì in effetti da come mi hai spiegato, Loren
Allyson
potrebbe benissimo esserlo! ihihihihi Quale suocera non vorrebbe un
genero così :Q___
Andrè
interessato? Solo per quanto gli concerne suvvia ;) ti ringraziamo
moltissimo per il tuo commento divertente! :D
E siete i benvenuti anche
solo per dare un’occhiata!
Buona
lettura!
Capitolo 14
Brando
Se dopo tante notti di
sonno
scostante e irregolare, finalmente ti precludi che questa
sarà
quella giusta, bhe, sai già in partenza che ti sbagli.
Sono andata a dormire
serena, con la
testa piena di pensieri, e discorsi intrattenuti fino a a tardi con
Patrick. Era così tanto tempo che non parlavo con qualcuno
di
canzoni, gruppi musicali, attori, scadenti serie televisive, di film...!
Quando ne accenno
qualcosa a Jack è
divertente, replica sempre con nuove assurde espressioni, immagino
pensi che so parlare qualche astrusa lingua aliena, ma ora come ora,
anche se Patrick fosse un serialkiller, per lo meno ho constatato che
è di buona compagnia.
Andrè di
norma non è
un ubriacone. Il suo piacere per il vino rientra solo in quelli
finalizzati alla cucina, per dare sapore alle pietanze, ma
quest’oggi si è lasciato trascinare
dall’euforia di
altri membri della ciurma, e data la lunga permanenza altrove del
Capitano, ha alzato un po’ troppo il gomito, anche se ora
è incaricato del turno di guardia della notte.
La sua vista
è così
ridotta e annebbiata, che il suo capo di fini riccioli argentei si
è messo a dondolare da un po’ su quel collo con la
pelle
da volatile, e infine è crollato in avanti, piegandosi sul
petto, seguito da un sonoro grugnire.
Non ha notato di certo
che sul ponte non è solo, come potrebbe?
E di quale compagnia
poi!
Nyx è
lì, per davvero, s’erge in tutta la sua oscura
figura, avvolta in un mantello d’ombra.
Di lei è
distinguibile
soltanto un volto dal pallore lunare, dove si ritagliano due occhi
fissi e attenti sull’orizzonte blu, ora inghiottito dalle
tenebre, su cui vaga una nave battente bandiera spagnola, senza una
precisa destinazione, dopo che è stata sorpresa a suo
sfavore
dall’improvviso cambiamento delle correnti.
Come dicevo, ero
convinta di
trovarmi al sicuro tra le braccia di Morfeo, che da quanto sostiene
Patrick dovrebbe essere... il fratello gemello di Celia,
nonché... suo zio. Dirà sul serio?
Invece no.
La porta della cabina
è
chiusa a chiave questa notte, come le finestre. Non tira grande vento
sulla nostra rotta, ma vi è ugualmente qualcosa che disturba
il
mio dormiveglia.
Trovo incredibile come
non riesco a dormire per la minima alterazione della solita inerzia.
E’ un rumore
sordo, cadenzato da degli scricchiolii, suppongo venga dal corridoio.
Può sembrare
niente, ma
questa incertezza oltre ad innervosire mi fa a dir poco accapponare la
pelle e innesca una scarica di brividi lungo tutta la spina dorsale.
Non voglio aprire gli
occhi, anche
il solo socchiuderli spezzerebbe irreparabilmente la mia fragile
illusione di riposo, e... Sì, temo chi o peggio cosa mi
troverò innanzi, eppure in breve la curiosità
sovrasta
ogni pigrizia.
Scivolo via dalla pelle
tiepida di
Jack, e mi allontano svogliata dal mio sonnecchiare col viso nascosto
tra la spalla e il suo collo.
In temporanea mancanza
della vista dovrò fare affidamento unicamente sugli altri
sensi.
Salda sui gomiti,
trattengo il
respiro rimanendo in ascolto, attendo nuovi sviluppi, ma non avviene
nulla, eccetto il galoppo sfrenato intrapreso dal mio cuore.
Riabbasso lo sguardo,
perdendomi per
un attimo ad ammirare la sagoma del Capitano, probabilmente smarrito in
un sogno piacevole, è l’unica cosa che riconosco
malgrado
il buio dal contrasto della sua pelle scottata e bruna con le lenzuola
candide.
Un oggetto metallico e
pesante crea
d’improvviso un attrito sulla parete lignea, appena fuori la
porta della nostra cabina, annullando del tutto il mio debole
autocontrollo creatosi con l’apparente stato di quiete.
In un attimo mi ritrovo
ribaltata a
pancia in sù, dal salto fatto per lo spavento, ancora pochi
centimetri e sarei finita sul pavimento.
Respiro affannosamente,
aggrappata
alle lenzuola sotto di me, gli occhi sono sbarrati, fissi allo stipite
e al fondo della porta dove ora timidamente si fa strada una luce.
Il petto e lo stomaco
si stringono
in una morsa, cerco inutilmente di deglutire quando noto che il raggio
del tenue lume si interrompe in due punti, dove è sostituito
da
due sottili ombre nere, quasi sicuramente le gambe di una persona.
Nelle migliori delle
ipotesi
può trattarsi di un membro dell’equipaggio
piuttosto
stordito e confuso per trovarsi qui, quando la camerata della ciurma
é altresì sottocoperta.
Oppure qualcuno venuto
a richiedere la presenza del Capitano, se è così
perché ci impiega tanto a bussare?
Suvvia, non
potrà essere un malvivente... Non tocchiamo nemmeno terra.
Eppure
c’è sempre
l’ipotesi di qualcuno disposto a compiere gesti brutali per
prendere il posto di un Comandante, basti pensare al padre di Patrick...
D’accordo,
è meglio che la finisca qui! Sto andando in
paranoia.
Jack d’altro
canto pare
estraneo a tutto, il suo corpo non accenna ad interrompere il riposo
per qualche movimento insolito, sarà certo abituato ai moti
violenti del mare.
Dalla mia gola
prosciugata fugge un
fremito alla vista delle ombre palpitare e poi muoversi, ansiose,
trascinando il lume via con sé.
Tremante e incapace di
reagire, a
labbra vibranti mi ritrovo a stringere gli occhi e pregare che chiunque
o qualunque cosa sia, sparisca al più presto.
La mia supplica viene
assodata da
uno scricchiolio sinistro nella stanza accanto, che ora pare esser
stata occupata da dei veri e propri tonfi di passi, poi più
nulla, né luce né rumore.
Tornata a respirare,
seppur
ansimando, sfrutto l’ultimo briciolo di adrenalina rimasta
per
obbligarmi ad alzarmi da quel letto ed andare a vedere di persona.
La spinta decisa si
eclissa una
volta in piedi, quando la consapevolezza di inoltrarmi alla cieca in
una presunta insidia mi provoca dei leggeri cerchi alla testa.
Ripreso il comando di
me stessa,
afferro il primo capo a terra in cui mi imbatto: perfetto, è
una
camicia! L’abbottono nel modo meno corretto, giusto per
coprire
il necessario, e poi al momento l’unica vera preoccupazione
consiste nel trovare il fegato di aprire la porta confinante che
conduce alla mia vecchia stanza, ora dimora di uno sconosciuto.
Mentre mi dirigo
riluttante verso
l’apertura mi rendo conto di esser disarmata, anche se
nell'evenienza tengo il pugnale sotto il cuscino, precisamente da
quando quel fantasma di Scilla si aggira un po’ troppo nei
dintorni, sempre se riesco a prenderlo.
Ormai prossima alla
maniglia, mi
soffermo un istante ad accendere la lampada ad olio che Jack tiene sul
comodino, proprio accanto alla porta. Questa mi darà modo di
vedere all’interno dell’altra stanza.
La cosa migliore
è spalancare
la porta in un solo colpo deciso, e così avviene, sebbene mi
ritraggo subito in un angolo, salvo poi affacciarmi cautamente in
precauzione.
E’ passato
qualche minuto
dall’ultimo scorcio di movimento, e la mia vecchia camera da
letto è da un po’ silenziosa.
L’ambiente
è tranquillo
infatti, la fiamma che si dimena nelle pareti di vetro illumina fino ai
piedi del letto, quello appartenuto a Dylan per la precisione, dove
scorgo distintamente un rigonfiamento.
Si è anche
coricato?!
Incredula, afferro la
mia guida di luce, e giunta al letto ritraggo in una sola mossa le
lenzuola...
“...PATRICK?”
insorgo irosa con un balzo all’indietro.
Lì giace
l’aitante
semidio, vittima anch’egli del sonno mortale, sebbene mi
avesse
giurato gli capitasse solo saltuariamente.
Dal cuscino di piume
riemerge il
contorno del suo viso, deformato in un ghigno dalla parvenza dolorosa,
ma solo a causa della luce che stringo tra le mani e gli ferisce le
iridi sfumate di azzurro.
“Je-en...
-farfuglia in
cadenza baritonale, tentando invano di domare la chioma ondulata sulla
sua fronte, che ora pare vittima di una scarica elettrica- E’
già mattina?”
Non so esattamente
perché,
né come, ma alla vista di quel posto occupato, rimpiazzato
senza
volere, vengo colta da una stretta alla gola e al cuore che pare
soffocarmi e sfociare in rabbia.
“Al
contrario... E’ ora che tu sgomberi da qui!”
Patrick riconosce
subito il mio tono
non più amichevole come prima, ma simile al ghiaccio secco,
e si
dà da fare alla bell’e meglio per eseguire, anche
se
l’assopimento rallenta i suoi movimenti e lo rende goffo e
fiacco.
Mi trattengo con sforzo
dal
rimproverarlo, incitandogli di andarsene, per farlo devo distogliere lo
sguardo, abbassandolo al pavimento, e stringere i pungi il
più
possibile.
Ripeto più
volte a me stessa di rimanere calma e lucida, ma è
l’impazienza ad avere il soprassalto.
Lancio un altro sguardo
al letto,
augurandomi che l’abbia già liberato, ed
è proprio
in quel momento che vengo colta dallo smarrimento e da una forma di
disperazione mai conosciuta fino ad ora: inizialmente non vi avevo
fatto caso, ma vedere di nuovo quel lettino sfatto, violato, rianima un
vuoto a me rimasto che non credevo tanto radicato.
Le mie iridi lucide e
annebbiate si
spostano sul guanciale, e solo adesso si fa viva la consapevolezza che
così ha perso per sempre l’impronta di quella
testolina
piena di idee e di sogni legati ai pirati.
Ripercorro con lo
sguardo della
mente i mesi appena trascorsi, cercando di ricreare Dylan
lì, lo
stesso di allora, eppure fatico perché solo adesso mi
è
chiaro come non gli mai dato tutta l’importanza che dovevo.
Mi concentro,
riflettendo
inutilmente, alla ricerca del fresco suono della sua voce... Ma
è qualcosa che non vorrei sentire ad allontanarlo:
“Jenny,
ascolta, devo dirti...” si fa avanti Patrick dopo essersi
rialzato dal giaciglio.
Il giovine tenta di
afferrarmi dalle
spalle per far sì che lo guardi in volto, la mia reazione
istintiva è quella di respingerlo con foga liberando un
grido di
rabbia incontrollata che sa solo intimare: “VIA! HO DETTO
FUORI!”
Il timbro acuto di quei
scalpiti
causa un trambusto che si scopre un attimo dopo aver rianimato le
membra stanche del Capitano, il quale appare alla porta, millantando in
modo insolito il suo abituale vestiario: calzoni infilati al contrario,
le tasche posteriori di questi sporgono rovesciate dalle sue anche
ossute. Un solo stivale al piede destro, il tricorno storto sui gonfi
occhi semichiusi, e nel dubbio la pistola puntata dritto dinanzi a
sé, pur non sapendo di che si tratti.
Una volta messa a fuoco
la scena, da
dietro le sue palpebre marcate di kajal, giunge un profondo sospiro di
disappunto, insieme al mormorio impastato di sonno:
“Allyson...”
La figura dondolante di
Jack compie
con l’indice un cerchio, il quale racchiude in una linea
immaginaria gli abiti restanti che il novellino non ha ancora
indossato, ed impone secco: “Tu, fuori di qui e
aspetta”.
Per quanto concerne me,
vengo trascinata nella nostra stanza e fatta sedere pesantemente sul
letto.
Mi sento priva di
forze, in balia di
qualunque cosa possa investire il mio essere, è esattamente
come
osservare dall’esterno la marionetta inferma di me stessa.
Nel punto fisso in cui
la mia vista
si è fermata non vedo niente, mi è solo dato
sentire cosa
mi succede intorno, ossia ascoltare i movimenti rapidi e nervosi del
Capitano, intorno alla cabina, mentre borbotta qualcosa di indistinto.
Obbligo il mio corpo a
riprendere il
controllo delle mie possibilità, le mie labbra si schiudono,
ma
esitano ancora prima di parlare: “Non mi hai mai chiamata
solo
per cognome” esprimo con timore. Un altro modo per dire
“significa che questa volta l’ho combinata
grossa?”
“Credi
davvero che non conosca
per intero il nome di chi ogni notte mi riposa vicino? O almeno, finge
di fare questo, dato che da più vespri non mi è
dato
dormire!” si corregge risentito, percorrendo per in lungo
tutta
la stanza, in posa di riflessione.
“Mi
spiace...” è la mia unica ammissione sinceramente
sofferta.
“Si
può sapere che ti
prende? Prima tenti di uccidere Scilla, ieri notte vedevi i fantasmi e
ora ti metti ad ingiuriare i nuovi arrivati...” sintetizza il
tutto strabuzzando le orbite nel suo modo enfatico, ora
inginocchiandosi dinanzi a me.
Il mio sguardo
corrugato e contrito replica la mia affermazione precedente.
Le sue mani strette
sulle mie ginocchia, aderenti alla sponda del letto, tentano di
infliggermi forza e appoggio.
“Prova a
spiegarmi che ti è successo”
“I-io non lo
so... Ho sentito
dei rumori, mi sono spaventata... -debutto ansiosa- E poi una volta
aperta la porta qui accanto, ho visto Patrick lì... Non so
che
mi è preso, mi ha fatto pensare...” tento di
continuare
con l’orrore negli occhi.
Non vi è
bisogno che concluda la frase, Jack ha già capito, e si
rialza risentito.
“Jennyfer...
Io so di non
poter comprendere quanto tu soffra ancora, ma invece so che tu non puoi
continuare a vivere con qui accanto una tomba sigillata!”
questo
suo ultimo termine ben marcato mi fa sobbalzare e rabbrividire.
Come...Cosa intende per
tomba...Dylan?
“Chiudendo a
chiave questa
porta non terrai al sicuro più a lungo il ricordo di tuo
fratello!” scaglia queste parole contro il pannello ligneo,
battendovi forte sopra con una mano.
Ora ho la conferma che
ha inteso.
“Sbiadirà,
diventerà flebile e lontano, tranne qui... -precisa colpendo
con
un leggero pugno chiuso il centro del mio petto- ma di certo non te lo
riporterà indietro!”
Quelle terribili parole
veritiere inondano i miei occhi di tristezza, ma Jack non mente e
finalmente so che ha ragione.
Mi limito ad
acconsentire dondolando il capo, con la bocca serrata per cercare di
non piangere.
Dopo pochi secondi
trascorsi in
silenzio, domanda con delle carezze che fa risalire lungo le mie gambe:
“C’è qualcosa che posso fare per
te?”
“Stringimi,
ti prego” gemo allungando le braccia verso di lui.
Solo il tuo ampio
torace è capace di farmi sentire così tanto al
sicuro.
Le dita affusolate del
Capitano
passano tra miei capelli, massaggiando le tempie tese, la mente ora
vuota dai pensieri, ma dalla massa ancora tanto pesante.
“...E dimmi:
nel futuro che
facevi esattamente in momenti come questi per sentirti
meglio?”
chiede curioso, solleticandomi la fronte con il suo mento irsuto, ma
morbido.
“Uhm...
Trovavo consolazione
in una tazza fumante di cioccolata calda!” dico dopo aver
riflettuto un istante. Meglio non spiegargli che ci mettevo dentro
anche 5 marshmallow di taglia piccola, penserebbe che sto ancora
delirando.
Jack scatta in piedi,
dandosi un
tono intrepido, come in partenza, alla ricerca di
quell’elisir
del buon umore nella piccola credenza della cabina.
Ma il suo avventuroso
viaggio viene
deturpato da un commento beffardo, mentre il Comandante oltrepassa la
porta d’ingresso: “E già che sei
lì, per me
un caffè senza zucchero, Jack. Grazie! Dato che ho il
sentore di
dover attendere qui fuori ancora per molto...” è
Patrick a
parlare, dallo stipite della porta.
Porto una mano alla
bocca per
reprimere una risata, mentre Jack compie un perfetto mezzo giro del
busto e mi scruta a labbra imbronciate, fronte corrugata e lo sguardo
stralunato.
Con un gesto della mano
lo prego silenziosamente di non rispondergli male a quel buontempone
là fuori.
Il viso del Capitano si
dipinge di
una smorfia maligna e sgambetta infervorato verso l’anta
dietro
cui nasconde qualche vivanda.
Lo vedo trafficare a
lungo con
brocche, barattoli e tazzine, poi infine, riappare alla luce tremolante
della lampada, con tre chicchere in mano.
Ha davvero preparato
del caffè per lui?
Dondolante, ne poggia
due sul tavolo, e si accosta alla porta.
Con uno scatto, abbassa
la maniglia,
trovandosi subito lì dietro il volto adempiuto di Patrick,
pronto ad allungare la sua zampaccia e appropriarsi del
caffè,
quando invece un guizzo fulmineo lo precede, e gli inzuppa il
d’acqua il bel viso, ora corrucciato.
Jack richiude di colpo
la porta ridente, commentando: “Questa ti terrà
altrettanto sveglio!”
L’avevo detto
che questi due faranno faville insieme!
“Tu giochi
proprio sporco!” scandisco a mia volta tra le risa, mentre mi
porge la mia tazza.
“Pirata!”
palesa soffiandomi sul collo.
Sto per inclinare la
tazza quando al mio naso giunge un odore che si allontana molto dalla
cioccolata.
Avevo già
notato che le
pareti di porcellana erano fredde, ma poteva esser giustificato, non
abbiamo un fornello elettrico in cabina.
Eppure le sfumature
ramate al loro interno sono inconfondibili: “Mi hai dato del
rhum?” sbotto contrariata.
“Spiacente
tesoro, non disponiamo di cioccolata al momento!” si
giustifica trangugiando avidamente la sua parte.
“Tieni, bevi
anche il mio...” non se lo fa ripetere.
“Com’è
che ti
trovata mezza nuda nella stanza di un altro uomo?” domanda
tra i
grandi sorsi, fissandosi sulle mie gambe spoglie distese lungo il letto.
“Cosa?”
erompo io, voltandomi per vedere se dice sul serio.
“Conosci la
mia gelosia
possessiva, e mi vendicherò per questo!” dichiara
inizialmente con rimprovero, fino a farla sembrare una minaccia.
Osservo tutta le sue
movenze colme di decisione divertita, che starà
architettando?
“Inizia col
riaccompagnare
quel piantagrane al suo posto, come già dovevi!”
dispone
senza celare un ghigno adempiuto.
La mia replica
è un sonoro
sbuffo, devo farlo sul serio? Dannazione! La conosce la strada se
è giunto fin qui prima!
Prima di trovare la
voglia di alzarmi, gli porto via dalle mani il suo prezioso liquore,
seguita da mille proteste.
“Yo-ho,
beviamoci
sù!” giustifico il mio gesto scolando in fretta le
ultime
sorsate, mi serve qualcosa per farmi coraggio.
Jack nel contempo
ruggisce di rabbia
agitando le mani sotto il mio naso per riaverla, ma una volta
restituitagli la tazza, è già vuota.
Fuggo in fretta dal
letto, per
evitare peggiori reazioni, e mi chino a cercare stivali e pantaloni per
adempiere all’ordine.
“Eh no,
dolcezza! -ammonisce contrariato- Andrai così a
riaccompagnarlo!”
La mia mascella sul
punto di staccarsi e gli occhi fuori dalle orbite sono abbastanza
evocativi per spiegare la mia reazione?
Lo sguardo
imperturbabile di Jack fa
correre lungo la mia schiena un brivido, e dalla gola giunge
all’esterno un verso di disgusto e repulsione.
Ancora illusa che
scherzi provo a
sfidarlo, accingendomi comunque ad indossare lo stivale, ma ad ogni
momento il suo sguardo diviene sempre più scuro.
“...O
quantunque preferisci andarci pure senza camicia?” rilancia
con una nuova proposta.
Questo è
troppo!
Afferro lo stivale e
noncurante lo scaravento sul letto a pochi centimetri dalla sua faccia
compiaciuta, senza centrarlo.
La risata di scherno
del Capitano accompagna beata il mio affronto ridicolo.
“Ci andrai
così, ci andrai così!” cantilena
schernitore.
-
Apro la porta della
cabina già aspettandomi di trovare un Patrick non proprio
trionfante dopo i giochetti di Jack.
E per
l’appunto è
così, rivedo il semidio, accostato alla parete, seduto sul
pavimento con poggiata addosso una giacca che funge da coperta, mentre
si trattiene la testa di riccioli grondanti con una mano.
I suoi occhi
frastagliati di rosso, ora alla luce, confermano che forse aveva un
gran sonno sul serio.
Sporgo dalla porta solo
la testa,
meglio che non veda il resto, cercando di sorridergli compassionevole,
anche in segno di scuse: “Ehm... So che non è il
caso di
chiederti niente, ma potresti farmi l’immenso favore di
voltarti
solo per un secondo?”
Mi fissa stupito e
risentito, ma poi impaziente di tornare a riposare, si rialza e mi
porge le spalle.
Sgattaiolo nel
corridoio come un ladro, in punta di piedi, lo afferro per i bicipiti e
mi dirigo con lui verso l’uscita.
“Jenny, ma
che succede?” si dimena cercando di capire.
“Voglio
scusarmi con te per
prima, non era mia intenzione aggredirti, ma ero spaventata. Adesso ti
riporto alla tua branda, ma tu devi promettermi di rimanerci e di non
voltarti per alcun motivo!!” stabilisco senza ammettere
obiezioni.
“Perchè?”
chiede imperterrito sbirciando con la coda dell’occhio.
“NO! Continua
a guardare avanti!!” ribatto voltandogli con forza il capo.
“Va bene,
come vuoi, ma non spezzarmi l’osso del collo!” si
lamenta rassegnato.
“Femminuccia”
mormoro sommessamente.
“Come
dici??” sbotta risentito.
“Ho detto
zitto e cammina!”
Una volta sul ponte
deserto,
l’aria pungente di notte fonda si fa ben sentire sulle mie
membra
scoperte, facendomi rabbrividire.
Ho la pelle ricoperta
di pelle d’oca e fatico a cercare di non battere i denti.
A quella reazione
insolita, il
semidio della memoria mi sfugge alla presa, e torna a potermi guardare
in volto, non senza una piacevole sorpresa.
La sua espressione
sbalordita la
dice lunga: “E per quale insulso motivo volevi privarmi della
qui
presente visione?” sentenzia squadrandomi dalla
testa
ai piedi.
Avverto la pressione
salire alle stelle, maledetto Jack Sparrow questa me la paghi cara!!!
Mi compro il viso con
entrambe le mani per coprire i segni della vergogna.
“Una persona
rispettabile come
la donna del Capitano non dovrebbe tentare di sedurmi così
spudoratamente!” dice Patrick incrociando le braccia sul
petto
per darsi un tono di rimprovero.
Scosto le mani per
lanciargli uno sguardo omicida.
“D’accordo,
allora giri
mezza nuda perchè hai molto caldo, non vi sono altri
fini”
si corregge porgendo le mani alte dinanzi a sé, in segno di
resa.
Il mio grugnito
rabbioso lo induce a seguirmi verso il dormitorio senza che gli preghi
di farlo.
Eccomi arrivata a quel
meandro tanto
temuto, pullulante di bestie dormienti. Vorrei semplicemente dirgli di
entrare e sbrigarsela da solo, ma ho già constatato che non
lo
farebbe.
“E dimmi, semidio, hai anche
la capacità di vedere al buio per caso?” domando
altezzosa.
“Sono il dio
della memoria, non quello dei gatti. Certo che no!” mi delude.
Fantastico, non poteva
esser meglio
di così! Inoltrarmi alla cieca in mezzo a questi depravati
con
il testosterone a mille, più nuda che vestita, e per giunta
in
compagnia di un figlio dell’oscurità che in
presenza del
buio non vede ad un palmo dal suo naso.
Entrando opto per
lasciare la porta dei dormitori aperta, almeno si spera farà
più luce.
“Stammi
dietro, metti i piedi dove li metto io” raccomando con un
sussurro al biondino.
“E chi si
scansa da qui!”.
Dinanzi a me distinguo
solo i
contorni di una foresta di brande, semplici fazzoletti di tela legati a
dei pilastri cilindrici e lignei, abitati da corpi abbandonati che
ronzano per i grevi rooon
dei russatori.
Ora sì viene
il difficile: scansarli tutti fino a giungere ad una branda libera e
senza svegliarli!
Mentre proseguiamo a
rilento, sul
pavimento tasto di tutto: sembrano tappi, briciole, bottoni, brandelli
di stoffa, qualcosa di viscido e scivoloso...
Riesco persino a
sbattere il mignolo
del piede nudo sull’angolo di quello che immagino sia un
piccolo
baule, lasciandomi quasi fuggire un grido.
Procedendo sempre
più vicino
al fondo nella stanza, i respiri sul mio collo e i grugniti
diminuiscono, forse qui non c’è nessuno.
Allungo con prudenza
una mano oltre
un palo, e rinvengo una striscia di amaca vaneggiante:
“Grandioso, questa è vuota, dormirai qui. Buona
notte!” dico sbrigativa, impaziente di scappare.
“Dove dici?
Non vedo niente” mi ricorda un sussurro dietro di me.
Tasto nel buio le
grandi mani di
Patrick, lisce e ben curate ancora per poco, aspetta che Jack ti dia
degli ordini... E lo conduco fino a dove mi trovo, e ho individuato il
letto sgombro.
“Bene,
Patrick: questa
è la tua...” all’inizio della frase
avevo sentito un
fruscio, ma ero convinta fosse qualche pirata intento a rigirarsi nella
branda, invece avevo di peggio da temere.
Il fruscio viene
seguito dallo
scoppiettare di un fiammifero, o almeno così sembra, e alle
nostre spalle si fa strada nelle tenebre la luce di una lanterna,
seguita dal tono acuto di una affermazione: “TROVATA LA
BRANDA?”
Riconoscerei tra mille
quella voce,
carica di cadenza scherzosa e affabile, sebbene ora l’abbia
detto
praticamente urlando: dannato Jack!!
Al suono di comando nel
timbro del
Capitano, ora ben vestito, la stanza si rianima come fosse giorno, di
certo nessuno avrà inteso nel sonno cosa Jack volesse dire,
ma
questo branco di manigoldi è così abituato a
scattare
appena lo sente parlare, che malgrado l’assopimento son tutti
in
piedi sull’attenti.
I loro occhi gonfi e
socchiusi, in
pochi attimi, si puntano tutti sul fondo della stanza inondata di luce
dalla lanterna, e non per la presenza laggiù del loro
Capitano.
I versi di stupore, le
risa sommesse, e i fischi di apprezzamento confermano fermamente il mio
timore.
So solo che in questo
momento vorrei morire, trascinando Jack nella tomba con me.
-
Esco dalla camerata a
testa bassa,
con calma, guardando bene dove cammino questa volta. Tantovale evitare
di rompermi qualche dita dei piedi, e poi tutti han già
visto
benissimo le mie inadeguate condizioni.
Adesso la gelida brezza
notturna mi
è quasi piacevole e di conforto, rispetto a quanto
è
successo là dentro.
La porta della camerata
si richiude
alle mie spalle e non per mano mia, il brusio eccitato diminuisce, e va
scemando rispetto alla solitaria risatina dietro di me che ora lo
sovrasta.
“Con questa
burla credo di
aver superato me stesso! -attesta Jack fiero, rimanendo fuori dalla mia
visuale- Ora quelli se ne compiacciono, ma non sanno che queste gambe
appartengono solo a me!” continua beffardo sfiorando la mia
pelle
scoperta irritata dal freddo.
“A me vorrai
dire! -preciso ferma, voltandomi per fissarlo negli occhi e sfuggire al
suo tocco- Tu scordati di vederle almeno per i prossimi 400
anni!”
“Così
tanto? -esclama ironico, fingendosi sbalordito- Saranno cadenti e
striminzite ad allora!”
“O peggio,
saranno già polvere!” articolo fredda, incrociando
offesa le braccia sul petto.
“Mi stai
dicendo che non hai
apprezzato di esserti sentita la donna più desiderata di
tutta
la nave poco fa?” dice in cadenza bassa e provocante.
Ogni mio tentativo di
formulare una
risposta esauriente viene subito represso da un unico istinto che
libero all’istante, senza tante cerimonie: un sonoro ceffone.
Ed
è proprio questo che volta dalla parte opposta quel volto
soddisfatto e smorza il suo ghigno detestabile.
“Per prima
cosa non ho molta
concorrenza essendo l’unica ragazza a bordo, e infine, vuoi
davvero sapere come mi sento adesso? -pronuncio ad alti toni,
trattenendo le lacrime di rabbia e nefandezza- Mi sento ferita,
umiliata e sporca...!” le mie dichiarazioni si interrompono
in
coincidenza con il suono di un tonfo sordo, seguito da un brontolio
richiamante aiuto, e proveniente con tutta probabilità da
non
molto lontano da dove ci troviamo.
Entrambi volgiamo
stupiti in quel
punto, una parete poco prima del dormitorio, e rinveniamo un catasto di
pelli e vetri di vicino a una sedia.
Sono la prima ad
avvicinarmi, e
vedendo spuntare da quello che pare un cappuccio una ciocca di riccioli
fumee, mi appresto subito a soccorrere il mio caro Andrè.
Dagli strati di pelle
che si era
ammassato addosso per passare la notte all’aperto, estraggo
il
dandy sù di giri, mentre biascica qualche frase senza senso
e
mostra una mano tagliuzzata dai pezzi di vetro di una bottiglia che ha
rotto cadendo dalla sedia.
Mi inginocchio al suo
fianco e gli tengo alta la testa delirante, cercando di calmarlo.
Jack mi segue in tutta
calma, dondolando, riconosciuto Andrè ha frenato ogni
allarmismo.
Avvicinatosi
anch’egli sporge
la fronte corrugata verso il cuoco, annusa l’aria nelle
vicinanze
e arricciando il naso schifato mormora: “Ma è
completamente ubriaco!”
“E con
questo? -sentenzio io- Anche tu ti sei scolato due tazze di rhum
prima!”
“Sì
mia cara, ma
è a me noto, in quanto Capitano, e come regola riconosciuta
quale legge nel codice dei pirati, che a bordo non sono consentite
bevute fuorché sia il Comandante a permetterle
espressamente!-
dice con enfasi e ragguaglio- E io non ho mai manifestato
l’appena citata intenzione verso la mia ciurma di recente. Mi
trovo dunque costretto a punire questo sciocco vecchio”
definisce
non senza entusiasmo.
__“L’hai
già punito abbastanza affidandogli il turno di notte. Senti
qui, è congelato! L’umidità non
è certo salutare per lui, devi revocargli la veglia
notturna, fallo per il suo bene. Metti me al suo posto!” lo
supplico stringendo Andrè a me, per dargli calore.
Tra i lamenti incomprensibili, gli occhi vitrei del vecchio marinaio si
fermano finalmente sul mio viso e commenta allucinato: “Oh,
Jennyfer... Che Sci fate qui? Come siete b-beLa al chiaRrro de
lun..!”
Quella frase gentile viene smagliata da un “bleah”
come reazione di Jack, il quale prosegue: “Non hai competenze
per affrontare il turno di notte, in più abbiamo appena
constatato che sarebbe alquanto rischioso per te -dice indicando col
capo la vicinanza con il dormitorio- e in ultimo, ma non per
importanza, non ti lascerei trascorrere la notte in nessun altro luogo
se non al mio fianco!” stabilisce ferreo.
Sospiro contrariata, mentre procedo a soccorrere Andrè,
fasciandogli le ferite sulla mano con una benda ricavata dalla manica
della mia camicia, rallegrandomi che in realtà appartiene a
Jack.
“Promettimi solo che non glielo farai più fare, e
troverai una soluzione. Ci saranno pur altri pirati esperti a cui
rivolgersi qui intorno!” osservo fissando con un nodo la
fasciatura.
“Solo a condizione che tu rievochi la tua meschina promessa
di prima!” patteggia con un rinnovato mezzo sorriso sghembo
dei suoi, sulla guancia arrossata dal segno delle mie dita.
“Argh, maledetto sia il giorno in cui il mio cuore ha preso
ad amarti!” imperverso persino contro me stessa.
“NOoOo...E’ impoSibile che voi amiate un veChio
come moi, madamoiselle...” farnetica scuotendo la testa.
“Infatti è così Andrè -rido,
consapevole che in seguito non ricorderà niente- Forza,
aiutami ad alzarlo perfavore” chiedo al Capitano, afferrando
Andrè per un braccio, è davvero pesante!
“Può fare benissimo da solo, è stato
lui a ridursi così -si oppone risentito- Sono il suo
Capitano, non la balia!”
“Jack, ti prego. Non fare il bambino!” lo riprendo
a fatica, piegando il gomito del francofono dietro al mio collo per
aiutarlo ad alzarsi in piedi.
I miei sforzi sono vani, dopo averlo leggermente sollevato, la mia poca
forza cede, e Andrè ricade a terra a peso morto, non posso
farcela a portarlo al riparo da sola.
“Benissimo, allora chiederò aiuto a quelle lumache
bavose della tua ciurmaglia!” decido ostinata a realizzare le
mie intenzioni, dopo il suo rifiuto.
Ride di gusto.
“Come? Non hai nessuna attitudine al comando, dolcezza. E
quei lumaconi non ricevono ed eseguono ordini se non dal sottoscritto!
Non ascolteranno mai una donna” pone in termini di sfida,
fiducioso delle sue convinzioni.
“Sta' a vedere!” accetto la provocazione.
Rilascio il cuoco a terra, con la testa vagante poggiata saldamente al
muro, e spinta dal mio presupposto mi dirigo marciando verso il
dormitorio, dove il chiasso non è ancora cessato.
Spalanco la porta con decisione e a gran voce enuncio:
“Signori! Perdonate l’intrusione. Mi servono due
volontari tra voi!”
Una decina di volti ombreggiati, gli abitanti delle prime brande, mi
fissano con la sorpresa negli occhi e il grugno in vista.
Un attimo di silenzio, e poi dalla camerata s’innalzano nuove
grida e il fragore di molti trotti che si accalcano alla porta,
tentando di farsi avanti per primi.
Ai due pirati usciti dinanzi ogni altro chiedo di riporre
Andrè nel suo giaciglio, ma la soddisfazione più
grande non rientra solo nell’aver riposto il caro cuoco al
riparo dal freddo della notte...
Nulla compara l’amarezza dipinta sul volto di Jack quando per
una volta, almeno una sola, qualcosa non segue alla lettera le sue
convinzioni.
_Fine
prima parte. Continua!
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Capitolo 15 *** Dead Men Tell no Tales ***
Capitolo 15
Sono notti interminabili quelle trascorse a riflettere sul passato, e io decisi di trascorrere così quella che rimaneva.
Colma di imbarazzo verso la ciurma per gli stupidi “incidenti” appena avvenuti, non avevo il fegato di farmi vedere da nessuno,
e dopo essermi assicurata con spirito materno che Andrè dormisse al caldo, mi rifugiai in un antro insolito.
Fui colta dall’impulso di “tornare indietro”, ai primi passi mossi su questa nave, dove nascono i miei ricordi legati ad un epoca
in cui mi sono ritrovata strappando una vecchia mappa.
L’antro a cui mi riferivo prima è una cella, precisamente quella in cui il mio futuro amico Jimmy trascinò me e Dyaln per ordine
del Capitano, quando eravamo semplicemente scomodi prigionieri.
E’ un piccolo spazio ristretto che mi dà sicurezza, almeno finché la porta di sbarre non si chiude a chiave, e ho quasi la certezza
di non esser scoperta da nessuno qui, Jack incluso.
Nessuno poteva sapere che faccende più gravi avrebbero occupato la mente brillante del Capitano in quel momento.
Di primo acchito, a chi lo guarda, Jack Sparrow può sembrare carismatico, appariscente... Una infinità di aggettivi. Ma, sempre
superficialmente, la sua camminata cadenzata e dondolante non gli dona un’aria particolarmente vigile e cauta.
Eppure una vita a stretto contatto con i peggiori filibustieri del mondo là fuori, di accordi, raggiri, e contrattazioni di ogni tipo,
in particolare sulla sua stessa incolumità, gli ha insegnato ad indossare semplicemente una maschera da lasciar cadere al
momento opportuno.
“Prendi l'aspetto del fiore innocente, ma sii il serpente sotto di esso.''
Infatti, nonostante sembri un pendolo scoordinato lungo il ponte di comando, le fessure sottili a cui ha ridotto lo sguardo captano
ogni centimetro dell’altra donna che ama, per assicurarsi che la sua struttura lignea sia impeccabile, prima di concedersi del riposo.
Ed è proprio allora che il suo fiuto viene infastidito da una insolita combinazione di polveri.
Interrompe di colpo il passo, inarca la schiena all’indietro assumendo un’aria interrogativa, e porta il palmo di una mano alle narici
per strofinarlo nervosamente.
Scruta il circondario alla ricerca della fonte che gli infastidisce l’olfatto, ma a sua insaputa viene accontentato senza ulteriori sforzi.
Dal parapetto, unico limite fisico tra il ponte della Perla e lo specchio d’acqua, irrompe a bordo un lampo di luce che si rivela fin da
subito una freccia a cui è stato dato fuoco.
Alla vista delle braci infuocate i sensi di Jack si irrigidiscono, poiché presi del tutto in contropiede.
Il circondario fino a poco fa dormiente si rianima, e alcuni uomini, allarmati dal forte lezzo di bruciato, abbandonano le proprie brande.
I vari membri della ciurma dopo aver estinto quello che pare un incidente si sentono di nuovo al sicuro, pensano che sia stato frutto
della inaccortezza di qualcuno di loro, ma se c’è qualcosa da temere in Jack Sparrow è il fatto che lui si trovi sempre due passi avanti
al suo avversario.
La sua figura, ora prevalsa d’ombra, si è già fatta avanti verso il parapetto, con un braccio armato teso a quel mare che pare una distesa
di petrolio.
Nonostante il buio, pone in allarme tutti i sensi, e teso come una corda di violino attende la mossa falsa dell’altro per fare fuoco a sua volta.
La freccia è giunta da un “messaggero” che deve trovarsi su di un appiglio lì in mezzo al mare, e lui è ansioso di localizzarlo.
Dalla vedetta avvistano qualcosa di sospetto su di uno scoglio che al momento la Perla aggira a tribordo, ma non c’è modo di appurare
cosa sia, perché un nuovo sparo squarcia quegli animi allertati.
Non proviene dalla baionetta di Jack, né da altri passeggeri della Perla Nera, bensì da quell’ombra stessa che ha indirizzato al Capitano
Sparrow un avvertimento “scottante”.
Sul ponte di comando, nel rinnovato sgomento, si confrontano nell’umida penombra degli sguardi increduli, dubbiosi e accigliati.
Solo Jack continua a far macchinare i propri pensieri, e torna sul primo indizio di tutta la vicenda: il luogo dove è approdata la freccia.
Salta subito all’occhio che a quel che rimane del dardo vi è collegata una fune molto spessa, la quale ricade a precipizio nell’acqua lungo
il fianco della nave.
Il Capitano dà ordine di issarla, e dopo non pochi sforzi viene riportata alla luce la sua macabra estremità.
Dalle funeree acque di quello scorcio caraibico, viene a galla uno oscuro presagio che a Jack Sparrow era stato predetto, già molte volte,
tutte smentite fino ad ora.
Dead Men tell no tales...
Sospesa nell’antro dei miei pensieri, cerco quell’ordine ideale che può ridarmi la serenità giusta per dormire, ma al suono di un lieve trotto
lungo le scale, ho l’assoluta certezza che questo non avverrà.
Dal ponte superiore giunge un passo, nonostante il buio, spedito, sicuro, azzarderei allegro.
Dando le spalle alla scaletta non posso vedere di chi si tratti, ma spero semplicemente che non mi veda e prosegui per la stiva, così mi
stringo ancora di più le ginocchia al petto, e prego di diventare invisibile.
Le mie vane speranze vengono del tutto annullate quando mi raggiunge il timido tremolio di una candela. Alzando gli occhi quell’ispido
ciuffo biondo non è esattamente la prima cosa che vorrei vedere, e lo accolgo con una smorfia contrariata.
“Eh no eh... -commenta scherzoso- Senti, prima che tu possa ribattere qualunque cosa...” esordisce Patrick poggiando la fonte luminosa
a terra, per raggiungere appieno la mia visuale “...Mi dispiace. E sono qui col cuore in mano!” la sua dichiarazione ai miei occhi è decisamente
smorzata dal suo modo di fare che risulta un misto tra l’ostentazione di teatralità, stupidità e presa per i fondelli del prossimo.
“Per cosa?” borbotto.
“Ah, io questo non lo so... -ammette sistemandosi al mio fianco con la schiena contro le sbarre- Per qualsiasi cosa tu te la sia presa con
me, prima... Quando mi hai cacciato dalla camera urlando”.
La mia risposta non verbale alla sua affermazione lascia intendere che non ho voglia di parlarne oltre. Volgo lo sguardo altrove, fingendomi
assorta in chissà cosa nel buio. Magari ignorando la sua presenza se ne andrà sul serio fuori dai piedi!
“Senti, Jen. Davvero...” e qui dà il via ad un monologo accampato in aria sulle persone a cui teniamo e che abbiamo perso a cui non presto
attenzione.
Ne deduco che deve aver origliato qualcosa su Dylan mentre ne parlavo a Jack. Dentro di me sto urlando a pieni polmoni di voler stare sola
nel mio angolo della contemplazione, senza disturbatori delle “frasi fatte” a ronzarmi nelle orecchie e distrarmi.
Mi giro verso di lui per rivolgergli un’occhiataccia, ma continua a blaterare, imperterrito, e, anzi, vedendomi così sembra più divertito di prima.
Ora lo uccido.
No, non puoi.
E’ immortale...
Almeno, così dice.
Vediamo se è la verità!
“Come diavolo sapevi che ero qui?” lo interrompo alterata.
“...Ti ho seguita -replica interrompendo il soliloquio, indicandosi un orecchio- Non hai dei passettini felpati, sai. Tutt’altro.” e dopo la “cortese”
sottolineatura si accende una sigaretta fatta a mano, bruciandone una estremità con la candela.
Ammortizzo anche questa, non spreco il mio fiato prendendomela con questo qua.
“Sei fortunato ad essere il nostro tramite con quella strega indovina della tua amica, sai. Altrimenti non avresti altrettanta vita facile qui!”
Alla semplice menzione di Scilla cambia qualcosa, lo vedo illuminarsi in viso di un bagliore nuovo: nel buio appare tutta l’arcata regolare del
suo sorriso, le iridi verdi vengono folgorate da uno scintillio e attorno al filtro si chiude una risatina strana.
La conversazione si fa, finalmente, interessante.
“Tu la ami?” La domanda irriverente, posta a voce alta rimbalza per un attimo tra le sbarre appena delineate.
“...Come dici?” dice lui quasi stordito dalla mia sparata, espirando molto fumo.
“L’ami?” Non riesco a celare un sorriso sornione.
La risposta di Patrick non perviene, almeno in apparenza, perché è il suo velo di tristezza ed improvvisa serietà a farlo.
Forse ho trovato il modo di zittirlo.
“...Ma almeno lei lo sa?” al momento avviene una sorta di inversione dei ruoli tra noi, ed io mi autoproclamo “la disturbatrice”.
Patrick reagisce positivamente, credo gli faccia bene parlarne con qualcuno infondo. Sembra proprio il tipo che ci tiene a mostrare solo la
parte forte e brillante di sé (non sempre con buoni risultati), quindi non è il genere di persona che si confida spesso con qualcuno.
Solleva il mento riacquistando luce nello sguardo, ma la curva della sua bocca lascia intendere amarezza: “Quando l’ho conosciuta, ero poco
più di un bambino. Avevo forse... Quindici anni -esordisce ricordando quel periodo con piacere- Credo di averglielo detto ogni giorno da allora”
risponde infine al mio interrogativo, come se fosse motivo di orgoglio per lui.
“E la nota dolente quale sarebbe, dunque?”
Il semidio si irrigidisce, prende tempo. Tentenna, aspira profondamente il tabacco consumandone quasi metà in una sola boccata ed infine
fa spallucce.
Io lo guardo accigliata senza capire, e lui approfitta di questa lunga pausa silenziosa per sviare la domanda con un aneddoto: “Una volta le
diedi un bacio mentre dormiva. Che stupido... -ride con gioia di sé stesso- Ma fu la prima volta in cui appurai davvero di avere una sorta di
poteri divini. Sfiorai quelle belle labbra e la mia mente fu invasa dalla scarica dei suoi ricordi. Ricordi orribili...” conclude rabbuiandosi e portando
la sigaretta alla bocca.
Idea: devo escogitare un piano in cui aiuto il semidio in questione a conquistare la figura misteriosa di Scilla, sarebbe un lieto fine per tutti, no?
Ma le mie prospettive vengono bruscamente interrotte da un chiassoso trambusto che erompe sopra di noi, ed infine ci raggiunge sottocoperta.
Sentiamo urla, vari tonfi, spostamenti di oggetti pesanti, e quando siamo sul punto di andare a vedere di persona cosa sta succedendo, sento
la voce del Capitano attraversare l’antro delle scale, non da solo.
Io e Patrick abbiamo mantenuto la nostra posizione all’interno della cella centrale, ma stavolta volgiamo verso le scale.
Inizialmente mi è difficile capire l’argomento di conversazione, e ancora di più identificare l’altra persona, ma infine questa si ferma dinanzi
una fonte di luce, a portata di visuale: è Scilla.
La sua figura è ferma, rigorosa. Tiene i pugni serrati lungo i fianchi, il cappuccio rosso le copre il viso e gran parte del corpo sottile. Dal suo
“nascondiglio” Patrick la scruta intensamente.
“Le ripeto, Capitano, che non conosco l’identità dell’uomo degli scogli...” sostiene la donna incappucciata posando il suo sguardo celato sul
Capitano.
Vedo Jack adrenalinico, sembra una mina pronta ad esplodere che tenta di contenersi, c’è molta tensione nell’aria. Non riesce a stare fermo,
mostra agitazione, e non ha la voce ferma, bensì alta e alterata: “Però sai chi è il mandante!”
La sua interlocutrice annuisce sommessamente.
Il Capitano emette un grugnito sprezzante, ed inizia a vagare per la stanza senza più rivolgerle lo sguardo, poi esordisce: “...E’ Paxton, vero?”
ora c’è risolutezza in quel tono, non ammette altre omissioni.
“Sì, Capitano” conferma Scilla.
A quella conferma in Jack si scatena un rilascio di rabbia senza precedenti, non è rivolto a Scilla, bensì al mistero celato dietro quel nome da
lui stesso pronunciato.
Si sfoga con qualche imprecazione, poi borbotta qualcosa a sé stesso: “I miei uomini hanno pescato dalle acque il cadavere di un uomo a cui
da vivo è stato cavato un occhio... Si dice che gli uomini morti non raccontano bugie.” mormora come una cantilena.
“Perché non mi hai detto fin da subito che era lui? Quanto è vicino quel cane!” chiede a gran voce, questa volta senza moderare alcuna rabbia,
nonostante si stia rivolgendo ad una donna.
Scilla non viene toccata dal suo tono adirato, e risponde risoluta: “La situazione era già abbastanza delicata, non volevo apportare ulteriori disordini,
vi bastava sapere di essere in pericolo di vita...”
Ma Jack non sembra più porre ascolto alle scusanti di lei, ed incalza rabbioso: “Sai quante volte mi è stata predetta la morte da chi si proclamava
possessore dalla magia? Ah, ho perso il conto, gioia. Questo è un avvertimento perché non ho seguito alla lettera la rotta che mi hai prefisso?
Non seguo gli ordini di una donna, gioia. Non se non è il mio primo ufficiale.” tenta di intimidirla senza calmare di una virgola gli animi, ed
avvicinandosi pericolosamente, a detta di Patrick, a quelle “belle labbra” rosse.
Stai calma Jen, Jack ce l’ha di abitudine quella di conversare da una distanza molto “ravvicinata”, dico a me stessa per convincermi a non intervenire.
“Io non predico l’oroscopo come quei ciarlatani, Capitano. L’ho messa al corrente del suo destino, e lei è libero di crederci o meno.” replica determinata,
neanche ad un soffio gli occhi di Jack riescono a scalfire il suo animo.
“Se vuole essere informato sulla rotta della Diamond, le dirò come evitarla, altrimenti l’affronti pure, ma dovrà perire sotto il suo scafo...” sono le ultime
parole di Scilla, prima che faccia dietrofront e si accinga a riprendere le scale.
Impedendole di farlo, Jack calpesta con la punta di uno stivale il suo lungo mantello rosso, e quando riacquista l’attenzione della donna incappucciata,
mormora seppur dubbioso: “Andata”.
*
NDA: Salve a tutti!
E’ passato taaanto tempo, anzi, sono passati ANNI, ma come dice Johnny Rzeznik: “I’m Still Here” (:
Non ci sono parole giuste per giustificare questo, se non delle sincere scuse che rivolto a voi tutti, a chi tiene alla storia, ai personaggi ecc.
E volevo rassicurarvi che io sono la prima in questo, non ho mai smesso di pensare a loro.
Avete presente quel programma tv “Io e la mia ossessione”? La mia ossessione è questa storia prima di addormentarmi. Me la ripasso ogni sera, e il fatto che non scrivo non vuol dire che l’ho dimenticata.
Oggi mi ha preso una grande nostalgia, ho abbandonato tutto quello che dovevo fare, mi son messa qui al computer e ho scritto tutto questo capitolo di getto.
E poi mi son sentita davvero bene, ho dimostrato a me stessa che se voglio posso farcela, che non è mai tardi per ripartire.
Adesso vorrei da voi lettori dei consigli, su come migliorarmi, negli anni ho cercato di seguirli tutti, e sgridatemi se ne dimentico qualcuno!
Perchè se scrivo lo faccio principalmente per dare sempre il meglio, e in questo ho bisogno del vostro aiuto.
Ringraziandovi fin da ora, annuncio pubblicamente che comunque vada Unty, (come la chiamo io), continua! :D
Un bacio grande
-Capitana-
|
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Capitolo 16 *** Occhio Malocchio ***
ATTENZIONE: Avvertimenti essenziali nella introduzione, passate da lì prima di leggere il capitolo ;)
Salve a tutti!!! :D
Rieccomi, sono mancata per un mesetto, ma ci son stati gli ultimi esami universitari di mezzo, e ora finalmente posso preparare la tesi di laurea *.* Mi sembra incredibile che ho iniziato questa fan fiction al primo anno di superiori e adesso dico "devo laurearmi"! Wow!
Ma, bando alle ciance! In compenso vi ho preparato un capitolo lunghetto, ehehe.
Come ho scritto nella presentazione esterna: pienamente RATING ARANCIONE.
Quindi vi avverto che ci sono delle scene un po' "cruente". Io sono abituata e amo il genere splatter, però magari non a tutti è gradito.
Non arrivo a tanto in questo capitolo, ma ho cercato di non spingermi troppo all'eccesso.
Ho scritto questo capitolo partendo da una mia riflessione personale sul personaggio di Jennyfer: ma lei, cosa ci fa lì? Per "lì" intendo la Perla.
A questo ho cercato di dare una spiegazione (che approfondirò anche in seguito) servendomi di un personaggio a lei molto vicino, ora vedrete :)
Volevo specificare, anche se magari non è necessario, che lo strano modo di parlare di André è dovuto al fatto che di molte parole io trascrivo la pronuncia letterale in francese ;)
Altro avvertimento, IMPORTANTE: ci son stati via pubblica e privata dei messaggi da parte di voi lettori riguardo la relazione tra Jenny e Jack. Tutti più o meno volevano sapere meglio come si sta evolvendo. Io ho lasciato sparsi qua e là degli indizi, e qualcuno di voi li ha recepiti :P Ma, in quest'ultimo capitolo, più chiara di così si muore, mi son davvero messa alla prova… Scrivendo la mia prima SCENA FLUFF (anche se io dico sempre fluffy). Un momento di tenerezza insomma ;) Altro motivo che giustifica il colore arancio del rating.
Ringrazio ancora moltissimo chi mi sostiene pubblicamente e privatamente in questa fan fiction, siete la mia forza e il mio stimolo costante :*
In particolare ringrazio e abbraccio forte la mia Sogno, la mia "dea reale" :) che di recente ha perso un piccolo angelo, e a loro due è dedicato questo capitolo.
Grazie anche a tutti voi se siete arrivati fino a qui… Buona Lettura!
Altre avvertenze e Mini Spoiler a fine Capitolo! (:
A Immi, che adesso bruca ceppi di nuvole.
“C'è chi va ai funerali perché è suo dovere, ma in realtà si compiace d'essere vivo.”
Iniziare il nuovo giorno con una cerimonia funebre non è, di per se, un ottimo auspicio, ma la cosa più irritante di essere qui è il riso beffardo stampato sulle facce degli uomini di mare presenti.
Tentano di nasconderlo al di sotto di quelle bandane logore, le loro fronti alte incrostate di salsedine, sudore e sangue rappreso luccicano ai raggi del primo mattino, mentre fingono contrizione. Ciò che scintilla più di tutto sono i dentacci marci e dorati nelle bocche ghignanti.
A me giungono solo dei bisbigli mal sussurrati, ma da quello che mi è dato sentire l’argomento di conversazione più gettonato è “Meglio a lui che a me!”.
Nessuno conosce l’identità dell’uomo rinvenuto dalle acque questa notte, ho sentito da Jack che ha subito una morte orribile, e più passa il tempo, più a bordo ne ricamano attorno le ipotesi più assurde.
“Gli han strappato il bulbo dalla orbita quando ancora respirava, e questo l’ha ucciso per il crepacuore”.
“Nah, era un povero diavolo di naufrago, è stato attaccato da un corvo e quell’uccellaccio ha cenato con la sua pupilla!”.
Il Capitano è stato uno dei pochi a non avanzare una sua versione fantasiosa, inizia a preoccuparmi l’espressione dura e assorta che assume quando viene messo in discussione l’argomento.
So che sotto l’accozzaglia di perline macchina una teoria tutta sua, e da come la sta affrontando sembra anche delle più terribili.
Paxton...
A chi appartiene questo nome, e che storia nasconde?
Non ho potuto vedere in che condizioni giaceva il cadavere, in quanto donna mi è stato impedito. Ero curiosa, ma per una volta credo sia stata una mossa saggia. Quando tempo fa ferii superficialmente con la spada un uomo, subito dopo stavo per sentirmi male.
Sono futili debolezze a cui devo assolutamente rimediare, qui succede all’ordine del giorno! Bisogna che mi rimbocchi le maniche e provi ad essere più forte.
Jack ha voluto che il malcapitato fosse avvolto in un sudario serrato con delle corde, e ha fatto riporre il tutto su di una tavola di legno lunga e stretta che lo sorregge completamente.
Ora il timoniere e la vedetta stanno trascinando il supporto ligneo verso una apertura del parapetto, destinata alla bocca di un cannone. In fianco un André improvvisatosi “sacerdote” sfoglia un libro sacro, recitando qualche preghiera sommessa per orientare nell’aldilà quell’anima errante.
Proprio durante questo passaggio delicato uno spettatore rumoroso fa il suo ingresso correndo dal corridoio delle cabine, e si ferma al mio fianco.
E’ un pimpante Patrick con un sorriso fuori luogo che quasi mi urla un “Buongiorno”.
Perché con tutta la gente che c’è qui deve addossarsi proprio a me?
Qualcuno della ciurma riunita lì intorno gli rivolge un’occhiata di sufficienza, poi riprendono una posa solenne.
Io cerco di zittirlo fulminandolo con un indice teso dinanzi le labbra, Patrick ne è solo più divertito.
Si contiene giusto quei dieci secondi per far piombare il silenzio, poi riparte alla carica: “...Al mio funerale voglio tanti pianti! Donne addolorate che si gettano a terra, si strappano i vestiti scoprendo il petto ed invocano gemendo il mio nome” afferma con foga, seppur ridotta ad un sussurro, mimando le gesta delle presunte signore in questione.
Lo osservo a lungo per determinare se scherza, ma al contrario è molto deciso sulla sua posizione.
“Scusa Patrick, non so a quali funerali assisti di solito, ma la tua versione ricorda più un sogno erotico...” mi sento di palesare.
Lui ci riflette sopra un attimo, poi scoppia in una risatina esaltata annuendo: “Ma cosa ancora più importante: io non avrò mai un funerale -espone impettito lisciandosi il colletto della camicia- Sono immortale!”
Quante volte ancora dovrà farsene vanto?
Porto una mano alla fronte per reggermi la testa, prima che questa rotoli via in preda alla disperazione, e infine, rialzando gli occhi sulla cerimonia, vedo in lontananza il Capitano che ci guarda di sottecchi. Forse stiamo creando un po’ troppo brusio qua dietro.
“Contieniti!” lo ammonisco sottovoce con una gomitata, cercando di frenare la sua ilarità mal celata.
“Or dunque... Signori! -irrompe Jack a braccia spalancate e mento alto, per richiamare l’attenzione di tutti- Qualcuno tra voi ha un’ultima parola... Prima di procedere?”.
L’unica cosa che trattiene ancora a bordo quel corpo senza vita è lo stivale del Capitano, il resto del pezzo di legno che lo sorregge è per metà sospeso nel vuoto, pronto ad abbracciare il mare.
Alcuni istanti di profondo silenzio, poi ghigni, occhiate losche tra i marinai, e quando sembra per certo lasciare al suo destino quel fratello sfortunato, uno dei manigoldi compie un passo avanti.
“IO, Capitano, vorrei dire quanto segue”. Un ometto curvo e robusto, con le braccia incrociate e tese dinanzi al bacino ingrossato, si fa largo nella folla. Prima che riprenda noto che il suo muso sporgente si rivolge di sfuggita agli uomini che lo circondano, ma così, su due piedi, non vi do importanza.
Jack fa segno di concedergli la parola.
Al cospetto del Capitano il pirata appare umile e beffardamente sommesso, ma l’aver ricevuto un istante prima il totale appoggio dei suoi compagni gli conferisce man mano più determinazione.
“Sto per informarla di qualcosa che qui pensiamo tutti, ma nessuno ha il fegato di proferire ad alta voce...- a queste parole il tale storta il collo, assottiglia un solo occhio ed indirizza la fronte al sole con atteggiamento fiero- Pensiamo che la presenza della vostra donna a bordo sia motivo di sventure, Capitano. E ai vostri piedi ne giace la dimostrazione” biascica senza nascondere nel grugno il proprio disprezzo.
Nessuna sorpresa negli altri, nessun sussulto di indignazione, solo versi accondiscendenti, qualche “Aye” sommesso qua e là.
Una forte scarica di energia convoglia verso di me, e non porta poli positivi con sé. Forse sono solo io a sentirla, forse è solo il mio sdegno crescente.
Vorrei ricambiare con altrettanto odio, vorrei che toccasse a lui lo stesso destino del povero diavolo ai calzari di Jack...
Serro i pugni fino ad affondare completamente le unghie nei palmi, tento di contenermi, ma le decine di sguardi avversi puntati su di me non sono di aiuto.
Alla fine vinco il silenzio, e mi faccio avanti: “Concordo con voi, signore. I tesori e le ricchezze straboccanti nella stiva di questo vascello sono merito della sventura!”.
Jack dal canto suo non emette un suono, ma la bocca gli si dipinge di una curva divertita e poggia la schiena rilassata contro il parapetto, come se si stesse preparando ad assistere ad un piacevole show.
Quell’essere che poco fa si è autoproclamato il portavoce di tutti fa una smorfia ancora più seccata e minacciosa nei miei confronti, ma non controbatte.
Al momento il “ring” si è affollato di un paio di compari dell’uomo con la lingua biforcuta, che lo coprono ai lati. I miei arti si fanno ancora più tesi, sembrano pronti ad uno scatto, anche se in caso mi facessi avanti, non saprei bene come difendermi da questi miserabili predoni.
Calma Jen, puoi sempre rimediare con il dialogo. Sono persone civili, giusto?
Neanche quando dormono...
“Lascia correre Butch -lo ammonisce uno dei suoi con una pacca sul groppone - Se vai a letto col Capitano non puoi che avere la ragione dalla tua parte!” allude sprezzante.
Al diavolo, io in qualche modo li strangolo questi due.
Le mie guance prendono fuoco e tutta la tensione si raccoglie nelle mani che adesso non temo di allungare.
Come sto per darmi lo slancio però vengo trattenuta, indietreggiando contro la mia volontà.
Senza alcuna fatica apparente, Patrick mi solleva di peso e si fa avanti al mio posto, raggiante e a braccia aperte verso i suoi compagni di camerata: “Gente! Una discussione del genere al momento è terribilmente inopportuna. Il Capitano stava celebrando una cerimonia solenne –enfatizza con rimprovero in tono scherzoso, indicando la posizione di Jack- Ora: entrambe le parti hanno espresso la loro opinione, se più tardi voleste…”
“Abbiamo afferrato il punto, Wallace”. E’ il Capitano a stroncare il “discorso di pace” annoiato dalla situazione.
Patrick lo asseconda chinando il capo come segno formale, infine si rivolge a me e mormora facendomi l’occhiolino: “Contieniti!”.
Io replico solo con un sommesso grugnito di disapprovazione.
La ciurma è ancora intenta ad osservare Patrick tra lo sconcerto e lo sgomento, quel nuovo arrivato per ora non sta attirando molte simpatie.
I bronci pronunciati e le smorfie di scontento non hanno un’aria invitante, ma Patrick con il suo atteggiamento sempre positivo non pare darvi peso, a volte vorrei riuscire a fregarmene quanto lui.
Il Capitano prende le redini della situazione, ma prima di procedere esibisce con gesto ampio delle maniche il dito indice, per richiamare l’attenzione.
“Solo un appunto, Mastro Butch: se voi o chicchessia non gradisce le modalità secondo cui amministro la mia nave… -lo stivale che prima sorreggeva la tavola di legno col cadavere si sbilancia, Jack vi toglie definitivamente il proprio peso, e nel giro di un secondo cade a picco, inghiottito dalle acque- …Questa è la via!”
Il tonfo sordo del corpo in mare fa trasalire tutti, e muovere un passo indietro a quei sfacciati diffamatori.
La cerimonia può dirsi conclusa, Jack ha spolverato la sua posizione di dominio e ognuno fa silenziosamente ritorno alla propria postazione.
In quanto a me chissà se in cucina troverò un po’ di tranquillità e facce amiche.
Almeno lì spero di riuscire a calmare momentaneamente i nervi.
Nel frattempo il ponte è tornato alla routine degli echi dei comandi e, dagli sguardi che mi assediano mentre lo attraverso, avverto rinnovata una certa ascendente ostile.
Finalmente imbocco l’uscio del mio riparo, e all’ ingresso vengo catapultata in un vortice travolgente che somiglia ad un misto tra una lezione di cucina ed una festa popolare francese.
Pentoloni in ebollizione, profumi invitanti, ceste di cibo, spezie colorate agghindate a festoni e nel mezzo Patrick e André che a dir poco danzano sulle note di ballate francesi, intonate dalle loro stesse bocche smaglianti.
I due ci impiegano qualche strofa a notare la mia mascella spalancata sui gradini, da dove li fisso ad occhi sgranati.
“Mademoiselle!” esulta lo chef a braccia aperte, venendomi incontro per guidarmi al centro del balletto.
Sono sconvolta a tal punto da non riuscire a tirarmi indietro, e l’attimo dopo mi sento come una biglia del flipper che viene scagliata dal braccio di André, con una giravolta a quello del semidio.
Rido tanto che mi vengono le lacrime agli occhi, mi serve un momento alla fine del balletto per riprendermi, così mi sistemo in un punto libero del bancone.
“Siete due pazzi! Ma che diavolo succede qui?!”dico ancora euforica passando una mano nei capelli, arruffati dalla foga del banchetto danzante.
Il macigno che prima pesava sul mio petto si infrange per almeno la metà del suo volume, e questo è un gran sollievo.
“Bisognava rallegrare l’atmosfera!” replica Patrick facendo spallucce. Noto solo ora che in una manciata di minuti si è già perfettamente calato nell’ambiente, ha tutto quello che serve: riccioli legati da un laccio, grembiule immacolato, mestolo alla mano. Sembra quasi credibile!
“Sono entrato dalla porta come hai fatto tu poco fa, e il mago dei fornelli qui era intento a preparare il pranzo cantando. Unisci a questo un pizzico del mio animo festaiolo ed ecco il risultato”chiarisce Patrick in breve, arrotolandosi uno straccio lungo la spalla.
André ridacchia in risposta dall’altra parte della stanza, rovistando nella dispensa.
“Tu conosci il francese?” alla mia domanda sfugge una cadenza sorniona.
Il semidio solleva lo sguardo su di me, si avvicina complice al mio orecchio e bisbiglia sommesso: “Non so una parola, a parte il nome di qualche pietanza che cucinano laggiù!”.
Scuoto la testa divertita, agitando avanti e indietro gli stivali penzoloni.
André riappare alle nostre spalle, porgendo a Patrick uno strano tubero: “Questa faLa a cubetti, ragaSo.”
Poi afferra una tazza, una brocca e accorre da me con fare premuroso. Offrendomi del thé bollente le sue mani avvolgono affettuose le mie, piuttosto incerte: “En FranScia le doNe le consoliamo con una SceneTa e un caliSce di vino, ma su questa nave è bandito. SpeRo che questo sia aBastanSa de confoRto!”mi augura con i suoi occhi buoni.
“Sei gentile, grazie!” replico intimidita dal tutto, accogliendo quel gesto amorevole.
Lo chef monitora con un’ultima sbirciata il lavoro dell’assistente, infine scompare dietro ad un pentolone gorgogliante.
“Su questa bagnarola puoi sicuramente contare sul nostro appoggio, Jen. Vero Andy?”
“Me oui!”gli fa eco il francese.
“Non farti sentire da Jack però!” lo ragguaglio con un sorriso.
Mi riesce impossibile non osservare il semidio con uno sguardo indagatore per tutto il tempo, manca di convincermi fino in fondo, sento come se da lui dovessi aspettarmi un passo falso. Ci vuole altro oltre alla simpatia per guadagnarsi la mia fiducia.
Sorseggiando la bevanda bollente mi accorgo che Patrick esegue le indicazioni di André con naturale precisione e anche in velocità! E’ indubbiamente una personalità curiosa.
“Ci sai fare con i coltelli, mi fa riflettere sul motivo per cui ti abbiamo ripescato da una cella…” butto lì una provocazione.
Patrick sorride sotto il suo accenno di pizzetto chiaro, poi replica: “Ancora questa accusa? Non ho mai ucciso nessuno, e la mia condizione di creatura semidivina mi impedisce di farlo anche se volessi. Non so nemmeno maneggiare una spada se è per questo…” cerca al solito di guadagnare punti a suo favore.
“Ammetto di essere un pessimo pirata a dirla tutta, ma posso riconoscere di essere stato un eccellente aiuto cuoco nella Manhattan Valley!” conclude infervorato, affettando un’altra tapioca a velocità record.
Io accenno un mormorio acuto di sorpresa, immergendo le labbra nel thé. Ha vissuto a New York?
“Ce ne sono state parecchie di mansioni umili nella mia vita. Consegna dei giornali, distribuzione di volantini, smaltimento rifiuti, lavapiatti… Ho provato parecchie cose! Finché son riuscito a varcare il gradino del sous-chef. Per lunghi anni ho viaggiato nel tempo e nello spazio alla ricerca del mio posto… E mi è servito a capire che non appartenevo ad una cucina. Così, infine, mi sono stabilito nell’epoca a cui è appartenuto mio padre”.
“Buon per te!” commento con una amichevole pacca sulla spalla. Nel frattempo Andrè mi ha affidato la mansione di preparare dei fagiolini bianchi alla cottura.
“In più ci si è messa la fanciulla col cappuccio rosso…” dice illuminandosi, per alludere al continuo degli eventi.
“A tal proposito, è più riapparsa?”
“Questa mattina, per darmi le coordinate della nuova rotta. Già riferite al Capitano!” attesta brillante, fiero dei suoi panni da tramite.
Lo ammetto, sono colpita dal nuovo arrivato, anche se cerco di non darlo molto a vedere. Da quello che racconta sotto la buccia affabile, inspessita di spavalderia, è come chiunque. Un poco smarrito, volto ad intraprendere una costante ricerca di sé stesso. Magari fallisce, però si rialza e non si dà per vinto.
“Ma passiamo a te…” riparte alla carica con fare intrigato.
Io lo osservo qualche istante allarmata dal suo tono: “Hai detto di conoscermi già, non so come, la prima volta che ci siamo visti…”
“Vero, ma tu dimmi qualcosa che non so”incalza il semidio.
“Ad esempio?”
“Uhm… Beh, vediamo. Da come mi è parso di capire il tuo posto su questa nave è al fianco del Capitano…” io confermo.
“Ma, di preciso, qual è il tuo ruolo a bordo?”
Appaio un po’ confusa dal termine “ruolo”, ma propongo ugualmente: “Quello che mi vedi fare ora”.
Patrick rimane attonito, fissa lo sguardo sulle mie movenze un po’ goffe, ma efficaci, nel pulire i legumi, e infine tenta di camuffare una risata.
“Non per abilità esecutive…” mi canzona.
“So anche cucinare di mio ottimi sandwich al burro di arachidi o, se preferisci, al formaggio filante!” espongo divertita, in mia difesa.
“Però devi ammettere che è stato un po’ maschilista da parte di Jack rilegarti qui tra i fornelli”preme, riacquistando fermezza.
A quel punto mi fermo di colpo ed sollevo lo sguardo su di lui, risentita: “Non è stata colpa di Jack, non c’era granché che sapessi fare. Da qualche parte dovevo pur cominciare!”
“Queste suonano un poco come delle scuse…” attesta con una smorfia, non convinto.
“Senti, Jen –Dice avvicinandosi, spostando da parte gli strumenti da lavoro. Sa che non avrà la mia lucida attenzione ancora per molto - è chiaro che tu ti trovi qui per amore, e condivido la nobile causa… Ma quello che sto facendo ora è finalizzato a smuoverti. Domanda a te stessa cosa vuoi davvero!
Trova il tuo posto nel mondo Jenny, te lo dice uno che nella vita avrà infinite possibilità di errore, al contrario di quelle limitate che verranno concesse a te.”
Mi riecheggeranno a lungo nelle orecchie le sue parole, in effetti ha sollevato un dubbio tacito che avevo dentro da molto prima di quest’oggi.
La favolosa zuppa sancocho di Andrè, all’ora di pranzo, fa il suo ingresso nel salone alla pari di una reliquia sacra durante una celebrazione.
Dopo questa mattina a tutti è rimasto un poco di amaro in bocca, e ogni membro della ciurma non vede l’ora di affogarlo in qualcosa di saporito e sostanzioso.
Andrè e Patrick trasportano l’imponente pentolone di rame, mentre io li seguo con una pigna di scodelle di legno e cucchiai, perfettamente conscia che quest’ultimi verranno usati gran poco dalle personcine non esattamente civili che stanno entrando con noi nel salone.
L’andatura cadenzata, stanca e ciondolante degli uomini viene contrastata dall’ingresso pimpante del Capitano, che sopraggiunge nella stanza con uno scatto, e si fa largo agitando le braccia per conquistare il suo posto, a capotavola, sul lato opposto dell’entrata.
Prima di accomodarsi, però, Jack fa tappa dal nostro trio, organizzato per servire quelle bestie, ehm, individui rispettabili, il più velocemente possibile. Capitano spesso cori di isterismi e proteste perché al loro arrivo non hanno già il cibo tra le fauci, e oggi, in particolare, preferirei evitarli. Andrè raccoglie in un grande mestolo due cucchiaiate per uno di zuppa, io porgo lui le ciotole e in seguito le affido a Patrick, il quale le distribuisce ai vari posti a sedere.
Jack compare alle mie spalle, afferrandomi per i fianchi non senza un mio sussulto. Andrè commenta con una occhiataccia storta indirizzata al Capitano, stava per far rovesciare la sua preziosa zuppa! Il Capitano sbircia il pentolone immergendosi più a fondo nei miei capelli, e infine mormora prima di volatilizzarsi: “Uhm… Che profumino invitate, dolcezza!”.
Al suo arrivo Patrick mi affianca, e, udendo il commento, lagna fintamente risentito: “Hey, il merito qui è di tutti e tre, non solo suo!”.
“Parlavo di lei, ragazzo, non del cibo!” replica Jack, di spalle, ormai avviato al centro delle stanza.
Quando il semidio si rivolge a me per ricevere due nuove porzioni di zuppa da servire, gli restituisco una linguaccia.
Ormai le ciotole volgono al termine, così Andrè suggerisce a noi due assistenti di prendere posto. Percorro la sala evitando il contatto diretto con gli occhi dei suoi occupanti, fortunatamente già intenti a mangiare e svuotare calici di rhum, ma arrivata al mio posto, alla destra del Capitano, noto con sorpresa che la sua sedia è vuota.
Sedendomi aguzzo la vista, e lo ritrovo vicino ad Andrè, con un’ombra scura in viso. Di cosa si lamenterà oggi col cuoco?
“Manca de sale, Capiten?”domanda il mio dandy, innocentemente, allarmato dalle minacce di morte che bramano gli occhi fumantini di Jack.
“Vecchio spilorcio, ti sembra una porzione degna da sottoporre al tuo Capitano questa?” protesta, scagliando la ciotola giunta al suo cospetto sotto a quel naso baffuto d’argento.
“Due cucchiaiate come a tuTi ,Capiten…”si difende implorante.
“Riempi.” con un unico imperativo ordine scuote gli animi del francese a tal punto da farlo rassegnare all’obbedienza.
E’ in quello stesso momento che io mi sollevo leggermente dalla sedia, afferrandone il seggiolino per spingerlo un poco più vicino alla tavolata, e, anziché pormi in modo più composto, mi ritrovo piombata a terra.
Questione di un secondo: il legno della gamba anteriore, manomesso e assottigliato, cede ed io finisco per incastrarmi nella sua struttura, baciando le sudice assi di legno del pavimento.
Ma non è questo a disgustarmi più di tutto, bensì lo è il simbolo che noto subito dopo aver riaperto gli occhi, tracciato nettamente a gesso vermiglio, proprio al di sotto della mia seggiola… Il malocchio.
Al mio tonfo segue un turbine di silenzio generale. Le bocche in sala cessano di maciullare, sputacchiare e parlare. Gli occhi giallastri zampillano in tutte le direzioni, fino ad intraprendere quella suggerita dall’udito un po’ intaccato, ma infine è solo una persona, il presunto artefice, Butch, a balzare in piedi, con braccio e indice tesi verso di me e quel segno, gridando: “Ve lo dicevo, compari: quella è un covo di sventure!”
La pioggia di risate che ne segue mi fa tornare in me. Sono ancora a terra, scossa e intrappolata nei resti della sedia. Mi sollevo su un gomito, mentre con l’altro braccio raggiungo il fondoschiena, liberandolo a fatica, con l’aiuto di qualche imprecazione silenziosa, dallo scheletro di legno.
Il chiasso cessa quando lo sguardo di Jack avvolge d’ira ognuno di loro, soffocando l’euforia. Ora quei manigoldi lo sentono inabissarsi nelle loro ossa, e nessuno ha il coraggio di sfidarlo con un contatto visivo diretto.
“Fuori, tutti voi.”si pronuncia in tono fermo il Capitano.
Segue un grande mormorio di passi, qualche flebile commento contrariato, ma tutti si affrettano verso la porta.
“Tu no, biondino” rettifica all’ultimo, riferendosi a Patrick.
Nel frattempo Jack ha falcato a grandi passi la sala, scorto il segnaccio inciso sul pavimento e teso una mano in mio aiuto.
Un solo pirata ha spudoratamente ignorato il suo comando, ma solo per corrermi incontro con una inflessione urgentemente angosciata: “Mademoiselle!”.
“Non sarai anche sordo, Andrè!” tuona Jack, seccato dalla sua presenza, mentre io torno a stare in piedi appoggiandomi a lui.
Il cuoco si blocca sul posto, poiché proseguendo l’umore di Jack potrebbe peggiorare.
“Wallace, sgombera le ciotole. Questa sera riproporrete alla ciurma la stessa brodaglia”.
“Me! No… Il mio capolavoRo, spRecato…!” lamenta il cuoco, addolorato dall’ordine appena imposto dal Capitano.
“E tu vai a piagnucolare FUORI!”
Andrè questa volta obbedisce, ed esce a testa bassa.
“Smettila di prendertela inutilmente con lui!” richiamo Jack, dandogli un pugno sul petto.
“E tu non difenderlo sempre!” controbatte secco, fissando i suoi occhi nei miei.
Il mio broncio diviene subito un’espressione di timore indirizzando lo sguardo verso il pavimento, dove quei segni vermigli minacciano ancora maligni presagi.
“Mi auguro che, data l’ampia istruzione ricevuta, tu non sia superstiziosa, chérie!”proferisce divertito, contro la mia tempia. L’intonazione si è già addolcita.
Io rivolgo a lui un’occhiata molto più eloquente delle parole: le labbra accennano una curva di sorriso, ma tutto il resto del volto è accigliato. Il palmo aperto che poggio al centro della sua schiena stringe di riflesso il gilet leggero che la ricopre, e infine mi distacco da lui per spostarmi verso quel cerchio male augurante.
Ne disegno i contorni con gli occhi ancora per un secondo, prima di inveirci sopra, prenderlo a calci, cancellarlo con le suole dei miei stivali e sfogare tutto il mio malcontento.
E’ sciocco, ma mi è servito, perché un attimo dopo mi rivolgo a Jack con uno sguardo nuovo, acceso, palpitante e le labbra incurvate di appagamento: “Sai che c’è? I manigoldi della tua ciurma dovevano pensarci meglio, prima di farmi questo. Perché, per loro sfortuna, metto mano anche io al cibo che poi loro mangiano…” alludo vendicativa.
Jack mi guarda intrigato, ma solo il tempo di focalizzare le conseguenze, poiché subito dopo commenta allarmato: “Da domani chiederò al francese di farmi un piatto a parte, che si discosti dal menù!”
La mia seconda risata di pancia della giornata. Più a fondo precipiti, più grande è il sollievo quando riemergi.
La sala da pranzo è sistemata, ho aiutato Patrick a rassettare in cucina i rimasugli del non-pranzo, e adesso purtroppo devo tornare “alla luce del sole”, tra quei farabutti.
Ho sempre un po’ di suggestione ad attraversare questi luoghi comuni della nave, visti i precedenti di oggi, ma il mio piano di vendetta mi è di incoraggiamento anche in questo.
E’ pomeriggio inoltrato, e c’è una strana atmosfera, una luce che tende al seppia, un’aria come se stesse per venire a piovere, la tensione palpabile nelle persone.
Che è successo mentre ero al sicuro in cucina?
Il mio quesito viene interrotto da un lamento. Cadenzato, petulante, viene da sotto il castello di comando.
Mi avvicino cauta, seguendo l’andamento del parapetto, nascondendomi tra le sartie, per guardare senza rischiare di essere vista.
Scorgo un terzetto di uomini riuniti attorno a un quarto, seduto scomposto su di un barile di polvere da sparo. I lamenti vengono da lui.
Uno dei tre, il più alto, è chinato sul quarto e armeggia con un ago e una candela, infine il meno barbuto gli porge un fazzoletto. No, sono bende.
Il predone seduto bestemmia, sputa e si agita. Scalpita con i piedi come un mulo. Riconosco l’accento acuto e il panzone, è Butch.
Non mi stupisce, dunque, che si sia messo nei guai. Noto che il punto su cui i compagni fidati stanno operando è la mano, da qui ne vedo un lembo ricoperto interamente di sangue rappreso.
Il “chirurgo” del quartetto usa come tavolo operatorio un alto fiasco di rhum, su cui sono riposti vari stracci macchiati di sangue, una bottiglia di rhum vuota, che avrà appena scolato per sviare al dolore, e altri due componenti che non riesco a distinguere, finché il primario della Perla Nera non ne prende in mano uno, per tentare alla belle meglio di ridargli il suo aspetto originario.
E’ l’estremità di un dito.
“L’altra falange no so se riuscirò a ricucirtela, mate”. confessa il chirurgo operante.
“Tu almeno provaci, figlio di un cane. AAAAH!”
Mi dileguo da lì, e percorro il corridoio delle cabine come fossi al galoppo.
Le porte sono tutte aperte, il Capitano ha voluto così da quando Patrick le ha prese come sue “stanze private”, tranne una, in cui io mi fiondo come una furia.
La spalanco con uno spintone e ne invado la quiete con ancora l’adrenalina che mi schizza in corpo.
Jack è lì, nella sua tana, al suo posto, per metà sprofondato nella comoda poltrona che abbiamo ai piedi del lettone.
L’aria scomposta, rilassata, una gamba a penzoloni dal bracciolo e gli occhi pieni, pensierosi.
Per lo slancio non riesco a contenere il volume della voce, e quasi urlo: “Non c’era bisogno di arrivare a mozzargli due dita!”.
Lui mi fissa accigliato, per un istante. Porta alle labbra un goccio della sua bevanda ramata preferita, e poi dice: “Ah, non guardare me!”
Sorpresa! Sono confusa. Il Capitano si occupa di fare chiarezza: “Mi hanno riferito che è stato André. Coltello da cucina, un colpo secco. ZAC” narra entusiasta mimando l’accaduto.
“Oh…” mi sento solo di commentare. Un uomo così buono, così calmo… Non l’avrei mai ritenuto capace di tanto.
Decido di lasciare da parte momentaneamente la faccenda. Dopo una giornatina come quella appena trascorsa, il mio unico pensiero è… riposare!
Muovo un paio di passi verso il Capitano, facendo mostra del cestino che ho portato con me dalla cucina, e sfortunatamente si è svuotato per metà durante la corsa fino a qui.
“Qui ci sono…ehm…due mele! Pensavo avessi fame, visto che oggi non abbiamo nemmeno pranzato.”
Jack mi ringrazia, ma declina mostrandomi orgoglioso il bicchiere di rhum.
“Queste ti faranno meglio di quel veleno!” lo rimprovero, portandogli via di mano il bicchiere e lasciando sulle sue gambe il cestino.
Mentre mi allontano marca il broncio e il cipiglio. Raccoglie da terra una bottiglia con ancora due dita di liquido, quella con cui si è riempito fin ora il bicchiere, e la fa sparire gelosamente nelle pieghe della camicia.
Incorreggibile.
Poggio il bicchierino ancora pieno sulla imponente scrivania, all’estremo della stanza. E’ il deposito delle scartoffie di Jack, ma sopra di esse spicca un appunto, scritto di suo pugno con inchiostro di fresco. Sono le indicazioni per una rotta. Mi tornano in mente le parole di Patrick, le riporto alla lettera su di una mappa nelle vicinanze.
“Perché Scilla vuole che andiamo a Ridleys Bay?” domando sfilandomi i pesanti stivali, prima di gettarli scompostamente in un angolo libero.
Jack si gira di scatto con gli occhi stralunati: “Com’è che lo sai?”
Io gli mostro trionfante il foglietto incriminato, poi passo a slacciarmi la cintura. Da quel momento il Capitano è incapace di distogliere lo sguardo.
Cedono alla gravità, e sotto il peso della cintola, anche i miei pantaloni, e mi dirigo sbuffando verso un angolo della cabina tutto nuovo.
Ho chiesto a Jack se potevo avere un piccolo lavatoio. Una grande brocca di acqua fresca e un catino poco fondo, tutto qui. Ma ne sentivo davvero il bisogno. A fine giornata il semplice fatto di potermi rinfrescare mi rimette in sesto.
Sbottono la camicetta, verso un po’ d’acqua e per finire volgo l’attenzione a Jack: “Non rispondi?” chiedo impaziente, in mancanza di una sua precedente replica.
Il Capitano ha cambiato posa, si è sistemato di traverso sulla poltrona, nella posizione più adatta ad avere una migliore visuale, e al momento mi divora con gli occhi, esattamente come sta facendo con la mela in cui affonda le fauci.
“Non badare a me, continua pure! Continua pure, mi piaceva il tuo… spettacolino!” sbiascica euforico, a bocca piena, agitando scompostamente in aria le mani.
Io non posso fare a meno di arrossire e sentirmi un poco più in soggezione adesso.
Non soddisfo appieno le sue aspettative, perché mi spoglio solo all’ultimo, e, data la bassa temperatura dell’acqua, mi lavo molto velocemente.
Pesco da una pigna di vesti pulite una camicia immacolata, me la getto indosso in preda ai brividi, e l’abbottono facendo ritorno verso il letto, con uno sguardo di sbieco orientato al Capitano.
Jack se è possibile, è ancora più intrigato, e mentre gli passo accanto, con fare ironicamente indifferente, si impettisce palesando: “Ho anche mangiato la tua maledetta mela, non merito un premio adesso?”
Assesto il cuscino per essere più comoda, e, fingendo di non capire, mormoro: “Quale premio? Io sono distru…”mentre controbatto smuovo le lenzuola per sgattaiolarci dentro, ma come spiego quella esteriore, ecco riapparire l’incubo.
E il rosso marcato a colpire il mio sguardo, ma quando prende di nuovo i lineamenti di quel simbolo maledetto, è l’ennesimo battito mancato.
Un nuovo malocchio padroneggia sulle lenzuola, dalla mia parte del letto, la sinistra, minaccioso quanto effimero per la sua natura in gesso.
In quel momento divengo più pallida del consueto, e sgranando gli occhi, ammaliata dal suo effetto, riesco solo ad arretrare terrorizzata. Ci ero appena passata sopra e non posso credere che sia apparso di nuovo.
Allontanandomi incappo in un muro alle mie spalle, che si rivela essere Jack. All’impatto sussulto visibilmente, sentendo i nervi di nuovo cadere a pezzi.
Incontrando da vicino il suo sguardo, l’aria esageratamente divertita dalla mia reazione incontrollata mi suggerisce solo una cosa… “SEI STATO TU, razza di farabutto! Mascalzone! Come hai potuto?” strepito adirata.
Inveiscono altri insulti su di lui, e da parte mia vi è una replica irrazionale fatta di schiaffi che però non raggiungeranno mai il Capitano, perché egli si ripara prontamente da tutto con un abile espediente.
Una sorta di stretto abbraccio che mi serra le braccia, ed io, ancora scalpitante, ribollisco di rabbia nella sua trappola.
“E’ una questione di suggestione, tesoro. Se tu ti comporti come se questo simbolo potesse nuocerti, fai il gioco dei miei uomini, e loro l’avranno vinta, comprendi?”
Dal nucleo centrale della mia rabbia lo sto davvero poco a sentire, e intimo solo che mi liberi.
Jack allenta la presa, e io respiro a fondo coprendomi il volto con le mani, per recuperare quel poco della padronanza di me che mi resta.
“Credi davvero che quel pastrocchio di gesso sia per te portatore di disgrazie?” domanda nel tentativo di minimizzarlo.
“Beh, ecco… E’ risaputo che non è di buon auspicio, non è questione di crederci o meno, è che vederlo indirizzato a me… Mi spaventa!” cerco di spiegare cosa provo, il più sinceramente possibile.
“Allora vieni qui…” dice con uno strattone netto, facendomi roteare su me stessa, fino a poterlo guardare negli occhi, mentre io inclino in modo buffo la schiena per riacquistare equilibrio “…e rendimi l’uomo più sfortunato del mondo!”conclude, alla distanza di un respiro, con una cadenza inebriante e sensuale.
L’attimo dopo quelle labbra lascive sono già alla disperata ricerca delle mie, la foga e il temperamento struggente del Capitano mandano al diavolo i miei tentavi di reggermi in piedi, e cado all’indietro sotto il suo peso, rimbalzando sul morbido.
Approfitto del soffice atterraggio per sfuggire alla sua morsa, e puntando i gomiti per arretrare al centro del letto, digrigno tra i denti un “Che tu sia maledetto”.
Il mio sforzo di sembrare minacciosa serve solo a divertirlo ancora di più, perché in risposta ottengo lo sfoggio dell’intera dentatura placcata in oro, ed una sua risata roca e profonda, che mi provoca dei pizzichii di eccitazione alla base della schiena.
Con un lesto scatto avanza fino a riuscire ad immobilizzarmi i polsi, e poi si sistema con una lentezza e sicurezza snervante sopra di me.
Ormai non riesco più a mantenere il muso duro, ed impotente dinanzi le sue mosse pacate e calibrate, mi sciolgo in un sorriso provocante.
Il suo corpo, svestito dalla pesante giacca e i cinturoni con le armi, aderisce al mio. Emana un calore tale che sento la mia pelle, pallida e delicata, bruciare sotto a quel tocco.
Lui si sistema in modo da scaricare un po’ del suo peso sulle braccia, ed infine, prima di proseguire, indugia per un attimo rivolgendomi uno sguardo enigmatico. La patina opaca che ricopre quegli occhi nasconde una nota di inquietudine.
“Se proprio dovrò lasciare presto questo mondo, come sostiene quella strega, ciò che desidero ora è sentirmi più vivo che posso… E lo voglio così, dolcezza.”
Questa affermazione è un crepitio al cuore, sussulto, sento gli occhi inumidirsi leggermente e non trovo le parole giuste per replicare. Porto solo le mani al suo viso ambrato e ne accarezzo il profilo ispido, per la barba incolta, per fargli sapere che andrà tutto bene.
“So che non ti consegnerai al destino senza prima lottare… Ed io sarò al tuo fianco, a rivendicare che tu sia salvo!” gli assicuro guardandolo fisso negli occhi, come a sottoscrivere il mio giuramento.
La curva nera e marcata che li incornicia si assottiglia, come le labbra, i cui estremi ora si estendono agli angoli del viso, e, senza aggiungere altro, quella zazzera scompigliata si china su di me per approfondire il bacio precedente, questa volta ancora più sentito, dirompente, disperato.
E’ il sapore della libertà quello che contraddistingue Jack: un miscuglio esotico di canna da zucchero, caramello e spezie, ormai intriso nella sua pelle, che poi rilascia sulla tua come ricordo per quando è via.
Le sue mani screpolate dal mare scivolano verso il basso privandomi di quel poco che mi è rimasto indosso, i residui di sale su quel corpo ruvido e inaridito dal sole creano un eccitante attrito contro il mio.
La ferraglia assicurata ai suoi capelli mi lascia dei segni sul collo, mentre quella bocca sempre più ingorda scende nell’incavo dei seni.
La mia mente allontana le tenebre dei pensieri infelici per lasciare spazio ad una nebbia ovattata, cedendo all’estasi.
Prima di rassegnarmi ad ammettere che è impossibile resistere al fascino di quell’uomo, voglio ancora tentare la via della rivincita.
Libero entrambe le gambe dalla sua morsa, e facendo leva con esse torno a stare seduta sul letto.
Rialzandomi incontro lo sguardo contrariato di Jack che mi fissa intensamente da sotto la bandana rubino.
Ridacchio divertita, riavvicinandomi a lui con movenze cadenzate e sinuose. Afferro il bavero della camicia slargata, e soffio sulle sue labbra: “Me la pagherai, Sparrow!”.
“Perché tu lo sappia, il malocchio è anche emblema di protezione della persona amata” puntualizza attirandomi a sé con delle carezze lungo la schiena nuda.
“Balle!”sentenzio riparandomi nell’incavo tra la sua spalla e il collo.
“Metti in dubbio la mia parola? -riconosce sorpreso- Pensavo che una testolina del futuro come te… Sapesse… Certe cose”. Quelle parole spezzate sono dovute ai morsi e ai baci che mentre blatera gli lascio sul collo, appena sotto l’orecchio, uno dei punti che lo rende più vulnerabile.
Adesso che ha abbassato la guardia posso finalmente agire: porto una mano lungo il suo fianco e facendola risalire, arrotolo via la camicia leggera in lino che avvolge il Capitano.
Non posso vederlo in viso al momento, ma so che le sue palpebre sono socchiuse, e sotto di esse gli occhi stanno facendo delle capriole su se stessi.
Con la mano libera, invece, afferro le lenzuola marcate di rosso e raccolgo un po’ di gesso sulle dita. Così traccio alla cieca delle linee sul suo torace, poi risalgo lungo le spalle, e infine, con la scusante di sfilargli la camicia, imbratto anche la faccia.
E’ il portarmi una mano alla bocca per celare una risata che mi tradisce, perché in quel momento Jack nota le estremità sporche di polvere rossiccia, e collega il tutto.
“Ora saresti perfetto per un rito vu-dù” osservo tra le risa.
“Allora deve esserci anche una vittima!” dice infervorato dal mio scherzetto, prima di travolgermi e farmi finire di nuovo stesa.
Jack non manca di rivalersi utilizzando la mia stessa “arma”, quindi con l’angolo di lenzuolo rimasto strofina il gesso rimanente sulla mia faccia, mentre con l’altra mano mi trattiene salda contro il materasso.
Quando cessano le risate di entrambi mi sorprendo ad osservarlo trasognante, pensando che lui sia l’unica scelta giusta della mia vita.
I pensieri non parlano ad alta voce, ma traspaiono dagli occhi, e il Capitano sa carpirli, perciò infine si stende accanto a me e mi porge altri baci, i quali continuano lungo la scia ormai invisibile cominciata poco prima della battaglia del gesso.
Quando giunge alla fine delle costole si ferma e solleva il volto, sfoggiando una occhiata tra l’astuto e il
malizioso. Non nascondo un brivido di timore.
Con un gesto plateale disegna una curva a mezz’aria, volgendo un braccio all’indietro, e facendo roteare le dita, afferra qualcosa legato alla cintola, nella parte anteriore dei pantaloni.
Il suo ghigno trionfale mi conferma che è proprio rhum il contenuto della minuscola boccetta che si porta infine sotto il naso.
Dovevo immaginarmelo, un pirata ha sempre le sue scorte di emergenza!
Strappa via il tappo servendosi dei denti, poi fa per chinarsi di nuovo.
Io, sospettosa per istinto, mi allarmo e domando quali sono le sue intenzioni, ma lui mormora che devo stare calma, carezzandomi l’addome con fare rassicurante.
Mi lascio convincere e rilasso le spalle all’indietro, ma non manco di sbirciare le mosse di quell’ingannevole filibustiere.
Il liquido ramato mi sfiora soltanto, ma il fiato si è già fatto corto e la testa inizia a girare. Jack riempie il mio ombelico fino all’orlo e sussurra ancora: “Non ti muovere”.
In realtà per poco non sussulto dall’eccitazione mentre le sue mani bollenti si poggiano al principio delle mie gambe, dove incrociano i fianchi creando uno spigolo. Serro i denti per non ridere mentre si avvicina, e la ferraglia dei suoi capelli mi stuzzica.
Ad una manciata di millimetri dal suo “calice”, Jack schiude le labbra e ne raccoglie il contenuto con la lingua.
Io inarco la schiena e buttando la testa all’indietro gemo contro il cuscino.
Quando il corpo inizia a reagire ad ogni stimolo come fa uno strumento tra le mani di un audace pianista… Lì risiede la passione. E lì, come in pochi altri momenti, perdo del tutto la ragione, e sono sua.
*
Angolo della pazza…ehm…Autrice ^^'
Risalve :P
Come promesso, ecco i titoli di coda!
Volevo solo informarvi che al più presto tornerò anche con la mia Fan Fiction "How to train your creativity *FF interattiva*" sempre in questa sezione, sempre dedicata ad Unty, ma in forma di raccolta di One Shot.
La cara Selene6 mi ha lanciato una bella sfida, e io voglio coglierla al volo :P So già come fare *muwahahaha* Ok, basta u.u
Ma passiamo agli SPOILER!
Li ho scritti con l'inchiostro simpatico :P
Armatevi di limone e candela!
Scherzo, quindi dovete selezionare con il mouse il testo qua sotto per leggerlo, in modo che solo chi è interessato può sbirciare le anticipazioni:
Nel prossimo capitolo ho intenzione di affrontare una tematica abbastanza delicata.
Ovvero, voglio dare una piccola anticipazione dell'idea che mi son fatta dell'infanzia di Jack.
Questo comprende anche mamma e Teague :) Credo che mi atterrò solo in parte ai filmsss.
Basta, sapete già troppo :P
E' tutto, grazie della sopportazione!
Fatemi sapere cosa ne pensate :)
A presto miei cari, i miei ossequi.
_Kela
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Capitolo 17 *** Unbrothers ***
Nota della Capitana:
Buonasera a tutti! ^^
Anzi, buona notte che è tardissimo :P
Ben ritrovati con il capitolo 17 di Untitled Witout End!!!
Prima di iniziare volevo premettere un po’ di cose. Partiamo dal titolo:
Sì, ho inventato una parola inesistente nella lingua inglese XD il prefisso “Un” si usa solo per gli aggettivi, però nel corso di questa fan fiction ho usato molta “licenza poetica” diciamo, e il titolo “inventato” suonava così bene che gli inglesi mi perdoneranno (spero) lol.
Volevo render bene l’idea dei “non-fratelli” (tra un istante capirete meglio).
Il rating di questo chap è pienamente arancio ancora una volta, e specifico che qui ci saranno delle tematiche molto delicate, non adatte proprio a tutti.
Siete avvisati ;)
Altra cosa di cui vi accorgerete tra pochissimo: come sapete io ho l’abitudine di associare ad ogni mio personaggio un viso “noto”, che rispecchi abbastanza la mia idea mentale.
Per il personaggio “protagonista” di questo chap, un’amara coincidenza ha voluto che fosse il viso di Paul Walker. Sono anni che penso a questo personaggio e scavando tra i volti di decine di attori, ho visto finalmente nel taglio dei suoi occhi quello che cercavo. Sono infinitamente dispiaciuta per quello che gli è successo, e non volevo presentarvelo in un momento così tragico, però penso che sia comunque un bel modo di ricordarlo. Sono assolutamente convinta che il mio personaggio non gli somigli come personalità, ripeto che l’ho scelto solo per dei fattori fisici. R.I.P Paul!
Per tutti quelli che hanno sbirciato gli spoiler dello scorso chap, e anche tutti gli altri, ma solo dopo che hanno finito di leggere questo capitolo, andate a leggere la nota a piè di pagina ;)
Ultimissima cosa: volevo ringraziare with all my heart la mia adorata Ciccipucci SymboliqueVain che con una impresa eroica si sta rileggendo tutta questa fan fiction dal principio XD E le dedico questo capitolo “catartico” :*
Se vi piace Hunger Games e non solo date un occhio alle sue fan fiction J
Grazie a tutti per l’attenzione, vi auguro buona lettura e a presto! (alla nota a piè di pagina insomma XD)
Capitolo 17
Una finestra della cabina fa da cornice all’alba di questa mattina.
Dentro è buio, fuori è quasi luce. Io e Jack nel mezzo, sull’esatto confine dei due opposti, seduti sul davanzale, l’uno di fronte all’altra.
Gli occhi assonnati, le gambe incatenate le une con le altre, è il nostro modo di “guardarci dentro”, di sentirci più vicini.
Ho rivelato a Jack di conoscere l’oggetto delle sue afflizioni.
Ha strabuzzato gli occhi per un attimo, con sospetto. Poi ha ammesso di aver intravisto il fumo, e di sapere che io e Patrick origliavamo l’altra notte.
Ora c’è una domanda sospesa nell’aria. Jack si schiarisce la gola con un sorso di té verde ormai tiepido, poi inizia:
“Mio padre, Edward Teague, aveva un fratellastro, tale Jorvik Nirsch.
Tagliagole di professione.
Da piccolo mi raccontavano che girava vestito delle pelli delle sue vittime, probabilmente erano solo animali selvatici, considerata la stazza e il suo debole per la carne. Cruda.
Affiancava il mio vecchio negli affari, o meglio, quando il poveraccio di turno doveva esser dissuaso a rivelare dove nascondeva la refurtiva.
Nirsch era un pazzo sanguigno, istintivo. Potevi entrare nelle sue grazie servendogli un calice di vino, o ti ritrovavi senza un braccio perché gli facevi perdere il filo del discorso.
In sostanza, nel periodo in cui nacqui io, lui era sparito per un po’, da quasi un anno.
Il mio primo vagito echeggiò a largo delle fredde acque dell’Atlantico, e quella stessa notte, durante i festeggiamenti, Nirsch si rifece vivo.
Giunse a nuoto barattando un passaggio da dei pescatori, che in tale occasione ebbero salva la pelle come ricompensa, e approdò sulla Old Rock con un fagotto pendente dalla spalla destra.
Quest’ultimo si rivelò un bambino.
“Considerato che ha tenuto duro durante tutta la nuotata, senza annegare, posso ritenerlo degno di essere mio figlio!” In caso contrario lo avrebbe affidato alle acque.
Con queste parole Nirsch battezzò il piccolo superstite Alexander Thomas Paxton.
Infatti il vero cognome di Jorvik non era Nirsch, ma Paxton.
Egli basò la sua terribile fama col nome di “Nirsch” per onorare il cannibale omonimo, killer seriale della Bavaria, vissuto quasi un secolo prima.
Per emulare quel diavolo, Nirsch soleva raccontare di aver preso parte personalmente alla venuta al mondo di suo figlio, estraendo il piccolo bastardo dal ventre della madre ancora incinta, e di averla così uccisa.
In realtà per quello che concerne la madre di Paxton non si sa niente di certo.
Nirsch parlò di una sacerdotessa greca, di un tempio sacro in cui fece razzie. Abusò di lei e quando seppe del bambino rimase nei paraggi, la tenne costantemente d’occhio affinché non si uccidesse.
Poi fui lui a sbarazzarsi di lei, e in seguito tornò sulle tracce di mio padre.
Quell’angelo di mia madre si prese immediatamente a cuore anche Alexander, senza indugio.
Come si dice? Siamo fratelli di latte.
Abbiamo mosso i primi passi tremolanti e giocato con le spade di legno sulla Old Rock, per dieci anni circa.
Fino a quando, qualche anno dopo, mia madre morì.”
La prima vera nota drammatica e di incertezza nella voce di Jack, in tutto il racconto.
“...E lei com’è morta?” domando timidamente, in un fiato appena percettibile.
“Per mano di mio padre -ammette infine, gonfio di rancore, parlando a fatica, come chi trascina un peso con sé- Accecato dalla gelosia.
Devi sapere che avevano due decadi di differenza”.
“Due decadi, non quattro secoli...” tento di sdrammatizzare per alleviare quel broncio. Ci riesco per poco.
“Come si chiamava?”
“Therese… Lei un fiore freschissimo, lui un uomo sfinito che si accingeva alla vecchiaia.
Viveva nella paura che gliela portassero via, invece si è spinto fino a distruggerla lui stesso.
E’ qualcosa per cui non avrà mai il mio perdono.
Se penso che si è sempre detto innocente...
Ma io ero lì, e l’ho visto.”
Pensare ad un Jack bambino che in qualche modo si ritrova ad essere spettatore di una scena del genere mi gela il sangue.
“Litigavano da un pezzo quella notte. Il mare ruggiva, le onde aggravavano la nausea, l’andamento della nave cavalcava invano quella furia...
Io mi trovavo oltre la parete, sballottato da parte a parte, non sapevo più se dal mare o dalle loro grida.
Poi sentii un tonfo, sordo.
Deciso a recuperare un po’ di spina dorsale, entrai.
Erano entrambi a terra, c’era quiete, circoscritta da un’estesa pozza di sangue sul pavimento. Nell’aria quel pizzichio di morte che ti irrita le narici.
Lui la stringeva ancora tra le braccia, tamponando con una mano quei lisci capelli chiari, macchiati dal nero e dal rosso del sangue.
Le aveva fatto un buco in testa con uno di quei ferri per il camino che scoppiettava incurante alle loro spalle.
Tra quelle fiamme vidi il destino di mio padre: perire all’inferno.
Piangeva contro il suo viso cianotico, mormorando qualcosa di incomprensibile, e quando vide me sulla porta urlò a non so chi di portarmi via.”
Tolgo la mano premuta sulla bocca per prendere fiato, e tentare di digerire quelle parole sconcertanti.
Il tono di Jack è colmo di astio, le sue nocche si fanno bianche intorno al manico del boccale.
Tutto ciò che riesco a concretizzare è farmi largo in quelle braccia impietrite e mormorare un “Oddio...” contro il suo petto.
Dopo un primo momento di tumulto, Jack allenta i muscoli e prende parte all’abbraccio.
“Da allora non ho più voluto avere a che fare con lui.
Fuggii e in quel totale smarrimento andai alla ricerca del saldo per quei dieci anni in cui mia madre offrì a qualcuno che non era suo figlio un’infanzia dignitosa.
A quel tempo Alexander era un cane sciolto, aveva ripudiato ogni tipo di insegnamento che non fosse correlato alla ribellione. Nirsch, dal canto suo, gli concedeva ogni tipo di libertà, a patto che stesse il più lontano possibile dalla sua vista.
Ci permettevamo qualunque tipo di vizio rientrasse nelle nostre tasche, facendo i ladruncoli.
Mio padre non mi insegnò mai nulla su come condurre una nave, ma mi temprò a difendermi e combattere. L’unica cosa su cui Nirsch affinò Paxton era uccidere.
Io per farmi ben volere dalle ricche signore da truffare usavo le buone maniere di mia madre, Alexander se non otteneva ciò che si era prefissato voleva veder scorrere il sangue.
Finalmente ero libero di non sottostare a nessun giudizio, sguardo severo, o nome altisonante da far rispettare. Ero un’esile ombra che sgattaiolava da una parte all’altra dell’arcipelago Caraibico, e in breve mi resi conto che quella era la parte migliore del gioco: immischiarsi nella stiva di qualche nave, sgraffignare un boccone dalle casse, lavorare a bordo una manciata di giorni (se avevi la fortuna di essere accettato) e poi passare al porto successivo.
In breve l’animo pirata prese il sopravvento su tutto il resto.
Era l’unica vera cosa che accomunava me e quel compare di vecchia data.
Dopo anni di vita grama avevamo un’ambizione: diventare capitani, e nessuno poteva obbiettare tale scelta.
Ci imbarcammo su una nave come semplici mozzi e trascorsero due anni, durante i quali non toccammo quasi mai terra. Ogni minuto a bordo era una fonte impagabile di insegnamento.
Alexander era sempre stato di salute cagionevole, una manciata di notti brave e la settimana seguente doveva passarla in branda, così quel nuovo stile di vita, seppur più rigoroso di quello appena lasciato, la peggiorò.
Per due anni l’occupazione principale della mia giornata fu quella di convincere il Capitano a non gettare quello scheletro tossicchiante in pasto ai pesce cani, tant’è vero che a persuasione non ho rivali.
Ma nel frattempo praticavo, imparavo, assimilavo quanto più mi era possibile, per fare di quel mestiere la mia ragion d’essere.
Sulla Old Rock non mi era mai stato permesso avvicinarmi, osservare o toccare niente. Avevo unicamente accesso alle carte nautiche e il diario di bordo.
Tutta roba inutile pensai sempre, ma infine capii.
Il mio vecchio fece in modo di sottrarmi da quel mondo perché sapeva che avendomelo imposto l’avrei di certo ripudiato. Invece ogni cosa proibita era oro per me, così finii per essere quello che sono.
In quel breve lasso di tempo trascorso a bordo divenni nostromo. Paxton non aveva sufficiente prestanza fisica per sopportare un attacco, però peccava di astuzia. Sapeva usare le armi altrui a suo vantaggio, e per la profonda depravazione del suo animo raggiunse infine il grado di sottufficiale.
Al di sotto di me vi erano lui e un secondo sottufficiale, un altro folle portoghese: Hector Barbossa.
Durante una lunga traversata nell’Oceano Indiano, con rotta a Singapore, incappammo in una burrasca, residuo di qualche disastro atmosferico su quelle stesse coste.
Il nostro capitano di allora contrasse una forma preoccupante di scorbuto, lui è il suo primo ufficiale avevano riportato delle ustioni gravi durante uno scontro, e lo scorbuto peggiorò considerevolmente la situazione.
La ciurma e la nave erano momentaneamente affidate a noi tre sottufficiali.
Le minacce di Paxton ebbero scarso effetto sugli uomini in quel caso, sicché lui si arrese presto. Hector badava alle vele, benché ridotte a brandelli, ed io al timone.
Ero letteralmente aggrappato a quel timone.
Per non rischiare di finire in mare e lasciare la nave in balia della furia, volta a ridurla in pezzi, mi legai entrambi i polsi con dei nodi strettissimi al timone, e continuai a scalfire la tempesta, fino allo stremo delle forze.
La mattina seguente chi sopravvisse mi ritrovò svenuto, ancora congiunto a quel pezzo di legno, con le corde che mi avevano rosicchiato fino all’osso.”
Approfittando di una breve pausa, fa mostra di uno dei due polsi, fasciato da un lembo di stoffa.
Scosto il volto dalla sua clavicola per vedere meglio.
Quando snoda il tessuto scopre una serie circolare di profonde cicatrici che delineano la mano, rimarginate, guarite, ma ancora chiare e di diversa profondità lungo tutta l’articolazione.
“Accidenti...-dico passandoci sopra delicatamente, solo con i polpastrelli- Anche tu a pazzia non scherzi!”.
“Beh, ma n’è valsa la pena. Ho avuto la Perla!” rilancia, animandosi.
“La nave di cui mi hai parlato fin ora era la Perla Nera?” sbotto sbalordita.
“Aye...” conferma con un sorrisetto sbilenco, e le iridi petrolio colme dell’emozione di quel ricordo.
“Da allora è stata mia.
Il primo ufficiale non superò quella terribile notte, e il Capitano arrivò a malapena a Singapore, dove riuscirono a curarlo con delle erbe medicinali del posto, ma non si riprese mai del tutto.
Fortunatamente non ero morto, e quando il Capitano seppe di come avevo riportato la Perla su rotte tranquille, disse che da lì in poi il comando sarebbe passato a me.
Hector divenne il mio primo ufficiale, e Paxton rifiutò la carica di nostromo.
Avrebbe acconsentito solo di esserne lui stesso il Capitano.
Ci dividemmo una prima volta a Singapore, affermò di voler prendere una strada sua, totalmente diversa. In realtà era sull’orlo dell’abisso.
Io ero troppo infervorato dalla mia più grande conquista per comprenderlo.
La Perla Nera era la nave che avevo sempre desiderato, e confidavo che da parte sua superasse presto l’invidia del momento. Così non fu.
Non seppi più niente di lui per anni, e quando si fece vivo di nuovo stentavo a riconoscere la sua persona.
Aveva sempre avuto l’aria di chi, presto o tardi se ne sarebbe andato all’altro mondo con una polmonite un po’ più violenta del consueto, invece negli anni maturò una strategia per cui un fisico resistente o la capacità di pianificare tattiche belliche non sarebbero serviti granché.
Si auto-inflisse una maledizione.
Come se nel suo caso ce ne fosse stato ulteriore bisogno...
Entrò in possesso di un diamante, una sorta di pietra sciamanica che racchiude in sé un potere: chiunque la fissi per più di una manciata di secondi può scorgervi all’interno la sua paura più grande, e morirne di conseguenza.
Ma non sarebbe Paxton senza un gesto estremo.
Infatti lui di questa pietra non vi fece un pendaglio, ma un occhio.
Si privò del suo occhio sinistro, strappandolo via dall’orbita, e vi ripose quel sasso infernale.”
“Come il cadavere che abbiamo rinvenuto a bordo ieri, è così?”
Ora mi è più chiara la nube di preoccupazione che avvolgeva Jack in quella circostanza, è questo che temeva.
“Cela il tutto dietro una maschera che gli ricopre solo la metà sinistra del viso.
L’ha fatto per vendicarsi di tutte le umiliazioni subite nell’arco di una vita, quando i suoi limiti fisici gli hanno sempre impedito di essere all’altezza.
Ma, com’era prevedibile, è andato degenerando.
Per non essere da meno a quella bestia di Nirsch, regola questo potente espediente con la sua tempra altalenante.
Non so dire se sia il diamante a controllare lui, o il contrario.
E risultato è simile a quello sul volto dell’uomo che la scorsa mattina abbiamo restituito al mare.
Oltretutto lui adesso ha una nave. Non è la Perla Nera com’era suo desiderio, ma è un rapido vascello inglese che ha battezzato ‘Diamond’.
La chiamano Il vascello fantasma.
Non so come, ma quella nave è più diabolica di lui. Precisamente è invisibile alla luce del sole. Dicono navighi solo di notte, quando è più difficile essere localizzati...”
“Una cosa ancora non mi è chiara: come ha fatto a diventare una minaccia?” domando incerta.
Devo aver centrato il punto, perché Jack distoglie lo sguardo dall’orizzonte e corruga il viso mimando un atteggiamento tra il dispiaciuto e lo sornione.
“L’ultima volta che l’hai visto non vi siete lasciati in buoni rapporti, vero?” deduco con una intonazione inquieta.
Lui annuisce strabuzzando gli occhi.
“Vedi… E’ stato Paxton a parlarmi di Hyubtat-le, di Untitled.
Il frammento della mappa con il veliero a vele spiegate apparteneva a lui, gliel’ho sottratto a Tortuga.”
“Mi hai detto di averlo trovato per caso in un cappello!” protesto, inizialmente non era così la sua versione dei fatti.
“…A Tortuga, in un cappello, che per caso apparteneva ad Alexander Thomas Paxton!”precisa puntiglioso, alzando un indice come ammonimento.
Io rido esasperata, il Capitano invece si fa molto serio.
“Nascose i quattro frammenti della mappa in altrettanti oggetti diversi, e io ne rintracciai uno in quel copricapo. Sono certo sia lui quel tale, consumato di vendetta, che mi condurrà a morte certa!”sentenzia greve.
“Ma ciò non succederà!” incalzo fiduciosa, in uno spiro di voce, disegnando con una carezza il contorno dei suoi zigomi. “Quel Paxton non sa che abbiamo un’arma segreta…” proseguo trionfante. Jack solleva un sopracciglio che scompare nelle pieghe della bandana.
“Ovviamente parlo di cappuccetto grigio e del cuoco semi-dio!”paleso sarcastica, caricando le mie parole di enfasi, come uno di quei proprietari del circo quando propone le sue attrazioni migliori.
La risata sommessa di Jack riecheggia nella stanza rimbalzando dalle pareti circolari del calice.
“…E poi, non dimentichiamo che Capitan Jack Sparrow sa sempre come cavarsela in queste situazioni!”mi asseconda, enfio di sicurezza ritrovata, scontrando il suo calice di tè con il mio, in una sorta di buffo brindisi dedicato alla speranza.
*
Ri-Nota della Capitana:
Salve, se siete giunti a leggere fino a qui avete vinto un premio!
Ci siete cascati eh? :P
Allora, come avete potuto vedere questo chap era un excursus dell’infanzia di Jack, la storia della sua famiglia e questo particolare non-fratello di cui avevamo già sentito parlare nello scorso chap.
Sono convinta che Paul non gli somigliasse per niente caratterialmente, anzi, fatico a trovare foto dove sembra “cattivo”, però ha degli occhi che, non so come, hanno delle affinità con Jack e quel suo sguardo che ti “guarda dentro” mi piace da impazzire, quindi mi son convinta a tenerlo.
So che in questa sezione ultimamente ci son molte storie che parlano di Teague/Jack, io volevo specificare che ho inventato tutto di sana pianta, nome della nave di Cap. Teague compresa, non ho preso informazioni da nessuna fonte ufficiale degli sceneggiatori del film e simili.
Spero che la mia versione dei fatti vi incuriosisca, qui son riuscita solo a dare una infarinatura. Ditemi quindi se vi interessa o meno J
Io, nel caso, ho in mente per filo e per segno certi momenti che potrei approfondire tra Therese e Teague, ve la butto lì così ;)
Aspetto di sapere cosa ne pensate e ringrazio sempre chi segue, legge, commenta, dice la sua, insulta XD questa fic. Vi adoro :*
Ultima cosa poi me ne vado, tranquilli: vi anticipo che a brevissimo continuerò la mia raccolta di one shot How to train your creativity *FF interattiva*
Con la commissione di Selene6 J
I miei ossequi manigoldi.
Cap_Kela
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Capitolo 18 *** Choice ***
Ringraziamenti:
Alla mia guerriera _Celia_, perché per me è un modello e più una cosa è difficile, meno la spaventa :)
Molto molto più avanti, quando introdurrò un nuovo personaggio, penserò a come fargli raccontare di Therese e Teague ^^
Satana1 per il suo entusiasmo :D
Alla mia Ciccipucci SymboliqueVain, per l’incredibile pazienza e il tifo da stadio per i miei Patrick e Andrè *.*
E per finire ringrazio e dedico questo capitolo a DoubleSkin, che non so proprio come abbia fatto, ma si è letta Untitled e Untitled Without End con record da olimpiade o.o Grazie!
Io torno a rompere i barili a fine capitolo :P
Buona Lettura!
Capitolo 18
Choice
Se di mattina, sul presto, il Capitano ti convoca per un colloquio privato, è da considerarsi un buono o cattivo segno?
Tutto è iniziato con un “Tu” secco ed echeggiante sul ponte di comando. Patrick si trovava lì, da tutta la notte a dire il vero, trascorsa vigile.
Alterna almeno tre notti bianche ad una in cui invece sente il bisogno mortale di dormire come un sasso. Quella appena sfumata non era una di queste.
Distratto dall’orizzonte, incontra l’indice a uncino di Jack, che gli intima ritmicamente di avvicinarsi.
“Qualora ti capitasse di imbatterti nella tua amica col volto coperto... Dille che è attesa nella mia cabina.”
Detto fatto, prima che l’ordine sfuggisse allo smemorato semidio, due colpi di nocche incontrano l’unica porta chiusa del corridoio delle cabine.
Dopo un sommesso invito ad entrare, dall’uscio fa il suo ingresso Scilla.
“Dunque è efficiente, il ragazzo!” deduce Jack sul nuovo acquisto della ciurma.
Il Capitano è alla caotica scrivania di comando, le caviglie poggiate alla superficie di legno, il pungo chiuso contro lo zigomo e due dita lungo le labbra.
“Come tramite funziona, sì!” conferma lei, chiudendosi la porta alle spalle.
Mentre l’ospite avanza, Jack si solleva dal gomito puntato sul tavolo, ma ignora la compostezza, e una gamba finisce a penzoloni, sporgendo dal bracciolo della poltrona.
“A cosa devo la sua chiamata, Capitano?” domanda con una nota sarcastica. Probabilmente poche ore prima ha già vissuto inconsciamente quella futura conversazione.
Jack le fa segno di accomodarsi, indicando una seggiola che ha preparato al suo fianco, insieme a due bicchieri vuoti e una panciuta bottiglia di cristallo, scrigno di un prezioso distillato di melassa ramata.
Lei si siede con naturale eleganza, e nel farlo la veste rubino che l’avvolge come un guanto rivela una sorpresa. Sui lati della gonna, infatti, due vistosi spacchi lasciano ben poco all’immaginazione, riguardo le gambe che incorniciano.
Il buio negli occhi del Capitano ricade proprio lì, ma si sofferma poco sulla sensualità suggerita da quegli arti, perché lo colpisce altro: una sorta di motivo tatuato di blu sulla pelle della donna. E’ simile a un ricamo, ma allo stesso tempo pare spaccare la pelle intorno a sé, e deturpa un poco le carni con profonde cicatrici, anche sovrapposte.
“E’ per qualche insolita credenza religiosa che porti il cappuccio?” dice rivolgendosi ad un punto indefinito di quel volto celato.
“Posso toglierlo, se volete” afferma abbassando sulle spalle quel lembo di stoffa che le arriva fino al naso. Nel farlo, il Capitano nota che il tatuaggio blu si estende anche sulle braccia.
Dal cappuccio grigio appaiono un paio di zigomi ben marcati, messi in risalto da una treccia che raccoglie tutti i capelli all’indietro, sulla nuca, lasciando libero respiro alla fronte.
Le immancabili labbra rosse colorano l’ovale regolare del viso, ma tutto il resto non è dato vederlo. Questo perché una spessa maschera di pizzo nero la copre dalle sopracciglia alla punta del naso affilato.
Il Capitano reprime il suo disappunto.
“Di questa però non posso provarmi -attesta lei riferita alla maschera- La mia religione non me lo consente!” scherza sottovoce.
Non riesce a vederle gli occhi, si mimetizzano col pizzo, forse sono neri anche loro.
Più questa donna si rivela più tende a confonderti.
“Sai già di sapere perché so, e ho ragione di supporre, che l’hai sognato... -esordisce stappando la bottiglia di rhum- Ebbene, sentiamo come hai conosciuto il mio non-fratellino.” sorride a denti serrati, scavando in quei occhi foderati di pizzo.
Scilla unisce le mani e indirizza uno sguardo assorto altrove.
“E’ successo otto anni fa, ma secondo il tempo corrente son trascorsi solo pochi mesi.
Paxton si è portato via l’uomo che amavo, e poco dopo a voi è toccato lo stesso. Io ero presente in entrambi i casi, ma fin ora non vi ho detto quale destino è toccato al resto della ciurma, dopo che avete lasciato questo mondo...”
Jack serra la mascella, facendo vibrare le treccine che l’adornano: “Con il resto della ciurma intendi...”
“Intendo anche Jennyfer, signore.” lo precede.
Un groppo alla gola.
Tutta l’aria che cerco di ingoiare pare invece soffocarmi.
Brancolo nel buio, finché le mie mani imploranti, allungate in avanti, incontrano una pesante stoffa, al momento il mio unico sollievo.
Con le ultime briciole d’aria rimaste nei polmoni, mormoro infine: “...Patrick? Sei qui?”
Scosto la spessa tenda che, insieme ad un piccolo anticamera, divide la cucina dalla dispensa. Ho sentito dei rumori, suppongo che il semidio si sia rintanato qui.
“André di là sta sbollentando una verdura che fa un lezzo tremendo, non riuscivo più a respirare!” dico inspirando sollevata.
Entrando nella stanza sorprendo il biondino dinanzi uno scaffale ricolmo di qualcosa che, se è sempre stato lì, non avevo mai notato.
Si tratta di una sorta di mobiletto che contiene file ordinate di fialette in vetro, le quali racchiudono una sostanza labile e vaporosa, di un vermiglio acceso, quasi magenta.
Lui vedendomi pare allarmato, in un istante nasconde alla mia vista l’oggetto del suo interesse, e si affretta a sbarrare le ante del mobiletto.
Prima che possa aprir bocca per domandare spiegazioni, lo vedo volgere verso di me, e infilarmi le dita nodose nei capelli, appena sopra il mio orecchio.
Una leggera pressione col pollice e infine domanda con un sorriso vittorioso: “Qual è l’ultima cosa che ricordi?”
“Uhm... Io mezza soffocata dagli esperimenti culinari di André, perchè? Tu invece cosa fai con queste zampacce?” replico stranita.
Lui schiocca un bacio sulla mia fronte corrugata dal sospetto, e va verso gli scaffali preesistenti esultando.
“Sto diventando bravo!” intona a mo di cantilena. Non saprò mai che si riferisce al ricordo visivo che mi ha appena cancellato.
Meglio non perseverare chiedendo spiegazioni, ho già appurato che è matto.
“Dì un po’, ma fintanto che non è qui, Scilla dove si trova?” esibisco una piccola curiosità personale, raggiungendolo.
“Dove, dici? Beh, ma a Faimounth, con mia madre. A otto anni da qui.”
Certo, non ad un determinato numero di miglia, bensì anni.
Quello di venire da un tempo che deve ancora accadere è l’unico nostro punto in comune.
“Lei ha già vissuto otto anni nel futuro da adesso, ma ha memoria solo del perché si trova qui ora, nient’altro.
Ad essere precisi sono dieci anni, perché tra il 2009 e il 2011 era a New York con me, ma qui il tempo è rimasto invariato.” spiega con entusiasmo.
“E’ lì che abbiamo conosciuto tuo fratello, nonché custode della mappa, Dylan. Da allora siamo ottimi amici!” aggiunge infine con affetto.
“Inizialmente non ho collegato il fatto che nessuno abbia rivendicato il vostro corpo esanime a quella grande esplosione in mare, ma dopo che ho appurato fosse la vostra nave...
Paxton fece infiltrare a bordo il suo esperto asiatico di esplosivi. Abbinando una bordata alla dinamite, della Black Pearl non rimase che un pugno di schegge.”
Mentre lei racconta, Jack fissa il tavolo caotico dinanzi a se, con il bordo circolare del bicchiere poggiato alle labbra, pronto ad essere svuotato, e gli occhi sbarrati in una direzione indefinita.
Poi, trascorsa una breve pausa, si illumina sospettoso: “Come sai che lui a bordo ha una figura del genere?”
E qui pare toccare un punto dolente, perché Scilla si stringe nelle spalle e abbassa il mento: “Perché ho preso parte alla ciurma della Diamond, Capitano.”
La cosa non sembra allietare Capitan Sparrow.
“L’ho fatto per scavare più a fondo in questa storia, per capire se eravate collegato in qualche modo alla vicenda che mi riguarda. Vi ho visto morire, ma non sapevo quasi niente di voi...”
“Alexander lo si può definire in molti modi, ma non estroverso. In particolare per quanto riguarda me!” sentenzia Jack prendendo le distanze.
“Lo è in luoghi in cui non lo conoscete, tra le lenzuola per esempio...” allude in tono piatto, senza impersonare alcuna emozione.
“Ma tu guarda! Com’è gentile la sua amante a preoccuparsi per me...” commenta ironico, allargando le braccia in un gesto plateale.
“L’ho fatto per avere le informazioni che mi servivano. Non vi è stato alcun coinvolgimento sentimentale.” Replica seria, in cadenza ferma.
“Non è d’aiuto a riporre la mia fiducia in te -contesta lui scuotendo la testa divertito- Perché mai dovrei dar credito alle tue parole?”
“Perché lo voglio morto quanto voi!” sentenzia, enfatizzando il tono alto con un pugno sul tavolo.
“Non voglio che quello successo a me si ripeta con voi, o altri…”
Il Capitano non è affatto intimidito, ha smesso di guardarla, e riflette in silenzio, annuendo, con un sorriso sghembo in viso.
Dopo una lunga pausa, riprende: “Perché… Io? Perché, come si conviene alla logica, non hai presupposto di riavere indietro il tuo benamato chissà chi?”
“Hai mai commesso una pazzia per amore… Patrick?”
Dopo la sua affermazione sul mio fratellino vorrei fargli mille domande.
Dov’è? Come sta? Quanto è cresciuto? Qualsiasi futile particolare mi rallegrerebbe.
O forse al contrario aggrava la mia nostalgia.
Allora per ora sorvolo. Per ora.
Mi sono sistemata su una grossa cassa. Lui mi dà le spalle e fruga smovendo delle bottiglie, il cui vetro fa un irritante tintinnio sotto il suo tocco indelicato.
Alla mia domanda si ferma, pare rifletterci. Poi minimizza, sempre concentrato nella sua ricerca:
“Ha importanza?”
“Shakespeare diceva…- esordisco- Ha appena detto –mi correggo- Se tu non ricordi la più piccola follia a cui ti ha condotto l'amore, tu non hai amato! ”.
Lui, dinanzi lo scaffale, sospira contrariato.
“Non lo so, Jen. E’ qualcosa di ancora più oscuro di ciò che non riesco a ricordare –dice portando le mani attorno alla sottile cintola- E sono il Dio della Memoria, per Giove!” conclude buttando le braccia al cielo, esasperato.
“Non ho un granché di positivo da raccontare in questo campo. –ammette facendo spallucce- Però, fammi pensare… Accompagnarla in capo al mondo attraverso le varie epoche è abbastanza pazzo?”domanda fingendosi dubbioso.
“Se tu ci tieni così tanto a lei… Cos’è che non va?”
E’ questo l’alone di mistero di cui sono avvolti quei due.
Salto giù dalla cassa alla volta di lui.
“Perché non vi ricostruite una nuova vita insieme?” propongo fiduciosa, aggrappandomi al suo braccio, appena scolpito dalla luce che filtra dalle paratie.
“Non posso” sussurra. Le sue labbra di profilo sorridono, ma senza mostrare diletto.
“Come no! Che Dio è colui che ha la sua felicità a portata di mano e teme di afferrarla! –tento allora di provocarlo con uno strattone- Non colgo proprio dove sta il problema.” insisto ostinata.
Patrick continua a fingersi indaffarato, e non mi guarda. Appare molto combattuto, ma non si ritrae.
“Il problema è… Che lei muore.”un fiato liberatorio, un poco sentito e sofferto. Scandito in modo serio, indirizzato in linea diretta dai suoi occhi fermi ai miei.
“Beh, mi pare ovvio. Tu sei immortale, vivrai per sempre… E’ matematico che lei…”
“Non intendo per la successione naturale degli eventi, Jennyfer! -mi contesta con rimprovero- Alla fine di questa storia, lei muore.” sottolinea greve.
Non vi è più alcuno spazio per scherzi o congetture. La certezza del suo tono mi conferma che il tempo del gaudio è finito.
“Scambierà la sua vita con quella di Jack? Un’anima strappata alla morte in cambio di un sacrificio, è così che funziona?” lo interrogo impensierita.
“Niente di tutto questo. – assicura il semidio- Avrai sicuramente notato uno strano segno particolare in lei…” Parecchi a dirla a tutta.
“Una sorta di ghirigoro sottopelle che le percorre tutto il corpo…
Non è henné, tantomeno un tatuaggio.
Dopo che Hayez Nick le ha sottratto la mappa, ha intrapreso dei viaggi nel tempo con me anche senza di essa.
Poco male fin qui, uno degli effetti collaterali è la perdita di memoria, ma… Hey! A quello ci penso io!” spiega ammiccante, spalancando le braccia, con entusiasmo ritrovato.
“Personalmente ho dei piccoli limiti nello spostamento spazio-temporale, ad esempio non posso visitare un’epoca precedente alla mia data di nascita, ma per il resto via libera.
Sta di fatto che, in ogni caso, un fisico mortale non è adatto a sopportare certi sconvolgimenti, quindi Scilla ha dovuto ricorre ad un metodo drastico.
Sarai felice di sapere che l’unico a cui non spetta tale crudeltà è solo il custode di Untitled…”allude bisbigliandomi quest’ultima frase all’orecchio.
“Quel cancro blu che le scorre sottopelle è… Un antidoto.
Impedisce al suo corpo di sgretolarsi mentre sosta tra le varie ere, ma allo stesso modo, l’avvelena profondamente, e… Quando raggiungerà gli organi vitali… Insomma, non sappiamo come impedirlo!” si confonde infine con una nota di ansia e disperazione.
Parla al plurale riferendosi anche a sua madre Sogno, suppongo.
“Per anni abbiamo ricercato una soluzione, tenendolo solo come ultima spiaggia, ma infine si è rivelata l’unica possibile.” Enuncia sconfitto.
“Tempo fa dicesti, se non erro, che per te non vi era più alcuna speranza. Ne convieni?” Rilancia il Capitano per esortarla al dialogo, dato che dall’ultimo quesito pare restia ad esprimersi.
Scilla, inaspettatamente, dilegua ogni tensione per abbandonarsi ad un sorriso.
Mantiene lo sguardo rivolto in basso, ma sembra serena.
“Questo doveva essere un esperimento… Mi riferisco al salvarvi la vita. Se avesse funzionato con voi avrei fatto lo stesso col mio uomo, ovvero secondo logica.
Ma… In seguito… Ho scoperto di non averne il tempo.
E voi siete destinato a cose molto più grandi.
Salvarvi, Capitano, significa sradicare un infido male dal mondo… Meglio conosciuto come il mio amato Paxton. –scandisce canzonatoria- Sarebbe solo uno dei tanti, lo so. Ma per me è sufficiente.
Saprei di aver vissuto per qualcosa che io ritengo giusto!
Tornare indietro per riavere l’uomo che ho amato, invece, avrebbe cambiato la vita solo a me.”
Per la prima volta riesce a vederla senza maschera.
Senza gentilezza di convenzione, senza misteri o chiacchiericci civettuoli.
Si rivolge a lui col cuore in mano, e questa volta lo percepisce, e ne è allo stesso tempo turbato.
Sente il peso di una responsabilità che in altre circostanze avrebbe schivato alla pari di un morbo contagioso.
“Qualunque altra parola ora sarebbe superflua, eccetto: Non fatemi pentire della mia scelta.” Lo esorta severa.
Il Capitano della Black Pearl elabora un pensiero, straluna gli occhi, e infine obietta: “E’ con rammarico che devo deluderti, ma io non uccido su commissione. Non è il mio mestiere!”si scagiona, tirandosi indietro.
Scilla pare prendere bene l’affronto. Lo fissa intensamente attraverso il pizzo nero, senza perdere la sua risolutezza.
“Se la vostra alternativa migliore è ridurvi a brandelli, saltando in aria sopra un candelotto di dinamite, fate pure!” dice con freddezza chirurgica, facendo per andarsene.
“Ad essere precisi, mi sfuggono le suddette serie motivazioni per cui Alexander dovrebbe essere tanto avverso nei miei riguardi.” Replica pacato, seguendola con lo sguardo mentre torna alla porta.
Scilla si volta a rallentatore per guardarlo, come si fissa un folle.
“Il vostro titolo di Pirata Nobile, il vascello dalle vele nere su cui stiamo navigando… La mappa! –sottolinea con enfasi per ingigantire quest’ultima parola- Untitled non funziona in modo casuale. Lo sapete come i fratelli Allyson si sono ritrovati qui? Perché era il luogo e tempo che Dylan desiderava di più.
Paxton l’avrebbe usata a fini spregevoli, eppure, ancora una volta, il suo non-fratellino gli ha sottratto l’ennesima chance.
Diffidate ancora?
Posso assicurarvi che il cadavere di quel marinaio dall’orbita cava è solo l’inizio.” Conclude solenne, aggrappandosi alla maniglia della porta.
“In fatto di decretare avvisaglie ti ha ben istruita…” borbotta lui contrariato, senza farsi udire.
La donna emette un verso interrogativo, dedicandogli un ultimo istante di attenzione.
“…In cosa consiste il tuo piano?”biascica svogliato, con una punta di resa.
Troverà in seguito il tempo di pentirsene.
D’altronde questa faccenda non riguarda solo la sua pellaccia dura, ma anche i suoi uomini, e quella adorabile fanciulla polemica che si addormenta ogni sera nel lato mancino del letto.
Maschera di Pizzo reprime l’esultanza, e torna a riaccomodarsi con ardore.
“Voi saprete meglio di me, Capitano, che quel maledetto occhio è il suo asso nella manica.
Ma se io vi dicessi che il diamante è allo stesso tempo il suo punto debole?
Quel corpo estraneo in realtà gli causa una scarica di dolore costante.
Lui si regge in piedi con etere e antidolorifici, ma questi lo devastano nel fisico e nella ragione.
Rimane tuttavia un ostacolo da soppiantare, e a questo ho la soluzione.
Se l’affrontaste com’è ora, perireste sotto il suo potere.
Ma se ovviaste all’influenza di quell’occhio…
Paxton rimane sempre solo un uomo!”.
Si è recato dal suo Capitano di buon ora, da fedele non-Primo Ufficiale, per dei chiarimenti sulla rotta odierna e qualche dettaglio in più sulla gestione degli uomini, ma infine ha scelto di trattenersi sulla porta.
Jimmy stava per bussare ed annunciarsi, ma gli sprazzi di conversazione da lui colti l’hanno ridotto alla pari di una pettegola di porto.
Per non farsi cogliere sul fatto, si è introdotto nella stanza confinante, e fa affidamento su ogni dettaglio che riesce a ghermire dalla Cabina del Capitano.
Quest’ultimo e la misteriosa ospite discorrono a pochi metri, al di là della parete, e al momento pare essersi infervorato per le parole di lei.
“Vorresti persuadermi a credere che è così ovvia questa faccenda?” ode pronunciare dalle labbra del suo Comandante, con aria incredula.
L’altra voce ha tratti di donna, ma non è Jennyfer. Ne ha la certezza perché ha visto la giovane altrove.
Dev’essere quella strana creatura che a bordo appare e scompare negli ultimi tempi.
Alcuni uomini ne han timore, la credono uno spirito del mare e delineano le distanze.
Come sole dire il vecchio *Albatros: “Donna, fuoco e mare fanno l'uomo pericolare.” E forse non c’è proprio bisogno di altri malauguri su questa chiglia.
“Non afferro e non condivido la necessità di coinvolgere Hector!” tuona Jack nell’altra stanza.
Jimmy si assottiglia contro la parete, facendovi aderire un orecchio, ma tutto ciò che filtra attraverso le travi è una intimazione del Capitano, più simile ad un: “Ci rifletterò su. Sciò!”.
“Uhm, fammi pensare…
L’ultimo film che hai visto al cinema?”
Mi tocco il mento con l’indice, un gesto involontario dettato dalla riflessione, e nel contempo faccio un tuffo nei ricordi.
“Forse era… Ah si, Shrek!” replico entusiasta.
Archiviata la parentesi tragica su Scilla, ho sviato la conversazione sugli svaghi che, a detta sua, ci accomunano. Considerato che Patrick ha assaporato una briciola di giorni nostri.
“Dylan ha piagnucolato per mesi affinché lo portassi a vederlo, poi durante lo spettacolo ha scatenato la guerra dei pop corn. Volavano ovunque, tra la gente, nei miei capelli… Quella peste!”rammento divertita.
“Il primo Shrek?” domanda il semidio.
“Primo, ce ne sono altri?”
“Ah-ha! Io li ho visti tutti e quattro!” cantilena come un vanto.
“Devi assolutamente dirmi cosa combinano negli altri film!!!”
Lo farebbe se la sua attenzione non venisse all’istante rapita da una ragnatela di pizzo calata su uno sguardo enigmatico.
Quelle labbra vermiglie si materializzano al suo fianco, sfiorandogli il polso divino inabissato nello scaffale.
“…Hey!”sospira sognante, volgendo ogni fibra del suo essere verso quella creatura misteriosa.
“Posso rubartelo?” Scilla si rivolge a me con uno spiro cortese.
Io annuisco indietreggiando, facendomi piccola per la soggezione.
Per un attimo non l’ho riconosciuta senza cappuccio, ma anche così non lascia trapelare granché di se.
Prima che possa andarmene, Patrick, senza mai smettere di guardarla, richiama la mia attenzione, porgendomi una bottiglia per cui rovista nella dispensa fin dal mio arrivo.
“Che cos’è?” dico incuriosita.
“Aceto, per soffocare il lezzo nauseabondo. Spruzzane in cucina come se piovesse!” mi ragguaglia.
Ed è lì, soffermandomi un altro istante, che vedo materializzarsi il significato delle parole di Patrick.
Scilla è dinanzi a lui, con la sua figura un po’ austera, ma sciolta nell’atmosfera di confidenza che da anni coltiva con il semidio.
Lui le sfiora appena le braccia nude, ridisegnando con i polpastrelli il ricamo blu, quel tanto che riesce ad avvicinarla.
Tutto ciò che vi è da leggere in questa scena è scritto nello sguardo limpido di lui.
Potrebbe capitare nel bel mezzo della tempesta del secolo, ma lui non vedrebbe nulla al di là di quel volto delineato dal merletto.
Finge di ascoltarla con un sorriso marcato, e nel contempo le iridi navigano sull’onda dell’immaginazione.
Suppongo che ogni donna, dal momento in cui incappa per la prima volta nell’amore, esprime il tacito desiderio di essere guardata così. Eppure, con tutta probabilità, Scilla non lo vuole nemmeno.
Note:
*Se siete curiosi di sapere e capire meglio chi diavolo è tale “Albatros” date un’occhiata qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2384961
Devo farmi un po’ di pubblicità occulta, suvvia!
Questo capitolo 18 inizialmente aveva mille titoli diversi, ma alla fine mi sono focalizzata su un’unica parola significativa.
E’ la prima volta che sperimento questo fatto di scrivere più scene in contemporanea, spero di aver reso la lettura più interessante e dinamica.
Volevo farvi conoscere meglio i due piccioncini *ehm* personaggi che da qualche tempo han preso parte alla ciurma, ma di cui si sapeva gran poco.
Spero, nonostante tutto, di riuscire a continuare ad appassionarvi :)
Per ogni tipo di suggerimento e opinione scrivetemi una recensione qui sotto, io son sempre disponibile anche nel mio account autrice.
Grazie per aver navigato in queste acque, buona continuazione!
Ossequi.
Cap_Kela
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