Eternally Missed

di northernlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***



Capitolo 1
*** I. ***



(cornerstone in anticipo)
sono consapevole che non sarà una storia gradita a tutti,
ma ce l'avevo in testa da un po'
e volevo buttare giù qualcosa e questo è il risultato.
non odiatemi.
è stato abbastanza tosto scriverla, ma Showbiz e la rabbia dei Muse in esso contenuta
è stata ispirazione e manna dal cielo.
ovviamente tutto ciò non è reale e spero non lo sia mai,
non potrei mai vivere senza di loro in carne, ossa e disagio puro.
grazie a chi terrà duro e arriverà fino in fondo.
ah e prima di leggere, aprite i link sotto i titoli, vi ringrazio.
vi voglio bene.



Eternally missed, capitolo I.
(aprimi prima di iniziare a leggere)




I soffitti bianchi hanno sempre qualcosa di interessante quando succedono cose terribili, come se fissandoli abbastanza a lungo e altrettanto intensamente essi possano rivelarti il mistero della vita.

Vita.

Anche solo pensare a quella parola gli fece venire i brividi lungo la schiena e così si girò distogliendo lo sguardo dal profetico soffitto bianco della stanza in cui si trovava. Era lì a Teignmouth da un’eternità. No, non era vero, sapeva benissimo da quanti giorni era segregato lì dentro: otto giorni.

Che numero strano che era l’otto’ pensò distraendosi un attimo ‘era a metà strada, l’otto, né cinque e né dieci e se messo in orizzontale ti dà il simbolo dell’infinito.’

Infinito come il tempo e la vita che credeva di avere a disposizione e invece era tutto finito, da otto giorni, dal momento in cui lui era andato via portando con sé tutto l’infinito che avevano davanti. Passarono altri interminabili minuti o forse ore o forse giorni, nel dormiveglia dove tutto era molto vago e confuso. Qualcuno bussò svariate volte alla porta, forse era Kelly che col suo fare così dolce e materno lo portò a desiderare che uno dei suoi bambini iniziasse a piangere così da distoglierla da lui e l’avrebbe lasciato in pace. Si stava comportando da egoista e lo sapeva, lo sapeva benissimo come loro sapevano che quello era il suo modo di affrontare il dolore, la perdita e la sofferenza. Dovevano saperlo, dannazione, erano la sua famiglia, i suoi migliori amici.

Se solo Dom...’ iniziò a pensare ma, grazie a dio, lo scorrere dei suoi pensieri fu interrotto da qualcuno che bussava.

“Matt, amico..” sussurrò una voce maschile da dietro la pesante porta di legno bianco.

Oddio, no’ pensò nel panico più assoluto ‘tutti ma non Chris, non lui!

“Matt, amico, dammi un cenno di vita, ti prego” sussurrò il bassista. Matt rimase in silenzio, finché non sentì Chris scivolare a sedere dietro la porta poggiando la testa contro il legno, sospirando amaramente.

“Okay, rimarrò qui finché non mi darai segni di vita. I bambini sono ancora a letto e Kelly sta aiutando Kate a preparare la colazione per tutti..anzi, più che altro è Kate che sta aiutando Kelly, ma a divorare tutto ciò che trova! Col pancione le vengono le voglie più strane, lo sai
” confessò il bassista. Matt sorrise a quell’affermazione, Kate gli mancava molto. Si alzò ignorando volontariamente l’abito nero, che non avrebbe mai indossato, poggiato sulla sedia accanto alla porta e scivolò a sedere anche lui, probabilmente nella stessa posizione dell’amico. Chris tirò un sospiro di sollievo udendo dei rumori provenire dalla stanza.

Bene, almeno non si è impiccato con la cravatta’ pensò il bassista ma alla fine chiese: “Ti sei vestito?”

Non ottenne risposta e lo interpretò come un no.

“Dovresti farlo, non puoi venire conciato come un barbone. So che Kelly e Kate sono andate a casa di tua madre a prenderti l’abito e so che è anche in quella stanza adesso, con te” disse e, ricevendo solo silenzio in risposta, lo prese come un invito a continuare “Dovresti uscire di lì, farti una doccia e indossare quell’abito, Bells..”

Bells.
Cazzo, perché l’ho chiamato così? Sono un coglione’ pensò Chris dandosi una pesante manata sulla fronte nell’udire un rantolo soffocato dall’altro lato della porta; Matt fissava il nulla davanti a sé.

Bells.
Come suonava male detto da Chris! Non che non l’avesse mai chiamato così, però era diverso. Non era la voce giusta, non era il momento giusto, non era la persona giusta.

Bells.
Non era lui, né Kelly e né Kate e né Tom, che non vedeva e sentiva da giorni, a doverlo consolare. Non era mai stato così, non erano loro a farlo ragionare, non erano loro a tirarlo fuori dai pasticci o a salire in camera tua al buio, dalla finestra, per poterti abbracciare e tenere compagnia quando i tuoi litigavano nella stanza accanto prima di dormire.

Bells.

Era... era tutto così sbagliato. Poggiò la testa sulle ginocchia, circondandosi con le braccia e iniziò a piangere. Gli faceva male il petto nel vano tentativo di soffocare le lacrime, di buttare giù il dolore, di ingoiarlo come aveva fatto per anni, di subire ancora e ancora e ancora. Cercò di ricordare l’ultima volta che aveva pianto ma non ci riuscì. Non piangeva quasi mai, distruggeva tutto, quello sì ma non piangeva. Decise di far risalire il suo ultimo pianto alla fine della storia con Gaia, qualche anno prima. Erano in Italia, nel mezzo dell’ennesima litigata per cose futili. La sua donna gli si avvicinò, dicendogli le peggior cose che si possano dire alla persona che ami e gli strappò dal collo il ciondolo che lei gli aveva regalato qualche anno prima: un plettro, il plettro che Matt aveva regalato a Gaia la prima sera in cui si erano conosciuti dopo un concerto, all’after-show organizzato dalla sua crew. Era l’unico plettro con la serigrafia MUSE in rilievo, nero, semplice, leggermente glitterato e vi era particolarmente affezionato tanto da regalarlo a quella ragazza, quella ragazza che non sapeva mezza parola in inglese, quella ragazza con due enormi occhioni in cui lui si era perso. Lo prese come un segno del destino, raramente si concentrava sugli occhi delle persone, preferendo le labbra o le mani, e perciò le regalò il plettro di impulso. Offuscato dalle lacrime ricordò che dopo avergli tolto il ciondolo dal collo, lei gli diede un bacio sulla guancia e, piangendo, gli chiese scusa e andò via. Matt decise che era troppo, fece le valige e disse addio all’amore della sua vita, alla donna che l’aveva salvato, alla donna che riusciva a portarlo tra le stelle e a spingerlo nell’abisso più scuro con una semplice parola. Sì, anche se non aveva materialmente pianto, quello era stato il momento più doloroso di tutta la sua vita fino a quel momento, momento in cui...

“Matthew, figliolo, ti prego, puoi venire fuori da quella stanza?” una semplice e disarmante frase lo riportò alla realtà. Era la mamma di Dom e per un istante si chiede che ci facesse lì.

Cretino, sei a casa sua e ti sei barricato nella vecchia stanza di suo figlio. Cosa ci fai tu lì, non lei!’ disse a sé stesso Matt.

“Matthew, Christopher è tornato giù. Potresti farmi entrare, per piacere?” ripeté la donna con dolcezza, poggiando la mano sulla maniglia della porta. Matt a lei non poteva dire di no, era sempre stato così sin da quand’erano piccoli. Se Dom lo invitava a casa il pomeriggio dopo scuola e sua madre all’ora del tè tirava fuori una valanga di biscottini, lui doveva mangiarli tutti sennò non poteva tornare a casa e non riusciva mai a dirle di no. Sorrise, ancora tra le lacrime, ripensando a quei momenti. Si alzò, prese un enorme respiro e aprì la porta. Incontrò due immensi, caldi e profondi occhi verdi identici a quelli del suo migliore amico e gli si strinse il cuore, pensava di morire lì sul pianerottolo della vecchia camera di Dom. La signora Howard, che per lui era e sempre sarà la signora Howard, era vestita di tutto punto, impeccabile con nemmeno mezzo capello fuori posto. Portava un’elegante gonna nera nella quale era infilata una camicia bianca, stirata e inamidata che profumava di Dom.

Dom ha sempre quell’odore anche quando è lui a lavarsi i panni’, pensò. 

Era ancora una bellissima donna nonostante l’età e scherzando tutti attribuivano l’eterna giovinezza di Dom, l’unico che a trentaquattro anni sembrava ancora averne venti, ai geni ereditati dalla signora Howard. Si fissarono negli occhi per un tempo che a Matt parve interminabile poi lei gli andò incontro e lo abbracciò. Lui rimase immobile cercando di non respirare il profumo della donna che lo cinse con le sue esili braccia fino a che Matt non ricambiò l’abbraccio. Inalò profondamente quell’odore e ricominciò a piangere.

“Ssssh, Mattie, andrà tutto bene, stai tranquillo” sussurrò la signora Howard al suo orecchio e prese ad accarezzargli la testa.

“Ti sporcherò tutta la camicia” disse lui soffocato nel suo abbraccio. Le diede del tu, cosa a cui Matt aveva acconsentito solo dopo tanti anni di frequentazione di casa Howard.

“Non importa, Mattie, ne ho un’altra, puoi piangere quanto vuoi” disse lei continuando ad accarezzarlo.

“Non sto piangendo...” provò a dire Matt, tra un singhiozzo e l'altro.

“Sssssh” ripeté lei. Lo allontanò un attimo da sé e lo guardò negli occhi ormai rossi “che ne dici di entrare?”

Matt si asciugò rapidamente gli occhi e le fece spazio per entrare, accostando la porta subito dopo che lei entrò. La guardò torcersi le dita delle mani dall’ansia, dal dolore, guardando la vecchia stanza di suo figlio e guardando i suoi poster, la sua prima batteria, i suoi vestiti. Poi il suo sguardo cadde sull’abito nero di Matt nell’angolo.

“Non lo metti?” chiese al ragazzo indicando il vestito. Matt scosse debolmente la testa distogliendo lo sguardo dalla gran cassa di Rage, la batteria rossa di Dom.

“Perché?” chiese lei nuovamente sedendosi sul vecchio letto del figlio.

“Perché non ci vengo” disse secco il cantante. Si accorse di essere stato troppo duro nel dirlo e perciò andò a sedersi accanto a lei sul letto stringendo la t-shirt dei Beatles di Dom. Lei poggiò la sua mano sulle diafane mani del ragazzo che tormentavano il collo della maglia.

“Voglio dire” proseguì lui “non voglio venirci con quello addosso. È così... così triste.”

“Aspetta, ho un’idea” disse lei balzando in piedi e dirigendosi verso l’armadio nella stanza. Dopo aver rovistato un po’, tirò fuori una sacca di quelle lunghe e nere che contengono gli abiti che si mettono poche volte, aprì la cerniera provocando una risatina da parte del cantante.

“Oddio” disse stupito Matt “perché diamine quel coso è qui?” chiese Matt parecchio stupito. Nella lunga sacca nera c’era il suo abito di Wembley, quello rosso, quello rosso con cui lui aveva suonato nel concerto più importante della sua vita, con i suoi migliori amici di sempre.

“Beh, so che Dom ci aveva messo lo zampino nella creazione di questo abito” affermò la donna sorridendo. 

Ha anche il suo stesso sorriso’, pensò Matt con una fitta al cuore. Le andò incontro mentre lei tirava fuori l’abito dalla sacca.

“Sì, dannazione, ha sempre adorato questo vestito! Ricordo ancora quanto ha stressato Sophie per poterla aiutare a crearlo e alla fine lei ha acconsentito, più per esasperazione che per altro” disse lui riprendendo un po’ di sorriso e colorito “pensa che io volevo solo un abito nero e da nero si è trasformato in rosso, stretto, con quella bellissima giacca.”

“Mettilo, Mattie, mettilo oggi” lo interruppe lei improvvisamente.

“C-cosa?”

“Mettilo, ti prego
” implorò la mamma di Dom. Si guardarono negli occhi e Matt vide solo dolore e gratitudine per un piccolo gesto che avrebbe potuto alleviare le sue sofferenze.

“M-ma è rosso!” disse lui.

“E quindi?”

“Non ho una maglia da mettere, la camicia non ci sta bene lì sotto” piazzò una scusa su due piedi.

“Ti scoccerebbe mettere una sua maglia?”

“N-no, non penso.”

“Ecco, allora” disse lei porgendogli una maglia bianca di Dom “dovrebbe starti, avete più o meno la stessa taglia.”

“Ma io sono ingrassa-...
” 

“Sta’ zitto, Mattie, sei identico a come quando avevi vent’anni!”

“Ma magari! Sono ingrassatissimo, guarda!” disse lui afferrando i rotoletti di ciccia tra indice e pollice. La signora Howard rise con lui, per un attimo l'atmosfera nella stanza parve alleggerirsi. 

“Va’ a farti una doccia. Sono tutti impegnati con la colazione perciò non incontrerai nessuno” disse.

“Non... io non... ”

“Mattie, ho bisogno di te oggi, ho bisogno di te per superare tutto questo.”

“Sicura che il rosso vada bene? Sono stanco di sentirmi dire cose dietro”

“Fregatene, te ne prego! Anzi, sai che ti dico? Vado a mettere anche io qualcosa di rosso!” pronunciò uscendo dalla stanza. Non aveva mai amato così tanto la mamma del suo migliore amico come in quel momento. Solo lei poteva capire, solo lei poteva comprendere come si sentiva. Matt prese l’abito rosso di Wembley e si affacciò nel corridoio, l’aria era fresca e non stantia e di chiuso come quella nella stanza. Respirò a pieni polmoni e si diresse in bagno prima di iniziare a piangere di nuovo. Aprì l’acqua della doccia e osservò immobile lo scrosciare dell’acqua. Improvvisamente iniziò a ridacchiare sommessamente e istericamente: quant’era ridicolo essere lì, in quella casa a prepararsi per il funerale del suo migliore amico, per il funerale di Dom?


 
 

 

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Capitolo 2
*** II. ***





Eternally missed, capitolo II.
(aprimi prima di iniziare a leggere)




Era sicuro di essere rimasto in quel bagno per almeno un paio d’ore, ore che scoprì con dispiacere essere state solo quaranta miseri minuti. Diede un’ultima occhiata al suo riflesso nello specchio.

Sono orribile’ pensò guardandosi. L’abito rosso gli stava perfettamente, le sue vane paure sull’essere ingrassato erano svanite. La maglia bianca di Dom gli dava un’aria ancora più spenta, diede la colpa agli otto giorno trascorsi in agonia e senza dormire. Diede la colpa a tutti i pensieri che affollavano la sua mente, ai sensi di colpa che lo tormentavano giorno e notte, perché lui lo sapeva, sapeva cos’era successo e sapeva che era stato lui ad uccidere il suo migliore amico. Fece appello alla poca forza di volontà che gli rimaneva per non piangere, scosse la testa, respirò profondamente cercando di prendere anche un po’ di coraggio ed uscì dalla stanza. Era tutto tranquillo, tutto taceva al piano di sopra mentre dal piano di sotto giungeva un sommesso chiacchiericcio e rumore di piatti e bicchieri. Con una lentezza assurda, scese le scale tenendo saldamente le dita ancorate al corrimano. Le scale di casa Howard portavano direttamente in cucina dove erano tutti riuniti attorno all’isolotto dove di solito pranzavano e cenavano. Appena mise piede nella stanza il chiacchiericcio si spense e tutti lo guardarono, tutti tranne la signora Howard.

Dio, non avete capito un cazzo di me, tutti quanti’ li accusò mentalmente ‘solo lei capisce, lei. Lei che è come suo figlio. Se ci fosse stato Dom a tenermi a galla in questa merda mi avrebbe solo detto buongiorno e non mi avrebbe fissato come state facendo voi ora.’

Li guardò uno ad uno, erano tutti vestiti e pronti per il funerale. Non ebbe coraggio di guardare negli occhi né Tom né Chris e sapevaperfettamente quanto i suoi amici avessero bisogno di lui in quel momento.

Sei di nuovo egoista, Matthew, non ti vergogni nemmeno un po’?’ sussurrò la vocina dentro la sua testa. Cercò di non ascoltarla, di ignorarla come aveva imparato a fare tempo addietro quando la sua coscienza cercava di farlo inutilmente rigare dritto. Diede un’altra occhiata alla cucina, tenendosi ancora aggrappato al corrimano. Accanto alla signora Howard, che nel frattempo si era cambiata e indossava un sobrio tubino rosso scarlatto, c’era la sorella di Dom, Emma. Emma era uguale a Bill, loro padre, infatti aveva i capelli castani e gli occhi scuri ma aveva lo stesso naso perfettamente triangolare di Dom e di sua madre.

Tramezzino’ pensò amaramente Matt ‘così chiamavo il naso di Dom ogni volta che lo beccavo di profilo e lui rotolava dalle risate’ebbe una fitta al cuore in quell’istante però si costrinse comunque a parlare.

“B-buongiorno” sussurrò con voce roca. Dopo aver rotto il silenzio, la tensione nella stanza sembrava essere leggermente diminuita. Matt scese gli ultimi gradini e si sedette su uno degli sgabelli girevoli neri, accanto a Kate.

Dio quanto è bella’ pensò guardando la sua amata. Kate era una di quelle donne alle quali la gravidanza donava molto: i suoi lineamenti si erano addolciti e ammorbiditi, Matt adorava il pancione e la creatura che portava in grembo. Ricordò quando aveva registrato con il suo iPhone il battito cardiaco del piccolo durante un’ecografia e Dom era con lui ed era stata Kate ad insistere perché fosse lì con loro. Matt avrebbe tanto voluto inserire quel battito in una canzone, ma i Muse non sarebbero sopravvissuti, i Muse non esistevano già più.

Da otto giorni, Matthew, da otto giorni i Muse non esistono più’ ricordò la voce dentro la sua testa. Passarono alcuni interminabili minuti, prese la mano di Kate e la strinse tra le sue. Era così morbida e calda e profumata, chiuse gli occhi e l’avvicinò alle sue labbra e la baciò e respirò profondamente. Riaprì gli occhi pericolosamente lucidi.

“Avete già fatto colazione?” chiese il cantante senza alzare lo sguardo dalla composizione di frutta al centro del tavolo.

“Non ancora, Matthew” disse la signora Howard girandosi a guardarlo e gli sorrise, un profondo sorriso di incoraggiamento che Matt ricambiò, stranamente senza forzature.

“Sì, avremmo già mangiato se Kate non si fosse sbafata tutta la torta che Kelly ha preparato ieri” replicò scherzando Tom che abbracciava la sua bellissima ragazza, Jaclyn.

“Ma dai, lo sapete che quando c’è lei dovete nascondere tutto anche i bambini, sennò si mangia pure quelli..” disse Matt sorridendo.

Dio, devo sembrare uno da internare in manicomio. Prima piango e sono sul baratro della morte e poi rido come se niente fosse’ pensò disgustato tra sé e sé e tornò serio. Emma, che nel frattempo aveva messo su l’acqua per il tè, stava guardando Matt.

“Sai, non devi per forza fare così, Matt” disse la ragazza.

“C-cosa?” balbettò sorpreso il cantante.

“Essere triste, non sorridere più e pensare che sia sbagliato sdrammatizzare e provare ad essere felice.”

Matt si alzò di scatto tenendo ancora la mano di Kate nella sua. Si accorse che Kate aveva rafforzato la presa attorno alle sue esili dita, come a dirgli di stare calmo e ci provò.

“Non sarò felice per molto tempo. Il mio migliore amico è-..”

“Era mio fratello, Matthew. Mio fratello. La persona con la quale sono cresciuta e che ho amato con tutta l’anima” lo interruppe dolcemente Emma “io... io capisco, so che per te non è facile, ma noi tutti siamo preoccupati per te, non sei uscito da quella stanza per giorni.”

“Otto giorni” precisò lui.

“Quelli che sono, Matt. Noi siamo preoccupati per te e lo sarebbe anche Dom se ti vedesse in queste condizioni. Sai, mi sembra quasi di sentirlo! Ti avrebbe detto che sei in uno stato pietoso, che quella maglia ti sta malissimo ma quel completo rosso è bello e ti sta divinamente come nel 2007” aggiunse lei.

“Emma, perché? Perché lo stai facendo?”

Però fu Chris a prendere la parola: “Perché, sei... accidenti, come posso spiegarlo?”

“Eh, lo vedi perché non compari mai nelle interviste? Perché non sai parlare” lo prese in giro sua moglie.

“Sssh, fatemi concentrare” disse il bassista guardando un punto indefinito davanti a sé. Tutti attesero in religioso silenzio, quando Chris prendeva la parola era sempre un bel momento perché era sempre taciturno e silenzioso ma quando parlava diceva sempre cose sensate e giuste.

“Bene, allora..mettiamola così: questi giorni...”

Otto giorni” precisò nuovamente Matt che fu zittito da uno sguardo di Chris “okay, scusa, continua.”

“Dicevo, questi otto dannati giorni sono stati probabilmente i più difficili di tutta la mia e nostra vita. Da che ho memoria, siamo sempre stati noi tre, Matt. Io, tu e Dom e ognuno di noi aveva un ruolo e tu eri e sei quello forte, il nostro punto di riferimento.”

La mano di Kate si strinse ancora più forte alla sua. Chris continuò. “Io ero, sono quello più responsabile e Dom era quello più spensierato e che ci faceva sorridere tutti. Ed è tutta una fottuta conseguenza, Matt, Dom manca e manca la spensieratezza. Tu manchi e manca lastabilità e la sicurezza di cui tutti abbiamo bisogno in un momento come questo.”

Matt era stupito ed incredulo, non pensava di avere un ruolo così importante per i suoi amici. Sì, ovvio, erano i suoi migliori amici, Kate era la sua compagna e conosceva Kelly e Jaclyn praticamente da sempre e vivevano quasi tutti in simbiosi anche quando non erano in tour, ma non pensava di essere il loro punto di riferimento.

“Non hai notato come la tensione si è alleggerita da quando hai messo piede qui dentro?” chiese proprio Jaclyn timidamente, come sempre.

“I-io non pensavo...” balbettò Matt.

“Non pensavi cosa? Di essere così importante per noi?” chiese Tom.

“Già.”

“Matt, sei le fondamenta della band, della nostra amicizia che è la cosa più importante in questo momento. Se fosse dipeso solo da me e Dom a quest’ora staremmo pulendo i cessi da qualche parte, dannazione” disse Chris.

“Capisci ora cosa volevo dire?” intervenne Emma “hanno, abbiamo bisogno di te per superare tutto questo. Non pretendiamo che tu sia felice adesso ma buttarti giù, ucciderti dentro e darti colpe che non hai, non porterà a niente. Tutti abbiamo perso qualcuno, chi più chi meno, ma dobbiamo farci forza l’un l’altro, capisci?”

“Io... mi dispiace. Mi dispiace di tutto, davvero. Ma voi non sapete, non potete capire” disse Matt, una lucida e solitaria lacrima rigò lo zigomo pallido e perfetto.

“Cosa, Matthew? Cosa non capiamo? Che per te è diverso perché sei stato tu a trovare Dominic morto?” mormorò bruscamente la signora Howard “io ho seppellito mio marito e ora mio figlio. Una madre non dovrebbe sopravvivere ai propri figli, non dovrebbe affatto. Ma devo andare avanti, Matthew, e devi farlo anche tu. Chiuderti in quella stanza per otto giorni, cosa ti ha portato?”

“Sono stato io. L’ho ucciso io”

“Ma cosa stai dicendo?” chiese Chris. Tutti sapevano com’erano andate le cose e nessuno dava assolutamente la colpa a Matt, ma lui non riusciva a non sentirsi colpevole.

“Oh cielo, di nuovo questa storia” disse Kate che fino ad allora era rimasta in silenzio.

“Matthew” iniziò a dire la mamma di Dom avvicinandosi a lui e mettendogli le mani sulle spalle esili accarezzandogli le clavicole con i pollici “per quanto mi costi ammetterlo, è stata una decisione esclusivamente di mio figlio. E’ stata una sua debolezza, ha deciso lui. E per quanto questa cosa mi distrugga, perché non pensavo che Dom potesse essere così debole, tu non hai nessuna colpa.”

Matt distolse lo sguardo dagli occhi verdi della signora Howard.

“Voi non capite” sussurrò il cantante a denti stretti.

“E allora spiegaci! Cosa aspetti?” chiese dolcemente Emma.

“S-se io non gli avessi detto quelle co-...“ proseguì Matt.

“No, Matt, ancora questa storia?!” replicò arrabbiato Chris.

Il frontman lo ignorò e proseguì: “Se io non gli avessi detto quelle cose, tutto ciò non sarebbe mai successo! Dieci giorni fa... non otto, otto sono da quando ho trovato Dom, ma se dieci giorni fa non gli avessi detto quelle cose, ora lui sarebbe qui con me.”






(cornerstone)
non finirò mai di chiedere scusa a chi legge per questa storia,
se vi consola, sappiate che ad oggi ancora non riesco a guardare 
foto di Dominic senza sentirmi in colpa.
spero abbiate ascoltato l'accompagnamento musicale e che vi sia piaciuto.

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Capitolo 3
*** III. ***





Eternally missed, capitolo III.
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Dieci giorni prima.
Parigi.
Stade de France.
ore 23:30.



“Mio dio, ragazzi! Ma avete visto? Cioè... WOW!” esplose Chris irrompendo nel backstage, tutto sudato e ancora esaltato per il concerto appena terminato.

“Ma guardatelo, un ragazzino al primo concerto!” disse Dom tra una risata e l’altra seguendo l’amico nei camerini. Afferrò una bottiglietta d’acqua naturale e bevendo pensò a quanto amasse la capacità di Chris di esaltarsi prima e dopo ogni concerto, era il motore che metteva in circolo l’adrenalina. Bastava il loro bassista a mandare in estasi tutto il resto della crew. Dietro Dom c’era Tom e poi Matt.

“E dai, voi due siete abituati a cantare, io no!” replicò Chris tirando un asciugamani addosso al batterista.

“Ma che schifo! Non ci tengo ad essere toccato dai tuoi miasmi pestilenziali” disse vivacemente il biondo schivando il telo nero “senza contare che toccando le tue esalazioni potrei rimanere incinto.

Tutti risero. Dom amava anche il clima post-concerto, c’era sempre qualcosa di speciale anche se era molto diverso da quando avevano iniziato, tanti anni fa ormai. Non sapeva dire precisamente cosa fosse cambiato, ma sentiva solo che c’era qualcosa di diverso da un po’ di tempo, meno Muse, meno loro tre e più ognuno-si-fa-i-cazzi-suoi. Ed era un qualcosa che attanagliava il cuore e le viscere del bel batterista, lo tormentava, come se qualcosa si fosse rotto o fosse pronto alla rottura definitiva.

“Dom non canta. Dom fa finta di cantare solo per dire alle fan che oltre a suonare sa fare anche quello” disse improvvisamente Matt lasciandosi cadere sul divano nero nella saletta.

Chris ha ragione’ pensò il cantante ‘è stato pazzesco tornare a suonare dopo tanta pausa.

Era il primo concerto dopo molto tempo e ne avevano approfittato per far cantare a Chris uno dei due brani che probabilmente avrebbero fatto parte del loro prossimo album. Per ora era solo un esperimento, ovviamente, ma aveva potuto constatare personalmente che il pubblico era coinvolto come sempre anche se non era lui a cantare e gli faceva molto piacere, Chris se lo meritava.

“Io so cantare, siete voi che non sapete apprezzare il mio potenziale!” ribatté Dom.

“Potenziale? E di cosa?” chiese ironicamente Chris.

“Del vestirsi come un bidone ogni volta. Ma dio santo, cos’è tutto quel leopardo addosso?!” constatò Matt squadrando il suo biondo amico dalla testa ai piedi “pensavo ti fossi disintossicato.”

“Cosa c’è che non va?” chiese Dom allargando le braccia e guardando il suo abbigliamento, portava dei jeans neri molto stretti, Converse nere ai piedi, una maglia grigia leopardata abbinata alla cintura dello stesso colore e fantasia della t-shirt.

“Io ti denuncio alla protezione animali, Howard, basta. Tutti quei poveri leopardi” gli disse Matt “ma perché non ti fai aiutare di nuovo da Sophie? E’ brava!”

“Lo so che è brava, ma io so vestirmi da solo a vostra differenza! Il leopardato è... è carino e mi sta bene, non trovi?” rispose Dom girandosi di spalle e inarcando leggermente la schiena con la testa girata verso il suo amico.

“Sì, infatti sono anni che mi chiedo come tu faccia a conciarti così e ad essere sempre perfetto ed impeccabile” mormorò il frontman guardando quel corpo esile che tante volte aveva abbracciato.

“È tutta questione di stile, Bellamy, cosa che tu evidentemente non conosci e non hai” rispose Dom facendogli una linguaccia e beccandosi il dito medio dell’amico.

“Hey, ma dov’è finito Chris?” chiese Matt. Dom diede una rapida occhiata in giro, scrollò le spalle e si abbandonò sul divano accanto all’amico: “Boh, era qui proprio un attimo fa, magari è andato da Morgan a tormentarlo con il ‘che bello cantare’.”

Matt si alzò e gironzolò un po’ prima di tornare sul divano e tirare fuori il suo fidatissimo iPhone.

“È di là che parla al telefono con Kelly, il bestione” disse Matt rigirandosi il cellulare tra le dita.

“Sono come quando avevamo vent’anni, te li ricordi? Sempre lì a miagolarsi cose carine” ricordò il batterista gesticolando con le mani a mezz’aria “e a fare figl-...”

Dom interruppe la sua frase a metà perché Matt si era alzato e stava parlando al cellulare e, dalle risatine da quindicenne innamorato, aveva dedotto che dall’altro capo del telefono ci fosse Kate. Kate. La sostituta di Gaia, il rimpiazzo. Per lui Kate era sempre stata una pessima imitazione di Gaia, le voleva bene, aveva imparato a volerle bene col passare del tempo, ma sentiva che Matt era diverso. Il Matt che percepiva con Kate non era il vero Matt Bellamy, era sempre contenuto, non si lasciava andare più di tanto, aveva cambiato quasi totalmente modo di vestire e Dom odiava questa cosa perché anche se il suo amico era innamorato e felice, non era giusto cambiare così radicalmente per piacere a qualcuno. Lui sapeva perfettamente com’era il vero Matt, lo era stato in passato con lui e anche con Gaia, era con entrambi la stessa persona, non sentiva il bisogno di cambiare o di fingere. Dom quasi odiava il nuovo Matt ma non aveva coraggio di dirglielo. In quel momento il frontman tornò a sedersi accanto a lui sempre continuando a parlare al cellulare e, inaspettatamente, poggiò la testa irsuta e sudata sulla spalla del biondo che, automaticamente, come un vecchio gesto sbiadito col tempo, gli cinse la spalla con un braccio e dopo un po’ prese ad arricciargli con le dita i capelli alla base della testa. Non erano così vicini da un po’ di tempo, da quando Matt era preso con Kate e col bambino in arrivo e aveva il sospetto che si fosse allontanato da lui proprio a causa della sua nuova donna e...

“Sai, Dommeh, non è così male” disse Matt che nel frattempo aveva finito di parlare al cellulare.

“Cosa?”

“Non è così male avere una ragazza!”

“E cosa ti fa pensare che io non ce l’abbia?”

Matt guardò male l’amico. “Andiamo, Dominic, conosco te più di quanto conosca me stesso quindi, al momento, tu non hai nessuna ragazza.”

Dom mise su un broncio da dodicenne arrabbiato incrociando le braccia sul petto magro.

“E, se i miei calcoli sono esatti,” proseguì il cantante “non hai una ragazza fissa da un bel po’ di tempo. Ho ragione?”

“Mh” mugugnò il batterista non rispondendo e limitandosi ad alzare le spalle.

“Allora?”

“Cosa vuoi che ti dica? Sto bene così, ho tutto quello di cui ho bisogno, no?” replicò il batterista alzandosi dal divano. Quel posto iniziava ad essere bollente e doveva muoversi un po’.

“Raccontala a qualcun altro, Howard. Non sei mai stato uno capace di stare da solo così a lungo.”

“No, aspetta” disse Dom voltandosi di scatto verso l’amico “cosa vorresti dire?”

Esattamente quello che ho detto: che non sei capace di stare da solo per tanto tempo. Hai bisogno di qualcuno accanto, per forza. Qualcuno che ti ascolti, che possa supportarti; qualcuno a cui fare le tue dolci sorprese di compleanno come facevi con me o con Jessicatempo fa” disse Matt pronunciando il nome della ragazza con uno strano sorriso sulle labbra, quasi di scherno. A sentire il nome della sua ex ragazza qualcosa in Dom iniziava a frantumarsi. Matt lo sapeva che non doveva parlare di lei, non doveva più parlare di lei. Era una specie di accordo che avevano preso poco dopo che Dom e Jessica avevano rotto e fino ad allora non l’aveva mai infranto.

Cosa diamine sta succedendo?!’ pensò tra sé e sé il batterista boccheggiando senza dire niente.

“Sì, Dom. Jessica, proprio lei” ribadì con durezza il frontman.

“Perché?”

“Perché cosa?” chiese Matt.

“Perché lo stai facendo? Perché stai recitando questa parte? La parte del pezzo di merda? Sai, non ti si addice proprio, non con me almeno.”

“Io?  Io sono sempre stato così, sono semplicemente cresciuto, Dom, come fanno tutti ed è ora che anche tu cresca un po’, non pensi?” replicò acido Matt ad un impietrito e stupefatto Dom.

“Sei impazzito? Hai fumato o bevuto?”

“No, ti sto solo dicendo la verità! Il tempo per le cazzate e per i giochi è finito. E ora, se permetti, devo fare una telefonata” disse Matt alzandosi.

“E... e la doccia di champagne post-concerto?” chiese ingenuamente l’amico. La famosa doccia di champagne, un’abitudine che avevano dopo ogni concerto sin da quando avevano avuto abbastanza soldi da sperperare in cose futili o almeno così era stato fino ai precedenti concerti.

“Ancora? Cresci, Dom. Non è più il caso di fare queste cose.”

Il batterista rimase lì, fermo e pietrificato in attesa di qualcosa da dire. Matt intanto si era avviato verso la porta, digitando un numero di cellulare sul suo iPhone.

“Oh no, tu non vai proprio da nessuna parte, Matthew” gli urlò dietro Dom che con uno scatto più rapido di quello del suo amico, raggiunse la porta chiudendola a chiave.

“Togliti, devo uscire. Devo chiamare Kate.”

“No.”

“Togliti, Dom, per favore” implorò distratto Matt sempre fissando il suo telefono.

“Mi spieghi cosa cazzo ti ho fatto per meritarmi tutto questo?” chiese il batterista. In risposta ricevette solo silenzio poiché Matt era preso dal suo cellulare, fissava lo schermo ridacchiando sommessamente. Accadde tutto in un battito di ciglia: Dom prese un rapido respiro, afferrò il cellulare dell’amico e lo scaraventò con tutta la forza che aveva contro la parete alla loro destra. Pur non avendo compiuto un grande sforzo, aveva il respiro e il battito molto accelerato soprattutto quando si accorse del lampo di rabbia negli occhi di Matt che lo prese per la maglia e lo spinse con forza con le spalle al muro.

“Si può sapere cosa cazzo ti prende?” gli urlò in faccia.

“Devi spiegarmi, Bells. S-sei cambiato e non mi parli come prima, non siamo più come prima” spiegò Dom.

“E’ perché tutto è cambiato, Dom. Quella parte di me è morta con la fine della storia tra me e lei” replicò il frontman.

Gaia. Dillo, dì il suo nome. Come puoi pretendere di amare un’altra donna se anche solo il nome della tua ex ti fa contorcere le viscere?” mormorò Dom aspettando la violenta reazione dell’amico che non tardò ad arrivare. Matt gli tirò un pugno in pieno viso, dritto sul naso che ovviamente iniziò a sanguinare copiosamente. Non avevano mai fatto seriamente a botte prima di quel momento e Dom non aveva nessuna intenzione di reagire pur sapendo di poter avere la meglio sull’esile fisico dell’amico. Forse un po’ quel pugno se l’era meritato e sicuramente faceva meno male del comportamento di Matt.

Dom iniziò a ridacchiare: “Non mi sembra di averti preso a schiaffi quando hai nominato Jessica.”

“Io ho il coraggio di farlo, Dom, ho le palle di reagire” rispose Matt allontanandosi dall’amico.

“Ma coraggio di cosa? Di cambiare a causa di una donna? E dov’è finito il ‘saremo per sempre amici’, Matthew? Dove dannazione è finito?” sputò fuori Dom tamponandosi il naso con un asciugamano. Matt era corso a recuperare il cellulare, non rispose alla serie di domande dell’amico. Dom gli si avvicinò nuovamente con tutta la calma che era riuscito a raccogliere, gli strappò ancora una volta il cellulare di mano, lo poggiò per terra e iniziò a calpestarlo con tutta la forza che aveva nelle gambe. Matt guardava la scena impotente, sentendo la rabbia montare dentro. In un secondo, Dom si ritrovò di nuovo con le spalle al muro con la faccia di Matt ad un centimetro dalla sua.

“Considerati morto per me, Dominic. Band a parte, io e te non abbiamo altro da spartire. Fatti una cazzo di vita e staccati dal passato. Ti saluto” sibilò Matt all’orecchio dell’amico che continuava copiosamente a sanguinare. Gli diede un ultimo spintone e uscì dal camerino. Dom invece rimase lì, in quella misera stanza, scivolando lentamente a sedere sul pavimento con le spalle al muro, si chiedeva che senso avrebbe avuto continuare ad avere una band nata per amicizia se quell’amicizia sembrava essere finita. Dopo un paio di minuti si alzò, raccattò la sua roba e uscì dall’uscita di sicurezza diretto in aeroporto dove avrebbe preso un volo privao diretto a Nizza dove aveva casa da un paio di anni.


 
***

“Ma cosa diamine è successo lì dentro?” chiese Chris tornando verso i camerini e incrociando lo sguardo furente di un Matt che si rigirava una sigaretta tra le dita, indeciso se accenderla o meno “e butta via quella roba, Bells, non ti fa bene.”

“Non voglio fumarla, sto immaginando che sia una gamba di Dom per poterla spezzare così” rispose spezzando a metà la sigaretta. Si alzò da terra, con le mani si pulì i pantaloni sul sedere “immagino di dover rientrare per chiedergli scusa, vero?”

“Uhm, dipende” disse Chris guardandolo intensamente negli occhi “hai sbagliato tu?”

“Immagino di sì. Io, ecco... io gli ho tirato un pugno e l-lui ha iniziato a sanguinare, perciò oltre alle scuse credo di dovergli anche un naso nuovo.”

“Oddio e perché gli hai tirato un pugno? Sei impazzito?”

“Mi ha rotto l’iPhone! L’ha pestato sotto le sue luridissime Converse!” urlò Matt imbronciato.

“Senti, io di bambini ne ho già troppi a casa perciò che ne dici di tornare all’ultra 30enne che sei e vai a fare pace con lui? Almeno assicurati che stia bene, poi mi spieghi il resto” sentenziò il bassista che, come sempre, aveva ragione. Chris disse che doveva tornare da Morgan perciò Matt prese un bel respiro e tornò nel camerino.

“Senti, Dommie, mi dispia-...” iniziò a dire ma si interruppe bruscamente alla vista del camerino deserto. Dom non c’era e con lui era sparito anche il borsone del suo cambio di vestiti. Matt stava uscendo quando sul tavolino dove c’erano le bottiglie ancora intatte di champagne notò degli oggetti che prima non c’e
rano. Sul tavolino c’erano le bacchette preferite di Dom, il suo iPhone e un fogliettino.


Lascio. Sono a Nizza ma, per favore, vi imploro:
non cercatemi per nessuna ragione al mondo.
                                                                                                     Dominic.


Lascio. Lascio. Lascio. Lascio. Quella parola continuò a rimbombare nella testa di Matt creando una confusione assurda. Aveva uno strano presentimento, niente di buono. Prese il cellulare di Dom e compose il numero di Chris che nel frattempo era sparito nuovamente.

“Hey, Dom! Dove diamine sei finito?” rispose ridendo l’amico.

“Eh, a saperlo, Chris. Ha lasciato cellulare e le bacchette che usava con Rage qui in camerino con uno strano bigliettino” disse Matt “Chris, io... non lo so, ho uno strano presentimento.”

“Aspettami lì, prendo Tom e Morgan e ti raggiungiamo in camerino.”

“Dove siete?” chiese Matt udendo musica e schiamazzi.

“Niente, il solito after che tu tanto odi. Arriviamo!” spiegò il bassista.

“Okay” disse il frontman chiudendo la telefonata. Dopo alcuni minuti Chris, Tom e Morgan irruppero nel camerino trovando un Matt pensieroso che si rigirava tra le mani le bacchette di Dom. Rapidamente il cantante raccontò tutto ai suoi amici.

“Beh, secondo me non c’è da preoccuparsi” concluse Morgan poco dopo.

“Voi non capite, è diverso dalle altre volte, io sento che c’è qualcosa che non va perché non l’ho mai visto così arrendevole, come dire” proseguì Matt.

“Secondo me deve solo sbollire un po’. E’ successo altre volte che litigaste così, no?” chiese Tom.

“Sì, ma non siamo mai arrivati alle mani, non seriamente almeno. E lui rideva, di solito si incazza e mi rompe le palle finché non lo ascolto! È come se...”

“Come se si fosse arreso” terminò Chris per lui, un po’ più cupo di prima.

“Esatto! Come se... come se si fosse rassegnato a qualcosa, non lo so!” confermò il frontman.

“Deve sbollire. Hai il suo numero di Nizza, no? Domani mattina per prima cosa chiamalo e cercate di venirne a capo, okay?” disse il bassista assestando una leggera pacca sulla spalla di Matt. Il cantante annuì debolmente.

“Adesso tutti a farci una bella dormita” disse Tom alzandosi “domani dobbiamo sistemare delle cose del palco per il concerto di dopodomani.”

Con un Matt ancora pensieroso e titubante, i quattro amici uscirono dai camerini diretti al loro albergo.





 

(cornerstone)
come sempre, 
un infinito ed ENORME grazie a chi legge, a chi recensisce
e anche e soprattutto a chi entra silenziosamente.
e chiedo scusa per tutte coloro che mi hanno detto di aver pianto
e di essersi commosse, non era mia intenzione farvi del male.
vi voglio bene.

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Capitolo 4
*** IV. ***






Eternally Missed, capitolo IV.
(aprimi prima di iniziare a leggere)




 
'Dom, devo chiamare Dom adesso': questo fu il primo pensiero ad attraversare la mente stanca di Matt al suo risveglio la mattina successiva al litigio. Non aveva chiuso occhio, aveva avuto degli incubi terribili. A quell'ora se Dom fosse stato lì avrebbe sfondato a calci la porta della sua stanza per trascinarlo a fare colazione in qualche posticino carino sotto la Tour Eiffel. Ma era un orario improponibile dopo un concerto, le otto e undici minuti di mattina,  e non c'era nessun Dom urlante dietro la sua porta né tantomeno una colazione pronta. Chiamò rapidamente il servizio in camera ordinando una caraffa di caffè americano e rifletté sul da farsi. Prese il cellulare di Dom e se lo rigirò tra le mani notando la poca cura che l'amico aveva per gli aggeggi tecnologici visto che aveva lo strano potere di graffiarli irrimediabilmente. Decise di dare un'occhiata alla rubrica: Alexa, Caroline, Daniela, Ellie.

'Buon dio, ne ha una per ogni lettera dell'alfabeto o nazionalità?!' constatò stupefatto Matt fissando lo schermo del cellulare finché non incontrò un nome che attirò la sua attenzione. Gaia P. ed era inevitabilmente quella Gaia. Quante Gaia P. poteva conoscere Dom?


Vabbè, poco male, io ho il numero di Jessica, non dovrebbe essere così strano disse ad alta voce provando ad ignorare il fatto di avere il numero di Gaia sottomano. Come sperava trovò il numero del telefono della casa a Nizza e inoltrò la chiamata. Uno, due, tre, quattro, cinque squilli poi partì la voce registrata nella segreteria. Un senso di ansia lo pervase improvvisamente. Dom aveva il sonno leggero e, per quanto ricordava, aveva un telefono sul comodino della sua camera perciò se stava dormendo avrebbe sicuramente sentito e avrebbe risposto. Arrivò la cameriera con il caffè, la ringraziò, lasciò una mancia e si riempì una tazza. Per prendere una qualsiasi decisione voleva aspettare che Chris e gli altri fossero svegli perciò decise di aspettare almeno fino alle nove e mezza e poi sarebbe andato a svegliarli personalmente. Improvvisamente, però, ebbe un'idea.

'Ma certo, la cameriera! Come ho fatto a non pensarci prima?'

Dom aveva una cameriera per la casa di Nizza visto che non poteva andarci spesso e quindi aveva bisogno di qualcuno che si prendesse cura della "splendida casa coloniale su due piani con una vetrata immensa che da' sul giardino", così gliel'aveva descritta Dom anni prima. Riprese a scorrere la rubrica del telefono.


Jeannette, eccola! disse inoltrando la chiamata. Il telefono squillò poche volte poi una donna con un fortissimo accento francese aprì la chiamata.

Allô? rispose lei in francese.

J-Jeannette? chiese timoroso Matt.

Monsieur Dominic? 

No-non, c'est ne pas Dom provò a biascicare Matt in francese che cazzo sto dicendo sussurrò poi.

Non? Qui est-ce, alors? 

Ehm, je suis Matthew!” disse lui ormai spazientito.

Aaaah, monsieur Matthew! Come sta? disse passando alla lingua madre di Matt.

Oh, grazie al cielo! Jeannette, io sto bene. Senti, hai notizie di Dom? Sei a casa sua? chiese lui.

Non, monsieur Matthew! Monsieur Dominic mi ha telefonato ieri per chiedermi se potevo non andare da lui per un paio di giorni perché aveva delle cose da fare.

Cose da fare? Ti ha detto cosa, per caso? la interruppe il cantante.

Non, monsieur, mi ha solo detto che la casa non aveva bisogno di cure e mi è sembrato strano visto che in passato andavo a casa sua anche quando lui c'era disse la donna è-è successo qualcosa?

Non lo so, Jeannette, non lo so. Al telefono di casa non risponde, tu puoi andare a controllare che sia tutto okay?

Monsieur Matthew, non si arrabbi, ma non posso proprio perché non sono a Nizza perché ho dovuto accompagna-...

Okay, Jeannette, non ti preoccupare. Vedrò di andare io lì il prima possibile, ti ringrazio!” concluse chiudendo la telefonata. C'era qualcosa che non andava. Si versò una tazza di caffè e guardò l'orologio ed erano quasi le nove e un quarto.

Ah, 'fanculo le vostre ore di sonno, dormirete quando avrò risolto questa merda di situazione! disse ad alta voce a nessuno in particolare. Si infilò velocemente la vestaglia verde e con la tazza in mano andò a bussare 207, la camera di Chris che sicuramente gli avrebbe risposto avendo il sonno leggerissimo e infatti, dopo due colpi alla porta, il bassista ancora mezzo addormentato e in boxer e t-shirt andò ad aprirgli.

Dannazione, che ora è?! chiese quest'ultimo stizzito al cantante.

Quasi le nove e mezza disse Matt bevendo un sorso dalla tazza.

E che ci fai tu sveglio alle quasi-nove-e-mezza? Sei andato a dormire alle cinque! sussurrò il bassista stropicciandosi gli occhi con le mani.

Beh, teoricamente sono sveglio dalle otto circa e sono andato a dormire alle quattro e quarantotto. Sono sveglio perché non riuscivo a dormire e perché Dom non risponde. Ora, sono il tuo frontman il che mi da una specie di leadership, perciò renditi presentabile e ci vediamo nella mia stanza dove c'è del caffè per tutti. Vado a svegliare Morgan e Tom! cinguettò fin troppo allegramente Matt. Chris lo guardò sbigottito e gli chiuse la porta in faccia. Matt, dal canto suo, si attacco a bussare alla porta di Tom e Morgan finché quest'ultimo, disperato, corse ad aprire.

Chi diavolo è?! urlò quasi mentre apriva la porta trovandosi davanti un Matt in t-shirt, pantaloncini con la vestaglia e una tazza di caffè in mano.

Matt disse il cantante come se fosse una giustificazione sufficiente sveglia Tom e venite in camera mia, devo parlarvi.

Morgan gli rivolse un'occhiataccia terribile e Matt, con un'alzata di spalle, aggiunse: C'è il caffèe tornò nella sua stanza. Tempo cinque minuti ed erano tutti lì, ognuno con una tazza di caffè in mano guardando Matt in attesa di spiegazioni.

Non risponde al telefono disse infine.

E... ? chiese Chris sorseggiando il caffè bollente.

E devo andare lì! Perché sono un coglione e ho creato un casino e non tornerà per il concerto se non vado a riprenderlo io.

Ma... non hai le chiavi di casa! gli ricordò Morgan.

Ho le chiavi. Tutti abbiamo i doppioni delle reciproche case, ricordi? disse Matt sventolandogli un enorme mazzo di chiavi sotto il naso.

Oh, vero, avevo dimenticato! Quindi le hai qui con te.

Esatto. Ora, Nizza dista da Parigi circa mille kilometri quindi c'è un fottuto aereo che può portarmi lì il più velocemente possibile? chiese il cantante.

Beh, sicuramente ci sarà qualche aereo di linea ma no-... iniziò a dire Tom.

'Okay, è ora di vestire i panni del frontman isterico' pensò Matt prima di parlare.


Non mi sono spiegato allora, devo essere a Nizza quanto prima e non posso prendere un fottuto aereo di linea che non so quando partirà disse invece.

Provo a telefonare in aeroporto e sentire se hanno un jet disponibile disse Tom prendendo il cellulare di Matt.

No, tu non provi. Tu mi trovi un jet.

O-okay, non ti agitare! rispose impaurito Tom.

'Bene, ha funzionato. Sono il fottuto frontman dei Muse e se voglio un aereo l'avrò, cazzo' pensò infine il cantante. Tempo dieci minuti e Tom gli aveva trovato un jet che sarebbe partito alle undici e quaranta da Charles De Gaulle. Sarebbe andato da solo, Tom l’avrebbe solo accompagnato in aeroporto. Matt si fece una rapida doccia, si sistemò i capelli alla bell'e meglio, infilò un paio di jeans, una t-shirt rossa, un paio di Vans nere ai piedi e la giacca di pelle dello stesso colore. Prese il cellulare di Dom, dei documenti, le chiavi di casa, il portafogli, infilò le bacchette del batterista nella tasca posteriore dei jeans e lasciò la sua camera. In aeroporto, salutò un Tom molto preoccupato e si precipitò a prendere l'aereo. Quelle due ore circa di volo sembravano non passare mai ma, finalmente, attorno alle due del pomeriggio giunse all'aeroporto di Nizza dove c'era una macchina ad attenderlo che l'avrebbe portato a casa di Dom.


 
***

Dopo circa mezz'oretta di auto, arrivarono alla grande casa di Dom. Si avvicinò al cancello e suonò quella specie di diavoleria elettronica che Dom si ostinava a chiamare "campanello-intelligente" perché oltre al video, aveva anche una specie di riconoscimento vocale che annunciava anticipatamente al padrone di casa, chi fosse il visitatore. Suonò più volte ma non ottenne risposta.

'Starà ancora dormendo' concluse Matt estraendo le chiavi. Dopo aver combattuto per trovare quella giusta, riuscì ad aprire il cancello. Arrivato alla porta bussò, ovviamente, senza ottenere nessuna risposta e quindi ricominciò a cercare la chiave giusta. Entrato in casa c'era il silenzio più assoluto.


Dom? urlò Matt. Nessuna risposta.

Dom? ripeté il cantante ancora più forte. Non ottenendo nessuna risposta decise di andare in cucina. Ovviamente vuota così come vuoto era il salotto. Iniziò a salire le scale per andare al piano di sopra dove c'era la camera da letto, una stanza piena di vinili e strumenti vari e altre stanze che Matt non ricordava.

Andiamo, brutto segaiolo! Non ricordavo avessi il sonno così pesante! urlò ironico mentre saliva le scale, le dita che tremavano reggendosi al corrimano. La porta della camera di Dom era socchiusa, la stanza era nella penombra, filtrava solo un po' di sole dalle persiane chiuse.

Dom? sussurrò di nuovo Matt con voce tremante poggiando una mano sulla porta e aprendola leggermente. Diede una rapida occhiata alla stanza e si accorse che Dom era a letto.

Dio, stai ancora dormendo? disse Matt sollevato vedendo che l'amico era lì. Dom non rispose, continuava a dormire. Si avvicinò con passi lenti e pesanti al letto per paura di far spaventare il biondo al suo risveglio. Ripeté ancora una volta il nome dell'amico senza ottenere risposta. Dom dormiva vestito, con le scarpe ancora ai piedi, una mano poggiata dolcemente sullo stomaco, un espressione serena sul viso e la testa rivolta verso la finestra; un raggio di sole colpiva il volto del batterista, stranamente troppo pallido e rilassato rispetto al solito. C'era qualcosa di strano, era troppo pallido per essere uno reduce da un mese di vacanza alle Hawaii. Matt si avvicinò all'amico e gli posò una mano sulla spalla scuotendolo leggermente.

Dommeh, amico, svegliati. Ti ho portato la colazione, ci sono dei cupcake! gli disse Matt sapendo quanto il batterista fosse goloso di dolci. Ma, per quanto lo scuotesse e per quanto gli parlasse, non ottenne nessuna risposta. Si alzò e posò le chiavi di casa sul comodino e fu allora che le vide. Una schiera di boccettine di medicinali di quelle che ti aspetteresti di vedere solo in uno psico-dramma americano di casalinghe disperate o in un qualche serial medico. Una schiera di boccettine di medicinali che mai ti aspetteresti di vedere sul comodino del tuo migliore amico che non aveva nessuna malattia e nessun bisogno di medicine. Una schiera di boccettine con accanto una bottiglia da litro di vodka liscia quasi vuota. Il panico iniziò a dominare la mente e il battito cardiaco di Matt, stava tremando tanto che nel tentativo di prendere una boccetta di medicine, ne fece cadere alcune per terra e non si preoccupò di raccoglierle. Lesse la targhetta della boccettina che teneva in mano.
 

Fenobarbital, proprietà sedative/anticonvulsanti. Assumere con cautela.


Proprietà sedative: le uniche due parole che rimbombavano come una pallina nella testa di Matt. 

Dom... ripeté ancora una volta con la voce rotta dal pianto. Si azzardò ad avvicinare indice e medio ad un lato della gola dell'amico. Nessun cenno di battito cardiaco, non gli servivano molte nozioni mediche per capire che ormai il suo amico era morto.

DOM!! urlò mentre si chinava sul letto scuotendo con forza l'amico. Dom non si svegliava, era inerte tra le sue braccia, i capelli biondi che si muovevano e mandavano riflessi dorati in tutta la stanza. 

Dom, cosa ca... cosa cazzo hai fatto Dom. Ti prego, svegliati! Ti prego, stai solo dormendo, hai preso troppe medicine per dormire, stupido coglione, svegliati. Ti prego! ripeteva convulsamente il frontman mentre ormai erano scivolati entrambi sul pavimento pulito della stanza. Dom era steso per terra, scomposto, mentre Matt gli reggeva la testa e gli accarezzava freneticamente i capelli in preda al panico. Continuava a chiamarlo, ad urlare e poi sussurrare il nome dell’amico nella speranza che si svegliasse. Lo stese e non sapendo cosa fare per aiutarlo, provò a fargli una respirazione bocca a bocca ma era inutile, i polmoni di Dom si riempivano e si svuotavano immediatamente senza nessun risultato. Riuscì solo a pensare a quanto fossero fredde le labbra del suo amico, quelle labbra che ha visto tante volte curvarsi in uno splendido sorriso o quelle labbra che mimavano un “va tutto bene, stai tranquillo” quando Matt era agitato sul palco. Ricontrollò il battito di Dom dal polso, dal collo e no, si ripeteva, una persona viva o addormentata non è così fredda, non è così pallida. Iniziava ad essere tutto confuso, come se fosse ubriaco. La stanza ondeggiava, sentiva la testa pesante e l’iperventilazione non gli consentiva di respirare bene, la vista offuscata ma nessuna traccia di lacrime, il nodo in gola, la nausea che faceva capolino. Matt rimase su quel pavimento con il corpo inerte del suo migliore amico stretto al petto, le sue labbra e il naso persi tra i capelli biondi di Dom a respirarne ancora il buon odore della doccia della sera prima, dondolandosi su uno strano e invisibile ritmo cadenzato. In un piccolo momento di lucidità decise che avrebbe dovuto avvisare Chris o Tom. Prese il cellulare di Dom e compose il numero di Tom.

“Hey, segaiolo! Che fine hai fatto? Matt è gi-...?”

“E’ morto, Tom” lo interruppe Matt.

“Matt, sei tu? C-cosa cazzo stai dicendo?” chiese l’amico dall’altro capo del telefono.

“F-fenobarbital in quantità industriali e vodka. E’ morto” disse freddo Matt. Un’unica e solitaria lacrima iniziò a scendere sullo zigomo perfetto di Matt “dovete lasciarmi da solo con lui, ormai è morto, non ho chiamato nessuna cazzo di ambulanza di merda. Non osate mettere un solo fottuto piede qui prima di domani mattina” aggiunse per poi chiudere la telefonata e spegnere il cellulare. A quella lacrima solitaria se ne aggiunse un’altra ed un’altra ancora fino a trasformarsi in un pianto silenzioso, le lacrime che continuavano a perdersi e a scivolare tra i capelli di Dom. Il telefono di casa iniziò a squillare, Matt non sopportava più quel rumore acuto e insistente e perciò dovette staccarsi da Dom per correre a disattivare il telefono, distrusse letteralmente ogni apparecchio telefonico in casa. Tornò di sopra, restò immobile a fissare il corpo di Dom poi qualcosa dentro di lui esplose. Iniziò ad urlare, un urlo lungo e acuto, di rabbia e di dolore come se ci fosse qualcuno a trafiggergli il corpo con mille e mille coltellate. Distrusse tutto ciò che gli capitava a tiro con negli occhi solo il lampo del ricordo del viso del suo biondo amico e il desiderio di cedere a quella rabbia che lentamente si faceva strada dentro di lui. Buttò giù vasi, strappò via le tende dalle finestre, iniziò a prendere a calci la porta della camera di Dom e in quel momento desiderò di trovarsi su un palco a distruggere tutto, a distruggere la Manson di turno che stringeva tra le mani e di schiantarla violentemente contro un amplificatore. Alla fine di quel terribile momento, si trovò senza fiato, senza voce con gli occhi rossi e il viso rigato dalle lacrime. Si precipitò nuovamente sul corpo di Dom, riprese a stringerlo al petto e a piangere desiderando ancora che il suo amico si svegliasse.

“Dom, Dom... tu... io, è colpa mia, è solo colpa mia. Io non avrei dovuto trattarti così, sono un coglione ed ero venuto qui per chiederti scusa. Sei mio fratello, il mio migliore amico, la mia anima gemella. Te lo ricordi? Ti ricordi quando me l’hai detto? Eravamo in studio a provare e tu ti sei avvicinato e mi hai detto che ero l’altra parte della mela, quella che ti completa anche se non ci sei fidanzato. Io... Dom, è colpa mia. Tu mi hai salvato, con la tua volontà e il tuo amore mi hai salvato. La tua volontà mi ha tirato fuori da quella merda in cui ero... poi, puff, sei arrivato tu dal nulla” disse Matt tutto d’un fiato accarezzando il viso di Dom  con piccoli movimenti circolari del pollice “non... non doveva finire così. Non doveva finire affatto. Io mi caverei il cuore dal petto se servisse a farti tornare da me. Ti ricordi? ‘Saremo amici fino alla fine del tempo’, me l’hai detto tu e tu quel tempo l’hai portato via. Sono io quello che dovrebbe essere m-morto, non tu. Io me lo merito.”

Dopo qualche minuto di silenzio Matt inizia a sussurrare le parole di Eternally Missed, tra un singhiozzo e l’altro, cercando di non piangere più. La voce di Matt è roca a causa delle urla di prima e adatta ad una dolce nenia il ritmo forte della canzone, scivolando in una specie di sonno. Il dormiveglia si infranse bruscamente parecchie ore più tardi quando due mani possenti cercano di staccarlo dal corpo di Dom, le mani di un Chris con il volto coperto di lacrime.

“Lasciatemi stare” urlò Matt ai suoi amici “devo stare con lui, SPARITE.”

“M-Matt” disse Tom singhiozzando “ti prego, devono... devono portarlo via.”

“Non me ne frega un cazzo, sparite.”

“Adesso basta, Matthew! Staccati da quel cazzo di corpo, non è più Dom. Dom è...” urlò Chris strattonando Matt.

“E’ morto. Avanti, dillo. Imparate a dirlo. Dominic è morto. Okay, ora non me ne frega un cazzo, lasciatemi con lui” rispose il cantante. Chris perse la pazienza. Strattonò con forza Matt lasciando cadere il corpo di Dom sul pavimento. Prese il cantante per il bavero della giacca e lo spinse con forza contro il muro facendolo mugugnare per il dolore. Matt evitava il suo sguardo, ancora in lacrime guardava per terra dove c’era Dom.

“Esci subito da qui” gli sussurrò Chris, Matt scosse la testa e il bassista proseguì “non me ne frega un cazzo se sei il frontman o dio sceso in terra, esci da questa fottutissima stanza” e spinse Matt verso la porta costringendolo ad uscire accompagnato da Tom. Una volta fuori entrambi si sedettero ai gradini della porta d’ingresso, Matt iniziò a piangere e Tom l’abbraccio. L’ultima cosa che Matt ricordò prima di svenire è che c’era tanto sole fuori e i raggi illuminavano tutto ciò che toccavano come avevano illuminato i capelli dorati di Dom fino a poco prima. 






(cornerstone)
ho il cuore a pezzi, credo che questa sia la cosa più
terribilmente difficile che io abbia mai scritto.
ho perso un pezzo di anima, 
ce l'avete in queste parole.

 

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Capitolo 5
*** V. ***





Eternally Missed, capitolo V.
(aprimi prima di iniziare a leggere)




Flash forward, ritorno al presente.


La leggera brezza che soffiava da giorni, portò l’odore del mare alle narici di Matt, il cimitero di Teignmouth era vicino alla spiaggia, vicino al molo dove da piccoli passavano intere giornate. Mentre ora erano tutti lì, tutti meno uno e quell’uno mancante stava per essere sotterrato sotto metri di umido terriccio scuro. Erano tutti lì, stretti attorno alla signora Howard, ad Emma, stretti attorno a Matt, stretti l’un l’altro per farsi forza a vicenda. La sua famiglia, la loro famiglia. Matt era al centro, perfettamente in linea con la lapide.
Alla sua sinistra, la mamma di Dom stretta al braccio di Emma e alla sua destra c’era Kate che lo teneva saldamente per mano, guardando la mano libera della sua donna protettiva sul pancione ebbe una fitta al cuore pensando che suo figlio non avrebbe mai conosciuto Dom. Scosse la testa, sperando di cacciare anche quell’ennesimo terribile pensiero. Gli altri erano dietro di lui: Chris abbracciava il maggiore dei suoi figli, Alfie, che aveva insistito per essere presente e Kelly che teneva per mano Ava. Tom stringeva Jaclyn con mani tremanti, l’altro Dom, come lo chiamavano tutti, anche se ora era rimasto l’unico, e la sua ragazza Kari e poi Morgan con sua moglie Felicity. Erano tutti lì ad aspettare Dom, davanti ad una fossa capeggiata da una bianca lapide di marmo. Poco prima c’era stata una breve funzione in chiesa con poca gente, erano riusciti a contenere l’esplosione della notizia. Matt era rimasto tutto il tempo accanto alla signora Howard, non voleva abbandonarla, sapeva quanto avesse bisogno di lui. Una volta fuori, aveva messo su un bel sorriso forzato e aveva stretto mani a non finire ringraziando per le condoglianze. Tom poi gli aveva raccontato che nei giorni precedenti, milioni erano stati i messaggi di cordoglio da tutti coloro che conoscevano il batterista, soprattutto da parte dei fan e Matt era stupito nel vedere il rispetto che quelle persone avevano per loro, per il loro dolore e infatti nessuno di troppo si era presentato in chiesa. Poco prima, però, mentre salutava fuori dalla chiesa, aveva scorto una paffuta ragazza dagli scuri capelli ricci che aveva lasciato accanto alla macchina che avrebbe portato Dom al cimitero, un mazzo di girasoli con attaccato un pupazzetto di pezza a forma di leopardo. Altra fitta al cuore di Matt che incrociò lo sguardo della ragazza e le fece un cenno con la mano, lei annuì e ricambiò il gesto, si asciugò le lacrime e corse via. Finiti i saluti, era andato a recuperare il mazzo di fiori e l’aveva dato ad Ava che a sua volta l’avrebbe messo su... insomma, quando Dom sarebbe stato lì sotto. Il rumore di una macchina riportò Matt con i piedi per terra. Era arrivato, era lì e stava per scomparire sotto terra. Il gruppo si divise: Chris, Morgan, Dom e Tom si erano presi il compito di “portare” la bara di Dom dalla macchina alla fossa. A Matt non era andato giù il fatto di non poter aiutare, essendo ben più basso dei suoi amici e quindi avrebbe reso l’azione pericolante. Il suo istinto lo spinse a precipitarsi ad aiutare i suoi amici ma una mano lo bloccò.

“Umpf” disse il cantante ricordandosi che non sarebbe potuto essere di nessun aiuto.

“Non importa, Mattie” lo incoraggiò la signora Howard che l’aveva bloccato poco prima “tu mi servi qui adesso, non accanto  a mio figlio. Hai dovuto subire fin troppo, non ti avrei mai permesso di portare il suo peso letteralmente sulle spalle.”

Matt annuì silenziosamente, stringendo la mano di Kate e guardando il piccolo corteo che si avvicinava. La bara era di legno scuro, davanti c’erano Chris e Tom, dietro Dom e Morgan. Camminavano a passi incerti, lentamente, come se questo rallentare passo dopo passo potesse ritardare quel momento. Poteva vedere lo sguardo di Chris, fisso su Kelly, fisso sull’unica cosa che sembrava dargli calma: la sua donna e i suoi figli. Si stava sforzando di non piangere, Matt lo sapeva e lo poteva vedere dagli occhi che lentamente diventavano rossi per lo sforzo. Quante volte l’avevano visto in quelle condizioni quando stava cercando di smettere di bere? Matt lo sapeva e avrebbe voluto risparmiargli quel dolore, il dolore di portare Dominic, ma “non è colpa mia se sono alto un metro e un plettro”, come aveva detto quasi urlando quando avevano concordato su chi dovesse farlo. Improvvisamente Kate gli strinse la mano come a richiamare la sua attenzione. Matt si girò a guardarla, aveva lo sguardo diretto verso un punto ben preciso dove Matt sapeva già cosa trovare.

“M-ma quelle due non son-...
 iniziò a dire la sua compagna.

“Sì, sono loro” confermò Matt interrompendola.

“Ma che ci fanno qui?” chiese Kate.

“Le ho invitate io. Mi hanno chiamata due giorni fa per farmi le loro condoglianze ed era giusto che ci fossero” intervenne la signora Howard che aveva sentito le parole dell’attrice.

“Ma...” sussurrò Kate “tu lo sapevi e non hai detto niente, Matt?”

“Non è il momento, Kate, tieni la tua stupida gelosia per dopo se proprio ci tieni” sibilò Matt a denti stretti “e in realtà, se ti aggrada saperlo” aggiunse il cantante con enfasi “prima erano anche in chiesa ma si sono tenute a distanza. E ora è giusto che siano qui.”

Matt lo sapeva che c’erano, le aveva notate appena aveva messo piede in chiesa poco prima. In realtà si era accorto della presenza di una delle due dal suo profumo, non sarebbe mai riuscito a dimenticarlo. E ora le vedeva da lontano, in piedi sotto un albero mano nella mano, strette l’una all’altra. Erano proprio come le ricordava, erano rimaste amiche dopo tutto quel tempo ed era contento perché in fondo si volevano bene e lui voleva bene a loro e dividersi non sarebbe stato giusto. Ed era contento anche di vedere che nessuna delle due era interamente vestita di nero, loro conoscevano Dom quasi quanto lui e la signora Howard: Gaia portava un leggero vestitino rosa pallido con su un cardigan nero e Jessica indossava un vestito giallo, che Matt era abbastanza sicuro fosse un regalo fattole da Dominic, e un cappottino nero. Come quasi tutti a quel funerale, indossavano degli enormi occhiali da sole scuri. Matt continuava a ripetersi che era giusto che fossero lì, erano state parte della vita del suo amico e in quel momento si trovò a desiderare ardentemente di poter abbracciare Gaia. Scosse la testa e cacciò quel pensiero. La voce della signora Howard lo riportò in quel cimitero.

“Matthew” sussurrò lei con voce tremante. Erano arrivati, il corteo e la bara erano giunti fino a loro.

Tutto ciò è surreale’ pensò Matt ‘se qualche anno fa mi avessero detto che avrei assistito ai miei amici che trasportano il corpo di Dom per seppellirlo, mi sarei fatto solo una sonora risata.

E invece era tutto vero. I suoi amici, aiutati dagli addetti del cimitero, posero la bara sul carrello che l’avrebbe poi lentamente calata nella fossa. Chris piangeva, gli tremavano le mani quando tornò a prendere posto accanto alla sua famiglia come fecero tutti gli altri. In quel preciso istante il tempo era come se fosse fermo, c’era solo il cinguettare allegro degli uccellini e al rumore calmo della risacca del mare così in contrasto con ciò che stava succedendo lì. Dopo interminabili secondi di silenzio pesanti come un macigno sullo stomaco, sentì la flebile vocina di Ava e si girò a guardarla.

“Mamma, p-posso adesso?” chiese innocentemente. Kelly annuì e Ava si avvicinò lentamente e con passi tremanti alla bara, l’accarezzò con le dita della mano che non reggeva i fiori e poggiò la manina paffuta sul legno.

“Questi non li ho presi io, però sono belli e sono gialli” disse la bambina guardando i girasoli che teneva in mano “ti sarebbero piaciuti tanto, secondo me e ti somigliano pure! Ora devo andare, zio Dom, ti vorrò sempre bene” e posò il mazzo di fiori sulla bara con l’innocenza e la delicatezza che solo una bambina di undici anni può avere. Mentre posava i fiori fu raggiunta da suo fratello Alfie che in mano reggeva le sue prime bacchette della batteria. Dom, quando poteva, gli insegnava ciò che poteva sulla batteria e Alfie era davvero bravo.

“Zio Dom, queste sono le mie prime bacchette, quelle che mi hai dato tu, ricordi? Ecco, io le lascio a te però ti prometto anche che un giorno diventerò così bravo che suonerò nei Muse anche io e nessuno si accorgerà che non sei tu, te lo prometto!” disse Alfie posando le bacchette accanto ai fiori, poi prese sua sorella per mano e tornarono a posto. Matt aveva il cuore in gola e si sentì ancora peggio quando udì Alfie sussurrare un “andrà tutto bene, papà” quando Chris in lacrime si chinò ad abbracciarlo. No, doveva andare via da lì, stava per esplodere. E se fosse esploso non sarebbe più tornato indietro, sarebbe arrivato al punto di non ritorno e avrebbe mandato tutto a puttane. Ma doveva resistere, almeno fino a quando Dom non sarebbe stato lì sotto. A turno guardò tutti gli altri avvicinarsi alla bara e dire qualcosa. Guardò Kate mettere una mano sulla bara del suo migliore amico e con l’altra accarezzarsi il pancione, lui però non si mosse dal suo posto, non voleva avvicinarsi e non sapeva perché. Lentamente, tramite un cenno della signora Howard agli addetti del cimitero, la bara veniva lentamente calata giù. Matt era consapevole che ormai Dom fosse morto da un pezzo, ma essere lì in quel momento era la condanna definitiva, come se non bastasse il referto medico per accertarne la morte. Stava per finire tutto, tutta la sua vita stava per finire sotto due metri e mezzo di terra.

‘Il punto di non ritorno’ ripeté tra sé e  sé. Doveva andare via da lì e anche subito.

“Non ci riesco” sussurrò all’improvviso il cantante “non posso. Io... io è come se continuassi a morire ripetutamente per tutto il tempo. Quando vedo, quando penso a lui è come se morissi sotto i miei stessi occhi, come se fosse una morte continua, una morte che non finisce mai.”

Si staccò dalle due donne che lo tenevano per mano e si mosse con passi traballanti e incerti verso la fossa, la bara era quasi arrivata giù.

“Matthe-...
” iniziò a dire Kate impaurita.

“No” sussurrò la signora Howard allungando un braccio a fermare la bionda attrice “lascialo andare, ti prego.”

Matt ora fissava il suo amico, il suo migliore amico, nel suo nuovo posto. Chissà se sarebbe mai tornato a salutarlo, tra qualche anno magari, o tra qualche secolo, quando quella fitta di pugnalate all’anima si sarebbe attenuata. E sperava si attenuasse perché non ce la faceva più. Si chinò, piegato e ricurvo sempre fissando la bara. Prese in mano una manciata di terra, la sgretolò più volte tra le dita. Una silenziosa e purissima lacrima scese sulla sua guancia per finire in quel piccolo cumulo di terra che poi gettò sulla bara.

Sei l’unico che mi ha visto piangere e soffrire realmente, è giusto che questa lacrima ti appartenga e almeno non sarai completamente solo lì sotto’ pensò il cantante.

Poi si alzò e si pulì le mani. 

Il punto di non ritorno.
Era giunto. Era consapevole di essere guardato da tutti ma non gliene fregava più niente ormai. Si tolse la giacca rossa che il batterista tanto amava, la tenne per un po’ in mano e poi la mise sulla lapide di Dom, come se stesse mettendo quella giacca sulle spalle del suo amico. Rimase per un momento con la mano poggiata sulla giacca e su tutto ciò che rimaneva di Dom e poi andò via. Non si girò, ma sentì le urla di Kate che lo richiamava. Non sapeva precisamente dove stesse andando, sapeva solo che doveva andare via da lì. Improvvisamente si ricordò di Gaia e Jessica che sicuramente avevano assistito alla scena quindi si girò nella loro direzione e vide che Gaia lo stava fissando. Lui aveva il fiatone dalla rabbia, dal voler piangere e dalla voglia di correre lì ad abbracciarla. Lei, lei che sapeva come poteva sentirsi in quel momento, lei che avrebbe appoggiato la saggia scelta di andare via per un po’. La fissò di rimando poi la salutò con un gesto della mano, un semplice cenno che racchiudeva anni e anni d’amore e di odio. Gaia ricambiò sollevando la mano libera, quella che non reggeva Jessica, per poi poggiarla aperta sul proprio petto, dove si trovava il suo cuore. A Matt bastava quello per convincerlo che stava facendo la scelta giusta. Riprese a camminare in direzione di casa Howard dove prese la sua macchina e si recò in aeroporto senza ancora una destinazione ben precisa. 






(cornerstone)
siamo giunti all'epilogo, 
parte della mia anima è nella vostra testa dopo averla letta
ed è anche nella storia stessa.
ringrazio con tutto il cuore chiunque l'abbia letta, 
recensita, 
insultata, 
amata,
odiata,
tutto.
grazie per non avermi buttato addosso merda e per avermi permesso di portarla a termine,
significa molto per me.

sempre vostra.

 

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