always in my heart harry. your sincerely, louis.

di xehilarry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** “Buon San Valentino Harold” ***
Capitolo 2: *** Eleanor J. Calder. L’incubo della mia vita. ***
Capitolo 3: *** Doveva decidere: o me, o lei. ***
Capitolo 4: *** “Ragazzi, non sono coglione. Dove se n’è andato Tomlinson? ***
Capitolo 5: *** “Harold, Venezia. Louis è a Venezia.” ***
Capitolo 6: *** “Perché io ti amo Harold Edward Styles, ti amo più di ogni altra cosa al mondo.” ***
Capitolo 7: *** “Una nave non va da nessuna parte senza la sua bussola” ***



Capitolo 1
*** “Buon San Valentino Harold” ***


Capitolo 1. 
“Buon San Valentino Harold”
 
Era una fredda giornata di febbraio, ma nonostante questo, Louis e le sue affezionate maniche corte girovagavano ancora per casa. Sembrava abbastanza spaesato, guardava di qua e di là come alla ricerca di un tesoro misterioso, come un corsaro senza meta. Ad un certo punto, si bloccò e tornò in camera sua, non dicendo una parola. Niall guardò perplesso Liam, che gli sorrise amichevolmente. Zayn volse i suoi occhi color mandorla verso di me, e ammiccò. Io non capivo cosa stesse succedendo, ero senonché sconvolto. Mentre nella mia testa aleggiava questo pensiero, i tre si alzarono insieme, e se ne andarono in cucina.
“Harry, vieni subito di sopra!” disse urlando Louis.
Ancora più confuso di prima, cominciai a risalire le scale a chiocciola. Milioni di domande mi frugavano per la testa, ma quando arrivai li, di fronte a Louis, tutti i miei pensieri diventarono cenere. Avevo solo lui, vedevo solo lui. Si mise dietro di me e mi tappò gli occhi con le mani, con le sue mani calde e affusolate. Sentii una porta sbattere e Louis sussurrarmi: “Buon San Valentino Harold.”
Aprii gli occhi piano piano, per riuscire a gustare ogni singolo particolare di ciò che stavo per vedere. Era semplicemente tutto meraviglioso. Il letto era coperto di petali, le lenzuola erano rosso fuoco, e sui comodini e sulle mensole erano posizionati dei.. “Lumini?”, dissi sconvolto.
Non sapevo se scoppiare a ridere per la scelta azzardata della luce o se piangere per la meravigliosa sorpresa. Nel dubbio, mi avvicinai a Louis, senza pensare, e posai le mie labbra sulle sue.
“Grazie”, sussurrai.
Lui ricambiò il bacio. Poi si bloccò, mi prese per le spalle e mi scosse. Sembrava un pazzoide sull’orlo di una crisi di nervi.
“Ti rendi conto che per fare tutto questo Zayn ha quasi rischiato di appiccare fuoco alla casa?”, sbraitò.
La mia reazione fu istantanea, non riuscii a trattenermi. Scoppiai in una risata interminabile. Mi accasciai al letto, tenendomi la pancia con il braccio per il dolore lancinante che provavo: non avrei mai dovuto ridere così tanto. Non riuscivo a smettere, e Louis mi faceva compagnia. Ridevamo entrambi, come ai vecchi tempi, quando tutto era perfetto. Chi mai avrebbe pensato che Harold Edward Styles e Louis William Tomlinson potessero stare insieme? Eravamo due semplici ragazzi che si divertivano insieme. Non potevamo immaginare che quell’amicizia, poi, sarebbe diventata questa meravigliosa storia che stiamo vivendo. Mentre questi pensieri frullavano all’interno della mia testa, Louis si sedette di fianco a me, sorridendomi. Io ero a dir poco imbarazzato, non gli avevo regalato niente. Nessun pensiero, nessuna cosa dolce. Poi mi illuminai. Mi alzai di scatto dal letto e corsi in camera mia, alla ricerca di una cosa che mi ero persino dimenticato di avere, un po’ come Louis qualche minuto prima. Svuotai i cassetti, aprii tutte le ante degli armadi finché, dentro un mio vecchio quaderno di scuola, la trovai. Forse era un po’ troppo stropicciata, e forse anche un po’ troppo macchiata dal sugo di pomodoro della pizza di Niall, ma capii che sarebbe stato il regalo perfetto.
 
Sei mesi prima.
“Malik, ridammi immediatamente quel foglio! Liam, quella penna mi ser.. No, non provare a infilartela su per il naso, Liam!”
Solita routine giornaliera. Liam e Zayn che si divertono a rompermi. Cominciai a rincorrerli per tutta la casa, su e giù per le scale, fuori e dentro dal bagno. Per poco Liam non si ammazzava contro la porta a vetri che da alla veranda. Finalmente si decisero a ridarmi indietro carta e penna.
“Fuffia ragaffi, dafe indiefro la roba a Haffy.”, bofonchiò Niall con la bocca piena di un morso spropositato di pizza.
“Horan, hai fatto la tua entrata, si? Forse ti sei perso qualcosa”, gli feci notare. Si girò verso i ragazzi con gli occhi sbarrati. Poi alzò le spalle e si andò a sedere nella sedia di fianco alla mia. Mi sedetti anche io, e guardai intorno alla mia postazione. Fogli accartocciati ovunque. Per terra, sul tavolo, persino dentro il cartone della pizza di Niall. ‘Poca ispirazione Harold?’, pensai. In effetti era così. Ormai erano due ore che scrivevo e cancellavo, segnavo, strappavo e buttavo. Non avevo ispirazione, non sapevo cosa scrivere. I ragazzi non mi aiutavano, facevano solo un gran chiasso. Soprattutto Zayn che si era riscoperto batterista. Non faceva altro che suonare e ripetersi che era il musicista più bello sulla faccia della terra.
“Io canto, compongo, suono la batteria, sono, sulla terra, il più figo che ci sia”, canticchiava.
“Si, il più figo che non è neanche in grado di ballare la macarena vero?”, lo canzonò Liam. Cominciarono a punzecchiarsi finché, stremati dalle risate, non si accasciarono a terra ansimanti. ‘Che gabbia di matti’ starete pensando, vero? Beh, dovete farci l’abitudine, qua è tutti i giorni così. Tornando a noi, forse un barlume di luce si era fatto spazio tra i miei pensieri, un barlume di luce che fu subito interrotto da un sonoro splash, causato da un pezzo di pomodoro che si era staccato dalla pizza di Niall. Pregai che non fosse successo, ma nel profondo sapevo che era andata così. Guardai la mia lettera, con qualche riga buttata qua e là, farsi una nuotata nel pomodoro.
Bel colpo Nialler”, ammisi.
Mi guardò con uno sguardo supplichevole, e io gli feci cenno con la testa come per dire: tranquillo, non è successo niente. Presi la mia lettera e la accartocciai, buttandola insieme a tutte le altre. Era quella in cui avevo scritto di più, quella in cui ero riuscito a esprimere meglio ciò che provavo. ‘Non importa - pensai - ne scriverò un’altra.’
 
“Possibile che in questa cazzo di casa non ci sia un foglio di carta?”, stavo sbraitando come un forsennato, ma non riuscivo a trovare qualcos’altro su cui scrivere. Non c’era nulla in quella casa. I fogli erano tutti a terra accartocciati, le salviette erano un monopolio di Niall, la carta igienica mi sembrava troppo squallida. Ero in panico. Urlavo e correvo senza meta, fino a quanto Niall non si interpose tra me e la mia sfuriata, prendendomi per mano e portandomi in camera mia.
“Ora siediti e calmati”, mi disse. Ma come potevo stare calmo? Mi sedetti sulla sedia, sprofondando nei braccioli. Respirai profondamente.
“Chiudi gli occhi, e immaginati in un’isola deserta con lui. Cosa provi? Continua a tenere gli occhi chiusi, prendi questo foglio e comincia a scrivere.”
Mi sembrava una cosa assai sciocca, ma seguii il consiglio del mio migliore amico. Sentii che mi alzò il braccio, e mise sotto di esso un foglio di carta. Non era molto liscio e odorava di pomodoro. Sorrisi all’idea che avesse cercato tra tutti i fogli gettati a terra per trovare proprio quello. Una domanda mi sorse spontanea: come faceva a sapere che era quella la lettera meglio riuscita?
“Mi conosci troppo bene Horan”, sussurrai. Lui non rispose, mi prese la mano, e quando la lasciò sentii che mi aveva appoggiato una penna.
“Vado a calmare gli altri. Tu rilassati, e scrivi.” Con queste parole, mi baciò sui ricci e se ne andò. Chiusi gli occhi, mi immaginai io e Louis da soli, lontano da tutti i problemi, lontano dai manager, lontano dalle fans, lontano dai ragazzi, lontano da tutti. E cominciai a scrivere.
 

Caro Louis,
mi fa strano scrivere questa lettera proprio a te. Non so come mai, non so quale schizzo mi è venuto, non so perché, ma mi è semplicemente venuta la voglia di prendere carta e penna e di cominciare a scrivere. In realtà mi sono bloccato più volte, ho quasi raso al suolo un’intera foresta con tutti i fogli che ho utilizzato, ma ora, finalmente, ho trovato l’ispirazione giusta. Forse sarebbe meglio iniziare dal principio. Quel giorno, in quel bagno, ti ricorda niente? Il nostro primo incontro. Potrai ritenerlo impossibile, ma da li ho capito che tu avresti assunto un ruolo fondamentale nella mia vita, e così è stato. Mi ricordo ancora i primi abbracci, i primi sorrisi. E come scordarsi il primo bacio? Te lo ricordi tu, amore mio? Era estate, eravamo tutti in piscina a casa di Liam. Stavamo facendo a gara per chi eseguiva il tuffo più alto. Stavo vincendo. Era il tuffo decisivo, e tu da stronzo mi hai fatto cadere in acqua, facendomi perdere. Appena uscito dalla piscina ho cominciato a rincorrerti, a urlarti dietro che sei un coglione. Ad un tatto di sei fermato ed io, troppo preso dalla foga di fartela pagare, ti sono venuto addosso. Ci siamo afflosciati a terra, come sui cartoni animati. Siamo scoppiati a ridere come due bambini. Ridavamo, e ci guardavamo negli occhi. Già. Gli occhi azzurri incontrarono quelli verde smeraldo. I miei occhi si persero nei tuoi, e senza neanche accorgercene, le nostre labbra si erano avvicinate, tanto quasi da sfiorarsi. Continuavamo ad incrociare lo sguardo, incerti su quello che stavamo per fare. Poi mi hai afferrato i ricci, avvicinandomi a te. Potevo sentire il tuo respiro sulla mia pelle, potevo sentire il tuo profumo, potevo giocare con i tuoi capelli. Un momento che durò un eternità, e poi finalmente le nostre labbra si toccarono, per dare inizio ad un meraviglioso, interminabile bacio.
Da lì tutto ebbe inizio. In principio decidemmo di tenere nascosta la nostra relazione ai ragazzi, poi però la rivelazione fu inevitabile. Ho ancora in mente il viso sconvolto di Zayn, Liam che tra poco non ci sviene davanti e Niall tutto esaltato, quasi peggio di quando incontrò Justin. E iniziarono così i segreti, le bugie, le occhiate. Avevamo rovinato tutto. Per colpa nostra la band si sarebbe potuta sciogliere, per un semplice amore avremmo potuto mandare tutto all’aria. Però siamo ancora qua, a prenderci in giro, a fare gli scatti di gelosia, a baciarci proprio come quel pomeriggio sul prato. Cavolo Lou, sei perfetto per me. Nessuno mi capisce come te, nessuno riesce a consolarmi, nessuno riesce a rendermi felice. Tom, urliamolo al mondo. Siamo pronti per farlo, siamo pronti ad affrontare le critiche e le offese. Se siamo insieme, nulla ci ferirà. Se siamo insieme, saremo invincibili.

Ti amo,
Harold.
 

 
Quelle ultime parole uscirono a stento dall’inchiostro della mia penna. Non riuscivo a scriverle. Non le avevo mai pronunciate. Non ero mai stata innamorato, non avevo mai amato nessuno quanto amassi Louis. Non sapevo cosa fare, scriverle o no?
“Ehii, sono tornato!”
Colto dal panico, presi un vecchio quaderno e vi infilai dentro la lettera, nascosi la penna dentro un cassetto e mi diressi verso la cucina, per accogliere a braccia aperte l’unica persona di cui io sia stato veramente innamorato.

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Capitolo 2
*** Eleanor J. Calder. L’incubo della mia vita. ***


Capitolo 2
Eleanor J. Calder. L’incubo della mia vita.
 
 
Tornai in camera di Louis, nascondendo la lettera dentro la tasca della felpa. Cercai di fare il disinvolto, in modo che Louis non capisse quello che stavo nascondendo. Chiaramente, non ci riuscii.
“Che cosa nascondi dentro quella felpa?” mi chiese tutto sorridente.
“Nulla”, risposi.
Sapevo che sarebbe andata a finire così. Cominciò a rincorrermi per tutta la camera, finché con un ottimo placcaggio mi bloccò sul letto, mettendo la sua mano calda dentro la mia tasca. Vi tirò fuori la lettera e cominciò a leggere. Ad ogni parola che scorreva il mio cuore palpitava. Era ormai a metà. Stava leggendo le ultime righe. Si bloccò. Si voltò verso di me, mi guardò negli occhi e mi sorrise come noi mai: forse ero riuscito sul serio a renderlo felice. Si avvicinò a me, lentamente, continuando a sorridermi. Sentii le sue labbra appoggiarsi alle mie, in uno dei baci forse tra i più belli. Mi mise una mano tra i ricci, e mi baciò con più foga. Cercammo di avvicinarci di più, i nostri corpi erano ormai una cosa sola. Mi tolse la felpa, io gli levai la sua adorata maglietta a righe. Cominciò a baciarmi sul collo, poi sul petto, sullo sterno, e cominciò a scendere. Ero all’euforia pura, avrei voluto che non smettesse mai. Purtroppo non riuscii a trattenermi, e un gemito uscì dalla mia bocca. Louis si abbassò ancora di più, ed ero convinta di averlo sentito ridere: sapeva alla perfezione che non sapevo come gestire queste situazioni, era lui di solito a prendere l’iniziativa. Mi slacciò il bottone dei pantaloni, mise la mano sulla zip. Emisi un altro gemito, non poteva farmi questo effetto, no. Tom tornò su, verso il mio collo, e mi baciò. Abbassò anche la zip. Merda, non riuscivo a stare fermo, ero troppo agitato. Cercai di calmarmi, feci un respiro profondo, anche se in realtà uscì un altro gemito. Louis rise nuovamente. Ma la sua risata era strana, non mi voleva prendere in giro, anzi. La sua era una risata compiaciuta, come se stesse facendo apposta, come se godesse a sentirmi dimenare, come se fosse felice all’idea di mettermi in crisi. Io, per vendetta, gli slacciai a mia volta i pantaloni: il primo bottone, poi il secondo. Mancava solo l’ultimo, dopodiché nulla ci avrebbe più fermato. La mia mano si posò su di esso, lui cominciò ad ansimare, nonostante non avessi ancora fatto niente. Continuavamo a baciarci, la foga era ormai iniziata. Ad un tratto, la porta si aprì.
“Ciao amore, gli altri mi hanno detto che..oh cazzo!”
Eleanor J. Calder. L’incubo della mia vita.

 


Ciao miei cari lettori, sono l'autrice di questa meravigliosa storia Larry.
Modestia a parte, ringrazio chiunque sia arrivato con qua,
abbia recensito o anche soltanto letto la mia ff. Vi adoro tutti c:
Chido perdono per la lunghezza del capitolo, ma volevo lasciarvi con il fiato in sospeso.
Siete curiosi adesso, vero? Chissà che succederà!
Io su Twitter sono @ohimaynard, se avete bisogno di qualcosa chiedetemi pure.
Bacioni dolcezze mie.

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Capitolo 3
*** Doveva decidere: o me, o lei. ***


Capitolo 3
Doveva decidere: o me, o lei.

 
Non riuscivo a capire tra i tre chi fosse il più imbarazzato. Le guance di Eleanor erano di color porpora, Louis non sapeva se allacciarsi i pantaloni o rimettersi la maglia. Io? Io ero in completa confusione. Da un lato ero al settimo cielo perché finalmente, forse, Tom avrebbe lasciato El; dall’altro, credo che se qualcuno mi avesse fatto una fotografia avrei fatto pendant con il muro rosso della camera. Restammo in silenzio per pochi secondi, che per noi però sembrarono interminabili. Poi, quasi come un aiuto dal cielo, arrivò Niall, cercando di prendere in pugno la situazione.
“El, vieni giù con me per favore, Louis ora scende.”
Prese la modella per un braccio, e la strattonò fuori dalla camera. La sentimmo singhiozzare giù per le scale, mentre Liam cercava in qualche modo di consolarla.
“Non è successo niente, vedrai che si sistema tutto”, le diceva con tono rassicurante.
“Io invece spero proprio di no.” Ammisi severo. Louis si girò verso di me, osservandomi di sbieco con uno sguardo a dir poco interrogativo. Impossibile, credevo di averlo solo pensato. Invece da coglione come sono, l’avevo detto ad alta voce. L’espressione sconvolta di Louis si trasformò in disprezzo, come se non accettasse ciò che avevo appena confessato.
“Mi deludi Styles, non pensavo fossi così egoista.” E con queste parole, si congedò da me.
Aspettai che uscisse dalla camera, poi mi distesi sul letto, aggrovigliando le mie mani sudate tra i ricci scompigliati. Mi ha chiamato Styles, pensai. Era da mesi che non mi rispondeva con quel tono, era da mesi che non mi chiava per cognome. E tutto a causa di una stupida riflessione fatta ad alta voce. No, non dovevo sentirmi in colpa per quello che avevo detto. Louis non poteva continuare a galoppare con due piedi in una staffa. Doveva decidere: o me, o lei. Merda. Era chiaro che avrebbe scelto Eleanor. Stare con lei non gli creava problemi. Stando con lei non avrebbe rischiato di mandare all’aria la carriera di cinque ragazzi, stando con lei tutto si sarebbe fatto più semplice, stando con lei avrebbe potuto tenerla per mano senza paura dei paparazzi. Se avesse scelto lei, nulla per me avrebbe più avuto senso. Una lacrima mi rigò il viso, pronta ad essere accompagnate da altre. Decisi però di farmi forza. Mi alzai dal letto e, a gattoni, mi diressi verso la porta, per riuscire ad ascoltare cosa dicevano là sotto. Era tutto un gran trambusto. I singhiozzi della ragazza erano sempre più accentuati, neanche la voce calma e ferma di Liam riuscì a porre loro fine. Louis sbraitava contro Zayn dandogli la colpa di non averla trattenuta, Niall cercava di salvare il salvabile, senza successo. Io non sapevo che fare. Scendere per cercare di risolvere la situazione o restarmene in disparte? Scelsi la seconda opzione perché, in fondo, la causa di quel putiferio ero proprio io.
Mentre traevo le mie conclusioni, sentii Niall trascinare in veranda Liam e Zayn, per poter lasciar soli i due ragazzi. Rimasi a gattoni vicino alla porta, con il cuore che palpitava, cercando di ascoltare cosa si stavano dicendo. L’unica cosa che riuscivo a sentire erano i singhiozzi ancora più forti di El che, bisogna ammetterlo, mi resero a dir poco felice. Forse, finalmente, aveva capito che la storia tra lei e il suo “LouLou” era veramente giunta al termine. Forse, Louis avrebbe avuto il coraggio di dirgli di noi due. Forse, la Calder sarebbe sparita dalla nostra vita per sempre. Forse, io e il ragazzo dagli occhi azzurri, alla fine, saremmo riusciti a stare insieme. Questi miei pensieri furono interrotti da un tonfo che rimbombò fino ai piani superiori. ‘Eleanor ha tirato dietro un tavolo a Louis’, pensai.
“Zayn, non mi pare questa la situazione adatta per origliare!” sbraitò Louis.
Immaginai la scena. Zayn, convinto che la porta della veranda fosse chiusa, vi ci appoggiò l’orecchio, sbilanciandosi e finendo come un coglione per terra. Sogghignai al pensiero che Liam e Niall stessero facendo la stessa identica cosa, con la semplice differenza che loro erano abbastanza svegli da non farsi scoprire.
Scusa, m-m-i dispiace”, balbettò il più piccolo, dirigendosi in cucina.
Ci fu una lunga pausa. Eleanor non piangeva più, Louis non aprì bocca. Non sapevo cosa stesse succedendo. Si stavano baciando? Erano abbracciati? O lei se n’era andata? Poi, la voce tremante della ragazza squarciò il silenzio.
“Io ti amo Lou” affermò, riprendendo nuovamente a piangere.
“Ti amo anche io El.”


 

Salve meraviglie mie! Ecco a voi il terzo capitolo.
Io sto piangendo come una fontana dal momento
in cui l'ho concluso, voi come avete reagito?
Ho deciso di terminare qua il capitolo, per incuriosirvi
e farvi leggere il continuato. Come sono bastarda AHAHA :)
Bene, vi ricordo che su Twitter sono @ohimaynard,
se volete farmi domande o se avete bisogno di qualcosa, io ci sono.
Baci baci dolcezze mie!

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Capitolo 4
*** “Ragazzi, non sono coglione. Dove se n’è andato Tomlinson? ***


Capitolo 4
“Ragazzi, non sono coglione. Dove se n’è andato Tomlinson?”
 
 
Ti amo anche io El. Ti amo anche io El. Ti amo anche io El.
Quelle cinque parole non facevano che riecheggiare nella mia mente. Scossi i ricci, come per cercare di cacciar via quella frase, come se, muovendomi velocemente, tutto sarebbe passato. Ci vollero parecchi minuti prima che mi rendessi conto di quello che era realmente successo. L’amore della mia vita aveva appena detto alla mia rivale che l’amava. Aveva avuto il coraggio di pronunciare quelle due parole. Una lacrima mi rigò il viso, sentii il suo aspro sapore tra le mie labbra. Bruciavano, erano acido per la mia pelle. Mi passai una mano sul viso, per cercare di togliere quelle lacrime, che però non erano intenzionate a fermarsi. Mi feci coraggio, mi alzai e uscii dalla camera di Louis, deciso ad andare di sotto a prenderlo a pugni. Poi, qualcosa mi bloccò. Già, sentii le loro labbra avvicinarsi, e immergersi in un lungo bacio. ‘Ti amo, ti amo, ti amo’ , le ripeteva Louis sottovoce. Mi avvicinai alle scale a chiocciola, in modo da riuscire a vedere cosa stessero facendo. Erano sul divano, Eleanor sopra Tom. Lui le posava la mano sull’interno coscia, quelle di lei invece erano strette ai capelli del ragazzo. Sapevo cosa stava per accadere, perciò decisi di evitare di assistere ad una così sporca situazione, e mi rintanai in camera mia, cercando di non badare ai gemiti e ai sospiri che provenivano dal salotto. Le lacrime che in precedenza si erano ritirate, ricominciarono a sgorgare. Erano lacrime di rabbia, di confusione, di delusione. Bella cosa l’amore, eh? Mi ero innamorato, e guarda un po’ in che meraviglioso casino mi ero cacciato. Non sapevo cosa fare. Aprii la finestra, nel tentativo di schiarirmi le idee. Niente da fare, la fredda aria invernale non faceva altro che congelarmi le idee. Girovagai per la stanza per almeno una ventina di minuti, fino a quando non mi accasciai per terra e, appoggiando la testa sul letto, mi addormentai piangendo.
 
“Harry, è pronta la cena.”
La voce era famigliare, anche se il tono era chiaramente supplichevole.
“Harry, per favore svegliati, in tavola si fredda.”
Forse non aveva capito che non avevo fame.
“Harreh, alzati. Ora.”
Non badai alle sue suppliche.
“Harold Edward Styles, alza quel culo da lì e portalo subito in cucina!”
Per la prima volta in tutta la mia vita, sentii Liam perdere il controllo. Deciso a non farlo diventare pazzo, aprii gli occhi e mi stiracchiai con calma. Forse non avrei dovuto prendermi tutte le mie comodità, perché Liam, forse allo stremo del livello di sopportazione, mi prese per il bavero della maglia e mi fece alzare in piedi. Mi trascinò giù per le scale e, arrivati in cucina, mi fece accomodare nella sedia di fianco alla sua. Di Louis nessuna traccia. Provai a cercarlo con gli occhi. Non c’era. Non si sentiva il suo profumo per la casa, non vedevo le sue amate maniche corte davanti a me.
“Non c’è.” Niall mi tolse tutti i dubbi. “Ha fatto le valige e se n’è andato.”
“Bene, è andato a casa della sua amichetta? Chissà che rimanga la per sempre”, sbottai nervoso.
La mia sfuriata fu seguita da un interminabile silenzio. I ragazzi si guardarono l’un l’altro, come se non sapessero cosa fare, come se non sapessero in che modo darmi la brutta notizia.
“Ragazzi, non sono coglione. Dove se n’è andato Tomlinson?”, chiamarlo per cognome mi fece sentire forte. Un brivido mi corse lungo la schiena. Le sue ultime parole comprendevano anche il mio di cognome. ‘Mi deludi Styles, non pensavo fossi così egoista.’ Io egoista? E lui che si era scopato la sua dolce metà pur sapendo che io ero nella camera di sopra? I miei pensieri furono interrotti dalla voce flebile di Zayn. Gettò fuori solo un nome: “Louis..”
“Louis cosa?”, chiesi.
Non riuscì più a trattenersi, e il più grande scoppiò in lacrime. Liam si alzò dalla sedia e gli andò incontro, abbracciandolo e cercando in qualche modo di consolarlo. Il tentativo fu inutile, se non disastroso. Insieme al moro scoppiò a piangere anche il mio migliore amico, fino a quando il trio si fece completo, in quanto Payne si aggiunse a loro. Stavo pensando al peggio, tutti i pensieri più contorti e strani mi passarono per la testa. Nessuno era intenzionato a dirmi cosa stesse succedendo. Erano a dir poco sconvolti, doveva essere veramente qualcosa di grave. Niall si girò verso di me, e dalla tasca dei pantaloni tirò fuori un foglietto, con poche righe scritte sopra, e me lo porse.
“Leggi”, fu l’unica parola che riuscì a dire.
 
Cari amici miei,
ho preso una decisione: me ne vado. Me ne vado, per sfuggire ai miei problemi. Me ne vado, perché voglio che voi risolviate i vostri. Senza di me, sarò tutto più facile. Soprattutto per te Harry. Dimenticami. Come io mi dimenticherò di te. Addio ragazzi, sono stati i due anni più belli della mia vita. Addio ragazzi, mi mancherete. Addio ragazzi, abbandono per sempre gli One Direction.

                                                                                                                                                             Louis
 

Mi voltai verso i miei amici. Ora capivo perché erano così sconvolti. Mi tremavano le gambe, e dall’agitazione finirono per cedere. Rimasi a terra, a fissare il vuoto, incapace di piangere, incapace di urlare. Zayn si avvicinò a me. Con una mano si asciugò le lacrime, quell’altra la porse verso di me, e mi aiutò ad alzarmi. Sapeva come mi sentivo. Mi abbracciò, e in quel momento tutto si fece più chiaro. Riordinai le idee e mi resi conto, purtroppo, di aver perso per sempre l’amore della mia vita. Mi resi conto che, forse, non avrei più visto Louis. Mi resi conto che, a causa di un sentimento inutile, avevamo mandato all’aria la carriera dei nostri tre migliori amici. Mi resi conto che, alla fine, l’amore aveva perso.



 

Ciao bellezze mie, ecco il quarto capitolo, che ne pensate? 
Un altro colpo si scena insomma!
Ringrazio chiunque abbia recensito, messo tra le preferite, seguite o tutto il resto.
Siete delle meraviglie!
Vi ricordo, stu twitter sono @ohimaynard, se avete bisogno di qualcosa ci sono.
A presto splendori.

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Capitolo 5
*** “Harold, Venezia. Louis è a Venezia.” ***


Capitolo 5
“Harold, Venezia. Louis è a Venezia.”
 
 
Quella sera andammo tutti a letto presto, nessuno ebbe il coraggio di dire una sola parola. Da quando lessi quella lettera, non dissi più nulla, volgevo soltanto sguardi imperterriti ai miei amici, sguardi ricambiati e compresi. Mi giravo e rigiravo nelle coperte, bagnando di lacrime il cuscino. I miei ricci erano attaccati alla fronte, una fronte sudata e calda. Mille pensieri aleggiavano nella mia mente, uno più incasinato dell’altro. Dov’era andato? Era con lei? Si di sicuro era con lei. Stava bene? Indossava ancora la sua maglia a righe? Gli mancavo? Poi, di scatto, un pensiero si sovrappose agli altri. Mi tirai supino nel letto e, senza neanche rendermene conto, mi ritrovai con i piedi a terra, mentre stavo camminando verso la camera del mio migliore amico. Vi entrai, cercando di fare il più piano possibile. Avrei potuto anche entrare in camera di Niall con uno scavatore, tanto lui era nella mia stessa situazione: immerso nelle coperte, si voltava continuamente e piangeva. Gli andai vicino, accovacciandomi nel letto di fianco a lui.
“Niall, so che non è il momento migliore e che è tardi, ma dobbiamo svegliare gli altri e parlarne.”
Senza la benché minima fatica, Niall si tolse il piumone di dosso e si rizzò in piedi, sull’attenti, pronto a qualsiasi tipo di discussione.
“Io vado da Liam, tu sveglia Zayn”, mi ordinò.
Senza esitazione, mi voltai verso la camera di Zayn. Avrei pensato di trovarlo disteso sul letto, invece era seduto davanti la scrivania, con il cellulare in mano. Stava fissando lo schermo, inerme, senza muoversi ne battere ciglio. Ero a dir poco preoccupato, non sapevo se era sveglio o se fosse sonnambulo. Poi, mi resi conto che tra i cinque il sonnambulo ero io, e gli andai incontro, lentamente, poggiandogli una mano sulla spalla. Lui si girò e mi guardò dritto negli occhi.
“Andiamo giù, gli altri ci stanno aspettando.”
Senza chiedere nessun tipo di spiegazione, Zayn abbandonò la sua amata poltrona girevole, e mi precedette giù dalle scale a chiocciola. Come avevo previsto, Niall e Liam erano già attorno al tavolo. Il biondo piangeva ancora, mentre il moro teneva la testa con le mani, abbandonandosi su di esse, singhiozzando ogni tanto. La nostra entrata fu trionfale: Zayn, offuscato dagli occhi lucidi e mezzo assonnato, mancò l’ultimo scalino e rotolò a terra, facendo finire il telefono sotto il tavolo. Scoppiammo tutti a ridere, caduto compreso. Lo aiutai ad alzarsi, e mi sorrise. Era bello vedere che, nonostante tutto, la voglia di vivere si nascondeva tra i nostri sentimenti. Anche se, quello che in questo momento prevaleva, era la preoccupazione. Quando tutte le sedie tranne una furono occupate, il nostro sguardo girovagò per la casa per qualche istante, come sperando che, accorgendosi delle nostra riunione, Louis sarebbe accorso, occupando l’ultimo posto vuoto. Ma così non fu. Dopo qualche minuto ci arrendemmo. Credevo che sarei stato io il primo a parlare, in fondo quell’assemblea era stata richiesta da me. Invece, la voce sommossa sai singhiozzi di Liam fece eco nella casa.
“Non servono mezzi termini, capisco alla perfezione perché siamo qua. Ditemi soltanto cosa dovremmo fare. Trovate una soluzione a questa situazione, vi prego.”
Un silenzio tombale seguì la sua affermazione. Ci guardammo perplessi. In realtà, nessuno di noi aveva la minima idea sul da farsi. Il tour sarebbe iniziato in pochi giorni, avevamo due settimane scarse per risolvere tutto.
“Harry, voi due state insieme. Sei quello che lo capisce meglio di tutti. Dove se ne andrebbe Louis?”
Le parole di Zayn tagliarono l’aria. Il mio viso sbiancò. Aveva ragione, ero io quello che conosceva meglio Tom. Chiusi gli occhi, ripercorrendo ogni singolo gesto, ogni singola parola del nostro rapporto, per riuscire a trovare un legame, un’annessione, una qualsiasi cosa che ci avesse potuto portare da lui. La mia concentrazione si spense quando sentimmo bussare alla porta. Niall si alzò, guardò l’orologio e, protestando, si avviò verso l’entrata.
“Ma chi diamine sarà a quest’ora?” borbottò.
Nel cuore di tutti, la speranza era che, aprendo la porta, il biondo si fosse trovato di fronte il più grande. Trattenemmo il respiro, preoccupati, con le vene che pulsavano e con il cuore a mille. Ogni singola speranza poi, venne cacciata via dalla voce stridula di una ragazza.
“Posso entrare?” domandò seria.
Niall si scostò dalla porta, per farvi entrare una ragazza mora, alta, con i capelli legati in una coda di cavallo. Era piuttosto carina, bisogna ammetterlo. Ora capivo perché Louis avesse scelto lei al posto mio. Era perfetta. Ma questo non spiegava il motivo della sua visita. Si avvicinò a noi, a passo lento. I suoi tacchi risuonavano nel cupo silenzio della casa. Quando arrivò di fianco al tavolo, io mi alzai. Gli sguardi dei ragazzi si fecero agghiaccianti, la ragazza mi guardò preoccupata. Io invece, mi avvicinai al bancone, e presi uno sgabello per far accomodare El, abbassandolo in modo che fosse alla nostra stessa altezza. Una volta che la mora si accomodò, mi sentii in dovere di aprire la conversazione.
“A cosa è dovuta la tua piacevole visita?” domandai impassibile.
La sua riposta fu quasi istantanea, come se dal tragitto da casa sua a qua, si fosse preparata un discorso che avrebbe dovuto seguire per filo e per segno.
“Louis mi ha chiamato un’ora fa, con un numero diverso dal suo, con un prefisso strano. Ho cercato in internet, il prefisso è di una località Italiana, al nord.” Eleanor fece una breve pausa, riordinando le idee e attorcigliano i lunghi capelli marroni. “Mi ha detto di non cercarlo più. Mi ha detto che non mi ha mai amata, mi ha detto che ero solo una scusa, un gioco, un divertimento. Gli servivo soltanto per coprire i veri sentimenti che provava. Harry,” e si voltò per guardarmi dritto negli occhi,“Louis ti ama.”
Senza neanche accorgermene, le lacrime avevano cominciando a precipitare sul tavolo, lasciando gocce qua e là.
“Harry, vai da lui. Harry, cercalo. Harry, sii forte. Harry, non lasciarlo andare.”
Le parole della ragazza entrarono all’interno della mia mente, e si insediarono in essa, prendendo la decisione di non andarsene. Mi feci coraggio, mi alzai e, senza dire una parola, mi avviai verso la mia camera. Presi una borsa e vi infilai dentro qualche maglia, due felpe e due paia di jeans. Rimasi in pigiama e mi infilai le mie amate converse bianche. Afferrai di fretta il giubbotto e me lo posai sulle spalle. Più che un ragazzo in cerca del suo amore, sembravo un mendicante in cerca di spiccioli. Entrai in camera di Louis, alla ricerca di qualche indizio. Nulla. Il suo armadio era completamente vuoto, i suoi cassetti anche. Non aveva lasciato niente. Deluso, tornai in cucina, con il telefono sotto mano, cercando di contattare manager e compagnia bella in modo che mi portassero in Italia. Mi sedetti di fianco ai ragazzi, in attesa. Dopo qualche minuto il telefono squillò. Agitato, risposi. Una voce familiare mi parlò: “Sei sicuro di voler andare?”
“Mamma, lui è l’amore della mia vita.”
“Tra dieci minuti in Trafalgar Square, muoviti.”
Mi alzai di scatto, salutai con la mano i ragazzi e baciai Eleanor sulla guancia. Un “grazie” uscì sussurrante dalle mie labbra, quasi volessi sputarlo fuori.
“Harold, Venezia. Louis è a Venezia.”
Appena uscii dalla porta, cominciai a correre verso la destinazione. Dovevo sfogare la mia adrenalina. Avevo la possibilità di prendere l’auto, ma le mie gambe sembravano più potenti di ogni cosa. In pochi minuti arrivai a Trafalgar Square, e attesi. Poco dopo vidi mia madre corrermi incontro, mi afferrò per un braccio e mi trainò verso un parco isolato a pochi isolati da lì, dove mi attendeva un piccolo elicottero. Salutai mia mamma con un lungo abbraccio, dopodiché salii su di esso, con le gambe che tremavano e con il fiato corto, a causa di quella lunga corsa.
“Destinazione?” mi domandò il signore seduto sulla cabina di pilotaggio.
“Venezia, Italia” risposi serio.
Sentii il motore dell’elicottero rimbombare nella notte, le eliche cominciarono a girare e il frastuono causato da esse mi infastidì parecchio. Portai le mani alla testa, come nel tentativo di impedire a quell’assordante rumore di entrare all’interno di essa. Il signore si girò verso di me, e fece un cenno verso delle cuffie che si trovavano alla mia destra. Senza porre tante domande le afferrai, e le posai sulle mie orecchie, sembrava il paradiso. Mi appoggiai all’indietro sullo schienale e, senza molta fatica, socchiusi gli occhi e mi addormentai, sicuro e convinto di riuscire a trovare Louis.


 

Salve ragazzuole mie. Volevo ringraziarvi tutte, chiunque abbia
lasciato una recensione, messo tra le ricordate, seguite o preferite.
Siete meravigliose.
Che ne dite di questo capitolo? Secondo voi come andrà a finire?
Lasciate una recesnione e dite cosa ne pensate.
Baci splendori, @ohimaynard.

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Capitolo 6
*** “Perché io ti amo Harold Edward Styles, ti amo più di ogni altra cosa al mondo.” ***


Capitolo 6
“Perché io ti amo Harold Edward Styles, ti amo più di ogni altra cosa al mondo.”
 
 
Uno stridulo mi fece aprire gli occhi, eravamo atterrati. La mia poca esperienza con l’Italia non mi permise di capire dove di preciso, ma sembrava un grande prato, isolato e senza nessuno nelle circostanze. Mi tolsi le cuffie, afferrai il mio borsone e mi alzai di scatto, senza rendermi conto di trovarmi ancora in elicottero e sbattendo la testa come un coglione sul soffitto. Imprecai a bassa voce e scesi dal veicolo, guardandomi di qua e di là per riuscire ad orientarmi. Il nulla. Forse il conducente vide il mio fare spaesato e, con molta gentilezza, mi illustrò la piantina di Venezia, cercando di spiegarmi nella maniera più semplice come arrivarci. Dopo quindici minuti di tentate lezioni, l’uomo perse la pazienza e mi lasciò al cartina in mano, prendendo un evidenziatore e tracciandomi la strada.
“Forse così capirai” affermò scocciato.
Salutai il conducente e mi avviai verso il sentiero giallo sottolineato, mi sentivo un po’ come  nel “Mago di Oz” e, sinceramente, mi sentivo anche un po’ cretino per essere caduto così in basso. Camminai per una quarantina di minuti, sembrava tutto ok. Dopo una mezz’oretta però, mi resi conto che forse c’era qualcosa che non andava. Il mio hotel era in Piazza San Marco, e io mi trovavo vicino ad una stazione, presumibilmente dei treni. Senza pensarci due volte, mi avviai verso un gruppo di signorine e, gentilmente, domandai loro la strada più corta per arrivare in piazza. Penso sia stata la scelta peggiore che potessi fare. Come ho potuto non pensarci?
‘Diamine, sono Harry Styles’ imprecai.
Le ragazze urlarono come delle forsennate, mi abbracciarono e cominciarono a piangere. Io non sapevo come comportarmi, mi dispiaceva troppo scappare via. Così, colsi l’occasione per trarla a mio favore. Chi, tra di voi, non accompagnerebbe il grandioso Harold Edward Styles fino in Piazza San Marco? Senza neanche pensarci due volte, le ragazze acconsentirono, e nel giro di qualche minuto, ci trovammo nel grande centro di Venezia. A malincuore per loro, dovetti salutare le giovani che mi avevano praticamente salvato la vita, scattai con loro qualche foto e feci qualche autografo, poi mi immersi alla ricerca del mio hotel. Mission impossible number 2. Finalmente, dopo qualche tentativo a vuoto, trovai quel maledetto hotel, e fui sconvolto nel vedere all’entrata una schiera di ragazzine che urlavano e cantavano le nostre canzoni. Sembrava a dir poco surreale. Ero riuscito a trovare Louis al primo colpo? Dovevo esserne sicuro. Domandai informazioni al concierge, e ottenni la conferma. Louis Tomlinson si trovava proprio lì.
“Me lo potrebbe chiamare per favore? Gli dica che sono Harr.. Gli dica che sono il suo manager” domandai gentilmente.
Nel giro di pochi minuti, una serie di telefonate partirono dal telefono del signore, fino a quando, con un volto dispiaciuto, non si voltò verso di me, affermando:
“Mi dispiace, il ragazzo se n’è andato pochi minuti fa.”
L’uomo vide il dolore sul mio viso prendere forma, e subito dopo aggiunse:
“Forse ci siamo capiti male. Il giovane se n’è andato, ma tornerà tra poco, doveva andare a fare una commissione. Mi ha raccomandato di dirlo a chiunque lo cercasse.”
“Perfetto, lo aspetterò qui allora”, bofonchiai.
Mi sedetti su una delle poltroncine del bar, con le gambe incrociate, prendendo il mano il telefono e scorrendo un po’ di Tweet. Louis non si era più fatto vivo, non aveva detto a nessuno che era venuto a Venezia, a nessuno tranne che a Eleanor. Cercai di scacciare via quei brutti pensieri, che furono interrotti da una decina di giovani urlanti che si avvicinarono lentamente a me chiedendo l’autografo o una foto. Per ammazzare il tempo, acconsentii, e mi fermai a parlare con loro per qualche minuto, fino a quando, voltandomi, non lo vidi. Le sue maniche corte, i suoi pantaloncini, le sue Vans rosse, i suoi risvolti appena sopra la caviglia. Era bellissimo. Dei grossi Rayban gli coprivano il volto, e portava nella mano uno zaino nero. Mi bloccai. Le fans continuavano a parlare, ad abbracciarmi, io rimasi impassibile. Louis si voltò verso di me, attirato dal vociare provocato dalle ragazze. Quasi come una reazione istantanea, gli cadde lo zaino di mano, che fece uno strano tonfo a terra. Rimanemmo a fissarci per un momento interminabile, senza battere ciglio, senza scambiarci un sorriso, senza dir parola. Poi, decisi di fare il primo passo. Le giovani si spostarono, come se avessero capito cosa stessi per fare: non mi rincorsero, d’un tratto si zittirono e i loro occhi cominciarono ad illuminarsi. Il più grande a sua volta cominciò ad avviarsi verso di me. I nostri occhi non si staccavano, mantenemmo il contatto visivo fin quando non  ci trovammo l’uno di fronte all’altro. Il primo a parlare fu lui.
“Harold.”
“Louis”, risposi secco.
“Qual buon vento?” domandò.
La mia reazione sarebbe stata quella di lanciargli il bancone del concierge in testa ma mi trattenni, respirai profondamente e poi sputai fuori tutto.
“Porca troia ti rendi conto di quello che ho fatto per te? Sono venuto fino a Venezia! – cominciai ad urlare – Ti sono venuto a cercare, ho preso l’elicottero e senza sapere niente sono arrivato qua. I ragazzi sono distrutti, non fanno altro che piangere! ‘Qual buon vento?’ mi chiedi anche? Sei un coglione Louis William Tomlinson, un vero e proprio coglione!”
Lui continuò a fissarmi impassibile, come se le mie parole non l’avessero nemmeno toccato. Poi, senza una spiegazione logica, mi prese per mano e mi sussurrò: “Corri.” Senza esitare, cominciai a correre guidato dalla mano di Louis, fino a quando non giungemmo di fronte ad una porta, presumibilmente quella della sua camera. In fretta e furia tirò fuori la chiave e, dopo qualche parolaccia e imprecazione, ci trovammo all’interno dell’accogliente dimora del ragazzo. Si sedette sul letto, con il fiatone. Io stavo stranamente bene, la mia adrenalina per lo sfogo precedente era ancora in corpo. Cominciai a muovermi avanti e indietro, senza badare allo sguardo di Louis che si muoveva a seconda dei miei passi. Dopodiché, sbottai.
“Quindi, che cazzo ci facciamo qui? Credevi che fossi Eleanor e volevi portarmi in camera tua a fare chissà cosa? Oh no, giusto. Questo non è il divano di casa nostra. Merda che sfiga!”
Il suo sguardo si congelò sul mio.
“Ci hai sentiti?” chiese debolmente.
Se fossi stato nella hall, il bancone del concierge sarebbe ancora stato utile, ma il ferro da stiro che si trovava di fianco a me sembrava avere tutti i requisiti necessari per sostituirlo. Louis vide la rabbia formarsi sul mio volto, e si alzò di scatto, come per paura che potessi seriamente prendere il ferro da stiro e tiraglielo in faccia. Si voltò, dandomi le spalle.
“Mi dispiace Harry, non volevo. Mi sono pentito subito. Ieri ho chiamato El, le ho detto che..”
Lo interruppi.
“Lo so, gli hai detto che non l’hai mai amata e che stavi con me.”
Lo sentii singhiozzare, e la cosa mi preoccupò abbastanza: non avevo mai visto Louis piangere. Avanzai lentamente verso di lui, e gli posai la mano sulla spalla, cercando in qualche modo di consolarlo.
“Non gli ho detto che stavo con te Harry, ti sbagli. Io le ho detto che ti amo. – si girò, puntando lo sguardo dritto ai miei occhi – Perché io ti amo Harold Edward Styles, ti amo più di ogni altra cosa al mondo.”


 

Giorno dolcezze, chiedo perdono per il notevole ritardo.
Scuola e simpatie varie mi hanno impedito di scrivere.
Beh, che ne pensate di questo capitolo?
Lasciate una recensione se volete.
La storia sta per finire, sigh.
Baci, @ohimaynard.

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Capitolo 7
*** “Una nave non va da nessuna parte senza la sua bussola” ***


Capitolo 7
“Una nave non va da nessuna parte senza la sua bussola”
 
Le sue parole mi spiazzarono. Rimasi a fissare i suoi occhi color oceano, perdendomi in essi. Vidi il riflesso della sua mano avvolgersi tra i miei ricci, e stringerli forte.
“Quanto mi sono mancati”, sussurrò.
Attorcigliò le sue dita tra i miei ciuffi, giocando con ognuno di essi. Chiusi gli occhi, sperando di trovare una soluzione logica a quello che stavo provando. Dopo ore che non sentivo il suo profumo, averlo lì, al mio fianco, mi rendeva il ragazzo più felice sulla faccia della terra. Quando riaprii gli occhi, le distanze si erano accorciate. I nostri nasi si sfioravano, e gli occhi di Louis non facevano altro che spostarsi dalle mie labbra alle mie ciglia. I miei invece, erano fissi nei suoi. Incerto, posai la mia mano nell’incavo del suo collo, e lo strattonai più vicino a me. Le mie labbra erano all’altezza del suo orecchio destro.
“Ti amo anche io Lou.”
Quelle cinque parole uscirono dalla mia bocca tremanti. Non ero sicuro di ciò che stavo per dire. Tutto si calmò quando lo sguardo del più grande si legò nuovamente al mio.
“Ho sempre voluto sentirti dire queste parole. Ti amo Harry. Ti amo, ti amo.”
Ad ogni ti amo pronunciato, le nostre labbra si avvicinavano sempre di più, fino a ridurre al minimo la distanza. Questa volta, quello che prese l’iniziativa fui io, e premetti le mie labbra carnose contro le sue.
“Ti amo”, sussurravo.
“Ti amo”, mi rispondeva.
Louis mi spinse con foga sul letto, stendendosi al mio fianco, e ricoprendo il mio collo di baci.
“Se ogni volta che non ci vediamo per qualche giorno succede questo, vedrò di assentarmi più spesso, che ne dici?” scherzai amorevolmente.
Lo sentii sogghignare sopra di me, mentre continuava a baciarmi ovunque. Le sue labbra poi, si bloccarono sul mio braccio destro, e cominciò ad accarezzare il mio tatuaggio, poggiandolo sopra il suo.
“Una nave non va da nessuna parte senza la sua bussola”, sussurrò tra sé e sé.
Non capivo se stesse cercando di autoconvincersi o cosa, ma continuava a fissare la mia nave e a spostare poi lo sguardo sulla sua bussola. I suoi occhi, rotearono convinti verso i miei, ed una lacrima gli rigò il volto. Cosa avevo combinato? Tom si accasciò sopra di me, singhiozzando ininterrottamente. Sentivo le sue lacrime colarmi giù dal collo e concludere il loro percorso sulle federe del cuscino. Ero seriamente in panico, non capivo cosa stesse succedendo. Cercai di allontanarmi dalla presa di Louis, invano. Poi, finalmente, si staccò da me e si alzò, guardandomi dritto negli occhi.
Sono stanco di questo nostro segreto. Torniamo subito a casa e parliamone con gli altri. Immediatamente.”
Non servì che il più grande mi spiegasse la motivazione di tutto questo, non servì neppure accennarmi il discorso. Guardandoci negli occhi capimmo alla perfezione cosa avremmo dovuto fare. Perciò, scendemmo insieme dal letto e, senza proferir parola, cominciammo a lanciare dentro la valigia i vestiti di Louis, senza badare a tutti i rumori che provenivano da sotto, alle fan urlanti e al rombo dei battelli in partenza. Tutto in quel momento era superficiale per noi, ci bastava essere insieme e saper di star per correre incontro al pericolo più grande della nostra vita. Stavamo per svelare il nostro segreto al mondo, ci sarebbe soltanto bastata l’approvazione dei nostri migliori amici, ci sarebbe bastato un sorriso di Niall, un cenno di Liam e una pacca sulla spalla di Zayn, e tutto sarebbe andato bene. Il problema, era che forse quel sorriso, quel cenno, quella pacca sulla spalla, non ci sarebbero mai arrivati. Il problema era che entrambi non avremmo mai avuto il coraggio di domandar loro il verdetto. Il problema era che nemmeno noi eravamo convinti di quella scelta. Il problema è che avremmo potuto mandare nella merda una carriera di tre anni. Il problema, era che eravamo stanchi di tutte quelle bugie, di quei falsi sorrisi, di quelle regole, di quelle domande. Per una volta, volevamo poter sputare la realtà. Per una fottutissima volta, volevamo aver la libertà di dire:
“Si, siamo innamorati l’uno dell’altro, e niente o nessuno ci farà cambiare idea”

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