Destiny

di giveherlove
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Capitolo n.2 ***
Capitolo 3: *** terzo capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto Capitolo ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo. ***
Capitolo 6: *** Sesto capitolo ***
Capitolo 7: *** Settimo capitolo ***



Capitolo 1
*** primo capitolo ***












I miei occhi, ancora aperti nonostante la pesante giornata che affrontai, vagavano nel buio che pervadeva la mia camera, fino a quando non si soffermano sul display illuminato della sveglia: non mi interessava consultare l’ora, semplicemente rimasi immobile a fissare quel punto illuminato da una fastidiosa lucina verde fosforescente mentre nella mia mente i pensieri e le immagini scorrevano a una velocità impressionante.
Come quando da piccola volevo guardare una videocassetta che avevo già iniziato il giorno prima e mio padre premendo un tasto del telecomando mandava il filmato avanti veloce per farmi arrivare al punto in cui l’avevo interrotto.
Solo che nella mia testa le immagini non erano quelle di Biancaneve, Cenerentola o la Bella Addormentata.
No.
Erano semplicemente i miei pensieri.
La sera io penso sempre, e penso troppo –non che durante il giorno faccia lo stesso-.
 
Mi fregai gli occhi con i palmi delle mani, volevo per un attimo mettere a tacere il volume dei miei pensieri e riposare un po’, visto che erano le due e mezza di mattina.
 
Come se la mia insonnia non bastasse, a tenermi sveglia fu anche il pensiero che circa quattro ore dopo mi sarei dovuta alzare per andare all’aeroporto: di certo questo chiodo fisso non aiutava a calmarmi.
 
Feci dei respiri profondi cercando di sgombrare la mente –era questo che mi aveva detto di fare la psicologa quando non riesco a dormire-.
 
Tirai dentro i polmoni più aria che potevo –mi sembrava di scoppiare- trattenni dentro l’ossigeno per qualche secondo e poi lo buttai fuori con un grande sospiro.
 
Ripetei l’azione per non so quante volte, ma con insuccesso.
 
Anzi, in verità mi sentivo più sveglia di prima.


 
 
Mi costrinsi a chiudere gli occhi nella speranza di addormentarmi in un sonno profondo e che mi avrebbe ricaricata di forze, ma ovviamente ciò non avvenne.
 
 
Non era la prima volta che mi capitava, di non dormire, anzi.
Se l’indomani non avessi dovuto affrontare un volo di quasi due ore, la mia prima giornata in un nuovo paese –in cui non ero mai stata prima di allora-, nuove regole da imparare, una nuova camera in cui dovermi ambientare, nuove persone con cui si suppone io avrei dovuto fare amicizia –o almeno socializzare un po’-; di certo non mi sarei fatta problemi e sarei stata sveglia anche fino all’indomani.
 
Continuavo a fissare l’orologio come in attesa che qualcosa di sovrannaturale infondesse in me una stanchezza tale da non poter far a meno di dormire un po’.
 
Mi sentivo come se avessi bevuto trentasette tazze di caffè, una dopo l’altra senza fermarmi.
 
Decisi di cominciare a contare: partendo da cento e andando indietro -avevo letto in una rivista che aiuta a conciliare il sonno - e cominciai:
cento, novantanove, novantotto, novantasette, novantasei...settantuno...cinquantaquattro...trentadue...dodici...zero.


Niente.


Ero ancora sveglia.


Mi rigirai in continuazione tra le lenzuola del mio letto, ormai tutte stropicciate, cercando di trovare una posizione comoda nella quale sistemarmi per provare a prendere sonno, ma ogni tentativo di addormentarmi era vano.


Dovevo rassegnarmi.
 
Tesi la mano alla mia sinistra e accesi l’abatjour che produceva una luce fioca, delicata, ma che bastava a illuminare il percorso dal mio letto alla scrivania, che intrapresi con passo leggero, dopo di che staccai il computer dall’alimentatore e mi accomodai nuovamente a letto sistemandomi un po’ le coperte e adagiando il computer, che si stava accendendo, sulle mie ginocchia.
 
Una volta acceso, spensi l’abatjour –il computer faceva già abbastanza luce-, aprii il programma di word e come al mio solito iniziai a scrivere.
 
 
 
 
‘Cara pagina di Microsoft Word,
Sta sera mi servirò di te per scrivere, dal momento che il mio diario l’ho già messo in valigia, e non voglio tirarlo fuori, per paura di svegliare la mamma o Met.
 
Sono esattamente le tre e undici di mattina.
 
Ma perché cazzo non riesco a dormire?!
 Dopo mangiato ho pure preso le gocce che mi aiutano a rilassarmi, ma niente!
 
La cosa più fastidiosa –non so se ti è mai capitato- è che più ti ripeti nella tua testa che è tardi e che devi dormire più non ci riesci e ti agiti ancora di più.
Almeno, a me succede così.
 
Il motivo della mia agitazione è semplice: domani parto per Londra.
 
Dovrei essere felice? Beh, in un certo senso lo sono.
 
Tra meno di tre ore mia madre mi verrà  svegliare per condurmi in aeroporto: tutti i bagagli sono già pronti, devo solo caricarli in macchina e prendere le ultime cose: tipo lo spazzolino, il computer, il telefono…
 
In questo momento non riesco a capire quello provo, migliaia di emozioni contrastanti, si stanno scontrando senza controllo dentro di me: è come se la terza guerra mondiale avesse luogo nel mio cuore.
 
Le sensazioni che provo, sono così forti, le vivo così intensamente che mi tolgono il fiato.
 
Sono contenta –credo- perché studiare inglese a Londra è sempre stato il mio sogno, e finalmente andrò a stare in un college magnifico, proprio nel centro della città: ho letto su internet che è uno dei più prestigiosi di tutta l’Inghilterra.
 
Ho anche visto alcune foto sul sito della scuola: le camere sono semplici ma davvero graziose, le aule luminose, ordinate e molto grandi, la sala da pranzo è enorme e spaziosa: il pensiero che quella sarà la mia dimora per quattro settimane mi esalta, e non poco.
 
Non so davvero come mia mamma sia riuscita a permetterselo data la sua paga da insegnante.

Io non le avevo chiesto nulla: sapeva che era il mio sogno studiare in Inghilterra, che un giorno mi sarebbe piaciuto da morire trasferirmi lì –dato che metà delle mie origini erano di quelle parti- e magari mettere su una famiglia e inseguire i miei sogni; ma da quando le nostre vite erano tragicamente cambiate io non avevo neanche più accennato di voler trascorrere un solo giorno in quella città.
Non perché non mi piacesse, ma per ben altri motivi, dei quali però adesso non ho voglia di scrivere anche perché sono sicura che se lo facessi, crollerei in uno dei miei soliti pianti e non ne uscirei fino a domani mattina.
 
Comunque sia, non mi ci è voluto molto per capire il motivo di questo regalo così generoso da parte di mia madre:
A sentir lei, le motivazioni per le quali parto sono chiare: ‘consolidare il mio inglese’, ‘visitare nuovi posti’, ‘confrontarmi con abitudini e modi di fare diversi dai miei’, ‘forse –e ci tengo a sottolineare forse- stringere nuovi legami’.
 
Si, sono tutte scuse molto plausibili, mi chiedo quanto tempo mia mamma abbia impiegato per elaborarle.                                                                                                                                                              Ma io so perfettamente il motivo della mia partenza e so anche che non centra proprio niente con quelli che mi ha elencato lei quando mi ha annunciato l’iscrizione al college.
 
Penso che lei non sospetti niente sul fatto che io abbia capito la vera ragione delle quattro settimane a Londra, ma, dopo tutto quello che è accaduto in questi mesi anche uno stupido lo capirebbe.    
Tutto sommato comunque mi va bene così, sono contenta di partire, ho sempre desiderato andare a Londra, e anche se so che questa vacanza studio non cancellerà il passato e credo che non modificherà neanche il presente, sono contenta di ‘fuggire’ per un po’ dalla mia città, dalle solite strade, dai soliti luoghi che ho davanti agli occhi da tutta la vita e i quali –seppur sono legata per motivi brutti e belli- non mi dispiace lasciare per un po’ di tempo.
 
Penso anche che il clima in casa mia, nelle ultime settimane in particolare, sia diventato troppo pesante e difficile da sostenere, per via di un susseguirsi di avvenimenti poco gradevoli; fatto sta che spero che al mio ritorno tutto questo enorme casino che io chiamo ‘la mia vita’ si sia fatto meno scombussolato e che (soprav)vivere sia piu ‘semplice’.
 
Malgrado la mia felicità per il viaggio, non posso non pensare ad Abby e a quanto questo fosse il nostro sogno.
Non solo il mio.
 
Nina che è la mia psicologa –ed è anche una specie di sorella maggiore per me- dice che non devo lasciare che la nostalgia che ho per Abby –o per papà- rovini la mia vacanza.
Dice che devo riordinare le idee, fare “chiarezza dentro di me”, devo cercare di instaurare nuovi legami, perché in effetti avere come unica amica lei non va bene per una ragazza di quindici anni, ha detto che quando sarò a Londra potrò chiamarla se avrò bisogno di un consiglio, o di sentire semplicemente una voce amica, ma che preferirebbe che cercassi di fare io il primo passo per costruire dei legami con ragazzine della mia età.
 
Dato che lei crede molto in me, e in questi anni mi ha aiutato così tanto le ho promesso che avrei fatto del mio meglio per esaudire le sue richieste, che dopo tutto aveva espresso soltanto perché giovassero a me e alla mia salute.
 
 
Si sono fatte le quattro e sei, ora spendo il computer e riprovo ad addormentarmi, spero di avere più successo di prima.
 
Penso che ti scriverò non appena mi sarà possibile.
 
 
 
Con affetto,
Ever.’
 
 
 
 
Non appena conclusi di scrivere, salvai il file nella cartella dove tengo tutto quello che compongo, anche se di tutte quei file non ne ho mai riletti manco uno.
 
Chiusi tutte le cartelle, ma prima di spegnere definitivamente il pc, mi soffermai per due minuti abbondanti a guardare lo sfondo del computer: era una foto che raffigurava me ed Abby da bambine sedute in braccio a mio padre, di fianco a noi c’era pure Daisy –la cagnolina di labrador color miele che avevo- che con le orecchie alte e il musetto furbo ci guardava.
 
In quella foto io e Abby avevamo circa sette anni.
 
Il primo pensiero che mi attraversò la mente fu:
‘ma perché non può essere tutto così dannatamente facile come un tempo?’
 
 
 
Con questo interrogativo arrestai il pc, lo adagiai sul comodino, appoggiai la testa sul cuscino e sentii le gocce finalmente avere la meglio sul mio organismo: mi stavo addormentando.
 
 










































SPAZIO AUTRICE:


ciaooo a tuttii ;)
inizio col dire che è da tantisimo che non aggiorno e questo perchè ho deciso di riscrivere tutti i capitoli da capo, per renderli più ricchi e belli ;))
lo so che avevo già pubblicato un pò di capitoli ma ho deciso di cancellrli e inserire quelli "aggiornati" un pò alla volta ;)
la trama della storia non è molto cambita, è solo che ho fatto delle piccole aggiunte e qualche modifica, spero comunque che vi piaccia e che vi appassioni!
vi prego di lasciarmi recensioni sia positive che negative, perchè mi interessano davvero le vostre opinioni e i vostri consigli misarebbero utili!
per ora vi saluto e non vi anticipo nulla su ciò che accadrà nei prossimi capitoli, spero solo che seguiate la storia perchè si farà molto interessante e coinvolgente!
vi ringrazio davvero tanto e spero che quanto ho scritto vi piaccia!
un bacio.
-Giù

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Capitolo 2
*** Capitolo n.2 ***










Sentivo la luce del sole filtrare dalle persiane e illuminare fioca il mio viso: se fossi stata una di quelle persone che hanno il sonno pesante avrei senza dubbio continuato a dormire, ma il mio sonno –se si può definire così- non era per niente profondo e ci volle un niente per svegliarmi.
Da una parte fu meglio, perché quello che stavo sognando non mi piaceva affatto.
Quegli incubi non la smettevano di tormentarmi: ogni notte sembravano diventare sempre più terrificanti e sempre più reali.
Come se tutto quello che la mia mente sognava, mi toccasse anche nella realtà.
Forse in un certo senso era così perché le lacrime che spesso mi rigavano il viso quando mi svegliavo, o le lenzuola stropicciate e madide di sudore, non erano la mia immaginazione, ma era tutto vero. Io mi costringevo a non pensarci, sperando che se io non ci rimuginavo sopra, tutto si sarebbe dissolto da sè, ma questo non accadeva mai.
Anche quella mattina ci passai sopra, facendo finta che tutto fosse OK, anche se non lo era.
 
Scesi dal letto, e con passo stanco mi diressi verso la finestra, la aprii e lasciai che la luce e l’arietta mattutina invadessero ogni centimetro della mia camera.
Respirai a pieni polmoni e mi sfregai gli occhi stanchi e segnati dalle occhiaie, dopo essermi seduta sul fondo del letto guardai la sveglia: segnava le sei meno dieci.
Poco meno di quindici minuti e mia madre –inconsapevole del fatto che avessi dormito solo tre ore scarse- mi sarebbe venuta a chiamare per dirmi di prepararmi.
 
Quando, il pensiero che tra poche ore mi sarei trovata in aeroporto ad attendere il volo che mi avrebbe condotta nella città che amavo di più al mondo, si insinuò nella mia testa, una sorta di scarica di adrenalina mi attraversò e sentii lo stomaco contorcersi.
Non avevo mai provato niente del genere, era tutto molto strano.
Forse la morsa che sentivo alla pancia era segno che le cose sarebbero migliorate: o almeno era quello che mi auguravo con tutto il cuore e con tutta l’anima; anche se ero consapevole che solamente un miracolo mi avrebbe potuta ‘salvare’ da quella ragazzina timida, acida, insicura e chiusa in se stessa che tutte le delusioni che avevo subito e tutte le battaglie che avevo perso mi avevano fatto diventare.
 
L’unica cosa che mi faceva sentire bene, erano loro.
I miei idoli.
 
Senza rifletterci troppo afferrai l’ipod che stava sulla scrivania, lo accesi, posizionai le cuffiette nelle mie orecchie e dopo aver selezionato il brano che volevo ascoltare –in quel caso era truly madly deeply- premetti play, e lasciai che le cinque voci più angeliche e più dolci del mondo mi cullarono come si fa con i bambini per farli addormentare.
 
 
Mentre la canzone scorreva e io mi perdevo tra quelle melodie magiche, mi rifacevo il letto, così non avrebbe dovuto farlo dopo mia madre.
 
 
 
 
 
buongiorno Ever
 
Io sussultai di scatto togliendomi le cuffie con un gesto rapidissimo, avevo il cuore in gola, ma quando mi accorsi che era solo mia madre stirai le labbra in uno dei miei soliti falsi sorrisi.
 
 
oh, ciao mamma, non ti avevo sentita entrare…’ dissi.
 
 
me ne sono accorta!’ sorrise, tirandosi indietro i capelli.
 
vatti a preparare, io porto giù i bagagli!’ quella mattina mia madre sembrava quasi serena, non la vedevo così da molto tempo.
 
Probabilmente la sua serenità dipendeva dal fatto che sperava che una volta in college mi sarei dimenticata tutti i casini che erano successi da tre anni e mezzo prima, fino a quel momento.
Sinceramente anche a me sarebbe piaciuto dimenticare tutto, sul serio, solo l’idea di salire sull’aereo scordandomi di tutto il resto, per vivere la mia avventura senza pensare al passato mi avrebbe resa la quindicenne più felice della terra.
 
Ma no.
Nulla si cancella.
 
Tutto quello che era capitato, mi aveva cambiata, non potevo lasciarmi alle spalle degli anni così difficili, non ci sarei mai riuscita. Il mio passato sembrava essersi attaccato come una sanguisuga al presente, e inghiottendo via tutta la mia voglia di vivere, la mia allegria, la mia estrosità mi aveva lasciata completamente sola, vulnerabile, insicura e malata della peggior malattia di cui si possa soffrire: la nostalgia.
Quei sentimenti mi avevano lacerata dentro, giorno dopo giorno, lasciando di me solo un misero corpo, che odiavo e che torturavo in ogni modo possibile: tagliandomi, vomitando, fumando, non dormendo.
Non ero più in grado di provare emozioni vere: cercando di alzare dei muri tra me e tutto quello che avrebbe potuto ferirmi, finii col creare un armatura di cemento armato al mio cuore, e nessuno –a parte Abby- sarebbe riuscito a farmi ritornare quella di prima, proprio perché della “vecchia me” non ne esisteva neanche più l’ombra.
Se la mia anima era già morta perché il mio corpo continuava a vivere?
 
 
‘va bene’
le rivolsi un sorriso, presi in mano la maglietta e i pantaloncini che avevo lasciato fuori dalla valigia la sera prima e mi diressi verso il bagno.
 
 
Dopo essermi lavata e cambiata, tolsi i cerotti per controllare i tagli. I più profondi si riaprirono, mentre quelli più superficiali erano già stati rimpiazzati dalle croste.
Avevo messo tutto il necessario per medicarmi in valigia, ma fortunatamente per fermare il sangue che usciva –non in grande abbondanza- bastò un po’ di carta igienica.
Dopo essere certa che il sangue avesse smesso di fuoriuscire, e aver coperto tutto con nuovi cerotti e i braccialetti, uscii dal bagno.
 
Con il tempo e l’esperienza, avevo imparato a medicarmi quasi ogni tipo di taglio.
Nessuno della mia famiglia era a conoscenza di ciò che infliggevo a me stessa, infatti facevo di tutto per mantenere la cosa segreta; altrimenti mi avrebbero spedita di nuovo in uno di quegli ospedali psichiatrici, ed era l’ultima cosa che volevo.
 
Entrai in cucina, dove mia madre era intenta a fare colazione con mio fratello Mat –abbreviazione di Matthew-.
 
 
‘ciao Eveeeeer!!’
esclamò il mio fratellino, lasciando cadere la gocciola nel latte per correre verso di me ed abbracciarmi.
 
‘buongiorno’   gli sorrisi, abbassandomi per dargli un bacio sulla guancia.
Lui era una delle pochissime persone alle quali permettevo di toccarmi, altrimenti odiavo il contatto fisico.
Aveva solo cinque anni, ma quel bimbo era senza dubbio il regalo più bello che il cielo avesse potuto farmi, era tutta la mia gioia, uno dei motivi per cui combattere e non arrendermi, era stato lui che quando ero in ospedale quasi in fin di vita, mi aveva spinta ad alzarmi, e senza di lui sicuramente non sarei sopravvissuta.
 
 
Lo riaccompagnai al tavolo, e gli dissi di mangiare: per dargli il buon esempio aprii il frigo e cercai anche io qualcosa che stuzzicasse un po’ il mio appetito inesistente.
Tutto quello che riuscii a trovare fu uno yogurt bianco.
Faceva schifo, ma lo mandai giù perché sapevo che senza quello probabilmente sarei svenuta a metà giornata se non prima. Solo dopo aver finito la mia “colazione” mi rivolsi verso mia madre e le domandai:
 
‘i bagagli?’
 
‘li ho già caricati in macchina’ disse alzando lo sguardo dalla tazzina di caffè.
 
‘hai preso anche la chitarra?’
 
‘hai intenzione di portarla?’   chiese sorpresa, come se non si aspettasse altro che un mio “no” come risposta.
 
‘ovvio che la porto!’    esclamai, sorpresa da una domanda tanto sciocca: non mi sarei mai e poi mai, potuta separare dalla mia chitarra o dal comporre musica per più di un giorno, figuriamoci per quattro settimane!
 
‘oh, okay’   replicò, con un tono di voce che non riuscii a decifrare.
 
‘vado a prenderla’   le sorrisi per smorzare la tensione.
 
‘prendi anche la borsa con il computer e tutto il resto!’     mi ricordò lei, mentre mi avviavo in camera.
 
Arrivata in stanza, infilai velocemente computer, tablet e caricatori nella borsa che subito dopo appoggiai in spalla, successivamente aver recuperato anche la chitarra scesi di nuovo in cucina; dove trovai mia zia che era venuta per badare a Mat mentre io andavo all’aeroporto con mia mamma.
Le due erano intente in una delle loro solite chiacchierate tra sorelle, ma appena mi videro arrivare si zittirono entrambe, segno evidente che parlavano di me.
 
‘ciao zia!’ le andai incontro per abbracciarla, facendo finta di non averle colte in fragrante.
 
‘ciao tesoro!’ mi sorrise e poi mi stampò un bacio sulla guancia.
 
‘pronta per partire?’ aggiunse.
 
‘si si’ la rassicurai.
 
‘bene, mi raccomando, stai attenta eh!’
 
‘tranquilla, mamma mi ha già fatto tremila raccomandazioni!’    la informai, e sorrisi di sfuggita a mia madre che alzò gli occhi al cielo.
 
‘beh, conoscendo tua madre non ne avevo dubbi!’    scherzò lei, così mamma la guardò male finchè non scoppiammo tutte e tre a ridere.
 
 
 
 
 
 
‘adesso saluta tuo fratello che andiamo!’   mi ordinò mia madre.
 
Andai incontro a Mat, mi inginocchiai per essere alla sua altezza e poi lo abbracciai stringendolo con tutta la mia forza.
Lui era la persona che mi sarebbe mancata più di tutte.
 
‘ci vediamo presto, okay amore?’    distesi le labbra in un sorriso, e gli pizzicai lievemente una guancia.
 
‘si, mi raccomando, torna presto!’   disse lui, accentuando la tristezza del suo tono.
 
‘certo, vedrai che il tempo passerà stra in fretta!’    gli sorrisi, finchè lui non ricambiò.
Anche se una lacrima stava quasi per uscirmi, cercai di trattenermi, non volevo piangere davanti a lui; mi sarebbe mancato da morire e se avessi potuto, lo avrei nascosto in valigia per portarlo via con me.
 
‘e quando torno, ti porterò il regalo più bello del mondo!’ gli promisi.
 
‘basta che tu torni e io sono già contento’     dichiarò con tutta la sincerità del mondo, quasi come se non avesse detto niente di così importante. Aveva soltanto espresso con tutta la purezza d’animo di un bimbo quello che pensava. E forse fu proprio quello a commuovermi tanto da lasciarmi attonita.
Come le aveva dette lui, sembravano le parole più facili del mondo: per me invece significavano il tutto.
Mi asciugai di fretta una lacrima, prima ancora che potesse rigarmi la guancia, e strinsi Mat a me, ancora più forte di prima.
Dopo avergli lasciato un bacio sulla fronte, mi staccai da lui e dissi:
 
‘ non ti preoccupare campione, sarò qui prima di quanto immagini!’
 
Lui sorrise, e io uscii di casa con mia madre chiudendomi la porta alle spalle.
Ci avviammo verso l’auto.
Quando salimmo, io mi accomodai sul sedile davanti, proprio accanto a quello del guidatore: avrei davvero voluto sedermi dietro, e isolarmi mettendomi le cuffiette e ascoltando le uniche voci che mi facevano stare bene, ma mi opposi a quel bisogno perché pensai, che dato che non avrei più rivisto mia mamma per ben quattro settimane, sarebbe stato carino che almeno il viaggio di andata verso l’aeroporto l’avessi fatto seduta affianco a lei.
 
Non ci potevo credere, ma prima di fine giornata mi sarei trovata in un'altra nazione, a chilometri e chilometri da questa realtà: quel pensiero mi fece spuntare un enorme sorriso sulle labbra che durò finchè non arrivammo all’aeroporto.
 










































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SPAZIO AUTRICE:
Salve a tutti!! ;))
Rieccomi qui con il secondo capitolo di Destiny!
volevo ringraziare tutti quelli che mi hanno lasciato recensioni e tutti quelli che hanno messo la mia sotria tra i preferiti, e quelle ricordate, per seguirla sempre.
sono contenta che quello che scrivo vi piaccia, perchè per me significa davvero tanto.
invito chiunque legga la mia ff, a lasciarmi un recensione scrivendo se l'avete letta volentieri, se vi ha annoiato o se non vi è piaciuta.
accetto qualunque tipo di critica purchè costruttiva ;)
se avete dei consigli o volete uno spoiler comunicatemelo e io sarò felice di accontentarvi! <3 ;)
premetto che questi primi capitoli sono stati un pò statici, ma vedrete che nei prossimi succederanno importanti icontri e la trama subirà degli sviluppi importanti! ;))
perfavore cotinuate a seguire la mia storia! <3 ;) jkjks
se volete contattarmi potete farlo via twitter, il mio nick è: @itsdemisforce 
se volete la prossima olta vi lascio anche il mio ask e il mio instagram ;)
ora vi saluto e vi ringrazio!
vi aspetto al prossimo capitolo che pubblicherò molto presto! djkchbkj
ciaooo! <3
Un bacio e un  abbraccio.
-Giù

 

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Capitolo 3
*** terzo capitolo ***


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‘Ever, mi raccomando!’
mi abbracciò.
 
‘mamma, lo sai che so badare a me stessa!’ sorrisi nervosa, perché dentro di me sapevo che quanto avevo appena dichiarato non era del tutto vero.
 
‘lo sai che non sono tranquilla a saperti da sola in un’altra nazione lontano da me…’
 
‘starò bene!’   mentii di nuovo: ero certa che tutto il dolore che mi stava lacerando il cuore non sarebbe rimasto in Italia, anzi me lo sarei trascinato dietro come un fastidioso peso del quale non potevo liberarmi.
 
‘okay okay, hai ragione, devo smetterla di preoccuparmi!’ sorrise, e mi avvolse nuovamente con le sue braccia tanto stretta da non lasciarmi quasi respirare.
 
Appena mi liberai dalla presa di mia madre, le assicurai:
‘appena arrivo ti messaggio!’
Speravo che così sarebbe stata un po’ più tranquilla, e avevo ragione perché dopo avermi ancora un po’ baciata e abbracciata, lasciò che la hostess –una tipa dai capelli lisci, corti e neri, e dalla corporatura piuttosto esile- mi scortasse fino all’aereo.
 
Mi sedetti dalla parte del finestrino, e attraverso il vetro vedevo persino una parte dell’ala dell’aereo.
Una voce annunciò saremmo decollati entro quindici minuti.
Avevo le mani sudate, così le strofinai sui pantaloncini e respirai profondamente per scacciare la tensione.
Era la prima volta che volavo, avevo sempre sognato di farlo, ma nei miei sogni ad occhi aperti ero con Abby, e non da sola.
 
Prima della malattia di Abby, entrambe avevamo aspettato con ansia che questo giorno arrivasse, ci immaginavamo come sarebbero andate le cose una volta arrivate a Londra: il progetto era quello di dedicare il minimo del tempo allo studio,  -in quanto conoscevamo già l’inglese molto bene-  e spendere tutto il resto della vacanza per divertirci, uscire, fare shopping e magari flirtare con qualche bel ragazzo.
Una delle tante sere in cui lei si era fermata da me a dormire, mi aveva raccontato di come sognava il suo futuro: le sarebbe piaciuto diventare una fotografa di successo, avrebbe viaggiato per il mondo, e personaggi famosi tipo Lady Gaga, Justin Bieber ,Brad Pitt o Johnny Depp avrebbero fatto la fila per venire fotografati da lei; avrebbe immortalato paesaggi magici, di quelli che solo a guardarli ti viene la pelle d’oca, avrebbe avuto una sua galleria dove esporre le foto e sognava che persino i critici più famosi, provenienti da tutto il mondo avrebbero elogiato i suoi scatti, mettendoli sulle copertine delle più note riviste del mondo: Abby era una che sognava in grande.
Desiderava un amore sincero, tipo quelli delle commedie romantiche, dove lui incontra lei per puro caso, i due si innamorano e finiscono col vivere il resto dei loro giorni insieme.
Ovviamente nel suo futuro pianificato rientravo anche io, non solo perché ero sua cugina, ma perché ero la sua migliore amica.
Ero il suo cuore, me lo ripeteva sempre.
Credeva in me, sapeva che un giorno sarei diventata una famosa scrittrice, voleva che scrivessi di lei, di noi, delle nostre avventure.
Diceva che ci saremmo trasferite a Londra appena compiuti i diciotto anni, non importava se la casa fosse stata piccola o grande, se eravamo insieme tutto era OK; voleva frequentare lì l’accademia per fotografi, e voleva che io mi dedicassi alla stesura di un romanzo che narrasse la nostra storia, e che ovviamente nella sua fantasia sarebbe diventato un Best Seller.
Fu proprio lei che mi insegnò a sognare, ad avere degli obbiettivi, a puntare in alto.
Ero certa del fatto che prima o poi avrebbe avuto successo come fotografa: le immagini che immortalava erano impressionanti, ti facevano tremare il cuore.
Il Natale prima che si ammalasse, spesi tutti i miei risparmi per comprarle la macchina fotografica più bella che mi potessi permettere.
Se la meritava, dopo tutto quello che aveva fatto per me.
Era stata il mio angelo custode.
Io avrei dato la mia vita per salvare la sua.
Ancora oggi trovo ingiusto il fatto che sia stata lei ad ammalarsi, e non io.
Abby aveva così tanta di girare il mondo, di esplorare; io invece dopo l’incidente non mi ero mai ripresa del tutto, non avevo più la voglia di vivere che possedevo prima: per questo avrei preferito morire io al suo posto.
Prima che se ne andasse le avevo promesso che avrei vissuto  anche per lei, avrei fatto tutte le esperienze che avevamo progettato di fare assieme e me le sarei godute fino in fondo.
‘io vivrò sempre attraverso di te, solo il mio corpo morirà, ma il mio cuore, il mio amore e la mia anima sono con te e lo saranno sempre, perché io sono parte di te’
Questo era quello che mi aveva detto pochi giorni prima della sua morte, e questo pensiero era anche citato in una lettera che mi aveva scritto quando aveva appena scoperto la sua malattia, ma che mi diede in uno dei suoi ultimi giorni.
 
Le avevo promesso che avrei vissuto anche per lei, invece quello che avevo fatto fino ad allora era buttare via la mia vita e sprecare ogni singolo giorno che avevo a disposizione desiderando di poter raggiungere Abby molto presto.
Mi sentivo in colpa, ma non riuscivo a controllare la mia mente e non potevo impedirle di formulare certi pensieri.
 
Tutti quei ricordi mi fecero venire quel senso di nostalgia opprimente che ti rimane su in gola, tanto quanto basta per toglierti il respiro e per ricordarti costantemente di chi hai bisogno.
Mi passai le mani sul viso, e tirai fuori dalla tasca dei pantaloni il mio ipod.
 
La musica era la mia via d’uscita da un mondo per cui io ero sbagliata.
 
Dopo aver selezionato ‘riproduzione casuale’ premetti ‘play’ e il mio cuore tremò quando mi risuonarono nelle orecchie le note di ‘Moments’, la canzone che avevo cantato per Abby quando era ricoverata in ospedale: il mio ipod non avrebbe potuto scegliere canzone più azzeccata.
 
 
 
 
Mentre volavo sopra il mare, con la musica che mi rimbombava piacevolmente in testa, i miei occhi scrutavano tutto quello al di fuori del finestrino.
Le nuvole sembravano fatte di cotone, rimasi incantata a fissarle per non so quanto tempo; pure il mare sembrava più immenso visto da quella prospettiva, sorvolarlo mi metteva un po’ di paura ma mi piaceva: più mi allontanavo da casa più mi sentivo libera.
Scattai qualche foto con l’ipod, non erano niente scatti bellissimi, ma rimanevano pur sempre ricordi del mio primo viaggio in aereo, e li avrei conservati.
 
 
 
Durante l’atterraggio le orecchie mi facevano davvero male e mi girava la testa, ma la situazione si stabilì non appena il velivolo toccò terra.
 
Quando uscii di lì con la borsa sulla spalla, per andare a recuperare la chitarra e la valigia rimasi impressionata ed intimidita dalla moltitudine di persone che si aggiravano per l’aeroporto.
Mi sentivo come un cucciolo abbandonato in autostrada.
Trasalii, ma appena vidi i cartelli e riconobbi tra le indicazioni dove potevo andare a prendere le mie cose, mi avviai di fretta, facendo lo slalom tra la gente per raggiungere la meta.
 
Non appena ebbi tutto i miei bagagli, mi sentii più serena e andai all’uscita un po’ tremante per l’emozione.
 
 
Arrivai fino a due porte in vetro scorrevoli, che si aprirono alla mia presenza.
Non so se mi resi conto subito che ero ufficialmente in Inghilterra, più precisamente a Londra, ma quando varcai la soglia ed uscii dall’aeroporto, sentivo che era come se un capitolo della mia vita si fosse chiuso, e se ne stesse riaprendo uno nuovo.
Tutto aveva l’aria di un nuovo inizio, e io avevo paura, ma volevo provare a ricominciare a vivere davvero.
Respirai intensamente, più volte.
Scorgevo ogni singolo particolare, e cercavo di imprimermi nella memoria tutto: gli odori di patatine fritte e di hot dog che provenivano dai carretti sui marciapiedi, l’assordante rumore dei taxi che sembravano risuonare incessantemente nell’atmosfera, le urla dei venditori ambulanti che cercavano di invogliare i passanti a comprare la loro merce.
I miei occhi ammiravano tutto questo, ed io ero completamente affascinata da cose che prima di quel momento avevo potuto solo vedere nelle riviste, alla TV o immaginare.
I palazzi erano altissimi, le luci delle insegne che ornavano i negozi erano abbaglianti, nei marciapiedi c’erano così tante persone che di stento si riusciva a passare, io ero completamente ammagliata dal fascino di una città così caotica e grande.
Desideravo  ricominciare tutto da capo, sentivo di averne l’occasione e sapevo che non avrei dovuto sprecarla.
Per la prima volta dopo tanto tempo, sentivo che forse ero nel posto giusto per me.
Un brivido mi attraversò la schiena e trasalii.
 
Il rumore fastidioso di un clacson risuonò vicino alle mie orecchie tanto da farmi sobbalzare, scrutai il veicolo e vidi che era il taxi di cui mi aveva parlato mia madre prima di partire: quello che avrebbe portata dritta al college una volta arrivata all’aeroporto.
 
‘è lei la signorina Ever James, giusto?’ chiese l’autista abbassando il finestrino.
 
‘si, sono io’ affermai avvicinandomi alla macchina.
 
‘molto bene’ sorrise, uscendo dall’auto.
Era un signore di circa sessant’anni, abbastanza alto ma non particolarmente robusto, dopo essersi presentato mi aiutò a riporre i bagagli nel retro della macchina, dopo di che mi aprì la portiera e mi fece accomodare.
 
 
Il viaggio fu abbastanza silenzioso salvo per qualche domanda formale e qualche sorriso di cortesia.
Non volevo parlare con quell’estraneo, ero abbastanza introversa, e poi c’erano così tante cose da osservare durante il tragitto, ed ero così concentrata ad ammirare ciò che scorgevo fuori dal finestrino che non riuscivo a spiccicare parola, tranne qualche gemito di stupore.
 
Tutto mi sembrava così surreale che non potevo fare a meno di chiedermi se stessi sognando.
 
A distogliermi dai miei pensieri, fu la brusca frenata dell’autista, che fermò il taxi proprio di fronte al college.















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SPAZIO AUTRICE:
ciaooo lettori! <3 ;)
rieccomi qui con il terzo capitolo!
spero che non vi abbia deluso e in settimana pubblicherò anche il quarto! ;)
voglio ringraziare tutte le persone cheggono la mia ff, la seguono e la recensiscono <3
scrivere è la mia grande passione e sapere che c'è qualcuno che apprezza ciò che faccio signfica tutto per me! ;)
ho deciso di pubblicare oggi questo capitolo perchè me l'ha chiesto una ragazza che ho conosciuto su twitter (Margherita) alla quale piace molto la mia storia jhsfhnzda 
spero che la mia storia vi stia continuando ad appassinare e spero che continuerete a seguirla perchè già nel prossimo capitolo ci saranno cmbiamenti importanti!
se volete cercarmi su twitter sono @itdemisforce
un bacio <3
-Giù

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Capitolo 4
*** Quarto Capitolo ***


















Scesa dal taxi, mi ritrovai proprio davanti al college, così mi fermai un attimo per osservarlo: l’edificio visto dal fuori sembrava più un hotel che una scuola, attorno al palazzo vi era un grande prato verde con dei tavolini sparsi qua e là; io non vedevo l’ora di entrare e di sistemarmi nella mia stanza.
 
Percorsi la rampa di scale prima di arrivare al grande portone d’entrata dell’edificio.
Appena varcai la soglia, una signora di circa sessantacinque anni, abbastanza magra, vestita con un completo beige e con i capelli raccolti in un chignon ordinato mi venne incontro dicendo:
 
‘tu devi essere Ever, giusto?’ sorrise.
 
‘emh, si, sono io’ affermai, chiedendomi chi fosse quella donna, e se sapesse dove fosse la mia camera in modo da sistemarmi.
 
‘molto piacere, io sono Mrs Brown, la direttrice di questo college, ti stavo giusto aspettando’
 
Stirai le labbra in un sorriso, mi sentivo un po’ a disagio: mia madre aveva parlato con lei quando mi aveva iscritta, chissà che si erano dette, ma soprattutto, avrei voluto sapere quanto mia madre le avesse raccontato sulla mia vita.
 
‘vieni con me, ti faccio vedere dov’è la tua stanza’ fece gesto con la mano di seguirla; così mi trascinai dietro i bagagli fino ad arrivare ad un ascensore con all’interno un grande specchio.
La direttrice premette sul pulsante con inscritto il numero tre, e salimmo al piano della mia camera.
‘tua mamma mi ha parlato un po’ di te’ mi informò.
‘penso che qui ti troverai molto bene, tutte le regole e gli orari delle tue lezioni sono scritte in un opuscolo che ti ho lasciato sul comodino affianco al letto’
Percorremmo un lungo corridoio costeggiato da piante e quadri che aveva un’aria antica e quasi preziosa, ci fermammo davanti alla stanza numero 103 e Mrs. Brown tirò fuori una chiave dalla tasca.
 
‘questa è tua, ogni volta che esci ricordati di chiudere a chiave la stanza!’ dichiarò sventolandomi la chiave davanti agli occhi.
Io mi limitai a sorridere e ad annuire.
 
‘ah, quasi dimenticavo, nella stanza 102, alloggia Charlie, una ragazza della tua età, molto educata e amichevole, se avrai bisogno di ulteriori chiarimenti , puoi chiedere a lei, oltre che alla sottoscritta!’ mi strizzò l’occhio, e dopo avermi dato la chiave della camera in mano si allontanò, ricordandomi di scendere in mensa alle otto per cenare.
 
 
Appena la direttrice si allontanò, infilai la chiave nella serratura, aprii la porta ed entrai assalita da un brivido di eccitazione.
I miei occhi scrutarono il nuovo ambiente con curiosità, mentre richiudevo la porta alle mie spalle con accortezza.
La luce che entrava dalla grande finestra, illuminava le pareti color giallo pastello, rimbalzando su uno specchio appeso proprio sopra una grande cassettiera in legno. Il pavimento era rivestito da un parquet marroncino chiaro.
Il letto, a una piazza e mezzo, era coperto da un copriletto bianco con qualche motivo floreale, e proprio affianco vi era un comodino con sopra un abatjour e il foglio con le informazioni di cui mi aveva parlato poco prima la direttrice.
Adagiata contro la parte opposta al letto, si trovava una scrivania, con sopra i libri che mi sarebbero serviti durante le ore di lezione.
Lasciai cadere la borsa sul letto, e appoggiai la chitarra al muro, dopo di che mi avvicinai alla porta del bagno che si trovava sul lato sinistro della stanza, la aprii: era abbastanza piccolo, ma molto grazioso e pulito, le pareti erano dipinte di bianco e il pavimento era composto da piastrelle azzurro chiaro.
 
Mi sembrava strano trovarmi in una camera che non fosse la mia, rimasi qualche secondo impalata a fissare ciò che c’era intorno a me, mentre un magico silenzio occupava la stanza. Pareva tutto così surreale, e così meraviglioso che non potei fare a meno di chiedermi se non stessi sognando, dato che fino a pochi mesi prima mi trovavo in un letto di ospedale costretta a combattere per una vita che non sentivo più mia e alla quale volevo porre fine.
 
Inviai un sms a mia mamma per dirle che stavo bene e che mi trovavo al college, specificandole inoltre, che l’avrei chiamata la sera dopo aver cenato e aver disfatto i bagagli.
 
Mentre toglievo i miei vestiti dal trolley per riporli nella cassettiera, pensavo a quanto ero felice di essere lì, e a quanto avrei voluto condividere la mia felicità con Abby. Appena finii di riporre gli indumenti nei cassetti,  recuperai il grande beauty verde acqua e mi avviai verso il bagno per sistemare tutto.
 
 
Aperta la trousse, le prime cose che mi saltarono in mano, furono lo spazzolino e il dentifricio alla menta verde che riposi in un bicchiere sul lavandino. Affianco allo specchio, c’era un armadietto diviso in due scaffali: nel primo scaffale misi un pacco di assorbenti, le pinzette da sopracciglia, e alcuni trucchi che mi ero portata -anche se non amavo particolarmente truccarmi-, la spazzola, il rasoio e tutte le medicine che mia madre mi aveva comprato in caso avessi avuto febbre, nausea, mal di testa o dolori mestruali.
Mia mamma si preoccupava molto della mia salute fisica, mi voleva sempre vedere in forma e felice e io facevo di tutto per darle l’illusione che l’unico malessere di cui soffrivo era un po’ di mal di testa passeggero quando mi veniva il ciclo, ignorando il mio cuore che si frantumava sempre di più giorno dopo giorno.
Nel secondo scaffale, riposi tutto l’occorrente che mi ero portata per medicarmi, nel caso avessi avuto una delle mie solite crisi: avevo il disinfettante, bende, garze, tantissimi cerotti, un pacchetto nuovo di dischetti di cotone e le pastiglie per l’ansia che erano diventate come una droga per me: me le aveva consigliate e prescritte Nina, la mia psicologa, subito dopo la morte di Abby: dovevano far  parte di un giro di cura passeggero, le avrei dovute assumere solo per un breve periodo, giusto per focalizzare la mia attenzione su altro che non fosse la morte di Abby o di mio padre; ma avevo continuato a prenderle sempre, di nascosto da tutti.
A volte erano utili e mi tranquillizzavano se avevo delle crisi, ma nella maggior parte dei casi le prendevo solo per sballare.
 
 
Il beauty era vuoto, o quasi.
L’unico oggetto che navigava liberamente nella trousse era una delle mie lamette.
La presi in mano, e la fissai per un momento.
Improvvisamente la mia testa si riempì di voci assordanti che non facevano altro che ripetere ‘grassa’, ‘brutta’, ‘sfigata’, ‘secchiona’, ‘obesa’, ‘troia’, ‘inutile’, ‘bugiarda’, ‘troppo diversa’, ‘scherzo della natura’, ‘falsa’, ‘mostro’, ‘balena’, ‘ridicola’, ‘depressa’.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime, ma io mi alzai di scatto, e buttai la lametta nel mobiletto che richiusi velocemente, costringendomi a non usarla.
Aprii il rubinetto e mi sciacquai un po’ il viso cercando di scacciare le voci nella mia testa quando improvvisamente bussarono alla porta della mia camera.
 
Mi asciugai di fretta il volto e andai a vedere chi fosse.
Appena aprii una ragazza –più o meno della mia età- mi si presentò davanti: aveva i capelli biondo scuro, che le ricadevano dritti fin sotto le spalle, gli occhi marroni e un sorriso bellissimo e che scopriva dei denti bianchi e dritti.
Era alta più o meno come me e aveva un fisico bellissimo, che le invidiavo un sacco.
 
‘perdonami l’intrusione, ti ho disturbata?’ chiese sorridendo.
 
‘emh..no…figurati…’ le risposi con tono un po’ indeciso.
 
‘okay, emh, io sono Charlie, sto nella stanza 102’ mi porse la mano, io esitai per qualche secondo, ma poi gliela strinsi.
 
‘piacere, io sono Ever’ stesi le labbra in un sorriso.
 
‘hai un nome bellissimo! Scusa se mi presento qua così, solo che volevo vedere chi avrebbe occupato la stanza affianco alla mia’ si fece scappare una risata che mi contagiò.
Mi sembrava simpatica, per questo mi sforzai per sembrare il più amichevole possibile: se volevo provare a ricominciare una nuova vita, avrei dovuto farmi degli amici anche se la cosa mi spaventava a morte.
 
‘ahh capisco, è da tanto che sei qui?’ le domandai per dimostrare che non mi esprimevo solo a monosillabi, alzate di spalle o scrollate di capo.
 
‘una settimana, e mi fermerò per altre quattro!’ disse con un filo di eccitazione nella voce che notai subito.
‘tu invece quanto ti fermi?’ aggiunse.
 
‘quattro settimane’
 
bene!’ esclamò soddisfatta.
‘e sei già stata a Londra prima d’ora?’ il suo sguardo così carico di vita, incrociò il mio spento.
 
‘no, mai…’ ammisi.
Io che ero anche per metà inglese, non avevo  mai visitato la capitale della mia seconda patria, sembrava stupido ma le cose stavano proprio così.
 
‘allora domani, dato che non abbiamo lezioni, ti porto a fare un giro turistico che ne dici? Tanto io ormai questa città la conosco come le mie tasche!’ propose, passandosi una mano tra i capelli e sfoderando un sorriso ancora più grande.
 
‘certo! Mi sembra una grande idea!’ esclamai, cercando di comunicarle un po’ di entusiasmo.
 
‘perfetto!! Ah..e un'altra cosa…’ disse abbassando lo sguardo, come per vergognarsi quello che mi avrebbe chiesto.
 
‘non è che sta sera ti siederesti a mangiare con me a mensa? Sai…le ragazze che frequentano questo college sono tutte snob e con la puzza sotto il naso!’ sussurrò corrugando il viso.
 
Risi incrociando il suo sguardo sincero, e risposi:
‘certo, molto volentieri!’
 
‘benissimo! Emh…adesso sono le sette e mezza..’ affermò dando una rapida occhiata all’orologio che aveva al polso destro.
 
‘si cena alle otto, no?’ domandai perplessa.
 
‘si, esatto! va bene se passo a bussarti alle otto meno dieci?’
 
‘benissimo!’ annuii soddisfatta.
 
‘allora a dopo Ever!’
 
 
Richiusi la porta appena Charlie si allontanò.
Non ci potevo credere ma avevo “fatto amicizia”: l’idea mi elettrizzava.
Scrissi subito un messaggio a Nina per aggiornarla, e per dimostrarle che stavo mettendo in pratica i suoi consigli.
Rispose che era molto fiera ed orgogliosa di me, e mi consigliò di continuare per quella direzione.
 
 
Come promesso Charlie mi venne a chiamare e scendemmo insieme per la cena: dovetti riconoscere che aveva pienamente ragione sulle altre ragazze che frequentavano la scuola, avevano tutte dei comportamenti altezzosi e irritanti, solo vedere come si atteggiavano mi dava sui nervi.
Non ci misi molto a capire perché Charlie non avesse stretto amicizia con loro: lei non era piena di se e non se la tirava, per questo non la accettavano e tanto meno accettavano me; e a farmelo capire furono le loro occhiatine e i loro commenti ai quali però Charlie mi disse di non dare ascolto.
Passai davvero una bella serata, e scoprii che io Charlie avevamo alcune cose in comune: l’amore per la musica, per l’Inghilterra, per l’arte e per gli One Direction.
Mi raccontò a lungo di come aveva scoperto i ragazzi e di come l’avessero aiutata in periodi della sua vita che non furono molto sereni. Ma non andò molto nei particolari –fortunatamente-.
Il suo modo di fare era davvero simile a quello di Abby, più andavamo avanti a conversare più mi sembrava di conoscerla da sempre, era buffo, non mi era mai capitato prima.
 
 
‘mi sono divertita molto con te sta sera’ disse Charlie mentre percorrevamo il corridoio per arrivare alle nostre camere.
 
‘anche io!’ risposi sincera.
 
Appena giunta sulla soglia della sua stanza, si fermò e mi disse:
 
‘io non ho molte amiche, ne qui, ne a casa mia: ti va di essere mia amica?’ capii che era il suo cuore a parlare, e mi venne la pelle d’oca.
 
‘ovviamente!’ replicai senza pensarci due volte.
 
Lei mi abbracciò forte, ma non era uno di quegli abbracci superficiali, no, era uno di quegli abbracci che ti scaldano il cuore, e per la prima volta dopo tanto tempo, non mi sentii più così sola.
 
‘domani va bene se ci vediamo alle undici e andiamo a fare un giro per Londra?’
 
‘si! Mi andrebbe tanto!!’
 
‘va bene, allora a domani! Buonanotte Ever!’
 
‘notte Charlie!’
 
 
Appena entrai in camera mia, mi sentivo strana: non mi ricordavo più com’era fare amicizia e sapere che qui a Londra non ero sola, mi rassicurava.
 
Dopo essermi lavata e aver rimpiazzato i miei vestiti con il pigiama, presi il portatile che avevo lasciato sulla scrivania e cominciai a scrivere tutto quello che mi era successo  in una lettera per Abby, che anche se non avrei potuto darle, ero sicura del fatto che l’avrebbe letta in un modo o nell’altro.









































                                                                           ********************************
SPAZIO AUTRICE:
saaalve lettori! :))
rieccomi con il quarto capitolo! spero che non vi abbia deluso, e che v sia piaciuto!
volevo ringraziare tutti coloro che hanno recensito, letto o aggiunto ai preferiti la mia storia perch per me significa davvero tanto! <3 :')
scrivere questa storia è emozionante ed estemamente magico per me: mi catapulta in un mondo lontano dalla realtà, nel quale sto meglio e mi sento me stessa.
direi che ora vi saluto perchè se no scrivo un poema lol
ah, se desiderate anteprime, volete darmi consigli, dirmi cosa cambiereste o semplicemente farmi sapere che la ff vi piace potete lasciami ua recesione oppure menzionarmi su twitter, il mio nick è @itsdemisforce ;))
a presto! un bacio a tutti! <3 :*
-Giù
 

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Capitolo 5
*** Quinto capitolo. ***












Cominciare la giornata con la brezza Londinese che invadeva la mia stanza, era completamente magico, nuovo. Forse perché quel leggero venticello era carico di speranza, di positività e di vita: tutte cose che in me, erano morte dopo il mio ricovero in clinica di qualche mese prima.
Persino le note di ‘Wondrewall’ degli Oasis, sembravano diverse: la canzone rimaneva sempre quel capolavoro di cui ero innamorata, ma ad essere cambiato era il modo in cui le note si insinuavano nell’aria, quasi come una carezza. Per la prima volta dopo tanto una scintilla si accese dentro di me, e fu come se una parte della vecchia me, che avevo cercato di reprimere costringendomi a dimenticarla e ignorarla per il resto dei miei giorni, si fosse svegliata dopo un lungo letargo.
Ero emozionata al pensiero di visitare Londra, ed ero felice di farlo con Charlie, perché in quel momento era davvero l’unica persona della mia età che pareva accettare e addirittura apprezzare la mia presenza.
 
‘buongiorno Ever! Come stai?’ uno splendido sorriso illuminò il viso di Charlie, che mi rivolse una breve occhiata prima di ributtare lo sguardo nella borsa in cerca del cellulare.
 
‘bene grazie, sono un po’ agitata…’ le confidai, chiudendo la porta della mia camera a chiave.
 
‘Londra ti farà impazzire! Sai già cosa ti piacerebbe visitare?’ chiese mentre percorrevamo il lungo corridoio che ci avrebbe condotte all’uscita.
 
‘no, non ho idee!’ accennai a una risata.
 
Charlie rise e mi disse: ‘se per te va bene, vorrei farti visitare uno dei miei quartieri preferiti di Londra: Chelsea, che ne dici?’
il suo tono era carico di puro entusiasmo, non potei fare altro che accettare con grande piacere la sua proposta.
 
 
 
 
 
Girare per Londra non fu assolutamente facile come credevo, forse perché prima di allora non mi ero ancora resa realmente conto di quanto grande fosse quella città.
Dove abitavo io non c’era la metropolitana, e riuscire a orientarmi sulla cartina che rappresentava binari rossi, verdi, gialli e blu, azzurri, neri, marroni e grigi, accompagnati da nomi di località che non avevo mai sentito, mi lasciò un po’ perplessa.
Charlie, fortunatamente, era molto più esperta di me e con poche fermate di metro fummo a destinazione.
Camminavo per quelle strade continuando costantemente a guardarmi intorno completamente incantata dalla meraviglia e dalla magia che quella città offriva; i negozietti di arredamento, design e antiquariato davano un aria estremamente caratterista al posto, e ogni ad ogni passo che compivo, c’era sempre qualche nuovo particolare che catturava la mia attenzione.
 
La giornata purtroppo trascorse in fretta: e fu proprio quando io e Charlie eravamo sulla metro e tornavamo al college, che le dissi di quanto avrei desiderato rivivere quella giornata perché mi ero trovata davvero bene con lei –e non mi era mai successo con nessun altra persona a parte che con Abby-.
Charlie mi abbracciò stretta: era una ragazza che amava abbracciare le persone, o forse aveva semplicemente capito che l’affetto era tutto ciò di cui avevo bisogno.
 
 
 
 
 
La mia prima settimana a Londra trascorse veramente in fretta: tra le ore di lezione, le gite a qualche pallosissimo museo, e i pomeriggi che io e Charlie alternavamo tra studio, cazzeggio e shopping,  il tempo sembrava essere volato.
Ogni minuto che passavo con lei mi faceva bene: ricominciai a ridere, scherzare ed era strano perché mi stavo quasi abituando alla sua amicizia, e avevo paura che se lei avesse scoperto il mio passato e la parte più brutta di me, avrebbe smesso di volermi bene.
Dopo essermi svegliata e preparata per affrontare la giornata che si preannunciava tranquilla per via dell’assenza di lezioni,  presi l’accendino e una sigaretta dalla mia borsa e andai a fumare in bagno.
Aspiravo il fumo dalla sigaretta e lo mandavo giù nei polmoni.
Iniziai a fumare subito dopo la morte di Abby, ormai erano quasi due anni.
Eppure io, a differenza della maggior parte delle persone, non fumavo perché mi piacesse o per vizio, fumavo perché volevo morire.
 
Finita la mia sigaretta mattutina, aprii la finestra per scacciare l’odore, e decisi di andare in camera di Charlie, a controllare se stava bene.
Bussai alla porta della sua stanza, dopo poco questa si aprì rivelandomi la figura della mia amica con i lunghi capelli biondo miele tutti in disordine, vestita ancora con il pigiama, intenta a coprirsi la bocca con una mano mentre sbadigliava.
 
‘buongiorno eh! Ma sai che ore sono?’ sorrisi, desiderosa di andare a fare una passeggiata in centro.
 
Lei mi guardò con aria interrogativa.
 
‘sono le due di pomeriggio!!’
 
Charlie sgranò gli occhi e chiese allarmata: ‘cavolo! Davvero?’
 
Io risi e poi replicai: ‘no credulona, scherzavo!’
 
Entrai nella sua camera e notai il letto ancora disfatto e le tapparelle abbassate.
‘ma ti sei svegliata ora?’ domandai sospettosa.
 
‘si…non mi sento tanto bene…’ biascicò tra qualche colpo di tosse.
‘secondo te ho la febbre?’ mi prese la mano e la portò sulla sua fronte che scottava.
 
‘sei bollente!’
 
Lei si limitò a tossire, mentre la riaccompagnai al letto e la feci distendere, stupendomi di questo fare materno che non avevo mai tirato fuori con nessuno.
Mi sedetti ai piedi del suo letto e le dissi: ‘facciamo così: tu adesso dormi un altro po’, mentre io esco, vado a prenderti una cioccolata da Starbucks e torno, che ne dici?’
 
‘Grazie Ever, sei la migliore’
 
‘adesso non esageriamo!’ risi e uscii dalla stanza chiudendo delicatamente la porta alle mie spalle.
 
 
Corsi in camera mia, presi la borsa con dentro il portafogli, recuperai il cellulare, lo misi in tasca e uscii.
Un bellissimo sole e un venticello piacevole che mi spostava leggermente i capelli, caratterizzavano questa giornata, che sembrava preannunciarsi tranquilla.
 
Appena entrai da Starbucks mi misi in coda e aspettai pazientemente il mio turno.
Durante l’attesa vidi due ragazzi dall’aspetto trasandato seduti a un tavolino, che mi fissavano: quando incrociai il loro sguardo un brivido di paura mi attraversò la schiena facendomi venire la pelle d’oca.
Cercai di non fare a caso a loro, ma, anche se i minuti passavano, io rimanevo in coda ed entrava altra gente nel bar, i loro occhi sembravano rimanere sempre puntati addosso a me.
Cercai di squadrarli con la coda dell’occhio per scoprire se mi stavano ancora fissando, e a mio malgrado scorsi che erano ancora intenti a osservarmi.
Appena la commessa mi diede il mio caffè e la cioccolata di Charlie, pagai in fretta e uscii.
Volevo andarmene alla svelta, cercando di non attirare troppo la loro attenzione, ma appena la porta si chiuse alle mie spalle, sentii riaprirla e i vidi i due ragazzi uscire e camminare dietro di me, nella mia direzione.
Aumentai di gran lunga il passo, anche se non sapevo con esattezza dove stavo andando. La fretta di ritornare a scuola ed il timore che mi incutevano quei brutti tipi, mi disorientò, tanto che intrapresi una strada sbagliata, dalla parte opposta di dove dovevo andare.
Mi guardai intorno cercando con gli occhi qualche negozio dove intrufolarmi, ma sfortunatamente mi ero cacciata in uno dei quartieri meno trafficati della città. Dovevo fare retro-front e tornare indietro se volevo arrivare al college, ma non potevo rischiare di incrociare il cammino di quei ragazzi.
Sentii lo stomaco contorcersi a tal punto da farmi venire quasi dei conati di vomito, le gambe mi tremavano così forte che stentavo a reggermi in piedi, mi salirono i lucciconi agli occhi: era tutto come quando ero piccola e mi venivano le crisi di ansia.
Respirai profondamente, ripetendo a me stessa che più io mi agitavo, peggio sarebbero andate le cose.  
 
Improvvisamente sentii uno dei due ragazzi, afferrarmi il braccio e strattonarmi con forza, facendomi cadere a terra le bevande bollenti. L’amico ci guardò e bofonchiò qualcosa all’altro, nella loro lingua: mi dimenai a lungo ma con scarso successo, sentivo la sua presa stringersi sempre di più sul mio polso coperto dai braccialetti.
L’immagine di quei malviventi che approfittavano di me in qualche vicoletto nei paraggi, si insinuò come un chiodo fisso nella mia mente e mi diede il volta stomaco.
Cercai di urlare per chiedere aiuto, ma il ragazzo che mi aveva afferrata, mi strinse maggiormente a sé, intimandomi di non fiatare. Il compagno mi rivolse uno sguardo talmente ripugnante, da farmi raggelare il sangue.
 Strattonai il braccio con tutta la forza che possedevo mischiata all’adrenalina che sentivo scorrermi dentro come un fiume in piena e riuscii miracolosamente a liberarmi. Mi misi a correre più velocemente che potevo, stringendo la mia borsa tra le mani.
Sentivo alle mie spalle le loro voci che si scagliavano come frecce contro di me.
Forse fu la velocità alla quale mi muovevo, gli occhi appannati dalle lacrime o il panico che si era impadronito di me stessa, a non farmi notare che ero uscita fuori dal marciapiede ed ero in mezzo alla strada.
Improvvisamente i miei timpani vennero colpiti dal suono violento del clacson di un taxi che non frenò in tempo e mi investì in pieno.













                                   




                                                                       *************************************
SPAZIO AUTRICE:
ciao lettori! hsdkjdsh ;))
rieccomi qui con il capitolo numero cinque!
scusate se ci ho messo molto ad aggiornare, ma mi sono concentrata tanto sulla stesura dei prossimi capitoli, e non ho avuto mai il tempo di aggiornare lol
volevo solo dirvi che i prossimi capitoli saranno super ricchi di avvenimenti per Ever, e ci saranno incontri speciali..! ;))
ci sto mettendo davvero tutto il cuore e l'anima in questa fan fiction, spero davvero di trasmettervi qualcosa con ciò che scrivo!
volevo ringraziare tutte le persone che continuano a seguire la mia storia e che recensiscono! ;)
se desiderate piccoli spoiler, volete darmi consigli o dirmi semplicemente che ne pensate della storia lasciate una recensione oppure scrivetemi su twitter, il mio nick è @itsdemisforce ;)
ancora grazie mille a tutti voi <3
aggiornerò molto presto! lkhsafafj
un bacio
-Giù

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Capitolo 6
*** Sesto capitolo ***


































La macchina mi colpì, e caddi a terra priva di sensi.
Poco dopo cominciai a riprendermi pian piano, e la nebbia che offuscava il mio sguardo si dissolse lentamente.
Mi ritrovai distesa su un marciapiede praticamente deserto, dove la poca gente che passava, pareva quasi non fare caso alla mia presenza.
 
‘Dio, ti sei ripresa…! emh come stai?’ sentii scandire quelle parole da una voce maschile e stranamente famigliare.
Mi sfregai gli occhi con le mani, per cercare di mettere meglio a fuoco la fonte da cui provenissero quelle parole e facendomi forza sui gomiti mi rialzai leggermente. Quando il suo sguardo intenso e profondo incontrò il mio timido e spento, fui bruscamente attraversata da un formicolio caldo e piacevole che si disperse per tutto il mio corpo, e quasi  mi tolse l’uso della parola.
Quel suo sguardo si impresse sul mio cuore, come se fosse stato marchiato a fuoco.
‘emh…si…credo…’ balbettai contemplando i suoi infiniti occhi color oceano.
 
Era tutto assurdo, quasi surreale. Tra tutti gli sguardi che avrei potuto incrociare, tra tutti i taxi che mi avrebbero potuta investire qui a Londra, e tra tutte le migliaia di persone che mi sarei potuta ritrovare davanti, inginocchiato vicino a me a chiedermi se stavo bene c’era lui: una delle ragioni per cui mi alzavo la mattina fingendo sorrisi quando avrei voluto scomparire, lui che con la sua musica mi aveva fatta sentire per la prima volta amata davvero: Niall Horan.
 
‘ce la fai ad alzarti? Ti do una mano!’ disse, tendendo le sue mani verso di me.
Le afferrai timidamente, erano grandi e calde e mi trasmettevano una sensazione di protezione che nessuno mi faceva sentire da anni. Mi alzai pian piano tenendomi stretta a lui, ma un dolore lancinante colpì la mia caviglia e mi fece impulsivamente uscire dalla bocca un gemito.
‘ti fa male?’ chiese con tono preoccupato osservando la caviglia leggermente gonfia.
Annuii timidamente, fissandomi i piedi per non incontrare i suoi occhi.
‘posso accompagnarti all’ospedale? Così ti fai visitare’ propose con una tale dolcezza da lasciarmi senza parole. Riuscii solo a fare un cenno affermativo con il capo abbozzando debolmente a un sorriso.
Ormai erano anni che sognavo il momento in cui avrei avuto anche io l’occasione di abbracciare il miei idoli e di farci una foto insieme. Avevo partecipato a concorsi idioti, risposto a quiz insulsi sul web, scritto pensieri strappalacrime condividendoli con internet, per riuscire in qualche modo a vincere l’opportunità di realizzare il mio sogno e stringerli per pochi secondi tra le mie braccia. Ma mai e poi mai mi sarei immaginata di incontrare uno di loro in un contesto simile. Prima di partire per Londra avevo fantasticato di imbattermi in loro mentre uscivano da qualche negozio, mentre passeggiavano per Londra accompagnati dalle guardie del corpo oppure fuori da qualche ristorante o fast food ma poi stando in college, uscendo e passando il tempo con Charlie quelle mie fantasie erano diventate solamente pensieri e riflessioni postate su tumblr.
 
Salimmo su un taxi, e Niall disse al conducente di scortarci all’ospedale Finn Harris.
‘comunque io non mi sono nemmeno presentato, sono Niall, piacere’ dichiarò porgendomi la mano perché io gliela stringessi.
Sorrisi incondizionatamente quando lo sentii pronunciare il suo nome.
‘Io sono Ever, emh..piacere.’ gliela strinsi e immediatamente sentii le guance andarmi a fuoco, così tenni lo sguardo fisso sul sedile dell’auto, cercando di evitare il suo: mi vergognavo terribilmente.
 
‘bel nome, mi piace molto’ commentò con estrema disinvoltura.
 
Il mio cellulare suonò irrompendo nell’aria con le note di last first kiss, mi sentii avvampare per l’imbarazzo. Appena lui riconobbe la canzone sorrise divertito e mi guardò ammiccando.
 
‘pronto?’ risposi.
‘Ever!! Ma dove sei finita?! Stavo morendo di paura!’ incalzò Charlie.
‘emh…’ farfugliai.
‘ti è successo qualcosa!?’
‘si…cioè…no…’ non avevo la più pallida idea di come spiegarle cosa fosse accaduto, forse perché in parte anche io dovevo ancora realizzare il tutto.
‘stai bene?’ mi chiese preoccupata.
‘si si…solo che ho avuto un piccolo incidente’ dichiarai minimizzando più che potevo l’ultima parola.
‘che cosa!?’ urlò lei dall’altra parte della cornetta.
‘sto alla grande, mi sono fatta solo un po’ male alla caviglia, sto andando all’ospedale ma non è niente di grave’ la rincuorai con il tono più sicuro che riuscii ad assumere.
‘vuoi che venga in ospedale?’
‘tranquilla, non ce n’è bisogno, farò in fretta, tra poco sarò già al college vedrai!’ la rassicurai.
‘okay, chiamami se hai bisogno che arrivo in un momento.’ Ribatté triste.
‘certo, ci sentiamo dopo!’ riattaccai, sentendomi scaldare il cuore per tutto l’interesse che Charlie stava dimostrando nei miei confronti.
 
 
Il taxi si fermò proprio davanti all’ospedale. Niall mi aiutò ad uscire dall’auto e cercammo insieme il reparto dedicato a infortuni come il mio. Un infermiere ci fece strada e ci fece accomodare in una piccola sala d’attesa dove prima di noi c’era soltanto un ragazzo sui venticinque anni col polso fasciato, pensai fosse lì per un controllo.
 
‘okay, non ci resta altro da fare che aspettare’ osservò Niall sedendosi proprio di fianco a me.
Io non riuscivo a spiccicare parola per paura di dire o fare qualcosa di stupido, che lo avrebbe allontanato da me.
Quando il ragazzo dal polso malconcio entrò in stanza per essere visitato, io e Niall rimanemmo soli, e mi chiese di raccontargli come avessi fatto a finire in mezzo alla strada. Io gli spiegai timidamente com’erano andate le cose, e lui mi ascoltò attentamente facendomi alcune domande per capire meglio, poi quando ebbe chiaro il quadro della vicenda rimase profondamente disgustato da quello che quei due ragazzi avevano tentato di farmi.
A interrompere il nostro discorso fu il suo telefono che squillò deciso.
Niall scrutò lo schermo.
‘scusami, devo rispondere, è per lavoro’
Io gli sorrisi facendogli capire che non c’era problema e cominciai a giochicchiare nervosamente col telefono non sapendo come comportarmi.
‘ciao Rob, no non sono andato alle prove…sono all’ospedale…no io sto bene è che il mio taxi ha investito una ragazza e l’ho accompagnata al Finn Harris…siamo in sala d’attesa…no, di agli altri che oggi non ce la faccio a essere là in tempo! È inutile, io rimango qui! Non è che non posso, è che non voglio ed è molto diverso!’
La sua telefonata fu interrotta dalla voce di una dottoressa dall’aria amichevole che ci invitava ad entrare.
‘si, certo…come vuoi! Comunque ora devo andare ciao!’ Tagliò corto ficcandosi velocemente il telefono in tasca e riposando lo sguardo su di me.
‘vuoi che entri con te?’
Mi sentivo leggermente confusa. Un po’ per l’incidente e la testa che mi girava a causa della pressione bassa e un po’ perché lo avevo appena sentito rinunciare a un impegno di lavoro per me, e la cosa mi faceva uno strano effetto.
Annuii debolmente ed entrambi ci accomodammo nella stanza mentre la dottoressa chiuse la porta alle nostre spalle.
 
‘allora, che abbiamo qui?’ domandò squadrandomi attentamente.
‘emh…un taxi mi ha investita e mi fa molto male la caviglia’ le spiegai indicandola.
 
‘fammi dare un’occhiata’ ribattésorridendo.
 
Dopo aver fatto i raggi, la mia caviglia non risultava slogata o rotta, ma avevo preso solo una brutta storta. La dottoressa mi assicurò che dopo aver tenuto per dieci giorni la fasciatura che mi aveva fatto, il male sarebbe sparito e sarei tornata come nuova.
Uscii dalla stanza decisamente sollevata.
 
‘posso accompagnarti al college?’ chiese lui, mentre eravamo in ascensore e ci avviavamo all’uscita dell’ospedale.
 
‘non è un problema per te? Cioè…magari hai altro da fare…’ abbassai lo sguardo, sperando con tutto il mio cuore che rimanesse con me ancora per un po’.
 
‘no tranquilla, mi sento in colpa per quello che ti è successo, voglio assicurarmi che tu stia bene’ replicò lui con una fermezza  nel tono che mi lasciò spiazzata.
 
‘non è colpa tua’ lo rincuorai.
 
Lui sorrise. E il suo sorriso non illuminava solo il suo volto, ma anche tutto il mio mondo. Era come uno squarcio di serenità in mezzo alla bufera.
 
 
 
Arrivammo al college che era deserto, e lui mi accompagnò alla mia stanza, dove trovai Charlie che mi attendeva con gli occhi lucidi. Appena mi vide mi corse incontro e mi abbracciò fortissimo, ignorando del tutto la presenza di Niall, uno dei suoi idoli.
 
‘ma hai pianto?’ le domandai, rimuovendo con i pollici un po’ di mascara che le era colato per via delle lacrime.
 
‘si, ero in ansia.’ Ammise lei sollevata nel vedermi e avvolgendomi nuovamente tra le sue braccia.
 
Appena ci sciogliemmo dall’abbraccio lei si accorse che non ero sola. Strabuzzò gli occhi e lo squadrò da capo a piedi.
‘ma tu sei…Niall Horan!!’ esclamò alzando un po’ il tono di voce.
 
‘in carne ed ossa’ rise lui imbarazzato. Trovai dolcissimo il fatto che si imbarazzasse quando una fan lo riconosceva, anziché montarsi la testa e atteggiarsi, lui sorrideva impacciato.
 
‘ma che ci fai qui?’ domandò lei confusa dalla situazione quasi surreale che stavamo vivendo.
 
‘il mio taxi ha investito Ever, e io l’ho portata all’ospedale e poi qui al college’ si giustificò lui, come un bimbo che si dimentica il quaderno a casa e tenta di spiegarlo alla maestra.
 
‘ohh…’ annuì Charlie spostando lo sguardo da lui a me in continuazione.
 
Prima ancora che potessimo riprendere il discorso il telefono di Niall squillò nuovamente e dovette prendere la chiamata. Teneva lo sguardo fisso sulla moquette del corridoio, rispondendo a monosillabi con un tono che lasciava trasparire tutta la sua irritazione nei confronti di chi lo aveva disturbato per la seconda volta in meno di due ore.
 
 ‘emh…Ever, io dovrei andare…ho un impegno e la mia presenza è obbligatoria…’ mi spiegò con una voce che spaziava dalla seccatura alla delusione.
 
All’udire quelle parole sentii una fitta al petto.
 ‘ah…emh…okay…’ barbugliai spostandomi i capelli dietro alle orecchie cercando in tutti i modi di nascondere la tristezza che provavo.
 
‘se vuoi…emh…puoi darmi il tuo numero? così ti chiamo sta sera per sapere come stai’ mi domandò arricciando il naso e passandosi una mano sulla testa, corrugando il volto in un sorriso timido.
 
Glielo dettai senza pensarci due volte e lui lo salvò immediatamente. Dopo di che mi salutò lasciandomi con la promessa che ci saremmo sentiti alla sera.
Appena vidi le porte dell’ascensore chiudersi con lui dentro, mi fiondai scossa e un po’ indolenzita sul letto di camera mia.
Chiusi per un secondo gli occhi, ripensando a tutto il frastornato susseguirsi di avvenimenti: non riuscivo ancora a realizzare fino in fondo.
 
Quando Charlie si rese conto che io e Niall avevamo finito di parlare bussò alla porta della mia camera, così io la invitai ad entrare.
 
‘oh porco cazzo’ esordì lei chiudendosi alle spalle la porta.
Io mi sfregai le mani sugli occhi. ‘si tranquilla, sto bene, e no, non sono affamata, grazie per averlo chiesto’ ironizzai io.
‘scusami Ever, ma vedere lui qui, beh…mi ha colpita…cioè non me lo aspettavo!’ dichiarò sedendosi affianco a me e aggiunse ‘mi sa che devo ancora realizzare.’ Sospirò.
‘a chi lo dici!’ esclamai con lo sguardo fisso in un punto indistinto del soffitto.
 
Poco dopo chiamai mia mamma e le raccontai dell’incidente, tralasciando la parte dei due ragazzi che mi volevano stuprare: sapevo che se le avessi raccontato ciò mi avrebbe rispedita dritta dritta a casa, e in quel momento era davvero l’ultima cosa che volevo.
Al college conducevo quasi una vita “normale”, nessuno era a conoscenza di me o del mio passato, era bello camminare per i corridoi senza ricevere occhiatacce, senza che la gente mi guardasse di sottecchi o bisbigliasse alle mie spalle dandosi gomitate, ridendo di me e facendo commenti sulla mia vita e sulle mie scelte. Ero completamente conquistata da questa finta realtà che mi ero creata quasi per allontanare quella che mi apparteneva veramente.
Mia mamma dopo avermi chiesto almeno tremila volte se fossi sicura di non voler tornare a casa e dopo essersi raccomandata che io stessi attenta e che tenessi la caviglia a riposo per tutto il tempo necessario che la dottoressa aveva stabilito, si fece raccontare del mio incontro con Niall e il suo tono preoccupato e timoroso fu immediatamente rimpiazzato da un’innocente curiosità e da una sincera felicità. Sapeva quanto amassi i One Direction e quanto significassero per me e si stava convincendo del fatto che il mio incontro con lui fosse stato destino, anche se io ero convinta che fosse stato solo il caso.
Ci salutammo e le promisi di aggiornarla tutti i giorni sulle mie condizioni di salute.
Successivamente dovetti anche parlare con la preside, che si dimostrò molto ben disposta nei miei confronti diminuendomi  –per mia grande gioia-  le ore di lezione per non farmi stare a lungo in classe con la caviglia dolorante e incaricò Charlie di aiutarmi in tutto e di non lasciarmi mai da sola finché non fossi completamente guarita.
Charlie promise al Mrs. Brown di fare quanto le aveva richiesto.





















                                   



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SPAZIO AUTRICE: 
ciaooo a tutti lettori! ;))
vi è piaciuto il capitolo? :D finalmente Ever ha intrato Niall!! era ora! lol
scusate se vi ho fatto aspettare prima di pubblicare questo capitolo, solo che ho avuto un pò di problemi e molti molti impegni, così non sono praticamente mai riuscita a ritagliarmi cinque minuti per poterlo postare! :( 
fortunatamente però sta sera ce l'ho fata! ;)) lol
volevo dedicare questo capitolo a Francesca: una mia lettrice che è tanto tenera e dolce, e se non fosse stato per lei avrei aggiornato chissà quando (lol) 
detto questo ringrazio tutti quelli che stanno continuando a seguire la mia ff e mi incitano a continuare. Non avete idea di quanto significhi per me, sul serio!
se volete lasciare un commento, un consiglio o una critica (possibilmente costruttiva) potete scriverli nelle recensioni o menzionarmi su twitter, il mio nick è @itsdemisforce ;))
vi mando un bacio e vi aspetto al capitolo numero sette che sarà ancora più ricco di sorprese!
-Giù
 

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Capitolo 7
*** Settimo capitolo ***













‘ha il tuo numero! Ti rendi conto?!’ enfatizzò Charlie spostando la poltrona e sistemandola vicino al  mio letto.
‘si, ora inizio a realizzare…ma…’ bofonchiai io addentando il panino al prosciutto che mi aveva preparato.
‘ma cosa!?’ allargò le braccia con fare teatrale.
‘ma niente, perché intanto non mi scriverà e non mi chiamerà!’ sentenziai amareggiata.
‘e perché non dovrebbe?’
‘La domanda giusta se mai è: “perché dovrebbe?” e poi scommetto che con tutti gli impegni di lavoro che ha, io sono proprio l’ultimo dei suoi pensieri!’ le feci notare, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
‘cazzate’ ribatté secca  ‘scommetto che prima di sta sera si fa vivo!’
Io scossi nettamente la testa ‘non lo farà!’
‘vedremo chi ha ragione!’ si avvicinò a me guardandomi con aria di sfida finché entrambe non scoppiammo a ridere.
 ‘che ore sono?’
‘le cinque e mezza’ rispose, per poi spalancare gli occhi e gridare: ‘ho una mega idea!’
‘spara.’
‘ti va se vado a prendere il computer e ci mettiamo nel letto col pigiama a vedere la saga di Twilight?’ Un sorriso carico di gioia le corrugò il volto, non potei fare a meno di accettare.
Charlie uscì dalla stanza per andare a prendere il computer, così io mi alzai goffamente, afferrai il pigiama che tenevo sotto il cuscino e mi diressi verso il bagno zoppicando. Mi lavai a fondo, dato che non potevo farmi la doccia per non bagnare la fasciatura, e una volta pulita sostituii i vestiti, che gettai nel cesto dei panni sporchi, con il pigiama.
Tolsi i braccialetti e lasciai i polsi scoperti, sicura che le maniche lunghe della maglietta non avrebbero lasciato intravedere nulla.
 ‘pronta per vederti ore ed ore di Taylor Lautner senza maglietta?’ scherzò lei, entrando in camera mia con il pc in una mano e due sacchetti enormi di popcorn nell’altra.
‘prontissima!’ ammiccai sistemandomi sul letto e facendole un po’ di spazio.
Attaccò  l’alimentatore del portatile alla presa di corrente affianco al letto, e mentre si accendeva ci sistemammo sotto le coperte con la schiena appoggiata al muro e il computer posizionato sulle gambe. Quello era indubbiamente uno dei momenti più belli che avessi trascorso a Londra fino ad allora, forse perché mi ricordava le serate passate con Abby a guardare film sdolcinati sognando una storia d’amore da fare invidia a quelle scritte da Nicholas Sparks.
Charlie allungò il braccio e spense la luce. Quando il computer si avviò come sfondo vidi una foto dei One Direction e sospirai mentre sentivo gli occhi offuscarsi per via delle lacrime.
‘tesoro, non piangere ’ mi strinse dolcemente tra le sue braccia, accarezzandomi i capelli, quasi come faceva mia madre quando ero piccola.
‘non ci riesco…’ mormorai io con la voce spezzata dai singhiozzi.
‘sono lacrime di gioia?’ domandò speranzosa.
‘anche’ sorrisi debolmente ‘oggi credo che sia stato uno dei giorni più belli della mia vita, non posso credere che sia capitato a me!’ aggiunsi.
 ‘la sai una cosa?’
Scossi la testa e mi passai le mani sulla faccia per asciugare le lacrime: non mi piaceva che lei mi vedesse piangere.
‘io credo che nulla accada senza una ragione’ sorrise affettuosamente.
Sentii formarsi in gola un groppo, che mi permetteva a stento di deglutire. Quelle erano le stesse parole che mi ripeteva mio padre, e sentirle pronunciare di nuovo non mi lasciò indifferente; fu come se un ondata di ricordi del passato mi travolse totalmente lasciandomi vulnerabile. Reagii standomene in silenzio sommersa da pensieri che mi giravano vorticosamente per la testa quasi togliendomi il fiato.
‘dai ora guardiamo i film!’ concluse premendo il tasto play.


AI titoli di coda di New Moon, notai che il suo sguardo cadde su una cicatrice ben visibile che partiva dalla parte iniziale del polso e saliva arrivando a una piccola parte del palmo. Spostai impulsivamente il braccio tirandomi ulteriormente giù la manica. Charlie mi guardò con gli occhi di qualcuno che aveva capito che c’era qualcosa che non andava, ed io non potei far altro che distogliere lo sguardo e aspettare che iniziasse Eclipse sperando che non focalizzasse la sua attenzione su ciò che aveva appena visto.
Charlie stoppò il film e mi guardò fissa negli occhi. ‘che hai fatto?’
Io mi tirai fuori dal calore delle coperte e cercai di alzarmi ma lei fu più rapida di me, e in men che non si dica me la ritrovai davanti a squadrarmi con aria interrogatoria.
‘niente.’ Ribadii secca e scocciata dal suo atteggiamento.
Non volevo rovinare tutto, non con lei. Non volevo che cominciasse a scoprire pian piano il mio passato, la mia storia, e le mie insane abitudini. Volevo continuare a darle l’impressione della normalissima adolescente di sedici anni felice e piena di sogni. Mi ero così immedesimata bene nel personaggio che dovevo recitare, che ero finita per ingannare me stessa illudendomi davvero di poter essere felice fingendomi chi non ero. Se mi avesse conosciuta in Italia e non a Londra sicuramente mi avrebbe evitata e non saremmo diventate amiche.
‘no, voglio che tu mi dici che cazzo hai fatto, e perché lo hai fatto.’ Mi ordinò con tono fermo fissando le mie iridi verdi.
‘non sono affari tuoi, non sai niente di me’ replicai alzandomi a fatica e cercando di spostarmi un po’ per non dover sostenere il suo sguardo.
‘non so nulla di te, ma voglio sapere perché ti sei tagliata.’
Quelle parole risuonarono fin troppo chiaramente nella stanza, tanto da farmi sussultare. Rimasi per non so quanto tempo in silenzio, passando i rassegna varie scuse plausibili.
‘non capiresti, è inutile’ sentenziai, sapendo in cuor mio che se magari avessi provato ad aprirmi con lei e a raccontarle tutto magari mi avrebbe capita e sostenuta, ma il terrore che avevo di mostrarmi per quella che ero veramente prevaleva su tutto.
‘che ne sai tu eh?! Se pensi che la mia vita sia stata tutta una passeggiata ti sbagli di grosso, solo perché ora sto meglio non vuol dire che non abbia passato momenti in cui ero a pezzi!’ e aggiunse alzando notevolmente la voce: ‘solo che la differenza è che io ero circondata da falsi amici, che non ci pensarono due volte a lasciarmi sola! Tu invece ora non sei sola…ci sono io’
Io non volevo sostenere il discorso con lei, era tutto troppo opprimente e troppo doloroso, anche se avessi voluto parlarle non avrei saputo neanche da dove cominciare.
Raggiunsi il bagno a passo abbastanza veloce seppur zoppicante e mi ci chiusi dentro.
Sentivo le lacrime rigarmi il volto e infrangersi sul pavimento freddo. Mi accasciai con la schiena appoggiata alla porta e cominciai a singhiozzare silenziosamente, come facevo da piccola per non farmi sentir piangere la notte.
‘anche io ho avuto un triste passato sai?’ cominciò lei.
‘mia madre è morta quando ero in quinta elementare, l’hanno stuprata e uccisa un giovedì sera mentre stava tornando da lavoro, dopo qualche mese dalla sua morte mio padre cominciò a bere e sembrava essersi dimenticato di me’ la sua voce di tanto in tanto veniva spezzata da qualche singhiozzo ma poi riprendeva sempre più decisa.
‘in seconda media, cominciai a prendere brutti giri e dato che mio padre era sempre al bar anche se stavo fuori e rientravo alle cinque di mattina non se ne accorgeva mai, conobbi delle ragazze più grandi di me che facevano sesso con i ragazzi dei loro licei in cambio di soldi, ricariche del telefono o vestiti firmati, così mi coinvolsero nel giro…’
Rimasi spiazzata. Non riuscivo quasi a credere che Charlie, così bella e piena di vita, avesse potuto avere una storia simile alle spalle. Era talmente allegra e solare che sembrava uscita dalle pubblicità del Mulino Bianco.

‘tu non hai idea di quanti ragazzi hanno approfittato di me! E io glielo lasciavo fare!’ non riuscì più a trattenere i singhiozzi e scoppiò in lacrime, io aprii la porta e mi fiondai su di lei, la strinsi con tutta la forza che avevo mentre insieme piangevamo silenziosamente.

Mi raccontò anche che dopo alcuni mesi suo padre conobbe una donna fantastica, smise di bere e iniziò ad occuparsi maggiormente di lei, e fu proprio per questo che ricominciò ad andare bene a scuola, a non uscire la sera e ad abbandonare definitivamente quei giri, ritrovandosi però da sola.
Charlie si aprì completamente con me, confidandomi ogni cosa. Si soffermava persino sui minimi particolari, e mi piaceva davvero questo suo lato, perché tutti sono in grado di notare le grandi cose, invece sui dettagli non ci si sofferma mai nessuno.
Era la prima volta, dopo Abby, che qualcuno si confidava così apertamente con me, condividendo tutte le sue paure, le sue scelte e il suo passato. Non potei fare altro che ascoltarla, abbracciarla, e, di tanto in tanto, dirle qualcosa per farle capire che comprendevo perfettamente come lei si sentiva.
Quasi istintivamente le rivelai anche io il mio passato, e tutto quello che mi era accaduto. Dalla morte di mio padre, a quella di Abby, dal mio tentato suicidio, alla bulimia e al ricovero in clinica. E man mano che parlavo con lei, mi sentivo sempre più leggera ma anche più triste, perché quelle verità bruciavano ancora come ustioni appena fatte. Confidarmi con lei fu come trascinare dentro alla gabbia di cemento armato che mi ero creata per difendermi dal mondo esterno, quella che sarebbe potuta essere la mia salvezza o la mia distruzione definitiva. Anche se in fondo la fortezza l’avrei dovuta costruire per difendermi da me stessa.  Ero spaventata da come tutto sarebbe potuto andare a finire, ma decisi, per la prima volta dopo tanto tempo, di provare a fidarmi e di rischiare: solo così avrei potuto ricominciare a vivere.

 


Si era fatta quasi mezzanotte quando il telefono squillò irrompendo con le sue note nell’aria impregnata di affetto e sentimento. Vidi lo schermo e scorsi un numero privato.

‘rispondi! sarà Niall di sicuro!’ mi ordinò Charlie agitando le mani.
‘ma…’ rimasi a fissare lo schermo come pietrificata.
‘forza Ever!’ mi incoraggiò.

Feci scorrere il dito sul display per prendere la chiamata e con molta agitazione portai il telefono all’orecchio. Le mani mi tremavano. Riuscii appena a biascicare un: ‘pronto?’
‘ehi Ever! Sono Niall’ si annunciò ‘ti disturbo?’

‘no, tranquillo’ cercai di rincuorarlo fingendo un tono calmo che non mi apparteneva assolutamente.
 ‘come va la caviglia?
‘emh…bene…cioè….mi fa un po’ male…ma nulla di grave’ sorrisi impulsivamente diventando rossa in volto.
Intanto Charlie che era di fronte a me e mi guardava, si fece scappare una risata, notando le guance che mi andavano a fuoco.
‘oh okay…senti…posso farti una proposta?’ domandò con una punta di maliziosità nel tono.
‘certo’ risposi io tenendo stretto il braccio di Charlie che si era messa proprio con l’orecchio fisso sul telefono per sentire anche lei ciò che Niall mi diceva.
‘domani sera potrei portarti a cena con me?’
Io a quella richiesta spalancai gli occhi, e quasi stritolai il braccio di Charlie che non la smetteva di fare cenni affermativi con il capo, per avvertirmi di dire di si.
‘io?’ chiesi troppo impetuosamente, pentendomene all’istante.
‘si, certo!’ rise lui, facendomi sussultare il cuore.
‘emh…si…va bene’ La voce mi tremava a causa dell’emozione. Avevo capito perfettamente ciò che ci eravamo detti, ma non riuscivo a realizzare.
‘ti passo a prendere alle otto, che ne pensi?’
‘alle otto è perfetto’ asserii  io, facendo uno sforzo immane per contenere la gioia e l’euforia che esplodevano dentro di me come fuochi d’artificio.
‘bene, allora a domani, buonanotte!’

Riattaccai, facendo un profondo respiro e posando il cellulare sul letto.



















                                                                              **************************************
SPAZIO AUTRICE:
ciao lettori! kvhsk
rieccomi qui con un altro capitolo!
Lo so, sono pessima perchè è cortissimo e in più ci ho messo vent'anni ad aggiornare. è solo che prima volevo avere un pò di recensioni e un pò di critiche e consigli utili per continuare ;)
Cooomunquee, vi è piaciuto? spero tanto di si anche perchè la storia si sta già delineando e presto accadranno grandi cambiamenti per Ever e non solo! kjfhskf
ancora una volta vi ringrazio per tutte le recensioni e per il sostegno.
spero continuerete a seguire la mia storia e vi prego di continuare a recensire! ;) <3
volevo anche farvi gli auguri di buon Natale (anche se con un pò di ritardo lol) e spero di riuscire ad aggiornare molto presto, sperando che i compiti delle vacanze non mi portino via troppo tempo! ahah
se volete potete trovarmi anche su twitter, sono @itsdemisforce ;))
vi mando un abbraccio e al prossimo capitolo! <3 <3 ;)
-Giù
 

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