Il mare di notte

di Pandora86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ecco a voi la mia nuova fic.
È una storia molto leggera che però non rinuncia ad una minima introspezione.
È ambientata nel secondo anno scolastico dei nostri protagonisti e potrebbe collegarsi, cronologicamente, dopo il manga.
Attendo, come sempre, i vostri pareri.
Ci vediamo a fine capitolo per le note e le informazioni  riguardo le prossime pubblicazioni.
Scusate se troverete degli errori. Io leggo e rileggo ma qualcosa sfugge sempre.
Buona lettura.              
 
 
                                                   Il mare di notte
 

Capitolo 1.

Rukawa represse a fatica l’ennesimo sbuffo. Non riusciva a capire come avesse fatto a cacciarsi in una situazione del genere.

Ancora una volta e, soprattutto, alla sua età.

Trovava abbastanza ridicolo il fatto che, a diciassette anni compiuti, fosse ancora costretto ad andare in vacanza con sua madre e suo padre.

L’estate scorsa l’aveva fatta franca e il merito andava alla convocazione in nazionale juniores.

Quest’anno invece, i genitori avevano deciso di anticipare le vacanze di almeno due mesi.

E ora lui si trovava, agli inizi di giugno, in un posto affollato con un caldo afoso che stava presto raggiungendo i gradi estivi, in preda ad una noia mortale.

Ancora una volta, contro la sua volontà.

A nulla erano valsi i mugugni contrariati che aveva espresso dal primo all’ultimo minuto di viaggio.

A nulla erano valse le sue occhiate raggelanti dispensate nei primi giorni di vacanza.

E ora si trovava lì, con un'unica compagnia rappresentata dal suo pallone da basket preferito, impegnato a dispensare sbuffi di diniego sperando che i suoi irritanti genitori, stufi del suo caratteraccio, lo spedissero a Kanagawa il più in fretta possibile.

“Dai Kaede, potresti almeno cercare di divertirti” lo riprese la voce di sua madre. “Sai che io e tuo padre ci teniamo a passare questo poco tempo insieme!”.

“Nh… vado a fare un giro!” e si allontanò.

Raggiunse la spiaggia. Odiava passeggiare ma il rumore del mare lo rilassava.

Si sedette, ammirando il movimento irregolare delle onde e la sua mente ripercorse il primo anno di superiori appena terminato.

Quante cose erano cambiate.

Ripensò all’ultimo torneo invernale.

La mancanza di Akagi sotto canestro si era fatta sentire.

Il capitano aveva deciso di dedicarsi agli esami di ammissione all’università affidando la squadra a Miyagi.

Inoltre, anche la forma fisica del do’hao aveva fatto si che quell’anno i tornei invernali per loro durassero giusto un paio di partite.

Il do’hao… era stato lui il cambiamento più vistoso di tutti.

Se ripensava a come si erano conosciuti, gli sembrava impossibile che si trattasse della stessa persona.

Già nei mesi prima dell’infortunio, Sakuragi aveva iniziato a maturare e a dimostrare un interesse profondo per il basket.

Ma, da quando si era infortunato, era diventato palese per tutti che quello sport fosse diventato fondamentale per lui.

Lui, come gli altri componenti della squadra, aveva visto il do’hao impegnarsi negli esercizi di riabilitazione con impegno e costanza.

Lo avevano visto cercare di recuperare la sua forma fisica per essere di aiuto alla squadra il prima possibile.

E questo non sarebbe potuto succedere se a Sakuragi non fosse interessato nulla di quello sport.

Un’altra persona avrebbe rinunciato. In fondo lui giocava a basket da pochi mesi. Aveva imparato molto ma non era ancora un giocatore completo.

Perché allora fare più sforzi di prima e più impegnativi, quando si ha così poca esperienza?

La risposta era semplice: anche se giocava da pochi mesi, Sakuragi non poteva più fare a meno di quello sport.

Quell’anno non erano neanche stati ammessi ai campionati nazionali.

Ma del resto… cosa mai avrebbero potuto fare solo lui e Miyagi?

Si sapeva che la panchina dello Shohoku era sempre stata parecchio scarsa. E il do’hao aveva ancora parecchie difficoltà.

Il risultato, in effetti, era stato piuttosto scontato.

Non ha importanza. Ci rifaremo l’anno prossimo.

Pensò deciso lanciando un sasso in acqua e osservandone i rimbalzi.

Si chiese come stava il do’hao.

In quei mesi, non erano arrivati alle mani neanche una volta. Non dopo il suo infortunio.

E questo gli mancava.

Non aveva potuto insultarlo neanche una volta.

Di solito lo provocava per scuoterlo e per spingerlo a dare il massimo.

Ma cosa poteva ottenere ora provocandolo se già Sakuragi si stava impegnando con tutto se stesso?

In quei mesi aveva anche capito un’altra cosa. Il suo rapporto con Sakuragi gli era apparso più chiaro.

Inesistente.

Era questo il loro rapporto.

Lui credeva che in fondo, venire alle mani e insultarsi, fosse il loro modo di comunicare.

Invece… era bastato l’infortunio per cancellare via tutto.

E questo gli bruciava.

Gli era sempre interessato Sakuragi, al di là di tutto.

Ma aveva sempre saputo che questi non lo poteva vedere.

Però… si accontentava. Si accontentava di quello che aveva e fantasticava il meno
possibile su quello che invece, non avrebbe mai potuto avere.

Ripensò a come, dopo l’infortunio, lo avesse raggiunto sulla spiaggia vicino alla clinica di riabilitazione.

Con la scusa del jogging era passato di lì, sperando di incontrarlo casualmente.

E lo aveva trovato. Ogni giorno Sakuragi era lì e ogni giorno si soffermava a osservarlo di nascosto.

Osservava il suo sguardo che era diretto al mare, totalmente assorto in chissà quali pensieri.

Di certo quella situazione doveva pesargli molto. Una persona vitale come lui, costretta a ridurre al minimo i suoi movimenti.

Doveva essere umiliante per il suo smisurato orgoglio.

Ma lui non poteva fare niente, se non mostrargli la maglia della nazionale e poi andare via, cercando di guardare il meno possibile gli occhi di Sakuragi che quando si posavano
su di lui assumevano sempre un’espressione carica di disprezzo.

E lui correva via, incurante all’apparenza di quanto quegli occhi lo perseguitassero.

Incurante all’apparenza di quanto quello sguardo, carico di tutti i sentimenti più brutti, lo facesse stare male.

E ogni giorno andava lì, non resistendo alla tentazione di vederlo.

E ogni giorno correva via, non resistendo a quegli occhi carichi di rabbia.

Eppure, in cuor suo, sperava che le cose dopo la famosa partita contro il “sonno” potessero cambiare fra lui e il do’hao.

Sperava che quell’azione combinata e quel cinque che si erano scambiati potesse contare qualcosa.

Non sarebbero mai diventati amici per la pelle, questo no, ma almeno avrebbero potuto avere un rapporto civile.

Ci aveva sperato quando Sakuragi era ritornato a scuola.

Ci aveva sperato quando era ricomparso la prima volta agli allenamenti.

Invece no, Sakuragi lo ignorava.

Se prima cercava di superarlo in tutti i modi possibili ora, semplicemente, non lo calcolava.

Come se l’idea di batterlo non lo sfiorasse più. Come se l’idea di superarlo fosse passata in secondo piano.

E lui, che almeno prima poteva contare il primato di essere il suo rivale, ora non aveva più neanche questo.

E si ritrovò a domandarsene il perché.

Era vero, non potevano arrivare alle mani con la schiena del do’hao ancora in fase di guarigione.

Ma le frecciatine e le provocazioni dov’erano finite?

All’inizio credeva che fosse per il fatto che Sakuragi stesse ancora male e di conseguenza avesse altro a cui pensare che fare a botte con lui.

Poi, si era accorto che con il resto della squadra i suoi rapporti erano quelli soliti.

Era solo lui che veniva ignorato.

Anche se Sakuragi sembrava avere uno sguardo diverso, più maturo.

Tra l’altro, anche i rapporti con la sorella del capitano sembravano strani.

Sakuragi continuava a sbandierare il suo amore ai quattro venti ma…sembrava diverso.

Quasi forzato nel fare ciò.

Tutto questo è assurdo!

Pensò poi. La piega dei suoi pensieri stava diventando alquanto improbabile.

Com’era improbabile il fatto che Sakuragi si sforzasse di fare la corte alla sorella del capitano.

In fondo gli piaceva da una vita. E, se anche per utopia, non gli fosse piaciuta più perché continuare a corteggiarla?

Alla fine non aveva nessun obbligo di corteggiamento verso di lei.

E lei sembrava non accorgersi minimamente della corte del numero dieci.

Di conseguenza, perché Sakuragi si sarebbe dovuto sforzare di compiacerla se tutto questo non gli andava a genio?

No! Sicuramente aveva travisato tutto.

La sera gli venivano sempre strani pensieri.

E lo spettacolo serale del mare che gli si parava davanti, influiva ancora di più.

Di sera, sembrava dare un altro significato agli sguardi che il do’hao gli lanciava.

A volte li aveva definiti brucianti.

Ma poi… una volta giunta mattina e recatosi a scuola, si accorgeva di quanto fossero
sbagliate le sue supposizioni.

Sospirò alzandosi in piedi.

Un ultimo sguardo alle onde che si coprivano del buio della notte.

Lasciò che i suoi occhi vagassero sul panorama solitario che si stendeva davanti a lui, fino a che il suo sguardo si posò su una figura seduta sulla sabbia a un centinaio di metri
da lui.

Non era possibile… di certo la sua mente giocava brutti tiri.

Inoltre, da quella distanza e a quell’ora sicuramente non poteva trattarsi di lui.

Si avvicinò per avere una conferma delle sue ipotesi.

Ma quello che vide lo lasciò di stucco.

Allora è una persecuzione! Pensò non riuscendo a trattenere le parole.

“Do’hao!”
 

Continua…
 

Note:

In questo primo capitolo, nei pensieri di Rukawa troviamo un po’ la sintesi di come, per me, è andato a finire il primo anno scolastico dopo i campionati nazionali e l’infortunio di Hanamichi.

Nel prossimo si conosceranno i pensieri di Sakuragi e vedremo le cose dal suo punto di vista.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate!

Ci vediamo domenica prossima con il nuovo capitolo.

Pandora86

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ecco a voi il secondo capitolo della fic.
Grazie a chi ha inserito la storia tra le preferite e le seguite.
Grazie a chi ha commentato lo scorso capitolo, ma anche tutti i lettori silenziosi.
Attendo, come sempre, i vostri pareri.
Ci vediamo a fine capitolo per le note e le informazioni  riguardo le prossime pubblicazioni.
Scusate se troverete degli errori. Io leggo e rileggo ma qualcosa sfugge sempre.
Buona lettura.              
 
Capitolo 2.
 

Sakuragi osservava silenzioso il mare.

Gli piaceva quella parte della giornata. Il cielo iniziava a incupirsi e la spiaggia si sfollava.

Fino a che, solo il rumore delle onde rimaneva come sottofondo.

Nel frattempo il mare prendeva i suoi colori serali e Sakuragi si godeva in pace la tranquillità di quello stesso posto che di mattina sembrava così diverso.

Da quando era diventato così riflessivo?

Da quando preferiva il silenzio serale della spiaggia rispetto al caotico vociare dei bagnanti della mattina?

Non lo sapeva. Sapeva solo che qualcosa dentro di lui stava cambiando.

Non fraintendiamoci… non è che non apprezzasse più il rumore e la gente anzi… nelle ore mattutine, quando lui lavorava come bagnino in quella piccola spiaggia sperduta, si divertiva molto.

Giocava con i bambini, si esibiva in acrobazie acquatiche che poi si rivelavano sempre delle figuracce clamorose e rideva con e più degli altri.

E non fingeva, quel lavoro gli piaceva davvero e il suo umore era veramente sereno in quei momenti.

Solo che, quando scendeva la sera, quella serenità rumorosa si trasformava in una quiete molto più tranquilla che lo portava ad apprezzare quello stesso paesaggio in un momento così diverso.

In un momento diametralmente opposto.

Opposto…  già… questa parola gli portava alla mente una sola persona: Rukawa.

Perché era questo che erano lui e Rukawa: due persone diametralmente opposte.

Eppure… in passato non ci aveva mai fatto caso più di tanto.

Non aveva mai considerato il numero undici se non per batterlo su un campo di basket.

Peccato che poi battere Rukawa fosse diventata un’ossessione sin dai primi momenti in cui l’aveva conosciuto e, solo ora, si accorgeva come il pensiero del numero undici fosse stato un chiodo fisso per lui durante tutto l’anno.

Come ho fatto a non accorgermene prima? Pensò sconsolato.

Come aveva fatto a non accorgersi che il pensiero di Rukawa lo accompagnava in ogni momento della giornata?

Ma forse, se ne era accorto solo che aveva dato un significato diverso a quello che provava.

Si era sempre ripetuto che era normale, in fondo, avere sempre in testa la persona che si vuole battere.

Che era normale il fatto che Rukawa rappresentasse il suo chiodo fisso visto che rappresentava la sua sfida personale.

E non si era mai curato più di tanto di tutto ciò.

Ma poi, qualcosa era cambiato.

Lui si era infortunato e aveva seriamente temuto di dover rinunciare ai suoi sogni nati da poco.

Aveva avuto paura di dover rinunciare alla tanto agognata carriera di basket che aveva sperato per se da quando aveva cominciato le superiori.

E un volto era comparso nella sua mente: Rukawa.

Era grazie a quel volto che faceva gli esercizi che gli assegnavano in clinica. Era grazie a quel volto che non si lamentava mai.

Perché Rukawa, ancora una volta, era il suo chiodo fisso. E lui lo voleva battere a tutti i costi.

Ma neanche allora si era interrogato sulla natura di questo interesse.

Fino a che non lo aveva visto comparire sulla spiaggia.

Leggeva una lettera di Haruko. Lettere che aspettava con impazienza o almeno, così credeva.

Poi, da quando aveva visto Rukawa, le lettere avevano perso d’importanza.

Un Rukawa che gli mostrava la maglia della nazionale.

Un Rukawa che lo fissava con uno sguardo strano.

Non si era interrogato su quello sguardo né sulla strana sensazione che gli provocava. Non subito almeno.

Il giorno dopo era andato lì alla stessa ora. E neanche di quello si era chiesto il perché. Era solo andato e basta, assecondando un desiderio a cui non aveva ancora dato un nome.

Nei giorni seguenti però si era fatto tutto più chiaro.

Sin dalla mattina si accorgeva di guardare l’ora sperando che il tempo passasse velocemente.

Aveva guardato una lettera di Haruko accorgendosi che non gli importava granché.

E allora aveva capito.

Aveva capito perché aspettava con tanta impazienza l’orario in cui avrebbe potuto vedere Rukawa.

Aveva capito perché per tutto l’anno il numero undici era stato il suo chiodo fisso.

Aveva capito… ed era sprofondato!

Si era innamorato di Rukawa… provava attrazione per lui.

E questa verità aveva aperto un baratro sotto i suoi piedi.

Perché non era possibile. Ma soprattutto, perché il suo, era destinato a essere un desiderio irrealizzabile.

In realtà ci aveva messo tempo ad assimilare la cosa.

C’era voluto tempo perché accettasse il tutto. Però oramai aveva passato la fase di accettazione.

E ora si ritrovava lì, a osservare le onde scure, sospirando.

Lui… e Kaede Rukawa.

Sorrise a quella strana associazione di nomi.

Se qualcuno glielo avesse detto un anno fa, probabilmente si sarebbe ritrovato all’ospedale.

Invece adesso, quanto avrebbe voluto che qualcuno non ritenesse impossibile che il suo nome e quello di Rukawa fossero abbinati in qualcosa che non fosse insultarsi o fare a pugni.

Che poi, negli ultimi mesi, neanche quello era avvenuto.

Ripensò a quando era ritornato a scuola e ripreso gli allenamenti.

Lo aveva cercato subito con lo sguardo in palestra.

Ma non aveva fatto di più; né insultarlo, né provocarlo.

Aveva salutato allegramente gli altri e poi il signor Anzai era intervenuto spiegando quanto la squadra dovesse appoggiarlo in quella che sarebbe stata una lunga e difficile riabilitazione su un campo di basket.

Tutti si erano mostrati allegri e disponibili a dare una mano.

Lui aveva sorriso sincero guardandoli tutti con affetto.

Tutti tranne uno. Uno che non aveva battuto ciglio. Uno che non si era mostrato minimamente interessato alle sue condizioni fisiche.

Valgo così poco per te, Rukawa? Aveva pensato, guardandolo con odio.

Mai gli avrebbe rivelato quello che provava. Mai qualcuno l’avrebbe saputo.

Lo avrebbe cancellato, per quanto possibile, dalla sua vita e dal suo cuore.

In fondo, non era difficile. Non erano amici e mai lo sarebbero stati.

Non lo avrebbe più provocato. Non lo avrebbe più considerato.

Tra l’altro, ora come ora, non poteva permettersi di fare a botte con lui. La sua schiena non lo consentiva.

E poi, avendo capito la vera natura dei suoi comportamenti, in altre parole attrazione verso il numero undici e non vera antipatia, li avrebbe modificati di conseguenza.

Però, aveva ancora un obiettivo; se Rukawa non lo considerava allora lui lo avrebbe umiliato e battuto.

Certo, in quella condizione questo gli appariva più difficile che mai, ma non si sarebbe arreso.

E aveva, per tutto l’anno, cercato di mantenere i suoi buoni propositi.

La sua schiena era migliorata e lui aveva imparato molto.

Anche se, non era riuscito a togliersi Rukawa dal cuore.

Ripensò alle loro ultime disastrose partite.

Nonostante tutto, gli era dispiaciuto per com’erano andate le cose.

Gli era dispiaciuto vedere la kitsune perdere.

In realtà non aveva perso lui anzi, si era dimostrato, tanto per cambiare, uno dei migliori giocatori della prefettura.

Però era pur vero che non poteva giocare da solo.

Ma l’anno seguente sarebbe stato diverso.

Ci sarebbe stato lui sotto canestro, in piena forma, e nessuna squadra l’avrebbe spuntata.

Guardò l’ora pensando che fosse il caso di rientrare.

Lavorare come bagnino era faticoso, anche se divertente, e lui doveva essere in piena forma per assicurare l’incolumità ma anche il divertimento dei bagnanti.

Stava per alzarsi quando una voce lo costrinse a rimanere sul posto, con un’immobilità che non era consona al suo modo di essere.

“Do’hao!”
 

Continua….

Note:

Questo era il capitolo riguardante i pensieri di Hanamichi e il suo punto di vista.
Come avrete notato, il capitolo si conclude nello stesso momento di quello precedente; la cosa è stata voluta.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.

Ci vediamo domenica prossima con il nuovo capitolo.

Pandora86.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ecco a voi il terzo capitolo della fic.
Grazie a chi ha inserito la storia tra le preferite e le seguite.
Grazie a chi ha commentato lo scorso capitolo, ma anche tutti i lettori silenziosi.
Attendo, come sempre, i vostri pareri.
Ci vediamo a fine capitolo per le note e le informazioni  riguardo le prossime pubblicazioni.
Scusate se troverete degli errori. Io leggo e rileggo ma qualcosa sfugge sempre.
Buona lettura.              
 

Capitolo 3.
 

Rukawa osservava la schiena di Sakuragi, rimasta immobile dopo il suo richiamo.

Che sia un miraggio? Si domandò perplesso.

“Do’hao?!” ripeté incerto, e stavolta ebbe la certezza che quella davanti a lui fosse una persona in carne ed ossa.

Sakuragi era sussultato quando lo aveva chiamato.

Rukawa osservò la schiena del compagno di squadra e le sue spalle, larghe e muscolose.

Vide Sakuragi voltarsi e guardarlo con uno strano cipiglio in volto.

Possibile che dovesse apparire sempre così contrariato?

Si soffermò un istante sulla sua figura.

Indossava una canottiera bianca che spiccava, in quel contesto così buio, e faceva risaltare la sua abbronzatura.

Il do’hao, in effetti, aveva preso parecchio sole. Già di solito la sua carnagione era abbastanza scura.

Ora, invece, aveva quelle sfumature dorate che solo il sole estivo può donare.

Notò che aveva anche i capelli acconciati in modo diverso.

Non erano alzati come li portava a scuola. Erano semplicemente lasciati cadere e andavano a incorniciargli il viso, rendendolo bellissimo ai suoi occhi.

In effetti, il do’hao con quel tipo di pettinatura appariva totalmente diverso.

Si chiese perché non si pettinasse così anche a scuola.

Avrebbe di sicuro avuto molto successo fra le ragazze. Il successo che tanto desiderava.

Il successo che gli invidiava.

Il successo per cui lo odiava.

“Ti sei addormentato in piedi, kitsune?”.

La voce di Sakuragi lo riscosse dai suoi pensieri.

Si accorse di essere rimasto in silenzio per qualche minuto nell’osservare il do’hao che ora lo guardava con le sopracciglia corrugate in attesa di una risposta.

Si era girato verso di lui rimanendo seduto, poggiando il braccio sul ginocchio e posandovi la testa sopra.

Posizione che faceva risaltare ancora di più la sua muscolatura.

Scacciando quel pensiero, ritrovò la sua solita imperturbabilità andando a sedersi con noncuranza di fianco a lui.

“Nh! Che ci fai qui?” domandò con indifferenza, anche se in realtà moriva dalla voglia di sapere cosa ci facesse lì.

“Potrei farti la stessa domanda, baka!” rispose questi pungente.

Ecco che passa agli insulti! Pensò Rukawa sconsolato.

Eppure lui gli aveva fatto una domanda in maniera civile.

Perché doveva sempre essere così dannatamente astioso nei suoi confronti?

Possibile che non riuscissero mai a mettere tre frasi di fila senza insulti o sarcasmo?

Fu per questo pensiero che decise, una volta tanto, di ignorare l’insulto.

“Vacanza! Genitori!” rispose, limitando al minimo le parole ma dando comunque una risposta esauriente sul suo trovarsi lì.

 
 Sakuragi guardò Rukawa, lasciandosi andare a una mezza risata.

Non solo non aveva risposto al suo insulto, ma gli aveva anche dato una risposta sul motivo del perché fosse lì.

Che risposta poi… aveva limitato le parole dandogli comunque spiegazioni esaurienti.

Si ritrovò a ridere sommessamente a quel pensiero. Quelle due parole dovevano essere costate molto alle corde vocali della kitsune.

Rukawa lo osservò ridere, beandosi dell’espressione di Sakuragi in quel momento.

Non era come quando faceva l’idiota in palestra.

Non era una risata volgare né troppo rumorosa.

Era semplicemente una risata, accompagnata da un volto sorridente e disteso, non da un’espressione da pagliaccio.

“Che hai da ridere?” domandò poi.

Vide Sakuragi guardarlo, sgranando gli occhi con espressione di finta sorpresa.

“Oh… non ci posso credere!” rispose, con ancora un mezzo sorriso in volto. “Hai detto tre parole di senso compiuto!” concluse, allargando poi il sorriso.

“Nh… quattro!” lo corresse Rukawa.

“Come?” domandò a sua volta l’altro.

“Ne ho dette quattro, do’hao!” ci tenne a puntualizzare.

Sakuragi lo guardò un attimo interdetto.

Rukawa che rispondeva alle sue parole.

Rukawa che gli faceva una domanda.

E poi ancora:

Rukawa che lo correggeva sul numero di parole pronunciate.

Il tutto con l’espressione seria in volto.

Lo stava realmente correggendo e non era sua intenzione fare una battuta.

A quel punto non ce la fece più… nonostante fosse grande la tensione che provava avendolo così vicino, non riuscì resistere alla comicità della situazione venutasi a creare.

Scoppiò in una risata allegra e di vero cuore.

Rukawa lo osservò, rimanendo un attimo perplesso.

Non sarebbe mai riuscito ad abituarsi agli sbalzi d’umore del do’hao.

Sakuragi dovette intercettare quello sguardo, visto che iniziò a spiegare il motivo della sua ilarità fra una risata e un’altra.

“Beh kitsune, ammetterai che tu che parli già di per sé è abbastanza comico” esclamò asciugandosi gli occhi.

“Quando poi conti anche le parole che dici, ti rendi conto da solo di essere fuori di testa!” affermò, non riuscendo a trattenere uno sbuffo divertito.

Rukawa, in effetti, dopo quelle parole, dovette ammettere che la situazione era abbastanza comica.

Motivo per cui non riuscì a impedire alle sue labbra di piegarsi in un sorriso, producendo un suono divertito.

“Noooo….. Kami è la fine del mondo!” esclamò Sakuragi teatralmente, portandosi le mani ai capelli.

“La kitsune che ride!” continuò con un finto sguardo terrorizzato, prima di scoppiare nuovamente a ridere.

Rukawa non riuscì a resistere all’ennesimo siparietto comico dell’altro.

E non ci riuscì perché, questa volta, era con lui che Sakuragi rideva.

Era con lui che scherzava.

Era con lui che faceva battute.

Iniziò a ridere con l’altro.

Sakuragi sembrava non riuscire a fermarsi.

Le risate erano incontenibili per un tipo come lui e, senza accorgersene andò a posare il gomito sul ginocchio dell’altro poggiandovi sopra la testa.

Rukawa sembrò non farci nemmeno caso.

Anche quando le risate cessarono, mantenne quella posizione alzando il viso verso Rukawa.

Neanche in quel momento si accorsero della loro vicinanza o della strana posizione, così familiare, assunta tra loro.

Del resto, quando due vecchi amici ridono insieme, nessuno fa caso all’altro  se questi si poggia a lui o viceversa.

Ma loro non erano vecchi amichi. Non erano nemmeno nuovi amici.

Non si sopportavano fino a qualche istante prima.

Ma questa non era la verità.

E presto entrambi lo avrebbero capito.

Rukawa non si accorse del viso di Sakuragi, così tremendamente vicino al suo.

O meglio, se ne accorse, ma non ci fece caso.

Era troppo occupato a osservare i suoi lineamenti, per pensare ad altro.

Anche Sakuragi si perse nella contemplazione del viso dell’altro.

Pensò che la pelle di Rukawa fosse bellissima, se inondata dalla luce lunare.

“Dovresti portarli sempre così i capelli!” fu il sussurro di Rukawa.

Era più una riflessione ad alta voce che altro, ma Sakuragi lo udì benissimo, sorridendogli di rimando.

Tutto in quel momento sembrava normale.

Tutto in quel momento sembrava familiare.

Fu per questo che avvenne.

Non si sa chi dei due annullò per primo la pochissima distanza tra loro.

Non si sa che dei due fece il primo passo.

Forse perché, probabilmente, entrambi si mossero all’unisono.

Solo il rumore del mare di notte che faceva da sfondo al loro primo bacio.

Solo una spiaggia deserta che faceva da panorama al loro amore a lungo represso.

Dopo il primo, incerto, sfiorarsi di labbra, entrambi presero coraggio, andando a cercare nelle labbra dell’altro qualcosa di più.

Le mani che percorrevano sicure quello che da tempo bramavano.

Fino a che, anche quell’incanto, svanì.

Svanì sotto la forma di un grosso cane nero che era atterrato su di loro per coinvolgere i due nei suoi giochi da spiaggia.

Non si sa bene come ma, Sakuragi finì per far affondare totalmente Rukawa nella sabbia, ritrovandosi spalmato sul corpo dell’altro a mo di materasso, con la schiena occupata da cinquanta chili abbastanza ingombranti che continuavano a leccargli il collo e a tirare i suoi capelli.

“Calimeroooo…”

Una voce giovane, dapprima lontana, poi sempre più vicina andò in loro soccorso.

“Oh no, CALIMERO!” urlò isterica la voce, mentre cercava di liberare i malcapitati dall’ingombrante presenza del suo cane.

“Scusatemi, spero non vi siate spaventati!” si affrettò a precisare il giovane.

“Calimero è così irruente!” aggiunse imbarazzato a mo di scusa, guardando i due  che si mettevano a sedere e sperando che non si fossero spaventati.

“Sc-Scusatemi ancora!” aggiunse mortificatissimo, sotto lo sguardo glaciale di quello con i capelli neri che si massaggiava le tempie e scuoteva la testa per riprendersi dalla botta improvvisa.

L’altro, con quel colore di capelli assurdo, era ancora impegnato a sputare tutta la sabbia che aveva ingoiato essendo finitoci con la faccia spiaccicata sopra.

“C-Calimero?!” riuscì a balbettare Sakuragi, una volta sputata tutta la sabbia, osservando il cane.

“Ehm… si! È quel pulcino piccolo e nero che…” iniziò allegro il ragazzo.

“Sappiamo chi è!” intervenne Rukawa, alzandosi in piedi e mostrandosi in tutto il suo metro e novanta.

“Sparisci!” aggiunse poi freddo, fulminando il ragazzo con lo sguardo.

“S-Si” balbettò il proprietario del cane dapprima intimorito, poi letteralmente terrorizzato una volta che anche Sakuragi mostrò la sua imponente altezza, mentre si alzava in piedi e lo guardava inebetito.
 
“Scusatemi ancora!” disse tutto d’un fiato inchinandosi e scappando via, seguito da un felicissimo Calimero, soddisfatto che il suo padrone ricominciasse finalmente a giocare.

“Calimero!” esclamò ancora Sakuragi guardando Rukawa stralunato.

“Nh” fu la risposta di assenso della volpe.

“Un terranova!” esclamò ancora il numero dieci, con lo sguardo di chi ha appena visto l’impossibile.

“Nh!” affermò ancora Rukawa, rassegnatosi oramai a costatare l’ovvio.

“Oh Kami!” esclamò ancora Sakuragi portandosi una mano alla fronte.

“Quello è matto!” concluse, continuando a guardare l’altro con gli occhi allibiti.

“Nh” affermò ancora Rukawa loquace come al solito.

Non poté però trattenere un sorriso nel vedere il volto di Sakuragi impiastricciato di sabbia.

Cosa che non passò inosservata, visto che Sakuragi ribattete pronto:

“Che hai da sogghignare, volpe?” domandò bellicoso.

Rukawa fu veloce a puntare l’indice sulla sua faccia.

“Dovresti guardarti allo specchio, do’hao!”

“Dovresti guardare anche la tua di faccia, kitsune!” rispose pronto Sakuragi, ghignando malefico.

In effetti, il volto di Rukawa non doveva apparire meglio del suo.

Se lui era diventato un castello di sabbia vivente, Rukawa aveva ancora stampati sulla guancia i segni di quella che doveva essere la sua canottiera.

Tra l’altro anche la kitsune, scuotendo la testa, aveva fatto cadere un grosso quantitativo di sabbia, che gli si era appiccicata contro e sembrava risaltare ancora di più sui suoi nerissimi capelli.

Fu allora che guardandosi negli occhi e osservando i rispettivi volti scoppiarono in una risata.

Rukawa si limitò a sogghignare mentre Sakuragi aveva le lacrime agli occhi.

“Calimero!” continuava a ripetere fra le risa.

“Se quel cane gli assomiglia allora, io sono l’imperatore!” continuò.

“Nh… l’imperatore dei do’hao!” diede il suo contributo Rukawa.

Peccato che però, anche quel momento di allegria e complicità reciproca fosse destinato a finire.

Non fu però interrotto da niente stavolta.

Le risate andarono, pian piano, scemando, fino a portare a un silenzio imbarazzato.

Silenzio che fece loro rendere conto di quello che il motivo di tanta ilarità aveva interrotto.

Ma, se Rukawa non abbassava lo sguardo, seppur imbarazzato ma comunque pronto a un confronto, Sakuragi invece rifuggiva negando ai suoi occhi di posarsi sull’altro.

Rukawa vide le guance dell’altro diventare della tonalità dei suoi capelli e decise così di fare il primo passo.

Non poteva essere stato un caso quello che era avvenuto tra loro.

Sakuragi lo ricambiava.

O, quantomeno, ricambiava la sua attrazione.

Aveva sentito chiaramente il rigonfiamento dei pantaloni dell’altro; lo stesso che aveva avuto lui.

E stavolta, non aveva nessuna intenzione di lasciar correre.

Allungò deciso la mano verso l’altro per costringerlo a guardarlo negli occhi e per fargli ammettere quello che c’era stato.

Ma non fece in tempo.

Sakuragi si alzò, veloce come una molla e, con un borbottato e quasi incomprensibile “Devo andare”, si allontanò correndo e mettendo tra di loro quanta più distanza poteva.

E Rukawa rimase lì, spiazzato dal comportamento dell’altro e ancora scosso per quello che era avvenuto.

Rimase lì, con la mano ancora tesa, osservando la figura dell’altro diventare sempre più piccola.
 

                                                                     ***
 

“E dai Kaede, non ti farà male prendere un po’ di colore” continuava ad insistere la madre dell’asso dello Shohoku, per nulla intimorita dallo sguardo truce del figlio.

“Tua madre ha ragione Kaede” intervenne stavolta il padre, dando man forte alla sua consorte.

“Sono sicura che in spiaggia ti divertiresti. C’è anche un bagnino dai capelli rossi che è un vero spasso!” aveva aggiunto allegra sua madre, con il fermo proposito di trascinare suo figlio in spiaggia.

A quelle parole però, la mente di Kaede era divenuta nuovamente presente.

Se prima, infatti, era totalmente persa nei suoi pensieri mentre ignorava il chiacchiericcio fastidioso della madre, ora era di nuovo vigile e attenta.

Non ci aveva messo molto a capire il significato di quelle parole ed era immediatamente scattato, alzandosi in piedi e andando nella sua camera a infilare il costume.

Si era poi presentato dopo meno di un minuto, di fronte a sua madre che lo osservava perplessa per quel repentino cambio d’umore.

“Vengo!” aveva detto solamente, avviandosi alla porta e afferrando una rivista sportiva.

“Bene!” aveva trillato sua madre seguendolo e non facendo caso alle stranezze del figlio.

E ora Kaede si ritrovava in un’affollatissima e rumorosissima spiaggia, rigorosamente sotto il suo ombrellone, di pessimo umore, trincerato dietro la sua rivista.

Nel frattempo, osservava gli spettacolini comici del do’hao.

E così aveva anche svelato il mistero della sua presenza lì.

La sera precedente, infatti, Sakuragi non aveva risposto alla sua domanda.

Poi facciamo i conti do’hao! Pensò funesto.

Per colpa sua, aveva passato una nottata insonne credendo di rivederlo a scuola.

Ora che invece sapeva come ritrovarlo, non avrebbe aspettato un minuto più del necessario.

Sakuragi, dal canto suo, tutto si aspettava tranne di trovare la kitune ibernata in spiaggia quella mattina.

Rukawa non poteva sapere che, proprio come lui, anche Sakuragi aveva passato una notte insonne.

Notte insonne persa in pensieri, uno più assurdo dell’altro.

Però, quello ricorrente era solo uno:

Sono un do’hao!

E lo pensava sul serio.

Da qualche tempo aveva capito di provare qualcosa per il compagno di squadra.

Da qualche tempo aveva accettato che il suo era un sogno impossibile.

Poi, chissà per quale miracolo, lui e Rukawa finivano per baciarsi.

E Sakuragi aveva il sospetto che, se non fossero stati interrotti, non sarebbe finita lì.

I loro baci, che di casto avevano avuto  ben poco, e le loro mani, che erano sembrate bramose alla spasmodica ricerca di chissà cosa sul corpo dell’altro, ne erano una prova evidente.

Prova evidente di quello che sarebbe accaduto.

Prova evidente di quello che sarebbe potuto accadere.

E lui che faceva?

Si dava alla fuga!

Invece di approfittare di quell’occasione e capire perché Rukawa lo aveva fatto, aveva preferito battersi in ritirata.

Ma che Tensai dei dementi! Si era poi preso in giro da solo.

E si era disperato perché non sapeva quando avrebbe rivisto l’altro.

O meglio, sapeva che l’avrebbe rivisto a scuola.

Ma sapeva anche che poi sarebbe passato troppo tempo e che probabilmente Rukawa non avrebbe più pensato alla cosa.

Perché, se da un lato aveva capito che non era indifferente al numero undici, dall’altro non aveva nessuna certezza sul fatto che lui non rappresentasse solamente uno dei divertimenti estivi della kitsune.

In fondo non sapeva nulla di lui, se non il fatto che dormisse ovunque tranne che in un campo da basket.

E invece, colmo dei colmi, quella mattina se lo ritrovava lì, sotto l’ombrellone (manco potesse sciogliersi al sole) e con uno sguardo truce, anche se poco visibile poiché era per metà coperto da una rivista sportiva.

E adesso? Si era domandato.

Non sapeva né quanto durassero le vacanze dell’altro né se l’avrebbe rivisto nuovamente in spiaggia in pieno giorno.

Pur non sapendo che cosa fare aveva comunque capito una cosa: l’occasione che gli si presentava era più unica che rara. E lui avrebbe dovuto sfruttarla.

Il problema era, per l’appunto, come.

Problema che però fu Rukawa stesso a risolvere.

Si era trattenuto in spiaggia più a lungo dei genitori e aveva aspettato l’orario morto in cui tutti i bagnanti rincasavano per pranzare.

Si avvicinò con passo lesto a Sakuragi che stava mettendo a posto delle sedie da spiaggia.

Stette in silenzio alle sue spalle fino a che Sakuragi non si voltò e, trovandoselo così vicino, per lo stupore (e anche per la paura) fece cadere le sedie che aveva fra le braccia.

“Vuoi farmi venire un infarto, baka?” esclamò rabbioso con una mano al cuore.

Non l’aveva minimamente sentito mentre si avvicinava.

Era troppo preso nei suoi pensieri e girarsi e trovare il soggetto in questione che sembrava aver piantato le tende in pianta stabile nel suo cranio gli aveva fatto venire un mezzo infarto.

Rukawa, dal canto suo, aveva assottigliato gli occhi in risposta all’insulto dell’altro.

“Sai com’è… se vuoi scappare!” sibilò velenoso, calcando sull’ultima parola.

Poi sorrise e il suo tono si fece provocatorio.

“Stasera! Vedi di farti trovare!” gli intimò freddo, intenzionato come non mai ad andare in fondo a quella faccenda.

Se il do’hao lavorava lì come bagnino di certo avrebbe saputo dove trovarlo.

Quindi, poteva permettersi di aspettare fino a quella sera.

E, se il do’hao non si fosse presentato, avrebbe provveduto personalmente a prenderlo a calci fino a Kanagawa.

Sicuro dei suoi ragionamenti si voltò, deciso ad andarsene.

Un tempo avrebbe aspettato le urla isteriche del do’hao ma ora… francamente non sapeva più cosa aspettarsi da quella scimmia rossa.

Fu perciò sorpreso quando un urlo disumano lo costrinse a voltarsi.

“EHI BAKA!” esplose Sakuragi, raggiungendo l’altro e afferrandolo per la collottola.

“VUOI UNA TESTATA?!” gli urlò, a un soffio dal viso.

Rukawa represse un sorriso a quella sceneggiata.

Quanto gli era mancata quella scimmia urlante?

Il do’hao megalomane. Il suo do’hao megalomane.

Non ancora suo, in effetti, però, considerato i fatti, erano semplici dettagli grammaticali.

“E tu vuoi rendere partecipe tutti i bagnanti?” fu la sua pronta risposta.

Solo allora Sakuragi, guardandosi attorno, si rese conto di aver attirato l’attenzione di mezza spiaggia.

Anzi… di tutta a dire il vero.

Fortuna che non erano nell’orario di punta.

“Non sono scappato!” ci tenne comunque a precisare il numero dieci, incrociando le braccia.

Non era vero ma non l’avrebbe mai ammesso!

“Mia madre mi aspettava!” s’incaponì ancora, per avvalorare la sua tesi.

“Bene!” esclamò allora Rukawa che colse immediatamente la palla al balzo.

Era o non era una volpe in fondo?

“Allora deduco che stasera ci sarai!” e sorrise, gustandosi la reazione dell’altro.

Sakuragi boccheggiò, non sapendo più cosa dire.

Era stato un idiota! Era caduto nel giochetto dell’altro.

Però… aveva il suo orgoglio e mai avrebbe fatto la figura del codardo davanti a Rukawa.

Motivo per cui, mostrando una sicurezza che non provava, rispose sicuro.

“Certo che ci sarò!”

“Bene!” fu la risposta di Rukawa che si allontanò definitivamente.

Ora l’altro non gli sarebbe più sfuggito. E gli avrebbe fatto ammettere cosa provava, qualunque cosa fosse!

“Bene!” gli fece il verso Sakuragi voltandosi e raccogliendo le sedie che erano cadute sulla sabbia.

Ora avrebbe avuto il suo confronto. E sarebbe andato fino in fondo.
 

Continua…
 

Note:
 

Calimero è l’unico cartone di produzione italiana arrivato in Giappone.

Ci ho tenuto a citarlo perché anche nella terra delle anime e dei manga, ha avuto un incredibile successo tanto che quasi tutti i giapponesi, al pari degli italiani, conoscono il pulcino piccolo e nero.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.

Ci vediamo domenica prossima con il capitolo conclusivo.

Pandora86

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Ecco a voi il capitolo conclusivo di questa storia.
Grazie a chi ha commentato lo scorso capitolo e a chi ha inserito la storia tra le preferite e le seguite.
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Spero che il capitolo vi piaccia.
Ci vediamo alla fine per le note e le informazioni riguardo le prossime pubblicazioni.
Nel frattempo… Buona lettura!!
 
Capitolo 4.
 

La sera giunse troppo presto a detta di Sakuragi.

La sera giunse troppo tardi a detta di Rukawa.

Sakuragi avrebbe voluto avere più tempo per prepararsi psicologicamente a qualunque cosa avesse da dire Rukawa.

Era certo del suo amore, ma dei sentimenti dell’altro cosa sapeva?

Assolutamente nulla!

E, il pensiero di poter essere una semplice attrazione per l’altro lo spaventava a morte.

Fatto sta che, comunque fossero andate le cose, aveva intenzione di uscirne a testa alta.

Mai avrebbe servito a quella volpe il suo cuore su un piatto d’argento.

Rukawa, invece, contava i minuti che passavano impaziente e determinato.

Non aveva certezze sui sentimenti del do’hao, ma l’attrazione che Sakuragi aveva provato non poteva essere stato un caso.

Ed era deciso a farlo entrare in testa a quel demente!

Sakuragi poteva essere suo! Mai ci aveva pensato. Mai lo aveva creduto possibile vista l’eterosessualità dell’altro.

Per questo, non si sarebbe fatto scappare un’occasione del genere, o non si sarebbe chiamato Kaede Rukawa.

Era con sentimenti contrastanti che arrivarono, quella sera, su quella spiaggia.

Non era stato necessario specificare l’orario; era lo stesso della sera precedente.

Rukawa vide giungere Sakuragi, vestito alla stessa maniera della sera precedente.

Solo i capelli erano diversi: stavolta li aveva legati in un minuscolo codino.

A quella vista assottigliò gli occhi, con un solo pensiero nella testa: stavolta il do’hao non gli sarebbe sfuggito.

Sakuragi vide giungere Rukawa, con la solita andatura sonnolenta che lo caratterizzava.

Era imbarazzato fino all’inverosimile ma alzò comunque lo sguardo: stavolta sarebbe andato fino in fondo, in qualunque caso.

Si avvicinò baldanzoso all’altro, con la sua aria da sbruffone.

“Allora Rukawa? Mi dici che vuoi?” domandò brusco.

In fondo, era meglio andare subito al nocciolo della questione.

Rukawa aveva voluto vederlo per qualche motivo, quindi meglio conoscerlo subito.

Come si dice in questi casi: via il dente, via il dolore!

Rukawa colse, in quel tono da spaccone, la rabbia che provava l’altro.

Possibile che quando si rapportava a lui, per un motivo o per l’altro, dovesse sempre avere quell’aria bellicosa?

Manco stesse andando al patibolo!

Fu per questo che s’infuriò.

Poi registrò le parole dell’altro e s’innervosì ancora di più.

Quindi era qui perché lui, Rukawa, voleva qualcosa.

Non perché anche Sakuragi lo volesse.

E poi, non era chiaro cosa volesse dopo quello che era avvenuto la sera precedente?

Cos’è? Credeva che baciare le persone fosse diventato il suo nuovo hobby?

Visto che non ci arrivava, allora glielo avrebbe dimostrato.

Fu con questi pensieri che si avvicinò deciso all’altro e, quando gli fu abbastanza vicino, lasciò che fossero direttamente i suoi gesti a parlare.

Lo afferrò per la nuca e fece incontrare le loro labbra.

“Ora ti è più chiaro, do’hao?” domandò, staccandosi un attimo prima di provare a coinvolgere l’altro in un nuovo bacio.

Sakuragi, che tutto si aspettava, tranne quella mossa così diretta, non potette fare altro che rimanere immobile con gli occhi spalancati.

Ora ti è più chiaro, do’hao?

E questa, secondo Rukawa, doveva essere una risposta esauriente?

Fu per questo che l’imbarazzo si tramutò in vera e propria rabbia.

Afferrò deciso la maglia dell’altro, staccandolo da se.

Voleva farlo infuriare?

Bene! Ci era riuscito!

“Che – cazzo – fai?” scandì lentamente, stringendo forte la maglia dell’altro.

Il suo volto era una maschera di furore.

Rukawa rimase spiazzato dal brusco cambiamento d’umore dell’altro.

Non era quello che voleva anche lui?

Sì che lo voleva! Si rispose.

Solo che doveva sempre complicare tutto.

Voleva prima fare a pugni?

Bene! Gli mancavano le loro scazzottate.

Forse, dopo sarebbe stato abbastanza scarico da proseguire in altro modo il loro discorso.

Su una cosa era certo: non si sarebbe fatto intimorire dall’altro.

Né in passato, né in quel momento, né in futuro.

Sakuragi aveva osservato gli occhi di Rukawa tingersi di stupore.

Era durato però poco, perché l’altro aveva immediatamente ripreso il controllo sulle sue espressioni.

Ora gli era chiaro cosa voleva Rukawa, ma mai l’avrebbe accontentato.

Fu perciò con tono duro che aggiunse:

“Non ho intenzione di essere uno dei tuoi intrattenimenti estivi, Rukawa!”

Il numero undici, a quelle parole, sbarrò gli occhi.

Tutto avrebbe pensato, tranne che a quello.

Possibile che fosse così do’hao?

Evidentemente sì!

E, ancora una volta, non avrebbe mancato di farglielo notare.

Non prima però di avergli tirato un poderoso cazzotto che lo fece cadere all’indietro.

Vide l’altro atterrare di schiena e, per un momento, i suoi occhi si tinsero d’orrore.

Forse aveva esagerato.

Anzi no! Aveva esagerato.

Fu perciò con passo lesto che si avvicinò all’altro e gli si inginocchiò accanto.

Al diavolo tutto.

Poco contavano le loro questioni se il do’hao si era fatto di nuovo male.

Fu perciò, senza nascondere la sua preoccupazione, che domandò incalzante:

“Ti sei fatto male?”

Sakuragi guardò Rukawa, pensando che lo avessero appena sostituito con un suo sosia.

Da quando si preoccupava dopo avergli tirato un pugno?

In effetti, ci era andato giù pesante, ma era normale.

Era normale fino ad un anno prima certo, però erano sempre i soliti cazzotti.

Quelli che non avrebbe mai dimenticato.

Rukawa dovette intendere i pensieri dell’altro visto che fu lesto nello specificare quello che voleva dire.

“La schiena do’hao. Sei caduto di schiena!”

Fu allora che Sakuragi capì e si sciolse in un sorriso rassicurante.

“Sto bene! Sono caduto perché ho perso l’equilibrio nella sabbia. Sono atterrato sulle mani” e le alzò, mostrandole tutte insabbiate.

Rukawa non provò nemmeno a trattenere un sospiro di sollievo.

“Meno male!” disse soltanto e andò a sedersi di fianco all’altro, osservando le onde dinanzi a se.

Sakuragi però aveva intuito una nuova verità.

Verità che doveva verificare a tutti i costi.

“Da quando ti preoccupi di come sto?” domandò.

Ricordava benissimo quando Rukawa era stato l’unico a non battere ciglio nel momento in cui la squadra era stata informata delle sue condizioni.

“Da sempre!” fu la risposta di Rukawa.

Fu un sussurro, niente di più.

Eppure Sakuragi lo udì benissimo.

“Perché?” domandò ancora, stavolta titubante.

E stavolta Rukawa decise di essere sincero, fino in fondo.

Anche se significava umiliarsi davanti a Sakuragi.

Anche a costo di apparire ridicolo.

“Perché mi piaci Hanamichi. Da tanto tempo!”.

Continuò a osservare le onde che si infrangevano sulla battigia.

Un leggero rossore gli imporporava il viso pallido.

Non sapeva quale sarebbe stata la reazione di Sakuragi.

Sapeva solo che i sentimenti che a lungo aveva taciuto erano finalmente usciti fuori.

Sapeva solo che, comunque fossero andate le cose, finalmente aveva provato ad afferrare quello che desiderava.

Il suo cuore adesso era più leggero.

Preso da questi pensieri, non si accorse del movimento di Sakuragi fino a che non sentì il tocco della sua mano sulla guancia.

Fu allora che, voltandosi, se lo trovò a pochi centimetri dal suo viso.

Sakuragi sorrideva.

Aveva osservato la preoccupazione di Rukawa.

Aveva ascoltato quello che provava.

Aveva osservato il rossore sulle guance dell’altro.

E finalmente aveva capito.

Aveva capito che non era semplice attrazione quella che provava Rukawa.

Il numero undici lo ricambiava.

E fu per questo che disse quello che mai avrebbe sperato di pronunciare.

“Anche tu mi piaci… Kaede!”

Solo questo, nulla di più.

Furono poi le loro bocche unite in un bacio tenero a dire il resto.

Furono il loro corpo impegnati in una danza vecchia come il mondo a completare il tutto.

Fu lo spettacolo meraviglioso del mare di notte a fare da unico spettatore alla nascita di quel nuovo amore.
 

The End.
 

Bene… anche questa storia è finita.

Ringrazio tutte voi che mi avete seguito recensendo capitolo per capitolo, ma anche chi ha inserito la storia tra le preferite e le seguite e, ovviamente, anche tutti i lettori silenziosi.

Grazie mille!

Spero che questo capitolo conclusivo vi sia piaciuto: attendo i vostri pareri.

Ci vediamo domenica prossima con il primo capitolo della seconda parte
de “Il tuo vero volto”; spero di trovarvi tutti con l’inizio della seconda stagione della mia storia.

Nel frattempo, grazie ancora per essere arrivati sin qui.

Pandora86

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