Legame Cremisi

di whitemushroom
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sage, la pazienza. Cosa scorgono gli occhi verdi che vegliano sul Santuario? ***
Capitolo 2: *** Crona, la paura. Una spada nera, la prigione della piccola anima ***
Capitolo 3: *** Stein, la ricerca. Conoscenza, veleno, misteriosa follia. ***
Capitolo 4: *** Medusa, la determinazione. Il futuro è davvero nelle mie mani? ***
Capitolo 5: *** Lugonis, l’amore. Il mio sangue, la tua vita, tutto solo per quell’istante! ***
Capitolo 6: *** Thanatos, la distruzione. Sopravvivere oltre l’ultima luce del giorno? ***
Capitolo 7: *** Albafica, la rinascita. Il giardino delle rose rosse: dalla morte, la vita. ***



Capitolo 1
*** Sage, la pazienza. Cosa scorgono gli occhi verdi che vegliano sul Santuario? ***



Capitolo 1: Sage, la pazienza. Cosa scorgono gli occhi verdi che vegliano sul Santuario?


L’uomo anziano scese le scale; nonostante il passo fermo ed autoritario che aveva imparato ad acquisire nel corso degli anni, un qualsiasi spettatore vi avrebbe letto fretta e preoccupazione.
Ma non c’era alcuno spettatore, e mai ve ne sarebbero stati sui gradini della Scala Sacra, la lunga serie di gradini che conduceva all’osservatorio del Santuario, suo piccolo regno e rifugio; il profumo delle rose rosse che crescevano lì poteva indurre chiunque ad una morte rapida. Chiunque, ma non il Grande Sacerdote.
Sage arrivò all’ultimo gradino e camminò nel giardino che conduceva alla Casa dei Pesci; vi erano centinaia di rose del color del sangue, bellissime e letali, il cui colore esplodeva anche in quella notte poco rischiarata dalla luna. Erano la vista più bella che si potesse godere dal suo osservatorio, quella che rendeva ogni giorno degno di essere salutato con gioia, e scendere lì dentro aveva sempre rinvigorito di speranza il suo vecchio cuore. Al suo passo i fiori si scansarono, mentre lungo i rami dei roseti più anziani le spine si ritraevano con un certo rispetto, attente a non ferire la sua pelle, imprigionarne i capelli chiari o strappare la lunga tunica scura.
L’uomo anziano era abituato a quel prodigio, e più di una volta si era sorpreso di ringraziare ad alta voce le piante. Il meraviglioso giardino su cui in quel momento si poggiavano i suoi passi non era soltanto un capriccio del custode della Dodicesima Casa, ma anche l’ultimo e più potente baluardo che qualsiasi invasore avrebbe potuto incontrare prima di raggiungere l’osservatorio, l’ultimo tempio in cui da centinaia di generazioni regnavano i Grandi Sacerdoti e si incarnava la preziosa dea Atena. Gli anni avevano insegnato a Sage il rispetto per ogni creatura o cosa, e non trovava né folle né stravagante il gesto di riverire e salutare quei roseti.
Eppure da diversi giorni qualcosa non andava.
I petali di più di un fiore avevano venature color dell’oscurità.
Sarà forse perché… il Cosmo di Lugonis sta sparendo?
Non ne era così certo, ma non lo avrebbe mai saputo rimanendo ad osservare le stelle rinchiuso nelle sue stanze.
Entrò nella Casa dei Pesci senza farsi annunciare, scostando i rampicanti che decoravano l’ingresso, certo che il custode del luogo avesse più di un modo per sapere del suo arrivo.
“G … G … Grande Sacerdote!”.
Sage si voltò: da un’ombra uscì un ragazzo pallido e magro, fin troppo per la sua età. Si inginocchiò davanti a lui con una deferenza esagerata ed un terribile nervosismo di fondo, facendo cadere a terra un candelabro d’oro che stringeva come fosse una lancia. Erano anni che l’uomo anziano non vedeva i capelli rosa del piccolo e timido Crona, l’apprendista di Lugonis e futuro custode di quel luogo e del giardino. Se possibile si era fatto ancora più introverso e nervoso di quanto ricordasse.
“Il … il mio maestro la attende, Sua Eccellenza! E … e … mi dispiace terribilmente di non aver fatto ritirare le rose per la sua venuta, e poi … e poi non so come comportarmi quando …”
“Non hai nulla di cui scusarti. Ora fai strada”.
Il ragazzo si profuse in tre inchini consecutivi e si incamminò, fermandosi un istante ad accendere le candele, lanciando costanti e confuse occhiate nella sua direzione; nella luce soffusa, con la testa china ed il passo malfermo, Sage non sapeva come giudicarlo, visto che tra poco quel corpo gracile avrebbe vestito la Gold Cloth del suo maestro: ad essere sinceri aveva in mente un paio di Silver Saint più che adatti a rivestire quel sacro compito, ma Lugonis aveva scelto il ragazzo e la questione era caduta lì, come tutte le volte che provava a discutere con il Gold Saint dei Pesci.
La vocina del ragazzo arrivò flebile, come se per pronunciare quelle parole avesse vinto una lunga battaglia interiore “Lei … può guarire il mio maestro … Eccellenza?”.
Il ragazzo non sa nulla, dunque …
L’arrivo nella stanza del Saint dei Pesci risparmiò a Sage una risposta che non si sentiva pronto a dare; il primo segnale di quello che stava accadendo lì dentro era l’odore acre delle rose venefiche, che avrebbe donato una morte dolce e lenta a qualsiasi mortale che ne l’avesse respirato. Il sacerdote inalò a fondo, usando il suo Cosmo per allontanare la minaccia, assaporando nel naso e sul fondo della gola il profumo mortale dei Cavalieri dei Pesci. La sorgente dell’odore intenso era il corpo di Lugonis. L’uomo non aveva nemmeno la forza di alzarsi; riuscì solo a puntare i gomiti e sollevare la schiena in segno di saluto, continuando però a portare con ostinazione e orgoglio la sua Cloth che scintillava d’oro alla luce delle nuove candele “Grande Sacerdote …”
Crona corse verso di lui, scrollandosi di colpo tutta la sua apatia; gli venne accanto, sistemò il candeliere al posto di lumi ormai spenti e gli versò una coppa d’acqua, ma quando vide che le mani del suo maestro tremavano iniziò a piangere silenziosamente.
“Crona …” l’uomo bevve a sorsi lenti, poi gli scompigliò i capelli e stentò un sorriso che non ingannò nemmeno il suo apprendista.
I cavalieri protetti dalla dodicesima costellazione nascevano dotati di una bellezza particolare, tanto che a prima vista era difficile capire se fossero uomini o donne. Ma negli ultimi tempi Lugonis era cambiato: i suoi occhi blu si erano fatti lattiginosi ed i capelli, un tempo color del sangue, avevano la consistenza della stoppa e gli ricadevano in disordine fino ai fianchi in una tinta indefinibile. L’odore dei fiori proveniva dal suo corpo e da quelli che erano cresciuti spontaneamente ai lati del suo letto.
Una rosa appassita …
“Ragazzo, l'ora è tarda ed il Grande Sacerdote è in gentile visita alla nostra Casa. Saresti così gentile da portarci qualcosa da mangiare?” Sage si rese conto di non aver mai visto il Saint dei Pesci, di solito schivo e scostante, comportarsi in maniera tanto affettuosa “E … non fare quella faccia! Tra un po’ starò meglio, vedrai!”.
Il ragazzo non parlò, ma si inchinò davanti ad entrambi ed uscì con un vassoio tra le mani; non guardò negli occhi nessuno di loro e Sage percepì una disperazione in grado di inghiottire un Cosmo così spaurito. Lasciò che i passi dell’apprendista svanissero nei corridoi, poi si sedette davanti al letto, fissando Lugonis; forse la sua bellezza era sparita, ma poteva veder sbocciare un sorriso “Hai iniziato il Legame Cremisi?”
“Sì. Tra qualche giorno Crona sarà il nuovo Gold Saint dei Pesci. Ti prego, risparmiami i tuoi dubbi: il ragazzo è pronto”.
Sage sospirò; era giunto fin lì anche con l’intenzione di far ragionare Lugonis per l’ultima volta, ma l’uomo era irremovibile. Per essere un Saint dei Pesci era vissuto a lungo, raramente aveva visto un eletto della dodicesima costellazione superare i trentacinque anni di vita; la persona davanti a lui era orgogliosa del suo legame che aveva tanto tardato a creare.
“Noi Pesci siamo padri per natura, Sage. Esistiamo solo per il nostro discendente”.
“Ah, di certo Crona sarà un tuo degno erede: è solitario come tutti i Pesci, e con quei capelli è difficile dire se stai addestrando un sacerdote o una sacerdotessa”.
“Almeno non facciamo come i Saint del Cancro, che si chiudono nella loro corazza e ci invecchiano dentro!”.
Per quello gli piaceva Lugonis: ad un uomo votato alla morte non importava molto fingere eccessivo ossequio per il suo superiore, e non mancava mai di fargli notare alcuni difetti. Dei tanti uomini sotto di lui, quello davanti ai suoi occhi era l’unico con cui aveva stretto qualcosa di molto vicino al concetto di amicizia.
“Sage… c’è però qualcosa che devo dirti … riguardo a Crona”
I suoi occhi si assottigliarono, rivelando di colpo le preoccupazioni che nascondeva al suo ignaro apprendista; sollevò a fatica il braccio destro, portandolo alla vista del Grande Sacerdote. Sage non vi aveva fatto alcun caso, preoccupato solo del viso pallido e del corpo a pezzi, ma ciò che vide lo lasciò senza parole. L’armatura d’oro era sempre splendida e lucente come l’amore di Atena, ma la porzione che copriva l’avambraccio era in frantumi in più punti, e diverse crepe la coprivano.
“Ma cosa …?” chiese, colpito dai più incredibili dubbi.
“Il sangue … il suo sangue …”
Sage si avvicinò, tenendo tra le mani l’oggetto e fissandolo senza più parlare: nulla poteva scalfire una delle sacre Cloth, le armature dono della loro dea, né la forza del Toro né il braccio del Capricorno. E non certo il sangue di un ragazzo. Sembrava che l’oro si fosse distrutto dal suo interno, spaccato da delle venature all’apparenza invisibili; quando ne saggiò la resistenza un nuovo frammento si staccò, friabile come il gesso “E … tu?”
Tra le dita di Lugonis comparve una rosa, e con le sue spine disegnò un lieve tratto sul palmo della mano, ed il sangue si riversò sul letto: quando toccò la stoffa l’anziano sacerdote sentì un odore di morte venirgli addosso, ed osservò con attenzione le poche gocce rimaste accanto alla ferita dell’uomo. Quel sangue era nero come la notte, proprio come le nuove rose che aveva visto nel giardino.
E gelido al tatto.
“LUGONIS, INTERROMPI SUBITO IL LEGAME!”
“No”.
Già. Se davvero lo avesse voluto lo avrebbe fatto da tempo; ma quel sangue nero non era normale. Nelle vene dei Saint dei Pesci scorreva da ere un sangue velenoso per tutti i sensi umani, frutto di anni di isolamento tra le rose sacre, le loro armi predilette. Si addestravano per tutta la vita allo scopo renderlo sempre più forte, ed in ogni guerra sacra il custode della dodicesima costellazione lo aveva usato per abbattere tutti coloro che tentavano l’ascesa della Scala Santa. In oltre duecento anni il Gran Sacerdote aveva visto quel sangue velenoso decine di volte, ma mai esso era stato del colore del cuore di Ade.
“Sage … ascoltami …”
Cercò di rimanere seduto e di fissarlo negli occhi.
“Non interromperlo … non farlo per me. Anche se il sangue di Crona fosse stato rosso, in lui scorre il veleno della mia Casa. Sai bene quanto me cosa accade alla fine del Legame Cremisi”.
“Ma …”
“Ti chiedo solo di guardarlo da lontano quando non ci sarò più. Non so spiegarmi cosa sia questo sangue. Sai quanto me che lo scopo del Legame è quello di donare al mio successore tutto il potere ed il veleno che ho accumulato nel corso degli anni in questo giardino, offrendoglielo sotto forma del mio sangue per rafforzare il suo e renderlo superiore. Ho iniziato lo scambio tre giorni fa, e dal primo contatto il suo sangue ha iniziato a mutare.” sospirò, osservando la porta “Non vi avevo dato molto peso e credevo fosse una normale reazione al mio veleno, ma… da quando una sua goccia ha distrutto la mia Cloth temo per lui”.
“PRENDI TEMPO! COME GRAN SACERDOTE TI ORDINO DI FARLO!”
Lugonis doveva obbedirgli; ma seppe la risposta prima che l’altro aprisse bocca “Non puoi disfare quello che Atena ha voluto per noi. Con il Legame Cremisi ho dato il veleno che scorre in me a Crona, e adesso lui mi sta offrendo il suo. Il suo sangue supera di molto il mio e ne sono orgoglioso” sorrise in modo ancora più flebile “Ho atteso per dieci anni che il mio apprendista arrivasse a questo livello”.
“Lugonis, tu morirai”.
“Come un Saint dei Pesci: con il sangue del mio successore. Dalla morte, la vita”.
Ed io vedrò ripetersi la tragedia per l’ennesima volta…
“Morirei in ogni caso, questa storia del sangue nero non cambierà il mio destino” appoggiando una mano alla parete si sedette sul letto, fissandolo con i suoi ostinati occhi blu. Fu osservandoli con calma che l’uomo anziano comprese di non avere più alcun argomento valido per fermarlo; come d’altro canto, succedeva ogni volta che assisteva al Legame. Non era mai riuscito ad accettarlo nel profondo del cuore. Perché quando tutto era terminato, quando il corpo del maestro giaceva senza vita in un letto di petali, quando per pochi istanti l’intero giardino diventava secco e sterile, allora rimaneva soltanto un ragazzo con un’armatura d’oro che comprendeva proprio in quel momento di aver ucciso con il suo stesso sangue la persona che lo aveva cresciuto ed amato.
“Il ragazzo non lo sa, vero?”
“Come non lo sapevo io all’epoca. E dopo tanti anni mi rendo conto che è la scelta migliore”.
Poi alle loro spalle sentì un rumore di stoviglie in terra e di vetro in frantumi; sulla soglia della porta stava il ragazzo, con gli occhi pieni di lacrime fissi su loro due, incurante della cena sparsa sul pavimento. Per la prima volta Sage percepì il potenziale dell’apprendista dietro un Cosmo debole, spaventato e fuori controllo. Lugonis raccolse tutte le sue poche forze e si sollevò di colpo dal letto, il viso privo di ogni colore.
“CRONA!”
Sage riuscì per un attimo ad incrociare gli occhi azzurri dell’apprendista e vi lesse insieme vuoto ed orrore per tutto quello che non avrebbe dovuto sentire. Poi il giovane diede loro le spalle e corse via; l’uomo anziano avrebbe voluto fare tante cose, ma si ritrovò a sorreggere il peso di Lugonis e della sua armatura che crollarono miseramente su di lui.
“Crona …”
Distolse lo sguardo dal viso dell’uomo.
Nemmeno il Grande Sacerdote avrebbe mai dovuto vedere le lacrime di un Gold Saint.

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Grazie a tutti coloro che hanno letto questa fanfiction! Un paio di note preliminari dell'autrice ...

- Come avete potuto evincere dalla lettura, in questa fanfiction Crona è un maschio. Poiché l'autore non ha ancora specificato il suo sesso (e credo che sadicamente non lo farà mai), ho deciso di trattare questo personaggio come un maschio sia per esigenze legate alla trama di Saint Seiya sia perché personalmente penso che quello sia il suo genere.

- Poiché ho scritto questa fanfiction prima dell'uscita italiana dell'Albafica Gaiden, i nomi di alcuni personaggi fanno riferimento alle vecchie traduzioni fanmade. Per esempio "Lugonis" corrisponde a Rugonis -traduzione discutibile, a mio parere-, mentre il "Legame Cremisi" coincide con il "Legame Scarlatto"

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Capitolo 2
*** Crona, la paura. Una spada nera, la prigione della piccola anima ***



Capitolo 2: Crona, la paura. Una spada nera, la prigione della piccola anima

 

Il Legame Cremisi.
Il Legame Cremisi.
Il Legame Cremisi.

Il cuore di Crona continuava a battere forte nel petto, riempiendolo di un bruciore sordo e consumando affamato tutto il suo Cosmo. Saltava da una roccia all’altra, attraversava terra, acqua e cielo, ma nei suoi occhi non si rifletteva nulla del mondo intorno a sé. L’unica cosa che riusciva a vedere era il suo maestro in un letto, avvelenato dal suo stesso sangue.
“Lugonis, interrompi subito il Legame!”
“NO”

Come aveva fatto a non accorgersene? Perché il maestro Lugonis non glielo aveva mai detto?
Crona continuò a correre senza una meta precisa, come faceva ormai da tre giorni, senza mangiare o dormire. Il suo maestro stava morendo per colpa sua, ma nonostante tutto non si sarebbe fermato, lo avrebbe reso il Gold Saint della sua Casa.
Non sapeva come comportarsi.
Solo di una cosa era assolutamente certo: se il suo maestro non voleva fermare il Legame lo avrebbe fatto lui.
Aveva lasciato la Grecia ed il Santuario, ma non aveva alcuna idea di dove andare: ogni scoglio, ogni pianura ed ogni fiume gli sembravano troppo vicini alla Dodicesima Casa. Ogni passo in avanti era una goccia di quell’ odioso sangue nero che gli sembrava di sottrarre alle vene del suo maestro. Il Santuario non avrebbe impiegato molto a mandare qualche Cavaliere d’Argento a cercarlo, perciò si costrinse a compiere ancora un altro sforzo; se lo avessero trovato lo avrebbero riportato dal suo maestro, ed allora … Dalla morte, la vita.
Si guardava attorno, cercando dei punti di riferimento, di capire dove lo avessero portato i suoi piedi in quella fuga che ancora aveva qualcosa di surreale nel suo cuore. Il cielo, per esempio, non gli piaceva affatto: era troppo grigio per i suoi gusti, e nonostante il sole fosse ben visibile proprio al culmine della volta celeste sembrava più debole, affaticato, privo di quella forza invincibile di quando splendeva sui tetti del Santuario, in Grecia. Nonostante indossasse un abito nero abbastanza pesante ed avesse corso come mai nella sua vita, sulla pelle non si formò nemmeno una goccia di sudore. La temperatura era decisamente più bassa di quella del Tempio, e per quel poco che sapeva dei movimenti del sole capì di essersi spinto verso nord.
Poi scacciò tutte quelle considerazioni e riprese a correre: cercò di bruciare il meno possibile il suo Cosmo, sapendo che il modo migliore per sfuggire ad un Cavaliere era quello di non farsi notare, di svanire, di apparire una persona comune. Si limitò a chiedere alle sue stelle protettrici la forza di andare ancora un po’ avanti, di spingerlo mentre superava i fiumi con un balzo, di dargli equilibrio quando saltava di roccia in roccia per oltrepassare le montagne e di dare forza, sempre più forza alle sue gambe.
Se lo avessero trovato avrebbe dovuto affrontare di nuovo il Legame.
Avrebbe dovuto di nuovo guardare negli occhi il suo maestro.
Avrebbe dovuto di nuovo ucciderlo.
Era nel bel mezzo dell’ennesima foresta che le gambe gli vennero meno. Lo stomaco gli ricordò che erano almeno tre giorni che non veniva riempito, ed il crampo lo fece quasi cadere nel sottobosco; provò di nuovo ad immaginarsi un drappello di Cavalieri d’Argento al suo inseguimento, ma stavolta nemmeno la paura fu sufficiente. Si aggrappò al tronco di un albero e strinse le unghie nella corteccia per rimettersi in piedi, ma dopo altri tre passi scartò di nuovo l’idea di correre. La resistenza fisica non era mai stata il suo punto forte, anche se il maestro gli aveva assicurato che quella sarebbe venuta col tempo.
Cercò un nuovo punto d’appoggio, ma si fermò quando si accorse che sulla corteccia, proprio dove si era aggrappato con le dita, il legno più esterno era diventato molto più scuro del resto della pianta; la macchia, quasi nera, aveva proprio le dimensioni del suo palmo, e ad un secondo tocco il legno diventò molle, ed il ragazzo lanciò un piccolo urlo di disgusto quando il suo dito fu avvolto da corteccia indebolita e dall’improvviso odore nauseabondo. Crona era stato fin troppo tempo nella Dodicesima Casa per non riconoscere quando una pianta moriva.
Rimase ad osservare con orrore la macchia sull’albero: il sangue dei Cavalieri dei Pesci era mortale soltanto quando entrava in diretto contatto con l’avversario, ma non aveva mai avuto quell’effetto devastante su una pianta toccata per soli dieci secondi. “Deve essere il sangue nero …” disse, quasi per tenersi compagnia in quel luogo disabitato.
“Noi portiamo la morte dentro di noi, Crona. Perciò, se davvero vuoi proteggere qualcuno, fai in modo che stia lontano da te. Tutto quello di cui abbiamo bisogno sono le rose del giardino dei Pesci ed il nostro apprendista”
Ora capiva le parole del suo maestro. In quel bosco, accompagnato da una scia di morte, il ragazzo si obbligò a compiere ancora nuovi passi; troppo pochi, ma al momento erano le sue uniche armi per tenere lontana da lui la persona che desiderava proteggere con tutto il cuore. Quel sangue nero lo spaventava: il suo sangue aveva reagito al contatto con quello del maestro distruggendo parte della sua Gold Cloth, cosa inaudita persino per il veleno della Dodicesima Costellazione. Aveva aumentato di molto la sua già alta capacità di diffondere la morte, e quell’albero era una prova indelebile del suo passaggio.
La luce di quel sole velato ricomparve ai suoi occhi, e Crona uscì dal bosco scuro ed umido. Dovevano essere passate diverse ore, perché il sole si era avvicinato alla cima di un gruppo di montagne e faceva ancora più freddo. Non so come comportarmi con questo freddo …
Gli alberi davanti a lui lasciarono il passo ad un fitto sottobosco in cui la sua veste si impigliò diverse volte, e tra un passo impacciato e l’altro si accorse che nel punto in cui i cespugli si facevano meno radi e la base di una collina c’era una strada. “Le strade portano agli uomini” mormorò prima di cadere in ginocchio per la stanchezza.
La strada lo avrebbe aiutato, sì. Avrebbe potuto trovare un luogo dove nascondersi e sparire un po’ in mezzo alla gente: i Cavalieri di Atena non lo avrebbero cercato troppo a lungo in una città o un villaggio per non rivelare la loro esistenza, e se si fosse nascosto a sufficienza in qualche angolo buio magari se ne sarebbero andati via senza notarlo. Il suo Cosmo era ancora troppo giovane e debole per essere rintracciato, dopotutto.
Si aggrappò al ramo di un rovo per sollevarsi e riprendere il cammino, ma quando questo si spezzò contro la sua mano cadde riverso in una pozzanghera di fango e si abbandonò alla stanchezza con l’ultimo pensiero che, se lo avessero costretto a tornare indietro, nessuno poteva obbligarlo a diventare un Cavaliere contro la sua volontà; poi si abbandonò a quella forma di riposo posta tra il sonno profondo e la perdita dei sensi. Si aggrappò all’idea di potersene andare una seconda volta, ma insieme ad essa venne il volto deluso del suo maestro.
Fu lo stesso pensiero ad accoglierlo al risveglio.
Accompagnato da un urlo di donna.

La carrozza era semplice, senza stemmi e con le tende scure abbassate. Il conducente era a terra in una pozza di sangue, e tutto intorno si era scatenato un pandemonio. Sei uomini, chi armati di moschetti e chi di pistole, avevano circondato il veicolo mentre altri tre erano intenti a liberare i due cavalli dalle stanghe ed a levare loro le briglie. Uno dei cavalli si impennò e colpì l’assalitore più vicino, lanciando un nitrito selvaggio quando i finimenti si sciolsero e partì al galoppo lungo la strada. La carrozza subì una violenta scossa e scivolò dove il terreno incontrava il sottobosco. Uno degli uomini, dal grande capello con due piume rosse attaccate, fece il primo passo e si avvicinò al portello più vicino abbattendo su di esso un pugno poderoso. Da dentro venne il secondo urlo.
Crona osservava la scena quasi ipnotizzato da dietro un albero.
Il rumore delle pistole era a dir poco spaventoso. Al Grande Tempio era vietato l’uso di qualsiasi arma materiale ad eccezione delle dodici armi dei Cavalieri della Bilancia, da sempre considerati i Cavalieri d’Oro più saggi ed equilibrati, in grado di valutare con oggettività ogni pericolo. A tutti gli altri era concesso di evocare armi attraverso i loro poteri, cosa che lui stesso aveva imparato a padroneggiare nell’ultimo anno, ma in ogni caso nessuno al Santuario aveva mai creato qualcosa di così rumoroso, che fendeva l’aria come il tuono nelle notti più buie.
Sapeva che gli altri esseri umani usavano oggetti simili ma … erano davvero spaventosi. Non aveva la più pallida idea di come comportarsi con quegli uomini. Il punto più sicuro era proprio dietro a quel grande albero, lontano dagli occhi di tutti, dalle urla e dal sangue.
Non so come comportarmi.
Non sono nemmeno un vero Saint.

Poi il capo dei banditi fece saltare la portiera con un colpo di moschetto e gli altri ne tirarono fuori una donna che si dimenava e che provava a difendersi con dei deboli calci che partivano dalla sua enorme gonna.
Fu il suo terzo, più alto urlo a risvegliare qualcosa dentro di lui.
Il sangue pulsò con forza nelle vene, come solo poche volte durante gli allenamenti con il suo maestro; fu come se mille fuochi avessero risvegliato il suo Cosmo addormentato. Non aveva idea di chi lei fosse ma … non poteva andarsene senza far nulla, il compito dei Saint era proteggere gli indifesi …
Ed il maestro Lugonis non lo avrebbe mai permesso.
Prima di iniziare il Legame aveva trascorso anni a conoscere e domare il suo sangue, a trasformare e plasmare quel fluido che fino a qualche settimana prima era rosso intenso, l’orgoglio dei Pesci insieme alle rose sacre dal profumo invincibile. Chiese aiuto al suo Cosmo, lasciando sgorgare il sangue dalle sue dita, e con dolore vide che era ancora nero, disgustoso e gelido. “Non ho molto altro” disse, distogliendo lo sguardo e concentrandosi sulla forza da richiamare in sé prima di ogni battaglia.
Lo plasmò, lo domò, ascoltò la sua furia mentre andava ad assumere la forma di una lunga spada e lasciò che l’elsa scivolasse obbediente tra le sue mani. La sentì diversa al tocco, ma non poteva permettersi di porsi altre domande. Evocare il potere delle rose gli avrebbe richiesto molto più tempo.
Lasciò che tutta l’energia che dormiva in lui si liberasse, e lasciò fluire nell’arma, preparandosi a caricare, ascoltando la forza del colpo dello Screech Beta.
Il fendente calò dall’alto verso il basso verso il primo aggressore; l’energia crepitò, la spada era tutt’una con il corpo, il sangue scivolò alla ricerca di altro sangue e l’attimo dopo l’uomo era a terra, tagliato in due.
Alla vista del rosso che si sparse sulla strada Crona si fermò, impietrito.
Aveva sempre lanciato lo Screech Alpha e lo Screech Beta contro il suo maestro durante gli allenamenti, oppure lo aveva rivolto contro piante, alberi o rocce, e le poche volte che era riuscito ad evocare in modo corretto le Piranha Roses queste al massimo si erano abbattute sulle pareti della loro Casa. Non si era mai reso conto con quanta facilità la forza di un Cavaliere potesse distruggere la vita umana.
Lo ho ucciso io …? Ma …?
Il sangue del bandito, rosso, stava scivolando verso i suoi piedi come una silenziosa accusa e non riusciva a staccare gli occhi da lì. Il sangue che era il vanto della sua Casa per un attimo generò in lui un senso di disgusto tale da confondergli gli occhi ed il tatto.
“Che fate, idioti, sparate a quella ragazzina!” fu il grido che raggiunse le sue orecchie.
Non volevo ucciderlo davvero, non pensavo, io …
I suoi occhi erano ancora fissi sull’uomo in pezzi quando percepì il rumore degli spari.
E adesso? Cosa ne dirà il maestro Lugonis?
Il suo corpo fu scosso per qualche secondo, ma la cosa non lo interessò. Il mondo davanti a lui era diventato una grande macchia rossa in cui fluiva il suo sangue nero con la forma di una spada. Lo abbandonò anche il motivo per cui era lì: il mostro oscuro dentro di lui continuava a pulsargli nelle vene, galvanizzato dal potere distruttivo che aveva appena generato, ma il profondo senso di aver commesso qualcosa di terribilmente sbagliato gli bloccò le braccia e le gambe. Le voci intorno a lui si erano fatte ancora più alte e confuse, ma nulla faceva più rumore del suo cuore.
“Che vi prende? SPARATELE ANCORA, NO?”.
Crona si accorse a stento della seconda serie di colpi che esplose su di lui.
“Cos’ha quella ragazzina? Perché non muore?”
“È ancora in piedi, come è possibile?”
“FORSE È IL DEMONIO!” urlò l’aggressore più vicino a lui.
Gli assalitori fuggirono come un solo uomo, anche se osservò i loro movimenti attraverso un velo rosso ed offuscato; buttarono a terra le armi, un paio inciamparono, si lanciarono in corsa per la strada con il cavallo rubato che non era ancora fuggito e le loro figure svanirono in una nuvola di polvere. Immerso nei suoi incubi non si preoccupò né di inseguirli né di guardarsi intorno. Ordinò alla spada di ritirarsi ascoltando il flusso del sangue nero che gli scorreva negli arti, ma i suoi occhi celesti erano fissi sul sangue lungo la strada. “Come ti chiami?”
Il primo segnale fu una carezza dolce, protettiva, accompagnata da un fruscio di abiti; poi una mano che gli risistemava i capelli, proprio come faceva il suo maestro durante gli allenamenti.
“Qualcosa non va?” fece una voce dall’accento un po’ strano ma delicato.
Due occhi stupendi color dell’ambra gli entrarono nel campo visivo e riempirono il suo mondo; il suo sangue nero, lo Screech Beta, l’uomo appena ucciso, tutto sembrava perdere significato davanti a quel viso né bellissimo né giovane ma dal fascino indefinibile.
“Mi chiamo … Crona …”
Avrebbe potuto giurare di conoscerla da ere pur avendola incontrata per la prima volta, specie per il tocco delle sue mani; lei gli mise una mano sulla spalla e la consapevolezza di chi lui fosse lo fece tornare con molto sforzo alla realtà. Non doveva toccare gli altri esseri umani, non dopo quello che era successo all’albero nella foresta solo qualche ora prima: nonostante la dolcezza del tocco si ritrasse con un unico, lungo passo. Per quello che ne sapeva quella bella signora sarebbe potuta morire di lì a qualche minuto solo per avergli sfiorato i capelli … Lei si doveva essere accorta che il contatto lo aveva disturbato perché assunse un’espressione un po’ triste; si sistemò un capello ad ampie falde sulla testa e lo fissò.
“Crona, perdonami se ti ho disturbato … sono stata così scortese dopo che mi hai appena salvato la vita” Lui fece per ribattere, ma la signora assunse uno sguardo preoccupato “So di sembrare invadente, ma avrei bisogno del tuo aiuto. Puoi soccorrere mio marito?”.
“Sì … certo … signora”.
La carrozza si era rovesciata su un fianco, con una ruota impantanata nel grande fosso alla sua destra; centinaia di schegge ricoprivano il punto in cui lo sportello era stato fracassato, e Crona spostò quello che restava del legno e dei cardini. Senza più i cavalli il veicolo era inservibile, e con il pomeriggio che volgeva alla fine era improbabile che qualche altra carrozza attraversasse la foresta e desse loro un passaggio fino alla città più vicina. Il ragazzo si chiese se non fosse meglio proseguire con la sua fuga, temendo l’avanzare dei Silver Saint, ma l’idea di lasciare la dama da sola in quel posto pericoloso vinse su qualsiasi buonsenso.
Trovò l’uomo svenuto in maniera scomposta sul sedile e lasciò che fosse la signora a trascinarlo fuori di lì, ed osservò la scena con preoccupazione anche se i suoi occhi erano tutti per i capelli ed i gesti della donna. Voleva dirle ancora qualcosa, ma dalle sue labbra non uscì nemmeno un suono. Anzi, forse era terribilmente maleducato a fissarla in quel modo, il maestro gli diceva sempre di non farlo.
“Franken … Franken, per l’amor di Dio, svegliati!”.
Dopo qualche minuto l’uomo riaprì gli occhi.

 

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Capitolo 3
*** Stein, la ricerca. Conoscenza, veleno, misteriosa follia. ***



Capitolo 3: Stein, la ricerca. Conoscenza, veleno, misteriosa follia.

“Crona, tu sei un essere eccezionale, unico!”.
Era impossibile contenere l’esuberanza del dottor Franken Stein; nonostante il vistoso livido blu che si era procurato durante l’incidente nella carrozza fosse ben visibile alla base del collo, l’uomo si era subito alzato in piedi ed aveva tempestato lui e sua moglie di una valanga di domande.
Crona rispose a monosillabi per quasi tutto il tempo, lasciando che fosse la signora Medusa a raccontare nel dettaglio tutti gli avvenimenti di qualche ora prima: l’uomo ucciso era ancora lì, sulla strada, il sangue che ormai si rappreso e mescolato al fango sembrava fissarlo come una macchia rossa di accusa. E girare lo sguardo non migliorava le cose.
Si mise in viaggio con loro senza saperne il motivo logico: una parte di sé gli intimava che ormai aveva ripreso le forze e poteva continuare la sua fuga, ma un’altra gli implorava un altro po’ di riposo e di non lasciare la strana coppia di coniugi al loro destino. Senza carrozza non avevano altra possibilità che attraversare la foresta da soli di notte, ed il pericolo dei banditi poteva ripresentarsi ad ogni passo: il dottor Stein non aveva nemmeno un moschetto con sé, ed a giudicare dalla sua espressione stramba probabilmente non sarebbe stato in grado di usarlo.
Il maestro dice sempre che dobbiamo proteggere i deboli …
La foresta sembrava ancora più cupa con l’avvicinarsi della sera: il sole al tramonto proiettava le lunghe ombre degli alberi sulla strada e queste scivolavano su di loro come delle dita pronte a ghermirli. Faceva attenzione a non sfiorare nessuno dei due nemmeno per errore, limitandosi a camminare dietro di loro mentre sobbalzava ad ogni fruscio alle proprie spalle, sicuro di veder sbucare presto o tardi dei Silver Saint. Nemmeno la presenza dei fiori notturni che apparivano sul ciglio della strada riusciva e tirarlo su di morale. Avrebbe preferito fronteggiare l’intera armata Specter di Ade piuttosto che coloro che lo avrebbero riportato al Santuario.
“Questo incontro ha dell’incredibile!”
Crona si limitava ad annuire e la signora Medusa si era avvolta in uno strano silenzio, eppure il dottor Stein sembrava in grado di riempire una conversazione praticamente da solo, gesticolando come un forsennato e camminando rapidissimo per poi fermarsi per riempirgli la testa di strane domande; il ragazzo aveva l’impressione che fosse mezzo matto.
“E le tue ferite! Ma guardati!” aveva perso il conto delle volte che lo aveva squadrato da dietro i suoi occhiali “Niente, nemmeno una cicatrice! Non lo trovi meraviglioso anche tu, Medusa?”
“Sì, Franken”.
“Non sarebbe stupendo avere un campione del suo sangue, cara? Sarebbe l’ideale per il mio esperimento!”.
“Certo, Franken”.
“Ragazzo, ho as-so-lu-ta-men-te bisogno di studiarti da vicino, me lo consenti?”
“Ehm… io…”
“Lo prendo per un sì!”
La signora Medusa (o signorina, non ne era certo bene. Non sapeva mai come comportarsi con le donne …), dopo aver raccontato al marito del salvataggio era rimasta in silenzio per quasi tutto il viaggio di ritorno, rimboccandosi l’orlo della gonna con una mano ed appoggiandosi con l’altra al braccio dell’uomo. Prima di incamminarsi si era acconciata i capelli in un’unica treccia che le ricadeva su petto, lanciandogli un sorriso speciale. Crona cercava di trotterellarle dietro, un po’ intimidito dalle reazioni esuberanti del dottor Stein.
I colpi che i banditi gli avevano sparato dovevano essere mortali, o almeno così il dottore gli aveva ripetuto almeno trenta volte mentre si incamminavano per il sentiero interrato che conduceva alle porte della città; i suoi vestiti erano lacerati proprio all’altezza del petto e delle gambe, ma la pelle al di sotto era intatta. La sfiorò più volte, dubbioso, ma dello scontro non restavano segni visibili. La signora Medusa era pronta a giurare di aver visto le ferite aprirsi e rimarginarsi subito dopo. Un’altra opera del sangue nero, di sicuro. Nemmeno il sangue dei Pesci guarisce in questo modo.
“Chissà che faccia faranno gli altri” canterellò il dottore “Ragazzo, incontrarti è stata una benedizione! Ho intenzione di organizzare una dimostrazione pubblica, credo che non basteranno tutti i piccioni viaggiatori di Ingolstadt per invitarli”.
“Spero non a casa nostra, Franken …”
“E dove? Abbiamo abbastanza spazio da ospitare tutti gli studiosi illuminati dalla Lusitania agli Urali! E sarai famosa anche tu, vedrai!”
“Sarà …”
Così parlando erano giunti alle porte della città. Il continuo parlare del dottor Stein gli aveva fatto perdere il senso del tempo, dunque Crona si meravigliò molto quando raggiunsero Ingolstadt e notò che il sole era tramontato da diverse ore. La città non era grande e caotica come quelle che descriveva il maestro al ritorno dai suoi viaggi, anzi, il suo profumo dolce lo avvolse sin da quando mise il primo piede dentro le mura. Ricordava il pane ed i dolci tanto che il suo stomaco gli lanciò un paio di segnali di avvertimento. Le uniche persone in giro erano degli uomini che usavano delle lunghe aste per accendere dei lampioni ed illuminare la via, e tutti si voltavano nell’udire il dottor Stein. Indossavano dei lunghi abiti scuri e perfino le loro candele avevano un odore particolare. Certo, non erano come l’incenso che si spargeva nella Casa della Vergine, eppure si abbandonò per qualche secondo a quella sensazione particolare.
Gli uomini al di fuori del Santuario non erano poi tanto male …
Un paio di carrozze eleganti sfilarono accanto a loro con dentro dame e gentiluomini e qualcuno li salutò; un distinto signore a passeggio, l’unico in quell’ora tarda, sollevò il cappello nella loro direzione e lo squadrò, ma Crona ne evitò lo sguardo.
Quel luogo era piacevole, ma troppa gente lo innervosiva.
L’unico posto sicuro sembrava l’ombra della signora Medusa.
La villa dei coniugi Stein si trovava lungo la via principale di Ingolstadt, non troppo lontano da una fontana e vicina ad una grande chiesa che annunciò l’ora con diversi rintocchi; era realizzata con piccoli mattoni arancione con la porta e le persiane in legno chiaro. Era più grande di tutte quelle della strada, con balconi dalle ringhiere in metallo e persino un giardino ben curato.
Le rose su uno dei terrazzi erano nel pieno della fioritura e lo salutarono con il loro profumo. Distolse lo sguardo prima che il senso della nostalgia lo cogliesse per l’ennesima volta.
Strinse gli occhi per la poca luce, e si accorse che l’interno della casa sembrava tratto da un libro. Tutto, anche le penne d’oca sul tavolo, era in perfetto ordine: il salone era sterminato ma pieno di mobili ed oggetti che non aveva mai visto al Santuario. Presso le Dodici Case l’arredamento era sempre stato considerato una frivolezza, molti Gold Saint si vantavano di dormire sul pavimento, eppure l’ordine ed i profumi del luogo gli riscaldarono un po’ il cuore.
Quando si chiuse il portone alle spalle il dottor Stein appoggiò la giacca elegante “Vieni, ragazzo! Direi di iniziare subito, non vedo l’ora di dissez…”
“No, Franken” la signora accese un candelabro “Il ragazzo è stanco e deve dormire. E anche tu, dopo quella botta in testa!”
L’uomo la fissò come un bambino a cui avessero strappato dalle mani il gioco preferito “Ma come faccio a dormire? Sarà l’esperimento del secolo!”.
“Appunto”.
Prese la mano di Crona e lo condusse su per una scala, illuminando la via con quelle piccole luci. Il ragazzo le aveva detto più volte nel corso del viaggio di non toccarlo, ma lei non sembrava preoccuparsene. Le fissò la mano per tutto il percorso temendo di vederla diventare nera e marcia, ma le dita rimasero bianche e dolcissime “Se è l’esperimento del secolo sono sicura che potrà aspettare una decina di ore!”.
“Ma…”
“Niente ma”
Il piano superiore era tutto immerso nelle ombre ed a stento riuscì a contare le stanze; per avere un’abitazione simile dovevano essere molto ricchi, perché i contadini che popolavano le campagne intorno al Grande Tempio avevano case piccole, ad un solo piano e che avevano spesso un terribile odore. Lì invece non solo il profumo delle candele, ma anche quello che veniva dalle stanze era accogliente e si spargeva per la casa; e anche quello della signora Medusa era particolare, senza alcun dubbio. “Non posso dormire proprio ORA!” la voce lo raggiunse anche lassù “Il mondo DEVE sapere! Devo scrivere lettere, mandare dei piccioni viaggiatori, devo …”
Le parole del dottor Stein svanirono solo quando la donna sbatté una porta e mostrò a Crona una stanza con un letto e due sedie.
“Uhm … grazie …”
Non sapeva di nuovo come comportarsi. Per di più non era mai stato molto bravo con le donne; al Santuario portavano sempre una maschera per celare la loro femminilità in onore di Atena. Non era abituato a guardarle negli occhi, eppure forse avrebbe dovuto dire qualcosa alla donna che era con lui ed impiegò diversi minuti per scegliere le parole “Signora Medusa … lei crede che il dottor Stein possa aiutarmi?”
L’idea gli era balenata così, dal profondo del cuore “Io … lo so che è un’idiozia, ma …”
Potrei non avere un’altra possibilità …
“ … cioè, lui potrebbe … uhm … aiutarmi a far tornare rosso il mio sangue? Io … non so cosa mi sia successo … ma … ho solo pensato che lui …” L’immagine del suo maestro morente non lo voleva abbandonare. La bellezza di Ingolstadt, i profumi di quella casa e della donna lo avevano allontanato un po’ da quel dolore, ma non sembravano abbastanza “QUESTO SANGUE E’ LA MIA MALEDIZIONE!”.
Gridò, e quando si fissò i piedi si trovò in lacrime. Era tutto ingiusto: il suo sangue, il suo maestro, il legame, Atena, il fatto di sentirsi sempre e dovunque un perfetto incapace.
Poi la mano di lei gli asciugò le lacrime ed il ragazzo si sentì in frantumi.
“Una maledizione, tu dici?”
Lasciò che lei lo mettesse seduto sul letto, debole come una bambola “Perché dici queste parole? E’ con il tuo sangue che ci hai salvato la vita, questo non ha proprio nessuna importanza?” prima che Crona potesse raccontarle della condizione del suo maestro lei riprese “Io non so cosa ti sia successo, piccolo, ma so che per me e Franken hai fatto la differenza. Quella che tu chiami maledizione ci ha permesso di essere di nuovo qui stasera. Hai dei poteri straordinari” sorrise e scosse la treccia “Se c’è qualcosa del tuo passato o del tuo presente che ti turba prova invece a concentrarti sul futuro. Più ti guardo, più vedo questa tua maledizione, e più penso che tu sia destinato a qualcosa di grande”.
Nel dire così lei si alzò ed aprì la finestra accompagnata dal frusciare della gonna, lasciando entrare l’aria della notte di Ingolstadt “Potresti persino essere l’inizio di una nuova era”.
Non capiva.
E non so come comportarmi.
Si abbandonò al letto e si ricordò che erano troppi giorni che non chiudeva occhio; il materasso era anche più comodo di quello del Santuario “Ma se ti fidi posso occuparmi anche io del tuo problema insieme a Franken”.
“Lei …?”
“Sì” gli sorrise “Alcuni studi interessano anche me, e lui mi lascia libera sia di assisterlo che di fare tutti gli esperimenti che voglio da sola, anche se sono una donna” lui smise di pensare a qualsiasi cosa che non fossero le coperte calde e la voce della signorina Medusa “E’ per questo che lo ho sposato, suppongo”.
Gli augurò la buonanotte e con grazia spense le candele, chiudendo la porta senza fare alcun rumore e lasciando che la stanza sprofondasse nelle tenebre. Lui cercò riparo nel sonno, perché in fondo aveva sempre avuto un po’ di timore del buio. L’unica luce che scorse prima di chiudere gli occhi fu quella di Alpherg, il cuore della costellazione dei Pesci, che brillava tenuemente fuori dalla finestra.

In piedi sull’osservatorio, Sage smise di pregare. Da lontano vide l’ammasso del Presepe, l’ammasso più luminoso del Cancro, perdere parte della sua luce ed offrire vigore ad Alpherg e Alrisha, lontane da lui nel cielo ma vicine nel cuore e nel Cosmo. Tra i tanti poteri di un Grande Sacerdote vi era quello di parlare alle stelle protettrici di tutte le costellazioni sacre ad Atena: in quel modo riusciva ad essere vicino a tutti i Saint, e grazie ai poteri della sua costellazione era in grado di sostenere le altre nei momenti di bisogno al prezzo della propria energia.
E la Dodicesima Costellazione in quei giorni aveva bisogno di lui.
Stanco per l’energia consumata scese le scale e si ritirò nelle sue stanze, domandandosi quante altre volte avrebbe potuto dialogare con le stelle in quel modo, tutto ed uno allo stesso tempo. Ma avrebbe tenuto in vita la dodicesima costellazione e Lugonis fino a quando il Cavaliere d’Oro fosse riuscito ad espellere quello strano sangue maledetto. O fino a quando le sue forze avrebbero retto.
“Sage, non siamo più giovani” gli aveva scritto suo fratello nell’ultima lettera “Dovresti seriamente prendere in considerazione l’idea di trovarti un erede. La Cloth del Cancro reclama un nuovo padrone e forse dovresti ascoltare la sua richiesta”.
Un apprendista, eh?
Si appoggiò al balcone dell’osservatorio e guardò una seconda volta verso l’alto.
Poteva accampare mille scuse e nasconderle sotto altrettante parole dorate, ma la verità era che aveva paura.
Era sempre stata lì, in un angolo del suo cuore, ma dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni era diventata un campana che aveva coperto con il frastuono le parole di suo fratello. Avere un apprendista significava molte cose … anche il rischio di perderlo. La precedente Guerra Santa si era portata con sé tutti coloro che amava, e chiudendo gli occhi era in grado di sentire le loro ultime grida di battaglia, di riconoscere ogni voce dei suoi compagni mentre venivano mietuti dai generali dell’esercito di Ade. Lui e suo fratello avevano ricostruito il Santuario sulle rovine del vecchio mondo portando con loro i ricordi di decine di uomini straordinari.
Ma un apprendista era qualcosa di diverso: era un legame unico e meraviglioso. La Casa dei Pesci lo portava fino alle conseguenze più estreme, ma era la cosa più simile ad una famiglia che un Saint potesse conoscere.
Sage ricordò il giorno in cui Lugonis era tornato da una missione, tenendo in braccio un bambino di cinque anni minuscolo, sparuto, con degli occhi azzurri enormi, i capelli rosa e che cercava di nascondere il viso contro la sua armatura d’oro. Diceva che il piccolo gli era caduto addosso dal balcone di una casa, ma quando aveva fatto per riportalo dalla sua famiglia non aveva trovato nulla, solo polvere e vecchi mobili consumati; il bambino piangeva e balbettava, non ricordava nulla, nemmeno il suo nome. L’istinto dei Pesci aveva prevalso su qualsiasi buonsenso di riportarlo indietro e cercare i suoi genitori. E se Lugonis avvizzisce ad ogni ora non è solo per il sangue nero. La verità è che non riesce a darsi pace per la fuga di Crona.
Non era il primo giovane che abbandonava il Santuario alla vigilia di indossare una Cloth, e non sarebbe stato nemmeno l’ultimo. Le prove per indossarne una erano dure e rigorose, e se per ottenerne una di bronzo veniva minato solo il fisico dell’aspirante cavaliere, per fregiarsi del titolo di Gold Saint si doveva pagare un prezzo molto più alto. L’ultimo apprendista della Casa dello Scorpione non aveva superato la prova, non aveva sopportato l’immensità dello Scarlet Needle ed era fuggito da lì in preda alla follia. Tanti anni prima il giovane che aveva tentato l’investitura della Cloth dell’Acquario era stato ucciso dallo Zero Assoluto del suo maestro.
Ma si rendeva conto di non riuscire ad accettarlo.
L’idea di perdere una vita legata alla sua lo spaventava.
L’idea di avere un giorno lo sguardo assente come quello di Lugonis.
L’idea di fallire.
Non si era ancora levato l’elmo dalla testa quando una della guardie comparve davanti a lui “Sua Eccellenza, un dispaccio urgente per lei” .
L’uomo anziano lesse le poche righe con attenzione nel silenzio della stanza, poi fece scivolare il foglio tra le pieghe della veste e si affrettò nel grande cortile sulla sommità della rocca; la grande statua di Atena vincitrice, la silenziosa regina di marmo che ricordava ogni giorno a lui ed a tutti i Saint quale fosse l’unica versa via della giustizia, scintillava bianca alla luce della luna.
Eppure in quel momento non riuscì a bearsi della sua vista.
Si inchinò davanti a lei ed accese i fuochi a lei dovuti, poi fece scivolare le dita ai piedi della statua riportando in vita un meccanismo che aveva lasciato addormentato per quasi duecento anni. Il suo cuore ascoltò lo stridere di ogni ingranaggio: fissò il basamento per diversi secondi prima che lo sportello segreto scivolasse lungo i cardini invisibili e portasse alla luce uno dei poteri più grandi che venivano direttamente da Atena.
Aveva pregato a lungo di non dover essere lui a risvegliarlo. La lettera che aveva ricevuto era priva di particolari importanti, ma se le supposizioni erano giuste …
La scatola era come l’aveva lasciata, perché il suo contenuto aveva abbastanza potere da sfuggire alle leggi del tempo e degli uomini. La dea lo aveva consegnato a lui e soltanto a lui prima di svanire nell’ultima Guerra Santa: le aveva promesso che ne avrebbe fatto sempre buon uso.
La strinse tra le dita ossute poi, ignorando i morsi del sonno, corse verso la Dodicesima Casa.

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Capitolo 4
*** Medusa, la determinazione. Il futuro è davvero nelle mie mani? ***



Capitolo 4: Medusa, la determinazione. Il futuro è davvero nelle mie mani?


La notte non gli fu di grande aiuto. Il giorno dopo, davanti alla colazione più abbondante della sua vita, Crona non riuscì a fare altro che fissare le volute di fumo che si levavano dalla sua tazza di latte; mangiò qualche fetta di pane imburrato, ma senza alcun appetito. Aveva sognato il suo maestro che si ammalava mentre in cielo la dodicesima costellazione svaniva nel buio, assorbita da due stelle di cui il ragazzo non aveva memoria. Nel sogno lui correva ad avvisare il Gran Sacerdote ma la scalinata gli svaniva sotto i suoi piedi in una pozza di tenebra; mentre sprofondava riusciva ad intravedere Sua Eccellenza correre nella sua direzione mentre con le mani protendeva una scatolina d’oro verso le nuove stelle, cercando di rinchiuderle. Si era svegliato ancora più impaurito del solito. “Mangia, Crona, mangia!” la voce lo riportò con violenza al salotto ed alla colazione “Ti voglio in forma!”
Aveva il sospetto che il dottore non avesse dormito nemmeno un’ora: davanti a lui il tavolo era pieno di tazze di caffè rovesciate ed ovunque c’erano appunti, fogli, lettere e persino un timbro di ceralacca come quelli del Grande Sacerdote. “Ho mobilitato tutti i piccioni viaggiatori della città! Ed il sistema postale!”
La luce della finestra si riflesse sui suoi occhiali, dandogli un aspetto sinistro. Si accese una pipa, e mentre piegava alcuni fogli gli disse che aveva mandato Medusa a spedire degli inviti che si era dimenticato di aggiungere. Il ragazzo si sforzò di finire la sua tazza di latte mentre l’uomo raccontava addirittura i dettagli della festa che avrebbe seguito la presentazione del suo lavoro, ma nemmeno quell’idea riuscì a dare gioia o coraggio a Crona. Anzi, si sentiva ancora più a disagio della sera precedente. Quello Stein era esuberante, movimentato, contava su di lui e su quel sangue maledetto quasi come se l’idea di entrarvi a contatto non lo spaventasse.
Gli faceva persino paura, specie senza la rassicurante signora Medusa vicino.
“Forza, su, andiamo!”
Non aveva mai visto un laboratorio nella sua vita. Sapeva che era un posto dove la gente studiava, e per tutta la mattina se lo era immaginato come le stanze del maestro Krjest, dove vi erano enormi scaffali che traboccavano di libri polverosi che i Cavalieri dell’Acquario custodivano con gelosia. C’era un meraviglioso profumo di erbe da ogni parte del mondo, e nelle rare volte che il suo maestro scendeva all’Undicesima Casa curava con un semplice tocco qualsiasi vegetale avvizzito.
Ma non era nulla di paragonabile al piccolo mondo che si estese davanti ai suoi occhi scendendo nelle cantine; c’erano decine di oggetti di vetro dalle forme impossibili, libri e fogli di carta ovunque si girasse e strumenti di cui ignorava persino la funzione. L’odore era a dir poco disgustoso, e sarebbe tornato al piano di sopra se il dottor Stein non lo avesse trascinato per la manica. Un Cosmo negativo allignava in quel luogo e lui cercò di divincolarsi, spaventato all’idea che qualcosa di terribilmente sbagliato fosse nascosto lì, da qualche parte, dove nessuno dei suoi normali cinque sensi sarebbe arrivato. Ma c’era.
Provò a divincolarsi, ma la terza volta l’uomo lo strinse con una forza che poteva essere di un Saint “Qualcosa ti preoccupa?”
Crona era certo di vedere uno scintillio nei suoi occhi “Non volevi scoprire qualcosa in più sul tuo sangue?”.
Perché in quel momento non ne era poi così sicuro?
C’era un letto in un angolo, piccolo e rivestito di teli bianchi su cui si ritrovò a sedere. Non c’era il cuscino. Il dottore si mise ad armeggiare tra decine di cassetti, ma il ragazzo non riuscì nemmeno ad alzarsi per tentare la fuga; parte di lui voleva correre via, parte invece voleva sapere cosa diamine ci fosse nel suo corpo. Un’altra si sarebbe rannicchiata sotto il lettino in attesa di un aiuto.
La vista di una coppia di lame appoggiate sul tavolo non gli piaceva troppo.
“Adesso prendi questo!” fece l’uomo. Aveva indossato una lunga veste bianca con le maniche, tutta rattoppata, e gli porse trionfante un telo imbevuto di una strana sostanza “Così potrò dissezionarti senza troppi problemi”.
Crona non era sicuro di cosa volesse dire la parola dissezionare, tantomeno se fosse qualcosa di piacevole. Senza sapere come si ritrovò quello strano telo che emetteva un odore disgustoso tra le mani e la costante sensazione di un Cosmo tenebroso in agguato tutto intorno a lui. Lo scienziato gli avvicinò il tessuto al viso “Tranquillo, fai un bel respiro”.
Non era affatto tranquillo, perché il secondo successivo l’odore gli diede alla testa e per un attimo gli tornò alla mente il profumo delle rose della Casa dei Pesci. A dire la verità non era poi così spiacevole, ma … era dolce … e allo stesso tempo bruciava … Stava per lasciarsi andare a quell’odore intenso e familiare quando un tonfo lo riportò alla realtà.
Il dottor Stein era accasciato ai suoi piedi con quel panno ancora tra le mani.
“Non ti ha fatto del male, vero, Crona?”
Adesso davanti a lui c’era solo la signora Medusa che stringeva il libro più enorme che il ragazzo avesse mai visto “Un buon uso per questo trattato di anatomia. Perdonami …” lo mise in piedi ed il laboratorio vorticò intorno ai suoi piedi “… andiamo via di qui. Ora. Non pensavo che Franken potesse farti una cosa simile, non era mai arrivato a tal punto con i suoi esperimenti, ma …”
Gli mancava l’aria.
L’uomo sdraiato sul pavimento continuava a spaventarlo. Sulla bocca c’era ancora il suo sorriso pericoloso.
“Io posso aiutarti. Non sono al livello di mio marito ma non posso lasciarti qui dentro” lo scosse di nuovo con quelle mani magicamente immuni alla sua maledizione “Insieme possiamo trovare un senso a tutto questo, ma devo chiederti di fidarti di me!”
Posso fidarmi di lei? Di quei suoi occhi d’ambra, del suo fare gentile, delle mani che lo aiutavano a rialzarsi? Era premurosa come il maestro Lugonis.
Non sapeva cosa fare, ma al suo tocco sentì il sangue muoversi, svegliarsi, prendere vita. Lo faceva unicamente con lei“Io … non lo so …” le strinse con forza la mano “La prego … mi aiuti lei … perché io altrimenti …”
“Allora vieni”.
L’attimo dopo si ritrovarono in strada, correndo tra la gente. Alla luce del giorno Ingolstadt si era animata di centinaia di persone in abiti colorati; la testa di Crona ancora vorticava per la strana sostanza del dottor Stein, ma la mano della signora lo guidava tra la folla. Scivolarono tra un gruppo di dame al braccio dei loro uomini, con delle lunghe gonne su cui incespicò nel percorso; la signora Medusa si girava con pazienza, lo sollevava e correvano di nuovo insieme per poi scivolare e rialzarsi. Le ripeté di nuovo di non toccarlo perché il suo sangue era pericoloso, ma più lui lo farfugliava più lo afferrava saldamente. Per non perderlo.
Si tuffarono nel mercato, poi tra i calesse, poi alle porte della città dove le guardie li lasciarono passare con un solo suo cenno del capo, forse abituate a lei ed alle stranezze del marito. Una volta fuori dalla città iniziò a correre. Prima furono solo dei salti, poi una vera falcata che non era intralciata nemmeno dalla grande gonna “Ce la fai a starmi dietro?” gli sorrise, e senza lasciare la sua mano si spinse fuori dalla strada maestra.
Era molto veloce e forte per una donna, Crona era sicuro che fosse veloce quanto una delle Silver Saint.
Si adattò al ritmo delle gambe di lei e corse. Il luogo era stupendo, nulla a che vedere con i campi della Grecia: intorno al Grande Tempio i fiumi scorrevano in abbondanza ed Atena aveva benedetto la terra, ma la loro era un’isola felice. La Tessaglia era brulla, secca, e quando si era recato in visita all’isola natale del suo maestro l’aveva trovata grigia e triste. Lì invece era tutto stupendo: non c’era montagna che non fosse morbida, rassicuranti profili nel sottofondo, e tutto era verde come una cascata di smeraldi. Perse il conto dei ruscelli che attraversarono con semplici salti.
La treccia al vento della signora Medusa indicava la via, e Crona si lasciò cullare dal quel movimento frenetico, sicuro che i loro cuori stessero battendo allo stesso ritmo, proprio come accadeva durante gli allenamenti con il maestro. La perfetta sintonia, una costante unione, mai la rottura. L’unico equilibrio che conosceva.
Era ormai tardo pomeriggio quando interruppero la corsa, lontani dalla follia del dottor Stein. Si erano lasciati da un bel pezzo Ingolstadt alle spalle ed erano entrati in un bosco; la signora doveva conoscerlo bene, perché si mosse nel fogliame con passo sicuro, e proprio quando il ragazzo temette di essersi perso scivolò lungo un sentiero acciottolato che il sottobosco aveva nascosto.
L’ultima cosa che Crona si sarebbe aspettato in quel paradiso lontano dagli uomini era una piccola chiesa; sorgeva in mezzo alla radura, con semplici vetrate colorate che impedivano di vedere cosa ci fosse all’interno “Siamo venuti per pregare, signora Medusa?”
“Più o meno”
Sapeva che nel mondo nessuno venerava più Atena o era a conoscenza delle Guerre Sacre; gli uomini avevano abbracciato strane credenze monoteiste che li avevano resi diffidenti nei confronti dei vecchi dèi che avevano adorato per centinaia di anni. Il maestro Lugonis diceva sempre che i monoteisti erano stupidi, perché si uccidevano tra loro per dimostrare che il loro dio era l’unico ed il solo degno di venerazione. I Saint combattevano e pregavano solo Atena, ma sapevano che l’equilibrio del mondo era troppo delicato per le fragili mani di un’unica dea, che altri esseri come lei esistevano ed avevano pari dignità e potere. Alcuni amici, altri avversari sin dall’origine del Cosmo e delle stelle. Ma se la signora Medusa era una monoteista avrebbe fatto meglio a tenere la bocca chiusa.
Lei spinse la porta in quercia “Entra”.
L’interno era avvolto nelle ombre, tranne per qualche candela lungo le pareti. Le flebili luci gli mostrarono delle panche di legno e delle statue lungo le pareti, ma nulla di più; nessuno in preghiera. I loro passi riecheggiarono sul marmo.
D’improvviso lo colse una terribile sensazione di disagio: il freddo gli attraversò le ossa ed il sangue si mosse nelle vene, irrequieto “Vieni con me” continuò lei, impugnando un candelabro. Nascosta dietro una colonna c’era una scala in marmo che conduceva ad un livello inferiore “Ti prometto che non dovrai più preoccuparti del tuo sangue”
Puntò i piedi. Doveva avvisarla. Lei non poteva sentirlo, era una normale umana “C’è … un Cosmo enorme … e pericoloso! Signora, non dobbiamo andare là sotto!”
Lei gli rivolse solo un sorriso “Se sei con me non correrai alcun pericolo. Hai detto che ti fidavi di me. E io non ti deluderò, vedrai”. Dove mi sta portando?
C’è qualcosa di oscuro là sotto!

Delle candele color sangue si accesero da sole al loro passaggio; la cripta era molto più ampia di quanto il ragazzo si aspettasse e ricordava molto il laboratorio del dottor Stein, con migliaia di oggetti di vetro e volumi spalancati. La sola vista del luogo lo fece rabbrividire.
Sentiva la mancanza del suo giardino. Voleva tornare a casa come mai prima di allora.
Eppure la signora Medusa aveva dipinto sul volto uno splendido sorriso che la rendeva ancora più bella “Benvenuto nel mio laboratorio. Un po’ fuori mano, lo ammetto, ma lontano dalla vista della gente comune” con un braccio gli cinse le spalle “Non temere. Tutto quello che vedi è qui per te. Oggi è un giorno davvero speciale”.
Il ragazzo si voltò verso il fondo della cripta, ed il gelo gli avvolse le interiora quando vide l’origine di quel Cosmo spaventoso ed oscuro che aveva percepito all’entrata della chiesa; su un seggio nero e lucente era seduto un uomo dai capelli color delle tenebre e rivestito di una tunica dello stesso colore priva di ricami. Sembrava giovane, ma a guardarlo bene avrebbe potuto avere qualsiasi età. Se il Cosmo del Gran Sacerdote era dolce e compassionevole, pieno di luce, quello dell’uomo seduto davanti a lui sembrava l’abisso della notte. In grado di spengere una stella. Il semplice trovarsi al suo cospetto faceva vibrare il suo cuore come mille ruggiti di bestie feroci pronti a balzare da quel corpo nobile e dilaniarlo.
Qualcosa non va, devo andare via! Devo dirlo al maestro!
“Quando il sole sarà tramontato Pandora, la Bambina Eletta, romperà i sigilli ed il nostro signore e dio aprirà gli occhi nel suo nuovo corpo su cui ho tanto pregato e vegliato” fece la donna, che si inginocchiò davanti al trono spingendolo a fare altrettanto. Si trovò suo malgrado a terra, fissando dal basso la divinità addormentata.
“Soul Release”.
Fu come percepire una sfera di cristallo in frantumi.
Dal suo petto si sprigionò un Cosmo potente ed aggressivo che raggiunse Crona e lo attrasse a sé; il suo sangue ribollì, si mosse con forza come mai nel corso degli allenamenti. Le braccia e le gambe si mossero da sole per quel potere incontrollabile, mentre la signora Medusa fu avvolta dalle tenebre. Il sangue nero gli salì nella gola ed invase i suoi occhi.
Quando riuscì di nuovo a metterli a fuoco il corpo di lei era avvolto da un’armatura. Nera o viola, non avrebbe saputo dirlo con precisione. Alla luce delle candele rivelò le sue forme, elaborata come quella di un Cavaliere d’Oro e con delle propaggini che fluivano dietro la sua schiena, muovendosi come se fossero vive.
Una delle 108 stelle malefiche. Una Surplice!
“Lei … lei è …”
“Medusa della Gorgone, del Cielo Scarlatto. La prescelta di Sua Eccellenza Thanatos”. Crona la fissò di nuovo, e delle mille parole che aveva nella mente nessuna si formò sulle labbra, annegate nel suo stesso sangue. Non aveva mai visto uno Specter, ma se le 108 stelle malefiche al servizio di Ade stavano rinascendo il suo compito era correre al Santuario ed avvertire il Gran Sacerdote ed il maestro Lugonis. Non era degno di essere un vero Saint, ma avrebbe comunque fatto il suo il suo dovere. E se quell’uomo era davvero Thanatos, uno dei generali di Ade …
La porta da cui erano entrati era ancora aperta; non era sicuro di star facendo la cosa giusta, non aveva idea della reazione della donna, ma fece appello al suo Cosmo, alla costellazione dei Pesci ed al suo maestro e si lanciò verso l’uscita. Ma con orrore i suoi piedi rimasero uniti al pavimento e nessuna delle sue gambe si sollevò. Ma cosa …
La donna si chinò su di lui. Poteva sentire il naso premere contro la guancia di lei, e gli occhi che gli erano sembrati quasi divini adesso si erano assottigliati come quelli di un rettile mortale “Ti avevo promesso che ti avrei mostrato la natura del tuo sangue …e ti accontenterò …”
Anche il tono della voce era diverso, sottile come un sibilo; Crona cercò di allontanarla, ma persino le sue braccia erano inerti come due colonne di marmo.
“Abbandona i vecchi preconcetti del Tempio. Compi la missione per cui sei nato. Fai del tuo sangue nero l’arma perfetta che permetterà agli dèi gemelli di fare a pezzi le Cloth dei servi di Atena! Versa ogni goccia del tuo sangue e tingi con esso il percorso che ci condurrà al trionfo nella nuova Guerra Sacra!”
Le dita di lei gli sfiorarono la fronte, ma non trovò le forze per scansare la testa; era costretto a fissare quegli occhi, mortali e impassibili come quelli di un serpente.
“Risvegliati, Crona di Ragnarok”
La seconda ondata di dolore arrivò senza preavviso, scuotendogli le braccia, le gambe e la schiena, che si piegò in modo innaturale. Il suo sangue ribolliva, si contorceva e non rispondeva più a suoi comandi nonostante gli anni di addestramento; lo sentì premere contro le vene e le arterie, quasi a perforargli il petto.
Si alzò, ma non era lui a comandare il movimento. Era un burattino straziato dal dolore mentre veniva sospinto suo malgrado verso la figura del dio dalla volontà della donna “Tra un’ora il sigillo verrà spezzato ed offrirai ogni goccia del tuo sangue al nostro signore come è tuo dovere. E non temere, stavolta non rimarginerà”
“NO!”
“Temo che tu non abbia molta scelta. A essere sincera dubito che tu ne abbia mai avuta”. Qualsiasi tentativo di ribellione sembrava vano. Poteva solo osservare da vicino il sonno del signore della morte, percepirne l’enorme cosmo e far scivolare lo sguardo sulla Surplice oscura della donna che stava giocando con la sua vita “Sei nato per il Suo volere e per Lui morirai”.
“IO NON CREDO PROPRIO!”
L’attimo dopo Crona si ritrovò scagliato con forza dall’altra parte della cripta, lontano dal trono nero. Si portò la mano alla testa per il dolore e si accorse di potersi muovere di nuovo. La signora Medusa, poco lontano da lui, stava cercando di rialzarsi, scaraventata anche lei contro una colonna.
Davanti al ragazzo si parò la familiare sagoma di un mantello bianco ed il luccichio di un’armatura d’oro.
“IO TI MASSACRO QUI, SPECTER. SPARISCI DALLA MIA VISTA!”

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Capitolo 5
*** Lugonis, l’amore. Il mio sangue, la tua vita, tutto solo per quell’istante! ***



Capitolo 5: Lugonis, l’amore. Il mio sangue, la tua vita, tutto solo per quell’istante!


La Specter impiegò pochi attimi per rimettersi in piedi e lo fissò con quei suoi occhi carichi d’odio. Lugonis ricambiò lo sguardo senza perderne di vista anche un solo movimento “Crona, va meglio?”
Quella strega aveva osato sfiorare il suo allievo. Aveva contaminato il Legame Cremisi. E nessuno poteva minacciare impunemente il successore del Saint dei Pesci. Confortò il ragazzo con un sorriso: era ancora più pallido e spossato di quando era fuggito, ma era vivo. Atena sia ringraziata.
Era sicuro che la sua avversaria avesse emesso un sibilo; ma più che la donna, ciò che lo spaventava era l’essere dal Cosmo spaventoso in attesa sul trono, perché se una Specter si stava dando così tanto da fare c’erano pochi dubbi sull’identità dell’uomo dai capelli scuri.
“Come sei arrivato qui, Saint di Atena?”
“Potrei dirti per caso” mai perdere d’occhio un nemico “O forse perché Atena ha voluto così, ma …” in fondo la situazione meritava un sorriso “… diciamo che è arrivato un piccione viaggiatore espresso al Grande Tempio! Proveniente da Ingolstadt, ma guarda un po’!”
“Un piccione … FRANKEN!”
“Sì, tesoro?”
Lugonis si spostò e si portò al fianco di Crona, lasciando il campo a Franken Stein. Lo scienziato si portò al centro della cripta con fare disinvolto, più attento ai libri che traboccavano dalle mensole che alla Specter ed al suo padrone. Se Lugonis non si fosse trovato in una cripta maledetta con il suo allievo in pericolo, una serva di Ade furiosa, la Guerra Santa alle porte ed il dio della morte sul punto di risvegliarsi si sarebbe seduto su una panca e si sarebbe goduto lo spettacolo. “Cielo, ho sposato una Specter!” e il tono era quasi divertito “Ti concedo di essere davvero brava, in tutti questi anni non me ne sono mai accorto!”
“TU? CHE COSA CI FAI QUI, IMPIASTRO?”
“Vengo a restituirti la botta in testa che mi hai dato, cara” estrasse una pipa dalla tasca del camice e la accese con uno schiocco di dita “Al tuo dio dispiace se fumo? Mi auguro proprio di sì!”
La mano di Crona cercò istintivamente la sua e la strinse forte, lasciando che fosse il sangue che li univa a parlare. Il sangue nero del ragazzo si ribellava al suo richiamo, lo feriva dall’interno, ma poteva sentire anche parte del proprio fluire in quel piccolo corpo a seguito del Legame. Il sangue sacro della dodicesima casa. Quella donna era la causa del sangue nero, in un modo o nell’alto. Poteva controllarlo. Era riuscito a separarli per qualche minuto, ma la presa della Specter sul ragazzo era più forte della sua.
E la cosa lo faceva davvero infuriare.
“Non so cosa tu faccia in combutta con il Grande Tempio, Franken, ma non hai idea in che guaio ti sia cacciato. Sparisci ammirando la mia creazione!”
Le dita del ragazzo si staccarono dalle sue con violenza. Il corpo riprese a muoversi spasmodico “Maestro … aiuto …”
Il Saint si lanciò in avanti con l’intenzione di bloccargli il polso ed impedirgli di avvicinarsi alla donna, ma si ritrovò la spada di Crona a pochissima distanza dal palmo. Nera anche quella.
“Ti conviene non avvicinarti, bel pesciolino, o il mio obbediente Crona di Ragnarok farà a pezzi te e la tua luminosa Cloth”
Come se me ne importasse qualcosa …
Guardò prima la spada oscura, poi la mano chiara e malferma che la stringeva. Avrebbe potuto fermare il ragazzo con le rose scarlatte e poi lanciarsi sulla Specter, ma i suoi fiori non erano pensati per immobilizzare o rallentare qualcuno. Avrebbe persino rischiato di ucciderlo. Rilasciare il suo profumo velenoso avrebbe solo finito per danneggiare Stein, e Crona ne era immune.
Oppure, unica soluzione valida, avrebbe potuto avvicinarsi di qualche altro passo, stendere la mano e provare a fermare il ragazzo soltanto con la propria forza fisica; la lama oscura lo aspettava, ma almeno si sarebbe ferito soltanto lui.
“Non fare quello che sono certo che stai pensando di fare, Lugonis. La situazione la gestisco io”
“E come?” conosceva lo scienziato da diversi anni, persino da prima che la follia oscurasse parte della sua mente, e abbastanza bene da sapere che per lui il parametro vita propria o altrui non era una variabile fondamentale nei duelli. E non avrebbe rischiato il proprio apprendista.
L’altro tirò una boccata profonda dalla pipa “Tesoro, dì al ragazzo di farsi da parte, per favore. Sai che non mi piace che ci siano estranei nelle nostre liti di famiglia!”
Lei mosse una mano e Crona si trascinò nella sua direzione, sebbene la punta della sua spada di sangue continuasse a puntare verso di lui “Per tuo sommo disappunto, Franken, questo ragazzo fa parte della mia famiglia. Il suo sangue è il mio sangue”.
Cosa?
“Lui è mio figlio. Il mio esperimento meglio riuscito. Il mio sacrificio al sommo Thanatos ed al trionfo dell’armata di Ade sul mondo”.
Il suo … cosa ?
“I miei studi vano ben oltre i tuoi piccoli esperimenti, Franken. Ho alterato il sangue di mio figlio sin dalla nascita per renderlo l’arma perfetta in grado di distruggere con poche gocce persino le Gold Cloth”
Lugonis non sapeva più chi o cosa osservare. Quando la Specter si voltò verso di lui notò che quelle poche fattezze umane che ancora le rimanevano erano storpiate dagli occhi gialli dall’iride sottile e dalla lingua biforcuta che passava con un certo piacere sulle labbra. Ma le sue sembianze erano niente in confronto alle parole. Ed il piacere di ricacciargliele indietro con le sue rose aumentava ad ogni secondo. “Ma mi mancava l’ultimo ingrediente. Il suo sangue doveva mescolarsi con quello più potente su questo mondo. Bastava un solo, minuscolo contatto”.
Un secondo, lungo sibilo “Il sangue di uno stupido Cavaliere dei Pesci con un ancor più stupido senso paterno …”
Crona.
Quella volta gli era caduto dall’alto, così piccolo che pesava meno del mucchio di stracci che lo avvolgeva.
Crona.
Erano stati i suoi occhi azzurri a colpirlo, così grandi e vuoti allo stesso tempo.
Crona.
Era stato certo che fosse stata la costellazione dei Pesci a farglielo cadere tra le braccia.
E per quella strega Crona non era stato altro che un esperimento?
“Come puoi dire una cosa del genere di tuo figlio?”
“Mio figlio è uno Specter, e gli ho fatto un dono di cui essere orgoglioso. Potrà offrirsi in sacrificio al sommo Thanatos per spianare la strada verso la Sua eterna gloria” il suo ghigno era ormai inguardabile “Con il sangue di Crona distruggeremo finalmente le vostre Cloth. E la tua, pesciolino d’oro … sarà la prima!”
“NO!” urlò Crona, cercando di muoversi di propria volontà; sembrava che la stessa presenza della donna lo trascinasse nella propria direzione, forte come in risucchio di un buco nero. Stein, quasi incurante di tutto, lo superò con un paio di passi lenti e si portò ancora più vicino alla lama del ragazzo; vuotò il contenuto della pipa, la riempì con qualcosa dalle sue tasche, la accese e trasse una seconda, più profonda boccata. “Ho capito, va bene, cara …”
Forse portarlo con me non è stata un’idea brillante. “Ora che ti sei vantata a sufficienza delle tue ricerche e ne sei a ragione soddisfatta perché non dici al ragazzo di abbassare il ferro? Qualcuno potrebbe farsi male sul serio … e mi dispiacerebbe rovinare il delizioso faccino che stai sfoggiando”.
Superò Crona approfittando del dubbio negli occhi della donna, frapponendosi tra lei ed il ragazzo. Forse vuole darmi il tempo di agire …credo …spero … Se avessi la più pallida idea di come fare …
“Stein, un patetico umano normale come te non ha idea di quello che sta avvenendo ora, in questa stanza!”
“Te l’ho detto mille volte in questi anni, cara. Ti consideri una scienziata, ma per i miei gusti presumi troppo … SOUL THREAD SUTURES!”
Lugonis percepì lo scintillare del Cosmo giusto in tempo e si allontanò con un salto, ma la donna non fu altrettanto rapida; dal pavimento, dalle crepe, e persino dalla sua ombra comparvero migliaia di minuscoli fili bianchi che si avvilupparono alla sua armatura nera, si conficcarono nella superficie lucida e la ancorarono a terra “Ma cosa hai …?”
“Tesoro, uno scienziato è sempre pieno di sorprese”.
“Tu saresti … UN SAINT DI ATENA?”
“Ex, prego. L’armatura non fa per me. Non è comoda quando devo dissezionare”.
La donna si avvolse di energia, usando il proprio Cosmo per spezzare l’attacco di Stein; per quanti fili si spezzassero, però, altri ne comparivano e si tingevano di un colore scuro assorbendo parte del potere avversario. Lo scienziato era ancora tra la Specter e Crona, assolutamente immobile, con il braccio teso e gli occhi chiusi; Lugonis sapeva che sarebbe bastato un solo attimo di distrazione per far sparire il Soul Thread Sutures, un attacco che richiedeva una perfetta unione di concentrazione e pazienza, doti insolite per la Casa dove l’altro si era allenato. La Specter chiamò a sé ancora più energia, e nel tentativo di liberarsi da due fili di sutura che le serravano il collo fece scivolare il suo potere prima con una vibrazione, poi con un’esplosione che si propagò sulla sua Surplice e la fece scintillare. Con una profonda spinta di spalle raccolse parte di quell’energia e la spinse contro la rete che la imprigionava, lacerandola, ed il boato che ne seguì scaraventò Stein dall’altra parte della stanza.
Gli bastò.
Quando la donna usò tutto il suo potere per scrollarsi di dosso l’attacco dello scienziato ne sentì la concentrazione abbandonare per un attimo la presa su Crona; prima che potesse riprendere di nuovo il controllo sul corpo del ragazzo Lugonis si lanciò su di lui, lo spinse a terra e usò il proprio Cosmo per allontanare la spada nera dalla sua mano, lasciando che questa si sciogliesse in piccole gocce di sangue una volta perso il contatto con il padrone.
La pelle di Crona era gelida “Maestro … aiuto … io …”
Non temere. Toccò una crepa del pavimento e sentì la terra e tutte le sue energie fluire da sotto quel posto maledetto: le tenebre dell’armata infernale avevano infettato anche quel luogo meraviglioso, ma non abbastanza da impedirgli di esercitare il proprio potere. Nel giro di qualche istante le lastre di marmo sotto di loro furono prima incrinate, poi distrutte dal potere del roseto che sbocciò al suo comando. L’energia che il Grande Sacerdote gli aveva prestato dalla sua stessa costellazione per rialzarsi e recarsi in quel luogo era forte ma non inesauribile, e la pianta piena di spine che li avvolse non era resistente come quelle che evocava di solito. Ma basterà. Non ci vorrà molto. Dalla morte, la vita.
Una spina trafisse i loro palmi, ed il sangue consacrato al Legame Cremisi esplose.
Il Cosmo di Lugonis si accese e brillò nel sangue dei Pesci, scivolando dalla sua mano fin dentro le cari del ragazzo.
Il silenzio calò intorno e dentro di lui; era vagamente cosciente del muro di rose circostante che veniva colpito, sfioriva e rinasceva per poi assorbire mille ed altri colpi, ma solo parte della sua mente poté concentrarsi sulla difesa. Il resto era lì, nel ragazzo che teneva per mano, dentro suo figlio, diretto verso il mostro nascosto in lui. Non era quello il momento o il luogo per completare il Legame, ma controllando e dosando con coscienza il proprio sangue avrebbe potuto comunque liberarlo da quell’incubo. La strega poteva prendersi quello che voleva, ma non Crona.
Quando il suo sangue impattò con quello nero del ragazzo fu come se mille aghi gli si conficcassero prima nella mano, poi nel braccio, poi fin nel cervello come un’unica ondata di veleno. La Specter aveva lasciato che fosse lui ad occuparsi del ragazzo proprio in attesa del Legame; aveva lasciato che fosse il sangue dei Pesci ad attivare quello di Crona ed a trasformarlo in un’arma. Ma non le avrebbe permesso di prendersi gioco una seconda volta dei loro poteri.
Sentì il fluido oscuro scivolare dentro le proprie vene e lo tirò a sé, stringendo i denti, assimilandone quanto più possibile dal corpo del suo apprendista e lasciando che nel ragazzo si riversasse il sangue baciato da Atena. Veleno contro sangue nero, il bruciore dentro il petto si fece ancora più acuto ma non abbandonò la piccola mano finché non fu certo di aver imprigionato dentro di sé quanto più sangue oscuro possibile. Parte ne era certamente rimasta in Crona, ma la protezione dei Pesci avrebbe impedito a quella strega di prendere di nuovo il controllo su di lui.
Appena provò ad alzarsi, però, tutto il suo corpo si ribellò: sollevare la testa era un’agonia.
“Maestro …”
Le esili braccia di Crona gli si strinsero intorno al collo. Non ricordava di aver mai ricevuto un abbraccio così intenso. “Grazie”.

“VECTOR ARROW!”
Le grida intorno a loro gli giungevano attenuate alle orecchie. In parte era merito del roseto, anche se adesso i fiori non erano più del vecchio colore sgargiante, ma avevano assunto delle venature oscure proprio come quelle del suo giardino. Ma era anche il sangue nero dentro di lui ad assorbirgli i sensi, scuotendosi nelle sue vene come un animale feroce su cui i cacciatori avevano gettato delle reti. Al suo tocco i fiori si ritirarono, ed una sagoma nera sfrecciò sopra le loro teste.
Con profondo disagio Lugonis scoprì che si trovavano al centro della più burrascosa lite familiare che avesse mai visto.
“Ma certo che non è tuo figlio! Tu non saresti in grado di distinguere una donna da una provetta! VECTOR ARROW!”. La Specter si sollevò in aria e dal retro della sua armatura si formarono oltre dieci frecce nere e viola che si staccarono da lei, si caricarono di Cosmo tenebroso ed attraversarono la cripta dirette contro Stein.
“Ma certo che le so distinguere! Sono entrambe dei contenitori!” con un’acrobazia l’uomo in camice oltrepassò il tavolo del laboratorio improvvisato e mandò l’attacco nemico contro l’oggetto trasformandolo in una cascata di schegge; Lugonis ebbe un tuffo al cuore quando una delle frecce si portò via mezza manica bianca con un sonoro strappo “Ma le provette almeno STANNO ZITTE! SOUL THREAD SUTURES!”
Crona era ancora spaventato dallo scienziato, glielo leggeva nel cuore e nel sangue che dividevano. Ma c’era qualcosa di ben più grande e maestoso da temere: se quello che aveva annunciato la Specter era vero, il dio Thanatos era sul punto di risvegliarsi. Da qualche parte del mondo una mano innocente avrebbe spezzato al tramonto il sigillo che incarcerava gli dèi gemelli e le anime di Hypnos e Thanatos sarebbero volate ai rispettivi corpi, ed i due generali avrebbero trovato il modo di risvegliare il loro signore Ade e far partire una nuova Guerra Santa.
In tutti quegli anni il Grande Sacerdote aveva mobilitato centinaia di Saint allo scopo di trovare e distruggere i corpi che avrebbero ospitato i due spiriti inquieti, ma evidentemente nessuno aveva mai pensato di controllare in quella cripta dimenticata dagli uomini. Il fatto che non vi fosse il corpo di Hypnos era solo l’ennesima prova che gli dèi avevano cercato in ogni modo di nascondere la loro esistenza e di preparare un piano di riserva in caso di incidente.
Da una piccola finestra della cripta arrivarono i crudeli raggi del tramonto.
L’unica speranza era il tesoro più prezioso del Santuario che il Gran Sacerdote gli aveva affidato prima di partire: era lì, poteva sentirlo ardere contro la sua armatura e caricarlo di forza.
“Crona …”
Intorno al corpo di Thanatos la donna aveva eretto una barriera di energia, e l’ultima luce del giorno avvolgeva il trono del sovrano di luce arancione. Non aveva bisogno di espandere il proprio Cosmo per percepire il potere malefico della Gorgone e delle sue frecce mortali.
Lei urlò qualcosa contro Stein, ma delle sue parole percepì solo il sibilo finale. Ma, per quanto temibile, quell’essere era uno Specter come altri. Non era uno dei tre Giudici Infernali.
E lui era un Gold Saint con il più potente erede della Dodicesima Casa al suo fianco. “Fai vedere alla marmaglia di Ade chi sei davvero”.
La mia ragione di vita.
Il ragazzo respirò a fondo e la sua spada comparve di nuovo: era ancora nera, ma al posto del gelo e del vuoto c’era una nuova forza ed osservò compiaciuto la lama che si abbatté con energia contro la barriera. Un turbine di sangue e veleno, un unico movimento in cui riconobbe il profumo delle rose.
“SCREECH GAMMA!”
Le pareti della chiesa tremarono all’impatto della spada di sangue contro la barriera crepitante mentre un lampo di luce rossa attraversò la stanza ed illuminò i capelli del dio in attesa. Non lo aveva mai visto sferrare un attacco con tanta sicurezza, nemmeno negli ultimi allenamenti. Il suo apprendista era finalmente pronto per la Gold Cloth. Sage si sarebbe dovuto ricredere “Eccellente, Crona”.
Lo scudo malefico perse parte della sua luce mentre l’energia veniva dissipata dalla spada nera, e l’urlo di disfatta della Specter fu sommerso da un attacco di Stein. La luce del sole, tiranna, stava lasciando quel mondo e l’abisso di morte seduto davanti ai suoi occhi gli ricordò di non essere solo un maestro ed un padre orgoglioso, ma un Saint in missione. Sul palmo della mano scesero tre petali, che al contatto delle sue dita sbocciarono in tre rose perfette.
Una bianca, per Atena e per Sage.
Una rosa, per l’innocenza di Crona.
Una rossa, per se stesso ed il suo orgoglio.
Addio, Thanatos.
Ma quando fece per scagliarle contro ciò che restava della barriera, dritte al petto di quel corpo ancora inanimato, la sua mano si irrigidì. Livida. Gelida. Guardò le proprie dita, che erano colme di macchie nere che si estendevano fino al polso ed alla Gold Cloth ancora non riparata. Due dei fiori persero i petali ed avvizzirono nel suo palmo ma il terzo, quello cremisi, si tinse di tenebra. Provò a scagliarlo lontano ma nulla rispose alla sua volontà. Le dita. Poi il braccio.
Immobili.
“Non sei stato molto furbo, pesciolino d’oro …”
Anche muovere il collo era faticoso; quando portò gli occhi all’ingresso della cripta si accorse della devastazione. Stein era in un angolo, circondato da un groviglio di frecce oscure che sciamavano intorno alla sua figura bianca come centinaia di insetti furiosi; un suo palmo emerse per qualche secondo dalla mischia traboccante di energia, ma dove i fili di sutura inchiodavano a terra dei vettori altrettanti li sostituivano. Sentì l’energia del Soul Thread Sutures sprigionarsi, ma prima che il familiare luccichio degli occhiali facesse capolino tra le frecce fu di nuovo avvolto dall’oscurità.
La Specter era provata dallo scontro, ma adesso i suoi occhi ambra erano fissi su di lui. Le spire che facevano parte della sua Surplice le si avvolsero lungo il braccio destro, ed al suo schioccare di dita Lugonis avvertì mille e più aghi muoversi, premere, tagliare le sue viscere. Aveva permesso al sangue nero di entrare in lui e adesso …
Gridò come un Gold Saint non avrebbe mai dovuto fare.
Lo sentiva. Premeva sotto la sua pelle e sembrava assaporare il suo Cosmo. Dalle spalle ai piedi il suo corpo era immobile e straziato, e per quanto cercasse di portare le mani al ventre quelle rimanevano lì, in aria, rigide. “Che c’è, lo sciocco pesciolino non riesce nemmeno a dibattersi?”
Atena.
Atena.

Dal groviglio di vettori che incombeva intorno a Stein se ne staccò uno. Scivolò sul pavimento come un serpente, poi arrivò al di sotto dei piedi di lei. Corse lungo la Surplice fino al suo dito.
“Quando il nostro dio aprirà gli occhi troverà un’offerta degna della sua gloria!” fece, muovendo la lingua forcuta “Ed io, Medusa della Gorgone, sarò di diritto uno dei Giudici Infernali. VECTOR …”
Un Gold Saint non deve avere paura. Perché qualsiasi cosa accada ci sono sempre Atena e la Giustizia al suo fianco. Erano le parole di Sage, quelle. Le parole che aveva scandito con calma il giorno che lo aveva vestito con l’armatura dei Pesci con ancora il ricordo del proprio maestro spirato nel Legame Cremisi. Il Grande Sacerdote era lì con lui, con un lungo abito bianco, donandogli la Cloth scintillante nella sala principale dell’osservatorio; il vecchio aveva gli occhi gonfi e lui, ingenuamente, credeva che fosse per l’incenso.
Atena e la Giustizia. Ed il sacrificio.
Non voleva sparire.
Non poteva.
Non con Crona ancora …
“ … ARROW!”
Il suo mondo si tinse di rosso.

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Inventare i titoli dei capitoli sta diventando sempre più un'impresa ....
All'inizio avevo pensato di usare per ogni capitolo un punto di vista diverso (proprio come avviene in Game of Thrones), però per necessità di copione il punto di vista di Medusa e Stein non poteva essere usato tutto, però mi piaceva l'idea di dare ad ogni capitolo il nome di un personaggio, quindi alla fine ho scelto di intotlarli con il nome del personaggio che dovrebbe essere il più importante ....
Infatti come si noterà per i prossimi capitoli mi sono arrampicata sugli specchi ...

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Capitolo 6
*** Thanatos, la distruzione. Sopravvivere oltre l’ultima luce del giorno? ***



Capitolo 6: Thanatos, la distruzione. Sopravvivere oltre l’ultima luce del giorno?


Il sangue scorreva, scuro.
Il tempo si congelò mentre le gocce di sangue raggiungevano il pavimento della cripta. Prima fu solo un suono, poi un altro, poi un crudele ticchettare nell’ultima luce del giorno. Le ginocchia del Gold Saint si sciolsero e Lugonis crollò sul marmo, e negli occhi blu non ci fu più luce.
La risata della strega si concluse col frastuono nelle sue orecchie. Era un rumore sordo, orribile, percepiva il sangue nero nel suo corpo che pulsava e si mescolava al sorriso di lei.
Il corpo di Crona non raggiunse il pavimento. Rimase infilzato sull’enorme freccia e per due, dieci, mille battiti del suo cuore rimase sospeso su di lui; quando il vettore si mosse un secondo fiotto di sangue investì Lugonis bagnando le labbra incapaci di aprirsi. Dolce.
“Mpfh”.
La freccia nera si scosse come un serpente ferito. Destra e sinistra, in alto in basso, si liberò del corpo agonizzante e quello atterrò contro una colonna. Ma il cuore di Lugonis sembrava aver smesso di battere molto prima.
“Crona di Ragnarok. Che delusione”.
Delusione. Delusione. Le parole della donna rimbombavano nella sua mente dal sangue nero che adesso scorreva in lui, lo stesso sangue che aveva estirpato dal suo allievo per salvargli la vita. Inutilmente. Privo di quasi tutto il fluido oscuro, il corpo del ragazzo aveva perso l’incredibile resistenza che quello gli conferiva ed aveva lasciato che l’attacco della Specter lo trafiggesse, prendendo su di sé il colpo diretto verso di lui.
Il maestro sopravvissuto all’apprendista.
Eppure, nel cuore di Lugonis, in quel momento non c’era traccia della tradizione della Dodicesima Casa, della sacralità del Legame Cremisi o del sangue dal potente veleno. Non vi era lo scintillio di Alpherg, che aveva guidato i suoi passi attraverso l’oscurità e la paura brillando nel cielo notturno. Non c’era nemmeno il Cosmo di Atena a scaldare il suo cuore come avveniva nei momenti di sconforto più tetro di ogni Saint. C’era solo un piccolo corpo ai piedi di una colonna.
E il suo mondo finiva lì.
La forma della Specter vacillò insieme alla Surplice in un grande lampo viola. “Stupida cavia”. Intorno a lei nacquero altre tenebre, e le ombre scivolarono tra gli arabeschi neri e viola dell’armatura. Le braccia e le gambe di Lugonis erano ancora immobili e livide per il sangue nero, prigioniere del volere della donna, lo spingevano con il loro peso a terra costringendolo in ginocchio; il gelo si spinse fino al petto ed il liquido oscuro nelle sue vene premeva come un’onda lenta ma implacabile diretta al cuore. La sua avversaria era circondata da una nuova rete di frecce nere “Come se non avessi altri vettori dentro di me! Vai agli Inferi con il tuo apprendista, visto che ci tieni tanto! Troverete che il regno di sua eccellenza Ade è molto superiore a quello della vostra patetica dea”.
Gli Inferi? Come se me ne importasse qualcosa …
Davanti e dentro di lui c’era solo vuoto; era quel vuoto, quel senso angosciante di nulla che gli scorreva in corpo. Era quello, non il sangue nero, a distruggerlo dall’interno mentre avanzava verso il suo cuore, strisciando fino a stringere la morsa persino nel proprio Cosmo.
Doveva sentirsi così una stella mentre moriva. Perché le stelle morivano da sole e da sole si eclissavano nello spazio; delle loro vite non rimaneva nulla tranne il ricordo nelle fragili menti degli uomini.
Fu la dolce luce di Alpherg a svegliarlo. Prima uno scintillio, poi un altro. Il potere della stella più splendente della dodicesima costellazione attraversò d’un lampo tutta la stanza, filtrando dalla finestra ed attraverso i muri come un’onda; sentì il suo potere benefico scivolare in quel piccolo campo di battaglia in risposta alla preghiera di un Saint dei Pesci. Anche se la sua testa ed il collo non rispondevano al suo volere riuscì a seguire con lo sguardo la corrente di Cosmo che giungeva dal cielo fino a colui che l’aveva richiamata. Dalla morte, la vita.
“BLOODY …”
No!
Era ancora vivo, non poteva sprecare la sua possibilità. Crona, non farlo! Alpherg, non dargli ascolto, non prestargli il tuo potere!
“… NEEDLE …”
La prima cosa a venire distrutta fu il vettore più grande che sorgeva alle spalle della Specter: la freccia nera, trafitta da una decina di aghi scarlatti, si contorse come una creatura viva e cadde, esplodendo in una nube d’ombra all’impatto col suolo. La seconda fu l’altare, che esplose in centinaia di frammenti. Lugonis cercò di gridare qualcosa, ma dalla sua gola livida ed immobile non uscì nemmeno la più semplice delle parole.
“… CRIMSON THORN!”
Poi si satenarono gli Inferi.
Sentì gli aghi di sangue sibilargli ad un palmo dalla testa, ma nessuno lo colpì. Il sangue di Crona dilagò in una feroce esplosione, strappando le carni del ragazzo ed i suoi vestiti. Gli aculei rossi fiorirono in pochi attimi sul suo corpo come le spine di una giovane rosa, poi invasero la cripta scagliati alla massima velocità dal Cosmo del giovane bruciato al suo limite. Quelli che mancarono il bersaglio nella prima ondata colpirono i muri, tornarono per qualche istante ad essere gocce di sangue e poi ripresero forma di spine pronte all’attacco. La pioggia di aghi scarlatti attraversò una rete di frecce eretta dalla Specter in quei pochi attimi e mirò alla sua armatura.
Le Surplici erano figlie delle Stelle Malefiche, non avevano in loro la luce delle Dodici Case. Gli aculei puntarono alle giunture guidati dalla forza di Alpherg, ed il sangue dei Pesci che originava da Crona cercò quello della Specter e liberò il suo veleno.
Non c’erano sopravvissuti al Bloody Needle Crimson Thorn. Da entrambe le parti.
Rilasciare in un solo colpo tutte le tossine nelle vene aveva un prezzo, quella era stata una delle prime lezioni che aveva impartito al ragazzo. Fissò nell’orrore il suo apprendista, ma ai piedi della colonna vi era poco più di un piccolo corpo scuro che si dibatteva e svaniva ad ogni contorsione mentre rilasciava le ultime gocce del suo sangue attraverso la sala, dilaniato dall’interno.
“Crona, NO!”
La Specter della Gorgone cadde a terra, con la gola squarciata da una delle spine di sangue; dove i colpi del Bloody Needle avevano raggiunto la Surplice quella iniziava a svanire in volute di fumo nero e viola che sprigionavano sibili. Si alzarono da lei come centinaia di serpenti per poi eclissarsi verso l’alto. Quando della donna non rimase altro che un cadavere dai capelli ambra sul marmo della cripta, Lugonis riuscì a muoversi. Prima con difficoltà, poi sempre più fluido, il sangue nero in lui smise di agitarsi privo della volontà della sua creatrice, ed il Gold Saint lasciò che il proprio Cosmo dorato lo liberasse di quella catena interna e scura che lo aveva avviluppato fino a qualche istante prima; corse in avanti, e gli ultimi aculei non avevano ancora finito di sbocciare dal corpo di Crona che il maestro gli fu accanto.
“Crona! Crona! CRONA!” Alpherg, dovevi impedirlo, non doveva farlo, non doveva, non doveva, non doveva, forse si sarebbe salvato “Crona!”
Ma i pochi resti informi non risposero. L’ultima spina si formò e tornò ad essere una goccia di sangue a contatto con l’aria. Lo chiamò altre volte, sperando nel miracolo, che Atena stendesse la mano e lo facesse alzare di nuovo. Il ragazzo aveva sofferto abbastanza, meritava un’altra possibilità!
Il suo sangue, ormai, era rosso: ma nemmeno quello aveva più importanza.
Quando Stein gli giunse alle spalle non se ne accorse nemmeno “Lo so che non è il momento più indicato, ma …” il punto che indicava con il dito era inequivocabile “… abbiamo un problema. E anche bello grosso!”

Dalla finestra l’ultimo raggio di luce morì.
Scivolò lungo la libreria distrutta, l’altare in frantumi ed il pavimento della stanza. Si poggiò sulla sua armatura d’oro e sul camice a brandelli del compagno. Sfiorò il corpo del dio addormentato e lasciò il posto alla notte; il Cosmo del signore della morte, liberato da qualche parte del mondo dalla bambina prescelta, li attraversò dopo anni di prigionia ed esplose nel suo tetro ma supremo splendore. Lugonis sentì il sangue nero ancora dentro di lui muoversi e sibilare, e con un gesto automatico quanto inutile si mise davanti ai resti di Crona mentre un vento nuovo penetrò dalla finestra, spense tutte le candele, mosse il suo mantello bianco e gonfiò le vesti del dio come una vela. Le sue dita si mossero per prime, scivolando sul bracciolo del trono.
Fu allora che sentì un nuovo calore tra il suo petto e la Cloth; si era quasi dimenticato della sua esistenza, preso com’era dalla fine del suo apprendista, ma era sempre stato lì. Il dono di Sage rispose a quel Cosmo immenso bruciando tutto il suo potere e avvolse lui e Stein in un tiepido abbraccio, illuminando l’aria con un bagliore dorato più potente di qualsiasi Gold Cloth.
Lo scienziato lo fissò dietro la luce sinistra degli occhiali “Interessante gingillo!”
Estrasse il talismano da sotto la Cloth, ammaliato dalla sua natura splendente, e lo fece scivolare sul palmo della mano; quel pezzo di carta sembrava cosa da poco, ma il sangue con cui era vergato sopra il nome sacro apparteneva ad Athena. L’uomo anziano glielo aveva affidato tra mille raccomandazioni, ma non appena aveva intuito la possibilità del risveglio degli dèi gemelli non aveva esitato a consegnargliene uno.
Le nobili lettere si illuminarono di nuovo, con più forza. Vita. Il Gran Sacerdote non glielo avrebbe affidato altrimenti.
Perché quello era Thanatos, signore della morte, uno degli dèi gemelli che guidavano l’armata di Ade ed erano l’avanguardia di una nuova Guerra Santa. Ma, per Lugonis, l’uomo vestito di nero era solo la causa della morte di Crona; aveva una ragione di vita ed un successore, e la brama di quel dio e dei suoi sgherri si era presa gioco di lui. Un esperimento. Un’arma.
Il mio erede.
“Il Vecchio ci ha lasciato un piano B?”
Un esperimento. Un’arma.
Mio figlio.

L’immagine di Crona appariva e svaniva davanti ai suoi occhi. Prima bambino, poi ragazzo, l’ultima rosa del suo giardino.
Con un solo salto attraversò la sala, distruggendo quel poco che rimaneva della barriera della Gorgone e riducendola in piccole scintille oscure. Quando gli atterrò davanti, il dio aprì gli occhi. Chiari, pieni di un potere che nessun umano avrebbe potuto eguagliare, ma vuoti.
“Questo te lo manda il Vecchio Granchio! Con l’augurio che ti resti di traverso!”. Premette il talismano con tutta la forza che aveva contro il petto del mostro, incurante del Cosmo superiore che lo assalì, scosse le sue vene e lo gelò fino alle ossa. L’energia del sacro foglio si riversò contro Thanatos in una cascata di scintille per poi fluire lungo tutto il suo corpo. Luce.
Il dio provò ad alzarsi, ferito, ma Lugonis glielo impedì. Si scagliò con tutto il proprio peso su di lui, premendolo contro il trono, lasciandogli assaporare tutto l’odio che provava nei suoi confronti. Sotto di lui Thanatos fece un secondo scatto, trovò la forza di liberare una mano dalla sua presa e gliela serrò intorno al collo, inondandolo del suo Cosmo supremo e usando tutta la sua energia per scagliarlo lontano da lì senza proferire nemmeno una parola. Ma il dolore perse ogni importanza. “E questo te lo manda Crona” Dalla morte, la vita “BLOODY ROSE!”
La rosa bianca raggiunse il corpo della divinità; prima nel talismano, poi nella tunica e nella carne, le spine cercarono la preda ed il suo sangue, quello di una creatura superiore carico di potere. I petali del fiore si tinsero all’istante di venature cremisi, e mescolarono il loro potere a quello divino del talismano di Atena conficcato nelle sue spine. Lo spirito di Thanatos si agitò nel proprio corpo, scuotendolo ed aumentando la stretta sul suo collo con le ultime forze della mano, circondato da oscurità ed odio. Ma anche in lui c’era la furia.
Un maestro senza apprendista. La mia Casa è finita. Crona. “Sembra che non sia abbastanza … BLOODY ROSE!”
Chiamò la seconda rosa bianca mentre tutto intorno a lui lo spazio si distorceva intorno allo spirito della divinità che tentava di fuggire da lì. Si trafisse il palmo con il suo stesso fiore e poi lo piantò più giù, nel collo del mostro, assaporando il piacere del dolore e del proprio sangue velenoso nel nemico, lo stesso sangue che aveva offerto a Crona durante il loro primo, incompleto Legame. Unito a Thanatos grazie alla rosa, gli riversò in quel colpo tutto il dolore che aveva. La presa del nemico intorno al suo collo si allentò, ma stavolta era Lugonis a non volersene andare.
Avrebbe concluso quel duello a modo suo.
Tra le deflagrazioni di Cosmo ed il potere senza pari che vorticava intorno a lui ed al suo nemico, lasciò libera la sua Gold Cloth con un solo gesto. L’armatura si sciolse dal suo corpo e si ricompose nell’aria al suo fianco, assumendo la tipica forma dei Pesci che doveva rappresentare; con la mano ancora libera la cacciò lontano “Torna a casa”.
Quella Cloth non era sua: aveva atteso dieci anni per offrirla al suo erede come ultimo dono. L’aveva lucidata per tutto quel tempo immaginando di vedergliela indossare, disegnandoselo nella sua mente sapendo di non poterlo mai vedere con i propri occhi. Non aveva alcun senso indossarla un secondo di più e non si voltò indietro a guardarla, immergendo i propri occhi in quelli di Thanatos ed unendo il loro sangue a quello di Atena in un ultimo raggio di luce. Il corpo del dio si disgregò nel fuoco sacro mentre la sua anima mandò un grido immenso; Lugonis si lasciò andare alla porta dell’Elisio, schiudendo il suo Cosmo.
Poi la luce svanì, troppo rapida; il balenare bianco gli ferì gli occhi e poi scomparve, inghiottendo il nemico. Lugonis ebbe l’impressione di essere catturato da un vortice, e la sua mano venne strappata con brutalità dalla Bloody Rose in un ultimo fiotto di sangue. Era già lontano quando ciò che rimaneva del dio della morte svanì nella deflagrazione d’oro del talismano e fece per andare di nuovo in quella direzione per portare a termine il suo intento; eppure continuò ad allentarsi, e quando guardò in basso si accorse delle centinaia di fili bianchi che erano nati contro il suo petto e lo avviluppavano a un’unica, grande mano che non ammetteva repliche. “MA SEI SCEMO?”
Il resto fu un sogno scorto tra le lacrime. La cripta che crollava, uno sguardo ai resti del suo apprendista e poi le scale, la chiesa, l’altare, tutto scivolò davanti ai suoi occhi. Le sue gambe non si muovevano, le braccia erano inerti, eppure in un attimo gli occhi divorarono la chiesa ed il bosco, la roccia ed il cielo nel grande salto del suo compagno.
Il cielo era limpido e l’aria fredda quando ci fu l’esplosione ed il Cosmo di Thanatos fuggì in ritirata nel luogo che solo gli dèi potevano visitare. Ma era un pensiero, un sogno o un incubo intervallato solo da parole “E meno male che sono io quello che passa per pazzo, eh? Ma cosa credevi di fare?”
Dalla morte, la vita.
Ma quale vita?

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Capitolo 7
*** Albafica, la rinascita. Il giardino delle rose rosse: dalla morte, la vita. ***



Capitolo 7: Albafica, la rinascita. Il giardino delle rose rosse: dalla morte, la vita.


“Si è ripreso?”
“Tu cosa ne dici?”
Guardarono insieme il giardino sotto di loro, e Franken Stein si accomodò sul parapetto . Sage sapeva che si stava sforzando di non accendere la pipa che teneva tra le dita in segno di rispetto e gliene fu grato; quello si sporse e si pulì gli occhiali con il camice “All’epoca mi chiedevo sempre come fosse il Santuario visto da quassù … ma ad essere sincero non mi sembra gran che”.
Era colpa delle rose, ovviamente.
L’intera Dodicesima Casa era avvolta da steli secchi, ed il giardino era ridotto ad un tappeto di petali marcescenti. Il vento stesso portava un profumo di rose. “Le sue ferite si sono rimarginate. Quelle del corpo, almeno” mormorò “Ti ringrazio di averlo riportato qui”.
“Le vecchie abitudini sono dure a morire, persino per uno scienziato”.
Sage si sentì ancora più vecchio del solito; l’uomo davanti a lui era stato un ragazzo nemmeno troppi anni prima. Lo aveva osservato sin da piccolo, aveva seguito i suoi progressi ed aveva sperato per lui un futuro diverso, magari uno che lo avrebbe visto illuminato da una perenne luce dorata. Ma il destino o Atena avevano voluto diversamente, e Franken era la prova vivente che si poteva servire la dea in mille modi diversi, di cui molti oltre la sua umana comprensione. “Puoi sempre ritornare qui, se vuoi”.
L’altro si sistemò gli occhiali e lo scrutò con un’espressione divertita come se avesse appena ascoltato un racconto divertente. “La ringrazio, Santità”.
Si alzò in piedi, lanciò un’ultima occhiata alle rose e si accomodò il camice. “Ma questo posto non fa più per me. Ho fallito una volta, ed Antares non mi ha lasciato molta scelta”.
Antares: o morte o follia.
Solo colui che governava l’Ottava Casa ne era immune, e riceverlo era diventato da molti secoli la prova finale, una prova meno letale ma non meno dura del Legame Cremisi dei Pesci. Cosa fosse andato storto il giorno della prova di Franken era noto solo ad Atena, ma dopo il tocco di Antares il ragazzo era stato costretto a scegliere tra la vita e la luce della ragione. E da quel momento in poi … beh, la follia lo aveva spinto a prendere delle scelte diverse. Decisioni difficili, obiettabili, una vita lontano da tutti coloro con cui era cresciuto, ma non era nella politica di Sage condannare coloro che sceglievano di abbandonare la via dei Saint. “Il tuo maestro sente la tua mancanza. Potresti riprovare” disse “Nessuno degli attuali aspiranti alla Cloth dello Scorpione ha la metà del tuo Cosmo”.
“Uh, quello lo so da me, Santità” gli sorrise “Ma la mia vita non è più qui da un pezzo! Ho troppi lavori in sospeso, la Scienza mi chiama! E poi … credo che un paio di occhi fidati fuori dal Santuario potrebbero esserle utili in questo momento!”.
Non poteva negarlo. Se Thanatos aveva cercato di reincarnarsi, allora il tempo a loro disposizione era poco. Ade era in procinto di risvegliarsi. “Sempre due essi sono. Sarei stato pronto a giurare che gli dèi gemelli avessero nascosto i loro nuovi corpi nello stesso posto, ed invece mi hanno battuto. Ormai lo spirito di Hypnos avrà raggiunto il suo corpo e si sarà destato”.
“Il vaso è stato aperto”.
Avrebbe desiderato non veder mai arrivare quel momento. “Ci vorrà del tempo prima che Thanatos si riprenda dalla sconfitta e ricrei un nuovo corpo per sé, ma abbiamo guadagnato solo una manciata di anni”.
Il Gran Sacerdote si sedette su un gradino, appoggiò il pesante elmo sulle ginocchia e fissò un punto imprecisato del cielo; le battagli, i caduti, le mille scene dell’ultima Guerra Santa si affacciarono alla sua mente e portarono con loro un dolore antico, talvolta addormentato ma sempre presente nel suo animo. Non era vissuto tutti quegli anni per assistere impotente alla nuova discesa dei sovrani del sonno e della morte, le avanguardie di Ade che tanti anni prima avevano condannato i suoi compagni d’arme ad una fine atroce. “Quando Thanatos si riunirà ad Hypnos avranno abbastanza potere per richiamare Ade dal suo sonno centenario e lui si reincarnerà nell’essere più puro del mondo”.
“Buono a sapersi, tanto non sarò io” disse, simulando un tono scherzoso che però gli si mozzò a metà della gola “Sua Santità, non la trattengo. So che ha compiti più gravosi che stare qui a blaterare con un ex Saint, e adesso che mi ritrovo senza una moglie dovrò riordinare il laboratorio da solo, suppongo!”
“Non ti sentirai solo?”. Era una domanda che in quegli ultimi anni lo aveva inseguito, comparendogli davanti quando convocava i Gold Saint, quando riceveva le dettagliate lettere di suo fratello nel lontano Jamir, prima di coricarsi e nell’attimo in cui i raggi del sole svegliavano il Santuario. E la percepiva martellante in quel momento, sulla sommità della scala Sacra; la solitudine era il male che permeava le rose e, in piccola parte, il suo cuore.
“No, non credo proprio!” sorrise di nuovo, stavolta sul serio, come ricordandosi di qualcosa di importante “La vita è troppo breve per sentirsi soli o annoiarsi! E poi devo ancora completare il mio esperimento che ho lasciato bruscamente a metà!”
Fece una piroetta su se stesso e gli mostrò con orgoglio il camice inzuppato di sangue “Non credo che Lugonis lo rivoglia indietro!” un rapido cenno della mano, una riverenza un po’ confusa e si incamminò quasi saltellando sui gradini che conducevano verso le altre Case e poi fuori, lontano di lì, verso il suo mondo di infinite possibilità.
“Arrivederci, Gran Sacerdote”.
Ti auguro buona fortuna.
Forse il mondo parlerà di te, un giorno o l’altro.
Anche lontano da qui, la luce di Antares non smetterà mai di proteggerti.

Si prese del tempo prima di scendere a sua volta.
Quando era stanco l’elmo sembrava pesare il doppio, e lo abbandonò ai piedi dell’osservatorio prima di riempirsi le mani delle migliori erbe curative che Krjest dell’Acquario gli aveva lasciato. La battaglia contro la Specter era stata solo la prima luce dell’alba di una nuova Guerra Sacra; sotto di lui centinaia di Saint si allenavano nelle arene, duellavano, si esercitavano a far esplodere il loro Cosmo in nuove e devastanti tecniche. Ma imparavano anche ad amarsi come fratelli, e tra molti di loro nascevano improbabili amicizie che li facevano crescere più di qualsiasi altro maestro e rafforzavano l’amore che provavano per Atena e per la sacra missione che dovevano portare a termine. Ade avrebbe cercato di ghermire le loro vite con i suoi luridi Specter, ed era suo compito guidarli e proteggerli. La tragedia di oltre duecento anni prima non poteva e non doveva ripetersi.
Quando fu certo che le sue esili braccia non avrebbero potuto trasportare ulteriori erbe e pozioni si avviò verso il basso.
Il profumo delle rose non aveva più nulla di piacevole.
La devastazione si era depositata nel giardino della Dodicesima Casa. Nessun petalo si sollevava al suo passaggio, e gli stivali e la veste affondavano in un tappeto giallastro che si riduceva ad una misera poltiglia mista a fango. I roseti intorno all’edificio erano come fragili dita nere che sembravano voler imprigionare il signore di quel luogo, ridotte a tralci con soltanto spine.
E la situazione non accennava a migliorare. “Lugonis …”
Stappò con delicatezza una delle sue ampolle e versò delle gocce sulle labbra dell’uomo; alcune scivolarono lungo le guance ed inumidirono i capelli. Erano due notti che chiedeva al Presepe, la sua luce protettrice, di compiere il miracolo, infondere nuova luce ad Alpherg ed al suo protetto, pronto anche a pagare il prezzo con il suo stesso Cosmo. “Lugonis, ritorna. Non puoi abbandonarci”.
Gli occhi del Saint erano immobili e spalancati, con le flebili pupille color del mare che osservavano per migliaia di volte la morte del suo giovane apprendista in un cerchio che Sage non era in grado di spezzare. Un Saint dei Pesci si completava sempre con il suo apprendista. L’unica cosa viva nell’uomo disteso ai suoi piedi era il battito del cuore. “Non tutto è perduto … Puoi ricominciare ancora, devi credere in Atena!”
Ma chi sto prendendo in giro?
Gli spruzzò il viso con il contenuto azzurro di una ampolla, poi cosparse le parti del corpo esposte con le foglie delle piante che aveva portato con sé. Persino al Grande Sacerdote non era concesso di toccare troppo a lungo un corpo così saturo di veleno, però si prese qualche secondo per sistemargli i capelli, cercando di dargli un altro aspetto che non fosse quello di una stupenda rosa appassita.
Inutilmente.
Accostò la porta della Casa ed osservò il cielo mentre rientrava all’osservatorio. La verità era che Lugonis non voleva svegliarsi, e per quanto gli infusi di Krjest potessero ridare energia ai muscoli ed alle ossa non erano in grado di restituire al Saint dei Pesci la sua ragione di vita; non era solo il Legame ad allentarlo dal mondo dei vivi, ma anche il suo stesso cuore. Gli altri Gold Saint avevano unito le loro preghiere alle sue, e si erano stretti al petto i loro allievi con un abbraccio colmo di silenzio e paura. Sage si chiese come avrebbe reagito al suo posto. Sarebbero bastate le parole “Devi credere in Atena”?
Davanti al corpo senza forze di Lugonis si era chiesto se davvero valesse la pena avere un apprendista, specie con l’avvicinarsi di una Guerra Sacra. Sarebbe nato comunque qualcuno degno come e più di lui di indossare la Cloth del Cancro il giorno in cui avrebbe lasciato il mondo dei vivi e si sarebbe riunito con i suoi vecchi compagni negli Inferi.
Non aveva alcun senso crescere un apprendista per poi vivere nel terrore di vederlo cadere come era accaduto a Crona.
Era sul secondo gradino della scala quando lo sentì.
All’inizio era così debole che avrebbe potuto persino averlo sognato. L’anziano sacerdote si voltò a destra e a sinistra, cercando l’origine di quel suono.
Quando ad esso si aggiunse un Cosmo familiare abbandonò le erbe e le pozioni ai piedi della scala e si mosse in quella direzione, attraversando a passi larghi il tappeto di fiori secchi.
Lo trovò verso i confini del giardino, circondato da un cespuglio di rose color sangue che sembravano fiorite solo per celebrare la sua venuta: il neonato allungò le manine, incuriosito dalla cascata di ciocche bianche che incombeva su di lui. Sage si chinò e lo sollevò senza sforzo, lasciando che il piccolo scalciasse e gli tirasse i capelli. Non aveva altro con lui se non un panno nero in cui era avvolto ed un medaglione d’oro. “E tu cosa ci fai qui?”
Era un nuovo Cosmo, caldo e sereno. Un Cosmo notevole, perché nessuna rosa del giardino lo aveva sfiorato, ed il bambino respirava a pieni polmoni l’aria intrisa di veleno. Passò una mano sulla sua testa lungo dei brevi e sottili capelli azzurri, e cercò di comprendere perché quel Cosmo appena sbocciato gli sembrasse così tanto familiare.
Non gli ci volle molto.
Sorrise e camminò a passo svelto di nuovo verso la Dodicesima Casa mentre intorno ai sandali i petali appassiti riprendevano magicamente colore mentre un roseto fece crescere verso di loro i suoi rami con nuovi e vividi boccioli. Tutto il giardino si mosse intorno a loro, guidato da un’ondata di vita ed amore senza pari.
Lugonis era in piedi davanti all’ingresso, appoggiato ad una colonna. Vivo.
Appena si accorse del loro arrivo scese verso di loro, e Sage appoggiò il neonato tra le braccia del Saint dei Pesci, cercando di convincere le piccole mani a lasciare la presa dei suoi capelli. Non aveva parole per descrivere lo sguardo dell’altro uomo. “La dea non ti ha dimenticato, amico mio” gli ricambiò il sorriso con calore “E non ha dimenticato nemmeno Crona”.
L’altro fece scivolare una mano verso il medaglione e lanciò uno sguardo curioso. “Albafica? Ma che razza di …?”
“Un nuovo nome, un nuovo inizio, Lugonis. Ma spesso due cuori con nomi diversi battono insieme, così perfetti da diventare uno solo. Tu avevi bisogno di Crona … ma anche lui aveva bisogno di te. Per questo è tornato. Dalla morte, la vita” gli appoggiò una mano sulla spalla “Atena vi ha offerto una nuova possibilità. Sei un ottimo maestro, e sono certo che al prossimo Legame mi mostrerai un apprendista degno della tua Casa”.
Non aveva motivo di intromettersi oltre nella loro felicità e si congedò con un rapido saluto a Lugonis ed Albafica.
Aveva sbagliato a dubitare.
Aveva sbagliato a credere che Atena sarebbe rimasta ad osservare gelida quella tragedia e ad ascoltare le grida di dolore di un suo Saint senza agire. Non gli era dato di comprendere il fato mortale della Dodicesima Casa ed il perché il Legame Cremisi richiedesse un enorme sacrificio e la condanna alla solitudine eterna, ma non sedeva nel luogo più santo del mondo per svelare quei misteri. Era lì per pregare e guidare i Saint di Atena e per avere un minuscolo sguardo sulla grande scacchiera della battaglia tra gli dèi. Era lì per ringraziare la sovrana della giustizia per il miracolo che aveva appena compiuto e per quelli che avrebbe continuato ad offrire loro, giorno dopo giorno.
Si era lasciato prendere dallo sconforto ed aveva visto soltanto il dolore e lo sconforto, il sacrificio e la crudeltà del Legame Cremisi, ma non aveva intravisto il vero dono che si celava oltre quel mistero: un affetto sconfinato tra un maestro ed il suo apprendista e la forza di un vincolo che li trasformava in un padre ed in un figlio, generando dei sentimenti così forti da superare qualsiasi ostacolo, persino il gelo della morte.
Avere un apprendista era un grande dono, il vero modo per continuare a vivere in eterno con la consapevolezza di aver dato il massimo per qualcuno che si ama. Era stato solo uno sciocco a credere il contrario.
Un erede? In fondo, perché no?
Lugonis ed Atena gli avevano mostrato che non era mai troppo tardi.
Forse le stelle hanno in serbo qualcuno di speciale anche per me …


FINE

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Un sentito grazie a tutti coloro che sono giunti alla fine di questa storia, ed un grazie ancora maggiore a chi ha lasciato qualche commento. Immagino non sia stato facile leggerla, soprattutto per lo stile un po' pesante e l'uso di personaggi non molto conosciuti. So che a molti i crossover non piacciono, ma io trovo sempre piacere nel leggerne qualcuno di fatto bene o nello scriverne, perché unire i personaggi che si adorano è qualcosa di speciale, un sogno che tutti noi fan abbiamo nel cassetto, quindi non ci trovo nulla di male nel provarci.
Vuole anche essere un invito a leggere la serie di Lost Canvas e ad appassionarvi ad i suoi personaggi, che contribuiscono ad arricchire l'universo di Saint Seiya, sempre in espansione e sempre in grado di regalare a fan grandi e piccini qualche bella emozione; i gaiden sono dei piccoli gioielli, che riflettono l'amore dell'autrice per i suoi personaggi, ed è impossibile non sentire, sfogliando quei volumi, la dedizione che vi ha messo nel crearli. E' un invito anche a dare un'occhiata al mondo di Soul Eater, sia all'anime che al manga, perché è fonte di tantissimi spunti e non ha solo personaggi demenziali, ma anche figure come Crona, Stein e Medusa (i miei preferiti, guarda un po' ...) che sono in grado di dare un tocco serio e tragico alla trama.

Se non fosse per i commenti dell'autrice Lisaralin questa fanfic sarebbe nel dimenticatoio di EFP, quindi ringrazio soprattutto lei! Se la storia vi è piaciuta vi invito a cercarci nel nostro account comune, Registe, per leggere il nostro crossover Il Castello dell'Oblio (il primo di ujna serie), di cui siamo molto, molto orgogliose.

Uno speciale ringraziamento va al forum a cui partecipo assiduamente, il xiiiorderforum, che ha organizzato il contest di crossover a cui ho partecipato -e vinto XD- con questa storia.

Alla prossima!!!



 

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