Bloody fable

di acchiappanuvole
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il bosco ***
Capitolo 2: *** Il corvo e il coniglio ***



Capitolo 1
*** Il bosco ***


Va verso la porta in punta di piedi e sbircia nella nursery. Sì, tutto a posto. Non c’è traccia della governante e la vecchia  balia Temple, che deve avere cent’anni perché è stata la bambinaia del nonno,  dorme accanto al fuoco. E’ facile!
Cain le passa accanto, esce nel corridoio e scende le scale di servizio. Arriva in fondo all’ala est. Lì c’è una stanza dove le cameriere disfano i bauli e le cappelliere e appendono e stirano gli abiti.
Cain sbircia. C’è una cameriera che stira un vestito. Si sente il calore della stufa usata per scaldare i ferri, si sente l’odore del cotone e del lino. Varca la soglia, la cameriera trasale, poi gli sorride.
Cain la conosce. E’ Sophie; abita al villaggio con la famiglia Hannessy, perché è orfana; frequenta il figlio del capo carpentiere, Jack Hannessy. Cain li ha visti insieme al villaggio, li ha visti passeggiare con calma e posatezza. Ha anche visto Sophie fare altre cose meno posate; ma si augura che non lo sappia. Sophie cambia i ferri. Cain si avvicina.
-L’abito della signora Hargreaves- dice lei indicando le balze di seta –stasera la vestirò io e la pettinerò-
Cain la guarda sprezzante. E’ vero, Sophie ha un bel viso, capelli lunghi e rossi, la carnagione chiara e occhi molto belli, d’un blu scuro e dalla sguardo fermo, a volte provocante, sempre acuto. Sophie non è sciocca. Ma le mani, rovinate dai lavori domestici, sono tozze e arrossate. E ha un netto accento campagnolo. Cain preferisce considerarla stupida. Sembra contenta di fare quel lavoro, e Cain la trova patetica. Perché essere fiera di stirare l’abito di un’altra?
-E’ un brutto colore- replica il bambino –un brutto verde. A Londra il verde non è di moda-
La cameriera alza la testa e lo guarda –beh, a me sembra carino… credo che possa andare qui in campagna-
Forse è un vago rimprovero. Cain la guarda più attentamente, e la cameriera sorride. Sulle guance le spuntano due fossette.
-Guarda- infila la mano arrossata nella tasca del grembiule. –Ho tenuto qualcosa per te. Non dire chi te l’ho dato però, o il padrone mi punirà. E non farti vedere da nessuno. Dovresti essere a letto-
Porge a Cain un dolcetto, uno dei petit four che sua madre fa servire con il caffè. E’ un fruttino da marzapane su un poco di cioccolato: una mela verde e rosa con un chiodo di garofano per picciolo e due striscioline d’angelica per foglie.
-Non inghiottire il chiodo di garofano, però, o ti soffocherai-
Cain prende il dolcetto. Sa che dovrebbe ringraziare, ma le parole gli restano in gola, come sempre. Sa anche che è una delle ragioni per cui tutti lo detestano e non parlano con lui.
Sophie non ci bada; gli fa un cenno e riprende a stirare. Cain si avvicina di nuovo alla porta e la osserva per un momento. Sophie ha dieci anni più di lui. Sedici anni ed è contenta del suo destino. Sophie sarà sempre una serva.
Poi scende correndo la scale e esce in giardino.
Si ferma dietro un cespuglio. Alcuni ospiti sono là fuori; si sente in distanza il brusio delle loro voci. Ma non c’è la voce di suo padre. Dove sarà andato dopo il pranzo? Cain alza la testa come un animale, attende un momento e poi, tenendosi fuori dalla vista della villa, corre verso il bosco.
 
 Quando lo raggiunge diventa più prudente. Si ferma a riprendere fiato e procede cautamente. Non sceglie uno dei due sentieri principali, che portano uno al villaggio e l’altro a una piccola follia gotica, il “gazebo”, come lo chiama sua madre. No, Cain sceglie una stretta pista invasa dalle erbacce che si snoda tortuosa verso l’altra parte del bosco. Dovrebbero usarla solo i guardiacaccia, ma lo fanno di rado perché preferiscono i percorsi più diretti.
Qui c’è un silenzio un po’ spaventoso; è difficile incontrare qualcuno. Ma Cain sa che altre persone usano quel sentiero oltre a lui: suo padre e una delle domestiche. Cain li ha spiati..eh ,sì, li ha visti.
Il terreno è fangoso e i rovi s’impigliano alla sua camicia. Le ortiche gli sfiorano le caviglie e lo pungono, ma lui non si ferma. Si addentra verso la radura.
Ma deve fare attenzione. Ne è certo. Scruta il sottobosco più avanti, perché nel bosco ci sono trappole, e non solo per gli animali. Cattermole, il sottoguardiacaccia, usa  trappole per gli uomini, lo ha sentito dire da uno dei valletti, per prendere i bracconieri. Cain le ha viste su un libro.
Ce ne sono d’acciaio, con le ganasce seghettate che imprigionano le gambe. Ci sono anche i trabocchetti con i pali appuntiti. Cain non sa se deve credere al racconto del valletto. Le trappole antiuomo sono vietate da anni. Comunque, ha intenzione d’essere guardingo.
Si ferma spesso, ascolta, tasta il sottobosco: ma non c’è niente..solo le celidonie, l’odore dell’aglio selvatico e il silenzio. Comunque ha un po’ paura. Quando raggiunge la radura è senza fiato. Lì l’erba è bassa e non nasconde pericoli. Siede ansimando. La domestica verrà, questo pomeriggio? E suo padre? Ormai devono essere le tre passate. Se verranno, sarà fra poco.
Poi, mentre è steso sull’erba, sente un rumore. Un fruscio, poi silenzio, un nuovo fruscio. Si solleva a sedere, pronto a fuggire. Sente di nuovo il suono dietro di lei, fra i rovi. Rimane immobile con il cuore che gli batte forte. Capisce d’essere sciocco. Deve essere un piccolo animale.
 Quando va a vedere fra i rovi e i ramoscelli, vede un coniglio. In un primo momento non capisce perché non fugga, perché sussulti così. Poi vede il laccio della trappola intorno al collo, il filo metallico attorcigliato. A ogni strattone, il cappio si stringe.
 Cain si lascia sfuggire un ansito di sgomento. Si china su di lui.
 Il coniglio, terrorizzato, sussulta ancora di più.
 
-Oh, stai fermo, stai fermo!- supplica. E’ impossibile sciogliere il cappio; è così stretto che il coniglio sanguina. Deve staccarlo dai pioli dov’è fissato..ed è difficile. La trappola è ingegnosa. Cain tira i pioli. Ora la bestiola trema appena. Il bambino prova un fremito di felicità. Il coniglio sa, sa che lo sta salvando. 
Poi stacca il laccio dai pioli. Può sollevare l’animale.
Con delicatezza, tenendolo fra le braccia, lo porta sull’erba della radura e l’adagia al sole.
 S’inginocchia, accarezza il pelame bianco, asciuga con la camicia di seta i rivoli di sangue. E’ steso sul fianco. Un occhio a mandorla lo fissa. Ora deve sciogliere il cappio. Riflette, vi riesce..poi lo vede scuotere dalle convulsioni.
 Cain arretra impaurito. La testa del coniglio si alza, sussulta, ricade. Le zampe graffiano il terreno. Una goccia di sangue scende da una narice. Poi il corpo resta immobile.
 In quel momento Cain capisce che è morto. Non ha mai visto un’animale morto o moribondo, ma lo sa. Nota qualcosa nell’occhio. Si appanna.
 
Il bambino si accoscia. Trema. La sofferenza gli attanaglia il petto. Non riesce a inghiottire, vorrebbe urlare, vorrebbe uccidere chi ha posato la trappola.
 Si alza all’improvviso. Afferra un paletto, lo rotea e colpisce la vegetazione, le ortiche, i rovi, dove possono esserci altre trappole. E poi la vede. A destra della pista che ha seguito, mascherata dai rami che lui ha scostato. Si china, lascia cadere il pezzo di legno e guarda incredulo.
 E’ una trappola antiuomo. Come l’ha vista sul libro. Due ganasce metalliche dai denti arrugginiti, una molla. E ghigna nel sole.
 Per un momento Cain si blocca. La trappola funziona ancora? Dev’essere vecchia e rotta..L’osserva meglio. No, non sembra rotta, la vegetazione intorno è calpestata, come se fosse stata posata lì da poco. I rami che la coprivano sono stati tagliati di recente, le foglie cominciano appena ad avvizzire. Fissa la trappola a luogo, affascinato e inorridito; è tentato di toccarla con un paletto; ne ha paura ma vuol vedere se funziona. Le ganasce ghignano. All’improvviso Cain se ne disinteressa. Ricorda l’ora; devono essere le tre e mezzo. Il bosco tace, suo padre non verrà. Andrà a cercarlo.
 Ma prima deve seppellire il coniglio. Non può abbandonarlo.  Si avvicina, lo tocca. E’ ancora caldo. Il sangue si sta coagulando. Povero coniglio. Caro coniglio. Gli scaverà una tomba.
Riprende il paletto, sceglie un punto, raspa la terra sotto una piccola betulla. Dopo settimane di pioggia, il terreno è soffice, ma anche così è un compito difficile. Butta il paletto e scava con le mani.
 Si rovina le unghie, ma va avanti. Dopo un quarto d’ora ha scavato una fossa poco profonda. Vi depone uno strato di sassi, poi uno d’erba.
 Ora la tomba sembra un nido per il suo coniglio. Coglie qualche fiore selvatico ai margini della radura: una celidonia gialla, una viola, due primule.
 Le dispone intorno al bordo della buca e si accoscia a guardare il risultato. Poi solleva dolcemente il coniglio, lo depone nella tomba, gli mette la celidonia fra le zampette anteriori perché la porti con sé nel suo viaggio, e lo copre di ciuffi d’erba. Dapprima lascia scoperta la testa; poi, siccome non vuole che la terra finisca negli occhi del coniglio, gli copre anche il musetto. Un po’ di terra, poi ancora. La schiaccia con decisione e ridispone sul tumulo erba e foglie.
 Il suo coniglio. Il suo coniglio segreto. Cain s’inginocchia. Solo quando scosta i capelli dal viso si accorge di avere le guance rigate di lacrime. Dolce coniglio. E’ per lui che ha pianto Cain, Cain che non piange mai?
 

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Capitolo 2
*** Il corvo e il coniglio ***


L’ora del tè. Cain inginocchiato nell’erba, gli occhi arrossati  a rimirare un piccolo cumulo di terra. Ha recitato tutte le preghiere che conosce per il suo povero coniglio. Ora deve tornare a casa, suo padre di sicuro lo sgriderà dandogli dello zingaro per quelle mani tutte sporche, le unghie rotte e luride di terra. Cain merita di essere punito. Punito per essere uscito di casa. Punito per non aver saputo salvare il coniglio.
S’incammina incespicando nei piccoli cespugli di ortiche che pungono le sue gambette bianche, coperte dai calzoni solo fino al ginocchio. Ma Cain non se ne accorge. Piange e cammina. Ha perso la direzione giusta. Il bosco lo imbroglia facendolo girare intorno.
Sua madre s’arrabbierà.
Suo padre lo punirà.
E se lui gli avesse parlato…del coniglio?
Cain sapeva cosa avrebbe detto. Una delle sue battute, taglienti come rasoi. Stupido Cain, ecco che cosa avrebbe detto. Dovevi portarlo a casa e farne uno spezzatino.
Stupido Cain. Sciocco Cain.
Inciampa in una radice e cade per terra.
Ecco, che pasticcio. Quanto sangue. Cola dal ginocchio. Rosso rosso. Come quello del coniglio. Il suo povero coniglio.
Cain stringe i denti, non sente male. Non deve spaventarsi. E’ solo una sbucciatura. Passerà.
Qualcosa si muove. Là, dietro un grosso albero. Qualcosa di bianco. Bianco come il pelo del coniglio. Cain si alza. S’avvicina all’albero. Ma non c’è nulla. Forse l’ha immaginato.
Siede sul terreno umido il piccolo Cain, poggia la nuca al tronco dell’albero e piange.
Perso e solo, piccolo Cain.
 
-Perché piangi piccolo corvo?-
 E Cain si guarda intorno, asciuga velocemente gli occhi, ma non vede nessuno.
 –Non sono un corvo- dice –sono un bambino-
-e allora perché piangi, bambino?-
Cain alza lo sguardo, su fra i rami dell’albero. Bianco, bianco come il coniglio lo guarda un ragazzino dagli occhi viola.
-Io non piango, non piango mai- ribatte pulendo le guance rigate con le mani sporche di terra.
Il ragazzino scende dall’albero agile come un felino. Cain lo osserva dal basso in alto. Non lo ha mai visto, ne è certo. Non è uno degli ospiti di suo padre ed è vestito troppo bene per essere del villaggio.
Ha i capelli color della luna e l’incarnato pare porcellana. Bianco.
-Come il coniglio- mormora Cain
-è dov’è il tuo coniglio?-
-E’ morto. E io non sono riuscito a salvarlo- 
gli occhi viola del ragazzo diventano tristi per un attimo, prima di tornare frammenti di cristallo.
-Vuoi giocare con me?-
E Cain alza il viso stupito. –Dici davvero?- domanda incredulo al ragazzino più grande
-Sì- si inginocchia –ma prima...- e sporge il viso fin davanti al ginocchio sbucciato di Cain, vi soffia sopra e poggia le labbra sulla ferita.
Cain sussulta, una smorfia di dolore e di sorpresa. Quel ragazzino senza nome sta pulendo via il sangue usando labbra e lingua. Poi con un fazzoletto tampona e fascia il ginocchio.
-ora possiamo giocare-
-aspetta, non so come ti chiami-  fa notare il piccolo Cain, e quello sorride
-io sono il coniglio- risponde
Cain è allibito. Lo sta prendendo in giro? Non importa. Sente qualcosa nei confronti di quel ragazzino strano, è una sensazione che non sa spiegare.
Giocano a lungo e il coniglio insegna un sacco di filastrocche al corvo.
Ne è contento perché poi potrà cantarle quando resterà  solo nella sua stanza buia. Le canterà e penserà al suo amico, al suo coniglio dagli occhi viola.
 
Un giorno il diavolo incontrò la morte
e se ne innamorò.
La morte gli disse che eran fratelli
anche se assai diversi.
Il diavolo allora la sposò e poi come per un giocattolo
se ne disfò.
Uno
Due
Tre
Ora a saltar tocca a te.
 

E Cain salta, dal muretto che segna il confine del bosco, giù nell’erba. E poi ancora conta.
 
Uno
Due
Tre
 
Può arrivare lontano. Salto dopo salto, sempre più lontano dalla villa, dal bosco, da tutto.
Sorride Cain e ripete la filastrocca. Si volta e scorge il coniglio a guardarlo. E’ davvero bello il suo coniglio. Bello e magico. Perché ora lo prende in groppa ed apre le braccia sottili ricoperte dalla seta avorio della camicia. Ora è diventato un bell’uccello bianco che porta Cain su, al disopra di tutti gli uomini, volteggia nell’aria e Cain gli si aggrappa e mai come in quel momento si sente legato a qualcuno.
Sangue su sangue.
Poi giunge la sera. Si sentono voci in lontananza, voci che chiamano forte il suo nome, lo cercano fra gli alberi.
Saranno tutti davvero arrabbiati, pensa Cain.
-Papà sarà furibondo, si chiederà dove sono finito-
-E allora non devi farlo aspettare-
Cain stringe forte la mano del suo amico. Non lo vuole lasciare ora che lo ha trovato.
-Mi accompagni?-
-I conigli hanno paura degli esseri umani. Loro ci uccidono e ci mangiano-
- Ma di me non hai avuto paura- dice convinto il bambino nascondendo il viso contro il braccio dell’altro.
-Oh, ti sbagli. Di te ho molta paura-
- no, non devi. Io ti voglio bene, e non ti scorderò mai-
Gli occhi del coniglio sono così freddi che Cain non capisce se quel brivido che gli corre per la schiena sia dovuto alla brezza della sera o a qualcos’altro.
-Ti rivedrò ancora?-
Il coniglio inclina la testa di lato, non smette di fissarlo -.. tornerò e tu mi rincorrerai e poi mi ucciderai-
-no, no è una bugia! Io non potrei mai!- perché ora il suo coniglio dice quelle cose? Cose cattive che spezzano il cuore del piccolo Cain.
-Sei arrabbiato perché non sono riuscito a salvarti, vero? Ma la prossima volta sarà diverso. Perché io e te adesso siamo amici… siamo.. siamo come fratelli-
-come fratelli-
-Sì, e quando sarò più grande verrò a cercarti e insieme canteremo ancora la filastrocca che mi hai insegnato. Promesso?- e gli occhi verdi guardano convinti quelli violetta del ragazzino più grande. Cain sa che si rivedranno, ne è sicuro.
Le voci sono sempre più vicine.
E’ un attimo ed il suo coniglio è scomparso. C’è quasi d’aver paura sia stato solo un sogno.
Ma basta abbassare lo sguardo. Là sul ginocchio, c’è ancora il fazzoletto.
J.D.
Cain avrà tempo di fantasticare sul significato di quelle due lettere. Adesso però deve tornare alla villa. Suo padre lo aspetta. Cain lo sa.

 

 

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