Creepytalia

di Hyrim
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ripetere. ***
Capitolo 2: *** Come back home ***
Capitolo 3: *** 4:42 AM. ***
Capitolo 4: *** Quattro fotografie. ***
Capitolo 5: *** Sangue sulla neve ***
Capitolo 6: *** L'Angolino dei Giochi di Oliver 1 ***
Capitolo 7: *** Rumore di graffi ***
Capitolo 8: *** Giù in cantina ***
Capitolo 9: *** Specchio ***
Capitolo 10: *** Brutti Sogni ***
Capitolo 11: *** Vicino ***
Capitolo 12: *** Acquitrino. ***



Capitolo 1
*** Ripetere. ***


Vi porgo i miei ossequi.
Il mio nome è Roderich e se state leggendo questo significa che finalmente ho terminato Il racconto. 
No, non è un errore di battitura, io non faccio mai errori, quella “i” è in maiuscolo perché questo che state per leggere sarà l'archetipo del racconto, la storia perfetta, che dopo tanti anni potrò rendere pubblica. Starete sicuramente pensando che sono solo un povero stupido con un ego smisurato, no? Ma in realtà sono solo conscio delle mie capacità.
Quando decisi di iniziare a scrivere sapevo che mi avrebbe aspettato un lavoro immenso, ogni cosa doveva stare al suo posto, coerenza tra le diverse proposizioni e coesione tra ogni singola parola.
Inutile dire che ci misi un'infinità solo per scrivere l'introduzione.
Notti intere trascorse fogli e fogli, la stilografica sempre stretta in mano.
Amici e parenti di tanto in tanto si facevano sentire o passavano da casa per accertarsi della mia salute, ma quando finalmente mi trasferii nella mia residenza di montagna non ebbi più distrazioni e riuscii a scrivere le prime righe… che cancellai pochi minuti dopo.
Mi ci volle un mese per essere assolutamente sicuro che l'inizio del racconto fosse esattamente come volevo. Un mese durante il quale cominciai io stesso a dubitare della mia igiene mentale.
Iniziai ad udire strani suoni e spostamenti fuori dalla mia stanza, ma pensavo fossero causati dal vento. A volte apparivano parole nel racconto che non ricordavo di aver scritto, altre volte ne scomparivano alcune.
Questi eventi continuarono finché, una notte, mi alzai per andare in bagno e vidi un'ombra con la coda dell'occhio, mi girai di scatto e cominciai a sudare freddo.
Aveva un viso pallido, praticamente bianco. La fioca luce che illuminava quella raccapricciante figura femminile la rendeva persino più inquietante di quanto già fosse.
Le labbra erano rosse sangue, interrotte da quelli che sembravano profondi tagli verticali che apparivano ancora intrisi di esso.
Le braccia erano stese lunghe i fianchi, immobili e… cucite. La pelle era stata letteralmente cucita al resto del suo corpo color neve, coperto solo in parte da quelli che apparivano come vesti stracciate completamente bagnate di rosso… non che di quel rosso fosse difficile immaginarne la provenienza.
Le gambe completamente martoriate da distinte incisioni che le erano state inflitte profondamente nella carne.
Sotto gli occhi si potevano distinguere varie macchie di umido, come se quella creatura avesse da poco pianto… lacrime di sangue.
Lunghi capelli argentati riflettevano il colore della fioca luce della luna, i suoi occhi erano due rubini ardenti e puntavano me.
Ma la cosa più spaventosa era la sua espressione.
 Avanzava verso di me facendo dondolare la testa dalla spalla sinistra a quella destra guardandomi dritto negli occhi con una specie di “triste sorriso” stampato in faccia.
Rimasi impietrito di fronte a lei, fino a quando non mi fu di fronte.
Ora potevo capire il perché di quel sorriso così strano. Le sue labbra erano cucite con del fil di ferro l'una all'altra.
Continuò a guardarmi fisso negli occhi per un tempo infinito. Quando mosse la testa ebbi un sussulto, ma non l'istinto di fuggire.
Fu questione di un attimo.
La “ragazza” dischiuse le labbra, strappando via il filo che le teneva cucita la bocca assieme a parecchi strati di pelle.
Emise un acuto grido raccapricciante durante quell’azione, riempendone la stanza.
Urlai.
Non avevo la forza di scappare, di muovermi.
Lei continuò ad avanzare verso di me.
Sempre più vicina… Sempre più vicina…
E poi scomparve.
Mi risvegliai nel calore delle mie coperte la mattina dopo, i raggi di sole che filtravano dalla mia finestra come se nulla fosse accaduto.
Un… incubo? Sembrava di sì.
Quel racconto mi stava distruggendo, seriamente.
Dovevo finirlo il prima possibile, mi decisi.
Mi alzai, presi i miei occhiali dal comodino, li rimisi e tornai al lavoro prima ancora di fare colazione.
Fissavo il figlio, pronto a scrivere quando… Una scritta comparve su di esso. Una scritta color sangue.
“Hallo. Chiedo scusa, non avrei dovuto spaventarti così ieri sera”
… Ieri sera?
Dunque non doveva essere stato tutto un incubo… ma cosa diavolo mi stava accadendo!?
Dovevo aver perso completamente la ragione.
“Hallo”
In un modo o nell’altro decisi di rispondere nello stesso modo, scrivendo.
 Capii che quello era l'unico modo che quella creatura aveva per comunicare.
“Chi sei? Che vuoi?”
“Il mio aspetto può far paura, ma non voglio farti del male”
“Cosa vuoi da me allora? E chi diavolo sei?”
“Non ho un nome in realtà, ma un tempo mi chiamavano Julchen, immagino che anche tu possa chiamarmi così. Per quanto riguarda l'altra domanda, sono qui per farti una proposta. Tu vuoi scrivere il racconto perfetto, no? Io posso permetterti di farlo, se solo accetterai le mie condizioni.”
Una parte di me era ancora terrorizzata, ma quando parlò del racconto la curiosità ebbe il sopravvento.
“Perché dovresti aiutare proprio me?”
“ … “
Apparirono tre puntini, proprio come se da qualunque parte quella creatura fosse stesse riflettendo.
“ Che tu ci creda o no” Continuò “Tu mi piaci.”
… Piaci.
Qualunque cosa le fosse successa doveva essere stata davvero orribile.
Povera ragazza, pensai.
Nonostante fosse stata ridotta in quello stato, ripensandoci senza ferite doveva anche essere di una nota bellezza.
Non lo ammisi, ma in parte mi sentii lusingato.
“Quali sono queste condizioni? E chi mi assicura che non vuoi solo ingannarmi?”
Risposi senza far traspirare altre emozioni.
“Se avessi voluto farti del male saresti già morto, no? Non immagini di cosa io sia capace.
Ma piuttosto, la condizione è una sola: permettimi di abitare il tuo corpo.”
Ma che diavolo..!? Una richiesta assurda. Non per il suo contenuto, quanto per l’attuazione.
“Cosa? Stai scherzando? Come può essere possibile?” 
“Avrai sicuramente sentito parlare di possessioni e stupidaggini simili, no? Funziona più o meno allo stesso modo, solo che manterrai ogni tua facoltà intellettiva e razionale.
Precedo la tua domanda dicendoti che lo faccio perché non vivo da molto tempo ormai, questo stato in cui mi vedi è miserabile, è uno stato di non-vita e non-morte, perciò me ne starò semplicemente nel tuo corpo a godere delle sensazioni che provi tu e in cambio ti aiuterò a scrivere ciò che hai in mente. Non c'è nulla di male in fondo, no? Ti prego…”
Non riesco a spiegarmi la mia risposta, ma so che se tornassi indietro riscriverei le stesse identiche lettere. 
“Accetto.”
“Bene, non avevo dubbi, anche tu come me non sopporti la mediocrità, o tutto o niente, giusto? Per questo ho scelto proprio te.
Per avermi nella tua mente devi solo leggere un mio racconto, nel quale sarà contenuta una certa parola ripetuta un certo numero di volte senza un vero senso logico. Quella parola ti permetterà di prendermi con te.
Iniziamo, dunque.”
Mi svegliai nel mio letto col sole in faccia.
Era solo un sogno… Di nuovo!?
Un sogno… in un sogno.
Scesi dal letto, tutto era al suo posto, anche il foglio era immacolato senza alcuna scritta. Quindi decisi di sciacquarmi il viso e cominciare subito a scrivere. Percorrendo il corridoio verso il bagno un brivido mi percorse la schiena. “Sarà dovuto al sogno” pensai. 
Presi la penna ed immediatamente mi gettai a capofitto nella storia, solo che non era più la MIA storia, o meglio, non era come l'avevo lasciata il giorno prima, era diversa... migliore, ed era stato aggiunto un paragrafo tutto nuovo.
Non ebbi alcun dubbio su ciò che era successo, e una voce nella mia testa me ne diede conferma. 
“Buongiorno, stupito del buon lavoro? Ho solo espresso a parole ciò che avevi in mente, niente male, no?”
“Che diavolo? Sei… Julchen? Che ci fai nella mia mente!?”
“Hai dimenticato il patto di ieri? Ovviamente no, vivo dentro di te, lo so che lo ricordi, ma a voi umani piace negare anche le cose che sapete essere vere pur di avere una vaga speranza... e pensare che un tempo è stato così anche per me.”
“Hai ragione, ma non è da me farlo. Ho preso la mia decisione e non me ne pento, non faccio mai errori.” 
Da quel giorno parlai con Julchen molto poco, e la maggior parte delle volte era lei a iniziare il discorso. Cominciava a riempirmi di attenzioni inutili, credevo si fosse innamorata di me, ma forse mi vedeva solo come un suo animaletto.
Continuai a vivere in tranquillità (se così si può chiamare l'avere lo spirito di una ragazza morta dentro di sé) fino a quando un giorno uscii per prendermi una pausa… era una semplice passeggiata, che nascondeva una sorpresa.
Incontrai una ragazza. Era davvero carina, anzi, era proprio bella.
Capelli castani, occhi verdi… Portava dei fiori davanti ad un orecchio a reggerle la frangia.
Certo, non sarebbe mai arrivata al livello di Julchen come doveva essere in vita, ma lei era morta e rinchiusa nella mia mente, mentre questa giovane era perfetta, davanti a me.
Credo fosse il cosiddetto colpo di fulmine, i nostri occhi si incrociarono per un solo attimo.
Dopo una breve conversazione scoprì che si chiamava Elizaveta… Che nome gradevole, pensai.
Non impiegammo molto nell'accordarci per una cena.
Organizzai una cenetta romantica con tanto di candela, non facemmo altro che guardarci in silenzio, sembrava non ci fosse bisogno delle parole, era tutto perfetto così com'era.
Quando Elizaveta ne andò Julchen cominciò a parlarmi.
 “Hai intenzione di rivederla ancora per caso?”
 “E a te che importa? Sei gelosa?” 
“Non abbiamo scritto neppure una parola oggi, volevi terminare il racconto il prima possibile, no?” 
“Beh, forse non mi interessa più, ho perso troppo tempo a causa di quei fogli sparsi. Ed ora scusa, ma sono stanco e vorrei dormire.” 
Io ed Elizavta ci vedemmo per tutto il mese, nessun giorno escluso.
Conseguentemente le lamentele di Julchen aumentarono, ma non ci facevo caso, mi importava solo della mia amata, avevo anche completamente dimenticato tutto l'impegno messo in quel racconto. 
“Devi smettere di vedere quella sgualdrina, ci sta facendo perdere tempo prezioso! Avevamo un patto, ricordi?”
“Ti ho già detto che non m'importa più, se non ti va bene sei libera di andartene, fine del discorso.” 
“Va bene, come vuoi tu allora... Ci penserò io.” 
Il giorno dopo chiamai Elizavet appena sveglio. Nessuna risposta.
 “Starà lavorando e non sentirà il cellulare” pensai. Le mandai un messaggio, quindi decisi di scrivere un nuovo paragrafo del racconto per accontentare Julchen, ma non trovando i fogli, la penna e l’inchiostro mi accontentai di una buona lettura.
Passò l'ora di pranzo e ancora niente, decisi di passare in paese per chiedere di lei.
Mi dissero che si era assentata e non aveva neppure avvertito.
Non volevo pensare a ciò che sapevo fosse successo.
Andai a casa sua. Bussai. Nulla, nessuna risposta. 
“Fossi in te non insisterei, magari è occupata. Se la disturbassi si arrabbierebbe da morire, no?” La ragazza emise una risatina sarcastica che mi riecheggiò nella mente.
Non mi illudevo neanche più. Sfondai la porta e trovai le due cose che avevo cercato quel giorno. 
La mia penna ed il tappo di quest’ultima avevano Trovato un confortevole giaciglio nei bulbi oculari di Eliza, i suoi occhi erano posizionati in gola, uno sopra l'altro, ed erano visibili grazie ad un enorme taglio che andava dal mento al petto. Piantata nei polmoni si poteva distinguere una scheggia proveniente dal contenitore dell’inghiostro, il quale era sparso sul resto del suo petto. A colmare le orbite vuote si trovavano due fogli accartocciati e pieni di sangue, sui quali l’unica scritta distinguibile era “LUI E’ MIO”.
Non riuscii ad evitare di dare di stomaco di fronte a  a quello scempio.
“Te l'avevo detto che dovevi smettere di vederla, avresti potuto evitarlo.
Oh, a proposito, ci tengo a dirti due cose. Prima di tutto avrai notato che niente di ciò che le è stato fatto è mortale di per sé, perciò voglio sottolineare che è morta dissanguata dopo alcune ore e dopo aver subito tutte quelle torture. La seconda cosa è che faresti bene a prendere quel coltello e ogni altra parte e portarli il più lontano da qui. Io non ho un corpo mio, ma posso prendere il controllo del tuo mentre dormi, perciò...” 
Non mi arrabbiai, non gli inveì contro, non avevo la forza di fare nulla, raccolsi solo ciò che aveva detto e andai a gettare il tutto nel lago. In seguito tornai a casa e dormii per 15 ore filate.
Sognai Elizaveta. Tentava di dirmi qualcosa: “Ripeti... la risposta è... ripetizione”, ma non capivo cosa significasse.
Non appena mi svegliai mi accolse Julchen, come al suo solito ormai.
“Ben svegliato, fatti bei sogni? I fogli scritti sono salvi, poggiati sulla scrivania. Pronto?  Continuiamo a scrivere, ora nessuno ci disturberà.”
 “Non scriverò più nulla” …
“…Come?” 
“Non scriverò più nulla, ho detto. E non voglio più avere nulla a che fare con te” 
Presi delle forbici in mano e me le puntai alla gola. 
“Va via, non farti più vedere o sentire, altrimenti mi uccido! Cosa accadrebbe se lo facessi dato che vivi dentro di me? A me non importa più di vivere! E a te?!”
 “E' così che la metti? Mi sembra inutile continuare allora, sei determinato a essere un fallito, non raggiungerai mai la perfezione che desideri con le tue sole forze, ma sappi che non puoi liberarti di me così facilmente, uscirò dalla tua mente, ma non dalla tua vita. …Addio.”
Finalmente. Finalmente ero libero. Era come se mi fossi liberato di un peso di una tonnellata. Mi rimisi a letto e dormii per altre 12 ore.
Feci lo stesso sogno di qualche ora prima, Elizaveta  tentava di parlarmi: “Ripeti... la risposta... il... racconto... tredici...”
Sembrava reale. Volevo che fosse reale
Passarono i giorni. Giorni vuoti senza Liza. Giorni in cui il sole non tramontava e non sorgeva. Giorni durante i quali il tempo non passava, o passava in un lampo. Giorni in cui i sensi di colpa mi laceravano da dentro e in cui sognavo sempre la stessa persona che mi ripeteva sempre le stesse frasi.
Quando i sensi di colpa si attenuarono tornò Julchen.
Non che mi desse fastidio il suo vero aspetto, mi ci ero abituato a stare con lei.
Mi dava fastidio vederla ancora dopo che mi aveva rovinato la vita.
Inoltre non faceva nulla, stava lì a fissarmi e basta, avrei voluto colpirla o lanciarle qualcosa addosso, ma quando ci provavo spariva improvvisamente.
Continuò ad apparire e sparire per settimane, finché un giorno mi svegliai legato a una sedia in una stanza illuminata solo da una piccola lampadina.
Davanti a me era in piedi un uomo dai capelli spettinati… argentati come la luna, e gli occhi che ardevano.
Mi salutò.
 “Ciao, tutto bene? Spero di non averti fatto del male durante il trasporto, vorrei tenerti vivo ancora per un po'”
 “Che vuoi dire? Perché mi hai fatto questo? C'entri qualcosa con Julchen  ed Elizaveta!?”
“Oh scusa, non mi sono presentata, colpa dell'abitudine. Io sono Julchen, e questo povero idiota ha creduto che cedendomi il suo corpo per sempre avrebbe riavuto la sua dolce e tenera sorellina, perduta anni ed anni fa quando una sconosciuta creatura si impossessò della sua mente e gli fece fare cose orribili a lei stessa mentre dormiva, dando così il via a questo... ripetitivo ciclo. Ora posso fare ciò che voglio, e per prima cosa ho pensato a te, dovresti essere contento, no?”
 “Cosa vuoi farmi? Non m'importa morire, te l'ho già detto.”
 “Sono stata dentro di te, so che non t'importa morire, ma so anche che hai un'incredibile paura di essere torturato come è successo alla tua amata Lizzy, no?”
Mi tornò in mente lo stato di Elizaveta, la paura che provai in quel momento. Cominciai ad agitarmi tentando di liberarmi. Inutilmente, purtroppo.
 “Non riuscirai a liberarti, ormai sei mio”
Iniziò a torturarmi. Lentamente. Molto lentamente.
Cominciò ad aprirmi profondi tagli lungo le gambe, senza neanche curarsi dei vestiti e della stoffa che rimaneva incastrata dentro le ferite infliggendomi un dolore atroce.
Probabilmente ero troppo sopraffatto dal dolore per pensarci subito… ma quelli erano gli stessi tagli che lei presentava sulle gambe. Stessi identici.
Poi mi tenè fermo il viso con una mano, con l’altra mi aprì tagli verticali lungo le labbra.
Il sapore del sangue cominciò a riemprmi la bocca.
Volevo morire.
La vidi prendere un filo di ferro.
Sapevo cosa voleva fare.
Tentai di liberarmi, ma fu inutile.
Punto per punto, le mie labbra furono cucite l’una all’altra con quel filo.
Presero una strana piega, come di un sorriso triste.
…Proprio come il suo.
Fu il turno degli occhi.
Non vidi esattamente cosa stava facendo, ma sentii un dolore atroce impossessarsi del mio viso partendo dall’interno della palpebra. Iniziai a piangere sangue, lo sentivo scorrermi lungo le guance e lungo i vestiti.
Ormai avevo capito.
Mi stava rendendo come lei.
Come quella stessa persona aveva reso lei anni ed anni prima in preda ad una creatura oscura che si era impossessata della sua mente, portandolo ad uccidere la sua stessa sorella per dare il via a tutto questo.
Non reggevo più. Avevo esaurito le forze.
Con le ultime energie alzai lo sguardo verso il ragazzo del quale Julchen si era impossessata.
Il suo viso non era… il suo.
Dal suo viso uscì quello di quella ragazza maledetta, le lacrime di sangue che le rigavano il viso, le labbra tagliate cucite insieme come le mie.
Si avvicinò.
Testa a destra... Testa a sinistra... 
Un movimento quasi ipnotico, mi distrasse per un attimo dalla mia sorte e regalò un po' di lucidità alla mia mente.
“Perché mi accade tutto ciò? Volevo solo scrivere un racconto perfetto. Sono stato troppo ambizioso? Dio mi ha forse punito per la mia superbia? E se così fosse dovrebbe perdonarmi, no? Oppure è quest'essere di fronte a me Dio?”
Non ci ho mai neanche creduto in Dio, ma è incredibile a cosa faccia pensare il terrore.
Passo dopo passo, Julchen era più vicina.
Si portò avanti verso di me… e mi baciò.
Le sue labbra cucite contro le mie, rese identiche da lei stessa.
Si allontanò dopo qualche secondo. Il suo viso martoriato svanì, lasciando solo quello del ragazzo del quale aveva preso il controllo.
Aveva ancora del fil di ferro in mano. Stavolta più spesso.
Sapevo cosa ci avrebbe fatto.
Sapevo cosa mancava per renderci FINALMENTE uguali.
Non sopportai vedere anche quel dolore avvicinarsi… E svenni.
Mi apparve Elizaveta.   “risposta... è ...ripetizione. Cerca... tredici... ripeti”
Tentai di urlare, ma dalla mia bocca uscì solo un grugnito.
Julchen aveva cominciato il suo ultimo lavoro.  Stava cominciando dall’ avambraccio a cucirmi la pelle contro il resto del corpo.
 “Ripeti...”
Poi toccò alla zona del gomito. Non si fece problemi ad arrivare in profondità fino all’osso. Voleva continuare così fino a rendermi completamente uguale a lei. Le sue stesse condizioni.
 “Ricorda..”
Un altro punto, appena sotto il gomito.
Provai ad urlare fino a sentire il sangue in bocca.
 “Parole..”
Arrivò più in basso, l’ago che mi si conficcava nella pelle e mi distruggeva qualsiasi muscolo o legamento..
 “Sei... in tempo...”
Non capivo come riuscissi a vivere in quello stato, immagino fosse opera di Julchen: voleva farmi soffrire il più possibile.
 “Puoi... liberarti...”
Arrivò ai polsi. Assicurò le mani nella stessa maniera e fissò il filo. Il sangue che continuava ad impregnarmi con il suo odore.
Mi rese uguale a lei.
O quasi.
Chiusi gli occhi.
Sentii il rumore di una porta che sbatteva e veniva chiusa a chiave dall’esterno.
Mi aveva abbandonato lì.
Ora, vi starete chiedendo come e perché io abbia scritto questo, no?
 Dovrei essere morto, mi sarebbe impossibile scrivere tutto ciò.
 Ma magari la risposta è nelle ripetizioni...
 No?
 






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Capitolo 2
*** Come back home ***


Le litigate con Arthur erano le solite.
Uno schiavista, ecco cos’era. Un maledetto schiavista.
Era per questo che aveva lottato per la sua indipendenza secoli prima, ed ora lui era riapparso lì.
Ottimo lavoro, Emily!
Esatto: sua sorella e l’Inglese si erano innamorati, ed ora per quel periodo erano costretti a condividere quella casa.
Dopo l’ennesima più che animata discussione, Alfred aveva finalmente deciso di uscire a sfogarsi un po’ da solo.
Voleva soltanto divertirsi e prendersi una bella sbornia.
Come ogni sera, da quando Arthur era venuto a vivere con loro.
Ad Emily non importava.
 Era come se non avesse più un fratello.
 Uscì di casa e si incamminò verso la fermata dell'autobus.
Freddo, troppo per essere estate.
"Stanotte pioverà" pensò.
Amava la pioggia, gli dava un senso di protezione, non si spiegava perché tutti la odiassero tanto.
Ecco l'autobus.
 Salì con le altre venti persone che si trovavano alla fermata.
 L'autobus era totalmente pieno, tantoché fu costretto a restare in piedi.
 Sentì vibrare il cellulare in tasca, un messaggio.
Si aspettò fosse sua sorella, ma notò che il numero non era registrato nella rubrica, il messaggio diceva:
 
 - Come back home now, Alfred.
Arthur. -
 
Arthur!? Cosa stava succedendo? Non era mai stato così  "affettuoso”
 Non badò al messaggio.
 Un minuto dopo ne arrivò un altro:
 
- Come back home now, Alfred.
 Arthur. -
 
Non capiva, ma forse era qualcosa di urgente. Così aspettò che l'autobus finisse di fare il giro e tornò a casa a piedi.
 La porta era spalancata..
Entrò, attento a non fare troppo rumore.
Non c'era nessuno.
Perché?
Dov'erano Emily e Arthur!?
 Sentì un cattivo odore provenire dalla sua camera.
Non capiva, di nuovo.
 Attraversò la cucina e il salotto a passo cauto, per poi iniziare a salire le scale.
 Primo scalino.
Secondo.
Terzo.
Quarto.
Quinto.
Sesto.
Settimo.
Ottavo.
Nono.
Decimo.
 
Arthur ed Emily giacevano a terra morti in una pozza di sangue.
 
Here you are, Alfred.







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Capitolo 3
*** 4:42 AM. ***


"Va tutto bene"

Penso fra me e me.

“E’ tutto nella mia testa.”

…!!

Quel rumore…

L’ho sentito un’altra volta.

E’ un suono di passi che si avvicina.

Verdammt! Cosa sta succedendo!?

Bruder? Sarà lui?

Silenzio.

Verdammt, deve per forza essere la mia immaginazione.

Mi passo una mano sul viso, asciugandomi le gocce di sudore freddo.

Troppo lavoro.

E’ soltanto colpa del troppo lavoro.

Dovevo ascoltare Italia, e prendermi una bella vacanza.

Giuro che domani lo faccio.

Domani mattina telefono e lo faccio.

Rumore della porta che si apre cigolando, spalanco gli occhi e li punto contro di essa.

La vedo fermarsi lentamente a metà, ma nulla entra.

Deve esser stato il vento.

I cani non hanno abbaiato…

Ma le finestre sono chiuse, come può esserci vento!?

Azzardo nuovamente una sbirciata alla sveglia sul comodino.

4:42 AM.

Nel farlo qualcosa si muove, ne percepisco chiaramente il movimento davanti a me nel buio.

Istintivamente porto una mano verso il cassetto del comodino, in cerca della mia fidata pistola.

Apro il cassetto, la cerco a tentoni…

“Eccola!”

Penso con il cuore che si libera da un enorme peso.

La punto verso quell’angolo buio, faccio saltare la sicura e… Nulla.

Ancora una volta sono stato vittima della mia paranoia.

Sospiro, mi passo nuovamente una mano sul viso e ripongo al suo posto la pistola, per poi riaffondare nel cuscino.

Dovrei cercare di riaddormentarmi.

Poi la vedo ancora, un'ombra nell'angolo della mia stanza.

Calma, Ludwig. E’ soltanto la tua immaginazione.

L’ombra si muove, ma non ci faccio caso.

E’ la mente di un buon soldato stanco che gioca brutti scherzi.

Poi la sento di nuovo.

Una risatina.

Una risatina agghiacciante simile a quella dei bambini.

Spalanco gli occhi, due occhietti gialli mi fissano dal buio.

La figura è lì e si muove, la sua risatina mi riecheggia nella testa.

 Si fa sempre più vicina, vedo delle mani che cercano di prendermi.

Voglio urlare, voglio farlo, ma non posso. La mia bocca non si apre.

L'ombra è proprio affianco il mio letto, si fa sempre più vicina.

 Il suo viso è solo a qualche centimetro dal mio.

Mi fissa con quei suoi occhietti di vetro, il viso orribilmente bianco e deforme.

Piango per la paura, la sua faccia offuscata è orribilmente mutilata sotto un velo d'ombra.

La sua bocca si apre, posso distinguere i suoi denti seghettati e pieni di sangue.

Si avventa su di me, conficcandomi le unghie affilate nella carne, la lama che ha al posto della mutilata mano destra che si avvicina sempre di più al mio viso. Gocce di sangue colano sulle mie guance.

Finalmente posso urlare, ma non serve a nulla.

Ormai è lì che si avvicina.

Quella risatina agghiacciante che continua a torturarmi i timpani.

Io urlo… urlo… urlo…

E mi sveglio urlando, fissando il soffitto.

Ho il fiatone, sono esausto.

Stupido incubo, deve esser stato colpa del troppo lavoro, lo sapevo io.

Guardo inespressivo il soffitto, facendo mente locale quando…

Ho sentito qualcosa.

Una risatina.

Come quella dei bambini.

E un rumore di passi che si avvicina.

Do una sbirciata alla sveglia sul comodino.

4:41 AM.

Scheiße.










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Capitolo 4
*** Quattro fotografie. ***


Ore 22:40, rientro dalla gita ai musei con Italia, tutto in ordine. La cena era buona, la compagnia... Allegra, come al suo solito.
Posai lo zaino al suo posto, accanto al mio letto come al solito.
Ero stanco, incredibilmente stanco dopo una giornata simile.
Italia non sembrava dello stesso avviso.
Continuava a chiedermi se mi fossi divertito e cose simili.
Ovviamente sì, era stata una gita istruttiva.
Diedi un'ultima occhiata alle foto scattate, poi mi preparai per andare a dormire.
Mentre lo facevo mi parve di percepire strani rumori, come se qualcosa stesse raschiando contro la porta della stanza. 
Non ci feci troppo caso, ma restai in guardia.
Non potevo spaventarmi così, da bravo Giapponese che si rispetti.
Sentii uno strano rumore, come l'ansimare di un lupo mentre corre, ma era più raccapricciante e forte... sempre più forte.
Poi sentii bussare alla porta, e qualcosa entrò.
O meglio, qualcuno.
Istintivamente avevo già sguainato la katana, ma il viso contro il quale la stavo puntando era quello del terrorizzato Italia che era passato soltanto per chiedermi se poteva dare un'occhiata alle foto che avevo scattato quel giorno.
Misi giù l'arma, innanzitutto scusandomi per la reazione improvvisa.
Acconsentii a prestargli la mia macchina fotografica, ma gli raccomandai di starci molto attento.
Lui annuì, e si andò a sedere sul piccolo divano per stare più comodo. 
Non avevo motivo per cui preoccuparmi. Sapevo che Italia era un ragazzo allegro e si divertiva con poco.
Andai al bagno per cambiarmi e mettermi il pigiama.
Ero lì davanti allo specchio quando... di nuovo quel raccapricciante suono e quell'ansimare.
La luce andò via per un secondo, poi ritornò immediatamente.
Mi parve di scorgere un'ombra nel buio.
...
Doveva essere la stanchezza, nulla di che. 
Italia non si era spaventato, ragion per cui doveva essere stata soltanto una disfunzione della lampadina del bagno.
Mi sciacquai il viso, presi a tentoni un asciugamano ci tuffai dentro la testa per asciugarmi e non gocciare a terra.
Nel momento stesso in cui rispostai lo sguardo sullo specchio lo vidi.
Fu un secondo.
Un raccapricciante occhio rotondo e sporgente mi fissava da dietro la porta socchiusa. Lo avevo visto dal riflesso.
Mantenni il sangue freddo e corsi fuori, quel tanto che bastava per osservare la porta della camera che si chiudeva.
Non avvisai Italia. Non avevo intenzione di spaventarlo.
Lo lasciai a tenersi occupato con le fotografie ed uscii lanciandomi all'inseguimento di chissà quale creatura, la katana stretta in mano.
Ero sicuro di averlo messo in trappola infondo al corridoio dell'albergo, ma quando arrivai... nulla.
Uscii anche all'esterno, ma ancora niente.
Cercato ovunque e a lungo, era passata una mezz'ora.
Italia aveva sempre avuto paura di restare solo, figuriamoci in un ambiente che non conosceva...
Tornai in camera, lo chiamai.
Nessuna risposta.
Lo chiamai di nuovo, ma fu di nuovo il silenzio.
Stavo cominciando a preoccuparmi.
Andai a controllare a passo svelto il divano su cui l'avevo lasciato... e tirai un sospiro di sollievo.
Italia si era beatamente addormentato, la mia macchinetta stretta in mano.
La recuperai, coprì Italia con una coperta e mi misi seduto sul letto a controllarne la memoria.
Tutto a posto.
Notai che erano state aggiunte altre foto a quelle scattate durante la gita.
Evidentemente l'Italiano si era dilettato nella fotografia.
Tutte foto che si era scattato da solo, più o meno bene...
Ma quattro di queste mi inquietarono non poco.
Raffiguravano sempre Italia, ma già addormentato.
Un inquietante ghigno deforme era per metà visibile da un lato.




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Capitolo 5
*** Sangue sulla neve ***


Più si abita a nord più si rischiano inverni molto freddi, è risaputo da sempre.
Questo però non aveva fermato il giovane Lituania, deciso a vivere in quel luogo gelido e isolato dal mondo.
Non sapeva come mai, ma gli dava un senso di tranquillità è pace.
Ne era così innamorato da montarsi - al contrario di tutti i consigli e le norme - una portafinestra in vetro che dava sul suo giardino innevato, di fronte al bosco di abeti.
Ovviamente aveva fatto le cose per bene.
Aveva impiantato un doppiovetro termico e isolato tutto il resto, impedendo al freddo di entrare anche così, di fatti in casa era sempre presente un piacevole tepore.
Fu proprio in quel tepore che Toris si svegliò quella mattina, leggermente scosso da quello che a parer suo doveva essere stato soltanto uno stupido incubo.
In quegli ultimi giorni girava la notizia di un uomo che, credendo a gli ultimi resoconti delle pochi testimoni terrorizzati, doveva essere uno psicopatico assassino a piede libero.
Una notizia come un'altra, non dovrebbe turbare poi così troppo se non fosse che... 
Se ne stava tranquillamente tornando a casa una sera con della legna in mano, quando distratto da strani suoni decise di andare a controllare.
ciò che trovò fu raccapricciante.
Un uomo (o quel che ne restava) era a terra, il corpo completamente semi-distrutto, il cranio completamente spappolato.
La neve tutta intorno era dipinta di rosso, e l'odore del sangue quasi soffocava.
Istintivamente, Toris si era portato una mano a tapparsi la bocca per non vomitare, lasciando cadere a terra tutta la legna che aveva raccolto.
Il rumore di questa aveva attirato l'attenzione dell'unico essere ancora vivo lì presente oltre a lui.
Era alto, biondo e con gli occhi viola. 
Aveva mezzo viso coperto da una pesante sciarpa rosa ed era completamente ricoperto di sangue.
Lituania aveva fatto qualche passo indietro, in preda al terrore, ed era scappato via il più veloce possibile... ma non abbastanza veloce da non sentire quella frase.
 
" Sto venendo a prendere anche te. "
 
Aveva sognato di nuovo quella volta. 
Diverse volte aveva ripetuto lo stesso incubo da quell'orribile incontro, mentre i giornali non facevano altro che parlare di questo misterioso nuovo maniaco omicida.
Il ragazzo dai capelli castani si alzò sbadigliando e passandosi una mano sul viso.
Si alzò, ripetendosi di aver fatto lo stesso stupido sogno.
La mattinata proseguì tranquilla.
Colazione, pulizie, posta, ed infine il giornale.
Giornale con le solite notizie, tranne forse qualcosa di nuovo... una foto.
 
"Avvistato il folle omicida che sta terrorizzando la regione.
Attenzione: in caso di avvistamento avvisare immediatamente le forze dell'ordine.
Per quanto ne sappiamo fino ad ora il criminale è biondo e al momento dell'ultimo avvistamento indossava una pesante sciarpa rosa"
 
Lituania passò lo sguardo sulla foto... e si gelò.
Era lui.
Era lui ed era stato visto in una zona vicina.
Sapeva cosa cercava. Gli era stata fatta una promessa.
Corse immediatamente a bloccare tutte le porte.
Per ultima era il turno della grande portafinestra.
prese la chiave, la chiuse... e poi lo vide.
Il cuore gli saltò un battito o due quando posò gli occhi su quella figura insanguinata in piedi nel bel mezzo del suo giardino.
Lo fissava. Un ghigno inquietante gli strappava a metà il volto. 
La lunga sciarpa rosa era intrisa di rosso, e reggeva in mano un rubinetto che grondava di sangue.
Immediatamente il ragazzo fece diversi passi indietro, terrorizzato.
Negli ultimi respiri della sua vita, si accorse con orrore di una cosa.
Le gocce di sangue che colavano dal rubinetto non avevano sporcato la neve sotto di esso.
Ovviamente no.


... Quello era il riflesso.








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Capitolo 6
*** L'Angolino dei Giochi di Oliver 1 ***


Benvenuti nell’angolino dei giochi di Oliver!


Ad ogni incontro vi proporrò un nuovo affascinante giochino.
Have fun, and a nice night!
 
Today…
 

Il gioco dellombre.



Occorrente:
  • 4 candele o più (se oltre a voi gioca qualcun altro)
  • 1 oggetto affilato
  • sangue
  • sale
  • 1 accendino
  • qualsiasi cosa che contenga caffeina o tenga lucidi
Le ombre possono essere evocate solamente dalle ore 0:00 alle 0:03 della notte. Non un minuto in più non uno in meno o l'evocazione non riuscirà.
 
Svolgimento:
NB: dovete essere soli in casa, se c'è qualcuno con voi deve per forza partecipare al gioco o morirà.
Per prima cosa dovete disegnare un triangolo in terra utilizzando il sangue che vi siete procurati (non credo vorrete dissanguarvi, perciò vi suggerisco di usare sangue di animali morti). Il triangolo dev'essere abbastanza grande da permettervi di starci dentro.
Ora dovete posizionare 3 candele agli estremi del triangolo, accendetele e spegnete di conseguenza tutte le luci della casa. Vi troverete quindi al centro del triangolo e la vostra unica fonte di luce per il momento saranno le candele.
Ha inizio dunque il rituale d'evocazione. Prima di eseguire il prossimo passaggio accendi la quarta candela (o le altre candele se siete in due, tre...), sarà la vostra unica fonte di luce durante il gioco.
Con un oggetto affilato (coltello, rasoio, ago) feritevi lievemente e impregnate con qualche goccia di sangue il sale, allora mettetene un pizzico sulle candele, cercando di non spegnerle.
Adesso dovrete recitare la frase seguente:
Helusion! Daemoniacas umbras tres occurrunt!
Che in altre parole sarebbe un invocazione al Helusion chiedendo che tre ombre demoniache si manifestino.
Non ci vorrà molto prima che le tre ombre appaiano spegnendo una ad una le candele poste in terra fatta eccezione per la candela o le candele che tenete per voi. Ogni oggetto ad energia elettrica non funzionerà fino alla fine del gioco: potrete cercare di accendere luci, torce, cellulari... niente.
Spegnere le luci e ogni altro oggetto elettronico prima del rituale lo salverà dalla fulminazione o dalla fusione dei circuiti.
Ora le ombre inizieranno a ruotare velocemente intorno a voi, perderete i sensi. Quando vi risveglierete troverete un bigliettino vicino a voi dove ci sarà scritto con lettere di sangue il nome di un gioco. I giochi da fare saranno tre, secondo quest'ordine: silenzio, fuga e paura. Al termine di un gioco bisognerà affrontarne un altro. Se non riuscite a completare tutti i giochi in una notte dovrete riiniziarli la notte successiva, se non giocate morite.
 
Fuga
Dovrete riuscire a non farvi catturare dalle ombre, per farlo basta semplicemente "scoprirle" mentre si avvicinano a voi di nascosto. Fare questo gioco in più persone aiuta ad avere maggior campo visivo ma... dovete trovarlo qualcuno che ha il coraggio di giocare.
Se venite catturati le ombre si impossesseranno di voi per il resto della notte e non tutti sono così fortunati da potersi risvegliare al mattino, o comunque a casa propria: potrebbero ritrovarvi morti annegati come potreste anche svegliarvi chiusi in una bara sotto terra (non è una bella esperienza credo).
Il gioco termina dopo due ore circa.
 
Silenzio
Molto simile a nascondino, dovrete stavolta cercare un nascondiglio e trovatolo spegnere la candela restando li senza fiatare. Le ombre vi cercheranno, ma non potranno vincere il gioco se voi non emetterete alcun suono. Infatti se parlerete, piangerete, asimerete o urlerete e loro capiranno dove vi trovate avranno vinto il gioco. Però anche se un ombra scopre la vostra posizione e voi non vi lascerete sfuggir di bocca un suono fino allo scadere del tempo avrete vinto.
Purtroppo per voi, se capiranno dove siete faranno di tutto per farvi anche solo sospirare. Ma voi non dovete aprire bocca mai, mai! Potreste sentirvi toccare da qualcosa, udire urla agghiaccianti, vedere cose orribili ma non dovete per nessuna ragione aprir bocca! Perciò vi consiglio di tapparvi le orecchie con le mani e tener gli occhi chiusi, qualunque cosa accada.
Difatti se siete dentro ad un armadio, potrebbe venirvi l'idea di guardare fuori grazie alla fessura tra le due ante... NON FATELO! Se un ombra si accorge della vostra presenza potrebbe far finta di andarsene dalla stanza per poi comparire davanti a voi urlando e deformando la propria faccia ad immagine delle vostre più grandi paure. A quel punto anche i più coraggiosi urlerebbero.
Se le ombre vincono il gioco sarete posseduti. Il gioco termina dopo due ore circa.
 
Paura
Durante questa prova le ombre vi causeranno delle sorta di allucinazioni, vedrete tutto deformarsi e poi dovrete sopportare delle scene o sensazioni orribili... e tutto vi sembrerà reale. Assisterete a diverse scene (come ad esempio lo scuoiamento di un uomo...) o interagire con le allucinazioni (mangiare un animale morto...).
Cercate di rimanere lucidi, per questo durante questa prova aiutatevi più che potete con la caffeina o farmaci per rimanere svegli. Se sverrete le ombre avranno vinto, ma non sarete posseduti stavolta: dovrete rifare direttamente il gioco il giorno successivo. Se rimanete svegli è importantissimo che non impazziate.
Una volta terminato questo gioco avrete vinto. Il gioco dura un ora oppure il tempo di 9 allucinazioni, una peggiore dell'altra.
 
Fine dei giochi
Se riuscirete a completare tutti e tre i giochi allora avrete vinto e le ombre dovranno fare qualcosa per voi. Solo in pochi riescono a completare questo gioco. E se non impazzirete verrete segnati comunque da quest'orribile esperienza.
 
Consigli
  1. Non giocate con qualcuno in casa senza che questi partecipino, li trovereste morti la mattina dopo.
  2. Se giocate con qualcun altro e questi vien posseduto uccidetelo o lui ucciderà voi.
  3. Prendete del caffè prima di inizare a giocare, non vorrete addormentarvi al primo gioco spero.
  4. Durante il primo gioco posizionatevi in una stanza con pochi da oggetti e mettevi in modo da avere più campo visivo possibile. Le ombre avanzeranno lentamente... all'inizio.
  5. Durante il secondo gioco non abbandonate il nascondiglio per nessun motivo, le ombre vi uccideranno. Non addormentatevi nemmeno, porteste svegliarvi di soprassalto e urlare oppure non presentavi all'inizio dell'ultimo gioco.
  6. Durante il terzo gioco fate tutto ciò che vi viene richiesto, cercate di rimanere più tempo sulle prime allucinazioni che sperare di, superando velocemente quelle iniziali, finire in fretta tutte le altre. Meglio passare un ora sulle prime 4 che arrivare alle ultime.
  7. Se avete malattie cardiache, respiratorie o soffrite di epilessia non praticate Il Gioco delle Ombre.
Detto questo... NON FATE QUESTO GIOCO, POTREBBE ESSERE L'ULTIMA AZIONE DELLA VOSTRA VITA.
 
Ancora una cosa... Io ho vinto il gioco, come desiderio ho chiesto alle ombre di possedere una persona a caso ogni notte... fai attenzione... ahahahah...
 
Non... non sono pazzo.
 
Forever Your

Oliver.





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Capitolo 7
*** Rumore di graffi ***


L’Italiano si premette nuovamente il cuscino sulle orecchie, soffocando nel materasso un lamento simile ad un pianto.
Era quasi un’ora ormai che quel rumore lo teneva sveglio.
Era cominciato come un semplice mugolio, seguito da un rumore simile a qualcosa che graffiava contro la sua porta d’ingresso.
Col passare dei minuti il rumore era diventato più forte.
Una risatina inquietante, come quella delle bambole, si era unita al resto.
Cosa poteva fare ormai!?
Da dove diavolo proveniva quel rumore!? …E quella risatina??
La testa del povero ragazzo sembrava voler esplodere, la paura si era velocemente fatta strada in lui e lo aveva bloccato.
Si alzò tremante, e si avvicinò al telefono.
Lo alzò, compose il numero che sapeva a memoria.
Certe volte avere un fratello maggiore adottivo poteva far comodo.
Veneziano era sempre del tutto inutile in certi casi.
Il telefono squillò una volta… due volte… tre volte…
Un suono acuto uscì improvvisamente dalla cornetta e quasi non perforò un timpano al povero Romano che lasciò cadere il telefono a terra, imprecando.
Qualcuno… qualcosa… doveva aver tagliato i fili.
Doveva aver tagliato i fili proprio mentre lui stava telefonando per chiedere aiuto.
E a quel punto ebbe davvero paura.
Spagna era inutile ormai.
C’era soltanto lui e quella cosa, qualunque cosa essa fosse.
Così aprì un cassetto e tirò fuori una pistola completamente carica.
Era sempre stata lì.
Mai sottovalutare il paese della mafia.
Nel momento stesso in cui aprì la porta di camera sua il rumore si fermò.
Silenzio più totale. Era come se nulla fosse accaduto.
Sembrarono passare ore, mentre Romano rimaneva lì in piedi con la pistola in mano, in attesa che il suono riprendesse.
Tuttavia quest'ultimo sembrava essere sparito definitivamente.
Col cuore in gola, inquieto ed incapace di fermarsi, avanzò fino alla porta.
Allungò la mano verso la maniglia… La aprì...
Fuori il fresco vento notturno. Nient’altro.
La controllò bene. Nessun segno. Nemmeno appena accennato.
Doveva avere più e più sfregi. Romano avrebbe potuto giurare di aver sentito addirittura i pezzi di legno cominciare a cedere… Eppure esso non presentava alcun segno.
Scosse la testa, convincendosi con molta fatica del fatto che probabilmente si era trattato soltanto del vento o della sua immaginazione, così chiuse la porta…
E fu allora che li vide.
 
La moltitudine di sfregi insanguinati rivestiva il lato interno.




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Capitolo 8
*** Giù in cantina ***


- Eih Belgio, hai visto il piccolo Romano per caso? –
Le aveva chiesto Spagna quella sera.
Romano era sparito.
Non era cosa nuova, dato che quel bambino era un asso nel perdersi in casa dello Spagnolo.
- Non di recente… Magari sarà di nuovo in cucina a mangiare! –
Antonio era subito andato a controllare, ma non lo aveva trovato neanche lì.
- ¿Romanoo? ¿Pequeño? –
Nessuna risposta.
Stava iniziando a preoccuparsi sul serio.
Il ragazzo continuava a girare per casa chiamandolo, quando ecco…
- ¿Donde estas, Romanoo? –
- Uff, sono giù in cantina, Spagna bastardo! –
La cantina non era nulla di che.
Una porta, delle scale in legno e una stanza con soltanto degli attrezzi.
Tonio scese le scale, lo stanzino a destra proiettava una luce giallastra.
Nessun' ombra.
Spagna era fermo, la luce appena accesa andava e veniva. Come sempre.
Non trovò Romano.
Si guardò intorno, spiazzato.
Eppure era sicuro di aver sentito la voce del piccolo Romano provenire da lì.
In quel momento… una goccia di sangue gli cadde sulla guancia.
Una sul naso.
Una sulla fronte.
Solo allora con orrore si accorse che… stava camminando su del rosso bagnato.
Un lembo insanguinato del grembiule di Romano era appena caduto a terra.
Antonio non avrebbe voluto alzare lo sguardo al soffitto…
Ma in ogni caso non fece in tempo a vedere nulla.
Ed ora oltre al sangue di Romano, sparso un po’ ovunque c’era anche il suo.
 
Nel frattempo, al piano di sopra, la ragazza bionda stava continuando le sue ricerche.
- Hai trovato Romano? Dove sei??–
- Sono giù in cantina. –
 
… Rispose Antonio.



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Capitolo 9
*** Specchio ***


E' rientrato tardi questa sera, il biondo Francese, dopo una giornata tranquilla nella sua amata Parigi.
Posa l'elegante cappotto, l'ombrello... 
Oggi ha piovuto tutto il giorno. Piove ancora.
L'odore di pioggia riempe l'aria... 
Pazienza, pensa Francis.
Parigi è comunque meravigliosa, con la pioggia e con il sole.
Posa la busta della spesa in cucina, prende a sistemare le cose in frigo, ma viene distratto da un rumore.
Chiude il frigorifero, tenta di capire da dove provenga quel misterioso suono. 
Sembra proprio che il suono provenga dal bagno, anzi, è proprio così.
Francia preme l'orecchio contro la porta, distingue chiaramente qualche voce che parla a basso volume, oggetti che si spostano...
Raccoglie il coraggio, spalanca la porta, entra... 
Nulla.
Accende la luce, ma ancora nulla.
Nulla è stato spostato, nulla si è mosso. Magari è stata soltanto la pioggia ed una buona dose di immaginazione.
Il francese scuote la testa, spegne la luce ed esce.
La serata procede tranquilla.
Cena, una telefonata ad Angleterre soltanto per dargli fastidio ed una buona dormita.
Nulla di strano durante la notte.
Soltanto il suono dello scrosciare della pioggia a conciliare il sonno.
La mattina arriva velocemente sopra casa del Francese, il quale si alza come da routine.
Entra in bagno come di consueto. Nulla di strano.
Dopo essersi lavato il viso però, Francis nota qualcosa...
Impronte. 
Ci sono delle impronte di dita sul vetro.
Strano, quando mai il giorno prima lo aveva toccato!?
Prova a pulirle, ma esse non intendono andare via.
Solo allora se ne accorge...
 
Le impronte sono dall'altra parte dello specchio.



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Capitolo 10
*** Brutti Sogni ***


Il piccolo orsetto bianco si mosse appena, picchiettando con la zampina contro la testa del Canadese a cui era abbracciato.
- E-Eih tu... Tu! Mi senti..? -
Il ragazzo si mosse appena, mugugnando assonnato.
L'orsetto ripeté il tutto in attesa sperando che si svegliasse presto.
- Mi senti? Tu, chi sei? Mi senti? -
Matthew non aprì neanche gli occhi, ma sollevando appena la testa dal cuscino diede finalmente segni di coscienza.
- Io sono Canada. - Sbuffò nel dovergli dare sempre quella risposta ovvia.
- Non è il momento per le domande adesso. 
E' notte fonda!
Avanti, Kumajiro, torna a dormire... -
Canada sbadigliò ancora, ma non fece neanche in tempo a tentare di riaddormentarsi che l'orsetto lo chiamò di nuovo.
- Eih tu! Non riesco a dormire! Ho fatto un brutto sogno... -
Il Canadese capì che in quel momento riaddormentarsi in pace non sarebbe stato possibile.
Poggiò un gomito sul cuscino, per poi sostenersi la testa con quella stessa mano, mentre l'altra era intenta a stropicciarsi un occhio.
- Ti va di sederti e di raccontarmelo? 
A volte questo può aiutare... -
L'orsetto scosse subito la testa.
- Non posso! -
Disse poi, quasi impaurito.
- Perchè non puoi? -
Domandò di nuovo Canada.
- Perchè nel mio sogno quando te lo raccontavo quella cosa che ti osseva da dentro l'armadio usciva e ti faceva del male. -
Matthew restò per qualche secondo in silenzio...
 
E proprio durante quell'attimo si sentì chiaramente un'anta di legno aprirsi cigolando.









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Capitolo 11
*** Vicino ***


Permetterle di uscire da sola era stato un gesto davvero gentile da parte del fratellone Svizzera, anche se la giovane sapeva che aveva ricevuto questa rara autorizzazione solo grazie al fatto che la persona che aveva deciso di andare a trovare era Ungheria. 
Il fratellone Svizzera non si fidava mai di nessuno. Era proprio quello il motivo per cui spesso non le permetteva di uscire da sola, nonostante si fidasse ciecamente di lei.
Da non troppo tempo era entrato in buoni rapporti con la giovane Ungherese. Stessa cosa era stata per Lili, alla quale non risultava così complicato stringere nuove amicizie, al contrario del fratello maggiore.
Quella stessa sera, Liechtenstein stava tornando proprio da casa di Ungheria, ma sul suo viso non appariva la stessa espressione felice che aveva accompagnato la giovane durante tutto il viaggio d’andata. 
La ragione del dubbio, e di quell’accenno di sconforto presenti sul sottile viso erano ben chiari: non aveva trovato Ungheria quel giorno, e non sapeva capacitarsi del motivo. 
Aveva chiesto a tutti, in lungo e in largo, ma nessuno sembrava averla vista nelle ultime ore.
Prima di rinunciare definitivamente alle ricerche, aveva deciso di passare un’ultima volta davanti casa dell’Ungherese, sperando in qualche novità.
Arrivò, bussò educatamente alla porta.
Nulla.
Liechtenstein sospirò di nuovo, arrendendosi definitivamente. Non ci sarebbe stato verso di vederla quel giorno.
Fu proprio in quel momento che un rumore la portò a voltarsi nuovamente, giusto in tempo per vedere la porta che si richiudeva cigolando, così come si era aperta.
La ragazza restò per qualche momento spiazzata. Era davvero sicura che non ci fosse nessuno in casa. 
In effetti non aveva visto nessuno… chiudere la porta.
Abbassò di poco lo sguardo… e soltanto allora le vide.
Vide un mucchio di foto Polaroid all’angolo della strada, lì esattamente davanti alla porta. 
Dovevano essere state lasciate scivolare lì fuori dal piccolo spiraglio che era stato aperto prima.
 In tutto ce n’erano venti, tenute insieme da una banda elastica. La ragazzina le raccolse e cominciò a sfogliarle mentre camminava. Magari qualcuna di esse avrebbe potuto dirle dove si era andata a cacciare Ungheria… o almeno fornirle un lieve indizio.
La prima foto mostrava una figura spettrale, pallida, della quale si potevano distinguere meglio soltanto i lunghi capelli castani.… una figura femminile che si intuiva appena su un fondale totalmente scuro, tanto lontano dalla macchina fotografica che non si riusciva a distinguere alcun dettaglio.
Che fosse davvero la persona che stava cercando??
 La ragazza mise la foto dietro le altre e guardò la seconda. 
Si trattava dello stessa ragazza, ora un po’ più vicina. 
Continuò a guardare le foto, una dopo l’altra, e vide che in ognuna, colei che ormai era chiaro essere l’Ungherese era sempre più vicina e i dettagli andavano nel farsi sempre più distinti.
Girando l’ultimo angolo prima di arrivare a casa, la ragazzina notò che lo sguardo della ragazza nella foto sembrava sempre fisso su di lei, anche se muoveva la Polaroid da un lato all’altro con la mano. 
La cosa la spaventò un po’, ma continuò a guardare le altre foto. 
Una volta arrivata alla penultima, Ungheria era talmente vicina all’obiettivo che il suo volto copriva l’intera inquadratura. Aveva l’espressione più terrificante che Liechtenstein avesse mai visto. Camminando sul vialetto di casa, girò l’ultima foto. Questa volta, invece di un’immagine, c’era solo una scritta: “Sono qui vicino a te.”
Scosso improvvisamente da un forte grido terrorizzato appena fuori la porta di casa, Svizzera si precipitò fuori impugnando il fucile che portava sempre con se a portata di mano.
Aveva riconosciuto la voce della sorellina nell’urlo di terrore di poco prima.
Non appena fuori dalla porta, il fratello maggiore corse nel vialetto pronto ad affrontare chissà quale pericolo pur di proteggere Liechtenstein…
Ma non trovò nulla.
 
Beh, a pensarci bene forse nulla non è il termine più adatto da utilizzare, perché qualcosa trovò…
Trovò una pila di fotografie Polaroid a terra.
Non aveva idea di cosa raffigurassero, né di come fossero arrivate lì. 
La loro presenza non spiegava affatto l’urlo che quasi non lo aveva fatto cadere dalla sedia dello studio poco prima.
Nei dintorni non c’era assolutamente nessuno, così le prese.
Erano circa venti fotografie. Si soffermò sulla prima.
Raffigurava una piccola sagoma femminile dai capelli biondi, in lontananza.
A guardarla così poteva benissimo passare per la sorellina.
 
... Ma era troppo lontana per poter distinguere i dettagli.




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Capitolo 12
*** Acquitrino. ***


Ovunque si vada, capita sempre di trovare un posto sul quale girino strane storie… E non importa quanto orribili e cruente esse siano: una parte di noi sembrerà sempre volerci spingere ad affrontare queste vicende per pura curiosità o disprezzo della paura stessa.
Può essere una dimostrazione di coraggio agli altri, una dimostrazione di coraggio a noi stessi o quello spirito d’avventura e di ricerca della verità che distingue la natura umana.
Ora, ciò che vorrei raccontare è un fatto avvenuto tempo fa, a me e mio fratello minore Scozia.
Scotland è sempre stato un ragazzo… ribelle. Probabilmente il peggiore fra tutti i miei fratelli.
Un bimbo mostro, come lo definivo io quando era piccolo.
Si è sempre divertito a torturare il piccolo Arthur, e mi ritengo fortunato a non esser mai entrato in conflitto con lui.

Ma adesso veniamo a noi.
Dovete prima di tutto sapere, che si racconta che in questa zona una cinquantina di anni fa circa accadde qualcosa di veramente orribile.
Un gruppo di bambini stava giocando nella zona in un giorno di pioggia.
Aveva smesso da poco uno di quei temporali davvero lunghi, e non c’era da stupirsi che la terra fosse diventata fango. I bambini erano usciti a giocare anche per questo.
Divertendosi a modellare la pasta sabbiosa a loro piacimento, non si erano accorti che la lieve pioggia che li accompagnava stava man mano intensificandosi. Fu allora che accadde.
La troppa acqua ruppe la piccola diga che si era costruita per evitare che il luogo si allagasse completamente durante la stagione umida.
I piccoli furono travolti dall’acqua e la fanghiglia che li nascosero per sempre.
Nessuno ne ritrovò mai il corpo.

Ora vi chiederete. Cosa c’entra questo con noi?
Beh, come ogni tragico fatto, su quel luogo sono cominciate a girare strane storie.
Da quel che ho capito nessuno della gente locale ama avvicinarcisi, e a nessuno se sano di mentre verrebbe mai l’idea di andarci di notte.
… A nessuno tranne che a quell’idiota di mio fratello, ovviamente.
- Eddai, Galles! Che vuoi che succeda!? -
- Tu devi essere pazzo, Scozia. E poi lo sai, ho del lavoro da sbrigare! -
- Al culo il lavoro! Ci andremo stanotte. -
- Stanotte!? Tu ti sei completamente bevuto il cervello!! -
Scotland si sedette direttamente sulla mia scrivania, la solita odiosissima sigaretta stretta in mano.
- Sei la solita donnina, Galles. Non dimostri mai il contrario. -
Ora… Se potessi tornerei indietro, e darei qualunque cosa pur di farlo gli direi di no, gli direi di non andare e lo avvertirei… ma sul momento non avevo idea di a cosa sarei andato incontro, e tutto volevo tranne che il dover ascoltare ancora quell’idiota di mio fratello, così accettai.
Come ho già detto… non avevo ancora idea di a  cosa stessi andando incontro.

Come da programma quella sera arrivammo sul posto.
Non era il massimo dell’accoglienza, anzi… Un maledetto pantano puzzolente. Una scura palude umida, disgustosa distesa di acqua stagnante e fango.
Spensi l’auto e guardai mio fratello in attesa di qualcosa.
Lui non mi stava neanche guardando,  impegnato com’era a starsene con il naso spiaccicato contro il finestrino a guardare fuori.
-         Che posto di merda… -
Commentò soffiando via il fumo.
- Ci sei voluto venire tu, eh! -
Protestai.
- Bene, avresti intenzione di fare ades... -
Non feci in tempo a finire che Scotland aprì la portiera, uscendo e affondando con i pesanti anfibi nel fango.
- Merda! Che schifo. Ci mancava soltanto questo cazzo di fango. -
Sospirai. Cosa si aspettava da una palude!? Prati e fiorellini?
Neanche a dire una parola per avvertirmi che prese da solo la via degli acquitrini.
Ora ditemi voi cosa avrei dovuto fare… mollato lì da solo. Così scesi di corsa dalla macchina e lo raggiunsi.
- Sei un pazzo! Ma ti pare a trascinarmi in un luogo del genere!? -
Venni zittito di colpo.
Tentai di protestare, ma lui mi zittì di nuovo.
- Shh!! … Lo senti? -
Mi chiese poi, facendomi gelare il sangue.
Tesi l’orecchio in ascolto. Intorno a noi, nella parte dove la fanghiglia cominciava a farsi più profonda, si poteva chiaramente sentire uno strano suono, come di qualcosa che si muoveva nel fango… ma quale animale avrebbe potuto mai nuotare in un luogo del genere!?
- Suggerirei… di t-tornare alla m-macchina.-
Mormorai con voce tremante.
- M-Mozione approvata… -
Rispose il roscio guardandosi intorno allarmato, mentre quel suono si avvicinava sempre di più… e di più… e di più…
Ci girammo di corsa, ma fummo immediatamente avvolti dal buio: i fari della macchina si erano spenti.
- W-WHAT THE FUCK..!? -
Chiese sull’orlo dell’isteria Scozia mentre fissava terrorizzato davanti a se.
A quel punto sentirle non fu difficile: sia da davanti… che da dietro a noi.
L’eco di risate di bambini.
Fu un secondo. Vidi Scozia in parte sparire al mio fianco, fino alle ginocchia sotto la superficie di una pozza di fango.  Urlai.
Urlammo entrambi mentre tentavo disperatamente di aiutarlo ad uscire di lì.
Ci riuscii in parte, ma qualcosa stava bloccando la sua caviglia sinistra… Una manina.
Tirai un calcio a qualunque cosa fosse e ci allontanammo correndo, schiantandoci letteralmente contro la macchina che non vedevamo a causa del buio.
Ci avvinghiammo alla carrozzeria di essa, quasi ci aspettassimo di essere trascinati via da quelle vocine e risate che si avvicinavano quando…
I fari si riaccesero. Tutto normale.
Dietro di noi non c’era nulla, se non la scia dei nostri passi terrorizzati.
Scotland era semplicemente scivolato dentro una ridicola buca innacquata dalla quale spuntava un ramo. Ecco la manina che avevo visto.
- Fottuto schifosissimo ramo di merda. -
Commentò Scozia ancora scosso, ma ridendo.
- Fottutissima schifosissima suggestione !! -
Risi anch’io, più probabilmente perché altrimenti mi sarei messo a piangere.
Risalimmo in macchina, riaccesi il motore e ripartimmo.
Tutto a posto, tutto nella norma.
… Finchè qualcuno mi chiamò.
Era mio fratello con sguardo terrorizzato.
- G-Galles…!? -
- What? –
Chiesi con fare annoiato.
Lui non proferì parola. Mi indicò con mano tremante lo specchietto retrovisore.
Alzai lo sguardo su di esso, e solo allora le vidi.
Sul vetro posteriore oltre alle impronte lasciate da me e mio fratello con il fango…

Erano stampate una decina di piccole impronte di bambini.






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