Malattia

di FrederAigor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Semplice ***
Capitolo 2: *** I Mostri ***



Capitolo 1
*** Semplice ***


Soffriva di angoscia. Sì, di angoscia, come se per lui fosse una malattia. Infatti gli veniva ogni sera, poco prima di cenare, appena finito di studiare, proprio come i sintomi di una malattia, puntualissimi. 
Tutto sommato era un ragazzo interessante, simpatico, intelligente come pochi, di questi tempi, sportivo ma non particolarmente in forma. Eppure qualcosa lo faceva spesso sentire vuoto. Stiamo parlando di un musicista, dunque una persona con una passione, con degli sfoghi. Eppure non eccelleva, nella musica. Era il suo più grande sfogo, ma non vi eccelleva. Nemmeno quello che studiava riusciva ad appagarlo. Un grande lettore, certo, ma incostante. Ormai non leggeva più da almeno un mese. Solita vita, solita scuola, soliti voti discreti. "Un periodo proprio piatto", si diceva. Nonostante questo, le sue giornate scorrevano serenamente, sempre con qualche impegno o qualche risata in più, grazie ai compagni con cui riusciva a relazionarsi. Poi la sera sentiva l'unica amica stretta che aveva, vedeva una puntata di un telefilm e dopo 10 minuti dormiva come un ghiro. Ma continuava a sentirsi vuoto. Annoiato. Ed era la noia a fargli più paura di qualsiasi altra cosa. Era annoiato dalla sua vita, piena di cose e totalmente vuota. Sempre in compagnia, ma sempre solo. Forse sapeva di cosa avere bisogno, ma non lo accettava. Forse aveva bisogno di qualcuno con cui condividere tutto. Con cui vivere, non più sopravvivere. La cosa che però gli faceva paura, era proprio il termine bisogno. Avere bisogno di qualcuno significa, infondo, non riuscire a stare con se stessi in armonia. E cosa c'è di peggio? Nulla, se non la Noia. 

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Capitolo 2
*** I Mostri ***


  I Mostri
 
Tornò a casa abbastanza tranquillo e fece un full-immersion nello studio, riuscì ad andare molto avanti quel pomeriggio. Eppure c'era ancora qualcosa che non andava. La serata proseguì tranquilla, si mise a letto. Non dormiva. Non riusciva a dormire. Da quanto non aveva difficoltà a dormire? Anni, forse. Eppure quella notte non ce la fece. Non ce la fece quelle notte né tanto meno quelle successive. Non se lo spiegava, il materasso era sempre lo stesso, i cuscini pure, non aveva alcun tipi di malanno (esclusa l'angoscia, certo). Poi magari, si addormentava poche ore prima di doversi svegliare. Suonata la sveglia, non riusciva mai ad alzarsi, non perché avesse ancora sonno (aveva provato più volte a non doversi alzare per andare a scuola, ma non riusciva comunque a dormire), ma perché non trovava motivi validi per alzarsi da quel letto. Forse un film, forse un caffè. Il caffè, forse era un buon motivo il caffè, dunque si alzò e ne bevve ben due tazzine.
Non andava, c'era qualcosa che non andava. Quello non era il suo solito caffè, non aveva lo stesso sapore di sempre, lo stesso amaro, con quella punta di dolce data dallo zucchero che vi metteva (un cucchiaino e mezzo, quella punta di dolce sdegnava sempre, e amava quello sdegno). 
Non sapeva di nulla. Il Caffè non sapeva di nulla, dunque provò con la sigaretta dopo il caffè. Se la fece lui, come suo solito. La chiuse a bandiera, come suo solito, e la accese al fornello, come suo solito. E cos'era? Sapeva di bruciato, combustione e nient'altro. Non sapeva nemmeno quella di nulla. 
Decise che era il caso di farsi un doccia, in rimedio al Caffè e la Sigaretta non riusciti; la doccia diede gli stessi risultati. Ormai era tardi, scese di fretta da casa e arrivò a scuola in ritardo, ragion per cui si prese un solenne rimprovero dal professore, che non tollerava i ritardi. Lui, con la sua voce piena e potente, con la sua pancia strabordante e quella terribile puntina sul mento, proprio il prof. gli gridò contro, ma lui non sentì alcun tipo di mortificazione. Entrò in classe a seconda ora e seguì la spiegazione. Il prof. X (d'ora in poi lo chiameremo così) stava spiegando, come al suo solito, soluzioni progettuali per quel dannatissimo edificio. Quando lo faceva, però, tutta la sua bruttezza e le sue puntine, svanivano di colpo e emergeva, con violenza e brutalità, da ogni suo poro della pelle, l'amore e la passione che provava per l'architettura. Era un fiume di parole, tutte semplice, sentite e vere. Si emozionava ogni volta che ne parlava, e trasmettava ai suoi allievi, compreso il nostro protagonista, sempre qualcosa. Stavolta no. Lui non provò nulla. Non riuscirono il Caffè, la Sigaretta, la Doccia, il Rimprovero e il Fiume di parole. Di cosa poteva avere bisogno? Non ne aveva idea, forse cominciava a divenire apatico. Decise, appena arrivato a casa, di spezzare la sua routine, e stendersi un po' a letto. Era strano, durissimo, come se nessuno vi fosse disteso sopra. Eppure lui era sul letto, ma era insensibile. Sia lui che il letto erano insensibili, non si amavano più. Passò un'intera settimana in questo stato, finché un giorno, mentre tornava dalla piscina, lesse, su un cartello pubblicitario, le parole "Inquietudine" e "Noia". Lì capì tutto. L'unica cosa che provava era inquietudine, una specie di paura di un'entità astratta che lentamente stava prendendo tutto ciò che fino ad ora gli era appartenuto. Il caffè non sapeva più di caffè, il suo letto non era più comodo e le sigarette non lo soddisfavano più. 
La Noia e l'Inquietudine erano i suoi mostri.

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