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di maxmin1997
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Le elezioni. ***
Capitolo 2: *** II. Il ricatto ***
Capitolo 3: *** III. Atti decisamente... illegali ***
Capitolo 4: *** IV. La festa ***
Capitolo 5: *** V. Non puoi essere serio! ***



Capitolo 1
*** I - Le elezioni. ***



                                      1. Le elezioni



"Amare è permettere ad un altro cuore di sentirsi a casa nel nostro."
 


Era un altro giorno del duemilaschifoqualcosa e come sempre mi preparavo a un’altra lunga ed estremamente noiosa giornata. La mia sveglia, quella dannatissima sveglia regalatami per il mio sedicesimo compleanno, non la smetteva di suonare nonostante le avessi dato già due botte. Ogni mattina la stessa storia, ogni mattina mi ripetevo di doverla cambiare, e puntualmente non lo facevo. Dopo circa altri cinque vani tentativi, mi convinsi ad alzarmi e a spegnere quell’affare maledetto. Meditai qualche istante sulla possibilità ti tornare a letto, ma erano già le sette e un quarto, ero già in ritardo per la tabella di marcia. Esatto, avevo una tabella di marcia che prevedeva che mi alzassi alle sette del mattino, e che mi vedeva alle otto seduta al banco a ripassare la lezione del giorno. Ovviamente questa famosa tabella era una gran cazzata. La normalità di solito era alzarsi con venti minuti di ritardo, consumare l’acqua calda, farsi sgridare da mamma e arrivare a scuola con circa dieci minuti di ritardo, prendendosi la quotidiana ramanzina dal bidello.
Comunque il mio problema principale in quel momento era un altro: muovere i piedi uno dopo l’altro fino ad arrivare alla doccia.
Dopo un po’ di autoconvinzione la mia missione era ufficialmente completata e mi stavo godendo il vapore dell’acqua che mi accarezzava la pelle.
“Cassie! Cassie ti vuoi muovere?! Perché ogni giorno è la stessa storia con te? Sono stanca, mi senti? Stanca!” le urla di mia madre mi fecero prendere un mini infarto.
Appoggiai la testa sul marmo freddo della parete e lentamente chiusi i pomelli dell’acqua, mi asciugai velocemente e cominciai a scegliere minuziosamente cosa mettermi. Su queste cose ero una specie di maniaca, dovevo avere sempre l’abbigliamento perfetto per l’occasione. E quella di oggi sarebbe stata una grande occasione. Ci sarebbero state le elezioni per il rappresentante d’istituto. Ovviamente io non ero una candidata, ma la mia migliore amica, Helena, sì. E tutti i voti erano a suo favore.
Colta dall’idea, presi una gonna larga e morbida con una stampa a fiori che mi arrivava nemmeno a metà coscia, una maglietta infilata dentro a righe, stile marinaresco, un cardigan rosa chiaro e i miei stivaletti di pelle nera col tacco. Mi misi un filo di mascara e rossetto rosso. Mi guardai allo specchio soddisfatta del risultato. Sapevo di non essere né bella né sexy, ma ero contenta così. Alta circa un metro e settanta, capelli ondulati biondo grano che mi arrivavano sotto il seno, di una seconda scarsa, e occhi azzurri e molto espressivi a quanto pareva.
Uscii di casa dopo aver salutato mia madre, prendendo in tempo l’autobus e godendomi il raro sole che c’era a Londra quella mattina. Arrivai a scuola giusto due minuti prima che il bidello chiudesse i portoni, per una volta ce l’avevo fatta. Corsi verso la mia classe, consapevole che sia Helena che la prof di biologia, la Johnson, mi avrebbero fatto fuori.
Mentre correvo, però, andai a sbattere contro qualcosa di massiccio, o qualcuno in quel caso.
“Ma che diavolo…” cominciai, ma appena alzai il viso mi bloccai. Davanti a me c’era Derek King, il ragazzo più popolare della scuola alias hacker della scuola alias cattivo ragazzo su tutti i fronti alias nemico cruciale di Helena, e nemico mio.
“Oh, ma guarda chi c’è. Dovresti vedere dove metti i piedi… Montgomery, giusto?”
“Sì” dissi in un sussurro, non riuscendo a smettere di guardare quei due occhioni verdi che mi fissavano con interesse.
“E così sei il cagnolino di Helena eh” sghignazzò lui.
Ecco. In quel preciso instante tutto il mio interesse, seppur minimo ovviamente, era scomparso. Come si permetteva di darmi del cagnolino?! Sentii le guance imporporarsi e cominciai a scaldarmi.
“Non sono il suo cagnolino” ribattei con voce più sicura di quanto pensassi.
“No certo che no, ma le vai sempre dietro e fai qualsiasi cosa ti chieda” mi disse con un sorriso enigmatico.
“Lo faccio per la campagna elettorale” sibilai io. Era già tardi e non avevo intenzione di restare ancora a farmi insultare da un cretino come lui.
Fece per andarmene, ma lui mi prese per un braccio, come a trattenermi.
Immediatamente sentii una specie di scarica elettrica, e dovette sentirla anche lui, perché mi rivolse uno sguardo ambiguo.
“Non vi illudete troppo. Vincerò io alle elezioni”
Io mi liberai della presa e, lanciandogli un’occhiata di fuoco, una di quelle inceneritrici, corsi verso la mia classe.
“Signorina Montgomery, le sembra davvero l’ora di arrivare, questa?” esordì quella specie di avvoltoio alla cattedra.
Fin dal primo giorno di scuola l’avevo inquadrata in quel modo. Mi era sembrata un vero e proprio avvoltoio, in attesa delle prede da mangiare, per sfamarsi.
“Si sieda e non ci faccia perdere altro tempo”
Io obbedii e andai al mio posto, vicino alla mia migliore amica che non aspettò nemmeno un secondo prima di riempirmi di domande.
“Dovecavoloseistata?Eperchèseituttarossa?Avrestipotutoavvertirmichenonvenivi?!”
Io la guardai scettica. Cosa aveva appena detto?!
“Eh?” fu la mia risposta intelligente.
“Dove cavolo sei stata?! Perché sei tutta rossa? E perché non mi avverti mai quando ritardi? Avrei potuto coprirti con la Johnson” disse finalmente un po’ più calma.
“Allora, sono in ritardo lo so, sono rossa perché ho incontrato quel deficiente di King, che mi ha rivolto parole non proprio carine, e non ti avv…” non feci in tempo a finire di parlare perché la mia amica mi rivolse un’occhiata scioccata e da indagatrice al tempo stesso.
“Che diavolo ti ha detto?”
“Che sono il tuo cagnolino e che vincerà le elezioni” dissi, omettendo però la parte in cui mi afferra per il braccio ed entrambi sentiamo una stupida scarica elettrica decisamente strana e che potrebbe essere interpretata decisamente male dalla mia amica alias regista di film mentali da Oscar.
“Che sei il mio cagnolino?! Ma come si permette quel gran pezzo di mer…”
La interruppi immediatamente prima di attirare l’attenzione dell’avvoltoio.
“Helena calmati! Vinceremo quelle elezioni e gli faremo vedere chi è che comanda” dissi risoluta.
La mia amica aveva un ottimo curriculum per diventare rappresentante d’istituto; era una studentessa modello, un vero e proprio genio, partecipava alla maggior parte dei corsi offerti dalla scuola, come il club di scacchi, il club del giornalino scolastico, il club per i crediti scolastici… tutta roba particolarmente noiosa per me, ma sicuramente eccitante per Helena.
“Che poi – cominciai – non ho mai capito perché uno scansafatiche come lui voglia diventare rappresentante. Che ci guadagna? Di certo non il rispetto della gente, quello ce lo ha già”
Helena fece per pensarci un po’, per poi uscirsene con una delle sue risposte sagaci:
“Credo che voglia semplicemente dimostrarsi superiore. Non solo a me, quanto a tutti gli altri. Vuole dimostrare di saper battere la ragazza più talentuosa della scuola, senza offesa Cass.. – non mi offesi per niente, sapevo che tra le due era lei la migliore, ed ero fiera di lei ovviamente – Quindi non so, credo che sia tutta questione di ego maschile” osservò.
Ci riflettei per un minuto e poi concordai con lei, aveva decisamente ragione. Solo uno come Derek King poteva esporsi in quel modo per orgoglio, o ego, o entrambe le cose.
Finite le angoscianti ore di lezioni, ci dirigemmo verso l’aula magna, che avrebbe ospitato le votazioni e gli esiti.
Helena era chiaramente in ansia, si spostava da un piede all’altro e si stava nervosamente mangiando le sue unghie di solito super curate. Mentre la guardavo osservai che era strano che una come lei non avesse un ragazzo o cose simili. Quando ne parlavamo sviava sempre il discorso, segno che lasciava intendere che qualcuno effettivamente c’era, e avevo seri sospetti sul suo compagno di scritture al giornalino. Era alta, carnagione abbronzata e capelli neri e fluenti, occhi a mandorla e un sorriso davvero incantevole.
Le misi una mano sulla spalla, a mo’ di incoraggiamento e lei mi fece un sorriso che sembrava più una smorfia.
“Salve a tutti ragazzi! – esclamò una voce esageratamente stridula che non poteva appartenere che a Julie Vanderwall, una secchiona che si occupava di tutte le rappresentazioni e gli eventi scolastici, senza però prenderne parte – Eccoci finalmente all’atto finale!” la sua voce era carica di allegria, ma nella sala regnava una tensione così intensa che si sarebbe potuta tagliare con un coltello.
“E’ l’ora di contare i voti e proclamare il vincitore!”
Proclamare il vincitore? Cos’era un duello medievale? Ma andiamo…
Intanto Helena si era fatta davvero pallida e mi stavo seriamente preoccupando. La portai a sedere e vidi le lacrime solcarle le guance.
“Helena, Helena dimmi che è successo!”
“Ma niente Cass, sono solo preoccupata p-per la gara…” disse tremante.
Certo e io me la bevevo secondo lei.
La vidi rivolgere un’occhiata in un punto lontano, seguii il suo sguardo e vidi che si posava su King, che le sorrideva malignamente.
In un attimo tutto fu decisamente chiaro.
Mentre Julie si dava da fare a contare i voti accompagnando ogni bigliettino da una battuta scadente, a passi pesanti andai verso Derek.
Lui si rivolse distrattamente verso di me e mi squadrò dall’alto in basso, come a cercare di capire perché una come me volesse parlare con uno come lui.
“Che vuoi, Montgomery?” disse con un tono di voce roco e annoiato.
Lo guardai meglio. Era il tipico belloccio inglese. Capelli biondi e mossi, che gli arrivavano poco sotto le orecchie, occhi verde prato, alto almeno un metro e ottantacinque e abbastanza massiccio. Dai due bottoni della camicia nera lasciati aperti, si potevano intravedere gli addominali scolpiti e improvvisamente cominciai a sentire caldo e a innervosirmi.
“Come mai sospetto che alla fine avrai tu l’esito positivo in questa stupida elezione?”
Lui mi sorrise, sapeva che io sapevo.
“Beh, non so. Magari ti sei resa conto che il migliore tra me e quella specie di ragazza, sono io” disse con una sfrontatezza esagerata.
“Come hai fatto a corrompere l’elezione? E perché Helena non ha intenzione di fare nulla? Che diavolo le hai detto brutto stronzo?”
La sua espressione si fece più dura, ma il sorriso non accennava a sparire.
“Ti conviene andarci piano con i paroloni, piccola. Altrimenti potresti rimanere decisamente spaventata da quello che potrei farti se mi fai incazzare” disse in un sussurro, avvicinandosi in modo pericoloso a me.
“Non chiamarmi piccola. E poi non mi spaventi nemmeno un po’. Voglio delle risposte o giuro che…”
“Che mi fai? Mi picchi? Lo vai a dire al preside? Chi ti crederebbe?” ribatté lui non lasciandomi finire.
“Ci sarebbero delle persone che mi crederebbero…” dissi poco convinta.
“Sì, il bidello! Torna a giocare con le bambole, piccola. Ho un discorso di vittoria da preparare” e con questo si girò, dandomi le spalle.
I suoi occhi non avevano smesso nemmeno per un secondo di fissarmi, quasi di analizzarmi. Mi ero sentita accaldata e non capivo perché. Sicuramente era a causa dell’incazzatura…
Quando mi girai verso Helena, la vidi un po’ più calma, ma con lo sguardo di chi sa che ha già perso. Cos’era cambiato nelle ultime cinque ore che l’aveva fatta dubitare? Che mi aveva fatta dubitare.
“Eccoci all’ultimo voto ragazzi! Helena Robinson e Derek King sono al pari, quindi vincerà chi avrà questo voto!”
Dovevo assolutamente fare qualcosa, qualcosa di drastico. Dovevo imbrogliare in qualche modo. Avevo circa due minuti, quando mi venne il colpo di genio.
 
 
“E l’ultimo voto va a… Derek King!” Urla e schiamazzi irruppero per tutta la sala, ma furono bruscamente fermati.
“Aspettate, ragazzi, aspettate. Il mio assistente mi ha appena fatto notare che ci sono ancora quattro biglietti. Scusateci, deve esserci sfuggito!”
Aspettai con trepidazione e mi andai a mettere vicino a Helena, che intanto già piangeva.
Vidi di sfuggita lo sguardo di Derek trafiggermi, alla fine dell’elezione avrebbe saputo che ero stata io. Chi altri sennò?
“Un voto a Helena Robinson, un altro Derek King, un altro ancora per la Robinson e attenzione ragazzi! Il voto finale è di Helena Robinson!”
Grida di eccitazione e bandierine con la faccia di Helena volavano per tutta l’aula. La mia amica mi guardava con le lacrime di felicità e mi ringraziava in piccoli sussurri. Le strinsi la mano e mi affrettai a uscire dalla sala, non volevo imbattermi per niente al mondo in Derek.
Presi per un momento in considerazione l’idea di cambiare scuola, o Stato.
“Guarda guarda, la piccola guastafeste che se la svigna”
Quella voce mi fece raggelare il sangue nelle vene.
Mi fermai, ma senza girarmi. Sentii il suo respiro sul collo, e il suo viso che si avvicinava al mio orecchio.
“Sei finita, Cassie Montgomery”
Sì, ero finita davvero.                                      

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Capitolo 2
*** II. Il ricatto ***


                                                                                                                     2. Il ricatto


"Qualcuno dice 'ti amo', qualcuno lo scrive. Qualcuno, invece, ama e basta."
 

Era passata una settimana precisa da quel fatidico giorno che chiamavo ‘la minaccia mortale di King’. Infatti costui non si era fatto vedere e io me ne ero quasi scordata, impegnata com’ero ad aiutare Helena con il suo nuovo ruolo di rappresentante. Mi aveva nominata suo braccio destro, e ne ero più che felice. Finalmente avevo qualcosa da fare per la scuola, avrebbe alzato la mia media dell’otto e mi sarei tenuta lontana da casa mia. Le cose con mia madre andavano di male in peggio. Da quando mio padre ci aveva lasciate per partire per il Brasile con una ventenne brasiliana, mamma si era chiusa in sé stessa, non parlavamo più, se non per le solite cose, come spesa, scuola e sgridate sull’acqua calda.
Mi mancava molto quel rapporto, perché come ogni ragazzina di dodici anni, a quell’età si ha bisogno della propria mamma.
Dopo la mia solita doccia andai in camera a decidere cosa scegliere. Dal primo momento in cui avevo aperto gli occhi, mi ero sentita una sensazione strana addosso, come se dovesse succedere qualcosa di brutto, molto brutto e spiacevole.
Indossai una camicia stile western bianca con le frange, dei pantaloncini scuri a vita alta con dei collant color carne. Presi la borsa e uscii di fretta, come sempre in ritardo.
Il bidello mi fece entrare con un’occhiata che avrebbe fatto congelare chiunque, ma io ci ero abituata. Eravamo amiconi, io e lui.
“Signorina Montgomery, alla buon’ora” esordì la mia prof di chimica. Io ero molto bassa, per i miei diciassette anni, ma lei, con i suoi sessanta (o settanta?) era davvero minuscola. Poi aveva una gran mania di aprire tutte le finestre appena entrava in classe, dicendo che c’era puzza di chiuso, anche se la sentiva solo lei, e noi ci morivamo di freddo, mentre lei se ne stava imbacuccata alla sua cattedra, risultando ancora più piccola.
“Mi scusi, prof.”
Lei annuì, al mio passaggio starnutì guardandomi male. Infatti era allergica ai profumi e alle sostanze chimiche.
Perché insegnare chimica, allora?!
Helena quel giorno non c’era, così fui costretta a sedermi da sola. Le ore passarono decisamente più lentamente senza la sua compagnia. Le passai quasi tutte con le cuffie nelle orecchie ascoltando i miei amati Beatles.
DRIIIIIIIIIIN!
Oh finalmente! Ora si mangia!
Eccola lì, la mia vocina della coscienza. Era decisamente scomoda, anche perché non mi lasciava un momento in pace e pensava solo a mangiare.
Andai in mensa, ma qualcuno mi tirò per un braccio e mi portò in una classe vuota.
La presa era forte, così i miei tentativi di liberarmi furono pateticamente vani.
“Ehi!” esclamai quando mi lasciò.
Mi girai verso il misterioso molestatore e rimasi di sasso.
Appoggiato alla porta chiusa, un’espressione strafottente in volto e un sorrisino irritante, c’era Derek King.
Sapevo che i miei giorni erano contati, e ora era arrivata la mia ora. Cosa mi avrebbe fatto? Mi avrebbe pitturato cose strane in faccia e mi avrebbe fatto girare per la scuola, presa per il culo da tutti? Mi avrebbe rinchiusa tutto il giorno e tutta la notte in quell’aula deserta? Oppure mi avrebbe molestata sessualmente?
Oh, andiamo Cass. Lo sai che uno dei suo calibro non prenderebbe mai in considerazione una come te.
Ma che simpatica coinquilina che avevo nella mia testa, eh.
“Che vuoi King?” dissi, ansiosa di vedere sparire quel sorrisino idiota.
“Penso che tu sappia cosa voglio, Montgomery. Hai truccato l’elezione, facendo vincere la tua cara amichetta”
“Sì è vero, l’ho truccata, e allora? L’ho fatto per la mia amica” dissi altezzosa. Ma guarda un po’ se doveva fare a me la paternale.
“Mia cara Cassie, sei solo un minuscolo insetto sul mio parabrezza. Mi hai fatto perdere l’elezione. Ora la pagherai, semplice direi. Non trovi?” disse avvicinandosi pericolosamente a me. Ora eravamo ad almeno mezzo metro di distanza, e cominciavo a sentire un pizzico di paura.
“E quindi cosa hai intenzione di fare? Uccidermi?” mentre parlavo mi uscii una specie di risatina isterica, non sapevo più cosa fare.
“No, certo che no. Ma mi devi molto”
A quel punto fui io ad avanzare verso di lui. Gli spinsi un dito sul torace muscoloso e cominciai a sputare fuori tutto quello che pensavo.
“Io non ti devo proprio un cazzo! Hai capito?! Sei solo un ricco figlio di papà che pensa solo a sé stesso, non so perché volessi tanto vincere quella fottuta elezione, e nemmeno mi interessa. Mi interessa il fatto che la mia amica stava male per non vincere, e se c’è una cosa che non sopporto è che le persone a cui tengo stiano male. Quindi, Derek King dei miei stivali, fammi uscire di qui e non ti far più vedere”
Lui parve colpito dalle mie parole, e a essere sincera lo ero anch’io. Gliel’avevo fatta vedere a quel cretino!
Poi però la sue espressione si fece più seria e cominciai a sospettare che le mie parole, invece di spaventarlo, avevano fatto l’opposto. L’avevano reso più crudele.
“Oh, mia cara Cassie, non hai idea di quanto tu sia fottuta”
Io lo guardai scettica. Cosa? Perché?
Lui tirò fuori dalla tasca qualcosa e me lo fece vedere: un registratore. Sentii tutto il sangue defluirmi dalla faccia. Sperai ardentemente che non avesse in mente quello che pensavo, oppure sarei stata sul serio nei guai.
Lui premette un tasto rosso, poi uno blu, e la mia voce iniziò a riempire l’atmosfera.
“… vero, l’ho truccata, e allora? L’ho fatto per la mia amica”
Lui la stoppò e la rimandò indietro per almeno dieci volte.
“Allora che ne pensi, Montgomery, ti senti un po’ più disposta nel fare quello che dico, eh?”
“Altrimenti?”
“Beh, mi pare ovvio. Questo prezioso registratore andrà nelle mani della preside, a quel punto non ci vorrà molto alla tua espulsione” disse con un sorriso vittorioso e soddisfatto in volto.
“Cosa vuoi che faccia?”
“Mi devi aiutare” disse risoluto.
Aiutare in cosa?
Lo guardai con aria interrogativa.
“Beh, sai com’è… sono venuto a sapere che tu sei brava quanto me con i computer, e io avrei tanto bisogno di un partner nelle mie piccole azioni illegali” mi sussurrò avvicinandosi un altro po’. Ora la distanza tra noi si era ridotta a circa trenta centimetri.
I suoi occhi verdi mi scrutavano in cerca di debolezze, per rinfacciarmele. Non gli avrei dato questa soddisfazione, neanche morta. Drizzai le spalle e alzai il mento. Lo guardai in mento raccogliendo tutta la mia determinazione e il mio coraggio.
Mi stava chiedendo di aiutarlo a compiere atti illegali, per divertirsi e per farmela pagare. Voleva vedere quanto ero disposta a tenermi il mio posto a scuola, e voleva un aiuto.
“Sono ai tuoi ordini, sua maestà” dissi con un piccolo inchino sarcastico.
Lui mi fulminò con lo sguardo e poi lo osservai mentre analizzava il mio corpo dai capelli ai piedi, con un sorrisino di approvazione. E quello da dove sbucava?
“Solo – iniziai conscia di dover porre dei limiti – puoi scordarti i favori sessuali”
Conoscendolo lui e la sua fama di puttaniere, non si era mai troppo pronti.
“No, ovvio che no. E poi pensi che non possa permettermi di meglio, piccola?”
“Non chiamarmi piccola!”
“Sono le mie regole, ricordi. Non hai voce in capitolo, se voglio posso chiamarti piccola”
Mi arresi, guardandomi i piedi e distogliendo lo sguardo.
Ero appena caduta in una trappola bella e buona, e mi ci ero ficcata da sola. Ripercorsi la nostra conversazione cercando qualche modo per incastrarlo, ma lui era stato bravo. Aveva fatto tutto con la massima cura.
“Allora ci vediamo davanti scuola, stanotte, alle undici precise, intesi?” mi disse e contemporaneamente mi portò una mano sotto il mento, alzandomi la testa in un gesto di prepotenza.
Io mi districai dalla sua presa.
“Ci sarò, stronzo”
Lui sorrise ancora una volta e mi lasciò sola in quell’aula che ormai era diventata fredda.
Uscii di corsa anche io e mi fiondai a casa, avevo bisogno di tempo per pensare, per ragionare a una strategia.
Mentre mi crogiolavo nell’acqua calda della vasca, cercai una via di fuga. Insomma, non poteva essere che non avessi scampo, che diamine!
E invece sì, mia cara, ti sei fatta fregare da quel paio di occhioni verdi. Ammettilo che ti piace come ti guarda…
Mi immersi nell’acqua per zittire quella voce antipatica.
Quando uscii erano le sei di pomeriggio. Feci velocemente i compiti e verso le nove mi arrivò un messaggio che mi fece rizzare i peli sulle braccia e sulla nuca.
Tic tac. Il tempo scorre. Meno due ore. Sei pronta alla tua prima azione illegale? O dovrei dire seconda?
King.
Anche i suoi messaggi erano irritanti come lui! Come poteva quel ragazzo essere così morbosamente coglione? E come diavolo aveva fatto ad avere il mio numero?
Mentre ragionavo su quelle piccole domanda, il mio subconscio era già nervoso. Infatti camminavo avanti e indietro come una malata mentale, con i vestiti neri già pronti sul letto. Forse ero un po’ esagerata, ma come sempre, i vestiti dovevano essere adatti all’occasione. Un paio di leggins neri e una camicetta nera non avrebbero dovuto dare nell’occhio no?
Fatte le undici meno un quarto, il mio corpo acquisì una nuova emozione: eccitazione.
Da piccola ero sempre stata affascinata dai film di spionaggio, da quei personaggi che compivano azioni illegali, restando sempre delle persone super cool.
Per quanto mi sforzassi a cacciare via quel pensiero, ero davvero elettrizzata per quello che avrei fatto quella sera.
Quando mia madre si addormentò, uscii di casa senza fare rumore, con i capelli legati in una coda disordinata. Arrivai davanti scuola alle undici precise, e Derek era già là, seduto sul cofano della sua macchina. Indossava gli stessi jeans della mattina, ma aveva cambiato camicia, anche lui ne aveva una nera. Sorrisi a quel pensiero. Il figo Derek King che si divertiva a giocare alle spie.
“Ma come sei sexy, gattina” esordì lui a bassa voce quando fui tanto vicina da poterlo sentire.
Alzai gli occhi al cielo, anche se lui non mi poteva vedere.
“E non alzare gli occhi al cielo, non lo sopporto”
“Cos’è ora hai anche la vista a raggi x?”
“A quanto pare”
Mi mise una mano sulla schiena come a spingermi ad andare avanti, e io mi scostai subito, quasi fossi stata toccata da una fiamma ossidrica.
Sarebbe stata una lunga notte, eh già.


 

Cassie Montgomery: 



Derek King:



Helena Robinson:


 

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Capitolo 3
*** III. Atti decisamente... illegali ***




3. Atti decisamente... illegali
 

"A parte l'uomo, tutti gli animali sanno che lo scopo principale della vita è godersela."
(grazie a @sxds :3)



“Vuoi fare attenzione a dove cammini, Montgomery? È già la seconda volta  che mi pesti il piede!” esclamò in tono concitato King mentre attraversavamo i corridoi bui e deserti. Infatti mi tenevo molto vicina a lui per paura di sbagliare qualcosa o di fare qualche rumore.
Per dispetto, gli pestai il piede, e potei sentirlo imprecare a bassa voce mentre io ridacchiavo di nascosto.
“Sai, Montgomery penso che sia stata una cattiva idea quella di farti venire con me, evidentemente non hai la minima idea di come entrare furtivamente in un luogo pubblico di notte!” disse facendomi mentalmente urlare di gioia.
Finalmente si era accorto che tutta la storia del ricatto era una gran cazzata!
“Quindi se non ti comporti meglio la prima cosa che farò appena tornato a casa, sarà spedire quella bella registrazione a casa della preside, come la metti?” sussurrò con fare maligno.
Come non detto.
“Non ti sopporto proprio, King! E poi perché ti serve il mio aiuto? E per cosa, si può sapere?”
Arrivammo nella sala dei computer e lo vidi prendere una mini torcia e darne un’altra a me.
“Ci avrei scommesso che non ne avevi portata una”
“Scusa se non sono un genio del crimine come te!” risposi io alterata.
“Scuse accettate” ribatté lui. Anche se era buio riuscivo perfettamente a immaginarmi il suo sorriso irritante oltre ogni limite.
Accendemmo le nostre torce e lo vidi dirigersi verso la postazione principale, quella che di solito è riservata al professore di turno.
Lo presi per un braccio, fermandolo.
“Si può sapere che dobbiamo fare?” dissi cercando di mostrarmi sicura e guardandolo negli occhi, che con la chiara e soffusa luce della torcia sembravano ancora più chiari. Lui si liberò dalla mia stretta ed emise uno sbuffo di esasperazione.
“Voglio mettere un virus nel sistema generale della scuola, e questa è la postazione perfetta per farlo” rispose sicuro di sé.
“Perché?”
“Perché domani mattina sarà un divertimento pazzesco vedere i professori girare per i corridoi in preda al panico, e perché domani ho un test in questo dannato laboratorio, e sai cosa? Non ne ho voglia!” rispose lui prendendomi per le spalle con un’espressione da pazzo.
“Quindi fai tutto questo solo per evitare uno stupido test? Non potevi studiare?!” dissi alterata, mi stava usando come una specie di macchinetta per mandare a monte un test scolastico!
“Non ne avevo voglia, Montgomery, e poi te l’ho detto. È divertente vedere i prof sbroccare e chiamare me perché sanno che sono l’unico che può aggiustare una situazione del genere”
“Lo fanno? Chiamano te per i loro problemi tecnici?” il mio tono di voce era decisamente scettico.
“Certo, e io domani ci metterò più o meno cinque ore per risolvere il problema” mi sussurrò lui eccitato come quando eravamo entrati nell’edificio.
“E quanti ce ne metteresti davvero?”
“Sei furba. – A quel commento sorrisi, era il primo complimento che mi faceva, ma poi mi diedi subito della stupida – Ci metterei circa venti minuti” rispose alla fine.
Sorrisi di nuovo, era davvero un genio, eh.
“E perché ti serve il mio aiuto?” dissi ricordando che non avevo ancora capito il motivo della mia presenza.
“Beh, il sistema generale ha davvero tante piccole schede madri che si trovano nei computer. Quindi praticamente dovremmo immettere il virus nel computer principale e poi estenderlo in tutti gli altri trentacinque computer, e per quello, piccola, mi servi tu”
Sorpassai sopra il soprannome ‘piccola’, piano piano mi ci stavo abituando. Più che altro stavo pensando a quello che aveva appena detto. I computer non erano mai stati un problema per me, mia madre ci lavorava tutti i giorni, essendo una programmatrice di software, e mio padre, prima che se ne andasse, era un esperto di tecnologia e computerizzazione. Quindi no, i computer non erano difficili da capire per me. Forse non ero al livello di King, date le voci che giravano su di lui e sul fatto che fosse un hacker davvero esperto, ma anche io ci sapevo fare.
“Va bene”
Lui mi guardò interrogativamente.
“Va bene? Vuoi dire che hai capito tutto quello che ho detto?”
“Certo, facciamo che io intanto accendo tutti i computer e sblocco le password di protezione immesse nella notte – ovviamente contavo sul fatto che lui lo sapesse, in fondo se era bravo come diceva, doveva sapere che ogni sera, prima di sgombrare i posti di lavoro, i segretari immettevano delle password che cambiavano ogni giorno – tu intanto sblocca quello principale, immetti il virus e poi ci occuperemo insieme degli altri” dissi risoluta. Prima concludevamo quella storia, prima potevo tornarmene a casa a dormire.
Mi parve di vedere un sorriso sinceramente sorpreso e affascinato, ma fu solo un momento, perché dopo tornò alla sua solita espressione da coglione patentato.
Lui si diresse velocemente verso il computer principale, mentre io mi dedicai all’accensione degli altri. Uno per uno li sbloccai, cercando vari codici e password di accesso. Dopo mezzora circa avevo finito e vidi Derek chiamarmi. Andai da lui che stava mettendo una chiavetta USB dall’aria anonima nel computer centrale.
Sei sicura, Cassie? Niente ripensamenti da santarellina? Poi non si torna indietro…
Feci tacere la mia fastidiosa vocina interiore e osservai che sulla finestra del monitor era comparso un avviso rosso con scritto “WARNING VIRUS”. Derek prese a digitare qualcosa sulla tastiera, e io mi persi a osservare le sue mani affusolate e grandi allo stesso tempo muoversi alla velocità della luce sui tasti. Sembravano mani da pianista, ma sembravano anche poter reggere tutto il peso del mondo. Sembravano forti.
“Ok, ora dedichiamoci agli altri piccolini, non vogliamo che si sentano soli, no?” ammiccò nella mia direzione.
Io alzai gli occhi al cielo, domandandomi come potesse fare dell’ironia mentre compiva atti illegali nella sua stessa scuola.
Ci affrettammo per gli altri computer, avevamo, o meglio avevo, paura che il bidello di turno ci scoprisse, a quel punto sarebbero stati guai seri.
Mi girai un paio di volte verso King, e lo sorpresi a fissarmi incuriosito. Ma che diavolo…?!
Un’ora dopo avevamo finito, spento i computer e il sistema generale.
Derek era palesemente soddisfatto di sé e del suo lavoro da perfetto maestro criminale.
Quando uscimmo si girò di scatto verso di me, imprigionandomi in quella bolla che solo lui sapeva creare.
“Sei stata brava” disse con uno strano tono di voce.
“Sembri sorpreso” constatai incatenando i miei occhi ai suoi. Sentivo una strana sensazione quando ci guardavamo in quel modo. Come se ogni cosa fosse al posto giusto. Decisamente improbabile, contando il fatto che ci trovavamo nella scuola nel mezzo della notte a infiltrare un virus dannoso nei computer.
“Lo sono, Montgomery” disse con un sorrisino enigmatico.
Io gli diedi una leggera spinta e ci avviammo verso i corridoi, ansiosi di uscire da quella scuola, o perlomeno io mi sentivo così. già ero costretta a restare in quell’edificio per cinque ore al giorno, ritornarci di notte era tipo il mio peggior incubo.
Stavamo camminando quando sentimmo delle voci venire verso di noi.
Improvvisamente mi sentii trascinata all’indietro, sentii una sensazione di freddo alla schiena e un respiro caldo tra i capelli.
Derek mi aveva intrappolata in un angolo del corridoio, con le mani sui miei fianchi e il suo viso nell’incavo della mia spalla. Arrossii esageratamente e cercai di liberarmi.
“Shhh, vuoi farci beccare, cretina?”
Allora me ne stetti zitta, cercando di capire a chi appartenevano quelle voci.
“Eppure mi pare di aver sentito dei rumori, John! Sei sicuro che non ci sia nessuno?”
Era la voce della… preside?!
Cosa ci faceva la preside a quell’ora della notte. E chi era John?! Cercai di sporgermi, ma il petto di Derek me lo impediva, così mi arresi.
Sentivo caldo tutto intorno a me e non riuscivo a pensare praticamente a nient’altro tranne al corpo di King che combaciava perfettamente con il mio.
“Chi è John…?” chiesi in un sussurro
davvero basso, che solo Derek avrebbe potuto sentire.
“E’ il mio professore di lettere, il professor Hopkins, hai presente?”
Improvvisamente ricordai, era un uomo alto e distinto, con un’espressione perennemente annoiata in volto. Avevo sentito dire che con gli studenti era parecchio severo, e infatti avevo fatto di tutto per non trovarmi nei suoi corsi.
Ma perché la voce di Derek sembrava così turbata?
“Bene, allora andiamo, vorrei continuare da dove avevamo cominciato…” disse in tono decisamente languido che mi fece avere un conato di vomito.
Appena i passi si furono allontanati abbastanza, King mi prese per un braccio e corremmo fino all’uscita. Non ci fermammo finché non arrivammo alla sua auto.
A quel punto mi lasciò e si chinò sul cofano, col fiatone. Non avevamo corso così tanto, nemmeno io mi sentivo affaticata.
“King, stai bene?”
Lui non rispose, così lo presi per un braccio, ma lui mi bloccò e mi strinse il polso fino a farmi male.
“Derek mi fai male! Smettila!” dissi con le lacrime agli occhi, non volevo mettermi a piangere davanti a lui, ma mi stava davvero facendo paura.
“Non dire a nessuno cos’hai visto, chiaro? A nessuno” mi disse senza però lasciarmi. Il suo tono di voce era freddo e distaccato, come se non volesse parlare, ma doveva dire quelle minime cose per farmi stare zitta. Ah, era così.
“Perché?!” lui non rispose. Mi lasciò il braccio e si infilò velocemente nella sua auto, accese il motore, e senza nemmeno guardarmi, mi lasciò da sola nel parcheggio scolastico, al buio.
Mi sfregai il polso dolorante e mi affrettai verso la fermata dell’autobus.
Una volta tornata a casa la prima cosa che feci fu una doccia, poi mi cambiai e mi misi sotto le lenzuola.
Mi girai e rigirai nel letto per un’ora buona, cercando di capire il perché di quel comportamento. Poi presi il computer e cominciai a fare delle ricerche, magari mi avrebbero spiegato il motivo dello strano comportamento di King poche ore prima.
Digitai il nome di “AnnaSofia Bradshaw” nel motore di ricerca. C’era addirittura una pagina di Wikipedia dedicata a lei.
Wow possibile che tu non sappia niente di niente sulla preside della tua scuola?
Zittii immediatamente la mia coinquilina, non mi ero mai interessata molto delle questioni private della mia scuola.
Allora vediamo un po’…
La pagina di internet diceva che la Bradshaw era una ricca signora che faceva molta beneficenza e blablabla, sposata con un certo Richard King, aveva un casa nel…
Un momento. No. Non poteva essere. Ritornai al punto di prima e rimasi decisamente scioccata.
AnnaSofia Bradshaw era sposata con il magnate della compagnia di alberghi Richard King, diciotto anni prima aveva avuto il suo primo figlio, e tuttora unico, Derek King.
La preside era la madre di Derek.
Derek aveva appena assistito al tradimento di sua madre nei confronti di suo padre.  


 

 

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Capitolo 4
*** IV. La festa ***




4. La festa


"Non ti ho scelto. Ti ho appena guardato, e lì, non potevo più tornare indietro."
 

Il giorno dopo, mi svegliai, cercando con tutte le mie forze di non pensare a cos’era successo. Derek avrebbe capito che sapevo che la preside era sua madre? Mi sentii un po’ in colpa per averla cercato su internet, come se avessi invaso la privacy di King, in un certo senso. Ma poi realizzai che lui mi aveva ricattata per fargli da schiavetta in un’azione illegale di almeno secondo grado, e immediatamente il senso di colpa svanì.

Miracolosamente mi ero svegliata presto, quella mattina. Scesi per fare colazione e me ne pentii.
Mia madre era stesa sul divano, semi svenuta con una bottiglia di vodka vuota accanto.
Oh, mamma… come ti sei ridotta…
Presi la bottiglia e la buttai, cercando di fare il minimo rumore, anche se probabilmente nemmeno una cannonata l’avrebbe svegliata. Non era la prima volta che la vedevo in quello stato. Era successo più volte, quando magari ripensava al suo matrimonio, alla ventenne brasiliana, a papà… ci aveva lasciate con una montagna di debiti, e anche se mamma aveva un lavoro stabile, ne avevamo ancora molti da saldare.
Salii in bagno a farmi una doccia, e poi come ogni mattina scelsi cosa mettermi. Visto il mio umore malinconico optai per dei semplici leggins in pelle nera, una canottiera bianca e una giacca di jeans sopra. Lasciai perdere gli stivaletti, vista la corsa che avevamo fatto ieri, mi facevano male i piedi solo a ripensarci, così presi le mie amate converse rosse. Andai allo specchio per truccarmi e impallidii. Delle occhiaie scure mi incorniciavano gli occhi, quella sì che era una tragedia, anche col correttore non ne volevano sapere di andarsene. Così passai il trucco nero e presi i miei grandi occhiali neri.
Sperai solo che la prof non avesse niente in contrario.
Mentre uscivo vidi mia madre che cercava di alzarsi e mi rivolgeva un sorriso di scuse. Non le risposi e uscii. Sapevo che il tradimento di mio padre, dopo cinque anni, le bruciava ancora, ma aveva una figlia e doveva prendersene cura.
Quando arrivai a scuola, scorsi Derek che stava col una gamba appoggiata al muro a fumare una sigaretta. Mi diressi velocemente verso di lui, senza attirare occhiate indiscrete.
“Derek…” iniziai appena fui abbastanza vicina a lui.
Alzò lo sguardo su di me, sprezzante come al solito. Notai che anche lui aveva profonde occhiaie, evidentemente non aveva dormito molto. Provai una strana compassione e fui grata di aver gli occhiali, perché se i miei occhi erano espressivi come si diceva, lui li avrebbe di certo letti, e non sarebbe stato felice che la sfigata di turno provasse compassione per lui.
“Che vuoi?” mi disse con poca cortesia.
Iniziamo bene…
“Volevo semplicemente sapere se il tuo stupido ricatto è finito” dissi sicura.
Lui si prese la radice del naso tra le mani e chiuse lentamente gli occhi. Sembrava davvero distrutto. Un po’ come me quando mio padre se ne andò, forse era per quello che provavo pena per lui, lo capivo, in fondo.
“No”
No? Come no?!
“Mi serve che tu mi faccia altri favoretti” disse riaprendo gli occhi e sfoderando il suo sorriso da emerito coglione.
Sbuffai esasperata.
“Quanto ancora vuoi portarla avanti questa storia?” chiesi già stanca.
“Fin quando voglio, piccola”
“Che ti serve stavolta?”
“Niente di che, solo che stasera organizzo un party, tu ci devi essere”
Mi accigliai. I parti di Derek King erano famosi per essere pieni di alcol, erba e guai. Perché mi voleva in quel manicomio?
“E una volta venuta.. – mi bloccai, conscia di aver usato un termine decisamente pieno di doppi sensi – volevo dire.. a che ti serve la mia presenza?” dissi agitata. Lui aveva sollevato gli angoli della bocca, stava cercando di non scoppiare a ridere. Alzai gli occhi al cielo, non si poteva essere più stupidi di lui.
“Mi dovrai aiutare in qualcosa”
“Cosa?”
“Se te lo dico ora, non c’è la sorpresa” disse misteriosamente, lasciandomi lì da sola a osservarlo mentre si dirigeva verso le classi.
Con uno sospiro mi avviai anche io.
“Si può sapere che diavolo ci facevi con King?!” una voce maschile mi trapanò il timpano destro. Probabilmente avrei avuto serie ripercussioni!
Mi girai di scatto e mi ritrovai faccia a faccia con il mio amico Steve.
“Steve mi hai fatto una paura tremenda!”
Lui aggrottò le sopracciglia.
Era un ragazzo decisamente alto, forse un po’ più basso di King, occhi color nocciola, capelli castani a spazzola e un sorriso dolcissimo. Ci conoscevamo dall’inizio del liceo e con Helena facevamo proprio un bel gruppetto.
“Stavamo semplicemente parlando” mi difesi.
“Di cosa?”
Uno dei difetti più famosi di Steve era che non si faceva mai gli affari suoi, o meglio, se voleva lo faceva, solo che era molto curioso. Non volevo che la storia del ricatto venisse fuori, quindi mi limitai a una cazzata mediamente vera.
“Gli stavo semplicemente riferendo che aveva torto a pensare che avrebbe vinto le elezioni, e che per questo è un coglione” dissi con un sorriso tirato.
Ti prego cascaci…
“Mh, va bene. Non mi va che frequenti quel tipo. Girano brutte voci su di lui” disse con un’occhiata severa.
“Va bene, papino” dissi ridendo. Certe volte Steve era davvero iper-protettivo!
“Scema!” disse lui dandomi una leggera spinta.
Mi accompagnò fino alla mia classe di letteratura e poi ci salutammo con un bacio sulla guancia.
Il suo durò circa due secondi più a lungo del normale, ma in quel momento non ci feci molto caso.
Stavo pensando che, dato tutto quello che avevo detto a Steve, sarebbe risultato un tantino strano se fossi andata a una festa di King, così gli mandai un messaggio al numero con il quale mi aveva scritto la sera prima.
Posso venire due miei amici? È importante
Montgomery
Se lui si firmava con il cognome, lo avrei fatto anche io.
La risposta mi arrivò circa due minuti dopo:
Come sei irritante, va bene
King
Ridacchiai, quasi me lo potevo immaginare mentre emetteva uno sbuffo esasperato.
Per tutto il resto della lezione, miracolosamente, stetti attenta. Quando uscimmo trovai Steve e Helena ad aspettarmi. Parlavano tra loro in un modo un po’ furtivo, e appena mi unii a loro, smisero.
“Su ragazzi, lo so che stavate parlando di me e King, ci scommetto” dissi con un tono di voce apatico. Non volevo che capissero cosa stava succedendo. Se avessero saputo del ricatto, le loro menti decisamente buone e da santarellini li avrebbero spinti a dire tutto alla preside, a quel punto in un modo o nell’altro quella fregata sarei stata io. Mi dispiaceva non essere sincera con loro, ma diamine, non volevo essere espulsa!
Helena prese per prima la parola, mentre Steve mi guardava attentamente.
“E’ solo che troviamo strano il fatto che tu ti sia messa a parlare con lui, a una settimana dalle elezioni…” disse quasi temendo la mia reazione.
“Ragazzi, state tranquilli, vi dico. Volevo solo fargli capire che alla fine non vince sempre lui. Come di certo pensava. – Ora era il momento di parlare della festa, presi un lungo respiro e.. – ci ha invitati alla sua festa questa sera!” dissi in un fiato.
Loro mi guardarono allibiti.
“Come?!”
“E tu che hai detto?”
“Di certo non avrai accettato!”
“Lo sapevo che c’era qualcosa tra voi due!”
“Ragazzi basta!” dissi alzando la voce. Loro si zittirono e si limitarono a guardarmi in cagnesco.
“Si, ho accettato. È una sfida, non lo capite?” che bugiarda provetta che ero.
“Una sfida?” disse Steve confuso.
“Ma sì, pensateci. Vuole farci capire, soprattutto alla vincitrice – dissi rivolgendomi soprattutto a Helena – che questa schiacciante sconfitta – va bene per un punto, e pure falso, ma dettagli – non gli ha dato per niente fastidio”
Ci fu un momento di silenzio, poi Helena prese parola:
“Ma ancora non mi è chiaro perché dovremmo andarci…”
“Sicuramente lui penserà che non siamo abbastanza coraggiosi da andare lì e sfidarlo, quindi lo umilieremo quando ci presenteremo davanti alla sua porta principe figlio di papà” dissi sicura di me, o almeno ci stavo provando.
Loro parvero un po’ più convinti e alla fine accettarono.
Meno male, Cassie, altrimenti saresti stata fottuta…
Andai subito a casa, la festa sarebbe cominciata alle otto e non avevo idea di cosa mettermi. Feci una doccia e mi asciugai i capelli in maniera disordinata. Cercai e ricercai tra il mio armadio. Qualche settimana prima avevo comprato un vestito meraviglioso! Dov’era andato a finire?
“TROVATO!” urlai felicissima.
Quando lo indossai nemmeno mi riconoscevo: era nero, mi arrivava circa a metà coscia, il sopra era aderente, per poi lasciar cadere la gonna largamente. Ma il pezzo forte era la schiena, il dietro infatti era in pizzo e lasciava un quadrato di schiena completamente nuda ed esposta. Non indossai il reggiseno, avrebbe rovinato tutto. Per la prima volta da mesi indossa dei tacchi, feci un po’ di pratica e alla fine incominciai ad acconciarmi i capelli.
Li avevo modellati con i ferri, in modo tale che cadessero in lunghi boccoli sopra il seno.
Mi truccai un po’ più pesantemente del normale e uscii di casa. Ormai erano le otto meno venti e dovevo passare a casa di Helena. Steve mi aspettava fuori casa con la sua macchina.
Quando mi vide sorrise entusiasta.
“Ci hai pensato molto per essere una festa di King” osservò lui con un sopracciglio alzato che gli conferiva l’aria da saputello.
“Una festa è sempre una festa, Steve” dissi sorridendo.
Lui indossava una semplice camicia a quadri e un cardigan e dei jeans, ma si era pettinato i capelli con il gel e si era sbarbato.
Quando Helena scese di casa, i miei sforzi risultarono completamente vani. Era bellissima.
Indossava un vestito corto, con un tessuto simile alla seta, viola scuro, con un ricamo di fiori sulla scollatura. I capelli erano sciolti e le ricadevano tutti sulla spalla destra, mentre aveva sfumato l’ombretto in un contrasto tra viola e nero.
“Helena sei bellissima!” dissi con una punta di invidia, consapevole che non sarei mai riuscita a essere come lei.
“Ma smettila, Cass, sei bellissima anche tu” disse con un sorriso dolce.
La casa di King era semplicemente meravigliosa. Non avevo altri aggettivi per descriverla. Assomigliava a un cottage enorme, con tanto di piscina e giardino immenso. Era la casa dei miei sogni, praticamente. L’appartamento in centro mio e di mia madre, impallidiva al confronto. Certo, non ce la passavamo male, ma King era proprio ricco. Tanto ricco.
Suonammo il campanello. Sia Helena che Steve erano palesemente nervosi. Ma io ero al limite della disperazione. Cosa mi avrebbe fatto fare quella volta? Sarebbe stato legale?
Ci venne ad aprire il padrone di casa in persona. Indossava una camcia azzurra, una giacca grigio scuro e dei jeans, era estremamente formale per un semplice party, ma ci stava da favola con quegli abiti. Prima squadrò Steve, poi Helena e infine il suo sguardo si posò su di me. Lo vidi fare un sorriso impercettibile. Ma lo aveva fatto.
Sorrisi di riflesso e mi affrettai a entrare. Mentre i miei amici si dirigevano verso il bancone dei bar, King mi prese per un braccio e si avvicinò al mio orecchio.
“Sei bellissima, ma nonostante il fatto che in questo momento voglio solo portarti nel mio letto, abbiamo tante cose da fare” disse in un sussurro. Nonostante la musica a volume spaccatimpani riuscì a captare ogni singola sillaba. La sua mano sulla mia schiena nuda mi provocò un brivido indescrivibile. E quelle parole… scherzava, giusto?
La presa sulla mia schiena cessò e lo vidi andarsene verso i suoi amici, lanciandomi un’occhiata di intendimento.




Steve:



Vestito di Cassie:



Vestito di Helena:



Casa King:



Derek alla festa:

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Capitolo 5
*** V. Non puoi essere serio! ***




5. Non puoi essere serio!


"Chi sei tu, che nel buio della notte osi inciampare nei miei pensieri più profondi?"
- William Shakespeare

 

La musica mi perforava i timpani e attorno a me c’era gente che ballava, pomiciava o cantava a squarciagola le canzoni, facendo soffrire ancor di più il mio apparato acustico. Dopo quell’occhiata inquietante Derek era svanito nel nulla, Helena era completamente svanita e Steve… Beh Steve mi stava appiccicato peggio di una cozza, per essere molto poco carini.
“Steve, ma sei sicuro che vuoi stare tutta la serata con me?” gli urlai nell’orecchio cercando di farmi sentire.
Lui mi guardò stralunato e annuì, per non lanciare urli come la sottoscritta.
Scrollai le spalle e mi diressi verso il tavolo degli alcolici.
C’era vodka, tequila, birra, rum… Il signorino si dava da fare in quanto alcool eh. Optai per la vodka alla fragola e me ne riempii un bicchiere.
“Cass sei sicura? Lo sai che con l’alcool sragioni!” mi disse Steve. Io lo guardai male e accostai il bicchiere alla mie labbra. Era una festa, dopotutto, potevo sragionare quanto volevo.
Quando il liquido mi scese in gola mi provocò un bruciore familiare e piacevole. Finalmente intravidi Helena, che stava vicino a una ragazza bassina e dai capelli rosso fuoco. Lei le aveva messo la mano sul braccio, ed Helena aveva sorriso timidamente. Cosa stava succedendo tra quelle due?
Quando mi girai per chiedere a Steve, lui era sparito. Mi guardai attorno agitata quando lo vidi parlare con King. Cosa gli stava dicendo?
Il biondo mi lanciava delle occhiate di sfuggita, e intanto vedevo il mio amico farsi sempre più nervoso.
Alla fine della conversazione, Steve gli disse qualcosa che fece sorridere malignamente Derek.
Venne verso di me rapidamente e mi accorsi che mentre avevo la testa fra le nuvole avevo finito il mio bicchiere.
In effetti mi sentivo leggermente accaldata e non riuscivo a smettere di sorridere.
“Balliamo, Cass?”
“Steve lo sai che non…” ma lui non mi fece finire che mi prese per un braccio e mi portò al centro della mischia.
Smisi di pensare e cominciai a ballare, mi stavo divertendo, incredibilmente. Steve aveva le mani sui miei fianchi e la parte ancora ragionevole del mio cervello pensò che fosse una cosa piuttosto strana, perché la sua stretta era forte e allo stesso tempo leggera, come si tiene un’amante. Ecco perché era strano. Inoltre Steve non aveva nemmeno bevuto… Che ci stesse deliberatamente provando con me?
Purtroppo però nel mio cervellino vigeva la parte inquinata dall’alcool, così intrecciai le mie mani dietro la sua nuca e lo avvicinai di più a me, notai che sorrideva mentre lo facevo. Ballammo per altre tre canzoni, senza fermarci, muovendoci in modo curiosamente sensuale. Non provavo niente per Steve, ne ero più che certa, ma in quel momento avrei davvero voluto restare così per sempre.
Sentii un braccio tirarmi indietro e Steve urlare qualcosa.
“… Stavamo ballando coglione! Che vuoi?!”
Alzai lo sguardo sul nostro rovina-balli e impallidii. Che voleva King?!
“Me la rubo per un attimo, poi è tutta tua, frocio”
Sentii indistintamente il mio amico urlargli qualcosa contro, ma ormai Derek mi aveva già trascinata al piano superiore, dove non c’era nessuno.
“Oh, ma che vuoi! Stavamo ballando, che problemi hai!?” gli urlai liberandomi dalla sua stretta.
I suoi occhi erano stranamente lucidi mentre mi percorreva come una carezza tutto il corpo. Improvvisamente sentii un brivido lungo tutta la schiena e mi accaldai ancora di più. Aveva i capelli scarmigliati dalla festa, le labbra rosse e le guance imporporate dal caldo.
“Eravate molto vicini” si limitò a dire.
“Stavamo ballando” dissi in tono ovvio.
Ma che gli prendeva?
“Eravate troppo vicini” precisò.
Mi trattenni dall’alzare gli occhi al cielo e lo fissai con i miei raggi della morte, che purtroppo non volevano funzionare.
“Allora, mi devi aiutare” disse in tono pratico.
Ah, ecco che voleva. Dovevo tornare a essere la sua schiavetta.
Sei delusa, vero? Pensavi fosse geloso eh…
Maledetta coscienza.
“Che altro dobbiamo fare questa volta?”
“Niente di che, ma un po’ più illegale dell’ultima volta” disse con un sorriso che di buono non prometteva proprio niente.
Lo guardai accigliata, facendogli segno di continuare.
“Il mio vicino di casa, stranamente – disse con tono ironico – è il signor Hopkins, quello che si scopa mia madre, ricordi?” disse amareggiato.
Annuii leggermente, era strano che ne parlasse così.
“Penso che abbiano cominciato la loro relazione da un bel po’ di tempo…” disse, stavolta nei suoi occhi lessi quel tipico dolore di quando un genitore delude il figlio.
“E quindi? Hai intenzione di introdurti a casa sua e ficcanasare nelle sue cose e magari mettergli in corto circuito tutto il suo impianto elettrico?” disse scherzando.
Lui si limitò a fissarmi.
Oh.
No.
No.
Ditemi che non era quello che pensavo.
“Non avrai intenzione davvero di…?” chiesi in un sussurro rabbioso.
Lui annuì con l’ombra di un sorriso, di quelli che fanno accapponare la pelle al solo vederli, di quelli che portano solo guai. In quel momento, pensai che fosse proprio Derek King a portare guai.
“Derek, non possiamo, ti rendi conto?! Se ci beccano ci denuncerebbero, e finiremmo in guai molto grossi e…” lui mi prese per le spalle e mi guardò negli occhi.
“Cassie, ti prego. È molto importante per me…” disse con una nota di tristezza nella voce. Capii che non mi stava costringendo a farlo per la storia della registrazione, me lo stava chiedendo come favore personale, e ovviamente perché sapeva che avrei tenuto la bocca chiusa.
“Va bene…” dissi in un sussurro abbassando gli occhi, cercando di non farmi intrappolare da quegli occhi verdi così dannatamente ipnotici.
Lui mi liberò dalla sua presa e mi guardò con gratitudine, gli feci un sorriso sincero, di quelli che riservavo di solito a Helena e a Steve, e lui spalancò leggermente gli occhi e la sua bocca si schiuse in un’espressione di stupore.
“Sei davvero… meravigliosa quando sorridi così” disse tenendo gli occhi ben fissi su di me.
Il mio cuore mancò un battito e l’aria nei polmoni sembrava esaurita. Stavo avendo un infarto, o era semplicemente il mio corpo che cercava di dirmi qualcosa?
“Devo avvertire Steve…” dissi e improvvisamente ricordai.
“Aspetta, ma che diavolo vi siete detti prima che si è incazzato così?” gli chiesi con sospetto.
Lui fece un’espressione innocente.
“E’ lui che è venuto da me, voleva che non ti girassi intorno e cazzate varie” disse apparentemente annoiato al solo ricordo di quel discorso.
Perché Steve avrebbe dovuto dire una cosa del genere?
Derek, come se mi leggesse nel pensiero, rispose alla mia domanda.
“Credo che quel tipo abbia un’immensa cotta per te, Montgomery” disse a denti stretti, come se lo infastidisse.
Beh, non pensava che potessi avere uno spasimante? Che gran coglione.
“Siamo semplicemente amici” dissi con convinzione, non poteva essere altrimenti. Non avrei sopportato se un giorno lui mi facesse qualche strana domanda e io fossi costretta a rifiutarlo. Non mi andava di perdere un amico come lui, uno con cui potevo condividere tutto…
“Comunque, bando alle chiacchiere sciocche e sentimentali, abbiamo una missione” disse cercando di imitare James Bond. Non ci mancava molto, considerato quanto era bello con quel completo e quell’aria determinata in viso.
“Andiamo!” dissi con finta allegria.
Scendemmo le scale e ci confondemmo tra la folla.
Per non perdermi, supposi, Derek mi afferrò la mano e intrecciò le sue dita alle mie.
Il mio cuore perse un altro battito.
Sorpassammo tutto quel mare di gente e arrivammo in uno stanzino buio e stretto, dove però c’era una botola dall’aria moderna.
Lo guardai interrogativamente.
“I miei si preoccupavano di un incendio o di chissà quale altra calamità terrestre, e hanno costruito questa specie di tunnel che porta fino al bunker, così evitiamo di uscire fuori e farci vedere da tutti.
Gli risposi che ormai era troppo tardi, ma evitai, sembrava insolitamente nervoso.
Mentre mi giravo un’ultima volta per chiudere la porta dello stanzino, vidi due occhi familiari che mi guardavano feriti. Steve. Cazzo.
Gli mimai uno ‘scusa’ con le labbra ed entrai nel piccolo spazio.
Una volta dentro, mi accorsi che era completamente buio e provai una fitta di paura.
Il buio era sempre stato il mio punto debole, infatti la notte dormivo con le persiane spalancate.
Quasi automaticamente cominciai ad ansimare e sentii King imprecare.
“Dove accidenti è quella chiave…?!”
Intanto vedevo delle lucine ogni volta che sbattevo le palpebre, il che non era un buon segno.
“Montgomery, ehi, che ti prende?”
Sentii le sue mani prendermi i polsi e non riuscii a rispondere.
 Volevo una fottuta luce. Troppi ricordi mi collegavano al buio. Non ce la facevo.
“Soffri di claustrofobia? Perché diavolo non me lo hai detto?!”
Volevo rispondergli con qualche frase acida, ma vedevo solo buio. Sentivo solo il buio.
“Dai Montgomery, ora c’è l’aria, dai…” sentii il suo braccio cingermi la vita, mentre mi accompagnava in un tunnel che doveva essere decisamente più ampio. Ma era buio. Com’era possibile?! Perché era tutto così buio?
“Ti senti meglio?” mi sentii chiedere. Ma sentivo quella voce ovattata e una parte della mia testa registrò che si trattava sicuramente di Derek, così riuscii a parlare a fargli capire che non era quello il problema.
“N-no. Non è la claustrofobia…” riuscii a sussurrare.
La presa sul mio fianco si era fatta più forte e ora sentivo anche una mano accarezzarmi il volto.
“Il buio…” riuscii a dire.
“Cazzo” non passò nemmeno un minuto che la luce invase il mio campo visivo.
Luce. Luce. Luce!
Improvvisamente rividi tutto, compreso Derek che mi fissava preoccupato.
Aveva tra le mani una piccola torcia, di quelle che si attaccano alle chiavi di casa o ai cellulari.
Gliela presi e ma strinsi al petto, come se fosse la mia salvezza.
“E così hai paura del buio, eh?” disse ironicamente.
Lo guardai male e gli diedi una piccola spinta.
Attraversammo il tunnel senza dire una parola e sbucammo in un bunker freddo e non molto accogliente. Però aveva tutto quello che serviva a un rifugio d’emergenza. Letti, una piccolissima cucina a gas, lampade, un minuscolo bagno e un armadio.
Scossi la testa pensando che probabilmente non ne avrebbero mai avuto bisogno per il semplice fatto che se fosse scoppiato un incendio o chissà quale altra calamità terrestre, uno dei loro aggeggi super elettronici e super costosi avrebbe risolto tutto.
Lui aprì la porta del rifugio e mi fece cenno di passare per prima. Wow, un perfetto gentiluomo.
Ora che le luci del giardino illuminavano la strada potevo spegnere la torcia.
King mi fece cenno di seguirlo e scavalcammo un piccolo recinto che divideva le due abitazioni.
Se ripensavo a cosa stavamo per fare, sentivo un vuoto allo stomaco. Se ci fossimo fatti beccare probabilmente mia madre mi avrebbe uccisa, o rinchiusa in un qualche collegio per suore.
La villa era molto grande, ma niente in confronto a casa King. Ai piedi della casa c’erano delle piccole finestre, il che probabilmente suggeriva uno scantinato.
Il biondo si accovacciò e, con una forcina presa chissà dove, aprì la finestra rettangolare.
Stendendosi si infilò dentro e cercai di capire come diavolo aveva fatto a passare, non sembrava molto grande.
“Vai, muoviti” mi disse in un sussurro.
Non me lo feci ripetere due volte e mi accovacciai anche io, per poi stendermi e passare sotto l’apertura. Sperai solo di non rovinare il vestito, altrimenti me l’avrebbe pagata cara.
Sentii le sue mani prendermi i fianchi in una stretta decisa e sentii un’altra fitta allo stomaco, ma stavolta era diverso. Erano farfalle. Dannazione.
Mi affidai a lui, che mi tirò abilmente fuori e quando alzai la testa avevo il suo viso a circa due centimetri di distanza. La luce soffusa faceva apparire i suoi occhi ancora più verdi, e i capelli avevano un tono ramato. Non ricordavo di averlo mai visto così bello e attraente. Era una specie di calamita, non potevo fare a meno di guardarlo, come se una forza misteriosa mi portasse sempre ai suoi occhi, alle sue labbra.
Lo sentivo sospirare e per un attimo credetti che mi avrebbe baciato, ma poi la sua espressione, da desiderosa, cambiò in circospetta.
Mi lasciò e si girò verso il resto del seminterrato. Nonostante le luci del giardino illuminassero una piccola parte, non si vedeva quasi niente.
Lui accese la sua solita torcia.
Trattenni il respiro. Non potevo credere a quello che vedevo. Ogni parete, ogni mobile, era tappezzato da varie foto scattate di nascosto di Derek King.


 

Saaaaaalveee! Scusate il super mega iper ritardo, ma a scuola ci hanno dato così tante verifiche che non avevo nemmeno il tempo per mangiare c.c
Anyway, per farmi perdonare ho scritto questo capitolo, che spero troverete emozionante tanto quanto mi sono emozionata io nel scriverlo!
Love ya all, xoxo <3

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