Twilight: la mia terra sulla pelle

di FCq
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 Suolo Americano ***
Capitolo 3: *** 2 Bianco e rosso ***
Capitolo 4: *** 3) Uomini ***
Capitolo 5: *** 4 Invecchiare per diventare giovane ***
Capitolo 6: *** 5 L'erede ***
Capitolo 7: *** 6 Ferita mortale ***
Capitolo 8: *** avviso ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Buona sera! Questa è la mia seconda storia. In realtà, l'avevo in mente prima ancora di scrivere l'altra. Questa storia è Twilight. Tutti noi conosciamo il primo libro della saga, ma io ho cambiato alcune cose. Charlie e Renée non si sono mai separati e Bella ha un fratello maggiore. Non è tutto così semplice, capirete più avanti se vorrete seguire la storia. Un'ultima cosa, avrei voluto prima finire la storia e poi postarla, ma ho avuto un blocco mentre terminavo il primo capitolo e ho pensato di postare per avere qualche giudizio. Amo questa storia, spero sia così anche per voi:) 

Prefazione

Kyoto, luglio 2012

Il giovane uomo ingoiò il fiume di parole al sapore di fiele che bruciavano sulla lingua come acido. La vista del padre, il capo chino e le mani affondate nella chioma scura e riccia, lo fece desistere dall’infierire ulteriormente. Per quanto desiderasse continuare la sua arringa, ricacciò in gola anni e anni di accuse, come un giocoliere caccia in bocca una torcia infuoca. Charlie Swan aveva innumerevoli difetti, che non aveva mai mancato di mostrare a differenza dei pregi. Qualora ne avesse avuti, si era guardato bene dal darne atto ai suoi figli. Qualche mese prima, quando non era ancora padre, Rian avrebbe detto che fosse quello il pregio del padre: l’intensità con la quale difendeva le proprie azioni, per la maggior parte sconsiderate. Charlie aveva avuto solo uno scopo nella vita: il lavoro. Il capo della polizia era sorprendentemente stimato da tutti gli abitanti della ridente cittadina calabrese nella quale avevano abitato. Nessuno avrebbe potuto contestare il suo operato, ma ogni idilliaca illusione su di lui sarebbe svanita non appena chiunque avesse trascorso con lui un solo giorno. Charlie non era cattivo, ma non aveva mai imparato, nei vent’anni in cui era stato padre, a diventarlo. Né tanto meno aveva calato se stesso nel ruolo di marito, totalmente incapace anche in quello. Le differenze sostanziali che catapultavano Charlie e Renée, madre di Rian e Isabella, in due universi paralleli avevano via, via reso la convivenza impossibile. Lui, di un’altra generazione, di un’altra educazione, troppo silenzioso, opprimente, distante (incredibile come queste due caratteristiche potessero coesistere nello stesso individuo) e lei, di un’altra generazione, di un’altra educazione, gentile con chiunque, solare e lunatica. A differenza della maggior parte dei pargoli, i due giovani nati da quell’unione sconsiderata si erano spesso chiesti cosa impedisse alla madre di sciogliere l’unione. Crescendo, avevano entrambi compreso che una serie di circostanze le aveva impedito quella scelta. In primo luogo, non avrebbe mai tolto un padre ai propri figli, secondo, la ristretta mentalità con cui era cresciuta e l’ambiente che la circondava non l’avrebbe mai favorita in quello, terzo, non avrebbe avuto altro luogo in cui andare.

≪Ho debiti con chiunque in città e un affitto che non posso più pagare≫, costatò Charlie, quasi ne prendesse solo ora coscienza; come se il figlio non lo sapesse.

Lo disse buttandola lì, come faceva da sempre. Non c’era giorno che non lo ricordasse a ognuno di loro. La situazione economica della famiglia di Rian era degenerata con il tempo, com’era prevedibile. I suoi genitori, inesperti nella vita di coppia quanto nel gestire le proprie finanze, avevano commesso un errore dopo l’altro. Lo stipendio di Charlie non bastava e il cibo in tavola era diventato un’incognita e poi un lusso. Le cose erano sembrate migliorare quando Rian aveva trovato un lavoro, ma, nel tempo che aveva perso per costruire tutto ciò che aveva in quel momento, qualcos’altro era andato storto. Il ragazzo ricordava le sere intorno al tavolo di ciliegio e il tono con cui il padre affermava che avrebbe risolto ogni cosa: nessuno aveva mai riposto reale fiducia in quelle parole, non a torto. Rian portò una mano davanti al volto, cercando un motivo valido per riaprire gli occhi e posarli nuovamente su Charlie, anziché girare i tacchi e rifugiarsi nelle braccia di sua moglie. Un paio di grandi occhi color cioccolato gli sorrise nella mente e ricordò una promessa fatta qualche anno prima. Scostò le dita dal volto e posò lo sguardo su quello dell’uomo che gli aveva dato la vita. Nonostante le sue stesse parole, sembrava indifferente. Rian sospirò. Il ragazzo aveva grandi occhi verdi e magnetici, impenetrabili, ma in quel momento da essi trapelava tutta la sua determinazione.

≪Pagherò i debiti, salderò l’affitto, ma alle mie condizioni. Mamma non riesce più a mettere piede fuori di casa e Bella non ha alcun genere di futuro – sorrise dolcemente – le ho promesso che non appena ne avessi avuta la possibilità, le avrei pagato un biglietto per andare via, dovunque desiderasse. Naturalmente era ironica, ha sempre preferito rinunciare a tutto, piuttosto che chiedermi in prestito dei soldi. E’ per natura una martire, esattamente come sua madre. Non ti permetto più di far fare loro questa vita. Prenderai la tua famiglia, lascerai la città e tornerai a casa di tuo padre≫, concluse.

Charlie impiegò qualche istante per comprendere il senso delle sue parole, in fine, quando fu giunto alla conclusione, sbottò con tono canzonatorio: ≪Mi stai chiedendo di lasciare la nostra città, il mio lavoro, la mia pensione? Per quale certezza?≫.

Rian strinse la mascella e per la prima volta diede anch’egli in escandescenza, fronteggiando il padre con un tono di voce glaciale.

≪Non hai mai fatto nulla di buono per tua moglie e tua figlia. Ora anch’io sono padre e il solo pensiero dei tuoi comportamenti e delle tue parole mi nausea. Mi assicurerò che tu abbia un posto, a Forks e pagherò i tuoi debiti. Riesci a pensare razionalmente? E’ l’unico modo che hai per riparare in parte a tutto quello che è successo...≫.

≪Mi pareva avessimo concordato che non sono stato l’unico a sbagliare≫, ribadì l’uomo.

≪Non di certo – ironizzò Rian- ma Bella merita di meglio. Sarai almeno concorde in questo≫.

Il volto di Charlie si contrasse pensando alla figlia. I loro rapporti non gli erano mai parsi idilliaci, a volte addirittura tesi. Era certo di non sapere nulla di lei, perché questa si ostinava a non renderlo partecipe della sua vita. Il motivo ancora gli sfuggiva. Sua figlia gli somigliava, fisicamente parlando: lo stesso colore degli occhi e dei capelli. Con la differenza che lei era mille volte più bella di quanto avesse potuto sperare, la seconda volta in cui gli era stato annunciato che sarebbe diventato padre. Aveva passato notti, giorni e pomeriggi interi alla caserma. Aveva conosciuto tanta di quella gente, alla maggior parte della quale era debitrice. Aveva cinquantatré anni e buttare al vento tutto quello che aveva fatto fino ad allora era un pensiero che non tollerava. Eppure, il figlio sembrava sostenere che in realtà non avesse fatto nulla.

≪Come posso arrivare così, in un altro Stato, ricominciare con un nuovo lavoro. La casa di mio padre è chiusa da quasi sessant’anni e...≫, cercò di dire.

≪Non avrete alcun tipo di problema economico, né di ambientazione. Tu sei nato a Forks, conosci la lingua≫, lo scosse il ragazzo.

≪Tua madre non si adatterebbe≫, disse lui.

≪Ora pensi a tua moglie≫, sibilò Rian, senza riuscire a trattenere le parole.

Per la prima volta Charlie non seppe cosa ribattere.

Rian era consapevole della moltitudine di fattori da prendere in considerazione prima di un passo del genere, ma aveva provato sulla propria pelle che cambiare era fattibile e, a volte, necessario. Se non avesse abbandonato ogni certezza per l’ignoto, quando ne aveva avuto l’opportunità, quel giorno non sarebbe stato lì, a pochi passi da sua moglie e dai suoi figli.

≪Non dovresti preoccuparti della tua pensione, sarà comunque una miseria. In Calabria non avete più niente e nessuno. A Forks hai una casa e una nuova prospettiva di vita≫, continuò il ragazzo.

Charlie ripensò ai ricordi di fanciullo che conservava della nuvolosa cittadina statunitense. Charlie Rian Swan senior era stato un giovane volontario sul fronte italiano nella prima guerra mondiale. In quel periodo aveva conosciuto Marie, una giovane di origini calabresi, con la quale era ritornato in America. Il distacco della ragazza, poco più che sedicenne, dalla vita che aveva precedentemente vissuto, la indusse in un profondo strato di depressione, così, con un bimbo di appena sei anni, ritornarono in Italia. Ora sarebbe toccato a lui far ritorno nella sua città natale, che il padre aveva amato moltissimo, per lo stesso motivo che aveva spinto Charlie senior a fare ritorno in Italia, con un bambino e senza alcuna certezza. Tutto ciò iniziò a non sembrargli più così irreale, benché i tempi fossero decisamente diversi.

≪E’ umiliante≫, sussurrò Charlie.

Che il figlio dovesse rimettere a posto i pezzi della sua vita non lo entusiasmava.

Lo sguardo del ragazzo si addolcì.

≪Andremo insieme a sistemare le cose. Sono certo che non esiteranno ad assegnarti un posto in centrale, considerando tutta la tua esperienza≫.

Charlie alzò lo sguardo sul volto di suo figlio, e vide un breve e infinitesimale accenno di approvazione.  

Alaska, tre anni prima

La piccola donna dai corti capelli corvini si lasciò cadere aggraziatamente sulla morbida e bianca coltre di neve. Una tempesta aveva imbiancato la zona adiacente alla proprietà, qualche ora prima. La suggestiva immagine dei monti innevati del North Peak le incatenò lo sguardo. Non ebbe bisogno di voltare il capo alla sua destra e distogliere lo sguardo per aprire una conversazione con il fratello minore.

Ti mancherà?, pensò Alice.

A sua volta, il giovane rosso non scostò lo sguardo dal caldo bianco, né mosse la curva morbida delle labbra per rispondere alla piccola veggente.

Per provare nostalgia dovrei prima aver abbandonato qualcosa, non credi?≫, per poi aggiungere, ovviamente sentirò la mancanza delle... tenaci attenzioni di Tanya e il suo intrufolarsi casualmente nelle mie stanze. In ogni angolo della mia camera c’è sentore della sua scia e il suo profumo impregna i miei abiti. Come impiegherò il tempo quando non dovrò più guardarmi le spalle dalla sua dolce impudenza?≫, scherzò bonariamente sul suo rapporto con la cugina.

La risata cristallina di Alice echeggiò oltre le cime dei monti. Una porzione di neve si staccò da un ramo poco lontano da loro e cadde a terra, con un tonfo silenzioso, inudibile per chiunque altro meno che per i fratelli Cullen. Il tutto, l’eco delle risa e il suono della neve al suolo, fu da sottofondo alla loro silenziosa conversazione.

Alice diede una gomitata al ragazzo. Per quanto avesse potuto utilizzare epiteti poco carini per commentare il comportamento di Tanya, in alcune circostanze, la sua naturale galanteria d’inizio novecento, fine prima guerra mondiale, non lo spinse oltre uno sfuggente sorriso ironico.

Perché la penisola Olimpica, Alice? Ci siamo già stati e non è nulla che valga la pena di rivedere una seconda volta. Potremmo spingerci a est ≫, propose Edward.

Erano gli anni quaranta quando la famiglia Cullen, ancora sprovvista di due membri, aveva oltrepassato la frontiera Canadese ritrovandosi immersa in una natura favorevole per la caccia. L’idea era quella di un luogo assolutamente pacifico e fuori dal mondo. Nessuno di loro aveva immaginato quanto in realtà lo fosse, fin quando non aveva avvertito la prima scia d’inconfondibile fetore e i loro sensi si erano talmente alterati da non lasciare adito ai dubbi sulla natura di ciò che avrebbero incontrato di lì a poco...

≪Temi che sia possibile incontrare nuove generazioni Quiliute? Io non ho visto niente, Edward≫, tentò d’indovinare la ragazza, sollevando le sopracciglia scure fin sull’attaccatura dei capelli.

Le sembrava impossibile che il fratello avesse simili preoccupazioni. In fatti, questo le lanciò un’occhiata torva, come a garantirle che in ogni caso non temeva il can che dormiva.

≪Allora cosa ti turba, Edward? Sei più criptico del solito≫, lo sfidò, mettendo su un infantile broncio.

Il ragazzo sembrò riflettere sulle parole della sorella. Le era parso turbato. Naturalmente non era consapevole di esserlo, gli sembrava che il suo stato d’animo fosse lo stesso dal momento in cui aveva riaperto gli occhi nella non-vita da immortale, ma si fidava ciecamente di Alice, perciò rifletté su cosa avesse potuto turbarlo.

≪Forse mi turba non riuscire a comprenderti. E’ incredibile che io non sappia cosa ti passa per la testa. Abbiamo sempre preso insieme le decisioni sul trasferimento della famiglia ma ora non conosco le tue ragioni e tu non intendi mettermi al corrente. Erro oppure ho dimenticato qualcosa?≫, disse il giovane, comprendendo solo in quel momento quando quella situazione lo avesse infastidito.

Di tutta risposta la ragazza gli si avvicinò, posando il capo sul suo petto ampio e stringendogli le braccia intorno ai fianchi.

≪Hai idea del bene che ti voglio?≫, chiese Alice

La risposta mentale e spontanea di Edward fu: sì. Ne era stato certo fin dal primo istante che l’aveva vista e Alice non mancava mai di ricordargli quanto l’amasse. Per la sintonia che li legava, se non avesse letto nei pensieri altrui che il sentimento era tutt’altra cosa e se non avesse visto con i propri occhi la devozione che la sorella provava nei confronti di Jasper, avrebbe detto fosse amore. Non ebbe bisogno di rispondere a quella domanda retorica, d’altronde Alice conosceva la risposta.

≪Credimi, allora, quando ti assicuro di non avere la benché minima idea del perché io abbia tanto insistito per dirigerci a sud. La scelta è stata casuale, la direzione: quella no≫, sussurrò.

≪Perciò non mi riguarda?≫, chiese lui.

≪Non che io sappia. Forse hai soltanto proiettato inconsapevolmente il tuo desiderio di trovare qualcosa per cui provare nostalgia≫, ipotizzò Alice.

Improbabile, fu il pensiero immediato del ragazzo. Perché mai avrebbe dovuto desiderare di avere qualcosa, ben sapendo che comportava provare orribili sensazioni come la nostalgia e la dipendenza. Esatto: dipendenza. Era quello che leggeva nella mente dei suoi familiari. Non che fosse un pezzo di ghiaccio – internamente sorrise per la propria battuta – di fronte all’amore coniugale. Invidiava chi era stato in grado di provarlo, perché la sensazione di completezza era quanto di più leggendario esistesse realmente nel suo mondo, benché lui fosse un vampiro.

Alice si avvicinò al fratello e passò una mano nei suoi capelli. Edward chiuse gli occhi e si adagiò sul suo palmo.

≪Meriti tutto il bene del mondo≫, sussurrò questa, prima di sparire lasciando dietro di se il sibilo del vento e neanche un’orma sulla neve.

E un vampiro, che tra i ghiacci, ebbe la sensazione incredibile di calore.

Se siete arrivate fin qui e siete curiose di sapere come proseguirà vi annuncio che sarà un po' difficile, in quanto trattare con delicatezza argomenti riguardanti difficoltà familiare è sempre difficile. Ps Io sono Calabrese, da qui lo spunto per la regione italiana. 

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Capitolo 2
*** 1 Suolo Americano ***


Buonpomeriggio. Sono tornata con il primo capitolo. Spero che vada meglio rispetto al prologo. Vorrei conoscere le vostre opinioni, davvero. Vi lascio alla lettura:)

 

1 Suolo Americano

Quella volta mi sono detto che le coincidenze, forse, sono dei fenomeni molto comuni. Si verificano in ogni momento intorno a noi, nella nostra vita quotidiana. Ma della metà non ci accorgiamo neanche, le lasciamo passare così. Come dei fuochi artificiali che vengono fatti scoppiare in pieno giorno. Fanno un po’ di rumore, ma nel cielo non si vede nulla. Però se desideriamo fortemente qualcosa, le coincidenze affiorano nel nostro campo visivo portando il loro messaggio.

Haruki Murakami, I salici ciechi e la donna addormentata

La splendida terra del Sol Levante vantava una temperatura media di venticinque gradi nei mesi estivi. Qualsiasi regione tropicale dell’America centrale e subtropicale del Golfo del Messico avrebbe degnamente tenuto il confronto con il Giappone e con i ricordi delle estati italiane, ma esisteva a nord-ovest di Seattle una cittadina estranea a ogni convenzione.

Seattle li aveva accolti con un terribile acquazzone. Dall’oblò dell’aereo di linea che aveva sorvolato il Pacifico, Isabella aveva visto enormi nuvole colme di piogge affiancare il mezzo, ormai in prossimità della città. Non di meno Seattle era detta “la città della pioggia”. Com’era prevedibile, ogni cosa passò in secondo piano agli occhi della ragazza: l’acqua che le inzuppava i vestiti, il freddo pungente, l’umidità. Lo sguardo della giovane parve colmarsi di fanciullesca meraviglia e fare incetta di ogni insignificante particolare. Per quanto fosse banale e infantile, Bella fu certa di non sbagliare nel paragonare le proprie sensazioni con quelle del sign. Armstrong nell’Apollo 11. Non aveva desiderato altro che lasciare ogni cosa e partire con uno zaino in spalla per infinite e sconosciute destinazioni, per quanto portasse nel cuore e sulla pelle la propria terra. Dovunque fosse andata, non avrebbe dimenticato la semplicità del luogo in cui era cresciuta. Rammentava il profumo della pioggia d’estate, la consistenza della sabbia sotto i piedi, la limpidezza del cielo terso, l’odore dell’aria salmastra, il colore della terra, il sapore delle spezie piccanti e l’aroma degli agrumi. Isabella era ognuna di quelle cose.

Realizzare in parte il suo desiderio le era costato più di quanto avrebbe voluto dare. In Giappone, nella città dei mille templi, aveva lasciato un pezzo del proprio cuore. Rian era stato per lei un fratello e un padre insieme; aveva sempre considerato la propria vita come indissolubilmente legata a quella del ragazzo. Qualunque cosa avesse fatto, fosse viaggiare o rimanere, Bella si vedeva insieme a lui. Sapeva che prima o poi qualcosa li avrebbe separati; aveva sperato così a lungo che Rian trovasse la propria strada, e quando era successo aveva sentito richiudersi una ferita e aprirsi un squarcio mille volte più grande. Non avrebbe mai sopportato quella separazione se non avesse saputo che Rian era a “casa”, circondato dall’amore di sua moglie, la donna più straordinaria che Bella avesse mai conosciuto, e dai suoi due bambini, un connubio perfetto tra i loro genitori, perciò, piccoli capolavori.

Bella aveva trascorso le settimane più felici della sua giovane vita a Kyoto, dopo la nascita dei pargoli Swan. Quando Charlie e Rian erano partiti per qualche giorno, senza addurre alcuna spiegazione per la loro assenza, la ragazza aveva sentito che qualcosa sarebbe cambiato. Nel frattempo, il giovane uomo e il padre nell’ordine qualcosa sarebbe cambiato. Nel frattempo, il giovane uomo e il padre nell’ordine: ottenevano un lavoro per quest’ultimo, non prima di aver lasciato il vecchio e abbandonato l’Italia, e riaprivano la casa di nonno Swan. Al loro ritorno, era bastato uno sguardo tra i due ragazzi, perché Bella comprendesse che il momento di lasciarli era prossimo.

La fanciulla deglutì il nodo che le bloccava la gola e si alzò dal divano sul quale stava cullando il piccolo Kiseki. Isabella restituì il bambino alla madre, rivolgendole un sorriso tirato e lasciò la stanza.

Poggiò la schiena alla balaustra della veranda. Non passarono che pochi secondi prima che Rian la raggiungesse e l’affiancasse. Isabella non poteva conoscere i suoi pensieri in quel momento, perciò, non avrebbe mai saputo del tormento che inquietava la sua mente. Rian aveva affrontato, molto prima di Isabella, le angosce della separazione. Tutte le scelte comportavano delle conseguenze e quella sarebbe stata la peggiore da sopportare, a lungo andare... Ancora una piccola speranza che le cose andassero diversamente viveva nel giovane, ma, finché non avesse preso un decisione definitiva, avrebbe rinunciato a un pezzo del suo cuore.

Penso di essermi persa un passaggio: il momento in cui mi avvertivi di ciò che avevi intenzione di fare, disse Isabella, utilizzando l’ironia per rompere il ghiaccio.

Come sempre sono un passo avanti a te, rispose il ragazzo, stando al gioco,

Perché?, chiese la giovane, che d’improvviso aveva perso ogni traccia di umorismo.

Perché era la cosa migliore per te e la mamma, rispose lui.

Adesso sai anche qual è la cosa migliore, grand’uomo? Bé, guru, avrei preferito che non scomodassi papà dalla sua comoda posizione, saremo noi a doverne sopportare il malumore. E poi, vai in America e non mi dici niente! Mi sembrava avessimo concordato che ti avrei seguito, qualora fossi fuggito in altri continenti. Hai idea di quanta acqua ci sia nell’Oceano Pacifico: miliardi di quintali. E..., a un tratto la ragazza si ritrovò con il volto sepolto nel petto del fratello, le parole sconclusionate si tramutarono in singhiozzi e il peso opprimente di ciò che significava la distanza le afflosciò le spalle. Bella si sentì persa per un tempo infinito, quasi sepolta dai quintali d’acqua che l’avrebbero separata da Rian. Lui non aveva bisogno di lei allo stesso modo della ragazza, non si sarebbe guardato intorno in cerca di un appoggio, di una mano protesa e pronta a sorreggerlo e guidarlo nella giusta direzione. Ogni cosa era stata più leggera fin quando Rian l’aveva aiutata a sostenerla; due spalle erano meglio di una per trasportare un fardello: il peso di essere loro stessi, così diversi da chiunque altro, e di tutto ciò che avrebbero desiderato ma che non avevano avuto.

Che cosa farò senza di te? Senza di voi?, chiese disperata.

Rian serrò le palpebre e seppellì il volto nei lunghi capelli scuri della sorella. Si era domandato la stessa cosa quando aveva preso la sua decisione, mesi addietro. Era sempre stato in grado di camminare con le proprie gambe, ma aveva avuto bisogno di un barlume di luminosità nella sua vita, prima di incontrare Asami. Isabella era questo, per Rian: la fiamma di una candela, una torcia nel buio, un lampo nella notte.

Tutto, rispose il ragazzo.

Ne ho avuto la possibilità e ho fatto in modo di concederti delle opportunità. Tu non hai bisogno di nessuno, ma il tuo guru – ed entrambi sorrisero – coprirà in pochi secondi la cortina d’acqua del Pacifico, se dovessi averne, la rassicurò il giovane uomo, sperando ardentemente di poter mantenere la promessa, nonostante tutto.

In che modo, acqua-man?, chiese Isabella.

Metti in dubbio le mie risorse?.

Non sia mai, sogghignò la giovane. Aveva imparato a non sfidare il fratello: in un modo o nell’altro, vinceva sempre lui.

 Bella sollevò il capo dal caldo rifugio delle braccia di Rian e ne incrociò lo sguardo. Non sarebbero bastati tutti i mari e gli oceani del mondo per porre delle distanze fra loro.

Per quanto la lontananza la spossasse, Bella era consapevole che, di là dall’oceano, Rian, Asami, Kiseki e Hikari esistevano.

********

La ragazza avrebbe voluto visitare in lungo e in largo la città di Seattle e alloggiare in uno dei grattacieli che davano sullo Space Needle, nonostante, teoricamente, dovesse essere esausta per il lungo viaggio. Sfortunatamente, dovettero imboccare la direzione opposta per raggiungere la città natale di Charlie. Il padre di Isabella avrebbe preso servizio il giorno dopo nella centrale di polizia locale. La popolazione sembrava averlo accolto con diffidenza, fin quando non aveva fatto il nome di suo padre: alcuni ancora lo ricordavano e Charlie era passato automaticamente da straniero a concittadino. Renée sembrava intenzionata a trovare un lavoro che la sottraesse alle mura domestiche. La giovane Isabella avrebbe iniziato il terzo anno nella nuova scuola. Contrariamente a quanto si potesse pensare, Bella non aveva avuto grandi difficoltà a lasciarsi alle spalle gli ultimi diciassette anni. Compagni, insegnanti, vicini, conoscenti erano volti come tanti altri, benché avesse assegnato loro dei ruoli specifici. La ragazza non aveva saputo legare con i propri coetanei, nonostante conoscesse ognuno di loro fin dai tempi dell’asilo. Aveva creduto per tanto tempo di essere totalmente incapace nelle relazioni interpersonali: non riusciva a comprendere gli atteggiamenti, i gesti, il pensiero della maggior parte della gente che la circondava. In fine, aveva addotto una parte della colpa al luogo in cui era nata e cresciuta: un mondo a se stante, estraneo a ogni sorta di cambiamento e intrusione. La città e i suoi cittadini erano di una mentalità conservatrice gonfiata da una serie di fattori. La comparsa di Asami nella sua vita l’aveva fatta ricredere sul proprio rapporto con gli altri. La donna era diventata sua sorella al primo sguardo. Non avevano avuto bisogno di gesti plateali e affrettate dichiarazioni di affetto. Dimostravano il proprio amore reciproco con tanti piccoli e grandi gesti, senza contare la riconoscenza che spingeva Bella al suo fianco, in ogni circostanza.

Certamente, la giovane non si aspettava nulla di diverso dal piccolo borgo nascosto dietro coltri perenni di nebbia e alte cime di sempreverdi. Sarebbe stata la ragazza nuova in una scuola in cui tutti si conoscevano fin da bambini. L’avrebbero guardata come fosse un alieno con tutta l’astronave, avrebbero formulato ipotesi e supposizioni varie sui motivi della sua presenza e le avrebbero rivolto domande indiscrete. Sperava che, come nella sua vecchia scuola, vigessero nei loro cuori una semplicità e bontà d’animo quantomeno simile a quelli cui era abituata e non la supponenza che temeva. Se qualcuno le avesse chiesto cosa le sarebbe mancato delle sue vecchie conoscenze, Bella avrebbe risposto: l’umiltà d’italiani del sud.

La casa di nonno Swan era un’abitazioni dalle modeste dimensioni, seppure più grande rispetto a quella in cui Isabella aveva abitato fino ad allora. La vecchia casa le sarebbe mancata, con l’impronta delle loro piccole mani sulle mura, le incisioni delle loro iniziali fatte con il cacciavite, la vecchia cucina alla quale Renée aveva ridipinto gli armadietti e sulla quale entrambi i ragazzi avevano appreso i primi rudimenti dell’arte culinaria, il divano blu e verde e la sua piccola camera da letto. Era pomeriggio inoltrato quando Charlie accostò sul ciglio della strada, Renée e Bella tesero contemporaneamente il collo verso il finestrino, alzando lo sguardo sull’abitazione. Era evidente a una prima occhiata superficiale che nessuno avesse mai abitato la casa dalle mura bianche. Nessun bambino aveva osato imprimere le proprie impronte con la vernice verde.

Renée e Isabella avevano spalancato le porte prima ancora che Charlie spegnesse il motore, tuffandosi all’esterno, inconsapevoli degli sguardi curiosi dei vicini che da giorni ne attendevano l’arrivo. Nessuna delle due badò alla stanchezza dei propri corpi. La giovane donna e la madre si scambiarono uno sguardo d’intesa, avvicinandosi alla porta nuova. Un’occhiata più attenta fu sufficiente per notare i segni della vernice ancora fresca. Alla ragazza spettò l’onore di infilare la chiave nella toppa e spalancare la porta, piacevolmente sorpresa dall’assenza di tremore nelle mani.

Il loro primo giudizio non si dimostrò errato. Le mura erano di un fresco bianco appena verniciato, alcuni mobili erano ancora coperti da teli trasparenti e ogni cosa profumava di nuovo. Non vi era il classico odore di chiuso delle abitazioni abbandonate. La casa non attendeva altro che di essere vissuta.

Bella sospirò, tuffandosi con poca grazia sul letto della sua nuova camera. Le lenzuola erano di un insipido color verde speranza: avrebbe provveduto presto a sostituirle. La giovane portò le braccia dietro la testa, appoggiandovi il capo che rivolse al soffitto. Le sembrava strano non scorgere accenni di muffa sulla parete. Nella vecchia casa, quando il sonno la evitava, ricercava strane immagini in essa, anziché contare un immaginario gregge di pecore. La nuova camera era più piccola della precedente, ma le dimensioni non le importavano. L’unico motivo per il quale l’aveva scelta era una vecchia sedia a dondolo poggiata alla parate. Non aveva idea del perché si trovasse lì, né se fosse appartenuta a nonna Marie, come davano a supporre le iniziali M. S sullo schienale. Era un pregiato pezzo d’antiquariato, bianca con intrecci e rifiniture in oro. Isabella l’aveva posta al capezzale del letto, com’era sua abitudine con la piccola sedia in vimini che aveva nella vecchia camera. Solitamente vi lanciava i vestiti smessi e lo zaino. Il resto del mobilio era sobrio e ordinario: una scrivania in noce, un armadio in legno massello e un letto a una piazza e mezzo.

Supina su quest’ultimo, la giovane volgeva lo sguardo all’esterno, oltre il vetro, sugli alberi del vialetto e la nebbia appena calata. La bruma era una cortina talmente fitta che Bella non avrebbe saputo dire se fosse ancora giorno o meno. Era emozionante scorgere – per quanto poco vi riuscisse – una vista diversa. Il cambiamento poteva sembrare insignificante, quasi ridicolo: aveva lasciato una piccola cittadina sperduta per trasferirsi in un’altra. Eppure, per Isabella era tutto.

La ragazza afferrò il cellulare che aveva posto sul comodino di fianco al letto. L’adrenalina le scorreva in corpo a fiotti e la stanchezza si dissolse in un alito di vento. Premette il tasto verde sullo schermo del telefonino, portandolo all’orecchio, mentre si sollevava dal talamo e si avvicina alla valigia che aveva riposto ai piedi della sedia a dondolo. Gli squilli si susseguivano mentre Bella iniziava ad estrarre gli abiti dal trolley. A un tratto una dolce voce di donna esclamò: ≪Bella!≫.

Il sollievo nell’udire quel suono così familiare si palesò con il sorriso radioso che comparve sulle labbra della giovane. Era stato ovvio fin dal primo istante, quanto caro le sarebbe divenuto il volto che avrebbe affascinato Rian.

Asami era la donna emblema della bellezza femminile: l’ovale perfetto del suo volto era incorniciato da un caschetto di lucidi capelli color biondo platino, le labbra erano i contorni carnosi di un cuore e gli occhi erano foglie di the verde, senza menzionare la perfezione del suo corpo statuario. Non aveva ereditato nulla dei tratti orientali del padre, se non la sottile curvatura a mandorla dei suoi occhi. Rian era la sua metà perfetta. Il fratello di Isabella aveva folti capelli castani, occhi verdi e labbra carnose che nulla toglievano alla virilità del suo volto e del suo corpo vigoroso. Aveva succeduto ogni tratto fisionomico della madre, contrariamente ad Isabella, della quale sarebbe potuto essere il gemello, non fosse stato per quelle differenze. Rian e Isabella erano semplicemente il giorno e la notte e questo li univa in modo perfetto e indissolubile. Nessuno avrebbe immaginato il giorno senza la sua eterna compagna e viceversa.

≪Asami! Temo di essere nel pieno di un’esperienza extracorporea. Fluttuo sulla nebbia senza fili≫, ironizzò la ragazza, volteggiando di qualche passo con un felpa in mano e il cellulare tra la spalla e l’orecchio destro. 

Alle risa dall’altra parte dell’apparecchio si aggiunsero le sue, quando inciampò sul copriletto, sbattendo il fianco alla testiera.

≪Sei inciampata? Avevamo stabilito niente movimenti inconsulti≫, la canzonò Asami.

Altre risate colmarono il silenzio delle due stanze in cui si trovavano le donne, a miglia di distanza.

≪Seriamente, com’è andato il viaggio?≫, chiese la donna.

Bella udì dei movimenti familiare dell’altra parte: il fruscio di tegami e qualche vagito. Ipotizzò che Asami stesse dando da mangiare ai piccoli e la immaginò, con il cordless nella sua stessa posizione. Entrambe indaffarate, continuarono a conversare.

≪E’ stato adrenalinico. Non so descriverti la mia gioia. Non smetterò mai di ringraziarvi per ciò che avete fatto≫, sussurrò la giovane, sorreggendo il proprio peso su un’anta dell’armadio.

≪Non devi dirlo. Voglio... desideriamo entrambi saperti felice e serena con la tua vita. Tesoro, sei giovane e piena di potenzialità. Ora hai l’occasione di metterle a frutto. Certo, se dovessi saperti in panciolle a girarti i pollici, verrò personalmente a redarguirti...≫, sorrisero a quel pensiero così allettante.

≪Non sai quanto lo vorrei. Mancate solo voi, in tutto questo. Pensa, ogni volta che vedo un bambino biondo mi volto a fargli facce buffe. Un giorno mi arresteranno per molestia su minore. Kiseki e Hikari mi mancano così tanto...≫, una risata sguaiata e un vagito più forte degli altri furono l’unica risposta.

≪Anche tu gli manchi, credimi. Kiseki è pazzo di te... Sarai stanca... ma che dico, immagino tu stia ancora sistemando la roba in camera, anziché farti un lunga dormita≫.

Bella si morse il labbro, come se l’avessero colta in fragrante e le sue guance si tinsero di rosso.

≪Fosse stato per mia volontà, avrei fatto un giretto a Seattle≫, rispose, ≪appena prenderò la patente lo farò≫.

≪Mi pare di capire che ti piaccia non dover aspettare un altro anno prima di guidare un’auto ≫, l’apostrofò Asami.

Bella arrossì nuovamente.

Un sospiro dall’altra parte la riscosse.

≪Hikari piange, devo andare. Rain vuole parlarti. Ti voglio bene, Bella. Sta attenta tesoro≫.

≪Ok≫, rispose la ragazza, sorpresa dal repentino cambiamento e dal fatto che non avesse sentito le urla del piccolo.

≪Ehi!≫, ogni remora svanì al suono della voce di Rian.

≪Ti ho comprato una cartolina all’aeroporto, la invierò con posta prioritaria≫, esordì Bella.

≪L’aspetterò con impazienza≫, rispose il giovane uomo, ≪sono perdonato?≫.

≪Fratello, sono su suolo americano. Ti bacerei...≫.

≪Lo avevo immaginato. Ora sei una cittadina a tutti gli effetti≫, concordò lui.

≪Sbagli. Non ho la pelle color bronzo, i cappelli di piume e la saggezza degli spiriti della natura≫, ironizzò la ragazza.

Non le sarebbe dispiaciuto essere parte di una tribù di nativi americani. Gli uomini bianchi erano come il sale, dovunque andassero dietro di loro non cresceva più nulla. Puntualmente, avevano distrutto un patrimonio dell’umanità per ingordigia e ignoranza.

≪Ti sto immaginando e ti si addice≫, disse Rian.

≪Magari un giorno entrerò a far parte di qualche tribù sposando il discendente di un grande capo≫, disse, sospirando platealmente.

Nel salotto di una moderna villetta nei pressi di Kyoto, un ragazzo dall’espressione devastata si posò stancamente ad una parete, fissando lo sguardo fuori dalla finestra. Avrebbe desiderato che bastasse semplicemente augurare tutto il meglio ad una persona perché questo le giungesse. La razionalità era una spina nel fianco in quel momento, in quanto era consapevole che non sarebbe stato sufficiente. I propositi di Rian si sgretolavano ogni qualvolta udiva la sorella parlare della pienezza della propria vita. Eppure, non riusciva a rassegnarsi che questa dovesse svolgersi necessariamente lontano da lui. Ricercava una soluzione che non esisteva...

≪Magari aspetta ancora qualche anno prima di accasarti. Non mi hai raccontato nulla e sono certo che muori dalla voglia di farlo≫. Rian sapeva che si sarebbe pentito di averle lasciato carta bianca, ma distese l’espressione del volto, attendendo il fiume di parole che non attardò ad arrivare.

 ≪... la scuola inizierà tra una settimana: ho tutto il tempo del mondo≫, concluse la ragazza, svuotata di tutte le parole e le energie.

≪Temo che avrai finito il credito: le chiamate intercontinentali costano≫, disse Rian.

≪E’ un modo per tentare di zittirmi?≫, chiese ironicamente Bella.

≪Forse. Ci sono riuscito?≫, rispose lui.

≪Si, ma non preoccuparti. Ti farò un resoconto completo ogni giorno. Domani ti chiamerò per informarti sul colore del piumino. Sono indecisa tra l’arancione e il viola...≫.

≪Domani non ci sono... non siamo a casa≫, si affrettò a dire il ragazzo.

≪Oh≫, fu la risposta di lei.

≪Parto per un po’ di giorni: questioni di lavoro. Asami e i piccoli verranno con me, non mi va di lasciarli soli. Ti richiamo io quando sarò tornato, non ho idea di quanto possa durare la permanenza≫, disse, con fare non curante.

Bella lo conosceva a fondo e seppe immediatamente che qualcosa le sfuggiva, ma sapeva anche che Rian le avrebbe detto di cosa si trattava se fosse stato importante. Perciò, nonostante la curiosità la divorasse, evitò di fare domande.

≪Certo≫, rispose.

≪Allora...≫, iniziò lui, senza concludere.

≪… a presto≫, terminò lei.

Rian annuì come se lei potesse vederlo.

≪Da un bacio ad Asami e ai piccoli. Ti adoro≫.

≪Anch’io≫, rispose, e una serie di bip,bip si susseguì a quelle parole.

≪... non sai quanto≫, aggiunse il ragazzo, a chiamata ormai terminata.

Rian chiuse gli occhi e posò il capo sul vetro. Il tocco delicato di una mano gli carezzò il capo. Asami passò le dita tra i suoi capelli e quando il giovane riaprì gli occhi e vide la donna e il piccolo miracolo di sua figlia tra le sue braccia, non ebbe più la sensazione di trovarsi sul precipizio di un burrone ma sul fondo, incolume.

*******

La pioggia batteva incessantemente e violentemente, come se volesse bucare il cemento della strada e abbattere le tegole del tetto. Viscida e bagnata tentava di penetrare in casa. Il suo suono non permise alla giovane nel letto di addormentarsi. Agognava di sentire il tocco gentile dei petali di papavero sulle palpebre e le illusioni di Morfeo, ma il dio, quella notte, non si avvicinò al capezzale della bella non-addormentata per molte ore. Prima dell’alba, un alito gelido penetrò dagli infissi dell’imposta. Era il vento o Morfeo, ma in entrambi in casi, la porta dei sogni si aprì senza cigolare.

Nei giorni a venire, la nuova vita iniziò a scorrere per tutti i membri della famiglia. Charlie iniziò a lavorare, non mancando di brontolare per la retrocessione della sua carriera. Se non avessero avuto anni e anni di esercizio alle spalle, Bella e Renée sarebbero esplose molto peggio delle continue bufere. Era appena settembre, eppure sembrava che l’estate avesse rinunciato a passare per Forks o a permanere più a lungo di qualche giorno nella cupa cittadina. Persino il sole la fuggiva.

La madre di Isabella aveva scoperto, per puro caso, dell’esistenza di una scuola materna che cercava una nuova volontaria. La paga era minima, ma la donna amava i bambini, ne avrebbe desiderati a dozzine se avesse potuto concedersi di averli. Inoltre, aveva già conosciuto metà del vicinato che non attendeva altro se non dei pettegolezzi succulenti sulla nuova famiglia.

Bella non aveva avuto molto tempo per visitare la città, in quei brevi momenti in cui la pioggia cessava di battere, non le era capitato di incrociare ragazzi della sua età, soltanto alberi, muschio e ancora alberi. Quel pomeriggio il cielo si era aperto poco dopo mezzogiorno e Bella ne aveva approfittato per uscire di casa. Quel cielo così cupo e quel verde tanto persistente in ogni angolo le causavano una spiacevole sensazione di claustrofobia. Forks era una grande palude in cui temeva di affogare.

La ragazza avrebbe compiuto diciassette anni tra pochi giorni. In Italia, l’idea di guidare un’auto sarebbe stata un miraggio ancora per molto tempo, ma l’America le offriva quella grande possibilità. Una settimana era stata sufficiente per una buona conoscenza di teoria, perciò, carica di ottimismo, si recò alla DMV.

Mezz’ora dopo stringeva fieramente tra le mani l’atteso foglio rosa.

Il pensiero del mezzo che avrebbe guidato, dopo aver superato l’esame pratico, le sfiorò la mente soltanto in quel momento. Certamente non avrebbe potuto usufruire dell’auto di suo padre: non aveva alcuna voglia di ascoltare le sue lamentale.

In quell’istante la vide, l’unica auto che avrebbe potuto permettersi e abbastanza solida da sopportare le sue maniere ed eventuali incidenti stradali. Un pick-up rosso scolorito dall’uso e dalla ruggine; due grandi fari la fissavano imploranti. Le sembrava di sentire un suono sinistro sussurrare: comprami, comprami...  Un grande cartello attaccato allo sportello diceva: “In vendita”.

La giovane si mosse, portandosi di fronte al mezzo, quasi inconsapevolmente. Con le dita sfiorò la carrozzeria dall’aria solida. Se quell’auto fosse riuscita a mettersi in moto e partire, sarebbe andata a casa con lei.

≪T’interessa?≫, chiese la voce profonda di un uomo.

Bella sussultò, voltandosi. Il suo sguardo si posò ad un’altezza errata per il tempo di un battito di ciglia, prima che abbassasse lo sguardo. L’uomo, dalla folta e lunga capigliatura color ebano, costretto su di una sedia a rotelle, la fissava con occhi profondi e neri come la pece. Quello sguardo l’avrebbe spaventata, non fosse stato per le rughe intorno agli occhi e il mezzo sorriso che gli incurvava le labbra. Senza alcun dubbio l’uomo che la fronteggiava era un pellerossa.

≪In verità, si. Ho letto che è in vendita, vorrei saperne di più≫ disse Bella, restituendo il sorriso all’uomo.

Per quanto si sentisse in soggezione, tentò di non dimenticare le buone maniere, né il suo obbiettivo.

L’uomo si aprì in un sorriso ancor più radioso.

≪Hai trovato l’uomo che fa per te, allora. Questo signor pick-up è di mia proprietà. Non pensare che voglia sbarazzarmene, ma come vedi non posso più guidare e mio figlio sta ricostruendo un’auto nuova. I ragazzi d’oggi non sanno apprezzare le cose fatte bene, gl’importa solo l’aspetto esteriore e Jacob è una testa dura≫, disse, sospirando.

Bella sorrise per il tono dell’uomo e la sua espressione contrariata.

≪Ma dimmi, non ti ho mai vista da queste parti. Sei la figlia del nuovo poliziotto arrivato in città, l’erede di Charlie Swan, non è vero?≫, chiese.

≪Era mio nonno≫, rispose Bella, rossa in volto e preoccupata che chiunque, a Forks, sapesse della loro famiglia.

≪Piacere, Billy Black≫, esordì l’indiano, porgendole la mano con un gran sorriso che mostrò la sua perfetta dentatura.

Bella non mancò di restituirgli una stretta vigorosa. Aveva l’impressione che l’uomo la stesse studiando. La ragazza sorrise soddisfatta dall’espressione del suo volto alla sua stretta.

********

≪Hai fatto un ottimo affare, ragazza mia≫, si congratulò Billy.

Quella giovane donna aveva naso per gli affari: era riuscita a strappargli cento dollari dal prezzo originario e un periodo di prova con annessa restituzione. Era stato ben disposto ad accettare ogni sorta di compromesso. Isabella Swan gli piaceva.

≪Tornerò entro la prossima settimana per la risposta definitiva e il primo acconto. Allora a presto, Billy≫, disse la giovane, porgendogli la mano.

L’uomo la strinse tra le sue, sorridendo affettuosamente.

≪Ho la sensazione che tu mi abbia imbrogliato, ma sorvolerò≫, ironizzò Billy.

Bella rise calorosamente. Billy Black era l’adulto più vispo che avesse conosciuto. Un bambino costretto nel corpo limitato di un adulto.

≪Certo, io sono convinta del contrario≫, replicò, mentre si avviava lungo il vialetto.

In quell’istante un’auto le passò a fianco, sollevando un turbine di foglie al margine della strada e schizzi d’acqua. La scia della Volvo grigio metallizzata svanì nel tempo di un respiro. Non avrebbe mai creduto che a Forks qualcuno possedesse auto del genere. In confronto, il suo nuovo acquisto parve del tutto insignificante. Certamente non avrebbe vinto una gara di velocità con il suo pick-up, considerando il massimo di ottanta chilometri all’ora e la guida spericolata di quel pazzo al volante, ma in caso d’incidente sarebbe uscita illesa, alla faccia del possessore di Volvo.

******

I giorni passavano e ogni cosa sembrava andare per il verso giusto, ma le strade spianate nascondevano sempre qualche insidia.

Intorno al tavolo da pranzo un silenzio angosciante accompagnava la cena. Il pasto non era mai stato un tempo da trascorrere tra allegre chiacchiere. Per la maggior parte dei commensali non esistevano argomenti in comune e ad alcune infelici conversazioni si preferiva il silenzio. A volte, madre e figlia si scambiavano qualche parola sulla giornata trascorsa, ma entrambe preferivano comunicare nei momenti in cui si trovavano da sole. Qualche sera prima avevano discusso sul nuovo acquisto della ragazza. Entrambi i coniugi lo avevano trovato, in fine, ragionevole. Bella aveva atteso pazientemente che Charlie smettesse gli argomenti su cui protestare. Da piccola, la maggior parte delle conversazioni sfociava in un litigio a causa del suo carattere da ostinata masochista anticonformista che si discostava totalmente dalle idee del padre, che ripetutamente affermava come uniche e sole. Rian era stato più bravo di lei, in quello. Alla fine, aveva capito che ogni tentativo di discussione era inutile e deleterio e aveva imparato a non far incidere sulla propria sensibilità nessuna parola da lui pronunciata.

Il silenzio non era mai stato così pesante, ma evidentemente era la sola ad avvertirlo, perché era l’unica alla quale l’angoscia scavava solchi nella mente e nel cuore.

Isabella non aveva più sentito Rian da quella sera.

Il ragazzo non aveva dato in alcun modo notizie di sé e tantomeno Asami. I genitori di Bella non erano altrettanto preoccupati: Rian era un uomo e un padre responsabile. E per quanto Bella ne fosse consapevole, non poteva fare a meno di ricordare spiacevolmente l’incertezza con la quale il giovane uomo l’aveva lasciata, una settimana prima.

Isabella iniziava lentamente ad abituarsi allo scrosciare ininterrotto della pioggia, in fatti quella notte furono altri pensieri ad allontanarle il sonno. Per quanto una parte della sua mente fosse interamente destinata all’angoscia per suo fratello, un altro lato della giovane temeva l’indomani. Le lezioni avrebbero ripreso regolarmente dopo la pausa estiva, ma la scolaresca avrebbe contato un alunno in più. Bella avrebbe desiderato passare inosservata alle centinaia di occhi che l’avrebbero esaminata, il giorno seguente. In fondo – pensava - quanto scalpore potrà mai suscitare un nuovo arrivo? La ragazza non immaginava il numero di vite che avrebbe sconvolto con il proprio arrivo. Sarebbe stato folle immaginare la serie di eventi che avrebbe reso una qualsiasi ragazza, la ragione di contese mitologiche e altrettanto lo sarebbe stato sospettare ciò che si celava nel cuore di quell’improbabile umida cittadina. Il mondo era una grande dimostrazione della teoria causa effetto. Ogni scelta aveva portato a ciò che sarebbe avvenuto l’indomani, ma tutto il resto era ancora da scrivere.

******

Alice Cullen non amava la pioggia. Era risaputo che detestasse qualsiasi cosa intaccasse il suo look impeccabile e la sua corta e sbarazzina chioma bruna. Quel mattino la piccoletta si aggirava irrequieta per le stanze dell’immensa villa nel bosco, ordinando con perfezione maniaca un caos che esisteva soltanto nella sua mente. Suo marito, che paziente aveva atteso nei giorni precedenti un cambiamento nel suo umore inquieto, le andò incontro. Quando le fu di fronte pose i palmi delle mani ai lati delle sue tempie, emettendo onde di positività fin quando i tratti del suo volto non si distesero. Al ché, la giovane donna aprì gli occhi che aveva serrato, trovando lo sguardo dorato e limpido del marito. Avrebbe desiderato informarlo di ciò che la turbava, se solo avesse lei per prima conosciuta l’origine di quell’emozione. Avrebbe potuto addurre l’inquietudine alla mancanza di chiarezza nelle proprie visioni del futuro, se avesse deciso di ammettere a se stessa che qualcosa di talmente grande da essere indefinito, stava per sconvolgere la loro famiglia. La verità era che temeva ciò che avrebbe visto. La donna si sottrasse alla presa delicata del marito, chiedendogli ulteriore pazienza e comprensione. Neanche Alice, per quanto il futuro fosse parte integrante della sua vita quotidiana, avrebbe potuto anticipare gli eventi.

Al piano superiore, una muraglia di libri nascondeva la figura di un giovane rosso pigramente adagiato sulla superficie di un divano in pelle nera. Il ragazzo aveva immerso il volto nel tomo che reggeva saldamente con le lunghe dita e posava la guancia lattea sul pugno chiuso. L’innocenza del suo giovane volto traspariva in quegli istanti in cui dedicava la propria attenzione alle arti; il ciuffo rosso gli sfiorava la fronte aggrottata, un cipiglio gli incurvava le folte sopracciglia e il labbro inferiore sporgeva leggermente rispetto a quello superiore. L’angoscia di un pensiero gli attraversò la mente, allertandone i recettori ipersensibili. Edward tese il collo oltre i libri che gli impedivano la visuale, sollevando gli occhi chiari e indirizzandoli in un punto non precisato della stanza. Insieme al turbamento di Jasper, scomparve ogni altro suono nella casa, lasciando il ragazzo in semplice compagnia della delicata sinfonia jazz del disco che continuava a girare nel vecchio grammofono. Edward abbandonò il libro al proprio fianco, sollevandosi con una leggera pressione del braccio che si contrasse ostentando i tendini in tensione dell’avambraccio scoperto. Il movimento del suo corpo fu tanto agile e armonioso da catturare lo sguardo. Il ragazzo si guardò intorno, deglutendo il veleno che gli impastava la bocca. Se Esme avesse visto il disordine in cui verteva la sua camera, lo avrebbe cacciato da casa. La moquette dorata del pavimento era occupata da infiniti volumi cartacei e custodie di dischi in vinile. Edward si mosse per la stanza con l’intento di riordinare prima che la madre si accorgesse del disastro. Nessun occhio umano avrebbe potuto cogliere l’eleganza e l’agilità dei suoi movimenti.

L’alba bussò timidamente alla portafinestra della camera quando il giovane ebbe riposto l’ultimo disco sugli scaffali gremiti da generazioni di musica. Edward si passò una mano nella massa dei capelli color bronzo. L’estate, se tale poteva essere definita, terminava quel giorno di settembre, con l’inizio del nuovo anno. La libertà dall’obbligo scolastico sarebbe mancata a entrambe le specie frequentanti, umane e vampire. Per i primi avrebbe potuto addurre infiniti futili motivi, ciò che lui detestava era la finzione: nei mesi a venire avrebbe dovuto incollare al volto una pesante maschera di cemento armato. Sarebbe stato impossibile sopportare quella vita se non avesse avuto solide fondamenta e altrettanti resistenti lacci d’acciaio che lo legavano al suo scorrere immutabile. Edward volse uno stoico sguardo alla pallida luce del sole, un nemico occasionale che il vampiro sapeva apprezzare.

*******

Il rosso scese apaticamente la lunga rampa di scale che portava al piano inferiore. Una figura minuta gli sbarrò la strada d’improvviso, comparendo in un turbine di ciocche brune. Il sorriso sul volto grazioso di sua sorella fu il miglior modo d’iniziare la giornata. Edward le passò a fianco, scompigliandole la morbida chioma. La ragazza lo seguì, accostata alle sue spalle, con le braccia corte legate dietro la schiena.

Buongiorno! Immagino tu sia di ottimo umore, pensò Alice.

≪Una gioia violenta mi pervade, potrei morirne; peccato che sia già defunto qualche decennio fa≫, rispose lui.

Sei in vena di freddure, pingu, lo canzonò, utilizzando un vecchio soprannome coniato da lei ed Emmet anni prima.

≪Mi sembrava avessimo cancellato quel nomignolo, nana≫, replicò Edward, sollevando le sopracciglia.

La ragazza gli mostrò la piccola lingua.

Questa mattina ho fatto impazzire Jasper, confessò, rabbuiandosi.

Edward la prese sottobraccio.

≪Mi era parso di sentirlo angosciato≫, disse.

≪Il futuro mi preoccupa, Edward. Ho il presentimento che succederà presto qualcosa di sconvolgente e vorrei sapere chi devo proteggere≫, sussurrò.

Il fratello le alzò il mento, costringendola a incrociarne lo sguardo.

≪Se smetti di sorridere otterrai l’unico effetto di ucciderci tutti, Jasper in primis. Se dovesse presentarsi un problema, lo affronteremo, come abbiamo sempre fatto≫, mormorò lui.

≪Sei assurdamente perfetto, Edward e questo è il tuo difetto più grande≫, gli rispose lei.

********

≪Ok, siamo arrivate≫, annunciò Renée.

Isabella inspirò profondamente, sbuffando dalle narici. Se avesse già posseduto un mezzo proprio, avrebbe ingranato la retromarcia e sarebbe fuggita da quel parcheggio. Nei mesi precedenti la sua vita era stata tempestata da una serie così incredibile di eventi che l’idea dell’imminente inizio dell’anno scolastico era passata in secondo piano. Non avrebbe mai immaginato le condizioni in cui avrebbe vissuto il penultimo anno di liceo. Bella guardò oltre il parabrezza: le prime auto iniziavano a popolare lo spiazzale. Un colpo di tosse la destò dall’intorpidimento nel quale era caduta. Renée le rivolse uno sguardo apprensivo. La donna alzò una mano per sfiorare la guancia pallida della figlia. La sua pelle candida aveva una consistenza morbida e liscia come la seta. Il quel momento la trovò fredda come il ghiaccio.

≪Stai pensando di tirarti indietro? Perché non la vedi come un’occasione di ricominciare: visi nuovi, posti nuovi... Non è tutto quello che hai sempre desiderato?≫, le chiese.

≪Lo è, ma ciò non toglie che temo di aver perso l’uso delle gambe≫, ironizzò la ragazza.

Renée le diede un piccolo schiaffetto sulla coscia fasciata dai jeans: ≪Sciocchezze. La tua unica difficoltà sarà la facilità con la quale t’imbarazzi per ogni sciocchezza≫.

Isabella alzò gli occhi al cielo. Come se non fosse nulla di rilevante! Il suo volto era un libro aperto. Chiunque avrebbe notato il suo imbarazzo, a causa del colore purpureo che avrebbero assunto le sue guance, e la sua allergia alle attenzioni. La giovane aveva imparato a conoscere un nuovo lato di se stessa negli ultimi anni e grazie ad Asami: una Bella ironica e determinata. Sperò ardentemente che ciò l’aiutasse nell’impresa di uscir viva da quel primo giorno. Isabella posò la mano sulla maniglia, sussultando al clic della portiera e spalancandola energicamente. Pose lo zaino sulla spalla destra, rivolse un cenno a sua madre e richiuse la portiera alle proprie spalle. Attese che l’auto si fosse allontanata, prima di guardarsi intorno. Un abisso si aprì davanti ai suoi occhi sgranati, destabilizzandola. Bella scosse il capo, ondeggiando la perfetta chioma scura, decisa a ignorarlo. Lo squarcio, che l’aveva separata dal vecchio istituto, si richiuse immediatamente nel suo immaginario, senza lasciare traccia di sé neanche laddove i margini combaciavano. La ragazza si diresse a passo spedito in segreteria, per ritirare l’orario delle lezioni e la piantina della scuola. In tal modo avrebbe evitato la pessima figura di aprire la porta della classe sbagliata e arrivare in ritardo alle lezioni: se avesse occupato un posto prima che le aule si colmassero d’insonnoliti studenti, non avrebbe catalizzato l’attenzione.

La stanza era molto accogliente e ben riscaldata. Il contrasto era tale che Bella avrebbe potuto fare a meno del suo giubbino di pelle marrone, mentre all’esterno la temperatura era tanto bassa da averle ghiacciato le mani. Le sfregò tra loro e le portò alle labbra, unendole in un semicerchio, respirando sui palmi in cerca di conforto. In quel frangente gli occhi vispi di una donna sulla sessantina la penetrarono. La giovane si mosse nella sua direzione, benché quello sguardo le suggerisse di fuggire.

≪Buongiorno≫, disse, vantando un perfetto accento e proprietà di linguaggio.

Quella fu la prima sorpresa per la donna.

≪Buongiorno≫, rispose questa, con una gracchiante voce molesta.

I capelli ricci, un po’ stempiati, sussultarono sul capo.

≪Sono...≫, iniziò la ragazza, ≪Isabella Swan≫, concluse la donna.

≪Certo che sei tu, cara≫, continuò, aggiustandosi gli occhiali su naso e infilando una mano sotto il bancone, in cerca.

I secondi passavano e Bella si chiese perché non distogliesse lo sguardo da lei e lo utilizzasse come ausilio nella sua ricerca. Quando stava per farle notare quell’inezia, la donna tirò fuori un paio di fogli, poggiandoli sul bancone, neanche le avesse letto l’intenzione nel pensiero.

≪L’orario delle lezioni e la cartina delle aule. Alla prima ora hai Jenkins, fisica, edificio numero tre≫, spiegò con aria soddisfatta.

Isabella avrebbe pensato che fosse tutta efficienza quella che ostentava, se non immaginasse che la donna avesse trascorso diverso tempo su quei documenti, a spettegolare.

≪La ringrazio≫, rispose Bella.

≪Disponibile per qualsiasi cosa, considerami pure un punto di riferimento, Isabella≫, replicò l’altra, ignorando la voce che la chiamava dall’altra stanza e scrutando nei dettagli la ragazza, con la precisione di una macchina radiologica.

≪Non vorrei distoglierla dal lavoro, sono certa che non abbia molto tempo da dedicare a un singolo studente≫, disse Bella, dirigendosi all’uscita, ≪ah, signora... Coop – lesse il nome sul cartellino appeso al suo collo – la chiamano≫.

******

Isabella era stata una brava alunna; non tanto da essere definita una “secchiona” dal resto del corpo studente, ma abbastanza da vantare una media alta in ogni materia. A onor del vero, la ragazza era sempre stata una via di mezzo tra l’eccellente e l’insufficiente. Diversi fattori influivano quotidianamente sulle sue prestazioni: l’umore, l’argomento trattato, il tempo atmosferico... La sua unica certezza erano state le materie letterali: tutto ciò che aveva a che fare con i libri e le parole era pane per i suoi denti. La matematica costituiva una dolorosa spina nel fianco, con la quale aveva iniziato una lotta fin dalle elementari e che perdurava nell’odiata trigonometria. La scienza e la fisica l’affascinavano, giacché soddisfacevano la sua naturale curiosità. Quel primo giorno sentì che avrebbe cambio idea, se non altro sulla seconda.

Il professor Jenkins era un uomo giovane, sulla trentina, con una folta chioma scura nella quale non mancava d’infilare le dita ogni due per tre e grattare la sommità della cute. Se il suo unico difetto fosse stato quello, Bella avrebbe imparato presto a ignorarlo. Appena aveva varcato la soglia della porta, assolutamente entusiasta di essere riuscita nel suo intento di arrivare fra i primi, l’insegnante di fisica l’aveva accolta con un enorme e inquietante sorriso obliquo. I suoi occhi castani erano allegri, perciò la giovane comprese che non avesse intenzioni equivocabili e che il luccichio dei suoi denti era qualcosa che andava al di là del suo controllo. Isabella aveva sussultato, sussurrando un timido buongiorno, accolto nuovamente dallo stesso sorriso sinistro.

≪La signorina Swan, immagino≫, esordì l’insegnante, risvegliando l’attenzione dell’unico altro alunno presente in classe: un ragazzo minuto e pallido, scalpitante sulla sedia: senza dubbio il “genio” della materia. Chi altri, a parte la ragazza nuova, avrebbe avuto tanta fretta di entrare in classe?

Nella sua vecchia città, il suono della campanella era temuto e l’unica ragione che spingeva gli alunni a non ritardare il più a lungo possibile l’entrata era un compito in classe o un’interrogazione alla prima ora. Guardando attentamente il ragazzo, Isabella pensò a quanto amasse la possibilità di cambiare aula a ogni suono della campana, e di conseguenza, compagnie. Nel liceo che aveva frequentato, il disagio più sentito da tutti era l’obbligo di bazzicare lo stesso ambiente, per cinque lunghi anni, con persone per le quali non si provava alcun tipo di simpatia. Nella mente della giovane si levò un’ola in ovazione al sistema scolastico anglosassone.

≪Sono io≫, rispose e sentì le guance prendere fuoco.

Jenkins le posò una mano sulla spalla, indicando l’aula con un gesto dell’arto superiore:≪Benvenuta signorina, occupi un posto qualsiasi e per qualunque cosa si rivolga a me. Le darò un test di valutazione iniziale, in modo da conoscere il livello della sua preparazione: nulla per cui debba preoccuparsi≫.

Isabella annuì, rivolgendo all’insegnante un sorriso tirato. Quando si fu voltata, le si presentò un dilemma: il posto in cui sedere. La scelta non fu troppo difficile, in quanto optò per il più distante dal ragazzo seduto al primo banco, che continuava a fissarla con le labbra dischiuse, e dal sorriso dell’insegnante.

L’aula si riempì a poco a poco. Bella scarabocchiava annoiata su un foglio bianco, ignorando le altre presenze, nonostante si sentisse perforare da occhiate continue. A volte alzava lo sguardo e trovava qualcuno voltato a osservarla. Due ragazzi del primo banco, un biondino con grandi occhi azzurri e un altro con evidenti problemi cutanei, si diedero il gomito, fissando la nuova arrivata, benché questa li stesse a sua volta guardando. Rinunciò per prima a quella battaglia di sguardi impudenti e tornò a concentrarsi sui propri disegni. Il biondo, che più tardi avrebbe scoperto chiamarsi Mike Newton, arrossì candidamente osservando il volto della nuova arrivata. Il giovane Mike sciabolò le sopracciglia color grano in direzione del suo compagno di banco e di culla, in un chiaro segno d’apprezzamento.

≪Mi devi cinque dollari≫, bisbigliò al suo orecchio.

******

≪Ciao≫, esordì una voce, distogliendo la giovane.

La ragazza alzò lo sguardo, incrociando quello altrettanto timido della voce che le aveva parlato.

≪Mi chiamo Angela, posso sedermi?≫, chiese.

Angela si mordeva le labbra e nell’attesa aveva portato una ciocca di capelli dietro l’orecchio. La ragazza sembrava molto timida e riservata: sarebbero andate d’accordo.

≪Certo≫, disse Bella, lanciandole un sorriso abbagliante.

Angela rimase piacevolmente sorpresa e si accomodò al suo fianco.

≪Questo è sempre stato il mio posto: non riuscirei a seguire la lezione, se fissassi troppo lo sguardo su Jenkins≫, sghignazzò Angela.

La ragazza aveva capelli lisci come fili di seta, un volto dolce e un sorriso tenero. 

≪Ho notato le sue... particolarità≫, replicò Bella.

≪E’ una fortuna che fosse ancora libero: ho dovuto accompagnare i miei fratelli all’asilo e ho fatto tardi≫, i suoi occhi brillarono quando menzionò i fratelli più piccoli e in quello, Isabella riconobbe una parte di se.

≪Sei legata a loro≫, affermò con sicurezza.

Angela le rivolse uno sguardo che valse più di qualsiasi altra risposta affermativa.

Nelle ore successive, Isabella fece proprio il sistema scolastico e il corpo studente: la giovane aveva avuto il piacere di fare innumerevoli conoscenze. Isabella aveva sopportato con pazienza gli sguardi che temeva e le domande sfacciate dei curiosi, ripetendo sempre uno stesso copione: Charlie aveva pensato di ritornare nella città in cui era nato, dopo aver ricevuto un’allettante proposta di lavoro, e sua moglie e sua figlia lo avevano seguito volentieri.

Un chiasso assordante perforò i timpani della ragazza, appena varcata la soglia del refettorio. La mensa era l’unica nota stonata nella quale temeva d’incappare. La sua espressione dovette essere eloquente, perché Jessica, una ragazza riccia che aveva dovuto sopportare... pardon... della quale aveva apprezzato la compagnia per le precedenti due lezioni, le rivolse un sorriso finto come lo sarebbe stato un quadro di Monet attaccato alla parete della sua camera.

≪Ti ci abituerai presto≫, disse la ragazza, prima di fissare la propria attenzione sul tavolo del bel Mike. Il ragazzo sventolò una mano nella loro direzione, invitandole a sedere al suo stesso tavolo.

I ricci di Jessica fremettero e la ragazza scattò poco elegantemente, afferrando l’altra per un polso e trascinandola al bancone.

≪Vedrai che il cibo non fa così schifo. Ti consiglio la pizza o quei panini≫, esclamò piena d’entusiasmo e con evidente fretta nella voce, palesando la sua infatuazione per Mike.

L’unico motivo per il quale Isabella l’assecondò fu la presenza di Angela al suddetto tavolo.

Benché il banco avesse forma circolare, la ragazza, non appena si accomodò su una delle scomode sedute di plastica, occupò il vertice di un triangolo. Ognuno dei commensali interruppe la precedente conversazione e prestò la propria attenzione alla giovane italiana. Isabella avrebbe dovuto sentirsi lusingata da tutte quelle attenzioni maschili che non aveva mai ricevuto, ma provava solo infinito imbarazzo. La giovane colse il lato ironico di quella situazione negli sguardi colmi d’invidia di qualche ragazza. L’odio di Jessica Stanley per la nova arrivata era direttamente proporzionale alle attenzioni che Mike le rivolgeva. Il suo volto pallido assunse colorazioni verdastre e tentò un’astuta mossa, inconsapevole di aver così dato una mano a un processo già iniziato.

La ragazza lanciò uno sguardo eloquente all’amica, Loren Mallory, che si avvicinava al tavolo portando un vassoio di cibo. Jessica indicò con il capo il portavivande e la nuova arrivata, ricevendo un assenso dalla bionda, ormai alle spalle di Isabella. Ciò che nessuna delle due aveva tenuto in conto era proprio lei, l’innocente fanciulla dalle labbra rosse come il sangue, i capelli scuri come la notte e la pelle bianca come la neve. Isabella, che aveva notato con la coda dell’occhio ogni cenno e intuito il loro sotterfugio, fingendo un gesto casuale, alzò il braccio destro colpendo magistralmente il vassoio che ricadde, insieme al suo contenuto, sulla maglia color giallo canarino dell’arpia. Bella fece per sollevarsi dalla sedia e aiutarla, ma Loren, che desiderava recuperare un minimo credito, finse un sorriso e posò il portavivande sul tavolo, scomparendo a passo svelto nel corridoio. Bella si lasciò cadere sulla sedia, portando una ciocca di capelli dietro l’orecchio e tentando di trattenere il sorriso.

L’incidente aveva catturato l’attenzione della maggior parte del corpo studente. In verità, quella piccola fazione incurante era costituita da soli cinque elementi. Sedevano intorno a un tavolo isolato dal resto della scolaresca. Il biondo dall’espressione stravolta fissava lo sguardo all’esterno dell’istituto, tentando di distogliere l’attenzione dall’odore di “cibo”, la piccoletta accoccolata tra le sue braccia attendeva, rassegnata all’idea che fosse l’unica cosa da fare, il gigante carezzava indolente il braccio della compagna, una perfetta statua di marmo scolpita nei dettagli e l’ultimo, il rosso teneva lo sguardo basso sul vitto che non avrebbe mai consumato. Chiunque li avesse osservati e fosse andato oltre la perfezione del loro aspetto, avrebbe pensato che fossero avvolti da una bolla di sapone insonorizzata. A un tratto, quella bolla scoppiò.

Un pensiero s’insinuò nella mente del giovane Edward, pungente come uno spillo, mandando in frantumi il silenzio del suo isolamento volontario.

Sono certa che l’ha fatto apposta... altro che incidente. Odiosa..., Edward scelse di censurare l’insulto che ne seguì perché ritenne che fosse troppo volgare, in special modo se pronunciato dalle labbra di una fanciulla.

In pochi istanti gli fu chiara l’intera vicenda che aveva visto protagonista la nuova alunna. I pensieri di Loren Mallory erano intrisi della sua immagine. La perfida bionda aveva odiato la scintilla di luce che aveva accesso gli occhi scuri di Isabella d’ironia. Quella gioia genuina fu un balsamo per l’anima del giovane uomo. Un sorriso gli incurvò le labbra e alzò lo sguardo dal cibo intatto nel suo piatto.

Fu in quel frangente che Isabella lo vide per la prima volta. I loro sorrisi erano lo specchio perfetto l’uno dell’altro e la bolla ritornò ad avvolgere il rosso, ma fu attratta non più in direzione dei suoi fratelli adottivi, bensì verso la ragazza nuova. E quello fu l’inizio di tutto.

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Capitolo 3
*** 2 Bianco e rosso ***


Scusate per il ritardo con cui ho aggiornnato, ma sono stati giorni terribili a scuola. Un grazie enorme a Bells85 per aver recensito e chi ha messo la storia tra le seguite e le ricordate. Spero di sentire anche qualcun'altro di voi, se il cap vi piace. Vi lascio alla lettura, a presto:)

2 Bianco e rosso

La scelta profonda dell'uomo sarà sempre per un inferno appassionato, piuttosto che per un paradiso inerte.

Guido Ceronetti

Edward non distolse lo sguardo dai propri piedi, mentre avanzava sulla neve. Bianca. Assurdamente bianca. Come la sua pelle. Al ricordo della candida e sottile epidermide che avrebbe - teoricamente - dovuto celare vene e capillari gli sfuggì un sorriso. I passi del vampiro avevano lasciato una lunga e confusa scia di orme sulla neve. Edward alzò lo sguardo sull’immensità del vuoto che lo circondava. Non si udiva neanche l’eco lontano di una voce calda. Bianco. Assurdamente bianco. Come il vuoto nella sua mente. All’orizzonte altri monti, altra neve e altra brina, ma neanche una presenza umana nelle vicinanze: soltanto un vampiro e gli spettri del suo passato. Orbitavano intorno alla sua figura, confondendosi con i fiocchi di neve che volteggiavano nell’aria, trasportati dal vento che si abbatteva sul rosso come sulle montagne, senza riuscire a spostare né l’uno né le altre. Il sibilo del vento si confondeva con il ruggito del mostro, profondamente irritato da tutta quella situazione. Un tempo, il mostro e il vampiro erano stati la stessa persona: l’uno esigeva, l’altro esaudiva, adducendo patetiche giustificazioni fini a placare la propria coscienza tormentata. Così debole, quella prospettiva gli parve invitante. Per un istante brevissimo sui suoi occhi di onice calò un manto rosso che gli offuscò la vista e la mente. La rivalsa del demone che l’aveva divorato per un decennio intero durò il tempo di un battito di ciglia, ma il rosso lo riportò inevitabilmente a lei. Rosso. Assurdamente rosso. Come il colore delle sue guance. Come il colore del suo sangue. Come il colore delle sue labbra. Non era stato sufficiente fuggire in un altro stato per dimenticare Isabella Swan, il suo volto e il suo profumo lo avrebbero dannato in eterno. E quando in ballo c’era lui, l’eternità non era una prospettiva così iperbolica. Edward si lasciò cadere all’indietro, affondando nella neve e mandando lo sguardo in gloria, in attesa che Tanya lo raggiungesse.

*******       

Bella si lasciò cadere all’indietro, sprofondando nel materasso, tra i cuscini e le lenzuola. Puntò lo sguardo velato di lacrime al soffitto. Bianco. Come il colore della sua pelle, assurdamente perfetta. Edward Cullen era iniziato come un curioso mistero da scoprire ed era concluso come una grande e ingiustificata delusione da digerire. Il ricordo del suo sguardo le provocò un brivido lungo la schiena. Non aveva mai visto occhi tanto furenti e uno sguardo così dolce che potesse mutare al punto d’incenerire. Isabella si alzò dal letto, dirigendosi alla finestra e aprendola completamente. Il vento gelido le soffiò sul volto e le diede conforto, anziché disturbarla come sempre. Una foglia si staccò dal ramo dell’albero nel giardino. La ragazza ne seguì il movimento ipnotico, fin quando non si posò sul davanzale e poté stringerla tra le mani: l’autunno era già arrivato a Forks. Rossa. Come il colore dei suoi capelli. Come il fuoco nel suo sguardo. Come il colore delle sue labbra. Isabella si posò alla parete, lasciando andare ciò che teneva in mano. La giovane sussultò al trillo del cellulare. Chiuse l’imposta e si avvicinò all’apparecchio, ripercorrendo con la mente gli eventi di quella mattina.

Quel giorno, nella banale scuola di un’insignificante cittadina, l’ordine naturale delle cose s’incrinò, frantumandosi al suolo come un vaso di cristallo.

Un piccolo vampiro aveva stravolto gli eventi, osando guardare al futuro che doveva rimanere ignoto. Senza sapere ciò che avrebbe comportato, aveva favorito lo scontro tra due nature incompatibile. Per quanto gli uomini avessero vissuto le proprie vite insieme ai non-morti per millenni, nessuna delle due specie aveva mai teso la mano all’altra. Tra decine di giovani uomini, nel luogo dove il futuro era scritto, le due nature si strinsero in un abbraccio, inglobando anima e corpo fino a sparire.

Di ciò avrebbero pagato le conseguenze, ma per il momento non esisté altro per l’uno che lei e viceversa.

Con gli anni i volti perdevano originalità e attrattiva. Chiunque avesse incontrato, il giovane rosso avrebbe potuto paragonarlo ad altre centinaia di persone: gli stessi tratti, gli stessi colori. Edward aveva capito con amara rassegnazione che la morte umana era solo l’inizio della fine per chiunque ritornasse dall’oltretomba dopo averne sfiorata la soglia. A quella succedeva la morte interiore: un processo molto più lungo e doloroso. La cosa peggiore era l’impossibilità di accorgersi per tempo che questo stava per avvenire. A differenza della spagnola, che lo aveva ucciso dopo interminabili tormenti alla fine dei quali aveva potuto esalare un ultimo respiro, un giorno lontano si era riflesso in uno specchio e non aveva visto nulla, come nelle leggende sulla sua specie.

Ciò avveniva prima d’incrociare un’improbabile giovane donna, dai tratti tutt’altro che convenzionali e dallo sguardo scuro. Nonostante la distanza che li separava fu certo di scorgere in essi il proprio volto. Quegli occhi lo riflettevano come l’immenso specchio dalla cornice dorata che aveva avuto nella vita precedente, rispecchiando un’immagine lusinghiera che lo compiacque.

Fu quello l’unico spiraglio dal quale poté attingere per cogliere qualcosa della nuova alunna. Con immensa sorpresa, comprese di avere preclusi i suoi pensieri. Al posto dell’infinita sequela di considerazioni mentali che avrebbe dovuto investirlo, il vuoto più assordante che avesse mai udito gli schiacciava i timpani. L’unicità di quell’esemplare femmina di uomo fu lampante ma Edward si sorprese dell’evidenza che avesse attratto anche la sua attenzione, destandolo da un sonno centenario.

Un fiotto indefinito salì dal petto della giovane, esattamente dai polmoni, attraversando la trachea, sfiorando il palato e la lingua e sfuggendo alle labbra. Un intenso respiro simile a un rantolo le liberò il torace, costretto in una morsa incandescente.

Quanto tempo aveva trascorso senza respirare?

Diciassette anni, rifletté.

Un’apnea troppo lunga, ora il respiro le usciva irregolare e le irritava la gola.

Quel volto indefinibile, umanamente impossibile, era stato una boccata d’aria fresca e quelle braccia e quelle mani il salvagente che l’aveva ripescata, prima che annegasse ancora in un miscuglio di zucchero, oro e miele. Occhi dal colore assurdo la fissavano come se vedessero il sole dopo troppi mesi di buio. Le sembrò di morire nella convenzione sociale che la costringeva immobile su quella sedia, quando avrebbe voluto avvicinarsi al ragazzo e sfiorargli il volto con le dita. Lo avrebbe accarezzato con deferenza, quasi temendo di ferirlo, pur di accettarsi che fosse reale. Il pensiero di quell’eventualità le colorò le guance, ma le diede una forza tale che avrebbe potuto, con il solo pensiero, costringere la terra a muoversi in senso orario. Una buffa espressione del rosso – il giovane aveva capelli assolutamente fuori dalla norma – le accese lo sguardo. Il ragazzo aveva aggrottato la fronte d’alabastro e corrugato le labbra, assottigliando lo sguardo come se non riuscisse a vederla. La naturale diffidenza della ragazza la portava a pensare che non avesse nulla di diverso da Mike Newton o Eric York ma ancora prima di conoscerlo, immaginò che accostarlo ai due ragazzi fosse un’eresia. La sua timidezza le fece chinare lo sguardo per prima, certa di essere rossa come un pomodoro.

Edward deglutì un fiotto di veleno, ingoiandolo rumorosamente. La pelle straordinariamente nivea della fanciulla aveva assunto una colorazione assai invitante per la sete di sangue del vampiro. D’altro canto, l’uomo al quale si teneva aggrappato con le unghie e con i denti trovò in quell’innocente rossore un fascino devastante.

Biancaneve, classica fiaba dei fratelli Grimm, si era reincarnata in quella ragazza: pelle bianca come la neve, capelli neri come l’ebano e labbra rosse come il sangue.

Quell’ultimo accostamento lo riportò immediatamente con i piedi ben piantati al suolo, dietro le sbarre della prigione che era la sua natura.

Quel desiderio egoista e inumano lo aveva catalogato come cacciatore della piccola Biancaneve. L’idea di strapparle il cuore non era inverosimile, nella sua posizione. Lo avrebbe tenuto tra le mani, al sicuro in un cofanetto di velluto e consegnato in ginocchio al mostro che lo pretendeva. Quietare quel languore e quelle torbide immagini mentali fu immediato, nell’istante in cui Biancaneve puntò nuovamente lo sguardo su di lui.

Isabella era cosciente della sconvenienza di quella situazione: guardare così a lungo un volto nuovo e sconosciuto, palesando un interesse che non aveva alcun fondamento. La turbava che fosse bastato un bel volto – per utilizzare un eufemismo – a conquistarle lo sguardo. Se solo si fosse deciso a ignorarla, come avrebbe dovuto fare, anziché inchiodarla con quello sguardo intenso... Bella decise che il rosso – lo avrebbe chiamato così in mancanza del suo nome di battesimo -  la irritava.

Qualcosa cambiò repentinamente nella ragazza. La sua posa rilassata si fece rigida d’improvviso e gonfiò le guance, come se fosse indisposta. Edward alzò di scatto le sopracciglia, facendosi sfuggire un mezzo sorriso.

“Ti irrito?” Avrebbe voluto chiederle.  

Benché non le leggesse nel pensiero, fu chiaro che la risposta sarebbe stata “si”.

≪Si chiama Edward≫, sussurrò una voce all’orecchio di Biancaneve, destando entrambi da quella muta conversazione.

Tutte le voci  - e i pensieri – che erano stati fino allora lontani echi ovattati, tornarono a investire il vampiro e l’umana.

Bella tese l’orecchio, distogliendo per un istante lo sguardo, in modo da non far capire al rosso che stessero parlando di lui, senza sapere che era un tentativo inutile.

≪I Cullen si sono trasferiti a Forks tre anni fa. Il loro arrivo ha destato molto scompiglio, come puoi immaginare. Mr Cullen è il primario dell’ospedale: un brav’uomo. Carlisle e sua moglie non possono avere figli, credo, perciò hanno adottato ognuno dei ragazzi che vedi seduti a quel tavolo in fondo. Una famiglia di stupendi prodigi. Edward Cullen – e lo indicò con il capo – ha fatto fremere molte ragazze e alzare diverse sottane≫.

Bella spalancò gli occhi, fissando Angela con uno strano nodo alla gala. Aveva respirato troppo presto, la corrente la riportò in fretta sott’acqua.

≪Non aveva l’aria del casanova≫, sussurrò.

≪Cos’hai capito? Le uniche gonne alzate sono state quelle delle ragazze più audaci e libertine. Edward non ha mai fatto molto caso a loro, che io sappia. Ha dato parecchie due di picche≫, concluse, posando un fugace sguardo su Jessica Stanley.  

La mano che le aveva afferrato il cuore si ritrasse, sostituita da una fresca ventata d’ilarità.

Isabella posò istintivamente gli occhi su Edward, con un sorriso compiaciuto nello sguardo d’approvazione.

E il rosso, che aveva ascoltato tutto, non poté che addolcire il proprio, gonfiando il petto, baldanzoso per quella luce argentea.

Il pensiero che stesse immaginando ogni cosa, dalle sensazioni al volto che aveva di fronte, lo sconvolgeva e lo teneva con i piedi piantati a terra. Edward aveva incontrato bellezze di ogni genere, come la bellissima sorella bionda che un tempo doveva essere la sua compagna e mai nessuna lo aveva interessato fino al punto di rivolgerle più di uno sguardo superficiale e di circostanza. Commettendo il primo errore, decise di lasciar correre e dimenticare le remore della razionalità, riempiendosi lo sguardo di quell’immagine. Più tardi avrebbe indagato se stesso e la propria incapacità di leggere quella mente. Come se l’universo volesse punirlo, gli negava la possibilità di scoprire l’unico pensiero che avrebbe desiderato conoscere.

Il tedioso trillo della campanella fu un trauma scioccante. Non perché i due lo avessero realmente udito, ma perché lo avevano ignorato.

≪Edward?≫, una piccola mano gli carezzò il dorso, chiamandolo gentilmente.

Il ragazzo sussultò impercettibilmente e distogliendo lo sguardo, mise a fuoco la sorella.

Questa gli chiese silenziosamente cosa lo turbasse, ma ricevette soltanto una scrollata del capo.

Edward afferrò il piatto con il cibo intatto, ritornando alla realtà della mensa scolastica. In quel mentre, Alice rivolse un fugace sguardo alle proprie spalle, incrociando quello dolce e scuro di una donna rivolto al fratello minore. Alice allontanò il proprio, posandolo sul bellissimo volto di suo marito, con le labbra finalmente distese in un sorriso aperto e sincero. Jasper ne rimase entusiasta. Aveva letto il reale cambiamento nell’umore di Alice, quello che attendeva da giorni, ma gli sfuggiva la ragione di quel mutamento repentino.

Edward invece rivolse gli occhi al soffitto grigio della mensa, alzandosi con un movimento incredibilmente aggraziato ed elegante, ostentando la virilità del suo corpo giovane.

Alice si allontanò con Jasper, portando con sé il vassoio vuoto, volteggiando tra le braccia del marito e lasciandosi alle spalle l’eco della propria risata argentina riprodotta dai suoi pensieri nella mente del fratello. La piccola era soddisfatta dell’interesse che Edward aveva mostrato per la nuova arrivata, tanto da dimenticare ogni altro tormento.

≪Bella≫, la incitò Angela, già in piedi.

La ragazza distolse lo sguardo, incatenato a ogni passo del giovane Cullen. Un sospetto inconscio iniziò a formarsi nella sua mente. La certezza che Edward Cullen avesse qualcosa di diverso da chiunque altro si concretizzava. Non solo la sua bellezza aveva fattezze angeliche, ma il suo corpo si muoveva nello spazio e nel tempo come se danzasse. L’aria e la forza di gravità erano amanti della sua bellezza. Il suo corpo statuario era leggero e agile, per un istante alla sua immagine si sostituì quella di un maestoso felino color ebano. Quello fu il primo errore. Anziché dal terrore, il suo corpo fremette d’adrenalina e desiderio e i suoi occhi si accesero di una luce troppo intensa.

Quella luce non sfuggì agli occhi attenti di un vampiro, scosso da un brivido e da un nuovo languore che lo trapassò da parte a parte, perforando la pelle di cristallo.

******

Edward si passò una mano nella massa scompigliata dei capelli color rame, picchiettando un dito sulla superficie nera e lucida del banco di biologia, cui sedeva da solo. Erano trascorsi pochi minuti da quando aveva lasciato Isabella e l’inquietudine serpeggiava viscida nel suo corpo. La curiosità verso di lei doveva essere saziata al più presto, se non voleva perdere la ragione. S’illudeva che una volta soddisfatto, ogni cosa sarebbe tornata alla normalità: il rifugio comodo d’indifferenza e apatia nella quale era giaciuto per oltre una vita mortale.

Quando la porta si aprì e un corpo minuto fece capolino dall’uscio, Edward pensò che il proprio desiderio stesse per realizzarsi, non immaginando ciò che lo aspettava.

Bella evitò di guardarsi intorno, dirigendosi speditamente dall’insegnante di biologia. Era inutile tentare di scorgere altri volti, per quel giorno (e per l’eternità, benché ne fosse ancora ignara) non avrebbe visto altro che non fosse l’immagine riflessa di Edward Cullen.

Isabella percepì come un ronzio distante la voce dell’uomo brizzolato che le parlava, ma nel momento in cui rivolse d’istinto l’attenzione alle proprie spalle, sentendosi penetrare tra le scapole da uno sguardo, smise di udire qualsiasi suono, in qualsivoglia forma. Il rosso, quel soprannome le piaceva troppo per cambiarlo, occupava elegantemente, avrebbe osato dire, uno dei posti all’ultimo banco. Quando riuscì a guardare oltre, Bella vide che era l’unico a non avere un compagno. Non avrebbe mai potuto pensare che fosse un isolamento involontario, nessuno avrebbe resistito alla tentazione di girargli intorno come le api al miele. Casi audaci avrebbero occupato quel posto senza alcuna remora. Allora comprese che era Edward a tenerli a distanza e quello fu il secondo sbaglio, il più madornale: desiderare di conoscere il perché. Quel giorno Isabella giurò che lo avrebbe capito.

Com’era prevedibile, il professor Banner indirizzò la ragazza verso l’unico posto ancora libero. Edward sgombrò la sua parte di banco, pregustando il tempo che avrebbe avuto di saziare la propria curiosità e lo ammise, di provare ancora e ancora ciò che aveva sentito a mensa. Un insignificante particolare disintegrò ogni buon proposito del vampiro: un alito di vento, proveniente dalla finestra aperta, spinse nella sua direzione l’odore soave della pallida epidermide e degli scuri capelli della giovane, risvegliando la sete.

Lo scatto dalla sedia fu inverosimilmente veloce. Edward raggiunse Isabella nel tempo di un istante, afferrandole la vita sottile e inclinandole in capo. Il rosso le scostò delicatamente i capelli su una sola spalla, posando il naso sulla giugulare e annusando. Il cuore della ragazza prese a battere all’impazzata, finché il vampiro non piantò i propri denti nel suo collo e questo si arrestò. Gli unici suoni di sottofondo al pasto del ragazzo furono le urla.

Ciò sarebbe successo se un’altra ventata d’aria, proveniente questa volta dallo spostamento di un ragazzo al primo banco intento a chiudere l’imposta, lamentandosi per il freddo, non avesse portato un solo istante di sollievo dall’arsura della sete e se Edward non avesse deciso inconsciamente di smettere di respirare.   

L’ora successiva trascorse.

Isabella ed Edward erano sconvolti, l’una dalla freddezza dello sguardo del ragazzo che le sedeva accanto e l’altro dai propri pensieri di morte. L’unica cosa che lo teneva legato al proprio posto era il forte disgusto che sentiva per se stesso. Non era mai caduto tanto in basso da pensare di uccidere un essere umano indifeso, persino nella sua mostruosità di un tempo aveva trovato un equilibrio tra giusto e sbagliato. Nell’uccidere Isabella Swan non c’era nulla di giusto, eppure, più di una volta, gli parve come la cosa più sensata da fare. In sporadiche occasioni, quando incrociava i suoi occhi o scorgeva il delicato movimento delle sue spalle afflosciate in un evidente stato di delusione e dolore, una forza mille volte più grande del mostro gli faceva pensare che avrebbe potuto resisterle. Avrebbe potuto sorriderle e accarezzarle una guancia. Non voleva che soffrisse per causa sua. Aveva intuito quanto fosse delicata. Quel rifiuto così palese e ostentato la feriva e lui si odiava mortalmente per questo, ma non avrebbe mai rischiato che si realizzasse ciò che aveva immaginato. Mai.

Edward dovette ricredersi sul suono della campana, che aveva pensato fosse tediosa solo un’ora prima. Raccolse le proprie cose e si sollevò come un automa, spiritato e furioso. Si soffermò soltanto per il tempo di rivolgere uno sguardo alla piccola Biancaneve, sperando che vi leggesse tutto il suo rammarico e l’addio che le rivolse.    

L’evoluzione degli eventi in quella fatidica ora di biologia non era passata inosservata alla veggente. Sarebbe potuta intervenire e allontanare Edward, se non fosse stata certa del suo controllo. Nell’istante in cui aveva realizzato ciò che stava succedendo, Alice aveva atteso che si materializzasse nella sua mente la dolorosa immagine di una morte innocente. Eppure, quell’eventualità non si era palesata come una possibilità del futuro, tantomeno si era concretizzata nel presente. E mentre il fratello combatteva contro il proprio mostro, senza sapere chi dei due avrebbe vinto, la piccola vampira rifletteva sulla ragione di quanto stava avvenendo. Alice dovette ammettere con rammarico che Edward non avrebbe resistito a quella tentazione, come nessuno di loro avrebbe fatto – a parte Carlisle. Le circostanze avevano cambiato gli eventi o forse lei l’aveva fatto: Isabella Marie Swan. Alice continuò a rimuginare sull’ipotesi che prendeva corpo nella sua mente, in sottofondo il coro di ragazzi che ripeteva le parole dell’insegnate di Francese e in lontananza il ruggito quietato di un mostro ben imprigionato.

Edward sbatté lo sportello della Volvo con tanta violenza da fare tremare il vetro. Il ragazzo strinse i capelli tra le mani, chinandosi in avanti come se avesse ricevuto un destro nel basso ventre. Il tentativo di trattenere il ruggito che lo scuoteva da capo a piedi si rivelò deleterio, tanto che fuoriuscì nonostante lo sforzo dalle sue labbra serrate. Edward sbatté il capo contro il sedile e il pugno chiuso sullo sterzo, che gemette. Il rosso era inconsciamente consapevole che, qualora avesse ucciso Isabella, le pene sarebbero state insopportabilmente peggiori rispetto a ciò che provava in quel momento. I sensi di colpa verso se stesso e la sua famiglia lo avrebbero distrutto. Edward accese il motore e abbassò il finestrino, inspirando aria pulita. Il vento sapeva di pioggia, ma il giovane cercava lei. Edward sospirò e decise di uscire dall’auto. Avrebbe potuto occupare quell’ultima ora tentando di cambiare il corso di biologia. Edward sollevò il cappuccio del giubbino e si avviò in segreteria a capo chino. La sconfitta bruciava troppo duramente sulla sua pelle. Fuggire era una scelta che lo ributtava, ma sfidare se stessi al punto di mettere nuovamente in pericolo delle vite sarebbe stato da incoscienti. In prossimità dell’edificio il lontano sentore dello stesso odore che lo aveva sconvolto poco tempo prima gli consigliò di smettere di respirare. Bella era stata lì, quella mattina. Edward aprì la porta e abbassò il cappuccio. La segretaria alzò il capo e spalancò gli occhi nella medesima frazione di tempo. Il ragazzo era abituato a non far caso ai pensieri più rumorosi degli altri: leggendo la mente umana aveva visto cose assurde. La reazione delle donne al suo aspetto fisico non lo sconvolgeva più da anni, ma in alcuni casi era ancora agghiacciante. Represse un brivido lungo la spina dorsale e si stampò in volto un sorriso finto quanto l’età che dichiarava.

≪Signorina Coop≫, esordì educatamente.

≪Edward≫, squillò la donna, irritando l’udito sensibile del vampiro, ≪cosa posso fare per te?≫

≪Vorrei cambiare il corso di biologia. Ho avuto un ripensamento all’ultimo minuto, mi perdoni≫, rispose pacatamente, ammaliando la povera donna.

≪L’anno è appena iniziato, non dovrebbero esserci problemi≫, continuò il vampiro, dopo qualche secondo di silenzio.

La segretaria deglutì, tentando di riacquistare lucidità e allontanare il pensiero di Edward dalla mente. In fondo, pensava: Non è un’eventualità inverosimile. Oggi molte donne si fanno accompagnare da ragazzi più giovani e poi, non porto certo male i miei anni....

Non lo avrebbe mai saputo, ma per un istante era riuscita a mettere paura al vampiro.

Bella tirò su con il naso, accostandosi alla porta della segreteria. Avrebbe preferito tornare immediatamente a casa, dopo quell’estenuante giornata, ma avrebbe dovuto consegnare all’antipatica donna un foglio con le firme degli insegnanti. Rivedere quei ricci rossi sarebbe stato un buon modo per terminare la giornata, pensò ironicamente la ragazza. Bella aveva i nervi a fior di pelle e se ripensava all’ora di biologia, le lacrime minacciavano di rompere gli argini della diga che aveva creato per trattenerle. La consapevolezza più dolorosa era stata aver immaginato ogni cosa a mensa.

Isabella aprì la porta della segreteria, imprecando peggio di uno scaricatore di porto nella propria mente, alla vista delle spalle larghe di Edward Cullen e dei suoi strani capelli. La prima sensazione fu di terrore: lo aveva riconosciuto subito, benché lo avesse visto solo una volta. Temeva di essersi cacciata in un enorme guaio... Il pensiero immediatamente successivo fu girare i tacchi e battere in ritirata e lo avrebbe fatto, se uno sguardo non l’avesse inchiodata al pavimento. Gli occhi di Edward erano indecifrabili, ma non vi era più traccia alcuna del gelo e della furia visti un’ora prima. Piuttosto, aveva un punto interrogativo stampato in volto e sembrava che si trattenesse dallo sbuffare. Quel particolare punse in viso la ragazza e alla tristezza si sostituì il risentimento. Distolse per prima lo sguardo, puntandolo sull’antipatica donna al bancone che pendeva dalle labbra del giovane, e solo allora le prestò attenzione. La signorina Coop alzò un sopracciglio, ricordando con stizza il primo incontro avvenuto quella mattina. Al vampiro, che aveva visto ogni cosa nei suoi pensieri, sfuggì un mezzo sorriso per il quale la giovane perse un battito. Bella proseguì spedita, ponendosi davanti al bancone e ignorando Edward al suo fianco, tanto vicino da sentire il suo profumo delizioso. Non portava alcun tipo di colonia, costatò Isabella. Quegli occhi straordinari le perforavano le tempie e il suo odore delizioso le trafiggeva le narici. Edward si reggeva al bancone con un braccio, talmente muto da far pensare che non stesse neanche respirando, ma ciò, naturalmente, era impossibile.

Era pazza! Chiunque altro al suo posto sarebbe fuggito o al contrario sarebbe rimasto pietrificato. Lei si avvicinò! Negli occhi della giovane brillò per un istante infinitesimale una scintilla di pura stizza, le sue guance si tinsero di un rosso brillante e invitante, gonfiò le guance puntando i piedi e avanzò in direzione del bancone; ignorando il vampiro e il pericolo che costituiva. Si accostò tanto vicino che il ragazzo poté vedere il sangue scorrere sotto la protezione insignificante della sua pelle pallida. Se avesse respirato, sarebbe stata la fine, ma non trovava in se neanche la forza di fuggire. Questa volta era la curiosità verso la ragazza a trattenerlo in quella stanza. Edward impresse il solco delle proprie dita sul bancone e la segatura cadde ai suoi piedi. Aveva visto l’episodio di quella mattina nella mente della segretaria e compreso una parte del carattere battagliero della piccola Biancaneve. Era orgogliosa. In quel momento il suo orgoglio la metteva in pericolo. Edward sentì un immediato senso di protezione nei suoi confronti. Se chiunque altro fosse stato al suo posto, Isabella sarebbe morta.

≪Mi scusi≫, disse la ragazza.

Per Edward fu come ricevere un altro pugno in pancia. Il suono della sua voce lo colpì con la stessa potenza del suo odore irresistibile. Soltanto lui percepì il leggero tremore delle sue corde vocali.

≪Le dispiace aspettare un attimo, il signor Cullen era qui prima di lei≫, rispose la donna, soddisfatta della piccola rivincita personale.

La segretaria posò nuovamente gli occhi adoranti sul ragazzo, il quale non distolse l’attenzione da Bella. Soltanto lui percepì lo scatto della sua mascella, il brivido che corse lungo la sua pelle e le piccole narici dilatarsi come un torello inferocito. Edward alzò un sopracciglio, trattenendo a stento un sorriso. Prima che Bella saltasse al di là del bancone e afferrasse la donna per il collo, come sembrava intenzionata a fare, Edward intervenne.

≪Non si preoccupi, signorina Coop. Posso aspettare≫, si affrettò a dire il ragazzo.

La segretaria sbuffò silenziosamente e si voltò verso la ragazza, palesando il proprio disappunto.

Il suono angelico della sua voce aggiunse un pezzo al puzzle incompleto di Edward Cullen. Bella avrebbe sognato quella voce e quel volto per tutte le notti a venire, mai stanza. Evitò d’incrociare lo sguardo di Edward, guardando fisso davanti a sé. Estrasse il foglio con le firme dalla tasca del giubbino e o posò sul bancone.

≪Le firme degli insegnanti≫, disse semplicemente, ancora confuse da ciò che aveva sentito e perdendo un po’ della sua spavalderia. Qualcuno entrò dalla porta e attaccò un volantino alla bacheca. Nessuno avrebbe fatto caso a quella nuova presenza, se Edward non avesse deciso di aprire bocca nello stesso istante e il vento non avesse spinto il dolce profumo di Isabella nelle sue narici. Edward si piegò leggermente e impercettibilmente sulle ginocchia. Aveva tirato fin troppo la corda per quel giorno.

≪Mi scusi per il disturbo signora Coop, penso di aver cambiato idea≫, e sollevò la mano dal bancone, affrettandosi nuovamente all’aria aperta.

Isabella lo seguì con lo sguardo, chiedendosi quale fosse il suo problema. Soffriva forse di personalità multipla? Una gentile - che aveva solo intravisto - un’altra ancora glaciale e una strafottente?

Borbottò un “arrivederci” alla donna e uscì anch’ella dall’edificio. Trovò sua madre poco distante, di Edward nessuna traccia.

Il vampiro corse a occupare il posto di guida della Volvo, trovando i fratelli ad attenderlo. Gli rivolsero diverse domande, silenziose e non, tutte quietate da Alice. I due fratelli si lanciarono sguardi eloquenti. Alice sapeva.

≪Accosta, Edward. Hai bisogno di Carlisle. Parla con nostro padre, qualsiasi sia la tua decisione ci rivedremo presto; hai ancora troppe cose da fare qui≫, disse la veggente, spingendolo fuori dall’auto e prendendo il suo posto alla guida.

≪Mi raccomando≫, concluse, sgommando via.

Il consiglio di Carlisle fu mettere una certa distanza tra il figlio e la sua cantante, almeno per qualche tempo. Sarebbe stato salutare per entrambi. Edward concordò con Carlisle, come sempre, benché le parole della sorella gli risuonassero ancora nelle orecchie. Lasciò l’ospedale e imboccò l’autostrada. Ogni metro che lo separava dalla città era un colpo secco all’altezza del cuore. Fu proprio quello a dargli la certezza che sarebbe tornato, molto, molto presto.

≪Sei stata silenziosa per tutto il tempo, tesero. E’ successo qualcosa?≫, chiese Renée, quando furono giunte... a casa. Isabella scosse il capo.

≪E’ solo stanchezza, vado in camera a riposare un po’≫, mentì, senza convincere né la madre, né se stessa.

******

Ehi, Edward. Rimanere solo non è il modo migliore di combattere la solitudine, esordì Tanya.

Edward si limitò a rivolgerle uno sorriso stanco. Chi meglio di una succube avrebbe saputo come occupare il tempo? Tanya era una donna così leggera, se la situazione diventava troppo complicata, fuggiva. Ciò non faceva di lei una persona superficiale, soltanto molto furba. Lo stesso non valeva per Edward. Il ragazzo non riusciva a lasciarsi alle spalle gli eventi con la stessa semplicità. Gli capitava spesso d’imbattersi in situazioni complesse e di sbatterci la testa anche per decenni, se ciò si dimostrasse necessario, pur di non mollare. Pensandoci bene, Tanya sarebbe stata la sua metà perfetta, ma non era mai riuscito a vederla diversamente da una sorella.

Chi ti dice che stia cercando di combattere la solitudine, replicò Edward.

Tanya si lanciò al suo fianco, atterrando elegantemente sulla neve, a gambe incrociate, con i gomiti sulle ginocchia e le guance tra le mani.

≪Giusto, in quel caso saresti venuto direttamente da me≫, pensò.

Edward finse di non aver compreso la malizia della sua risposta mentale, ma non riuscì a non sorridere.

Sei un bravo ragazzo, Edward. E’ ammirabile. Hai ancora dei valori che sono scomparsi da più di un secolo... eppure mi piaci≫, continuò mentalmente.

In effetti, Tanya non amava i bravi ragazzi. Era stato un gioco, sedurli e tentarli fin quando non cedevano al suo fascino, ma non avrebbe mai scelto uno di loro come compagno.

Già, chissà perché, le disse Edward.

Tanya si mosse, comparendo in un batter d’occhio cavalcioni sul suo petto. La donna si avvicinò pericolosamente al suo volto senza che lui muovesse un muscolo per fermarla, consapevole del suo gioco.

Quando fu vicina alle sue labbra, Tanya respirò gelidamente sul suo volto, prima di ritrarsi. Sbuffò sonoramente.

Forse è per questo motivo che mi piaci. Oltre ad essere un bravo ragazzo, so che c’è molto di più. Lo vedo, oltre ad immaginarlo. Che mi stacchino la testa dal collo se sotto quel faccino non c’è un uomo pieno di passione, disse, rotolando nuovamente al suo fianco.

Ma dimmi, non hai ancora trovato nessuna che t’interessi?, chiese Tanya.

Edward era pronto a darle la stessa risposta di sempre, ma quella volta qualcosa lo bloccò. Al volto di Tanya se ne sovrappose un altro e le parole gli morirono in bocca.

Ancora non lo so, sussurrò.

Un guizzo di gelosia sfiorò la mente della vampira, ma il suo affetto prese il sopravvento e chiese: Sapevo che si trattava di un problema di cuore.

Per quanto ne sapesse Edward, l’unico cuore a essere stato un problema era quello d’Isabella. Aveva seriamente rischiato di fermarlo per sempre, qualche giorno prima. In quel momento, però, si chiese quanto concreto fosse stato il pericolo. Forse l’aria fresca di montagna o il tempo trascorso lontano da lei gli aveva fatto dimenticare le pene della sete ma, visto che ciò era impossibile, decise che in realtà la distanza avesse messo nella giusta prospettiva ciò che era successo. Non avrebbe ucciso Isabella Swan, quel giorno, piuttosto che commettere quello scempio avrebbe ferito se stesso. Quella certezza si radicò profondamente in lui.

Non credo che intendiamo la stessa cosa, risposte Edward con un ghigno.

Edward, con tutto il rispetto, ma tu non sai nulla di problemi di cuore e poi non sei una donna.

D’accordo, disse Edward sollevandosi sulla schiena, se ti dicessi che ho rischiato di uccidere un essere umano il cui sangue per me è irresistibile, ma che non l’ho fatto?.

Tanya rimase in silenzio per qualche istante, senza pensare.

E’ una donna, giusto?, disse in fine.

Edward scostò lo sguardo dal suo volto ma Tanya lo costrinse a incrociarne nuovamente lo sguardo.

Nessuno meglio di me sa cosa vuol dire amare degli essere umani. E’ sconsigliabile Edward – e non lo dico soltanto perché vorrei che tu fossi mio – ma so anche che farti cambiare idea è impossibile e se sei ridotto in questo modo, vuol dire che la cosa è molto seria, terminòTanya.

Quale cosa?, chiese Edward.

Tanya alzò gli occhi al cielo.

Possibile che non veda a un palmo dal tuo naso. I vampiri e gli essere umani in generale stanno così soltanto per due ragioni, il sangue – e non è il tuo caso altrimenti l’avresti uccisa – e l’amore.

Amore. Per la prima volta quella parola s’insinuò nella sua mente. Amare era un concetto limitato, per Edward.

Amore filiale e fraterno era l’unico affetto che avesse provato, ma non avrebbe potuto evidentemente associarlo a Isabella, in quanto non apparteneva a nessuna categoria. Avrebbe mai potuto amare diversamente? Amare una donna estranea? Era quello il sentimento che lo aveva sconvolto nella mensa scolastica, per il quale non l’avesse uccisa e che ancora lo teneva legato al suo ricordo? Corrispondeva in parte a ciò che sentiva attraverso la mente degli altri. Eppure era certo che fosse ancora presto per parlare di amore. Non poteva amare qualcuno senza averci prima parlato. Attrazione. Concluse che fosse quello a legarlo a Isabella. Un’iniziale attrazione che poteva diventare qualcosa di molto, molto più forte. Era a questo che si riferiva Alice? Lei sapeva che sarebbe tornato, ma era davvero giusto farlo? Un’umana? Alla quale per di più resisteva a stento. Impossibile. Eppure, tanto per ritornare al pensiero di prima, Edward sembrava destinato a imbattersi in situazioni complesse e le affrontava. E quello fu il secondo errore: essere tanto sprovveduto da credere di vincere l’unica battaglia nella quale umani e vampiri erano sullo stesso piano... l’amore. 

******

Bella?, chiese la voce all’altro capo del telefono e la ragazza fu certa di non aver mai amato il fratello come in quel momento.

Rian?, chiese, con un tono tanto sollevato che al fratello sfuggì un sorriso.

Che diavolo di fine avevi fatto?, chiese Bella, sibilando.

Mi dispiace di averti fatto preoccupare, ma va tutto bene. Siamo appena tornati e prima ancora di disfare le valigie ti ho chiamato, contenta?, chiede Rian.

Non cercare di placarmi, non ci riuscirai? Piuttosto, tutto bene? Ti sento un po’... strano, chiese lei.

Rian si schiarì la gola.

Certo, il viaggio in aereo mi ha spossato e temo di essermi beccato un raffreddore o forse un virus di confine. Com’è andato il primo giorno di scuola?.

Bella afflosciò le spalle e il sospiro fu tanto lungo che Rian lo avrebbe udito dal Giappone anche senza il cordless.

Non è successo niente di particolare, penso....

Pensi?.

Incomprensioni... e un’antipaticissima segretaria con una brutta ricrescita. Sono stata vicinissima dal picchiarla.

Non farti riconoscere, la schernì il fratello.

Dovrò pur movimentare un po’ il mortorio di questa cittadina, rise Bella.

Sono contenta di averti sentito, mi mancavi. Ho avuto un brutto... presentimento, sussurrò.

Non inizierai a credere a cose come “se ti fischiano le orecchie, vuol dire che qualcuno parla male di te”.

No, ma ti conosco abbastanza fratello da sapere quando menti, disse Bella e Rian deglutì.

Ora passami Asami, voglio sentirla.

E’ qui, sta per strapparmi il telefono dalle mani.

Un urlo si diffuse nella cornetta e versi infantili riempirono il cuore di Bella.

Amore della zia, esclamò.

Ricevette come risposta altre urla e risate.

Bella! Era impaziente di sentirti. Lo siamo tutti e tre, veramente, anche Hikari. Racconta, ho sentito che c’è qualcosa che non va, chiese Asami.

Lui non c’è, sussurrò poi.

Non so Asami... avevo pensato, per un istante, di aver conosciuto una persona... particolare. E poi....

Ti ha deluso?, chiese dolcemente.

In realtà, non sono certa di cosa sia successo. In mensa... Asami è bellissimo, ma non è soltanto questo. Ho occhi che parlano e ho pensato che dicessero qualcosa di diverso, poi siamo capitati nella stessa classe alla penultima ora ed è diventato un’altra persona, concluse Bella.

Ha detto qualcosa di sconveniente?, chiese Asami, forte del suo istinto materno.

No, è questo il problema... non ha detto niente. I suoi occhi erano freddi e distanti, prima di andare via mi ha guardato come se volesse chiedermi scusa e poi è sparito. L’ho incontrato di nuovo in segreteria e ti assicuro che ha il dono della parola. La cosa che mi preoccupa di più è quello che ho provato io. Se solo ci ripenso, mi sento... viva.

Asami sospirò.

Sei cotta, tesoro. Deve essere un ragazzo speciale, non sarebbe da te, altrimenti.

Penso che lo sia; vorrei capirlo. Ho il cuore che batte talmente forte ed è in pezzi. Devo capire cosa nasconde. Lui e la sua famiglia s’isolano volontariamente, eppure non né avrebbero motivo. Una mia compagnia mi ha assicurato che studenti eccellenti e di buona famiglia.

Pensi che siano snob?, chiese Asami.

Non mi ha dato quest’impressione, rispose Bella.

L’importante è che tu stia attenta e non ti cacci nei guai. Se hai bisogno chiama e tienimi aggiornata.

La ragazza ritornò sui propri passi e prima di affondare nuovamente nel letto, notò una piccola foglia rossa posata sul bracciolo della sedia a dondolo.

*****

 Nei giorni seguenti non ci furono cambiamenti da comunicare ad Asami, a parte lo squarcio nel petto che cresceva a dismisura con il passare del tempo. Ogni giorno Bella attendeva di rivederlo seduto a mensa o al banco di biologia, ma Edward non si presentò. In compenso, la ragazza ebbe occasione di studiare la famiglia Cullen. Erano strani, senza dubbio, ma innocui. In particolar modo, il folletto dai capelli corvini pareva sprizzare vitalità da tutti i pori. Più volte la sorpresa a fissarla, ma quella ragazza le piaceva. Bella iniziò a guardare quella famiglia con la tristezza nel cuore. Era palese che si amassero e fossero molto legati tra loro, nonostante non fossero fratelli di sangue. I legami di fratellanza che intercorrevano tra di loro, a parte alcuni che aveva scoperto essere fidanzati, le ricordavano Rian e Asami e la famiglia che lei non aveva avuto.

Il posto era senza dubbio cambiato, la vita era migliore e Bella si sentiva trasportata in un universo parallelo nel quale avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, se solo lo avesse desiderato, ma suo padre era rimasto lo stesso uomo. Da qualche giorno le liti erano ricominciate. Bella capì così che il risentimento era fin troppo radicato, per essere semplicemente dimenticato. Reneé aveva dimenticato perché avesse sposato Charlie, ma da molto tempo era giunta alla conclusione che non l’avesse mai saputo. Era un pensiero orribile, che Isabella augurava non sfiorasse mai la mente di nessun figlio: la ragazza aveva sempre voluto qualcosa di più per sua madre. E a volte aveva detestato talmente tanto la vita in cui la madre era costretta da riflettere sulla stessa donna la sua ira. E una parte di lei avrebbe voluto qualcosa di diverso anche per suo padre. Forse era l’unione a ferire tutti, separati sarebbero stati meglio. Bella aveva sempre sparato che si avverasse il desiderio di una vita migliore per il fratello, era l’unico desiderio che aveva sempre espresso. Alla fine si era realizzato e non certo per magia, ma per la volontà di Rian di combattere.

Bella poteva immaginare qualsiasi scenario avesse coinvolto quella famiglia e comprenderla, ma invidiava la serenità che vedeva nei loro occhi. Benché chiunque li guardasse vedesse soltanto il gelo di cui si erano circondati, Bella scorgeva in essi solo ed esclusivamente calore.

******

Sei sicuro, Edward?, chiese Esme, passando un braccio intorno alle spalle del figlio.

Sì, Esme. Ho bisogno di fare chiarezza e l’unico modo e tornare a scuola, rispose Edward.

Esme gli rivolse uno sguardo pieno d’orgoglio materno.

L’importante e che tu non sparisca di nuovo, è stata una settimana orribile.

Lo prometto; qualsiasi cosa succeda non sparirò. Non lo avrei fatto neanche la prima volta, ma mi è stato utile.

Esme gli scompigliò i capelli, accompagnandolo all’uscita e posando un bacio sulla sua fronte, prima di spingerlo verso l’auto.

Edward si mise al voltante, scuotendo il capo e cercando dentro di sé la forza per affrontare la giornata che si prospettava molto lunga. Si scoprì impaziente di ritornare a scuola, ma in realtà sapeva che l’unico motivo era Isabella. Alice, nel sedile posteriore, si sporse e gli passò le braccia intorno al collo, posandogli un bacio sulla guancia.

Andrà bene, Edward. Non vedo niente, perché sei confuso e non sai come muoverti, ma ne sono certa. Ah, l’ho osservata a lungo e la trovo adorabile, ma la tristezza le si legge negli occhi. Chissà che non vi siate incontrati per salvarvi a vicenda≫.

*****

  ≪Sei sicura di voler guidare con questo macinino, la strada è bagnata≫, disse Renée, preoccupata per l’incolumità della figlia.

Bella alzò gli occhi al cielo.

≪La mia auto è solidissima. E poi, cosa vuoi che succeda. Orami guido il pick-up da tre giorno e si è dimostrato più che affidabile≫.

Reneé sospirò e lasciò che la figlia salisse sul mezzo e accendesse il motore.

≪Mi raccomando≫, urlò, quando la ragazza premette il piede sull’acceleratore e si allontanò velocemente, si fa per dire, lungo la strada che l’avrebbe portata a scuola.

Durante la notte la strada si era ghiacciata pericolosamente e il meteo prevedeva neve, un evento abbastanza raro in Calabria. Bella dovette ammettere che il sole le mancava, ma si era abituata alla pioggia. Il suo picchiettare sui vetri era una dolce ninnananna, che rendeva piacevole il sonno. La ragazza non era ancora abituata a tutti gli sguardi che accompagnavano il suo arrivo nel parcheggio: l’unico difetto del pick-up era il rumore assordante del motore, simile a quello di una locomotiva a vapore.

Qualche ora più tardi, lei e Angela riempivano i vassoi del cibo lungo il bancone della sala mensa.

Le due ragazze si diressero al solito tavolo, occupando i loro posti. Bella aveva chiesto ad Angela di cambiare postazione, in modo da non avere la costante tentazione di guardare verso il tavolo dei Cullen e ricevere l’ennesima delusione. Lui non c’era e non ci sarebbe stato. Non avrebbe mai capito cosa lo avesse spinto a quella reazione nei suoi confronti. Non aveva alcuna logica razionale che la odiasse, poiché non la conosceva. Ma, infondo, neanche lei avrebbe dovuto sentirsi attratta dal ragazzo, in quanto non lo conosceva.

Edward alzò gli occhi al cielo, abbandonandosi sulla sedia. Isabella sembrava evitare di proposito di guardare nella direzione dei Cullen e come avrebbe potuto darle torto. Chiunque altro avrebbe reagito molto peggio dopo il suo comportamento. Eppure Edward avrebbe voluto ricreare la scena dell’ultima volta che aveva “pranzato” alla mensa. Avrebbe voluto leggere nei suoi occhi e capire cosa pensava di lui e della sua famiglia. Ovviamente, la sua mente gli era ancora preclusa.

Mike si schiarì la gola e si avvicinò a Bella, accostandosi maggiormente al suo fianco con la seggiola.

≪Allora Bella≫, esordì, grattandosi nervosamente la base della nuca, ≪mi chiedevo da un po’ di giorni, se ti andasse... di... accompagnarmi al ballo. Sempre che tu ci venga, non voglio dare per scontato che tu lo faccia, solo che...hai capito≫, concluse.

Alice udì lo scatto della mascella del fratello e tentò di trattenere il sorriso, invano.

≪Sai come vanno queste cose, Edward. Perché te la prendi?≫,  pensò Alice, provocandolo.

≪Non mi sembra di aver detto niente, Alice≫.

L’unica risposta che ottenne fu la sua risata argentina.

E’ bella. E’ normale che i ragazzi le girino intorno. Eppure, non sembra esserne consapevole. E’ una persona molto semplice e alla mano≫, continuò imperterrita.

Edward la ignorò e concentrò la propria attenzione sulla conversazione che avveniva a pochi tavoli di distanza.

≪Mi dispiace Mike, ma non credo che parteciperò al bello. E’ stato gentile da parte tua pensare a me, anche se gli inviti spettavano alle ragazze≫, rispose Bella, rossa dalla punta dei piedi alla radice dei capelli.

≪Maledizione! Avrei dovuto aspettarmi che dicesse di no, ma ci speravo. Sarebbe stato il momento giusto per farmi avanti e dirle che mi piace. Forse, se le confessassi questo, cambierebbe qualcosa o farei la figura dell’idiota...≫, pensò Mike.

≪Ecco, ritirati≫, pensò invece Edward.

Era ovvio che Bella non avrebbe accettato quella banale proposta. Dopotutto, che razza di gentiluomo avrebbe invitato una donna ad un ballo, al tavolo di una mensa, balbettando. Come avrebbe potuto stringersi al suo braccio e affidarsi a quel ragazzo? Edward valutò in pochi secondi tutte le menti maschili, escluse quelle dei suoi fratelli. Nessuno di quei ragazzi avrebbe meritato un onore simile. Eppure, Alice aveva ragione, Biancaneve era bella, molto bella, Mike Newton sarebbe stato il primo dei molti che avrebbe visto tentare un patetico approccio con lei. Permettere che uscisse con uno qualsiasi di loro sarebbe stato come affidare “le pecore al lupo”, tanto per utilizzare un banale proverbio. E’ Biancaneve era un agnellino delizioso.

Bella e Angela entrarono insieme dalla porta dell’aula. La ragazza stava confessando a Bella il suo desiderio d’invitare Ben al ballo, ma temeva un suo rifiuto.

≪La verità è che non ho mai incontrato nessuno che volessi “invitare un ballo”. Non so cosa farei in quel caso, ma tu sei una ragazza coraggiosa, che non teme di esporsi. Hai scritto pezzi nel giornale scolastico che hanno fatto drizzare i capelli del preside diverse volte, se non mi sbaglio. Perciò buttati. Ben sarebbe un pazzo a non accettare≫, le consigliò sinceramente Bella.

Angela le strinse un braccio e mormorò un grazie. Il suo sguardo dolce divenne duro d’improvviso, poi un sorrisino gli spuntò sulle labbra.

≪Guarda, guarda chi è tornato≫, sussurrò Angela.

Bella avvertì nuovamente quello sguardo perforarle la schiena. Sapeva chi avrebbe visto se avesse voltato il capo. Il cuore iniziò a batterle freneticamente nel petto e le gambe le tremarono tanto che dovette reggersi ad Angela per non cadere. La ragazza le rivolse uno sguardo preoccupato. Non aveva mai avuto tanto timore di affrontare qualcuno o qualcosa, eppure aveva vissuto molte cose spiacevoli.

≪Spedisco Beth al tuo posto, se preferisci sedere accanto a me. Mi deve parecchi favori, le ho fatto copiare più di un compito≫, le suggerì Angela.

Bella rivolse uno guardo crucciato alla ragazza in questione. Qualcosa le stringeva il petto, al pensiero che occupasse il suo posto. Per quanto temesse di affrontare quell’incontro al quale aveva rinunciato da tempo, una fitta nebbia rossa le oscurava lo sguardo all’idea che Beth sedesse accanto ad Edward, con il suo fare civettuolo. Scosse il capo energicamente e si ricompose. 

≪No≫, affermò, ≪va bene così. Mi sentirò più in pace con me stessa dopo che avrò risolto questa faccenda. Forse c’è una spiegazione logica al suo strano comportamento dell’altro giorno, forse abbiamo immaginato tutto. In ogni caso non vedo perché dovrei essere io a spostarmi e lui quello ad avere problemi≫.

≪Credo che l’unico motivo per cui non abbiamo amici sia nessuno che abbia mai realmente tentato di rompere la barriera che hanno costruito intorno alla loro famiglia e forse nessuno che sia mai riuscito a fargli abbassare un tantino la cresta. Protesti essere la persona giusta≫, ghignò Angela, andando a sedere di fianco a Beth, ignara di essere stata la causa scatenante di una potente gelosia.

Bella voltò il corpo e il capo e solo per ultimo alzò gli occhi e li piantò su Edward. La fissava con una strana luce negli occhi. Perfetto, pensò Bella, ha occupato il lato accanto alla finestra. Ma ciò che nessuno dei due immaginava fu la potenza di ciò che provarono nel rivedere l’altro. Non era semplicemente sollievo, che di per sé, nella loro situazione, sarebbe stato strano. Era molto di più; come se avessero trovato l’unico pezzo mancante per concludere il puzzle, come se avessero ritrovato i battiti del cuore o il regolare ritmo del respiro. L’uno fu immediatamente risucchiato verso l’altro e fu inevitabile ricongiungersi e ritrovarsi, questa volta per l’eternità.

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Capitolo 4
*** 3) Uomini ***


Buon pomeriggio! Questo terzo capitolo è molto importante. Spero di essere riuscita ad esprimere bene le sensazioni di Bella e la situazione. Ho deciso di portare a termine la storia, benché siano in pochi a seguirla e a tal proposito ringrazio chi ha aggiunto la storia alle seguite. Se volste lasciare qualche recensione o anche qualche critica, pur di mettermi a parte dei vostri pareri e farmi capire se la storia funziona o meno. Vi ringrazio anticipatamente e vi lascio alla lettura:)

3 Uomini

13 settembre 1995

La donna si abbandonò sui cuscini del letto d’ospedale nel quale aveva appena dato alla luce la propria bambina. La stanza si riempì del suono struggente del suo pianto. Reneé protese immediatamente le braccia nella direzione del piccolo fagottino in fasce e l’infermiera gliela consegnò, seppur con riluttanza in quanto doveva essere lavata e visitata al più presto. Le braccia della donna accolsero quel dolce peso con infinita passione, dimentica del dolore, delle nausee, dell’instabilità e dei precedenti nove mesi di gestazione. La bambina si adagiò perfettamente tra le braccia della madre, senza accennare ad aprire gli occhi e continuando a singhiozzare. Nonostante lo strato di liquido biancastro che la ricopriva, Reneé fu certa di non aver mai visto niente di più bello. La bambina aveva un volto perfetto e una folta capigliatura nera e lucida. Reneé la sfiorò con delicatezza, parlandole amorevolmente.

Isabella.

La bimba si sarebbe chiamata Isabella, come sua madre, perché nessun altro nome sarebbe stato all’altezza di quel volto.

La piccola le fu sottratta dalle braccia, ma la donna continuò a sorridere. E’ la speranza di ogni genitore che il proprio figlio faccia qualcosa d’immenso nella vita, per Reneé fu una certezza. Soltanto diciassette anni più tardi si sarebbe concretizzata la sensazione nel suo cuore di madre.

Nel frattempo, mentre Isabella veniva alla luce, il giovane Cullen correva. Edward sfrecciava nel fogliame, risvegliando bruscamente la quiete della foresta, alla ricerca di tracce olfattive promettenti. Vagò per ore, fin quando il vento non portò alle sue narici l’odore di un grosso carnivoro.

Edward si accostò alle spalle di un enorme abete, osservando la scena che si stava svolgendo nella piccola radura erbosa delimitata da sempreverdi e illuminata da uno sporadico fascio di luce. Un leone di montagna, dal pelo corto e rossiccio, mostrava i denti a un minuscolo e ingenuo cerbiatto dal manto a chiazze bianche. Era uno spettacolo comunissimo e naturale, come lui aveva cacciato il coguaro, il leone di montagna si accingeva a finire la sua preda. Il piccolo di cervo lo fronteggiava tremante e instabile sulle zampe. Era strano che la madre non fosse con lui, evidentemente aveva smarrito la strada. Eppure, benché il suo terrore fosse evidente a entrambi i predatori, il cucciolo non accennava ad allontanarsi. Imprudente, indugiava anziché fuggire. In tanti anni Edward non aveva mai assistito a nulla del genere.

Il leone non era dello stesso avviso pacifico del cerbiatto, poiché avanzò cautamente nella sua direzione, sibilando in segno di minaccia. L’animale continuò a non muovere un passo. Man mano che la distanza tra i due diminuiva, il cerbiatto accresceva la propria avventatezza. Nessuno lo aveva svezzato, troppo piccolo e innocente era costretto a una fine misera. I suoi occhi scuri non esprimevano alcun sentimento: erano illeggibili. Benché Edward sapesse che quello era il naturale svolgersi degli eventi, l’impudenza e la purezza di quel piccolo esemplare di cervo lo sconvolsero al punto che, nell’istante in cui il leone attaccò, dopo qualche istante d’incertezza, il vampiro si parò di fronte al cucciolo, attutendo il colpo sul proprio corpo. Il leone cadde a qualche metro di distanza, uggiolando e sibilando al vento. Edward si voltò leggermente con il capo, cercando lo sguardo dell’animale, ma ritrovando soltanto il vuoto dietro di sé e l’imbocco oscuro della foresta. Quantomeno il leone non era scomparso, ma tentava di rialzarsi. Edward lasciò che si rimettesse in piedi sulle proprie zampe, deciso a ultimare il proprio pasto. Nel tempo di un suo respiro, il giovane vampiro appena diciassettenne si materializzò di fronte al suo volto ed entrambi scoprirono i denti, senza arretrare l’uno dall’altro. Il leone di montagna ritrasse per primo i canini, posando il grosso naso sulla guancia e poi sulla spalla del ragazzo, in fine si voltò e trotterellò tranquillamente nel folto della foresta.

13 settembre 2012

Bella sbadigliò, accoccolandosi in posizione fetale e trascinando il piumino fin sopra la testa. Allungò il braccio destro, tastando tentoni l’aria alla ricerca della sveglia. Quando credé di averla trovata, l’oggetto invadente cadde sul pavimento, gemendo prima di spegnersi definitivamente. Quel mattino la ragazza indugiava ad alzarsi dal letto, sia perché la pioggia rendeva molto più piacevole il sonno, sia per la sua stanchezza, in quanto era rimasta al telefono con sua sorella e suo fratello fino alle due del mattino. L’argomento principale che le aveva occupate per tanto tempo aveva un volto e un nome: Edward. Naturalmente non erano riuscite a venire a capo del suo strano comportamento.

Allora Bella, non mi hai più parlato di quel ragazzo?, chiese Asami, trattenendo a stento la curiosità.

Rian le aveva chiesto d’indagare, ma lei non gli avrebbe mai riferito una confidenza della sorella, però doveva ammettere di essere molto curiosa e preoccupata.

Isabella arrossì e scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ricordando la sua conversazione con Edward.

Aveva lasciato scivolare delicatamente i piedi della sedia sul linoleum e aveva occupato il posto accanto al ragazzo misterioso, continuando a guardare dritto davanti a se. Si era ripromessa che non avrebbe permesso a Edward Cullen di sconvolgerle ancora la vita, ma sapeva che, se avesse ceduto alla tentazione e l’avesse guardato in volto, sarebbe stata la fine e l’orgoglio che le scorreva a fiotti di adrenalina nel corpo si sarebbe dileguato.

Dal canto suo, Edward non le staccò gli occhi di dosso neanche per il tempo di battere le ciglia. Sembrava non gli importasse più di mantenere una parvenza umana. Non quando lei lo... ignorava deliberatamente. Edward fece svettare un sopracciglio folto in alto, in attesa che la ragazza si decidesse a scostare lo sguardo dalla cattedra. Contemporaneamente, quel lato della sua mente che non era occupato a irritarsi per la situazione, guardava con obbiettività al comportamento della ragazza. Cosa si aspettava che facesse? Era stato il primo a mancare di buone maniere. Eppure, l’aveva immaginata terrorizzata e tremante in un angolo o che fuggisse da lui e accettasse l’invito di Angela a cambiare posto, non di certo che mostrasse una simile presenza d’animo e determinazione. Poi si diede dello sciocco, perché se avesse ricordato della loro rimpatriata nella segreteria, non avrebbe potuto immaginato un finale diverso. E ancora, un’altra parte della sua mente spaziosa poteva indugiare su ogni movimento della ragazza, sul rosso appena accennato sulle guance e sui denti che mordevano il labbro inferiore con accanimento. Quei piccoli gesti e il suono violento del suo cuore, diedero al ragazzo la certezza che dietro alla maschera d’indifferenza si celasse una grande emozione, l’unica domanda che ancora lo inquietava era la natura positiva o meno di quest’ultima.

Ciao, sussurrò nella sua direzione.

Bella si pietrificò sul proprio posto e poté giurare di udire il crac della maschera che aveva indossato, frantumata, cadere al suolo come tanti granelli di sabbia. Mantenere la propria compostezza divenne impossibile e Bella fu costretta a voltarsi in direzione di quella voce, come se il giovane, anziché chiamarla, le avesse posato una mano sul volto e l’avesse girata.

Mi chiamo Edward Cullen. Sono stato un vero maleducato a non presentarmi prima. Tu devi essere Isabella Swan≫, concluse.

E’ pericoloso, le urlò a squarciagola una voce nella mente. E Bella si trovò ad annuire a se stessa. Edward Cullen era pericoloso. Una voce così seducente e un volto tanto sconvolgente non potevano esistere pacificamente con il resto del mondo. Isabella arrossì violentemente e combatté contro la timidezza che le imponeva di abbassare lo sguardo, ma una forza mille volte più grande la costringeva a non distoglierlo e magnificamente non si trattava di una forza malvagia ma estremamente piacevole. Gli occhi di Edward non erano più freddi come una lastra di ghiaccio intinta nel petrolio, bensì caldi come l’oro. Il lato razionale della ragazza si costrinse a guardare con obbiettività a quel particolare. Gli occhi erano soggetti a cambiamenti di colore; lei stessa lo aveva notato nel proprio sguardo al mutare del tempo, dell’umore e della luce. C’era però da considerare che l’ambiente dell’aula non fosse cambiato dall’ultima volta che Edward era stato al corso di biologia: lo stesso cielo grigio all’esterno e le medesime lampadine al neon. Allora il suo umore doveva essere migliorato enormemente. Non vi era altra spiegazione razionale che giustificasse un cambiamento tanto radicale. In ogni caso, l’idea che in lui ci fosse qualcosa di “diverso” – un sussurro nella mente le suggeriva “migliore”- non l’abbandonava.

Bella si drizzò sulla schiena, senza smettere di rivolgere al ragazzo tutta la propria attenzione e curiosità. I suoi occhi si accesero di una luce sagace.

≪Non dovrebbe più stupirmi che tutti sembrino conoscermi, benché io non conosca loro≫, rispose, intenzionata ad ascoltare la risposta del ragazzo.

Edward sapeva che mentiva. Conosceva il suo nome e la storia della sua famiglia fin dal primo giorno e allora valutò con attenzione le parole da utilizzare.

≪Pensavo fosse difficile dimenticare un comportamento così sgarbato come il mio. Sono stato tanto egocentrico da credere che il mio cognome, se non altro, ti fosse rimasto in mente≫, rispose il rosso, accennando un mezzo sorriso.

Isabella rievocò quel primo giorno, come aveva fatto, ai lei, tante volte in quella settimana e ricordò il momento in cui la segretaria aveva starnazzato il suo cognome.

≪Il signor Cullen era qui prima di lei≫, aveva detto.

Per ricordare un passaggio così insignificante il ragazzo doveva avere buona memoria, oppure, aveva ripensato a quei momenti tanto quanto lei.

Bella si aprì in un sorriso dolce quanto lo sguardo di lui e rispose: Credo sia impossibile dimenticare alcune cose, in special modo le voci... sgradevoli di certe... donne..., la ragazza non riuscì a proseguire, perché il desiderio di ridere al ricordo era troppo forte.

Edward, il quale aveva compreso senza difficoltà a chi si riferisse, la accompagnò con una risata spontanea, rimanendo allo stesso tempo abbagliato dalla lucentezza del suo volto, dei suoi occhi e del suo sorriso.

Allo stesso modo Bella. I due si lanciarono un’occhiata espressiva: la tensione era stemperata.

Allora ammetti di conoscermi, rincarò Edward.

Sarebbe stato impossibile stancarsi di quel gioco che aveva il retrogusto della malizia e dell’innocenza al tempo stesso. Avrebbe passato la vita a punzecchiare Isabella.

Pensi che sia così facile poter dire di conoscere qualcuno?, replicò lei, allungandosi sul banco e avvicinandosi al tempo stesso, senza accorgersi di averlo fatto.

Edward la imitò istintivamente, come se volessero estraniarsi dal resto del mondo e proseguire sottovoce la loro conversazione. Edward sussurrò: Dipende. Spesso non ho bisogno che gli altri parlino per sapere cosa pensano, ma devo ammettere che, con te, non è altrettanto semplice.

La pelle della ragazza fu attraversata da un brivido invisibile e nonostante ognuna delle sue terminazioni nervose fosse impazzita, riuscì a mantenere la fermezza nella voce e nella postura.

E pensare che ho sempre creduto il contrario, mormorò Bella, quasi non volesse farsi udire.

Edward ammirò il suo profilo, la linea morbida del mento, la sporgenza lucida delle labbra, la linea sottile del piccolo naso adorabilmente all’insù e deglutì il veleno scatenato dalla vicinanza con il suo sangue. Il ragazzo si scostò di poco, senza perdere il sorriso, benché quel gesto avesse scottato entrambi e disse:Ti sbagli. Ad esempio: puoi chiederti mille volte cos’abbia spinto una ragazza a trasferirsi dall’altra parte del mondo, realmente, senza ottenere risposta.

Sarebbe il caso di chiederlo alla diretta interessata, allora, disse lei, senza riflettere sulle proprie parole.

Edward la guardò corrugando la fronte e tra il solco delle sopracciglia Bella immaginò di passare il palmo della mano, per appianarlo.

Risponderebbe sinceramente?, chiese Edward.

Forse... a patto che il ragazzo le confidi qualcosa di se. Come il motivo che l’ha spinto a porgersi tale domanda, concluse.

Forse m’infastidisce non riuscire a capirlo con facilità, terminò lui, dopo una breve analisi.

In verità, avrebbe dovuto continuare ammettendo che i motivi erano tanti altri. Ma Bella non avrebbe mai dovuto conoscere il legame di cantante e vampiro che li univa, né dell’ossessione che stava diventando per quello stesso succhiasangue.

Mi è stata data questa possibilità dalle persone che amo di più al mondo. Non fosse stato per loro, non sarei qui. E anche se trasferirmi dall’altra parte del mondo ha comportato lasciarli, in ballo c’era molto più della mia nostalgia, riassunse brevemente.

Edward corrugò ancora di più la fronte. Vide passare nei suoi occhi la stessa infinita tristezza di cui gli aveva parlato Alice. Chi aveva lasciato di così importante, Isabella? Sembrava in qualche modo in pace con la propria nostalgia, allora cos’altro la consumava? Edward fu attraversato da milioni d’ipotesi, emozioni e sentimenti.

Bella lo guardò per un istante e disse:≪Forse l’ho messa su un piano sbagliato, ma è complicato da spiegare. Sembra quasi che io non abbia ricevuto il dono più grande del modo venendo in America≫.

Pronunciando il nome del continente, i suoi occhi si accesero e di conseguenza quelli del vampiro s’illuminarono.

≪Un lato positivo c’è, a quanto pare. Sembra che tu ti aspettassi qualcosa di più. L’America non è Forks, sai: Liberty Island, ponte di Brooklyn≫, terminò Edward.

La ragazza rise di gusto.

≪Non è dall’America che mi aspettavo qualcosa di più. Non ho ancora visto nulla, neanche Seattle. Forse è da chi mi circonda che mi aspettavo qualcosa di più≫, terminò sussurrando.

La loro conversazione fu interrotta dall’insegnante, il quale distribuì alcuni vetrini da analizzare al microscopio.

Bella aveva sempre avuto una grande passione per le scienze, per la biologia e l’astronomia; quest’ultima era la sua passione, insieme alla letteratura. Nessuno poteva separarla da un buon libro o dalla volta celeste.

Edward spinse il microscopio nella sua direzione:≪Prima le donne≫.

Il ragazzo pronunciò quelle parole con tale dolcezza che Bella non poté fare a meno di sorridere ancora con gli occhi e con le labbra. Mentre si chinava sull’oggetto, la sua mente vagò sul pensiero che Edward era senz’altro un gentiluomo: non era difficile capirlo dai suoi modi, dalla sua postura e dal suo modo di esprimersi. La ragazza odiava che una lingua andasse in disuso, per questo motivo non utilizzava mai assurde abbreviazioni. In Italia aveva fatto molto uso del dialetto corrente, ma non dimenticava la bellezza e musicalità dell’italiano.  

≪E’ metafase≫, disse lei.

Edward allungò istintivamente la mano e le chiese di poter dare un’occhiata.

Bella lo sfidò con uno sguardo.

≪Certo≫, rispose, lasciandogli campo libero.

Edward osservò per un decimo di secondo il vetrino, poi annuì e segnò il tutto su un foglio. Nonostante Bella fosse irritata dalla sua mancanza di fiducia, non riuscì a non osservarlo con segreta ammirazione, per quel decimo di secondo e rimanerne ancora una volta affascinata.

≪Anafase≫,  disse Edward.

≪Posso?≫, chiese Bella.

≪Touché≫, rispose il ragazzo, avvicinandole il microscopio.

≪Dovrebbe toccare a te, adesso; dire qualcosa. Io ho risposto alla tua domanda≫, costatò Bella, senza staccare gli occhi dalla lente.

Edward sorriso, pensando cosa potesse rivelare a quell’astuta ragazza.

≪Giusto. Allora dovresti farmi una domanda≫, tergiversò il vampiro.

≪Ad esempio – iniziò lei - puoi chiederti centinaia di volte cosa spinga una persona a tenere lontano gli altri, benché non sembri esserci alcuna ragione convincente, senza ottenere risposta≫, disse.

≪Cosa ti fa credere che sia io a tenere lontani gli altri e non il contrario?≫, chiese Edward, seriamente curioso.

Bella rispose mentre segnava il nome del processo sullo stesso foglio, dovendo ammettere la preparazione di Edward.

≪Semplice deduzione≫.

I due incrociarono gli sguardi e Bella vide comparire nelle iridi dorate un profondo disagio.

≪Era metafase≫, disse, cambiando intenzionalmente la direzione della conversazione.

≪Certo che sì, collega≫, replicò il ragazzo.

Bella proseguì con nonchalance l’esperimento, lasciando a Edward il tempo di riprendere il controllo della propria mente.

≪Io ho la fortuna di non provare nostalgia per l’assenza di altre persone. La mia vita è incredibilmente ricca da quel punto di vista, ma conosco questo sentimento molto bene≫, confessò il vampiro, sentendo di poterlo e volerlo fare.

Non avrebbe potuto confessarle che aveva perso se stesso molto tempo prima e provava un immenso rimpianto al ricordo di ciò che era stato. Elisabeth e Edward Meson erano stati fondamentali nella sua vita precedente ma Esme e Carlisle erano stati validi sostituti, tanto da non fargli rimpiangere i giorni in cui aveva avuto una madre e un padre biologici.  

≪Non sono i legami di sangue a rendere tale una famiglia≫, concluse lei.

≪Chi è che hai lasciato, Isabella?≫, chiese Edward, intuendo la sua risposta.

≪Mio fratello – rispose lei- sua moglie e i miei due nipotini≫.

≪Come si chiamano i bambini?≫, chiese Edward.

≪Kiseki e Hikari. Non penso che esistano al mondo bimbi più pestiferi, dolci e intelligenti. Loro... scusa, divagavo≫.

Bella arrossì, mordendosi le labbra e Edward scoppiò a ridere.

Non preoccuparti. Si vede lontano un miglio che li ami e a maggior ragione non dovresti sentirli lontani. Ho imparato a contare soltanto sulla mia famiglia, Isabella, e tutt’oggi la separazione da un fratello è una sensazione molto spiacevole. Non riusciremo mai a separarci se non avessimo la certezza del nostro affetto e un miliardo di ricordi da associare a ogni volto per ogni circostanza. Un sorriso non dura che un istante, ma nel ricordo può essere eterno≫, terminò, senza allontanare lo sguardo da lei.

Friedrich von Schiller, costatò Bella, grazie, Edward.

La conversazione fu nuovamente interrotta dal professor Banner che si avvicinava al loro banco. Ci fu solo il tempo di aggiungere un’ultima cosa: ≪Prima o poi scoprirò quali sono i tuoi misteri, Bella.

La ragazza rivolse un’occhiata indecifrabile al rosso, dopodiché sorrise furbamente e aggiunse: Quando io scoprirò i tuoi.

*****

  ≪E’ stato...diverso Asami. Abbiamo avuto una conversazione molto lunga e sfaccettata e ti dirò, forse non avevo sbagliato a giudicarlo positivamente, al primo sguardo. Ma temo che domani torni una persona diversa a condividere il banco con me a biologia≫, aggiunse tristemente la ragazza.

≪Pensi che abbia problemi di personalità multipla?≫, chiese Asami.

≪Inizio a pensarci seriamente≫, rise lei.

≪A dire il vero ho un po’ paura≫, confessò la ragazza.

≪Di lui?≫.

≪No, per amore del cielo. Anche se ha qualcosa di... strano, non mi fa paura. Temo me stessa e lo sconvolgimento che porta nella mia mente ogni volta che l’incontro. Pensi sia grave?≫, chiese e la voce le tremava.

Dall’altra parte si udì un fragorosa risata.

≪Gravissimo tesoro. Io confermo la mia tesi: tu sei cotta≫.

≪E’ ancora troppo presto per dirlo≫, sussurrò Bella.

≪Quando ne sarai certa fammelo sapere≫, ridacchio Asami, prima di prorompere in un gridolino estasiato.

≪E’ mezzanotte. Ciò vuol dire che è il tredici settembre e tu, mia cara, hai ufficialmente diciassette anni≫.

*****

Bella scese di corsa le scale, attenta a non inciampare nei gradini. La ragazza si diresse in cucina, udendo le voci di entrambi i suoi genitori. La sorpresa nel confutare che suo padre non fosse già in servizio fu sostituita dall’irritazione per il tono delle loro voci. Bella alzò gli occhi al cielo e continuò imperterrita. Quando fu in cucina, una piccola stanza confortevole, esclamò un tirato buongiorno, afferrando qualche biscotto dallo stipetto in alto. Reneé cambiò radicalmente tono e si rivolse alla figlia con un sorriso e un “Buongiorno, tesoro. Buon compleanno”.

La sua espressione tirata non ingannò la figlia. La donna sembrava molto stanca, come se avesse tentato per ore di abbattere un muro e desolata come se non fosse riuscita nell’intento.

≪Grazie≫, rispose Bella.

Charlie piegò il giornale del mattino, abbandonandolo sul tavolo e alzandosi goffamente dalla seduta. Si avvicinò alla figlia e la ragazza attese che si consumasse il consueto rituale “del compleanno”.  Charlie le posò una mano sulla spalla e un rumoroso bacio sulla guancia. Senza sapere quanto ciò la turbasse e inquietasse il suo animo. Le succedeva di sentirsi sbagliata in quei momenti - molto più del solito - per il desiderio prepotente di respingere il padre. Non ricordava il compleanno esatto in cui aveva iniziato a soffrire il suo tocco, ma sapeva che da allora, ogni anno, la cosa peggiorava esponenzialmente. E temeva quel sentimento, perché non avrebbe mai sopportato di odiare il padre. Il suo cuore ne sarebbe stato letteralmente lacerato. Una piccola parte di lei aveva sperato che le cose andassero diversamente quel tredici settembre, per poi costatare che nulla era cambiato. Aveva mentito a Edward, affermando che la propria nostalgia vertesse unicamente sull’assenza di Rian, Asami, Kiseki e Hikari. La malinconia più grande dipendeva dalla mancanza del sentimento che avrebbe dovuto provare verso l’uomo che le aveva donato la vita. Diciassette anni nei quali non aveva mai imparato cosa significasse adorare un padre. Si sentì piccola, come un singolo puntino luminoso sulla volta celeste che annegava nel buio della notte, e fu inghiottita dalla propria ignoranza.

Reneé si avvicinò alla ragazza, scuotendola dal torpore nel quale era caduta. Charlie era già andato via da un pezzo, eppure lei non aveva sciolto la posa rigida che assumeva sempre in quelle circostanze.

≪Tutto bene?≫, chiese la donna.

Bella annuì, giacché non si fidava della propria voce.

≪Cos’è successo?≫, chiese Bella, ≪vi ho sentito discutere≫.

≪Il solito≫, rispose la donna, ≪conosci i suoi modi. Ero solo stanca e non sono riuscita a trattenermi dal rispondere, tutto qui≫.

Bella sospirò. Sua madre era arrivata all’esasperazione già da qualche anno e la ragazza non aveva idea di quale forza la tenesse ancora in quella vita.

≪Vado dai bambini, ci vediamo pomeriggio≫, disse Reneé e i suoi occhi s’illuminarono pensando al lavoro all’asilo nido.

Senza dubbio era un toccasana per lei.

Bella e Reneé lasciarono insieme l’abitazione. L’una si diresse verso la propria auto, l’altra, malferma sui piedi a causa del ghiaccio, si avviò verso il proprio pseudo pick-up. Il cielo era plumbeo e presto avrebbe nevicato. Da un lato un metro di soffice neve sotto i piedi ad attutire le eventuali cadute non era una prospettiva tanto sfavorevole. Avrebbe dovuto comprare delle catene da neve. 

Mentre trafficava con lo stereo del pick-up, in prossimità della scuola, le ritornò il buonumore perduto. Sarebbe stato puerile illudersi che fosse dovuto alla ricorrenza della propria nascita, evento al quale non aveva mai dato importanza o alla scuola. La sua gioia nasceva dal fatto che presto avrebbe rivisto Edward. Aveva sperato che il suo rapporto con il padre migliorasse ed era rimasta delusa, sperava che Edward almeno non smontasse l’idea positiva che stava costruendo di lui.

Bella avvistò il parcheggio più vicino, in modo che non dovesse girare a lungo con il mezzo e palesare ulteriormente la sua presenza a causa di quel motore infernale. Il caso volle che ve ne fosse uno vuoto a qualche metro di distanza dall’entrata.

******

Edward tese l’orecchio, in ascolto di ogni eventuale rumore che gli suggerisse l’arrivo di Isabella. Alice ridacchiò, girandogli intorno, fin quando il ragazzo non le lanciò un’occhiata truce.

≪Sai che giorno è oggi, Edward?≫, chiese Alice.

≪Il tredici settembre≫, rispose lui, con fare ovvio.  

La nana alzò gli occhi al cielo, sbuffando delicatamente dalle narici sottili.

≪Ed è anche il compleanno di Isabella≫, aggiunse, sorridendo poi dolcemente al ragazzo, il quale aveva sospirato sconsolato.

≪Perché non mi dici semplicemente cosa nascondi Alice? Ti diverte vedermi annaspare?≫.

Alice finse di pensarci su, poi sorrise raggiante e diede un buffetto sulla nuca del fratello.

≪Certo che no, ma io non sono onnisciente, perciò non conosco tutti i dettegli. E la mia al momento e solo un’idea che potrebbe concretizzarsi. In ogni caso è un cammino che devi fare da solo, Edward. Posso soltanto dirti che Bella è una ragazza speciale e che diventeremo ottime amiche. Sarebbe la prima volta per me≫, sussurrò in fine, chinando il capo.

Edward gli carezzò i capelli per tirarle su il morale, mentre Jasper le sfiorò la guancia con un bacio.

Il rosso non le avrebbe detto che, con quella predizione, gli aveva complicato ulteriormente le cose. Avvicinare Isabella ad Alice comportava che la ragazza frequentasse tutti gli altri vampiri, Jasper in primis in quanto era sempre accanto alla moglie. E una tal esposizione era molto pericolosa. Sarebbe stato più salutare per tutti che la evitasse, allora perché, quando udì il rombo di un motore singhiozzante e fu certo di sapere a chi appartenesse, le labbra si curvarono in un sorriso e alzò il capo impaziente di vederla?

La ragazza scese dall’auto, aggrappandosi al paraurti ed estraendo il vecchio zaino malconcio dal sedile. La sensazione di essere osservata fu accompagnata questa volta da un calore pungente all’altezza del petto. Bella sorrise – certa di sapere quali fossero gli unici occhi in grado di perforarla in quel modo da parte a parte – e voltò il capo per incrociarne lo sguardo.

Nel frattempo, il suono di un clacson destò gli studenti da qualsiasi altra attività e risvegliò i sonnambuli più dell’aria gelida. Bella non avrebbe mai distolto lo sguardo dallo spettacolo del sorriso di Edward se non avesse udito quel fastidioso frastuono tanto vicino a se. E quando voltò il capo era troppo tardi per cercare qualsiasi via di fuga o sperare che il furgone virasse traiettoria. Con l’immagine della morte che si scagliava brutalmente contro di lei, la mente di Bella viaggiò a velocità impressionante. Colse l’ironia della situazione – morire il giorno stesso della ricorrenza della propria nascita – pensò alla famiglia che aveva lasciato in Giappone e a quella che l’aveva accompagnata in America, rifletté sul fatto che non avrebbe potuto conoscere nulla del continente che aveva a lungo sognato di vedere e in fine, la sua mente conservò per ultima la cosa più bella che avesse vissuto: Edward. La disperazione la colse nei pochi istanti che le restarono da vivere. Alla fine non aveva potuto scoprire i segreti che celava: Edward aveva vinto la gara. Ma a sconvolgerla non fu questo, bensì la consapevolezza che il loro tempo era finito – ancor prima di iniziare - che non avrebbe più goduto del suo volto e della sua voce. Voltò il capo con forza nella sua direzione e lo cercò tra la folla. Era lì, l’orrore dipinto sul bel viso e una traccia sfocata della stessa disperazione che l’aveva animata a voltarsi con tanta passione, prima che sparisse magicamente dalla sua vista e si sentisse afferrare per la vita. Braccia fredde e dure come la pietra la strinsero, circondandola. Mani lunghe e affusolate le portarono le gambe al petto e le protessero il capo, rannicchiato nell’incavo di un mento e circondato da un profumo sublime. Udì il suono di un impatto, quello che avrebbe dovuto lacerare il suo corpo. Il palmo di una mano bianca aveva arrestato il furgoncino, lasciando un solco sulla fiancata. Il mezzo gemette e si fermò.

Silenzio.

Un respiro freddo come la brezza invernale le sfiorò la guancia.

≪Va tutto bene≫, sussurrò una voce sollevata e Bella si sentì stringere maggiormente contro la morbida roccia.

≪E... Edward≫, sussurrò la ragazza, aggrappandosi con forza al tessuto dietro la schiena della sua felpa nera, seppellendo il volto nel suo petto.

I due rimasero a lungo abbracciati, mentre le urla si diffondevano a macchia d’olio nel parcheggio, quasi avessero il categorico bisogno di sentire la vicinanza dell’altro e accertarsi che il loro tempo fosse ancora lungo.

L’immortale è, per definizione, eterno e come tale non ha concezione del tempo che scorre. Il prezzo da pagare per una vita infinita è una vita a metà. Edward lo aveva appreso con rammarico e lo leggeva ogni giorno nella mente dei suoi famigliari e nella propria. Per quanto ognuno avesse trovato una ragione che giustificasse le loro esistenze, alcuni vuoti sarebbero rimastati tali. Eppure, il tempo continuava a non costituire un elemento fondamentale nelle loro vite.

Fino al giorno in cui l’immortale non commise il peccato definitivo, segnando più vite di quella che avrebbe salvato.

Il corpo di Alice cedette, trovando rifugio nelle braccia del marito. La realtà che la circondava lasciò spazio a una prossima e tragica. Il ghiaccio aveva causato lo slittamento delle ruote posteriori di un furgoncino blu, irresponsabilmente veloce nel parcheggio gremito di giovani vite. La traiettoria era una linea retta che puntava in un’unica possibile direzione, nella quale il furgone si sarebbe arrestato, scontrandosi con un pick-up scolorito e arrugginito. Nel suo percorso avrebbe incrociato un piccolo e fragile corpo umano.

La visione sconvolse entrambe le menti che ne furono testimoni diretti e si mostrò nei pochi istanti serviti al suddetto furgone per incontrare la lastra di ghiaccio e imboccare il proprio cammino di morte. Il tempo per impedire ciò che stava succedendo non esisteva. I secondi scivolavano come acqua tra le mani, senza che Edward potesse afferrarla o quantomeno contenerla.

Il corpo che aveva visto esanime nella previsione di Alice si mosse dalla propria immobilità e si voltò. Gli occhi della ragazza andarono alla ricerca di qualcosa e la trovarono tra la folla: altri occhi, nei quali era riflesso un orrido presagio e una sorda disperazione.

Fu quello il momento esatto in cui Edward realizzò l’importanza di Isabella. Perché se l’immortale non ha fine, nell’immagine di quel corpo senza vita, il giovane vide la propria morte. Allora il tempo, anziché arrestarsi, cominciò a correre più velocemente.

≪Edward≫, fu il sussurro di Alice, ancora impietrita e distante con lo sguardo.

Quel respiro accompagnò la corsa folle del vampiro, il quale allora non immaginava che quella corsa non era al fine ma il principio.

Edward si scagliò come un proiettile contro il corpo che amava, fendendo l’aria e affiancando il tempo in un testa a testa. Ma il ragazzo aveva un vantaggio. Isabella costituiva per lui un buco nero che lo attirava verso di se e quella forza magnetica lo aiutò a tagliare per primo il traguardo. Affondò le dita nella carne morbida della vita della giovane e la strinse contro il proprio petto, coprendo interamente il suo corpo con il proprio d’acciaio. Si permise, per un solo istante, di annusare l’odore dei suoi capelli e credere che fosse realmente al sicuro, perché nulla avrebbe più potuto toccarla se lui la proteggeva. Naturalmente, il suo secondo pensiero andò alla propria famiglia e al ragazzo alla guida dell’auto. Sperando che nessuno lo avesse notato spostarsi a velocità folle nel parcheggio, arrestò la corsa del mezzo con il palmo, attento che il contraccolpo non facesse rivoltare l’auto e uccidesse il guidatore. La sete era momentaneamente dimenticata e non permise a nient’altro di frapporsi fra loro in quel momento; si limitò a stringere Bella, fino a inglobarla sotto la pelle impenetrabile e il cuore nuovamente pulsante di vita. La gioia violenta di sentirla aggrapparsi a lui come l’unica ancora di salvezza durò per pochi, indimenticabili minuti; prima che lei parlasse e lo riportasse nuovamente all’amara realtà.

≪Com’è possibile?≫, chiese Bella, più a se stessa che a Edward.

Quando ebbe ripreso lucidità e coscienza, la razionalità le urlò in mente quello che era accaduto in quei pochi istanti. La ragazza alzò il volto dall’incavo del collo del suo salvatore e lo guardò negli occhi, con i propri grandi e spalancati: ≪Come puoi essere qui?≫.      

Edward deglutì un fiotto di veleno e preoccupazione giù per la gola riarsa. Riaprì la mente ad altri pensieri che non fossero i propri e tirò un sospiro di sollievo, perché i miopi occhi umani non lo avevano visto spiccare il volto e fermare il furgone; il guidatore era tramortito al volante e lo sgomento aveva reso lenti i riflessi degli altri umani. Ma lei sapeva: aveva visto. Era il suo volto che aveva cercato tra la folla, prima che il furgone la schiacciasse. E lo aveva trovato, accanto alla Volvo, a cinquanta metri di distanza. Se conosceva Isabella Swan come credeva, non c’era nulla che potesse indurla a dubitare dei propri occhi.

≪Edward≫, lo chiamò, con una leggera traccia d’isteria nella voce.

Bella cercava di dare un senso e una spiegazione logica a quanto aveva visto, ma non c’era nulla che giustificasse la presenza di Edward al suo fianco, la sagoma delle sue dita sulla carrozzeria del furgone e se stessa ancora in vita. Certo, salvo che i propri sospetti sul ragazzo non fossero fondati. Ma allora cos’era Edward Cullen? Bella non si accorse di averlo detto ad alta voce, fin quando il suddetto non scostò le mani da suo corpo e si allontanò quanto permetteva l’esiguo spazio tra i due mezzi. La ragazza chinò il capo e si sfregò le braccia, sentendo il corpo pervaso da brividi incontrollabili di freddo. Che stesse realizzando solo in quel momento quanto vicina fosse andata dal lasciarci le penne era scontato ma quel gelo che avvertiva all’altezza del petto, era dovuto alla lontananza del ragazzo, non allo shock. Per quanto il suo corpo fosse assurdamente duro e... gelido, era stato in grado di infonderle una grande quantità di calore. Bella scosse il capo: se avesse creduto di aver immaginato Edward accanto alla Volvo e un istante dopo al suo fianco, non avrebbe potuto fare altrettanto con la consistenza... inumana del suo corpo. Il particolare terrificante non era la stranezza del ragazzo, ma la naturalezza con la quale lei l’accettava.

≪Stai bene?≫, chiese Edward, nel tentativo di sviarla dai dubbi sulla sua natura e per reale bisogno di conoscere la risposta.

≪Sì, sto bene – replicò lei – ma non capisco perché. Edward non mentirmi. Ti ho visto chiaramente: eri accanto all’auto. E salvo che io non abbia le traveggole e quelle sulla carrozzeria non siano le impronte della tua mano; mi piacerebbe conoscere la verità≫, disse tutto d’un fiato, con incredibile padronanza di se stessa, benché fosse appena, misteriosamente, sopravvissuta a un incidente mortale.  

Edward le restituì uno sguardo perplesso e osservò alle proprie spalle la sopracitata carrozzeria: il telaio era liscio e rigido, senza alcuna traccia d’imperfezioni sulla facciata.

Bella guardò esterrefatta quell’artificio, sbattendo più volte le palpebre, come se l’impronta del palmo di Edward potesse comparire all’improvviso sul mezzo.

Edward studiò l’espressione della ragazza. La maschera di freddezza e impassibilità che aveva indossato gli pesava terribilmente sul volto. Era bastata un’umana distrazione della giovane, perché lui rimettesse in sesto la carrozzeria, ma ingannarla lo devastava. Avrebbe potuto addurre centinaia di scuse per quel comportamento abbietto, la salvaguardia della sua famiglia e della vita di Isabella, ma sostanzialmente era il terrore per la sua reazione a imprigionarlo in quella finzione. Edward poteva giurare di sentire il rumore delle rotelle nella mente della ragazza che giravano e giravono ininterrottamente, in cerca di una risposta plausibile che non fosse la pazzia o lo shock. Orgogliosa com’era non avrebbe mai accettato né l’una né l’altra. E poi vide la luce soffusa della lampadina che si accese a suggerirle cosa replicare.

≪Allora come ha fatto il furgone a fermarsi?≫, chiese, e puntò gli occhi grandi, caldi e luminosi in quelli del ragazzo.

In fondo, se Edward avesse desiderato realmente fare le cose per bene, Bella non avrebbe trovato appigli cui aggrapparsi, ma la sua ragione o per meglio dire il suo cuore appena riscoperto e già sofferente, non permetteva che il ragazzo ponesse una lunga distanza tra sé e la giovane assurdamente sagace, nonostante il momento critico.

Edward alzò la mano e la avvicinò cautamente al viso di lei. Il respiro della ragazza si arrestò e il suo cuore prese a battere più velocemente; sorrise internamente al pensiero di aver trovato un modo concreto per zittirla. Delicatamente, come il passaggio di una farfalla sui petali di un fiore, le carezzò la guancia. Scoprì che la pelle era calda e morbida come appariva.

≪Aspetta – la pregò – devi aspettare≫.

Bella non ebbe modo di controbattere nulla, in quanto voci concitate e caotiche urlavano alle loro spalle, nel tentativo di rimuovere il furgoncino. Edward lasciò cadere il braccio lungo il fianco, senza smettere per un solo istante di guardarla, mentre si tirava su e le porgeva una mano cui aggrapparsi. Bella stese la propria nella sua direzione e si affidò a lui, in un gesto molto simbolico. Entrambi capirono che in quel modo gli stava concedendo la sua fiducia, ma il suo sguardo diceva chiaramente “non deludermi”. Edward avrebbe urlato tanto forte da disintegrare il vetro dei finestrini, miracolosamente intatti. Era cosciente che avrebbe dovuto mentirle di lì a poco e per quella ragione, non riuscì più a guardarla negli occhi.

Il preside e altri insegnati accorsi furono presi in contropiede dalla presenza di Edward, ma il sollievo nello scorgere entrambi incolumi sovrastava tutto il resto.

Edward si sentì penetrare per tutto il tempo dal suo sguardo inquisitore; alle volte, la ragazza posava gli occhi sul telaio dell’auto. L’unica volta che Edward si permise di guardarla, fu turbato da uno strano mezzo sorriso che le curvava le labbra.

Era inutile che Edward tentasse di nascondere ciò che era successo in quel parcheggio. Aveva nascosto le tracce sull’auto, ma così facendo non aveva che alimentato le idee ancora acerbe della giovane: era impossibile che l’auto si fosse arrestata senza che avesse subito qualche danno.

La polizia locale e l’ambulanza arrivarono a sirene spiegate e il volto di Bella si tinse di un rosso accesso, attirando l’attenzione del vampiro. Era lei ora a non prestargli attenzione. La calca di studenti li accerchiò, mentre le portiere dei mezzi di soccorso si aprivano quasi contemporaneamente. Edward cercò qualche volto familiare, distinse la piccola Alice che gli rivolse uno sguardo d’approvazione e le espressioni dubbiose degli altri, mentre si avvicinavano al fratello. Bella si accostò istintivamente al proprio salvatore – perché in un modo o nell’altro Edward Cullen l’aveva salvata da morte certa - alla ricerca di una sorta di protezione. Non dagli studenti curiosi, né dai medici apprensivi o dagli insegnanti sollevati, ma dall’agente Swan. Suo padre apparve al seguito dei paramedici, il volto sconvolto. Quando capì che la figlia era viva e vegeta, si affrettò a raggiungerla. L’uomo non badò in alcun modo al ragazzo che le stava accanto e che, benché parlasse con i propri familiari, non perdeva neanche una parola della loro conversazione.

≪Bella, stai bene? Cos’è successo? Avevo ragione; non avresti dovuto compare quel maledetto arnese. Sono stati soldi buttati al vento, per poco non ti uccideva. Ma tu non mi ascolti mai...≫, Charlie continuò a blaterare così ancora a lungo.

Un ruggito potente vibrò nel petto del vampiro e si sarebbe voltato, scagliando l’uomo oltre il muro di recinzione, se non avesse ricevuto uno sguardo d’ammonimento da parte della sorella e non avesse udito il sospiro della donna che gli stava affianco. Bella voltò il capo e lo scosse impercettibilmente, stringendo saldamente i pugni e infilzando le nocche nei palmi delicati. Respirò a fondo, trattenendo più fiato possibile nei polmoni. Sembrava una bomba a orologeria pronta a esplodere o comunque a ribattere, se non avesse alzato il capo e incrociato lo sguardo dell’angelo che l’aveva misteriosamente tratta in salvo. Tra i due si svolse una muta conversazione.

≪Agente – proruppe la voce ansiosa del preside – il furgone ha slittato sul ghiaccio, il ragazzo manteneva una velocità poco consona che non gli ha permesso di frenare in tempo, fin quando non è stato in prossimità del pick-up. Pensiamo che sia riuscito ad arrestare l’auto, è stata una vera fortuna...≫, al ché rivolse uno sguardo pieno di sollievo ai due ragazzi coinvolti, battendo ripetutamente la grande mano sulla spalla del giovane Edward.

≪Sembra che lei abbia ampio merito, signor Cullen. Ben fatto, davvero... ben fatto≫.

Il preside aveva riacquistato un colorito normale e un sorriso splendente.

Charlie rivolse uno sguardo al ragazzo e accennò un gesto con il capo, dopodiché toccò alla figlia, la quale gli concesse soltanto di restituirgliene uno che sembrava dire “dicevi?”.

≪Faccio un breve sopralluogo e ti raggiungo con l’auto in ospedale≫, disse l’uomo, allontanandosi non prima di averle carezzato di sfuggita il braccio.

≪Dovreste salire sulla barella signorina...signorina?≫, Bella fu risvegliata dalla voce gentile di un paramedico molto giovane.

≪Sto bene: la barella non è necessaria, la ringrazio≫, rispose lei, con altrettanta dolcezza.

≪Ma...?≫, provò a ribadire il ragazzo.

≪Davvero, non serve. Non è neanche necessario che io venga in ospedale≫, disse Bella: odiava gli ospedali.

≪Assicuro io per lei. Non ha subito alcun trauma cranico, ma potrebbe essere in stato di shock. E’ comunque il caso di andare in ospedale≫, proruppe Edward, inserendosi nella conversazione.

≪Vale anche per te, Edward≫, rispose l’infermiere che pareva conoscerlo.

Il ragazzo annuì, in fondo, aveva necessità di parlare con Carlisle. A qualche metro di distanza, dove Edward l’aveva lasciata per raggiungere Bella, Alice annuì.

I due ragazzi e il giovane paramedico, Dexter, si accomodarono sui sedili anteriori del mezzo. I primi due in religioso silenzio, benché camminassero l’uomo di fianco all’altra e il terzo al posto di guida. Nonostante le insistenze del secondo sanitario, Bella non si lasciò convincere a indossare un imbarazzante collarino e salire sul retro insieme a Tyler. La ragazza non staccò gli occhi dal finestrino, nonostante avvertisse chiaramente la presenza di Edward al proprio fianco. Il vampiro, dal canto suo, benché mostrasse di non allontanare lo sguardo dal parabrezza, non perdeva una sola espressione del volto pallido della giovane. Bella torturava le labbra non solo con i denti, ma anche con le dita tremanti. La presenza del padre l’aveva devastata più dell’incidente stesso. La sua assoluta noncuranza la feriva ancora, a distanza di anni. Bella era certa – e tentava di tenerlo sempre a mente, anche nelle peggiori occasioni, in cui il padre dimostrava tutto il contrario – che Charlie le volesse bene. L’agente Swan non era un uomo cattivo. Semplicemente non si nasce padre, lo si diventa e Charlie non aveva mai imparato. Ciò che aveva portato la famiglia Swan in deplorevoli condizioni economiche era stata l’incapacità dell’uomo di gestire le proprie finanze. La maggior parte della gente ansimava per portare a termine una buona azione quotidiana, il padre di Isabella faceva altrettanto per un disastro al giorno e a riprova di ciò, benché Charlie mettesse anima e cuore nel proprio mestiere, non aveva mai assunto, durante gli anni di servizio, una carica di grande importanza nelle forze dell’ordine.

La ragazza non capì di aver stretto tanto le unghie sul palmo della mano fin quando un tocco gelido le sfiorò le nocche. Al ché, Bella scostò lo sguardo dal vetro e lo posò sullo splendido ragazzo al suo fianco. Edward non guardava lei, ma la piccola mano che aveva stretto nella propria. Con infinita delicatezza sciolse il nodo delle dite e liberò il palmo arrossato dalla costrizione delle sue unghie, distendendo la mano sul sedile. Quando entrambi alzarono il capo e incrociarono gli sguardi, il mondo si arrestò con uno scossone per istanti interminabili, prima di ricominciare a girare, questa volta nel verso giusto.

L’ambulanza si arrestò di fronte alle porte dell’ospedale. I due strinsero la mano dell’altro per un attimo di vicendevole conforto, senza però incrociare lo sguardo nell’atto. I ragazzi scesero dal mezzo, l’una con il volto in fiamme, sorretta dal braccio del giovane Dexter, mentre l’altro si lasciò scivolare agilmente dal sedile.

Bella si sentiva in torto per aver costretto l’infermiere a non eseguire la normale procedura in caso d’incidente. Probabilmente si mostrava così gentile e disponibile per sopperire ai propri sensi di colpa.

Edward, il quale aveva consapevolezza maggiore della mente altrui rispetto all’innocente Isabella, era cosciente, turbato e mortalmente irritato dall’udire direttamente le reali motivazioni e dall’assistere all’ingenuo tentativo di corteggiamento che la ragazza sembrava ignorare.

≪E’ così bella... e dolce≫, cantilenava incessantemente il giovane infermiere.

Il comico trio si avviò all’interno dell’ospedale. Edward avrebbe dovuto imboccare l’ascensore e raggiungere suo padre, ma non avrebbe lasciato Isabella insieme a Dexter. E pensare che un tempo, il ragazzo gli era simpatico.

≪L’accompagno signorina. Le faranno degli accertamenti di routine e verrà un medico a visitarla. Sei certo di non aver bisogno di un controllo, Edward?≫, chiese poi al ragazzo, senza prestargli troppa attenzione.

≪Ne sono certo, Dexter. Penso io alla signorina Swan, conosco l’ospedale come le mie tasche e farò venire mio padre perché le dia un’occhiata≫, replicò il vampiro.

Dexter allontanò gli occhi dalla ragazza, imbarazzata e impacciata a causa della tensione che avvertiva nell’aria e lo posò sul giovane Edward. Isabella trovò fosse il caso d’intervenire, dicendo: ≪La ringrazio per la disponibilità, saprò cavarmela perfettamente Dexter. Non ho bisogni di essere scortata≫, l’ultima frase la pronunciò guardando il vampiro. Bella si voltò e scomparve dietro la porta grigia dell’ambulatorio, lasciando i due uomini impalati nel mezzo della corsia d’ospedale. Dexter si allontanò, mormorando un “a presto”; Edward non riuscì a trattenere un sorriso mentre raggiungeva Carlisle nel suo ufficio al piano superiore.

L’ultima volta che era stato lì, il ragazzo stava fuggendo dal sangue della sua cantante, ora avrebbe dovuto spiegare al padre perché l’aveva salvata mettendo a repentaglio il segreto della loro famiglia.

********  

≪Fammi capire, ragazzo... sei qui con Isabella Swan perché l’hai salvata dalla traiettoria di un furgone in corsa. Sei mortalmente irritato dalla spudorata corte di un paramedico e al tempo stesso preoccupato che lei non desista da ciò che crede d’aver visto?≫, chiese Carlisle.

Edward annuì passando una mano tra i capelli e attendendo che il padre si pronunciasse su quanto accaduto. In sintesi, ciò che aveva detto Carlisle era quanto avvenuto in quelle ore.

≪Singolare≫, rifletté Carlisle, nient’affatto turbato dal racconto del figlio.

Anzi, un sorriso gli aleggiava sul volto e un altro nella mente.

≪Pensi che sia grave?≫, chiese Edward.

Carlisle esplose in una risata allegra e cristallina.

≪Gravissimo, ragazzo. Credo che non esista una cura per questo. Ascoltami Edward - disse seriamente l‘uomo – cosa vuoi che ti dica, esattamente? Se ti dicessi che rimanere a Forks è pericoloso e che quanto ha visto Isabella costituisce un problema e ti chiedessi di partire, lo faresti?≫.

Edward chinò il capo, senza rispondere. Carlisle posò una mano sulla spalla del figlio.

≪Non riesci a pensare di lasciarla - costatò l’uomo - allora io non ho niente da aggiungere. Ma ho la responsabilità di tua madre e dei tuoi fratelli Edward, devo considerare ciò che è meglio per tutti. Perciò fai in modo di risolvere la faccenda e rendere sicura la nostra permanenza. Ora... ho una paziente da visitare≫, concluse Carlsile, lanciando un’occhiata significativa al suo primo figlio.

Bella picchiettava con impazienza l’indice sul materassino. L’odore di alcool e detersivo impregnava l’aria irrespirabile della stanza che condivideva con Tyler – che avrebbe ribattezzato come “il temerario pilota” – e suo padre.

Il ragazzo continuava a ciarlare sulle dinamiche dell’incidente, quanto gli dispiacesse averla quasi uccisa e quanto fosse felice di non esserci riuscito. Bella annuiva in silenzio, lasciandolo sfogare: probabilmente era il suo modo di reagire allo shock. Charlie d’altra parte borbottava su quanto tempo dovessero ancora aspettare prima che qualcuno visitasse la ragazza e sull’inefficienza dell’ospedale. Bella ebbe la tentazione di portare le mani alle orecchie e urlare loro di tacere. Pensò bene di trarre prima un profondo respiro e contare sino a dieci. Charlie sbuffò guardando l’orologio che teneva al polso e senza del quale non sarebbe mai uscito da casa.

≪Non capisco perché insistano a tenerti qui, non sei ferita≫, farfugliò alla figlia, ≪e non sei così stupida da soffrire di shock postraumatico≫.

Qualche anno prima, quelle ultime parole l’avrebbero segnata, quel giorno si limitarono a colpirla come un destro nel basso ventre. Bella si strinse tra le braccia, piegando tra le dita la carta ruvida del materassino e strappandone un lembo. Lo stress di quell’interminabile giornata l’aveva turbata molto, benché si ostinasse a non ammetterlo a se stessa, perché controllare anche le parole che lottavano strenuamente per uscire.

≪Vedo che sei preoccupato≫, sussurrò, alzando gli occhi da terra e incrociando quelli di Charlie, che si decise a distogliere lo sguardo dall’orologio e a smettere di tormentare il cinturino di pelle.

L’uomo aggrottò le sopracciglia scure: ≪Certo... certo che sono preoccupato. Che razza di risposta è. Pensavo che anche tu non vedessi l’ora di andare via≫.

Bella lo fissò per qualche istante negli occhi scuri come la pece, prima di ricordare che stesse effettivamente parlando con Charlie. Il padre sembrava sinceramente stupito dall’uscita della figlia. Isabella aveva concluso che soffrisse di memoria a breve termine oppure che non badasse a ciò che diceva. Preferiva vederla in quel modo, piuttosto che credere a una sua totale mancanza di tatto e sensibilità. L’uomo era talmente agitato che Bella gli avrebbe ceduto il proprio posto sul lettino per fargli controllare la pressione. Eppure, se non ricordava male, era lei quell’uscita viva da un incidente dalle dinamiche misteriose.

Bella scosse il capo e tornò a fissare le mattonelle del pavimento, desistendo, ma Charlie non era della medesima idea.

≪Davvero non ti capisco Isabella, cambi umore in continuazione. Cos’ho fatto ora di male? Cosa ho detto di sconvolgente? Che cosa dovrei fare per sembrare più preoccupato? Credi che non lo sia?≫, sbraitò, troppo vicino al suo volto.

Charlie non aveva mai alzato le mani sulla figlia – la ragazza aveva il vago ricordo di uno schiaffo, quando era molto più piccola, ma niente di più – perciò Bella non temeva quell’eventualità (in fondo, era pur sempre un uomo di legge) più che altro la preoccupava la possibilità contraria.

Isabella si sollevò dal lettino, abbassò la manica del braccio destro, sul quale figurava il cerotto bianco del prelievo, afferrò il giubbotto e lo infilò con accurata lentezza.

≪Dove vai?≫, chiese Charlie.

≪Andiamo via≫, ripose lei, ≪hai ragione, non c’è necessità che rimanga qui. Sono minorenne, ma pur sempre con... mio padre. Non faranno storie≫, sostenne.

Charlie le strinse il polso: ≪No, dai Bella, aspetta. Ormai siamo qui e...≫.

La ragazza non poté soffrire quel tocco che le lacerava la carne e allora ritrasse il polso, con il respiro ansante e gli occhi dilatati. Ringraziò che non ci fossero spettatori ad assistere alla silenziosa ma intensa conversazione che stava avvenendo tra i due. La testa le pulsò dolorosamente e massaggiò in vano le tempie, non mettendo in conto la vertigine che la colse. Mosse qualche passo in dietro, come se camminare avrebbe potuto scacciare quella sensazione di malessere. Prima che stramazzasse al suolo, un paio di braccia fredde e solide come l’acciaio la sorressero. Riconobbe in queste, nei recessi della mente che si ostinava a rimanere lucida, una certa familiarità, ma fu al contempo consapevole della differenza con le altre. In ogni caso, si lasciò andare tranquillamente sulla spalla che l’accolse e strinse gli avambracci che la sostenevano. Le stesse braccia la sollevarono da terra e la riportarono sul lettino poco distante, adagiandola delicatamente. Qualcuno tentava di sollevarle le ginocchia, ma lei oppose immediata resistenza, spalancando le palpebre. Fu accecata per un attimo dalla luce del soffitto, poi da un paio di occhi dorati.  Fu un incontro fatale tra anime affini. Nessuno dei due era a conoscenza della quantità di caratteristiche in comune con l’altra, il bisogno di fare sempre la cosa giusta, la forza immensa di lottare per ciò in cui si crede fino allo stremo delle forze e la capacità infinita di donare amore ma quel giorno Carlisle Cullen e Isabella Marie Swan occuparono un posto particolare nei rispettivi cuori.

≪Isabella... Bella, mi senti?≫. Pian piano, il movimento delle labbra si tradusse in suono e questo in parole.

Bella scattò, sollevandosi sulla schiena nonostante la vertigine incombete e lo sguardo offuscato.

≪Sto bene, sto bene...≫, si affrettò a ripetere, lottando contro l’appannamento della vista, fin quando non l’ebbe vinta.

Una mano fredda come il ghiaccio le carezzò il capo. Soltanto in quel momento, compreso chi avesse di fronte, Bella strabuzzò gli occhi e le mancarono le parole per descrivere quel volto. Non avrebbe potuto affermare che Carlisle Cullen fosse più bello di suo figlio, ma era indiscutibilmente un uomo dal gran fascino. Il vampiro le sorrise, suscitando il suo imbarazzo e di conseguenza il suo rossore.

≪Sei la prima persona che incontro tanto testarda da non permettere il sopravvento di un mancamento≫, le sussurrò con infinita delicatezza.

La ragazza fu catturata da una risata cristallina, l’unica che avrebbe potuto distoglierla dall’uomo in camice bianco.

Inclinò leggermente il capo e un enorme sorriso, che celò dietro un colpo di tosse e un vagare tutt’intorno dello sguardo si dipinse sulle sue labbra.

Il tentativo di depistaggio non funzionò, poiché Edward restituì a propria volta un sorriso sghembo a Isabella. Carlisle si soffermò discretamente su entrambi: avevano volti raggianti e occhi luminosi. Una grande emozione esplose nel petto dell’uomo alla vista di quella scena che ad altri occhi sarebbe passata inosservata. Aveva atteso a lungo di vedere quella gioia sul volto del figlio. Qualsiasi cosa fosse accaduta, il vampiro sarebbe stato eternamente debitore a quella ragazza.

Edward si permise di tirare un sospiro di sollievo, confortato dal nuovo rossore dipinto sulle gote terree della fanciulla e dal suo sorriso unico.

≪Salve≫, esordì Carlisle a voce più alta, rivolto ai presenti.

Edward ridacchiò per l’espressione buffa della ragazza, che non era immune al fascino di Carlisle. Irrazionalmente, mentre pensava ciò, fu attraversato da un lieve formicolio all’altezza del petto: un accenno di quello che aveva provato a causa di Dexter.

≪Hai fatto colpo≫, sussurrò al padre, tanto velocemente che nessun altro avrebbe potuto ascoltare quelle parole.

≪Lo dici come se fossi geloso ragazzo; devo preoccuparmi?≫, chiese ironicamente, ridacchiando per l’espressione imbronciata del figlio.

≪Ah, ah≫, fu la risposta del giovane.

≪Sono Carlisle Cullen, il padre di Edward e tu devi essere Isabella. Mio figlio mi ha raccontato del rischio che avete corso – disse, rivolgendo un’occhiata a Tyler, al quale si avvicinò per tastare i punti sulla tempia sinistra – avete avuto molta fortuna, perciò non dovresti agitarti≫, concluse, liberando il volto del ragazzo, al quale sorrise e lasciò una pacca sulla spalla. 

  ≪Bene. La cucitura è perfetta. Il taglio si rimarginerà a breve, ma spero sarai più prudente d’ora in poi. Non va sempre a finire bene ragazza≫, sussurrò Carlisle.  

    Dopodiché, l’uomo si voltò in direzione della fanciulla, riservando a lei tutta l’attenzione.

Bella arrossì nuovamente, suscitando l’ilarità di Edward, il quale ricevette un’occhiataccia sia dalla giovane sia del padre.

≪Ne hai cose da imparare, ragazzo mio≫, pensò Carlisle, ≪comunque sia, mi piace, Edward. Ha un bel caratterino, tanto da tener testa alla tua cocciutaggine e al contempo è molto dolce e timida. Perfetta... perfetta≫.

Se avesse potuto farlo, Edward sarebbe arrossito.

≪Edward... t’imbarazzi?≫, lo schernì Carlisle. 

Edward sbuffò e alzò esasperato gli occhi al cielo. Non si lasciò sfuggire una sola espressione del volto di Bella, mentre Carlisle esponeva il risultato delle analisi del sangue e il suo attuale stato di salute. Avevano entrambi udito il litigio avvenuto tra padre e figlia, un affondo brutale nella ragazza il cui corpo aveva reagito di conseguenza perdendo i sensi; condizione alla quale non si era sottomessa. Edward scosse impercettibilmente il capo: non c’erano limiti alla sua testardaggine. Edward si era sentito invadere da una rabbia infinita e pericolosa. Aveva rischiato la vita dell’uomo, che avrebbe distrutto senza ritegno mentre le sue parole affondavano come mille lame nel cuore fragile della fanciulla e allo stesso modo nella sua carne impenetrabile. Aveva creduto che il mostro fosse definitivamente soppresso, dopo aver resistito al profumo del sangue di Bella nient’altro avrebbe potuto allettarlo nuovamente, invece, aveva desiderato quello dell’uomo e la sua testa come trofeo. Aveva stretto tanto la mano di Carlisle, che il vampiro aveva posato sul suo petto per impedirgli gesti inconsulti, da rischiare di reciderla dall’articolazione del polso. Avrebbe portato a termine la propria missione omicida, se non avesse sentito il richiamo di Isabella. Non lo aveva udito realmente, come accadeva con chiunque altro attraverso i suoi pensieri, ma lo aveva creduto. Il filo che lo legava a lei lo aveva illuso di sentirla invocare il suo nome e il suo aiuto. Era devastato da un terrore vibrante, al pensiero che Charlie Swan fosse la causa, in parte, della grande tristezza che leggeva nei suoi occhi. E Carlisle, mosso da un forte istinto paterno nei confronti di Bella, provava la medesima sensazione.

 Carlisle si rivolse all’uomo, che aveva lo sguardo puntato sull’orologio al polso.

Il dottore ne richiamò l’attenzione con un colpo di tosse: ≪Isabella è in ottima salute. Non è in stato di shock, ma potrebbe avere ricadute durante la giornata. Alcune persone razionalizzano più lentamente e in modi diversi. Non è necessario che sia cosciente del suo stato di shock. Tutto questo è normale dopo un trauma così violento - continuò, lasciando una carezza sulla guancia della ragazza che assunse un colorito rosso e intenso – Non bisognerebbe biasimare né sottovalutare la possibilità di un crollo psicologico. Sua figlia ha bisogno della massima tranquillità – continuò, rivolgendo all’uomo uno sguardo significativo, calcando troppo la mano, qualcuno avrebbe potuto capire che avevano entrambi ascoltato la loro conversazione, ma avendo il totale appoggio da parte del figlio – e sostegno morale. Se dovessi avere nuovi mancamenti o per qualsiasi altra cosa dovrai informarmi≫, concluse, rivolto in ultimo alla giovane.

Bella annuì.

Carlisle esitava faticosamente a lasciarla andare, avrebbe potuto inventare una scusa qualsiasi per non dimetterla, ma la sua etica professionale glielo impediva. Il suo cuore di padre, invece, gli suggeriva di tenerla con sé. Era troppo piccola e fragile per sopportare un carattere così scorbutico e parole tanto pesanti, accodate le une alle altre senza cognizione né causa.

≪So che sei stato tu ad aiutare mia figlia, ti ringrazio≫, esordì Charlie, porgendo una mano al giovane vampiro.

≪Calmo, Edward≫, lo ammonì suo padre.  

Ma il ragazzo non stava avendo difficoltà a controllarsi, piuttosto a fugare nella nebbia fitta dei pensieri dell’uomo. Non fu difficile capire da chi Bella avesse ereditato la propria impermeabilità. I pensieri di Charlie erano una sottile e invisibile nuvoletta dai quali percepiva poco o niente: una sfumatura di preoccupazione, fretta e spossatezza. Nessun accenno di turbamento per le parole di sua figlia o quelle di Carlisle, quasi le avesse cancellate con un colpo di spugna.

Edward decise che, in ogni caso, Charlie Swan era un padre e a lui doveva la presenza di Isabella nella propria vita, perciò, molto più di quanto avrebbe potuto immaginare. Il ragazzo ricambiò la stretta.

≪Non ho fatto nulla, signore. L’importante è che le cose si siano risolte per il meglio≫, asserì.

Charlie annuì come a dargliene atto.

Per tutto il tempo di quella breve conversazione la ragazza aveva trattenuto il fiato, respirando profondamente soltanto quando entrambi catalizzarono nuovamente l’attenzione su di lei. Non le piaceva sapere Edward accanto a suo padre. Non le piaceva affatto. Temeva che potesse capire, se non lo aveva già fatto, che razza di persona lei fosse. Soltanto un mostro avrebbe potuto provare repulsione al tocco del padre. Soltanto un mostro...

L’imbarazzo e il turbamento per quell’assurda situazione era tale che non si sarebbe sorpresa di veder evaporare dal proprio corpo nuvolette di calore, come fosse una pentola a pressione.

Bella aveva imparato presto a distinguere un uomo da un semplice essere umano. L’essere umano era un mammifero, una specie alla quale accedeva chiunque avesse determinate caratteristiche genetiche. Un assassino, un molestatore, un furfante erano essere umani ma non uomini. Essere un uomo era molto più difficile. Uomini si nasce, non lo si diventa. La ragazza aveva avuto due soli uomini nella propria vita, l’uno diversissimo dall’altro, benché avessero lo stesso sangue: Rian e Charlie. Non aveva mai catalogato suo padre, per rispetto alla sua persona. Se avesse dovuto farlo, lo avrebbe inserito in quella ampia parte di cui era costituita la popolazione mondiale. Coloro che non assumono alcuna posizione né da una parte né dall’altra. Benché fosse un tutore della legge, di cui Bella avrebbe dovuto andar fiera fin da bambina, Charlie aveva asserito con leggerezza di aver assunto quell’incarico per mera casualità. Non era così egoista da non riuscire a vedere al di là del proprio naso. Il loro mondo era pieno di situazioni familiari molto più tristi della sua. In confronto ad altri esseri umani, suo padre era un esempio, benché avesse costatato con le proprie mani che la continua violenza psicologia era grave quanto una violenza fisica e un viso deturpato. Aveva catalogato Rian nella sottile fazione costituita da uomini e quella lista era tristemente misera di nomi. Le bastarono pochi istanti per inserire Edward tra quei nomi - e qualsiasi fosse la sua stranezza non avrebbe cambiato idea in proposito – e Carlisle.  

≪La ringrazio dottore. Possiamo andare?≫, chiese Charlie.

Carlisle annuì, seppur a malincuore.

≪Ci sono alcuni fogli da firmare per la dimissione, poi siete liberi di andare via≫, disse, scortando Charlie fuori dall’ambulatorio, non prima di aver lanciato un ultimo sguardo al figlio: avrebbe dovuto sistemare ciò che rimaneva in sospeso.

I ragazzi, rimasti soli, continuarono a osservare ancora per qualche istante la porta dietro dalla quale erano scomparsi. Isabella fu la prima a desistere e posare gli occhi sulla figura di Edward. Quando comprese che il ragazzo non aveva intenzione di voltarsi si alzò cautamente dal lettino, attendendo una nuova vertigine che non arrivò e infilò nuovamente il giubbotto. Sospirò tristemente. Se avesse creduto nella sfortuna, avrebbe addotto la colpa a quel giorno, venerdì tredici e magari avrebbe fatto qualche scongiura contro la malaugurata data del suo compleanno, ma riponendo totale fiducia nella razionalità si limitò a criticare la propria scelta di parcheggiare in quel determinato posto, pur di non girare troppo a lungo a bordo del pick-up, attirando l’attenzione di tutti con il suo frastuono.

Quando si voltò, Edward finalmente la imitò. Lei gli fece cenno di uscire e il ragazzo annuì, accostandosi al suo fianco, aprendo cavallerescamente la porta del pronto soccorso e seguendola in silenzio.

Quando furono all’esterno dell’edificio, ancora nessuno dei due accennava ad aprir bocca, Bella trasse un profondo respiro e si voltò per affrontarlo, trovandolo molto più vicino di quanto avesse sospettato: non lo aveva sentito muoversi alle sue spalle. La ragazza non si lasciò intimidire e allungò il collo quanto più poté, senza riuscire ugualmente a raggiungere la sua altezza, benché fosse alta un buon metro e settanta centimetri.

Edward non scostò lo sguardo da lei, immergendosi nelle sue pupille scure, con la stessa sfrontatezza di chi non aveva nulla da nascondere e tutta la verità dalla propria parte, dentro di sé annegava nel suo coraggio e nel proprio sentimento.

≪Grazie≫, sussurrò Bella, continuando a fronteggiarlo pur arrossendo.

Edward rimase stupido dal sentimento con il quale pronunciò quelle parole e dalla dolcezza della sua voce. Per un istante s’illuse che avesse dimenticato, ma...

≪Non vorrei pensassi che io sia un’ingrata, in ogni caso, se non fosse stato per te, questo sarebbe stato il mio ultimo compleanno. E... ti ringrazio, Edward. Ma io so quello che ho visto e tuo padre ha confermato che non ho subito alcun trauma cranico e che non sono in stato di shock, perciò la mia mente funziona ed io sono lucida≫, terminò la ragazza.

≪Ha anche detto che potresti non essere consapevole del tuo shock≫, replicò lui, trattenendo un sorriso.

Bella assottigliò lo sguardo, intuendo che, pur non volendo, stessero giocando.

≪Allora dimmi, Edward – e pronunciò il suo nome trattenendo il ghigno che le tagliava il volto e con inconsapevole sensualità, che fece tremare il vampiro – tra i suoi sproloqui Tyler ha confermato di non essere riuscito a fermare l’auto; pensa che sia vivo per un miracolo. E, sorvolando sul fatto che l’abbia confessato a un ateo, io so di aver visto quello che è realmente successo, non riesco a capacitarmene, ma in un modo o nell’altra la macchina deve essersi fermata≫.

≪Cosa credi di aver visto, Bella? Pensi che abbia fermato il furgone con una mano – le mostrò i palmi - senza riportare escoriazioni o fratture? Pensi che sia comparso al tuo fianco in un attimo, sotto lo sguardo di centinaia di studenti, volando, teletrasportandomi, oppure credi che nasconda una calzamaglia blu e rossa sotto i vestiti? Sono congetture assurde sulle quali ho sorvolato e continuerò a farlo perché la paura deve averti confuso≫, concluse Edward, biasimando se stesso. Si ripeté che fosse l’unico modo per rimanerle a fianco e proteggere la propria famiglia, ma ciò non pacificò con la sua coscienza.

≪Io non ho avuto... paura – sibilò lei. Ero... terrorizzata e sai che in quel momento ti ho visto accanto all’auto. E poi tutto è finito in un attimo. Non ho più avuto occasione di essere spaventata perché qualcuno mi si è parato di fronte e mi ha stretto in una gabbia d’acciaio. E quando ho alzato gli occhi... eri lì. Mi dirai che anche questa è stata un’allucinazione?≫, chiese.

≪Quest’ultima parte è reale≫, sussurrò lui, sollevando il braccio e avvicinando i polpastrelli alla sua guancia.

Sfiorò la pelle del suo volto con tanta esitazione e delicatezza da dare l’impressione che non la stesse toccando.

≪Ricordi... ho promesso che sarei venuta a capo dei tuoi misteri. Ma non direi niente a nessuno. Soltanto, mi piacerebbe sapere chi devo ringraziare≫, sussurrò lei.

≪Me. Hai ringraziato me≫, si animò lui, ≪io sono ciò che vedi, niente di più, niente di meno. Rimarresti delusa se cercassi altro≫.

Bella boccheggiò, senza riuscire a dire nulla.

≪Ammetti che i tuoi occhi ti hanno ingannato, che sei umana e lo shock...≫.

Il braccio di Bella si levò dal suo fianco e il suo palmo si abbatté contro la guancia lattea di Edward. Non le sarebbe importato di sfregiare il suo volto bellissimo, o, nel caso fosse duro come sospettava, di ferirsi. Seguì l’impulso di picchiarlo, ma una mano forte come una catena arrivò provvidenzialmente ad arrestare quella corsa.

Edward, stupito in un primissimo momento, non trattenne più il sorriso. Scosse il capo come ad ammonirla, benché sapesse che in questo modo avrebbe scatenato la sua irritazione, soltanto per vedere la scintilla nel suo sguardo.

≪Lascia stare, Bella. Potresti farti male≫.

Entrambi accolsero quelle parole come un fatto incontestabile, sapendo che il ragazzo non si riferiva a quello schiaffo. Se Bella avesse perseguito, avrebbe rischiato molto più di una frattura al polso, ma al contempo, se non avesse rincorso la verità, il suo cuore ne sarebbe rimasto mortalmente lacerato. Lo stesso rischio che correva nel rincorrere un uomo al di là delle sue possibilità, con la sola differenza che, nel primo caso, c’era una chance che la storia avesse una conclusione felice, nel secondo avrebbe avuto soltanto un cuore ferito tra le mani e nient’altro.

Edward lasciò andare il poso che stringeva ancora tra le dita, muovendo qualche passo indietro senza abbandonare il contatto visivo, poi si voltò e discese i pochi gradini dell’ingresso. Bella avrebbe voluto urlargli tutti gli insulti che conosceva e la sua disperata richiesta di risposte, battendo i pugni su quella schiena ampia e costringendolo a voltarsi; a non allontanarsi. Ma in quello stesso istante un’auto inchiodò sul marciapiede. Il motore si spense e la portiera si spalancò, mostrando la figura agitata di Reneé. Il suo sguardo impazzito si riempì di sollievo quando notò la figura della figlia sulla gradinata. Non badò al ragazzo che la passava a fianco, ma si affrettò a raggiungere la ragazza, saltandogli al collo e singhiozzando.

Edward lanciò un ultimo sguardo alle proprie spalle e alla donna distrutta che piangeva tra le braccia della figlia, sfogando tutto il dolore che aveva provato quando le comunicarono dell’incidente. Incrociò un’ultima volta lo sguardo della fanciulla, prima che questa seppellisse il volto tra i capelli di sua madre e ricambiasse l’abbraccio, rassicurandola con parole gentili.

Se in fine avesse dovuto lasciarla, Isabella non sarebbe stata sola. Aveva una madre che l’amava e una famiglia lontana che adorava e che ricambiava il suo affetto.   

Bella versò qualche lacrima, tra le braccia di sua madre, mentre l’uomo che stava diventando il centro del suo mondo si allontanava da lei, destabilizzando il suo equilibrio. Camminava intrepida su un filo sottile a molti metri dal suolo, senza riuscire a scorgere l’impalcatura d’arrivo. Avanzava sperando di non realizzare che non fosse un vero equilibrista e insieme ai metri che calpestava cresceva la preoccupazione. Non era certa che esistesse un arrivo. Forse, l’unico modo per scendere dalla fune, sarebbe stato lasciarsi cadere.

******

Charlie rientrò in servizio, mentre Bella e Reneé ritornarono a casa.

≪Mi dispiace che tu abbia vissuto un diciassettesimo compleanno così brutto, tesoro. Vedrai che il prossimo andrà meglio≫, disse Reneé.

Bella annuì, benché volesse dissentire. Contro ogni ragionevole giudizio, avrebbe catalogato quel compleanno come uno dei più interessanti e sapeva di dover addurre tutto il merito solo ed esclusivamente a una persona. Il regalo migliore che Edward potesse farle era stato darle l’occasione di ampliare la lista degli uomini conosciuti in vita, quindi, la sua stessa esistenza.

Quando la donna parcheggiò di fronte casa, Bella scese dal mezzo, desiderando soltanto di sentire la voce di suo fratello e di sua sorella, cui non avrebbe detto nulla di quanto era accaduto, per non preoccuparli inutilmente.

≪Bella?≫, la chiamò Reneé, ≪Charlie deve aver riportato il Pick-up≫, disse, indicando l’auto ferma sul vialetto che lei non aveva notato.

La donna entrò in casa, lasciando la ragazza incerta davanti all’auto. La sua attenzione fu catturata da un luccichio argenteo. Si avvicinò cautamente e si abbassò sulle ruote dell’auto. Erano circondate da catene da neve. Era impossibile che Charlie avesse avuto il tempo materiale di inserirle sul pick-up, ammesso e non concesso che avesse deciso di farlo. Si sollevò dall’asfalto innevato e la sua attenzione fu nuovamente catturata da un foglietto attaccato ai tergicristalli. Lo afferrò e lo lesse:

Cara Tyson,

ho pensato che queste avrebbero impedito nuovi incidenti e visite a mio padre.

Buon compleanno, Edward.

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Capitolo 5
*** 4 Invecchiare per diventare giovane ***


 

Buona sera! Vi lascio subito alla lettura con l'augurio che possiate trascorrere dei giorni felici e come sempre, sperando che il capitolo vi piaccia:)

4 Invecchiare per diventare giovane

La politica degli Alcolisti Anonimi, un’associazione diffusa in tutto il mondo che si occupa delle persone con dipendenza da alcool, si basa su un programma di recupero noto anche come “metodo dei dodici passi”. Nelle riunioni degli A.A. gli alcolisti sono spronati a elaborare dodici fasi, che accompagnano la riabilitazione da qualsiasi dipendenza.

Il primo passo di un tossicodipendente è ammettere di aver perso il controllo di se stesso e della tossicodipendenza.

Edward posò i gomiti sulla superficie lucida del bel tavolo. Adagiò il mento sul dorso delle mani allacciate, insolitamente tranquillo, nonostante le urla che affollavano il soggiorno. Edward sedeva a capotavola, Carlisle alle sue spalle assisteva in silenzio, con una mano adagiata istintivamente sul cuore. Esme era l’unica seduta, oltre Edward, ed era rimasta per tutto il tempo al fianco del fianco, con una mano stretta sulla spalla del ragazzo. Il resto della famiglia battagliava da un lato all’altro del tavolo. Sulla destra, Rosalie e Jasper infuriavano le loro ragioni contro i rispettivi compagni, immobili come statue di cera sulla sinistra. Edward posò gli occhi prima sull’una, poi sull’altra fazione, senza riuscire a vedere realmente i propri fratelli.

Aveva chiuso la mente a ogni violazione estranea, poiché era affollata senza che dovesse preoccuparsi dei pensieri altrui.

Però udì il suono dei palmi di Rosali abbattersi contro il tavolo. Le venature del legno che seguiva con trasporto vibrarono e le gambe cigolarono.

≪Smetti di tacere, Edward≫, urlò la bionda, infrangendo la barriera del suono.

Gli uccelli che sorvolavano la casa batterono in ritirata, rifugiandosi nel bosco. Edward alzò gli occhi e li piantò sul volto della sorella. Era consapevole della sua straordinaria bellezza. Aveva letto le menti di uomini disperati, impazziti di fronte alla stupefacente perfezione di Rosalie. Edward la guardò per un tempo interminabile, quel giorno, osservando che mancava qualcosa di fondamentale al suo volto, perché potesse considerarsi bellissima. Il viso era un ovale troppo pieno, l’innocente fossetta sul mento un intralcio per il passaggio delle dita sulla pelle, le labbra troppo simmetriche, il naso troppo dritto, senza curve all’insù, gli occhi troppo chiari, la fronte poco alta, i capelli troppo biondi. Com’era successo con Tanya, un altro volto si sovrappose a quello di Rosalie. Questo aveva una cute altrettanto nivea con qualche sfumatura rosa sulle guance e le palpebre, come un pomeriggio al crepuscolo; aveva la perfetta forma di un cuore ed era circondato da una cascata di capelli scuri.

≪Edward?≫, chiese Rosalie, portando una ciocca bionda dietro l’orecchio, stupefatta per le attenzioni del fratello.

Quando gli occhi di lui s’illuminarono di una luce viva e vibrante, comprese chi fosse il reale oggetto dei suoi pensieri e strinse la mascella. Osava immaginava l’umana, mentre guardava lei. Rosalie s’inferocì maggiormente, aizzando Jasper con i picchi del proprio umore.

≪Sei stato un incosciente e ci hai messo l’uno contro l’altro, ora ti permetti di fare scena muta, ragazzino?≫, urlò.

≪Rosalie≫, l’ammonì Esme, ma lei non le badò.

Edward oscillò sulla sedia. A occhi esterni, quell’insolita riunione, sarebbe parsa del tutto simile a un gruppo degli A.A. . Benché nessuno lo chiedesse esplicitamente, ciascuno di loro gli tempestava la mente della medesima domanda: Qual è il problema?.

Solo una virava in direzioni diverse: Alice. La sua nenia mentale era una richiesta: Ammettilo, Edward. Primo a te stesso e poi agli altri, quando vorrai. Sai che da questo non si scappa.

≪Lascia perdere, Rosalie≫, sospirò Jasper, interrompendo il silenzio carico di aspettativa che era calato nella stanza, ≪non è in se≫.

Il vampiro si scostò dal muro e mosse un passo verso il centro del soggiorno, rivolgendosi al fratello come se non fosse in grado di intendere né di volere.

≪Non importa, quel che è stato è stato, Edward. Il “danno” è fatto. Ora possiamo solo rimediare≫, tutti gli occhi si posarono sul ragazzo biondo, quando ebbe concluso.

Benché lui percepisse ogni singola emozione, evitava intenzionalmente il dolore, la delusione e lo sconcerto generale.

Carlisle si irrigidì e avanzò verso il figlio.

≪Jasper, figliolo, non...≫, prima che terminasse la frase, Edward esplose in una risata liberatoria.

Le parole del fratello furono lo stimolo necessario per uscire da quella situazione d’impasse. Tutti ammutolirono mentre Edward si accasciava su se stesso. Furono necessari diversi minuti prima che riuscisse a riprendersi, tra lo sconcerto generale. Jasper non sapeva se essere irritato dal suo improvviso buonumore o preoccupato.

≪Jasper – sghignazzò Edward – pensi realmente che ti lascerei uccidere Isabella Swan?≫. Il ragazzo si sollevò dalla seduta, mentre Jasper sbarrava gli occhi.

L’aria si fece tesa, i due si fronteggiavano apertamente, in un duello di sguardi all’ultimo sangue (nel descrivere la situazione si fa uso di un pizzico d’ironia per stemperare la tensione). Alice scosse la chioma bruna, fissa con la mente nel futuro prossimo; desiderava sì, che Edward capisse ciò che lei aveva già compreso da qualche tempo, ma non in quel modo.

≪Sei cosciente che l’umana è un  pericolo, Edward?≫, chiese Jasper cautamente, sondando il terreno.

≪Non verrai mai a capo del mio umore, Jasper. Al momento, io stesso sono confuso a riguardo, ma ho una certezza: Bella non parlerà. Ti guardo, fratello, è la rabbia mi urtica se penso a ciò che hai nella mente. Smetti. Di valutare. L’idea di ucciderla, perché non succederà. Non ho il controllo delle mie azioni e sento che potrei farti del male, molto male≫, concluse.

Esme si sollevò e strinse con maggior forza la spalla del suo primo figlio, saettando lo sguardo dall’uno all’altro. Lo guardò in volto e vide in lui, finalmente, l’uomo che sarebbe potuto diventare, se il veleno non gli avesse arrestato la crescita. Pian, piano, nel suo cuore di madre, giungeva alla giusta conclusione.

Rosalie sbuffò, atteggiando la chioma bionda.

≪Ammetti di non essere nel pieno delle tue facoltà mentali. Hai un problema, Edward. E’ rischi di farci fare un brutta fine. Come se servissero altri motivi per inimicarci i Volturi, oltre il nostro stile di vita. Devi capire che io...≫, costatò freddamente.

≪Basta≫, tuonò una voce.

Rosalie sbarrò lo sguardo, non aspettandosi quel richiamo.

≪Basta, Rosalie – proseguì Emmet – Edward ha bisogno del nostro sostegno. Se ha fatto ciò che ha fatto ci sarà un motivo. Non ho mai chiesto niente, ma per amor mio, lascia perdere≫.

Emmet e Rosalie si guardarono a lungo. Emmet mosse i primi passi intorno al tavolo che lo separava da sua moglie e la raggiunse, parandosi di fronte a lei e prendendo tra le mani il suo volto, con tanta devozione da conferire all’immagine di lei una bellezza tutta nuova, e la vampira si arrese tacitamente, adagiandosi sui suoi palmi e interrompendo la propria arringa; voltando marginalmente le spalle al fratello minore che era per un certo verso più vecchio di lei.

≪Edward≫, la voce di Alice fu un salvagente in mezzo al mare in tempesta. Edward le rivolse uno sguardo eloquente; cercando in lei le risposte.

Alice gli andò incontro e passò una mano nei suoi capelli, poi sulla sua guancia.

≪Quando vidi Jasper nella mia mente, non fu immediatamente amore. Avevo paura di lui. Credevo di temere le cicatrici che gli segnavano il volto e più tardi, nelle visioni in cui lo vedevo spezzare vite umane per cibarsi, lo ripugnavo persino. Mi chiedevo cosa mi spingesse verso una creatura del genere. Non avevo ragioni di cercarlo, né di rischiare la vita per portarlo dalla strana famiglia di occhi gialli. Ma divenne il mio pensiero costante, nelle notti che trascorrevo nel bosco, nelle giornate di sole e di pioggia. Mi abituai al suo volto e alle sue cicatrici. E un giorno ebbi l’ennesima visione della sua caccia sanguinaria e riuscì a vedere i suoi occhi per la prima volta. Nascondevano un tale dolore e un così profondo smarrimento. Mi specchiai in essi alla perfezione e ne rimasi intrappolata, allora come oggi. Non ho potuto scegliere, ma se l’avessi fatto, non avrei mai agito diversamente. Con questo voglio dirti che il sentimento verso un’altra persona è irrazionale e fuori dal nostro controllo: qualsiasi arma utilizzi contro di esso, la razionalità, il cinismo, il rifiuto, la paura. E la grande capacità di amare gli altri, contro ogni istinto di protezione, che rende tali gli umani, non la pelle calda e il sangue nelle vene. Altrimenti sarebbero animali. E questo il motivo per cui io non mi considero un’aberrazione: perché amo. Tu riesci ad amare in un modo totalizzante, ma non hai mai conosciuto un sentimento diverso da quello che provi per noi; per questo motivo sei confuso. Penso di averti rinfrescato la memoria, fratello. Spolvera le rotelle e capirai che Isabella Swan è ciò che stavi aspettando≫, terminò allontanandosi da lui.

Edward si accasciò nuovamente sulla sedia, afferrando il capo tra le mani.

1)      Ammettere di avere un problema oltre il vostro controllo.

Edward Anthony Masen Cullen, alcolista assuefatto al sangue di una sola umana, soggiogato dall’ultima droga sul mercato, Isabella Marie Swan, prende coscienza di avere un problema legato alla dipendenza e supera egregiamente il primo passo. Edward scoprì quel giorno di essere perdutamente innamorato.   

Rosalie alzò gli occhi al cielo, con una brutta smorfia stampata in volto; Jasper si lasciò cadere stancamente con le spalle al muro, comprendendo di aver perso la battaglia, Alice sorrise dolcemente all’indirizzo del marito che mimò con le labbra “è questo che mi tenevi nascosto”.

Emmet sorrise con il suo ghigno caratteristico, mentre Esme e Carlisle si lanciarono un’occhiata significativa. La donna carezzò le spalle del ragazzo, abbattuto dalla nuova consapevolezza di se stesso.

≪Allora, come intendi procedere?≫, trillò la piccola vampira, battendo le mani con l’aria contenta di una bambina.

≪Dovrai rispolverare un po’ delle maniere vecchio stampo; funzionano sempre – esordì Emmet. Non dovresti avere problemi, fratellino; solitamente dobbiamo combattere per staccarti di dosso gli artigli di qualche donzella. Milady – mimò, afferrando la mano della compagna, inchinandosi e baciandole il dorso – un bell’inchino, un sorriso e sarò tua≫, terminò, ricevendo uno scappellotto sulla nuca da Rosalie.

Alice sorrise: ≪E poi dovrai portarla qui e farcela conoscere, naturalmente. Potrei...≫.

Edward alzò gli occhi, puntandoli sul muro di fronte a sé. Alice si quietò all’istante, sconcertata dal dolore che lesse nelle sue iridi.

≪Sai meglio di me che tutto ciò non sarà possibile≫, sussurrò il ragazzo, il quale fu sopraffatto all’improvviso dalla consapevolezza di ciò che comportava amare un essere umano. Il problema era risolvibile con una facilità unica: se Bella avesse mostrato di contraccambiare il suo fiorente amore, l’avrebbe trasformata e resa come lui. Ciò sarebbe accaduto solo se l’idea non lo avesse disgustato e ferito in tal modo. L’immortalità faceva gola a molti e sarebbe stato ipocrita affermare che non avesse i suoi lati positivi. Non c’era niente di piacevole al pensiero di diventare cibo per i verbi sotto un manto di terra. Grazie alla vita eterna Edward avrebbe assistito al maturare e al mutare dell’umanità. Forse un giorno gli esseri umani sarebbero venuti a capo di tutti i misteri dell’universo, dalla sua origine e alle forze che lo muovono. Edward avrebbe atteso l’eternità unicamente per saziare la propria curiosità in proposito. Era inebriante la sicurezza che sarebbe stato presente in eterno, per scoprire, se mai fosse esistito, il fine della vita umana e non. Che fosse semplicemente fine a se stessa? Il volto di Bella fu una luce e un caldo rifugio al pensiero della vastità che lo circondava.

Però l’eternità aveva i suoi lati negativi. Il prezzo da pagare per averla era il sangue, nel vero senso del termine, la perdita di se stessi, la sensazione di non avere il controllo sui propri istinti e l’infinita lotta contro la parte nera che pretendeva l’egemonia. Il prezzo era un corpo impossibilitato a dare nuova vita e una forza di sentimenti che poteva essere devastante, la mancanza della quotidianità umana e i suoi brevi ed effimeri attimi di gioia. E in fine, la noia di un’attesa infruttuosa. All’idea, il pensiero di putride carcasse e dei vermi sopracitati non risultava più altrettanto ributtante. Si giungeva ad agognare quella pace fino alla pazzia. Come avrebbe potuto condannare Bella a quella esistenza? Per cosa poi, la propria felicità personale? Non sarebbe mai stato tanto egoista. I due desideri contrastanti erano altrettanto forti, con l’unica differenza che l’uno, quello che la voleva lontano da lui, era appoggiato dalla razionalità, l’altro dall’egoismo. E allora scelse quello più ragionevole.

≪Avreste condannato Jasper e Rosalie a questa vita, solo per averli con voi, se aveste avuto scelta?≫, chiese, sapendo di premere il tasto giusto.

A rispondere non furono i due, bensì Esme: ≪Dovresti prima accertarti del suo parere, tesoro. Ognuno di noi a priorità diverse≫.

≪Lei non saprebbe a cosa va incontro≫, rispose il ragazzo.

≪Se la ami, immagino sia una ragazza intelligente; allora non sottovalutarla≫, continuò lei.

≪Se scoprisse chi sono, non potrebbe più tornare in dietro≫.

≪Varrebbe tutte le carte giocate, se fosse amore≫, disse Esme, lanciando uno sguardo al marito.

*******

≪Sto bene, Asami≫, ripeté Bella per l’ennesima volta.

Era la terza telefonata che riceveva dal Giappone, quella mattina; senza contare tutte le altre del giorno prima. Reneé si era lasciata sfuggire ciò che era successo e Asami non smetteva di chiamarla per accertarsi delle sue condizioni di salute, benché le avesse assicurato di non aver subito danni. Per quanto le fosse costato, non aveva detto nulla di ciò che credeva di aver visto e delle sue incertezze su Edward né alla sorella né al fratello. Aveva promesso che avrebbe mantenuto il segreto.

≪E’ ancora arrabbiato?≫, chiese Bella.

Asami sospirò: ≪Avrebbe voluto che lo informassi dell’incidente, lo sai. Ed è frustrato perché avrebbe voluto essere lì, con te≫.

≪Lo so≫, Bella si stupiva che il fratello non fosse corso a prendere il primo aereo per raggiungerla, probabilmente Asami gli aveva impedito di fare sciocchezze.

≪Vuole parlare con te. Stai attenta, mi raccomando≫, disse Asami.

≪Come va?≫, chiese immediatamente Rian.

≪Bene≫, rispose automaticamente Bella, posando il capo sullo sterzo del pick-up.

≪Sono io – le ricordò Rian – so se menti≫.

Bella sospirò.

≪Sospiri in questo modo solo quando si tratta di tuo padre≫, costatò il ragazzo, ≪che ha fatto?≫.

“Centra in parte”, avrebbe voluto rispondergli.

≪Sai che odio i compleanni e lui non si è comportato meglio del solito, in occasione del quasi incidente. Tutto qui. Senti, devo andare a scuola, ci sentiamo...≫.

Rian tacque per qualche istante, poi disse: ≪Quel ragazzo... non mi hai spiegato bene le dinamiche. Cosa c’è tra...voi?≫.

Bella si gelò sul posto: si stupiva ancora dell’abilità con la quale riusciva a capirla.   

≪Cosa vuoi che ci sia, non sono passate neanche due settimane da quando sono qui. E poi l’incidente.. ero confusa, mi hanno quasi investito≫, cercò di riparare lei.

Rian sospirò: ≪Mi renderai partecipe, quando lo riterrai opportuno≫.

Bella chiuse la comunicazione e sospirò rumorosamente, sollevata.

Nella terra del Sol Levante Rian compì lo stesso gesto.

*******   

Edward parcheggiò la Volvo e lasciò immediatamente il posto di guida. I fratelli lo seguirono a ruota; benché ostentassero la solita indifferenza, ognuno di loro, per motivi diversi, cercava di scorgere la delicata figura di Isabella tra la folla. Edward capì immediatamente che la ragazza non era ancora arrivata, per la mancanza del suo profumo nell’aria gelida del mattino e per l’assenza del pick-up. Quell’oggetto non poteva definirsi un’auto; Edward avrebbe preferito comprarle un mezzo nuovo di zecca, piuttosto che delle catene da neve. Eppure, doveva ammettere che, contrariamente alle apparenze era molto solido e abbastanza sicuro. Nel biglietto che le aveva lasciato, aveva evitato di menzionare la manutenzione che aveva apportato al pick-up, per accertarsi che non corresse il pericolo di altri incidenti, questa volta al volante.

≪Sta arrivando≫, sussurrò Alice.

Rosalie afferrò la mano di Emmet e lo trascinò via con se. Edward non aveva bisogno d’indagare a fondo la sua mente per comprendere cosa la turbasse. Rosalie non amava gli imprevisti, le cose sfuggite al suo controllo e ciò che mutava la loro quotidianità. E una parte di lei era gelosa di Bella per aver destato l’interesse di Edward. Prima di conoscere Emmet, Rosalie aveva mostrato attenzione per Edward. In realtà, non ancora abituata alla lettura del pensiero, si era lasciata sfuggire di apprezzarlo e aveva palesato il suo fastidio nell’essere ignorata. Alla vista di Emmet era scomparso qualsiasi sentimento che la legasse a Edward, o almeno così sperava il ragazzo. Il dubbio gli scavò il petto. Aveva un grande istinto di protezione nei confronti di Rosalie, molto più fragile della piccola Alice. Aveva odiato doverla deludere con la propria indifferenza ma sua sorella non era la persona che avrebbe voluto al proprio fianco. All’inizio della sua relazione con Emmet, era stato molto guardingo nei confronti del ragazzo. Emmet, pensando che fosse geloso, un giorno lo aveva aggredito furente dalla rabbia. La sua forza di neonato era devastante, ma Edward ci era andato giù pesante e si erano malmenati per un po’, prima di decidersi a parlare e chiarire. Ogni rancore si era dissolto nei tiepidi raggi del primo pomeriggio.

I pensieri di Edward furono interrotti dal rumore del pick-up. Ormai nessuno faceva più caso a quel frastuono che per il ragazzo fu musica. Osservò con orgoglio il risultato del proprio lavoro e la tenuta sulla neve.

Edward si schiarì la gola, si voltò e si affrettò all’interno dell’istituto. Alice lo seguì confusa, trascinando Jasper.

≪Edward?≫, lo chiamò, ≪cosa fai?≫.

≪Volevo soltanto accertarmi che arrivasse sana e salva e che nessun’altro avesse la brillante idea di improvvisare un rally nel parcheggio≫, disse lui, ormai all’interno.

≪Non le parli?≫, chiese Alice.

≪Ti ho già spiegato le mie ragioni. Penso ancora sia il caso di starle lontano, per quanto possa essere difficile≫, Edward si lasciò andare contro gli armadietti. Il pensiero di non poterle più parlare, di non poterla vedere o toccare lo uccideva. Il ricordo del suo corpo perfettamente incastonato sul suo petto e delle sue braccia ancorate al suo collo come se fosse l’unica ancora si era marchiato a fuoco. Il suo corpo bruciò di un fuoco doloroso e piacevole al contempo.

≪Alice ha ragione, Edward – esordì Jasper – dovresti parlarle. Dobbiamo ancora capire se ha intenzione di dire qualcosa di ciò che ha visto≫.

≪Ti ho detto che non parlerà, Jasper. Ho ancora chiare... le priorità≫, sibilò Edward.

≪Non credo. Le tue priorità sono cambiate automaticamente e io non posso permettere che la mia priorità corra dei rischi≫, ribatté Jasper.

≪Non farmi scegliere tra mio fratello e la donna che amo. Perché se è vero che le mie priorità sono cambiate, non vinceresti≫, disse il ragazzo, lasciando la posizione appoggiato agli armadietti e dirigendosi verso la classe della sua prima lezione.

Edward decise di non recarsi a mensa. Dopo aver evitato per tutto il giorno d’incrociare per caso la ragazza, alzò il cappuccio della felpa, si lasciò scivolare fuori dalla porta e si abbandonò supino su una delle panchine all’esterno. Non pioveva, ma le nuvole nere all’orizzonte avrebbero fatto desistere chiunque dal raggiungere quel luogo.

Bella mandò gli occhi in gloria, esasperata. I suoi compagni di corso e persino molti ragazzi cui non aveva mai rivolto prima la parola le avevano chiesto dell’incidente per tutto il giorno, quando l’unica cosa che avrebbe voluto era silenzio e... Edward. Non lo aveva visto nel parcheggio, o per meglio dire, lo aveva visto di spalle allontanarsi insieme ai suoi fratelli. Una voragine si era aperta ai suoi piedi, come il primo giorno nella nuova scuola, rischiando di inghiottirla, prima che l’assalissero con le domande. Non aveva intenzione di sopportare nessuno per i prossimi trenta minuti. Scivolò silenziosamente e non vista fuori dalla porta, per recarsi alle panchine all’esterno. Preferiva notevolmente il vento e la pioggia alla lingua biforcuta di Jessica e alla preoccupazione asfissiante di Mike ed Eric.

Certamente non si aspettava la figura incappucciata e supina sulla panchina. Aveva adagiato il suo corpo con nonchalance e posava il capo sugli avambracci incrociati sotto la nuca. Lo avrebbe riconosciuto, anche se non avesse visto la ciocca ramata scompigliata dal vento, che le portò alle narici un profumo dolcissimo. Il pensiero che avrebbe potuto disturbarlo le consigliò di tornare in dietro. Girò i tacchi per ritornare in mensa, ma l’idea dell’interrogatorio cui avrebbe dovuto sottoporsi la fece desistere. Tanto valeva palesare la sua presenza.

Bella si avvicinò al tavolo di legno, stringendo tra le mani la mela che era riuscita a recuperare. La ragazza si chinò sul volto di Edward, che teneva gli occhi chiusi e muoveva impercettibilmente le labbra, come se stesse cantando. Il suo volto, così pacifico in quel momento fu come una mano stretta intorno al cuore della ragazza. Le mancò il respiro e sentì un forte istinto di protezione nei suoi confronti, benché fosse un pensiero assurdo. Edward non aveva certo bisogno della sua protezione, come le aveva ampiamente dimostrato (benché si ostinasse a non ammetterlo). Una ciocca dei suoi lunghi capelli le sfuggì dal mucchio sulla schiena, le sfiorò la guancia e accarezzò impercettibilmente quella di Edward.

Il vampiro aveva recuperato i pensieri della notte precedente. Aveva valutato che fosse inutile tentare di pensare a una strategia, perché l’unica accettabile era troppo dolorosa. Così aveva passato in rassegna il tempo trascorso con Isabella, sistemando i pezzi sparsi del puzzle che costituiva lei e la sua vita. Delineava alla perfezione la sua immagine, canticchiando a bassa voce, quando qualcosa di estraneo gli sfiorò il volto. I suoi sensi lo registrarono come qualcosa di conosciuto, in qualche modo, ma il suo istinto reagì prontamente. Edward spalancò gli occhi e, mentre visualizzava il volto che lo sovrastava, le aveva già stretto il polso. Il suo bellissimo viso divenne una maschera comica di sorpresa. I due incrociarono gli sguardi e si amarono.

Essere così vicino alla ragazza, certo del suo nuovo stato, rese il tutto molto più difficile a Edward. Il quale combatteva con l’istinto di afferrarle il volto e avvicinarlo ancora a sé, in modo da sfiorarle le labbra e quello di allontanarla. Non era saggio, oltre che assai difficile, sorprendere un vampiro.

Bella arrossì violentemente, senza però riuscire a muoversi.

≪Non ti hanno detto che non si  dovrebbero cogliere di sorpresa le persone. Avrei potuto farti male≫, sussurrò Edward, con voce più bassa e intensa.

≪Mi dici la stessa cosa ogni volta che ci vediamo; dovresti aggiornare il repertorio≫, ironizzò lei.

Edward scosse il capo, accorgendosi solo in quel momento di stringere ancora il suo polso. La lasciò a malincuore: il palmo della sua mano scottava adesso.

≪Che cosa fai qui?≫, chiese Edward, accertatosi che fossero soli e che il clima non aveva subito mutamenti, se non per il vento che aveva smesso di tirare, quietandosi come se fosse anch’esso con il fiato sospeso in attesa di vedere come si sarebbe risolta quella situazione.

≪Potrei farti la stessa domanda≫, disse lei.

Edward alzò gli occhi al cielo: ≪Ti riesce così difficile rispondere a una domanda≫, chiese.

Bella sorrise: provava una grande soddisfazione nel farlo esasperare. Forse perché amava vederlo alzare gli occhi al cielo e passare la mano nei capelli.

Strabuzzò gli occhi per la scelta del verbo da usare...

≪Ero stanca di tutte quelle domande sull’incidente... così sono... scappata?≫, pronunciò l’ultima parola come se fosse una domanda.  

Edward annuì comprensivo, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso. Si alzò e le indicò il posto al suo fianco, che la ragazza occupò, arrossendo naturalmente.

≪E tu da cosa scappi?≫, chiese Bella, temendo di conoscere la risposta, rigirandosi la mela tra le mani.

≪Perché pensi che stia scappando da qualcosa?≫, chiese lui, fissando le sue piccole mani e il frutto che teneva delicatamente tra di esse.

≪Che cosa spingerebbe una persona a rifugiarsi qui, con questo freddo?≫, replicò lei.

Edward sorrise, pensando: “Giusta osservazione”. In qualunque modo l’avesse messa, sarebbe caduto. Una persona “normale”, era sottinteso nella sua frase, non avrebbe scelto quel posto senza una buona ragione, ma come avrebbe potuto spiegarle le sue motivazioni?

≪Tu cosa pensi?≫, chiese lui, per sondare il terreno.

≪Forse sono troppo egocentrica, ma penso che tu stessi scappando... da me≫, confessò in un sussurro.

≪E se così fosse?≫, chiese lui.

≪Ti risponderei che non hai ragioni di farlo. Io non ti mangio, Edward. Ti ho solo chiesto di essere sincero con me. Vorrei ci fosse un modo per guadagnarmi la tua fiducia...≫.

≪Tu hai già la mia fiducia≫, confessò lui e avrebbe voluto aggiungere che non si era limitata a quello, ma anche a rubargli il cuore.   

≪E’ difficile, Bella. E ora sono io a chiederti fiducia, per...≫, Edward posò i gomiti sul tavolo e strinse i capelli tra le mani.

Il pensiero che scoprisse il suo segreto lo logorava. Se lo avesse additato come un mostro? Se lo avesse, giustamente, temuto e scansato? Come avrebbe potuto vivere, poi?

≪Che cosa cantavi?≫, chiese Bella all’improvviso.

Edward sollevò il capo e incrociò il suo volto sorridente.

≪Non riuscivo a sentire≫, confessò.

Edward le rivelò il titolo della canzone, sorridendo a sua volta.

≪Musica anni cinquanta, non male – costatò lei. Io preferisco gli anni sessanta≫, disse.

≪Queen, Pink Floyd, Elton Jhon≫, elencò lui.

≪I Pooh≫, disse lei.

≪Sì, li ho sentiti≫, asserì il ragazzo.

Bella sorrise, dando un morso alla propria mela.

≪Mangi solo quella?≫, chiese Edward.

≪E tu non mangi per niente?≫, chiese lei.

Edward le rivolse un’occhiataccia.

≪Scusa≫, sussurrò Bella, prima di porgergli il frutto dalla parte intatta.

≪Non è avvelenata≫, lo rassicurò lei.

La mela no, ma io sì, pensò Edward. Il ragazzo lasciò andare ogni remora e posò le labbra sulla mela, mordendone una parte direttamente dalle sue mani. Il suo sapore lo nauseò immediatamente, ma la luce negli occhi di Bella fu sufficiente per ripagarlo. La ragazza lo imitò dalla propria parte. I due giovani continuarono a discorrere di musica, trovando un argomento che accomunasse entrambi, gustando piacevolmente la loro mela.

******

≪Non ti ho ringraziato per le catene da neve≫, esordì Bella, mentre fianco a fianco raggiungevano l’aula di biologia.

Edward la guardò, udendo una strana vibrazione nella sua voce, e notò, come sospettava, una scintilla folgorante nei suoi occhi. Il ragazzo scoppiò in una risata affascinante, destabilizzando la povera Isabella.

≪Avanti... so che vorresti chiedermi qualcosa≫, le disse Edward, palesando i pensieri della ragazza. Benché non la leggesse, diventava sempre più facile capire cosa pensasse. Non perché lei fosse una creatura comprensibile, ma per il filo spesso come una fune e duro come l’acciaio che lo legava alla giovane.

Bella arrossì, chinando il capo, senza riuscire a trattenere un mezzo sorriso.

≪Sono un libro aperto?≫, chiese Bella in un sospiro rassegnato.

≪Ti assicuro che non lo sei, Bella. E’ difficile capire cosa ti passi per la mente; consentimi il merito di riuscirvi, quelle poche volte≫, rispose Edward, regalandole un sorriso e uno sguardo ammirato.

≪Allora posso chiederti come sei riuscito a montarle e riportare il pick-up a casa mia così in fretta?  E come sapessi dove abitavo?≫, chiese tutto d’un fiato.

≪Qui tutti si conoscono gli uni con gli altri, non è stato difficile trovare la tua casa. E ho passato tanto tempo con mia sorella maggiore e la sua passione per le auto, perciò posso smontare e rimontare un motore in cinque minuti≫, recitò lui.

Bella pensò che fosse una risposta plausibile, ma lesse la menzogna nei suoi occhi d’improvviso freddi e distanti. Edward non si fidava di lei e quel pensiero la distruggeva. Tra di loro calò una cortina di gelo artico.

Il ragazzo non sopportava di mentirle. Una piccola menzogna pesò più delle mille che aveva dovuto inventare in tutti quegli anni.

Bella non era molto ferrata in fatto di amicizia, ma credeva che la base per un rapporto di quel genere fosse la fiducia. Forse era questo il motivo che spingeva Edward lontano dagli altri: la sua incapacità di dichiarare la verità.

All’epoca, non le sfiorava la mente l’idea che fosse impossibilitato a farlo. In fondo, anche se fosse stato un extraterreste, lo avrebbe accettato; se avesse usato sostanze dopanti per aumentare la forza fisica lo avrebbe aiutato a smettere, ma odiava che avesse tratto delle conclusioni su di lei così in fretta da non concederle il beneficio del dubbio.  

Bastarono poche parole fuori posto per spezzare il fragile equilibrio che si era creato tra i due.

≪Pensavo avessi gettato la spugna≫, sussurrò lui, pregandola implicitamente di non insistere nel tentare di scoprire il suo segreto.

Bella comprese immediatamente di cosa stesse parlando e replicò:≪L’ho appena fatto≫.

Edward si arrestò nel corridoio, sorpreso, mentre Bella continuava a camminare.

≪Che cosa intendi?≫, le chiese guardingo. 

Bella si fermò, imitandolo e voltandosi nella sua direzione.

≪Che senso ha cercare di venire a capo delle tue bugie; è evidente che tu non voglia rivelarmi nulla e io non intendo costringerti ad essere sincero. Avevo creduto... per un attimo... che potessimo essere amici≫, sussurrò la ragazza.

Quelle parole lacerarono il petto del vampiro, che avanzò nella sua direzione. Avrebbe voluto urlarle che i sentimenti nei suoi confronti andavano oltre la semplice amicizia. Avrebbe voluto urlarle che l’amava, nonostante tutto e che non avrebbe mai voluto mentirle. Ma non erano le parole a fare di qualcuno un uomo, bensì i fatti, perciò lui si sentì peggio di un verme.

≪Io capisco quando menti... non so come faccia, ma lo capisco e hai una pessima opinione di me se pensi che sia così meschina da tradirti≫, continuò lei.

≪Forse allora non dovremmo essere... niente≫, sussurrò Edward, realizzando le sue parole e che le vicende avevano scelto per lui la strada da percorrere. Imboccò a malincuore il sentiero, consapevole che l’avrebbe portato all’inferno.

Isabella annuì convulsamente, come ad acconsentire, benché si sentisse mancare la terra sotto i piedi.

≪Bene≫, sussurrò, girò i tacchi ed entrò in classe.

≪Ehi, Bella – la chiamò Mike, seduto al proprio banco e affiancato da Jessica, scocciata per l’interruzione e inviperita - non ti ho visto a mensa, dove sei stata?≫, chiese con una punta di gelosia nella voce.

Edward varcò in quel momento la soglia dell’aula, attirando l’attenzione del biondo, che non ricevette risposta, poiché Bella si affrettò a raggiungere il proprio posto in fondo, accanto alla finestra. Edward camminò in equilibrio sulla scia di profumo della ragazza, voltando il capo nella direzione di Mike e mostrandogli il suo sguardo furente. Strinse con forza i pugni e serrò le labbra. Si affrettò anche lui al proprio posto, spostando la sedia e lasciandosi cadere al suo fianco, nel silenzio più opprimente di una vita.      

I giorni passarono e divennero settimane. Il silenzio era un tormento che consumava dall’interno e la distanza forzata una violenza fisica. Isabella sfogava la propria frustrazione dei sogni, che trascorreva in compagnia del bellissimo e bugiardo compagno di laboratorio. Il vampiro era in guerra e combatteva tutti i giorni, senza portare a casa una sola vittoria. Dal momento in cui aveva deciso di rinunciare a Bella, aveva capito che sarebbe dovuto sparire da Forks, in un modo o nell’altro. Non c’era possibilità che riuscisse a resisterle, rimanendo. Eppure temporeggiava, perché nessun uomo sano di mente avrebbe rinunciato alla propria fonte di felicità con tanta facilità. Il tormento che comportava quella situazione era per un certo verso rassicurante, perché gli assicurava che lei c’era. Ogni notte lasciava la propria stanza e s’incamminava a passo umano verso l’abitazione della ragazza. Nascondeva la propria presenza tra gli alberi della foresta, senza mai trovare il coraggio per avvicinarsi. Sapeva che se l’avesse fatto, non avrebbe più potuto farne a meno. Esattamente come un drogato. E qualcuno lo aveva pensato di loro, a prima vista, persino gli insegnanti delle scuole che avevano frequentato. Con la coda tra le gambe, ogni notte, si costringeva a lasciarla e ritornare nella propria tana, appeso alla parete di una grotta buia e umida, come un vero pipistrello.

Edward rientrò prima dell’alba, come ogni notte da circa quattro settimane, questa volta dalla porta d’ingresso. Scompigliò i capelli, lucidi per la pioggia sotto la quale aveva camminato al ritorno e si avvicinò al pianoforte. Accarezzò la superficie lucida dei tasti di avorio ed ebano. Avrebbe voluto utilizzare la musica come valvola di sfogo; era il luogo nel quale si rifugiava solitamente per ritrovare se stesso, ma quella volta non avrebbe funzionato. Edward sapeva perfettamente dove trovare se stesso, nelle mani di Isabella; la difficoltà nasceva dal fatto che non aveva alcun desiderio di ritrovarsi, piuttosto perdersi eternamente.

******

Bella scese dal pick-up, sbattendo con forza la portiera. Abbassò gli occhi sulle ruote del mezzo. Il giorno dopo la loro “discussione” Bella aveva pensato di togliere le catene e possibilmente lanciargliele dritte in volto, ma quando si era chinata, pronta a usare violenza contra queste, il suddetto viso gli aveva offuscato la visuale. Non c’era verso che avesse la forza di compiere quel gesto; in fondo, il regalo di Edward era l’unica cosa che le rimaneva di lui.

Come ogni giorno, ormai, Bella alzò gli occhi e li puntò sull’entrata dell’edificio. Riuscì a vedere come sempre la schiena ampia di Edward, prima che varcasse la porta e scomparisse all’interno. La ragazza aveva notato una perfetta puntualità nel suo modus operandi. Che lei arrivasse in ritardo, in anticipo o a orari impensabili, lo trovava sempre lì, pronto a fuggire appena arrivava.

Maledettamente odioso.

Sembrava sorvegliarla, eppure non le rivolgeva la parola.

≪Idiota≫, sibilo in un mezzo urlo, inveendo contro di lui, ma senza che nessuno la udisse.

Così sembrava, ma, incredibilmente, Edward si voltò d’istinto nella sua direzione. I due incrociarono gli sguardi e il ragazzo avrebbe voluto sorridere dell’espressione buffa comparsa sul volto di Bella, se non avesse sentito di meritare in pieno quell’insulto. Come a fornirgli un’ulteriore prova della veridicità della visione di Alice, sua sorella pensò l’epiteto nello stesso istante in cui Bella lo aveva pronunciato.

La ragazza, sconcertata, strinse la mano sulla fascia che gli assicura lo zaino sulla spalla destra e si avviò all’entrata, incurante della rigidità e dell’immobilità di Edward gli passò a fianco; ignorando i battiti impazziti del proprio cuore e l’attrazione che la spingeva verso di lui, cedendo alla prospettiva delle sue braccia. Quando ebbe frapposto il vetro spesso della porta tra di loro sibilò senza voltarsi:  ≪Accidenti! Non so se mi senti stupido superman, ma in quel caso... va al diavolo≫.

E Edward la udì e incassò, strattonando la porta con poca delicatezza per entrare. Si odiava, più di quanto non avesse mai fatto prima. Perché non era il solo a soffrire quella situazione; forse c’era entrambi troppo dentro, per tornare indietro. Se Esme avesse avuto ragione...

******

Bella si accomodò accanto ad Angela, al loro solito tavolo. Mike le rivolse immediatamente un sorriso radioso. Lei non lo avrebbe mai saputo, soltanto Edward né era consapevole, ma il ragazzo era segretamente soddisfatto del loro allontanamento, come si suol dire: tra i due litiganti il terzo gode. Bella ricambiò il sorriso con leggerezza, rivolgendo un saluto agli altri. Dall’altro lato della stanza, Edward strinse tra le mani il frutto rosso che aveva comprato, ferito nel cuore da quell’accenno di sorriso. Mike Newton non ne riceveva di così belli com’era successo a lui, nel poco tempo che avevano avuto a disposizione, ma temeva il giorno in cui sarebbe successo.

Ben arrivò subito dopo di loro, trasportando dei volantini tra le braccia.

≪Ehi, ragazzi!≫, esordì, occupando il posto di fianco ad Angela, che arrossì immediatamente.

≪Che cosa sono?≫, chiese Mike, sporgendosi per afferrarne uno.

≪La signorina Cope mi ha chiesto di distribuirli, in quando redattore del giornaletto scolastico. Ce ne sono di diverso tipo: la data delle elezioni studentesche e quella per le attività extracurriculari e pomeridiane≫.

Ben li distribuì, lasciandone uno alla ragazza. La scritta in neretto sullo sfondo blu attirò la sua attenzione:

Centro educativo per l’infanzia

Cercasi istruttori di musica per il corso di pianoforte a bambini di età 4-14 anni. Per ulteriori informazioni recarsi in via 349 South Forks Avenue.  

≪Ti interessa, Bella?≫, chiese il ragazzo.

La giovane alzò gli occhi trovando i volti di Ben ed Angela.

≪Ne sai qualcosa?≫, chiese Bella.

≪Mia madre lavora come volontaria al centro; è stata lei a stilare questi volantini e ha chiesto di distribuirli a scuola. Non è richiesta la maggiore età, soltanto un’adeguata preparazione e molta pazienza. La retribuzione sarebbe minima≫, spiegò Ben.

≪Nessuno che frequenta il centro si aspetta di diventare un grande musicista, più che altro è un luogo di raduno per i bambini più piccoli. E’ difficile fare sport all’aperto con questo tempo e la città non offre molti svaghi. Noi possiamo spostarci fino a Seattle, ma per i più piccoli è diverso≫, continuò Angela.

Isabella rifletté su quella nuova possibilità. Sua madre le aveva insegnato i rudimenti del pianoforte, ma la musica l’aveva appassionata e in Italia aveva continuato a seguire dei corsi in un centro simile. Benché non possedesse un proprio strumento aveva sempre trovato qualcuno disposto a farla studiare e divertire, per non parlare delle continue visite alla casa di sua zia paterna e al suo pianoforte. Pensandoci bene le mancava, era da due anni che non suonava più.

≪In realtà il pianoforte è una mia passione≫, confessò arrossendo.

Angela e Ben le sorrisero e prima che questo potesse parlarle, intervenne Jessica.

≪Ben, forse non si sente in grado d’insegnare a dei bambini; è comprensibile≫, starnazzò, tentando di nascondere un gesto maligno dietro una finta gentilezza.

Bella s’incupì, sollevando il sopracciglio sinistro.

≪Invece credo che mi presenterò≫, esordì, punta in viso dall’illazione della ragazza.

≪Bella, se vuoi un lavoro, mio padre sta cercando qualcun altro che ci aiuti in negozio. Potrei mettere una buona parola≫, intervenne Mike, sperando di convincerla e averla con sé nel negozio di articoli sportivi.

Bella scosse il capo, ringraziandolo ma declinando l’offerta. Aveva già deciso cosa fare.

La ragazza era talmente concentrata sul proprio obiettivo da non notare lo sguardo d’oro penetrante che la perforava. Il cuore di Edward si sarebbe fermato, se non avesse già smesso di battere da decenni, al suono di quella notizia origliata. E così aveva trovato un’altra cosa in comune con la ragazza. Forse avrebbe dovuto capirlo dalla luce nei suoi occhi e dalla passione con cui discorreva di musica.

Edward la seguì con lo sguardo, mentre si alzava e si avvicinava al bancone, chiedendo una bottiglietta d’acqua. Edward si sollevò inconsapevolmente, ignorando gli sguardi curiosi dei fratelli e quello fastidiosamente soddisfatto di Alice. Non sapendo bene cosa fare si arrestò al suo fianco, interrompendola mentre parlava con la donna dietro il bancone.

≪Mi scusi signora Harris≫, esordì con voce inconsapevolmente sensuale, ≪una bottiglietta d’acqua, per favore≫.

La donna sbatté più volte le ciglia, sorridendo e annuendo, rivolgendosi solo dopo alla ragazza.

≪Anche a me, per favore≫, disse lei, evidentemente irritata, tentando di nascondere il tumulto che si agitava nel suo cuore, dopo aver udito finalmente la voce di Edward.

La signora si allontanò per qualche attimo, lasciando i due da soli.

≪Non ti hanno insegnato che è cattiva educazione interrompere la gente mentre parla≫, sibilò la ragazza, rivolgendosi al vampiro per la prima volta dopo settimane, senza però volgersi a guardarlo.

Edward sorrise, un po’ perché aveva raggiunto l’obiettivo prefissato, un po’ perché Bella aveva negli occhi una scintilla che le animò il volto e soprattutto adorava farla irritare: increspava le labbra in modo adorabile e arrossiva per la rabbia. Edward le girò intorno, estraendo i soldi dalla tasca posteriore dei jeans per porgerli alla donna di ritorno con le due bottiglie e si accostò al suo orecchio, inspirando il profumo della sua pelle e dei suoi capelli. Strinse gli occhi, fin quando il mostro non fu sedato, dopodiché le sussurrò: ≪Forse il mio intento era di farti irritare≫.

Isabella rabbrividì e sia lei sia Edward tentarono d’ignorarlo, ma per il vampiro fu difficilissimo non assaporare con lo sguardo la sottile vibrazione della sua pelle. Edward cedette il denaro alla donna, pagando e afferrando entrambe le bottiglie. Un sorriso bastò a farla dileguare.

≪Ci riesci incredibilmente bene, Edward≫, Bella sottolineò il suo nome, ≪pensavo che avessimo concordato le nostre posizioni e invece sei qui. Anche questo mi irrita≫, replicò prontamente.

Edward sorrise e disse: ≪Al momento non ho un’ idea in merito, perciò mi limito a cogliere le occasioni del caso≫.

≪Le occasioni per irritarmi≫, costatò lei.

≪Esatto≫, rispose sfacciatamente lui.

Bella si voltò di scatto, puntandogli un dito contro il petto.

≪Sbagli se credi che io lo accetti. Non mi piace che si decida della mia vita. Non spetta a te dire cosa fare a seconda del tuo umore cangiante... tu...≫, Edward la interruppe, incredibilmente divertito, afferrandole la mano che gli puntava contro e portandola alle labbra, seguendo l’istinto e una vecchia educazione che aveva dovuto seppellire per anni.

Bella assunse un adorabile color porpora, bruciando in tutti i modi umanamente possibili.

≪Non mi permetterei di decidere per te≫, sussurrò Edward, d’improvviso fattosi serio, ≪ho solo bisogni di tempo≫.

≪Tempo per cosa?≫, chiese Bella, illuminandosi della speranza che potesse aver cambiato idea.

Edward corrugò le labbra, trasmettendole tutto il proprio dolore. Bella annuì e sciolse la presa della sua mano sulla propria. Edward l’afferrò prima che si allontanasse.

≪Sei maledettamente testarda. Non posso fare ciò che mi chiedi, non perché non desideri che tu faccia parte della mia vita. Credimi Isabella. Cerco di fare il meglio per te... ma non ho la forza di combattere entrambi. Tu non mi aiuti≫, le confessò di getto, ben sapendo che Bella era fin troppo intelligente per non trarre moltissimo da quelle parole.

Bella rimase per un attimo spiazzata dalle sue parole e dal suo dolore evidente che la devastava, ma si riprese presto.

≪Conosco fin troppo bene gli uomini incapaci di prendere decisioni, mi auguro che tu non sia una di questi. E soprattutto, Edward, sono in grado di scegliere da me, se me ne dessi la possibilità. Le mie priorità...≫, disse lei.

≪Non sempre le nostre priorità corrispondono alla cosa migliore per noi... e chi ci sta intorno≫, rispose lui.

≪Ti sto chiedendo soltanto la possibilità di decidere, ma d’altronde tu non mi devi nulla, sono io a doverti la vita≫, costatò lei.

≪Ti sbagli≫, disse lui, rivolgendole uno sguardo innamorato che Bella non volle decifrare.

Entrambi si sciolsero in un sorriso, la ragazza gli lanciò uno sguardo eloquente e si voltò per allontanarsi, quando Edward la richiamò dalle sue spalle.

≪Dimenticavi questa≫, le sussurrò sulla guancia, porgendole la bottiglietta.

≪Grazie≫sussurrò lei.

Edward fu richiamato da pensieri rumorosi e fastidiosi proveniente dal tavolo in cui sedeva solitamente Bella. Mike Newton li inceneriva con lo sguardo. Edward ebbe l’istinto di stringere la ragazza per un fianco, marcando il proprio territorio e ringhiare, ma si trattenne. Bello sollevò lo sguardo sul tavolo, arrossendo, senza però alcuna voglia di allontanarsi da Edward.

≪Newton si sta innervosendo. Penso che questo lo irriti o forse gli manca la sua Bella≫, disse, calcando ironicamente sull’aggettivo possessivo.

Bella sorrise, non potendo evitarlo, ma rispose: ≪Credimi se ti dico che non appartengo a nessuno≫.

≪Sicura?≫, chiese Edward in un sussurro gelido, lasciandola debole e destabilizzata per ritornare al proprio tavolo.   

Avevano trascorso giorni infelici, l’una per l’orgoglio, l’altro per la testardaggine sulle proprie convinzioni e bastò un misero istante per la svolta che entrambi attendevano.

Bella ritornò al tavolo, sotto lo sguardo di tutti, rossa e con le ginocchia tremanti. Angela le sorrise e le carezzò il dorso della mano. Jessica era ammutolita, Mike, più testardo, non perse la speranza.

≪Ehi, Bella! Stavamo organizzando una gita sulla spiaggia giù a La Push, la riserva indiana. Sei dei nostri? Andiamo con la mia macchina≫, Bella lo guardò per un solo istante, con occhi lucidi e assenti.

Voltò istintivamente il capo verso il tavolo dei Cullen, trovando Edward a fissarla com’era successo il primo giorno.

Cosa intendeva con l’ultima frase? Si chiese, riacquistando un po’ di lucidità. Incredibile come notasse ogni piccolo particolare e riuscisse ad evitare di capire le cose più ovvie. Il suo istinto, però, arrivò prima di lei alla risposta e agì di conseguenza.

≪Certo, perché no. E’ da troppo tempo che non vado in spiaggia≫, rispose.

Le reazioni furono diverse per ognuno: Mike sorrise a trentadue denti, Jessica sbuffò perché non avrebbe avuto campo libero con il biondo, Edward ringhiò e premette le dita sul legno con tanta forza da sbriciolarlo. Seppe che la sua era una provocazione per le sue ultime parole e un modo per fargli scontare tutto il resto. Istintivamente, Bella agiva come se sapesse che lui avrebbe sentito.

La ragazza ignorò la razionalità che le urlava nella mente e decise che lo sguardo di Edward era furente, in fondo, anche lei adorava irritarlo. Gli schioccò un sorriso sardonico.

Fratello, hai trovato pane per i tuoi denti affilati, pensò Emmet, dandogli una pacca sulla spalla che avrebbe distrutto un muro di cemento.

********

I ragazzi si recarono nell’aula di biologia, Bella fremeva entusiasta al proprio posto, in attesa di veder spuntare dalla porta un ciuffo ramato. Le sue speranze non crollarono neanche quando l’aula si riempì senza che lui arrivasse, soltanto nel momento in cui il professore varcò la soglia e chiuse la porta si abbandonò inconsolabile sulla sedia. Sarebbe rimasta a fissare il vetro della finestra per il resto dell’ora, se l’insegnante non avesse avuto propositi differenti.

Appena la ragazza udì le parole ago e gruppo sanguigno, si drizzò di scatto sulla schiena come una molla.

≪Signorina Swan, qualche problema?≫, chiese il professore, con il suo solito sorriso cordiale.

Il quel momento Bella decise di cogliere la palla al balzo. Non aveva grossi problemi con il sangue, ma decisamente odiava gli aghi, le medicine e gli ospedali. Perciò rispose: ≪Conosco già il mio gruppo sanguigno, professore e non tollero molto la vista del sangue...≫.

Banner le si avvicinò. ≪Sente girare la testa?≫.

Bella annuì, con lentezza studiata. L’unica cosa che desiderava era un po’ di tranquillità, almeno per la prossima ora, benché le dispiacesse prendersi gioco del brav’uomo.

 ≪Allora la faccio accompagnare in infermeria... signor Newton potrebbe?≫, Mike scattò sull’attenti, approfittando dell’occasione per passare un braccio intorno alla vita della giovane.

Bella alzò gli occhi al cielo. Nella sua vecchia scuola, i ragazzi non la inseguivano in quel modo. Si poteva dire che la ignorassero, per quanto ne sapeva; non capiva l’attaccamento morboso di Mike. Ebbe nostalgia del suo paese, per un attimo. Le mancavano le battute stupide, le risate sguaiate, i brutti doppi sensi e la voglia di non far nulla. Troppa serietà e troppo vigore in quella scuola.

Bella annuì e il suo volto pallido fu un incipit alla sua recita; si era messa in una spiacevole situazione.

I due giovani lasciarono l’aula di biologia, diretti silenziosamente verso l’infermeria. Da lontano un paio di occhi furenti li spiava. Alice gli aveva raccomandato di non entrare in aula, perché il professore  avrebbe verificato i gruppi sanguigni dei ragazzi ed era una lezione alla quale avrebbe dovuto rinunciare, categoricamente, in special modo a causa della presenza di Bella. Dopo ciò che era successo in mensa, non aveva alcuna intenzione di perderla di vista ed era rimasto appostato vicino al corridoio, spiandola attraverso i pensieri altrui. Si era sentito segretamente soddisfatto dell’ansia e dell’aspettativa che mostrava e in fine, quando non lo aveva visto arrivare, del profondo dispiacere che l’aveva incupita.

Altrettanto semplice era stato intuire la sua farsa: i suoi occhi non riuscivano a nascondere una luce birichina e accecante. Ma la dolcezza del suo volto e la fragilità della sua persona avevano convinto l’insegnante e Mike della sua recita. Quest’ultimo aveva il braccio ancora attaccato al corpo per semplice opera di carità. Edward avrebbe spaventato Bella se l’avesse distrutto davanti ai suoi occhi e il biondo non sembrava intenzionato a lasciarla così presto, naturalmente. Ora vedeva da sé e attraverso gli occhi di Mike il suo volto scocciato e il suo sguardo ansioso, sentimento che Mie scambiava per reale malore. Avrebbe voluto una scappatoia per liberarsi del ragazzo, almeno così sperava Edward, e possibilmente fuggire da scuola.

≪Possiamo fermarci, Mike? Non c’è urgenza≫, esordì Bella, temporeggiando e trovando il modo di sottrarsi alla sua presa e lasciarsi scivolare contro il muro.

Il ragazzo la imitò, attaccandosi al suo fianco.

Edward ringhiò. Il suono fu udito da entrambi che sollevarono il capo e si guardarono in torno. Mike deglutì saliva.

≪Sembrava... un animale≫, sussurrò lui, sollevandosi da terra.

≪Dubito che un animale si spinga fin qui ed entri a scuola, Mike. Tranquillizzati≫, lo rassicurò lei.

Mike arrossì, pensando alla pessima figura che stava facendo e si posò nuovamente al muro, questa volta in piedi, come se volesse scappare da un momento all’altro. Bella non era inquieta, stava diventando incosciente, eppure non riusciva a sentirsi in pericolo, come se qualcuno la vegliasse con costanza. Forse essere scampata all’incidente l’aveva resa insensibile alla paura.

≪Allora Bella, ti ho visto parlare con Cullen, a mensa. E’ strano. Di solito non lo fa mai... parlare con qualcuno, intendo. Sono troppo snob per considerare l’esistenza di noi altri poveri mortali≫, esordì Mike, cercando di scoprire qualcosa.

≪Edward - e sottolineò il suo nome – sa essere molto gentile≫, disse Bella, in difesa del ragazzo.

≪Ma...≫, continuò lui, prima che una voce soave lo interrompesse.

 ≪Che succede? Bella?≫, chiese Edward, entrando in scena in quell’istante per evitare che Mike continuasse a sparlare di lui e della sua famiglia, servendosi infantilmente dei pettegolezzi locali per allontanare Bella. Ero ovvio che non ci sarebbe riuscito, ma gli aveva già concesso troppo tempo con la ragazza.

Questa si sporse oltre il corpo di Mike che le copriva la visuale e il fiato le si impigliò in gola. Ancora la sorprendeva quanto Edward fosse bello. Il suo cuore sussultò e iniziò a battere freneticamente e lei si aprì immediatamente  in un sorriso carico di dolcezza.

≪Stavo portando Bella in infermeria≫, si limitò a rispondere Mike, benché la domanda non fosse stata posta a lui.

Edward proseguì ignorandolo, quando il ragazzo gli si parò davanti.

≪Dovresti andare in classe, anziché stare in giro≫, lo redarguì il biondo, non immaginando lo sforzo titanico dietro l’espressione impassibile di Edward.

Il vampiro lo ignorò, benché immaginasse di scaraventarlo contro il muro opposto e lo aggirò, chinandosi all’altezza della ragazza e prendendola tra le braccia, con un movimento fluido ed elegante. Lei arrossì immediatamente, non trovando il fiato per protestare. Mike, dopo un primo istante di sbalordimento, si scaldò.

≪Penso io a te≫, le mormorò Edward, ignorando le proteste di Newton.

Si voltò soltanto un’ultima volta. ≪Faresti meglio a entrare in classe, anziché perdere tempo nei corridoi. Temo che altrimenti copiare qualche compito non ti assicurerà la sufficienza, quest’anno. Mi occupo io di Bella≫.

Edward si lasciò alle spalle un interdetto Mike, iniziando a camminare. Il movimento improvviso costrinse Bella ad aggrapparsi al suo collo. La ragazza forzò tutto il peso su Edward, turbata da quella situazione.

≪Edward mettimi giù, peso≫, protestò debolmente.

Il ragazzo ghignò, senza darle retta, ma limitandosi a uno sguardo torvo.

≪Sul serio, so ancora camminare≫, continuò lei.

Edward fintò un’oscillazione che la costrinse ad addossarsi ancora di più a lui, non che la situazione dispiacesse a qualcuno, a parte alla gola riarsa di Edward, che implorava una tregua che il vampiro non era disposto a concedergli. Il silenzio li accompagnò per alcuni attimi, prima che lei chiedesse con un tono basso e timido di voce:≪Che fine avevi fatto? Non sei venuto a lezione≫.

Il suo volto si colorò di rosso cremisi e il calore accarezzò la pelle del collo di Edward.

≪I miei fratelli maggiori mi hanno assicurato che ogni anno, prima della giornata di donazione a Port Angeles, il professor Banner organizza questo esperimento. E siccome anche io sono un po’ sensibile al sangue, ho pensato di stare lontano dall’aula di biologia≫, le spiegò Edward, cercando di essere il più sincero possibile, ma creando delle situazioni plausibili per non insospettire la ragazza.

≪Come sai che ho avuto problemi con il sangue? Hai detto “anche io”≫, chiese Bella, alzando gli occhi sul suo volto ma Edward continuava a guardare davanti a sé, con i tratti della mascella e la linea delle sopracciglia distese.

≪Non sei l’unica dotata di spirito di osservazione, Bella. So che avevi biologia e, giacché pochi minuti prima, in mensa, eri in ottima salute, ho immaginato che qualcosa ti avesse infastidito e, avendo una comune esperienza, ho collegato≫, terminò Edward, con un sorriso vittorioso in volto.

Bella sbuffò, ruotando gli occhi.

≪In realtà... sto già meglio≫, tentò di dire, ≪non è il caso di andare in infermeria≫.

Edward trattenne il sorriso: Bella tentava di non scoprire le carte, cercando di convincerlo a desistere dall’andare in infermeria, ma l’avrebbe portata a confessare.

≪Non mi sento di rischiare con la tua salute, so quanto può essere... sgradevole la vista del sangue, per chi non riesce a sopportarla. Una visita all’infermiera mi toglierà ogni dubbio sul tuo reale stato di salute≫, protestò, con voce soffice e autoritaria.

≪Edward...≫, continuò lei, allarmata.

≪Siamo quasi arrivati, Bella≫, rispose lui, mascherando il desiderio di esplodere in una risata, dietro un cipiglio intenso di preoccupazione.

≪Edward, non ho niente e se mi porti in infermeria in piena salute, potrei passare dei guai, perciò mettimi giù e andiamo via≫, protestò la ragazza, infastidita e preoccupata al con tempo. 

 

Edward si arrestò per un attimo, come se stesse riflettendo sul da farsi, poi riprese a camminare. Bella sgranò gli occhi e si divincolò tra le sue braccia, che aumentarono la stretta su di lei. ≪Edward non scherzo≫.

Bella tentò ancora di divincolarsi, protestando debolmente e zittendosi quando arrivarono in segreteria.

I due varcarono la soglia, attirando l’attenzione della segretaria che, nello scatto sulla sedia, riuscì a fare pensieri impuri. Bella, immaginando ogni cosa senza l’ausilio della lettura nel pensiero, governò l’istinto di tirare fuori la lingua. Non riusciva proprio a sopportare quella donna!

≪Cos’ è successo, Edward?≫, si allarmò la donna.

≪Niente di cui preoccuparsi, signorina Cope; un piccolo malore nell’aula di biologia≫, spiegò lui, rivolgendole un sorriso che la fece desistere dal seguirlo, intontendola e confondendo i suoi pensieri.

Bella sorrise, scuotendo il capo. Edward aveva un potere inconscio pericolosissimo. Lei stessa ne era vittima. Le venne subito meno il desiderio di sorridere, quando furono di fronte alla porta dell’infermeria. Isabella scalciò un’ultima volta, prima che Edward aprisse e avanzasse con sicurezza verso il lettino, dove la depositò delicatamente. L’infermiera, che definire di veneranda età fu un eufemismo, si avvicinò lentamente, indossando un paio di occhiali con lenti a fondo di bottiglia. La scrutò attentamente, come se faticasse a vederla e gracchiò:≪Tu chi sei cara? Non ti ho mai visto prima≫.

Edward sorrise all’anziana donna. ≪E’ una nuova alunna, signora Jones. E’ qui da poco più di un mese. Ha avuto problemi con il sangue nel corso del professor Banner≫.

≪Edward≫, esultò la signora Jones, ≪non ci vediamo da troppo tempo ragazzo. Da quanto non vieni a trovarmi?≫.

Edward sorrise in risposta. ≪Verrò più spesso, promesso≫.

Bella assistette sconcertata alla scena, fin quando l’attenzione non verté nuovamente su di lei.

≪Adesso veniamo a te – disse la donna, allontanandosi e tornando con un impacco di ghiaccio – metti questo, cara e aspetta qualche minuto che passi≫.

Bella annuì, tirando un sospiro di sollievo e attendendo sotto lo sguardo divertito di Edward e quello concentrato della donna per qualche minuto.

≪Sto molto meglio... signora≫, balbettò, sollevandosi dal lettino e facendo attenzione a non inciampare mentre scendeva. Bella porse l’impacco direttamente nella mani dell’infermiera, ringraziandola con un sorriso. La donna si chinò per riporre l’oggetto nel piccolo frigo bianco ma Bella, vedendo la sua difficoltà, si avvicinò per aiutarla.

≪Lasci – disse – faccio io≫. Si chinò e ripose l’impacco, rivolgendole un dolce sorriso.  

L’anziana era una donna simpatica e arzilla, nonostante l’età. Si chiese se in quel paesino sperduto valesse il limite massimo per l’età di pensionamento. Non si era accorta della sua recita, ma in fondo, Bella si chiese se la vedesse bene in volto.

≪E’ stato un piacere conoscerti – la salutò l’infermiera – una così cara ragazza – disse, rivolta a Edward come a confessargli un segreto e schiacciandogli un occhiolino d’approvazione – torna a trovarmi con Edward≫.

≪Certo≫, rispose Bella intenerita.

Edward strinse calorosamente la mano della donna, ringraziandola e promettendole che sarebbero entrambi tornati a trovarla.

≪Pensa di poter lasciar uscire Bella? Sarebbe il caso che l’accompagnassi a casa≫, le chiese Edward.

La donna gli consegnò un foglio con la propria firma. ≪Consegnalo alla signorina Cope - e pronunciando quel nome piegò il volto in una smorfia - e  le scriverà una giustificazione≫.

Quando furono nuovamente nell’anticamera, Edward scoppiò a ridere. Non aveva mai sorriso tanto come dal giorno in cui aveva avuto a che fare per la prima con Isabella Swan. Il buonumore non era mai stato un tratto caratteristico della sua nuova vita, benché un tempo fosse stato un ragazzo solare. Aveva conosciuto poco o niente della sua adolescenza. Forse, aveva avuto bisogno di invecchiare per diventare giovane.

≪Divertente – sibilò Bella ≫.

≪Ammetti che la tua espressione è stata impagabile≫, le disse Edward, guardandola con infinito amore.

Era incredibile come potessero coesistere nello stesso corpo tanta dolcezza, testardaggine, intelligenza e simpatia.

≪Da quanto tempo la conosci?≫, chiese Bella, indicando la porta alle loro spalle con un cenno del capo, rinunciando al proposito di arrabbiarsi con lui. In ogni caso, non ci sarebbe riuscita.

≪Praticamente dal primo giorno. Avevo un gran mal di testa – evitò di specificare che fosse dovuto ai pensieri urlanti degli alunni eccitati dalla venuta dei Cullen – e mi sono rifugiato in infermeria, all’ultima ora, per scampare alle chiacchiere degli altri. Abbiamo fatto subito amicizia, io e la signora Jones – la donna gli raccontava episodi degli anni nel Vietnam e lui ricambiava con storie dei suoi “antenati” che in verità erano aneddoti della sua vita - e da allora vango sempre qui, quando desidero saltare qualche lezione; come te oggi. Un tempo è stata un’infermiera dell’esercito in Vietnam, ma era originaria di Forks e ora lavora qui da quindici anni. Ha sessantasei anni, benché ne dimostri di più per tutto quello che ha passato. E’ una donna intelligente e piacevole≫, concluse.

Bella si aprì in un sorriso. ≪Sì, ho notato≫.

≪Non sarebbe più in grado di affrontare gravi emergenze ed ha poca memoria, ma ricorda le vecchie storie alla perfezione≫.

≪Lo sapevi, per questo mi hai portato qui. Ero così preoccupata e lei riusciva a stento a vedermi≫, disse, guardandolo truce.

≪Lo ammetto, ma avevamo concluso che irritarti mi diverte, perciò avresti dovuto aspettartelo. Inoltre, ora hai il permesso di tornare a casa; se fossi scappata di soppiatto saresti stata nei guai. Vuoi davvero rimanere o preferisci che ti accompagni a casa?≫, gli chiese Edward.

≪Riesci ad ottenere un permesso anche per te?≫, chiese Bella, indicando la segretaria.

≪Certo≫, disse lui come se fosse ovvio e si avvicinò con passo felino al bancone.

Pochi istanti dopo era di ritorno con una giustificazione per entrambi. In fondo, pensò Bella, il suo potere diabolico era anche utile oltre che deleterio. 

I due si incamminarono nel parcheggio gremito di auto.

Edward cercava un modo per introdurre la conversazione “gita a La Push”, quando la vide allontanarsi dal suo fianco, in direzione del Pick-up.

≪Dove vai?≫, le chiese.

≪A casa?≫, rispose, come se fosse una domanda.

≪Ho detto che ti avrei accompagnato e intendo farlo≫.

≪Non lascio qui il mio pick-up, perciò, al massimo, sarò io ad accompagnare te≫, propose Bella.

Edward sbuffò. ≪Allungheresti troppo≫.

≪E’ davvero questo il problema?≫, gli chiese, incupendo lo sguardo.

Edward la guardò a lungo, prima di prendere una decisione. Le si avvicinò e le sottrasse le chiavi che teneva in mano.

≪Però guido io, non troveresti la strada - si affrettò ad aggiungere≫.

≪Te lo concedo≫, acconsentì Bella.

La ragazza si guardò intorno, nell’abitacolo caldo del pick-up, sorridendo per la situazione irreale. Il primo giorno, non avrebbe mai immaginato di trovarsi in quel contesto con Edward, né tanto meno quando aveva comprato il mezzo da Billy. Edward sbuffò alzando gli occhi al cielo e facendo sorridere la ragazza.

≪Mi dispiace, non va a più di ottanta chilometri all’ora≫, si scusò Bella.

Ma quella di Edward era soltanto una recita, al fine di farla sorridere ancora. Il vampiro avrebbe fatto la parte del giullare per il resto della propria vita immortale, pur di farla ridere. L’amore era un sentimento pericoloso e per quelli della sua specie, micidiale. Perché gli uomini possono compiere gesti sconsiderati limitati dalla loro natura, ma un immortale, che non conosce ostacoli, diventa inarrestabile. L’amore accompagna, tenendoli per mano, molti vampiri sul sentiero della follia.  

≪Suoni?≫, esordì Edward, voltando il capo nella sua direzione, incurante della strada.

≪Come lo sai?≫, chiese Bella, sgranando gli occhi e aggiungendo alla lista dei poteri di Edward, sotto la nota “voce ammaliante”, “super udito”.

≪Ho visto il volantino che hai in tasca≫, spiegò Edward.

Bella cancellò con un immaginario colpo di spugna la nota del super udito, arrossendo imbarazzata. Forse avrebbe dovuto smettere di crearsi mille fantasie sul suo conto; aveva visto troppi anime e letto troppi libri. Poi ricordò il giorno dell’incidente e ciò che aveva visto con i propri occhi, ripromettendosi di non lasciarsi distogliere dalla realtà.

≪Lo faccio da quando avevo nove anni. Il pianoforte è la mia più grande passione, ma riesco a muovermi anche sulla tastiera della chitarra, benché non ne capisca molto≫, spiegò, ≪ho studiato in un centro simile a questo, ma non ho mai avuto un piano≫.

≪Come ti esercitavi?≫, chiese Edward interessato, meravigliato dalla luce che le brillava negli occhi.

≪Mia zia ne aveva uno bianco in salotto. Lo adoravo, soprattutto per la panca color latte. Era così soffice; affondavo le mani come se fosse una nuvola o zucchero filato. Mia zia aveva proposto ai miei di lasciarmelo portare a casa, visto che lei non lo utilizzava più, ma non avevamo lo spazio≫, concluse Bella, ricordando l’immaginazione di bambina che la trasportava in modi straordinari quando sedeva al piano.

≪Ti manca il tuo paese?≫, le chiese Edward, soffermandosi sul sorriso che aleggiava ancora sulle sue labbra.

≪Ho imparato una cosa, in questo tempo, che alle proprie origini non si scappa. Il luogo in cui vivevo aveva così tanti difetti ma credo di essere riuscita a portare con me soltanto i pregi della mia terra. E’ stato un cambiamento enorme. Qui tutto è diverso, per sino le persone e il loro modo di rapportarsi. Per non parlare del territorio. Non riesco a credere che dovunque mi giri veda alberi e nebbia, anziché sole e mare. Perciò sì, mi mancano la sfrontatezza e la voglia di socializzare dei ragazzi, il mio dialetto e la mia lingua, il paesaggio, ma di moltissime altre cose faccio volentieri a meno. Qui riesco a vedere la vera... vita. E’ un po’ difficile da spiegare≫, disse la ragazza in fine; stupendosi della facilità con la quale esponeva a Edward i propri pensieri e le proprie emozioni.

Non era affatto come parlare a un'altra persona, piuttosto come raccontare della propria vita a se stessi. Se avesse detto una cosa del genere ad Asami, sua sorella le avrebbe risposto che era innamorata e anche lei iniziava ad arrendersi all’evidenza.

≪Parlamene≫, chiese Edward e non ci sarebbe stato nulla di strano, se l’avesse fatto in inglese.

Bella girò il capo nella sua direzione, trovando il suo sorriso a metà ad attenderla.

≪Hai detto “parlamene”?≫, esclamò, ≪tu parli italiano e anche bene aggiungerei≫.

≪Non posso portare l’Italia a Forks, ma posso farlo con la sua lingua. Mio padre è nato da una famiglia benestante londinese. Ha vissuto in Francia e in Italia, da bambino e quando ha adottato me e i miei fratelli ha trasmesso a tutti la sua voglia di sapere e le sue conoscenze. Io ho imparato l’Italiano, mentre Alice ha preferito il Francese. Anche tu parli due lingue, cosa ti meraviglia?≫, tentò di spiegare Edward, avvicinandosi il più possibile alla verità, ma evitando di menzionare il numero reale delle lingue che conosceva.

≪L’inglese è una lingua diffusa in tutto il mondo, l’italiano non s’impara nelle scuole. E in ogni coso, è sempre stata la seconda lingua della mia famiglia, poiché mio padre e mio nonno erano originari di Forks≫.

≪Ora potremo parlare italiano ogni volta che lo vorrai e se lo desideri, potrai insegnarmi un po’ del tuo dialetto≫, le disse Edward.

Bella esplose in una risata, immaginando il ragazzo parlare nel suo dialetto calabrese.

≪Limitiamoci all’italiano, ok≫, singhiozzò lei, lasciando interdetto il vampiro.

 ≪Come desidera, ma non ha ancora fatto quello che le ho chiesto≫, le ricordò Edward.

Bella si lanciò in un’accurata descrizione del suo vecchio paese e il tempo trascorso troppo velocemente.  Non tanto da ignorare la loro sintonia di pensieri, la voglia di sorridere e non staccare mai lo sguardo dall’altro. L’abitacolo si riempì del suono delle loro voci, nella sinfonia più bella mai udita.

≪Ok, miscredente, siamo arrivati≫, comunicò Edward, arrestando l’auto di fronte alla stradina che conduceva alla loro abitazione.

≪Parli come se non lo fossi, Edward≫, rispose Bella sorridendo.

Edward sospirò, rantolando. Lo devastava il pensiero di lasciarla e la forza che lo costringeva a tenerla il più possibile lontano da sé. La sua devozione cresceva di minuto in minuto, non era certo che sarebbe riuscito a lasciarla. Voltò il capo nella sua direzione, trovando il suo sguardo. Bella arrossì, perché si era fatta beccare a fissarlo. 

≪Io lo vedo... tutto quello che mi hai raccontato – parlò lui, senza riflettere sulle conseguenze. Vedo... la chiarezza del cielo terso e i raggi del sole nella tua pelle chiara come il latte, il colore della terra nei tuoi capelli scuri, il calore e la dolcezza dei cuori nei tuoi occhi, la semplicità nei tratti gentili del tuo volto, le sfumature rosse dei petali sulle tue labbra e sulle tue guancie, l’alba sulle tue palpebre, il vigore delle onde nel tuo sguardo e nelle tue parole, la forza del crepuscolo nell’incendio del tuo orgoglio smisurato e della tua testardaggine. Io vedo la tua terra sulla tua pelle≫, le confessò carezzandolo la curva della mascella, lasciandola profondamente scossa. Come se ci fosse bisogno di altre parole per descrivere l’amore immenso che il vampiro provava per il suo piccolo cucciolo d’umana.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                

Intuendo di averla interdetta, Edward voltò lo sguardo oltre il parabrezza e sussurrò:≪Casa≫.

Bella avrebbe voluto dire qualcosa, ma non riuscendo a trovare le parole, seguì lo sguardo del ragazzo, posandolo sulla grande villa bianca.

Edward osservò la ragazza spalancare gli occhi, di fronte al lavoro magistrale di Esme e sussurrare qualcosa in una lingua sconosciuta. Passò al vaglio le proprie conoscenze e non trovò nulla di vagamente simile e poi comprese.

≪In questo momento sono lieto di non conoscere il tuo dialetto≫, la schernì, immaginando che avesse detto qualcosa di profondamente irriverente. Bella arrossì dalla punta dei piedi fino alla cima dei capelli, riscaldando con il proprio calore l’abitacolo e la gola di Edward, che si ritrovò a deglutire un impasto di veleno.

≪E’ una casa bellissima≫, si complimentò Bella, sinceramente meravigliata. Chiunque l’avesse scelta o progettata aveva un gran gusto.

≪E tutto ciò che vedi è opera di mia madre. Esme è un ottimo architetto≫, le comunicò.

≪Il tuo volto si accende quando menzioni uno di loro. Sei molto legato alla tua famiglia≫, costatò la ragazza.

Edward sorrise. ≪E’ inevitabile. Quando perdi ogni cosa, a partire da te stesso e incontri altre persone ugualmente smarrite, crei dei legami molto forti. Questo vale per tutti i miei fratelli e per i miei genitori. Noi siamo... il loro riscatto dalla vita. E loro sono la guida della nostra≫.

≪Tuo padre≫, iniziò Bella, ≪è un uomo molto gentile e... intelligente. Mi piace≫.

≪E’ l’effetto di Carlisle≫, acconsentì Edward.

≪Cos’è successo alla tua famiglia?≫, chiese Bella, ≪se non sono indiscreta≫, aggiunse.

≪Sono morti, non ricordo molto. I Cullen sono la mia famiglia≫, rispose lui, con altrettanta delicatezza nel tono di voce. Avevano iniziato a sussurrare, perché l’argomento lo richiedeva.         

≪Sei fortuno, Edward. Una famiglia così unita è molto più unica che rara≫, disse la ragazza, con un certo rimpianto nella voce e una malcelata nostalgia.

≪Mi hai parlato di Rian, Asami, Kiseki e Hikari, ma non mi hai accennato nulla sui tuoi genitori≫, disse Edward, cercando di approfondire ciò che aveva intuito sul suo rapporto con Charlie e Renée.

≪Non c’è molto da dire; mia madre è una donna meravigliosa e per lei avrei desiderato molto più di ciò che ha avuto dalla vita. Per quanto riguarda mia padre, lo hai conosciuto, trai le tue conclusioni≫, replicò Bella.

≪Conosco molte cose, Bella, ma non ho avuto occasione di provare cosa significasse non avere un rapporto con il proprio padre≫, disse Edward, scegliendo accuratamente le parole da usare.

Bella rimase colpita da quella frase, perché Edward non aveva parlato di un rapporto conflittuale o qualcosa del genere, aveva detto “non avere un rapporto”.

≪E’ così palese≫, chiese Bella, ansiosa.

≪Soltanto a chi sa osservare≫, la rassicurò Edward.

≪A volte ho paura di essere nel torno o di essere io a sbagliare qualcosa≫, sussurrò Bella.

Edward  si voltò totalmente nella sua direzione. ≪Non pensarlo. Mio padre mi ha detto, fin dal giorno in cui l’ho conosciuto, quando ero più incline a fare... errori, che non sono mai i figli a fare il primo errore, ma i padri. Un buon padre mette sempre in discussione se stesso, mai i propri figli≫.

Bella osservò con attenzione il ragazzo e concretizzò un dettaglio. Per quanto mal sopportasse suo padre, probabilmente avrebbe cercato nuovamente di picchiare Edward se avesse detto qualcosa contro di lui. Eppure il ragazzo non aveva mai usato parole offensive, piuttosto una tale delicatezza da lasciarla sconcertata.  

≪Grazie≫, disse Bella, senza smettere di osservare la sua figura. I due incrociarono gli sguardi e dimenticarono ogni dolore, rancore, veleno.

La ragazza fu la prima a distogliere lo sguardo e puntarlo sul parabrezza.

≪E’ tardi, devi tornare a casa, la strada è lunga. Credi di riuscire a tornare a Forks?≫, chiese Edward, dolente di doverla lasciare andare così presto.

Bella annuì, un po’ spossata dalla conversazione.

≪Ci vediamo domani, Edward≫, chiese Bella, mentre il ragazzo apriva lo sportello, scendeva dall’auto e lei occupava il suo posto alla guida.

≪Certo. A domani, Bella≫, sussurrò, sfiorandole un’ultima volta la guancia e chiudendo lo sportello. Il ragazzo attese che fosse andata via, prima di correre verso casa. Salì al piano superiore della grande villa, immaginando il volto di Bella se fosse stata con lui e fu subito intercettato da Esme. La donna si avvicinò cautamente, senza parlare, ma limitandosi a pensare: ≪Era lei?≫.

Edward annuì e si ritrovò immediatamente tra le braccia della madre. ≪Sono tanto felice per te≫.   

********

≪Non ripeterò che avevi ragione, Asami≫, disse Bella, alzando gli occhi al cielo come se la sorella, dall’altro capo, potesse vederla.

≪D’accordo ma ora cosa intendi fare?≫, chiese Asami, ansiosa.

≪Nulla, cosa vuoi che faccia? Non so neanche se siamo amici. Che io abbia ammesso di provare qualcosa per lui, non risolve automaticamente le cose≫, le fece notare Bella.

≪Ma è un passo avanti≫, replicò Asami.

≪Chiariremo e... ti terrò aggiornata≫, concluse la ragazza.

Asami ripose la cornetta al proprio posto, voltandosi e trovando il marito poggiato allo stipite della morte. Aveva uno sguardo cupo ed era evidentemente accigliato.

≪Non ho potuto fare a meno di ascoltare≫, le comunicò Rian, e Asami alzò gli occhi al cielo.

≪Non essere geloso; era prevedibile che alla fine accadesse. A noi è successo≫, disse dolcemente la donna, carezzando la guancia del marito.

≪E’ ancora troppo piccola ed io non sono là a... controllare≫, si oppose Rian.

Asami dissentì con il capo. ≪Non è piccola. E’ una giovane donna, molto bella e molto intelligente. Non ha bisogno della nostra protezione. Da ciò che mi racconta, il ragazzo sembra apposto. Rian, le ha salvato la vita≫, lo redarguì lei.

Il ragazzo sbuffò, stringendo i pugni.

≪Sappiamo entrambi che le cose non sono sempre come appaiono≫, a quelle parole, la donna non seppe cosa ribattere.

******* 

≪Se non lo faccio ora, Esme, non riuscirò mai più a farlo≫, sussurrò il ragazzo.

≪Tesoro, riflettici bene, ti prego. Non essere frettoloso, potresti pentirtene per il resto della vita≫, lo pregò Esme.

≪Lei... sta diventando la mia vita. E se non vado via ora, sarà la fine≫, concluse Edward, posando un bacio sulla fronte della madre e sparendo oltre la soglia per attendere i fratelli al posto di guida della Volvo. Dopo la conversazione in auto del giorno prima, aveva deciso che non avrebbe più potuto temporeggiare. Se avesse atteso oltre, non sarebbe più riuscito a lasciare Forks. Sparire gli sembrava la scelta più giusta da fare. Aveva rischiato di confessare alla ragazza i propri sentimenti il giorno precedente e temeva entrambe le risposte di Bella, sia quella negativa, sia quella positiva. Perché in entrambi i casi sarebbe stata una tragedia. Condannare la ragazza, la stessa che gli aveva confessato di aver pianto per una settimana a causa della morte di un piccolo di passero, a cacciare brutalmente animali o rischiare di uccidere qualcuno era impensabile. Bella era fin troppo moralista per una cosa del genere, lo avrebbe ripugnato. In ogni caso, non voleva venir meno alla promessa di esserci del giorno prima; le avrebbe detto addio un’ultima volta, prima di fuggire.

Le ore scolastiche trascorso velocemente, come se le lancette dell’orologio avessero deciso di correre una maratona o più semplicemente, desiderando che il tempo si arrestasse, scorreva.

La campanella per la pausa pranzo trillò miseramente, annunciando il momento atteso da Edward per la propria recita. Lì dove l’aveva incontrata, l’avrebbe lasciata. Il ragazzo si stagliò sulla soglia e vagò con lo sguardo per la stanza, individuando la figura di Isabella al bancone. Alice gli strinse il braccio e gli lanciò un’occhiata penetrante.

≪Pensaci≫, lo pregò, allontanandosi insieme a Jasper al loro solito tavolo.

Edward si affrettò a raggiungere la ragazza, estraendo nel mentre i soldi dalla tasca posteriore dei jeans e porgendoli alla donna, non appena sopraggiunse.

≪Faccio io≫, disse.

Bella si allontanò senza degnarlo e lui ignorò il resto sul bancone per seguirla. Le afferrò un braccio, costringendola a voltarsi.

≪Ehi, dove scappi?≫, le chiese.

≪Non sono un giocattolo, Edward. Non puoi usarmi o mettermi da parte, a seconda del tuo umore≫, lo accusò.

Edward la guardò incerto. ≪Non far finta di non capire≫, gli disse, sfuggendogli ancora.

≪Mi dispiace, Bella. Cerco di venire a capo della situazione, ma stare con te mi... devia≫.

≪Allora decidi, Edward. Non hai più il mio tempo≫, ribadì.

Edward chinò il capo, lasciando scivolare la mano che le legava il polso. Un corpo caldo si abbatté d’improvviso sul suo petto e lui, riconoscendolo d’istinto, lo circondò con le proprie braccia. Il tempo ricominciò a scorrere, questa volta più lentamente, senza toccarli in alcun modo, come gli sguardi di tutti quei ragazzi che li puntavano. Bella fu la prima a sottrarsi dall’abbraccio, al suono della campana. Gli studenti gli passavano a fianco, dirigendosi ognuno alle proprie lezioni e lanciandogli occhiate indagatrice, senza che l’umana e l’immortale si curassero di loro. La ragazza poggiò delicatamente una mano sul petto del vampiro, che sussultò al pensiero del proprio cuore immobile all’interno della gabbia toracica.

≪Io non so cosa ti tenga lontano da me. Se credi che io ti tema o possa detestarti, allora non mi conosci. Non ti assicuro cosa succederà, non sono in grado di saperlo, ma io sono qui. E mi limito soltanto a vedere ciò che gli altri non vedono. La decisione spetta a te≫, e la ragazza si sollevò sulle punte, stringendogli le braccia intorno al collo per un’ultima volta, come se potesse sfuggirgli da un momento all’altro. Dopo di ché si allontanò verso la lezione di biologia che Edward, quel giorno, non avrebbe seguito. Il vampiro camminò assente tra la calca di studenti, raggiungendo il proprio tavolo e abbandonandosi sulla sedia. I fratelli si guardarono negli occhi, sollevandosi dai propri posti e sfilandogli accanto per raggiungere le propri lezioni. Qualcuno gli lasciò una pacca sulla spalla, qualcun’ altro un bacio tra i capelli.

Ma nulla avrebbe placato lo sconforto del ragazzo e domato l’incendio del suo corpo. Perché, benché le fiamme non si levassero alte intorno alla sua figura, Edward bruciava.     

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Capitolo 6
*** 5 L'erede ***


Buona lettura! Spero di sentire qualche parere:)

5 L’erede

Fortuna che ho capito che la mia vita ha un valore e quel valore glielo do io con le mie scelte e con il coraggio delle mie decisioni.
Ho imparato a pormi una domanda ogni sera prima di addormentarmi: cosa hai fatto oggi per realizzare il tuo sogno, la tua libertà?
Alla seconda sera in cui mi sono risposto: ‘Niente’, ho capito quanto in fondo una parte del problema fossi io.
Quindi, o smettevo di lamentarmi o iniziavo a darmi da fare.

Fabio Volo, E’ una vita che ti aspetto

 

Il suono dell’interruttore riecheggiò nell’oscurità della stanza. L’eco delle voci che avevano animato la sala mensa era un ronzio fantasma nei timpani ipersensibili del vampiro che sedeva immobile intorno a uno dei tavoli bianchi, fissando il vuoto. Edward era una debole aura luminescente nel buio. Nessuno si era accorto della sua silenziosa presenza, né i custodi né la donna dietro il bancone, ansiosa di terminare la propria giornata lavorativa e ritornare a casa. Il ragazzo non aveva respirato o battuto ciglio per minuti interi. Sentiva che, se avesse mutato la propria postura, risvegliando il corpo e la mente dal torpore, la follia lo avrebbe trovato e catturato. Edward sedeva apaticamente al centro di una prigione di vetro. Non poteva aggirarla con un salto, perché era troppo alta e le sue gambe troppo instabili, non poteva arrampicarsi, perché i suoi palmi scivolavano sul vetro liscio e freddo e non poteva abbatterla, perché la sua forza non era sufficiente. Ma in fondo, non era una sua prerogativa quella di evadere. Era stato lui a creare un luogo impenetrabile e indistruttibile in cui rifugiarsi e fuggire da Follia. La temeva tanto quanto la agognava per dimenticare le fiamme che gli avvolgevano il corpo. Edward attendeva che il fuoco lo demolisse ma ciò non avveniva. Attendeva, ma fin quando in lui fosse permaso il combustibile, il fuoco avrebbe divampato spietatamente, senza concedere la morte. Le lingue di fuoco che lo consumavano più dolorosamente erano strette intorno al suo collo come braccia...

Il vampiro era cosciente che qualcosa, al di là di quella prigione, esisteva. Cercava di ricordare e desiderava farlo con tutto se stesso, ma le fiamme lo avvolgevano e il timore di Follia lo immobilizzava. Una lingua di fuoco si levò sulle altre e si abbatté con violenza sul suo petto. Cercò le labbra per urlare, esternando tutto il proprio dolore, ma, a differenza del resto del corpo, erano ridotte in cenere. Qualcosa catturò la sua attenzione, nella torsione convulsa delle membra; vide riflessa sul vetro del pavimento sopra cui sedeva l’impronta di una mano sottile e delicata, impressa con il fuoco sul suo cuore. Allora ricordò ogni cosa: associò a essa un volto e il nome della sua posseditrice.

Isabella.

Il pensiero del suo viso fu nuova benzina per il fuoco che lo artigliò voracemente. Edward non si contorse, perché adesso c’era qualcosa di più feroce delle fiamme dentro di lui. Una fiamma azzurra lo avvolse con delicatezza, dileguando la prima. Il vampiro attese che sopraggiungesse il dolore, ma questo non arrivò, lasciandolo libero. Circondato dalla strana fiamma azzurra, si sollevò, attento che il vetro non s’incrinasse sotto il suo peso come il ghiaccio. Era lei, Isabella, ciò che lo attendeva al di là della prigione e lontano dalla furia di Follia. Percepì l’importanza di quella certezza e del ricordo della giovane. D’improvviso il vetro rifletté a terra ciò che avveniva all’esterno. Altre fiamme, alte a formare un muro di fuoco, circondavano la gabbia.

Se fosse riuscito a fuggire, lo attendeva altro dolore. Ma tra i fasci di luce oltre il muro di fuoco, intravide un bagliore confortante e bellissimo. Edward desiderò raggiungerlo e iniziò a dare forti spallate al vetro, senza che si formasse una sola crepa. La sua forza d’immortale era impotente, di fronte a quella delle proprie paure e incertezze. Perché la cella di vetro altro non era se non il riflesso di ciò che temeva di scoprire e di desiderare per se stesso. La sua immagine negli specchi restituiva una figura immonda, con le mani ceree macchiate di sangue – tutto quello che aveva versato ergendosi a giustiziere e giudice, prima di comprendere che tale decisione non spettava a lui e che il mondo non poteva essere cambiato in quel modo, ma bisognava attendere che ciascuna creatura vivente divenisse arbitro di se stessa – e il corpo perfetto che celava in sé un’orrida creatura sempre pronta ad azzannare e distruggere. Quella vista si rifletteva su ogni superficie e lo circondava. Follia s’insinuava come una foschia sottile e impalpabile nella sua prigione.

Mentre la vedeva strisciare e avanzare, Edward udì un suono in controcanto. Voltò il capo e vide la fiamma azzurra battere senza sosta contro la parete di vetro, come poco prima aveva fatto lui. Non smetteva. Non riposava. Non deponeva la speranza. Edward si sentì animato dalla medesima speranza e abbatté con violenza il proprio corpo contro la lastra di vetro. Non si abbatteva. Non demordeva. Poi una crepa sottile comparve nel punto in cui stava colpendo ripetutamente, affrettato dal continuo e sinuoso avanzare di Follia. La fiamma azzurra e il ragazzo proseguirono e alla prima si successero altre incrinature, finché non si congiunsero in una sola grande fenditura e il vetro si ruppe. Azzurra ritornò a circondare Edward e insieme lasciarono la loro prigione, la quale si ricompattò per racchiudere Follia, che tentava disperatamente di abbattere il muro, ma da sola non vi sarebbe mai riuscita.

Ora rimaneva da affrontare il muro di fuoco, ma il ragazzo non temeva di trasformarsi in cenere, perché la barriera che lo circondava lo proteggeva egregiamente e benché le sue gambe non si muovessero alla velocità desiderata, il giovane si lanciò tra le fiamme. Lo investì un assurdo calore, ma il fuoco non lo raggiunse. Edward avanzò, benché ogni cosa dietro e davanti a lui cadesse a pezzi, a dispetto delle lingue di fuoco che lo minacciavano. Il bagliore che aveva intravisto dalla propria prigione divenne a mano a mano più luminoso. Il vampiro temette che potesse trattarsi di un abbaglio che non sarebbe riuscito a raggiungere, ma si dovette ricredere quando arrivò davanti alla luminescenza. Edward sgranò gli occhi, perché altro non era se non una nuova fiamma azzurra. Questa aveva le sembianze e il volto di donna. Lasciò il luogo in cui lo aveva atteso e si ricongiunse con la prima, ad abbracciargli il corpo e penetrarlo nelle ossa, negli organi morti e nella mente. Il vampiro e azzurra si congiunsero in una sola entità e il risultato fu una creatura bizzarra, dai caratteri singolari, dalla forza devastante e dalla luce splendente. La pace che ne conseguì quietò il mondo intorno a loro. Forse il fuoco si spense e ciò che era stato distrutto si ricompattò, Edward non lo avrebbe mai saputo, perché i suoi occhi erano rimasti abbagliati e non udiva che il suono di una dolce voce ostinata. Perciò non avrebbe potuto affermare con assoluta certezza che il mondo intorno a lui fosse sereno né tanto meno che esistesse ancora un universo. Edward aveva già trovato il proprio mondo, nel quale iniziare a vivere nuovamente, a dispetto di tutto il resto.

 Il vampiro ritornò spossato da quell’avventura mistica, ma ebbe la forza di pronunciare un’ultima affermazione:≪Maledizione!≫, esclamò, sollevandosi dalla seduta che ricadde all’indietro e sbattendo i palmi contro il tavolo, ≪io amo quella donna≫.

La decisione era presa.

Inconsciamente, quella scelta gli apparteneva fin dalla prima volta che aveva posato gli occhi su di lei, ma Edward era complicato oltre che testardo. Pensava di riuscire a ponderare razionalmente una situazione impossibile da razionalizzare. Ciò che spingeva una creatura verso un’altra, con molta o poca forza, non era un concetto chiaro. Forse il desiderio umano intrinseco negli uomini – e in ciò che rimaneva di essi negli immortali – di compagnia, un antico ricordo del loro passato da “animali” in branco; ciò avrebbe spiegato la forza che spingeva molte persone a ricercare un gruppo cui appartenere. In ogni modo, era innegabile che il cuore iniziasse a battere e il corpo a tremare in alcune circostanze. E per quanto si tentasse, era impossibile sfuggire a tutto ciò dopo averlo provato. La vera sfida era riuscire ad amare, tutto il resto non era che una battaglia persa in partenza.

Esistono, poi, quei rari casi in cui amare non basta più. Manca il respiro, svanisce la forza negli altri e si dissolve il buonumore, insomma, si spegne la vita, perché la necessità di fondersi con la persona amata diventa ingestibile. La lontananza è un dolore perpetuo e lancinante, la gelosia un veleno spossante e la vicinanza l’unica medicina. Tutti i desideri convergono intorno alla figura della persona adorata e si passa automaticamente in fondo alla classifica delle priorità, perché importa soltanto la sua felicità, a dispetto delle proprie sofferenze, in quanto solamente il suo riflesso, anche nel dolore, costituisce una gioia maggiore di quella che si potrebbe provare in sua assenza. Nella situazione narrata, le vicende si complicano ulteriormente, perché il dolore non mancherà e ogni emozione è quadruplicata nel corpo del vampiro. Per quanto riguarda l’umana, chiunque altro sarebbe rimasto stremato dal tentativo di reggere la stessa grandezza di sentimenti, ma quel cuore sembrava particolarmente predisposto a provare amore.

Edward aveva atteso Isabella per più di vita mortale e la seconda lo aveva desiderato, inconsapevolmente, per il breve tempo della sua esistenza, ma pur sempre l’unico che avesse a disposizione. Il ragazzo non poteva più indugiare, perché era chiaro che Bella fosse il suo sogno, quello cosciente non sospeso nel limbo dell’onirico, e desiderava dare una svolta alla miseria della propria vita. Era rimasto inerte, pietrificandosi in attesa che il tempo scorresse; allora non avrebbe potuto fare nulla per cambiare, poiché Bella doveva ancora nascere. Anche se avesse cercato, non avrebbe trovato nulla. Edward aveva ripiegato sulla cultura, sulla musica, sui viaggi, pur di colmare il vuoto nel petto, poiché non conosceva i propri obiettivi. Se avesse potuto amare altre donne, avrebbe trovato l’occasione, perché non erano mai mancate le fanciulle al suo seguito. Tanya, per fare un nome. Ora sapeva ciò che desiderava. Il problema era lui, perciò o sceglieva di rimanere una macabra estensione dell’oscurità, un’ombra, oppure decideva di occupare il posto che agognava, al fianco di Bella.   

 Edward si avviò a passi svelti fuori dalla mensa scolastica, lasciando a quel tavolo ogni remora e camminò nei corridoi verso l’aula di biologia. La porta era chiusa e dall’interno provenivano la voce del professor Banner e qualche sussurro. Il ragazzo percepì, tra i battiti di più di venti studenti, un cuore. Scandiva un ritmo diverso, a tratti calmo e a volte agitato, rivelando la vera natura dei pensieri del suo possessore. Benché fosse improbabile e irrazionale, Edward sentì che quel cuore apparteneva a Isabella e riuscì ad associarvi anche il suo respiro. Il ragazzo si adagiò al muro di fianco alla porta dell’aula, con le braccia e le caviglie incrociate, attendendo i pochi minuti che mancavano al termine della lezione.

Seduta nel banco di lucido ebano, al solito posto accanto alla finestra grondante pioggia, anche Bella attendeva. Edward non si era presentato e il posto al suo fianco era rimasto vuoto per tutto il tempo, benché riuscisse a percepire la sua presenza. In fondo, Bella non si aspettava di vederlo in aula, quel giorno. Era certa di averlo sconvolto: lo aveva capito dal suo sguardo assente e caotico. La terrorizzava il fuoco che aveva scorto nelle sue iridi, scure come la superficie del loro banco. Temeva che potesse scegliere di allontanarla definitivamente, concretizzando la sua paura iniziale e continua di perderlo. Edward aveva occupato un posto troppo importante nella sua vita; la sua assenza avrebbe lasciato un vuoto incolmabile. Bella tentò di immaginare quell’eventualità: fissò lo sguardo sulla metà vuota del banco, fantasticò sulla possibilità di non sentire più il suono della sua voce e quel suo modo irritante di infastidirla, ipotizzò di non assistere ai suoi tentativi maldestri di farla sorridere, alla sua audacia che le faceva mancare il respiro, ai suoi modi galanti e all’eleganza insita nel suo cuore, pensò a un mondo in cui non avrebbe potuto vedere il suo volto e ne rimase sconvolta. Qualcosa scavò a fondo nel suo petto, oltrepassò gli organi e le scapole e bruciò. Serpeggiò su per la gola e corse lungo i nervi, raggiungendo la sua mente. Realizzò così che Edward Cullen stringeva tra le proprie mani, senza saperlo, la sua felicità e probabilmente anche la sua sanità mentale. Quella certezza la spaventò quanto l’eventualità di perdere Edward.

La campana suonò e riecheggiò per qualche minuto nella mente di entrambi i ragazzi. Bella, cui non era mai mancato il coraggio di affrontare qualcosa, indugiava nell’aula, ritardando il dolore che sarebbe conseguito all’assenza di Edward. Tra i due era stato siglato un tacito accordo: se il ragazzo non si fosse ripresentato da lei, sarebbe stata la fine di qualsiasi cosa avessero costruito in quel periodo. Bella si avvicinò a passi lenti alla soglia, non immaginando che a pochi centimetri da lei, il vampiro ascoltava il battito frenetico del suo cuore, respirava sul suo respiro e adorava il suo profumo. La ragazza si guardò intorno, con gli occhi sgranati a cogliere qualsiasi dettaglio e non vide che i soliti volti e le solite figure e ognuna di esse gli parve scialba e sciatta.

Edward aveva preso la propria decisione, era evidente. Isabella non aveva la forza di muovere un solo passo; la miseria di ciò che aveva realizzato il proprio immaginario nell’ora precedente la squassava. Edward...

≪Mi auguro perdonerai la mia assenza, immagino di esserti mancato≫, esordì il vampiro, catturando totalmente l’attenzione della ragazza.

Bella serrò le palpebre, riascoltando infinite volte quelle parole per accertarsi che non si trattasse di un’illusione come la voce che sperava di aver udito.

≪Pensavo che potremmo far visita alla signora Jones, nella prossima ora, le farebbe piacere... rivederci...≫, proseguì Edward più dolcemente, vedendo che Bella continuava a dargli le spalle.

Le labbra della ragazza si sollevarono in un sorriso, mentre ancora serrava le palpebre. Bella spalancò gli occhi, voltandosi nella direzione da cui proveniva la voce angelica di Edward e lo guardò negli occhi per un tempo che parve a entrambi infinito. Il vampiro ricambiò il sorriso, atteggiando le labbra in quello sghembo che riservava soltanto a lei. 

≪A dire il vero, ho avuto la possibilità di sedermi accanto alla finestra, senza che mi rubassi il posto≫, rispose prontamente Isabella.

Edward si avvicinò, senza allontanare lo sguardo dai suoi occhi, tentato dalla malsana idea di stringerla tra le braccia. Strinse i pugni e contrasse i muscoli, pur di evitarlo. Non poteva rischiare in quel modo la sua vita, se avesse stretto troppo la presa, l’avrebbe spezzata. Quando furono a pochi centimetri l’uno dall’altra, però, le loro mani si cercarono istintivamente e, perché il gesto non apparisse troppo intimo – nessuno dei due voleva rischiare il loro equilibrio – si agganciarono ai rispettivi avambracci. Edward cedette al richiamo del suo istinto e posò le labbra sulla sua fronte, all’attaccatura dei capelli, inspirandone il profumo fruttato. Non aveva mentito quando le aveva confessato di vedere in lei la sua terra natia: la sua pelle profumava di fiori di campo e la sua chioma bruna di agrumi.

≪Amici?≫, sussurrò Bella sul suo mento.

Edward annuì lievemente con il capo e mormorò sulla sua pelle, la voce attutita dai suoi capelli:≪Amici≫.

Quella parola sancì un traguardo e realizzò un’utopia per entrambi, benché i rispettivi sentimenti andassero ben oltre quel concetto.

********

Nella settimana seguenti i due... amici camminarono in equilibrio sulla lama affilata di un coltello. Edward continuò le proprie visite notturne alla casa della ragazza, non indugiando più al limitare del bosco, ma dapprima sull’albero del giardino di fronte alla stanza di Bella. La sua permanenza silenziosa sui rami e tra le foglie dell’arbusto era durata una sola infelice notte. Aveva continuato a spingersi contro la finestra per poi ritornare abbattuto al proprio posto nel buio fino alle prime luci dell’alba. La sua morale e la razionalità lo dissuadevano dall’attuare il proprio proposito di invadere gli spazi della giovane, ma la curiosità e la lontananza lo divoravano. Aveva meditato di strappare la facciata della casa, o quanto meno, la tenda bianca, pur di raggiungerla. Aveva dovuto assottigliare lo sguardo e vegliarla attraverso i ricami del telo. Bella era uno spettacolo straordinario, abbandonata all’incoscienza del sonno. Il suo bisogno di lei era diventato incontrollabile. La sera successiva, dimentico di ogni buona educazione – a Esme ed Elisabeth si sarebbero rizzati i capelli se lo avessero saputo - e tutte le ansie sul suo autocontrollo, varcò il confine della finestra. La ragazza, le mani a coppa sotto le guancie rosse, sfiorate dalle ciglia lunghe e serafiche, respirava dolcemente, il volto circondato dai lunghi capelli. Mancava a quell’immagine soltanto un baldacchino. Il ragazzo aveva esplorato con lo sguardo la sua stanza, semplice, calda e profumata; un po’ come lei. Aveva incrociato le braccia dietro la schiena, pur di evitare di sbirciare tra le sue cose e si era avvicinato al suo volto. Non aveva saputo resistere alla tentazione di passare il pollice sulle sue labbra dischiuse, rosse e lucide. Dopodiché, aveva occupato il posto sulla sua sedia a dondolo, ricordando di averne posseduta una simile, nella sua vita precedente. La vera difficoltà sorgeva insieme alle prime luci del sole – se tale si poteva definire. Perché lasciarla era un’impresa assai ardua e si riduceva a sparire come un alito di vento poco prima che aprisse gli occhi sul nuovo giorno. A quel punto, entrambi si affrettavano.

Bella ruzzolava giù dal letto, precipitandosi in bagno, poi all’armadio - infilando i jeans saltellando e la maglia in fretta e in furia, allo stesso modo in cui Edward afferrava abiti a caso alla velocità del fulmine e tentava ordinare la massa impossibile dei suoi capelli, rinunciandovi puntualmente - e infine giù per le scale, rischiando di strozzarsi con la colazione. Perché Edward si presentava alla sua porta ogni mattina, non appena i suoi genitori uscivano di casa, con incomprensibile puntualità. Il pick-up si era stabilito momentaneamente sul ciglio della strada, inutilizzato. Per quanto lo amasse – e non lo avrebbe mai ammesso con Edward, benché lui avesse addotto proprio la scusa dell’inefficienza del suo mezzo per la sua presenza mattiniera – la Volvo era tutt’altra cosa. Inoltre, l’abitacolo era pregno dell’odore di Edward, un optional cui non avrebbe saputo rinunciare.

Ogni pausa tra un’ora e l’altra non passava senza che riuscissero a vedersi; persino quando le loro lezioni distavano molto, Edward era sempre all’uscita ad attenderla; senza neanche il respiro accelerato della corsa. Le visite alla signora Jones erano diventate frequenti all’ultima ora, benché dovessero passare davanti alla segretaria, al suo sguardo torvo e curioso e ai suoi pensieri inopportuni. Edward non avrebbe rinunciato all’espressione di Isabella per nulla al mondo.

Il tormento giungeva al momento di separarsi. Terminate le ore di lezione, nessuno dei due aveva trovato il coraggio di proporre di trascorrere il tempo insieme. Edward necessitava di una pausa dal suo odore, per cacciare nei boschi intorno alla città, ma alla sera era nuovamente alla sua finestra.

I momenti che apprezzava maggiormente erano le telefonate giornaliere della ragazza con suo fratello e sua sorella, alla quale raccontava del giorno trascorso in sua compagnia; esternando pensieri che non gli avrebbe mai rivelato. Se Bella lo avesse saputo, avrebbe cercato di conficcargli un paletto nel cuore. Edward non riusciva a stare a lungo lontano dalla casa degli Swan, gli era capitato più volte di udire gli screzi familiari tra i due coniugi e, dal suo angolo di buio, desiderava varcare la finestra e stringerla tra le braccia, mormorandole che lui c’era. Edward, accovacciato sul ramo più alto, si aggrappava con le unghie alla corteccia, per evitare di irrompere nell’abitazione e rapirla. In quelle occasioni, Edward puntava gli occhi dorati e ardenti sulla figura della ragazza e stringeva una mano intorno al cuore, rischiando di lacerare camicia o t-shirt che fosse. Per quanto la sua stanza fosse un luogo isolato, che aveva adornato di luci attaccate alle pareti - un martedì sera, Edward era rimasto pericolosamente in vista a osservare Bella, impaziente di sapere cosa stesse macchinando. Aveva compreso immediatamente le sue intenzioni, ma era ansioso che potesse farsi male nel tentativo di fissare le luci al muro. Aveva sospirato di sollievo quando aveva finito e poi trattenuto il fiato quando spense le luci e ammirò entusiasta il proprio operato. Le luci erano tenui e conferivano all’ambiente una luminosità sottile, in modo che si potesse vedere senza l’ausilio dell’accecante luce al neon. Una soluzione intelligente e fantasiosa e un vantaggio per lui e le sue incursioni notturne - circondato da un’aura invisibile di serenità e magia e benché la ragazza non sembrasse affatto sorpresa da ciò che avveniva, in misura maggiore o minore, ogni giorno, il suo cuore non mentiva come le sue espressioni. I suoi battiti e i suoi occhi confermavano esasperazione e un’immensa voglia di lasciarsi tutto alle spalle. Edward si sarebbe preso a schiaffi. Dov’era stato tutto quel tempo, quando lei aveva bisogno di lui? 

********

Bella si affrettò fuori dall’aula di trigonometria, impilando libri e quaderni nello zaino e gettandolo sulla propria spalla. L’attendeva una sgradevole sorpresa. Edward non c’era. La ragazza si guardò intorno, pensando di trovarlo adagiato al muro, con le braccia e le caviglie incrociate, com’era già successo. Sul suo volto confuso comparve una profonda ruga di disapprovazione. Non era mai successo che Edward non la raggiungesse al termine della lezione o che ritardasse. Bella percepì l’ansia serpeggiare nel suo stomaco contratto. Che gli fosse successo qualcosa? Scosse il capo, frenando qualsiasi pensiero pessimista. La giovane temeva di perdere le persone che amava più di qualsiasi altra cosa. La sua vita poggiava su un fragile equilibrio, come le foglie sugli alberi d’autunno o un castello di carte: bastava un colpo di vento per disfare entrambi.

≪Bella?≫, la chiamò qualcuno alle sue spalle.

La ragazza si voltò, cosciente che non avrebbe incrociato lo sguardo che sperava disperatamente di vedere. Mike si avvicinò a lei, scostando il ciuffo biondo cenere che gli segnava la fronte. Quel gesto le ricordò Edward e sorrise, incoraggiando inconsapevolmente l’aspirante corteggiatore.

≪Andiamo in mensa insieme?≫, chiese, gli occhi azzurri brillanti e speranzosi.

Bella morse il labbro inferiore: se avesse rifiutato, lo avrebbe offeso. Nel contempo, il pensiero di Edward la fermava.

≪Come? Edward non è venuto?≫, stridette una voce fastidiosa alle loro spalle.

Mike si voltò incenerendo Jessica con lo sguardo, Bella lanciò un’occhiata dietro di sé.

≪Non essere in pena per lui, Jessica≫, l’ammonì Bella.

La ragazza stava per replicare, ma Angela sopraggiunse, dando man forte all’amica:≪Sua sorella Alice lo ha chiamato appena dopo l’inizio della lezione, abbiamo spagnolo insieme. Sembrava urgente. Edward è uscito in gran fretta dall’aula, ma non era preoccupato, piuttosto... scocciato≫, rifletté Angela, cercando pensierosa la parola adatta per descrivere l’espressione di Edward.

Bella valutò meditabonda ciò che le aveva appena riferito Angela, mentre una affianco all’altra, camminavano tra i corridoi dirette in sala mensa. Edward non sembrava preoccupato, ciò avrebbe dovuto quietarla, ma Bella sapeva quanto il ragazzo fosse abile a simulare i propri sentimenti. Questo tratto era stato il primo particolare che aveva notato di lui.

≪Grazie≫, sussurrò Bella ad Angela.

La giovane le rivolse un dolce sorriso e uno sguardo rassicurante.

≪Ragazzi, c’è il sole. Forse possiamo anticipare la gita a La Push...≫, esordì Mike, iniziando a programmare con gli altri la visita alla spiaggia della tribù indiana.

Bella volse gli occhi alla propria destra, oltre Angela e osservò che Mike aveva effettivamente ragione. Il sole si era fatto largo a suon di gomitate tra le nuvole pregne di pioggia e la fitta nebbia sembrava essersi momentaneamente dissolta.

********

Il tavolo dei Cullen era vuoto. Timidi fasci di luce si riflettevano sulla superficie lucida, ma, in mancanza della loro bellezza, quel posto perdeva qualsiasi lucentezza, nonostante il bagliore del sole.

Bella era avvilita dall’impossibilità di contattarlo, in qualche modo. Il ruolo che occupava nella vita di Edward le andava stretto: non aveva il diritto di temere per lui in modo così viscerale. Angela la trascinò a prendere qualcosa da mangiare, immaginando che l’assenza di Edward l’avesse destabilizza e indovinando.

Seduta tra Angela e Mike, rivolse uno sguardo al loro tavolo. Era vuoto e cupo, esattamente come quello dei Cullen - benché fosse illuminato dal fulgore del sole - fin dalla prima volta che lei e Edward lo avevano occupato. Bella posò gli occhi sul proprio pranzo e trovò il trancio di pizza tutt’altro che invitante. Non badò allo stridere di una sedia sul linoleum, ma fu richiamata dalla voce di Mike.

≪Allora, Bella? Domenica sei dei nostri, per la gita a La Push...≫, le chiese entusiasta il ragazzo.

Bella morse ancora il labbro inferiore. ≪Mike...≫, iniziò, intenzionata a rifiutare l’invito, prima che Angela la interrompesse. 

≪Bella, Edward è tornato≫, la informò la ragazza. Gli occhi di Bella scattarono nella direzione in cui Angela fissava uno sguardo vago, Mike la seguì con più incertezza e una certa stizza.

La sua mascella scattò e digrignò i denti, mentre perforava con uno sguardo agghiacciante Lauren Mallory, intenta a parlare – civettare -  con Edward. Gli estremi del suo ruolo si restrinsero, come una gabbia dalle grate di ferro. La imprigionarono. Il primo pensiero razionale di Bella, dopo una sequela poco signorile di epiteti e minacce assai cruente in dialetto stretto, fu correre e strappare Edward dagli artigli lunghi e laccati di giallo canarino di Lauren. Una tempesta si agitò nel suo stomaco – a fine giornata si sarebbe ritrovata con un’ulcera – e comprese di essere troppo debole per allargare le sbarre ed evadere di prigione. Il suo ruolo non le consentiva di tenere altre donne lontane da Edward. Lei non avrebbe dovuto sentirla, quella vipera piena di veleno che le corrodeva l’animo: la gelosia. Shakespeare la definì “Un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre”. Pur con la creatività di un artista, di un poeta, di un regista è impossibile comprendere determinate emozioni, senza averle provate sulla propria pelle. La gelosia era un sentimento distruttivo, come una goccia d’acido che scioglie lentamente e dolorosamente; creando uno squarcio sempre più grande. Bella non aveva mai provato un dolore così mordace, ma lo capì subito: non era normale. Affatto. Afflosciò le spalle e un dolore diverso si affiancò al primo: un senso strisciante di sconfitta. Anche se fosse stata più importante, per Edward, non avrebbe avuto il diritto di interferire con la sua vita. Edward non era... suo, nonostante lo sentisse come ormai una parte di sé.

Eppure, non riusciva a temere un sentimento così grande, benché minacciasse di schiacciarla. Non che potesse scegliere di arginarlo. Un colpo agghiacciante alle sbarre di ferro l’ammonì. Se lei non aveva alcun diritto di avanzare pretese, non avrebbe dovuto sentirsi in torto ad accettare l’invito di Mike e allo stesso modo, Edward non avrebbe potuto insinuare che lei gli appartenesse. Ragionando a mente lucida, non intossicata dalla sua presenza, Bella aveva compreso il significato delle sue parole. Aveva assunto il colore del sole in estate e aveva odiato il compiacimento che ne derivava, ma aveva preferito tenere i piedi incollati al suolo, piuttosto che volare in alto e rischiare di cadere quando le ali si fossero spezzate. Bella richiamò Mike, che la guardò non sapendo bene cosa aspettarsi. Certamente non il suo splendido sorriso innocente.

≪Ho dato la mia parola che sarei venuta Mike e verrò. In fondo, non vedo perché non dovrei. Non c’è nulla che mi trattenga≫, concluse, sussurrando l’ultima frase. Dopodiché afferrò il vassoio e si avvicinò alla donna al bancone. ≪Potrebbe farmi una cortesia?≫.

≪Sì?≫, chiese la donna.

≪Potrebbe darmi un sacchetto? Per mettere la pizza≫, chiese la ragazza. La donna la guardò con sospetto, ma le cedette il sacchetto che le aveva chiesto, senza fare domande. Bella odiava sprecare il cibo: lo avrebbe portato a Muffin – un nome della sua passione per i suddetti dolci - il gatto della signora Jones, lei lo avrebbe certamente gradito. Bella si avvicinò alla porta, a testa alta e sguardo dritto di fronte a sé, ignorando Edward e Lauren e gli occhi del ragazzo che seguivano ogni suo passo. Prima che chiudesse la porta alle proprie spalle, si sentì afferrare il polso da una mano gelida, riconobbe il tocco ma non le dita che la stringevano: troppo piccole per appartenere a Edward. Bella si voltò e incrociò un paio di occhi chiari e preziosi come l’oro.

≪Piacere, Bella. Io sono Alice Cullen. Penso io a lei≫, trillò, lasciandola basita e al contempo divertita. La mora sorella di Edward le rivolse uno sguardo complice, danzando verso il fratello.

Bella si richiuse la porta della mensa alle spalle, serrando le palpebre e inspirando profondamente, lontana dal ronzio delle voci. La gelosia non era scomparsa, ma si era quietata, Alice Cullen era stata una ventata d’aria fresca nell’afa estiva. Una brezza le scompigliò i capelli e la ragazza spalancò gli occhi, volgendoli al cielo, aspettando di scontrarsi con il timido sole di Forks, ma ad attenderla soltanto nuvole grigie. Il sole era stato surclassato.

*******

≪Grazie per il regalo che hai portato alla mia Muffin, cara. Ma, come mai, Edward non è con te?≫, chiese la signora Jones, mentre accompagnava la ragazza alla porta dell’infermeria.

Bella sbuffò, e qualche filo d’ebano della sua chioma svolazzò intorno al suo volto.

≪Era impegnato≫, rispose.

La donna le lanciò uno sguardo intenso, sollevando entrambe le sopracciglia da sotto gli occhiali, ma non aggiunse altro, lasciando che si recasse a lezione. La signora Jones carezzò il pelo morbido della sua Muffin, meditando sulle parole di Isabella.

≪Qui gatta ci cova≫, disse ad alta voce. E Muffin drizzò le orecchie, sentendosi, giustamente, chiamata in causa.

*******  

Bella camminò a passi lenti e cadenzati verso l’aula di biologia, attendendo il suono della campana che annunciava la fine della pausa pranzo. Evitò di porsi le domande di cui le premeva conoscere le risposte, costringendo i propri pensieri su sentieri più tranquilli. Considerando le vicende su un piano totalmente razionale, non era successo nulla per cui valesse la pena di affannarsi tanto. Lauren aveva intercettato Edward prima di lei – era stata la sua sedia a strisciare sul linoleum – e ne aveva approfittato per parlargli, benché fosse sempre stata pavida nei suoi confronti. Le motivazioni di tale gesto le sfuggivano, ma non era difficile immaginare il suo secondo fine.

≪Sei scappata≫.

Una voce alle sue spalle la fece sussultare; si voltò di scatto e trovò Edward a osservarla con le sopracciglia aggrottate. Bella gli rivolse un sorriso finto e lo apostrofò:≪Ehi, Shanks≫.

Edward alzò gli occhi al cielo, platealmente, puntandole un dito contro.

≪I miei capelli non sono rossi≫, la redarguì lui.

Questa volta il sorriso della ragazza fu spontaneo e sincero e le accese lo  sguardo. Edward non sopportava il soprannome che aveva trovato per lui “Shanks il rosso” - chiamato così per via del dolore dei suoi capelli - come il personaggio di un anime giapponese. Il sorriso sparì all’istante dalle sue labbra: guardarlo in viso la incupiva. La gelosia mordeva ancora per tornare in superficie, alimentata dalla bellezza del suo volto. Non sopportava il pensiero che Edward potesse appartenere a un’altra donna.

Bella tirò un sospiro di sollievo. Permettersi di affermarlo, seppur solo nei propri pensieri, le era di conforto. Edward era troppo... non esisteva un aggettivo per descriverlo fisicamente né interiormente. Edward era troppo, punto. Un esemplare di uomo unico al mondo, o forse, lo era per lei. Bella gli voltò le spalle, per non vederlo. Edward non la lasciò scappare e si mosse velocemente davanti a lei, prendendole il volto tra le mani, con tanta delicatezza da pensare che non la stesse nemmeno toccato. La sua presa era una carezza delicata e tormentatrice, sulla sua pelle in fiamme.     

≪Ti chiedo scusa, in primo luogo per essere scomparso all’improvviso, senza avvisarti, ma io ed Alice abbiamo avuto un’urgenza≫, spiegò Edward, impossibilitato a raccontare la realtà dei fatti.

Edward scalò il muro della facciata principale, atterrando elegantemente sulla moquette della propria camera. Corse alla cabina armadio e rovistò al suo interno, agguantando un jeans e una t-shirt. Una brezza che trasportava un profumo familiare gli annunciò l’arrivo di Alice. Edward si voltò, trovando la sorella comodamente seduta a gambe accavallate sul bordo del suo divano di pelle, gli orli del suo abito ancora in movimento si adagiarono.

Alice, la salutò lui entusiasta, gli altri?, chiese annusando l’aria.

Sono a caccia. Li ho convinti ad approfittare dell’occasione, comunicò la piccola vampira.

Occasione?, chiese Edward.

Ci sarà bel tempo≫, sganciò Alice, attendendo impassibile la reazione del fratello.

≪Non oggi≫, sibilò Edward, contro qualcuno di imprecisato, forse la propria natura, ≪non in questo momento≫, continuò puntando i piedi e scaraventando gli abiti contro le ante della cabina armadio.

≪Calmati, Edward≫, lo ammonì lei, raccogliendo velocemente i vestiti che aveva scelto e ripiegandoli per riporli nuovamente al loro posto. Alice sparì all’interno della cabina, borbottando qualcosa su quanto fosse peggiorato d’improvviso il suo gusto in fatto d’abbigliamento.

≪Alice, non posso stare senza di lei. Non posso... devo vederla. Non posso sparire senza avvertirla, rassicurarla, raccomandarle di...≫.

Alice ricomparve, trasportando nuovi abiti tra le braccia snelle e deponendoli con grazia sul divano.

Così va meglio, sussurrò sorridendo, poi si rivolse al fratello. Perché credi che sia rimasta a casa, anziché andare a caccia con Jazz e gli altri? Perché provo un piacere perverso a guardanti deprimere?, gli chiese retoricamente.

Allora?, disse Edward.

Potremo andare a scuola, a patto di allontanarci dall’istituto quando sarà maggiormente pericoloso stare tra gli umani. Non ammetterò defezioni, a riguardo. E prima della fine della giornata avvisa Bella che mancherai fino a martedì, dettò Alice, emozionata dal sorriso luminoso che nacque sul volto del fratello.

Prima di sparire oltre la soglia della porta si voltò indietro, puntando uno sguardo minaccioso sul ragazzo. ≪Indossali≫, sillabò, puntando il dito sull’oggetto della minaccia.

*********

Edward scivolò con la schiena lungo la corteggia ruvida, sul ramo più alto di uno tra gli alberi della foresta che delimitava l’istituto scolastico, e portando una gamba al petto, mentre l’altra rimaneva distesa, coprendo quasi tutta la lunghezza del tralcio. Sbuffò dalle narici, puntando gli occhi sul cielo terso, ancora.   

Alice atterrò elegantemente sul ramo al suo fianco, facendo vibrare e molleggiare la fronda. Lo sfavillio delle loro pelli si rifletté sulla rugiada delle foglie.

Avevi detto non più di un ora, le fece notare il ragazzo, tendendo l’orecchio al suono del trillo della campana che annunciava la pausa pranzo.

E, infatti, non è ancora passata un’ora. Mancano esattamente sei minuti e trentacinque secondi,trentaquattro....

Edward sospirò, lanciando un’occhiataccia al sole, intimandogli di ritornare al proprio posto: alle spalle di grasse nuvole grigie e piogge torrenziali.

*******

≪E in secondo luogo?≫, chiese Bella, riuscendo a stento a sussurrare quelle parole.

≪Per ciò che ti ha ferito≫, rispose Edward, senza menzionare la ragione. Bella era fin troppo orgogliosa per ammetterlo; non lo avrebbe fatto, ma, se avesse confessato la gelosia nei confronti di Lauren, il loro equilibrio si sarebbe frantumato ed entrambi temevano quel momento incombente.

Edward si affrettava verso la caffetteria, con Alice al seguito. Quando giunsero nella sala mensa, Alice si allontanò per recuperare un po’ di cibo che avrebbero dovuto fingere di gradire, mentre Edward corse con lo sguardo alla ricerca di una testa bruna. Quello che successe era totalmente imprevedibile, tanto da cogliere alla sprovvista la stessa Alice. Lauren, un’umana dalla carnagione olivastra, i capelli biondi come la paglia e la lingua tagliente, anziché passare oltre Edward, come avrebbe dovuto, si arrestò di fronte al vampiro, sorridendogli innocentemente.

Non abbiamo più avuto occasione di parlare Edward, ma trovo ingiusto che tutti abbiano prestato attenzione esclusivamente a Isabella, penso che sia tu il vero protagonista dell’incidente con il furgoncino di Tyler. Non fosse stato per te, lei non si sarebbe salvata. Sei tu l’eroe, cinguettò.

≪Personalmente non mi sarebbe mancata, ma mi ha dato l’occasione per avvicinare Edward. Se d’improvviso ha deciso che gli interessano le persone e le ragazze, sarebbe sprecato con la Swan≫, pensava.

Edward incupì il volto in un’espressione greve. Una persona così banale come Lauren Mallory non aveva imbarazzo, mentre Bella arrossiva per un nonnulla. La ragazza disse qualcos’altro, ma la sua attenzione fu totalmente catturata dalla donna che amava, mentre accettava con un sorriso l’invito di Mike e si sollevava dal proprio posto, avvicinandosi al bancone per chiedere un sacchetto in cui conservare il cibo intatto. Poteva preoccuparsi di quel particolare e al contempo impazzire.

Ancora. Accetta ancora la corte di quel ragazzino: urlava una voce nella sua mente.  

Il suo sguardo dorato assunse il colore oscuro di una notte senza luna e Lauren arretrò. Edward moriva. Annegava nel fango e nelle profondità dell’oceano, senza una luce che lo guidasse nel buio: né razionalità né misura. I suoi occhi erano ottenebrati da un velo spesso simile a melma, del colore del sangue. Un sentimento violento, che non aveva mai turbato la sua matura pacatezza di ultracentenario, lo sconvolgeva. Mike Newton, lo stereotipo vivente del bravo ragazzo, non avrebbe mai saputo quanto vicino fosse stato alla morte, quella mattina. Non avrebbe dovuto preoccuparlo che Bella potesse trovarlo interessante ma Newton costituiva tutto ciò che gli mancava e tutto ciò che non avrebbe mai potuto essere: un essere umano, un bravo ragazzo – per quanto tentasse di annientarlo, il mostro era una parte di lui e periodicamente si annunciava con un’arsura violenta in gola che lui saziava con il sangue di animali cacciati a mani nude - la normalità.

La gelosia nasceva dal suo desiderio smisurato di possesso. Mike era una scelta sana, giusta, ma di fronte alle dimensioni di quel sentimento la ragione era impotente. Isabella era sua. Non avrebbe sopportato che appartenesse a un altro uomo.

 La lasciò fuggire, mentre gli passava accanto senza degnarlo di uno sguardo, incredibilmente bella e orgogliosa. La desiderò ferocemente. La pretese.

In quel turbinio di emozioni, una voce lo ridestò. Fu come una mano protesa che afferrò per ritornare in superficie.

Ciao, esordì Alice, rivolta a Lauren. Non ho potuto fare a meno di sentire, mentre mi avvicinavo. Mi dispiace, Lauryn – giusto? – mio fratello non è un eroe, soltanto un ragazzo molto fortunato. Ma la sua incoscienza ha portato qualcosa di buono: il profondo legame con Bella. Se non ti dispiace, ora è il caso di raggiungerla. Ciao, Lorena, le mimò un finto cordiale ciao con la piccola mano, finché la ragazza, impettita, non se ne andò.

Va a cercare la tua Bella, Romeo. Questa volta l’hai fatta grossa, non sei l’unico stupidamente e pazzamente geloso, lo informò, sospingendolo fuori dalla porta.

********

≪Ti avrei raggiunto subito, se quella ragazza non mi avesse placcato. Alice l’ha fatta scappare, non credo che mi si avvicinerà ancora. Anzi, penso che da oggi mi eviterà come la peste≫, ironizzò, tentando implicitamente di rassicurarla.

Alice pensava che Bella fosse gelosa e a lui piaceva crederlo. Perché la gelosia implicava un coinvolgimento maggiore della semplice amicizia e se da un lato Edward non avrebbe dovuto sperare di essere ricambiato nel proprio infinito amore, d’altro canto non poteva farne a meno. Fantasticare di urlare a squarciagola i propri sentimenti senza timore, per la sua sicurezza e quella della propria famiglia, idealizzando un probabile scenario futuro della loro vita insieme era l’unico appiglio che ancora lo teneva a galla. Perché rifiutava con tutto se stesso di arrendersi all’evidenza. Aveva accettato di sottostare a quella finzione, la loro amicizia, poiché lasciarla non era contemplabile. Avrebbe fatto tesoro del tempo che gli era concesso, lo stesso che occorreva a Bella per concludere gli studi liceali.

Chi voleva ingannare?

La parte in percentuale maggiore di lui attendeva impaziente che Bella giungesse alla conclusione sulla sua natura e decidesse se amarlo o scacciarlo, come un mostro nato dai suoi incubi di bambina.

Non sospettava quanto fosse prossima la concretizzazione del suo desiderio.

≪Tu sei da evitare, Edward≫, controbatté lei, sottraendosi forzatamente dalla sua presa per riacquistare lucidità.

Ripresero a camminare, l’uno accanto all’altra. Bella era cosciente che Edward avesse capito il motivo del suo turbamento, ma aveva evitato di farglielo notare. Conoscendolo, si trattava di semplice galanteria o in questo caso aveva preferito non iniziare una discussione, conscio che li avrebbe portati a discutere sulla realtà del loro rapporto d’amicizia? Realmente, Edward, cosa provava per lei?

La risposta le giunse immediata...

≪Sei stata in infermeria?≫, s’informò Edward.

≪Ho portato qualcosa da mangiare a Muffin≫, confermò Bella.

Edward si lasciò sfuggire una smorfia che la fece sorridere. Edward e Muffin non andavano esattamente d’accordo. Era stato odio a prima vista (evidentemente il fascino di Edward non sortiva lo stesso effetto su tutte le donne). Dal primo momento che lo aveva visto, Muffin aveva rizzato il pelo, sibilato e stirato le lunghe unghie affilate. Edward, per nulla intimorito, le aveva rivolto uno sguardo di ghiaccio e questa era fuggita miagolando in braccio alla signora Jones.

≪Ho sentito Mike... Newton parlare di una gita a La Push, per questa domenica. Ha fatto il tuo nome; immagino che ci andrai≫, disse Edward, dopo qualche istante di silenzio.

Bella lo guardò in volto, benché ostentasse calma e tranquillità, la sua mascella era contratta e i suoi occhi neri lampeggiavano. In lui intravide molto più di quanto volesse mostrare: la medesima arpia che l’aveva assoggettata qualche minuto prima. Bella decise di giocare, benché Edward non avesse alcuna colpa di quanto era successo. Iniziava a capire le parole di Asami.

≪Sì, ho confermato a Mike che mi sarei unita a loro, perché?≫, chiese innocentemente.

Edward le restituì un’occhiata torva. Lei sapeva. Aveva intuito la sua gelosia. E giocava, con l’ingenuità di una bambina e il potere di una donna tra le mani.

≪Puoi venire, se lo vuoi≫, propose Bella, arrossendo istantaneamente.

Avrebbe potuto addurre la morbosa gelosia e il virile orgoglio di uomo, che non accettava la sconfitta a quel gioco, come scusa per violare un patto tra creature mitologiche? Probabilmente no.

≪Mi piacerebbe, forse Lauren troverebbe occasione di parlarmi ancora, ma in questi giorni sarò impegnato con la mia famiglia. Non verrò a scuola fino a martedì, dovrai recuperare il pick-up, rischia di fossilizzarsi≫, rispose Edward, trattenendo il sorriso e ignorando i suoi occhi di brace.

≪Martedì?≫, sussurrò Bella, incupendo lo sguardo non appena realizzò il significato delle sue parole. Tre giorni senza Edward.

Una mano s’intrecciò alla sua, che teneva abbandonata lungo il fianco, in una presa ferrea ma delicata. ≪Non avrai il tempo di annoiarti, tre giorni passano in fretta≫, sussurrò Edward.

Il ragazzo si arrestò a pochi passi dall’aula di biologia. Le carezzò una guancia calda e morbida. ≪Non combinare troppi disastri. Fai attenzione a quella ferraglia e, per favore, sta lontana dai parcheggi. Cerca di non annegare e di non picchiare nessuno e...≫.

≪Edward... Edward≫, lo richiamo, ≪pensi che io non sia in grado di badare a me stessa? Soltanto perché mi hai salvato una volta, non vuol dire che io abbia bisogno di essere salvaguardata. E poi - disse, mentre entravano in classe nascondendo le proprie mani intrecciate a occhi indiscreti - ci sarà Mike, con me. Scommetterei ogni prezzo sul fatto che è pronto a salvarmi da qualsiasi cosa; è sempre così disponibile≫, concluse, senza riuscire a trattenere un ghigno.

La risposta alla sua provocazione fu una stretta maggiore di mano e un respiro simile a un sibilo.

Quelle mani rimasero intrecciate per tutto il tempo della lezione, finché non si seppe più distinguere l’una dall’altra.

≪Martedì ci sarai?≫, chiese Bella, nel silenzio dell’abitacolo.

≪Sarò davanti casa tua, puntuale≫, promise Edward.

In fondo, pensavano entrambi, cosa potrebbe cambiare in tre giorni.

Molto, molto più di quanto sospettassero.

*******

Probabilmente guarderò le ultime due puntate di one piace, mi aspetto che Rufy riduca in poltiglie quello strafatto di Hody e domani andrò in spiaggia con alcuni compagni di scuola, elencò Bella.

Cosa c’è?≫, chiese Rian.

Bella alzò gli occhi al cielo, come lo aveva capito?

L’ho intuito dal tono della voce, chiarì Rian.

E’ stata una giornata strana. Ho provato sentimenti forti, temo di perdere il controllo di me stessa e ho paura di affidarmi a qualcun altro; forse perché sento che lui non è totalmente sincero. Vorrei essere come Rufy, di gomma, in modo che ogni cosa che mi colpisce rimbalzi e torni indietro≫, chiarì Bella, liberando di un peso la propria coscienza.

Ho provato lo stesso smarrimento quando ho capito di amare Asami. Lo sai, a causa dei miei indugi ho rischiato di perderla. Ora non avrei quello che ho.

Mi suggerisci di essere più leggera?, chiese scettica.

No. Quello che voglio dire è che... non pensare che la mia scelta non abbia comportato delle conseguenze. Non credere che sia tutto perfetto come appare. La forma è l’ inganno degli occhi, ma devi valutare ogni aspetto della situazione. Non puoi pensare di comprendere lui, se non prima accerti i tuoi sentimenti. Credi che questo Edward ti nasconda qualcosa?, chiese Rian.

Si, rispose Bella.

≪Allora prima di tentare di scoprirlo, assicurati che ne valga la pena.

Ho creduto di morire..., sussurrò alla cornetta. Rian attese che proseguisse, serrando la mascella.

≪L’ho fatto mentre valutavo l’eventualità che potesse scegliere di allontanarmi. Ho creduto di morire, quando non l’ho visto di fronte all’aula di biologia, oggi e non sapevo come rintracciarlo per assicurarmi che stesse bene. Mi sono sentita sbagliata perché non avevo alcun diritto di soffrire in quel modo. Ho creduto di morire quando l’ho visto insieme a una ragazza qualsiasi, che non gli aveva mai rivolto prima la parola. L’ho sentito mio, benché non mi appartenesse. Rian, questa non è una cotta. E’ molto di più≫, terminò la ragazza.

Lo so, la rassicurò il fratello. Per questo motivo ho paura e vorrei essere lì. Vorrei conoscerlo, aiutarti, scacciarlo perché sei troppo giovane per innamorarti così di qualcuno, ma con quale diritto, quando io per primo sono stato soggiogato. Ah, il mio tormento ha il volto di un angelo, mormorò ironizzando, ma Bella percepì tutta la verità celata dietro quelle poche parole.

Mi credi se ti assicuro che per me è lo stesso?, sussurrò Bella, lasciandosi cadere all’indietro tra le lenzuola del proprio letto.

≪Dovrei farti promettere che non correrai rischi nel tentativo di scoprire cosa nasconde questo ragazzo, ma sei mia sorella, so che farai ciò che ritieni opportuno. So cosa significa... il mio consiglio? Si cauta in ciò che decidi di fare e assicurati che sia ciò che vuoi realmente≫.

La telefonata si concluse qualche istante più tardi e Bella, ancora adagiata supina sul letto, lanciò uno sguardo fuori dalla finestra. Fu abbagliata da un fascio di luce che oltrepassò il vetro e le riscaldò il volto. Socchiuse le palpebre, per riparasi dal riverbero della luce, stirando le braccia sopra la testa e beneficiando delle lusinghe del sole. Bella sollevò le palpebre e fu catturata da un particolare fuori luogo: un riflesso ramato.

Si sollevò di scatto, rischiando di inciampare e corse alla finestra, spalancandola con mai tremanti e gesti agitati. Vuoto. Il giardino era vuoto. La strada era deserta. Sul ramo dell’albero di fronte sgambettava un uccellino grigio, che, spaventato dalla sua irruenza, cinguettò fuggendo ad ali spiegate.

Edward non c’era.

Eppure era certa di aver riconosciuto il colore dei suoi capelli, in quell’abbaglio. O forse di questo si trattava: un’illusione. Autosuggestione. Il riflesso, attraverso il vetro, di qualcosa che si trovava nella sua camera o di una foglia o del piumaggio di un uccello. Edward non era lì e lei aveva bisogno d’aria. Afferrò un libro dalla sua personale libreria, gli occhiali da lettura e scese rapidamente le scale, richiudendosi la porta alle spalle. Si abbandonò con leggerezza lungo lo stipite della veranda, in prossimità dei tre gradini dell’ingresso, allungando una gamba a coprire tutta la distanza con l’altro piedritto e rilassò la seconda, decisa a terminare l’avventura di Frodo nella terra di mezzo. Aveva letto un numero incalcolabile di libri, da classici come Romeo e Giulietta, Orgoglio e Pregiudizio, Cime tempestose, ai trattati di Freud sulla psicologia, ai moderni fantasy e non, ai nomi altisonanti della letteratura italiana, ma non aveva mai trovato occasione per concludere l’opera di Tolkien. La lettura la trasportò in un altro universo, non soltanto perché avrebbe dovuto trasportare un anello infinitamente potente con la compagnia di un nano scorbutico, un elfo, una semi-divinità, due uomini e qualche hobbit, ma per le carezze dei raggi del sole e di uno sguardo dorato, celato nell’ombra.

Edward aveva ascoltato la conversazione telefonica, valutando la possibilità di allontanarsi e concedere alla ragazza la giusta privacy, ma la piega assunta dal dialogo tra i due fratelli lo aveva convinto a rimanere. La consapevolezza che si amassero con la medesima intensità lo sconvolse e sgretolò le sue altere considerazioni. Entrambi erano soggiogati da quel sentimento, con pari fervore. Edward era trattenuto dalla propria natura e dallo squallore nel quale temeva di gettare la vita della giovane, mentre Bella esitava a fidarsi ciecamente di lui, poiché consapevole delle sue menzogne. Perciò non avrebbe potuto biasimarla. Una parte di Edward sperava ancora che intendesse scoprire il suo segreto e lo costringesse a confessare, ma se ciò non fosse avvenuto, l’avrebbe messa al corrente?

La osservava, alcune ciocche sfuggite dalla lunga treccia laterale le sfioravano il volto, le labbra si muovevano impercettibilmente mentre leggeva e gli occhiali donavano inevitabilmente al suo viso delicato. Era bellissima. Egoisticamente, la desiderava. Le avrebbe confessato la verità, rischiando di perderla definitivamente, prima di annegare nelle proprie bugie.

********

Il sabato arrivò e dovette costatare l’assenza totale di buonumore da parte dell’uno e dell’altra. Edward aveva trascorso la notte nella camera di Isabella, com’era sua abitudine, vegliando i suoi sogni tormentati. Il volto della ragazza era troppo spesso segnato da una profonda ruga di preoccupazione durante la notte: in quelle occasioni Edward avrebbe dato qualsiasi cosa pur di conoscere i suoi pensieri e sapere cosa la turbasse, benché avrebbe potuto facilmente indovinarlo. Quella notte Bella si era agitata a lungo, cambiando spesso posizione e assumendo per tutto il tempo un’espressione inquieta, sussurrando un nome: Edward. Lo chiamava, lo cercava, lo pregava. Distese il volto soltanto quando Edward accarezzò leggermente il suo profilo, per risvegliarsi definitivamente un’ora dopo, alle sei del mattino. Tutto ciò che la ragazza ricordava del suo sogno era un volto bellissimo che man mano perdeva consistenza e dettagli nei suoi ricordi, svanendo definitivamente dalla sua memoria, lasciando al suo posto un incolmabile senso di vuoto. Bella decise di alzarsi e fare colazione: aveva dei programmi per quel giorno. La ragazza ignorava il vampiro che la vegliava dall’esterno e che aveva anch’egli dei piani, benché faticasse a lasciarsi la sua casa alle spalle. Quando Edward si fu accertato delle sue condizioni, corse nel bosco senza guardarsi alle spalle, certo che altrimenti sarebbe tornato indietro. Aveva promesso ad Emmet che si sarebbe unito a loro per una caccia fuori porta. Il vampiro l’aveva definita: “una gita tra fratelli, senza il controllo degli adulti”. Il gruppo includeva, perciò, tutti i giovani Cullen eccetto Esme e Carlisle, che avrebbero trascorso un meritato week-and di pace e solitudine. Non avrebbe potuto evitare quella rimpatriata: Emmet si sarebbe offeso e avrebbe tenuto il muso per i prossimi vent’anni.

Edward varcò la soglia del salotto affollato, Jasper e Alice parlottavano in un angolo, Emmet e Rosalie ridacchiavano, il grosso vampiro sovrastava tutte le altre voci con la propria risata baritonale ed Esme sedeva in braccio a Carlisle, mentre entrambi osservavano con amorevole pazienza i quattro vampiri adulti, si fa per dire.

≪Ehi, fratello, calma l’euforia e spegni i bollenti spiriti, rischi di divertirti≫, esordì Emmet, materializzandosi al suo fianco e lasciandogli una poderosa pacca sulla spalla. Edward si limitò ad alzare gli occhi al cielo e poggiare una mano sulla pancia, fintando una grossa risata.

≪Consideralo come un favore personale Emmet, avevo altri programmi≫, sottolineò Edward.

≪Spiare un’umana addormentata e seguirla come un’ombra non è un altro impegno, è stalking≫, ribatté Emmet, ≪potrei denunciarti≫.

≪Non entriamo in campo legale, Emmet. Se dovessi fare un resoconto, saresti in prigione per disturbo alla quiete pubblica, molestie alla mia persona e atti osceni≫, lo schernì e il salotto si riempì del suono di risate melodiose.

Edward aveva già lasciato Forks, una volta. Allora fuggiva da se stesso e da Isabella Swan, la nuova alunna dalla mente inaccessibile, il profumo devastante e lo sguardo orgoglioso. Le gambe correvano tra il fitto fogliame della foresta, aumentando la distanza tra lui e la ragazza e ogni metro era una pugnalata nelle costole. Quel dolore al centro del petto era un’ulteriore conferma sull’urgenza e la necessità di rivelarle la verità: non sopportava una distanza così misera, come poteva sperare di abbandonarla per sempre? Il pensiero di quell’arco di tempo così apparentemente lungo e indefinito non lo aveva mai spaventato tanto quanto in quel momento di disperazione.

******

Bella osservò l’edificio davanti a sé, inclinando il capo con aria scettica. Stringeva tra le mani l’annuncio che Ben le aveva consegnato qualche giorno prima. La strana amicizia con Edward aveva fatto scivolare tutto il resto infondo alla lista delle priorità e quel giorno aveva deciso di cogliere l’occasione per rispondere all’annuncio, sperando che il posto d’insegnante di musica non fosse stato occupato. Cercò il numero civico lungo le mura ammuffite e corrose dalle continue intemperie, costatando che fosse lo stesso riportato sul foglio blu spiegazzato tra le sue mani. Bella inspirò dalle narici, ricercando in quel gesto il coraggio e la sicurezza che le mancavano, lisciandosi i jeans e la camicia bianca, il capo più sofisticato che possedesse, ed entrò, richiudendosi alle spalle la pesante porta di vetro. La giovane spalancò gli occhi, abbagliati dello psichedelico colore di cui erano dipinte le pareti: giallo; non come il grano, bensì come il sole o il piumaggio del famoso canarino Titti, dal sesso ambiguo e non ben specificato. Alle pareti erano affissi quadri, disegni e lavori di bricolage evidentemente costruiti dalle mani inesperte di bambini molto piccoli. L’aria era calda – forse a causa del colore delle pareti - e l’atmosfera serena. Quel luogo era la prova tangibile del classico “non giudicare un libro dalla copertina oppure, non è l’abito a fare il monaco”, per snocciolare qualche proverbio italiano. Bella udiva il brusio delle voci e un coro in fondo al corridoio. La ragazza sussultò, colta alle spalle da un urlo infantile e gioioso. Si voltò in tempo per vedere sopraggiungere un piccolo tornado: una bimba dal volto pallido e i lunghi capelli biondi lisci come la seta che si aggrappò al tessuto dei suoi jeans, dietro i polpacci, celandosi sogghignando alla donna affannata che la inseguiva. Non appena vide Isabella si arrestò, spalancando gli occhi e riprendendo fiato, prima di presentarsi.

≪Ciao, cara. Mi chiamo Tara Cheney. Spero di non averti spaventato, ma questa birbante mi ha costretto a cercala e inseguirla per tutto l’edificio. Non le piace l’aula di canto in cui abbiamo spostato i bambini, in attesa dell’insegnante di musica≫, spiegò la donna, rivolgendo un dolce e paziente sorriso alla bimba ancora nascosta alle sue spalle.

≪Non si preoccupi, signora. Mi chiamo Isabella Swan, lei è la madre di Ben?≫, chiese e le sue guance si tinsero di rosso.

Tara Cheney sorrise, ma non riuscì a rispondere, perché la bimba richiamò l’attenzione su di se con un risolino e strattonando Bella per i jeans. La ragazza si voltò, chinandosi nella sua direzione e sorridendole amorevolmente. Bella amava indiscutibilmente i bambini, anche se, a causa della sua timidezza, non sempre riceveva la loro approvazione. Ma il sorriso furbo che aleggiava sul volto della bambina e il suo sguardo acceso erano un richiamo irresistibile.

≪Ciao≫, le disse, ≪come ti chiami?≫.

La bimba la guardò per qualche istante, dubbiosa, imbarazzandola. Poi, inaspettatamente, posò una manina sulla sua guancia accaldata.

≪Hai le guance rosse come Biancaneve≫, le comunicò, come se volesse metterla al corrente di una verità ovvia. Bella sbatté più volte le ciglia, stupita, prima di aprirsi in un sorriso raggiante.

≪E i tuoi capelli sono biondi e lunghi come quelli di raperonzolo. Sei una principessa?≫, chiese, ricambiando il genuino complimento.

La bambina arrossì, scuotendo ripetutamente il capo. ≪Io credo di sì, invece≫, disse Bella, spalancando le braccia per accoglierla. La bimba si lasciò trasportare di buon grado, immergendo il volto nel collo della ragazza e iniziando a giocare con una ciocca dei suoi capelli.

≪Di qua≫, mimò la signora Cheney, guidandola verso l’aula di canto dalla quale provenivano le voci più alte. 

≪Sei brava con i bambini≫, si complimentò, ≪comunque sì, sono la madre di Ben. Sei una sua compagna? Non ti ho mai visto prima≫.

≪Sono la ragazza nuova, frequento la scuola da poche settimane≫, chiarì, lasciando scivolare la bimba dalle sue braccia. Questa si voltò, le posò un bacio sulla guancia e le sussurrò timidamente, prima di correre all’interno dell’aula: ≪Mi chiamo Christy≫.

≪Prego, cara, da questa parte. Come posso aiutarti?≫, le chiese la signora Cheney, mentre si allontanavano dalla stanza, lasciandosi alle spalle una brutta stonatura.

≪In realtà≫, disse, estraendo il volantino dalla tasca, ≪sono qui per il posto d’insegnante di musica, mi sembra di aver capito che sia ancora disponibile. Ben mi ha assicurato che non era necessaria la maggiore età o esperienza lavorativa, soltanto la conoscenza di qualche strumento. Ho imparato a suonare il pianoforte in un istituto come questo e sarei felice di insegnare qui≫, terminò.

La signora Cheney giunse le mani in grembo, lanciandole uno sguardo materno.

≪Certo, mio figlio ti ha riferito correttamente. Stavamo perdendo le speranze; temevamo che non si presentasse nessuno. Questa è l’aula di musica. Ti va di darmi una dimostrazione, cara?≫, chiese gentilmente, indicando una porta chiusa.

Bella annuì.

Tara, aveva insistito perché le desse del tu, spalancò la porta, alzando le tapparelle e aprendo la finestra, per lasciar filtrare la luce del sole e illuminare il grande strumento al centro della stanza. Tara le indicò di accomodarsi sullo sgabello. Bella deglutì e si avvicinò al pianoforte, carezzando la superficie nera e lucida. Non era un pianoforte di alta e sofisticata manifattura, ma aveva una tastiera e questo le bastava. Si accomodò sullo sgabello di pelle, sollevando il coperchio e passò le dita sui tasti, per accertarsi che fosse accordato, dopodiché si esibì in un pezzo di musica classica dell’amato Debussy, Clair de lune. Tara Cheney la assunse dopo pochi istanti all’inizio, ma la lasciò suonare, per il semplice gusto di ascoltarla.

Quando ebbe concluso il pezzo e richiuso la tastiera, volse lo sguardo speranzoso verso la donna, che sorrideva apertamente soddisfatta: aveva trovato l’insegnante di musica per i suoi ragazzi.

Tara e Isabella conversarono per qualche altro minuto, le furono richieste le generalità, comunicato l’orario e la paga. Quando fosse ritornata, il giovedì seguente, avrebbe consegnato il contratto firmato dai suoi genitori e iniziato il suo lavoro al centro.

********

Il sole filtrò tra le fronde degli alberi che celavano la vista del cielo agli abitanti della valle e ai suoi ospiti. Un raggio colpì l’avambraccio scoperto del vampiro che avanzava a ridosso del picco roccioso, osservando i due grossi predatori che fiutavano l’aria in cerca di tracce olfattive, ignari di essere a loro volta l’obiettivo di un secondo e più pericoloso cacciatore. Edward percepì un profumo familiare di fiori d’arancio e qualche istante dopo Rosalie atterrò al suo fianco, senza destare l’attenzione della coppia di puma: un maschio e una femmina. Edward guardò di sottecchi la sorella, il mento sollevato, gli occhi chiusi e le narici dilatate a inspirare il profumo invitante; alcune ciocche dorate le sfioravano il volto e carezzavano la nuda roccia sottostante.

≪Emmet?≫, chiese Edward, tornando a puntare lo sguardo sulle proprie prede: avrebbe lasciato a Rosalie l’onore di scegliere per prima, immaginando che si sarebbe fiondata sul maschio, il più grande tra i due.

La bionda alzò gli occhi al cielo, contemplando le eleganti movenze dell’animale.

≪Conosci tuo fratello: quando inizia una lotta con qualche grizzly, non c’è nulla che possa distoglierlo, neanche sua moglie≫, ironizzò.

Edward sorrise obliquamente.

≪Allora...≫, esordì Rosalie, rilassando la posa rigida e distogliendo l’attenzione dalla presa, ≪come va con... l’umana?≫, chiese, tentando di non mutare l’espressione del volto.

Edward apprezzò lo sforzo della sorella, indagando i suoi pensieri e rilassando i muscoli.

≪Bene... noi... siamo amici≫, rispose il ragazzo e Rosalie non poté evitare di sollevare un sopracciglio e lanciargli uno sguardo dubbioso.

Se l’amava, non avrebbe potuto instaurare un rapporto d’amicizia con lei, pensava Rosalie.

≪Preferisco esserle amico, piuttosto che niente≫, chiarì Edward.

Rosalie tornò a guardare davanti a se, rivolgendogli il suo profilo. Edward si perse ad osservarla, non potendo evitare di invadere la sua mente con il proprio potere, in cerca di ciò che la turbava.

≪Ho deciso di rivelarle chi sono≫, sganciò Edward, attirando definitivamente la sua attenzione. Rosalie abbandonò totalmente la posizione di caccia e si adagiò sul masso.

≪Sei impazzito?≫, sibilò.

≪No, sono stanco di mentire≫, ribadì lui, ≪pensavo avessimo chiarito che Bella non è un pericolo. Ci conosciamo da ottant’anni Rosalie, sarebbe un tempo sufficiente anche se non avessi mai letto la tua mente≫.

≪Perché lo hai detto a me? Perché non ad Alice o a Carlisle; immagino di essere la prima a saperlo≫, chiese a sua volta Rosalie.

≪Perché non dovrei metterti a parte della mia vita? Sei mie sorella e voglio chiarire prima con te, piuttosto che affrontare altre schermaglie≫, spiegò Edward.

≪Cosa vuoi da me, Edward? La mi benedizione a mandarci tutti alla forca, a farti intrappolare da un’umana? Pensi che amerebbe te o l’immortalità? Gli esseri umani sono egoisti e stupidi. Non ti amerà mai come farebbe un immortale, come avrei fatto io. Se è vero che mi leggi nella mente, non puoi aspettarti la mia benedizione≫, sibilò con occhi furenti.

Edward serrò gli occhi, traendo un profondo sospiro prima di riaprirli sul volto bellissimo di sua sorella.

≪Non mi ami≫, affermò Edward.

≪Certo che no. Io amo Emmet, ma ciò non toglie che tu non avevi il diritto di rifiutarmi. La mia bellezza non era abbastanza, per te? Non potevi amare una donna... violata? Ti ripugnavo? Non menziono i miei omicidi, perché la mia fedina penale è decisamente più pulita della tua; è in fondo, non ho fatto nulla di diverso rispetto a ciò che facevi tu. Soltanto Emmet è stato in grado di farmi sentire di nuovo una donna; tu mi hai...≫, Rosalie si ritrovò d’improvviso tra le braccia di Edward, con il volto sepolto nel suo petto e le su mani che le carezzavano dolcemente i capelli, cullandola.

≪Quando ho visto il tuo sangue nella mente di Carlisle e ho rivissuto con te i ricordi della... violenza, ho perso la ragione. Se Esme non mi avesse fermato, avrei ucciso Royce. Lo avrei cercato e castigato. Mi sarei macchiato di un altro crimine, ricadendo nel baratro dal quale ero appena uscito. Non ho mai provato repulsione nei tuoi confronti, soltanto compassione. Sentivo tutta la paura che avevi provato e pensavo di aver sbagliato ad abbandonare le strade e le vittime di uomini come King. Quando sei entrata a far parte della famiglia ho iniziato a provare rimorso: avevo salvato tante vite sconosciute e non ero stato in grado di aiutare mia sorella. Mi sono ripromesso di proteggerti per l’eternità e il primo pericolo ero io. Non avrei potuto ingannarti e darti ciò di cui avevi bisogno, il mio amore e la mia adorazione, perché ti avrei ferito e ti avrei precluso la possibilità di amare davvero. Sapevo che non saresti rimasta a lungo da sola: sei una donna da amare e venerare, Rosalie. Ma io non potevo... non potevo. Ho impiegato molto tempo a capire perché, ma finalmente ci sono riuscito≫, concluse Edward, interrompendo l’abbraccio per sfiorarle una guancia lattea e fissarla negli occhi spalancati e sorpresi.

≪Benché il mio intento fosse quello di tenerti al sicuro, ho sbagliato e ti ho ferita. Non mi esporrei, se non fossi certo del silenzio di Bella. Non è la sua riservatezza a preoccuparmi, piuttosto l’eventualità che possa non amare il vampiro. L’assassino. Perché è questo che sono. Nonostante Carlisle mi avesse mostrato la strada moralmente giusta e la via più umana, ho optato per il sangue e la violenza≫, confessò Edward, abbassando lo sguardo.

≪Lo faresti≫, disse Rosalie, attirando la sua attenzione e gli occhi di Edward tornarono a posarsi sulla sua figura, ≪mi esporresti al pericolo, anche se non fossi certo della tua umana. Perché l’amore è irrazionale. Chi lo sa meglio di me? Ho salvato un ragazzo che non conoscevo in mezzo al bosco, anziché lasciare che la natura facesse il suo corso. Benché lo ami, ho condannato Emmet alla mia vita. Ho trasportato il suo corpo grondante sangue sulla mia schiena per chilometri, nonostante la sete. Non c’è razionalità in questo, Edward. Tu sei uno degli uomini migliori che io abbia mai conosciuto, se lei non riuscirà a capire e ad accettare ciò che sei stato, allora non è la persona giusta per te. Tutti gli sbagli che hai fatto, ti hanno reso la persona che sei ed io, quale sorella maggiore, sono fiera di te≫.

Edward e Rosalie, una strana e improbabile coppia, continuarono a guardarsi negli occhi per qualche altro istante, prima che lei si aprisse in uno splendido sorriso ironico e gli desse uno spintone: ≪Avanti, moccioso, ti sei rammollito? Quello grosso è mio≫.

La bionda atterrò con innata eleganza al centro della valle, attirando l’attenzione dei grandi predatori. Snobbò la femmina con un orgoglio esclusivamente femminile, mostrando i denti al maschio, prima di fiondarsi sulla sua giugulare. Il fratello la imitò, atterrando sulla femmina, l’unica che non sarebbe rimasta abbagliata dal suo fascino.

*********    

Isabella voltò il capo alla propria sinistra, osservando con fanciullesca curiosità il sorgere dell’alba. Le prime luci del nuovo giorno l’avevano trovata sveglia nel suo letto, sotto le coperte che le lasciavano scoperto soltanto il volto. La ragazza costatò con malinconia l’assenza di nuvole grigie, nebbia e piogge. La gita prevista per quel pomeriggio non avrebbe subito rinvii. Quella notte era stato inutile cercare consolazione tra le braccia di Morfeo, il sonno l’aveva scansata. La sua stanza, che aveva trasformato in un luogo personale, un mondo distante da quello reale che la circondava, le era parsa vuota e scarna. Le luci alle pareti non erano sufficienti per illuminare fin nelle profondità della sua solitudine. Non aveva vissuto una mancanza del genere nemmeno quando aveva dovuto abbandonare l’unica vera famiglia che avesse mai conosciuto. Inutile negare che Edward fosse la causa di quella cavità all’altezza del petto. Non c’era nulla, effettivamente, che le facesse presagire un cattivo proseguimento di giornata, a parte la sua assenza. Come se questa non bastasse, non era mai felice di dover frequentare la gente; tanto meno Jessica e Lauren. Anziché riposare, quella notte aveva pensato e ripensato alle parole di suo fratello. Con il passare del tempo capiva che sì, Edward ne valeva la pena e sì era pronta ad affrontare qualsiasi cosa celasse. Aveva, inconsciamente, indugiato per protrarre il loro tempo, non sapendo cosa l’attendeva oltre la verità. Ora avrebbe messo insieme i pezzi del suo puzzle.

≪Grazie per il passaggio, Angela≫, esordì, occupando il posto accanto alla ragazza nella sua vettura, una piccola auto blu di seconda mano.

≪E’ un piacere Bella. Così avrò compagnia durante il viaggio≫, la rassicurò Angela.

Se Bella avesse raggiunto il negozio dei Newton con il proprio pick-up, Mike avrebbe insistito perché andasse con il suo Suv, ma lei non aveva intenzione d’incoraggiarlo: senza Edward quel gioco non la divertiva. Chiacchierarono del più e del meno, fin quando non avvistarono altre auto e qualche volto conosciuto, individuando il negozio di Mike e lo stesso ragazzo di fronte alla saracinesca abbassata. Bella inspirò profondamente, prima di scendere dalla vettura. Si era ripromessa di non andare in escandescenze, anche se Lauren e Jessica l’avessero provocata. Era terribilmente cosciente che, se avesse deciso di farlo, sarebbe stata in grado di strappare loro ogni insipido capello dalla testa, costringendole con qualche orrida parrucca.

≪Bella≫, Mike la intercettò immediatamente e la ragazza si chiese se nascondesse un radar da qualche parte.

≪Mike≫, salutò, lanciando un sorriso agli altri e rivolgendo uno sguardo di sottecchi ad Angela, che ricambiò trattenendo un sorriso. Quando la vide arrossire capì di non avere più la sua attenzione: Ben era appena arrivato e girava la testa, in cerca, fin quando non la riconobbe al suo fianco e le sue guance si colorarono di rosso.

≪Siamo arrivati tutti, bene. Allora possiamo partire≫, urlò Mike, cercando di attirare l’attenzione di tutti.

Bella cercò di svicolare senza dover dare spiegazioni ma Mike la fermò.

≪La mia auto è di la≫, le disse.

Bella sorrise dolcemente, sentendosi in colpa nel dover mentire.

≪Ho promesso ad Angela che le avrei fatto compagnia. E’ da sola, mentre vedo che nel Suv ci sono Tayler, Jessica, Lauren, Eric≫, spiegò.

Mike incupì lo sguardo e annuì, rassegnato alla sua cattiva sorte. Bella si allontanò tirando un sospiro di sollievo e scuotendo Angela dal suo torpore. ≪In spiaggia avrete occasione di parlare≫, la incoraggiò.

La spiaggia di La Push era un luogo caotico, non perché fosse affollata di bagnanti, bensì per il rumore fragoroso delle onde sugli scogli. Nonostante il sole brillasse in cielo, il mare era agitato. I passi sulla ghiaia erano rumorosi e le urla dei ragazzi riecheggiavano nella sua mente spossata e insofferente per la lunga notte insonne. Le mancavano le acque cristalline e silenziose, la sinuosità e l’eleganza delle onde che s’infrangevano sugli scogli, simili alla carezza di una mano gentile, anziché alla brutalità di un pugno in volto e la sabbia. I granelli che affondavano sotto il peso dei passi e s’insinuavano tra le dita dei piedi. Il mare cui era abituata non era sempre pulito, l’inciviltà delle persone e i detriti delle tempeste lo inquinavano, la spiaggia non era lustra, ma lo spettacolo era egualmente magnifico. Non poteva negare che anche quel paesaggio avesse il suo fascino, potenza e pericolo. La sabbia era costellata da rami spezzati resi bianchi dalla salsedine; fu accanto ad uno di essi che stabilirono la loro postazione. Qualcuno accese il fuoco, preparò una quantità industriale di cibo, accese lo stereo e stappò le birre.

La festa sembrava iniziata, mancava che qualcuno la inaugurasse.

≪Ehi, Bella≫, cinguettò Lauren, occupando il posto accanto a Tyler, sul quale sembrava aver ripiegato dopo il due di picche di Edward, ≪Cullen... Edward, non è qui?≫.

Bella alzò lo sguardo, fulminandola tanto che arretrò. Lauren percepiva in lei una forza che la inquietava: il suo sguardo celava la stessa potenza delle onde. La ragazza non rispose e fu interrotta dall’entrata in scena di strani personaggi, ai quali Lauren puntò immediatamente gli occhi addosso.

Li riconobbe come Quiliute, la loro pelle era dorata, i loro occhi e i capelli lunghi scuri come la notte. Somigliavano molto a Billy, ma non prestò loro la dovuta attenzione, perché la risposta le premeva sulla lingua.

≪Già dimenticata di Edward, Lauren?≫, le chiese.

La bionda le rivolse uno sguardo maligno. ≪E lui, già dimenticato di te?≫, replicò. Bella le diede atto della risposta tagliente, ma non le concesse l’ultima parola.

≪Lo scoprirò martedì, quando tornerà e mi darà un passaggio a scuola. Dubito che abbia dimenticato l’indirizzo della mia casa, io non ho dimenticato il suo≫, ribatté, lasciandole intuire una confidenza che Edward non aveva mai mostrato a nessun’altro. Lauren ammutolì, tornando a posare lo sguardo su un giovane indiano. Bella volse il capo e in quel frangente incrociò per la prima volta i suoi occhi: grandi, scuri e profondi. La sua vita proseguì, ma per il giovane indiano il tempo si arrestò in quell’istante. Il volto di quella sconosciuta, una viso pallido che non aveva mai incontrato prima dall’ora benché vivesse tra Forks e La Push da ben sedici anni, lo turbò profondamente. Jacob Black fu immediatamente certo che una bellezza così delicata non fosse terrena; quella ragazza doveva appartenere alle leggende di suo padre sugli immortali e diafani succhiasangue. Jacob scosse il capo e appuntò mentalmente che avrebbe chiesto a Billy di non raccontare più le vecchie leggende sulla loro tribù. Gli occhi scuri della ragazza fissarono il fuoco e il colore delle fiamme donò ulteriore fascino al suo viso. Jacob si ritrovò a camminare nella sua direzione, fermandosi al suo fianco. La sua ombra si dipinse sulla ghiaia e attirò l’attenzione di Isabella. La ragazza sollevò gli occhi e li puntò sulla sua figura titubante, rimanendo abbagliata dal suo sorriso sincero che le ricordò immediatamente qualcosa.

≪Non ho idea di quale fosse la vostra discussione, ma mi è piaciuto il modo in cui l’hai zittita. A proposito, piacere, mi chiamo Jacob Black≫, disse, porgendole la grande mano scura. Bella non seppe immediatamente cosa la convinse a ricambiare la stretta di Jacob Black, forse il suo sorriso, forse il suono familiare del suo cognome, ma lo fece. ≪Isabella Swan, puoi chiamarmi Bella≫.

≪Posso?≫, chiese Jacob, indicando il posto al suo fianco. Bella annuì e lui si adagiò sul ramo caduto.

≪Non ti ho mai visto da queste parti, Bella≫, iniziò Jacob.

≪Sono nuova di Forks ed è la prima volta che vengo a La Push≫, rispose, guardandolo intensamente negli occhi. Jacob arrossì, ma complice il colore della sua pelle e il riflesso del fuoco, Bella non se ne accorse.

≪Black...≫, sussurrò, ≪sei forse parente di Billy Black?≫, chiese.

Jacob allargò il sorriso nel rispondere alla sua domanda. ≪Sono suo figlio≫.

Bella restituì un sorriso raggiante e i suoi occhi brillarono della stessa luce delle fiamme, incatenando lo sguardo del giovane Jacob.

≪Tuo padre mi ha venduto il pick-up e mi ha confessato che suo figlio non lo apprezzava, in quanto troppo vecchio e rovinato≫, ironizzò.

Jacob si grattò la base della nuca. ≪Spero che il vecchio non abbia sparlato troppo≫.

≪No, non troppo≫, lo rassicurò Bella. La loro conversazione fu interrotta dalle urla dei ragazzi che si trascinarono su un’improvvisata pista da ballo; gli unici rimasti al loro posto furono l’indiano e la viso pallido.

≪Bella, non balli?≫, urlò Mike. La ragazza scosse il capo e Jessica ne approfittò per affiancarsi al ragazzo. ≪Lascia perdere Mike, pensa solo a Cullen≫.

≪Cullen?≫, tuonò una voce, ≪uno dei Cullen è qui?≫, continuò e dilatò le narici come se stesse annusando l’aria.

Bella lanciò un’occhiataccia al grosso Quiliute. ≪Anche se fosse?≫.

≪I Cullen≫, sputò tra i denti, ≪non vengono a La Push≫.

≪Mi sembrava che fosse una spiaggia libera≫, lo sfidò.

≪Appunto≫, precisò il ragazzo, allontanandosi prima che potesse chiedergli cosa significasse quella precisazione.

Bella si voltò verso Jacob, chiedendo spiegazioni.

≪Lui è Sam. Non fare troppo caso a quello che dice, prende troppo sul serio alcune leggende del nostro popolo≫.

Bella aggrottò le sopracciglia e il suo istinto le suggerì che fosse vicina a scoprire qualche preziosa verità. Sarebbe stato Jacob Black, l’erede dell’ultima stirpe indiana sopravvissuta nella penisola Olimpica, la colla che avrebbe unito i pezzi del suo puzzle?

≪Leggende che riguardano i Cullen?≫, chiese, a voce tanto bassa che il crepitio del fuoco e le voci e la musica la sovrastarono, se Jacob non fosse stato tanto vicino non l’avrebbe sentita.

≪Sciocchezze per spaventare i nostri bambini. Si dice che la tribù dei Quileute discenda dai lupi e i loro unici nemici naturali siano i Cullen, o meglio, quelli come i Cullen≫, specificò Jacob.

≪Cosa cosa i Cullen?≫, chiese, con un nodo alla gola.

≪Freddi. Lobishomen. Nella lingua corrente si dice: vampiri≫. La voce di Jacob e il suo sorriso ironico divennero echi nel profondo e vertiginoso vuoto che colmò la sua mente per lunghi istanti. A seguito dei quali gli indizi si raccolsero e si aggiustarono nel corretto ordine senza alcuno sforzo eccessivo. Bellezza inumana, pelle di ghiaccio, occhi cangianti, forza, velocità, linguaggio formale e datato, nomi inusuali, mancanza di appetito. E poi, l’istintiva paura di Muffin per Edward, la sua scomparsa momentanea di venerdì allo spuntare del sole. La razionalità faceva a botte con l’innegabile e sconcertante verità. Edward Cullen e la sua famiglia perfetta erano vampiri. Anormali. Quella certezza comparve fulminea nei suoi pensieri. Perché, checché ne sapesse, Dracula non frequentava il liceo né curava pazienti in una sperduta cittadina americana, piuttosto dormiva in una bara nei sotterranei di qualche castello della Transilvania e dissanguava povere vergini. Perciò, se Edward fosse stato un vampiro – e lo era – avrebbe dovuto temerlo? Probabilmente no. La sua stessa esistenza ne era una prova concreta.

Avrebbe temuto ciò che celava: pericolo, orrore, morte, sangue? Cos’era e cosa era stato prima di lei? Da quanti anni calpestava questa terra e respirava questa aria? Quanti anni avrebbe ancora vissuto? Era immortale. Probabilmente sì. Ecco che qualcosa, di quella verità impronunciabile, li separava: il tempo.

Il loro tempo era limitato, perché il suo era breve e indefinito. Esisteva la possibilità di un futuro, per loro? Se l’immortalità era un segreto così terribile, celava orridi particolari. A cosa avrebbe dovuto rinunciare, per un tempo infinito con Edward? Chi avrebbe perso definitivamente?

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Capitolo 7
*** 6 Ferita mortale ***


Buon pomeriggio! A chi segue la storia chiedo scusa per il ritardo. Vorrei ringraziare tutte le persone che hanno aggiuto la storia tra le seguite e le ricordate e, considerando che manca poco alla fine, mi piacerebbe sentire qualcuno dei vostri pareri. Grazie mille anticipatamente, spero che il cap vi piaccia, a presto:)

6 Ferita mortale

La difficoltà non sta nel credere nelle nuove idee, ma nel fuggire dalle vecchie.
John Maynard Keynes

Ragione: facoltà, propria dell'uomo, di pensare e collegare fra loro concetti e idee secondo rapporti logici.

La ragione crollava.

Pensare.

Pensare era vitale ma doloroso.

Il mondo cadeva e si frantumava.

La tempesta imperversava all’interno delle mura di casa Swan. La pioggia rendeva impraticabile il terreno e cadere era invitabile, la bruma non annebbiava la mente ma offuscava l’orizzonte. Alcune certezze tormentavano la ragazza rannicchiata sul letto, con le ginocchia strette al petto, benché non conducessero a un traguardo. Le luci che avrebbero dovuto illuminare la stanza le erano precluse. La ragione e la razionalità avevano accompagnato la breve vita di Isabella Swan, ogni scelta era ponderata, ogni priorità ordinata e tutti i concetti affermati e concretizzati.

Impazziva.

Violentava la propria mente e accettava l’esistenza di creature mitologiche, poiché quella verità era più comoda di quanto desiderasse ammettere. Se i va... - era così difficile pronunciare quel termine – non fossero esistiti, lei non avrebbe conosciuto Edward. Pronunciare il suo nome era come pensare: vitale ma doloroso.

La sua mente rifiutava di credere che il tempo potesse essere infinito. Come ogni altro essere umano aveva dovuto fare i conti con la consapevolezza che la vita è effimera. Non esiste una ragione che spiega la vita umana. Chi troverebbe un senso in qualcosa che inizia per finire? Allora ci si crea spiegazioni a proprio uso e consumo. Il senso della vita: viverla come meglio si crede, rispettando, senza limitare la propria libertà, quella altrui.

Dato certo: la vita è breve.

Dato certo: il tempo è malvagio. Questo, almeno, non era cambiato.

Perché non c’era ragione per odiare il trascorrere del tempo, se questo era il suo effettivo operato, finché non si fosse frapposto tra noi e ciò che desideriamo. Un dato certo? Bella desiderava Edward Cullen con tutte le proprie misere forze.

Semmai Edward l’avesse ricambiata, cosa la separava dall’immortalità?

Sembra che i Cullen siano stati sulle nostre terre, molti anni fa. Sessanta, settanta? I miei antenati li hanno sorpresi a cacciare: pare si nutrono del sangue di animali. Da allora non sono mai cambiati, solo il numero dei membri della famiglia Cullen è aumentato. Naturalmente, questo è quanto racconta mio padre. Al vecchio piace farneticare, aveva detto Jacob Black.

Ma lui non era stato salvato magicamente da un furgoncino in corsa e non aveva osservato Edward, i Cullen e ogni loro più piccolo particolare in ogni istante della giornata. L’immortalità era una prospettiva elettrizzante e agghiacciante. L’esistenza era talmente vasta da vivere, vedere e scoprire – anche in senso negativo - e la possibilità di farlo era una meravigliosa utopia, ma il passato non portava con sé soltanto cose spiacevoli. La vita di Isabella era stata innegabilmente dura e, come una bagnarola smarrita da una tempesta in mezzo al mare, lei si era lasciata a lungo trascinare. L’unico sostegno che l’avesse sorretta, protetta e le avesse indicato la via era stato suo fratello. Come avrebbe potuto abbandonarlo? Il solo pensiero di perderlo la uccideva, come avrebbe potuto infliggergli una pena simile? Avrebbe lasciato la mano che la sorreggeva, per cadere? Come avrebbe potuto lasciare sua madre a se stessa e seguire Edward? L’immortalità precludeva molte possibilità, diventare madre, ad esempio. Perché gli immortali non potevano procreare, altrimenti Carlisle avrebbe avuto dei figli: era certa che nessuno dei Cullen fosse realmente imparentato. Era stata Reneé a trasmetterle quell’amore infinito per i bambini e ora era una parte di lei. Un pensiero squarciò lo spazio della sua mente come un fulmine tra la pioggia: Edward era l’unico uomo che immaginasse al proprio fianco. L’unico che potesse essere il padre dei suoi figli. Senza di lui, tutto il resto non avrebbe avuto alcun senso. Ma troppe cose la legavano al passato, troppe persone. Non avrebbe potuto abbandonarle. Non era pronta a lasciarle; non perché non le premesse realizzare il desiderio di stare con Edward. Responsabilità, paura e amore la legavano a quella vita che aveva maledetto più di quanto ricordasse.

Edward era il suo desiderio irrealizzabile e gli sarebbe stata lontana.

Il suono di un clacson la riscosse, conducendola nuovamente nella propria camera, le gambe indolenzite ancora strette al petto. Abbandonò la propria postazione, avvicinandosi cautamente alla finestra semiaperta. Riconobbe l’auto di Angela e ricordò l’impegno che aveva con la ragazza: accompagnarla per negozi. Ben le aveva chiesto di uscire e lei aveva accettato, naturalmente. Purtroppo, neanche il guardaroba di Angela era fornito di abiti consoni a un’occasione del genere e teneva molto a fare bella figura. Perciò, Port Angeles le attendeva. Se il mondo fosse stato ciò che fingeva di essere, forse anche tra lei e Edward le cose sarebbero andate in quel modo. Un sorriso le curvò le labbra: non avrebbe potuto desiderare una realtà diversa, benché minacciasse di ucciderla, poiché non gli avrebbe regalato Edward e forse, il suo amore non sarebbe stato tanto grande e totalizzante. Preferiva aver amato, piuttosto che trascorrere la vita senza assaggiare le sensazioni che la tormentavano dolcemente. Quando si richiuse la portiera dell’auto alle spalle, sperava di aver lasciato nella propria stanza ogni remora. Non immaginava che, sfuggire a se stessi è molto più difficile che fuggire dagli altri. Avrebbe imparato che il primo nemico, in amore, è il proprio cuore. 

*******   

Realizzò, soltanto quando l’auto superò il grande cartello con la scritta: “Welcome to Port Angeles”, di essere fuggita da Forks. Era la prima città che visitava dal momento in cui aveva mosso il primo passo sul suolo Americano. Con tutto ciò che era successo dal momento in cui era scesa dall’aereo, il trasferimento e il desiderio di viaggiare ed esplorare erano passati in secondo piano. Ah, l’America...

≪Sembra che tu non abbia mai camminato per strada, Bella≫, ironizzò Angela.

La ragazza la guardò dubbiosa, chiedendosi cosa avesse fatto di sbagliato.

≪Ti giri intorno e fissi a occhi sgranati tutto ciò che vedi. E’ bello saperti così entusiasta≫, chiarì Angela.

≪Non mi ero accorta di farlo. So che potrà sembrare ridicolo, ma persino Port Angeles è un traguardo per me≫.

≪Immagino come lo sarebbe per me, se dovessi fare shopping in Via Condotti≫, rispose Angela ed entrambe sorrisero.

≪Hai già un’idea di cosa comprare?≫, chiese Bella.

Angela si accostò al suo braccio, sussurrando con fare cospiratorio. ≪Qualcosa di raffinato ma semplice≫.

≪Soltanto un capo? E per le altre uscite?≫.

Angela arrossì fino alla radice dei capelli e mugugnò:≪Non è detto che ci sia un altro appuntamento≫.

Bella sorrise e alzò gli occhi al cielo. ≪Ho visto come ti guarda Ben. Credimi Angela, pensa a qualcos’altro. Perché ci saranno molti altri appuntamenti≫.

Bella aveva conosciuto molte persone con le quali cercare di instaurare un rapporto di amicizia, ma dopo un po’ finiva tutto. Trovava in loro difetti che non tollerava e l’affetto non era tanto da soprassedere. Aveva pensato di non essere in grado di provare affetto per gli estranei, con i quali non riusciva a essere sincera e alle quali doveva dire tutto ciò che desideravano sentire: incapace di ferire anche i più insopportabili esponenti della specie. Angela era il primo essere umano, effettivamente, con il quale sentiva di avere reali affinità, benché fosse la figlia di un pastore. Non le aveva mai sentito menzionare la religione e non aveva fatto una grinza quando aveva saputo, casualmente, che fosse atea. Bella detestava comprare abiti, avrebbe desiderato che si materializzassero nel suo armadio, ma, non essendo lei la cavia da vestire e svestire, si rivelò un’esperienza divertente, complice la compagnia.

≪Cosa mi racconti di... Edward?≫, chiese Angela, da dietro le tende del camerino dell’ennesima boutique.

Bella s’irrigidì. ≪Non c’è molto da dire, siamo amici≫.

≪Anch’io vedo come ti guarda Edward, Bella. Penso che lo vedano tutti≫.

Bella sospirò.

La testa di Angela spuntò dal camerino e le rivolse uno sguardo dolce e comprensivo.

≪In ogni caso, sono felice che non sia più solo. I suoi fratelli sono fidanzati, mentre Edward non ha qualcuno di esterno alla famiglia. Amici o altro, sono felice per voi≫, chiarì, ritornando a nascondersi nel camerino.

Bella decise di essere sincera.

≪Con lui è... complicato. Lo sento così vicino, eppure tra noi c’è un abisso di distanza. Raggiungerlo è come tentare di saltare il Gran Canyon≫, sussurrò.

≪Tu hai paura di saltare?≫, chiese Angela.

≪Non è il salto a preoccuparmi, né quello che potrei trovare; piuttosto lasciare qualcosa di fondamentale dall’altra parte e perderla≫.

≪Che cosa temi di perdere?≫.

Bella capì di essersi lasciata sfuggire troppi dettagli e tentò di rimediare. ≪Non lo so con esattezza. Molto: tutte le certezze che mi hanno sostenuto e accompagnata fin ora≫.

≪Bé, stiamo parlando del  passato, giusto? Dovresti scegliere come vuoi vivere d’ora in poi e cosa desideri per te stessa. Sembra un banale discorso di fine anno... ma è la verità. Non si può vivere per sempre nello stesso modo. Si cresce, Bella e cambiano le necessità≫, rispose Angela.

Ha ragione, fu il primo pensiero.

Angela non sa tutto, fu il secondo.  

La vocina che sussurrò quelle parole nella sua mente le ricordò che ciò che aveva raccontato alla ragazza era la superficie. E l’apparenza è solo un’illusione. Le sue necessità erano cambiate, evolvendosi, ma ciò non significava che non avrebbe avuto bisogno delle certezze che avevano costituito il suo passato. Un rapporto profondo e indivisibile la legava a Rian e un vincolante senso di responsabilità e un amore filiale unicamente concentrato a sua madre. Non sapeva cosa significasse pensare a se stessi. Un po’ perché non lo aveva mai fatto e in parte perché lei, Rian e Reneé erano stati un’unica cosa per molto tempo, nella lotta contro il mondo. Charlie era un punto interrogativo. Non sapeva cosa avrebbe provato – se lo avesse fatto – in caso di definitiva separazione.

Era quello il motivo che spingeva Edward e tenerla all’oscuro della sua natura? La consapevolezza dell’impossibilità della loro unione?

Le ragazze, buste alle mani, si lasciarono la boutique alle spalle, progettando di raggiungere un noto ristorante Italiano. Bella era ancora troppo legata alla sua terra, per sperimentare cibi esotici. Il suono di un clacson le fece voltare. Angela sgranò gli occhi e assunse una colorazione porpora, Bella sorrise. Ben scese dall’auto, che per la fretta aveva lasciato in doppia fila e le salutò con il solito largo sorriso. I suoi occhi erano per la ragazza imbarazzata e silenziosa. Bella ricambiò il saluto caloroso di Ben, dando un leggero pizzicotto sul fianco alla ragazza che si destò dallo stato di !@#$%^&* dovuto all’inaspettata sorpresa.

≪Angela, vorrei vedere quella libreria di cui ti parlavo, se non ti dispiace. Dal momento che Ben è qui, potrebbe farti compagnia al ristorante della Bella Italia. Potete iniziare a ordinare, non impiegherò molto. Sei dei nostri, Ben?≫, chiese Bella.

Angela le rivolse uno sguardo prima dubbioso, poi esterrefatto. Il sorriso di Ben si allargò e sussurrò un timido: “Certo, con molto piacere”.

≪Mi ringrazierai≫, mormorò Bella, ≪le sorprese inattese sono le più belle. Non importa cosa indossi, a Ben piaci≫, e la sospinse verso la sua auto.

≪Tu cosa farai?≫, chiese Angela.

≪Cercherò qualche libreria e dopo un po’ vi raggiungerò, non preoccuparti≫, le disse.

“Grazie”, mimò Angela, avvicinandosi alla vettura del ragazzo.

Li osservò sparire dietro l’angolo, dopodiché si guardò intorno. Avrebbe dovuto occupare un bel po’ di tempo; desiderava lasciare ai due ragazzi più intimità possibile. Però, dovette ammettere di essere piuttosto in gamba come cupido.

********       

Edward sospirò, accostandosi alla grande vetrata del salotto. La caccia era stata entusiasmante, ma non appena varcato il confine di Forks, aveva lasciato la guida della sua Volvo ad Alice e aveva raggiunto casa Swan, ansioso di rivederla. La stanza di Bella era vuota, ma i pensieri di sua madre gli avevano rivelato l’uscita pomeridiana con Angela. L’attesa era estenuante. Avrebbe potuto approfittare di quel tempo per confessare a Carlisle le sue intenzioni; ormai la scelta era presa e non sarebbe tornato indietro, ma temeva che suo padre non approvasse.

Si aggirava irrequieto, come un leone in gabbia: un’angoscia soffocante lo opprimeva. La distanza da Bella lo inquietava illogicamente; timoroso dei pericoli nei quali sarebbe potuta incorrere. Jasper gli lanciò un’occhiata eloquente, sollevando un sopracciglio biondo: il suo umore si ripercuoteva su di lui. Edward cessò di agitarsi, muovendosi velocemente per occupare un posto sul divano bianco di Esme. Tutti i presenti smisero di guardarlo con la coda dell’occhio, mentre fingevano di interessarsi ad altre occupazione, fissando lo sguardo sul movimento incessante della sua gamba. I vampiri tendevano all’immobilità, quando qualcosa li turbava; tutti, tranne Edward. Alice si alzò dalle ginocchia di Jasper, sedendosi accanto ad Edward e arrestando il movimento frenetico del suo arto inferiore. Prima ancora che potesse pronunciare una sola parola di rassicurazione, la sua mente creò una scena futura e prossima. Le immagini crude e terrificanti di quanto sarebbe successo la immobilizzarono per infiniti secondi. Non avrebbe avuto il tempo di celare quello spettacolo alla vista del fratello minore, costretto a vedere la miseria di quell’orrore. Soltanto quando i fotogrammi cessarono, sollevò il capo e fissò lo sguardo su Edward, sussurrando un soffocato:≪Corri≫.

Una folata di vento le sferzò il volto e le scompigliò i capelli, mentre cadeva in ginocchio.   

*********

Edward si chiese, mentre imboccava la statale che lo avrebbe condotto a Port Angeles, infrangendo tutti i limiti di velocità imposti, cosa fosse il sentimento che lo divorava. Accertato che Follia era ben rinchiusa nella sua prigione di specchi, rimaneva poco di simile da accostare al suo tormento. Il riverbero del crepuscolo, che tingeva il cielo di rosso con sporadiche sfumature rosa e giallo ocra, cedeva il passo alla notte. Edward gli andava incontro, ignorando o mancando di percepire il suono dei clacson impazziti alle sue spalle e superando auto più o meno veloci con manovre sconsiderate. Scorreva sulla strada come acqua corrente: un’onda impetuosa e tormentata. Fissava lo sguardo freddo e calcolatore sul parabrezza. I suoi sensi supplementari annullati, per concedere maggiore intensità ai poteri che gli occorrevano. Sarebbe passato alla storia come il primo vampiro multato, se non fosse stato per l’incapacità di scorgere qualsiasi altra cosa non fosse la strada di fronte ai suoi occhi e sotto le ruote della sua Volvo. Non osò volgere i propri pensieri sulle immagini viste nella mente di Alice e che aveva sepolto in fondo a una cripta che non avrebbe mai aperto volontariamente. Rifiutava di concepire la visione di sua sorella come una possibilità del futuro prossimo e correva. Ma la sua mente era spaziosa, come un pozzo senza fondo in cui avrebbe potuto gettare qualsiasi cosa all’infinito, e non gli negò la tortura di scorgerle ugualmente. Allora associò un nome al sentimento che lo tormentava: disperazione. Se avesse immaginato che quello era solo un assaggio dell’afflizione che avrebbe provato in più di un’occasione, probabilmente avrebbe sterzato, cercando una morte che non sarebbe mai potuta arrivare. La disperazione sarebbe diventata una sua inseparabile compagna e un giorno, per quanto la disprezzasse, l’avrebbe invocata...

L’auto sfrecciò oltre il cartello di benvenuto nella città di Port Angeles e contemporaneamente, prima che Edward potesse formulare un pensiero sulla direzione imboccata da Isabella, che l’avrebbe condotta tra le braccia del pericolo, il cellulare nella sua tasca vibrò. Edward estrasse il mezzo di comunicazione dalla tasca e lo portò all’orecchio destro, premendo il tasto di riposta. Benché fosse costretto a guidare senza l’ausilio di una mano, l’auto non virò di un solo centimetro, mantenendo una velocità folle ma costante. ≪Dove?≫, chiese, indovinando chi fosse il suo interlocutore.

≪Vedo una strada buia, lastricata di bottiglie rotte, una moto nera abbandonata sul fianco di un palazzo in costruzione. Sembra... un cantiere. Edward, la zona edile≫, esclamò.

Il vampiro abbandonò il telefono sul sedile anteriore e spinse al limite sull’acceleratore. La zona edile di Port Angel era vasta e caotica, ma gli sarebbe bastato avvicinarsi per udire i pensieri rivoltanti dei criminali che avrebbe eliminato. Non provava lo stesso dolore che lo aveva sconvolto al tempo di Rosalie, perché era diverso il legame che lo legava a Bella: viscerale, indissolubile, simbiotico. Non avrebbe commesso l’errore di lasciare in vita quegli uomini. In prossimità dei cantieri rallentò la corsa della vettura, acuendo il proprio udito supplementare a cogliere qualsiasi indizio lo conducesse a Bella. I minuti passavano, scorrendo sull’orologio digitale della Volvo, aumentando la sua frustrazione.

Un pensiero qualsiasi lo attirò, per la poca lucidità che lo avvolgeva. Un ragazzo sbronzo poggiava la schiena a una parete fredda e grigia, la vista e il giudizio limitati da un fastidioso malessere. Edward era lì, lì per uscire dalla sua mente, quando una sagoma in lontananza attirò la sua attenzione e quella del ragazzo. Qualcuno al suo fianco gli diede una gomitata, indicandogli la sagoma annebbiata. Edward cambiò visuale, spostando la propria attenzione sull’altro più sobrio e riconobbe, attraverso un manto di lussuria e adrenalina, la giovane che avanzava ignara di essere stata accerchiata.

*********       

Bella si guardò intorno, divorata dal dubbio. Avrebbe dovuto svoltare a destra. Benché non avesse una direzione da seguire continuava a camminare, intimorita dalle ombre della sera che si allungavano sui palazzi e da ogni singolo e insignificante rumore che le giungeva alle orecchie: fruscii e cigolii. I suoi sensi amplificati dalla situazione spinosa in cui verteva le annunciarono la presenza di qualcuno alle sue spalle. Udì chiaramente i passi sul terreno, ma oltre ad un guizzo con la coda dell’occhio non riuscì a voltare il capo per accertarsene, piuttosto aumentò il passo. La direzione dei suoi pensieri la stupì: Edward Cullen. Nonostante ogni buon proposito e la precedente assurda scoperta sulla sua natura, in quegli attimi il suo desiderio proibito tornò a tormentarla. Lo chiamò, strenuamente. Immaginò che il suo angelo - paradossale sperare in quell’eventualità, considerando le sue idee in merito – apparisse al suo fianco e la serrasse tra le proprie braccia o quantomeno le stringesse una mano tremante tra le sue. Il paradiso non era una condizione necessaria per gli angeli. Quel ragazzo dallo sguardo penetrante lo era senz’altro, eppure respirava la stessa aria degli altri uomini. Era l’angelo che aveva vegliato su di lei, salvando la sua vita fisicamente e moralmente devastata. Era il vampiro che aveva optato per il meglio, contando esclusivamente sulle proprie forze e la propria volontà, senza appellarsi ad alcuna divinità e senza aspettarsi in cambio un posto di riguardo nell’aldilà. Altrettanto semplice era aggiudicarsi l’appellativo di uomo, senza ridicole ed esibizioniste dimostrazioni di virilità. Edward era un uomo. 

L’uomo che amava.

Lo ammise a se stessa e desiderò urlarlo all’oscurità quando da essa emersero cinque sagome traballanti e minacciose. Stringevano tra le mani bottiglie di birra. Uno di loro, aveva lunghi capelli scuri, aspirò un ultimo assaggio di nicotina e gettò la sigaretta ai propri piedi, senza smettere di avanzare.

Lo sussurrò al proprio cuore inquieto, assicurandogli una certezza cui aggrapparsi, quando lo stesso uomo le rivolse la parola con una voce profonda e oscura quanto la notte, le sopracciglia curve sugli occhi e uno sguardo penetrante. La luce che illuminò le sue pupille le fece correre un brivido lungo la schiena.

Chiunque con un po’ di buon senso avrebbe cercato di fuggire, ma era chiaro che non le avessero lasciato alcuna via di fuga. Ricordò ciò che Rian le aveva insegnato sull’autodifesa, ma giunse rapidamente alla conclusione che non avrebbe avuto neanche l’opportunità di ferirli, immobilizzarli o disorientarli. Eppure Isabella non era mai stata una persona chiunque e benché avesse concretizzato la propria inferiorità, nei suoi occhi lampeggiò una luce uguale e opposta a quella del suo aggressore. I suoi occhi non lasciarono quelli dell’uomo dai capelli scuri, stringendosi nella giacca in cerca di conforto e fulminandolo con imprudente determinazione. Aveva perso la propria voce, neanche in quel momento di pericolo riuscì a ritrovarla, ma non avrebbe rinunciato a difendersi con tutta la forza che aveva in corpo.

≪Bambolina≫, sghignazzò qualcuno alle sue spalle, ebbro dal tono della voce. Il vento portò alle sue narici l’odore dell’alcool. La sensazione olfattiva le fornì ulteriore prova della tremenda realtà che la circondava, ma non destò la sua attenzione dall’uomo che sollevò le sopracciglia e un angolo delle labbra.

≪Bart, contegno. Un po’ di rispetto per la signorina. Milady≫, esordì con la sua voce roca, mimando un inchino con il capo.

≪Stai lontano da me≫, sibilò Bella.

L’uomo, invece, si avvicinò, chinando il capo sul volto della ragazza, più bassa di una testa dal suo aggressore e le afferrò il mento tra le dita. La giovane si divincolò, sentendo scorrere l’adrenalina a fiotti nel proprio corpo.

≪Un volto bellissimo≫, sussurrò, alitando sulla sua guancia, ≪una pesca proficua≫.

≪Non sono un banale pezzo di carne. Lasciami≫, sibilò Bella.

La risata sottile dell’uomo le carezzò la pelle, inorridendola. Lo scambio di sguardi tra i due era talmente intenso da cancellare qualsiasi altra cosa, ma il suono di un motore e lo stridere di gomme sull’asfalto riportò il gruppo alla realtà. Bella approfittò della momentanea distrazione dell’uomo per sottrarsi alla sua presa e correre, ma non riuscì a percorrere che un paio di metri prima di sentirsi afferrare il polso. Strattonò la presa che la serrava e graffiò, affondando le unghie nell’epidermide del suo braccio tanto da farlo urlare per il dolore; voltandosi e riprendendo la propria corsa. Un angolo della sua mente si chiese perché gli altri non la inseguissero; la sua risposta fu la vista improvvisa di una Volvo color argento. Il suo cuore esplose per la gioia e il sollievo prima ancora di vederlo. Si stagliava al bagliore della luna, la pelle diafana, i capelli scompigliati da un alito gelido di vento e gli occhi neri come la pece. Non avrebbe saputo dire se indossasse un maglione blu o nero, sopra i jeans scuri ma quei colori nella notte gli conferivano un aspetto tenebroso. Lei stessa fu percorsa da un brivido lungo la spina dorsale, consapevole della furia omicida che brillava nel suo sguardo, mille volte più minaccioso di quello dell’uomo che l’avrebbe aggredita. Colse la minaccia nel suo corpo immobile e, benché le gambe le tremassero e riuscisse a stento a rimanere in piedi, si mosse lentamente nella sua direzione, mutando il fermo immagine di quel momento. Tutto rimase uguale, i suoi aggressori erano inconsapevolmente annullati dal terrore per quella figura solitaria e Edward continuava a rimanere immobile, ma lei avanzava per inerzia nella sua direzione. Quando gli giunse di fronte, il vampiro non le rivolse lo sguardo, fisso alle sue spalle. La sua figura sprigionava una tale potenza, poteva sentir vibrare i suoi muscoli contratti sotto gli abiti e lo sforzo titanico nel serrare la mascella e le labbra rosse come il sangue. Il pericolo era reale, benché non fosse del tutto certa di aver capito cosa sarebbe successo se avesse rilassato la posa, ma non lo avrebbe permesso. Lei non lo temeva. La sua presenza era benefica, oltre che indispensabile. Bella sollevò le mani, cui impose di non tremare e le avvicinò al suo volto, posandole intorno alle sue guancie. Gli occhi di Edward scattarono sulla sua figura. Bella non avrebbe saputo che, persino quel semplice gesto, rischiava di distruggere il controllo che si era imposto.

Edward non avrebbe potuto attuare il suo piano di sterminio. Lo aveva capito nel momento in cui l’aveva vista aggredire il verme che l’aveva intrappolata. Non c’era onore nel cadere allo stesso livello di quegli uomini, se tali si potevano definire. Lui voleva essere migliore. Lo aveva desiderato per se stesso, secoli orsono e lo agognava per lei, ora. Come poteva sperare nel suo amore, con le mai macchiate del sangue di altri uomini? Pensare di compiere un crimine non era grave come portarlo a termine. Soltanto i veri uomini riescono a riconoscere la differenza tra giusto e sbagliato e optare per la prima scelta. Non avrebbe permesso che il giusto, d’altronde, lasciasse in libertà simili vigliacchi. Avrebbe delegato Carlisle al compito di denunciargli. Ora, urgeva fuggire.

Bella sussultò quando le dita di Edward sfiorarono la sua mano sinistra, ancora adagiata sulla guancia. Percorse un tragitto di ghiaccio e fuoco lungo il suo dorso, afferrandole il polso con delicatezza, a dispetto dello sguardo furente che piantò d’improvviso nei suoi occhi lucidi. Alla vista del suo volto, l’incendio che divampava al loro interno si placò. Con la lentezza di una scena a rallentatore, le mani della ragazza abbandonarono il volto del vampiro e Edward si parò quasi interamente davanti al suo corpo, sospingendola verso l’auto.

≪Se li sfiorassi, li ucciderei≫, le sussurrò all’orecchio. Dopodiché il rumore della portiera riecheggiò nel silenzio.

Edward camminò lentamente, sfiorando i fari dell’auto con il denim e si accostò alla portiera del mezzo. Un attimo di esitazione, ma il suono frenetico del cuore di Isabella lo fece desistere definitivamente. Lanciò un ultimo penetrante sguardo agli aguzzini, prede del loro stesso gioco e si lasciò alle spalle quello spiazzo asettico. La sua corsa in auto non durò a lungo, non perché avesse premuto tanto l’acceleratore da aver già oltrepassato il confine della città, piuttosto per il silenzio angusto che regnava nell’abitacolo.

Bella non batté ciglio quando l’auto frenò improvvisamente. Il buio e il silenzio di quel luogo, terribilmente simile a quello cui era appena fuggita, non le pesavano quanto l’immediato bisogno d’ossigeno. La ragazza si lanciò fuori dall’auto con veemenza, sbattendo la portiera alle proprie spalle e abbandonando il peso del corpo all’auto. Chinò il capo e puntò gli occhi sulla strada, permettendosi di concretizzare quanto fosse stata vicina all’irreparabile. Un paio di scarpe firmate comparve nella sua visuale; alzò lentamente lo sguardo, percorrendo il sentiero degli arti inferiori e poi il busto del vampiro che l’aveva salvata, ancora. Non ebbe alcuna difficoltà nel riferirsi al ragazzo con tale appellativo, d’altronde, se non fosse già stato ovvio che Edward nascondeva qualcosa di strano, quell’ultimo salvataggio miracoloso e casuale avrebbe cancellato ogni dubbio sulla sua natura. Inoltre, il tete-a-tete con il gruppo degli aggressori aveva consolidato le sue certezze: non importa la specie (o la razza) d’appartenenza ma le scelte individuali degli uomini che vi appartengono. Altrettanto naturale le parvero il gelo e la durezza del suo petto, quando si fiondò tra le braccia di Edward che non esitarono a stringerla. Nessuno dei due parlò per parecchio tempo, la notte incombeva e i minuti passavano ma ogni cosa svaniva di fronte alla consapevolezza di essere ancora insieme. Perché, eccetto la paura di soccombere in modo così cruento, Isabella aveva temuto di perdere Edward e aveva realizzato, forse a causa dell’adrenalina, forse era semplice pazzia, che non avrebbe sprecato l’occasione di vivere quel momento. Nonostante, ben presto, avrebbe dovuto pagare le conseguenze della propria scelta.

≪Grazie≫, sussurrò Bella, ≪di nuovo≫.

≪Mi dispiace≫, replicò Edward, ed entrambi sapevano che non si riferiva al proprio rammarico per quell’avvenimento.

≪Angela ti aspetta≫, sussurrò il vampiro, gonfiando i suoi capelli con il proprio respiro.

Bella sollevò il capo, abbandonando il paradisiaco rifugio delle sue braccia, e puntò i suoi occhi, ancora scuri ma sereni, senza chiedere come conoscesse quel particolare, piuttosto indagando il senso della sua frase. Era impossibile che Edward si fosse lasciato sfuggire un dettaglio così importante della sua copertura, che avesse deciso di essere sincero? La ragazza si limitò ad annuire, emozionata da quella prospettiva. Lasciò che le aprisse la portiera e riprendesse la guida dell’auto, sussurrando appena il nome del ristorante italiano in cui avrebbe dovuto cenare.

******

L’interno del locale era caldo e accogliente grazie al colore delle pareti, alla luce accecante appesa al soffitto e al borbottio sommesso delle voci, o almeno, questo era ciò che avrebbe voluto trasmettere ai suoi ospiti. In realtà, dopo aver conosciuto il rifugio delle braccia di Edward, qualsiasi altro luogo le sarebbe parso inospitale, perciò, era di parte. L’improvviso innalzamento della temperatura le riscaldò le guance o forse erano i suoi stessi pensieri a imbarazzarla o la rabbia che accompagnò la gelosia per gli sguardi insistenti della maitres. Cercò Angela nella sala affollata e la riconobbe presto a un tavolo per tre accanto alla finestra, un cipiglio di preoccupazione sul volto, stava dicendo qualcosa a Ben. Bella afferrò Edward per il polso, senza pensare eccessivamente, trascinandolo al tavolo prima che la maitres li raggiungesse. Se il vampiro non fosse stato ancora sconvolto per gli avvenimenti che si erano susseguiti in quella serata, probabilmente avrebbe riso. Il brivido che gli accarezzò la spina dorsale e il calore che gli accese le pupille erano un chiaro segno di apprezzamento per la possessività che Bella dimostrava nei suoi confronti.

≪Bella?≫, Angela scattò dalla sedia e sul suo volto si susseguì una serie di espressioni: sorpresa, conforto, sgomento e imbarazzo, quando registrò la presenza di Edward.  Ben sussultò.

≪Ero preoccupata. Non pensavo che avessi incontrato... Edward≫, sussurrò il suo nome con deferenza.

≪Incontrarlo a Port Angeles è stata una sorpresa, ci siamo messi a parlare e il tempo è... volato≫, rispose Bella imbarazzata. Lei e Angela si scambiarono strani sguardi. Edward afferrò qualche frammento della loro conversazione, ma ben presto i pensieri della ragazza cambiarono direzione, vertendo su Ben e la cena appena conclusa.

≪Mentre ti aspettavamo abbiamo mangiato, spero non ti dispiaccia≫, disse Ben.

≪Non è un problema, davvero≫, si affrettò a replicare Bella.

Edward si schiarì la gola, attirando l’attenzione dei commensali e della fanciulla.

≪Possiamo cenare insieme, se lo desideri. Ti riporterei io a casa≫, affermò Edward, seducendola con la sua voce profonda e roca, stringendo la presa intorno alla sua mano.

Bella non aveva ancora notato che le loro mani si erano automaticamente congiunte. Le sue labbra si curvarono in un sorriso estremamente dolce e innocente e annuì con il capo. Edward si aprì nel suo mezzo sorriso che la fece capitolare definitivamente e annunciò la loro decisione ad Angela e Ben che avevano assistito e si scambiavano sguardi eloquenti.

≪Naturalmente ti riaccompagno io≫, aggiunse Ben rivolto ad Angela, che annuì arrossendo.

≪Ci vediamo domani≫, sussurrarono entrambe contemporaneamente, a voler sottolineare che avrebbero avuto molte cose da chiarire l’indomani.

≪Posso aiutarvi?≫, cinguettò una voce stridula alle loro spalle, interrompendo l’idillio del momento.

≪Sì. Desideriamo un tavolo per due≫, rispose Edward, intrecciando le dita intorno alla mano di Isabella che si parò per metà di fronte al corpo del ragazzo, sottolineando la propria mal celata irritazione.  

*********

La maitres li scortò al tavolo che avevano richiesto, distante dalla zona più affollata del locale. I suoi occhi brillarono d’irritazione quando Edward scostò la sedia di Bella, con un gesto galante e intimo. Quando la ragazza si allontanò sconfitta, Isabella esordì:≪Saresti sincero se ti ponessi alcune domande?≫.

≪Credo che a questo punto mentire vorrebbe dire offendere la tu intelligenza e non è mia intenzione farlo≫, replicò lui attentamente.

≪Come facevi a sapere dove trovarmi? E perché sapevi di Angela?≫.

≪La mia mente è in grado di... percepire i pensieri altrui. Quelli di quegli... uomini mi hanno portato a te≫, chiarì, attendendo la sua reazione.

Diversamente da quanto immaginava, i suoi occhi brillarono di aspettativa e il suo voltò s’illuminò all’inverosimile.

≪Tu leggi... nel pensiero? Leggi anche la mia mente?≫, chiese, arrossendo.

≪Leggo nel pensiero, ma non nel tuo. Mio padre ha fatto diversi esperimenti sulle mie capacità telepatiche e ne abbiamo dedotto una spiegazione scientifica, ma non è mai successo che non potessi leggere una mente≫, spiegò.

≪Sei il mio tallone d’Achille e adesso permetti che sia io a porti una domanda? Di cosa hai discusso con Angela?≫.

≪Cosa hai sentito, di preciso?≫, chiese lei.

≪Quello che ho sentito non ha importanza. Devi dirmi... cosa ti preoccupa? Cosa temi? Che cosa sai, Bella? Perché sono certo che ci fosse molto di più≫.

≪A La Push, ho incontrato un ragazzo. Un tale Jacob Black. Mi ha raccontato vecchie leggende e non è stato difficile mettere insieme i pezzi. So cosa sei; perché non mangi né bevi niente, perché non esci alla luce del sole e i tuoi occhi cambiano colore. So come mi hai salvato dall’incidente con il furgone e perché la tua pelle è fredda come il ghiaccio. So perché i tuoi gesti ricordano un’epoca diversa, passata e in cosa consista la tua dieta “vegetariana?”. E sai perché non ho remore a sedere qui con te? Perché tutto ciò non mi ha sconvolto, ha soltanto fatto chiarezza sui miei dubbi≫, concluse.

I minuti passavano senza che Edward dicesse alcunché, la cameriera tornò al tavolo con l’unica ordinazione e si allontanò nuovamente, prima che il ragazzo aprisse bocca.

≪Conosci davvero tutte le implicazioni della mia natura? Il rischio che corri a starmi accanto? La facilità con la quale potrei ucciderti? La sete di sangue che mi divora e alla quale potrei soccombere e l’effetto che ha su di me l’odore del tuo sangue? Saresti stata così fiduciosa se avessi ucciso quegli uomini davanti ai tuoi occhi? Hai idea del sangue che ho versato in passato e di quello che avrei voluto versare in quella prima ora di biologia? Non ti sconvolge il tocco della mia pelle? Hai una vaga idea di cosa comporti ciò che io provo per te?≫, sibilò, senza che il corpo di Bella mostrasse alcun segno di timore. Le sue mani si mossero lentamente sulla superficie del tavolo, sfiorando delicatamente quelle del vampiro, che non ebbe la forza di sottrarsi al suo tocco. Il cuore di Bella batteva freneticamente.

≪Non conosco il tuo passato, ma è certo che non ti temo. Mi importa soltanto dell’uomo che ho conosciuto. Lo stesso che mi ha salvato infinite volte dalla morte e prima di tutti da se stesso. Mi importa dell’uomo che non perderebbe mai il controllo di se stesso, non perché abbia anni e anni di allenamento alle spalle ma per la bontà del suo carattere. Mi importa dell’uomo che riesce a rassicurarmi con un tocco e capirmi con uno sguardo, anche se vorrei conoscere di lui ogni sfaccettatura, anche passata. Perché la accetterei, forse per i nostri sentimenti... comuni≫, terminò la ragazza e le sue guance si colorarono di rosso, mentre Edward le sfiorava la pelle delle gote con il dito indice.

≪Mangia e andiamo via di qui≫, rispose semplicemente, liberando una mano dalla sua morsa per permetterle di afferrare la forchetta, ma senza rinunciare al tocco dell’altra.

***********

≪Anche Carlisle è un vampiro≫, sussurrò Bella, quando furono all’interno dell’auto, come se lo realizzasse solo in quel momento.

≪Ogni membro della mia famiglia lo è≫, concordò Edward.

≪Carlisle è così... umano, normale≫.

≪E’ il più anziano; la colonna portante della nostra famiglia, insieme a Esme. Oltre alla sua veneranda età, il lavoro di medico l’ho costretto per tutti questi anni a stretto contatto con gli umani e ora riesce a confondersi perfettamente con loro, con voi≫, chiarì.

≪Mi svelerai mai la tua reale età?≫, chiese Bella, ≪mi divertirei a prenderti in giro, parli di Carlisle ma sono certa che sei una cariatide≫.

≪Ho solo centoundici anni≫, ribadì lui, fingendo un’occhiataccia. Bella esplose in una risata argentina e musicale, affascinando incondizionatamente il povero predatore che diventava preda.

≪Sei nato nel... millenovecentouno? Non avrei mai sperato di avere una testimonianza diretta della storia del ventesimo secolo≫, esordì, con lo sguardo acceso di aspettativa.

Edward rise sonoramente. ≪Prometto che ti racconterò ogni cosa≫.

≪Se avevi realmente diciassette anni quando sei diventato un vampiro, è successo nel millenovecentodiciotto, nell’ultimo anno della grande guerra, sbaglio?≫, chiese Bella.

Edward annuì. ≪Avevo diciassette anni quando Carlisle mi ha trasformato≫.

≪Come... com’è successo?≫.

≪Erano gli ultimi giorni di maggio del millenovecentodiciotto, stavo morendo a causa della grande influenza. La febbre spagnola colpì tutta la mia famiglia. Uccise mio padre e mia madre e prima che potesse fare lo stesso con me, Carlisle, medico nell’ospedale di Chicago, decise di trasformarmi. Fui il primo a unirmi alla famiglia≫, spiegò.

La ragazza non aggiunse altro, si limitò a stringere la mano di Edward adagiata sul cambio.

≪Ho sempre amato Chicago≫, sussurrò Bella, ≪mi piacerebbe andarci un giorno≫.

La conversazione verté sulla città dell’Illinois fin quando Edward non arrestò l’auto davanti a casa Swan.

≪Siamo già arrivati≫, sussurrò Bella.

≪Che cosa è cambiato?≫, chiese Edward, fissando gli occhi sul parabrezza, ma senza guardare realmente davanti a sé.

≪Perché credi che sia necessariamente cambiato qualcosa?≫, replicò Bella, ammirando il suo profilo e studiando la sua mascella contratta.

≪Conosci la verità. E la verità implica sempre dei cambiamenti. Eppure tu sei ancora qui e la terra gira intorno al sole. Allora te lo chiedo nuovamente Bella – disse, volgendosi nella sua direzione con uno sguardo tormentato – cosa è cambiato?≫.

La ragazza sorrise bonariamente. ≪A volte, Edward, ti sembrerà strano, ma l’unico cambiamento che comporta la verità è la sua stessa conoscenza. Personalmente sapevo fin dall’inizio che in te c’era qualcosa di diverso e ti ripeto, scoprire di cosa si trattasse non mi ha sorpreso come credi. E poi, ho avuto due giorni di tempo per metabolizzare la cosa≫.

≪Ti sembrano sufficiente?≫, ghignò Edward, scuotendo il capo.

≪Per me lo sono stati. Ancora amici?≫, sussurrò, trattenendo il fiato in gola.

Edward si limitò a fissarla per un tempo che le parve infinito, in fondo, se avesse risposto di sì alla sua domanda, avrebbe soltanto ritardato di qualche tempo l’inevitabile. Entrambi erano consapevoli in cosa sarebbe dovuto consistere il cambiamento di cui aveva parlato il vampiro. Edward aveva rivelato, nell’impeto della confessione, la realtà nota dei suoi sentimenti per la fanciulla e questa aveva ricambiato con implicita confessione dichiarazione dei propri. Eppure, quelle parole sussurrate non avevano sbloccato la situazione tra di loro. Adesso che non c’era più un segreto abissale a distanziarli, Edward si chiedeva cosa ancora li tenesse lontani.

≪Amici≫, costatò, ≪in fondo, non è cambiato nulla≫.

Bella sorrise tristemente nella sua direzione, forzando il proprio corpo ad accettare la distanza tra le loro epidermidi e aprì la portiera dell’auto.

≪Ah, Edward? In ogni caso, ho vinto io≫.

Edward la guardò interrogativamente.

≪Ho scoperto i tuoi i tuoi segreti prima che tu riuscissi a scoprire i miei≫, disse, chiudendo la portiera e lasciandosi alle spalle il sorriso a trentadue denti di un vampiro innamorato.

*******

Il giorno seguente la vita proseguì esattamente come se nulla fosse cambiato. Le uniche differenze giacevano in fondo agli sguardi dei Cullen e di Isabella. Esme Cullen era insieme felice e mortalmente preoccupata per il minore dei suoi figli, Carlisle era ansioso e orgoglioso per il controllo dimostrato da Edwad e la maturità che lo aveva spinto a chiedere il suo aiuto per punire gli ignari aggressori della ragazza. Trasudava soddisfazione anche mentre varcava la soglia di una squallida bettola e incastrava i malviventi. I giovani Cullen avevano la loro dose di preoccupazioni, per il fratello e il segreto svelato all’umana, tranne qualche mente sempre spensierata. Edward fluttuava a qualche metro da terra, riportato bruscamente alla realtà da pensieri angosciosi. Era stato a un passo dal rivelare a Isabella il suo amore e lei aveva accennato a qualcosa di simile. Oppure aveva travisato le sue parole? Non era cambiato nulla nel loro rapporto, la ragazza non lo temeva né lo ripugnava, allora cosa lo infastidiva tanto? Avrebbe desiderato una reazione diversa da parte sua, davanti alla sua pseudo confessione? Isabella attendeva. Non conosceva le modalità, ma sapeva che qualcosa avrebbe frantumato il fragile equilibrio che si era creato tra lei ed Edward.

La campanella che annunciava la pausa pranzo trillò presto. Tra le varie chiacchiere con Angela le lezioni del mattino trascorsero in fretta. Edward la rapì dal caos della sala mensa e la trascinò sulla panchina all’aperto. Il vampiro si distese sulla panca di legno, poggiando il capo al muro alle sue spalle e invitò la ragazza, che si adagiò naturalmente tra le sue braccia, a imitarlo. I minuti trascorrevano senza che nessuno dei due sentisse il bisogno di dire alcunché, Bella gustava il proprio trancio di pizza e Edward le carezzava dolcemente i capelli.

≪Hai detto ad Angela che temi di perdere qualcosa di fondamentale, chi è?≫, esordì Edward, non trattenendo più le parole che mordevano per uscire.

Bella si sollevò dal suo petto, guardandolo con scetticismo.

≪Non dovresti leggere la sua mente, è scorretto da parte tua cercare di raccogliere i cocci delle nostre conversazioni≫, lo redarguì.

≪Non lo faccio di proposito, a volte le capita di ripesarci≫, si difese.

≪E’ tu ne approfitti≫, rispose.

≪Certo≫, ghignò Edward, ≪ma tu non hai risposto alla mia domanda≫.

≪Se non volessi farlo?≫.

≪Ne deduco di avere ragione≫.

≪No, non hai prove certe≫.

Edward sbottò. ≪Andiamo Bella. Ti ho messo a parte di ciò che provo e ho lasciato che facessi finta di nulla per tutto il tempo, ma non posso continuare questa menzogna. Scopri le carte; non ho voglia di giocare. Ho sentito quello che mi ha risposto, ricordi? – chiese, picchiettandosi la tempia con il dito - vampiro≫.

La ragazza si sollevò dalla panca, seguita da un movimento aggraziato del suddetto vampiro. ≪Pensi che io giochi?≫, chiese lei.

≪Vorrei che confessassi le tue paure. Hai ammesso di non temermi, allora spiegami cosa c’è con va. Io sono qui, perché non riesci a vederlo? Perché non ti importa?≫, sibilò.

≪Perché c’è un uomo più importante≫, urlò Isabella.

Una lama s’infranse tra le scapole del vampiro, come un colpo improvviso alle spalle, oltrepassando la stoffa e la pelle. E, a dispetto della sua natura quale creatura eterna, fu una ferita mortale.   

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Capitolo 8
*** avviso ***


Chiedo scusa per questo avviso, ma gli impegni quotidiani e il mio umore mi impediscono di continuare questa storia, per quanto ci tenessi. Potrebbero sembrare scuse banali, ma chi scrive può comprendere benissimo. Un grazie dal profondo del cuore a chi a seguito la storia, mi sarebbe piaciuto conoscere i vostri pareri, ma in ogni caso vi ringrazio. Francesca.

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