LA BARRIERA D'ARGENTO
Declaimers: Tokyo Mew
Mew non appartiene a me, ma a Mia Ikumi e Reiko Yoshida, e non ne possiedo i
diritti. Questa storia non ha scopo di lucro né è serializzata.
La Barriera
d'Argento
E mentre annaspavo per tornare a galla, la
superficie mi sembrò una barriera d'argento.
Oltre cosa c'era? Ossigeno per
respirare?
(... la felicità?)
Sì, c'era... ma dovevo trovare la forza di
superarla. Altrimenti... sarei affogata.
(... altrimenti... non avrei mai sorriso
veramente.)
2. Decisione di mezzanotte
Passò qualche giorno dalla mia fuga dal locale, giorni in cui non mi feci
vedere da nessuno.
La mia giornata partiva così: andavo a scuola, mi isolavo all'ora di
pranzo, continuavo con le lezioni e poi saltavo i corsi del doposcuola, ma
anziché tornare a casa mi nascondevo un paio di ore nel parco dietro le piscine
comunali.
E lì passavo il mio tempo, in
silenzio, a pensare qualunque cosa in cui lui c'entrasse.
Pensavo a come fosse l'America, all'incendio in cui era stato coinvolto
da bambino, ai suoi genitori, a Keichiro, ai suoi studi, ai suoi capelli dorati
e soffici, ai suoi occhi azzurri.
Non riuscivo a togliermelo dalla testa, e non riuscivo a fare lo
stesso nemmeno con le parole di Zakuro.
Quando realizzai di amare Ryo, decisi che lo avrei fatto da lontano,
senza volere niente in cambio, ed intanto avrei fatto di tutto pur di renderlo
felice. Volevo vederlo sorridere, parlare, aprirsi al mondo, vederlo
soddisfatto.
Solo questo.
Magari solo con un ruolo da amica. Pensavo che mi sarebbe andato bene
così.
Ma dovevo essere davvero imbranata...
Ryo riusciva ad essere felice soltanto vedendo Ichigo, mentre io per
raggiungere lo stesso obbiettivo dovevo fare i salti mortali. Era piuttosto
frustrante vedere come Ichigo, senza nemmeno volerlo e senza fare niente di
eccezionale, riusciva a fare quello che mi ero proposta di fare io con mille
sacrifici.
Certo che ero proprio cotta... come avrei potuto dimenticarmi di
lui?
E con che coraggio mi sarei potuta dichiarare?
Erano questi i miei pensieri in quei momenti di solitudine. E se per caso
il cellulare squillava o vedevo qualcuno di conosciuto spuntare dall'angolo,
semplicemente lo ignoravo e cambiavo posto. Ma quel giorno sul mio cellulare
comparve una chiamata che non potevo ignorare. Il caffè MewMew.
- Pronto... - risposi alla chiamata senza un tono di
voce particolare, pronta ad aspettarmi critiche, ramanzine e paternali di tutti
i generi. Forse era ora di finirla con le mie fughe. Ed invece la chiamata di
Keiichiiro non fu niente di quello.
« Retasu! Fortuna che ti ho
trovato... » la voce profonda e solitamente tranquilla di Keiichiiro
sembrava molto sollevata nel sentire la mia, così mi allarmai. Era forse
accaduto qualcosa?
- Perché... Che è successo? -
« No, niente... è che sono un po' di giorni che
non ti fai vedere e non rispondi alle telefonate di casa, per cui temevo che ti
fosse accaduto qualcosa... »
- Ehm - mi schiarii la voce, in imbarazzo. Chissà come
si era preoccupato - E' che in questi giorni non mi sento molto bene... - finii
per dire, inventando su due piedi. Ma in fondo non era la verità?
« Mmm... » Keiichiiro parve riflettere due
secondi. « Beh, se ce la fai potresti fare un salto al caffè? Dobbiamo fare
una riunione urgente... »
- Sì... sì, va bene, ce la faccio. Arrivo tra poco.
-
Accettai subito, un po' per riscattarmi dalla mia mala condotta, un po'
perché a Kei non si poteva dire di no. E poi ero preoccupata.
Una riunione urgente? Forse era successo davvero qualcosa...
Salutai Keiichiiro e chiusi la chiamata. Poi mi alzai dall'altalena e mi
avviai verso il caffè, correndo.
Lo ricordo bene quel giorno. Era una giornata di fine maggio.
Il sole splendeva un po' timido nel cielo terso e sereno, il vento si
muoveva dolcemente tra le fronde dei rami, il cigolio dell'altalena mi cullava
con delicatezza. Tutto era così tranquillo... mi sentivo come avvolta in un
alone protettivo, che mi riparava dal mondo e dai miei problemi, in attesa che
mi sentissi preparata per affrontarli.
Non immaginai nemmeno per un attimo che la riunione riguardasse proprio
l'annuncio dell'ultima battaglia contro gli Alieni.
- Oramai il tempo è scaduto. I messaggi sono chiari:
gli Alieni voglio la guerra. -
Nella penombra del laboratorio sotterraneo la luce dello schermo
illuminava il volto di Ryo per metà, ed i suoi passi risuonavano all'infinito
rompendo l'innaturale silenzio circostante.
Nessuna di noi disse qualcosa, nessuna mosse un muscolo.
Gli occhi di tutte erano puntati sul nostro leader. I sorrisi, perfino
quelli di Purin e Ichigo, erano congelati.
Le piccole battaglie a cui avevamo partecipato fin'ora non erano niente
in confronto a quello che ci aspettava in un futuro vicino.Il tempo della vera
battaglia, quella che avrebbe deciso le sorti del pianeta Terra, era ormai agli
sgoccioli.
- Potrebbe essere domani, il mese prossimo, oggi
stesso... dipenderà tutto dai nostri nemici. -
Già, dipendeva tutto da Pai, Taruto, Kisshu... e Deep Blue.
E poi, naturalmente, da noi cinque.
- Tenetevi sempre in allerta, guardatevi le spalle in
ogni momento. Sarà dura ragazze, ma mettetecela tutta. Ricordate sempre cosa c'è
in ballo. -
La salvezza di tutte le creature viventi, lo sappiamo, non smetti mai di
ricordarcelo. Avrei voluto dirglielo, ma in quel momento la gola era come
immobilizzata in una morsa ferrea.
Qualcuno si mosse e una voce parlò. Risuonò timida, soffocata da
quell'aria pesante che si era creata.
- Noi... noi ce la metteremo tutta, Ryo e Keiichiiro.
Davvero tutta. -
Ci voltammo a fissare Ichigo, pallida e spaventata ma decisa più che mai.
Annuimmo tutte, Mint si lasciò anche scappare un - Non occorre nemmeno dirlo, è
ovvio! - col suo solito tono altezzoso.
A quel punto, come se fosse saltata una molla, scoppiammo tutti a
ridere.Anche Ryo.
Quella visione sciolse un poco l'amaro che avevo dentro.
- Va bene, ora potete andare, il caffè per oggi
chiude. Godetevi questi giorni! - annunciò Ryo recuperando il suo solito
tono serio e professionale, ma sotto sotto sollevato di poter dire quelle
parole. Feci per prendere la mia borsa e la divisa ed andarmene, quando la sua
voce mi fermò.
- Retasu. - il mio nome risuonò all'infinito nel
laboratorio. Mi voltai, scoprendo Ryo intento a fissarmi le spalle. Era serio in
volto, ma non freddo, ed il suo sguardo così azzurro sembrava perforarmi da
parte a parte tanto era intenso. Non mossi un muscolo, nonostante il mio cuore
avesse cominciato a battere all'impazzata. - Posso parlarti? -
- Veramente... - cominciai, senza nascondere la mia
riluttanza nel rimanere. In quel momento, infatti, stare con Ryo per me era una
tortura: volevo fuggire, allontanarmi da lui, ma al contempo ne avevo bisogno
come l'aria. E poi non volevo che mi chiedesse il perché dello strano
comportamento che avevo avuto in quei giorni. - Non ho tempo, ho da fare...
-
Afferrai la mia roba frettolosamente, poi mossi qualche passo verso la
porta di uscita, decisa ad andarmene il prima possibile; ma la sua stretta
improvvisa intorno al mio braccio mi costrinse a rimanere accanto a
lui.
- Aspetta! - esclamò seccato, senza allentare la presa
della sua mano. - Si può sapere che ti è preso? -
Non mi voltai verso di lui, non volevo incontrare i suoi
occhi.
- Non capisco di cosa tu stia parlando... -
Ryo sbuffò severamente e si piazzò davanti a me. Tenni ostinatamente lo
sguardo a terra, decisa più che mai a non guardarlo in faccia.
- Smettila! Non ti voglio mettere in soggezione... -
disse in tono seccato, poi parve accorgersi che in quel modo avrebbe messo
soggezione a chiunque, quindi sospirò e continuò, più gentile. - ... e nemmeno
sgridarti. Voglio solo sapere che cos'è che ti tiene così impegnata in questi
giorni da non permetterti di venire a fare nemmeno un saluto. Cosa ti tiene
lontana dal caffè? -
Dal caffè? No, Ryo, cosa mi tiene lontano da te...
Preferii non rispondere affatto, fissandomi ostinatamente i piedi. Ryo
allora si spazientì totalmente, perché con la mano libera mi avverrò il meno e
mi costrinse ad alzare il viso verso il suo.
- Guardami, almeno! - esclamò adirato e
disperato.
E lo guardai.
I suoi occhi, i suoi meravigliosi occhi azzurri sembravano brillare come
gemme nell'oscurità del laboratorio.
Li conoscevo bene, quegli occhi... quante volte li avevo visti, freddi,
gioiosi, pieni di rabbia, indifferenti...
Quante volte li avevo sognati?
Ormai li conoscevo bene, per me erano come l'acqua.
Ma in quel momento, forse per la paura, per la confusione che avevo in
testa, per un non so che altri motivi, mi sembrarono diversi.
Mi sembrarono quasi screziati di argento...
Per un attimo, un piccolissimo attimo, quella visione si sostituì a
quella di qualche giorno prima.
Alla barriera argentea.
Poi, veloce come era arrivato, il pensiero scomparì, e ritornai a fissare
quegli screzi.
Cosa? mi chiesi confusa. Non avevo mai notato quel particolare prima
d'ora.
Forse mi ero solo illusa di conoscerli?
Forse non erano gli stessi occhi dei miei sogni?
Forse... io non conoscevo Ryo così bene come avevo sempre
pensato?
Qualcosa scattò, in quel frangente. Qualcosa di feroce, di
incontrollabile.
La paura.
La voglia di fuggire.
La sensazione di affogare...
... e di precipitare nell'abisso...
- Lasciami andare! -
L'espressione di Ryo cambiò radicalmente, nel momento in
cui il mio braccio saettò in aria e le sue dita dovettero lasciare il mio mento.
Sembrò sgomento, confuso; i suoi occhi esprimevano un sentimento che mai avrei
voluto vedere... cosa ti ho fatto?
Ma quel qualcosa di incontrollato dentro di me non si chinò nemmeno a
quella vista.
Urlai parole che mai mi avrei pensato di dire in vita mia.
- Non toccarmi più! Lasciami in pace! -
E fuggii... non correndo, come avevo fatto dopo le parole di Zakuro, ma
con passi veloci di chi non sapeva né che stava facendo né dove si stava
dirigendo.
Ero in completa balia del miei sentimenti.Ero in alto mare, presa da una
paura folle e nemmeno sicura di aver capito ciò che avevo appena
fatto.
Ryo non avrebbe mai saputo quel che provavo per lui.
Mai.
La porta scattò dietro di me. Lasciai le scarpe all'entrata, senza
premurarmi di cambiarle con le ciabatte da casa. In punta di piedi, cercando di
fare il minor rumore possibile, mi avviai verso le scale.
Erano ormai la mezzanotte passata.La casa era tranquilla e silenziosa:
gli unici rumori che spezzavano quella pace erano il ticchettio dell'orologio e
lo strusciare delle calze sul legno del palchet.
Non dovevo assolutamente fare rumore, se mia madre avesse scoperto a chi
tarda ora ero rientrata mi avrebbe fatto il terzo grado.
E' triste, però mia madre non si fida di me.
E' sempre stato così. Nonostante tutti i bei voti che prendo, o i modi
gentili ed il comportamento responsabile. Lei è sempre lì, pronta a giudicarmi e
mettermi in riga con severità, senza mai abbassare la guardia.
Molte volte non posso fare a meno di pensare che sia in parte per colpa
sua che il mio carattere sia così... timido ed impacciato. Ho sempre molta paura
di fare la cosa sbagliata.
Per quanto riguarda la goffaggine, invece, credo di averla dentro il DNA,
insieme alla neofocena... perché nemmeno in un momento come quello riuscii a non
combinare un pasticcio!
- No! - bisbigliai, con un vago tono supplichevole, al
vaso di fiori che avevo accidentalmente spinto col gomito. Allargai le braccia
per afferrarlo.
Troppo tardi.
Il vaso cascò sul palchet rompendosi in tre grossi pezzi. L'unica cosa
che pensai in quel frangente era che, per lo meno, non sarebbe stato difficile
riaggiustarlo con della colla.
Ma mia madre non fu dello stesso parere.
- Ma che... Retasu! -
I miei genitori uscirono dalla loro camera proprio in quel momento, in
camicia da notte ed aria assonnata. Mentre mio padre si limitò ad osservare il
danno e fare un'alzata di spalle, mamma ignorò il vaso in frantumi e si diresse
verso di me con un'espressione arrabbiata.
- Ops... -
- Ma quale ops e ops! Ti rendi conto di che ore sono?
Dove sei stata fin'ora? Io e tuo padre ci siamo tanto preoccupati per te!
-
- Sono uscita con gli amici, e non mi sono portata
dietro l'orologio... - inventai su due piedi. Mamma mi squadrò da cima a fondo,
evidentemente scettica. Dopo una quantità infinita di tempo, sbottò:
- Bugiarda. Tomoyo prima ha chiamato per sapere
dov'eri, visto che non ti trovava né al cellulare né in piscina. -
Ops. Toppato alla grande. Ed ora che m'invento? pensai imbarazzata.
Osservai papà, alle spalle della mamma, in cerca di aiuto.
- Intendevo... sono andata al caffè... per una
riunione... -
- Ah sì? Ma il venerdì non era il tuo giorno libero?
-
Ops, toppato due volte. In effetti era proprio venerdì. Decisi di non
demordere, facendo forza a tutte le mie capacità inventive.
- Sì, ma c'era una riunione straordinaria. Il
proprietario ha deciso di chiudere fino a tempo indefinito. Vuole prendersi una
vacanza, penso ritorni in America per sbrigare delle faccende... così abbiamo
passato tutta la giornata a mettere a posto la cucina e gli arredi, e poi ci
sono stati i saluti... insomma, il tempo è davvero volato, non mi sono accorta
di quanto fosse tardi, davvero... -
Papà a quel punto si fece avanti. Non so bene se fosse per il sonno o per
le mie doti sceniche che l'avevano convinto delle mie parole, fatto sta che mi
venne in aiuto.
- Dai Miwako, lasciala stare. Ha fatto un po' tardi,
ma non è del tutto colpa sua... e poi che sarà mai, non è mai
successo...-
Mamma sbuffò. Mi rivolse un'occhiata indagatrice, come se volesse
sondarmi l'anima, ma fece come papà le aveva detto.
- ... ne parliamo domani. Ora fila a letto, e non
sperare che solo perché te la faccio passare liscia tu possa stare sempre in
giro fino a tardi. -
In quel momento mi ritrovai a detestare mia madre. Della mia vita facevo
quel che mi pareva. Non avevo mai dato problemi in famiglia, non ero una
delinquente e studiavo molto per portare bei voti a casa. Ma lei non lasciava
mai la presa che aveva intorno al mio collo. Come la detestai, per quel
soffocamento che subivo fin da bambina...
Però non dissi nulla. Come sempre.
Feci per avviarmi per la mia camera, però mi fermai all'ultimo secondo,
la mano ancora sulla maniglia.
- Mamma, perché Tomoyo mi ha cercata? Che ti ha detto?
-
- Non lo so, non ha detto nulla di particolare. -
scrollò le spalle. - Ma non preoccuparti, sembrava felice dal tono,
quindi non devono essere brutte notizie. Ed ora fila a letto, che domani hai
scuola! -
Non aspettai due secondi prima di infilarmi nella camera e chiudermi la
porta alle spalle. Aspettai alcuni minuti, in silenzio. Solo quando i sussurri
dei miei furono sostituiti dalle russa di mio padre mi infilai sotto le coperte,
alzai il lenzuolo fin sopra la testa e presi dalla tasca della gonna il mio
cellulare.
Composi il numero a memoria, poi aspettai che dall'altra parte quel
qualcuno mi rispondesse. Era molto tardi, perciò le probabilità che rispondesse
erano poche, eppure provai lo stesso. E fui fortunata.
« Pronto... com'è che mi chiami a quest'ora?
»
La voce di Tomoyo riempì la mia testa. Sorrisi titubante, per paura di
averla svegliata.
- Scusa... stavi dormendo? -
« No, stavo finendo i problemi di trigonometria.
Oh, Retasuchan, non ci capisco niente! » si lamentò Tomoyo, con quella sua
voce dolce e gentile.
- Domani te li faccio copiare. Senti, mamma mi ha
detto che mi hai chiamato questo pomeriggio... -
« Sì! » la sua voce cambiò velocemente,
diventando più euforica. Si era già dimenticata di trigonometria? « Oh
Retasu, è successa una cosa... ahhh! Ma adesso ti racconto... »
Appoggiai la testa sul cuscino, si prospettava un discorso molto lungo e
cominciavo a sentirmi stanca.
- Dimmi tutto... - risposi, socchiudendo gli occhi. E
Tomoyo cominciò a parlare, euforica, imbarazzata, eccitata,
sospirante.
« Manaka... Manaka si è dichiarato! »
Aprii di scatto gli occhi, all'improvviso sveglissima.
- Nooo! -
« Siìì! Oggi pomeriggio! Eravamo alle panchine
del parco delle elementari, aspettavo che mio fratello mi venisse a prendere e
lui intanto mi teneva compagnia come sempre... non so come è successo... abbiamo
cominciato a discutere su chi fosse più bello tra il cane ed il gatto, io
ovviamente parteggiavo per il gatto ma siccome lui è un bastian contrario
parteggiava per il cane, insomma era un discorso futilissimo e scemo... e
d'improvviso mi ha detto che gli piaccio, gli sono sempre piaciuta! »
Ci rimasi di sasso.
No, dire di sasso era dire poco. Ero veramente shockata. E non capivo il
perché.
Insomma, che loro due fossero innamorati l'uno dell'altra si sapeva fin
dall'inizio, però eravamo sicuri che non si sarebbero dichiarati prima dei
vent'anni. Davvero. Yuya e Mai addirittura facevano scommesse su cosa si
sarebbero inventati per stare insieme e non dirsi ancora niente sui loro
sentimenti.
Invece si erano dichiarati...
Avrei dovuto essere felice. Era il minimo, come migliore amica di Tomoyo.
Eppure mi sentii
così... così strana... così vuota e spenta... così invidiosa .Perché ora lei poteva essere sincera col
ragazzo che le piaceva, e dirgli tutto quello che provava davvero, senza cercare
bugie e scuse.
Io invece...
« Retasu... ? Ci sei? »
- Alleluia... finalmente ci siete riusciti! -
pronunciai quando la voce di Tomoyo mi riportò alla realtà. Cercai di metterci
tutto il buono ed il dolce che avevo dentro, ma il tono uscì comunque un po'
freddo. Tomoyo non se ne accorse, per fortuna.
« Sì! Non sai quanto mi senta felice... ora
stiamo insieme e mi sembra di toccare il cielo con un dito... »
- Già... -
Ci furono parecchi momenti di silenzio. Poi la voce di Tomoyo mi
raggiunse, tornando dolce e tranquilla come l'avevo sempre sentita.
« Retasuchan... spero con tutto il cuore che
anche tu un giorno riuscirai a dire il tuo segreto a Ryo. »
E quando sarebbe successo? Io cercavo di farglielo capire, di farmi
desiderare, di attirare la sua attenzione, eppure...
- Non credo che succederà mai. E poi lui è
innamorato di un'altra, lo sai. E' sbagliato. -
Tomoyo sbuffò sonoramente, dall'altra parte della cornetta.
« Oh, Retasu. Sei proprio senza speranze. Non
esiste un amore sbagliato, né tra vecchietti e ragazzine, né tra uomini e uomini
o donne e donne, né tanto meno tra te e quel ragazzo. Sei carina, dolce ed
intelligente, Retasu, eppure non riesci a vedere più in là dei tuoi difetti.
Cos'è che ti frena? »
- Tu esageri, Tomoyochan. -
« No, non esagero affatto! Quello che dico lo
credo veramente, perché ti conosco e so chi sei. Per me e Manaka non è stato
facile dirci quello che provavamo, è stato difficile quasi quanto tenerlo
nascosto. Però abbiamo trovato il coraggio di farlo e se te lo devo proprio
dire... ne è davvero valsa la pena. Perché ADESSO sono felice. ADESSO, capisci?
Non prima, quando giocavamo a fare gli amici, ADESSO che giochiamo a carte
scoperte. Devi soltanto avere fiducia in te. »
Non risposi. Rimasi lì impalata, sotto le coperte, a fissare il vuoto con
gli occhi che piano piano cominciavano a bagnarsi di lacrime, ed i pensieri di
quei giorni che mi riempivano la testa. Lasciai cadere alcune lacrime sul
guanciale, capendo finalmente cos'era che mi bloccava dall'essere
felice.
Quella barriera d'argento...
- Tomoyo... io ho paura... tanta paura... una paura
tremenda e soffocante che mi dica di no... - dissi tra i singhiozzi. Piangevo
come una bambina, e se Tomoyo fosse stata lì accanto a me mi sarei aggrappata a
lei, perché mi sentivo crollare.
« Oh Retasuchan... » disse la mia amica con
voce triste e soffocata. Avrei tanto voluto averla vicino, davvero.
- Quando lo guardo... quando lo guardo i suoi occhi mi
sembrano così impenetrabili... non riuscirò mai ad entrare nei suoi pensieri, a
guarirlo dalle sue ferite, a farmi voler bene da lui. Lui... Ryo... i suoi occhi
hanno come una barriera invalicabile di cristallo e di argento... lui non vuole
lasciar entrare nessuno, e di certo non vuole me! -
« Retasu... »
- Io... io non posso dirglielo, Tomoyo. Non posso.
-
Se prima la sua voce mi era giunta triste e comprensiva, ora sembrò più
decisa che mai, addirittura reperentoria. E ripeté una frase che ormai in quei
giorni mi perseguitava.
« Così non sarai mai felice. Dichiarati, digli
quello che provi, scavalca quella barriera! Se proprio devi, distruggila! Ma fai
qualcosa Retasu... non piangerti sempre addosso. Non è così che si diventa
felici! »
E Tomoyo buttò giù il telefono.
Fu un gesto tanto repentino che mi lasciò inebetita, le lacrime che
correvano sulle guance, gli occhi fissi nel vuoto.
Forse aveva ragione.
Forse aveva torto.
Forse avrei dovuto fare come mi diceva.
Forse così avrei sbagliato.
Forse... c'era una montagna di forse.Poi capii.
Quella barriera argentea separava il mio solito mondo triste dei
rimpianti da quello della felicità.
Era una barriera fatta d'argento. Era dura, era forte. Ed io ero debole e
spaurita.
Bisognava avere coraggio per riuscire a romperla.
Il coraggio... una cosa che mi mancava, o che forse era solo nascosta in
un angolino buio dell'anima, in attesa di essere riportata a galla.
Era difficile.
Ma se non lo avessi fatto, non sarei mai stata felice.
Buttai via le coperte e guardai l'orologio. Erano le due di notte, ed io
avevo preso una decisione.
Mi asciugai le lacrime dal viso, poi scivolai fuori dal letto e camminai
in punta di piedi fino alla finestra che dava sul cortile. L'aprii piano,
assaporando l'aria fresca e pungente della sera.
Avevo deciso.
Non mi sarei mai più tirata indietro.
Io avrei conosciuto la felicità, io avrei rotto quella
barriera.
Io sarei stata felice. E non c'era niente di
sbagliato in tutto questo.
Buttai il cellulare sul letto, sicura che in questo modo nessuno mi
avrebbe rintracciato. Quella era la mia notte, la mia decisione, la mia vita.
Nessuno si sarebbe intromesso.
E con quel pensiero bello fino a far spavento, scappai dalla finestra e
scivolai nel buio della notte.
*
Salve!
Il prossimo capitolo sarà l'ultima parte. Mi spiace
avvertirvi che per adesso la fiction è SOSPESA, ma sono mesi che non riesco a buttare giù due righe decenti.
Qui c'è una specie di spiegazione. Questo però non vuol dire che
non dovete lasciare più dei commenti, eh! XP Comunque vi ringrazio, siete stati
tutti gentilissimi e carinissimi, cercherò di mettere la parola fine al più
presto! Promesso!
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