UNTITLED Without End

di Cap_Kela
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il mio inizio sei tu. ***
Capitolo 2: *** Una piccola bugia. ***
Capitolo 3: *** Festa grande. ***
Capitolo 4: *** Here I am... ***
Capitolo 5: *** Better days. ***
Capitolo 6: *** Ferita dell'animo. ***
Capitolo 7: *** Wayfarers. ***
Capitolo 8: *** Epiphany. ***
Capitolo 9: *** Illusion. ***
Capitolo 10: *** I don’t wanna miss a thing ***
Capitolo 11: *** Misery non deve morire. ***
Capitolo 12: *** Sweet Nightmare. ***
Capitolo 13: *** Il novellino. ***
Capitolo 14: *** Brando ***
Capitolo 15: *** Dead Men Tell no Tales ***
Capitolo 16: *** Occhio Malocchio ***
Capitolo 17: *** Unbrothers ***
Capitolo 18: *** Choice ***



Capitolo 1
*** Il mio inizio sei tu. ***


chap1 Nota delle autrici:

Salve a tutti, un caloroso saluto dalla Capitana e il Capo!! =D
Torniamo qui oggi come tante volte promesso con UNTITLED- With out End, il seguito della nostra prima ff Untitled.
Vi abbiamo lasciati il 24 Aprile di quest’anno con la conclusione di questa vicenda che con Untitled in realtà è solo iniziata, c’è molto più ma molto più assai (alla Jack XD) da raccontare!! ^^
Quel giorno è stato come aver compiuto un piccolo miracolo, piccolo piccolo ma pur sempre un miracolo! =)
I primi tempi era stato difficile mandarla avanti questa storia e riuscire a portarla avanti fino alla fine, mettere quel sospirato “the end” dopo che è finito tutto è stata davvero una gioia immensa!!
Ringraziamo di cuore: Laura Sparrow, Haput, la mia tigrotta-Picci-Moschettiera-Capa-Lu-Luana XD, Mikiminu, Rinoa, Evan88, Salsero, Frulli =D, Giugi, Mascia, la mia Fra-France-Pazzerella-Johnnyjack XDXD, la nostra fuggitiva purtroppo alla fine sempre scoperta =( Katy[sorpresina x te nel prologo ;)]-Schumi95, Jiùjiù Giulia =D, Chihiro, Alezka, LauraJoe, Glo88, micia, daphne greengrass, Anduin, Hilly89, Liegibastoliegi, pelo ponneso, SimmyLu, la nostra Lucrezia bambigi =D, Love Jack Sparrow e infine Perla per aver detto la vostra e averla apprezzata e non! ^^
Lascio qui un ringraziamento anche alla mia regista personale Vale per aver realizzato un video su Unty che mi ha portato fino alle lacrime. Tim… sei licenziato, basta! Fattene una ragione!!! XD Grasie!!! =’)
E allora rieccoci qui per vostra fortuna o sfortuna! :P
Non vogliamo anticiparvi nulla, ne parleremo man mano se ne avrete voglia ;)
Vi posso solo dire che inizialmente vi imbatterete in un prologo, dove al contrario di quasi tutto il resto della storia, il narratore non è Jennyfer ma qualcun altro!
Starà a voi identificare questo individuo, anche se in una parte è detto esplicitamente di chi si tratta.
C’è anche un piccolo riferimento a un fatto di Potc3 ma ormai non lo chiamo più spolier, in ogni caso sapete che c’è ;)
Nel primo capitolo abbiamo esteso un riepilogo che narra parte dei fatti più importanti che sono accaduti in Untitled1 (che noi chiamiamo amorevolmente Unty) e ci sarà la presentazione di un nuovo personaggio!
Questo soggetto esisteva già in Unty1 ma non ne abbiamo mai parlato, qui avrete largo modo di conoscerlo!! =D
La fine del capitolo potrà sembrare una song-fic perché ho inserito una strofa di una canzone del duetto Tosca-Fiorello “il mio inizio sei tu”, ma sarà l’unica canzone della fic, come una colonna sonora ;)
Ho trovato strano che nessuno ci abbia mai chiesto come stranamente all’inizio d Unty1 Jenny sapeva fare a malapena una banana splint e nel concludersi della storia cucinava tranquillamente, non ci avevate fatto caso?
Bhe noi vi diamo la soluzione =D
Avvertenza: per leggere e comprendere :P le battute di questo nuovo personaggio dovrete improvvisare un bell’accento francese!! XD
Alla fine del capitolo1 troverete dei “fuori scena” dei commenti tra me, il Capo e i personaggi.
Sono sperimentali cioè stabilirete voi se dovremo lasciarli o meno :P Fateci sapere!
Buona lettura a tutti voi!! La Capitana passa e chiude :P
Diteci come siamo andate! ^^
Un bacione, a presto! =D

Le ancora in carreggiata Kela and Diddy.
(Capitana and Capo)


uNTITLED 2

Untitled Without End

Dedicata a quattro persone in particolare:
La nostra amatissima cuginetta al quale abbiamo preso in prestito il nome per interpretare un personaggio chiave di questa fan fiction,
ti vogliamo un mondo di bene Scilla!!!

Alla nostra fan numero uno che ci ha seguito fin dal principio con passione appoggio ed entusiasmo Luana!! ^^
Te l’avevo promesso un regalino per essere stata anche la centesima a recensire, era questa dedica particolare, spero t piaccia! :P

A una persona che adoro e ammiro per tutto quello che fa e sa essere, per la sua infinita gentilezza, disponibilità e spontaneità.
Per averci sempre difeso e messa anche nei guai per colpa nostra, per avermi aiutato sempre anche inconsciamente, a te Fra!!! =)

Dedicata infine alla mia prima prof di italiano Polimeni, una persona che darei il mondo per rivederla, per parlarci ancora una volta e dirle che ho espresso il suo segreto desiderio e che mi seppellirei viva sotto la sabbia se leggesse questa storia XD Quella persona che è stata il primo idolo della mia vita =)
Grazie per aver sempre creduto in me!

-Prologo-

Never forget.

Percorre l’ampio corridoio deciso e a passo svelto.

Quella casa su tre piani è troppo grande, l’ha sempre pensato.

La suola infangata delle sue scarpe lascia qualche lieve impronta sul raffinato pavimento di marmo appena lucidato.

“Ma… Signorino Allyson, ho passato la lucidatrice solo qualche minuto fa!!”

L’affermazione fatta dall’assistente domestica giunge al suo orecchio come una giusta protesta.

“Oh… Ehm… Mi dispiace Consuelo!” Si scusa voltandosi verso la donna non sapendo cos’altro dire a sua discolpa.

Lei sospira rumorosamente, ma essendo una donna paziente senza alcun borbottio riaccende il rumoroso aggeggio elettrico che riempie l’immenso silenzio di quei alti muri definiti a volta per creare un lungo corridoio che attraversa tutto il secondo piano della villa.

Quel dannato posto come il resto della casa è interamente ornato da fiori.

Piante arrampicanti che arrivano al soffitto, vasetti con boccioli rigogliosi sparsi qua e là in ogni angolo.

E’ una cosa che fa rabbrividire essere circondato da questa “boscaglia”, sembra di passeggiare per il viale di un cimitero.

I muri sono grigiastri come la pietra, le numerose porte delle stanze ricordano lapidi di legno e i fiori incorniciano il tutto.

Mancano soltanto le immaginette dei defunti per distinguerne i luoghi di sepoltura e quei fiochi lumini destinati a far luce sulla foto del morto e nei casi migliori anche sulla incisione della lapide.

E’ la padrona di casa ovvero Loren Allyson ad aver voluto creare questa sottospecie di serra che quasi sostituisce la mobilia ormai.

“Se avessi avuto una figlia femmina mi sarei presa cura di lei e non di questa foresta pluviale che si è creata nella nostra abitazione. Ma tu sei un ragazzo Dylan, gli uomini non hanno amore per la natura come noi donne, lo so perché sono 30 anni che conosco tuo padre!”

Mi ripete questa frase ridicola tutte le volte che mi sorprende a disprezzare i suoi fiori.

Quando c’era Jenny era molto meglio, la mamma decorava solo gli angoli con un vasetto di qualche fiore tropicale trovato chissà dove o proveniente da una floricoltura esclusiva.

Ora sembra riempire il vuoto che ha lasciato (Jennyfer NdAutori) con quei ingombranti arbusti verdi che costituiscono l’anima di questa casa spenta della sua presenza.

Invece hai torto marcio mamma! Ce l’hai una figlia, si chiama Jennyfer Catherine (dedicato alla nostra piccola Kathy che odia anche lei il suo nome ;) NdAutori) Allyson ed ora non è più qui perché si trova in un posto lontano, persino in un secolo diverso dal nostro dove ha trovato quello che una persona nella vita si augura di scovare prima o poi, in un uomo che… Ah ti piacerebbe mamma!

Lo prenderesti subito in simpatia e affascinerebbe anche te!

E’ strambo, stralunato, irriverente, un mezzo furfante, ha una passione sfrenata per il rhum che adoro anche io… Anzi no, detto così non si presenta bene, ma ti assicuro che è anche estremamente buono se vuole e ha persino le caratteristiche che scherzosamente hai sempre richiesto tu per i ragazzi che possono frequentare Jen: ricco, nobile e famoso.

Abbiamo conquistato il tesoro di Isla Oculta al suo fianco sai? E’ il bottino più antico di tutti i Caraibi!!

E’ uno dei 9 pirati nobili, ma non sai neanche questo vero? Al museo dove ho “preso” la mappa erano conservate delle copie dei 9 pezzi da otto, non erano monete in realtà, ma pezzi di tutto! Tra questi ho riconosciuto le perline della tibia di renna che Jack portava sempre attaccata alla bandana.

Anche dei documenti originali riportavano il suo nome tra i 9 membri del consiglio, sembra assurdo lo so, quando l’ho scoperto non potevo crederci neanche io!!

Famoso, bhe… Prova ad andare a Tortuga chiedendo di lui o in qualsiasi altro porticciolo con taverne allegre e superfrequentate, neanche un cane negherà di averci avuto a che fare per una buona o cattiva circostanza!!

Quei avventurosi ricordi accompagnano il giovane fino alla terzultima stanza del corridoio serrata da una spessa toppa che si apre solamente con una grande chiave appartenete a lui e a nessun’altro.

Tira un lungo respiro di sollievo per darsi coraggio, si guarda intorno per assicurarsi di non esser visto e sforzando un poco la vecchia serratura entra.

Viene subito investito da una forte luce che abbaglia per qualche istante i suoi occhi chiari costringendolo a socchiuderli.

Ma non si tratta di quel bagliore bianco che per ben due volte l’ha fatto viaggiare nel tempo, non l’ha mai confidato a sua sorella ma in quei lunghi attimi d’attesa credeva che qualcosa sarebbe andato storto e fosse morto senza accorgersene, bensì il chiarore proveniente dai due grandi finestroni che si aprono sul balcone della stanza, la sua camera da letto di quando era bambino!

Già, di quando ERA perché non è più un mocciosetto da tanto tempo!

Il funghetto pestifero e lentigginoso ora ha 18 anni e mezzo, sono trascorsi dieci anni da quel giorno che la sua mente si impone di non dimenticare.

“Allora me ne torno a casa da solo” sembra uno stupido capriccio ma sono queste le parole che gli hanno cambiato la vita per sempre.

Muove qualche passo verso la finestra, con occhi mesti osserva la pioggia riversarsi insistente del giardino.

“Questo odioso fenomeno atmosferico” grugnisce con disprezzo.

Si perde qualche istante nell’osservare delle auto che sfrecciano incuranti sulla via che fronteggia l’abitazione.

Vorrei vedere ancora una volta quella Porsche nera rincasare nel vialetto e io trasformare le mie gambe in quelle corte di quando ero bambino per correrti incontro e ricevere ancora il tuo abbraccio seguito da un “Ciao piccolo pirata” con quella allegria che avevi solo tu.

Porta lo sguardo un poco affranto sul vetro bagnato dall’acqua piovana, qualcosa alle sue spalle gli spezza il fiato e provoca in lui un brivido che gli percorre tutta la schiena.

Sgrana gli occhi incredulo deglutendo rumorosamente, è spaventato ma allo stesso tempo euforico.

Non sa esattamente cosa sta succedendo alle sue spalle e non vuole saperlo, attende solo impazientemente che si concluda al più presto per assistere all’esodo finale.

Il suo battito accelera notevolmente e riprende a respirare anche se in modo affannoso.

Si aspetta di vivere una qualche scena di un film dove quando sta per succedere qualcosa di significativo un vento violento o qualcosa di fantascientifico proveniente da chissà dove spalanca di colpo la finestra e la furia della sua folata scaraventa il protagonista a terra mettendolo K.O.

Invece nulla, niente di tutto questo, ma dietro di se avverte che in quella stanza sta per scatenarsi qualcosa più grande di lui e cerca di individuarne la natura dal riflesso sul vetro della finestra.

Promette a se stesso di mantenere la calma e rimanere girato di spalle finché nel locale non torna la quiete, ma un leggero panico prende il sopravvento su di lui e non resiste all’impulso di voltarsi verso il centro della stanza per vedere cosa accade.

Il ciuffo ancora zuppo di pioggia gli finisce negli occhi e offusca la sua vista per qualche istante.

Nonostante porti i capelli corti non vuole saperne di tagliare il ciuffo, lo tiene sempre un po’ lungo e con una piccola parte che gli ricade sugli occhi.

Gli rammenta quando era sua sorella a pettinarlo sempre con le dita per sistemarglielo e non intende ancora liberarsi di quel ricordo.

A volte riesce ancora a percepire quelle mani candide che giocherellano con la sua mora chioma.

Diceva di odiare quel gesto ma mentiva spudoratamente, amava farsi toccare i capelli soprattutto con la dolcezza che ci impiegava lei.

Avanti, andiamo…Su, forza!!!

Si ritrova ad incitare nemmeno lui sa cosa, vuole solo che finisca in fretta per partecipare al suo compimento.

In effetti qualcosa nell’armonia che regnava nella camera da letto è mutato, nel punto centrale della stanza si è formato una specie di anello di luce che proietta un cono abbagliante di albore sollevando un vortice d’aria.

Istintivamente reagisce a tutto questo piegandosi leggermente sulle gambe e tenendo salda la presa sul davanzale della finestra per non esser spazzato via.

Sulle sue labbra si allarga un sorriso compiaciuto, inizialmente lo spaventava a morte quello che sarebbe successo, ma ora riesce ancora sentire a un palmo da naso quel dolce profumo di emozionante avventura e sconfinata libertà che per tutto il tempo l’aveva accompagnato nel suo breve viaggio nel passato.

Ora finalmente si sente davvero pronto ad affrontare in tutto e per tutto ciò che l’aspetta e possiede persino lo spirito giusto per affrontarlo come solo lui è in grado di fare.

Qualsiasi cosa succeda… Io ti aspetto qui!!



Capitolo 1
Il mio inizio sei tu.

Mi chiamo Jennyfer Allyson, ho 17 anni compiuti all’incirca 5 mesi fa!
5 mesi… come è cambiata in 5 mesi la mia vita!!!
5 mesi fa credevo che la mia vita fosse la più noiosa in assoluto, ma durante una gita scolastica successe l’imprevedibile.
Vidi in un museo il quadro magnifico di una nave: la Black Pearl che senza saperlo sarebbe diventata la mia casa, e questo grazie al nano di mio fratello…Dylan.
Cavolo, quanto mi manca quella piccola peste!
Non passa giorno senza che la mia mente mi giochi il brutto scherzo di vederlo ancora scorazzare con un sorrisetto furbo e allegro sul ponte di questa bella nave, proprio il luogo dove mi trovo ora affacciata alla balaustra mentre osservo il mare malinconica sorreggendo la testa con una mano.
La sua vocetta scherzosa mi rimbomba ancora nelle orecchie sottoforma di qualche presa in giro o del suo nomignolo preferito che mi dava in continuazione: mozzarella.
Per il colore annualmente biancastro della mia pelle è certo, cosa darei per sentirglielo dire solo un’altra volta…

Insieme abbiamo intrapreso un’avventura al di fuori di ogni immaginazione, venimmo scaraventati in un’altra epoca per colpa della mappa che lui stesso aveva rubato di nascosto.

Non sono mai riuscita a spiegarmi come abbia fatto, ma anche se può apparire sbagliato dato che si tratta di un furto è la cosa più giusta che abbia mai commesso.

Qualche parola senza senso e una grande luce bianca che ci circonda, ecco l’ultimo ricordo che ho del futuro.

Una volta ritrovateci qui volevamo a tutti i costi tornare a casa, ma come successivamente scoprimmo ci serviva la mappa intera, noi ne avevamo solo metà!

Da subito entrammo contro il nostro volere a far parte della ciurma di una nave chiamata Red Ocean e venimmo attaccati dai pirati della Black Pearl.

La prima impressione di questo vascello è stata folgorate, nemmeno dal dipinto mi sarei mai immaginata che emanasse tale incanto alla sua vista.

Non avevo la minima idea che la nottata passata con il mio fratellino in una fredda cella fosse solo l’inizio della mia vita.

Eravamo prigionieri, ma quando il Capitano (e che Capitano!!! *_* NdCapitana) venne a sapere che noi possedevamo metà della mappa decise di aiutarci anche se, in realtà, i suoi scopi erano ben diversi: lui voleva trovare il tesoro dell’Isla Oculta, il più grande tesoro mai esistito nei Carabi!

“Jenny…”

Mi giro di scatto e vedo Andrè, un pirata francese (ke culo!! NdCapo) che fa parte di questa nave.

ANDRE’: “Le Capiten mi ha oRdinato di diRti che devi contRollaRe le vele… con tuto questo vento potRebbeRo esseRsi danneJate!” spiega riluttante osservando il cielo dove le nuvole si spostano velocemente a causa della brezza.

Mastica bene l’americano ma non rinuncia a mescolarlo con la sua lingua d’origine e a volte risulta molto difficile capirlo.

IO: “COSAAAA??? Con il vento che tira oggi devo arrampicarmi fin lassù!?!?!” sbotto dopo aver impiegato qualche secondo a decifrare le sue parole spiazzata dall’ordine assurdo imposto da Jack.

Scuote la spalle.

Povero Andrè, è da quando ci siamo conosciuti che deve subire i continui ‘battibecchi’ tra me e il Capitano!

Ricordo perfettamente quel giorno:

Mi trovavo in cucina e avevo preparato sul ripiano da lavoro alcuni ingredienti per cucinare qualcosa, però non avevo la più pallida idea di cosa fare e da dove iniziare!

“Cosa me ne faccio di voi??” dicevo sospirando.

All’improvviso sentii dei passi dietro di me e con molta sorpresa vidi quell’uomo.

IO: “Lei chi è?”domandai sorpresa, non mi faceva mai visita nessuno in cucina a parte i pirati incaricati di servire i pasti in tavola.

ANDRE’: “Non aveR pauRa madamoiselle, je suis Andrè, molto piaceRe. Non Sci siamo mai pResentati!”disse molto amichevole prima guardandosi attorno incuriosito e poi tranquillizzandomi con un sorriso.

IO: “Il piacere è mio, io sono Jennyfer” reagii cordiale porgendogli la mano.

Lui l’afferrò con immensa delicatezza e rispose: “Me oui, incantato”

Mi stupì tantissimo quel gesto!

IO: “Lei è sicuro di far parte della ciurma di questa nave? Il suo aspetto è troppo curato per essere un pirata…”notai sarcastica dopo aver potuto osservarlo da vicino.

ANDRE’: “Questo peRchè il mio pRimo lavoRo che feci quando aRRivai nel neveu monde fu il baRbieRe! E adoRo cuRare il mio aspetto” (è Gay!! lol NdAutori) spiegò appagato.

IO: “Ah compren…cioè capisco!!” (questa è l’influenza del Capitano NdCapitana)

ANDRE’: “Vedo che qui Sce un petit pRoblema!!” commentò esaminando con occhio attento ciò che avevo disposto di fronte a me.

IO: “Già non sono molto esperta di cucina, anzi me la cavo a malapena!!” ammisi un poco in imbarazzo e tenendo la testa bassa.

ANDRE’: “Non peR annoiaRti con la stoRia della mia vita, ma duRante la mia giovineSa en France ero un cuisinier!” (il cuoco NdAutori)

IO: “Allora potrebbe aiutarmi e insegnarmi qualche piccolo trucco?” domandai con un filo di esitazione dopo aver decifrato la sua affermazione che mi appariva poco chiara a causa della pronuncia molto incerta.

ANDRE’: “Ma ceRtamente, con immAnso piaceRe… peRò non dobbiamo diRlo al Capiten, altrimenti mi prendeRebbe in giRo!”rispose prima trionfante di gioia poi incupendosi e abbassando addirittura la voce.

IO: “Perché?”

ANDRE’: “E’ una lunga stoRia, madamoiselle…” rimase del tutto vago.

Nonostante tutto mi diede un sacco di sicurezza! Da quel giorno trovai un nuovo amico a bordo della Black Pearl.

Chiese al Capitano il permesso di invertire il suo compito con quello di un altro pirata, avrebbe dovuto solo trasportare i piatti con le pietanze dalla cucina alla sala da pranzo ma in realtà fece molto di più: mi insegnò a cucinare qualsiasi cosa!

Le sono molto grata per questo, ormai lo considero quasi come il padre (o la madre lol NdCapo) che “non ho mai avuto”!

Interruppi controvoglia i miei ricordi e sconsolata iniziai ad arrampicarmi goffamente sulle sartie. (cavo che sostiene trasversalmente gli alberi della nave NdAutori)

Il vento è troppo forte e continua a farmi oscillare da una parte all’altra.

Sudo freddo tutto il tempo, le mani non riescono a mantenere una presa salda sui cavi e la suola dei miei stivali tende a scivolare di tanto in tanto.

Abbasso lo sguardo e incontro quello divertito di Jack che mi osserva da lontano con le mani sui fianchi scuotendo la testa.

Guarda te se, col vento che tira oggi, IO mi devo arrampicare fin quassù, tra queste corde consumate, per il divertimento di quello là, che ghigna alle mie spalle…!!

Finalmente arrivo in cima al pennone, (asta di legno che costituisce il lato superiore delle vele NdAutori) tirando un sospiro di sollievo. Non sono ancora caduta per fortuna!!

La situazione è stabile, le vele tengono bene nonostante la furia del vento.

Tra vari insulti rivolti al Capitano e con la paura “nera” di cadere, riesco a scendere.

IO: “Capitano, ti sembrava forse il caso di farmi immedesimare in Spiderman proprio oggi, con il vento che tira???” affermo alterata andandogli incontro.

Si blocca di colpo irrigidendosi frastornato e risponde: “…Va bene, questa è una di quelle parole che non capisco e non capirò mai, vero?”

IO: “Bhe non importa, ma ti sembrava il caso di farmi salire per dare una controllatina alle TUE vele??”dico in un broncio offeso come ne manifestava molti Dylan.

JACK: “Non stavi facendo niente!”spiega allargando le braccia e inarcando leggermente la schiena all’indietro mostrando la dentatura dorata in un sorriso divertito.

“Stavo PENSANDO” Rispondo senza rifletterci sporgendo il labbro inferiore sempre offesa e distogliendo lo sguardo dal suo sempre più vittorioso. (A lui riesce difficile anche a capire qst termine NDCapo Aia la Capitana mi ha dato una sberla)

“E a cosa pensavi??” Dice di scherno formando una specie di cerchio con le mani davanti alla mia faccia, per poco non scoppio a ridere.

“Pensavo a come mi hai cambiato la vita Jack!” Rispondo armoniosa avvicinandomi a lui cambiando del tutto tono e incrociando le braccia dietro il suo collo.

“E in che modo ho cambiato la tua vita?” dice inizialmente stupito dalla mia asserzione sussurrando poi quelle parole con un sorriso stampato sulle labbra.

Questa domanda mi fa divenire improvvisamente seria, triste…

Poco fa ripensare al mio passato non mi aveva causato questa reazione… Malinconia certo, una punta di mestizia, ma ora non so proprio cosa mi sia preso!

L’hai cambiata Jack, eccome anche!

Ho scelto di mia volontà di abbandonare per sempre le cose più preziose che abbia mai posseduto nella mia esistenza, beni materiali a parte.

Per te ho rinunciato alla mia famiglia, a Dylan, a tutte la comodità del ventunesimo secolo, ma in cambio tu mia hai fatto scoprire cosa vuol dire amare, non c'è prezzo per questo! (Mastercard: insegnare ad amare= nn ha prezzo!! NdCapitana Battere i tendeski in casa= nn ha prezzo!! NdCapo)

Magari dalle cose che ti ho raccontato, dentro di te, pensi che nel futuro non ci sia cosa che non si possa comprare ma non è così! Non c’è modo ne costo per pagare ciò che provo in questo luogo, in questa epoca, in questo istante, con te…

Non posso dirti queste cose, ti farei sentire in colpa e non te lo meriti per niente.

Poco tempo fa ho preso una decisione che ha cambiato per sempre non solo la mia vita ma anche quella di tutte le persone che mi circondando, era la cosa giusta da fare ormai ne sono convinta, persino Dylan mi ha spinto a farlo e fidandomi di lui ho fatto bene.

Nulla riuscirà a farmi cambiare idea! Anche se a volte ripensandoci una fitta di disagio mi trafigge il petto e cancella un mio sorriso.

IO: “Lo sai benissimo, non c’è bisogno che te lo dica! Quello che è successo non si può cambiare…”

JACK: “Forse un giorno me lo racconterai…” risponde quasi con una nota di sfida.

Come fai ad essere sempre così dolce con me?!

Con te, che io voglio riempire i miei giorni.

Te, che io voglio far veri i miei sogni

Te, questo viaggio ha porti sicuri

Chiari contorni.

Ci sarò per la fine del mondo,

ci sarò per amarti di più

e così se chiami rispondo:

Il mio inizio sei tu…Jack!

________________________________

FUORI ONDA

JENNY: "CAPITANOOOOOOOO le vele la prox volta te le guardi tu!!!!!"

Capo: "NOOOOOOOOOOOOO non farlo venire qui ti prego!!!"

Capitana: "Che scema!! No no, tu vieni qui!!"

JACK: "Chi io??"

Capo morto di paura, Capitana morta per le troppe emozioni provate in un solo istante!

ANDRE': "E CHI SAREBE GAY??"

TUTTI: "TOI!!!"

ANDRE': O.O "UFF [piange]"

Capitana: "Meglio tornare alla storia!!"


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Capitolo 2
*** Una piccola bugia. ***


Nota delle autrici:

 

Un salutone a tutti quanti! =D

Prima di tutto, parlando anche a nome del Capo, siamo felicissime che Unty non sia andata del tutto dimenticata e ci onora l’entusiasmo con cui avete reagito alla prima pubblicazione! ^^

Al termine di questa nota ci sono tutti gli opportuni ringraziamenti =D

Intanto volevo chiarire a tutti i lettori un dubbio che si è creato praticamente tra tutti voi XD

Come ben sapete Unty1 era formulata intorno a un solo viaggio del tempo, quello tra Jennyfer e Dylan.

Ora in Unty2 il viaggio continua, ma non solo quello di Jennyfer =) Anche quello di Dylan stesso!

E di qualcun altro, ma solo più avanti saprete chi è :P

Ma i nostri ex protagonisti si trovano su due “spazi temporali” diversi: Jennyfer è rimasta a 17 anni come l’avevamo lasciata alla fine d Unty, mentre la situazione di Dylan nel momento descritto nel prologo si trova 10 anni più avanti.

Abbiamo fatto questa scelta perché nel corso della FF ci tornerà utile, chiedo scusa per essermi dimenticata di informarvi XD Ho detto un sacco di cose e quello mi è scappato di mente -.-

Per questo ho lasciato la nota “cross-over” mi sembrava adeguato ;)

Questo prologo l’ho scritto in 3 giorni una settimana prima della pubblicazione, non era per niente previsto ma per rendere più interessante il capitolo 1 l’ho inserito, era per introdurvi qualcosa che in ogni caso si concluderà alla fine di Unty2, vi terremo sulle spine fino all’ultimo (il Capo emette una risata diabolica o_0) Ma non ci siamo dimenticate del piccolo Dylan, tranquilli! =D

 

Informo tutti che la data di pubblicazione di ogni prossimo capitolo sarà segnalata nel mio profilo di efp, precisamente a questo indirizzo: http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=15140

Così ne sarete sempre al corrente ;)

 

Vi sono piaciuti i fuori onda?! Ok allora li inseriremo, ma per ora ci sono solo nei primi 10 capitoli, dite di scriverli anche per gli altri?

Allora passiamo al capitolo 2: Si parte con una avventura-flash alla Sparrow XD Una marachella che Jenny non approverà… ma forse sì!

Bhe a Jack e a Jennyfer sarete abituati ;) Ma assisterete anche al confronto tra l’affascinante Capitano di quel nel gioiello nero e il mastro cuoco Andrè XD

E poi l’inguaribile sentimentale qui della Capitana ci ha aggiunto un pizzico di romanticismo *.* Perché no?! ;)

Buona lettura a tutti voi!! =D

 

Grazie per i pareri di…

 

johnny jack: Fraaaa XD Sei stata la prima a recensire come volevi tu, hai visto? :D lol Grazie alla gentile Laura che ti ha permesso di rimaner sveglia a quell’ora =* Ricordati di fare la scorta di fasuleti :D In questo cap non ti serviranno, ma tienili a portata di mano per la prossima volta =) Una meraviglia addirittura?! XD Woow! :D Bhe, grazie mille ancora!! ^^ Tranquilla sono già riconoscente alla tua gestapo per averti permesso di leggere il capitolo a quell’orario :D Eh si Jack è sempre il solito furfante, ma è un brav’uomo come ben sappiamo, sa sempre farsi perdonare! XD

Ci hai azzeccato! L’avventura di Dylan non è per niente finita, anzi va a ruota con Jen, continua anche per lui, avremo il tempo di spiegare tutto!! ^^ In questo capitolo 2 partiamo già sull’onda dell’avventura, sarai contenta =D I miei ossequi anche a te mia pazzerella :P Grazissssime ancora per tutto, bacionionioni =*

 

Blue Tiger: Ciaooo mia Picci!!! =D La mia fan numero1 XD lol Ti sei fatta soffiare il primato questa volta, eh no no, fatti valere Lu!!! XD Ti ringraziamo tantissimissimo dei tuoi complimenti, tr buona sul serio, non ce lo meritiamo =$ Salutami i tuoi omaccioni, ho trovato il regali per Max!!! :D hi hi hi W le moschettiere!!! Bacioniii =*

 

Daphne Greengrass: Salute a te nostra conosciuta lettrice! :D Siamo felici che hai apprezzato il primo capitolo, speriamo tanto che il resto non deluda ^^ Certo che ti crediamo, anche noi aspettavamo il 28 agosto impazienti, eravamo stufe di aspettare -.- Ti offriamo tutti i nostri ringraziamenti =D A presto, un bacione! =*

 

micia: Hola!!! :D Io non parlo spagnolo, quello lo devi parlare con il Capo, mi scuso per l’ignoranza -.- XD Una promessa è una promessa ;) Abbiamo lavorato tanto al sequel di Untitled, quello che diciamo cerchiamo di prometterlo :D Nella nota qui sopra ho spiegato (spero bene) il tuo dubbio, per qualsiasi altra cosa chiedi pure, tranquilla! Ecco, però c’è una “complicazione”! No, Unty2 non è per niente completa, speravo di sì ma questa estate non mi è bastata, l’avrei voluto tanto =’( Come ho già detto la data di pubblicazione la scrierò nel mio profilo d efp, nella parte finale.

Purtroppo non sarà molto frequente proprio per questo, la fic non è finita (sono solo al capitolo 19 perché mi sono ritrovata a doverla accorciare se no uscivano 60 capitoli in totale 0_0 esagerato eh!) e subentra il fatto che io da me sono una gran lumaca a scrivere e quest’anno sia io che il Capo avremo gli esami alla fine dell’anno, ciò rallenta tutto -.- Siamo spiacenti ma è così, ci scusiamo in anticipo! =’( Baci =*

 

Bily: Ciao, ci fa piacere conoscere un lettore nuovo! =D A quanto pare ci hai seguite anche per quanto riguarda Untitled, ne siamo onorate =$ Grazie mille, speriamo di rimanere allo stesso livello proseguendo :D un Bacione!

 

Bambi: Ciao Letizia!!! :D Urca hai fatto un salto del genere?! Sei da Guinness!! XD lol A parte tutto ti ringraziamo molto =D Ma come, Jack solo?! Non ha la sua Jenny? Ok dai non strapazzarmelo troppo e digli di venir qui da me ogni tanto se no sta fan fiction non va avanti più! XD hi hi hi Eri curiosa di sapere che mi ha ricordato il tuo nick eh! Devi sapere che Bambi… E’ il nome del primo amore di Johnny! Non ci crederai ma è così XD Che nomi strani danno in America 0_0 il nostro Jo aveva 13 anni, lei era una cheerleader bionda, occhi azzurri (tipica barbie) e Johnnyno caro ha perso la testa… Ma pensa un po’! Lui non era popolare per niente e lei lo rifiutava, per me oggi a vederlo quella si mangia le mani altro che unghie!!! XD l’ho letto in una lettera scritta da Johnny ripensando a quell’età. Una lettera stradolce *.* dovresti leggerla! Non avete idea di come è romantico quest’uomo!!! Svelato il mistero :D lol A prestissimo allora!! ^^ Bacioni =*

 

Hilly89: Ciao!! ^^ Caspita, non sappiamo che altro dire davvero =$ Se non grazie infinite per I tuoi complimenti e l’entusiasmo :D Ti piace “il mio inizio sei tu”? Ah bhe per me e il Capo è una “droga” dai tempi in cui il Capi era più alta di me ha ha ha (Adesso mi picchia, aiuto scappo!!!) e guardavamo tutti i titoli di coda di Anastasia per ascoltarla fino alla fine XD

Scusami se sono pignola in questo, ma si scrive Johnny non Jhonny, rompo a tutti se sbagliano tranquilla XD

Come si fa a non venerarlo dico io?! *.* lol

Bhe io lo plasmo in questa fic dal mio punto di vista, meno male che anche qualcun altro lo vede così, mi fa piacere!! =D

Ma no Johnny non è sposato, è fidanzato con Vanessa anche se hanno 2 splendidi bimbi :D

Allora quando parti per Plan de la Tour dai uno strappo anche a me?

Il Capo dice che rimane volentieri a casa -.-

Spero che allora questo secondo capitolo ti piaccia! =D

Urca, “stelle del firmamento cosmico”, che nomome, non ce lo meritiamo XD  A presto stellina =* Bacioni!

 

Laura Joe: Buongiorno a te cara! =D Anzi ormai è pomeriggio -.- Mettere te come tutti gli altri nei ringraziamenti è stato il minimo, non sapete che piacere è un commento, anche il più piccolo per noi =)

Ah meno male, almeno abbiamo iniziato con il piede giusto, speriamo di non inciampare XD Anche per te ho spiegato il tuo dubbio nella nota qui sopra, ma se non è chiaro te lo rispiego volentieri, basta dirlo =P

No non sei tu tardona, è colpa della sottoscritta stordy XD

Purtroppo ho una brutta notizia anche per te, questa volta non potremmo proprio pubblicare spesso, ci dispiace ma è così =(

Mi prendo tutta la colpa io -.-

Facci sapere cosa ne pensi di questo nuovo capitolo =) bacioni! =*

 

La Capitana passa e chiude! =D

Alla prossima, un gran bacione a tutti!!!

 

Kela and Diddy

(Capitana and Capo)

 

 

Capitolo 2

Una piccola bugia.

 

Al termine della cena mi dirigo in cabina insieme a Jack, questa sera lo vedo stranamente più felice del solito.

Camminiamo per il corridoio l’uno accanto all’altra e noto un’insolita euforia persino nei suoi passi che compie a dir poco saltellando.

IO: “Come mai sei così contento?!”domando stranita varcando la soglia della camera e chiudendomi la porta alle spalle con un rumore sordo.

JACK sussulta e poi risponde stupito: “Ehmm… ti dovrei informare di una cosa…”

Cosa avrà combinato adesso?!?!?! 0_0

JACK: “Ebbene… Siamo diretti verso un deposito di navi, lo raggiungeremo domani all’alba!” spiega con il tono basso di un bambino che sta pensando a come inventare una degna scusa per giustificarsi verso la mamma.

IO: “Potrei saperne il motivo?” chiedo incrociando le braccia sul petto in una posa esaminante.

Non ne starai mica combinando una delle tue vero Jack?!

JACK: “Vedi chèrie, il vento di oggi ha causato più danni di quelli che credi. Ci servono dei materiali di ricambio per la nave e quello è il posto migliore dove possiamo trovarli!” afferma esitante muovendosi verso di me, seguendo l’andamento ondeggiante della nave per poi posizionarsi al mio fianco passandomi una mano attorno alle spalle.

E va bene, è stato abbastanza efficace per quanto mi riguarda.

Seppur non molto convinta decido di credergli, altrimenti sarebbe capace di farmi girare tutto il vascello per mostrarmi i danni subiti uno ad uno, meglio concludere questa discussione alla svelta!!

IO: “D’accordo Capitano, se lo dice lei…”

 

-

 

Il giorno seguente, come previsto da Jack, raggiungiamo il deposito alle prime luci del mattino.

Muovo i primi passi sul ponte soffocando uno sbadiglio, mi sfrego un po’ gli occhi e noto immediatamente la presenza del Capitano oltre il boccaporto.

Eccolo là, che si diverte a impartire ordini gesticolando animatamente e assumendo un tono più cupo nel rivolgersi alla sua ciurma.

ANDRE’: “Bonjour Jennyfer!”

IO: “Ah, ben svegliato Andrè!” accolgo il pirata con un’espressione serena in viso.

ANDRE’: “Ja a le pRemier luSci dell’alba, le Capiten ha iniSiato ad assegnaRe compiti a tuto l’equipajo! Gli piaSce faRe di queste cose…” spiega guardando di sbieco Jack in lontananza.

Annuisco sorridendo.

Il Capitano si gira dalla nostra parte, nel vedermi sfoggia un buffo inchino e un magnifico sorriso.

Contraccambio un po’ imbarazzata al saluto, è perfettamente consapevole che sono riservata e mi mettono in suggestione le effusioni in pubblico, ma non rinuncia mai a trasmettermi la sua dolcezza.

Quando vede Andrè al mio fianco lo fulmina con lo sguardo accorgendosi che non sta lavorando.

Il pirata avverte perfettamente il messaggio e si affretta ad eseguire l’ordine “indiretto” del suo Capitano anche perché tra pochi istanti saremmo giunti a destinazione.

ANDRE’: “ToRno all’opeRà altRimAnti iniSia a RimpRoveRami!!”

Annuisco divertita, ormai so anche io di che pasta è fatto.

ANDRE’: “Festa gROnde staseRa!!!” Dice dandomi una pacca sulla spalla e dileguandosi rapidamente.

Cosa? Festa grande?!?

Nessuno mi ha informato di una festa!

Che strana affermazione…

Ah già dimenticavo, di che mi preoccupo?!?

I pirati festeggiano per ogni cosa!

 

Il deposito delle navi che stiamo per raggiungere è situato all’interno di un arcipelago nell’isola di Great Inagua. (isola situata a nord tra cuba e la Repubblica Dominicana NdAutori)

È accessibile attraverso una grotta, ha proprio l’aria di un luogo lugubre e abbandonato.

Nessuna nave naviga nel raggio di miglia oltre la nostra!

Una strana allegria è stampata sui volti dei pirati, non riesco a capirne il motivo.

In fondo andiamo solamente a recuperare dei pezzi di ricambio per la Black Pearl, giusto?!

Qualcosa mi dice di no…

Per insediarci nel deposito dobbiamo attraccare su di un’altra nave, questa è la “carcassa” migliore tra tutte almeno secondo il mio parere. Le altre sono veramente vecchie e mal messe!

Mi avvio verso prua per assistere all’attracco. (io mi ricordo che l’ancora della Perla è a prua, se non è così ditemelo please che correggo :P grazie! ^^ NdCapitana)

Jack da dei comandi alla ciurma, ma sono troppo lontana e non riesco a capire di cosa si tratta.

Ora la Black Pearl è “ancorata” ad un vecchio relitto.

“ALL’ARREMBAGGIO!!!!” grida entusiasta l’intera ciurma prima di invadere i ponti delle navi che fronteggiamo. 

Cosa? All’arrembaggio??? Ma questa parola non vuol dire… 0.0

IO: “JAAAAAACK!!!!!”

Mi guardo intorno cercandolo, ma si è già volatilizzato.

Dove sarà finito???

Di certo starà depredando uno di questi vascelli come gli altri pirati. Che saccheggi tutto quello che vuole, io l’aspetto qui!!

 

Dopo circa un quarto d’ora i primi pirati sono di ritorno, con se portano dei grandi bauli carichi di statue, lampade, vestiti, vari oggetti…

Non mi sembra che questi oggetti servano per la riparazione della nave!!!

Senza neanche farlo apposta ecco apparire il Capitano che con fare soddisfatto mette in evidenza un bracciale d’oro incastonato di diamanti che porta al polso.

Appena vede la mia faccia in preda alla collera, il suo sorriso trionfante muta in una smorfia.

IO incrociando le braccia sul petto collerica: “Capitan Jack Sparrow, MI DEVI UNA SPIEGAZIONE!!!”

JACK: “Ehmmm… Tesoro... te l’ho mai detto che ti amo tanto?!?!?” dice con fare innocente.

IO: “L’hai appena fatto, ma NON CAMBIARE DISCORSO!!!”

JACK: “Andiamo, sono solo navi abbandonate, non se ne accorgerà nessuno!!” afferma in tono di scongiuro socchiudendo gli occhi.

IO: “Bugiardo che non sei altro, mi hai mentito per prenderti un..un BRACCIALETTO!!!” mormoro confusa dalla rabbia.

“Però devi ammettere che mi sta bene, mi dona un certo…fascino!” risponde trionfale sfregando con la manica i diamanti vistosi del bracciale.

Il fascino non è esattamente ciò che ti manca mio caro.

IO: “Ma se si vede appena!!!” controbatto per togliere validità alla sua affermazione.

JACK: “Appunto, si vede appena ! Non vedo cosa ho fatto io di male!” Si legittimizza attonito.

In quel momento arriva anche Andrè che interviene rivolto a Jack: “Capiten, deve cambiaRe Scintura! Le Blanche dei diamanti non si aBina ale sue vesti!”

“Cosa ti intrometti tu??? Non c’è niente da cambiare!!!!”Afferma scrutandolo offeso.

“eRa solo un consiglio!”risponde André buttando gli occhi al cielo esasperato.

JACK: “Non ho bisogno di consigli da un francese… eunuco!!!” (l’unica cosa con il quale concordo con il Capiten!! NdCapo)

ANDRE’ rivolto a me: “Vedi cosa intAndevo quando diScevo che mi pRende in giRo!!”

JACK: “E quand’è che avreste inteso questo??”domanda sospettoso.

IO: “Ehmm… [adesso cosa mi invento??] me lo stava dicendo giusto… quando tu ti sei dileguato per rubare quel braccialetto!!”

Nonostante la mia insicurezza Jack si convince della mia affermazione: “Bhe, io vado a metterlo al sicuro!”

Mentre si allontana gli urlo ancora infuriata “E NON PENSARE CHE IO ABBIA FINITO CON TE!!!”

Lui risponde un cenno alzando il braccio per farmi capire che ha sentito, ma nel farlo esibisce ancora di più con vanità la sua nuova conquista.

ANDRE’: “PeR poco non Sci scopRiva, colpa dela mia linguaScia!!” dice impaurito seguendo i movimenti di Jack con lo sguardo.

IO: “Non ti preoccupare, penso che ci sia cascato!!” cerco di rincuorarlo.

ANDRE’. “SpeRiamo, escusez-moi madamoiselle, oRa devo pRopRio scapaRe!!”

Neppure il docile Andrè riesce a sfuggire al suo impulso pirata…!

Rimango di nuovo da sola sul ponte mentre tutti gli altri continuano a fare razzie sulle altre navi.

 

-

 

Jack è appena uscito dalla sua cabina, non sono riuscita a fermalo ed è già tornato all’opera su un’altra nave.

Non mi sta per niente ad ascoltare perciò decido di seguirlo di nascosto!

Salgo a bordo della nave di fronte a dove mi trovo, credo che quel mascalzone sia qui.

Il ponte è deserto, immagino che se ci sono dei pirati siano sottocoperta.

Mi guardo intorno ancora e… Devo aver sbagliato nave, qui non c’è proprio nessuno!!

Delle luci provenienti dal corridoio alla mia sinistra attirano la mia attenzione, che il Capitano sia qui?

Mi addentro cautamente anche se sembra che a bordo non ci sia anima viva.

Un corridoio lunghissimo con pareti rivestite da tappezzerie rovinate dal tempo, porte di stanze prive di luce e quadri con cornici ridotte a schegge mi si presentano davanti.

Cosa è successo qui, è passato un uragano??

Noto una piccola porticina alla mia destra, fin da piccola mi hanno sempre appassionato i ripostigli segreti. E poi magari nessun pirata è ancora passato di qui, e potrei trovare io qualche bel tesoro!

Ma che sto dicendo?! Ho guardato troppe volte Peter Pan…

No, quel filibustiere non è di certo qui, si noterebbe di certo la sua presenza.

Scruto a fondo in torno a me per essere sicura che nessuno mi veda e piena di curiosità varco la porticina.

Entro abbassando leggermente la testa, mi ritrovo in una stanza buia, polverosa e piena di ragnatele.

Oddio, CHE SCHIFO I RAGNI!

Sulla parete destra si trovano, ricoperte da uno strato di polvere, delle spade abbandonate.

Mi sono ritrovata nell’armeria? E io che pensavo di trovare qualcosa di interessante…

Sono circondata da barili di polvere da sparo vuoti, ma una cosa attira la mia attenzione: un baule di legno ornato accuratamente da decorazioni argentee.

Mi avvicino e noto che non ha il lucchetto, spero solo che non sia vuoto!!

Avanzo sempre di più molto lentamente, ma all’improvviso una trave sotto di me cede.

Il pavimento si apre sotto ai miei piedi e io finisco nella stanza sottostante alzando una nuvola di polvere che raggiunge quasi il soffitto.

CHE DOLORE!!!! Ho la gamba incastrata tra due travi!!

Raccolgo le forze e riesco a liberarmi.

Nulla di grave, solo una botta e il fondoschiena dolorante per fortuna!

Con mia gran sorpresa vedo che sono finita in una stanza bellissima, raffinata ed elegante.

Alle pareti si trovano diversi quadri e un tappeto persiano ricopre il pavimento.

Nella caduta ho colpito un letto a baldacchino che si è parzialmente distrutto, la stanza è oscurata da spesse tende di raso rosso e di fronte a me si estende un bellissimo armadio “antico”.

Prendo coraggio, cammino al buio per la stanza verso l’unica spirale di luce che proviene da [spero] una finestra.

Apro le tende in modo da far filtrare un po’ di luce, ma sembra che ci sia la nebbia a causa di tutta la polvere che ho sollevato.

Avevo ragione, davanti a me emergono due ampie finestre con il vetro imbrattato di sporco e in alcuni tratti ridotto a frantumi dai colpi di cannone di una battaglia passata.

Ora che ho una migliore visuale muovo qualche passo e mi imbatto in qualcosa che per poco non mi fa inciampare.

Mi chino e vedo che si tratta di una cassettiera di legno non molto alta con maniglie d’oro ornato da fiori dipinti.

Che meraviglia!!!

Jennyfer non è tua, non dovresti aprirla...

Sono troppo curiosa però, chissà cosa contiene!!

Apro il primo cassetto, ma in realtà gli altri cassetti sono finti e quello è l'unico.

La cassettiera contiene degli oggetti che scopro potrebbero essermi davvero molto utili: camicie, gilet, federe di lino, vari accessori, unguenti per capelli…

Mi servirebbero proprio alcune di queste cose, decido di provarmele!

Indosso un gilet e vado davanti alla specchio.

Mentre osservo la mia immagine riflessa intravedo una strana sagoma alle mie spalle.

Mi volto e noto un appendiabiti sul quale è appoggiato un, a dir poco, bellissimo vestito.

Rimango a fissarlo a bocca aperta è semplicemente meraviglioso: non ha le spalline, è bianco, molto attillato sul ventre, ma larghissimo sui fianchi fino ai piedi.

È rivestito da un tulle leggero color celeste, il corsetto è decorato da tantissimi diamanti che risplendono di tutti i colori alla seppur fioca luce che penetra dalla finestra.

Rimango a bocca aperta, caspita, è bellissimo!!!

Ho quasi paura a toccarlo con il timore che si rovini.

Neanche Valentino sarebbe capace di creare un abito del genere!!!

Desidererei troppo poterlo indossare, chissà se mi sta!!

Non in mezzo a tutta questa polvere però.

Cerco lì intorno un contenitore per portarlo sulla Black Pearl insieme agli altri oggetti che ho trovato in modo che non si rovinino nel trasporto.

Spero che Jack non sia ancora tornato in cabina così posso provarmelo in tranquillità e nascondere tutto il resto.

Cosa mi direbbe altrimenti? Io per uno stupido braccialetto gli ho fatto una scenata... Meglio non pensarci!

Piego accuratamente il vestito e lo metto in una scatola scovata in un angolo della stanza.

“Armata” di quel contenitore ancora robusto nonostante il tempo trascorso ad ammuffire in un angolo cerco impaziente un’uscita, la porta di questa camera sembra del tutto sbarrata.

Chiunque possedesse queste quattro mura in cui mi trovo voleva fortemente che rimanessero segrete.

La finestra come via di fuga l’escludo, sbircio dai vetri malconci e noto che mi trovo di fronte alla Black Pearl, perfino all’altezza del ponte, ma tra le due navi c’è un varco largo cinque o sei metri e alto almeno altri 30 che si conclude con una rinfrescatina nell’acqua stagnate di questo deposito.

Non posso rischiare di improvvisarmi Tarzan e fare un salto del genere per poi finire rovinosamente nell’acqua rovinando così questo capo raffinato, (Capo, tu raffinata? Da quando scusa?? In sedici anni che ti conosco non lo sapevo 0_0 NdCapitanaconfusa) meglio trovare un’altra soluzione!

Quasi del tutto sconsolata alzo distrattamente la testa verso il soffitto… La falla che ho provocato!!

 

Con tanta fatica, prima per uscire sana e salva da quella stanza segreta e poi per ritrovare l’accesso al ponte di questo relitto, mi ritrovo ancora all’aria aperta!

Si fa per dire, odora di legno marcio questo deposito…

Il ponte della Black Pearl è ancora deserto, ne approfitto per sgattaiolare in cabina indisturbata.

Entrando però mi dimentico di chiudere la porta, ho troppa voglia di provarmi questo vestito!!

Mi tolgo le mie vesti e le butto disordinatamente una sedia.

Stando molto attenta a non rovinarlo riesco a indossare l’abito e vado di fronte allo specchio per osservare la mia immagine riflessa.

Mi sta proprio bene,è perfetto!!!

“E quello dove l’hai preso???”

Oh No… JACK!!!!! 0.0

Mi giro di scatto: “Opsss!!”

JACK: “E poi accusi me di essere un ladro, solo per aver preso un misero BRACCIALETTO, mentre tu puoi rubare un vestito!!!!!!” mi accusa offeso.

IO: “Non l’ho rubato!…volevo solo vedere come mi sta!”

Sul suo viso si dipinge un aria ironica-offesa.

JACK: “Ah si certo, volevi solo vedere come ti sta!”

Mi avvicino con fare innocente:“Jack, non ti ho mai detto che ti amo tanto???”

JACK: “Quella battuta è mia. E poi non cambiare discorso!!” (invece QUELLA BATTUTA è mia!!!!! NdCapo)

Uff non ha funzionato!!

JACK: “L’hai trovato in una di queste navi, vero?” domanda con sguardo sospettoso.

IO: “E va bene lo ammetto…”

JACK: “Allora, dato che hai visto come ti sta, adesso lo riporti subito dove l’hai trovato!!”conclude altezzoso.

IO: “Solo se tu porti anche il braccialetto!”controbatto subito scontrosa.

JACK: “No!!”

IO: “E invece SI!!!”

JACK: “Ma neanche per sogno!!”

IO: “SI!!!!”

JACK: “NOOO!!! Il Capitano sono io e quindi decido io!!”

IO: “Non vale!” Ecco, la ragione deve essere sempre sua!

Ormai rassegnata: “Bhe, almeno dimmi come mi sta!”

JACK: “Sembri un angelo, l’angelo più bello che esista… il mio angelo…!”

Il suo tono semi-minaccioso di poco prima scompare e si trasforma in note dolci e armoniose.

Dopo quella frase rimango immobile, senza parole a fissare quei occhi profondi come il mare che sanno dire più di mille parole…

(ma il mare è azzurro O.o NdCapo... fa niente!! NdCapitana)

_______________________________________

FUORI ONDA

JENNY: "LADRO!!"

JACK: "Uff senti chi parla!!"

Capitana: "Ragazzi calma.... in fondo l'avete fatto tutte e due!!"

Capo: "COSA???"

JACK: "EH sapessi!!"

Capitana & JENNY: "MA CHE STAI A DI???"

Capo: "Niente!! Voi che pensavate???Maliziose!!"

Capitana: "Chi noi??"

Capo: "grrrrrrr quella è la mia battuta!! come questa del resto!! CAPITO??"

Jack fischietta ed esce di scena.

 

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Capitolo 3
*** Festa grande. ***


Nota delle autrici:

 

Salute a tutti!!! :D

E di questi tempi ce ne vuole davvero un bel po’! -_-

Con sto caldo e freddo che ci fa ammalare tutti…

Persino io che non mi ammalo mai sono qui che respiro con una narice sola XD

Dunque siamo qui per il terzo capitolo di Untitled 2! =D

Capitan Jack Sparrow con l’inganno come è da lui ha sgraffignato un nuovo piccolo bottino nello scorso capitolo… adesso che farà?

Che cosa i pirati non perdono mai occasione di fare se non festeggiare? XD

Quest’altro capitoletto è sempre sul genere comico, c’è da farsi 4 risate ma sarà forse l’ultimo di questo genere, incomincia a farsi più serio da ora in poi ^^

Annoto qui che in questo capitolo c’è una cosa che prima d’ora in Untitled non è mai successa, nemmeno in Unty1! =D

Vediamo se siete lettori accorti e la scoprite XD

 

Allora fateci sapere cosa ne pensate e a voi buona lettura!!! :D

 

Grazie per i pareri di…

 

johnny jack: Hey ciao mia pazzerella!!! XD Sempre la prima! Lol ma nu ti abbiam fatto davvero scompisciare così?! :D ah bhe allora questo sarà solo l’inizio hi hi hi ^^ Procurati fasuleti anche per quest’ultimo, ne avrai un bel po’ da ridere qui :P

Aaaaaargh, nn mi dire XD io amo quella frase!!! *_* Eh no, anche il Capo dice che Jack non manca di fascino e se lo dice lei… C’è seriamente da crederci te l’assicuro!!!! XD

Grazie come al solito per i tuoi pareri, sei ducissima =* Un bacioneoneone mia Fva!!! ^^

A presto principessa, quel cavaliere azzurro t sta cercando, ha solo perso la bussola XD Gli imprestiamo di nascosto quella d Jack e vedi che t troverà! :D kissss

 

micia: Ni hao!!! :D Sì, c’è da ammettere che in realtà Unty2 ha una struttura piuttosto complicata andando avanti (vedrai già dal prossimo chapter come si intreccia ^^) per ora siamo ancora abbastanza in acque tranquille, ma il mare è imprevedibile, spingendosi all’argo arriva la tempesta!!! 0_0

Forse potremo esaudire il tuo desiderio riguardo Jenny e Dylan! =D Ziiiii, pensa che io Jennyfer&Jack li chiamo “i miei sbaciukioni” *.* XD Lascia perdere i miei schizzi di pazzia.

Wow siamo contente che se Unty fosse stata lunghissimissima com’era non te ne saresti dispiaciuta! :D Grazie per tutti i tuoi complimenti! =* Un grande bacione!!

 

Bambi: Ciao Letizia!!! =D Uuuu grasie =$ Non ci meritiamo tutte queste lodi, ma in ogni caso siamo a dir poco strafelicissime che dici così e l’apprezziamo moltissimo :D Io nostro lavoro non va sprecato :P Jack cambiato? Ma no! Lasciamolo così cm è che è perfetto *_* Ma si in ogni caso rispediscilo qui che mi serve per moooolti e molti capitoli ancora XD

Mammasaura quella lettera!!! *.* “baciarla sino a consumarci le labbra” *_____________*   *ç*  ehmm… mamma…? Papà?? Posso cambiare nome, vero?!? Pleaaaaaaase =’( lol XD

Un bacione grande grande cara!! =D  E a questo punto non consumargli troppo le labbra a quest’uomo che le ha troppo belle, sarebbe un peccato XD A presto! =*

 

JiuJiu91: Giulia, ciaaaooo!! =D hey finalmente quel tuo pc burlone ti ha permesso di dire la tua :P Mi fa paicere! ^^

Ce l’avrà su anche lui con Unty -_-

Dunque, Andreuccio è un personaggio un po’ ambiguo, come Jack un po’ ma in modo diverso.

Sì, sul fatto che sia molto tendente all’omosessualità non c’è dubbio XD lol Proprio per il modo d parlare ci hai azzeccato e anche perché tiene agli abbinamenti :P

Anche se ti svelo che in realtà io e il Capo pensavamo che in Francia avesse famiglia, moglie e qualche figlio!

Ma non è una cosa che per ora potrebbe centrare qualcosa nella trama della fic, per cui è rimasta in sospeso… vedremo!

Sul fatto che sia innamorato di Jennyfer proprio no, esci di strada! Come dice anche lei è un po’ “il padre che non ha mai avuto” anche perché da una parte si prende cura di lei, la difende… Ma non c’entra proprio amore qui XD Certo che sì! Non è per nulla lasciato al caso =D

Uuuu a proposito! Grazie mille per l’appunto, modifico subito quel grOnde :P lol Da oggi in poi ti nomino nostra esperta di italo-francese :D hahaha se noti qualche frase che andrebbe detta diversamente dì pure!! XD

Eh si la frase dell’angelo è la mia preferita!!! *w*

Lol va bhe dai Jack è estremamente geloso dei “suoi effetti”, immagina dove si sarà cacciato per recuperare quel bracciale nei relitti XD Avrà tempo di farsi perdonare tranquilla :P A presto, grazie per il tuo commento, un gran bacione!!! ^^ =*

 

Daphne Greengrass: Ciao!!! :D Oh grazie, siam contente che hai apprezzato quest’ultimo capitolo!! ^^ Urca hai preso davvero seriamente quello che ho scritto eh! =D Brava XD lol

Mannaggia adesso ho perso il foglietto con scritto le date di pubblicazione =S Dovrò un po’ inventare =(

Comunque non preoccuparti le scriverò sempre nel mio profilo!! ^^

A prestissimo bacioni! =*

 

Laura Joe: Ciao!! :D Hey, se ancora non ti è chiaro qualcosa nella prossima recensione scrivilo e te lo rispiego volentieri! =D

Altrimenti puoi contattare me o il Capo dall’indirizzo e-mail ;)

Eh, Dylan non verrà nominato molto spesso, ma non manca mai tranquilla! Fisicamente… Il Capo dice che mi mozza la lingua e le dita per cui meglio tacere!!! -_-

Bhe sì Jennyfer era abituata a tutt’altra realtà poco tempo fa, no?! XD Ogni giorno impara qualcosa di nuovo della vita che si è scelta, è normale :P Eh si l’aggiornamento è davvero un problema e la colpa va maggiormente alla sottoscritta che è una lumacona a scrivere, scusatemi! -_-

Siamo felici che ti sia piaciuto il capitolo e ti ringraziamo molto!! =D

Mah se vuoi un vestito del genere ti consiglio di rivolgerti a Valentino lol, ma si è ritirato dalla moda quello =(

Ti mettiamo qui un abbozzo :P  http://img218.imageshack.us/img218/4052/jennyferabitoangelown3.png

Qui puoi vedere una sorta di Jennyfer (se va bhe nella realtà non aveva ali e resto eh XD lol)

Se riesci a procurartelo ne volgiamo vedere una copia in foto eh!! :D A presto e grazie, un gran bacione!! =*

 

Blue Tiger: Luuuuu ciao!!! XD Aaaargh meno male che finalmente ho migliorato la mia scrittura fatta con i piedi lol Qualcuno ne sarebbe stata contenta :D

Anche in quest’altro capitolo ci sarà da ridere XD Ma non abituatevi troppo a questo, cambierà in seguito!!! ^^

Allora tutte le moschettiere da te e Zla domani sera eh :P Quanti anni ha scusa? o_0 nn te l’ho mai chiesto! :D

A prestissimissimo allora mia tigrotta :P Un grande bacioneoneone!! =* tvttttttttttttb

 

Hilly89: Ciao!! =D Ti ringraziamo molto per il tuo apprezzamento ^^ Sì ai miei “sbaciucchioni” (Jennyfer&Jack) gliene facciamo fare di tutti i colori :P lol  Oh benissimo un’altra fan d Andrè!! XD “Je suis honoré mademoiselle *.*” dice XD lol Ma si dai Jack alla fine scherza, ammira Andrè ma non l’ammetterebbe mai, fa il solito furfante distaccato e lo usa come valvola di sfogo per divertirsi un po’ :P lol

Ah bhe io non odio del tutto gli insetti ma ci sono alcuni che non posso neanche vedere, le api ad esempio!! 0_0

E i ragni non son da meno, mi fan senso :S

Capo idem se non peggio XD XD Vediamo che ne pensi di queste altre loro avventure! =D a presto, baci!! =*

 

La Capitana qui passa e chiude :P

A presto, un bacio a tutti!

 

Kela and Diddy

(Capitana and Capo)

 

 

Capitolo 3

Festa grande.

 

Venuta la sera non finimmo neanche la cena che già iniziarono i festeggiamenti.

Solitamente a tavola basta una bottiglia di rhum ogni 4 o 5 persone, ma finirono tutte subito dopo la prima portata, mai vista una cosa del genere!!

La ciurma si riunisce intorno alla tavolata quasi tutta in gruppo, tutti a parte Jack ancora alle prese con la spartizione del bottino depredato questa mattina nel doppio fondo della nave.

Tutti i pirati sono soddisfatti delle loro conquiste, già ipotizzano il modo come spenderli: cibo, rhum e piacevoli compagnie naturalmente.

Arrivata nella sala mi faccio spazio tra i resti di avanzi e bottiglie vuote disseminate sul pavimento, siedo al mio solito posto: alla destra del Capitano.

Scuotendo la testa penso rattristata che tanto toccherà a me pulire…

Dietro di me arriva Andrè.

ANDRE’: “Ti Ansegno en chose…! (una cosa NdAutori) i Capitani plus fuRbi nascondono tuti il loRo pResiosi aveRi in una botola del pavimAnto nela pRopRia cabina! Sono SceRto che non te l’aveva deto nesuno!” afferma fiero.

IO: “In effetti Jack non me ne ha messa al corrente, deve nascondere qualche scheletro nell’armadio quel farabutto!” confuto divertita.

ANDRE’ ridacchia a sua volta: “En ogni caso non pensavo di tRovaRe tuto quel ben di dio a boRdo di quei vaSceli aBandonati, solitament non si tRova un gRanchè!” dice cambiando discorso e sedendosi alla mia destra con un piatto vuoto in mano.

IO: “Neanch’io!” affermo d’impulso.

Oh, no!!! 0.0

"Significa che hai tRovato qualche cosa di inteResante anche tu, oppuRe sei Rimasta sempRe a boRdo della Black Pearl?"

IO: "No, sono sempre rimasta qui!!" cerco di essere efficace anche se si nota subito che mento.

ANDRE': "SicuRa?"

IO : "-_-' E va bene, ho trovato un pò di oggetti utili e perfino un bellissimo vestito!!"

ANDRE': "Mon dieu, cest magnifique!!! L'hai fato vedeRe al Capiten??" quasi grida entusiasta.

IO: "Si, anche lui trova che mi stia benissimo" commento con un gran sorriso ripensando al suo magnifico complimento.

ANDRE': "SpeRo che pRima o poi lo indosseRai!!" dice speranzoso attendendo una mia risposta.

IO: "Non credo, non si addice ad un componente di una ciurma pirata!" dissuado tristemente senza alzare lo sguardo.

ANDRE': "Non potResti diRe sempliScemont che non si adiSce ad un piRata?" domanda inconsapevole.

Jack spunta alle mie spalle e avendo sentito l'ultima frase di Andrè dissentisce: "Per carità! Non dirle una cosa del genere!! lei PIRATA??? Neanche sotto tortura direbbe una cosa del genere!!!!" sbotta stralunando gli occhi.

Una volta ho pensato di poter diventare un pirata, ma preferisco essere quella che sono per ora!

IO: "Ah a ha, divertente Capitano. Dove ti eri cacciato??" domando osservando divertita i suoi movimenti a scatti e del tutto contorti perfino quando si siede.

JACK: "Stavo ACCURATAMENTE separando i miei vecchi tesori da quelli nuovi!" risponde soddisfatto accomodandosi finalmente e ingurgitando già il primo boccone.

ANDRE': "Ne è Rimasto poco di quello dell'Isla oculta??" domanda stranito ovviamente dopo aver inghiottito e masticato per bene il boccone, non con la bocca piena come fa in modo alquanto disgustoso tutto il resto dell’equipaggio.

JACK: "Non dire sciocchezze! ce n'è ancora a sufficienza!"dice accigliato ma allo stesso tempo deliziato dalla carne cotta a vapore che consiste nella sua cena.

IO: "Non abbiamo ancora trovato il modo per spenderlo tutto, vero Capitano!?" lo schernisco facendo l’occhiolino ad Andrè.

JACK: "Già… In piacevoli compagnie ormai non devo più spenderne!" dice dolcemente passandomi un braccio intorno alla vita ma continuando sempre a mangiare con l’altra.

Rimango per un istante a fiato sospeso scrutandolo ammaliata.

"Ti assicuRo che una volta non avRebbe deto così!!" dice il nostro cuoco ufficiale [tranne per il fatto che Jack non ne è a conoscenza, io mi ritengo solo un’assistente della cucina] compiaciuto.

Scoppiamo a ridere tutti e tre all’unisono.

IO: "Non ti conviene, altrimenti te la dovrai vedere con me Capitan Jack Sparrow!!" dico puntandogli contro minacciosa una forchetta come se fosse la più affilata delle lame in attesa solo di spargere sangue.

JACK: "Abbassa quella ferraglia!" afferma “allarmato” dall’intimidazione ancora ridendo.

"Perché tu sei l'unica ad usare le posate a tavola?"chiede quasi stranito.

IO: "Forse un briciolo di educazione IO l'ho ricevuta!!" rispondo esasperata appoggiando malamente la posata sulla tavola.

ANDRE': "Ben detto, il galateo a tavola è esSensiale!" puntualizza sollevando la nuca e il naso appuntito verso l’alto in posa nobiliare.

Questo francese in un'altra vita lo vedo bene come uno dei fidati maggiordomi alla corte francese del Re Sole.

JACK: "Sta zitto tu!! Aspetta, io non ho ancora brindato! Dov'è il MIO rhum???" dice inquieto facendosi prendere dal panico.

IO: "E’ finito alla prima portata stasera, vado a prendertene dell'altro! Non scannatevi durante la mia assenza voi due!!!" raccomando prima di dirigermi verso la stiva per procurare qualche altra bottiglia.

Mi accerto che seguano il mio avvertimento voltandomi indietro prima di oltrepassare l’entrata della sala: Andrè ha un aria irritata, scuote la testa osservando i modi grezzi e grossolani del suo Capitano intento a raccogliere gli avanzi del proprio pasto con le mani e un pezzo di pane.

Soffoco una risata e poi mi inoltro nel buio fitto del ponte.

Raggiungo facilmente la stiva, ormai so arrivare in ogni punto della nave anche ad occhi chiusi.

Apro la porta sforzando un poco la serratura, accidenti è sempre difettosa!

Afferro una delle candele depositate in un angolo dell’entrata per farmi luce e muovo qualche passo verso gli scaffali.

Quante bottiglie devo portare, quattro basteranno? Con il Capitano non credo proprio…

Bhe le mie braccia riescono a trasportarne quattro alla volta, se l’ubriacone ne vuole altre alza i tacchi e viene a prendersele!!

Sul primo ripiano non ne trovo, immagino che quel mascalzone le abbia nascoste altrove per tenerle solo per se.

Perdo ben 10 minuti a ispezionare ogni centimetro degli scaffali attonita, con mia grande sorpresa tutti gli spazi riservati all’amatissimo liquore di questa nave sono vuoti!! o.0

IO: "Adesso come lo dico a Jack???" Saranno guai…

Entro nella sala da pranzo ridendo tra me e me, mi immagino già l’ eccessiva reazione a questa "brutta" notizia.

Ritorno a tavola a mani vuote, a causa del trambusto i due pirati che ho accanto non si accorgono di questo particolare.

IO con tono rassegnato: "Capitano ehmm, non so come dirtelo, ma... La stiva è...VUOTA!"

JACK sgrana gli occhi, si alza di scatto facendo cadere la sedia dietro di se e urla: "COOOOOOOSAAAA?? …Oh mannaggia… NO RHUM... NO BENE!!!"(si... no martini no party!! ahahahaha NdAutori) L’intera ciurma sussulta di stupore.

IO: "Ehmmm… Dai non farne una tragedia, se siamo vicini a qualche porto domani potremmo fermarci!" cerco di rassicurarlo in modo convincente.

JACK: "Ma io adesso con cosa festeggio?? lo devo trovare!! E' praticamente impossibile che sulla MIA nave sia finito il RHUM!!!" controbatte in agitazione vittima di uno sbigottimento incontrollato.

In effetti è mooolto strano, ma non impossibile!

Lo vedo sfrecciare fuori dalla sala in uno scatto degno di un felino senza neanche finire la cena.

Già, immaginavo una reazione del genere…

Non lo si può più fermare in alcun modo, stiamo parlando del rhum, per lui è un affare di vita o di morte! Bah…

ANDRE’: “Quell’uomo è impoSibile!”

IO concordo con un assenso del capo: "Pensa che all'inizio lo soprannominavo Capitano questo è rhum !!”

Entrambi scoppiamo di nuovo a ridere, ma delle risate molto più insistenti attirano la nostra attenzione.

Un gruppetto di alcuni membri della ciurma si è riunito intorno ad un "palco" formato da tre tavoli uniti insieme.

Uno di loro sfila su di esso con le braccia a penzoloni, la schiena inarcata e le ginocchia piegate farfugliando parole incomprensibili acclamato da quelli che lo circondano con fischi e risa.

ANDRE': "Mais cosa sta suScedeNdo??"

IO: "Non lo so, ma... andiamo a vedere, sembrano divertirsi un mondo!!" rispondo entusiasta afferrandolo per un braccio, facendo rovesciare sul pavimento il contenuto del suo piatto e iniziando a correre nella direzione dello "spettacolo".

Sembra essere la cosa più eccitante della serata, non esiste ancora la tv per rilassarsi sul divano con un sacchetto di unte patatine fritte dopo cena!!

ANDRE': "Pianò Madamoiselle, io nn ho più l'età per coRReRe così!!!"

Ci uniamo alla piccola folla che vi si è creata intorno, ma per il caos non riusciamo a vedere nulla.

Andrè mi precede educatamente e poi dice ad alta voce per farsi sentire da tutti: "Fate spaSio ala fanSciula pRego!"

I pirati lì intorno guardano Andrè malamente, borbottando qualche insulto e poi creano dello spazio per farmi passare ed arrivare "in prima fila".

"Andrè non ce n'era bisogno, ti sei preso degli insulti inutilmente per causa mia!" sussurro imbarazzata girandomi verso di lui.

ANDRE': "Non pReoccupaRti JennyfeR Sci sono abituato e poi l'educaSione è l'educaSione!" ribadisce in posa regale.

Gli sorrido divertita dalla sua "mania" per la gentilezza e le buone maniere, una cosa troppo insolita per un pirata, ma che in Andrè esiste in abbondanza!

Noto che il "palco" è preceduto da una lunga fila di uomini mezzi ubriachi che osservano lo spettacolo impazienti di fare la loro "sfilata" senza rinunciare a brindare con interi calici di rhum che si contendono furiosamente come un grande tesoro.

Jack non è l'unico ad apprezzarlo così tanto su questa nave, capisco perché è praticamente introvabile questa sera!

Continuo ad osservare confusa queste strane "esibizioni" senza riuscire a cogliere il motivo di così tanto divertimento ed euforia.

ANDRE': "PeR te madamoiselle!"

Mi fa sobbalzare. Ero così presa dalla confusione creatasi intorno a me che non mi sono neanche accorta di non avere più Andrè al mio fianco!

"Grazie Andrè" rispondo per niente entusiasta afferrando il bicchiere di rhum che mi porge allegramente.

ANDRE': "Non gradiSci il rhum?"

IO: "Si, insomma... non è che mi faccia impazzire!"

"Questa donna è completamente pazza!! Non gli piace il rhum, roba da matti!!!"

Urla un pirata all’apparenza un po' più arzillo di tutti gli altri che invece non smettono di brindare, intonare canti e divertirsi assistendo a quella specie di "sfilata".

IO: "Ognuno ha i suoi gusti!" rispondo quasi orgogliosamente bevendone un piccolo sorso, così facendo zittisco quell'impiccione e intorno a noi si sollevando le risa degli altri pirati.

"Albert zittito da una donna, non è da te amico mio!!" dice uno di loro dandogli una pacca sulle spalle di conforto ancora sogghignando.

Ora mi osserva rabbioso perchè ho "ferito" il suo orgoglio.

ALBERT: "Certo, quando non sanno frenare la lingua..."

ANDRE': "Scè qualche pRoblema AlbeRt? Non rieSci ad aScetare di non aveRla vinta peR una volta??" lo interrompe  Andrè scontroso come non è da lui, credo lo faccia solo per mettersi alla pari dei suoi uguali qui intorno.

ALBERT: "Non ti mettere di mezzo anche tu vecchio!" sbotta digrignando i denti.

ANDRE': "Chi saRebbe VECCHIO qui???"

Non ci credo è riuscito a pronunciarla bene questa parola! Purtroppo Andrè puoi prenderlo in giro su tutto, ma non sulla sua età!!

IO: "Ok basta, basta facciamola finita per favore!!"

Mi piazzo in mezzo a loro due facendoli allontanare in modo da evitare un eventuale rissa.

Questa volta non sta litigando scherzosamente con il Capitano, potrebbe diventare una cosa seria e poi con Andrè quando si "toccano" certi argomenti... proprio come faceva il mio caro fratellino Dylan.

Prendo il francese sottobraccio e ci posizioniamo in disparte, mentre ci allontaniamo si innalza un borbottio generale.

Io me ne disinteresso ma al contrario di me vedo Andrè ancora un po' arrabbiato, cerco di sdrammatizzare: "Dai, non te la prendere! Sono sicura che tu avrai all'incirca... l'età di mio padre[credo]!"

Non sembra consolarlo molto.

ANDRE': "Ti RingRasio, ma adeSo non penSiamoSci godiamoSci lo spetacolo piutosto!" si rallegra riacquistando luce nei suoi occhi grigi e stanchi.

IO: "A proposito! Cosa crea tutto questo baccano??Non ci capisco niente!!" domando confusa.

Si accosta alla mia sinistra e risponde intrigato: "ORa lo scopRiRai, ascolta atentamoNt quelo che dicono!"

Mi concentro sul loro discorso "allontanando" temporaneamente il chiasso che mi circonda dalla mia mente.

"HIC... Son..HIC!...Sono il Capitano Jack Sparrow HIC!... COMPRENDI??...ahahaha!!!"

"Ma cosa dici pezzente??HIC!...sono IO il Capitano!!"

"Alla forca idioti! Non siete capaci di far nulla voi due!!! Guardate qua che camminata" dice imitando la buffa camminata dondolante di Jack.

"...che amano l'avventura... noi siamo pirati HIC...e ci piace perchè...HIC... la vita è fatta per noi…"

Lo stanno prendendo in giro!!

Oh mio dio! Penso ridendo, se lo venisse a sapere Jack... Li farebbe impiccare tutti quanti!!!!

IO: "...Ma cosa stanno facendo?? Se li vedesse veramente il Capitano!!" affermo divertita.

ANDRE': "Quando il gato non scè i topi balano!!!" risponde piegandosi in due dalle risate.

Spero proprio per loro che il gato non arrivi altrimenti i topi farebbero una brutta fine!!!

Andrè sale agilmente sul "palco" con un balzo facendo quasi cadere a terra gli altri tre pirati parzialmente sobri e stando attento a non rovesciare il bicchiere di rhum che ha tra le mani.

ANDRE': "Chi è il VECHIO adeso???" sfida tutti trionfante.

Ecco fatto, la "magia" è finita, non fa più alcun effetto, non perderà mai il suo accento!

Presa dall’euforia di questa situazione mi metto ad applaudire a mia volta come tutti con le lacrime agli occhi per le gran risate.

Il dandy francese non si fa scappare questa occasione nel quale i suoi buzzurri compari l’ ammirano, si adopera immediatamente per accontentarli e dar spettacolo.

Assume una strana posa trasformando il suo sguardo in quello stralunato di Jack, già qui esplodono le prime risate.

Nel corso di quei pochi istanti dove la mia attenzione è del tutto rivolta al “palco” con mia grande sorpresa sento una mano dietro di me avvolgermi intorno ai fianchi.

ANDRE': "Je suis le Capi..... Capiten!"

Jack si materializza alle nostre spalle probabilmente attirato da tutta questa confusione nella sala.

OPSSSSS!!! 0.0

Nella sala cala improvvisamente un silenzio spettrale.

JACK: "Che succede qui, Andrè??" domanda sospettoso.

Ecco lo sapevo, ora se la prenderà con il nostro povero cuoco come al solito!!

ANDRE': "Ehmmm..."  (Merd.. oltre ad aver perso i mondiali sti sfigati si fanno sgamare subito!! NdCapo lol) balbetta guardandosi intorno spaurito.

Jenny inventati qualcosa!!! Sì, ma cosa???

Evitando apposta lo sguardo indagatore di Jack e liberatemi dalla sua presa salgo sul palco afferrando il bicchiere di Andrè.

IO: "Voleva offrirti gentilmente il suo rhum... dato che non hai potuto brindare stasera... Tutti hanno il diritto di festeggiare, giusto?!" improvviso al momento porgendogli il bicchiere e tornando con i piedi per terra.

La ciurma emette un urlo di assenso.

Per fortuna questi beoni una volta tanto mi assecondano!!

JACK [spero convinto] dopo che torna il silenzio: "Ah grazie, molto gentile Andrè!" dice sollevando in alto il bicchiere nella sua direzione con un sorriso soddisfatto dato che riuscirà a brindare finalmente!

Ecco il bambinetto viziato che deve averla sempre vinta avvicinare a se il bicchiere in procinto di sorseggiarlo quasi fosse una bevanda divina.

Che ci trova in quel vino diluito??

Sfortunatamente nello stesso istante uno dei pirati sul palco, che poco prima si sbellicava delle risate nell'imitarlo, sviene per la sbornia cadendogli proprio addosso e rovesciando completamente [forse] l'ultimo calice di rhum rimasto sulla Black Pearl.

Nella sala si urge un verso di stupore e sbigottimento.

Adesso si mette male, mooolto male!!!!!

Jack rimane per qualche secondo a terra rintontito, poi scuote la testa e aiutato da altri pirati si libera di quel peso morto.

Si rialza in piedi spolverando con le mani la sua giacca scura, alza lo sguardo e incontra il mio seriamente preoccupato.

JACK: "Sto bene chéri, non preoccuparti!" mi rassicura vittorioso non afferrando il motivo della mia preoccupazione.

IO: "Si...." rispondo incerta cercando di abbozzare un sorriso.

Ora anche la sua faccia si fa scura : "Ciò nonostante potrò festeggiare con un altro bicchiere di rhum ora... NEVVERO???"

Scuoto leggermente la testa in senso di negazione senza riuscire ad articolar parola, già avverto la sua rabbia crescere.

Tutti ai ripari, il gato è tornato!!!!!!

JACK: "E' FINITO DAVVERO IL RHUM????" urla con sgomento afferrandomi le mani e portandole a se.

IO spaventata a morte con la voce ridotta ad un sussurro: "Ho paura di si..." Moooolta paura!!!!!

Sul suo viso appare un espressione furibonda/disperata: "MA COME???...NON è POSSIBILE!!!"

IO: "Come diresti tu è improvabile, ma non impossibile !!!" smentisco tremante.

La ciurma già al corrente delle reazioni strambe del loro Capitano apre prevenuta un varco che conduce fino all'uscita sperando che non si imbatta in uno di loro.

Jack mi lascia, fa una buffa giravolta su se stesso e "corre" dondolante sul ponte diretto chissà dove.

Quando abbandona la stanza la ciurma tira prima un respiro di sollievo per averla scampata egregiamente, poi riprende a festeggiare animatamente creando il solito caos.

Non’appena scende dal palco mi si avvicina Andrè, ancora con le gambe tremanti, fissando ad occhi spalancati il punto dove un attimo prima si trovava Jack.

IO: "Io ci ho provato..." affermo sollevata sperando di confortarlo.

Il suo sguardo incredulo si sposta su di me.

Oddio, fa quasi paura, non l'ho mai visto così!!! o.0

Le sue mani mi avvolgono scompostamente il collo soffocandomi in un abbraccio smisurato: "JENNYFER!!!!!!!! MERCI MERCI MERCI!!! Mi hai salvato la vita, come poSo RingRaSiaRti??"

IO: "Ehmm...non c'è di che Andrè, ma così fai finire la mia di vita!!!" supplico con flebile voce asfissiata dalla sua stretta.

Allenta la presa e con sincero dispiacere risponde: "Escuse-moi Madamoiselle, mi sono fatto pRendere da la felicitè, pardon-moi peR il mio Jesto maleducato!!!"

IO: "Tu maleducato???? Fammi il piacere, non dirlo nemmeno! Neanche se fossi completamente sbronzo riusciresti ad esserlo!!!"

Ride anche se ancora visibilmente scosso.

Appoggio una mano sulla sua spalla per infondergli coraggio.

IO: "Forza! Vediamo se riusciamo a sgraffignare qualche altro bicchiere per festeggiare!!" esorto trascinandolo con me tra marmaglia dei lupi di mare.

 

A tarda serata vengo travolta dalla stanchezza, saluto Andrè e mi dirigo a piccoli passi verso la cabina.

Mi soffermo qualche secondo sul ponte ad osservare il cielo, cerco di rendermi conto di che ora possa essere.

Cavoli, niente luna questa notte. Qualcuno qui ha un orologio? No vero? Com’è che fa Jack? Si lecca il dito e poi l’ innalza verso il cielo…?

Ma no, che dico! Quello serve a individuare la direzione del vento!! Va bhe, ci rinuncio. Sono davvero al limite della lucidità.

Barcollante come non mai attraverso il corridoio fiancheggiando le cabine vuote, do per curiosità una veloce occhiata all'interno dato che le porte rimangono sempre aperte fin quando non vengono occupate.

Infine eccomi rientrare in cabina, spero che il Capitano non si arrabbi dato che sono rimasta a festeggiare sin ora, in giro per la nave non l’ho visto, deve esser per forza qui!

Come immaginavo vi trovo Jack, ma lo sorprendo inginocchiato a terra con testa infilata completamente in uno scomparto dell'armadio intento a cercare qualcosa senza rivolgermi la minima attenzione.

Povero, significa che non ha ancora recuperato neanche un residuo del suo venerato liquore amarognolo.

IO: "Buonasera Capitano, posso chiederle cosa sta cercando??"

Come se non lo sapessi....

JACK: "Io sono sicuro di averlo messo qui.... ne sono praticamente certo, dannazione! Sto ancora cercando il rhum!!" farfuglia agitato.

IO: "Lo immaginavo..." dico vaga iniziando a sfilarmi gli stivali per riporli ordinatamente in un angolo.

I suoi borbottii spazientiti accompagnano i miei lenti movimenti mentre già mezza addormentata mi spoglio delle vesti usate quest'oggi e indosso la camicia "da notte".

IO: "Non so te, ma io sono completamente distrutta vado a dormire... Ma… JACK COSA STAI COMBINANDO???"

Mi giro verso di lui e vedo che preso dalla "disperazione" afferra tutto quello che gli capita sottomano e, se non si tratta di una bottiglia di rhum, inizia a gettarlo ovunque.

All'improvviso si blocca, qualcosa di insolito ai suoi occhi attira l’attenzione: "E QUESTO cos'è?!?" domanda stranito mostrandomi uno dei gilet trovato questa mattina a bordo di quell’ antico relitto.

Io: "Ehmmm... Cercavi il rhum????" mi giustifico con fare da angioletto cercando di deviare il discorso.

Ripone il gilet, si alza in piedi e mi fissa con sguardo malizioso: "Non ti avevo forse detto di restituire tutto?"

IO: "Tu hai rimesso il braccialetto al suo posto??" domando arrabbiata incrociando le braccia sul petto.

JACK: "NO! E comunque ad una domanda non si risponde con un' altra domanda!!!" contesta rabbuiato.

IO: "Allora ti RISPONDO che siccome tu non hai intenzione di restituire ciò che hai preso non lo farò neanche io!!" concludo zittendolo del tutto.

1 a zero per me, siii!

Scuote la testa rassegnato, sorrido vistosamente incassando la vittoria. Ha ragione Andrè, quest’uomo è davvero impossibile!

Mi avvicino suadente ancheggiando apposta per dimostrarmi provocante.

Rallento solo quando mi trovo distante un respiro dal suo viso.

Jack mostra dipinto su quella sua bocca mendace un sorrisino beffardo.

Faccio scorrere lentamente una mano dalla sua spalla verso il collo fino a raggiungere il copino e incrociare le braccia dietro al suo collo perché non fugga alla mia presa: "Sogni d’oro Capitano!" sussurro con dolcezza prima di alzarmi leggermente sulle punte e porgergli il mio bacio della buona notte.

Quello scaltro filibustiere non si ritrae indietro di certo.

Se non…

Per avversare: "Aspetta, MA TU HAI BEVUTO IL RHUM???"

Me n’ero dimenticata!!

IO: "Ehmmm... Sì, solo un bicchiere... ma per brindare, così!!!!" cerco di legittimarmi spaurita.

Ti prego non mi uccidere!!! o.0

JACK: "Sai cosa significa questo??" domanda terribilmente serio come gli ho visto fare una volta soltanto da quando lo conosco.

Bhe almeno quella volta mi ha confessato che anche lui mi ama…

Significa che mi strangoli con le tue mani e poi mi butti in mare??

IO: "No..." ammetto deglutendo rumorosamente.

JACK: "Che ti bacerò per tutta la notte..." dice trasognante mostrando la dentatura dorata in un magnifico sorriso.

Ok… Jenny respira, tranquilla!!

Fiiiiiu, nessuna minaccia di morte, sono salva -_-

Il Capitano Questo è Rhum mi ha graziata!

IO: "E chi dice niente?!"

____________________________________

FUORI ONDA

Capitana: "shhhhhhhhh tutti dormono!"

Capo: "+ o meno!! Da qui provengono strani rumori, in più la nave ondeggia... ma non c'è mare mosso!!"

Capitana: "DAIIIIIIIIIIII!!!"

Capo: "=P"

Meglio continuare a scrivere cose "intelligenti" và!!!

 

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Capitolo 4
*** Here I am... ***


unty

Nota delle autrici:

 

Un salutone a tutti!! ^^

Non ci credo, ce l’ho fatta!!! XD LOL

Ho dovuto riscrivere metà chapter in un pomeriggio solo, le fatiche di Ercole sono molto meglio :P lol

Fiiiù ce l’ho fatta però! =D

Non me la sentivo proprio di deludere coloro che erano informati del fatto che si pubblicava oggi rimandando la pubblicazione a domani =)

Allora ecco qui a voi il capitolo 4!!!

Come ho già accennato da qui in poi Untitled with out end prende un po’ la piega più seria che poi avrà fino alla fine, ma tranquilli non è che cambia del tutto eh! XD

Introduzione di un altro nuovo personaggio!

Questa volta non apro bocca su nulla, qui ve ne diamo un assaggio prossimamente avrete modo d conoscerla/o meglio :P

Ho aggiunto di getto anche la spiegazione di un episodio di Unty1… Ditemi come mi è uscita! ^^

E’ riferito al capitolo 2 di Unty1.

 

Eh eh eh miei lettori, non avete lontanamente azzeccato la cosa mai successa nemmeno in Unty1 eh… Bhe era relativamente molto semplice! Si trattava del fatto che Jennyfer non avesse mai dato un bacio di sua iniziativa a Jack! (i miei sbaciucchioni *_*) In realtà nella versione originale di Unty 1 accadeva una volta però ho modificato anche quella invertendo i ruoli per far risultare proprio questa cosa :P

Sì sn pazza non c’è bisogno di ribadirlo XD

 

Allora… Lo scrivo qui per tutti!

Io e il Capo abbiamo pensato molto alla vostra accesa richiesta di riavere Dylan come personaggio fisso all’interno della storia.

Ma io stessa con il cuore infranto confermo che ciò non è possibile =(

Per il fatto che fa saltare tutti i poteri della mappa! Li ricordate?

Se Dylan tornasse nel 1600 Jack non saprebbe minimamente chi è e Jennyfer perderebbe ogni ricordo della sua avventura vissuta al fianco del suo funghetto preferito ^^ Conserverebbe solo i ricordi che ha di lui quando vivevano nel futuro cioè prima del viaggio temporale.

Si devasterebbe un poco la fic in questo modo =’( o no?

Piacerebbe tanto anche a me sapete -_-

Come “premio di consolazione” ho fatto una cosa per voi che ho messo nel mio profilo personale d Efp :D

E’ un disegno che realizza Dylan a circa 13 anni (eh ha preso dalla sorella l’arte del disegno XD) con relativa dedica-lettera che trovate sotto all’immagine ^^ (in realtà quelle 2 immagini sarebbero il fronte e retro dello stesso foglio ma lo so che non si capisce proprio benissimo -_- era solo per fare a voi “un regalo”)

Va bene, la pianto con le mie ciance e vi lascio alla lettura! :P

 

Grazie per i pareri di…

 

johnny jack_ La nostra indiscussa campionessa di velocità nelle recensioni!! :D loool XD In Unty1 quei 2 ti facevano piangere e adesso sbellicare, che cambiamento!!! XD Meglio così! =D Grazie principessa per i tuoi commenti ^^ Fraaaaaaaaaaaa faccio un monumento al boscaiolo!!! *_* E’ tornato cn la legna evvaaaai XD XD XD Lo aspettavo da aprile qnd mi sn spenta =’) Ok kela puoi smetterla di dire kakiate XD

Alla prossima nostra dolce pazzerella!!! =* Un bacioneoneone grande grande!!

 

micia_ Salut!! ^^ grazie per i tuoi complimenti, onorate come sempre =$ Se a quei tempi non esistevano centri di recupero come dici te ne aprivo uno io personalmente solo x accogliere Jack!!! XD e tenerlo tutto x me *ç* ok kela puoi finirla di sbavare sulla tastiera XD XD Non sei per nulla l’unica che vorrebbe essere al posto di Jenny!! =D

A me fa piacere che ti stia simpatico Andrè, al Capo un po’ meno XD Quella scena è stata tremenda, il nostro francese ha rischiato di perderla del tutto la vita!!! O_o lol

Ti ringraziamo tantissimo ancora! =D A presto bacioniiiii! ^^

Aggiunta: scusami cara, ma la lumaca qui è lenta a scrivere la nota delle autrici, per colpa di questa ci ho messo tanto! =( Scusa ancora per il ritardo, colpa mia!! ^^’ =*

 

daphne greengrass_ Hola!!! =D Andrè uguale a un tuo amico, parla anche lui così?! O_0 Ti porti sempre dietro un dizionario di francese? XD skerzo! Uuuu bhe io credo abbia i suoi vantaggi poter identificare un personaggio con una persona reale, rende la cosa ancora più divertente!!! =D

Tranquilla, vedrai che in questo nuovo chapter Jack ritrova per sua grande gioia il suo amato rhum e… non solo! ^^

A presto, grazie per la tua recensione, fa sempre piacere!! Bacioniii =*

 

JiuJiu91_ Ciao Giulia!!! :D Tres bien! Alor ti piace il ruolo che ti abbiamo affidato!! ^^ Non sei costretta, era solo perché ho visto che sei una intenditrice del settore XD lol

Lol, oh mammasaura, non credo che tu sia esagerata quanto Jack quando manca di aver sorseggiato il rhum!! :D o forse sì o_0 skerzo!! XD

Sì, se non erro anche io Jenny ha bevuto circa 2 volte in Unty1 anche se non da perdere i sensi magari XD Riguardo al “mare mosso”…  (Mannaggia a te Capo che mi esci fuori con ste cose!!) Ti assicuro che in Unty1 non c’è mai stato (già tanto se me la cavicchio a scrivere nelle righe figuriamoci oltre!! Lol) e in Unty2 è previsto che ci sarà ma una volta solo diciamo senza che vi aspettate una descrizione di chissà che, per me ha poca importanza e poi personalmente non mi permetto di descrivere cose del genere, sono affari loro!! ^^

Ho troppo rispetto nei confronti della persona reale che interpreta il personaggio (che credo tu conosca molto bene a causa d una tua amica =D Lol) per spingermi a scrivere una cosa di questo tipo.

Risolto il mistero bestiola! :D lol a prestissimo, grazie millissime per il tuo parere, un gran bacioneoneone!!! =*

 

schumi95_ Ciaaaaaaao mia piccola!!!!! =’D Che bello risentirti e riaverti qui!!!! ^^ Adesso sei tu che devi perdonare me, ti chiedo scusa se non ti ho ancora risposto alla mail che mi hai mandato, ho già iniziato a scriverla quell’accidenti di risposta ma non l’ho finita e non te l’ho ancora inviata -_-

E’ che qst è stata una settimana d inferno, piena di verifiche a scuola, circa 2 al giorno :S Io sono stata poco bene di salute e il pochissimo tempo che mi è rimasto ho cercato di rispettare la data di pubblicazione che avevo assegnato ad Unty! =( Scusami davvero tantissimissimo!! :’(

Sono strafelicissima che la sorpresina ti sia piaciuta :P =*

Dunque, Andrè esisteva già in unty1 sì ma non aveva alcun fine in quella fic per cui è rimasto a voi lettori sconosciuto, solo nel primo chapter d Unty2 abbiamo rivelato che è grazie a lui che ora Jenny se la cava a cucinare! ^^

Ci sembrava opportuno giustificare questa cosa nei vostri confronti.

Sì “il mio inizio sei tu” è quella canzone meravigliosa che puoi ascoltare nei sottotitoli di coda del cartone di Anastasia *_*

No! Jack non è cambiato di mezza virgola! La Perla Nera che ricordi tu credo che sia quella d Potc1 ancora sotto il comando di Barbino (Capitana muore *ç*) dove essendo un vascello fantasma aveva le vele del tutto ridotte a groviera, fantasticheeeee!!! XD

Io le amavo così *_* ma è impossibile navigarci per cui nel secondo e terzo film le hanno mantenute nere ma le hanno rattoppate credo con qualunque stoffa nera che avevano a disposizione XD hi hi hi

Il Capo dice che adesso t dedica una statua perché provate lo stesso odio per quel francesino effeminato XD LOL

Io non lo trovo tanto male, mi fa morire dalle risate associato a Jack!!! :D

Nel capitolo 3 ti confido che ho scritto quella frase ispirandomi alla scena vicina alla fine della maledizione della prima luna, quando Jack ha tra le mani il tesoro di Cortés e l’analizza monile per monile mentre tratta con Barbino mio adorato e poi libera Will ^^

Non so, magari in quella scena del film faceva così per confondere Barbino però io l’ho interpretata così come l’hai trovata scritta :D

Grazie tantissimissimo per il tuo commentone, a me non dispiace leggerne d così lunghi, traqnuillissima!! XD Alla prossima piccola mia, domani tornata da scuola ti rispondo alla mail, promesso!!! =* un immenso bacione! ^^

 

Blue Tiger_ Ciaaau Lu!!! =D Lol aaaargh sn contentissimissima che t piacciono i nostri “siparietti” XD XD lol

Ne vedrai delle belle anche più avanti, più si va avanti più la nostra pazzia peggiora :P hahahaha

No dai nn è arrivato al suicidio!! XD Ma ce mancava poco -_-

Urca 26 anni il tuo bel maritino!!! :0 nn me l’aspettavo sai!

Eh si si mi ricordo come ballavi sui tavoli eh XD e chi se lo dimentica!

Alla prossima, grazie millissime per la tua recensione mia Picci ^^ Un baciooooneoneone!!! =* =*

 

Hilly89_ Ciao !!! =D Uuuuu ma ke duci il tuo ragazzo *_* eh perdona la romanticona qui XD Meno male ke i miei J&J siano una bella coppia XD

Bhe… ecco… Andrè non è un bel giovanotto come credi tu… Ho fatto io un po’ l’errore di non descriverlo interamente ma almeno per un personaggio volevo lasciarvi libera interpretazione!

Nel chapter 3 Jenny dice che avrà all’incirca l’età d suo padre ma lo fa per non offenderlo perché in realtà Andrè è ancora + vecchio, avrà un 50 anni suonati altro che giovincello!

Ti dirò, i suoi capelli io li immagino grigi così come gli occhi, chiari e non con un colore ben definito ^^

Ma poi alla fin fine l’aspetto non ha incisiva importanza :P

Io credo che Jack si ritrova con una fidanzata che sopporta poco il rhum è proprio il colmo XD lol ma si dice che gli opposti si attraggono, allora è vero *_*

Grazie sempre millissime x il tuo “stelline del firmamento cosmico” =$ il nomone come lo chiamo io XD lol

A presto!!! Bacionionioni!!! =*

 

A tutti una buona lettura, qui Capitana passa e chiude 8-D

Un gran bacione a tutti!!

 

Kela and Diddy

(Capitana and Capo)

 

 

 

 

Capitolo 4

Here I am…

 

Come sono pesanti queste casse!!!

Stamattina abbiamo approdato al porto di West Caicos (piccola isola appartenente all’insieme delle isole Turks e Caicos NdAutori) per fare rifornimento.

Di cosa se non ben 17 casse di rhum?! Forse è il numero di quest’ultime che mi ha portato sfortuna…

Temo che il Capitano mi abbia davvero preso in parola ieri sera quando ho detto: “…se siamo vicini a qualche porto domani potremmo fermarci!" è stata esattamente la prima cosa che ha fatto non’appena ci siamo imbattuti nella prima isoletta a disposizione!!

Così non ho nemmeno fatto in tempo ad aprire gli occhi poco fa che mi sono ritrovata in mano non so quanti chili di scheggiata cassa legnosa contenente 12 bottiglie di amarissimo rhum.

Tutto perché a bordo non è rimasta un anima, si sono avventati tutti su questa a me estranea falda di terra, a bordo non rimaniamo che io e Jack.

Sembrano anni che trasporto avanti e indietro questi dannati barili tintinnanti… Non posso nemmeno fare una pausa perché quell’ubriacone incallito ancora in astinenza di Jack si trova qui a pochi metri da me sul molo che attende impaziente l'arrivo delle ultime casse, mi controlla a vista continuamente come un radar della CIA!!

Tranquillo mio caro, non scappo mica via con tutto questo fendente peso in mano, non riuscirei nemmeno a correre.

Sbuffando spossata lancio un ultima occhiata alla deliziosa isoletta in cui ci siamo fermati e rientro all'interno della stiva della Black Pearl.

Nella sottile penombra abbandono malamente l’ennesimo contenitore e mi soffermo un attimo a stiracchiarmi la schiena dolorante.

Ad occhio credo di averne trasportate parecchie di casse, dopo averle contate confermo che sono 16, manca solo l’ultima!!

Porto qui quella e mi precipito in cucina, il mio stomaco brontolante reclama la colazione che non ha ancora consumato e in ogni caso non ho voglia di continuare a fare il facchino qui!!

Mi muovo lungo il ponte quasi trionfante con un gran sorriso stampato in viso.

Mentre scendo a terra percorrendo la passatoia noto una figura avvicinarsi al Capitano.

Chi sarà mai cost..ei!? Avvicinandomi riesco a scorgere distintamente la persona: si tratta di una donna. Un mantellino grigio avvolge il suo corpo, al di sotto indossa un vestito rosso porpora con cintura di stoffa rossa e bianca che la stringe in vita fermata da una spilla decorata da un brillante bianco. Un lungo cappuccio copre quasi tutto il viso a parte bocca e naso.

Continuo la mia avanzata nella loro direzione accelerando il passo incuriosita, mantengo comunque una certa distanza.

... : “JACK!!!!” bercia gioiosa la strana donna.

Allora lo conosce penso sorridendo (Nooo, ma davvero???? NdAutori), chissà chi è!

Jack ruota il busto lievemente con un sopracciglio inarcato, non deve aver riconosciuto subito la voce di chi l’ha interpellato.

Lei sembra decisissima invece, gli si pone davanti senza nemmeno lasciar lui il tempo di controbattere, afferra il suo bel viso tra le mani e lo porge a se finché le loro labbra non si uniscono in un procace bacio.

Il mio sorriso si trasforma in una smorfia sorpresa e stupita. (ma soprattutto incazzata lol NdCapo)

Credo che in quel momento gli occhi mi siano usciti fuori dalle orbite e la mia mascella si sia dilatata a livelli esorbitanti.

ECCOME CHE LO CONOSCE ALLORA!!!!! Penso colma di rabbia.

E quel maledetto traditore di un pirata cosa fa?!? Non oppone nemmeno la minima resistenza!!!

No, certo! Non pensa di aver già una fidanzata lui!!

L’ira per un istante muta in qualcosa di simile alla paura, rabbrividisco al sol pensiero che tra tutte le cose che Jack ancora non mia ha detto ci sia anche… un’altra…      

Respiro affannosamente, non posso crederci… A questo punto non me lo sarei mai aspettata… Scuoto la testa incredula.

Bugiardo bugiardo bugiardo, dannato mentitore!!!

Accidenti, avrebbe potuto renderlo chiaro fin dal principio!

Se nella tua vita c’era già una donna, allora… Io cosa ci sto a fare qui…?

Mi avvicino a entrambi febbricitante di rabbia, raggiungo una vicinanza di appena pochi metri da loro aspettando impaziente una reazione alla mia presenza.

Stringo a più non posso i pungi per trattenere un improvviso attacco d’ira, esigo davvero una degna spiegazione questa volta brutto mascalzone, ignobile, farabutto, spregevole…

A quanto pare la mia vicinanza non serve proprio a nulla, ma non credere che io rimani qui a fissarvi zitta e buona ancora per molto mio caro!!

Sto quasi per esporre tutta la mia rabbia, quando improvvisamente mi blocco… Lungo il viso di quella donna scorrono delle lacrime.

Non so come, ma in quel istante qualcosa mi ha trattenuta impedendomi di proseguire.

Forse si è trattato solo di un bacio voluto dalla disperazione e non dall’ amore…

In ogni caso non doveva usare Jack come cavia per lo sfogare il suo sconforto!!!!

La donna [finalmente!!!!] allontana il suo viso dal Capitano riprendendo fiato.

Rimane prima un istante ammaliata, poi sussurra accarezzando amorevolmente le sue labbra socchiuse con la punta delle dita: ”Erano così fredde l’ultima volta...”

Jack scruta la donna quasi incredulo, neanche lui riesce a capire cosa sta succedendo.

Bravo, fai pure il finto tonto adesso!

...: “Ora devo andare, ma molto presto vi raggiungerò ancora, sono qui per aiutarvi…!” Conclude girandosi verso di me.

Vengo presa da un sussulto, conosce anche me? No… Com’è possibile??

Rimango del tutto sbigottita, aiutarci… ma che significa??

Molto presto poi, ah benissimo!! La prossima volta che faranno per salutarsi?!? Non ci voglio neanche pensare!!!!

La donna rivolge un ultimo sguardo al Capitano prima di allontanarsi rapidamente scomparendo tra la boscaglia che circonda il molo.

Io rimango nel punto in cui mi trovavo stringendomi nelle spalle atterrita, fisso con lo sguardo vuoto l’ultimo punto in cui mi è stato possibile vederla.

Jack mi si avvicina ondeggiando stralunato e a testa bassa.

Anche io torno in me, la collera mi causa un tremolio del labbro inferiore, ma compio un grande sforzo per cercare di non dare i numeri.

IO: “La conoscevi Jack?” riesco a domandare di getto rivolgendomi direttamente a lui che non osa ancora guardarmi in faccia. Mi stupisco anche io che il mio tono sia così calmo.

JACK: “No chèrie, non so chi sia!” ammette scuotendo il capo con sguardo serio.

“Cosa??...” rimango del tutto perplessa.

“…No, non è vero, non ti credo! Diamine, non so mai se mi dici la verità o menti, se fidarmi o meno di te…” farfuglio furiosa concludendo con voce spezzata.

Il Capitano mi scruta interrogativo.

IO: “Lei sembrava conoscerti molto bene invece, questo intendevo!!” ribadisco arrabbiata riacquistando animo.

JACK: “Sarà perché a voi donne faccio sempre questo effetto!” esibisce con orgoglio e uno strano brillio negli occhi. (ESATTO!!! NdCapitana)

Spregevole farabutto, non si sente neanche in colpa, si vanta pure!!

IO: “Di che effetto parli??” domando isterica.

JACK: “L’hai visto con i tuoi occhi!!” esorta allargando le braccia come se fosse ovvio.

IO: “Jack, quella donna stava piangendo!!!” contrasto la sua fierezza con afflizione. (questo effetto!! :P NdCapo  ke bastarda NdCapitana)

Il suo viso che aveva assunto appositamente un’ espressione ironica diventa più serio.

JACK: “Per caso io ho le labbra fredde?!” domanda frastornato dopo qualche istante di silenzio portandosi una mano alla bocca ripensando probabilmente ancora a lei.

IO: “Ma…ma santo cielo, cosa diamine c’entra??” sbotto arrabbiata perdendo il controllo.

Riduco gli occhi pieni di spasimo a una fessura.

Accorgendosi che non accenno altra risposta finalmente il Capitano mi rivolge uno sguardo esaminante.

Il dolore si fa più intenso, mi trafigge pienamente tutto il petto.

Possibile che non capisci le conseguenze delle tue azioni??

Sento le lacrime quasi fuoriuscire dagli occhi ma mi faccio forza e le reprimo almeno per ora che sono ancora di fronte a lui.

“Hai tutta la bocca cosparsa di rossetto, datti una risposta da solo! Io me ne torno a bordo!” concludo fredda e infuriata volgendogli del tutto le spalle e proseguendo nella mia intenzione.

Cammino a grandi passi per allontanarmi il più velocemente possibile da lì, raggiungo la passerella e una volta messo piede sulla Black Pearl mi volto di scatto, ma non verso Jack.

In un istante di sconsideratezza tiro un violento calcio alla passerella che conduce a terra poi giro nuovamente i tacchi e mi rifugio sottocoperta.

La trave di legno cade in acqua alzando un leggero schizzo che inumidisce la punta consunta degli stivali del Capitano posizionato poco distante dal bordo del molo.

Ha tentato si seguirmi, ma ora non ha modo di far ritorno sulla sua nave anche se non sarà di certo questo a fermarlo. Jack Sparrow è come la manica di un prestigiatore, ha sempre un trucco! (Ok era pessima, fate finta ke nn l’abbia scritta XD lol NdCapitana)

 

-

 

Ho scelto come rifugio la cucina. Non per un motivo particolare, quando ho bisogno di pensare mi piace star da sola e mettermi a fare qualcosa.

Questa mattina è deserta, Andrè gentile come solito ha lasciato tutto lindo e in ordine, riesco quasi a specchiarci il mio viso mesto nel fondo delle pentole qui appese sopra il piano da lavoro.

Emetto un altro sospiro seguito da un lieve singhiozzo prima di chinare nuovamente la nuca sulla ciotola dove all’interno ho mescolato qualche ingrediente con l’intento di farci un dolce.

Il silenzio che regna sulla nave mi rasserena, è interrotto ritmicamente soltanto dal mestolo di legno che sbatto sulle pareti della ciotola per amalgamare la sostanza giallastra che è uscita fuori dal mio primo “esperimento” in fatto di pasticceria senza la supervisione del nostro cuoco di bordo.

Improvvisamente avverto dei passi pesanti avvicinarsi alle scalette scricchiolanti discendendole lentamente.

Alzo leggermente lo sguardo e incontro quello “con fare innocente” del Capitano.

“Ah… sei tu!” dico per niente sorpresa.

Lo sapevo che sarebbe riuscito comunque a raggiungermi!

Osservo indagatrice i movimenti bizzarri che compie avvicinandosi: tiene le mani unite dietro la schiena e attraversa la stanza a passi lunghi  procedendo a rilento verso la mia direzione.

JACK: “Ti sei offesa dolcezza?” domanda con intonazione colpevole per aver da me una conferma.

Chi, io?! Ma nooooo… Per me potevate andare avanti in eterno!

Soprattutto sotto i miei occhi!!
IO: “Ciò che quella donna ti ha detto… mi ha fatto pensare!!” dichiaro vaga in tono piatto, che bugiarda sono.

Acconsente la mia risposta con un cenno del capo, cammina fino a raggiungermi dietro il bancone dove allunga verso di me le sue belle mani fregiate di anelli con l’intendo di scostare le chiocce di capelli che mi ricadono sulle spalle per appoggiarvi sopra il mento circondandomi dai fianchi.

JACK: “Dal tuo tono non si direbbe!!” osserva saccente.

Cavolo! Ecco, come solito mi ha beccato!!

“…Cosa cucini?” domanda curioso affondando il viso nella mia spalla.

D’istinto vengo presa da un brivido che mi fa incurvare leggermente la schiena, no no, non devo fargli capire come sto in realtà!!

Jenny sii forte, non cedere ai suoi giochetti…

IO: “Non saprei, quando sono nervosa mi metto a far qualcosa e non penso a quello che faccio…”

OPSSS, troppo tardi!!!

JACK: “Ah, ma allora sei nervosa!” confuta con una nota di adempimento.

Centrata in pieno!

Devo trovare il modo per deviare questo discorso!!

Mi sposto verso destra “liberandomi” dalla sua presa, raccolgo con il mestolo una gran quantità del mio esperimento e l’assaggio per individuare di che si tratta.

IO: “Uhmmm… sembra crema!!” assaporo deliziata.

Andrè sarebbe fiero di me se fosse qui!

Jack esplode in una risata.

IO: “Cos’hai da ridere??”

JACK: “Per assaggiare quella roba dorata ti sei sporcata tutta la faccia!!” risponde divertito.

Scoppio a ridere anche io, sono sempre la solita sbadata!!!

Un po’ di arrabbiatura si è dispersa in una cucchiaiata alla crema.

IO: “Tieni, assaggia anche tu” l’esorto inzuppando quasi del tutto il mestolo nella pentola [in modo che si sporchi anche lui!], poi mi giro nella sua direzione e trovo il suo viso così terribilmente vicino al mio…

Le sue labbra si appoggiano sulle mie e io non riesco ad ostacolarlo, forse nemmeno voglio.

Quando vi si trattengono troppo punto le dita della mano libera che mi è rimasta sul suo petto e amareggiata l’allontano da me.

“Uhmmm… buona!! Forse dovrei farti arrabbiare più spesso!!!” sogghigna pacato studiando la mia reazione.

IO: “Certo, perché io sono il tuo burattino! Una sciocca marionetta che puoi sempre manipolare come vuoi a tuo piacimento…!” confuto amareggiata guardandolo negli occhi.

Aggrotta la fronte rabbuiato prima di capire forse per la prima volta dall’episodio avvenuto poco fa ai piedi della Black Pearl il motivo anche per cui me la sono presa tanto con lui.

JACK: “Sai dolcezza, una volta credevo davvero che gli angeli fossero come il paradiso: devi morire per vederli…! Invece a me è bastato prendere l’assurda decisione di far rotta a 50 miglia marine da Tortuga… Per incontrarne uno…” introduce trasognante fissandomi intensamente.

Abbasso lo sguardo che al suono di quelle parole non riesce più a mantenere il suo fingendo di farmi distrarre da altro.

E quell’angelo sarei io?

JACK: “E’ stata la mappa di cui la parte mancante la possedevate tu e Dylan a condurmi fin alla Red Ocean! La notte prima il pezzo nelle mie mani era rimasto malamente abbandonato sul tavolo della mia cabina perché ero quasi intenzionato a rinunciare alla ricerca della sua parte mancante… Poi successe qualcosa di strano: un oscillamento improvviso della Black Pearl ha fatto rovesciare sulla tavola parte di una bottiglia di rhum che ha macchiato una porzione della cartina. L’ultima goccia del più pregiato liquore di tutta Cuba si è fermata nel punto in cui il giorno dopo ho strappato via il mio angelo dalle luride grinfie di quella ciurma di manigoldi, comprendi?” conclude chinando il capo per ricercare il mio sguardo.

Rimango sgomenta e a bocca spalancata, allora è così che è andata! E io che gli ho sempre rimproverato di essere uno spregevole corsaro interessato solo ad arricchirsi senza nessun’altro interesse…

L’ attacco alla Red Ocean non è stato causale, come se la mappa avesse voluto farci incontrare…

Mi guardo intorno confusa cercando di evitarlo acquistando tempo per riprendermi.

Infine ricado inevitabilmente su di lui trovando però modo di riscattarmi: “Lo sai che il mestolo sta gocciolando sulla manica della tua giacca!?” enuncio ridendo.

JACK: “Oh mannaggia, NO!! Mi hai fatto macchiare tutto!!!”

IO: “Aspetta, faccio io!” ceco di rassicurarlo mentre già si fa prendere dall’agitazione per aver rovinato uno dei suoi effetti.

Con uno straccio inumidito con dell’acqua cerco di ripulire la crema sulla sua manica.

IO: “Oh, ma guarda! Ti sei sporcato anche qui, qui, qui e qui!!”

Ora la macchia di crema si è sparsa su tutta la faccia di Jack.

Scoppio di nuovo a ridere poi comincio a correre verso la parte opposta della stanza per sfuggire alla sua reazione al mio dispetto.

Il Capitano reagisce all’intimidazione e non fa che inseguirmi per tutta la cucina.

Approfittando di una sua distrazione mi fiondo fuori sul ponte e richiudo dietro di me la porta per cercare di rallentarlo.

E’ completamente deserto, di sicuro la ciurma si trova ancora  in giro a zonzo per tutta West Caicos!

Mi soffermo sulla porta per bloccarla, non riuscirò nel mio intento a lungo, Jack è molto più forte di me!

Non appena lo sento avvicinarsi cerco un nascondiglio sicuro da qualche parte, ma non riesco a trovarne!!

Rassegnata mi precipito verso il parapetto di poppa, Jack esce dalla porta della cucina, devo affrettarmi!!

Mi sporgo stupidamente cercando una via d’uscita ma scivolo e senza volerlo finisco in acqua.

Per fortuna non perdo i sensi, sento le tiepide acque color del cristallo sommergere il mio corpo trasportandolo in profondità.

Raggiungo il fondo, ma non mi do la spinta per risalire subito: voglio vedere se Capitan Jack Sparrow verrà a salvarmi!!

Dopo pochi secondi sento l'acqua al mio fianco dimenarsi facendomi perdere stabilità.

Qualcuno mi afferra prontamente per trasportarmi verso la superficie. Fingo di essere un corpo inanime per farlo preoccupare ancora di più, così impara!

Quando torno a galla respiro lentamente dal naso tenendo sempre gli occhi chiusi per non far capire a Jack che sono cosciente.

Mi riporta sul molo facendomi sdraiare sulle assi inumidite della banchina.

Scostandomi i capelli dal viso dice irritato: "D’accordo morta annegata, adesso fingi di tossire e torniamo sulla Black Pearl!!"

IO: "....Come hai fatto a capire che non sono svenuta???" rispondo amareggiata aprendo leggermente un occhio, mi stavo divertendo!

JACK: "Ti ho sentito riprendere fiato appena siamo usciti dall'acqua!!!" contesta irritato.

Beccata d nuovo! Non poteva funzionare…

IO: "Perché devo far finta di tossire?" domando stranita cercando di rialzarmi.

 JACK trattenendomi a terra: "Perché non so se te ne sei accorta tesoro, ma il tuo "tuffo" ha attirato l'attenzione di mezza West Caicos!!!!” afferma a denti stretti.

OPSS!!!!

Alzo leggermente il capo e vedo una sorta di piccola folla di pescatori e umili abitanti del villaggio raggrupparsi nelle vicinanze incuriositi. 

E’ meglio che faccio come dice!! Come se non fosse successo niente mi rialzo e a testa bassa risaliamo entrambi a bordo.

Mi siedo a terra appoggiando la schiena contro al parapetto per nascondermi, lontana dagli sguardi “indiscreti” del porto.

Quando scorgo il mio salvatore in arrivo scoppio a ridere divertita da questa nostra assurda figuraccia.

Jack osserva ancora il porto per un secondo, poi si dirige verso di me e urla indispettito: "Mi hai fatto venire un infarto, NON FARLO MAI PIU'!!!!!"

Rimango seria per un secondo e poi riscoppio a ridere di nuovo.

JACK: “Hai fatto un tuffo che neanche ti immagini, potevi farti male seriamente, ci hai fatto fare una figuraccia e adesso mi prendi anche in giro?!?”

Cerco di nascondere la mia risata portandomi una mano alla bocca ma non serve a granché.

Il Capitano si abbassa alla mia altezza sorridendo visibilmente, comprende da se che aggiungendo qualsiasi parola non fa altro che farmi ridere ancora di più.

IO: “Grazie Capitano per essere venuto a salvarmi!” dico sincera porgendogli una mano.

JACK: “Dubitavi forse che non l’avrei fatto??” domanda esaminante afferrandola aiutandomi così a rimettermi in piedi.

IO: “Mah, non saprei…! Da te ci si può aspettare qualsiasi cosa!! Una volta ti ho paragonato ad un pianeta inesplorato dell’universo…”rispondo placando le risa e strizzandomi i capelli bagnanti con la testa leggermente piegata in avanti .

E’ vero, non gliel’ho mai detta questa cosa!                      

JACK: “Io un PIANETA???”dice divertito togliendosi di dosso la giacca completamente zuppa.

IO: “Esatto: strano, affascinante ed imprevedibile!

Si gira di scatto scrutandomi quasi stupito senza dire nulla.

Questa volta sono io ad averlo lasciato senza parole!!

_______________________________________

FUORI ONDA

Capo: "Pianeta???? si quale?? il sole, che non puoi guardarlo altrimenti rimani cieca?!?"

BANG BENG BUNG

Capo morta uccisa da Capitana e da Jennyfer!! lool

Capitana: "Eh che invidia a questa Scilla!! Jenny sei una pessima attrice però senza offesa!!"

JENNY: "NON TI CI METTERE PURE TU!!" Dice alzando una spranga di ferro.

Capitana: "Ok ok nn dico più niente a riuguardo!!"

-_-'''

JENNY: "E vedete di nn fare più queste scene!!CAPITO??????"

Capitana: "siiiiii!! capito!"

Jack sussurra alla Capitana: "Magari si potrebbero fare di nascosto!!"

JENNY: "COSAAAAAAAAAAA???"

JACK: "Chi ha fiatato??"

JENNY: "Meglio così!!"

...: "psss...Capitana....!"

Capitana: "Capo sei viva!!" Capo: "si ma ora è meglio filarcela!!" Capitana: "Già meglio così!!" noi: "VIA!!!"

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Capitolo 5
*** Better days. ***


Nota delle autrici: (Continua a piè di pagina)

 

Buona sera a tutti quanti!!! =D

Mi scuso a nome di entrambe le autrici per l’avviso smonco che ho messo in questi giorni nel mio profilo di efp, ma la data di pubblicazione era il 6 Novembre e poi “imprevisti sono sopraggiunti” dati da alcune vostre recensioni (che qui sotto ringrazieremo sempre individualmente) ci avete fatto notare che la reazione di Jennyfer a quello che è successo nel capitolo 4 non è del tutto adeguata e avete perfettamente ragione ^^

In questo modo allora abbiamo strutturato il capitolo 5 in varie parti (sottocapitoli) che speriamo riaggiustino tutto, il problema è che a oggi di questo capitolo è pronta solo la prima parte!

In documento word mi risultano che sono solo 5 pagine, poche lo so, ma per rispettare il termine è pronto solo questo =(

Ho già quasi finito la seconda parte e tra qualche giorno prometto solennemente che metterò un avviso in grassetto nell’introduzione di Untitled-With out End per informarvi di qualsiasi aggiornamento! ^^

E’ successo che in queste settimane ho approfittato del ponte dei morti per un viaggetto nella capitale e la scuola ha preso me e il Capo seriamente per cui abbiamo avuto poco tempo e ce ne scusiamo con voi -_-

Allora vi possiamo dire che in questa prima parte c’è il ritorno poco gradito di una vecchia conoscenza di Unty, i più se la dovrebbero ricordare :P E Jenny assaggia una parte di piccola vendetta nei confronti di Jack!! >= ) hi hi hi ^^

 

Grazie per i pareri di…

 

daphne greengrass: Ciao ehm… (Alessandra [bellissimissimo nome *_*], Francesca o Giada, sorry ma non l’ho capito XD =$) Hai battuto il record dei record questa volta! :D lol Hai tolto il primato alla mia Fra XD Scherzo!! ^^ Caspita, e io che pensavo di aver scritto una schifezza nella reazione di Jenny a quello che è successo ^^’ (e così è stato Kela, cha stai a dì?!), Grasie! =)

Dunque… Devo essere stata poco chiara… Per tutto quello che riguarda Dylan come personaggio fisco cioè che partecipa di persona alla fic ho spiegato per tutti che ci duole informarvene così ma non è in alcun modo possibile farlo rientrare in questo modo in Unty2 =’(

Se ti va puoi rileggere il capitolo 14 di Untitled dove si racconta per bene il potere che nasconde la mappa e vedrai che quella caratteristica della mappa non valeva mica solo per Jennyfer e Jack, non si fan distinzione, vale per chiunque possieda la mappa, in questo caso Dy ;)

Se Dylan tentasse di tornare nel passato per rivedere Jennyfer, lei si ricorderebbe di lui (a partire dalla sua nascita fino al giorno in cui dal futuro si sono ritrovati nel passato, ma tutto il viaggio nel passato no) e Jack non saprebbe nemmeno chi è perché prima che arrivasse con Jenny dal futuro non poteva conoscerlo!

Crediamo che si sconvolgerebbe un po’ tutta la storia così, o ci sbagliamo?

Per quanto riguarda ricordi, flash back, pensieri… Allora qui sì che Dylan ci sarà! Abbiam scritto quasi capitoli interi più avanti dove parliamo di Dylan ^^ Ma il personaggio reale e fisico ci dispiace ma è impossibile -_- :’(

Ti prometto, e lo dico a tutti quanti, (speriamo che leggano XD lol) che io e il Capo ci siamo ingegniate a creare un personaggio nuovo che sostituisce un poco l’adorabile funghetto in questo sequel di Untitled, perché l’elemento “disturbo” non può mancare :P

Non è un bambino ne dolcissimo come il nostro piccolo Dylan ma di disastri ne farà uguale! ^^

Ah come ti capiamo a mamme rottura di rocule XD Ne abbiamo 2 così anche noi e il peggio è che sono sorelle e a parte l’aspetto fisico di carattere sono identiche <_< Grazie per seguirci sempre con il tuo entusiasmo =* Un gran bacione!

 

johnny jack: Fra Fra! Mi perdi I colpi qui tu XD lol Ti sei fatta soffiare un titolo, c’è da rimediare! :P hi hi hi ^^

In questo prossimo capitolo 5 ho fatto scrivere al Capo le note finali solo per te =D lol così ti fan piacere ^^

Eh già Immi eh *_* Si ma qui mi sa che te lo devo rispedire il boscaiolo io a te per venirti a ripigliare che con Jack dagli occhi blu lì ti ho persa XD he he he

“I sogni non hanno mai fine, basta crederci!” dice il mio James *w* e ha ragione!!!!! :’)

Eh sì, l’ho scritta apposta quella frase, noi lasciamo sempre degli indizi che vi fanno capire ma in pochi li colgono, state attenti!! XD

Nulla è lasciato al caso :D

Si va bhe non esageriamo, uno dei più belli non direi XD A me a volte piace rileggerne tutt’altri =D E’ stata l’introduzione di una delle chiavi che compongono Unty2, ma in ogni caso apprezzo tantissimo il tuo appoggio che ricevo sempre, grazie tantissimissimissimo!!! =’) =* =*

Allora vado a lefare quel vecchiaccio del boscaiolo al pino e torno eh! XD Alla prossima mia dolce principessa pazzerella, ti voglio troppo bene!! Baciiii

 

JiuJiu91: Ciao Giulia! :D E’ stata la tua scorsa recensione a farmi riflettere per prima ^^

Sì, ammetto che io insomma non ho mai assistito o partecipato a una scena del genere di persona (anzi sì ma con il mio cervello malato, non è che prendeva me principalmente XD) per cui sono andata molto a spanne, ho scritto tutto in grandi linee e appunto ero preoccupata di aver creato una schifezza :S

Nella parte 2 di questo capitolo 5 Jack dirà perché non si è sottratto alla “donna incappucciata” XD lol come la chiamo tu! ^^

Spero che almeno in questo capitolo Jennyfer riesca a riscattarsi un po’ e a riconquistare la tua fiducia, sostegno… insomma quello che è!! XD

Jenny disegnata da Dy non è disegnata da nessuno, è proprio la persona vera che è così! :D lol Oddio spero di non averti distrutto un sogno XD

E’ solo passata sotto le mie mani e photoshop dove l’ho rimodellata a mo di disegno ed è uscita così! ^^

Grazie come sempre, a presto! Un grandissimo bacione!!! =D

 

micia: Eh si cara la nostra Micia noi alla fine siamo state puntuali (come cerchiamo sempre di essere ^^’ Un termine è un termine!) Ma tu no XD LOOL Ma dai scherzo, stai tranquillissima!! :P

Siamo contente che piaccia anche a te il disegno di Jenny fatto da Dy! :D

Era il nostro regalino per voi a cui manca il tenero funghetto ^^

Suvvia, Jenny si è buttata perché voleva vedere cosa avrebbe fatto Jack! Si un gesto un po’ stupido, c’è da dirlo (vuoi che quello non si butti?? Ha salvato pure la racchia di Liz! Ops ^^’ eh si quanto voglio bene a quella ragazza io <_<) ma si sa che l’amore è follia ;) Spero che questo capitolo 5 ti piaccia! :D

Adesso c’è solo una parte, ci vorrà ancora un po’ per leggerlo completo -_-

A prestissimo! Bacioniii =*

 

Nekomi: Ciaaaao Laura!!! :D Che piacere averti nella nostra fan fic!!! J

Oh, meno male che è interessante ^^ lol Per me ormai è noiosa, le ho lette troppe volte queste parti XD

Certo, ogni coppia prende le sue pieghe, ma i miei sbaciukioni non si spezzano, traqnuilla ;) ^^

Ti ringrazio davvero tantissimissimo per il tuo incoraggiamento :D

A prestissimo, vedremo cosa ci dirai di questo chapter 5!! ^^ E tu mir’accomando con il canto della sirena XD XD

Un grande bacione!!!

 

Blue Tiger: Picciiiii mia dolcissima *.* Ciaaoooo XD Allora, io ho cercato di corrompere il tizio del treno domenica pomeriggio e pure di sviarlo, ma niente -_- Al posto che andare a Cassino è tornato a Milano, t sarei passata a trovare! =’(

Mah <_< Anche Jo si è arrabbiato (e io naturalmente non ho capito che ha detto eh, figurati XD) ma non c’è stato nulla da fare! Uff!

LOL XD

Yes, nel capitolo scorso i protagonisti erano i miei due sbaciukioni e per l’identità della donna misteriosa ci vorrà tutto Unty2 per scoprirlo XD lol Ma il nome lo saprete nel capitolo 6, anche se è facile da scoprire, l’ho rivelato in una dedica del capitolo 1 ;)

Eh bhe sì esatto, per quella parte mi sono liberamente ispirata a una mia reazione che ho avuto nel secondo film, mi hai scoperta XD ha ha ha ha

Ci credo, ho rotto così tanto per sta storia ^^’

Maledetta scopa vestita!!! <_< Ma le moschettiere te l’han fatta pagare *ristata diabolca* XD vero Lu? :D

A prestissimo, un bacione anche ai tuoi 2 omaccioni =* =* =* =*

 

68Keira68: Ciao carissima Sara!!! =$ Dunque, io e il Capo prima di tutto dobbiamo ringraziarti non solo per i tuoi pareri dei primi 4 chapter di Unty2 ma a questo punto anche per unty1!! ^^ lol

Ti ringrazio qui perché ormai in Unty1 non posso più farlo, se no ogni volta devo modificare tutto un capitolo per scrivere 4 righe ;)

Il tuo ringraziamento è davvero speciale perché, a parte l’enorme infarto che mi hai fatto pigliare e te l’ho detto XD XD ha ha ha :D Ma tu hai fatto qualcosa di più!

Hai capito la vera essenza della scorsa FF, quello che hai scritto e capito è esattamente tutto ciò che volevamo esprimere noi, siamo strafelici e onorate che qualcuno l’abbia colta, capita ed apprezzata =’)

Mi ha colpito e commosso (Kela dalla lacrima facile XD lol) quello che hai scritto,soprattutto nelle 2 recensioni dell’ultimo chapter, l’ho riletto un po’ di volte perché era magnifico davvero!! =) Quello che speriamo allora è che Unty2 sia alla pari del primo se non qualcosa di meglio, cresciamo scrivendo e l’abbiamo notato! (rileggendo i primi capitoli mi vengono i capelli bianchi e adesso capisco davvero quello che mi dicevano ^^’)

Bene allora io chiudo bocca tanto tu hai già capito tutto, adesso mi dici anche la fine d Unty 2 e siamo a posto XD lol

No dai, non dico sul serio! :D

Aaaaallora… Parto dall’inizio…

Si diciamo che non è il vestito di Cenerella ma quasi XD lol (nel capitolo 3 ho lasciato un link per farvelo vedere! :D)

Aaaaargh sn contenta che la storia dell’angelo sia piaciuta a tutti perché io l’amo!! *.*

Eh bhe, Jack è Jack 8-D Lui è il fascino in persona, anche il Capo dice che è affascinante per lo meno, ed è tutto da dire eh!!!!

Si, poi naturalmente ha mille debolezze tra le quali il rhum XD lol Ma quelli sono “dettagli” come dice sempre il Capo ;)

Sai che tu sei come io e Gore, ragioniamo allo stesso modo, e non va bene questa cosa XD lol perché io mi sono rovinata sempre il film per colpa di questo e tu da lettrice questa fan fiction ^^’

 Eeee… dunque se il Capo non mi taglia le dita posso dirti che il tuo ragionamento non è sbagliato ma nemmeno tutto giusto riguardante “l’incappucciata”, basta io non ho detto niente!!! XD

Capo non leggere 0_0

Ah già! Andrè qui ti ringrazia calorosamente per l’apprezzamento (Kela spinge via il pirata francese dallo schermo del pc che urla “MERCI MERCI MERCI” a raffica e altri ringraziamenti in francese che Kela non capisce) -_-‘’’’’ Cero certo, non ho capito come è uscita fuori questa cosa che sia innamorato di Jennyfer ma è un enorme malinteso che non è assolutamente vero, tranquilli! XD lol

Bhe allora ti ringrazio ancora di tutto, sei una lettrice attenta e preziosa! =)

Un grandissimo bacione!!!! =* =*

 

Hilly89: Caro Lorence… Eh si qui Mara ti ha scambiato per uno un bel po’ avanti con gl’anni!

Mi dispiace ma il nostro Andreuccio è così ^^’ lol

Su su non te la prendere che Mara ti ama lo stesso! :D LOL

Non ti preoccupare, anche noi abbiamo sti momenti di pazzia incontrollati, anzi la sottoscritta in particolare li ha dalla mattina quando si sveglia alla sera cha va a dormire per cui ti capisco, no problem ;)

Uuh bhe grazie :$ io sto miglioramento lo vedo poco ma se lo dice un lettore esterno da me diciamo che ci credo ^^

Non ci ho pensato che Jack potrebbe avere una doppia vita da agente segreto XD lol

Ma no dai! Non è che la sfrutta, anche in Unty1 era così! Qualcosa dovrà pur fare sta ragazza, non è che perché è la protetta del Capitano allora non fa nulla ;)

Io la troverei noiosa se sta lì tutto il giorno a far nulla!

Certo che potrebbe trovare impieghi meno pesanti, ma su una nave non c’è molta scelta, o ti sporchi le mani o niente!

Quando scoprirai chi è la “zoccoletta” non dirai più così ^^’ lol

Non ti dico come reagirai…

Bhe si potrebbe essere una scenetta carina ma non sono pratica di lotta a mani nude io per cui usciva una schifezza, meglio a parole dai!! ^^’ hi hi hi :D

Mi è piaciuto tantissimo il modo in cui hai inquadrato Jenny :D Sì, lei racchiude un po’ quello ma anche molto altro, vedrete che le aspetta in Unty2!!

Grazie come al solito per il nomone seppur esagerato da associare a noi =$ Un immenso bacioneoneone!!

A prestissimo e scusate ancora molto per tutto l’inghippo che abbiamo causato, ci faremo perdonare :D promesso!

Un bacione.

Kela and Diddy

(Capitana and Capo)

 

 

Capitolo 5

Better days.

Shiny.

 

Ripiego ancora una volta in più strati il sudicio “straccetto” per non tagliarmi e lo faccio scorrere lungo la lama di una spada strofinando con forza ai lati dove l’arma deve essere più affilata e resistente.

Mi trovo seduta per terra tra le 4 mura basse e strette dell’armeria, intenta a cimentarmi in qualcosa che Jack ritiene sempre essenziale: Un buon pirata mantiene sempre  puliti e lustri i suoi effetti!

E va bene, penso sospirando, allora proviamoci…

Sfrego più volte la stoffa sgualcita e logora prima di fermarmi ad osservarla compiaciuta: Sì, la sto proprio consumando per bene!!

Il drappo di cui mi servo per apportare un po’ di pulito agli armamenti abbandonati di questa stanza è ciò che rimane di una camicia del Capitano, più precisamente si tratta di un indumento che tempo fa avevo già macchiata di marmellata…

Ora, in questo stato grigio polvere lo si potrebbe scambiare per un qualsiasi cencio, chissà se si accorgerà che gli appartiene!

Oh, benissimo! Questa dannata lama è lustra final…

… “Finalmente ti ho trovata!”

Sussulto spaurita, credevo di essere completamente sola invece davanti a me giungono Jack seguito da Diego, quell’eruditissimo  pirata che poco tempo fa mi ha allietato delle sue magnifiche proposte indecenti. -_-‘

Li guardo entrambi di sottecchi, mantengo lo sguardo basso fingendo di continuare ad occuparmi del gladio.

JACK: “Ti ho cercata ovunque, ho mobilitato persino Diego!” cerca di legittimarsi indicando il volgare bucaniere con un ampio movimento del braccio.

Annuisco con un cenno: “Sono sempre stata qui” esorto scrollando le spalle.

Non credere che io sia incline a darti alcuna soddisfazione dopo quello che hai fatto e per il quale non mi hai ancora chiesto scusa.

 Il Capitano assume una posa teatrale scrutandomi indagatore con la testa leggermente piegata.

JACK: “A far cosa di grazia?!” domanda in una nota di nervosismo.

IO: “Lucidavo le sontuose spade riposte qui se proprio vi interessa!” rispondo in tono presuntuoso, guardandolo dritto negli occhi con aria di sfida, non curandomi della presenza di un membro della ciurma.

DIEGO: “Forse il Capitano apprezzerebbe di più che tenessi a lucido qualcos’altro…” suggerisce sogghignando a denti stretti. (però forse il Capitano gradirebbe che non usassi il panno sporco..NdCapo) (Ecco il commento cn un certo doppio senso del Capo… NdCapitana)

Cosa…Come prego? …Che dice quello???

Rimango del tutto spiazzata, contraggo le sopracciglia in un’espressione colma di furia e sconcerto.

Al suono di questa affermazione Jack ruota il busto rivolgendo un’occhiataccia minacciosa al suo marinaio semplice.

Diego vedendo la reazione che riceve da trionfante diviene intimorito, china la testa rifugiandosi sotto il berretto striminzito che indossa per coprire i primi segni di calvizie.

Razza di bucaniere svergognato, non gli permetto di dirmi certe cose!!! Alle donne andrebbe portato ancor più rispetto degli uomini mentre in questa epoca di giurassici sono trattate alla pari di un animale.

Mi alzo in piedi decisa a riversare su quel sozzo porco tutta la mia rabbia, ma il Comandante mi precede e intima con un tono iroso che non ammette repliche: “Fuori di qui!

L’adepto esegue l’ordine all’istante, si dilegua tremante con la coda fra le gambe.

Rimasti soli Jack si volge a me con un sorrisino compiaciuto nell’angolo destro della bocca.

La mia reazione invece è tutt’altro che la medesima, scuoto la testa fissandolo a braccia incrociate.

IO: “La tua ciurma non è altro che una marmaglia di sboccati manigoldi e tu risolvi sempre tutto così, alla leggera!” lo rimprovero con rammarico.

JACK rimanendo sbigottito: “Avrei dovuto aprire il fuoco per una battutina appena sussurrata?! No, così quello sboccato manigoldo si darebbe dato troppa importanza...” replica sdrammatizzando in un sogghigno.

Ti comporti sempre così quando speri nel perdono vero Jack?

IO atteggiandomi ironica ad un’esperta spadaccina: “Bhe, se l’avessi lasciato a me ora sarebbe ridotto a girare in mutandoni e mi sarei servita solo della mia spada!” preciso altezzosa sfoderando l’arma dalla cintura per eseguire dei movimenti che risultano un poco goffi, non sono per niente capace a maneggiarla come si deve.

JACK ridendo: “Oh, ma certo! Già me lo vedo e provo pena per quell’indifeso bucaniere intimorito e leso dalle tue spaventose minacce.” ipotizza strabuzzando gli occhi e portando le mani verso l’alto per schernirmi.

Sporgo maggiormente il labbro inferiore per assumere un broncio contrariato e offeso.

“Suvvia, non fare così… Sai che non resisto a quel faccino furente.” afferma accattivante indietreggiando lentamente verso la porta con l’intenzione di tornare a compiere i propri doveri sul ponte di comando.

Vedendo che non trovo modo di ribattere alla sua provocazione prosegue nel suo intento volgendomi le spalle.

IO: “Jack…!”

Si blocca già sulla soglia voltandosi incuriosito.

Mentre era girato ho raccolto una spada da terra, stabilita la sua attenzione lo raggiungo a grandi passi tenendo l’arma nascosta dietro la schiena.

Giunta di fronte a lui mi porgo sempre più verso il suo viso fino a quasi carezzarci.

Il Capitano non si oppone di certo, accoglie ignaro il mio gesto cingendomi a se con una mano appoggiata sulla mia schiena.

La sua testa si china per volgersi verso le mie labbra, nel frattempo io sollevo il braccio che impugna la spada.

Quando ormai il suo respiro si sta per confondere con il mio rilascio il gladio che va ricadere nel fodero della cintura di Jack con un fruscio metallico.

Questo rumore fa trasalire il Capitano che si allontana da me incontrando il mio sguardo soddisfatto: “Questa vi appartiene, ve l’ho sottratta senza che nemmeno ve ne accorgeste. La sottoscritta invece… Bhe, dipende tutto da voi!” affermo allontanandomi del tutto da lui e inoltrandomi ancora una volta nel buio nell’armeria.

Jack annuisce compiaciuto, abbandona la stanza accettando la sfida con brillio euforico negli occhi.

 

-

 

Fine primissima parte.

 

___________________________________

FUORI ONDA

JENNY: “DIEGOoooOooooOOoooo… Vieni subito qui!!!”

Un Diego tremante : “Si!?”

JENNY: *Guarda te se devo litigare con uno che si chiama come Zorro, il mio eroe di quando ero bambina!!*

JACK: “Chi sarebbe questo Zoro???”

JENNY: “Si chiama Zorro e poi… lasciamo perdere…!

Hey! Diego non scappare!!!!!”

Diego torna indietro a testa bassa.

JENNY: “A cosa ti riferivi prima!?!?! Ti sembrava una battuta divertente??”

DIEGO: “Bhé si.. comunque mi riferivo…”

JACK: “A questo!!” dice sogghignando aprendo con entrambe le mani la giacca.

DIEGO: 0_0

JENNY: 0///0

CAPITANA (come al solito): *ç*

CAPO: <_<

Dopo un momento di sorpresa nell’aria riecheggiano delle risate.

JACK: “Cosa avete tutti da ridere???”

DIEGO: “Signore, se permettete, io non mi riferivo alla sua spada!!”

JACK: “Una volta tanto che non voglio essere malizioso guarda un po’ sti due cosa mi dicono! Autrici io mi ribello!!!!!!!” >= (

E con la sua solita camminata dondolante va a prendersi un caffè dietro le quinte…

 

Se siete giunti fino a qui avete letto (come scritto appena sopra) solo la prima parte di questo capitolo 5.

Adesso non so dirvi quante saranno le altre, ma in totale dovrebbero essere altre 3 per cui questo capitolo sarà composto da 4 sottocapitoli.

Ci saranno molti capitoli di Unty2 fatti da sottocapitoli, questo è solo il primo ;)

Vi lasciamo già scritto qui la data di pubblicazione degli altri

sottocapitoli di questo capitolo 5: 19 Novembre.

Se qualcuno di voi lo sa già benissimo, altrimenti lo diciamo qui per tutti: abbiamo scelto questa data perché è il giorno del compleanno delle 2 autrici qui, si si, sia la Capitana che il Capo XD

Per cui se lasciate una recensione, che in ogni caso fa sempre piacere, gli auguri sono d’obbligo :P lol

Per questa volta siccome sarà il giorno del nostro compleanno siamo buone e vi diciamo già ora anche l’ora di pubblicazione se volete: dopo le 18:40.

Perché la Capitana torna tardi da scuola quel giorno -__-

Dato che fate sempre una gara, questa volta la rendiamo una gara di velocità! :D lol

Scherziamo naturalmente ^^

Allora a prestissimo, fateci sapere cosa ne pensate di questa prima parte!

Al 19 Novembre :P e ricordate che è un giorno importante!

Bacionissimi

Kela and Diddy

(Capitana and Capo)

 

 

Nota delle autrici:

Salve di nuovo a tutti quanti! :D

Lascio questa breve nota solo per spiegare due cosucce, i ringraziamenti di questo chapter li ritroverete scritti nel capitolo 6!! ^^

In questa seconda parte del capitolo 5 ritroverete il nostro caro Andrè purtroppo odiato dalla maggioranza di voi, ma vi assicuro che ha un suo scopo :P lol

A dire il vero questo capitolo 5 non era previsto, l’ho scritto dopo aver letto i vostri commenti passati ^^ Per cui se trovate qualche difetto, qualche cosa che ho trascurato o che si svolge troppo velocemente ditelo :P A me da brava romanticona piace la parte finale… Ma insomma, fateci sapere! =D

E’ uscita fuori una cosa di 14 pagine che + le 5 della prima parte sono 19 per cui non so se in un minuto ce la fate a leggerle tutte ^^

Però facciamo così: il primo o la prima :D lol che finisce gli dedichiamo il chapter 6 che è parecchio romanticoso e da lì inizia la parte importante di questa fic! ^^

Spero che tutti si ricordino che oggi non è un giorno qualsiasi se lasciate una recensione XD

Vi lasciamo alla lettura :D

Alla prossima!!

Un bacione grande.

 

Kela and Diddy [finalmente sedicenne e diciottenne :P]

(Capitana and Capo)

 

 

Come un libro aperto.

 

Giunta la sera mi trovo sul ponte ad osservare il tramonto nel mare appoggiata al parapetto, questo gesto ormai è divenuto mia abitudine quando sono pensierosa.

Il movimento delle onde di solito riesce a tranquillizzarmi, ma quest’oggi non è molto d’aiuto.

Al mio fianco c’è Andrè che non so da quanto ormai mi sta raccontando qualcosa su come ha trascorso il pomeriggio, mi dispiace non starlo a sentire ma è più forte di me, troppi pensieri offuscano la mia mente.

Siamo ancora fermi al porto, lo odio questo posto, non vedo l’ora di salpare! Evito in ogni modo di rivolgere il minimo sguardo alla terra ferma per non rivedere la brutta immagine di stamattina.

Quello screanzato del Capitano non si è ancora nemmeno degnato di darmi una minima spiegazione per quello che è successo, e io non posso fare a meno di pensarci continuamente supponendo ogni inimmaginabile interpretazione.

Presa dalla rassegnazione, appesantita ancor di più dalla tristezza, chino la nuca in avanti incurvando la schiena.

“Jennyfer?”

“Oh! Ehm, sì Andrè?! Che mi dicevi di questo pomeriggio?” domando scattando nella posizione originaria molto scossa. Poverino, non ho ascoltato nulla di ciò che ha detto.

: “Mais, rien vraiment. (ma niente veramente NdAutori) Ho solamont RioRdinato le pentole e le stoviglie dela cuScina!”

Ammette scrollando le spalle.

“Ma no. Potevi chiamarmi, ti avrei dato una mano!” affermo dispiaciuta.

ANDRE’: “Non Scè pRoblema mademoiselle, ho fato anche da solo. InveSce tu sembRi aveRne uno, opuRe mi sbaglio?” chiede incerto scrutandomi rabbuiato.

Non c’è niente da fare, sono come un libro aperto per quest’uomo!

IO: “E va bene.. l’ammetto, c’è eccome…! E’ successa una cosa molto strana questa mattina al porto: mentre caricavo le ultime casse nella stiva ho visto una donna avvicinarsi al Capitano. Era vestita in modo stranissimo ne nobile ne comune e aveva il viso completamente coperto da un cappuccio grigio… a parte la bocca!” spiego con calma cercando di non delirare.

ANDRE’: “Pourquoi hai pronunSciato boca in quel modo contRaRiato?”

IO: “Meglio lasciar perdere…” suggerisco sollevando un braccio per poi farlo immediatamente ricadere.

ANDRE’: “Tutto qui le pRoblem?!” chiede stranito.

IO: “No, gli ha anche detto una cosa stranissima, poi rivolgendosi anche a me ha enunciato di volerci aiutare. Tutto questo prima di dileguarsi.” Spiego sforzandomi di mettere da parte la mia ira per ricordare.

ANDRE’: “Pour moi n'est pas une chose ainsi grave!” (Per me non è una cosa così grave NdAutori) borbotta in francese a voce bassa.

IO: “Non è questo il punto…” contraddico sospirando.

ANDRE’: “Come diSci? Pardon moi, mais je suis duRo di compRendonio!” ammette portando una mano dietro l’orecchio per sentire meglio. (eh, è l’età! NdCapitana)

“Nulla…” esorto cercando di abbozzare un lieve sorriso.

Il pirata ne rimane sconcertato, questa volta reagisce riconsiderando tra se e se, credo, gli elementi che ho fornito lui fin ora.

Lungo il parapetto regna il silenzio per qualche decina di secondi, poi il cuoco di bordo obietta con voce squillante sempre più incuriosito: “Nient’altRo?”

Quando ti ci metti sei davvero impiccione Andrè! …Ecco che ritorna la rabbia… Speravo di non esser costretta a rivelare anche questo!!

IO: “E va bene, l’ha baciato! Ma stava piangendo, si vedeva benissimo… E non riesco proprio a capirne il motivo. Lei sembrava conoscere più che bene Jack, lui invece dice di non saperne nulla…” dico tutto d’un fiato per non soffermarmi a riflettere sui dettagli allargando così ancor di più una ferita da poco aperta.

ANDRE’: “ImmaJino che le Capiten non abia oposto molta ResistonSa…” confuta portandosi una mano al mento.

IO: “ANDRE’!” lo zittisco infuriata.

ANDRE’: “Chiedo scuSa mademoiselle. La tRovo una cosa plus che stRana en efeti!” valuta prendendo atto di quello che gli ho riferito.

IO: “Sai, in realtà quella donna mi è sembrata fragile, quasi indifesa. Sono certa che non vuole farci del male, ma mi preoccupa…!” ammetto in tono mesto.

ANDRE’: “Che bruta coSa la JeloSia…” commenta dando uno sguardo al ponte per evitare il mio.

Lo fulmino all’istante.

ANDRE ridendo: “Io scherSo Jennyfer! Non devi pReocupaRtene, secondo me Sci dev’eseRe un motivo peR quelo che vi ha deto e, se Scè una raJone particulier, si RifaRà viva!” cerca di rassicurarmi appoggiando una mano sulla mia spalla.

IO sospirando: “Forse hai ragione Andrè…”

Anche se mi duole, ammetto che temo un ritorno di quella baciatrice con dal volto celato, come mi dovrei comportare la prossima volta?

Devo davvero lasciar passare questo fatto come se nulla fosse?! …NO e poi no! Sono una gran permalosa e finché non ricevo uno straccio di scuse rimango del tutto offesa!

ANDRE’: “Alor, tu hai intansion de parteSipè à la réunion informatique?” cambia argomento credendomi sollevata.

IO: “Reunion-che?? Scusami André ma non capisco a cosa tu ti stia riferendo!” Come spesso accade non ho compreso del tutto il suo Americano francesizzato.

ANDRE’: “Regarde avec tes beaux yeux!”

Seppure non comprendo mezza parola della sua ultima affermazione, riesco a intenderne il significato dall’ampio gesto che compie indicando il raggruppamento creatosi alle nostre spalle da parte dei membri della ciurma.

…Cosa succede qui?

ANDRE’ porgendomi la mano con la sua innata gentilezza: “PoSo acompagnaRvi mademoiselle…?”

  

Mi avvicino alla piccola folla seguita da Andrè che mi spiega a tono basso per non farsi sentire da Jack posto al centro del gruppo: “Queste adunate il Capiten si diveRte a chiamaRle Riunioni infoRmative ! Mi chiedo coSa si saRà inventato adeso…" conclude scuotendo la testa sfiduciato.

IO: "Stiamo a vedere" rispondo intrigata.

Il Capitano attende che si plachi un po’ di brusio per rivolgersi alla sua ciurma agitando le mani in aria nel suo modo stravagante per farlo diminuire fino a scomparire.

JACK: "Bene, visto che attualmente ci siamo tutti. Miei uomini… [rivolto a me] Dolcezza! [Andrè mi fa l’occhiolino], questo pomeriggio ho inviato due membri della ciurma dalla parte opposta dell’isola per recuperare un mio ordine. Li raggiungeremo domani all’alba, acquisteremo le ultime provviste e ripartiremo prima del tramonto!” spiega velocemente dato che l’equipaggio non ha ancora brindato questa sera e non è consigliabile far aspettare troppo degli alcolisti incalliti o dovrei dire “uomini impazienti”…

Qualche accenno di assenso si innalza alle mie spalle, altri annuiscono con la nuca assecondando il loro superiore.

Jack porta le mani lungo i fianchi, storce la bocca e inarca le sopracciglia scure scrutando malamente ogni singolo pirata, probabilmente si aspettava più entusiasmo da loro.

JACK: “Che dite voi?!” marca a tono più alto rabbuiato.

TUTTI: “AYE!” urlano infervorati.

Un debole “Mais oui!” si distingue dal coro e tutti si voltano a rivolgere un’occhiataccia al vecchio francese per nulla in imbarazzo contrariamente di me lì al suo fianco.

Fingo di massaggiarmi una tempia per abbassare lo sguardo, i bucanieri che ci circondano invece commentano con delle ingiurie.

Infine Jack scuotendo la testa seccato stabilisce che la riunione è sciolta.

Non riusciamo nemmeno ad allontanarci dal ponte principale che improvvisamente un colpo di cannone in lontananza conclude in grande stile l’annuncio del Capitano.

Per il gran spavento mi aggrappo al braccio di Andrè.

Gli altri pirati della Black Pearl inizialmente si allarmano scrutando curiosi nel buio tutte le navi approdate nel porto dal parapetto, ma dopo breve capiscono la stabilità della situazione e ognuno di loro torna a svolgere il proprio dovere.

“C…Che cos’era?” domando tremante avvinghiata all’avambraccio del mio amorevole dandy francofono.

“Stai tRanquila Jennyfer!” cerca di rassicurarmi in tono premuroso sovrastando con la propria mano la mia che lo tiene ben stretto.

JACK: “…Sembra che ci siano in corso dei festeggiamenti questa sera nelle vicinanze!” dice apparendo dal buio all’improvviso e circondandomi dalle spalle, mi fa quasi scappare un urlo per lo sgomento, non è sempre molto ben illuminato questo posto!

IO: “OH!… [mi schiarisco la voce per riacquistare contegno] Così sembra…!” commento a tono basso mostrando finto disinteresse.

ANDRE’: “Otimo discoRso Capiten!” afferma entusiasta rimediando alla mia risposta sostenuta.

JACK: “Non era un discorso, ma semplicemente una riunione informativa!” puntualizza seccato in una smorfia.

ANDRE’: “Te l’avevo deto” mi rammenta abbassando la voce e donandomi il sorriso.

JACK: “A proposito di festeggiamenti! Dolcezza, che ne diresti se festeggiassimo anche noi questa sera?” domanda assumendo quel tono così sensuale…

Io lo rimprovero in imbarazzo.

JACK: “Eh no, niente MA!” definisce staccando sprezzante la mia mano dal braccio di Andrè e appoggiandola sul suo con l’intento di portarmi via.

Lascio immediatamente la sua presa infastidita e mi aggrappo ancora una volta ad Andrè.

Il povero cuisinier è costretto a subirsi questa nostra sceneggiata patetica che si ripete per parecchi minuti prima che qualcuno vi porti fine.

IO: “Smettila!!!” infine urlo stremata nella pazienza scrollandomi della sua stretta testarda.

“Scordatelo mio caro, serviti della tua damigella incappucciata che fingi di non sapere chi sia se vuoi compagnia questa notte. Su di me non contare.” stabilisco infuriata senza dare conto al fatto di non esser sola con Jack.

Il Capitano strabuzza qualche istante gli occhi stranito, poi rivolgendosi ad Andrè dice in tono cortese: “Se vuoi scusarci noi avremmo da fare, Buona notte” conclude sbrigativamente per poi rivolgermi un’occhiata sinistra che mi lascia confusa.

Riceve dal francese un accenno solenne con il capo (hahahaha, con il Capo!!! XD hi hi hi Povera Capo! NdCapitana) prima di cingermi e trascinarmi verso le cabine sussurrando a denti stretti di non voler più sentir ragioni.

Questa volta sono costretta a lasciarmi trascinare seppur dolente. “Andrè…” dico fingendo di supplicarlo disperata allungando il braccio nella sua direzione.

Il pirata cerca di afferrarlo scherzosamente sporgendosi in avanti, ma sapendo di non poter contestare il suo Capitano risponde semplicemente con un: “Bonne nuit madamoiselle!” poco prima che io scompaia definitivamente nel corridoio che porta alle cabine condotta a forza da Jack.

 

 

Sentences.

 

Varco la soglia dell’andito senza forzature e ancor prima che il Capitano possa richiudersi la porta alle spalle sbotto alterata:

“Se con ‘avremmo da fare’ inten-…” devi…

JACK: “Shhh!” mi zittisce prontamente appoggiandomi un dito sulla bocca per impedirmi di continuare.

“Non ancora!” suggerisce in modo pacato. “Devo prima parlarti!” continua serio muovendo qualche passo e facendomi cenno di seguirlo con un fischiettio.

Mi ha preso per il suo cagnolino personale con quel verso??

Non muovo mezzo muscolo, rimango immobile sulla soglia del corridoio fissandolo contrariata.

Se mi hai scambiato per il tuo animaletto domestico ammaestrato che risponde a ogni tuo comando ti sbagli di grosso Jack.

IO: “Certamente, così tu puoi raggirare tutto a tuo favore fin da subito prendendomi in giro come al solito.” commento irosa.

Il Capitano blocca la sua camminata ondeggiante all’istante, ruota sulle piante degli stivali rivolgendomi un’espressione stralunata e mi contempla confuso.

Respiro profondamente per rianimarmi d’animo, poi cerco di emettere un tono vocale lineare per non farla tremare di insicurezza: “Mi hai detto che non conoscevi quella donna del porto giusto!? E mi hai confessato anche di non averla mai vista prima d’ora, allora spiegami per quale diavolo di motivo non hai reagito allontanandoti subito da lei e come facevi a stabilire di non conoscerla se non hai nemmeno potuto vederla in viso” affermo con sguardo austero incrociando le braccia sul petto.

JACK: “Sì alla prima, sì alla seconda, ma per il resto avrei una giustificazione che non apprezzeresti o eventualmente considereresti possibile.” si legittima agitando le braccia in modo bizzarro ed infine arricciando il naso in una smorfia buffa.

Nonostante questo non trovo niente che mi faccia ridere ora come ora… Rimango spiazzata, ferita… Delusa.

Le braccia si sciolgono dal loro intreccio e il mio sguardo svuotato della cattiveria contempla perso quello fermo e velato di una irritante ironia di Jack.

IO: “E’ così che ti comporti sempre?” domando quasi in una nota retorica con un filo di voce.

JACK: “Ormai dovresti conoscermi!” risponde sornione con un ghigno muovendo lunghi passi verso di me.

"Il fatto è che io non ti capisco… Non ti conosco affatto!” ammetto afflitta con gli occhi lucidi di amarezza.

La mia reazione comporta in lui una espressione interrogativa: “…Cosa vorresti sapere?”

IO: “Vorrei solo potermi fidare di te! Darti ciecamente fiducia…Tutto qui. Non trovarti avvinghiato a ventosa con un'altra donna!” confesso con voce spezzata.

“Jennyfer, forse tante volte ho prediletto la menzogna alla verità…”
IO: “Ah, solo forse?”

“…Ma il punto è che realmente non so chi sia colei per cui sperperi tanta rabbia!”

E io dovrei crederti?

Per apparire più attendibile mi si avvicina appoggiandomi le mani sulle spalle e fissandomi negli occhi intensamente mentre continua: “Sono conscio di essere in errore” stabilisce con intonazione ferma credendo di essere efficace.

Che lo riconosca è già qualcosa…!

Dopo aver ricevuto parte di ciò che mi aspettavo di diritto, distolgo il suo magnetico sguardo perdendomi nel vuoto.

Le mie orecchie non riescono ad isolare il suono delle sue parole dato che si trova proprio di fronte a me, ma posso sempre distrarmi dalla vista del suo viso mentitore.

“Devi sapere che io da sempre ho una convinzione: si possono amare molte donne nel corso della propria esistenza, ma solo una di essa per volta! Che sia per una notte, la durata di un lustro… Non ha importanza. Un cuore non ha spazio a sufficienza per racchiudere in se più di un solo nome” conclude sollevando delicatamente il mio mento per rivolgerlo a se.

“E io voglio che il tuo ci rimanga inciso sopra per tutta la vita dolcezza, nessuna dama senza volto lo laverà via!” conclude ponderato e deciso.

Le sue parole per un attimo mi causano una fitta che mi toglie il fiato e mi porta a spalancare leggermente la bocca in un’espressione stupita, ma allo stesso tempo del tutto ammaliata.

Scruto confusamente ogni centimetro del suo viso che non si distoglie dalla propria ferma convinzione ed inizio a rilassare la mia postura rigida di rabbia assunta in precedenza, da quando ho varcato l’ingresso dinanzi questo corridoio.

Prima che la mia incertezza prolungata muti in un imbarazzante silenzio, definisco seppur in un filo di voce: “Promettermi che una cosa così com'è successa oggi non si ripeterà mai più…”

Da parte del Capitano ricevo una risposta sottoforma di un maestoso inchino teatrale, si leva persino il cappello dal capo ed esclama in tono solenne: “Giuro sul mio onore!” recita con sicurezza tenendo i suoi occhi fissi sui miei.

IO: “Metti in gioco persino il tuo onore, sei davvero serio allora!!” commento sarcastica ma con ancora una nota cupa.

JACK: "Ad ogni modo, per evitare una eguale reazione da parte tua, ti è proibito avvicinarti a qualsiasi uomo se non il sottoscritto, ma dato che tu stessa oggi hai infranto questo obbligo allo stesso mio modo con il caro Andrè sei condannata sedizioso angelo!!” controbatte in un ghigno beffardo.

“COSA?Andrè?!? Ma di che parli? E condannata a cosa poi??” sbotto confusa e spiazzata.

JACK: “Mi riferisco a qualche minuto fa sul ponte” spiega in tono fintamente offeso.

IO: “Perché l’ho preso sottobraccio quando mi sono spaventata a morte per quella terribile cannonata? [Jack scuote la testa in segno affermativo] …Mah! Diamine, sei proprio un bambino Jack!” confermo rassegnata come ho fatto tante volte.

JACK: “Intanto mia bella sei condannata a trascorrere un’eternità di reclusione della mia cabina…” ribadisce in un sorrisetto malizioso scandendo ogni parola con intonazione soddisfatta.

La mia espressione muta in una triste-divertita mentre ancora spero che non dica sul serio.

Invece Capitan Jack non scherza affatto, con le sue movenze da gentiluomo mi conduce fin a poca distanza dalla cabina e attende impaziente che vi faccia ingresso.

A testa bassa seguo la procedura della mia

Condanna, segnando la mia entrata con un broncio supplichevole.

Jack invece appare impassibile e totalmente determinato a farmela pagare.

Dopo aver scostato la porta anziché aprirla ancor di più per far entrare anche il Capitano la trattengo con una mano: “Mi perdoni mio signore una domanda, voi avete stabilito che io debba trascorrere un’eternità nella vostra cabina nevvero?” domando in tono del tutto innocente e formale.

JACK: “Sono le mie esatte parole, tesoro!” sdrammatizza in un sorriso ancora sornione.

“Bene… Dunque, non vi dispiacerà… Se questa eternità la trascorrerò DA SOLA” concludo il più in fretta possibile, mantenendo una maschera seria per non scoppiare in una gran risata nel momento in cui richiudo energicamente la porta in faccia al Capitano, che ne rimane turbato.

Serro i ganci e le catene per assicurarmi che non possa entrare, poi mi piego in due dalle risate immaginando la sua faccia al di là della superficie di legno in questo istante.

Jack rimane incredulo, non era preparato a una reazione del genere, forse sì ma non in una occasione come questa in cui lui si immaginava con una conclusione ben diversa.

Riflette qualche istante serrando le mani prima articolate bizzarramente, no non resiste a questo affronto, deve trovare un riscatto!

I suoi vellutati occhi corvini viaggiano lungo le pareti del corridoio che lo circonda soffermandosi immediatamente sulla porta di una vicina cabina che ben conosce.

Chi vi dormiva si è appena presa gioco di lui come non succedeva da tempo, quasi gli mancava, e adesso dopo appena un istante sa già come recuperare il torto: c’è sempre la porta confinante della cabina accanto!

 

_______________________________________

FUORI ONDA

JENNY: "Adesso anche André ci si mette....grrrrr odio Scilla!!"

Capo & Capitana: "AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHA"

JENNY: "Ma che hanno da ridere a mo quelle due??"

JACK: "BHOO!"

"AHAHAHAHAHAHAH"

JENNY: "è meglio se chiudiamo questa parentesi.. queste due sono proprio s****e!!"

Capo: "a ciccia... guarda che ti abbiamo creata noi...e cmq portaci rispetto altrimenti Scilla si divertirà di + cn Jack!!!"

JENNY: "COSA?? no ok ok faccio la brava!!"

Capo: "Bene!!" hihihihih

Capitana: "si ciccia vai piano Jack nn è un burattino!!"

Capo: "Ma credo ke a lui nn dispiaccia... vero??"

Jack contina a fischiettare [almeno nn sappiamo se lo sappia fare veramente!!NdCapo]

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Capitolo 6
*** Ferita dell'animo. ***


 

Capitolo 6

Ferita dell’animo.

 

Drawstring.

 

Durante la notte, come previsto, attraversiamo l'isola costeggiando un area piuttosto tortuosa.

Al sorgere del sole giungiamo al porticciolo dove ci attendono Juan e Robert, gli uomini incaricati da Jack per recuperare il suo ordine.

I due pirati salgono a bordo, come programmato con il pacco richiesto dal Capitano che si assicura venga riposto nella stanza da lui indicata.

Osservandoli bene sono certa di non aver mai conosciuto entrambi!

Mi trovo sul castello di prua intenta ad armeggiare col sartiame, è ancora presto e sul ponte regna un’atmosfera tranquilla, Andrè in cucina può benissimo cavarsela da solo con tutta calma.

Ormai sono diventata abbastanza abile in questi lavoretti manuali, riesco persino a intrecciare le cime con una discreta velocità senza guardare quello che faccio proprio come sto agendo in questo momento.

E poi mi ricorda tantissimo come prendeva seriamente anche una piccola cosa come questa il mio dolce Dylan.

In delle corde di canapa consumate rivedo le sue manine arrossate dal ruvido cavo, che si insinuano benissimo nelle piccole fessure, realizzando con una facilità sorprendente anche un Gassa d’amante (nodo simile al cappio ma con una funzione diversa NdAutori) , e poi disfarlo come nulla fosse. Dio quanto mi manchi, piccolino.

A volte vorrei avere anche solo la metà del coraggio da te dimostrato, dove hai trovato tutta la forza per affrontare ciò a cui sei andato in contro con la tua scelta?

Ah, ma non temere. Un giorno troverò il modo per chiedertelo! La tua Mozzarella ti troverà ovunque tu sia.

Sono sopravissuta alla pistola del temibile Hayez Nick, non c’è nulla che mi possa fermare. Attraverserei a nuoto anche l’immenso mare dei nove cieli celesti per giungere fino a te.

Così tu, piccolo birbante, potrai essere il mio testimone di nozze. Io ti cucinerò le patatine fritte con il ketchup, le mangeremo insieme a Jack ed infine ci racconterai come te la passi nel tuo secolo lontano.

Sappi che non perderò la speranza di rincontrarti fin quando non avrò anche solo un’unica particella d’aria nei polmoni o la vitalità di un battito nel mio cuore!

Fantastico su questi miei desideri in silenzio, con un lieve sorriso sottilmente amareggiato che sfocia in qualche lacrima che non riesco davvero a trattenere.

So bene che il mio funghetto detesterebbe vedermi piangere, perciò porto una mano al viso per asciugarmele in fretta, ma il mio gesto viene ostacolato da un appiglio: l’intreccio nodale che sto creando si attorciglia a un sottile laccio nero che porto legato intorno al polso.

Ridacchiano divertita lo sciolgo e rimango a contemplarlo per un istante rammentando la scorsa notte:

“Tieni questo!”

“Che cos’è Jack, filo interdentale seicentesco che hai ricavato sfilacciando una vela della tua preziosa nave?!”

Ricevetti da lui un’occhiataccia sinistra, mentre dentro di me risi a più non posso, cercando di non darlo a vedere.

JACK: “No viziata saputella…”

IO: “Cosa?!? 3 parole 2 insulti? Sei scorretto!” ammonii ingiuriata.

JACK: “Pirata” ribadì orgoglioso con un sorrisino sornione.

Dopo riavermi messo il broncio, continuò in tono pacato: “Apparteneva al tuo coraggioso fratellino!”

“Cos…?” Mi si spezzò letteralmente la voce in gola mentre porsi la mano per prenderlo.

JACK: “L’ho conservato perché supponevo che ti avrebbe fatto pi-…”

“Grazie Jack!” l’interruppi quasi con gli occhi pieni di lacrime.

“Di nulla dolcezza.” Rispose dolcemente.

Nella commozione non riuscii quasi a tenerlo fra le mani, così affinché non lo perdessi il Capitano si preoccupò di tenerlo al sicuro intorno al mio polso.

“Questo filo intercostale come dici tu…”

“I-n-t-e-r-d-e-n-t-a-l-e Jack, interdentale! Non intercostale!” lo corressi ridendo.

“E io cosa ho detto?!” sbottò infastidito. “…Serve anche per ricordarti che al calar del sole sulla linea dell’orizzonte sei unicamente mia!”

Unicamente tua eh…

Argh, razza di gelosone sentimentale che non sei altro…! Non ti sei mai reso conto che lo sono dal primo istante in cui chissà per quale motivo sono incappata in una delle celle della tua nave?!

“HEYLA’!”

Un vocione alticcio mi fa sussultare notevolmente.

“Salve zuccherino…”

Zuccherino a chi?!?

Nonostante il viso arrossato e gonfio riconosco alla distanza di pochi passi da me quell’infame manigoldo di nome Albert che poco tempo fa si è permesso di contestare il mio poco amore verso il rhum coinvolgendo anche il povero Andrè che non ne aveva colpa.

Mi metto in guardia assumendo una postura più rigida e uno sguardo minaccioso, per quanto possa servire nei confronti di un ubriaco fradicio.

Compie squallidamente parecchie vedute complete del mio corpo, come se alla pari di Superman potesse vedere al di sotto dei miei vestiti, dopo di che inizia a parlare con voce impastata e sguardo ammiccante, stringendo con forza a se il bottiglione di liquore del tutto vuoto per l’eccitazione.

Se solo prova a sfiorarmi ho una gamba libera e pronta a sferrargli un calcio, dopo il quale si ritroverebbe un mio stivale in gola e almeno la metà dei denti che ora possiede!

ALBERT: “Posso…hic…Aiutarti magari, diciamo… Ad impiegare il tempo in miglior modo…?”

Perché nessuno mai di questa ciurma mi offre una tazza di the o che so io!?!

IO: “Siete ‘gentile’, signore. Ma come vede sono già ben occupata!” controbatto innervosita.

ALBERT: “Ne siete davvero certa, cara?” insiste avvicinandosi ancora un po’ di più, cercando di assumere una intonazione libidinosa.

Una sensazione di nausea m’invade, dalle narici percepisco il suo cattivo odore misto a sterco, cenere, alcool e sudore.

Diiiiiio mio, ecco perché questi tizi non vivevano a lungo: se li rinchiudevano tutti in una stanza morivano asfissiati, sono peggio dei lacrimogeni, sono armi a distruzione di massa!!!

Ok Jen, non vomitare non vomitare non vomitare, trattieni il respiro più che puoi e pensa a qualcosa!!!

“B-bhe…” balbetto cercando di tapparmi il naso, senza attirar l'attenzione.

Mentre cerco di allontanarmi a piccoli sforzi dalla sua nube maleodorante, abbasso lo sguardo a terra e scorgo il Gassa di diamante che ho intrecciato prima. Mi è venuta un’idea!

“In effetti… Potresti essermi utile tu per qualcosa…” sussurro suadente sbattendo più volte le ciglia.

ALBERT: “Davvero?!” controbatte stupito.

Mi sto per pentire amaramente di ciò che sto per fare, ma trovo sia l’unico modo per levarmi una latrina ambulante di dosso. dato che questo maledetto ponte quando serve è sempre vuoto. Dannazione!

IO: “Oh si, bel stallone [piano Jen, così esageri! Se lo viene a sapere Jack mi attacca una palla di piombo al piede…] “Avvicinati un pò di più…” esorto in un sussurro, muovendo avanti e indietro l’indice.

Non’appena compie un passo in più, il suo piede si attorciglia nel complicato nodo. Sei in trappola, puzzone!

Con uno strattone faccio in modo che si stringa intorno alla sua caviglia e quando lo è abbastanza, tiro ancora bruscamente la corda, in modo da far finire quel delinquente per terra a pancia all’aria.

Mi sento un po’ Indiana Jones, mi manca solo il cappello da Cow-boy.

Albert mugola dal pavimento qualche verso di dolore per la forte botta alla testa, anche se gli effetti inebrianti non gli fanno cogliere lucidamente il compiersi della mia azione.

IO: “Ben ti sta. Se fossi in te userei almeno una volta all’anno un briciolo di sapone. Sai, almeno per decenza!” suggerisco disgustata prima di abbandonare lì quel miserabile, ancora del tutto sconvolto e scosso, senza alcun minimo accenno di soccorso.

 

-

 

Really bad eggs.

 

Dopo una veloce colazione, dal ponte finalmente animato della Black Pearl si può vedere quel piccolo frammento di terra prender vita lentamente.

I pescatori hanno rimosso le reti da pesca già durante il nostro arrivo ed ora si dirigono, come noi, verso il mercato che è allestito nella piazza al centro del paese.

Io, Jack e altri cinque membri della ciurma siamo scesi a terra, doveva esserci anche il caro Albert, ma stranamente accusava un fortissimo mal di testa che ha riconosciuto come un effetto post-sbornia. Sono fiera del mio lavoro!

Camminiamo un po’ scompostamente per le strette stradine lastricate in pietra, seguiamo una sorta di flusso migratorio creato dall’eccedente via-vai dove tutti si accalcano per conquistarsi prima di ogni altro un angolo del mercato dove piazzare la propria bancarella o farvi visita.

Durante il nostro passaggio però succede qualcosa che mi ferisce profondamente: per raggiungere la piazza dobbiamo attraversare il centro abitato e qui ci imbattiamo per caso in dei ragazzini. Questa parte dell’isola sembra non essere particolarmente ricca, bensì piuttosto disagiata.

Non ho ancora avuto occasione di osservare i bambini di quest’epoca, mi ritrovo a soffermarci lo sguardo con un luminoso sorriso involontario.

Gli altri pirati proseguono, solo Jack vedendo che ho rallentato il passo mi aspetta paziente.

Quei giovincelli vestiti di pezze stanno giocando con una specie di trottola di legno molto arcaica, ma che loro si contendono un po’ a testa, ritenendola più prestigiosa del cibo.

Rallento fino a fermarmi dinanzi loro con aria trasognante, appoggiata distrattamente alla parete di un’umile casa.

Non hanno neanche dei scarponcini ai piedi, ma solo dei calzari di stoffa consunti e infangati, nei casi migliori, altrimenti sfoggiano dei piedini neri e callosi.

Giocano in un punto un po’ pericoloso: proprio in mezzo alla strada, luogo che non si può di certo dire sicuro e confortante, ma probabilmente è tutto ciò che hanno…

Sono molto vispi e attenti, seguono i movimenti circolari del giocattolo come se da quello dipendesse la loro vita stessa, e ascoltando i loro discorsi seppur storpiati da uno strano accento che non capisco perfettamente sembrerebbe che ci apportino delle specie di scommesse.

In palio c’è una buccia di frutta o un mezzo biscotto, non hanno altro per il quale ambire.

Improvvisamente uno di loro eletto “sentinella del gruppo” incrocia lo sguardo con il mio e sbianca in volto.

Tramortisco anche io per la sorpresa, che succede?

Il fanciullo di vedetta scuote tutti gli altri atterrito mantenendo lo sguardo fisso su di me. Quando assume l’attenzione generale, sussurra balbettante , in un accento che interpreto come spagnolo o messicano: “Pirata”.

Pirata io?!? NO! Oh si, Ne ho tutto l’aspetto a dire il vero.

Nel giro di un secondo quei 14 occhietti vispi che osservavo spensierata, ricordandone altri 2 uguali ai miei (Dylan NdAutori), sono incollati completamente sulla mia figura.

Chi di loro spaventato, tremante oppure solo zittito.

Sta di fatto che la mia mente farà fatica a dimenticare quei 7 sguardi colmi di terrore.

I miei arti si pietrificano e dallo stomaco mi giunge una fitta di dolore misto a dispiacere… Che cosa hanno fatto di così terribile i pirati a questi poveri bambini per farli reagire in tal modo?

Dischiudo la bocca per dire qualche parola che dovrebbe risultare rassicurante, ma ne fuoriescono solo suoni indistinti i quali non risolvono proprio nulla.

Jack interviene arrivando alle mie spalle, non’appena mi si avvicina i bambini afferrano le pochissime cose che possiedono e scompaiono come ombre negli stretti vicoli di West Caicos.

JACK: “Vieni, tesoro… andiamo. Ogni uomo che indietro rimane indietro viene lasciato!” sussurra crucciato una volta da soli, trascinandomi via per riprendere il passo del resto della ciurma.

Sono ancora confusa e del tutto mortificata, ma seguo l’esortazione del comandante senza tirarmi indietro.

Mi avvolge dalle spalle prendendomi sotto la sua ala custode e ci incamminiamo allontanandoci sempre più da quel stretto vicolo, diretti alla piazza principale.

Prima che sparisca dalla nostra visuale mi volto in fretta ad osservare ciò che ci lasciamo alle spalle: la stradina è ancora interamente vuota, a causa mia quei bambini non vi faranno mai più ritorno.

Riporto lo sguardo afflitto dritto di fronte a me, ma non riesco a tenerlo più alto della punta dei miei stivali.

La reazione di quei giovinetti mi ha lasciato un grandissimo vuoto e un senso di inadeguatezza quasi lancinante.

Essendo pirati sapevo di non essere ben visti dalla gente, li disprezzavo anche io che non dovevo conviverci nel mio tempo, ma non credevo così! Li temono come la peste…

Lascio che la mia nuca si pieghi lentamente fino ad appoggiarsi sul petto di Jack ricercando un soffio di sicurezza almeno in lui.

“Cosa intendevi con quella tua affermazione?” domando con tono spento di ogni emozione.

JACK: “Il codice dei pirati è chiaro!” sostiene spavaldo.

Il cosa?!

“Esiste un codice di voi pirati?!?” domando frastornata.

JACK: “E’ solo una sorta di traccia…” conviene chiudendo in fretta il discorso.

Non mi convince affatto, lo dice solo perché mi crede troppo ingenua. Oppure questo fatto non gli va particolarmente a genio, (infatti è così!!! Lol Riguardo paparino Teague :P NdCapitana) Jack Sparrow non è uomo da sottomettersi a precise regole, neanche se fosse Dio in persona a dettarle. Persino il suo cognome è una chiara allusione alla libertà!

Nel corso del tragitto, mentre ci avviciniamo sempre di più al mercato, noto che alcune case hanno subito dei gravi danni: segni evidenti di saccheggiamenti, vetri rotti, stanze devastate, porte diroccate…

Ora ho un’allettante conferma e motivazione della reazione a cui mi han sottoposta.

Anche se, riflettendoci bene… Le persone che vivono in questo luogo non dovrebbero essere abituate a scontrarsi spesso con certi individui? Come mai si sono spaventati in quel modo dinanzi a me, cosa sarà mai accaduto qui?

“…Secondo te… Per quale motivo quei bambini hanno reagito in modo così atterrito vedendomi?” domando al Capitano in un mesto filo di voce.

JACK: “Perché non hanno mai visto un angelo alla luce del giorno!” confuta guardandosi intorno evitando il mio sguardo.

Probabilmente nemmeno lui sa qualcosa di quest’isola, altrimenti me l’avrebbe riferito con il suo atteggiamento saccente.

IO: “Non è il momento di fare il sentimentale sai… Io sono seria!” l’avverto con una nota spazientita.

Finalmente abbassa la nuca su di me e mi rivolge un'occhiata eloquente: “D’accordo dolcezza, come vuoi tu!” stabilisce altezzoso.

Corrugo la fronte in un’espressione interrogativa, cosa vorresti dire?

JACK: “E’ perché… Siamo pecore nere, gente spietata…” canticchia con un vocione sorniona, mettendomi il sorriso.

…Trinchiamo allegri yo-ho!” conclude quasi saltellando sul posto giocoso, provocando in me una risata.

Ma io come devo fare con te?! Riesci sempre a dipingermi il riso sulle labbra, non si può tenerti il muso per più di dieci minuti. Come diceva Dylan sei l’uomo della mia vita e anche il più prezioso degli scrigni perché dentro di te racchiudi un bene prezioso: tutta la mia felicità!

Marciando ancora per pochi metri raggiungiamo la piazza del mercato: un modesto spiazzo affollato da un grande afflusso di persone e una bercia indistinta ci investono vista ed udito quasi intontendoci.

Non riusciamo quasi a stare fermi, riceviamo spintoni da tutte le parti, abbiamo imboccato una via di passaggio critica, dobbiamo allontanarci da qui!

Persone di ogni gruppo sociale formano una sorta di fiume umano in piena che ad ogni costo cerca di entrare ed allontanarsi il prima possibile dal luogo in cui ci troviamo.

IO: “Ma che diavolo succede?” sbotto rabbiosa, cercando di ribellarmi dalle incuranti percosse che ricevo su tutto il corpo.

JACK: “Stanno per passare di qui le giubbe rosse della compagnia delle indie, la maggior parte dei commercianti che si sistemano in questa piazza non hanno un permesso scritto per starci, sono illegali. Perciò la gentaglia di qui si affretta a comprare ciò che può prima che li scoprano e mettano dietro le sbarre.” Mi spiega a gran voce e con fatica, dato che lui sta subendo il mio stesso trattamento. Riusciamo a stare “vicini” solo attraverso una salda stretta di mano.

Se qualcheduno di questi individui cadesse a terra morirebbe calpestato da tutti gli altri, trovo ciò a dir poco assurdo.

Improvvisamente un forte strattone proveniente dalla mano di Jack mi conduce in una stretta nicchia fra due case costruita in mattoni.

Riprendo fiato ancora tramortita, osservando ad occhi sbarrati la furiosa “corrida” che si verifica davanti ai nostri occhi.

Quando anche il Capitano riacquista la quiete si scusa dispiaciuto: “Perdona il gesto poco delicato chérie, ma era l’unico modo di tirarci fuori da quel mezzo inferno.” 

 IO mutando subito il mio sorriso rassicurante in uno beffardo: “Uhm, per questa volta ti perdono…” rispondo incrociando le braccia sul petto, trattenendomi il più possibile dal ridere.

JACK erompe alterato: “Dovrei essere io quello che ti deve ancora perdonare per ieri sera. Con quella cuscinata ho temuto per il mio osso del collo!”

IO: “Oddio tesoro, ti fa ancora male?” mi accerto preoccupata tastando delicatamente il suo mento con la punta delle dita.

Dopo avergli chiuso la porta in faccia ho creduto per un secondo di essere al sicuro, ma una porta serrata a chiave non è cosa da fermare Capitan Jack Sparrow!

Soprattutto se ti dimentichi l’entrata secondaria aperta.

Nel giro di trenta secondi, mentre avevo gli occhi ancora del tutto offuscati dalle lacrime per il tanto ridere, me lo sono ritrovato davanti con un ghigno furioso.

E’ iniziata un’agguerrita battaglia di cuscini tra minacce digrignate ridendo, morbide percosse ed inevitabili dispetti.

Jack preso dall’astio per l’ingiuria appena subita, ha rovesciato a terra l’olio di una lampada sul comò, servendosi del cuscino, provocando altresì la caduta di alcuni oggetti lì depositati, con il solo intento di farmi cadere.

Ma è toccato a lui soccombere della beffa, infatti mentre mi rincorreva, dopo aver ricevuto una mia cuscinata proprio sulla nuca con l’intento di allontanarlo, è scivolato sulla sua stessa diabolica pensata, urtando un oggetto appuntito e causandosi da solo un bel buco nel mento.

Ho dovuto convocare in piena notte Andrè affinché medicasse il riluttante Capitano.

“Nooo, FERMA! Quel francese eunuco non oserà sfiorarmi neanche con un dito, ti proibisco di chiamarlo!!!” si dimenò in panico come un bambino sulla poltrona del dentista.

“Tranquilla, tesoro. Sto benissimo, vedi? Non esce più neppure il sangue!” negò furbesco davanti l’evidenza, mentre un rivolo vermiglio si spandeva fino al solino della sua camicia, lungo tutto il collo.

Io l’osservai tralice con un sopracciglio alzato e la mano appoggiata sulla maniglia della porta.

Infine in un gesto fulmineo spalancai la porta, mi precipitai lungo il corridoio e poi sul ponte alla ricerca di rinforzi prima che potesse trattenermi.

Con quel solco nella mascella non l’avrei di certo lasciato così a versare una cascata di sangue per tutta la notte, avevo bisogno del mio caro dandy.

Che dopo qualche minuto si presentò sul pianerottolo della nostra cabina, le membra gli tremavano e i suoi occhi grigi gonfi di sonno tralasciavano l’impressione di sapere che il suo superiore sarebbe stato molto astio nei suoi confronti.

ANDRE’: “I-i-il est permis?” (E’ permesso? NdAutori) balbettò a testa bassa.

Jack con in viso un’aria truce dal primo momento in cui lo vide stette per cacciarlo via, ma intervenni in tempo da non scoraggiare il gentile cuisinier : “Il Capitano avrebbe bisogno del tuo aiuto, Andrè!” chiarii, definendo ogni singola lettera a denti stretti verso Jack, per fargli capire di non essere sgarbato.

ANDRE’: “Pour vous tuto l’aiuto che seRve, mademoiselle!” rispose solenne in un dolce sorriso.

JACK: “Il Capitano non vuole il tuo aiuto Andrè!!!” controbatté adirato in falsetto.

Lui per fortuna non gli diede ascolto e con il mio appoggio riuscì, seppur a fatica, nel suo intento di medicare la ferita non proprio superficiale del comandante.

“Mi avete chiamato apena en tempo, la feRita non ha fato enfesione, ma dovRete teneRla desinfetata almeno una volta ogni oRa adeso che est encore apeRta!” mi raccomandò dopo la medicazione.

IO: “Grazie mille, Andrè. Come faremmo senza di te? Anche Jack ti è molto grato, anche se non lo da a vedere.” lo rassicurai prima che lasciasse di nuovo la cabina per procurare i necessari medicamenti per tener pulita la ferita.

All’interno della nostra camera da letto Jack si stava dimenando buffamente per strappare un pezzo di stoffa dalla sua camicia, ormai ridotta a una maglia consunta e rossastra.

IO: “Dunque ho fatto bene o meno a far intervenire Andrè?!” domandai mordace, portando le mani ai fianchi.

JACK: “Sì, la volevo una medicazione, ma non di certo da quello!!!” rispose con un broncio offeso tamponando il lembo di stoffa sopra la ferita, per fermare il sangue che stava fuoriuscendo di nuovo.

IO: “Un perfetto uomo di mare come te non è al corrente che certe lesioni così profonde non si guariscono da sole?”

Domandai contrariata andandogli incontro.

JACK: “Volevo che la medicassi tu con le tue manine delicate…” mi beffeggiò in un sorriso malizioso.

Forse fu quello a convincermi di abbandonarmi sulla sedia al suo fianco e prendermi cura io stessa della ferita che stava peggiorando.

IO: “Argh! Lascia fare alle mie manine delicate, se continui a premere in quel modo rozzo finisce che il povero Andrè deve rimanere qui un’altra mezzora a medicarti!” lo rimproverai prendendo mano alla situazione.

JACK: “Certo, gioia. Tu non preoccuparti di questo cane che muore dissanguato. Pensa al tuo francofono impotente che perde preziosi minuti di sonno!” ribatté sprezzante.

IO: “Andrè doveva metterti dei punti sulla bocca, altro che sul mento" dissi avversa, lanciandogli contro il lembo di stoffa, sul punto di andarmene.

La sua mano mi trattenne prontamente e in tono pacato si scusò pregandomi di rimanere.

“Promettimi di chiedere a scusa anche al tuo medicatore!”

JACK: “Uhm, forse… Un giorno o l’altro…” rimase vago.

Premetti di più sulla ferita lasciandogli sfuggire un lamento di dolore.

JACK: “D’accordo cherié, come vuoi tu. Mi hai convinto…” si arrese smaltendo il male a denti stretti.

Sorrisi soddisfatta, per una volta riuscii a raggirarlo!

Passarono alcuni minuti che trascorremmo in silenzio, si sentiva solo il moto ondoso cullare dolcemente la nave e la ciglia corvina della Black Pearl infrangere la distesa d’acqua senza alcun dissesto.

Percepivo gli occhi di Jack fissi su di me, ma fingevo di occuparmi della ferita per non farci caso.

JACK: “…Sei così bella che fai male” spezzò la quiete con voce roca e lievemente assonnata.

Ebbi come un sussulto e per un secondo sentii quasi il cuore fermarsi, non mi aspettavo che erompesse così con certe affermazioni.

 Mi trattenei dall’arrossire e risposi distogliendo lo sguardo: “E’ il mento a farti male, non io…”

JACK: “No, sento male al cuore! Il mento è molto aldilà del dolore ormai” concluse ridendo amaramente di se stesso.

Rimasi qualche istante senza parole, poi presa dall’imbarazzo scelsi di rispondere in modo ponderato: “La bellezza è una cosa futile e temporanea, nemmeno io non sarò così per sempre, Jack.”

Annuì non potendo negare il fatto, ma subito dopo disse accorto: “Ecco perché in tutto questo tempo non avevo mai trovato la donna giusta!”

Corrugai la fronte interrogativa non afferrando il significato della sua affermazione.

“Non era ancora nata!”

 

Ho trascorso tutta la notte a svegliarmi continuamente per prendermi cura della voragine nella mascella del Capitano, ma fortunatamente grazie alla giusta accortezza, ora è migliorata fino a richiudersi, anche se non del tutto.

JACK: “Avanti, non dicevo sul serio dolcezza! Ti sei già fatta perdonare abbastanza quest-..”

Mentre tentava di rimediare alla sua precedente affermazione inopportuna (“Dovrei essere io quello che ti deve ancora perdonare per ieri sera!! Con quella cuscinata ho temuto per il mio osso del collo!!!” NdAutori) qualcuno ci urta entrambi e ricade sul Capitano allontanandoci del tutto.

Io mi aggrappo al muretto che ci circonda e riesco subito a riprendere l’equilibrio per accorgermi di cosa accade.

Al mio fianco invece vedo Jack chinarsi su una donna con un mantello grigio. L’estranea è piegata a terra, intenta a raccogliere delle verdure che ripone frettolosamente nel grembiule, impiegato come busta della spesa.

No, ancora lei.

“E NON FARTI PIU’ RIVEDERE INTORNO ALLA MIA BANCARELLA, LURIDA SQUATTRINATA!!!” un vocione furioso e ingiuriato proveniente da un fruttaiolo a poca distanza da noi insulta la donna, inginocchiata a terra e singhiozzante.

Una stretta mi chiude lo stomaco, sgrano gli occhi incredula, come l’altra mattina, incapace di muovermi.

Il Capitano si china su di lei domandandole aiuto, sento mancarmi il respiro, cosa diavolo sta facendo?

Ma lei non si volta nemmeno a guardalo in volto, balbetta un grazie e fugge nella folla divenendo parte d essa.

Non era lei.

 

Nota delle Autrici:

Felice 2008 a tutti voi dalla Capitana e il Capo!!! ^^

Oggi concludiamo la seconda parte del capitolo 6 ma ce ne saranno altre 2 che posteremo prossimamente, non finisce qui :P

Nel mio profilo d efp vi abbiamo lasciato un regalino per tutti voi =D

Fateci sapere cosa ne pensate di questa prima parte romantica *w*

Grazie a tutti, buona lettura e auguroniii!!!!

 

Kela and Diddy

(Capitana and Capo)

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Capitolo 7
*** Wayfarers. ***


Nota delle Autrici:

 

Salve a tutti e Buon carnevale! =D

Per alcuni è già finito, per me e il Capo inizia oggi per cui lo dico in generale ^^

Prima di tutto auguri alle befane :P ih ih ih In ritardissimo ma ci perdoneranno =P

Inizio con le news, non abbiamo pubblicato oggi e nel frattempo fatto niente, anzi!

Il 6 Gennaio abbiamo aggiunto la seconda parte del capitolo 6 che se non avete letto correte a farlo altrimenti di questo capitolo non capirete granché! ^^

Successivamente abbiamo riscritto per bene il capitolo 12 di Untitled1 aggiungendo dei mini spoiler riguardanti Untitled Without end (poi la Capitana qui si è cimentata in una FF nuova definita “terapeutica” ma non ci interessa XD) e in conclusione anche a questa nuova parte che risulterà come capitolo 7 ma in realtà non lo è ;)

Aggiungo per chi legge il capitolo 12: Sia in Unty1 che Unty2 abbiamo messo la nota “cross-over, What if? (e se…)”, Cross per il viaggio nel tempo e What if perché ci sono e saranno ben 2 personaggi che nel film di Potc3 sono morti tutti e 2 =’( Invece in Unty saranno presenti, uno è Will ad esempio!

Per cui teniamo conto di Potc3 solo per il fatto che Jack è ancora nel mondo dei vivi ^^ Fiiiu! Mi sono dimenticata di aggiungere il “regalino natalizio” spoileroso (lo lascio ancora una settimana nel mio profilo d efp e poi lo levo perché è già venuta la Befana un paio di volte a dirmi che le feste son passate XD) da parte mia e del Capo che è un po’ ridicolo ormai per l'appunto! Lol

Appunto sul capitolo 6: ho letto che molti di voi si sono preoccupati della “voragine” sul mento che si è fatto da solo il Capitano nello scorso capitolo, si io ho esagerato nel descriverla lo so, ma era intesa come quella ferita-bruciatura che Jack ha realmente nel film, in basso a destra sulla mandibola, non so se ci avete mai fatto caso.

http://img352.imageshack.us/img352/4492/johnny20depp2020potc20evr2.jpg E’ questa per intenderci!

 Eh lo so i suoi occhioni distraggono *w* In ogni caso non è nulla di grave, Jack sta bene è qui tutto pimpante XD Volevo rassicurarvi! ^^

Il titolo di questa nuova parte, Wayfarers, in italiano è tradotto con "viandanti", è ispirato all'opera di Friedrich "viandante sul mare di nebbia" quadro bellissimo!!

Sarà completata nel corso di questo mese e quando lo farò ci sarà la scritta in neretto nell’introduzione di Unty2 come solito ^^

 

Ringraziamo tantissimo…

 

johnny jack, la mia principessa sempre :P meno male che ti facciamo ridere almeno basta fasulet!! ^^ lol Ehm matrimoni?! Jack adora i matrimoni, da bere per tutti!!

Porti pazienza altezza =D La dedica era dovuta =* Un immenso bacioneoneone le vogliamo troppo bene ^^

 

Vanessola, ave a lei Mater superiora 8-D La nostra Jenny si scrive con la Y, JennYfer e non Jennifer, per gli americani è sbagliato perché per loro Jenny e Jennifer sono 2 nomi diversi o_0 ma noi l’abbiamo resa particolare apposta ^^ Saprete in questo capitolo che han combitato i pirati cattivoni per spaventare così i bimbi =) Ringraziamo sia io che il Capo, non ci meritiamo certi complimenti =$ Ti aspetto da me oggi pomeriggio con Vostra Onnipotenza XD LOL Un grande bacione!!! =*

 

68Keira68, ciao Sara!! :D (sono contenta che hai aggiornato la tua fic, aspettavo quel chap!!! *w*) Anche in questo chap Jenny saprà farsi valere mica male ^^ Siamo davvero contente di averti entusiasmato :D La paura dei pirati da parte dei bambini sarà spiegata meglio nella parte successiva di “wayfarers”! Con una romanticona come la sottoscritta nella nostra fic non mancheranno certe parti romaticose =D Grazie tantissimo per il tuo impeto ^^ Un bacio grande grande!! =* =*

 

daphne greengrass, ah-ha! Svelato il mistero :P Perdonatemi, non volevo essere indiscreta o impicciona, ma quando scrivo i ringraziamenti non so se riferirmi a una o a 3 persone per cui mi sono informata XD Il Capo e io siamo contente di fare anche da rimedio alla noia, wow ^^ hai visto Capo? Jenny-ninja ha fatto successo!! Lol

Grazie mille per seguirci sempre e per i vostri commenti positivi, fiiiu meno male ^^’ Tanti bacioni al vostro fantastico trio =D =* =*

 

Luana, Luuu ciao mia Picci!!! *.* Assaggio gustoso, caspita, non parliamo di cibo XD ho mangiato troppo in questi giorni! Gracie mille per aver trovato il tempo di seguire queste due pazze qui ancora dagli inizi ^^ =’) Lo apprezziamo tanto!! Grande segreto dici tu? XD Dico solo che scoprire l’identità di quella donna è una delle chiavi per scoprire il finale di Unty2! E una mia amica l’ha già capito <_< Dobbiamo darvi meno indizi qui!! Salutami i tuoi uomini =D Un bacione a tuttiii, organizziamo qualcosa per carnevale dai! ^^ lol Ti vogliamo tanto bene!!

 

Hilly89: Mara, Lorence! Che combinate? XD Ci fate preoccupare! Sì è vero ci siamo appassionate anche a noi a Lor caro, ci hai scoperte! =D Ehm… Ehm.. Per quanto riguarda Dylan come abbiamo già stradetto la faccenda è in fase di trattativa per cui non sappiamo darvi una risposta precisa ma io direi di non perder la speranza ^^ In Wayfareres spiegheremo la faccenda del tumulto di quei bimbi e Jenny saprà ancora farsi valere =) Grazie ad entrambi per l’entusiasmo che ci dimostrate, ne siamo onorate =D Un grandissimo bacione!!

 

JiuJiu91, ciao Giulia!! =D Che bello risentirti ^^ Tranquilla anche noi due siamo super incasinate con la scuola e mi è toccato fare questo capitolo di fretta, infatti sono preoccupata di cosa ne sia venuto fuori :S Lo so che è brutto da dire, ma inizialmente Dylan svolgeva il ruolo di “oggetto disturbo” come dico sempre io, cioè l’intralcio in alcune occasioni. Successivamente è diventato una chiave di unty1 ^^ In unty2 l’oggetto disturbo sarà rimpiazzato ma non da Andrè :P il nostro francese eunuco è nella categoria “aiutante delle chiavi” lol XD ok, la pianto con ste chiavi =D Grazie mille per la tua recensione e il messaggio da parte di kathy ^^ Sono riuscita a parlarle anche io poi ma grazie mille davvero per averla preceduta, ci stava facendo preoccupare =(

A presto! =D Tanti bacioni!!

 

giu91, ciao Giulia!!! ^^ Uhhh =’) Gracie per essere uscita allo scoperto, siamo onorate di averti colpita :D Urca, lo odio persino io il mio modo di scrivere XD Ih ih, l’ho detto io Capo che Jenny-ninja fa faville!! Lol Uhm, non so cosa dirti esattamente riguardo la tua affermazione perché rivelerei troppi dettagli… Posso solo dirti che stai prendendo la via giusta e che non sono la stessa persona! Magari leggendo questa nuova parte wayfareres potrai capire meglio :P Aspetto io trepidante tue nove meraviglie su quella coppia tanto insolita quanto meravigliosa *.* Un grandisssimo bacione e ancora grazie! :D =* =*

 

Buona lettura a tutti di questa nuova parte, fateci sapere cose ne pensare!

Bacioni, a presto.

 

Kela and Diddy

(Capitana and Capo)

 

 

Wayfarers.

 

“Dannati inetti con le braghe bianche! Per causa loro adesso sono rimasti solo i commercianti più fraudolenti e dispendiosi!” impreca tra se e se il Capitano, maneggiando articolatamente alcune scartoffie srotolate sul banco di un eccelso disegnatore.

Il suo tono forte e contrariato mi scuote dal mio stato attonito e per lo stupore mi sollevo dal bordo del banco, al quale ero appoggiata a braccia conserte.

Prima di esaminare il motivo dell’agitazione di Jack rivolgo lo sguardo verso la piazza ormai desolata: mette i brividi, è quasi come se fossero passati di qui gli Unni!

Sembra un luogo fantasma dove si odono solo i richiami in lontananza di qualche mercenario che cerca di persuadere i rari viandanti in transito qui.

Per fortuna nessuna traccia di cappuccetto grigio!

“Mannaggia!” inveisce ancora buttando all’aria l’intera bancarella.

Ma che combina??

IO: “Fermati Jack! Il signore qui potrebbe alterarsi se gli scompigli tutte le cartine così!” lo rimprovero riferendomi all’artigiano, che invece non ci degna della minima attenzione, ma continua a rifinire i dettagli d’ una illustrazione seduto su di uno sgabello dinanzi un cavalletto.

JACK: “Con tutti gli scellini che mi sottrae questo predone per un consunto foglio di carta raffigurante due insulse isole, posso scombussolare tutto il bancone come più mi pare!!” bandisce fissando torvo quell’omino che si nasconde dietro un fintissimo parrucchino color paglia e un paio di occhialetti buffi.

“Avete trovato la vostra mappa di Isla Oculta, signor Sparrow?” domanda ridacchiando consapevole sempre assorto nella sua ultima opera.

Muovo qualche passo girando attorno alla bancarella per ammirare meglio le bellissime creazioni dello scribacchino, aguzzando l’udito. Mi suona familiare quell’isola...

JACK: “Capitan, Capitan Jack Sparrow!! [sottolinea irritato] Ma certo, cosa credi?!” afferma altezzoso mettendosi quasi in posa.

Me lo ricordo bene quando l’abbiamo trovata, seppure io ero troppo indaffarata a cercare un modo per dirti addio…

“Completa anche?”

Afferro la riproduzione di una statua antica e l’avvicino al viso per scrutarla da vicino a dir poco incantata.

JACK: “Senza dubbio! Me l’ha portata un dolce angelo neanche io so come…” pronuncia vago posando i suoi occhi cioccolato fondente su di me.

Inizialmente rimango spiazzata, poi ripresa dalla sorpresa reagisco abbassando lentamente la tela con un ampio sorriso memore arrossendo un poco.

“Dio!! Voi… Voi milady… [farfuglia il disegnatore avvicinandosi frastornato a me] Avete un sorriso che potrebbe illuminare a giorno il cielo stellato dal manto vespertino!!” pronuncia ammaliato in uno sguardo quasi funesto, calando lentamente verso il basso la tela ellenica per osservarmi meglio.

Sgrano gli occhi turbata: “Ehm, la… ringrazio signore…!” rispondo guardinga, non deve avere tutte le rotelle al proprio posto questo tizio!

“Dove avete colto questo raro fiore Capitano??” domanda ancora incredulo, in un atteggiamento teatrale che interpreto quasi come una mossa affaristica.

IO innervosita: “La bellezza eterna, caro signore, l’avrete solo nelle vostre opere probabilmente rubate che rivendete qui a quattro soldi!” sbotto con rabbia.

“Ma cosa dite?!?” controbatte colto nel segno aggiustandosi bruscamente gli occhialetti sul naso.

IO: “Questa riproduzione è la Dama Bianca, si trova in un luogo parecchio distante da qui, non credo abbiate mai avuto modo di riprodurla su tela dal vero…” confuto scrutando il disegno ammirata.

“E voi come fate a supporre ciò eh?! Capitan Jack Sparrow portate via dalla mia vista questa angelica megera e fatele mordere la lingua!!” sbraita indignato agitando le braccia.

Lo sapevo, era come supponevo io! Si trova nel torto e ora cerca di chiudere qui il discorso.

JACK: “Allenta i toni imbrattacarte” tuona parandosi davanti a me minacciandolo.

IO: “Se siete così certo di quel che dite allora illuminateci! Dove si trova la Dama Bianca?” domando facendomi spazio dal fianco di Jack, imitando il fare calmo e snervante che assume sovente il Comandante ed esibendo in viso un’espressione di sfida nei confronti del contafrottole.

“Io… I-io… Ho viaggiato molto milady, non ricordo con esattezza!” si legittima, mentendo come dimostrano i rivoli di sudore che scorrono lungo le sue tempie per l’agitazione.

IO: “Almeno il continente, non ditemi che non ricordate neppure quello!” incito sempre più interessata.

Jack assiste alla scena del tutto serio, ma i suoi forvi occhi somigliano a quelli di un bambino che assiste catturato e divertito ad uno spettacolo di marionette.

“Era l’Asia giovinetta spiantata, ed ora ridatemi quel capolavoro.” boccheggia scosso allungando la mano tremante d’ira.

IO: “Sbagliato! Ma ci siete andato vicino, si trova in Europa caro divulgatore di falsi.” controbatto soddisfatta, porgendogli la tela.

“Non si fa fortuna con le bugie!” concludo sminuente, mentre l’uomo oltraggiato in ogni senso mi strappa di mano con prepotenza la falsa copia ed io mi allontano dalla bancarella precedendo un Jack sogghignante.

“Per questo amo quella donna!” ammette sottovoce per deridere l’imbrattacarte, appoggiandosi con noncuranza al banco finendo col spiegazzare qualche rotolo cartaceo.

La gente di qui si riduce a vivere di paura e menzogne per scalare il lunario, purtroppo non ci sarà modo di migliorare tutto questo ancora per molto e molto tempo…

JACK: “Altro che la fortuna requisita ad Isla oculta… Non tutti i tesori sono d’oro e d’argento.” riferisce mantenendo lo sguardo fisso su di me.

“Cosa? Dunque avete realmente trovato l’isola e l’antico bottino con essa!?!” domanda incredulo il mendicante dal parrucchino di paglia.

JACK: “Proprio così Scribbler (nome del mercante NdAutori)!” definisce in posa fiera.

SCRIBBLER: “Immagino dunque che avrete le tasche piene di denaro da spendere.” riconosce fregandosi con avidità le mani al sol pensiero di guadagnare molti quattrini.

JACK: “Sì, ma non da te vecchio volpone!” lo deride ancora una volta ad indici alzati, abbandonando a passo oscillante la bancarella per raggiungere me al centro della piazza.

Al suono del suoi passi distolgo i miei occhi vigili dal circondario, mi volto leggermente per assicurarmi che sia lui e gli rivolgo un lieve sorriso.

IO: “Che razza di gente popola queste parti!” dico attonita scuotendo la testa.

JACK: “Non possono fare a meno di essere tali” risponde in tono grave, venendomi vicino.

Me ne rendo perfettamente conto.

“Deduco che se reagisci in questo modo devi esserti ritrovato negli stessi loro panni in passato.” affermo leggermente divertita, immaginando le mille disavventure da lui vissute, mascherando bene un brivido che mi percorre lungo tutta la schiena quando la sua mano tesa mi sfiora delicatamente il collo.

JACK: “Altresì peggiori di questi!” ammette ridendo. L’assecondo scrutando ammaliata la sua rauca risata tanto piacevole.

“E di me non hai nulla da ravvisare?” domanda impaziente, aggrottando la fronte seminascosta dalla bandana purpurea.

Rievocando le sue parole dette poco prima dinanzi la bancarella e distogliendo lo sguardo dal suo per non impacciarmi, mormoro vaga in un sorriso: “Mai lo zucchero guastò vivanda… E tu sei stato dolcissimo!”

Sulla sua bocca si dipinge di un sorriso furbesco mentre con l’estremità del pollice mi carezza lievemente la guancia.

Trascorre qualche istante studiando attentamente l’alveo del mio sguardo e ne percepisce subito lo stato d’animo: “Cosa c’è che non va?” indaga intrigato.

IO: “Nulla” controbatto immediata con una nota di stupore, come se trovassi la domanda insolita.

Socchiude gli occhi in un ghigno buffo ruotando leggermente il capo per niente convinto.

“Questa mattina hai atterrato come un ninja un membro della mia ciurma [oddio Albert!!! 0_0 Chi gliel’ha detto??], lungo la strada hai visto un branco di frugoletti e ti sei pressoché commossa. Ti porto a fare spese, come piace a voi signore, e hai lo sguardo del tutto perso. Un istante or sono noti un insignificante scarabocchio sulla carta e ti metti a fare la critica d’arte antica…”

IO: “Mi metto a fare cosa?!?” domando divertita incrociando le braccia semi-offesa.

Al suono delle mie parole il Capitano restringe lo stomaco,  gonfia il petto e assume una fastidiosa vocina acuta: “La donna lattea non si trova in Asia mio caro menzognero, ma in Europa!! Io lo so perché vengo dal ventunesimo secolo e sono enormemente colta!” declama con una mano posata sul fianco e pavoneggiandosi con la seconda. (Dialogo ispirato al comportamento di Sua Onnipotenza, Vanessa tu la conoscerai :P lol NdCapitana)

“Io non faccio così!” controbatto divertita, serrandogli le braccia per farlo smettere.

“Orbene, cosa comporta in te questo insolito atteggiamento?” domanda riprendendo il filo del discorso dapprima sogghignando, ma divenendo ad ogni parola sempre più serio.

Sospiro profondamente rassegnata, non c’è modo di nascondergli qualcosa…

“E’ sempre per colpa di quella…” dichiaro riferita alla ‘donna misteriosa’ buttando gli occhi al cielo.

JACK: “Quella chi??” sbotta stranito con un bizzarro scatto del collo all’indietro.

Rimango del tutto sconcertata, cosa significa quella chi?

Una sorta di pesante fardello proveniente dallo stomaco risale alla velocità di un fulmine lungo tutta la mia gola ed infine si riversa fuori con la sua medesima scarica elettrica: “No, no… Non è possibile Jack… [inizio turbata] Ora tu stai davvero cercando di farmi credere con le tue movenze bizzarre che ti sei già dimenticato di quella… Non è così?! [definisco avvilita] Ma tale non lo è per niente invece…! [riconosco amaramente mordendomi il labbro inferiore per la rabbia] Sei solo un lurido approfittatore senza coscienza ecco quello che sei! [urlo rabbiosa spingendolo via da me, senza ricevere una minima opposizione da parte sua se non uno sguardo profondamente afflitto] Non mi hai ancora nemmeno chiesto scusa per l’accaduto… [rilevo affranta scuotendo il capo da parte a parte] Neppure un lieve accenno se non mi rendo conto di aver commesso un errore…- proseguo con voce spezzata, le sue labbra si dischiudono per intervenire, ma recido subito il suo tentativo -Continua pure a sprecare fiato per intrattenerti con le tue damigelle tristi!” concludo furiosa ricacciando le lacrime.

Non lascio al Capitano neanche la possibilità di difendersi, mi allontano percorrendo a passo svelto la piazza, quasi interamente svuotata, con la mente colma di rabbia e caotici pensieri.

Voglio tornarmene al porto, risalire a bordo della Black Pearl e andarmene via da questo antro maledetto!

Venga dannata la mia boccaccia che non sa mai tenersi le cose per se, maledetta anche l’attaccatura morbosa di Jack al rhum, al rogo quella sventurata mappa e che sia condannata a morte certa persino quella ridicola cappuccetto grigio insieme alle sue labbra scarlatte.

Mi stringo nelle spalle muovendomi velocemente tra le anguste vie di West Caicos, stringo i pugni per estinguere la collera ma non riesco in alcun modo a calmarmi.

Affino l’udito per ascoltare se alle mie spalle proviene un passo svelto o pari al mio senza dovermi voltare.

Nulla… Niente di rilevante almeno. A parte un berciare confuso all’interno di una taverna nel momento in cui vi passo vicino e gli starnazzi di qualche animale domestico in procinto di essere trasformato nel pranzo di oggi da dentro un cucinino.

Riporto lo sguardo mesto al selciato ghiaioso e proseguo il mio disorientato cammino lungo una discesa.

Ma chi voglio pendere in giro…Eh?

…La colpa non è che mia… Sono solo una patetica permalosa! Un brutto aspetto che era presente nel caratteraccio di mia madre ed è rimasto in me.

Chissà il mio Dylan come se la passa con quei “genitori fantasma”… Spero solo che non lo facciano sentire solo, non perdonerei mai una mancanza del genere a quei due ora che io non ci sono più!

Già, io non sono mai venuta al mondo per loro…

Io non esisto…

L’ennesimo brivido mi pugnala la schiena a quei pensieri.

La mia immagine è presente solo nella mente di Dylan… Oh funghetto mio, non dimenticarti mai di me… Ti prego!

Quando ne combinerai una delle tue pensa alla tua sorellina rompiscatole che ti avrebbe rimproverato con la minaccia di dirlo a mamma e papà… Se cammini per il corridoio del secondo piano in casa nostra e passi dinanzi la mia stanza vuota affacciati all’interno, cerca di ricordare com’erano disposti i mobili… Nell’angolino del letto rammenta la mia figura assorta su di un libro con lo sguardo rapito… Ogni volta che ammiri il tramonto ricordati quel triste giorno che mi hai fatto una promessa, ti voglio davvero presente alle mie nozze! E per tutte le volte che ti mancherò… Ti scongiuro, perdonami se puoi…

Allontano dal viso quelle lacrime dolorose e diminuisco il passo per apprestarmi ad attraversare la strada, in una manciata di minuti mi condurrà direttamente al porto.

Sollevo lo sguardo affranto per scrutare il lato sinistro e destro della via che trovo totalmente deserti, quindi avanzo tranquillamente.

A metà del breve tragitto, tra i due versanti opposti della strada, la mia attenzione ricade su di una figura famigliare, di cui sono certa non essermi accorta prima.

Guardando più attentamente riconosco la donna incontrata ieri mattina fissarmi con un sorriso compiaciuto da sotto la mantella plumbea.

Il respiro profondo che stavo compiendo mi muore letteralmente in gola, sgrano gli occhi incredula bloccando ogni movimento degli arti inferiori, senza più riuscire a spostarli di un solo millimetro.

La mia persona si ‘pietrifica’ al centro della stradina, incapace di muoversi con la paura più assoluta impressa nello sguardo, come se il tempo si fosse fermato.

Una fitta gelida si insinua nelle mie ossa come una lama acuminata, ma non riesco nemmeno a gemere di rimando, mi sento congelare, soffocare… Sono impedita da qualcosa più grande di me che ha la meglio sul mio corpo fragile e recide ogni mio tentativo di movimento, assorbendo tutta la mia forza vitale.

Quella strana donna suscita in me qualcosa … Un singolare timore… O paura, che non so spiegare…

Sono certa che mi sta fissando da sotto quell’ampia stoffa grigia, anche le sue maledette labbra rosse lo dimostrano attraverso quel sorrisetto inespugnabile. Cosa vuole da me, da Jack? In che modo intende aiutarci??

La mia mente continua il suo normale corso, ma io rimango a fissarla, immobile, senza riuscire a fare altrimenti.

Intorno a me si è placato ogni singolo rumore, tutto si è fermato insieme a lei… No, non è così! Avverto ancora in lontananza qualche schiamazzo…

Sono solo io che mi sento così?

Tutto continua a muoversi secondo il proprio normale corso, tranne me.

Sento persino una voce lontana che mi chiama per nome, ma non riesco a distinguerla in alcun modo.

D’improvviso credo proprio di essermi sbagliata, non era una richiamo nei miei confronti, ma il trotto regolare di due cavalli in avvicinamento, trainanti qualcosa di pesante alla pari di una carrozza.

Sono diretti nella mia direzione e sembrano non aver alcuna intenzione di rallentare, non devono essersi ancora accorti della mia presenza.

Un lungo brivido scuote il mio corpo che non vacilla nemmeno, vorrei fuggire via come il vento ma sento i piedi come radicati al suolo.

Dannazione, possibile che non riescano a vedermi?

Già… Ma… Io non esisto

A questo punto non dovrei esistere più in nessuna epoca, tanto meno trovarmi qui… Se ora scomparissi non importerebbe ad alcuno, dopo quello che ho detto Jack tanto meno a lui… Ti ho amato così tanto…

In ogni caso devo farlo almeno per il mio piccolino, gliel’ho promesso prima di dirgli addio!

E allora vienimi a prendere se ci riesci! Chiunque e qualsiasi cosa tu sia… Sono qui, pronta a confrontarmi.

Ancora immobilizzata cerco si stringere i pugni e riempire d’aria i polmoni che ne sono ormai quasi del tutto assenti.

Il mio corpo viene investito da una forza estranea che mi trascina a terra con se, quasi scaraventandomi al suolo, dove ricado sbattendo la testa e colpendo involontariamente qualcosa sotto di essa.

Nonostante la randellata contro il suolo ciottoloso riesco a riaprire gli occhi un istante: un elegante carro trainato da 2 corsieri attraversa frettolosamente la stradina, senza ridurre l’andatura nemmeno di un trotto.

Da una finestrella della cocchio si sporge una figura femminile dai capelli chiari e ondulati che si riversano sul suo viso mascherando un’espressione di orrore e preoccupazione. 

…Somiglia un poco a quella donna… Colei che ho quasi investito la mattina della gita, ancora nel futuro… Ma non è possibile, sarà la botta in testa ad avermelo fatto pensare… Come mi aveva detto? Ah già!

Ci rivedremo Jennyfer, non molto presto ma solamente nel momento in cui avrai più bisogno di me!

Questo era decisamente il momento più opportuno, anche se, nel caso in cui era lei, non mi è stata molto d’aiuto…

La mia vista si annebbia, il respiro si assottiglia e gli occhi mi si richiudono pesantemente, forse per sempre…

 

-

 

La Capitana ringrazia tantissimo la sua principessa pazzerella Fra per la zampa, il sostegno e la pazienza che ci vuole con questa fuori di testa ^^’ Mille volte gacie =’) =* =* =* =*

 

 

Volo di luce.

 

 

…Promettimi che ci arriverai a mangiare il ketchup…dimmi che lo mangerai e lo farai assaggiare anche a Jack…

 

…Io sarò sempre qui…e spero anche qualche volta nei tuoi pensieri…

 

…Sorellina sono qui! Sto benone, ti vorrò sempre bene, non dimenticarti di me, ADDIOOO…

 

…Si impara dai propri errori e questo decisamente non lo è! …La verità è che io ti amo…

 

…In che modo ho cambiato la tua vita? …Sembri un angelo, l’angelo più bello che esista, il mio angelo…

 

…Sono qui per aiutarvi… Che bruta coSa la JeloSia…

 

…Un cuore non ha spazio a sufficienza per racchiudere in se più di un solo nome e io voglio che il tuo ci rimanga inciso sopra per tutta la vita…

 

…Siamo pecore nere, gente spietata, trinchiamo allegri yo-ho!

 

…Quella chi? …Io non esisto…

 

Una impetuosa tempesta di frasi, immagini e ricordi si scatena nella mia mente del tutto incosciente.

Il mio corpo non trova la forza di reagire, rimane disteso a terra pienamente esanime, sovrastando a peso morto il braccio e il torace dolorante di… Jack.

Non avevo tutti i torti riguardo la donna della carrozza, a me è apparsa come una specie di miraggio, ma la sorte ha voluto che fosse proprio lei; colei che nella mia epoca in un secondo di distrazione stavo quasi per uccidere, la stessa che qualche istante fa stava per portare a termine la mia vita e la medesima ora, mentre rientra col busto dal finestrino del cocchio ostentando un’espressione sgomenta e di rammarico.

Si abbandona sconvolta sul sedile anteriore e ancora con la bocca semi-spalancata spera con tutto il cuore, torturandosi le mani, che io, nonostante l’incidente, per lo meno sia illesa e al sicuro.

Non è stato affatto l’impatto con la carrozza a trascinarmi a terra, sul ciglio della strada perlomeno dove sarei stata più protetta che in concomitanza delle ruote coriacee, ma l’intervento tempestivo del Capitano il quale si è sgolato più volte nel richiamare in tempo la mia attenzione, ma poi vedendomi inerte non ha esitato un solo istante ad intervenire per mettermi in salvo.

Ed ora si rialza da terra a fatica, per gli arti ammaccati dalla caduta, puntando tutta la forza che gli rimane sui gomiti, riuscendo così a levarsi lentamente nonostante sia sfavorito dal peso del mio corpo privo di sensi ancora tra le sue braccia.

“Jennyfer! Perché sei così fredda? Jenny… Tesoro, apri gli occhi…” mormora agitato scrollandomi lievemente, distribuendo il peso sulle ginocchia nonostante le brucianti spellature.

Mi solleva la testa portandomi più vicina a se, si accerta che respiro percependo un lieve fiato sull’estremità della guancia e rallegrato dal mio stato unicamente di sopore profondo, cerca un modo per farmi ridestare.

“…Mozzarella…?” bofonchia impensierito.“Suvvia… Non starai fingendo tuttora vero?!” nessuna risposta da parte mia. “Sei solo una bimbetta viziata! …Testarda, ehm no…pigrona! …Gran permalosa!!” cerca di provocarmi ma non serve proprio a nulla, io non posso sentirlo…

“Cosa devo fare con te?!” domanda in forma retorica buttando gli occhi al cielo.

Sbuffa spazientito, mi distacca da se riponendomi delicatamente a terra dove i miei arti si affievolisco al suolo senza preciso comando.

Si leva la giacca e l’arrotola con una mano per riporla con accortezza sotto la mia nuca, anche lui sa che la testa va sempre tenuta più in alto rispetto al resto del corpo quando si ha di fronte un individuo privo di conoscenza.

Scostandomi con cura alcune ciocche dal viso, scopre un modesto rigonfiamento sanguinante nella parte sinistra della mia fronte e si appresta a reciderlo immediatamente con un lembo della camicia, senza preoccuparsi di macchiare un suo prezioso effetto come accade solitamente.

“Io che avrei voluto vendicarmi dei tuoi dispetti…  Adesso sei contenta testaccia dura?! Mi trovo costretto a rimandare!” borbotta ironicamente offeso, tamponando il punto in cui ho battuto la testa contro il suolo.

“Sei fuggita via spiccando il volo così velocemente da non darmi nemmeno il tempo di trattenerti con me…” confuta afflitto in poco più che un sussurro. “Ed ora dopo che ti cacci nei guai… Ne esci pallida di morte” definisce scuotendo la testa contrariato in un assolo drammatico.

Fa scorrere amorevolmente un dito sotto la mia palpebra chiusa scoprendola umida di lacrime, ed una tenue fitta di dispiacere si leva in lui per avermi fatto piangere.

“Ti sbagli sai, sarò pure un lurido approfittatore, ma ce l’ho una coscienza, anzi ne ho persino due!” sdrammatizza sorridendo per discolparsi.

“Una buona ed un’altra più cattiva, stanno proprio qui, sulle mie spalle! Si celano nella mia zazzera e sbucano fuori all’occorrenza. Singolare, nevvero?” parlotta picchiettandosi sulla clavicola, in un sogghigno rivolto alla mia persona che inizia a riacquistare i sensi ma non può ancora controbattere.

 

Dopo aver atteso parecchio tempo prestando attenzione ad ogni mio minimo ansito, l’intrepido Capitano sta quasi per cedere al panico.

“Torna da me angelo mio…” invoca supplice portando la mia mano debolmente stretta nella sua alle labbra.

Intorno a noi qualche curioso si è soffermato ad osservare, ma dopo aver riconosciuto le nostre vesti truffaldine, quei abitanti spauriti preferiscono allontanarsi alla svelta, senza indagare troppo sulla questione.

Le mie funzioni vitali iniziano a ristabilirsi, il battito del cuore si consolida e prendo di nuovo a respirare normalmente.

Inspiro dal naso un’esile folata di vento che mi riempie interamente i polmoni ridandomi vigoria.

Socchiudo gli occhi a poco a poco per farli abituare alla gran luce che li investe una volta aperti, quando la vista diventa nitida scorgo una distesa bianca al di sopra di me.

Bianco? Bianco… Candido come una nuvola, niveo alla pari della neve …bianco come il soffitto della cameretta di Dylan.

Dove… Dove mi trovo, sono a casa??

IO: “Nooo!” un grido lancinante e disperato riecheggia in ogni più celato vialetto di West Caicos.

Mi rialzo in tumulto scontrandomi con qualcosa che mi fa immediatamente ritornare in posizione supina, un forte dolore alla fronte provoca in me un gemito e persino le lacrime agli occhi.

I-io non posso essere a casa… No, non devo! Questa volta non l’ho desiderato, neppure esplicato… 

Inizio a singhiozzare tremando, i miei occhi sono così piangenti che non vedo nemmeno, come se dovessero riprendersi dopo essere stati colpiti da un forte bagliore.

“Jen! Dolcezza… Va tutto bene, calma. Sei al sicuro adesso…” la sua voce calda e confortante, pronunciata con una nota di contentezza mista a preoccupazione, culla il mio burrascoso risveglio. Il mio provato cuore sobbalza, sollevo la nuca più rapida che posso e m’imbatto con immensa gioia nel suo stravagante pizzetto a treccine.

…Non posso crederci…

L’affascinante comandante del galeone più veloce dei sette mari percependo il mio movimento china il mento per accertarsi sul mio stato di coscienza, permettendomi così di avere la conferma che in questi interminabili istanti di turbamento avevo tanto sperato.

“…Jack…Sei proprio tu…?” mugolo incredula in un fiato, scrutandolo allibita.

Un largo sorriso rischiara il suo viso bruciacchiato dal sole che sfioro appena con la punta delle dita per accertarmi sia vero.

JACK: “Il solo ed unico, chérie” risponde suadente, tenendo impresso il ghigno sorridente.

Emetto un profondo respiro di sollievo, ero del tutto sconvolta, per un istante ho creduto di dovermi rassegnare al fatto che gli ultimi cinque mesi della mia vita fossero stati soltanto una meravigliosa illusione.

L’istante seguente la mia mente inizia a rimembrare i momenti anteriori alla mia scampata visita nell’Ade.

IO: “Dopo tutto quello che ti ho detto…” affermo dispiaciuta in un singulto, riferendomi alla discussione avvenuta poco fa nella piazzetta.

JACK ridacchiando: “Non permetterò certo che il moto irregolare della luna possa portarmi porti via ciò che amo di più a questo mondo!” definisce altero, migliorando la mia posizione tra le sue braccia.

Rimango stupefatta senza saper esattamente cosa dire.

Come tento di muovermi però vengo trafitta da una acuminata fitta alla testa che mi riduce a restare immobile senza poter compiere gesti azzardati.

“Che diavolo mi ha ridotto così?!” domando alterata ancora inconsapevole, cercando di soffocare il dolore portando una mano al punto dolente nella parte alta della fronte.

JACK: “Eri ferma al centro di questa stradina, ti ho chiamato più e più volte a squarciagola senza ricever da te alcuna risposta e in quel mentre una carrozza per poco non ti lacerava al suolo” spiega ponderato, senza tanti mezzi termini.

Con un violento sussulto ricordo il perché di tutto questo.

Soffoco i singhiozzi per non apparire come una preda impaurita rivivendo quegli istanti terribili, presa dall’agitazione ruoto il collo abbastanza da poter scrutare attorno a noi ricercando quel riso gelido ed infrangibile che prima mi ha resa incapace di compiere qualsiasi cosa.

Nei paraggi non sta avvenendo nulla di ciò che mi aspettavo, il ciglio della strada è del tutto deserto, gli abitanti dell’isolotto proseguono il proprio corso ad occhi bassi, indifferenti, sembra tutto ordinario e silenzioso, forse anche troppo…

Mi sorprende e atterrisce tutto questo.

“Respira… Tranquilla! E’ tutto finito, sei in salvo…” mi conforta carezzandomi i capelli.

IO: “I..io…io l’ho vista..io… Era qui, lo giuro…!” balbetto scossa con voce infranta.

JACK: “Cosa, chi hai visto?” indaga inquieto brandendomi dal mento per placare la mia agitazione.

Lascio trascorrere qualche istante prima di rispondere, quando mi appresto a dischiudere le labbra per replicare avverto una gran rabbia salire verso l’alto dallo stomaco fino a pugnalarmi il cuore.

Quella che tu non conosci…” affermo amaramente volgendo lo sguardo altrove.

Mi aspettavo un riscontro offeso da parte sua, gli occhi al cielo spazientito almeno, ma Jack Sparrow è sempre tutto fuorché prevedibile.

Distende le labbra in un sorriso furbesco e obbietta beffardo: “Vorrà dire che la prossima volta renderemo ben chiaro fin da subito a suddetta donzella che il qui presente Capitano non è più disponibile per alcuna donna con le sue medesime intenzioni!” definisce sollevandomi accuratamente dal terreno ghiaioso, riacquistando così una postura eretta.

Quando si accerta di tenermi ben salda tra le sue braccia dà il via ad una camminata storna e dondolante giù per la discesa del vialetto dal quale avrei potuto non far più ritorno.

Resto colpita dalla frase che ha appena enunciato, ma non ho intenzione di darlo a vedere e per controbattere prontamente improvviso un tono di voce poco convinto: “Credo di poter camminare da sola” lo contesto saccente.

Solo adesso si degna di dirmi così?!

Jack si blocca con un gesto meccanico, mi lascia andare prima le gambe e poi allontana la mano da dietro la mia schiena domandandomi dubbioso: “Ne sei proprio sicura?”

Rispondo affermativamente: “Ma si, certo! Ho solo battuto la testa a terra, non è stato nul-…” come tocco con i piedi il terreno tentando di rimettermi in normale equilibrio, la vista si appanna e sono costretta a reggermi alla sua giubba per non cadere.

JACK: “Hai proprio ragione tu tesoro, non è stato nulla di che!” ribadisce mordace con una cadenza di rimprovero.

Mi gira così tanto la testa che non sono nemmeno in grado di controbattere, rassegnata mi accosto stancamente alla sua spalla.

Il Capitano mi riprende pazientemente con se e prosegue in direzione del porto a ritmo del suo passo strampalato.

“…Grazie Jack…” bisbiglio grata prima di chiudere gli occhi per abbandonarmi al sonno.

JACK: “Non dormire, apri gli occhi! Resta qui con me” impone consapevole che se mi fosse davvero successo qualcosa dormendo non farebbe altro che peggiorare.

Cerco di dargli ascolto, ma è molto complicato, tutti i miei muscoli sono rilassati seppur doloranti e si trovano sul punto di abbandonarsi al sopore.

“Devo trovare un modo per mantenere la tua mente impegnata mentre raggiungiamo la Pearl… -confuta pensieroso tra se e se- Ho trovato! – annuncia festoso- Elencami i nomi dei 7 pianeti del sistema solare!” Definisce serioso.

Solo 7? Ah, vero… Urano e Nettuno saranno scoperti tra un centinaio d’anni. Tutt’ora però dovrebbero esserne noti solo 6…!

“Sette? Perché così tanti?!” domando divertita socchiudendo gli occhi per sforzarmi di rimanere desta.

“Sei stata tu una volta a paragonarmi ad uno di essi…” rammenta amabile alla mia memoria soggiogata da troppe emozioni avvenute tutte in un singolo eterno momento.

 

-

 

“Basta Jack, ti prego! E’ la quinta volta che mi fai cantare questa lagna” imploro esasperata.

JACK: “Perché tu per l’appunto non l’hai ancora imparata!” si legittima con rimprovero.

Sbuffo spazientita rimpiangendo di non essermi addormentata sul serio, a costo di rimanerci secca per una grave emorragia celebrale.

Siamo sulla via del ritorno, oltre le spalle di Jack intravedo il centro cittadino sempre più lontano e i primi moli delimitare la distesa cristallina del mar caraibico.

JACK: “Su, avanti! Non ti sento intonare neanche un suono e ciò non ti è affatto salutare!” sottolinea insistente.

…Non rimane che arrendersi con tale sfrontata e suadente cocciutaggine…

Sospirando profondamente:Il re la colpì, quella dama rapì… -accenno debolmente- Nel mare si…?”continuo interrompendomi sul finale della strofa perché non lo ricordo.

JACK: “Rianimò!” suggerisce.

IO: “Si ecco, contento adesso?! Basta, fine! Da qui non la ricordo più” mento stancamente accostandomi a lui.

JACK: “Non riesci a convincermi dolcezza! -fissa altezzoso- Forza! Poi come continua? …Il cielo più?” canticchia tre lemmi di questa mesta cantilena.

Intenso” controbatto svogliata.

JACK: “Nel mare…?”

IO: “Cobalto” azzardo ironica.

JACK: “Come dici?!” sbotta ridendo. (La parola giusta che Jennyfer doveva pronunciare è immenso, tratta dalla canzone intonata dai prigionieri all’inizio dei Pirati dei Caraibi3 Hoist the colours NdAutori)

“Il colore del mare, azzurro cobalto! Nevvero Capitano?”

JACK: “Ti sbagli dolcezza!” si contrappone pensieroso.

“Davvero?! Allora mi illumini gran cervellone, ho battuto la fronte a terra ma riesco ancora a vederci bene!!” sottolineo risentita.

JACK: “Spiacente tesoro, non ho qui con me il bagliore portatile del sole per emanar luce come mi hai raccontato tu stessa una volta, ma…”

“Lampadina Jack, nel futuro l’hanno designata come lampadina ” gli ricordo divertita interrompendolo.

“Ecco sì, la piadina ” assolve velocemente in una smorfia contorta che procura in me una risata.

Inaspettatamente interrompe il ritmo già di per se irregolare del suo cammino e adagio mi ripone a terra. Subito mi aggrappo intimorita alle falde della sua giacca, si ripeterebbe l’episodio di prima dove per poco non ricadevo nuovamente a terra altrimenti, ma vengo rassicurata dal suo tono confortante: “Ti tengo io, non credere che ti lasci volare via una seconda volta!”

Gli rivolgo un sorriso fiducioso e lascio che mi avvolga a se, in modo da stare in piedi ma con il suo fermo e sicuro sostegno attorno alla vita.

Provo a sollevare la testa distaccandomi dalla spalla di Jack, ma subito la lesione della fronte torna a pulsare bruciante e sono costretta a tornare nella mia posa precedente.

Dopo aver chiesto conferma sul mio stato ricevendo un acconsento da parte mia esplica estasiato: “Osserva tu stessa!”

Rimango per un attimo smarrita, fin quando il suo braccio si allontana leggermente da me per sollevarsi sino ad indicare l’orizzonte dritto dinanzi a noi.

Ruoto leggermente il collo, a pochi centimetri dal pontile su cui ci troviamo ravviso un’immensa distesa cristallina capace letteralmente di mozzare il fiato costeggiarci smossa appena da un magnetico impeto.

E’ davvero così bella la vista da qui…? Per tutto quello che è successo non me ne sono proprio resa conto.

“Ebbene, cosa vedi ora?” domanda enfatico dopo qualche istante di sbalordimento.

Possibile che noi sciocchi mortali non siamo neanche in grado di apprezzare certi strabilianti spettacoli che la natura silenziosamente ci offre? Se ci allontanassimo per un attimo, anche solo un istante da ogni forma di saggezza e vile concretezza la vecchiaia non esisterebbe neppure… Nel mio tempo siamo ridotti ancor peggio…

“Acqua cerulea, schiuma bianchiccia… Onde, spuma, bollicine, barche… Cosa dovrei distinguere di così singolare?” sostengo incuriosita dopo essermi ripresa dallo sgomento.

JACK: “Quei colori prodigiosi ad esempio” esorta con lo sguardo del tutto rapito dal dolce ondeggiare marino.

“Azzurro, blu, celeste… Pervinca! Cobalto…” elenca ammaliato dilatando a poco a poco un sorriso.

Aguzzo la vista e mi rendo conto che ha davvero ragione, non esiste un solo colore dove racchiudere la tonalità dell’intera distesa acquea.

Ciascun onda che avanza e poi si frantuma sulla sabbia porta con se una sfumatura differente mai simile ad un’altra, trascinandosi dietro anche una nuova emozione.

“Non è una singola macchia colorata, ma uno sconfinato specchio capace di portarti sin dove il sole nasce e muore oltre la linea dell’orizzonte. Dovunque desideri andare esso ti conduce, il mare è questo in realtà. Non è solo acqua, sale e bollicine, sì, il mare è fatto così, ma ciò che è...ciò che come la Pearl è in realtà...è libertà!” pronuncia nostalgico.

Assecondo la sua convinzione a dir poco incredula prima di confutare scherzosa: “Ognuna di quelle tinteggiate frangenti sembra una sfumatura della tua personalità…Ed io sono innamorata di ognuna di esse!” confesso facendo scorrere debolmente la punta delle dita lungo il contorno del suo viso situato a poca distanza dal mio.

Il fiero Capitano ne rimane colpito, ma non lo da a vedere, si limita solamente a ricercare il mio sguardo per trarne una conferma.

Rincuorato dalla mia espressione gaia si appresta a chinarsi maggiormente su di me per sigillare il tutto con un bacio quando un suono esterno seppur flebile lo interrompe tendendogli i nervi.

Un sospiro trasognante giunto dall’alto richiama l’attenzione del Comandante che ora ne ricerca il mittente con occhio truce.

Ripercorre con gran velocità una chiglia nera che poi riconosce come quella del suo stesso galeone corvino e dalla balaustra del ponte individua affacciato verso il molo su cui posteggiamo il suo marinaio francese osservarci incantato con la testa sorretta da una mano.

Jack contraccambia l’invadenza subita con un ghigno rabbioso che fa atterrire io mio povero Andrè portandolo alla fuga.

Meglio darsela a gambe prima che il gato ti trovi!!

 

 

-

 

Mistake and forgive

 

“I messaggeri d’amore dovrebbero essere i pensieri,

che corrono dieci volte più ei raggi del sole,

quando cacciano le ombre dalle cime dei monti.

Per questo colombe dalle ali veloci portano Amore;

e per questo, Cupido, fulmineo come il vento,ha le ali.

-William S.-

 

Il passo baldanzoso del Capitano preceduto dal mio tentennante e sofferto fanno ingresso sul ponte deserto della Black Pearl.

Jack rivolge una minuziosa occhiata al circondario senza avvistare con successo il cuoco francofono, quindi inizia a borbottare tra se e se sprezzanti ingiurie mente mi assiste benevolo nel sedermi su di un baule contenente del sartiame.

“Rimani pure qui tesoro, torno tra un momento.” si sforza di apparire gentile quando invece  digrigna i denti per la rabbia.

“Jack! –lo richiamo trattenendolo debolmente per un braccio- …Se lo trovi non sgridarlo, per favore, non ha fatto nulla di male!” gli prego con sguardo supplice riferendomi ad Andrè.

Non ricevo alcuna risposta da parte sua, benché prima di proseguire ad andatura molleggiante increspa le labbra in una smorfia spazientita come a significare controvoglia un “va bene”.

L’osservo allontanarsi sollevata, spero mantenga la parola piuttosto, quindi nell’attesa cerco di oppormi al dolore proveniente dalla fronte.

Provo a distrarmi per non pensarci diminuendo così il tormento, in questo intento ci riesce benissimo un insolito sbattere d’ali proveniente da poppa, accanto al castello del timone.

Mi chino in avanti per osservare meglio, ma dalla mia posizione riesco a distinguere solo un’ombra in movimento.

Faccio forza prima sulle braccia ottenendo così un bello slancio per alzarmi, in seguito sulle mie ancora deboli gambe che cedono lievemente mentre mi trascino nella direzione dell’oscuro rumore reggendomi alla balaustra.

Arranco sino a giungere nelle vicinanze, durante tutto il tragitto percepisco i piedi come pesanti blocchi di ghiaccio in contrasto con la mia avanzata, ma riesco ad arrivare a destinazione.

Con gioia mista a sollievo scorgo solamente il brizzolato ciuffo di Andrè, intento ad addomesticare un piccione o almeno così sembra.

Rimango qualche istante in disparte ad osservarlo incuriosita e allo stesso tempo divertita: trattiene il volatile dalle zampe a cui ha legato dei lunghi lacci, nel frattempo l’accarezza amorevole parlandogli in francese con la voce ridotta ad un sussurro.

IO: “Psssst…!” sibilo con l’intento di attirare la sua attenzione.

Il mio dandy si volta di scatto sobbalzando, per poco non fa persino volar via il pennuto, alla mia vista tuttavia si tranquillizza rivolgendomi un raffinato saluto.

ANDRE’: “Mademoiselle, vi pResento Charlotte! [dice indicando il piccione] Charlotte, ma cher, saluta!” esorta raggiante rivolgendosi all’animale.

Il columbidae (non è una parolaccia, si scrive davvero così! Lol) replica grugando (verso del piccione NdAutori) ignaro, ruota leggermente il collo e sbatte ad intermittenza gli occhietti arancio.

Ridacchio frastornata carezzando dolcemente il manto piumato della creaturina ferrigna.

Dopo qualche lusinga rivolta all’animale l’umore del pirata muta improvvisamente, diviene cupo, affranto…

A testa bassa mormora con la sua cadenza inconfondibile: “SpeRo posiate peRdonaRmi peR pRima… Non volevo eseRe minimamont d’impiScio!” ammette afflitto.

Scuoto la testa negando la sua affermazione in modo da rassicurarlo.

“InveSce oui Jennyfer, vi ho pRivato di un baScio d’amoRe …Et io steSo non so cosa daRei peR poteRne daRe seulement uno altRo encore à ma douce Marié!” s’incolpa greve profondamente dispiaciuto.

IO: “Andiamo, non essere sciocco! Non importa, va tutto bene, sul serio, stai tranquillo Andrè! –lo discolpo indulgente- Piuttosto, chi è Marié, tua moglie per caso?” domando incuriosita.

Dalla luce con la quale s’illumina il suo volto dopo il mio quesito intuisco già la risposta: “Exactement! Insieme abiamo quatre splendidi bambini, non li vedo da ben sete anni quand laSciai la mia amata FranScia peR le Nouveau Monde in SceRca de chance (fortuna)…!” racconta in un velo di mestizia.

Imito il suo sguardo afflitto poggiando una mano sulla sua spalla come supporto.

“SaRano ainsi (così) cResciuti…” confuta abbozzando un sorriso triste.

“Capisco benissimo quanto ti manchino!” ammetto ripensando al mio piccolo Dylan come spesso mi accade.

ANDRE: “Oji saRebe stato le notre anniveRsaRio di noSe!” rivela con occhi velati di rammarico ma sempre sorridendo.

IO: “Dici sul serio?! Oh, tanti auguri Andrè!! [comincio entusiasta] … Però mi dispiace davvero tanto, non potrai trascorrerlo accanto lei…!” concludo crucciata.

“Merci (grazie) Jennyfer. Devi sapeRe che moi et elle (io e lei) abiamo come una tRadiSione selon lequel (secondo cui) ogni ano in questo JoRno Sci inviamo a viScenda un mesaJero comme Charlotte peR tRaspoRtaRe un petit mais romantique (piccolo ma romantico)pensieRo…” favoleggia attorcigliando accuratamente il lungo gambo di un fiore intorno alle zampe del piccione.

…“Quella quaglia spennacchiata non volerà 10 miglia più lontano da questa baia, come credi che sarà in grado di librarsi nell’aria fino alla tua patria di eunuchi?!”

La figura del Capitano si materializza alle nostre spalle interrompendo il racconto per infierire con voce sdegnata e un ciglio esageratamente inarcato.

ANDRE’: “S-s… Salut Capiten!” balbetta tramortito stringendosi nelle spalle con la schiena incurvata dalla paura.

“E’ un jesto symbolique signoRe, ahimè lo so, ma cher Charlotte non Junjerà mai fino en France…” ammette contrito ultimando il mazzetto floreale attorno agli artigli del volatile.

JACK: “Vorresti dunque spiegarci lo stolto motivo per cui lo fai ugualmente?! …E’ un gesto balordo” commenta avverso.

IO: “Invece io trovo che sia dolcissimo! –mi oppongo in difesa del suggestionato francofono- Dimostra che nessun tipo di lontananza sarà mai in grado di disgiungere due cuori innamorati. Potrebbe esserci il mare nel loro mezzo, come Andrè e Marié, o persino l’intero universo.

Ma il loro forte legame fronteggerà ogni distanza e la passione presterà loro il tempo, i mezzi e il modo per rincontrarsi e consolare le estreme sofferenze con estreme dolcezze… [aforisma di W.S.]” definisco fiduciosa per rincuorare Andrè.

L’intimidito pirata asseconda il mio pensiero sovrastando delicatamente la mia mano e trattenendo sempre Charlotte nell’altra: “C’est vrais mademoiselle!” (è vero) mormora consapevole.

Rispondo al suo tentennamento col sorriso, il caro Andrè ha un’età molto più avanzata della nostra, ciò gli conferisce parecchia esperienza. Capisco quanto deve soffrire lontano da casa, anche lui come me ha lasciato tutta la sua vita per amore. Io devo ritenermi più fortunata di lui, ho l’uomo che amo al mio fianco, mentre il caro cuisinier si accontenta di sognarla sempre e compiere una volta all’anno quest’allegorica tradizione.

IO: “Non sei solo Andrè” assento avvolgendolo in un abbraccio affettuoso, aumentando ancora di più l’irritabilità del Capitano.

Lo stralunato filibustiere compie qualche passo posizionandosi dinanzi a noi, non’appena è abbastanza vicino afferra bruscamente per una spalla il marinaio francofono portandolo via da quell’abbraccio che gli aveva tanto scaldato il cuore.

JACK: “Ti stai ghermendo di troppa libertà amico!” intima minaccioso volgendo il proprio sguardo iroso a pochi centimetri sopra il naso a patata di Andrè.

ANDRE’: “C… C-credo che voi stiate fRaintendendo monsieur…!” tartaglia indietreggiando per guadagnare lo spazio necessario a mettere in pratica una nuova fuga.

“Jack! -intervengo con rimprovero fiancheggiando il mio ganimede per compromettere la sua disfatta- ti avevo chiesto di non prendertela con lui!” gli ricordo corrucciata.

JACK: “Se non erro TU mi avevi promesso che non ti saresti più avvicinata ad alcun uomo tranne il sottoscritto (vedi capitolo 5 - Better Days - Sentences)” controbatte puntandomi contro un indice accusatore e volgendo la bocca in una smorfia contrariata.

“Io non ti ho promesso proprio niente, che razza di condanna era poi quella?!” mi difendo alterata.

JACK: “Quale inutile significato ha, dunque, far recapitare dall’altra parte del mondo 2 fiori e una letterina da un canarino annerito in grado di fare solo il giro dell’isola prima di tornare indietro?!?” replica carpendo il pennuto con volto truce per coinvolgere ancora una volta l’innocente Andrè.

Il povero francese intona disperato una cantilena di “…Nu nu nu nu nu… la pRego Capiten…”

Metto da parte per un istante tutti gli acciacchi della caduta che mi impediscono di valorizzare al meglio le mie difese, per esplicare con voce ferma ma efficace: “Al posto di criticare con cinismo prendi esempio da lui piuttosto! Ama così tanto sua moglie da portarla sempre dentro al cuore, a discapito di tempo e distanze. C’è fiducia, complicità, speranza… Amare non significa recludere il soggetto del nostro amore in uno scrigno di cristallo per il nostro piacere. Ha bisogno di essere nutrito con credito, intesa, benevolenza… Non può essere sforzato ad essere tale sin dal principio, con gelosia e sospetto! In questo modo finirà solo per marcire emanando l’olezzo immemore della malerba. Ma tu che ne sai Jack… Non me l’hai mai neppure regalato un fiore…” convengo spiaciuta.

Il Comandante reagisce in silenzio, per mezzo solo degli occhi che si dilatano maggiormente la durata di un secondo, prima di tornare immediatamente alla loro inerzia soffocante.

“Ed ora, se vuoi scusarci… -contesto irritata strappando dalle sue mani la povera Charlotte- Andrè, andiamo a prenderci una tisana in cucina?” propongo con tono più entusiasta possibile prendendo sottobraccio l’attonito dandy ancora frastornato dalla nostra discussione di cui ha preso parte ingiustamente.

JACK: “In cucina? Sempre quella maledetta cucina, mi piacerebbe sapere cosa vi succede di tanto in tanto!” enuncia saccente con una punta di sdegno per riprendere tono.

IO: “Vuoi proprio saperlo? Bhe, è il qui presente Andrè l’artefice di tutto quello che finisce nei piatti e nelle pance smodate di questa ciurma, se proprio ci tieni ad esserne informato!” definisco sdegnata strattonando la giubba del cusinier il quale si fa prendere da un ondata di agitazione ed inizialmente nega nel panico le mie parole, ma poi si trova costretto a confermare la reale versione dei fatti.

Jack rimane a bocca aperta, ci fissa sconcertato, forse nauseato, troppo sconvolto per reagire di rimando.

“L’eunuco qui presente con il grembiulino anche ai fornelli??” sbotta torcendo il naso disgustato come temevo.

Tronco quella sciocca obiezione con un dietrofront, proseguiamo come prima stabilito nel regno culinario della nave, capitanato dal migliore chef esistente nella Francia di questo tempo.

“E comunque qui sono IO il Capitano, perciò pretendo di essere messo al corrente di tutto!!!” precisa iroso ormai in lontananza.

Ci allontaniamo quieti dalla figura erronea del Capitano, raggiunta una discreta distanza Andrè sibila preoccupato: “Non dovevi diRglielo…! Hai visto, mi ha pReso en giRo…”

IO: “Prima o poi l’avrebbe scoperto da se”

ANDRE’: “Et puis ainsi (e poi così) faScendo si aRRabbieRà de plus mademoiselle! Lasciatemi il bRaScio almeno…”

IO: “Non ti stringo così per farlo innervosire, è che… Non riesco a camminare se non mi tengo a te” rivelo titubante cercando di zoppicare il meno possibile.

ANDRE’: “Pourquoi, cosa vi è suSceso?!?” chiede preoccupato.

IO: “Posso assistere anche io alla partenza di Charlotte?” domando prontamente per cambiare discorso.

“Jennyfer…” mormora il bucaniere con rimprovero.

Mi appresto a rispondere rassegnata, quando la mia voce viene sovrastata dal richiamo-ruggito iroso di Jack nei confronti del marinaio europeo.

“Adeso mi amaSa adeso mi amaSa…” dice con voce tremante rivolgendo un fulmineo sguardo alle nostre spalle dove si trova il Capitano.

“Sta calmo, non ti succederà nulla! Deve passare sul mio corpo prima” stabilisco infervorata per tranquillizzarlo.

Annuisce pencolante, emette un respiro profondo prima di tornare coraggiosamente sui suoi passi.

Al cospetto del Capitano mantiene la testa bassa e un portamento solenne, ma viene sorprendentemente accolto da una calda pacca sulla spalla seguita da un cenno di avvicinarsi per confabulare qualcosa.

Vigilo il tutto da lontano assicurandomi che ad Andrè non venga fatto alcun male, invece questa insolita reazione di Jack mi spiazza del tutto, ancor di più suscita in me una irrefrenabile curiosità.

…Cosa starà mai architettando? 

 

 

Andrè al suo ritorno aveva negli occhi uno strano luccichio, ha badato bene di sorvolare sul discorso tenuto con il Capitano, non sono riuscita ad estorcergli mezza parola.

Vinta dal tormentarlo gli ho mostrato la mia fronte malconcia, egli molto amorevolmente ha provveduto subito a medicarla con un infuso di ricetta segreta.

“Le voilà!” annuncia vittorioso una volta terminata la cura.

IO: “Secondo te rimarrà qualche cicatrice?” domando un po’ preoccupata.

“Mais no (ma no) Jennyfer, è solo un peu (poco) sbuSciato! ImpiegheRà qualche joRno per guaRiRe poi saRai come nuova!” proferisce fiducioso.

Tiro un lungo sospiro di sollievo.

“Intanto posso mascherarla con il ciuffo” l’assecondo rincuorata sistemando le ciocche di capelli con le dita.

Dopo essersi accertato che sono più tranquilla il dolce cuisinier torna dietro il banco da lavoro, spesso lo sorprendo a lanciare brevi occhiate al di fuori della cucina sul ponte principale.

Incuriosita mi volgo anche io a sbirciare, ma vengo subito interrotta dal suo intervento inquieto: “NU mademoiselle, state comoda qui seduta!” esorta apprensivo accorrendo al mio fianco per farmi raddrizzare sulla sedia.

“Cosa succede Andrè?!” sbotto insospettita.

ANDRE’: “Rien! Pourquoi?(niente! Perché?) AnSi… Che ne diResti di andaRe a Riposare un poco le tue membRa stanche en cabina, n’est pas?” propone trattenendomi di spalle dopo l’ennesima adocchiata al di fuori della porta.

“Dimmi-subito-cosa-sta-succedendo!” scandisco irritata così come non ho mai fatto con lui.

“GuaRda come sei tesa, il Riposo può faRti bien, vas(vai)!” recita imperterrito.

Con la sua innocente gentilezza mi aiuta ad alzarmi e mi scorta sino alla porta.

“Che diamine avete architettato voi due, me lo dici?! Nelle mie condizioni non sono in vena di scherzi, vi avverto.” definisco bizzosa.

“Come diSci? Ma che sciocheSa! PRenditi tout l'après-midi (tutto il pomeriggio) di Riposo ma cher! Alla cuScina penso io, non abiamo neanche plus la pReocupaSione del Capiten oRa” avversa sollevato.

Gli rivolgo un’occhiataccia indagatrice, ma lui non ne fa peso. Con volto sereno continua ad indicarmi l’entrata del corridoio che conduce alle cabine.

Se c’è sotto qualcosa di losco la faccio pagare cara a tutti e 2 quei… PIRATI!

Mentre seguo il suo consiglio do una rapida occhiata al circondario, non vorrei sbagliarmi ma ho come l’impressione di intravedere da dietro un barile contenente polvere da sparo la bandana rosso porpora di Jack prima mostrarsi e poi ritrarsi fulminea dietro al suo nascondiglio.

No… Avrò solo visto male…

Scuoto la testa confusa e proseguo verso le cabine

come suggerito da Andrè.

La porta del corridoio si apre con un cigolio, lo trovo deserto come sempre, ogni stanza ha l’entrata spalancata pronta ad accogliere caldamente lo spettatore con impeccabile ordine e il lusso che le contraddistingue.

Cammino piuttosto svelta nonostante gli impedimenti della caduta, ormai è automatico questo percorso, potrei raggiungere la nostra ad occhi chiusi.

Temo un po’ per ciò che mi aspetta, le alternative di vendetta tuttavia mi rasserenano.

Giunta all’uscio della camera da letto un’insolita presenza al mio fianco mi fa sussultare, nel raggiungere la soglia non avevo fatto caso ad un’enorme ombra nera alta almeno quanto uno stipo stagliarsi turpe lungo tutta la parete.

Compio un balzo all’indietro ed assumo una posa difensiva seppur nel mio sguardo vi è impresso solo terrore.

Il battito del cuore rimbomba nella gola, le labbra si seccano al punto di impedirmi di parlare, ma un vocione profondo e familiare mi precede porgendomi il proprio saluto con una nota divertita.

…: “Salute bellezza, come andiamo?”

Dalla penombra appare, con il viso celato da un cappello piumato di larga visiera, il ponderoso Jimmy in tutta la sua imponente vigoria.

Abbandono ogni ostilità, rimpiazzo le asce di guerra con un largo sorriso seguito da un caldo abbraccio verso l’uomo che una volta mi ha salvato la vita e senza cui adesso non mi troverei ancora qui.

“Jim…!” affermo incredula semi-soffocata dalle sue muscolose braccia.

JIMMY ridacchiando: “Ti ho forse spaventata?”

IO: “Bhe, io… Non me l’aspettavo, cosa ci fai qui? Da quanto tempo! Sei stato via molto, ci sei mancato!!” farfuglio incredula presa alla sprovvista.

Dopo aver deciso di rimanere qui per sempre e Dylan di far ritorno nel futuro Jimmy è rimasto ben poco insieme a noi, trascorsa qualche settimana ha annunciato di avere qualcosa d’importante da sbrigare, raggiunto il primo porto è sceso a terra per ripresentarsi solo ora.

JIMMY: “Sai com’è… Avevo da togliermi qualche sfizio, ma ora sono pronto di nuovo a servire fedelmente il mio Capitano!” rivela fero.

IO: “Ne sono molto contenta!” rispondo sinceramente lieta di riaverlo con noi.

JIMMY: “…Per l’appunto ora metterò in pratica il primo incarico affidatomi dal Comandante…” esorda inginocchiandosi a terra.

“Com-..?” Non mi viene dato neanche il tempo di braccare il senso delle sue parole, le mani brutali di Jimmy scendono sino ad afferrarmi il tallone destro e lo ripongono sopra il suo robusto ginocchio.

“…Posso?” domanda garbato impugnando il tacco dello stivale. Annuisco seppur un poco sconcerta ed intimorita da questa insolita esecuzione. Con il minimo sforzo sfila il calzare lasciandomi a caviglie e piedi scoperti nonché sempre più perplessa. Fa lo stesso con il piede sinistro, questa volta per non sbilanciarmi trovo appoggio sulla parete attigua, nonostante i gesti di Jimmy siano molto cauti.

JIMMI: “Che piedini morbidi e graziosi!” commenta alzandosi per riporre i miei stivali in disparte.

“Io aggiungerei callosi anche!” scherno contraria, quando si indossano da mattina a sera degli stivali tutt’altro che comodi…

JIMMY sogghigna divertito: “Da questa parte dunque occhio di pernice (specie di volatile, ma anche un detto per indicare i duroni come in questo caso ^^’ NdAutori) sprona mostrandomi la porta della prestigiosa cabina di proprietà del Capitano.

Rispondo con una smorfia del tutto offesa sporgendo maggiormente il labbro inferiore.

Come mi ha chiamata?!? Argh, ringrazia che somigli moltissimo a mio padre e sei grande come un enorme guardaroba a due ante Jimmy!!

IO: “Ma che significa, siete impazziti tutti oggi?!” domando attonita mentre, dopo essermi opposta al suo invito, vengo spinta all’interno dalla sua energica manona.

JIMMY: “Non temere bocciolo!” mi rassicura prima di forzare un mio ultimo passo richiudendosi in fretta la porta alle spalle.

I miei piedi discinti affondano subito in qualcosa di liscio e fresco innescando in me un sentore piacevolmente rilassante.

Atterrita volgo subito lo sguardo al pavimento, con immensa meraviglia mi accorgo dell’intera superficie nei dintorni del letto immersa in un assortito fiume fiorito, il quale via via procedendo s’intensifica sino a raggiungere l’altezza del ginocchio.

La cabina si presenta ai miei occhi rischiarata dal delizioso sole del meriggio (influenza Montaleniana :P NdCapitana), i finestroni lungo le pareti sono stati del tutto privati delle tende scure che solitamente li abbuiano. Il lettone matrimoniale è sfatto come sempre, ma le lenzuola sono disposte con pieghe ben studiate per formare un ornamento elegante, in cornice ad una distesa di petali rosei.

Le assi cupe del pavimento sono scomparse per essere ricoperte da un variopinto tappeto di veri fiori in mille varianti e colorazioni.

Lo stomaco si chiude in una morsa di stupore, il cuore batte come un tamburo, le gambe tremano leggermente e la mia bocca è spalancata dall’incredulità al punto che devo ricorrere ad una mano per chiuderla altrimenti rischio di perdere la mandibola, è tutto così incredibile, disposto alla perfezione…

Inspiro per un istante l’aria profumata della stanza per convincermi che sia tutto vero, non solo il frutto di un miraggio.

Chiudo gli occhi per dei lunghi istanti, poi li riapro esitante… E’ tutto ancora identico, non lo sto immaginando allora!!

Mi ritrovo a ridere come una sciocca tra me e me, presa da stupore, sbalordimento, commozione…

Strofino con le mani più e più volte gli occhi, ho quasi paura di non essere del tutto sveglia ma di star aleggiando sulla scia di un sogno, dopo energici pizzicotti riscontro per certa di esser desta.

Prendo coraggio, emetto un respiro profondo e “immergo” il primo piede nella distesa fiorita, tremante come il primo sole di primavera.

Mi muovo molto lentamente tra i delicati petali, assaporo ogni lieve tocco e mi rallegro di ogni contatto con questa magnifica piana erbosa.

Allargo le braccia giocosa come se stessi camminando in equilibrio, fino a giungere al letto dove per un altro istante il mio cuore si ferma ancora.

(prospetticamente imperfetta lo so ^^' abbiate clemeza, non li so fare i miracoli altrimenti non sarei qui ma a riportare in vita qualcuno =P NdCapitana)

 

I petali di rosa che avevo distinto sopra cosparsi non erano disposti casualmente, nel loro insieme formano una scritta! “Mi dispiace” recita mesta.

Non sei proprio capace di dirlo a voce, vero Jack?

Sorrido rincuorata finalmente, scuse accettate mascalzone!

Nel muovere un altro passo avverto una puntura sulla pianta del piede, mi sbilancio talmente tanto che finisco con il sedere per terra.

“Ohiiii…” Mormoro a denti stretti massaggiandomi il fondoschiena, ci mancava solo questa!

Da questa posizione individuo facilmente la causa del danno, si tratta di uno stelo spinoso un tempo appartenuto alla rosa deturpata da quel filibustiere per scrivere le sue scuse.

Spero che ti dispiaccia anche per questo!!

Mentre lancio silenziosi insulti a quell’incauto bucaniere la mia attenzione viene attirata da un singolare fiore in risalto rispetto agli altri per il suo particolare candore. Raccolgo dalla mischia una corolla di gardenia, la tengo tra due palmi col timore di gualcirla e l’avvicino alle narici respirandone la sua dolcissima fragranza.

Questo fiore è familiare… In quale altra occasione ho avuto modo di trovarlo? La mia mente sta per materializzare un ricordo, quando viene spezzato.

…“Cosa ne dici, possono bastare tutti questi?” domanda riferendosi ai fiori.

Riconosco alle mie spalle il tono deciso del Comandante, prima di rispondere lo lascio avvicinare assistendo quieta a tutta la sua entrata pacata e dondolante nonostante sa benissimo di essere in torto marcio.

Quando tenta di sfiorarmi mi volto di scatto rivolgendogli un’espressione truce ben armata di “proiettili” floreali.

Anche se mi trovo in svantaggio dovendo rimanere seduta a terra, prendo bene la mira, implico un po’ di forza nelle braccia ed inizio a bersagliarlo di corolle e bocci.

“Sei un farabutto, un brutto villano maleducato, ingannatore, predone, disonesto, furfante!” inveisco rabbiosa di ogni oltraggio durante i lanci.

Alcuni “proiettili” vanno a vuoto, altri colpiscono Jack solo di striscio, molti si arrestano tra la zazzera scarmigliata dei suoi capelli e da tutti trae riparo con le mani dinanzi al viso continuando comunque ad avanzare.

Quando abbassa le difese per scrutarmi inorridito con il suo caratteristico scintillio stralunato approfitto di un ultimo tiro che atterra direttamente nella sua bocca impedendogli di controbattere.

Il Capitano fa mostra di un’espressione disgustata, si volge leggermente e sputa schifato il bocconcino vegetale non proprio commestibile.

JACK: “Diamine, ma… Cosa diavolo ti è preso??” erompe frastornato.

 IO: “A me?! Tu piuttosto!” replico infuriata armandomi di altre “munizioni” per ricominciare il mio attacco.

Questa volta mi rendo più insistente, Jack evitando la serie di colpi compie dei movimenti strapalati che infine gli fan rovinosamente perdere l'equilibrio.

Approfitto del suo stato in bilico per metterlo a tappeto con un’ultima spinta, faccio sì che non si divincoli portandomi sopra di lui ancora a terra.

JACK ansando: “Ero certo di meritar ringraziamenti migliori… Non tutti quei insulti!” protesta confuso.

IO: “Dopo tutto il male infierito ad Andrè puoi scordarteli!” controbatto indignata.

Il Comandante strabuzza gli occhi spazientito prima di riuscire a trarsi seduto almeno.

JACK: “Vedrò di farmi perdonare anche da quel francesino fru fru…” borbotta per nulla convinto.

Se in questo momento potessi vedere le sue mani celate dal fiume di fiori mi accorgerei delle sue dita incrociate.

“Bene!” dico soddisfatta.

Segue un silenzio carico di tensione entro il quale il Capitano mi fissa scrutatore, questa volta pronto a rispondere al “fuoco”.

JACK: “C’è dell’altro per caso?!”domanda impensierito.

“Ah si, dimenticavo! –replico portandomi più vicina a lui- Ti amo mascalzone…” concludo carezzandogli la guancia e deponendo sulle sue labbra uno dei più grandi baci d’amore che abbia mai dato.

Il filibustiere abbandona le “cartucce” di cui si era attrezzato per avvolgermi a se.

“…Mi sei mancata” mormora sorridendo dopo essersi  disgiunto leggermente seppur ancora ad un soffio da me.

Per trarmi fuori dall’imbarazzo mi guardo intorno ed esplico estasiata in un fil di voce: “Jack… Santo cielo, sono davvero splendidi… Come hai fatto, tutto da solo?”

JACK: “Tesoro, stai dimenticando una cosa importante di me… Sono Capitan Jack Sparrow!” pronuncia altezzoso.

Non ti smentisci mai!

“Sentivo l’assenza di tutto questo, per questo ho trattato male Andrè ” rivela mentitore, con un furbesco ghigno innocente.

 IO: “Ora non cercare scuse! -l’ammonisco ironicamente truce- Piuttosto… Arrenditi!” sopraggiungo puntandogli al collo il gambo spinoso spoglio dei petali di rosa, come se fosse il più affilato dei pugnali.

Jack si ritrae indietro istintivamente procurando in me una sonora risata. Mostro lui la mia “arma letale” e sogghigna sollevato a sua volta.

JACK: “Come avrei fatto senza più questo limpido riso?” domanda in forma retorica sfiorandomi dolcemente i capelli. Con il suo amorevole gesto ha modo di ostentare il polsino malridotto della sua camicia, il mio sorriso muta subito in uno sguardo afflitto.

IO: “Cosa ti è successo??” domando angustiata scoprendo a poco a poco quel lembo di stoffa consunto ed insanguinato.

Cerca di rassicurarmi prestandogli noncuranza, ma quei graffi mal rimarginati non mi convincono affatto! Se li è sicuramente causati in seguito alla caduta dopo l’incidente di oggi…

“Togliti la camicia!” ordino alzandomi e volgendo in tutta fretta verso l’armadio contenente le medicazioni necessarie usate anche la scorsa notte per il suo mento malconcio.

“Devo togliermi la camicia…” confuta in tono malizioso con un ghigno stampato in viso altrettanto malpensante.

Biasimo la sua affermazione con fare contrariato ma sempre sarcastico: “Non farti strane idee briccone!”

A volte appare complicato tradurre l’amore in qualcosa di fisico… Ma la cosa veramente importante è che rimanga sempre amore!

 

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Capitolo 8
*** Epiphany. ***



(Immancabile) Nota delle Autrici: *Nota aggiunta a piè di pagina*

Salve a tutti!! ^^

Qui è la Capitana, appena liberata da quei dannati esami che mi hanno esaurito in tutti i sensi (domani dicono i risultati, dita incrociate! :S), il Capo non ha ancora iniziato per cui le facciamo un grandissimo in bocca al lupo!!! ^^ Forsaaaa Capoooo!!!

Nel frattempo informiamo tutti che il capitolo 7 è completato, abbiamo aggiunto parecchie parti dopo il primo aggiornamento dell’ 8 Febbraio (se non le avete lette vi consigliamo di farlo altrimenti poi diventa tutto poco chiaro ;)) e adesso finalmente inauguriamo il capitolo 8 Epiphany (eh si è l’influenza di Sweeney Todd a farmi mettere sti titoli…), ma un’epifania lo sarà davvero ^^’ Dico subito che non sarà così breve, questa è solo la primissima parte, la fine di questo capitolo darà una svolta decisiva ad Unty2 perciò non perdetevi almeno quella ^^ Aggiorneremo al più presto le altre parti di questo chapter segnalandolo nell’introduzione come solito, spero che ormai sia a tutti chiaro.

Il titolo della prima parte tradotta significa “prova del crimine” degna d C.S.I =P LOL Grissommm *w*

 

 

Ringraziamo soprattutto…

 

Giu91: Giulietta, ciaoooo!! =D Urca, e io che mi pongo sempre il problema “scrivo troppo poco” ^^’ bhe mi fa tanto piacere allora, grazie!! :D Eh sì, hai rubato il primato (lol) alla mia principessa recensendo per prima! ^^ Sono contentissima che ti sia piaciuta quella parte romanticosa *w* Ok allora le prossime mail te le mando tramite Charlotte così sfugge ai languorini improvvisi di Jack :P loool  =* =*

 

Luna 91: New entry! =D Piacere di conoscerti Luna!! ^^ Uh, grazie =$ Siamo onorate che le nostre fic abbiano avuto questo effetto su di te e anche per il commento sulla scrittura, confesso che nel mio caso la odio persino io, spero almeno che verso gli altri abbia un effetto migliore ^^’ Grazie ancora Baciii

 

68keira68: Ciao Sara!!! =D Fortuna che queste attese estenuanti ripagano un po’ almeno ^^’ Mi aspetta un’estate d puro poltrire, per cui spero di riuscire a far qualcosa di sostanzioso!! :S Superman è proprio l’unico supereroe che odio, facciamo Jack come Batman o qualsiasi altro ma il superuomo no XD Jenny ha fatto scuola da Jack negli imbrogli, ci hai azzeccato ;) In questo chap scoprirete della donna incappucciata che non c’è solo scompiglio da portare! ^^ Esatto esatto la donna della carrozza è la “gitana” (in realtà non lo era, ma dei vestiti del 1660 apparivano così a Jenny ^^’) del primo capitolo d Unty1! Non preoccuparti più del disguido d quella parte del capitolo XD Non dovevi nemmeno! Ti ho spiegato meglio come erano andate le cose perché ci tenevo che lo sapessi ;) ^^ Aaaargh e sono stracontentissima che la parte finale romantica ha avuto l’effetto che speravo *w* William è SEMPRE azzeccato, non deve mancare maiii 8-D Grazie grazie grazie per il tuo immenso entusiasmo =* =* Ti vogliam un gran bene.

 

_Celia_: Altesa, mah, che dico a te? Vediamo, che senza di te tutto questo non ci sarebbe neppure, con te i grazie non bastano mai e se non ci fossi tu bisognerebbe inventarti davvero =’) In ogni caso grasieeee =* Per tutto quello che fai sempre ^^ Eh si la tizia della carrozza eri tu mia cara, Miss Celia Wallace! 8-D (Il nome Celia l’ha usato anche S!!!!!) La mia creaturina qui non è anche tua solo perché sei un personaggio che ne fa parte (il pilastro più decisivo d tutta la fic^^) ma anche per tutto il resto, tu sai cosa =) Lo devi registrare il principe quando parla come Andrè!!! Hahaha XD Te lo ricordi ancora quanto mi ha fatto ridere quel “cussì innocent” vero??? XD HAHAHA Se incontri ancora Charlotte dille di star lontana dalla perla perché Jack le sta tendendo un agguato!! 0_0 Spero che l’avrai indirizzata in Francia da Mariè e non in Austria XD LOL Allora ci si rivede all’Isla de la Tortue! ^^ Mi porto un’ancora da dare in testa al cretino <_< Pronta a cronometrare i 31 secondi netti?? :P Pronta…Via!  Ti voglio un mondo di bien =* =* =*

 

Vanessola: Salve Mater Superiora!! ^^ Ma è sempre così, nessun elettrodomestico mi vuol bene, li sfrutto troppo, vedo che con te è lo stesso XD No che non va bene se dici così!! =D E’ anche contro il regolamento :P *pernacchia* Vero che era un’imitazione perfetta di Vostra Onnipotenza? 8-D Sarà fiera che la veneriamo anche qui! Così me ne scampo da essere indegna perché non venero Enrico, e non uscirtene con le tue battute adesso =P Jennyfer XD Non chiamarmi Michelina!! Inzio a richiamarti Vanny sai! Sì lo ammetto non vedo mai l’ora di leggere le tue recensioni XD Già, le tue pantofoline sono bellissime vero?? Eh ma non avevano il faccione d Enrico con scritto “quanto sono figo bididibodididibu” se no le compravo anche per me -.- Devi metterle anche adesso che è estate! =P Per Capitan Jack Sparrow e Johnny non ci sono altre parole se non “che uomo!!!” 8-D In ogni caso grazie mille anche a te =* Aggiorna presto Eragon!! Baciiii

 

daphne greengrass: Salve ragazze!! =D (adesso ho imparato visto? XD LOL) Siamo contentissime che abbiate apprezzato quella parte di raggiro alla Sparrow da parte di Jenny!! ^^ Speriamo che vi piaceranno anche le prossime :D Grazie, bacioniii a presto =*

 

JiuJiu91: Ciao Giulia!!! =D Non ti preoccupare, sono una specialista del ritardo in qualsiasi cosa anche io, ma l’importante è arrivarci prima o poi no? XD Urca latino :S Io non se so mezza parola, siamo felici però di aver battuto questo avversario!! ^^ hahaha Ma si, tutti gli anni di teatro che hai fatto avrai raggirato benissimo la tua mamma ;) Già, Jack ne ha combinata una delle sue però ha saputo farsi perdonare dopo ^^ Ma ecco che in questo chap ci ricasca :P Insomma, volevamo alleggerire un po’ il tutto prima della svolta che avverrà a partire dalla fine del capitolo ^^ Non dico niente :P Grazie mille per pensarci sempre =* =* Salutami Kathy! A presto un bacione!!!

 

Blue Tiger: My Picci, ciaaaoooo!!! =D Tranquilla, sappiamo come sei presa anche tu con gli esami di questi tempi!! ^^ A proposito, un grandissimissimo in bocca al lupo!!! =D Hai fatto una tesina stupenda (su S poiiiiii!!!!!!) andrai alla grande ne son certa!!! Portati il tuo maritino ad assisterti, così il primo prof che lo fa alterare un po’ fa la fine delle statue d Zio Oscar di Febbraio XD LOL Tu sai cosa intendo! Si ma tu devi perdere il vizio di ballare sui tavoli, che esempio diamo ai nostri pargolettini? :P Parlo io lol XD In questa prima parte del Capitolo 8 avrai un po’ modo di rispondere alla tua domanda riguardo allo stato d’animo d Jenny quando ripensa al futuro ^^ Al prossimo festino! Lol Terrò le dita incrociatissime per te in questi giorni, non vedo l’ora della crociera di 40 gg!! Un grandissimo bacione e tantissimi grazie =* Ti vogliamo un sacco di bene!!!

 

Frulli: Ciao Virgy!!! ^^ Grasie anche per i tuoi complimenti =* Me lo dicono sempre che sono eccessivamente smielata però son fatta così e ce lo metto un po’ dappertutto, è la mia natura ;) Va bien, proverò a contenermi! ^^ Non assicuro nulla però XD Non mi viene facilmente :S Ho una lista infinita di fan fic da leggere ora che ne ho modo, appena posso lo faccio, promesso! =D Baci a presto =* =*

 

Non ho dimenticato nessuno vero? XD

Ma un grande grazie anche a chi solo legge =* (grasieee Calia!^^)

Buona lettura a tutti!!!

A presto =D Bacioni.

Kela and Diddy

(Capitana and Capo)

 

 

Capitolo 8

Epiphany.

 

Test of crime.

 

James Matthew Barrie dirà : “Dio ci ha donato la memoria, così possiamo avere le rose anche a Dicembre”.

Bhe, io davvero non lo capisco questo Dio che prima ci fa nascere come fratello e sorella, crescere, condividere tutto, per infine privarcene.

Non so se Dylan direbbe lo stesso, ma io ci penso spesso e me ne rammarico talvolta. Soprattutto in momenti come questi, quando mi trovo sdraiata sul letto, vestita con una maglia di Jack grande persino a lui, su di me calzante come un mini abito, abbigliata nello stesso modo in cui mi coricavo a letto ogni sera tempo fa quando durante la notte giunto il buio, quel piccolo pirata spaurito accorreva a rifugiarsi nel mio grembo per il timore di ogni minimo cigolio estraneo.

Facevo sì la spazientita, ma in realtà adoravo sentirlo respirare sempre più piano, fin quando le sue palpebre stanche divenivano pesanti, prima di abbandonarsi ad un puerile sogno. Giocherellavo con la sua chioma nocciola sino a giorno, ascoltando curiosa i movimenti balzani nella stanza accanto dove riposava quel seducente filibustiere, ora dormiente con il viso eclissato tra la spalla e il mio collo, stringendomi gelosamente a se da sotto il seno. Credo di aver sognato che mi cingessi così ogni singola notte…

Nell’aria aleggia ancora la fragranza soave dei fiori sparsi su tutto il pavimento attorno al letto, ora mescolati alla pioggerella scarlatta dei petali di rosa affogati in precedenza con la movenza incurante delle lenzuola.

Sorrido lievemente richiudendo gli occhi, così da eternare nella mente quei dolci ricordi, seguendo inoltre il consiglio datomi dal Comandante e da Andrè di provare a dormire.

Respiro profondamente sciogliendo i muscoli in tensione, il silenzio mi aiuterà ad abbandonarmi al sopore.

“…Jennyfer… ATTENTA!!” un bercio improvviso del Capitano mi fa riemergere brutalmente alla realtà.

Nonostante lo spavento reprimo un sussulto e fingo di continuare a riposare, Jack invece dapprima ansima, ma poi accorgendosi di avermi al suo fianco espira sollevato.

…Devono essere queste le parole che non riuscivo a distinguere in quel stato comatoso prima del mancato incidente…

Dopo il malaugurato risveglio da un brutto sogno avverto il battito del Capitano ristabilirsi pian piano all’altezza della mia schiena leggermente inarcata.

S’innalza con destrezza, quasi non riesco a rendermene rendo conto nonostante i nostri corpi combacino. Le sue mani scivolan via da me con la tenuità di una carezza, se ne riappropria senza neppure smuovermi, deve essere stato uno spigliato ladruncolo prima di divenire l’attuale “onesto” Capitano.

Rotola sui gomiti sino al bordo del letto, ma calcola male la distanza e casca rovinosamente nella distesa fiorita da lui stesso creata senza però produrre alcun rumore.

Stringo gli occhi e sigillo le labbra per non far trapelare alcun sibilo di riso.

Soffocando qualche ingiuria si rialza accorto e per alcuni minuti non avverto quasi più la sua presenza, fin quando uno scalpiccio irregolare si accosta di nuovo al letto.

Torna al mio fianco con fermezza felina, serro ogni muscolo del corpo per risultare immobile come assorta nel torpore più profondo.

Accosta una mano al mio mento carezzandolo con dolcezza, contengo già i brividi per non uscire allo scoperto, percorre morbidamente i contorni del viso attraverso solo il tocco lieve dei polpastrelli ed infine scivola vellutato lungo la gola, nonostante l’attrito ruvido delle bende attorno al polso, sino alla spalla dove scosta attento il tessuto leggero della blusa avvolta sulla clavicola sopra cui imprimere il contorno delle voluttuose labbra sue in un tenero bacio.

Non resisto all’impulso almeno di dischiudere la bocca per recuperare fiato, dopo averlo trattenuto a lungo durante gli istanti precedenti in preda al batticuore.

Mi saluti così ogni mattino quando lasci la cabina senza svegliarmi?

Scosta il volto dallo spigolo tornito della mia spalla muovendosi alla pari di uno sbuffo di vento, ma quando deve fare lo stesso con la mano un impiglio intricato lo trattiene a me: il reticolo della garza che protegge il suo carpo malandato dalla caduta si è gravemente annodato ad un bottone della mia collottola.

Tira più volte verso di se convinto che la trazione imposta dal suo braccio liberi i fili della fasciatura dal bottoncino, al contrario l’appiglio con il suo dimenarsi peggiora.

“…Mannaggia… MAN-NAG-GIA…mannaggia mannaggia mannaggia!!!” bofonchia spazientito strattonando nervoso con più insistenza.

Mi ritrovo ad essere percossa come una pignatta, Jack cosa diamine combini???

Dopo un sospiro (dedicato unicamente a te Vanessa dalla Mater XD hahaha) semi-rassegnato conta fino a tre e da un ultimo strattone più energico degli altri riappropriandosi del polso, ma in questo modo porta via con se un copioso lembo della mia (o dovrei dire sua) camicetta.

Spalanco gli occhi inorridita arrossendo notevolmente, per fortuna Jack è alle mie spalle, incapace di scorgere l’espressione attonita ed imbarazzata del mio viso.

Il rumoroso crac cancella anche la sua esultanza, non mi è concesso vedere la sua buffa espressione più stralunata dell’ordinario con le pupille strabuzzanti del tutto perse nel vuoto dallo stupore, però posso immaginarla…

Seguono dei movimenti suoi rapidi e nervosi, probabilmente sta cercando di celare in qualche modo la “prova del crimine”, prima che si smaterializzi convulsamente fuori dalla stanza come se non vi fosse mai entrato.

Appena richiude la porta alle sue spalle socchiudo leggermente una palpebra, trattengo il respiro qualche secondo per localizzare la direzione in cui sono rivolti i suoi passi e quando lo percepisco abbastanza lontano mi posiziono a pancia in giù soffocando una fragorosa risata liberatoria nella fodera del cuscino.

Dopo essermi calmata ancora con le lacrime agli occhi, mi alzo per rilevare la portata del danno causatomi da quel codardo del Capitano: nulla di ragguardevole, se non la scollatura della camicia ora ampiamente allargata e l’evidentissimo orlo malamente stracciato sulla collottola. Non sono riuscita a ritrovare nei dintorni la falda strappata, deve averla tenuta con se per rimediare all’impiccio causato dalle sue maniere grossolane di prima, a volte dimentica cosa sia la delicatezza.

Per fortuna riesco a nascondere questo difetto stringendo l’allargatura con una spilla ritrovata tra le cianfrusaglie di Jack e coprendo il tessuto in eccesso all’interno del bordo dei pantaloni intorno alla cinta.

Non ho per nulla voglia di rimanere qui fino a sera, splende un sole magnifico qui fuori, oltretutto devo trovare una sistemazione per questa “serra” fiorita sul pavimento, sono così belli e profumati queste corolle, è un vero peccato sprecarle.

Mentre annoiata balocco con quei petali delicati la mia attenzione viene attirata da degli strepiti fanciulleschi al di fuori della finestra che da sul molo a cui siamo attraccati. Affacciandomi ho modo di confermare la mia supposizione: bambini.

Destinatari perfetti per i miei intenti! =D

 

-

 

 

Cinderella. (titolo definitivo)

 

…“A…a…at…aaaatciuuù!!!

Un altisonante starnuto riecheggia più volte lungo tutto il ponte della Black Pearl, assolato da brevi raggi che anticipano il tramonto.

Il suo detentore si strofina il naso noncurante, nella medesima mano stringe il collo di una bottiglia semivuota di rhum e prosegue ad impartire ordini con la continuità esasperante del suo titolo di Capitano.

Il Comandante di una nave viene eletto a pari merito da tutta la ciurma, è esatto? Siamo proprio sicuri che sia avvenuto lo stesso nel caso di Jack Sparrow?

JIMMY: “Qualcuno vi pensa, Capitano?” domanda ironico il gigante buono, reggendo senza alcun briciolo di sforzo un’estenuante peso nel possente braccio destro.

JACK: “Qualche donzella da me lasciata col cuore spezzato… E’ probabile!- definisce pieno di se, agitando vago le braccia a penzoloni della sua posa oziosa su di un’amaca, improvvisata legando un vecchio lembo di vela al parapetto ed attorno ad una gomena- No…-rivela poi d’un fiato sorseggiando altro liquore- sono quei dannati fiori, tutto quel polline irrita le mie narici!” borbotta sprezzante allontanando le labbra dal vetro ricurvo, di risposta all’unico marinaio presente su tutto il ponte.

Il maestoso veliero corvino salperà a mezzanotte, ogni membro della ciurma si è concesso un pomeriggio ed una serata di libertà, allo scoccare del “coprifuoco” ogni ormeggio verrà rimosso e saluteremo West Caicos almeno per un po’.

Mi faccio strada silenziosa tra le pareti di tenebra, nel corridoio che conduce dalle cabine all’aria aperta. Devo prestare molta attenzione a come mi muovo, ho con me 3 grandi ceste di vimini in cui sono raggruppati gran parte dei dannati fiori, causa dell’anafilassi di Jack, lo spazio è molto ristretto perciò bisogna spostarsi con cautela, così da non urtare nulla e produrre il minimo rumore.

Giunta alla porta, unico ostacolo tra me e il ponte, dischiudo una lieve fessura per sbirciare al di fuori: tutto tranquillo, posso procedere!

Per sicurezza cammino prona muovendomi solo sulle gambe, c’è una breve distanza non sicura perché esposta tra me e delle casse di viveri ancora da riporre nella stiva, conducono fino alla passerella che porta a terra, se riesco ad arrivare a quelle è fatta.

Do un’ultima rapida occhiata nei dintorni e in seguito mi fiondo nella direzione delle vettovaglie.

A metà tragitto invece una voce animata dal tono famigliare mi lascia impalata di sasso.

Noooo, beccata!!

… “Andiamo Jimmy, ora puoi riportarlo a galla…” esorta annoiato, alzando verso l’alto come in un brindisi la bottiglia a pera di rhum.

Il colosso ottempera all’ordine sogghignando, il suo bicipite si gonfia leggermente e dall’acqua pesca il malcapitato Albert che ne esce sputacchiando salsedine.

Buffo ravvisare il modo in cui, nonostante sia già riemerso dalla sua prigione acquifera, agita ancora goffamente gambe e braccia, proprio come se stesse nuotando.

“L-la prego Ca…Capitano… Non-mi-lasc…i…quiiii!!!” implora quasi piangente, dimenando uno scalpello malridotto nella mano meno abile, mantenendosi instabilmente a galla attraverso l’altra.

JACK: “Dimmi, hai ripulito a fondo ogni singola spanna della chiglia da tutti i viscidi crostacei sovra incrostati?” domanda cattedratico sollevando il mento, come per afferrare meglio la risposta.

“N-No… Ma… Vi preeego… Sto-per-affogare-quaggiù!!- urla frastagliato in tono oppresso- Il piombo che mi avete legato alla caviglia mi sta uccidendo!!” ultima strozzando in gola altra acqua insinuata nella sua trachea dal tanto dimenarsi.

Porto velocemente una mano alla bocca per non proferire fiato, mi affretto ad ultimare l’ultima parte del tragitto ed una volta al sicuro considero ciò che sta accadendo rattenendo un nuovo riso.

Scalpello, ripulire la chiglia, piombo?? Jack sta forse punendo Albert servendosi di Jimmy per quello successo questa mattina??

Quel beone screanzato manigoldo se lo merita!! E poi in questo modo è si è garantito persino un bel bagno gratuito, ne aveva davvero bisogno, il lezzo da lui emanato avrebbe steso un branco di puzzole!!

JACK: “Se è così… Spiacente amico, riportalo giù per un’altra immersione Jim!” stabilisce apatico, calandosi noncurante il cappello a tricorno sul volto e sistemandosi più comodo sul proprio giaciglio, intento a prolungare il pisolino prima interrotto da un brutto sogno.

 

-

 

Il piano procede come stabilito, sono giunta indisturbata sino a terra e nessuno a bordo, almeno fin ora, se n'è minimamente accorto.

Appuro un'ultima volta di passare inosservata, per poi infiltrarmi nella vegetazione accanto al molo, lasciandomi guidare dai clamori fanciulleschi uditi poco fa dalla cabina.

Raggiungo uno spiazzo poco distante alle navi, qui trovo altri giovinetti di West Caicos riuniti a cerchio nell'intento di scambiarsi velocemente una palla costruita attraverso pezze, stoffe, stracci tenuti insieme da corde piuttosto attempate intrecciate al meglio. Dev'essere una sorta di patata bollente !

Ripongo a terra le ingombranti sporte divenute piuttosto fastidiose, nelle vicinanze recupero una vecchia cassa di legno, probabilmente abbandonata da qualche manolesta in seguito ad un furto fallito e seggo ad ammirarli incantata in posa trasognante, sostenendo la testa con una mano accostata alla guancia.

Piccoli volti scarni incorniciati da rotonde gote infantili, imbrattati di terriccio e sporcizia dalla fronte al mento, a cui manca da troppo tempo il tocco amorevole di una madre, ma nonostante tutto capaci di produrre suoni giocosi, come dolci melodie che portan sollievo all'animo solo ascoltandole.

Guardarli motteggiare apre il cuore e lo colma di tenerezza, ogni loro piccolo gesto compiuto goffamente porta a sorridere.

E' bellissimo vedere come, seppur circondati da un mondo così crudele, abbiamo trovato la forza di rimanere ancora bambini.

D'improvviso l'armonia creatasi nell'aria viene brutalmente alterata proprio da un componente del gruppo, ad occhio e croce poco più grande degli altri, il quale allontana malamente a causa della statura minuta una gracile bambina.

La piccola prende male il rifiuto, abbassa il mento, imbroncia lo sguardo e si copre il viso piangente allontanandosi oscillante dal luogo di gioco.

Intervengo avvicinandomi con cautela, raggiungo la bimba portando celato dietro la schiena un piccolo dono ed in

prossimità del suo sguardo mi piego sulle gambe per guardarla pressoché negli occhi.

Afferro con molta delicatezza i suoi polsi, così piccoli e sottili da temere di spezzarli, liberando due grandi occhioni vispi azzurro mar dei Caraibi, un colore indescrivibile come sostiene il Capitano.

La sua vista liberatasi dalle mani incontra il mio sorriso

confortante, temo a pronunciarmi con lei, ho udito lo stesso

accento singolare di questa mattina provenire dal gruppo di

fanciulli da cui si è appena allontanata.

Infine ironicamente sprezzante esplico scandendo ogni parola: "I Grandi, pretendono di poter comandare su tutto e tutti!"

Lei non controbatte, ma suppongo intuisce a cosa mi riferisco, infatti volge lo sguardo ceruleo al maggiore della banda, che incurante del suo stato d'animo prosegue nel gioco. Tira su col naso ostentando un labbro tremulo, devo propriamente trattenermi dal darle una carezza per paura di spaventarla essendo forestiera qui.

Si guarda attorno come spaesata sfregandosi le palpebre gonfie ed arrossate, ma quando mostro lei cosa ho portato con me spalanca le grandi orbite, così trasparenti da riuscire quasi a leggerne i pensieri, rimanendo incredula.

"Tieni, questa è per te!" dico porgendole benevola una corolla di gardenia.

Impiega qualche secondo prima di convincersi ad allungare la mano ed afferrarla, ma preso coraggio solleva l'esile braccino catturandola tra le dita, mormorando in maniera appena percettibile "Gracias"

Replico con un gran sorriso: "Non c'è di che, puoi anche metterla tra i capelli se vuoi, ti farà ancora più carina!!"

Seppur non afferrando interamente l'esatto significato della mia affermazione, un riso prende il largo sul suo visino rigato di lacrime.

"Il mio nome è Jennyfer, il tuo invece?" cerco di familiarizzare.

"Cindy!"

La risposta non proviene dalla piccola, bensì come il rombo di un tuono dal maggiore del gruppo che appena un minuto fa l'aveva allontanata e in questo momento si avvicina con aria allarmata.

"Ti avevo detto di tornar subito a casa!" la rimprovera scuotendola per le spalle, mentre lei protesta dimenandosi nel tentativo di eludere alla presa dispotica del Grande.

Infine Cindy riesce trionfante a sfuggirgli cercando in me un riparo, ora lo sguardo del giovine si confonde minaccioso nel mio.

"Voi chi sareste, cosa volete da mia sorella, signora?" sbotta rabbioso gonfiando il petto ed assumendo impeto.

"Non è con la arroganza che otterrai ubbidienza dalla tua sorellina!" l'ammonisco per saviezza.

La piccola fa capolino spaurita dal mio fianco convenendo l’affermazione con un cenno del capo, il fratello maggiore si irrita ancor di più, questa volta urla rabbioso: "Voi non siete nessuno per dirmi cosa devo fare!!"

L'eco di quell'ira giunge sino al resto del gruppetto, il quale alla prima nota di smania abbandona ogni svago per accorrere in difesa dell'amico.

Pochi secondi dopo quei profili innocenti si accerchiano attorno a me, facendo mostra di sopracciglia scure gravemente increspate e sguardi non più ingenui ma quasi adulti, decisamente poco amichevoli.

Mi alzo in piedi così da poterli affrontare, tuttavia alla mia vista i loro occhi perdono gran parte del coraggio dimostrato in precedenza, surrogato da versi di stupore e un lungo passo indietro da parte di ognuno di loro.

S'innalza un lieve brusio indistinto, in cui contraddistinguo solo una parola: "Pirata".

Trascorsa l'iniziale confusione il maggiore continua a fare da portavoce: "Siete una piratessa, è così?!"

IO: "Non proprio direi..." controbatto prima di essere interrotta nuovamente: "Cosa diavolo ci fate qui, che intenzioni avete??" detona ostile.

"Questo! -replico additando soltanto il fiorellino bianco che spicca dai vaporosi capelli ebano di Cindy- Ne ho 3 ceste piene laggiù, sono tutte per voi!"

Flebili strepiti di gioia da parte delle bambine presenti compongono un coro entusiasta, subito omesso da gomitate e occhiatacce dei compagni.

"Intendete comprarci con due fili d'erba?! Per poi far cosa, derubarci? …Raggirando tutti noi, compresa mia sorella, lei ha solo 5 anni!" erompe svilente.

IO: “Proprio perché è così piccola dovresti proteggerla e prenderti cura di lei, invece di tenerla alla larga persino dal gioco” biasimo tacendolo del tutto.

Gli amici del piccolo gradasso alzano brevemente lo sguardo su di lui, attendono un responso abbastanza presuntuoso da ricominciare la contesa, ma quella ribatta non arriverà mai.

Volgo loro le spalle la durata di qualche istante, giusto il tempo di recuperare le gerle lasciate in disparte e condurle nelle mani dei veri destinatari d’un gesto d’amore così delizioso che non deve andar sprecato.

IO: “…In ogni caso non ne traggo alcun profitto, sono tutti vostri, basta che li prendiate!”

Non’appena poggio a terra le 3 ceste vengono letteralmente assalite dalle componenti femminili della gang, con molta più diffidenza da parte dei maschietti.

Il più riluttante tra loro è ovviamente il fratello maggiore di Cindy, mi fissa ancora attraverso un ghigno ostile e gli occhi ridotti ad una fessura, mentre la piccola si è sistemata giocosa sulle mie gambe nell’intendo di imparare ad intrecciare degli steli per farne un bracciale.

“…Con le sue verdure incanterà pure le ragazzine ingenue, signora, ma noi ragazzi come rientriamo nei vostri intenti??” torna alla carica il giovane millantatore con tono più di sfida che informativo.

Questo piccoletto darebbe del filo da torcere a Jack, si somigliano molto!

“Sono fiori, non verdure. Mica si mangiano!” controbatto divertita.

“Ah no?!” domanda un componente grassoccio del gruppo il quale si era già accaparrato un mazzetto e lo stava sgranocchiando come fosse un ciuffo d’insalata.

“No, faresti meglio a sputarli, non sono destinati ad esser commestibili, temo ti facciano male! –ribatto cercando di rimediare al guaio- E per voi ragazzi…- enuncio dubbiosa- Bhe, potreste sceglierne uno da mettere all’occhiello! –mostro prendendo come esempio un bambino dalla camicia bucherellata all’altezza del cuore, infilando con riguardo una rosellina gialla nella sua blusa a groviera- Darebbe voi un aspetto distinto- scherzo con voce gutturale- Oppure potreste giocare ai gentiluomini regalandone un mazzetto alla vostra mamma, ad una ragazza che vi piace… O qualcuno in difficoltà insieme al vostro aiuto!” concludo passando amorevole una mano sulla fronte di Cindy che mi regala un altro sorriso zuccherino.

Quando rialzo il mento non posso fare a meno di notare l’espressione atterrita e allo stesso tempo incredula del fratello rivolta a noi, cosa gli prende?

S’avvicina titubante, scrutando sbigottito la piccola tra le mie braccia: “S-sono… Credo…Mesi che non la vedo gioire così!” ammette sconcertato parlando a bassa voce.

IO: “Sul serio?!” domando stupita. “Che le avete fatto??” chiede attonito, incantato dal viso felice della bimba.

“Ho solamente usato un po’ di dolcezza nei suoi riguardi. Sai, non nocerebbe che ricevesse altrettanto da suo fratello di tanto in tanto!!” ammonisco senza ricevere una replica, poiché annullata dalla felicità.

CINDY: “¡terminado!” annuncia trionfante esibendo il bracciale verdeggiante.

Es por ti…” (è per te) definisce peritosa porgendo al fratello il monile erboso.

Lui n’è quasi commosso, scruta incredulo il piccolo dono come fosse il bracciale d’oro zecchino più prezioso al mondo, ed infine si scaglia in un abbraccio verso la piccola che libera dal petto una risata cristallina almeno quanto le sue pupille zaffiro.

Sentendomi di troppo in quel tenero quadretto di ricongiunzione fraterna, torno lentamente sui miei passi, non senza volgere un’ultima occhiata a quel tripudio di contentezza fatto semplicemente di fiori usati come decori, coriandoli e qualsiasi altro arnese da gioco.

Havier…” pronuncia Cindy con tono di riprensione verso il fratello.

HAVIER: “…Signora?” richiama incerto la mia attenzione.

IO: “Sono troppo giovane per esserlo già adesso, chiamami Jennyfer!” replico sarcasticamente offesa.

HAVIER: “…Signora Jennyfer?” ritenta speranzoso.

IO: “Chiamami Jenny e basta” controbatto ridendo.

HAVIER: “Posso far qualcosa por ringraziarte?”

“Uhm… Bhe, in effetti… Avrei una sola domanda da porti…!” esplico dopo aver riflettuto qualche istante.

“Mi risponderai sinceramente senza chiedermi perché?” definisco guardinga.

HAVIER: “¡Seguro!”

IO: “Questa mattina al mercato un gruppetto di fanciulli come voi al passaggio della ciurma di cui faccio parte, come dire… Bhe non c’è un modo per raccontarlo diversamente… Sono fuggiti a gambe levate! Come mai?”

Capisco il timore della gente comune riguardo ai pirati, ma quello non era semplice allarmismo.

HAVIER: “Avevo ragione, anche tu sei una piratessa!!” sbotta rabbioso cancellando l’espressione pacifica di prima.

Sangue caliente el chico!

“HAVIER! ¿ha sentido que ha dicho primera la señorita?” (hai sentito cosa ha detto prima la signorina?) lo rimprovera la piccola con il temperamento di una grande, provocando in me una fitta d’orgoglio muliebre ed un leggero riso.

HAVIER controvoglia: “Chiedo scusa… Ma es porque dalle nostre parti i pirati non son ben accetti. Prima lo erano, rientravano persino in una fetta principale di guadagno per l’isola, ma ora permettiamo di sostare aquí solo a quelli più feroci y ubriachi, impossibili da cacciare corrompendoli”

Jack sarà orgoglioso di rientrare in una o persino entrambe queste due categorie, “feroce” ed “ubriaco”.

IO: “Prima? Prima di cosa?” domando ancora confusa.

“Avevi detto una pregunta (domanda) solo, una solo!” ribadisce alterato prima di ricevere una gomitata discordante dalla sorellina.

IO: “Anche tu hai trasgredito al patto, avevamo concordato che non mi avresti fatto alcuna domanda!” evidenzio furbesca.

Un sospiro di rassegnazione precede le parole del ragazzo visibilmente contrariato: “Bueno… -fa una lunga pausa prima di iniziare- Intendo prima dell’avvenuta di Vallenueva, il più terribile pirata spagnolo in circolazione, ricercato per 200 ghinee d’oro! La sua Tiniebla (in italiano significa “Tenebra”, nome della nave al comando di Vallenueva [propriamente inventato ^^’] NdAutori) al passaggio es devastante. Bada a non farti ingannare per conto della bassa statura di quel farabutto, cela una crudeltà senza pari!” espone con il tono penetrante di un esperto narratore.

IO: “E’ davvero così terribile?” domando scettica.

HAVIER: “Molto più di questo! –continua in tono grave- Es un sanguinoso pendenciero (attaccabrighe NdA), non ci penserebbe dos volte a spararti por una copa (bicchiere) de Sangria. Ha attaccato la nostra isla y così altre tres dell’arcipelago sotto comando della Compagnia delle Indie Oriental requisendo todo lo que era posible (tutto il possibile), uccidendo, devastando campi, incendiando case e portando alla muerte di persone innocenti como i nostri genitori, lasciando noi soli al mondo…” (gracias Sueño para el español =* NdCapitana) a queste ultime parole gli occhi di Cindy divengono cupi, vuoti cm i loro pancini che non riceveranno cibo da settimane ed una lacrima solitaria percorre le sue gote rosee.

“Oddio… -riesco a dire inetta- Ecco perché vi trovavate così abbandonati a voi stessi, che cosa terribile, merita di marcire all’inferno quel cane!” commento irosa.

“Se posso esservi d’aiuto in qualche modo…” enuncio poggiando una mano sulla spalla di Havier.

“NO! -si oppone restio- Sappiamo cavarcela benissimo da soli, noi non abbiamo bisogno di nessuno…” termina a testa china e corrucciata.

Non fare come me Havier, non diventare parte della corazza che ti porti sulle spalle per proteggerti dal male…

Cerco di attrarre la sua attenzione portandomi alla sua visuale, pronunciandomi con voce comprensiva: “Sei molto coraggioso Havier, capisco il peso più grande di te che porti sulle spalle, ma non chiuderti nel guscio, se non vuoi farlo per te pensa almeno a Cindy! Un giorno quando sarai adulto, se proverai ancora tutta questa rabbia, potrai metterti alla ricerca di quel stramaledetto corsaro ed attuare la tua vendetta, ma per adesso, non far soffrire anche chi ami, rimani semplicemente il ragazzino che sei… Sono certa che i tuoi genitori non avrebbero voluto questo per te!”

HAVIER: “Tù non sabes (sai) cosa volevano i miei genitori!” contesta a denti stretti.

Tiene la testa dura también el chico! (ha anche la testa dura)

“D’accordo, –dico rassegnata- sono imbarcata su quella nave, la distinguerete benissimo, ha le vele nere ed un Capitano strampalato… Per qualsiasi cosa fino a mezzanotte mi trovate lì!”

Non ricevo nessun accenno di acconsento se non un sorriso della piccola.

Sconsolata torno sui miei passi diretta alla Pearl.

“Jenny!” la vocina limpida di Cindy frastagliata dalla corsa per raggiungermi chiama il mio nome.

Mi volgo in avanti come nel primo approccio con lei per udire le sue paroline forzate in modo che pure io possa capirle: “Non te ho detto adiós!”

IO: “Bhe, allora… Bada tu a tuo fratello e… Adiós Cindy!” replico con malinconia.

Si porge in avanti lasciandomi un bacino sulla guancia, sussurra a sua volta un’ultimo “adiós” e fugge nella direzione da cui è venuta.

Sembrava spaurita, faccio ancora paura nonostante tutto?

Come mi volto capisco la fonte di timore della bimba: “Salve, Capitano…”

 

-

 

Maybe.

 

…"Cosa facevano quei tediosi lattanti scalmanati nei dintorni della MIA nave?!" reclama sdegnato arricciando il naso (sempre per la Mater ;)) com'è tipico di lui, senza mai distoglier dai bambini lo sguardo.

IO: "Andiamo Jack, non facevano nulla di male!" sostengo per dissuaderlo.

La sua espressione denigrante non muta di una virgola.

"Li ho avvicinati io!" m'incolpo persino, ma nulla, la sua caparbia idea non cambia.

JACK: "Sono solo piccoli sciacalli miserabili in cerca di rogne per passare il tempo..." li definisce borioso, seguendo con il suo irresistibile piglio tenebroso l'allontanarsi della piccola banda.

Un cerchio alla testa mi porta ad oscillare, ma m’impongo di rimanere lucida almeno per assicurare un’attendibile difesa a quei poveri innocenti.

IO: "Sono vittime di un fato peggiore di quanto pensi invece!" proferisco greve, faticando per mantenere il tono convincente di un rimprovero.

JACK: "Vittime dici... Non lo siamo tutti?" (questa era de Il Corvo, scusate ma adoriamo quel film *w*) dice rivolgendomi finalmente l'attenzione ostentando un sopracciglio inarcato.

Grrr, deve avere sempre ragione lui!

JACK: "In quanto a te, piuttosto, non dovresti trovarti in cabina a riposar le tue membra stanche??" domanda saccente portando la testa in diagonale, inscenando così una buffa posa teatrale nel mettersi a braccia conserte e picchiettando insistentemente la punta dello stivale.

Opssss!!

 

 

Rimesso piede a bordo mi viene subito imposto di far ritorno nella mia "prigione", fortunatamente l'assetto tarda per via dell’intervento tempestivo di André: “Mademoiselle!!! -urla sfiancato, rincorrendomi con il suo passo zoppo, mentre già sono diretta verso la cabina in tutta la mia rassegnazione, stringendo tra le mani in precario equilibrio un pentolino dal fondo bruciacchiato imbandierato di cucchiaione- Ti ho SceRcata partout (dappertutto) solament pour faRti asaJaRe la mia famosa crème di ScetRiolì alla Vinaigrette (salsa tipica francese NdA) !!” pronuncia apprensivo porgendomi il tegame, orgoglioso della sua opera d'arte culinaria come il più fiero dei padri nei confronti del figlio.

ANDRE’: “Devi rimeteRti en foRSe!” conclude con una nota preoccupata.

IO: “Uh, come sei dolce Andrè… Grazie! -mormoro afferrando il recipiente dai manici- Sarò felice di assaggiare la tua prelibata specialità, non ora però...” concludo mesta, la vicenda di quei piccoli a cui il mondo intero ha rivolto le spalle senza alcuno scrupolo mi lascia tutt'ora sconvolta.

ANDRE’: “Et cussì il mon capolavoRo andRà spRecato...” delinea disilluso divenendo cupo.

A quelle parole un'altra idea balena nella mia testa e mi riporta speme.

IO: “No, non occorre che sia così!! Ne hai preparata dell'altra per caso?” domando euforica.

ANDRE’: “SceRto”

IO: “Grandioso!!” sbotto gioiosa, rischiando di far prendere il volo al piatto d'alta classe realizzato con maestria dal nostro cuisinier. Potremo offrirne un poco a quei pargoletti!! Sono ancora solo dei bambini, quante possibilità di sopravvivenza hanno rispetto ad un adulto? Pari a 0.

“Pianò...pianò!!” supplica preoccupato a braccia alzate, già predisposte per soccorrere la sua adulata creazione in caso di bisogno.

Nell'esultanza noto il Capitano nei pressi del parapetto scrutare ancora assorto verso terra.

IO: “Torno tra un istante, con permesso” annuncio porgendo distrattamente la pentola al suo creatore, che per la fretta la ghermisce dal fondo, scottandosi così le dita e finendo per ostentare una buffa danza scandita da brevi lamenti simili a dei “...Uh!! ...Uh!! ...Ahi!! ...Ahiii!!”

Raggiungo la figura rigida del Comandante con la viva speranza di trovare un appoggio anche in lui, portandomi al suo fianco deduco che quel cipiglio stralunato è ancora rivolto ai bambini dell'isola.

IO: “Sono scesa sul molo per donare loro una piccola parte degli splendidi fiori che mi hai regalato” rivelo adempiuta.

In risposta ricevo con mio grande spasso delle labbra serrate, due profondi occhi spalancati e un paio di sporgenti sopracciglia aggrottate, come a significare uno sgomento “Cosa??"

“Ne ho tenuti alcuni però!” cerco di rifarmi “Così da rallegrare con una punta di colore la nostra cabina, in cucina...” proseguo fintamente interessata alle venature lignee del parapetto a cui siamo poggiati. “E poi... Non volevo che un bellissimo gesto d'amore come questo andasse sprecato!" concludo dissestando la sua posa curiosamente immota per accoccolarmi sul suo petto.

Nessun biasimo, nessuna replica beffarda da parte del Capitano, solo il suo braccio stretto intorno alla mia vita che mi avvolge a se.

IO: “E' stato un uomo senza cuore e senza Dio a ridurli in quella miseria... " incedo pervicace “Prima perlomeno avevano di che sfamarsi, in seguito alla sua venuta invece si sono ridotti a vivere per le strade. Si tratta di uno dei più temibili corsari spagnoli in circolazione -definisco spregiante- lo conosci vero?" chiedo avversa sollevando il mento per scorgere distintamente il suo viso.

JACK: “...Ma certo, lo conosco eh...- ostenta tronfio - Lo conosco molto bene- afferma più suasivo- Non credere che no!- oppugna altezzoso per ridarsi animo- ...Chi è?" domanda infine per nulla consapevole.

IO senza riuscire ad omettere una risata, per poi tornare immediatamente seria: “So solo che il suo nome è Vallenueva ed è al servizio della corona inglese per conto della Compagnia delle Indie Orientali"

Come pronuncio quel nome un lampo frastaglia gli occhi bui del Capitano, la sua espressione si fa riflessiva e scura.

JACK: “Ma certo, ora mi è più chiaro…” bofonchia poi con lo sguardo sgranato e fisso, accompagnato da un sorrisino ebete di chi è sotto l’effetto ipnotico di un negromante.

IO: “Cosa vuoi dire?” enuncio confusa.

JACK: “Quella scaltra volpe ha tradito se stesso, ma così facendo si è assicurato una miniera d’oro a vita. Noi, dal nostro canto, potremmo rintracciarlo e punirlo per la sua frode lasciandolo a calzoni calati, senza più un centesimo!!” enuncia infervorato agitando in aria le mani in strane movenze durante il chiarimento.

IO distaccandomi da lui nauseata: “Dici così perché pensi sempre e solo ad arricchire te stesso!” avverso denigrata incrociando le braccia.

JACK: “No, chérie! Perché gli devo un sacco di soldi… -confessa a voce più tenue- …E così facendo aiutiamo persino quei da te tanto adorati marmocchi!” consente in prode tono.

Ora ci sto! L’importante è apportare un po’ di sollievo a questo luogo e alla sua gente.

IO: “Se la metti così… Accetto il compromesso!” stabilisco esaudita posando un gomito sulla spalla del Comandante che ricambia increspando le labbra nel suo caratteristico ed irresistibile sorriso a metà.

Provo a sottrarmi all’incanto di quelle iridi velluto, così buie da riflettere luce, ma mi è davvero impossibile, fin dalla prima volta in cui vi ho posato sopra lo sguardo.

Mi porto vicina a lui per assicurarmi la sua attenzione, sfiorandogli il braccio protendo la bocca fermandomi a un centimetro dal suo orecchio, e cercando di dimostrarmi il più decisa possibile bisbiglio: “Jack… l'avremo anche noi un tenero pargoletto tutto nostro un giorno?”

I suoi nervi si tendono come corde di violino, ha un forte sussulto e tutto il suo corpo sembra divenire pietra, a malapena riesce a voltarsi verso di me per scorgermi in viso. Distoglie subito lo sguardo, poi cerca di darsi contegno e torna a guardarmi, si muove così nervosamente a scatti per numerose volte, fino a quando tra di noi irrompe Andrè in un incontenibile boato gioioso: “Moooon dieeeeu!!! (mio dio) –grida felice abbandonando con incuria la pentola nelle mani del Capitano per abbracciarmi- un enfant…?? (un bambino...??) -esplica incredulo- C’est magnifique!!!! (è magnifico)” salterella commosso.

IO cercando di liberarmi dalla sua stretta soffocante: “A-a…A-a-n-drè! –lo richiamo spazientita- Fermo, hai capito male!!”

ANDRE’ bloccandosi di colpo: “Quoi? (cosa?)” chiede disorientato.

IO: “Non aspetto un bambino!” spiego divertita.

Il mio dandy abbandona ogni esultanza mostrando una smorfia frustrata, per quanto riguarda il Comandante invece non sono certa di aver udito distintamente un respiro di sollievo, ma di certo ho potuto ravvisare le dita delle sue mani, prima avvinghiate alla balaustra come artigli rapaci, distendersi tornando alla normalità.

ANDRE’: “CapiSco…” annuisce afflitto.

Jack nella sua incuranza cerca distrazione nel composto prezioso a lui affidato: porta alle narici come nulla fosse la raffinata crème, ne fiuta incuriosito l’odore, ma il suo naso lo ripugna, così restituisce malamente il pentolino al suo creatore e caccia via entrambi berciando: “Toglimi subito il tuo brodo di zucchina da dinanzi gli occhi!!!”

Il sottomesso cuisinier ci lascia di nuovo soli senza proferir parola alcuna.

IO attonita verso Jack: “Era cetriolo non zucchina e tu sei un gran cafone!!”

JACK con timbro innocente: “Intendevo solo mandarlo altrove, a volte è proprio una scomoda spina nel fianco!” cerca di giustificarsi.

IO: “Nemmeno tu sei tanto meglio, oltretutto mi avevi promesso che l’avresti trattato degnamente!!” ribadisco alterata.

JACK rimembrando la promessa: “Ah, già… Bhe, ma quello se l’è cercata!!” insiste per mantenersi dalla parte del giusto.

IO: “Argh, sei impossibile, è fiato sprecato tenere un discorso serio con te!” rinuncio esasperata.

JACK faticando per rimanere serio: “Sarà perché ho SEMPRE ragione io” attesta vittorioso.

Rivolgo lui un’ultima quanto inefficace occhiataccia, valevole solo a rinforzare la sua esorbitante autostima.

Non lo sopporto affatto quando fa così, sembra non distinguere più la differenza tra bene e male, lo detesto!

Uhm, ma forse conosco il modo adatto per mandarlo in tilt!!

… “Dunque, quale sarebbe la tua risposta in merito al quesito che ti ho posto prima dell’interruzione?!” domando pedante.

Rieccolo sudare freddo e la sua bocca impastarsi come quando è seduto a tavola dopo le prime portate, mentre s’ingozza privo di ogni riguardo con qualsiasi cosa basta sia mangereccia, nuovamente incapace di proferire sillabe sensate: “Ehm… Ecco… Io…”

Andiamo Capitano, dov’è finito tutto il tuo temperamento presuntuoso adesso?

Inveisco avvicinandomi a lui con fare speranzoso, sbattendo ininterrottamente le ciglia implorante.

JACK mettendosi a mani giunte ed accigliandosi: “B-b…E…e…pppf... F-f... –balbetta cercando di pronunciare la cosa giusta da dire- Forse…!”definisce infine prima di darsi alla fuga con la sua corsa ciondolante, sia mai che giungano da parte mia altre presunzioni a riguardo.

Rimasta sola sorrido sconsolata tra me e me scuotendo il capo, appena si parla seriamente con Jack non tarda un secondo a darsela a gambe!

…“Bien… - s’intromette infine una voce dall’esterno- Non eRa ne oui (sì) ne non (no)!” contempla ottimista facendo capolino da un barile di polvere da sparo il nostro pettegolo marinaio francofono. Andrè, Andrè… nemmeno tu ti smentisci mai in quanto ficcanaso!

 

 

“Non posso crederci, sei scesa a terra un’altra volta!! Per aiutare quel lavapiatti francese a sfamare delle piccole pesti messicane, con la brodaglia nauseabonda di zucchine poi… puah!” attesta esasperato come un genitore austero, trascinandomi in malo modo lungo il corridoio delle cabine.

“E’ stato Andrè ad aiutare me, non dare subito la colpa a lui senza sapere come stanno bene i fatti! I bimbi invece hanno gradito eccome la creme di cetrioli se proprio ti sta a cuore –preciso oltraggiata- …E in ogni caso avresti dovuto aspettartelo che avrei agito così, mi delude Capitan Jack Sparrow!” lo canzono divertita.

JACK: “La persona più corretta a bordo ero persuaso fossi tu” ammette ravveduto tralasciando la provocazione.

IO: “Ho avuto un buon maestro, l’amore mi ha corrotta anche in questo!” incalzo faticando nel mostrarmi forte, quando invece tutto il mio corpo a partire dalle gambe cede ormai per la stanchezza.

Il qui presente maestro in questione non mi sta minimamente ad ascoltare, anzi, accelera persino il passo.

In poche falcate raggiungiamo la porta che da accesso alla nostra cabina, mentre Jack armeggia con la chiave e la serratura tento un ultimo invano espediente di riscatto:

“Guarda, saltello come un canguro (termine coniato nel 1770 dal Capitano James Cook, trovandoci circa 100 anni prima Jack non può conoscerlo! NdA) –affermo inscenando goffamente le mie stesse parole- sto benissimo, non capisco perché ti preoccupi in questo modo!” sostengo boriosa.

JACK rivolgendomi un’occhiata interrogativa: “Non so cosa tu intenda per paguro [ne capisse mai una delle parole che gli dico -.-‘] ma per quanto mi riguarda puoi dire qualsiasi lemma, non sono intenzionato a lasciarti tornare dove ti ho ripescata per la seconda volta poco fa, comprendi? …Orbene, per il vostro giaciglio l’entrata è da questa parte angelo!” fa mostra di un plateale inchino, mentre zelante mi indica la porta socchiusa.

Malgrado l’imponente invito non smuovo un solo muscolo.

JACK: “Ti ho accompagnato io stesso fin qui perché già supponevo ghiribizzi del genere…” reclama annoiato.

IO: “Conosci bene anche il mio lato testardo dunque!” predispongo con aria di sfida.

JACK: “Sono disposto a ricorrere alle maniere forti!” avverte sfoggiando un riso malizioso.

“…Libero di provarci…” acconsento per nulla intimidita.

Muove come preannunciato un lungo passo verso di me, ponendosi minatorio a pochi millimetri dal mio viso.

IO: “Non ne saresti mai capace” proferisco spavalda cercando di sminuirlo, ricercando il suo sguardo per fronteggiarlo a pari merito. In riscontro assottiglia maggiormente le palpebre, come a significare un audace “Ne sei sicura?”

Dopo parecchi secondi di silenzioso scontro irrompe per conto di un timbro impensierito: “La mia è una semplice precauzione, il tuo colorito fa invidia alla luna da quanto è pallido…!”

IO: “Pallida lo sono sempre stata, Mozzarella rammenti?!” sostengo innervosita.

JACK tentando di mantenere la calma: “Voglio solo che tu stia a riposo, almeno fino domani mattina –spiega sfiorandomi lievemente il ventre senza neppure rendersene conto - in seguito sarai libera d-…”

IO: “Cosa…?” L’interrompo colpita, sovrastando la sua mano poggiata sovra il mio addome. Ha creduto davvero che le parole di Andrè riguardo il bambino fossero vere?

Non’appena realizza di aver compiuto quel gesto involontario s’affretta subito a ritrarre l’arto, tentando di rifondersi vigore: “Intendi entrare oppure no?!” domanda impaziente per l’ultima volta.

Sfrontata nego nuovamente scuotendo la nuca.

Nel giro di un secondo il mondo si capovolge: mi ritrovo a testa in giù, penzoloni sulla spalla del Capitano come un sacco di patate, mentre superiamo vacillando l’ingresso della cabina.

“Noooo! Lasciami, mettimi subito a terra!” invoco poco convinta tra risa e finta rabbia dimenandomi a mezz’aria.

JACK: “Come più desiderate testaccia dura” concede servizievole esaudendo la mia richiesta.

Mi scaraventa giocoso sul letto facendomi rimbalzare più volte sul materasso morbido, ignorando completamente le mie ulteriori proteste. Sempre senza darmi retta si dirige altalenando verso il tavolo al centro della stanza, indirizza uno sguardo tra l’attonito e lo stralunato al gran trambusto che regna su quel mobile antico, prima di lanciarsi nella ricerca sfrenata di un fiammifero tra tutto quel ciarpame mal ammassato così da accendere una lanterna o qualche candela per attenuare l’oscurità della stanza.

Sentendomi ormai del tutto inconsiderata mi rassegno a cercare di seguire il suo consiglio rilassandomi, mi distendo sulla soffice trapunta leggera in posizione supina chiudendo gli occhi.

Respiro più volte profondamente svuotando del tutto la mente, in questo modo con sollievo inizio a sentire i muscoli dolenti distendersi e lo spasmo diminuire.

Concentrandomi sul rumore regolare delle onde mentre si infrangono sulla chiglia della Pearl provo a prendere sonno.

Sto quasi per abbandonarmi a Morfeo quando tra tutto lo sconsiderato trambusto creato dal Comandante avverto distintamente uno strano rumore provenire dalla mia sinistra, somigliante ad un singulto attutito.

Il mio cuore sobbalza violentemente, ma nonostante questo trovo la forza d’issarmi nella direzione del fragore per scorgerne con i miei occhi la mandante.

Nell’angolino più buio della stanza, ad una distanza minima da me, rivedo la donna dal mantello ferrigno stringersi nella parete con lo sguardo ancora celato dal cappuccio, ma rivolto verso il Capitano mentre soffoca i singhiozzi serrando la bocca con una mano.

Un profondo tuffo al cuore, seguito da un groppo che mi impedisce di respirare, questa la mia reazione. I polmoni si contraggono e distendono velocemente cercando con disperazione di incanalare più ossigeno possibile da mandare al mio muscolo cardiaco quasi fermo per lo sgomento.

Succede di nuovo, rimango pietrificata sul letto, immobilizzata da una forza più potente di me il quale padroneggia su ogni mio arto, incapace di parlare, muovermi, reagire…

L’unica cosa che fuoriesce dalle mie labbra è un lungo espiro di stupore con cui fortunatamente richiamo l’attenzione di Jack.

Il Capitano si volge incuriosito verso di me, distinguendo la mia espressione sgomenta si accorge subito della terza presenza e tempestivo interviene.

JACK: “Non è possibile…! Abbiamo lasciato il porto un ora fa, come… Cosa diavolo ci fai a bordo della mia nave??” obbietta affrontandola a spada sguainata con cipiglio stralunato.

Lei non risponde, ingoia a fatica quei sofferti singulti, abbassa la testa e sembra cercare di ricomporsi.

Il respiro mi torna seppur affannato, ignorando il penetrante buco allo stomaco che mi trafigge tutto il busto e le gambe pesanti come macigni mi convinco a non lasciarmi impressionare e reagire.

Raccolgo le forze, in uno scatto di rabbia afferro il pugnale celato sotto al mio cuscino e non tardo un secondo di più a schierarmi con una grinta a me inaudita al fianco di a Jack.

Nell’impeto causato dall’ira verso di lei non mi accorgo neppure che Jack abbandona la messa in guardia, deponendo il suo gladio nella fondina.

JACK: “No, Jennyfer! Riponi il pugnale -dissente sollevando un braccio- Non è armata… non può difendersi” spiega in tono greve.

...“Chi le dice che io non sia armata, Capitano?” pronuncia la donna contrapponendosi tra noi, sfoggiando un compiaciuto sorriso ornato da due labbra carnose dipinte di rosso.

 

 

 

Nota delle Autrici:

Ecco l'ultima parte del capitolo ^^

A partire da qui avrà inizio il motore che metterà in moto tutta Unty2 =) Per il momento vi teniamo ancora in sospeso, scoprirete di più nel capitolo 9 =D

Thanks Goddess Dream =* =*

Stasera alzate il naso verso il cielo, cadono le stelle!!!

 

Un bacione, buona notte di San Lorenzo a tutti ^^

 

Kela and Diddy

(Capitana and Capo)

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Capitolo 9
*** Illusion. ***


Nota delle Autrici:

 

Sera gente!! ^^

La primissima parte di questo capitolo 9 per l’appunto è di genere comico 8>P

La seconda invece, di tutt’altra pasta, l’ho quasi terminata.

Nei prossimi giorni appena sarà pronta la posterò ^^

L’ultima parte del Capitolo 8 che continua in questo nuovo aggiornamento è stata postata il 10 Agosto per chi non l’avesse letta =)

Volete iniziare a scoprire qualcosa di più riguardo la donna dal cappuccio grigio che pare mettersi in mezzo tra Jenny e Jack? Leggete dunque quanto segue =P

 

Mille ringraziamenti a…

 

_Celia_: Sogno, always the first 8-D Sorry but qst sera ho in mente solo uno e cento modi per strozzare il tuo caro Leonard ^^’ Nn capisce un accidente quel omo, è allucinante! E sto ancora vomitando per quella parola che hanno affibbiato a Wilde -.-‘’’ Ma cosa dici, le tue recensioni sn sempre tr duciii! =’) Anche la canzoncina ci hai dedicato *w* urca =$ Non so ke altro dire se non Grasie =*

Grazie mille per la zampa immensa che mi dai e per sopportare sta povera pazza =P Devi insegnare anke a me ad andare a cavallo :D Devo vederlo il Patriota!! Mah, speriamo d finirla prima o poi qst collana ^^ Non per niente l’abbiam chiamata “without end” qst storia! In questo capitolo quei 3 (Sci, Jenny e Jack) architetteranno un piano per far arrivare il tuo figliolo ;) Vediamo che ne pensi ^^ Grazie ancora per tutto =* Ti vogliam un mondo di bene!!!

 

JiuJiu91: Eh si me ne sono accorta anche io del cambiamento di stile ^^ L’abbiamo appreso col tempo e scrivendo 53 capitoli oramai =) lol Sn quasi se non del tutto diventata paranoica qnd scrivo ma poi mi accorgo che qualcosa vale! Ne sono sollevata, a volte rileggendo le prime parti di unty1 mi vengono i capelli bianchi XD tranquilla, qui nn si offende nessuno =D ;) Da piccola avevo quasi convinto i miei a regalarmi un dalmata *w* Poi alla fine l’ha avuta vinta mamma: “un animale in casa?? nemmeno per idea” -.- Però ho sempre adorato sia il cartone che il film :D Siamo contente di riuscire a strappare un sorriso =D Nella prima parte di questo capitolo ci saranno altri scambi di battute comiche! ^^ La calma prima della tempesta… Per Dylan ci stiamo pensando, promesso ;) Mah, secondo me i pirati  durante la loro ora uscita libera fanno quel che farebbero dei detenuti nell’ora d’aria se potessero avere accesso in un innocuo paesino ovvero di tutto e di più ^^ lol Un abbraccione forte fino in Australia!!! =D A presto =* =*

 

vanessola: Ave Mater Superiora! ^^ Dopo tutta questa venerazione solo per il titolo del chap ci voleva in dedica un sospiro :P Eh he vedi, soffri d’insonnia cm Tim ;) Vedi di dormire che poco sonno non va bene!! And I’m fullll of jooooooooooooooooooooooooooooy!!!! =P Siam contente che anche a te sia piaciuta quella parte ^^ Vedi di aggiornare in fretta anche le tue ff eh! =) Tanti baciii, a presto =* Dobbiamo andare a vedere Kong fu Panda e Hankok!Maters 4ever!

 

Jechan: Ciao Jessica! =D Urca =S Anche tu super maratoneta!! Sei da olimpiade 8-D 2 giorni e hai letto sia Unty1 che 2! O.o Ti abbiamo colpita, ne siamo onorate ^^ Jack per quanto posso cerco di renderlo fedele a quello dei miei orsetti Teddy (gli sceneggiatori di potc) ma so che non è per niente uguale, credo nessuno tranne i miei orsetti stessi e Rob Kidd sapranno mai renderlo identico =) Già *w* Dopo aver visto Sweeney rimane così impresso che è un impresa dimenticarlo *w* Grazie per i tuoi complimenti ^^ A presto =D Un bacione!

 

schumi95: Kat, ciau! =’) Ci sei mancata anche tu! ^^ Siam contente che Andrè inizi a prenderlo in simpatia =D Alla fine è molto dolce e buono, i suoi difetti sono l’essere impiccione e il Capo aggiungerebbe francese u.u Io credo che quei uomini come dici tu siano rariiiiiissimi ma esistono, ne conosco uno =) Più grande di me di 28 anni e impegnato ^^’ però esiste! Solida consolazione… Ecco, hai risolto da sola il mistero di quella donna della carrozza! Eh si, nel passato ha un ruolo importantissimo, è una chiave della storia, ne saprai di più nella seconda parte di questo capitolo :D Sì, all’orizzonte ritroviamo Vallenueva, che se hai visto il terzo film dei pirati dei caraibi è il membro spagnolo del Consiglio della Fratellanza che litigava con l’incipriato francese ;) Ci serviva un antagonista e dunque ci siamo riallacciate al film così è qualcuno di conosciuto! ^^ Buone vacanze piccola, e grazie peri tuoi giudizi! =* Bacioniii

 

68Keira68: Bentornata Sara!!! =D Yep, Al davvero se lo meritava ;) Jenny farà qualcosa tranquilla! =D L’hanno colpita troppo quei pargoletti ^^ Bhe, Havier non ha imparato ancora bene la lezione, sul finale era comunque ostile con Jennyfer, però sicuramente una lezioncina l’ha imparata = ) Certo, Jack è un pezzo di pane però agli occhi di una bambina appare così strambo che di primo impatto secondo me scappa :P lol Eh invece sulle bambine più grandi qui cm la sottoscritta ha un fascino 8-) …kela trattieniti! Ehm ehm, dicevamo? Ah si! Grazie per i tuoi complimenti immeritati cm solito ^^’ A presto carissima! =D Un bacionone =* TI vogliam tanto ben!

 

Buona lettura a tutti!! ^^

Ricordate di dare un’occhiata alla fine del capitolo 8 se leggendo questo inizio vi trovate spaesati ;)

Un bacione! A presto =D

 

Kela and Diddy

(Capitana and Capo)

 

 

Capitolo 9

Illusion.

 

Unknown.

 

JACK: "Quando pongo una domanda esigo una risposta!" afferma temporeggiando in tono autoritario.

Nel frattempo la sua mente scaltra è già impegnata ad elaborare rapidamente un'efficace strategia concerne alla situazione.

Con la coda dell’occhio lo vedo portare per precauzione una mano intorno all’elsa della spada, pronto a riutilizzarla immediatamente in caso di pericolo, sempre analizzando vigile ogni minimo movimento della donna dinanzi a noi.

Io stringo imperterrita il pugnale tra le mani.

... : "Stavo solo scherzando signore -ammette ironizzando- vorrebbe perquisirmi per caso?" propone portando le lunghezze della mantella oltre le spalle e posizionando le mani sui fianchi sempre sorridendo, mettendo in mostra la veste scarlatta che fascia delle forme burrose prima celata dall'ombra e il tabarro.

Non ti conviene Jack, sono qui accanto a te, armata di pugnale perlopiù!!

Mio odio a parte, sono sorpresa dal tono "naturale" con il quale lei si rivolge a Jack, non provocativo, ma piuttosto confidenziale come se fosse da sempre abituata a motteggiare con lui.

Il Capitano ogni secondo che trascorre al cospetto della donna appare sempre più confuso, stranamente non controbatte, ma attende accigliato la prossima mossa dell'intrusa mantenendosi serio.

... : "Sembra il caso che sia io a presentarmi per prima… -conclude rassegnata- Riguardo a voi conosco già entrambi - ammette prima di volgersi nella direzione del Comandante- Capitan Jack Sparrow: re dei Caraibi [re??]-le parole della straniera vengono appurate da un inchino plateale di quest'ultimo- Pazzo come una volpe, ma molto abile a volgere l'attimo a proprio favore con risultati sempre diversi e confusi..." lo presenta trattenendo un riso quando Jack lancia lei un'espressione offesa per la sua ultima sminuente definizione.

"E Jennyfer Catherine Allyson..." riversa a me.

Sa il mio nome per intero?? 0_0

IO: "Com...come puoi conoscermi?"

E' impossibile! Dylan era l'unico a saperlo, dev'esser necessariamente entrata in contatto con lui quando ci trovavamo qui, è l'unica spiegazione possibile.

JACK: "Catherine???" apostrofa scoppiando a ridere.

Aaaargh, perchè diamine l'ha detto!!!

IO: "Sì Catherine, e non una sola parola sul mio secondo nome!!" sbotto furiosa mettendo subito le cose per interso.

JACK: "D'accordo Cat!" definisce in tono giocondo unendo le mani dietro la schiena.

"Jack!!" lo rimprovero oltraggiata.

JACK: "...Miao..." proclama in tono innocente portando le mani al cielo. (Jack scherza sul fattore per cui cat in inglese significa gatto NdA)

"Falla finita!!!" urlo adirata.

JACK: "Meeeeow…ffff…" replica portando le mani semichiuse all'altezza delle spalle e allungandone una verso di me come fanno i felini con gli artigli per difendersi.

IO seccata rivolendomi all'intrusa : "Dovevi aggiungere peggio di un bambino tra i suoi difetti!!"

La donna allietata dai nostri futili bisticci torna seria nel terminare il suo discorso: "E tra i tuoi pregi ce sei sagace, di bella presenza, colta, determinata, testarda, forte all'occorrenza e proveniente da un tempo a noi ancora lontano definito terzo millennio, è così?" domanda pedantesca sempre mascherata dietro un sorriso che mi accorgo sempre più essere d'evenienza.

Ancora una volta mi lascia pietrificata, dalla mia bocca fuoriescono solo sillabe farfugliate, dettate dallo stupore, il quale cercano disperatamente di negare l'ovvio.

E' a conoscenza anche di questo???

"Allora ho trovato proprio chi cercavo! -attesta vittoriosa- Non smentir le mie parole Jenny, so ogni cosa. Piuttosto, voi ancora non sapete nulla di me! Il mio nome è Scilla, non temete, non sono un nemico per voi. Mi trovo qui semplicemente per aiutarvi, come ho annunciato al nostro primo incontro..." accenna a voce più tenue, intimidendosi rispetto a prima quando fronteggiò il Comandante con cotanta vigoria.

E quello chi se lo dimentica...

"Rammentiamo benissimo quell'episodio!!" sottolineo infastidita buttando gli occhi al cielo.

Jack si volge verso di me ostentando un ghigno curioso tra il malizioso e il divertito, seguito da un mio ad effetto fulminante.

SCILLA ridendo: "Giust’appunto, come ho potuto esser così ingenua da dubitarne...!" si rimprovera da sola portandosi una mano alla testa avvolta dal cappuccio cenere.

"Eppure lo sei stata!" evidenzio inacidita con un sorriso tirato. Il Capitano indirizza verso di me un'occhiata abbuiata, ma pur sempre amena.

Non mi guardare così mio caro, dopo questo scambio fraterno di battute tra voi torna ad essermi poco chiaro quel passionale bacio che ti ha dato!

SCILLA: "E' complesso ciò che sto per dirvi, non lo sanno molte persone al di fuori di un paio perciò vi prego di ascoltarmi e non rivelarlo ad altri se non è strettamente necessario" stabilisce dandoci fiducia. 

Sia io che il Capitano annuiamo divenendo seri.

SCILLA: "Vi conosco perché entrambi possedevate come me un frammento della mappa Hyubtat-le!"

Al suono di quel termine così insolito entrambi ci scambiamo un’occhiata interrogativa.

JACK: “Crediamo di non aver capito, gioia…” dice cambiando la sua espressione in una intrigata.

SCILLA: “Oh, perdonatemi. Dovevo essere più chiara! Intendevo la mappa che poco tempo fa vi ha condotto ad Isla Oculta –precisa- Sapete, ho trascorso dieci anni della mia vita a studiare ogni suo millimetro quadrato, il suo nome perciò a me risulta nauseante” ammette sogghignando.

JACK: “Dieci anni sono lunghi!” attesta ammirato.

SCILLA: “Quasi una vita intera…” l’asseconda in tono ormai privo di qualsiasi vigore.

IO: “Scusate se interrompo il melodramma qui –erompo confusa con accento seccato- Ma siccome dici di sapere tutto, Scilla, e se realmente ti riferisci alla mappa di Isla Oculta… Dovresti saperlo da te che l’ho vista in un museo…”

“Il museo di Santa Barbara in California, esatto” specifica lei cattedratica.

JACK come sorpreso da un’illuminazione: “Giaaaà, Museo! –afferma scandendo la parola appena rinvenuta dai meandri offuscati della sua memoria- Uno di quei luoghi dove sono custoditi testimonianze storiche, oggetti, documenti antichi e il quadro della MIA nave!!” condiscende orgoglioso. (Jenny spiegò a Jack in cosa consiste un museo nel capitolo 23 “Verso la fine di un nuovo inizio” di Untitled NdA)

IO sempre più irritata: “Si, quello! –affermo brusca- Il punto è: quella Mappa non aveva nessun nome, secondo il  personale del museo era una semplice cartina geografica antica esposta in vetrina, nulla più!”

SCILLA: “Ma hai potuto verificare tu stessa il suo potere, come ti spieghi la tua presenza qui, 400 anni lontana da casa? Non è un semplice pezzo di carta Jennyfer, lo sai benissimo”

Questo è vero dannazione…

SCILLA: “So che faticate a credere le mie parole, vi capisco. Sono un’ordinaria sconosciuta che si presenta qui all’improvviso, conoscendo tutto di voi e al contrario non ne sapete nulla, ma vi chiedo, ve ne prego, mettete da parte ogni preclusione per un attimo ed ascoltatemi, non pretendo altro. Ne vale della vostra incolumità!” stabilisce impensierita.

Jack si volta verso di me con un sopracciglio inarcato come a significare “Sei d’accordo a darle ascolto?”

IO spazientita: “E va bene, ma prima vorrei spiegassi francamente questa faccenda del nome!”

SCILLA rallegrandosi: “Come più desideri, ma per venire a conoscenza di quella fareste meglio a mettervi comodi… è una storia piuttosto lunga!!” incomincia entusiasta.

 

1535 d.C.

Quarantatre anni dopo la scoperta del Nuovo Mondo, nel Nord dell’Europa, il sovrano Hans Nils di Svezia (in onore del gran bel pezzo di maritino della mia Tigrotta NdCapitana) ideò una mappa alquanto differente dall’ordinario battezzandola con il nome di Hyubtat-le.

Questa è la, a noi incomprensibile, pronuncia svedese, Huntatle ci somiglia di più e tradotta consiste in Untitled, ovvero senza titolo.

Re Nils credeva di aver stregato questo frammento cartaceo in modo che dopo averla consultata, immaginando un determinato luogo e tempo, l’immenso potere in essa contenuto ti ci conduceva all’istante.

Rese il manoscritto anonimo, così facendo nessuno avrebbe sospettato i suoi poteri e scoperto l’enigma che conduce ad Isla Oculta, sede dei tesori appartenutegli.

Si credeva l’utilizzasse per giungere in largo anticipo sul campo di battaglia, sorprendendo il nemico e garantendosi la vittoria certa.

Oltretutto il suo unico figlio maschio destinato al trono non si sposò, e mai ne ebbe intenzione, per questo re Nils grazie al suo prezioso asso nella manica credeva di poter vivere in eterno.

Le aspirazioni del monarca però risultarono smodate, morì in guerra pochi anni dopo segnando la fine della sua dinastia, ma confidando di rinascere un giorno in una nuova reincarnazione, rese possibile l’utilizzo della mappa ad altri al di fuori di se stesso trascrivendo su un foglietto la formula necessaria ad intraprendere il viaggio nel tempo celandola poi all’interno del documento stesso.

Il manoscritto antico realizzato, da mani sconosciute, si compone di una rappresentazione accurata del globo suddiviso in 2 ellissi; all’altezza dell’arcipelago caraibico le 5 mete che conducono ad Isla Oculta sono evidenziate con colori diversi rispetto alle circostanti, ma Untitled non consiste solamente in questo.

Quando un individuo ne entra in possesso diviene un vero e proprio oracolo del suo destino!

Molti le definiscono semplici decorazioni, in realtà sono chiari simboli della sorte. Vi sono 4 figure negli angoli del foglio: una catena, il sole, un teschio ed infine un galeone a vele spiegate.

In base a quale di questi simboli possiedi quando vieni in possesso di un lembo di Untitled il destino deciderà per te una determinata sorte.

 

… “No no, rallenta gioia. Stai forse dicendo che suddetto foglio di carta senza cui non avremmo mai scovato quell’ambito tesoro a cui conduce, introvabile perciò in mancanza di esso è capace d’influire sul destino di chi lo possiede?” domanda perplesso con un sotterfugio, interrompendo il racconto scrupoloso di Scilla.

SCILLA: “Esatto Capitano!” annuisce piatta senza tralasciare alcuna emozione.

IO: “E se chi la possiede non crede a tutto questo?!” irrompo restia apportando un dubbio anche a Jack.

SCILLA voltando di scatto la testa verso me, non credo sia cieca data la precisione con la quale esegue i movimenti, sembra vederci benissimo al di sotto di quella mantella cenere: “Non si tratta di una dottrina a cui si è liberi di credere o meno, è così e basta!” scagiona divertita dalla mia contestazione.

Possibile che non ci sia nessun modo per alterarla almeno un pochino, lei ci riesce benissimo con me!!!

Il Capitano al contrario si rilassa, distende all’indietro la schiena sulla sedia accomodata nelle vicinanze del tavolo rotondo nel mezzo della cabina, e dopo essersi beatamente stiracchiato inclina la seggiola sulle due gambe posteriori iniziando a cullarsi come fosse accomodato su di un dondolo.

JACK: “Sentito? E’ così e basta amore mio!” interferisce rivolgendosi a me con un ghigno mordace.

Io per tutta risposta infliggo lui uno spintone che inclina la sedia a tal punto da far ritrovare in un secondo il Capitano col fondoschiena dolorante a terra, preceduto da un tonfo sordo.

“…A…a-aaahia…” si lamenta a denti stretti.

Te lo do io Amore mio adesso!!

La spettatrice dinanzi a noi soffoca una risata premendo una mano sopra la bocca vermiglia.

IO continuando come nulla fosse mentre Jack tenta scompostamente di rimettersi in piedi, stordito dall’improvvisata: “Se non sbaglio dicevi di possedere un frammento della mappa anche tu, ero convinta che al di fuori di me, Jack e Dylan solo Hayez Nick ne fruisse un lembo!”

SCILLA: “Fu proprio Nick a rubare il mio pezzo, se ne appropriò senza che io potessi fermarlo…” confida dimessamente.

Ah…

JACK ormai riaccomodato: “Ti ha fatto del male?” s’interessa esprimendosi in tono greve.

SCILLA: “Non in modo serio almeno” assicura accennando un sorriso.

Non crederà davvero di esser stata l’unica vittima di quell’uomo, ha tentato di approfittare anche di me con quelle sue sudice mani da porco!! In ogni caso noi non siamo un ospedale, e raccontandoci le sue sventure non ci sta aiutando come aveva predisposto, cosa vuole veramente??

“Mi dispiace” ammetto però sincera ricevendo un accenno del capo, posso capirla in questo, non afferro dove intende arrivare invece…

Le mani della donna poggiate come in resa sul bordo del tavolo spariscono in uno scatto al di sotto della sua mantella ferrigna, dove fruga qualche istante per poi tornare alla luce con un frammento di carta ed un pennino. Trascrive su di esso 5 nomi prima di renderlo visibile a tutti. SCILLA: “Il custode della mappa, ovvero il primo proprietario in questa vicenda e l’unico all'altezza di decidere le sorti di Untitled fu Dylan – enuncia sottolineando con un tratto fine e netto il suo nome posto al culmine della lista – il secondo è stato Capitan Jack, poi io, Hayez Nick ed infine Jennyfer” conclude scorrendo fino alla fine del pezzo di carta.

IO: “Come sarebbe a dire custode, deve deciderne le sorti?? –sbotto scombussolata- Dylan è solo un bambino, non può sopportare anche questa responsabilità!” insisto opponendomi alterata.

Scilla non pare starmi a sentire, continua a disegnare per suo conto dei segni circolari sul retro del foglio.

“MI VUOI DARE ASCOLTO??” in un impeto di rabbia che nemmeno io controllo inveisco su di lei con uno strepito iroso, sbattendo furiosamente una mano sulla superficie del tavolo a pochi centimetri dalla sua.

Jack interviene all’istante, issandosi in piedi con un guizzo prende il controllo della situazione e mi afferra per le spalle trainandomi indietro, verso di se.

JACK: “Tesoro, calma…calmati…!” sussurra piano al mio orecchio, affondando il viso nei miei capelli anche se può percepire distintamente sottopelle i nervi tesi come corde di violino.

Il fiatone si mescola a singhiozzi e nei miei occhi iniettati di odio si specchia ancora il suo volto tramortito.

“Puoi scusarci solo un istante…?” domanda garbato per congedarci.

Ricevuto un debole cenno di acconsento s’affretta a condurmi nella stanza accanto tramite la porta confinante, la mia adorata vecchia camera da letto.

Il rumore meccanico della serratura mentre si richiude dà inizio al mio sfogo: “Q-quella non capisce…! Ha la minima idea di tutto quello a cui è già stato sottoposto e costretto a sopportare mio fratello?? A-accettare il fatto che io non esisto più ad esempio… E poi scuse, giustificazioni, bugie storielle inventate, n-non lo so se nel futuro è come se io non fossi mai esistita o adesso c’è l’FBI che mi cerca in 50 stati dandomi per dispersa!!” pronuncio estenuata con voce rotta dal nervosismo vagando avanti e indietro senza pace.

JACK smarrito: “F-B-eh??”

IO: “Ufficio federale di investigazione, è un tipo di Polizia…” accenno ispirando profondamente per calmarmi portando una mano alla testa.

JACK: “Un tipo, ce ne sono altre? Quante sfaccettature di forza dell’ordine avete nel tuo tempo??” domanda angosciato stortando il capo.

IO: “Più di quante immagini, Capitano! Per questo ti ricordo spesso che nel futuro un farabutto come te non avrebbe alcuno scampo!!” pronuncio dissuasiva poggiando stancamente le spalle contro il muro.

JACK: “Non sottovalutarmi dolcezza –contesta smaliziato- stai parlando con Capitan Jack Sparrow! Sono spartito sotto gli occhi di 7 agenti della Compagnia delle Indie Orientali, rapito la figlia del governatore di Port Royal, evaso dalle loro prigioni, requisito la nave più grande e veloce della marina intera, li ho presi in giro, fatti naufragare in un uragano, trafugato un forziere sotto al loro naso, danneggiato l’albero di Maestra su un altro veliero, divenuto loro alleato per poi tradirli, beffeggiati, affrontati, bombardati ed infine vinti!” esibisce borioso in un riso maligno, illuminando la stanza buia con un scintillio dorato.

IO: “E nonostante tutto questo sono ancora sulle vostre tracce ben allacciati alle tue calcagna…!” sentenzio deprezzante.

JACK costernato: “Quello è un dettaglio che cerco di non rimembrare –afferma sottecchi- Chiudo gli occhi e fingo sia un brutto sogno, così vado avanti!” attesta allargando le mani in un gesto plateale riacquistando il suo tono ottimista.

IO: “Vorrei tanto pensarla nello stesso modo…” confesso in un debole fiato infranto dalle lacrime.

Le sue braccia prima schiuse per vanto si fanno più vicine, sino ad avvolgermi, lentamente, in un tenero abbraccio.

Assaporo nel pianto ogni suo singolo movimento, mescolato al sollievo sprigionato da quell’infervorante stretta, finendo per affondare il viso nell’incavo tra la sua spalla e il collo così da lenire ogni singhiozzo.

Jack a sua volta s’accosta alla mia fronte sfiorandola più volte con le labbra.

IO: “…Per quanti sforzi faccia, malgrado quanta forza ci impieghi Dylan non vivrà mai una vita normale… In aggiunta a tutto questo non può esser sottoposto persino ad una responsabilità di tale portata…” pronuncio dissipata.

JACK: “No, hai ragione. Lui è destinato a qualcosa di molto più grande! –enuncia infervorato- C’è la possibilità che non sia come credi, non hai ancora ascoltato il suo discorso fino alla fine!” attesta fiducioso tornando coi piedi a terra.

Può andare peggio di così?

IO espirando profondamente per riprender risolutezza: “D’accordo… Torniamo dalla tua amica dunque!” concludo con cadenza alterata.

Sto già per avventarmi astiosa sulla maniglia della porta, quando la mia mano viene prontamente sovrastata da quella del Capitano, nell’intento d’impedire la mia fuga.

JACK: “Cosa intendi con tua amica? -domanda esibendo un buffo cipiglio interrogativo- Non so nemmeno chi sia!”

IO: “La tua bocca guarda caso pareva di sì invece!! Mi riferisco al tono confidenziale con il quale ti rivolgi a lei, inizio a dubitare seriamente che sia una sconosciuta come mi hai detto!!” paleso risentita.

JACK: “Sono un gentiluomo!” si difende divertito portando una mano al petto, mentre con l’altra trattiene senza alcuno sforzo la porta ben serrata, nonostante io implichi tutta la mia forza nel tentativo di aprirla.

Con un verso di rabbia repressa rinuncio alla mia impresa, ritirandomi nel buio, sconfitta.

Nella stanza rischiarata solo da un fascio di luna filtrato nel vetro consunto della finestra, per qualche istante regna il silenzio, fin quando è lo stesso Comandante a spezzarlo: “Quel mangia-rane di Andrè definirebbe questa scena un jà-vue !” azzarda sogghignando.

Rimango una manciata di secondi perplessa, poi in una nota seccata rettifico: “Semmai si dice déjà-vu !… Cosa, perché ridi??” domando frastornata dalla fragorosa risata in cui esplode Jack.

JACK: “Ci avrei scommesso tutto il mio oro accantonato nella stiva che mi avresti corretto, se così fosse stato adesso sarei straricco sfondato!!” esplica tra le risa.

IO: “Bene, allora sentiamo riccone, in quale occasione avremmo già vissuto questo momento?!” chiedo ormai del tutto spazientita.

JACK quasi con le lacrime agli occhi: “Quando esattamente qui –dice portandomi vicino alla porta- ti ho domandato se provavi un determinato sentimento per me e mi hai risposto no, mentendo!” precisa lieto. (riferimento al finale del capitolo 26 di UNTITLED “Carpe diem” NdA)

Oh, sì… Adesso ricordo! Il mattino di quel giorno tanto terribile che tuttavia mi ha permesso di iniziare a vivere…

Giurerei di sentire ancora nell’altra stanza i passetti scalpitanti di Dylan mentre ci cerca in ogni dove, bendato, e noi qui a discutere di fatti seri, troppo insolito per me e Jack. Da un momento all’altro potrebbe spalancarsi la porta e fare il suo ingresso trionfale quel soldo di cacio con un broncio ridicolo, mentre adirato ci rimprovera di aver imbrogliato, ma ciò non accadrà. Seppure il tempo sembra essersi fermato a quel giorno i fatti non sono cambiati, come Dylan non rimetterà più piede qui.

L’intonazione profonda ma decisa del Capitano mi desta dai miei pensieri: “Quando volevi andare via ti ho sempre voluta tenere con me, ogni istante… Solo, dopo il tuo rifiuto, ero certo non lo volessi –ammette amareggiato circondandomi il viso con le mani- mi sono reso conto che forse tuo fratello e la tua famiglia avevano più bisogno di te!”

IO: “Non quanto io ho bisogno di te” definisco in un sussurro smorzato, vittima inerme delle sue parole, mentre i miei occhi s’illuminando d’una patina lucida.

JACK arridendo estasiato: “Da quando tutto ciò si è avverato ho dimenticato cosa sia il rimorso, non ti cambierei per niente e nessuna al mondo…” definisce velando appositamente i suoi intenti.

“Jack, cos’è che vuoi dirmi?” lo interrompo svilita.

JACK: “Trovare quel frammento di Untitled, Jenny, è stata la cosa più bella che mi sia mai capitata, mi ha portato da te!” ribatte indubbio.

IO: “…E… Tu come hai rinvenuto un lembo della mappa?” domando per minimizzare, rimasta da quella frase senza parole.

JACK: “Non te l’ho mai detto?!” pronuncia crucciato.

IO senza riuscire a placare un riso, procurato dai suoi modi sempre stravaganti anche solo nel parlare: “No, mai”

JACK: “Uhm, vediamo…” appura facendosi riflessivo, scivolando dal mento ai miei fianchi.

IO: “Niente storielle inverosimili inventate al momento, voglio la verità!” raccomando ponderata puntando un indice teso verso di lui.

JACK inscenando un abile narratore ben concentrato: “Ero di ritorno sulla Perla da una breve avanscoperta, percorrevo il ponte con il mio passo fiero –enuncia gesticolando con le mani, creando in aria cerchi immaginari- quando una scimmia non morta è guizzat-…”

“JACK! ho detto la v-e-r-i-t-à!!” scandisco spazientita in tono di rimprovero.

JACK: “Per l’appunto! E non ti ho nemmeno detto che ho fatto ritorno a bordo usando per scialuppa una bara e servendomi di un femore morto come remo. Poi la bestiaccia è sbucata dal nulla qui, sulla mia spalla e mi ha rubato il cappello!” insiste avverso.

IO: “Ma cosa sei, un profanatore di tombe?? –sbotto atterrita in un verso di orrore- Una scimmia non morta, questa poi… Andiamo, sono una ragazza del duemila, non mi bevo certe trovate! Capitan Jack Sparrow non è riuscito a fronteggiare un primate poi?! Mi meraviglio di te!” lo schernisco infine.

JACK: “Quell’orangutango cappuccino è una bestiaccia così detestabile che il suo proprietario, mio peggior nemico talaltro, gli ha dato il mio nome!!” sostiene quasi per vanto. (Barbinoooooooo *w* Scusate ^^’ la Capitana è andata…)

IO ridendo sconsolata: “D’accordo, ti credo!”

Le inventi tutte Jack per apparire originale…

“Rimasto a testa scoperta, indegno per un Comandante, dovevo rimpiazzarlo con un altro similmente onorevole -prosegue nel suo racconto- Mi ritrovai nella mia amata Tortuga, con la speranza di esaudire un patto stretto da rispettare entro 3 giorni; nel bel mezzo di una futile rissa occasionale mi aggirai per il locale provandomi vari cappelli dei commensali”

IO: “Vai in giro a rubare cappelli??” sbotto oltraggiata prima che le sue dita mi serrino le labbra.

“Non ho ancora finito! –ammonisce solenne- Con quello a me più agevole feci ritorno sulla nave, durante la notte, mentre ammiravo la mia conquista della serata, notai la fodera interna del copricapo cucita con un filo di colore diverso su una parte del bordo. Scucendola rinvenii dal cuoio liso il frammento della mappa!” conclude eccedente atteggiandosi in bizzarre smorfie, rivivendo quell’atmosfera di stupore per mezzo dello sguardo.

JACK: “Non sapevo a cosa portasse o se fosse una vera mappa, per un po’ di tempo dimenticai persino di averla. Poi allorché vi fu un periodo di calma la ripresi tra le mani, scavai a fondo sulla sua provenienza ed infine quando seppi del tesoro arrivarono a bordo della mia nave un adorabile ragazzino molto vivace insieme alla sua splendida sorellina, la cosa più preziosa a cui Untitled mi ha portato!” conclude trattenendo i suoi occhi, prima guizzanti ovunque nella stanza unicamente su di me.

Allora è così! Anche per Jack fu il caso a condurlo alla mappa… Mi è sembrato abbastanza sincero, dev’esserci una buona percentuale di verità nel suo resoconto.

Ma non l’avrete vinta Capitano, non stanotte.

Avvicino il viso a lui così da fargli udire meglio la mia risposta, ma il Comandante intende tutt’altro, infatti sfoggia già un sorrisino tra il compiaciuto e malizioso da me conosciuto fin troppo bene.

IO: “Ci sono uomini che ti danno l'illusione di essere il diamante splendente più prezioso al mondo... Altri invece che ti fanno sentire un tesoro ogni giorno. Spero di non rientrare nella prima categoria, Jack!” auguro mesta, prima di spalancare la porta alle mie spalle con un colpo secco cogliendo di sorpresa il Capitano, impedendogli di ribattere, ma lasciandolo semplicemente lì, ad un passo dalla porta con la fronte aggrottata ed una domanda senza risposta, fluttuante nel profondo del suo enigmatico sguardo. 

 

 

Nota delle Autrici: (30 Dicembre 2008)

“E Unty tornò da antri infernali, che recherebbero incubi immondi a voi ingenui mortali” 

Ma che è?? XD Perdonate questa pillola di follia… ^^’ Era nostra intenzione solo chiedervi scusa per tutto questo tempo in cui questa FF non è stata aggiornata -.- Ce ne sono fin troppi di motivi e non vogliamo annoiarvi oltre… Chiediamo solo umilmente scusa a tutti!

La parte che segue è una grande svolta per Unty, un cambio di rotta (change rout è il titolo appunto XD), inizia con il racconto narrato da Scilla della “biografia” di un personaggio insieme al suo grande amore che molte volte, qualcuno di voi ci hanno chiesto chi sia… Dalle prime righe capirete =D Ci è voluto del tempo per metterla insieme perché si attiene a persone reali, avevo bisogno di qualche consulto =P Quella che segue è la prima parte, nel prossimo capitolo, il numero 10, si conclude J In Unty si chiamano Celia e Leonard ma nella realtà, per me, sono semplicemente la terza coppia più bella del mondo =)

  Eccovi accontentati! ^^

 

 

Change rout.

 

Poco prima d’interrompere bruscamente la discussione in atto tra me e Jack, nella stanza accanto, lasciata come alla nostra venuta, presiede Scilla: il suo corpo è ridotta ad una figura misteriosa che l’ampia mantella grigia rende indefinita. Non appare più elevata in posa austera, piuttosto del tutto abbandonata sulla seggiola, adunata in se stessa. La schiena è ricurva, le dita tremule, candide come le sue gote, si contorcono e tormentano allo stesso modo del mento, levigato e tremante.

Dapprima di far ingresso in questa stanza sapeva bene cosa dire, per anni ha declamato a memoria quelle parole conservando la certezza di riportarle con fermezza, ma da quando i suoi occhi han scorto dal vero i 2 innamorati che da innumerevoli notti popolano i suoi sogni, si è risvegliato in lei un sentimento provato un tempo per un uomo, ora perduto per sempre, il quale ha amato più di ogni altra cosa al mondo ed ora ritrovato inconsciamente in quella leggenda nella sua stessa mente del Capitan Jack Sparrow.

Avrebbe voluto agire con freddezza, l’unica cosa che ormai popola il suo petto vuoto, ma dallo sbarco a West Caicos, in quello sperduto oblio, qualcosa, una sottile speranza, l’ha bruscamente scossa riattivandole il cuore.

Sospira sconsolata lasciando cadere in avanti la nuca, pesante per la colpa e i troppi pensieri.

Dalla finestra posta in fronte la donna incappucciata una brezza frizzantina fa il suo leggiadro ingresso, le ante rifinite in ferro battuto cedono al moto potente del vento e si spalancano senza un cigolio, permettendo alla notte cerulea, scandita solo da luna e astri, di far capolino.

Lo zefiro giunge fino ai calzari di Scilla destandola dal suo reo assopimento. Istintivamente solleva lo sguardo, imbattendosi su di un’ombra proiettata lungo davanzale del finestrone. A quella visione le labbra della straniera si allargano in riso, ma un lungo susseguirsi di singulti smorzati lo cancella come se non fosse mai esistito.

Scilla volge in piedi ed accorre in tutta fretta all’antro spalancato, dove quello scuro prolungamento di tenebra prende le fattezze di una nobile dama, il cui esile corpo è avvolto da uno spesso kimono di seta blu oltremare, lungo sino alle caviglie, lasciando intravedere i piedi insolitamente nudi e le ginocchia rannicchiate al petto, traente a se nelle lunghe mani affusolate una trapunta di lana rifinita con un motivo vivace color pastello.

Una bionda chioma fluente le incornicia il viso piangente, ricadendo scompostamente lungo le spalle per tutta la schiena, seguendo la forma ondulata delle onde.

I suoi occhi color miele hanno smarrito l’ardito splendore di un tempo e, svuotati da ogni emozione, si rivolgono vacui verso il mare, intenti a scrutare ogni flutto, come in cerca di qualcosa perduto.

SCILLA: “Celia!! –sbotta stupita sollevando lievemente il cappuccio, perché le sue iridi incolore vedano meglio da sotto la maschera in pizzo nero che le ricopre-  Ti avevo vista circolare in carrozza quando eravamo a terra, Jenny è quasi finita sotto le tue ruote, ma com’è successo??”

Non riceve alcun cenno significativo di risposta.

“…Ma, soprattutto, cosa fai qui? –domanda ansiosa- Se Calypso ti trovasse…” pronuncia impensierita, deglutendo a fatica al solo pensiero.

La bocca della nobildonna si tende in un malinconico sorriso, innalza maestosamente un braccio fasciato da ampie maniche verso il viso, asciugandosi una lacrima con la punta del dito ed infine offre quella stilla salina al mare, dove viene inghiottita dalle notturne correnti ponentine.

CELIA: “Se quella perniciosa ninfa dal cuore di granchio si fosse realmente accorta della mia presenza qui, avrebbe già scatenato la sua solenne ira su questa nave –ribadisce per nulla angosciata- Così non ha fatto, dunque acquietati cara!” conclude tersa celando la commozione.

SCILLA: “E’ imprudente per te rimanere, lo sai meglio di me…!” riscontra sempre più angustiata.

CELIA in un flebile sussurro: “Era mia intenzione donare una piccola parte di me all’Incubo dei miei sogni… ” confessa esitante ritirando la mano che scompare all'interno della manica spaziosa per stringere maggiormente il coltre.

“…Diceva di avere sempre freddo, anche quando la linea dell’orizzonte si colorava della vivace tonalità estiva; venuta la sera, rabbrividiva al minimo spiffero –continua in cadenza stanca- Ti ho seguita con l’intenzione di rendergli la sua amata coperta –condiscende facendo mostra della calda tolda rannicchiata nel suo ventre vacuo- Ma non riesco proprio a separarmene…” definisce mordendosi il labbro inferiore per reprimere un singhiozzo, attanagliando con astio la trapunta fra le dita gelide.

Una morsa fulminea coglie Scilla al petto, spezzandole il fiato, obbligandola a sottostargli reclinandosi in avanti per il dolore. Ciò avviene poiché la misteriosa giovine ha scelto di condividere a metà i tormenti della donna posta davanti a se, a patto di ricevere i propri poteri.

Quando lo spasmo diminuisce, torna a scrutare ansimando la gentildonna, la quale invece ha solamente contratto i bei lineamenti luminosi, rispecchianti la luce lunare, in sguardo d’orrore e profonda tristezza.

 

Sembra aver smesso d’invecchiare intorno ai 35 anni, non dimostra un solo giorno di più.

Alcun segno del tempo ha deturpato il suo grazioso viso dai tratti fini, ma se solo si fa caso al passo allentato e stanco, il riso sforzato, le perle di dolore di cui spesso si colmano i suoi grandi occhi vuoti, perennemente velati di rammarico, pur non sapendo nulla sul suo conto, tragedia e sgomento traspaiono brutalmente da ogni ansito.

Dinanzi a me Celia, la Dea dei Sogni. Generata dal dio del sonno Ipno, e Nyx*, la meravigliosa personificazione della notte terrestre. (* ßVedi nota a piè di pagina NdA)

Rinnegata fu dall’Olimpo, dai suoi stessi padri, poiché, innamorata della vita terrena, espresse il desiderio di portare aiuto agli uomini discendendo tra loro.

Tra mille ire la sua volontà venne accordata, ma non senza condizioni: scegliendo di compierla sino infondo mai più rivide la sua dimora divina, così come i suoi cari; poté prendere con se una sola cosa creata dagli Dei, e tra inimmaginabili dovizie scelse Immi, la sua fidata cavalla Haflingher, capace al contrario d’ogni altro essere vivente di leggere nella mente umana.

Divenuta parte degli mortali fu obbligata ad avere una identità terrena, ribattezzata per sua scelta l’unigenita figlia dei coniugi Wilson che di bambini non poterono averne, mantenendo ogni suo potere divino a patto di trascorrere una vita ordinaria.

Mai si pentì della sua curiosità, per millenni da lassù, affacciandosi al mondo, vide pace e guerre, fame ed abbondanza, dolore e passione, ma tra tutti questi custodì da sempre l’ardente desiderio di scoprire da se l’unico inspiegabile sentimento, presente seppur in minima parte in ognuno dei precedenti: l’amore.

I consorti Wilson donarono lei un’infanzia molto felice, mercenari di cotone si spostarono continuamente permettendole in pochi anni di attraversare il lungo e in largo il globo, fino al trasferimento definitivo nelle Americhe, in una villa regale nel tranquillo arcipelago caraibico di Caimanera, dove trovarono fortuna e ricchezza.

Qui la famiglia, entrata in contatto con la nobiltà del luogo, intraprese una vita sociale molto movimentata, degna della reggia di Re Sole, costruita su sfarzi, eccessi, feste da ballo, frivoli divertimenti, sale da the, ricevimenti, tutto incredibilmente pesante per l’appena quindicenne Celia che iniziò da subito a patirne insofferenze, fino a giungere ad una vera e propria ribellione a quel perbenismo di facciata, non accettando il doversi sentire continuamente giudicata o messa alla prova da una sfilza di superbi blasoni.

La sua “cattiva condotta” costrinse a dei seri provvedimenti, in poco tempo venne inserita in un collegio femminile prestigioso, ancora una volta lontana da casa e dalla sua famiglia terrena, l’unica che abbia mai realmente avuto.

Visse un periodo buio nel quale si sentì ripudiata e sola, ma a poco a poco trovò conforto in quelle notti eterne, in cui l’era concesso divagare fino all’alba sottoforma di scintillante corpo celeste, leggiadra come uno spiro di vento nella mente d’un vicino sognatore, facendo poi divenire il suo sogno non più solo una visione.

Seguì in parte anche il volere dei consorti Wilson, vale a dire quello di formarsi come una vera nobildonna rispettabile: prestò ascolto alle lezioni di danza, musica, ricamo ed etichetta, dimostrò di volere imparare e mettersi in gioco in tutto con ottimi risultati, ma al contrario delle sue compagne non lo fece per apparire splendida agli occhi dei ricchi giovin signori del luogo e prender presto marito, piuttosto allo scopo di migliorare se stessa, poiché anche le divinità sono esseri imperfetti e hanno sempre qualcosa da imparare, ma in particolar modo come rivincita verso i suoi genitori eterni che dubitarono sempre del suo definitivo adattamento alla vita terrestre.

Trascorsero 4 anni e quei scettici dovettero ricredersi, lei era ancora sommessa a quella prigione dorata, ma senza più alcun dispiacere: ogni giorno apprendeva qualcosa di nuovo e nei momenti di noia sapeva ben come ingannare Crono, Dio del tempo, balzando in sella ad Immi e fuggendo al galoppo attraverso il viale alberato, collegante il palazzo alla spiaggia, per giungere fugace in riva al mare, deliziandosi di quell’infinito orizzonte di colori.

E fu proprio qui, in un tiepido meriggio di metà Febbraio, che la sua tediosa vita prese una svolta, da cui anche valendosi della più ardita forza esistente, non è più possibile tornare indietro.

Il sole era spesso offuscato da ombre brune, ansiose di apportare al più presto i primi cicloni di stagione, la candida sabbia tempestata di conchiglie brillava dei suoi raggi, tuttavia non erano quei molluschi invertebrati a destare meraviglia, lo era piuttosto una fanciulla, in groppa ad una cavalla dal manto ruggine ed una folta criniera chiara, tagliata a cresta all’altezza delle orecchie, lanciata in lunghe falcate lungo il bagnasciuga, intente ad intraprendere una gara di velocità e destrezza con i cavalli bianchi di Nettuno* che si infrangevano irruenti lungo la costa.

La giovine non somigliava alle ragazze della sua età: indossava un ampio abito blu levantino al posto della triste divisa del suo collegio, punitiva per un fisico così aggraziato, la chioma dorata in balia del vento era sciolta e libera, alla pari della sua anima, da qualche ciocca spuntava un esile ramo di fieno e il suo viso luminoso appariva leggermente imbrattato dall’intera mattinata trascorsa a ripulire il fienile.

Il duello con gli impetuosi destrieri del Dio romano del mare si propese fino al termine della falesia, con una schiacciante vittoria del duetto gareggiante sulla terra ferma, ma durante il loro esultare non si accorsero dell’improvvisa ritirata dei loro avversari verso il mare aperto; fu un violento boato a destare il loro sguardo.

Il mare si acquietò di colpo, mentre il rimbombo dell’esplosione fece tremare tutta Faimouth (località marittima realmente esistente in cui si trovava il collegio femminile dove era “rinchiusa” la nostra Dea Sogno NdA), il cielo del crepuscolo divenne un denso fumo nero e le onde si dipinsero di rosso fuoco inscenando un angolo d’inferno.

Celia fece appena in tempo a scorgere un albero di Maestra, pochi istanti prima che venisse inghiottito completamente da quella gola nera.

I detriti del veliero esploso raggiunsero il fondale del mare, e della gloria di quella nave non rimase nulla, salvo cenere.

Le due spettatrici sulla spiaggia rimasero del tutto inermi, incapaci di reagire, pietrificate dal terrore che privò loro di ogni forza, ma non della determinazione d’accorrere in aiuto, seppure superfluo data la tragicità dell’accaduto appena verificatosi.

Mentre il rogo in mare andava attenuandosi la riva si empì di resti lacerati di mobilia, tronchi spezzati, ferraglia, brandelli di tela, sartiame ancora ardente, eppure tra quella miserabile desolazione, qualcosa, o meglio, qualcuno venne condotto a riva integro dai canuti corsieri: un uomo. Il suo corpo esanime giaceva bocconi, disteso sul torace, la gran parte delle membra sprofondate nella sabbia più labile conferivano lui l’aspetto d’un relitto setto di luce. Sembrava non respirasse più, le sue vesti strappate intrise di sangue testimoniavano una lotta violenta, forse con dei nemici intenti a prendere il comando della nave, forse tra se stesso e le onde nel disperato tentativo di rimanere in vita.

La fanciulla impiegò del tempo a distinguerlo tra quel cimitero di sventura, trascorse secondi infiniti augurandosi affranta non rinvenire nulla di respirante in quella devastazione, ma quando finalmente lo trovò fu appena in tempo per salvarlo. Il polso del naufrago era debole, le ferite gravi ed infettate. Celia dovette spazzare via la sabbia dalle sue narici, la fronte, le gote, dalle labbra, scoprendo a poco a poco il contorno spigoloso e marcato di un viso che non avrebbe mai dimenticato.

Egli riprese conoscenza per qualche istante, quanto bastò perché il cuore della Dea perdesse un battito: le parve che due frammenti di cielo fossero discesi sulla terra per incastonarsi all’interno di quei profondi occhi berilli*, richiusesi pesantemente un attimo dopo l’occhiata sfuggente.

Senza indugiare oltre, il superstite venne trasportato in gran segreto sul dorso di Immi, dal litorale per tutto il viale frondoso, fino alle stanze private della giovine, la quale si prese cura del malcapitato tutta la notte.

Nonostante lei fosse una divinità, in questa circostanza non aveva alcun potere, poteva solamente apportare il proprio aiuto nello stesso modo concesso ad un mortale: con medicamenti e fasciature.

Osservò per lungo tempo quella figura inanimata distesa sul suo letto, non aveva mai potuto guardare un uomo da così vicino: l’etichetta declama cosa scortese fissare le persone.

Seppure non fosse in grado di assegnargli un’età ben precisa, le vesti truffaldine e l’arida pelle annerita dal bacio del sole lasciavano intendere che fosse quasi certamente un pirata. Profumava di mare e polvere da sparo, le sue mani erano visibilmente lise dal raro utilizzo di materiali maneggevoli, e la folta capigliatura bruna pareva acconciata dal respiro del vento.

Dopo aver vegliato senza tregua su di lui ottenendo solo riscontro negativi, Celia iniziò a credere che i suoi avi avessero attuato una procedura esistente fin dal principio dei tempi nel celeste Olimpo, secondo cui quando avviene la morte prematura di un giovane è perché gli Dei, gelosi della sua beltà, lo prendono con se, ma ciò non era possibile poiché egli respirava ancora. 

La giovine allora, chinandosi sul volto del mortale, inumidendolo di lacrime amare, pregò che almeno in sogno egli desiderasse guarire, solo in tale maniera avrebbe potuto aiutarlo.

Quando ore seguenti il mattutino Apollo condusse il proprio carro divampante nel cielo, illuminando dei propri albori la camera da letto di Miss Wilson, un’altra Dea, fuggita invece dalla Terra a causa della cattiveria dell’umanità, provò pietà delle lacrime meste di quella creatura divina, così dal fondo del vaso di Pandora fuoriuscì la Dea Speme (speranza NdA) portando conforto in quel cuore malato d’affanno.

Il pianto di Celia non erano vere gocce saline di dolore come nei comuni mortali, dai suoi occhi dorati, discendeva poi sulle gote scarne del predone, polvere di stelle… Furono proprio quelle sottili briciole cosmiche a risvegliare il superstite.

La ragazza si addormentò poggiata alla sua fronte, con una mano sovra il suo petto per ascoltarne il battito; le lacrime proseguirono nel sonno, e a poco a poco scivolarono lungo il naso appuntito del pirata, facendogli riprendere lentamente i sensi, benché inizialmente fu incapace di muoversi, stordito dal dolore propago dal capo sino alle caviglie.

Il principio del giorno risvegliò anche la Dea dormiente, che non si accorse delle sue amorevoli cure andate a buon fine, ma s’allontanò dal naufrago insonnolita, dirigendosi meccanicamente nei pressi del caminetto con l’intento di riscaldare dell’acqua.

Alle sue spalle l’uomo si ridiede animo, e protese il collo intorpidito per osservare meglio il circondario. Trascorso qualche istante di smarrimento si soffermò definitivamente sulla figura di Celia, perscrutandola ammaliato.

“Quell’esplosione deve davvero avermi ucciso… Ero convinto mi aspettasse l’inferno oltre questa vita, e invece? Mi ritrovo in una stanza da sceicco, in compagnia di una donzella abbigliata solo d’una procace camicia da notte…” reputò sogghignante con voce impastata.

Celia ancora voltata sobbalzò al suono improvviso di quelle parole, e allo stesso tempo rabbrividì indignata dal loro significato. Era in grado di comprendere tutte le lingue del mondo, ma quella cadenza malpensante era inconfondibile in ognuna di esse.

“…E dal bruciore di questi tagli profondi direi di essere ancora tra i vivi…” attestò sollevato.

La giovine si limitò a preparare una bevanda calda per rinvigorirlo, senza replicare, gliel’offrì cordialmente e si accinse ad aprire la finestra per scambiare l’aria viziosa con quella tiepida del mattino.

L’assistito accettò la cortesia mostrandosi deluso, confidava che gli avrebbe subito ceduto, ma l’apparente contegno aristocratico di lei rendeva ancora tutto più stimolante.

LEONARD: “Profumate come un cavallo” la stuzzicò dunque, socchiudendo gli occhi alterato.

CELIA: “Uh, perdonate mio signore se prima di prestarvi soccorso non ho avuto il tempo d’immergermi in acqua di rose perché il mio odore vi recasse più sollievo!” lo beffeggiò inscenando un falsissimo inchino.

Il pirata ne rimase colpito e irritato, non aveva mai ricevuto una risposta simile, si trovava impreparato.

“Freddina la fanciulla…” apostrofò infine quando ella fu di ritorno dal davanzale, sorseggiando cautamente il liquido caldo.

In uno scatto fulmineo le mani della Dea afferrarono una benda del millantatore, che si strinse con forza intorno al suo braccio fino a farlo berciare per il dolore.

CELIA: “Io non sono freddaappurò condiscesa- sono cenere calda. Se soffi, si accende il fuoco!”

E Leonard Wallace se ne potè rendere meglio conto negli anni che vi seguirono.

La divinità dei sogni in quel vespro di Febbraio salvò la vita del Primo Ufficiale d’una ciurma truffaldina, operante illegalmente nelle coste del sud. Venne accolto nell’istituto in gran segreto, per qualche tempo, fintanto che non fu pienamente risanato.

Nonostante un primordiale approccio ambiguo tra la dea e il mortale, quello scambio di asserzioni divenne ben presto ciò che Celia aveva sempre ritenuto indefinibile, quale l’amore.

Tutt’oggi ella non sa ben spiegare come si sia innamorata di lui, fu proprio opera di una freccia sventata di Cupido, poiché quando portò in salvo quel relitto umano non tenne conto di quanto poi si sarebbe rivelato il più fatuo, malpensante, individualista ed accentratore degli uomini, ma ciò che l’eterna giovine ammette è come non lo amerebbe fin dopo la sua morte se egli non fosse stato così.

Allora un’altra donna credeva di possedere il cuore del vice comandante Wallace: Sarah, una meretrice di mal’affare a cui Leonard affermava di esser legato sentimentalmente, in verità solo per interesse, che la Dea conobbe incidentalmente e non per conto del vice comandante, il quale rimase sempre ben muto su questo.

Dopo aver ripreso le forze, la volontà del pirata fu quella di rimettersi subito sulle tracce della ciurma da cui era ormai considerato disperso, riprendendo il mare, non senza prima lasciarsi addietro un ricordo poco piacevole: la notte prima della loro partenza definitiva, il collegio femminile di Faimouth ricevette una visita inattesa.

 

Celia si trovava affacciata al balcone della propria stanza come ad ogni vespro, fissava con aria enormemente triste un satellite pallido appena sorto in cielo che riportava la sua mente alla madre nume, (=divina NdA) quando scorse delle ombre oscillanti divagarsi tacite nel cortile del casato.

Scattò in piedi allarmata, ma non ebbe il tempo neppure di avvertire la sua benamata vicina di stanza Alexia, perché dei pesanti colpi alla porta, sfondarono il portone principale dell’edificio un attimo dopo.

Miss Wilson si smaterializzò dalla propria stanza per giungere di soppiatto in quella accanto, dove l’amica frastornata era appena stata ridestata dal sonno a causa di quel fracasso inscenato ai piani inferiori.

CELIA: “Sei sveglia, grazie al cielo!!” berciò quasi sollevata andandole incontro.

ALEXIA: “…Cosa sta succedendo, come sei entrata qui? Credo di non averti sentita…” barbugliò assonnata, sostenendo con una mano la testa pesante gremita di bigodini.

CELIA sorvolò le parole della compagna afferrandola per le spalle, così da avere la sua completa attenzione: “Alexia, devi ascoltarmi attentamente: ci sono degli uomini con cattivi propositi al piano di sotto, li ho visti dal balcone, sono riusciti a fare irruzione qui, mi son sembrati molto pericolosi, devi aiutarmi! Raduna subito tutte le ragazze di questo piano e conducile nella palestrina della pallacorda* qui fuori, lì non potranno entrare, sarete al sicuro, fai presto!!” l’incitò in tono elettrico.

Nel frattempo dalla soglia dell’atrio faceva il suo trionfale ingresso il vice comandante Wallace, seguito da un assetto di filibustieri infervorati, pronti a distruggere, razziare, depredare e saccheggiare ogni cosa trovassero sul loro cammino.

Il lupo faceva strage sul branco di pecore e morse la stessa mano che fino a poche ore prima si era preso amorevolmente cura di lui, anziché lasciarlo morire lentamente su di una spiaggia in balia di atroci sofferenze.

Non che il gesto di Celia per lui contasse nulla, ma ne valeva della sua reputazione di primo ufficiale, doveva riaffermarsi dopo la sua presunta scomparsa verso i propri sommessi.

Ormai conosceva bene la disposizione dell’edificio e, dato che la sua permanenza rimase sempre celata, era al corrente di ogni scorciatoia recondita per non essere visto.

Attraversarono La piana degli specchi, come veniva definito un ampio salone dove si tenevano lezioni di postura e ballo per le allieve; la sua struttura in legno, vetro e superfici riflettenti la faceva apparire una serra, come scherzava il direttore del collegio, ora invaso da una bercia di predoni digrignanti, ansiosi di affondare le mani in qualcosa di luccicante e magari nelle carni di qualche fanciulla.

Stavano per giungere alla scalinata posta all’estremo opposto della stanza, collegante il salone ai piani superiori, quando Leonard, in testa alla bordata, li fece improvvisamente arretrare.

LEONARD: “UOMINI… alt!!” ordinò sollevando un palmo.

La sua ciurma sussultò bloccandosi di colpo, molti di loro allarmati misero mano alle armi, esaminando ogni angolo alla ricerca di un pericolo.

“…mi sta bene il ciuffo sistemato così, non è troppo gonfio?!” domandò impensierito avvicinandosi ad un ampio specchio e tormentandosi la chioma scura cascante sulla fronte.

Alle sue spalle si sollevò un coro di sospiri sollevati e versi disillusi.

“…Signore, pensavamo di essere qui per un assalto notturno, non per dei sciocchi consigli di bellezza!!” lo rimproverò il suo braccio destro, più coraggioso degli altri nel contraddire il loro superiore.

“Già! Dov’è l’oro che ci avete promesso??” incalzò un altro compare affiancando il Primo ufficiale, interessato unicamente a districare la criniera con le dita.

“E le belle fanciullette indifese, eh signore?! – fece eco un terzo passandosi avidamente la lingua sulle labbra, affamato di bramosia- Dove, dove!!” mugolò quasi non contendo più l’euforia.

LEONARD: “Sono da quella parte…” rivelò distrattamente indicando le scale.

Con un latro dal fragore animalesco, la ciurma sollevò armi e milizie verso il cielo, esultando vittoriosi come avessero già asservito il loro scopo, e nel giro di un secondo si accalcarono infatuati verso i gradini, lasciando solo nel salone il comandante.

La Dea dei sogni si lanciò fuori dalla stanza di Alexia in una disperata corsa contro il tempo, oltrepassò volando le scale e si ritrovò in un lungo corridoio serrato da porte, conducenti direttamente ai piani in cui stava infuriando quella feccia incontrollata di bucanieri, abitati dalla servitù.

Sperando con tutto il cuore che il personale di servizio si fosse già messo in allarme, accostò le mani ad ogni entrata e con il calore del suo corpo, incandescente alla pari di una stella, saldò al muro ogni porta in modo da renderla impenetrabile per chiunque volesse oltrepassarla.

Mentre si occupava degli ultimi ingressi, avvertì un passo trottante discendere le scale e una voce familiare la fece trasalire: “Miss Wilson! Cosa fate qui??” fu sorpresa dal guardiano del collegio, armato d’accetta e provvisto di lume, il quale si arrecava a sua volta ai piani inferiori nell’intento di prendere in mano la situazione.

Fortunatamente l’uomo non vide in azione i poteri della fanciulla, pensò unicamente che Celia fosse accostata alla porta per origliare al di fuori.

CELIA: “Signor Heburne! I-io… io… Ecco, io ho sentito dei rumori insoliti e mi sono precipitata a vedere…” improvvisò, balbettante dalla tensione.

HEBURNE: “Sta accadendo il putiferio quaggiù, non ti dirò nulla per allarmarti inutilmente, ma faresti bene ad uscire di qui. Rifugiati nel parco, almeno fino a quando le forze della Marina Britannica non saranno pervenute a recarci aiuto. Corri, VAI!” esortò conducendola con forza verso la rampa di scale da dove era venuta.

Mancavano solo tre porte per terminare la trovata di Celia, ma con l’intervento inaspettato del Signor Heburne la pensata non venne conclusa, alla ragazza non rimase altro che seguire l’ordine dell’uomo, e mentre inquieta tornava sui suoi passi, proprio da quei usci fecero irruzione i dirottatori.

Il guardiano Heburne padroneggiò su un paio di loro, ma poi venne assalito da un numero maggiore che ebbero la meglio. Celia non corse via impaurita, un animo prode e coraggioso viveva dentro di lei, fu Atena ad insegnarle a combattere, solo finora non ebbe mai l’occasione di mostrarlo. Afferrò una trave rivestiva della parete, in parte già distaccata, e corse nella direzione inversa a quella in cui si trovava, per soccorrere il guardiano.

Oscillò l’arma improvvisata verso di loro, non intendeva fargli del male, ma in casi estremi si sarebbe trovata costretta ad usarla.

La maggioranza degli invasori sciamò incurante verso i piani superiori, qualcuno invece si accorse della sua presenza e rimase sul pianerottolo scrutandola infervorato.

…“Salute, bamboletta! Cosa fate sveglia a quest’ora della notte? Uh, vi abbiamo svegliato? Come ci dispiace…” ammise un baldanzoso, inneggiato dalle risatine dei compari.

CELIA: “Fareste meglio a lasciare subito questo posto signori, senza altri ripensamenti…” intimò stringendo più forte la sbarra di legno.

“Noi non andiamo da nessuna parte senza le tasche piene di ninnoli luccicanti, tesorucciopredispose indignato dalla resistenza della fanciulla perciò, se ci dici subito dove possiamo trovarne, potremmo decidere di risparmiarti un po’ di dolore…” patteggiò il pirata.

La Dea si accorse delle occhiate che l’uomo lanciava alle sue spalle, ma non percepiva nulla dietro di se, perciò continuò a preoccuparsi solo di chi aveva davanti, fin quando due sudice braccia l’afferrarono per il collo nell’intento di disarmarla.

Si trattava di Gracco, detto Passo Sordo, per la silenziosità impercettibile dei suoi calzari, creati da lui stesso per cogliere l’avversario di soppiatto come fece con Celia, la quale però celava un’arma più strinante di un passo tacito: il suo stesso corpo.

Infatti come Gracco la toccò, berciò ustionato lasciandola subito andare “Bruciaaaa…ahi ahi…scotta scotta scottaaaa!!!”

Gli altri uomini rimasero attoniti, sgomenti dalle urla inspiegabili di Passo Sordo, arretrarono come vigliacchi dinanzi all’inconsueta minaccia.

La feccia del Comandante Wallace doveva aver soffiato sulla cenere e riacceso il fuoco.

Celia approfittò prontamente della distrazione per fuggire al di sopra. Giunta al primo dormitorio femminile, dove risedeva lei stessa, s’imbatté in altri profittatori che fu costretta ad affrontare con la propria “arma” lignea. Colpì sul collo il primo, nello stomaco il secondo, il terzo indossava degli abiti molto larghi, per niente della sua misura, sgraffignati probabilmente, bastò mirare ad un punto in cui la stoffa eccedeva e, già intontito da altre percosse, renderlo innocuo appendendolo alla parete tramite la trave, utilizzata a mo’ di chiodo.

In quanto Dea poteva esprimere qualsiasi desiderio, sia d’un mortale che proprio, tranne far innamorare due persone [compito  di competenza a suo zio: il Dio Eros], resuscitare chi è già morto o, come in questo caso, uccidere qualcuno.

Corse lungo il corridoio, approfittando della confusione per non essere vista, così d’assicurarsi che le stanze fossero tutte vuote e le sue compagne in salvo, nel locale in cui aveva ordinato ad Alexia di adunarle.

Ogni camera a cui passava accanto pullulava di predoni intenti a ribaltarla da cima a fondo, riempiendo tasche e forzieri di qualunque utensile d’oro trovassero.

Per il momento non poteva soffermarsi ad impedirlo, doveva prima assicurarsi che le sue compagne fossero tutte al sicuro.

Raggiunta la fine del corridoio avvertì delle voci conosciute, una fitta di panico la pervase, dovevano sbrigarsi, non erano ancora fuggite tutte?

Poi riconobbe la sagoma di Alexia sul balcone, intenta a condurre le altre al piano superiore tramite una scaletta d’emergenza e conducente al tetto, ma perché lo stava facendo? Non era quella la direziona per la palestra!

ALEXIA: “Ho dovuto indirizzarle al secondo piano- si giustificò poi- quando hai lasciato la mia stanza sentivo già qualcuno in avvicinamento, così ho riferito a tutte di abbandonare le camere per fare una burla alla governante che sta tenendo una perlustrazione di controllo notturna, era l’unico modo per organizzare la fuga in modo ordinato, senza farle prendere dal panico”

CELIA: “Hai fatto benissimo, ottimo lavoro!” la rassicurò abbracciandola, Alexia era l’unica di cui si poteva fidare, seppur non fosse al corrente della sua identità celeste.

ALEXIA: “Di sopra ci attente Andrew, lui sa già tutto, gli ho chiesto di aiutarci”

Costui era lo stalliere del collegio, per precauzione, unica presenza maschile dell’istituto dopo il guardiano e il direttore. L’occupazione preferita del giovine, all’incirca della stessa età delle alunne, era prendersi cura di Immi e farsi lusingare da Alexia, la quale aveva una vera e propria adulazione per lui.

CELIA: “Va tutto bene Andrew?” si assicurò una volta che l’ebbe raggiunto.

ANDREW: “Ma certo, non sono mai stato meglio, grazie per essertene affranta!” la confortò gaio, sfoggiando un largo sorriso che assottigliava fino a far sparire i suoi grandi occhi azzurri ed ammaliò Alexia.

CELIA: “Sciocchino, non intendevo questo, mi riferivo alle ragazze!!” lo contraddì agitata.

ANDREW: “Ah… Bhe, allora è tutto sottocontrollo, nessun problema. Le ho già esortate al silenzio per rimanere in tema al falso scherzo” annuì trionfale, mentre anche Celia e l’amica facevano ingresso nella stanza.

Lo stalliere diceva il vero, si procedeva quasi come previsto, ma non potevano immaginare che nemmeno lì sarebbero stati del tutto al sicuro.

Infatti pochi istanti dopo li raggiunse Gracco seguito a ruota da altri malfattori.

…“Andrew, ci vuoi spiegare per quale ignobile motivo siamo finite nella soffitta del collegio?!? Mi sto impolverando tutta la camicetta da notte!!” iniziò a lamentarsi qualcuna, dopo che trascorso del tempo e avvertito un chiasso dubbio sotto di loro, la fuga notturna improvvisa divenne sospetta.

ANDREW: “Abbiate fede ladies, qualunque cosa succeda…” rassicurò solenne allargando le braccia.

…“Dove credevi di scappare, bamboletta?!” tuonò il primo bandito affrontato da Celia, oltrepassando l’ingresso della stanza seguito dai suoi uomini, dopo aver riconosciuto nella fievole luce la sua vestaglia azzurra.

ANDREW: “…ci sono qui io ad… aiutAAAAaaaargh!!!” quel gran fifone alla vista dei pirati perse tutta la sua indole eroica, e senza terminare la frase, si lanciò impaurito tra il resto delle allieve, credendo ormai d’essere spacciato.

La giovine si voltò di colpo, colta di sorpresa, come avevano fatto a giungere fin qui?

Subito si fece avanti con molto coraggio, era principalmente lei quella di cui volevano vendicarsi.

I pirati stimolati dall’affronto proseguirono nell’avanzata quasi accerchiandola. Alle spalle della Dea s’innalzarono grida di terrore e la moltitudine di sue coetanee si compresse contro la parete, in un ultimo disperato tentativo di sfuggire a quei rabbiosi malfattori.

GRACCO: “Come la mettiamo ora, pasticcino? Siamo 10 contro una!” disse con un orrendo ringhio che aumentò l’orrore già predominante nelle altre fanciulle.

CELIA: “Questo lo dite voi!” ribatté spavalda, per nulla intimorita.

Ogni sillaba pronunciata a sproposito da quella ragazzina insolente faceva ribollire il sangue nel vecchio scaltro Passo Sordo, il quale in mancanza del vice capitano, pensò di prendere lui stesso comando per anzianità, e dare inizio ad un assalto privo di qualunque parsimonia verso quelle donzelle inermi.

Quando fu sul punto di parlare, una forza sconosciuta più potente di tutti loro protese a terra le torce di cui erano muniti i briganti, ma anziché prendere fuoco, dal pavimento si sprigionò un potente fascio di luce che illuminò la stanza come fosse colpita da un fulmine ed accecò gran parte dei banditi.

CELIA: “Alexia, Andrew! Adunate le ragazze e conducetele dove era previsto fin dall’inizio, mir’accomando proteggetevi gli occhi!!” berciò ad alta voce, approfittando della confusione per cogliere di sorpresa i predoni. Nessuno riuscì a spiegarsi cosa fosse successo, ma intanto la soffitta fu sgombera dalle alunne dell’istituto.

Eppure il più resistente dei malfattori superò quella barriera abbagliante e riuscì a raggiungere Celia.

GRACCO: “Ah, eccoti! Dove credevi di scappare razza d’insignificante put…” vociò arrivandole alle spalle, attanagliandola tra le sue grinfie per i lunghi capelli ondulati.

“FERMO” dal nulla una figura autoritaria sovrastò le rivoltanti imprecazioni di Passo Sordo, intervenendo appena in tempo perché alla ragazza non venne inflitto altro male.

Al suono di quella voce profonda, nel corpo mortale della Dea, il cuore smise di battere per un istante, lasciandole fuggire un lungo espiro meravigliato.

LEONARD: “Da qui ci pensa il sottoscritto, vecchio mio!” definì riacquistando la sua intonazione fiera.

GRACCO: “Ma, signore…” tentò di contestare.

LEONARD: “SEI FORSE DURO D’ORECCHIO?” berciò in maniera da non ammettere repliche.

GRACCO: “No, signore…” definì in tono sommesso.

LEONARD: “Allora, tutti voi, vedete di lasciare in pace le fanciulle, racimolare più oro che potete e andarcene al più presto da qui o le nostre teste saranno in palio sul patibolo al prossimo sorgere del sole!” stabilì commendatore.

Con una nota di amarezza la stanza si svuotò e vi rimasero solo Celia insieme all’incubo dei sogni suoi.

Il naufrago, ora in perfetta forma, era scomparso da ben due giorni dal collegio, senza lasciarsi addietro alcuna notizia di se. Neppure la Dea era riuscita a rintracciarlo, probabilmente il pirata aveva dormito solo qualche ora e l’aveva fatto di giorno, quando per la divinità è più complesso usare i propri poteri.

LEONARD: “Dovreste ringraziarmi –puntualizzò sornione- vi ho risparmiato dei guai seri cacciandoli via!” definì portandosi vicino a lei.

Celia ancora a terra, sconvolta, avrebbe voluto alzarsi e riversare su di lui tutta la rabbia che ora, smascherato l’artefice dell’assalto notturno, aveva in corpo, ma non trovò le forze; riuscì solo ad emettere dei flebili singhiozzi strozzati, mentre riponeva l’energie rimaste nelle braccia, su cui era atterrata cadendo a terra.

LEONARD: “Lasciate, vi aiuto io a rimettervi in piedi” si propose sfiorandole le spalle.

“NON TOCCARMI” lo allontanò sofferente, facendolo sussultare. In realtà non respingeva lui, ma se stessa, quello che sentiva dentro di sé, mai provato prima d’ora.

Ciò che Celia più amava della sua condizione terrena era proprio il poter provare emozioni, ma in nessuna occasione l’era capitato di fronteggiare simili sensazioni tutte insieme, perlopiù così contrastanti tra loro, e questo, come nella ordinaria natura umana, la spaventava.

Un volta sollevatasi dal pavimento polveroso, presa visione della figura dinanzi a se, uno soffio di sollievo invece le alleggerì il cuore, facendolo poi riprendere a battere alla velocità d’un trotto.

Spaurita dalla sua stessa reazione, portò tremante una mano al petto, pensando di poterlo rallentare. Il Primo Ufficiale la vide fissare un punto impreciso con sguardo smarrito, supponendo che stesse avendo un malore le domandò se si sentisse bene.

CELIA: “NO! No… Io sono… arrabbiata…”ammise infine attonita, lei stessa non sapeva ben definire quel sentore.

CELIA: “Sono…arrabbiata” ripeté esitante come a convincere se stessa. Si ritrovò persino a ridere di della nuova scoperta.

LEONARD: “Sul serio? Mai successo prima?!” domandò incredulo cercando di sviare al torto causatole.

CELIA: “No, a dire il vero” mormorò veridica accigliando il mortale. “Tu… hai arbitrato tutto questo… proprio tu! Come… come hai potuto, Leonard?” domandò attonita in un’impercettibile spiro frastagliato, senza riuscire a guardarlo in viso.

LEONARD: “Si è trattato solo di una piccola visita a sorpresa, non si è fatto male nessuno!” tentò invano di avvalorarsi in cadenza innocente.

CELIA: “Qui c’è tutto quel che mi resta di una famiglia, lo capisci? Quei depravati dei tuoi scagnozzi potevano causare… non voglio nemmeno immaginare cosa. La chiami sorpresa questa??” replicò scossa.

LEONARD: “Bu!” ironizzò mimando con le braccia le fattezze di un essere spaventoso.

CELIA: “Sei ignobile e…e infantile!” sentenziò livida d’ira con fine liberatorio.

LEONARD: “E voi una piccola aristocratica ingessata!” marcò di rimando rendendo buio il suo sguardo vitreo.

CELIA: “Perché? Perché mi sono sempre opposta al tuo stolto rituale di corteggiamento fatto di quesiti inopportuni? –dichiarò fingendosi divertita- “Mi date un bacio?” “no” “Posso baciarti?” “No” “Dammi un bacio” “NO!” sei del tutto insopportabile!! E la risposta è sempre NO! Non si conquista una donna in questo modo, se mi è permesso dissentire” definì austera.

LEONARD: “Pensate di non potervi innamorare di me, Miss Wilson?” chiese incantatore, vestendo il proprio tono di sfida in abiti ammaliatori.

CELIA cercando di far svanire l’incanto apportato dalla presenza del bucaniere così vicino a lei: “Ho agito in quel modo solo per difendermi” dichiarò ostinata, percependo il sentimento antecedente esploderle in petto.

LEONARD: “Eccellente! Vediamo se riuscite a difendervi anche da questa!” minacciò sfoderando la propria spada per mirarla al mento di lei.

La Dea si fece indietro colta di sprovvista, non avrebbe mai creduto che sarebbe giunto fino a questo punto, tuttavia non si sarebbe data subito per vinta. Con una rapida occhiata esaminò il circondario alla ricerca di qualunque cosa potesse venirle utile per difendersi, ma la vicinanza dell’avversario le impediva ogni mossa.

Il disonesto malfattore pensò dunque di agire senza darle la possibilità di ribattere: trafisse un punto più vicino alla dama mancandola volontariamente di poco; ella riuscì a chinarsi appena in tempo, sebbene il colpo sferrato le portò via una ciocca dorata. A terra recuperò un’asta dorata facente parte di una tenda accostata ad una finestra del sottotetto, strumento di difesa perfetto attraverso cui poté riscattarsi a dovere, infatti, sebbene fosse in svantaggio, riuscì a respingere il secondo affronto.

L’intento di Leonard era unicamente quello di metterla alla prova, gli affondi successivi furono poco energici e prevedibili, in realtà stava molto attento a non farle del male. Celia da parte sua fu discretamente in grado di difendersi, parava ogni colpo con più prontezza di volta in volta, ma il peso dell’asta sbilanciava il suo equilibrio in continuazione.

LEONARD: “Non la facevo così combattiva, Miss! –dovette ammettere- A cosa è dovuto questo vostro spirito guerriero?” domandò curioso.

CELIA dandogli filo da torcere nelle controffensive: Ad un Fato che per tutta la vita non mi ha mai sorriso, ed io di rimando gli sorrido di più!” ammise fiduciosa, senza lasciarsi distrarre.

LEONARD: “Ve l’ho mai detto che siete pazza?” constatò in disaccordo, facendo nuovamente tintinnare con una scintilla la propria spada contro l’asta dorata.

CELIA: “Come dici?!” sbottò offesa spingendolo via.

LEONARD: “Di certo non rientrate nel normale: nessuna donzella come voi combatte in questo modo e si esprime altrettanto” osservò intrigato.

CELIA: “Pensi questo di me?! Ed io di te cosa dovrei invece?!?” proclamò alterata, facendosi più agguerrita anche nel combattere.

LEONARD: “Bellissimo, tenebroso, bastardo, affascinante… Ma meriterei di rosolare nel fuoco infernale per l'eternità probabilmente!” ammise sarcastico.

Il duello si portò avanti con un costante botte e risposta, finché s’interruppe a mezz’aria, poco dopo, con l’intervento apportato dalla Marina. Lo scaltro pirata avvertì per primo la loro intromissione e abbandonò subito il proprio gladio per darsi alla fuga.

LEONARD: “Mi duole milady, ma non intendo trascorrere i miei anni più belli in una cella!” si congedò precipitandosi verso la finestra.

CELIA: “Aspetta! –disse per rattenerlo- Vorrei prima…”

“…Celia Wilson, siete qui?” la cadenza anglicana e il timbro basso del direttore Seward, in quel momento la convocò a gran voce dal corridoio.

LEONARD: “Meglio che mi sbrighi!” approvò balzando sul davanzale della finestra, pronto a calarsi giù fino al chiostro.

CELIA: “Solo un istante, non andartene! –pregò supplice, voleva prima mettere in chiaro le cose- torno immediatamente, se rimani non gli dirò che sei qui!” lo obbligò sbrigativa abbandonando la stanza.

Quelle parole risuonanti come una supplica, uno scongiuro lo erano davvero.

SEWARD: “Ah, bene! Siete qui Miss! Volevo solo rassicurarmi che stesse bene, è così vero?” esclamò l’ossuto proprietario dell’istituto quando lei gli venne incontro, prima di sorprenderla con Leonard. Le vesti perennemente scure dell’uomo, il cinereo pallore di morte sul suo viso e le dita eccessivamente lunghe, scarne come la sua muscolatura, facevano spesso temere a chi gli stesse accanto che in realtà fosse un morto camminante tra i vivi. La Dea tuttavia ne provava simpatia, se non fosse stato per le sue iridi scure anziché vermiglie le riportava alla mente Caronte*, un suo fratello divino.

CELIA: “Sì signore, neppure un graffio!” cercò di convincerlo lestamente.

“Splendido dunque! Le docenti vi attendono nel cortile per una adunanza di emergenza, devono verificare le presenze e in seguito i danni provocati da quei barbari” li definì con sprezzo, arricciando le labbra sottilissime da un unico estremo.

CELIA: “Certo signore, vengo subito! -lo rassicurò nella speranza che tornasse sui propri passi senza trattenersi oltre- In quanto a danni, il Signor Heburne sta bene? s’informò inquieta.

SEWARD: “Sufficientemente, ha riportato qualche ferita da taglio. Se non altro se l’è cavata!” dichiarò sollevato.

CELIA: “La ringrazio, Signore!” disse cortese sentendosi meglio.

SEWARD: “Oh, quasi dimenticavo, c’è nessun’altro qui con voi, Miss?” chiese innalzando un esile indice in movenza inquisitoria, la giovine temeva simili dubbi.

Cosa le conveniva fare a questo punto? Quel malfattore di Leonard poteva benissimo non aver mantenuto la parola, quando lei fosse tornata sarebbe già potuto fuggire abbastanza lontano da non diffondere alcun allarme in tempo.

Rintoccarono all’orologio sfiorante le tre, attimi infiniti, colmi di panico ed indecisione.

Una tempesta di sentimenti attaccò la Dea nello stesso istante, scuotendo e tormentando il suo animo fin nel profondo, allorché dalle sua bocca fuoriuscì un debole: “…Nessun’altro, signore”

Sebbene Leonard l’avesse pugnalata alle spalle quella stessa notte, non potè fare a meno di riporre nuovamente in lui le proprie speranze.

SEWARD: “Ottimo dunque! Siete attesa nel patio insieme alle vostre sodali” le ricordò con il suo singolare tono allegro, discrepante con l’apparenza torva della sua figura, vedendo la fanciulla leggermente assente alla conversazione.

Quando “Il becchino”, come lo soprannominavano le compagne di Celia scomparì dalla sua vista, la Dea si precipitò nella soffitta, con cuore colmo di angoscia; giunta sull’uscio non aveva il fiatone per la corsa, ma a causa della paura, tenaglia del suo respiro, di aver perso per sempre quell’uomo, tentando nuovamente a fidarsi di lui.

Trovò la stanza buia e deserta, solo il vento proveniente dalla finestra smuoveva un poco le tende spesse ed impolverate.

Celia percepì il mondo insieme all’intero Olimpo ricaderle addosso, le sue braccia si rilassarono e caddero abbandonate lungo i suoi fianchi, il fiato le tornò per un ultimo sospiro deluso e di rassegnazione, accompagnato da una lacrima solitaria lungo il viso.

Doveva aspettarselo, forse, mai fidarsi di un pirata!

A quest’ora poteva essere giunto di corsa ben oltre la boscaglia intorno al collegio, diretto alla propria nave dove lo attendeva una ciurma trionfante che l’avrebbe accolto come si dovrebbe ad un novello Cesare o un Dio.

Il Dio delle Tenebre come la fanciulla lo definiva.

CELIA: “Stupida sciocca” mormorò disattesa lenendo le lacrime con il carpo della mano.

…“Credevate forse che me ne fossi andato?” predispose una voce giunta dall’estremo più buio della stanza, così da impedire alla dama di essere scorto.

“LEONARD!!!” La Dea urlò quel nome più forte che poté dentro di se.

Voleva gridare, ridere, ballare, voleva piangere, ma

riuscì solamente a dire, cercando di mascherare la gioia mista allo stupore: “Sei rimasto…”

LEONARD: “Certo, mi avete minacciato!” replicò subente mostrandosi al chiarore.

CELIA: “Minacciato?! Per Giove, sei impossibile!” lo repulse scuotendo il capo. In un secondo era capace di mutare completamente qualsiasi umore.

LEONARD: “Tu lo sei!” l’accusò sentito alterando il suo perenne sorrisetto furbo in un broncio.

CELIA: “Freddina, ingessata, pazza, impossibile… Avete altro per cui ingiuriarmi?!”

LEONARD: “Giusto, dimenticavo che siete una suora! A volte mi chiedo se questo sia un collegio o un convento, avete 19 anni e non sapete neppure come sia fatto un uomo!” diffamò irruente.

CELIA: “Se ti sconvolge tanto, perché sei ancora qui??” domandò trattenendo a stento un’altra spira di rabbia.

LEONARD: “Me l’ha chiesto una suora freddina, ingessata, pazza e impossibile!” rivelò pacato.

A Celia non rimase altro che scoppiare in un fragore di risate, costretta a reprimere per non farsi sentire, anche il primo ufficiale abbozzò un riso.

LEONARD: “Cosa volevate dirmi?” chiese moderando il tumulto, fissandola negli occhi.

CELIA tornando seria: “Due giorni fa te ne siete andato senza un biglietto, un avvertimento, una sola parola… Sono stata in pensiero!” disse assoggettata, con animo provato.

LEONARD: “Come dite, ho capito bene? Vi siete preoccupata per me?? -appurò meravigliato- Quindi un po’ vi siete innamorata!” concluse appagato.

CELIA: “Non intendevo dire questo!!!” cercò di contraddire immediatamente, per rimediare a ciò che stava causando.

LEONARD: “Ah, no. Bensì cosa, dunque?” propose sfidante.

CELIA: “Bhe, ecco, io… Volevo giusto assentirvi che ritengo siate un uomo maturo, responsabile delle vostre decisioni, perciò, qualsiasi cosa ora decidiate, vi auguro ogni bene Signor Wallace, arrivederci!”dichiarò come un copione, stringendo la mano del predone in gesto di saluto, seppur al solo pensiero di quell’uomo dinanzi lei lontano miglia e miglia verso una meta lontana, avvertiva qualcosa morirle dentro.

LEONARD: “Cosa dite?!? Poco fa mi definivate ignobile ed infantile!!” si ribellò oltraggiato.

CELIA: “Devi aver frainteso!” negò imperscrutabile.

LEONARD: “Ho capito benissimo invece!! Mi state cacciando? Rimangiatevi subito ciò che avete detto!” intimò facendosi scuro di rabbia.

CELIA: “Ri…mangiarmelo?? Come si mangiano le parole?!?” osservò attonita nella propria ingenuità, non sapeva ben cosa fossero i modi di dire.

LEONARD: “Non in senso letterale! …Argh, fatelo e basta!!” insistette iroso.

CELIA: “Come, prego?!?”

LEONARD: “Ho detto FATELO” scandì mantenendo salda in viso la maschera arrabbiata.

CELIA: “Per chi mi avete preso, uno dei vostri leccapiedi? Giammai!” si rifiutò radicalmente incrociando le braccia sul petto.

LEONARD: “Siete voi la rozza adesso!!!” osservò lapidario.

CELIA: “Come ti permetti!” controbatté allibita.

LEONARD: “Mi permetto eccome, con una come voi si manda al diavolo la galanteria!” dichiarò accondisceso.

CELIA: “Galanteria?? Tu non hai nemmeno idea di cosa sia!”

In breve si ritrovarono a litigare già come marito e moglie, dalle armi vere passarono a quelle verbali.

CELIA: “Sacri lumi, siete un cafone stolto e maleducato! E, sì, penso proprio che siate altresì ignobile e infantile, come tu stesso dici. Mai conosciuto altro screanzato e prepotente come te…”

Leonard arrivò persino a non ascoltare più le parole della fanciulla, ma sovrastò la voce della giovane con una cantilena simile a “blablablablaBluuuBleeee…non vi sentoooo…eh?…Come diteeee???”

Nemmeno questo funzionò, i rimproveri e gli insulti di Celia proseguirono, cos’altro fare?

CELIA: “E non è finita! Ancora mi domando per quale diamine di motivo mi sia saltato in mente d’andare in avanscoperta quel giorno sulla spiaggia, al fine di cercare qualc-…” le parole della Dea questa volta si infransero sul nascere, vennero spezzate improvvisamente quando le labbra salmastre del pirata si accostarono delicatamente alle sue.

Il suo primo bacio. Non ne aveva mai ricevuti ne da umano ne da immortale, e lui lo sapeva, era questo il torto: Leonard lo sapeva, l’aveva costretta ad ammetterlo un tempo.

La giovine per un attimo percepì il proprio corpo tremare, abbandonarla per ascendere di nuovo verso l’Olimpo, non più come Dea, sommesso completamente a quel gesto piccolo, ma così immenso, prima di essere avvolta dal calore dalle braccia dell’uomo.

Quando lui si scostò, l’incanto venne un poco infranto dal tono querulo di CELIA: “…Perché?”domandò ad occhi bassi, discutendo la natura dell’ atto.

LEONARD trionfale: “Perché l’avete sempre voluto, anche se non me l’avete mai chiesto…” ammise ridente.

Nel seguente caso, però, lei era consapevole che si trattasse di un’azione discrepante all’amore, compiuta solo per farla tacere senza usare alcuna violenza.

Così, quell’ istante infinito, venne infranto dalla volontà di ferro della stessa Dea, che rispose al bacio sferrando un calcio al “cavallo” del pirata.

Leonard si scostò piegandosi in due, crollò a terra in una morsa di risate miste a gemiti sommessi.

LEONARD a denti stretti per tenere a freno il dolore: “Ci sono donne che ucciderebbero per avere un mio bacio, Miss!” si vantò dirigendosi dolorante verso la finestra.

CELIA: “Allora affrettati! Lanciati dalla finestra, rompiti il collo e corri da loro! Razza di mascalzone…” borbottò sconvolta, non sapendo più se gioire, infuriarsi o divenire triste per la sua immediata partenza.

LEONARD: “E’ stato il più bel dispiacere della mia vita conoscervi, Celia Wilson!” ammise già in piedi sul davanzale della finestra, chiamandola per la prima volta per nome. Non l’aveva ancora ringraziata per averlo salvato, ma forse ora lo stava facendo a proprio modo.

Un intricato nodo si formò nella gola della divinità dei Sogni, impedendole persino di respirare, figuriamoci riferire qualunque replica.

Riusciva solo a rabbrividire, stringendo sempre di più i pugni serrati, la paura non la rendeva libera di estendere i suoi veri sentimenti, in quel momento odiava essersi incarnata in forma mortale.

LEONARD: “Mi amerete ancora domani mattina?” domandò infine ridacchiante, ironicamente speranzoso, dando inizio alla propria discesa dei gradini, lasciando però la giovine senza fiato.

Celia boccheggiò qualche istante, dopo quella istanza non riuscì più a dire nulla. Capitava spesso che il primo ufficiale le ponesse quesiti simili, ma mai così espliciti e soprattutto a cui ella, in altre vesti, avrebbe risposto “sì” senza nemmeno rifletterci.

Era finita, da qui si prendeva la via per il Nonritorno.

La Dea Sogno lottava contro Celia Wilson, i caratteri ostinati, caparbi e valorosi di entrambe si scontrarono in una tregua che non ci fu mai, nemmeno quando la figura di Leonard Wallace scomparve nella notte lasciandola sola, in quella soffitta tetra, tra vecchie poltrone abbandonate, con il cuore in subbuglio, il fiato smarrito, gli occhi persi e l’anima completamente vuota.

 

 

 

__Note__

 

Ipno e Nyx: Per esser ben precise ci siamo ispirate alla mitologia greca secondo cui il Dio dei Sogni è Morfeo (almeno per Ovidio), noi invece ci riferiamo proprio ad una Dea di nostra creazione. Ipno e Nyx erano 2 divinità esistenti (secondo il mito madre e figlio ^^’) invece di recente abbiamo scoperto che proprio da loro è stato generato Morfeo, noi avevamo adottato i nomi di queste divinità da sempre già per Celia, senza saperlo ci abbiamo azzeccato! :0 in ogni caso tutto questo è per segnalare che ci atteniamo molto poco alle reali circostanze.

 

Nettuno: è un Dio romano, ma perdonateci, ci serviva la metafora ^^’

 

Berilli: Il Berillo è un minerale verde da cui si ricavano gli smeraldi. Perciò gli occhi sono di questo colore ; )

 

Pallacorda: sport antenato del tennis. Ci siamo ispirate ad un evento storico facente parte della rivoluzione francese: l’occupazione della Sala della pallacorda da parte del Terzo stato, una delle cause della rivoluzione datata circa 100 anni dopo all’epoca in cui è ambientata Unty, ma abbiamo ritrovato delle fonti dove si attribuisce questo sport al 1571 per cui non vi è alcuno sgarro ^^ Le donne aristocratiche hanno iniziato nel 1800 a professare delle vere attività sportive, ma il nostro pensiero è stato che potessero farlo anche nei secoli precedenti non pubblicamente.

 

Caronte: Traghettatore del fiume nell’oltretomba generato da Erebo e Nyx.

 

 

 

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Capitolo 10
*** I don’t wanna miss a thing ***


chap Attenzione!!! Il capitolo si compone di tre parti differenti.
Per ora verrà pubblicata solo la prima, per dare la possibilità ad Unty di riemergere un po’ dagli abissi, dato che secondo il sito l’ultimo aggiornamento risale ad una vita fa, anche se spero sappiate non è proprio così.
Le altre due parti sono già in lavorazione, ma vanno riviste, si spera nonostante tutto di pubblicarle presto, in ogni caso vi sarà segnalato nell’introduzione della storia.
Nel primo capoverso il narratore è sempre Scilla come negli scorsi capitoli, mentre per poi tornerà ad esserlo Jennyfer come in tutto il resto della FF.
Piccolissssimo anticipo: Nella terza ed ultima parte del capitolo verrà ripreso il punto da dove si è interrotto il prologo di Unty2.

Ringraziamenti:

A Sogno&Leo, i miei “musi” lol, grazie di esistere per davvero! =P

Grazie a giu91, in bocca al kraken per la matura, come me  T_T buuuu,
ci azzecchi sempre eh =)
Ho pensato che da parte di Leonard ci fosse oltre all’orgoglio anche un po’ di timore, come ne ha chiunque per ciò che non conosce.

Grazie anche a Rebecca Lupin per il tuo sostegno commuovente =’) davvero! Questo piccolo “ritaglio” ci è sembrato giusto metterlo per chiarire da dove provenisse Celia, personaggio già presente nel primissimo capitolo di Untitled, forse è stato un po’ pesante, me ne sono resa conto solo dopo, ma in seguito chiarirà moooolte cose, spero sia servito comunque ad emozionarvi almeno un po’, quei due sbaciukioni tornano proprio in questo capitolo! =)

Buona lettura!

Capitolo 10
I don’t wanna miss a thing

I don't wanna close my eyes
I don't wanna fall asleep
'Cause I'd miss you baby
And I don't wanna miss a thing

“Le coperte non scaldano i cuori infranti, Sogno, e non riportano indietro dalla morte nessuno -suggerisce la donna incappucciata nelle vicinanze della finestra- Però possono mantener vivo ciò che rimane dei tuoi ricordi, ed è per questo che non devi privartene mai!” conclude sovrastando le piccole mani irte e gelide di quella creatura, all’apparenza tanto fragile, la quale però dentro di sé nutre tanto impeto da tenerla in vita con la sola speranza, un giorno, di riabbracciare il suo amato raggio di tenebra.
L’espressione mesta della Dea prende ad ammorbidirsi leggermente, per spaziare in un piccolo sorriso orgoglioso: “Senti, senti! Ti ho fatta diventare più saggia di me!- le riconosce sorniona- D’accordo, è tempo che io tolga il disturbo!” sussurra lanciando un’occhiata alla porta dell’altra stanza, da dove Jennyfer e Jack stanno per rientrare.
“Aspetta! -l’arresta Scilla esprimendo rammarico- Celia... Io non so proprio che fare, lo so che mi hai mandato qui per questo, ma come posso dir loro una cosa simile...?! Non ne ho cuore...” si appella al suo appoggio.
“...Se io fossi a conoscenza di tali informazioni nei tuoi confronti, non vorresti che te le dicessi il prima possibile?”
I movimenti meccanici della maniglia al di là della porta secondaria fanno sobbalzare entrambe, lasciando l’affermazione di Sogno sospesa nell’aria.

...Rientro in cabina sola, colpevole, seguita da un frastornato Capitano pochi passi addietro, si trascina nella stessa direzione con il suo passo instabile.
Per tutto il tragitto mantengo lo sguardo basso, tento di non farmi sopraffare dal nervosismo, e prima di raggiungere il tavolo mi metto in cerca delle parole adatte per scusarmi dell’accaduto verso la sconosciuta, ancora accomodata compostamente come prima l’abbiamo lasciata, solo con un’espressione più triste.
“Scilla, io… Sono spiacente per poco fa, devo esserti parsa una vera maleducata” m’incolpo consapevole, serrando le mani intorno allo schienale di una sedia vicina, ed assumendo un tono efficacemente contrito.
Lei reitera con un lezio allegro lasciandomi dubbia, non afferro se lo rivolge a me o all’avanzata scomposta e dondolante del Capitano, mentre lo vedo far ritorno verso di noi.
Improvvisamente l’estranea scatta in piedi, cogliendo entrambi di sorpresa: stringe gelosamente al petto un frammento cartaceo, il bigliettino di prima suppongo. Compie ponderata qualche passo, o dovrei dire volteggio, dalle sue movenze leggere pare volare! Sembra non sfiorare terra coi piedi, l’orlo della sua veste rasenta soltanto il pavimento, quasi fosse un velo, fino ad atterrare al fianco del Capitano che la fissa accigliato, sistemato in una delle sue pose consuete: le spalle incurvate all’indietro, il bacino infuori, i polsi poggiati sull’impugnatura di spada e pistola.
L’aria fredda pervenuta dalla finestra si riempie della fragranza mielata che quella donna trascina con se, una sorta di sapore sdolcinato e zuccherino, riporta alla mia memoria un aroma conosciuto, forse un fiore…
Nel mentre dei miei pensieri osservo sdegnata l’intera scena, sono stata io a parlare, perché a questa specie di fantasma interessa solo Jack?!
Sto quasi per dimenticare i miei buoni propositi ed impormi di nuovo astiosa, quando la sua sottile voce scostante riprende il discorso prima interrotto: “Questo è solo un abbozzo stringato di Untitled –accenna rivelando timidamente un pezzo di carta stropicciato, con sovra disegnate delle sottili linee di china blu- i 4 simboli della sorte a mappa integra sono posizionati in questo modo” esplica indicando i quattro angoli del disegno.

mappa Unty
 “Jennyfer e Dylan strapparono il manoscritto a metà in diagonale, il loro frammento comprendeva l’angolo della catena, il sole e un piccolissimo ritaglio del teschio. Il Capitano Sparrow possedeva la porzione del veliero a vele spiegate, io e Nick, invece, l’intero teschio con le ossa incrociate.” prosegue distinguendo ogni simbolo.
“Hai detto di conoscere il significato di questi... scarabocchi -li dirime agitando in aria le mani- Puoi rendercene parte?” richiede il Capitano incuriosito.
Scilla impiega qualche secondo a dare il suo consenso, sorpresa dal tentennamento della donna, all’apparenza cotanto risoluta, mi sporgo per scorgerne meglio il movente: il viso del Capitano l’è talmente prossimo che, se non fosse per lo spesso cappuccio della donna, i baffetti arricciati all’insù del Capitano potrebbero solleticarle il viso, e lei tenta invano di attutire l’imbarazzo.
Questo avviene poiché d’insolita abitudine Jack tende ad avvicinarsi molto al suo interlocutore quando discute saviamente, chiunque egli sia.
Al momento non lo nascondo, gli metterei le mani al collo per tale usanza!!
“...Ma certo! -riesce infine a sussurrare Scilla con fiato smorzato, riprendendosi dall’incanto- Il sole consiste metaforicamente ad un nuovo inizio, un cambiamento radicale nella propria vita, com’è stato per Dylan la sua venuta qui e il ritorno nel ventunesimo secolo, senza Jennyfer accanto... -al suono di quelle parole dimentico ogni avversità, e mi spengo in tristi pensieri rivolti ancora a quel piccolo birbante- Il teschio con le ossa incrociate mi sembra sia il più semplice da capire, sta a significare la fine della vita stessa” spiega tristemente. A quel punto sorge spontaneo chiederle cosa ci faccia ancora qui se è questo il significato del simbolo che era in suo possesso.
“In effetti per me, poco tempo fa, è stato come morire e tornare a vivere…” commenta amara.
Io e Jack ci scambiamo un’occhiata interrogativa.
“Prima di calarmi nelle assidue ricerche sulla mappa dovetti affrontare la perdita della persona che amai di più al mondo, ne ho cotanto sofferto da credere di non uscirne viva…” chiarisce vedendoci interdetti.
Una fitta improvvisa mi coglie al petto, le sue parole hanno una cadenza così mesta da spezzare anche l’animo più austero… Ad ogni modo, nonostante l’accaduto, niente l’autorizza a riversare i suoi rimpianti sugli uomini altrui!!
Il Capitano si limita a chinare il capo ed a increspare le labbra in una smorfia più infelice.
“Ma questo non concerne voi, perciò proseguo senza annoiarvi oltre –continua sbrigativa- Quando Nick entrò in possesso del lembo notò subito le due iniziali H.N. annotate sovra una didascalia illeggibile. Si credette una sorta di predestinato o simile, in realtà la sigla sta per Hans Nils, sovrano di Svezia. Spietato quanto sciocco quel vecchio stolto…!” lo ricorda gaiamente.
Ma come? Dice che Nick le ha fatto del male e in seguito parla di lui sfoggiando un bel sorriso? Cosa diamine le passa per la testa?!?
“Stolto quanto scarso, l’ho atterrato con un solo pugno!” Jack non perde mai occasione per pavoneggiarsi, le mostra persino, alla pari di un trofeo, le nocche insudiciate con cui l’ha colpito.
Dalla bocca purpurea di Scilla giunge una breve risata cristallina, così vivace e argentina da stupire lei stessa per prima, se ne scusa poi ritenendola disdicevole riguardo la situazione.
Il tutto non fa altro che farmi angustiare di più, sembriamo tornati ai vecchi tempi quando Jack mi faceva ingelosire cinguettando con le sue indisponenti damine di porto...
“Se posso, permetti una domanda? -intervengo tra i due rivolgendomi a Scilla, mascherando il tono alterato- A quanto dici sei entrata in contatto con Nick più di quanto a noi è stato dato a sapere. Ricordo distintamente quell’uomo nell’atto di farneticare su un’altro tempo ritenendo noi tutti inferiori, tu sei al corrente di chi fosse realmente?” indago rievocando insieme a quell’uomo il disprezzo provato per lui.
“Hayez Nick appartiene al tuo stesso secolo, Jennyfer. Nella sua epoca, non era altro che uno sfortunato imprenditore fallimentare del 1960. Quando fu sull’orlo di perdere tutto rinvenì in una partita di oggetti antichi il frammento della mappa. Fece molte ricerche a riguardo, è stato lui a rivelarmi gran parte del funzionamento di quel frammento di pergamena, solo all’apparenza tanto consueto. Nick vi vedeva un prezioso riscatto del suo successo, era convinto di poter conquistare il mondo con la modernità di cui era a conoscenza partendo dal 1600, dove la mappa lo avrebbe condotto, ma a quanto pare non era al corrente della leggenda che sottostava dietro al nome svedese Hyubtat-le e al resto che ora anche voi conoscete!” risponde esauriente tornando al suo atteggiamento ferrato.
Jack si concede un momento per riflettere, quando è così incrocia le braccia sul petto portando le mani al mento, con cui si tortura incessantemente il pizzetto intrecciato: “A me è toccato il veliero con le vele spiegate...” accerta solenne studiando il bozzetto in mano a Scilla.
“Esattamente. Sta a significare un lungo viaggio all’insegna dell’ignoto o libertà eterna” definisce ricercando l’ombroso sguardo penetrante del Comandante, il quale ad occhi bassi sorride infervorato.
“C’è stato un viaggio, sì -ammette incalzante- Ma io non mi sono ritrovato in un’altra epoca, questo come te lo spieghi?” la sfida austero.
“E’ tutto chiarito nella didascalia consunta sopra le iniziali H.N. -replica lei con molta padronanza, preoccupandosi di indicargli anche precisamente il punto- Voi, Capitan Sparrow, al ritrovamento del vostro frammento eravate nell’ultimo luogo e tempo in cui la mappa è stata utilizzata da Hans Nils, perciò non avete avuto bisogno di giungervi passando confini geografici e temporali come hanno fatto Nick, Jennyfer e Dylan!” esplica lasciando trasparire un lezio altrettanto presuntuoso.
“Tu parli lo svedese?!” domanda Jack stranito quanto divertito dal piccolo diverbio.
“No -definisce semplicemente- Ma ho una cara amica che conosce tutte le lingue del mondo...” conclude alludendo a Celia.
Jack non nasconde la propria divertita sorpresa, si volta ridendo verso di me, indicando la misteriosa donna con un cenno enfatizzante.
La mia reazione è nulla, non smuovo un muscolo, continuo ad assistere sdegnata, ogni mio singolo intervento mi ricade contro a favore di cappuccetto grigio.
“E la catena?” domando spazientita in cadenza altera.
“Oh -sospira lei adorante- Quell’immagine simboleggia il fondamento di qualcosa d’immortale, l’amore n’è un ottimo esempio…!” dice afferrando entrambe le nostre mani per avvicinarle e stringerle insieme.
Il suo tocco glaciale fa sussultare ambedue, un freddo innaturale il quale reca con se un sinistro brivido lungo tutta la schiena.
Le sue dita sono così gelide da stentare a credere che vi scorra del sangue all’intero di certe vene bluastre in trasparenza dalla sua pelle smorta.
E’ Jack a riprendersi subito dal gesto insolito, prima fissa le nostre mani, poi si appresta a rivolgermi un’occhiata molto intensa che in seguito ricade nel vuoto.
“...E’ stata la mappa a far sì che ci incontrassimo?” domando sull’orlo dello sconcerto, voltandomi verso di lui ed accorgendomi di quello sguardo vacuo che ricade in un sorriso malinconico e tirato.
“In un certo senso, è proprio così!” conferma quel volto celato e gaio.
Conduceva ad un tesoro molto più grande dell’oro di Isla Oculta...
“Dunque, era solo questo l’aiuto che volevi darci, nevvero?” interviene all’istante il Capitano riprendendosi dal torpore.
“Non è così, ahimè! La faccenda è molto più seria. -definisce divenendo grave- Quello che sto per dirvi va al di là dei segnali raffigurati nella mappa... Si tratta del vostro destino. Temo che i significati dei 4 simboli possano subire variazioni quando non si è più in possesso di Untitled...” preclude chinando tristemente il capo.
“Come dici?! Hai appena terminato di esplicare...”
“Jenny! -tuona Jack attutendo sul nascere un mio nuovo impeto di rabbia- Sta a sentire per un momento...” esorta ammiccando nell’indicare Scilla.
Ci mancava solo che prendesse le sue difese adesso!
La donna lo ringrazia silenziosamente con un cenno del capo, compie un respiro profondo e prosegue: “Ho avuto modo di prendere visione di alcuni fatti che avverranno in un vostro futuro molto prossimo. E’ qualcosa di complicato da spiegare, non saprei dirvi con esattezza... Vi basti sapere che tutto ciò avviene mentre sogno, riesco a scorgere dei frammenti di alcuni avvenimenti che devono ancora accadere” enuncia con ferma convinzione alla presenza dei nostri sguardi perplessi.
“So cosa pensate, vi apparirà alquanto strano, ma tutto questo avviene grazie alla Dea Sogno che durante la notte mi conferisce parte dei suoi poteri. Io in realtà provengo da un tempo che rispetto a dove ci troviamo ora sta avanti 10 anni... Ho viaggiato indietro nel tempo grazie alla mappa e in parte a Sogno” svela calibrando ogni parola.
“Però, come ben sapete, questo viaggio comporta la cancellazione della memoria, perciò essa mi viene restituita a poco a poco ogni notte, nel sonno, e se accetterete il mio aiuto, sarò sempre qui quando avrete bisogno di me!” offre il proprio sostegno.
“Fammi capire con maggior chiarezza...-replico dubbia- Poco fa hai ammesso di aver perso chi amavi prima di iniziare le tue ricerche su Untitled. Queste tue indagini sono durate ben 10 anni, ed ora che hai ottenuto, grazie ai poteri di quella Dea che dici, la possibilità di tornare indietro e cambiare il corso delle cose, preferisci aiutare noi?!” contesto ogni sua incerta dichiarazione.
“Per me è già troppo tardi, sono qui per darvi una speranza...”
“Di cosa dovremmo esattamente sperare d’ottenere le tue speranze sperate?” chiede Jack incuriosito, ricorrendo ad uno dei suoi strampalati giochi di parole che non mancano mai di sorprendermi.
“...Vi prego di prendere molto seriamente ciò che sto per dirvi. Dovrete essere gli unici al corrente di questo al di fuori di me, Sogno e pochi altri. C’è un nemico sulle vostre tracce, brama da tempo di ottenere l’immortalità, cosa che solo grazie al Capitano potrà veramente raggiungere...” riferisce in preda ad una agitazione poco rassicurante.
“Chi non la vorrebbe?!” scherza Jack per nulla allarmato dal suo tono affannoso.
“Il suo cuore è piccolo, ma completamente accecato dalla vendetta… Presto vi raggiungerà e sarete costretti ad affrontarlo, ma l’esito di questo terribile scontro sarà tutt’altro che positivo...” predice scossa da violenti tremori.
“Ossia?” insiste Jack piacevolmente incuriosito.
“...Vi porterà alla morte, Capitano...” termina affranta.
Un muto sussulto. Poi entrambe le mani corrono a ricoprire la smorfia d’orrore che si dipinge sulle mie labbra.
Jack dead
“Cos..?” mormoro in uno spiro straziato, mentre avverto il fiato risalire con fatica dal petto, e gli occhi arrossarsi di pianto.
Non riesco ad immaginare niente del genere... Allontano tutto quello che si forma nella mia testa a quel solo pensiero e continuo a scuotere la testa incessantemente, come se così potessi impedirlo...
Ma quello che più di tutto mi sconvolge di più è la risata divertita di Jack mentre pronuncia con noncuranza le parole: “Non sei la prima e non sarai nemmeno l'ultima a dirmi qualcosa del genere!” riferisce altruista.
Le braccia mi ricadono pesantemente lungo i fianchi. Quella specie di fantasma gli ha appena detto che presto morirà e lui la prende col sorriso??
Fisso entrambi più volte con espressione incredula, senza ricavare nulla, eccetto due visi impassibili, dunque mi trovo costretta ad intervenire io stessa: “Prima mio fratello, poi Jack... Adesso basta!! Perché mai dovremmo crederti, chi sei tu per dire tutto ciò, hai delle prove??” sbotto irrimediabilmente alzando pesantemente i toni, nel contrappormi tra i due con gli occhi colmi di lacrime.
“Hai la mia parola che non mi sto inventando tutto, non sarei qui altrimenti -giura portandosi solennemente la mano destra al petto- Dispiace anche a me per prima esser portatrice di brutte notizie, ma sto facendo quanto più è in mio potere. Se desiderate il mio aiuto vi dirò come intendo procedere, altrimenti, alla mia uscita da questa stanza, non mi rivedrete più e potrete fingere di non avermi mai incontrata!” dispone concorde.
“Non sembri darci molte alternative...” riconosce il Capitano in tono di ammonizione, avverto il suo respiro all’altezza della mia spalla, probabilmente si trova schierato dietro di me, con i riflessi sull’attenti, pronto a bloccarmi in caso mi accanissi di nuovo, accecata dalla rabbia, sulla donna di fronte a noi.
“La vostra scelta è del tutto libera” ribadisce lei in cadenza ferma.
“Prima voglio delle prove!” mi intestardisco sulla mia convinzione nonostante il fiato smorzato dai singhiozzi.
“Per ora posso solo darvi la mia parola, non ho sognato molto di recente... -ammette dispiaciuta- L’unica cosa che ricordo è un segno, lo riceverete presto da colui che è sulle vostre tracce...”
“I tuoi avvertimenti non sono divertenti!” legittimo irritata.
“Stai fraintendendo Jenny, l’unico motivo per cui sono qui è proprio aiutarvi, non arrecarvi altro danno!” replica Scilla supplichevole.
“Aiutarci?! -canzono al limite della tensione- Aiutarci come hai fatto al porto di West Caicos?” rammento il vecchio attrito.
Se avessi gli occhi sulla nuca potrei scorgere Jack sogghignare sommessamente, lo diverte un sacco la mia spropositata gelosia.
“Oh, capisco... -sembra intendere- Di quello mi dispiace molto, mi scuso con entrambi, soprattutto con voi Capitano! -dice a testa bassa, addolcendo la postura altera- Ma, vedete... Mi sono lasciata coinvolgere dagli eventi in modo eccessivo, ero troppo entusiasta di avervi raggiunto in tempo, e... Sono davvero mortificata. Non si ripeterà in alcun modo, d’ora in poi prometto che starò al mio posto, scusatemi ancora!” inscena tutto il suo perdono.
Ti conviene “mia cara”...
“Ebbene, il tuo è solo un generoso aiuto...-ironizzo inquieta- Ma, realmente, per cosa lo fai, cosa vuoi ottenere in cambio?” proseguo in tono duro scacciando gli accenni di pianto.
“Nel caso in cui vorrete usufruire dei miei servigi, il mio unico compenso sarà la felicità personale d’aver recato aiuto a qualcuno, contrariamente a quanto è stato concesso a me...”
Quell’ultima frase colpisce profondamente entrambi, io per prima non mi sarei mai aspettata un’affermazione simile da parte di quel mezzo volto tanto colmo di sicurezza e spavalderia. In realtà deve nascondere qualcuno di profondamente fragile...
Mi ammutolisco del tutto, assumendo inevitabilmente un’espressione in parte pentita per esser parsa tanto avversa nei suoi confronti. Mi auguro solo che sia sempre stata sincera...
Jack interrompe l’imbarazzante silenzio creatosi nella stanza con la sua scaltra dialettica: “Passiamo al negoziato! Supponendo che io e il mio angioletto irrequieto qui accettassimo i tuoi servigi, cosa dovremmo fare esattamente?” domanda riposizionandosi al mio fianco con aria curiosa.
“In quel caso dovrei stabilire un contatto costante con voi, per sapere dove raggiungervi e se necessitate della mia presenza. E siccome non mi sarà possibile essere sempre qui, e convengo con voi che la mia presenza non sarebbe sempre ben accetta, ho pensato per il primo inconveniente di affidarvi questo... -propone Scilla rivelando dalle pieghe del vestito un ciondolo dall’aspetto di un diamante cristallino, contenuto in una sottile catena dorata- E’ una pietra molto rara e particolare, la dovreste indossare solo per reclamare il mio intervento: a contatto con la luce del sole prende una colorazione vermiglia e riflette un sprazzo luminoso che mi segnala il vostro richiamo. Mentre per quanto concerne al mio secondo compito... Avevo pensato di inviarvi qui un tramite” accenna illuminandosi in un sorriso.
“Cosa intendi per quest’ultimo?” chiede Jack accigliato, assumendo una espressione buffissima data da un sopracciglio eccessivamente inarcato.
“Si tratta del figlio di Sogno, è un mio caro amico... -narra lieta- Un bizzarro semidio, ma potrete fidarvi di lui, sarà del tutto innocuo! Al momento non sa ancora utilizzare appieno i suoi poteri, sebbene è già capace di mantenersi in contatto con me anche a lunga distanza, perciò è l’unico che potrà esserci utile!” argomenta il tutto con ferma sicurezza.
“Non lo vedo qui con te, dove si trova?” Sarà invisibile anche lui?
“Al momento è rinchiuso nelle prigioni di Mayan (località situata a sud-ovest in una grande isola nel Mar dei Caraibi: Cuba NdAutori) -ammette imbarazzata- Tranquilli, non vi è finito per nessun reato grave! Ci hanno sorpresi nell’atto di inoltrarci insieme negli archivi della Marina, volevamo scoprire se erano sulle vostre tracce e in quel caso deviare le loro rotte, ma io sono stata l’unica a sfuggirgli- rammenta costernata-  Se accetterete il mio aiuto sarà indispensabile liberarlo!" predispone infine.
Lo sapevo che c’era un secondo fine, lo sapevo!!
“E’ del tutto ridicolo! Non contribuirò anche a liberare un detenuto!” mi oppongo ostinata.
“Tesoro... -interviene Jack divertito- ti ricordo che anche tu una volta hai trascorso una notte in prigione!”
Già, grazie a te, maledetto!
Replico semplicemente voltandomi offesa dal lato opposto al suo.
“Scusala...- dice rivolgendosi a cappuccetto grigio prima di assumere anch’egli un piglio serio - Al momento siamo diretti a Imìas, (località dalla parte opposta di Mayan NdAutori) è poco distante da qui, al nostro arrivo sapremo dare una risposta alle tue alternative, in modo da poterne discutere nel frattempo… insieme, eh, che ne dici?” conclude guardandomi.
Annuisco alla sua decisione ostentando tutto il mio inesistente entusiasmo.
“Andata!” conferma Jack alla nostra interlocutrice più che soddisfatta.
“Sì, è tempo che anche io vada…” riconosce affrettandosi.
Entrambi, in seguito, fummo certi in quel momento di vederla indietreggiare verso la parete da cui si era materializzata, con le braccia sospese, come in procinto di prendere il volo, ma sul proseguo non sappiamo ancora darci spiegazione...
Sappiamo solo che quella notte, improvvisamente agitò le braccia come un volatile spiega le ali, e poi, alla pari di una illusione, scomparve da sotto i nostri occhi, lasciando solo, come testimonianza del suo passaggio, una brevissima pioggerella di scintille luminose.
Io e Jack saremmo rimasti per molto e molto tempo immobili, in quello stato di sconvolgimento ed incredulità, se dalla porta non fosse entrato sbraitando soccorso un turbato membro della ciurma...

---Mi scuso se l'html della prima parte del capitolo inizalmente si lasciava un pò a desiderare, ma ho appena cambiato pc con un sistema operativo tutto nuovo e devo ancora imparare a sfruttarlo al meglio, sorry! Capitana.


Spagna vs Francia

“Il pandemonio, il pandemonio...Un’inarrestabile baraonda!!!” farnetica in modo sconnesso per giustificare la sua violenta irruzione nella nostra cabina, il madido pirata appena apparso dalla porta.
Il suo viso ambrato e lucido è sconvolto come i nostri dal turbamento, gli occhi quasi guizzano fuori dalle sue palpebre sbarrate, il mento è ripiegato verso il basso in una innaturale smorfia di terrore.
Coward, conosciuto anche come il pirata più superstizioso che abbia mai percorso il ponte di questa nave.
Non mi ha mai rivolto la parola da quando mi trovo qui, e se gli capita di incrociare il mio stesso percorso finge subito di non vedermi, una volta l’ho sentito borbottare tra violenti tremolii che porta molto male avere una donna a bordo, vede la sfortuna praticamente ovunque.
“Mastro Conward! Blateri più chiaramente le sue vuote ciance!” lo riprende Jack incollerito da tale intrusione.
“Si tratta dell’ispanico, Capitano! Quel vile demonio inviatoci dal Sigliore Iddio nostro creatore...” dice agitando le braccia verso l’alto come una disperata supplica.
Il Capitano ascolta, sbuffando sonoramente ai suoi deliri: “Ti riferisci a Juan per caso? Cosa avrà fatto...”
“Come, con ve ne siete accorto, signore? -domanda il pirata stravolgendo ancora di più il suo sguardo allucinato -Da quando gli avete permesso di risalire a bordo non ha fatto altro che attaccar brighe con quell’altro strano...Andrè!” lo informa mimando nervosamente mille scongiuri, dopo aver estratto dal lurido giaccone crocifissi, scacciaspiriti, un gris-gris (amuleto vudù NdA) spicchi d’aglio, peperoncini, ferri di cavallo, pentacoli, un Ankh e altri oggettini scaramantici che stritola incessantemente tra le dita timorose.
Sta davvero menzionando il tenero e quieto Andrè?!
“Ebbene, per quale motivo?” si fa più dubbioso.
“Non so! Non so... Ma sembrano posseduti, Capitano! Si ingiuriano e percuotono con tutto ciò che capita loro sotto mano... -perpetua strattonando nella disperazione la sua chioma intrisa di sale- Deve intervenire all’istante, prima che il diavolo si impossessi definitivamente di loro...!!” lo esorta trainandolo a forza con se al di fuori.
Quali effetti non comporta l’eccessiva esposizione al sole negli uomini...

Non credevo di dovermi realmente “armare” di acqua santa, o per lo meno di un solido scudo nell’affrontare lo spettacolo a cui assistemmo giungendo sul ponte, da dove si distingueva già chiaramente il feroce caos presente nel salone:
“MAIS COMBIEN…*BONG*… TU EN AS JETE’???” (ma quanto ne hai buttato? NdA)
“EL AZATRA’N NO ES UN PECADO…*SBANG*…ES UNA EXQUISITEZ! TU NO ERES UN COCINERO CALIFICATO PARA CRITICARME!!!”
(lo zafferano non è un peccato.. è una prelibatezza! Tu non sei un cuoco qualificato per criticarmi!)
“QUE TU AS DIT?? JE N’AI PAS COMPRITE” (che cosa hai detto? non ho capito!)
“EH??TU NO COMPRITE?!? AHORA TE HAGO ENTENDERME COME USA UNA SANTE’N…SOBRE LA CABESA DE UN FRANCE’S!!!”
(adesso ti faccio capire io come si usa una padella..in testa a un francese!!)
“NE PAS CE QUE TU ES EN TREN DE BREDOULLER...MAIS JE TE FAIS VOIR!!!” (non so cosa stai blaterando, ma ora ti faccio vedere io!)
Ingiurie miste a percosse di padellate con contorno d’urla, rabbia e uno spruzzo di rivalità, l’antipasto servito in tavola quella sera, notte.
La Pearl aveva lasciato il porto a mezzanotte e nessuno aveva ancora cenato, la ciurma affamata cercò dunque rimedio nei due cuochi, i quali non si fecero sfuggire l’occasione per dimostrare il loro prestigio, e saziare anche la reciproca “sete di affermazione” come il migliore sull’altro.
Ma, a giudicare dal risultato, il tutto finì in catastrofe, i due prepararono il medesimo piatto secondo le loro due tradizioni europee differenti: risotto! La colluttazione a cui assistiamo ha proprio questo come tema.
“Eh, già quei due folli vanno fermati... -s’avvede Jack intervenendo a dividerli, mentre si stanno malmenando a suon di mestoli, padelle e coperchi- SIGNORI…calma! Riponete le pentolacce -ordina energico, disarmando entrambi- Ed ora spiegatemi il motivo di tutto questo baccano a bordo della MIA nave!!” reclama scosceso.
E’ il più focoso, Juan, a farsi violentemente avanti per primo: “Capitàn, esto stupido francés non vuole che yo usa el azafràn...zafferano nel mio arroz…risoto!”
“Capiten -si difende il mio dandy supplichevole, anch’egli con il viso rosso per la furia- cRedete al vostRo Andrè? Non so che diSce quel moLusco…me, le safran è tRopo dentRo il Risotto!!!”
“VostRo Andrè?! Allontanati dalla mia presenza tu!- lo ripudia disgustato spingendolo via- Non prendo le parti di nessuno -mette subito in chiaro-...Aspettate -riflette un istante- mi state forse dicendo che sono venuto fin qui..perché state litigando... per un RISOTTO? Dei pirati che litigano su come CUCINARE del cibo?? -i due chef annuiscono animosi-…se fosse stato rhum sarei con voi compari, ma per dell’insignificante ZAFFERANO...!” riconosce sempre più stranito.
A quelle articolate parole nella sala scende un pacato silenzio, si odono soltanto le lievi orazioni di Coward, bisbigliate in almeno 5 lingue di altrettante religioni diverse.
Gli spadellamenti cessano di rumoreggiare, e tutti i presenti, me compresa, rintanata nello stipite della porta, ma con un occhio vigile ad assistere, attendono ansiosi l’esito del Capitano.
“Orsù... Poneteli in tavola ed assaggiamo entrambi!” esorta prendendo il suo posto a capotavola con una scintilla di curiosità aleggiante negli occhi.

In pochi secondi, dall’entrata della sala, ora molto più silenziosa, seppure animata dal vociferare impaziente dei presenti affamati, esordiscono due ampi vassoi fumanti, uno color dell’oro e il secondo scuro quanto la pece, accompagnati da un sospiro generale dettato dalla fame, nel loro volteggiare frenetico per aggiudicarsi l’approvazione del Capitano, colui che ricevere sempre il pasto per primo.
I due corridori gareggiano lungo le due estremità della lunga tavolata, i loro piedi volano sul scivoloso “selciato”, somigliate più ad un cimitero di residui di cibo in decomposizione. Si fanno largo tra decine di pance vuote e volti voraci pronti ad assalirli, mantengono sulle braccia e nei polsi un equilibrio incredibile, facendo, nonostante la corsa, ondeggiare appena i grandi vassoi argentati, ed infine giungono con il fiato corto sul collo del Capitano, già armati di mestolo e modi gentili.
La lotta sopra il cappello a tricorno di Jack (non ha mancato di indossarlo nonostante l’emergenza) è all’ultimo sangue, inizia con insulti e minacce silenziose e si conclude con una gara di velocità su chi riempie più velocemente il piatto del Comandante, finendo per rilasciare nella stoviglia di porcellana un cumulo spropositato di riso.
bleah
Jack osserva quella poltiglia tendente al marrone, per il miscuglio del dorato zafferano e l’oscuro... inchiostro di seppia, senza celare una mezza smorfia di disgusto, poi volge uno sguardo inceneritore ad entrami gli chef.
I sudori freddi che colgono quelle due canaglie testimoniano il loro timore e sconcerto reciproco, dato che non capiscono proprio in cosa hanno errato.
“Vi rammento che a questo tavolo è presente anche una signora!” ammonisce Jack indicandomi al suo fianco, quella cadenza di tuono mi risveglia dal la mia dissociazione momentanea dalla realtà, presente da prima nella mia mente, dove risuonano quanto un eco le aspre parole di Scilla.
“...Come? Oh, no. Grazie, non ho appetito in questo momento!” cerco di oppormi in modo cortese, sento davvero lo stomaco oppresso da un peso.
“Mademoiselle, se non lo asaJate mi ofendo!” interviene Andrè, volgendosi con foga al mio fianco per esibire in tavola la sua portata.
Ma è Juan il cuoco tra i due più vicino a me.
Scorgo con la coda dell’occhio l’ispanico affondare il ramaiolo nel risotto nero fumante, sollevare la porzione indirizzandola al mio piatto, ma l’istante prima che ve la depositi, una violenta gomitata lo scaraventa in avanti, facendo ruzzolare non solo lui, bensì anche gran parte della sua creazione prelibata.
Il merito della caduta va ad Andrè che ora depone al suo posto, con aria trionfante, una generosa cucchiaiata dorata ticchettando il mestolo ligneo sul bordo del mio piatto.
Ma nel frattempo tutti veniamo perturbati da quel capitombolo tanto comico quanto pietoso, poiché rappresenta sempre tante ore di duro lavoro in cucina gettato al vento.
Juan Carlo Ostras rimane per un istante a terra con espressione turbata, in parte ricoperta da tanti gustosi chicchi neri, ormai immangiabili, ad osservare di spalle la figura florida e gongolante del francese.
Poi una fiamma si accende in lui, gli parte dallo stomaco, risale dalla gola e
viene scagliata fuori dalle sue labbra con un forte urlo d’imprecazione, a tutti incomprensibile, almeno fin quando non si indirizza febbricitante a stagliarsi con le mani intorno al collo di Andrè.
Il vassoio del riso dorato viene rilasciato pesantemente sul tavolo, se non mi fossi spostata mi avrebbe travolta, mentre il francofono reagisce per cercare di difendersi.
Approfittando dello scompiglio generale, qualche coraggioso membro della ciurma, si avvicina gattoni al fulcro della rissa e sgattaiola via con il “bottino d’oro” per saziare finalmente l’appetito.
Con un gesto fulmineo trovo riparo sotto al tavolo, dove cerco di ricreare un fronte di difesa utilizzando le panche e le sedie lì attorno, se proprio quei incivili con cui son costretta a convivere vogliono malmenarsi, che non lo facciano in mia presenza!!
Sto per terminare la muraglia quando mi imbatto in qualcuno che probabilmente ha avuto la mia stessa idea e riconosco come... Jack!
“...Capitano! Che diavoli combini qui?!” domando in voce altera cercando pur sempre di non farmi sentire.
“Ehm, umm... Vedi, tesoro... I-io...” risale ad una scusante, cercando di prendere tempo vaneggiando.
“Sono i tuoi uomini quelli là fuori, sei l’unico che può fermarli! E invece ti ritrovo qua sotto, nascosto come un topo” interrompo i suoi tentennamenti in cadenza delusa.
“Jenny- replica afferrandomi per le spalle- tu non sai cosa può diventare Andrè in una rissa quando si parla di mangiare! -esordisce preoccupato- Questa sua sciocca mania cancella tutto il suo perbenismo di facciata e lo trasforma in una vera belva furiosa, non si ferma finché non vince!” narra enfatizzante senza mancare, anche il questo spazio ristretto, di gesticolare come un forsennato.
Nel suo fiato capto un odore fin troppo concentrato di rhum, ecco perché farnetica in tal modo... Avrà voluto mettersi a tavola solo per affogarsi in quella vile bevanda.
Ammetto la mia poca convinzione, ma mi tranquillizzo, il trambusto sembra spostarsi dalla parte opposta della tavolata, da quanto mi è concesso capire, ora tutti si stanno litigando la propria porzione del risotto rimasto, e la rissa si è estesa a tutta la ciurma sebbene nei pressi dell’entrata.
“Niente paura, chéri -dice facendosi più vicino, credendomi intimorita- Li ho visti litigare per molto meno, e per appetiti migliori!” allude con un sorrisetto sghembo.
“Immagino...” acconsento dubbia, notando nelle mie vicinanze una posata scintillante che si rivela poi essere un cucchiaio. Un pensile simile ad una tavolata dove in genere si dilettano solo a mangiare con le mani??
“Puliranno tutto loro l’indomani, a zuffa conclusa, quando saranno abbastanza sobri e fiacchi!” decide sollevato, pensando così di risolvere tutto.
“E dimmi, Jack... Hai trovato infine una buona ragione per cui ti sei rintanato qui?” pongo sfidante.
“Perché, ecco... -esita ancora- Volevo ripararmi da eventuali imbrattamenti -trova poi una valida argomentazione- sai, ci tengo ad essere sempre lindo e terso per te...” inventa sfoggiando fare innocente.
Io non direi proprio...
“Tu trovi sempre spunto per scherzare! -dico divertita- Allora, visto che sei qui, non ti dispiacerà assaggiare...Questo!” con la posata raccolgo una piccola quantità di riso allo zafferano, colato dal tavolo sopra le nostre teste, e servendomi del cucchiaio come di una catapulta, miro al naso di Jack centrandolo in pieno.
La mia mira non è affatto calata!
Ora la sua faccia impiastrata di giallo si è rilassata in una espressione incredula che in pochi secondi tramuta in demoniaca.Ma preferisco non trattenermi oltre, e scampo per un pelo a quelle grinfie, facendomi goffamente largo tra le mura da me stessa create, per poi scampare dalla sala da pranzo, seppur slittando tra vetri rotti, schegge di legno e cibo sprecato, attraverso la finestra che conduce direttamente al ponte di comando.
Cavalco silenziosa l’aria notturna, infranta da nuove grida di protesta in lontananza, le quali ammutoliscono una volta rientrata nel vano che conduce alle cabine. Nessun movimento alle mie spalle, Jack si sarà ingarbugliato in quella stessa trappola da me creata come difesa.
Appena ritorno al sicuro mi privo degli abiti della giornataccia appena trascorsa per ricorrere alla più comoda camicia da notte, e finisco con l’abbandonarmi, questa volta del tutto, dalla mia metà del letto.
Sto quasi per addormentarmi, quando la porta della cabina si apre lentamente con uno scricchiolio sordo, e dal passo incerto e pesante riconosco il Capitano in avvicinamento.
Apro gli occhi per avere un accenno dei suoi movimenti, e dalla fioca luce lo scorgo intento a levarsi gli stivali riponendoli scompostamente a terra, per poi accomodarsi sul letto con la schiena rivolta alla spalliera, armato di piatto e di cucchiaio. Non pare arrabbiato, né il suo naso è più falbo.
Sorrido al suo non mancare mai di stupirmi per le sue stranezze, mentre lui porta il cucchiaio alla bocca degustando quello che ravvedo come il risotto nero cucinato da Juan.
“Mmm... -approva estasiato assaporando tutto il boccone- Non sai cosa ti perdi!”
“Come hai fatto ad averne? Era andato quasi tutto perso...” contesto in voce vaga.
In risposta esibisce un ghigno furbo: “Sono Capitan Jack Sparrow!”
Mai che manchi di ricordarlo e di farmi ridere ogni volta.
“Jack...-dico mutando totalmente tono- Ho paura..." ammetto stringendomi al suo torace.
“Per ciò che ha detto Scilla?” chiede conferma che riceve con un mio cenno silenzioso del capo.
“Dolcezza...- ridacchia roco ponendo il piatto sul comodino- Non mi succederà niente! -dice altruista, con la sua voce calda, sollevando verso di se il mio mento imbronciato- Ci sono andato vicino molte volte, so cavarmela! Mi meraviglio di te, a credere così ciecamente a certe idiozie sperperate da un volto di cui non sai nemmeno l’aspetto!” conclude sorpreso, fingendo rimprovero.
“Non è questo... -nego irritata- Quella donna ha un effetto strano su di me, come dire... Sembra ipnotizzarmi! Mi rende del tutto incapace di reagire -confesso adirata- come si è visto oggi...” confermo scoprendo la fronte dove si trova la ferita, ora bendata, resa abilmente quasi invisibile dal ciuffo.
“Suvvia, non è niente -mi incoraggia allontanando le mie mani da quel taglio ancora pulsante- Il peggio è passato, basterà solo un po’ di riposo, che per l’appunto non ti sei ancora concessa, quando dovresti!” alleggerisce il tutto, preoccupandosi di rimboccarmi le coperte per incitarmi a dormire.
“...Ma accetteremo il suo aiuto, Jack?” ignoro il suo gesto per avere un’ultima conferma.
“Perché dovremmo? -domanda crucciato- ...Ti preoccupa a tal punto?” la risposta affermativa l’ottiene dal luccichio delle lacrime che si impadronisce dei miei occhi.
“D'accordo, d’accordo... Come vuoi, vediamo fino a che punto è disposta a trascinarci... Ma io rimango della mia opinione!” stabilisce col fare altezzoso di quando si trova in disappunto.
Il mio sguardo smarrito muta in uno più quieto e riconoscente che si fonde in un abbraccio tra mille miei “...Grazie!”
“Mi pareva ti dispiacesse l’idea di avere a bordo un’altro galeotto...” riconosce a suo favore, rammentando i termini della ricorsa all’aiuto della donna.
“Umm, no. Ve ne sono già parecchi... E poi magari questo sarà più benevolo, e utile, aitante, e bello...” lo provoco figurandomi a fantasticare.
Sotto di me avverto il suo corpo irrigidirsi e stizzire per l’indignazione.
“Ci sei cascato anche tu! ...Ti prendo in giro!!” lo derido soddisfatta.
“A tal proposito: sai, vero, che mi vendicherò di quanto è accaduto poc'anzi?” definisce nefasto.
“Oh, suvvia, Jack! E’ stata una stupidaggine!” Ma non per lui.
Infatti a mia insaputa, già in quel momento, stava attuando la sua rivalsa... Dandomi semplicemente il bacio della buona notte, e approfittando del mio totale abbandono a lui per fingere di carezzarmi i contorni delle labbra, disegnando invece con la punta delle dita un paio di grandi baffi scuri sotto al mio naso, servendosi dell’inchiostro nero del risotto.


2011 - Odissea nel passato.

Le trombe d’aria in California non sono un evento poi così straordinario, se ne vedono spesso, e parecchie, ma tutti sono sempre già pronti ad affrontarle con sofisticati mezzi di sicurezza e superarle al meglio.
Non quando una di esse si scatena in camera tua però...
E Dylan per contrastarla non poté fare altro che contare solo sulla sua resistenza, unita a testardaggine ed ebrezza del pericolo, cosa a cui lui in 18 anni e mezzo non si è mai sottratto.
Le nocche delle sue mani, serrate ormai da alcuni minuti intorno al davanzale della finestra per impedirgli di essere spazzato via, sono livide e doloranti, ma resiste, aspetta con il cuore in gola e gli occhi infervorati di curiosità, ciò che lo attende al cessare del bagliore accecante, concentratosi in un cerchio di luce, al centro della sua vecchia camera da letto di quando era bambino.
“Dai...dai...” mugugna a denti stretti, pregando che il tutto finisca al più presto.
E tale invocazione viene esaudita, quando quei raggi luminosi si intrecciano come lunghi rami, in un vortice che sale sopra di lui e modella una vaga sagoma femminile, la quale irrompe nella stanza riportando con se il semi-buio.
Il ragazzo ricade pesantemente a terra, lamenta di non sentire più le dita e i polsi, ma ora finalmente, può guardare in faccia cosa, o per meglio dire colei, la causa di tutto questo trambusto.
dy finestra
“Oh...” mormora incredulo, colto da profonda sorpresa, riconoscendo dal fioco bagliore che la donna emana, contrastante il grigiore di quel meriggio di pioggia, la dea dei sogni.
Nonostante si senta lievemente intontito, rimane prostrato a terra sistemandosi in una posa il più possibile somigliante ad un elegante inchino, così da accogliere come dovuto la divinità.
Sogno lo osserva accigliata trattenendo un riso: “Hai perso qualcosa, Dylan?” domanda chinandosi a sua volta nei pressi del viso prono del giovine.
Dylan rialza di scatto lo sguardo, incrociando gli occhi vispi e furbi della donna che gli sorridono, e avverte di potersi sentire più a suo agio.
“No, signora!” replica scattante.
“Signora?! -lo apostrofa fintamente indignata- Non sospetti nemmeno lontanamente chi io possa essere?”
“Ma certo. Chioma fluida e bionda, veste azzurra... Sei la fata turchina!” scherza rimettendosi in piedi, provocando anche in lei una spassosa risata.
“Benvenuta in mia casa... -la omaggia di nuovo, imitando l’accento rumeno del Conte Dracula-...Sogno! Patrick non fa che parlarmi di te, e poi avete lo stesso sguardo buono -sorride come ha già visto fare Jennyfer- Sono onorato di averti qui!” non sa se abbracciarla, o solo stringerle la mano, come si saluta una Dea? Forse un semplice sorriso può parlare più di qualunque altro gesto.
“Ti ringrazio, Dylan -ammette sincera, quasi intimidita da tale ingresso- E perdona disordine che ha suscitato il mio arrivo qui dentro!” dice desolata
guardandosi attorno, in quell’altro sgombro da ogni forma di mobilia, ma con le pareti interamente tappezzate di fogli scritti e disegni, ora un po’ disseminati ovunque.
“Oh, nessun problema, ci son solo scartoffie qui...” non ci bada, affrettandosi subito a raccoglierli e riporli sul muro.
Sogno si offre di aiutarlo, ma Dylan rifiuta, sembra averli molto a cuore.
La Dea dunque si avvicina lentamente ad una parete per scorgere la natura di tali scartoffie, ma non trova nulla di tutto questo, bensì dei magnifici e realistici ritratti, ancorati al muro con delle puntine da disegno, come si fissano i ricordi nel cuore, testimoni di un volto che non appartiene più a questa epoca da lungo tempo.
I suoi tratti sono fini, morbidi, all’apparenza tristi, ma la loro mestizia è scongiurata dagli occhi, al contrario grandi, chiari e luminosi, fino a poterci leggere l’anima.
Identici a quelli che in questo momento la stanno realmente osservando lì accanto: “Tremendi, vero? Quelli che stai guardando sono solo i primi che ho fatto, ora sono un po’ migliorato...” le assicura scompigliandosi i capelli umidi di pioggia per l’imbarazzo, con ancora un fascio di altri disegni in mano.
“No, affatto! Sono magnifici Dylan, dico sul serio! Sembra di averla qui...” nega complimentandosi con lui.
“Cerco di tenerla vicina, e così riporto su carta l’immagine dei miei pensieri...” spiega volgendo lo sguardo anch’egli ai disegni sulla parete, e le sue iridi smeraldo si fanno più lucide nonostante sorride.
Sogno gli circonda una spalla, come farebbe con suo figlio, sente che Dylan prova lo stesso vuoto che lei nutre per Leonard.
“Volevo scusarmi con te anche per il modo affrettato con cui ti ho trascinato qui...! Ma non hai dormito molto in questi giorni, vero?” i segni scuri intorno agli occhi del Signorino Allyson lo confermano.
Il ragazzo la osserva per un attimo frastornato, poi ammette: “Sì, per lavoro... In effetti ricordo di essermi appisolato mentre rientravo a casa in metropolitana, di aver fatto un sogno molto strano, e quando mi sono svegliato ho sentito il forte bisogno di venire qui!” ripercorre ogni suo passo che insolitamente quest’oggi l’ha riportato in questo luogo, per lui colmo di ricordi.
La Dea ride sommessamente con aria furbesca.
“Ah, dunque sei stata tu!” la scova divertito.
“Che lavoro fai adesso?” domanda incuriosita per sviare il discorso.
“Bhe, ecco, è una storia lunga -ma Sogno lo esorta a continuare- Vedi... Dieci anni fa quando sono tornato nel futuro, per tre anni non ho fatto che giocare ai pirati, i miei genitori erano molto preoccupati, mi ero fatto regalare da loro un cappello giocattolo da Capitano e non lo volevo togliere nemmeno per andare a dormire -parla della sua infanzia con aria felice, giocosa- A 12 anni mi sono buttato disperatamente sui libri di storia, è stato lì che ho iniziato a sentire fortemente la mancanza di Jennyfer -pronuncia il suo nome sommessamente, in tono grave. Saranno anni che non ne può parlare con nessuno. Anche se non lo dà a vedere, deve fargli molto male- E... Non so come... Volevo cercarla, trovare una notizia su di lei, sulla Perla, su Jack... Ma le mie ricerche sono state vane. Quando fui sul punto di arrendermi, sono semplicemente tornato al museo, dalla mappa! Ed è stata quella la mia chiave, non tanto il contrario -prosegue rimembrando le parole di Patrick sul fatto che Dylan è, e sarà sempre il custode della mappa- Ho iniziato a studiarla in tutto e per tutto, e sono giunto al proprietario che l’ha ceduta al museo. E’ ancora vivo e abita a San Francisco, così quell’estate, anziché andare in spiaggia come tutti i quattordicenni, prendevo il treno ogni giorno e mi recavo da lui. -Non ti arrendi mai, vero?- Mi sono offerto come tutto fare: gli selciavo l’immenso giardino, pulivo la sua piscina... Le punizioni che mi infliggevano i miei genitori sono servite, visto? Ho curato più casa sua di questo chiccoso (sciccoso) rudere che ormai cade a pezzi... -scherza sull’ancora bellissima residenza vuota che l’ha visto crescere- E infine gli riordinavo lo studio, solo in cambio di poter accedere alla sua biblioteca e a qualche altro prezioso documento che potesse raccontarmi di lei...” ne parla come di un angelo, l’angelo custode che ha perduto.
“Caspita, Dylan! Quanta passione hai impiegato in tutto questo!” riconosce ammirata.
“In realtà... A me non pare di aver fatto granché -ammette in tono triste massaggiandosi il copino- In 4 anni ho trovato poco niente come informazioni, ma il Conte Prinston ora mi sta aiutando, si è appassionato anche lui di questa storia, sa solo che Jennyfer potrebbe essere una mia antenata!” ride appoggiandosi distrattamente al muro, dove la sua mano si posa intorno alla guancia allargata in un sorriso della sua adorata Mozzarella.
Lo sguardo di Sogno percorre velocemente tutta la parete sulla quale è immortalata ogni possibile espressione di Jennyfer, in alcuni ritratti Dylan l’ha pensata persino al fianco di Jack.
disegno
“Dylan... Non mi chiedi perché sono qui?” lo interroga riacquistando l’attenzione del giovane Allyson, smarritasi a sua volta lungo il muro.
“No...! Sarebbe da maleducati porre tale domanda ad un ospite tanto prestigioso -sostiene imitando uno sprezzante rimprovero- ...Perché sei qui?” si contraddice sogghignando.
“Sono venuta qui... Per verificare con i miei stessi occhi se meriti di ricevere un regalo!” rimane vaga, ma sfoggiando un’espressione gioiosa.
“Meritare un regalo... E per cosa?” dice incuriosito.
“Le altre divinità mi avevano detto: “Non andare, Sogno! Cosa pretendi di trovare? Un diciottenne alcolizzato già stanco di vivere che ha buttato via la sua vita per qualcosa che non potrà mai riavere!” li imita emulando una voce grossa e adirata.
“Ahahaha, hanno detto proprio così?! -la Dea annuisce- Grazie per la fiducia miei cari!” ride di gusto allargando le braccia e volgendosi al cielo, o in questo caso, al soffitto, dove indirizza le sue parole.
“Oh, no. Alcol no. Semmai solo il rhum! -rassicura- I tuoi parenti sanno essere proprio delle vipere eh!” scherza ancora divertito.
“Hanno ben poca fiducia negli esseri umani ...Ma io sapevo di poter contare su di te. E dunque, eccomi qui! ...Per tutto l’impegno che vi hai impiegato, sono ormai certa che meriti appieno questo dono!” dichiara divenendo sempre più luminosa, mentre il sole alle sue spalle tramonta.
Il moderno Odisseo continua ad osservarla interdetto, senza capire.
“E’ qualcosa che hai sognato molte volte... -svela sotto forma di indizio- Ed ora ho avuto la conferma di poterlo realizzare! -aggiunge, prendendo tra le sue, quelle mani d’artista- ...Ma! Devi promettermi di limitarti a guardare -gli raccomanda- Non devi parlare, né dire chi sei, e tanto meno tentare di sconvolgere la situazione in cui ti troverai. E’ possibile che ti vedano, ma devi condurre la tua visita alla pari di un fantasma...!”


May I keep you? (posso tenerti con me)

Quiete e silenzio.
Chi l’avrebbe mai detto che una caotica giornata del genere, infine, potesse concludersi così?
Solo quiete e silenzio.
Qualche schiamazzo in lontananza dal salone da pranzo con i lumi ancora accesi, il rollare regolare del timoniere, le assi scricchiolanti sotto ai suoi piedi, il sonnecchiare scandito dal russare sommesso delle sentinelle notturne, il ponte deserto, la calma della notte e del mare luccicante, dove le stelle vanitose si specchiano...
La fresca aria tranquilla si fa largo tra gli astri, e trova il suo nascondiglio nelle finestre di una stanza, lasciate aperte per distrazione, intrecciandosi nel respiro di due anime, legate l’uno dall’altra, che si cercano in un abbraccio anche nel sonno.
I loro occhi chiusi non possono accorgersi che uno di quei numi ha appena sceso la scalinata di stelle per posarsi tra loro.
Due paia di piedi scalzi atterrano piano, nel buio fondale della stanza, raramente illuminata poiché operativa solo di giorno.
Dylan si è privato delle scarpe infangate come gli è stato chiesto da Sogno,  per evitare ogni rumore, sa di esser giunto a destinazione, ma ha ancora le palpebre strette di chi ha paura di vedere, e forse deludere le proprie aspettative.
Inspira profondamente e sente già che l’aria è cambiata, non è più quella frizzante e rumorosa di Los Angeles, ma è piuttosto umida e afosa, come di un luogo tropicale.
La mano che stringe la sua si allontana per ricadere sulla sua spalla, sussurrando: “Ci siamo, puoi guardare adesso!” pronuncia flebile una voce entusiasta al suo fianco.
Il ragazzo fa come gli viene detto, ma riaprire gli occhi, inizialmente, è esattamente come averli velati: vede solo una profonda oscurità dinanzi a se.
“Segui le indicazioni che ti ho dato -prosegue la voce- ma ricorda che non manca molto all’alba, perciò forza, sbrigati!” lo incita dandogli una piccola spinta di incoraggiamento.
Il giovine barcolla in avanti, e ritrovata la stabilità si concede qualche altro secondo per abituarsi al buio ed orientarsi un poco.
Ha l’impressione che la stanza...ondeggi. Il rumore delle onde che attraversa i finestroni glielo conferma: si trova su una nave!
Muove qualche passo incerto, avvertendo ad ogni movimento un odore diverso: tabacco, sale, mirra, incenso, cera di candele... rhum!!
Il suo pensiero non può che andare ad un uomo molto insolito di sua conoscenza, ma no, è impossibile...
Eppure, pensandoci bene, ha la sensazione di essere già stato in quel luogo, non vuole crederci ma è così.
La sua incertezza viene colmata quando, inciampando in una sedia lasciata fuori posto, si rende conto di conoscere la tavola a cui appartiene: un raggio d luna traccia i contorni di uno scrittoio cinquecentesco, più che un tavolo, ricco di intarsi elaborati e colmo di mappe, scarabattoli, pennini, boccette di inchiostro, pietre luccicanti e bottiglie vuote dalle pareti ridondanti e il collo stretto.
“Ci arrivavo appena un tempo... Mi arrampicavo fin qui con le mie dita salsicciose, riuscendo a sporgere soltanto il naso, quel poco per rimaner incantato dalla magica punta del compasso che Jack faceva roteare sopra le mappe, sognando di poterlo fare anche io un giorno, girando il mondo...”
Tastando a lungo quel guazzabuglio trova un fiammifero, lo accende.
E’ solo uno spillo di luce imbevuto nelle tenebre.
Lo tende allo scrittoio: trova un diario! Lo sfoglia, sembra un diario di bordo.
Guarda l’ultima data: 28 Febbraio 1661.
“Incredibile... Sono trascorsi solo due mesi da quando me ne sono andato, e io ne ho vissuti dieci... anni!”
Sente mancargli il respiro e la testa girare, per poco non lo lascia andare d’improvviso, causando altro rumore che questa volta potrebbe costargli la sua presenza in quel luogo, mentre viene percorso da mille sensazioni contrastanti come euforia, stupore, incredulità, gioia, preoccupazione...
Serra le labbra socchiuse per lo sbigottimento con le mani, così da non lasciarsi sfuggire alcuna asserzione che potrebbe rilevare la sua presenza, e finalmente si rende conto di aver sempre saputo fin dal primo istante dove si trova...
“E’ la cabina del Capitano...!” grida dentro sé.
Il suo corpo viene scosso da una scarica d’adrenalina, mentre il cuore soffocato, cerca di farsi spazio dentro quel petto palpitante, ormai incapace di contenere tutta la felicità che lo colma.
Degli impercettibili movimenti lo fanno allarmare, e spegne subito il fiammifero, gettandolo lontano da sé. E’ di nuovo senza guide.
Compie una giravolta su se stesso per ricercare nuovi punti di riferimento che possano orientarlo: alla sua destra intravede a fatica, più vicina di quanto pensasse, la porta di ingresso, rischiarata dall’ampia finestra spalancata che le sta di fronte, sul lato opposto.
Ricordava immensa questa stanza, un grande covo di nascondigli, una foresta di oggetti strampalati come il loro Re, mentre ora tutto è rimasto affascinate, ma distante e meno visibile ai suoi occhi.
Si ripete di stare calmo, e non lasciarsi prendere dal panico o dall’entusiasmo. Richiude le palpebre e trattiene per qualche istante il fiato, mettendo all’erta tutti i sensi, e finalmente capta da lontano due regolari respiri.
Provengono da nord ovest, il letto è dunque rimasto esattamente dove si ricordava.
Calibra ogni passo, preoccupandosi di bilanciare silenziosamente ogni movimento, e svia il suo percorso verso sinistra, passando accanto alla finestra come un’ombra.
Mentre la distanza che si separa dall’avverare il suo sogno si riduce sempre di più, il pallido astro lunare disegna a tratti la sponda del letto che cerca di raggiungere: un groviglio di bianche lenzuola in lino fanno da cuscino alla morbida sagoma di un piede.
Dylan si fa avanti con uno scatto, ma ciò che gli si presenta da vicino è un arto irsuto, calloso, sporco, decisamente poco femminile...
“...Jack...!” sogghigna il giovane, ammirando la totale libertà dell’uomo che riposa in quel letto, anche se non lo può vedere, e pensa a cosa darebbe per essere un po’ più come lui.
Poco più in là scorge anche l’altro piede, o per meglio dire calzare!
Il Capitano si è addormentato con ancora uno stivale indosso...tipico.
Se lui riposa da questa parte, Jenny non potrà che essergli accanto!
Infatti, la sola cosa che l’inesistente luce gli permette di vedere è il lieve riflesso su quelle che crede siano un paio di gambe nude.
Il ragazzo si muove intorno al letto, fin a giungere a tentoni vicino a dove immagina si trovi il cuscino dell’amata sorellina.
“Se solo avessi la certezza che sei qui...” a quel punto, brancolante nel buio, si siede a terra e affina l’udito, accontentandosi anche solo di ascoltarla dormire, per tenerla, quel poco che può, più vicina ai suoi pensieri.
Ma una promessa, per essere tale, va esaudita in ogni sua richiesta, perciò, come se qualcuno ascoltasse i suoi dubbi, una scintilla più potente interrompe improvvisamente l’oscurità, e accende crepitando la miccia della candela riposta sul comodino.
Il lume si proietta sul giaciglio con un flebile raggio soffuso, ed illumina una schiena ammantata da lucida seta violacea.
Una cascata di boccoli leggeri la ricopre, e in parte si adagia al petto del Capitano, sopra il quale riposa un viso sereno, privo di ogni cattivo pensiero. La pelle bianchissima non è più tale, ma rimane comunque lattea a confronto del ramato braccio tatuato che la stringe a sé.
Jack non cambia mai, è sempre lo stesso. Sembra impossibile, ma mantiene il suo perenne sorrisetto compiaciuto anche nel sonno.
E’ così che li ritrova: abbandonati ai sogni, persi insieme nei luoghi perfetti della loro fantasia.
Per la prima volta dopo dieci anni può non immaginarli soltanto...
Li osserva a lungo con sconcerto, pensa a quanto vorrebbe poter dire “Sono qui... Sono sempre qui...”.
A poco a poco trova la forza di rialzarsi, anche se le gambe tremano, ma resistono, non ha molto tempo, e non vuole perderne solo perché l’emotività cerca di ostacolarlo.
Si muove lentamente lungo il perimetro del giaciglio, ma la sua mente è vana, gli occhi fissi, spalancanti, increduli...
Infine, quando lo sguardo gli ricade pienamente sul viso di Jennyfer, le sue idee si riordinano per formulare un unico pensiero: “...Non potevo immaginarti più felice di così...” E allora anche il suo animo si rasserena e diviene più leggero.
La piccola fiamme arde rischiarando le ombre, brame colme d’invidia che cercano di inghiottire quell’amore. Assistere all’entità di tale spettacolo, da così vicino, senza essere visti, disarma ogni giudizio, lasciando scorrere solo l’emozione, come accade a Dylan dinanzi a tutto questo, quando non riesce a far altro che piangere in silenzio tutta la sua commozione.
Ma c’è pur qualcosa che deve fare, una traccia del suo passaggio da lasciare... Nella sua mente, dove di piani diabolici ne ha formulati spesso, finalmente balza un’idea!
“Vediamo se ricordo dove si trova la cucina...!”

Riprendo lentamente conoscenza, non so dire quanto ho dormito, poco a quanto sembra...
Ho le palpebre gonfie e pesanti, non hanno alcuna intenzione di aprirsi, ma gli altri miei sensi sono già vispi e impazienti di rivedere la luce del sole.

Sono ancora qui, la notte cala, l’alba sta sorgendo, ma di Sogno tuttora nessuna traccia, a quanto pare i sudditi del sonno dormono ancora.
Sfrego le mani appiccicose, chissà se Jenny capirà...
Poi, quasi a dare risposta al mio quesito, la vedo voltarsi, nel sonno, la mano che mi sono imposto di non sfiorare per tutto questo tempo s’avvicina pericolosamente alla mia, per fortuna senza scontrarla.
Il volto della mia Mozzarella si scosta dal petto di Jack per rigirarsi nel letto, e finire col ruotare dalla parte opposta, verso di me, come se volesse silenziosamente parlarmi. Sento che ha cambiato respiro, è più frequente ora.
La candela si è consumata ormai, vi sono i primi sprazzi del crudele mattino a far luce, e proprio da quelli rivedo più vicini i tratti che da anni cerco di disegnare, senza mai riuscire davvero a riportarli in tutta la loro graziosa bellezza, che Jenny spesso dimentica, impaziente quasi che il tempo la faccia svanire.
Proprio mentre parlo di bellezza, lo sguardo mi ricade al di sotto del suo naso, dove si ergono due curve nere dipinte ad arte che si arricciano lungo le guance. Non hai spuntato i baffi sorellina?!
Ma trovo in breve l’arma del delitto: il caso vuole che il pollice di Jack sia casualmente inchiostrato.
Si amano sempre come i due bambini dispettosi che ricordavo, loro sono da tre dispetti e un bacio.
Ma tutto ciò è talmente ridicolo ed esilarante che questa volta proprio non resisto...

Un ronzio improvviso... No, una pernacchia?
Sembra...Sembra...
Una risata! Trattenuta... Che per giunta non ho mai udito...
Da chi...Da cosa è causata, da dove proviene?
La curiosità è davvero troppa, anche per i miei occhi pigri e stanchi che finalmente riapro, trovandomi, con mia enorme sorpresa, ad essere... osservata.
Non so cosa ci si aspetta esattamente di vedere quando ci si risveglia...
E’ sempre questione di attimi, quei momenti in cui inspiri forte e ti fai coraggio per incominciare un’altra dura giornata. In genere non faccio mai caso alla prima cosa che vedo...
Forse è la parete, il mare fuori dalla finestra... Il volto di Jack, il sole che ferisce gli occhi e maledici ogni mattina... Ma ritrovarmi addosso il viso divertito di uno sconosciuto intento a fissarmi intensamente, bhe no, non l’avevo mai preso in considerazione.
dylan 18
Le mie palpebre da una impercettibile fessura che s’allarga a fatica, si spalancano come fari. Un groppo in gola, le labbra serrate, sento che sto per urlare.
L’intruso se ne accorge, diviene pallido, improvvisamente serio, colto sul fatto, ma si spaventa anche lui. Inarca le sopracciglia in espressione preoccupata, i suoi occhi chiari mi supplicano di non farlo.
In ogni caso non mi riesce di dire una parola.
who are you?
Cerco la forza di una spinta nelle braccia, e mi sollevo, arretrando di corsa, appiattita verso lo schienale, il più possibile lontana da lui, schiudendo solo le labbra per riprendere fiato, divenuto affannoso.
Lui non si muove, rimane lì, fermo, continua a guardarmi rannicchiato appena oltre la sponda del letto.
Chi diavolo sei tu...? Jack svegliati...svegliati...!
Con la mano meno in vista ricerco al mio fianco, muovendomi molto lentamente seppur tremando, la zuccaccia di quel ghiro che mi dorme accanto.
L’osservatore non invia alcun segnale che possa lasciar cogliere i suoi intenti.
Lo sguardo curioso che gli fa da cornice al viso si allarga solo in un gran sorriso, che cancella i leggeri baffetti incolti e coinvolge ogni piega del volto, creando all’altezza delle guance due fossette vezzose, prima che qualcosa alle sue spalle, di cui non riconosco la natura, l’avvolge e lo spazza via nel semi-buio, quasi fosse polvere e non più un uomo.
Trattengo il respiro a lungo, stupefatta, aspettandomi che riappaia d’improvviso altrove, ma fortunatamente non accade...Ma com’è sparito??
Impiego parecchi minuti per tranquillizzarmi, e comprendere se ho sognato o è tutto vero.
Neppure io sono più stata capace di muovermi da quanto mi ha spiazzato con quella asserzione gioiosa, ma ora il pericolo sembra essere cessato.
Volgo il collo irto e rigido verso Jack e lo vedo con la faccia affondata nel cuscino, a pancia in giù, che dorme ancora alla grossa.
“J...ack...Jack!” squittisco sconvolta, agitandolo animosamente.
In risposta mi giunge solo un mormorio indistinto e rabbuiato.
“Svegliati, ti prego... C’era un uomo qui!”
“Se non aveva una grossa botte di rhum con sé... Non è di mio interesse, tesoro!” si esprime biascicando, ancora immerso nelle piume d’oca.
Perché non ho a disposizione una secchiata d’acqua quando serve! A quanto sembra è del tutto inutile discutere con il bello addormentato.
E se lo sconosciuto fosse ancora qui... Nascosto nel buio? No, non devo farmi cogliere da certe suggestioni.
Piuttosto, chi era, e perché era qui? Non ha cercato di farmi del male, mi ha sorriso... Ma anche spaventata a morte!
Impongo a me stessa di farmi coraggio ed alzarmi, per scongiurare ogni dubbio, ma come poso i piedi a terra, vengo a contatto con una sostanza viscida, fredda e appiccicosa sul pavimento.
Ritraggo subito il piede disgustata, e sporgendomi m’imbatto nella seconda stranezza mattutina: le assi lignee, all’altezza della mia parte del letto sono imbrattate di quattro insolite sostanze: zucchero, piccole perle rosee e altre due melme appiccicose quanto gelatinose.
Che cosa ci fanno qui?! Ma, aspetta... Non sono cadute, formano una scritta...!
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“Sognami con te” mormoro tra me e me.
Cosa vorrebbe dire?
Dimentico momentaneamente l’intruso, forse era solo la terrificante conclusione di un incubo...
Ma questo almeno è reale: allungo un braccio verso la prima poltiglia dorata e luccicante, ne raccolgo una quantità minima col dito, l’assaggio... E’... miele! La seconda non ancora identificata sembra essere invece marmellata di mele.
Zucchero, miele, marmellata di mele e perle rosa.
Forse sono degli ingredienti dolci legati ad un altrettanto amorevole significato della frase che compongono... Ma di chi è opera tutto questo?
Volgo di nuovo lo sguardo verso il bel dormiente.
“...Oh, Jack! Da quando sei così poetico?” sussurro ammaliata distendendomi al suo fianco.
“Mmm...Sono cosa?” borbotta fiacco.
“Mi riferisco alla frase sul pavimento!” replico entusiasta.
“Non so di cosa parli” confessa riemergendo finalmente dal cuscino.
E’ impossibile, starà facendo il finto-tonto.
Per cercare di estorcergli la verità, e vederlo sveglio almeno un minuto consecutivo, mi vedo costretta a ricorre ad una mossa infallibile, nonché suo grande punto debole: il collo.
Così, per sfuggire alla tortura è obbligato a trascinarsi almeno fino all’orlo della mia parte di letto, vedendo lui stesso.
Dopo un’attenta visione assottiglia le palpebre semichiuse, e sporge in avanti le labbra per formulare ad indice sollevato e sguardo rabbuiato: “Ribadisco... Che non sono stato io!” dichiara solennemente, come spesso deve fare quando è reduce di qualche accusa, prima di crollare di nuovo, così come si trova, nel mondo nei sogni.
E con lui anche ogni mia convinzione. Forse mi sbaglio davvero, dunque.
...Ma se non è merito di Jack, chi può essere stato?
Riflettiamo: la porta della cabina è chiusa a chiave, l’unico momento in cui ci siamo allontanati da qui è stato per la “cena”, però al nostro ritorno era tutto in ordine. L’unico accesso possibile è la finestra, ma, no... a quale scopo?
Dopo qualche altro istante di considerazioni, penso a concentrarmi principalmente sulla stessa scritta e i materiali che la compongono.
Cosa potrebbero significare per me questi 4 elementi?
A primo appiglio, mi ricordano... Le spassose burle di cui spesso ero vittima poco tempo addietro.
Ed era Jack ad architettarle! Eppure il sospettato qui non ne sa niente.
Ma... Questo furfante non era solo! Collaborava con...
Per un istante, non so come, alle parole che sto per pronunciare, si sovrappone nella mia mente l’immagine del muto osservatore.
“...Dylan!”
no

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Capitolo 11
*** Misery non deve morire. ***


Nota delle Autrici:

 

Basta fare il solito discorsetto introduttivo “Hey salve, come state?” bla bla bla XD Mica è un programma televisivo!

In questa occasione vogliamo usare la nota, il piccolo spazio riservato a noi, per dei ringraziamenti particolari =) Che dobbiamo a molte persone e forse non lo facciamo mai abbastanza ^^

 

In primis a Sogno, che prima di essere un personaggio è una persona vera XD Un pilastro senza di cui qui crollerebbe il mondo, sul serio! E insieme all’uomo che ama rappresenta un elogio all’amore, quelli che oggi non esistono più perché al giorno d’oggi ci si innamora quasi per liberarsi la coscienza e dire “ah sì, sto con qualcuno, punto” e insieme a Romeo e Giulietta stanno sul podio delle storie d’amore più meravigliose che io conosca ^^

 

A Silvia, o qui in efp whateverhappened che non ho ancora straringraziato per la titanica pazienza che ci vuole a correggere un mio scritto :S se così si può chiamare… Ma le ho già promesso almeno un monumento =D

 

A 68keira68 e giu91 gli unici angeli oltre a Sogno che hanno avuto la pazienza di esprimere un giudizio su gli ultimi due capitoli, a cui tengo tantissimo proprio per Leonard&Celia, e spero che non mi fucileranno per quello che ho in serbo dopo ^^’ Giulia, mi hai fatto piangere XD non che con me ci voglia molto =P

 

E dato che sono entrata in argomento, volevo chiarire che so perfettamente la “qualità” di questo scritto. Purtroppo avrei voluto farlo meglio, avrei voluto rendervene più parte, avrei voluto tante cose, ma è come diceva qualcuno: “Se io mi sento da schifo anche quello che faccio mi esce da schifo” e qui è lo stesso. Va bhe, pazienza.

Ma intendo far sapere che ci teniamo da morire, e abbiamo bisogno di qualche opinione per segnarci una traccia, come il codice dei pirati =) ed andare avanti, in meglio si spera ^^ Perciò qualsiasi cosa ne pensiate ditela!  Per favore ^^

 

E per terminare il discorso da futura decadente Miss Mondo (XD) : Voglio la pace nel mondo e da mangiare ai bambini poveri *.*

Ok, ora posso andare a seppellirmi :D

 

A tutti voi…  

Buona lettura, a presto =)

 

Vostre Kela and Diddy

 

(Capitana and Capo)

 

 

Capitolo 10

Misery non deve morire

 

 

 “Maledetto” fu la prima parola sensata, concepita dalla mente caotica della Dea Sogno, dopo che Leonard Wallace uscì apparentemente dalla sua vita, e la medesima risuonante nei suoi pensieri la mattina seguente, quando in sella ad Immi accorse diretta al porto, alla ricerca di quel sfrontato malfattore.

Durante la notte non svolse il proprio compito divino, poiché intendeva adempirvi personalmente alla luce del sole, nella sua veste umana.

Tuttavia si era risvegliata con una nuova musica nel cuore: non faceva altro che volteggiare nell’aria, come agiva la notte per spostarsi dal giaciglio di un sognatore all’altro, canticchiando qualcosa d’incomprensibile.

Dopo essersi concessa un lungo bagno caldo ed essersi abbigliata di tutto punto, uscì molto presto, senza avvertire nessuno, prevedeva una giornata meravigliosa dinanzi a se, come mai fino a quel momento.

Anche il pirata non era riuscito a chiudere occhio, festeggiò fino all’alba insieme alla propria ciurma, e giunto il mattino, mentre i suoi uomini preparavano le navi colme di bottino a salpare, s’isolò da loro per recarsi di nascosto in postazione di vedetta, nell’intento di braccare da lontano l’altura su cui troneggiava il collegio di Faimouth.

Seppure per orgoglio non lo ammetterà mai in vita sua, nemmeno sotto tortura, sperava di ravvisare dal culmine della falesia il profilo di una goffa figura femminile, dai capelli dorati e le vesti turchine, accorsa in riva al mare appositamente per recargli un ultimo saluto.

L’immagine del suo viso smarrito e sofferente di quando le aveva detto addio lo tormentava, la vedeva ovunque.

Egli era convinto che tutti potessero mentire, ma vi era un’indiscutibile fonte di verità, presente anche nell’uomo più astio ai sentimenti: gli occhi, e quelli ambrati di Celia Wilson gli avevano saputo dire molto più di quanto sarebbe mai riuscito a detrarle in parole.

…“Chou-chou mio, cosa turba i tuoi pensieri? Ti fai venire le rughe così!” riconobbe una torbida voce accorrendogli incontro, mentre discendeva dalla coffa.

Inizialmente proseguì senza darle ascolto, ma quando fu trattenuto dalle sue lunghe unghie trivellategli nel braccio, decise di fermarsi.

Rivolse un breve sguardo stanco a Sarah, sua ufficiale compagna, ricercando nella parte più profonda del suo sguardo pesantemente imbellettato la stessa incantevole scintilla, ravvisata nelle ultime settimane in quello ingenuo di una fanciulletta freddina, ma vi scorse solo un immenso vuoto, colmabile unicamente attraverso lussuria, desiderio e nel culto di un’assidua bellezza apparente.

All’insolito silenzio dell’uomo, la meretrice rispose con un profondo acciglio.

LEONARD: “Sono fin troppo giovane perché mi affligga delle rughe!”replicò svogliato affrettando il passo.

SARAH: “Come dici?! –respinse stizzita- Oh, capisco… Il tempo trascorso con quel vile pescatore che ti ha tratto in salvo dall’esplosione deve averti fatto perdere il senno, ecco cosa ti accade!” legittimò apprensiva, accertando la sua alterazione di pensiero.

Questa, la fandonia inventata dal Primo Ufficiale per colmare il  periodo d’assenza.

Leonard annuì incurante, ma dentro di se meditò che lo aveva salvato in tutti i modi in cui poteva salvarlo.

“Ma è stato proprio quel popolano a prendersi cura di te?!” domandò ancora dubbiosa, non fu molto dettagliato nei particolari mentre narrava a tutti dell’accaduto.

LEONARD: “Bhe…No, conosceva… un medico! Si è offerto di pagarmi le cure se, quando fossi stato meglio, avrei lavorato come suo aiutante per un po’, così naturalmente non è stato!” escogitò al momento cercando di risultare credibile, non poteva certo rivelare di aver comodamente alloggiato nell’appartamento di una nobildonna.

SARAH: “Già, il mio solito mascalzone…” assentì infervorata passandogli bonaria una mano tra i capelli.

Nel giro di un istante la donna fece aderire violentemente il proprio corpo al suo, e rivolgendosi all’orecchio del vice Capitano sussurrò piano: “Quanto mi sei mancato…”

Non c’era nessun intonazione d’amore in quelle parole, Leonard riuscì finalmente ad accorgersene, rimanendone turbato.

L’istante dopo un lampo rischiarò la sua mente, tracciando i contorni di un fresco ricordo: Una tediosa mattina di fine Febbraio, il mese più corto dell’anno, da lui scorso prevalentemente riposando, a causa degli acciacchi derivati dal suo incidente in mare, per questo uno dei più perpetui che abbia mai vissuto.

Impiegò, come di consueto, tutto il tempo ad oziare nel giaciglio a dir poco regale di Miss Wilson, nell’attesa d’esser servito e riverito. La Dea a quella fabbrica di sogni vi aveva apportato un ingegnoso tocco personale, assente per incuria in ogni altra camera del severo collegio: servendosi di 4 barriere da corsa per cavalli, rivestite di stoffe così da mascherare il loro vero utilizzo, insieme a delle tende di raso, ricreò nella propria dimora privata un confortevole letto a baldacchino.

La cura d’ogni particolare che quella ragazza apportava ad ogni oggetto in suo possesso, elevato al  più prezioso del mondo seppur si trattasse anche di un guscio vuoto, affascinava terribilmente il grezzo briccone, il quale riteneva inutile persino la vita stessa.

Celia quel mattino si trovava in compagnia di Andrew, ne era certo: le loro chiacchiere indistinte risuonavano allegre in tutto il retro dell’edificio, dove era posta la stalla. Probabilmente erano intenti ad accudire quei maleodoranti equini, come il pirata li definiva. Non potendosi muovere per verificarlo, aveva ancora una caviglia malandata, pensò bene di continuare a dormire.

Più tardi fu destato dal rientro della fanciulla, nonostante ella facesse molto piano, il Primo Ufficiale era abituato ad un precauzionale sonno leggiero. Finse di dormire finanche lei s’avvicinò al suo viso e, vedendolo ancora dormiente, sussurrò un divertito “pigrone”. Il destinatario rimase inebriato dalla sua essenza obliante al miele, mescolata ad un’altra poco dissimile all’erba appena tagliata, pure quando avvertì ormai lontana la presenza della giovine.

Dischiuse leggermente un solo occhio per vigilare lì attorno, ma ritrovò un vano vuoto, dove si era cacciata? In barba al dolore, vinto dalla curiosità, decise d’indagare più a fondo.

S’aggrappò ad un’asta del letto riuscendo a rimettersi in piedi, zoppicò in silenzio per gran parte della stanza ricercando qualche indizio, fin quando assottigliando l’udito captò da un locale vicino, allestito a guardaroba, i movimenti della dama.

Schiuse piano la porta, facendo ben attenzione a rimanere incognito ed addentrarsi furtivamente all’interno, guidato dal canto della Dea nella parte più recondita della stanza.

Pareva intenta a pettinarsi i capelli, il pirata ponderò bene di regolare il proprio passo con il ritmo di ogni districata per assicurarsi di non esser udito.

Giunse fino ad un paravento bianco realizzato in stile nipponico, con le pareti sottili in carta di riso e decorazioni floreali in china, dietro di cui riconobbe l’ombra della “vittima”.

Quando le fu abbastanza vicino, meditò un istante prima dubbioso, su come sorprenderla nel più sinistro dei modi, ma fu inaspettatamente preceduto.

Celia rimembrò improvvisamente di aver scordato degli unguenti, scostò il paravento decisa ritrovando dinanzi a se quell’insolita figura, la sorpresa l’atterrì tanto che trattenne a stento un grido.

CELIA: “Signor Wallace!! Siete voi… -realizzò incredula- Oddio, mi avete spaventata…” ammise trafelata portandosi una mano al petto, palpitante non solo per lo sgomento.

Il Primo ufficiale rimase a fissarla attonito, non negava di averla immaginata in malafede molte volte nelle medesime condizioni, ma la visione dinanzi a se andava ben oltre le sue aspettative: si trovò al cospetto d’un esile corpo discinto, quasi fanciullesco, avvolto solo un uno spesso panno spugnato fino a sopra le ginocchia. I capelli vaporosi e scarmigliati la rendevano graziosa come una bambola, seppur vi fossero impigliati dentro spighe e fieno di spunta da ogni dove, e per finire la punta arrotondata del suo naso imbrunita di terriccio la faceva ancor più deliziosamente buffa.

CELIA: “Per quale motivo mi fissate così? Posso fare qualcosa per voi?” interrogò impensierita.

Leonard riprese fiato, deglutì a forza facendo scivolare lo sguardo per spostarlo oltre, dove scorse l’intento della fanciulla: un ampio specchio appeso al muro rifletteva le sfumature dorate della sua chioma, un mobiletto ad angolo adornato da candele, saponette profumate e rametti d’incenso inebriava quel piccolo cantone, impiegato a mo’ di toilette e completo di tinozza colma d’acqua calda fumante.

La risposta divenne un commento svilente: “No, trovo poco erotica la vasca da bagno… Che ne dite di altrove?” propose maldicente.

CELIA: “Come?? Argh… Diamine, ho tratto in salvo uno sciocco depravato –riconobbe a se stessa- andate subito via!” lo cacciò furiosa.

“Non vado da nessuna parte!” si contrappose offeso dimenandosi.

CELIA: “Invece lo farete all’istante, FUORI DI QUI!” alterò il tono, cercando si spingerlo lontano da se.

“Altrimenti?” la sfidò portandosi pericolosamente vicino a lei.

Un brivido lungo la schiena la trafisse, nel giro di un secondo le guance presero un colorito oltremodo rubino.

“Io…” riuscì a dire smorzata. Si piegò indietro per sfuggire al viso a lei prossimo, nel frattempo rovistò con le mani alla ricerca di qualcosa utile ad allontanarlo.

“Vi bersaglierò con questi!!” berciò giocosa scagliandogli addosso quanti più oggetti poteva. Non riusciva ad esser arrabbiata con lui per più di cinque minuti.

Leonard venne urtato da tutto: sapone, candele, sale da bagno, portaincenso, ed allontanato dalla stanza con intimidazioni e proteste furenti, tante come mai ne aveva ricevute in vita sua.

Alle compagne delle stanze confinanti la giovine raccontò poi che le urla erano rivolte ad un gabbiano disorientato, entrato erroneamente dalla finestra.

Giunto alla porta, che poi sarebbe stata ben chiusa a chiave, il “gabbiano” non mancò di notare dopotutto quanto Celia fosse tremendamente bella anche ridotta con indosso solo un asciugamano azzurro e i capelli pieni di paglia.

Dalla seguente memoria appurò di trovare più amore in qualsiasi banale insulto da parte di Celia che nelle affermazioni vogliose della propria amante. A quel punto l’ovvio lo colpì in mezzo al petto così forte da impiegare del tempo prima di riprendere a respirare.

Tornato in se, Sarah era intenta a ricoprirgli il collo di baci per attrarre attenzione, pungolata dal mezzo sorriso dipintosi sulle labbra del malfattore, non certo per le sue azioni licenziose; dall’altura, luogo fornente la visuale completa della scogliera, avvenne un vistoso cambiamento, il quale ridestò Leonard dai riverberi, rapendolo completamente: un corteo di carrozze si stava allontanando rapidamente dall’istituto, innalzando nell’aria un gran polverone.

In seguito, quell’insolita “sfilata”, si sarebbero rivelate forze dell’ordine locali intervenute ad apportare il proprio sostegno per l’agguato notturno al prestigioso collegio, ma quel moto bastò per non far accorgere in immediato il Vice Comandante Wallace della venuta di due altrettanto impreviste ospiti a bordo della sua nave.

In poche cavalcate risalirono la passerella e con un maestoso balzo finale, Celia ed Immi fecero il loro trionfale ingresso, atterrando a bordo dell’imbarcazione su cui si trovava lo screanzato Primo Ufficiale.

Era lì giunta a perdifiato con la scusante di riprendersi le mercanzie trafugate alle sue compari, come avevano espresso sottoforma di desiderio in sogno, ma sopra ogni altra cosa voleva apportare una risposta al quesito lasciato in sospeso, posto dal bracconiere quella notte. (Mi amerete ancora domani mattina? NdA)

Gli zoccoli scalpitanti della cavalla si fermarono distanti pochi metri dalla coppia voltatasi di scatto, atterrita e turbata dall’inaspettata invasione.

In sella all’animale la Dea, sfoggiante una maschera tronfia e beffarda che celava il suo sconfortato desiderio di rivedere Leo prima di doverlo smarrire in mare, si frantumò come argilla nell’attimo in cui vide una fluente chioma rosso fuoco, provenire dall’incavo tra il collo e spalla del pirata.

Quei capelli cremisi rivelarono un puntiglioso viso ostile, volto verso lei ostentando piglio truce, capace da solo di fendere in due persino un ghiacciaio.

Nel fondo di quelle pire roventi di gelosia attorniate da una carnagione alabastro vide il medesimo istinto “protettivo” presente in una scarna belva feroce, pronta a sbranare chiunque si ponesse poco più vicino al suo pezzo di carne sanguinante, che ella mangiava di baci con cotanta foga.

Le membra della Dea divennero immobili, fredde e pesanti come una stella spenta. Il sangue che prima le scorreva gioioso nelle vene al solo pensiero di rivedere quello screanzato capitano, si fece mercurio. Le mani stringevano senza forze le lunghe redini di cuoio. Protese in avanti il capo per celare la propria reazione devastata attraverso l’ampia visiera del cappello.

Trascorso qualche interminabile secondo, in cui nell’aria si respirò imbarazzo ed indecisione, le parole di saluto ideate da Miss Wilson a quella visione le morirono in gola, pensò di premere con il tallone sul fianco di Immi e fuggire, ma la voce titubante e incredula dell’uomo la convinse a restare, almeno per scusarsi della propria presenza indiscreta.

LEONARD: “Ah, eccovi! Siete venuta prima di quanto mi aspettavo Mrs. Wilson… Sono subito da voi!” proclamò ad alta voce sfoggiando sicurezza, seppur inventando ogni singola parola esclamata.

Il senso illogico di quell’affermazione stranì la Dea, la quale ormai non poteva più fuggire come se nulla fosse, si trovò costretta a scendere da cavallo.

SARAH: “E questa chi diavolo sarebbe??” grugnì spazientita a denti stretti rivolgendosi al filibustiere, senza ancora distaccarsi da lui, anzi, se è possibile attanagliando di più le sue vesti per trattenerlo a se.

“Lei è… la moglie del medico che mi ha curato, deve esser venuta qui per qualche lamentela, tranquilla, me ne libero subito!” la rassicurò mentitore, lasciandosi finalmente alle spalle quella specie di assetata vampira.

Celia faceva fatica a respirare, a mantenere il busto in postura eretta, non si aspettava di trovarlo a braccia aperte, ma nemmeno con un’altra donna, nell’attesa rimase sempre voltata di spalle, la fronte abbandonata sul rotondo fianco di Immi e gli occhi stretti, serrati, nel tentativo di dimenticare, per cancellare la visione terribile a cui aveva appena assistito.

… “Celia!” bisbigliò colpito una volta raggiunta, toccandole da dietro una spalla per farla voltare.

CELIA: “Non osare mai più prenderti tale confidenza nei miei confronti, da quando io sarei diventata Mrs Wilson??” proferì ansante respingendo il suo gesto, scandendo una voce afflitta, rotta dai singhiozzi.

LEONARD: “Si può sapere che ti prende?? …Calma! –rispose alterato dall’atteggiamento atipico della fanciulla- L’ho detto solo per tutelarci tutti –ammise efficace, mentre alle spalle della Dea Sogno Immi adagio s’allontanava- E poi sono io che dovrei scacciare via te, è la mia nave questa! –disse risentito aggrottando la fronte.

“Io sono venuta qua… Solo per riprendere ciò che mi hanno richiesto a gran voce, come è mio compito” spiegò sincera a stento, con lo sguardo fisso alle travi dissestate del pontile, mentre sul dorso della cavalla, al suo passaggio nei luoghi predisposti alla ciurma, si accumulavano i pochi tesori deturpati con la forza nella notte appena trascorsa.

LEONARD del tutto ignaro: “Non sei un granché a recitar bugie, pazzerella… -appurò in un lezio divertito, non afferrandone il significato- speravo più in qualcosa del tipo ‘non potevo vivere senza di te’ !” impersonò conscio della natura romantica presente nell’interlocutrice, sbattendo più volte le palpebre e dilatando i grandi occhi verdi in trasognanti come non erano mai stati.

Celia sollevò di scatto lo sguardo per fulminarlo, divertendo ancor di più il pirata.

Nelle vicinanze, al suono di quelle risate sommesse, Sarah iniziò notevolmente a spazientirsi, era cotanto nervosa che le sue membra ribollivano fino a tremare, le unghie limate affondavano nei palmi serrati a pugno.

CELIA: “…E’ la tua fidanzata?” chiese infine con un flebile espiro di coraggio, ritrovato nel profondo di se stessa, osservando da debita distanza gli irrequieti movimenti meccanici di Sarah.

Leonard si voltò a guardarla con noncuranza per ricavare tempo, come se non conoscesse il soggetto a cui era indirizzata la domanda. Impiegò qualche istante per riflettere, ma poi deciso ammise il più gran timore della divinità: “Sì, lo è”

Un tuffo al cuore, poi il nulla. Celia percepì distintamente quel fragile ma allo stesso potente organo della dimensione di un pugno, prima palpitante all’impazzata nel petto suo mortale, fermar la propria corsa irrefrenabile.

Fu come se il sottile velo divino che la ricopriva le fosse stato strappato via brutalmente dal volto, mostrando al di sotto di quel fievole nitore il peso dei suoi travagliati 19 anni, la vera Celia, senza più le dolci gote rosee da bambina, l’iridi sognanti, il colorito candido, ma sostituiti da lievi increspature lungo la fronte, sui lati delle labbra, intorno agli occhi, spalancati e attoniti di chi ha ricevuto il colpo di grazia.

…“Non ne hai mai proferito parola alcuna…” mormorò straziata portandosi una mano al petto come per tentare di rianimarlo…

LEONARD: “Lo sai benissimo che non mi piace parlare di me –obbiettò quasi con rimprovero, del tutto insensibile alla reazione di lei- tuttavia l’accaduto dell’altra notte è privo di significato –alluse al bacio- una scemenza dopotutto!”

CELIA: “Ti… ti riferisci al… cielo… cosa ho fatto...? –sibilò incredula, capacitandosene soltanto ora- dovevo dirti di no, respingerti subito, fare qualcosa…”

LEONARD: “Come dischiudere anche tu le labbra per esempio” osservò sfacciato.

CELIA: “Vai al diavolo Leonard Wallace! –sprezzò sottovoce, riprendendo subito quello stato d’incredulità e colpevolezza pressante che le comprimeva il torace, quasi asfissiandola- mi son comportata in maniera spregevole... perdonami, ti prego!” lo scongiurò.

LEONARD: “Non sono sensi di colpa quelli che giungono alle mie orecchie spero! –scandì avverso-  Andiamo, è come se avessi sbagliato traiettoria, era una cosa innocente, dalle tue parole sembra quasi che ti ho portata a letto!” sciorinò alla leggiera piuttosto seccato.

CELIA: “Invece è molto grave! –sostenne alterata- hai tradito qualcuno che ami… -rilevò afflitta, provando per la prima volta sulla sua stessa pelle la sinistra fitta della gelosia-  I-io mi sento complice, sporca…” ammise flebile, sostenendo il busto, pesto da troppi dolori tutti nello stesso momento.

LEONARD: “Questo dipende dalle tue abitudini igieniche, io non ho colpa!” si distanziò irreprensibile.

CELIA: “Dille che è stata tutta colpa mia!” si responsabilizzò supplice.

LEONARD: “Ora falla finita con questa storia, Sarah non lo saprà mai. –definì categorico scrollandola per le spalle- Sei soddisfatta? Hai avuto quello che più desideravi. Non mi hai domandato nulla per avermi salvato, io per il mio gesto faccio altrettanto, ed ora affrettati a spiegarmi per qual motivo sei qui!” concluse allontanandola piuttosto impaziente.

La fanciulla indugiò scossa, provata da tutto ciò che l’aveva appena investita, ricedendole il cuore a brandelli.

Allo stesso tempo Immi aveva concluso il secondario obbiettivo della loro “visita”, il primo a questo punto era inutile.

La richiamò con un gesto della mano, la splendida cavalla arrivò subito, non appena giunse vicino a Leonard appiattì le orecchie in segno di rabbia, verso colui che era riuscito nell’intento di pugnalare la Dea.

“Non vi è altro da aggiungere Signor Wallace - stabilì rassegnata, mentre si accingeva a risalire in sella per incamminarsi verso la passerella- Vi auguro buon viaggio, mare calmo e venti favorevoli. I miei migliori auguri ed ossequi alla signora” concluse senza guardarla direttamente, prima di far schioccare energicamente le briglie, ripartendo a tutta carica com’era lì giunta.

Non si voltò più, proseguì diretta alla pari d’una locomotiva, senza accorgersi di aver smarrito il cappello abbinato all’abito domenicale, prima cascante in maniera impeccabile sul viso, fendendolo a metà, esibendo solo in parte lo sguardo assorto e perso per l’unico uomo che avrebbe mai amato. Prestò ancor meno attenzione alle piccole gocce di diamanti, cedute al vento in una scia… Cosa che però non passò ignara al filibustiere, il quale restò a guardarla sparire nella stessa direzione in cui il suo “sogno” lì era arrivato…

Per quanto fu arduo il loro allontanamento, lei non smise di seguirlo, non poté farne a meno, gli fu sempre vicina, ogni notte, presente in ogni suo sogno e il pirata era come se potesse sentirla, anche se lei non risultava essere altro al di fuori d’un fioco bagliore nell’ombra.

La scoperta di Sarah conferì a Celia una ferita profonda, tutt’oggi semi-rimarginata, la nobildonna non resistette ad indagare sui reali sentimenti provati dalla meretrice verso il Primo Ufficiale, infatti scoprì che erano unicamente menzogneri. Si serviva di lui per garantirsi protezione, alloggio e pasti sicuri, anziché vivere per le strade, patire la fame, sottomessa a qualche terribile sfruttatore come le sue compari, le bastava tenersi stretto il suo Leonard, così tutto andava come lei voleva. Nella mente e nei suoi sogni popolava la bramosia una vita agiata che la meretrice avrebbe fatto di tutto per ottenere, fatta di gioielli sfavillanti, abiti preziosi, un triclinio addolcito da ampi cuscini ed una schiera di discinti schiavi pronti a scattare e a concedersi ad ogni suo capriccio.

La Dea soffriva terribilmente di ciò, anche se non poteva provarlo ne rivelarlo ad alcuno, la sua unica sua confidente era Immi. Capitava spesso che nel fondo della notte, Sogno tornasse nelle sue sembianze umane per rintanarsi fra gli zoccoli della cavalla, ricercando un po’ di conforto nel suo più inamovibile riferimento.

Tuttavia non passò molto tempo che Leonard prese coscienza da se degli inesistenti sentimenti da parte di Sarah nei suoi confronti. Era divenuta carbone incandescente di gelosia, pressante, insostenibile, gli tolse ogni libertà tollerabile, ma Leonard Wallace non era mai stato uomo da sottomissioni, soprattutto da parte di una donna.

Avvertì il forte, disperato bisogno di cambiare rotta, tornare indietro, in realtà dentro di se non era affatto partito, e soprattutto questa volta aveva un validissimo motivo per farlo. Fu così che con ben pochi ripensamenti frodò il mare facendo ritorno su quell’isola dove aveva trovato salvezza nel corpo, ma anche nell’anima; non l’avrebbe ammesso nemmeno con se stesso, eppure inconsciamente sentì per la prima volta di aver trovato qualcuno da avere al suo fianco che non fosse unicamente interessata ai suoi aspetti effimeri, bensì alla parte più celata di se, sconosciuta persino a lui stesso.

Prese inaspettatamente alloggio con l’onesto incarico di garzone in un casato poco distante dal collegio femminile di Faimouth, non poteva certo chiedere sostentamento nell’istituto dopo la “sorpresa notturna”, e alla minima mansione ne ricavò una buona scusa per arrecarsi in visita a quella prigione sfarzosa.

Il suo aspetto non era affatto quello di un giovane di campagna cresciuto in modo umile, ma rispettoso, pronto a sacrifici, devoto ai lavori più modesti, appariva certamente il contrario, non ebbe successo nel ricoprire il suo ruolo da uomo di mare, eppure bastò come travestimento per non essere riconosciuto dai residenti dell’istituto collegiale, eccetto una.

Affrontò a passo svelto e brioso i difficoltosi Mogotes de Jumagua*, giungendo in meno di un ora alla cancellata funerea dell’edificio, proprietà di Mortgomery Seward.

L’avanzata del giovine venne accompagnata da un ritmico scricchiolio della ghiaia sotto ai suoi nuovi scarponcini di cuoio, sostituiti agli stivali malconci, che si interruppe giunto all’entrata, dissestata e abbattuta solo poco tempo prima, da una a lui nota ciurmaglia.

Non era mai stato cotanto nervoso per una visita, decise di togliersi immediatamente il pensiero o avrebbe trascorso tutta la mattinata nell’indecisione dinanzi quel portone.

Dietro lo spesso pannello di legno, nelle stanze più interne al palazzo, mormorii e risate fanciullesche dell’ora di colazione conferivano tonalità armoniose all’aria primaverile proveniente dal sud, la quale ormai si faceva largo in direzione del tranquillo arcipelago.

Un piccolo campanello ondeggiò, richiamo cristallino della venuta d’un ospite, restante fuori in impaziente attesa, stritolando tra le dita l’elegante copricapo smarrito nella fuga da Celia, nonché motivata scusante della visita.

Venne ricevuto cordialmente, ma si limitò solo a convocare Miss Wilson, il suo volere fu quello di attenderla sulla soglia.

Quand’ella giunse incuriosita al cospetto del visitatore, lo stupore fu tale che credette in una burla della sua stessa vista sbarazzina, non poteva essere vero… I folti capelli neri erano un poco cresciuti, la barba incolta ed ispida delle gote scomparsa, il fisico appariva leggermente affaticato e smagrito dagli scrupolosi orari di lavoro da seguire e rispettare, le vesti cambiate, più anonime dei coloratissimi lini da lui prima indossati, tutti evidenti segni dell’abbandono della vita di mare, ma per il resto era rimasto il Leonard di sempre, profumava ancora di sale.

La fanciulla dovette sostenersi allo stipite della porta per non crollare, il suo corpo vibrava di stupore, gioia, incredulità.

 “Il vento ha cessato di soffiare così voi di navigare, signor Wallace?” domandò in un sol fiato, sconvolta, tentando almeno di risultare pungente.

Lui l’accolse con un sorriso: “Affatto, Miss –lei pure non era affatto cambiata, conservava l’apparente contegno e pazienza che da sempre lo faceva impazzire- Sbuffa ancora a pieno regime, è solo che…” enunciò teso.

CELIA: “Solo che…?” incalzò impaziente, scongiurando una poetica conclusione.

LEONARD: “Avevate dimenticato questo a bordo della mia nave –rivelò affrettato, porgendole nervosamente il cappello, percependo dentro di se l’ansia crescere- Ci tenevo lo riaveste”

CELIA offuscando la stupefatta delusione: “Oh… Grazie! Siete… stato gentile a preoccuparvene, non vi era alcun bisogno. Avevo persino rimosso di possederlo…” ammise abbozzando dei risi afflitti. Mantenne sempre la testa china, non riusciva ad esser spiaciuta della visita, ma neanche al settimo cielo. Molteplici sentimenti contrastanti s’impadronirono di lei, mettendo a dura prova il suo solito autocontrollo, quando infine riuscì a dire per eludersi altri dispiaceri: “Immagino dobbiate andare ora… Fate pure se dovete, e scusate se vi ho trattenuto oltre”

“Non vi è alcuna fretta-ammonì riscattando il morale della Dea- Intendo rimanere per qualche tempo, mi sono trovato piuttosto bene in passato!” ammise fiducioso con sguardo proiettato lontano, verso un avvenire più sereno ed intrigante.

CELIA: “Sappiate che non ho più alcuna intenzione di farvi da colf personale” prese posizione, ammalando la gioia d’alterigia.

“Chi ha mai menzionato il vostro nome? –esclamò accigliato- Fortunatamente dovreste essere un’anima pia… -osservò sdegnato- Le monache di questo cenobio non vi hanno insegnato che è peccato fare certi pensieri riguardo un uomo alla vostra tenera età, Milady?” sentenziò beffardo.

“A cosa alludete?!?” domandò stizzita.

“Alla tua confessione, implicitamente hai espresso di volermi tutto per te!” replicò dimenticando ogni tono di cortesia, facendosi fisicamente sempre più vicino, nell’intento di confonderla.

A quel punto per la Dea era impossibile formulare qualsiasi tipo di pensiero, la superficie della sua pelle si fece una distesa di brividi; aveva dinanzi a se uno degli uomini meno raccomandabili che ebbe occasione di conoscere, malgrado ciò era il solo capace d’imboccare la giusta via per giungere dritto al suo cuore. A vedersi erano diametralmente opposti, ma era proprio il loro punto di non incontro a creare un’attrazione trainante.

CELIA: “Devo chiederti di andartene ora” riferì a malincuore, impersonando un portamento austero.

LEONARD: “Ma come! Ho rischiato l’osso del collo dirigendomi a tutta velocità lungo le Mogotes de Jumagua, ed ora non ho diritto ad alcun indennizzo?” sentenziò da vittima, fingendo meraviglia.

CELIA: “Fossi in te mi sarei evitata dapprima il disturbo! –esortò risentita, tutto di lui era capace di imbestialirla, la durata di un minuto…- Pertanto, sentiamo, cosa desideri in cambio? E poi recati lontano da qui, sto saltando la colazione a causa tua!” sollecitò affrettata.

“Un appuntamento” era tutto ciò che il pirata voleva. Non ne aveva mai avuto realmente uno, desiderava condividere del tempo vero con lei, dopo averla consciamente ferita in tante occasioni. Le donne della sua vita fino allora erano state unicamente di passaggio, loro avevano fatto del male a lui, e allo stesso tempo il filibustiere si sentiva nel giusto facendolo a propria volta. Sarah fu solo la più perpetua dopo una schiera interminabile di altre esattamente come lei, meno interessate ai possedimenti del Vice Capitano e più ad una avventura di una sola notte. Nonostante lo shock, la risposta della divinità fu comunque “no”, ma dovette ribadirlo molte altre volte nei giorni che vi seguirono, poiché Leonard Wallace non si diede per vinto.

Perseguitò letteralmente la nobildonna, cercando in ogni modo di estorcerle anche un “sì” appena accennato. L’attese per ore in giardino, si nascose tra il fieno della stalla, la sua immagine sbucava da ogni finestra dell'edificio, in una occasione lo colse persino sul balcone, la più sorprendente di tutte si rivelò la dicitura purpurea “Esci con me” trascritta col rossetto* sullo specchio, trovata dalla giovine nella sua stanza dopo esservi rientrata. Ma fu una ed una sola azione a convincere Sogno ad accettare: il consenso della sua uditrice più fidata: Immi.

Accadde un tardo pomeriggio, ad un passo dalla stagione di Flora*, in cui Celia era fuggita in riva al mare per trovare un poco di pace dagli assidui tormenti da parte di quel vile malfattore con la coda di paglia, e i sempre più rabbiosi rimproveri pervenuti dalla governante del collegio, insofferente verso la presenza dell’uomo così prossima all’istituto, cagione per cui ogni giorno tra le allieve popolava generale subbuglio.

Quella distesa che in un punto indefinito dell’orizzonte diventava a sua volta parte di cielo era da sempre uno sconfinato mistero per lei, e a breve anche un nemico.

Ciononostante l’unico luogo in cui l’era facile pensare, riflettere, rilassarsi, dimenticare per un attimo chi era ed essere semplicemente parte della meraviglia attorno a se.

Espirò a fondo l’aria salmastra, liberata sul suo viso ad ogni venuta e ritirata di un’onda, procedendo così fin quando non avvertì più distintamente nessuna parte del proprio corpo mortale, poiché totalmente abbandonato a quel moto regolare.

L’ebbrezza continuò nel medesimo modo, sospendendosi solo nel momento in cui venne distolta da una cavalcata dirompente, tenutasi a poca distanza ed in imminente avvicinamento. Celia riaprì gli occhi volgendoli fulminei verso l’incombente trotto, quel delittuoso tale ancora una volta la lasciò senza parola alcuna: malamente avvinghiato alla criniera chiara della cavalla, s’apprestava a raggiungere la solitaria fanciulla in precario equilibro, sovra la schiena nuda della consigliera.

Toccò terra più intontito ed oscillante che dopo una furiosa tempesta in mare, ma alla vista della reazione allibita di Sogno, gonfiò il petto del suo consueto ardimento e riformulò il tedioso quesito, da giorni esasperato con ogni mezzo. Lo sguardo irrequieto della ragazza ricadde in quello della cavalla, la quale adempì un cenno di consenso stabilendo il responso finale. Immi aveva ragione, il malanimo di quell’uomo dipendeva unicamente dal fatto ch’egli non conosceva altro al di fuori delle maniere un tantino villiche e l’aria di sfida macchiata d’arroganza con cui si atteggiava verso chiunque. Possedeva anche lui uno spicchio di cuore docile e romantico, solo aveva dimenticato di averlo. Fortunatamente ne ritrovò parte in occasione del tanto sospirato incontro: pianificò un ritrovo con la Dea a metà strada dalle loro dimore, proprio al termine della rocciosa scogliera, dove la costa prende una forma più sinuosa e limpida, dicono che da lassù col bel tempo si veda tutta Cuba. (diametralmente a nord, nord-ovest della località di Faimouth; solitamente divise da un’estensione di mare notevole NdA)

Lui si presentò in largo anticipo, avrebbe potuto godersi tutta la bellezza del dintorno a mezzogiorno, ma ancora una volta la tensione ebbe la meglio. Temeva ch’ella non venisse, fosse trattenuta da altri o a causa di un ripensamento improvviso, riuscì a rabbonirsi solo con l’arrivo effettivo della dama, la quale prese con molta più calma il cammino, giungendo nel giusto orario, desiderava assaporare ogni attimo di quel momento.

Inizialmente non vi fu parola tra loro, troppo lo stupore, l’incantevole meraviglia, solo uno scambio di sguardi, senza più nessuna restrizione, nessun tipo di mura munite di “occhi e orecchie” come quelle del collegio, pronte a separarli per sempre se solo colti in un atteggiamento più naturale, meno composto e rigido di come il bon ton ambiva; finalmente liberi di guardarsi davvero negli occhi, scavarsi dentro, parlare, di amare.

LEONARD: “Vedo che hai preso sul serio la mia proposta, dunque!” esclamò mimando una beffarda indifferenza.

CELIA: “Non proprio, ero quasi del tutto certa si trattasse di dei tuoi soliti scherzi" svilì avversa.

LEONARD: "Ma come! –berciò deluso- Non ti fidi ancora di me???" chiese fiducioso.

CELIA: "Fidarmi di chi mi ha baciato pur essendo fidanzato con un'altra, scappato per poi presentarsi sotto le spoglie di un predone, d’uno sfacciato che si permette di chiedermi se domani lo amerò ancora e il giorno seguente mi associa alla moglie di un medico immaginario per i propri insulsi interessi?! –enunciò esasperata- Presumo di no!” controbatté dura.

LEONARD sospirando amareggiato: "… Donne, le consuete lunatiche..."

CELIA: " Che coooosa??? Io sarei volubile? –vociò risentita- Sei tu ad aver avuto la sfrontatezza di tornare qui come se nulla fosse, pretendendo un appuntamento dopo esserti sempre preso gioco di me!" gli rimproverò corrucciata.

LEONARD: "Oh, beh… Se le cose stanno così, significa che contenterò il tuo volere e ci salutiamo qui" dispose senza trasparire alcuna emozione.

CELIA: "Come osi –garrì afflitta- Brutto, brutto…!!!" tentennò astiosa, ricercando il termine più opportuno nel disordine regnante la sua mente.

LEONARD: "Eh, no dolcezza. Brutto no!!" puntualizzò narciso, mostrando di voler occultare letizia.

La Dea Sogno soffocò a fatica un brontolio iroso, scostò malamente da dinanzi a se il pirata, ed avanzò per proprio conto lungo la costa, delimitando quell’avventato pendio sinuoso.

Leonard sofferse compiaciuto senza smuoversi, le permise di compiere appena qualche passo in solitudine, sufficiente a farle credere di esser stata nuovamente abbandonata, ma non resisté per molto, in pochi attimi le fu di nuovo accanto, sfoggiando un’aria sorniona colma di lezio.

Dieci metri più in là la tensione era svanita, si poteva già vederli procedere teneramente sottobraccio.

Fu un evento per quanto memorabile a sua volta incantevole, da quel momento proseguì nei migliori dei modi: il filibustiere condusse la fanciulla in un delizioso antro della foresta di lì a poco confinante, sbalordì ogni supposizione facendo mostra di un’ indole da vero cavaliere, assistendola ad ogni movenza nell’arrampicarsi sovra il tronco di un albero, dove giunti alla cima, da cui già traspariva una vista mozzafiato, fece segno a Celia di sottacere, per poi smuovere impetuoso un ramo, da cui spiccarono il volo decine di piccoli, ma coloratissimi pappagallini tropicali, ricreando una scia d’arcobaleno, divenuti in seguito gli animali più amati dalla Dea.

Venuta la sera presero la direzione del porto, quel luogo affollato di individui rudi, irritabili ed affaticati, coinvolti dal commercio d’ogni tipo di mercanzia, la notte assumeva un aspetto quieto, ancora soffuso di voci, musiche e andirivieni, ma del tutto privo dell’estenuante agitazione diurna. Su quei moli il duetto passeggiava senza temere alcuna fretta, riuscivano magnificamente a parlare di tutto, scherzare su ogni cosa, anche la più brutta vissuta dall’uno o dall’altra, sbocciava così un’intesa che non vide mai la propria fine.

Leonard non antepose il porto per la sua vicinanza al mare, c’era qualcos’altro di un poco nascosto a cui voleva che Celia assistesse: uno spettacolo magico, tenutosi una sola sera ogni dieci anni, allestito dalla compagnia famosa in tutto il mondo del Circo Medrano! *

Sogno nei suoi viaggi intorno al mondo non aveva mai preso parte a nulla di simile, a parte qualche tediosa scenata di un giullare di corte; il ceto agiato da cui proveniva in spoglie mortali l’aveva sempre tenuta ben distante dai funamboli, ritenuti ingiustamente nomadi, gitani, contafrottole, randagi, bruti da evitare e temere in quanto inermi come agnelli, ma scaltri come volpi a privarti persino dei calzoni.

Qui invece poté ammirare quante incredibili abilità nutrivano in loro quei soggetti sgargianti e vivacissimi: padroneggiavano strumenti taglienti, scuri e pericolosi con la leggiadria di foglie nel vento, mostravano un sorriso largo quanto una spanna camminando in equilibrio sull’orlo di un filo a decine di metri dal suolo, ridevano provocando a loro volta altra euforia lanciandosi in cerchi di fuoco a piedi legati, incantavano persino serpenti lunghi quanto il Nilo, capaci da soli d’ingoiare e digerire un bue intero. Con una miriade di altri numeri estremi e stravaganti trasportavano con se quell’inconfondibile sapore esotico della loro terra lontana, talmente affascinante ed eccitante che era impossibile stare solo fermi a guardare: tutti battevano le mani, gioivano, trattenevano il fiato quando la scena si faceva adrenalinica e pericolosa, sospiravano sazi, allontanandosi a spettacolo finito dal largo tendone. Il pubblico presente non ricordò altra occasione in cui si divertì tanto.

Quello show fu per tutto il tragitto di ritorno motivo di confronti, pareri entusiasti e tantissime altre risate per i due giovini, ormai giunti al termine del tanto atteso appuntamento. Il pirata si propose di accompagnare la dama fino al cancello del collegio, tutt’altro che pentita di aver accettato infine, ma al contrario, ancora tanto euforica ed entusiasta.

Raggiunta la cancellata di ferro, limite massimo concesso al predone, vi fu un insolito accosto di sguardi: Leonard, posto in fronte alla divinità, la fissò intensamente, studiandola di sbieco con una mano sovra la bocca, come se potesse udire i suoi pensieri e stesse formulando qualcosa di ingegnosamente furbesco per comprometterli; lei avvertiva il peso di quella veduta, seppure fingeva d’osservare mestamente il vialetto, si ritrovò ad arrossire senza nemmeno una parola; infine non percependo nessun’altro riscontro sollevò timidamente lo sguardo su di lui, incrociando quegli occhi enigmatici.

LEONARD: “Come pensi di oltrepassare questa tediosa inferriata dato che è serrata a chiave?” domandò ricevendo un acciglio interrogativo.

 CELIA: “Scavalcandola…?” replicò poco convinta. LEONARD: “Allora ti aiuto io” si propose ancora una volta magnanimo. La Dea tentò di contrapporsi, ma venne subito ostacolata, le asserzioni contrarie non bastarono: il novello garzone era già chinato a terra, pronto a porgerle un ginocchio piegato, a mo’ di scalino. Ella apprezzò incantata l’ennesima cortesia del giorno, poggiandosi lievemente su quegli arti robusti, preferì volare al posto che recare altro peso superfluo su di quello sfrontato navigante cotanto gentile con lei.

LEONARD: “Caspita, riesco a vedere tutto da qui! –esclamò famelico, reggendo la ragazza in equilibrio sulla propria spalla, intenta a scavalcare faticosamente la cancellata, per via dell’ampiezza eccessiva della sottana- Che visione divina, non indossi nemmeno la biancheria…?!” stimò ironico mandandola su tutte le furie, in realtà quelle affermazioni erano tutto fuorché veritiere, data la precaria posa era impossibile ch’egli vedesse ciò per cui disperdeva tanto fiato.

CELIA: “Mentite!” sbottò astiosa, prima di recare un ultimo piccolo sforzo, tornando così ad essere l’ennesima reclusa di quella prigione dorata.

LEONARD: “Suvvia, volevo ne fossi sicura!” si giustificò mordace, contemplandola con un fondo di tristezza attraverso le sbarre.

CELIA: “In quanto a finezza sei incorreggibile!” lo redarguì alterata, dandogli le spalle, intenta a prendere il tragitto di casa.

LEONARD: “Non mi fido a lasciarti andare fin là tutta sola” ammise a voce alta per farsi udire dalla fanciulla, ormai allontanatasi di qualche metro diretta al dormitorio, situato in mirabile lontananza, appena distinguibile nel buio poiché mascherato dalle ombre serotine di quel tiepido anticipo d’estate.

Celia s’arrestò colpita d’ascoltare ancora la sua voce, mentre camminava credeva di averlo offeso e che avrebbe tenuto il broncio per molto tempo, invece tentò ancora di rivalersi.

CELIA voltandosi con la fronte corrugata, discioltasi subito in un traverso sguardo ammaliatore: “Sono grande e forte, so vestirmi, pettinarmi e mangiare da sola –dichiarò pavoneggiandosi ironicamente- In più ti ricordo che ho affrontato i tuoi leccapiedi con uno stuzzicadenti, immagina se fossi stata munita di un gladio!” sfidò allettante, iniziava a subire l’influenza dei Wallace.

LEONARD: “Peccato non esserci, saresti stata eccitante!” rimarcò divertito.

CELIA a sua volta ridente: “Buona notte Leonard” sussurrò trasognante, salutando l’amato mortale con un lieve cenno della mano. Nyx accolse tra le proprie braccia tetre la figlia immortale, rendendola tutt’uno con quell’oscuro infinito, travestimento necessario per permettere alla giovine di aleggiare indisturbata, senza essere vista da occhio terreno, fino alla sua dimora.

Il Primo Ufficiale osservò la figura di lei in lontananza divenire una briciola, svanire nell’immensità del buio.

Un istante dopo la fiamma tremula di un lume invase le stanze vuote della fanciulla, apportando un pesante cumulo di sospetti urticanti nella mente cinica del mortale.

 

Immi era una docile bestia molto intelligente, apprendeva molte cose ascoltando i pensieri delle persone, ma quella notte un dubbio fiorì come una rosa spina in lei, non l’era mai capitato di vedere la sua padrona in quello stato: a tratti pareva sull’orlo di scoppiare in lacrime, in altri rideva sommessamente, regalando sorrisi seguiti da sospiri sognanti. Senza ombra di dubbio un nuovo bagliore prese a splendere nei suoi occhi, solo la cavalla celeste non sapeva ancor bene perché.

L’osservò frastornata agghindarsi per adempiere al suo dovere, sebbene il vespro fosse ormai sull’orlo di appassire, ponderò come saggio attendere in mitezza che fosse la stessa a rivelarle ogni cosa con spontaneità. Nel contempo, si lasciò cullare verso il sonno dalla lenta melodia intonata da Sogno. Il musone sporgente prese a ciondolare, tutto intorno divenne annebbiato, velato di un contorno tremulo, ed infine le pesanti palpebre della cavalla si richiusero. Dovette riaprirle bruscamente poco dopo, per l’incombere di rumori inconsueti pervenuti dall’esterno, versanti alla stanza.

Scorse Celia indossare con gesta stimabili alle saette di Zeus la camicia da notte, soffiare al di sopra del pallido lume rischiarante il dintorno, imbevendolo di buio, e fiondarsi nel letto, protendendo le coperte fin sopra il mento. Gli attimi guadagnati li impiegò per rallentare il respiro, divenuto turbato ed affannoso, mimando un credibile sonno naturale, la consigliera si dileguò invece negli spessi drappi della stanza-guardaroba, rimanendo comunque in grado d’assistere a tutta la scena.

Un tonfo sordo dissestò la balconata, brevi passi guardinghi l’attraversarono, un’ombra uniforme si proiettò sovra la finestra. Il chiavistello dorato ruotò di 90°, forzato da un sottile pendaglio di ferro, scattò subito senza altri forzi e l’invasore fu libero di procedere. Le persiane si spalancarono imperiose, anticipando l’ingresso di un volto scosceso d’ansia: due iridi guizzanti esaminarono in un secondo tutto il circondario, articolati da un’espressione mista tra il collerico e l’inquieto: “Lui dov’è?!?”

La padroncina, già rianimata dall’impeto furente dell’assalto, si protese seduta mormorando: “Ma, chi…Leonard?!” senza ricevere alcuna considerazione, poiché sventata da una ispezione irrequieta del dintorno.

Seguirono altre imprecazioni irose e confuse rivolte allo stalliere del collegio, che il pirata scandiva lanciando ogni cosa gli capitasse sottomano.

La dea era divertita dal piglio di gelosia, ma allo stesso tempo turbata per la reazione sconsiderata del predone; quell’ardore dettato dal tormento si placò come per incanto solo con un timido quesito mormorato dalla immortale: “Siete per caso geloso, Capitano?”

Il Vicecomandante colto nel segno replicò sorridendo, seppur visibilmente irritato: “Me? Oh… no! Per me potete trascorrere come e con chi volete le vostre notti –dispose più indubbio, a quelle parole nella mente della tessitrice di sogni Immi lesse solo “Non vorrei passarne di diverse dalla tua compagnia” - Intendevo solo assicurarmi che non lasciassi accesa alcuna candela prima di addormentarti –si giustificò mentitore- data la tua sbadataggine infantile!” schernì rivalutato.

Celia scostò in fretta le coperte per andargli incontro e fronteggiarlo: “Ah, è così!” replicò minatoria.

L’espressione del predone al suo arrivo mutò radicalmente, distese ogni muscolo, come faceva solo nel sonno, gli occhi solitamente ridotti a fessure maliarde si dilatarono come se dovessero abbracciare l’infinito, incorniciati da folte sopracciglia scure, arcuate dalla sorpresa: “Che cosa hai qui?” chiese rapito, protendendo una mano verso i suoi capelli, guidato da una scia di lievi brividi. Scostò quelle sottili reste dorate, sfiorando appena la curva del suo udito, Celia avvertì un solletico appena accennato, poi il malfattore si allontanò dal suo orecchio, porgendole plateale la corolla sboccia d’una rosa blu, in una notte vittima d’incantesimi come quella, avvenne l’ennesima magia.

Celia era attonita, proprio come una bambina: si tastò più volte l’orecchio sbalordita, non poteva credere che quello splendido fiore fosse davvero apparso da lì; esplose in un impeto di gioia raccogliendo lo stelo pungente tra le sue mani tremule, l’accostò persino al volto per distinguerne il profumo, appurando che fosse vera. Era certa di aver già visto un cespuglio di rose come quelle in un dove, forse rampicante sul muretto di pietre, lungo il contorno del giardino, ma in quell’istante nulla aveva importanza, tutti i mirabolanti numeri di prestigio a cui aveva assistito quella sera si dissolsero per far largo al più dolce.

CELIA: “E’ stupenda, com…Come hai fatto??”

LEONARD: “Non sei l’unica ad essere magica qui!” assentì esibendo un altezzoso fare adempio.

CELIA: “Magica…? –quella parola scosse nel profondo le sue membra- Secondo te, io… sono magica?” sussurrò intimorita, lui sapeva?

Leonard lasciò passare un lungo silenzio, in cui la fissò intensamente, con una volta leziosa nell’angolo della bocca: “Certo pazzerella, devi ancora dirmi come hai fatto a giungere fino a queste stanze in un soffio di Eolo, quando un secondo prima ondeggiavi i fianchi camminando dinanzi a me!” scoscese sfidante.

Immi tirò un respiro di sollievo, il segreto era ancora al sicuro, poi commentò con uno sbuffo irritato.

CELIA: “Non ho mai camminato in quel modo” intimò risentita.

LEONARD: “Per l'appunto, ti muovi sempre come se avessi un bacchio conficcato nelle scapole!” inveì gentilmente vendicativo.

CELIA sconfortata: “Sarebbe più facile smuovere l’Olimpo dal suo letto che discutere con te!” esclamò ponendosi di spalle offesa, pentita di essere rimasta ad ascoltarlo.

Leonard non se la prese come suo solito, ma piuttosto ne fu ancor più intrigato; la seguì fino alla portafinestra, accoccolandosi sulla sua spalla, stringendola forte a se come a volerla imprimere sulla sua pelle, le sfiorò con il volto le guance calde e morbide che adorava e sussurrò piano in voce gutturale per discolparsi: “Quando mandano il diavolo a fare il lavoro di Dio non aspettarti misericordia!”

Celia si voltò per guardarlo negli occhi, voleva capire se era realmente sincero, ma quella scaltra canaglia non le diede il tempo: fuggì in fretta dal poggiolo, discendendolo attraverso le preziose sporgenze di marmo. La fanciulla lo raggiunse per un soffio, s’affacciò al parapetto scoscesa mormorando in risposta: “Non ne ho mai voluta”

Leonard finse di esser troppo lontano, ma percepì distintamente quel sibilo colmo di rancore e malinconia.

Da allora Immi nella mente della adorata padroncina non lesse altri pensieri di conclusione diversa ad una vita vissuta insieme a quel tale.

 

-

 

A quella notte seguì la stagione delle tempeste fatta di continui temporali, uragani, mare in burrasca, straripamenti dei ruscelli.

Tutto era impossibile da navigare, coltivare, da attraversare, anche le strade dell’isolotto di Faimouth scomparirono lasciando dietro a se solo brevi fiordi fangosi, tenaglie mortali per carrozze, zoccoli dei cavalli e gli stessi calzari degli uomini.

Quei tre mesi resero il collegio una prigione più di quanto non fosse mai stata prima. Le allieve al suo interno erano confinate tra quelle mura senza possibilità di uscire, poiché non vi fu più un solo giorno di quiete in cui splendesse il sole per azzardare una breve passeggiata almeno nei giardini.

Si ritrovarono allo stremo delle forze e della fame, vi erano scorte per anni nei magazzini, ma le forti inondazioni ne avevano distrutto una gran parte portando ognuno al limite massimo di privazione, anche i pozzi d’acqua risultavano inquinati, ciascuno pregava come poteva che quell’inferno vedesse presto la propria fine, non si era mai assistito a tanta disperazione.

Tutti pativano dolorosamente, chiusi nel silenzio, tutti tranne la Dea Sogno che certo non aveva preoccupazioni simili: distribuiva ogni cosa poteva tra le sue compagne con varie giustificazioni, per diffonder speranza. Il luogo che da sempre odiava di più al mondo adesso le chiedeva tutto l’aiuto possibile, e lei vi si immerse totalmente, ad occhi chiusi, senza pensarci un minuto di più.

Molti si domandarono da dove proveniva quella forza ed entusiasmo instancabile che la contraddistingueva,

ma il da fare era sconfinato al punto di coinvolgerla interamente, tanto da allontanarla, almeno fisicamente, seppur si trattasse solo di poche miglia, dal suo unico grande affanno, situato in una fattoria poco più lontana, esposta forse ai rischi più grevi trovandosi in riva al mare.

Non riuscì mai a raggiungerlo, nemmeno sottoforma divina, era troppo il sostegno che la impegnava al collegio, seppur gli fosse sempre vicina con ciò che dal cuore proviene senza voler nulla in cambio.

Finalmente col finire di Giugno tutto cessò, tornò la quiete, niente più squarci di tempesta o cieli dilaniati da lampi e tuoni, solo pioggerella leggiera, umida, che con se riportò all’equilibrio la primavera.

Faimouth, divenuto un luogo di soli fantasmi, tornò a nuova vita, ricominciarono i commerci, gli sbarchi, i mercati ben popolati, e anche poco più in là da quel fermento, sui colli e sulla scogliera si riprese lentamente a vivere.

Gli abitanti del collegio avevano ormai dimenticato quanto fosse piacevole sostare, anche solo per un minuto, nel parco, quei tre tragici mesi in seguito fecero apprezzare loro persino la fogliolina più secca del giardino.

Celia non ricorda mai precisamente la data in cui quella bolgia infernale ebbe fine, rimembra solo che un giorno si svegliò senza più sentire il tintinnio della pioggia sovra la grondaia del tetto, destò tutte le sue compagne in gran fretta e con loro si precipitò fuori, in cortile, per assistere in prima persona a quell’incantesimo.

Sprofondarono coi calzari in mille pozzanghere di fango, si bagnarono e insudiciarono tutte, la governante era disperata, ma dopo tanta detenzione anche solo respirare aria pulita e fresca era una magia.

Improvvisarono una specie di balletto molto buffo, fatto di schiamazzi e movenze senza senso, per ringraziare le capricciose divinità di averle infine ascoltate, quello fu il fulcro massimo dell’euforia, poiché la danza scoordinata ricordò dopo alla governante il mancato compimento di una tradizione che si ripeteva ogni 5 anni nell’istituto, e fino a quel momento per nulla al mondo era stata rinviata: il ballo di primavera.

Si trattava di un evento puntualmente trasformato in una sorta di sfilata di moda: ad ogni allieva veniva messo a disposizione il materiale necessario alla realizzazione di un abito da gala, prevedeva l’intensificazione delle lezioni di ballo e portamento, l’invio di almeno 1500 inviti a tutti i signorotti non impegnati sentimentalmente dei dintorni, un ricco buffet a base di paté di qualsiasi animale cacciabile, e alcool, tanto alcool, a fiumi, per stordire i presunti pretendenti convincendoli a maritare una delle allieve e sgomberare presto altre stanze del collegio.

Un avvenimento con un fine alquanto squallido, che riportò alla memoria di Sogno il suo passato fatto interamente di questo e da cui preferì fuggire, ma che ora le si ripresentava alla porta come Nosferatu in carne e forca.

Venne sopraffatta nuovamente dall’abbandono, il vuoto incolmabile che prima stipava la sua anima mortale, la quale aveva tutto, ma non desiderava niente a parte amare, cosa a lei sempre stata negata fino a quel momento, ed ora, dopo tanti sospiri, la tradiva di false speranze, poiché nonostante fosse tornata l’estate, al contrario delle compagne, non ricevette mai alcuna visita, da nessuno.

La giovine iniziò a nutrire i propri dubbi di mille possibili ingannevoli spiegazioni: Sarah era tornata? Leonard non era in buona salute? Era ferito? L’aveva dimenticata? Non gliene importava più nulla di lei? Era ripartito alla volta del mare aperto?

Quesiti che rimasero senza alcuna risposta. Sogno pensò di chiarirli recandosi da lui in veste divina, ma reputò indegno usare nuovamente i propri poteri solo per motivi fini a se stessa, aveva scelto di vivere sulla Terra per aiutare gli umani e non soddisfare i propri capricci.

Così resistette a lungo, pazientò, tenne duro, ma ogni ora che passava si faceva sempre più straziante stare lontana da quel malfattore senza neppure sapere come fosse la volta maligna, pacata o adirata del suo viso quel giorno.

Nel frattempo, come da programma, le attività del collegio si ridussero ad essere interamente collegate al gran ballo, per cui nell’aria era palpabile gran attesa e fermento. Si ripresero tutti dalle disgrazie dei mesi di putiferio con gran prestezza, al fine di dedicare priorità assoluta al grande evento; Celia vi partecipò come poté, faceva solo il minimo indispensabile per non essere espulsa dall’istituto e rimandata a casa in anticipo per le vacanze estive, cosa per tanto mai successa dato che da 5 anni non vi faceva più ritorno, la maggior parte del tempo lo trascorreva immobile, soprappensiero, indubbiamente lontano poiché rivolto a Leonard.

Molte volte fingeva solo di essere assorta, per non attirare su di se degli sguardi; capitò che durante la lezione di cucito un’allieva si ferì con le forbici e mentre tutte erano occupate a soccorrerla, Sogno si smaterializzò dall’aula per azionare una delle sue note fughe al galoppo, indotta dalla noia più intollerabile.

In un istante fu dalla sua trottante complice: “Imiiiilin? Eccomi qui, dovevo solo indossare gli stivalet-…” mentre salutava la fidata cavalla, alla visione di ciò che si ritrovò davanti, per un secondo volle morire, rinascere, esplodere come un fuoco d’artificio e piovere di nuovo sulla terra per rivedere colui ora presente dinanzi a se: Leonard era lì, al fianco di Immi, con una mano lungo il suo muso, nel palmo una carota rosicchiata e un sorrisetto sfumato d’impazienza, forse di rivederla.

Fu come se Celia si innamorasse di lui per la seconda volta. Venne investita da una vampata di calore cocente,  attanagliata da una morsa gelata, scossa da brividi febbrili. Quell’uomo le faceva dimenticare persino chi era, la meraviglia fu tale da renderla incapace di pronunziarsi a parole, lo accolse solo con un sorriso disarmato.

“La belva è pronta per voi, Milady!” annunciò trionfante dando una pacca secca sulla schiena della cavalla, provocando la spazientita reazione di una scalciata dei posteriori a vuoto, che però inamidò il predone.

L’antipatia di Immi verso quel tale si alimentò di nuove retrospettive.

“Non credo voglia essere chiamata così” osservò ridente, rassicurando prontamente Immi con delle carezze, non riusciva a credere di avere alla distanza d’un dito la causa di tutti i suoi affanni in quei ultimi mesi.

La Dea soffermò lo sguardo su ogni suo piccolo particolare, ogni dettaglio, piccolezza… Voleva imprimere nella mente più che poteva di lui, cosicché se fosse trascorso un mese, un anno, una vita senza rivederlo, avrebbe sempre conservato nel proprio cuore un suo indelebile ricordo.

“Mi fa molto piacere vedere che sei uscito illeso dal trambusto procurato dalla stagione delle tempeste!” pronunziò allegra non sapendo da cos’altro cominciare, trattenendo a stento tutto il proprio impeto, quante cose voleva chiedergli!

“In realtà, non è proprio così…” ammise angustiato, mentre riabbassava velocemente le maniche rimboccate in precedenza della camicia, ricoprendo con la stoffa leggera di lino i muscoli rinforzati in tutti quei mesi dal duro lavoro di garzone.

“Oh…” spasimò afflitta.

 “Ci sono state non poche difficoltà” sussurrò impenetrabile.

La Dea non volle indagare oltre, lasciò ricadere nel vago quella affermazione, aveva imparato a caro prezzo che il pirata non amava parlare di se.

Vi fu un breve silenzio, infranto poi da un chiacchiericcio in lontananza, il quale mise per un momento il pirata sull’attenti, ma poi si dissolse nel giardino e non fu più motivo di preoccupazione.

“In cosa consiste tutto lo strepitio che aleggia tra queste pie mura?” domandò scosceso prendendo le distanze da Immi, in precauzione ad altri improvvisi scalci.

“A breve ci sarà un ballo! Tramutato più che altro in un pomposo rituale di accoppiamento…” enunciò riluttante.

“Come, come?” assentì intrigato.

“Non è ciò che intendete voi –rifinì ipotizzando la sua interpretazione- Il collegio deve liberare qualche stanza dalle vecchie reclute, così cerca loro marito, come carne esposta al macello” espose amareggiata.

“Sarebbe a dire?! La tua testolina puerile da inguaribile romantica non è contenta che le sue compagne si sistemino?” chiese sorpreso in tono di rimbrotto.

“Non se vi si trovano obbligate!” si impose acquistando animo in loro difesa.

Forse prima di distanziarsi da Immi doveva scampare dall’ira funesta della sua padrona.

Il pirata sollevò le braccia in segno di resa, esibendo una espressione inebetita: “Ti scaldi cotanto, ma sono certo che anche tu vi parteciperai!” replicò in tono avverso, misto di biasimo, eppure ornato di lieve curiosità.

“Certo, è un dovere…” ammise tristemente, pensando alle serie conseguenze a cui l’avrebbe portata quell’ennesima trasgressione, tra cui l’allontanamento definitivo da lui nel caso in cui non fosse stata rispettata.

“Ah, è così! Lo sapevo, lo sapevo!!” disse amareggiato a se stesso, puntandole contro un dito imputante.

“Sapevi cosa?! Per quale motivo sei qui??” domandò confusa, percependo in anticipo il peso dell’accusa.

“Credevo di mancarti… Ma a quanto pare hai ben altri pensieri. –ammise disilluso- Sei esattamente come loro… Ti atteggi ad estranea, a diversa, ma in realtà sei stata forgiata da questo mondo che tu lo voglia o no, e niente potrà andare diversamente. Perciò smettila di deridere te stessa quando affermi di odiare ogni singola mattonella di queste mura!” concluse greve, innalzando la voce e dimenandosi in mimiche opprimenti.

La Dea si ritrovò ridotta in lacrime e col cuore sanguinante: sentiva di adirarlo, deluderlo, il peggio che poteva cagionare in lui. Avrebbe voluto rispondergli, spiegargli il perché di tante cose, le proprie paure, i suoi vincoli, ma così facendo avrebbe condannato entrambi ad un destino fin troppo avverso, perciò si vide costretta a condannare a morte in primis se stessa.

La cosa migliore da fare se ami una persona è lasciarla libera, certamente distante da una fonte di cotanti problemi, e così doveva essere, doveva allontanarlo: “Tu non puoi sapere come stanno le cose… E poi non ti permetto di tornare qui per rivolgerti a me così!” definì ferma, marmorea come diaccio, le parve di trovarsi all’esterno di tutto ed ascoltare la voce di qualcun altro senza  la possibilità d’intervenire.

“Oh-ho-oh! Da dove provengono questi artigli affilati che sfoderi solamente ora? Non dirmi che tutto d’un tratto ti sei invaghita di questa bigotta gattabuia!” rimarcò il predone colmo di disappunto.

“Sì, è vero: la odio con tutta me stessa, ma è anche l’unica casa che abbia mai avuto, perciò intendo comunque proteggerla!” asserì questa volta predicando a malincuore il vero.

“Quale bugiarda ti ha reso invece… -derise scosceso- Cos’è accaduto a te, invece, in questi tre mesi? Il contatto troppo ravvicinato con quei conservatori meschini ti ha reso come loro?! Vai pure ai balli adesso!” riscontrò uscito di mente dall’incredulità, non era certo la Celia che sperava di rincontrare colei ora lì presente.

Perché non posso fare altrimenti!risaltò gridando, smarrito ogni contegno, zittendo definitivamente il mortale.

“…Celia… Celia, sei qui?” il timbro di quell’eccesso d’ira richiamò l’attenzione di qualcuno altro all’esterno, in cerca da tempo dell’allieva fuggitiva.

“Si può sempre scegliere invece –marcò abbattuto- questo per giunta me l’hai insegnato tu!” assentì Leonard, segnando l’aspra perdita di ogni fiducia in quella giovine.

“Divertiti al mattatoio mia cara!” le augurò all’orecchio, celando ogni tono della voce, fiancheggiando Sogno prima di dileguarsi al più presto da lì.

Rimasta sola con la fidata destriera, Celia voleva solo lasciarsi cadere in ginocchio e piangere, disperarsi fino a perdere i sensi. E’ già duro trovarsi costretti a perdere chi ami in una vita, ma la prospettiva di convivere con il seguente pensiero per l’eternità lo è molto di più. 

Questa volta non l’avrebbe mai rivisto di certo, non poté dirgli nemmeno addio… Ammesso che fosse accaduto non le sarebbe stato rivolto nemmeno il minimo sguardo, poiché suggellato dal troppo disinganno.

“Oh, Celia, eccoti! Sapevo di trovarti qui -reputò Alexia sollevata, oltrepassando il portone d’ingresso della stalla-Dove volevi fuggire anche stavolta? –le chiese preoccupata- E poi… ti ho sentita urlare, con chi te la sei presa?”

Ci volle un po’ di tempo e numerosi richiami ansiosi da parte della compagna di stanza, prima che la Dea fosse in grado di risponderle: “N…niente… -disse infine costringendosi a reagire- Ero angustiata con queste maledette briglie di cuoio-dimostrò coinvolgendo il primo oggetto finitole tra le mani- si attorcigliano sempre, non so che farci!” rise fintamente.

“Amy, piuttosto, come sta?” domandò Sogno montando in sella, per cambiare argomentazione, riferendosi alla vittima dell’incidente procurato dalle forbici.

“Molto meglio! Nulla di grave, non saranno necessari i punti di sutura. –rassicurò fiduciosa- Però tu torna a lezione, ti prego! Se la signora Wilburne si accorge della tua mancanza sarai di nuovo nei guai, questa volta lo riferirà ai tuoi genitori!”

“Ne saranno alquanto lieti dunque, è l’unica notizia che vogliono costantemente sentirsi dire per auto convincersi di quanto hanno fatto bene a confinarmi qui!” accertò lei con noncuranza, scrollando le spalle, dando nel frattempo ad Immi il segnale di muoversi, ma la cavalla non ubbidì, protestò invece con un degente nitrito.

La creatura anch’ella divina prese ad incepparsi su i suoi stessi passi: tentennò per pochi centimetri, quasi inciampò ed infine prese a zoppicare con estrema fatica, non era in grado di camminare, ancor meno di partire in corsa, eppure tentò in tutti i modi di contentare la padroncina. Celia vi rinunciò, la ricondusse subito nel rispettivo box e col petto ancor più gonfio di apprensione si precipitò insieme alla compagna dal maggior esperto in materia della zona: Andrew.

La scaltra cavalla riuscì perfettamente a mentire a chi meglio la conosceva al mondo, continuò a recitare finché non rimase del tutto sola, una volta che attorno a lei vi fu soltanto desolazione, lasciò ricadere il finto drappo di patimento inscenato sin ora, e si lanciò al galoppo in direzione del porto, come mai prima dall’ora, volta a raggiungere il prima possibile il vile fuggitivo scampato nuovamente da quel luogo di reclusione.

Si spostava alla velocità d’un spiro d vento, nessun mortale poteva esser in grado di vederla, nemmeno la sua prossima vittima che ella rinvenne tra la boscaglia confinante con la scogliera.

Gli passò accanto fulminea, sbalestrando la sua andatura veloce e restia. Il garzone rimase per un attimo scosso, poi appena riprese a camminare si trovò il sentiero sbarrato dal muso incollerito della divina destriera.

“Oh! …Eh, salve bel cavallino” porse il proprio saluto sorpreso.

Immi non replicò altrettanto cortese, al contrario continuò a farlo arretrare sfidante.

“Caaalma, a cuccia… Non te la sarai presa per quell’amichevole pacca innocente, vero?!” rise nervosamente sempre più impelagato.

La cavalla cabrò sulle zampe posteriori atterrando il malcapitato mortale, ora il malfattore doveva per forza darle ascolto se voleva scampo.

“D’accordo, te la sei presa –appurò angosciato, costretto a terra- Ma merito di esser calpestato per questo??” implorò speranzoso.

Immi pensò allora di dargli un piccolo ispiro scostandosi leggermente, mantenendo tuttavia la guardia, ma come lo fece il strisciante predone sgattaiolò via tentando di riprendere la fuga, sventata subito dai robusti denti della “belva” che lo afferrarono prontamente per i calzoni.

“Molla l’osso stupido equino puzzolente!!” imprecò strattonando con forza il drappo dal lato opposto, finché la cavalla non ebbe la meglio ed uno strappo secco lasciò Leonard a biancheria in vista.

“Dannazione, guarda cosa hai fatto!” digrignò risentito.

La colpevole apparve molto soddisfatta del lavoro svolto invece.

“E’ stata quella mezza matta della tua padrona ad insegnarti questi scherzetti di pessimo gusto?!” accentuò raccogliendo il drappo strappato, sputacchiato in fare sprezzante da Immi.

La cavalla rispose ciondolando il muso in segno di negazione, lasciando Leonard attonito.

“Cosa significa, tu capisci quello che dico?!” questa volta la risposta di Immi fu un sì.

“Follia…” commentò sbalordito.

“Perché sei ancora qui, cosa vuoi da me?” domandò renitente, vedendo che l’animale dopo lo sgarbo non accennava ad allontanarsi. Immi allora gli porse una busta chiara con un marchio dorato raffigurate una S, chiusa da una spiccante ceralacca vermiglia. Attraverso dei mugugni lo esortò ad aprirla e all’interno il pirata vi trovò un invito ufficiale per il gran ballo “…Che si terrà l’ultimo giorno di Giugno al Collegio Seward di Faimouth. Ma neanche per sogno!” sbottò dopo aver letto tutto attentamente, respingendo la richiesta.

Immi strabuzzò gli occhi, doveva farlo soprattutto per lei!! In protesta calpestò il piede del mortale, portandolo ad acconsentire saltellando sgraziatamente dinanzi a lei, tenendosi il piede malandato.

“E, dimmi. Non sono un professore, un parente, ne un amico ben accetto, un servo, ne un pretendente dovizioso in cerca di carne fresca, come pensi che io possa parteciparvi munito solo di questo pezzo di carta?!” predispose con una nota irritata.

A questo la cavalla aveva già pensato: quel giorno non si portò dietro solo il prestigioso invito…

 

 

-

Through the mirror (Attraverso lo specchio)

 

Poche ore all’inizio della grande farsa.

L’ansia di quell’atmosfera elettrica era palpabile, ma a sua volta intrisa a fondo di mille altri sapori e profumi: le pietanze sui vassoi del buffet, le decorazioni floreali del gran giardino, allestito a nozze da un’ampia pista da ballo in parquet rossiccio, un’impalcatura per l’orchestra, occupata da ore a far le prove, incorniciata da una necropoli di panchine bianche, più simili a lapidi con sovra incisi i nomi delle allieve, destinate tristemente ad essere cancellate da quel luogo per iniziare una nuova vita, se possibile migliore.

Era quella l’idea pervenuta da Celia, vedeva quel grande allestimento come la vigilia d’una iniqua condanna a morte, mentre le sue compagne cinguettavano ignare da una stanza all’altra per compiere gli ultimi preparativi. Lei se ne stava inerme, dinanzi la finestra, con la tenda appena scostata, a comporre irregolari cerchi di fiato per poi scrivere sul vetro, ancora incredula di poter respirare come i suoi amati esseri umani. Portava indosso il suo abito ceruleo da camera, era seriamente intenzionata ad essere l’ultima a prendervi parte in quella messa in scena.

Cercava di non soffermare l’attenzione a lungo su nulla, voleva dimenticare tutto, la notte stessa, appena sorte le stelle, quando nasce il chiaro di luna.

“Non vi siete ancora abbigliata?!?” l’acuto timbro della governante, irrotta senza preavviso nella stanza la fece rinvenire brutalmente dai suoi mesti pensieri.

“Ma…Lady Wilson!! –gracchiò stizzita- Fatelo all’i-s-t-a-n-t-e –scandì bellicosa- ripasserò qui tra mezz’ora precisa! In quanto allieva maggiormente perdura all'interno del collegio, dovete occuparvi di accogliere, se vi è fattibile con calura, le nuove aspiranti allieve, questa sera giunte apposta per prendere visione del luogo in compagnia dei genitori” comunicò gracida come solo un altoparlante rotto sa fare. Il tupé corvino della sua capigliatura severa poi la faceva propriamente somigliare ad un microfono. Ancora non le perdonava l’assidua frequentazione di quel sopruso garzone spesso girovagante nei dintorni.

Neppure attese un accenno assertivo, si dileguò come la sua venuta, Celia percepì di nuovo quel stridere pochi metri più avanti, nel vano tentativo di alleviare l’eccessiva enfasi di alcune allieve infervorate dal grande evento, “secondo l’etichetta…” come l’amplificatore amava ripetere fin la nausea.

Cosa vi trovavano in cotanto spreco di vivacità? La prospettiva di indossare due metri di stoffa ben cucita ed incontrare un centinaio di uomini tutti in una sera, in modo da non ricordarne nemmeno un nome?

Possibile che non sapevano di dover solo pazientare, attendere, portare più fiducia nell’amore, anziché forzarlo drasticamente in quel modo così retrogrado e combinato.

Lei stessa era una prova, un emblema che quella speranza prima o poi viene sempre ascoltata. Per incontrare Leonard le bastò rincorrere la sua libertà in riva al mare, in sella ad un paio di ali munite di criniera punk e zoccoli, perché venisse come folgorata da un lampo e scaraventata in una tempesta di sogni.

 

La serata sarebbe iniziata di lì a poco, non vi erano ancora ne invitati ne accogliti, ma una carrozza già si dirigeva segretamente verso il Collegio, lanciata a tutto gas, forse appositamente, per quelle strade vorticose.

Attraversò il viale a gran velocità, innalzando intorno a se polvere e ciottoli; del suo passaggio rimanevano solo tracce appena accennate di zoccoli, così veloci da non sfiorare quasi il terreno, e solchi nel sentiero fangoso per lo sfarzoso peso della cabina passeggeri fissata al rimorchio, dalla quale provenivano urla colleriche di protesta, somiglianti a “APPENA ESCO FUORI DI QUI TI FACCIO DIVENTARE UNA BISTECCA SUCCULENTA, STUPIDISSIMO CAVALLO!!!”

A comando di quel veicolo: nessuno. Solo un’aitante cavalla Haflingher determinata a rivedere la sua amata padroncina sorridere, e se doveva essere per merito di quello screanzato predone narciso, che sia!

Si occupò personalmente di passare a prendere Cenerentolo quella sera. Egli appena la vide arrivare tentò invano la fuga, poiché già consapevole delle sue intenzioni, ma Immi partì subito all’inseguimento e quando gli fu accanto con il cocchio, il giovine in corsa fece appena in tempo a ravvisare due paia di braccia che lo trascinarono all’interno della cabina passeggeri, e finire mezzo soffocato da un tulle rosa fiori di pesco.

L’aneddoto più singolare fu l’abitacolo interamente vuoto, salvo considerare l’orrendo abito femminile roseo che la cavalla gli aveva proposto d’indossare al ballo, e da cui stava per essere asfissiato, come un secondo ingombrante “passeggero”. Chi era stato dunque ad acciuffarlo?

 

Il tragitto fino al collegio fu una centrifuga impazzita, Immi instancabile, determinata a non fermarsi finché non fossero giunti a destinazione, qualunque cosa accadesse, rallentò solo al “traguardo”, nel luogo in cui il suo piano avrebbe avuto compimento.

Per Leonard Wallace il mondo finì di ruotare turbinosamente in quell’istante: la portiera del cocchio, fino ad allora bloccata, sì aprì con uno scatto meccanico e lui crollò a terra nauseato, trattenendo a stento un rigurgito, rimembrando con rimpianto le terribili tempeste in mare a confronto.

Non ebbe neppure la forza di rialzarsi, si sentì solo trascinare di peso nella semi-incoscienza in un ambiente chiuso, riconosciuto, una volta rinvenuto, come la camera da letto in cui un tempo, a lui parso quanto quello di tutta una vita, aveva trascorso più d’un mese segregato nel letto.

Avvertiva il proprio corpo abbandonato in posa sospesa, ma ancora non comprese dove fosse stato riposto.

Soltanto dopo una manciata di istanti, quando il capo smise di roteare, sollevò la fronte abbandonata all’indietro e la prima immagine che vide fu il riflesso scosceso del proprio viso, mentre sedeva scompostamente sulla poltroncina imbottita, al cospetto d’una vasta specchiera.

Contemplò ogni dettaglio del proprio viso verdognolo per la nausea, inorridito dall’aspetto scombinato in cui si trovava, domandandosi nel frattempo cosa ci facesse lì. Sapeva della sua rapitrice, ma Immi non poteva averlo anche riposto fino a dove si trovava.

I suoi dubbi vennero disciolti subito da un vocio femminile, piuttosto spazientito, che fu incapace di vedere, proveniente dal fondo della stanza, il quale lo fece dapprima sobbalzare: “Per Zeus, quanto pesa quell’ammasso di carne e ossa, accidenti!”

“Non imprecare Nyx, non sta bene! –ammonì una seconda, dalla melodia più armoniosa- E poi ti ricordo che stai nominando mio padre” dissentì risentita.

“Come puoi sapere che è lui, Afrodite? Credevo che tuo padre fosse Urano (personificazione del cielo NdA). Convochi uno, l’altro o entrambi solo per i tuoi comodi!” rimproverò la prima altezzosa. (questo perché l’origine della Dea Afrodite secondo la mitologia è dubbia tra Zeus e Urano appunto)

“Perché tu lo sai invece?!” sfidò in seguito all’avvisaglia, cancellando il proprio timbro armonico.

“Certo –marcò la più cupa- esisto da molto prima di te!” (Anche se altre interpretazioni sostengono che Afrodite sia la prima di tutte le divinità NdA)

“E con ciò?” beffeggiò la più giovane.

“Significa che sono più immortale di quanto credi” sostenne la sediziosa.

“Semmai è l’Amore ad essere eterno, la Notte vede la propria morte ad ogni venuta d’Apollo!” incentivò la seconda, riacquistando eufonia.

Di cosa stavano discutendo con cotanta enfasi quelle voci? -si chiese il pirata- pareva d’essere al cospetto di due fuori di senno.

“Mai riunire delle divinità tanto difformi, aveva ragione Ermes (il messaggero degli Dei, quasi l’sms fatto a divinità ^^ lol NdA) a dirmi così!” rilevò la prima voce sconsolata.

“Da quando, proprio tu, dai ascolto a quel piccione viaggiatore?!”

“Basta così Afrodite, non siamo qui per bisticciare. Abbiamo una missione!”definì Nyx temperante.

“Credevo che tu essendo stata creata per prima sapessi già tutto, e potessi fare altrettanto con le tue sole forze…” replicò la Dea della Bellezza in cantilena vilipesa.

“Ho bisogno del tuo sciocco animo sentimentale” ammise l’incarnazione della notte terrestre con notevole sforzo, quasi dovendola supplicare.

“Oh, bhe. Allora è diverso! Molto bene, chi devo far innamorare?” domandò la bella entusiasta, riavvalendosi del suo carisma amorevole.

“Non si tratta di questo, sono già innamorati… -proferì Nyx in tono più mielato- solo, dobbiamo fare in modo di coronare questo loro amore!”

Afrodite obliò il bagliore splendente del suo sorriso, conservandolo solo nel contorno dei suoi occhi turchini.

“Stai parlando di… Sogno, non è così?!” azzardò consapevole, leggendolo nel limpido della sua anima immortale.

Probabilmente così dicendo risvegliò l’attenzione sperduta dell’altra Dea, nonostante ella non ebbe il temperamento eversivo di risponderle.

Leonard, ancora privo della cognizione, ma incuriosito dall’inusuale scambio di asserzioni, inclinò maggiormente la poltrona su cui risiedeva, per portarsi ad esser più vicino ed udire meglio.

“Si vede da come ti sta a cuore, sai? –definì compiaciuta d’averla colta nel segno- E’ scritto lì e nel tuo grembo di madre, dove è cristallino quanto il vero che tu non l’hai cacciata dall’Olimpo degli Dei per spietatezza, ma poiché sapevi che meritava di meglio di quel falso antro elevato al firmamento” ora riusciva a comprendere molte cose.

“Orbene!! –esclamò la propagatrice d’amore incassando il consenso - Chi sarà il favorito dalla sorte per codesta fanciulla? Abseo…Cisseo…Odisseo…Teseo…Perseo?? ” (nomi di eroi/personaggi celebri della Mitologia Greca NdA) enumerò infervorata.

“…Cosa ne dici di qualcuno che in questa epoca sia ancora vivo?!? –sbottò Nyx adirata- e poi chi sono tutti questi seo??”

“Ah, nessuno di loro? –domandò Afrodite ingenuamente- Bhe, ecco, io li vedevo come dei buoni partiti –attestò fiera- E dunque chi mai sarebbe… Oh! Vuoi dire il mortale…?”

Al suono di quella domanda, un sostegno anteriore della poltrona slittò sul pavimento ligneo di parquet, e il mortale in questione cadde pesantemente a terra, attutendo questa volta il ruzzolone con l’imbottitura del seggio.

Riaperti gli occhi vide sbucare dai tendaggi dell’improvvisato letto a baldacchino una fluida chioma, bruna quanto l’ebano, ed una seconda riccioluta color dell’oro.

“Sei sicura che tua figlia abbia scelto proprio lui, com’è successo?” domandò insicura Afrodite.

“Non chiederlo a me, è TUO figlio che si diletta con le frecce!” (riferita a Eros NdA) replicò la Notte alterata.

In pochi istanti lo raggiunsero fino a sovrastarlo e Leonard poté ammirare da vicino la loro esotica beltà: una mora che pareva provenire senza indugi dalle mani tormentate di Michelangelo e dalla tavolozza di Raffaello, la sua candida veste riportava ogni colore conosciuto dall’uomo, ma allo stesso tempo lasciava trasparire i tratti essenziali di una corporatura suadente.

Al suo fianco un breve raggio di sole dalla pelle di porcellana e le labbra di rosa, la quale mostrava un sorriso radioso mormorando intenerita “Povero mortaluccio, guarda quant’è indifeso, aiutami a rialzarlo Nyx!”

“Fammi il favore di risparmiarmi certi accorgimenti svenevoli!” brontolò nel frattempo la più corrucciata obbedendole.

Senza la minima fatica fu riportato alla posa iniziale con tanto di poltrona a seguito, chissà come potevano quelle due esili figure averlo sollevato con tanta facilità e senza essersi quasi avvicinate.

“Ogni qualvolta mi ritrovo qui è sempre per merito di qualche bella donzella –attestò l’ex vicecomandante piacevolmente sorpreso- e sono lieto di constatare che di recente il numero è aumentato. Deve proprio essere la vostra serata fortunata per avermi qui, ragazze!” ostentò tronfio nel rivolgersi ad entrambe con una smorfia sagace.

Il suo malizioso tentativo ebbe però come esito solo un risolino divertito della Dea dell’amore: “Hai visto Nyx, è pure simpatico!”

“Come no…-commentò istrionica- Vediamo di fare come ti ho detto e di sbrigarci anche, forza! Rimane poco tempo!!” esortò con rasoio e schiuma da barba alla mano, portandosi subito all’azione.

“…Cosa intende dire?” domandò il burlone nel rivolgendosi alla più radiosa, stranito dall’affermazione della bella bruna. Nel medesimo istante Nyx si riavvicinò accerchiandogli il collo con una lunga mantella e un’acuminata lama.

ASPETTI, aspetti… Si fermi, la prego!! –supplicò il malfattore pensando al peggio- Non era mia intenzione sembrare sgarbato prima, le chiedo perdono, ma non…” il suo implorare s’acquietò da se quando, ignorando i piagnistei, l’incarnazione della Notte iniziò a stendergli sul viso una schiuma biancastra.

“Significa che dobbiamo levarti questa barba puntigliosa dal viso se vogliamo farti somigliare ad una donna vera, mio caro!” puntualizzò l’amorevole Afrodite, passando un dito lungo il suo mento, prima di scomparirgli alle spalle per attrezzarsi a propria volta.

“Cooome, sono qui per questo? –contestò atterrito- E’ stato il cavallo a dirvelo?? –s’agitò sul seggio, cospargendosi così la schiuma da rasatura in mano a Nyx perfino dentro il naso- Allora non sono pazzo… -mormorò risollevato- Parla anche con voi…!”

“Certo, è stata di Immi l’idea di farti accedere al ballo!” assicurò la dama dai capelli d’oro ondeggiando per tutta la stanza.

“Vi dispiace ripetere??” squittì sempre più vilipeso “Non è mia intenzione parteciparvi, non ne ho alcun motivo!” sostenne ritroso.

“Ci andrai eccome fifone, ci risulta che tu abbia qualcosa in sospeso e devi risolvere qui!”

“Nyx, cosa devo procurarti, dunque, per esser d’aiuto?” la interruppe la divinità della Bellezza a gran voce, da qualche angolo remoto della stanza da letto.

“Vediamo… -rifletté pensierosa scrutando il mortale frastornato- ogni tipo di belletto che riesci a trovare, sapone, mooolto sapone! Una parrucca bruna, ciglia finte, un corsetto e… cera calda per depilazione…”concluse ripugnata, intravedendo la peluria rigogliosa, sbucante da maniche e colletto della camicia.

La vittima rabbrividì. “Io sono pienamente contrario a tutto questo!!!” sbraitò oltraggiato, sapendo di non potersi imporre.

“Nessuno ha chiesto il tuo consenso –delineò la mora in accento mordace- Se la ceretta ti atterrisce cotanto, in alternativa abbiamo Immi, che può strapparti quei crini uno ad uno coi denti…” spronò fingendo magnanimo.

“N-No… credo preferirò la cera bollente!” annunciò sempre più terrorizzato, delineando un sorriso sghembo poiché già pregustante il dolore.

“Ottima scelta!” replicò lei dandogli una lieve pacca sulla spalla.

“…Ci conosciamo per caso? Ho come l’impressione di averti già vista…”conversò Leonard, cercando allo stesso tempo di decifrare quel sguardo zaffiro profondamente enigmatico attraverso lo specchio.

Nyx, aleggiandogli attorno, rivolse lui dapprima un sorriso beffardo ed interrogativo. Non discendeva mai sulla terra, le faceva ribrezzo quel luogo dove la vita era tanto breve, passeggera, spesso fatta di finzione e falsi inganni, non era interessata alle dirompenti passioni di cui Sogno tanto parlava prima di farne la sua eterna dimora.

Preferiva osservare tutto da lassù, con i suoi occhi severi e rigidi sulle proprie convinzioni.

Poi, la sua attenzione ricadde su degli arredi sparsi per quell’antro, mai ravvisati prima d’allora; e in quegli insoliti oggetti, all’apparenza provi di alcun valore, rivide da vicino la sua bambina, la gioia, l’allegria, la spensieratezza che la contraddistingueva pur essendo una divinità notturna, e l’immenso coraggio d’una creatura tanto piccola, ma già munita della forza e la determinazione di opporsi al volere di tutti gli Dei, per ottenere qualcosa che ora, un poco smarrita, non aveva il vigore di raggiungere, e per questo non poteva più esser lasciata sola. “Nei tuoi sogni…forse!” mormorò infine quella donna misteriosa, rimostrandosi commossa, pensando a come quello strano mortale potesse aver rivisto gli occhi di Sogno contemplarlo nei suoi.

“Ed ora, se non vuoi ritrovarti la gola sgozzata… - preannunciò ricomposta, innalzando il rasoio sotto il suo sguardo perturbato- ti consiglierei di STARE IMMOBILE!”

 

-

 

Appena varcò le porte del collegio di Faithmount, Celia venne avvolta in una confortante mantella d’aria notturna, fatta di brevi stridi dei grilli in lontananza, un presepe di lumi di candela, l’assopente umidità della sera, e un velo di mistero che da sempre ammalia i mortali, ma lei riconosceva semplicemente come casa.

Rivolse uno sguardo supplichevole al cielo, una muta richiesta d’aiuto che sperava sempre di ricevere e non si avverava mai, eccetto per l’appunto quel giorno, ma non poteva ancora saperlo. Dopo il solito responso, ribassò gli occhi in lacrime, prese i lembi laterali del vestito, indossato malamente, per di più in tutta fretta, e col rigido passo cerimoniale che l’era stato insegnato, iniziò a discendere lentamente la scalinata.

Davanti a lei, invece, il tubino stretto dalla marcia scattante che fasciava l’aspide governante Twetty, la quale pur essendo già immersa nell’ondata di ospiti, non si degnava di rilassare la sua espressione severa in un amichevole sorriso di benvenuto per nessuno.

“Molto bene, Lady Wilson –accertò guardandosi intorno, quando Celia le fu accanto- ora incediamo come precedentemente accordato… Levatevi subito quei laici brillanti dai capelli, pare vi sia piovuto sulla chioma!!!”raccomandò rimproverandola prima di farsi avanti ad una comitiva di pomposi aristocratici.

Non erano veri brillanti come la vipera pensava, ma frammenti di roccia cosmica, solitamente visibili in Sogno la notte, quando le permettevano di trasformarsi in una sorta di luminosa stella, e allo stesso tempo capaci di spegnersi per sempre se la Dea non fosse stata più in grado di farli risplendere tramite un’emozione potente venuta dal cuore.

Permettete che vi presenti… -interruppe il microfono puntato ad alti toni il brusio creato dalla conversazione sofisticata dei gran signori - Miss Celia Wilson, l’allieva su cui mi sono pronunziata” l’annunciò prostrando avanti quel viso infelice, riflesso ancor di più nell’antro di assoluto buio dato dal suo abito nero.

“Quale onore presidiare al vostro cospetto, Miss –commentò il più corpulento di loro, stupito dalla meraviglia di quella figura ultraterrena, ricevendo in risposta solo un cordiale inchino- la signorina Twetty dice che qui sono molto fieri di voi- diede inizio ad un colloquio rimasto privo di risposte- Ebbene… Diteci, posso affidare a questo luogo la mia bambina prediletta?” richiese affrettato, dopo istanti di imbarazzante silenzio, cingendo teneramente la figlia posta al suo fianco.

Nel guardare quel gioioso viso infante, leggermente ostacolato dalla coppa di vino agitata in aria con euforia dal pallido nobile ora tinteggiato su gote e naso di porpora, Sogno rivide un po’ di se stessa, come era prima di tutto questo, di cosa l’avevano privata col tempo.

Alla seguente questione, tutti nel circondario aguzzarono incuriositi l’udito, Mrs. Twetty in particolare.

Come succedeva da sempre a Celia, le persone di alto rango non potevano fare a meno di metterla continuamente alla prova. Si prese un istante prima di rispondere, per fissare nella mente la figura a cui aveva appena assistito, rimembrare le poche del suo passato, confrontarle con quelle di un mondo aldilà che non era più suo, riprovare miriadi di sensazioni strazianti che un tempo stavano per uccidere strangolata persino lei, una Dea alla quale la morte non è concessa. Poi entrò in azione un sentimento mai provato, del quale la divinità dei Sogni aveva spesso sentito parlare, ma mai messo in atto, una di quelle emozioni che animano guerre, lotte e persino amori; una sensazione che il suo stesso amore le aveva insegnato, Leonard le diceva spesso: “La vendetta non cambia il mondo tesoro, e spesso non fa bene a nessuno, se non a te. Almeno per attimo…”

Inghiottì a fatica fino all’ultimo rospo e poi, decisa, si ribellò anche all’ultima catena: “Se intendete recludere la vostra amata figlia in una prigione dorata… Fate pure! Dovete solo firmare il modulo, proprio qui” definì scialba, con una intonazione schernitrice ed alterata, indicando precisamente al signorotto, sul foglio di carta in mano alla governante, il punto a cui si riferiva.

Il comportamento della fanciulla sollevò nei nobili all’ascolto versi di stupore e sdegno, ma a Celia non importò, si congedò aggraziata, prima di intraprendere la via della fuga il più velocemente possibile.

 

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Il corridoio dei dormitori era del tutto disertato, lo abitavano solo le candele, vasti specchi, tavolini di cristallo ornati a puntino di fioriti centritavola, e una insolita figura rosea barcollante, lamentosa e pienamente sorretta alla parete per evitare la rovinosa caduta sul pavimento, cosa già successa almeno una decina di volte.

“Più dritto con la schiena, Leonard. Una signora non camminerebbe così! E poi rischi di inciampare nel vestito” redarguiva Afrodite, improvvisatasi maestra di posa, vedendo il proprio allievo torto in avanti dal dolore. Con la propria singolare persuasione di Dea era riuscita a convincerlo in tutto per farlo divenire una dama provetta, ma per renderlo credibile la strada era ancora lunga e tortuosa.

“Era proprio necessario il corsetto?? Come fate voi donne a portarlo?!? Ditemi! –si lagnò ansando- Tutto questo dannato trucco poi, mi sta uccidendo, brucia quanto l’inferno!” maledisse tentando di avvicinarsi agli occhi per levarsene via almeno un poco.

“Ah, ah, ah! – intonò scacciando quella mano- Non provare a toccarti il viso per nessun motivo!! E adesso, da capo: Passo destro, anca a destra, sinistro, anca a sinistra, ti fermi e riprendi…” cantilenò mimando le movenze femminili che il poveretto avrebbe dovuto imparare nel giro di pochi minuti.

“Time out, la prego… -implorò estenuato- Respiro a malapena –vittimizzò- ho addosso almeno dieci chili di tulle color pesca –riconobbe schifato- in testa una parrucca che ne peserà almeno altri cinque, un centimetro di belletto caustico in viso, questi ricci boccolosi mi ingrassano! … e come se non bastasse qui è praticamente buio, non vedo nemmeno dove metto i piedi!”

Persino alla Dea dell’Amore sfuggì il pensiero che quel bell’imbusto alto e posato se portato in circostanza critica si calava alla pari di una adolescente isterica.

“Nyx…” disse poi la Dea della Bellezza in cadenza di rimprovero.

Dalle tenebre si innalzò una risatina divertita, anticipante il ritorno della luce a lume di candela nel varco.

“Fuori è molto buio, dovrà muoversi nelle medesime condizioni, volevo abituarlo meglio!” giustificò angelica la sua bravata.

“Al posto di lamentarti, ringrazia che non devi indossare i tacchi, ma abbiamo approvato i tuoi stivali, Lea !” lo schernì altezzosa, ricevendo in risposta solo una saetta truce dallo sguardo del mortale, troppo occupato a riprendere fiato per parlare.

 

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With ring or in chest

 

Il pergolato del collegio, dove vi si recavano gli ospiti all’accoglienza, venne colto da uno stupore generale, tra le bocche pettegole di quei nobiluomini si espanse subito una maldicenza crudele riguardo un’allieva dal fare libero e con una lingua troppo lunga che tutti ora osservavano in lieve disprezzo, a distanza, mentre si allontanava confondendosi nel buio.

La governante abbrancò il suo polso come una tenaglia per bestie feroci e la trainò a forza nell’ufficio del direttore, tra mille rimproveri a cui la giovine non dava più alcuno ascolto. Avvertiva solo quella cantilena inorridita rimbalzare tra le pareti dei corridoi ed echeggiarle nella mente.

La fece sedere su di una poltrona con un “Non osate muovervi da qui”, sola, al cospetto della pedantesca scrivania or vuota del principale, dove, con le mani raccolte nel ventre, attese la sentenza.

Nonostante lo sguardo chino, Celia avvertì avvicinarsi poco dopo una sagoma pesante e voluminosa, certamente dissimile dall’esile corporatura del becchino.

Sollevò il mento incuriosita e scorse Mrs. Martines Seward, la corpulenta consorte del direttore, per l’occasione sciorinante tutta la sua regalità: i pendenti di cristallo purissimo tintinnarono rumorosamente mentre soggiaceva la sua stazza voluminosa, ancor più accentuata dall’ampiezza del vestito, verde dorato e quasi con vita propria dato che i suoi drappeggi si muovevano continuamente, per il vento, una sottile movenza o il lardo che sotto vi stava, in contrasto con il viso lunare piuttosto morto, o almeno, il pesante cerone bianco sfumato sulle guancie carnose di rosa, e il rossetto mattone rendevano questa idea pagliaccesca.

“Perdonate l’attesa Miss, le scale sono molte da fare! –si scusò ancora accaldata, ricercando sollievo nel sventolare un registro prima deposto sulla scrivania- per quale motivo è stato necessario interrompere il mio ottavo giro al buffet?” domandò squadrando l’allieva dai suoi piccoli occhi infossati.

Celia solitamente era un animo ingenuo, capace di stupirsi di tutto, ma faccia a faccia con la crudeltà non si fece affatto impressionare: “Sappiate che non ho alcuna intenzione di scusarmi con quei tali, non mi sento in colpa, ho solo detto loro la verità!”

“Mi hanno informata della vostra…insolenzasottolineò angustiata- Ma ad un provvedimento per questo penseremo dopo, ora abbiamo ben altro di cui occuparci” annunciò smettendo di sventagliare il registro per consultarlo.

“Significa… che non volete punirmi?” domandò la fanciulla in accento stranito.

“Oh, ma certo che lo faremo mia cara! –ribadì divertita pregustando quel momento autorevole- Più tardi però… Ora, come ti dicevo, devo informarti d’altro. Stamane mi è giunta una comunicazione dal nostro ufficio delle entrate: m’informava che i tuoi famigliari non retribuiscono la tua permanenza qui da almeno tre anni ormai!” proferì cercando conferma sulla carta, accostando al viso un paio di occhialetti formali da lettura.

“…Cos-?” riuscì solo a mormorare turbata.

“Dunque –continuò senza darle modo di disquisire- il pagamento del primo anno è stato attribuito insieme alla tua iscrizione al nostro collegio –recitò categorica- Anche per il secondo anno pagamento delle varie imposte regolare, è stato il medesimo in cui ti hanno inviato quella cartolina da…?”

“Xuzhou, signora. Era quello il nome della località…Si trova in Cina” ravvisò cercando nel frattempo di attendere la disputa della verità restando calma, senza giungere subito a cattive conclusioni.

“Esatto, e da quel momento in poi non abbiamo più rilevato alcun contributo da parte loro.” concluse chiudendo di scatto il fascicolo sulla scrivania lignea, rivolgendo alla giovine un cipiglio colmo di colpevolizzazione.

Una fitta lancinante all’altezza dello stomacò tentò di piegare la Dea, tremante d’ostruzione e timore.

“I miei genitori… Potrebbero essere ovunque, dispersi da tre anni e non mi avete mai informata di nulla??” esplicò incredula a fatica.

Mrs. Martines rimase impassibile al dolore della giovane, lo ignorò completamente, ritenendo più interessante contemplare il brillante al suo grasso dito medio, un regalo del marito.

“Siamo piuttosto tediati da questa situazione Miss Wilson, non conosco le ragioni di tale comportamento da parte dei suoi congiunti… -farfugliò ricercando compulsivamente nel cassetto della scrivania qualcosa con cui deliziare il palato- ma al terzo sgarro mi vedo costretta alle maniere forti! –accentuò quel gracidio battendo un pugno chiuso sul tavolo, che scosse Sogno- Al termine del ballo di stasera vi consiglio di far ritorno in camera vostra e accumulare nei bagagli quanta più roba in vostro possesso- suggerì spassionata, recuperando la svilente calma nel suo tono di voce per via d’un cioccolatino dalla rivestitura sgargiante- Avete a disposizione un giorno per liberare la vostra stanza –ultimò impastata dal dolce cacao che le si scioglieva lungo la gola- L’indomani, come ultimo favore personale, vi ho già accordato un pratico mezzo di trasporto: il lattaio sarà qui molto presto con la sua carretta, di solito dopo aver fatto visita a noi si reca al porto, potete domandare a lui…” la ridicolizzò perturbante leccandosi avara le dita.

“Mi state cacciando? –riconobbe incredula, tutte quelle divulgazioni in una volta sola le facevano girar la testa- Come, come… Io non ho un altro posto dove andare al di fuori di questo…” pronunciò in uno spiro, sentendo nascerle in gola i primi singhiozzi.

“Da domani non sarai più un’allieva di questo collegio, perciò, per quanto mi riguarda, ora è un tuo problema. Credo di aver già fatto abbastanza per te! –si trasse pulita dall’impiccio, sollevandosi faticosamente dalla poltrona per andarsene- ti consiglio di goderti il ballo e non pensarci per stasera, avrai tutto domani per farlo, au revoir !” (arrivederci in francese, una delle lingue più in voga nella nobiltà del tempo) la salutò maligna agitando la mano, dilettandosi dei singhiozzi dell’esaminata, boccheggiante e smarrita, ridotta a due occhi sbarrati, vuoti, caduti nell’oblio.

“In alternativa, non so, potresti scendere in giardino e trovarti uno sciocco ricco marito!” suggerì minimizzante spiando dalla finestra l’andamento della serata.

“Ma cosa dite…?!” contestò Celia con accidie, ricercando con enorme sforzo dentro di se, il vigore di reagire.

“Così facendo saresti più che sistemata, mi sbaglio? –perpetuò ostile- Avendo appena appurato la tua mancanza perfino di un tetto sotto cui dormire…”

Uno scampanellio, tintinnio sottile e orchestrale, proveniente da fuori, estraneo al caotico mattatoio, attrasse l’attenzione di Celia.

Spalancò ogni senso per dedurne la provenienza, e a poco a poco si fece più nitido, pressante, si accorse che giungeva da dentro di lei, e non era proprio un campanello, ma una voce, limpida, seppur dalle parole aspre e reiteranti: “Gli uomini si odiano, tutti. Trascorrono le loro miseri brevi vite ad eliminarsi a vicenda, noi Dei dell’Olimpo abbiamo il duro compito di placare questi istinti. Andando tra loro non farai che divenire tale tu stessa.”

Quante volte l’aveva sentita? Pressappoco sempre quando aleggiava lassù e per un istante assunse malgrado pericolosa veridicità, ma allo stesso modo, venne subito smentita dai resti d’uno spirito profondamente innamorato di tutto questo, che ancora permaneva in Celia.

No, non tutti sono così… Ogni cosa in se ha del buono, solo non ci si sforza mai di cercarlo…

Così la fanciulla ritrovò se stessa: nella profondità del suo medesimo dolore.

“Potete anche scordarvi che io segua i vostri bassi espedienti, Mrs. Martines!” si contrappose agguerrita, or consapevole di possedere la forza necessaria all’affronto.

La moglie del direttore agguantò la contesa optando nell’aggressività per riprendere controllo: “Se non vi è ancora abbastanza chiaro, dolce Miss, l’unico modo per uscire da questo collegio è con la fede nuziale al dito o nella bara!” predispose scagliandosi ad un centimetro dal viso della Dea, con le pupille iniettate di sangue, ad un battito di ciglia da quelle chiuse per metà della sfidante.

“Ed ora, dato che fino alla mezzanotte di oggi siete sotto la mia tutela, devi recarti al ballo, come di dovere!” concluse soffocandole il braccio sinistro sotto al suo, mentre l’accompagnava fuori dall’ufficio.

“Vedi mia cara –proseguì fingendo cortesia con fare altezzoso- C’è chi nasce per essere un sogno…! –sostenne indicando se stessa con un gesto plateale- e chi, come te, solo per sognare…-disse rivolta alla giovine in sdegno- con la tua indole ribelle sei destinata unicamente è quello!”

E forse per una volta ebbe ragione, seppur Celia fosse portata per entrambe le cose.

Quasi certamente, il destino della signora, invece, fu morire della sua stessa cattiveria.

 

 

Pink Lady

 

I mormorii ininterrotti degli invitati al gran ballo si placarono con un improvviso, sebbene strategico, blackout: i lumi rallegranti il circondario furono spenti in simultanea, innalzando dapprima altro sbigottimento, subito sostituito da meraviglia quando l’orchestra diede un tacito via alle danze, e l’unica fonte di luce furono delle fontane illuminate da mille colori diversi, ai lati della principale scalinata, dalla quale, secondo una predisposta scenografia, discesero incantatrici, una ad una, tutte le allieve dell’istituto, agghindate a festa come muse.

I loro abiti di manifattura propria parvero leggiadri petali, in procinto di librarsi adagio verso il terreno, guidati dal vento. Un applauso incantato accolse benevolmente loro, e le rispettive dame di compagnia a seguito, tra cui faceva la sua apparizione una in particolare, ancor sprovvista di fanciulla da scortare, la quale dopo montagne di rimproveri, tra la massa, si muoveva senza più ondeggiare alla pari di un pendolo.

Solo il suo respiro affannoso, mentre discendeva le scale celandolo come meglio poté con un ampio ventaglio di piume, infastidì leggermente chi la circondava.

Giunta ai piedi degli scalini, avvertendo le costole toraciche in procinto di dirompere dall’intricato strumento di tortura, denominato corsetto dalle signore, si sostenne ad un basamento marmoreo nel tentativo di riprendere fiato.

“Sembravi un taglialegna in gonnella che scendeva dal suo mulo!” s’innalzò dall’ombra uno sbuffo, seguito da un commento supponente.

“Non essere così dura, Nyx! Se l’è cavata bene infondo, per aver imparato a camminare da gentildonna solo dieci minuti fa…” smentì la dolce voce dell’Amore.

“Grazie… per la chiarezza –ansimò il taglialegna irritato- …e gli insulti!” disse rivolto a Nyx.

“Di nulla Lea, e ora và, dritta quella schiena e fai quel che devi!” l’esortò la Notte sbrigativa, conferendogli una spinta che lo protese definitivamente verso quel gran macello, ora in visibilio dopo la venuta delle vittime.

Per un momento la confusione lo atterrì, fu come se potesse assistere da sveglio al naufragio che lo aveva condotto su quella stessa isola, or fatto di una ondata sconfinata di persone in regale abito da sera, intente a discutere, mangiare, bere, brindare, flirtare, sussurrarsi segreti inconfessabili all’orecchio, scambiarsi sguardi superbi, stralunati, sprezzanti, gioiosi, maliziosi, tutte figure molto composte e tirate, le quali nell’insieme però creavano il più grande trambusto a cui avesse mai assistito.

Arretrò ricoprendosi il viso delle piume rosee del flabello, fornitogli dalle rapitrici come scaltro scudo per non essere riconosciuto, mormorando tra se sperduto “Non ce la posso fare…”

Fu qualcuno d’inaspettato ad intervenire per incoraggiarlo: l’artefice di tutta la messa in scena, Immi, la quale si materializzò alle sue spalle e prese a spintonarlo con il muso. Il mortale, dopo essersi trattenuto dall’inveire contro l’animale, avanzò coraggiosamente verso il palco, luogo in cui presumeva di rinvenire colei per cui era rimasto in incertezza.

Dapprima ispezionò gli angoli e negli spazi più reconditi, solo con lo sguardo, sperando di trovarla lì riparata, tentativo irrealizzabile data l’alta concentrazione di individui; perciò si affidò alla ricerca di un abito blu, fasciante un esile corpo puerile e dal volto certamente smarrito, in quel crudele mondo a cui lei apparteneva solo per sbaglio.

Indagine vaga, nulla del genere si soffermò sulla sua vista, Leonard iniziava ad affogare il nervosismo e la preoccupazione in un bicchiere di troppo. La musica lo assordava, l’atmosfera calda faceva del suo abito un aggeggio di tortura ancor meno sopportabile, quella gente lo rendeva suscettibile, e l’ennesimo bicchiere di Whisky stava per vuotarsi… ancora.

La sua tensione interiore stava sul serio per divenire… Un’esplosione.

Accadde proprio questo: un chiassoso boato, nelle vicinanze delle scale dalle quali erano discese teatralmente tutte le allieve poco prima, divennero fumo, fuoco, panico, agitazione, urla…

Più tardi, a fuoco domato, i soccorsi riconobbero quel grande spavento come “un fuoco d’artificio difettoso” riferendosi ad uno di quelli che creavano nelle fontane il pirotecnico effetto colorato, ma in quel momento, nella mente angustiata del pirata, passò un’unica preoccupazione: Celia!

Rimboccò velocemente il gonnone di tulle, fino alle ginocchia, in modo da poter correre, fregandosene se al di sotto si intravedevano i suoi stivali truffaldini, e si precipitò al fulcro del terrore.

A metà strada fu costretto a rallentare, il corsetto non gli dava tregua, e nell’affanno urtò erroneamente un gentiluomo. Costui si voltò, secondo galateo, senza inorridirsi, ma prestando aiuto alla dama:

“State bene Milady?” domandò cortese porgendogli una mano.

Lea la rifiutò masticando un’imprecazione, tentando di riemergere da quella gabbia rosa che per l’ampio volume gli impediva ogni movimento.

Il gentleman insisté, così il predone fu obbligato ad esprimere riconoscenza mimando un inchino come tante volte aveva visto, sfoggiando altresì un mezzo sorriso molto tirato, prima di aggiustare la parrucca scarmigliata e svignarsela.

“Aspettate! –la bloccò- …È vostra questa scarpetta?” disse mostrandogli un piccolo calzare chiaro ritrovato nell’erba, appartenuto presumibilmente a qualche donzella in fuga dal frastuono.

In risposta, la dama, sollevò discinta la sottana, per far mostra degli stivali fino al ginocchio irsuto da lei indossati: “No di certo!” chiarì modellando la propria voce poiché potesse apparire un minimo femminile, lo aveva omesso dal conto in precedenza, mentre si faceva conciare da donna.

“…Posso sapere almeno il vostro nome?” espresse il galantuomo come unico desiderio, vedendola già andare via.

“…Leonard…” ringhiò quello al culmine dell’ira, per liberarsi al più presto del piantagrane.

“Come dite?!” chiese stranito udendo un vago tono gutturale, augurandosi di aver sentito male.

“…Lea!” si corresse sfoderando la vocina in farsetto più tenue che poté.

“Oh, immaginavo –commentò sollevato- Ma, perdonate la mia petulanza, Lea sta per…?”

“per… LEVATI DAI PIEDI!” inveì con la propria voce profonda, liberandosene del tutto.

 

A degli occhi comuni, la scena in cui la signora in rosa si precipitava scompostamente proprio dove tutti in quel momento evitavano di avvicinarsi, sarebbe parso soltanto balordo, ma ad un altro paio quasi materni, molto vigili, seppur situati in disparte, parve una condanna a morte certa.

“Oh, no…!” sibilò in stato d’allerta, mobilitando con uno strattone anche l’altra Dea rimasta con lei.

“Che succede Nyx, hai finalmente avvistato tua figlia per caso?” domandò Afrodite, volgendo lo sguardo ove la Notte atterrita guardava.

“No! E’ Leonard, osserva!! Si dirige verso l’incendio…Dobbiamo fare qualcosa…” predispose in affanno.

“E cosa, dar fuoco anche a lui per caso? –propose prevedendo la mossa della Divinità notturna- Sei sempre la solita!” la rimproverò contraria.

“Non intendevo questo, imbecillità amorosa, dobbiamo fermarlo!! -ingiuriò in agitazione- …Leonard non deve morire…” sussurrò a voce spezzata.

Ora Afrodite intese al volo.

“Io intervengo, tu prendi gli abiti preparati da Immi e aspettaci al salice!” stabilì ferma con lo spirito di una guerra.

Ormai Leonard era ad un passo dalle fiamme, non sentiva i richiami alle sue spalle di alcuni regali invitati che lo esortavano a stare indietro, poteva ascoltare solo gli scoppiettii del braciere e fissare timoroso quelle lingue di fuoco, dove non si augurava di rinvenire colei che stava cercando; prestò ancor meno attenzione ai lembi della sua ampia gonna catturati dal fuoco. Dalla folla si innalzò un inspiro di terrore, lo videro spacciato.

In quel momento più nulla poteva salvarlo se non si risvegliava dall’incanto delle fiamme. A questo però ci pensò la Notte: lo ghermì con se servendosi delle sue braccia avvolgenti, e il distratto mortale sparì nel buio.

Si riprese poco dopo, atterrando a terra, quando la vista gli fu liberata da quelle mani oscure che la ricoprivano, ma non ebbe il tempo d’intendere dove si trovasse, poiché fu scaraventato con forza contro il tronco curvo del salice, assalito al collo e da una voce adirata: “Razza di idiota! Volevi forse vedere cosa si prova ad essere ridotti in cenere??” berciò la sua salvatrice scagliando il capo dondolante del malfattore contro la corteccia, il quale gli rimase attaccato al collo grazie all’intervento tempestivo della Dea più bella dell’Olimpo, oppure quel luogo scelto per la sua riservatezza sarebbe divenuto la scena di un omicidio.

“Per il labirinto di Teseo –esclamò sorpresa arrivando alle loro spalle- sei forse impazzita, lascialo! –la esortò in extremis, prima che lo uccidesse per mano sua- Mai colpire un umano così forte alla testa, rimane in stato confusionale, come farà a parlare poi?!” sostenne allontanando le grinfie omicide di Nyx dal collo di Leonard.

“Stai bene, caro?” si assicurò amorevole, ricevendo in replica un vago mormorio affermativo.

“Splendido! Eccoti dunque i tuoi veri abiti, maschili –specificò mostrandogli una pila di indumenti- Ora che sei riuscito ad immetterti nella festa, se assumi il tuo vero aspetto, non ci sarà più nessuno a contestarlo!” sostenne entusiasta, spiegando pantaloni e camicia per disporli ad essere indossati.

Il compito di sbarazzarsi delle vesti da donna fu di Nyx, le mise indosso ad una qualsiasi fanciulla della festa, con una capigliatura simile alla parrucca del travestimento, così da scongiurare chiunque avesse assistito alla scomparsa nelle fiamme dell’intrepido confetto, e si stesse chiedendo se fosse sopravvissuta o meno. Poi riapparse al salice poco dopo, con un panno inumidito per togliere il trucco sul viso di Leonard, decisamente più calma del principio in seguito allo sfogo, sebbene sempre angustiata.

Il pirata aveva quasi assunto l’aspetto di un gentiluomo privandosi della parrucca, il belletto e con già indosso i calzoni, ma il corsetto stretto intorno il suo torace, fremente di tornare a respirare, lo ridicolizzava ancora un po’.

Nyx si protese dinanzi a lui, occhi fissi, glaciali, nessun accenno espressivo, impose solo con assetto dispotico: “Petto verso il tronco, ti devo togliere questo groviglio di lacci” spiegò prendendo mano al corpetto.

Il giovane le voltò le spalle malvolentieri, tossicchiava ancora per il fumo che poco prima gli stava per avvolgere i polmoni, e si sostenne all’albero, mentre la Dea armeggiava con il bustino.

In seguito prese la camicia di lino preparata da Afrodite, quando dal tossicchio provenì un commento: “Poco fa avete dato prova di temere per la mia incolumità, non credevo di suscitare cotanto interesse in voi!” schernì il predone, profondamente stupito.

Lei inizialmente pensò di non rispondere, l’aveva scoperta infine, ma era pur sempre una Dea orgogliosa, non poteva mostrarsi vulnerabile: “E’ gradevole punzecchiarti, ma se io fossi il felino che abbranca la preda, ovvero te, in cosa consisterebbe il divertimento di quel predatore poi?!” metaforizzò altezzosa, aiutandolo a calzare le maniche.

Leonard rise un po’ deluso, aveva davvero a che fare con l’unica donna che non si rassegnava a subire il suo fascino, e ciò lo metteva non poco in difficoltà.

Ma un vero pirata sa sempre imbrogliare: “Sembra che per tutta la vita non avete fatto altro che rivestire uomini…” le disse in piglio malizioso, voltatosi verso di lei mentre la donna era impegnata con i bottoni.

Se gli occhi di Nyx avessero potuto far rumore, sarebbe parso poco dissimile dal secco schioppo di una frusta: “Vacci piano o ti riporto tra le fiamme!”

“Fraintendete il mio complimento? –chiese sorpreso, assumendo una maschera innocente- …Era solo un modo per ringraziarvi –spiegò certo- anche se non so ancora esattamente in quale modo io sia sparito da lì, come avete fatto a proposito?”chiese celando la curiosità con un cipiglio sospettoso.

“Non sarò io a dirtelo!” rispose compiaciuta pensando invece a Sogno, mentre sistemava il colletto della elegante giacca appena fatta indossare al giovine.

“E chi lo farà, la signora bionda?” domandò indicando Afrodite.

“Sì, è bionda a sua volta, ma non mi riferisco a lei- indiziò rimanendo nel mistero, Leonard pertanto considerò che al momento l’importante era non riportare qualche grave ustione ed essersi liberato del corsetto - …Come sta?” cercò di cambiare discorso mostrando la preda alla sua complice divina di quella serata.

Afrodite parse per un attimo una di quelle zie alla lontana che quando rivedi dopo tanto tempo esplodono letteralmente in fragori di gioia, ti soffocano di svenevolezze e distruggono i tuoi zigomi da quanto li pizzicano con insistenza, mentre parlano a monosillabi, quasi fossi ancora un bambino.

“Perfetto, meraviglioso! Meraviglioso! –ripeté entusiasta per l’ennesima volta-Ti manca solo un dettaglio…” precisò attenta, annodando a fiocco attorno al suo collo una sorta di sciarpa bianca, come dettava il cliché del momento.

“Fatto, adesso sei impeccabile! Puoi andare, corri, và!” lo incitò di fretta, indicandogli il retro dell’edificio da cui proveniva la musica incalzante del gran ballo.

“…E dove? Non ho ancora ben inteso cosa pretendete da me” domandò lui un poco disorientato.

“Ma come, alla festa! In qual altro luogo altrimenti?! E’ lì che hai un conto in sospeso e la possibilità di chiarirlo” dispose come sempre divertita da quel singolare mortale.

Leo già in lontananza annuì col capo, seppur ancora in dubbio.

“…Aspetta…!” compiuto qualche passo fu trattenuto da una voce più vicina di quanto immaginasse.

Proiettatosi verso di essa rivide ancora una volta Nyx, si domandò per un attimo come l’avesse raggiunto in un solo battito di ciglia, tuttavia ciò che lo colpì di più fu l’aspetto della donna, gli parve estranea, tutt’altra persona: era sollevata, il volto e le mani luminosi, come rischiarati da una candela, seppur non vi fosse alcun lume nelle vicinanze, le sue iridi chiare contornate di un anello più scuro divennero trasparenti e timide, non più sfrontate quanto in precedenza.

Nei palmi celava protettiva qualcosa, ne fece mostra senza una parola, si trattava della una corolla bianca di un fiore: una gardenia.

L’appuntò con riguardo e delicatezza alla giacca del ragazzo mascherato da gentleman, a mo di spilla, bisbigliando solo “Tieni… Lei adora questi fiori!”

Egli non si tirò indietro, ma ne rimase piuttosto estraniato: “Lei chi?”

Non ricevette alcuna risposta, se non in termini silenziosi, la Notte si limitò a sollevare lo sguardo e sorridergli, il sorriso che finalmente gli fece ricordare dove lo aveva già veduto.

“…Celia?” domandò incerto, scorgendo in lei quel lezio ampliarsi ancor di più, sino a perdere del tutto la sua corazza algida e finire per ritrovarsi ad abbracciarlo, lasciandolo stupefatto, sussurrandogli appena: “Aprile il tuo cuore, Leonard. Buona fortuna!” prima di allontanarsi, diretta a disperdersi nel buio.

“…Sei sua sorella?” azzardò ad alta voce prima di perderla di vista.

“Non proprio” fu l’unica risposta divertita che udì risuonare nel buio.

 

-

Come with me

 

“Mi concedete questo valzer Milady?”

“Oh, certo, con sommo piacere!”

Questa e altre decine di proposte simili, volendo più indecenti, aleggiavano nell’aria di quella farsa, vista più alla pari d’un evento mondano che festa da ballo.

Inizialmente si trattava di quesiti così semplici, incolpevoli: un complimento sul vestito, primo drink, il baciamano, un cocktail, passeggiata romantica al chiaro di luna lungo il poggiolo, seguita dal secondo drink, poi il terzo, quarto, quinto, ennesimo brindisi e per finire fidanzamento ufficiale, con tanto di contratto matrimoniale in cui si specificava, a caratteri opportunamente illeggibili, che ogni bene apparteneva esclusivamente allo sposo, il tutto nel giro di una sola sera. Spesso la futura maritata era così alticcia da non riuscire ad apportarci la propria firma.

Se non di una bevanda sotto spirito, quei malfattori si servivano delle belle parole, false promesse, sempre inattendibili, in ogni caso riuscivano quasi tutti nei loro intenti.

Nessuno era davvero interessato all’evento invece, mentre si dirigeva sconsolata verso le panchine attorno al palco, Celia vedeva attorno a se tanti manichini vuoti, tutti armati di alcolici e pegni per dimostrare la propria ricchezza, non si curavano di nulla al di fuori dell’apparente.

La pista allestita con grande fatica contava tante coppie quanto le dita di una sola mano, l’orchestra suonava a vuoto, non veniva neppure considerata, alcun invitato vedeva l’evento per come sarebbe dovuto essere, ma piuttosto come occasione per abbordare delle creature ingenue quanto indifese, ubriacarsi gratuitamente, discutere di pettegolezzi, denaro, politica…

Come la fanciulla prese posto in un cantuccio isolato, rientrò nel mirino di una compagnia di sbarbati signorotti ancora derelitti da dame. La squadrarono alla pari d’un pezzo di carne ed infine improvvisarono una bambinesca conta per decidere chi di loro dovesse farsi avanti per primo, insieme a scommesse in denaro su chi l’avrebbe trascinata nel proprio letto.

Il primissimo vincitore si fece avanti con camminata sicura, pancia in dentro, petto in fuori, lisciandosi incantatore la chioma, protendendosi fino a pochi passi da lei, sfoderando il tono più ammaliatore che poté nel pronunciare “Posso…?”

“No” sforzo vano, dato che Celia non gli diede nemmeno modo di formulare la frase, lo refrigerò all’istante.

Il secondo cercò di inscenare tutto come un avvenimento casuale, gironzolò nel circondario, poi finse di adocchiarla e rimanere folgorato da lei, a quel punto si fece avanti mimando incredulità: “Oh, Milady, quale beltà risplende in voi, vi sarei grato se mi concedesse questo bal-…”

“…No, grazie!”questa volta la fanciulla rammentò gli insegnamenti delle buone maniere tanto imposte da quel luogo, e lo ringraziò, anche se quel tale meritava solo di esser ingiuriato per quanta falsità sperperava.

Sopportò anche le lusinghe del terzo, il quarto e il quinto, sempre rifiutando, ma al sesto si vide sopraffatta dall’esasperazione: “Per l’ennesima volta NO, e vale anche per tutti gli altri in fila laggiù, la risposta è sempre e solo NO!” predispose sdegnata, cercando di mostrarsi più cortese possibile. Credevano davvero che non si fosse accorta di tutto, pur mantenendo lo sguardo sommesso?

Così facendo riuscì finalmente a rimanere sola, per riflettere, voleva solo questo. Avvertiva la testa pesante, carica di troppi pensieri e preoccupazioni. Non vi era niente che la tratteneva lì, soltanto costrizione, le bastava trascorrere in fretta le poche ore di obbedienza che ancora doveva al collegio Seward e poi sarebbe stata finalmente libera.

Aveva vissuto in due mondi, diverse epoche, fu molte persone diverse, ma ovunque andasse si contraddistinse sempre come quel piccolo neo fuori luogo in contrasto con il resto, la vita sull’Olimpo o sulla Terra non era poi così diversa.

Eppure a lei bastava solo poter assaporare liberamente quella vita che l’era stata donata, si sentiva troppo fortunata nell’essere lì, a poter apprezzare tutto di quella magnifica possibilità, anche solo…

…Un fiore.

Come se i suoi pensieri celassero il potere di tramutarsi in realtà, un bocciolo di una rosa blu cadde a terra, poco distante dai calzari della Dea, proprio ove era proiettato il suo sguardo triste e vacuo.

Si riprese tramortita, affrettandosi subito a raccoglierlo per osservare meglio, una volta portato vicino al viso avvalorò ogni sua supposizione: era la medesima corolla che l’era stata donata da Leonard poco tempo prima, e lei aveva fatto appositamente essiccare per poterla conservare.

Un fruscio di passi si protese dalle sue spalle al suo fianco, e quasi per magia, quella notte si avverò un altro pensiero.

Quando Celia sollevò lo sguardo s’imbatté nell’ennesima mano tesa, sebbene le parve più familiare. Si estese lungo quella figura, eppure i suoi abiti non le suggerivano nulla, pareva l’elegante completo dell’ennesimo spasimante, ma giunta al viso le mancò un battito e il fiato di reagire alla sorpresa.

Dipinto da un insolito sorriso, sbucante dall’ampio colletto di una giacca sfavillante, apparve il volto del suo amato Leonard Wallace.

“Vieni con me” le disse mente lei affidava la propria mano tremante alla sua.

Lo fissò stupefatta, stringendo quel palmo incredula e lasciandosi debolmente guidare da lui, senza accorgersi nel contempo che si stavano allontanando dal ballo.

Il dintorno cessò di esistere, ravvisava unicamente quel viso divertito dalla sua fanciullesca reazione, il meraviglioso incanto si ruppe solo per un attimo, mentre Leonard si voltò per rivolgersi ad una congrega che Celia aveva già dimenticato: “Sono molto spiacente signori, ma lei viene con me!” annunciò deridendo il borbottio adirato, innalzato dal gruppetto fallimentare di pretendenti che si era riunito per entrare nelle grazie della ragazza.

 

___Fine prima parte, continuerà nel Capitolo 11__

 

 

___Note___

Mogotes de Jumagua: scoscese formazioni calcaree a pan di zucchero, ricoperte di vegetazione.

Rossetto: Invenzione risalente pubblicamente all’anno 1677, sgarra leggermente da quello in cui è ambientato Untitled, ma Celia è un personaggio senza epoca e poi oggetti di belletto come il rossetto in altre forme crediamo siano sempre esistiti =)

Flora: Altra divinità romana (della primavera) in realtà, vale lo stesso discorso che abbiamo fatto nel capitolo precedente con Nettuno ;)

Circo Medrano: Nome rubato ad una compagnia circense davvero esistita e tutt’oggi operante formatasi però alla fine dell’ 1800. Appare anche in una serie di quadri di Picasso.

 

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Capitolo 12
*** Sweet Nightmare. ***


chappp

Nota delle Autrici:

 

Buona estate a tutti! ^^ Anche se non manca tanto alla sua conclusione. Il contatore di efp giustamente segnava che non aggiorniamo da Aprile @_@ ma spero vi sarete accorti che invece abbiamo aggiornato molto più spesso nello scorso capitolo ^^’ A proposito di questo! Come ho scritto anche nella introduzione di Unty2, vi sarete accorti che il Capitolo 11 ha lo stesso titolo che aveva prima il Capitolo 10, eh sì, è stata una svista, chiediamo perdono!

Il Capitolo 11 Sweet Nightmare sarà la continuazione del precedente Come with me  e con questo esauriremo la storia di Celia e Leonard -sperando che fin ora sia stata di vostro gradimento =)- e continueremo con i nostri affezionati sbaciukioni Jenny&Jack ^^

Prima di augurarvi buona lettura e ringraziarvi per la pazienza, i ringraziamenti veri a…

 

_Celia_ senta, ma lei è nuova? Lol Non mi pare di averla mai ringraziata (abbastanza) prima d’ora ^^ ihihi Bhe la mia più grande paura era quella di travolgervi e romanzare troppo, ho fatto del mio meglio, spero sia servito a qualcosa =P Io ho scritto che Immi gli strappava i pantaloni hahah forse era davvero meglio la giacca a questo punto XD Chi potrebbe essere Afrodite nella realtà? Mah! Non ci sono parole per ringraziarti, sul serio! =) Non te ne dirò mai abbastanza in una vita ^^ Spero che ti divertirà anche questa prima parte, perché dopo lo sai, va bhe… Avrai pietà d me? ^^’ lo spero!!! GRAZIEEEEEEEEE =) Baciiiiiiiii!!! =* =* =*

 

giu91 wiii ho trovato una fan di Celia e Leonard :D Dico loro sempre anche io che sono il completamento dell’altro *w* Mah, chissà se succederà questo incontro tra Leonard e Jack ^^ Anche io stravedo per la mitologia *.* *.* *.* ma ne so sempre troppo poco =( ho avuto la fortuna di girare quasi tutta la Grecia e vederli di persona quei posti, e dopo che i miei orsetti Teddy (gli sceneggiatori di Potc) mi hanno messo Calypso *.* l’ho fatta mia =P lol e ho pensato di agganciarle tutto questo =) ok, sto spoilerando troppo u.u (tu?? E la foto che hai messo a inizio capitolo?!?) Dicevo? Ah si! Sono onorata di averti fatto inconsciamente questo regalo, e ti ringrazio per l’idea dell’incubo ;) la troverai qui di seguito. Grazie infinite per tutto! Un bacione =*

 

A presto!!!

 

kela and Diddy

(Capitana and Capo)

 

Capitolo 11

Sweet Nightmare

 

Come with me  _seconda parte_

 

I passi degli innamorati non fanno rumore, li noti appena mentre ti camminano accanto, te ne accorgi solo quando ormai sono lontani, dalla scia incantata che lasciano dietro se, la stessa che Nyx dall’alto contemplava commossa, nel suo buio infranto di stelle, fiera del proprio intervento andato a buon fine.

Leonard solitamente non rideva mai, non rideva spesso. Ma quando rideva lo faceva con gli occhi, lo sguardo, con la bocca… con il cuore! E per lui non vi era nessuno al mondo più buffo di Celia.

“Continui a guardarmi come fossi un fantasma” disse rallegrato.

“Spero tu non lo sia” si augurò scherzosa, riprendendosi per un attimo dallo smarrimento di quell’insolita quanto piacevole sorpresa.

“Me lo auguro anche io!” assentì giocoso tastandosi il torace, come assicurandosi di sentirne ancora il respiro.

Proseguirono fin una radura, appena rischiarata dalla luce della luna, lì attendeva il loro arrivo un’ombra, ma quei due cuori eran troppo distratti l’uno dall’altra per poterla già vedere.

“Ma guarda, una passeggiata e ti sto già portando sulla cattiva strada!” osservò il finto gentiluomo esibendo, senza discrezione, un piglio orgoglioso.

“E perché mai?” domandò la fanciulla estraniata, soffermandosi di tanto in tanto a raccogliere fiori di campo, sparsi nel soffice terreno.

“Dovresti essere al ballo, o sbaglio? E’ un dovere!” declamò mimando un rimprovero.

A quelle parole Celia al posto che ridere divenne di nuovo triste, poiché vi rivide il volto torvo di Mrs. Martines: “No… Ormai non conta più” affermò indifferente, seppur con molto dolore, cosa che il pirata non mancò di notare.

“Spero almeno ti importi ancora di questa” pronunciò portando alla luce l’ombra posta fin allora in disparte, la quale rivelò ai timidi sprazzi lunari la più fidata delle consigliere, nonché inseparabile destriera divina…

“Immi!!!”berciò gioiosa andandole incontro, per avvolgere tra le braccia il suo muso rossiccio frastagliato di bianco.

“Ecco a voi chi si è offerta di farci da carrozza questa sera, Miss Wilson” annunciò sfarzoso, posizionandosi vicino alla sella della maestosa cavalla con una mano posta a sostegno per la salita della dama.

“Oh, grazie…” mormorò lei stupefatta, accettando l’invito.

Prima di raggiungerla, l’ex vicecomandante volle prima assicurarsi di non discendere poi da quel dorso rigettando, così si rivolse direttamente al pilota, in fare di sfida: “Vedi di non farmene rimpiangere, stupido equino, intesi?!” digrignò all’orecchio dell’astuta corsiera.

Persuaso di essere al sicuro fece per montare in sella, quando dalla propria parte si vide una sola gamba di Celia, e sopra la fanciulla al culmine dell’entusiasmo, con già mano alle briglie.

“Sono io che dovrei cavalcare in questo modo –considerò contrariato- non mi fai fare il cavaliere almeno per questa sera?”

La ragazza rimase per un secondo indubbia, poi si rese conto di cosa Leonard intendeva: “Diamine, hai ragione! –annuì conscia, doveva montare ad amazzone- Quale sbadata sono…” riconobbe ridente.

“Perdonami…Ma…-scandì scavalcando con fatica il dorso di Immi a causa dell’ampiezza del vestito, mentre il giovine ascendeva- Non sono… Abituata…A cavalcare…-proseguì in precario equilibrio- Così”concluse ritrovandolo nell’appoggiarsi, senza volerlo, al petto di Leo. Fu come sfiorare una reliquia sacra, un lieve tocco, cotanto breve, ma capace di scavare in profondità, fino ad sentirne quasi il ritmo pressante. Voleva allontanare subito la mano, renderlo solo uno sbaglio, ma in realtà era qualcosa che la Dea desiderava da sempre: ascoltare quel cuore.

“…Come batte… -mormorò disarmata- v-voglio dire, che bel fiore porti all'occhiello!” si corresse all’istante.

Il predone ne rimase anch’egli per un attimo interdetto, poi s’affrettò a chiarire: “E’ perché la tua cavalla non nutre grande simpatia nei miei confronti” ammise sfoggiando falso convincimento.

“Oh no, Immi se lo mangerebbe! Ma forse sei tu a non fidarti propriamente di lei!- lo corresse più indubbia, zittendolo del tutto- …Sai almeno come si fa per metterla in marcia?” domandò divertita rompendo quel silenzio.

Le mani del pirata le sfiorarono lievemente i fianchi, trascinando con se una scia di brividi, di quelli che scuotono fino alle ossa. Afferrò le redini, le quali crepitarono in uno schioppo scandito da un verso di incitamento, al cui suono Immi prese a trottare allegramente, facendosi strada tra arbusti e felci.

Furono quasi tre miglia di puro imbarazzo e stupore, nessuno dei due osava proferir parola, mentre attorno a loro si apriva in silenzio un suggestivo panorama notturno, accennato solo da sagome informi disegnate dai raggi delle stelle. Poi la Dea dei Sogni prevalse finalmente sulla morsa dei suoi pensieri, la quale assediava la sua ragione ancor puerile di mille dubbi, ma perché opprimersi quando aveva ormai varcato le mura della prigionia?

Pertanto non indugiò oltre e s’affrettò ad abbracciare il suo amato. “Oh, Leonard, sono così contenta che tu sia qui! –mormorò posando il viso sulla sua spalla, priva di ogni timore-!!! credevo non saresti mai venuto ad un evento simile…soprattutto dopo quello che mi avevi detto giorni fa”delineò in voce spezzata, senza riuscire a trattenere quel rammarico.

Il falso gentiluomo l’allontanò lievemente, insospettito da quella cadenza affranta, per poter sollevare il suo mento dalla bella curva arrotondata servendosi di pollice e indice: “Tu hai pianto, dico bene?”

“Non è niente” assicurò lei, cercando di celare il viso ancora marcato dalle lacrime.

“Non sembra affatto un pianto da nulla!”sostenne notando il vecchio rossore solcante quei occhi innocenti.

“E’ solo che… -si rassegnò infine- giusto poco fa mi hanno informata in modo poco appropriato della presunta scomparsa dei miei genitori. Non si hanno loro notizie da almeno tre anni, potrebbero essersi smarriti ovunque per mare, ho così tanta paura…” ammise sgomenta, ritrovandosi senza volerlo a tremare.

Leonard a quel punto venne colto da una sorta di panico, non era mai stato bravo a consolare poiché ogniqualvolta ci aveva provato era sempre risultato indelicato, così si ritrovò a mani legate, l’unico modo di uscirne pensò fosse seguire il solo consiglio a cui aveva voluto dare ascolto in vita sua, suggeritogli dalla donna più enigmatica con la quale si confrontò mai.

Sciolse i lacci della propria giubba, coi lembi di cui avvolse a se quell’esile corpo spaurito, lasciandola inerme.

“Sai, in vita mia credo di non esser mai stato veramente felice, ma questa tanto ambita serenità ho il sentore di averla trovata, un poco, stando con te…”

Celia perdé anche l’ultimo respiro che la sua condizione umana le  concedeva, poiché, mentre il mortale bisbigliava la verità, il suo cuore fiero dalla membrana di pietra non aveva mai smesso di accelerare, sintomo del suo essere sincero. La giovine sollevò altresì lo sguardo per assicurarsene coi propri occhi, da cui giunsero involontarie nuove lacrime, svelando in parte all’incredulo predone la sua natura celeste.

“Cos’è questa polvere luccicante che scende dalle tue palpebre? –domandò atterrito, seguendone il tragitto con le dita- Io… L’ho già vista, ne avevo un po’ in viso al mio risveglio, quando mi trovasti…” si impose di rimembrare.

I segreti da celare stavano divenendo troppi, Celia ne avvertiva di momento in momento il peso sempre più opprimente. In quella vita le rimaneva poco da perdere ormai, e si sentiva pronta a rilevare qualcosa che la riguardasse.

Stava quasi per farlo, ma un insolito accorgimento ruppe il suo sforzo di coraggio: “Tu porti delle ciglia finte??” notò indosso al novello gentiluomo, dopo averlo guardato attentamente.

“Ecco cosa diavolo mi svolazzava davanti agli occhi…”inveì lui liberandosene in tutta fretta.

“E… questo sulle tue unghie è smalto?!” domandò ancor più sgomenta osservando le sue mani.

“Ehm, dovrebbe essere lucido per cavalli –la corresse al culmine dell’imbarazzo- In effetti è una lunga storia, in parte anche  divertente… -rise tra se e se nell’incredulità della Dea- Bhe, ti sarai chiesta come io sia qui, nevvero?”

Scesi da cavallo, ormai lontani dal falso festeggiamento, il predone le narrò brevemente i principali avvenimenti della serata, la fanciulla lo ascoltò attentamente, rapita da ogni parola, era così insolito poter dialogare con lui senza irrisioni, impaccio o malignità.

Al termine del resoconto ella era sbalordita, teneramente desolata, piena di domande: “Non posso credere che tu abbia fatto tutto questo….- gli disse sconvolta- Mi sarebbe piaciuto vederti tutto agghindato da donna –scherzò- Hai fatto tutto da solo?”Leonard sarà stato anche un gigolò, ma non propriamente un esperto in fatto di trucco e merletti.

“La grande idea è stata di Immi, o almeno così mi è stato detto. Ma aveva delle complici ad attenderci nella tua stanza: due donne, di singolare aspetto, azzarderei non di qui. Della prima non ho ben afferrato il nome, pareva mitologico, ma la seconda doveva chiamarsi Nyx” enunciò incerto.

Celia credé in una sciocca beffa del suo udito mortale, frastornato da tutto il male che vi giungeva ogni giorno, non poteva essere…

“C-come…Nyx hai detto?” chiese tramortita.

“Esatto, la tua reazione non mi stupisce -appurò vedendo la fanciulla portare una mano alla bocca, spalancata in sconcerto- Mi ha consigliato lei di indossare la gardenia, sembrava conoscerti!”

La Dea sentì il suolo mancarle sotto i piedi, barcollò instabile: “…Mi ha sentita, mi ha ascoltata!” spirò riprendendosi dal sottile mancamento.

Leonard tese subito in soccorso le braccia, esitante, confuso da quelle labbra che avevano ritrovato il sorriso.

“Devi sapere la verità” stabilì lei infine, armandosi di tutte le proprie energie. “Forse non mi crederai, o peggio, in seguito avrai timore di me…”proseguì preoccupata.

“Paura di un uccellino spaurito quale sei? Giammai!” la interruppe lui divertito.

“Solitamente molti reagiscono in tal modo… -assentì in sguardo vago- Ma… -tentennò ancora un poco, prima di sollevare decisa le sue iridi sincere, ancor lucide di pianto- Non sono lacrime quelle che discendono dai miei occhi…” ammise trepidante.

“Lo sapevo -constatò con tono di sfida e piglio malizioso- avevano qualcosa di strano. Dunque, di cosa si tratta?” chiese intrigato.

“Polvere di stelle” rispose corrugando già la fronte per l’apprensione.

“Non dirai sul serio” commentò il predone, pensando alla seguente affermazione come ad una patetica dimostrazione del nomignolo pazzerella, da sempre assegnatole.

“Invece è così –disse seria- spero tu riesca a capire…”

“Capire cosa?” la interruppe in attesa, preoccupato dalle sue titubanze.

“Io… la notte fingo solo di dormire. Non ho bisogno di mangiare, bere… I miei capelli non diverranno mai grigi, sarò sempre come mi vedi adesso…” seguì un breve silenzio in cui l’espressione di Leonard mutò in una più accigliata.

“Buon per te! –auspicò confuso- Molte donne trascorrono i loro anni migliori ad affliggersi per questo, a quanto pare tu non dovrai farlo…” blaterò non sapendo cos’altro dire. Forse perché aveva paura di pensare, di capire davvero ciò che Celia disperatamente cercava di spiegargli.

La fanciulla ignorò quell’ostilità dettata dal timore, stabilì che il solo modo di farsi credere fosse mostrare una prova concreta: s’allontanò lievemente da lui, per timore di fargli del male, e con le poche forze rimaste prese il suo vero aspetto.

Le membra mortali si annullarono in un bagliore accecante, Leonard la intravide solo dischiudere le braccia, come pronta a spiccare un volo che non la portò a più di un metro da terra. Dopo alcuni istanti di occlusione, in cui il ragazzo prese ad arretrare nascondendosi il volto, distinse in quel balenio il corpo della stessa Dea, intenta ad osservarlo dal proprio rilievo. Accese quella buia notte brillando come una stella, nelle sue vesti permeate di luce. Di quel viso candido come il pallore lunare si distingueva solo un purpureo sorriso e i suoi profondi occhi ambrati, conservati anche nella forma terrena.

Il mortale la fissava stupefatto, incredulo, come immobilizzato, Sogno poteva scorgere le sue enigmatiche orbite smeraldo dilatarsi fino al possibile.

“E’ questo che sei…? –mormorò egli infine, facendosi più vicino- Un sogno?”

Le energie della Dea, già duramente messe alla prova nel corso della serata, si esaurirono in quell’istante, e nella durata di un momento abbandonò il bagliore celeste per tornare ad essere Celia Wilson.

“…Proprio così… -replicò commossa, con il poco fiato che le rimaneva in corpo - Mi dispiace di averti scosso, e anche mentito per tutto questo tempo, ma non mi avresti mai creduto…” disse vedendo il suo chiaro turbamento.

“Eri tu a posarti ai piedi del mio letto ogni notte, quando sono partito da qui? – Sogno annuì con un lieve riso appena accennato, ostruito dall’imbarazzo- E io che credevo di dimenticare sempre un lume acceso…” replicò Leonard attonito.

“Spero di non aver generato in te troppi cattivi pensieri –l’adescò sornione- Ammettilo, avresti voluto saltarmi addosso vedendomi in quello stato di assopimento!”

“Sì, per strozzarti con le mie mani!!” replicò accecata dalla rabbia.

“Dunque, perché non l’hai fatto?” proseguì quel duello a colpi di lemmi.

“Perché sono fatta della stessa essenza di quelle strane donne che ti hanno condotto qui stasera. Erano anch’esse due divinità, come me…Nyx in particolare, è mia madre…”

“Madre?! Vorrai dire tua sorella!” la interruppe speranzoso.

“No, io ho solo un fratello gemello, Morfeo! Lui si occupa di cullare voi terrestri verso il riposo e io faccio il resto”

Le parole pronunciate da Celia celavano un tono di convincimento troppo elevato, sebbene parevano quelle di una alienata, il mortale era ancora oltremodo in subbuglio per comprenderle a fondo.

“Divinità -riprese sfogando l’incredulità in risa- sapevo che eri bizzarra ma non al punto di essere… Aspetta, è questo che cercavi di dirmi con i tuoi discorsi sul mangiare, bere, invecchiare…?” si fece più serio.

“Sì… -annuì tenue- E in quanto tale posso esprimere qualunque desiderio mi sia domandato in sogno, eccetto uccidere, far innamorare qualcuno di un altro o resuscitare chi non c’è più” spiegò facendosi avanti verso di lui, accumulando coraggio ad ogni passo.

“E tu, invece, puoi innamorarti?” domandò poi, dopo essersi concesso una breve pausa per accomunare i pensieri.

“Certamente, lo sono già!” espose fiduciosa, volutamente senza aggiungere altro.

Il predone attese impaziente il rivelarsi nuovi particolari da quell’animo sincero, ma al contrario non si manifestarono. Arresosi alle titubanze della Dea, colmo di delusione, pensò di attutire il tutto con un pizzico di cinismo: “Giusto… è lecito esserlo. A quale individuo non spetta trascinare la pesante croce dell’amore nel corso della propria esistenza?” disse eloquente, masticando dell’amaro nel palato.

“Pensi sia davvero una croce?” chiese dispiaciuta, ormai prossima all’uomo.

“Così opprimente da doverla trainare in due o forse in tre a volte! –confermò lui, convinto- Ti auguro solo di essere felice con chiunque ne porterà il peso al tuo fianco” concluse solenne, in cadenza triste, salutando la fanciulla solo con un lieve accenno del capo, prima di rivolgerle le spalle.

Sogno rimase un attimo frastornata nel vederlo andar via, sebbene riuscì a rimediare in tempo: “…Aspetta! –berciò per fermarlo- Non andartene, perché credi che questa sera abbia rifiutato quella sfilza di pretendenti senza neppure apportare loro il minimo sguardo?- lo interrogò trattenendo il suo impeto di fuggire, servendosi di tutto il proprio corpo- Leonard… Io non amo che te!” pronunciò disperata.

Ci riuscì infine, fu in grado di arrestare quella furia soltanto sciogliendone ogni dubbio. Il vicecomandante Wallace si voltò, incapace di credere alle sue orecchie e al proprio tatto che percepiva un’intensa calura sprigionarsi da quelle membra celesti, ne rimase cotanto sbigottito da afferrarle un braccio per assicurarsene di persona.

“Tu scotti…” constatò angosciato.

“Sono fatta di calore e luce –ribadì affranta- ma non intendi ancora credermi!”

“E dovrei forse confidare in quello che mi hai appena confessato?” replicò in tono duro, seppur non allontanando da se la fanciulla.

“E’ la verità, lo giuro” ammise in uno spiro.

“Se è così, perché non me l’hai mai detto?” si finse diffidente.

“L’unica certezza che hai sempre avuto di me è proprio quella che ti amo!” insisté lei con voce frammentata dall’affanno.

Gli era così vicina da poter posare le parole direttamente sulla sua bocca, ma non ne ebbe il coraggio, preferì ribassare lo sguardo e far finta di sistemargli il fiocco stretto intorno al collo. Fu Leonard a congiungere le loro labbra, questa volta in un bacio vero, nessuna fuga imprevista, nessun addio.
L’abito di Celia, da buio quanto l’oblio, prese a brillare, come se le stelle vi si fossero incastonate nella tela.

Soltanto un dubbio, affiorato in seguito, strisciando in silenzio, come tutti i mali, osteggiò la Dea e il mortale:Celia… come pensi che potrà funzionare? Io non avrò vita eterna…” riconobbe il pirata angustiato, senza riaprire gli occhi, come se così facendo l’avrebbe potuto evitare.

“Preferisco di gran lunga far fronte a questo rischio –proferì valorosa- Comunque vada non vi è torto peggiore di privarsi dell’amore ancor prima di averlo anche solo provato!”

Altro non li interruppe, non ancora. La stagione delle tempeste, cagione di ritardo del ballo, pareva davvero finita, ma purtroppo fu solo una breve quiete.

Nel frattempo, almeno, quel tanto detestato ballo di primavera si concluse così, coronato dalla rivelazione reciproca di un amore che avrebbe attraversato difficili confini, sconosciuti agli uomini, ma molto scomodi per alcuni Dei, invidiosi di quella unione tanto impossibile quanto meravigliosa.

Trascorsero insieme il resto di quella lunga notte fino ai primi chiarori del mattino, quando si riavvicinarono al collegio, tornato deserto e silenzioso come un tempo.

“So di essere maledettamente affascinante così, abbigliato da gentiluomo –vaneggiò Leonard, lisciandosi la chioma scura- ma per tornare a pulire le stalle della fattoria preferisco riavere i miei cenci da straccione!” chiese mentre si incamminavano a braccetto sul retro dell’edificio, diretti alle stanze di Miss Wilson.

“Come vuole Cenerentolo!” lo beffeggiò Celia.

“Quanto ad affibbiare nomignoli sei proprio uguale a tua madre!” commentò irritato.

“Ah sì? –disse stupida nel riscontrare tra loro una somiglianza- Lei come ti chiamava?”

“…Lea…” ostentò contrariato, la fanciulla celeste dovette serrare le risa con le mani per non scoppiare a ridere sfacciatamente.

“Sì sì, ridi pure. Voglio proprio vedere come ti arrampicherai quassù adesso! la sfidò ormai giunti al di sotto del suo balcone- dopo di…” come si voltò verso l’irriverente dama ella era già scomparsa, per riapparire poco più su, già affacciata al poggiolo:

 

“Ancora lì?! Andiamo, la facevo più agile signor Wallace!!” vociò prima di fuggire scherzosa all’interno.

“…te” ringhiò quest’ultimo rimboccandosi le maniche per affrontare la scalata.

“Anche Nyx mi faceva di questi giochetti: spariva e riappariva da un luogo all’altro in mezzo secondo, come ci riescono??” borbottò salendo.

Valicata la soglia sorprese Celia immobile a contemplare il circondario tenendosi il petto, come se il cuore all’interno vi stesse per scoppiare.

“Ma ci pensi, lei è stata qui!!”pronunciò entusiasta.

“Tua madre è l’incarnazione della notte terrestre, calato il sole è ovunque!” definì minuzioso.

“…Si è guardata intorno, ha usato i miei oggetti…” proseguì commossa, senza starlo a sentire, sfiorando una boccetta di profumo lasciata fuori posto.

“Già, per torturarmi!” precisò borioso, accomodandosi alla specchiera, come la sera precedente.

“Quale supplizio peggiore di essere seviziato da ben due Dee!” lo sostenne in cadenza mordace, sbucando col viso da una sua spalla.

“Almeno n’è valsa la pena?” pose Celia in quesito.

“Ma certo, guardami, sono irresistibile!-il pirata era davvero incorreggibile. Nel profondo possedeva un lato romantico, solo non sapeva mai bene come dimostrarlo- forse è meglio che torni ai miei luridi stracci!” definì rialzandosi per mettersi alla ricerca dei vestiti da garzone, dopo aver esasperato nuovamente la giovine.

“Quelle due erano impazzite, me li hanno letteralmente strappati di dosso, spero siano ancora indossabili!” mentì per ingelosire Celia.

“Raccontalo a qualcuno che ti credi almeno” suggerì lei di rimando.

“Non ti sconvolgerà vedermi nudo, vero?” riapparse da una sponda del letto con in mano delle braghe malconce, dopo averle recuperate da lì sotto.

Prima che Sogno potesse rispondergli per le rime, avvertirono un vocio dal corridoio, e dei pesanti passi in avvicinamento.

“Nasconditi lì dietro!!” lo esortò indicando i tendaggi dell’improvvisato letto a baldacchino.

Un istante dopo la porta si spalancò, incurante persino di attendere il permesso, e apparse Mrs. Martines Seward, in tutta la sua ingombrante figura.

Il pomposo abito da sera era stato sostituito con uno più agevole da tè, ma dai segni scuri al di sotto dei suoi occhi, abbuiati dal suo grasso sorriso esteso da orecchio a orecchio, pareva non aver riposato quella notte. Forse un incubo? Come ad esempio trovare la dispensa vuota?

Voilaaà! Eccoci signori! Era questo l’appartamento di qui vi ho parlato–fece largo a dei futuri acquirenti che invasero la stanza- Non trovate sia adorabile? Dispone anche di molto spazio! E una bella vista…” adulò incurante della presenza all’interno della occupante.

“…E questo essere così grazioso è la nostra allieva Miss Wilson, che ahimè ci sta lasciando… –recitò affranta- ma cosa ci volete fare? –a quelle parole Celia avvertì uno sussulto dal fianco del letto, che per poco non rivelò la presenza di un secondo individuo- A che punto siete con i bagagli, mia cara?” perpetuò maligna.

La ragazza rivolse un breve sguardo intimorito all’angolo in cui si nascondeva Leonard, incontrando nella penombra l’espressione sconvolta del mortale.

“A-a buon punto, signora –mentì- Sarà tutto in ordine e sgombro entro il termine prestabilito!” assicurò riacquistando coraggio.

"Magnifico!-esultò la moglie del direttore- Lasciamo dunque questa cara ragazza ad ultimare i preparativi… Cosa ne dite di placare il languore con una delizia alla crema…?” concluse abbandonando la stanza insieme ai suoi seguiti.

Rimasti soli, il predone riapparse turbato: “Tu… stai andando via? E quando??”

“…Domani” rispose soffocando i singhiozzi, perdendo la capacità di guardarlo negli occhi.

“Come?? –berciò infuriato- Quando pensavi di dirmelo?!?”

“I-io non posso più permettermi questo posto, ti ho detto dei miei genitori mortali…” a questi alti toni non poté più trattenere le lacrime.

“Stanotte mi hai detto che mi ami e ora devi andare via?!?” disse collerico.

“Cosa diamine c’entra adesso il mio amore per te??” rispose in presa ad una feroce irritazione.

“Hai sempre voluto andartene da qui, bastava dire di essere senza un doblone, perché non l’hai mai fatto prima?!” la provocò.

Il respiro della Dea mentre contemplava confusa il suo amato era affannoso, il viso rigato di brillanti, non riusciva più ad avere il controllo delle emozioni.

“L’unico modo di uscire da qui è nella bara o con una fede nuziale…” disse rifacendosi alle parole di Mrs. Martines.

“E allora sposami Celia!” dispose in scongiuro prendendole le mani.

“…Cos-?” spirò senza fiato, dando fine alle lacrime.

“Oh, no –mormorò presa alla sprovvista- Non devi sentirti obbligato, non è necessario…!”sostenne in gran scompiglio, lasciando quella presa.

“E Dove penseresti di andare uscita da qui?”

“Posso cavarmela comunque, sono immortale! –sostenne indubbia- tu hai la tua occupazione di garzone…”

“Ma quale garzone –negò divertito- La fattoria ora è mia! Tre mesi fa il padrone è morto, pace alla sua anima, e ha lasciato gran parte della proprietà a me, il lavoratore più giovane. Nutriva molta fiducia nei miei confronti. I terreni sono rimasti alle famiglie contadine che se ne sono sempre occupate, ma la proprietà e il casato portano il mio nome adesso!" narrò fiero.

Ancora una volta diede mostra di essere fin troppo di poche parole a volte, Celia era tramortita.

“Così anche tu mi hai mentito riguardo lo straccione!” ne dedusse fingendosi offesa.

“Uhm, giusto un poco –riconobbe portando quell’esile corpo celeste vicino a se- ero impaziente di portarti in camera da letto -schernì malizioso- …sposami” le ribadì ad un orecchio.

“E’ un ordine, Capitano? Come ‘baciami’, ‘esci con me’, ora è ‘sposami’?” domandò realmente oltraggiata.

“Se vuoi lo trascrivo sullo specchio come ‘esci con me’, dove hai messo il rossetto?” propose schernitore.

“No, Leonard. Non voglio che sia così… -si tirò indietro- Sembra un’imposizione!” riconobbe contrariata.

Lo amava perdutamente da sempre, ma non intendeva fare un passo così importante per costrizione.

“E va bene, come vuoi” parve arrendersi, volgendo i propri passi verso la portafinestra che dava sul balcone, la fanciulla temé per un attimo di perderlo.

“Ma non credere di sfuggirmi, puoi scommetterci che riuscirò a metterti quella fede al dito Dea dei Sogni!!” promise intrigato prima di scomparire come ai vecchi tempi, da esperto furfante, calandosi giù dal poggiolo.h


-

Celia trascorse il resto della giornata tra le mura del collegio, volteggiando di gioia, presa dai preparativi, senza fermarsi, temendo che altrimenti la malinconia l’avrebbe sopraffatta, voleva solo assaporare per l’ultima volta quel luogo, prima di non farvi più ritorno.

Se la prese in tutta calma, rivisitò ogni stanza, ringraziò tutti i presenti, anche Mrs. Martines la quale ne rimase molto sconcerta, per cinque anni erano pur stati la sua unica casa, ma la sorpresa più bella l’ebbe dalle altre allieve, che venute a sapere di quella definitiva partenza organizzarono in poche ore una cena a cui aderirono tutte, in una locanda casereccia tra la campagna e il mare, non volevano che quella cara amica di disavventure se ne andasse via così, senza essere ricordata. L’umile taverna non era proprio un luogo aristocratico, ma Faimouth non offriva molto altro.

Il gruppo di fanciulle portavano nella modestia del posto un delizioso tocco di allegria, creavano un gran brusio animato, discutendo del ballo, gli ospiti, dei gentiluomini, e di rosee prospettive per il futuro. Le loro vesti colorate, rimpiazzanti le tristi divise grigie del Collegio Seward in libera uscita, davano vita ad una vivace sfumatura nel fondo della sala.

Chiunque entrava, nel vederle, rimaneva piacevolmente stupito, eccetto un tale, già certo di stanare lì.

Si trovavano a tavola, attendevano l’arrivo dell’antipasto, senza fretta, quando dall’entrata fece il suo ingresso un’altro individuo distinto, in abiti eleganti. Inizialmente passò a tutti inosservato, fuorché al proprietario che lo salutò con un cenno, una vecchia conoscenza. Prese posto al centro della sala con andatura sicura, portava un ampio copricapo piumato calato sul viso, era impossibile dedurre altro della sua persona. Affidò il mantello al cameriere, accorso poco dopo, ed in cambio ordinò un fiaschetto di Whisky.

Sogno lo notò solo in seguito, allorché levato il cappello prese ad osservarla intensamente, gustandosi quella visione a piccoli sorsi. Era intenta a chiacchierare, spensierata, come le compagne, la sua fresca risata si confondeva nel clamore, quando volto lo sguardo, i suoi occhi dorati s’incatenarono con un paio berilli e suadenti, posti appositamente di fronte a lei nel mezzo del salone, dandole sollievo al cuore. Lo spettatore giocherellava con all’apparenza un dado di legno, mentre nell’altra mano teneva sospeso il calice di Whisky, con il quale delineò un saluto a Lady Wilson, prima dell’ennesima sorsata. Lei in risposta gli rivolse uno sguardo interrogativo, non capendo le sue intenzioni.

Vuotato anche l’ultimo bicchiere, l’uomo lasciò sul tavolo una lauta mancia, e si fece avanti con la solita spavalderia, verso le dame. Non dirà mai che quel sedizioso alcolico gli servì a farsi coraggio per ciò che stava per fare.

“Buona sera signore!” salutò cordiale, giunto nei pressi della tavolata, riuscendo a placarne il clamore.

“Il mio nome è Leonard Wallace –si presentò plateale, portando il cappello al panciotto- ed è un onore beneficiare della vostra compagnia in queste sperdute campagne!” lusingò benevolo, innalzando risolini e facendole arrossire, più di tutte Celia che cercava nel contempo di attirare la sua attenzione, per chiedergli spiegazioni. Gli indumenti a lui indosso parevano diversi da quelli della sera precedente, seppure li portava in egual modo. Erano più ampi del dovuto, quasi indubbiamente sottratti al vecchio proprietario del suo casato, per non tradire il passato trascorso da furfante, salvo questo, la lezione di galanteria tenuta da Nyx e Afrodite aveva dato il suo frutto.

“Perdonate la mia presenza inopportuna –si scusò dispiaciuto- ma si tratta di qualcosa di molto importante!–definì posando l’espressione composta definitivamente su Celia, calmando la sua agitazione- Permettete che rivolga una parola alla vostra adepta, Miss Wilson?” domandò ricevendo un ignaro assenso generale.

Ringraziò tutte con un inchino, e mosse dei lenti, estenuanti passi intorno alla tavolata, fino alla sedia della Dea, che lo seguì per tutto il tempo con lo sguardo, sbarrato in stupore. Il predone aveva ripreso a far roteare in aria il dado, rivelatosi poi, una volta più vicino, un piccolo cofanetto rivestito non di legno, ma velluto scuro. Pervenne rapace sino al suo schienale, non prima di esprimersi garbatamente alla vicina, Alexia: “Vogliate scusarmi se vi rivolgo le spalle, Madame”

“Cosa fai qui??” berciò Celia in un filo di voce, quando Leonard si prostrò al suo fianco.

Nelle vicinanze si innalzò un imbarazzante silenzio carico di tensione, tutte le studentesse erano impazienti di riscontrare le intenzioni del gentile sconosciuto.

“Mantengo una promessa” rispose lui a bassa voce, prendendole cauto una mano. Con un gesto accurato dischiuse la scatoletta, svelando ai suoi occhi uno zaffiro blu oceano, incastonato in una cornice argentea estesa a cerchio, unita allo spiraglio circolare di un meraviglioso anello.

Celia avvertì la gola stringersi, le labbra serrarsi da un forte sentore giunto dal fondo dello stomaco, fermatosi all’altezza del petto. Era incredibile quanto potesse battere forte il cuore umano cavalcando un’emozione, temé che Leonard potesse sentirne il rimbombo, mentre inseriva il brillante riportante le sfumature del cielo al suo anulare, lì dove, secondo un’antica credenza, passa una piccola arteria che risalendo il braccio arriva direttamente al cuore. 

Il predone vide il suo viso illuminarsi e quei occhi scintillanti socchiudersi per contenere la commozione. Alle spalle della Dea sbucarono decine di giovani testoline, accalcate l’una sull’altra per indagare su cosa fosse dovuto il mezzo spiro di stupore prevenuto dalla loro amica, ora sotto gli occhi di tutti. Quando lo scintillio prezioso dell’anello raggiunse i loro occhietti invadenti, tutte furono balzate indietro dalla meraviglia, lo stupore, la gioia. A quell’adesione comune Leonard sogghignò, e ricercando lo sguardo dell’amata proferì sfidante: “Prova a dirmi di no adesso!…Sposami…”

Celia gli rispose con  “mascalzone”, ma solo per via d’uno sguardo fulminante, poi senza una parola prese quel viso da canaglia tra le dita, e lo baciò, come , tra fischi ammirati, applausi e felicitazioni di tutti.

Non sarebbe stato un matrimonio in grande stile, piuttosto una cerimonia modesta, di pochi intimi, allestita nella campagna di Faimouth, nuova residenza dei due sposi, ma prima vi era un difficile nodo da disfare: lasciarsi alle spalle il passato trascorso nel collegio Seward.

Così il mattino seguente, come stabilito, Celia si fece trovare puntualmente sul portone, scortata da una lunga pila di bagagli, borse, bauli, oggetti troppo ingombranti per essere riposti in valigia, e l’immancabile Immi. La sua stanza nel contempo era divenuta un antro triste e vuoto, presto già riassegnato ad una novella vittima del prossimo macello.

Attendeva un poco intimidita l’arrivo del suo destino, riposto nel misero carretto di un lattiere, abitudinario del luogo; tuttavia sfoggiava il suo abito da viaggio migliore e una postura risoluta: dopo tanto tempo l’attendeva un’importante partenza, in quel momento con destinazione ignota, ma di certo avrebbe salutato la sua prigione dorata per l’ultima volta. A quell’ora le sue mura dormivano ancora, si distinguevano solo respiri leggieri immersi in mondi lontani delle fanciulle che le abitavano, mondi dalla Dea ben conosciuti. Si sarebbero animate soltanto molte ore più tardi, a sol levante, fu il portinaio ad aprire l’uscio alla giovane per l’ultima volta.

L’alba aveva fatto capolino da un pezzo, ma il lattaio si faceva attendere. Celia, in pensiero, fu sul punto di chiedere spiegazioni all’unico individuo desto del collegio, quando Immi segnalò con uno sbuffo l’arrivo di un veicolo trainato da buoi nella stradina.

“Bene –sospirò la Dea- Ci siamo!” definì chinandosi per raccogliere i bagagli da caricare su schiena e spalle.

Ma non dovette compiere di nuovo i medesimi sforzi, impiegati poco prima nel liberare la sua stanza, poiché venne interrotta sul nascere da un incubo:

“Celia…Celia!” un dolce incubo.

Discese dal carretto con un balzo e le corse incontro a perdifiato, fin ad avvolgerla per le spalle.

“Leonard…?” mormorò fissandolo stupita.

“Riponi tutto, devi subito venire con me!” dispose rimettendo a terra le valigie di cui si era fatta carico.

“Cosa? E-e dove?”

“I tuoi genitori sono vivi e stanno bene, sono sbarcati poco fa al porto. Mi sono fatto dare un passaggio dal venditore del latte per riferirtelo al più presto –indicò il carretto alle sue spalle, su cui troneggiava un anziano contadino con un berretto di paglia, una spiga tra le labbra e il viso paffuto, incorniciato da una lunga e folta barba brizzolata- Vieni, ti conduco da loro!” chiarì velocemente, trascinandola con se ancora boccheggiante.

“Dici sul serio, sei proprio certo che fossero loro??” proferì colma d’ansia e incredulità.

Leonard sospirò forte: “Mi hanno detto di chiamarsi Wilson e di essere in cerca del collegio di questo antro sperduto, conosci altri valorosi che farebbero un così lungo viaggio per venire proprio in questo vile convento?” disse poi soggiogante.

“D’accordo… Ci porterà Immi, è più veloce, monta in sella!” esortò sorridendo, con le lacrime agli occhi, dopo averlo fatto lei stessa.

“…E dei tuoi bagagli si occuperà questo gentiluomo, nevvero? –disse riferito al lattaio, riempiendogli il taschino anteriore della camicia con una manciata di tentennanti monete- Porti tutto alla fattoria che troverà lungo questa strada, subito dopo aver attraversato le Mogotes de Jumaguaordinò ricevendo un gioioso sorriso sdentato dall’uomo, in seguito all’opulento compenso- …e grazie di tutto, amico!” concluse dandogli una pacca riconoscente sulla spalla.

I tre partirono al galoppo il seguente istante, e anche il carretto si avviò pian piano, carico di ogni sorta di bagaglio, lungo il sentiero tortuoso di ghiaia.

Immi sfrecciava quanto un auto da corsa, non avvertiva nemmeno il suolo sotto i suoi zoccoli, dalla cima del dorso era impossibile riconoscere distintamente il paesaggio attorno; il meno pratico Leonard pregò per tutto il tempo, ben avvinghiato alla vita di Celia, di non lasciare mai la presa e arrivare alla meta illeso, luogo dove giunsero poco dopo e la pena ebbe fine.

Questa volta, nonostante l’ampiezza dell’abito, Sogno discese con più agilità, seguita da un barcollante vicecapitano, il quale nonostante la nausea si accorse di una lieve titubanza nella fanciulla.

“Ebbene? Non mi chiedi dove sono i tuoi cari, non accorri da loro ad abbracciarli?” ipotizzò commentando lo sguardo smarrito e spaventato di lei.

“E se fossero venuti qui con il proposito di rinnegarmi o lasciarmi per sempre? Non erano mai arrivati a tanto in tutti questi anni…” rifletté afflitta.

“Oh-ho, cosa vedo! Una Dea che trema?!” pensò di sdrammatizzare deridendola.

A quel punto Celia sollevò lo sguardo flebile e mormorò a sua volta ironica: “…Un Capitano con il mal di mare?”

“Il mio non è mal di mare, è male del tuo cavallo! –si pose subito sulla difensiva- Mal d’Immi o mal di galoppo, mal di equino forse!...” continuò così per un po’, mentre accompagnava sottobraccio la sua promessa sposa, verso un ufficio amministrativo molto affollato già di primo mattino.

“Mi hanno detto che si sarebbero fermati in questo posto per la colazione e ottenere tutte le informazioni su come raggiungerti, dovrebbero essere ancora qui!” enunciò con fervore mentre attraversavano una vitrea porta girevole, conducente ad un ingresso gremito di persone molto agitate, appartenute ad ogni ceto sociale, che serviva da centro ad un vasto piano suddiviso in un’area di attesa e una seconda di accoglienza. Il luogo aveva delle pareti color crema rifinite in legno molto ospitali, ma dentro vi regnava il caos più totale, ingestibile persino dagli addetti che si sbracciavano nel mezzo, soffocati dagli individui del circondario gridando “Silenzio! Ordine, ordine!”, per più d’un istante sconfortarono i due nuovi arrivati.

“Come li troveremo?” domandò Celia preoccupata.

“Ci dividiamo, io da questa parte, all’accoglienza e tu cerca in sala d’attesa!” predispose il pirata divenuto borghese, prima di ‘immergersi’ senza ripensamenti in quella folla caotica.

Celia invece si concesse prima un istante per prendere coraggio, chiuse gli occhi, provò ad estraniarsi da tutto, un momento, per ricordare come li aveva visti per l’ultima volta. Aveva sognato da tanto tempo quel giorno e adesso che era arrivato non poteva permettersi di avere paura.

C’era persino Leonard al suo fianco, ad aiutarla, doveva farsi forza! Riaprì gli occhi, vinta da un’energia che non sospettava nemmeno di avere, rimboccò l’orlo della veste per muoversi più agevolmente, ed attraversò come una locomotiva quella scia interminabile di persone sparse scompostamente per tutta la sala.

Scrutò ogni visto, ascoltò ogni voce, nulla di famigliare, nonostante la determinazione dovette muoversi a tentoni, la concentrazione di gente in un luogo così limitato era notevole. Aveva quasi raggiunto il fondo della sala, ad ogni passo più scoraggiata, allorché nella ressa intravide una figura solitaria, accomodata su di un grande baule, in un piccolo spiazzo risparmiato dalla folla, intenta a scrutare il circondario estraniata, come se oltre a Leonard e lei fosse la sola ad accorgersi di quale inaudito putiferio popolasse quel luogo.

Era quasi irriconoscibile senza il busto strizzato nel corsetto, i riccioli scuri aleggianti sulle spalle e con indosso una lunga tunica tinteggiata di mille tonalità diverse, tante quante i sentimenti che il quel momento attraversarono Celia.

La ragazza si paralizzò come colta da un sortilegio, le sue membra tremavano, ostinate a continuare il cammino nonostante tutto, venne colta da un groppo alla gola, il quale le impediva allo stesso tempo di parlare e respirare, ma infine vinse anche questo, chiamandola più forte che poté, fino a sormontare persino la confusione tutt’attorno: “MAMMA!”

Acmena Wilson non poté ancora vederla, ma si mobilitò subito voltandosi all’istante verso di lei, non aveva mai dimenticato li suono della voce della sua amata figliola. La donna si sollevò in piedi sulle punte per scorgere nella folla una bionda chioma ribelle, e a quel punto la vide, muoversi a spintoni nel mezzo, per venirle incontro, con il viso rigato di lacrime gioiose e la mano già tesa verso di lei, pronta a ricevere la sua.

“Oh, tesoro… -l’accolse donandole un lungo caloroso abbraccio- Tesoro mio… Fatti dare uno sguardo, ma sei proprio tu? –si chiese incredula dandole una rapida occhiata- Guardati! Come sei cresciuta… Quanto ci siamo persi io e tuo padre di te in questi anni…” riconobbe triste.

“Mamma… -ripeté incredula di poter ancora pronunciare questa parola- Non posso credere che sei davvero qui –disse la giovine in voce spezzata, sfiorandole il volto con una carezza tremula- Temo ancora di sognare, mi siete mancati così tanto tu e papà!” ammise percependo il cuore riscaldarsi di lieve un torpore scordato da tempo.

“Anche tu, non sai quanto! –corrispose con dolcezza- …Ma lui dov’è? Caro, caro! Vieni qui subito!!” richiamò il consorte da un antro del locale.

“Cos’hai da strepitare? –ricevé in replica da un uomo con l’aria affaticata, dei lunghi baffi grigi arricciati sulle punte e i suoi stessi abiti forestieri ampi e variopinti- Ho preso i biglietti del ritorno finalmente! Come se queste scimmie urlatrici intorno non facessero altrettan-…” ma il borbottio del signor Wilson si infranse a metà, quando vide chi teneva tra le braccia Acmena.

“Santo cielo… Celia! Figlia mia!” accorse verso di loro commosso, per unirsi all’abbraccio.

“Oh, papà, ci sei anche tu…”

Quel mattino l’ufficio amministrativo di Faimouth, come da molti giorni ormai, si trovava in balia del tumulto generale in seguito all’effetto devastante registrato dai tre mesi della stagione delle tempeste.

Gli uragani e le piogge avevano cancellato al loro passaggio non solo molte vite, ma anche i confini dei terreni che esse abitavano, suddivisi bonariamente secondo antichi accordi di favore, per la maggior parte, perfino da tempi del medioevo. Di conseguenza tutto ciò ora dava massima libertà a chiunque di poter ricomprare legalmente suddette proprietà a poco prezzo, visto l’alta concentrazione dei danni, e questo causò non poche lamentele.

Erano tutti troppo presi dal salvaguardare i propri interessi per prestare la minima attenzione a quel tenero quadretto familiare che vi si era riunito in disparte, tutti tranne uno spettatore silenzioso, anch’egli alla ricerca della coppia di coniugi nella parte opposta della sala, il quale ora, compiuto il proprio dovere, poté beato godersene il risultato.

“Ma, ditemi, voi due state bene? Cosa vi è successo?” si dimenò dall’abbraccio preoccupata.

“Vedi piccola mia, tre anni fa io e tuo padre eravamo in viaggio nei territori dell’Asia, in quel luogo da cui ti inviammo una cartolina…”

“Xuzhou!” rammentò subito la Dea.

“Proprio così, su di una nave mercantile. Dopo essere giunti all’ennesimo porto ci informarono di aver smarrito i nostri bagagli, caricati su di una seconda imbarcazione apposita. Poco tempo dopo scoprimmo che la nave aveva fatto naufragio, così fu del tutto impossibile recuperarli, perdemmo documenti, viveri ed ogni nostro avere. Per molto tempo fu arduo convincere le persone del luogo sulla nostra identità e provenienza per aiutarci. Hanno una cultura molto chiusa e riservata, la nostra unica speranza era riposta in qualche mercante di passaggio come noi, i quali tardarono ad arrivare. Ma ogni giorno da noi trascorso laggiù non abbiamo fatto altro che pensare a te!” disse dolcemente facendo sfuggire a Celia un’altra lacrima.

“E’ così, tesoro!” confermò il signor Wilson da sotto i baffi.

“Ricordo proprio di aver pensato: cosa farebbe in questo caso la nostra piccola Celia? Così ci rimboccammo le maniche e stringendo i denti, infine, riuscimmo ad avviare una piccola bancarella dove vendevamo abiti come questi” indicò afferrando i lembi della propria veste colorata.

“Sono davvero bellissimi, mamma…” commentò ammirata.

“Da quel momento con numerosi sforzi non abbiamo fatto altro che cercare di accumulare un gruzzoletto necessario a tornare a casa. E’ stata davvero una esperienza meravigliosa, ha insegnato noi le vere cose importanti della vita, come avere una figlia splendida! –riconobbe circondando il viso di lei con le sue mani provate dagli anni, ma ancora capaci di racchiudere tanto amore- Ci dispiace di averti fatto sentire sola al mondo per così tanto tempo…!” affermò la donna senza più riuscire a trattenersi dal versare delle lacrime.

“No, non devi dispiacerti! Sta tranquilla, ora so come sono andate veramente le cose” la confortò più serena.

“E in conclusione –continuò il signor Wilson sul filo della consorte- giunti qui ci siamo imbattuti in un giovanotto che ci ha consigliato questo posto come adatto per ritrovarti. Oh, ma eccolo, è lui!” indicò qualcuno colto alla sprovvista alle loro spalle, il quale li risalutò di nascosto.

Celia sapeva già di chi si trattava, ma volle presentarlo ai suoi genitori terreni come gli era dovuto.

Lo prese sottobraccio e fece far loro conoscenza: “Mamma, papà… Lui è Leonard Wallace, il mio futuro sposo…!” annunciò emozionata, era la prima volta che dovevano dichiararlo a qualcuno, anche Leo ne fu un poco suggestionato, infatti era di colpo impallidito e si mostrò buffamente rigido e formale verso i coniugi Wilson, molto entusiasti delle nozze. Tanto da dimenticarsi quasi ciò che avevano appositamente portato dalla Cina in dono per Celia: degli splendidi kimoni turchini, come ne aveva sempre desiderati, da quel momento la Dea non indossò altre vesti per tutta la vita.

I Wilson ripartirono per Caimanera la sera stessa, avevano il desiderio di tornare finalmente a casa prima delle nozze, che si sarebbero celebrate a giorni.

Celia invece venne condotta dal suo futuro sposo nella loro nuova casa: la fattoria Wallace.

Un’estesa tenuta recintata da una solida staccionata fresca di pittura, che racchiudeva un casato signorile di più piani, un mulino a vento, altri rustici sul retro che servivano da stalle e fienili, dove Immi in quanto unico cavallo del luogo poté avere un trattamento da regina, ed immense distese di campi rigogliosi e verdi in cui perdersi, riportanti in certi punti l’oro dell’estate.

Era ormai tardo pomeriggio quando vi arrivarono, tutto il casato si trovava impegnato a terminare le mansioni in tempo per la cena, al ritorno del nuovo padrone.

La prima a farvi ingresso fu Sogno, subito scordata da Leonard, in un cucinino sul retro da cui provenivano mille aromi invitanti, e lo scampanellio di pentole e mestoli come una melodia incalzante, sullo sfondo del vocio animato delle cuoche.

“Siete voi, Signor Wallace?” chiese un richiamo curioso da dietro i fornelli fumanti.

“Sì, Amelia –rispose alla cuciniera- Venite, ho un ospite con me!” informò il padrone riponendo nel frattempo la propria giacca insieme a quella di Celia su di un appendiabiti in ferro battuto.

“Ospite?! –ripeté stupita- Potevate annunciarlo in anticipo, signore! quasi lo rimproverò- Avrei apparecchiato per due…” sostenne una cuffia sgualcita facendo capolino dai fumi.

“Dovrete apparecchiare per molti di più! –la corresse scaltro- Voglio tutti i membri della casa presenti a tavola questa sera, per una cena di benvenuto alla futura signora Wallace!” anticipò sbalordendo l’insolita invitata, faceva il suo effetto sentirsi chiamare così per la prima volta.

Alla vista di Celia al fianco del ragazzo, la cuoca si portò una mano al petto, colta dallo stupore: “Oh… Ma voi dovete essere la sua futura sposa! Se permettete è davvero uno splendore, signore –stimò entusiasta- Siate la benvenuta!” concluse con un dedito inchino.

“Grazie, siete troppo gentile” arrossì lei in imbarazzo.

“Questa mattina un uomo ha portato qui dei bagagli, credevo fossero del signor Wallace! –ammise Amelia ignara- Invece devono essere vostri, non è vero? Accorro subito a sistemarli in una camera per gli ospiti, e mi occuperò anche di farvi trovare un bel letto caldo!” predispose cordiale rivolta alla giovine, raccogliendo dalla cappa del caminetto vicino il carbone ardente con cui riempire lo scaldaletto.

“Non ce ne sarà bisogno, Amelia. Celia può dormire con me…-si oppose il padrone- la mia stanza è sufficientemente grande per due!” sostenne senza nascondere un piglio malizioso.

“Oh, no no no no no! –rinnegò più volte sull’orlo dello scandalo- Siete forse impazzito?!? Non posso permettervelo! Non in questa casa, e prima del matrimonio per giunta –protestò- E’ escluso!” lo rimproverò la donna prendendo ancor più colorito in volto, già arrossato dai vapori della cucina.

“Non ammetto questo atteggiamento in casa mia, Amelia –alzò la voce irritato- Il padrone adesso sono io, e dovete fare come dico!” tuonò dispotico con Celia accanto, assordata dalle urla, che lo pregò di calmarsi.

“L’unica cosa che il vecchio padrone vi ha chiesto in cambio della proprietà è stata di mantenere questo luogo come è sempre stato. La tradizione vuole così, e così deve essere!” troncò la discussione incassando la parte del giusto, prima di esortare Celia a seguirla.

“E’ la tradizione!!” schernì il mortale a sua volta, prima di congedarsi con Amelia.

Le fu assegnata una camera deliziosa, anche se solo per tre notti, volutamente sul lato opposto a quella di Leonard, così da mantenere intatti i rigidi divieti proverbiali, che il padrone mascalzone tentò costantemente di raggirare, ma venne sempre sventato dalla “guardia notturna” Amelia.

Così, presa dalla compassione per i lamenti di solitudine ostentati dal mortale di giorno, un vespro fu Sogno a far lui visita: si materializzò nella sua stanza a notte fonda, quando la casa si arrese completamente al sonno.

Non vi era molta luce, ma in vesti divine il buio l’era agevole. Lo scorse desto, agitarsi nel letto, avvolto solo dalle lenzuola, con la testa sotto il cuscino, affondare dei pugni nel materasso per attutire le ingiurie, sicuramente rivolte alla benevola cuoca; l’intrusa dovette premere le mani sulla bocca per non far udire la propria risata. Prese posto sulla sponda del letto, in modo d’assistere comodamente a quello spettacolo comico, e attese che scaricasse tutta la rabbia sull’innocente giaciglio.

“Sai, è proprio bella questa casa!” pronunciò incantata quando si fu calmato.

Al suono di quella voce il “pugile” si voltò di scatto riemergendo dal cuscino, e i suoi occhi chiari vennero lievemente feriti dal bagliore a distanza ravvicinata della Dea dei Sogni.

“Sapevo che saresti venuta da me presto o tardi, non potevi resistermi a lungo!” assentì compiaciuto, facendo leva sulle braccia per mettersi seduto.

“A dire il vero mi stavo solo assicurando che tutti, nei dintorni, stessero facendo sogni tranquilli… A differenza tua” lo canzonò rammentando l’incontro di pugilato con il materasso appena conclusosi.

“Già… -inghiottì il boccone acre- Perché non vieni qui? –propose abbassando la voce, divenuta appositamente roca- Questo letto è così freddo…” alluse scostando le lenzuola al suo fianco, dalla parte libera del letto nuziale.

Ovvio –replicò pronta a reazioni del genere- Dormi tutto scoperto!” lo biasimò risistemando le coperte allontanate.

“Ma io intendevo le lenzuola…!” tentò di rivalersi ostentando una sottile intonazione maliziosa.

“Ahhh! E’ colpa delle lenzuola dunque… -comprese più astuta di quella volpe- Se è così, problema risolto!” assicurò prima di sfiorare il giaciglio con la sola punta del piede, trasmettendogli parte del proprio calore celeste, il quale abbrustolì per bene il fondoschiena dell’inopportuno predone malpensante, facendolo sobbalzare nel letto. Trascorso lo sconvolgimento iniziale da parte della vittima, per il gesto inaspettato, si concessero entrambi una fragorosa risata.

“Funziono meglio del rudimentale scaldaletto!” si vantò ancora ridendo.

“Ho capito, ricevuto, bisogna prestare attenzione a farti arrabbiare!” si arrese portando le mani verso l’alto.

“Ora sai cosa intendevo quando ti dissi di essere cenere calda ” reagì soddisfatta, sul punto di lasciare la stanza.

“…E se un giorno mi inventassi che ti amo?” disse Leonard dal nulla, per fermarla, sferrandole senza volerlo un duro colpo, poiché non seppe trovare altro modo per trattenerla oltre.

“I-inventassi…? –ripeté sconvolta- Tutto questo è solo un’invenzione per te?” domandò turbata.

“No, ma… Non ricordo di avertelo mai detto a parole” perpetuò mancando di dare alla sua voce una ravvisabile espressione.

“Bhe, mio caro, invenzione non è proprio un termine adatto per compiacere una donna! –sostenne adirata- E poi… -la sua rabbia si frammentò in singhiozzi- ero certa me l’avessi fatto capire in altri modi…”disse sconfortata.

“Sappi che è la verità! -ribadì lui con animo- …Anche se non ho mai saputo dimostrartelo” rivelò chinando il volto, amaramente dispiaciuto.

“Ma cosa dici…?” negò la Dea confusa, ripercorrendo in fretta i propri passi.

“Una volta credo mi dicessi che ti saresti innamorata solo di un uomo disposto a dare la propria vita per te” rammentò il mortale crucciato.

“E tu mi dai persino retta? –disse un po’ risollevata per screditare quella sua stessa affermazione- Credi davvero di non averlo fatto anche tu? –continuò ricevendo una negazione col capo- Allora che mi dici di questa –lo interrogò spalancando l’anta di un armadio da cui apparve nell’ombra la sua vecchia veste da Vicecapitano- Non era la tua vita? Eppure vi hai rinunciato…-si ritrovò lei stessa a doverlo consolare, era anche questo che amava del stare insieme a lui: poteva sconvolgerle l’esistenza in un attimo- …E da quel momento m’illudo di riuscire in qualche modo a poter eguagliare ciò di cui ti sei privato, ti sarò sempre infinitamente grata per questo…!” concluse adagiandosi al suo fianco, dove venne subito catturata nelle sue grinfie mortali per estorcerle un bacio.

“…Ma non verrò a letto con te! –precisò divertita, scampandogli di corsa, lasciandolo di nuovo a bocca asciutta- Non stanotte, non ancora…” gli tese una lievissima speranza dal davanzale della finestra.

“Dove vai, fuggi come di consueto facevo io?” le domandò divertito.

“Vado a sistemare l’incubo dei sogni di qualcun altro, perché il mio l’ho già castigato per adesso –rispose guardinga- ...dormi bene!” gli augurò appena in tempo, prima che le sue palpebre si richiusero, il suo sorrisetto furbo si rilassasse e quel respiro prendesse un ritmo calmo e regolare.

Gli occhi della Notte.

I due giorni seguenti furono lunghi e intensi, iniziavano appena sorta alba e si concludevano a sera inoltrata, non vi erano grandi preparativi in corso per le nozze, solo il minimo indispensabile come gli inviti, i fiori e la torta nuziale, ma nemmeno molto tempo ancora.

Il casato era in pieno fermento, ogni componente voleva dare in qualche modo il proprio contributo per la cerimonia, il vecchio proprietario aveva lasciato in eredità un’ottima gerarchia d’ordine, ed escluso qualche breve momento di usuale panico, erano tutti molto ben organizzati ai propri posti.

La quiete giungeva solo alla sera, quando l’unica apprensione erano le eccessive attenzioni di Amelia.

La donna si era improvvisata cameriera personale di Celia, e si preoccupava di scortarla personalmente nella sua stanza ad ogni imbrunire. I due innamorati potevano risalire le scale insieme, ma una volta giunti nel corridoio, che divideva le loro stanze in due lati antistanti, dovevano darsi lì la buona notte.

Leonard n’era così esasperato che un vespro, andando a letto, escogitò un discorso sconveniente per potersi liberare della sentinella almeno qualche minuto: “Sai, tesoro. In quanto tuo futuro marito devo essere del tutto sincero con te –presagì emulando un tono insolito, che fin da subito fece intendere a Celia l’affermazione seguente come uno scherzo, al contrario della cuoca pettegola, la quale affinò subito l’udito, mentre li seguiva nel salire la scalinata- Perciò mi sento di dirti che la scorsa notte c’era una donna, con me, in camera da letto” continuò a recitare.

Amelia ne fu sgradevolmente stizzita, sgranò i grandi occhi contornati dalle pieghe del sorriso, per poi calare la cuffia sulle orecchie così da non sentire oltre, e superandoli alla cieca proferì solo, diretta al lavatoio: “Più tardi verrò a portarvi la biancheria, Miss!”

“…Ha funzionato!!” esultò il predone nel vederla fuggire, stringendo finalmente a se la sua amata in tutta libertà.

“L’avrai sconvolta!” lo riprese Celia, provando pena per lei.

“Ben le sta! Detesto quei suoi modi bigotti… -denigrò sdegnato- …Verrai a farmi visita anche stanotte?” le sussurrò chinandosi verso il suo orecchio in tono seducente.

“Credo proprio di… NO! –gli sfuggì giocosa- Quale folla si creerebbe nella vostra stanza altrimenti! Visto che ci sarà già quell’altra donna ad attendervi…-resse l’inganno con cui aveva raggirato Amelia- vi lascio dunque alla vostra amante, Dio delle tenebre” lo nominò per finta, rifacendosi al suo consueto sguardo cupo, prima di scomparire con un bacio della buona notte nell’antro buio del corridoio.

Lui attese speranzoso un ripensamento, ma dopo il tonfo sordo con cui Celia chiuse la porta alle sue spalle, si rassegnò che non sarebbe più tornata. Fece ingresso nella propria camera padronale, mettendosi subito alla ricerca di un lume per orientarsi, poiché la stanza era interamente imbevuta nel buio. Le candele sembravano dissolte, e la lampada ad olio sul comodino, sebbene fosse già perfettamente disposta all’uso, pareva non volersi accendere.

“…Dannazione!” ringhiò allora, ricercando freneticamente almeno un misero fiammifero nelle tasche di giacca e pantaloni, quando incombé un sudore freddo.

“…Dio delle tenebre?” pervenne dall’ombra una voce di donna, trainante con se un filo d’ilarità.

Leonard si voltò bruscamente verso la finestra, dove venne sorpreso da due occhi lampanti che lo fissavano in termini di sfida.

“Un tale Dio non può essere incapace di vedere al buio!” ridacchiò la voce, coprendo lo strepitio di un cerino che si accese sul suo volto, rivelando alle tenebre la posa contemplativa di Nyx. Il mortale ne trasse un respiro di sollievo, avrebbe distinto tra mille quella risata sempre rivolta a schernirlo.

“Così va meglio?” disse guidando il lume fluttuante al centro della stanza, in modo da rischiararla il più possibile.

“Quale onore, dunque, presidiare alla cospetto della Notte in persona!” la riverì accennando un inchino.

“Te l’ha detto infine –riconobbe adempiuta- ma attento Signore del buio, se tale credi di essere, nelle tenebre ci troverai anche me!” lo mise in guardia ruotandogli attorno con fare sinistro, come se lo stesse studiando.

“Piuttosto –interruppe il suo oscuro girovagare- mi hai chiesto il permesso di prendere mia figlia in sposa?” lo interrogò con un retrogusto di disappunto.

Il mortale ne rimase attonito, seppure trovò il fegato di replicare audacemente: “Mi avete incoraggiato voi stessa a farlo! Non erano vostre le parole ‘aprile il tuo cuore Leonard’?”sostenne risentito.

“E’ così, ma in ogni caso non ti permetterò di sposarla” stabilì contraria, scatenando nel pirata un forte impulso di rabbia. Stava per protestare animatamente, sollevando i toni, reclamando spiegazioni, quando la Notte proseguì tranquilla:  “…Non abbigliato in quel modo almeno –precisò più eloquente- Le vesti del tuo padrone ti stanno troppo grandi, e i tuoi stracci truffaldini sono del tutto fuori luogo per l’occasione” valutò consumando di respiro in respiro l’impazienza del giovine.

“Ed è proprio per questo che sono qui –ammise infine- ho con me il tuo regalo di nozze!” annunciò elettrizzata, spostandosi fin dove la luce penetrante dalla finestra e il lumino non poteva arrivare, per trainare dalle grinfie del buio uno spettro nero della forma di un uomo, privo della testa. Con un abile gesto strappò decisa il telo nero che ricopriva il fantoccio inanimato, svelando al futuro sposo un prezioso abito nuziale da uomo dalle fattezze prestigiose.

Leonard volle avvicinarsi poiché nello stupore non fu in grado di riconoscere se fosse vero o solo immaginario.

“Ma, come! –commentò scontento- credevo che il mio vestito dovesse essere bianco, pomposo, con una larga sottana in pizzo e il corsetto di raso!”

“Come vuoi, allora questo lo farò indossare a Sogno…” dispose lei del tutto seria, allontanando il manichino.

“No, la prego. Si fermi!- ci ripensò ridendo- mi è bastata l’esperienza del Ballo di primavera!” assicurò trascinandolo a se.

“Lo saprai indossare da te, vero? Io non verrò di certo ad abbottonarti i polsini della blusa questa volta!” si premunì Nyx, riconsegnandogli l’abito adeguato, il Dio delle tenebre sogghignò annuendo.

“Eccellente!”disse soddisfatta.

“…Sarete presente alla cerimonia, domani?” la interruppe sul punto di tornare ad essere un tassello del cielo.

“Credi forse che mi perda il giorno più importante della vita di mia figlia?” predispose in un giocoso assetto di sfida. “Certo che no” sussurrò retorico.

La Dea gli sorrise, ma non se ne andò, tornò su i suoi passi, per guardarlo fisso negli occhi, avvolgendo con le mani nivee quel bronzeo viso di carne e sangue.

“Giurami solo, da questo momento in poi, di prenderti sempre cura della mia bambina… L’affido al tuo cuore!” spirò con un lieve accento di malinconia, definendola in tal modo per la prima volta.

Leonard Wallace si soffermò un istante ad ammirare quello sguardo enigmatico quanto irrevocabile, ed arresosi all’evidenza di non poterlo mai in alcun modo decifrare, le rispose indubbio: “…Lo giuro…”

-

Apollo si levò nella sua maestosità dirompente poche ore più tardi, spiato con curiosità in ogni gesto da uno spirito celeste, attraverso le vetrate già infuocate di luce nel corridoio dei vani per gli ospiti, riparandosi di tanto in tanto giocosa nell’ombra del colonnato.

Aveva appena fatto ritorno alle sue sembianze terresti, ed ora, come ogni mattino, riappariva magicamente, quasi nulla fosse, e Celia Wilson quella notte avesse solo dormito. Amava contemplare il mondo riprendere vita, e colore, ma quel giorno tutto era accentuato da una sfumatura più rosea, più bella, poiché giunta la prossima sera, lei e Leonard sarebbero finalmente stati marito e moglie. Marito e moglie, era ancora così bizzarro per lei poter pronunciare quelle parole.

L’aria profumava già di leccornie e dolci -merito di Amelia, al lavoro da notte fonda- il giardino presto si sarebbe colmato di fiori -come avviene a primavera- delle allieve del collegio -prime vere testimoni delle nozze- insieme ai coniugi Wilson, tutti i componenti della fattoria –quanto una grande famiglia- dello scompiglio per la venuta straordinaria del sindaco di Faimouth -delegato a celebrare le nozze- e l’animo della trepida attesa per gli sposi, più emozionati di tutti loro.

Si prospettava un evento molto discreto, nulla di eccelso, ma smise di esserlo proprio dall’istante in cui Sogno fece rientro nella sua stanza, dopo una notte trascorsa ad aleggiare su volti sognanti. Al suo ritorno tra quelle mura l’attendeva un inconsueto manufatto d’arredo, lo stesso che quella notte si era ritrovato Leonard nella propria camera: un principesco vestito da sposa confezionato da un bustino di raso e pizzo, terminante in una ampia gonna a volta, in vari punti rimboccata in modo da creare delle suggestive pieghe fermate da brillanti, che completavano la preziosità di un tale abito unico nel suo genere.

Da dove poteva essere apparso tale splendore? Chi era stato a deporlo in quella stanza? Non destò sospetto la mancanza di Celia?

Chiunque fosse non aveva lasciato alcun indizio, solo un piccolo biglietto arrotolato a pergamena, rinvenuto dalla Dea incredula e commossa in una piega del vestito, il quale, una volta spiegato, non riportò nulla di scritto, solo una piccola candela di cera nera che tra le sue mani si accese diffondendo… buio!

Solitamente le candele hanno la mansione di creare luce, ma quella non era un lume come qualunque altro, piuttosto un piccolo paradosso: generava oscurità.

Magia nera? O forse solo un gesto per implorare perdono.

In quanto all’insolita fiamma della candela, poteva essere generata solo dalla massima fonte del cupo…

E cosa c’è di più buio della Notte?

-

Gli imprevisti quel giorno non si limitarono solo ai due magnifici abiti degli sposi comparsi dal nulla, poiché anche i coniugi Wilson, di ritorno da Caimanera, si presentarono con un singolare dono di nozze.

Conoscevano il futuro genero solo dal breve colloquio che tennero con lui al porto di Faimouth, ma per loro bastò a prediligere il miglior regalo di cui potessero mai fargli omaggio. Il ragazzo aveva solo accennato ai due signori di essere un uomo di mare in verità, e di non averci più fatto ritorno in seguito ad un naufragio -il tutto tenendosi ben distante dal rivelare la sua identità di Vicecomandante d’una ciurma pirata- pertanto i futuri suoceri supposero che Leonard avesse in se nostalgia di tale passato, e fecero ritorno all’isola a bordo di un magnifico veliero spagnolo, un tempo chiamato Anna Reina, lungo ben 33 metri e non solo, del quale fargli dono.

Infatti al comando vi posero ciecamente un singolare individuo, di cui il predone aveva loro parlato e che i coniugi erano riusciti a rintracciare, pensando di fargli cosa gradita: Viktor Hellburne, il suo vecchio Capitano. Non potevano minimamente sospettare che così facendo gli stavano sottoscrivendo un terribile patto irrevocabile con Persefone*.

Di primo sguardo il Comandante pareva una sorta di moderno vichingo -sebbene egli sostenesse di provenire dal Nord America, dalla penisola di Terranova*- forse per via dei lunghi capelli chiari scarmigliati, la folta barba raccolta in trecce della stessa lunghezza, i sandali di cuoio come calzari e le iridi tanto chiare da sembrare trasparenti. Era sempre solito indossare indumenti pesanti, in contrasto al clima tropicale, da cui sprizzava il suo fisico massiccio e possente, ed un cappello fatto di osso d’uno strano animale di cui andava fiero e non si voleva mai separare.

Quando i due nobiluomini lo trovarono, dicendogli di cercarlo a nome di Leonard Wallace, il Capitano credé di esser vittima di una burla di quel buontempone narciso, ma infine li seguì, vinto dalla curiosità, ponendosi come parte del gioco, che finì subito di sembrarlo quando sbarcarono nei pressi della imponente tenuta di cui i Wilson avevano parlato.

Il loro arrivo, un poco occultato, avvenne nei pressi del litorale più attiguo alla fattoria, da dove si misero in cammino verso il casato, in cui approdati vennero letteralmente sopraffatti dal gran movimento frenetico, fatto di torri di vassoi in argento colmi di pietanze ancora fumanti, foreste di sedie sfarzose, tavoli ritondi, pile di tovaglie fresche di bucato, canestri fioriti, metri e metri di nastro bianco da cui ricavare fiocchi come addobbi, calici di cristallo per il brindisi, il tutto implicante gli ultimi ritocchi per la cerimonia.

I signori Wilson si congedarono all’istante con l’ospite per prender parte al clamore, mentre Viktor condisceso, rimase un attimo pietrificato sentendosi divelto dinanzi a tanto convulso da fare, per poi esigere subito di parlare con il novello proprietario del luogo.

Gli fu piuttosto semplice trovare Leonard, in quanto sposo non poteva essere altrove che anch’egli alle prese con i preparativi, perciò al Capitano bastò l’irritata indicazione di una cuoca spossata, la quale nel subbuglio lo scambiò per un musicista folcloristico, per raggiungere una delle stanze del primo piano.

Rinvenne il fidato compare di disavventure dietro un uscio socchiuso, dinanzi lo specchio, a contemplare se stesso -come lo ravvisava sovente quando comandavano la stessa nave- alle prese con una fusciacca ormai stropicciata per i troppi tentativi di annodarla quanto un perfetto fiocco attorno al collo.

“Allora sei ancora vivo, belloccio!” esordì poggiato allo stipite della porta, ghignando a quella visione.

Il Vicecomandate lo rivide nel riflesso, e seppur stranito accorse a salutare con entusiasmo l’ex Capitano.

“Viktor! Diavolaccio, non posso crederci, come hai fatto a trovarmi?”domandò dandogli una energica pacca sulla robusta spalla.

“Ingegno –osò millantatore- Ti vedo in forma, ragazzo! –appurò stupito dalla rinnovata vigoria del compare- I nostri uomini mi avevano riferito che ti eri rifatto vivo dopo qualche tempo dalla tua scomparsa, ma poi hai tagliato la corda di nuovo, senza spiegazioni. Dunque sei venuto qui, diventato uno sfacciato riccone, per lo più ti sposi, e volevi che non lo venissi a sapere?! –tralasciò un poco di suspense- …D’accordo, mi hanno fatto strada i due vecchi della tua signora –proferì veritiero- a proposito, dov’è il bocconcino?” digrignò impaziente sfregandosi le aride mani, scavate da cicatrici e acqua di mare.

“Non provare a metterle gli occhi addosso!” infervorò subito i toni.

“Uh no, certo che no! –si finse impaurito- Per Diana, Wallace! Sembri già un maritino geloso… Pensavo che noi due ci dividessimo tutto!” lo beffeggiò rigando il viso costantemente arrossato di pieghe irritate.

“Mia moglie è escluso –precisò alterato- siamo sulla terra ferma adesso!” definì con certezza.

“Terra…” ruggì il Capitano minatorio “sono fortemente insofferente a questa massa informe di bitume –si espresse divenendo rude- Preferirei il patibolo, una condanna a morte, il rogo, ma non terra. –disdegnò stomacato, fronteggiando con abilità il cipiglio di sfida del ritrovato braccio destro- Tu non appartieni a questa stia di signorine, Leonard! Ti voglio con me, sul ponte di comando. Sei un granello di sale, quale lo sono io, una volta sognavi una vita fatta di libertà e orizzonti, non salotti da the e ossequi!”riversò in poche parole tutto il proprio astio.

“I miei sogni sono cambiati” lo svilì, portando avanti imperturbabile i suoi attenti ritocchi.

Ma il Capitano non si diede per vinto: “I lupi di mare, per quanto esso possa essere pericoloso, non potranno mai starvi lontano a lungo, ne saranno sempre attratti!” lo redarguì altezzoso.

O sempre prigionieri…

E’ incredibile come soltanto pochi anni dopo quelle parole presero una piega così vera.

I forti toni tra i due si placarono come di consueto dopo un goccio di whisky, rievocarono i vecchi tempi e tornarono ad essere amici, come sempre, tanto che Viktor dall’ospite più indesiderato fu promosso a “pastore” della cerimonia.

Il sospirato matrimonio della Dea e il mortale si celebrò in forma opposta a quanto i due innamorati avevano pensato, ma anche come mai avrebbero immaginato.

Fu trasferito così velocemente a bordo del nuovo veliero di Leonard, che il tanto atteso Sindaco di Faimouth, una volta giunto in pompa magna alla Fattoria Wallace, rimase turbato e oltraggiato dal benvenuto desertico che non si aspettava di ricevere. Nessuno si preoccupò più di lui.

Intanto, a bordo della Reina Anna, lo spirito della vecchia nave da guerra venne allietato dalla gioia per le nozze: all’imponente castello di poppa fu improvvisato un altare su cui si erse il fiero Capitan Hellburne in posa solenne, pronto ad accogliere gli sposi sotto le sue ali di finto sacerdote.

Il ponte di comando divenne per l’occasione la navata centrale, in cui gli sfarzosi invitati vennero sistemati su panchetti rivestiti di velo bianco drappeggiante sui lati, divise tra le trepidanti allieve del Seward, le quali producevano tanti striduli cinguettii puntigliosi, e accanto i più composti abitanti della fattoria, al contrario quieti nel sfoggiare dignitosamente la loro veste migliore, come tante allegre bomboniere.

Al centro venne lasciata un’ampia corsia, tracciata da un lungo arazzo rosso costellato di soffici petali di rosa, al termine di cui Leonard attendeva già in subbuglio l’amata, con un lieve terrore dipinto negli occhi, costantemente puntati alla passerella da cui sarebbe ascesa di lì a un minuto; spalle curve, le braccia strette sul petto per contenere l’apprensione, lottò a lungo con se stesso nel tentativo di non placare l’ansia iniziando a vagare in avanti e indietro, avrebbe voluto districarsi continuamente il ciuffo nell’agitazione, ma non lo fece per non sembrare scarmigliato, eppure tutti si accorsero della sua impazienza, compreso il suo compare di molte maree: “Nervoso, amico?” domandò Viktor divertito, dalla postura in ascesa spirituale che aveva assunto per immedesimarsi nel mite sacerdote.

Leonard sollevò la testa di scatto, mutando subito lo sguardo smarrito in finta pienezza di se: “No..” assicurò poco convinto.

“Hai controllato se gli invitati ci sono tutti? Il tuo granello di zucchero potrebbe averci ripensato, ed essere già scappata con uno di essi” ipotizzò mordace, sfoggiando alla folla un finto sorriso cordiale.

“Sicuro, e da un momento all’altro potrebbe partire un colpo di pistola vagante che casualmente colpirà in pieno petto il falso prete di tutta la messa in scena se non chiude subito il becco!” reiterò lo sposo in un unico fiato, passando da una intonazione agitata ad una minacciosa, anche se nel dubbio non mancò di rivolgere un futile sguardo ai presenti nella metà della sposa, alla ricerca dello stalliere Andrew, seduto invece pacato al fianco di Alexia.

“Ti preoccupi inutilmente -ridacchiò il vichingo in una smorfia altezzosa- sono certo che la tua è solo curiosità! -argomentò sollevando le larghe spalle su cui ricadevano a piccole onde le ciocche disciolte, poiché prive delle consuete trecce- Sei giovane, ti senti indomito, vuoi provare ogni esperienza, non ti facevo così folle da sposarti però! -ammise meravigliato, aggrottando l’ampia fronte- Tra pochi mesi ti stancherai, e verrai ad implorarmi di tornare a far parte della mia temibile ciurmaglia!” presagì assodato, mimando assenso con il capo, il quale appariva fin troppo piatto senza la strana curvatura del suo copricapo-trofeo.

“Fossi in te non ci giurerei, vecchio mio, aspetta di conoscere Celia!” ovviò screditandolo, sicuro almeno quanto lui.

“Certo, certo -assentì poco dissuaso- Ma sappi che mi abbasso a tutta questa messa in scena solo perché sei tu!” dichiarò amareggiato, dibattendo i sandali di cuoio sul ‘podio’ dal quale si ergeva, e gonfiando il petto avvolto in una tunica bianca da pastore, ricavata da un attempato lenzuolo.

In quell’istante, a placare ogni incertezza, fece la sua comparsa dal principio dell’antro centrale Acmena Wilson, per farsi da entusiasta portavoce dell’incombente venuta della figliola.

Con assenso ed euforia generale, tutti si alzarono dal loro seggio, per volgersi indietro, così da avere il primo sguardo sulla sposa; quando Leonard intravide la futura suocera prendere posto in prima fila, dimenticò ogni tensione, allentò ogni muscolo rimanendo come pietrificato, col fiato spezzato.

L’arrivo di Celia non fu una marcia nuziale fatta di piccoli passettini estenuanti a ritmo di ta-ta-ta-taaa... ma piuttosto un... galoppo!

Giunse al litorale in sella ad Immi, in una manciata di trotti e richiami echeggianti con cui anticipò la sua venuta.

Dalla folla si innalzò un inaspettato boato di stupore e meraviglia, nel vederla apparire così, dal nulla, bella ed elegante come non mai, nonostante la veste leggermente sgualcita dalla cavalcata e la complessa pettinatura in parte disciolta dal vento, cascante sulle spalle scoperte in seguito alla corsa.

La Dea e la sua destriera risalirono cautamente la passerella e alla sommità vennero accolte dal signor Wilson, che da quel momento prese in mano le redini per scortarle all’altare.

Il primo sguardo di Celia fu rivolto a prua, oltrepassò la folla, titubò incerto in quella distesa di volti festosi, ammirati e commossi, che ella avrebbe ricambiato pochi passi dopo con timidi sorrisi onorati, e si rivolse impaziente laddove troneggiava il pastore, alla ricerca del dolce incubo suo.

Vi giunse scortata dai suoi cari, stringendo tra le mani tremanti d’emozione un bouquet di rose blu, rivolse una riguardosa riverenza al Capitano Hellburne in vesti da chiesa, e finalmente poté avvicinarsi al raggio di tenebra che tanto amava.

Gli andò incontro con le iridi umide di gioia e un ampio sorriso in volto, intorno a loro ogni arredo era stato velato di seta, qualunque angolo un tripudio di fiori e colori, come la schiera di pappagallini colorati che sormontavano il parapetto sovra l’altare, era tutto meravigliosamente perfetto... Tranne forse la reazione di Leonard, non propriamente così entusiasta.

L’accolse di sbieco, con il capo chino, la fronte corrugata e il sorriso increspato per lo sforzo, causando un netto declino nella gaiezza di Celia.

Solitamente si teme di più per i ripensamenti della sposa, ma in quel momento tutti presagirono l’opposto.

Nessun accenno di lode proferì dalle labbra del pirata, si chinò solo sull’orecchio di lei sussurrandole “Seguimi”.

Sul ponte di comando esplose lo sdegno quando videro i due allontanarsi, incuranti di tutto, in un cantuccio, lontano da occhi indiscreti, senza rivolgere le proprie scuse ai presenti, ma solo pregandoli di attendere.

Lo stesso Viktor nell’imbarazzo generale giustificò il gesto agli invitati con la frase: “Lasciamo ai nostri colombi un istante di raccoglimento”

Sogno fece quanto chiesto, sebbene appena furono soli domandò a Leonard spiegazioni: “Che succede, va tutto bene? Ti vedo pallido...” disse con apprensione, portando le mani lungo il contorno del suo volto.

Il mortale non la guardava, si teneva a debita distanza, con le spalle contro il muro e lo sguardo, solitamente spavaldo, smarrito nel vuoto, la stava preoccupando a dir poco.

“Sì... -rispose senza riflettere- Sì...cioè...No!” strascicò confuso.

“Cos’è che non va, Leonard?” tentò lei di calmarlo, mutando il tocco in lievi carezze.

 “Niente! -replicò di colpo- E’ tutto fin troppo magnifico...! -quasi si lamentò- E anche tu... sei...semplicemente... sublime... -riconobbe avanzando verso di lei ad occhi bassi, perdendosi il ritrovato sorriso della Dea- Ma v’è un terribile quesito che m’assale da un po’ di tempo, ed io non ho ancora saputo dargli risposta...” ammise dolorosamente.

“Ossia?” incalzò la Dea.

Leonard rubò un attimo all’attesa, per respirare profondamente ed accumulare coraggio, poi iniziò: “Accade spesso che io mi ritrovi a pensare: Perché tra tutti gli uomini dell’intero universo hai scelto proprio me? -disse con la mano ripiegata sul petto, quasi fosse una pesante colpa- Io non me lo spiego... Perché non... Andrew, sareste fatti l’uno per l’altra! O chiunque altro, chessò, un altro Dio per esempio. Il mondo è pieno di persone di ogni tipo...” vaneggiò febbrile.

Sogno non poté trattenere ancora a lungo un riso: “Andrew? Dici sul serio?! -perpetuò ridendo- A lui voglio molto bene, è un caro amico, ma non potrei mai amarlo, mai. Io e lui siam fin troppo simili, finiremmo con l’esasperarci a vicenda!” stimò certa.

“Sarà anche vero -continuò interiormente sollevato dalla rassicurazione- ma converrai con me che non siamo esattamente quelle che si definiscono “anime gemelle”, non vi è nulla di simile in noi... niente di niente...-alluse scoraggiato- E allora PERCHE’?”

Celia ne fu ammutolita, fino a quel momento non aveva mai pensato che le loro diverse nature potessero servire da ostacoli.

“Se è questo che credi... Tu per me sei già un Dio: il Dio delle Tenebre!” scherzò lei, sdrammatizzando per sforzarsi di sorridere.

“Tua madre non è poi così d’accordo nel dover dividere questo ruolo con me! -ghignò rimembrando il loro ultimo incontro- Me l’ha detto la scorsa notte, regalandomi questo, come dono di nozze” spiegò allentando il colletto della giacca lussuosa.

“Oh, cielo! E’ opera sua...? -sbottò incredula ammirando la veste sfarzosa dello sposo- Anche il mio abito, credo...” definì non del tutto certa.

“Lei sì sa come far risaltare una stella!” proferì incantato nel cingerla a se, riferendosi alle gemme incastonate nel vestito.Sogno distolse lo sguardo dalla sua visuale per non mostrarsi nell’arrossire.

“Adoro quando le tue gote brillano di rubino” confessò sfiorandole con le labbra.

Quel dolce gesto non servì d’antidoto agli idiomi di veleno prima emessi con tanta leggerezza, il predone se ne accorse dall’espressione smarrita perpetrante sul volto della fanciulla, doveva esserle parso troppo duro: “A volte mi chiedo se sei vera... -tentò di risollevarla- ...e tu esista davvero... o se quella visione luminosa ai piedi del letto deriva dalla mia deviata immaginazione.”

“...Certo che sono qui! -accertò divertita ricercando il suo sguardo- Riesci a sentirmi? Non vedono i tuoi occhi? Le tue mani... Non le chiamate “orecchie” queste? -definì retorica seguendone i contorni con le dita- ...Non ama questo cuore?” concluse appellandosi a quel forte petto.

“...E tu mi amerai ancora quando avrò il corpo intriso di rughe e pelle cadente?” pose sfidante.

“Oh, sì! Queste sono solo le cose più vacue.”

“Anche quando mi cadranno i denti, i capelli, faticherò a parlare, muovermi, a camminare... Dovrai imboccarmi di cibo premasticato un misero cucchiaio per volta, e farò fatica persino a rimanere sveglio... Avrò la mente annebbiata e le ossa sbriciolate!” considerò poco speranzoso.

“Vorrà dire che le riassemblerò io briciola per briciola!” si propose giocosa poggiandosi alla sua spalla come su di un soffice cuscino.

“...Mi amerai ancora quando sarò cenere?”

Un violento sussulto scosse quell’abbraccio.

Celia si aspettava un pensiero simile, ma la colse ugualmente di sorpresa, sebbene fin ora pregò sempre di evitarlo. Le sue palpebre già socchiuse si strinsero forte, quasi a voler contenere parte di quel dolore, scandito dai singhiozzi.

Richiamando a se tutte le proprie forze si scostò leggermente da quel calore, così intenso perché umano, e sussurrò mostrando molta commozione:

“Leonard... tu per me non morirai mai!” dichiarò afferrando disperatamente il suo viso, nel futile tentativo di portarlo via alla morte, come se così facendo potesse sfuggire a quella figura onnipresente nell’ombra, un vile avvoltoio pronto a piombare su membra agognanti, e lo trasse a se con un bacio.

Tutto parve zittirsi per un attimo infinito, come a volerlo far sembrare eterno, prima di esser brutalmente interrotto dai spazientiti richiami degli ospiti.

“Mi chiedi di sapere il perché? -ultimò Celia- Il perché non esiste, conosci tu cosa più irrazionale dell’amore? Sono soprattutto i tuoi difetti che amo di più, e sarò sempre disposta a fare qualunque cosa per starti accanto, se tu vorrai concedermi questo privilegio...!” disse fiduciosa.

Il pirata ridacchiò pensando di dover essere lui a sentirsi onorato: “Ma certo che lo voglio!” accertò rincuorato.

“Hey, gente! -irruppe tra loro facendo capolino dallo

stipite della porta il viso squadrato di “Padre” Hellburne- C’è una folla inferocita là fuori! Cosa state lì a fissarvi, andiamo! L’altare è da quella parte, volevate forse iniziare senza di noi?!” esortò trainandoli al di fuori con se, probabilmente origliò buona parte della conversazione.

La coppia di sposi si ripresentò sollevata e gioiosa al cospetto dell’adunata dei presenti, procurando un generale sospiro di sollievo.

Agli occhi di tutti parvero luminosi, più distesi, ma allo stesso tempo elettrizzati per tutto quello che ancora li aspettava.

Anche Leonard tornò a mantenere la testa alta e fiera, finalmente ebbe tutte le certezze di cui aveva bisogno, ma il mondo da cui Sogno proveniva gli riservava ancora tante altre sorprese.

Una di queste lo attendeva proprio nel tornare all’altare tenendo sottobraccio la sua sposa: tra la schiera degli invitati nell’ala destra, vide in lontananza la sagoma di Immi dirigersi allegramente verso una figura poggiata alla balaustra. Morfeo accolse calorosamente la cavalla con abbracci e carezze, portandosi ad essere visibile alla luce: si trattava di un uomo dalla corporatura morbida, avvolta in un lungo camice di uno strano tessuto, poteva far quasi pensare ad una coperta; Le sue gote paffute e rotonde erano circondate da una lunga barba arricciata di colore bluastro, che faceva un tutt’uno con i capelli pettinati all’indietro, per dar luminosità ai suoi grandi occhi cupi, fissi e sorridenti al mortale.

Leonard proseguì imperterrito, ma rimase stranito da quel tale, chi poteva essere? Non ricordava di averlo visto al collegio e tanto mento poteva trattarsi di qualcuno di sua conoscenza

Fu sul punto di domandarlo a Sogno, ma volgendo il capo al suo fianco scorse lungo la scalinata del castello di poppa l’elegante figura della Notte terrena, confusasi quasi con quella zona d’ombra, e visibile al giovane solo grazie alla distesa di luminose stelle che incorniciavano il lungo strascico del suo abito nero.

Glielo aveva promesso che ci sarebbe stata, anche il suo sguardo divertito e compiaciuto sembrava volerlo dire silenziosamente, accennando un saluto indolente con una mano, mentre l’altra stringeva quella di un angelo dalle ali scure e il corpo dorato, atterrato in quel momento al suo fianco, il Dio del sonno Ipno.

Il predone ricambiò in un inchino onorato, l’istante prima che il Capitano Hellburne diede inizio alle nozze.

Non vi furono più intoppi di lì in poi, i festeggiamenti proseguirono nel migliore dei modi, ma quelle tre figure dopo i reciproci “Lo voglio” si erano dissolte.

Lo sposo li ricercò ovunque al termine dei giuramenti, possibile che Sognio non li avessi Visti? Ma non li ritrovò fin quando si avvicinò al banchetto improvvisato al centro del veliero, per cercare sollievo in una fresca bevanda.

“Mia sorella ha fatto bene a lasciare in nostro mondo, guarda noi lassù cosa ci perdiamo qui!” enunciò una voce avvolgente pervenuta dalle sue spalle.

Nel voltarsi Leonard si imbatté faccia a faccia con il singolare uomo di prima che Immi parve conoscere bene.

Sorella, aveva detto proprio così? Non poteva trattarsi dunque che di... Morfeo...

“Non sono del tutto di questa idea, qui è più pericoloso di quanto sembri!” lo mise in guardia il sospettoso mortale.

“Già, ma vale la pena di affrontarlo se si è in cerca del vero amore! -il Dio lo smentì riferendosi proprio a Celia- Tu devi essere Leonard Wallace, è così?” domandò con una calda stretta di mano.

“Come sai il mio nome...?” se ne stupì.

“Me l’ha rivelato quel salice piangente laggiù -indicò al di là della folla una singhiozzante figura di donna seduta su di una solitaria panchetta, in seguito rivelatasi la commossa Afrodite- E’ bella quanto facile alle lacrime! -commentò il comportamento puerile della divinità dell’amore- Tu qui sei l’unico a poterci vedere!” gli rivelò accompagnando ogni parola con un largo sorriso scavato nel suo volto tondeggiante.

“Neppure Celia può vedervi?” chiese Leonard stupito.

“Non ancora! -li interruppe Nyx avanzando verso di loro dopo essere apparsa da chissà dove- ...Ci aiuteresti a farle una sorpresa?”

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**    Ultimo    aggiornamento : 4 Gennaio ** 

“Dove mi stai portando?” domandò la Dea dei sogni ridendo, lasciandosi trasportare, per la seconda volta quel giorno, dal suo sposo nell’ignoto.

“Come ho già detto: è una sorpresa!” le rispose Leonard tenendola delicatamente dai polsi, e guidandola in avanti mentre lui arretrava.

“Non sarà un altro angolo buio, scoppierebbe un secondo scandalo quest’oggi!” ironizzò pensando agli attenti inquisitori del circondario.

“E tu lasciali parlare...! Bene, fermati qui -dispose facendo cenno alle altre divinità, poste alle spalle della fanciulla, di farsi avanti- Ed ora... voltati!” disse accompagnando il movimento rotatorio, fino a volgerla verso la sua famiglia al completo che l’attendeva poco distante.

A Celia si smorzò il fiato, sgranò i grandi occhi commossi e corse loro incontro per dargli un caloroso abbraccio e riaverli vicino dopo tanto tempo reso ancor più straziante dalla distanza tra quei due mondi.

Fu un gesto molto significativo per tutti loro, dopo l’iniziale ed ineccepibile rifiuto alla scelta di Sogno di vivere come mortale, segnò il primo lieve riavvicinamento per la Dea alla sue vere origini.

Tutti ammisero il loro sbaglio, e Nyx in particolare si scusò con lei nel seguente modo: “Mi dispiace per non aver capito così a lungo... E’ che ho sempre desiderato solo il meglio per te, ma poi, conoscendo a fondo questo luogo, ho constatato che non esiste altro posto in cui tu potresti essere davvero felice, se non qui, al fianco di chi più ami” riconobbe guardando Leonard.

“Già, è tutto merito mio se ho fatto cambiare idea a quella testarda!” si vaneggiò Afrodite ravvivandosi la fluida chioma, subito fulminata dalla Notte con lo sguardo.

“Perciò, bambina mia, tutti noi ci siamo recati qui, in questo giorno tanto importante, per porgere a te a al tuo sposo l’augurio del migliore avvenire possibile...!” continuò Nyx facendosi portavoce anche di Ipno e Morfeo, cacciando a stento le lacrime.

La sposa, inerme, si chiese più e più volte se tutto stesse accadendo realmente, o fosse solo il miraggio del suo sogno più bello, ma avendone la certezza ricercò nuovamente le loro braccia, quel dolce tepore quasi dimenticato, mormorando soltanto: “...Adesso è davvero il più bello della mia vita!”

I'm not There.

Trascorsero 5 lieti mesi da quel connubio, e giunto il solstizio d’Inverno, a renderlo ancor più gioioso vi fu la venuta al mondo di Patrick Wallace.

Celia e Leonard scelsero per lui un solo nome mortale, così da non fargli vivere come peso la sua metà divina.

D’aspetto si direbbe conforme a qualunque bambino, fu allevato pertanto nel medesimo modo, ma in sé nascondeva una parte celeste che si sarebbe manifestata totalmente in lui, rendendolo immortale, solo quando egli avrebbe compiuto un gesto degno di un Dio.

Fin da prima del suo arrivo, Leonard si mostrò sempre entusiasta, parlava e giocava con lui persino da dentro il pancione, improvvisando storie, battaglie, attacchi sottomarini, come se già sapesse che in seguito non avrebbe potuto farlo a lungo:

“Corpo di mille balene! Uomini! Tutti in coperta, tutti in coperta, le onde sono alte e minacciose, pericolo di naufragio!! ...Oh no, mi sono sbagliato... E’ solo la mamma che beve!”

Anche Celia dovette adeguarsi alla dolce attesa, doveva cibarsi quanto un essere umano e sottoporsi a frequenti e lunghi riposi.

Sogno mi ricorda spesso quanto furono esilaranti i suoi primi giorni di vita: le capitava sovente di sorprende Leonard a rimirare incantato quell’esile corpicino dormiente dalla sponda della culla. Le membra del pirata erano abbandonate su di una poltrona, mentre si sorreggeva il capo con una mano ed osservava Patrick per ore, sempre con le iridi umide spalancate per lo stupore.

Oppure, a volte, accadeva che gli occhi di Patrick mutassero inspiegabilmente colore, divenendo da verdi ad azzurri, e Leonard non perdeva occasione per obiettare: “Perché le iridi di nostro figlio sono cerulee, non è che mi hai davvero tradito con quell’Andrew?!”

“Dovresti rimembrare, mio caro, che gli occhi di mia madre sono di quello stesso colore!” era la costante risposta.

Patrick crebbe nella fattoria di famiglia, i suoi primi tre anni non furono differenti da quelli di qualunque altro bambino, ma con l’avvicinarsi del suo quarto anno, la loro felicità priva di ricercatezza fu turbata da un ritorno dal passato.

Capitò un mattino, quando padre e figlio, rincasati dal porto, dissero di aver fatto un piacevole incontro. Vi si recavano ogni venerdì per il mercato del pesce, e se veniva a mancare durante il corso della settimana rimediavano andando loro stessi a pesca, anche se il piccolo semidio si lasciava ancora scappare ogni pesce. (un Dio come un Semidio non può uccidere nessuno! NdA) Leonard cercava sempre di insegnare a Patrick il più possibile per cavarsela in ogni situazione e nel frattempo tentava di fargli amare il mare, senza però obbligarlo mai. Alla sua nascita decise che il veliero spagnolo, regalo di nozze dei Wilson, sarebbe stato di suo figlio, per farne ciò che più egli desiderava, e solo lui gli avrebbe conferito un degno nome un giorno.

Mantennero intatto il loro segreto fino al pomeriggio, quando Celia per la troppa curiosità stava per scoprirlo da se, torturando Patrick di solletico.

Per averne la certezza dovette seguirli sulla spiaggia, dove i due Wallace avevano organizzato una merenda per tre con una tovaglia, e un cesto di leccornie.

“Mamma, mamma, guarda! Sono un dinoooosaaaurooo, aaaaargh!” ruggiva il piccolo saltellando goffamente per le dune ceree, facendo mostra di due denti da latte già mancanti.

“Aspettami, dove corri! Così somigli di più ad una lepre!” si mise ad inseguirlo lei per gioco. In pochi passi fu su di lui, lo afferrò per il tondo pancino tra mille proteste scherzose e disse portandoselo vicino al viso, così da avere la sua attenzione: “Ti mancano le squame per essere un dinosauro...! Ma se hai le ali...- continuò lanciandolo in aria- Sei un dinosauro volante!!” lo assecondò prendendolo al volo e ripetendo il gesto più e più volte, finché al bimbo non mancò la terra sotto i piedi.

“Adesso voglio costruire una torre di sabbia per le formiche!!” annunciò elettrizzato, correndo a perdifiato verso il bagnasciuga, dove le onde si infrangono e la sabbia era più morbida.

“D’accordo... Ma cerca di non sporcarti troppo!” gli raccomandò pur sapendo di non essere ascoltata, lasciandolo ai suoi svaghi per portarsi al fianco di Leonard, disteso sulla tovaglia, pensieroso, serio, nell’osservare il mare colorarsi dei primi accenni del tramonto.

La Dea si poggiò al suo cuore e lo strinse in un abbraccio, per un momento desiderò che tutto rimanesse così per sempre.

“...Passo ogni singolo giorno a chiedermi come possa essermi meritato tutto questo...” sussurrò il predone affondando il viso nei suoi capelli.

“Adesso non fare il sentimentale per cambiare discorso! -lo ammonì lei, pur sempre colpita- Di cos’è che mi devi parlare? Non ne fai parola con me da questa mattina, dev’essere qualcosa di serio dunque!” dedusse dal suo strano comportamento, accomodandosi in modo da poterlo guardare in via diretta.

“Stamane al porto abbiamo incontrato Viktor Hellburne” rivelò in un unico fiato, senza alcuna intonazione.

“Il tuo Capitano! Quale sorpresa, come sta?” replicò contenta all’idea del vecchio vichingo.

“La sua non è stata una visita di cortesia...- si fece serio- E’ venuto fin qui per chiedermi aiuto, vuole che torni a fargli da braccio destro per un po’-spiegò meglio- Si tratta solo di poche settimane...” definì facendo intendere la sua preoccupazione a riguardo.

“Leonard... Io non ti ho mai chiesto di cancellare il tuo passato. Sei stato tu a voler iniziare una nuova vita come fattore...”

“L’ho fatto per formare una famiglia con te, garantirci un futuro!...” la interruppe prendendo fragore.

“Comprendo il tuo sacrificio, e te ne sono grata, ma se adesso ti trovi incerto sul rivivere la tua vecchia esistenza o meno, temendo per me e nostro figlio, sono la prima ad incoraggiarti per seguire ciò in cui tu più credi e ti senti di fare!” lo assecondò piena di convinzione.

“E’ che... -si calmò- riflettevo sul fatto per cui Viktor non sarebbe mai tornato a cercarmi se non fosse qualcosa di molto importante, significa che ha davvero bisogno di me. Ma allo stesso tempo, ora che la mia vita ha acquistato un vero significato, non ho alcuna intenzione di lasciarvi!” disse a denti stretti e gli occhi colmi di tristezza, portando il viso dell’amata più vicino a se.

“Io e il piccolo sapremo cavarcela, filibustiere! -lo rassicurò scherzosa- Ci troverai sempre qui ad aspettarti... E poi hai detto che si tratta di qualche settimana! Quando dovreste partire?”

“...Alle prime luci dell’alba...” riferì mesto.

“Oh... -gemé sorpresa- ...Così presto? Per questo che tu e Patrick avete organizzato una magnifica merenda in spiaggia quest’oggi?” il predone annuì e Celia distolse il proprio sguardo reso inquieto.

“Non me ne sto andando, tesoro. Io desidero passare tutta la vita con questa Dea irrazionale e sospettosa -riconquistò la sua attenzione- ...con un assaggio di pazzia furente come contorno... una bottiglia di whisky che abbia il tuo sapore...e un bicchiere che non sia mai vuoto!” predispose prima di finire con un bacio.

“So perfettamente come ti rende felice la vita di mare -riprese il discorso Celia- ...Anche se non me l’hai mai detto, lo vedo quanto ti manca. Il modo in cui ti scorre fin dentro le vene... E’ giusto che tu vada!”

Così fu deciso, la mattina seguente, poco prima della venuta del sole, la nave di Hellburne era già pronta sul molo per salpare.

Leonard fu l’ultimo a salirvi, trascorse ogni secondo utile sul pontile, in compagnia della sua famiglia, per restare il più possibile con loro.

“...Percheeeè non posso venire con te?” domandò il piccolo Wallace dallo sguardo misto tra l’imbronciato e il supplichevole.

“E’ ancora troppo pericoloso per te, figliolo!” sostenne Leonard sganciando anche il penultimo ormeggio. L’essere padre gli aveva anche conferito più moderazione e criticità.

Patrick rifletté per un secondo alla ricerca di un riscatto, ma in seguito fu costretto ugualmente ad incassare la paternale: “...Però prometti che un giorno mi insegnerai a comandare la nostra nave!” si aggrappò così ad una promessa.

“Affare fatto, compare!” strinse quel patto porgendogli il mignolo, che il bimbo strinse al limite dell’entusiasmo.

“Torno presto piccoletto -assicurò salutando quel pargolo semi-assonnato tra le braccia di Celia- tu nel frattempo tieni d’occhio la mamma!” raccomandò dandogli un bacio sulla fronte e scompigliandogli il ciuffo riccioluto.

“Ah-a, agli ordini Capitano!” esclamò con il suo buffo visetto sdentato, portandosi la mano tesa all’altezza della fronte per imitare il saluto ufficiale.

“...Bravo il mio bambino!” commentò fiero.

Poi si rivolse a Celia, la quale fino a quel momento non aveva perso di vista nessuno di quei istanti, cercando invano di tenerseli stretti il più possibile. Il Vicecomandante Wallace incappò nei suoi occhi socchiusi, lucidi, ma all’apparenza felici, e sentì una morsa dentro, era lui stesso il primo a non voler davvero partire, eppure qualcosa gli diceva che doveva farlo.

“Shh... Passerà presto! -tentò di rassicurarla- Non starò via a lungo!” ne trasse l’aspetto positivo.

“Cerca di tornare... -disse lei, incapace di celare la propria cadenza affranta- Noi saremo sempre qui!” concluse in sorriso speranzoso.

Il pirata ricambiò traendola a se fino a stringerla così forte che nemmeno le proteste di Patrick, quasi soffocato nel mezzo servirono a dividerli.

Le loro fedi dorate si confusero per un attimo in un solo brillio, mentre il vicecomandante Wallace, già diretto alla passerella, tornò un istante indietro, per poter baciare un’ultima volta le mani della Dea che aveva tanto amato.

Risalì lentamente l’asse di legno, ostacolo finale a dividerlo dal mare, percependo ad ogni passo la pesantezza che lo portava via, conducendolo lontano da ciò che aveva di più caro.

La vocetta squillante di Patrick lo fece voltare per l’ultima volta: “Papà...! Quando mi insegnerai a navigare sarò io il Vicecomandate... Un giorno voglio essere come te!!” gli urlò quando lui ormai si trovava già a bordo. Celia e Patrick, dal molo, non potevano già più scorgere distintamente il suo viso a causa del forte controluce, ma videro quella sagoma scura sollevare il braccio in segno dell’ennesimo saluto, se solo l’alba non fosse stata così lucente avrebbero potuto vederlo anche sorridere.

Il veliero del Capitan Hellburne prese il largo, mosso dal primo vento del mattino, e quella macchiolina scura lungo la linea dell’orizzonte non fece più ritorno per almeno 3 settimane.

Attesero il suo arrivo ogni giorno, ignari che non saprebbe mai arrivato.

Madre e figlio si presentavano puntualmente di primo mattino al porto, con indosso vesti pulite, un gran sorriso e tanta speranza a colmare il loro cuore. Per molto tempo furono certi di non sperperarla invano, ma la smentita più grande l’ebbero quando sulle rive di Faimounth sbarcò una nave battente bandiera inglese, marchiata del simbolo della compagnia delle Indie Orientali, con a seguito una schiera di prigionieri.

Erano tutti pirati, furono scaricati a terra alla pari di bestie, legati a polsi e caviglie con pesanti catene, frustati, i loro volti sofferenti, amareggiati, rabbiosi.

Niente di nuovo per il posto, l’isola era famosa per essere un deposito di detenuti in attesa di condanna, ma ciò per il quale quella ciurma si diversificava dalle altre era che per Celia erano quasi tutti volti familiari.

Appena ne fu certa si precipitò in quella direzione, tra la folla di curiosi incaricati dallo stesso governo locale di allontanarli, deriderli e farli apparire deplorevoli. Nella confusione ricercò la divisa di un ufficiale a cui rivolgersi per chiedere spiegazioni, ma quando lo trovò, al suo fianco l’attendeva il colpo di grazia: l’ufficiale stava discutendo proprio con il loro Capitano...

“Signor Hellburne!!” gridò la Dea volgendogli incontro, incurante che per tutti si trattava di un pericoloso prigioniero.

“Signor Hellburne... Cos’è successo, perché vi hanno ridotto così?- disse provando pena per quelle spesse catene- Dov’è Leonard? ...Non l’ho visto tra il resto dell’equipaggio...!” continuò in pensiero, temendo che stesse per finire condannato come gli altri.

Il fiero vichingo alla vista della donna si fece pallido e muto quanto gli stracci di pelle animale che vestivano le sue membra possenti. Smise di ascoltare l’elenco di accuse mosse contro di lui dall’ufficiale inglese, e per un po’ continuò a fissare con le labbra cucite e i propri occhi vacui il volto sconvolto della Dea.

“Leonard? -si espresse poi finalmente, ma ancora in stato confusionale, come appena risvegliato da un lungo sonno- Lui... non fa più parte della mia ciurma da molto tempo... E non è più qui” furono le sue uniche parole, prima che la giubba rossa lo trascinasse via.

“Come dite...? E dove altro si trova? - non si diede per vinta- Aspetti, la prego! Mi faccia parlare con quest’uomo!” chiese trattenendo l’ufficiale per la giacca.

“State indietro signora! -ordinò lui con un urlo rombante- o sarò costretto a rinchiudere anche voi!” la minacciò prendendo mano al fucile avvolto da una cinta scura intorno al suo braccio.

Celia lasciò dunque la presa, e per qualche istante fissò attonita, senza altre azioni sconsiderate l’arresto di Hellburne e la sua cirumaglia.

Le poche parole pronunciate dal Capitano l’avevano sconvolta, pareva ricordarsi appena del suo vice, aveva forse perduto la memoria o non ricordava di aver voluto lui stesso Leonard al suo fianco per quell’ultima dipartita? Cosa voleva dire esattamente? In qualche modo doveva scoprirlo.

Non potendosi rivolgere a nessun altro, o raggiungere Leonard ovunque si trovasse, Sogno prese il suo reale aspetto per recarsi con l’ausilio dei propri poteri a bordo del veliero di Hellburne, dato che i suoi passeggeri vi avevano fatto ritorno senza, l’ultimo riferimento riconducibile a Leonard che possedeva.

Le sue capacità divine le permettevano solamente di raggiungere luoghi, non persone, era compito suo cercare poi dove esse si trovassero.

devastato:Quando si materializzò su quella nave, l’attendeva uno scenario il fiero galeone vichingo era stato ridotto dalla Marina Britannica ad un relitto malridotto e a stento galleggiante. L’involucro era disfatto in tante schegge di legno, nell’aria ancora i rombi dei cannoni, in quel poco rimasto intatto regnava desolazione, come nell’orgoglio ferito dell’imbarcazione, e di chi un tempo ne faceva parte.

L’animo della fanciulla si colmò dello stesso turbamento al pensiero che suo marito potesse trovarsi ferito, al di sotto di quelle reliquie. Prese a frugare ovunque mossa dalla disperazione, mescolando lacrime ad invocazioni a gran voce del suo nome, senza alcuna risposta, finché tutt’intorno prese a tremare come il vertice del cratere di un vulcano, e dalla chiglia lacera del galeone presero vita degli enormi tentacoli d’acqua, i quali parvero volerla stritolare fino a ridurla a brandelli.

I resti del veliero le venirono incontro travolgendola, Celia nella confusione trovò un unico appiglio di salvezza aggrappandosi all’albero più vicino, tenendolo ben stretto,  preparandosi ad affrontare il più tremendo fenomeno a cui avesse mai assistito. La nave oscillò in modo inspiegabile per così tanto tempo da sfinirla, e farle credere che anche solo un’altra ondata avrebbe potuto disintegrarla in mille pezzi. Lei poteva ancora tener duro, resistere, ma cosa n’era stato di Leonard?

A darle una spiegazione di questo fu un’ultimo vortice creatosi al suo fianco, inizialmente Celia pensò si trattasse dell’ennesimo “tentacolo” d’acqua, ma smentì ogni sua certezza quando a poco a poco il moto convulso del mare si acquietò, per darle modo di scorgere al picco del vortice una figura femminile, dal corpo spoglio, ma ricoperto di squame, due occhi cupi con le stesse iridi di un serpente marino, ed una fluente chioma rosso fuoco estesa per tutta la schiena.

Per qualche secondo si osservarono dubbiose, poi fu la creatura marina a parlare per prima: “Sss... Sssalve Ssssogno!” salutò divertita facendo mostra di una lunga lingua biforcuta, senza però essere ricambiata.

La divinità notturna la osservava avvilita, sforzandosi di ricordare chi potesse essere dato che parve conoscerla.

“...CaSssspita, non ti sSSsi riconoSsSce più coSssSì malridotta! - la criticò fingendo apprensione- ...Ma come! Non sSSsssai più chi SSsssono io? -constatò sorpresa- Mi chiamo CalypssSso, ora rammenti?” si presentò plateale.

Già, Calypso! Non poteva ricordare che aspetto avesse poiché ne prendeva uno diverso a suo piacimento. Inquieta e mutabile come il mare, l’elemento di cui era la Ninfa. Il suo modo di parlare lento, calcolato e sminuente però non era affatto cambiato.

“Ma certamente, ora so chi sei!” confermò Sogno rimettendosi in piedi seppur dolorante e malconcia dopo l’eccessivo scotimento.

“Bene... -fece la Ninfa con cadenza sprezzante- E, dimmi... Per caso cercavi... Questo?” marcò facendo rigonfiare nuovamente le acque, fino a far emergere una fitta nube da cui lentamente riapparvero le bianche membra esanimi di Leonard Wallace.

Descrivere la reazione di Sogno come una secca pugnalata dritta al cuore sarebbe eccessivamente riduttivo. Cadde nel panico, incredula, respirava così piano da non poter parlare, eppure il cuore umano che l’era rimasto batteva all’impazzata, quasi volesse esplodere.

Le tornarono alla mente le parole di Hellburne “...Non è più qui”

Il pirata rinvenì dalle acque trainato da un invisibile letto di morte. Il suo corpo esangue era disteso, aveva indosso solo dei calzoni sgualciti, quasi ridotti a brandelli, le braccia spalancate e sospese, come in croce.

Nulla di lui si muoveva, nemmeno il petto, pareva realmente morto, forse annegato sul serio, questa volta non gli era stato dato scampo.

Celia si spense in tanti piccoli singhiozzi che le bloccavano la gola e offuscavano i suoi pensieri.

Calypso ordinò alle acque di volgerlo a se, i zampilli salini ubbidirono e cullarono il mortale fino al viso della Ninfa del mare che accostò a quello di Leonard. Quel tocco magico addolcì i suoi grevi tratti da mostro marino fino a farli divenire umani, simili a quelli di una donna che a Celia ricordava moltissimo Sarah, l’iniziale compagna di Leonard.

A trasformazione conclusa prese a carezzare i capelli pettinati dal vento del predone, gioendo del dolore della Dea, nel mormorare incurante: “Vedo che lo conosci dunque! ...Ora si tratta di un mio trofeo -evidenziò in cadenza maligna- Me l’hanno donato i suoi stessi uomini, in cambio di un dominio su queste acque che non gli ho concesso -rise tra se e se- Anzi, sono stata buona! -riconobbe a se stessa- o almeno rispettosa della legge degli umani... Come tu stessa hai potuto vedere, ho subito consegnato quei pirati a chi di dovere!” alluse soddisfatta alla Compagnia delle Indie.

Sogno osservava la scena tramortita, incapace di trovare la forza di intervenire, gliene era rimasta a sufficienza solo per scuotere la testa continuando a negare ciò che le passava dinanzi agli occhi in quel momento.

Era davvero stato Hellburne a permettere questo, doveva crederle?

Infine ritrovò uno breve spiro di fiato, e lo sfruttò per domandare: “Che cosa gli hai fatto esattamente...Perché è ridotto così??”

“Leonard oggi ha rincorso un sogno che non eri tu mia cara, e per questo è morto!” berciò con un disprezzo inaudito che fece gemere e tremare di dolore quell’animo colmo di tanti sogni ora infranti.

“No, non è possibile... Deve esserci stato uno sbaglio... Non può essere!” balbettava Celia per convincersi di non ascoltarla.

“Pensavi davvero che a Viktor Hellburne fosse improvvisamente venuto in mente di richiamarlo in mare con se? -prese a narrare assumendo una intonazione roca e inquietante- Quello stolto essere è troppo orgoglioso e stupido per arrivare a tanto! -avanzò rabbiosa verso di lei, sfoderando anziché le mani, degli artigli minacciosi che infransero anche ciò che rimaneva del parapetto- E’ stata tutta opera mia... -ammise con fiera perfidia, e movimenti sinuosi ricordanti di nuovo un serpente- Volevo punirti per la tua impudica propensione agli esseri umani. Sei nata come Dea, e tale devi rimanere! -la ingiuriò di rimproveri mutando quello scorcio di volto umano in una smorfia terrificante- Perché abbassarti a questi individui privi di un’anima, guarda come sono fragili! -esplicò prendendo lo stesso Leonard come esempio- E’ così facile dare fine alla loro vita... Non li trovi del tutto inutili?!”

“Oh, no... - rispose Celia, per nulla impressionata, con uno spiro di fiato smorzato dai singhiozzi, non sapendo più cosa la manteneva ancora in vita, perché dentro di se era morta tanto quanto quel corpo esangue abbandonato alle spalle della perfida Ninfa- Sanno amare più di quando noi Dei sapremo mai fare...E dovresti saperlo anche tu...! -l’ammonì senza più alcuna intonazione- Tu stessa, ancor prima di me hai amato un mortale...”

“Davy Jones? Ah! - quella osservazione la divertì moltissimo- Lui amava me, io non l’ho mai amato. E se glielo fatto credere è stato per dimostrare al mondo, che tanto lo temeva, quanto sotto la corazza fosse debole e vacuo!” si giustificò risentita.

“Però... Se c’è stato anche solo un piccolo particolare interesse da parte tua per un uomo, qualcosa per lui devi aver pur provato!” sostenne quell’esile figura ormai priva di forze se non per scambiare poche parole.

“La metti così, piccola nottambula?” accolse il riscatto di Sogno come una sfida. Con un balzo all’indietro tornò al capezzale di Leonard e si accostò al suo viso immobilizzato dal sonno eterno: “Ti ricordo che io sono il mare, mia cara... E Leonard non ha accettato la proposta di Hellburne solo per amicizia, ma perché il mio richiamo è infallibile... -continuò carezzando suadente la sua pelle marmorea per provocarla- Potrai anche ricorrere a tutti i sotterfugi possibili Sogno, ma noi puoi negare l’evidenza che Leonard mi ama molto più di quanto possa provare verso di te e il vostro moccioso!” si rivalse della propria posizione per rimescolare di nuovo le carte in tavola.

Ogni parola pronunciata da quella vile creatura era un granello di sale in una ferita aperta, dopo tanto sopportare Celia stava per stancarsi e finire col reagire, l’apice massimo lo toccò proprio coinvolgendo anche loro figlio.

“Non osare rivolgerti a lui in quel modo! ...E non ti permetterò di distruggere la mia famiglia solo perché tu non hai idea di cosa significhi!” gridò ridotta in lacrime lanciandosi incurante tra le grinfie di quella strega.

Come tentò di oltrepassare il parapetto, la nave di Hellburne si inclinò tanto verso l’abisso da farle sentire l’alito dell’Ade sul viso.

“Non ti conviene!... -l’avvertì Calypso prima di immergersi nelle sue stesse acque- ...Ricordati che se soltanto provi a sfiorare il mare, anche tu sei mia! ...Lui adesso già mi appartiene...” fu l’ultima minaccia della Ninfa, prima di affondare nel buio trascinando Leonard con se.

Di quei attimi Sogno ricorda soltanto gli occhi alimentati dalle fiamme di quell’arpia mentre recitava i suoi avvertimenti, ciò che lei rispose con rabbia alle sue minacce: 

"Tieni gli occhi puntati sulla bassa marea"

...L’enorme turbine di vento e acqua, che risucchiò con se l’ultimo scorcio del viso immobile di Leonard, e l’atroce urlo di dolore che lei stessa emise nel vederselo portare via, senza poter fare niente, dopodiché... il buio.

La ritrovarono poco dopo, sulla spiaggia dinnanzi la fattoria, i suoi stessi domestici. Aveva un colorito orribile, il volto distorto in tanti solchi dati dal dolore e oscurato da un’ombra spaventosa. Quando le domandarono cosa fosse successo nessuno seppe spiegare le sue gesta.

Spalancò solo la bocca in espressione d’orrore senza emettere alcun suono. Solo dopo breve, quando il fiato smorzato dallo shock tornò, emise un lungo straziante grido, per cui dopo cadde a terra, esanime, come morta, ma fu solo la sua parte mortale a perire in lei.

Nonostante sono trascorsi molti anni d’allora non ha mai scordato il dolore provato, è lo stesso che tutt’oggi la tiene ancora in vita, e per cui mi fece coraggio quando raccolse anche me con se, nel momento in cui mi ritrovai come lei a perdere qualcuno.

E quando oggi si chiedono: Non ha occhi una Dea? Non ha mani, sensi, affetti, passioni? Non si nutre anche lei di cibo? Non sente anche lei le ferite? Non è soggetta ai malanni e sanata dalle medicine, scaldata e gelata anche lei dall'estate e dall'inverno come un mortale?

Se la pungi... sanguina?

Se le fai il solletico... ride?

Se l’avveleni... muore?

Se mi domanderanno tutto questo, bhe...

Potrò rispondere indubbiamente , più di qualunque altro essere umano.

*** Ci tengo a ribadire anche qui la nota messa nella introduzione di Unty: è iniziata la maturità, so di essere solo all'inizio, ma vedo già da ora che mi sta portando via molto del mio tempo.

Non ho intenzione di sospendere il tutto, procederà  molto lentamente ma andrà avanti =) Spero siate clementi ^^' Se vi interessa tenete spesso d'occhio i brevi aggiornamenti e non dimenticate di dire cosa ne pensate ;) ***

__Note di fine pagina__

Persefone: In poche parole, senza raccontarvi tutto il mito, la moglie di Ade, Dio degli inferi.

Penisola di Terranova: scoperte recenti hanno dimostrato la presenza di popolazioni vichinghe nella penisola a partire dall'anno 1000, ossia mooolto prima di Colombo.

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Capitolo 13
*** Il novellino. ***


chap Avvisi per i lettori:
La sottoscritta qui è felicissima del vostro entusiasmo *.* e vi ringrazia come sempre dal profondo del cuore =)
Anche questo capitolo si compone di tre parti, e per il momento posto solo la prima perchè le altre due pullulano di orrori e vanno risistemate al più presto, perchè così come sono non avrei il fegato di farle intravedere ad anima viva XD
Le date di pubblicazioni con mio enorme dispiacere sono imminenti ='(
Mi basta dire "tesina non ancora iniziata quasi" e "Prove di simulazione" per spiegare e farmi già piangere ç_ç
Uno spoiler che posso dare è che finalmente in questo capitolo si inizierà a capire di più su un nuovo personaggio già accennato che d'ora in avanti sarà sempre tra i piedi ^^ scherzo =P

Ringraziamenti (approfonditi):

_Celia_:il cucciolo è in arrivo siiiiiiiiiiiì =P in questo chap poi! ^^ ihihih Maledetto Wallace XD
Tranquilla, Ariel è lontana lontana, se lo tiene solo come "trofeo" ;) speriamo... 0.0
Mille grazie come sempre!!!!!!!!! Se non ci fossi tu =')

Rebecca Lupin: Grazie infinite anche a te, risolvo subito le tue perplessità ^^:
Il luogo in cui si trova adesso è decisamente nuovo, insolito e spaventoso per Jenny,
però lei già nel contesto in cui era inserita nel futuro, era una buona studentessa,
che dedicava quasi tutto allo studio, non faceva che correggere Dylan ecc. ecc.
In più subentra il fatto che, come avrai letto nello scorso capitolo, lei ormai si trova già da
un po' di tempo nel passato, e converrai con me che l'uomo di natura ha spirito di adattamento XD
Perciò se non aveva questo modo di parlare come lo definisci tu forbito, già prima di andare nel passato,
a quest'ora lo avrà assunto con il tempo =)

 _CandyStar_: Come Candy Candy? *.* cariiiino! Lo vedevo da piccola :D
In ogni caso mi hai fatto arrossire tantissimo *///* gracie!!!!
O mio dio, ti abbiamo rapito? :o
Ca...volo, adesso sono pure maggiorenne e possono mettermi in prigione per sequestro di persona! XD
D'accordo, vado a formulare un bel riscatto sostanzioso u.u
Ahahahahahahaha Joey? XD ...chi è Joey? :D
Spero intendevi Jenny =P ihihihih
Grazie di tutto, davvero =')

E anche a tutti i "lettori fantasmi", i "timidi" o quelli che a proprio non interessa XD


Buona lettura!

Capitolo 13
Il novellino.

pat prigione


Ticchetta la pioggia su un animo spento.
Tic tac...
Rimbalza sulle fredde pietre, sembra scandire un tempo che passa, ti sfiora, si prende la tua vita, e conduce verso una strada con una sola crudele meta.
Ma non per lui...
Non invecchierà mai, né dentro né fuori, un grande eterno fanciullo, che racchiude in sé due anime, scalfite da grandi mondi: una terrena, tormentata, malinconica, di un bambino cresciuto con la morte apparentemente inspiegabile di un padre di cui fatica a ricordare il volto, e l’amarezza di possedere dei poteri che non possono servigli in questo.
Annullata o rinsavita, dall’animo succedutogli dalla madre, giocoso, vivace, infantile... raggiante come un Dio.
Ha sempre vissuto nel mezzo di due realtà, ha conosciuto l’Olimpo, l’hanno accettato con circospetto, si sentiva sempre giudicato lì.
Allora ha preferito il mondo, girato le epoche, vissuto nel passato, nel futuro, ma infine, dopo 23 anni ha deciso per “il presente”.
Tra tutti i luoghi preferisce vivere nell’unica realtà in cui suo padre è esistito.
Spesso gli capita di ricercarlo nel riflesso dello specchio, quando non è troppo occupato come Narciso a decantare se stesso, dicono che si somigliassero, lui non ricorda in cosa.
Nella sua mente è rimasta solo una sagoma di spalle, con i capelli neri, che  risale una banchina e si imbarca per mare, accompagnato da un’andatura profondamente triste.
Da cosa è data tale somiglianza se lui ha la chioma color del grano?
Ma il paradosso più grande di tutti è dato dal fatto che lui è il Dio della Memoria, e non ha ricordi di chi gli era più caro al mondo...
Gli è stata data una reminiscenza, certo. Ma spesso dura quanto il battito d’ali di un pettirosso.
E’ stata la pioggia a risvegliarlo quest’oggi, si è chiesto “Com’è possibile se sono al chiuso?” o rinchiuso. Tra tre muri di pietra, di cui uno frastagliato d’una gabbia di metallo a cui ora sta appoggiato solo con la fronte, mentre il resto del corpo si ripiega su se stesso in rassegnazione.
Poco fa è passata una guardia, gli ha riferito in modi poco gentili che domani all’alba sarà giudicato e probabilmente messo alla forca.
Quel grasso essere in divisa si è stupito di sentirlo ridacchiare da dentro la cella.
“Potrebbero impiegarci un’eternità ad uccidermi!” ha replicato altruista.
...Senza riuscirci mai oltretutto.
Ed ora eccolo tornare di nuovo, riconosce la cadenza stanca del passo fiacco nell’energumeno svogliato: “Tieni riccioli d’oro -dice in scherno- la cena è servita” conclude facendo cadere al di là dalle sbarre una piccola ciotola ripugnante, con all’interno una sbobba dal contenuto indefinibile e l’odore nauseabondo.
Il prigioniero solleva il cespuglio pagliericcio e commenta contrariato: “Ma è ora di pranzo!”
“Bhe, allora fattelo bastare fino a domani per entrambi!” replica duro, allontanandosi mentre gli infligge altre maledizioni.
Il guardiano della memoria non rivolge alcuno sguardo a quello che fanno credere “cibo”, gode solo della calma che in pochi attimi attutisce di nuovo ogni sibilo. Nemmeno il vento soffia più dalle feritoie, ma è qualcos’altro di più attutito ad allertare i suoi sensi: somiglia a un rumore più tenue della neve, sì, ha la stessa breve intensità che un inverno vide imbiancare le strade di Parigi, lasciando sui marciapiedi una lunghissima scia di sentieri fatti d’impronte, percorsi a passo svelto dalle coppie di innamorati, ancora più stretti l’uno all’altro per il freddo.
Ricorda tanto stupore di quel momento, nel trovarsi dinanzi alla “vera magia” di cui gli han sempre parlato.
“Eh...” sospira il giovane semidio, all’unisono con una seconda voce che lo coglie impreparato.
“...Pensare che tuo padre in questo momento sarebbe così fiero di te!” afferma la voce in tono contrariato, ma allo stesso tempo rassegnato...
“Mamma...?!” esclama improvvisamente rinvigorito, voltandosi di scatto.
In un angolo buio, dove dalla parete è stata ricavata una sporgenza che funge da “branda”, vi è seduta con e mani incrociate per il disappunto, la Dea Sogno, di pronto ritorno dal 2011, dove ha appena riportato il giovane Dylan, come Atena protettrice di Odisseo.
“Ah-ha! -esulta Patrick gioioso, andandole incontro per abbracciarla- Perché non hai profumo, mamma? Ti avrei subito riconosciuta!” continua quasi soffocandola tra le sue ampie braccia.
“Per non preoccuparmi di averne uno come il tuo! -cerca di sfuggirgli agitando una mano nelle vicinanze del naso- Hai il volto scavato dalla stanchezza ed emani olezzo di tabacco e whisky. Quand’è stata l’ultima volta che hai visto acqua e sapone?!” domanda impensierita.
“Oh, già... Questi ultimi due mi sono familiari, ma non li vedo da un secolo! Ci pensi tu a salutarli da parte mia?” sfoggia la sua arguzia con abile fare inconsapevole, insomma, da Wallace.
L’espressione rabbuiata di Celia non resiste, e si trasforma subito in una risatina sommessa che tranquillizza anche il ribelle semidio.
“Suvvia, a questa età vengo riconosciuto quale adulto in ogni epoca e stato del mondo! E poi, sono o non sono il figlio di cui non ti devi preoccupare mai?” scherza per tranquillizzarla, seguendo il profilo del crine ondulato della madre con tenui carezze.
“Davvero stai bene?” si accerta ancora dubbiosa, intravedendo un’ombra oscura nel suo “bambino”.
“Bhe...no. -rivela lui, allontanandosi per vagare accigliato, in cerca di spiegazione, seppur nello spazio ristretto della cella. Aveva ben di cui sospettare, dunque- A dire il vero, cosa molto rara da parte mia, mi sento... strano! Riposo una notte intera e riesco a star sveglio per i tre giorni seguenti. Non avverto quasi più il bisogno di dormire, e lo stesso vale per il cibo!” confida inquieto.
Sogno abbandona il proprio seggio in pietra per raccogliere dal pavimento la ciotola spolverata di poltiglia: “Con quello che offrono come pasto qui, fatico a credere che riesci a sfamarti!” osserva nauseata.
“Io, no. Ma ho trovato qualcuno che la considera una prelibatezza! -afferma entusiasta, ritrovando il sorriso- Squiiitty, dove sei?” chiama a gran voce, accucciandosi buffamente per cacciare il naso in una minuscola spaccatura di pietra della parete.
“...Ti voglio presentare la mia mamma! Dovresti vederlo, è un topino simpaticissimo -rivela raggiante voltandosi verso di lei- Si occupa lui di divorare il mio pranzo” spiega rialzandosi in piedi, dopo un cenno di Sogno.
“Secondo te cosa significa tutto questo?” riprende il discorso, interrogandola allarmato.
“...Che stai diventando un vampiro!” replica secca la madre, in tono a tal punto fermo e serio da spaventarlo profondamente.
Le palpebre del ragazzo sbattono più volte per poi spalancarsi in modo esorbitante e restare così per attimi interminabili.
“Anche loro non mangiano e non dormono” argomenta Celia mantenendosi imperscrutabile.
“Papà era u...u-un vampiro?!?” chiede timoroso, allargando sempre di più sul suo viso un’espressione sconvolta.
La risata folgorante della Dea gli fa emettere più di un sospiro di sollievo.
“Ma certo, come io sono la fata turchina!” continua senza riuscire ad ottemperarsi.
“Vieni qui che ti abbraccio ancora!” cerca dunque vendetta, tentando giocoso d’acchiapparla di nuovo.
“No, pietà! -implora lei ridente, tentando di sfuggirgli senza rimedio- D’accordo, te lo dico, te lo dico!” persino la Dea dei Sogni alle prese con questa canaglia si arrende.
“Significa... Che stai diventando immortale!” dice infine stringendo le sue mani, senza nascondere un filo di emozione.
Patrick rimane immobile, elabora quelle parole senza inizialmente capirne il vero significato, la fissa attonito, con la bocca socchiusa, poi i suoi occhi
brillano, e dalla loro graduazione color giada, divengono limpidi e azzurri come il riflesso del mare. Come quelli di Nyx, quelli di un Dio.
Per un istante si fa terribilmente serio, boccheggia, e ripete a se stesso:
“Immortale...?”
Celia sta per intervenire, ma lui sa già cosa intende dire e la precede: scatta in piedi per prendere aria, si dirige a vuoto verso l’entrata fatta di sbarre passandosi una mano tra i capelli arruffati nel tentativo di riflettere.
“Sapevi che sarebbe successo prima o poi, è ciò si è verificato ora proprio grazie all’aiuto da te portato a Scilla. Hai sacrificato in spontaneità dieci anni della tua esistenza per tornare indietro con lei, esattamente in questa epoca. E’ solo così che si diventa un Dio a tutti gli effetti...” spiega con calma e la cadenza dolce ed orgogliosa di una madre profondamente fiera.
“Mi stai dicendo che anche tu hai smesso di invecchiare quando la salvasti, 8 anni fa?” deduce quindi, seppur per molti versi ancora confuso.
Sogno annuisce con un sorriso.
"Non dirmi che non te ne sei mai accorto!" indaga più a fondo.
Patrick cerca di mutare all'istante lo sguardo attonito in uno che possa smentire ogni suo dubbio: "...Per me sei sempre la più bella del mondo, mamma!" adulatore.
“Perché non mi hai mai detto che accadeva in questo modo?” domanda furbesco, guardandola di sottecchi.
“Ma per ovvi motivi! Sapendolo già in precedenza il tuo non sarebbe mai stato un gesto sincero, bensì volutamente opportunista!” chiarisce il tutto.
“Perciò... Non crescerò mai più di così?” osserva pacato.
“Esatto”
“...E rimarrò sempre così maledettamente bello??” ecco una delle perle di Narciso.
All’ennesimo “sì” spazientito di Sogno, questa volta viene letteralmente travolta dall’entusiasmo gioioso del semidio: “Oh, MAMMA! GRAZIE...Grazie...grazie...di...avermi messo al mondo! ...So quant’è doloroso...!” questa volta non fa caso alle sue proteste e la ricopre di baci.
“No... Credo proprio di no, neanche lo immagini bambino mio!” nega asfissiata.
“Piuttosto...! -introduce liberandosi- Per quale motivo non hai menzionato a Dylan il passaggio dal Portale di cui ha diritto? Ti avevo incaricato di dirglielo, è importante!” lo rimprovera risentita.
“passaggio...dal Portale? -replica accigliato- Ma certo! ...Portale...portale -finge di scavare nei propri pensieri con risultati vani- Eeehm, potresti, solo un attimo... Accennarmi brevemente... a cosa alludeva, così, io...” tenta scaltramente di prender tempo, poiché al momento gli è del tutto estraneo.
“Dylan, come guardiano della mappa, è il solo ad aver diritto di tornare, 10 anni dopo il primo viaggio nel tempo, in questa nostra epoca. Stanotte ha potuto sfruttarlo, anche se per poco, ma deve sapere che la prossima volta dovranno trascorrere 20 anni prima che possa usufruirne di nuovo, e altri 30 per la seguente, e così via dicendo!”
“Oh... -commenta grave-...Già, ora ricordo! E per far si che avvenga tutto ciò, ha bisogno...di...me!” rammenta imbarazzato il discorso che lui stesso avrebbe dovuto tenere.
“Scommetto che non ti ricordi la formula perché ciò sia possibile!” lo sfida quasi certa di aver ragione.
“Invece questa la so, la so: In quanto Dio della memoria devo pensare ad una cosa che non ho mai visto, sentito, e pensato!” declama a memoria piuttosto austero, finalmente qui lo trova preparato.
“E... posso chiederti tu a che pensi?” domanda intimorita, con la paura forse di ferirlo.
“Penso che non ho mai visto papà piangere! -replica lui con il sorriso invece, sebben amaro- Non ricordo esattamente di averlo sentito ridere...” continua abbassando lo sguardo, come se si rendesse consapevole di tali mancanze proprio confessandole.
E non avrebbe mai pensato che ciò che lui amava di più, ovvero il mare, glielo avrebbe portato via, tanto presto...

-

Hard truth.

André è dall’alba che la osserva, e non si è mai scomposta dalla posizione in cui si trova tutt’ora.
Con grande sorpresa, questa mattina, ha trovato Jenny in cucina per prima, rannicchiata sopra la grande credenza in legno dove lui stesso ha adunato tutte le spezie in ordine alfabetico e per paese di provenienza. Le francesi naturalmente sono le più a portata di mano.
Si è stupito di trovarla lì già a delle ore tanto acerbe, di solito lo raggiunge più tardi, quando le brande della ciurma sono quasi tutte vuote, non la vede mai prima della venuta del Capitano, è sempre più lenta in questo, come si addice a una donna.
Credeva dormisse, ma dal respiro affannoso e poco regolare che gli è dato sentire, anche se lo sta realmente facendo, non dev’essere un placido sonno tranquillo, come dimostra anche la posa tormentata con il viso celato nelle ginocchia da lei assunta.
Il cuoco francofono si è subito messo all’opera, come d’abitudine, pensando per tutto il tempo in che modo rallegrarla al suo risveglio. Giusto in questo momento sta infornando dei dolcetti sfiziosi mentre intona un motivetto, di cui la giovine sembra accorgersene solo ora, ridestandosi.

Un tonfo sordo attira improvvisamente l’attenzione del cuoco, subito seguito da un lamento di dolore.
Voltandosi nota che nel mutare la mia posizione fetale ho battuto il capo contro la credenza al di sopra della mia testa.
“Uh! Bonjour! BentoRnata al mAndo Reale Jennyfer!” mi accoglie divertito.
“Oh... André...” replico barcollante, in tono tanto flebile che di certo l’orecchio attempato del mio dandy non avrà udito.
“Scusami, io... ” cerco una scusa per giustificare il mio insolito giaciglio.
“TRanchila, me domando solo, dato che avevi la buona compagnia del Capiten, peRchè hai pRefeRito questo vechio?” indaga secondo la sua indole pettegola, sempre indaffarato tra pentole e mestoli.
Non ho voglia di replicare, non conosco nemmeno io una degna risposta... Avevo solo voglia di stare sola e riflettere.
“AloR, ti andRebe di aiutaRmi?” propone entusiasta come sempre, rinunciando ad approfondire dopo il mio silenzio. Il “libro aperto” che sono per lui spesso si richiude e per qualche motivo non vuole più essere sfogliato.
“Sì, certo! Dunque... il grembiule!” cerco di connettere la mente e riordinarla mettendoci convinzione, anche se tra tutto quello che l’ha attraversata nelle ultime 24 ore è a dir poco un pandemonio.
La “cerimonia” del grembiule: André non lo mette se non con me, va fatta in contemporanea!
Come ogni giorno, la introduce sempre maestosamente:  "pRima di tuto, un toco pRofesional: bisogna indosaRe il gRembiule!"
Prende molto delicatamente una fascia di cotone immacolata, la distende davanti a se e con molta calma la porta attorno ai fianchi. Le due cordine agli estremi corrono dietro la schiena, e in poche mosse ne ricava un perfetto fiocco, di quelli che avrebbero fatto invidia ai regali di Natale.
Per quanto riguarda me, invece, seguo il maestro alla lettera, ma il mio grembiule è indecentemente tappezzato da macchie di tutti i tipi, causate per certo dalla mia frequente disattenzione e sbadataggine.
Lo lego velocemente con un doppio nodo e attendo la prossima mossa.
Andrè si accorge subito della solita "imperfezione" nel mio nodo e si appresta immediatamente ad aggiustarla in modo impeccabile.
"Eco fato!”
“A che punto è la colazione?” mi informo rendendomi finalmente operativa.
“Buono!” replica il cusinier con la faccia cacciata dentro un pentolone dove sta animatamente impastando qualcosa.
“Allora metto sul fuoco dell’acqua per il thé” cerco di rendermi almeno utile in qualche modo.
Mentre ci attiviamo per metterci a lavoro, sento un "trotto" scendere le scale allegramente, e tra i raggi già roventi del primo sole appare Jack.
Ferma il suo corso ponendosi alla mia destra, appoggia un mano aperta sul mio ventre compiendo una buffa giravolta intorno a me, e conclude il tutto lasciandomi sulle labbra uno schioccante bacio, prima di dire: "Buongiorno angelo mio!"
" ‘giorno Capitano"
“Mi aspettavo di trovarti tra le mie lenzuola questa mattina, per il saluto al sole, dove sei stata? Per un attimo ho temuto di averti persa nel letto di qualcuno d’altro!” introduce in tono già polemico.
La mia reazione è una pronta fulminata con lo sguardo, so che fa così solo per alimentare il libro dei pettegolezzi di André che ama arricchire quando è presente alle nostre discussioni.
“E’ un crimine su questa nave svegliarsi di buona lena, per una volta?” controbatto fingendomi irritata.
“No, ma la prossima volta sveglia prima anche me!” mi sussurra suadente ad un orecchio.
"Io non guaRdo, fate puRe come se non Sci fosi!" ci informa l’uditore, fingendosi preso a preparate le tazze da riempire.
"Non conviene!" valuta il Capitano. Annuisco concordando perfettamente.
"Colazione al volo, la mia ciurma di manigoldi ha bisogno di una bella dritta stamattina!!" annuncia impaziente di mettersi a comandare.
"Tieni, non ho messo lo zucchero" dico porgendogli la tazza di thé caldo.
La prende con un dolce sorriso e poi si dirige verso André, sul fondo della stanza, per aggiungercelo.
"Bonjour Andrè!... l'ho detto giusto?" aggrotta la fronte, non del tutto certo della sua affermazione, cominciando a ingurgitare il thé a grandi sorsi.
"PaRola: Justa. PRonunScia: peSima!!" si esprime il cuoco indaffarato.
Inizio a ridacchiare mentre spalmo della marmellata su una fetta di pane. "E' colpa dell'accento Americano!" lo scuso ficcandogli in bocca la fetta di pane scottato tutta intera, quando torna verso di me.
"Grafie" risponde con la bocca impastata di marmellata, a quel punto lo vedo avviarsi verso l’entrata per risalire sul ponte.
“Jack…!” chiamo incamminandomi sulle scale dietro di lui, per bloccare la sua figura diretta tra le braccia del mattino.
“Mhh?” replica semplicemente voltandosi, a causa della bocca piena, impegnata a masticare il pane tostato alla grossa.
“Sei sicuro di voler arrivare fin in fondo… a questo accordo con Scilla?” domando a quella sagoma nera con un filo di esitazione, mi costa caro ripensare a lei in modo pacifico.
“…ferto, non che io abbia pafura di moire -garantisce fiero- ma fe è quello che fuoi anche fu!” si assicura tornando dondolante sui suoi passi.
Me lo son chiesta a lungo poco fa…
“Preferirei non avere più nulla a che fare con quella donna –ammetto palesemente, procurando in lui un sogghigno divertito- ma se è proprio necessario...” faccio spallucce con una smorfia svogliata.
Sebbene non possa vederle in controluce, le sue iridi cioccolato mi studiano ancora qualche istante, mentre la mandibola continua a sbriciolare e mandare giù: “D’accordo, torno sul ponte a dare indicazioni per Mayan!” deduce sorseggiando avidamente il thè.
“Aspetta! Hai detto…Mayan?!? Non è il luogo dove si trovano le prigioni?” sbotto tesa impedendogli di nuovo di lasciare quelle scale.
Lui reagisce mostrandosi spaesato: “Precisamente. Poco fa mi è apparsa Scilla dicendomi di aver avuto in sogno il nostro responso affermativo. Perciò mi ha consigliato di procedere dritti alla meta, vi arriveremo prima di sera!” spiega con naturalezza sistemandosi il tricorno sul capo.
“CHE COSA?! –erompo in cadenza alquanto stridula- E tu hai omesso d’informarmi su questi vostri incon… -il silenzio piombato intorno a noi e l’espressione attonita di Jack mi fanno capire di star un tantino esagerando, perciò mi sforzo di graduare il tono di voce- incon…venienti?!” concludo ugualmente risentita.
“Stavi dicendo incontri per caso?” si fa indagatore, senza celare un ghigno ridente.
“Volevo dire inconvenienti, ed è quanto ho detto!” ribadisco facendomi altezzosa.
Il volto di Jack fa sfoggio della sua dentatura semi-dorata, prima di sfiorare il mio collo irrigidito per sussurrarmi in un orecchio: “Amo il manifestarsi incontrollato della tua gelosia!” e fugge via, lasciandosi alle spalle quel tremendo alone di mistero su tutta la faccenda che mi fa ancor più spazientire.

Dopo un’intera mattinata china sui fornelli con Andrè, venuto il primo pomeriggio mi concedo un break in cabina, la stanchezza di una notte praticamente insonne si fa ben sentire.
Appena mi richiudo pesantemente la porta alle spalle, e faccio per distendermi sul letto, m’imbatto ancora una volta in quello che questa mattina, appena sorta l’alba, mi aveva inizialmente condotta in cucina, prima di perdermi in mille pensieri: la scritta del pavimento.
E’ ancora lì, a caratteri cubitali e tremolanti, dev’esser stata composta in tutta fretta. Con un sorriso sghembo mi invita ancora a leggere “sognami con te”.
“Ma che cavolo vuol dire, e chi diavolo l’ha scritta!” penso stancamente.
Mi ero inoltrata nel tempio di Andrè proprio alla ricerca di un panno umido per ripulirla, ma al momento non ho alcuna intenzione di tornarci per perdermi ancora una volta in qualcos’altro.
Recupero in cabina un brandello di stoffa di fortuna e lo inumidisco sacrificando un po’ dell’unica acqua potabile di questa nave, ma voglio davvero che quella dicitura sparisca e liberi i miei pensieri, e per farlo sono intenzionata ad insistere finché non svanisce dalla mia vista.
Tornata nei pressi del letto, mi siedo a terra in postura comoda, e comincio a strofinare via per sempre quelle assurde parole ricavate da 4 elementi familiari quanto insoliti in questo contesto.
Il miele è una glassa testarda, fastidiosa, e appiccicaticcia da eliminare, mi ricordo ancora quando ci impiegai almeno un giorno per scrostarmelo dai capelli, dopo lo scherzo improvvisato da Dylan e Jack! Lo zucchero poi, la sua gradevole dolcezza mi è stata scongiurata dalla spiacevole sensazione sabbiosa di averlo lungo tutta la schiena e non solo, quella stessa notte, rilegata a forza in un letto di dolce tortura.
Le perle rosa (bleah per il colore) che formano il “te”, bhe… Mi ricordano solo quando le sequestrai dall’antro maleodorante, detto anche “bocca del mio fratellino” pochi istanti prima di un addio.
E infine, la marmellata l’associo ad un cuscino imbrattato di questa melma fruttosa e un bacio scambiato con il Capitano, per timore che fosse anche l’ultimo.
Ora, per fortuna, il pavimento è tutto pulito, di quella scritta inspiegabile non vi è più nessuna traccia, eccetto per le perle che mi son rimaste, cosa farne?
Il mio sguardo ricade sul mio comodino inutilizzato, se non come appoggio di un portacandela: ha da sempre nella sua struttura interna un cassettino vuoto, poiché non ho nulla da mettervi, queste perle possono pazientare lì in attesa di tornare utili!
Deposto anche l’ultima traccia di quel che rimane della frase, riesco finalmente a sentirmi sollevata, mentre in quei stessi istanti la nave rallenta e si ferma, per attraccare al porto come previsto.
Nel dormiveglia in cui cado in pochi istanti, avverto dei passi farsi avanti nel corridoio, e proseguire con decisione fino alla porta, dove arrestano la loro marcia spedita poiché prima di entrare l’ho chiusa a chiave.
“Tesoro…sei qui?” riconosco la voce di Jack.
“Qui non vi è nessun tesoro di alcun tipo!” avverto a gran voce senza scostarmi di un centimetro.
“Jennyfer, avanti, apri la porta” chiede quasi premuroso, credendolo sempre uno scherzo.
“Scordatelo” replico secca.
“Gira almeno la serratura e poi ci penso io ad aprirla se proprio lo desideri” propone rimanendo al gioco, prende sempre tutto come un divertimento.
“NO”
“…Per l’ultima volta: fammi entrare!” esorta facendosi più serio, bene, forse si sta innervosendo anche lui!
“Altrimenti?!” seguo la sua intimidazione in termini di sfida.
“Oppure io soffierò…soffierò…e soffierò ancora di più! Finché questa porta cadrà al suolo per la terribile potenza dei miei polmoni e poi tu sarai spacciata, razza di suino!” declama con voce ruggente e feroce.
Rimango per un attimo sbigottita dalle sue parole, domandandomi più volte quale senso possano avere, poi ricordo: qualche settimana fa gli avevo raccontato la storia del lupo e i tre porcellini, deve averla presa alla lettera!
Soffoco una risatina divertita nel cuscino, così che non mi possa sentila, ma ciò avviene comunque perché come al solito ho dimenticato un dettaglio importante: lui è Capitan Jack Sparrow! E questa nave la conosce alla perfezione.
Infatti negli istanti successivi sbuca con la testa dalla porta secondaria della cabina, accessibile dalla mia vecchia stanza: “Avevi dimenticato che si può entrare anche da qui, nevvero?” dice soddisfatto alla vista della mia espressione di stupore nel ritrovarmelo lì, dopo che ho sbarrato la porta principale per restare sola.
La mia accoglienza si conclude con un verso di disappunto, prima di riaffondare la faccia nella piuma d’oca del cuscino.
“Si può ben sapere che ti prende? E’ da quando hai sbattuto la testa che sei tutta matta!” reclama sedendosi al mio fianco, lungo la sponda del letto, tentando di sollevarmi lievemente il ciuffo che ricopre la ferita sulla fronte, senza riuscirvi, poiché respingo subito la sua mano.
“Di quali vuote ciance blateravi stanotte? Quale uomo, quale scritta?!” domanda mostrando il primo interesse verso le stranezze susseguitesi durante la notte.
“Tu hai sempre solo domande da porre?” dico riaprendo le palpebre svogliata.
“E tu hai sempre una futile ragione per arrabbiarti?!” replica beffardo abbandonando il letto.
“C’era davvero un uomo stanotte, era qui, davanti a me, rannicchiato sul pavimento…!” cerco di spiegargli, aggrappandomi ai dettagli per apparire il più possibile veritiera.
Mi sollevo persino dal mio stato di abbandono, inginocchiandomi sul materasso per rivolgermi a lui con maggior vigore, anche se al momento il Capitano è semi-voltato nelle vicinanze del suo scrittoio, e armeggia con delle munizioni dorate.
“…Com’è che non sono stato avvertito di questo terzo incomodo?” domanda sarcastico.
“E…come se non bastasse mi ricordava moltissimo…” m’interrompo anche io, non pienamente certa di quello che sto per dire.
“Se ci fosse realmente stato qualcuno qui credimi che me ne sarei accorto, e non sarebbe uscito da quella porta sulle sue gamb… -continua a considerare tra se e se, senza darmi del tutto ascolto, poi capta le mie ultime parole- ...Cosa stavi per dire, chi ti ha ricordato questa volta?” mostra curiosità.
“Dylan…” dico in cadenza triste, ribassando il capo.
miss dy
Jack non ride, ma sono certa che ora lo trova quasi divertente: “Dylan eh? Questa è nuova perlomeno, credevo ancora… -si ferma un attimo per pensare- E’ Jimmy che ti ricorda tuo padre?!” continua a discorrere come alle prese con un folle.
“Jack puoi credermi, è davvero così! Non so come dimostrare che fosse lui, ma gli occhi…il sorriso… Le fossette lungo le guance... Mi son parse davvero le sue…”
“Sei troppo malinconica!” considera Jack come unica soluzione, scuotendo il capo.
“Non è questione di nostalgia, io sento la loro mancanza da tutta la vita! -erompo avvilita, non si sforza nemmeno di starmi a sentire- E’ sconfortante non aver avuto nemmeno il tempo di sapere chi fossero...” so che il pensiero appena espresso a bassa voce costituisce un dolore per Jack, però è la dura verità...
Il Comandante ripone la pistola carica nella stretta fibbia di tela che gli circonda la vita: “Brr... è fredda!” rabbrividisce sarcastico a contatto con il gelido metallo, poi ritorna sui suoi passi, e sprofonda nel letto accanto a me.
“Strano, spesso tu hai una risposta per tutto! -dice scostandomi lentamente i capelli da dinanzi il viso- Ma non questa volta... -ritiene amaro- Che ne dici se tu provi a costruirti un’idea e tieni fede a quella, chi potrà mai contestartela?” propone consolatorio.
Sollevo lo sguardo per vedere se dice sul serio, o come spesso accade ha solo intenzione di prendermi in giro.
Dal suo tono fermo e l’espressione decisa pare di no.
“Ok... -spiro sentendo per la prima volta dopo giorni un po’ di sollievo- andiamo a privare dalle prigioni di questo posto un’altro manigoldo!” concludo rialzandomi, seppure di malavoglia per rispondere al compito datoci da Scilla.
“Jenny...? -si arresta combattuto, poco prima della porta- Potresti dirmi esattamente che diavolo significa questo okey?” chiede controverso.
La mia reazione è tra la sbigottita e l’incredula.
...Non lo sa?!
Poi finalmente alla mia mente giunge la soluzione: il termine “ok” risale solo alla guerra di secessione americana! L’utilizzavano nei bollettini sul fronte di guerra, per segnalare “zero killed”.
Il suo viso dubbioso che storce il naso dinanzi a cosa non capisce non può che procurare una risata in me: “D’accordo, sì, va bene!”

-

Breve nota: Pubblico la seconda parte anche se manca l'ultimissima perchè con tutto il tempo che ho lasciato passare ve lo devo.
La seguente parte di storia non tiene conto della morte di Norrington nel terzo film, ma invece sì per quanto riguarda quella del Nano Bastard...ehm... Beckett u.u
Il titolo significa “intralcio”, mi piaceva perché ha un suono molto nasale =P lol Ma se avete altri suggerimenti sono sempre ben accetti ^^ Grazie per l’attenzione.


Snag.

Lo scafo della Black Pearl si dibatte nell’acqua come un puledro indomabile, se non fosse per la pesante ancora e le funi che la legano a terra, galopperebbe via nelle onde selvagge.
Sistemata la paratia, Jack ne discende con disinvoltura, nonostante quella misera asse di legno sia appena stabile e continui a muoversi, d’altronde segue l’andatura naturale del Capitano: oscilla!
La mia scesa è molto più riluttante e timorosa, mi preoccupo di calibrare ogni passo, e nonostante questo rischio ad ogni movimento di ribaltarmi e cadere rovinosamente in acqua. A metà mi blocco del tutto, incapace di proseguire, tra vertigini e mal di mare, quando un’onda più ponderosa mi colpisce le caviglie.
Al suono di un mio infantile urlo semi-represso, il Capitano, troppo concentrato a guardarsi intorno studiando il territorio, si volta e vedendomi in difficoltà, con mio grande sollievo, allunga una mano da gentiluomo e mi aiuta a ritoccare terra.
Mi allontano dalla riva maledicendo il mare in burrasca, e a questo punto domando al lupo di mare dove ci aspetta la donna dalle mille sorprese.
La sua replica non è delle più confortanti: “Onestamente... Tale ragguaglio sfugge alle mie conoscenze in questo momento!”
Splendido, direi che iniziamo alla grande!
Prima di perlustrare della zona, il Capitano dà un’ultima raccomandazione alla ciurma: “Restate tutti a bordo, fareste meglio a non allontanarvi o questo deserto sarà la vostra ultima dimora. Siete avvertiti, potrei dar ordine di ripartire da un momento all’altro!”
“...Come, nessuno viene con noi?!” domando allarmata.
“Nessuno, dolcezza, solo tu e io!” conferma con il suo sorrisetto sghembo.
Sembra proprio che il pericolo lo mandi in visibilio.
Dobbiamo rischiare il collo, da soli, per scarcerare un tizio che neanche conosciamo, a dir suo innocente, cioè probabilmente un serial killer... E come se non bastasse tra poco farà buio, e di quel fantasma non una benché minima traccia!
Respiro profondamente per rimanere calma, niente panico, niente panico...
Il vento freddo mi fa stringere nelle spalle e volgere lo sguardo a terra: la riva su cui abbiamo attraccato è ricoperta di terra polverosa che diviene ghiaia ed erba procedendo nell’entroterra, ma nei ciottoli incolori del selciato, scritto dai segni di ampie ruote di carro, vi è qualcosa che luccica.
Strano che Jack non se ne sia accorto, è attratto dall’oro come le mosche ad un lume.
Vado più vicina a quella macchia lucente che scopro essere una specie di impronta, infatti ve ne sono molte altre, dorate, proprio della forma di un piede, e seguono l’andamento del terreno fino ad una parete rocciosa.
In mancanza di altri riferimenti in questo landa dimenticata da Dio stesso, le seguo!
Nel contempo il Capitano annuncia da lontano di aver avvistato le prigioni, si trovano sopra una collina, più spostata rispetto a noi, ma non intende muoversi senza indicazioni.
Le tracce non conducono semplicemente ad un muro di pietra, ma ad una conca della roccia, allestita a piazzetta, al centro di cui si trova una fontana circolare, sostenuta da una imponente statua femminile classicheggiante piuttosto in rovina.
Il corpo è avvolto in un drappo voluminoso, annerito, il volto in ombra. Le sue braccia di pietra salina sono tese, avvolte da un ramo di edera, levate verso l’alto, reggono un’ampia tinozza dove zampilla acqua fresca, qualche dito delle mani delicate è mancante, ma nonostante la “fatica” le labbra inferme sono arcuate in un sorriso.
Cosa fa una scultura del genere qui quando vi è solo prigionia, freddo e desolazione?
Sento dei richiami in lontananza, ma non vi presto attenzione, sono troppo interessata alla statua, ha qualcosa di strano, è assurdo anche solo da pensare, ma... Sembra viva!
Stavo per distoglier lo sguardo un momento fa, quando impercettibilmente sono quasi certa di aver visto il suo ventre muoversi. E’ impossibile, Jenny. Sarà la stanchezza che gioca brutti scherzi.
Mi avvicino al volto, come una stupida, per assicurarmi se respira davvero. Nessun fiato, ma le guance sono percorse da un alone opaco, pare una lacrima. Sono certa che sfiorandola l’avvertirei come marmorea. Ad ogni secondo che passa mi convinco sempre di più che è  tutto un’assurdità, e forse, come dice Jack, sto impazzendo sul serio...Ma a questo punto vale la pena tentare!
“...Siamo troppo esposti ai venti -la mia mano è già prossima al suo volto quando vengo raggiunta dal Capitano- dobbiamo muoverci, o non so quanto la Pearl resisterà a riva, rischiamo di rimanerci noi stessi qui!” porta con se altre notizie “rassicuranti”.
Nell’istante in cui sto per toccarla, la pietra però si ribella, e in certo senso prende vita davvero: quel corpo si frammenta in migliaia di granelli di polvere dorata, e crolla su se stesso, eccetto per la tinozza, l’unica a rimanere intatta, che ricade pesantemente a terra roteando come un piatto.
Colta dallo spavento, mi riparo di riflesso con le braccia, e senza poterlo evitare cado all’indietro, ai piedi di Jack.
Nonostante lo sgomento, i miei occhi rimangono fissi al vuoto colmato poco prima dalla scultura, ora ridotta in polvere, non so bene se per mano mia.
Ma quel polvericcio non rimane a lungo tale, infatti si rianima, cresce, modella una sagoma. Il calcare diviene tenera carne, il drappo nericcio si colora di rosso, e la bocca voluttuosa torna al suo colorito purpureo.
In sostanza: Scilla, dovevo immaginarmelo.
Lo sconforto muta a poco a poco quasi in un sospiro di sollievo, almeno ora abbiamo una guida!
“Ben arrivati, vi aspettavo!” ci accoglie tradendo il suo entusiasmo.
Il Capitano contraccambia sfiorandosi lo spigoloso copricapo di cuoio ed allontanando poi la mano in un gesto plateale.
In quanto a me, sono troppo occupata a rimettermi in piedi per replicare, cosa che eviterei volentieri se questa donna facesse delle entrate in scena degne di noi poveri esseri umani.
Dopo essermi ricomposta, posso osservarla meglio, celando a fatica un ghigno cagnesco: il drappo rosso, presente anche nella statua, ha preso il posto in lei della mantella grigia che l’ultima volta indossava, ed ora le incornicia il viso, avvolgendola morbidamente intorno agli occhi e alla nuca.
“La vostra fama di navigatore vi precede, Signor Sparrow. Non vi attendevo che tra qualche ora!” lo lusinga ammirata, naturalmente Jack in risposta gonfia il petto e s’illumina di un sorriso fiero. Sospiro altamente seccata.
Perdonate la mia fastidiosa presenza, come sempre...
“A tempo perso reggi fontane? -pone all’improvviso in quesito il Capitano, senza alcuna intonazione ben distinguibile, ma uno sprazzo di sarcasmo nello sguardo- ...Stai bene?” s’informa poi da me. Annuisco con un cenno fiacco.
Scilla non replica, ma il suo sorriso per un secondo si storce in una smorfia, prima di continuare: “Da come ha ben potuto udire tutta l’isola, avete già avvistato dove si trovano le prigioni! -debutta in resoconto- Vi ricordo di usare molta cautela in questo posto” discorre in tono supponente.
Finalmente mostra al mondo di avere un’anima, e anche piuttosto torrida.
Jack solleva di scatto le sopracciglia, il suo viso è un misto tra il piacevolmente sorpreso e un cipiglio menefreghista dei suoi.
Le sue mani anellate, fasciate dalle ampie maniche della giacca di rappresentanza, si levano al cielo come a voler chiedere una comica resa.
Questa volta non mi preoccupo di ridere sommessamente.
“In ogni caso -continua Scilla noncurante- l’unico modo per entrarvi è avere un permesso di accesso, firmato personalmente dal Commodoro Norrington, il gestore del centro di detenzione...” pausa evocativa, la vedrei bene in politica questa donna.
Commodoro Norrington? ...Oh, si! Ora ricordo, lo conobbi alle nozze di William ed Elizabeth, prese parte agli invitati.
La reazione di Jack non è altrettanto tranquilla: si irrigidisce e non riesce più a stare fermo, mentre la mandibola si storce muovendosi a tic.
“Norrington cos’è a fare qui??” irrompe nervosamente.
“Con l’eliminazione di Lord Cutler Beckett non è riuscito a guadagnarsi la stima di succedere ad un incarico così prestigioso, ma... A qualcosa vale la sua esperienza al comando!” spiega vaga, fiera di averlo colpito.
Il Capitano si copre gli occhi impensieriti con una mano, fingendo di massaggiarsi la fronte, poi detrae: “Bhe, tanto noi il permesso non ce l’abbiamo, e il Commodoro non ce lo darà mai. Perciò, i miei ossequi, noi leviamo le ancore!!” enuncia frettoloso, pronto a fare dietrofront, trainando con sé anche me.
Che significa?? Eri così entusiasta di tutta questa faccenda e ora al primo ostacolo tagli la corda?!
“Invece sì...!” lo corregge lei, ponendosi d’intralcio sul sentiero per non farlo scappare, stringendo in una mano una pergamena di carta bollata, e poggiando su di un fianco l’altra.

“Sei un inguaribile codardo, Jack!” commento sprezzante, sottovoce, mentre tutti e tre ci incamminiamo in salita, lungo l’unico selciato serpeggiante che conduce alle prigioni.
Lui si volta verso di me con un’occhiataccia altezzosa: “Tu hai idea di che persona sia il Commodoro Norrington?!” dice bruscamente.
“A me è parso una persona dabbene...” esprimo ignara l’unica opinione che mi è stata possibile constatare al matrimonio.
“E’ così dabbene che se solo gli giunge all’orecchio della mia presenza qui... Ci scatena addosso l’intera Marina Britannica!!!” il suo animo prende fuoco ed irrompe nella gola facendosi strada con rabbia.
“Shhhhhh! -ci zittisce Scilla, pochi passi avanti a noi- ...Sta arrivando!”
“Chi?!” domando allibita, all’unisono con Jack, che già immagina il Commodoro armato di cannoni aggirarsi furtivo per questi boschi, fiutando l’odore della sua paura da lontano.
“La carrozza -smentisce lei- Presto, seguitemi, nel bosco!” ci guida euforica.
Quando tutti e tre siamo ben nascosti nei cespugli, Jack prosegue: “...E se quell’uomo è ubriaco finisce anche peggio!”
“State a sentire! -erompe Scilla con determinazione- Tra meno di un minuto passerà una carrozza per questa strada, vuota in verità, io cercherò di rallentare, e si spera fermare, il suo corso. Fortunatamente è guidata da un cocchiere non troppo sveglio. Io proverò a distrarlo, facendolo rimanere dalla parte dei cavalli, ma nel frattempo voi dovete salire nella cabina passeggeri, e il più velocemente possibile!!” introduce il piano.
Splendido, ho già una bruttissima esperienza con le carrozze...
“E una volta arrivati in cima?!” domando allarmata.
“Jennyfer fingerà di essere la Contessa Wilbredon, come c’è scritto sul permesso, venuta qui in visita. Questo è quanto il cocchiere e i funzionari del carcere presumono. Nella carrozza troverai già un abito per recitare meglio questa parte, se ti domandano qualunque cosa, fingi un accento francese. Lascia che ti sistemi i capelli in modo credibile...” spiega avvicinandosi a me per armeggiare con la mia testa.
Accento francese?! Diamine... Forse la compagnia di André qui mi sarà utile.
Avverto sulle spalle l’incombere della sua presenza, non riesco a fare a meno di irrigidirmi, ogni volta che questa donna ci è vicina non porta altro che guai, ma, contrariamente a quanto mi aspettassi, le sue mani sono finissime, si fatica a sentirle. Quella leggiadra delicatezza allenta un poco il nervosismo che mi ha scossa dopo avermi riferito quale “ruolo” assumerò in tutto questo.
“Il Capitano, invece, avrà il compito più difficile, ma sono sicura che lo porterà a buon fine nel migliore dei modi -si augura speranzosa- Nel fondo della carrozza vi è una botola: quando essa si fermerà, dovrete fuoriuscirne senza essere visto e dirigervi a est...!” Jack al contrario sembra elettrizzato all’idea di lanciarsi in un compito rocambolesco.
Il piano ideato da quella finta statua ci viene esposto in poche parole, ho idea che toccherà a noi arrangiarci se qualcosa va storto, speriamo in bene... La prospettiva di dividerci in un luogo tanto ostile e sconosciuto non mi entusiasma affatto.
Senza accorgercene avvertiamo già la vettura farsi strada nella ghiaia, e ci mettiamo in posizione.
Qui è Scilla a farsi avanti per prima: con non poca disinvoltura si pone al centro del sentiero, in piedi, scontrosa, armata di un cestino di vimini che ha preso non so dove, mi è sfuggito di notarlo prima.
Io e Jack osserviamo tutta la scena dai rami di un faggio, pronti ad infiltrarci nella cabina passeggeri al suo segnale.
La carrozza continua la sua corsa fino a metà del percorso, quando finalmente il cocchiere svogliato, solleva lo sguardo e tira di scatto le briglie verso di se, per non travolgere Scilla.
Con un verso di resa, i due cavalli che trainano il carro si fermano, ed accompagnato da un’entusiasmo inesistente, il vetturale discende dalla sua postazione per liberarsi della donna ed esimere il passaggio.
Ecco il segnale: Scilla rotea il polso, mimando un invisibile cerchio, ed inizia a colloquiare animatamente con l’uomo assonnato, mentre noi ci precipitiamo il più silenziosamente possibile dentro la carrozza.
“Che volete?”  debutta il cocchiere, rivolgendosi in modo poco cortese alla donna senza volto.
“Salve buon uomo, posso offrire una succosa mela ai vostri cavalli affaticati?” pone quale mendicante, mostrandogli nella mano destra uno sferico frutto maturo, appena colto dalla cesta.
“Certo che no!” sento solo come irritata risposta.
“...Grandioso...-comunico sollevata, rientrando con il busto dal finestrino della cabina- la strega di Biancaneve lo sta distraendo per bene, finora sembra non essersi accorto di noi!” informo Jack, seduto scompostamente di fronte a me.
“Bianca...chi?” sottolinea scompigliato e poco a suo agio nel stretto antro riservato a pomposi passeggeri.
“E’ un’altra favola, ti racconterò anche questa. Ora procediamo: il vestito!” mi affretto seguendo la fase successiva del piano, e imbattendomi nella stoffa ripiegata ad arte sul sedile al mio fianco.
“Posso esserle d’aiuto in qualche modo?” si fa avanti il Capitano, sogghignando malioso, mentre abbandono momentaneamente le vesti truffaldine.
“Indietro, millantatore! -lo respingo divertita- Faccio anche da sola” assicuro finendo di indossare velocemente, nonostante lo spazio ristretto, l’abito color avorio.
“Ma se lei me lo permette, io son disposto...” insiste.
“Voltati” intimo improvvisamente, fermandomi.
“Come? -le sue iridi cioccolato in penombra si illuminano per un istante di sorpresa- Ti ho già vista senza...”
“Ho detto voltati, e non una parola!” lo interrompo fingendomi offesa.
“Se ne vada, non ho tempo da perdere con voi zingari!” sentiamo imprecare dall’esterno il cocchiere insonnolito, prima che si avvicini alla porta della cabina passeggeri, per verificare l’incolumità dell’ospite, spaventandomi: “Tutto bene, Contessa?”
Senza che possa fermarlo, vedo Jack farsi avanti impostore, protendere le labbra vicino allo sportello e pronunciare in falsetto: “Siii...”
Allontano subito quel viso da sfacciato imitatore e ribadisco affacciandomi al finestrino: “PRocediamo puRe!”
La carrozza in breve riprende il suo cammino riluttante. Di Scilla, com’era da aspettarsi, non vi è più alcuna traccia.
“Sei forse impazzito, vuoi farci smascherare a tutti i costi?!” attacco rabbiosa, sfilandomi gli stivali per rimpiazzarli con delle scarpette da passeggio.
Quella donna come fa a conoscere la misura del mio piede?
“Mi perrrdoni umilmente contessa Wilbredon” replica Jack ancora ridendo nel riproporre la mia goffa R moscia.
Io reagisco spazientita, rifugiandomi in un angolino della cabina, a braccia conserte, mi accorgo solo in seguito che non ha mai smesso di fissarmi ad occhi spalancati e viso fermo.
“Cosa c’è adesso?” dibatto remissiva.
“Bhe...wow!” commenta squadrando allibito il personaggio da me appena assunto.
jenny abito contessa
“Ma smettila...- non gli credo- con questo coso addosso sembro un floscio tulipano!” commento l’esageratamente ampia e ridondante gonna di seta di cui sono fatte le vesti che porto.
Lui si alza con la sua risata roca, facendo tentennare ogni strano aggeggio che ha appeso o annodato nei capelli, e si accomoda passando al mio fianco.
Osservo tutto restando indisponente, ma fiutando sempre il suo sguardo sulla mia pelle, e infine i suoi brevi ghigni camuffati mi fanno volgere a lui con fare interrogativo.
“Non sei riuscita ad allacciare il vestito, vero?” domanda notando che reggo saldamente il bustino, e sono costretta spesso a risollevare le spalline, nonostante sia un abito a maniche lunghe, foderate in pizzo.
Sospiro rassegnata, proprio no... Non ho nemmeno capito com’è fatto dietro questo arnese!
Mi scosto rassegnata dal sedile di pelle rossa, e con un movenze svogliate, mi volgo per porgergli le spalle e farmi aiutare.
L’ha sempre vinta lui alla fine, maledetto.
Il Capitano non dice nulla, ma sono certa che mentre armeggia con il vestito, sfoggia un ampio ghigno adempiuto.
Parte dal basso da dove risale a ritmo snervante, solleticandomi tutta la schiena, per strapparmi un sorriso, e da ultimo ci riesce.
“Come procede, Capitano?” domando irrisoria, scostando i capelli che Scilla mi ha lasciato in piccole ciocche lungo le spalle, contrariamente al resto, avvolto da un morbido chignon, sentendo che spesso lui stesso si incaglia in qualcosa.
“Bah... Generalmente sono abituato all’azione contraria ad allacciare vestiti, ma direi che sono ugualmente bravo!” sempre così modesto.
Sorpassate le scapole, congiunge solo altri tre bottoncini e per finire si avvicina al diverbio delle spalle, alla base del collo, dove soffia piano e vi lascia sopra un tenue bacio, che mi fa rabbrividire fin dentro le ossa.
Per non replicare, gli porgo velocemente anche un imponente girocollo, trovato tra le parti del costume da contessa.
“Ah, e così ci hai preso gusto!” deduce beffardo, zittito da una mia affettuosa gomitata nel costato.
Indossato anche quello, non rimane che un piccolo particolare, trovato accanto all’invito di Norrington. E’ sottile, circolare, quasi insignificante, però in questo momento averlo in mano mi dà le vertigini: la fede nuziale.
Visto il mio tentennamento, giunge tempestivo il commento sdrammatizzante di Jack: “Cos’ha questo Conte Wilbredon più di me, per averlo sposato senza dirmi niente!” dice fingendosi offeso.
L’ennesima mancata risposta da parte mia lo spinge ad ammettere quello che desidera dirmi da lungo tempo: “Non posso garantirti che sarà così per sempre... Conosci il mio umore mutevole, sebbene mai come il tuo -sottolinea solleticandosi il naso appuntito con il dito indice che poi indirizza a me- Ma se un giorno me lo chiedessi... La metterei la fede al dito per te!”
Un singhiozzo mi smorza il fiato, che trattengo a stento per la commozione.
Entrambe le mie mani afferrano il suo viso dai contorni incavati per esaudire la sete eterna che hanno le mie labbra di fondersi con le sue.
L’andamento scostante della carrozza rallenta, e infine si ferma, come l’abbraccio formato dalle grandi mani, calde e screpolate del Capitano, le quali sciolgono il “mantello” creato intorno a me per fuggire alla pari di un amante frettoloso nella botola del pavimento, non senza una uscita plateale che conclude con la frase in francese “Adieu ‘ma belle. Ci rivedremo presto!” declama teatrale in ghigno furbesco, prima di scomparire nel buio.
La portiera in quell’istante si apre, e il pigro cocchiere mi porge con una smorfia di evidente sforzo la mano.

-

La mia mano guantata afferra saldamente il finto gesto di cortesia del vetturale, e velato da un ridicolo capellino da passeggio di pizzo e fiori, viene alla luce il viso della cosiddetta Contessa Wilbredon.

Ho studiato il cambio dei turni di guardia, dal momento in cui arriverete nel cortile, Jack avrà 7 minuti per introdursi nella sezione di custodia, trovare la cella e procedere a liberare Patrick senza intoppi. E’ l’unico detenuto in una cella singola, non può sbagliarsi!

Ricordo a me stessa le parole pronunciate faticosamente da Scilla per esplicare il piano in breve, così da tranquillizzarmi ed assumere un portamento naturale, almeno mentre varco la soglia degli uffici amministrativi del carcere, anche se non posso fare a meno di stare in pensiero per Jack.
Un impiegato di piccola statura e viso occhialuto mi accoglie calorosamente, affogandomi di complimenti in francese di cui non afferro mezzo significato.
Perché André non è venuto con noi??
Quando ancora mi sta facendo le feste, lo interrompo bruscamente, pregandolo in tono fermo: “Mi paRli nella sua lingua!”
Tutto questo è assurdo...
L’entusiasmo dell’uomo si spegne un poco, ma rimane servizievole.
Mi trovo in una stanza arredata solo da imponenti scrivanie, pile ciclopiche di foglietti, e tanti curvi scribacchini, chini su lampade a olio e candele.
L’ometto prima mi porge il benvenuto, e dopo aver visionato l’invito del Commodoro e il mio stemma nobiliare falso, ricopre la mia figura di ringraziamenti per, a suo dire, aver deciso di finanziare la struttura.
Ecco perché sono qui, è questo che l’amministratore crede.
Sull’invito ho letto il nome completo del Commodoro: James Norrington. Non credevo si chiamasse così, pare un nome tanto innocuo. Scilla ci ha assicurato che mentre siamo qui non dobbiamo preoccuparci di lui, a questo provvede lei, lo spero proprio.
“...Contessa...Contessa...?” mormora l’omino, spalancando le orbite ingigantite dallo spessore delle lenti poste sul suo naso, per richiamare la mia fuggevole attenzione.
“Oh, oui?”
“Volete cortesemente accomodarvi nel mio ufficio per procedere alla compilazione delle pratiche?” mi invita con un gesto della mano.
E chi si intende di queste cose?!
“PRefeRisco visionaRe io steSa la stRucture dell’edifiScio pRima di fiRmare qualonque foglio de caRta” replico un po’ goffamente, cercando di ricreare il linguaggio francofono del mio dandy. In questo modo mi auguro di guadagnare un po’ di tempo, e avvicinarmi maggiormente a Jack, così da appoggiarlo nella liberazione di questo Patrick.
L’amministratore rimane per qualche secondo attonito, lo trova esageratamente sconveniente per una signora, ma poi acconsente alla mia richiesta, e mi guida nel sottosuolo che porta alle prigioni.

E’ una scala ripida, scivolosa e in pietra che le precede, l’omino si offre di aiutarmi, ma rifiuto, anche se con indosso queste scarpette da bambola ogni passo è una morsa lancinante di dolore, e infine lo prego di lasciarmi proseguire da sola, una volta inoltrata nella camerata.
Dopo varie strazianti insistenze, accetta. Quest’uomo scenderebbe a qualunque compromesso regale per ottenere un lauto finanziamento. Mi assicura semplicemente che mi attenderà con pazienza lì sulle scale.
La stanza è apparentemente dominata dal silenzio e da un forte odore di chiuso, rimbomba solo il tocco secco dei tacchi di questi strumenti di tortura, detti anche calzari da passeggio, cadenzato da qualche perdita d’acqua in lontananza che pare scandire i 7 brevi minuti a nostra disposizione, e ticchetta insistentemente sul pavimento, fatto a sua volta in pietra scura.
Quando mi trovo abbastanza lontana dall’entrata, e l’omino occhialuto non può più sentirmi, inizio a chiamare sottovoce Jack.
Procedo a passo vigile, la camerata è molto scura, solo gli angoli più alti delle pareti ricoperti di muschio e catene disciolte sono illuminati da rare torce, come diavolo ha fatto il Capitano ad orientarsi qui dentro? Chissà dove sto mettendo i piedi...
Man mano che aumenta la distanza, alzo anche il tono di voce, sempre più ansioso, ma giunta quasi a metà dell’antro percorribile, la sola risposta che mi giunge non è affatto da chi la vorrei sentire: le prime celle mi sono parse vuote, ma dai numerosi grugniti ridenti, luridi fischi di apprezzamento, e termini ignobili che giungono alle mie orecchie, quest’ultime sono altresì subaffollate.
“Jack...? Sono io Jack, zuccherino! Avvicinati che te lo faccio vedere” erompe una voce, su tutte le altre, proveniente da un braccio muscoloso, annerito e scavato dalle cicatrici che si allunga con foga verso di me.
Lo schivo per un pelo con un verso di disgusto e un singulto spaventato, grazie alle sbarre che lo limitano, ma vengo afferrata ugualmente per la vita, da qualcuno sul lato opposto, dove pensavo di essere in salvo, il quale senza fermarsi oltre, mi trascina via con sé, recidendo sul nascere un mio grido.
La mia schiena finisce contro un petto saldo, e probabilmente percorso da qualcosa da me riconosciuta come la fibbia di una cintura, prima che un viso si accosti al mio orecchio e sussurri rassicurante: “Cherié... Non riesci proprio a stare lontana da me!”
“Razza di...!”
“Silence! -mi zittisce di nuovo Jack, prima che possa insultarlo- Potrebbe aggirarsi qualcuno da queste parti a nostra insaputa”
Con un respiro profondo e seccato cerco di calmare i nervi in subbuglio.
Mi ha trainata con forza in una specie di feritoia umida del muro, dove al momento dobbiamo nasconderci stando appiccicati come sardine, e l’ampiezza della gonna di questo dannato vestito non è d’aiuto.
Dopo qualche istante di silenzio tra noi, per tenere sotto controllo la situazione, il Comandante esplica ridente: “Non mi è mai capitato di trovarmi in un luogo simile e ad una distanza tale con una del tuo rango!”
“Non dirmi che non sei mai stato con una Contessa” ammonisco incredula. Prima di rispondermi il suo sguardo si abbassa su di me, forse per verificare se dico sul serio, con un ghigno furbesco affatto rassicurante.
“Se dicessi no e negassi di aver mentito... Mentirei!” ecco, ho avuto quel che volevo, me le vado proprio a cercare...
“Diamine, tu saresti capace di far arrossire anche Casanova! -il suo cipiglio diviene giustamente interrogativo- Tranquillo... Non nascerà se non tra una cinquantina d’anni... Piuttosto! Hai trovato il prigioniero?” mi informo sugli sviluppi.
“Certamente, ma il tempo a nostra disposizione è già scaduto, perciò devi aiutarmi!” scandisce a voce bassissima.
“Dimmi come”
Il suo tono inizia a diventare scostante e agitato, deve aver sentito qualcosa.
“Voglio che esci al più presto da qui, ti dirigi alla Pearl e dai l’ordine di prepararsi a salpare, immediatamente, comprendi?” dice a tratti, continuando a guardarsi nervosamente intorno, temendo l’arrivo di qualche guardia.
“Cosa? -sbotto sbigottita- Io credevo di dover aiutarti...”
“Jenny, fa come ho detto!” diviene dispotico.
“Io non ti lascio qui!” mi oppongo mentre già stiamo fuggendo dal nostro nascondiglio, afferrandolo per una manica della camicia, e costringendolo a voltarsi.
“Temo tu stia trascurando una cosa importante di me, dolcezza: sono il Capitan Jack Sparrow!” pone come garanzia, anche se continuo a fissarlo tremendamente preoccupata.
“E ora va, corri!” mi spinge via, nella direzione opposta a quella da lui intrapresa, molto distante dall’unica via d’uscita.
Non posso fare altro se voglio aiutarlo, mi conviene stringere i denti e sbrigarmi!
La tentazione di liberarmi delle scarpe è molto forte, ma la corsa senza di esse sarebbe ancora più ardua. Rimbocco velocemente il vestito, evito il confronto con i prigionieri e mi allontano da quella catacomba più in fretta che posso.
Sulle scale per poco non travolgo l’omino in mia attesa, che per fortuna non riesce a starmi dietro, ma urla con tutto il fiato che ha in gola di fermarmi e porgere delle spiegazioni.
Io replico con qualcosa di ovvio, in cadenza stridula: “...Rats...Rats!” chissà come si dice topo in francese...
Seguito a gridare fingendomi terrorizzata anche nei corridoi, per non destare sospetti nelle persone che incontro e sostenere l’alibi dei topi.
In breve raggiungo il cortile da cui sono venuta.
Salire le scale correndo, con addosso chili di sottane, pizzi e merletti incide sul mio fisico disabituato, e mi costringe a fermarmi per riprendere fiato e magari farmi venire un’idea, che mi si presenta su un vassoio d’argento: il cocchiere svogliato si è spostato con la carrozza dal centro del cortile polveroso, e sta rifocillando i destrieri all’ombra, con del fieno.
Il portone borchiato di ferro alle mie spalle si spalanca, e ne fuoriescono alcuni funzionari allarmati dalle urla, che chiamano a gran voce il nome del personaggio da me interpretato.
Senza nemmeno voltarmi, seguito a scappare, come da messinscena.
Mi dirigo in tutta fretta verso i cavalli in sosta, privo il cocchiere di un coltello da caccia con cui stava sbucciando tranquillamente una mela, in un momento di quiete, e passo alla carrozza.
I finimenti che legano i cavalli al veicolo mi sono d’aiuto per arrampicarmi sul dorso del mio prossimo mezzo di fuga, un maestoso esemplare rossiccio dalla criniera dorata, sebbene fatico e scivolo, liberandomi senza volerlo delle atroci scarpe.
Rimasta a piedi nudi riesco finalmente a sostenermi meglio e salire, l’animale pare capire in modo sbalorditivo, mi facilita persino abbassandosi.
Con un rapido gesto del coltello, taglio in un colpo netto le redini lunghe, l’ultimo fronte che unisce ancora il cavallo alla carrozza, e una volta libero richiamo alla mente ogni reminiscenza legata all’equitazione a me nota, per partire al galoppo fuori di qui.
L’agitazione mi confonde, per qualche istante nonostante ora mi trovi in terreno sicuro non so dove andare, quale via prendere, e oltretutto il cavallo si dimena insistentemente contro il mio volere.
Nello scompiglio le redini mi vengono portate via con uno strattone dei forti denti da parte dello stesso animale, che ora mi fissa torvo, dall’altro del suo collo ramato, con un luccichio significativo negli occhi.
Quei occhi mi parlano, all’inizio come un rimprovero, ma poi chiedono che io mi fidi di loro.
Lascia che mi avvinghi saldamente a lei, e poi è la divina destriera di un sogno a condurmi senza più indugi in salvo, verso riva.
Le urla sconnesse ed irose del cocchiere, ora resuscitato dal suo perenne sonno, tentano di ostacolarmi nuovamente, pregando di chiudere il cancello principale, ma non subito viene ascoltato, e quando la sua supplica si esaudisce, io mi trovo già lanciata al trotto, aggrappata con tutte le mie ultime forze al collo di Immi, lungo la ghiaia del sentiero.

-

Leve

Leve.
I trucchi di quell’eunuco di Will tornano utili in situazioni come queste!
E grazie alla solita vecchia panca di legno, come sempre, Capitan Jack riesce a scassinare celle e stupire.
Lo stesso esercita sul semidio, liberato, incredulo e grato per la facilità con cui adesso respira di nuovo libertà.
Patrick è così felice da voler abbracciare il Capitano, ma son le guardie, tornate in servizio e allarmate dal rumore, a sciupare il quadretto.
In pochi secondi una decina di giubbe rosse irrompe da ogni lato della camerata e circonda i due fuggiaschi.
Jack sguaina la spada e lancia al novellino una piccola sciabola di scorta, la quale Riccioli d’oro inizialmente non sa neppure bene come tenere in mano.
Appunto per il Capitano: impartire al ragazzo lezioni di scherma, urgenti!!
L’impacciato semidio pensa principalmente a schivare, parare, sfuggire ai colpi impartiti dai ben addestrati soldati, non può uccidere nessuno, come vuole la sua indole divina.
Il Capitano sa bene come tenerli a bada, e nel contempo pensa ad un piano da mettere in atto prima di subito.
La venuta dei soldati ha spalancato una porta “sul retro” della prigione, sbarrata subito dopo la loro entrata in scena, perciò inutile come via di fuga, ma pur sempre perfetta come fonte luminosa: ora la camerata è più nitida, e lo scaltro pirata può distinguere nettamente dei vecchi cannoni di battaglia accatastati alla parete, più un vanto per gli inglesi che una vera arma, ma li trova carichi e dunque efficaci.
Jack continua a combattere, volgendosi volontariamente sul lato opposto della stanza, rispetto gli attempati cannoni, e una volta raggiunto il punto esatto da cui mettere in pratica il suo piano, spara in aria l’ultimo colpo di pistola a sua disposizione, che va a vuoto sul nemico, e mira soltanto una lampada ad olio della parete.
La lampada cade e urta il retro di un cannone, puntato verso la loro cella, il quale inizia subito ad incendiarsi.
A quel punto il Capitano annuncia inaspettatamente la propria resa, Patrick viene catturato a sua volta e rinchiuso con lui nella prigione in cui si trova imprigionato ormai da parecchi giorni.
Gli inglesi soddisfatti di aver in custodia un criminale tanto celebre come il Capitan Jack Sparrow, iniziano a declamare i seri provvedimenti che applicheranno su di lui, è un sottufficiale di Norrignton a parlare, il suo nome è Gillette, dando poca importanza all’odore di polvere da sparo che s'innalza alle loro spalle.
In breve la fragile miccia si consuma, innesca il cannone, e le giubbe rosse vengono sopraffatte dal rombo di un colpo, che porta via con sé una decina di loro, ferisce tutti gli altri e assicura ai due fuggiaschi una via di scampo sicura.

“Ecco cos’è stato quel terribile frastuono che ho udito da lontano!” sbotto sgomenta, rialzando la testa dalla spalla di Jack per guardarlo fisso negli occhi.
“Come vedi sono ancora qui, tutto intero, tesoro. Non hai nulla da temere!” conforta spavaldo con un ampio gesto della mano attraverso cui sottolinea la sua persona.
Mi scuso con Scilla per l’interruzione.
“Continua, continua! Mi sto appassionando” esorta infervorato la donna incappucciata che cinge, quello strano giovane divino che mi scruta incessantemente con un sorrisetto sghembo da dietro il tavolo.
“Ma tu eri presente, sciocco!” lo riprende Scilla ridente.
“Questo è vero, ma adoro come lo racconti tu!” ammette Patrick impacciato, in cadenza dolce.
“Bhe ormai si è quasi conclusa...” afferma Scilla spaesata, deve aver perso il filo del discorso.
“Allora concludi!” la sostiene il suo aiutante stringendola a sé dalle spalle.

Con l’esplosione un cumulo di terra atterra su di loro, ma i due riescono ugualmente a liberarsi, usandola piuttosto come rialzo per raggiungere la falla sopra le loro teste, la quale conduce ad una verde vallata sul retro del forte, e alla libertà.

“Fine...”
E’ questa la storia riferita da Scilla, confermata da Jack e che ora gira su ogni bocca della ciurma, eccetto il particolare della vera natura del ragazzo, di cui solo noi siamo a conoscenza, per narrare la rocambolesca liberazione di Patrick.
“E, se posso, tu invece come fai a conoscerne distintamente ogni dettaglio, visto che non eri lì?” domando curiosa sorseggiando del thé caldo a lume di candela, intorno ad un tavolino della sala da pranzo dove ci siamo riuniti una volta salpati da Mayan.
“Ho sognato ogni evento di quest’oggi ieri notte, già sapevo...” replica Scilla.
“E’ stata mamma, vero?” deduce fiero il semidio.
“Chi altri se no” dice la donna con un sorriso, abbassandosi il mantello rosso che ricopre una copia perfetta del vestito da Contessa, da lei stessa fattomi indossare poco prima.
Giunti alla nave e rinvenutala con quelle vesti mi ha spiegato di aver distratto Norrington fingendosi a sua volta la Contessa, dato che il Commodoro, in sede distante al carcere, non poteva conoscere i nostri volti e smascherare l’arcano.
Dunque ogni tanto si scopre il viso, mi piacerebbe proprio vederlo!
Sono sempre più confusa riguardo questo bizzarro piano... Ma l’importante è che abbia funzionato.
“...Vogliamo passare a me?- propone il semidio, passando da una postura rilassata ad una più composta, e cercando un cenno di assenso dalla compare- Bene... Se non sbaglio non ci siamo ancora presentati!” debutta alzandosi in piedi scattante e porgendo il palmo aperto al Capitano.
“Capitan Jack Sparrow, benvenuto a bordo figliolo!” ricambia con una stretta vigorosa.
“I miei rispetti Capitano, per me è un vero piacere conoscervi di persona, anche se non siete esattamente come vi immaginavo...” ammette infine con sincerità, rabbuiando leggermente il suo fresco entusiasmo.
Scilla pare irrigidirsi di colpo.
“Non fraintendetemi, vi ammiro molto!” si riscatta il biondino, con un sorriso rassicurante il quale gli riduce occhi a due fessure, riempiendo l’accigliato Jack di pacche sulla spalla.
“E tu... -enuncia passando a me. Si sistema i capelli cespugliosi, pettinandoli con le dita e mutando la sua inclinazione affabile ad una più suadente- Sono estasiato... E profondamente onorato della tua conoscenza -diviene la caricatura di un gentiluomo, mimando altresì un inchino- Il mio nome è Patrick Wallace” replica prendendomi la mano con delicatezza.
“Jennyfer Allyson...” dico a mia volta, guardando di sbieco quella sua strana condotta. Ora, la luce proiettata su di lui mi dà modo di distinguere nettamente quelle grandi iridi che inviano cenni di consenso a Scilla. Ho fiutato qualcosa tra loro, una muta intesa, un inenarrabile segreto...
E’ incredibile come un colore così freddo possa mancare di stonare su un viso colorito come quello di questo giovine, squadrato, marcato, ma obiettivamente bello.
“Lo so!” dice Patrick di colpo facendomi sobbalzare.
...O mio dio, legge anche nel pensiero?? penso arrossendo senza volerlo.
“So chi sei, perfettamente come ricordavo -ok, forse non ha questo potere...- Caspita... Sempre da togliere il fiato, anche se dovresti crescere ancora un po’...!” precisa lisciandosi il mento ricoperto da un accento di pizzetto.
Lo guardo attonita e sollevo un sopracciglio sarcastica per lasciare intendere tutto, senza valermi di parole.
Cos’ha detto?! D’accordo, basta, tutte queste attenzioni sono un un po’ troppo... Jack, attacca!!
Ma il mio fido segugio da sguinzagliare al momento opportuno è rimasto esattamente nella posizione di prima, e si tortura pensieroso una treccina con il medesimo sguardo attonito di poco fa.
Probabilmente sta immaginando come Patrick immaginava di immaginare una icona come lui nel mondo della pirateria.
Ho come il sentore che questo nuovo arrivato sarà un bel grattacapo.
“Complimenti, Jack! -il semidio torna a discorrere col Capitano- Hai proprio una bella barca...!!” si appropria già della sua confidenza, poggiandogli un gomito alla spalla, e facendolo sobbalzare.
Jack disgustato e oltraggiato da quel contatto, lo allontana e si dà un tono di comando dei suoi: "Prima di tutto IO, TUO Capitano. E seconda cosa: la Black Pearl è una NAVE!"
“Sissignore...Capitano!” replica sommessamente, portando il palmo chiuso alla fronte, prima di arretrare a passo felpato e ripararsi fingendosi intimorito dietro a Scilla.
Ci mancava solo un giullare di corte a bordo, questi due insieme saranno esilaranti.
“Dovete scusarlo Capitano- Scilla prende le sue difese- E’ relativamente nuovo nel mestiere, anche se ha sangue pirata che gli scorre nelle vene...”
Quest’ultimo particolare stuzzica l’attenzione di Jack che si fa più interessato.
“Wallace eh...? -borbotta tra sé e sé scrutando il ragazzo- il primo Ufficiale di Hellburne, immagino” detrae dai ricordi dopo averci pensato a lungo.
“Esatto, signore. Il corpo mortale di mio padre ha baciato il fondo del mare tanti anni fa, e non ne è più tornato” narra mascherando la sua disinvoltura in cruda serietà.
Deve provocargli ancora tanto dolore, se per dirlo deve abbassare lo sguardo al pavimento e increspare le labbra in quel modo amareggiato.
“Allora vedi di arrecare onore al suo nome frattanto che sei qui, evitando di correre alle gonnelle per il minimo rimprovero. Quelle ti servono, sì, ma.. ad altri... fini!”  lascia intendere gesticolando davanti alla faccia, anche se è stato perfettamente chiaro.
“Sissignore, e grazie, signore! -replica umilmente- Sarò un ottimo tramite tra voi e Scilla, vedrete!”  conclude sheckerandogli la mano dalla gioia, per scoppiare poi in una risata fresca e contagiosa, che si estende anche a Scilla, e si, lo ammetto, un po’ anche me.
“Bene -dice Jack adempiuto- Credo sia ora di far ritorno alle nostre stanze, e dato che il nostro ospite illustre si tratterrà a lungo, dico di iniziare assegnandogli un giaciglio per la notte. Jenny, ci pensi tu?” propone senza celare una risata sotto i baffi.
Oh no, io non mi inoltro in quella camerata di depravati.
Spalanco gli occhi con le labbra serrate per non mimare un no con la testa, ma far comprendere la mia risposta a Jack, che al contrario finge di non vedere.
“Io ti aspetto in cabina!” mi sussurra suadente all’orecchio, prima di darsela a gambe in andatura dondolante.
Oh no, accidenti! Ora mi tocca farlo sul serio...Ma...Un momento, dove si è cacciato Patrick?!?
Era qui fino ad un istante fa, in compagnia di Scilla, ma ora paiono dissolti.
Setaccio tutta la sala da pranzo con lo sguardo, eppure è sparito, deve aver imparato bene dalla sua compare.
Arresami, sto quasi per tornare in cabina, approfittando della scusante di averlo perso, se non fosse che me lo ritrovo lì fuori, sporto dal parapetto, e intento a contemplare sognante il luccichio ammiccante del paesaggio stellare.
“Ah, ecco dove ti eri cacciato!” commento andandogli incontro svogliata.
Lui non replica, non a me almeno, infatti lo sorprendo a discorrere con non so cosa di preciso, visto che siamo soli, Scilla si sarà polverizzata come è solita fare.
Eviterei spiegazioni, ma lui mi precede: “Scusa, Jennyfer. Parlavo con la nonna, era in pensiero per il suo adorato nipotino, sapendomi dietro le sbarre” parla in tono discorsivo e naturale, è quasi da credergli.
Oddio... Jack mi ha lasciato in compagnia di uno schizzato...
Non sarà mica uno di quelli come ne esistono nel 2000 che pensano, chessò... Di essere Elvis Presley, spero!
“Tua...cosa?!? E dove sarebbe, sentiamo” replico scettica.
“Ma qui! -afferma convinto, indicando di fronte a sé, praticamente il nulla sospeso nell’acqua essendo questa nave in movimento- E qui, e qui...- continua sicuro, additando nessun punto in particolare al suo fianco e vicino a me- E’ ovunque!- dice infine mimando un grande cerchio con le braccia- E’ ieri notte... Questa notte e tutte quelle che verranno” diviene finalmente chiaro, anche se per me è ancora difficile accettare tutto questo e prendere ogni sua parola per vera.
“Lei è Nyx- prosegue disinvolto, come se mi stesse presentando ad una persona e sia ovvio che io la veda e la conosca- La Dea della Notte!” palesa sorpreso.
“Perdona la mia ignoranza, ma non ne so un granché di mitologia” ammetto con dispiacere, è una di quelle cose per cui non mi è stato dato modo di rimediare.
Il semidio ostenta tutta la sua meraviglia con una specie di gemito: “Una cervellona come te che mi cade in questo modo poco elegante?!?” dice prima di mostrare un sorriso canzonatorio.
“E tu invece che razza di Dio saresti, dei giullari?!” domando incuriosita.
“Io sono il Dio della Memoria, è un fatto recente a dire il vero! Fin dalla mia nascita sono sempre stato consapevole di non essere la norma, avevo dei poteri simili ai miei avi, ma non ancora miei” conversa amabilmente, anche con gesti, sguardi, senza mancare mai di coinvolgermi. E’ assurdo e comico, sembra che ci conosciamo da sempre, non da una sera, ma lo trovo ancora a dir poco strampalato.
“Invece ora, offrendovi il mio aiuto, sono stato riconosciuto come Dio a tutti gli effetti. Ma non è finita qui! Devi sapere che ho una particolarità controproducente -la sua scelta dei termini mi fa ridere in continuazione-Sì, è così -ride lui stesso- Sai, anche io ho vissuto per un po’ di tempo tra gli anni ’90 e 2000 -quest’ultimo dettaglio mi fa impallidire fino alla radice dei capelli, pare un tempo così lontano, un altro universo quasi...eppure ci ho vissuto...- Stavo a New York però, tranquilla, non mi aggiravo dalle tue parti inseguito dai piedipiatti” scherza mettendo un broncio serio e pronunciato nella mascella, come fosse un criminale malintenzionato.
“Mi trovavo lì per studiare e tentare di capire il mio “disturbo”. Vedi... Ho scoperto di non avere memoria a breve termine!” sostiene sconvolgendomi a dir poco.
“...Tu??” controbatto a bocca aperta.
“Già, me... I miei ricordi durano da qualche secondo a poche ore. Domani potrei anche dimenticarmi chi sei. A volte inizio una frase, e prima di finirla... Che stavo dicendo?” domanda spaesato con la fronte corrugata.
“Che dimenti-...”
“Ahahah, scherzavo Jennyfer!” mi interrompe per prendersi gioco di me.
“D’accordo che son smemorato, ma pochi secondi li rammento ancora!”
“Sciocco, io mi preoccupavo sul serio!” ammetto beffeggiata.
“Oh-ho, conto già così tanto per te?” tipica frase dal retrogusto di scherno, ma non troppo, che in breve avrei identificato come “classica affermazione da Wallace”.


*


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Capitolo 14
*** Brando ***


chap
Avvisi per i lettori:
Salve gente!
Il capitolo che segue avrà qualche sfumatura drammatica in uno stile un po’ nuovo, avverto che amo il genere horror, ma è la prima volta che mi cimento in qualcosa di simile, perciò confido sempre nel prezioso aiuto nei miei maestri Bram e Gaston XD speriamo serva.
Sarà suddiviso sempre nelle 3 solito parti di cui per il momento vi offriamo la prima.
Non dimenticate di dirmi se i miei maestri possono essere almeno un pizzico fieri di me =)

Ringraziamenti:
Rebecca Lupin: Se Patrick è di tuo gradimento aspetta di vedere che combinerà qui ;) E siamo solo all’inizio! Grazie infinite!

 _Celia_: cara, vedi tu o meno che farne di quest’altro Wallace =P lol Da chi poteva prendere se non da Leonard? XD Shhh valà che se non fosse così dovrebbero inventarlo ^^ A parlare di “fedi nuziali” è proprio il periodo giusto questo eh? eh? eh? *w* non vedo l’ora di sbirciare la tua!!! grazie e Baciii!!!

 _Kia_Smile_: Temo che il fascino non sia nostro ma di quel disgraziato di un Capitano mannaggia a lui *w* Per Dylan c’è solo da aspettare ;) torna tra 20 anni no? :D (ok basta non posso più dire niente -.-) Patrick conosce Dy perchè Dylan è il guardiano della mappa e Patrick è una specie di esperto a riguardo dopo tanti anni trascorsi con Scilla. Grazie per tutto l’apprezzamento!! ^^

e già che ci sono ringrazio anche...
chirkin: io sto diventando una fanatica dei modi di dire americani, perchè un giorno vorrei capirlo alla perfezione perciò mi appassiono di tutti sti termini per noi strani, ma questa “soccer mom” non l’avevo mai sentita :D grazie per la precisazione! Sì in effetti da come mi hai spiegato,  Loren Allyson potrebbe benissimo esserlo! ihihihihi Quale suocera non vorrebbe un genero così :Q___
Andrè interessato? Solo per quanto gli concerne suvvia ;) ti ringraziamo moltissimo per il tuo commento divertente! :D

E siete i benvenuti anche solo per dare un’occhiata!
Buona lettura!


Capitolo 14
Brando

tales

Se dopo tante notti di sonno scostante e irregolare, finalmente ti precludi che questa sarà quella giusta, bhe, sai già in partenza che ti sbagli.
Sono andata a dormire serena, con la testa piena di pensieri, e discorsi intrattenuti fino a a tardi con Patrick. Era così tanto tempo che non parlavo con qualcuno di canzoni, gruppi musicali, attori, scadenti serie televisive, di film...!
Quando ne accenno qualcosa a Jack è divertente, replica sempre con nuove assurde espressioni, immagino pensi che so parlare qualche astrusa lingua aliena, ma ora come ora, anche se Patrick fosse un serialkiller, per lo meno ho constatato che è di buona compagnia.

Andrè di norma non è un ubriacone. Il suo piacere per il vino rientra solo in quelli finalizzati alla cucina, per dare sapore alle pietanze, ma quest’oggi si è lasciato trascinare dall’euforia di altri membri della ciurma, e data la lunga permanenza altrove del Capitano, ha alzato un po’ troppo il gomito, anche se ora è incaricato del turno di guardia della notte.
La sua vista è così ridotta e annebbiata, che il suo capo di fini riccioli argentei si è messo a dondolare da un po’ su quel collo con la pelle da volatile, e infine è crollato in avanti, piegandosi sul petto, seguito da un sonoro grugnire.
Non ha notato di certo che sul ponte non è solo, come potrebbe?
E di quale compagnia poi!
Nyx è lì, per davvero, s’erge in tutta la sua oscura figura, avvolta in un mantello d’ombra.
Di lei è distinguibile soltanto un volto dal pallore lunare, dove si ritagliano due occhi fissi e attenti sull’orizzonte blu, ora inghiottito dalle tenebre, su cui vaga una nave battente bandiera spagnola, senza una precisa destinazione, dopo che è stata sorpresa a suo sfavore dall’improvviso cambiamento delle correnti.

Come dicevo, ero convinta di trovarmi al sicuro tra le braccia di Morfeo, che da quanto sostiene Patrick dovrebbe essere... il fratello gemello di Celia, nonché... suo zio. Dirà sul serio?
Invece no.
La porta della cabina è chiusa a chiave questa notte, come le finestre. Non tira grande vento sulla nostra rotta, ma vi è ugualmente qualcosa che disturba il mio dormiveglia.
Trovo incredibile come non riesco a dormire per la minima alterazione della solita inerzia.
E’ un rumore sordo, cadenzato da degli scricchiolii, suppongo venga dal corridoio.
Può sembrare niente, ma questa incertezza oltre ad innervosire mi fa a dir poco accapponare la pelle e innesca una scarica di brividi lungo tutta la spina dorsale.
Non voglio aprire gli occhi, anche il solo socchiuderli spezzerebbe irreparabilmente la mia fragile illusione di riposo, e... Sì, temo chi o peggio cosa mi troverò innanzi, eppure in breve la curiosità sovrasta ogni pigrizia.
Scivolo via dalla pelle tiepida di Jack, e mi allontano svogliata dal mio sonnecchiare col viso nascosto tra la spalla e il suo collo.
In temporanea mancanza della vista dovrò fare affidamento unicamente sugli altri sensi.
Salda sui gomiti, trattengo il respiro rimanendo in ascolto, attendo nuovi sviluppi, ma non avviene nulla, eccetto il galoppo sfrenato intrapreso dal mio cuore.
Riabbasso lo sguardo, perdendomi per un attimo ad ammirare la sagoma del Capitano, probabilmente smarrito in un sogno piacevole, è l’unica cosa che riconosco malgrado il buio dal contrasto della sua pelle scottata e bruna con le lenzuola candide.
Un oggetto metallico e pesante crea d’improvviso un attrito sulla parete lignea, appena fuori la porta della nostra cabina, annullando del tutto il mio debole autocontrollo creatosi con l’apparente stato di quiete.
In un attimo mi ritrovo ribaltata a pancia in sù, dal salto fatto per lo spavento, ancora pochi centimetri e sarei finita sul pavimento.
Respiro affannosamente, aggrappata alle lenzuola sotto di me, gli occhi sono sbarrati, fissi allo stipite e al fondo della porta dove ora timidamente si fa strada una luce.
Il petto e lo stomaco si stringono in una morsa, cerco inutilmente di deglutire quando noto che il raggio del tenue lume si interrompe in due punti, dove è sostituito da due sottili ombre nere, quasi sicuramente le gambe di una persona.
Nelle migliori delle ipotesi può trattarsi di un membro dell’equipaggio piuttosto stordito e confuso per trovarsi qui, quando la camerata della ciurma é altresì sottocoperta.
Oppure qualcuno venuto a richiedere la presenza del Capitano, se è così perché ci impiega tanto a bussare?
Suvvia, non potrà essere un malvivente... Non tocchiamo nemmeno terra.
Eppure c’è sempre l’ipotesi di qualcuno disposto a compiere gesti brutali per prendere il posto di un Comandante, basti pensare al padre di Patrick...
D’accordo, è meglio che la finisca qui! Sto andando in paranoia. 
Jack d’altro canto pare estraneo a tutto, il suo corpo non accenna ad interrompere il riposo per qualche movimento insolito, sarà certo abituato ai moti violenti del mare.
Dalla mia gola prosciugata fugge un fremito alla vista delle ombre palpitare e poi muoversi, ansiose, trascinando il lume via con sé.
Tremante e incapace di reagire, a labbra vibranti mi ritrovo a stringere gli occhi e pregare che chiunque o qualunque cosa sia, sparisca al più presto.
La mia supplica viene assodata da uno scricchiolio sinistro nella stanza accanto, che ora pare esser stata occupata da dei veri e propri tonfi di passi, poi più nulla, né luce né rumore.
Tornata a respirare, seppur ansimando, sfrutto l’ultimo briciolo di adrenalina rimasta per obbligarmi ad alzarmi da quel letto ed andare a vedere di persona.
La spinta decisa si eclissa una volta in piedi, quando la consapevolezza di inoltrarmi alla cieca in una presunta insidia mi provoca dei leggeri cerchi alla testa.
Ripreso il comando di me stessa, afferro il primo capo a terra in cui mi imbatto: perfetto, è una camicia! L’abbottono nel modo meno corretto, giusto per coprire il necessario, e poi al momento l’unica vera preoccupazione consiste nel trovare il fegato di aprire la porta confinante che conduce alla mia vecchia stanza, ora dimora di uno sconosciuto.
Mentre mi dirigo riluttante verso l’apertura mi rendo conto di esser disarmata, anche se nell'evenienza tengo il pugnale sotto il cuscino, precisamente da quando quel fantasma di Scilla si aggira un po’ troppo nei dintorni, sempre se riesco a prenderlo.
Ormai prossima alla maniglia, mi soffermo un istante ad accendere la lampada ad olio che Jack tiene sul comodino, proprio accanto alla porta. Questa mi darà modo di vedere all’interno dell’altra stanza.
La cosa migliore è spalancare la porta in un solo colpo deciso, e così avviene, sebbene mi ritraggo subito in un angolo, salvo poi affacciarmi cautamente in precauzione.
E’ passato qualche minuto dall’ultimo scorcio di movimento, e la mia vecchia camera da letto è da un po’ silenziosa.
L’ambiente è tranquillo infatti, la fiamma che si dimena nelle pareti di vetro illumina fino ai piedi del letto, quello appartenuto a Dylan per la precisione, dove scorgo distintamente un rigonfiamento.
Si è anche coricato?!
Incredula, afferro la mia guida di luce, e giunta al letto ritraggo in una sola mossa le lenzuola...
“...PATRICK?” insorgo irosa con un balzo all’indietro.
Lì giace l’aitante semidio, vittima anch’egli del sonno mortale, sebbene mi avesse giurato gli capitasse solo saltuariamente.
Dal cuscino di piume riemerge il contorno del suo viso, deformato in un ghigno dalla parvenza dolorosa, ma solo a causa della luce che stringo tra le mani e gli ferisce le iridi sfumate di azzurro.
“Je-en... -farfuglia in cadenza baritonale, tentando invano di domare la chioma ondulata sulla sua fronte, che ora pare vittima di una scarica elettrica- E’ già mattina?”
Non so esattamente perché, né come, ma alla vista di quel posto occupato, rimpiazzato senza volere, vengo colta da una stretta alla gola e al cuore che pare soffocarmi e sfociare in rabbia.
“Al contrario... E’ ora che tu sgomberi da qui!”
Patrick riconosce subito il mio tono non più amichevole come prima, ma simile al ghiaccio secco, e si dà da fare alla bell’e meglio per eseguire, anche se l’assopimento rallenta i suoi movimenti e lo rende goffo e fiacco.
Mi trattengo con sforzo dal rimproverarlo, incitandogli di andarsene, per farlo devo distogliere lo sguardo, abbassandolo al pavimento, e stringere i pungi il più possibile.
Ripeto più volte a me stessa di rimanere calma e lucida, ma è l’impazienza ad avere il soprassalto.
Lancio un altro sguardo al letto, augurandomi che l’abbia già liberato, ed è proprio in quel momento che vengo colta dallo smarrimento e da una forma di disperazione mai conosciuta fino ad ora: inizialmente non vi avevo fatto caso, ma vedere di nuovo quel lettino sfatto, violato, rianima un vuoto a me rimasto che non credevo tanto radicato.
Le mie iridi lucide e annebbiate si spostano sul guanciale, e solo adesso si fa viva la consapevolezza che così ha perso per sempre l’impronta di quella testolina piena di idee e di sogni legati ai pirati.
Ripercorro con lo sguardo della mente i mesi appena trascorsi, cercando di ricreare Dylan lì, lo stesso di allora, eppure fatico perché solo adesso mi è chiaro come non gli mai dato tutta l’importanza che dovevo.
Mi concentro, riflettendo inutilmente, alla ricerca del fresco suono della sua voce... Ma è qualcosa che non vorrei sentire ad allontanarlo: “Jenny, ascolta, devo dirti...” si fa avanti Patrick dopo essersi rialzato dal giaciglio.
Il giovine tenta di afferrarmi dalle spalle per far sì che lo guardi in volto, la mia reazione istintiva è quella di respingerlo con foga liberando un grido di rabbia incontrollata che sa solo intimare: “VIA! HO DETTO FUORI!”
Il timbro acuto di quei scalpiti causa un trambusto che si scopre un attimo dopo aver rianimato le membra stanche del Capitano, il quale appare alla porta, millantando in modo insolito il suo abituale vestiario: calzoni infilati al contrario, le tasche posteriori di questi sporgono rovesciate dalle sue anche ossute. Un solo stivale al piede destro, il tricorno storto sui gonfi occhi semichiusi, e nel dubbio la pistola puntata dritto dinanzi a sé, pur non sapendo di che si tratti.
Una volta messa a fuoco la scena, da dietro le sue palpebre marcate di kajal, giunge un profondo sospiro di disappunto, insieme al mormorio impastato di sonno: “Allyson...”
La figura dondolante di Jack compie con l’indice un cerchio, il quale racchiude in una linea immaginaria gli abiti restanti che il novellino non ha ancora indossato, ed impone secco: “Tu, fuori di qui e aspetta”.
Per quanto concerne me, vengo trascinata nella nostra stanza e fatta sedere pesantemente sul letto.
Mi sento priva di forze, in balia di qualunque cosa possa investire il mio essere, è esattamente come osservare dall’esterno la marionetta inferma di me stessa.
Nel punto fisso in cui la mia vista si è fermata non vedo niente, mi è solo dato sentire cosa mi succede intorno, ossia ascoltare i movimenti rapidi e nervosi del Capitano, intorno alla cabina, mentre borbotta qualcosa di indistinto.
Obbligo il mio corpo a riprendere il controllo delle mie possibilità, le mie labbra si schiudono, ma esitano ancora prima di parlare: “Non mi hai mai chiamata solo per cognome” esprimo con timore. Un altro modo per dire “significa che questa volta l’ho combinata grossa?”
“Credi davvero che non conosca per intero il nome di chi ogni notte mi riposa vicino? O almeno, finge di fare questo, dato che da più vespri non mi è dato dormire!” si corregge risentito, percorrendo per in lungo tutta la stanza, in posa di riflessione.
“Mi spiace...” è la mia unica ammissione sinceramente sofferta.
“Si può sapere che ti prende? Prima tenti di uccidere Scilla, ieri notte vedevi i fantasmi e ora ti metti ad ingiuriare i nuovi arrivati...” sintetizza il tutto strabuzzando le orbite nel suo modo enfatico, ora inginocchiandosi dinanzi a me.
Il mio sguardo corrugato e contrito replica la mia affermazione precedente.
Le sue mani strette sulle mie ginocchia, aderenti alla sponda del letto, tentano di infliggermi forza e appoggio.
“Prova a spiegarmi che ti è successo”
“I-io non lo so... Ho sentito dei rumori, mi sono spaventata... -debutto ansiosa- E poi una volta aperta la porta qui accanto, ho visto Patrick lì... Non so che mi è preso, mi ha fatto pensare...” tento di continuare con l’orrore negli occhi.
Non vi è bisogno che concluda la frase, Jack ha già capito, e si rialza risentito.
“Jennyfer... Io so di non poter comprendere quanto tu soffra ancora, ma invece so che tu non puoi continuare a vivere con qui accanto una tomba sigillata!” questo suo ultimo termine ben marcato mi fa sobbalzare e rabbrividire.
Come...Cosa intende per tomba...Dylan?
“Chiudendo a chiave questa porta non terrai al sicuro più a lungo il ricordo di tuo fratello!” scaglia queste parole contro il pannello ligneo, battendovi forte sopra con una mano.
Ora ho la conferma che ha inteso.
“Sbiadirà, diventerà flebile e lontano, tranne qui... -precisa colpendo con un leggero pugno chiuso il centro del mio petto- ma di certo non te lo riporterà indietro!”
Quelle terribili parole veritiere inondano i miei occhi di tristezza, ma Jack non mente e finalmente so che ha ragione.
Mi limito ad acconsentire dondolando il capo, con la bocca serrata per cercare di non piangere.
Dopo pochi secondi trascorsi in silenzio, domanda con delle carezze che fa risalire lungo le mie gambe: “C’è qualcosa che posso fare per te?”
“Stringimi, ti prego” gemo allungando le braccia verso di lui.
Solo il tuo ampio torace è capace di farmi sentire così tanto al sicuro.
Le dita affusolate del Capitano passano tra miei capelli, massaggiando le tempie tese, la mente ora vuota dai pensieri, ma dalla massa ancora tanto pesante.
“...E dimmi: nel futuro che facevi esattamente in momenti come questi per sentirti meglio?” chiede curioso, solleticandomi la fronte con il suo mento irsuto, ma morbido.
“Uhm... Trovavo consolazione in una tazza fumante di cioccolata calda!” dico dopo aver riflettuto un istante. Meglio non spiegargli che ci mettevo dentro anche 5 marshmallow di taglia piccola, penserebbe che sto ancora delirando.
Jack scatta in piedi, dandosi un tono intrepido, come in partenza, alla ricerca di quell’elisir del buon umore nella piccola credenza della cabina.
Ma il suo avventuroso viaggio viene deturpato da un commento beffardo, mentre il Comandante oltrepassa la porta d’ingresso: “E già che sei lì, per me un caffè senza zucchero, Jack. Grazie! Dato che ho il sentore di dover attendere qui fuori ancora per molto...” è Patrick a parlare, dallo stipite della porta.
Porto una mano alla bocca per reprimere una risata, mentre Jack compie un perfetto mezzo giro del busto e mi scruta a labbra imbronciate, fronte corrugata e lo sguardo stralunato.
Con un gesto della mano lo prego silenziosamente di non rispondergli male a quel buontempone là fuori.
Il viso del Capitano si dipinge di una smorfia maligna e sgambetta infervorato verso l’anta dietro cui nasconde qualche vivanda.
Lo vedo trafficare a lungo con brocche, barattoli e tazzine, poi infine, riappare alla luce tremolante della lampada, con tre chicchere in mano.
Ha davvero preparato del caffè per lui?
Dondolante, ne poggia due sul tavolo, e si accosta alla porta.
Con uno scatto, abbassa la maniglia, trovandosi subito lì dietro il volto adempiuto di Patrick, pronto ad allungare la sua zampaccia e appropriarsi del caffè, quando invece un guizzo fulmineo lo precede, e gli inzuppa il d’acqua il bel viso, ora corrucciato.
Jack richiude di colpo la porta ridente, commentando: “Questa ti terrà altrettanto sveglio!”
L’avevo detto che questi due faranno faville insieme!
“Tu giochi proprio sporco!” scandisco a mia volta tra le risa, mentre mi porge la mia tazza.
“Pirata!” palesa soffiandomi sul collo.
Sto per inclinare la tazza quando al mio naso giunge un odore che si allontana molto dalla cioccolata.
Avevo già notato che le pareti di porcellana erano fredde, ma poteva esser giustificato, non abbiamo un fornello elettrico in cabina.
Eppure le sfumature ramate al loro interno sono inconfondibili: “Mi hai dato del rhum?” sbotto contrariata.
“Spiacente tesoro, non disponiamo di cioccolata al momento!” si giustifica trangugiando avidamente la sua parte.
“Tieni, bevi anche il mio...” non se lo fa ripetere.
“Com’è che ti trovata mezza nuda nella stanza di un altro uomo?” domanda tra i grandi sorsi, fissandosi sulle mie gambe spoglie distese lungo il letto.
“Cosa?” erompo io, voltandomi per vedere se dice sul serio.
“Conosci la mia gelosia possessiva, e mi vendicherò per questo!” dichiara inizialmente con rimprovero, fino a farla sembrare una minaccia.
Osservo tutta le sue movenze colme di decisione divertita, che starà architettando?
“Inizia col riaccompagnare quel piantagrane al suo posto, come già dovevi!” dispone senza celare un ghigno adempiuto.
La mia replica è un sonoro sbuffo, devo farlo sul serio? Dannazione! La conosce la strada se è giunto fin qui prima!
Prima di trovare la voglia di alzarmi, gli porto via dalle mani il suo prezioso liquore, seguita da mille proteste.
“Yo-ho, beviamoci sù!” giustifico il mio gesto scolando in fretta le ultime sorsate, mi serve qualcosa per farmi coraggio.
Jack nel contempo ruggisce di rabbia agitando le mani sotto il mio naso per riaverla, ma una volta restituitagli la tazza, è già vuota.
Fuggo in fretta dal letto, per evitare peggiori reazioni, e mi chino a cercare stivali e pantaloni per adempiere all’ordine.
“Eh no, dolcezza! -ammonisce contrariato- Andrai così a riaccompagnarlo!”
La mia mascella sul punto di staccarsi e gli occhi fuori dalle orbite sono abbastanza evocativi per spiegare la mia reazione?
Lo sguardo imperturbabile di Jack fa correre lungo la mia schiena un brivido, e dalla gola giunge all’esterno un verso di disgusto e repulsione.
Ancora illusa che scherzi provo a sfidarlo, accingendomi comunque ad indossare lo stivale, ma ad ogni momento il suo sguardo diviene sempre più scuro.
“...O quantunque preferisci andarci pure senza camicia?” rilancia con una nuova proposta.
Questo è troppo!
Afferro lo stivale e noncurante lo scaravento sul letto a pochi centimetri dalla sua faccia compiaciuta, senza centrarlo.
La risata di scherno del Capitano accompagna beata il mio affronto ridicolo.
“Ci andrai così, ci andrai così!” cantilena schernitore.

-

Apro la porta della cabina già aspettandomi di trovare un Patrick non proprio trionfante dopo i giochetti di Jack.
E per l’appunto è così, rivedo il semidio, accostato alla parete, seduto sul pavimento con poggiata addosso una giacca che funge da coperta, mentre si trattiene la testa di riccioli grondanti con una mano.
I suoi occhi frastagliati di rosso, ora alla luce, confermano che forse aveva un gran sonno sul serio.
Sporgo dalla porta solo la testa, meglio che non veda il resto, cercando di sorridergli compassionevole, anche in segno di scuse: “Ehm... So che non è il caso di chiederti niente, ma potresti farmi l’immenso favore di voltarti solo per un secondo?”
Mi fissa stupito e risentito, ma poi impaziente di tornare a riposare, si rialza e mi porge le spalle.
Sgattaiolo nel corridoio come un ladro, in punta di piedi, lo afferro per i bicipiti e mi dirigo con lui verso l’uscita.
“Jenny, ma che succede?” si dimena cercando di capire.
“Voglio scusarmi con te per prima, non era mia intenzione aggredirti, ma ero spaventata. Adesso ti riporto alla tua branda, ma tu devi promettermi di rimanerci e di non voltarti per alcun motivo!!” stabilisco senza ammettere obiezioni.
“Perchè?” chiede imperterrito sbirciando con la coda dell’occhio.
“NO! Continua a guardare avanti!!” ribatto voltandogli con forza il capo.
“Va bene, come vuoi, ma non spezzarmi l’osso del collo!” si lamenta rassegnato.
“Femminuccia” mormoro sommessamente.
“Come dici??” sbotta risentito.
“Ho detto zitto e cammina!”
Una volta sul ponte deserto, l’aria pungente di notte fonda si fa ben sentire sulle mie membra scoperte, facendomi rabbrividire.
Ho la pelle ricoperta di pelle d’oca e fatico a cercare di non battere i denti.
A quella reazione insolita, il semidio della memoria mi sfugge alla presa, e torna a potermi guardare in volto, non senza una piacevole sorpresa.
La sua espressione sbalordita la dice lunga: “E per quale insulso motivo volevi privarmi della qui presente visione?” sentenzia squadrandomi dalla testa ai piedi.
Avverto la pressione salire alle stelle, maledetto Jack Sparrow questa me la paghi cara!!!
Mi compro il viso con entrambe le mani per coprire i segni della vergogna.
“Una persona rispettabile come la donna del Capitano non dovrebbe tentare di sedurmi così spudoratamente!” dice Patrick incrociando le braccia sul petto per darsi un tono di rimprovero.
Scosto le mani per lanciargli uno sguardo omicida.
“D’accordo, allora giri mezza nuda perchè hai molto caldo, non vi sono altri fini” si corregge porgendo le mani alte dinanzi a sé, in segno di resa.
Il mio grugnito rabbioso lo induce a seguirmi verso il dormitorio senza che gli preghi di farlo.
Eccomi arrivata a quel meandro tanto temuto, pullulante di bestie dormienti. Vorrei semplicemente dirgli di entrare e sbrigarsela da solo, ma ho già constatato che non lo farebbe.
“E dimmi, semidio, hai anche la capacità di vedere al buio per caso?” domando altezzosa.
“Sono il dio della memoria, non quello dei gatti. Certo che no!” mi delude.
Fantastico, non poteva esser meglio di così! Inoltrarmi alla cieca in mezzo a questi depravati con il testosterone a mille, più nuda che vestita, e per giunta in compagnia di un figlio dell’oscurità che in presenza del buio non vede ad un palmo dal suo naso.
Entrando opto per lasciare la porta dei dormitori aperta, almeno si spera farà più luce.
“Stammi dietro, metti i piedi dove li metto io” raccomando con un sussurro al biondino.
“E chi si scansa da qui!”.
Dinanzi a me distinguo solo i contorni di una foresta di brande, semplici fazzoletti di tela legati a dei pilastri cilindrici e lignei, abitati da corpi abbandonati che ronzano per i grevi rooon dei russatori.
Ora sì viene il difficile: scansarli tutti fino a giungere ad una branda libera e senza svegliarli!
Mentre proseguiamo a rilento, sul pavimento tasto di tutto: sembrano tappi, briciole, bottoni, brandelli di stoffa, qualcosa di viscido e scivoloso...
Riesco persino a sbattere il mignolo del piede nudo sull’angolo di quello che immagino sia un piccolo baule, lasciandomi quasi fuggire un grido.
Procedendo sempre più vicino al fondo nella stanza, i respiri sul mio collo e i grugniti diminuiscono, forse qui non c’è nessuno.
Allungo con prudenza una mano oltre un palo, e rinvengo una striscia di amaca vaneggiante: “Grandioso, questa è vuota, dormirai qui. Buona notte!” dico sbrigativa, impaziente di scappare.
“Dove dici? Non vedo niente” mi ricorda un sussurro dietro di me.
Tasto nel buio le grandi mani di Patrick, lisce e ben curate ancora per poco, aspetta che Jack ti dia degli ordini... E lo conduco fino a dove mi trovo, e ho individuato il letto sgombro.
“Bene, Patrick: questa è la tua...” all’inizio della frase avevo sentito un fruscio, ma ero convinta fosse qualche pirata intento a rigirarsi nella branda, invece avevo di peggio da temere.
Il fruscio viene seguito dallo scoppiettare di un fiammifero, o almeno così sembra, e alle nostre spalle si fa strada nelle tenebre la luce di una lanterna, seguita dal tono acuto di una affermazione: “TROVATA LA BRANDA?”
Riconoscerei tra mille quella voce, carica di cadenza scherzosa e affabile, sebbene ora l’abbia detto praticamente urlando: dannato Jack!!
Al suono di comando nel timbro del Capitano, ora ben vestito, la stanza si rianima come fosse giorno, di certo nessuno avrà inteso nel sonno cosa Jack volesse dire, ma questo branco di manigoldi è così abituato a scattare appena lo sente parlare, che malgrado l’assopimento son tutti in piedi sull’attenti.
I loro occhi gonfi e socchiusi, in pochi attimi, si puntano tutti sul fondo della stanza inondata di luce dalla lanterna, e non per la presenza laggiù del loro Capitano.
I versi di stupore, le risa sommesse, e i fischi di apprezzamento confermano fermamente il mio timore.
So solo che in questo momento vorrei morire, trascinando Jack nella tomba con me.

-

Esco dalla camerata a testa bassa, con calma, guardando bene dove cammino questa volta. Tantovale evitare di rompermi qualche dita dei piedi, e poi tutti han già visto benissimo le mie inadeguate condizioni.
Adesso la gelida brezza notturna mi è quasi piacevole e di conforto, rispetto a quanto è successo là dentro.
La porta della camerata si richiude alle mie spalle e non per mano mia, il brusio eccitato diminuisce, e va scemando rispetto alla solitaria risatina dietro di me che ora lo sovrasta.
“Con questa burla credo di aver superato me stesso! -attesta Jack fiero, rimanendo fuori dalla mia visuale- Ora quelli se ne compiacciono, ma non sanno che queste gambe appartengono solo a me!” continua beffardo sfiorando la mia pelle scoperta irritata dal freddo.
A me vorrai dire! -preciso ferma, voltandomi per fissarlo negli occhi e sfuggire al suo tocco- Tu scordati di vederle almeno per i prossimi 400 anni!”
“Così tanto? -esclama ironico, fingendosi sbalordito- Saranno cadenti e striminzite ad allora!”
“O peggio, saranno già polvere!” articolo fredda, incrociando offesa le braccia sul petto.
“Mi stai dicendo che non hai apprezzato di esserti sentita la donna più desiderata di tutta la nave poco fa?” dice in cadenza bassa e provocante.
Ogni mio tentativo di formulare una risposta esauriente viene subito represso da un unico istinto che libero all’istante, senza tante cerimonie: un sonoro ceffone. Ed è proprio questo che volta dalla parte opposta quel volto soddisfatto e smorza il suo ghigno detestabile.
“Per prima cosa non ho molta concorrenza essendo l’unica ragazza a bordo, e infine, vuoi davvero sapere come mi sento adesso? -pronuncio ad alti toni, trattenendo le lacrime di rabbia e nefandezza- Mi sento ferita, umiliata e sporca...!” le mie dichiarazioni si interrompono in coincidenza con il suono di un tonfo sordo, seguito da un brontolio richiamante aiuto, e proveniente con tutta probabilità da non molto lontano da dove ci troviamo.
Entrambi volgiamo stupiti in quel punto, una parete poco prima del dormitorio, e rinveniamo un catasto di pelli e vetri di vicino a una sedia.
Sono la prima ad avvicinarmi, e vedendo spuntare da quello che pare un cappuccio una ciocca di riccioli fumee, mi appresto subito a soccorrere il mio caro Andrè.
Dagli strati di pelle che si era ammassato addosso per passare la notte all’aperto, estraggo il dandy sù di giri, mentre biascica qualche frase senza senso e mostra una mano tagliuzzata dai pezzi di vetro di una bottiglia che ha rotto cadendo dalla sedia.
Mi inginocchio al suo fianco e gli tengo alta la testa delirante, cercando di calmarlo.
Jack mi segue in tutta calma, dondolando, riconosciuto Andrè ha frenato ogni allarmismo.
Avvicinatosi anch’egli sporge la fronte corrugata verso il cuoco, annusa l’aria nelle vicinanze e arricciando il naso schifato mormora: “Ma è completamente ubriaco!”
“E con questo? -sentenzio io- Anche tu ti sei scolato due tazze di rhum prima!”
“Sì mia cara, ma è a me noto, in quanto Capitano, e come regola riconosciuta quale legge nel codice dei pirati, che a bordo non sono consentite bevute fuorché sia il Comandante a permetterle espressamente!- dice con enfasi e ragguaglio- E io non ho mai manifestato l’appena citata intenzione verso la mia ciurma di recente. Mi trovo dunque costretto a punire questo sciocco vecchio” definisce non senza entusiasmo.
__“L’hai già punito abbastanza affidandogli il turno di notte. Senti qui, è congelato! L’umidità non è certo salutare per lui, devi revocargli la veglia notturna, fallo per il suo bene. Metti me al suo posto!” lo supplico stringendo Andrè a me, per dargli calore.
Tra i lamenti incomprensibili, gli occhi vitrei del vecchio marinaio si fermano finalmente sul mio viso e commenta allucinato: “Oh, Jennyfer... Che Sci fate qui? Come siete b-beLa al chiaRrro de lun..!”
Quella frase gentile viene smagliata da un “bleah” come reazione di Jack, il quale prosegue: “Non hai competenze per affrontare il turno di notte, in più abbiamo appena constatato che sarebbe alquanto rischioso per te -dice indicando col capo la vicinanza con il dormitorio- e in ultimo, ma non per importanza, non ti lascerei trascorrere la notte in nessun altro luogo se non al mio fianco!” stabilisce ferreo.
Sospiro contrariata, mentre procedo a soccorrere Andrè, fasciandogli le ferite sulla mano con una benda ricavata dalla manica della mia camicia, rallegrandomi che in realtà appartiene a Jack.
“Promettimi solo che non glielo farai più fare, e troverai una soluzione. Ci saranno pur altri pirati esperti a cui rivolgersi qui intorno!” osservo fissando con un nodo la fasciatura.
“Solo a condizione che tu rievochi la tua meschina promessa di prima!” patteggia con un rinnovato mezzo sorriso sghembo dei suoi, sulla guancia arrossata dal segno delle mie dita.
“Argh, maledetto sia il giorno in cui il mio cuore ha preso ad amarti!” imperverso persino contro me stessa.
“NOoOo...E’ impoSibile che voi amiate un veChio come moi, madamoiselle...” farnetica scuotendo la testa.
“Infatti è così Andrè -rido, consapevole che in seguito non ricorderà niente- Forza, aiutami ad alzarlo perfavore” chiedo al Capitano, afferrando Andrè per un braccio, è davvero pesante!
“Può fare benissimo da solo, è stato lui a ridursi così -si oppone risentito- Sono il suo Capitano, non la balia!”
“Jack, ti prego. Non fare il bambino!” lo riprendo a fatica, piegando il gomito del francofono dietro al mio collo per aiutarlo ad alzarsi in piedi.
I miei sforzi sono vani, dopo averlo leggermente sollevato, la mia poca forza cede, e Andrè ricade a terra a peso morto, non posso farcela a portarlo al riparo da sola.
“Benissimo, allora chiederò aiuto a quelle lumache bavose della tua ciurmaglia!” decido ostinata a realizzare le mie intenzioni, dopo il suo rifiuto.
Ride di gusto.
“Come? Non hai nessuna attitudine al comando, dolcezza. E quei lumaconi non ricevono ed eseguono ordini se non dal sottoscritto! Non ascolteranno mai una donna” pone in termini di sfida, fiducioso delle sue convinzioni.
“Sta' a vedere!” accetto la provocazione.
Rilascio il cuoco a terra, con la testa vagante poggiata saldamente al muro, e spinta dal mio presupposto mi dirigo marciando verso il dormitorio, dove il chiasso non è ancora cessato.
Spalanco la porta con decisione e a gran voce enuncio: “Signori! Perdonate l’intrusione. Mi servono due volontari tra voi!”
Una decina di volti ombreggiati, gli abitanti delle prime brande, mi fissano con la sorpresa negli occhi e il grugno in vista.
Un attimo di silenzio, e poi dalla camerata s’innalzano nuove grida e il fragore di molti trotti che si accalcano alla porta, tentando di farsi avanti per primi.
Ai due pirati usciti dinanzi ogni altro chiedo di riporre Andrè nel suo giaciglio, ma la soddisfazione più grande non rientra solo nell’aver riposto il caro cuoco al riparo dal freddo della notte...
Nulla compara l’amarezza dipinta sul volto di Jack quando per una volta, almeno una sola, qualcosa non segue alla lettera le sue convinzioni.

_Fine prima parte. Continua!


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Capitolo 15
*** Dead Men Tell no Tales ***


Capitolo 15



 Sono notti interminabili quelle trascorse a riflettere sul passato, e io decisi di trascorrere così quella che rimaneva.
Colma di imbarazzo verso la ciurma per gli stupidi “incidenti” appena avvenuti, non avevo il fegato di farmi vedere da nessuno, 
e dopo essermi assicurata con spirito materno che Andrè dormisse al caldo, mi rifugiai in un antro insolito.


Fui colta dall’impulso di “tornare indietro”, ai primi passi mossi su questa nave, dove nascono i miei ricordi legati ad un epoca 
in cui mi sono ritrovata strappando una vecchia mappa.
L’antro a cui mi riferivo prima è una cella, precisamente quella in cui il mio futuro amico Jimmy trascinò me e Dyaln per ordine 
del Capitano, quando eravamo semplicemente scomodi prigionieri.


E’ un piccolo spazio ristretto che mi dà sicurezza, almeno finché la porta di sbarre non si chiude a chiave, e ho quasi la certezza 
di non esser scoperta da nessuno qui, Jack incluso. 


Nessuno poteva sapere che faccende più gravi avrebbero occupato la mente brillante del Capitano in quel momento.

Di primo acchito, a chi lo guarda, Jack Sparrow può sembrare carismatico, appariscente... Una infinità di aggettivi. Ma, sempre 
superficialmente, la sua camminata cadenzata e dondolante non gli dona un’aria particolarmente vigile e cauta.
Eppure una vita a stretto contatto con i peggiori filibustieri del mondo là fuori, di accordi, raggiri, e contrattazioni di ogni tipo, 
in particolare sulla sua stessa incolumità, gli ha insegnato ad indossare semplicemente una maschera da lasciar cadere al 
momento opportuno.
“Prendi l'aspetto del fiore innocente, ma sii il serpente sotto di esso.''
Infatti, nonostante sembri un pendolo scoordinato lungo il ponte di comando, le fessure sottili a cui ha ridotto lo sguardo captano 
ogni centimetro dell’altra donna che ama, per assicurarsi che la sua struttura lignea sia impeccabile, prima di concedersi del riposo. 
Ed è proprio allora che il suo fiuto viene infastidito da una insolita combinazione di polveri.
Interrompe di colpo il passo, inarca la schiena all’indietro assumendo un’aria interrogativa, e porta il palmo di una mano alle narici 
per strofinarlo nervosamente.
Scruta il circondario alla ricerca della fonte che gli infastidisce l’olfatto, ma a sua insaputa viene accontentato senza ulteriori sforzi.
Dal parapetto, unico limite fisico tra il ponte della Perla e lo specchio d’acqua, irrompe a bordo un lampo di luce che si rivela fin da 
subito una freccia a cui è stato dato fuoco.
Alla vista delle braci infuocate i sensi di Jack si irrigidiscono, poiché presi del tutto in contropiede.
Il circondario fino a poco fa dormiente si rianima, e alcuni uomini, allarmati dal forte lezzo di bruciato, abbandonano le proprie brande.
I vari membri della ciurma dopo aver estinto quello che pare un incidente si sentono di nuovo al sicuro, pensano che sia stato frutto 
della inaccortezza di qualcuno di loro, ma se c’è qualcosa da temere in Jack Sparrow è il fatto che lui si trovi sempre due passi avanti 
al suo avversario.
La sua figura, ora prevalsa d’ombra, si è già fatta avanti verso il parapetto, con un braccio armato teso a quel mare che pare una distesa 
di petrolio.
Nonostante il buio, pone in allarme tutti i sensi, e teso come una corda di violino attende la mossa falsa dell’altro per fare fuoco a sua volta.
La freccia è giunta da un “messaggero” che deve trovarsi su di un appiglio lì in mezzo al mare, e lui è ansioso di localizzarlo.
Dalla vedetta avvistano qualcosa di sospetto su di uno scoglio che al momento la Perla aggira a tribordo, ma non c’è modo di appurare 
cosa sia, perché un nuovo sparo squarcia quegli animi allertati.
Non proviene dalla baionetta di Jack, né da altri passeggeri della Perla Nera, bensì da quell’ombra stessa che ha indirizzato al Capitano 
Sparrow un avvertimento “scottante”.
Sul ponte di comando, nel rinnovato sgomento, si confrontano nell’umida penombra degli sguardi increduli, dubbiosi e accigliati.
Solo Jack continua a far macchinare i propri pensieri, e torna sul primo indizio di tutta la vicenda: il luogo dove è approdata la freccia.
Salta subito all’occhio che a quel che rimane del dardo vi è collegata una fune molto spessa, la quale ricade a precipizio nell’acqua lungo 
il fianco della nave.
Il Capitano dà ordine di issarla, e dopo non pochi sforzi viene riportata alla luce la sua macabra estremità.
Dalle funeree acque di quello scorcio caraibico, viene a galla uno oscuro presagio che a Jack Sparrow era stato predetto, già molte volte, 
tutte smentite fino ad ora.
Dead Men tell no tales...

Sospesa nell’antro dei miei pensieri, cerco quell’ordine ideale che può ridarmi la serenità giusta per dormire, ma al suono di un lieve trotto
 lungo le scale, ho l’assoluta certezza che questo non avverrà.
Dal ponte superiore giunge un passo, nonostante il buio, spedito, sicuro, azzarderei allegro.
Dando le spalle alla scaletta non posso vedere di chi si tratti, ma spero semplicemente che non mi veda e prosegui per la stiva, così mi
 stringo ancora di più le ginocchia al petto, e prego di diventare invisibile.
Le mie vane speranze vengono del tutto annullate quando mi raggiunge il timido tremolio di una candela. Alzando gli occhi quell’ispido 
ciuffo biondo non è esattamente la prima cosa che vorrei vedere, e lo accolgo con una smorfia contrariata.
“Eh no eh... -commenta scherzoso- Senti, prima che tu possa ribattere qualunque cosa...” esordisce Patrick poggiando la fonte luminosa 
a terra, per raggiungere appieno la mia visuale “...Mi dispiace. E sono qui col cuore in mano!” la sua dichiarazione ai miei occhi è decisamente 
smorzata dal suo modo di fare che risulta un misto tra l’ostentazione di teatralità, stupidità e presa per i fondelli del prossimo.
“Per cosa?” borbotto.
“Ah, io questo non lo so... -ammette sistemandosi al mio fianco con la schiena contro le sbarre- Per qualsiasi cosa tu te la sia presa con 
me, prima... Quando mi hai cacciato dalla camera urlando”.
La mia risposta non verbale alla sua affermazione lascia intendere che non ho voglia di parlarne oltre. Volgo lo sguardo altrove, fingendomi
 assorta in chissà cosa nel buio. Magari ignorando la sua presenza se ne andrà sul serio fuori dai piedi!
“Senti, Jen. Davvero...” e qui dà il via ad un monologo accampato in aria sulle persone a cui teniamo e che abbiamo perso a cui non presto
 attenzione.
Ne deduco che deve aver origliato qualcosa su Dylan mentre ne parlavo a Jack. Dentro di me sto urlando a pieni polmoni di voler stare sola 
nel mio angolo della contemplazione, senza disturbatori delle “frasi fatte” a ronzarmi nelle orecchie e distrarmi.
Mi giro verso di lui per rivolgergli un’occhiataccia, ma continua a blaterare, imperterrito, e, anzi, vedendomi così sembra più divertito di prima.
Ora lo uccido.
No, non puoi.
E’ immortale...
Almeno, così dice.
Vediamo se è la verità!
“Come diavolo sapevi che ero qui?” lo interrompo alterata.
“...Ti ho seguita -replica interrompendo il soliloquio, indicandosi un orecchio- Non hai dei passettini felpati, sai. Tutt’altro.” e dopo la “cortese” 
sottolineatura si accende una sigaretta fatta a mano, bruciandone una estremità con la candela.
 Ammortizzo anche questa, non spreco il mio fiato prendendomela con questo qua.
“Sei fortunato ad essere il nostro tramite con quella strega indovina della tua amica, sai. Altrimenti non avresti altrettanta vita facile qui!”
Alla semplice menzione di Scilla cambia qualcosa, lo vedo illuminarsi in viso di un bagliore nuovo: nel buio appare tutta l’arcata regolare del 
suo sorriso, le iridi verdi vengono folgorate da uno scintillio e attorno al filtro si chiude una risatina strana.
La conversazione si fa, finalmente, interessante.
“Tu la ami?” La domanda irriverente, posta a voce alta rimbalza per un attimo tra le sbarre appena delineate.
“...Come dici?” dice lui quasi stordito dalla mia sparata, espirando molto fumo.
“L’ami?” Non riesco a celare un sorriso sornione.
La risposta di Patrick non perviene, almeno in apparenza, perché è il suo velo di tristezza ed improvvisa serietà a farlo.
Forse ho trovato il modo di zittirlo.
“...Ma almeno lei lo sa?” al momento avviene una sorta di inversione dei ruoli tra noi, ed io mi autoproclamo “la disturbatrice”.
Patrick reagisce positivamente, credo gli faccia bene parlarne con qualcuno infondo. Sembra proprio il tipo che ci tiene a mostrare solo la 
parte forte e brillante di sé (non sempre con buoni risultati), quindi non è il genere di persona che si confida spesso con qualcuno.
Solleva il mento riacquistando luce nello sguardo, ma la curva della sua bocca lascia intendere amarezza: “Quando l’ho conosciuta, ero poco 
più di un bambino. Avevo forse... Quindici anni -esordisce ricordando quel periodo con piacere- Credo di averglielo detto ogni giorno da allora”
 risponde infine al mio interrogativo, come se fosse motivo di orgoglio per lui.
“E la nota dolente quale sarebbe, dunque?”
Il semidio si irrigidisce, prende tempo. Tentenna, aspira profondamente il tabacco consumandone quasi metà in una sola boccata ed infine 
fa spallucce.
Io lo guardo accigliata senza capire, e lui approfitta di questa lunga pausa silenziosa per sviare la domanda con un aneddoto: “Una volta le 
diedi un bacio mentre dormiva. Che stupido... -ride con gioia di sé stesso- Ma fu la prima volta in cui appurai davvero di avere una sorta di 
poteri divini. Sfiorai quelle belle labbra e la mia mente fu invasa dalla scarica dei suoi ricordi. Ricordi orribili...” conclude rabbuiandosi e portando
 la sigaretta alla bocca.
Idea: devo escogitare un piano in cui aiuto il semidio in questione a conquistare la figura misteriosa di Scilla, sarebbe un lieto fine per tutti, no?
Ma le mie prospettive vengono bruscamente interrotte da un chiassoso trambusto che erompe sopra di noi, ed infine ci raggiunge sottocoperta.
Sentiamo urla, vari tonfi, spostamenti di oggetti pesanti, e quando siamo sul punto di andare a vedere di persona cosa sta succedendo, sento 
la voce del Capitano attraversare l’antro delle scale, non da solo.
Io e Patrick abbiamo mantenuto la nostra posizione all’interno della cella centrale, ma stavolta volgiamo verso le scale.
Inizialmente mi è difficile capire l’argomento di conversazione, e ancora di più identificare l’altra persona, ma infine questa si ferma dinanzi 
una fonte di luce, a portata di visuale: è Scilla.
La sua figura è ferma, rigorosa. Tiene i pugni serrati lungo i fianchi, il cappuccio rosso le copre il viso e gran parte del corpo sottile. Dal suo 
“nascondiglio” Patrick la scruta intensamente.
“Le ripeto, Capitano, che non conosco l’identità dell’uomo degli scogli...” sostiene la donna incappucciata posando il suo sguardo celato sul 
Capitano.
Vedo Jack adrenalinico, sembra una mina pronta ad esplodere che tenta di contenersi, c’è molta tensione nell’aria. Non riesce a stare fermo,
 mostra agitazione, e non ha la voce ferma, bensì alta e alterata: “Però sai chi è il mandante!”
La sua interlocutrice annuisce sommessamente.
Il Capitano emette un grugnito sprezzante, ed inizia a vagare per la stanza senza più rivolgerle lo sguardo, poi esordisce: “...E’ Paxton, vero?”
 ora c’è risolutezza in quel tono, non ammette altre omissioni.
“Sì, Capitano” conferma Scilla.
A quella conferma in Jack si scatena un rilascio di rabbia senza precedenti, non è rivolto a Scilla, bensì al mistero celato dietro quel nome da 
lui stesso pronunciato.
Si sfoga con qualche imprecazione, poi borbotta qualcosa a sé stesso: “I miei uomini hanno pescato dalle acque il cadavere di un uomo a cui
 da vivo è stato cavato un occhio... Si dice che gli uomini morti non raccontano bugie.” mormora come una cantilena.
“Perché non mi hai detto fin da subito che era lui? Quanto è vicino quel cane!” chiede a gran voce, questa volta senza moderare alcuna rabbia, 
nonostante si stia rivolgendo ad una donna.
Scilla non viene toccata dal suo tono adirato, e risponde risoluta: “La situazione era già abbastanza delicata, non volevo apportare ulteriori disordini,
 vi bastava sapere di essere in pericolo di vita...”
Ma Jack non sembra più porre ascolto alle scusanti di lei, ed incalza rabbioso: “Sai quante volte mi è stata predetta la morte da chi si proclamava
 possessore dalla magia? Ah, ho perso il conto, gioia. Questo è un avvertimento perché non ho seguito alla lettera la rotta che mi hai prefisso? 
Non seguo gli ordini di una donna, gioia. Non se non è il mio primo ufficiale.” tenta di intimidirla senza calmare di una virgola gli animi, ed 
avvicinandosi pericolosamente, a detta di Patrick, a quelle “belle labbra” rosse.
Stai calma Jen, Jack ce l’ha di abitudine quella di conversare da una distanza molto “ravvicinata”, dico a me stessa per convincermi a non intervenire.
“Io non predico l’oroscopo come quei ciarlatani, Capitano. L’ho messa al corrente del suo destino, e lei è libero di crederci o meno.” replica determinata,
 neanche ad un soffio gli occhi di Jack riescono a scalfire il suo animo.
“Se vuole essere informato sulla rotta della Diamond, le dirò come evitarla, altrimenti l’affronti pure, ma dovrà perire sotto il suo scafo...” sono le ultime 
parole di Scilla, prima che faccia dietrofront e si accinga a riprendere le scale.
Impedendole di farlo, Jack calpesta con la punta di uno stivale il suo lungo mantello rosso, e quando riacquista l’attenzione della donna incappucciata, 
mormora seppur dubbioso: “Andata”. 
*



NDA: Salve a tutti!
E’ passato taaanto tempo, anzi, sono passati ANNI, ma come dice Johnny Rzeznik: “I’m Still Here” (:
Non ci sono parole giuste per giustificare questo, se non delle sincere scuse che rivolto a voi tutti, a chi tiene alla storia, ai personaggi ecc.
E volevo rassicurarvi che io sono la prima in questo, non ho mai smesso di pensare a loro.
Avete presente quel programma tv “Io e la mia ossessione”? La mia ossessione è questa storia prima di addormentarmi. Me la ripasso ogni sera, e il fatto che non scrivo non vuol dire che l’ho dimenticata.
Oggi mi ha preso una grande nostalgia, ho abbandonato tutto quello che dovevo fare, mi son messa qui al computer e ho scritto tutto questo capitolo di getto.
E poi mi son sentita davvero bene, ho dimostrato a me stessa che se voglio posso farcela, che non è mai tardi per ripartire.
Adesso vorrei da voi lettori dei consigli, su come migliorarmi, negli anni ho cercato di seguirli tutti, e sgridatemi se ne dimentico qualcuno!
Perchè se scrivo lo faccio principalmente per dare sempre il meglio, e in questo ho bisogno del vostro aiuto.
Ringraziandovi fin da ora, annuncio pubblicamente che comunque vada Unty, (come la chiamo io), continua! :D

Un bacio grande
-Capitana-

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Capitolo 16
*** Occhio Malocchio ***


ATTENZIONE: Avvertimenti essenziali nella introduzione, passate da lì prima di leggere il capitolo ;)

Salve a tutti!!! :D
Rieccomi, sono mancata per un mesetto, ma ci son stati gli ultimi esami universitari di mezzo, e ora finalmente posso preparare la tesi di laurea *.* Mi sembra incredibile che ho iniziato questa fan fiction al primo anno di superiori e adesso dico "devo laurearmi"! Wow!
Ma, bando alle ciance! In compenso vi ho preparato un capitolo lunghetto, ehehe.
Come ho scritto nella presentazione esterna: pienamente RATING ARANCIONE.
Quindi vi avverto che ci sono delle scene un po' "cruente". Io sono abituata e amo il genere splatter, però magari non a tutti è gradito.
Non arrivo a tanto in questo capitolo, ma ho cercato di non spingermi troppo all'eccesso.
Ho scritto questo capitolo partendo da una mia riflessione personale sul personaggio di Jennyfer: ma lei, cosa ci fa lì? Per "lì" intendo la Perla.
A questo ho cercato di dare una spiegazione (che approfondirò anche in seguito) servendomi di un personaggio a lei molto vicino, ora vedrete :)
Volevo specificare, anche se magari non è necessario, che lo strano modo di parlare di André è dovuto al fatto che di molte parole io trascrivo la pronuncia letterale in francese ;)
Altro avvertimento, IMPORTANTE: ci son stati via pubblica e privata dei messaggi da parte di voi lettori riguardo la relazione tra Jenny e Jack. Tutti più o meno volevano sapere meglio come si sta evolvendo. Io ho lasciato sparsi qua e là degli indizi, e qualcuno di voi li ha recepiti :P Ma, in quest'ultimo capitolo, più chiara di così si muore, mi son davvero messa alla prova… Scrivendo la mia prima SCENA FLUFF (anche se io dico sempre fluffy). Un momento di tenerezza insomma ;) Altro motivo che giustifica il colore arancio del rating.
Ringrazio ancora moltissimo chi mi sostiene pubblicamente e privatamente in questa fan fiction, siete la mia forza e il mio stimolo costante :*
In particolare ringrazio e abbraccio forte la mia Sogno, la mia "dea reale" :) che di recente ha perso un piccolo angelo, e a loro due è dedicato questo capitolo.
Grazie anche a tutti voi se siete arrivati fino a qui… Buona Lettura!
Altre avvertenze e Mini Spoiler a fine Capitolo! (:





A Immi, che adesso bruca ceppi di nuvole.





C'è chi va ai funerali perché è suo dovere, ma in realtà si compiace d'essere vivo.”
Iniziare il nuovo giorno con una cerimonia funebre non è, di per se, un ottimo auspicio, ma la cosa più irritante di essere qui è il riso beffardo stampato sulle facce degli uomini di mare presenti.
Tentano di nasconderlo al di sotto di quelle bandane logore, le loro fronti alte incrostate di salsedine, sudore e sangue rappreso luccicano ai raggi del primo mattino, mentre fingono contrizione. Ciò che scintilla più di tutto sono i dentacci marci e dorati nelle bocche ghignanti.
A me giungono solo dei bisbigli mal sussurrati, ma da quello che mi è dato sentire l’argomento di conversazione più gettonato è “Meglio a lui che a me!”.
Nessuno conosce l’identità dell’uomo rinvenuto dalle acque questa notte, ho sentito da Jack che ha subito una morte orribile, e più passa il tempo, più a bordo ne ricamano attorno le ipotesi più assurde.
“Gli han strappato il bulbo dalla orbita quando ancora respirava, e questo l’ha ucciso per il crepacuore”.
“Nah, era un povero diavolo di naufrago, è stato attaccato da un corvo e quell’uccellaccio ha cenato con la sua pupilla!”.
Il Capitano è stato uno dei pochi a non avanzare una sua versione fantasiosa, inizia a preoccuparmi l’espressione dura e assorta che assume quando viene messo in discussione l’argomento.
So che sotto l’accozzaglia di perline macchina una teoria tutta sua, e da come la sta affrontando sembra anche delle più terribili.
Paxton...
A chi appartiene questo nome, e che storia nasconde?
Non ho potuto vedere in che condizioni giaceva il cadavere, in quanto donna mi è stato impedito. Ero curiosa, ma per una volta credo sia stata una mossa saggia. Quando tempo fa ferii superficialmente con la spada un uomo, subito dopo stavo per sentirmi male.
Sono futili debolezze a cui devo assolutamente rimediare, qui succede all’ordine del giorno! Bisogna che mi rimbocchi le maniche e provi ad essere più forte.
Jack ha voluto che il malcapitato fosse avvolto in un sudario serrato con delle corde, e ha fatto riporre il tutto su di una tavola di legno lunga e stretta che lo sorregge completamente.
Ora il timoniere e la vedetta stanno trascinando il supporto ligneo verso una apertura del parapetto, destinata alla bocca di un cannone. In fianco un André improvvisatosi “sacerdote” sfoglia un libro sacro, recitando qualche preghiera sommessa per orientare nell’aldilà quell’anima errante.
Proprio durante questo passaggio delicato uno spettatore rumoroso fa il suo ingresso correndo dal corridoio delle cabine, e si ferma al mio fianco.
E’ un pimpante Patrick con un sorriso fuori luogo che quasi mi urla un “Buongiorno”.
Perché con tutta la gente che c’è qui deve addossarsi proprio a me?
Qualcuno della ciurma riunita lì intorno gli rivolge un’occhiata di sufficienza, poi riprendono una posa solenne.
Io cerco di zittirlo fulminandolo con un indice teso dinanzi le labbra, Patrick ne è solo più divertito.
Si contiene giusto quei dieci secondi per far piombare il silenzio, poi riparte alla carica: “...Al mio funerale voglio tanti pianti! Donne addolorate che si gettano a terra, si strappano i vestiti scoprendo il petto ed invocano gemendo il mio nome” afferma con foga, seppur ridotta ad un sussurro, mimando le gesta delle presunte signore in questione.
Lo osservo a lungo per determinare se scherza, ma al contrario è molto deciso sulla sua posizione.
“Scusa Patrick, non so a quali funerali assisti di solito, ma la tua versione ricorda più un sogno erotico...” mi sento di palesare.
Lui ci riflette sopra un attimo, poi scoppia in una risatina esaltata annuendo: “Ma cosa ancora più importante: io non avrò mai un funerale -espone impettito lisciandosi il colletto della camicia- Sono immortale!”
Quante volte ancora dovrà farsene vanto?
Porto una mano alla fronte per reggermi la testa, prima che questa rotoli via in preda alla disperazione, e infine, rialzando gli occhi sulla cerimonia, vedo in lontananza il Capitano che ci guarda di sottecchi. Forse stiamo creando un po’ troppo brusio qua dietro.
“Contieniti!” lo ammonisco sottovoce con una gomitata, cercando di frenare la sua ilarità mal celata.
“Or dunque... Signori! -irrompe Jack a braccia spalancate e mento alto, per richiamare l’attenzione di tutti- Qualcuno tra voi ha un’ultima parola... Prima di procedere?”.
L’unica cosa che trattiene ancora a bordo quel corpo senza vita è lo stivale del Capitano, il resto del pezzo di legno che lo sorregge è per metà sospeso nel vuoto, pronto ad abbracciare il mare.
Alcuni istanti di profondo silenzio, poi ghigni, occhiate losche tra i marinai, e quando sembra per certo lasciare al suo destino quel fratello sfortunato, uno dei manigoldi compie un passo avanti.
“IO, Capitano, vorrei dire quanto segue”. Un ometto curvo e robusto, con le braccia incrociate e tese dinanzi al bacino ingrossato, si fa largo nella folla. Prima che riprenda noto che il suo muso sporgente si rivolge di sfuggita agli uomini che lo circondano, ma così, su due piedi, non vi do importanza.
Jack fa segno di concedergli la parola.
Al cospetto del Capitano il pirata appare umile e beffardamente sommesso, ma l’aver ricevuto un istante prima il totale appoggio dei suoi compagni gli conferisce man mano più determinazione.
“Sto per informarla di qualcosa che qui pensiamo tutti, ma nessuno ha il fegato di proferire ad alta voce...- a queste parole il tale storta il collo, assottiglia un solo occhio ed indirizza la fronte al sole con atteggiamento fiero- Pensiamo che la presenza della vostra donna a bordo sia motivo di sventure, Capitano. E ai vostri piedi ne giace la dimostrazione” biascica senza nascondere nel grugno il proprio disprezzo.
Nessuna sorpresa negli altri, nessun sussulto di indignazione, solo versi accondiscendenti, qualche “Aye” sommesso qua e là.
Una forte scarica di energia convoglia verso di me, e non porta poli positivi con sé. Forse sono solo io a sentirla, forse è solo il mio sdegno crescente.
Vorrei ricambiare con altrettanto odio, vorrei che toccasse a lui lo stesso destino del povero diavolo ai calzari di Jack...
Serro i pugni fino ad affondare completamente le unghie nei palmi, tento di contenermi, ma le decine di sguardi avversi puntati su di me non sono di aiuto.
Alla fine vinco il silenzio, e mi faccio avanti: “Concordo con voi, signore. I tesori e le ricchezze straboccanti nella stiva di questo vascello sono merito della sventura!”.
Jack dal canto suo non emette un suono, ma la bocca gli si dipinge di una curva divertita e poggia la schiena rilassata contro il parapetto, come se si stesse preparando ad assistere ad un piacevole show.
Quell’essere che poco fa si è autoproclamato il portavoce di tutti fa una smorfia ancora più seccata e minacciosa nei miei confronti, ma non controbatte.
Al momento il “ring” si è affollato di un paio di compari dell’uomo con la lingua biforcuta, che lo coprono ai lati. I miei arti si fanno ancora più tesi, sembrano pronti ad uno scatto, anche se in caso mi facessi avanti, non saprei bene come difendermi da questi miserabili predoni.
Calma Jen, puoi sempre rimediare con il dialogo. Sono persone civili, giusto?
Neanche quando dormono...
“Lascia correre Butch -lo ammonisce uno dei suoi con una pacca sul groppone - Se vai a letto col Capitano non puoi che avere la ragione dalla tua parte!” allude sprezzante.
Al diavolo, io in qualche modo li strangolo questi due.
Le mie guance prendono fuoco e tutta la tensione si raccoglie nelle mani che adesso non temo di allungare.
Come sto per darmi lo slancio però vengo trattenuta, indietreggiando contro la mia volontà.
Senza alcuna fatica apparente, Patrick mi solleva di peso e si fa avanti al mio posto, raggiante e a braccia aperte verso i suoi compagni di camerata: “Gente! Una discussione del genere al momento è terribilmente inopportuna. Il Capitano stava celebrando una cerimonia solenne –enfatizza con rimprovero in tono scherzoso, indicando la posizione di Jack- Ora: entrambe le parti hanno espresso la loro opinione, se più tardi voleste…”
“Abbiamo afferrato il punto, Wallace”. E’ il Capitano a stroncare il “discorso di pace” annoiato dalla situazione.
Patrick lo asseconda chinando il capo come segno formale, infine si rivolge a me e mormora facendomi l’occhiolino: “Contieniti!”.
Io replico solo con un sommesso grugnito di disapprovazione.
La ciurma è ancora intenta ad osservare Patrick tra lo sconcerto e lo sgomento, quel nuovo arrivato per ora non sta attirando molte simpatie.
I bronci pronunciati e le smorfie di scontento non hanno un’aria invitante, ma Patrick con il suo atteggiamento sempre positivo non pare darvi peso, a volte vorrei riuscire a fregarmene quanto lui.
Il Capitano prende le redini della situazione, ma prima di procedere esibisce con gesto ampio delle maniche il dito indice, per richiamare l’attenzione.
“Solo un appunto, Mastro Butch: se voi o chicchessia non gradisce le modalità secondo cui amministro la mia nave… -lo stivale che prima sorreggeva la tavola di legno col cadavere si sbilancia, Jack vi toglie definitivamente il proprio peso, e nel giro di un secondo cade a picco, inghiottito dalle acque- …Questa è la via!”
Il tonfo sordo del corpo in mare fa trasalire tutti, e muovere un passo indietro a quei sfacciati diffamatori.
La cerimonia può dirsi conclusa, Jack ha spolverato la sua posizione di dominio e ognuno fa silenziosamente ritorno alla propria postazione.
In quanto a me chissà se in cucina troverò un po’ di tranquillità e facce amiche.
Almeno lì spero di riuscire a calmare momentaneamente i nervi.
Nel frattempo il ponte è tornato alla routine degli echi dei comandi e, dagli sguardi che mi assediano mentre lo attraverso, avverto rinnovata una certa ascendente ostile.
Finalmente imbocco l’uscio del mio riparo, e all’ ingresso vengo catapultata in un vortice travolgente che somiglia ad un misto tra una lezione di cucina ed una festa popolare francese.
Pentoloni in ebollizione, profumi invitanti, ceste di cibo, spezie colorate agghindate a festoni e nel mezzo Patrick e André che a dir poco danzano sulle note di ballate francesi, intonate dalle loro stesse bocche smaglianti.
I due ci impiegano qualche strofa a notare la mia mascella spalancata sui gradini, da dove li fisso ad occhi sgranati.
“Mademoiselle!” esulta lo chef a braccia aperte, venendomi incontro per guidarmi al centro del balletto.
Sono sconvolta a tal punto da non riuscire a tirarmi indietro, e l’attimo dopo mi sento come una biglia del flipper che viene scagliata dal braccio di André, con una giravolta a quello del semidio.
Rido tanto che mi vengono le lacrime agli occhi, mi serve un momento alla fine del balletto per riprendermi, così mi sistemo in un punto libero del bancone.
“Siete due pazzi! Ma che diavolo succede qui?!”dico ancora euforica passando una mano nei capelli, arruffati dalla foga del banchetto danzante.
Il macigno che prima pesava sul mio petto si infrange per almeno la metà del suo volume, e questo è un gran sollievo.
“Bisognava rallegrare l’atmosfera!” replica Patrick facendo spallucce. Noto solo ora che in una manciata di minuti si è già perfettamente calato nell’ambiente, ha tutto quello che serve: riccioli legati da un laccio, grembiule immacolato, mestolo alla mano. Sembra quasi credibile!
“Sono entrato dalla porta come hai fatto tu poco fa, e il mago dei fornelli qui era intento a preparare il pranzo cantando. Unisci a questo un pizzico del mio animo festaiolo ed ecco il risultato”chiarisce Patrick in breve, arrotolandosi uno straccio lungo la spalla.
André ridacchia in risposta dall’altra parte della stanza, rovistando nella dispensa.
“Tu conosci il francese?” alla mia domanda sfugge una cadenza sorniona.
Il semidio solleva lo sguardo su di me, si avvicina complice al mio orecchio e bisbiglia sommesso: “Non so una parola, a parte il nome di qualche pietanza che cucinano laggiù!”.
Scuoto la testa divertita, agitando avanti e indietro gli stivali penzoloni.
André riappare alle nostre spalle, porgendo a Patrick uno strano tubero: “Questa faLa a cubetti, ragaSo.”
Poi afferra una tazza, una brocca e accorre da me con fare premuroso. Offrendomi del thé bollente le sue mani avvolgono affettuose le mie, piuttosto incerte: “En FranScia le doNe le consoliamo con una SceneTa e un caliSce di vino, ma su questa nave è bandito. SpeRo che questo sia aBastanSa de confoRto!”mi augura con i suoi occhi buoni.
“Sei gentile, grazie!” replico intimidita dal tutto, accogliendo quel gesto amorevole.
Lo chef monitora con un’ultima sbirciata il lavoro dell’assistente, infine scompare dietro ad un pentolone gorgogliante.
“Su questa bagnarola puoi sicuramente contare sul nostro appoggio, Jen. Vero Andy?”
Me oui!”gli fa eco il francese.
“Non farti sentire da Jack però!” lo ragguaglio con un sorriso.
Mi riesce impossibile  non osservare il semidio con uno sguardo indagatore per tutto il tempo, manca di convincermi fino in fondo, sento come se da lui dovessi aspettarmi un passo falso. Ci vuole altro oltre alla simpatia per guadagnarsi la mia fiducia.
Sorseggiando la bevanda bollente mi accorgo che Patrick esegue le indicazioni di André con naturale precisione e anche in velocità! E’ indubbiamente una personalità curiosa.
“Ci sai fare con i coltelli, mi fa riflettere sul motivo per cui ti abbiamo ripescato da una cella…” butto lì una provocazione.
Patrick sorride sotto il suo accenno di pizzetto chiaro, poi replica: “Ancora questa accusa? Non ho mai ucciso nessuno, e la mia condizione di creatura semidivina mi impedisce di farlo anche se volessi. Non so nemmeno maneggiare una spada se è per questo…” cerca al solito di guadagnare punti a suo favore.
“Ammetto di essere un pessimo pirata a dirla tutta, ma posso riconoscere di essere stato un eccellente aiuto cuoco nella Manhattan Valley!” conclude infervorato, affettando un’altra tapioca a velocità record.
Io accenno un mormorio acuto di sorpresa, immergendo le labbra nel thé. Ha vissuto a New York?
“Ce ne sono state parecchie di mansioni umili nella mia vita. Consegna dei giornali, distribuzione di volantini, smaltimento rifiuti, lavapiatti… Ho provato parecchie cose! Finché son riuscito a varcare il gradino del sous-chef. Per lunghi anni ho viaggiato nel tempo e nello spazio alla ricerca del mio posto… E mi è servito a capire che non appartenevo ad una cucina. Così, infine, mi sono stabilito nell’epoca a cui è appartenuto mio padre”.
“Buon per te!” commento con una amichevole pacca sulla spalla. Nel frattempo Andrè mi ha affidato la mansione di preparare dei fagiolini bianchi alla cottura.
“In più ci si è messa la fanciulla col cappuccio rosso…” dice illuminandosi, per alludere al continuo degli eventi.
“A tal proposito, è più riapparsa?”
“Questa mattina, per darmi le coordinate della nuova rotta. Già riferite al Capitano!” attesta brillante, fiero dei suoi panni da tramite.
Lo ammetto, sono colpita dal nuovo arrivato, anche se cerco di non darlo molto a vedere. Da quello che racconta sotto la buccia affabile, inspessita di spavalderia, è come chiunque. Un  poco smarrito, volto ad intraprendere una costante ricerca di sé stesso. Magari fallisce, però si rialza e non si dà per vinto.
“Ma passiamo a te…” riparte alla carica con fare intrigato.
Io lo osservo qualche istante allarmata dal suo tono: “Hai detto di conoscermi già, non so come, la prima volta che ci siamo visti…”
“Vero, ma tu dimmi qualcosa che non so”incalza il semidio.
“Ad esempio?”
“Uhm… Beh, vediamo. Da come mi è parso di capire il tuo posto su questa nave è al fianco del Capitano…” io confermo.
“Ma, di preciso, qual è il tuo ruolo a bordo?”
Appaio un po’ confusa dal termine “ruolo”, ma propongo ugualmente: “Quello che mi vedi fare ora”.
Patrick rimane attonito, fissa lo sguardo sulle mie movenze un po’ goffe, ma efficaci, nel pulire i legumi, e infine tenta di camuffare una risata.
“Non per abilità esecutive…” mi canzona.
“So anche cucinare di mio ottimi sandwich al burro di arachidi o, se preferisci, al formaggio filante!” espongo divertita, in mia difesa.
“Però devi ammettere che è stato un po’ maschilista da parte di Jack rilegarti qui tra i fornelli”preme, riacquistando fermezza.
A quel punto mi fermo di colpo ed sollevo lo sguardo su di lui, risentita: “Non è stata colpa di Jack, non c’era granché che sapessi fare. Da qualche parte dovevo pur cominciare!”
“Queste suonano un poco come delle scuse…” attesta con una smorfia, non convinto.
“Senti, Jen –Dice avvicinandosi, spostando da parte gli strumenti da lavoro. Sa che non avrà la mia lucida attenzione ancora per molto - è chiaro che tu ti trovi qui per amore, e condivido la nobile causa… Ma quello che sto facendo ora è finalizzato a smuoverti. Domanda a te stessa cosa vuoi davvero!
Trova il tuo posto nel mondo Jenny, te lo dice uno che nella vita avrà infinite possibilità di errore, al contrario di quelle limitate che verranno concesse a te.”
Mi riecheggeranno a lungo nelle orecchie le sue parole, in effetti ha sollevato un dubbio tacito che avevo dentro da molto prima di quest’oggi.

La favolosa zuppa sancocho di Andrè, all’ora di pranzo, fa il suo ingresso nel salone alla pari di una reliquia sacra durante una celebrazione.
Dopo questa mattina a tutti è rimasto un poco di amaro in bocca, e ogni membro della ciurma non vede l’ora di affogarlo in qualcosa di saporito e sostanzioso.
Andrè e Patrick trasportano l’imponente pentolone di rame, mentre io li seguo con una pigna di scodelle di legno e cucchiai, perfettamente conscia che quest’ultimi verranno usati gran poco dalle personcine non esattamente civili che stanno entrando con noi nel salone.
L’andatura cadenzata, stanca e ciondolante degli uomini viene contrastata dall’ingresso pimpante del Capitano, che sopraggiunge nella stanza con uno scatto, e si fa largo agitando le braccia per conquistare il suo posto, a capotavola, sul lato opposto dell’entrata.
Prima di accomodarsi, però, Jack fa tappa dal nostro trio, organizzato per servire quelle bestie, ehm, individui rispettabili, il più velocemente possibile. Capitano spesso cori di isterismi e proteste perché al loro arrivo non hanno già il cibo tra le fauci, e oggi, in particolare, preferirei evitarli. Andrè raccoglie in un grande mestolo due cucchiaiate per uno di zuppa, io porgo lui le ciotole e in seguito le affido a Patrick, il quale le distribuisce ai vari posti a sedere.
Jack compare alle mie spalle, afferrandomi per i fianchi non senza un mio sussulto. Andrè commenta con una occhiataccia storta indirizzata al Capitano, stava per far rovesciare la sua preziosa zuppa! Il Capitano sbircia il pentolone immergendosi più a fondo nei miei capelli, e infine mormora prima di volatilizzarsi: “Uhm… Che profumino invitate, dolcezza!”.
Al suo arrivo Patrick mi affianca, e, udendo il commento, lagna fintamente risentito: “Hey, il merito qui è di tutti e tre, non solo suo!”.
“Parlavo di lei, ragazzo, non del cibo!” replica Jack, di spalle, ormai avviato al centro delle stanza.
Quando il semidio si rivolge a me per ricevere due nuove porzioni di zuppa da servire, gli restituisco una linguaccia.
Ormai le ciotole volgono al termine, così Andrè suggerisce a noi due assistenti di prendere posto. Percorro la sala evitando il contatto diretto con gli occhi dei suoi occupanti,  fortunatamente già intenti a mangiare e svuotare calici di rhum, ma arrivata al mio posto, alla destra del Capitano, noto con sorpresa che la sua sedia è vuota.
Sedendomi aguzzo la vista, e lo ritrovo vicino ad Andrè, con un’ombra scura in viso. Di cosa si lamenterà oggi col cuoco?
“Manca de sale, Capiten?”domanda il mio dandy, innocentemente, allarmato dalle minacce di morte che bramano gli occhi fumantini di Jack.
“Vecchio spilorcio, ti sembra una porzione degna da sottoporre al tuo Capitano questa?” protesta, scagliando la ciotola giunta al suo cospetto sotto a quel naso baffuto d’argento.
“Due cucchiaiate come a tuTi ,Capiten…”si difende implorante.
“Riempi.” con un unico imperativo ordine scuote gli animi del francese a tal punto da farlo rassegnare all’obbedienza.
E’ in quello stesso momento che io mi sollevo leggermente dalla sedia, afferrandone il seggiolino per spingerlo un poco più vicino alla tavolata, e, anziché pormi in modo più composto, mi ritrovo piombata a terra.
Questione di un secondo: il legno della gamba anteriore, manomesso e assottigliato, cede ed io finisco per incastrarmi nella sua struttura, baciando le sudice assi di legno del pavimento.
Ma non è questo a disgustarmi più di tutto, bensì lo è il simbolo che noto subito dopo aver riaperto gli occhi, tracciato nettamente a gesso vermiglio, proprio al di sotto della mia seggiola… Il malocchio.
Al mio tonfo segue un turbine di silenzio generale. Le bocche in sala cessano di maciullare, sputacchiare e parlare. Gli occhi giallastri zampillano in tutte le direzioni, fino ad intraprendere quella suggerita dall’udito un po’ intaccato, ma infine è solo una persona, il presunto artefice, Butch, a balzare in piedi, con braccio e indice tesi verso di me e quel segno, gridando: “Ve lo dicevo, compari: quella è un covo di sventure!”
La pioggia di risate che ne segue mi fa tornare in me. Sono ancora a terra, scossa e intrappolata nei resti della sedia. Mi sollevo su un gomito, mentre con l’altro braccio raggiungo il fondoschiena, liberandolo a fatica, con l’aiuto di qualche imprecazione silenziosa, dallo scheletro di legno.
Il chiasso cessa quando lo sguardo di Jack avvolge d’ira ognuno di loro, soffocando l’euforia. Ora quei manigoldi lo sentono inabissarsi nelle loro ossa, e nessuno ha il coraggio di sfidarlo con un contatto visivo diretto.
“Fuori, tutti voi.”si pronuncia in tono fermo il Capitano.
Segue un grande mormorio di passi, qualche flebile commento contrariato, ma tutti si affrettano verso la porta.
“Tu no, biondino” rettifica all’ultimo, riferendosi a Patrick.
Nel frattempo Jack ha falcato a grandi passi la sala, scorto il segnaccio inciso sul pavimento e teso una mano in mio aiuto.
Un solo pirata ha spudoratamente ignorato il suo comando, ma solo per corrermi incontro con una inflessione urgentemente angosciata: “Mademoiselle!”.
“Non sarai anche sordo, Andrè!” tuona Jack, seccato dalla sua presenza, mentre io torno a stare in piedi appoggiandomi a lui.
Il cuoco si blocca sul posto, poiché proseguendo l’umore di Jack potrebbe peggiorare.
“Wallace, sgombera le ciotole. Questa sera riproporrete alla ciurma la stessa brodaglia”.
“Me! No… Il mio capolavoRo, spRecato…!” lamenta il cuoco, addolorato dall’ordine appena imposto dal Capitano.
“E tu vai a piagnucolare FUORI!”
Andrè questa volta obbedisce, ed esce a testa bassa.
“Smettila di prendertela inutilmente con lui!” richiamo Jack, dandogli un pugno sul petto.
“E tu non difenderlo sempre!” controbatte secco, fissando i suoi occhi nei miei.
Il mio broncio diviene subito un’espressione di timore indirizzando lo sguardo verso il pavimento, dove quei segni vermigli minacciano ancora maligni presagi.
“Mi auguro che, data l’ampia istruzione ricevuta, tu non sia superstiziosa, chérie!”proferisce divertito, contro la mia tempia. L’intonazione si è già addolcita.
Io rivolgo a lui un’occhiata molto più eloquente delle parole: le labbra accennano una curva di sorriso, ma tutto il resto del volto è accigliato. Il palmo aperto che poggio al centro della sua schiena stringe di riflesso il gilet leggero che la ricopre, e infine mi distacco da lui per spostarmi verso quel cerchio male augurante.
Ne disegno i contorni con gli occhi ancora per un secondo, prima di inveirci sopra, prenderlo a calci, cancellarlo con le suole dei miei stivali e sfogare tutto il mio malcontento.
E’ sciocco, ma mi è servito, perché un attimo dopo mi rivolgo a Jack con uno sguardo nuovo, acceso, palpitante e le labbra incurvate di appagamento: “Sai che c’è? I manigoldi della tua ciurma dovevano pensarci meglio, prima di farmi questo. Perché, per loro sfortuna, metto mano anche io al cibo che poi loro mangiano…” alludo vendicativa.
Jack mi guarda intrigato, ma solo il tempo di focalizzare le conseguenze, poiché subito dopo commenta allarmato: “Da domani chiederò al francese di farmi un piatto a parte, che si discosti dal menù!”
La mia seconda risata di pancia della giornata. Più a fondo precipiti, più grande è il sollievo quando riemergi.

La sala da pranzo è sistemata, ho aiutato Patrick a rassettare in cucina i rimasugli del non-pranzo, e adesso purtroppo devo tornare “alla luce del sole”, tra quei farabutti.
Ho sempre un po’ di suggestione ad attraversare questi luoghi comuni della nave, visti i precedenti di oggi, ma il mio piano di vendetta mi è di incoraggiamento anche in questo.
E’ pomeriggio inoltrato, e c’è una strana atmosfera, una luce che tende al seppia, un’aria come se stesse per venire a piovere, la tensione palpabile nelle persone.
Che è successo mentre ero al sicuro in cucina?
Il mio quesito viene interrotto da un lamento. Cadenzato, petulante, viene da sotto il castello di comando.
Mi avvicino cauta, seguendo l’andamento del parapetto, nascondendomi tra le sartie, per guardare senza rischiare di essere vista.
Scorgo un terzetto di uomini riuniti attorno a un quarto, seduto scomposto su di un barile di polvere da sparo. I lamenti vengono da lui.
Uno dei tre, il più alto, è chinato sul quarto e armeggia con un ago e una candela, infine il meno barbuto gli porge un fazzoletto. No, sono bende.
Il predone seduto bestemmia, sputa e si agita. Scalpita con i piedi come un mulo. Riconosco l’accento acuto e il panzone, è Butch.
Non mi stupisce, dunque, che si sia messo nei guai. Noto che il punto su cui i compagni fidati stanno operando è la mano, da qui ne vedo un lembo ricoperto interamente di sangue rappreso.
Il “chirurgo” del quartetto usa come tavolo operatorio un alto fiasco di rhum, su cui sono riposti vari stracci macchiati di sangue, una bottiglia di rhum vuota, che avrà appena scolato per sviare al dolore, e altri due componenti che non riesco a distinguere, finché il primario della Perla Nera non ne prende in mano uno, per tentare alla belle meglio di ridargli il suo aspetto originario.
E’ l’estremità di un dito.
“L’altra falange no so se riuscirò a ricucirtela, mate”. confessa il chirurgo operante.
“Tu almeno provaci, figlio di un cane. AAAAH!”

Mi dileguo da lì, e percorro il corridoio delle cabine come fossi al galoppo.
Le porte sono tutte aperte, il Capitano ha voluto così da quando Patrick le ha prese come sue “stanze private”, tranne una, in cui io mi fiondo come una furia.
La spalanco con uno spintone e ne invado la quiete con ancora l’adrenalina che mi schizza in corpo.
Jack è lì, nella sua tana, al suo posto, per metà sprofondato nella comoda poltrona che abbiamo ai piedi del lettone.
L’aria scomposta, rilassata, una gamba a penzoloni dal bracciolo e gli occhi pieni, pensierosi.
Per lo slancio non riesco a contenere il volume della voce, e quasi urlo: “Non c’era bisogno di arrivare a mozzargli due dita!”.
Lui mi fissa accigliato, per un istante. Porta alle labbra un goccio della sua bevanda ramata preferita, e poi dice: “Ah, non guardare me!”
Sorpresa! Sono confusa. Il Capitano si occupa di fare chiarezza: “Mi hanno riferito che è stato André. Coltello da cucina, un colpo secco. ZAC” narra entusiasta mimando l’accaduto.
“Oh…” mi sento solo di commentare. Un uomo così buono, così calmo… Non l’avrei mai ritenuto capace di tanto.
Decido di lasciare da parte momentaneamente la faccenda. Dopo una giornatina come quella appena trascorsa, il mio unico pensiero è… riposare!
Muovo un paio di passi verso il Capitano, facendo mostra del cestino che ho portato con me dalla cucina, e sfortunatamente si è svuotato per metà durante la corsa fino a qui.
“Qui ci sono…ehm…due mele! Pensavo avessi fame, visto che oggi non abbiamo nemmeno pranzato.”
Jack mi ringrazia, ma declina mostrandomi orgoglioso il bicchiere di rhum.
“Queste ti faranno meglio di quel veleno!” lo rimprovero, portandogli via di mano il bicchiere e lasciando sulle sue gambe il cestino.
Mentre mi allontano marca il broncio e il cipiglio. Raccoglie da terra una bottiglia con ancora due dita di liquido, quella con cui si è riempito fin ora il bicchiere, e la fa sparire gelosamente nelle pieghe della camicia.
Incorreggibile.
Poggio il bicchierino ancora pieno sulla imponente scrivania, all’estremo della stanza. E’ il deposito delle scartoffie di Jack, ma sopra di esse spicca un appunto, scritto di suo pugno con inchiostro di fresco. Sono le indicazioni per una rotta. Mi tornano in mente le parole di Patrick, le riporto alla lettera su di una mappa nelle vicinanze.
“Perché Scilla vuole che andiamo a Ridleys Bay?” domando sfilandomi i pesanti stivali, prima di gettarli scompostamente in un angolo libero.
Jack si gira di scatto con gli occhi stralunati: “Com’è che lo sai?”
Io gli mostro trionfante il foglietto incriminato, poi passo a slacciarmi la cintura. Da quel momento il Capitano è incapace di distogliere lo sguardo.
Cedono alla gravità, e sotto il peso della cintola, anche i miei pantaloni, e mi dirigo sbuffando verso un angolo della cabina tutto nuovo.
Ho chiesto a Jack se potevo avere un piccolo lavatoio. Una grande brocca di acqua fresca e un catino poco fondo, tutto qui. Ma ne sentivo davvero il bisogno. A fine giornata il semplice fatto di potermi rinfrescare mi rimette in sesto.
Sbottono la camicetta, verso un po’ d’acqua e per finire volgo l’attenzione a Jack: “Non rispondi?” chiedo impaziente, in mancanza di una sua precedente replica.
Il Capitano ha cambiato posa, si è sistemato di traverso sulla poltrona, nella posizione più adatta ad avere una migliore visuale, e al momento mi divora con gli occhi, esattamente come sta facendo con la mela in cui affonda le fauci.
“Non badare a me, continua pure! Continua pure, mi piaceva il tuo… spettacolino!” sbiascica euforico, a bocca piena, agitando scompostamente in aria le mani.
Io non posso fare a meno di arrossire e sentirmi un poco più in soggezione adesso.
Non soddisfo appieno le sue aspettative, perché mi spoglio solo all’ultimo, e, data la bassa temperatura dell’acqua, mi lavo molto velocemente.
Pesco da una pigna di vesti pulite una camicia immacolata, me la getto indosso in preda ai brividi, e l’abbottono facendo ritorno verso il letto, con uno sguardo di sbieco orientato al Capitano.
Jack se è possibile, è ancora più intrigato, e mentre gli passo accanto, con fare ironicamente indifferente, si impettisce palesando: “Ho anche mangiato la tua maledetta mela, non merito un premio adesso?”
Assesto il cuscino per essere più comoda, e, fingendo di non capire, mormoro: “Quale premio? Io sono distru…”mentre controbatto smuovo le lenzuola per sgattaiolarci dentro, ma come spiego quella esteriore, ecco riapparire l’incubo.
E il rosso marcato a colpire il mio sguardo, ma quando prende di nuovo i lineamenti di quel simbolo maledetto, è l’ennesimo battito mancato.
Un nuovo malocchio padroneggia sulle lenzuola, dalla mia parte del letto, la sinistra, minaccioso quanto effimero per la sua natura in gesso.
In quel momento divengo più pallida del consueto, e sgranando gli occhi, ammaliata dal suo effetto, riesco solo ad arretrare terrorizzata. Ci ero appena passata sopra e non posso credere che sia apparso di nuovo.
Allontanandomi incappo in un muro alle mie spalle, che si rivela essere Jack. All’impatto sussulto visibilmente, sentendo i nervi di nuovo cadere a pezzi.
Incontrando da vicino il suo sguardo, l’aria esageratamente divertita dalla mia reazione incontrollata mi suggerisce solo una cosa… “SEI STATO TU, razza di farabutto! Mascalzone! Come hai potuto?” strepito adirata.
Inveiscono altri insulti su di lui, e da parte mia vi è una replica irrazionale fatta di schiaffi che però non raggiungeranno mai il Capitano, perché egli si ripara prontamente da tutto con un abile espediente.
Una sorta di stretto abbraccio che mi serra le braccia, ed io, ancora scalpitante, ribollisco di rabbia nella sua trappola.
“E’ una questione di suggestione, tesoro. Se tu ti comporti come se questo simbolo potesse nuocerti, fai il gioco dei miei uomini, e loro l’avranno vinta, comprendi?”
Dal nucleo centrale della mia rabbia lo sto davvero poco a sentire, e intimo solo che mi liberi.
Jack allenta la presa, e io respiro a fondo coprendomi il volto con le mani, per recuperare quel poco della padronanza di me che mi resta.
“Credi davvero che quel pastrocchio di gesso sia per te portatore di disgrazie?” domanda nel tentativo di minimizzarlo.
“Beh, ecco… E’ risaputo che non è di buon auspicio, non è questione di crederci o meno, è che vederlo indirizzato a me… Mi spaventa!” cerco di spiegare cosa provo, il più sinceramente possibile.
“Allora vieni qui…” dice con uno strattone netto, facendomi roteare su me stessa, fino a poterlo guardare negli occhi, mentre io  inclino in modo buffo la schiena per riacquistare equilibrio “…e rendimi l’uomo più sfortunato del mondo!”conclude, alla distanza di un respiro, con una cadenza inebriante e sensuale.
L’attimo dopo quelle labbra lascive sono già alla disperata ricerca delle mie, la foga e il temperamento struggente del Capitano mandano al diavolo i miei tentavi di reggermi in piedi, e cado all’indietro sotto il suo peso, rimbalzando sul morbido.
Approfitto del soffice atterraggio per sfuggire alla sua morsa, e puntando i gomiti per arretrare al centro del letto, digrigno tra i denti un “Che tu sia maledetto”.
Il mio sforzo di sembrare minacciosa serve solo a divertirlo ancora di più, perché in risposta ottengo lo sfoggio dell’intera dentatura placcata in oro, ed una sua risata roca e profonda, che mi provoca dei pizzichii di eccitazione alla base della schiena.
Con un lesto scatto avanza fino a riuscire ad immobilizzarmi i polsi, e poi si sistema con una lentezza e sicurezza snervante sopra di me.
Ormai non riesco più a mantenere il muso duro, ed impotente dinanzi le sue mosse pacate e calibrate, mi sciolgo in un sorriso provocante.
Il suo corpo, svestito dalla pesante giacca e i cinturoni con le armi, aderisce al mio. Emana un calore tale che sento la mia pelle, pallida e delicata, bruciare sotto a quel tocco.
Lui si sistema in modo da scaricare un po’ del suo peso sulle braccia, ed infine, prima di proseguire, indugia per un attimo rivolgendomi uno sguardo enigmatico. La patina opaca che ricopre quegli occhi nasconde una nota di inquietudine.
“Se proprio dovrò lasciare presto questo mondo, come sostiene quella strega, ciò che desidero ora è sentirmi più vivo che posso… E lo voglio così, dolcezza.”
Questa affermazione è un crepitio al cuore, sussulto, sento gli occhi inumidirsi leggermente e non trovo le parole giuste per replicare. Porto solo le mani al suo viso ambrato e ne accarezzo il profilo ispido, per la  barba incolta,  per fargli sapere che andrà tutto bene.
“So che non ti consegnerai al destino senza prima lottare… Ed io sarò al tuo fianco, a rivendicare che tu sia salvo!” gli assicuro guardandolo fisso negli occhi, come a sottoscrivere il mio giuramento.
La curva nera e marcata che li incornicia si assottiglia, come le labbra, i cui estremi ora si estendono agli angoli del viso, e, senza aggiungere altro, quella zazzera scompigliata si china su di me per approfondire il bacio precedente, questa volta ancora più sentito, dirompente, disperato.
E’ il sapore della libertà quello che contraddistingue Jack: un miscuglio esotico di canna da zucchero, caramello e spezie, ormai intriso nella sua pelle, che poi rilascia sulla tua come ricordo per quando è via.
Le sue mani screpolate dal mare scivolano verso il basso privandomi di quel poco che mi è rimasto indosso, i residui di sale su quel corpo ruvido e inaridito dal sole creano un eccitante attrito contro il mio.
La ferraglia assicurata ai suoi capelli mi lascia dei segni sul collo, mentre quella bocca sempre più ingorda  scende nell’incavo dei seni.
La mia mente allontana le tenebre dei pensieri infelici per lasciare spazio ad una nebbia ovattata, cedendo all’estasi.
Prima di rassegnarmi ad ammettere che è impossibile resistere al fascino di quell’uomo, voglio ancora tentare la via della rivincita.
Libero entrambe le gambe dalla sua morsa, e facendo leva con esse torno a stare seduta sul letto.
Rialzandomi incontro lo sguardo contrariato di Jack che mi fissa intensamente da sotto la bandana rubino.
Ridacchio divertita, riavvicinandomi a lui con movenze cadenzate e sinuose. Afferro il bavero della camicia slargata, e soffio sulle sue labbra: “Me la pagherai, Sparrow!”.
“Perché tu lo sappia, il malocchio è anche emblema di protezione della persona amata” puntualizza attirandomi a sé con delle carezze lungo la schiena nuda.
“Balle!”sentenzio riparandomi nell’incavo tra la sua spalla e il collo.
“Metti in dubbio la mia parola? -riconosce sorpreso- Pensavo che una testolina del futuro come te… Sapesse… Certe cose”. Quelle parole spezzate sono dovute ai morsi e ai baci che mentre blatera gli lascio sul collo, appena sotto l’orecchio, uno dei punti che lo rende più vulnerabile.
Adesso che ha abbassato la guardia posso finalmente agire: porto una mano lungo il suo fianco e facendola risalire, arrotolo via la camicia leggera in lino che avvolge il Capitano.
Non posso vederlo in viso al momento, ma so che le sue palpebre sono socchiuse, e sotto di esse gli occhi stanno facendo delle capriole su se stessi.
Con la mano libera, invece, afferro le lenzuola marcate di rosso e raccolgo un po’ di gesso sulle dita. Così traccio alla cieca delle linee sul suo torace, poi risalgo lungo le spalle, e infine, con la scusante di sfilargli la camicia, imbratto anche la faccia.
E’ il portarmi una mano alla bocca per celare una risata che mi tradisce, perché in quel momento Jack nota le estremità sporche di polvere rossiccia, e collega il tutto.
“Ora saresti perfetto per un rito vu-dù” osservo tra le risa.
“Allora deve esserci anche una vittima!” dice infervorato dal mio scherzetto, prima di travolgermi e farmi finire di nuovo stesa.
Jack non manca di rivalersi utilizzando la mia stessa “arma”, quindi con l’angolo di lenzuolo rimasto strofina il gesso rimanente sulla mia faccia, mentre con l’altra mano mi trattiene salda contro il materasso.
Quando cessano le risate di entrambi mi sorprendo ad osservarlo trasognante, pensando che lui sia l’unica scelta giusta della mia vita.
I pensieri non parlano ad alta voce, ma traspaiono dagli occhi, e il Capitano sa carpirli, perciò infine si stende accanto a me e mi porge altri baci,  i quali continuano lungo la scia ormai invisibile cominciata poco prima della battaglia del gesso.
Quando giunge alla fine delle costole si ferma e solleva il volto, sfoggiando una occhiata tra l’astuto e il
malizioso. Non nascondo un brivido di timore.
Con un gesto plateale disegna una curva a mezz’aria, volgendo un braccio all’indietro, e facendo roteare le dita, afferra qualcosa legato alla cintola, nella parte anteriore dei pantaloni.
Il suo ghigno trionfale mi conferma che è proprio rhum il contenuto della minuscola boccetta che si porta infine sotto il naso.
Dovevo immaginarmelo, un pirata ha sempre le sue scorte di emergenza!
Strappa via il tappo servendosi dei denti, poi fa per chinarsi di nuovo.
Io, sospettosa per istinto, mi allarmo e domando quali sono le sue intenzioni, ma lui mormora che devo stare calma, carezzandomi l’addome con fare rassicurante.
Mi lascio convincere e rilasso le spalle all’indietro, ma non manco di sbirciare le mosse di quell’ingannevole filibustiere.
Il liquido ramato mi sfiora soltanto, ma il fiato si è già fatto corto e la testa inizia a girare. Jack riempie il mio ombelico fino all’orlo e sussurra ancora: “Non ti muovere”.
In realtà per poco non sussulto dall’eccitazione mentre le sue mani bollenti si poggiano al principio delle mie gambe, dove incrociano i fianchi creando uno spigolo. Serro i denti per non ridere mentre si avvicina, e la ferraglia dei suoi capelli mi stuzzica.
Ad una manciata di millimetri dal suo “calice”, Jack schiude le labbra e ne raccoglie il contenuto con la lingua.
Io inarco la schiena e buttando la testa all’indietro gemo contro il cuscino.
Quando il corpo inizia a reagire ad ogni stimolo come fa uno strumento tra le mani di un audace pianista… Lì risiede la passione. E lì, come in pochi altri momenti, perdo del tutto la ragione, e sono sua.



*
Angolo della pazza…ehm…Autrice ^^'
Risalve :P
Come promesso, ecco i titoli di coda!
Volevo solo informarvi che al più presto tornerò anche con la mia Fan Fiction "How to train your creativity *FF interattiva*" sempre in questa sezione, sempre dedicata ad Unty, ma in forma di raccolta di One Shot.
La cara Selene6 mi ha lanciato una bella sfida, e io voglio coglierla al volo :P So già come fare *muwahahaha* Ok, basta u.u


Ma passiamo agli SPOILER!
Li ho scritti con l'inchiostro simpatico :P
Armatevi di limone e candela!
Scherzo, quindi dovete selezionare con il mouse il testo qua sotto per leggerlo, in modo che solo chi è interessato può sbirciare le anticipazioni:


Nel prossimo capitolo ho intenzione di affrontare una tematica abbastanza delicata.
Ovvero, voglio dare una piccola anticipazione dell'idea che mi son fatta dell'infanzia di Jack.
Questo comprende anche mamma e Teague :) Credo che mi atterrò solo in parte ai filmsss.
Basta, sapete già troppo :P


E' tutto, grazie della sopportazione!
Fatemi sapere cosa ne pensate :)
A presto miei cari, i miei ossequi.
_Kela

 

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Capitolo 17
*** Unbrothers ***


Nota della Capitana:
Buonasera a tutti! ^^
Anzi, buona notte che è tardissimo :P
Ben ritrovati con il capitolo 17 di Untitled Witout End!!!
Prima di iniziare volevo premettere un po’ di cose. Partiamo dal titolo:
Sì, ho inventato una parola inesistente nella lingua inglese XD il prefisso “Un” si usa solo per gli aggettivi, però nel corso di questa fan fiction ho usato molta “licenza poetica” diciamo, e il titolo “inventato” suonava così bene che gli inglesi mi perdoneranno (spero) lol.
Volevo render bene l’idea dei “non-fratelli” (tra un istante capirete meglio).
Il rating di questo chap è pienamente arancio ancora una volta, e specifico che qui ci saranno delle tematiche molto delicate, non adatte proprio a tutti.
Siete avvisati ;)
Altra cosa di cui vi accorgerete tra pochissimo: come sapete io ho l’abitudine di associare ad ogni mio personaggio un viso “noto”, che rispecchi abbastanza la mia idea mentale.
Per il personaggio “protagonista” di questo chap, un’amara coincidenza ha voluto che fosse il viso di Paul Walker. Sono anni che penso a questo personaggio e scavando tra i volti di decine di attori, ho visto finalmente nel taglio dei suoi occhi quello che cercavo. Sono infinitamente dispiaciuta per quello che gli è successo, e non volevo presentarvelo in un momento così tragico, però penso che sia comunque un bel modo di ricordarlo. Sono assolutamente convinta che il mio personaggio non gli somigli come personalità, ripeto che l’ho scelto solo per dei fattori fisici. R.I.P Paul!
Per tutti quelli che hanno sbirciato gli spoiler dello scorso chap, e anche tutti gli altri, ma solo dopo che hanno finito di leggere questo capitolo, andate a leggere la nota a piè di pagina ;)
Ultimissima cosa: volevo ringraziare with all my heart la mia adorata Ciccipucci  
SymboliqueVain che con una impresa eroica si sta rileggendo tutta questa fan fiction dal principio XD E le dedico questo capitolo “catartico” :*
Se vi piace Hunger Games e non solo date un occhio alle sue fan fiction J
Grazie a tutti per l’attenzione, vi auguro buona lettura e a presto! (alla nota a piè di pagina insomma XD)

 
 
Capitolo 17
 

Una finestra della cabina fa da cornice all’alba di questa mattina.
Dentro è buio, fuori è quasi luce. Io e Jack nel mezzo, sull’esatto confine dei due opposti, seduti sul davanzale, l’uno di fronte all’altra.
Gli occhi assonnati, le gambe incatenate le une con le altre, è il nostro modo di “guardarci dentro”, di sentirci più vicini.
Ho rivelato a Jack di conoscere l’oggetto delle sue afflizioni.
Ha strabuzzato gli occhi per un attimo, con sospetto. Poi ha ammesso di aver intravisto il fumo, e di sapere che io e Patrick origliavamo l’altra notte.
Ora c’è una domanda sospesa nell’aria. Jack si schiarisce la gola con un sorso di té verde ormai tiepido, poi inizia:
“Mio padre, Edward Teague, aveva un fratellastro, tale Jorvik Nirsch.
Tagliagole di professione.
Da piccolo mi raccontavano che girava vestito delle pelli delle sue vittime, probabilmente erano solo animali selvatici, considerata la stazza e il suo debole per la carne. Cruda.
Affiancava il mio vecchio negli affari, o meglio, quando il poveraccio di turno doveva esser dissuaso a rivelare dove nascondeva la refurtiva.
Nirsch era un pazzo sanguigno, istintivo. Potevi entrare nelle sue grazie servendogli un calice di vino, o ti ritrovavi senza un braccio perché gli facevi perdere il filo del discorso.
In sostanza, nel periodo in cui nacqui io, lui era sparito per un po’, da quasi un anno.
Il mio primo vagito echeggiò a largo delle fredde acque dell’Atlantico, e quella stessa notte, durante i festeggiamenti, Nirsch si rifece vivo.
Giunse a nuoto barattando un passaggio da dei pescatori, che in tale occasione ebbero salva la pelle come ricompensa, e approdò sulla Old Rock con un fagotto pendente dalla spalla destra.
Quest’ultimo si rivelò un bambino.
“Considerato che ha tenuto duro durante tutta la nuotata, senza annegare, posso ritenerlo degno di essere mio figlio!” In caso contrario lo avrebbe affidato alle acque.
Con queste parole Nirsch battezzò il piccolo superstite Alexander Thomas Paxton.
Infatti il vero cognome di Jorvik non era Nirsch, ma Paxton.
Egli basò la sua terribile fama col nome di “Nirsch” per onorare il cannibale omonimo, killer seriale della Bavaria, vissuto quasi un secolo prima.
Per emulare quel diavolo, Nirsch soleva raccontare di aver preso parte personalmente alla venuta al mondo di suo figlio, estraendo il piccolo bastardo dal ventre della madre ancora incinta, e di averla così uccisa.
In realtà per quello che concerne la madre di Paxton non si sa niente di certo.
Nirsch parlò di una sacerdotessa greca, di un tempio sacro in cui fece razzie. Abusò di lei e quando seppe del bambino rimase nei paraggi, la tenne costantemente d’occhio affinché non si uccidesse.
Poi fui lui a sbarazzarsi di lei, e in seguito tornò sulle tracce di mio padre.
Quell’angelo di mia madre si prese immediatamente a cuore anche Alexander, senza indugio.
Come si dice? Siamo fratelli di latte.
Abbiamo mosso i primi passi tremolanti e giocato con le spade di legno sulla Old Rock, per dieci anni circa.
Fino a quando, qualche anno dopo, mia madre morì.”
La prima vera nota drammatica e di incertezza nella voce di Jack, in tutto il racconto.
“...E lei com’è morta?” domando timidamente, in un fiato appena percettibile.
“Per mano di mio padre -ammette infine, gonfio di rancore, parlando a fatica, come chi trascina un peso con sé- Accecato dalla gelosia.
Devi sapere che avevano due decadi di differenza”.
“Due decadi, non quattro secoli...” tento di sdrammatizzare per alleviare quel broncio. Ci riesco per poco.
 “Come si chiamava?”
“Therese… Lei un fiore freschissimo, lui un uomo sfinito che si accingeva alla vecchiaia.
Viveva nella paura che gliela portassero via, invece si è spinto fino a distruggerla lui stesso.
E’ qualcosa per cui non avrà mai il mio perdono.
Se penso che si è sempre detto innocente...
Ma io ero lì, e l’ho visto.”
Pensare ad un Jack bambino che in qualche modo si ritrova ad essere spettatore di una scena del genere mi gela il sangue.
“Litigavano da un pezzo quella notte. Il mare ruggiva, le onde aggravavano la nausea, l’andamento della nave cavalcava invano quella furia...
Io mi trovavo oltre la parete, sballottato da parte a parte, non sapevo più se dal mare o dalle loro grida.
Poi sentii un tonfo, sordo.
Deciso a recuperare un po’ di spina dorsale, entrai.
Erano entrambi a terra, c’era quiete, circoscritta da un’estesa pozza di sangue sul pavimento. Nell’aria quel pizzichio di morte che ti irrita le narici.
Lui la stringeva ancora tra le braccia, tamponando con una mano quei lisci capelli chiari, macchiati dal nero e dal rosso del sangue.
Le aveva fatto un buco in testa con uno di quei ferri per il camino che scoppiettava incurante alle loro spalle.
Tra quelle fiamme vidi il destino di mio padre: perire all’inferno.
Piangeva contro il suo viso cianotico, mormorando qualcosa di incomprensibile, e quando vide me sulla porta urlò a non so chi di portarmi via.”
Tolgo la mano premuta sulla bocca per prendere fiato, e tentare di digerire quelle parole sconcertanti.
Il tono di Jack è colmo di astio, le sue nocche si fanno bianche intorno al manico del boccale.
Tutto ciò che riesco a concretizzare è farmi largo in quelle braccia impietrite e mormorare un “Oddio...” contro il suo petto.
Dopo un primo momento di tumulto, Jack allenta i muscoli e prende parte all’abbraccio.
“Da allora non ho più voluto avere a che fare con lui.
Fuggii e in quel totale smarrimento andai alla ricerca del saldo per quei dieci anni in cui mia madre offrì a qualcuno che non era suo figlio un’infanzia dignitosa.
A quel tempo Alexander era un cane sciolto, aveva ripudiato ogni tipo di insegnamento che non fosse correlato alla ribellione. Nirsch, dal canto suo, gli concedeva ogni tipo di libertà, a patto che stesse il più lontano possibile dalla sua vista.
Ci permettevamo qualunque tipo di vizio rientrasse nelle nostre tasche, facendo i ladruncoli.
Mio padre non mi insegnò mai nulla su come condurre una nave, ma mi temprò a difendermi e combattere. L’unica cosa su cui Nirsch affinò Paxton era uccidere.
Io per farmi ben volere dalle ricche signore da truffare usavo le buone maniere di mia madre, Alexander se non otteneva ciò che si era prefissato voleva veder scorrere il sangue.
Finalmente ero libero di non sottostare a nessun giudizio, sguardo severo, o nome altisonante da far rispettare. Ero un’esile ombra che sgattaiolava da una parte all’altra dell’arcipelago Caraibico, e in breve mi resi conto che quella era la parte migliore del gioco: immischiarsi nella stiva di qualche nave, sgraffignare un boccone dalle casse, lavorare a bordo una manciata di giorni (se avevi la fortuna di essere accettato) e poi passare al porto successivo.
In breve l’animo pirata prese il sopravvento su tutto il resto.
Era l’unica vera cosa che accomunava me e quel compare di vecchia data.
Dopo anni di vita grama avevamo un’ambizione: diventare capitani, e nessuno poteva obbiettare tale scelta.
Ci imbarcammo su una nave come semplici mozzi e trascorsero due anni, durante i quali non toccammo quasi mai terra. Ogni minuto a bordo era una fonte impagabile di insegnamento.
Alexander era sempre stato di salute cagionevole, una manciata di notti brave e la settimana seguente doveva passarla in branda, così quel nuovo stile di vita, seppur più rigoroso di quello appena lasciato, la peggiorò.
Per due anni l’occupazione principale della mia giornata fu quella di convincere il Capitano a non gettare quello scheletro tossicchiante in pasto ai pesce cani, tant’è vero che a persuasione non ho rivali.
Ma nel frattempo praticavo, imparavo, assimilavo quanto più mi era possibile, per fare di quel mestiere la mia ragion d’essere.
Sulla Old Rock non mi era mai stato permesso avvicinarmi, osservare o toccare niente. Avevo unicamente accesso alle carte nautiche e il diario di bordo.
Tutta roba inutile pensai sempre, ma infine capii.
Il mio vecchio fece in modo di sottrarmi da quel mondo perché sapeva che avendomelo imposto l’avrei di certo ripudiato. Invece ogni cosa proibita era oro per me, così finii per essere quello che sono.
In quel breve lasso di tempo trascorso a bordo divenni nostromo. Paxton non aveva sufficiente prestanza fisica per sopportare un attacco, però peccava di astuzia. Sapeva usare le armi altrui a suo vantaggio, e per la profonda depravazione del suo animo raggiunse infine il grado di sottufficiale.
Al di sotto di me vi erano lui e un secondo sottufficiale, un altro folle portoghese: Hector Barbossa.
Durante una lunga traversata nell’Oceano Indiano, con rotta a Singapore, incappammo in una burrasca, residuo di qualche disastro atmosferico su quelle stesse coste.
Il nostro capitano di allora contrasse una forma preoccupante di scorbuto, lui è il suo primo ufficiale avevano riportato delle ustioni gravi durante uno scontro, e lo scorbuto peggiorò considerevolmente la situazione.
La ciurma e la nave erano momentaneamente affidate a noi tre sottufficiali.
Le minacce di Paxton ebbero scarso effetto sugli uomini in quel caso, sicché lui si arrese presto. Hector badava alle vele, benché ridotte a brandelli, ed io al timone.
Ero letteralmente aggrappato a quel timone.
Per non rischiare di finire in mare e lasciare la nave in balia della furia, volta a ridurla in pezzi, mi legai entrambi i polsi con dei nodi strettissimi al timone, e continuai a scalfire la tempesta, fino allo stremo delle forze.
La mattina seguente chi sopravvisse mi ritrovò svenuto, ancora congiunto a quel pezzo di legno, con le corde che mi avevano rosicchiato fino all’osso.”
Approfittando di una breve pausa, fa mostra di uno dei due polsi, fasciato da un lembo di stoffa.
Scosto il volto dalla sua clavicola per vedere meglio.
Quando snoda il tessuto scopre una serie circolare di profonde cicatrici che delineano la mano, rimarginate, guarite, ma ancora chiare e di diversa profondità lungo tutta l’articolazione.
“Accidenti...-dico passandoci sopra delicatamente, solo con i polpastrelli- Anche tu a pazzia non scherzi!”.
“Beh, ma n’è valsa la pena. Ho avuto la Perla!” rilancia, animandosi.
“La nave di cui mi hai parlato fin ora era la Perla Nera?” sbotto sbalordita.
“Aye...” conferma con un sorrisetto sbilenco, e le iridi petrolio colme dell’emozione di quel ricordo.
“Da allora è stata mia.
Il primo ufficiale non superò quella terribile notte, e il Capitano arrivò a malapena a Singapore, dove riuscirono a curarlo con delle erbe medicinali del posto, ma non si riprese mai del tutto.
Fortunatamente non ero morto, e quando il Capitano seppe di come avevo riportato la Perla su rotte tranquille, disse che da lì in poi il comando sarebbe passato a me.
Hector divenne il mio primo ufficiale, e Paxton rifiutò la carica di nostromo.
Avrebbe acconsentito solo di esserne lui stesso il Capitano.
Ci dividemmo una prima volta a Singapore, affermò di voler prendere una strada sua, totalmente diversa. In realtà era sull’orlo dell’abisso.
Io ero troppo infervorato dalla mia più grande conquista per comprenderlo.
La Perla Nera era la nave che avevo sempre desiderato, e confidavo che da parte sua superasse presto l’invidia del momento. Così non fu.
Non seppi più niente di lui per anni, e quando si fece vivo di nuovo stentavo a riconoscere la sua persona.
Aveva sempre avuto l’aria di chi, presto o tardi se ne sarebbe andato all’altro mondo con una polmonite un po’ più violenta del consueto, invece negli anni maturò una strategia per cui un fisico resistente o la capacità di pianificare tattiche belliche non sarebbero serviti granché.
Si auto-inflisse una maledizione.
Come se nel suo caso ce ne fosse stato ulteriore bisogno...
Entrò in possesso di un diamante, una sorta di pietra sciamanica che racchiude in sé un potere: chiunque la fissi per più di una manciata di secondi può scorgervi all’interno la sua paura più grande, e morirne di conseguenza.
Ma non sarebbe Paxton senza un gesto estremo.
Infatti lui di questa pietra non vi fece un pendaglio, ma un occhio.
Si privò del suo occhio sinistro, strappandolo via dall’orbita, e vi ripose quel sasso infernale.”
“Come il cadavere che abbiamo rinvenuto a bordo ieri, è così?”
Ora mi è più chiara la nube di preoccupazione che avvolgeva Jack in quella circostanza, è questo che temeva.
“Cela il tutto dietro una maschera che gli ricopre solo la metà sinistra del viso.
L’ha fatto per vendicarsi di tutte le umiliazioni subite nell’arco di una vita, quando i suoi limiti fisici gli hanno sempre impedito di essere all’altezza.
Ma, com’era prevedibile, è andato degenerando.
Per non essere da meno a quella bestia di Nirsch, regola questo potente espediente con la sua tempra altalenante.
Non so dire se sia il diamante a controllare lui, o il contrario.
E risultato è simile a quello sul volto dell’uomo che la scorsa mattina abbiamo restituito al mare.
Oltretutto lui adesso ha una nave. Non è la Perla Nera com’era suo desiderio, ma è un rapido vascello inglese che ha battezzato ‘Diamond’.
La chiamano Il vascello fantasma.
Non so come, ma quella nave è più diabolica di lui. Precisamente è invisibile alla luce del sole. Dicono navighi solo di notte, quando è più difficile essere localizzati...”
“Una cosa ancora non mi è chiara: come ha fatto a diventare una minaccia?” domando incerta.
Devo aver centrato il punto, perché Jack distoglie lo sguardo dall’orizzonte e corruga il viso mimando un atteggiamento tra il dispiaciuto e lo sornione.
“L’ultima volta che l’hai visto non vi siete lasciati in buoni rapporti, vero?” deduco con una intonazione inquieta.
Lui annuisce strabuzzando gli occhi.
“Vedi… E’ stato Paxton a parlarmi di Hyubtat-le, di Untitled.
Il frammento della mappa con il veliero a vele spiegate apparteneva a lui, gliel’ho sottratto a Tortuga.”
“Mi hai detto di averlo trovato per caso in un cappello!” protesto, inizialmente non era così la sua versione dei fatti.
“…A Tortuga, in un cappello, che per caso apparteneva ad Alexander Thomas Paxton!”precisa puntiglioso, alzando un indice come ammonimento.
Io rido esasperata, il Capitano invece si fa molto serio.
“Nascose i quattro frammenti della mappa in altrettanti oggetti diversi, e io ne rintracciai uno in quel copricapo. Sono certo sia lui quel tale, consumato di vendetta, che mi condurrà a morte certa!”sentenzia greve.
“Ma ciò non succederà!” incalzo fiduciosa, in uno spiro di voce, disegnando con una carezza il contorno dei suoi zigomi. “Quel Paxton non sa che abbiamo un’arma segreta…” proseguo trionfante. Jack solleva un sopracciglio che scompare nelle pieghe della bandana.
“Ovviamente parlo di cappuccetto grigio e del cuoco semi-dio!”paleso sarcastica, caricando le mie parole di enfasi, come uno di quei proprietari del circo quando propone le sue attrazioni migliori.
La risata sommessa di Jack riecheggia nella stanza rimbalzando dalle pareti circolari del calice.
“…E poi, non dimentichiamo che Capitan Jack Sparrow sa sempre come cavarsela in queste situazioni!”mi asseconda, enfio di sicurezza ritrovata, scontrando il suo calice di tè con il mio, in una sorta di buffo brindisi dedicato alla speranza.

*



 
Ri-Nota della Capitana:
Salve, se siete giunti a leggere fino a qui avete vinto un premio!
Ci siete cascati eh? :P
Allora, come avete potuto vedere questo chap era un excursus dell’infanzia di Jack, la storia della sua famiglia e questo particolare non-fratello di cui avevamo già sentito parlare nello scorso chap.
Sono convinta che Paul non gli somigliasse per niente caratterialmente, anzi, fatico a trovare foto dove sembra “cattivo”, però ha degli occhi che, non so come, hanno delle affinità con Jack e quel suo sguardo che ti “guarda dentro” mi piace da impazzire, quindi mi son convinta a tenerlo.
So che in questa sezione ultimamente ci son molte storie che parlano di Teague/Jack, io volevo specificare che ho inventato tutto di sana pianta, nome della nave di Cap. Teague compresa, non ho preso informazioni da nessuna fonte ufficiale degli sceneggiatori del film e simili.
Spero che la mia versione dei fatti vi incuriosisca, qui son riuscita solo a dare una infarinatura. Ditemi quindi se vi interessa o meno J
Io, nel caso, ho in mente per filo e per segno certi momenti che potrei approfondire tra Therese e Teague, ve la butto lì così ;)
Aspetto di sapere cosa ne pensate e ringrazio sempre chi segue, legge, commenta, dice la sua, insulta XD questa fic. Vi adoro :*
Ultima cosa poi me ne vado, tranquilli: vi anticipo che a brevissimo continuerò la mia raccolta di one shot
How to train your creativity *FF interattiva*
Con la commissione di Selene6 J
I miei ossequi manigoldi.

Cap_Kela

 

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Capitolo 18
*** Choice ***


Ringraziamenti:
Alla mia guerriera _Celia_, perché per me è un modello e più una cosa è difficile, meno la spaventa :)
Molto molto più avanti, quando introdurrò un nuovo personaggio, penserò a come fargli raccontare di Therese e Teague ^^
Satana1 per il suo entusiasmo :D
Alla mia Ciccipucci SymboliqueVain, per l’incredibile pazienza e il tifo da stadio per i miei Patrick e Andrè *.*
E per finire ringrazio e dedico questo capitolo a DoubleSkin, che non so proprio come abbia fatto, ma si è letta Untitled e Untitled Without End con record da olimpiade o.o Grazie!
Io torno a rompere i barili a fine capitolo :P
Buona Lettura!

 
Capitolo 18
choice

Choice

 
Se di mattina, sul presto, il Capitano ti convoca per un colloquio privato, è da considerarsi un buono o cattivo segno?
Tutto è iniziato con un “Tu” secco ed echeggiante sul ponte di comando. Patrick si trovava lì, da tutta la notte a dire il vero, trascorsa vigile.
Alterna almeno tre notti bianche ad una in cui invece sente il bisogno mortale di dormire come un sasso. Quella appena sfumata non era una di queste.
Distratto dall’orizzonte, incontra l’indice a uncino di Jack, che gli intima ritmicamente di avvicinarsi.
“Qualora ti capitasse di imbatterti nella tua amica col volto coperto... Dille che è attesa nella mia cabina.”
Detto fatto, prima che l’ordine sfuggisse allo smemorato semidio, due colpi di nocche incontrano l’unica porta chiusa del corridoio delle cabine.
Dopo un sommesso invito ad entrare, dall’uscio fa il suo ingresso Scilla.
“Dunque è efficiente, il ragazzo!” deduce Jack sul nuovo acquisto della ciurma.
Il Capitano è alla caotica scrivania di comando, le caviglie poggiate alla superficie di legno, il pungo chiuso contro lo zigomo e due dita lungo le labbra.
“Come tramite funziona, sì!” conferma lei, chiudendosi la porta alle spalle.
Mentre l’ospite avanza, Jack si solleva dal gomito puntato sul tavolo, ma ignora la compostezza, e una gamba finisce a penzoloni, sporgendo dal bracciolo della poltrona.
“A cosa devo la sua chiamata, Capitano?” domanda con una nota sarcastica. Probabilmente poche ore prima ha già vissuto inconsciamente quella futura conversazione.
Jack le fa segno di accomodarsi, indicando una seggiola che ha preparato al suo fianco, insieme a due bicchieri vuoti e una panciuta bottiglia di cristallo, scrigno di un prezioso distillato di melassa ramata.
Lei si siede con naturale eleganza, e nel farlo la veste rubino che l’avvolge come un guanto rivela una sorpresa. Sui lati della gonna, infatti, due vistosi spacchi lasciano ben poco all’immaginazione, riguardo le gambe che incorniciano.
Il buio negli occhi del Capitano ricade proprio lì, ma si sofferma poco sulla sensualità suggerita da quegli arti, perché lo colpisce altro: una sorta di motivo tatuato di blu sulla pelle della donna. E’ simile a un ricamo, ma allo stesso tempo pare spaccare la pelle intorno a sé, e deturpa un poco le carni con profonde cicatrici, anche sovrapposte.
“E’ per qualche insolita credenza religiosa che porti il cappuccio?” dice rivolgendosi ad un punto indefinito di quel volto celato.
“Posso toglierlo, se volete” afferma abbassando sulle spalle quel lembo di stoffa che le arriva fino al naso. Nel farlo, il Capitano nota che il tatuaggio blu si estende anche sulle braccia.
Dal cappuccio grigio appaiono un paio di zigomi ben marcati, messi in risalto da una treccia che raccoglie tutti i capelli all’indietro, sulla nuca, lasciando libero respiro alla fronte.
Le immancabili labbra rosse colorano l’ovale regolare del viso, ma tutto il resto non è dato vederlo. Questo perché una spessa maschera di pizzo nero la copre dalle sopracciglia alla punta del naso affilato.
Il Capitano reprime il suo disappunto.
“Di questa però non posso provarmi -attesta lei riferita alla maschera- La mia religione non me lo consente!” scherza sottovoce.
Non riesce a vederle gli occhi, si mimetizzano col pizzo, forse sono neri anche loro.
Più questa donna si rivela più tende a confonderti.
“Sai già di sapere perché so, e ho ragione di supporre, che l’hai sognato... -esordisce stappando la bottiglia di rhum- Ebbene, sentiamo come hai conosciuto il mio non-fratellino.” sorride a denti serrati, scavando in quei occhi foderati di pizzo.
Scilla unisce le mani e indirizza uno sguardo assorto altrove.
“E’ successo otto anni fa, ma secondo il tempo corrente son trascorsi solo pochi mesi.
Paxton si è portato via l’uomo che amavo, e poco dopo a voi è toccato lo stesso. Io ero presente in entrambi i casi, ma fin ora non vi ho detto quale destino è toccato al resto della ciurma, dopo che avete lasciato questo mondo...”
Jack serra la mascella, facendo vibrare le treccine che l’adornano:  “Con il resto della ciurma intendi...”
“Intendo anche Jennyfer, signore.” lo precede.


Un groppo alla gola.
Tutta l’aria che cerco di ingoiare pare invece soffocarmi.
Brancolo nel buio, finché le mie mani imploranti, allungate in avanti, incontrano una pesante stoffa, al momento il mio unico sollievo.
Con le ultime briciole d’aria rimaste nei polmoni, mormoro infine: “...Patrick? Sei qui?”
Scosto la spessa tenda che, insieme ad un piccolo anticamera, divide la cucina dalla dispensa. Ho sentito dei rumori, suppongo che il semidio si sia rintanato qui.
“André di là sta sbollentando una verdura che fa un lezzo tremendo, non riuscivo più a respirare!” dico inspirando sollevata.
Entrando nella stanza sorprendo il biondino dinanzi uno scaffale ricolmo di qualcosa che, se è sempre stato lì, non avevo mai notato.
Si tratta di una sorta di mobiletto che contiene file ordinate di fialette in vetro, le quali racchiudono una sostanza labile e vaporosa, di un vermiglio acceso, quasi magenta.
Lui vedendomi pare allarmato, in un istante nasconde alla mia vista l’oggetto del suo interesse, e si affretta a sbarrare le ante del mobiletto.
Prima che possa aprir bocca per domandare spiegazioni, lo vedo volgere verso di me, e infilarmi le dita nodose nei capelli, appena sopra il mio orecchio.
Una leggera pressione col pollice e infine domanda con un sorriso vittorioso: “Qual è l’ultima cosa che ricordi?”
“Uhm... Io mezza soffocata dagli esperimenti culinari di André, perchè? Tu invece cosa fai con queste zampacce?” replico stranita.
Lui schiocca un bacio sulla mia fronte corrugata dal sospetto, e va verso gli scaffali preesistenti esultando.
“Sto diventando bravo!” intona a mo di cantilena. Non saprò mai che si riferisce al ricordo visivo che mi ha appena cancellato.
Meglio non perseverare chiedendo spiegazioni, ho già appurato che è matto.
“Dì un po’, ma fintanto che non è qui, Scilla dove si trova?” esibisco una piccola curiosità personale, raggiungendolo.
“Dove, dici? Beh, ma a Faimounth, con mia madre. A otto anni da qui.”
Certo, non ad un determinato numero di miglia, bensì anni.
Quello di venire da un tempo che deve ancora accadere è l’unico nostro punto in comune.
“Lei ha già vissuto otto anni nel futuro da adesso, ma ha memoria solo del perché si trova qui ora, nient’altro.
Ad essere precisi sono dieci anni, perché tra il 2009 e il 2011 era a New York con me, ma qui il tempo è rimasto invariato.” spiega con entusiasmo.
“E’ lì che abbiamo conosciuto tuo fratello, nonché custode della mappa, Dylan. Da allora siamo ottimi amici!” aggiunge infine con affetto.


“Inizialmente non ho collegato il fatto che nessuno abbia rivendicato il vostro corpo esanime a quella grande esplosione in mare, ma dopo che ho appurato fosse la vostra nave...
Paxton fece infiltrare a bordo il suo esperto asiatico di esplosivi. Abbinando una bordata alla dinamite, della Black Pearl non rimase che un pugno di schegge.”
Mentre lei racconta, Jack fissa il tavolo caotico dinanzi a se, con il bordo circolare del bicchiere poggiato alle labbra, pronto ad essere svuotato, e gli occhi sbarrati in una direzione indefinita.
Poi, trascorsa una breve pausa, si illumina sospettoso: “Come sai che lui a bordo ha una figura del genere?”
E qui pare toccare un punto dolente, perché Scilla si stringe nelle spalle e abbassa il mento: “Perché ho preso parte alla ciurma della Diamond, Capitano.”
La cosa non sembra allietare Capitan Sparrow.
“L’ho fatto per scavare più a fondo in questa storia, per capire se eravate collegato in qualche modo alla vicenda che mi riguarda. Vi ho visto morire, ma non sapevo quasi niente di voi...”
“Alexander lo si può definire in molti modi, ma non estroverso. In particolare per quanto riguarda me!” sentenzia Jack prendendo le distanze.
“Lo è in luoghi in cui non lo conoscete, tra le lenzuola per esempio...” allude in tono piatto, senza impersonare alcuna emozione.
“Ma tu guarda! Com’è gentile la sua amante a preoccuparsi per me...” commenta ironico, allargando le braccia in un gesto plateale.
“L’ho fatto per avere le informazioni che mi servivano. Non vi è stato alcun coinvolgimento sentimentale.” Replica seria, in cadenza ferma.
“Non è d’aiuto a riporre la mia fiducia in te -contesta lui scuotendo la testa divertito- Perché mai dovrei dar credito alle tue parole?”
“Perché lo voglio morto quanto voi!” sentenzia, enfatizzando il tono alto con un pugno sul tavolo.
“Non voglio che quello successo a me si ripeta con voi, o altri…”
Il Capitano non è affatto intimidito, ha smesso di guardarla, e riflette in silenzio, annuendo, con un sorriso sghembo in viso.
Dopo una lunga pausa, riprende: “Perché… Io? Perché, come si conviene alla logica, non hai presupposto di riavere indietro il tuo benamato chissà chi?”


“Hai mai commesso una pazzia per amore… Patrick?”
Dopo la sua affermazione sul mio fratellino vorrei fargli mille domande.
Dov’è? Come sta? Quanto è cresciuto? Qualsiasi futile particolare mi rallegrerebbe.
O forse al contrario aggrava la mia nostalgia.
Allora per ora sorvolo. Per ora.
Mi sono sistemata su una grossa cassa. Lui mi dà le spalle e fruga smovendo delle bottiglie, il cui vetro fa un irritante tintinnio sotto il suo tocco indelicato.
Alla mia domanda si ferma, pare rifletterci. Poi minimizza, sempre concentrato nella sua ricerca:
“Ha importanza?”
“Shakespeare diceva…- esordisco- Ha appena detto –mi correggo-  Se tu non ricordi la più piccola follia a cui ti ha condotto l'amore, tu non hai amato! ”.
Lui, dinanzi lo scaffale, sospira contrariato.
“Non lo so, Jen. E’ qualcosa di ancora più oscuro di ciò che non riesco a ricordare –dice portando le mani attorno alla sottile cintola- E sono il Dio della Memoria, per Giove!” conclude buttando le braccia al cielo, esasperato.
“Non ho un granché di positivo da raccontare in questo campo. –ammette facendo spallucce- Però, fammi pensare… Accompagnarla in capo al mondo attraverso le varie epoche è abbastanza pazzo?”domanda fingendosi dubbioso.
“Se tu ci tieni così tanto a lei… Cos’è che non va?”
E’ questo l’alone di mistero di cui sono avvolti quei due.
Salto giù dalla cassa alla volta di lui.
“Perché non vi ricostruite una nuova vita insieme?” propongo fiduciosa, aggrappandomi al suo braccio, appena scolpito dalla luce che filtra dalle paratie.
“Non posso” sussurra. Le sue labbra di profilo sorridono, ma senza mostrare diletto.
“Come no! Che Dio è colui che ha la sua felicità a portata di mano e teme di afferrarla! –tento allora di provocarlo con uno strattone- Non colgo proprio dove sta il problema.” insisto ostinata.
Patrick continua a fingersi indaffarato, e non mi guarda. Appare molto combattuto, ma non si ritrae.
“Il problema è… Che lei muore.”un fiato liberatorio, un poco sentito e sofferto. Scandito in modo serio, indirizzato in linea diretta dai suoi occhi fermi ai miei.
“Beh, mi pare ovvio. Tu sei immortale,  vivrai per sempre… E’ matematico che lei…”
“Non intendo per la successione naturale degli eventi, Jennyfer! -mi contesta con rimprovero- Alla fine di questa storia, lei muore.” sottolinea greve.
Non vi è più alcuno spazio per scherzi o congetture. La certezza del suo tono mi conferma che il tempo del gaudio è finito.
“Scambierà la sua vita con quella di Jack? Un’anima strappata alla morte in cambio di un sacrificio, è così che funziona?” lo interrogo impensierita.
“Niente di tutto questo. – assicura il semidio- Avrai sicuramente notato uno strano segno particolare in lei…” Parecchi a dirla a tutta.
“Una sorta di ghirigoro sottopelle che le percorre tutto il corpo…
Non è henné, tantomeno un tatuaggio.
Dopo che Hayez Nick le ha sottratto la mappa, ha intrapreso dei viaggi nel tempo con me anche senza di essa.
Poco male fin qui, uno degli effetti collaterali è la perdita di memoria, ma… Hey! A quello ci penso io!” spiega ammiccante, spalancando le braccia, con entusiasmo ritrovato.
“Personalmente ho dei piccoli limiti nello spostamento spazio-temporale, ad esempio non posso visitare un’epoca precedente alla mia data di nascita, ma per il resto via libera.
Sta di fatto che, in ogni caso, un fisico mortale non è adatto a sopportare certi sconvolgimenti, quindi Scilla ha dovuto ricorre ad un metodo drastico.
Sarai felice di sapere che l’unico a cui non spetta tale crudeltà è solo il custode di Untitled…”allude bisbigliandomi quest’ultima frase all’orecchio.
“Quel cancro blu che le scorre sottopelle è… Un antidoto.
Impedisce al suo corpo di sgretolarsi mentre sosta tra le varie ere, ma allo stesso modo, l’avvelena profondamente, e… Quando raggiungerà gli organi vitali… Insomma, non sappiamo come impedirlo!” si confonde infine con una nota di ansia e disperazione.
Parla al plurale riferendosi anche a sua madre Sogno, suppongo.
“Per anni abbiamo ricercato una soluzione, tenendolo solo come ultima spiaggia, ma infine si è rivelata l’unica possibile.” Enuncia sconfitto.


“Tempo fa dicesti, se non erro, che per te non vi era più alcuna speranza. Ne convieni?” Rilancia il Capitano per esortarla al dialogo, dato che dall’ultimo quesito pare restia ad esprimersi.
Scilla, inaspettatamente, dilegua ogni tensione per abbandonarsi ad un sorriso.
Mantiene lo sguardo rivolto in basso, ma sembra serena.
“Questo doveva essere un esperimento… Mi riferisco al salvarvi la vita. Se avesse funzionato con voi avrei fatto lo stesso col mio uomo, ovvero secondo logica.
Ma… In seguito… Ho scoperto di non averne il tempo.
E voi siete destinato a cose molto più grandi.
Salvarvi, Capitano, significa sradicare un infido male dal mondo… Meglio conosciuto come il mio amato Paxton. –scandisce canzonatoria- Sarebbe solo uno dei tanti, lo so. Ma per me è sufficiente.
Saprei di aver vissuto per qualcosa che io ritengo giusto!
Tornare indietro per riavere l’uomo che ho amato, invece, avrebbe cambiato la vita solo a me.”
Per la prima volta riesce a vederla senza maschera.
Senza gentilezza di convenzione, senza misteri o chiacchiericci civettuoli.
Si rivolge a lui col cuore in mano, e questa volta lo percepisce, e ne è allo stesso tempo turbato.
Sente il peso di una responsabilità che in altre circostanze avrebbe schivato alla pari di un morbo contagioso.
“Qualunque altra parola ora sarebbe superflua, eccetto: Non fatemi pentire della mia scelta.” Lo esorta severa.
Il Capitano della Black Pearl elabora un pensiero, straluna gli occhi, e infine obietta: “E’ con rammarico che devo deluderti, ma io non uccido su commissione. Non è il mio mestiere!”si scagiona, tirandosi indietro.
Scilla pare prendere bene l’affronto. Lo fissa intensamente attraverso il pizzo nero, senza perdere la sua risolutezza.
“Se la vostra alternativa migliore è ridurvi a brandelli, saltando in aria sopra un candelotto di dinamite, fate pure!” dice con freddezza chirurgica, facendo per andarsene.
“Ad essere precisi, mi sfuggono le suddette serie motivazioni per cui Alexander dovrebbe essere tanto avverso nei miei riguardi.” Replica pacato, seguendola con lo sguardo mentre torna alla porta.
Scilla si volta a rallentatore per guardarlo, come si fissa un folle.
“Il vostro titolo di Pirata Nobile, il vascello dalle vele nere su cui stiamo navigando… La mappa! –sottolinea con enfasi per ingigantire quest’ultima parola- Untitled non funziona in modo casuale. Lo sapete come i fratelli Allyson si sono ritrovati qui? Perché era il luogo e tempo che Dylan desiderava di più.
Paxton l’avrebbe usata a fini spregevoli, eppure, ancora una volta, il suo non-fratellino gli ha sottratto l’ennesima chance.
Diffidate ancora?
Posso assicurarvi che il cadavere di quel marinaio dall’orbita cava è solo l’inizio.” Conclude solenne, aggrappandosi alla maniglia della porta.
“In fatto di decretare avvisaglie ti ha ben istruita…” borbotta lui contrariato, senza farsi udire.
La donna emette un verso interrogativo, dedicandogli un ultimo istante di attenzione.
“…In cosa consiste il tuo piano?”biascica svogliato, con una punta di resa.
Troverà in seguito il tempo di pentirsene.
D’altronde questa faccenda non riguarda solo la sua pellaccia dura, ma anche i suoi uomini, e quella adorabile fanciulla polemica che si addormenta ogni sera nel lato mancino del letto.
Maschera di Pizzo reprime l’esultanza, e torna a riaccomodarsi con ardore.
“Voi saprete meglio di me, Capitano, che quel maledetto occhio è il suo asso nella manica.
Ma se io vi dicessi che il diamante è allo stesso tempo il suo punto debole?
Quel corpo estraneo in realtà gli causa una scarica di dolore costante.
Lui si regge in piedi con etere e antidolorifici, ma questi lo devastano nel fisico e nella ragione.
Rimane tuttavia un ostacolo da soppiantare, e a questo ho la soluzione.
Se l’affrontaste com’è ora, perireste sotto il suo potere.
Ma se ovviaste all’influenza di quell’occhio…
Paxton rimane sempre solo un uomo!”.


Si è recato dal suo Capitano di buon ora, da fedele non-Primo Ufficiale, per dei chiarimenti sulla rotta odierna e qualche dettaglio in più sulla gestione degli uomini, ma infine ha scelto di trattenersi sulla porta.
Jimmy stava per bussare ed annunciarsi, ma gli sprazzi di conversazione da lui colti l’hanno ridotto alla pari di una pettegola di porto.
Per non farsi cogliere sul fatto, si è introdotto nella stanza confinante, e fa affidamento su ogni dettaglio che riesce a ghermire dalla Cabina del Capitano.
Quest’ultimo e la misteriosa ospite discorrono a pochi metri, al di là della parete, e al momento pare essersi infervorato per le parole di lei.
“Vorresti persuadermi a credere che è così ovvia questa faccenda?” ode pronunciare dalle labbra del suo Comandante, con aria incredula.
L’altra voce ha tratti di donna, ma non è Jennyfer. Ne ha la certezza perché ha visto la giovane altrove.
Dev’essere quella strana creatura che a bordo appare e scompare negli ultimi tempi.
Alcuni uomini ne han timore, la credono uno spirito del mare e delineano le distanze.
Come sole dire il vecchio *Albatros: “Donna, fuoco e mare fanno l'uomo pericolare.” E forse non c’è proprio bisogno di altri malauguri su questa chiglia.
“Non afferro e non condivido la necessità di coinvolgere Hector!” tuona Jack nell’altra stanza.
Jimmy si assottiglia contro la parete, facendovi aderire un orecchio, ma tutto ciò che filtra attraverso le travi è una intimazione del Capitano, più simile ad un: “Ci rifletterò su. Sciò!”.


“Uhm, fammi pensare…
L’ultimo film che hai visto al cinema?”
Mi tocco il mento con l’indice, un gesto involontario dettato dalla riflessione, e nel contempo faccio un tuffo nei ricordi.
“Forse era… Ah si, Shrek!” replico entusiasta.
Archiviata la parentesi tragica su Scilla, ho sviato la conversazione sugli svaghi che, a detta sua, ci accomunano. Considerato che Patrick ha assaporato una briciola di giorni nostri.
“Dylan ha piagnucolato per mesi affinché lo portassi a vederlo, poi durante lo spettacolo ha scatenato la guerra dei pop corn. Volavano ovunque, tra la gente, nei miei capelli… Quella peste!”rammento divertita.
“Il primo Shrek?” domanda il semidio.
“Primo, ce ne sono altri?”
“Ah-ha! Io li ho visti tutti e quattro!” cantilena come un vanto.
“Devi assolutamente dirmi cosa combinano negli altri film!!!”
Lo farebbe se la sua attenzione non venisse all’istante rapita da una ragnatela di pizzo calata su uno sguardo enigmatico.
Quelle labbra vermiglie si materializzano al suo fianco, sfiorandogli il polso divino inabissato nello scaffale.
“…Hey!”sospira sognante, volgendo ogni fibra del suo essere verso quella creatura misteriosa.
“Posso rubartelo?” Scilla si rivolge a me con uno spiro cortese.
Io annuisco indietreggiando, facendomi piccola per la soggezione.
Per un attimo non l’ho riconosciuta senza cappuccio, ma anche così non lascia trapelare granché di se.
Prima che possa andarmene, Patrick, senza mai smettere di guardarla, richiama la mia attenzione, porgendomi una bottiglia per cui rovista nella dispensa fin dal mio arrivo.
“Che cos’è?” dico incuriosita.
“Aceto, per soffocare il lezzo nauseabondo. Spruzzane in cucina come se piovesse!” mi ragguaglia.
Ed è lì, soffermandomi un altro istante, che vedo materializzarsi il significato delle parole di Patrick.
Scilla è dinanzi a lui, con la sua figura un po’ austera, ma sciolta nell’atmosfera di confidenza che da anni coltiva con il semidio.
Lui le sfiora appena le braccia nude, ridisegnando con i polpastrelli il ricamo blu, quel tanto che riesce ad avvicinarla.
Tutto ciò che vi è da leggere in questa scena è scritto nello sguardo limpido di lui.
Potrebbe capitare nel bel mezzo della tempesta del secolo, ma lui non vedrebbe nulla al di là di quel volto delineato dal merletto.
Finge di ascoltarla con un sorriso marcato, e nel contempo le iridi navigano sull’onda dell’immaginazione.
Suppongo che ogni donna, dal momento in cui incappa per la prima volta nell’amore, esprime il tacito desiderio di essere guardata così. Eppure, con tutta probabilità, Scilla non lo vuole nemmeno.



Note:
*Se siete curiosi di sapere e capire meglio chi diavolo è tale “Albatros” date un’occhiata qui:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2384961
Devo farmi un po’ di pubblicità occulta, suvvia!
Questo capitolo 18 inizialmente aveva mille titoli diversi, ma alla fine mi sono focalizzata su un’unica parola significativa.
E’ la prima volta che sperimento questo fatto di scrivere più scene in contemporanea, spero di aver reso la lettura più interessante e dinamica.
Volevo farvi conoscere meglio i due piccioncini *ehm* personaggi che da qualche tempo han preso parte alla ciurma, ma di cui si sapeva gran poco.
Spero, nonostante tutto, di riuscire a continuare ad appassionarvi :)
Per ogni tipo di suggerimento e opinione scrivetemi una recensione qui sotto, io son sempre disponibile anche nel mio account autrice.
Grazie per aver navigato in queste acque, buona continuazione!
Ossequi.
Cap_Kela

 

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