I'll find her!

di nobodyishopeless
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Demons and skeletons. ***
Capitolo 2: *** You are everithing I need. ***
Capitolo 3: *** Take his hand. ***
Capitolo 4: *** Kiss me and goodbay! ***
Capitolo 5: *** Can I kiss you? ***
Capitolo 6: *** Can you'll be mine for tonight? ***
Capitolo 7: *** Because we are the same. ***
Capitolo 8: *** He need you. ***
Capitolo 9: *** Don' t be afraid. ***
Capitolo 10: *** I envy them. ***
Capitolo 11: *** I belive in you. ***



Capitolo 1
*** Demons and skeletons. ***


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Episodio 1x20 Gideon:Voltaire ha scritto:
"Ci sono uomini che usano le parole all'unico scopo di nascondere i loro pensieri"


Demons and skeletons.



L’aereo percorreva i cieli del Colorado lacerando l’aria. La stanchezza era tanta per tutti i membri della squadra, ma soprattutto per il dottor Reid e l’agente speciale Prentiss, che erano stati entrambi presi in ostaggio dalla setta che avevano appena lasciato divorare dalle fiamme, mentre il giovane dottore ne era uscito praticamente illeso, la collega aveva svariate ecchimosi sul volto causate da numerose e violente botte, che la donna aveva ricevuto dal capo della setta Benjamin Cyrus che ora, era morto. Spencer cercava di non pensare a come la collega, nonché amica, fosse stata picchiata per proteggerlo, ma le immagini di Cyrus che tirava i capelli di Emily, per poi sbattere il corpo indifeso dell’amica al muro facendole rompere uno specchio col volto, non cessavano di infestare la sua mente. Emily gli aveva detto chiaramente che lui non doveva sentirsi in colpa, che per proteggerlo avrebbe riaffrontato le medesime pene. Lui aveva un sorriso amaramente e aveva annuito. Sapeva che l’amica aveva ragione, ma non era in grado di controllare a pieno i pensieri nella sua mente, arrivavano da soli senza alcun invito, gli affollavano la razionalità e non era in grado di sbatterli fuori.
Non desiderava altro che andare a casa e provare a dormire un po’, anche se, in realtà, sapeva bene che nel migliore dei casi l’insonnia lo avrebbe costretto a tenere gli occhi sbarrati puntati sul soffitto ascoltando solo il silenzio della notte; nel peggiore, invece, aveva davanti a sé un’interminabile notte di incubi.
“Il mio subconscio dovrà pur depurarsi.. da tutti quei demoni che affronto ogni giorno!”pensò Spencer massaggiandosi le tempie.
Finalmente l’aereo atterrò e tornarono in sede dove Garcia saltò addosso a Spencer ed Emily stringendoli in un forte abbraccio.
“Tesoro.. tesoro così li rompi!” scherzò Derek ridendo. Garcia allentò, allora, la presa per poi staccarsi dagli amici e lasciarli finalmente respirare, ogni membro della squadra si sedette alla propria scrivania per stilare il rapporto dettagliato sul caso che si era appena concluso.
“Domani arriverà la nuova psicologa!” annunciò Hotch ottenendo l’attenzione della squadra al completo.
“Meglio, il signor Froom non mi ispirava fiducia!” commentò Derek, che aveva sempre avuto difficoltà a fidarsi della gente.
“E’ appena uscita dall’accademia dell’Fbi dopo aver terminato un anno di specializzazione!” continuò Hotch guardando il fascicolo giallo posato sulla scrivania.
“Quanti anni ha?” chiese Derek curioso
“Ventitre..” rispose Hotch facendo comparire un sorriso malizioso sul volto del nero.
“Derek non pensarci neanche!” lo ammonì Hotch capendo a cosa puntasse il collega.
“A Reid e Prentiss.. sarete i primi ad avere un colloquio con lei domani pomeriggio!” proseguì il capo puntando il dito verso Spencer, che aveva ascoltato solo marginalmente la conversazione tra Hotch e Derek. Il dottore comunque annuì distrattamente mentre si infilava la giacca, si mise la tracolla e uscì dalla struttura senza neppure salutare per tornare a casa.

Appena il giovane dottore arrivò a casa gettò la tracolla e le chiavi dove capitavano e poi si fece cadere a peso morto sul divano turchese del soggiorno. Si passò una mano tra i capelli, realizzando solo in quel momento le istruzioni che gli aveva dato Hotch poco prima. L’indomani avrebbe avuto un colloquio con la nuova psicologa, la cosa inizialmente lo preoccupò, soprattutto per il fatto che fosse una ragazza, non era bravo a parlare neanche con gli uomini o con i bambini, figurarsi con le donne.
Il senso di colpa era ancora dentro di lui, gli colava sotto la pelle come del liquido appiccicoso, facendolo sentire sporco, facendolo soffrire, facendolo sentire sbagliato. Si alzò e andò a farsi una doccia, come se quella sensazione potesse essere lavata via. Si spogliò e osservò la sua immagine riflessa sullo specchio, guardò attentamente i lividi sul suo stomaco dove quel pazzo di Cyrus lo aveva colpito con il manico del fucile facendolo crollare a terra tossendo. Si lavò cercando di non pensare a nulla e ci riuscì straordinariamente, forse a causa della stanchezza che lo affliggeva da giorni ormai. Dopo essersi asciugato si gettò a letto e si addormentò. Tuttavia le sue ipostesi si avverarono passò una notte tormentata da incubi spaventosi che cambiavano di continuo. Secondo Freud durante la notte facciamo circa 200 sogni. E molto spesso ricordiamo solo i più noiosi e meno traumatici, è una difesa della mente.

Poco lontano dalla casa del giovane dottore vi era un’altrettanto giovane dottoressa che dormiva tranquillamente serena, sebbene l’indomani avesse il suo primo giorno di lavoro in una struttura federale. La ragazza, di nome Faith, ebbe un sonno tranquillo e si svegliò intorno alle sette e mezza grazie alla sveglia puntata la sera precedente. Si alzò dal suo letto, troppo grande e freddo per lei.. per lei sola. Si impose di non pensare alla solitudine, da un lato poiché non vi era abituata e dall’altro perché Bran le sarebbe tornato in mente e non era il caso di deprimersi. Incominciava un nuovo giorno, una nuova vita ed era pronta a tuffarsi in essa con grande entusiasmo e ottimismo. Si mise un paio di jeans neri e una maglietta a maniche corte rosa con qualche stampa sul davanti, non voleva esagerare con un abbigliamento troppo vistoso, né troppo serio. Aveva imparato che dal modo di vestirsi si potevano capire numerose cose di una persona, inoltre i vestiti costituivano una prima impressione fondamentale, era abbastanza certa che con quell’abbigliamento sarebbe stata in grado di far sentire a suo agio i pazienti, almeno la maggior parte di loro. Accarezzò i suoi capelli scuri lisciandoli con la spazzola e passò appena un po’ di mascara sulle ciglia, già naturalmente folte e ricurve. Sorrise entusiasta a quella prima giornata di lavoro, scordandosi della malinconia vissuta in quegli ultimi giorni. Dopo essersi guardata un’ ultima volta allo specchio andò in cucina dove il suo gatto era già sveglio e non aspettava altro che la padrona gli desse da mangiare. “Ecco qua!” disse Faith al gatto Louis che aveva poco più di un anno, l’unica cosa che le aveva lasciato Bran. La giovane psicologa fece colazione con un caffè e una ciambella, si lavò i denti e poi si preparò per andare al lavoro. Infilò le scarpe, la giacca di pelle nera e afferrò la borsa sul mobile dell’ingresso per poi scendere nel garage dove c’era la moto che l’avrebbe condotta al lavoro. Portò fuori la moto e partì verso Quantico.
Quando la ragazza arrivò nel parcheggio dell’edificio attirò una miriade di sguardi alquanto prevedibili dato la sua irruenza nel clima lavorativo. Non era affatto un tipo perfezionista, la maggior parte delle volte si affidava al suo istinto, che in rare occasioni l’aveva tradita. Si tolse il casco e gettò la testa all’indietro permettendo ai lisci capelli scuri di adagiarsi morbidi, sulle sue spalle. Inlucchettò la moto, sebbene si trovasse in una struttura federale la prudenza non era mai troppa. Con la borsa in una mano e il casco nell’altra si avviò all’interno dell’imponente edificio pronta ad affrontare il capo sezione Erin Strauss con la quale aveva solo comunicato con un paio di e-mail. Arrivò al tredicesimo piano e si trovò un po’ spaesata nell’open space dove qualche agente federale era impegnato nel lavoro di ufficio. La ragazza fermò la prima donna che trovò “Mi scusi sto cercando l’ufficio del capo sezione Erin Strauss!” disse la dottoressa alla ragazza bionda. Che la studiò a lungo prima di risponderle “Ti accompagno.. sei per caso la nuova psicologa?” chiese a sua volta scortandola nel lungo corridoio “Oh sì.. mi chiamo Faith Fearis..” disse la psicologa sorridendo alla donna bionda “Piacere sono JJ.. lavoro nella squadra di profiler… la BAU!” la informò JJ sorridendo per poi fermarsi davanti ad una porta marrone. “Ecco qui sta la Strauss buona fortuna.. ci vediamo in giro!” disse JJ indicando la porta con la targhetta dorata. Faith sorrise, prese un respiro e bussò alla porta.

Il dottor Reid prese la metrò in ritardo, e arrivò in ufficio mezz’ora dopo l’orario di inizio della giornata lavorativa. Salì con l’ascensore al tredicesimo piano pronto a beccarsi una strigliata da Hotch per il ritardo, era piuttosto rigido sul fronte “orario”. Tuttavia si sorprese quando non lo vide nel suo ufficio e notò Morgan con Prentiss, JJ e Penelope che parlottavano fra loro a bassa voce. Erano tutti intorno alla scrivania di Morgan che se ne stava comodamente seduto sulla sedia girevole. “Ehi ciao Spence!” lo salutò affettuosamente JJ non appena lo vide attirando l’attenzione degli altri colleghi su di sé.
“Ehi ragazzino hai un aspetto orribile e sei anche arrivato in ritardo… con chi hai fatto tardi ieri?” chiese Derek prendendolo in giro “Con un film di Hitchcock e tu?” gli chiese il dottore di rimando, facendo l’ingenuo come solo lui sapeva fare. I colleghi ridacchiarono. “Ma dov’è Hotch?” chiese Spencer togliendosi la tracolla per posarla sulla sua sedia e raggiungere nuovamente gli altri intorno alla scrivania di Derek.
“E’ a fare una seduta con la nuova psicologa! Vuole conoscerci diciamo tutti!”rispose Penelope quasi irritata dalla situazione. “Qual è il problema?” chiese JJ all’amica
“Io non sono in grado di aprirmi davanti ad un’estranea”confessò quest’ultima.
“Già anche io!” si accodò Reid facendo una smorfia di disapprovazione.
“Parli così perché non l’hai ancora vista!” disse Derek malizioso.
“Che vuoi dire?” domandò l’ingenuo dottore.
“Voglio dire che una gran figa!” rispose schietto l’amico.
“Non mi importa.. non riuscirai mai a portartela a letto!” replicò Reid ovvio scatenando le risa di Emily che aveva ancora i lividi in faccia.
“Quelli non si aggiustano in una notte”pensò Spencer abbassando lo sguardo, dispiaciuto.
“E cosa te lo fa pensare?” chiese Morgan riportandolo alla realtà.
“Il fatto che sia la nostra psicologa.. c’è un codice deontologico da rispettare!” rispose il ragazzino con la sua solita aria da saputello.
“Mai sentito parlare di transfert genietto?” chiese Derek retorico.
“Comunque Spence ha ragione, ci ho parlato e non sembra una donna disposta a farsi sottomettere e poi per te è troppo giovane!” intervenne JJ stretta nel suo tailleur celeste. Provocando un sospiro di delusione nell’agente Morgan.
“E poi il tuo codice non diceva ‘ mai mettersi con una donna con la pistola’?” chiese ancora Reid citando le sue parole dette qualche anno prima.
“Quando l’ho detto?” chiese Derek
“Quattro anni,due mesi e ventiquattro giorni fa!” rispose prontamente Spencer facendo sorridere Garcia.
Derek boccheggiò lievemente insicuro ma poi confessò: “Ecco diciamo che è un periodo di magra ultimamente e poi.. cavolo è davvero molto bella!”. Garcia e Emily si guardarono per poi scoppiare a ridere. “Beh la vedo dura per te.. ha più possibilità Spencer di farla finire nel suo letto che tu ad un appuntamento!” scherzò Garcia, facendo comparire una smorfia rassegnata sul volto del dottore che stanco di tutta quella ironia si era seduto sulla sua scrivania a leggere numerosi casi archiviati dalla loro squadra. Gli piaceva vedere come il suo lavoro servisse, effettivamente ad aiutare le persone, a salvare la vita alle persone. Avrebbe voluto essere lui ad essersi alzato il pomeriggio precedente, lui ad essere preso a botte per proteggere Emily, non viceversa. Ma la sua goffaggine e la sua codardia glielo avevano impedito, rendendolo in grado solo di guardare la sua collega e amica picchiata e maltrattata da un vero bastardo. Passò la giornata controllando il rapporto stilato la sera precedente, non cogliendo alcun potenziale errore, verso l’ora di pranzo Garcia gli lasciò cadere un sandwich al tacchino sulla scrivania.
“Volevo scusarmi per la battutaccia che ho fatto stamattina!” disse Penelope. Spencer sorrise sorpreso del rammarico dell’amica. “Non fa niente.. non mi sono offeso!” disse Spencer con un mezzo sorriso. In realtà c’era rimasto male.. non sopportava che lo usassero per prendersi in giro fra di loro. Lui non era forte quando si trattava di critiche. Non era infrangibile, si rompeva tutti i giorni.. solo che aveva imparato a non fare rumore.
Dopo il pranzo passato con Penelope e Morgan, Spencer si alzò per sgranchirsi le gambe… si fermò ad ammirare la strada che accostava l’edificio in cui lavorava da ormai quasi quattro anni. Era sempre stato tutto regolare, tutto equilibrato.. quasi monotono. I demoni più spaventosi li avevano visti loro ed era strano che tutti fossero ancora esseri umani dopo le cose terribili che avevano visto. Spencer stufo di quei pensieri tornò nell’open space pronto ad occupare la mente con altri casi particolari a cui dare un profilo soddisfacente di soggetto ignoto.
Ma appena il giovane dottore arrivò davanti alla sua scrivania, vide Derek sorridere furbo, non rivolto a lui, ma a qualcuno più indietro. Spencer si volta e vede il capo venire loro incontro accompagnato da una ragazza bruna, a parer suo la ragazza più bella che avesse mai visto e anche Derek sembrava apprezzare dato che si alzò dalla sedia, tirando le spalle per mettere in evidenza i muscoli ben definiti che poteva vantare. La ragazza sembrò non notarlo poiché continuò a parlare con Hotch indisturbata provocando un lampo di delusione negli occhi ardenti dell’agente speciale Morgan. Hotch poi chiamò tutti i membri della sua squadra al centro dell’ufficio, Spencer deglutì e poi alzò la testa cercando di evitare comunque il contatto visivo con la nuova arrivata. Fece scroccare il collo nervosamente, mentre Emily e JJ sorridevano amichevolmente alla ragazza provando, tuttavia, a studiarla per cogliere delle caratteristiche strettamente psicologiche nel linguaggio del corpo della giovane che sembrava molto rilassata se non entusiasta di iniziare il lavoro e di conoscere i membri di quella squadra, che sostanzialmente erano suoi colleghi.
“Un po’ di attenzione squadra.. lei è la dottoressa Fearis..la nuova psicologa e come avevo già annunciato oggi Prentiss e Reid avrete un primo colloquio!”li istruì Hotch provocando uno sbuffo incontrollato di Spencer intento a spostasti un ciuffo di capelli dietro l’orecchio.
“Ehm solo Faith agente Hotchner- disse al capo della squadra con un mezzo sorriso, per poi rivolgersi alla squadra- allora volevo avere comunque un colloquio con ognuno di voi in questi tre giorni per capire bene come lavorate e rifare dei determinati profili che comunque non interferiranno col vostro impiego… come mi è stato segnalato dal vostro capo l’agente Emily Prentiss e il dottore Spencer Reid dovrebbero essere i primi a parlare con me.” Disse la ragazza in tono amichevole,con un sorriso rassicurante sul viso. Notando un cambio di espressione sul volto di Reid disse: “Tranquilli non mangio nessuno!” scherzò facendo ridacchiare l’intera squadra, a parte Reid.
“Io sono Emily!” disse la bruna alla psicologa stringendole la mano.
“JJ ci siamo viste questa mattina!” disse Jennifer imitando il gesto dell’amica.
“Derek Morgan piacere!” disse Morgan dando una stretta secca e decisa alla ragazza per fare trasparire virilità in tutti i modi.
“David Rossi!” disse Dave,che era il più tranquillo fra tutti.
“Dovrò chiederle un autografo più tardi!” disse la ragazza senza perdere il suo sorriso facendo capire di essere una grande fan dello scrittore.
“Sono Penelope!” disse la bionda senza perdere la sua spontaneità, sebbene avesse già espresso ai compagni il profondo disagio che provava verso sconosciuti psicologi.
“Sono Spencer!” disse semplicemente il dottore continuando a evitare il contatto visivo,cosa che fece insospettire la psicologa che infatti gli disse: “Bene Spencer cominciamo con te se non hai nulla in contrario!” Spencer si irrigidì ma poi cercò di calmarsi e annuì seguendo la ragazza nel suo ufficio mentre Derek gli diceva : “Buon divertimento ragazzino!”. Spencer non era desideroso di raccontare i propri pensieri ad una psicologa, soprattutto ad una ragazza così carina. Aveva sempre avuto problemi ad esprimersi con il gentil sesso, ma lo aveva superato, con Emily, JJ e Penelope ci parlava tranquillamente. Tuttavia quella donna lo rendeva incredibilmente nervoso, soprattutto lo rendeva nervoso il fatto che dovesse mostrare i suoi scheletri dell’armadio. Ma Spencer non poteva sapere che i suoi scheletri, i suoi demoni non erano nulla a confronto della giovane che ora gli sedeva innanzi, ma il destino è imprevedibile.


Salve a tutti! Questa è una nuova Fanfiction su Criminal Minds.
Ci troviamo nella quarta stagione… la squadra è appena tornata da un viaggio in Colorado,
dove hanno risolto il caso di una setta libertarista con a capo Benjamin Cyrus (Episodio 3).
Personalmente amo questa serie, mi piace un sacco, studio psicologia quindi ogni cosa che scriverò su questa storia,
a risvolto psicologico, antropologico, pedagogico e sociologico è vero non sono chiacchere al bar per così dire.
Spero che vi piaccia e che mi lascerete una recensione che indichi una vostra opinione.
Ringrazio infinitamente
Chiara_88  per il meraviglioso banner passate da lei è fantastica ;)
Che altro dire di me?
Ho diciotto anni e amo scrivere soprattutto fan fiction ma se volete leggere un’originale
ho in corso una storia:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1637901&i=1 passate se vi va.
Al prossimo capitolo
Mar

lei è la protagonista.. Faith:

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Capitolo 2
*** You are everithing I need. ***


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Gideon:"Non valutare il risultato finché il giorno non e’ concluso e il lavoro terminato." 
Elizabeth Browning.

You are everything I need.

Lui si guardava le mani intrecciate sulle ginocchia mentre lei scriveva su un fascicolo, il suo fascicolo. Spencer sentiva l’ansia crescergli dentro come  un vortice che gli prendeva la bocca dello stomaco e la stringeva come in una morsa.
Brividi gli percorrevano la colonna vertebrale, cercò di concentrarsi sui battiti del suo cuore.
Riuscì al calmarsi, ma solo momentaneamente, poiché la voce delicata della psicologa lo fece nuovamente irrigidire.
“Dunque io tengo molto alla riservatezza dei miei pazienti quindi qualunque cosa verrà fuori in questa stanza non ne uscirà e non ne parlerò con altre persone, a meno che non sia lei a chiedermelo naturalmente!” disse la ragazza cercando di intercettare lo sguardo del dottore, che evitava il contatto visivo.
“Dunque, passiamo alla preanalisi: Nome?” chiese la psicologa.
“Spencer Reid” rispose lui con voce ferma mentre la dottoressa riportava i dati su un modulo.
“Età?” chiese ancora lei
“Ventisei anni.. quasi ventisette!” rispose ancora
“Da dove viene?”
“Sono nato a Las Vegas ma ora vivo a Washington D.C.”
“La sua situazione sentimentale?”
“Oh.. ehm.. sono single!” rispose preso alla sprovvista.
“Ok.- disse la ragazza mettendo via il modulo, per poi rivolgersi a Reid di nuovo- Ho saputo che lei e l’agente speciale Prentiss avete affrontato un caso difficile. Le va di parlarmene?” chiese cortese guardandolo negli occhi , lui abbassò lo sguardo e prese un respiro  decidendo di fidarsi della nuova arrivata .
“Non era difficile, non più degli altri.. ho visto davvero cose brutte, ho visto fino a dove può spingersi la crudeltà dell’uomo.. l’ho sempre sopportato e  sono sempre stato in grado di distaccarmi piuttosto bene! Ma è successo qualcosa dentro di me.. quando Cyrus ha picchiato Emily e lei ha subito tutto per proteggermi, io non riesco a spiegarlo! Mi sento in colpa!” rispose quello aprendosi. Sentiva che parlarne avrebbe potuto farlo stare meglio e così fu. Provò una sorta di sollievo, come se si fosse finalmente tolto un peso dal petto.
“Capisco come tu ti senta, la ferita è recente e mi preoccuperei se, al contrario, tu non ti sentissi in colpa per ciò che è successo!” cercò di tranquillizzarlo lei.
“Oh no.. non sono un sociopatico!” borbottò Spencer, lei sorrise ricordando solo in quel momento il mestiere del suo paziente.
“Cos’è che la tormenta?” gli chiese diretta, senza giri di parole, quello deglutì e poi rispose:
“Non riesco più a distaccarmi completamente! In questo caso sono stato coinvolto e ho paura in futuro di non riuscire più ad affrontare i casi mantenendo il sangue freddo e rimanendo obbiettivo!” confessò alla ragazza, ma soprattutto a sé stesso, prima lo aveva pensato ma lo aveva scacciato in fretta quel pensiero scomodo.  Ma il peso della consapevolezza lo aveva schiacciato, annebbiando la sua razionalità. La psicologa lo scrutò a lungo per capire se avesse qualcos’altro da dire, ma Spencer stava zitto con le labbra screpolate e serrate, gli occhi fissi sul pavimento, conscio di aver detto troppo.
Faith non riusciva a leggerlo, in genere capire le persone era la cosa che le riusciva meglio, una cosa che le piaceva fare, ciò per cui aveva studiato, ciò a cui aveva dedicato la sua vita a cominciare dal liceo. Ma con quel ragazzo tutto crollava.
“Non si fasci la testa prima del tempo, faccia passare  un paio di casi in modo da avere le idee più chiare.  Questo caso ha  coinvolto direttamente lei e la sua collega quindi è normale che l’emotività sia compromessa, ma a mio parere è solo per questo che si sente poco distaccato!” cercò di tranquillizzarlo la giovane dottoressa, poi gli porse il suo biglietto da visita.
“In ogni caso..se durante il prossimo caso avrà dei problemi non esiti a chiamarmi a qualunque ora del giorno. Sarò pronta chiarire le sue idee per quanto possibile!” gli disse
“Oh ti ringrazio!” si lasciò sfuggire Reid.
“Mi piace questo..” disse Faith
“Cosa?” chiese Reid confuso.
“ Che dal ‘lei’ siamo passati a darci del ‘tu’.” Specificò la psicologa facendo increspare le labbra di Spencer in un sorriso. “Può far entrare l’agente speciale Prentiss?” chiese congedandolo.
Quello annuì “Certo.. grazie.. ciao!” la salutò il dottore uscendo.
Si sentiva più leggero, quasi fosse in grado di volare. Trovò Emily nell’open space che firmava una pratica.
“La dottoressa Fearis chiede di te.. te la archivio io!” disse il dottore sereno.
“A quanto vedo ci sa fare! Sembri rinato!” scherzò Emily prima di dirigersi verso l’ufficio dell’analista, Reid sorrise e andò ad archiviare la pratica di Emily. Mentre tornava dall’archivio, incrociò Derek il quale lo fermò “Allora ragazzino com’è la psicologa?” gli chiese.
“Straordinariamente normale!” rispose Reid
“Cos’è quello sguardo?” chiese il collega.
“Non so di che parli!” replicò lui.
“Parlo di pupille dilatate, evitare il contatto visivo e palmi sudati!”infierì Derek facendo scuotere la testa a Spencer.
“Non è vero!” negò ancora cominciando a camminare verso l’open space. Derek lo seguiva con insistenza “Fammi indovinare! Lei ti piace!” esclamò il nero divertito dall’imbarazzo del dottore “Io non l’ho mai detto!”borbottò Reid “Questo non è un no!” replicò Derek trionfante, Spencer boccheggiò “Non.. non starò qui  ad ascoltare le tue farneticazione!” riuscì a dire rosso in viso sedendosi dietro la sua scrivania. “Non insisterò, ma ti avverto.. non finisce qui!” disse furbo l’agente Morgan facendo comparire i suoi denti bianchissimi in un sorriso.
Il resto della giornata lavorativa di Spencer fu composta dal correggere e  modificare un profilo per poi inviarlo alla polizia della Virginia che aveva chiesto il loro aiuto. Durante quel pomeriggio la psicologa parlò con tutti i membri della squadra, riuscendo anche a conquistare la simpatia di Penelope, la quale si era detta scettica precedentemente. Mentre Faith era nell’open space che frugava nella borsa alla ricerca della chiave della moto, Derek la fermò “Ehi Faith!” le disse “Ciao Derek!” lo salutò la ragazza a sua volta. “Senti se non hai programmi io, Garcia, Emily, Reid, JJ e il suo compagno Will andiamo in un pub qui vicino per cenare.. potresti unirti  a noi!”le propose Derek. Faith ci pensò un po’ e giunse alla conclusione che era da mesi che non usciva.. da quando Bran se n’era andato. Uscire poteva farle bene e ci teneva a conoscere meglio quella squadra così compatta, che dava l’idea di una famiglia calorosa e presente, con un sorriso quindi accettò. Così tutti assieme con l’auto di Derek andarono a cenare in un pub dove andavano frequentemente dopo il lavoro.
“Quindi se ho ben capito sei di New York!” disse Derek
“Non esattamente, per gli anni di liceo ho vissuto a  Manhattan e all’università sono andata all’ NYU, ma la mia infanzia l’ho vissuta in Italia a Venezia.. mia madre è italiana, mentre mio padre è americano!” rispose la dottoressa, avevano appena finito di cenare.
“Interessante..” disse JJ
“Scusate vado a buttarmi in pista!” annunciò Derek, andando a ballare tra la massa.
“Vado a prendere da bere.. volete qualcosa?” chiese Faith.
“Un sex on the beach grazie Faith!” rispose Garcia.
“Un ginlemon Faith.. grazie!” si accodò Emily.
“Niente per noi grazie!” disse Will
“Sto a posto!” rispose Reid quando lo sguardo della ragazza si posò su di lui.
Faith sorrise e andò a prendere da bere per portarli al tavolo cinque minuti dopo. Passò davanti a Derek  che ballava circondato da due ragazze una davanti e una dietro. “Morgan sta attento quella dietro può prenderti il portafoglio!” gli urlò scherzosamente.
“Non mi importa sarò un uomo in rovina ma felice!” ribatté quello ridendo. Faith scoppiò a ridere, arrivò al tavolo, ma vi trovò solo il dottore immerso nei suoi pensieri.
“Dove sono gli altri?” chiese posando i bicchieri sul tavolo.
“JJ e Will sono andati a giocare a freccette- spiegò indicando il punto opposto del locale- .. Garcia è seduta davanti alla pista ad ammirare Morgan, Emily è andata con lei ma solo per prenderlo in giro!” rispose Reid.
“Vado a portare i drink!” lo informò Faith alzandosi. Spencer rimase ad osservare la figura della giovane ragazza che si muoveva agile per il locale e si ritrovò a sorridere fantasticando sul corpo di lei.
Faith tornò poco dopo, si sedette davanti a Spencer e sorseggiò il drink che aveva appena preso, Reid pensava a qualcosa da dire, ma aveva la  mente completamente vuota. Fu Faith a  salvare la situazione.
“Venite spesso in questo locale?” chiese
“In genere sì dopo i casi, se non siamo troppo stanchi…” rispose il dottore.
“Sembra una bella squadra..”commentò Faith.
“Sì lo è.. siamo fortunati!” convenne Spencer guardando Garcia e Emily che scherzavano.
“Molti tuoi colleghi mi hanno detto che tu sei la loro migliore risorsa, che la maggior parte dei casi non sarebbero stati risolti senza di te!”aggiunse Faith.
“Credevo che non dicessi ciò che hai saputo dalle sedute!” replicò Spencer.
“Non ho detto chi è stato a dirmelo.. sono rimasta sul vago, se dovessi censurare le cose da dire sul mio lavoro la mia vita sarebbe al quanto vuota!” confessò la ragazza.
“Sai che hai appena ammesso di essere una stacanovista vero?” scherzò Reid.
“Ma voi mi fate buona compagnia!” esclamò Faith facendolo scoppiare a ridere per poi unirsi a lui.
“Già la mia vita è stata piuttosto piena.” Borbottò sarcastico Reid.
“Piena di libri.. ho letto il tuo fascicolo Spencer.. è incredibile! Sai così tante cose  che non so come tu faccia a non confonderti!” si complimentò la giovane psicologa, Reid arrossì lusingato “Beh grazie.. in compenso nella parte motoria sono un disastro!” confessò il ragazzo.
“Se fossi davvero così terribile, credo che ti avrebbero già tolto dal lavoro sul campo!”ribatté prontamente lei.
“Ogni tanto mi chiedo se abbia fatto la scelta giusta.. non so avrei potuto scoprire la cura per il cancro o la leucemia..” confessò Reid scatenando una reazione critica nel petto di Faith.
Il suo battito aumentò, i palmi le sudavano e i brividi tornarono a farsi sentire, e anche il dolore, lo stesso di sempre, tornò anche lui.
“Devo andare!” disse brusca Faith alzandosi in piedi, si infilò il giubbino, prese la borsa e uscì dal locale prima che una lacrima le bagnasse la guancia. Il dottor Reid  rimase interdetta, tuttavia, senza sapere il perché, si alzò e seguì la ragazza.
“Faith!” la chiamò vedendola a pochi metri di distanza per la strada, lei si asciugò le lacrime cercando di mascherare il dolore. Spencer la raggiunse di corsa e le posò una mano sulla spalla facendola voltare.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?” le chiese prima di notare gli occhi lucidi .
“No Spencer.. lascia perdere!” mormorò lei minimizzando
“No aspetta.. hai.. hai pianto?” chiese, a quelle parole, le guancie della giovane psicologa si imporporarono e due lacrime caddero ancora bagnandole il viso, i polpastrelli di Reid le asciugarono rapidamente; gli si stringeva il cuore a vederla così, per tutto il giorno l’aveva vista così vitale ed energica.. pronta ad affrontare ogni cosa con un sorriso.
Faith non ne poteva più  di portare la maschera aveva finto tutto il giorno, aveva tenuto la maschera per troppo tempo. Si portò una mano alla bocca per soffocare i singhiozzi che si tramutavano in lievi singulti. Reid  la abbracciò mormorando “Hey.. hey.. non fare così!”, Faith sentì una scossa di vita lungo la schiena, sospirò profondamente riuscendo a calmarsi. Non poteva farci nulla.. Bran le mancava  da morire e bastava una parola sbagliata per farle crollare tutto addosso di nuovo. Continuava a ripetersi che lei era forte, che  non le serviva aiuto, che si sarebbe tirata su da sola, ignorando le chiamate dei suoi, degli amici.
Reid si staccò da lei e la guardò negli occhi “Come sai..?”cominciò la ragazza sorpresa.
“Beh è facile capirlo. Soprattutto per un profiler con una laurea in psicologia comportamentale!” la interruppe il ragazzo.
Faith si asciugò le lacrime. “Chi hai perso?” le chiese poi il dottore. “Il mio fidanzato.. Bran, siamo stati assieme per cinque anni, ma due anni fa gli è stata diagnosticata la leucemia. Sei mesi fa.. lui.. non ce l’ha fatta!” confessò la ragazza con la voce rotta dal dolore. Le lacrime erano cessate, Reid si morse l’interno delle guancie.
“Mi dispiace.. hai parlato con qualcuno?” le chiese, la ragazza scosse la testa facendo ondeggiare i capelli che provocarono una ventata profumata di cocco che investì in pieno il giovane dottore stordendolo lievemente.
“Se ti va.. tu dai una mano a me.. e io do una mano a te!”le propose Spencer.
“Ci conosciamo da un giorno e…”cominciò Faith.
“Se non vuoi non importa!” si affrettò a dirle Spencer.
“Solo che.. non capisco.. aiutare te e i tuoi colleghi è il mio lavoro.. ma tu.. perché vuoi farlo? Non capisco!” esclamò Faith
“Non lo so.. per la prima volta sento di voler fare qualcosa che non sono in grado di spiegare.. non lo so perché.. so solo che ne ho bisogno e credo che ne avresti bisogno anche tu!” rispose Spencer grattandosi la testa insicuro.
“Ok.. se la metti così.. ci sto!” accettò lei
“Io vedo a casa in metrò… tu da che parte vai?” chiese Spencer.
“Io sono in moto.. ho un altro casco.. al limite ti accompagno io!Dove abiti?” chiese Faith
“Sulla diciassettesima, in un condominio sopra il bar di Tiff’s!” le rispose
“Io sto sulla diciannovesima.. è di strada vieni!” fece un cenno con la testa Faith.
“ok…” accettò Reid.
Insieme andarono nel parcheggio della stazione dell’FBI dove lavoravano entrambi.
Faith porse un casco a Spencer, che se lo mise un po’ insicuro. Poco dopo Faith sfrecciava per le strade trafficate di Washington con Reid che le stringeva la vita. Si fermò davanti al bar di Tiff’s e si tolse il casco. “Ti ringrazio.. per tutto!” esclamò Faith con un sorriso. “Sono io che devo ringraziarti!” ricambiò Spencer, poi ritroso, posò le sue labbra sulla morbida guancia della ragazza mora facendola arrossire. “Buonanotte!” mormorò Spencer sorprendendosi del suo stesso gesto. “Buonanotte!” sussurrò Faith prima di mettersi il casco e ripartire col cuore a mille.  
 

Salve a tutti! Ecco un nuovo capitolo della mia Fanfiction su Criminal Minds.
Ringrazio infinitamente
jjk che ha recensito il capitolo precedente che ne pensate di Spencer e Faith?
Vi piace questa storia? Spero di sì perché mi sto impegnando molto.
Spero che lascerete una recensione.. così potete dire cosa va e non va nella mia storia.
Ringrazio ancora Chiara_88   per il meraviglioso banner.. è stupendo.
Baci Mar.

Faith:                                                                                           

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Spencer:
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Capitolo 3
*** Take his hand. ***


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Episodio 5x02 Hotch Emily Dickinson ha scritto:
"Non e' necessario essere una stanza o una casa per essere stregata, il cervello ha corridoi che vanno oltre gli spazi materiali".


Take his hand.


Le giornate seguenti  furono  più tranquille per Faith. Il mercoledì, mentre riordinava i fascicoli in cartelle, il suo pensiero però andava a Reid, a come il suo istinto si fosse completamente affidato a lui. Forse perché semplicemente le aveva fatto una buona impressione, sebbene non fosse ancora in grado di capirlo come soggetto. Di fare per una  volta a lui il profilo. Verso le  20 uscì dal suo ufficio che aveva lasciato solo alle 13 per una rapida pausa pranzo, aveva  pranzato con Garcia e dopo un’oretta era tornata in ufficio  e aveva faxato i profili psicologici della squadra definendoli “equilibrati”  all’amministrazione.
Arrivò nell’open space  e trovò Reid, Morgan e Prentiss che la salutarono amichevolmente.
“Finalmente anche oggi è finita!” sospirò Emily alzandosi dalla sedia.
“Qualcuno ha fame? Conosco un ristorante indiano aperto tutta la notte!” esclamò Reid sorridendo a Faith.
“Io ci sto!” accettò Morgan
“Perché no?!” accettò anche la giovane dottoressa
“Io non posso.. ho un appuntamento!” annunciò Emily
“Un appuntamento.. e con chi?” chiese Derek malizioso avvicinandosi alla collega.
“Vasca da bagno!” rispose quella rispondendo al sorriso di Derek
“Mmm.. sembra interessante!” commentò quello
“Ma tu non sei invitato!” puntualizzò Emily ridendo.
“Ouhc..” si lamentò Derek scherzosamente colpendosi con un lieve schiaffo sulla guancia facendo scoppiare a ridere gli altri tre.
Arrivò JJ con un fascicolo tra le mani “Oh siete qui.. meno male.. Hotch vi vuole in sala riunione è appena arrivato un caso!” annunciò provocando scontento fra i colleghi.
“Non ce ne possiamo occupare domani?” domandò supplichevole Derek.
“Temo proprio no.. mi dispiace ragazzi!” disse JJ conscia dei dissensi provocati con quella notizia. Si passò le mani sul pancione di 8 mesi e sospirò stanca. Emily gettò indietro la testa sbuffando e insieme a Derek si avviò verso la sala riunioni  salutando Faith con la mano “Buon lavoro!” rispose la ragazza. “Vi raggiungo fra un attimo!” si affrettò a dire Spencer ai colleghi restando solo con Faith e facendo increspare le labbra di Derek in un sorriso.
“Mi chiamerai se ti serve aiuto ?” chiese Faith una volta soli
“Secondo te lo farò?” fu la risposta di Reid
“Rispondi ad una domanda con un’ altra domanda.. quindi credo di no!” rispose lei infastidita spostando lo sguardo a terra. Il silenzio si fece spazio tra loro come un amico scomodo . Faith alzò, d’un tratto lo sguardo, e puntò i suoi occhi in quelli di Spencer. Quegli occhi castani screziati di verde.
“Credevo che volessi farti aiutare!” disse lei fredda, lui non rispose.
“Io mi sono fidata di te, perché tu non lo vuoi fare?” chiese Faith indignata.
“Io..” cominciò Reid per poi stroncare  quell’inizio di frase e lasciarla alleggiare nell’aria.
“Sai una cosa? Non ho voglia di perdere tempo! Fa come credi!” sibilò Faith arrabbiata prima di girare i tacchi e tornare a casa, sfrecciando con la sua moto tra le strade trafficate di Washington.
Arrivò a casa ancora indignata per l’atteggiamento del dottore. Le dava fastidio che avessero un rapporto impari, lei si era mostrato vulnerabile, si era fidato e gli aveva rivelato uno dei suoi segreti più intimi e dolorosi. Ma lui non si era fidato di lei in egual modo, le aveva voltato le spalle. Faith sospettava il motivo.. Reid aveva paura di essere considerato un peso e lei non era in grado di fargli capire che non era affatto così.
Arrivò nell’appartamento, si tolse il giubbino e gettò le chiavi sul tavolino. Accese lo stereo in cui vi era ancora il Cd di Ed Sheeran dalla sera precedente. Lo ascoltava sempre per rilassarsi, in pochi conoscevano quel cantante, lei lo aveva sentito dal vivo in locale, inconsapevole della sua poca fama ed era caduta folgorata colpita da quella voce profonda, leggermente roca, rapita dalle parole dei testi che si cingeva a scrivere rigorosamente di persona.
Faith si preparò la cena e poi accese la tv sul notiziario nel mezzo di un servizio.
“Il mezzo articolato ha travolto l’auto che si trovava in mezzo alla strada nel deserto del Nevada vicino a Reno, gli inquirenti stanno lavorando per recuperare i dettagli dell’incidente!” disse la voce neutra della giornalista mentre immagini di due coniugi si alternavano a quella di un camion. Poi le foto dei due coniugi si fecero largo nel grande schermo .
Una coppia sui quarant’anni, la donna aveva corti capelli castani che le arrivavano a metà collo, gli occhi anch’essi castani, leggermente spenti ma comunque belli e pieni di gioia, così come il sorriso. Accanto a lei il marito, capelli grigi radi, gli occhi azzurri che trasmettevano serenità e le labbra distese in un sorriso  meno smagliante di quello della mogli, ma comunque allegro.
Faith non avrebbe mai immaginato che anche Spencer stesse guardando le stesse foto nel fascicolo, accanto a quelle dei corpi senza vita pieni di lividi e ferite, non tutte causate dall’impatto col camion.
 
Spencer era fermo sulla stessa pagina da qualche minuto, troppo per i suoi standard. Derek gli schioccò le dita davanti al viso del ragazzo:
“Ehi ragazzino.. ti eri incantato?” lo prese in giro Derek
“Stavo pensando..” si giustificò Reid
“A chi? All’adorabile dottoressa che se n’è andata sbattendo la porta?” continuò Derek.
“Ma come..?” chiese confuso lui
“Penelope ha gli occhi grandi quasi quanto la bocca!” rispose JJ ridendo
“Reid cerca di concentrarti sul caso!” lo riprese Hotch
“Sì certo.. scusate!” disse Reid rosso in viso abbassando lo sguardo.
“Dunque  è il secondo caso nel giro  di un mese.. i Cattler sarebbero dovuti tornare  il venerdì, ma non si sono fatti vedere, li hanno ritrovati la domenica; gli Hiler invece sono scomparsi il lunedì dopo e sono stati ritrovati oggi!” disse Rossi leggendo il fascicolo.
“Li ha tenuti per tre giorni quindi!” dedusse Emily.
“Morgan e Prentiss sulla scena del crimine a parlare con il camionista e ricostruire l’incidente, Rossi e Reid  dal coroner a recuperare il referto medico- legale; JJ tu verrai con me in centrale a parlare con i parenti delle vittime!” diede gli ordini Hotch.
“JJ che fai con delle cuffie sulla pancia?” chiese Derek curioso.
“Così il bambino non sente..” spiegò JJ indicando le cuffie posate sulla sua pancia.
“Che gli fai ascoltare?” domandò Emily sorridente.
“Beethoven!” rispose JJ
“Io preferivo Wagner ma attenta a sottoporre il bambino all’ascolto di non più di un’ora al giorno.. il liquido amniotico tende ad amplificare il suono!” consigliò Reid alla sua amica in dolce attesa.
“Ti ringrazio dottore!” rispose lei allegramente.
Il resto del viaggio, Spencer lo passò con lo sguardo fuori dal finestrino, il suo pensiero andava a Faith, a quella specie di litigio che avevano avuto. Quando si era allontanata a grandi passi da lui aveva capito quanto era stato sciocco a non rispondere alle sue domande, a non fidarsi. E capiva che lei si sentiva tradita perché lui non aveva rispettato il compromesso che si erano scambiati qualche sera prima.
L’aereo atterrò  e la squadra si divise per svolgere i compiti assegnati da Hotch.
Prentiss e Morgan andarono sulla scena del crimine dove vi erano già due agenti e il camionista  coinvolto nell’incidente. Avevano steso una cartina stradale sul cofano dell’auto di servizio  e i due poliziotti stavano discutendo fra loro.
“Salve.. agente speciale Morgan, lei è l’agente Prentiss siamo della squadra di analisi comportamentale dell’FBI!” si presentò Derek stringendo la mano agli agenti e al camionista.
“Se permettete vado a dire a mia moglie che non ho ammazzato nessuno!” esclamò quello.
“Dovremmo chiederle di non farlo signor Murphy!” intervenne Derek
“Ma tutti pensano che li abbia uccisi io.. non sapete come mi sento..” si lamentò il camionista guardando a terra.
“Sappiamo che la situazione è delicata per lei, ma rivelare quest’informazione potrebbe compromettere seriamente le indagini!” spiegò Prentiss
“Beh.. d’accordo e se mi verrà in mente qualcosa ve lo farò sapere!”accettò il camionista.
“La ringraziamo per la collaborazione signor Murphy!” esclamò Derek.
Il camionista se ne andò, allora uno degli agenti chiese: “Perché potrebbe compromettere le indagini?”.
“L’S.I.  si sente al sicuro e se capisse di non esserlo abbandonerebbe i corpi con metodologie differenti e sarebbe più difficile da individuare!” rispose Emily.
“L’ha lasciata in mezzo alla strada..” mormorò Derek, che intanto si era spostato verso il centro della grande strada solitaria di asfalto. Ragionava, cercando di mettersi nei panni dell’S.I.
“E allora?” chiese scettico l’altro agente.
“Allora.. significa che lasciarli qui era meno rischioso piuttosto che lasciarli nel posto in cui li ha uccisi!” esclamò Derek.
“Ciò vuol dire  che probabilmente vive  o lavora nel luogo in cui commette gli omicidi!” esplicitò Emily facendo annuire il collega.
Derek sospirò portando l’aria secca del deserto nei suoi polmoni, restando fermo immobile, sentendosi impotente e comprendendo che era improbabile fermare quel pazzo prima che uccidesse ancora. Lo addolorava sempre di più quando era costretto ad avere un’altra vittima per poter fare il suo lavoro, era stanco che dovesse aspettare il fatto già compiuto prima di porvi soluzione.
 
Nel frattempo in centrale Hotch e JJ erano arrivati e avevano sistemato le foto della scena del crimine.
“Che ne pensi della nuova psicologa?” chiese Hotch attaccando le ultime foto con lo scotch sulla lavagna trasparente.
“Mi sembra a posto.. sa ottenere la fiducia delle persone!” rispose JJ
“E del suo rapporto con Reid?” chiese ancora.
JJ capì dove il capo voleva andare a parare.
“Ti preoccupa?” chiese JJ
“Un po’! lo vedo distante, distratto.. abbiamo bisogno che sia lucido e cosciente..” rispose Hotch
“Il lavoro è tutto per lui Hotch.. sarei felice se trovasse qualcosa o qualcuno oltre a questo lavoro!” scattò JJ sulla difensiva.
Non le piacevano le insinuazioni che stava facendo il capo sul suo migliore amico.  Da quando era incinta le bastava un niente per scattare a difendere le persone che amava.. probabilmente l’istinto materno cominciava a farsi sentire nella sua aggressività.
Hotch aprì la bocca per rispondere, ma il detective incaricato del caso li interruppe: “Agente Hotchner è arrivato il padre della signora Cattler..”
“Vado subito a parlargli grazie!” disse Hotch, prima di lanciare un’occhiata intimidatoria a JJ e uscire. La donna sospirò passandosi una mano tra i capelli, sarebbe stata felice in realtà se Spencer avesse trovato qualcuno.
 
Spencer e Rossi erano ad aspettare all’obitorio che il medico legale li facesse entrare. Non aveva parlato di altro che non fosse inerente al caso. Spencer cercava di tenere occupata la mente, per non pensare alla cazzata che aveva combinato.
Una dottoressa asiatica sui trent’anni con gli occhiali e la tuta verde da lavoro li fece entrare.
“Cosa può dirci?” chiese Rossi.
“Il modo in cui si è accanito sulla donna è una violenza allucinante, non ho mai visto una cosa del genere. L’uomo è stato ucciso con una serie di colpi alla testa..- spiegò togliendo il lenzuolo su un primo cadavere- così è a anche per la donna, ma prima è  stata picchiata violentemente e stuprata ripetutamente!” rivelò la dottoressa togliendo il lenzuolo anche dal corpo senza vita  della donna. Reid avrebbe preferito che non lo facesse. Vide il volto della donna quarantenne completamente sfigurato da numerose ecchimosi. Le cosce erano piene di ematomi lividi che fecero stringere i pugni a Reid. Ma ad un tratto quando notò il cuoi capelluto della donna quasi completamente scorticato ebbe un flashback. Il flashback era su Emily, rivide per qualche istante le potenti mani di Cyrus sfogarsi sull’amica colpendola forte, tirandole i capelli, gettandola sullo specchio e riducendolo in mille pezzi.
Le mani cominciarono a tremare, cominciò a respirare a fatica, ansimando … cominciò a sudare freddo, sentiva le gocce di sudore rotolargli giù per la schiena, ad un tratto ebbe una vertigine, portò una mano alla testa sentendo la nausea che si faceva largo nel suo stomaco.
“Reid.. stai bene?” chiese Rossi notando il disagio e l’espressione angosciata sul volto del collega.
“Puoi continuare tu.. io devo.. prendo un po’ d’aria fuori!” esclamò Reid precipitandosi fuori.
Cercò di ignorare la sua tachicardia, ma poi venne invaso da una sensazione di soffocamento. Si sedette su una panchina fuori mettendo la testa tra le ginocchia cercando di domare l’attacco di panico che coinvolgeva la sua mente. Respirò affannosamente, le mani smisero di tremare e formicolare.
Cercò nervosamente il cellulare e premette il tasto delle chiamate rapide per chiamare Faith.
“Pronto.. dottoressa Fearis!” rispose la ragazza che era nel suo studio.
“Faith..” mormorò con voce strozzata il dottore
“Spencer.. va tutto bene?” chiese preoccupata alzandosi dalla sua scrivania.
“ Temo di no.. io..- cominciò per poi far scendere delle lacrime incontrollate- ..ho bisogno d’aiuto Faith!” riuscì a mormorare con la voce strozzata dal pianto.
Faith si preoccupò ulteriormente e cercò di capire cosa stesse succedendo.
“Spencer cosa ti senti?” chiese
“Credo..credo di aver appena avuto un attacco di panico..”mormorò il ragazzo “Ti prego Faith vieni qui.. prendi il primo volo e vieni qui!” la pregò poi. Sentiva come se quella ragazza fosse l’unica cosa, l’unica persona che potesse aiutarlo.
“Spencer.. mantieni la calma per prima cosa.. inspira contando fino a tre e poi espira contando altrettanti secondi.” gli  suggerì Faith. Spencer seguì il consiglio della psicologa.
“Ora ascoltami.. non posso venire là da te.. riordina le idee.. sii realista.. non posso presentarmi lì interferendo col tuo lavoro! Ma posso aiutarti per telefono.. dimmi cosa ti ha preoccupato?” spiegò al ragazzo.
“Ho visto i cadaveri del nuovo caso.. e la donna.. mi ha ricordato Emily che veniva picchiata per proteggere me!”  rispose Spencer, cominciando a tornare lucido.
“Hai avuto una specie di flashback?” chiese ancora Faith
“Sì.. ho rivisto tutto e.. non so cosa sia successo.. la mia mente.. è come se fosse andata in black out!!” spiegò Reid
“Forse aveva solo bisogno di riposo… Spencer… Ora è tutto passato.. smettila di tormentarti..!” gli disse la dottoressa cercando di farlo reagire.
“Io.. grazie Faith.. e scusa per ieri sera… mi dispiace!” le disse calmo Spencer
“Ti ho perdonato non appena mi hai chiesto aiuto! Ora puoi cavartela da solo!” gli disse sorridendo dietro la cornetta. Sorrise anche Spencer.
“Grazie! Ciao!” la salutò prima di chiudere la chiamata. Si infilò in tasca il nokia scassato che si ritrovava e tornò dentro con nuova energia pronto ad affrontare il caso.
Il caso fu risolto in fretta… Riuscirono a prendere lo stupratore omicida prima che uccidesse una nuova coppia di coniugi.
Faith stava per tornare a casa a bere una tazza di te e leggersi un bel libro, ma Garcia cambiò i suoi piani entrando nel suo ufficio.
“Ciao Faith.. ho sentito il mio adorato cioccolatino… saranno qui tra dieci minuti.. ti va di aspettarli nell’open space! Non è una domanda è un obbligo io non accetto mai i rifiuti!” esclamò Garcia tutto d’un fiato. Faith alzò gli occhi al cielo, vedendo la sua serata tranquilla sfumata, ma acconsentì. Un po’ perché Garcia era davvero insistente, ma non solo per quello. Anche se non voleva ammetterlo con sé stessa moriva dalla voglia di avere notizie di Spencer. Non lo aveva più sentito dopo il suo attacco di panico, non che lui non avesse provato a chiamarla, ma lei aveva rifiutato senza esitazione le sue chiamate, era convinta che Spencer fosse abbastanza forte da controllare sé stesso da solo, e se lei gli fosse stata troppo dietro avrebbe peggiorato la questione.
La squadra arrivò dopo un quarto d’ora e si sorpresero tutti di vedere Faith chiacchierare con Garcia mentre aspettava la squadra. Garcia abbracciò Derek, Emily lanciò qualche frecciatina a quest’ultimo sul caso. Spencer inizialmente evitò gli occhi di Faith, ma poi non resistette all’impulso di guardarla. La ammirò in tutta la sua bellezza. I capelli neri,lisci che le incorniciavano il volto rilassato. “Bentornati ragazzi! Fatto buon viaggio?” chiese cordiale all’intera squadra.
“Sì grazie dottoressa.. qua vi siete divertiti senza di noi?” rispose Rossi facendo ridacchiare tutti. Poi prese in disparte la giovane dottoressa.
“Faith.. mi chiedevo se poteva ricevere l’agente Hotchner domani mattina!” chiese in un sussurro.
“Certo ho un posto libero verso le undici.. lo mandi pure da me!” rispose la ragazza assumendo un atteggiamento serio e professionale.
Poi Rossi se ne andò, e Spencer si avvicinò leggermente imbarazzato.
“Come stai?” chiese la ragazza prima che lui potesse parlare.
“Meglio grazie a te!” rispose sincero Spencer, pentendosene subito dopo.
“Ora tocca a te però…” aggiunse misterioso il giovane dottore.
“Che vuoi dire?” chiese Faith.
“Portami da Bran…” le disse semplicemente.
Faith impallidì, guardò a terra e deglutì rumorosamente per poi prendere un respiro e alzare lo sguardo verso il dottore che la guardava aspettando una sua reazione, la quale non tardò ad arrivare. Faith, quasi inconsciamente afferrò la mano fredda del giovane dottore e lo condusse nel parcheggio dove c’era la moto, ciò non passò inosservato ai colleghi che si rivolsero occhiate interrogative a vicenda.
Faith porse a Reid il casco di riserva, lo guardò con aria quasi solenne e poi salirono sulla moto. Sfrecciarono per le strade, mentre le braccia di Reid si strinsero attorno alla vita della ragazza.
La moto si fermò davanti ad un cimitero verso la periferia della città. Si tolsero il casco e dopo aver legato la moto Faith,che non aveva ancora detto una parola, afferrò nuovamente la mano di Spencer per condurlo poi dentro a  quell’inquietante luogo.
 

 

Finalmente sono riuscita ad aggiornare il terzo capitolo.. credo sia il più lungo fatto fin’ora.
Ringrazio infinitamente :

CharlotteSheeran
Marta__
jjk
per aver recensito lo scorso capitolo, adoro ricevere opinioni su questa ff. perché ci tengo particolarmente.
Passando al capitolo.. non ho trattato a pieno il caso (che comunque compare nell’episodi 4x04) per una questione di lunghezza e tempo.
Inoltre volevo sottolineare il rapporto che si sta tessendo tra Spencer e Faith.
Spero di ricevere qualche recensione;) ora ho anche un profilo
Facebook dove potete farmi domande sulla storia.. fare due chiacchiere o ricevere spolier.

http://www.facebook.com/mar.efp

Vi lascio con una foto di Faith e una di Spencer baci
Mar

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Capitolo 4
*** Kiss me and goodbay! ***


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Episodio 4x02 Hotch:
"Tutti muoriamo .
L'obiettivo non è vivere per sempre,
l'obiettivo è creare qualcosa che vivrà per sempre"
Chuck Palahniuk

 

 Kiss me and goodbay.
 

L’ambiente era tetro  e inquietante, normale per un cimitero. Faith fermò la moto e poi andò davanti al cancello di ferro battuto con Spencer.
“Dobbiamo scavalcare.. ce la fai?” gli chiese girandosi verso di lui che annuì.
Faith scavalcò il cancello freddo e aspettò Reid che scavalcasse a sua volta con non poche difficoltà. Una volta dentro le mura, Spencer si guardò attorno:
“Ma è legale quello che stiamo facendo?” chiese spaventato, Faith alzò gli occhi al cielo. “No andremo in prigione e lì tu verrai violentato!” esclamò sarcastica.
“Sul serio?” chiese lui scioccato.
“No!”esclamò  ovvia lei per poi scoppiare a ridere trascinando Reid con sé.
Il cimitero era enorme, le tombe si assomigliavano tutte ed erano indicate grazie ad alcuni lumini che illuminavano le lapidi.
Faith conosceva a memoria la strada ormai, ci passava tutte le sere libere, per gli altri poteva sembrare una cosa triste, ma per lei non lo era, anzi  era felice quando stava davanti alla tomba di Bran, osservava la foto al centro del marmo freddo. L’aveva scelta lui prima di andarsene, ritraeva loro due ad una partita di calcio di beneficenza, lui la cingeva per i fianchi da dietro, lei rideva e si dimenava per andare a rincorrere   la palla. Bran aveva scelto quella foto per indicare la fine della loro relazione, le aveva ordinato sul letto di morte, di vivere, di non piangersi addosso, di trovare un ragazzo che la rendesse felice. Ma non aveva ancora ubbidito a quella richiesta. Non piangeva mai davanti alla tomba( era accaduto solo le prime volte) perché quando stava lì poteva fingere che lui non se ne fosse mai andato via.
Quella era la prima volta che portava qualcuno su quella tomba, che non fossero i parenti di Bran. Arrivarono davanti alla lapide di marmo, lei lasciò un bacio sulla foto e tornò a fianco a Reid che aveva un’espressione seria mista a curiosa, come un bambino che scopre il mondo per la prima volta, Faith sorrise intenerita dal suo atteggiamento.
“Eccoci qua!” sospirò, poi si rivolse a Bran, incurante di quello che avrebbe pensato Spencer.
“Ti ho portato un ospite oggi.. hai visto?” disse “Non so se parlerà con te, non tutti la pensano come me, non tutti pensano che tu possa sentirmi; però lo sai che non smetterò mai di parlarti!” continuò mentre Reid guardava stupito la scena.
Lesse la data della morte sulla lapide fredda.
“4 Dicembre 2011”; sotto invece vi era un’iscrizione che diceva:
“ Nella mia eterna memoria. Per sempre tua Faith!”
Reid poi lesse la data di nascita di Bran e fece un rapido calcolo trovando l’età del ragazzo al tempo della sua morte. Venticinque anni, tre mesi e diciannove giorni.
Restarono lì per circa altri dieci minuti e Spencer rimase sorpreso di come la ragazza stesse trattando la morte del suo ragazzo. Poi le gli sorrise : “Contento? Possiamo andare?” chiese tranquillamente, lui annuì ricambiando con un mezzo sorriso.
***
 
“Questo posto è inquietante..” borbottò Spencer mentre si dirigevano verso il cancello.
“Io direi.. tranquillo!” lo contraddisse lei.
Il ragazzo scavalcò il cancello per primo e aspettò che la giovane psicologa scendesse dal muro che stava scavalcando. In quel momento Reid vide una macchina della polizia che percorreva la strada poco lontana e avvertì agitato la ragazza: “Faith c’è una volante salta giù!” sibilò pronto a prenderla al volo.
Lei si lasciò andare all’istante fidandosi ciecamente del dottore. Le braccia del ragazzo le cinsero la vita, ma le gambe non ressero il peso della ragazzo e cedettero facendoli cadere rovinosamente  per terra l’una sopra l’altro.
Reid scoppiò a ridere trascinando Faith, che divertita gettò la testa all’indietro facendo svolazzare i capelli lisci e morbidi che odoravano di cocco. Lui aspirò il suo profumo sentendo un brivido lungo la schiena. Spencer notò che il suo stesso respiro era diventato più corto, affannato, irregolare. Sbatté le palpebre cercando di regolarizzare il battito cardiaco che sembrava impazzito. Lo sguardo incrociò quello di Faith, le iridi scure, difficilmente distinguibili dalla pupilla. Anche Faith avvertì qualcosa, il cambio di atmosfera tra loro. Nella sua mente ci fu il vuoto e una forza a lei sconosciuta la spingeva ad avvicinare il suo viso a quello del ragazzo che la guardava con le labbra semiaperte. Reid accarezzò il volto di Faith, per poi tenerle il mento, il ragazzo deglutì sentendo lo stomaco annodarsi. Nello stomaco di Faith invece c’era uno sciame di farfalle che svolazzavano e favorivano l’avvicinamento la giovane dottore. I respiri si fondevano e Spencer non desiderava altro che sfiorare le labbra della ragazza. Il suo imbarazzo, la sua solita goffaggine sembrava sparire. Le labbra secche e piene del dottore furono in un attimo su quelle morbide di Faith. Lui aveva la bocca semiaperta e poca saliva pizzicava le labbra della ragazza, che aprì lentamente la bocca spingendolo ad approfondire il bacio.
Spencer prese il viso della ragazza tra le mani mentre le loro lingue si scontravano, inventavano giochi, Faith sorrise in quel bacio, poi le sue mani si intrecciarono nei capelli soffici del ragazzo.
Ad un tratto però fu come rendersi conto dell’ “errore” madornale che stavano commettendo.
Il codice deontologico di Faith diceva chiaramente che non bisognava mischiare la vita professionale con quella privata. Cosa che esattamente stava  sbagliando. Stava infrangendo. Si staccò di colpo  e si alzò col cuore in gola e la schiena ancora invasa da brividi. Non lo guardò neanche in faccia. Si sistemò i vestiti in fretta e  corse verso la moto per poi tornare a casa lasciando Spencer lì da solo.
***
Al mattino Spencer si svegliò assonnato, si stiracchiò sul letto e notò di essere ancora vestito e in un lampo gli tornò in mente ciò che era accaduto la sera precedente con Faith. Di come lei sconvolta lo aveva lasciato davanti al cimitero, aveva preso il bus e poi era tornato a casa tardi. Non ce l’aveva con lei, sapeva che l’istinto aveva subentrato sulla ragione. Ma ciò non fece altro che ricordargli che anche lui si era lasciato andare all’istinto, e non era affatto felice. La sua mente, la sua razionalità era tutto ciò che aveva. Ne aveva avuto paura in passato, perché non riusciva a controllarla, ma con il tempo era riuscito a capire come funzionava il suo cervello. E lasciarsi andare all’istinto lo avrebbe confuso. Ma era come se quella ragazza fosse un burattinaio e lui un burattino. Si sentiva in trappola, dipendente da lei. Si alzò e si fece una doccia sperando di lavare quei pensieri con il getto dell’acqua, ma le sue speranze furono vane. Mentre saliva in ufficio con la sua tazza di caffè cercò le giuste parole da dirle. Ma non gli veniva in mente niente e l’ansia cresceva. Ma forse sarebbe stata lei a introdurre l’argomento. Comunque avrebbero dovuto parlarne.
Anche Faith si svegliò preoccupata per quella giornata, nemmeno il sonno le aveva risparmiato il ricordo delle labbra di Spencer premute contro le sue, della sua lingua calda che sfiorava quella di lui, se solo ripensava a quella scena una vampata di calore le inondava il corpo. Si passò una mano tra i capelli con fare disperato, poi si alzò e andò a dar da mangiare al gatto Louis e si preparò per il lavoro, volente o nolente doveva andarci. Aveva un appuntamento con Hotch fissato per le undici e alle dieci un appuntamento con un agente.. Fhisn si chiamava. Era una normale analisi di routine. Fece colazione e andò in ufficio cercando di evitare Reid.
“Ehm.. Faith.. perché ti guardi intorno come una ladra?” mi chiese Emily comparendo alle mie spalle facendomi sobbalzare.
“Ehi.. nervosetta?” mi prese in giro notando la mia reazione.
“Scusa ma devo assolutamente evitare..” cominciai interrompendomi vedendo Spencer uscire dall’ascensore a pochi metri da noi.
“Spencer? Perché? È successo qualcosa?” chiese curiosa con un sorriso malizioso la mora. Scossi la testa e mi affrettai a raggiungere il mio ufficio.
 
Spencer aveva visto lo sguardo sfuggente di Faith che era poi andata in ufficio quasi di corsa.
“Spencer.. c’è qualcosa che dovrei sapere?” gli chiese Emily decisa ad approfondire la questione. Ma Spencer ebbe il dubbio che Faith si fosse confidata con la nuova amica.
“Lo so non avrei dovuto baciarla non farmi la predica!” sbuffò Spencer guardando a terra e mordendosi il labbro inferiore indeciso.
“Vi siete baciati?” chiese Emily con voce piuttosto alta e gli occhi sgranati. Quell’affermazione non scappò a Derek che passava da quelle parti.
“Chi ha baciato chi?” chiese curioso di saperne di più sul nuovo gossip.
Spencer aprì la bocca per parlare ma Emily lo anticipò.
“Spencer a baciato Faith e lei ora lo evita!” spiegò Emily, Derek sgranò gli occhi sorpreso e aprì la bocca. Quasi scioccato.
“Non è… un momento mi evita?” chiese Spencer confuso.
“C’è un codice deontologico da rispettare!” borbottò Derek prendendo in giro Reid citando le sue stesse parole qualche giorno prima.
“E’ successo! Ok? È successo mi è piaciuto e voglio chiarire la situazione nella pausa pranzo!” sbottò Spencer stanco di dover dare spiegazioni ai colleghi.
 
***
Verso le undici Hotch bussò alla porta di Faith ricevendo l’invito ad entrare.
La salutò guardando a terra, quasi imbarazzato di trovarsi lì.
“Salve agente Hotchner… L’agente Rossi mi ha spiegato il motivo della sua visita.. ma vorrei sentire la sua versione!” esclamò Faith scribacchiando su una cartella per poi rivolgere la sua totale attenzione a lui.
“Mi sono fatto scappare un S.I.- cominciò per poi puntualizzare- cioè in realtà lo abbiamo preso.. è morto ma abbiamo salvato la coppia che voleva uccidere.. ma se avessi capito, forse la donna non avrebbe subito quella violenza e il marito non avrebbe rischiato il trauma cranico… mi sono sbagliato e ora sono insicuro delle mie capacità!” esclamò infine Hotch aprendosi completamente alla ragazza.
Lei stette zitta per assicurarsi che avesse detto davvero tutto. Poi prese un respiro.
“Agente Hotchner.. ho notato che nella vostra squadra.. avete salvato molte vite e vi sentite invincibili, ma voi non siete supereroi. Non sul serio. Un errore può capitare a tutti, perché voi avete così tante difficoltà ad accettare che un errore è normale farlo..?” chiese lei
“Perché abbiamo delle vite da salvare..” replicò lui.
“E’ vero ma provi a immaginare come sarebbe se voi foste costantemente insicuri.. con la paura di sbagliare.. credete che sareste più utili alle persone che dovete salvare? Dovete continuare a lavorare come avete sempre fatto, mettendo in conto che qualche errore è possibile.. e non vale solo per il lavoro ma anche per la vita privata..” disse la ragazza parlando anche a sé stessa.
“Ne ho fatti troppi sulla vita privata, mia moglie se n’è andata.. ho dato tutto al mio lavoro e se cominciassi a zoppicare anche qui  non  so.. non credo che riuscirei a sopportarlo!” esclamò Hotch mettendola al corrente della sua situazione coniugale. Faith sorrise amaramente e poi mormorò una frase che rimase ben incisa nella memoria di Hotch.
“Agente Hotchner deve mettersi in testa che non sempre è possibile salvare tutti.”
Horchner fu piuttosto scosso dalle parole della psicologa. Rifletté a lungo, e ne trasse che la ragazza aveva ragione. Lui non era invincibile e doveva accettarlo.
 
Nel frattempo Reid non riusciva a concentrarsi.. ripensava a Faith al suo bacio, alla sua timidezza che era momentaneamente sparita, con lei si sentiva completo, ed era una sensazione davvero strana. Ma decise che sarebbe stato il caso di andarle a parlare, prevedeva che avrebbe cercato di evitarlo in tutti i modi ed era l’ultima cosa. Lui aveva bisogno di lei.
Così alla pausa pranzo si diresse in ufficio di Faith, era sicuro che lei sarebbe stata lì, non avrebbe pranzato fuori per non incrociarlo. Arrivò davanti alla porta chiusa del suo ufficio e prese un respiro profondo per poi entrare senza bussare. Voleva affrontare la questione in quel momento. La vide sulla scrivania che leggeva una cartella, i capelli lisci le ricadevano sulle spalle e il suo volto era contratto  in una smorfia di impegno. Sorrise trovandola davvero carino.
“Ciao Faith..” disse facendola sobbalzare.
“Scusa non volevo spaventarti..” disse ancora arrossendo
“Non fa niente..” rispose con un filo di voce diventando insicura, e incredibilmente tenera. Sorrise dolcemente. La ragazza deglutì sentendo un fuoco nel petto.
“Dovremmo parlare Faith..” disse poi chiudendo la porta per evitare che qualcuno sentisse la loro conversazione. La mora sospirò diventando incredibilmente frustrata. Non sapeva cosa dirgli in realtà.
“Quello che è successo ieri.. io… non voglio che sia motivo di disagio tra noi.. perché stavamo cominciando a diventare amici…” balbettò Reid guardando a terra.
“Spencer.. è sbagliato quello che è successo.” disse le parole pensate la sera precedente.
“Forse hai ragione.. ma perché una sensazione così bella è sbagliata?” chiese senza riflettere. La ragazza arrossì di colpo. Lei sapeva ciò che provava lui, erano le sue stesse sensazioni.
“Spencer noi.. non possiamo..” cominciò a dire, mentre lui si avvicinava a lei lentamente. Non sapeva ciò che voleva fare, il suo cervello non aveva più il controllo sul corpo. E questo era grave, se il suo cervello non aveva controllo si sentiva allo sbando in genere, ma non era così quando c’era Faith. Lo aveva già provato in quel pesante attacco di panico che solo Faith era riuscito a calmare. Ma sapeva che probabilmente Faith era ancora sofferente per Bran il suo ex. Tuttavia, forse il fatto che lei lo avesse portato sulla tomba di Bran indicava non solo fiducia in lui, ma anche una sorta di atto simbolico di abbandono nei confronti dell’amore per Bran.
 Spencer oramai era a pochi centimetri da Faith che aveva arretrato fino ad andare a sbattere contro la scrivania e fermarsi col fiato corto.
Si avvicinò al volto della ragazza, che lo guardava negli occhi.
Faith si perse negli occhi nocciola screziati di verde del giovane dottore. Deglutì ragionando sulle parole del ragazzo. Come poteva essere sbagliata quella sensazione? In un attimo, Faith non parlò più, non si oppose, le sue difese si abbassarono e le sue mani finirono sulla cravatta del ragazzo, lo attirò a sé in un gesto sicuramente più sensuale del bacio della sera prima.
Faith e Spencer chiusero gli occhi quando le loro si unirono, di nuovo dopo dodici ore. Le loro lingue entrarono ancora in contatto, volendo di più. Quello non era un bacio casto come quello di poche ore prima. Era un bacio pieno di passione, di eros. Le mani di Reid finirono sotto le cosce della ragazza per poi sollevarla  e farla sedere sulla scrivania. Le gambe di lei si allacciarono saldamente al bacino di Reid, il quale fu costretto a soffocare un gemito. Le mani di Faith finirono sulla nuca di lui. Reid le toccò delicatamente il collo, poi discese con le labbra, la mascella di Faith, successivamente si posò sul collo della ragazza, gettando tutta la sua insicurezza, ed essendo sé stesso. Per una volta non usava la sua intelligenza come scudo, come barriera per proteggersi. Con una mano cominciò a slacciare lentamente i bottoni della camicia di lei. Ma non ebbe neanche il tempo di slacciarle il terzo bottone che bussarono alla porta facendoli sobbalzare e separare all’stante. Faith scese dalla scrivania e cercò di darsi un contegno.
“Ehm avanti..” disse. Entrò JJ con Derek.
“Oh Spencer sei qui.. Penelope ti cercava..” disse JJ al ragazzo.
I due appena entrati guardarono i bottoni della camicia di Faith e poi Spencer che si sistemava la cravatta parecchio a disagio. Sul volto di Derek si formò un’espressione tra il divertito e il malizioso. Poi salutarono Faith e tornarono nell’open space , Reid sorrise alla ragazza e si diresse da Penelope. Lasciando Faith che si passava una mano sul volto con fare disperato.
 

 

 
Salve ;) sto per uscire quindi mi muovo. Dunque ringrazio le
due persone che hanno recensito i capitoli precedenti, sono felice ;)
Dunque questo è un capitolo totalmente romantico che spiega
il modo di vedere la relazione dei due protagonisti.
Spero che mi lascerete un parere.
Baci mar.
P.s. Ho una sorpresa, questo è il link del trailer della fanfic ;)
spero che vi piaccia ;) aspetto i vostri pareri ;)

https://www.youtube.com/watch?v=gw-6dBQIHvQ

 

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Capitolo 5
*** Can I kiss you? ***


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Hotch: Il poeta latino Fedro ha scritto:


"Non sempre le cose sono quello che sembrano.
La prima impressione inganna molti.
L'intelligenza di pochi percepisce quello
che è stato accuratamente nascosto."

Questo capitolo è dedicato a Marghe e ad Asia.. grazie del sostegno pazze Gubloid!

Can I kiss you?
 
Derek e JJ erano usciti dopo Spencer lasciando Faith da sola e affannata.
Deglutì e si portò  le mani tra i capelli riflettendo angosciata su ciò che era appena accaduto. Si sedette sulla sua sedia a peso morto e cominciò a mangiare un panino che si era portata da casa. Era sempre stata una persona impulsiva, ma crescendo aveva imparato a controllare l’istinto e a indirizzarlo nella strada giusta. Ma con Spencer non c’era riuscita. Quel ragazzo mandava all’aria tutte le sue certezze, tutta la sua sicurezza, tutta la sua poca razionalità. Alla scrivania nell’open space, Spencer stava facendo lo stesso ragionamento. Stava pensando al motivo per cui, con Faith era in grado di uscire dal guscio, spogliarsi delle sue insicurezze e del suo fare goffo e impacciato. Nessuno era mai riuscito  a farlo.
Lui non era come Morgan, abituato alle attenzioni e ai discorsi femminili. Con le ragazze spesso evitava il contatto visivo, non riusciva a spiegarsi neanche il perenne desiderio di vederla, parlarle, toccarla, baciarla stare con lei o anche solo incrociare i suoi occhi neri e pieni di vita.
Derek si avvicinò bruscamente alla scrivania di Spencer con la sedia mobile, distogliendolo così dai suoi pensieri.
“Ciao Spencer.. allora c’è qualcosa che vuoi dirmi?” lo prese in giro Derek
Reid alzò gli occhi al cielo  e decise di ignorarlo, di non dargli corda.
“Ok seriamente ragazzino..a mio parere potresti finalmente trovare qualcuno.. e non so come una ragazza come lei si sia interessata a te..”
“Grazie Morgan!” lo interruppe sarcastico Spencer.
“Non fare l’offeso perché ti dico la verità! Comunque sia.. per quanto mi riguarda potrei darti importanti consigli..” continuò Derek facendo l’uomo vissuto.
“No grazie!” replicò secco Spencer scarabocchiando nervosamente su un foglio.
“Come vuoi!” disse  lui facendo per andarsene.
“Derek ci sono delle regole da rispettare!” disse ancora Spencer con tono amareggiato.
“Fregatene per una volta delle regole!Fregatene e vivi!” esclamò Derek guardando l’amico negli occhi, per poi tornare a lavorare sulla sua scrivania con professionalità. Per questo Derek stava bene, sapeva esattamente quando giocare e quando essere serio per il suo lavoro macabro.
Spencer rimase qualche secondo a guardare nel vuoto, le parole di Derek lo avevano colpito come una badilata in faccia. Con un scatto, ad un tratto, si alzò e con passo svelto si diresse verso l’ufficio di consulenza dove vi stava Faith, che compilava il profilo di Hotch, della seduta di quella mattina. Spencer entrò senza bussare facendola sobbalzare nuovamente. Quando la ragazza lo riconobbe sbuffò.
“La vuoi smettere di entrare così?” lo rimproverò.
“Faith viviamo!” le disse ignorando la sua affermazione. Faith corrugò la fronte interrogativa.
“Non dobbiamo avere paura! Viviamo e chissenefrega delle regole!” esclamò tutto d’un fiato.
Faith strabuzzò gli occhi pensando di aver sbagliato la analisi psicologica di Spencer. Ma poi si rese conto che in realtà era riuscita a cogliere solo l’aspetto più elementare e palese di lui. Era tutto da scoprire. Faith si inumidì le labbra.
“Spencer noi..” cominciò alzandosi dalla sedia e andando vicino a lui.
“Noi… Faith, noi! Noi siamo fatti per stare insieme.. non io, non tu, NOI!” la interruppe lui. La ragazza deglutì spiazzata da quell’affermazione, ma comunque felice.
Spencer gettò nuovamente via la sua timidezza e cinse Faith per i fianchi, che sospirò pesantemente a quel contatto. Sentì la gola secca, e si sentì leggera. Spencer intanto si avvicinava al volto di lei stupendosi di sé stesso. Quando furono così vicini da poter sfiorare l’uno la pelle dell’altra, Faith fece per scansarsi ma la volontà non rispose, tuttavia Spencer colse l’ insicurezza “voglio ma non posso” di Faith e le disse.
“Se vuoi fermami ora… Se non vuoi il mio bacio, dimmi che non lo vuoi oppure se vuoi dimmi una menzogna, dimmi che non capisco niente perché è vero, dimmi che sono pazzo perché anche questo è vero, dimmi che mi fai perdere il controllo perché ti assicuro è la verità. Puoi anche dirmi che hai paura e ti proteggerò io, potresti anche dirmi che sei incompleta e io colmerò le tue mancanze… Ma se vuoi questo non andartene, non scappare più!” Spencer non sapeva nemmeno lui da dove venissero quelle parole, il suo cervello lo stava stupendo ancora una volta.
Faith rimase colpita dalle sue parole dolci, non credeva  che lui fosse in grado di dirle, o meglio  era possibile che le pensasse, ma non avrebbe mai creduto che avesse avuto il coraggio di pronunciarle ad alta voce.
Posò una mano sul volto del giovane, avvertendo la barba appena tagliata, sorrise e lo aiutò a colmare la distanza che vi era tra loro, posando nuovamente le labbra sulle sue. Spencer continuava a cingerle i fianchi in modo forte per paura che scappasse oppure che fosse portata via. Paura che non appena quel bacio sarebbe finito, lei lo avrebbe ritenuto ridicolo. Ma non accennò a separarsi da lui ,e  approfondì il bacio facendo fondere le loro lingue ormai amiche. Avevano la consapevolezza che se si sarebbero staccati la verità, le regole, li avrebbero travolti come un fiume in piena. Sentivano che li stava aspettando, ma Spencer e Faith sapeva che non avrebbero potuto baciarsi per sempre. Quindi Faith fu la prima a uscire da quel bacio dolce, lentamente senza voler turbare l’altro.
Una volta divisi però non ebbero neanche il tempo di aprire bocca che il telefono di Spencer squillò facendoli sobbalzare. Reid si accinse a leggere lo schermo del vecchio Nokia, la ragazza alzò inconsciamente gli occhi al cielo.
“Scusa.. devo andare!” le disse mettendosi il telefono in tasca. Prima di uscire però le lasciò un bacio a fior di labbra come per ricordarle che avrebbero dovuto parlare al ritorno dal caso.
“Finalmente.. stavamo aspettando solo te..”disse JJ quando il collega entrò nella stanza attirando gli sguardi di tutti i presenti.
“Scusate..” si scusò Reid sedendosi al suo posto.
“Modesto, California.. due omicidi in due diverse città in due settimane.. il primo ha come vittime una coppia anziana uccisa nel sonno, il casus mortis è una serie di colpi alla testa, così è anche per una signora di 75 anni uccisa ieri sera, le case non erano in zone isolate, i corpi sono stati ritrovati nei weekend…” spiegò JJ facendo comparire alcune foto della scena del crimine sullo schermo.
“Vittime a basso rischio..” commentò Derek leggendo il rapporto del coroner.
“Lo chiamano il killer dell’autostrada 99!” aggiunse  JJ facendo comparire l’immagine di un articolo di giornale.
“Dovrò parlare col detective incaricato del caso! E anche con gli agenti che ci lavorano!” disse Hotch serio.
“Perché il killer dell’ autostrada 99?” chiese Emily
“Perché gli omicidi sono avvenuti in città collegati da quella via di comunicazione e le case si affacciano sull’autostrada!” spiegò JJ sedendosi con gli altri, Hotch si fece pensieroso.
“Devo assolutamente  parlare col detective incaricato del caso!” ripeté.
“Sì Aaron abbiamo sentito!” scherzò Rossi strappando una risatina agli altri componenti della squadra.
Spencer guardò le foto delle vittime, storse il naso leggermente disgustato dalle condizioni dei corpi.
“Partiamo tra mezz’ora!” disse Hotch chiudendo il fascicolo.
Spencer si alzò per andare a salutare Faith, voleva spiegarle del nuovo caso, parlarne con lei.
“Dove stai andando Reid?” chiese Derek malizioso.
“Da nessuna parte!” mentì quello per poi procedere nella sua strada.
Faith era nel suo ufficio a ragionare su un profilo di un S.I che le aveva girato il caposezione. Era per una serie di omicidi nel campus locale e lei, essendo la più giovane era la persona più indicata. Il giovane  dottore entrò senza bussare per l’ennesima volta, facendola sobbalzare.
“Ehi… nervosa?” le chiese con una punta di sarcasmo nella voce.
“No, figurati.. e perché mai? Perché un potenziale serial killer ammazza ragazze della mia età nel campus qua vicino, le tortura, le stupra e poi le ammazza facendole a pezzi, togliendo quella poca dignità che rimane ad un mucchietto di ossa.. Noo.. perché dovrei essere nervosa?” rispose quella esagerata. Spencer ridacchiò notando la sua inesperienza.
“Quando passeranno altri due casi sulla tua scrivania riuscirai a distaccarti meglio!” le disse posandole una mano sulla spalla.
“Non fare l’uomo vissuto con me!” replicò lei prendendolo in giro.
Spencer rise.
“Non sono proprio un ‘uomo vissuto’.. comunque abbiamo un caso a Modesto in California…” disse poi alla ragazza.
“E cos’è che ti preoccupa?” lo comprese senza bisogno di parole.
Spencer sospirò, si fidava di lei, ma ammettere i suoi problemi era ogni volta una sconfitta!
“Le foto della scena del crimine..” rispose sincero  aprendo il fascicolo, mostrando i volti menomati, dai colpi inflitti con chissà quali oggetti.
“Ti ricordano lei!” ammise Faith alludendo a Prentiss. Il ragazzo annuì guardando a terra.
Faith gli sollevò il mento con due dita.
“Ho paura di non essere più in grado di lavorare Faith.. e- cominciò boccheggiando, cercando di ignorare il nodo alla gola che sforzava per sciogliersi attraverso le lacrime-.. e questo lavoro  è la mia vita.. non oso immaginare cosa farei senza questo lavoro!” concluse cominciando  a piangere.
Faith annuì comprensiva, perché capiva la sua fragilità.
“Spencer non devi pensare che la tua fragilità sia sbagliata.. la fragilità ti rende umano.. e questo e ciò che mi ha colpito di più di te!” lo consolò asciugandogli una lacrima col polpastrello.
“Alla prima analisi?” chiese lui.
“Al primo sguardo!” lo corresse lei sorridendo e poi abbracciandolo.
Lui la strinse a sé e posò le sue labbra sulla testa di lei.
Faith appoggiò la guancia a  petto di Spencer, adorava gli abbraccia da parte di persone alte e Spencer era molto alto.
Il dottore si calmò, si sciolse dall’abbraccio, le accarezzò il viso.
“Faith.. posso baciarti?” le chiese impacciato. Lei sorrise intenerita da quella richiesta. Si alzò in punta di piedi e unì ancora le loro labbra. Spencer le cinse i fianchi istintivamente e lei allacciò le braccia al suo collo.
 
 
Intanto nei pressi della sala riunioni, Emily e Aaron stavano chiacchierando del caso.
“Che ne pensi di Reid e la Fearis?” chiese ad un tratto Hotch diventando serio improvvisamente.
“Dico che sono davvero belli insieme.. lei potrebbe aiutarlo..” rispose Prentiss sincera. Hotch storse il naso.
“Non sono convinto che sia una buona idea fraternizzare con colleghi di lavoro!” replicò il capo.
“Ma non è un membro della squadra..” notò Emily.
“Non ancora.. ma quando JJ andrà in maternità lei sarà un’agente sul campo in caso accettasse.. la Strauss non vuole assumere nuovo personale!” rivelò Aaron.
Emily rimase a bocca aperta, sapeva che era abilitata al lavoro sul campo, ma non immaginava che la Strauss credesse così fermamente in lei.
“Ok.. ma prova a metterti nei suoi panni? Se ti innamorassi di qualcuno della squadra non vorresti vivere la storia?” chiese Emily. Hotch avvampò, in quel momento il nodo della cravatta si fece eccessivamente stretto. Deglutì e poi guardò Emily negli occhi. Non avevano mai parlato di determinati sentimenti fra loro, però c’erano lo sapevano entrambi, ma erano ingombranti. Hotch era tentato, in quel momento di dirle che era successo, ma aveva cercato di rimuovere quei sentimenti, per condurre una vita lavorativa più semplice, meno contorta di quanto fosse già. Perché l’amore gli aveva portato solo guai, ed era sicuro che se avesse intrapreso un cammino con lei non sarebbe finita bene, e ci teneva troppo al loro rapporto per farlo andare in pezzi.
Era rimasto in silenzio, non sapendo cosa dire.
“Visto.. te lo avevo detto!” esclamò Emily, interpretando il suo silenzio come un’accettazione.
“Dobbiamo decollare!” disse Hotch sbrigativo, scacciando quei pensieri, e togliendosi da una situazione, a suo avviso, piuttosto scomoda.
 
Poco dopo erano tutti sul jet in viaggio. Hotch e Rossi osservavano Reid che aveva un sorriso stampato in faccia, che nemmeno le foto della scena del crimine.. si sentiva bene, non sapeva come spiegarlo. Sentiva ancora l’odore di Faith addosso a sé,  e sperava che niente glielo avrebbe cancellato. A bordo parlarono del caso, ma non solo.
“Non sapete cosa mi è successo stamattina..” borbottò Derek rivolto a Prentiss e a Reid, mentre gli altri tre chiacchieravano del caso. Spencer e Emily si sistemarono ad ascoltare il racconto di Derek.
“E’ successo.. che stamattina sono andato in caffetteria.. quella vicino alla sede… e beh… c’era una gran bella ragazza che stava prendendo un dolce per colazione.. insomma con il mio charme e il mio bel faccino le ho parlato e ho attaccato bottone.. ma lei.. sapeva il mio nome!” esclamò Derek sbalordito.
“Sapeva il tuo nome?” ripeté Reid interrogativo.
“Non so come ho fatto a dimenticarmelo…” continuò Derek
“Sei stato con così tante ragazze da non ricordarti i nomi?” chiese sconvolto Spencer.
“Oh.. andiamo perché ti stupisci??” chiese Emily sarcastica
“Non mi era mai capitato prima..” cercò di giustificarsi Derek
“Non è mai capitato neanche a me!” acconsentì Reid.
“A te non può succedere hai una memoria eidetica!” notò Emily.
“E hai solo un nome da ricordare!” scherzò Derek, alludendo a Faith, facendo scoppiare a ridere Emily e JJ che passava da quelle parti.
“Ahah!” gli fece il verso Spencer, senza riuscire ad evitare un sorriso che si formò sul suo viso rilassato solo al pensiero del viso di Faith.
 
“Ragazzi.. hanno riscontrato altri omicidi dove vi era lo stesso DNA trovato sulle ultime scene del crimine!” annunciò JJ senza staccare gli occhi dal suo blackberry “Un altro omicidio di settimane fa a Bekerseville, Chiko e Fresno e beh Sacramento con la donna di 75 anni!” spiegò JJ ancora.
“Non hanno collegato gli omicidi perché erano in Stati diversi…” constatò Rossi.
“Comunque hanno trovato le case vissute per il tempo di qualche giorno dopo le morti dei rispettivi padroni!” fece notare JJ.
Derek riaprì il fascicolo e si schiarì la voce.
“Sono scomparsi flaconi di colla, acetone e detersivi?” chiese poi.
Hotch annuì distrattamente.
“Allora è un drogato.. ho visto molti casi quando stavo alla polizia di Chicago!” esclamò Derek.
Spencer era intento a segnare sulla mappa i luoghi degli omicidi. Per cominciare a trattare un profilo geografico, la sua specialità.
Ancora non lo sapevano ma finito quel caso.. avrebbero avuto un bella sorpresa a Quantico, che avrebbe lasciato di stucco sia la squadra che Faith, la quale era intenta a ragionare sul rapporto fra lei e Spencer.
 

Sera gente e buona pasqua a tutti! Finalmente sono stata in grado di terminare questo capitolo che va avanti da una settimana.. che ne pensate? Vi piace?
Volevo ringraziare infinitamente coloro che hanno recensito il capitolo precedente:
mjsunderstood crjminal thia jjk
Inoltre ringrazio il gruppo di Gubloid che ho conosciuto su twitter con cui mi diverto un sacco… ahah le amo! Spero in qualche recensione.. se volete passate alla mia originale.. ha bisogno di lettori: You're my mistery 
 
 Grazie in anticipo alla prossima.. baci Mar.

 
 
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Capitolo 6
*** Can you'll be mine for tonight? ***


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Questo capitolo è per Ginevra e Ilaria, amo le gubloid con tutta me stessa, grazie di esistere.


Hotch:
Thomas Kemp ha scritto:
“L’amore non sente pesi,
ignora i suoi problemi,
affronta quello che è al di sopra delle sue forze,
non invoca scuse per l’impossibilità,
perché crede che tutto sia legittimo per lui,
e che tutto sia possibile!”

 

 
Can you’ll be mine tonight.

 

 

Il caso era piuttosto complesso. Non appena giunti in centrale Hotch aveva messo in chiaro col detective incaricato del caso che in un indagine per omicidi seriali, non vi era spazio per sopranomi.. né per serial killer, né per le vittime. Era stato categorico, non approvava certe leggerezze sul piano professionale, neanche a indagine concluse. Infatti avanzando con le indagini si scoprì che l’S.I. non utilizzava l’autostrada 99 per spostarsi, bensì i treni, la linea ferroviaria affiancava tutta l’autostrada.
 

Spencer si accinse a preparare un profilo geografico con la piantina delle linee ferroviaria per prevedere le mosse dell’assassino, il quale secondo le loro indagini era un senza tetto. Accanto a lui stava seduta JJ sulla poltrona, aveva appena terminato una telefonata con Garcia.

“Uuuh.. oggi scalcia parecchio!” esclamò passandosi una mano sul ventre.

“Nel terzo trimestre c’è una media di circa 30 movimenti fetali all’ora.. i neonati lo fanno per scoprire i movimenti e rinforzare i muscoli!” illustrò Reid.
“Hai mai sentito un bambino scalciare?” chiese JJ e poi conscia della sua risposta negativa prese la mano dell’amico e se la portò al pancione.
“Lo senti?” chiese poi
Spencer sentiva l’energia del figlio della collega, sentiva i calci, sentiva come le gambine del feto volessero attirare l’attenzione della madre. Una madre, che Reid ne era certo, sarebbe stata perfetta. Tuttavia la cosa lo turbava parecchio.
“La cosa non ti spaventa?” chiese Spencer scioccato nel sentire quelle sensazioni.
“No..- rispose lei ovvia- perché a te spaventa?” chiese sorpresa.
“Sì! Da morire!” esclamò Spencer togliendo la mano dalla pancia di JJ, che rideva divertita dalla reazione del giovane dottore.
 
Poco dopo Spencer si trovava con Emily  a buttare giù un profilo provvisorio.
“Ci stai riflettendo?” gli chiese di punto in bianco senza alzare la testa dal foglio.
“A cosa?” domandò lui a sua volta guardandola.
“Avere dei piccoli geni un giorno?” specificò Emily sorridendo.
Reid non rispose nulla, ma il suo pensiero andò inconsapevolmente e Faith. Pensò che i figli che avrebbero potuto generare le avrebbero somigliato molto, poiché i caratteri genetici di lei erano dominanti oltre che bellissimi. Gli occhi neri, i capelli corvini, la pelle olivastra..
Spencer scacciò quei pensieri e ritrovò la concentrazione per mettersi effettivamente a lavorare.

 

 
***

 
Il caso fu risolto in fretta, la parte più difficile fu la cattura dell’S.I., se la squadra avesse tardato anche solo di un minuto, l’assassino avrebbe preso il treno e sarebbe sparito chissà dove, oppure avrebbe continuato a mietere vittime.
Durante il viaggio di ritorno Spencer chiamò Faith ma non la trovò in ufficio. Si preoccupò, in genere li aspettava lì per mangiare un boccone tutti assieme oppure per sapere se il giorno dopo avrebbe avuto appuntamento con qualche membro della squadra.
In realtà Faith era stata convocata nell’ufficio del caposezione, che le aveva proposto una cosa straordinaria, la dottoressa aveva accettando immediatamente, di istinto. La caposezione allora le aveva presentato Jordan Todd, sarebbe stata lei che avrebbe sostituito JJ nella parte burocratica e nel rapporto con i media, mentre a Faith fu proposto di lavorare con la squadra sul campo. Lei aveva accettato entusiasta di poter vedere dei casi da vicino, e in prima persona, inoltre era fiera di lavorare al fianco delle persone più deduttive del mondo. Ma sapeva anche che avrebbe dovuto archiviare i suoi sentimenti per Spencer, per evitare coinvolgimenti emotivi nei casi in cui avrebbe lavorato.
Tornò nel suo ufficio e si tolse il cardigan nero che cominciava a farle caldo nella piccola stanza. L’occhio le cadde sulle linee bianche che comparivano sui polsi. Per un attimo li rivide inondati di sangue, con una mano che stringeva la circonferenza del suo polso per fermare il sangue che usciva dal taglio troppo lungo, troppo profondo; rivide la porta spalancarsi e sua sorella urlare. Per molte notti aveva sentito quell’urlo, per molti notti si era ripromessa di smettere di farsi male evitando così di farne anche a coloro che la amavano. Eppure sul polso destro qualche taglio, piccolo e superficiale, compariva ancora oltre alle cicatrici. Sul polso sinistro invece, solo cicatrici bianche scorrevano sulla pelle. Ma nessuno sapeva la sua storia, nessuno sapeva che pochi anni prima aveva sofferto come una ragazza di sedici anni non avrebbe dovuto, non avrebbe voluto, non avrebbe potuto soffrire.
Si rimise in fretta il cardigan e prese le sigarette dalla borsa, andò sul terrazzo per fumare in modo da rilassarsi e occupare la mente, ma soprattutto dare al suo corpo la razione di nicotina che richiedeva a causa dello stress e del tuffo nel passato.
Il suo telefonino vibrò e Faith lesse il messaggio di Spencer.
“Ehi dove sei? La Strauss ci ha informato del tuo inserimento provvisorio..”
“Sono sul terrazzo del tredicesimo piano!”rispose lei digitando sullo schermo a fatica.
Dopo neanche cinque minuti dalla recezione del messaggio, Spencer arrivò sul terrazzo  e rimase sorpreso nel vedere una sigaretta tra le dita della ragazza.
“Ciao..” lo salutò Faith evitando di guardarlo.
“Ciao.. non sapevo fumassi!” la informò aggrottando la fronte.
“E perché avresti dovuto saperlo?” chiese leggermente scocciata la dottoressa.
“Fai parte della squadra ora.. quindi sei una di noi!” cambiò argomento Spencer non volendo affrontare discussioni.
“Già..- sospirò Faith- sai cosa significa?” chiese poi facendo uscire il fumo.
Reid scosse la testa in segno di negazione, la ragazza spense il mozzicone nel posacenere.
“Vuol dire che il nostro rapporto potrà avere solo un aspetto professionale per quanto io voglia di più!” specificò lei con aria triste e disperata. Faith si appoggiò alla ringhiera e guardò  il panorama di edifici governativi. Spencer sospirò e circondò da dietro la vita della ragazza e la strinse a sé, posò il mento sulla spalla di lei.
“Io credo che nulla sia impossibile, a volte però le nostre certezze vengono scaraventate via da cause di forza maggiore!” mormorò Faith sentendo il respiro di Reid sul suo collo.
“Io invece, prima si conoscerti pensavo che lo è risposte alle nostre domande fossero tutte nella scienza.. ma tu mi hai fatto ricredere.. non credo che ciò che sento sia dovuto solo alla serotonina!” ribatté lui provocandole un sorriso.
“Perché è così difficile?” sospirò lei.
“Perché sennò sarebbe noioso!” esclamò Spencer .
Faith si voltò e  fece incatenare  nuovamente i loro sguardi.
“Non potresti essere mio per stanotte?” chiese lei in un sussurro.
Spencer avvampò, le guance si imporporarono e la cravatta si fece stretta eccessivamente, si portò una mano sul nodo sul collo per allentarlo. Gli occhi scuri di Faith perforarono lo sguardo timido di Spencer. Il quale deglutì e confessò ciò che non aveva mai detto a nessuno.
“Io sono.. sono ancora vergine!” disse lui passandosi una mano tra i capelli , quell’affermazione non fu una sorpresa.
“Non vorresti fare l’amore con me?” chiese lei in un sussurro al suo orecchio.
“Ma io non so cosa devo fare!” esclamò Reid
“E’ una cosa così naturale.. non serve sapere che cosa fare..”mormorò lei prendendogli la mano.
“Andiamo a casa mia!” le disse con un mezzo sorriso.
Senza farsi vedere dal resto della squadra, scesero fino al parcheggio e con la moto di Faith partirono.

 

 

***

 

 
 

Hotch voleva fare un discorso a Faith parlando fuori dai denti.
Voleva mettere in chiaro che l’efficienza della squadra, non doveva essere compromessa. E l’efficienza era determinata dalla professionalità dei membri.
“Dov’è Fearis?” chiese a JJ che passava davanti al suo ufficio.
“Il suo ufficio è chiuso, il suo turno è finito due  ore fa!” lo informò JJ.
“E Reid?” chiese sospettoso il capo.
“Non c’è neanche lui.. l’avevo visto andare verso la terrazza poco fa.. ma ora non c’è più!” rispose la bionda, intercettando uno sguardo di preoccupazione nel volto di Hotch.
“Hotch lascia perdere…  io sinceramente ci spero che tra loro succeda qualcosa!” commentò JJ.
“E come potrebbe essere un bene?” chiese serio Hotch.
“Reid dà tutto sé stesso per la squadra.. è giusto che si faccia una vita..e lo sai che ha bisogno di qualcuno… da quando Tobias Heankle lo ha rapito e drogato.. lui è cresciuto! È diventato più forte, in grado di separare il lavoro dal resto!” disse Jennifer convinta. Hotch fu spiazzato dal tono di voce fermo e dalle parole della sua collega.

 
***

 

 
Nel frattempo Faith e Spencer erano arrivati all’appartamento di lui. Posarono i soprabiti su una sedia. Faith si guardò intorno, la casa di Spencer era ordinata ma non in modo maniacale.
I libri erano riposti nella libreria in modo ordinato. Sul tavolo della cucina stavano altri libri sparpagliati, mentre sul tavolo del salotto vi era la scacchiera con una partita di scacchi in corso.
Spencer era estremamente nervoso, non sapeva cosa doveva fare  e aveva il terrore di non essere in grado di star bene Faith. Ma non ebbe  il tempo di pensarci che la ragazza gli posò la mano sulla spalla, si voltò e si chinò su di lei per baciarla dolcemente. Lei lo attirò giocosamente a sé per la cravatta e sorrise in quel bacio, Spencer la guidò in camera da letto senza smettere di baciarla.
Lei lo fece stendere e poi si distese su di lui stringendogli le spalle, passò sul suo collo con la lingua, poi si diresse sul lobo dell’orecchio per mordicchiarlo, Spencer cominciò ad avere caldo, Faith fece scontrare i loro bacini facendo emettere un gemito a entrambi, si baciarono ancora, lei percorse il corpo del ragazzo con le mani facendolo rabbrividire e causandogli un’evidente erezione che gli gonfiò visibilmente i pantaloni.
Faith tornò sulle sue labbra e con una mano massaggiò il cavallo dei pantaloni causandogli pesanti sospiri. Poi Spencer le tolse la maglietta, lei lo imitò scoprendo il torso di lui.  Lo cosparse di baci facendo crescere il desiderio. Ma Spencer stava fermo, non sapeva cosa fare e aveva paura di sbagliare, ma Faith lo notò e delicatamente gli prese la mano e se la posò sul seno coperto dalla stoffa del reggipetto. Tutto questo molto lentamente, non voleva spaventarlo o che pensasse fosse un’assatanata. Spencer si fece coraggio, gettò via la timidezza  e palpò lievemente il seno di lei, poi ci affondò il volto e fece affiorare un ambiente più passionale e sfrenato. Cominciò a baciarla con foga facendo prevalere il suo istinto alla ragione. Faith si stupì del suo cambio di atteggiamento, ma poi sorrise e slacciò la cintura del dottore, poi il bottone dei jeans, infine la lampo per poterglieli poi sfilare. Lui le tolse i leggins e li gettò lontano, in un attimo furono entrambi completamente nudi che si baciavano e si strusciavano l’uno sull’altra.
Fu Faith a cominciare, a cavalcioni di Spencer, le sensazioni che stava provando il giovane dottore erano piuttosto confuse. Non smise di toccarla, posò le sue mani sui fianchi di lei, fianchi così definiti, che ondeggiavano sul suo bacino, era questo che lo eccitava di più. Quel rapporto non durò molto, vedere il volto di Spencer sudare, sentire le sue mani sui fianchi eccitava molto Faith, delle scisse di piacere gli percorrevano la colonna vertebrale, e il suo orgasmo non tardò a farsi avanti facendole impiantare le unghie sulle spalle di lui e urlando il suo nome. A quella visione nemmeno Spencer resistette ancora a lungo e venne con un urlo strozzato accompagnato da un sorriso soddisfatto , anche lei sorrise prima di sfilarsi da lui e stendersi al suo fianco. Spencer rimase qualche istante a prendere fiato, poi spostò lo sguardo dal soffitto alla ragazza.
“Sei bellissima!” le disse col fiato corto. Lei sorrise.
“Anche tu!” replicò lei strappandogli un sorriso. Reid la coprì con un lenzuolo e la abbracciò, poi si addormentarono  sazi d’amore ma anche consapevoli di ciò che avrebbero dovuto affrontare l’indomani.

 

 


Salve lo so che sono in ritardo. Ho avuto problemi personali,
ma ora sto alla grande e provvederò ad aggiornare al più presto anche le altre storie..
ringrazio jjk che ha recensito il capitolo precedente, e anche i lettori silenziosi.
Spero che qualcuno mi dirà la sua opinione anche per questo capitolo ;) a presto.

Mar.

 

 

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Capitolo 7
*** Because we are the same. ***


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Episodio 6x04 Garcia:
Abramo Lincoln ha detto:
                                         "Chiunque tu sia, sii una persona perbene."

Per Matthias, grazie.

Because we are the same.
 
Quando Spencer aprì gli occhi, scorse Faith ancora addormentata coperta dal lenzuolo che lasciava scoperto dalle spalle in su. I capelli erano leggermente arruffati , le labbra sottili erano semiaperte e il suo respiro regolare e leggero. Il giovane si alzò cercando di non svegliarla, andò in cucina e cercò qualcosa per preparare la colazione, lui in genere non la faceva. Al massimo mentre andava al lavoro Spencer prendeva un cappuccino allo starbucks e lo beveva nel tragitto, e alla domenica neanche quello. Così decise di scendere per andare al bar in fianco al condominio per prendere la colazione. Stette via per dieci minuti, nei quali Faith si svegliò a causa della fastidiosa luce che filtrava dalla veneziana abbassata in malo modo. Tuttavia Faith si svegliò con un sorriso sulle labbra che scomparve non appena vide il letto accanto a lei vuoto. Scese dal letto e si infilò la canottiera bianca di Spencer che era ai piedi del letto dalla notte. Mentre attraversava il soggiorno in cerca del ragazzo, Spencer rientrò facendola sobbalzare. Teneva in una mano un sacchetto di carta bianco col simbolo dello starbuck, sull’altra un cartone su cui vi erano posati due bicchieri, anche loro bianchi col simbolo dello starbucks.
“Non volevo spaventarti!” disse Spencer chiudendo la porta con un piede.
“Non mi hai spaventata... buongiorno comunque!” mentì la ragazza
“Buongiorno… ho preso la colazione!” annunciò il padrone di casa posando ciò che aveva in mano sul tavolo del soggiorno.
Si sedettero entrambi sul divano.
“Dobbiamo parlarne?” chiese Spencer mescolando lo zucchero, riferendosi agli avvenimenti della sera precedente.
“Temo di sì!” replicò lei portandosi il cappuccino alla bocca.
“Che succede ora?” chiese Spencer pronto al peggio.
“Ora faccio parte della squadra, almeno momentaneamente… Io ho sempre sognato di lavorare con dei profiler, soprattutto in gamba come voi… Ma ora ho scoperto che non è il mio unico sogno!” disse prendendogli la mano. Spencer sorrise timidamente.
“Ieri ti ho chiesto di essere mio per la notte..- cominciò ad avvicinarsi alle labbra del ragazzo-.. ma ora vorrei solo chiederti di essere mio per sempre..” sussurrò Faith sulle labbra di Spencer.
Lui sorrise e fece unire le loro labbra in un dolce bacio, privo di malizia, come in fondo era anche lui.
“Ma le regole le conosciamo entrambi..e non possiamo stare assieme alla luce del sole!” rivelò Faith abbassando lo sguardo amareggiata.
“Io sono disposto a tenere tutto nascosto.. purché non debba rinunciare a te!” confessò Spencer arrossendo leggermente.
Dopo la colazione Faith si rivestì e insieme a Spencer andarono al parco.
Era una giornata splendida: il sole era caldo, il cielo sereno. Il parco era molto frequentato, c’erano numerosi giovani che facevano jogging, pic-nic, giocavano a calcio. Molti bambini correvano, giocavano con la sabbia o sulle giostrine seminate per il prato.
Camminavano mano nella mano, chiacchierando del più e del meno. Si sedettero su una panchina senza sciogliere le loro mani intrecciate.
“Cosa vuoi fare oggi?” chiese Spencer guardando il cielo azzurro.
“Beh che ne dici di andare a pranzo da me?” rispose lei
“Va bene… in moto?” domandò ancora Spencer.
Faith annuì e si alzò dalla panchina e mano nella mano tornarono a casa di Spencer a prendere la moto, fece montare il giovane e si diresse a casa sua, poco distante da quella di Spencer. Appena entrarono in casa, Faith si andò a lavare le mani.
“Fa come se fossi a casa tua!” gli gridò mentre si lavava in bagno.
“Oh grazie!” esclamò Spencer.
Poi Faith andò a mettere su l’acqua e preparare il pranzo.
Spencer invece passava in rassegna i libri presenti nella grande libreria di legno nel soggiorno di Faith.
“Non ti vedevo tipo da Nietzsche!” esclamò Reid prendendola un po’ in giro.
“Oh no.. quelli sono di Bran, ha comprato e studiato quei libri per smontare le teorie di Nietzsche! Lui adorava la filosofia!” rivelò Faith.
“Che lavoro faceva Bran?” chiese Spencer raggiungendola in cucina
“Era un chirurgo alle prime armi... amava molto il suo lavoro!” spiegò lei.
Per Faith non era più molto doloroso , il tempo era trascorso e la ferita era cicatrizzata, c’era ancora però… era un segno invisibile che però rendeva la sua anima zoppa, diversa dalle altre. Inoltre aveva detto addio a  Bran molto tempo prima.
Mise la pasta nei piatti e iniziarono a mangiare. Dopo pranzo si spostarono sul divano.
“Che vuoi fare ora?” chiese Spencer alla ragazza mentre si sedevano sul divano, Faith sorrise furba.
“Vedrai…” rispose lei.
 

***

“No! Assolutamente no! Non esiste.” Esclamò Spencer davanti ai pattini a rotelle che la ragazza gli porgeva.
“Dai. Non fare il guastafeste, non è difficile.” lo pregò Faith.
“Non ci so andare Faith! Cadrò sicuramente.” si lamentò lui.
“Non cadrai se ti terrai a me.. dai andiamo al parco e poi torniamo.” lo convinse la ragazza.
Reid sbuffò, e controvoglia si infilò i pattini. Lentamente si alzò in piedi aggrappato alla ragazza per non cadere faccia a terra. Fece un paio di giri per il garage, così da prendere confidenza con i pattini.
“Ok.. sei pronto?” chiese lei, Spencer annuì.
“Ok.. ma prima di andare…” proseguì Faith per poi concludere la frase con un leggero bacio, per poi sussurrarlo all’orecchio : “Fuori non avrei potuto farlo!”.
Spencer sorrise col fiato corto, poi le prese la mano e seguendo la pista ciclabile si diressero al parco dov’erano stati già alla mattina. Spencer rischiò di cadere un paio di volte, ma Faith fulminea lo aveva sempre recuperato evitandogli una rovinosa caduta.
Mentre si rincorrevano nella pista di pattinaggio del parco del parco, Derek stava portando fuori Clooney, il suo pastore tedesco, in quel momento Spencer spinse Faith che finì diretta sulle braccia di Derek.
“Oh scusi.. Ciao Derek!” disse Faith realizzando la persona contro cui era andata a sbattere, Derek la guarda confuso, ma poi comparve Reid e la sua espressione divenne tenera e complice, come se avesse capito tutto.
“Faith ti sei fatta male..- cominciò Spencer per poi alzare lo sguardo su Derek- Uhm.. ciao Derek, che ci fai qui?”chiese Spencer balbettando.
“Potrei farti la stessa domanda Reid! Io portavo a spasso Clooney!” rispose il collega indicando con un cenno il cane che Faith si era chinata per accarezzare.
“Beh.. noi abbiamo fatto un giro..” rispose Spencer con  un filo di voce cercando una scusa plausibile.
“Fa.. fa parte di una nuova  terapia che ho deciso di fargli fare! Ne ho una in mente anche per tutta la squadra!” mentì Faith. Derek non ci credette, scambiò ancora due chiacchiere con i colleghi e poi proseguì per la sua strada.
“Secondo te ti ha creduto?” chiese Spencer.
“No!” rispose Faith alzando le spalle.
“E allora perché gli hai inventato la scusa della terapia?” chiese perplesso
“Perché così saprà che non vogliamo che si sappia in giro..” spiegò lei.
“A volte dimentico che sei una psicologa molto in gamba!” esclamò Spencer facendo roteare gli occhi.
Poi Faith trascinò Spencer di nuovo in pista  spingendolo sui pattini.
Stettero al parco per un paio d’ore e poi Faith portò a casa Spencer, fece per darle un bacio, ma lei si ritrasse.
“E’ troppo rischioso fuori da casa tua! Scusa.” disse lei, si rimise il casco e tornò a casa dove cenò e poi andò  a letto, stanca e spossata per  la giornata trascorsa in compagnia del paziente.
 

***

Spencer si chiuse la porta alle spalle con un sorriso sulla faccia al pensiero di Faith. Si sedette sul divano e rivisitò col ricordo la sera precedente e ricordò ciò che non aveva avuto il coraggio di affrontare. Quelle cicatrici. Aveva finto di non vederle , ma in realtà voleva parlarne, le sue domande erano molte, si confondevano nella sua testa. Non faceva in tempo a formularne una, che subito un’altra prendeva il suo posto formando nuovi dubbi. La testa gli scoppiava, così si addormentò in fretta, ed ebbe uno dei tanti incubi che ormai animavano le sue notti appena chiudeva gli occhi.
Spencer non ricordava l’ultima notte in cui aveva dormito tranquillo, probabilmente quando c’era Gideon era tutto più semplice.
Il giorno dopo Spencer tornò alla sua solita routine. Si alzò alle 8 e prese la metrò delle 8.31, poi prese il caffè al baracchino  fuori dalla sede dell’ FBI e lo bevve mentre saliva con l’ascensore. Al secondo piano salì Faith e scese un signore che aveva preso l’ascensore due piani più sotto.
“Buongiorno!” la salutò formalmente Spencer.
Non appena le porte si chiusero, Faith  lo abbracciò e posò le labbra sulle sue. Stettero a baciarsi fino al settimo piano, quando l’ascensore si fermò facendo entrare Hotch che passò dal solito sguardo neutro ad un espressione sorpresa e poi rivolse uno sguardo accusatore a Spencer. Hotch si schiarì la voce facendo quasi sobbalzare Faith che si sentiva piuttosto tesa.
“Buongiorno!” li salutò.
“Buongiorno.” Risposero in coro gli altri due.
“Vi ho cercato ieri ma eravate già andati a casa.” li informò Hotch.
Faith deglutì, il linguaggio del corpo di Hotch parlava chiaro, era diffidente; così come il tono di voce che stava tra l’insinuazione e  l’informazione.
“Il mio turno finiva alle 18.. Spencer mi stava dicendo che siete tornati sul tardi ieri!” rispose Faith.
“Io sono andato via subito!” rispose anche Spencer.
“Comunque ora siamo qui…. che vuoi dirci?” chiese Faith apparentemente tranquilla, mentre in realtà l’ansia stava bruciando nello stomaco.
“Voglio parlarvi del vostro rapporto. Nel mio ufficio, adesso.”disse il capo mentre le porte si aprivano al tredicesimo piano. Reid sospirò per scaricare l’ansia che aveva in corpo anche lui.
“Ho notato un avvicinamento tra voi due, finché tu Faith starai nella squadra dovete interrompere i vostri legami e limitarvi ad un rapporto professionale!” disse Hotch serio. Spencer guardò prima Faith e poi Hotch.
“Certo agente Hotchner!” disse accondiscendente Faith, sebbene il suo pensiero fosse un altro.
Si voltarono per uscire dalla stanza, ma Spencer all’ultimo cambiò idea, si voltò verso Hotch e replicò alla sua richiesta dando voce anche ai pensieri di Faith.
“Sai una cosa? Non ho intenzione da cedere ad una tua irragionevole paura.. è davvero ipocrita ciò che hai detto! Ci proibisci di essere amici solo a me e a Faith, mentre tutti noi siamo anche amici oltre che colleghi.” Replicò.
“Voi non avete la maturità per dividere l’aspetto privato da quello professionale!” ribatté Hotch lievemente alterato dall’alzata di testa del dottore.
“Tu come fai a saperlo? Non la conosci, né l’hai mai vista lavorare sul campo! E per quanto riguarda me, non ti sei mai lamentato in questi anni.” Disse Spencer.
Hotch rimase zitto, aveva capito il suo errore, la paura del nuovo arrivo e la temporanea assenza di JJ lo aveva paralizzato.
Ma aveva capito il suo errore e sapeva quanto Spencer avesse ragione. Faith aveva compreso i pensieri di Hotch, ma le avevano comunque dato fastidio le sue insinuazioni e i suoi pregiudizi.
“Se è tutto dovrei andare.. ho un appuntamento tra dieci minuti con un paziente.”  Disse Faith lanciando un’occhiata all’ora sul suo iPhone. Hotch annuì e la dottoressa uscì, ma Spencer restò dentro.
“Tu la ami..” mormorò Hotch, era più una constatazione che una domanda.
“Anche se fosse? Sappiamo che ci sono delle regole! Ma non provare a ostacolarci quando la maternità di JJ sarà finita, cambierò psicologa se è necessario!” replicò Spencer.
“Non sarebbe il caso di avere una storia lavorando nella stessa sede.” sostenne  Hotch autoritario.
“Posso sapere perché ce l’hai tanto con me? Perché ti fai così tanti problemi per me e a me solamente?” chiese spazientito il ragazzo.
“Credo che tu lo sappia..” rispose Hotch restando comunque calmo.
“Voglio sentirlo da te!” alzò ulteriormente la voce Spencer
“Perché ho paura per te.. sei fragile.” affermò Hotch guardando a terra.
“Grazie per l’interessamento, so badare a me stesso, l’ho sempre fatto.” esclamò Spencer prima di uscire sbattendo la porta arrabbiato.
Poco dopo vennero convocati tutti in sala riunioni da JJ. Espose il caso, sarebbero dovuti andare a Las Vegas per un rapitore seriale, un bambino era scomparso e ritrovato morto nel deserto poche ore prima dalla polizia del Nevada, e un altro bambino era stato rapito. Spencer si sentiva strano a tornare a casa a Las Vegas, ma in realtà l’unico posto in cui si era sentito veramente a casa era Washington.
“Tra dieci minuti il decollo!” ordinò Hotch.
Spencer sospirò mentre tutti si alzavano, aveva una strana sensazione, come se avesse dovuto aspettarsi qualcosa di sconvolgente da quel caso. Aveva sempre paura quando le vittime erano bambini, paura di scoprire nuovi mostri ancora più terribili di quelli fino ad allora visti.
 

Buonasera a tutti ;) sono riuscita a finire il capitolo in un tempo accettabile, spero ;)
Dunque ringrazio jjk che ha recensito il capitolo precedente e Chiara_88 che mi ha fatto il banner,
spero di ricevere qualche opinione anche qui, non ve l’ho mai detto ma adoro il nostro fandom,
c’è gente molto capace per quel che riguarda le fan fiction.
Infatti vorrei consigliarvene una che mi piace un sacco e ho cominciato recentemente,
si intitola“Giustizia privata” di Taila. È davvero molto bella :)
Detto questo vi lascio, al prossimo capitolo. Baci,  
Mar.

 
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Capitolo 8
*** He need you. ***


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Reid: Bob Dylan una volta ha detto:
"Credo che le cose veramente naturali siano i sogni,
 che la natura non può corrompere."

 A Matteo, mi manca non vederti più tanto, ma grazie per esserci comunque.

He need you.

 

Il caso era di estrema importanza, riguardava un bambino rapito, era il secondo caso in dieci giorni. Dopo la breve spiegazione del caso decollarono con il jet. Spencer avrebbe voluto passare a salutare Faith, ma sentiva gli occhi di Hotch che lo controllavano, Aaron non si fidava di lui per quel che riguardava il rapporto con la giovane psicologa, era scettico, soprattutto dopo la sua recente alzata di testa, così Spencer si limitò a scriverle un SMS e si diresse sull’aereo con gli altri, non appena si alzarono in volo, il dottore si addormentò mentre i colleghi chiacchieravano fra loro.
“Allora, hai risolto la questione?” chiese Rossi sedendosi davanti a Hotch.
Aaron guardò Spencer addormentato e poi tornò a puntare gli occhi sul quotidiano che aveva aperto tra le mani.
“No.” Rispose semplicemente.
Rossi fece un sorrisino tirato.
“Non essere troppo duro con lui, ha sempre dato il massimo sul campo..” gli fece notare Rossi.
“Ma perché mi dite tutti la stessa cosa?” sbottò Hotch interrompendolo.
“Lui deve capire, che ha il nostro appoggio.” Disse tranquillo David facendo abbassare nuovamente lo sguardo a Hotch.
 
Dalla parte opposta del jet vi stavano JJ, Derek ed Emily.
“Non sapete chi ho trovato al parco ieri..” esordì Derek tenendo il tono basso. Le due donne distolsero l’attenzione dai rispettivi libri per portarla su Derek che continuò il suo discorso.
“Stavo portando a spasso Clooney, quando una ragazza in rollerblade mi arriva tra le braccia..” cominciò il suo racconto Derek.
“E dove sta la novità?” lo prese in giro JJ interrompendolo, ma strappando una risata sia a lui che ad Emily.
“Il punto è che la ragazza era Faith e non era sola, ma subito dopo è arrivato Spencer, anche lui in roller.” Sussurrò Derek.
Emily sgranò gli occhi  e sul volto di JJ si dipinse un sorriso tenero.
“Spencer con i roller?” chiese Emily sottovoce non riuscendo a immaginarsi la scena.
Derek annuì mentre le due donne ridacchiavano.
Ad un tratto Spencer  cominciò ad agitarsi nel sonno mormorando il nome di JJ .
“Reid!” lo svegliò Rossi chiamandolo a voce alta.
Il dottore aprì gli occhi tornando alla realtà e guardandosi intorno.
“Stai bene?” chiese Derek
“Stavo sognando..” mormorò Spencer stropicciandosi gli occhi.
“Ma davvero?” chiese sarcastica Emily.
“Avevamo trovato un caso di un bambino violentato e pugnalato in uno scantinato..- cominciò Spencer per poi rivolgersi a JJ- il tuo piccolo era sulla scena del crimine e io stavo cercando di portarlo via!” spiegò Spencer passandosi una mano sul volto.
“Era un  sogno.”  Tentò di tranquillizzarlo JJ.
“Si, ma c’è un collegamento. Anche il nostro caso coinvolge un bambino, forse il tuo subconscio sta cercando di dirti che vuoi starne fuori.” Ipotizzò Hotch lanciando un’occhiata al fascicolo.
“Non è così!” esclamò Spencer aggrottando la fronte.
“Secondo l’interpretazione dei sogni.. se sogni un bambino, quel bambino sei tu.” Gli ricordò Derek.
“Non credo all’interpretazione dei sogni!” ribatté lui.
“Forse ti preoccupa il fatto di tornare nel tuo quartiere a Las Vegas.. hai avvertito tua madre che arrivi?” chiese Emily.
“Perché non revisioniamo il caso?” chiese Spencer evitando la domanda e strappando una risata alla bruna.
“Beh ora che siamo tutti svegli si può anche fare!”  scherzò Emily facendo sorridere Spencer.
 
“Etan Ace, sei anni. Nove giorni fa è stato rapito dal giardino di casa sua, la madre sostiene di averlo lasciato solo per un attimo, per prendere la borsa, ma quando era tornata non c’ era più traccia del figlio, dopo una settimana è stato trovato morto nel deserto, nessun segno di violenza sessuale, la causa della morte sembra il soffocamento, il bambino aveva vestiti nuovi, le unghie erano curate, così come i capelli pettinati. Ieri pomeriggio invece, è scomparso un altro bambino, Michael Bridges , anche lui sei anni doveva tornare da casa di un amichetto da cui è partito, ma non è mai tornato.” Spiegò JJ.
“Il rapitore ha contattato la famiglia?” domandò Emily.
“Sì, dai Bridges è arrivata una telefonata stamattina!” rispose JJ spostandosi una ciocca di capelli biondi dal viso.
“Ha chiesto un riscatto?” domandò serio Rossi.
“No, più che altro li ha rimproverati,  ha detto loro che se fossero stati più attenti il figlio non sarebbe stato rapito.” Rispose ancora JJ lasciando perplessa l’intera squadra.
“Ok, Prentiss e Rossi sulla scena del crimine, Morgan dal coroner per il referto medico- legale sul corpo di Etan Ace, Reid tu conosci la zona verrai con me e JJ dai Bridges!” ordinò  Hotch. L’ansia si impossessò di Spencer.
“Non me la sento di andare subito in giro per il quartiere, potrei accompagnare Derek al coroner?” chiese Spencer mentre il battito cardiaco aumentava.
“D’accordo!” acconsentì Hotch comprensivo. Spencer lo ringraziò.
“Sai che poi dovrai andarci lo stesso vero?” chiese JJ.
“Lo so, devo solo abituarmi all’idea.” Rispose Spencer. I colleghi annuirono comprendendo la situazione, sarebbe toccato a tutti prima o dopo riaffrontare la propria città, i propri demoni. Derek lo aveva già fatto e andava ancora in terapia, anzi veramente non aveva una seduta seria da quando lo psicologo della BAU era andato in pensione lasciando il posto a Faith, Derek aveva sospeso le sedute accantonando il problema.

***

 
JJ era riuscita a relazionarsi bene con la famiglia Bridges, specialmente con la madre, la Signora Bridges era molto più difficile da gestire del marito. Hotch e JJ assistettero la famiglia quando il rapitore si fece sentire per la seconda volta nel giro di due giorni. Hotch aiutò la madre del bambino a gestire la chiamata suggerendole cosa dire.
La prima notte Derek e Spencer rimasero  per controllare la situazione, Derek stava riflettendo sul caso provando a mettersi nei panni dell’assassino, come avevano fatto quella mattina Emily e David  sulla scena del crimine. Lui era molto sensibile ai casi riguardanti i bambini. Spencer invece si addormentò sul divano accanto a lui. Ma non fu un sonno tranquillo, fu un sonno difficile, infestato dai fantasmi del passato che tornavano a fargli visita dopo anni. In realtà non erano mai andati via, si erano semplicemente nascosti, si nutrivano del suo corpo, della sua energia, erano dei parassiti. E lo facevano urlare.
“Toglimele! Toglimele Morgan!” esclamò Spencer.
Derek sobbalzò allarmato e corse a svegliare il collega.
“Ehi Reid!” gli gridò svegliandolo mentre lo scrollava.
I signori Bridges corsero giù per le scale preoccupati, in vestaglia.
“Che succede?” chiese il signor Bridges preoccupato.
“ Niente scusateci signori Bridges!” cercò di calmarli Derek.
“Scusatemi tanto ho avuto un incubo!” esclamò Spencer mortificato.
“Siete dell’FBI!” disse scocciato il signor Bridges.
“Ha ragione mi dispiace tanto!” rispose Spencer guardando a terra.
Il signor Bridges sbuffò e tornò in camera da letto per cercare di dormire.
“Ma si sente bene?” chiese la signora Bridges.
“Ho avuto solo un incubo, ma ora va tutto bene!” rispose Spencer.
“Riguardava Michael?” chiese la donna angosciata.
“No!” rispose sincero Reid.
“Io ho paura di chiudere gli occhi, temo di vederlo mentre muore.” Confessò la signora abbassando lo sguardo.
Spencer avrebbe voluto dirle che non c’era pericolo, tranquillizzarla, ma non poteva, perché non era in grado di mentire sulle sue certezze.
“So che è difficile, ma dovrebbe tornare a letto e cercare di dormire.” La convinse Derek, la signora annuì e poco prima di salire le scale si rivolse a Reid.
“Se vi serve qualcosa..” mormorò trasudando istinto materno. Spencer fece un cenno per ringraziarla, aspettarono che la donna bionda avesse salito le scale e poi Spencer si prese la testa tra le mani, disperato.
“Non posso lavorare!” annunciò Reid adirato con sé stesso.
“Perdo la testa nel loro soggiorno e sogno bambini morti e di essere ricoperto di sanguisughe.” Continuò strizzando gli occhi.
Derek si sedette accanto a Spencer e gli posò una mano sulla spalla.
“Che cos’è che ti terrorizza?” chiese poi.
“Il bambino morirà e io non posso fare niente per impedirlo!” replicò Reid, come certezza.
 

***

 
Alle due di notte il cellulare di Faith squillò pretendendo attenzione, la ragazza si svegliò di soprassalto.
“Pronto..” rispose con la voce assonnata.
“Ciao Faith, sono Derek.” Disse il moro dall’altro capo del telefono.
“Derek.. c’è qualche problema?” chiese intuendo l’allarme.
“Beh, Spencer ha continui incubi, ho chiamato Hotch che mi ha suggerito di telefonarti per farti venire qui.. prendi il primo volo Faith.. lui ha bisogno di te!” disse Derek tutto d’un fiato.
Faith nell’udire l’ultima frase si alzò di scatto.
“Arrivo, prendo il primo volo che trovo, inviami l’indirizzo dove siete adesso.” Richiese Faith.
Derek le inviò per sms l’indirizzo  di casa Bridges.
Arrivò a destinazione intorno alle otto di mattina. Mandò un messaggio a Derek che la fece entrare.
 
Faith entrò in soggiorno e trovò Spencer in uno stato di dormiveglia. Si sedette accanto a lui, lo studiò a lungo, finché lui, sentendosi osservato, aprì gli occhi e la vide accanto a sé. Si alzò a sedere improvvisamente.
“Faith che ci fai qui?” chiese piacevolmente sorpreso.
“Uno dei miei pazienti ha bisogno di me.” gli rivelò. Spencer sgranò gli occhi e si prese la testa tra le mani, come aveva fatto quella notte.
Lei gli posò una mano sulla spalla.
“Spencer che cosa ti prende?” chiese Faith dolcemente.
“Io.. sono tornati gli incubi di sempre, quel bambino violentato e pugnalato, il mio corpo ricoperto di sanguisughe, bambini morti!” borbottò Spencer confuso.
“Spencer, per prima cosa devi riprendere il controllo della tua mente!” esclamò Faith puntandogli un dito sulla fronte e intrecciando le loro mani. Un brivido gli percorse la colonna vertebrale. Respirò profondamente e portò lo sguardo su Faith che lo guardava con gli occhi spalancati e sorpresi. Perché era davvero scioccata di vederlo in quello stato, lui aveva deciso di isolarsi, di mettere un muro tra lui e i colleghi, aveva deciso di escludere tutti finché non avesse risolto la situazione. Ma non aveva previsto l’arrivo di Faith, e con i suoi occhi addosso tutto crollò.
Le raccontò del sogno, dell’incubo immutato negli anni.
“Sogno uno scantinato quindi, gli scantinati sono i primi a essere costruiti giusto? Quindi starei rivedendo la struttura di base della mia personalità…” ipotizzò Spencer.
“Non credo all’interpretazione dei sogni Spencer..” mormorò lei.
“Freud è stato screditato, ma Yung ha i suoi meriti!” rivelò la sua posizione Spencer.
“Non puoi lasciare che questo condizioni e interferisca col tuo lavoro, metti da parte la tua debolezza e vai avanti..” sussurrò Faith.
Non voleva essere dura, lei voleva solo che lui reagisse, aveva cominciato a conoscere Spencer e aveva appreso che, se lei fosse stata troppo accomodante come psicologa, lui si sarebbe accartocciato su se stesso come una foglia secca, e non sarebbe stato affatto facile per lui rialzarsi. Spencer si alzò dal divano, si sistemò un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. Accarezzò la guancia di Faith che si beò di quel contatto. Lei sorrise al dottore che le lasciò un bacio a fior di labbra per poi raggiungere i colleghi nell’ingresso. Una signora bionda con il volto angosciato e un vestito nero entrò sconvolta nella stanza.
“E lei chi è?” chiese
“Faith Fearis, lavoro con la squadra..” rispose Faith tranquilla, doveva essere la madre del bambino rapito.
“E’ un agente anche lei?” le chiese ancora.
“Non esattamente, sono la psicologa dei membri della squadra.” Rispose Faith mettendola al corrente del suo ruolo.
“Hanno bisogno della psicologa?” chiese scioccata la donna.
“Tutti ne abbiamo bisogno, loro vedono casi così tremendi che vengono da me, la metà delle volte che dovrebbero.” Replicò Faith scocciata dall’insinuazione della donna.
“Non so come facciano..” confessò la signora Bridges.
“Sono forti per le loro vittime, sanno mantenere il sangue freddo e sono la migliore squadra dell’intero Berau.” Rivelò Faith esponendosi notevolmente. Tuttavia, quelle parole non erano dette a caso, la signora Bridges capì che anche lei doveva essere forte per suo figlio Michael. Quindi tornò all’ingresso.
“ Va bene, verrò al funerale!” annunciò non nascondendo la fatica che le faceva compiere quel gesto.
“Il piano può avere una ragionevole possibilità di successo.” Disse Derek cercando di consolidare la decisione della donna.
“E quale pensa che sia una ragionevole possibilità che riveda mio figlio? Il dieci per cento? Il venti?” chiese lei amareggiata.
“Non possiamo quantificare.” mentì Derek.
“Sappiamo che è difficile, ma potrebbe davvero essere utile, siamo sicuri che l’S.I. si presenterà al funerale di Etan Ace.” Continuò Hotch.
La signora Bridges si avviò verso la porta.
“Non posso sopportare di veder seppellire un bambino, sapendo che toccherà al mio..” sussurrò prima  di uscire dalla porta.
“Ha ragione sai, è probabile che lo prenderemo mentre abbandonerà il corpo o tenterà di rapire un altro bambino.”  Borbottò Spencer.
“Conosco le probabilità..” confessò Derek mettendosi le mani in tasca.
Faith li guardò, poteva vedere la loro amicizia come un’ aurea che li illuminava, Derek stava cercando di passare un po’ di luce a Spencer, che era buio di pessimismo.
Il dottore si voltò verso la ragazza e la osservò, aveva i capelli raccolti in una coda e il viso era messo in risalto.
I tre uscirono e con l’auto di Derek diretti al funerale. La tecnica che volevano adottare era di semplice osservazione.
Era probabile che l’S.I. desse attenzioni alla famiglia del bambino rapito, mentre il parroco leggeva il vangelo di Matteo, Spencer ebbe  una sorta di allucinazione, il bambino si alzava dalla tomba e gli urlava: “Perché tu non vuoi aiutarmi?”.
 Più in là comparve sua madre, vent’anni prima con un piccolo Reid per mano.
“Spencer fa attenzione..” raccomandò la donna.
E così mentre i colleghi effettuavano un arresto, Spencer capì che era giunto il momento di affrontare i fantasmi del suo passato.
 

Hola come va? Sono riuscita ad aggiornare in tempo :) (spero).
Ringrazio di cuore jjk e marghe (ti amoo) per aver recensito il capitolo precedente.
Spero  che qualcuno recensirà anche questo.
Ringrazio anche chi preferisce, segue e ricorda. Detto questo vi lascio :) baci,
Mar.

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Capitolo 9
*** Don' t be afraid. ***


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Episodio 2x01 Gideon :
"I difetti e le tare dell'anima sono come le ferite del corpo:
nonostante gli sforzi inimmaginabili fatti per guarirle,
rimane sempre una cicatrice"
Francois La Rochefoucauld
.

Don’t be afraid.
 
Al funerale avevano fermato un sospettato e lo avevano portato in centrale. Prentiss e Rossi lo interrogarono, mentre Reid rimase fuori, dietro il vetro a osservare il linguaggio del corpo dell’uomo. Era stato beccato mentre filmava il funerale di Ethan  Ace, lo avevano classificato come pervertito quale era, inoltre il video del funerale completava uno dei campi fondamentali dei serial killer, rapitori e stupratori di bambini: il trofeo. Il trofeo era estremamente importante per i serial killer, indicano un attaccamento quasi morboso nei confronti della vittima. Mentre Spencer guardava il linguaggio del corpo ritroso dell’uomo accanto ad un agente, entrò Derek con un fascicolo tra le mani.
-Ha confessato?- chiese.
-No, ma è sicuramente un pervertito!- rispose a denti stretti l’agente. Reid notò il fascicolo della polizia di Las Vegas.
-Che cos’è?- chiese allora a Derek con un cenno, indicando i fogli.
-Scusi può lasciarci un minuto?- domandò Derek all’agente. Quello annuì e uscì dalla stanza.
-Il nome Riley Jankins ti dice niente?- chiese poi rivolto al giovane dottore, lui scosse la testa.
-Pensa.. –gli suggerì Derek, ma ad un’altra occhiata inconsapevole dell’amico ci rinunciò e iniziò a spiegare-Violentato e ucciso all’età di sei anni.. secondo i miei calcoli tu ne avevi circa quattro. È stato trovato nello scantinato..”
A quel punto Spencer sgranò gli occhi, ebbe un flashback. Quel bambino, Riley colpiva una palla da baseball con la mazza.
Il sospettato che avevano fermato si rivelò innocente, almeno per quel che riguardava la morte di Ethan e il rapimento di Michael Bridges. Non conosceva i dettagli dell’omicidio, ma era sicuramente un predatore. A quel punto, Spencer aveva le idee terribilmente confuse, quindi decise di prendere una pausa e andare a trovare sua madre al centro salute mentale di Las Vegas. C’era un idea che gli volava in testa. Passò a casa dei Bridges, dove JJ e Faith stavano parlando a voce bassa senza perdere di vista la madre, distrutta.
-Ehi Spence che ci fai qui?- gli chiese JJ notandolo per prima.
-Ehm.. beh ecco.. io volevo un attimo Faith… potresti venire con me un secondo?- chiese impacciato preso alla sprovvista. JJ sorrise debolmente per poi spostare lo sguardo sulla psicologa mora che arrossì lievemente e si spostò in cortile seguendo Spencer.
-Dimmi Spencer… che succede?- domandò Faith con la solita voce pacata e tranquilla.
-Io ho cominciato a ricordare cose che mi stanno spaventando, vorrei andare da mia madre per parlarle di questi ricordi e verificarne l’attendibilità. So che mia madre forse non è la persona più indicata ma è tutto quello che ho.- rivelò Spencer senza aver coraggio di chiedergli il resto.
-Credo che sia una buona idea, ma sicuro che puoi farlo mentre sei in servizio?- domandò Faith
-In realtà devo parlare  con uno psichiatra in casa di cura, devo domandargli di fare un controllo, pensiamo che l’S.I. sia stato ricoverato e ne sia uscito da poco.- rispose Spencer. Per poi prendere un respiro e farle la vera domanda.
-Non ce la posso fare da solo… potresti venire assieme a me?- le domandò infine diretto. Faith ci pensò, in fondo Hotch l’aveva fatta chiamare per prendersi cura di Spencer, lei non era ancora in servizio.
-Volentieri, prendo la giacca.- accettò quindi rientrando in soggiorno per afferrare la giacca di pelle nera e seguire il dottore in auto.
Durante il viaggio in macchina il silenzio li avvolgeva facendo volare i loro pensieri.
-Come hai fatto a capirlo che l’S.I. è appena uscito da un centro salute mentale?- domandò Faith per rompere il silenzio.
-Beh… consideriamo le telefonate, conclude sempre dicendo “I due minuti sono finiti” ci sono regole ferree sul tempo in cui si può stare al telefono, e credo che l’ S.I. potrebbe essere appena uscito, per questo il suo linguaggio non è mutato.- spiegò Spencer parcheggiando il suv. Dopo poco entrarono insieme nella struttura, aspettarono in sala d’attesa per pochi minuti, finché non comparve un medico piuttosto basso, sui sessant’anni con la barba grigia e degli occhialetti spessi.
-Dottor Reid salve, sua madre sarà felice di vederla.- lo salutò allegro.
-Grazie dottor Monthgomery.. mentre parlo con lei, avrei bisogno di un favore…- esordì Spencer frugando nella sua tracolla per poi estrarne un foglio che porse al medico – Questo è il profilo di una persona  che stiamo cercando, pensiamo sia recentemente uscita da una casa di cura come questa, so che per la privacy sarà dura… ma se potesse dare il profilo ai suoi colleghi sarebbe davvero utile.- disse Spencer mentre il medico fissava il foglio che gli era stato dato.
-Vedrò quello che posso fare. Sua madre è in stanza relax.- rispose il dottore per poi sparire dal corridoio. Faith lanciò un’occhiata a Reid perché le dicesse se fosse il caso di rimanere o di stare fuori mentre lui parlava con sua madre.
-So che ti sentiresti un po’ a disagio quindi puoi pure aspettarmi qui.- la istruì infatti Spencer, la mora annuì con un sorriso incoraggiante, Spencer le stampò un bacio sulla guancia e poi entrò in aula relax. Vide sua madre seduta su una poltrona verde acqua che ammirava il cortile fuori dalla finestra, il giardino era ben curato, la giornata era incredibilmente serena e il sole illuminava ovunque senza risparmiare nulla.
-Ciao mamma.- la salutò alle spalle, la donna si voltò e si tolse gli occhiali mostrando gli occhi azzurri pieni di vita e allegri alla visione del figlio.
-Spencer, sono felice di vederti.- lo salutò anche lei. Il giovane si sedette accanto a lei su una sedia di vimini con un cuscino celeste.
-Come mai sei qui?- chiese la donna rivolgendogli uno sguardo indagatore.
-Un caso di un bambino scomparso.- rispose lui.
-Non mi piace che lavori su queste brutte cose.- borbottò lei posando su un tavolino il libro di Leopardi che teneva fra le mani.
-Mamma io conoscevo un bambino che si chiamava Riley Jankins?- domandò finalmente Spencer affrontando il motivo per cui fosse venuto a trovarla.
-Riley? Era un amico immaginario.- rispose la donna.
-No, esisteva davvero e gli è successo qualcosa.- ribadì Spencer.
-Cercherò di ricordare Spencer ma ora come ora non mi viene in mente nulla.- confessò la donna.
-Va bene mamma.-
-Sei troppo magro, non è che ti sei innamorato?- chiese d’un tratto Diana. Spencer arrossì preso alla sprovvista. Diana sorrise cogliendolo in fallo.
-Una madre sa… siamo animali Spencer. Sentiamo le cose.- replicò la donna rincarando la dose.
***
Nel frattempo Faith aveva ricevuto una chiamata da Hotch.
-Faith il killer è una donna, lo si capisce da quello che dice, quando parla dei vestiti dei bambini dice i dettegli, nessun uomo direbbe mai aggettivi come “maglietta verde lime”. Avverti Spencer ci troviamo in centrale, il profilo cambia tutto.- espose infine Hotch alla ragazza.
-Ok, torniamo subito!- esclamò Faith pronta a interrompere Spencer e sua madre, ma non fece in tempo a voltarsi che andò a sbattere contro Reid che le stava venendo incontro.
-Il killer è una donna!- esclamarono all’unisono per poi fare delle facce scioccate.
-Non solo è una donna, ma lei crede che Ethan e Michael siano dei neonati, probabilmente ne ha perso uno recentemente e vuole a tutti i costi rivivere la perdita.- continuò Spencer stupendo Faith.
-Sei sempre un passo avanti tu eh?- scherzò per poi proseguire assieme a lui verso il parcheggio.
Una volta in centrale, Spencer spiegò la situazione agli altri componenti della squadra, quindi fecero venire la signora Bridges e suo marito a visionare il video.
-C’ è stato un momento in cui ha detto “lui è qui”, cosa ha sentito per poterlo dire?- domandò Hotch mentre Morgan e Prentiss stavano allestendo l’impianto video per mostrare il filmato che aveva fatto il sospettato precedente.
-Ho sentito un brivido e qualcuno che mi osservava.- rispose fredda la donna bionda.
-Ora non deve fare altro che rivivere tutto questo nel video, in modo da capire da chi provenisse quell’occhiata raggelante.- concluse Spencer.
Faith era sulla soglia appoggiata allo stipite della porta.
La donna riconobbe subito l’artefice dello sguardo che le aveva fatto accendere i nervi. Indicò una bionda tinta con sguardo indagatore e piuttosto inquieto. Così la squadra chiamò Garcia.
-Ditemi tesori miei!- li salutò lei con la sua voce squillante e armoniosa.
-Devi cercare una donna bionda che ha perso di recente un bambino, fai un controllo incrociato con le targhe da noi raccolte al funerale.- disse Emily.
-Zero.- disse Penelope dopo alcuni istanti.
-Nulla?- chiese Hotch dando voce ai pensieri di tutti.
-E prova a vedere se sono parenti di qualcuno che è appena uscito dal centro salute mentale e ha perso un bambino di recente.- propose Spencer –Se è mentalmente instabile dipenderà ancora dai genitori.- espose ai colleghi.
Garcia non ci mise molto a trovare l’identità dell’assassina e ad estrapolare il luogo in cui viveva in quel momento. In fretta Hotch partì nel suv con Derek al volante, Emily e David nei posti dietro, mentre Spencer e Faith fecero una strada più nascosta, conosciuta da Spencer che li portò direttamente sul retro del ranch in  cui viveva la donna. Erano arrivati leggermente in ritardo rispetto ai colleghi che si trovavano sul fianco destro dell’abitazione. La donna aveva acceso un fuoco e con un pupazzo stava rivivendo la scomparsa di suo figlio.
-Il mio bambino è morto!- continuava a gridare.
-Non è così, è vivo ed è con delle persone che si stanno prendendo cura di lui.- replicò Prentiss mentre avevano le pistole puntate sulla donna.
Nel frattempo Faith stava seguendo Reid che era entrato nel ranch da dietro. In silenzio con la tensione alle stelle Spencer si muoveva con la pistola tra le mani.
-Stai indietro.- sussurrò Spencer.
-Ho anche io una pistola!- replicò lei.
-Non mi importa, non sei ancora in servizio!- esclamò Reid mentre entrava in una stanza.
Il giovane aprì la porta dell’armadio e ritrovò il piccolo Michael Bridges che non appena scorse la sua figura gli corse in contro. Spencer lo afferrò e lo tirò su stringendolo forte e percependo tutta la sua paura, Faith gli posò una mano sulla spalla e sospirò, Spencer le sorrise incoraggiante facendola arrossire.
Intanto Hotch aveva fatto portare i genitori di Micheal all’indirizzo della colpevole, in modo che potessero rivedere il loro bambino sano e salvo. Videro Spencer che teneva in braccio il loro bambino seguito da Faith che lo guardava fiera di lui. Il bambino scese dalle braccia di Spencer e corse fra le braccia dei preoccupati genitori che piangevano dalla gioia. Hotch si affiancò a Spencer e Faith che guardavano ammirati la scena d’amore davanti a loro.
-E’ sempre così?- domandò Faith per capire quello che l’attendeva.
-Magari.- ripose Hotch facendosi scappare un sospiro.
-Ricordati di questo giorno… e non sarà così difficile.- le consigliò Spencer.
 
 

Eccomi qua criminal minds fans, non sono morta.
Ho avuto bisogno di un periodo di pausa, almeno su questa storia, ma ora sono tornata.
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito lo scorso capitolo e spero che qualcuno commenti anche questo,
grazie a chi è rimasto e a chi è nuovo.
Al prossimo capitolo, ne vedremo delle belle.
Vi lascio con il mio
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a presto, Mar.

 
 

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Capitolo 10
*** I envy them. ***


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Hotchner:
Shakespeare ha scritto:
"Non c’è nulla di più comune del desiderio
 di essere importanti"
 
I envy them.
 
Anche quel caso era concluso finalmente e la squadra poteva rilassarsi, tornarono in albergo intorno alle cinque del pomeriggio con un sorriso soddisfatto stampato sul volto, Aaron lanciò un’occhiata a Spencer che parlava con Faith e Derek era ancora scettico nei confronti della nuova coppia, anche se non era ufficializzata, la loro unione era palese agli occhi dei profiler.
-Smettila Hotch.- lo rimproverò Emily in un sussurro, notando lo sguardo del capo rivolto alle loro  spalle, il quale scosse la testa.
-Non mi piace questa storia Emily e lo sai.- rispose lui con tono fermo.
-Dunque partiamo domani, mattina alle dodici.- annunciò poi il capo rivolgendosi a tutta la squadra.
-Ci vediamo a cena!- esclamò Rossi prima di salire in camera.
-Vi va di fare un giro per la città?- domandò Derek ai colleghi rimasti nella hall.
-E’ la prima volta che vengo a Las Vegas.- disse Faith guardandosi intorno.
-Vi posso fare da guida.- annunciò Spencer.
-Ah sì e dove? Dalla scuola alla biblioteca.- scherzò Derek strappando una risata ai colleghi, tranne a Hotch.
-Io vado a riposarmi un po’.- declinò l’offerta Hotch.
-Non ti senti bene?- chiese apprensiva Emily.
-No è che stanotte non ho dormito.- rispose Hotch per poi salire nella sua stanza e buttarsi sul materasso inspirando l’odore di pulito delle lenzuola.
Anche JJ salì in camera, per telefonare a Will e poi farsi un bagno nella vasca, il pancione ormai era al massimo dell’espansione, il bambino scalciava e in pochissime settimane sarebbe venuto alla luce.
Restarono Emily, Derek, Spencer e Faith e insieme decisero di fare un giro per la città. Derek si mise al volante del grande suv nero, Emily si sedette accanto a lui e Faith si sistemò dietro con Spencer. Il giovane dottore fece l’elenco dei vari posti, in cui i compagni di scuola di Spencer andavano spesso, ma lui non ci era mai andato. Alla fine insieme decisero tutti per il bowling. Derek parcheggiò davanti al locale e tutti insieme entrarono, l’ambiente era scuro e tetro, illuminato dalle luci dei videogiochi e le lampade a neon sopra le piste da bowling. Passarono un bel pomeriggio a ridere e scherzare, naturalmente Derek vinse, mentre Spencer non era proprio bravo nel buttare giù i birilli, anche Faith non era per niente brava, un paio d’ore dopo la squadra al completo era in hotel e tutti tranne JJ sorseggiavano i cocktail dell’happy hour.
-Resta comunque il fatto che presto nascerà il figlio di JJ e l’agente Todd prenderà il suo posto, e si unirà a noi anche Faith.- fece notare Prentiss a Derek che si imbarazzava.
-Non vedo il problema!- replicò Derek finendo lo spriz in un sorso.
-Non è un problema è una situazione imbarazzante, ci hai provato con lei e lei ti ha spiazzato.- fece notare Emily strappando una risata generale.
Poco dopo cenarono tutti assieme con un filetto al sangue e del vino rosso, dopo la cena Faith si scusò e lasciò un attimo il tavolo per uscire a fumare una sigaretta, Spencer la seguì posando il tovagliolo sul tavolo e beccandosi un’occhiataccia da Hotch e uno sguardo malizioso da Derek e JJ.
La ragazza aspirava lentamente avvolta nel suo giubbino di pelle nera.
-Rinfresca molto la sera.. lo avevo dimenticato.- sussurrò Spencer facendo voltare Faith che gli sorrise.
-Dovresti smetterla di fumare Faith…- esordì il ragazzo per poi cingerle la vita e sussurrarle all’orecchio – Sei così bella, il fumo ti distruggerà.- continuò poi accarezzandole la schiena. Lei si voltò.
-Lo so che fa male Spencer, ma tante altre cose fanno male… anche tu quando sei lontano mi fa male, ma non smetterò mai di amarti.- sussurrò gettando via il mozzicone ormai finito, per poi baciare delicatamente le labbra carnose di Spencer.
-Cambi discorso brava.- scherzò lui per poi darle un altro bacio a stampo sulle labbra.
-Rientriamo prima che Hotch venga a prenderci con un pistola puntata.- scherzò la bruna ridacchiando, mentre si dirigeva all’entrata dell’hotel tenendolo per mano. Così rientrarono e si sedettero sulle sedie con gli altri colleghi.
-Stasera chi ha voglia di scatenarsi sulla pista da ballo?- domandò Derek carico di entusiasmo.
-Io ho un impegno.- rivelò Rossi.
-Cioè vai a escort?- domandò sarcastica Emily facendo scoppiare tutti a ridere.
-Vado a vedere la traviata a teatro.- replicò Dave alzando gli occhi al cielo.
- Io resto in albergo.- rispose Hotch con lo sguardo basso.
- Anche io.- si accodò Prentiss lanciando un’occhiata a Hotch che la guardò solo per un istante.
-Io ci sto.- accettò invece Faith.
-Vengo anche io!- esclamò Reid facendo sgranare gli occhi a tutti, soprattutto Hotch, sembrava che gli occhi gli stessero per schizzare fuori dalle orbite.
-Che c’è?- chiese Reid notando lo sguardo dei colleghi.
-E’ proprio vero che le donne riescono a cambiare gli uomini.- rispose JJ sarcastica.
-Non le donne.. il sesso!- esclamò Derek, mentre le guancie di Faith si arrossavano, Emily tirò una sberla amichevole sulla spalla muscolosa di Derek. Così i colleghi si separarono, Faith non aveva portato nessun vestito, si arrangiò con i pochi capi che aveva nella sacca sportiva che aveva preparato di fretta. Si infilò una camicia semitrasparente color vinaccia e si tenne i jeans stretti neri con il graffio sul ginocchio destro, infilò un paio di scarpe con poco tacco nere, con la punta chiusa, si infilò il giubbotto di pelle nera, afferrò la borsa e raggiunse in due ragazzi nella hall dell’albergo.
***
La musica pompava senza sosta nel piccolo locale, appena i tre colleghi furono dentro, vennero travolti da un caldo soffocante e un odore misto tra fumo e sudore, cento corpi si muovevano ritmicamente, alcuni strisciando l’uno sull’altro, cameriere vestite con un t-shirt di paillettes dorate e un paio di fuso neri portavano per il locale vassoi carichi di cocktail colorati, un sorriso bianco si formò all’istante sul volto di Derek, che con voce alta per sovrastare il frastuono si rivolse a Reid..
-Ehi ragazzino, benvenuto nel mondo del divertimento.- esclamò avvolgendo con un braccio muscoloso le spalle esili dell’amico, il quale aggrottò le sopraciglia guardandosi intorno come un bambino smarrito, sebbene non fosse la prima volta che entrava in un disco pub, la sensazione di smarrimento era sempre la stessa, gli ci voleva sempre qualche minuto per mettersi a suo agio. Dopo pochi attimi, Derek si gettò nella pista a ballare con una ragazza, che accettò l’uomo con piacere. Faith sorrise a Spencer, il quale si fece una risata. I due si sedettero su degli sgabelli, la bruna posò i gomiti sul piano del tavolino alto che stava di fronte a loro. Ordinarono un paio di shots alla tequila.
-Pronto tutto d’un fiato altrimenti il brindisi è fatto per niente.- lo istruì Faith, Reid sorrise.
-Ok… a cosa brindiamo?- domandò lui.
-Direi a noi due.- rispose la dottoressa con un mezzo sorriso.
-E il sale e il limone a che ci serve?- chiese Spencer perplesso.
- Oh quasi dimenticavo, metti un po’ di sale sulla mano, lo lecchi poi giù la tequila e infine si succhia il limone.. e poi direi che ci sta anche un bacio.- rispose lei strizzandogli l’occhio.
-Allora… A Noi!- esclamò Spencer alzando il bicchierino facendo attenzione a non spandere l’alcol.
-A noi.- ripeté lei, e senza smettere di fissarsi entrambi leccarono le mani, bevvero dai bicchieri e con smorfie insofferenti succhiarono lo spicchio di limone. Spencer sentiva il liquido alcolico che gli bruciava l’esofago, colava nello stomaco e si disperdeva incontrando gli enzimi altrettanto acidi prodotti dalle ghiandole gastriche.
Faith invece non pensava a nulla, come ogni volta che l’alcol le lasciava il sapore amaro sulla punta della lingua e le dava un leggero brivido eccitato che le faceva scuotere involontariamente il corpo. Con le labbra umide entrambi posarono il bicchiere davanti a loro ad una perfetta sincronia.
-Andiamo a ballare?- domandò allegra Faith scendendo dallo sgabello.
-Non dimentichi qualcosa?- replicò Spencer scendendo lentamente dallo sgabello e arrivando innanzi alla ragazza con sguardo di sfida.
-Cosa?- chiese Faith.
Il ragazzo si piegò su di lei e posò le labbra carnose sulle sue, le prese il viso tra le mani e in quel momento per Faith il mondo scomparve, le farfalle nello stomaco svolazzavano senza sosta. Le mani di Spencer accarezzarono le guancie di lei ed entrambi si ritrovarono a sorridere in quel bacio.
***
Emily si trovava da almeno venti minuti nel corridoio del quarto piano dell’hotel, con passo leggero faceva avanti e indietro strisciando i piedi sulla moquette verde mela. Era combattuto tra idee contrastanti, tra ragioni e sentimenti, aveva voglia di vedere Aaron, aveva voglia di parlarci, di vederlo, di toccarlo, ti stare con lui anche senza fiatare, le bastava anche la sua presenza.
“Sono proprio stupida.” Disse a sé stessa la bruna prima di voltarsi e decidere di tornare in camera sua, ad un tratto la porta di legno alle sue spalle si aprì e Hotch uscì da essa stupendosi di trovare Emily, proprio chi avrebbe voluto incontrare inconsciamente.
-Ehi Emily, non sei uscita con Morgan…- costatò Aaron.
-No, infatti..- sussurrò lei.
-Io stavo andando a controllare se Rossi era tornato.- mentì lui.
-Ah non credo, aveva detto che sarebbe rientrato alle due.- rispose Emily.
-Oh.. giusto. E tu perché sei qui?- chiese Aaron.
-Sono appena stata da JJ per vedere se aveva bisogno di qualcosa.- mentì spudoratamente anche lei.
-E come sta?- chiese ancora Aaron.
-Bene.- Emily si morse il labbro sperando che lui non scoprisse quelle innocenti bugie. Il silenzio si intromise fra loro come un terzo incomodo, l’imbarazzo era palpabile, entrambi volevano continuare a parlare, ma erano in corridoio e nessuno dei due aveva  intenzione di muovere un muscolo.
-Allora, hai accettato la storia tra Reid e Fearis?- domandò Emily lacerando il silenzio.
-Uhm… diciamo di sì, ma li terrò d’occhio.- rispose Hotch avvicinandosi ad Emily di qualche passo.
-Sì immagino, io in realtà li invidio.- si lasciò sfuggire lei guardando il pavimento per poi riportare lo sguardo su di lui.
-E perché?- chiese Aaron sebbene avrebbe voluto solo rispondere “Anche io”.
-Lo sai perché!- rispose lei guardandolo negli occhi, muovendo un passo avanti.
-Voglio sentirlo da te.- replicò lui ricambiando lo sguardo mentre dentro bruciava.
-Perché hanno il coraggio di mettersi in gioco.- rispose distogliendo lo sguardo.
-E tu non ti metti in gioco?- domandò ancora Aaron.
-Lo sai che non lo faccio, lo vorrei ma non lo faccio, non l’ho mai fatto e non potrò mai farlo.- sussurrò con un tono di malinconia nella voce Emily.
-Puoi fare tutto se lo vuoi davvero.- sussurrò Hotch dominato dal momento. Emily sgranò gli occhi incapace di controllare le sue espressioni sorprese.
-Li invidio anche io Emily.- rivelò poi in un mormorio Hotch guardandosi le scarpe lucide. La bruna deglutì e si decise a fare un altro passo avanti verso di lui.
-Perché?- domandò Emily ripetendo quel gioco, al quale i due non avevano mai osato giocare, perché non sapevano le regole, perché erano terrorizzati.
-Perché non hanno paura.- replicò avanzando anche lui di un passo. Erano entrambi così vicini, ma non solo fisicamente, i loro sentimenti erano stati praticamente messi a nudo. Il silenzio era sovrano in quel corridoio d’albergo, la mano di Aaron passò sulla guancia liscia e fresca di Emily, la quale sentì un fremito a quel contatto, la loro attrazione era stata chiara fin dai primi tempi, da quando lui si era presentato a casa sua per convincerla ad affrontare il loro ultimo caso, perché Emily si era dimessa e Hotch era stato sospeso, aveva lasciato a casa sua moglie Ely infuriata ed era corso dalla collega che ora gli stava davanti. Fu lui a chinarsi sulla bruna, la baciò timidamente come se avesse paura di farle male con quel bacio. Emily schiuse le labbra e intrecciò le sue mani intorno alla nuca di lui sentendo il calore del corpo dell’uomo che da tanto amava.
 
***
Il mattino seguente Faith si svegliò con uno sbadiglio accanto al corpo caldo di Reid a cui era abbracciata, tolse le braccia dalla sua vita con delicatezza e si mise a sedere sul materasso ammirando i vestiti sparsi ovunque per la stanza, Spencer sentendo la ragazza muoversi accanto a lui si svegliò stropicciandosi gli occhi e mettendosi a sedere accanto alla dottoressa.
-Buongiorno- la salutò allegramente lui.
-Buongiorno a te.- rispose lei lasciandogli un fugace bacio.
Faith si alzò ancora completamente nuda e recuperò i suoi slip neri e il reggiseno coordinato, se lo mise e poi cercò gli altri vestiti, Derek entrò senza bussare beccandosi un urlo da Spencer.
-Derek esci subito e impara a bussare la prossima volta!- esclamò infatti il dottore.
-Cavolo si dice che le donne ti rubino gli attributi, ma a te li fanno crescere.- scherzò Derek mentre chiudeva la porta. Faith rideva a crepa pelle e si rivestiva, Spencer sorrise e si ritrovò a guardare fuori dalla finestra, dopo aver fatto l’amore con Faith quella notte aveva faticato a prendere sonno, sapeva che aveva delle questioni in sospeso in città e quella notte aveva avuto un altro incubo, in cui aveva visto il volto dell’assassino, il volto del padre. Così mentre gli altri colleghi stavano facendo colazione nella grande sala da pranzo, Spencer si diresse a trovare sua madre e le fece qualche domanda.
La squadra era nella hall con i rispettivi bagagli, JJ scese camminando a fatica, ma con un sorriso stampato sul viso. Derek stava di fronte ad una slot machine e giocava qualche spicciolo mentre ridacchiava.
-Derek ti dispiace?- sbraitò Emily, che aveva un’aria non proprio riposata. Dopo il bacio che c’era stato con Hotch quella notte, lei consapevole dell’errore che stavano commettendo si era staccata e lo aveva fissato sperando che le chiedesse di restare, ma lui era rimasto zitto e aveva guardato a terra e Prentiss, interpretando il suo gesto come una sorta di pentimento, si era voltata e se n’era andata con tanta amarezza nel cuore e il sapore delle labbra del suo capo che non si decideva a sparire, poi era scesa al bar e aveva bevuto per dimenticare, ma gli effetti dell’alcol quella mattina erano spariti lasciando solo nausea e un gran mal di testa.
-Ho mal di testa.- specificò la donna indicandosi la fronte.
-Oh perdonami, scusa!- si scusò l’amico scendendo dallo sgabello e sedendosi accanto a lei.
-Hai fatto tardi ieri?- le chiese Rossi.
-Odio Las Vegas- fu la risposta categorica dell’amica.
-Oh Prentiss come puoi odiare Las Vegas? È un parco giochi per adulti.- costatò Derek.
-Dove diavolo è finito Reid?- domandò Faith arrivando anche lei nella hall.
-Ehi c’è ancora credito!- esclamò contemporaneamente JJ toccando un bottone della macchina mangia soldi.
-JJ per amor del cielo!- la riprese all’istante  Emily.
-Che c’è?- chiese la bionda col pancione.
Rossi fece delle boccacce come a dire “ha bevuto troppo” facendo scoppiare tutti a ridere. In quel momento Spencer rientrò attirando gli sguardi di tutti.
-Oh finalmente, Hotch è già in aeroporto fa’ i bagagli.- lo istruì JJ.
-In realtà vorrei restare qui qualche altro giorno.- rivelò il dottore.
-Problemi?- chiese Derek alzandosi
-No, solo che non vedevo mamma da tanto tempo.- mentì Reid con un sorriso falso, al quale i colleghi non crebbero neanche per un momento. Rossi, Morgan e Fearis si scambiarono sguardi di intesa e dopo aver salutato Spencer tutti i membri della squadra si diressero verso l’aeroporto, ma Faith, Derek e Dave dirottarono, tornarono in albergo e non rimasero sorpresi quando non trovarono Spencer nella sua camera.
 
Salve a tutti ;) eccomi qua con il decimo capitolo,
è passato così tanto da quando ho cominciato la storia (con una grande interruzione in mezzo)
dunque il momento Hotch/Emily è quello che preferisco, stavo pensando di scrivere una OS su di loro,
li amo alla follia quei due, sono troppo teneri. Reid e Faith ormai hanno il vento in poppa,
stanno bene e lui lo sta rendendo molto a suo agio con i sentimenti, ringrazio estelle holly
che ha recensito l’ultimo capitolo ;) qualcuno mi darà un parere anche su questo?
A presto, Mar.
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Capitolo 11
*** I belive in you. ***


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Episodio 4x20
Reid:
La luce crede di viaggiare più veloce di ogni altra cosa,
ma si sbaglia.
Per quanto veloce viaggi,
la luce scopre che l’oscurità arriva sempre prima, ed è lì che l’aspetta. 
Terry Pratchett
I belive in you.
 
Spencer aveva mentito, e si era stupito della facilità con cui aveva detto quella bugia, era la prima volta che mentiva ai suoi colleghi e soprattutto a Faith, ma non gli importava, sapeva che era una cosa che doveva fare da solo, che nessuno avrebbe mai capito la sua situazione, il suo subconscio cercava di dirgli qualcosa, forse quando era un bambino aveva visto delle cose, aveva visto il padre commettere il crimine o tornare a casa con qualche indizio addosso come sangue o trofei, e aveva immagazzinato il tutto, non era stupito e anche da bambino era consapevole della sua intelligenza e dell’immenso potere che aveva una mente umana come la sua.
Si recò alla stazione di polizia di corsa e parlò con uno dei detective più anziani, lo stesso che aveva aiutato per il caso dei giorni precedenti.
-Brutta storia.- brobottò il detective.
-Se ne è occupato lei?- domandò interessato Spencer.
-Ero a pochi isolati di distanza quando arrivò la chiamata… il mio primo bambino.- il detective si passò una mano sul volto.
-Non si riesce a dimenticare.- sussurrò infine.
-Posso chiederle se c’erano dei sospettati?- domandò il dottore sempre più curioso.
-All’inizio pensammo alla famiglia, il padre o il fratello maggiore…- rispose l’uomo con i baffi bianchi avvicinandosi di un passo.
-Giusto, anche perché il corpo è stato trovato in casa, nello scantinato vero?- sussurrò Reid ragionando con le poche informazioni che conosceva.
-Sì, quasi subito la famiglia si è messa sulla difensiva, ha smesso di collaborare come… il caso John Benet mi pare, non ho mai creduto che fossero stati loro, ho sempre creduto che si trattasse di un estraneo.- spiegò il detective con le mani sui fianchi.
Ci fu un attimo di silenzio, Reid non riusciva a togliersi dalla mente le immagini dell’incubo avuto la notte precedente, in cui aveva visto il volto dell’assassino, che si era rivelato il signor Reid, suo padre.
-Come mai l’Fbi si interessa a questo caso? Sono passati vent’anni…- chiese il detective.
-Ehm una ricerca.- mentì il dottore alzando gli occhi verso l’uomo. Spencer guardò le due cartelle nello scatolone.
-Questo è tutto?- domandò vedendo il poco materiale.
-Dev’esserci un’altra scatola in archivio, dovrei controllare.- rispose il detective.
-Vorrei vedere tutto se non le dispiace.- lo informò cortese il dottore. Il detective si allontanò con un leggero sbuffò, ma Spencer apprezzò comunque la sua collaborazione. Il giovane aprì la prima cartella, e si scontrò con una foto del piccolo Riley che indossava l’uniforme della squadra dei pulcini di baseball, un flashback tornò nella mente di Reid con le sue immagini sfuocate, suo padre faceva l’allenatore in quella squadra e ricordava bene di come il padre incitasse Spencer ad essere bravo come Riley, senza comprendere che non lo sarebbe mai stato, che lo sport a lui non solo non riusciva, ma neanche gli piaceva. Emise un sospiro uscendo dai quei ricordi e una smorfia di rammarico mista a indignazione gli si dipinse sul volto pulito. Il detective tornò dopo poco e gli porse altri fascicoli, il dottore li prese e li mise insieme agli altri nella grande scatola di cartone con il nome del caso “Jankins Riley”, portò tutto in albergo promettendo di riportare il materiale entro qualche giorno, firmò un documento e poi tornò in hotel con la scatola tra le mani. Il tragitto dalla stazione di polizia all’hotel fu affollato da continui sospiri, la scena del sogno continuava a balenargli nella mente, mentre guidava si passò una mano sul volto accaldato, aveva scordato il caldo soffocante che infestava lo stato del Nevada, Las Vegas soprattutto, l’afa era insopportabile, lo faceva sudare tanto che aveva la camicia completamente attaccata al corpo, come una seconda pelle. Sbuffava Spencer, era già stanco di quella strada che aveva intrapreso, aveva sempre saputo che la strada della verità era dura e difficile, ma ormai ci stava dentro ed era determinato a percorrerla.
Parcheggiò davanti all’hotel e si diresse in camera da letto, trovò la porta aperta e inizialmente la paranoia lo invase,  portò la mano alla fondina della pistola ed estrasse il ferro, la sua era un’arma rudimentale, non gli era mai servita molto, era simile alle pistole dei film western, entrò con cautela nella stanza spingendo appena la porta di legno bianco, ma non appena udì il suono della televisione e  scorse la figura di Morgan, Fearis e Rossi sul divanetto che mangiavano pop corn e guardavano la televisione.
-Vi piazzate in camera mia a guardare “The days of our lifes”?- domandò retorico il dottore.
-“The young and the restes”.- puntualizzò Rossi con la bocca piena di pop corn.
-Ma non dovreste essere in volo per Washington?- domandò ancora Spencer seccato.
-E tu dovresti essere da tua madre…- fece notare Derek.
-… E non ci sei.- completò Faith alzando le sopracciglia folte.
Il dottore si passò una mano sul volto nervoso, conscio che non sarebbe riuscito a nascondere la realtà ai colleghi profiler e alla sua ragazza psicologa.
-Riley Jankis?- domandò Derek indicando la scatola della polizia appoggiata sulla poltrona.
-No, non è questo il motivo per cui sono rimasto.- mentì Reid con voce tremante parandosi davanti alla scatola.
-Reid! Andiamo bello, con chi credi di parlare?- chiese retorico Morgan alzandosi dalla poltrona.
-So che significa per te.- mormorò Derek guardando negli occhi il collega.
Anche Rossi e Faith si alzarono dal divanetto di fronte al televisore.
-Fatti aiutare.- lo persuase Rossi.
-Ti faremmo comodo e lo sai.- insistette anche Faith.
-Magari insieme scopriamo chi l’ha ucciso.- disse ancora Rossi.
Spencer nervoso fece scrocchiare il collo, non ce n’era bisogno, Spencer sapeva già chi l’aveva ucciso. O meglio, pensava di saperlo.
-Credo di saperlo già.- confessò Spencer con un filo di voce, gli occhi dei tre si fecero più attenti e curiosi.
-Allora dicci di chi sospetti.- disse Morgan interrompendo il silenzio.
-La verità è che non so niente di lui…- esordì Spencer lasciando la frase a mezz’aria, i colleghi lo osservarono consapevoli che avrebbe detto di più.
-E’ mio padre.- sussurrò Spencer terrorizzato quasi dalle sue stesse parole. Derek e Rossi si fissarono disarmati. Faith invece guardava Spencer con il labbro tremante e la fronte crucciata.
Reid cominciò a sistemare con ordine i dieci fascicoli sul letto matrimoniale dell’albergo. Derek e Faith stavano parlando fra di loro.
-Devi sapere, prima di imboccare questa strada, che devi esserne più che sicuro.- sussurrò Faith.
-Ha ragione è meglio non aprire certe porte.- sostenne anche Derek.
-Non posso più ignorare i segnali che mi sta mandando la mia mente.- rispose Reid.
-Segnali misti.- puntualizzò Rossi.
-E’ così che agisce il subconscio, lo sai vero?- domandò anche Faith.
-Reid tuo padre vi ha lasciati, in base alla teoria Freudiana ha ucciso la tua infanzia.- disse ancora Derek mentre Rossi e Faith annuivano decisi.
Una smorfia di disapprovazione si dipinse sul volto del dottore incredulo delle teorie freudiane, poco fondate secondo la sua opinione.
-Spiegherebbe il sogno in cui lo vedi come un omicida.- aggiunse Rossi.
-Arrivato a questo punto non torno indietro.- ammise deciso Spencer scuotendo la testa con energia.
Faith immaginava che sarebbe finita così, ma nonostante non fosse d’accordo con le decisioni di Spencer, era pronta a sostenerlo.
Altrove, a Quantico JJ stava facendo fare un giro all’agente Todd. Era consapevole che il parto sarebbe potuto accadere a breve, sentiva il suo bambino sempre più energico nel suo pancione.
Anche Prentiss si unì alle due donne e insieme mostrarono le stanze alla nuova sostituta di JJ.
-Emily ricordi l’agente Todd?- domandò JJ quando incrociarono Prentiss.
-Ciao come stai?- la salutò educatamente la bruna stringendole la mano.
-Non c’è male, sarò l’ombra di JJ per queste due settimane.- rispose la donna.
-Un compito pesante eh.- fece notare Emily.
-L’unica pesante sono io.- replicò autoironica la bionda tenendosi il pancione.
-Ma che dici sei bellissima!- esclamò l’agente Todd con un sorriso.
-E’ quello che continuo a ripeterle!- esclamò a sua volta Emily.
-Hai dei figli anche tu oppure…- cominciò a domandare l’agente Todd.
-No, no. Temo che JJ abbia scovato l’ultimo donatore decente.- negò Emily prendendo in giro l’amica.
-Donatore di che?- domandò Hotch che stava passando davanti al gruppetto.
-Ah niente, sto facendo ambientare l’agente Todd nella nostra struttura .-si affrettò  a rispondere JJ.
-Felice di rivederla agente Hotchner.- si affrettò a salutare il capo l’agente Todd stringendogli la mano.
-Oh perfavore, Hotch.- la corresse lui.
-Hotch… allora dov’è il resto della squadra?- domandò curiosa.
-Ehm si è presentato un caso mentre eravamo a Las Vegas, sono rimasti là per indagare.- rispose Hotch per poi tornare nel suo ufficio.
-Credevo che lavoraste tutti insieme.- notò Todd quando il capo fu lontano.
-E’ un caso diverso.- disse JJ in un sussurro. Todd non fece domande ma annuì semplicemente comprendendo solo in parte la situazione.
 
Nella stanza di Reid i quattro stavano spulciando i fascicoli, Reid presentava il caso.
-Riley aveva sette anni, suo padre Lou Jankis doveva andarlo a prendere alla fine dell’allenamento di baseball alle quattro, ma  ha fatto tardi al lavoro, perciò Riley è dovuto tornare a casa da solo. La madre la sera, lo ha trovato morto nello scantinato.- espose Spencer.
-Quindi l’aggressore è arrivato in casa dopo il ritorno del bambino?- domandò Rossi.
-O lo ha intercettato per strada.- rispose Spencer.
-Lo ha portato nello scantinato e ha dato il via all’aggressione sessuale.- disse anche Derek leggendo da un fascicolo.
-La sua bocca era fasciata con il nastro adesivo.- notò Faith con un altro fascicolo in mano.
-Simbolico, l’S.I. teme che Riley parli, si spaventa, valuta le opzioni…- cominciò a spiegare Reid.
-E decide che è meglio farlo tacere per sempre, trova un coltello nell’attrezzatura da pesca del padre pugnala al petto Riley nove volte e poi lo trascina dietro all’asciuga biancheria.- concluse Rossi.
-Ma perché non l’ha lasciato dov’era, c’era poco tempo poteva essere sorpreso?- domandò Faith.
-Segno di rimorso.- rispose Derek.
-I genitori lo avranno apprezzato immaginò.- borbottò sarcastica la ragazza.
-L’S.I. era un maschio bianco che aveva poco meno o poco più di trent’anni.- espose parte del profilo Reid.
-Quindi il nostro uomo ora ne ha cinquanta.- notò Rossi facendo rapidamente qualche conto.
-Forse conosceva il bambino ed era già stato a casa sua.- ipotizzò Derek.
-Un vicino.- annuì Rossi.
Spencer era confuso e la consapevolezza che fosse suo padre l’assassino si trasformava sempre di più in realtà.
-Reid che succede?- chiese Derek notando il cambio repentino di espressione del collega.
-Abitavamo a mezzo chilometro dai Jankis.- ricordò Spencer
-Credi che tuo padre lo conoscesse?- chiese Rossi.
-Non lo so i miei ricordi sono così confusi.- confessò il dottore strofinandosi il viso.
 
-L’assenza di ricordi testimonia quanto poco sapessi di lui.- costatò ancora Reid.
-Reid saremmo costretti a rintracciarlo, lo sai.- lo mise di fronte alla realtà Derek.
-Dovremmo parlare con mia madre, i vicini, raccogliere testimonianze.- suggerì Reid.
-Reid, non c’è bisogno che ti dica che tutto questo indica un bisogno di natura sessuale, l’uomo che cerchiamo è un pedofilo, quindi te lo richiedo, sei sicuro di voler prendere questa strada?- chiese Rossi.
Spencer ne era convinto, lui andò a parlare con la madre facendo domande su bambini, su come il padre si comportasse con i bambini, le risposte della madre non tranquillizzarono l’animo di Spencer, ma non furono nemmeno in grado di placare la sua curiosità.
Poco dopo Rossi, Reid, Fearis e Morgan si diressero da Lou Jankis il padre di Riley, fu Spencer ad esporre la teoria che fosse stato suo padre a uccidere Riley.
-E’ solo una teoria signor Jankis.- disse Spencer cercando di tranquillizzare l’uomo che sembrava non aver gradito molto la riapertura del caso.
-Dovete essere diventati pazzi se siete convinti che William Reid abbia ucciso mio figlio.- rispose con tono freddo Lou Jankis.
-Perché voi due eravate amici?- domandò Reid.
-Chi diavolo è per pormi queste domande?- domandò l’uomo all’oscuro della reale identità dell’agente che gli stava davanti.
-Sono il figlio.- sputò fuori Reid.
-Spencer? Spencer un federale? Ma guarda un po’, continuo a non capire…- confessò Lou.
Dopo aver scambiato qualche altra frase velenosa con il signor Jankis, lui gli diede l’indirizzo del posto di lavoro del padre di Reid.
-Lo conosci?- domandò Faith.
-E’ a pochi minuti da qui, era vicino e non me l’ha mai detto!- esclamò amareggiato Spencer salendo sul suv.
David e Derek salirono in un altro suv, lasciando così un po’ di intimità tra Faith e Spencer, sapevano che Faith lo avrebbe calmato almeno un po’, lo avrebbe fatto tornare lucido.
-Spencer sei sicuro che non sei accecato dall’odio verso quell’uomo?- domandò Faith mentre Spencer guidava.
-Faith non è così, sono i fatti, combaciano non puoi dire che sono fuori strada, ci sono troppe coincidenze in questa storia, e io con la mia laurea in fisica non credo nelle coincidenze.- esclamò brusco Reid.
-Ma ti senti? Stai perdendo il controllo completamente, devi calmarti prima di parlare con tuo padre, altrimenti non riuscirai a dirgli quello che vuoi veramente.- cercò di farlo ragionare Faith, sentendo che anche la sua pazienza stava raggiungendo il limite.
Spencer tornò lucido un secondo deglutì e i muscoli si rilassarono quasi inconsapevolmente. Parcheggiò davanti alla struttura, ma prima che potesse scendere Faith gli prese il volto tra le mani e lo guardò intensamente negli occhi verdi cerchiati di giallo.
-Spencer io credo in te. Credo che riuscirai a capire chi ha ucciso Riley e che capirai anche il dissidio interiore che ti provoca pensare o parlare di tuo padre ok?.- sussurrò la ragazza. Spencer annuì riprendendo il controllo e poi lasciò un leggero bacio sulle labbra di Faith, l’unica che era stata in grado di calmarlo. Scesero dalle auto e tutti e quattro si trovarono di fronte all’enorme edificio. Spencer si bloccò un attimo di fronte le scale dell’ingresso, prese un profondo respirò, guardò i colleghi che lo attendevano e tirò fuori la voce, insieme al coraggio.
-Andiamo.- sentenziò.
 

Ciao a tutti, prima di andare in vacanza sono qui con un nuovo capitolo, questo capitolo lo vorrei dedicare a Ilaperla, che mi è stata di grande aiuto e mi ha fatto un trailer meravigliosa, vi lascio il link alla fine dell’angolo autore. Dunque la storia continua, non so esattamente quando finirà e se finirà e come finirà, per ora sono contenta delle persone che mi sostengono con le loro recensioni e mi ispirano a dare il meglio, grazie a tutti, un bacio, Mar.
 
Trailer: 
https://www.youtube.com/watch?v=5x7EMkYjXkY 
 
 
 
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