Welcome back to the hell, Dalton boys

di SmartieMiz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Reg. 1 – Le attività della Dalton Academy sono ufficialmente rientrate in corso ***
Capitolo 2: *** Reg. 2 – Bisogna essere completamente rispettosi nei confronti del corpo docente ***
Capitolo 3: *** Reg. 3 – È vietato disobbedire agli ordini e contrastare i docenti ***
Capitolo 4: *** Reg. 4 – Bisogna essere completamente rispettosi nei confronti degli altri studenti ***
Capitolo 5: *** Reg. 5 – La biblioteca è aperta tutto il giorno e consultabile soltanto durante la pausa pomeridiana ***
Capitolo 6: *** Reg. 6 – È possibile rivolgersi agli psicologi dell’istituto in qualsiasi momento della giornata ***



Capitolo 1
*** Reg. 1 – Le attività della Dalton Academy sono ufficialmente rientrate in corso ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà della Fox; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

Welcome back to the hell, Dalton boys



Reg. 1 – Le attività della Dalton Academy sono ufficialmente rientrate in corso

Tutti coloro che conoscevano Hunter Clarington lo definivano come un ragazzo serio, diligente e coscienzioso. Nessuno avrebbe mai creduto che avrebbe dovuto frequentare un riformatorio.
Quella mattina stava mettendo a posto le sue ultime cose. Hunter sapeva benissimo che la madre lo stava per rinchiudere in un riformatorio e non in un semplice collegio. Non era stupido, sapeva usare bene il computer: aveva letto le opinioni e i commenti su quell’istituto e ce n’erano alcuni positivi e altri negativi, ma Hunter credeva fermamente in tutti coloro che ne parlavano male.
«Hunter caro, sei pronto?», gli chiese la madre con un sorriso entrando nella sua stanza.
«Oh, prontissimo», rispose lui indignato.
«Avanti, tesoro, non è così terribile il collegio: è perfetto per i ragazzi brillanti e scrupolosi come te», cercò di incoraggiarlo la donna mettendogli una mano sulla spalla.
Hunter non vedeva l’ora di arrivare in quell’istituto, non perché desiderasse frequentare un riformatorio, ma perché non voleva più vedere quell’insulsa e subdola donna che gli stava per rovinare la vita.
 
«Signor Smythe».
A quella voce, Sebastian Smythe sgranò incredibilmente gli occhi: «Signor Fulton? Non era morto?», chiese sbalordito.
«Oh, è una lunga storia», rispose il preside Fulton divertito, poi con un sorriso sornione domandò: «Ha riposato durante la notte? Spero di sì perché oggi sarà una giornata un po’ particolare».
«Dove sono gli altri?», chiese invece Sebastian freddo, ignorando le sue parole.
«Intende gli altri pazzoidi? Non si preoccupi, signor Smythe, ora siete tutti al sicuro», rispose l’uomo con l’ennesimo falso sorriso.
Un gruppo di uomini e donne si avvicinò al preside Fulton; Sebastian riconobbe tra loro qualche docente.
«Sapete già cosa fare», intimò il preside lasciando loro le chiavi per aprire la cella del ragazzo.
 
«Sta arrivando qualcuno», mormorò Jeff Sterling inquieto.
«Salve, gente», li salutò il preside Fulton con un sorriso sghembo: «Dormito bene?».
Nick Duval gli fulminò lo sguardo: «Bastardo…», imprecò sottovoce.
Il signor Fulton sorrise ancora più ampiamente: «Signor Duval, sa benissimo che alla Dalton Academy teniamo conto di tutto. Stia attento, le raccomando».
Jeff Sterling e Blaine Anderson gli fecero segno di tacere, ma Nick ovviamente non li ascoltò.
«Non mi fa paura», asserì Nick sostenendogli lo sguardo.
L’uomo non rispose. Si limitò a dare ordini ad un gruppo di insegnanti che lo scortavano.
 
Thad Harwood era stato portato in presidenza; ormai conosceva quel posto come le sue tasche.
Il ragazzo era spaventato, ma non lo dava a vedere, ed era rimasto sconcertato perché aveva visto il preside Fulton e altri docenti che credeva morti.
«Che cosa volete?», chiese Thad gelido ai professori che lo avevano ammanettato e che lo stavano tenendo sotto controllo.
Qualcuno entrò nella stanza. Tutti si voltarono: erano la professoressa Crane e Peter Kingson.
Thad, stupefatto, spalancò gli occhi.
«Signor Harwood, bentornato! Le è piaciuta la sorpresa?», fu il saluto della Crane.
 
Thad avrebbe tanto voluto ammazzare tutti quegli esseri se solo non avesse avuto delle manette e se solo i docenti non avessero stretto così fortemente le sue braccia.
«Non si risponde?», lo provocò la donna.
Thad trattenne un insulto, continuando ad ignorarla, poi chiese impassibile: «Dove sono tutti gli altri studenti?».
«Sono beneducata e perciò ti rispondo: sono tutti qui alla Dalton», rispose la donna accigliata, poi gli si avvicinò pericolosamente e gli sussurrò: «Perché le interessa? Forse c’è qualcuno che le sta tanto a cuore? Mmm... Duval, Sterling, Nixon, Anderson… Sebastian Smythe?».
All’ultimo nome, pronunciato con più enfasi e quasi con tono minaccioso, Thad sentì il sangue raggelarsi nelle vene: «Stanno bene, vero?», chiese pensieroso.
«Non l’ho mai visto così preoccupato», continuò la donna tranquilla: «Deve tenerci davvero tanto al signor Smythe e al resto della combriccola…».
«Non sono affari che le interessano», rispose Thad irritato.
«Professoressa Crane, direi che possiamo procedere», parlò per la prima volta Peter.
 
Hunter Clarington, accompagnato dalla sua adorata madre, arrivò di fronte al maestoso e, allo stesso tempo, terrificante edificio.
Sospirò. La donna gli accarezzò leggermente la schiena: «Tranquillo, Hunter, vedrai che ti piacerà».
Hunter forzò un sorriso per non sferrarle un pugno.
Il ragazzo salutò mentalmente quel mondo, immaginando che non sarebbe più potuto uscire da quelle quattro mura. Entrarono, silenziosi, e una segretaria subito li accolse.
«Buonasera, sono Eloise Clarington. È da settimane che telefono qui per iscrivere mio figlio in quest’istituto, ma nessuno ha mai risposto, quindi sono venuta io di persona», le spiegò gentilmente la donna.
«Buonasera, signora. Ci scusi per il disagio: abbiamo avuto delle complicazioni che siamo riusciti a risolvere proprio stamane, quindi ora funziona tutto perfettamente», rispose la segretaria, poi domandò: «Bene, quindi vuole iscrivere vostro figlio qui?».
«Esattamente», rispose lei.
«Bene, allora mi segua in segreteria. Il ragazzo può anche visitare l’istituto», disse la donna.
«Oh, va benissimo», rispose la madre di Hunter al suo posto.
Hunter venne portato a fare un giro dell’istituto con un segretario mentre sua madre era in segretaria, impegnata a firmare dei documenti.
«Guarirà, vero?», chiese la donna firmando pensierosa un foglio.
«Può contare su di noi, signora», rispose la segretaria con un sorriso rassicurante.
 
Peter Kingson e la professoressa Crane portarono Thad in un’aula mai vista prima.
«Credo che possiamo già iniziare con le nuove terapie», propose Peter.
«Lo penso anch’io», concordò la Crane.
La parola terapie non piacque neanche un po’ a Thad Harwood. Non sapeva di che cosa stessero parlando, ma di certo niente di positivo.
Thad avrebbe sopportato di tutto, di qualsiasi cosa si trattasse: era stato quasi ucciso dal suo ragazzo che era stato impossessato da un demone.
Sebastian. Voleva soltanto poterlo vedere e assicurarsi che stesse bene.
Nick, Jeff, Trent, Blaine, Kurt. Non sapeva assolutamente niente su di loro.
Chissà se li avrebbe rivisti ancora.

 



Angolo Autrice


Buongiorno a tutti! :D
Ecco a voi il sequel - l'ultimo :( - di WTDASS e WTMMW ("Welcome to Dalton Academy, Sebastian Smythe" e "Welcome to Montgomery Manor, Warblers"!).
Questo capitolo era per dare un po' le basi della storia, nel prossimo si parlerà anche di Trent e Kurt che sono assenti in questo capitolo e di ciò che succederà a Thad e agli altri D:
Ed ecco a voi un nuovo personaggio, Hunter Clarington (: Che cosa ne pensate di questo nuovo personaggio in questa ff? Forse è ancora troppo presto per sparare sentenze con un solo capitolo XD Cosa avrà fatto per finire anche lui in riformatorio? D:
Ringrazio tutti coloro che leggeranno, al prossimo capitolo! :D

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Capitolo 2
*** Reg. 2 – Bisogna essere completamente rispettosi nei confronti del corpo docente ***


Reg. 2 – Bisogna essere completamente rispettosi nei confronti del corpo docente

«Signor Harwood, lasci che le presenti Cassandra July, la nuova psicoterapeuta dell’istituto, neolaureata e sorella di Belle July, l’insegnante di storia», la professoressa Crane gli presentò una donna bionda e formosa, dalla bellezza austera e dallo sguardo penetrante.
«Sembri un po’ turbato», parlò per la prima volta la donna, senza trapelare emozioni dalla sua voce: «Mi raccomando, giovanotto, fa’ il bravo: le mie pratiche non sono molto rosee, quindi ti consiglio di collaborare».
«Può fare quello che vuole: niente più potrà distruggermi», mormorò Thad con sicurezza.
«Ne è proprio sicuro?», lo sfidò la donna profondamente divertita.
Peter rise: «Ma se è così fragile che basta un pugno per annientarlo!».
Thad non si degnò nemmeno di rispondergli.
«Ragazzo, dammi l’occorrente», Cassandra esortò Peter.
 
«Suo figlio può trasferirsi anche oggi», l’aveva informata il segretario.
Eloise Clarington aveva accettato entusiasta: «Ci vediamo, Hunter».
La donna lo abbracciò fortemente, trasmettendogli calore e amore che Hunter trovò falsi e ripugnanti.
«Ti voglio bene, tesoro», mormorò sua madre con un filo di voce.
Hunter si sorprese di quanto sua madre potesse arrivare ad essere ipocrita, simulando anche un leggero pianto.
«Ti voglio bene anch’io», rispose meccanicamente il ragazzo.
Eloise s’incamminò verso l’uscita e si voltò un’ultima volta per salutarlo con un cenno, dopodiché uscì dall’istituto.
Bene, ora possono anche uccidermi, pensò Hunter sarcastico.
«Signor Clarington, le mostriamo la sua stanza», gli disse invece la segretaria.
Hunter pensò che quella fosse soltanto una formalità: se volevano fargli del male, avrebbero atteso il momento giusto. Questione di tempo.
Lo portarono in una normalissima stanza e, con educazione, lo invitarono a disfare le proprie valigie.
 
Tutto quello non era assolutamente nuovo per Thad Harwood: il dolore provocato dalla frusta sulla sua schiena, il sangue che usciva copiosamente dalla sua pelle, le grida strozzate per non dare soddisfazione a nessuno.
Dopo aver ricevuto quel genere di torture, la donna lo costrinse a sedersi su una sedia e gli sistemò degli strumenti in corrispondenza delle tempie.
Thad intuì quello che stava per accadere: non gli era mai sembrato che alla Dalton avessero usato la terapia elettroconvulsivante.
Strinse fortemente i denti, pronto a patire in silenzio l’ennesimo supplizio, e pregando affinché Sebastian, Nick, Jeff, Trent, Blaine, Kurt e tutti gli altri non dovessero subire la stessa tortura.
Cassandra armeggiò con delle apparecchiature sulle quali Thad preferì non soffermarsi.
La donna premette qualche strano pulsante, e immediatamente una scarica elettrica pervase il ragazzo, e poi le scariche furono due, e poi tre, e poi quattro…
Il dolore era lancinante e Thad provò invano a sopportarlo, finché, sfinito, non perse conoscenza.
 
Sebastian sbatté leggermente le palpebre. Doveva essere passata qualche ora, o forse anche di più, ma non riusciva a stabilirlo in quanto aveva perso anche la cognizione del tempo.
La prima cosa che avvertì fu un dolore penetrante alle tempie e in corrispondenza della schiena.
«Finalmente si è svegliato, bell’addormentato», una voce lo svegliò completamente.
La voce apparteneva ad una donna bionda. Aveva un volto familiare, forse l’aveva vista di recente, ma Sebastian era così stordito da non ricordarlo.
«Può andare. Ci si vede tra due giorni», lo congedò la donna.
Sebastian la guardò interrogativo. Una segretaria – anche lei aveva un volto fin troppo familiare – scortò il ragazzo e lo portò in una cella solitaria.
«Perché mi rinchiude qui dentro?», chiese il ragazzo confuso.
«Le daremo una stanza, signor Smythe, ma ora è meglio che resti ancora un po’ in isolamento e sotto il controllo della specialista», rispose lei semplicemente per poi andarsene.
 
Il giorno dopo, Trent venne svegliato dagli accecanti raggi del sole che filtravano dalla finestra.
Aprì gli occhi e notò che non era chiuso in una cella, bensì in una stanza, e non era solo: alcuni docenti erano lì con lui e sembrava lo stessero tenendo sotto controllo in un modo o nell’altro, come se sarebbe potuto improvvisamente fuggire da quel luogo.
Un’idea fulminò Trent: con la forza del pensiero, avrebbe potuto spostare gli ingranaggi della serratura e aprire la porta. E fu in quel momento che si accorse che i docenti erano proprio posizionati davanti alla porta, sbarrandogli la via di fuga.
 
Kurt Hummel era vivo, ma morto dentro.
«Faranno loro del male», mormorò il ragazzo in preda al terrore: «Li uccideranno…».
«Non possono ucciderli: è pur sempre un riformatorio», rispose razionale Rachel Berry.
«Sì, invece», si intromise Finn Hudson: «È tutto tranne che un riformatorio. È un manicomio».
«Finn, lo era alla nostra epoca…».
«… per me lo è ancora», Finn interruppe la ragazza: «Gli studenti continuano ad essere trattati come pazzi. Non vedo differenza tra la Dalton “moderna” di oggi e quella del 1888».
 
Il pomeriggio, Jeff si svegliò in una lurida e squallida cella; non c’era Nick, non c’era Blaine: non c’era nessuno.
Ancora un po’ confuso, provò a ricordare cosa fosse successo il giorno prima, e immediatamente l’immagine di un macchinario infernale comparve nella sua mente.
Ricordò di essere stato torturato come già era successo in passato, poi ricordò di essere stato percosso da scariche elettriche, e delle fitte strazianti alle tempie gli resero più viva l’immagine dell’accaduto.
Si chiese in che condizioni stessero gli altri e se anche loro fossero tremendamente spaventati come lui.
 
Quello era stato il primo giorno di collegio-riformatorio – il ragazzo non sapeva ancora come definirlo – per Hunter Clarington.
Gli insegnanti sembravano severi e senz’altro regnava la disciplina, ma Hunter non ci trovò niente di così spaventoso in quell’istituto.
Ovviamente sapeva che avrebbe dovuto rispettare il Regolamento d’Istituto per non essere sanzionato senza pietà alcuna, come aveva detto il Preside Fulton.
Non osava immaginare quali fossero le pene, ma se si fosse comportato bene, avrebbe potuto scampare qualsiasi rischio.
 
Nick, completamente sveglio anche lui, sbuffò rumorosamente quando alcuni docenti lo ammanettarono per portarlo chissà dove.
«Cosa cavolo volete ora?», chiese brusco.
«Sta’ zitto», gli intimò fredda una donna.
«No, io non mi sto zitto», replicò il ragazzo gelido.
«Non ci manchi di rispetto, signor Duval!».
Alla fine lo portarono in presidenza: erano presenti il preside Fulton, la professoressa Crane e la nuova psicoterapeuta, una certa Cassandra July uscita da chissà dove, si ritrovò a pensare il giovane.
Dopo qualche minuto di completo silenzio, la porta si aprì, e questa volta sulla soglia vi erano altri docenti con Thad, Blaine e Trent.
La presenza di Thad lo sorprese: pensava stesse ancora in ospedale, ma soprattutto non pensava riuscisse ancora a mantenersi in piedi dopo ciò aveva dovuto subire indirettamente da Sebastian posseduto.
Passò ancora qualche minuto e comparvero altri insegnanti, questa volta con Sebastian e il suo ragazzo.
 
Sebastian vide finalmente Thad, Nick, Jeff, Trent e Blaine.
Non sapeva perché erano stati tutti riuniti, ma il pensiero di averli rivisti lo risollevò leggermente. Dovevano soltanto assicurarsi di come stesse Kurt.
«Iniziamo», la voce della psicoterapeuta distolse i suoi pensieri.

 



Angolo Autrice


Buon pomeriggio a tutti! :D
Per vostra sfortuna xD non mi sono dimenticata di questa storia! u.u Scusatemi per il ritardo, ma sono stata molto impegnata con la scuola e un po' con la Sebastian Smythe Week 2013 e altre ff che non continuavo da tempo (:
Eccoci con il secondo capitolo: iniziamo a capire già qualcosa, ma dal prossimo ci sarà un po' più di "movimento".
Per capire il perché Hunter è finito in riformatorio ci vorrà ancora del tempo. D:
La terapia elettroconvulsivante sarebbe l'elettroshock... ho cercato di documentarmi un po', ma non ne so molto quindi potreste trovare anche qualche incongruenza nella procedura.
Trent è in una stanza anziché in una cella, sorvegliato da alcuni docenti, proprio perché grazie al suo potere è capace di aprire anche le porte, e quindi in questo modo potrebbe anche scappare, perciò ha bisogno di essere tenuto più sotto controllo D:
Capitolo un po' inquietante, direi D: Nel prossimo, come già vi ho scritto prima, la narrazione sarà un pochino meno lenta e monotona ;)
Ringrazio tutti coloro che leggono e Diana924, Fuckgravity e BrokenRoses che hanno recensito lo scorso capitolo! :)
Alla prossima! (:

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Capitolo 3
*** Reg. 3 – È vietato disobbedire agli ordini e contrastare i docenti ***


Reg. 3 – È vietato disobbedire agli ordini e contrastare i docenti

Thad e Sebastian furono i primi a subire l’ennesimo supplizio.
Furono portati in una stanza. Erano completamente da soli, assieme alla nuova psicoterapeuta.
«Paura?», chiese Cassandra July sarcastica mentre sistemava degli attrezzi.
Thad le riservò uno sguardo pieno d’odio.
«Non prendetemi per cattiva per quello che sto per farvi, ragazzi, vogliamo semplicemente il vostro bene», continuò la donna, poi si avvicinò al ragazzo più alto: «Puoi levarti la maglietta e metterti su quel lettino?», gli chiese con finta dolcezza.
«Faccia andare me», si offrì Thad.
«Che cavaliere!», lo schernì la bionda, poi incitò Sebastian: «Avanti, ragazzo, fa’ quello che ti dico e sarà tutto più semplice».
Il francese si liberò della propria maglietta e si sistemò sul lettino. Se avesse disobbedito, di certo non sarebbe andata meglio.
Thad osservò con orrore le ferite ancora fresche che laceravano la schiena del suo ragazzo.
«Bene, lei ammette di poter vedere i demoni, signor Smythe, giusto?», parlò la bionda.
Sebastian boccheggiò: «Sì…», disse infine.
«Mm, interessante. E lei, signor Harwood, ammette di poter parlare con i defunti, vero?».
«Sì, ed è così. Ho parlato con i miei padri, non me li sono di certo immaginati», rispose il ragazzo convinto.
La donna accennò un lieve sorriso, un sorriso che sapeva di cattiveria e perfidia.
«Signor Harwood, ma non vuole proprio capire che la magia non esiste? Queste non sono altro che le sue fantasie. È impossibile comunicare con i defunti proprio com’è impossibile parlare con i demoni o i fantasmi», fece la donna risoluta.
«Ah, davvero? E che cosa mi sa dire su quel Peter Kingson che è un mezzo demone?», si intromise Sebastian: «È inutile che continuiate a dire che tutto questo è impossibile, sappiamo tutti che quando siamo fuggiti i demoni vi hanno ucciso e voi siete diventati come loro! Non so bene come siate tornati in vita, forse perché Karofsky è morto e una sorta di maledizione si è spezzata, ma se è andata così, beh, anche voi siete stati demoni come lui. Se ammettete che i demoni non esistono, ammettete di non essere esistiti per un periodo di tempo!».
Sebastian aveva detto in modo molto semplice e diretto ciò che anche Thad esattamente pensava.
«Stai vaneggiando», parlò Cassandra: «Solo i pazzi come te possono blaterare cose del genere».
«Sebastian ha ragione: anche voi siete stati demoni!», si immischiò Thad.
«State decisamente farneticando», sentenziò la donna risoluta: «Negate tutte le assurdità che avete avuto il coraggio di dire».
«Non sono assurdità», asserì Thad.
«Signor Harwood, neghi immediatamente di non poter parlare con i morti e tutta questa storia sui demoni», lo ammonì Cassandra.
«Mi sta dicendo di negare la verità», Thad era impassibile.
«Dillo, forza», lo esortò la donna.
«Non è che se lo nego non lo penso davvero», asserì l’ispanico freddo: «Posso dire tutto quello che vuole, ma non mi cambierà mai».
«Staremo a vedere», disse lei prendendo uno strano apparecchietto dalla forma circolare e posizionandolo al di sopra della schiena di Sebastian: «Allora, signor Harwood? Ne è proprio sicuro?».
Thad boccheggiò. Cos’era quell’aggeggio nelle mani di Cassandra? Di sicuro qualcosa che avrebbe potuto provocare del male al suo ragazzo.
«Okay, se è quello che vuole sentirsi dire… io non parlo con i morti, è soltanto una mia sciocca fantasia, e questa storia dei demoni è un’intera menzogna! I demoni non esistono, proprio come i fantasmi», parlò Thad, poi aggiunse sarcastico: «Felice, ora? Soddisfatta? Sono guarito!».
Cassandra non esitò nel premere un pulsante su quello strano aggeggio.
Sebastian urlò di dolore, mentre il macchinario formava nuovi tagli sulla sua pelle.
Thad si sentì male per esser stato troppo indisponente, come suo solito: «Si fermi, la prego», supplicò alla psicoterapeuta.
«Guarirà soltanto quando ci crederà davvero, signor Harwood», disse lei imperterrita, continuando a “giocare” con quell’aggeggio infernale: «Quando sarà convinto, avrà possibilità di guarire davvero».
Gli occhi di Sebastian erano rossi, e la sua fronte trapelava di sudore. Serrava i denti per l’incredibile dolore.
Thad pensò che non esistesse una tortura peggiore nel vedere una persona amata soffrire così immensamente.    
«Io non parlo con i defunti, è soltanto una mia stupida invenzione, e i demoni non esistono, proprio come i fantasmi», ripeté Thad, cercando di essere un minimo convincente.
Cassandra sorrise compiaciuta, continuando a far del male a Sebastian. Non le bastavano di certo quelle quattro lusinghe per interrompere la sua attività.
«La supplico, lo lasci stare, faccia del male a me, non a lui…», continuò a scongiurarla Thad.
«Sbaglio o questa è una dimostrazione di smisurato affetto… d’amore, per essere più corretta?», Cassandra pigiò l’apparecchio, pressandolo contro la schiena del ragazzo: «Signor Harwood, sa cosa dice il Regolamento, vero?».
Thad non ne poteva più di quella vecchia megera e di vedere Sebastian patire quello strazio, impotente.
Si avvicinò alla donna e la spinse bruscamente, facendo cadere l’apparecchio malefico a terra.
«Così peggiora soltanto la situazione, signor Harwood», rispose la donna con calma, raccogliendo l’oggetto caduto a terra. La sua pacatezza infastidiva ancora di più l’ispanico: «Non funziona così, signor Harwood, no no».
 
Hunter camminava tra i corridoi, alla ricerca della biblioteca: ancora non sapeva orientarsi bene in quell’enorme istituto.
«Hey!», lo fermò un ragazzo: «Credo che tu sappia che sono il tuo compagno di stanza, ma ieri non mi hai proprio considerato».
«Non mi va di parlare con nessuno, mica solo con te», rispose semplicemente Hunter.
«Comunque sono Brody, Brody Weston», rispose il ragazzo con un lieve sorriso.
«Hunter Clarington», rispose il ragazzo freddo.
«Stai cercando la biblioteca, vero? È di là», rispose Brody indicandogli un corridoio.
«Ti ringrazio», tagliò corto Hunter.
«Di niente», fece il ragazzo, poi gli si affiancò durante il suo tragitto: «Questo collegio non è così male. È vero, ci sono un bel po’ di regole da seguire, ma tutto sommato non è così terribile come ne parlano molti…».
Hunter sfoggiò un sorriso sbieco: «Il peggio deve ancora venire», disse ambiguamente.
«Che cosa vuoi dire?», si allarmò il compagno.
«Questa scuola non mi convince neanche un po’. Stai attento, Brody», disse Hunter.
«Attento a cosa? Mi fai paura… prevedi mica il futuro?», disse sgranando leggermente gli occhi.
Hunter scosse il capo: «No, la magia non esiste… letto il Regolamento? Va anche studiato».
«Sì, ma sei inquietante, amico», fece Brody.
«E allora se sono inquietante non mi parlare», concluse Hunter freddo.
«Come vuoi», rispose Brody visibilmente risentito: «Ci si vede», disse con un cenno.
Hunter sospirò. Non voleva legarsi a nessuno, sapeva benissimo cosa sarebbe significato per uno come lui.
 
 Aveva soltanto sei anni quando morì suo padre.
Qualche giorno prima della sua improvvisa morte, Hunter gli parlò.
«Papi», lo chiamò sorridente.
«Dimmi, tesoro», rispose lui ricambiando il sorriso.
«A scuola ho imparato a leggere i numeri e finalmente riesco a leggere i segni strani che stanno nei tuoi occhi», disse orgoglioso.
«I segni strani che…? Cosa, Hunter?», chiese suo padre perplesso.
«Nei tuoi occhi sta scritto 4, 2, 2, 0, 0, 1», disse il piccolo Hunter convinto.
Il signor Clarington ridacchiò: «Negli occhi non sono presenti numeri, Hunter».
Qualche giorno dopo, il 2 aprile del 2001, per la precisione, il padre di Hunter morì di infarto.
 
Quando crebbe, lo stesso “trattamento” fu riservato a sua nonna, a sua zia e ad una sua amica.
Per qualche strano motivo a lui ignoto, non riusciva a leggere negli occhi di tutti, ad esempio non in quelli di sua madre e di altre persone.
Hunter ne aveva parlato con Eloise che, molto probabilmente, aveva iscritto suo figlio in quel collegio-riformatorio affinché potesse diventare “normale”.
Sin da piccolo, Hunter conviveva con quel potere terrificante che gli permetteva di sapere quando sarebbero morte le persone che gli erano accanto.
Prima aveva letto una data anche negli occhi di Brody, una data piuttosto vicina, e perciò gli aveva raccomandato di stare attento. Non sapeva come sarebbe morto e perché; sapeva soltanto che sarebbe morto.
Se avesse svelato il suo segreto, lo avrebbero preso per pazzo. Non gli avrebbero creduto, oppure lo avrebbero fatto quando sarebbe stato troppo tardi.
Hunter non avrebbe parlato con nessuno; avrebbe cercato di stare alla larga da tutto e da tutti.
 
Cassandra July aveva quasi goduto nel far male a Jeff.
Jeff Sterling era sempre obbediente e quieto, proprio l’opposto di Nick Duval, e durante le torture era l’unico dei sei pazzoidi che non riusciva a contenersi. Era quello che sopportava di meno e che, in un certo senso, soffriva di più: urlava di dolore come tutti e in più piangeva, piangeva disperatamente. Non riusciva a trattenere le lacrime, non riusciva a fingere, non riusciva a non dare soddisfazione ai suoi torturatori. Con il suo atteggiamento, appagava soltanto quell’orrida arpia che Nick avrebbe tanto voluto uccidere a mani nude.
Nick odiava quando la gente si prendeva beffe di Jeff. Tutti i docenti della Dalton Academy approfittavano sempre della sua bontà, della sua ingenuità, della sua mansuetudine, e Cassandra sembrava averci preso gusto nel torturarlo davanti agli occhi di Nick che l’aveva supplicata più volte di fermarsi.
Cassandra terminò finalmente quello strazio; Jeff, con gli occhi rossi e gonfi di lacrime, respirava con affanno, percependo ancora il dolore ardere come una fiamma viva e bruciargli tutte le membra.
Nick avrebbe tanto voluto avvicinarsi a lui, accarezzargli la pallida schiena e rasserenarlo, lasciandogli delicati baci sulle labbra e sussurrandogli dolci parole di conforto.
Ma non poteva fare assolutamente niente, se non patire lo stesso dolore che poco prima aveva provato Jeff sulla sua pelle.

 



Angolo Autrice


Buon pomeriggio a tutti! :D
Questa ff non è morta, come forse avete creduto (?). è la mia bambina, non potrò mai lasciarla u.u xD ♥
No, scherzi a parte, mi dispiace tantissimo per l'imperdonabile ritardo, ma sono stata molto impegnata con la scuola e purtroppo lo sarò ancora, sigh. çç D:
Eccoci con il terzo capitolo: sappiamo finalmente il potere di Hunter che è piuttosto inquietante (per il suo potere ho preso spunto da un libro che non ho letto, ma di cui so la trama xD Si chiama Numbers, se non erro :33). New entry: Brody Weston! Non so voi, ma io amo la Brunter (Brody+Hunter) friendship! (e anche qualcosa in più, ma in questa ff credo si limiterà soltanto a friendship).
Ed ecco i nostri piccoli eroi in pericolo: Thad, Sebastian, Nick, Jeff, Blaine, Trent (questi ultimi due torneranno presto, parlerò anche di loro). Cassandra è spietata, continuerà a dar loro filo da torcere.
Spero che non passi più così tanto tempo da un aggiornamento all'altro :)
Ringrazio tutti coloro che leggono e Fuckgravity, Diana924, BrokenRoses, 18ale, AngelAnderson15 e hermy87 che hanno recensito lo scorso capitolo! :)
Alla prossima e... buona Pasqua a tutti! (: 

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Capitolo 4
*** Reg. 4 – Bisogna essere completamente rispettosi nei confronti degli altri studenti ***


Reg. 4 – Bisogna essere completamente rispettosi nei confronti degli altri studenti

Hunter era in biblioteca a studiare storia. Un silenzio religiosissimo rendeva la biblioteca un posto quasi ostile.
Il ragazzo sfogliò le pagine del libro, sbuffando leggermente.
«Sei nuovo?», un ragazzo asiatico e uno dalla pelle scura gli si avvicinarono.
«Sì», rispose Hunter.
I due ragazzi si guardarono, con occhi preoccupati.
«Wes e David, piacere», si presentò l’asiatico.
«Hunter», rispose il ragazzo senza nemmeno alzare gli occhi dal libro.
«Per caso hai sentito parlare di Sebastian, Thad, Trent, Nic…».
«Non so nemmeno chi siano», tagliò corto Hunter interrompendo David.
 
Blaine si rannicchiò ad un angolo della cella.
Si sentiva colpevole di tutto e non si sarebbe meravigliato se Thad e gli altri lo avessero odiato.
Non sapeva niente di Kurt: che fine avevano fatto i fantasmi e i demoni?
Fantasmi. A causa dei diversi eventi, non ci aveva dato tanto peso: Blaine realizzò che Kurt era come lui, era di nuovo vivo.
Ma lo aveva perso. Di nuovo. Sperò con tutto se stesso che stesse bene.
 
Anche quel giorno vennero ripetute quelle assurde terapie.
«Signor Harwood», la signorina Harrison si avvicinò alla sua cella.
Il ragazzo alzò leggermente il volto: «Mi segua», ordinò la donna aprendo la porta.
 
Trent si era scocciato di quella situazione: a causa dei suoi poteri, era sempre scortato da un gruppo di docenti.
Era furioso: quella July e gli altri stavano cercando di far “guarire” lui e i suoi amici con metodi poco rosei. Perché non capivano che quelle abilità non erano malattie o disturbi, ma erano semplicemente parte di loro?
«Se davvero la storia dei nostri poteri è tutta una fandonia, perché devo stare sempre con voi? Se la magia non esiste non posso rischiare di aprire una porta con la forza del pensiero, o mi sbaglio?», ebbe il coraggio di dire loro Trent quel giorno.
Il suo ragionamento filava. «Lei è pericoloso come tutti gli altri, signor Nixon», si limitò a rispondere un professore.
Trent rise, sarcastico: «Davvero non volete capire…», mormorò, amareggiato.
«Signor Nixon, siete proprio voi a non voler capire come devono andare le cose».
 
Thad venne portato di fronte alla porta di una stanza.
«Che cosa volete ora?», chiese, brusco.
Nessuno gli degnò di una risposta. La signorina Harrison bussò: un ragazzo alto dai capelli castani e gli occhi verdi venne ad aprire.
«Signor Clarington, ricordo bene?», chiese con un leggero sorriso.
Il ragazzo annuì: «Sì, sono io».
«Il signor Weston?», domandò la donna.
«È lì», rispose pronto Hunter, scostandosi leggermente e lasciandole vedere il ragazzo.
La signorina Harrison annuì: «Bene, avete un nuovo compagno di stanza. Vi consiglio di stare attenti, è un tipo un po’… impulsivo».
La donna spinse leggermente Thad all’interno della stanza: «Ah, e mi raccomando, signor Harwood: potrà uscire di qui soltanto quando saremo noi a bussare».
Senza aggiungere altro, la signorina Harrison chiuse la porta.
 
Hunter e Brody restarono visibilmente sconvolti dall’aspetto del nuovo arrivato: aveva occhi rossi e incredibilmente stanchi, come se non dormisse da molte settimane, e a stento si reggeva in piedi.
Il ragazzo si appoggiò alla parete, lasciandosi cadere lentamente.
«Vuoi una mano?», si offrì Brody pieno di buonsenso.
Il ragazzo scosse leggermente il capo. Hunter e Brody gli si avvicinarono ugualmente, trascinandolo delicatamente e facendolo distendere su un letto.
«Cosa ti hanno fatto?», chiese Hunter serio.
Il ragazzo socchiuse gli occhi: «Niente…», tagliò corto.
«Come ti chiami?», chiese invece Brody.
«Thad… Thad Harwood», rispose.
«Io sono Brody Weston, lui è Hunter Clarington», fece il ragazzo: «Vorremmo aiutarti, non sembri affatto essere in buone condizioni».
«Ma no, non ci saremmo mai arrivati senza il tuo geniale intervento», rispose aspro Hunter, poi guardò Brody in faccia: «È ovvio che non sta in buone condizioni! Lo vedi che è sfinito?».
Thad incurvò le labbra in un sorriso impercettibile: «Non preoccupatevi. Grazie lo stesso», disse, pieno di gratitudine.
«Devi riposare», ordinò Hunter autoritario, poi prese una bottiglina d’acqua che stava sulla scrivania: «Bevi», gli intimò.
Thad non aveva molta sete, ma non protestò: bevve un po’ dell’acqua che gli aveva offerto Hunter.
«Hai fame?», chiese Brody premuroso: «Ho solo dei crackers in valigia, nient’altro…».
Thad scosse il capo: «Va bene così, grazie».
I due ragazzi annuirono leggermente e, dubbiosi, lasciarono riposare Thad.
 
Hunter aveva inevitabilmente osservato i suoi occhi, ma non era riuscito a leggere nessuna data.
Era così esausto e malridotto quel ragazzo che non gli avrebbe dato più di un mese di vita, e invece si sbagliava: a giudicare dall’assenza di una qualsiasi data, la sua morte doveva essere molto lontana.
L’ansia assalì il ragazzo: Brody non gli stava particolarmente simpatico, o meglio, Hunter stava provando a non legarsi a nessuno, ma non poteva negare che era in pensiero per lui.
 
I due ragazzi gli si avvicinarono con aria quasi minacciosa. Nick non ricordava i loro volti; di sicuro non erano dei Warblers.
«Nick Duval», fece uno dei due sprezzante: «Il coraggioso Nick Duval».
Nick si alzò in piedi, cercando di dare poco peso alle ferite sul suo corpo. Sostenne il loro sguardo: «Che vuoi? Problemi?», chiese, gelido.
«Vedo che la vostra fuga si è svolta nel migliore dei modi», parlò l’altro, cinico: «Ricordo ancora le parole del tuo biondino che sono andate a farsi fottere: l’unione fa la forza. Abbiamo visto!».
«Ci abbiamo provato, e comunque non mi interessano le vostre prediche», replicò Nick risoluto.
«Senti, Duval, ora che sei costretto a dividere la stanza con noi devi sottostare a delle regole perché io e Nate non vogliamo alcun fastidio, okay?», parlò il ragazzo di prima.
«Cosa diavolo vorreste?», fece Nick.
«Innanzitutto vogliamo cercare di avere poco a che fare con te perché ci stai sulle palle», asserì Nate.
«Viva la sincerità», mormorò Nick sarcastico.
«Ah, e mi raccomando: siamo etero, non vogliamo che ti infiltri all’improvviso nel nostro letto, non siamo licenziosi come te e Harwood», parlò l’altro.
«E poi ci teniamo al Regolamento d’Istituto», aggiunse Nate, accigliato.
Nick li guardò, torvo: «Non lo conoscete, e comunque non ho affatto queste intenzioni, in particolare con voi due».
«Giusto, ora c’è soltanto Jeffie», fece Nate con una risata.
«I cazzi vostri no, eh?», rispose il moro irritato.
«Ti cambieremo, Duval, che ti piaccia o no», concluse l’altro con un sorriso obliquo.
 
Jeff odiava già Jake, il suo nuovo compagno di stanza: era un essere viscido e perfido. Ryder, invece, sembrava essere quasi gentile, ma Jeff ormai non si fidava più di nessuno, se non di Nick e i suoi amici.
Jeff era andato in panico. Aveva il fiatone e le palpitazioni; era convinto che questa volta non ne sarebbe uscito vivo.
«Ma come si fa a piangere?», fece Jake alludendo ai suoi occhi gonfi e inumiditi: «Capisco che questa scuola è dura, ma è assurdo e patetico arrivare al punto di piangere».
«Come sei superficiale! Non puoi sapere cos’è successo», lo rimproverò Ryder, difendendo Jeff.
Il ragazzo gli si avvicinò: «Calmati, per piacere. Possiamo parlarne».
 
«Smythe, qualcosa non va?», Peter gli si avvicinò, poggiando una mano sulla sua spalla.
«Non toccarmi, stronzo», tagliò corto Sebastian.
Peter rise: «E io che cosa dovrei dirti? Hai ucciso mio padre».
«Non ho ucciso proprio nessuno, ha fatto tutto Karofsky», ribatté il francese.
«Quindi non ti senti responsabile di quel che stavi facendo al tuo caro Harwood?», lo sfidò Peter.
Sebastian sospirò. Sì, si sentiva maledettamente in colpa: avrebbe potuto perdere completamente il controllo e ucciderlo.
Peter sorrise, compiaciuto: «Chissà se lo rivedrai ancora», disse, in un sussurro.
Sebastian trattenne la calma: «Lo rivedrò», asserì, risoluto: «Rivedrò lui e tutti gli altri».
«Non con me come compagno di stanza», fece Peter con un sorriso divertito: «Attento, Smythe: non si gioca con il fuoco».



Angolo Autrice


Buon pomeriggio a tutti! :D
Scusatemi per l'ennesimo imperdonabile ritardo! çç Credo che ormai avete imparato a memoria il perché del mio ritardo xD: scuola. ;) xD :(
Bene, i ragazzi vengono smistati nelle camere di altri studenti, proprio come aveva detto la segretaria a Sebastian nel secondo capitolo: Thad sembra essere in buone mani, è con Hunter e Brody; Nick è con Nate, personaggio di mia invenzione, e un altro tizio di cui ancora non si sa il nome; Jeff è con Jake e Ryder (sì, Jake Puckerman e Ryder Lynn, proprio loro! ;) xD); Trent, per ora, con nessuno (a causa dei suoi poteri particolari); Blaine non si sa ancora e Sebastian con Peter e qualcun altro.
Sono comparsi gli amati Wes e David che, ciccini, sono giustamente in pensiero per i nostri sei ragazzi.
Cassandra tornerà presto, e forse nel prossimo capitolo accadrà qualcosa di... importante (?) Vedremo ;)
Ringrazio tutti coloro che leggono e BrokenRoses, AngelAnderson15, Diana924, nessiep96 e Sunflower_ che hanno recensito lo scorso capitolo! :)
Alla prossima! :D 

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Capitolo 5
*** Reg. 5 – La biblioteca è aperta tutto il giorno e consultabile soltanto durante la pausa pomeridiana ***


Reg. 5 – La biblioteca è aperta tutto il giorno e consultabile soltanto durante la pausa pomeridiana

Il giorno dopo, Hunter e Brody avevano quasi temuto che il nuovo compagno di stanza fosse morto. Aveva dormito profondamente per molto tempo e fu un sollievo vederlo risvegliarsi piano piano, battendo lentamente le palpebre.
«D-dove mi trovo?», farfugliò il ragazzo, con gli occhi ancora socchiusi.
«Alla Dalton», rispose scioccamente Brody: «Alla Dalton Academy…».
Thad annuì, issandosi leggermente e appoggiando la schiena contro la parete. Trattenne un urlo quando la sua schiena massacrata premette contro il muro freddo. Aprì completamente gli occhi e finalmente realizzò di trovarsi in una stanza della Dalton con quei due nuovi ragazzi che, a primo impatto, erano stati piuttosto gentili ed ospitali nei suoi confronti.
Pensò immediatamente a Sebastian e agli altri e al nuovo incubo che stavano affrontando separati. Questa volta sembrava non esserci una via d’uscita, eppure il capo dei demoni era stato sconfitto e i demoni non esistevano più. Sarebbe dovuto essere tutto più semplice, e invece non lo era affatto.
Hunter gli porse la bottiglina d’acqua.
«Grazie», bofonchiò Thad.
«Chi ti ha ridotto in queste condizioni?», gli chiese Brody.
«Il Regolamento dichiara esplicitamente di non chiederlo», si intromise Hunter, freddo. Per qualche strano motivo a Brody ignoto, lo correggeva sempre e cercava sempre di fargli comprendere le cose giuste da fare e quelle sbagliate.
Mentire era inutile, e per Thad non era affatto un problema raccontare la verità. «Per me non è un problema dirvelo, ma se ci tenete alla vostra vita, beh, dovrete far finta di non sapere nulla».
Brody ci rifletté, dubbioso. «Beh, ecco, non sei costretto a dircelo…».
«Sono stati i docenti della Dalton», rispose Thad pacato, con una posatezza impressionante da sconvolgere i due ragazzi: «Chi infrange il Regolamento o chi osa soltanto opporsi, ne paga dolorosamente le conseguenze… e anche chi prova a evadere, ovvio».
Brody sgranò enormemente gli occhi.
«E se hai un potere, un’abilità, una capacità innata, qualcosa che ti distingue e con cui convivi da sempre, beh… sei condannato a vita, semplice», continuò il ragazzo, tranquillo.
Hunter chinò il capo.
«… proveranno a cambiarti, a portarti su quella che considerano la retta via, e non capiscono che è impossibile cambiare la vera natura di una persona…», fece Thad: «Vedete le mie cicatrici, le mie ferite ancora fresche? Bene, ti tor…».
«Okay, basta, credo di aver sentito già abbastanza», lo interruppe Brody, turbato.
Thad si fermò, per rispetto. Brody sospirò. «Ma… ma è tutto vero?», chiese, incerto.
«Perché avrei dovuto mentire?», gli chiese l’ispanico: «Sì che è vero».
«Io ti credo», asserì Hunter, sicuro di sé: «Non vedo perché avresti dovuto raccontarci frottole».
Brody sembrava profondamente scosso. «Io… non… non è possibile. Davvero sono stati i docenti della Dalton a farti questo?».
Thad annuì. «Proprio loro», confermò.
Brody scosse il capo, inquieto. «Non so cosa pensare…».
«Da quanto tempo sei qui?», chiese invece Hunter, serio.
«Questo sarebbe il mio quinto anno», rispose Thad, lasciando Brody di stucco.
Solo in quel momento Thad si rese conto che aveva trascorso quattro anni e mezzo lì alla Dalton. Quando era arrivato lì era soltanto un ragazzino di quattordici anni, scosso e spaventato: due anni prima aveva perso i suoi genitori in un incidente stradale al quale lui era sopravvissuto. Aveva visto la morte con i suoi occhi, un attimo prima di perdere completamente conoscenza. Chi aveva assistito all’incidente chiamò un’ambulanza; si svegliò all’ospedale e, quando fu in grado di parlare e muoversi, chiese immediatamente dei suoi papà: sperava con tutto se stesso di essersi sbagliato, di non aver visto il sangue sgorgare dai loro corpi, inermi.
L’infermiera gli annunciò con amarezza la notizia. Gli disse che era l’unico sopravvissuto all’incidente e gli intimò di essere forte, di non mollare mai.
Pianse, pianse disperatamente. Non riusciva a raccapezzarsi di quel che era successo.
Si chiese perché non fosse morto anche lui, perché non fosse salito in cielo assieme ai suoi genitori. Aveva perso tutto, non c’era ragione per la quale continuare a vivere.
Quando fu rimesso, venne affidato a Jane, sua zia, sorella di suo padre Eric, e a suo marito Louis.
I primi giorni a casa di Jane furono molto silenziosi. Thad si chiudeva nella camera che gli era stata data e non parlava con nessuno; rispondeva a stento alle rare domande che gli porgevano Jane e Louis. Un giorno i due zii schernirono i suoi genitori, e Thad s’infuriò; non poteva credere al fatto che potessero essere così meschini e spregevoli e prendersi beffe anche di persone decedute.
Fu un periodo buio per Thad: gli zii lo trattarono come se fosse uno straccio, lo deridevano, lo sminuivano in continuazione, lo criticavano per ogni cosa.
Due anni più tardi scoprì di poter parlare con i morti. Un giorno sentì qualcuno che lo chiamava, che sussurrava flebilmente il suo nome; avvertì una presenza. Perse conoscenza, e conobbe Allison, una ragazza morta anni prima che soggiornava in quella casa prima che vi abitassero i suoi zii. Thad non aveva amici, neanche a scuola, e Allison si rivelò una piacevole compagnia. Ma un giorno i suoi zii sentirono Thad vaneggiare, parlare “da solo”. Incominciarono a preoccuparsi perché per la loro incolumità non potevano vivere insieme ad uno “psicopatico” come lui. Venne perciò iscritto alla celebre Dalton Academy, dove vi era nuovamente rinchiuso.
Non parlava con nessuno. Si limitava a studiare e a non infrangere il Regolamento. Un giorno parlò con i professori dei troppi compiti. Fu gentile, cortese, ma le sue virtù non vennero apprezzate e per la prima volta subì quello che poi si ripeté per tutti gli anni a seguire per motivi differenti: torture, violenze e supplizi.
Il clima rigido, il Regolamento, i docenti, le torture contribuirono a renderlo una persona fredda e impassibile; gli anni passarono, le estati le trascorreva alla Dalton ma di certo non avrebbe preferito tornare dagli zii.
Si chiese perché fosse ancora vivo, finché non conobbe Nick Duval, il suo nuovo compagno di stanza. Il loro rapporto fu ambiguo: c’era molta sintonia tra loro, entrambi riservati ma abbattuti, demoliti dentro, ma non mancarono liti ed incomprensioni. Non seppero nemmeno precisamente quando e come, ma incominciarono a vedersi sotto un altro punto di vista, a frequentarsi. Forse lo facevano soltanto per sfogo, per frustrazione, per insoddisfazione, per colmare temporaneamente il vuoto che albergava dentro di loro.
Il tempo passava, tra Thad e Nick si era istaurato un rapporto quasi fraterno; i controlli alla Dalton divennero sempre più rigidi e i due giovani vennero sorpresi in atteggiamenti poco decorosi; vennero separati e puniti per quattro lunghi mesi.
E poi ci fu quella notte. Si incontrarono di nascosto e decisero di scappare, di andare via da quel luogo orribile così, inaspettatamente, senza preavviso. Ma il loro primo e unico tentativo andò male: vennero colti in flagrante e ripeterono l’anno.
Thad aveva diciotto anni, era ormai diventato un ribelle, si era inasprito, era diventato completamente distaccato ed inflessibile; non era più il ragazzino terrorizzato di quattro anni prima.
Ciò che non lo aveva ucciso lo aveva fortificato. Ma poi Sebastian Smythe era arrivato alla Dalton ed era entrato nella sua vita con la stessa forza di un uragano, con quel sorriso sempre dolce e con quei meravigliosi occhi verdi.
Sebastian, la prima persona nella sua vita che non fosse uno dei suoi papà ad avergli detto ti voglio bene. L’unico ad avergli detto ti amo. L’aveva accettato con tutti i suoi difetti, aveva amato ogni parte di lui, da quella più luminosa a quella più cupa.
E da quando si era inevitabilmente innamorato di lui, aveva riposto in lui tutta la sua fiducia, tutto il suo amore.
Sebastian era il suo sostegno, il suo rifugio, la sua ancora di salvezza.
Era la ragione che gli permetteva di non compiere pazzie, di continuare a vivere perché grazie a lui esisteva ancora un motivo valido per essere in vita.
Lui, Nick, Jeff, Trent, Blaine. Erano diventate le persone più importanti della sua vita, gli amici che non aveva mai avuto, le persone di cui potersi fidare, con le quali aveva qualcosa in comune: un passato tormentato e un potere, un qualcosa che li legava indissolubilmente.
Con loro aveva conosciuto Kurt, un ragazzo sfortunato e buono come il pane, affrontato i demoni. Erano fuggiti con i Warblers, trentasei di loro; c’era stato l’episodio di Villa Montgomery, ma tutto era finito: ora erano tutti lì, senza una via d’uscita.  
Ripensando a tutto quello che aveva passato, una lacrima gli rigò la guancia. Una lacrima di dolore per la perdita dei suoi genitori, di infelicità per la sua sorte, di gioia per Sebastian, di affetto per i suoi amici, di terrore per il futuro.
Ma doveva farsi forza.
Gliel’aveva detto quella giovane infermiera quattro anni prima, gliel’avevano sempre detto i suoi genitori. Lo avrebbe voluto Sebastian, lo avrebbero voluto Nick, Jeff, Trent, Blaine, Kurt.
Non doveva mollare. Poteva farcela.
 
Sebastian non aveva dormito quella notte. Aveva studiato ogni genere di piano per uccidere quel Peter a mani nude. Aveva persino pensato di strangolarlo durante il sonno, ma era un mezzo demone e ogni tentativo sarebbe stato sicuramente inutile: era invincibile.
«Hey, Bas, dormito bene?», gli chiese Peter beffardo quando si svegliò.
Sebastian non gli degnò né di una risposta né di uno sguardo.
Peter rise, sprezzante. «Beh, io vado a farmi una doccia. Se vuoi seguirmi, prego».
Sebastian trattenne una smorfia. «Fai schifo», imprecò sottovoce, indignato.
«Giusto, dimenticavo che tu sei fedele soltanto al tuo Thaddino che forse avrai la fortuna di vedere soltanto ai piacevoli incontri con la July».
Sebastian trattenne l’istinto di sferrargli un pugno. Quando Peter entrò in bagno, il ragazzo si avvicinò alla porta della stanza, tentando invano di aprirla.
Chiusa a chiave.Non c’era niente da fare. Sebastian si lasciò andare, afflitto.
Ma doveva farsi forza.
Non doveva arrendersi, doveva farlo per Thad. Doveva farlo per Nick, per Jeff, per Trent, per Blaine, per Kurt. Per tutti.
Non doveva mollare. Poteva farcela.
 
Jeff riuscì a dormire quella notte a causa della stanchezza e della debolezza fisica.
Ryder era stato molto gentile con lui: gli aveva offerto dell’acqua e qualcosa da mangiare.
Quel pomeriggio gli aveva anche chiesto se voleva unirsi a lui per studiare, ma Jeff aveva rifiutato, dal momento che non poteva neanche uscire dalla stanza.
Jeff era solo quando si sentì stordito. Vide davanti a sé un ragazzo, ma non riuscì a distinguerne i tratti, e un libro tra le mani, poi il buio.
Jeff si lasciò andare sul letto, perplesso. Non aveva mai avuto una visione così frammentaria e confusa.
 
«Non si capisce niente da questo libro di fisica», si lamentò Brody quel pomeriggio in biblioteca: «Vado a vedere se c’è qualche libro dal quale posso capire qualcosa».
Brody si alzò dal suo posto, e ad Hunter sfuggì un sospiro di sollievo. Brody era piuttosto snervante.
Una strana sensazione colse improvvisamente Hunter. Una strana angoscia si impadronì di più.
La stessa angoscia che provò un attimo prima che morisse suo padre. La stessa angoscia provata un attimo prima che morisse sua nonna, sua zia e la sua amica.
Hunter sudò freddo. Si alzò immediatamente per mettersi alla ricerca di Brody che in meno di due secondi era già scomparso dalla sua vista.
«Brody!», lo chiamò.
Camminò tra gli scaffali, con l’ansia che gli divorava dentro, finché non lo vide vicino ad una libreria, con un libro tra le mani.
«Non aprirlo!», gli intimò Hunter.
Ma Brody sembrò non prestargli ascolto. I suoi occhi chiari si scurirono e fissavano prepotentemente la copertina del libro; Brody sembrava come fosse ipnotizzato e fuori di sé.
Appoggiò la mano sul libro, sfiorando la copertina.
«NO!», urlò Hunter, scagliandosi addosso a lui per impedirgli di aprire il libro.
Il libro cadde a terra con un tonfo. Gli occhi di Brody ritornarono chiari come prima e il ragazzo sembrò tornare alla realtà.
«Qualcosa che non va?», subito comparve la bibliotecaria ad assicurarsi che fosse tutto a posto.
«Sì, ci siamo scontrati», mentì Hunter, sperando di essere credibile.
La bibliotecaria squadrò Hunter da capo a piedi, poi scrollò le spalle e andò via.
«Mi dici cosa ti è saltato in mente?», bisbigliò Brody al ragazzo: «Stavo cercando un libro di fisica per studiare!».
Hunter lo guardò male. «Sì, un libro di fisica. Non toccare quel libro, intesi?», gli ordinò, duro.
Brody sembrava confuso, ma non disse niente.
Magia oscura, pensò Hunter, completamente smarrito.

 



Angolo Autrice


Buona serata a tutti! :D
LO SO, SONO UN DISASTRO, NON AGGIORNO QUESTA FANFICTION DA APRILE. D: So benissimo di essere una ritardataria cronica, mi dispiace tantissimo ma no, questa ff non è morta xD Ci penso sempre a questa ff perché ci tengo davvero tanto! <3
Okay, dopo le mie scuse xD parliamo del capitolo...
... mi sono soffermata molto sulla storia di Thad perché volevo parlarne, ma anche un po' per riassumere tutto quel che è successo. Mi è piaciuto descrivere il passato di Thad e sì, in questo capitolo mi sono soffermata molto sui Thadastian xD Mi manca scrivere qualcosa su di loro. <3
Abbiamo Jeff e le sue visioni, e abbiamo Hunter che riesce a salvare Brody! Un libro... che sarà mai?
Ringrazio il mio migliore amico per i preziosi consigli che mi ha dato e per i suoi suggerimenti ;) ♥
Ringrazio tutti coloro che leggono e Diana924, BrokenRoses e AngelAnderson15 che hanno recensito lo scorso capitolo! :)
Ah, quasi dimenticavo: tra qualche giorno partirò e mi sa che non sarò viva per l'intero mese D: Ma continuerò a scrivere, sperando di aver occasione per pubblicare i capitoli! :33
Alla prossima! :D

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Capitolo 6
*** Reg. 6 – È possibile rivolgersi agli psicologi dell’istituto in qualsiasi momento della giornata ***


Reg. 6 – È possibile rivolgersi agli psicologi dell’istituto in qualsiasi momento della giornata

«Sono sicuro che tu puoi aiutarmi!», Hunter spalancò la porta della sua camera, e con delusione non vi trovò Thad.
«Hunter, che cosa ti è preso?», fece Brody, perplesso, che lo aveva seguito fedelmente.
«Puoi smetterla di fare sempre tutte queste domande? Sei snervante», rispose il ragazzo duro, poi chiese: «Allora? Sai dov’è Thad?».
«Non posso saperlo, prima ero con te in biblioteca», rispose Brody con ovvietà.
«Maledizione», mugugnò Hunter, mentre ricordò la conversazione che lui e Brody avevano avuto con Thad quella mattina stessa.
E se hai un potere, un’abilità, una capacità innata, qualcosa che ti distingue e con cui convivi da sempre, beh… sei condannato a vita, semplice… proveranno a cambiarti, a portarti su quella che considerano la retta via, e non capiscono che è impossibile cambiare la vera natura di una persona…
Hunter pensò che Thad dovesse avere sicuramente un potere, e forse in quel momento era impegnato in qualche visita con gli psicologi.
Ricordò i suoi occhi rossi e le sue ferite e cicatrici, e un brivido percosse la sua schiena.
Non poteva fare nient’altro se non aspettare il suo arrivo per chiedergli di quel dannato libro.
 
Thad era in presidenza, in compagnia del professor Fulton e della psicoterapeuta July.
«Allora? Cosa cazzo state aspettando, eh?», chiese il ragazzo spazientito: «Sto qui da cinque minuti e mi sto scocciando».
«Tesoro, non preoccuparti, ancora un po’ e potrai finalmente elettrizzarti», Cassandra gli rispose con evidente sarcasmo.
La porta si aprì e comparvero Peter Kingson e la Crane che scortavano un ragazzo.
Sebastian.
Sebastian e Thad si guardarono per un attimo che parve interminabile. «Seb», mormorò, come se volesse accertarsi che fosse reale.
«Thad», rispose Sebastian con un sorriso impercettibile.
«Mi sto sciogliendo come un ghiacciolo. Che carini che siete!», la Crane li guardò con odio.
«Allora, come procediamo?», si intromise Peter.
«Non voglio subito usare quei macchinari che sembrano tanto divertire il signor Harwood. Vorrei prima fare una bella chiacchierata con questi due», rispose la July.
Il signor Fulton sembrò riflettere per un momento. «Ne è sicura? Parlare, ha detto?», chiese.
«Sì, parlare. Mica mordono!», fece Cassandra con un sorriso divertito.
«Sono irragionevoli, non cambieranno mai», si intromise la Crane, come se Sebastian e Thad non la potessero sentire.
La July la fulminò con lo sguardo. «Non mi contraddica. So quel che faccio», disse, gelida, poi si rivolse ai due ragazzi con finta dolcezza: «Seguitemi».
 
La July li portò in una delle sue stanze munite di macchinari, e chiuse la porta a chiave.
«Accomodatevi pure», fece con finta gentilezza, indicando delle sedie di fronte ad una scrivania bianca.
Thad ebbe quasi l’impressione che quelle sedie fossero qualcosa di infernale creato dalla July stessa, ma respirò quasi di sollievo quando si sedette e poté stabilire che erano semplici sedie come tante altre.
Sebastian era al suo fianco. Anche se la July era nella stessa stanza, fu un momento quasi intimo per i due ragazzi: non erano così vicini da un bel po’ di tempo.
Sebastian sorrise leggermente, cercando di dare forza al suo ragazzo. Thad si chiedeva come facesse Sebastian ad essere sempre così ottimista. Ricambiò con un piccolo cenno.
«Bene, ragazzi», asserì Cassandra, sedendosi dietro la scrivania: «Come vi sentite oggi?».
Sebastian inarcò un sopracciglio. «Come cazzo ci dobbiamo sentire, eh? Non ci prenda per il culo!», rispose Thad, furente da quelle domande così sciocche.
«Thad…», mormorò Sebastian. Il suo tono era pacato e tranquillo, con una leggera punta di rimprovero.
«Non riesco a trattenermi», Thad sembrò leggergli nella mente: «Queste domande mi fanno incazzare».
La July non commentò. «Sebastian, come ti senti oggi?», chiese.
«Uno schifo, no? Glielo chiede pure?», continuò l’ispanico.
La July respirò, lentamente. «Ragazzi, non è una terapia di coppia questa», si limitò a dire, impassibile: «Penso che il tuo amato Sebastian abbia la lingua per rispondere oltre che per fare altro, Thad».
Thad divenne rosso di rabbia. Sebastian lo trattenne gentilmente per un braccio, prevedendo l’ira che avrebbe potuto scatenare in lui quella frase.
«Signorina July, non so se è mai stata sottoposta ad una terapia elettroconvulsivante o se ha mai provato sulla pelle quegli strumenti che lei usa su di noi, ma non credo che questa sia una domanda opportuna da porgerci», rispose Sebastian, saccente.
La July quasi sorrise. «Hai ragione, Sebastian, ma io lo faccio soltanto per il vostro bene, e comunque riformulo meglio la mia domanda: come vi sentite oggi? Non vi sentite un pochino più leggeri, quasi senza pensieri, senza strane fantasie in testa?».
Thad capì dove la psicoterapeuta voleva arrivare. «No, mi dispiace per lei, signorina July, ma io parlo con i morti».
Sebastian imprecò mentalmente. Perché Thad non si tratteneva? Non poteva fingere? Quello volevano quegli idioti alla Dalton Academy, che i ragazzi fingessero fino ad autoconvincersi. Forse sarebbe significato rinnegare se stessi, ma anche salvare la pelle. E l’importante era che la verità la sapessero loro, non quelle teste di cazzo lì dentro.
«Thad, non vuoi proprio guarire, vero? Mi hanno raccontato del tuo allegro soggiorno qui, stai da parecchio tempo e non si vedono miglioramenti. Cosa dobbiamo fare con te?», gli chiese la July, con finta premura.
«Lasciarmi stare. Non ho voglia di sentire le vostre cazzate dalla mattina alla sera», rispose Thad, secco.
«Vorresti un po’ di libertà, eh?», chiese la July, e improvvisamente i suoi occhi si accesero di una luce folle: «Forse posso accontentarti».
Thad la guardò, interrogativo.
«Vi avverto: se provate a fuggire dalla finestra vi schiantate contro il suolo», la July si alzò dalla scrivania e aprì la porta. «Torno subito», fece, per poi richiuderla di nuovo a chiave.
Thad quasi non ci credeva: era solo con Sebastian nella stessa stanza dopo tutto quel tempo.
«Credo abbiamo soltanto pochi minuti», parlò Sebastian, guardandolo negli occhi. Per un momento credette di poter annegare in quelle due iridi color cioccolato, stranamente luminose solo per lui.
«Ti ascolto», rispose Thad, quasi dolcemente: «Dimmi tutto quello che hai bisogno di dirmi».
«Non so cosa abbia ora in mente la July, Thad, ma devi fingere. Lo so, lo so che è difficile e che ti dà rabbia il fatto che negano quella che è la pura verità, ma qui non è nemmeno questione di andare via. È questione di sopravvivere. So che significherebbe rinnegare te stesso, le tue convinzioni, la realtà, ma se ci tieni alla pelle, devi fingere. È esattamente quello che vogliono: che la gente finga e si autoconvinca. Ovviamente so che non ce convinceremo mai, ma è questo l’importante, ovvero che noi sappiamo, e loro no. Lasciali marcire nella loro convinzione».
Sebastian aveva ragione, e Thad era troppo caparbio per poter acconsentire. E, anche se non avesse voluto farlo per stesso, lo avrebbe voluto fare per lui e per gli altri.
«Okay», rispose Thad, poi disse: «È un incubo qui…».
Sebastian gli prese la mano, stringendola forte. «Abbiamo affrontato i demoni, Thad, e tu hai quasi rischiato di morire per mano mia, ricordi?».
«Per mano di Karofsky», lo corresse prontamente Thad.
«Ne abbiamo passate tante, ma puoi resistere, Thad. Sii forte come lo sei sempre stato».
Thad si gettò tra le sue braccia. Sebastian gli accarezzò la schiena. «Non so come andrà finire, non posso assicurarti niente. Ma qualsiasi cosa accada, devi avere soltanto fiducia in noi. E in te stesso», gli raccomandò il francese.
«Ti amo, cazzo», sussurrò Thad.
Sebastian gli sorrise, radioso, dimenticando per un momento tutti i dolori e le preoccupazioni. «Ti amo anch’io».
Fu proprio Thad ad abbandonare quell’abbraccio così sicuro e confortante. «Non sia mai ci vedano abbracciati», disse, con un leggero sorriso.
Sebastian rise leggermente. Improvvisamente i loro cuori erano più leggeri.
«Gli altri?», chiese improvvisamente Thad, pensieroso.
«Purtroppo non so niente», fece Sebastian.
Sentirono un rumore di chiavi, e improvvisamente le paure incominciarono ad attanagliare di nuovo le loro menti.
«Forza», sussurrò Sebastian a Thad.
La July entrò. «Bene, ragazzi», esclamò, sedendosi di nuovo dietro la scrivania: «Ne ho discusso con gli altri vostri docenti, abbiamo deciso di concedervi un po’ di “libertà”».
Sebastian sgranò gli occhi. Thad rimase impassibile.
«Il concetto di “libertà” è sempre relativo in quest’istituto», subito li precedette la donna: «ma sarà sempre meglio di essere rinchiusi in una cella o in una camera per poi essere sottoposti alle mie dolorose ma pur sempre efficaci terapie. Non dovrete essere più rinchiusi in camera, ma potete anche uscire dalle vostre stanze, sempre con un accompagnatore al vostro fianco. Potete anche incontrarvi e, se desiderate, imbattervi nei vostri vecchi amici che dopo avrò il piacere di visitare. Al posto delle terapie, vi ho prescritto delle medicine che il vostro tutore avrà l’incarico di farvi assumere. Ora potete andare».
I due ragazzi si alzarono, e Sebastian porse un cenno di saluto.
Troppo gentile, pensò Thad, irritato.
«Sono sconcertato», mormorò Sebastian impercettibilmente al ragazzo.
«Io non prenderò nessuna fottuta medicina», bisbigliò l’altro.
 

 



Angolo Autrice


Buon pomeriggio a tutti! :D
Okay, eccomi dopo un mese di ritardo e due giorni con il sesto capitolo XD Sto migliorando un pochino LOL XD Scusatemi per il ritardo :33
Finalmente abbiamo un po' di Thadastian che mancava da tanto tempo! *w* <3 Hanno potuto parlare un po', almeno questo :)
La July è sempre più misteriosa... e assurda. Cosa avrà in mente?
Hunter sembra deciso a voler approfondire la questione del libro, ma come?
Il prossimo capitolo inizierà con... Blaine! :) E forse avremo anche i Niff ;)
Ringrazio tutti coloro che leggono e Diana924 e BrokenRoses che hanno recensito lo scorso capitolo! :)
Alla prossima! :D

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