Il tuo vero volto - Seconda stagione

di Pandora86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. Un treno ad alta velocità ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. Prima partita: Shohoku contro Toyotama. ***
Capitolo 3: *** La quiete prima della tempesta ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. Attesa ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. Rabbia ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. Tenerezza ***
Capitolo 7: *** Chiarimenti ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. La notte più lunga ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. L'alba di un nuovo giorno ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. Fotografia ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. Un treno ad alta velocità ***


Eccomi con la seconda stagione de “Il tuo vero volto”.

Un ringraziamento a tutti quelli che leggeranno, vecchi e nuovi lettori.

Spero che il primo capitolo vi piaccia.

Per gli eventuali nuovi lettori specifico che la storia potrebbe non essere comprensibile senza prima aver letto “Il tuo vero volto”

Ci vediamo a fine capitolo per le note e le informazioni riguardo le prossime pubblicazioni.

Per ora… buona lettura!
 

 
                          Il tuo vero volto – seconda stagione.
 

 

Capitolo 1. Un treno ad alta velocità
 

Rukawa sbadigliò sonoramente allungando la mano verso l’altro lato del letto.

Non si stupì di trovarlo vuoto stavolta, anche se Hanamichi doveva essere andato via da poco a giudicare dal calore delle lenzuola.

Ancora a occhi chiusi, accarezzò quella parte di letto rivivendo i momenti intensi che avevano vissuto quella notte.

Finalmente, si decise ad aprire gli occhi; il fatidico giorno della partenza era arrivato.

I campionati nazionali lo attendevano e con loro, anche il suo do’hao.
 

                                     ***
 

Sakuragi svoltò l’angolo di corsa.

Doveva raggiungere al più presto la stazione ed era in un ritardo mostruoso.

Fortuna che Yhoei gli aveva fatto trovare la borsa pronta all’ingresso.

Come se prevedesse che avrebbe fatto tardi.

Malfidato! Pensò con un sorriso.

In fondo… ancora una volta Mito ci aveva azzeccato in pieno.

Non aveva avuto molto tempo per i saluti ma ci aveva tenuto ad abbracciare stretto il suo migliore amico.

Quella notte era stata stupenda e quella mattina si sentiva carico come non mai.

Si era svegliato prima, osservando la sua kitsune dormire beatamente poi, si era fatto
forza ed era andato via.

Il treno per Hiroshima lo attendeva e di certo non avrebbe aspettato proprio lui.

Come minimo avrebbe dovuto portare con sé la divisa della squadra e lui non aveva ancora preparato un bel niente dato che la sera precedente si era subito fiondato a casa
di Rukawa dopo gli allenamenti.

Sei stato bravo!

Le parole di Rukawa gli tornarono alla mente.

Sei stato bravo!

Lo aveva detto sul serio, non era stato frutto di uno dei suoi tanti teatrini immaginari.

Avrebbe fatto in modo che quelle parole rimanessero tali.

Accelerò ancora di più.

I campionati nazionali lo attendevano e, con loro, Kaede Rukawa.
 

                                             ***
 

Yohei non aveva resistito.

Hanamichi era partito e lui, prima di andare a lavoro, aveva voluto recarsi nella palestra
che il suo amico amava tanto.

Oramai sono in viaggio da un po’! Pensò provando a imitare Mitsui in un tiro da fuori area.

Tiro che, ovviamente, non centrò il canestro.

“È molto più difficile di quello che credevo… non riesco a centrare il canestro!” esclamò sconsolato portandosi una mano alla testa.

Non si era accorto di qualcuno che aveva assistito alla sua performance.

“Buongiorno Yohei!” esclamò Haruko pimpante.

Era stata attirata dai rumori provenienti in palestra ma non avrebbe mai immaginato di trovarvi Mito lì dentro.

“Sono passato a prendere la maglietta” si spiegò il ragazzo.

L’aveva dimenticata lì quando aveva aiutato Hanamichi a fare i ventimila tiri.

Non era tutta la verità, ma era una buona scusa da rifilare alle due ragazze che erano sopraggiunte in palestra.

La verità era che, nonostante avesse visto Hanamichi partire quella mattina, ancora non credeva possibile che il suo amico fosse riuscito a realizzare parte dei suoi sogni.

E non perché fosse un incapace ma semplicemente perché era strano accettare che finalmente la sfortuna stava girando, decidendo finalmente di cambiare bersaglio.

Così… era corso in quella palestra sapendo che avrebbe rivissuto i momenti più intensi
che lui e Hanamichi avevano passato in quei mesi.

L’aveva trovata, però stranamente vuota e silenziosa, per questo si era messo a palleggiare.

Non si accorse di aver espresso quest’ultimo pensiero ad alta voce fino a quando non notò che Haruko e la sua amica lo guardavano attente.

Fino a che la ragazza non lo ringraziò personalmente per l’aiuto che aveva dato a Hanamichi in quella settimana.

Yohei la fissò a lungo, non rimanendo tuttavia in silenzio.

Alleggerì il discorso chiedendo cosa ne pensasse lei, in qualità di esperta, dei progressi di Hanamichi.

Però, nel frattempo che Haruko lodava il suo amico, Yohei rifletteva.

Forse non va tutto alla grande come credevo! Pensò ascoltando la ragazza definire
Hanamichi un treno ad alta velocità.

Se si stesse innamorando di Hanamichi, saremmo nei guai fino al collo! Rifletté
sconsolato mentre Haruko continuava a parlare.

“Beh ragazze, io vado. Devo lavorare!” esclamò a un certo punto, rivolgendosi anche all’amica di Haruko.

Fino a che, una frase non lo costrinse a rimanere sul posto.

“Secondo me, Sakuragi… è nato per giocare a basket!”

Era Haruko che parlava e questo Yohei lo sapeva.

Non potè, tuttavia, impedire alla sua mente di sentire un’altra voce che, molto tempo prima, aveva pronunciato una frase simile.

Lui è il basket!

Questo aveva detto Kaede Rukawa tanto tempo prima esprimendo, con quella frase, tutti i motivi per cui amava Hanamichi.

Del resto l’asso dello Shohoku viveva per il basket. Aveva basato la sua intera esistenza sul basket.

Ed era normale che si esprimesse in questi termini.

Ma Haruko… Yhoei aveva spesso dimenticato che anche lei aveva una grande passione per il basket.

Sapeva che le piaceva, ma non era di certo una fissata.

E poi… era innamorata della super matricola.

Ma… se anche lei, dopo tanto tempo si stesse finalmente accorgendo del grande talento di Hanamichi?

E… se proprio questo talento, lo stesso che aveva attirato la super matricola, stesse attirando anche lei… cosa sarebbe potuto succedere in quel caso?

Erano queste le domande che lo tenevano fermo sul posto, incapace di muovere un muscolo.

Si accorse comunque di essere rimasto parecchio in silenzio, motivo per cui, salutò nuovamente le ragazze dirigendosi a lavoro.

Se le cose fossero andate bene, probabilmente avrebbe potuto assistere alle partite di Hanamichi.

Tuttavia fu con il passo pesante che si allontanò dalla palestra.

I nuovi pensieri che aveva avuto lo lasciavano, in parte, sconvolto.

Dovrò tenere gli occhi aperti!Pensò sconsolato accelerando il passo.

Per ora, era tutto quello che poteva fare per il suo migliore amico.
 

                                                ***
 

Rukawa stava immobile nel suo futon a occhi chiusi.

Era stata una giornata intensa sotto tutti i punti di vista, a cominciare dal viaggio in
treno, dove avevano avuto la loro prima, amara scoperta.

“Questa proprio non ci voleva!” aveva esordito Akagi con voce tonante una volta che tutti avevano preso posto.

Stava sfogliando il foglio, dove erano segnati i vari turni del campionato nazionale con le rispettive squadre che si sarebbero dovute scontrare tra di loro.

Il Toyotama della prefettura di Osaka, questo sarebbe stato il loro primo avversario.

Ma, non era quello il problema perché, una volta battuta la squadra di quella prefettura, si sarebbero dovuti sfidare contro il Sannoh.

Quella notizia aveva lasciato tutti perplessi. Tutti meno Hanamichi che, non solo non conosceva il valore di quella squadra, ma aveva anche sbagliato a pronunciarne il nome chiamandola il “Sonno”.

A nulla erano valse le correzioni di Mitsui, Sakuragi aveva continuato a chiamare così quella squadra.

Rukawa, una volta tanto, avrebbe voluto essere come lui.

Essendo un principiante, non era al corrente delle notizie sul mondo del basket e, di conseguenza, per lui una squadra valeva l’altra.

Tuttavia, Rukawa sospettava che, anche se Sakuragi avesse saputo in precedenza che al secondo girone si sarebbero dovuti scontrare contro gli ex campioni nazionali, la cosa
non gli sarebbe importata granché.

E infatti, come volevasi dimostrare, quando Sakuragi aveva appreso di che squadra si trattava, non si era scomposto minimamente.

E Rukawa, si era dovuto trattenere dal sedergli di fianco e baciarlo.

Era questa una delle cose che ammirava di lui: il suo coraggio.

Non gli faceva paura nulla, tanto meno una squadra che, seppur molto forte, comunque avrebbero dovuto battere prima o poi se avessero voluto aggiudicarsi il titolo di campioni
nazionali.

Si rese conto che Sakuragi aveva un effetto benefico su di lui; era, infatti, riuscito a scacciare il momentaneo sgomento che aveva provato nell’apprendere quella notizia.

Tra l’altro, Sakuragi sembrava di più interessato al loro terzo avversario ovvero, il liceo Aiwa.

Come li conoscesse, per Rukawa era ancora un mistero; fatto sta che aveva visto il do’hao pensieroso.

“Ah, la stella di Aichi!” aveva borbottato tra se.

“Li conosci?” si era incuriosito Mitsui.

“Niente di che, l’ho visto mentre lo portavano via su una barella!”

“Eh?” aveva domandato perplesso Mitsui ma Sakuragi non si era degnato di rispondere, isolandosi a pensare a chissà cosa.

Fatto sta, che Sakuragi sembrava veramente molto ansioso di battersi con loro.

In ogni caso, Rukawa avrebbe indagato appena si fosse presentata la possibilità.

Inoltre, non era stata quella l’unica particolarità del loro movimentato viaggio in treno.

A Osaka, infatti, era salita la squadra con cui si sarebbero sfidati nel primo girone e, un tipo con il codino, sentendo Kogure preoccuparsi dello Sannoh, non aveva esitato ad attaccare briga.

La rissa era stata sedata poi dall’allenatore del Toyotama che aveva richiamato il tipo col codino, un certo Kishimoto, se non ricordava male.

Fatto sta che il tizio aveva presentato loro una rivista dove c’era la classifica delle squadre e, quello che c’era scritto non era stato molto incoraggiante; non per lo
Shohoku almeno.

Al liceo Shohoku, infatti, era stata assegnata una misera C, mentre il Toyotama aveva una A.

A quel punto, Sakuragi aveva deciso di intervenire.

Anzi, conoscendolo, Rukawa si era domandato come mai non fosse intervenuto prima.

Comunque, non poteva dire di non aver provato una grande soddisfazione quando il tipo con il codino, soprannominato così anche da Sakuragi stesso, si era ritrovato a terra dopo uno sgambetto di quest’ultimo.

Ovviamente, Kishimoto aveva deciso di reagire e Rukawa si era tenuto pronto all’imminente rissa.

“Ehi tu, bastardo!” aveva detto rialzandosi e poggiando una mano in testa a Hanamichi che non si era minimamente scomposto.

Al contrario di lui che, vedendo quel gesto, avrebbe voluto tanto tirare un pugno al tipo.
Sakuragi invece sembrava totalmente indifferente.

Comunque Khishimoto non aveva finito la frase dato che l’allenatore dei loro avversari era intervenuto nuovamente.

“Ehi codino!” si era deciso a parlare allora Hanamichi.

In effetti, da quando i loro avversari erano saliti in treno, era la prima volta che Sakuragi apriva bocca.

Ancora una volta, Hanamichi era riuscito a sorprendere tutti.

Dal più rissoso della squadra, si era avuto il comportamento più serio in assoluto.

Eppure, non per questo Sakuragi perdeva il suo temperamento, visto quanto fosse risultato lo stesso minaccioso, pur rimanendo seduto composto al suo posto.

“Come mi hai chiamato?” si era intanto voltato verso di lui Kishimoto.

“Al momento giusto mi ricorderò che hai cercato di schiacciarmi la testa!” aveva terminato Sakuragi con un mezzo sorriso in volto.

E Rukawa, in quel momento, non avrebbe voluto essere nei panni di Kishimoto.

Ancora una volta il comportamento di Sakuragi l’aveva sorpreso.

Ancora una volta il volto deciso di Sakuragi lo aveva incantato.

Era attirato da quel ragazzo come gli insetti vengono attirati dalla luce, oramai su questo non aveva più dubbi.

Anche se, con una punta di fastidio aveva costatato che tutti in quel treno, avevano potuto vedere il vero volto di Sakuragi, ma forse questo dipendeva anche dalla maturazione che aveva avuto nella relazione con lui.

Per fortuna poi il viaggio in treno era proceduto abbastanza tranquillamente e a parte qualche screzio con altre squadre una volta arrivati nella pensione di Hiroshima, tutto era andato per il meglio.

Certo, avrebbe voluto spaccare la faccia a Maki e alla scimmia con quell’assurda fascetta in testa, visto che avevano saputo chi sarebbero stati i loro avversari al secondo girone e ci avevano tenuto a rigirare il coltello nella piaga.

Ma, stavolta, ci aveva pensato lui a rispondere in modo adeguato prima di girare sui tacchi e andarsene.

Aveva potuto osservare con calma la pensione che li accoglieva trovandola modesta ma accogliente.

Era in stanza da solo ma questo non lo aveva sorpreso più di tanto; di certo non lo avrebbero mai messo in stanza con Hanamichi!

Ora doveva concentrarsi solo sulla partita che avrebbero disputato domani.

Sono il numero uno del Giappone!

Fu questo il pensiero ricorrente, ripetuto come un mantra nella sua testa, prima di addormentarsi profondamente.
 

                                             ***
 

“Infatti, Haruko!”

“Domani mostrerai a tutti i risultati dei tuoi allenamenti”.

“Domani è il gran giorno!”

Coraggio, devi dirglielo!Pensò Sakuragi facendosi forza.

Nonostante lui e la ragazza fossero in confidenza, aveva ancora una certa timidezza nel manifestarle il suo affetto e la sua gratitudine.

“Sappi che scenderò in campo solo per te! C-ce la metterò tutta!!” Si fece alla fine coraggio ed esclamò tutto d’un fiato.

“Sì, bravo”.
 


Sakuragi fissava il telefono con un sorriso sereno. Sapeva che Rukawa non avrebbe
fatto i salti di gioia nel saperlo a telefono con Haruko, ma sapeva anche che la kitsune non si sarebbe arrabbiata.

Aveva accettato il suo io e il suo modo di fare, con tutto quello che il suo mondo comprendeva e le persone che ne facevano parte.

Inoltre, era felice di aver chiamato Haruko e non aveva mentito sul fatto che sarebbe sceso in campo anche per lei.

Era lei che lo aveva fatto cominciare a giocare a basket ed era sempre lei che lo aveva incoraggiato; la considerava un’amica preziosa ed era contento di avere la possibilità di fortificare la sua amicizia con lei.

Guardò il cielo stellato dalla finestra.

Domani sarebbe stata una giornata bellissima.

Ripensò al loro movimentato viaggio in treno e al loro arrivo alla pensione che li avrebbe ospitati.

Rukawa ancora una volta lo aveva sorpreso.

“Tanto prima o poi avremmo dovuto sconfiggerli nel corso del campionato.
Così ci togliamo subito il pensiero”

Era stata questa la sua risposta rivolta alle provocazioni del numero dieci del Kainan e alle frasi di Maki che avevano espresso loro le condoglianze una volta saputo che avrebbero incontrato il Shannon al secondo turno e il liceo Aiwa al terzo.

È vero!Aveva pensato in quel momento Sakuragi, rimanendo sempre più affascinato dallo sguardo della sua kitsune.

Senza pensarci si ritrovò davanti alla porta della camera che ospitava il numero undici.

Non resistette alla tentazione di provare ad entrare.

Sicuramente dorme come un ghiro! Pensò con un sorriso aprendo la porta.

Notò che non era chiusa… Rukawa era attento e vigile su un campo di basket, ma nella vita poteva essere molto distratto a quanto pareva!

Oppure… l’aveva lasciata aperta per lui?

Naaa…si rispose da solo osservando, con un sorriso, Rukawa dormire.

Si avvicinò piano al suo futon, attento a non svegliarlo.

Gli s’inginocchiò di fianco non resistendo alla tentazione di lasciare un bacio lieve su quelle labbra perfette.

“Domani mettiamocela tutta, Kitsune!” gli sussurrò, accarezzandogli piano i capelli prima di alzarsi per andarsene.

“Ce la metterò tutta” sussurrò ancora rivolto al bell’addormentato, prima di andarsene definitivamente.

La stessa frase che aveva detto a Haruko.

Tuttavia… quanto ne appariva diverso il significato se l’interlocutore era Rukawa.

Sapeva che domani avrebbe dovuto mettere a frutto i suoi allenamenti.

Sapeva che aveva appena sigillato una promessa con la persona che amava.

Promessa che avrebbe mantenuto ad ogni costo.
 

Continua…
 

Note:
 

Il capitolo parte, cronologicamente, dal giorno dopo raccontato nell’ultimo capitolo della prima parte della storia.

Come avrete notato, molti dialoghi sono presi dal canone approfonditi però con una nuova introspezione che si adattasse alle vicende da me inventate.

Inoltre ho aggiunto più avvenimenti comprendo “le ore buche” che ci sono nel canone (ad esempio l’ultima parte).

Il capitolo appena letto è ambientato nel volume 23 del manga.

Dato che ci sono diverse edizioni (io ho quella da 31 volumi) farò riferimento anche ai capitoli.

In questo caso, gli avvenimenti del capitolo sono ambientati nel capitolo 198: Un treno ad alta velocità (di cui ho preso in prestito il titolo per il primo capitolo della mia storia) e nel capitolo 199: La notte prima dell’inizio.

Avete notato inoltre che in questa seconda parte non c’è un prologo che introduce le vicende, ma si parte direttamente con il narrare gli avvenimenti. Ho ritenuto opportuna questa scelta dato che la storia è già stata avviata nella prima e non credo necessitasse di un’introduzione.

Che altro dire… spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Attendo, come sempre, i vostri pareri!

Ci vediamo domenica prossima con il capitolo 2.

Pandora86



 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. Prima partita: Shohoku contro Toyotama. ***


Eccomi con il secondo capitolo.
Grazie a chi ha recensito lo scorso capitolo e a chi ha inserito la storia tra le preferite, le seguite e le ricordate.
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note e le informazioni riguardo le prossime pubblicazioni.
Per adesso… Buona lettura!
 
 
 
Capitolo 2. Prima partita: Shohoku contro Toyotama.
 
Rukawa osservava il suo riflesso nello specchio del bagno.

Occhi esterni, avrebbero definito quello sguardo indecifrabile tuttavia, un attento osservatore avrebbe potuto scorgere il fuoco che si celava in quelle iridi di ghiaccio.

Sono il numero uno del Giappone!

Era questo il suo mantra, assieme ad un altro che però faceva spuntare un piccolo sorriso affettuoso su quel volto, apparentemente, indifferente.

Mettiamocela tutta, Kitsune!

Il do’hao era venuto sul serio a salutarlo la sera precedente.

E lui che non ci aveva sperato per niente quando, per scaramanzia, non aveva chiuso la porta a chiave.

In effetti, era mezzo addormentato quando aveva sentito quella soffice carezza sulle labbra e, credendolo un sogno, si era lasciato cullare da quel tepore, non muovendo un muscolo.

Tuttavia, quella mattina aveva trovato la porta scostata, segno che il do’hao era venuto sul serio.

Sicuramente Hanamichi non l’avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura vista la sua timidezza, ma a lui questo bastava perché, finalmente, il do’hao era suo.

Ora… dovevano solo vincere i campionati nazionali o, più nell’immediato, battere il Toyotama.
 

                                                      ***
 

Sakuragi sentiva lo sguardo di Rukawa trapassargli la schiena.

Si era inginocchiato per aggiustarsi le scarpe ma, anche in quella posizione, sentiva la schiena bruciare sotto lo sguardo infuocato di Rukawa.

Era certo che gli occhi del numero undici l’avrebbero fulminato seduta stante, se solo avessero potuto.

Di sicuro, dopo la partita gli sarebbe toccato sorbirsi la furia della kitsune gelosa.

Non ho fatto niente di male però! Piagnucolò nella sua testa.

Era vero, aveva segnato il nome di Haruko nelle sue scarpe.

Era vero, la sera prima l’aveva chiamata (anche se questo era sicuro che Rukawa non lo sapesse).

Eppure, non ci vedeva nessun significato amoroso dietro i suoi gesti.

Aveva ampiamente dimostrato alla kitsune quanto lo amava.

E poi… le scarpe le aveva comprate (o meglio, gli erano state regalate) in compagnia di Haruko.

Era la sua prima uscita, in qualità di amico, con la ragazza.

Gli era sembrato un pensiero carino, dopotutto!

Ma, evidentemente, non doveva pensarla allo stesso modo Rukawa che, quando aveva scorto la scritta nelle sue scarpe e capito che non si trattava del suo nome, gli aveva riservato il suo migliore sguardo di ghiaccio.

È solo una kitsune gelosa! S’impuntò.

Ora poi, non aveva tempo per pensare a queste cose.

Doveva concentrarsi solo ed esclusivamente sulla partita.

“Non so se queste graduatorie siano giuste o meno!” stava dicendo, nel frattempo, il signor Anzai rivolto prima a Mitsui e poi alla squadra, dopo aver osservato il foglio con la classifica delle squadre.

Inutile ricordare che al Toyotama era stata assegnata una A mentre, Allo Shohoku una misera C.

Sakuragi si alzò prestando attenzione.

“Ma il nostro compito è dimostrare che, almeno per quello che ci riguarda, non lo sono” concluse con il suo solito sguardo penetrante.

Questo sembrò bastare a dare coraggio alla squadra visto che lo sguardo di ognuno era nuovamente carico.

“Ben detto!” urlò Sakuragi.

Ora la partita poteva iniziare. Si sentiva carico come non mai.
 

                                                  ***
 

Yhoei, con sua grande soddisfazione, era riuscito a guadagnare abbastanza da andare a Hiroshima a fare il tifo per Hanamichi.

A quanto pareva, anche gli altri scapestrati dell’armata erano riusciti nel loro intento.

Meno male! Pensò Mito con un sospiro di sollievo.

Di certo, tutto si aspettava entrando nello stadio, tranne quello.

I tifosi del Toyotama non erano agguerriti… erano decisamente dei teppisti di tutto rispetto.

Loro, in confronto, erano dei bravi ragazzi tutti casa e scuola.

Persino il gruppo di amici di Mitsui aveva deciso di battersela in ritirata e fare il tifo il più lontano possibile.

Raggiunse Haruko con le sue amiche pronto a dare il suo sostegno morale alla squadra e sperando che il suo migliore amico non perdesse la calma a inizio partita visto che, per colpa dei suoi capelli, era appena diventato lo zimbello dello stadio.

Coraggio Hanamichi! Pensò stringendo i pugni con forza e poi ironizzando con gli altri membri dell’armata.

A quanto pareva, non aveva motivo di preoccuparsi poiché Hanamichi non si era minimamente scomposto affermando, in tutta tranquillità, che era normale che l’asso della squadra subisse pressioni.

Yhoei osservò tutti loro con affetto mentre si apprestavano a entrare in campo.

In bocca al lupo, Hanamichi! E anche a te, Rukawa!
 

                                                 ***

Ecco che siamo alle solite! Pensò Rukawa sconsolato, osservando Sakuragi andare in panchina dopo essere stato sostituito.

La strategia prevedeva un’azione immediata da parte dello Shohoku che intendeva usare la super matricola come realizzatore.

Purtroppo però, dopo i primi minuti di gioco, il tabellone segnava:

Shohoku 0 – Toyotama 9.

All’inizio, gli sbagli erano stati di Miyagi che, volendo strafare e rispondendo alle provocazioni, si era fatto fregare una volta dopo l’altra.

Come ciliegina sulla torta Sakuragi, dopo una provocazione, aveva preteso di farsi passare la palla e, una volta ottenuto quello che voleva, aveva provato a tirare centrando tutto meno che il canestro.

L’aveva nientemeno mandata tra le mani del numero dieci del Kainan che assisteva dagli spalti.

Ovviamente poi era scattata la sostituzione.

Anche se non era dovuto al suo sbaglio quanto a una strategia che Anzai aveva deciso di attuare, questo era stato ben chiaro agli occhi di Rukawa.

A quanto pare, il Toyotama è davvero una squadra di classe A. La partita però deve ancora cominciare,pensò assottigliando gli occhi.
 

                                                ***
 

Sakuragi osservava il campo allibito.

Erano passati dieci minuti di gioco e, dopo la sua sostituzione, il tabellone segnava:

Shohoku 14 – Toyotama 15.

“Nonostante la mia assenza, sono riusciti a portarsi quasi in parità!” sussurrò fra se.

Ma allora a che cosa sono serviti i miei allenamenti?Si domandò frustrato.

Perché Yasuda ha fatto la differenza se non ha il mio potenziale?

Il suo sguardo si spostò su Rukawa.

Fare il buffone con Anzai e fingere di essere l’asso nella manica, in quella circostanza, non lo aveva aiutato per nulla.

Anzi… l’incertezza che provava dentro, nonostante le sue pagliacciate, era aumentata ancora di più.

La paura di aver sprecato solo tempo, ritenendosi inutile, lo agghiacciò.

In quel momento, Rukawa volse gli occhi dalla sua parte ma Sakuragi, rifuggì il suo sguardo.

Che cosa avrà pensato di me, dopo quel tiro di merda?Si domandò, ostinandosi a guardare tutto, fuorché Rukawa.

Che diamine significa cambio di strategia?Si domandò ancora, non avendo tuttavia il coraggio di chiedere ulteriori spiegazioni a Kogure che aveva cercato di tirargli su il morale, spiegandogli il motivo della sua sostituzione.

Non aveva capito un’acca delle delucidazioni di Kogure riguardo a rallentare il ritmo della partita con l’entrata di Yasuda, ma non avrebbe chiesto chiarimenti.

Una figuraccia bastava e avanzava, pensò sconsolato, continuando a non guardare il numero undici.

A Rukawa, dal canto suo, era bastato un solo sguardo in panchina per capire cosa passasse per la testa del do’hao.

Purtroppo però, anche avendo capito i suoi pensieri, non poteva fare nulla per lui stavolta.

Non poteva spiegargli che Yasuda era entrato soprattutto per tenere sotto controllo Miyagi e passare la palla al capitano.

L’errore di Hanamichi non c’entrava nulla.

Peccato però che non avesse occasione di dirglielo, almeno per il momento, considerando che erano nel bel mezzo della partita.
 

                                                           ***
 

“Rukawa dà l’impressione di accumulare punti con facilità, ma non è così! Il numero quattro del Toyotama è un ottimo difensore e corre veloce”.

Le parole di Kogure riportarono Sakuragi alla realtà.

Rukawa aveva appena compiuto due azioni bellissime e lui, dalla panchina, le aveva potute osservare in tutta la loro perfezione.

Aveva sempre saputo che Rukawa era bravo, non per niente, anche quando il loro rapporto era fatto di pugni e insulti, lui cercava sempre di mettersi in mostra provando a batterlo.

Ma solo adesso, dopo aver compito i ventimila tiri, aveva capito che lo stile di Rukawa era impeccabile.

Solo ora, si rendeva conto che lui, in quella settimana di allenamento, non aveva fatto altro che cercare quella perfezione e farla sua.

Solo ora, comprendeva a pieno la grandezza e il talento del numero undici, come se fino a un minuto prima avesse visto il mondo attraverso vetri scuri e ora, una volta libero da quella costrizione, si trovasse a osservare tutti i colori e le sfumature non potendo fare a meno di rimanerne affascinato.

Non trovò neanche la forza per fare una delle sue battute idiote.

In panchina, in quella partita, aveva visto, per la prima volta, quale fosse il vero volto di Rukawa in campo.

“Dovrai allenarti tre volte più di lui, se vuoi raggiungere il suo livello entro la fine del liceo.”
Erano state queste le parole del signor Anzai, dopo che lui aveva chiesto ad Ayako da quanto tempo giocava Rukawa.

Parole che lo avevano congelato peggio di una doccia fredda.

Parole che lo avevano portato alla riflessione, tenendolo fermo al suo posto.

Certo, qualche teatrino comico non era mancato ma poi, l’effetto delle parole di Anzai si era fatto sentire e lui si era seduto in silenzio osservando, per la prima volta, non solo Rukawa ma anche il suo stile di gioco.

Nonostante i suoi progressi capì che avrebbe dovuto faticare molto per raggiungere il livello di Rukawa.

Perché, anche se quelle dure parole lo avevano sbalordito, avevano anche avuto il potere di infiammarlo, caricando come non mai il suo spirito competitivo.

Non mi tirerò indietro. Mai!Promise a se stesso.

Rukawa aveva del talento, ma lui non sarebbe stato da meno.
 

                                             ***
 

“Noi siamo forti!”.

Fu questo l’urlo collettivo della squadra, prima di dirigersi in campo per disputare l’inizio del secondo tempo.

Rukawa guardò Sakuragi non potendo trattenere un impercettibile sorriso.

Finalmente, lo Shohoku aveva ritrovato il suo spirito di squadra.

Spirito che era stato distrutto da gioco pressante e falloso del Toyotama e, per quanto riguardava i falli, Rukawa ne sapeva qualcosa.

Non per niente, si era beccato una gomitata, volutamente ben piazzata, dal capitano Minami.

Ma ora, era pronto a ritornare in campo con la squadra al completo.

Il primo tempo era finito e il tabellone segnava:

Shohoku 28 – Toyotama 34.

Certo, avevano rallentato il gioco del liceo Toyotama, abituato a vincere con punteggi altissimi, ma ora dovevano fare di più: dovevano vincere!

Avevano tutte le carte in regola per farlo; Anzai aveva spiegato la sua strategia e Hanamichi sarebbe rientrato in campo con loro.

Rukawa non poteva fare a meno di fremere all’idea di giocare nuovamente con il suo do’hao e guadagnare, insieme a lui, la prima vittoria.

Già all’inizio della loro conoscenza, quando apparentemente si detestavano, Rukawa non poteva fare a meno di desiderare che Hanamichi fosse in campo con lui negli allenamenti.

Tornando al presente invece, Rukawa non avrebbe mai dimenticato che Sakuragi si era beccato un fallo tecnico perché, nonostante fosse in panchina, era comunque intervenuto in campo dopo che Minami aveva deciso di trasformare lui, la super matricola, in un panda facendogli un occhio nero.

 
“Maledetto bastardo, l’hai fatto apposta!”

Era stato questo l’urlo che aveva fatto sobbalzare Rukawa e la squadra intera.

Sakuragi si era diretto come una furia verso il campo, completamente dimentico di tutto e tutti, deciso a suonarle di santa ragione al capitano del Toyotama.

Le riserve in panchina non avevano fatto in tempo a fermarlo nella sua folle corsa. C’era riuscito solo Akagi, anche se comunque Sakuragi si era beccato un fallo tecnico.

“Lascia perdere Sakuragi!” aveva cercato di trattenerlo il capitano.

“Perché Gorilla, non hai visto che l’ha fatto apposta?”.
 


Erano queste le frasi che avevano ripercorso la sua mente mentre si faceva medicare in infermeria. Ed erano sempre queste le frasi che gli avevano dato la forza di alzarsi e ritornare negli spogliatoi.

Era per questo che poi aveva incoraggiato l’intera squadra. Una squadra che, dopo le sue parole, sembrava risorta dalle sue stesse ceneri pronta a tornare in campo e a dimostrare tutto il suo valore.

Non vedeva dal lato sinistro ma la cosa non aveva importanza; sarebbe ritornato ugualmente in campo.

Noi dobbiamo vincere!

Fu questo pensiero che lo accompagnò nell’ingresso in campo affiancato da Hanamichi.

Alzò gli occhi verso gli spalti, notando che Mito era tornato al suo posto.

Che seccatura! Pensò con un mezzo sorriso.

In fondo, non gli dispiaceva per niente il mondo del do’hao.
 

                                       ***
 

“Perché sei sparito così, Yo?” domandò Takamyia, sgranocchiando l’ennesima patatina, rivolto all’amico che aveva appena ripreso posto.

“Dovevo andare in bagno!” rispose Yhoei con una scollata di spalle.

“Appena in tempo!” intervenne Haruko.

“Oh” non riuscì a trattenersi la ragazza. “È rientrato anche Rukawa!”.

E anche Hanamichi a quanto pare!Pensò Mito con un sorriso soddisfatto.

Osservò Rukawa correre deciso e, conoscendolo, capì che si sarebbe dovuto aspettare un comportamento così agguerrito verso il Toyotama, soprattutto dopo lo show di Hanamichi.

Forse le sue parole non erano state necessarie ma, comunque, non si pentiva di averlo raggiunto in infermeria.
 


“Che ci fai qui?” lo aveva accolto Rukawa una volta aperta la porta dell’infermeria, trovandoselo di fronte con le spalle poggiate al muro e le braccia incrociate.

“Volevo vedere come stavi!” aveva risposto semplicemente Yhoei, liquidando il tutto con una scrollata di spalle.

“Nh!” aveva annuito poco convinto Rukawa avviandosi verso gli spogliatoi.

Mito lo aveva affiancato, camminandogli accanto.

“Non puoi stare qui!” lo aveva ripreso Rukawa in prossimità degli spogliatoi.

“Lo so!” era stata la decisa risposta di Yhoei.

“Volevo solo dirti di stare attento”.

Rukawa aveva assottigliato gli occhi o meglio, l’unico occhio disponibile.

“Quel tipo” aveva ripreso Mito con tono calmo “farà di tutto per vincere. Se Hanamichi rientrerà in campo e farà vedere quello che ha imparato, temo che diventerà un altro bersaglio”.

Rukawa non aveva faticato a comprendere appieno il senso di quelle parole. Se Hanamichi si era scaldato così tanto quando lui era stato colpito nonostante ci fosse davanti tutta la squadra, allora non osava immaginare, una volta rientrato in campo, cosa mai avrebbe potuto fare.

Se poi fosse stato preso di mira, considerata la bravura di Minami nei falli, allora l’incontro sarebbe diventato un match di lotta libera.

E, ovviamente, Sakuragi si sarebbe guadagnato l’espulsione.

La voce proveniente dallo spogliatoio li riscosse entrambi dai loro pensieri.

“Cosa diavolo ti fa pensare che voglia andare a trovare quello stupido volpino?”

La voce di Hanamichi, alta di almeno due ottave rispetto alla norma, si sparse per tutto il corridoio.

“Beh… deve comunque darsi un contegno. È il Tensai, no?” aveva allora ammiccato Mito con un sorriso sghembo.

“Mh… È un do’hao, semmai!” era stata la lapidaria risposta di Rukawa che però aveva lasciato aleggiare un sorriso sul volto in contrasto con le sue stesse parole.

“Io vado adesso!” lo aveva poi salutato Mito.

“Sono contento però che Hanamichi abbia avuto quella reazione. Te lo meriti, Rukawa!” e si era poi allontanato fischiettando.

Non prima però, di aver scorto Rukawa annuire e sorridere prima di entrare, definitivamente, negli spogliatoi.
 
 

Forse mi sono preoccupato per nulla! Considerò Mito guardando il campo. 

Anche se, era comunque contento di essere passato a vedere come stava Rukawa.
 

                                           ***
 

Abbiamo vinto!
 
Era questo il pensiero di Rukawa, steso nel suo futon a occhi chiusi.

In realtà, dopo la partita, non c’era stato molto tempo per gioire della vittoria.

Anzai aveva fatto vedere loro una videocassetta, dove veniva mostrata tutta la forza del liceo Sannoh.

In ogni caso, era inutile preoccuparsene adesso.

Avevano passato il primo turno e questo era quello che contava.

Lo avevano vinto grazie ai suoi tiri ma anche grazie ai rimbalzi fenomenali di Sakuragi che si era distinto per la sua elevazione.

Non per ultimo, Hanamichi aveva anche realizzato dei punti tirando in sospensione e stupendo tutti, nessuno escluso.

In realtà, i primi tiri erano stati un fallimento totale e Rukawa aveva deciso di intervenire.
 

“Il numero uno deve essere la persona capace di guidare la propria squadra al primo posto in Giappone. Io sarò quella persona”.

Era stata questa la frase che aveva detto a Minami sapendo che Sakuragi lo avrebbe sentito.

Dopo poi, aveva tirato in sospensione.

“Dopo milioni di tiri fatti!” aveva aggiunto a fine azione, rivolto a Sakuragi stesso stavolta.

“Milioni?” aveva domandato Sakuragi a mezza voce.

Era rimasto stranito da quella rivelazione, tanto che poi Rukawa aveva dovuto richiamarlo alla realtà.

“Occhio che arriva il contropiede” lo aveva richiamato, correndo poi in posizione di difesa.

Rukawa era sicuro che, dopo il loro minimale scambio di battute, Sakuragi avrebbe prestato più attenzione alla sua posizione di tiro capendo che ventimila tiri erano ancora troppo pochi affinché il suo corpo registrasse meccanicamente la posizione.
 


E non lo aveva deluso, valutò Rukawa tornando al presente.

Di sicuro, con quelle parole, era riuscito a farlo infiammare e lo dimostrava il rimbalzo preso dopo che lui, Rukawa, tirando a occhi chiusi aveva colpito l’anello.

Certo, poi Sakuragi aveva provato a tirare in uno spazio troppo ristretto facendosi intercettare però poi, aveva finalmente dato sfoggio di quello che aveva imparato non sbagliando più.

Il rumore di qualcuno che bussava alla porta lo distrasse dalle sue riflessioni.

Probabilmente, un componente della squadra che voleva vedere come stava, Ayako forse.

“È aperto” specificò con tono annoiato non muovendosi di un millimetro né degnandosi di aprire gli occhi.

Li aprì solamente quando un dito gentile sfiorò il suo occhio medicato.

“Tu?” domando sorpreso.

Tutto si aspettava, tranne che Hanamichi venisse nuovamente a fargli visita.
 


Continua…
 

Note:

Il capitolo è ambientato nei volumi 23 e 24 del manga. I capitoli interessati del fumetto sono:

Volume 23:
Capitolo 200. Toyotama: Classe A. Shohoku: Classe C.
Capitolo 201. Classe A e Classe C.
Capitolo 202.  Genio infuriato.
Capitolo203. Gorilla in piena forma.
Capitolo204. Jump Shot.
Capitolo205. Il presunto Ace Killer.
Capitolo 206. Siamo degli ingenui.
 
Volume 24:
Capitolo 207. Faccia a faccia.
Capitolo 208. Prova da asso.
Capitolo 209. Pratica al tiro.
Capitolo 210. Lo Shohoku recupera.
Capitolo 211. Spaccatura interna.
Capitolo 212. Per la vittoria.
Capitolo 213. Fine, Ammazza – sassi.
Capitolo 214. Il desiderio di vincere.
Capitolo 215. Sannoh.
 
 
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come avrete notato, ho adottato una narrazione differente rispetto alle volte precedenti in cui racconto lo svolgimento di una partita. Il primo tempo, ho preferito narrarlo passo dopo passo, evidenziandone i punti salienti.

In questo modo credo sia più efficace far arrivare al lettore l’importanza della partita e l’ansia crescente dei giocatori.

Per il secondo tempo invece, ho adottato la narrazione classica ovvero, fare conoscere lo svolgimento della partita tramite i pensieri di uno dei protagonisti una volta conclusa.
Spero che sia stata una buona scelta e che non abbia confuso nessuno.

Attendo, come sempre, i vostri pareri.

Ci vediamo domenica prossima con il nuovo capitolo.

Pandora86.

 
 

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Capitolo 3
*** La quiete prima della tempesta ***


Eccomi con il terzo capitolo.
Grazie a chi ha recensito lo scorso capitolo e a chi ha inserito la storia tra le preferite, le seguite e le ricordate.
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note e le informazioni riguardo le prossime pubblicazioni.
Per adesso… Buona lettura!
 
 
 
 
 
Capitolo 3. La quiete prima della tempesta

 


02 agosto – Tardo pomeriggio
 

La hall della pensione che ospitava i giocatori si era svuotata.

Tutti, dopo aver visto la videocassetta riguardante il liceo Sannoh, si erano ritirati.

Tutti tranne due figure.

Una, era il signor Anzai che beveva placido il suo the osservando l'unico giocatore rimasto nella sala.

L’altra, era Kaede Rukawa che, concentrato come non mai, fissava la televisione quasi volendo entrare all’interno delle immagini che trasmetteva.

Le prestazioni del liceo Sannoh, era questo, quello che trasmetteva la televisione.

Rukawa guardava con attenzione le immagini che gli scorrevano davanti, osservando la forza della squadra.

Tutti si erano ritirati tranne lui che, anche con un occhio bendato, guardava e riguardava quelle immagini comprendendo quanto sarebbe stato duro il loro prossimo incontro.

Inutile dirlo, di Sakuragi neanche l’ombra.

Si era defilato con gli altri evitando persino di sedersi accanto a lui.

Non lo aveva neanche guardato.

Il morale della squadra non era dei migliori nonostante avessero appena superato il primo turno.

Il perché era presto detto: superare il Sannoh era apparsa a tutti un’impresa ardua.

Tutti tranne uno


Cosa c’è nonno, non ti fidi di noi?


Era stata la domanda di Sakuragi quando il coach aveva mostrato loro la videocassetta.

E poi, a parte questo, nient’altro.

È un do’hao! Pensò Rukawa osservando le immagini.

Lo stava evitando. Non lo aveva neanche provocato più di tanto.

E lui non lo sopportava!

A quanto pareva gli toccava andare a cercarlo per fargli capire che non aveva nulla di cui vergognarsi sull’andamento della partita appena disputata.

Come al solito, non aveva capito una mazza delle strategie di squadra.

E, tanto per cambiare, lui avrebbe dovuto fargli entrare un po’ di sale in zucca.

Per adesso, era questo il problema: trovare Hanamichi e dargli un calcio nel fondoschiena scolpito che si ritrovava.

O, più nell’imminente, vedere chi era venuto a cercarlo.

“È qui il signor Nagarekawa?” domandò, per la seconda volta, la donna addetta al servizio clienti.

Sicuramente un idiota! Rifletté fra se Rukawa alzandosi, considerando che aveva male interpretato i kanji del suo nome.

Di certo, tutti si aspettava, tranne una visita da parte del capitano del Toyotama, Minami.
 


                                               ***
 


02 agosto – Tardo pomeriggio.
 

Che diamine ci fa Rukawa con quel tipo? Pensò Sakuragi interdetto, osservando il numero undici in compagnia del capitano del Toyotama.

Aveva appena ricevuto una telefonata da Haruko e, dopo averla salutata, aveva notato dalla finestra due figure di sua conoscenza.

Curioso come non mai scese, apprestandosi a scoprire da quando quei due erano diventati così amici.
 


                                            ***
 


02 agosto – sera.
 

Sakuragi camminava pensieroso sulla spiaggia.

E così Rukawa voleva diventare il numero uno del Giappone.

Sai che novità! Pensò sconsolato continuando a camminare.

E lui invece? Quando sarebbe riuscito a battere Rukawa?

Dopo aver origliato la conversazione che aveva avuto con Minami, il suo umore era a dir poco nero.

Gelosia!

Questo aveva provato!

Quel deficiente, prima gli faceva un occhio nero e poi gli chiedeva scusa!

Addirittura gli dava la crema per l’occhio!

E Rukawa che faceva? Accettava!

In effetti, aveva pensato di andare lì e dare una testata a entrambi.

Fortunatamente, una volta tanto, aveva controllato il suo carattere impulsivo.

E poi, Rukawa non aveva fatto niente di male.

Anche se, in effetti, ricordava di aver pensato che Minami avrebbe dovuto dargli una ginocchiata ben
piazzata piuttosto che una semplice gomitata.

Però, in fin dei conti, a parte la gelosia dovuta alle sue insicurezze, non dubitava dell’amore che provava il numero undici.

Lui invece, non aveva fatto altro che evitarlo per tutta la giornata.

Non sono neanche passato a vedere come sta! Pensò Sakuragi ritornando alla pensione.

Doveva andare da Rukawa! Voleva andare da Rukawa.
 

                                             ***
 

02 agosto – sera
 

Chissà se funzionerà! Si domandò Rukawa dirigendosi nella sua stanza e osservando la crema per l’occhio che gli aveva dato Minami.

E così Minami gli aveva chiesto scusa.

Non solo, lo aveva anche messo in guardia verso Sawaita, l’asso dello Sannoh.

Non ne avevo bisogno. Pensò con un moto di fastidio.

Del do’hao neanche l’ombra ovviamente.

Dove diamine si è cacciato? Pensò ancora, stendendosi nel suo futon.

Presto i pensieri iniziarono a scorrere.

La partita appena vinta, il do’hao.

La partita che avrebbero giocato il giorno successivo, il do’hao.

Qualcuno bussò alla sua porta.

“È aperto!” mugugnò infastidito.

Sicuramente Ayako che veniva a fargli visita.

E invece, a quanto pareva, non era Ayako a giudicare dalla carezza sulla sua guancia.

“Tu?”
 

                                              ***
 

02 agosto – sera
 

“Quindi, Kakuta è entrato per cambiare il ritmo della partita?” domandò, ancora una volta, Sakuragi.

“Nh!” annuì Rukawa osservando il numero dieci.

Non credeva possibile che lui e Hanamichi stessero conversando amabilmente di basket o, più precisamente, della partita appena disputata.

In passato, spesso avrebbe voluto discutere con lui, spiegargli strategie e quant’altro.

Non riusciva ancora a credere che, nonostante il suo orgoglio, Sakuragi fosse venuto a vedere come stava intavolando poi, casualmente, una conversazione sul Toyotama.

Rukawa sapeva che doveva essergli costato molto tutto quello.

Come sapeva tutti i dubbi che lo avevano attanagliato quando era stato sostituito.

Per tutto il giorno, infatti, Sakuragi non aveva fatto altro che rifuggire il suo sguardo ed evitarlo.

Per questo era tuttora sorpreso di averlo lì, steso sul suo futon con le braccia incrociate dietro la testa, disposto a conversare amabilmente.

Perso in queste elucubrazioni, non si accorse che Sakuragi si era poggiato su un gomito e lo osservava serio.

O meglio, osservava il suo occhio medicato.

Rukawa non aveva, volutamente, menzionato l’episodio.

In fondo, si era preoccupato per lui davanti tutta la squadra. Che bisogno c’era di ricordarglielo e urtare così la sensibilità del numero dieci?

“Mi sa che sono stato un po’ fuori luogo” ammise Sakuragi sfiorandogli l’occhio medicato.

In effetti, non solo tutta la squadra era rimasta di stucco ma lui ci aveva anche guadagnato un fallo tecnico.

“Come al solito parli a vanvera, do’hao!” lo interruppe deciso Rukawa avvicinandosi.

“Non sono un’idiota!” si difese Sakuragi con tono piagnucoloso.

“E invece si! Il mio idiota!” contro-ribattè deciso Rukawa prima di andare a chiudere la bocca dell’altro con le sue labbra.

Fu un bacio lungo e dolce. A Rukawa sembrava un ottimo modo di concludere la giornata dopo averla iniziata con una vittoria.

Fece stendere l’altro sotto di se andando ad accarezzargli i capelli.

Un moto di rabbia lo invase.

I tifosi del Toyotama avevano insultato pesantemente Sakuragi ancor prima che la partita incominciasse, solo per il colore dei suoi capelli.

Un colore che lui amava.

“Guarda che ci sono abituato, kitsune!”

La voce di Sakuragi lo riscosse dai suoi pensieri.

Doveva aver seguito il suo sguardo, intuendo i suoi pensieri.

Andò nuovamente a baciare l’altro stringendolo forte a se.

Sapeva che Sakuragi non aveva bisogno di protezione, sapeva che non sarebbe andato via eppure, non
poteva impedire alle sue braccia di chiudersi intorno alla vita dell’altro in una morsa quasi soffocante.

Mentre lo baciava, si chiese quante volte, in passato, Sakuragi aveva dovuto subire le ingiurie della gente senza che neanche lo conoscessero.

In primis, da quanto aveva capito, dai suoi stessi parenti che avevano sempre puntato il dito contro prima sua madre e poi contro di lui.

Ma, se questa era stata una cosa che aveva sempre supposto, quella giornata invece aveva avuto modo di verificarla personalmente.

Sakuragi doveva essere stato oggetto dello scherno della gente un numero spropositato di volte, questo
Rukawa lo aveva capito quella mattina con certezza visto che l’atteggiamento di Sakuragi, in risposta agli insulti, aveva parlato da sé.
 

È normale che l’asso della squadra subisca pressioni prima della partita!”.
 

Era stata questa la sua uscita agli insulti.

Un’uscita idiota tanto per cambiare.

Una risposta da buffone agli occhi degli altri.

Una risposta rassegnata ai suoi occhi.

Sakuragi non gli avrebbe mai detto quanto, quell’ennesima pagliacciata, gli fosse costata.

Ma lui lo sapeva ed era per questo che lo stringeva continuando a baciarlo, senza curarsi del tempo che
passava.

Senza curarsi più di niente se non di quelle labbra che lambiva e di quel corpo scolpito che accarezzava.

Non gli interessava più la gelosia provata nell’aver scoperto il nome che Hanamichi aveva scritto dentro le sue scarpe.

Perché lei, solo quel nome avrebbe potuto avere.

Il resto era suo e lo sarebbe sempre stato.

Anche se, prima o poi, si rendeva conto che questo era un problema da affrontare.

Fino a pochi minuti prima, era stata questa l’intenzione.

Avrebbe voluto far entrare nella zucca vuota di Hanamichi un concetto semplice ovvero che, più si legava alla ragazza, più ne avrebbe pagato le conseguenze dopo quando avrebbe dovuto chiarire con lei.

Perché, se voleva restare suo amico, era inevitabile che prima o poi la Akagi venisse a conoscenza di loro.

A Rukawa non poteva fregare di meno della ragazza.

Ma a Hanamichi sì.

Però, ora mentre lo baciava, sentiva tutto passare in secondo piano.

C’era tempo per tutto quello.

L’indomani avrebbero affrontato il liceo Sannoh.

Ora, Sakuragi era con lui, e solo questo contava.

Un gemito da parte di Sakuragi lo distolse dai suoi pensieri.

Si rese conto che le sue mani erano andate oltre le carezze affettuose, avvicinandosi alla virilità dell’altro
che, a quel punto, si era risvegliata dopo il suo tocco.

Infilò deciso la mano all’interno della tuta strappando un altro sospiro al corpo sotto di lui che diventava sempre più caldo.

“Kitsune, che vuoi fare?” domandò Sakuragi mentre l’altro gli baciava il collo.

“Nh… mi sembra ovvio, do’hao!” fu la pronta risposta di Rukawa mentre sfilava la maglia all’altro.

“Non dovremmo!” fu la labile protesta di Sakuragi. “Domani dobbiamo giocare!”

“Preferisci farlo da solo allora?” domandò, con voce arrochita dal piacere e con un sorriso malizioso in volto.

A queste parole, Rukawa andò a stringere con forza la sua mano attorno alla virilità di Sakuragi osservando gli occhi di quest’ultimo, prima sgranarsi per lo stupore e poi annebbiarsi di piacere.

A quel punto, Hanamichi non percepì più nulla, se non le mani di Rukawa che gli davano piacere.

Non esisteva più niente, se non il corpo di Rukawa che andò ad accarezzare strappando gemiti da parte del numero undici, soffocati nell’incavo del suo collo.

Arrivarono entrambi al culmine, tenendosi stretti l’un l’altro.

In quel momento a nessuno dei due importava dove si trovavano.

In quel momento, non c’era niente di più perfetto dei loro respiri che, poco alla volta, tornavano regolari.

Sakuragi osservò il volto di Rukawa che dormiva beato sulla sua spalla.

“Che volpe narcolettica!” sussurrò piano andando a baciargli la fronte.

Si alzò piano, facendo attenzione a non svegliarlo.

Era venuto il momento di tornare in camera sua.

Quando era passato a trovare Rukawa, tutto aveva pensato, tranne che quella visita potesse concludersi in quel modo.

Eppure, avrebbe dovuto darlo per scontato considerando l’alchimia e l’attrazione che c’era tra di loro.

Attrazione che era stata negata per troppo tempo, considerò entrando nella sua stanza e fiondandosi sotto la doccia.

Lasciò che l’acqua tiepida scorresse sul suo corpo, non potendo fare a meno di rivivere le sensazioni che aveva vissuto pochi minuti prima.

Si sentiva fremere se pensava alle mani di Rukawa sul suo corpo.

Si sentiva fremere se pensava alla pelle di Rukawa che aveva accarezzato.

Quando erano partiti per il campionato nazionale, non avrebbe mai pensato che lui e Rukawa fossero riusciti
a ritagliarsi dei momenti per loro.

Anzi, lo escludeva categoricamente.

Un po’, per la continua presenza della squadra.

Un po’, per la fissazione di Rukawa verso il basket che batteva tutti i giocatori del Giappone messi assieme.

Aveva pensato che il numero undici, troppo preso dalle partite, non avrebbe avuto tempo per pensare ad altro.

E invece, quella sera, erano finiti a conversare amabilmente di basket.

Aveva fatto bene ad andare da Rukawa. Il mare gli aveva portato consiglio.

Certo, prima di raggiungere la pensione, aveva incontrato Ryota e Ayako intrattenendosi con loro o forse, a fare da terzo incomodo considerò con un sorriso.

Poi, una volta raggiunta la pensione, Sakuragi era stato davanti alla porta di Rukawa un quarto d’ora buono prima di decidersi a entrare.

Il suo cuore era diviso: da un lato, c’era la voglia di vedere il numero undici, dall’altro la vergogna per le sue ennesime figuracce durante la partita.

Alla fine, si era deciso a entrare. Rukawa, come la sera precedente, era raggomitolato nel suo futon nonostante il clima fosse torrido.

A differenza della sera prima però non dormiva.

Quando gli aveva sfiorato il volto, Rukawa aveva immediatamente aperto gli occhi.

Sakuragi aveva sentito il suo cuore galoppare veloce nel suo petto.

Non si sa come, si erano ritrovati entrambi, stesi sullo stesso futon.

Stranamente, il numero undici, non aveva neanche fatto riferimenti a Haruko, rifletté mentre s’insaponava i capelli.

Il che è strano! Pensò considerando lo sguardo nero che il numero undici gli aveva rivolto prima della partita.

In effetti, neanche lui gli aveva chiesto spiegazioni riguardo a Minami ma in fondo, andava bene così.

La partita… non riuscì a impedire alla sua mente di rivivere i momenti di gioco vissuti.

Certo, con le spiegazioni di Rukawa ora il suo cuore era meno angosciato però… la rabbia che provava era ancora grande.

S’infilò nel suo futon trovandolo stranamente scomodo o forse, era più appropriato definirlo vuoto.

Oramai, si stava abituando alla presenza di Rukawa accanto a se.

Un Rukawa di cui lui conosceva gli aspetti più personali e profondi.

Un Rukawa che conosceva tutti i suoi aspetti più nascosti.

Il numero undici doveva aver capito cosa aveva provato quando tutto lo stadio lo aveva insultato.

Forse era per questo che Haruko non era stata menzionata.

O forse, perché Rukawa riteneva più importante parlare o, in quel caso, fare altro.

Per non parlare di com’era scattato lui, Hanamichi Sakuragi, davanti a tutta la squadra quando Rukawa era stato colpito.

Aveva fatto una figuraccia e aveva guadagnato un fallo tecnico, ma la cosa non poteva fregargliene di meno.

Lo rifarei altre mille volte!Considerò girandosi su un fianco.

Sul suo volto, apparve un sorriso.

Senza rendersene conto, si addormentò con la figura di Rukawa che faceva capolino nella sua mente.


 Rukawa che tirava a canestro in maniera perfetta.

 Rukawa che gli diceva che occorrevano milioni di tiri affinché il suo corpo ne memorizzasse i movimenti corretti.

Stava crescendo Sakuragi. Stava finalmente approdando alla consapevolezza di ciò che provava, imparando a difendere quello a cui teneva.

Il sorriso sereno che aveva sul volto, era la prova lampante del suo nuovo stato d’animo.
 
 

                                      ***
 

03 agosto – alba
 

Rukawa aprì gli occhi sentendo la luce invadere la stanza.

È ancora presto! Pensò rigirandosi nuovamente sul fianco.

Il do’hao doveva essere andato via da un bel po’ eppure, quella mattina, non provava fastidio per questo.

Ripensò alla sera precedente e alla sua conclusione.

Alla fine, non aveva più affrontato il discorso Haruko con Sakuragi e non gliene importava granchè.

Aveva ritenuto più importante lasciarsi andare alle sensazioni che provava quando aveva il do’hao vicino e quando accarezzava la sua pelle.

Avevano parlato della partita e poi avevano inevitabilmente ceduto all’attrazione che provavano l’uno per l’altro.

Ci sarebbe stato tempo per chiarire le cose.

Era questo che pensava Kaede Rukawa.

Ora, il problema imminente, era il Sannoh.

La sera precedente Sakuragi gli aveva fatto una piacevole sorpresa.

Non poteva sapere che altre sorprese, molto meno piacevoli si prospettavano all’orizzonte.

Kaede Rukawa: un nome, una garanzia!

Questo avrebbero detto in molti almeno per quello che riguardava il basket.

Un campione con una tenacia e un’ambizione fuori dal comune, con una forza d’animo incrollabile.

Non poteva sapere, Kaede Rukawa, che presto quella forza gli sarebbe servita tutta e anche di più per affrontare un giorno pieno di amare sorprese.

Un’altra prova avrebbe dovuto affrontare nella sua giovane vita.

Il liceo Sannoh gli avrebbe riservato delle amare scoperte che sarebbero riuscite a fargli mettere in discussione molte cose.

Una grande prova sportiva per un grande campione.

Una grande prova di vita per un ragazzo qualunque.

Era questo quello che attendeva Kaede Rukawa quel giorno, questo era un dato di fatto.

Quello di cui invece non si aveva la certezza era se, questo stesso ragazzo,  fosse stato in grado di uscirne vincitore.
 

                                                    ***
 

03 agosto – alba
 

Stanno ricrescendo! pensò Sakuragi osservando allo specchio i suoi capelli.

Finalmente, il grande giorno era arrivato.

E lui, doveva dimostrare di essere un campione.

Doveva mettercela tutta. Doveva assolutamente fare di tutto per battere il liceo Sannoh.

Solo così si avrebbe potuto scontrarsi con l’Aiwa e quindi, l’armadio che lo aveva buttato a terra, tempo addietro, con una semplice spallata.

Non poteva sapere Sakuragi che non avrebbe mai affrontato quella partita.

Il coraggio e la forza d’animo non gli mancavano, come la caparbietà e l’ambizione di voler sempre migliorare.

Non poteva sapere, Sakuragi, che presto gli sarebbero servite tutte quelle qualità per uscire dal baratro in cui, fra poche ore, sarebbe nuovamente precipitato.

Nuove prove lo aspettavano. Prove che avrebbero gettato al vento tutti i suoi sforzi rimettendo in discussione tutte le poche certezze che aveva conquistato.

Nuove prove in cui avrebbe dovuto far ricorso a tutto se stesso per uscirne vittorioso.

Tutto se stesso e forse, molto di più.
 


Continua…
 


Note:

Il capitolo è ambientato nel volume 25 del manga.

I capitoli interessati sono:

Capitolo 216: Il re.

Capitolo 217: L’alba di un genio.
 

Come avrete notato, in questo capitolo ho preferito dare indicazioni temporali esatte sullo svolgimento della
giornata indicando il giorno e la rispettiva fascia giornaliera all’inizio di ogni paragrafo.

Il 03 agosto è il giorno in cui lo Shohoku sfida lo Sannoh. Adotterò questo sistema anche nei capitoli successivi dato che non seguirò sempre l’ordine temporale delle cose ma mi alternerò fra i ricordi e il presente.

Ho ripreso inoltre la giornata dopo la partita raccontando quello che è successo prima che Sakuragi facesse visita a Rukawa.

Questa è stata una pura scelta narrativa visto che ho preferito isolare il capitolo riguardante la partita da quello che tocca altri avvenimenti.

Spero di non aver confuso le idee e che il tutto sia risultato chiaro e scorrevole.

Come sempre, aspetto le vostre opinioni.

Ci vediamo domenica prossima con il nuovo capitolo.

Pandora86
 

 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. Attesa ***


Eccomi con il quarto capitolo della fic.
Grazie a chi ha recensito lo scorso capitolo e a chi ha inserito la storia tra le seguite e le preferite.
Grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vadiamo a fine capitolo per le note e le informazioni riguardo le prossima pubblicazioni.
Buona lettura.
 

Capitolo 4. Attesa

 

03 agosto – tarda mattinata, dopo-partita.
 

Rukawa sedeva a terra con lo sguardo scuro.

Le spalle poggiate contro il muro, le ginocchia al petto, le braccia incrociate.

L’immobilità lo caratterizzava.

I suoi occhi erano fissi sulla porta che aveva di fronte.

Nella sua testa, una sola domanda.

Come ho potuto essere così superficiale?
 

***
 

03 agosto – alba.
 

Decise di alzarsi, guardando il suo riflesso allo specchio.

L’alba era sorta da poco e fra qualche ora sarebbe sceso in campo contro il Sannoh.

Non riusciva a stare fermo.

Il suo unico pensiero: andare ad allenarsi.

Un po’ di riscaldamento era quello che ci voleva, considerato il suo stato di principiante.

La strada per la maturazione era ancora lunga ma Sakuragi aveva deciso di sfruttare ogni secondo per imparare qualcosa in più.

Lui e la sua squadra avevano vinto la prima partita ma la strada per diventare campioni nazionali sarebbe stata ancora lunga.

Finalmente ci riesco. Dopo tanti sforzi riesco a prevedere l’esito di un tiro.

Questo è fuori! Pensò, guardando la traiettoria della sua palla colpire l’anello.

Stava tutto nel gioco di gambe. Era un principiante ma non sarebbe stato da meno di Rukawa.

Non era solo il Sannoh, il suo avversario.

Nella sua testa c’era spazio per un unico e solo rivale: Kaede Rukawa.

Nel frattempo però, di una cosa era certo: avrebbe fatto qualunque cosa pur di vincere la partita.
 

***
 

03 agosto – tarda mattinata, dopo-partita.
 

Dove sono?

Il nulla avvolgeva la mente di Sakuragi.

Era buio intorno a lui.

Un vociare indistinto gli faceva compagnia ma non riusciva a distinguere nessuna parola di senso compiuto in quel mare di suoni confusi.

Luce. Voleva un po’ di luce, ma non riusciva ad aprire gli occhi.

Non sentiva più le sue palpebre. Non sentiva più niente.

Il suo corpo era avvolto nel nulla. Non aveva più sensazione di cosa lo circondasse. Non sentiva più niente.

Solo un vociare che, pian piano, si affievoliva.

Dove sono?

Avrebbe voluto domandarlo, ma non si ricordava più come si parlava.

Provò ad aprire la bocca ma nessun suono sentì uscire dalla sua gola.

Avrebbe voluto alzarsi, ma non sentiva più il suo corpo.

“Il sonnifero sta facendo effetto!”

Una voce.

Chi sei? Domandò nella sua mente.

“Era ora! Ha un fisico molto resistente.”

Un’altra voce.

Chi sei?

Chi siete?

I pensieri erano sempre più incoerenti.

Cosa mi sta succedendo?

“Vuoi forse dire che prima avevi paura di qualcosa?”

Un’altra voce. Diversa questa volta.

Sembrava più distinta rispetto alle altre eppure, allo stesso tempo più impalpabile.

Come se fosse solo nella sua testa.

Quella domanda poi… chi era stato a rivolgerla?

“Giammai!”

Questa voce… era la sua, la riconosceva!

Eppure lui non aveva parlato.

Non ci aveva nemmeno provato.

Poi capì… un ricordo!

Quello era un ricordo, ma di chi? Di quando?

Perché è tutto così confuso? Si domandò con disperazione.

L’ansia cresceva. Il cuore gli sarebbe scoppiato nel petto se solo fosse stato cosciente di avere ancora un corpo.

Un limbo. Un limbo di disperazione.

Non è vero che non ho paura!Provò ancora a urlare.

Non funzionava, niente funzionava.

Eppure, era certo di aver avuto un corpo. Perché allora non lo sentiva più?

Perché non riusciva a muoversi?

Perché non sentiva più niente?

I suoi sensi… nessun odore, nessun suono… solo un ronzio di sottofondo.

Il nulla.

Eppure, quella voce gli era appartenuta.

Sapeva che era così.

Quello era stato un ricordo collegato a qualcosa d’importante. Era certo che fosse così.

Ma dove? E quando?

Era imprigionato nella sua mente.

Nessun odore… nessun suono a tenergli compagnia.

Nessuna luce, nessun colore.

Paura.

Solo la paura. Solo quella.

Ansia.

Voleva piangere. Voleva urlare.

Paura.

Paura che non aveva modo di controllare. Non poteva.

Di solito, quando le persone hanno paura, iniziano a sudare, ad avere tachicardia.

La manifestano attraverso il linguaggio del corpo.

A lui non era concesso.

Era solo, imprigionato in qualche angolo remoto della sua mente con l’incoscienza che si faceva strada in lui, rendendolo sempre meno lucido.

Ho paura!Pensò ancora.

Non è vero che non ho paura di nulla!

Ma quella non era paura.

Terrore.

Era terrore allo stato puro che non riusciva a scacciare. Non riusciva a muoversi, non riusciva a parlare. Non sapeva neanche come si faceva.

Non era nemmeno certo di respirare ancora.

Un pensiero agghiacciante lo colpì!

Sono morto!

No… perché?

Ma non riusciva a ricordare.

Eppure, non gli sembrava di respirare ancora. Non sentiva più l’aria che entrava dal naso.

Nessun suono… nessun odore.

Solo il buio. Solo quello e la paura.

Devo ricordare!Si ostinò provando a rimanere lucido.

Devo ricordare!

Dei volti fecero la loro comparsa.

Chi siete?

Non sapeva come faceva a guardare quei volti.

Non ricordava di averli aperti.

Oppure… erano semplicemente nella sua testa.

Ricordi! Capì.

Altri ricordi.

Chi siete?Domandò ancora.

Yo?

Un nome… aveva un nome, ma di chi era? A chi era appartenuto?

Poi quel volto scomparve.

NO!

NON LASCIARMI SOLO!

Un altro volto fece la sua comparsa.

Chi sei?Domandò ancora.

Era un volto bellissimo.

Un volto che aveva la sensazione di conoscere stavolta.

Ma era tutto troppo confuso. Le immagini scorrevano troppo veloci davanti a lui affinché potesse registrarne i particolari.

Eppure… aveva la certezza di conoscere quel volto.

Quello di prima gli aveva suggerito un nome.

O forse… solo una sillaba senza senso.

Eppure, guardando quel volto candido che appariva e scompariva a una velocità allucinante, quasi come un televisore rotto, ebbe la certezza che quella sillaba non gli appartenesse.

Chi sei?Domandò ancora una volta.

Non sapeva se quei volti potevano sentirlo.

Non sapeva se qualcuno, oltre a lui stesso, potesse sentirlo.

Eppure, provò ancora.

Non voleva che quel volto lo lasciasse. Non voleva che quel volto scomparisse.

Non è vero che non ho paura!Provò a urlare vedendo i contorni di quel volto farsi sempre più indistinti.

Non te ne andare!

Non mi lasciare solo!

Ti prego! Implorò ancora.

Sentiva di avere sempre meno forza.

Non sentiva il suo corpo, ma capiva di riuscire a formulare sempre meno parole.

L’oblio stava vincendo.

Non voglio!Si ostinò ancora.

Non voleva cedere. Non voleva perdere la poca coscienza che ancora aveva di se stesso.

Non sapeva cosa lo aspettava dopo.

Non voglio!Pregò rivolto a dei contorni, oramai, indistinti.

Furono queste le sue ultime preghiere prima di sprofondare nell’oblio del sonno senza sogni che lo attendeva.

Un sonno artificiale.
 

***
 

Rukawa continuava a fissare la porta dinanzi a se.

L’occhio malandato aveva iniziato a bruciare ma non gli importava.

Si era sgonfiato, ma doveva essersi nuovamente arrossato durante la partita.

Un sorriso impercettibile aleggiò sul suo volto.

Una faccia piena di rabbia e anche un po’ buffa fecero capolino nella sua mente.

Un ricordo.

Un ricordo appartenente a qualche ora fa.

Stentava a credere che fosse passato un lampo di tempo così breve.

Stentava a credere che, fino a qualche ora fa, tutto andasse bene.
 

***
 

03 agosto – h 11.00, spogliatoio dello Shohoku.
 

“Ragazzi, è ora di andare. Siete tutti pronti?” domandò Akagi con voce tonante.

Come il signor Anzai aveva previsto, lo stadio era tutto per il Sannoh ma il capitano non sembrava particolarmente innervosito mentre chiamava la squadra a raccolta per l’incontro.

“Vorrà dire che dovranno ricredersi!”.

Era questo, quello che aveva detto rivolto al signor Anzai riferendosi alla tifoseria della squadra avversaria.

Ed era sempre questo, quello che riusciva a trasmettere ora alla squadra che appariva più combattiva che mai.

“C’è bisogno di chiederlo?” aveva risposto Hanamichi al capitano seguito a ruota da Mitsui e Miyagi.

Rukawa aveva ammirato il suo volto deciso.

Un volto combattivo. Un volto che non aveva paura di nulla.

Aveva quindi deciso di togliere la benda che fasciava il suo occhio con uno strappo secco,
avvicinandosi poi a uno degli specchi dello spogliatoio.

“Perfetto!” aveva esclamato fra lo stupore generale.

“L’occhio si è completamente sgonfiato!” aveva gioito Kogure lasciando trasparire tutto il suo sollievo per le condizioni eccellenti della super matricola.

Nh… ha funzionato!Aveva pensato Rukawa osservando pensoso la pomata che gli aveva dato Minami.

Non senza però osservare anche, attraverso lo specchio, Sakuragi che, dietro di lui ribolliva di rabbia.

Allora non mi sono sbagliato!Aveva pensato ancora osservando le buffe espressioni del suo do’hao.
La sera precedente gli era parso di sentire qualcuno tra i cespugli.

Ne aveva avuto la conferma quando aveva osservato una figura allontanarsi.

Solo che, data l’ora, non era certo che fosse il do’hao poi, non aveva più avuto modo di parlarne.

E invece, ora Sakuragi con il suo atteggiamento, gli dava conferma di quanto aveva sospettato.

Sei geloso do’hao?Pensò con affetto.

Sakuragi aveva origliato la sua conversazione con Minami e, se agli altri le sue espressioni sembravano il frutto della rivalità che il numero dieci aveva sempre provato nei suoi confronti, a

Rukawa invece erano apparse per quello che erano: gelosia e basta.

Si era avviato con gli altri, pronto a vincere anche quella partita.

E in quel momento, con il do’hao che, carico come non mai per la partita, continuava a lanciargli occhiatacce, nessun momento gli era sembrato così perfetto.

 
***
 

03 agosto – dopo partita.
 

“Perché non ci fanno sapere niente?” la voce di Ayako distolse Rukawa dai suoi pensieri.

Guardò l’orologio poggiato sulla parete di fronte: era l’una e mezza passata.

Il do’hao era in infermeria da più di mezz’ora.

“Vedrai che Hanamichi starà facendo l’idiota come al solito!” cercò di rincuorarla Miyagi.

Ma sta un po’ zitto!Pensò Rukawa stizzito.

Perché quella dannata porta non si apriva?

Perché il medico sportivo non usciva?

Perché non sentiva la voce di Sakuragi?

Troppi perché affollavano la sua testa.

Troppe poche risposte aveva alle sue domande per calmare la sua ansia crescente.

Anche Mito lo aveva capito.

Li aveva raggiunti da un quarto d’ora mandando il resto del suo gruppo via.

In effetti, non sarebbe potuto rimanere lì ma nessuno aveva avuto da ridire.

Il suo sguardo non permetteva a nessuno di farlo.

Tutti conoscevano la sua fama ma, ancor di più la sua aura.

Aura che non prometteva niente di buono per chiunque avesse provato a dirgli che quello era un posto riservato alla squadra.

E, Rukawa sospettava, che nessuno avrebbe detto nulla, anche se fossero dovuti rimanere lì tutta la giornata.

Mitsui lo aveva guardato a lungo prima di sedersi sulla sedia che stava accanto a dove era poggiato.

Ayako l’aveva osservato distogliendo poi lo sguardo e Ryota sembrava non averlo neanche notato.

Akagi aveva assentito burbero con la testa e Kogure gli aveva rivolto un sorriso.

Nessuno aveva domandato perché era lì.

Era ovvio e Mito non avrebbe risposto in ogni caso.

Rukawa sapeva cosa significava quell’atteggiamento e sembrava saperlo anche il resto della squadra.

Era lì per Hanamichi.

Solo per Hanamichi e basta.

Le persone che c’erano non contavano nulla. Lo dimostrava il suo comportamento.

Non aveva detto una parola se non quelle rivolte all’armata.

Fermo, come lui.

Spalle al muro, come lui.

Poggiato in piedi al muro di fronte al suo, guardava tutti senza in realtà vedere nessuno.

Rukawa lo sapeva, il ragazzo aveva molta empatia nei confronti di Hanamichi.

Probabilmente, si era accorto che qualcosa non andava prima di tutti loro.

C’era qualcosa che non andava.

E Mito lo sapeva.

Era lì solo per aspettare, proprio come lui.

Aspettare che quella porta si aprisse.

Fino a che, Rukawa non vide lo sguardo di Yhoei farsi attento nel guardare impercettibilmente la porta alla sua sinistra.

Seguendo quello sguardo, capì il perché.

Essendo vicino doveva aver sentito il rumore della maniglia che si abbassava.

Finalmente, quella porta si sarebbe aperta.

Erano quasi le due o forse le due passate ma non aveva importanza.

La porta si stava aprendo.

Rukawa trattenne il respiro nel guardare la maniglia abbassarsi.

Passarono istanti che sembrarono eterni.

Fino a che…

Il medico che aveva soccorso Sakuragi nello spogliatoio fece capolino nella piccola sala d’attesa dell’infermeria dello sguardo.

Yhoei si staccò dal muro.

Rukawa si alzò in piedi.

L’attesa era finita.

Il momento della verità era arrivato.
 
 


Continua…

Note:

la parte del capitolo che riguarda la mattina è ambientata nel volume 25.

I capitoli interessati sono il 220 e il 221.
 

In questo capitolo non accade quasi nulla ne faccio accenni su come sia andata la partita.

La cosa è voluta; ci tenevo infatti a scrivere un capitolo puramente introspettivo dove fossero messi in risalto i pensieri dei protagonisti prima e dopo la partita.

I capitoli successivi seguiranno, più o meno, questa stessa struttura e anche la partita sarà raccontata a più voci e in più capitoli.

Spero che vi sia piaciuto e di aver fatto un buon lavoro.

Ci vediamo domenica prossima con il nuovo capitolo.

Pandora86

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. Rabbia ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Grazie a chi ha recensito, a chi ha inserito la storia tra le preferite e le seguite e anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note e le informazioni riguardanti le prossime pubblicazioni.
Per adesso, buona lettura.
 

Capitolo 5.Rabbia

 

03 agosto - sera
 

“Questo era per ringraziarvi della bella accoglienza che ci avete riservato!”

Rukawa aprì di scatto gli occhi.

Steso nel suo futon, non poteva fare a meno di pensare alla partita.

Non dopo quello che era successo dopo.

La sua mente aveva in testa una sola persona.

Il do’hao era stato incredibile come al solito.

“Questo era per ringraziarvi per la bella accoglienza che ci avete riservato!”

Di nuovo quella frase. Di nuovo quegli occhi sicuri. Di nuovo quel tono beffardo che Rukawa tanto amava.

Un tono di sfida, un tono di chi non ha paura.

Erano entrati in campo con la tensione alle stelle.

Il pubblico era tutto per il Sannoh e Sakuragi aveva da poco rimediato una clamorosa figuraccia
provando a fare una schiacciata spiccando un salto dalla linea dei tiri liberi.

Ovviamente la sua elevazione aveva sorpreso tutti, squadra avversaria compresa.

Peccato poi che avesse, tanto per cambiare, calcolato male le distanze e quindi la palla aveva toccato l’anello.

Lui, oltre che una pallonata e una caduta rovinosa, ci aveva anche guadagnato l’ennesima figuraccia.

Poi erano tornati negli spogliatoi e, dopo essersi riscaldati, erano nuovamente tornati in campo.

Sakuragi non si era perso d’animo.

Ci aveva riprovato stavolta, però, andando nella metà campo avversaria e rubando la palla a uno dei giocatori il Sannoh.

Aveva schiacciato e, quella volta, non aveva commesso nessun errore.

Il risultato era stato una schiacciata memorabile.

“Questo era per ringraziarvi della bella accoglienza che ci avete riservato”.

Questo aveva detto rivolto alla squadra avversaria una volta tornato a terra.

Aveva raccolto la palla e aveva guardato il Sannoh con un sorriso beffardo.

Un sorriso di chi è sicuro di quello che fa.

E Rukawa aveva, ancora una volta, potuto ammirare il suo volto.

Sakuragi era maturato molto da quando aveva iniziato a giocare.

Ancora non gli sembrava possibile che si trattasse della stessa persona, se lo paragonava alla sua
prima partita con il Ryonan.

Eppure… lui era lì… sempre lo stesso anche se così diverso.

Sakuragi aveva poi restituito la palla agli avversari ritornando dalla sua squadra e Rukawa aveva potuto osservare che anche il play maker e il tiratore erano rimasti piacevolmente sorpresi
all’ennesima uscita del numero dieci.

Lo dimostrava il cinque che aveva poi scambiato con loro.

Sakuragi, con quel gesto, aveva dato loro la carica.

Ed era per questo che Rukawa aveva agito di conseguenza quando l’asso della squadra avversaria aveva provato a mettersi in mostra.

Un pallone lanciato mentre schiacciava e una conseguente figuraccia del giocatore.

E Rukawa aveva in cuor suo gioito per quello.

Sawakita poteva anche essere un grande giocatore ma Rukawa non gli avrebbe permesso di oscurare Sakuragi.

Non in quel momento.

Poi… la partita era cominciata.

Rukawa aveva ben impresso nella sua mente le parole di Anzai.

Non c’era storia; dovevano attaccare per primi.

Il pubblico era tutto per il Sannoh.

Ma loro dovevano dimostrare alla squadra avversaria che quella non era una partita come le altre.

Su questo Anzai era stato chiaro: imporre il ritmo e attaccare per primi.

Poi… aveva ideato una strategia niente male.

“A voi due invece, spetterà il compito di sferrare un attacco a sorpresa”.

Erano state queste le parole del coach rivolto a Sakuragi e Miyagi.

E Rukawa, seppur con una punta di fastidio, aveva approvato la sua strategia.

Del resto, per quanto gli sarebbe piaciuto affiancare Sakuragi nel gioco, lui non era un play maker.

Ryota sì, invece.

Inoltre la squadra avversaria non conosceva i progressi di Sakuragi.

Di conseguenza, tutto si sarebbero aspettati, tranne  che a realizzare fosse il numero dieci.

Un attacco a sorpresa in piena regola.

Un attacco a sorpresa che era riuscito a tutti gli effetti.

Rukawa aveva ancora in mente l’immagine di Sakuragi che saltava, battendo la difesa sotto
canestro, e realizzava uno splendido alley-hoop su passaggio di Miyagi.

Il pubblico, la squadra avversaria e i componenti dello Shohoku stessi non erano riusciti a trattenere esclamazioni di stupore.

La strategia del signor Anzai si era rivelata vincente in quei primi minuti di partita.

E lo Shohoku, grazie a Sakuragi, aveva realizzato i suoi primi punti.

L’elevazione e la carica di Hanamichi avevano avuto dell’incredibile ancora una volta.

Lui, un principiante, aveva ancora una volta sorpreso tutti per il suo talento e le sue capacità.

In effetti, a pensarci bene Rukawa era stato un po’ invidioso del cinque pieno di entusiasmo che Hanamichi aveva poi scambiato con il play maker.

Per questo non aveva potuto fare a meno di provocarlo un po’.

“Bene la fortuna è dalla nostra. Possiamo vincere!”.

Erano state queste le sue parole in risposta all’entusiasmo crescente di Sakuragi.

Tuttavia, quest’ultimo non sembrava essersela presa. Anzi, aveva perfettamente capito quanto quell’azione fosse stata memorabile anche per la super matricola dello Shohoku.

E quello, era stato soltanto l’inizio.

Certo, il Sannoh dopo aveva immediatamente segnato.

Ma lo Shohoku non si era fatto sorprendere, mantenendo un’eccellente lucidità.

A quanto pare tutti loro avevano trovato il perfetto equilibrio per affrontare quella partita.

Nessuna paura schiacciante, nessun entusiasmo esuberante ma, più semplicemente, voglia di vincere.

Voglia di vincere e fiducia in se stessi.

Erano questi i sentimenti di ognuno di loro, Rukawa ne era sicuro.

Aveva osservato i loro volti. Anche Miyagi che, a differenza della partita contro il Toyotama, aveva capito le sue reali potenzialità non commettendo errori.

Si era fatto beffare ma aveva subito riconquistato la palla, realizzando un preciso passaggio per Sakuragi.

Un passaggio perfetto sotto tutti i punti di vista, adatto all’incredibile elevazione del numero dieci.

La strategia di Anzai era stata brillante anche per quello che riguardava gli altri componenti della squadra, ma a questo Rukawa non voleva pensare.

Non dopo quello che era successo dopo la partita.

Non dopo tutte quelle ore che non avevano portato alcuna risposta sulle condizioni di Hanamichi.

Fu per questo che si alzò deciso dal suo futon dirigendosi alla porta.

Al diavolo le regole. Quando mai le aveva rispettate?
 

***

03 agosto – h 14.00

La porta dell’infermeria si era aperta.

Tutti i componenti della squadra si erano avvicinati di un passo al medico sportivo.

“Allora dottore, come sta?”

Akagi si era avvicinato e, in qualità di capitano della squadra, aveva posto la fatidica domanda che
assillava tutti.

Che diamine era successo a Hanamichi?

Mito aveva affiancato il capitano.

Come tutti, attendeva quella risposta.

Come tutti o, molto probabilmente, più di tutti.

Il medico aveva sospirato, quasi si divertisse a tenerli sulle spine.

Rukawa in quel momento gli avrebbe preso volentieri la testa per sbattergliela contro un muro.

Ma non poteva.

Non poteva domandare, sarebbe sembrato insolito.

Non poteva mostrarsi preoccupato, sarebbe risultato strano.

Non poteva parlare liberamente con Yhoei, la cosa sarebbe risultata apocalittica agli occhi degli altri.

Non poteva urlare e prendere il medico per la collottola incitandolo a parlare, gli altri avrebbero pensato che era ammattito.

Non poteva, non poteva e non poteva.

In sostanza, non poteva fare niente.

E questo pensiero lo faceva infuriare ancora di più.

Quel pensiero era di una portata tale da fargli provare una rabbia sempre più crescente.

Mai come allora il suo atteggiamento abituale era stato una maschera.

Mai come allora i suoi occhi, che non lasciavano trapelare nulla, erano stati così falsi.

Mai come allora il suo viso così inespressivo era stato di troppo e fuori luogo.

Mai come allora, si era sentito così impotente intrappolato nel suo abituale atteggiamento.

Mai come allora si era sentito così ipocrita.

Perché Rukawa poteva avere tanti difetti ma, ogni cosa che faceva diceva e pensava era in linea con se stesso.

Viveva secondo il suo pensiero e il suo modo di essere infischiandosene di chi non lo capiva o non lo approvava.

Lui non scendeva a compromessi con se stesso, mai!

Eppure… in quel momento così strano, in quell’attimo così eterno Rukawa si trovava a recitare il ruolo peggiore che potesse capitargli: quello di se stesso.

Quello di se stesso agli occhi degli altri.

Al diavolo tutti!Era stato questo il suo pensiero in quel momento.

Chi se ne importava degli altri?

Sakuragi era suo e suo soltanto.

L’unico con il quale avrebbe condiviso la sua angoscia sarebbe stato Mito.

Ma nessuno sarebbe entrato nella sua preoccupazione.

Quella era una sfera privata dove nessuno era ammesso.

Peccato che gli altri non lo sapessero.

Peccato che gli altri non capissero.

Questo non gli era mai pesato.

Ora invece non lo sopportava.

Non sopportava dover mantenere il suo solito atteggiamento come se a farsi male fosse stato lo sciocco buffone con il quale ogni giorno s’insultava.

Come se a farsi male fosse stato un normale compagno di squadra, solo più idiota.

No!

No!

Non gli importava se gli altri non avrebbero capito.

Perché la sua preoccupazione non era uguale alla loro.

Nessun componente della squadra doveva pensare che erano tutti nella stessa barca.

No!

Nessuno!

Lui non era come gli altri.

Lui faceva parte del mondo di Sakuragi come nessun altro.

E Sakuragi apparteneva al suo mondo come nessun altro.

Eppure, aveva le mani legate.

Perché, nonostante tutto, non voleva rovinare la sua relazione con Hanamichi.

Se a lui dei suoi compagni di squadra, in quel momento, non poteva importare di meno, sapeva che
il numero dieci teneva a loro.

Motivo per cui, non poteva fare altro che deglutire, aspettando che il medico si decidesse a parlare.

Tutto si sarebbe aspettato però, tranne le parole che ne seguirono.
 

***
 
03 agosto - sera


Mito osservava il suo migliore amico dormire.

Sapeva che non avrebbe dovuto essere lì ma quando mai lui e le regole erano andati d’accordo?

Se ripensava che tutto era successo in pochi istanti si sentiva fremere.

Il senso di colpa gli faceva compagnia.

Si era accorto che Hanamichi a un certo punto aveva problemi alla schiena.

Se ne era accorto prima degli altri, pur essendo sugli spalti.

Perché non l’ho fermato?

Che domanda inutile.

Sapeva che nessuno avrebbe potuto impedire a Hanamichi di continuare a giocare.

Persino il coach sembrava essere d’accordo.

Eppure, se si fosse fermato subito.

Se non avesse continuato.

Se, se, se e solo se.

Il danno era fatto, anche se non si sapeva ancora in quale entità.

Il basket.

Era tutta colpa di quel dannatissimo sport!

Ma questo, Yhoei non lo credeva sul serio e non era così vigliacco da dare la colpa al basket quando, in larga parte, era lui il responsabile.

Era lui che, sceso dagli spalti aveva raggiunto la panchina dello Shohoku.

Era lui che non aveva impedito a Hanamichi di tornare in campo.

Era colpa sua e sua soltanto.

Si avvicinò al suo amico sedendosi piano sul letto dove dormiva un sonno artificiale.

“È stata una grande partita, Hanamichi!” sussurrò al volto addormentato.

“Sei stato grande!” Continuò non potendo impedire alla sua mente di rivivere la gloriosa partita dello Shohoku.

Tutto era cominciato con la strabiliante schiacciata in volo di Hanamichi dietro passaggio di Ryota.

Poi, i primi minuti erano stati tutti dello Shohoku.

Mitsui aveva concentrato tutta l’attenzione su di se facendo tre tiri da tre punti uno dietro l’altro.

Non solo, era anche stato d’incoraggiamento per Hanamichi quando il Sannoh aveva segnato e
Sakuragi non era riuscito a serrare la difesa.

Mito non aveva colto tutte le parole essendo sugli spalti ma il senso era chiaro.

Invitava Hanamichi a pensare alla difesa senza curarsi del canestro del Sannoh.

È stata veramente una partita incredibile!Pensò prendendo la mano del suo migliore amico.

“Siete stati bravi, tutti quanti, ma soprattutto tu, Hana!” disse ancora ad alta voce.

“Non preoccuparti, penserò a tutto io!” affermò sicuro, andando a stringere quella mano come
sigillo di una grande promessa.

Fu allora che si accorse che qualcuno stava entrando.

I suoi sensi, sempre all’erta, gli avevano permesso di percepire all’istante il rumore della maniglia.

Si nascose prontamente dietro il separé che divideva i due letti della scarna infermeria della pensione dove alloggiavano le squadre.

Sicuramente un infermiere!Pensò rimanendo perfettamente immobile senza perdere lucidità.

Del resto, non c’era nulla di cui preoccuparsi.

Se rimaneva perfettamente immobile non avevano motivo di scoprirlo lì.

Il letto di fianco a quello di Hanamichi era vuoto, lui era l’unico paziente.

Una volta che l’infermiera, o chi per lei, avesse controllato quello che c’era da controllare, se ne sarebbe andata e lui sarebbe ritornato a fianco del suo amico.

Di certo, tutto si aspettava, tranne che entrasse proprio quella persona.

Ma in fondo, pensò con un sorriso, avrebbe dovuto aspettarselo.
 


Continua…
 

Note:

Il capitolo o, più precisamente, la parte riguardante la partita, è ambientato nei volumi 25 e 26 del manga.

I capitoli interessati sono:

Volume 25.

Capitolo 222. La sfida più grande
Capitolo 223. Attacco a sorpresa
Capitolo 224. Super uomini.

Volume 26.

Capitolo 225. Tiratore sereno
 

Il resto è tutta una ricostruzione del dopo partita di mia invenzione e può collocarsi nel volume 31.
 

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri pareri.

Ci vediamo domenica prossima con il nuovo capitolo.

Pandora86.
 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. Tenerezza ***


Ecco a voi il sesto capitolo.
Grazie a chi ha recensito quello precedente e a chi continua a inserire la storia tra le preferite seguite e le ricordate.
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Auguro inoltre Buona Pasqua e buona pasquetta a tutti i lettori.
Ci vediamo a fine capitolo!
Buona lettura.
 
Capitolo 6. Tenerezza

 

03 agosto – h 14.00
 

“Allora dottore, come sta?” s’informò Akagi in vece di tutta la squadra.

Tutti si aspettavano qualcosa.

Che Sakuragi si fosse rotto una gamba, che avesse anche sbattuto la testa diventando più idiota del solito.

Tutti erano certi che in quel momento avrebbero avuto notizie sulle condizioni del loro compagno di squadra.

Tutti si aspettavano qualcosa; qualsiasi cosa, tranne quello.

“Ho bisogno di mettermi in contatto con un parente!”

La voce del medico giunse chiara alle loro orecchie.

Non era però stato chiaro il significato di quelle parole.

Che diamine voleva dire tutto quello?

“C-come un parente?” balbettò Akagi.

A trarli d’impaccio fu Mito che non aveva perso il suo sangue freddo.

“Ci penso io, sono un amico di famiglia!” s’intromise deciso avvicinandosi al medico.

“Bene!” esclamò il medico.

“Voi potete tornare alla pensione! Ha bisogno di tranquillità!” e, detto questo, rientrò nella stanza.

Mito si dileguò senza degnare nessuno di uno sguardo.

Rukawa lo seguì con lo sguardo sentendo il crescente desiderio di spaccare tutto e tutti.

Non potette farlo.

L’unica cosa che potette fare, fu quella di seguire la squadra in silenzio e a capo chino.

Il resto delle ore trascorse troppo velocemente e, contemporaneamente, troppo lentamente.

Dopo le parole del medico, l’atmosfera si era raggelata.

Neanche Mitsui e Miyagi avevano voglia di battibeccare tra loro.

Il capitano era più silenzioso del solito e il signor Anzai passò la maggior parte del tempo al telefono della pensione.

Rukawa capì che stava parlando con Mito.

Le poche informazioni che diede il coach furono poco esaurienti e soprattutto, non toccavano rispondevano alla domanda fondamentale: come stava Hanamichi?

Disse loro che Sakuragi sarebbe tornato alla pensione con un trasporto medico e che avrebbe alloggiato nell’infermeria della pensione.

Disse loro che non potevano andare a trovarlo e che solo i parenti potevano, per il momento, essergli vicino.

Quali parenti? Lui non ha nessuno!

Avrebbe voluto urlare Rukawa.

Ha solo me!

Questo pensiero lo colpì come un pugno inaspettato in pieno viso.

Hanamichi non aveva nessuno. Aveva solo lui, e lo stavano tenendo fuori.

In quel momento, in quel frangente, sentì, per la prima volta la disperazione farsi strada in lui.

Era a lui che si era aggrappato Hanamichi in quei mesi.

Era con lui che si era confidato.

Era lui che aveva scelto di amare.

Sempre insieme, era questo quello che Rukawa pensava riguardo a loro due.

Eppure, ora, che lo volesse oppure no, lo stava abbandonando.

E, per la prima volta nella sua giovane vita, si sentì disperato.

Neanche Mito lo aveva considerato.

A mente fredda però lo capiva.

Se, la parte irrazionale e impulsiva di lui, avrebbe voluto prendere Mito per la collottola e ricordargli cosa c’era tra lui e Hanamichi, la parte razionale e pragmatica sapeva che quel comportamento sarebbe stato ingiusto.

Perché mai Mito lo aveva tenuto fuori dalla vita di Hanamichi, a cominciare dal loro primo incontro quando, mesi addietro lo aveva scoperto nella casa del numero dieci.

Era stato lui a fargli vedere quella che un tempo era stata la stanza di Hanamichi.

Era stato lui a guidarlo su dove trovare la testa rossa.

Ed era sempre stato lui a gioire quando le cose avevano iniziato a prendere una piega diversa.

Rukawa sapeva che l’aveva sempre fatto per Hanamichi eppure, sapeva anche che se non l’avesse ritenuto all’altezza considerandolo un idiota, Mito non gli avrebbe concesso tanto.

Non gli avrebbe concesso la sua amicizia.

Quel pensiero lo colpì.

In effetti, con Hanamichi aveva anche trovato un amico.

Un amico vero anche se discostava un po’ dai canoni standard dell’amicizia.

E, in quell'istante capì quanto era duro quel momento anche per Yhoei.

Perso nelle sue riflessioni, aveva seguito vagamente cosa il coach stava dicendo loro.

Poi Anzai si era allontanato; probabilmente era andato a parlare con il proprietario della pensione.

E Rukawa non aveva potuto fare altro che rimanere lì, immobile, con la mente rivolta a un’unica
persona.

Con lo sguardo puntato sull’orologio, sperando che il tempo passasse in fretta.

Perché, che lo volessero oppure no, quando Sakuragi sarebbe arrivato, lui ci sarebbe stato.

Una volta tanto sarebbe stato lui ad andare incontro a Mito provando ad alleggerirgli il peso che, da solo, aveva portato in tutti quegli anni. L'avrebbe fatto non solo per Hanamichi ma per Mito stesso.

Si sarebbe sdebitato per tutto quello che il silenzioso ragazzo, perenne ombra al fianco di Hanamichi, aveva fatto per lui.

Perché adesso, Rukawa si rendeva conto che la situazione si faceva difficile.

Hanamichi aveva solo uno zio ma neanche lui sapeva dov’era.

Chi avrebbero contattato?

E la squadra? Si sarebbe accorta che la famiglia di Hanamichi non aveva quei standard che tutti si aspettavano?

Rukawa non lo sapeva. Sapeva solamente che, se ce ne fosse stato bisogno, sarebbe intervenuto.
Hanamichi era riservato sul suo rapporto con lui.

Ma lo era ancora di più riguardo la sua situazione familiare. Ricordava perfettamente quando era stato per la prima volta nella casa dove abitava.

Era stato sorpreso di trovarlo lì ma la sua prima domanda era stata come lo avesse scoperto.

Rukawa sospirò. Se si fosse presentata una scelta, lui non aveva dubbi su cosa fare.

Passò qualche ora e Rukawa ebbe la prima risposta che cercava.

Il parente contattato da Mito era la sua stessa madre.

La vide entrare nella pensione tutta trafelata guardandosi attorno smarrita e cercando con lo sguardo qualcuno che potesse darle informazioni.

Stava per alzarsi, certo che la donna l’avrebbe riconosciuto.

Anche la squadra l’aveva notata, erano tutti nella stanza che dava sull’ingresso principale.

Non ci fu però bisogno del suo intervento.

Pochi istanti dopo Mito entrò di corsa raggiungendo la donna e calamitando su di se l’attenzione di tutta la squadra.

“Quella deve essere la madre di Hanamichi!” esclamò Ryota sicuro alzandosi e avvicinandosi.

“Salve!” la salutò.

“Sono un compagno di squadra di Hanamichi!” si presentò.

“Fatti da parte!” lo riprese allora Mito.

Si era avvicinato dopo aver bevuto e ripreso fiato per l’evidente corsa che aveva fatto.

“Allora?” la incalzò perentorio. “Lo hai trovato?”

La donna annuì con sguardo triste.

“E quindi?” la pressò ancora Yhoei arrabbiato.

La donna negò con il capo.

Fu allora che Rukawa vide Mito perdere la calma.

Il suo sguardo si fece tanto minaccioso che persino Ryota indietreggiò.

“Che significa che non viene?” urlò Yhoei, incurante di tutto e tutti, scaraventando contro il muro la lattina dalla quale aveva appena bevuto.

“Vedi di calmarti, così non sei di nessuna utilità!” una voce alle loro spalle li costrinse a voltarsi.

Era sopraggiunta anche l’armata che aveva assistito allo show del braccio destro del loro capo.

A parlare era stato il biondo, Rukawa non ricordava come si chiamasse.

“Infatti!” s’intromise quello con i baffetti.

“E poi” continuò, “chi lo vuole? Il capo non ha bisogno di lui!”.

“Avete ragione!” si calmò Mito massaggiandosi gli occhi con le dita.

“Ci penseremo noi!” concluse poggiando un braccio sulla spalla della madre per infonderle coraggio.

La donna annuì sorridendo triste.

Rukawa capì, dal suo sguardo, che la conversazione che doveva aver avuto con lo zio di Hanamichi non doveva essere stata per niente piacevole.

Si dileguarono tutti.

La madre di Mito aveva, infatti, di prendere una stanza alla pensione non dimenticandosi degli altri componenti dell’armata.

“Con o senza letto noi rimaniamo qui!” intervenne quello biondo.

“Ben detto!” si aggiustò gli occhiali quello in carne.

“E come farai a resistere senza cena, Takamiya?” lo sfotté quello con i baffi.

Una risata generale seguì quello scambio di battute tra i due che continuarono a beccarsi incuranti di rendersi, tanto per cambiare, ridicoli.

Eppure, nessuno li considerava idioti in quel momento, Rukawa ne era sicuro.

Persino Mito aveva sorriso impercettibilmente.

Erano tutti preoccupati ma ognuno affrontava la situazione gestendo l’ansia a modo proprio.

Le loro battute e gli sfottò che si rivolgevano avevano riportato il buon umore e Rukawa capì che lo facevano apposta.

Era il loro regalo per Hanamichi.

Continuare a comportarsi normalmente e non permettere che l’ansia e la preoccupazione regnassero in quei momenti.

Rukawa invece, ebbe la conferma alle sue riflessioni di pochi istanti prima.

Mito, prima di allontanarsi con la madre lo fissò un lungo istante sorridendogli apertamente.

Rukawa ricambiò con un cenno del capo.

Se qualcuno aveva trovato strano quel saluto non lo aveva dato a vedere.

Rukawa ritornò a guardare l’orologio.

Non restava altro da fare che continuare ad aspettare.
 

***
 

03 agosto – sera.
 

Rukawa aprì piano la porta dell’infermeria.

Non era ancora notte inoltrata e la stanza era ancora visibile grazie alla luce serale.

Si guardò attorno avendo la conferma che nell’infermeria non c’era nessuno.

Aveva teso l’orecchio a lungo prima di entrare e, come aveva supposto, i sussurri che aveva sentito con tutta probabilità venivano da Hanamichi che dormiva profondamente.

Si avvicinò al compagno di squadra osservandolo a lungo.

Era steso sul letto e coperto a metà da un lenzuolo.

A Rukawa sembrò bellissimo in quel momento.

Era a torso nudo e, se non ci fosse stata una flebo attaccata al suo braccio Rukawa avrebbe potuto pensare che stesse semplicemente dormendo.

Lasciò che la sua mano gli sfiorasse la fronte: era fresca.

La lasciò vagare in una carezza sulla sua guancia fino a scivolare sul suo petto scolpito.

La pelle era come la ricordava: piacevole e morbida al tatto.

Eppure, a differenza delle altre occasioni in cui aveva avuto modo di toccarlo quello che sentiva ora era completamente differente.

Questo perché la sua non era una carezza che precedeva qualcos’altro.

Non era un tocco malizioso né sensuale.

Era solo un tocco molto leggero. Le dita sfioravano quella pelle quasi avendo paura di interrompere quell’incanto con un tocco più approfondito.

Era solo un tocco, nulla di più.

Che però nella sua semplicità trasmetteva tutta la tenerezza e l’affetto che Rukawa provava.

Perché lui era fatto così.

Non era bravo a parole, non lo era mai stato.

Anche se in quel momento Sakuragi fosse stato sveglio probabilmente Rukawa, si sarebbe comportato allo stesso modo.

Avrebbe fatto parlare i gesti, dando voce a quello che provava e assaporando le sensazioni che a sua volta sentiva in silenzio.

Continuò a sfiorarlo con le dita per fargli sentire la sua presenza.

Per fargli sentire che non lo aveva abbandonato.

Aveva sempre saputo che Sakuragi non lo attirava solo dal punto di vista fisico ma che il loro era un legame mentale.

Ora, in quel preciso istante, ne aveva la certezza.

Perché quel corpo che aveva bramato in passato e che aveva toccato con passione ardente ora non gli suscitava lo stesso fuoco che lo animava quando i loro tocchi si facevano più intimi.

Sentiva solo voglia di proteggerlo,mantenendo fede alla tacita promessa che aveva fatto con se stesso: non lasciarlo solo, mai più.

E, se un tocco era l’unica cosa che poteva dargli allora l’avrebbe fatto.

Anche se Sakuragi non ne avrebbe avuto memoria.

Lui sarebbe stato li; con lui.

Un rumore alle sue spalle lo fece sussultare interrompendo quel momento pieno di tenerezza.

Si girò con aria battagliera, pronto a tutto pur di non farsi schiodare da lì.

Si rilassò però visibilmente quando, da dietro il separé apparve Mito.

“Eri tu che parlavi!” sussurrò Rukawa non riuscendo a trattenersi.

Mito ghignò di rimando.

“Mi sembrava di avertelo detto Rukawa! Sei scarso a origliare!”.

Rukawa sorrise impercettibilmente portando il suo sguardo sulla figura addormentata di Sakuragi.

Nella mente la fatidica domanda che lo aveva assillato per tutto il pomeriggio.

Finalmente poteva avere delle risposte e, proprio come aveva desiderato, poteva averle condividendole per il momento, solo con le persone più importanti per Hanamichi.

Finalmente, avrebbe saputo.

Parlò senza staccare gli occhi da quel volto.

La sua mano aveva ripreso la sua carezza, anche se non avrebbe saputo dire in quel momento se il suo tocco voleva essere di conforto per l’altro o se invece servisse a confortare lui stesso.

Non aveva importanza. Quello che contava era che finalmente avrebbe saputo.

“Come sta?”
 
 

Continua…
 

Note:
 

Questo capitolo è interamente ambientato nel volume trentuno, nel lungo stacco presente nel manga tra la partita e la riabilitazione di Sakuragi.

Quel vuoto del canone mi ha permesso di spaziare molto con la fantasia, infatti, il capitolo è tutta una mia personale ricostruzione del dopo partita.

Inoltre, come avrete notato, non accenno minimamente alla partita.

Ho voluto, infatti, ritagliare un momento solo per i protagonisti analizzando, ora per ora, quello che un po’ tutti hanno provato dopo l’incidente di Hanamichi.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e di aver fatto un buon lavoro.

Ci vediamo domenica prossima con il nuovo capitolo.

Come sempre, sono graditi i vostri commenti.

Pandora86.
 

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Capitolo 7
*** Chiarimenti ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Grazie a chi recensisce e inserisce la storia tra le preferite e le seguite.
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note e le informazioni.
Per adesso, buona lettura.
 

Capitolo 7. Chiarimenti

 

03 agosto – notte.
 

Rukawa guardava il volto addormentato di Sakuragi.

Erano quasi le due e Yhoei era andato via da poco lasciandolo solo con i suoi pensieri ma anche con la promessa che non l’avrebbe escluso dalla vita di Sakuragi e di questo Rukawa gli era stato grato.

Osservava pensieroso il volto dell’altro riuscendo a malapena a distinguerne i tratti considerata l’ora, ma a lui non importava. Non aveva bisogno della luce per osservare i lineamenti di Sakuragi.

Non ne aveva bisogno considerato che da inizio anno, per un motivo o per un altro, quel volto era stato al centro dei suoi pensieri; sempre.

Finalmente aveva tutte le informazioni che voleva.

Ora il problema era, per l’appunto, gestirle.

Per questo osservava pensieroso quel volto.

Una mano accarezzava quella dell’altro.

Il silenzio, suo vecchio amico, era tornato a fargli compagnia ma a Rukawa non dispiaceva.

Aveva la possibilità di pensare in tutta calma ed era questo quello che voleva in quel momento.

Per lui conoscere i fatti era sempre stata la sua priorità.

Anche quando aveva conosciuto Sakuragi e si era ritrovato a pensare a lui aveva agito secondo il suo modo di essere.

Non si era nascosto dietro un dito provando a ignorare o addirittura a negare l’attrazione che provava.

L’aveva ammessa con se stesso e poi, in un modo o in un altro, aveva provato ad avvicinarsi al numero dieci.

Aveva provato a conoscerlo meglio anche per motivare, in parte, l’attrazione che provava.

L’aveva osservato provando a spiegarsi perché un tipo del genere lo attirasse così tanto.

E, in parte, aveva avuto le sue risposte.

Perché Sakuragi era tutto fuorché un tipo ordinario.

Era completamente folle e fuori dagli schemi.

Rukawa aveva sempre sospettato che avesse un innato talento per il basket ma osservandolo si era accorto che Sakuragi era molto di più.

Aveva scorto una sensibilità fuori dal comune, una forza impareggiabile ma soprattutto un volto che si nascondeva persino da se stesso.

Un volto che celava delle ombre e, pian piano, Rukawa aveva finito con l’innamorarsi di lui.

Aveva finito per provare un amore incondizionato verso Hanamichi e tutto quello che nascondeva ma soprattutto per il suo immenso talento a basket.

Così, aveva continuato a osservarlo in silenzio godendo in segreto del rapporto speciale che aveva con lui.

Perché, anche se all’apparenza non facevano altro che insultarsi e arrivare alle mani, Rukawa sapeva che quel tipo di rapporto era soltanto loro.

Certo, stava male per l’antipatia smisurata che il numero dieci manifestava verso di lui un giorno sì e l’altro pure, però apprezzava comunque quello che aveva.

Non era una persona abituata a fantasticare su cose impossibili e sapeva per certo di essere l’unico in squadra a riuscire a spronare Sakuragi.

L’unico a motivarlo per fargli dare il meglio di sé, anche se all’apparente insaputa di Hanamichi stesso.

Poi… si erano avvicinati.

Il come era successo era stato un evento del tutto fortuito e non programmato e di cui, gran parte del merito andava al fidato braccio destro di Hanamichi: Yhoei Mito.

Grazie a Mito Rukawa aveva avuto a disposizione i mezzi per agire.

Lo aveva inseguito a lungo, in alcuni casi anche letteralmente, riuscendo a fare breccia nel suo cuore e scoprendo che l’antipatia di facciata di Sakuragi serviva a nascondere l’attrazione che il numero dieci provava per lui.

In quel momento Rukawa trovava difficile riassumere nella sua mente tutto quello che era avvenuto in quei pochi mesi.

Ne avevano passate veramente tante considerato il poco tempo che avevano avuto.

Però,anche se il tempo era stato poco, Rukawa poteva dire con certezza che era stato speso nel modo migliore possibile.

Perché non c’era attimo che avesse passato con Sakuragi in cui non aveva provato un’emozione.

Ogni loro contatto era stato caparbio e impulsivo, ogni loro tocco era stato incandescente.

Sakuragi lo scuoteva dentro come e forse più del basket.

Ed era questo il motivo per cui se ne era innamorato.

Sakuragi lo scuoteva dalla sua perenne apatia. Sakuragi riusciva a suscitare il suo interesse senza stancarlo mai.

Sakuragi faceva questo e molto di più.

Veramente trovava impossibile riassumere in poche parole tutti quei mesi.

Quello che sapeva per certo era però che, finalmente, Sakuragi era diventato suo.

E anche questo non era stato programmato. Mai Rukawa, infatti, avrebbe creduto che questo fosse potuto succedere quando l’aveva conosciuto.

Eppure, era successo.

Erano diventati una coppia, anche se aveva dato del tempo a Hanamichi per risolvere tutte le sue questioni.

Temo che in realtà il numero dieci non aveva assolutamente preteso né usato considerando che appena la notte prima i loro tocchi non erano stati semplici carezze.

Quel pensiero lo rabbuiò.

Sembrava assurdo eppure, meno di ventiquattro ore prima lui e Sakuragi erano impegnati in tocchi tutt’altro che casti.

Impegnati in un contatto che il numero dieci stesso aveva voluto perché anche lui, come Rukawa, non riusciva a farne a meno.

Ora invece, Hanamichi dormiva profondamente mentre lui si limitava ad accarezzargli la mano.

Ma non era il contatto fisico quello che mancava a Rukawa.

Quello che lo mandava fuori di testa era il fatto che tutto fosse accaduto in poche ore, se non in pochi minuti.

Minuti in cui aveva perso tutte le sue certezze.

Minuti che avevano drasticamente cambiato il suo umore.

Minuti che avevano inesorabilmente dato una rotta diversa ai suoi pensieri.

Perché, se il giorno prima l’unica preoccupazione era diventare un campione e vincere i campionati nazionali, ora il suo mondo era chiuso in quella scarna stanza adibita a infermeria.

Il suo mondo era in un letto e dormiva inconsapevole di tutto quello che avrebbe dovuto affrontare più avanti.

Ma Rukawa non l’avrebbe lasciato solo.

Erano arrivati ai campionati nazionali insieme e il numero undici non aveva intenzione di tirarsi indietro proprio ora.

Sapeva che prima o poi avrebbero avuto delle difficoltà.

Sapeva che nella loro vita insieme si sarebbero presentati degli ostacoli.

Quello era solo il primo e Rukawa lo avrebbe aggirato.

Perché quello che era successo non era solo un problema di Sakuragi.

Era un problema loro e lo avrebbero affrontato. Insieme.

Ripensò alla conversazione che aveva avuto con Yhoei.

Il do’hao non si era solo fatto male superficialmente.

I danni alla schiena non erano solo lividi e contusioni.

Ma questo Rukawa lo aveva sospettato da un po’.

Il do’hao si era fatto male sul serio.

Il colpo alla schiena era stato grave e il suo continuare a giocare dopo non aveva fatto altro che aggravare le sue condizioni.

Fortunatamente non rischiava di perdere completamente l’uso delle gambe.

Ma da qui a tornare a giocare era tutt’altra storia.

Sarebbe occorsa una lunga e complicata riabilitazione mirata che avrebbe avuto lo scopo non solo di farlo tornare a camminare normalmente ma anche farlo riprendere a giocare a basket.

Per questo l’avevano sedato, gli aveva spiegato con calma Yhoei.

Movimenti inopportuni gli sarebbero stati fatali e, ora come ora, la cosa migliore da fare era ridurli al minimo.

Inoltre, il dolore non lo avrebbe lasciato in pace motivo per cui il medico sportivo aveva optato per quella soluzione.

Yhoei gli aveva inoltre spiegato che l’indomani si sarebbero messi alla ricerca di una clinica che riabilitasse sportivi, non aveva importanza quanto sarebbe venuto a costare.

L’importante era che potesse continuare a giocare, su questo Mito era stato chiaro.

Il basket gli aveva dato uno scopo, lo aveva fatto sentire migliore e parte di qualcosa.

Non avrebbe permesso a Sakuragi di rinunciare e, su questo punto, Rukawa non poteva trovarsi più che d’accordo con Mito.

Non ti permetterò di mollare!

Pensò Rukawa stringendo la sua mano e continuando a guardare il volto addormentato e inconsapevole del peso che gli gravava addosso.

Questa volta Sakuragi non avrebbe gestito tutto da solo.

Lui gli avrebbe dato il coraggio necessario. Lui gli avrebbe dato la forza per tornare a combattere.

Perché era questo il punto.

La riabilitazione poteva fare miracoli ma tutto stava nella volontà di chi vi si sottoponeva.

E Sakuragi era uno sportivo alle prime armi. Aveva una forza incrollabile ma la sua maturità di giocatore era ancora agli albori.

Era assurdo che la vita si accanisse così contro un semplice ragazzo.

Rabbia.

Rukawa sentiva nuovamente la rabbia crescergli dentro.

Che male poteva mai aver fatto Hanamichi considerato quante prove avrebbe dovuto ancora affrontare?

Proprio ora che le cose sembravano andare per il meglio poi.

Proprio ora che loro due erano insieme.

Ripensò alla partita del giorno prima.

Andò a sfiorare il naso dell’altro con un sorriso.

Come avrebbe potuto dimenticare il fenomenale tiro di testa di Hanamichi?

Tanto per cambiare aveva dato spettacolo.

Rukawa oramai riteneva impossibile il fatto che Sakuragi riuscisse a passare inosservato fuori o dentro un campo di basket.

Era ancora il primo tempo e loro erano ancora ai primi minuti di gioco.

Mitsui aveva dato il meglio di se e, di conseguenza, il Sannoh aveva chiuso la difesa pressando non
solo il tiratore ma anche tutti gli altri componenti della squadra.

Il play maker si era ritrovato impossibilitato a passare e aveva provato a tirare.

Tiro che, ovviamente, era stato intercettato dalla squadra avversaria.

Nessuno però aveva tenuto conto di Hanamichi che prendendo una pallonata in faccia a tutti gli effetti aveva intercettato la  palla, invertendone la traiettoria e mandandola così nel canestro.

Poi, lui e Miyagi avevano tranquillamente affermato che era stato tutto programmato.

Ovviamente, il pubblico e le squadre stesse presenti in campo erano rimasti agghiacciati sul posto.

Nessuno sapeva se ridere o piangere.

Fatto sta che lo Shohoku era ancora in vantaggio.

Sakuragi era poi dovuto uscire per qualche minuto visto il sangue che continuava a uscirgli dal naso venendo sostituito da Kakuta che, dopo cinque minuti di gioco, aveva già il fiatone.

A Rukawa, infatti, non era sfuggito come l’avversario di Sakuragi marcasse stretto.

La domanda era se Hanamichi avrebbe resistito per quaranta minuti quei ritmi pressanti.

Tra l’altro Rukawa, nei pochi minuti in cui Sakuragi era stato in panchina, si era trovato ad affrontare quello che avrebbe rappresentato la sua personale sfida per tutta la partita: l’asso della squadra avversaria, Sawakita.

Del resto, per diventare il numero uno del Giappone, battere Sawakita era lo scotto necessario.

Si erano scontrati per tutta la partita e Rukawa era stato messo di fronte ai suoi limiti ma aveva anche imparato tanto.

Così come lo stesso Sakuragi imparava e migliorava nelle partite vere e proprie più che negli allenamenti, Rukawa stesso aveva imparato molto in quella partita.

Uno dei loro primi scontri era andato a buon fine per la matricola dello Shohoku.

Mentre nella testa aveva le parole del capitano del Toyotama, Rukawa era riuscito ad aggirare l’asso della squadra avversaria mettendo a segno una schiacciata fenomenale.

Anche Sakuragi era rimasto ammirato dalla sua azione.

“Se lo Sannoh è la squadra numero uno del Giappone, allora vi distruggerò”.

Era stato questo quello che aveva detto una volta tornato a terra.

Era stato questo il suo obiettivo.

Anche Sakuragi in quella partita stava dando il meglio di se.

In quel momento, Rukawa era certo che una volta sentite le sue parole il numero dieci avrebbe fatto di tutto per non essere da meno e avrebbero battuto lo Sannoh; insieme.

Ovviamente l’asso dello Sannoh non aveva gradito quell’uscita oltre che alla beffa subita sul campo.

“Non solo è stata la tua prima volta che fai qualcosa, ma anche l’ultima. Ma non restarci male, perché sei riuscito a risvegliare la mia vera forza!”.

Erano state queste le parole di Sawakita in risposta alla sua provocazione.

E Rukawa, ne avrebbe presto scoperto il vero significato.

Non subito però.

Immediatamente dopo Sawakita, in preda al nervosismo aveva commesso fallo su di lui guadagnandosi una sostituzione.

Dopo aver effettuato i tiri, anche Rukawa era stato sostituito da Kogure.

Il tabellone segnava:

Shohoku 19 – Sannoh 12.

Poi il Sannoh aveva fatto un’altra sostituzione e Sakuragi si era ritrovato a dover affrontare un armadio umano alto più di due metri.

Rukawa, dalla panchina, poteva osservare il gioco ancora più attentamente e, come aveva previsto, la mole del nuovo venuto non sarebbe stato un problema di facile gestione.

Sakuragi, infatti, si era ritrovato a terra in men che non si dica.

L’area sotto canestro con quei due giganti si rivelava ora più difficile da dominare.

Tuttavia, Sakuragi non sembrava dare peso alla cosa e, anche su questo, Rukawa non aveva avuto il minimo dubbio.

Era contro avversari impossibili che Hanamichi dava il meglio di se.

Restava quindi da aspettare che il numero dieci compisse uno dei suoi tanti miracoli in campo stupendo non solo la squadra avversaria e il pubblico, ma persino i suoi compagni di squadra.

Certo, tanto per cambiare il do’hao per il troppo strafare aveva commesso fallo ma Rukawa sapeva che prima o poi, durante l’incontro li avrebbe stupiti tutti.

Persino Anzai riponeva molta della sua fiducia in Sakuragi.

Di questo Rukawa ne aveva avuto la conferma quando, durante il primo time-out del Sannoh, l’allenatore aveva spiegato loro la nuova strategia che avrebbero adottato: sfruttare Sakuragi come base d’attacco.

Il gioco era ripreso e Rukawa, ancora in panchina, ricordava di essersi sentito fremere.

Aveva addirittura espresso il suo disappunto a voce e le riserve accanto a lui ne erano parse molto sorprese.

Sakuragi cercava di respingere l’attacco dell’armadio umano con la forza fisica.

“Non si vince con la forza un avversario più forte!”

Era stata questa la sua risposta ai dubbi dei suoi compagni di squadra.

Era un dato di fatto e Rukawa, in quel momento, avrebbe fatto di tutto perché Sakuragi lo capisse.

Avrei voluto spiegartelo io!

Pensò in quel momento, andando ad accarezzare il volto addormentato.

Era questo quello che aveva sperato in quel momento, osservando il gioco dell’altro in panchina.

Vincere contro il Sannoh era la priorità.

E Rukawa si era sentito certo di vincere in quel momento.

Anzai voleva incentrare l’attacco su Sakuragi e se l’allenatore riteneva che lui fosse la loro carta vincente allora Rukawa non voleva avere dubbi.

Sakuragi avrebbe sconfitto l’armadio.

E Anzai aveva confermato le sue parole poco dopo.

“L’unico che può sconfiggere Kawata Junior in uno scontro uno a uno è senza’altro Sakuragi!”.

Su questo punto Anzai era stato irremovibile e Rukawa con lui.

Poi, una volta vinto, Rukawa sperava che lui e Sakuragi si sarebbero confrontati di nuovo come avevano fatto dopo la partita contro il Toyotama.

Sperava che la testa rossa fosse venuta di nuovo a bussare la sua stanza anzi, era certo che l’avrebbe fatto.

Lui allora l’avrebbe fatto stendere sul futon accanto a lui e avrebbero parlato della partita.

Rukawa gli avrebbe spiegato quelle cose che non aveva potuto dirgli durante la partita in qualità di giocatore più esperto e Sakuragi ne avrebbe fatto tesoro per i loro prossimi incontri.

Era stato questo quello che aveva pensato in quel momento della partita.

Ma tutto quello ora era soltanto utopia. Un sogno. Un bellissimo sogno ad occhi aperti.

La realtà era invece molto diversa.

Triste e scarna.

Era così che appariva ora la realtà di fronte a quel sogno.

Sogno che Rukawa aveva vissuto dopo la partita contro il Toyotama ma che gli eventi non gli avevano permesso di assaporare una seconda volta.

Sakuragi si era infortunato e ancora non sapeva quali fossero le sue condizioni.

Lo Shohoku doveva affrontare il liceo Aiwa con un uomo in meno.

Come sarebbe andata la partita?

Come avrebbe reagito Sakuragi una volta sveglio?

Quali sarebbero state le reazioni di quel volto ora addormentato?

In quel momento Rukawa sperò che potesse dormire tranquillo ancora a lungo.

Perché veramente non sapeva cosa aspettarsi una volta che quel volto si fosse svegliato.

Sakuragi era una persona dalle mille sfaccettature.

Quale volto si sarebbe trovato davanti Rukawa nei giorni a venire?

Non lo sapeva.

Sapeva solamente che, mai come allora, il futuro gli era parso così annebbiato.

Mai come allora si era sentito totalmente in balia degli eventi, vittima di un destino che non poteva controllare.
 
 

Continua…
 

Note:

La parte ambientata nel presente è completamente di mia invenzione e può collocarsi nel volume 31.

La parte riguardante la partita è ambientata nel volume 26.

Capitolo 227. Proprio come avevo programmato.

Capitolo 228. Orgoglio.

Capitolo 229. Big Man.

Capitolo 230. Conflitto interno.

 
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e che non vi abbia annoiato troppo.

Finalmente si ha qualche informazione sulla salute di Hanamichi.

Come avrete notato non mi sono soffermata sui dettagli medici; la cosa è voluta e, anche nei capitoli più avanti non darò un nome medico ai problemi del numero dieci.

Il canone non ci dà informazioni a riguardo e io preferisco rimanere sul vago lasciando intuire solo la gravità della situazione.

Come sempre, attendo i vostri pareri.

Ci vediamo domenica prossima con il nuovo aggiornamento.

Pandora86

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. La notte più lunga ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Grazie a chi ha recensito il precedente e a chi continua a seguire la storia.
Grazie anche a tutti i lettori silenziosi: siete veramente tanti (almeno da quello che vedo nel contatore delle visite). Grazie!!!
Ci vediamo a fine capitolo con le note e le informazioni riguardanti le prossime pubblicazioni.
Per adesso… Buona lettura!!
 
 

Capitolo 8. La notte più lunga.



03 agosto – notte.

Abbassa il baricentro Sakuragi.

Di chi è questa voce?

Qualcuno lo incitava ad abbassare il baricentro, ma cosa voleva dire?

E chi era quello che sembrava un armadio?

Immagini sconnesse gli si paravano davanti.

Un numero, il 15.

Una folla che urlava delirante.

Poi Sakuragi ricordò: la partita.

Quello che aveva visto doveva essere lo stadio.

La partita che stava giocando; la squadra avversaria: il Sannoh.

Ma Sakuragi non riusciva a capire.

Sto sognando, pensò confuso.

Sentiva le palpebre pesanti.

Prima, c’era stato un vociare attorno a lui ma non era riuscito a distinguere nessuna parola.

Poi le voci erano andate via e avevano lasciato il posto a un silenzio tranquillizzante.

Tranquillizzante perché sentiva una mano sfiorarlo ed era così rassicurante.

Avrebbe voluto vedere a chi apparteneva quella mano, sapere di chi erano quelle carezze, ma non ne aveva la forza.

Si sentiva stanco come non mai in un dormiveglia forzato eppure, grazie a quella mano, così riposante.

Trovava impossibile opporsi a quella stanchezza, a quella spossatezza che gli impediva anche di aprire gli occhi o di poter sussurrare qualcosa.

E poi, perché avrebbe dovuto farlo?

Si stava così bene in quel modo, con quella mano che lo rassicurava, quasi volesse fargli presente che lui non era solo.

Quella mano che non smetteva di toccarlo un istante.

Quella mano che non lo abbandonava.

Motivo per cui, lasciò correre la mente sulle immagini che poco prima, Sakuragi non avrebbe saputo dire se si fosse trattato di minuti, secondi o ore, gli avevano invaso la mente.

Ora capiva perfettamente cosa volevano dire quelle immagini.

Facevano parte di un sogno, un sogno che ripercorreva un ricordo. Un ricordo che lui aveva vissuto in prima persona.

Il suo ultimo ricordo.

Il Sannoh, la squadra che avevano battuto. La squadra dei campioni, acclamata sia dal pubblico sia dalle squadre avversarie e data per favorita nell’incontro contro lo Shohoku.

Ma loro avevano vinto, di questo Sakuragi era più che sicuro perché lo ricordava perfettamente.

Lasciò che la sua mente vagasse sul numero che gli era comparso poco prima.

Quel numero, il 15.

Il Sannoh, la squadra avversaria.

Mikyo, l’ala grande.

Il suo avversario.

“Che vantaggi hai Sakuragi?”

Questa voce ora la riconosceva.

Era la voce del signor Anzai e, come le immagini anch’essa faceva parte di un ricordo.

Ora Sakuragi ricordava.

Mikyo si stava rivelando un osso più duro del previsto ma l’allenatore sembrava sicuro di sé.

Velocità e dinamismo, erano questi, secondo il coach, i suoi punti di forza.

Ma Sakuragi, in quel momento, non aveva capito cosa volesse dire.

Ricordava di aver guardato l’allenatore allibito non sapendo, in quel momento, cosa fare.

Il suo avversario gli stava dando filo da torcere. Aveva provato più volte a farsi spazio sotto canestro ma il corpo possente del numero quindici l’aveva impedito.

Con un solo passo, riusciva a farsi spazio.

Con un solo movimento, riusciva a spingerlo se non, addirittura, a buttarlo a terra.

Eppure, Anzai sembrava così sicuro di se. Sicuro delle sue parole ma soprattutto, sicuro del valore di Sakuragi.

“Abbassa il baricentro, Sakuragi”.

Questo, invece, era il gorilla.

Sakuragi doveva ammettere di non averci capito granché su quel consiglio.

Che diamine significava abbassa il baricentro?

“Anche se la mette sulla forza, non puoi perdere!”.

Di nuovo Akagi e stavolta Hanamichi aveva capito cosa volesse dire.

Abbassa il baricentro.

Adesso Hanamichi aveva capito. Ora, il consiglio del capitano acquistava senso.

Stavolta Sakuragi si era scontrato con Mikyo con queste parole nella testa e mentre era impegnato in quel corpo a corpo che non riusciva a vincere, aveva finalmente capito cosa fare.

Inoltre, quando Mikyo aveva provato a posizionarsi sotto l’area di tiro, Sakuragi aveva capito la sua tattica.

Mikyo sapeva tirare solo da sotto canestro, proprio come lui fino a poco tempo prima.

La squadra aspettava che fosse posizionato in area poi, quando il quindici riceveva la palla, si girava per tirare.

Ma, se Mikyo non fosse riuscito a raggiungere la posizione, il Sannoh avrebbe dovuto dire addio alla sua tattica.

Nessuno mi batte in uno scontro di forza!Aveva pensato Sakuragi in quel momento.

Si era opposto con il corpo a Mikyo facendo in modo che questi non avanzasse.

“Abbassa il baricentro”.

Akagi continuava a urlarglielo ma lui lo sentiva di sfuggita impegnato com’era nello scontro con la montagna umana.

Come al solito, Sakuragi aveva imparato giocando nella partita vera e propria.

E, sempre come al solito, era riuscito a spuntarla.

“Se sai tirare solo sotto canestro allora non saprai fare altro” si era rivolto beffardo al suo avversario.

“Non ti lascerò andare sotto canestro” aveva concluso sicuro. Ora sapeva perfettamente cosa fare.

Mikyo, nel frattempo, non aveva avuto modo di rispondere.

Tuttavia Sakuragi aveva scorto la sua espressione sorpresa. Si trovava in difficoltà; non riusciva più ad avanzare e se ne era accorto persino il pubblico che, adesso, urlava sorpreso.

Quello era il debutto di Mikyo ai nazionali.

Ma Sakuragi lo stava, a poco a poco, oscurando sempre più continuando, con sempre più convinzione, a mettere in atto la sua tattica.

E, in quel momento, si era sentito invincibile.

Niente avrebbe potuto spodestarlo da sotto l’area di tiro.

Niente e nessuno, men che mai una montagna umana.

Oramai il corpo si era abituato al peso dell’avversario e questi si trovava sempre più in difficoltà.

Persino il Sannoh, accortosi che Mikyo non riusciva ad avanzare, aveva proposto a quest’ultimo di lasciar perdere.

Fino a che, i trenta secondi non erano scaduti e lo Shohoku si era ritrovato in possesso di palla.

Sakuragi aveva sogghignato beffardo; ci era riuscito. Aveva battuto Mikyo, si era aggiudicato il secondo round contro l’armadio umano.

In quel momento, ricordava di aver rivolto un veloce sguardo alla panchina.

Rukawa lo osservava e Sakuragi aveva ricambiato, per un attimo, il suo sguardo. Si sentiva fiero di sé come non mai.

Sapeva che Rukawa non si era perso nulla di quello scontro e Sakuragi aveva sentito il suo cuore battere veloce.

Aveva vinto, era riuscito a mettere K.O. il suo avversario.

Era riuscito a difendere l’area sotto canestro senza fare nessun errore.

Poteva guardare Rukawa diritto negli occhi, a testa alta.

Perché la kitsune era un realizzatore formidabile, ma l’area sotto canestro dopo quello scontro era diventata sua e neanche Rukawa, l’ala piccola della squadra, avrebbe saputo fare meglio di lui, ala grande e re dei rimbalzi.

Sakuragi si era esaltato.

Il pubblico era rimasto di stucco e le riserve della sua squadra continuavano a urlare il suo nome.

“Fino ad ora hai dimostrato che hai la forza. Ora facci vedere che non hai solo quella!”.

Questo gli aveva detto Akagi e Sakuragi, con l’adrenalina che scorreva veloce nel suo corpo, lo aveva prontamente dimostrato mettendo a segno, subito dopo, un tiro da fuori.

In quel momento si era sentito un veramente un campione. Si era sentito veramente il genio che si proclamava.

Ma, soprattutto, si era sentito orgoglioso di se stesso. In quel momento sapeva di poter guardare Rukawa negli occhi, a testa alta.

Non si era lasciato innervosire neanche quando il numero quindici, in preda al nervosismo, aveva commesso fallo.

“Non ti scusare Mikyo-ciccio” aveva risposto alzandosi. “In fondo questa è una guerra!”.
E poi, aveva continuato a giocare.

Quanto lo aveva cambiato il basket, ora se ne rendeva conto.

In altri tempi, in un passato neanche troppo remoto (bastava ricordare la partita contro il Ryonan) avrebbe cercato immediatamente la rissa per essere stato buttato a terra in quel modo. Invece, adesso, gli interessava soltanto riprendere a giocare al più presto.

Gli interessava solamente continuare a confrontarsi con il suo avversario per uscirne vincitore.

Senza falli, senza spintoni o buffonate di vario genere ma solo giocando. Per dimostrare di essere il migliore, il più bravo.

E così aveva fatto.

La palla nuovamente in suo possesso e, con una lucidità che in altri tempi non avrebbe neanche pensato di riuscire ad acquisire, aveva con un gioco di gambe da maestro, scartato nuovamente l’avversario, segnando ancora una volta.

Non era stato un atto impulsivo come le partite del passato. Era stata la mossa di uno stratega che acquisisce sempre più esperienza.

La mossa di un campione, il campione che stava diventando.

Il campione che era.

Era questa l’essenza del basket. Sakuragi l’aveva afferrata, anche se, in quel momento, non lo sapeva.

Non poteva sapere che erano questi i pensieri del numero undici in panchina. Sakuragi era diventato un vero sportivo. Era questo che pensava Rukawa e non era il solo.

Tutta la squadra e sicuramente anche il Kainan che assisteva all’incontro, dovevano aver percepito quanto fosse cambiato Sakuragi.

Era maturato come sportivo e come ragazzo sorprendendo tutti con i suoi miracoli in campo.

Miracoli non più solo istintivi di un ragazzo che ha un enorme potenziale.

Miracoli di un ragazzo che si è allenato sodo imboccando la squadra per diventare un vero asso.

Erano questi i pensieri del numero undici in panchina, anche se Sakuragi non lo sapeva.

In quel momento, sentiva solo l’adrenalina nelle vene e un’inesauribile voglia di giocare.

Sentiva solo gli occhi del numero undici fissi su di se e questo, gli dava la carica per continuare.

Il pensiero che Rukawa lo guardasse, lo mandava fuori di testa, facendogli venire sempre più voglia di giocare.

Spronandolo a fare sempre di più e sempre meglio, fino a vincere la partita.

Quegli occhi, che sentiva brucianti su di se, gli davano la grinta necessaria per combattere allo stesso livello della squadra dei campioni.

Quegli occhi, lo spingevano a dare il massimo.

Fino a che, non era finito il primo tempo.

Il tabellone segnava:

Sannoh 34 – Shohoku 36.

Sakuragi ricordava ancora le sensazioni provate in quegli istanti e, in quel momento, in quel sonno confuso si sentiva in pace con se stesso.

Sentiva i pensieri farsi ancora più incoerenti ma non gli importava.

Quella mano continuava ad accarezzarlo. L’aveva sentita su di se per tutto il tempo che aveva ripensato alla partita e, anche adesso, quella mano non lo aveva abbandonato.

Non lo aveva lasciato solo.

Conscio di questo pensiero lasciò la sua mente vagare fino a che non sprofondò, nuovamente, in un sonno senza sogni.
 

***

Rukawa osservava Sakuragi dormire.

Erano le tre di notte passate ma a lui non importava; nessuno sarebbe riuscito a schiodarlo da lì.

Continuava ad accarezzarlo sperando che potesse sentire la sua mano. Sperando che quello lo facesse sentire meno solo.

Mito gli aveva spiegato che Sakuragi era stato sedato quasi subito dall’infortunio dato che al medico sportivo era bastata un’occhiata per decidere.

Era un sonno artificiale quello che stava vivendo il numero dieci, un sonno forzato.

Rukawa si chiese come doveva essere. Non aveva mai assunto né sonniferi né tranquillanti per cui non aveva idea di come si sentisse realmente Sakuragi.

Ipotizzò che fosse come quando ci si sta per addormentare.

Le palpebre si fanno sempre più pesanti e i pensieri diventano sempre più incoerenti fino a che non si raggiunge il mondo dei sogni.

Sakuragi aveva cambiato più volte espressione.

Rukawa non sapeva cosa potesse significare tuttavia quello lo aveva spinto a continuare nelle sue carezze.

A continuare in un contatto fisico che, seppur effimero, tutto quello che gli rimaneva.

Tutto quello che poteva offrirgli.

Guardò il sorriso che era comparso sul volto del numero dieci e sperò che stesse facendo bei sogni.

Magari stava sognando di loro o forse, stava rivivendo la partita e le azioni incredibili che aveva fatto.

La partita…

Sakuragi era stato un campione. Era stato grazie a lui che il primo tempo li aveva visti in vantaggio.

Rukawa, dalla panchina, aveva potuto bearsi di lui e del suo incredibile talento ancora una volta.

Lo aveva visto uscire vincitore in uno scontro di forza con un avversario che era alto due metri e dieci e pesava la bellezza di centotrenta kg.

E dire che lui, pochi istanti prima e sempre dalla panchina, gli avrebbe sconsigliato di usare la forza per vincere quello scontro.

Invece, Sakuragi lo aveva preso in contropiede ancora una volta.

L’allenatore non aveva sbagliato; Hanamichi era l’unico in grado di uscire vincitore in uno scontro del genere.

Lui stesso, asso dello Shohoku, avrebbe fallito se avesse usato una tattica del genere.

Sakuragi invece no. Si era opposto con tutto il suo corpo, con tutta la sua forza.

Rukawa si era sentito fremere in quel momento e tuttora un brivido gli attraversava la schiena se pensava a tutta la forza che aveva in corpo Hanamichi.

Un corpo che aveva stretto a se.

Un corpo che la sera prima aveva accarezzato in ogni punto e che lo aveva stretto in un abbraccio soffocante.

Era stato merito suo e suo soltanto se si erano aggiudicati il primo tempo.

Poi, cos’era cambiato?

Rukawa non lo sapeva.

Sapeva solamente che il Sannoh aveva deciso di tirare fuori le unghie e, in men che non si dica, si erano ritrovati, nel secondo tempo, in svantaggio di venti punti.

Anzai aveva chiamato il loro ultimo time-out e tutti nella testa avevano una sola domanda:

Perderemo?

Rukawa ricordava bene lo sconforto di quei momenti.

Si era sentito impotente come non mai. Aveva provato più volte delle azioni e, tutte le volte, non era riuscito a portarle a buon fine.

Sawakita, il suo avversario, sembrava possedere la sfera magica per far fallire tutti i suoi tentativi d’attacco.

Non aveva lasciato perdere, il suo animo combattivo non lo avrebbe permesso mai ma, arrivati a quel distacco, il pensiero di dover fare i bagagli e dire addio ai campionati nazionali aveva sfiorato anche lui.

E non era giusto.

Non dopo tutto quello che Sakuragi aveva fatto nel primo tempo.

Non dopo tutto il tempo che lui stesso era stato in panchina a riposare.

Il coach aveva deciso di far entrare Kogure, sostituendo Sakuragi.

Rukawa ricordava di essersi chiesto il perché. Che senso aveva sostituire la loro ala grande?

Era vero, Sakuragi non aveva toccato ancora palla ma, considerando il pressing che stava attuando
il Sannoh, nessuno di loro aveva potuto fare granché.

Nessuno di loro era riuscito a fare qualcosa.

Quei minuti di gioco erano stati tutti della squadra avversaria, quasi come se stessero giocando da soli.

Quasi come se fino a quel moment si fossero riposati, scegliendo di mostrare la loro vera forza nel secondo tempo.

Quindi, perché fare entrare Kogure?

Rukawa in quel momento non lo aveva capito.

Sapeva solamente che dovevano vincere o, quanto meno, provarci.

Era una guerra quella. Lo aveva detto nel primo tempo Sakuragi e lui, la pensava allo stesso modo.

Doveva continuare a lottare; a tutti i costi.

Del resto, neanche Anzai sembrava essersi arreso; Rukawa lo capiva da come parlava sicuro con Sakuragi.

Sicuramente l’allenatore aveva in mente qualcosa.

E questo qualcosa, di sicuro prevedeva l’uso della loro ala grande, per il momento in panchina, che continuava ad ascoltare attento.

Ne aveva avuto la conferma quando Sakuragi era rientrato in campo pochi minuti dopo.

Tutti in squadra erano demoralizzati, lui stesso era stato battuto ripetutamente da Sawakita che, a quanto pareva, non era bravo solo a tirare ma aveva anche un’ottima tecnica di difesa.

Un muro umano, proprio come Mikyo anche se non alto e possente allo stesso modo.

Solo che, a differenza di Hanamichi, lui questo muro non sembrava riuscire a scalfirlo in alcun modo né a penetrarlo.

Poi Sakuragi era rientrato in campo.

Rukawa, osservando quel volto ora addormentato, era certo che non avrebbe mai dimenticato quei momenti finché avesse avuto vita.

Sakuragi aveva una luce nuova nello sguardo, un’espressione totalmente diversa rispetto a quando era rientrato per il time – out.

In quel momento Hanamichi, come tutti, era pervaso dall’idea che avrebbero perso l’incontro.

Negli istanti successivi invece Sakuragi aveva acquisito una luce nuova, una luce che sapeva di vittoria.

Rukawa conosceva quello sguardo; era lo sguardo di chi non avrebbe perso.

Uno sguardo di chi si faceva carico dei sogni altrui, uno sguardo responsabile, ora il numero undici l’aveva capito.

Sakuragi era sempre stato attento ai problemi altrui. Sakuragi si era sempre fatto carico dei sogni di Akagi e di tutta la squadra.

Rukawa lo aveva già visto con questo atteggiamento nella partita contro il Kainan e lo rivedeva nuovamente in quel momento, in quello sguardo che tanto amava.

Qualunque cosa gli avesse detto Anzai, il numero undici era certo che Hanamichi l’avrebbe portata a compimento.

Perché lui era così; combattivo fino alla morte.

E Rukawa lo amava per questo e per molto altro. Sentiva di amarlo, sempre più e, in quel momento, capì che l’amore che provava per Sakuragi era destinato a non affievolirsi mai.

Quello che ne era seguito dopo era stato incredibile; Rukawa strinse la mano di Sakuragi con un sorriso.

Era un esagitato, un pazzo e un buffone. Ma Rukawa lo amava proprio per questo.

Solo lui avrebbe potuto fare quello che aveva fatto.

Rukawa chiuse gli occhi, rivivendo con la mente quei momenti.

Immediatamente, l’immagine di Sakuragi che saltava sul palco dei giudici e arrotolava una rivista a mo di megafono, comparve nella sua mente.

“Il Sannoh sarà sconfitto! Da me: Sakuragi il genio!”.

E Rukawa in quel momento aveva capito che non era la solita buffonata del pagliaccio.

Nonostante Sakuragi non perdesse occasione per fare l’idiota, questa volta non stava facendo i suoi soliti show.

Le parole successive del numero dieci avevano dato la conferma ai suoi pensieri.

Sempre a occhi chiusi, Rukawa rivivette quei momenti.

Rivivette quelle parole che lo avevano scosso dal profondo facendolo palpitare.

Rivivette quelle sensazioni che gli avevano dato nuova grinta.

Senza accorgersene la mano che accarezzava quella di Hanamichi, si strinse con più forza attorno a quelle dita.

Sakuragi, dopo essere stato tirato dal loro capitano giù dal tavolo, si era rivolto, con sguardo beffardo, alla squadra.

Dopo questa piazzata non abbiamo scelta. Dobbiamo per forza vincere!”.

E Rukawa l’aveva guardato per un interminabile istante.

Loro, i giocatori navigati e con esperienza, avevano gettato la spugna.

Lui, il principiante che giocava da pochi mesi e imparava più nelle partite che negli allenamenti, non aveva mollato.

Loro, che si davano arie di serietà e facevano del basket il loro scopo, si erano dati per vinti.

Lui, che portava sempre scompiglio negli allenamenti e nelle partite e aveva iniziato a giocare chissà per quale motivo, credeva ancora nella vittoria.

Loro che non facevano altro che dare consigli su consigli al principiante della squadra, ora stavano subendo una grande lezione, la più grande di tutte, proprio da colui che giocava da pochi mesi: non arrendersi mai.

Perché la partita era persa nel momento in cui la squadra smetteva di lottare.

“Non è così semplice. Siamo sotto di parecchi punti!” era intervenuto Mitsui dando voce ai pensieri di tutta la squadra.

“Stupido!” si era allora inalberato Sakuragi.

Rukawa strinse ancora di più la mano.

Le parole di Sakuragi in quel momento gli avevano lasciato un segno profondo. Un marchio che solo
un grande campione può lasciare.

“Il vostro modo di ragionare, la logica con cui vivete il basket con me non funzionano!” aveva replicato deciso, rivolto a tutta la squadra.

“Questo perché io sono un principiante!”.

Tutta la squadra era rimasta di sasso.

Tutti si erano resi conto che la partita doveva ancora essere giocata.

Tutti si erano resi conto che Sakuragi aveva ragione.

Rukawa riaprì nuovamente gli occhi.

Dopo quelle parole, il ritmo della partita era cambiato.

Questo, grazie a te! Avrebbe voluto dirgli Rukawa, non solo limitarsi a pensarlo.

Abbiamo vinto Hanamichi! Pensò guardando nuovamente quel volto.

Abbiamo vinto! Continuò a pensare, come un mantra, in quella che sembrava essere la notte più lunga di tutta la sua vita.
 

Continua…
 

Note:
 
Il capitolo può collocarsi nel volume 31, dopo la partita.

I ricordi riguardanti la partita fanno parte dei volumi:

Volume 26:

Capitolo 231. Scontro di forza

Capitolo 232. Sayonara Mikyo – ciccio.

Capitolo 233.

Volume 27:

Capitolo 234, 235, 236, 237, 238, 239, 240, 241, 242.

Volume 28:

Capitolo 243. Rimbalzo offensivo.
 

Ho riportato solo i titoli di alcuni capitoli perché sono quelli in cui avvengono le parti, per me, più emozionanti e sul quale mi sono soffermata con una descrizione più ampia e approfondita nella scrittura del capitolo che avete appena letto.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e non vi abbia annoiato troppo trattandosi quasi interamente dei ricordi della partita.

Come sempre, attendo i vostri pareri.

Ci vediamo domenica prossima con il nuovo aggiornamento.

Pandora86

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. L'alba di un nuovo giorno ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Grazie per le belle recensioni.
Grazie a tutti quelli che seguono la storia.
Ci vediamo a fine capitolo.
Per ora, buona lettura!
 
 
Capitolo 9. L’alba di un nuovo giorno.

 

Mito non era ancora rientrato.

Dopo aver lasciato Rukawa nella stanza dove, temporaneamente, risiedeva Hanamichi, non se l’era sentita di ritornare nella camera della pensione che divideva con la madre.

Sapeva che non sarebbe riuscito a prendere sonno.

D’altro canto, era contento di aver lasciato il suo migliore amico in compagnia della super matricola.

Sapeva che era giusto così.

Ripensò alla conversazione che aveva avuto con Rukawa.

Il numero undici sembrava aver incassato bene il colpo.

Il suo unico interesse era sapere come stava Hanamichi e conoscere, il più dettagliatamente possibile, le sue condizioni fisiche.

Non si era scomposto quando aveva accennato a una lunga e difficile riabilitazione.

Ora, quello che era più importante però, era decidere cosa salvare della reputazione di Hanamichi.

Anche di questo aveva parlato con Rukawa, e la cosa che lo aveva alquanto stupito era il fatto che il numero undici avesse ben chiaro in mente come porsi verso quella nuova situazione.

Sapevano entrambi, infatti, che cosa sapeva la squadra riguardo alla situazione familiare di Hanamichi.

Sapevano anche quanto Hanamichi stesso fosse più che restio a far sapere quelle cose di sé.

Era su questo che erano finiti a parlare, quando Rukawa aveva chiesto informazioni riguardo allo zio di Hanamichi.

Ripensò alla loro conversazione.
 

“Suo zio?” aveva domandato Rukawa, senza alcuna inflessione particolare nella voce.

Tuttavia, si poteva cogliere, per chi lo conosceva abbastanza, la rabbia che aveva attraversato i suoi occhi e che provava ancora in quell’istante.

“Mia madre lo ha chiamato stamattina!”.

“E…?” lo aveva incalzato Rukawa.

“Niente. Non ha intenzione di fare niente” si era ritrovato a rispondere accorgendosi, solo in un secondo momento, di avere stretto talmente i pugni da avere i segni delle sue stesse unghie sui palmi.

“Per lui è solo un fastidio!” aveva aggiunto rabbioso.
 

Rukawa aveva annuito in silenzio.

Sapeva che lo zio di Hanamichi non aveva nessun diritto di fare ciò ma sapeva anche che Hanamichi stesso non avrebbe voluto niente da quell’uomo.

Lo sapevano anche Mito e sua madre del resto e, considerato che per Hanamichi si prospettava un periodo lungo e difficile, non avrebbero insistito su quel punto.

Il dubbio che, a quel punto che assillava Mito, era come porsi nei confronti della squadra.

Rukawa gli aveva, infatti, riferito la curiosità che aveva destato l’arrivo di sua madre e Mito sembrava incerto su come muoversi perché, una volta che Hanamichi sarebbe tornato a scuola, avrebbe dovuto affrontare la curiosità dei suoi compagni di squadra e Mito sapeva quanto quello lo infastidisse.

Ma Rukawa l’aveva tolto d’impaccio.


“Anzai è a conoscenza della situazione!” aveva affermato sicuro e Mito aveva annuito.

“È impossibile pensare che non notino nulla. Già con l’arrivo di tua madre, si sono chiesti tutti, dove fossero i genitori di Hanamichi!” aveva affermato sicuro e Mito aveva annuito di rimando.

“Penseremo a un problema per volta!” aveva continuato.

“Se la squadra farà domande, si risponderà il minimo necessario. Quando Hanamichi tornerà a scuola, poi vedremo” aveva concluso e Mito si era ritrovato a dargli ragione.
 

In quel momento, un grosso sollievo aveva pervaso Yohei.

Sapeva, infatti, di dover gestire una situazione difficile ma il pensiero di avere come supporto
Rukawa, non poteva che fargli piacere.

Era un ragazzo a posto, con la testa sulle spalle e Yohei, per la prima volta in tanti anni, non avrebbe gestito tutto da solo.

Aveva guardato Rukawa riconoscente e poi era uscito, lasciandolo solo con Hanamichi.

Il suo amico era in ottime mani.

Rukawa, del resto, aveva ragione. Yohei aveva sempre saputo che era un ragazzo con una mente pragmatica e il fatto che stesse affrontando la situazione con calma e lucidità non poteva che fargli piacere.

Hanamichi aveva una buona spalla su cui contare, finalmente.

Ripensò alla partita che aveva giocato il giorno prima.

Doveva ammetterlo, era stata una partita che l’aveva lasciato con il fiato sospeso.

Non erano nemmeno mancati i momenti esilaranti; bastava pensare a quando Hanamichi aveva dichiarato a gran voce che avrebbe battuto la squadra del ‘sonno’.

Subito dopo però, aveva dato sfoggio del suo talento, prendendo i tre rimbalzi successivi e mettendo a segno un canestro dopo l’altro.

Un altro momento divertente, era stato quando Uozumi aveva deciso di entrare in campo con la sua divisa da cuoco paragonando Akagi al pesce rombo e il suo avversario all’orata.

Era stato divertente ma, soprattutto, utile.

Era vero che lui, insieme all’armata, a quella scena si erano spanciati dalle risate.

Era anche vero però che, dopo la piazzata di Uozumi, Akagi sembrava finalmente essere rientrato in partita.

Fino a quel momento, infatti, era stato solo ed esclusivamente concentrato su come battere il suo avversario non lavorando a favore della squadra.

Dopo l’uscita di Uozumi, si era finalmente svegliato.

Nel frattempo, lo Shohoku stava recuperando i punti persi, uno dopo l’altro.

Hanamchi, ovviamente, si era distinto in ogni momento della partita difendendo, sempre meglio, l’area sotto canestro.

Mito aveva sorriso dagli spalti quando lo aveva visto scambiare un cinque con il suo capitano dopo una stoppata incredibile.

Mitsui poi, anche se allo stremo delle forze, continuava ad attaccare e il perché era presto detto; contava su Sakuragi per i rimbalzi.

Oramai tutti, Sannoh compreso, avevano capito che era diventato Hanamichi l’uomo chiave della partita.

Di conseguenza era avvenuto quello che nessuno si aspettava: Kawata, la migliore ala grande di tutto il Giappone, dietro richiesta dell’allenatore, era passato a marcare Sakuragi invece di Akagi e Mikyo era rientrato per occuparsi del capitano.

In quel momento, Mito si era sentito pieno d’orgoglio per Hanamichi che, finalmente, vedeva riconosciuto il suo grande talento.

La partita era stata tutta di Sakuragi; perfino Rukawa era stato messo in ombra iniziando a giocare, realmente, negli ultimi dieci minuti di gioco.

Ma, il trascinatore vero era stato solo Hanamichi.

Infatti, dopo che il Sannoh aveva cambiato le marcature, il pubblico aveva iniziato a incitare l’asso della squadra avversaria chiedendosi quando Sawakita iniziasse a giocare realmente; e lì, erano iniziati i problemi per Rukawa che aveva perso il confronto su tutta la linea.

Era suo compito marcare l’asso della squadra avversaria e, di volta in volta, falliva miseramente facendo in modo che Sawakita segnasse un canestro dietro l’altro.

Era impossibile da battere in uno scontro a uno, era questo quello che aveva pensato Mito osservando la partita dagli spalti.

Tuttavia, Rukawa non aveva intenzione di mollare.


Al pari di Hanamichi, più era forte l’avversario, più Rukawa si concentrava diventando implacabile.

In quei minuti di gioco, Yohei aveva pensato che la partita era in mano a loro due, le due matricole dello Shohoku.

E, infatti, non aveva avuto torto.

Hanamichi e Rukawa avevano portato la squadra alla vittoria regalando al pubblico una partita memorabile.

Questo, Yohei, se lo sarebbe sempre ricordato, anche se poi, poche ore dopo, tutto sembrava essere andato a rotoli.

Anche se poi, negli ultimi minuti di gioco, Hanamichi si era fatto male.

Anche se, in quel momento, le condizioni del suo migliore amico erano più incerte che mai, così come il suo futuro.

Yoehi, non gli avrebbe mai permesso di mollare.

Notò, a quel punto, che la notte stava per finire; doveva essere quasi l’alba ed era il caso che lui rientrasse.

Quella mattina, infatti, la squadra sarebbe venuta a conoscenza delle condizioni di Hanamichi e lui doveva essere forte.

L’alba di un nuovo giorno era cominciata.
 

***
 

Rukawa continuava a osservare il volto di Sakuragi.

Tra un po’ sarebbe dovuto andare via di lì, lo sapeva.

Eppure, era così difficile per lui in quel momento lasciare quella mano.

Era così difficile lasciare quel volto che, all’oscuro di tutto, riposava tranquillo.

Hanamichi, nel sonno, doveva aver avvertito il suo tocco andando a muovere piano le dita intorno al suo polso.

Rukawa gli aveva stretto la mano e Hanamichi aveva, anche se di poco, ricambiato la stretta.

Era passato un po’ di tempo, Rukawa non avrebbe saputo dire quanto, ma quelle mani erano ancora lì e Rukawa non riusciva a trovare il coraggio di staccare quell’intreccio perfetto per andare via.

Dovevano ancora fare tante cose insieme. Dovevano ancora imparare tanto.

Non era giusto che, per Hanamichi, il sogno dei campionati nazionali fosse finito in quel modo.

L’ Aiwa, la squadra contro la quale Hanamichi in treno era sembrato ansioso di giocare, sarebbe stata il loro prossimo avversario ma non avrebbe conosciuto mai il talento del giocatore che ora dormiva tranquillo.

Hanamichi non sarebbe riuscito a giocare contro di loro.

Non ha importanza! Ci rifaremo l’anno prossimo!

Era questo il pensiero di Rukawa che non avrebbe mai permesso al numero dieci di mollare.

Dovevano diventare dei campioni; l’America li aspettava.

L’america… quanto gli sembrava lontana ora.

Gli era sembrata più vicina che mai quando si era scontrato contro Sawakita, un giocatore imbattibile in uno scontro uno contro uno.

Rukawa non era riuscito a spuntarla ma aveva comunque imparato tanto.

Non avrebbe rinunciato al suo sogno, né si sarebbe tirato indietro di fronte ad un giocatore così promettente.

Non quando Sakuragi stava dando il meglio di sé, costringendo il Sannoh a cambiare addirittura le marcature.

Sawakita…

Era stato un avversario interessante. L’unico che Sendoh non fosse mai riuscito a battere.

Lo aveva ammesso lo stesso campione del Ryonan quando, prima dell’inizio dei nazionali, Rukawa aveva deciso di sfidarlo, dopo le parole di Anzai.

E Rukawa, in quella partita, aveva capito il perché.

Sawakita era un giocatore con un gioco che non presentava nessuna sbavatura. La sua esperienza era superiore a quella dei suoi coetanei; il suo gioco era all’avanguardia e impeccabile.

Sawakita era stato in America e ci sarebbe ritornato dopo i campionati.

Era stato questo quello che gli aveva detto durante la partita stessa.

“Se vuoi essere il numero uno del Giappone, devi aspettare che io sarò andato in America!”

Era stata questa la frase dell’asso del Sannoh e Rukawa, per la prima volta da quando giocava, aveva iniziato a perdere colpi su colpi, non riuscendo a evadere la difesa del grande campione.

Come se non bastasse, non solo non era riuscito, in quei momenti, a toccare palla in attacco ma non era riuscito neanche a impedire che Sawakita andasse a canestro.

Rukawa ricordava quei momenti.

Quello che aveva provato era stato indescrivibile.

Tutti si erano nuovamente arresi.

Tutti tranne lui che bramava come non mai la vittoria.

Tutti tranne Sakuragi che si era esaltato ancora di più con la sua nuova marcatura.

Il numero dieci, infatti, sembrava aver colto il particolare che a marcarlo ora era uno dei migliori del Giappone.

Doveva essersi reso conto che il Sannoh aveva cercato di correre ai ripari per cercare di frenare, in qualche modo, la sua inesauribile forza.

Rukawa lo sapeva, poteva leggerglielo in faccia.

Sakuragi era ancora più carico, ancora più sfrenato.

Ancora più imbattibile.

Mancavano dieci minuti allo scadere del secondo tempo ma Sakuragi sembrava aver appena iniziato a giocare.

Saltava sempre più in altro. Recuperava sempre più rimbalzi. Correva sempre più veloce e metteva segno sempre più punti.

Era stato questo a far scattare Rukawa che, dentro di sé, provava esattamente quello che sentiva Hanamichi.

Vincere; solo questo contava.

E Rukawa non si era tirato indietro.

Sapeva che insieme avrebbero portato lo Shohoku alla vittoria e, infatti, così era stato.

“Ti stai arrendendo, Rukawa?” 

Era stata la domanda di Sawakita dopo un micidiale canestro, dove era riuscito a segnare evitando in aria e contemporaneamente, lui, Hanamichi e il capitano.

“No!Non ho ancora perso” era stata la sua risposta.

Tuttavia, Sawakita l’aveva spuntata ancora una volta.

“Non proteggi la palla quando fai una finta, lo sapevi?”.

Era stato l’appunto dell’asso del Sannoh, prima di andare a canestro ancora una volta.

In quella partita, Rukawa era stato messo di fronte ai suoi limiti eppure, non aveva mai perso la fiducia in se stesso.

Scontrarsi contro chi è più forte per diventare sempre più bravo, era questo il suo motto.

Hanamichi stava sorprendendo tutti; lui non sarebbe stato da meno!

In quel momento, mentre il resto della squadra, tranne Hanamichi, era convinta di aver perso, lui aveva invece sorriso.

Il desiderio di vincere lo bruciava dentro e la voglia di battere Sawakita si era fatta irrefrenabile.

Sawakita sarebbe stato il suo banco di prova per l’America, era questo che aveva pensato.

“Anche io andrò in America!” aveva detto certo che Sakuragi, a meno di un metro da lui, lo avrebbe sentito.

“Oggi… ti batterò qui sul campo e poi ci andrò” e aveva sorriso.

Per lui, la partita cominciava in quel momento.

In quell’istante della partita, gli erano tornate in mente le parole di Sendoh.

“L’uno contro uno non è altro che una delle tante tecniche difensive. Se non capisci questo, dubito che riuscirai mai a battermi!”.

E Rukawa, proprio in quel momento, proprio in quella partita, lo aveva capito ed era riuscito a evadere la difesa di Sakawita passando poi la palla ad Akagi.

Gli animi, in quegli ultimi minuti di gioco si erano surriscaldati come non mai.

Lui e Hanamichi avevano portato la squadra alla vittoria.

Un mugugno, proveniente dal volto addormentato, lo distrasse.

Con un sorriso, andò ad accarezzargli la guancia.

Combattivo come un leone, questo era Sakuragi.

Ripensò a quando, sempre nella partita contro il Sannoh, lui e Sakuragi si erano scontrati dopo che era riuscito a smarcarsi da Sawakita.

Il pubblico aveva inveito contro il numero dieci pensando che avesse sabotato l’azione di un suo compagno di squadra.

Ma Rukawa aveva capito in realtà che Sakuragi si era messo in quella posizione per farsi passare la palla e tirare da fuori area.

Ricordò di aver odiato tutto lo stadio in quel momento.

Hanamichi stava disputando una partita bellissima.

Perché iniziare a insultarlo dagli spalti per una cosa che nessuno aveva capito?

Era stato questo che, a suo modo, l’aveva poi incoraggiato.

A un orecchio esterno, sarebbe potuto sembrare che, tanto per cambiare, gli stesse dando del principiante ma Rukawa sapeva che Sakuragi aveva afferrato il messaggio; del resto, i loro modi di rapportarsi erano sempre stati così.

Si offendevano, puntando sull’orgoglio per far uscire il meglio dell’altro allo scoperto.

Anche quando i loro rapporti erano solo insulti e risse, non mancavano mai di spronarsi.

Sakuragi lo faceva inconsciamente.

Rukawa invece, con cognizione di causa.

Fatto sta che, in qualunque modo la sì mettesse, erano l’uno lo sprone dell’altro; lo erano sempre stati.

E, infatti, Sakuragi aveva capito.

In quegli ultimi minuti, lui e Sakuragi avevano giocato insieme, fianco a fianco, come mai avevano fatto prima d’ora.

Come Rukawa aveva sempre desiderato.

Eppure, non avrebbe mai voluto che succedesse in quel modo.

Perché Rukawa lo sapeva che Sakuragi si era fatto male.

Probabilmente, era stato il primo ad accorgersi che qualcosa non andava.

Sakuragi si doveva essere fatto male null’ultimo recupero di fortuna, quando era sbattuto contro il tavolo.

Era stato un salvataggio che aveva avuto dell’incredibile.

Sakuragi si era letteralmente buttato contro il tavolo a bordo campo, lo stesso tavolo su cui era salito urlando che avrebbe battuto la squadra del ‘sonno’.

Erano impalliditi tutti in quel momento.

Rukawa stesso gli si era avvicinato per assicurarsi che non si fosse fatto male.

“Bel salvataggio” aveva detto. “Ma sei ancora vivo?”.

E, aveva tirato un sollievo quando Sakuragi si era alzato come un grillo per rispondere alla sua preoccupazione.

Invece, si era fatto male. Male sul serio.

Se ne era accorto dopo una stoppata del numero dieci quando questi, atterrando, era impallidito.

Ma, ora si rendeva conto di essere stato solo un’egoista.

Per lui, in quel momento contava solo vincere e Hanamichi era un tassello indispensabile per la vittoria.

Se avesse saputo quello che sarebbe successo al numero dieci, non l’avrebbe mai invogliato a continuare a giocare.

Non si sarebbe mai perdonato per quello che gli aveva detto dopo averlo avvicinato e averlo, tanto per cambiare, provocato.

“Se non vuoi essere sostituito, seguimi fino alla morte!”.

E Sakuragi, aveva mantenuto la parola.

Stupido… sei solo uno stupido! Pensò Rukawa ricordando quei momenti.

Ricordando l’accanimento di Sakuragi nel voler continuare a giocare.

Ma lo stupido in realtà, era solo lui.

Perché avevano vinto, era vero.

Ma il vero vincitore in quella partita era stato solo Hanamichi, che aveva portato la squadra alla vittoria anche con la schiena a pezzi.

Rukawa si chiese quanto dovesse essergli costato ogni movimento.

Se si fosse fatto sostituire, avrebbero perso la partita ma Hanamichi non avrebbe rischiato il suo futuro come giocatore.

Invece, ancora una volta, aveva pensato agli altri.

Aveva pensato a lui.

Perché Sakuragi sapeva quanto erano importanti per lui e campionati nazionali.

E non aveva ceduto, neppure per un istante.

Nel time-out, quando mancavano appena due minuti alla fine dell’incontro, tutti si erano accorti che qualcosa non andava.

Ma nessuno aveva pensato alla gravità della cosa.

Solo Ayako, lungimirante come sempre, si era informata sul dolore di Sakuragi dicendogli che ne andava della sua vita di giocatore.

Ma Hanamichi, seppur colpito da quelle parole, non l’aveva ascoltata ed era rientrato in campo.

Ma la colpa vera non era di Sakuragi quanto di tutta la squadra, compreso Anzai.

Perché, se la squadra aveva sottovalutato la cosa, Anzai aveva rimandato in campo Hanamichi senza esitazione perché sapeva che, senza i suoi rimbalzi, avrebbero perso la partita.

Dopo poco l’avevano comunque dovuto sostituire.

Sakuragi aveva effettuato una schiacciata che però l’arbitro aveva annullato assegnando due tiri liberi ad Akagi.

E, in quel momento, Rukawa aveva capito la gravità della situazione.

Perché Hanamichi si sarebbe accasciato in mezzo al campo se Akagi non l’avesse, prontamente afferrato.

Era stato sostituito e l’avevano raggiunto, a bordo campo, la sua armata insieme alla sorella del capitano.

Era stato allora che Sakuragi si era alzato per ritornare in campo.

“Lo amo troppo” aveva detto rivolto alla Akagi.

E Rukawa, aveva capito che si riferiva al basket.

Hanamichi aveva quasi perso i sensi e, anche se con poca lucidità, ci aveva tenuto a rimarcare quello che per lui era importante: il basket.

Rukawa in quel momento, aveva capito che Sakuragi era diventato un giocatore completo.

Chiuse gli occhi per rivivere lentamente quei ricordi.

Anzai aveva deciso di non mandarlo più in campo ma Sakuragi continuava a insistere.

“Se te ne resti lì impalato, ti oscuri la vista” gli aveva allora detto Rukawa dopo aver commesso fallo su un giocatore del Sannoh ed essere caduto a terra.

“Se hai intenzione di entrare, allora vieni qui!”

E Hanamichi, l’aveva preso in parola.

Ripensò alla loro azione combinata guardandosi la mano.

La mano con cui aveva scambiato il cinque con Hanamichi.

A Rukawa sembrava di aver vissuto a rallentatore in quel momento della partita.

Tutto sembrava fermo, solo lui e la palla.

Nient’altro.

Sawakita stava per segnare il punto che lì avrebbe portati alla vittoria quando… Sakuragi, con la
schiena a pezzi era riuscito a stopparlo.

In quel momento Rukawa aveva solo pensato a recuperare la palla e andare a canestro.

Come una furia aveva invaso la metà campo avversaria.

Come una furia era saltato, incurante degli avversari.

Ma era stato stoppato in aria.

Tutto quello che ricordava di quel momento, era solo l’adrenalina e l’immagine di Sakuragi che si buttava a terra verso la palla.

L’immagine di Sakuragi che effettuava un passaggio verso di lui in aria, incurante del dolore.

L’immagine di Sakuragi che atterrava nuovamente di schiena per prendere la palla e passarla a lui.

E allora, a quel punto, una volta ritrovatosi con la palla in mano aveva solo pensato a segnare.

Ce l’aveva fatta.

La partita era finita un minuto dopo, con il tabellone che segnava:

Shohoku 77 – Sannoh 76.

Avevano vinto.

Tutto, grazie a Sakuragi.
 

Andò nuovamente ad accarezzare quel volto.

La stanza si era rischiarata, segno che stava albeggiando.

Era venuto il momento di andare via.

Si alzò, sedendosi sul letto e avvicinando il volto alle sue labbra.

Un lieve tocco, un bacio a fior di pelle.

“Grazie!” sussurrò sulle labbra dell’altro.

Gli sfiorò nuovamente le labbra.

Quel gesto era un saluto ma anche una promessa che non l’avrebbe lasciato solo.

Perché Sakuragi aveva mantenuto la sua parola nella partita.

Ora toccava a lui.

Avrebbe mantenuto la sua promessa non lasciandolo solo.

Sarebbero andati in America, insieme.

Avrebbero continuato a giocare, diventando i numeri uno del Giappone, insieme.

Era questa la promessa di Rukawa mentre l’alba di un nuovo giorno nasceva.

Promessa, che avrebbe mantenuto ad ogni costo.
 


Continua…
 

Note:

La parte del capitolo riguardante la partita è ambientata tra i volumi 28 e 31.

Come avete visto, in questo capitolo si è conclusa la parte riguardante la partita contro il Sannoh.

Non ho volutamente parlato né del mitico cinque che si sono scambiati Rukawa e Sakuragi né di quello che potrebbe avvenire immediatamente dopo la partita, ovvero quando Sakuragi sta male.

Ho ritenuto opportuno separare infatti i ricordi della partita dagli altri che saranno affrontati nei prossimi capitoli.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come al solito, attendo sempre i vostri pareri.

Ci vediamo domenica prossima con il nuovo aggiornamento.

Pandora86

 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. Fotografia ***


Ecco il decimo capitolo.
Oramai, la storia è agli sgoccioli!
Grazie per le bellissime recensioni del capitolo precedente.
Grazie a chi segue la storia inserendola tra le preferite e le seguite.
Grazie anche a chi legge solamente!
Ci vediamo a fine capitolo con le note.
Buona lettura!
 
 
 
 
Capitolo 10. Fotografia
 
 
Nella hall della pensione, aleggiava una strana atmosfera tra i giocatori dello Shohoku.

Il giorno prima, avevano battuto la squadra dei campioni.

Il giorno dopo, invece, avrebbero dovuto giocare contro l’Aiwa con un uomo in meno.

Il signor Anzai, quella mattina, li aveva chiamati a raccolta per comunicare loro le condizioni di Hanamichi.

Era stato accompagnato dalla madre di Mito che aveva sorriso incoraggiante a tutti loro, nonostante la situazione non fosse delle migliori.

Danni alla schiena. Riabilitazione. Riposo forzato.

Erano queste le parole che martellavano nella mente di ognuno di loro.

Ogni componente della squadra si domandava come avrebbe fatto senza Sakuragi.

Ogni componente della squadra si chiedeva come sarebbe andata la partita senza i prodigiosi
rimbalzi del numero dieci.

Ma, quello che aveva destato più curiosità era, ovviamente, l’assenza di un parente di Hanamichi.

Non c’erano ancora state domande ma Rukawa poteva leggere i dubbi che prendevano forma nelle teste degli altri, dalle espressioni dei loro volti.

Il signor Anzai era andato via da pochi minuti e Rukawa sapeva che, a breve, il silenzio che si era venuto a creare, sarebbe stato spazzato via.

E, infatti, a parlare, poco dopo, fu Kogure.

“A quanto pare, allora, si è fatto male sul serio” costatò mentre si toglieva gli occhiali per pulirli.

Rukawa alzò lo sguardo, guardandolo dubbioso.

Kogure si era sempre distinto per il suo ottimismo e il suo buon cuore, ma credere che l’incidente di
Sakuragi fosse una bazzecola, rasentava l’idiozia pura.

Certo che si è fatto male, idiota!Avrebbe voluto rispondergli ma preferì rimanere zitto.

Anche perché, che Hanamichi si fosse fatto male e che non avrebbe giocato con loro, sarebbe dovuto essere chiaro già dal giorno prima.

Probabilmente, Kogure sperava ancora che potesse giocare con loro.

“Questo era chiaro già da ieri, Kogure!” rispose il capitano, quasi come se gli avesse letto nella mente.

“Io me ne ero accorta!” intervenne Ayako. “Ma non sono riuscita a dissuaderlo. Però, non pensavo fosse così grave” concluse, con tono rammaricato.

Era evidente che si sentiva in colpa, Rukawa glielo leggeva in viso.

Del resto, Ayako si era accorta prima degli altri componenti che qualcosa non andava.

Ma Rukawa sapeva che non era colpa sua.

Perché lei aveva provato a dissuaderlo dal giocare, a differenza di lui che l’aveva spronato a entrare in campo.

Lei, invece della partita, si era preoccupata del futuro di Sakuragi come giocatore.

Un futuro che, ora, le appariva più incerto che mai, dato che i suoi peggiori sospetti si erano avverati.

Nel time out aveva provato a convincerlo, con scarsi risultati, parlando della vita di un giocatore.

Perché Ayako, come tutti, sapeva che Hanamichi era un principiante.

Come tutti, sapeva anche che però aveva un potenziale fuori dal comune.

Ma questo, sarebbe bastato a spronarlo nella riabilitazione per tornare a giocare?

In fondo, Sakuragi, si era attaccato a quello sport solo da pochi mesi.

Potevano, qui pochi mesi, averlo cambiato a tal punto, facendo sì che egli desiderasse, con tutte le sue forze, continuare la sua carriera di sportivo appena cominciata?

Erano queste le domande che Rukawa le leggeva in volto.

Era preoccupata, forse più di lui.

Perché lei, a differenza del numero undici, non aveva nessuna certezza che Sakuragi avrebbe continuato senza mollare.

Rukawa invece, sapeva che non sarebbe stato così perché ci avrebbe pensato lui a spronare Hanamichi.

Ci avrebbe pensato lui a farlo andare avanti e a ricordargli che era un campione.

Perché Rukawa non poteva vivere senza Sakuragi e il suo talento.

Se non avesse più potuto giocare, gli sarebbe rimasto accanto in ogni caso e amandolo allo stesso modo.

Ma, se c’era anche la più piccola possibilità che la sua carriera non fosse compromessa per sempre, allora ci avrebbe pensato lui a fargli stringere i denti per andare avanti fino a recuperare quello che aveva perso.

Tra i componenti della squadra era nuovamente sceso il silenzio ma il numero undici sapeva che non sarebbe durato a lungo.

“Come mai non ci sono i suoi genitori?” domandò, spezzando l’ennesimo silenzio, Miyagi.

Ecco! Come volevasi dimostrare, pensò Rukawa sapendo già che, presto o tardi,  si sarebbe arrivato anche a quello.

“In effetti, è strano!” gli diede man forte Mitsui.

“Che ci fa qui la mamma di Mito?” domandò ancora sorseggiando da una lattina.

“Vi ricordate ieri, quando è arrivata?” domandò Miyagi.

“Intendi quando Mito stava per dare di matto?” gli rispose Mitsui.

Del resto, lui più di tutti, aveva avuto occasione, nella rissa in palestra, di avere a che fare con la rabbia di Mito.

“Già!” confermò Miyagi. “Parlavano di qualcuno che non è venuto. Forse si riferivano a uno dei genitori!”.

“Ma perché Mito era tanto arrabbiato?” intervenne Kogure.

“Forse perché il padre e la madre, non sono voluti venire” continuò Miyagi.

“Perché mai?” domandò Ayako, anche lei incuriosita dalla faccenda.

Rukawa, a quel punto, si alzò di scatto.

“Ehi, che fai?” gli domandò Mitsui.

“Me ne vado!” rispose secco.

Mitsui lo guardò sconcertato.

Aveva sempre creduto che fra quei due ci fosse un legame particolare.

Ma allora, perché Rukawa sembrava il più indifferente di tutti?

Possibile che si fosse sbagliato e che alla super matricola, in realtà, non importasse niente di Hanamichi?

Tutte le provocazioni, tutti i cazzotti che si erano scambiati, Mitsui aveva sempre creduto che fosse parte del loro legame.

Rukawa, infatti, solo con Sakuragi sembrava reagire.

Solo con Sakuragi, veniva alle mani e rispondeva alle provocazioni.

Anzi, era lui stesso che, neanche raramente, lo provocava apposta.

Inoltre, ogni volta che il numero dieci era in difficoltà, Rukawa sapeva sempre trovare le parole per farlo reagire mascherandole, puntualmente, con una provocazione.

Mitsui, in base a questi comportamenti, aveva sempre creduto che a Rukawa importasse più di Hanamichi che degli altri componenti della squadra messi assieme.

Nella partita contro il Sannoh, avevano addirittura realizzato le azioni finali insieme, portando la squadra alla vittoria.

Mitsui aveva creduto di avere le visioni quando si erano dati il cinque davanti a tutta la squadra.

Ma allora, perché reagiva così?

Possibile che si fosse sbagliato?

“Non ti importa niente di Hanamichi? È di lui che stiamo parlando” domandò, non riuscendo a trattenere i suoi pensieri.

Rukawa si voltò, guardandolo freddo.

Mitsui, istintivamente, si ritrasse davanti alla freddezza di quello sguardo.

Rukawa sembrava volerlo trapassare con gli occhi.

La sua espressione era anche più seria del solito.

Era chiaro che si stesse trattenendo a fatica dal tirargli un pugno. Il tiratore, però, non capiva per quale motivo.

“Non mi sembra!” rispose, poco dopo Rukawa, riducendo al minimo il tono di voce.

“Non è delle sue condizioni, infatti, che state parlando!” scandì lentamente, rendendo più chiaro il concetto.

Il tono di voce era appena un sussurro tuttavia, le parole arrivarono più affilate di una lama.

Il rimprovero colpì tutti, nessuno escluso.

Mitsui, come il resto della squadra, rimase spiazzato.

Tutti si guardavano imbarazzati.

Ayako e Miyagi abbassarono il viso. Sulle guance di Ayako, a Rukawa parve di scorgere un lieve rossore dovuto all’imbarazzo.

Mitsui volse lo sguardo.

Tutti avevano capito cosa volesse dire Rukawa.

Aveva ragione! Non stavano per nulla parlando della salute di Hanamichi.

Fino ad allora, non avevano fatto altro che nominare la prossima partita e parlare della madre di Mito.

Ma, l’argomento ‘salute di Hanamichi’ non era ancora stato toccato.

Rukawa seppe che le sue parole avevano sortito il loro effetto.

Vide la consapevolezza di quello che aveva detto farsi strada nei loro occhi.

Li vide, uno dopo l’altro, abbassare il capo.

Solo Akagi rimase impassibile all’uscita di Rukawa.

In effetti, era l’unico che non era ancora intervenuto nella conversazione.

Fu allora che parlò.

“Rukawa ha ragione. Ci stiamo impicciando di fatti che non ci riguardano” disse sicuro, nel suo ruolo di capitano.

“Un nostro compagno di squadra si è fatto male. Tutto quello che possiamo fare è andare ad augurargli in bocca al lupo e prepararci alla prossima partita”.

Rukawa annuì con il capo.

Sapeva che Akagi avrebbe capito cosa intendeva.

Rukawa, aveva letto la preoccupazione nei suoi occhi quando il coach aveva dato loro la notizia.

Per questo era rimasto in silenzio fino a quel momento. I discorsi degli altri doveva averli sentiti con un orecchio solo.

La sua mente, Rukawa ci poteva giurare, era stata, fino a allora, impegnata a ripercorrere la partita.

Una partita che avevano vinto grazie ad Hanamichi.

Una partita che, probabilmente, avrebbero perso, se Hanamichi si fosse ritirato subito dopo l’infortunio senza poi ritornare in campo.

Era stato Akagi che l’aveva afferrato quando stava per cadere.

Era stato Akagi il primo a vedere la sua espressione sofferente.

Ed era sempre Akagi che, in qualità di capitano, si sentiva in colpa per non essere riuscito a fare a meno della presenza di Sakuragi sotto canestro.

Perché era stato Sakuragi a recuperare i rimbalzi fondamentali dopo essersi fatto male, anche se aveva la schiena a pezzi.

Era stato Sakuragi a recuperare la palla della penultima azione anche a costo di danneggiare la schiena ancora di più.

Rukawa poteva leggere tutto quello nel suo sguardo e molto di più.

Akagi era in debito con Sakuragi.

I campionati nazionali erano il suo sogno e Hanamichi aveva continuato a giocare anche per lui.

Per ricambiarlo di tutto quello che gli aveva insegnato.

Adesso, Akagi lo sapeva.

Come sapeva che, il debito che aveva Sakuragi verso lui per avergli insegnato a giocare e avergli dato un ruolo sotto canestro, oramai non esisteva più. Si era estinto in quella partita, con gli interessi.

Sakuragi lo aveva ampiamente ripagato.

Con questi pensieri, decise di dirigersi direttamente in camera sua.

Stavolta, nessuno lo fermò.

Del resto, non c’era più nulla da dire.

Tutti osservarono la sua figura allontanarsi non dicendo nulla.

Solo Ayako lo seguì con lo sguardo, trovando finalmente la conferma dei suoi sospetti.
 

***
 

Rukawa, nella sua stanza, si osservava la mano destra.

Dopo aver lasciato la squadra, aveva provato ad andare da Hanamichi ma aveva visto che, fuori la porta, il medico sportivo chiacchierava con la madre di Mito.

Non avendo ritenuto opportuno interromperli, aveva deciso di tornare nel pomeriggio.

La squadra non aveva più fatto domande e a lui stava bene così.

Era questo l’importante e credeva di essere riuscito nel suo intento.

Sapeva che, poco prima erano andati tutti a trovare Hanamichi che, a quanto aveva sentito, si era svegliato.

Rukawa non li aveva accompagnati ma sapeva che, dopo la conversazione della mattina, nessuno avrebbe fatto domande inopportune al numero dieci.

Certo, avrebbe voluto essere il primo sul quale Hanamichi avrebbe posato lo sguardo nel momento in cui avesse aperto gli occhi, ma non tutto era possibile.

Avrebbe voluto esserci lui a stringergli la mano mentre notava che le sue palpebre stavano per schiudersi.

Però, questa non era stata una cosa fattibile da realizzare, motivo per cui, Rukawa non se ne dava pena più di tanto.

Solo un leggero fastidio, ma nulla di più.

Del resto, Hanamichi veniva prima di tutto e se il vederlo svegliarsi avrebbe potuto generare altri pettegolezzi, allora era stato meglio così.

Non si era unito alla squadra perché sapeva che, se l’avesse visto sveglio, non avrebbe potuto fare a meno di baciarlo e stringerlo a sé, cosa alquanto inopportuna da fare davanti agli altri.

Perciò, visto che la situazione era abbastanza delicata di suo, aveva preferito farsi da parte e non suscitare altre domande.

A lui, tanto per cambiare, non importava granché.

Quello che per lui contava era che il do’hao stesse meglio o comunque fosse in condizione di essere trasferito in clinica.

Quello che per lui contava era che Hanamichi si fosse svegliato e che fosse abbastanza lucido, a detta degli altri.

Però, sapeva anche che per Hanamichi, le cose importanti non erano solo quelle, e Rukawa sapeva che rendere noto il loro rapporto era una decisione che andava presa in due.

Perciò, si era fatto da parte.

In fondo, l’aveva osservato per mesi credendo di non poterlo mai avere.

Poi, quando Mito gli aveva dato una speranza, si era rimboccato le maniche armandosi di una costanza invidiabile per avvicinarlo e avere un rapporto un po’ più civile con lui.

Quando poi i rapporti si erano fatti civili, aveva aspettato ancora sapendo che Hanamichi ci avrebbe impiegato un po’ a fare un passo verso di lui.

Poi, l’aveva avuto.

Ci era riuscito alla fine, anche se non aveva potuto godere appieno della sensazione di averlo, visto che i campionati nazionali erano piombati su di loro.

In sintesi, non gli era costato poi molto cederlo per qualche minuto alla squadra e aspettare il suo turno, dove sarebbero stati soli.

La sua pazienza diventava invidiabile se si trattava di Sakuragi.

Continuò a guardare la sua mano destra, la stessa mano con la quale aveva scambiato il cinque che aveva lasciato allibita tutta la squadra, dopo la loro ultima, mitica, azione.

Perché, dopo che Sakuragi aveva fatto quel passaggio incredibile per lui buttandosi, nuovamente, con la schiena a terra, c’era stata ancora un’ultima azione.

Per Rukawa non aveva importanza. Per lui la partita era finita con il tabellone che segnava:

Shohoku 77 – Sannoh 76.

Però, Rukawa non poteva comunque dimenticare che c’era stato un ultimo minuto di gioco dove il Sannoh, non rassegnandosi alla sconfitta, era passato in vantaggio.

Ma lui e Hanamichi non erano stati a guardare, creando l’azione che li aveva poi portati a scambiarsi un cinque davanti a tutta la squadra.

Ricordava perfettamente quei momenti.

Lui, che stava provando a tirare, aveva la strada bloccata dai due avversari.

“La mano sinistra serve solo per trattenere la palla”.

La voce di Sakuragi, alla sua destra, lo aveva raggiunto e lui non ci aveva pensato due volte nel passargli la palla.

Con quella frase, infatti, aveva fatto chiaramente capire le sue intenzioni e Rukawa si era fidato, affidandogli la vittoria.

Sapeva che non avrebbe sbagliato. Il volto stesso di Hanamichi gli diceva che era così.

I suoi occhi, in quella frazione di secondo, l’avevano guardato sicuri.

Rukawa aveva percepito chiaramente la decisione che quegli occhi trasmettevano.

La stessa decisione di chi sa che non sbaglierà.

La stessa decisione di chi è sicuro che porterà la squadra alla vittoria.

E, infatti, Sakuragi non aveva sbagliato.

Aveva tirato, portando lo Shohoku in vantaggio.

Il tabellone segnava:

Shohoku 78 – Sannoh 77.

Era stato allora che l’arbitro aveva fischiato.

Era stato allora che la partita era veramente finita.

Anche se, per Rukawa, era finita già da prima.

Lui e Hanamichi si erano guardati per interminabili attimi.

Impossibile dire cosa volessero esprimere i loro occhi in quel momento.

A Rukawa era sembrato di essere trasportato in un’altra dimensione, popolata solo dagli occhi di Hanamichi che lo guardavano fisso, senza riuscire a dire nulla.

Perché, in quel momento, nessuna parola sarebbe stata adatta.

Poi, entrambi erano scattati con la mano per scambiarsi un cinque.

Momenti e sensazioni incredibili. Rukawa non avrebbe saputo mai trovare le parole per descrivere quello che aveva vissuto e provato.

Il rumore di qualcuno che bussava lo distrasse dai suoi pensieri.

Fu sorpreso di trovarsi davanti Ayako.

La fece entrare, aspettando che la ragazza gli spiegasse il motivo per il quale era venuta.

“Stamattina sono state sviluppate” gli disse la manager, porgendogli due fotografie.

Rukawa le guardò.

Erano due copie della foto che un cronista aveva scattato loro, dopo aver battuto il Sannoh.

Tutti i titolari erano inginocchiati.

Akagi al centro; alla sua sinistra: Hanamichi e Mitsui, alla sua destra: Miyagi e lui.

Hanamichi aveva tenuto duro anche per la foto.

Si era inginocchiato, non volendo rinunciare a quella fotografia.

Aveva tenuto duro fino all’ultimo.

Solo verso gli spogliatoi aveva ceduto.

Rukawa ricordava chiaramente quei momenti.

Lasciò che la sua mente vagasse nei ricordi.
 
 
Si erano avviati verso gli spogliatoi in silenzio, tutti ancora troppo increduli per la vittoria.

Rukawa sentiva, dietro di sé, il numero dieci trascinarsi a fatica.

Poi, un tonfo.

Si era voltato di scatto, impallidendo.

Tutti erano rimasti pietrificati.

Sakuragi era caduto in ginocchio.

Solo Yohei, prevedendo che il suo amico non sarebbe arrivato negli spogliatoi, li aveva seguiti avvicinandolo immediatamente.

“Hana!” lo aveva chiamato forte, scuotendolo piano per le spalle.

“Yo” aveva sussurrato Hanamichi con voce flebile.

“Hana, dove ti fa male?” gli aveva domandato Mito.

“Le gambe, Yo” aveva sussurrato Hanamichi con una nota di disperazione nella voce.

“Non me le sento quasi più!” aveva concluso, prima di aggrapparsi forte alle braccia del suo amico.

“Un medico!” aveva urlato Yohei alla squadra che sembrava pietrificata.

“Andate a chiamare un medico!” aveva urlato nuovamente.

Akagi era subito scattato verso l’infermeria.

E, in quel momento, era cominciato l’inferno.
 

“Ti sei incantato?” la voce di Ayako lo riscosse dai suoi pensieri.

Rukawa si accorse di essere rimasto qualche minuto in silenzio, con lo sguardo fisso sulle foto.

“Perché due?” si ritrovò a chiederle.

“Ho pensato che una potessi darla tu a Hanamichi!” rispose pronta la ragazza con un sorriso.

Rukawa la fissò, guardandola male.

Poteva significare solo una cosa: Ayako aveva capito qualcosa di loro due.

Provò a parlare per mandarla al diavolo visto che, in quel momento, non c’era bisogno di altri pettegolezzi riguardo al numero dieci, ma lei lo interruppe con la mano.

“È solo una mia intuizione e non intendo farne parola con nessuno!” lo rassicurò.

“Tuttavia, credo che debba essere tu a dargliela. Oggi, nel pomeriggio era sveglio quando siamo passati a salutarlo e domani sarà trasferito in clinica. Ti consiglierei di approfittarne!” concluse, avviandosi alla porta.

“Credo che anche lui ti stia aspettando!” disse, prima di uscire definitivamente.

Rukawa sorrise, guardando la parta chiusa.

E così, Ayako aveva intuito la natura del loro rapporto.

Era sempre stata perspicace e la cosa non gli creava, più di tanto, problemi.

Era sempre stata una ragazza discreta. Un’amica per lui, l’unica con la quale avesse mai parlato volentieri.

L’unica che non era attirata dal suo bell’aspetto e il suo talento.

Guardò nuovamente la fotografia.

Ayako aveva ragione, ora toccava a lui andare dal numero dieci.

Hanamichi lo stava aspettando.
 


Continua…
 

Note:
 

Questo capitolo può essere collocato nel volume 31.

Come avrete notato, ho parlato anche dell’ultima azione della squadra, staccandola dal precedente capitolo.

Questo perché è quella stessa azione che fa nascere il mitico cinque, per cui ho ritenuto opportuno dedicarle un capitolo a parte dove si parlasse anche della foto.

Quello che avviene dopo la foto, è tutto di mia invenzione.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Attendo, come sempre, i vostri pareri!

A domenica prossima, con il nuovo aggiornamento.

Pandora86

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. Epilogo ***


Ecco a voi l’ultimo capitolo della storia.
Grazie a tutti quelli che hanno seguito la mia fic.
Ci vediamo a fine capitolo per le note!
Per adesso, buona lettura!
 

Capitolo 11. Epilogo
 

Rukawa entrò, aprendo piano la porta.

Aveva percorso la distanza che lo separava da Hanamichi facendo il corridoio di corsa.

E ora, finalmente, era dal suo do’hao.

Sakuragi era sveglio e aveva accolto il suo ingresso con un bellissimo sorriso.

Seguì i movimenti di Rukawa che andò a sedersi sul letto, di fianco a lui.

Rukawa non trovava le parole.

Aveva atteso tanto che quegli occhi si aprissero, e ora non sapeva cosa dire.

Del resto, non era mai stato bravo a esprimersi.

Preferiva guardarlo in silenzio, certo che Hanamichi gli avrebbe letto dentro.

Erano tante le cose da dire eppure, in quel momento, si stava bene così.

Era stato facile stargli accanto mentre dormiva.

Ma ora, c’era il presente da affrontare e Rukawa non sapeva da dove cominciare.

La partita, l’infortunio, i campionati nazionali…

Sicuramente Mito aveva aggiornato Hanamichi su quello che gli era successo e Rukawa, a quel
punto, non sapeva veramente cosa dire.

L’ultimo ricordo che Hanamichi aveva di lui era quello riguardante a quando Rukawa lo incitava a tornare in campo.

Di quando anteponeva la partita alla sua salute.

Si sentiva colpevole come non mai in quel momento.

Perché era Hanamichi a dover rinunciare ai campionati nazionali.

Era sempre Hanamichi a dover affrontare una lunga riabilitazione, probabilmente anche abbastanza dolorosa.

Lui, invece, in tutto questo, che ruolo aveva?

Non lo sapeva!

Non sapeva quale sarebbe stata la reazione di Hanamichi riguardo loro due.

Sapeva solo che voleva stargli accanto.

Sperava solo che Hanamichi gli permettesse, di sua spontanea volontà, di rimanergli accanto.

Rukawa era conscio del fatto che avrebbe, in parte, temuto il risveglio di Hanamichi.

Però, non era nella sua indole tirarsi indietro, di qualunque cosa si trattasse.

Motivo per cui rimase in silenzio, aspettando che fosse l’altro a parlare.

Che lo insultasse, che lo prendesse a testate (Rukawa era sicuro che la forza per quello l’avrebbe
trovata se necessario!), insomma, che dicesse qualcosa, qualunque cosa.

Rukawa si aspettava di tutto da quello sguardo.

Uno sguardo che, seppur ancora intontito, ora gli appariva perfettamente lucido.

Sakuragi però non parlava, osservandolo in silenzio.

Eppure, il sorriso che gli aveva fatto quando era entrato gli era sembrato sereno, per cui prese coraggio e decise di stringergli la mano con la propria.

Sakuragi non si tirò indietro a quel contatto ma anzi, il suo volto, s’illuminò ancora di più.

Rukawa lo sapeva bene che, in quel momento, Sakuragi gli stava leggendo dentro e, infatti, non sbagliava.

Hanamichi aveva preferito osservare il numero undici per qualche istante, senza rovinare tutto con le parole.

Aveva preferito osservare i lineamenti perfetti dell’altro, gioendo del fatto che fosse ancora lì; che non si fosse dimenticato di lui.

Sembrò capire le difficoltà di Rukawa, oramai aveva imparato a conoscerlo, seppur di poco.

Sapeva che il numero undici si sentiva in colpa.

Come tutta la squadra, del resto.

Quando i suoi compagni erano passati a trovarlo, benché cercassero di parlare del più e del meno, lui si era accorto che erano dispiaciuti e anche un po’ mortificati del fatto che non si fossero accorti subito del suo infortunio.

Ayako e il capitano, in particolare.

Ma Hanamichi non attribuiva loro nessuna colpa. Era stato lui a voler tornare in campo nonostante il dolore non accennasse a diminuire.

L’aveva fatto per tutti loro, ma soprattutto per lui, Kaede Rukawa, e anche per se stesso.

Per realizzare, per la prima volta, qualcosa di buono nella sua vita.

E, anche se si era fatto male, sapeva di esserci riuscito.

Perché avevano vinto. Solo questo contava.

Yohei, quella mattina, era stato il primo volto che aveva visto quando aveva aperto gli occhi.

Gli aveva spiegato cosa fosse successo in realtà alla colonna vertebrale.

Gli aveva spiegato che il tornare in campo e giocare sul dolore avevano peggiorato la situazione.

Gli aveva però assicurato che le sue gambe non correvano rischi e Hanamichi si era tranquillizzato.

Ricordava esattamente i momenti che aveva vissuto prima che il dolore diventasse lancinante.

Aveva fatto un ultimo sforzo per chinarsi e fare la fotografia con la squadra.

Non sapeva chi gli avesse dato la forza per fare un simile gesto.

Sapeva solamente che voleva fare quella foto.

Voleva un ricordo, insieme a tutta la squadra, di quella che si era rivelata una partita memorabile.

Un ricordo di un momento unico, che non si sarebbe ripetuto mai più; non con quei componenti, perlomeno.

Poi, era rientrato negli spogliatoi.

O meglio, ci aveva provato.

Perché il dolore era aumentato, sempre più, e lui, a metà strada, non aveva sentito più le gambe.

E poi, il resto era andato come era andato.

Ricordava quei momenti.

Il volto di Rukawa che lo fissava immobile, spaesato.

Le braccia di Yohei che lo stringevano e la sua voce che urlava l’intervento di un medico.

Poi, si era fatto tutto buio.

Yohei gli aveva detto che aveva dormito molto sotto l’effetto dei farmaci e lui, di quel sonno, ricordava poco o niente.

Sapeva di aver sognato la partita.

Come ricordava anche di una mano che lo aveva accompagnato e lui, anche se ancora intontito, ora sapeva perfettamente a chi apparteneva quella mano che non lo aveva lasciato solo neanche un istante.

Poteva appartenere solo a lui: Kaede Rukawa.

Quando la squadra era venuta, lui aveva notato subito la non presenza di Rukawa.

Da un lato, la cosa non gli dispiaceva.

Non voleva, infatti, farsi vedere in quello stato.

Non voleva apparire debole né patetico.

Lui voleva che Rukawa lo ricordasse come un campione. Voleva che pensasse a lui associandolo ai rimbalzi o alle schiacciate che aveva effettuato e, perché no, ricordandolo nella loro ultima azione, quella che aveva generato il cinque che si erano scambiati davanti a tutta la squadra.

Poi però, una volta che la squadra era andata via, aveva cominciato a sperare nel suo arrivo.

Sapeva che Rukawa non era venuto per non metterlo in difficoltà.

Aveva quindi atteso che la porta dell’infermeria improvvisata della pensione si aprisse nuovamente per vedere il suo volto fare capolino nella stanza.

E, finalmente, Rukawa era arrivato.

Lui non aveva potuto fare a meno di sorridere; non era riuscito a trattenersi né avrebbe voluto farlo.

Anche se ci fosse stata tutta la squadra presente, lui sapeva che non si sarebbe trattenuto.

Non poteva fare più a meno di Rukawa e, allo stesso modo, anche Rukawa non poteva più fare a meno di lui.

Guardò la mano che il numero undici stringeva e sentì di amarlo un po’ in più.

Gli appariva chiaro come il sole che Rukawa si sentiva in colpa, ma lui non voleva vedergli quell’espressione in viso.

Perché non era colpa sua, non lo era mai stata.

Non voleva rinunciare a lui né alla sua futura carriera.

Era giovane e aveva ancora la forza per lottare.

Anzi, ne aveva di più rispetto al passato perché sapeva che Rukawa non lo avrebbe lasciato solo.

Era questa la certezza che leggeva nel viso dell’altro che, nel frattempo, continuava a fissarlo in silenzio.

Fu per questo che decise di parlare.

“Abbiamo vinto, kitsune!” esclamò con un sorriso, andando a incrociare le dita con quelle di Rukawa.

A quella frase, a quel nomignolo tanto familiare, il volto di Rukawa si distese.

Gli sembrò, per un attimo, di tornare a respirare, quasi come se avesse atteso le parole dell’altro trattenendo il respiro.

“Si! Grazie a te!” esclamò Rukawa sicuro.

A lui dovevano la vittoria ed era giusto ammetterlo.

Così come in passato non aveva mai mancato di fargli notare quanto fosse un principiante o poco esperto ora, con la stessa oggettività, non aveva problemi ad ammettere che era stato grazie a lui che avevano vinto.

Hanamichi aveva finalmente ottenuto quello che voleva; era diventato un campione.

Sakuragi sorrise a quelle parole.

Mai si sarebbe aspettato un complimento del genere da parte di Rukawa.

Eppure, era avvenuto.

Era stata la voce decisa di Kaede Rukawa, la super matricola, l’asso dello Shohoku, a pronunciare quelle parole.

E, anche per questo, anche per sentire ancora quella voce che gli faceva i complimenti, Sakuragi promise a se stesso che non avrebbe mai mollato.

Fu per questo che domandò quello che, da quando era venuto a conoscenza delle sue condizioni, lo turbava di più.

“Mi aspetterai?” chiese con voce incerta.

A quella domanda, la stretta della mano di Rukawa divenne quasi spasmodica.

“Sempre!” pronunciò con tono solenne.

Mai l’avrebbe abbandonato, ora che finalmente l’aveva avuto.

Hanamichi era suo e di nessun altro.

Si avvicinò sfiorandogli le labbra.

Fu un bacio dolce e lento quello che ne seguì.

Un bacio che sigillò la promessa sempre presente nei loro cuori.

La promessa di aspettarsi per sempre.

“Ora devo andare!” disse Rukawa staccandosi, a malincuore, dall’altro.
Sakuragi annuì sorridendo.

“Aspettami anche tu e, nel frattempo, non mollare!” disse con un sussurro, rivolto al numero dieci mentre con una mano andava ad accarezzargli i capelli.

Posò la foto della squadra sul comodino di fianco.

“Questa viene da Ayako!” ci tenne a fargli sapere.

“Mi farà compagnia!” rispose Sakuragi.

“Lo so!” affermò Rukawa prima di andarsene definitivamente.

Un ultimo sguardo, un’ultima promessa silenziosa prima di quel periodo forzato di separazione.

I campionati nazionali erano ancora in corso e Hanamichi sarebbe stato via molto a causa della riabilitazione ma, in quel momento, non aveva importanza.

Perché entrambi si salutarono con il cuore gonfio di speranza per il futuro.

Un futuro che non li avrebbe visti separati. Mai più.

Fuori dalla porta, Rukawa trovò Mito ad attenderlo.

Si fermò un istante guardando il ragazzo negli occhi.

Doveva dirgli un’ultima cosa, la più importante.

Doveva affidargli Hanamichi fino a quando lui non fosse tornato.

Non che Yohei non fosse in grado di badare al suo migliore amico solo che, ci teneva a rimarcare che ora, quel ruolo, spettava a lui.

“Lo affido a te, ma solo per poco. Sappi che verrò a riprendermelo quanto prima!” esclamò nel suo solito tono deciso, guardandolo fisso negli occhi.

Mito, a quelle parole, gli sorrise di rimando alzando il pollice in segno di assenso.

“Guarda che ci conto!” rispose ironico. “Altrimenti, in caso contrario, sarà divertente prenderti a calci per tutta Kanawaga!” concluse con l’aria scanzonata che sempre lo aveva contraddistinto.

Rukawa annuì prima di voltarsi definitivamente e Mito lo seguì con lo sguardo fino a che non lo vide scomparire mentre svoltava per il corridoio.

Per Hanamichi si prospettava un periodo difficile eppure non era preoccupato.

Perché la sua famiglia era finalmente al completo.
 

Un mese dopo
 

Sakuragi ascoltava il rumore delle onde e leggeva una lettera di Haruko.

Aveva ricominciato la riabilitazione da qualche giorno.

I medici avevano voluto aspettare che la sua schiena si stabilizzasse, e ora si trovava in quella clinica che affacciava sul mare, con in mano una lettera da parte della nuova manager dello Shohoku.

Alla fine, la sua squadra non era riuscita a superare il terzo turno ai campionati nazionali.

Tuttavia, erano tutti tornati a Kanagawa pieni di forza per l’anno a venire.

Haruko aveva promesso di scrivergli una lettera al giorno per tenerlo aggiornato sulla squadra.

Su richiesta di Ayako, anche lei era entrata in squadra come manager.

Miyagi era diventato il nuovo capitano, e le nuove matricole sembravano promettere bene.

Inoltre, Rukawa era stato convocato dalla nazionale juniores.

Ma questo, lui lo sapeva già.

Alzò gli occhi dalla lettera con un sorriso che pian piano si allargava sul volto.

Ecco la figura in lontananza che si avvicinava correndo.

Eccolo, Kaede Rukawa.

Erano vicini, a quanto pareva.

Il ritiro della nazionale si svolgeva nella pensione vicino la clinica, dove si stava curando.

Ed eccolo che, come il giorno precedente, si fermava mostrandogli la maglia della nazionale e
Sakuragi, dopo gli insulti classici, si fermava a guardarlo ammirato.

Eccolo lì, a mantenere la sua promessa.

Eccolo lì, a fargli forza per non permettergli di mollare mai.

Eccolo lì che ora si volgeva a guardare il mare davanti a loro insieme con lui.

Eccolo lì… vicino a lui… per sempre!

Non parlava e anche Sakuragi, dopo qualche battuta non profferiva più parola.

Perché loro, oramai, non ne avevano più bisogno.

Ci sarebbe stato un tempo per le chiacchiere, ma non era quello il momento.

Ora, avevano bisogno solo di quello: guardare il mare ed esserci l’uno per l’altro, anche solo con la presenza.

Solo di questo avevano bisogno e di null’altro.

“Saguragi-kun!”.

Ecco la voce dell’infermiera a spezzare l’incanto.

“È ora! Oggi la terapia sarà dura!”.

“Eh, eh, ma davvero?” fu la pronta risposta di Sakuragi che si alzò per avviarsi verso la clinica.

“Guarda che non sto scherzando! Pensi di farcela?”

“Che domanda idiota!”.

Certo che ce l’avrebbe fatta.

Un ultimo sguardo verso la figura che si era voltata verso di lui.

Haruko, nella lettera, scriveva che l’avrebbe aspettato per lo sport che amava tanto.

Beh, faceva bene, perché lui sarebbe tornato.

Quella figura in riva a mare continuava a guardarlo.

Anche Rukawa aveva sentito le parole dell’infermiera e sembrava volergli infondere coraggio con lo sguardo.

Una leggera brezza si era alzata.

Sakuragi chiuse gli occhi, assaporando il vento sulla faccia. Un’ultima occhiata alla lettera che aveva in mano.

Un ultimo sguardo alla figura in riva a mare.

Quella lettera gli aveva fatto piacere ma sapeva, ora, di dover fare una scelta.

Ricordava ancora il bacio con cui si erano salutati lui e Rukawa un mese prima.

Ricordava ancora che aveva promesso al numero undici che, dopo i campionati nazionali, avrebbe deciso di loro due.

Non il fatto che stessero insieme, quanto il suo voler definitivamente rinunciare alle maschere che lo avevano contraddistinto per tutti quei mesi.

Adesso, Hanamichi non aveva più dubbi su cosa fare.

Guardò ancora la lettera, sentendo il vento accarezzargli il volto.

Un sorriso luminoso rivolto alla figura in riva al mare ed ecco che, ora, la lettera si alzava nel cielo, seguendo il vento.

Haruko lo aspettava e Sakuragi, osservando la lettera svolazzare in aria, sperò che, nel futuro, il suo rapporto con lei potesse salvarsi.

Le voleva un mondo di bene ma, dopo tutto quello che aveva passato, era giunto il momento di prendere atto delle sue priorità.

Haruko lo aspettava.

Ma anche Kaede Rukawa.

Haruko era una sua cara amica.

Kaede Rukawa, invece, rappresentava la sua metà.

E Sakuragi, con quella certezza nel cuore, si volse definitivamente verso la clinica.

Il futuro, anche se pieno di ostacoli, non gli era mai parso più roseo.

Un futuro che avrebbe affrontato senza più maschere né vergogna.

Un futuro che avrebbe affrontato a testa alta, con indosso un’unica maschera: quella del suo vero volto.

 
***
 

Rukawa guardò la figura di Sakuragi allontanarsi, fino a diventare piccola, per poi scomparire definitivamente.

Non appena era stato convocato in nazionale, subito aveva notato quanto fosse vicino a Hanamichi.

Mito gli aveva, infatti, fatto sapere subito l’indirizzo della clinica in cui risiedeva e lui aveva pensato, leggendo la sua convocazione, a un segno del destino.

Non aveva perso tempo e subito aveva cercato di vederlo.

Era stato fortunato.

Il giorno prima, correndo sulla spiaggia, aveva notato la sua figura seduta sulla sabbia.

Gli aveva mostrato la maglia della nazionale e Sakuragi aveva capito che lui continuava ad aspettarlo, mantenendo fede alla sua promessa.

Sapeva che la situazione era complicata, Mito lo teneva aggiornato, e Rukawa, con quel gesto, aveva voluto dirgli di non arrendersi, perché quella maglia, presto o tardi, sarebbe toccata anche a lui.

Quella maglia, che per il momento era solo lui a indossare, rappresentava il loro futuro e la loro carriera sportiva.

Lui c’era e ci sarebbe stato sempre e, finalmente, anche Sakuragi lo sapeva.

Finalmente, Hanamichi sapeva quello che provava per lui e aveva deciso di fidarsi.

Aveva atteso a lungo questo momento, il momento in cui Hanamichi si sarebbe completamente fidato di lui e, dopo tutti quei mesi, era alla fine giunto.

Osservò la lettera, che Hanamichi leggeva pochi minuti fino a pochi istanti prima del suo arrivo, volteggiare per aria fino a fermarsi ai suoi piedi.

La raccolse, vedendo chi era il mittente.
 

Sakuragi-kun, io ti aspetto!
 

Così scriveva la Akagi.

Ma non era l’unica ad aspettarlo e questo era un concetto su cui Rukawa avrebbe rimarcato, senza sforzo, all’infinito.

Sakuragi finalmente sapeva che ora c’era anche lui ad aspettarlo.

Come aveva saputo anche che, alla fine dei campionati nazionali, avrebbe dovuto dargli una risposta definitiva su loro due. Era questo il termine che Rukawa, tempo prima, aveva dato all’altro.

Le cose poi si erano complicate ma, a quanto pareva, Sakuragi non aveva dimenticato né accantonato la faccenda.

Rukawa sorrise al mare e alle onde che si infrangevano sulla battigia.

Con quel gesto, il numero dieci, era stato fin troppo chiaro.

Hanamichi aveva fatto la sua scelta.

Alzò la mano con cui aveva raccolto la lettera, decidendo di lasciare il foglio di carta nuovamente alla mercé del vento.

Era giusto così.

Perché Rukawa ora aveva solo bisogno di richiamare alla mente il sorriso che Hanamichi gli aveva fatto prima di rientrare in clinica.

Presto, la convocazione sarebbe finita e lui sarebbe tornato a casa con il cuore in subbuglio per tutti i preparativi che aveva in mente per se stesso e per il suo do’hao.

Perché non lo avrebbe più lasciato solo.

Era una cosa alla quale pensava da un po’.

Hanamichi, dopo la riabilitazione, non sarebbe potuto rimanere da solo né lavorare come faceva un tempo.

Ci avrebbe pensato lui e sapeva che Mito non avrebbe obiettato.

Con questa consapevolezza, ritornò a correre riprendendo il suo allenamento, mentre un sorriso gli illuminava il volto.

Il suo animo era sereno come non lo era da tempo.

Il futuro si presentava difficile ma, per Rukawa, quelle difficoltà non erano niente se paragonate a quello che aveva passato, soprattutto per avvicinarsi a Sakuragi.

Perché, finalmente, il do’hao aveva guardato avanti.

Finalmente, aveva voltato pagina sul suo passato.

Finalmente, lo aveva accettato ma soprattutto, aveva accettato se stesso.

Per Rukawa ora esisteva solo il futuro.

Un futuro da percorrere insieme alla persona che amava, un futuro fatto di loro due.

Perché Hanamichi aveva scelto.

Aveva scelto Lui.
 


The end
 


Note:
 

Anche questa storia è finita.

Doverosi sono i ringraziamenti a tutti i lettori che mi hanno sostenuto con le loro recensioni, a chi ha inserito la storia tra le seguite, le preferite e le ricordate.

Ovviamente, grazie anche a chi ha semplicemente letto.

Per me la storia finisce qui, sulla famosa spiaggia raffigurata nelle ultime pagine del manga.

Tuttavia potrebbe anche esserci una terza parte, per cui, faccio la domanda a voi lettori; preferite che la storia finisca qui, con il finale classico del manga o che vada avanti con un seguito totalmente inventato da me?

Inoltre, per un’ipotetica terza stagione, vorrei anche approfondire la figura di Mito affiancandogli una figura maschile (in realtà mi piacerebbe scrivere di lui e Sendoh, dato che Mito mi piace molto come personaggio e quindi vorrei affiancarlo a quello che, per me, dopo Rukawa è il massimo del massimo! Quindi, fatemi sapere cosa ne pensate di questa ipotetica coppia).

Tra l’altro, approfondendo la figura di Mito, non vorrei uscire fuori dalla linea conduttrice della mia storia che si basa su Hanamichi e sui suoi problemi.

Per cui, potrebbe anche esserci una nuova storia con un nuovo titolo, slegata da questa che prende in considerazione solo Mito (anche se potrebbero esserci riferimenti al “Tuo vero volto” oppure potrebbe essere una storia parallela a questa fic).

Quindi, dato che sono molto indecisa, chiedo consiglio a voi!

Nel frattempo, spero che il capitolo finale vi sia piaciuto!

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate!

Grazie a chi è arrivato fino qui.

Pandora86

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