Autumn.

di Greenfrog
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Brezza d'autunno. ***
Capitolo 3: *** Jase. ***
Capitolo 4: *** Charlotte. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***



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Prologo.
 

And I'm free fallin, free fallin.
Yeah, I am free fallin, free fallin.


 



Che cos’è l’autunno?
E’ un lento sfrigolio di verdure arrostite in cucine arancioni; è lo stridio delle ruote nelle strade la mattina presto; è l’arancione, il rosso e il giallo; sono le foglie che scricchiolano sotto le suole; le caldarroste per strada che impregnano ogni cosa di loro; è l’odore di piaggia e di erba tagliata; è il the con i biscotti alle cinque di pomeriggio; è la malinconia e i sospiri davanti alla finestra; è la felicità fatta da piccole cose; è uno stato d’animo; è un’attesa per qualcosa che alla fine non arriva quasi mai; sono io.

Mia mamma mi ha raccontato che quando sono nata, il tre ottobre di sedici anni fa, subito dopo che il mio testino è spuntato urlante, l’aria è sembrata più viva, i colori più vivaci, le foglie più colorate, più scricchiolanti, la lieve pioggerellina che batteva quella mattina, più soffice sulla pelle. Mi ha detto che da quando sono nata gli autunni che si sono susseguiti in questi sedici anni sono stati i più accesi, i più colorati della sua vita. Come se avessi amplificato ogni autunno facendolo sembrare quasi vivo. Mi ha anche detto che per lei io rappresento l’autunno, che tutto di me glielo ricorda, i miei capelli rossi, mossi e arricciati come i bordi delle foglie quando stanno per cadere, i miei occhi verdi come screziature gialline, le mille lentiggini che riempiono tutto il mio corpo, dice che anche il suono del mio nome le ricorda questa stagione, Sarah, come se fosse un sospiro al vento, una parola mormorata da un’amante tormentato che osserva alla finestra le foglie che cadono e lascia che la brezza soffi via ogni suono.

E io, io cosa sono? Io sono la sveglia alle sei di mattina solo per godermi la sensazione della cosa ancora immobile e addormentata;  sono tante risate senza senso;  sono l’odore di mandorle e cannella; sono il the con i biscotti alle cinque di pomeriggio; sono i pianti infiniti sotto le coperte dopo aver finito di leggere qualcosa di particolarmente triste; sono l’odore di libri che si posa sulla pelle ogni volta che entri in una libreria; sono il caffè senza zucchero; sono i sorrisi regalati agli sconosciuti solo per provare a rendere la loro giornata migliore; sono la malinconia improvvisa che ti afferra il cuore e ti fa boccheggiare di dolore; sono gli abbracci caldi degli amici; i baci soffiati tra due timidi ragazzi; le calze di lana quando ti si gelano i piedi; sono l’autunno.









 

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Capitolo 2
*** Brezza d'autunno. ***


Salve, vorrei ringraziare di cuore le tre persone che hanno recensito il prologo, gli sono
davvero grata. Seriamente. Ovviamente grazie anche a quelli che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite.
Detto questo ho scritto questo fastidioso inserto pre-capitolo solo per avvertirvi che Harry non comparirà subito. Quindi, se amate
le storie in cui compare lui dopo le prime due righe, bè, anche se mi dispiace, forse è meglio se cambiate storia.
Adesso vi lascio, sono stata abbastanza noiosa.
Buona lettura, e grazie ancora.



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Do you ever feel, like a plastic bag dirfting
through the wind, wanting to start again?

 

 








La brezza fredda passa attraverso lo spiraglio della finestra. Mia madre si lamenta ogni giorno di quella piccola imperfezione che fa in modo che la lastra di vetro non combaci perfettamente con il sostegno in legno, e io ogni giorno ribatto che a me piace così, mi piace sentire il vento freddo baciarmi la pelle un attimo prima di svegliarmi, mi piace sentire il gelo pungente dell’inverno mentre sono al calduccio sotto le coperte, mi piace sentire gli odori del giorno che sta per venire. Quella piccola asimmetria rende la mia giornata bella da subito, grazie a lei riesco a sentire tutti gli odori, riesco a godermi il mattino e il caldo della mia casa.
Apro gli occhi, il mio sguardo cade distratto sul piccolo orologio in legno che c’è nel mio comodino. In realtà non ce ne sarebbe bisogno, so già che ora è, ma è una di quelle piccole abitudini che ti aiutano a far partire la giornata per il verso giusto.
L’orologio è esagonale e davvero minuto, ricoperto di legno chiarissimo che lo stringe come per dargli calore. Strofino i piedi tra di loro per riscaldarli ed esco da sotto le coperte. La casa è buia e silenziosa, è domenica mattina, dovrei svegliarmi per ultima, con il sole già sorto da un pezzo e gli odori del pranzo che fluttuano per tutta la casa. Ma io amo svegliarmi presto, come amo lo spiraglio nella mia finestra. Mi piace sentire il silenzio della casa interrotto dai lievi sospiri di mia madre, mi piace veder sorgere il sole dalla piccola terrazza che c’è in cucina con in mano una tazza di caffè bollente.
Mi alzo, vado in bagno e mi sciacquo la faccia, e poi scendo in cucina, il parquet scricchiola e io adoro questo rumore, mi ricorda lo scricchiolio delle foglie secche sotto le suole. Mi ricorda l’autunno, mi ricorda me.
Preparo il caffè e lascio che la sua fragranza si sparga per la casa e accarezzi i sogni di mia madre. Appena è pronto mi verso la bevanda bollente in un tazzone marrone che mi aveva portato anni fa mia zia da Disneyland, esco fuori e mi seggo su una grande sedia a dondolo che ho chiesto a mia madre l’anno scorso. Sto bene su questa sedia, mi avvolge, mi protegge, la sento come un’estensione del mio corpo, come se un po’ fosse parte di me. Forse lo è, ha preso il mio profumo ormai, ha preso la mia forma. Mamma giusto un paio di giorni fa mi ha detto che ha provato più volte a sedersi su questa sedia ma è come se la respingesse, come se lei fosse un corpo estraneo alla sedia, dice che questa sedia è come me: respinge tutti quelli che non sono della misura giusta. Non che questo voglia dire che io sia selettiva nelle amicizie, anzi, non lo sono per niente, anche solo perché di amici, ne ho veramente pochi.
C’è solo una persona con cui riesco ad aprirmi veramente, a mostrare la parte più intima della mia anima, Jase. Lo conosco da quando sono nata, anno più, anno meno, ed è il mio mondo. So che sembra strano ma ho la sensazione che io e lui siamo gemelli. Ovviamente non lo siamo, si può anche capire dall’aspetto e dal carattere, ma ci apparteniamo in un modo da togliere il fiato.
Mamma dice che le facciamo impressione, come ci muoviamo quando siamo insieme, come ci tocchiamo, come ci basti uno sguardo, e a volte neanche quello, per capire tutto, come ogni volta che sto male, senza bisogno di chiamarlo Jase spunta davanti a casa, puntuale come un orologio e mi abbraccia, e come io faccio lo stesso con lui. Dice che le facciamo paura, mia madre, che sembriamo un’anima separata in due corpi. Di aspetto fisico, invece, siamo gli antipodi. Lui ha i capelli castano scuro, quasi neri, sono lisci, solo le punte sono leggermente arricciate, gli occhi verdi tendenti all’azzurro, sono così di ghiaccio che tolgono il respiro, il sorriso dolce e la pelle ambrata. E soprattutto, è bello. E’ bello in una maniera imprescindibile, non ho ancora conosciuto qualcuno che non dica che Jase è un bellissimo ragazzo. Nessuno. Penso che pensino i ragazzi si siano arresi ad ammetterlo. Non che io mi consideri brutta, ma bella di certo no, sono così bianchiccia, così cadaverica  e poi d’improvviso, questi capelli infuocati, come se la mia testa fosse accesa da un tizzone ardente. L’unica cosa che mi piace realmente è la mia gestualità, mi piace come muovo le mani mentre parlo, mentre cucino e anche mentre sfoglio i libri.
Da piccola correvo per casa muovendo le mani, in cerca di un movimento bello da rifare mille e mille volte e di cui vantarmi con mia madre e le compagnette di scuola. Adesso ovviamente non lo faccio più, ma a volte mi osservo le mani e inizio a muoverle per vedere quale movimento possa aggiungere ai miei abituali. Quindi, se qualcuno mi chiedesse, “cosa ti piace di te?” io risponderei “Le mani”. Al contrario, se qualcuno mi chiedesse “cosa di piace di Jase?” io risponderei “Tutto”. Chiariamo una cosa, non sono innamorata di lui, e lui non lo è di me, non siamo due anime gemelle,  non ci sogniamo la notte e ogni volta che ci vediamo non abbiamo gli ormoni che impazziscono, no, quella è roba da libri o da fan fiction, io e Jase ci amiamo, ma non come fidanzati, no, come fratelli, come gemelli. Purtroppo, per via del suo aspetto, tutte le ragazze che incontro mi si avvicinano solo per  riuscire a stare insieme a lui. Ma non è di certo per questo che non ho molti amici, la verità è che non sento il bisogno di legarmi a qualcuno. Jase è un’eccezione, ma tutti gli altri sono regola. Non me ne faccio niente.
Mi va bene la mia vita così com’è, così com’è sempre andata.


-Buongiorno tesoro mio-


Le labbra di mia mamma si posano delicate e calde sulla mia guancia e le sorrido


-Buongiorno mamma, è rimasto un po’ di caffè, prenditelo se vuoi, io ho finito-

Lei annuisce e io mi alzo.
Camera mia è dalla parte est della casa, è l’unica stanza che da su quel lato e ringrazio ogni volta mia madre per essersi convinta a lasciarla a me. La finestra  dà sulla parte interna del giardino, dove cresce un mandorlo solitario, è l’unica della stanza, ma è molto grande e la luce entra benissimo. Mi avvicino alla cassettiera e tiro fuori un maglione arancione che mi arriva un po’ sopra le ginocchia e i miei soliti jeans logori.
Non ho un armadio perché quando ero piccola piangevo temendo che potesse uscire qualche mostro pauroso e ,un giorno, quando avevo appena sei anni, un’anta si è aperta scricchiolando, da quel momento odio gli armadi. L’unico che c’è in casa è in bagno, ma non so se si possa chiamare propriamente armadio, mi arriva alla vita, e se anche uscisse un mostro, con un calcio lo stenderei, quindi va bene così. Mi infilo gli stivali neri e scendo, accenno un lieve “sto uscendo” e mi chiudo la porta alle spalle. Mia mamma sa che la domenica la passo sempre con Jase, non c’è più bisogno di avvertirla.





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Capitolo 3
*** Jase. ***






Salve a tutte. Ancora grazie infinite per le recensioni e per chi ha messo la storia tra le
ricordate/seguite/preferite. In questo capitolo appare Jase per la prima volta, spero vi piaccia,
e un personaggio che a me affascina molto. Spero sia lo stesso per voi. Ci tengo a ricordarvi, ancora
una volta, che Harry comparirà dopo un pò. Ancora grazie. Un bacio e buona lettura.

Green xx



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Percorro il viale alberato in religioso silenzio, ascoltando il fruscio delle foglie trasportate dal vento e le gomme che bruciano l’asfalto nelle strade. Mi piace questa via, è tranquilla e serena, silenziosa.

Casa di Jase è simile alla mia, ma leggermente più piccola, nonostante siano di più in casa. Non stanno stretti, che sia chiaro, a loro va bene così, e anche a me.
Neanche finisco di percorrere il vialetto d’ingresso che Jenny, la madre di Jase apre la porta e mi sorride insonnolita.

-Mi ha detto che eri sul vialetto, è in camera sua-

Le sorrido di rimando, come ho detto, il rapporto mio e di Jase è profondissimo, da togliere il fiato, succede sempre così, ci accorgiamo prima di qualsiasi cosa, semplicemente sappiamo dove è l’uno e dove è l’altro, è una cosa che abbiamo dentro, nello stomaco, negli occhi, nel cuore, ci scortica vivi e allo stesso tempo ci nutre e ci salva, siamo la salvezza l’uno dell’altro.
Salgo le scale e mi dirigo verso la stanza più a ovest della casa, esattamente nel lato opposto di dove si trova la mia. Apro la porta e la richiudo alle spalle, rabbrividisco, è tutto buio, io odio il buio assoluto, mi fa venire ansia, prurito al cuore, un prurito che mi graffia, mi fa sanguinare, mi ferisce rendendo ancora più profonde cicatrici mai rimarginate nonostante il tempo. Mi avvio alla finestra, alzo la serranda e spalanco le ante. Sento il respiro regolare di Jase, troppo lieve perché stia davvero dormendo. Mi seggo sul bordo del letto e gli bacio la fronte.

-Buon giorno-

Lui continua a tenere gli occhi sigillati io sospiro, neanche mi muovo che lui tuona

-NON FARLO! SARAH, TI UCCIDO!-

Io rido e gli tolgo le coperte di dosso e nello stesso momento una folata di vento entra violenta nella camera. Lui rabbrividisce e si rannicchia su se stesso, continuando a tenere gli occhi sbarrati

-Tu vuoi farmi ammalare vero? Non mi sveglio, non l’avrai vinta-

Dopo che borbotta queste parole scoppio a ridere

-Sei già sveglio ritardato! E si, preferisco farti ammalare che vederti tutto il giorno disteso su questo dannato letto a non fare nulla!-

-Sarah! Per l’amor di dio, non sono neanche le sette! Ci sarà una domenica in cui mi lascerai dormire almeno fine alle otto? Non chiedo tanto, solo le otto!-

Così dicendo si copre la testa con il cuscino, io ridacchio divertita

-Oh Jase, su, non costringermi a buttarti giù dal letto! E poi è anche per te se ti sveglio così presto, serve da allenamento per i giorni in cui ti devi alzare per la scuola!-

Lui mi tira il cuscino in faccia e si alza scocciato

-Ti odio! Non smetterò mai di ripetertelo! –

-Stai urlacchiando come una donna mestruata!-

Gli urlo dietro un secondo prima che faccia sbattere la porta del bagno con forza. Aspetto che il rumore scrosciante della doccia si sia arrestato per entrare. Jase è avvolto dall’accappatoio e si sta scuotendo i capelli gocciolanti. Se fossi una di quelle ragazze che gli stanno dietro elogerei la sua bellezza e gli salterei addosso, ma non lo sono quindi scoppio a ridere

-Sembri un cane se scuoti i capelli così!-

Lui mi guarda e scoppia a ridere a sua volta

-Riesci sempre a rovinare tutti i miei tentativi di apparire sexy!-

-Ma smettila! E vedi di fare in fretta … JASY!-

Lui sgrana gli occhi
-Come mi hai chiamato?!-
Io ricomincio a ridere e scappo, mentre lui tenta di afferrarmi, non ci mette molto, sono una schiappa a correre, mi afferra e inizia a farmi il solletico

-Ja..Ja.. Jase… ti prego smettila!- sono le uniche parole che riesco a soffiare mentre rido e mi dibatto come un’idiota

-E tu smetti di chiamarmi in quel modo orribile! Non avrei mai dovuto dirti che mia nonna mi chiama in quel modo!-

-Ok,ok, hai vinto, la smetto-

Crollo a terra sfinita senza smettere di ridacchiare. Jase mi scavalca ridendo e va a cambiarsi. Non so precisamente quanto rimango sdraiata su questo pavimento a fissare il vuoto, sto comoda, quindi non ho alcuna intenzione di alzarmi, so solo che il mio migliore amico ha finito e si sta avvicinando a me, sento i suoi passi leggeri rimbombare nel pavimento e già so com’è vestito, felpa grigia, jeans, converse, rosse molto probabilmente. Sento il suo corpo stendersi accanto al mio.

-A volte, quando sono da solo a casa, mi distendo su questo punto e fisso il soffitto, pensando a qualsiasi cosa e a nulla nello stesso momento, mi rilassa, mi fa sentire leggero-

-Lo so-

Rimaniamo così, forse per anni, secoli, millenni, fino a che sento la caffettiera fischiare, probabilmente Jenny si è rialzata e ha deciso di farsi un caffè.

Mi alzo e con Jase usciamo di casa, ripercorriamo il viale alberato in silenzio, ma, invece di continuare dritto per casa mia svoltiamo a destra.
Finiamo in una via grigia e puzzolente, avanzando un po’ c’è un ristorante cinese gestito da due signori vecchissimi, immigrati qua da venti anni, su per giù. Noi ci divertiamo a provare ad indovinare la loro età e un giorno, un paio di anni fa, Jase urlò, mentre eravamo sopra un albero “Porca miseria! Questi due sono più decrepiti di Albus Silente!” Io caddi dal ramo in cui mi ero arrampicata e quando lui si fiondò verso di me preoccupato mi ritrovò rannicchiata su me stessa, a tenermi la pancia, con le lacrime agli occhi dalle risate e si unì a me poco dopo, entrambi per terra, sporchi di fango, che ridevamo sguaiati al cielo. Penso che quello sia stato il giorno in cui ho riso di più in tutta la mia vita.

Siamo arrivati all’altezza del ristorante, sento gli odori della   cucina già in funzione e mi brontola la pancia. Jase non dice niente, si limita a guardarmi divertito, sa che ho un debole per quel posto. Aggiriamo il locale e ci ritroviamo,da un lato, la porta secondaria del ristorante e la spazzatura con i resti della cena, dall’altro una bassa recinzione mezzo spaccata. Il mio amico la scavalca con facilità e mi tende la mano per aiutarmi.
La afferrò e mi butto dall’altro lato, per un soffio non faccio impigliare il mio maglione nel filo spinato, sospiro di sollievo. Non ci molliamo le mani e ci incamminiamo in un vialetto grigio di terra battuta. Poco a poco si trasforma in un prato luminoso e solitario, pieno di fiori e coccinelle e, qua e là, qualche albero solitario. Abbiamo trovato questo posto all’incirca cinque anni fa, dopo un pranzo particolarmente sostanzioso al ristorante cinese; subito dopo essermi alzata da tavola avevo decretato il mio terribile desiderio di sdraiarmi su un prato in solitudine e tranquillità per riuscire a digerire in santa pace le delizie appena trangugiate.
La signora Xiang, una dei due proprietari del negozio, mi aveva sentito e gentilmente mi aveva detto, parole sue testuali “A volte bisogna guardare dietro per trovare ciò che si desidera” io credevo fosse una delle massime poetiche che a volte tirano fuori le nonnette cinesi, Jase non la pensava allo stesso modo.
Dopo due giorni passati a tormentarsi e tormentare me su questa storia, siamo tornati al ristorante e, dopo aver mangiato due biscotti della fortuna, lui è corso dalla vecchietta a chiederle il significato di quella misteriosa frase. Lei si è limitata a sorridergli e dire “La soluzione, la maggior parte della volte, è molto più semplice e più vicina di quanto tu possa credere”. A quel punto gli occhi di Jase di sono illuminati e mi ha trascinata dietro il ristorante, appena girato l’angolo vedemmo la recinzione e lui si buttò dall’altra parte, quasi dimenticandosi di me. Appena scavalcai anche io, ci incamminammo, proprio come oggi, mano nella mano e, appena scoprimmo il prato ci mettemmo a ridere come due scemi.
Da quel momento in poi questo è il nostro posto. Non lo conosce nessuno oltre noi e i signori Xiang e non penso, data l’età, che loro continuino a venirci. Ci distendiamo nel centro esatto e Jase mi guarda

-Allora?-

-Allora che?- gli rispondo, mentre gioco distratta con dei fili d’erba.

-Lo sai-

Alzo lo sguardo e incontro i suoi occhi, abbasso il capo.

-Jase io…-

-No, Jase un cazzo! Devi smetterla, lo sai-

-Jase non decido io chi sognare! E poi a me non dà fastidio, mi piace, è un modo dolce di ricordarla-

-Bè, vedi di smetterla, mi sono scocciato di sognarla-

-Non è colpa mia se sogniamo le stesse cose- dico, ottusa, continuando a fissare imperterrita una stelo d’erba.

Lo sento sospirare, il suo respiro si fa più vicino.

-Sarah … lo sai. Non ce la faccio, io ci ho provato a sopportare questi sogni ma, scusami, non ci riesco-

-E’ mia sorella Jase, la mia gemella! Dovrei essere io a non reggere questi sogni, non tu! Perché sono così diversa? Così sbagliata? Dimmi cosa c’è che non va in me!-

Lui mi stringe forte al suo petto, circondandomi con le sue braccia calde.


-E’ diverso ,Sarah. Non siete mai state davvero gemelle, lo sai anche tu. C’era qualcosa di sbagliato nel vostro rapporto, nel vostro modo di essere, ne abbiamo parlato tante volte. Ti prego, non piangere, sai che mi si riempie tutto lo stomaco di tristezza, che il dolore mi scortica vivo quando piangi-

Mi aggrappo alla sua felpa come se fosse un’ancora di salvezza, e forse lo è.

-Shh, chiudi gli occhi- mi sussurra all’orecchio e io li chiudo, gli occhi.

Mi faccio cullare da lui verso l’oblio assoluto, l’oblio tanto agognato.










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Capitolo 4
*** Charlotte. ***




Ciao a tutti, belli e brutti. In questo capitolo entra in scena un
nuovo personaggio che sarà importantissimo per il futuro svolgimento della storia.
Si capirà solo più il là l'importanza di Charlotte. Non vi spoilero più nulla,
non vorrei rovinarvi la sorpresa. Volevo solo dire che una ragazza mi ha tolto la recensione,
e mi è dispiaciuto molto ciò. Non perchè adesso ho una recensione in meno, assolutamente,
ma perchè mi piacerebbe sapere il motivo di tutto ciò. La cosa quindi che più mi ha "ferito"
è che non mi ha scritto il motivo, nulla, tutto svolto in silenzio.
Quindi, se mi recensite e poi decidete di togliere la recensione, va benissmo, ma vi pregherei

di dirmi come mai, se la mia storia vi ha annoiato, è lenta, è scritta male o cse del genere.
Fa sempre bena un pò di sana critica!

Per oggi vi ho annoiate abbastanza, buona lettura.
Un bacio,

Green xx



                                            

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Io, tanto tempo fa, avevo una gemella.

Si chiamava Charlotte. Non l’ho mai amata, come lei non ha mai amato me, non riesco ad amarla neppure adesso, forse è per questo che la sogno, per i sensi di colpa. Era più alta di me, in realtà era più tutto di me. Bellissima, bravissima, la solita sorella perfetta. E non ci somigliavamo per nulla.
Lei aveva i capelli neri come la pece e gli occhi altrettanto scuri, la pelle di un bel colore ambrato, un sorriso senza alcuna imperfezione (io ho dovuto tenere l’apparecchio per un anno intero quando avevo nove anni). Non mi ha mai messo in ombra, nonostante ci provasse costantemente,  perché sono sempre stata io la più amata da nostra madre. Non ne vado fiera, ma so che se fosse stato il contrario adesso non sarei quella che sono, quindi ringrazio ogni giorno mamma per l’amore che mi ha sempre dato e dimostrato.

Mia sorella mi odiava, ma io non odiavo lei, mi è sempre stata terribilmente indifferente. Mi odiava perché, nonostante io fossi asociale, strana nell’aspetto e nelle abitudini, non facessi alcuno sport ai livelli in cui lo faceva lei, non avessi la media scolastica che aveva lei, io avevo tutto ciò di cui avevo davvero bisogno: mia madre, un gatto, e Jase. Lei invece aveva migliaia di amici, prendeva sempre il massimo dei voti, era campionessa regionale di equitazione e aveva ballato al balletto più importante della città, ma non aveva me. So di poter sembrare cattiva e menefreghista, ma questa è la verità. Non l’ho mai disprezzata, non le ho mai risposto male, mai litigato con lei. Semplicemente, l’altra metà della mia anima non era dentro di lei, era in Jase, e c’è tuttora, e penso ci sarà sempre.
Credo che, però, l’altra metà dell’anima di Charlotte fosse dentro di me.
E’ l’unica spiegazione che mi do per riuscire a comprendere il suo comportamento. Desiderava avere me come amica, come sorella, come gemella, in una maniera spasmodica, quasi maniacale, e mi odiava perché non ero in grado di darle ciò di cui aveva bisogno. Chiedeva tanto? In realtà no. Chiedeva ciò che una gemella dovrebbe avere di consuetudine, lo so perché se con Jase fosse andata come con Charlotte, avrei fatto le stesse cose che ha fatto lei per me.
E, probabilmente,sarei arrivata ad odiarlo, prima o poi. Ma, fortunatamente, con Jase non è capitato niente di tutto questo e posso godermi appieno i privilegi di avere un gemello. Fatto sta che ho vissuto tutta la mia vita con accanto una sorella che mi chiedeva ciò mai avrei potuto darle, volente o nolente. E lei ha vissuto tutta la sua vita con una sorella che non è mai riuscita ad amarla, che aveva dentro un pezzo della sua anima ma non l’ha mai desiderata, ha vissuto con una madre che, nonostante tutto, non è riuscita a darle l’amore di cui aveva bisogno e ha vissuto, soprattutto,  sotto l’ombra di Jase. 
Charlotte odiava Jase. Non come odiava me, lo odiava nel vero senso della parola.
Lo detestava, gli avrebbe dato fuoco, se fosse stato per lei. Perché lo odiava? Perché non era nulla, eppure aveva me.
Non aveva mai fatto uno sforzo eppure aveva ciò che lei, per una vita intera, aveva cercato di ottenere, con nessun risultato. Jase, da parte sua, provava per Charlotte ciò che non è mai riuscito a provare per nessun’altra ragazza sulla faccia del pianeta: la amava. Lo so perché l’ho sentito, ho sentito quello che provava lui quando la guardava, ho sentito quell’emozione pura che gli nasceva nel centro del petto . Non gliel’ha mai detto, ovviamente, ma lei se ne accorse e iniziò a farlo stare male solo per tentare di ricattarmi. Alla fine fallì, ma i sentimenti di Jase hanno continuato a tormentarlo. Quando lei morì eravamo insieme, una delle poche volte.

Eravamo in casa, ognuna in camera propria, mamma era uscita per fare la spesa, questione di pochi minuti e sarebbe ritornata. Non trovavo il mio diario e sapevo che sicuro Charlotte l’aveva rubato, come faceva spesso, per leggere di me, desiderosa di conoscermi come non aveva mai fatto. Bussai alla sua porta e non mi rispose nessuno, entrai lo stesso e la porta mi si chiuse alle spalle. Davanti, buio. Un’oscurità densa, cattiva, che mi pesava sulle spalle, un senso di desolazione che grasso aveva iniziato a mangiarmi il cuore. Mossi qualche passo a inciampai. Mi ricordo ancora che davanti ai miei occhi trovai i suoi, neri e bianchi, sofferenti, in cerca dell’unica cosa che le avevo sempre negato: amore. Aperti, spalancati ancora con quell’urlo di aiuto stampato sopra, freddi, morti. Le loro pupille nere strisciavano su di me, indagatorie, cercando di trasmettermi tutto il loro disprezzo.

Mi ricordo che iniziò a prudermi il collo e che inizia a grattarlo in modo compulsivo, distesa là, nell’oscurità di una camera estranea con una gemella morta al mio fianco. Mi ricordo di aver sentito la porta cadere per terra, scardinata della spallate di Jase, mi ricordo i suoi occhi quando aprì la porta ci trovò in quella posizione, poi il buio.
Sia mamma che Jase mi hanno raccontato che quando lui mi ha trovata, avevo un sacco di sangue che mi colava dalla nuca, mia madre ha detto che credeva che anche io avessi tentato il suicidio, ma Jase mi ha rivelato che l’aveva capito subito, e che anche lui aveva quel prurito malefico, malvagio, nella nuca, e anche lui si era scorticato la pelle fino a sanguinare. Mi hanno detto entrambi che sono rimasta in ospedale per sette giorni, e per sette volte il mio cuore si è fermato senza nessun motivo apparente.
E’ stata l’unica volta in cui si sia visto un minimo di legame tra me a mia sorella. Io so perché è successo: il pezzo di anima di Charlotte che risiedeva in me, che lei mi aveva donato con tanta speranza e amore e che io non avevo mai considerato, era morto. In un certo senso, finalmente, ero libera. Anche lei lo era, adesso lo eravamo tutte e due.
 Né io né Jase piangemmo durante il funerale, eravamo tutti e due scossi, lui era scioccato e sentivo il suo cuore stringersi sotto le terribile morsa del dolore, ma sapevamo che l’avremmo superata, insieme.
 
Mi sveglio e sento sulla pelle il sole che mi brucia le guancie, è caldo e pungente, è mezzogiorno, ne sono sicura. Neanche apro gli occhi che sento le labbra di Jase morbide sulla mia fronte.

-Ben svegliata pigrona-

Mi decido a schiudere gli occhi e gli sorrido contenta

-Non ho sognato nulla- esordisco, felice, prima di ri accoccolarmi tra le sue braccia.

-Lo so Sarah. Grazie, mi hai fatto passare una mattina serena-

Mi guarda con quello sguardo limpido e sincero che so che sa rivolgere solo a me.

-E’ grazie a te, lo sai. Quando siamo insieme lei si azzera-

Lui sorride triste.

-E’ sempre stato così, no?- mi domanda serio e dispiaciuto

-Si, è sempre stato così-

Ci guardiamo negli occhi per quella che sembra un’infinità e poi lui si alzò con un balzo, facendomi quasi cadere

-Allora, dormigliona, andiamo a prendere dieci chili di ciccia dai signori Xiang?-








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