Riflesso

di Lilyth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** 1 ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Come ogni mattina, giusto per mantenere una certa coerenza con il mio essere, ero profondamente animata da un senso di irrequietezza e nervosismo che negli anni mi aveva fatto guadagnare il dolce appellativo di “furastica”.
In realtà, non ero così, o almeno non in modo così esagerato come il nomignolo faceva trapelare.
Tendenzialmente il mio nervosismo iniziava al momento del risveglio e si protendeva fino all’arrivo alla mia metà, li si dissipava lasciandomi carina e gioviale (al massimo delle mie capacità, che forse non erano neanche tanto alte).
Per avere 25 anni avevo ancora la capacità di comportarmi come un’adolescente in piena crisi ormonale, il che iniziava a creare anche qualche problema.
Ah sì, era difficile essere me,
ma credo che lo fosse ancora di più il dovermi sopportare dalla mattina alla sera e nonostante tutto non volermi uccidere.
Probabilmente le persone che mi circondavano o erano santi o dovevano volermi veramente tanto bene.
Uscii di casa trafelata, mezza struccata e con i capelli in disordine.
Il cipiglio che mi  padroneggiava il volto aveva fatto in modo che la mia famiglia non facesse il grave errore di provare ad avere un colloquio normale con me.
Il vento continuava ad alzare il bavero della giacca, al terzo tentativo mi arresi e lasciai che facesse ciò che voleva con i miei capi di abbigliamento.
Ero in ritardo.
Ero in ritardo ed odiavo esserlo.
Mi feci di corsa il tratto che separava il portone dalla fermata dell’autobus e praticamente mi lanciai tra le porte della vettura esattamente qualche secondo prima che si chiudessero.
Presi fiato ricomponendomi e scivolai tra i passeggeri per evitare di occupare lo spazio davanti all’uscita, infilai le cuffie e accessi l’mp3.
Io e il mio mp3, l’unico vero rapporto d’amore che potessi ammettere di aver avuto nella mia intesa se pur breve esistenza.
Riuscivo  a scacciare via l’angoscia che attanagliava il mio animo complesso solo perdendomi tra le note e le parole che ormai sapevo a memoria, immaginando storie o vicende durante il percorso casa-università o casa-lavoro.
In poche parole, con il senno del poi, era la mia unica ancora di salvezza per non soccombere a me stessa.
 
Scesi alla mia fermata facendomi largo a spallate tra la calca, scesi dal bus peggio di come vi ero entrata, ma poco m’importava.
Entrai nello studio medico sfilando la giacca e attaccandola al primo appendi abiti vuoto, forse ero la prima, anzi no, sicuramente ero la prima.
La segreteria era già aperta da un buon quarto d’ora ma nei paraggi non c’era neanche un medico.
< dottoressa anche questa mattina con quaranta minuti di anticipo, lei deve dormire di più mia cara! >
Sorrisi appena affacciandomi al gabbiotto della segreteria
< ciao Maria >
Ricevetti un sorrisone di risposta che non fece altro che aumentare lo stato di calma zen che mi assaliva appena mettevo piede in quel luogo
< come mai così presto bella? >
mi sedetti accanto a lei sospirando
< non lo so, penso che sia perché amo questo posto quando ancora non c’è nessuno, e anche perché se voglio dare la tesi entro maggio devo essere sempre puntuale. A quel punto quando mi chiamerai dottoressa potrò quasi crederti >
< oh, Dry >
fece tamburellare le dita sul tavolo in segno di impazienza
< devo ripetertelo tutte le mattine che la tua specializzazione servirà solo a confermare il fatto che sei una psicologa in gamba? >
Lo so, il fatto che fossi così suscettibile e irascibile farà domandare a molti come ho fatto a laurearmi in psicologia e a pretendere di aiutare gli altri non sapendo aiutare neanche me stessa.
Effettivamente la stessa domanda deve essermi passata in mente parecchie volte e non deve aver trovato uno straccio di risposta, il che mi aveva portato ad arrendermi.
Sorrisi a Maria che continuava a guardarmi con aria di finto rimprovero e facendolo lanciai un’occhiata all’orologio.
< le 7:50, fine dei giochi, vado a prepararmi. >
< ciao Dottoressa, domani dormi un po’ di più. >
 
Salii le scale sorridendo tra me e me, oltre alla musica quella era un’altra cosa che mi permetteva di sopravvivere, una tranquilla chiacchierata senza fretta la mattina.
Raggiunsi il piccolo studio che accoglieva me e il mio supervisore, aprii la porta cigolante ed aprii immediatamente le finestre per lasciare entrare aria pulita.
Altri dieci minuti e tutto quel silenzio sarebbe svanito in un via vai di voci, passi, presenze, lamenti e storie nuove che si accavallavano l’una sull’altra, impazienti di essere ascoltate, capite, aiutate.
Ero pronta?
Ero pronta ad affrontare tutto quello per un’altra mattina?
Non lo sapevo, non l’avevo mai saputo; vivevo ancora quella sensazione di smarrimento e incertezza, la stessa che mi aveva accompagnata nella scelta della scuola superiore, poi dell’università e poi ancora del lavoro.
Insomma, avevo ancora l’impressione che la vita che vivevo non era la mia, e non sapevo quando nella mia testa le cose sarebbero cambiate.
< già qui? >
Quasi sobbalzai nell’accorgermi che non ero più sola
< Nick, ben arrivato >
sorrise appena, con quell’aria misteriosa che lo contraddistingueva, aveva solo qualche mese più di me ma, mi doleva ammetterlo, era stato più veloce di me a concludere il corso di studi e ora poteva farmi da mentore scimmiottandomi anche un po’.
< sei pronta ad affrontare questa meravigliosa giornata con me? >
infilai il camice
< sai, me lo stavo chiedendo qualche minuto fa e la risposta è palesemente “no” >
mi imitò ridacchiando
< su, pensala positivo, passeremo un’altra giornata emozionante insieme >
Nel corridoio risuonarono passi affrettati, li sentimmo entrambi e ci guardammo
< iniziamo >
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** 1 ***


Pochi secondi dopo la porta si aprì mostrandoci una donna di almeno 30 anni, ci fissava con occhi spalancati lasciando tremare il labbro inferiore.
Nick non fece in tempo ad alzarsi per indicarle la sedia che quella scivolò sulle ginocchia scoppiando in un pianto inconsolabile.
Ci guardammo per qualche secondo, come per decidere cosa fare ma infondo sapevo che dovevo andare vicino a lei.
Nick non era un tipo molto espansivo, un altro che probabilmente non avrebbe dovuto fare lo psicologo, a primo impatto era freddo, statico, molto professionale, ma io sapevo di cosa era capace quando voleva.
Mi inginocchiai vicino alla donna toccandole piano una spalla.
Mi guardò per un attimo, il viso grondante e i pugni stretti al petto
< signora, sono la dottoressa Driade, si alzi, qui può stare tranquilla >
Per tutta risposta ricominciò a piangere ancora più forte.
Non sapevo che fare.
Mi voltai piano verso Nick, poggiato alla scrivania, braccia incrociate sul petto e sguardo assente, doveva pur fare  qualcosa, doveva aiutarmi a fare qualcosa.
< Nick >
nulla, lo sguardo continuava ad essere assente, ed io continuavo a ripetermi che le lezioni di yoga dovessero pur servire a qualcosa
< Nick >
Silenzio.
No, anzi, non c’era silenzio, non quel giorno, non con quei lamenti e quelle lacrime.
Per i primi due anni di affiancamento mi era stato insegnato che uno psicologo deve essere si familiare e permissivo, ma che deve rimanere anche professionale, soprattutto con gente adulta..
Peccato che in quelle situazioni io non riuscissi a ragionare così.
Sfilai il camice e lo lasciai a terra, strinsi le spalle di quella donna che improvvisamente sembrava più piccola e fragile e biascicai
< io sono Driade, ma puoi chiamarmi Dry se vuoi >
calò il silenzio, mi guardò, la guardai
< dicevo, mi chiamo Driade ma per gli amici sono Dry e tu? >
i suoi occhi tremavano ancora, lucidi e inquieti, sperai di non aver fatto il passo sbagliato
< Anna, sono Anna >
 
Aspettai, aspettai in silenzio, seduta dietro alla scrivania.
Aspettai e finalmente fummo di nuovo soli.
< Dry senti >
lo guardai appena
< no, sentimi tu, dove cazzo stai mentre lavoriamo? Dove stai con la testa? >
sentii il suo sguardo posarsi su di me
< lo sai come lavoro io >
< e sai anche come lavoro io. Mi hai sempre detto che siamo una squadra, beh, oggi per i primi 45 minuti della partita ho giocato da sola >
Mi alzai avendo quasi la sensazione che il pavimento si stesse piegando da un lato, la sensazione che si ha quando le tue certezze stanno crollando e tu non sei pronta.
Uscii dalla stanza accostando piano la porta.
In quel momento ero io che avrei tanto voluto piangere, ma non riuscivo a spiegarmi perché.
Nella realtà effettuale delle cose non era poi successo un granché, mi ero solo trovata per la prima volta a dover agire da sola, eppure questa cosa mi aveva tanto sconvolto da far vacillare le mie sicurezze, da farmi avere paura di sbagliare.
Mi chiusi in bagno e con mano tremante tirai fuori il cellulare, lo lasciai squillare sperando rispondesse
< pronto >
< Téo… >
secondi di silenzio
< Driade, perché mi chiami a quest’ora? >
Diciamo che in quel momento quella era la domanda esatta che nessuno avrebbe voluto sentirsi fare, soprattutto dal proprio migliore amico
< Driade, ci sei ancora? >
< sì, sì, ci sono >
la sua voce era distante, come già lo era lui nei miei confronti da qualche mese, vacillai e mi chiesi perché lo avevo chiamato ancora una volta sperando in un cambiamento che non sarebbe avvenuto
< Dry così però mi fai preoccupare, devi dirmi qualcosa? >
< mm >
< dai, allora dimmi >
< ho discusso con Nick, per una cosa di lavoro >
ciò che sentii dall’altra parte fu un sospiro e una mezza risata
< mi hai chiamato per dirmi questo? Per dirmi che hai litigato con De Vitti? >
poggiai la testa al muro
< a quanto pare sì >
< va bene, dai, non mi pare una cosa tanto grave, perché avete discusso? >
< mi ha fatto affrontare da sola una situazione difficile >
questa volta rise veramente, quasi in modo sguaiato e tutti i buoni propositi zen appresi durante le lezioni di yoga iniziarono a vacillare lasciando il posto ad un rabbia e ad una frustrazione bollente.
< stai ridendo? >
< scusa, scusa. Mi è scappato >
< ok, ti è scappato. Ora vado ciao >
allontanai il telefono dall’orecchio mentre lui continuava a parlare, o meglio a chiamarmi, o meglio provava forse a chiedermi scusa o ad approfondire meglio la conversazione?
No, non lo sapevo. Preferivo non saperlo.
Per quanto sapessi che quel rapporto con lui si era già sfasciato da tempo e che solo io lo tenevo insieme con tutte le mie forze continuavo a sperare che qualcosa prima o poi sarebbe cambiato.
Non si prevedeva niente di tutto ciò.
 
Uscii dal bagno con l’occhio spento e la testa bassa.
Poggiato alla parete di fronte c’era Nick, le braccia nuovamente incrociate sul petto, senza camice anche lui, mi fissava serio.
< vieni qui >
mi avvicinai a lui a testa alta, guardandolo negli occhi
< che c’è? >
abbozzò un sorriso che mi sorprese
< abbiamo un’ora libera, andiamo a prenderci un caffè >
 
 
 
 

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