Figlia della luna

di sonsimo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo più Cap.1: Guardarti ***
Capitolo 2: *** Cap.2: Amarti ***
Capitolo 3: *** Cap.3: Perderti; Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo più Cap.1: Guardarti ***


Prologo + Cap.1 (Figlia della luna)

Prologo

Questa notte ho avuto un incubo. Mi sono svegliato di soprassalto, ricoperto di sudore, ho temuto persino di avere urlato. La scena che ho sognato mi ha spinto ad alzarmi, nel cuore della notte, a recuperare carta e inchiostro e a sedermi qui alla scrivania, al chiaro di luna, per mettere per iscritto tutto quanto. Tutto quello che finché sarò in vita non avrò il coraggio di confessare, ma che in un modo o nell’altro va detto, va raccontato. Nella speranza che colei a cui ho taciuto la verità per tutti questi anni un giorno ritrovi queste carte scritte nel cuore di una notte di luna piena, con la preghiera che lo sconvolgimento a cui il suo animo sarà sottoposto nel leggere queste mie parole non sia ancora più potente dell’affetto che prova per me, per questo misero uomo patetico che ha paura della verità. Perché se così fosse verrò odiato dalla persona che più ho amato nella mia vita, mia figlia. La bambina che in questo momento dorme tranquilla nella camera accanto alla mia e che prende il suo nome proprio dall’astro che adesso mi fornisce la luce per mettere per iscritto questo racconto. La mia piccola si chiama Luna.

Proprio Luna è stata protagonista del mio incubo di questa notte. La mia bambina ha adesso sette anni, ma nel mio sogno era più grande, già una ragazza. Ma con quella certezza che è possibile solo nei sogni so che si trattava di lei, pur se la somiglianza non era poi così evidente. Pur se non so, in realtà, come sarà mia figlia tra qualche anno, posso solo immaginarmela. Nel sogno, la mia bambina fissava la propria immagine riflessa nelle acque del fiume dietro la nostra modesta casetta, una piccola abitazione in legno immersa nel fitto verde di un bosco, poco lontano da un villaggio che conta non più di tremila abitanti. Non ci sarebbe niente di strano, se non fosse che mia figlia stava sorvolando il fiume a cavallo di una scopa. I suoi capelli castani fluttuavano nel vento, la sua espressione era piuttosto concentrata, il volo sembrava più che naturale, come se la mia piccola salisse a cavalcioni su una scopa tutti i giorni.

Chiunque mi direbbe che si tratta di qualcosa di stupido, un sogno a cui non ha senso dare importanza. Anche mia figlia, pur se a soli sette anni, credo sarebbe dello stesso avviso. E’ una bambina piuttosto scettica! A volte ho la netta sensazione che non dia alcun credito alle favolette che le racconto la sera per farla addormentare. A scuola le hanno insegnato che la magia non esiste, che le favole sono state inventate da uomini del tutto normali, e mia figlia è molto brava a scuola.

Ma io so che sarebbe un errore fingere che il mio incubo di questa notte non abbia alcun significato. Io conosco benissimo il perché del mio sogno, so che la sua importanza non è da trascurare e soprattutto so che si tratta di un monito. Non devo dimenticare la verità, per se essa è così scomoda che il rimuginarci sopra mi terrebbe sveglio la notte.

Quando un giorno la mia bambina metterà le mani su queste pagine, poserà gli occhi sulle parole che adesso sto scrivendo, rimarrà già abbastanza sconvolta per quello che scoprirà. Non voglio quindi confonderla ulteriormente con informazioni a metà o poco chiare, preferisco raccontarle la storia nei dettagli, partendo dal principio e senza trascurare il minimo particolare.

Cap.1: Guardarti

Ho sempre vissuto in questa casa e in questo bosco, almeno dacché ho memoria. Credo che Luna lo sappia, anche se non ricordo esattamente il momento in cui glielo ho detto. Ho frequentato la sua stessa scuola, nel villaggio poco lontano da qui, ho imparato a conoscere ed amare ogni singolo albero di questi boschi come un fratello, ho amato la brezza che nelle notti d’estate scuote le fronde e i cespugli, ho amato la neve che ricopre e addormenta tutto nel suo candore. Pur se figlio unico come la mia bambina, da giovane non ho mai sofferto la solitudine, perché ogni scoiattolo, ogni uccellino sui rami degli alberi era mio amico.

Vivevo da solo con la nonna, la madre di mia madre, essendo rimasto orfano a soli cinque anni. Certo, ho sofferto molto per la perdita dei miei genitori, ma non ringrazierò mai abbastanza il cielo per aver conosciuto nella mia vita una persona straordinaria come la mia nonna. Una donna forte, volitiva, severa, ma al tempo stesso buona e affettuosa. Non ha mai frequentato nessuna scuola, non sapeva nemmeno scrivere, ma è stata la persona più colta, in un certo senso, che io abbia mai conosciuto. I boschi non avevano segreti per lei, non c’era infuso d’erbe che non sapesse preparare, non esisteva al mondo pianta di cui lei non conoscesse nome, proprietà, capacità curative. Ho imparato da lei ben più di quanto qualsiasi professore potesse insegnarmi e mi sto sforzando, ogni giorno, di trasmettere i suoi insegnamenti a Luna, di lasciarle questa piccola eredità, perché il ricordo di una donna straordinaria non venga perduto per sempre con la morte di questo mio corpo.

L’immenso affetto che ho provato nei suoi confronti, però, non mi ha affatto impedito di rendere, in taluni momenti, la vita della mia cara nonna un vero e proprio inferno. Ero un bambino molto vivace, proprio come è Luna adesso. Non ho idea di quante volte le ho sentito pronunciare la frase: “Cristiano, tu sarai la mia morte!”, né di quante volte, ridendo, ho lasciato che mi inseguisse per i prati, senza pietà per i suoi muscoli ben più vecchi dei miei.

Una donna speciale, senza alcun dubbio, così come speciale poteva essere per un ragazzino la vita nel fitto di un bosco.

Non passava giorno in cui la natura non mi svelasse uno dei suoi molteplici segreti, stimolando la mia curiosità e spingendomi a cercare sempre qualcosa di nuovo, di ancor più incredibile e stupefacente. Non c’era mistero che per me rimanesse tale per più di qualche ora, perché spendevo ogni mia energia per venire a capo di qualunque dilemma e avere una piena consapevolezza di ciò che mi circondava.

Quest’ultima affermazione può essere considerata sincera solo per il periodo precedente ai miei quindici anni, perché a quell’età ho assistito a qualcosa di cui sono riuscito a carpire parte del significato solo diversi anni dopo. Posso affermare con certezza che mai, per quanto possa essere ancora lunga la mia vita, riuscirò a comprendere fino in fondo ciò che è accaduto.

Spero che Luna, in un modo o nell’altro, possa riuscire là dove io ho fallito. So che ha buone possibilità di farcela, perché dentro di lei vive parte di quel mistero, pur se lei non ne sa nulla e questa parte del suo animo è attualmente assopita profondamente, come è giusto che sia, come era volere di colei che ha fatto parte, anzi che è stata la protagonista, di quel mistero.

Sto cercando di procrastinare l’inevitabile, me ne rendo conto. Non ho ancora nemmeno iniziato a narrare ciò che devo, come se stessi in tutti i modi provando a ritardare quel momento. Ma spero che quando Luna avrà finito di leggere questo mio scritto, possa comprendere quanto sia difficile per me trovare le parole adatte, che a mio parere forse non esistono nemmeno, per dirle quello che ha il diritto di sapere e per descrivere alcuni momenti della mia vita che, se non fosse proprio per la presenza di mia figlia, per il suo corpo così reale nella mia casa, crederei solo frutto della mia immaginazione.

Non passa giorno in cui io non mi chieda se non ho solo immaginato tutto quanto. Solo per pochi secondi, il tempo necessario per posare gli occhi su un oggetto che mi ricordi la presenza di una bambina di sette anni in questa casa, prova vivente che non si è trattato solo di un sogno. Che ho vissuto tutto per davvero.

Che  quella notte, a quindici anni, ho davvero assistito, per la prima volta nella mia vita, al Rito.

Era una fresca notte di primavera. La nonna dormiva già da un po’, ma io proprio non riuscivo a prendere sonno, così avevo deciso di affacciarmi dalla finestra sul retro della casa, quella che dà sul fiume, per prendere una boccata d’aria.

La prima cosa che ho notato, in quella notte intrisa di magia, è stato lo splendore della luna. C’era una bellissima luna piena, che fulgida irradiava un chiarore tale da far invidia alla luce del sole di mezzogiorno. Ricordo di essere rimasto immobile, con la leggera brezza notturna a scompigliarmi i capelli, per diversi minuti, a rimirare in silenzio la lucentezza del nostro satellite. E’ stato quasi naturale, un atto dovuto, seguire la scia luminosa tracciata da quella luce nel buio cielo della notte fino al fiume poco lontano da casa mia, nelle cui acque quella luce si specchiava dando origine ad uno spettacolo meraviglioso.

E allora ho visto ciò che avrebbe completamente cambiato la mia vita, pur se in quel momento si trattava solo di ombre sfocate che non riuscivo a identificare. Tre figure, ammantate di nero, avanzavano verso il fiume nel cono di luce lunare. Pur da quella distanza sono rimasto incantato dalla grazia del loro incedere, dalla poesia irradiata dal leggero ondeggiare dei loro mantelli alla brezza notturna.

Quale ragazzo di quindici anni avrebbe saputo resistere all’impellente curiosità, di fronte ad uno spettacolo del genere? Non di certo io, Cristiano, giovane cresciuto nel fitto di quei boschi, innamorato di quella natura meravigliosa.

In un attimo ero sull’uscio di casa e mi avviavo il più silenziosamente possibile verso il fiume perché, qualunque cosa fossero quelle creature che avevo scorto da lontano, non volevo disturbarle.

Da giovane ero molto meno scettico della mia Luna. Al contrario, credevo fermamente nei diversi miti e nelle leggende che la nonna mi raccontava quando ero più piccolo, per farmi addormentare. Adoravo quei racconti, amavo credere che nella nostra foresta ci fosse qualcosa di magico.

Da questo punto di vista Luna è molto diversa da me, per colpa mia, devo aggiungere. Non ho mai messo, nel raccontare le fiabe, lo stesso entusiasmo, la stessa cieca fede che era tipica di mia nonna. Non saprei dire se, inconsapevolmente, l’ho fatto di proposito. Per ritardare l’inevitabile.

A pochi metri di distanza dal fiume, mi sono accucciato sul terreno e ho proseguito a quattro zampe, per non farmi notare, approfittando del valido nascondiglio offerto dai cespugli. Quando ero ormai abbastanza vicino da vedere chiaramente le tre figure mi sono fermato, sempre al riparo dietro un cespuglio.

Si trattava di tre donne. Giunte presso la riva del fiume avevano abbassato i loro cappucci, permettendomi di studiare con cura la loro fisionomia. Uno strano diadema ornava le loro fronti, qualcosa di chiaramente simbolico, che però, complice l’oscurità comunque piuttosto fitta nonostante il chiaro di luna, non riuscivo a distinguere perfettamente. A turno, ho concentrato la mia attenzione su ciascuna di loro.

La più lontana da me aveva lunghissimi capelli neri, ondulati e piuttosto disordinati, che le ricoprivano in parte pure il volto, caratterizzato da lineamenti molto duri e marcati, per quel poco che mi era concesso di vedere. Gli occhi erano due profondi pozzi bui. Era piuttosto esile di corporatura, non molto alta, ma nonostante ciò so di non sbagliare nell’affermare che solo una parola poteva descrivere perfettamente il suo aspetto: terrificante. Per un attimo, fissando non visto quegli occhi scuri, ricordo di aver provato l’irresistibile tentazione di voltarmi e correre via, tornarmene al sicuro nella mia casetta, lontano da quella presenza minacciosa. Invece, mi costrinsi a distogliere semplicemente lo sguardo e a fissare la seconda figura.

Quest’ultima, al centro tra le altre due, aveva i capelli più corti e più ordinati, castani e lisci, e l’aspetto complessivo era decisamente meno minaccioso. Eppure, a modo suo, pur non incutendo timore nel senso più stretto del termine, pareva avvolta da un inspiegabile alone di eleganza, di grazia. Pretendeva rispetto. Era la più alta delle tre e il suo viso era certamente il più imperscrutabile.

E subito accanto, la più vicina alla mia postazione, c’era lei. Non credo ci sia modo per descrivere ciò che ho provato la prima volta che ho visto quei profondissimi occhi azzurri, brillanti di luce propria in quella notte di luna piena, i riflessi della stessa luna che giocavano con i suoi capelli neri e lucenti, creando mille riverberi di luce scintillante. Sono certo di essere rimasto a fissarla a bocca aperta per ben più tempo di quanto non ne abbia concesso alle altre due donne, che pure mi avevano incuriosito e non poco. Ma in lei, in quegli occhi dalle mille sfumature del mare, in quella figura esile ma eretta, vi era qualcosa di etereo, di stupendo, di irraggiungibile nella sua grazia che andava ben al di là del mondo umano. Incantato, fissavo il suo volto, i suoi lineamenti così fini e delicati, le labbra sottili e rosee, la pelle di un candore che non avevo mai visto prima, quei ciuffi neri ad incorniciare quel viso dall’espressione così dolce.

La differenza di età tra la ragazza più vicina a me e le altre due era evidente. Le prime erano già delle donne adulte, mentre la terza era una ragazzina, a prima vista non le avrei attribuito più dei miei anni.

Le tre donne sollevarono sulle ginocchia le vesti nere ed immersero i piedi nel fiume. Per evitare di essere scorto cercai di farmi ancora più piccolo. L’attrazione verso il mistero che aleggiava tutto attorno a loro era molta, ma al tempo stesso avevo davvero paura di essere scoperto, completamente consapevole che non avrei dovuto essere lì, che rischiavo di violare con la mia mera presenza qualcosa di sacro.

La donna al centro fu la prima ad iniziare a cantare. La sua voce era ferma e dolce al tempo stesso, il suo canto echeggiava nel silenzio della notte mischiandosi e sovrapponendosi ai rumori provocati dallo scorrere del fiume e dal vento che agitava le fronde degli alberi. Ricordo perfettamente la sensazione che ho provato, il rizzarsi dei capelli sulla mia nuca, l’accelerazione dei battiti del mio cuore, la confusione dovuta al fatto che quelle sensazioni non avevano alcun senso per me, dal momento che non riuscivo a comprendere una sola parola di quel canto. Si trattava di una lingua sconosciuta, dolce alle mie orecchie, sibilante e delicata. Il canto durò diversi minuti, quindi la donna dai capelli castani portò le mani alla fronte e si sfilò il diadema, che in quel momento riuscii a vedere più chiaramente. Una sottile catena formata da due fili d’oro e d’argento reggeva un medaglione di forma rotonda, ma ancora non riuscivo a distinguere che cosa fosse rappresentato in esso. La donna immerse il medaglione in acqua, nel punto in cui essa rifletteva la luce lunare, per tirarlo fuori dopo qualche secondo e lasciarlo ondeggiare alto sulla propria testa. Reclinò il volto all’indietro e lasciò che l’acqua scorresse dal ciondolo fin sul suo volto, il suo collo, e quindi il suo petto, inzuppando leggermente la parte superiore del suo vestito. Quindi, con lo sguardo fisso sulla luna, risistemò il diadema sulla fronte e fece un passo indietro, lasciando spazio alle proprie compagne.

Adesso era il turno della più terrificante delle tre, che prese a cantare facendo ondeggiare i lunghi capelli neri da una parte e dall’altra, con voce roca, ma non per questo fastidiosa. La sensazione di disagio che già provavo divenne però ancora più forte nell’udire il suo canto. La donna ripetè esattamente le stesse operazioni della compagna e quindi fece anche lei un passo indietro, lasciando la fanciulla dagli occhi azzurri da sola.

Me lo aspettavo già che la sua voce sarebbe stata la più incantevole. Il sussurro del vento, il cinguettio degli uccelli in primavera, il crepitio  e lo scoppiettare delle fiamme, il ticchettare della gocce d’acqua, era come se i suoni della natura fossero tutti concentrati nella sua voce meravigliosa. Quando smise di cantare avrei voluto uscire allo scoperto per chiederle di continuare, di non smettere mai di allietare il mio spirito con i suoi suoni soavi, che sembravano accompagnare la mia mente nell’oblio ed innalzarla verso il cielo, oltre le nuvole, fin sulla luna…

Incantato, fissavo i suoi movimenti perfetti, i suoi gesti armoniosi nell’immergere il diadema in acqua, portarlo in alto e lasciarsi bagnare da esso e rimetterlo al suo posto. Anche lei, quando ebbe terminato, fece un passo indietro, posizionandosi accanto alle compagne. Rimasero in silenzio per qualche minuto, quindi la più alta delle altre parlò, questa volta nella mia stessa lingua:

“Adesso l’ultima parte del Rito, sorelle. Verifichiamo se la luna ha accettato le nostre richieste”.

Stese una mano in avanti, verso un largo sasso sulla riva del fiume e pronunciò qualche incomprensibile parola a voce bassa, come se stesse parlando tra sé e sé.

Per me, in quel momento, il tempo si fermò. Infine, avevo la conferma di stare assistendo a qualcosa che andava oltre la realtà, qualcosa che non avrei mai dovuto vedere. Una scia bianca scaturì dalla sua mano protesa, viaggiò a tutta velocità verso il sasso indifeso e lo distrusse. Letteralmente, ne rimasero solo frammenti che scomparvero inghiottiti dal fiume.

Mi accorsi che stavo tremando ed ebbi paura di fare troppo rumore e di venire scoperto. La strega dai lunghi capelli neri arruffati allungò improvvisamente una mano verso un pipistrello che stava volando pigramente sopra le nostre teste ed una scia nera proveniente dalla sua mano perforò una delle sue ali, facendolo crollare a terra in evidente agonia. Non dimenticherò mai l’agghiacciante risata di quella strega. Sì, a quel punto lo avevo capito, che si trattava proprio di questo. Streghe, creature dall’aspetto umano ma dotate di poteri che di umano non avevano proprio nulla. Non ebbi però troppo tempo per affannarmi nella mia paura, perché la terza strega intervenne immediatamente, protendendo una mano verso il pipistrello ferito. Una luce azzurrognola avvolse il povero animale per qualche secondo, quindi il pipistrello, completamente guarito, si sollevò nuovamente in volo e scomparve dalla mia vista.

La strega che lo aveva ferito si rivolse quindi alla fanciulla dagli occhi azzurri con voce intrisa di scherno: “Ti faceva pena, non è vero, Leanor? Non sopporti di vedere soffrire nemmeno le più patetiche creature della Terra”.

Leanor, finalmente conoscevo il suo nome, si voltò verso di lei e le rispose con un tono glaciale, che nulla aveva a che vedere con la dolcezza del canto che poco prima era venuto fuori da quelle stesse labbra: “Stavo solo testando il Potere, Hana, solo che diversamente da te ho scelto di farlo in un modo che desse qualche vantaggio”.

“Quale vantaggio possiamo trarre dalla sopravvivenza di un essere inutile come quello?”.

“Non parlavo di un vantaggio per la nostra stirpe, Hana”.

Hana stava per replicare, probabilmente in maniera aspra, ma venne zittita dall’intervento della strega dai capelli castani, che sembrava essere quella dotata di maggiore autorità.

“Basta così, sorelle. Ciascuna di noi ha il diritto di provare il Potere come meglio crede. Adesso torniamo indietro, non manca molto all’alba, le altre ci attendono per la Celebrazione”. Detto questo, la strega allungò una mano verso le sue sorelle e sparirono tutte e tre in un turbinio di mantelli neri e fruscianti lasciandomi lì, solo, impaurito e tremante.

Non so quanto tempo mi ci volle, ma alla fine riuscii a raccogliere il coraggio necessario per rimettermi in piedi e tornare a casa. Ma di certo quella notte non riuscii a chiudere occhio. Ciò che avevo visto mi aveva profondamente sconvolto, com’era ovvio che fosse. Magia… ancora non riuscivo a crederci. Ero così eccitato e spaventato al tempo stesso, ma soprattutto curioso, desideroso di indagare, di saperne di più, di assistere ancora una volta a quella scena, di vedere di nuovo gli splendidi occhi azzurri di Leanor.

Il semplice suono di quel nome era incantevole alle mie orecchie. Credo di aver passato tutta la notte a ripeterlo a bassa voce, come una formula magica. Del resto, qualcosa di magico c’era davvero in quel nome. Il nome di una strega. Una bellissima, incantevole strega.

Nota dell'autrice: La storia si compone in totale di tre capitoli, più il prologo e l'epilogo. E' già completa sul mio pc, tuttavia la prossima settimana non potrò aggiornare perché non avrò la possibilità di utilizzare Internet. Aggiornerò quindi il 21 Settembre con il secondo capitolo. Detto questo, spero che la storia sia di vostro gradimento, dato che è la prima volta che pubblico un racconto originale su efp. Spero mi farete sapere che ve ne pare. A presto e grazie a chi ha letto e ancor più a chi vorrà recensire! Sonsimo

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Capitolo 2
*** Cap.2: Amarti ***


Cap.2: Amarti

Cap.2: Amarti

La notte successiva tornai al fiume e attesi per diverse ore che le streghe ricomparissero, ma invano. Andai avanti in quel modo per una settimana. Ero spossato per la mancanza di sonno a cui costringevo il mio corpo e mi rendevo conto perfettamente di non poter andare avanti a quel modo. Così mi rivolsi all’unica guida che avessi mai avuto, la mia onnisciente nonnina. Non le raccontai ciò che avevo visto, nonostante l’immensa fiducia che provavo nei suoi confronti temevo si sarebbe spaventata e prodigata per tenermi chiuso in casa la notte, da quel momento in poi. Le chiesi semplicemente di raccontarmi le leggende sulle streghe che mi narrava quand’ero bambino, delle quali avevo solo ricordi vaghi.

Quello che mi disse mi sembrò solo un mucchio di sciocchezze. Le sue descrizioni di un popolo malvagio, spietato, crudele nulla avevano a che vedere con la grazia, l’eleganza, la bellezza che io avevo testimoniato quella notte. Non credetti ad una sola parola di ciò che mi disse e proprio quello, temo, fu il primo di una lunga sequela di errori, fino al completo precipitare degli eventi. Ma cercai di rincuorarmi al pensiero che quelle che lei mi raccontava, dopotutto, erano solo leggende tramandate di generazione in generazione, di cui in realtà non esisteva alcuna prova. La nonna mi raccontò di famiglie che vivevano lì, nella nostra stessa foresta, scomparse nel nulla senza lasciare alcuna traccia. Non potrei dire di più, perché mi sono rifiutato di memorizzare anche una sola di quelle storie terrificanti, nella mente un paio di magnifici occhi azzurri e nel cuore il desiderio di rivedere la bellissima Leanor. Di tutto ciò che mi disse mia nonna quel giorno, memorizzai soltanto due informazioni, le uniche che al momento erano di qualche interesse per me: che, secondo la leggenda, esisteva nel nostro paese anche una comunità di stregoni, e soprattutto, che alcuni abitanti della foresta, in passato, avevano dichiarato di aver assistito, durante una notte di luna piena, ad una cerimonia tenutasi sulle rive del fiume. Incapace di attendere oltre, interruppi mia nonna:

“E tu credi che la cerimonia avvenga sempre nello stesso modo? Voglio dire, nelle notti di luna piena?”.

Mia nonna mi fissò per qualche istante prima di rispondermi, con uno sguardo a metà tra lo stupito e lo spaventato.

“Non capisco che cosa tu voglia dire, Cristiano. Sono solo leggende, dopotutto”.

Improvvisamente capii che stavo rischiando. Per quanto mia nonna potesse essere buona, comprensiva e saggia, se avesse avuto sentore di quello che avevo visto, e soprattutto del fatto che avevo tutte le intenzioni di rivedere quelle creature, dal mio punto di vista, meravigliose, nonostante quella di nome Hana mi avesse intimorito, si sarebbe di certo impaurita e avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere per dissuadermi. La guardai negli occhi e decisi che non le avrei raccontato nulla.

“Hai ragione, nonna, era solo così per dire… so che si tratta solo di leggende”.

Mi voltai e uscii di casa tirando in ballo la scusa della legna da raccogliere, senza voltarmi per assistere alla sua reazione. Avevo ottenuto quello che volevo, sapevo che adesso, per rivedere Leanor, avrei dovuto attendere il successivo plenilunio.

Trascorsi anni vivendo solo per le notti di luna piena. Al tramonto del sole inventavo una scusa qualsiasi, mi recavo in riva al fiume e attendevo impaziente l’arrivo di colei che ormai era parte della mia vita, pur non sapendo nulla della mia esistenza. Osservavo tutti i suoi movimenti sempre con lo stesso stupore per la sua grazia e la sua bellezza, lasciavo che ogni lieve sfumatura del suo sguardo si imprimesse a fuoco nella mia mente, per poter rivivere migliaia e migliaia di volte il ricordo di quei momenti, durante il periodo in cui non avrei potuto vederla. Ma non avevo il coraggio di uscire allo scoperto, consapevole del fatto che non avrei dovuto trovarmi lì, che avrei finito col rovinare tutto, che in qualche modo, se si fossero accorte di me, mi avrebbero impedito di rivederla. E la mia vita non avrebbe avuto più alcun senso.

A volte, riflettendo, temevo di essere vittima di un incantesimo. Era impossibile che la semplice immagine di una ragazza mi avesse ossessionato al punto tale da non riuscire a pensare a nient’altro. Ma poi mi bastava rivederla, illuminata da un raggio di luna, col suo diadema tra le mani e le gocce d’acqua che scivolavano leggere lungo la pelle pallida del suo collo, ed ogni dubbio scompariva senza lasciare traccia alcuna del suo passaggio. Non era possibile rimanere indifferenti di fronte ad uno spettacolo come quello, nessun uomo sarebbe riuscito a farlo, era questo che mi ripetevo durante le mie notti insonni, in attesa del successivo incontro, o meglio della successiva occasione che avrei avuto per spiarla. E’ innegabile, nonostante tutto ciò che accadde successivamente, in quel periodo la mia era una vera e propria ossessione. Un’ossessione malata, aggiungerei.

Poi un giorno accadde ciò che mai avrei ritenuto possibile. La svolta della mia vita, uno di quei momenti che sconvolgono completamente la tua esistenza, trasformando tutto di te, dal tuo modo di pensare alla tua percezione dì ciò che ti circonda. Ancora adesso non so dove ho trovato il coraggio per fare quello che ho fatto. E ancora una volta mi accorgo che mi sto dilungando inutilmente nel mio racconto, cercando di rimandare il momento in cui dovrò descrivere uno degli avvenimenti che più mi fa male ricordare. Ma devo farlo, non posso fermarmi adesso. Posso solo sollevare per un istante lo sguardo verso la luna che silenziosa e impassibile brilla nel cielo oltre la finestra della mia camera da letto, prima di riprendere a raccontare.

Una notte, alla fine del Rito, Leonor rimase indietro rispetto alle sue compagne. Si rivolse alla più alta delle tre, di cui ormai avevo pure imparato il nome, Merenwen, e le chiese di rimanere per un po’ da sola nella foresta, prima di fare ritorno presso il loro popolo. Venne accontentata, e non appena le altre due streghe scomparvero, si sedette in riva la fiume, un’espressione assorta sul suo volto. Non seppi resistere. Ero spaventato ed eccitato, ma lasciai vincere l’eccitazione e uscii dal mio nascondiglio ormai così ben collaudato.

Non dimenticherò mai il suo volto, la prima volta che mi vide. Balzò in piedi, evidentemente presa alla sprovvista dalla mia improvvisa apparizione, la confusione che alterava i suoi delicati lineamenti, ma si ricompose immediatamente. I suoi occhi divennero gelidi, la sua espressione impenetrabile, sembrava che nulla al mondo potesse scalfirla. La sua voce era estremamente calma, in completo contrasto con la battaglia che in quel momento si combatteva dentro di me.

“Chi sei?”.

Deglutii più volte, prima di riuscire a parlare. Con improvvisa audacia, stesi una mano nella sua direzione.

“Il mio nome è Cristiano. Abito qui vicino. Piacere”.

Leanor spostò lo sguardo dai miei occhi alla mia mano e la fissò a lungo, come se non riuscisse a capire bene che cosa avrebbe dovuto fare con quella mano che le veniva offerta. Quindi mi guardò di nuovo ed io sentii tremiti attraversarmi nel profondo, sottoposto al suo freddo scrutinio. Ma per niente al mondo, in quel momento, avrei voluto trovarmi da un’altra parte. Improvvisamente un lampo di consapevolezza attraversò i suoi occhi e Leanor sussurrò:

“Non sei uno stregone”.

Finalmente ritirai la mano, ancora stupidamente protesa in avanti, e cercai di utilizzare il mio tono di voce più spavaldo.

“No. Tu sei una strega, invece”.

L’ombra di un sorriso sul suo volto e il mio cuore balzò di gioia nel petto.

“Già, ma tu non dovresti saperlo”.

Leanor fece un passo verso di me, gli occhi scintillanti, un angolo della bocca piegato all’insù, la sua voce ben più sicura della mia, per quanto io potessi giudicare.

“Nessun essere umano può incontrare una strega e passarla liscia”.

C’era qualcosa di terribilmente minaccioso nel suo modo di pronunciare la parola “strega”. Non credo di essere capace di trasmettere a parole quello che quel semplice vocabolo poteva diventare, se veniva fuori dalle sue labbra. Provai l’improvvisa tentazione di fare un passo indietro ma mi costrinsi a rimanere fermo al mio posto. Ero un uomo, dannazione, e, poteri magici o no, non mi sarei tirato indietro come un vigliacco impaurito di fronte ad una ragazza! Il mio tono rimase piuttosto spavaldo.

“Non mi fai certo paura”.

A quel punto, per la prima volta, Leanor sembrò titubare.

“No?”.

“Niente affatto”. 

Mi parve molto strano che, tra tutte le emozioni che avrebbe potuto provare nel sapere che un comune, banalissimo essere umano non aveva paura dei suoi incredibili poteri, Leanor apparisse semplicemente sollevata. Rincuorata. Decisi immediatamente che si trattava di una cosa positiva e ripresi a parlare.

“Sono felice, anzi, di poter parlare con te. Erano anni che volevo farlo ma… ecco…”.

“Anni?” la voce di Leanor era adesso leggermente aspra, sospettosa. Ma ormai era inutile tirarsi indietro, non avrei potuto comunque continuare a nascondermi, non dopo aver avuto la possibilità di parlare con Leanor, faccia a faccia, di essere così vicino a lei da sentire i suoi respiri e vedere ancora più chiaramente i suoi occhi meravigliosi. No, non sarei più riuscito ad accontentarmi di osservarla in silenzio, mai più.

“Sì. Da quando ho visto per la prima volta la vostra… cerimonia… sono ritornato qui al fiume durante ogni plenilunio…”.

Con un coraggio che non mi apparteneva del tutto, aggiunsi: “Per rivederti”.

A quel punto, i suoi occhi si allargarono leggermente, stupiti. E con mio sommo orgoglio, fu lei a fare un passo indietro, poteri magici o no.

“E perché volevi… rivedermi, umano?”.

Imperterrito, feci un passo verso di lei.

“Chiamami Cristiano. Volevo rivederti perché… perché…”.

Decisi di chiudere la bocca prima di rovinare tutto iniziando a balbettare. Leanor mi tirò fuori d’impaccio, sorridendo, questa volta apertamente.

Credo fu in quel momento che ogni possibilità, seppur remota, di tornare indietro ed evitare ciò che accadde successivamente, scomparve del tutto, distrutta, ridotta a brandelli da quel sorriso. Le sorrisi di rimando e la guardai mentre si sedeva nuovamente sulla riva del fiume, nella stessa posizione in cui si trovava prima che le comparissi davanti, e stupito vidi il gesto col quale mi invitava a sedermi accanto a lei. Ovviamente non persi tempo, obbedii immediatamente e più che volentieri. Trascorremmo quella prima notte quasi completamente in silenzio, fatta eccezione per qualche mio stupido commento sulla bellezza della luna e delle stelle, seduti immobili l’uno accanto all’altra, le mani di Leanor che giocherellavano con i fili d’erba ed io che osservavo rapito ogni suo gesto. Poco prima che il sole facesse capolino all’orizzonte mi disse che era ora di andare ed in un attimo era scomparsa.

Ma quella volta tornai a casa molto più soddisfatto rispetto alle precedenti notti di luna piena ed ancor più eccitato nell’attesa del prossimo incontro. Certo, non mi aveva detto nulla, non aveva accennato alla possibilità di trascorrere un altro po’ di tempo insieme dopo il successivo Rito, ma la cosa non mi preoccupava. Ero assolutamente sicuro che sarebbe rimasta di nuovo, il suo sorriso mi aveva detto tutto quello che dovevo sapere.

Ed avevo perfettamente ragione. Da quel momento, ad ogni plenilunio, Leanor riusciva a rimanere indietro rispetto alle sue compagne al termine del Rito e trascorrevamo delle splendide ore seduti sulla riva del fiume, dimentichi del mondo esterno. A poco a poco riuscimmo a superare l’iniziale barriera della timidezza e a parlare sempre di più, di qualunque cosa ci passasse per la testa. Io le raccontavo della mia vita, del modo in cui trascorrevo le mie giornate, e lei mi parlava del suo popolo, della loro cultura, del suo ruolo all’interno di quella comunità. Venni a sapere che lei, Hana e Marenwen avevano il ruolo di sacerdotesse, che quel Rito durante le notti di luna piena aveva lo scopo di garantire alla comunità di streghe il favore della luna, loro protettrice e, a detta di Leanor, fonte dei loro poteri. Ad essere sincero, quando si addentrava in descrizioni troppo dettagliate sulla natura dei loro poteri capivo ben poco di quello che mi diceva. In gran parte rimaneva un grande, arcano mistero per me.

Una sera in particolare osservai con attenzione il diadema che Leanor portava sulla fronte e le chiesi che cosa significasse. Lei si avvicinò per permettermi di guardarlo meglio ed io vidi che in esso era raffigurata una falce di luna bianca su fondo nero. Non furono necessarie ulteriori spiegazioni perché ormai mi era chiaro che le streghe consideravano la luna fonte dei loro poteri. I miei occhi resistettero solo qualche secondo prima di abbandonare il diadema e concentrarsi su quelli di Leanor, già fissi nei miei. Quella fu la prima volta che posai le mie labbra sulle sue.

Durante il Rito successivo accadde qualcosa di strano. Prima che Merenwen e Hana se ne andassero, quest’ultima si voltò nella direzione del mio nascondiglio, gli occhi ridotti a due fessure sospettose. Per un attimo temetti che si fosse accorta della mia presenza, ma poi si voltò e se ne andò, così mi concentrai solo sulla mia bellissima strega e dimenticai completamente l’accaduto.

Nota dell'autrice: Aggiornamento anticipato! Grazie di cuore a Martyx, Yami e Dark Ailbhe per aver recensito, mi avete fatto un immenso piacere e spero che, andando avanti, la storia sia all'altezza delle vostre aspettative. Al prossimo aggiornamento, che con ogni probabilità avverrà nel prossimo fine settimana!



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Capitolo 3
*** Cap.3: Perderti; Epilogo ***


Cap.3+epilogo Figlia della luna

Cap.3: Perderti

I mesi trascorrevano, scanditi dalle fasi lunari, ed io e Leanor diventammo amanti, a tutti gli effetti. Io avevo ormai vent’anni, ero un adulto anche se per mia nonna sarei rimasto sempre e solo un ragazzino, e la mia mente galoppava a briglia sciolta, percorrendo sentieri in realtà impraticabili. Cieco, non mi rendevo conto degli insormontabili ostacoli che avevo dinanzi, credevo di poter rimanere così, tra le braccia di Leanor, sulle rive di un fiume, per sempre. Ma la realtà era ben lontana dai miei sogni infantili. Leanor era una strega, e alle streghe non era concesso di innamorarsi degli esseri umani.

La luna non brillava nel cielo la notte in cui improvvisamente mi trovai davanti Hana. Stavo per tornare a casa, ero stato al villaggio per alcune commissioni, quando dovetti fermare il carro di fronte alla sua figura che si stagliava dinanzi a me, coperta dal mantello nero, col cappuccio calato fin sugli occhi. Pareva emergere dalle tenebre, come un minaccioso presagio di sventura.

“Cristiano, scendi da quel carro”.

Non saprei dire se fosse stato più il tono della sua voce o il fatto che conoscesse il mio nome a spaventarmi. Mi avvicinai a lei cercando in tutti i modi di frenare l’istinto che mi suggeriva di scappare. Hana abbassò il cappuccio e mi fissò con occhi di ghiaccio.

“Stupido piccolo umano” la sua voce era solo un sibilo, un sussurro appena percettibile.

“Cosa… cosa vuoi da me?”.

Mi fissò dritto negli occhi.

“Leanor aspetta un figlio da te”.

Non so come, riuscii a rimanere in piedi, nonostante la sensazione che le ginocchia avessero ceduto sotto al mio peso. La fissai ad occhi sgranati per quella che mi parve un’eternità, incapace di comprendere pienamente il significato delle sue parole o di parlare a mia volta, finché non fu lei a proseguire:

“Le conseguenze saranno terribili”.

“Cons…” 

Hana mi interruppe con voce colma di rabbia: “Una strega non può mischiare il proprio sangue con quello di un essere umano, può unirsi solo ad uno stregone! Leanor verrà sottoposta al Giudizio e con ogni probabilità verrà condannata!”.

Adesso cominciavo a capire qualcosa, ma non ero ancora del tutto lucido. Condannata. Volevano far del male a Leanor, e tutto per causa mia, perché xi amavamo e aspettava un figlio. Mio figlio.

Non l’avrei permesso, per nessun motivo al mondo. Avrei lottato con le unghie e con i denti, se necessario, per proteggerla. Guardai minaccioso Hana.

“Non vi permetterò di farle del male. Verrà a vivere con me, mi prenderò cura di lei e del bambino e…” non riuscii a terminare la frase. Hana alzò una mano, la furia nel suo sguardo, e mi ritrovai scaraventato a terra, a qualche metro di distanza. La strega mi si avvicinò immediatamente.

“Sei uno sciocco se credi che sia così facile. Leanor non può venire con te ed anche se avesse facoltà di decidere non lo farebbe, possibile che tu non te ne renda conto?”.

“Lei mi ama”.

“E’ una strega. Una creatura dell’Oscurità. Il suo posto è tra le sue sorelle, tra la sua gente. Non ha niente a che spartire con te e nemmeno con quella creatura dal sangue misto che porta in grembo”.

Sentii la rabbia prendere il sopravvento nella mia mente. Le mie mani si strinsero in pugni mentre mi rimettevo in piedi senza distogliere lo sguardo da quello freddo di Hana.

“Come osi… come osi parlare in questo modo? Tu non… non hai cuore!”

La sua fredda risata mi ferì ancor più delle sue parole:

“Esattamente come Leanor. Te l’ho detto e te lo ripeto: siamo streghe, sciocco ragazzino! Le nostre scelte non potranno mai avere un senso per te”.

Stavo per avventarmi su di lei con tutte le mie forze, incurante del netto vantaggio che aveva nei miei confronti grazie ai suoi poteri, quando dinanzi ai miei occhi comparve Leanor, esattamente tra me ed Hana. Tutto il suo corpo era rigido e a prima vista sarebbe parsa tranquilla, ma i suoi occhi azzurri avevano assunto le sfumature di colore di un mare in tempesta. Mi fissò solo per un momento, quindi si volse verso la “sorella”.

“Non avresti dovuto venire qui, Hana. Non era compito tuo avvertirlo”.

L’altra strega, per tutta risposta, fece un passo verso Leanor, che rimase ferma al proprio posto.

“Oh, ti sbagli di grosso mia cara. Sei tu che non dovresti trovarti qui. Tu, che hai tradito il tuo popolo, il tuo sangue! Ma ben presto avrai quello che ti meriti. Te l’ho sempre detto che avresti dovuto imparare a mantenere il tuo posto, ma non hai voluto ascoltarmi e adesso dovrai pagarne le conseguenze!”.

Detto questo, Hana uscì di scena, scomparendo improvvisamente dalla mia vista. Leanor abbassò lo sguardo e per un po’ restammo in silenzio, entrambi alla disperata ricerca delle parole giuste da pronunciare, entrambi timorosi, probabilmente, di quello che ci attendeva. Alla fine riuscii, con immenso sforzo, a parlare. La mia voce era forzata, innaturalmente calma, mentre quella di Leanor era appena un sussurro.

“Così… è vero?”.

“Sì”.

Finalmente si voltò a guardarmi. Mi sarei aspettato di vedere qualche lacrima solcare le sue guance, ma i suoi occhi erano asciutti. Eppure io riuscivo a scorgerla chiaramente la sofferenza in fondo a quelle iridi azzurre. Solo questo bastò per far svanire ogni traccia di paura dal mio animo. Mi avvicinai a Leanor e la strinsi forte tra le mie braccia, vincendo facilmente il suo misero tentativo di tirarsi indietro.

“Andrà tutto bene. Si risolverà tutto, vedrai”.

La mia amata appoggiò il capo sulla mia spalla e sospirò. La sua voce, adesso, era leggermente tremante:

“Tu non capisci… non è così semplice…”.

La scostai leggermente da me, tenendola per le spalle, e la guardai dritto negli occhi.

“Non possono farti del male, non ne hanno alcun diritto. Quell’Hana… ma perché ce l’ha così tanto con te, poi?”.

Leanor sorrise debolmente:

“Non mi ha mai potuto soffrire, vediamo le cose in maniera troppo diversa. Io non ho mai usato i miei poteri per fare del male a creature indifese e ho sempre impedito a lei di farlo, ogni volta che ne ho avuto la possibilità. Ma non è soltanto lei… quello che è successo tra noi è molto grave, Cristiano, l’intera comunità è in collera con me, li ho traditi”.

“Ma che cosa dici? Tu non hai tradito proprio nessuno! Hai tutto il diritto di innamorarti e…”

“Io sono una strega, Cristiano”.

Non trovai nulla da dire. Il tono con cui Leanor aveva pronunciato la parola “strega” era totalmente diverso rispetto alla prima volta in cui glielo avevo sentito dire. Nel suo tono non c’era sfida, non c’era orgoglio, solo sconfitta. La strinsi a me un po’ più forte e rimasi in silenzio, incapace di rassicurarla, incapace di fare qualsiasi altra cosa che non fosse abbracciarla. Per la prima volta mi rendevo conto che non avevamo futuro. Hana era stata crudele, priva di qualsiasi delicatezza, ma aveva detto la verità: pur se avesse potuto, Leanor non avrebbe scelto di rimanere con me e abbandonare la sua comunità, l’idea era semplicemente ridicola.

A questo punto mi rendo conto che quando mia figlia leggerà le mie parole potrebbe farsi un’idea sbagliata. Leanor mi amava davvero. Per una mente umana potrebbe risultare difficile da comprendere il fatto che, nonostante mi amasse, lei non avrebbe mai scelto di stare con me. Ma per una mente umana, appunto, e Leanor era una strega. Inutile sforzarsi di trovare altre ragioni, altre spiegazioni al suo comportamento, ed inutile al tempo stesso cercare di afferrare pienamente il senso delle sue azioni. Io stesso ci ho provato, ho rimuginato sugli eventi di quel periodo a lungo, finché mi sono arreso. Finché ho compreso che non sarei mai riuscito a capirla fino in fondo.

Una strega e un essere umano.

Dovevo capirlo fin dall’inizio che non sarebbe stato possibile.

Durante il periodo della gravidanza di Leanor, mia nonna si ammalò e morì, nel giro di qualche settimana, lasciandomi a vivere da solo nel cuore della foresta. Mi sono chiesto spesso se le cose sarebbero potute andare diversamente se fin dall’inizio avessi chiesto il suo consiglio. Alla fine ho smesso di tormentarmi, ho cancellato tutte le congetture e le supposizioni dalla mia mente ed ho imparato ad accettare ciò che la vita mi ha dato.

Che la colpa sia mia, o di Leanor, o del fato…

In fin dei conti, non ha nessuna importanza.  

A Leanor furono tolti gli incarichi da sacerdotessa, cosicché non mi era più concesso di vederla nemmeno durante le notti di luna piena. Imperterrito, mi recavo lo stesso in riva al fiume, per cercare di estorcere qualche informazione a Merenwen, dato che non avevo nessun altro modo per sapere qualcosa su Leanor. Le ripetevo sempre che volevo esserci anch’io, che volevo essere presente, quando Leanor sarebbe stata sottoposta al Giudizio.

Una sera, finalmente, Merenwen decise di rispondermi.

“Devi smetterla di venire qui al plenilunio, Cristiano. Leanor ha dovuto lottare per convincere la comunità a non ucciderti, ma ti assicuro che la loro decisione non è ancora definitiva. Non se lo perdonerebbe mai se dovessero farti del male, non te ne rendi conto?”.

Non me ne importava proprio nulla di quelle sciocchezze. Nonostante l’apparente indifferenza, sapevo che Merenwen era dalla parte di Leanor, la mia amata mi aveva spesso raccontato di quanto fosse saldo il loro rapporto. Le ripetei la mia richiesta.

“Non puoi essere presente. E’ impossibile. Anzi, la tua apparizione non farebbe altro che indispettire ancor più la comunità e questo non giocherebbe certo a vostro favore, non credi?”.

A quel punto decisi di buttare al vento ogni cautela e di parlare chiaro. Volevo conoscere le possibilità. Merenwen mi parlò con una franchezza di cui non la credevo capace.

“Potrebbero decidere di uccidere il bambino e punire Leanor”.

“Uccidere il bambino? Non possono farlo, è mio figlio!”.

Merenwen incrociò il mio sguardo. Ero arrabbiato, disperato. Mi sentivo completamente impotente. Sentii bruciore agli angoli dei miei occhi. Le lacrime premevano per sgorgare, ma tentavo con tutte le mie forze di trattenerle. Lei se ne accorse e si avvicinò.

“Ascoltami attentamente, Cristiano. Io posso provare a salvare tuo figlio, ho molta più influenza di quanta non ne abbiano Leanor o Hana presso la corte di streghe che dovrà giudicare l’accaduto, posso intercedere per voi, ma tu in cambio devi farmi una promessa. Devi promettermi che accetterai qualsiasi decisione presa da Leanor dopo il Giudizio, che non cercherai di rivederla contro la sua volontà, che non la metterai nuovamente in pericolo in alcun modo. Puoi fare questo?”.

“Io…”.

“Puoi farlo?”.

Sospirai e chiusi gli occhi per un istante. Mi stava forse chiedendo di scegliere tra Leanor e la vita di mio figlio? No, non era così. Mi stava semplicemente domandando di rispettare la volontà della donna che amavo, che per causa mia si trovava già ad affrontare un grande pericolo. Glielo dovevo.

“Certo” risposi.

In qualche modo, sapevo che quella promessa avrebbe condizionato il resto della mia vita.

Merenwen mi informò che il Giudizio avrebbe avuto luogo subito dopo la nascita del bambino e mi promise che avrei immediatamente avuto notizie al termine della cerimonia.

Il tempo trascorreva con innaturale lentezza, per me. La paura di perdere Leanor e un bambino che ancora non conoscevo, ma che già era parte di me e che amavo con tutto me stesso, attanagliava il mio cuore. Furono i nove mesi più lunghi della mia vita.

Quando seppi che il tempo del parto era ormai vicino, presi a recarmi ogni notte al fiume, sapendo che al momento opportuno le informazioni mi sarebbero state portate proprio lì. Ogni notte osservavo la luna, pregandola silenziosamente.

Era destino che la luna piena dovesse essere presente nei momenti più importanti della mia vita. Durante una delle mie veglie infatti, alla luce del plenilunio, Leanor e Merenwen si materializzarono dinanzi ai miei occhi. Non ci fu alcun Rito quella notte. Leanor stringeva tra le braccia un fagottino avvolto in una coperta azzurra.

Merenwen rimase in disparte mentre l’unico amore della mia vita mi si avvicinava e tendeva le braccia, invitandomi a prendere dalle sue mani il fagotto.

Un ciuffetto di capelli castani, dello stesso colore dei miei, sulla fronte, e un paio di magnifici occhi azzurri. Mi innamorai all’istante della mia bambina.

“Il Giudizio ha deciso di risparmiarla. Dovrai prenderti cura tu di lei. E’ una strega, ma i suoi poteri sono stati inibiti e sono sotto controllo. Finché non saprà di averli, e non vorrà utilizzarli, non si manifesteranno”.

“Tu che cosa…”.

“Io non vi vedrò mai più. La bambina ha per metà sangue umano, quindi la comunità non può accettarla. Mi è stato ordinato di liberarmene o revocheranno la loro decisione e la uccideranno”.

Strinsi la piccola con un braccio solo e afferrai il braccio di Leanor con una mano.

“La terrò con me, certo, ma tu… puoi stare con noi anche tu, no?”.

Leanor mi guardò tristemente ma non rispose, così proseguii:

“Puoi… puoi rimanere con le altre streghe e venire a trascorrere dei periodi con noi, oppure…”

Il mio balbettio venne zittito da un dito di Leanor posato sulle mie labbra.

“Non posso. Il mio posto non è con te. Inoltre sareste in pericolo, le altre non tollererebbero una situazione del genere, potrebbero cercare di farvi del male. Non posso più vedervi, né te né la bambina. Questo è un addio, Cristiano”.

Osservai intensamente il suo volto, alla luce della luna, e mi sentii in collera con lei. Appariva così fredda, così distaccata e indifferente, come se non le importasse nulla di non vedermi mai più, di non vedere mai più nostra figlia.

Per un istante la odiai, devo ammetterlo. Dopotutto, sono solo un uomo, ho i sentimenti di un uomo. Un cuore di carne batte nel mio petto. La mia mente ragiona in maniera semplice, non c’è niente di oscuro, arcano e misterioso dentro di me.

Durò solo un attimo, poi l’odio lasciò il posto all’accettazione e alla comprensione, seppur incompleta. Guardai negli occhi di Leanor a lungo, quindi spostai lo sguardo in quelli della bambina tra le mie braccia, così identici ai suoi. Era così bella, inconsapevole del fatto che il suo destino veniva deciso proprio lì, in quel momento…

Fu allora, che perdonai. Perché solo perdonando avrei potuto andare avanti con la mia vita, prendermi cura di quella bambina che aveva tutto il diritto di essere amata.

Perdonai il fato, che si era preso gioco di me così crudelmente.

Perdonai le streghe che non mi avrebbero permesso di rivedere la mia amata.

Perdonai Merenwen, per avermi estorto quella promessa di cui in quel momento comprendevo pienamente il significato.

Perdonai Leanor, che mi amava, certo, ma di un amore diverso dal mio, che non riuscivo a comprendere, che rimaneva per me un mistero. Profondo ma doloroso. Oscuro.

E perdonai me stesso, perché la amavo nell’unico modo in cui ero capace di amare, come un comunissimo essere umano.

E ciò mi allontanava inesorabilmente da lei.

Riportai lo sguardo su Leanor. Non ci fu bisogno di risponderle, di dirle che avevo capito. Lei accarezzò brevemente la bambina su una guancia e disse, prima di voltarsi e scomparire per sempre dalle nostre vite:

“Vorrei che facessi un’ultima cosa per me -portò un attimo lo sguardo sulla sua protettrice che lucente splendeva in cielo- vorrei che la chiamassi Luna”.

Mi guardò per un’ultima volta negli occhi e, per un attimo eterno, ricambiai il suo sguardo, quindi svanì, inghiottita dalle tenebre.

Quella fu l’ultima volta che la vidi.

 

Epilogo

Per mezzo di queste pagine, chiedo perdono a mia figlia. Le chiedo perdono per non aver avuto il coraggio di dirle la verità. La chiedo perdono perché è stato necessario un sogno per spingermi finalmente a fare quello che da tempo avrei dovuto fare.

Le chiedo perdono per non averle mai parlato prima di sua madre Leanor e soprattutto le chiedo perdono se le mie parole l’hanno spinta a pensare di non essere stata amata da lei. Sarebbe un grosso errore.

Leanor ha amato sua figlia, e sono certo che, da qualche parte, ai confini tra il mondo degli uomini e quello delle creature magiche, l’eco di quell’amore è ancora presente e protegge la piccola Luna da ogni male. Capisco che per una figlia può essere duro da accettare, sapere di essere stata abbandonata dalla madre ancora in fasce. Posso solo dirle di non soffermarsi troppo a riflettere, di non cercare di trovare spiegazioni per il comportamento di Leanor. Ma chissà, forse le mie preoccupazioni sono superflue. Forse mia figlia, una volta cresciuta, riuscirà a comprendere meglio di me il comportamento di sua madre. Dopotutto, Luna è una strega per metà.

Finalmente, l’uomo dai capelli castani smise di scrivere. Poggiò la penna sulla scrivania e si voltò a guardare la luna piena, splendente nel cielo. Una lacrima scese dai suoi occhi. Un improvviso bagliore proveniente dalla scrivania dalla quale aveva appena distolto l’attenzione attirò il suo sguardo. Il suo scritto era scomparso e al suo posto vi era adesso un foglio nero, su cui erano scritte alcune parole di colore azzurro. Tremante, Cristiano prese tra le mani il foglio e lesse quelle poche parole.

“Il  manoscritto ricomparirà tra le tue mani sul tuo letto di morte, cosicché Luna potrà leggerlo. E conoscere la verità. Leanor”.

Gli occhi dell’uomo si spalancarono. Adesso aveva la conferma di ciò che sempre aveva sospettato: Leanor vegliava su lui e su Luna, giorno dopo giorno seguiva lo svolgersi delle loro vite.

Cristiano ripiegò con cura il foglio, lo ripose in uno dei cassetti della scrivania e se ne tornò a letto, sorridendo.

FINE

Nota dell'autrice: Eccoci alla fine di questo racconto. Ringrazio di cuore coloro che lo hanno seguito, in particolare Matryx per l'affetto che mi mostra sempre nel leggere tutto ciò che pubblico e Bluemary per la sua stupenda e dettagliatissima recensione ai capitoli precedenti, che mi ha fatto un immenso piacere. Spero di essere riuscita nell'intento di trasmettere delle emozioni con questo mio racconto. Come sempre, i commenti sono più che graditi^^ Se dovesse presentarsi la necessità, risponderò ad eventuali domande sul forum, sul mio topic autore.

Grazie ancora a tutti e alla prossima! Sonsimo

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