Il Demone dalle Ali d'Argento

di CodaViola
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Demone dalle Ali d'Argento ***
Capitolo 2: *** Millie ***



Capitolo 1
*** Il Demone dalle Ali d'Argento ***


Armish si svegliò molto presto quella mattina, molto presto anche per i suoi canoni; il sole non era ancora sorto, e lui poté sgranchirsi con tutta calma le ossa doloranti per la lunga camminata del giorno prima.
Si scrollò la coperta di dosso, si tirò su a sedere, sbadigliò e finalmente si alzò in piedi, aveva molto lavoro da fare.  Si guardò intorno con aria circospetta, le braci del piccolo fuocherello che aveva acceso il giorno prima ancora ardevano, emanando ancora un tenue calore. Con movimenti fluidi prese i vestiti che la sera prima aveva steso ad asciugare su una corda penzoloni tra due alberi, e si diresse a passo leggero verso il laghetto vicino. Gli piaceva camminare scalzo nel bosco, lo faceva sentire in qualche modo vivo, una sensazione che non provava spesso, non dopo quel giorno.
Si spogliò dei vestiti che usava per la notte, si immerse fino alla vita nel laghetto e si strofinò con forza, cercando di cancellare il fango incrostato, i vari graffi e la sporcizia; con lo stesso procedimento pulì i suoi capelli verdi, non per vanità, ma per praticità: non gli piaceva essere sporco, i capelli gli si appiccicavano alla fronte, e doveva sempre scostarli, che irritazione!
Finito di lavarsi uscì dall’acqua, si strofinò bene con un asciugamano e si vestì con i vestiti puliti: una tunica verde-marrone, dei pantaloni di pelle aderenti color marrone scuro, la cinta dove teneva legato il fodero della sua spada e del suo coltello da caccia e infine il suo mantello. Se c’era una cosa che poteva permettersi di amare era proprio il suo mantello, aveva un colore indefinito, tra il blù, il nero e il grigio, e tra i raggi del sole che filtravano dalle foglie del bosco prendeva delle sfumature argentate.
Tornò al suo piccolo campo, piegò con cura coperte e vestiti e li ripose nel suo enorme zaino.

La sera prima, dopo lunghe ricerche (e una lunghissima camminata) era riuscito a trovare quella radura, isolata in mezzo al bosco, sulla cima di una collina. Distava più di mezza giornata di cammino dal paese ai suoi piedi, abbastanza lontano da non avere problemi con i “vicini” e abbastanza vicino da poter andarci tranquillamente, in caso di necessità. Non era ancora andato a vedere il piccolo villaggio, perché erano tre giorni che vagava in quella foresta quasi infinita, senza mai fermarsi, se non per riposare quel tanto che bastava a poter proseguire.
Sospirò, finalmente era riuscito a trovare un posticino comodo, e sperava che questa volta quegli zoticoni del nuovo villaggio non lo scoprissero tanto presto: odiava davvero spostarsi, era un bandito, sì, un criminale, anche un assassino, ma non sopportava dover vagare per boscaglie in cerca di un accampamento.

Si sedette vicino alle braci morenti, con un bastoncino cercò di riattizzare la fiamma, ci gettò qualche pagliuzza e nuova legna da ardere e rianimò il fuoco. Faceva un po’freddo, in quei giorni che sarebbero dovuti essere primaverili, ma probabilmente era il vento che soffiava dalle montagne… non era mai stato bravo coi venti. Fino alle brezze da evitare per passare sottovento alle sue prede ci arrivava, ma non era un meteorologo… e sarebbe stato inutile esserlo, di questi tempi in cui il vento e il clima facevano come gli pareva. Con questi pensieri per la testa mise sul fuoco gli avanzi dello stufato della sera precedente, cercando di riscaldarlo; arrivato ad una temperatura accettabile trangugiò il brodo di coniglio (che era riuscito con un colpo di fortuna ad uccidere la sera prima, quando ormai disperava di poter mettere qualcosa sotto i denti), e, soddisfatto, rimase seduto qualche minuto a pensare. Adesso aveva bisogno di una tenda, o di cercare una grotta lì vicino, o magari tutte e due le cose, purché fossero vicine al laghetto. Acqua è vita, avere acqua, significa poter campare ancora per una settimana, persino con solo un misero pezzo di carne a disposizione…  Armish strinse gli occhi, la voce dell’uomo che gli ronzava nella mente ripetendo queste parole non sarebbe riuscita a farlo tornare indietro nelle sue scelte, non dopo quel giorno.
Passò tutta la mattinata a cercare un riparo, e in assenza di un misero buco nella roccia, si dovette rimboccare le maniche per costruire un misero tetto per ripararsi dalle piogge primaverili.

- La vita del fuorilegge è dura, vero, vecchio mio?- si ritrovò a pensare il giovane elfo dai capelli verdi –Ma dopotutto eri preparato a questo, no? Dopotutto hai deciso TU questo, no? Dopotutto, è stata colpa TUA se adesso sei un criminale, no? Certo che no! Non ho chiesto IO che quei bastardi si sottomettessero senza fiatare! Non ho chiesto IO quel massacro insensato! Al diavolo, questo mondo è in malora anche da prima che mi mettessi a rubare, uccidere e vivere di stenti!-
Come a rispondere ai pensieri turbolenti dell’elfo, un grido disperato si alzò dalla foresta, e poi un altro e un altro ancora… grida laceranti, di una giovane donna.

-Tsk! Andiamo a far visita ai nostriveri nuovi vicini!- Ovviamente si riferiva ai vili uomini che stavano facendo urlare così a squarciagola la povera donna.
Si slanciò verso la direzione del grido, non serviva ripetersi che voleva solo osservare gli altri banditi, e che non aveva nessun’intenzione di intervenire, perché sarebbe stato stupido, nonché inutile.
Riuscì a trovarli dopo pochissimo, erano cinque uomini, e da soli facevano così baccano che si meravigliò che gli zoticoni del villaggio non fossero intervenuti. Se poi si contava la donna urlante, non si sarebbe stupito se si fossero  già precipitati lì. Ma oltre i cinque uomini, che tra l’altro puzzavano, c’era solo la donna, e una piccola bambina, probabilmente la figlioletta sfortunata della donna sfortunata. Armish si teneva a distanza, e gli uomini, idioti, non l’avevano neanche sentito arrivare.

Quello che colpì l’elfo non furono i gemiti strazianti della donna, o il fatto che era già stata spogliata di tutto ciò che poteva essere vendibile, compreso il suo mantello, che sembrava più uno straccetto, non fu la vigliaccheria dei cinque uomini, ad attaccare la donna indifesa, e se per questo non fu neanche la loro puzza nauseabonda, ma furono gli enormi occhi viola della bambina: erano spalancati, sì, ma non si leggeva solo paura, anche una strana… fiducia?  Chi diavolo era, quella bambina, dannazione! Le stavano per accoppare la madre! Perché non gridava, perché non piangeva o faceva le solite moine che fanno i bambini? Al diavolo!

Decise di lasciar perdere, e intanto i cinque uomini stavano farfugliando di quanto potesse valere la donna se venduta come schiava; uno si era avvicinato alla bambina, l’aveva afferrata per i capelli, e puntandole un coltellaccio alla gola quasi ruttò: -E che ne facciamo di questa mocciosa? Non possiamo venderla, la uccido?- Strattonò la bambina, e gli altri, dopo avergli gettato un’occhiata fecero segno di procedere, tutti intenti a sballottare la donna dai capelli verde chiaro, in lacrime.
All’improvviso, senza neanche un segno, la donna riuscì a liberarsi dalla presa degli uomini, e si gettò con foga verso l’uomo che minacciava di uccidere sua figlia.
-Ecco qua, un’eroina, una madre pronta a sacrificare se stessa per la propria figlia, anche lei gettata al macello!-  Rivide se stesso in quella donna, un se stesso che credeva di aver ormai dimenticato, un se stesso più giovane, orgoglioso, pieno di voglia di fare e di tutte le virtù che poteva immaginare… un se stesso che venne prontamente infilzato col coltellaccio dell’uomo, che si era visto quella donna turbinargli addosso come una furia e in un moto di paura, paura! Aveva prontamente reagito… dicendo addio ai soldi che avrebbe potuto guadagnare vendendola.

Finalmente la bambina cominciò a piangere, in silenzio, quasi a singhiozzi.
Tutta la scena, lui l’aveva vista come se LUI fosse stato appena pugnalato, come se la SUA bambina adesso stesse piangendo per LUI.

Sapeva che ormai si era sciolto, si era rammollito, era tornato l’idiota di un tempo. Sapeva che l’avrebbe fatto.

Si lanciò contro il primo degli uomini, il più vicino, e lo infilzò con la punta della spada, sguainata velocemente nello slancio. Il secondo non cercò neanche di reagire, si ritrovò uno squarcio sulla gola prima di poter dire un OH!
Il terzo ormai era pronto, con il suo coltellaccio… pronto? Armish infilzò anche lui nella pancia, forse non era stato così pronto.
Il quarto almeno aveva una spada, e il quinto aveva lasciato andare con uno spintone la bambina, che cadde a terra con un tonfo. I due uomini rimanenti, imprecando, gli si gettarono addosso, con grida disumane, ma non gli andò meglio dei primi tre. Quello con la spada venne facilmente disarmato e poi ucciso, e l’ultimo poté solo vedere i riflessi metallici del mantello del Demone dalle Ali d’Argento e un lampo di collera nei suoi occhi di ghiaccio, prima che la sua testa rotolasse a terra e il suo corpo cadesse scomposto al suolo.
L’elfo non guardò la bambina, si limitò a scavare una piccola fossa con la spada, lavoro questo che impegnò mezz’ora buona del suo prezioso tempo. Prese poi delicatamente il corpo della donna tra le sue braccia, lo depose nella fossa, le accarezzò quasi teneramente una guancia, come a dare addio anche a se stesso, le sistemò bene il vestito in modo che non si vedessero i vari strappi e la ricoprì.
Gettò un’occhiata agli altri corpi, un’occhiata di sprezzo, si costrinse a sopportare la puzza e a trascinarli sotto un cespuglio. Poi se ne andò, tutto questo senza dire una parola, o a controllare la bambina dagli occhi viola.


Camminava ormai da quasi un’ora, e sentiva gli incessanti fruscii dei passi di quella dannata ragazzina dietro di lui, possibile che non potesse lasciarlo in pace? Aveva fatto una sciocchezza ad intromettersi in quella faccenda, e ora ne doveva pagare anche il conto? Possibile che davvero a fare gli “eroi” non ci si guadagnasse MAI niente? Possibile che non potesse essere lasciato MAI in pace? Dannazione, non chiedeva poi molto!


Con questi pensieri continuava a camminare a passo sostenuto, girando per quella dannata foresta e cercando di far stancare quella dannata bambina, che dal canto suo non sembrava aver intenzione di lasciarlo in pace, che seccatura! Certo, avrebbe potuto tranquillamente girarsi e ucciderla, ma quell’idea stranamente non gli piaceva, non che si sentisse in dovere verso la donna uccisa così brutalmente, o si sentisse obbligato per qualche stupido motivo di un qualche onore distorto, ma solo non voleva insudiciare di più la sua spada, per quel giorno ne aveva più che abbastanza. Decise di ignorarla, sperando che quella prima o poi si sarebbe arresa, e cercò di localizzare un piccolo sentiero, creato dall’incessante andirivieni di cervi e altra selvaggina, dove, in un punto strategico, aveva piazzato un laccio, una semplice trappola per qualche coniglio meno furbo del normale.

Trovati finalmente percorso e coniglio ottuso, sgozzò la povera creatura, liberò il laccio e, tenendo il coniglio per le orecchie, procedette a passo spedito verso il suo piccolo rifugio lasciato incustodito quella mattina. Cercò di ignorare i piccoli passi della bambina, che se prima si erano ritratti alla vista del coniglio sgozzato, adesso procedevano quasi trotterellando dietro di  lui, così vicino che se l’elfo si fosse girato, gli sarebbe bastata una spinta per farle sbattere la testa a terra, e dirle addio per sempre.
Armish comunque aveva deciso che non avrebbe ucciso quella mocciosa rompiscatole, anche se gli sarebbe piaciuto liberarsene e tornare alla sua “normale” vita di fuorilegge. Si disse per la centesima volta che non lo faceva per la ragazzina, o per la sua “umanità”, a cui aveva rinunciato tempo addietro, ma più la mocciosetta  gli arrancava dietro, meno lui era convinto di ciò che pensava… Insomma, se avesse voluto un figlio (o, perché no, anche una figlia), cosa che non sarebbe MAI successa, avrebbe voluto che avesse gli occhi e il temperamento decisi e cocciuti di quella dannata mocciosa… ma, si ripeteva, non voleva né figli, né famiglia o qualsiasi cosa anche lontanamente simile ad un “rapporto umano” che potesse avere. Che c’era di male, dopotutto, nel restare da soli? Poteva fare ciò che voleva, senza rispondere a nessuno sennonché, forse, a se stesso.
Si ritrovò quindi a pensare di nuovo alla bambina, cosa che lo irritò non poco, e mentre tornava alla sua “base”, ricacciò indietro quegli stupidi pensieri su quella stupida ragazzina.
Si sedette con la schiena appoggiata all’albero più vicino alle braci del fuoco che ormai si era spento già da un po’, tirò fuori il suo coltellaccio da caccia e si mise a scuoiare la sua preda, senza dar cenno di aver notato la ragazzina che si era seduta a qualche metro di distanza da lui.
Lasciò colare il sangue del coniglio su uno straccio, e poi, riacceso il fuoco, bruciò lo straccio e mise a cuocere su uno spiedo improvvisato  la povera bestiola. Notò con piacere che la bambina aveva allungato lo sguardo verso la carne messa a cuocere e immaginò di sentire persino la pancia della bambina che brontolava. In effetti la bambina sembrava affamata, stanca per la lunga camminata, e lui non si sarebbe stupito se fosse svenuta lì. La bambina aveva suppergiù sette anni, e i suoi grandi occhi viola erano ancora fissi sull’elfo. Teneva i suoi lunghi capelli verde chiaro sciolti lungo le spalle, e portava un vestito tutto pieghe e cuciture, composto da vari tessuti sovrapposti. Magari un tempo poteva essere stato un bel vestito, ma in quel momento era logoro e strappato in più punti, facendolo assomigliare più ad un’accozzaglia di stracci informi.
Mentre Armish mangiava, lei lo osservava quasi con invidia, e dal canto suo, lui non dava cenno di aver neanche notato la bambina. Sperava che comportandosi così, la bambina si sarebbe stufata e si sarebbe cercata qualcun altro da torturare, ma a dispetto di tutto ciò che aveva pensato l’elfo, la mocciosa tirò fuori da sotto uno dei suoi straccetti una bella mela rossa, e cominciò a sgranocchiarla, cambiando il suo sguardo affamato con uno da bambina soddisfatta.
Piccola mocciosa, adesso si procura anche il cibo da sola! Se non avesse avuto tutto il suo autocontrollo, dal suo volto sarebbero trasparite tutta la sua rabbia e delusione, ma la sua maschera rimase inespressiva, i suoi occhi rimasero gelidi e non diede segno di averla ancora vista.
E poi si mise a piovere.
La pioggia scendeva fitta e filtrava tra le foglie degli alberi, spegnendo il piccolo focolare e inzuppando in pochissimo tempo tutto il terreno; Armish avrebbe dovuto aspettarselo, ecco spiegato il freddo di quella mattina, ma era ormai risaputo il fatto che lui non fosse un bravo meteorologo. Comunque non era lui a doversi preoccupare della pioggia, era sistemato sotto il piccolo tetto che aveva costruito in precedenza, e la tettoia sembrava reggere; a doversene preoccupare era la “piccola mocciosa” di Armish, che si era rannicchiata sotto il suo piccolo albero, coprendosi come poteva con i suoi ben miseri stracci.
Adesso Armish la fissava, e se non avesse avuto sempre la stessa espressione di ghiaccio, un piccolo sorriso di trionfo sarebbe appena affiorato sul suo viso, ma lui si limitò ad osservare quella piccola bambina tremare sotto il suo piccolo albero. Perché ancora non se ne andava? Non ne aveva avuto abbastanza? Non l’aveva LUI torturata abbastanza? Quanto ancora doveva andare avanti quella farsa?
Dopotutto la bambina non lo guardava più, tutta raggomitolata su se stessa; a lui sarebbe andato bene uno sguardo di preghiera, un’implorazione silenziosa, ma la bambina sapeva il fatto suo: non un gemito, non un singhiozzo uscì da quel fagotto sotto l’albero.

Allora Armish si alzò, e a dispetto di tutto ciò che aveva pensato o fatto quel giorno, afferrò la ragazzina per la collottola del suo vestito, la prese di peso, la lasciò cadere sotto la piccola tettoia improvvisata del SUO rifugio, tra le SUE coperte calde, e si andò a sedere dove pochi momenti prima era raggomitolata la bambina, con il cappuccio del mantello che gli copriva il volto. Nessuno dei due disse una parola, ma la bambina teneva gli occhi sgranati fissi sull’elfo, e Armish si strinse di più nel suo mantello, con le punte dei suoi capelli ricci già zuppe e appiccicate sulla faccia.




-Angoletto tutto per meh-
Abbiate pietà, è la prima robBba che scrivo (e soprattutto posto qui), siate clementi...
Innanzitutto, dedico questa storia alla mia amica Julia Snape, perchè questo genere di cose le piacciono un sacco (almeno spero D:)
Armish, il protagonista, era nato come personaggio da ruolata, insieme alla bambina (di cui nessuno mi ha ancora chiesto il nome, ahah)... ergo ho cercato in tutti i modi di riprendere il suo carattere. Spero di esserci riuscita, ma sono ancora alle prime armi ^^
So che la scena sotto la pioggia è trita e ritrita, perdonatemi anche per questo ^^
Infine, volevo dire che Armish col raffreddore (perchè alla fine gli è venuto) è qualcosa di tenerissimo (?) *^*
Ringrazio tutti quelli che leggeranno (se, ma quando mai) questa storiella, e soprattutto alle mie amiche, che ho annoiato a morte... Soprattutto Vic, poveretta xD
-La vostra Viola, che cercherà di migliorare-



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Capitolo 2
*** Millie ***


Armish correva senza una meta, era circondato da volti cinerei  che lo chiamavano per nome, ancora e ancora.

Persone morte, giovani in armatura, uomini austeri , tutti con sembianze distorte e maschere di dolore protendevano

le loro braccia cadaveriche verso l’elfo, chiedendo aiuto. Armish credeva di aver ormai dimenticato quegli uomini,

immaginava di non aver più nessun ricordo di quelle persone, dei suoi compagni, ma ancora una volta si dovette

ricredere, quei fantasmi sembravano quasi reali.

Adesso alle facce distorte di quei soldati se ne sostituivano altre, mai viste prima, di uomini dalle iridi scure come

le pupille, spettri con ghigni sadici e denti aguzzi e persino un drago nero venne fuori dal nulla.

In poco tempo l’enorme creatura, spalancate le fauci, inghiottì quei mostri, poi con uno schiocco richiuse le fauci.

L’incubo finì in quel momento, il drago implose e l’elfo si tirò su a sedere di scatto.

Quanti anni erano passati, ormai? Due? Tre? Quanti, da quando lui e i suoi compagni si erano trovati ad affrontare

una guerra persa in partenza? In quei tre anni si era lasciato parecchio andare, ma nessun fantasma era ancora

venuto a torturarlo, nessuno che gli rammentasse di essere l’unico reduce, seppur a fatica, di una battaglia che

nessuno avrebbe mai ricordato.

In tre anni passati ad uccidere e rapinare aveva lasciato scorrere la propria vita freneticamente, non aveva mai avuto

incubi di questo genere. Probabilmente perché la mia vita è stata continuamente un incubo, si ritrovò a pensare.

Scacciò queste riflessioni e lasciò vagare lo sguardo per la sua piccola “casa”, la sua radura in mezzo al suo bosco

infinito. Si ricordò allora della sua piccola ospite indesiderata, e di come si fosse comportato da idiota il giorno prima,

forse si era fatto coinvolgere emotivamente, e i suoi fantasmi erano riusciti a fargli visita per questo. Restava il fatto che

adesso aveva una ragazzina al seguito che gli avrebbe scombinato tutti i piani futuri e che, a proposito, era apparentemente

sparita dalla circolazione. Me ne sarò liberato? Quasi si dispiacque l’elfo, prima di sentire il peso di una testolina leggera

appoggiata alla sua spalla.

Armish si irrigidì di colpo, come aveva fatto a non accorgersene? Cominciava davvero a perdere colpi? O era solo terribilmente

stanco? Sta il fatto che si allontanò dalla piccola addormentata e si cambiò i vestiti umidi in fretta e furia. Aveva intenzione di

presentarsi al villaggio per vedere che aria tirava, magari facendosi scambiare per un uomo ricco che aveva perso il suo cavallo

in viaggio, e non voleva dare negativamente nell’occhio a quegli zoticoni, però… la ragazzina rovinava i suoi piani: la bambina

non aveva i vestiti adatti, e i suoi quattro straccetti lo dimostravano ampiamente.

Come se non bastasse, poi , l’elfo si sentiva tutto indolenzito a causa della nottata passata sotto la pioggia, e non si meravigliò

quando cominciò a starnutire ripetutamente.

-Oh, fantastico!Ci mancava solo il raffreddore, davvero!- Si lasciò scappare e si stupì di se stesso, di solito tendeva a non parlare da solo.

La bambina si svegliò con un sussulto, e rivolse i suoi occhioni viola verso l’elfo che notò il fatto che erano cerchiati di rosso; per

tutta risposta le lanciò sgarbatamente una tunica e dei pantaloni trovati chissà dove nel suo zaino: -Sbrigati, se tra cinque minuti

non sei pronta ti lascio qui.- Erano le prime parole che diceva da molto tempo, e si stupì di quanto la sua voce fosse diventata

brusca, quasi rauca, non voleva trattare così male la piccola dai capelli chiari.

Irritato si voltò di scatto e si inoltrò nella boscaglia, ritornando poco dopo con un frutto.

Porse la pesca alla ragazzina sperando che l’accettasse come una sorta di segno di pace, anche se la bambina non gli sarebbe

saltata al collo, ma era già un inizio… e poi non credeva di poter gradire un abbraccio.

La piccola accettò la pesca con un “grazie” e un sorriso dolce, e l’elfo pensò che in fondo non era poi così male avere compagnia

ogni tanto, anche se si trattava di una mocciosa rompiscatole.

I vestiti che le aveva dato le stavano davvero larghi, e cercò di aggiustarglieli delicatamente, ma non riuscendo ad ottenere l’effetto

sperato ci rinunciò con un sospiro.

-Vieni, andiamo- disse, e si incamminò con la bambina che gli trotterellava a fianco sgranocchiando la pesca.

-Ma che bella bambina che abbiamo qui! Come ti chiami, tesoro?-

Avevano raggiunto il villaggio verso mezzogiorno, e la prima abitante che avevano incontrato era una donna un po’ avanti con gli anni,

dagli occhi verdi e i capelli rossi come il fuoco, che teneva legati in una crocchia.

-Mi chiamo Millie- rispose con un sorriso a trentadue denti la bambina dagli occhi viola –E lui- e prese per mano l’elfo scorbutico –Lui

è il mio papà! E’ il papà migliore del mondo!- disse con un sorriso ancora più smielato.

Quella mocciosa è in gamba, si ritrovò a pensare lui, ha detto esattamente quello che la donna voleva sentirsi rispondere, però… PAPA’?!

Armish era sconvolto, insomma, avevano spiccicato sì e no quattro parole, e lei si atteggiava già a sua figlioletta, senza neanche avvisarlo

prima; decise che avrebbero fatto i conti in un secondo momento.

L’elfo cercò di sorridere alla donna, ma non era molto convinto del risultato.

-Non ho alcun dubbio- disse la donna, sorridendo a quella strana famigliola improvvisata, e se ne andò salutando Millie.

Almeno so il nome della mia “figliola”, adesso, pensò sarcastico, non che mi servisse a molto, comunque.

Si presentarono al resto dei paesani che li fermavano come un nobile e la sua bambina in viaggio per qualche meravigliosa città del sud, e

se i locali non erano molto convinti alla vista dell’elfo impassibile, si scioglievano di fronte ad una bambina a detta loro così adorabile.

Dopo una breve tappa per comperare vestiti decenti per Millie (non poteva portarsi in giro una bambina vestita di stracci), Armish si fermò

vicino alla fucina della piccola cittadella.

Era da un po’ di tempo che aveva intenzione di far revisionare la sua spada, fino a tenerla pulita ed affilata ce la faceva da solo, ma

l’impugnatura si stava consumando e, doveva ammetterlo, quella spada era davvero vecchia.

Consegnò la sua arma al fabbro, un uomo corpulento dai capelli grigio viola, che la fissò un momento perplesso, come se vedesse un

fantasma.

-Cimelio di famiglia,- Armish scrollò le spalle –potete riparare l’impugnatura?-

L’uomo annuì , tenendo delicatamente la spada.

–Tra una mezz’oretta sarà pronta di sicuro- Il fabbro sorrise, già pregustando il suo lavoro.

-Abbiatene  cura, mi raccomando- Armish sembrava quasi preoccupato.

-Non si preoccupi, signore, quando tornerete sembrerà quasi nuova- L’energumeno si voltò, già pensando a quale magnifico lavoro

avrebbe potuto fare con un’arma forgiata con così tanta perizia.

La bambina aveva osservato quello scambio di battute in silenzio, ma quando Armish si allontanò abbastanza, non si trattenne dal

chiedergli:- Quell’uomo sembra aver riconosciuto la tua spada, vero?-

Armish osservò la ragazzina che gli trotterellava al seguito –Mi stupirei del contrario, il modello appartiene alla Guardia Reale- 

Millie lo guardò ancora più incuriosita –Eri un cavaliere, prima di diventare un bandito?-

-Non potrei aver semplicemente rubato quella spada a qualcuno?- Armish era irritato.

-Hai rubato quella spada a qualcuno, allora?- Millie teneva i suoi occhi viola puntati su di lui, ma non c’era traccia di paura, solo di

curiosità, in quelle sue due ametiste.

-No, ero un cavaliere, contenta?!- Adesso l’elfo era arrabbiato, non avrebbe dovuto darle spago dal principio. Come per riflettere il

suo stato d’animo starnutì con violenza, coprendosi il volto con le mani.

In quel momento desiderò ardentemente poter far fuori qualcuno.

Millie continuava a trotterellargli accanto, apparentemente senza accorgersi dell’umore dell’elfo, il quale decise che una bella

chiacchierata con la mocciosetta era davvero d’obbligo.

Superato qualche incrocio e stando bene attento che non ci fosse nessuno nei paraggi, Armish infilò una viuzza laterale, poco

illuminata e soprattutto deserta.

Si dispose ad un’estremità della stradina.

-Io e te dobbiamo fare quattro chiacchiere- esordì con tono minaccioso.

Millie abbassò lo sguardo, sembrava quasi rassegnata al peggio.

-Prima di tutto, non so chi credi che io sia, ma di sicuro non sono tuo padre. Non ho assolutamente intenzione di accrescere le tue

speranze o illusioni: non ti ho salvata. Non ho mai avuto intenzione di farlo, mi sei solo capitata in mezzo ai piedi. Se credi che non

possa ucciderti, beh, ti sbagli di grosso, non mi conosci per niente, quindi ora togliti di torno e spa...spar...sparisc-ETCIA’!-

Avrebbe voluto farle un bel discorsetto, sarebbe stato il suo ultimo tentativo di allontanare la bambina, darle una possibilità di rifarsi

una vita, ma quel maledetto raffreddore aveva rovinato tutto: non solo parlava nasalmente, dando un tono osceno al discorso, ma

adesso non riusciva neanche a finire una frase senza uno starnuto. Provò e riprovò senza successo a continuare la sua “chiacchierata”,

ma dopo l’ultima raffica di starnuti ci rinunciò. Rimase in silenzio a guardare in cagnesco un manifesto affisso al muro della stradina.

-Se è per questo, so chi sei, tu- Millie interruppe il silenzio terrorizzata.

-Prego?- Armish distolse i suoi occhi dalla locandina per fissarli in quelli spauriti della bambina.

-Sei il Demone dalle ali d’argento, il bandito di cui parlano tutti. La mamma aveva cercato in tutti i modi di stare alla larga dal tuo territorio…

ma non ha pensato agli altri fuorilegge.- Le tremava la voce e tenne gli occhi incollati al suolo.

Armish sorrise, un sorriso crudele e glaciale: -Beh, complimenti, buon intuito. Adesso vatt…ETCIA’!-

Per la rabbia diede un pugno sul muro, il manifesto si staccò e svolazzò fino ad appiccicarglisi in faccia.

GLI OCCHI DELLA LIBERTA’ era scritto in bella grafia con un inchiostro verde scuro, e sopra vi erano raffigurati due occhi da gatto di un bel

viola intenso. Armish accartocciò con rabbia il foglio e senza pensarci se lo mise in tasca, ancora più irritato.

Che razza di slogan era, “gli occhi della libertà”? Non avevano davvero più fantasia per inventarsi titoli ad effetto? E che voleva dire, poi?

E quegli anonimi occhi viola? Falliti, dal primo all’ultimo
.

Questo era più o meno il pensiero dell’elfo, che stava cercando di sfogare la sua rabbia su quello strano manifesto.

Si  voltò infine a prestare la sua attenzione alla bambina, che era rimasta immobile al suo posto, con gli occhi sgranati, e che non sembrava

intenzionata a retrocedere.

-Allora? Che hai deci-TCIA’?!- Un altro, irritante starnuto.

-T-ti senti bene?- La bambina gli si avvicinò piano.

-NO! Non sto bene, okay?! Ho il raffreddore, magari mi viene la febbre, e tu continui a ronzarmi intorno: NON sto bene.- Armish finalmente esplose,

ma si sentì subito in colpa, non voleva essere così brusco con lei, dopotutto aveva appena perso la madre.

Le sue ultime parole sembrarono sortire l’effetto sperato, la bambina si girò e corse via.

Quasi quasi l’elfo si dispiacque, ma era quello il suo obiettivo; sperava che la bambina ricominciasse una nuova vita, si trovasse una famiglia

decente e che magari si dimenticasse di lui.

Si incamminò verso l’altra parte del vicolo, ancora nervoso e con un raffreddore che non accennava a smettere.

Aveva passato la mezz’ora seguente in giro per il villaggio, stando bene attento a non incontrare la bambina, ma di lei nessuna traccia.

Probabilmente si era nascosta in giro, ma Armish notò con irritazione di cercarla con lo sguardo ogni volta che girava ad un incrocio.

Strinse forte i pugni , finalmente era libero, doveva solo riprendersi la sua spada e sarebbe tornato nell’ombra e nel silenzio della sua

foresta, senza più nessuna scocciatura a tormentarlo.

Si diresse a passi svelti verso la fucina, pensando a come si sarebbe potuta trovare quella bambina, almeno l’aveva lasciata con dei vestiti decenti.

Girato l’ultimo angolo per il fabbro, però, se la ritrovò di nuovo tra i piedi. Stava allegramente conversando con l’uomo dai capelli grigi,

oltre ai suoi nuovi vestiti sottobraccio teneva una bustina di carta e sembrava davvero divertirsi con quell’uomo, tutto sorrisi e simpatia.

Che cosa disgustosa, decise di fare dietrofront, sarebbe tornato a prendere la sua arma in un altro momento.

Peccato che l’elfo corpulento, accortosi di lui, se ne uscì con un: -Avete una bambina davvero deliziosa!- e Armish dovette

costringersi a salutare l’uomo, avvicinarsi e dire con voce smielata: - Già, sono davvero fortunato.-

-
Papà, papà, ti ho portato delle erbe… l’erborista ha detto che con un infuso alla mattina e alla sera, in qualche giorno

dovresti rimetterti-  All’inizio la bambina era entusiasta, ma mano a mano che continuava a parlare abbassava sempre

di più lo sguardo, fino a fissarsi le sue piccole scarpette logore.

Che razza di uomo sei, che ti fai accudire da una bimbetta così insignificante? Disgustoso, davvero disgustoso, dannazione!

Smettila subito, stai irrimediabilmente marcendo!

Armish strinse ancora più forte i pugni, e poi con un sospiro aprì le mani.

-Grazie, grazie davvero, Millie. Però non avresti dovuto rapinare l’erborista.- Le passò delicatamente una mano sulla testa e le

sorrise. Millie non  sembrava molto convinta, rimase impalata al proprio posto, alzando di tanto in tanto gli occhi sul volto dell’elfo.

-N-non ho rapinato l’erborista…- La bambina si morse il labbro inferiore.

Armish non riuscì a trattenersi, era una situazione troppo assurda; il povero malcapitato spettatore di quella specie di commedia

familiare non sapeva cosa pensare degli scambi di battute tra “padre e figlia”, ma si rilassò subito quando Armish scoppiò a ridere.

Non era una risata finta, di circostanza, ma più che altro una risata sollevata, come se si fosse finalmente liberato di un peso

semplicemente troppo grande da portare sulle spalle.

Sempre ridendo chiese indietro la spada, e senza soffermarsi molto sulle ottime riparazioni effettuate lasciò scivolare un sacchetto

di monete sul banco da lavoro, molte di più di quante servissero. Si allontanò di qualche passo ridacchiando, e accorgendosi che la

bambina non lo seguiva si girò: -Vieni?-

Millie a quel punto sgranò gli occhi, coprì la distanza che la separava dall’elfo di corsa e lo abbracciò fino a dove riusciva ad arrivare.

Armish salutò il fabbro per l’ultima volta e si incamminò con la bambina al seguito, la sua lama riparata e tutto il lavoro e le responsabilità

di tenere una bambina addosso.

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