Diario di un'adolescente

di likebloodinmyveins
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** Just give me a reason ***
Capitolo 3: *** Tell me why ***
Capitolo 4: *** Stop standing there ***
Capitolo 5: *** Always ***
Capitolo 6: *** See you again ***
Capitolo 7: *** Never give up ***
Capitolo 8: *** Let me know ***
Capitolo 9: *** You ***
Capitolo 10: *** How does it feel ***
Capitolo 11: *** Shine ***
Capitolo 12: *** Innocence ***



Capitolo 1
*** Premessa ***


"La mia vita è come la notte: è bella da vedere dal di fuori, ma quando ci sei dentro brancoli nel buio cercando disperatamente una via di uscita."
 
Tratto dal diario di Margaret, una ragazza come tante altre.
 
Salve a tutti, mi chiamo Margaret e vengo da un pianeta in cui abito solo io.
Il mio mondo è gigantesco, peccato che vi abiti solo io.
Splende il sole 18 ore al giorno, la notte cala solo se lo voglio io. I fiumi non sono formati da acqua, ma da coca cola, aranciata, succo di frutta o thè.
La mia casa ovviamente è fatta di mattoni, altrimenti mi verrebbe voglia di mangiarla, ma se vado in giardino e vedo un bel fiore posso mangiarlo, perché tanto tutti i fiori sono fatti di biscotti colorati e durante la notte si formano di continuo. Nel mio mondo non c'è guerra, c'è solo la pace.
Questo è l'unico posto dove posso stare tranquilla e mi rifugio qui, nella mia casetta, quando tutto sembra andare male.
 
Adesso, così a primo impatto posso sembrarvi pazza, ma vi assicuro che non lo sono.
Lo so, lo so, non esiste un mondo come questo, ma immaginarselo non costa niente e non fa male, ogni tanto la fantasia è l'unica via di fuga.
 
In realtà abito in via dei Salici 51, una via come tante altre nel centro di Genova. Ho 15 anni e mi piace fantasticare, che c'è di male?
Questo è il mio diario, ma la mia costanza nello scrivere i diari è talmente poca che questa potrebbe essere l'unica pagina che abbia voglia di scrivere.
Preferisco immaginare, mi rende libera. Scrivere mi piace, ma devo organizzare le idee e a volte mi riesce difficile, però ora ho voglia di scrivere.
Vi voglio raccontare una storia.
La mia storia.

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Capitolo 2
*** Just give me a reason ***


La mia storia comincia così:
 
"E' patetica la vita quando l'apatia supera le emozioni" 
 
Tratto dal diario di Margaret, una ragazza come tante altre.
 
Un giorno capitavo per caso in centro durante il giorno di mercato. Giovedì pomeriggio, Genova era rischiarata dalla luce tenue del sole, una leggera brezza si alzava dal mare e mi sferzava il viso. Non avevo freddo, ma avevo voglia di qualcosa di caldo, ero da sola e sentivo un po' la mancanza di qualcuno con cui scambiare qualche parola. Passai davanti una boutique, dentro c'era un ragazzo affascinante, era vestito in modo elegante e teneva per mano una bambina piccola. Mi vide passare frettolosamente e mi lanciò un'occhiata, poi abbassò lo sguardo e prese la bambina in collo ed uscì per raggiungermi.
"Ehi tu!" urlò rivolto a me.
Mi sentii chiamare e mi voltai. Il ragazzo era a pochi centimetri da me, potevo sentire il suo odore, i suoi occhi verdi erano puntati su di me, forse cercavano di scrutarmi l'anima.
"Si?" La mia voce risuonò roca fuori dalla mia gola senza che me ne accorgessi.
"Mi stavi guardando prima!" mi accusò indebitamente.
-Sì, ovviamente-
-Sei un bel ragazzo-
-Che c'è, è vietato?- mi dissi tra me.
"Beh, non lo so, non credo" negai sfacciatamente.
"Mi stavi guardando, perché?" era insistente, ardeva di curiosità.
"Insolente! Ma come ti permetti?"
"Non offendere, sono solo curioso" disse piazzando il suo sguardo ipnotico su di me.
"Perché ti interessa tanto?" la mia domanda era più che lecita. Gli estranei si scambiano occhiate furtive in ogni occasione, si osservano e si criticano sottovoce, si maledicono o si difendono in silenzio, a seconda della necessità.
"Mi hai guardato in modo strano, ho visto una strana scintilla nei tuoi occhi" affermò con convinzione.
Quella frase mi spiazzò, lo squadrai torva, non sapevo nemmeno io in che modo l'avevo guardato, ma dentro di me sapevo perfettamente che aveva ragione.
"Non ci ho fatto caso" mi affrettai a rispondere imbarazzata. 
Lui mi sorrise e educatamente, con evidente voglia di lasciar cadere il discorso, disse:
"Piacere, io sono Tom" e mi tese una mano, io la strinsi non troppo sicura di quello che facevo, la sua stretta al contrario era salda.
"Margaret" sibilai in risposta, un senso di smarrimento mi assalì.
"E lei è Caterina, mia sorella" esordì indicando la bambina piccola, portava tra i capelli un fiocchetto bianco a pois gialli, una catenina le pendeva graziosamente dal collo, indossava un vestitino rosso e i suoi piedi entravano perfettamente in un paio di scarpette scarlatte. Nella sue semplicità era bellissima, ma io rimasi comunque impassibile, odiavo i bambini più di ogni altra cosa al mondo.
Non notando da parte mia alcuna reazione aggiunse sorridendo:
"Ti va qualcosa da bere? Offro io!"
Lo studiai sospettosa, un ragazzo che non conoscevo mi stava invitando a bere qualcosa, non mi era mai successo prima. Mi sentii elettrizzata per l'emozione, ma al tempo stesso preoccupata, non sapevo niente di lui, poteva essere anche un assassino per quel che ne sapevo. Ma per una volta decisi di seguire il mio istinto e non la mia ragione, anche perché al momento era offuscata dal pensiero di stare con quel ragazzo e assaggiare ogni singola cosa di lui.
Accettai euforicamente.
Tom annuì vittorioso, sparì dietro la vetrina della boutique dicendomi di aspettare un attimo e portando la bambina con sé, tornò subito dopo senza Caterina e ridendo mi guidò verso un bar molto carino, poco distante da lì.
Vetrate scure, arredamento in vecchio stile, barista e personale vestiti a tema, luce soft e un'immensa libreria che definiva il perimetro dell'intero locale. Un posto fantastico, sublime alla vista.
Ne ammirai avidamente la bellezza, riempiendomi i polmoni dell'odore di incenso, nel mio volto un'espressione di meraviglia e di incredulità, vivevo a Genova da 15 anni e non avevo mai visto quel bar, io che avevo girato più bar che piazze.
Gli sorrisi spontaneamente e mi misi a sedere accanto a lui, ignara di ciò che sarebbe capitato dopo poco.
 
Right from the start 
You were a thief 
You stole my heart 
And I your willing victim 
 
Just give me a reason 

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Capitolo 3
*** Tell me why ***


"Il mistero è così accattivante, basta una goccia di paura per renderlo insostenibile, ma un sorriso scaccia ogni preoccupazione"
 
Tratto dal diario di Margaret, una ragazza come tante altre.
 
Tom era un ragazzo dall'aria serena, aveva i capelli chiari e gli occhi verdi che irradiavano sicurezza.
Il suo italiano era privo di flessione dialettale, i suoi vestiti erano fin troppo eleganti e il suo comportamento troppo raffinato per un ragazzo, più lo guardavo e più mi catturava.
Era seduto al mio fianco e fissava un punto indefinito davanti a sé. Avrei pagato oro per sapere a cosa stesse pensando. Provai a immaginare i suoi pensieri, ma non lo conoscevo abbastanza bene, mi riusciva addirittura difficile capire il suo stato d'animo.
Il cameriere passò a prendere le ordinazioni dopo qualche minuto, Tom e lui si sorrisero affettuosamente, il ragazzo ordinò un thé caldo per me e una cioccolata calda per lui, si girò un attimo e puntò i suoi occhi dentro i miei, il marrone dei miei occhi galleggiò nel mare verde, mi sentii penetrare e la sensazione fu piacevole.
Quando distolse lo sguardo ordinò dei muffin al cioccolato e rise di gusto.
-Cosa c'è di divertente? Ehi aspetta, i muffin io li adoro, semplice coincidenza o mi ha letto nel pensiero?- mi chiesi sbalordita.
"Quindi, Margaret, tu abiti a Genova e io non ti ho mai vista?" la sua voce era così dolce, mi fece venire la pelle d'oca sentir pronunciare il mio nome da lui in quella maniera così soave.
"Ehm, no, pare proprio di no" Dissi con esitazione, Genova non è un paesino, gli abitanti si conoscono tra vicini di casa e di quartiere, difficile conoscere qualcuno di un altro quartiere se non per questioni di lavoro.
Annuì silenziosamente, poi mi prese la mano destra e la girò per potere esaminare il palmo.
"Hai delle mani perfette. La linea della vita è lunga e non è spezzata. La linea dell'amore è lunga, ma rotta in due punti. La linea della fortuna è decisamente lunga e ininterrotta. Non ho mai visto nessuno con delle linee tanto definite"
-Mi prende in giro? Cos'è uno scherzo? Mi sta leggendo la mano? Oddio, magari adesso vuole dei soldi- mi affiorarono alla mente queste frasi, e nel mio volto fu presto visibile un cipiglio preoccupato.
"Cosa significa tutto ciò?" Chiesi spaventata, quel ragazzo aveva un modo di fare strano, mi faceva quasi paura.
"Niente, stai tranquilla" Rispose facendomi l'occhiolino e io per qualche ragione mi calmai.
Il cameriere arrivò con le nostre ordinazioni e se ne andò senza perdersi in chiacchiere.
Guardai il piatto che aveva posato davanti a me, thè di ottima qualità , tre muffin, tre bustine di zucchero e un cucchiaino d'argento. 
-Bar di lusso, accidenti, gli costerà una fortuna- pensai tra me.
"Sì, lo so, è un bar di lusso, ma è il mio bar preferito e mi piace fare le cose in grande" Disse dopo aver visto la mia espressione divertita.
Scossi la testa, quel ragazzo doveva essere davvero ricco, e da una parte non mi dispiaceva.
"Capisco" Mi limitai a dire prima di bere il thè e tirare giù un muffin dopo l'altro, erano semplicemente deliziosi.
Dopo l'esagerata merenda lo ringraziai e feci per alzarmi.
"Dove vai?" Mi chiese bloccandomi un braccio e tirandomi a sé.
Quella presa fulminea e inaspettata mi fece perdere l'equilibrio e mi ritrovai a sedere sulle sue gambe senza accorgermene. 
Il suo braccio sinistro mi cingeva la vita e il braccio destro era teso verso il mio viso, mi girò la testa verso la sua parte, cosicché potesse guardarmi negli occhi.
Avvampai, decisamente imbarazzata e in un certo modo anche lusingata. La mia faccia prese fuoco, sentii il calore spargersi fin sulle orecchie e il cervello mi si annebbiò.
Nella mia mente ci fu un blackout totale, non un solo pensiero era capace di formularsi né una sola parola di uscire dalla mia bocca, cercai di resistere alla tentazione di perdermi nel suo sguardo, ma non avevo molte altre alternative, perciò abbandonai lentamente i miei sensi e annegai nei suoi occhi.
 
I don't feel the way that I've been 
Feeling before you came into my life 
And I knew that you could turn me on 
Everytime you came into my mind 
I'm trying to realize if i can be what you want 
And make your love just mine 
Don't play with me now 

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Capitolo 4
*** Stop standing there ***


"Guardati intorno in ogni momento di solitudine, troverai sempre qualcuno pronto a tenerti compagnia"
 
Tratto dal diario di Margaret, una ragazza come tante altre.
 
Passò qualche istante prima che riuscissi a riacquisire totalmente le mie facoltà di pensiero, mi riscossi e leggermente a disagio, per come stavano andando le cose, risposi:
"Volevo andare in bagno a lavarmi le mani" e con fare giocoso gli mostrai le mie mani sporche di cioccolato.
Scoppiò a ridere fragorosamente e i suoi occhi brillarono di felicità, lasciando trapelare un po' di dispiacere mi liberò dalla stretta, facendomi vacillare, non avevo più voglia di alzarmi, volevo stare a contatto con la sua pelle calda e col suo bel viso. Riluttante mi alzai e mi avviai verso il bagno, sentivo ancora il calore del suo respiro sul collo, lavandomi le mani pensai che una sensazione del genere non l'avevo mai provata in tutta la mia vita, mi guardai allo specchio e notai un sorrisino poco rassicurante, alzai le spalle in segno di non curanza e raggiunsi Tom. Lo guardai con l'aria soddisfatta di chi è riuscito in un'impresa ardua, lui si alzò e mi afferrò una mano, portandosela al petto, all'altezza del cuore, e con l'altra mi accarezzò il volto. Un'altra ondata di emozioni sconosciute mi assaltò e ebbi un tuffo al cuore, non riuscii a guardarlo in volto per paura della sua reazione, ma avrei voluto dirgli molte cose.
-Straniero, mi hai rubato il cuore, per caso? Ridammelo, è mio, tu non hai diritto a tenerlo-
-Non ti conosco che da due ore, e già mi fai questo effetto, cosa succederebbe se ti conoscessi da più tempo?-
-Non mi lasciare mai, tienimi stretta forte a te e baciami-
-Sì, baciami-
-Non mi fare soffrire-
Repressi l'istinto di parlare a vanvera e mi concentrai solo su quello che stavo provando.
"Mi piaci" Uscì dalla sua bocca. Una frase tanto semplice quanto pericolosa.
Chiusi gli occhi, mi domandai più volte se avevo sentito bene, nel frattempo il mondo attorno a me era svanito, nel mio sogno ad occhi aperti c'eravamo solo io e lui. Esatto, noi due e nient'altro.
Senza capacitarmi molto sorrisi, in un modo che solo adesso mi rendo conto che mi fece passare con tutta probabilità per una decerebrata, ma fu tutto quello che fui in grado di fare, purtroppo il mio cervello non era più collegato con la mia bocca, avevo ritrovato la capacità di pensare, ma avevo perso quella di parlare, e forse era un bene, dato che avrei detto solo cavolate.
Mi accarezzò una guancia e mi portò per mano fuori dal locale, mi lasciai guidare incantata, implorando in segreto che succedesse qualcosa, qualsiasi cosa. Lui mi condusse in una via secondaria del centro, in una zona in cui non avevo mai messo piede. Un viale alberato si estendeva per un paio di chilometri davanti a noi, a sinistra, qualche metro più sotto, oltre il muricciolo, si apriva immenso il mare e il porto, costellato di barche e di lampioni, appariva indifeso e isolato dal resto del mondo. Il panorama sembrava essere distante anni luce dal centro di Genova e era a dir poco uno spettacolo mozzafiato.
"Che cosa ti andrebbe di fare?" Mi chiese con innocenza, distrendomi dai miei pensieri.
Ci riflettei un attimo, avrei voluto fare tante cose con lui, ma decisi di dare la risposta più ovvia:"Una passeggiata, mi piace camminare" Ed era vero, camminare mi aiutava a schiarire le idee, ma quel pomeriggio volevo camminare con lui, non volevo pensare, volevo stare con lui un altro po' e basta.
"Va bene, signorina Margaret" 
-Mi ha chiamato signorina Margaret?- Mi chiesi lusingata, era la prima volta che qualcuno si rivolgeva a me in modo educato e cordiale, solitamente le persone mi si rivolgevano sgarbatamente e offendendomi, qualche volta, ma lui era diverso dagli altri, me lo sentivo nelle ossa.
Il mio cellulare cominciò proprio in quel momento a squillare, interrompendo quell'attimo di silenzio e rovinando l'atmosfera. Sul dispaly apparve il nome di mia sorella, la persona più improbabile mi stava chiamando. Risposi curiosa di sapere il perchè..
"Pronto?"
"Oh, Margaret, devi venire subito a casa" La sua voce era rotta dalle lacrime, mi balzò il cuore in gola.
-Oh cavolo, che è successo questa volta?- mi domandai allarmata.
Sentire la voce sconvolta di Barbara mi sconbussolò, attaccai frustata. Mi fermai di colpo e rimasi a fissare il vuoto per qualche secondo, Tom si girò e non mi vide al suo fianco, tornò indietro e mi si avvicinò preoccupato.
"Qualcosa non va?"
"Devo andare a casa" una nota di contrarietà fu appena udibile nel mio tono di voce, storsi il naso e pregando in cuor mio che mi chiedesse il numero di cellulare lo guardai e mi voltai, accennando ad andare a casa.
Sembrava dispiaciuto, mi si strinse il cuore, non volevo lasciarlo, ma non potevo rimanere lì, dovevo andare a casa e vedere cosa era successo.
"Posso accompagnarti?" Mi chiese speranzoso.
Scossi la testa, non volevo che fosse coinvolto nelle mie faccende, lo salutai in modo sbrigativo e mi portai sulla via principale e intrapresi la strada di casa.
-Come avrei potuto rivederlo?-
-Ci saremmo mai rivisti?-
Non sapendo dare delle risposte certe alle mie silenziose domande, camminai verso casa pensando all'avventura che avevo appena vissuto.
Non mi era mai capitato di incontrare un ragazzo così carino, non solo l'avevo incontrato, ma lui mi aveva pure invitato in un bar e aveva offerto lui, mi aveva detto che gli piacevo e mi aveva appena chiesto se poteva accompagnarmi a casa, di solito non suscitavo interesse nei ragazzi e un approccio del genere non l'avrei mai potuto immaginare. Mi portai le cuffiette dell'I-pod alle orecchie e canticchiando, con le mani in tasca, mi arresi al fatto che il momento di fleicità aveva già raggiunto l'apice e adesso cominciava ad affievolirsi, lasciando spazio all'amarezza e allo sconforto.
 
Don't waste another day
Don't waste another minute
I can't wait to see your face
So open up your heart
Help me understand
please tell me who you are
So i can show you who i am

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Capitolo 5
*** Always ***


"Ovunque guarderai un raggio di sole illuminerà il tuo cammino, anche nella notte più scura, bisogna solo avere il coraggio di vedere al di là delle tenebre"
 
Tratto dal diario di Margaret, una ragazza come tante altre.
 
Arrivai a casa senza fiato, feci tutto l'ultimo pezzo di corsa, non riuscivo più a reggere la tensione, volevo sapere cos'era successo immediatamente.
Suonai il campanello, mia sorella Barbara aprì quasi subito. Aveva i capelli arruffati e appiccicati dalle lacrime, gli occhi rossi e il trucco sbafato, non avevo mai avuto il piacere di vederla in una simile condizione prima di allora, trattenni a stento un sorriso e cercando di mantenere un certo contegno, le chiesi titubante:
"Che è successo?" 
Barbara provò un paio di volte a cominciare una frase, ma le morivano le parole in gola, si limitò a indicarmi di seguirla, a malincuore la seguii in salotto, da una parte avevo paura di ciò che sarebbe successo, dall'altra morivo di curiosità.
Si lasciò cadere pesantemente sul divano, mi guardò e delle lacrime scesero dai suoi occhi marroni, la televisione illuminava a tratti la stanza buia, conferendo alla situazione un certo che di inquietante, ispezionai la zona in cerca di una via di fuga o di una scusa per cambiare stanza, ma un colpo di tosse richiamò la mia attenzione. 
Mi concentrai su mia sorella, per quanto la odiassi con tutta me stessa non riuscivo a vederla soffrire, se soffriva lei soffrivo anche io di riflesso.
Feci un bel respiro e decisa a capire cosa fosse successo mi misi a sedere accanto a lei, l'abbracciai cercando di cavarle di bocca qualche parola, dopo un lungo pianto liberatorio mia sorella finalmente parlò:
"Riccardo mi ha lasciata!" Le lacrime si fermarono, scosse la testa e abbandonandosi poi a un altro gemito sibilò che Riccardo era la sua vita e adesso senza di lui non sapeva come fare.
-Ecco spiegato il motivo di tanta sofferenza-
Rimasi pietrificata, non conoscevo abbastanza bene questo tipo di cose non avendo avuto molta esperienza e l'argomento mi aveva sempre messo in crisi.
-Cosa potevo dirle?-
"Barbara, mi dispiace" Dovevo solo farle forza e darle il mio appoggio, d'altronde io non sono mai stata brava con certe cose, non sono ero mai stata lasciata, anche perché in realtà non avevo mai avuto un ragazzo.
"Margaret!!" Mi ero persa nella mia immaginazione, stavo fantasticando su me e Tom, se fossimo mai diventati una coppia, mia sorella mi strappò brutalmente ai miei pensieri e mi riportò alla realtà, sedute sul divano, io esasperata e lei in lacrime.
"Che c'è?" Mi girai a guardarla, i suoi occhi si smarrirono nei miei, mi imploravano di salvarla, di proteggerla, di fare qualcosa, qualsiasi cosa.
"Come faccio io? Lui era tutto per me!" Si soffiò il naso e si asciugò le lacrime.
Per me quello non era il momento migliore per discutere di rotture o cercare modi di riconquistare i ragazzi, io pensavo a Tom, volevo rivederlo e non sapevo come fare, non avevo il suo numero, non sapevo dove abitava o che posti frequentava, avevo bisogno della compagnia di quel ragazzo e con tutta probabilità non l'avrei più rivisto.
Mia sorella, però, in quel momento, voleva che l'aiutassi e la consolassi un po', per una volta nella mia vita era giunto il momento di preoccuparsi anche per lei e esserle accanto a dispetto di tutto l'odio.
"Stai tranquilla, vedrai che Riccardo si accorgerà dello sbaglio che ha fatto e tornerà da te strisciando" mi stupii di quello che avevo appena detto, se Riccardo l'aveva lasciata un motivo c'era e lui non era certo il tipo di ravvedersi una volta presa una scelta come quella. 
Inghiottii a vuoto, il pensiero di star infondendo speranza in mia sorella quanto alla possibilità di ritornare con Riccardo mi fece sbiancare, sapevo benissimo che lei ci avrebbe creduto e qualora ciò non fosse successo lei ci sarebbe rimasta male e avrebbe sofferto ancora di più per essere stata così stupida da crederci anche solo un momento.
Le poggiai una mano sulla spalla, lei mi abbracciò con una tale veemenza da lasciarmi senza fiato, ma fu stranamente piacevole, sorrisi mentre provai un'emozione che da tanto tempo non provavo più, lei aveva bisogno di me esattamente come io avevo bisogno di lei, nonostante volessi negarlo a me stessa e al mondo intero, la verità era quella.
Ricambiai l'abbraccio, il suo ringraziamento sincero mi scaldò il cuore e mi invogliò a fare davvero qualcosa per lei e per il suo dolore.
Mi alzai velocemente e afferrai la sua mano, costringendola ad alzarsi a sua volta e trascinandola verso il bagno, tirai fuori dalla tasca il mio cellulare, lo collegai alle casse dello stereo e cercai la canzone più stramba che avevo nella playlist, la trovai e la feci partire, la musica uscì assordante dalle casse, ribaltando l'atmosfera.
"Salve a tutti. Ehm, sono qui per spiegarvi perché noi ragazzi diventiamo truzzi. Io sono Susi, una ragazza truzza appunto, e son diventata truzza circa ieri, perché..perché beh intanto io ascolto musica 'tunz tunz tunz para para tunz tunz tunz' " Mia sorella non riuscì a trattenere una risata, io la seguii a ruota.
La guardai, era così bella quando sorrideva, pure col trucco sbafato e gli occhi rossi. 
Canticchiando la canzoncina struccai Barbara, parlando per farla distrarre dai suoi problemi e ballando in modo casuale e buffo. Dopo un lungo lavoro la ritruccai e la resi presentabile, avevo intenzione di portarla fuori a fare una passeggiata, aveva bisogno di lasciarsi quella brutta giornata alle spalle e di certo rimanendo in casa non avrebbe potuto farlo.
Barbara cominciava a divertirsi, dalle casse la musica house usciva riempiendo l'atmosfera di rumore e di allegria, cacciando lontano dalla memoria le lacrime.
Una volta truccata mia sorella andò in camera a cambiarsi i vestiti sgualciti, tornò con indosso un vestitino blu scollato abbinato a delle scarpe col tacco alto dello stesso colore, certamente io sparivo accanto a lei, ma a pensarci bene era difficile essere più invisibile di quanto già non fossi avendo sempre vissuto nella sua ombra. 
Alzando le spalle e scrollandomi di dosso quel brutto pensiero sorrisi, non era il momento di stare male per qualcosa. Mi controllai i capelli allo specchio e ringraziando il fatto che fossero più in ordine del solito e non avessi avuto bisogno di un ulteriore intervento oltre a quello di una frettolosa pettinata, presi le chiavi di casa e la borsa a tracolla, cinque minuti dopo eravamo in strada e chiacchieravamo tranquille, come non succedeva da tempo immemorabile.
Sembravamo due sorelle felici e unite, ma quello che si vede spesso non coincide con quello che è realmente.
 
And I'll miss your laugh your smile 
I'll admit I'm wrong if you'd tell me 
I'm so sick of fights I hate them 
Lets start this again for real 
 
So here I am I'm trying 
So here I am are you ready 
So here I am I'm trying 
So here I am are you ready 

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Capitolo 6
*** See you again ***


"La vita è solo un lungo e incessante attimo che a volte scorre in fretta e a volte non passa mai"
 
Tratto dal diario di Margaret, una ragazza come tante altre.
 
Io e mia sorella non siamo mai andate d'accordo, soprattutto da quando i nostri genitori si sono separati.
Questione di incompatibilità di carattere, mi sono sempre ripetuta, ma la verità è che nessuna delle due ha mai veramente provato a stare vicino all'altra nei momenti di difficoltà, siamo cresciute nel nostro piccolo guscio, adattandoci ai silenzi e agli sguardi torvi, alle imprecazioni e alle accuse. 
A volte mi capita di chiedermi se noi siamo veramente sorelle, la guardo e non riconosco nessuna delle emozioni che le vedo dipinte nel volto e mi rendo conto di non conoscerla affatto e soffro perché vorrei che fossimo unite, ma non lo siamo e forse non lo saremo mai.
Passeggiando con mia sorella quel pomeriggio scoprii che lei non era così male come ricordavo, nonostante fosse stata appena lasciata dal fidanzato storico sorrideva di cuore e non si lasciava prendere dallo sconforto, i suoi occhi brillavano di coraggio e il suo viso di tanto in tanto si contraeva in una smorfia di dolore, che immediatamente veniva mascherata con una risata, la ammiravo, non so se io avrei dimostrato tanta forza in un simile frangente. La osservavo sorpresa, non pensavo che mia sorella potesse veramente stare male per qualcosa, non l'avevo mai vista piangere, nemmeno quando i nostri genitori annunciarono la loro separazione, e più che altro ero convinta che se mia sorella soffriva aveva il bisogno continuo di lamentarsi e cercare consolazione e attenzione, ma solo in quel momento capii che mi sbagliavo. Cercai di pensare ad altro, mettendo da parte tutto l'astio che provavo le proposi di andare al mercato a vedere le vetrine dei negozi, ma in realtà speravo in cuor mio di poter rivedere Tom da qualche parte lì vicino. Pensando a lui un brivido di desiderio mi percorse il corpo e il mio cuore cominciò a battere all'impazzata quando mia sorella annuì. Camminando attraverso le vie intricate di Genova in poco tempo fummo in centro, file di negozi si stendevano a destra e a sinistra, avanzammo in silenzio per qualche minuto, poi mia sorella interruppe bruscamente la quiete:
"Tagliamo per di qua!" Disse indicandomi un giardinetto nascosto dagli alberi, in mezzo al giardino c'era un sentiero che portava sicuramente in una via parallela.
La seguii mentre un turbinio di pensieri mi invase la mente, quella via era la stessa dove Tom mi aveva portata qualche ora prima, l'avrei riconosciuta tra mille, il sole andava calando sul porto, illuminando il mare di una luce arancione e facendo sembrare il tutto ancora più bello.
Una figura in lontananza si confondeva con il paesaggio, socchiusi gli occhi per guardare meglio e notai che una persona era seduta sulla panchina che si affacciava sul porto illuminato, gli alberi facevano da cornice, sembrava fare parte di un quadro. Avvicinandomi vidi i suoi contorni farsi sempre più nitidi e prendere forma, davanti ai miei occhi si materializzò l'immagine di un ragazzo, guardava fisso davanti a sé, gli occhi sbarrati e un'espressione impassibile, il cuore mi balzò in gola appena riconobbi in lui Tom.
Istintivamente il mio cervello comandò alle mie gambe di fermarsi, facendo voltare incuriosita mia sorella.
"Ehi, Margaret, tutto bene?" Mi chiese dopo qualche istante non capendo il motivo di tale reazione.
"Si" Mi affrettai a rispondere, arrossendo violentemente quando lei si girò verso il punto in cui stavo guardando.
"Chi è?" Domandò lei, intuendo qualcosa.
Non risposi, non sapevo nemmeno io chi era quel ragazzo misterioso.
-Un ragazzo presuntuoso e molto ricco-
-Un ragazzo che mi ha catturato con un solo sguardo-
-Tom!-
"L'ho incontrato stamattina" Dissi stringendomi nelle spalle "Mi ha colpito il suo modo di fare" Aggiunsi sperando che la mia risposta fosse abbastanza esauriente.
Barbara mi lanciò un'occhiata di disapprovazione.
"Vai a parlarci" Sospirò.
Scossi energicamente la testa, avevo paura di quello che sarebbe potuto succedere.
Mi guardò perplessa, lei non era un tipo timido, le piacevano le attenzioni e non riusciva a comprendere la mia voglia di sparire ogni volta che mi ritrovavo al centro dell'attenzione o la mia mancanza di iniziativa. Si portò una mano alla fronte esasperata, mi prese un braccio e mi trascinò in prossimità della panchina. Fu solo in quel momento che notai che Tom aveva le cuffie e un suono metallico di batteria usciva seguendo un ritmo ben preciso dagli auricolari. Sorrisi vedendo la sua concentrazione nel seguire le parole e il suono degli strumenti, mi fece tenerezza e mi venne voglia di accarezzarlo. Mia sorella mi strattonò violentemente facendomi evadere dalla fantasia e riportandomi alla realtà ancora una volta, lui era a pochi passi da me e la sua mente era chissà dove, scrutando l'ambiente intorno a me mi accorsi amaramente che eravamo nel punto esatto in cui ci eravamo svogliatamente separati. 
Tom si girò di scatto, gli occhi pieni di speranza e tristezza. Rimase a bocca aperta quando mi vide in piedi di fronte a lui, piacevolmente sorpreso, si ricompose alla svelta e mi offrì il più dolce dei sorrisi che avessi mai visto.
Mille fuochi d'artificio si accesero contemporaneamente nel mio petto, ricambiai il sorriso intontita dalle emozioni che stavo provando.
"Ciao" Disse dolcemente.
Sibilai in risposta un debole ciao, mia sorella cogliendo l'atmosfera finse di ricevere una chiamata e si allontanò, sparendo oltre gli alberi e lasciandoci da soli in balia di noi stessi e delle nostre sensazioni con i lampioni del porto che illuminavano dal basso quel piacevole pomeriggio e il sole che lentamente sprofondava nell'acqua cristallina.
 
I've got a way of knowing when something is right 
I feel like I must have known you in another life 
Cause I felt this deep connection when you looked in my eyes 
Now I can't wait to see you again 

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Capitolo 7
*** Never give up ***


"Non importa se a volte i sogni sembrano irrealizzabili, perché proprio quando tutto sembra andare male una mano ti verrà tesa per portarti in salvo"
 
Tratto dal diario di Margaret, una ragazza come tante altre.
 
 
Sarei voluta sparire, non sapevo né cosa dire né cosa fare.
"Ti stavo aspettando" esordì il ragazzo, lo guardai con espressione interrogativa, imbarazzato Tom si affrettò a continuare la frase: "Sapevo che saresti tornata".
Ci guardammo per qualche istante, nel suo volto aleggiava un dolce sorriso, nel mio probabilmente era possibile notare un'aria di incredulità, scoppiai a ridere, l'ansia mi stava divorando lentamente, però era impossibile rimanere seri in una situazione del genere. Lui si lasciò coinvolgere facilmente dalla mia risata, vederlo ridere mi dava un senso di pace interiore, niente al mondo mi avrebbe fatto più piacere che essere con lui.
"Due volte in un giorno, un sogno che si avvera"
Rimasi sconcertata da una simile affermazione, non mi era mai capitato che qualcuno dicesse questo di me, sperai per qualche strano motivo che scherzasse, anche se dentro di me mi augurai che fosse stato sincero.
"Eh si, che fortuna" lo punzecchiai.
"Puoi ben dirlo!" mi porse una mano e io la presi sprizzando gioia da tutti i pori, ma senza lasciarglielo vedere.
"Dove eravamo rimasti?" la domanda mi spiazzò, ma riprendendo il controllo del mio corpo e del mio cervello gli ricordai che mia sorella si era allontanata per la telefonata e che non potevo stare con lui molto altro tempo ancora.
"Peccato!" si girò verso di me e mi mise il broncio. Facendogli la linguaccia gli toccai la punta del naso e, prendendolo in giro, ribadii: "Magari ci incontriamo domani alla banca!"
"Dolcezza, non mi dare appuntamenti per scherzo, che poi io ci vengo"
La saliva mi andò di traverso, il mio cuore cominciò a schizzarmi in petto, non ero pronta a sentirmi dire una cosa del genere, mi arrestai sul posto e lo guardai con espressione basita.
"Scherzi, vero?"
"Certo che no, perché dovrei?"
"Perché non dovresti?"
"Perché mi piaci sul serio. Sono rimasto qui a fissare il mare e il porto per più di due ore, avevo come il presentimento che tu saresti ritornata e non mi ero sbagliato"
Un'ondata di calore mi investì, solo in quel momento mi resi conto che anche io ero tornata in quella zona perché speravo di rivederlo e avevo avuto l'intuizione che lui era ancora dove l'avevo lasciato.
"Per me è stato lo stesso, sono tornata perché speravo di rivederti" mi strinsi nella spalle, non sapevo se era un bene confessarlo, però lui era stato sincero con me.
Nel suo sguardo balenò una luce di ottimismo che mi rincuorò.
Una voce alle nostre spalle ci fece sobbalzare, mia sorella aveva deciso di tornare indietro a vedere come procedeva la situazione, ma molto più probabilmente si era stufata di girare da sola. Mi ricordai che l'avevo portata fuori per farla distrarre, non per lasciarla da sola, la guardai con rammarico, Tom mi aveva completamente fatto dimenticare di lei e di tutto il resto.
"Tom, noi dobbiamo andare!"
"Va bene, Margaret" mi sorrise calorosamente.
Feci per allontanarmi, ma lui mi bloccò il braccio e con una penna scrisse dei numeri sul palmo della mano, lo guardai senza capire, lui si portò il pollice e il mignolo all'orecchio e sussurrò: 
"Chiamami quando hai voglia" si voltò e mettendosi le cuffie alle orecchie si allontanò con fare deciso.
Io e mia sorella ci scambiammo uno sguardo di intesa, presi il cellulare dalla tasca destra dei miei jeans scoloriti e composi quel numero, lo salvai in rubrica e, tirando un sospiro di sollievo, presi mia sorella a braccetto e chiacchierando ci avviammo verso le vetrine del centro.
 
Keep the dream alive don't let it die 
If something deep inside keeps inspiring you to try, don't stop 
And never give up, don't ever give up on you 
Don't give up 
 
Every victory comes in time, work today to change tomorrow 
It gets easier, who's to say that you can't fly 
Every step you take you get, closer to your destination 
You can feel it now, don't you know you're almost there? 

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Capitolo 8
*** Let me know ***


"Anche se combatti con tutte le forze c'è qualcosa che è infinitamente più grande di te"
 
Tratto dal diario di Margaret, una ragazza come tante altre.
 
Tornammo a casa poco prima dell'ora di cena, il sole era già scomparso all'orizzonte, lasciando nell'aria fresca una striscia rosea come segno del suo passaggio. Nostra madre era indaffarata, come al solito, ai fornelli; Appena entrate l'odore di uova affrittellate ci pervase deliziosamente e il brontolio dello stomaco ci ricordò che eravamo digiune da pranzo. La tavola era già apparecchiata, notai con un certo disturbo che era stato aggiunto un posto oltre ai nostri tre di sempre.
"Chi è a cena con noi, stasera?" chiesi rivolta a mia madre, lei si girò e, senza scomporsi, mi rispose:
"Vostro padre"
La notizia ci prese in contropiede, io e mia sorella ci guardammo sconvolte. Mio padre non si faceva vivo da più di due anni. Da quando i miei genitori si erano divorziati la sua era stata una figura pressoché assente e, a dire il vero, non mi dispiaceva, perché lui non si era mai comportato bene con noi. Tutte le sere usciva di nascosto e andava con i suoi amici a ubriacarsi, ogni volta in un locale diverso, la mattina ci svegliavamo e lo trovavamo seduto sulla poltrona con un bicchiere di vino in mano e una bottiglia di vetro vuota in terra. Era sempre trasandato e per qualsiasi cosa non era possibile rivolgersi a lui, mia madre gli era stata accanto perché l'amava davvero, un amore che non finisce da un giorno all'altro, ma che cresce invece di spegnersi. Decise di separarsi da lui per tutelare principalmente noi e poi, ovviamente, se stessa. 
"Perché viene a cena?" domandai piena di rabbia. Mia madre mi lanciò un'occhiata di rimprovero e non rispose.
Con la scusa di dover portare i vestiti appena comprati in camera mi dileguai, trascinando mia sorella in camera mia.
"Secondo te perché viene?"
"Forse vuole solo vederci, è tanto tempo che non lo vediamo" asserì tranquilla Barbara mentre tirava fuori dalla busta rosa una gonna a scacchi.
-Deve essere per forza così, non c'è altro motivo- pensai a bassa voce.
Il campanello suonò e ci avvisò che l'ospite inatteso era arrivato, presi un bel respiro e scesi le scale lentamente.
Quindici gradini, non potevo più nascondermi, mio padre era nella stanza adiacente, aprii la porta e senza mezzi termini gli comunicai quanto averlo a cena mi recasse fastidio. Lui non se ne curò e mi abbracciò forte e mi baciò una guancia, al contrario di quanto mi aspettassi non emanava odore di alcool e nemmeno di fumo, ne fui colpita.
In silenzio andai a sedermi a tavola, mia sorella Barbara arrivò e con aria spumeggiante lo salutò e lo abbracciò.
Mia madre non si pronunciò più di tanto, gli sorrise e gli disse con dolcezza di mettersi a tavola, lui portandosi una mano a taglio alla fronte e levandola in alto ubbidì.
"Allora, che combinate di bello?" chiese di punto in bianco nostro padre.
"Scuola, amici, ragazzi, solita vita" fu la risposta di Barbara, mio padre rise di gusto e poi spostò l'attenzione su di me, io, intenta a masticare una forchettata di tagliatelle, indicai mia sorella e gli feci capire che per me valeva lo stesso, lui mi scrutò e poi notando dei numeri scritti sul palmo della mia mano sinistra mi chiese che cosa significassero.
-Accidenti, Tom! Mio padre mi ha fatto scordare di lui, devo chiamarlo!- 
"Un numero di cellulare" dissi poco convinta, ma a lui quella risposta sembrò bastare.
Tra un discorso e l'altro la serata sembrò passare tranquillamente, mio padre era più gradevole dall'ultima volta che l'avevo visto, o almeno da come me lo ricordavo io, mia sorella sembrò divertirsi molto e mia madre era assorta nei suoi pensieri, comprensibile: amava ancora quell'uomo, le si leggeva negli occhi.
Dopo cena mi alzai e mi rintanai in camera, dicendo che dovevo finire dei compiti.
La mia stanza era piuttosto grande, un letto matrimoniale era posto accanto la finestra e un armadio imponente lo sovrastava. Vicino la porta una scrivania di legno bianco, di fronte una libreria enorme e in terra un tappeto rosso. Alle pareti erano appesi dei quadri e attaccati dei poster, in alcuni punti dei fogli scritti a mano, in un angolo era stata messa una televisione che usavo pochissimo. Era una stanza piuttosto spoglia, ma era la stanza dove spendevo la maggior parte del tempo. 
Mi misi a sedere sul letto, presi il mio cellulare e composi il numero di Tom, volevo dirgli che il nostro incontro era stato proprio una bella casualità.
Squillò a vuoto per qualche istante, poi di colpo smise e la segreteria annunciò che l'utente non era raggiungibile.
Mi sentii stupida e infinitamente piccola, l'universo mi fronteggiava e io non sapevo come combattere.
Tom non aveva risposto di proposito, fu l'unica cosa che mi venne in mente. D'un tratto una stanchezza mai provata prima mi assalì, tolsi le scarpe e mi infilai il pigiama, mi misi sotto le coperte e pensando agli occhi verdi di Tom mi addormentai. 
 
Stop and listen 
It's my thoughts calling your name 
Screaming out the way I feel 
I wish you would do the same 
I think you might be on the same border 
Same line same page 
I'm tired 
Listening to your silence brings the water to my eyes 

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Capitolo 9
*** You ***


"Non sempre ciò che immaginiamo corrisponde alla realtà, ma di tanto in tanto sarebbe più bello se le nostre aspettative si realizzassero"
 
Tratto dal diario di Margaret, una ragazza come tante altre.
 
Una volta a scuola, seduta al mio solito banco, fu impossibile concentrarsi sulla lezione. La professoressa d'italiano mi richiamò un paio di volte, dicendomi che la mia espressione distratta e la mia scarsa capacità di prestare attenzione la rendevano alquanto inquieta e sospettosa, la fissai alzando un sopracciglio giusto il poco necessario per farle capire che il suo era fiato sprecato e le sue parole erano come in balia del vento.
Annuendo con un piccolo cenno del capo lasciò cadere il discorso e riprese a spiegare qualunque cosa stesse spiegando fino a poco prima, il resto dell'ora trascorse tranquillo e indisturbato. Pensavo a Tom, al messaggio, a mia madre e a tutto quello che era successo, la mia testa era affollata di scritte e di immagini, non c'era spazio per dialoghi con professori o nozioni di italiano, non in quel momento, non quel giorno.
Nella mia mente prendevano forma molte idee, forse troppe. Avrei voluto richiamare Tom e sentire la sua voce, volevo dirgli quanto ardentemente desiderassi rincontrarlo, ma non potevo farlo, non sarebbe stato bello e forse 
l'avrei anche spaventato. Il messaggio con una promessa di invito mi aveva lasciato sperare inutilmente che ci sarebbe davvero stato e il fatto che ancora non fosse successo mi faceva capire quanto non aspettarsi niente dagli altri sia meglio e molto meno deludente. 
Immergendomi in un pensiero molto profondo la lezione di geografia iniziò, io ascoltavo distrattamente e nel frattempo scarabocchiavo sul quaderno.
Una figura mi raggiunse senza che me ne accorgessi, mi appoggiò una mano sulla spalla, facendomi sobbalzare.
"Ehi, Margaret" mi salutò Joshua, il mio migliore amico, dietro di lui arrivarono a passo felpato anche i fratelli Korhkoff: Jeremy e Alicia, gli altri miei due migliori amici, alti come pali della luce, esili come bastoncini, denti bianchissimi e pelle pallida, simpatici e soprattutto Russi.
Appena fu passato il piccolo attacco di cuore e fui in grado di rispondere, ricambiai il saluto e diedi il cinque a tutti e tre.
"Oggi pomeriggio che facciamo?" mi chiese di punto in bianco Jeremy, fissando i suoi occhi chiari su di me.
"Il solito. Ho visto che hanno riaperto il supermercato in via Trieste, oggi c'è l'inaugurazione" rispose con tono pacato Joshua, precedendomi.
"Ma perché non andare dai Keller e fargliela pagare per ieri?" propose con tono bellicoso Alicia, la ragazza dai lunghi capelli biondi e dagli occhi di un celeste così chiaro che sembravano trasparenti. Appariva indifesa e mite, ma le apparenze a volte ingannano davvero: nascondeva un animo battagliero e vendicatore.
I cugini Keller il giorno prima avevano osato infamare il nome dei Korhkoff definendoli degli assassini spietati assetati di sangue. 
Jeremy e Alicia si scambiarono un'occhiata d'intesa.
"Bell'idea, sorella" e le strizzò l'occhio. La ragazza con un'aria soddisfatta tirò fuori dalla tasca un coltellino svizzero e aprì il lato del coltello, lo portò a qualche centimetro dalla gola e simulò di recidersela, però facendo intendere che non avrebbe voluto sgozzare se stessa, ma i cugini Keller.
Joshua e l'altro ragazzo proruppero in una sonora risata e nel corridoio rimbombò la campanella della fine della ricreazione, ci separammo a malincuore, dandoci appuntamento al solito posto alla stessa ora.
Ritornai svogliatamente al mio banco e Valentina, la mia compagna di banco, mi chiese con quel suo tono gentile e stridulo, che a me dava molto fastidio, come mai fossi così taciturna quel giorno, la liquidai alla svelta dicendole che ero solo un po' stanca e ritornai a concentrarmi sui ghirigori disegnati sul mio quaderno.
Alle tredici e trenta la campanella annunciò la fine delle lezioni, presi in fretta e furia la mia roba e mi lanciai verso l'uscita. Una volta fuori respirai l'aria di libertà e mi incamminai verso casa. A casa mia madre ostentava un certo grado di indifferenza verso la sua salute, le occhiaie erano più marcate e il viso era più stravolto, ma lei resisteva e cucinava. 
Appena mi vide mi salutò con un sorriso a trentadue denti e mi fece accomodare al tavolo in legno, porgendomi un piatto di spaghetti al ragù e una coca cola, rendendomi la persona più felice sulla Terra.
Finii di pranzare e andai a prepararmi, il ritrovo era alle quindici davanti il bar "Due di picche", avevo solo un'ora per prepararmi e essere lì, da casa mia era distante venticinque minuti a piedi. Accesi lo stereo a tutto volume e feci uscire dalle casse 'What's my age again' dei mitici Blink-182, cantando ovviamente a squarciagola mentre mi truccavo. 
Scelsi cosa mettermi sulle note di 'Decoy' dei Paramore e la felicità iniziò a scorrermi febbricitante lungo tutto il corpo donandomi delle piacevoli scariche di adrenalina mentre saltavo e cantavo.
Il mio cellulare squillò distraendomi, controllai di chi fosse il messaggio, ma il mittente era sconosciuto.
"At three o'clock at 'Due di picche' " era tutto ciò che c'era scritto. Subito la mia mente volò alla mia compagnia di amici, però non aveva senso, già ci eravamo dati appuntamento lì e soprattutto non aveva senso che fosse scritto in inglese e il pensiero corse a Tom. 
Il cuore mi schizzò in petto e non riuscendo più a controllare i miei pensieri scappai fuori casa e mi precipitai verso il punto di ritrovo, con la piena consapevolezza che Tom mi stesse aspettando.
 
It's not a spark that gives me light 
It's not the days I'm up all night 
It's not a story I have read 
Or a picture in my head 
It's not the world that pulls me through 
It wasn't a question before I knew 
It's just an answer here by my side 
I found it out just in time 
It's you.

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Capitolo 10
*** How does it feel ***


"Non esiste distinzione tra giusto e sbagliato, esiste soltanto una forma di coscienza propria di ogni individuo, secondo la quale si compie un'azione che riteniamo più giusta invece di un'altra che crediamo sbagliata"
 
Tratto dal diario di Margaret, una ragazza come tante altre.
 
Sette meno cinque. La sveglia posata sul comodino cominciò a suonare e mi svegliò, con mio enorme dispiacere.
Un'altra giornata si stava presentando alle porte e la mia voglia di affrontarla era sotto zero. 
Mi alzai e imprecando raggiunsi la cucina. Mia madre era seduta e guardava la sua tazza di caffè fumante con aria di chi ha passato la notte in bianco, le diedi il buongiorno e tirai fuori dal frigo uno yogurt, presi dalla credenza la biscottiera e feci colazione. Guardando mia madre provai un moto di compassione, sicuramente era stata in piedi tutta la notte pensando a mio padre, ma non potevo toccare l'argomento o rischiavo di farla stare peggio, dentro di me sapevo che stava combattendo con tutte le sue forze e ricordarle della sera precedente non avrebbe migliorato la situazione, avrebbe soltanto reso più nitido il ricordo.
"A che ora ti devo portare a scuola?" mi chiese improvvisamente mia madre, la studiai in volto, le occhiaie erano ben visibili sulla sua carnagione chiara e il lucido dei suoi occhi lasciava presagire le lacrime, i capelli spettinati incorniciavano un viso stremato.
"Prendo l'autobus stamani" dissi con un sorriso e senza spiegarle il motivo o lasciare che lei me lo chiedesse andai in camera.
Presi dall'armadio una canottiera bianca e una felpa blu, buttai un'occhio in cerca di un paio di jeans e pensai che quelli neri sarebbero andati bene, in bagno mi misi un leggero tratto di matita e un filo di mascara, il tutto con un punto di fondotinta, mi pettinai con cura e mi spruzzai un po' di profumo. 
Sette e un quarto, era ancora troppo presto per avviarsi verso la scuola. Svuotai lo zaino e lo ripulii, cercai i libri di scuola e li misi dentro, trovai dei fogli di carta in un cassetto e ne infilai un paio per sicurezza.
La mia stanza era abbastanza in disordine, e avendo ancora molto tempo a disposizione decisi di sistemarla, rifeci accuratamente il letto, raccolsi da terra i fogli accartocciati e li buttai nel cestino della spazzatura, levai dall'angolo vicino la porta i vestiti sporchi e li misi in lavatrice, raddrizzai lo specchio, chiusi gli sportelli dell'armadio, presi dalla libreria i libri usati durante la settimana e li riposi nella libreria. 
Guardai soddisfatta il mio lavoro, la mia stanza era di nuovo presentabile, mancavano soltanto i jeans sulla sedia da mettere a lavare e camera mia sarebbe stata perfetta.
Afferrai i jeans che avevo indossato il giorno prima e svuotai le tasche, trovai un foglietto piegato a metà e un braccialetto.
Aprii il foglietto, non ricordavo di averlo messo in tasca.
"Let me invite you" era tutto quello che riportava scritto, lo girai, non riuscivo a riconoscere la calligrafia, sul retro era firmato Tom. Mi balzò il cuore in gola, il pavimento sotto i miei piedi sembrava essere diventato improvvisamente di pasta frolla, un rumore lontano da me mi distrasse, il mio cellulare si era illuminato, mi affrettai a controllare. Un messaggio non letto configurava sul display, lo aprii con felicità, anche se non sapevo di chi fosse il numero di cellulare potevo immaginare chi fosse il mittente.
"First rule: never wait for something. Second rule: smile in spite of the world. Third rule: be yourself just because you're worth, nobody else is." Non capii il significato del messaggio e nemmeno perché fosse in inglese, ma leggendo pensai che tutto ciò fosse dannatamente vero. Mai aspettare qualcosa perché le aspettative implicano delle possibili delusioni e rimanere delusi di qualcosa fa male. Sorridere a dispetto del mondo è più che giusto, non ha senso autocommiserarsi, ha senso affrontare e lottare per il proprio bene e la propria felicità. Sii te stesso perché solo tu vali e nessun'altro: un po' da egocentrici, ma ugualmente giusto, devi essere il primo a credere in te stesso. Il messaggio mi ricordò ciò che era successo la sera precedente: ero andata a dormire sentendomi infinitamente piccola nella totalità del mondo perché Tom non aveva risposto alla mia telefonata, solo in quel momento mi resi conto di quanto fossi stata stupida a comporre il numero e a sperare che rispondesse, ma se avesse risposto cosa avrei potuto dirgli?
Sorrisi amaramente, quella era una cruda verità, ero rimasta delusa e per non doverlo ammettere a me stessa mi ero infilata sotto le coperte ed ero cascata in un sonno profondo, pensando che l'indomani sarebbe stato tutto acqua passata e in parte era così.
Facendo accurate riflessioni sulla sera prima, su Tom e sul messaggio l'ora di prendere l'autobus arrivò e mi costrinse a uscire di casa e a raggiungere la scuola.
 
Suddendly I'm small and the world is big
all around me is a fast moving
sourranded by so many things
suddendly, suddendly how does it feel
to be different from me?
are we the same?
 
I'm young and I'm free
but I get tired and I get weak
I get lost and I can't sleep
but suddendly, suddendly how does it feel
to be differente from me?

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Capitolo 11
*** Shine ***


"L'unica necessità che al momento l'umanità dovrebbe soddisfare è quella di trovare qualcuno che ti faccia battere fortissimo il cuore ogni volta come se fosse la prima e mancare il respiro come se l'aria fosse meno importante della sua presenza"
 
Tratto dal diario di Margaret, una ragazza come tante altre.
 
Camminavo frettolosamente, ma ero attenta alle strade che imboccavo, Genova è una città grandissima e orientarsi in quelle vie non era affatto semplice, c'era sempre il rischio di perdersi. Cercai con lo sguardo il semaforo che era posto all'incrocio di via Roma e via dei Faggi, lo trovai dopo un paio di minuti, mi immisi sulla via secondaria che costeggiava il parco centrale e continuai fino in fondo, svoltai l'angolo e mi ritrovai in via dei Martiri, il bar era poco distante da lì ed ero decisamente in orario. Mi fermai un attimo e controllai il respiro, in quel momento il mio cellulare squillò insistente, qualcuno mi stava cercando.
"Non così di fretta, Margaret" disse sommessa una voce metallica maschile al mio orecchio, mi voltai impaurita.
Alle mie spalle c'era Joshua che sghignazzava e, simulando la stessa voce che era uscita dal cellulare portandosi una mano alla bocca, mi disse:
"Come mai già qui? Di solito arrivi dopo ore!" e ricominciò a ridere.
"Ero già pronta e non sapevo che fare a casa" risposi con convinzione e gli tirai una leggera gomitata su un fianco, lui mi abbracciò e mi strinse forte a sé.
"Però ti sei truccata!" notò con stupore quel magnifico ragazzo moro dal fisico perfetto e gli occhi scuri come cioccolatini.
"Già, per cambiare un po'" balbettai volgendo lo sguardo ovunque tranne che sul suo viso.
"Perché eviti di guardarmi?"
Quella domanda mi turbò, non sapevo come ribattere, Joshua era stato la mia prima cotta, ma non ero mai stata corrisposta da lui o almeno era ciò che pensavo, sapevo che mi voleva bene, ma che mi vedeva come una sorella. Non riuscivo a guardarlo negli occhi, in cuor mio avevo come la sensazione di starlo tradendo pensando sempre a Tom dal primo momento che l'avevo visto.
"E' una tua impressione" sentenziai.
Lui mi prese una mano e la portò alla bocca, la baciò e ridacchiò.
"Può darsi, Margaret" mi cinse le spalle con un suo possente braccio e mi accompagnò al punto di ritrovo.
In preda ad una confusione sconcertante guardai l'ora, erano già le tre di pomeriggio e Tom poteva essere sicuramente lì ad aspettarmi.
"Hai ricevuto il mio messaggio e anche te non vedevi l'ora di rivedermi?" mi chiese di punto in bianco il ragazzo al mio fianco.
"Quale messaggio, scusa?" 
"Quello che ti ho mandato prima, che era scritto in inglese"
Una rivelazione inaspettata. Chiusi gli occhi e sentii il terreno svanire da sotto i miei piedi, mi mancava l'aria e il mondo era diventato fin troppo grande e irreale. 
"Stai bene?" nel suo tono di voce era palese la preoccupazione, cercai di rilassarmi un attimo e svuotare la mente, mi appoggiai alla sua spalla e risposi di sì. Stavo bene.
-no, non sto bene, per nulla!!-
-doveva essere il messaggio di Tom!
-come è potuto succedere?- il mio cervello stava elaborando troppi pensieri tutti insieme e il mio cuore aveva perso troppi battiti e ora batteva più forte che mai.
"L'ho ricevuto, ma non pensavo che fossi tu il mittente, era sconosciuto"
"Volevo vedere se saresti arrivata comunque e avessi capito chi fosse stato a inviartelo, e ora sei qui" 
"Pensavo fosse stata un'altra persona"
"Tom?" mi domandò con aria innocente.
Mollai la presa dalla sua spalla e lo guardai allibita, mi chiesi come facesse a sapere di Tom, la mia espressione era interrogativa e sorpresa.
"E' il mio fratellastro" si giustificò.
Mi andò la saliva di traverso. Mi addossai al muro e respirando lentamente cercai una somiglianza tra il ragazzo di fronte a me e il ragazzo della boutique nei miei ricordi.
Erano entrambi alti e ricci, Tom aveva gli occhi verdi e lui scuri, avevano gli stessi lineamenti del viso, quell'espressione sicura e indecifrabile e un sorriso accattivante, senza contare il medesimo atteggiamento cordiale e dolce.
"Vi assomigliate tantissimo, effettivamente"
"Già, è da parte di padre"
"Il tuo nome però è Joshua, un nome ebraico, il suo è Tom, inglese..." riflettei ad alta voce
"No, il suo vero nome è Thomas, ma lui preferisce farsi chiamare Tom" mi corresse.
"Come fai a sapere che credessi che il messaggio me l'avesse inviato lui?"
"Mi ha raccontato di aver conosciuto una ragazza carina, la cui descrizione faceva pensare che parlasse proprio di te e che quella stessa ragazza aveva mostrato un certo interesse nei suoi confronti"
Arrossendo sorrisi timidamente, Tom anche se non mi aveva mandato quel messaggio non mi aveva dimenticata. Tirai un sospiro di sollievo.
"Perciò è tuo anche il messaggio in inglese di ieri?"
"No, dolcezza, quello te l'ha inviato lui"
Strabuzzai gli occhi, ormai non ci credevo più e la mia domanda era retorica, ma quella risposta fu piacevole da ricevere. 
"Ho quindi una speranza?" chiesi titubante.
"Sì, ce l'hai" esclamò una voce dietro di me.
Tom mi afferrò per i fianchi e mi costrinse a girarmi verso di lui. Fu come una visione divina, Tom era imponente e risplendeva di tutta la sua bellezza, capelli spettinati, una maglietta a maniche corte che faceva risaltare i muscoli della braccia, pantaloncini corsi che lasciavano scoperte le gambe atletiche e quel suo solito sorriso sghembo che tanto adoravo.
"Speravo che tu saresti venuta" aggiunse baciandomi la fronte.
Avvampai emozionata, l'universo sembrò non avere più forma come tutto il resto intorno a me. Intorno a noi.
Joshua sorrise al fratello e se ne andò salutandoci con un cenno della mano e facendoci l'occhiolino, si affrettò a raggiungere il resto del gruppo, che da lontano ci fissava commentando sottovoce e ridendo sommessamente.
 
You, you're such a big star to me 
You're everything I wanna be 
 
So come on, so come on, get it on 
Don't know what you're waiting for 
Your time is coming don't be late
 
See the light on your face 
Let it shine 
 
Hey let me know you 
You're all that matters to me 
Hey let me show you 
You're all that matters to me. 

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Capitolo 12
*** Innocence ***


"Nessuna conoscenza basilare del mondo ti farà vedere in esso la vera bellezza, bisogna guardare con i sensi senza escludere la possibilità di vedere un uomo volare, allora sì che la nascita di un fiore durante l'inverno ti farà emozionare"
 
Tratto dal diario di Margaret, una ragazza come tante altre.
 
Cercai una scusa per guardarlo in viso, finsi di esser concentrata sulla città che, incurante della totalità dell'universo, si erigeva dal terreno e ci intimoriva con la sua imponenza. I palazzi sorgevano come funghi, uno accanto all'altro, compatti, schierati ad esercito, i negozi aperti e le persone erano il contorno vivo di quel luogo, e persino noi inconsapevolmente ne facevamo parte.
Tutto sembrava avere un ruolo preciso sul pianeta, gli alberi, le case, i cani, i gatti, il sole e i gabbiani, nessun errore, eppure qualcosa che andava oltre questa magnificenza c'era: l'emozione.
Emozioni che sanno far soffrire o gioire come se niente fosse.
Mentre osservavo il cielo azzurro feci cadere il mio sguardo sul suo collo, i miei occhi corsero immediatamente alla sua bocca, al suo naso e infine ai suoi occhi.
Erano smeraldi incastonati in una pietra bianca, brillavano di luce propria e trasmettevano un calore che nemmeno il sole era in grado di diffondere.
Era bello da mozzare il fiato. Fissai per qualche istante i suoi lineamenti, mi incantai al pensiero di baciare le sue labbra, dovevano essere così morbide.
La sua voce interruppe il silenzio.
"Dove andiamo?" sul suo volto fece capolino un sorriso malizioso.
"Dove vuoi" balbettai non sapendo che altro dire.
Tom mi si avvicinò e inavvertitamente mi strinse la mano e mi strattonò per farmi fermare. Eravamo ad un incrocio lontano dal centro, poco più in là era ben visibile una striscia azzurra:il mare. Sogghignò e mi baciò la fronte, poi senza chiedermi il permesso mi sollevò e mi mise a cavalcioni sulle sue possenti spalle. Da lì la visuale era fantastica, i passanti sembravano infinitamente più piccoli e più insignificanti.
Tra una risata e l'altra giungemmo al mare, il sole, da qualche parte alle nostre spalle, ci riscaldava piacevolmente, i nostri respiri erano sincronizzati nell'aria calda. Tutto era perfetto.
Tornai a poggiare i piedi per terra, il suo braccio mi cingeva la vita e i nostri sguardi si perdevano laddove il mare finiva, laddove nessun occhio poteva guardare.
I pesci guizzavano felici fuori dall'acqua limpida e i gabbiani volavano in ampie parabole attorno a loro, la natura si mostrava in tutta la sua spontaneità.
"Adoro il mare" annunciò portandosi le mani in tasca.
"Anche io" 
"Ti ho portato qui perché volevo condividere qualcosa di speciale con qualcuno che ne valesse la pena" ammise imbarazzato grattandosi il naso.
Sotto quel vasto cielo mi sembrò così tenero e indifeso, rimasi sbalordita per un attimo, il sangue mi affluì rapidamente alle guance e arrossii.
Scossi la testa incredula, mi sembrava tutto così surreale.
Girai la testa verso di lui e feci scivolare i miei occhi sui suoi, come a chiedere conferma di ciò che aveva appena detto, lui annuì alla mia domanda muta.
"Tu non hai paura che io possa buttare via tutto ciò che mi stai offrendo?" mi informai indiscreta.
"Sì, ma a volte bisogna pur rischiare"
Una risposta spiazzante.
"Il gioco ne vale la candela?"
"Ti conosco poco, ma quel che ho visto in qualche modo mi è bastato per capire"
"Cosa ti ha colpito di me?" chiesi curiosa.
"Il tuo portamento fuori da quella vetrina. Tu eri così sicura, fiera e forte come tante ragazze si mostrano, ma mi hai lanciato un'occhiata come nessun'altra ragazza aveva mai fatto"
"Cioè?"
"Piena di calore e piena di tutte quelle piccole cose che fanno piacere a chi viene osservato, tu sei stata quello per me, uno sguardo carico di emozione"
Una confessione che faceva bene all'anima.
Non trovando le parole giuste presi la sua mano e la portai all'altezza del mio cuore, sentii il calore della sua mano fondersi col battito, in un attimo la normalità mi scivolò di dosso per regalarmi un istante irripetibile, lo accolsi a braccia aperte.
"Non ti preoccupare, non saprò farti del male o ferire i tuoi sentimenti"
Lui con tutta la sua forza mi abbracciò, io socchiusi gli occhi e qualche secondo dopo sentii la sua bocca sulla mia, un pugno di farfalle si liberò nel mio stomaco e mi tenni alle sue braccia per non cascare.
La spiaggia, il mare, le navi, i pescatori, il cielo, i palazzi lontani, era tutto veramente perfetto. Tom era perfetto.
Mi prese una mano e mi tirò sulla sabbia, ci sdraiammo e rimanendo abbracciati ascoltammo in silenzio le onde lambire la riva con regolarità, sentendo pulsare le vene di felicità.
 
Waking up I see that everything is ok 
The first time in my life and now it's so great 
Slowing down I look around and I am so amazed 
I think about the little things that make life great 
I wouldn't change a thing about it 
This is the best feeling.
It's the state of bliss you think you're dreaming 
It's the happiness inside that you're feeling 
It's so beautiful it makes you wanna cry 

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