Your Name Inside My Mouth [traduzione di WibblyWobbly e isteria]

di ivyblossom
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cardine ***
Capitolo 2: *** Due Facce ***
Capitolo 3: *** Su ***
Capitolo 4: *** Troppo presto ***



Capitolo 1
*** Cardine ***


Note dell'autrice. Spero non penserete male di me. Questa fiction è basata su un prompt di Cellar_Door. In aggiornamento.

Note delle traduttrici. Perché ci siamo messe a tradurre questa fic? Beh, perché è Ivy. E poi ci siamo accorte, nonostante la fic originale sia appena al quarto capitolo, che l'idea, lo stile e qualunque altra cosa vi possa venire in mente sono semplicemente perfetti. Se volete capire chi è Sherlock Holmes dovete leggere questa storia: nemmeno Moffat ci avrebbe pensato (ok, magari lui sì).
Un'altra piccola precisazione e poi non vi tedieremo più: non siamo delle esperte linguiste, ma siamo pignole e precise fino allo spasimo: rimaniamo ore a riflettere (via Twitter, Facebook e segnali di fumo) su una singola frase o parola e quindi speriamo di avere la vostra comprensione e il vostro apprezzamento per quello che facciamo. Lo stile di Ivy è telegrafico ed è davvero difficile da rendere in un italiano corretto e corrente, perciò a volte ci siamo dovute prendere delle "licenze poetiche": ovviamente siamo ben contente di ascoltare consigli, suggerimenti e quant'altro che ci aiutino a migliorare le traduzioni. 
Questo è il link alla storia originale, mentre il capitolo che state per leggere è stato tradotto da isteria e corretto dalla preziosissima WibblyWobbly.

Detto questo, buona lettura!

Cardine

Eccolo (qui): sei minuti dopo le sette (precisamente). Proprio al momento giusto. Come se ci fosse un momento giusto, o un comando stabilito. Come se un corno [1] risuonasse da qualche parte, un ordine, un qualcosa di urlato nella mattina: scendi dal letto, John Watson, fai il caffè. Le Costanti Abitudini di John Watson: Pronostici Dalla Mattina Alla Sera. Cinque sesti della tazza e non di più (latte, senza zucchero); tre colpetti sul tavolo con l'anulare mentre ci passa vicino. (Perché? Nessun ipotesi. Non riesco a immaginare il motivo.)

Si sta stropicciando gli occhi adesso, molto probabilmente. Come fa lui. Per nessuna ragione: non c'è niente che non vada nei suoi occhi. Solo abitudine. (sollievo? Non lo so). Inspira, espira. Respirare la mattina e rispedirla fuori di nuovo. Risvegliarsi. Si sta svegliando.

Digrigna i denti quando riempie il bollitore. Rubinetto aperto: acqua.

Non riesco a sentirlo digrignare, ovviamente, non da qui, non con il rubinetto aperto, ma è vero: un'altra costante abitudine. Irremovibile.

Si muove lentamente, i suoi passi sono lievi sul pavimento. Cauti. Sta provando ad essere un fantasma. Shhh, silenzio; pensa che potrebbe svegliarmi. Shhh, non rompere la calma. Non svegliare il tuo coinquilino. Sono sveglio, John. Ti posso sentire. Va tutto bene. Non mi dispiace.

Inspira, espira ancora: un sospiro. Riesco a sentirlo. Le pareti sono sottili. Inalare, esalare. Respira contro la piastrella [2], il vetro (non ancora in frantumi).

Fa fresco stamattina. Più tardi pioverà. Non c'è niente da fare oggi tranne che pensare alla morte. Non sua, però. No. Non lo lascerei accadere. Solo di Moriarty.

E la mia.

Non ho casi: John me ne potrebbe trovare uno sui giornali. Lestrade potrebbe chiamare. O qualcosa di interessante potrebbe comparire sul sito (improbabile). Ma qualcosa potrebbe esserci.

Forse, forse. Speriamo sia così. Altrimenti il mio cervello verrà lasciato a se stesso. Pericoloso. Forse produttivo.

Sta arrivando, lo so. È tutto già scritto, e stiamo seguendo un copione. Sinistra, destra, sinistra: ordini di marcia. Non c'è modo per uscirne; l'ho costruito io. Lo so. Ricordo il mio vantaggio. La morte senza morire: pensa. Come? C'è un modo. C'è.

C'è tempo. C'è ancora tempo. Sistemerò tutto. Ma prima un caso: sì. Un caso. Qualcosa che mi distragga. Qualcosa di divertente.

Riesci a immaginarlo, John? Riesci già a capirlo? Riesci a vederlo? Sembra così ovvio. L'orologio sta ticchettando. Sta per succedere. Non lo vedi, vero? È il cardine. È imminente. Vetro infranto sospeso sul pavimento. Farà male.

Click di un interruttore: il bollitore è acceso. Passi: sinistra, destra, sinistra. La rigidità se ne è andata. Sbadiglia. Sta venendo qui. Sta per entrare.

A volte lo fa. Non sempre. Ogni tanto mi controlla. Spalanca la porta spingendola, entra. Non so perché. (Ancora manie di controllo?) Vuole sapere dove mi trovo. Vuole vedermi. (Sicurezza? La sua, o la mia? Ha importanza?) Si ferma un attimo da me mentre dormo. Non mi tocca. Non dice niente. Mi guarda soltanto.

Conoscerà la differenza tra quando dormo e quando faccio finta di dormire? Mi ha visto in entrambi i modi. (Io no: è praticamente impossibile vedere te stesso dormire. Ho solo visto lui; lui non finge). Mi studia? Può capire la differenza? È per questo che mi osserva? No: non è il suo stile. Mi guarda solo per controllarmi: è un'abitudine.

È giusto? Forse. Come tamburellare con il dito sul tavolo. (Anulare. Mano sinistra. Tre volte. Perché?)

Il sonno è lento: respirazione lenta, attraverso il naso. Rallentare i battiti del cuore. Temperatura corporea abbassata. Occhi chiusi, postura rilassata. Incosciente. Vulnerabile. Atonico. È così che ci appare chi dorme: molle e rannicchiato sotto le coperte. La testa affondata in un cuscino; la mente che si nutre di se stessa. Shhh, non svegliare il tuo coinquilino, John. Sto dormendo. Sono addormentato.

Un furgone in movimento. Un cane inizia ad abbaiare da qualche parte verso ovest, leggermente a nord. In parte levriero russo, se dovessi provare a indovinare. Nervoso. Per un movimento inaspettato.

Le sue dita toccano la porta: così delicate, cautamente. Il cardine non scricchiola. (Montato durante la ristrutturazione, millenovecentoottantuno; robusto.) Lui mi guarda. (Perché? Perché esattamente?) Una mano appoggiata alla maniglia della porta. Inspira, espira. Inspira.

Lo riesco a sentire; il suo corpo emana calore [3]. A piedi nudi sul pavimento. Il suo respiro caldo. La sua mano rimane sulla maniglia. Il cardine è silenzioso. Posso sentire la sua presenza, mentre sta lì. Ecolocazione [4]: potrei allungarmi e toccarlo senza nemmeno aprire gli occhi. Potrei afferrargli il polso, sentire le sue pulsazioni.

Mi volto affinché possa vedermi, i miei occhi che si muovono, rapidi. Guarda: questo sono io addormentato, poi sveglio.

Succede velocemente, l'istante tra un stato e l'altro, ma ci vuole un momento per adattarsi. La distrazione del passare da un universo a un altro. Entrambi sembrano reali visti dall'interno, e svaniscono dall'esterno.

Una spinta per il mio subconscio a ritirarsi, per la coscienza a prendere il sopravvento; l'attività cerebrale si decide a seguire uno schema. Sveglio.

Puoi dire che questo non sia reale, John? Realtà o finzione: te ne importa? Ti importa di quello che vedi? Non conta niente. Sono stato sveglio per ore, sai? Stavo aspettando che tu facessi iniziare la giornata. Stavo pensando a come risolvere la situazione.

(Magazzino; centrale elettrica; sponda del fiume; parcheggio; tunnel: dove? Come, esattamente? Morire, non morire. Non lo so. Non ancora. Non lo so.) Inizio a domandarmi se sia il caso di permettergli di uccidermi.

Non una soluzione ideale, lo ammetto. Ma definitiva, almeno. Per lui. Ma anche per me.

Il bollitore borbotta sul bancone della cucina; la routine mattutina di John. Il tempo si muove inesorabilmente, non è vero?

Niente che possa fermarlo, non i miei nervi, o il mio cervello, o la mia forza di volontà. Ti posso sentire, John. Guarda: la pantomima del risveglio. So come funziona, a memoria [5]. La reciterò per te.

Può osservarmi: mi esibirò. La nostra routine continua. Mattina. Abitudini. Caffè, toast. I giornali. Sta per accadere. Tutto finirà: male, temo. No: troverò un modo per risolvere tutto. Lo troverò. E questo insieme di abitudini continuerà ininterrotto.

“Buongiorno.” Lo dice piano. Lievemente, come i suoi passi sul pavimento. Quello del risveglio è un processo che rispetta. Inizia gentilmente e senza far rumore, e lui non vuole disturbarlo. Lo lascia sbocciare. Un piccolo fiore alla luce del sole. Sveglio. “Caffè?”

Sa già la risposta, ma chiede sempre. Non è un'offerta, non proprio: adesso lo capisco. È un saluto. Significa eccoci ancora qui, tu ed io. È mattina, e siamo svegli e la nostra solita conversazione deve iniziare di nuovo. Come se potesse non partire, se non facesse quella domanda. Come fare un rituale per obbligare il Sole a sorgere ogni mattina. Sorgerà comunque, lo sai. Stanne certo. Lo farà. Per adesso.

È incorniciato dalla porta. I suoi capelli sono arruffati per il sonno. La sua mano è ancora sulla maniglia.

Il fischio [6] si è calmato; sta per bollire. Il cardine del salotto continuerà a muoversi per un altro giorno. Altri ancora, prima che si rompa e lo spinga a mettersi un paio di pantofole di mattina. Niente cambierà, per un po'. Mi sorride. La luce è debole e lattiginosa attraverso la finestra.

“Sì.” è quello che rispondo sempre. È la mia battuta. “Caffè, sì.”

Nessuno dei due morirà, oggi. Non oggi.




Note alla traduzione:

[1]: qui abbiamo inteso proprio un corno usato come “richiamo”. Il verbo usato infatti è “blowing” .

[2]:  "Breath against the tile, the glass (not shattered yet)" e qua ci siamo veramente dannate. Abbiamo inteso che John, mentre aspetta che il bollitore fischi, si appoggi alle piastrelle (tile) e al vetro (glass).

[3]: nell'originale è "warm point", letteralmente "punto caldo". L'abbiamo reso con un'espressione italiana con lo stesso significato.

[4]: per ecolocazione (o ecolocalizzazione) si intende "la capacità di alcuni organismi (Pipistrelli, Cetacei e alcuni Uccelli) di emettere ultrasuoni e rilevare gli echi riflessi per localizzare la posizione di ostacoli o fonti di cibo", è tipica dei pipistrelli e degli odontoceti (di cui ho appena scoperto fanno parte i delfini). Qui altre informazioni.

[5]: nel testo "inch by inch", quindi come dire "centimetro per centimetro". Dato che non suonava bene, abbiamo preferito rendere l'espressione con un più libero "a memoria" visto che stiamo parlando di recitazione.

[6]: in realtà la parola che traduce "kettle" è bollitore, il problema che usare "bollitore" avrebbe portato a una ripetizione veramente brutta: "Il bollitore si è calmato; sta per bollire". In inglese questo problema non esiste, ma in italiano ho dovuto cambiarla, perché mi faceva venire la pelle d'oca.

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Capitolo 2
*** Due Facce ***


Cap 2 Prima di lasciarvi alla lettura, lasciatemi dire graziegraziegraziegrazie all’insostituibile isteria perché riesce a capire i miei ragionamenti contorti (per lo più senza senso) e a sopportare le mie innumerevoli paturnie riguardo ai punti più difficili da rendere.
:D

Due Facce

Olio di lino: inizio da qui.

È  quello che vuole, ciò che si aspetta. Seguire gli indizi, il copione. Seguire, seguire, seguire. Una scia di briciole di pane. Come un bravo bambino devo raccoglierle, mordicchiarle, essere intelligente. (Intelligente solo in questo senso, però; non troppo intelligente. Non intelligente abbastanza da poter sfuggire. Mi stai sottovalutando, Moriarty. Sono più intelligente di questo, e molto più motivato di quanto immagini.) Anche io posso giocare a questo gioco. E lo farò. Ci sono due facce: riesco a vederle entrambe.

Seguire, seguire, seguire e lasciare una piccola scia tutta mia. Riesci a vederla, Jim l’informatico [1]? Non penso tu possa. Non è ancora completa. Non può guidarmi per tutta la strada fino a casa. (Non ancora. Non ancora del tutto.)

Il laboratorio non sarà occupato: solo Molly. Bene. Un paio di mani extra. Ora di pranzo: John vorrà mangiare. Bene. E Molly? Dovremmo portare qualcosa, allora. Non sopporto di essere interrotto dalle necessità fisiche degli altri. Non adesso.

Ho bisogno di tutto il tempo che riesco a recuperare. Si sta esaurendo. (Non sono pronto. Neanche lontanamente pronto.)

Un respiro forzato: le adenoidi [2] di John sono di nuovo gonfie. (Lievemente). Allergia? Possibile. Di tanto in tanto, quando piove sono più evidenti. Oggi, però, il tempo è buono. Eppure. Eccole: le adenoidi gonfie di John. (Il suo respiro chiaro a Baskerville, la seconda notte, non ha russato: lo ricordo. Hm. L’inquinamento è una possibilità.) Si schiarisce la gola. Intreccia le dita tra loro. Sta pensando.

È preoccupato.


Perchè? Non lo sa? Intuisce qualcosa?

Oh. Naturalmente no.

Bambini. Giusto. Bambini rapiti: staranno bene. O non lo saranno, non importa.

Continua a respirare, John.

Peggiorerà con l’età. Dovrebbe ritirarsi in una casa di campagna da qualche parte, quando arriverà il momento. South Downs [3], forse. L’aria di mare aiuterebbe. (Glielo suggerisco? No. No: assolutamente no. Potrebbe intuire qualcosa e non dovrebbe farlo. Vorrebbe sapere perché gli do consigli sulla pensione, come se non sarò nei dintorni a raccomandarglielo quando sarà tempo. Nessun avvertimento anticipato, non posso. Non è nel piano.)

Vorrei che potesse intuirlo. (Indovina, John. Indovina. Ho bisogno del tuo aiuto.)

Pranzo dal distributore automatico, andrà bene? Non importa. Molly rimarrà, mi aiuterà. Un pacchetto di patatine andrà bene: tutto ciò che occorre è una scusa. Bene. Il distributore automatico del Bart’s: John ha un paio di sterline in tasca. Le ho sentite tintinnare quando si è seduto. Ecco risolto il pranzo.

Bene.

Olio di lino. Un indizio? Forse. Doppio indizio: due lati. Sempre due lati, questa volta. Un gioco a due facce. Un doppio fine: quello ovvio (per Lestrade, per te, John) e quello nascosto (a tutti meno che a me). Il primo gioco per provocarmi, per intrattenermi, per tenermi sulla corda. Il secondo per distruggermi, lo so. Lo so. Gli ho dato tutto ciò di cui ha bisogno. Ha quasi finito. Sono quasi pronto per lui.

Quasi.

Non proprio. Ho bisogno di ancora un po’ di tempo. Come? Non lo so. Non lo so.

Lo renderebbe interessante, non è vero? I O U. Fiabe. Cattivi. Non poteva resistere: un ultimo, irresistibile gioco. L’ultimo e il migliore.

Non posso dire che ci sia qualcosa che non mi piace in questo, perfino adesso. Gioco squisito; scia deliziosa di briciole di pane, sì.

Ma sta andando tutto troppo veloce questa volta. Sempre troppo veloce quando hai bisogno che vada più lento: lo fa apposta. E’ un ritmo troppo veloce per pensare, per vedere chiaramente. Troppo veloce, quasi, per farlo nel modo giusto.

Non c’è abbastanza tempo. (E’ la mia fine, non è vero?) Non c’è più tempo. Troppo presto.

Un respiro. (Le adenoidi di John: difficile inspirare, difficile espirare.)

C’è abbastanza tempo per risolverlo. (C’è?) Sì. No: per ora non è abbastanza. Dovrò essere intelligente. Molto, molto intelligente. (Beh, lo sono.) Rifletti. Lui non può vedere tutto, non ancora.

Scenario peggiore: moriamo entrambi. Ed è finita comunque.

È qualcosa, no?

Ha ragione, alla fine: siamo due dello stesso genere. Siamo le due facce di una stessa medaglia. Avrei potuto essere  lui; lui avrebbe potuto essere me.

(
È
vera questa cosa? Hm, sì: sì, penso che lo sia. Per la maggior parte: vero. Per la maggior parte. Abbastanza vicino.)

Ci crederà John, alla fine, se non potrò tornare e raccontargli la verità?

Moriarty vuole che tu ci creda, John. E così sarà. Ci crederai. Sei un idiota, lui sa come ingannarti.

Non è propriamente giusto, vero?

È riuscito ad ingannarmi, una volta. Solo per un istante. Ricordi? Odore di cloro e cemento. Asciugamani bagnati. Tu che ripeti le sue parole. Per una frazione di secondo, ho creduto fossi tu, che eri stato tu a rivoltarti contro di me. Uno dei momenti più terrificanti della mia vita. Se è riuscito ad ingannare me, perché non dovresti cadere anche tu preda delle prove schiaccianti? Perché non dovresti sospettare  quando tutti i segni puntano direttamente a me?


Non è sua abitudine, vero? No. Far prevalere l’evidenza delle prove sul suo credere che la sua fede in me non è mal riposta. Crede di aver sbirciato nel mio cuore e di averlo trovato meritevole. 
È praticamente impossibile distoglierlo da questo punto, non è vero?

Strano, leale, onesto John. Non so dove hai sbirciato, e non so cosa hai visto. Ma hai ragione. Questa volta, almeno. Avrai ragione. Qualsiasi cosa questo significhi. Anche se non lo saprai mai.

Deglutisce; si schiarisce la gola. Gocciola dal naso. (Inquinamento probabilmente. Stagionale? Ho bisogno di più tempo per osservare. Non c’è tempo; l’ho sprecato tutto.) Improvvisa fitta emotiva per qualcosa: rimpianto? Paura? Non ho tempo per questo. Non ho tempo per nulla di tutto questo.

Russerà questa notte, si sveglierà qualche volta. Un rumore esile, la sua voce intrappolata al suo interno. Stranamente confortante, quel suono. Una piccola melodia che la sua gola suona per me nella notte. Per adesso.

Traffico: fila di taxi, tre volkswagen viaggiano insieme, un pullman. Nessuno mi segue, non questa volta. Non gli interessa oggi. Non ancora. Sta valutando altre strade. Il gioco finale è cominciato.

John non crederà alle bugie di Moriarty. Non ci crederà. Non riesce a vedermi come cattivo, non adesso. A meno che Moriarty non trovi il modo di dipingermi come un deplorevole truffatore [4]. Ti conosce così bene da sapere che deve farlo? Costringerti a tradirmi? Forse sì. (Pensiero spaventoso. Non c’è nulla che possa fare a riguardo: finirà come deve finire.)

Ci crederà. Deve crederci. Il tradimento definitivo, la mia profanazione, distruzione: questo è il punto centrale. Deve rivoltarti contro di me, non è vero? O il suo piano non avrà senso. Devo essere tagliato fuori completamente. Solo. Suo. Questo è quello che vuole: rovinarmi in ogni modo. Lasciarmi con nessun altro che lui. Una nemesi [5] come il più vero degli amici.

Sarà troppo difficile non crederci, anche per te, John. Lo so.

Considero.

Scenario Uno: Moriarty ci riesce. John crede che sono un truffatore, insieme a tutti gli altri. Proprio come Sally, come Anderson e Dimmock ci credono. I pezzi combaceranno tutti insieme, come se fossero stati progettati per questo, e lui lo vedrà chiaramente. Ci saranno prove. Sarà nei giornali. La logica apparirà impeccabile alla mente che cerca di essere razionale. Sembrerà giusto. Sembrerà vero. Confermerà la convinzione che tutti che avevano fin dall’inizio su di me. Nessuno può essere così intelligente. Un cattivo, un bugiardo: me. Non sono mai stato un uomo gentile, vero? E’ stato un imbroglio fin dall’inizio. Ovviamente lo è stato! La ricerca di attenzione, uno scherzo elegante. Sfrutterà la mia incapacità ad interessarmi a quello che pensano gli altri contro di me. (E’ perfetto, a suo modo. Perfino io lo riconosco. Perfetto. Mi conosce così bene.)

Scenario Uno: John ci crede.

Lo immagino non sorpreso. (I suoi occhi: vuoti. Freddi. Ho già visto quell’espressione sul suo volto: sdegno nascosto. La sua morale spina dorsale ritta come una bacchetta.) Ha imparato; sa di cosa sono capace, bene o male. Avrà senso per lui ritenere che io sia uscito fuori da i binari a un certo punto. Ogni seccante preoccupazione che abbia mai avuto (le droghe, gli esperimenti, le entrate forzate, gli ASBO [6] accidentali) lo renderà reale[7]. Ho messo una testa nel frigo. Ho sparato al muro. E di chi sarebbe quel teschio, poi? Ha imparato a guardare al cuore delle prove e  a operare una conclusione; c’è solo una conclusione che può trarre. Rifletto: ci crede.

Probabilità: alquanto bassa. (Non è vero?). Moderatamente bassa. Da bassa a moderata, allora.

John non è così razionale, né così condizionato dalle prove. Non lo è. Non mi tradirà facilmente. O non mi tradirà per niente. Mi tradirà? Forse sì. Con il giusto tipo di prova. (Cosa?)

Scenario Due: Moriarty non riesce a causare questo particolare tradimento. John non crede che sono la radice di tutti i mali, non importa quali prove gli sono presentate. (Pia illusione? No. Sicuramente no. Una valida possibilità che richiede valutazione, almeno.)

Le prove a proposito. John: è un ottimista con un irrazionale [8] attaccamento al suo coinquilino, al suo amico, e nessuna mera prova lo distoglierà da questo; crede che io sia un uomo migliore di quello che effettivamente sono; ha una grande fiducia in me e nelle mie abilità; conosce i miei metodi ma preferisce usare i suoi; non ascolterà una sola parola detta contro di me (a meno che non le dica lui stesso, a me, come una sorta di segno d’affetto, o almeno così sono arrivato a interpretarlo). Mi porta il caffè.
È mio amico.

Scenario Due: John resta mio sostenitore convinto, e ignora i giornali, la televisione, la polizia, e tutti i suoi amici e continua a credere che sono stato incastrato.

Probabilità: ragionevole. Almeno questo, almeno ragionevole. E’ insito nel suo carattere. Niente che possa fare o dire può fargli cambiare idea, vero? Crede in me. Non è vero? Completamente. (Pia illusione? Sono dubbioso su questo punto.) Mi sono scusato per aver condotto l’esperimento su di lui a Baskerville. L’ho fatto. Ha accettato le mie scuse. Non è vero?

Quando tornerò, e il mio nome sarà ripulito o sarà Mycroft a raccontargli la verità, lui risponderà con un  cenno brusco del capo, tipico di lui. Dirà di aver sempre creduto che tutte quelle sciocchezze non potevano esser vere. No? Sicuramente. Sicuramente così. (Non lo so. Non lo so.)

Temo che dovrai prendere la decisione da solo, John.

E mi dispiace per questo. Lo sono davvero. Sinceramente. Lo sai che ne sono capace.

Ci sono già catene che mi legano le mani: posso avvertirle. Lui sta osservando. Ogni passo è stato già stabilito; il mio cammino deve nascondersi in queste orme già tracciate. Lo schema è tracciato e devo seguirlo. Precisamente, precisamente. O tutto è davvero perduto.

Ti ho lasciato tutte le prove che ho potuto, John. 
È ben poco. Ma c’è.

Olio di lino. Non un errore. Mi sta attirando in una trappola. (Ovviamente.) 
È ora. Come premerà il grilletto? Accadrà presto. Molto presto. Forse oggi. Forse no.

Non sono ancora sicuro, non sono sicuro. Ci sono possibilità. Un’altra sfida; rivoltare Lestrade e John contro di me per prima cosa. Lasciarmi completamente da solo. Certamente: è questo lo scopo. Ed è qui? Nell’olio di lino?

Ho già mostrato troppo entusiasmo per il rapimento dei bambini, il che è stato un errore. Certamente questo era l’inizio di tutto. Sapeva che il suo lavoro m’avrebbe deliziato. Lo sapeva. Sono un uomo terribile, John. Lo sai questo. Nessuna compassione per bambini che soffrono, troppo facilmente distratto da un bel caso. Non posso farci nulla; sono quello che sono. So come pensi. E anche lui lo sa. E’ vero, è vero. Due facce di una medaglia, lui ed io. Avrei potuto finire così male.

Qualcuno ha vomitato in questo taxi nell’ultima settimana. (Quattro giorni fa. Forse cinque.) Tappetini nuovi, odore di detergente. John non ha appuntamenti da sei mesi. Perché? Le 11, 43. Arriveremo al Barts prima di mezzogiorno. Distributore automatico. Molly Hooper e le sue sostanze chimiche. Sì. Olio di lino. Così inizia.

I O U. (Perché?) Due facce, due facce. Devo crearne una terza. Una che lui non riesca a vedere.

Sembra nervoso. Vuole parlare; vuole sempre parlare, ma non lo dice mai. Che c’è, John? Che succede?

“Ma come ha fatto a eludere le telecamere a circuito chiuso?”

Cosa?

Ah. Moriarty, bambini rapiti. Una scuola. Ti stai muovendo nel suo schema anche tu, i tuoi piedi sono esattamente dove lui vuole che siano. Sinistra, destra, sinistra. Sa di che pasta sei fatto, John. Riesce fisicamente ad avvertire le tue domande.

Lui non si cura delle CCTV [9]. Probabilmente si è assicurato di mostrare un bel profilo, infatti. Non importa, perché ha lasciato una prova ancor più schiacciante contro di me. Ovviamente l’ha fatto. Dettagli, dettagli. Non contano più ormai. Sono per lo più bugie a questo punto. Non credere a questi dettagli, John.

Stai pensando le cose che lui vuole che pensi. Prestando attenzione ai dettagli, come se questo fosse un caso qualunque. Crede che queste domande ti porteranno a dubitare di me, sai. Dubiti di lui, dubiti di me. (Ti sei sbagliato su di me? Tutto questo tempo?) Lui ne è certo. (Probabilmente ha ragione.) Stiamo costruendo i momenti che ricorderai. Come ho fatto? Come ho fatto a diventare un mostro mentre ero al tuo fianco? Come ho reagito? Come hai fatto a non notare che sono io l’assassino che così difficilmente hai provato a fermare?

Se avessi potuto dirti tutto, John, l’avrei fatto.

Forse avrei dovuto pianificarlo in questo modo. Non posso cambiarlo.

Troppo tardi adesso. Troppo tardi.

Spero che non penserai troppo male di me.

Suppongo non importi poi davvero, alla fine.

Adesso: il laboratorio. Olio di lino. Anche se: I bambini sono irrilevanti alla fine. Solo fumo negli occhi. Solo un pretesto per poggiare le fondamenta. (Ci casco di nuovo: essere il tipo sbagliato di uomo.) C’è un’altra parte di domande qui, John. C’è una serie di impronte che ci conducono a casa. Le vedi? I O U. Non riesco a smettere di fissarle. Il mio tempo sta per scadere.




Nota della traduttrice: prima di lasciarvi alla lettura delle note, vorrei fare qualche appunto. Quando si traduce qualcosa, soprattutto dall’inglese, spesso ci s’imbatte in parole ed espressioni che “comunicano di più” e credo che comprendere questi significati, questi veri e propri universi dietro parole a primo acchito “innocue” possa davvero aiutare a comprendere meglio anche la storia che si sta raccontando. Per questo, da parte mia, troverete moltissime note, molto lunghe: questo perché, a quanto pare, non ho il dono della sintesi XD
Vi prego quindi non prendere questi ulteriori chiarimenti come delle “lezioni”, assolutamente non è questo il mio intento; io stessa solitamente scopro il 90% di quello che scrivo nelle note in fase di traduzione e spero che queste “scoperte” possano arricchire - e soprattutto chiarire - anche voi (comunque sempre liberissimi di saltare i “pipponi filosofici”).

Note alla traduzione:
[1]: "Jim from IT" è un riferimento a "TheGreatGame" dove, ricorderete, Moriarty si finge membro del reparto informatico del Barts per poter avvicinare Molly e, conseguentemente, Sherlock.

[2]: Se qualcuno come me non ha mai sentito parlare di queste cose, Wikipedia arriva in soccorso: "Le tonsille faringee dette anche adenoidi o più correttamente vegetazioni adenoidi, hanno le stesse funzioni delle tonsille palatine ma, trovandosi sulla parete posteriore del rinofaringe, se crescono troppo possono causare anche notevoli difficoltà di respirazione."

[3]: Le South Downs sono un catena di colline calcaree nel sud dell'Inghilterra. Comprendono gran parte dell'Hampshire e del Sussex fino ad arrivare, manco a dirlo, alle scogliere della Beachy Head.

[4]Dall'originale "[...]Not unless Moriarty finds a way to paint me as something beyond the pale." Ora: credo che l'espressione "beyond the pale" sia intraducibile in italiano, almeno per quanto concerne questa storia (ho perso parecchi giorni a cercare di uscire da quest'impasse! D: ). Letteralmente descrive un 'essere oltre i confini della moralità'; deriva la sua ragione d'esistenza dal fatto che, molto tempo fa soprattutto in Irlanda - ai tempi delle espansioni - i confini dei conquistatori erano "recintati" e si riteneva, quindi, che al di là di queste recinzioni tutto fosse non civilizzato, barbaro. Come la preziosissima mia co-traduttrice, isteria, mi ha fatto notare è vero che Sherlock spesso si è spinto troppo in là, ma John ha sempre saputo che lo faceva per "un bene superiore": quindi, in questo caso il "beyond the pale" potrebbe essere inteso come "senza controllo, solo per il gusto di esserlo".

Ovviamente, se avete un'idea, un suggerimento che possa rendere migliore questo passaggio, non esitate a comunicarlo! :D

[5]: Qui Ivy usa proprio la parola "nemesi". Ancora una volta Wiki ci viene in aiuto "Oggi questo termine si usa anche per intendere una situazione negativa che giunge immediatamente dopo un periodo particolarmente fortunato, sempre come atto predestinato alla compensazione." E ciò si ricollega perfettamente a Sherlock, che cade proprio subito dopo il suo periodo più fortunato. Quindi Moriarty sarebbe la sua Nemesi, perché lo vuole "buttare giù".

[6]: L'ASBO è un "avviso di pericolosità sociale" tipico dell'ordinamento inglese civile che viene sporto contro una persona che, dimostrato sulla base di prove, partecipa a comportamenti anti-sociali. John ne becca uno nella 1x02, TheBlindBanker.

[7]: La frase orginale è "will reify it". Reify traduce "reificare" che è un termine per indicare un concetto filosofico con diversi significati. In questo caso, tuttavia, indica il processo mentale con il quale si converte un'esperienza astratta, un processo mentale, in qualcosa di concreto; e infatti Sherlock si riferisce alle noie di John che, proprio come progettato da Moriarty, si trasformano in vere e proprie prove di colpevolezza.

[8]: L'originale è "John: is an optimist with a perverse attachment to his flatmate(...)" ora: nonostante "perverse" traduca proprio il nostro "perverso" il primo significato della parola inglese non corrisponde al nostro. Secondo l'Oxford Dictionary - e qui sta la cosa interessante, che ho adorato - "perverse" indica il dimostrare un deliberato e ostinato desiderio di comportarsi in modo irragionevole od inaccettabile. E, secondo me, tutto questo dal punto di vista di Sherlock ha perfettamente senso: John gli è affezionato in un modo che per lui è incomprensibile e soprattutto irragionevole, irrazionale, contro la logica.  Passaggio perfetto.

[9]: Le CCTV sono le telecamere a circuito chiuso, sparse un po' per tutta la città.

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Capitolo 3
*** Su ***


Io mi sono quasi sentita male quando ho letto questo capitolo. Spero di essere riuscita a renderlo più che decentemente, lo spero proprio. Ringrazio come sempre WibblyWobbly, che di inglese ne sa più di me e tira fuori traduzioni dal cappello.

Su

Respiro. È fatta. È finita. È morto.

Lo è davvero? Sì. Certo che lo è. Lo guardo.

E se non lo è? Potrebbe alzarsi in piedi. (Ma non può, davvero).

Potrebbe: potrebbe ingannarmi. Potrebbe essere un bluff. Potrebbe trovare un modo per fingere un colpo a bruciapelo, sicuramente ci riuscirebbe. È possibile. È una possibilità.

Potrebbe sbattere le palpebre. Proprio adesso, mentre lo sto guardando. Sbattere le palpebre, e rivolgermi lo sguardo. E questa sarebbe la fine. Ho solo un piano, una strada da percorrere, solo un modo per sopravvivere a tutto questo, e sono compromesso. Non posso inventarmi una nuova linea di azione, non ora. Sto tremando. Fa freddo.

Potrebbe pulirsi il completo con le mani, scrollarsi il sangue dai capelli. Potrebbe alzarsi in piedi e ridere. (Basta: niente panico. È morto. Ho visto quella pallottola trapassarlo: non c'è modo di fingere qualcosa del genere. Nessun modo, o lo saprei. È morto.)

Potrebbe alzarsi con calma, andare dietro di me, spingermi, farmi cadere in un modo in cui non potrei, nel modo in cui non dovrei. (No.)

Potrebbe spingermi e cadrei esattamente nel modo sbagliato. Potrebbe guardarmi mentre mi schianto al suolo. Guardare il mio collo rompersi, il cranio frantumarsi sul marciapiede, il mio sangue scorrere e riversarsi nei canali di scolo. (No: è morto; è morto. Non può farmi del male adesso, non con le sue mani.) Potrebbe guardare in basso e vedere esattamente come ho pensato di batterlo, tutti quegli angoli, tutto l'aiuto, la performance, e ne riderebbe. Riderebbe, e io morirei. Davanti ai tuoi occhi. E avrebbe vinto completamente. Ci ucciderebbe entrambi.

C'è una possibilità: è razionale. Non bisogna sottovalutarlo.

No: basta pensarci. Mi sto inventando le cose; immaginazione iperproduttiva. Questa partita l'ho vinta io; avevo ragione. È morto. È finita. Sta a me adesso. (Sta a me, vero?)

Dannata paura primordiale *. È irragionevole. Posso vedere dei pezzi di materia grigia. È morto. Non c'è più niente da temere di lui; solo i suoi ultimi ordini, i suoi piani. La sua trappola. Devo solo portare tutto a termine. Io devo cadere, e tu, John, devi piangermi.

Fa freddo. Più tardi pioverà. Le prove verranno lavate via. No: non tutte. Ci sarà un segno che rimarrà: il suo, e il mio. Questo posto sarà macchiato per sempre da proteine, firma insanguinata nel posto dove lui è morto, dove io sono morto. Eccetto che io non sarò morto. Non lo sarò, John. Fidati di me.

Semafori; pedoni, qualcuno che porta dei pacchi a casa.

Nessuno guarda su, neanche una volta. Divertente. Un'intera dimensione del mondo alla quale nessuno presta mai attenzione: su. Come se sui tetti non succedesse mai niente. Nessuno mi vede; trascorrono la loro giornata nello stesso modo in cui trascorrono tutte le altre, pensando che ci sia un sicuro tetto fatto di cielo sopra le loro teste. Come se non vi fosse cattiveria in esso. Passano attraverso il mondo senza vedere, senza nemmeno guardare. Camminano, camminano, camminano, nel mondo di tutti i giorni, come se tutto non fosse un continuo contorcersi e urlare intorno a loro, sotto di loro, sopra loro.

Bene; questo era quello su cui contavo: la nebbia non osservante della gente qualunque. Nessun bisogno di Lestrade qui; niente panico di sotto. Non ancora. Ho bisogno di John, ho bisogno che stia al di fuori di un raggio di quindici piedi da dal luogo della caduta per almeno un minuto e mezzo. Quando succederà. E dovrò guardarlo fino a quel momento. Devo vedere.

C'è un'ultima insicurezza: ho bisogno di guardare giù. Devo essere sicuro.

Non è un suicidio, John. Mi conosci bene. Se volessi uccidermi non lo farei in questo modo. Mai in questo modo. Lo sai. Nessuna possibilità di spiegare, purtroppo: non posso. Devi sapere.

Se non dovesse funzionare, Molly ti spiegherà tutto, vero? Magari no. Potrebbe attenersi alle mie ultime istruzioni: non dirlo a John. Non dirgli nulla. Non può sapere. Non importa. Non è un suicidio, John. Non il mio, almeno. Se io morissi davvero, sarebbe un omicidio, o un errore.

Non c'è spazio qui per gli errori.

Respiro: i miei piedi si stanno intorpidendo. La droga: sì, è per questo. Colorito pallido, respiro rallentato, è tutto a posto. Tutto quello che devo fare è cadere.

Un suono dietro di me: un movimento. Moriarty? Si è alzato, guardando verso di me? Pulendosi il sangue sulla nuca? No: no. Dio. È morto. Ho il cuore in gola: respiro. (Norepinefrina, adrenalina: ogni neurone sta trasmettendo panico. Il sangue si sta addensando come melma (Non posso farlo.) È solo il vento. Solo il vento. Mi sto immaginando le cose. Emozioni troppo vicine alla superficie; il cervello crea minacce dove non esistono. Non esistono, non qui. È morto. Le minacce sono laggiù.

Il suo sangue si sta coagulando sul cemento. Il suo sangue; è morto. Perché proprio adesso mi è così difficile accettarlo? Ogni neurone è pronto per l'assalto, per il panico. È normale: è previsto.

Respiro: devo stare calmo. Devo essere convincente. Non sono sicuro se ci riuscirò. Non voglio esserlo. Non credermi, John. Oppure: credimi adesso, dopo fatti delle domande. Rimetti tutto in discussione. Ripensa a quello che ti ho detto. Pensa.

Come se lo potessi fare. Tutto quello che farai sarà sentire [1]. È quello su cui faccio affidamento, quello di cui hai bisogno. E farà male. Mi dispiace per questo: mi dispiace. Vorrei che ci fosse un altro modo. Sicuramente c'era, da qualche parte, all'inizio di questa storia. Ma non adesso: fa freddo. Mi stanno guardando: li riesco a vedere da qui. Alla mia sinistra, alla mia destra. Pistole puntate. Sono pronte per te. E tu stai arrivando. Sei in taxi, guardi oltre il traffico, preoccupandoti. Forse sei arrabbiato. Confuso. Ti ho mentito; adesso lo sai. Aggrappati a questo, John: perché avrei mentito? Su cos'altro sto mentendo? Non sentire soltanto, John. Pensa. Quando arriverà il momento. Pensa.

Concentrazione: non è il momento per distrarmi. Non ora. Logistica. Tutto deve essere perfetto. Devo cadere, e schiantarmi, e fingermi morto. Devo. Tu devi crederci. E se non ci credi, saremo morti entrambi.

Respiro: mi sento stordito. No: non devo perdere il controllo. Avanti, John. Muoviti. Non posso stare qui tutto il giorno, sai. Ho un appuntamento con l'asfalto.

Non fa ridere, lo so, ma non posso farne a meno.

Non riesco a sentire niente oltre il battito del mio cuore, e il vento. Respiro. È tutto stranamente calmo e sereno quassù. Fa freddo. Sta per piovere ancora. Avrò bisogno di un cambio d'abiti. Non da casa, niente che non sia nuovo.

È triste, vero? Un taglio netto: non posso portare via niente con me. Lasciare indietro ogni cosa: John, e la mia vita. Non avevo intenzione di crescere affezionandomi alle cose. Le cose non hanno importanza. Ne arriveranno altre.

Avrò bisogno di un nuovo completo, scarpe. Mi chiedo se il mio cappotto sarà recuperabile.

La vita continua, di sotto. Gente, traffico, lampioni. Turisti, persone che camminano lungo la strada, stupide. Parlano tra loro, ridono. Non riesco a sentirli: c'è solo il vento adesso.

I suoi occhi sono ancora spalancati, guardano il cielo. La mia faccia è stata l'ultima cosa che ha visto; è quello che voleva. È quasi romantico. Una specie di affetto distorto: è pericoloso guadagnarsi l'amore di uno psicopatico.

Aveva così tanta fiducia nella mia capacità di fallire, alla fine. Perché? Mi hai sottovalutato, Jim. Eri solito sottovalutare le persone; è stato facile spingerti a sottovalutare anche me.

Non ti sei chiesto come mai non abbia risolto il caso? Avresti dovuto chiedertelo, almeno. Avrebbe almeno dovuto venirti in mente che potessi stare bluffando. Concedermi questo, almeno; la possibilità di essere più furbo di te. Di poter mentire. Avresti potuto perlomeno immaginarlo. Mi dovevi almeno questo.

Quindi, alla fine, è stata questa la tua debolezza: la fiducia nel mio fallimento. Mi sento offeso da questo, sul serio. Sono deluso. Pensi davvero che io non sapessi cosa avevi intenzione di fare? Che cosa stavi provando a fare? Pensi che io non potessi venire a capo di tutte le tue prove? Tutti i tuoi giochi, per tutto il tempo: non hai pensato che io ormai potessi avere imparato i tuoi trucchetti? Che avessi imparato a fregarti? Non eravamo uguali, alla fine. Non eravamo le due facce della stessa medaglia. Per niente. Che liberazione per te.

Sembra felice, un certo livello di felicità. Sereno. In pace. Vorrei che avesse capito, un secondo dopo che fosse troppo tardi, che si era sbagliato. Che l'avevo battuto. Penso che, in qualche modo, potrei averlo compiaciuto. Sono migliore di come pensava che fossi (certo che lo sono).

Fa freddo, sempre più freddo. Dita irrigidite. È solo la droga: lei mi aveva avvertito che poteva succedere. Rigido, freddo, sempre più vicino alla morte. Il cuore sembra troppo rumoroso: respiro. È l'adrenalina. Amigdala sovreccitata. La paura come reazione, le emozioni così vicine da attorcigliarsi attorno al mio collo facendo pressione sul mio petto. Mi rendono difficile respirare. Il sangue defluisce dalle mie estremità. Freddo. Sono stanco. Appesantito. È previsto: tipico. Sarà più facile giacere immobile, fare il morto. Sarò convincente. Avrei dovuto fare una prova, prima. Così adesso saprei. Potrei ignorare lo stordimento e il freddo se avessi saputo che mi sarei sentito così. Idee sbagliate, paura, una fitta di rimorso. E tristezza. Credo sia stata sempre lì, e adesso sia impossibile da ignorare. Tristezza. Non c'è stato tempo per prepararmi a niente di tutto questo. Non sono pronto, lo so. È un po' disarmante. La sento raccogliersi agli angoli degli occhi.

Rimpianto. Paura. Tristezza. Mi dispiace, John. Non c'è altro modo.

Respiro. Respiro e basta. Tutto quello che devo fare è cadere.

Odore di gas di scarico e un po' di fumo. Piombo vaporizzato [2]: la prova di un proiettile esploso. Solo pochi minuti fa. Sangue. È morto: è finita. Ora tocca a me.

Solo un'ultima parte; da un momento all'altro, ormai. Il taxi arriverà proprio lì; tu ne uscirai. Camminerai verso l'entrata dell'ospedale: non ti devo far arrivare al marciapiede, non prima che io sia pronto. Ho bisogno che tu stia sulla strada, che guardi su. Che guardi me. So che sarà doloroso. Scusami. È necessario.

Eccoti lì. Eccoti. John. Punto caldo nel vento. Posso capire tutto quello che stai pensando dal modo in cui cammini per la strada. Frustrazione, rabbia. Sei preoccupato. Sei spaventato. Sei pieno di domande. Sarà l'ultima volta che mi vedrai, quando guarderai su. Lo capirai quando mi vedrai, vero? Capirai cosa sto per fare. Proverai a convincermi a non farlo. Non ci riuscirai. Mi dispiace, John. Davvero.

Ci siamo.



[1]: (mi scuso in anticipo per la nota scema) Intendo sentire nel senso di “feel” e non sentire in senso stretto -maledice le mancanze di sfumature occasionali dell'italiano-.

[2]: come la preziosissima WibblyWobbly spiega (mi piacciono tanto i nostri spiegoni, non sapete cosa vi perdete quando ci rimandiamo i capitoli con le nostre note *-*) non si tratta di polvere da sparo. Quando si spara, si propaga una piccola esplosione di piccolissime particelle: il piombo del proiettile, la polvere da sparo e altri elementi chimici. Questo “vapore” poi si va a depositare sulla mano che ha sparato per questo dopo si utilizza il famoso “guanto di paraffina”, che oggi è stato sostituito da una barretta che raccoglie gli elementi – che non possono essere raccolti a mano nuda perché altamente corrosivi – per poi permettere l’analisi al microscopio. (Quante ne sa?!)

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Capitolo 4
*** Troppo presto ***


Nota: Prima di tutto vi chiediamo scusa per il ritardo nella pubblicazione, la vita vera s’è messa un attimo di traverso con mille impegni, le feste, gli ultimi esami ecc.
Secondo punto dolente: questo è l’ultimo capitolo che Ivy ha pubblicato. Purtroppo non ci è dato sapere quando arriveranno gli altri, ma tradurremo non appena sarà disponibile nuovo materiale.
Questo è solo un “arrivederci” :D
Peace out!



Troppo Presto

Non c’è bisogno che sia complicato. Lei lo aggiusterebbe perfino adesso se potesse: rendendolo più bello, più drammatico. Non così vicino agli occhi, forse. Più tragedia intorno al mento. È una pittrice, vuole dipingermi al meglio. Rendermi più raccapricciante, o più tragico. Lo so. Non c’è tempo per questo: non c’è. Fa’ il tuo lavoro. Mantenerlo a distanza. Quindici secondi, venti. Dev’essere realistico, e questo è realistico. Sangue; pallore. (Troppo presto: aspetta un altro minuto, allora sarà perfetto.) Una strana quiete: riesco a sentire i tuoi passi, John. Riesco a sentirti. Trenta secondi. Aspetta che ti raggiunga. Pausa.
Pronto.

Nessuno sparo. Il fucile è abbassato adesso? Una vista così limitata da quella finestra, una posizione idiota. Troppo facile nascondere l’intera operazione con questo vantaggio. Ci crede? Guarderà te per verificare. Ti sta guardando, John. Attraverso un mirino, al di là del reticolo di puntamento.

Per la maggior parte del tempo insieme abbiamo avuto puntatori laser che danzavano sui nostri petti, anche quando non lo sapevamo. (Lo adoravi, non è vero? Tutto quel tempo. Io sicuramente sì. Eravamo così ben assortiti, contro ogni previsione.)

Terrà i suoi occhi su di te fin quando tu manterrai i tuoi occhi su di me. Mi stai nascondendo, John. In questo momento mi proteggi, come fai sempre. Ne saresti contento? Uno sparo da una finestra per mantenermi al sicuro: è al contrario questa volta, il proiettile resta nella pistola, ma l’effetto è lo stesso. Mi sentirei più sicuro con il tuo dito sul grilletto, ma andrà bene. Mi crederai, perché lo fai sempre, e lui crederà a te. Interi discorsi comunicati senza parole. Non sono mai stato particolarmente bravo in questo.

Dolore acuto all’ascella: piccola pallina di gomma dura. Faccio pressione senza agitarmi. Un così delicato equilibrio tra dolore e immobilità. Marciapiede bagnato: l’acqua piovana nei miei pantaloni. La sensazione di un tocco leggero di un pennello sulla mia tempia. Ho freddo. Non rabbrividire: fingiti morto, non tremare. Il più leggero respiro batte contro le mie costole. Non posso deglutire. Avrei dovuto fare pratica.

Mi piacerebbe una tazza di the in questo momento: la mia gola è così secca. (Andiamo a casa, John. Andiamo a casa.) La porta su questa possibilità è chiusa adesso: niente più the a Baker Street. Non per me, comunque. Almeno per un po’. Forse parecchio tempo.

(Il calore che si espande una volta che la porta è chiusa; il chiavistello debole, che necessita di una vite in più nel meccanismo. Il tappeto sul pavimento che sta diventando logoro in alcuni punti. La trama della carta parati, l’odore di tappezzeria vecchia, caffè, amido, detersivo per piatti. Il rumore di un aspirapolvere. La tua voce, che chiacchiera di niente. La tua risata: le tue scarpe sulle scale. No: niente Baker Street per me, non più. Lo so, lo so.)

Morire è facile: studio cadaveri da abbastanza tempo, riesce quasi naturale. Essere un cadavere. Angolature particolari, rallentare il movimento con lo scorrere del sangue. Sono gelido nel profondo, sono bagnato, sono a pezzi. Lo sono, lo sono. Morto. Occhi aperti: vitrei. Non sbattere le palpebre. Guarda: fissa il vuoto.

Osserva, John. Guarda. Il volume del sangue sul marciapiede: è troppo, davvero. Leggermente troppo. Lo so che è così. Lo noterai? (No.) Hai già visto un trauma cranico prima d’ora, però. Più volte rispetto alla media. Hai visto ferite mortali alla testa. (Anche se: una ferita d’arma da fuoco è diversa, ovviamente.) È un indizio, troppo sottile da cogliere, io sospetto.

Lo noteresti solo se fosse troppo sbagliato, e non lo è. Molto più sangue di questo sarebbe una farsa; ma troppo poco, anche una quantità perfettamente realistica, assorbita dal mio cappotto, dai miei capelli ti farebbe guardare due volte. Non sembrerebbe abbastanza. Ti farebbe dubitare. Potresti pensare che potrei essere sopravvissuto. Lo so. Forse mi sbaglio: hai visto abbastanza scene del crimine. Magari indovinerai nel momento in cui riuscirai ad essere abbastanza vicino. C’è un quarto di pinta [1] in più sul marciapiede. Un quarto di pinta che dovrebbe essere ancora nel mio corpo. È un indizio, John. Lo vedi?

Ma loro non ti permetteranno di guardare. Non a lungo. Osserva tutto ciò che puoi, John. Studia la scena. Interiorizzala. Conosci i miei metodi. Osservami, e pensa. Sii razionale. C’è verità in ciò che vedi?

Ma non farlo. Non farti domande: non adesso. Non iniziare a pensare chiaramente adesso, Dio non voglia. Non uscire fuori dal personaggio facendo qualcosa di inaspettato come essere razionale. Ciò ci ucciderà entrambi. Che ironia: ho passato mesi a cercare di cambiare il tuo comportamento, cercando di spingerti ad osservare e a dedurre, a guardare ai fatti e solo ai fatti, e ora faccio affidamento sul tuo non riuscirci. Sono un insegnante terribile.

Ho bisogno che tu sia te stesso. Reagisci, non pensare. Piangi per me inutilmente. Ho bisogno che tu metta in mostra la tua irrazionalità a favore del nostro pubblico nascosto. Ho bisogno che tu assista a questo spettacolo di passione e che tu lo prenda per buono, come è probabile che tu faccia. Gioco con le tue debolezze. Sto usando la tua fiducia in me contro di te. Cosicché tu possa proteggerci entrambi, John. Per il bene superiore.

È un conflitto così strano: quello di cui ho bisogno e quello che voglio sono all’improvviso cose così differenti.

Sarai testimone di questo momento, allora. Così come devi. E credici anche, se necessario. Ma ripensaci, John. Dopo, quando la pioggia avrà smesso di cadere e chi legge i giornali non parlerà più di me. Ricordati di me così. Metti tutto in discussione. Non c’è troppo sangue sul marciapiede? Accade tutto troppo in fretta, non ha senso. Questi dettagli, sono improbabili. L’improbabilità è sempre una bugia. E questa è una bugia. Ascolta, John. Guarda. Osserva. Pensa.

Pensa, John: tutto questo sangue. Con la mia testa ancora parzialmente intatta? Avanti! Avanti: dovrebbe esserci ancora una quantità di sangue nel mio corpo a questo punto, calcola quanto dovrebbe essere. Dovrei ancora sanguinare a questo punto. Lungo il mio collo, nel mio cappotto. Sotto di me, non essendo più sospinto dal mio cuore. Avrebbe rallentato. Non dovrebbe essercene così tanto sul marciapiede. Non così presto.

È ovvio che le ferite alla testa sanguinano sempre tanto, questo è vero. E tu non hai visto l’impatto. Non sai quanto tempo è passato: sei in modalità di reazione, e il tempo sembra fermarsi. Non sai esattamente quando sei sceso dal taxi. Non hai abbastanza informazioni per poter andare avanti. Il tuo cuore rimbomba nelle tue orecchie. Non sei in condizioni di essere logico. Forse non indovinerai mai.

Non ti sarà permesso guardare due volte. Solo una volta; un’occhiata. Un solo sguardo a me che convinca. Sei il mio medico legale, sei tu la corte popolare. Sono morto. Spezzato, coperto di sangue. (Non è mio, John. Dovresti saperlo: sarai in grado di dirlo, se osserverai con attenzione. Cosa che non farai. Guarda. Osserva. Ricorda. Ti prego.)

Non voglio che dubiti di me, John. Ho solo bisogno che tu lo faccia.

Immaginerai che la parte posteriore del mio cranio sia completamente distrutta a giudicare dalla quantità di sangue. (Ma osserva la mia nuca: è intatta. Se fosse rotta sarebbe schiacciata. O se distrutta in modo irregolare, in una parte, sarei voltato in un’altra direzione o verso il marciapiede. Non lo noterai se non ci sono io ad indicarlo, vero? Il mio dottore. Troppo complicato. Lo so.) Dubbio fastidioso; aggràppati a questo. Avanti, John.

Riesco a sentirti: stai discutendo. Vuoi passare. Vuoi vedermi. Vuoi aiutarmi. Sei un dottore, come se potesse servimene uno in questo stato. Hai speranza. Anche adesso. Anche dopo avermi visto cadere. Per te il tempo s’è fermato, e in una certa misura credi di poter ancora afferrarmi, di poter impedire che mi spezzi. Salvami.

Hai dubbi, quindi. Bene. Ma è troppo tardi per i medici, John. Anche per uno come te. Devi dimostrare a loro che ci credi. Mostragli che è vero: nessun dottore può aiutarmi. Sono pronto per le cure di qualcuno più simile a me, adesso: qualcuno che si diverte a contatto con un cadavere fresco. Sono diretto solo all’obitorio. Sono morto.

È mio amico.”

Alla fine, è questo quello che sono, allora: due parole. Un aggettivo, possessivo. Un semplice sostantivo che denota affetto reciproco. Suo. Definisce la relazione, prima che lo faccia qualcun altro. Sta montando una discussione. Dovrebbe avere un accesso speciale a me, per vedermi, toccarmi, salvarmi. Amico: di tanto in tanto dico che non ne ho. Nei miei momenti di maggiore debolezza ci credo. Solo al mondo, non appartengo a nessuno, nemmeno a te. Sono sempre stato una creatura solitaria, John. Siamo tutti soli nella nostra testa, per la maggior parte del tempo, non è vero? Sarò di nuovo solo. E’ stato un momento di tregua da tutto questo, essere tuo. Tuo amico. Per un periodo di tempo. È stato bello.

Tornerò. Non posso dirtelo. Ma lo farò.

Mi sei di fronte; mi stai guardando. Nessun respiro, nessun movimento, nessuna messa a fuoco. Tutto è sfuocato, ma riesco a vederti comunque. Il colore dei tuoi occhi, l’angoscia che ti attanaglia. È nelle tue spalle, nelle tue braccia. Il modo in cui ti tieni la testa. Sofferente. Ti ho ferito.

Solo. Freddo, vuoto doloroso come una pugnalata al petto. Solo. Strano. Circondato da tutte queste persone, e solo. Di già. Non me lo sarei aspettato. E’ troppo presto. Tu sei proprio qui, e mi manchi già. Non mi piace mentirti, John. Sono solo qui sul marciapiede, ti sto mentendo. Voglio raccontarti tutto, tutti i più piccoli dettagli e i piani elaborati, ma non posso. Non c’è nient’altro che possa dirti.

Il tuo respiro adenoidale. (Avrai problemi a dormire stanotte. Perché? La pioggia, forse. Umidità. Le nuvole che si spingono verso il basso. Russerai, parecchio, ti sveglierà e ti agiterai nel tuo letto, mezzo addormentato. È la pioggia che provoca tutto questo? Reazione allo stress, forse. Può essere? No. Posso sentirlo: respiro arrabbiato. Il suono della tua voce nel tuo inspirare, espirare. Collegato all’umidità, forse a una leggera allergia. Muffa. Reazione allo svenimento, nuova muffa contro la parete. Magari è una spora sollevata dal nascosto Fleet River [2], scesa lungo le strade, e di corsa lungo il Tamigi, per poi risalire dal canale di scolo a farti tossire.

O potrebbe essere il dolore della perdita? Potrebbe; naturalmente. Muco che risale, liquido nei tuoi polmoni, reazione a un trauma. Al mio trauma. Al mio essere morto. Tristezza. Lacrime nella tua gola. Posso sentire il battito del tuo cuore nel tuo respiro. L’ho già sentito prima. Non posso guardarti correttamente. Non riesco davvero a vederti. Addio, John. Addio.)

Dita sul mio polso: calde. Sei caldo. Appena sceso dal taxi, non sei stato esposto al vento sul tetto. Io sono già pallido e freddo. Ha senso, John? Ne ha? Dovrei essere ancora caldo, sono passati solo pochi attimi. Nemmeno quattro minuti completi da quando sono morto, dovrei essere già così freddo? Così pallido? Così presto? Pensa. Pensa, John. Non sono morto da abbastanza tempo perché la mancanza di ossigeno potesse scolorire il mio viso. Labbra bluastre, devi notarlo. Devi vederlo. E’ troppo presto per questo. Quasi un minuto ancora prima che sia ovvio. Stai contando? Ha senso tutto questo? Guarda il tuo orologio. Pensa. C’è troppo sangue. È troppo presto.

Risolvi la tempistica. Non andare nel panico. Non puoi farci niente, vero? Non te l’aspettavi, anche se ho provato ad avvisarti. L’ho fatto. Ricordalo, John. È una performance. Non solo per te: anche per il resto di questo pubblico maniaco. Dovresti saperlo; loro non lo sapranno mai. Mi conosci. Non ti avrei lasciato in questo modo. Non t’avrei mentito. Sono davvero così intelligente. Sono passati tre minuti, non quattro. A te quanto sembra sia passato? Riesci a dirlo?

Respira, John. Stai piangendo? Non piangere. No: guardami. È solo dipinto su di me, John. Il sangue è stato dipinto sul mio viso. Con un pennello. Non troverai alcun polso, ma hai visto la pallina di gomma, non è vero? Tutti conoscono questo trucco. Tutti sanno come fermare le pulsazioni del polso. Un gioco da ragazzi. Letteralmente.

Non vuoi lasciar perdere. Ma ti costringono: lasci cadere la mia mano.

“Dio, no.”

Ah. Ecco. Ci credi, allora. Deludente. No: è come dovrebbe essere. Come deve essere. È fatta. Siamo salvi. Nessuno sparo, nessun altro morirà oggi. Siamo protetti. I miei polmoni si spingono contro le mie costole cercando aria. Respirare respirare respirare non ancora.

Le tue ginocchia cedono. Stai piangendo, riesco a sentirlo. Le tue emozioni sono diventate palpabili, di carne. Sei triste; ti ho reso triste. Sono stato solo tutta la vita, e non ne sono stato mai tanto cosciente quanto adesso. Mi dispiace, John. Tornerò.

Ti spingono lontano da me. Per il tuo bene, ovviamente. Non perché ho bisogno di spazio per prendere un altro respiro. Ovviamente no: sono morto. Guarda tutto questo sangue. Guarda quanto sono pallido, quanto sono freddo. Le mie labbra sono diventate blu. (Irene aveva ragione: fingere la tua propria morte è davvero troppo facile.) Sono morto. Anche tu ci credi.

Potremmo mettere fine a tutto questo in un momento. Potrei alzarmi, potrei afferrarti la mano e guardarti dritto negli occhi. È una performance, John. Riesci a vederlo? Sei troppo onesto per questo, non funzionerebbe mai. E io sono troppo disonesto. Devo essere disonesto adesso: è richiesto. Perdonami. Quello di cui ho bisogno non è quello che voglio. Come spiegarlo? Non posso, comunque. Non posso.

Sirene; una donna grida da qualche parte qui vicino. Ad alcune persone le scene del crimine non piacciono.

La tua voce, da qualche parte in lontananza, stai dicendo qualcosa che non riesco a capire bene. Non sono nemmeno sicuro siano parole. Sei istintivo e devastato. Non ti ho mai visto in questo modo. Ti ho visto spaventato, e risoluto, e arrabbiato. Ma non così.

Tornerò. Lo farò. Quando potrò. Tornerò. Goodbye, John.


Note:
[1] Una pinta è poco meno di mezzo litro. In questo caso quindi circa un quarto di mezzo litro. Una quantità infinitesimale che solo uno come Sherlock potrebbe notare a primo acchito.
[2] Il Fleet River è il più grande fiume sotterraneo di Londra (e affluente del Tamigi)

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