Without You I'm Nothing

di mairileni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Matthew, in ascolto ***
Capitolo 2: *** Matthew, sforzo inutile ***
Capitolo 3: *** Matthew, decisione drastica ***
Capitolo 4: *** Matthew, soluzione ***
Capitolo 5: *** Matthew, artista ***
Capitolo 6: *** Matthew, dieci parole ***
Capitolo 7: *** Matthew, accettazione passiva ***
Capitolo 8: *** Matthew, tiro a segno ***
Capitolo 9: *** Matthew, conto alla rovescia ***



Capitolo 1
*** Matthew, in ascolto ***


Oh, no! Ancora lei! *tutti scappano*
Ebbene sì! Buonasera! *v* 
 
Disclaimer: Matthew Bellamy, Dominic Howard e gli altri non sono miei, né mi pagano per scrivere.
 
Questa fic nasce da un momento di frustrazione avuto durante la stesura di un'altra - nghhhhhh, che fatica quella fic - per cui mi sono bloccata. Avevo questa idea che mi ballonzolava in testa già da un po' e così ho iniziato a scrivere *v*
 
Le idee ballonzolano? Non lo so. Però è bello dirlo: ballonzolano. Ballonzolano. Ballonzolano. Ahah.
 
Ma stendiamo un velo pietoso.
 
Grazie a chi leggerà, magari ditemi cosa ne pensate!
 
pwo_
 
 
*** *** ***
 
Matthew, in ascolto
 
 
Sabato, 6 giugno 1992
 
 
Davanti a me, la posizione di Matthew è così innaturale da farmi venire voglia di passargli il dito sulla spina dorsale ogni cinque minuti per controllare che la sua schiena non si sia effettivamente spezzata, piegata all'inverosimile sul tavolino di legno del bar.
Una mano è talmente stretta sulla penna da essere diventata di un colore giallognolo nei punti in cui le dita incontrano la plastica, l'altra è aperta sulla pagina del quaderno, quasi a tenerlo fermo per evitare che scappi dal furioso massacro infertogli dall'inchiostro.
 
«Matt?»
Il rumore bassissimo dei numeri lasciati sul foglio in sottofondo, nient'altro.
«Matt?»
Mi allungo a toccargli una spalla con religiosa circospezione, facendolo sobbalzare.
«Oh -- Eh? Hai detto qualcosa?»
«Possiamo ordinare?»
«Er...sì, sì, io non prendo nulla, fai tu.»
«Come sarebbe a dire che non prendi nulla?»
«Non ho fame.» replica distrattamente, tornando subito alle sue operazioni.
«Matt, penso che dovresti mangiare qualcosa.»
Nessuna risposta.
«Matt?» cantileno.
«Mh?»
«Matt, si può sapere cos'è quella roba che stai facendo? La finisci?»
 
Finalmente il mio amico ficca il suo paio di occhi gelidi nei miei. 
«Quella roba, come la chiami tu, è un'equazione che c'è di compito. E come faccio a finirla, se continui a interrompermi?»
«Intendevo finiscila di scrivere! Non puoi farla a casa? O sul mio quaderno, dato che ne ho più bisogno di te?»
Senza staccare gli occhi dai miei, Matthew scoppia in una brevissima risatina, tanto acuta quanto inquietante - o forse è più inquietante il fatto che questo sia davvero il suo modo di ridere.
«Ok.»
«Allora, cosa prendi?»
«Mh, davvero, non ho molt--»
«Doppio Cheeseburger?»
«Puah...come vuoi.» capitola, schifato.
 
Quando io ho già addentato il mio panino con foga, Matthew appoggia il suo sul vassoio per dare inizio all'usuale analisi dettagliata del cibo che deve mangiare - how typical.
«Bells, ci sono scritti sul menù, gli ingredienti.»
«'I sa mai...» mugugna, sollevando uno strato alla volta e attirando su di sé gli sguardi curiosi di tutti gli altri presenti.
«Bells, accidenti, non cambia da un giorno all'altro! Insalata, formaggio, della carne del cazzo e dei pomodori di merda!»
In tutta riposta lui alza piano la testa con fare teatrale.
«Carne del cazzo e pomodori di merda, dici? Mh, detto così sembra buono!» esclama, sorridendo sarcastico «Perché non provi a farti assumere qui? Scommetto che ti prenderebbero!»
Rido sguaiato, beccandomi la presa in giro che mi merito, mentre lui continua inesorabile:«Sì, Dominic, dovresti pensarci, sul serio! Potresti metterti il cappellino della divisa e poi accogliere ogni cliente dicendo:"Hey, tu, stronzo, cosa prendi? Un panino di merda o della carne del cazzo?"»
 
Quasi mi strozzo con le patatine, mentre Matthew prosegue il suo show lanciandosi nella magistrale interpretazione di altre ipotetiche scenette di cui io - ovviamente - sono lo zimbello.
 
 
*
 
 
«Ma che-- No, Dom, ma tu devi essere stupido.»
«Ah, beh, grazie!»
«Non scherzo! Ma guarda quante cazzate sei riuscito a scrivere su una riga sola! Ma cos'è?»
 
Matthew regge in mano il mio quaderno di matematica, osservando scandalizzato le due grandi pagine a quadretti martoriate da decine di strati di cancellature.
 
«La prossima la facciamo insieme, sì?» mormora, esausto.
«D'accordo.»
 
Mentre cerco di raccapezzarmi tra gli errori compiuti, noto con la coda dell'occhio che il mio amico si è lasciato cadere senza troppa grazia sul letto.
«Fa' come se fossi a casa tua, Bells, mi raccomando.» commento ironico.
«Tu non ti preoccupare. Intanto copia il testo dell'equazione.» replica calmo, togliendosi con la punta del piede sinistro la scarpa destra, che cade oltre il bordo del letto con un piccolo tonfo.
«Fatto. Mi aiuti?»
Mi risponde di sì, ma non si smuove dalla sua comoda posizione.
«Vieni qui, Matt.»
«Mh...mi piace, qui.» la voce come uno sbuffo contro la stoffa delle coperte.
«Ma avevi detto che mi avresti aiutato!»
Mi giro sulla sedia quel tanto che basta per guardarlo male.
«Ma ti aiuto. Da qui. Tu dimmi.»
«Quanta pazienza» sussurro, raggiungendolo sul letto «Vengo io, ho capito.»
 
La piazza e mezzo su cui dormo - o meglio, su cui ogni tanto dormo da solo e non con Matt a scroccare - è uno spazio troppo ristretto per qualsiasi attività diversa dal sonno, ma ce lo faremo bastare.
Mi sistemo con la schiena contro la testiera, appoggiando i libri sulle gambe incrociate mentre controllo il regolare sollevarsi ed abbassarsi del petto del mio amico, che sta sdraiato su un fianco con un'aria corrucciata dipinta sul volto, ad occhi chiusi.
«Bells, va tutto bene?» 
«Sì, certo.»
«Ma vuoi dormire?»
«No.» replica seccato «Ti ho detto di no.» 
Gli occhi sempre chiusi.
«Mh...mi ascolti?»
«Cristo, Dom, ti ascolto, non devo avere gli occhi spalancati per usare le orecchie!»
«Ok, ok. Allora, io non ho capito cosa si intende con "condizioni di esistenza"; come faccio a sapere quali sono?»
«Mh...l'hai messo il minimo comune multiplo?»
«Sì.»
«E qual è?»
Glielo mostro, costringendolo - con suo grande disappunto - ad aprire gli occhi.
«No. È sbagliato.» 
«Ma come? Non era--»
Mi prende la penna dalle mani, scribacchia svogliatamente il passaggio corretto e ritorna al suo inopportuno riposino.
«Ah, ma quindi non posso mischiar-- Aaah, ma allora ho capito! E ora come faccio a trovare le condizioni di esistenza?»
Silenzio.
«Matt?»
 
Non è possibile: si è addormentato di nuovo. Da un momento all'altro!
Mi sporgo su di lui con cautela, sforzandomi di non fare nessun rumore - che invece faccio, perché sono sempre stato un po' goffo - e appoggio i libri sul comodino.
Prova del nove.
«Matt?»
Nulla.
 
Accolgo di buon grado quello che ormai succede da settimane - Matt che si addormenta sul mio letto nei momenti più disparati - e passo il resto del pomeriggio a rimuginare su quella che - anche se lui non lo ammetterebbe mai - so essere la causa della sua stanchezza.
 
 
***
 
 
«Oddio, Dom, mi dispiace, non sai quanto mi dispiace!»
«Matt, è a posto!»
«No, non è a posto, dovevo aiutarti e...scusami, ti prego, ero così stanco.»
«Bells, stai calmo, ok? Mi aiuti un'altra volta, tanto ci vediamo ogni giorno.»
«Non so cosa dire. Scusa.» pigolo, mortificato.
«Non è nulla.»
 
Saluto Dom, lui apre la porta, spiffero sottile dallo spazio tra legno e cemento. Mi scuso ancora.
Esco, il calore timido di giugno sulla pelle, mi giro, Dom che fa ciao con la mano sulla soglia di casa sua, così leggero, così sereno.
Strada vuota.
Casa mia, aria stantia e pesante.
 
«Mamma? Papà?»
«Oh, ciao amore, com'è andata?» fa la voce di mia madre dal salotto.
Mi appoggio con la pancia sul corrimano delle scale, pigrizia improvvisa al pensiero di ripercorrere i gradini all'inverso.
«Bene, tu?» 
Risposta predefinita con domanda di cortesia inclusa.
«Bene, bene.»
 
Bugiarda.
 
«Sto di sopra, non mi va di man--»
«No, Matt, basta con questa storia, devi mangiare!»
«Ma io mangio, mamma, oggi ho preso un panino enorme! E il gelato, a merenda.» non è vero, dormivo «Chiedilo a Dom, se vuoi.» so che non lo farà e che se anche lo facesse lui mi coprirebbe.
Mi accorgo del mio tono troppo duro dalla reazione istantanea che esso ha causato sul viso di mamma, lo specchio di quello che sento dentro io in questo momento.
 
Ed è con un tono più amareggiato che dolce che le parlo, ora.
«Magari dopo, sì?»
Ed è con un tono più angosciato che accondiscendente che mi risponde, ora.
«Come vuoi, amore.»
 
Mi isso sul gradino successivo e mi volto di nuovo a guardarla. È invecchiata, in un mese.
«Papà?»
«È-- oh, lui è...fuori.»
«Fuori dove?»
Lei sorride.
 
Falsa.
 
«Si è offerto di fare la spesa al mio posto.»
Si è offerto di fare la spesa. 
Certo. La spesa.
Che brav'uomo.
«Sono di sopra, scendo per la buonanotte.»
«...Sì. Ciao, tesoro.»
Gradino, gradino, gradino.
«Neanche un po' di frutta?» 
«No, mamma, davvero, sto bene così.»
 
 
*
 
 
Non so da quanto sono chiuso in stanza - minuti? Ore? -, ma adesso ho percepito chiaramente il rumore di una porta sbattere, al piano di sotto, ed è significato riprendersi dallo stato di trance in cui ero caduto.
Ascolto.
Queste sono le chiavi appoggiate nello svuota tasche, questo il cappotto buttato sulla sedia dell'ingresso.
Questa la voce insinuante di mia madre, questa la voce calma e tagliente di mio padre.
Questo è il sollevarsi del tono, queste le grida ormai familiari.
Questo è mio fratello che alza il volume della tivù per non sentire.
 
Non ne posso più.
Non ne posso più.
 
Scateno tutta la mia rabbia facendola passare come una scarica attraverso il corpo e riversandola sulla tastiera, sul bianco e nero di questo ammasso di metallo, plastica e non so che cazzo di altro, premendo, spingendo, picchiando le note fottute, solo perché a loro non frega un cazzo che tu sia felice o meno, loro suonano e basta.
 
Smetto solo quando una mano pesante, sulla spalla, mi costringe a staccarmi dalla tastiera.
È mio padre, che probabilmente mi stava già chiamando da un po', dalla veemenza con cui mi urla contro.
Mia madre sta accanto a lui, con una mano a mezz'aria pronta a fermarlo in caso le cose degenerassero - cosa impossibile, perché nessuno ha mai alzato un dito su di me, almeno a casa.
«Matthew, sei impazzito? Ma non ti rendi conto che sveglierai tutto il vicinato? Ma sei fuori di testa o cosa?» grida.
Gli risponderei "o cosa" giusto per il sadico compiacimento che proverei a vederlo perdere il senno, ma non parlo.
Lo osservo come una specie rara senza ascoltare minimamente quello che ha da dirmi, mentre mi sbraita contro alternando i movimenti secchi delle braccia al roteare esasperato degli occhi.
Non ascolto.
 
Me l'ha insegnato Dom. Mi ha detto che non devo per forza ascoltare, se qualcuno mi dice qualcosa che non mi piace, e che posso togliere l'audio, come alla tv.
È stata la lezione più importante che io abbia mai imparato, e forse non è troppo ortodossa, ma è utile.
 
«--Matthew! Matthew, mi stai ascoltando?»
Ah, già, mio padre.
«Sì.» mento «Sì, ti sto ascoltando.»
«Cosa ti ho detto?»
Mia madre, poco più indietro, mi guarda speranzosa. Suggerisci mamma, ti prego.
«Io-- Er...che non devo suonare?»
Lei sospira pesantemente, lui si mette le mani tra i capelli.
«Io non so più cosa fare con te.»
Altre parole, altre frasi fatte, ma mi chiudo ancora nel silenzio assordante che mi offre rifugio così spesso, e non sento nulla, vedo solo le labbra che si muovono, mio padre che fa un cenno a mia madre per farla uscire dalla camera, lei che obbedisce malvolentieri, lui che si accuccia sulle punte dei piedi, accanto allo sgabello su cui sono seduto.
Si tiene in equilibrio con le mani, che ha appoggiato sulle mie cosce, bollenti sopra i jeans, e mi guarda dal basso.
Ha smesso di gridare, quindi tanto vale provare ad ascoltare quello che ha da dirmi.
«Perché lo fai, Matthew?»
«Faccio cosa?»
«Perché non mi ascolti?»
«Er...non so.»
Il cuore mi batte all'impazzata, perché poche volte siamo stati così vicini, da soli, ed evitiamo quasi sempre il contatto fisico tra noi, perché imbarazza entrambi, e non è naturale.
«Matt, ascolta...»
«Sì?» incalzo veloce.
Voglio proprio sentire, ora.
Mio padre apre la bocca, fa per iniziare a pronunciarsi e serra di nuovo le labbra, per due o tre volte.
«Er-- Sei migliorato con il piano, sai?» sputa, infine.
 
Ipocrita.
 
«Come lo sai? Non sei mai venuto ai saggi.»
«Hai ragione, Matthew, ma...sai che non vengo perché ho molto lavoro io-- se potessi verrei sempre.»
Non è vero. Non vieni perché ti vergogni fottutamente di me. Si vede da come ti sforzi per dirmi cose gentili.
«Come sai che sono migliorato?»
«Ti sento, ogni tanto, da sotto. L'altro giorno stavi facendo Rachmaninov, vero?»
«Era Tchaikovsky.»
«Ah, scusa.» sorride «E poco fa?»
Ma cosa sta cercando di fare?
«E-- era una cosa mia.»
«Oh. Sul serio? Era molto bella.»
 
Accolgo prudentemente la bugia che prudentemente mi è stata rifilata e ringrazio.
Le sue grandi mani mi ustionano le gambe, lì appoggiate, e posso sentire il suo respiro sulla pelle quando si avvicina un po' di più con il viso.
 
«Hai mandato fuori mamma per dirmi che sono migliorato con il pianoforte?»
L'ho detto o l'ho pensato?
Sospiro furioso di mio padre: l'ho detto. 
Si alza, ora è lui a essere in alto, freddo improvviso nel punto delle mie gambe da cui ha tolto le mani.
«Matthew. Non-- perché devi sempre complicare le cose?»
Il tono è decisamente cambiato.
«Era solo una domanda.»
Ma lui non pare voler sentire scuse e ricomincia a farmi la predica, anche se con meno trasporto di prima.
Non so se ridere o piangere, così smetto di ascoltare per riflettere meglio sulla questione e aspettare con calma che concluda il suo discorso.
Parla, parla, si agita e parla.
«--E cazzo, ascoltami, quando ti dico le cose!» grida.
Non l'avevo mai sentito dire parolacce. Non a me. Beh, non ci parlo poi così spesso.
«Pensavo volessi dirmi qualcosa di importante!»
«Ah sì?» urla «E per te non è importante la mia approvazione per quello che fai?»
«Lo sarebbe, se solo fosse reale!» grido, e sono già in piedi.
 
Per un attimo penso che stia per uccidermi, dato il modo in cui mi guarda.
«Come, scusa?» chiede retorico, in un sussurro.
«I-- niente.»
«Cosa vuoi di più, Matthew? Cosa devo fare, d'altro, per te?»
D'altro?
Perché c'è anche qualcosa che hai già fatto?
«Non so.»
«Non sai.» ripete «A sentir te non sai mai nulla.»
«Io...»
 
Mi guarda e annuisce, come a dare conferma a un'idea formatasi nella sua testa; cerca di calmarsi - e con risultati buoni, devo dire, se non fosse per il velo di tristezza nella voce -.
«Io odio arrabbiarmi con te, lo sai questo?»
«Sì.»
«E... ti sarai accorto che non è un grande periodo, per me e la mamma, sì?»
Faccio sì con la testa.
«Volevo chiederti cosa volessi fare per il tuo compleanno.»
«Il-- il mio compleanno?»
«Sì, Matthew. Il tuo quattordicesimo compleanno. Se vuoi organizzare qualcosa, qualsiasi cosa, a noi va bene.»
«Volevi dirmi questo?»
«Sì. Ho detto a mamma che dovevamo parlare di..."cose da uomini". Non stavi ascoltando?»
«Er...no, io...mi--»
«Smettila di balbettare, Matt. Respira, piuttosto.»
Cerca di sorridermi, di riprendere in mano la situazione.
«Beh, pensavo-- magari sto a casa e...»
«Non vuoi invitare nessuno?»
«Beh, D--»
«--A parte Dom, s'intende.»
A mio padre non è mai andato a genio. Non è abbastanza figo o cazzate simili, immagino. 
«In realtà...non penso di fare una festa.»
«Hey, come no? Sarebbe grandioso! Perché non inviti tutta la scuola?»
Vediamo...perché sono uno sfigato e verrebbero solo quelli del club di paleontologia - anzi, neanche, perché non hanno il permesso di uscire la sera -?
«Non--» mi blocco in tempo prima di proferire un'altro "non so" «Er...voglio dire, davvero, preferirei di no.»
«Neanche se me ne andassi lasciandoti casa libera?»
Se facessi una festa per ogni volta che mio padre se ne va e mi lascia "casa libera", gli invitati farebbero prima a trasferirsi qui.
«No, papà. Sul serio. Non mi va.»
Lui alza un angolo della bocca, deluso, credo. O completamente indifferente.
«Hai vinto. Fa' come preferisci. Non c'è davvero nulla che vorresti fare?»
«No.»
Sospira.
«Allora io torno di sotto. Dimmelo, se cambi idea, d'accordo?»
«Sì, certo. G-grazie.»
 
Sta per uscire dalla mia stanza, la mano sull'ottone della maniglia.
«Asp-- papà!»
«Cosa, Matthew?»
«Er...magari potremmo andare a fare un picnic.»
Sembra stupito.
«Un-- un picnic
«Sì!»
«E con chi?»
«Beh, pensavo...io, la mamma, Paul, Dom e-- cioè, se tu quel giorno puoi...»
Annuisce come se gli avessi confessato qualcosa di sconcertante.
«Mh...ok. Ok, si può fare!»
«Davvero? Ci-- ci sarai
«Certo!»
«Oh, beh-- wow. Grazie.»
Sorride ancora.
«Sei sicuro di non volere la cena?»
«Sì, sto bene così.»
«Ok. Mangerai di più domattina. Buonanotte, Matthew.»
«Buonanotte, papà.»
 
Mi sdraio piano sul letto, respirando a fondo il profumo di pulito delle coperte appena lavate.
L'idea per il compleanno è fantastica e non vedo l'ora.
Ripenso alla giornata passata con Dom - ridacchiando da solo al ricordo dei nostri discorsi - e all'idea del picnic, e a mio padre, a cui piace quello che faccio.
Sono felice, e mi addormento quasi subito.
 
 
*
 
 
Mi risveglio con il sapore del digiuno in bocca - che ore sono? Ah, è l'una - e una fame atavica.
Mi alzo piano, rendendomi conto di essere ancora vestito, e mi addentro nel buio del corridoio per intraprendere il mio viaggio verso il frigo.
Non ho neanche iniziato a scendere le scale e noto che la luce della cucina è ancora accesa.
Ascolto.
Non sento, cazzo.
Gradino, gradino, gradino.
Due voci.
Gradino, gradino, gradino.
Questa è mia madre.
Questo è mio padre.
Ora posso distinguere ogni parola chiaramente.
Mi siedo, la mano sinistra aggrappata ad una delle sbarre di ferro della ringhiera, e decido che starò qui, immobile sulle scale, ad ascoltarli finché non finiranno, a sentire cosa si dicono quando non sono davanti a noi. Non importa cosa succederà dopo.
 
 
 
*** *** ***
 
 
 
 
 
Ecco, perdonatemi l'arrancante comicità iniziale, non volevo illudervi *O* tipo "Ahah, ahah, ahah ridiamBUM! Angst."
 
Spero comunque vi sia piaciuto, ci vediamo con il prossimo! *v* 
 
Cheers! ♡ 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Matthew, sforzo inutile ***


Ciao a tutti! ♡
Come va?
How are you?
Comònsa va? *pwo_ non ha mai studiato francese quindi scrive come si pronuncia, attaccando le parole a suo piacimento*
 
Intanto scusatemi tutte per la lentezza ad aggiornare, è stata una settimana un po' faticosa *_*
 
Poi vorrei ringraziare tutte voi che avete recensito, siete davvero tantissime, non me lo sarei mai aspettata! X) che onore! Grazie davvero ad A li, neurodramaticfool, Linnea, PallinaRosa, LadyInRed, Tessa_Fix e PwoperFish ♡, spero di continuare ad interessarvi!
 
Buona lettura, noi ci vediamo più giù! *v*
 
pwo_


*** *** ***


Matthew, sforzo inutile
 
 
 
Domenica, 7 giugno 1992
 
 
«--Non lo so, Marilyn!»
«Cosa ti costa, George, eh? Cosa ti costa, per una buona volta nella tua vita, farlo contento?»
«Mary, cazzo, gli ho proposto di organizzare la festa più grandiosa che ci sia, di invitare chi vuole, di conoscere nuova gente, che...che cosa devo fare di più?»
«Oddio - quello che a lui interessa è altro! Come fai a non arrivarci?»
«Marilyn, mi ha chiesto di fare un picnic! Un picnic, ti rendi conto?»
«E allora? Avresti preferito che ti chiedesse di organizzare un'orgia?»
«Ma che discorsi sono? Paul, al--»
«George, ne abbiamo già parlato, mi sembra. Non puoi paragonare Matthew a Paul, sono troppo diversi, che a te piaccia o no.»
«Marilyn, mi stai facendo incazzare! Non li sto paragonando, lo sai che li amo entrambi allo stesso modo!»
«E allora spiegami perché ti scandalizzi tanto all'idea di organizzare un picnic!»
«Non è per quel picnic di merda!»
 
Mi sento morire.
 
«E allora qual è il problema? Che cosa ha fatto di male?»
«Nulla! È proprio questo il punto! Matthew non fa nulla! Ti rendi conto che trascorre le sue giornate sempre con la stessa persona, o a suonare, o a leggere?»
«E allora, George? E allora? Va bene a scuola, non ci dà mai problemi, fa quello che deve fare, è intelligente, cosa--?»
 
La voce di mia madre trema sotto il peso di un pianto che fatica a trattenersi, lo percepisco chiaramente.
 
«Marilyn, io sono preoccupato per lui!»
«Non sei preoccupato, sei impazzito, George! Perché mai dovresti essere preoccupato?»
«Perché io provo ad avvicinarmi a lui, a dargli conferme, e quando parla con me sembra quasi...quasi-- imbalsamato!»
 
Ascolto.
 
«La verità è che ti rode il culo ad ammettere che sei tu, il problema, e non lui! Non ci sei mai, George!»
«Non dire cazzate, Marylin, ricordati che senza di me non riusciresti a tirare su neanche uno dei nostri figli!»
 
Le grida scalpitano sotto ai sussurri, che diventano acuti e strozzati, quel tanto che basta a non farsi sentire.
Da Paul. Perché io sono qui e sento benissimo.
E mio padre impreca, e mia madre piange.
E ascolto il silenzio, che si protrae per qualche secondo, finché una voce arrochita dalla tristezza non lo spezza nuovamente.
 
«Al suo decimo compleanno ti ha chiesto di andare al luna park insieme. E tu non c'eri. Quando è stato investito da quella macchina ha passato due notti in ospedale. E tu non c'eri.»
«Non azzard-- non era nulla di grave!»
«Alla festa di natale della scuola quando ti ha dedicato quel cazzo di pezzo al piano stava per vomitare dall'emozione. E tu non c'eri.»
 
Silenzio, silenzio, silenzio.
 
«Ora ti è più chiaro, George?»
«Quindi il problema che ha causato tutto questo casino secondo te sarei io?»
«No. Il problema che ha causato tutto questo casino siamo noi. Io e te. Ma ciò che ti ha portato a non avere rapporti con tuo figlio sei solo tu!»
 
A non avere rapporti con tuo figlio.
 
Non ho rapporti con mio padre.
 
«Marilyn, porca puttana, Matthew è lo zimbello di tutta la città, vuoi aprire gli occhi?»
«No-- non...»
 
Mia madre scoppia in lacrime, mio padre impreca.
 
«Basta, George! Ora è davvero troppo! Non ti permetto di parlare così di mio figlio!»
«Matthew è anche mio figlio, nel caso non te ne fossi accorta! E credo che tra noi chi ha più intenzione di farlo crescere felice sia io!»
«Ah, sì? E come? Dicendogli tutto ciò che pensi ma non hai le palle di dirgli? Dicendogli che il picnic è da ritardati? O dicendogli che ha un taglio di capelli da sfigato?»
 
Mi tocco i capelli abbracciandone con le dita una lunga ciocca, dalla radice alla punta.
Troppo lisci, troppo lunghi, e me l'hanno detto un milione di ragazzi, a scuola, mi pareva sciocco, superficiale, ma ora li odio, e vorrei solo rasarmi a zero, poi nascondermi e poi uscire allo scoperto e farmi vedere da mio padre, per dirgli guarda, li ho tagliati, ti piaccio ora?
 
Mia madre continua a parlare, combattendo il pianto, mentre le mie guance si bagnano di acqua e di sale, piano, pianissimo.
 
«Tu non-- non lo conosci nemmeno. Non sai nulla, di lui, meno ancora che di Paul. Non sai nulla, di Matthew. Lo sai che ha buone probabilità di vincere una borsa di studio? Lo sai che il suo sogno è andare a vivere a Londra? Lo sai che ha iniziato a suonare il piano solo perché tu gli hai detto di farlo? Lo sai che uno stronzo di nome Chase Wayne lo ha quasi ammazzato di botte, la scorsa settimana, a scuola?»
«...»
 
Non lo sai, papà, è inutile che stai zitto.
 
Riattacco entrambe le mani alla sbarra della ringhiera, stringendomici contro finché non fa male, inspirando forte l'odore metallico e asciugandomi le lacrime perché fa freddo, con la faccia bagnata.
 
«Lui ha-- ha smesso di mangiare, l'ho intravisto mentre si cambiava, l'altro giorno. È magro da far paura, ma non lo ammette, e io--»
«Mary, io ti prometto che ci sarò, ok?» il tono calmo e confortante «Dammi tempo fino a Domenica. Domenica metterò le mie valigie fuori da questa casa, mh? Abbiamo deciso così e così sarà.»
«Non-- non è questo il punto, George. Lo so, che ci sarai. Ma i ragazzi, io non so neanche come dir--»
 
I singhiozzi convulsi spezzano le parole di mia madre e rimbalzano sulle pareti della cucina, che li affila e me li scaglia contro, in faccia, nel petto, nelle ossa.
 
Abbiamo deciso. 
Così sarà.
Domenica metterò le mie valigie fuori da questa casa.
 
Mi dimentico di come si faccia a respirare, affogando nelle mie stesse lacrime, che ormai mi rendono cieco e cadono, piano, piano, piano, pianissimo.
 
«A loro parleremo insieme, sono in gamba, capiranno. Sarebbe peggio andare avanti così, Mary.»
la sua voce soffocata da qualcosa, che credo sia mia madre.
La sta abbracciando, immagino.
 
Smetto di ascoltare e ho freddo, tanto freddo.
Potrei morire di ipotermia, e mi stringo ancora per qualche secondo contro la ringhiera, come se fosse un amico, come se fosse Dom, prima di alzarmi piano, in silenzio, per tornare in stanza.
 
Non è giusto.
 
 
***
 
 
«Vuoi dei biscotti?»
 
Oh, povero me, ci risiamo.
 
«Matt, ti ho chiesto se vuoi dei biscotti.»
«Eh? No. Ah-- sì, grazie. Sì. Molti. Molti biscotti.»
«Er...o-ok. Sicuro di stare bene?»
 
Gli scarico addosso un'occhiata perplessa mentre lui annuisce deciso, un po' troppo a lungo, e mi alzo dal letto per andare in cucina.
 
Matt è il tipo di persona che non si preoccupa mai delle conseguenze delle proprie azioni. Non sarebbe una cosa terribile, se non fosse che, la maggior parte delle volte, nelle suddette azioni pensi bene di coinvolgere anche il sottoscritto. 
Stamattina - per non andare troppo lontano - ha preso a tirare i sassolini della ghiaia costeggiante la strada contro la mia finestra finché non mi sono svegliato.
 
Tutto questo alle otto. 
Di domenica
 
Pochi minuti fa ho quindi scoperto che Matt è anche il tipo di persona capace di ignorare qualsiasi tipo di insulto, anche il più cattivo, sorridendo e dicendo ciao, facciamo colazione insieme?
 
Scuoto la testa, pesantissima a causa delle mancate ore di sonno, mentre dispongo su un piattino i biscotti - ecco, questi sono i suoi preferiti -, un po' di latte e dei dolcetti (mezzi spiaccicati perché prima ho fatto cadere la scatola). 
A Matt non è mai piaciuta la colazione all'inglese.
 
«Ecco qui. Latte, biscotti e dolci.»
Matthew stacca il naso dalle foto attaccate al muro che stava osservando interessato, sorridendo beffardo.
«Grazie. Eri carino, da piccolo.»
«Lo so.» replico, divertito.
«Mh...»
«Che c'è?»
«No, nulla. È che ora sei un cesso.»
«Che cos--? Brutto--»
Parte la sua risata mefistofelica, mentre io afferro un cuscino dal letto e lo lancio nel punto in cui si trova, mancandolo inaspettatamente. Matt ride ancora,  la voce acuta come quella di una donna.
«Rimangiatelo!»
Altra risata, altro cuscino lanciato che non lo sfiora neanche.
«È inutile che cerchi di colpirmi, Howard! Sono un ninja!»
«No, Bells, non sei un ninja, sei un imbecille!» urlo, ma sto ridendo anch'io «E ora rimangiati tutto!»
«Mai! Prova a prendermi, mezza sega!» grida, iniziando a muoversi a scatti in modo ridicolo.
Lancio l'ultimo cuscino, prendendolo in piena faccia e stordendolo quel tanto che basta a bloccarlo seduto contro il muro e iniziare a fargli il solletico alla pancia.
«Aiut-- no, Dom-- puahahaha ti preg-- no, no-- pfffahaha--»
«Allora?» chiedo minaccioso, senza fermare i movimenti delle mie mani.
«I-- puahahaha smettil-- rimangio tutto, rimangio tutto!»
 
Lo abbandono squallidamente ansante sul pavimento a riprendere fiato, sedendomi sul letto e pucciando un biscotto nel mio latte freddo.
«Ora posso sapere il perché della tua improvvisa, inaspettata, inopportuna, fastidiosa--»
«--visita?» conclude per me, gattonando fino ai piedi del letto e prendendo il suo bicchiere dal comodino.
«Sì.»
«Volev-- ma è freddo, il latte?»
«No, il tuo l'ho scaldato.» lo rassicuro, con un tono falsamente annoiato.
«Ah, ecco!» esclama, con un sorriso da orecchio a orecchio. 
Inizia a sorseggiare il bianco tenendo il bicchiere con due mani e appoggiandosi con la schiena al letto, gli occhi sgranati, fissi davanti a sé.
«Allora?»
«Non so. Mi andava.»
«Matt, mi hai svegliato alle otto di mattina! Ho pensato di ucciderti, per i primi dieci minuti!»
Lui assume un'aria scandalizzata.
«È questa la tua dimostrazione di gratitudine per averti detto che hai dei bei capelli?»
«Cos--? Non mi hai mai detto che ho dei bei capelli!»
«Sono tipo un po' biondi un po' castani...» addenta un muffin al cioccolato «sono a strisce. Tipo le tigri! Ah, a proposito, torna il circo, giovedì. Sempre lo stesso. Ci andiamo e prendiamo per il culo il tizio che non riesce a stare in equilibrio sulla palla, sì?»
«Grandioso, d'accordo!»
 
Ripenso soddisfatto al circo.
...Aspetta un attimo.
 
«Hey, noi stavamo parlando del motivo per cui sei qui! Stavo per cascarci ancora!»
«Sì, stavi per cascarci ancora. Oltre che brutto, sei anche stupido.»
Risata acuta.
«Ah, ha parlat-- no, basta! Perché sei qua, Bells?»
«Non lo so, te l'ho detto!» dice, scrollando le spalle e sorridendo.
Ha qualcosa di strano, oggi.
«Matt, è tutto ok?»
«Sì! Ascolta, ci sono altri biscotti?»
«Mh...eh?-- Ah, sì, aspetta. Da quand'è che hai iniziato ad essere famelico?»
«Non so. Oggi ho fame!» sorride.
 
Non mi convinci per niente, Matt.
 
 
***
 
 
Seguo con gli occhi le gambe di Dom che si muovono veloci per andarmi a prendere qualcos'altro da mangiare e inspiro profondamente il profumo di bucato proveniente dal lenzuolo sul suo letto.
 
Inspiro, espiro, inspiro, espiro, raddrizzando la schiena, combattendo il senso di nausea che mi attanaglia lo stomaco, ripetendomi che non sarà così difficile, prendere un altro muffin, se lo mangio piano.
 
«Ecco.» la voce di Dom alle mie spalle.
 
Faccia esageratamente entusiasta.
Fatto.
Girarsi mostrando estrema contentezza. 
Fatto.
 
«Grazie grazie grazie!»
 
Addento la pasta dolce, stucchevole, pesante, con raccapriccio, non sapendo se smettere di fingere di sorridere o tirare ancora di più le labbra.
 
«Matt?»
«Sì?»
 
 
***
 
 
«Matt?»
«Sì, Dom, dimmi, ti ho sentito!» esclama sorridendo, le parole un po' impedite dal dolce che ha in bocca e tra le mani.
«Matt, dai...basta.»
«Basta cosa?»
«Smettila di mangiare.»
«Perché? Ho fame!» altro sorriso.
«Matt.»
 
Finisce in un ultimo morso il suo muffin, ma deve aver fatto male i suoi calcoli, perché è troppo grande per la sua bocca.
«Matt.»
Annaspa un po', muovendo la testa in sincronia con il movimento che i suoi denti compiono per masticare, come se aiutasse. Riesce a riprendere il controllo.
 
Sorride ancora.
 
«Matt, ti stai sforzando inutilmente.»
È seduto sul pavimento dal quale non ha accennato a spostarsi.
Mastica stancamente, piano, fino a buttare giù con un lungo sospiro.
 
Sorride ancora.
 
E sorride ancora quando mi accorgo che i suoi occhi sono gonfi, la bocca deformata da tremori continui, le guance bagnate e le mani sui capelli, per spettinarli, stravolgerli, accarezzarli forte.
 
«M-Matt.»
«No, scus--» si piega in due, spezzato dal pianto, accartocciandosi su se stesso in un rantolo silenzioso.
«Matt.» bisbiglio, accostandomi a lui, avvolgendolo con un braccio e stringendo forte.
«Scusa--»
«Hey, non devi chiedere scusa, Bells.»
Appoggio le mie labbra tra il suo collo caldo e la sua spalla, tenendole immobili, tacita conferma del mio essere lì. Sempre.
I singhiozzi iniziano a farsi sentire, sempre più violenti, sempre più scomposti.
 
E chissà da quanto ti trattenevi, Matt.
 
«Scusa, scusa, scusa--» la voce rotta.
«Non devi scusarti, Bells. Sfogati. Io sono qui.»
 
 
 
*** *** ***
 
 
 
 
Ehe. *compare* Ecco. Non so che dire, è stato un capitolo abbastanza naturale, da scrivere; ora sta a voi dirmi se vi è piaciuto o meno! Se avete un minuto, fatemi sapere! ♡
Cheers e grazie di essere arrivate qui *v*,
 
pwo_
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Matthew, decisione drastica ***


Ciao ciao ciao! *v*
 
Allora, capitolo scritto più di cuore che di testa; io mi sono presa una bella influenza, quindi ieri e oggi sono rimasta casa *ma chissenefrega?*, sdraiata sul divano - con tanto di coperta da anziana - a scrivere furiosamente sull'app del telefono che ha il coraggio leonino di ospitare le mie creazioni (un minuto di silenzio per l'app eroica). Quindi...tanto tempo per questa fic! Yeah! (Perdonate l'entusiasmo superfluo, ma la febbre mi mette addosso una certa euforia).
 
A parte gli scherzi, dato che dal capitolo 1 al capitolo 2 ho fatto passare un po' di tempo e vi sarà cresciuta la muffa in testa *eh?*, ho cercato di essere più veloce!
 
Poi vorrei ringraziare tutte voi che continuate a seguire e a recensire, siete tutte carinissime! Ciao N e n a, bentornata! :3
 
Eccovi il capitolo 3! 
 
pwo_
 
 
*** *** ***
 
 
Matthew, decisione drastica
 
 
 
Lunedì, 8 giugno 1992
 
 
Sono le sei del mattino.
 
Mi alzo piano per non svegliarti.
 
Hai passato la giornata di ieri alternando sfoghi furiosi a silenzi pesanti, e hai mangiato qualcosa solo a cena, più per sopravvivenza che per fame. E io mi sono sentito un idiota, perché non ho saputo far altro che ascoltarti e basta, perché non sono nella posizione di consolarti, e ora che è certo che tuo padre se ne andrà non posso neanche darti la forza di sperare.
 
Hai avvisato a casa che ti saresti fermato a dormire da me, stanotte, e adesso, come al solito, sei rannicchiato su un lato del mio letto, in una posizione scoordinata, con tutte le mie coperte tirate su di te. 
Perché sì, è giugno, ma tu dormi ancora con le coperte di lana e costringi anche me a tenerle, fa un fottuto freddo, dici, come fai a restare vivo?
 
Mi trascino fino alla porta del bagno per farmi una doccia che laverà via il sudore di cui sono ricoperto a causa del tuo essere così freddoloso e mi richiudo la porta alle spalle.
 
 
***
 
 
Al mio risveglio Dom non è accanto a me, quindi, com'è ovvio che sia, vado in ansia e mi alzo per cercarlo, sapere dov'è e con chi, perché e come, e quanto tempo ha intenzione di lasciar passare prima di tornare da me.
 
Durante la mia accurata ricerca apro anche i cassetti.
 
Sì, certo.
Hey, Dom, sei nel cassetto?
 
Mi giustifico dicendomi che sono le sei e un quarto del mattino e che di solito a quest'ora sto ancora dormendo, sdraiato nel mio letto a russare e sbavare sul cuscino.
Che bella immagine.
 
Mi passo le mani sulla faccia e barcollo in direzione del bagno, contro la cui porta mi accascio rumorosamente. 
«Mghh-- Dom, sei lì?»
«Sì, en--»
Abbasso la maniglia ed entro.
«--tra pure.» conclude Dom con aria di disappunto.
 
 
***
 
 
Quando Matt fa ingresso nel piccolo bagno di camera mia ha ancora gli occhi chiusi dal sonno e inizia a muovere le braccia come un ossesso, come se volesse scacciare uno sciame di insetti.
«Porca putt-- dove cazzo siamo, Dom, sul sole? Spegni la luce subito!» mugugna, le parole un po' impastate dal sonno.
 
Raggiunge l'interruttore e la spegne personalmente, facendo calare la stanza nel buio più assoluto.
 
«Cristo, Bells, sto facendo delle cose! Non rompere e vai a dormire!»
«Sono le cazzo di sei e venti, Dom. Perché sei completamente vestito e ti stai spruzzando la colonia?»
«Perché mi hai lanciato giù dal letto con una manata durante un tuo delirio notturno e perché tanto alle sette io mi alzo comunque.»
 
Qualche secondo di silenzio.
 
«Ehe. Ti ho lanciato giù dal letto.»
Matt ride di una risata idiota, acuta.
«Sì. Mi hai lanciato giù dal letto. E ora esci.»
«Sei noioso, Howard.»
«Esci.»
«E brutto.»
«Esci.»
«E stupido.»
«Esci. Ora.»
«E va bene, e va bene, me ne vado. Che modi.»
 
E mi lascia finalmente solo, borbottando qualcosa riguardo le cattive maniere che ho usato con lui. 
 
 
*
 
 
«Matt?»
Niente.
«Matt?»
Il corpo del mio amico giace immobile sul letto e non dà segni di vita, almeno finché non lo scuoto un po' con le mani.
«Mn.»
«Matt, forza, svegliati.»
«Mno.»
«Matt, devi alzarti, c'è scuola.»
«'Fculo.»
«No, Matt, non mi va di piegarmi al tuo fancazzismo, arriveremo puntuali, d'accordo?»
«Mno.»
 
Perché, perché, perché a me?
 
«Proprio non vuoi alzarti, eh?»
«Mno.»
«Bene. Allora ci vediamo stasera e magari, se avrò tempo, parleremo dei dettagli per il tuo compleanno di domani. Se mi andrà, certo.»
«St'zo.»
 
Mentre sistemo i libri nello zaino sento già Matt muoversi dietro di me. Ho vinto.
 
 
***
 
 
«Vi prego, qualcuno fermi questo strazio!» sussurro, mentre un ragazzo che frequenta il corso di musica con noi tenta invano di suonare Bach al violoncello.
«Ma quanto dura?» chiede Dom, ironico.
«Boh. Ma magari questo pensa pure di essere bravo.»
 
La performance si conclude, con mio grande sollievo, per lasciare spazio a qualche mormorio divertito.
 
La professoressa esordisce schiarendosi la voce imbarazzata.
«Mh...ascolta Stewart...si vede che hai studiato, ma...credo che il tuo problema sia l'applicare una pressoché solida base di conoscenze teoriche ad un contesto più reale e pratico che è poi lo strumento musicale, non so se mi spiego...»
Immagino che questa sia una lunga parafrasi per evitare un più schietto "no, guarda, lascia stare" e mi volto verso Dom per chiacchierare un po' e far passare velocemente l'ora.
 
«Dom.»
«Cosa?»
«Pensi che dovrei cambiare taglio?»
«Mh...non ci ho mai pensato. Perché lo chiedi?»
«Così.»
«Ora che me lo fai notare, forse potresti accorciarli. Sì. Sì, penso che staresti meglio.»
«Credo anch'io.»
 
«Ah, cosa vorresti mangiare per il picnic?»
«I miei gusti li conosci, mi piace come cucina tua madre, quindi fai tu.»
«La torta è al cioccolato, credo.»
«Va più che bene, direi, no?»
«Sì, credo. Anche se--»
«Bells. Deve piacere a te, il picnic, non a lui.»
Annuisco. Ha ragione.
 
«Hey. Come va oggi?» chiede piano.
«Meglio.»
«Non è vero.» mormora dopo un po'.
«Lo so.»
C'è un attimo di silenzio, prima che Dom riprenda a parlare.
«Sarà bello, domani, Bells. Starai bene.»
«Sì, questo sì.» sorrido.
 
 
*
 
 
La colonna sonora della cena è un susseguirsi di schiocchi e tintinnii, forchette contro i piatti e acqua versata nei bicchieri.
Domina il silenzio, e stavolta sto ascoltando, giuro.
 
Mamma e papà hanno litigato ancora, si sente nell'aria, e di tanto in tanto Paul si aggrappa a me con qualche occhiata solidale.
Vi prego, qualcuno dica qualcosa.
 
«Com'è andata oggi a scuola?» chiede mio padre.
«Non male.» è la risposta di Paul.
«Non so.» è la mia.
Oh, cazzo, "non so" a papà non piace.
«C-Cioè, ho-ho riso molto, a musica, perché c'era un tizio che non sapeva suonare Bach e sentirlo era una vera tortura.»
«Chi è questo ragazzo?» 
«Boh, non so il nome.»
«Fai musica da quattro anni e non sai ancora i nomi dei tuoi compagni? Non è un po' strano?» lo chiede sforzandosi di sembrare scherzoso, ma la critica che c'è sotto preme per uscire dalla sua voce.
«Siamo in tanti.»
«Potresti fare uno sforzo, non credi?»
«George...» interviene mia madre.
Ma a me va di rispondere.
«Non sono persone con cui condivido molto.»
«Ma se non fai nulla per stare con loro sarà sempre così, no?»
«Stai cercando di dirmi qualcosa, papà?» chiedo, con una fermezza che non mi appartiene.
«Come, scusa?»
«Stai cercando di dirmi qualcosa?»
 
Le mie parole creano un attimo di gelo, Paul fissa la carne nel suo piatto con improvviso interesse, roteando la forchetta con movimenti casuali, mia madre sembra non sapere cosa dire e mio padre mi guarda negli occhi.
 
È lui a rompere il silenzio.
«Spostati più indietro sulla seggiola, Matthew. Hai i capelli nel piatto.»
Che figlio di puttana.
 
Non dico nulla, mi viene solo la nausea, mi alzo dal tavolo e percorro le scale, Paul sta cercando di fermarmi, sto bene, Paul, lasciami, mia madre grida, mio padre anche, non ascolto.
 
Mi chiudo nella mia stanza, giro un po' a vuoto finché non trovo quello che cerco, apro la porta del bagno e giro la chiave.
 
La mia immagine allo specchio è patetica, livida, smunta.
Triste.
 
E muovo la mano destra su e giù per sentire quanto pesa la forbice sopra di essa, prima di impugnarla per bene e avvicinarla ai miei capelli.
 
E qualcuno bussa, mentre comincio piano, perché dà più soddisfazione.
Taglio poco le punte, per poi accorciare sempre di più la lunghezza, e qualcuno bussa, ma non ascolto, mentre non faccio altro che seguire il movimento leggero dei capelli che cadono, volteggiando un po' prima di posarsi a terra, e qualcuno bussa e parla, dall'altra parte del legno.
 
E quando penso di aver ottenuto il risultato desiderato sorrido alla mia immagine riflessa, e non bussa più nessuno.
 
 
 
*** *** ***
 
 
 
 
 
Vi prego, so che è corto, ma abbiate pietà, è solo uno sciocco capitolo di transizione! T_T 
 
Spero vi sia comunque piaciuto almeno un po', ditemelo, se vi va. *v* 
 
Ci vediamo presto (spero) con il capitolo 4, ma intanto grazie di aver letto!
 
Cheers,
 
pwo_
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Matthew, soluzione ***


Buondì! \(*v*)/ 
 
Eccomi tornata con il capitolo 4! *v*
Per la prima volta da quando ho iniziato questa storia è stato proprio difficile scrivere ç_ç. Speriamo bene! 
 
Ma veniamo a voi! Non so che dire, sul serio, siete tantissime! *O* non so far altro che ringraziarvi e scusarmi se a volte non sono velocissima a rispondere alle recensioni o ad aggiornare! ç_ç
Quindi grazie davvero, di recensire e di leggere questa fic triste triste. <3 
Non sono una scrittrice troppo allegra, lo so. *pwo_, veramente non sei neanche una scrittrice*.
 
Comunque, io vi mando un bacio e vi auguro buona lettura *v*
 
Enjoy!
 
pwo_
 
 
*** *** ***
 
Matthew, soluzione
 
 
 
Martedì, 9 giugno 1992
 
 
Mi sveglio con la faccia premuta contro il cuscino, vestito esattamente come ieri, ad eccezione di pantaloni e scarpe, che giacciono da qualche parte per terra - ebbene sì, ho tenuto anche i calzini.
C'è qualcosa che mi disturba.
 
Realizzo solo dopo qualche secondo che è il mio compleanno e che ciò che mi disturba è il bussare continuo alla mia porta.
 
Dio, che palle.
Mi alzo ad aprire e mi rilancio immediatamente sul letto, senza nemmeno fare caso a chi ci sia sulla soglia.
Una voce sussurrata. Mia mamma.
«Buongiorno, Matthew, au-- oddio, ma cosa hai fatto ai capelli?»
«'Gliati.» soffio contro il cuscino.
«M-ma...quando?»
«Ieri.»
 
La sento sedersi accanto a me e cominciare a percorrermi il corpo con lunghe carezze, dalla testa alla schiena.
«È tutto ok, tesoro?» chiede in un sussurro, dopo un po'.
«Mh-mh.» rispondo, faccia contro la federa.
«Mi dispiace tanto per quello che è successo ieri, a cena. »
«'On importa.»
«Hey. Sì, che importa. Papà non voleva offenderti.»
E perché non è venuto lui a dirmelo?
«Tanto a lui quel taglio non piaceva.»
«Ma, no, tesoro, perché dici questo?»
«Non so.» e premo ancora di più la faccia contro il cuscino, mentre mento.
«Ma no, Matt, ora farete pace, oggi è un gran giorno, no? Auguri, quattordicenne!»
«'Anks, mom
«Ti alzi?»
«Mmmh...»
«Hey, ti ho accordato l'assenza da scuola, ma tu vienimi incontro!»
 
Mi tiro in piedi con l'agilità di un ottantenne e inizio a scegliere i vestiti da mettermi.
 
 
*
 
 
«Auguri, Bells!» esclama Dom, lanciandomisi contro non appena gli apro.
«G-grazie, Dom.»
«Oddio, ma cosa hai fatto ai capelli?»
Questa frase deve avere un qualcosa di speciale, a quanto pare.
«Tagliati.»
«Qu--»
«Ieri. Entra!»
«Oh...ok...per te.» dice, porgendomi un pacco abbastanza grande «Però aprilo quando te lo dico io, sì?»
«Sì. Grazie, Dom.»
«Ma figurati.»
 
In cucina mia madre sta sistemando le ultime cose per il picnic.
«Buongiorno, signora Bellamy!»
«Oh, ciao, Dominic, benvenuto! Come stai?»
«Bene, grazie, mia madre la saluta.»
«Ah, salutamela tanto. Sei pronto, per oggi?»
«Ovvio che sì! Ah, a proposito» dice, guardandomi con la coda dell'occhio «per caso stasera Matthew è libero? Cioè, se avete programmi non importa--»
«Beh, direi proprio di sì. È libero, intendo. Vero, tesoro?»
«Sì! Sì, lo sono.»
«Allora può dormire da me?»
«Per me non ci sono problemi! Oggi è un giorno speciale.» dice mia madre.
 
Mio padre entra nella stanza con passo pesante, un sorriso tirato sulle labbra.
«Allora, siete pronti? -- Oh, ciao, Dominic.»
«Buongiorno, signore.»
«Preparate le vostre cose, saliamo in macchina.»
 
 
***
 
 
Il viaggio nel grande suv di George Bellamy si prospetta più che piacevole; l'auto è comoda e spaziosa e sono seduto accanto a Matt, il che è sempre una garanzia.
 
Io e Matt chiacchieriamo, Paul ascolta la musica e i genitori, davanti, stanno in silenzio, la radio accesa al volume minimo.
«Ho sonno.»
«Oh, e andiamo, Bells!»
«Senti, non rompere, Dom.»
«Matt, ogni volta che saliamo su un mezzo di trasporto o vomiti o dormi!»
«E allora? È il motore che mi culla -- o che mi nausea, certo.»
Scuoto un po' la testa e porto gli occhi ai capelli del mio amico.
«Ma te li sei tagliati da solo?»
«Sì.»
«Ma sai che non sono per niente male, dico, sei bravo! Forse perché sei spettinato--»
«No, Howard, sono bravo, dici bene!» replica lui, occhi chiusi e testa rilassata contro il sedile, pronto ad una lunga dormita.
«Se non sfondi nella musica sappiamo che lavoro farti fare!» 
 
 
*
 
 
Dopo neanche dieci curve, Matthew si è sbilanciato fino a cadermi addosso, come previsto, quindi ora la sua faccia è spalmata contro la mia spalla destra, il suo respiro caldo sulla mia pelle.
 
E mi manca subito il fiato quando i miei occhi captano il movimento veloce dei tergicristalli sul parabrezza.
Piove.
Il padre di Matt impreca, la madre si prende la testa tra le mani e Paul accarezza velocemente la testa del fratello, ancora ignaro, addormentato contro di me.
«Quando si sveglierà...»
«Non preoccuparti, Mary, troveremo una soluzione.»
«Torneremo a casa?» chiede Paul.
«Ormai siamo troppo lontani, e--»
«Scusate! Io starei dormendo.» pigola la voce di Matt, gli occhi ancora chiusi.
«Tesoro, non so come dirtelo...»
 
Matt apre gli occhi e sbadiglia. 
Guarda distrattamente fuori dalla finestrino, e la sua espressione si trasforma in una smorfia di dispiacere e delusione.
«Ma-- ma piove...»
La madre compare dal sedile davanti.
«Tesoro, mi dispiace tanto...»
Matt si stropiccia gli occhi per eliminarne le rimanenti tracce di sonno.
«Non importa.» bisbiglia.
«Hey, Bells, non c'è problema, troviamo una soluzione!» cerco di rallegrarlo io «C'è qualche altro posto dove vorresti andare?»
 
Matt scrolla le spalle e mi sento inutile, perché sembra un bambino inconsolabile.
«Ci sarebbe il luna park, ma con la pioggia non so se--»
«Non importa, mamma.» la interrompe Matt «A me va bene se mangiamo in macchina e torniamo a casa, davvero, non c'è problema.» dice, sorridendo.
«Se no c'è sempre il Mac Donald's!» si inserisce Paul.
«Non è una cattiva idea!» rincaro.
«Mh...sì, perché no? Va bene!» esclama Matt, un sorriso da orecchio a orecchio.
 
Sorride sinceramente e sono invidioso del modo in cui riesce a farlo.
 
 
***
 
 
Il pranzo da Mac Donald's mi va bene.
 
E per quanto possa essere triste ammetterlo, nella mia testa ora lo ammetto, sì, che il picnic era solo un pretesto per costringere mio padre a stare con me.
Niente chiamate di lavoro a casa e niente possibilità di andarsene all'improvviso.
E Mac Donald's o picnic non fa differenza, no?
 
È per questo che sorrido, a venti chilometri da Teignmouth, in un giorno di pioggia.
 
 
*
 
 
«Doppio...Cheeseburger...perfetto, e per te?»
«Mmmh...che sorprese avete, nell'Happy Meal?»
«Oddio, Bells, davvero
Mi volto verso Dom lentamente, in modo teatrale, come piace a me.
«Non mi pare ci sia un limite d'età.» dico, per poi rivolgermi alla cameriera «C'è un limite d'età, per l'Happy Meal?»
Lei ride insolentemente sotto i baffi - e in questo caso non è solo un modo di dire.
«No, no, certo che non c'è.»
«Bene. Che sorprese sono rimaste?» chiedo ancora, pazientemente.
«Er...ci sono...dunque, la macchinina dei pompieri» inizia, trattenendo a stento un risolino «e poi l'ambulanza--»
«I pompieri, i pompieri, grazie.»
«Perfetto, allora. Ci vorrà solo un minuto.» conclude, una smorfia tremolante dipinta in viso nel tentativo di non scoppiarmi a ridere in faccia.
 
Cameriera Insolente se ne va, e mi accorgo solo ora del fatto che i componenti della mia famiglia al completo - e Dom - mi stanno fissando sbigottiti.
«Che c'è?» sbotto.
«Bells, hai appena preso un menù studiato apposta per bambini di età compresa tra i quattro e i sette anni.»
«Hey, Dom.» replico serissimo, puntandogli il dito contro con fare accusatorio «Ti danno una macchinina in regalo. È una cosa seria.»
Dom ride, e quando ritorna Cameriera Insolente con i nostri ordini è curioso di aprire la sorpresa anche lui.
 
 
***
 
 
Ecco.
Lo sta facendo ancora.
Matt solleva la fetta di pane che chiude il suo toast e osserva il ripeno di prosciutto e formaggio.
 
E potrei scherzarci ancora su, ma è suo padre a prendere la parola, e non so come, ma so già che andrà male.
«Matthew
«Mh?» è la sua risposta, mentre è intento a toccare con diffidenza gli ingredienti del panino.
«Smettila subito. Ci stanno guardando tutti.»
Matt solleva finalmente la testa, lo guarda, e non dice nulla, e immagino che se oggi non fosse il suo compleanno probabilmente gli avrebbe già risposto male.
«Stavo solo controllando che non ci fosse nulla di strano.»
«Cosa vuoi che ci sia, di strano? È un panino!»
 
Matt abbassa gli occhi, umiliato davanti a noi e a chi ci stava guardando incuriosito, e prenderei le patatine e le rovescerei in testa a George Bellamy, in questo momento, se potessi.
 
Perché sì, non saprà trattare con suo figlio, però a quanto pare è sempre capace di farlo stare male.
E lo odio.
 
 
***
 
 
Com'era prevedibile, durante il pranzo mio padre ha dato il meglio di sé, nascondendo dietro a sorrisetti forzati tutte le critiche che non aveva il coraggio di rivolgermi apertamente.
 
Però non riesco a non essere contento.
 
 
*
 
 
«Er...wow, una videocamera! Grazie, papà.»
«È professionale.» dice lui, avvicinandosi per mostrarmi alcune funzioni «Così puoi coltivare un nuovo interesse!»
Ignoro il messaggio subliminale come da prassi e annuisco, riflettendo su cosa dovrei fare adesso.
 
Aspetta, forse sarebbe carino se lo abbracciassi. 
No, non è vero, sarebbe tremendamente imbarazzante, e comunque è passato il momento, ora, si sta già accendendo una sigaretta.
 
D'accordo. 
Grazie papà. 
 
Chissà quanto hai speso.
 
 
***
 
 
«Grazie della giornata, signori Bellamy! Perdonatemi se vi rubo Matt, stasera!»
«Ma figurati, caro! Se non ti è di disturbo, siamo solo contenti di saperlo con te!» esclama mamma Marilyn.
 
Saluto casa Bellamy e porto il mio amico con me, come da programma.
La strada è praticamente deserta, l'odore di pioggia preme nel naso e una brezza calda accarezza la pelle scoperta dai vestiti leggeri. 
 
«Sei contento dei regali, allora?»
«Certo che sì!» sorride lui.
«È molto bella quella videocamera, sai?»
«Sì, mi sembra...buona, ecco.»
«Sì.»
«A proposito, quand'è che posso aprire il tuo regalo?» chiede, facendo cenno con la testa al grande pacco sotto al suo braccio.
«Sei impaziente, eh?» sorrido.
«Sì.» risponde lui imbronciato, cercando di tastarlo, come se fosse possibile capire che cosa c'è all'interno.
«Manca poco, manca poco.» sorrido io, con l'aria di chi sa.
 
«E comunque sì, mi sa che sei stupido, Dom.»
Lo dice talmente all'improvviso che scoppio a ridere: «E perché, di grazia?»
«Mi hai appioppato questo pacco enorme, mentre potevi darmelo a casa tua direttamente.»
«Non ero sicuro che saresti venuto.»
Mi allunga un'occhiata compassionevole: «Oh, e andiamo, Howard.»
 
Sorrido, e siamo quasi arrivati.
 
 
*
 
 
«Allora, questo regalo!»
Guardo l'orologio. 
«Un attimo, cazzo!»
«Dio, Dom, sto iniziando a pensare che sia una bomba.»
«Stai tranquillo, Bells.»
«Vabé, senti, io intanto mi metto a letto che ho sonno.»
«Ah, grazie della compagnia!»
 
Smette per un attimo di trafficare con il suo zaino da Stasera-Sto-A-Casa-Di-Dom e si volta: «Ma tu vieni con me.»
«Ma scusa, io non ho sonno.»
«Cazzi tuoi! A nanna, Howard!»
 
Nel poco credibile completo mutande-maglietta mi si lancia addosso a peso morto - dev'essere divertente, perché lo fa spesso - e mi costringe ad entrare nel letto.
 
Eseguo gli ordini di buon grado, perché mi fai ridere, Bells, e mi metti estremamente di buonumore. 
 
«Ora aspetta un attimo.»
Il mio amico esce dalla stanza e io aspetto, come mi è stato ordinato.
«Eeecco qua!» esclama Matt, tornando nella stanza con due coperte di lana tra le braccia.
Oh, no.
«No, Bells, no!»
«Cosa "no"?» chiede distratto, mentre stende le coperte una sopra all'altra sulle lenzuola - su di me.
«Fa un caldo cane, smettila!» grido, togliendomi quella lana ingombrante di dosso.
«Ma che cazzo dici, Dom, sei impazzito? Di notte la temperatura di abbassa!»
«Sì, ma di un grado o due, non di trecento! Io sudo, con queste!» 
«E cazzi tuoi!»
«Ma siamo a casa mia!»
«A casa tua non c'è un microclima, Howard, sai?»
«Ma che c'ent-- intendo dire che non puoi venire a casa mia e dettar legge!»
«Ah, no? Aaah, buono a sapersi!» dice, sfoggiando una finta espressione indignata «Buono davvero, Howard!»
Rido: «Sei un coglione, Bells. E comunque è ora di aprire il tuo pacchetto!»
«Cos-- adesso?»
«Sì. Mezzanotte.»
 
Mi godo la sua espressione serena mentre rompe la carta e attendo trepidante che finisca di aprire il suo regalo. 
 
 
 
*** *** ***
 
 
 
 
 
Eccomi ancora! •υ•
 
È stato terribile? ç_ç Spero di no, davvero! 
 
Grazie di aver letto, grazie se recensirete! Siete belle belle *v*
 
Un bacio, ci vediamo con il capitolo 5!
 
pwo_
 
 
 

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Capitolo 5
*** Matthew, artista ***


Bonsuà! •υ• *pwo_, smettila di cercare di parlare il francese*
 
Come state?
 
Avviso importante ~ so bene che Dom e Matt non si conoscevano affatto, da piccoli piccoli, ma qui mi serviva, quindi voi chiuderete un occhio, vero? :3 *no*
 
Sono affezionata a questo capitolo, quindi spero tanto vi piaccia!
 
Un grazie ad Alessia, che in privato è stata molto carina! <3
 
Un bacio anche a E, che mi sostiene sempre, a tutte coloro che recensiscono e a tutte coloro che seguono in silenzio!
 
Buona lettura!
 
pwo_
 
 
*** *** ***
 
 
Matthew, artista
 
 
 
Mercoledì, 10 giugno 1992
 
 
Siamo seduti per terra uno di fronte all'altro, e tu strappi la carta, felice come un bambino, in questo momento in cui ci siamo solo io, te e il tuo regalo, che ti meriti.
«Cos'è cos'è cos'è cos'è cos'è-- Oddio, Dom! Non ci-- oddio! È un telescopio! Oddio
 
Matt finisce di liberare il pacco dai lunghi nastri in cui esso è avvolto, e le mani gli tremano dall'euforia, e prende a saltare come un ossesso, da seduto.
«Oddio, Dom! Oddio
Guarda ancora un po' il disegno che ritrae il telescopio, sul cartone, prima di poggiare la scatola di lato e di lanciarmisi addosso, facendomi sbilanciare e cadere all'indietro.
«Grazie, Dom!» grida, la voce attuita dalla mia maglietta - contro cui sta premendo la faccia.
«Hey, prego!»
 
La morsa del suo abbraccio mortalmente coccoloso non accenna ad allentarsi.
«Grazie grazie grazie grazie mi piace tanto! Davvero -- oddio!»
Lo stringo a me ancora un po' prima di costringerlo a staccarsi.
«Non c'è di che, Bells-- no, è inutile che lo apri, è vuoto.»
«C-Come è vuoto?» chiede terrorizzato.
«L'ho già montato, sul mio terrazzo.» rido io «La scatola era solo per farti il pacchetto, il telescopio è già montato - l'ho montato stamattina. Vieni a provarlo?»
«Com--?»
 
È troppo in tilt per fare qualsiasi cosa, quindi lo prendo per un polso, apro la porta-finestra e lo conduco sul balcone con me.
«M-ma--» 
«Non preoccuparti, ti ho preso anche questa borsa - è fatta apposta -, così quando torni a casa la metti qui dentro senza doverlo smontare di nuovo.»
Alla vista del suo nuovo regalo si blocca, la testa che scatta tra me e il telescopio, l'indecisione sul da farsi.
«Oddio, è-- è--»
«Ti piace?» chiedo felice.
Lui annuisce forte, veloce: «Tanto! Ma-- p-perché--?» balbetta, avvicinandosi al telescopio con circospezione.
«Perché a mezzanotte?»
«Sì, intendevo quello -- perché?»
 
Lo scosto gentilmente dall'apparecchio, appoggiandomi contro la lente e ignorando i suoi “Hey! Hey, fammelo provare, è mio, ora!” dietro di me.
 
Non mi ero sbagliato, grazie al cielo.
 
Mi allontano dalla lente e poggio una mano sulla schiena di Matt per permettergli di guardare.
 
«Guarda lì, non muovere l'obiettivo.»
«Ma dov-- Oh, cazzo.»
 
 
***
 
 
Appoggio l'occhio alla lente del telescopio, e non ci posso credere.
«Oh, porca p--» le parole mi muoiono in gola.
«Hai visto?»
 
E sono un cazzo di sfigato in un paesino in culo al mondo, ma ora sto assistendo allo spettacolo più bello del mondo, perché decine di comete stanno cadendo davanti ai miei occhi, e io le sto guardando.
«D-- oh, mio-- Dom, dev-devi vederlo!» grido, senza staccarmi dall'apparecchio.
«No, Bells, guarda tu. È il tuo compleanno!»
«M-ma come facevi a saperlo?»
«Lo dicevano al notiziario. Una pioggia di meteore a mezzanotte circa del dieci giugno, non visibile ad occhio nudo, ma visibile con un telescopio, anche amatoriale. Durerà qualche ora.»
«Oddio, Dom, io--»
«Non è una gran cosa, a quanto dicevano succedono continuamente, cose così. Solo che non non ce ne accorgiamo. Figo, eh?» chiede retorico.
 
Mi stacco di malavoglia dalla lente e mi fermo un attimo a guardare il mio amico, appoggiato a braccia conserte allo stipite della porta-finestra.
E lo abbraccio, anche se magari sono noioso, a continuare a farlo.
 
«Hey, Bells. Sono solo stelle.»
No, è importante per me.
«Non devi ringraziarmi, non serve.»
 
D'accordo.
Grazie, Dom.
 
Chissà quanto ci hai pensato.
 
 
*
 
 
Non so quanto restiamo lì, in terrazza, ma è abbastanza da abituarmi alla visione di queste meravigliose comete, che ora stanno scemando.
E Dom se ne sta lì, appoggiato a quello stipite maledetto, ad aspettare che io dica basta.
 
E lo abbraccio - sì, ancora - prima di chiedergli di rientrare.
«Grazie davvero, Dom. Non so neanche cosa dire. Sul serio.» dico sincero, senza mollare la presa.
Il suo fiato, quando mi risponde, mi solletica la nuca.
«Sono contento che ti abbia tirato su, sai?»
 
Annuisco, non so davvero come ringraziarlo. 
«Ma...non si rovina, se lo lasciamo qui fuori, stanotte?»
«No, Bells, tranquillo, non piove.»
 
 
***
 
 
«Dom.»
«Sì?»
«Stai dormendo?»
«No.»
«Mh.»
 
Dio, che caldo sotto queste coperte.
 
«Che c'è, Bells?»
«Ho fame.»
«Sono le due del mattino!»
«Mangiamo?» chiede lui, ignorando bellamente ciò che ho detto.
«Matt, domani c'è scuola.»
«Per stare a fissare il soffitto morendo di fame, meglio stare a fissare il soffitto con la pancia piena, no?»
 
Sorrido nel buio. Perché no? A cena non ha toccato cibo.
 
«Aspettami qui» sussurro.
 
 
***
 
 
Aspetto in camera di Dom, aspettando che lui si ripresenti. 
Due minuti, quattro minuti, otto. 
La sveglia digitale a sottolinearli, luminosa nel buio della stanza.
 
Si apre la porta e compare lui.
«Eccomi. Accendi la luce.»
Obbedisco, sporgendomi dal letto - imprecando a causa del freddo - e tirando la cordicella dell'abat-jour.
«Cosa hai preso?» chiedo raggiante, mettendomi a sedere sul letto e rimbalzandovi sopra in modo sciocco.
 
Dom ha un grosso sacchetto in mano, di quelli di plastica un po' rigida che mia mamma e la sua usano per andare a fare la spesa e non dover comprare ogni volta le buste di Tesco.
«Beh...»
Estrae dal sacchetto una grossa tovaglia a quadretti rossi e bianchi.
«...Pensavo...dato che non hai avuto il tuo picnic...»
 
Non è possibile che tu sia così meraviglioso, Dom.
 
E mi alzo, mi accosto a lui e lo aiuto a stendere la tovaglia per terra, ad apparecchiare con i piatti di carta e a tirare fuori troppe bottiglie di bibite perché io possa anche solo pensare di riuscire ad assaggiare tutte.
E sorrido, pensando che ho sorriso più oggi, in una giornata, che in tutto il resto della settimana.
 
Sistemo anche le forchette e i coltelli - di plastica anche quelli - e rido quando scopro che in realtà in nostro spuntino consisterà in patatine, popcorn, nutella e schifezze varie.
 
Sono felice, sai, Dom? 
 
 
*
 
 
«Ma» annaspo un po', la bocca piena di patatine «questa tovaglia a quadretti molto campagnola dove l'hai presa?» chiedo divertito.
«Sei invidioso perché è molto bella, vero?» replica ironico lui.
Gli reggo il gioco.
«Sì, mi piacerebbe farmici dei pantaloni. Mi ci vedi?»
Dom ride istericamente e io mi butto addosso a lui, travolgendo tutte le bottiglie - fortunatamente ben chiuse - e facendo non meno casino di lui.
«E sta' zitto, coglione!» sibilo «Vuoi farci sentire?»
«Pfffahaha-- scusa, no, è che-- pfffahaha--»
Lo scuoto per le spalle - piano, per non fargli male.
«Maledetto! Parla! Che c'è?»
«Scusa, è che tutto questo mi ha fatto ricordare una cosa!»
«Howard. Parla. Adesso.»
Mi guarda con un sorriso sornione, compiaciuto: «E va bene. Aspetta un attimo.» dice, alzandosi da terra per prendere qualcosa da un cassetto della scrivania.
 
È voltato di spalle, ma vedo chiaramente che si sta rigirando tra le mani una grossa cartella di plastica, contenente decine e decine di fogli.
Ne estrae uno, separandolo dagli altri, ripone il resto nuovamente nel cassetto, e torna da me.
 
Mi porge ciò che ha tra le mani, senza dire nulla, e si siede di fronte a me.
 
Mi ritrovo davanti ad un disegno orripilante, che rappresenta - o meglio dovrebbe rappresentare - due ragazzi - o uomini, o bambini - completamente identici tra loro tranne per il colore dei capelli.
Sono situati su un prato fiorito, accanto a una tovaglia a quadretti imbandita di-- oh, che orrore, questa roba è una torta?
Alla destra del foglio un albero (alto come i bambini), a sinistra dei fiori (nettamente più alti dei bambini). Sopra al tutto uno strato azzurro che dovrebbe essere il cielo (solo sopra).
 
Sto per parlare ma mi blocco, ghiacciato dall'ultimo, beffardo particolare.
Sette lettere.
Una M che apre bene la sfilata di lettere successive, una A molto più in basso della M, una T che se n'è accorta, di quell'abbassamento inopportuno della scritta, e si risolleva, un'altra T svogliata, una H stranamente ben fatta, se vista a sé, e una W che ha perso decisamente il controllo, storpiata all'inverosimile.
 
M A T T H E W
 
Matthew. 
 
«Oh, no.» bisbiglio.
«Oh, sì, invece. Non te lo ricordavi?»
«Dove l'hai trovato?»
«Me l'avevi regalato tu alla fine dell'anno, Matt!»
Dom si mette al mio fianco, un sorrisetto dipinto in volto e il mento appoggiato alla mia spalla per vedere meglio il disegno.
«No. No.» sussurro, agghiacciato.
Lui ride, facendomi muovere un po' per reazione, perché mi sta addosso.
«Scuola statale di Teignmouth, classe prima elementare, anno scolastico 1983/1984--»
«--Disegno di Matthew Bellamy.» completo io, sorridendo.
«Esattamente. Tema: “You and your best friend”
 
Rimaniamo un po' in silenzio a fissare quel foglio, pochi secondi - giusto il tempo di cercare di indovinare in che modo brutale verrò preso in giro.
 
«Cazzo, Bells, facevi proprio cagare, in disegno.» 
Ecco, appunto.
«Vaffanculo!» replico, falsamente indignato.
«Dai, guarda qua!» esclama, togliendomi quell'offesa all'arte dalle mani e mettendosi a ridere «Allora, intanto la vegetazione in generale non è mai più bassa di me e te. Poi, questo palo--»
«--È un fiore, quello!» grido scandalizzato.
«Sssh, e non fare casino! Dov'eravamo rimasti? Ah, sì -- questo fiore è orrendo. Poi abbiamo: la tovaglia, che non poggia sul prato ma sta in piedi tipo tenda, opponendosi ad ogni legge della prospettiva...»
«Sei proprio uno stronzo, Howard! Ti ho pure messo nel mio disegno!»
«Ora arrivo anche a quello, voglio analizzare proprio tutto!» ride «Dunque, cosa abbiamo qui? -- la torta! Aaah, bella, complimenti!»
«Fottiti.» gli ritorco, sorridendo.
«Poi poi poi...una posata, anche se siamo in due...»
«Vedi? Vedi? Questo è profondamente significativo!» dico io «La Posata dell'Amicizia, chiaro richiamo alla condivisione con chi si ama.»
«Sì, Bells, d'accordo.»
«E non mi dire “sì” come ai matti!»
«Sì, Bells, ok.»
 
Sbuffo, ma in realtà mi sto divertendo da morire.
 
 
*
 
 
«Che ore sono?» chiede Dom.
«Le-- oh, cazzo! -- le tre e dieci.»
«Oh, merda! Aspetta, passami le cose, che le porto giù -- sì, così,  che non devo fare due viaggi -- perfetto.»
«Hai bisogno?»
«No, no, no. Arrivo.»
«Ti aspetto, sì?»
«Sì.» 
 
Mi sistemo sotto le coperte - che freddo, che fa, mamma mia - e caccio in un sospiro tutti i ricordi della giornata, immaginando di vederli fluttuare davanti a me, su uno schermo, come al cinema.
 
Sembrano passati mesi da quando ho pranzato al Mac Donald's.
Cosa mi ha regalato papà? -- Ah, già, la telecamera. 
E poi -- Oddio, il telescopio, e le comete, e il picnic in camera.
Avrei la tentazione di uscire di nuovo e attaccarmi al regalo che mi ha fatto Dom, ma so che poi non riuscirei più a staccarmi - che freddo, e ho anche sonno.
 
Mi spavento quando si apre la porta, scatto metallico, da quanto ero soprappensiero.
 
«Hey.» 
 
Dom. Amico mio.
 
Tu sali sul letto e io salgo su di te, abbracciandoti più forte che posso, finché non mi fanno male le braccia.
«Grazie, Dom.»
«E di cosa?» sorridi, anche se non ti posso vedere lo so.
«Di tutto. È stato il compleanno più bello della mia vita. Il telescopio è bellissimo. Davvero. E non avevo mai visto uno spettacolo più bello di quello.»
 
Mi stringi un po' più forte anche tu, finché non ci stacchiamo.
 
 
***
 
 
Abbraccio finito. 
Restiamo qualche secondo uno di fronte all'altro.
 
Sono così felice, di farti contento, Bells. Non sai quanto. Non lo sai.
 
Mi prendi la testa con le mani, e fai una delle tue cose tipiche, bizzarre, tenere: mi baci la fronte, le labbra asciutte e profumate di dentifricio.
 
Quanto amo questa tua mania.
 
 
***
 
 
Spegni l'abat-jour e la luce, il cui interruttore fa quel rumore che adoro. 
Clic.
 
Qualche secondo in silenzio, ognuno con i propri pensieri, sorridendo nel buio come cretini - io, almeno, sì.
 
«Dom.»
«Mh?»
«Domani dobbiamo per forza andare a scuola?»
«Sì, temo.»
«Mh.»
 
«Dom.»
«Mh?»
«Mettiti sotto alle coperte.»
«Te lo scordi! Morirò, se starò un'altra notte là sotto!»
«Niente storie, Howard.» replico deciso, alzando la stoffa per facilitargli l'ingresso.
«Bells--»
«Ho detto
 
Sbuffi, ma come al solito mi assecondi.
 
«Ecco. Contento?»
«Sì.»
 
Passano quattro minuti, la sveglia fastidiosamente puntigliosa a ricordare l'orario.
 
«E comunque quel fiore sembrava un palo.» dici, di punto in bianco, e ti do una piccola sberla, ridacchiando, prima di addormentarmi.
 
 
 
***
 
 
 
 
 
Ciao! •υ•
 
Che dire? Spero tanto che vi sia piaciuto! Grazie a tutte voi che state leggendo, sul serio! <3
Ci vediamo con il capitolo 6!
 
Pace!
 
pwo_
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Matthew, dieci parole ***


 

Buonasera! *v*
 
Dunque:
 
1) Sono ORRIBILE, il ritardo nel rispondere alle vostre recensioni è inqualificabile. Siete davvero tantissime e non sapete quanto questo mi faccia piacere, non me lo sarei mai aspettata! Un grande grazie a tutte voi.
2) Il ritardo è in pandàn pendant con quello nell'aggiornare, ma sono stata molto impegnata con delle altre fic (work in progress :3) e con una cosina in collaborazione con Endlessly (ciao, E., amica mia).
3) Mi dispiace tanto che il capitolo sia corto ç_ç
4) Ciao ad Alessia, che so che c'è! ;) Noi ci sentiamo su twitter, vero? 
 
Questo capitolo è per Endlessly.
Grazie di tutto <3
 
Buona lettura e grazie di essere su questa pagina! :3
 
pwo_
 
 
*** *** ***
 
Matthew, dieci parole
 
 
 
Giovedì, 11 giugno 1992
 
 
«Ci sono delle-- tipo-- formine?»
«Sì, prendile, sono in quell'armadietto.» 
Seguo il dito di Dom e apro l'anta che indica, poco distante da me, per estrarne un cestino contenente decine di attrezzi in acciaio - quello che stavo cercando.
«E così sei un cuoco.» esordisco, lanciandogli un'occhiata in tralice «Che cosa da froci.»
«Fottiti, Bells. E poi mi sembra che sia stato tu a pregarmi di insegnarti qualcosa, no?»
«Sei tu che mi hai costretto!»
«Ma non è vero!» grida scandalizzato.
«Sì, che è vero!»
«Ma Bells, non puoi negare l'evidenza!»
«È la tua parola contro la mia!»
«Sì, vabé...» conclude, scuotendo la testa «ora aggiungi un po' di farina, se no la pasta si attacca all'acciaio delle formine.»
«Agli ordini capo!»
 
Ieri ho passato ancora tutta la giornata con Dom, quindi si è gentilmente offerto di ospitarmi ancora per oggi. Stasera, invece, mia mamma ha detto che devo assolutamente essere a casa.
 
Presso il cerchio d'acciaio contro la pasta e ne ricavo - con grande stupore mio e di Dom - un biscotto di forma credibile.
«Ha! Visto?» grido.
«Bells, non ci vuole grande abilità a fare una cosa del genere! Anche se, viste le tue doti artistiche...» insinua, con un sorrisetto beffardo sulle labbra.
«'Fanculo.»
«A che ora devi andartene?»
«Alle sei -- cioè, devo essere là per cena.»
«Mi spiace.»
«Anche a me.» annuisco io.
 
Pulito il ripiano mettiamo i biscotti in forno e mi siedo al tavolo, il mento appoggiato sulle braccia incrociate - vedo solo le mani di Dom, da qui.
 
«Bells?»
«Mh?»
«Tuo-- tuo padre vi ha già--»
«--Parlato? No. Immagino sia il motivo per cui oggi c'è tutta questa urgenza di farmi tornare.»
Non risponde, Dom, però mi posa una mano sulla spalla.
«Matt.»
«Mh?»
«È ok?»
«Sì. È ok.»
Un attimo di silenzio ed è ancora Dom, a parlare.
«Se i biscotti vengono bene ti preparo un pacchetto, così li porti a casa.»
«Sì, magari.»
 
Ancora chini sul tavolo, tutto ciò che vedo sono le tue mani che tamburellano sulla superficie - lo fai quando c'è qualcosa che ti preoccupa -, si staccano, ora non ci sono più, e i tuoi jeans grigi, ora non ci sono più neanche quelli, e ora sei dietro di me, mi costringi ad alzarmi tirandomi per il cappuccio, mi volti e mi abbracci forte.
 
«Hey, Howard, è tutto a posto, sai?»
Farfugli qualcosa con uno sbuffo caldo sulla stoffa dei miei vestiti e quando provo a staccarmi da te mi stringi ancora di più.
«Dom, davvero, sto bene, adesso.»
«Sì, lo so.»
 
 
*
 
 
«Eccomi!» strillo a nessuno in particolare, togliendomi la giacca.
«Hey, Matt.» fa Paul, scendendo dalle scale «Cos'è quella borsa? Il telescopio? Figo! Fa' vedere!»
«Hey, hey, hey, piano, te lo faccio vedere quando lo sistemo sul balcone!»
«Ti sei divertito?» chiede, scompigliandomi distrattamente i capelli.
«Sì. Abbiamo fatto i biscotti!» gli porgo il sacchetto «E non fare quella faccia, sono buoni, giuro!»
Mio fratello allarga uno dei suoi rarissimi sorrisi e mi fa cenno di seguirlo, in sala.
 
Paul non è mai stato il tipo da grandi abbracci o sdolcinatezze. Non che non sia affettuoso - lo è, a suo modo - ma diciamo che non è proprio quello che il mattino ti dice “buona giornata”, o la sera ti dice “fai bei sogni”.
A me piacciono, le persone come lui, perché sai che non fanno finta.
 
Appoggio con religiosa cura la borsa del telescopio sul tavolo e mi stravacco sul divano senza grazia.
«Matt.»
«Sì?»
Paul sospira e sta un po' in silenzio: i suoi sono di quei silenzi che non ti fanno venire l'ansia di parlare, al massimo ti rilassano e tranquillizzano.
«So che non sei stupido.»
«Woah, thanks, bro'!» ritorco, sarcastico.
«E fammi finire.» s'illumina per un secondo per poi incupirsi «Sai di che parlo.»
Io faccio sì con la testa, lui accende la tv, senza volume - che poi a che serve? - apre la bocca, la richiude, per due o tre volte.
«Paul-- pensi che oggi...ci sarà...“il discorso”?» chiedo con un sorriso dissacrante, mimando le virgolette con le dita.
«Sì, Matt.»
«Mh.» 
«Senti, Matt, se-- beh, se tu dovessi-- insomma...»
«--Sì, lo so che ci sei.»
 
Paul annuisce energicamente, e restiamo in silenzio a guardare le immagini mute della tv finché i nostri genitori non rientrano.
 
 
*
 
 
A quanto pare il momento prestabilito è dopo cena.
Normalmente Paul starebbe in camera sua ad ascoltare la musica e io nella mia a leggere, ma stasera ci siamo inchiodati davanti alla tv a guardare un documentario sulle scimmie bonobo.
Dovrebbe agevolare la cosa, stare qui insieme, no?
Mamma e papà si accostano al divano e chiedono se possiamo togliere l'audio al programma, perché devono parlarci di “qualcosa”. Sputerei loro contro un “Chissà di cosa si tratta!” sarcastico, ma meglio evitare.
 
Mi stringo un po' a mio fratello, anche se impercettibilmente.
 
Mia madre è seduta sul bracciolo della poltrona dove sta mio padre.
«Ragazzi--» esordisce lui, gomiti sulle ginocchia e testa penzoloni, seduto in poltrona. 
 
Beh? “Ragazzi” cosa?
 
«Vi sarete accorti che non è un grande periodo per me e la mamma, sì?»
Per poco non scoppio a ridere.
Ancora? Ma che cazzo ha quest'uomo? Un copione?
Caccia un pesante sospiro e prosegue, senza mai guardarci negli occhi, tutto d'un fiato.
«Io e la mamma abbiamo deciso di prenderci una pausa.»
 
Dieci parole.
 
Dieci parole e poi smetto di ascoltare.
Una “pausa”. E sentiamo, quanto, esattamente, dovrebbe durare questa “pausa”?
Il brusio causato dalla voce di mio padre in sottofondo, osservo un po' il viso di mia madre, rilasso la schiena sul divano, mi volto verso Paul, che annuisce meccanicamente, e penso che abbia smesso di ascoltare anche lui l'enumerazione dei diversi motivi per cui questa dovrebbe essere considerata una “pausa” e non una “rottura”.
 
Intanto in tv le scimmie bonobo stanno costruendo un giaciglio per la notte, credo.
 
È un lungo discorso, a quanto pare, un lungo discorso di cui colgo qualche parola qua e là: starete bene, ci sarò, domenica, cambierà, nulla, niente, domenica, per prepararci.
Per prepararci a cosa? Le valigie, male che vada, le prepari in due ore.
Mia madre ha un braccio pietrificato sulla spalla di mio padre, ormai le formicolerà, in quella posizione, ma non accenna a spostarsi. Neanche lei ci sta guardando.
 
Nel frattempo le scimmie bonobo si sono appese ad un albero, per i piedi. Che buffe.
 
Passa un po', prima che mio padre smetta di sproloquiare. Credo che abbia finito gli argomenti, e che sperasse che noi lo bloccassimo prima che ciò accadesse, con una frase come “ma no, è a posto”.
 
Paul avrà male al collo, non ha mai smesso di annuire.
«Va bene. Noi staremo bene.» sussurra.
 
È vero. Starò bene.
 
«Tu cosa ne pensi, Matt?» chiede mia mamma, il braccio ancora immobile su mio padre.
Io? Sta parlando con me?
«Come Paul. Cioè-- è meglio così.»
 
Credo di aver ascoltato la risposta, ma non me la ricordo più. Mi sembra di essere in una bolla, come quel tizio che pubblicizza quella pillola per il mal di testa.
E un attimo dopo ho detto buonanotte, e sono già nella mia camera, a mangiare i biscotti che abbiamo preparato insieme.
Sono buoni, Dom.
 
Qualcuno bussa alla porta; è Paul.
«Hey. Posso entrare?»
«Sì.»
«Come va?»
«Bene» replico distrattamente «vuoi un biscotto?»
«Mh...magari.»
Ed è vero che sto bene, anche se probabilmente Paul non mi ha creduto. Non so se è una di quelle cazzate alla “devo ancora realizzare”, ma la verità è che questa cosa della “pausa” mi lascia completamente indifferente - forse perché la sapevo già -, e probabilmente dovrei spaventarmi, di questo.
Mi sento perfino un po' in colpa, qui seduto a pensare “mmh, buoni questi biscotti, sì” mentre la mia famiglia si spezza.
 
Paul dice che staremo bene, sì Paul, lo so, gli dico io, e poi nessuno di noi dice più nulla, nessuno di noi si sente in dovere di dire qualcosa.
 
Non credo di aver mai dormito con lui, tranne forse quando ero davvero molto piccolo e facevo i capricci. Ma non mi sembra.
 
Ma stanotte farlo è come se fosse un'abitudine.
 
 
*** *** ***
 
 
 
 
 
Ciao!
Lo so, è corto! ç_ç *si dà delle botte in testa*
Perdono!
 
Io spero vi sia piaciuto e spero di vedervi ancora al capitolo 7! Per ora un grande, grande bacio! :3
 
Grazie! <3
 
pwo_
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Matthew, accettazione passiva ***


Buonasera! *v*
 
Come state? 
Dunque, per farmi perdonare per lo scorso capitolo, ecco qualcosa di più lungo :3
Scusate il ritardo, mi sono presa un breve periodo di riflessione – comunque eccomi  di nuovo qui, yeah! *oh, no*
 
Grazie ad E. (che è speciale da morire) e ad Alessia, che segue in silenzio.
 
Ma soprattutto grazie a tutte voi che recensite! :3
 
Enjoy,
 
pwo_
 
 
*** *** ***
 
Matthew, accettazione passiva
 
 
 
Venerdì, 12 giugno 1992
 
 
«Matt-- Matt, cazzo, togliti, mi stai sbavando addosso!»
Risucchio la saliva con un rumore liquido - faccio davvero schifo, già - e mi sollevo un po' sui gomiti per guardare mio fratello - che sto usando come materasso - con un'aria interrogativa e di rimprovero insieme, gli occhi semichiusi.
«Ngh.» mugolo, prima di ributtarmi sul suo corpo a peso morto.
«Matthew James. alzati. Adesso.»
Questo vibrare nel petto di Paul, su cui sto premendo l'orecchio, quando parla, mi rilassa se possibile ancora di più, ma rotolo di lato per evitare di essere bastonato malamente.
«Dobbiamo andare a scuola, Matt.»
«No.»
«Sì, invece. Alza il culo, forza, muoviti!»
 
Eseguo gli ordini svogliatamente, mantenendo le palpebre ben serrate e cercando a tastoni qualcosa da mettermi addosso, con il risultato di sbattere un piede contro la cassettiera e di soffocare un urlo di dolore insopportabile - cosa che, a quanto pare, deve essere molto divertente, perché mio fratello sta ridendo come un idiota.
 
Quando scendiamo in cucina mio padre e mia madre stanno già facendo colazione, lui con la testa immersa nel giornale di oggi, lei con i gomiti appoggiati al tavolo e una tazza di caffè in mano.
 
«Buongiorno, ragazzi.» saluta.
«Buongiorno.» fa eco mio padre.
«'Giorno.» fa Paul.
Non dico nulla, per vedere se--
«Matthew, tua madre e io ti abbiamo salutato, mi sembra.»
Ecco, appunto.
«Buongiorno.» dico svogliato.
Ovviamente nessuno proferisce parola per il resto della colazione, se non Paul, che ad un certo punto se ne esce con un inaspettato: «Hey, Matt, vuoi un passaggio per scuola?»
Se rispecchia quello che provo ora, la mia espressione deve essere sbalordita: «Sì, voglio dire-- sei impazzito?»
«Assolutamente no. Sali in macchina - e non vomitare, piuttosto dormi -, non sporchi, non parli, non rompi e infine scendi, ricordandoti di questo grandissimo favore che tuo fratello ti ha concesso.»
«Ok. Grazie, allora.»
 
Vorrei riflettere un po' su quale sia l'inghippo in questo improvviso slancio di generosità estrema da parte di mio fratello, ma accantono l'idea, perché sono pur sempre le otto del mattino. 
 
 
*
 
 
«Come sarebbe a dire “non me ne frega un cazzo”?»
«Matt, se passo anche da casa di Dominic arriverò tardi a scuola!»
«Ma scusa, era scontato che passassimo a prenderlo, faccio la strada con lui ogni giorno!»
«E io che cazzo ne so, Matt, se non me lo dici? E comunque ormai siamo quasi arrivati.»
Sbuffo contrariato e scendo dall'auto, salutando mio fratello con un mugugnato “grazie” e un cenno della testa.
 
In piedi nello spazio del cortile esterno, muovo il peso dai talloni alle punte, dalle punte ai talloni, aspettando che Dom arrivi a scuola per percorrere almeno un corridoio con lui e scusarmi di avergli dato buca.
 
Quando penso che ormai non arriverà più - o che probabilmente è arrivato qui molto prima di me -, giro i tacchi per dirigermi verso l'entrata, con una calma che, con dieci minuti di ritardo, non dovrei avere.
Vengo superato da qualche studente di corsa, ma non c'è più praticamente nessuno, fuori - cosa che dovrebbe allarmarmi, ma non ho proprio nessuna voglia di scapicollarmi fino alla classe.
 
È solo quando scorgo per caso alle mie spalle la testa rossiccia di John Martin che mi allarmo.
Prego di aver visto male l'espressione del suo viso e la direzione in cui guardavano i suoi occhi, perché mi è sembrato che fosse la mia.
 
Improvvisamente mi pento della calma con cui ho camminato finora, e cazzo, se non fossi stato qui fuori ad aspettare Dom adesso sarei già in classe, mi sento sudare freddo e cammino veloce verso l'entrata, a separarmi da essa meno di trenta metri - perché ho aspettato così lontano? - ora saranno anche venti, ma i passi di Martin e degli altri sono sempre più rumorosi e vicini.
 
È un attimo, interminabile.
Una mano sulla spalla mi fa voltare, un unico fotogramma del suo pugno, poi l'esplosione di dolore sul naso.
Poi l'asfalto, con il suo odore che sa di polvere e pioggia.
Mi sento risollevare da terra come un grissino, altro flash, altra immagine di un pugno, e un secondo è abbastanza per vedere che questo ha un anello e farà male, altra esplosione di dolore, stavolta dalla bocca.
Ricado al suolo, un calcio fortissimo allo stomaco, un grido spezzato da parte mia.
 
«Ba-basta, vi prego.» riesco a esalare, stendendomi sulla pancia per coprire le parti doloranti.
«Ragazzi, basta.» ripete Martin.
Mi arriva un altro calcio, ma molto più leggero, sulle gambe, seguito dal tono rabbioso di John.
«Che cazzo fai, Charlie? Ho detto basta!» grida, voltandomi supino per guardarmi in faccia, facendomi andare di traverso il sangue che mi esce dal naso.
Mi prende la mandibola con la mano aperta e mi avvicina al suo viso, finché i suoi occhi non si trovano a neanche cinque centimetri di distanza dai miei.
«Ciao, Bellamy.» sussurra.
I punti in cui le sue dita incontrano la mia pelle mi fanno già male, e mi aspetto di trovarvi presto dei lividi.
«Ho detto: ciao. Bellamy.»
«Ciao.» mormoro.
 
Martin mi molla all'improvviso, lasciandomi ricadere all'indietro.
Mi alzo, mi tolgo la polvere di dosso, e sono subito circondato da lui e gli altri.
 
«Sai, Bellamy» comincia John «penso che tuo padre si stia allargando un po' troppo, non credi anche tu?»
Mio padre?
«Co-cosa?»
John sgrana gli occhi e mi dà uno spintone, dal quale mi salvano solo i corpi solidi gli altri suoi amici, dietro di me.
«Mi stai prendendo per il culo, vero? Vero, Bellamy? Mi stai proprio prendendo per il culo!»
«I-io-- no!» balbetto pateticamente.
«Ah, no?» chiede lui, sarcastico «Non sapevi che tuo padre si sbatte mia madre?»
 
Resto immobile. 
Sta scherzando. 
È solo un pretesto per picchiarmi, sta scherzando.
 
E improvvisamente nella mia testa si mischiano la voce di John, la voce di Paul, la voce di mia madre che mi dice papà è uscito, stasera non c'è, la voce di mio padre che mi dice esco, torno presto, ci sarò sempre, solo una pausa, sei migliorato, Matthew.
 
«Oh, che carino...non lo sapevi?»
«Non-- no-non-- io--»
 
 
Smettila di balbettare, Matt. 
 
 
«Non-- non è v-ve--»
 
 
Respira, piuttosto.
 
 
Sì, papà, respiro, cazzo, sto respirando.
 
«Non è vero.» dico in un soffio, i risolini degli altri attorno a me.
«Non è vero.» ripete John «Ah, avete sentito ragazzi, non è vero. E allora dimmi...»
Mi prende di nuovo per il mento, costringendomi a guardarlo negli occhi, che evito comunque con i miei.
«...Secondo te, Bellamy. Secondo te tuo padre ieri, e l'altro ieri, e due giorni fa, e il giorno prima ancora, cosa faceva a casa mia fino all'alba? Con mia madre. Parlava - chessò - di affari? O magari, fammi pensare-- oh, sì: del tempo! Magari parlava del tempo. Vero, Bellamy?»
Lo fisso, senza sapere come rispondere.
 
Poi un altro pugno. 
Il terzo.
Il più forte.
 
Ora John lo posso vedere solo da terra. 
Come vorrei essere in classe.
«Prendilo come un avvertimento, Bellamy. Voglio il culo di tuo padre fuori da casa mia, non me ne frega un cazzo che abbiate problemi o cazzate, hai capito?»
Annuisco, piano.
 
E quando si sono allontanati, lasciandomi solo con la loro scia di “sfigato” e “caga sotto”, mi rialzo, sollevo il cappuccio della felpa, calcandomelo sulla testa, estraggo il fazzoletto di stoffa dalla mia tasca e mi pulisco la faccia dal sangue. 
 
E cerco il primo bar squallido qui vicino, sforzandomi di non scoppiare in lacrime prima di trovarlo.
 
 
***
 
 
Oggi io e Matt non avremmo avuto la prima lezione insieme, ma non ho fatto la strada con lui, stamattina, né mi è venuto a prendere, quindi immagino che sia uno di quei giorni in cui è di malumore e non vuole vedere nessuno - tantomeno la scuola.
 
Sono qui a sorbirmi il noioso professore di letteratura che ripete come un mantra che le caselle del compito vanno annerite, non cerchiate. Che palle.
 
Nel far rimbalzare i miei occhi dal legno del banco, alla lavagna, alla finestra, noto che oggi sono assenti John Martin, Charlie Smith e tutti i loro amici.
 
Per un attimo associo l'assenza di Matt alla loro e mi sento rabbrividire.
 
 
***
 
 
«Posso avere un caffè, per favore?»
La signora dall'altra parte del bancone mi fissa con aria schifata e si rivolge verso la macchina alle sue spalle per esaudire la mia richiesta.
«Normale, lungo, corto, mac--?»
«Normale, grazie.»
 
Barcollo fino a raggiungere un tavolino nell'angolo più nascosto del bar, sedendomi lentamente per non farmi troppo male.
La mia ordinazione arriva accompagnata da un'occhiata diffidente; probabilmente questa mi ha visto barcollare e ora pensa che io sia uno di quei ragazzini che saltano la scuola per bucarsi.
Tanto meglio.
Non ho nessuna intenzione di bere questo caffè, ma almeno ora posso darmi una sistemata.
Il piccolo bagno del bar, stranamente pulito, non ha finestre,  ma uno specchio rettangolare attaccato al muro, un lavandino di modeste dimensioni, un gabinetto separato dal resto da una porticina.
La luce è bassa e traballante, ma preferisco che sia così, non mi va di dovermi sorbire integralmente l'immagine cruenta del mio riflesso nello specchio.
Appena mi scaravento dentro la piccola stanza sputo nel lavandino tutto il sangue che avevo tenuto in bocca.
Bagno il fazzoletto già sporco e me lo passo sulla faccia nei punti che avevo pulito male.
 
Non mi hanno rotto il naso, non ce l'hanno fatta neanche questa volta. Sulla linea della mandibola posso contare quattro lividi, due meno evidenti degli altri, mentre i denti ci sono tutti e il labbro è rotto solo nella parte interna alla bocca.
Sollevo la maglietta.
La riabbasso.
 
E penso a mio padre, che mi dà svogliatamente la buonanotte e poi va da un'altra donna.
E a mia madre, che con ogni probabilità - no, cazzo, sicuramente - lo sapeva. 
Mia madre che la sera fa da mangiare anche per lui, che gli lava i vestiti, che gli para il culo quando non c'è, perché lei può sopportare, ma noi no.
 
 
Si è offerto di fare la spesa al mio posto.
 
 
Non sei peggio di lui, mamma, ma non sei neanche meglio.
 
In questo momento venderei l'anima al diavolo per essere un'altra persona, qualsiasi altra persona.
 
Con questo fazzoletto, insieme al sangue, mi lavo via anche le lacrime.
 
 
***
 
 
All'uscita da scuola Matt non c'è, ancora. Forse dovrei preoccuparmi, ma non sono mica la sua ragazza, quindi mi incammino verso casa convinto che ormai per oggi non lo vedrò.
Strano.
Soprappensiero, sono quasi arrivato a casa mia che mi sento improvvisamente tirare per la felpa, perdo l'equilibrio e vengo catapultato in un vicoletto ombroso a lato della strada, per terra.
 
«Ma che cazz-- Bells!»
«Sssh, vuoi un megafono, così puoi gridarlo a tutto il mondo?»
«Ma dov'eri, io stamattina t-- oh, cazzo, ma...che hai fatto?»
Matt si allontana immediatamente dal mio viso, sollevandosi in tutta la sua - scarsa - altezza e aiutandomi ad alzarmi.
«Nulla -- ascolta, ti prego, puoi chiamare i miei e dire che sono da te? Mi sdebiterò, te lo giuro, ma ho bisogno che tu mi faccia questo favore.»
«Ma che--? No, Matt, prima mi dici chi è stato!»
«Cristo, Dom, ti prego, ti prego, fallo per me!»
Matt ha qualche minuscola gocciolina di sangue sulla felpa e diversi lividi in faccia.
«Ti prego.» recita, le mani congiunte in segno di preghiera davanti alla bocca «Ti prego, Dom, coprimi.»
«Certo, che ti copro, Matt, ma--»
«--Oh, grazie!» sussurra lui, sollevato.
«--Ma tu mi dici in che guaio ti sei cacciato.»
Sembra rifletterci un attimo su e poi annuisce velocemente, come per ufficializzare il patto prima che cambi idea, mentre io sospiro raccogliendo tutta la pazienza che ho per trarne una sottospecie di piano.
«Dai, mi racconti dopo, ora vieni a casa. Mia madre è al lavoro, e mia sorella è da un'amica. Ah, mia mamma la mattina si mette una specie di crema colorata in faccia, credo che sia coprente, useremo quella, per ora. Poi vediamo come organizzarci, d'accordo?»
«Sì. Oddio, grazie, Dom, non so come ringraziarti.»
«È a posto.» sussurro «Sei un coglione.»
«Lo so.»
 
 
*
 
 
«S-sì, signora, se vuole glielo passo-- ok, d'accordo. Scusi, se non l'abbiamo avvisata prima, è stata una cosa dell'ultimo minuto-- perfetto, allora-- sì, Matt ha uno spazzolino già qui, sa che è come a casa. Grazie mille, arrivederci, buona giornata.»
Attacco la cornetta del telefono sotto gli occhi attenti e sgranati di Matt, che ha seguito l'intera conversazione dal divano.
«Ha detto che stanotte puoi dormire da me - tanto hai il tuo spazzolino, qui - e che però la prossima volta devi avvisare prima.»
«Mh. Come ti sembrava?»
«Come?»
«Ti sembrava arrabbiata?»
«No.»
«Triste?»
«No, Matt. Stava bene.» lo rassicuro.
«Mh. Ok.»
 
Dopo aver costretto Matt a mangiare - quasi con l'imbuto - siamo partiti all'esplorazione del bagno alla ricerca di qualcosa per coprire i lividi -, esplorazione che si divide tra la goffaggine di due maschi immersi in decine di irriconoscibili prodotti femminili e l'angoscia di Matt di starsi facendo troppo gli affari nostri, così, a frugare nel nostro bagno.
 
Oh, ma mi dirai tutto, Bells, che ti piaccia o no.
 
«Dom, Dom, Dom!» grida Matt.
«Che c'è?»
«L'ho trovata! È questa, no?»
Prendo la bottiglietta che tiene tra le mani, svito il tappo e la capovolgo, facendone fuoriuscire una specie di crema color pelle.
«Sì, mi sa che è questa; andiamo in camera, che te la metto.»
«Di già?»
«Mia madre tornerà tra poco.»
 
Matt si siede sul letto, io gli lancio una felpa da cambiare con quella sporca - nonostante io porti trenta taglie più di lui - e lui la indossa borbottando una specie di ringraziamento.
 
«Ora stai fermo.» dico, versandomi un po' di quel liquido su due dita e avvicinandomi con esse alla sua pelle.
«Aaah-- ahia, ahia, ahia!» 
«Ma-- non ti ho neanche toccato!»
«Fai piano.»
«Sì, faccio piano. Ora stai fermo.»
Quando le mie dita toccano la prima ecchimosi stringe i denti e chiude gli occhi, e mi ritrovo a trattenere il fiato anch'io.
È serio, Matt, la faccia contrita.
«Matt.»
«Mh?» chiede, sforzandosi di non mugolare di dolore.
«Parliamo?»
«...Sì.» capitola, dopo un po', con un'espressione vuota.
Non lo guardo negli occhi per non farlo innervosire, ma continuo il mio lavoro delicato, cercando di rendere il risultato almeno un po' credibile.
«Mh. Allora, intanto perché oggi non eri a scuola?»
«Mi ha accompagnato Paul, ma non pensava di doverti venire a prendere-- a proposito, scusa.»
«Ma allora c'eri!»
«No, io-- ti ho aspettato un po' fuori da scuola, credendo che magari non eri ancora arrivato e ci saremmo incontrati.»
Annuisco, ancora senza guardarlo, per incoraggiarlo a proseguire.
«C'erano John Martin e gli altri.»
 
Oh, cazzo. Avevo ragione. 
 
«E...?»
«E mi hanno picchiato.»
«Perché?»
«Nessun motivo.»
Adesso lo guardo negli occhi, solo per un attimo, prima di riprendere ad armeggiare con la crema.
«Nessun motivo?»
«No. Del resto, ce n'è mai stato uno?»
 
Rimaniamo in silenzio per un po', un silenzio che viene solo interrotto, di tanto in tanto, dai pigolii soffocati di Matt.
 
«Ho finito.» dico, alzandomi e riavvitando il tappo della bottiglietta.
«Grazie al cielo-- non si vede nulla, guarda!»
«Lo so. Non toccarti la faccia, però.» 
 
 
***
 
 
«Sei ferito, sul corpo?»
«No.»
«Sicuro? Fammi controlla--»
«Non ho nulla, sul corpo, Dom!» quasi grido, sfuggendo alla sua presa.
«Matt. Alzati la maglietta.»
«Non c'è bisogno.»
«Matt, cazzo
«Sto bene, ti dico!»
Quanto odio quando fa così.
 
Prima che possa aggiungere altro mi ha già afferrato un lembo della felpa e dopo una ridicola lotta di neanche due secondi l'ha sollevato, lasciando scoperta la pancia.
«Porca tr--» 
La sua imprecazione rimane spezzata, nell'aria, le mie mani ancora sulle sue braccia, testimoni del mio tentativo di non lasciarlo guardare.
 
«Matt, ma tu devi chiamare la polizia! Sei fuori di testa? Hai un livido grande come la mia mano aperta!»
«Ecco, vedi?» grido «Ora tanto hai fatto che l'hai visto, ti avevo detto di non guardarlo!»
«Cazzo, Bells, quelli un giorno o l'altro ti ammazzano! Ma guarda cos'hai sulla pancia! Te lo vuoi ficcare in testa? Devi parlare con qualcuno!»
«E con chi, Dom? Fatti i cazzi tuoi, d'accordo?»
«Sì, certo! Se io mi faccio i cazzi miei tu con chi stai, eh? Coglione!» grida, dandomi una piccola spinta che mi fa cadere sul letto.
E scoppio a piangere, ancora, come un bambinetto dell'asilo, mentre la voce di Dom, nella mia testa, diventa quella di mia madre, quella di mio padre, la mia.
«Vaffanculo, Dom, quanto mi fai incazzare!» urlo, spingendolo via a mia volta, quando si avvicina.
«Non stai mandando a fare inculo me, Bells, ma te stesso! E lo sai! Sei tu che accetti ogni cosa passivamente, sei tu che devi svegliarti!--»
 
 
E allora qual è il problema? Che cosa ha fatto di male?
 
 
«--Permetti al mondo di cambiarti, di sconvolgerti, ma in questo cazzo di mondo ci sei anche tu, Matt, che agli altri piaccia o no! Devi smetterla di nasconderti dietro a un dito! Reagisci, Matt! Reagisci, cazzo!»
 
 
Nulla! È proprio questo il punto! Matthew non fa nulla!
 
 
«Vaffanculo!» grido, al limite dell'isteria, lanciandogli contro il flacone di crema.
 
Mi prendo la faccia tra le mani e piango, mi sfogo, e mi odio da solo, mentre lo faccio. 
Sto lì un minuto, o due, forse, senza che i singhiozzi diminuiscano, a imprecare a vuoto.
 
Tu ti siedi piano accanto a me, provi ad abbracciarmi, ti spingo via forte, ti avvicini di nuovo, ti spingo via ancora.
Ce la faccio da solo. 
Ce la faccio da solo.
Quando provi ad abbracciarmi per la terza volta mi arrendo, e abbandono la testa contro il tuo petto.
 
«N-non ce l'a-- non ce l'avevo con te.» balbetto, deglutendo nel bel mezzo della frase. 
«Lo so, Matt.»
 
E mentre mi abbracci sposti un po' il peso da destra a sinistra, da sinistra a destra, cullandomi con il tuo movimento gentile, senza lasciarmi mai.
 
 
 
*** *** ***
 
 
 
 
 
...Uff. Che angoscia. *_*
*ma pwo_, hai scritto tu questa roba*
 
Voglio tanto bene a questo capitolo, spero vi sia piaciuto ^^
 
Tanti baci, ci vediamo con l'8! *v*
 
pwo_
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Matthew, tiro a segno ***


Buonasera!
 
Oh, meglio non pensare a quanto sono in ritardo T0T! Chiedo umilmente perdono, in questo periodo non ho studiato, di più.
Scusate scusate scusate!
 
Ok, passiamo a voi; grazie di essere sempre così tante! c:
 
Non so se questo capitolo vi piacerà o no, speriamo bene.
 
Enjoy!
 
pwo_
 
*** *** ***
Matthew, tiro a segno
[Without you I'm nothing--]
 
 
 
 
Sabato, 13 giugno 1992
 
 
Siamo io e Matt, per strada, sotto un sole che spacca le pietre e cuoce il cervello e giusto sopra una strada spossata dal caldo e bollente.
«Mi spiace di essermene andato così presto» mormora lui, gettandomi un'occhiata in tralice.
«Non importa, lo capisco. Tua madre ha ragione, a volerti a casa per pranzo.»
Annuisce - chissà se sta annuendo alla mia affermazione o a qualcosa a cui ha pensato adesso.
«Sai, Dom?»
«Cosa?»
«Prima di passare da casa, forse dovrei comprare anch'io quella crema rosa che mi hai messo ieri in faccia.»
«Oh, è vero, non te l'ho lasciata, che sciocco!»
«Ma dai, se l'avessi fatto tua madre se ne sarebbe accorta, non credi?»
«Mh, immagino di sì.»
 
La profumeria in cui entriamo è meravigliosamente fresca, e io e Matt concordiamo sul fatto che rimarremo a scroccare un po' d'aria condizionata anche dopo aver effettivamente comprato la crema.
«Buongiorno.» ci accoglie una commessa rossa, con aria stupita.
«Er-- ah, buongiorno.»
«Avete...bisogno?» chiede lei, sempre più dubbiosa.
«S-sì» conferma Matt «io avrei bisogno - cioè in realtà non ne ho bisogno, cioè non è per me, intendo--»
«--Un crema rosa che sia--».
«Intende un fondotinta a buon mercato.» conclude Matt per me.
La commessa si congeda con un cenno del capo e sparisce in magazzino, dicendoci che ci vorrà solo un minuto.
 
«Ora sei esperto anche di trucco?» chiedo attonito.
«Del resto bisognerebbe essere preparato su ogni materia, mi stupisce che tu non lo sappia.» fa lui, alzando le sopracciglia con falsa aria di superiorità.
«Mh. Hai letto l'etichetta.»
«Sì.»
 
La ragazza che ci stava servendo fa ritorno, reggendo tra le mani qualche piccola scatoletta di cartone.
«Ecco...sono tutti quelli che abbiamo, ma quelli meno cari sono questi due.» esordisce con un sorriso.
«Er-- boh, Dom, tu che dici?»
«Non so...questo non è troppo scuro?»
«Si può tipo-- er, chessò-- provare?»
La commessa sostituisce subito alla sua aria sbigottita un'espressione di sforzata cordialità: «Certo! Su-- su di te?»
«Erm, sì.»
Matt si posa un po' del contenuto del tubetto che gli viene dato sulle dita, per poi spalmarselo in mezzo alla fronte, con un piccolo movimento circolare.
«Direi che va bene!» esulta, raggiante.
«Stai scherzando, Bells, vero?»
«No, affatto! Perché?» replica, con aria contrariata.
«Ma guardati alla luce, con quel pallino! Sembri un indiano!»
«Ah, sì, sì, ora lo vedo, sì, hai ragione -- ne ha un altro, signorina?»
Quest'ultima è sempre più sbalordita - immagino si stia chiedendo perché questo sgorbio che ho per migliore amico di sta comprando un prodotto da donne - ma annuisce.
 
«Questo va meglio Matt.»
«Sì, direi di sì -- quanto costa?»
La commessa risponde prontamente: «Sono tredici sterline.»
«Quanto?» grida stridulo Matt.
«Erm...sarebbero tredici sterline, è-- è il meno caro.»
Matt piega gli angoli della bocca all'ingiù e alza le sopracciglia, in una maschera di sorpresa e indignazione, che la ragazza elude voltando le spalle e dirigendosi verso il fondo del negozio: «Allora mentre decidete io vi aspetto alla cassa, se siete d'accordo.»
«Sì, , siamo d'accordo.» risponde Matt con un calcato tono polemico per poi girarsi nuovamente verso di me «Ma hai sentito? È follia! Io pensavo che tredici sterline mi bastassero per la crema e due pasti, ma siamo matti?»
«Pensa piuttosto a rimettertela, la crema, che stai colando come l'Uomo di Cera.»
Matthew borbotta ancora qualcosa, più per dar fastidio che per altro e paga il suo imbarazzante acquisto.
 
 
***
 
 
«Eccomi, sono a casa!»
«Oh, amore, finalmente! Ma quanto ci hai messo?»
«Scusa, io dovevo-- er--»
«--Non importa; sai dove ci porta oggi papà?» chiede, raggiante, mentre lui compare alle sue spalle.
«Eh? No, dove?»
«Andiamo al luna park, Matt!»
«Oh, davvero? Wow!»
«Dato che pensavamo di andare il giorno del tuo compleanno ed è saltato tutto, beh...»
«Fantastico. Dopo pranzo?»
«Appena arriva Dylan, Paul lo ha invitato!»
«Eccoti, maledetto!» grida questo, irrompendo nella sala «Mi hai fregato i CD! Dove sono? Giuro che se te li sei venduti ancora io--»
«--Matthew, hai venduto i CD di Paul?» è l'intervento di una madre sbalordita.
«Cos-- No! Cioè, non oggi! Giuro!»
«Ora vieni su in stanza e mi ridai i miei CD o questa volta ti ammazzo, sappilo!»
«Ragazzi, fate in fretta che appena arriva Dylan partiamo subito, capito?»
 
«Paul, ma sei impazzito?» grido, mentre lui mi trascina su per le scale.
Apre la porta della mia stanza, mi butta dentro, richiude la porta con violenza e mi prende le spalle.
«Ma si può sapere che cazzo fai, Matt?»
«Ma-- oddio, non ho rubato i tuoi CD, Paul, controlla pure dove vuoi!»
«Non parlo di quello, idiota! Dov'eri ieri?»
«Io-- da Dom!»
«Matt, non prendermi per i fondelli. Dov'eri ieri mattina?»
«A-a scuola. Mi hai accompagnato tu!»
«Matt, alla prossima cazzata che dici io giuro che non ti paro più il culo! Sei avvisato!»
«E abbassa la voce!» 
In realtà lo urlo, ma le mani di mio fratello si staccano dal mio corpo e la sua schiena, prima piegata su di me, si raddrizza.
«Siediti.»
«Cos'è, ora mi dai gli ordini?»
«Ho detto siediti. Ora.»
Eseguo.
«Ascoltami. Non provare più a prendermi in giro, perché mi incazzo. Ora mi dici dove sei andato ieri invece che a scuola, cosa hai fatto, come, perché, con chi e per quanto.»
«Ci sono a--»
«Io sono venuto a prenderti, e Dominic è uscito senza di te.»
«Che fai, mi controlli?»
L'occhiata assassina di Paul mi fa pentire di ciò che ho detto, e cerco di salvarmi con un: «Non avevo voglia.»
Ora mio fratello si accovaccia davanti a me, le sue mani calde sulle mie cosce, e io sono seduto sullo sgabello davanti al piano, e ho una tremenda sensazione di déjà vu.
La sua voce è ferma, decisa e vagamente accusatoria; sono uguali, in questo.
«Ascolta, Matt, non ti dirò che la tua è un'età difficile o cazzate del genere, ma cerca di capire che non è-- il momento di dare problemi aggiuntivi, d'accordo? Ora non c'è tempo di pensare a te. Quindi vedi spiegarmi in che guaio ti sei cacciato e chiudiamola qui, intesi?»
«Ho solo-- dio, Paul, non è nulla di grave, io-- una zuffa, nulla di più.»
«Una zuffa? Con chi?»
«Dei tizi-- oh, ti prego, ora non farai la scenetta del fratello maggiore che va a dare una regolata ai bulli che molestano il minore, vero?»
«Per me puoi anche rimanere nella merda, Matt, però non ora. Mi hai capito?»
Non lo guardo negli occhi, lui mi prende il mento per voltarmi verso di lui, le sue dita pesanti in corrispondenza dei lividi - ed era ovvio che succedesse, cazzo - e io caccio un grido.
«Matt, cristo, si può sapere che--?» uno sguardo al suo indice sporco di fondotinta, uno sguardo alla mia mano posata sulla parte dolorante e afferra un Kleenex, e me lo sbatte sulla faccia per pulire il resto.
«Paul-- ahia, mi fai male!» 
Lo spingo, con il fiato spezzato dalle scariche che arrivano dalle ecchimosi.
«Che altro c'è?» chiede Paul con il tono di chi non ammette repliche, un'espressione del viso furiosa e la mano con il fazzoletto ancora a mezz'aria.
«Niente.» rispondo, fissando con interesse la punta delle mie scarpe «Ci siamo picchiati, Paul, picchiarsi presuppone che qualcuno si faccia male, no?»
«Matt, se non mi fai vedere entro adesso cos'altro hai sul corpo, giuro che ti ammazzo e ti analizzo direttamente con l'autopsia.»
«...»
«Uno...»
«...»
«...Due...»
«...»
«Tr--»
Alzo la maglietta senza guardare.
«Che cazzo-- dimmi il nome.»
«Cosa? Non--»
«Ho detto. Dimmi il nome.»
«...»
«Matt, sto perdendo la pazienza. Ascolta, non fare l'eroe da fiaba, perché non me ne frega un cazzo, hai capito? Voglio nome e cognome, adesso
«Perché?»
 
«Ragazzi, siete lì dentro? È arrivato Dylan, stiamo per andare!»  
Mi abbasso di colpo la T-shirt, gettando un'occhiata implorante a Paul, che senza smettere di guardarmi risponde con un: «Arriviamo, ma'.»
«Sbrigatevi, vi voglio giù tra due minuti! È un tuo amico, Paul, è maleducazione farlo aspettare!»
Il rumore di passi si allontana.
 
«Grazie.»
«“Grazie” un cazzo.»
«Il-- lui--» pausa «Martin.»
«Come?»
«John Martin.»
«...»
«...»
«Rimettiti quella roba in faccia, io e te facciamo i conti stasera.»
 
E dal tono con cui lo dice so che mi ha già perdonato. 
 
 
*
 
 
Il luna park di Teignmouth è la meta preferita di tutti i bambini inglesi abbastanza intelligenti da capire che esso è l'unica via di fuga dalle loro vite di provinciali. In realtà non è nemmeno il “luna park di Teignmouth”, perché chiunque si trovi in un paese vicino se ne arroga il nome; quelli di Hoolomb lo chiamano “luna park di Hoolomb”, quelli di Kingseignton lo chiamano “luna park di Kingsegnton” e così via, senza che nessuno si metta d'accordo con l'altro e senza che nessuno faccia troppo caso alla questione.
Le giostre sono molte, alcune dai colori invecchiati con il tempo, altre nuove e tirate a lucido, tutte sempre piene zeppe di gente urlante; c'è il tiro a segno, il cavallo che dondola come un drogato, il toro isterico che disarciona gli aspiranti cowboy, gli scivolo di trenta metri, le montagne russe, decine di giochi il cui scopo è far vomitare chi ci sale e la ruota panoramica - di cui ancora non mi è ben chiaro quale sia il panorama da osservare.
 
Vengo svegliato da uno spintone rozzo di Paul che mi spedisce nel buco tra i sedili posteriori e quelli anteriori - e grazie al cielo questa specie di enorme borsa mi ha attutito la caduta, altrimenti addio, detto nasale - ed è solo ora che realizzo di aver dormito bellamente per tutto il viaggio.
«Ah-- ah, che cazz-- Paul
«Mi stavi sbavando addosso di nuovo, guarda che schifo di macchia mi hai fatto sui pantaloni!»
«Maaamma!»
«Piantala di dare fastidio a tuo fratello, Paul!» è l'intervento distratto di quest'ultima.
«Guarda, guarda che schifo! Un cane! Sbavi come un cane!»
 
Dopo un panino spiaccicato preso al fast food dietro all'entrata, diamo inizio al nostro giro tra le giostre, i miei a parlare tra loro, Paul e Dylan a voler provare i giochi più pericolosi, io a cercare di non soccombere sommerso dalla folla di gente. 
Quando mi giro distrattamente verso uno dei trecentomila stand del tiro a segno resto imbalsamato.
«Mamma! Ma', guarda qual è il primo premio! Guarda!»
«Cosa, Matt?»
«Guarda! Guarda, è una Rowling's! Originale! È la chitarra classica più bella che esista! Oddio!»
«Vuoi provare a vincerla, campione?» grida l'uomo dietro al bancone, allettato dall'idea di un nuovo cliente «Avvicinati!»
Un'occhiata implorante a mio padre.
«La vuoi, Matthew?»
«Er-- mi piacerebbe, sì.»
«Ma poi la imparerai a suonare?» continua lui con un sorriso.
«Sì, sì!»
«Beh, cosa stiamo aspettando, allora?» risponde «Vinciamo questa chitarra che ti piace tanto!»
 
«Sono cinque sterline per dieci colpi, dieci sterline per venti colpi e quindici sterline per trentacinque colpi.»
«E per vincere quella chitarra quanto ci vorrebbe?» 
«Beh, signore, per quella temo che--»
«--Vada per i trentacinque colpi.»
Assisto alla scena con le labbra tirate all'interno della bocca e un sorrisetto impaziente.
«Allora, giovanotto! Le regole sono semplici: infili gli occhiali e spari. Se prendi la lattina sono cinquanta punti - ma lasciatelo dire, se vuoi la chitarra quelle non guardarle neanche -, se prendi i tappi di sughero sono cento, se prendi le monetine o i bottoni duecento!»
Indosso gli occhiali, faccio un veloce calcolo a mente di cosa mi conviene cercare di colpire e comincio a sparare i primi colpi.
 
 
*
 
 
A due colpi dalla fine mi servono ancora duecento punti per arrivare ai cinquemila della Rowling's.
Due tappi di sughero.
D'accordo.
«Forza, Matt, ce la fai, lo so!» suggerisce mio padre.
«S-sì.»
Un colpo, a vuoto.
«Cazzo!» esclamo, senza pensare.
«Ma-- Matthew!»
Ridiamo entrambi.
«Scusa, mi sono fatto prendere. Papà, non credo di farcela, mi tremano le mani.»
«Sciocchezze. Certo che ce la fai, forza.»
La chitarra più bella a questo mondo è a due passi da me e averla dipende da uno stupido bottone. Ok.
Un colpo.
Preso.
«O-od-oooddio, ce l'ho fatta!»
«Hai visto? Lo sapevo!»
«Woah, non ci credo!»
«Abbiamo un vincitore!» strilla l'uomo dietro al bancone «Complimenti, ragazzo!» 
Il tizio scompare per un attimo tra le montagne di premi che lo circondano per poi riemergere con in mano una grossa scatola da imballaggio per strumenti musicali.
 
«Controlla subito se è tutto a posto.» esordisce mio padre, quando ci siamo seduti su uno dei prati liberi del parco.
«Sì, sì, c'è tutto! Anche la custodia!»
«Fantastico! Proviamola subito, allora, così poi la mettiamo in macchina e saliamo su qualche giostra.»
«Sì, erm-- ok, allora io--»
«Vieni qui.» sussurra lui, guidando le mie mani inesperte lungo il manico fino a fermarle sulle corde giuste «Ora suona.»
Un suono cristallino, un sorriso illuminato verso mio padre, come per dire visto, papà?
«Bravo. Sei già portato, ovviamente.»
«Ah-- trovi?»
«Sì. Sulla musica mi spiace, Matt, ma non ti batte nessuno.»
Lo dice come se niente fosse, ma a me interessa.
«Potresti formare una band, in futuro, sai?» continua distratto, mentre conduce la mia sinistra nella posizione per il prossimo accordo «Già ti vedo: Matthew Bellamy, il frontman inglese più famoso di tutti i tempi!» esclama, ridacchiando tra sé e sé.
«Davvero? Pensi che potrei?»
«Sì, Matthew, te l'ho già detto, sei portato per la musica -- suona ora.»
Altro suono cristallino.
«Visto? Di solito chi prende in mano la chitarra per le prime volte riesce a tirar fuori certo suoni strozzati che sembra stia sgozzando un tacchino.»
Rido, un po' compiaciuto e un po' imbarazzato.
«Dai, andiamo a sistemarla in macchina che abbiamo digerito abbastanza da fare qualche giostra da vomito.»
 
 
*
 
 
«E-- e questa cos'è?» chiede Paul, entrando in macchina e notando, dietro di sé, il cartone della chitarra sporgere dal bagagliaio.
«La mia chitarra! L'ho vinta!» trillo raggiante.
«Figo.»
«Lo so.» 
Controllo nel mio riflesso sul finestrino che la crema non sia andata via - ci sono stato molto attento, oggi - e mi allaccio la cintura.
«Matthew è stato bravissimo, Mary!» 
«Ah sì!»
«Era il premio più alto!» confermo io, tronfio.
«Bravo, tesoro! Così adesso la impari a suonare.»
«Ha sparato a un bottone! Pazzesco!» continua mio padre, gettandomi un'occhiata complice dallo specchietto retrovisore «Ad un certo punto mi sono chiesto se avesse mai ucciso qualcuno o roba simile! Bravo, il mio ragazzo!»
 
Non mi interrogo troppo sul repentino cambio di atteggiamento di mio padre nei miei confronti e sorrido inconsciamente per tutta la prima parte del viaggio, prima di crollare addormentato cullato dalla vibrazione del motore.
 
 
*
 
 
Sistemo la chitarra contro il muro, indietreggio un po' per rimirarla, tolgo la polvere da punti in cui la polvere non c'è e indietreggio di nuovo per guardarla meglio.
Qualcuno bussa alla porta.
«Sono Paul.»
Oh, no.
«E-entra.» mormoro, mentre lui ha i piedi già ben piantati sul pavimento della mia stanza e mi sta porgendo un tubetto.
«Mettitela.»
«Cos'è?»
«Crema. Per i lividi.»
«Oh. G-grazie.»
«Prego.»
«...»
«Beh? Mettitela.»
«Ah. Ora?»
«Muoviti!» conferma con un sospiro, sedendosi sul mio letto, mentre io, ancora in piedi, svito il tappo dell'unguento.
«Ti sei divertito, oggi?» chiede, sprimacciando nervosamente un cuscino.
«Sì, molto. Tu?»
«Anch'io.»
Avvicino le dita con la pomata alla pancia, piano, senza il coraggio di posarcele davvero.
«...Matt.»
Le dita ancora in forse, sospese sul mio addome.
«Mh?» 
Le dita si posano sulla pancia.
«Non devi per forza cercare di farcela da solo.»
Toccare i lividi fa male, lo sapevo.
«Non sto cercando di farcela da solo.»
«Ascolta, te l'ho già detto, che...se--»
«--Lo so, Paul. Me l'hai detto.» lo blocco io, con un tono più freddo del dovuto «Ma per ora sto bene, davvero.»
«Come preferisci. Io vado a letto.»
«Ok. Buonanotte, allora -- grazie per la crema.»
«Se scopro che non te la sei messa su tutti i lividi te ne aggiungo altri personalmente. E vedi di non fare altre cazzate, Matt.»
«Sì.»
 
 
*
 
 
È stato bello, oggi.
È stato bello giocare con quell'imitazione grottesca di mio padre, tutta amore e sorrisi.
Per un attimo ci ho anche creduto; ho creduto a lui, ho creduto che mi sarebbe davvero mancato. E probabilmente mi mancherà anche, ma non lui, solo questa versione di lui, quella di un normale padre di famiglia che porta i figli a un parco divertimenti.
Il padre a cui sono affezionato io è lo stesso che oggi mi ha detto che farò strada, ma non è lo stesso che mi ha parlato sabato scorso. 
Il padre a cui sono affezionato io emerge ogni tanto.
Il padre a cui sono affezionato io è quello più raro da vedere.
Il padre a cui sono affezionato io, purtroppo, è anche quello a cui ho voluto attaccarmi di più.
 
 
*** *** ***
 
 
 
 
 
...
Ok. Che autrice allegra, sono.
 
Grazie di essere arrivate qui, fatemi sapere che ne pensate – ogni opinione è ben accetta!
 
Ciaooo! :)
 
pwo_
 
 
 

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Capitolo 9
*** Matthew, conto alla rovescia ***


Waaaaah ciao a tutte! *v*
 
Sono in ritardo, lo so! In questi giorni ho studiato ininterrottamente dal mattino alla sera ^^ (E., cawa, tu confermi, vero? *no*).
 
Che bruuuttooo, l'ultimo capitolo! *O* 
Sono tanto affezionata a questa storia ç_ç; l'ho amata, l'ho odiata, l'ho adorata!
Vorrei ringraziare tutte voi, tutte tutte: E. (cuore mio), A li, neurodramaticfool, Linnea, Gio_Muser, PwopahFish, Nena, Invisible_, nainai, MuseInTheEyes, mrsberryman, PallinaRosa, Tessa_! Oddio, speriamo di non aver dimenticato nessuno!!! Vi ringrazio davvero di cuore. 
 
Grazie anche alle silenziose <3
 
Un bacio e buona lettura,
 
pwo_
 
*** *** ***
Matthew, conto alla rovescia
[--At all]
 
 
 
Domenica, 14 giugno 1992
 
 
 
Mi sveglio in preda alla nausea, senza gli occhi impastati di sonno o la bocca asciutta. È presto, saranno le cinque - ah, no, le sei, da quando sono così mattiniero? - e un fascio di luce bollente proveniente dalla finestra mi cuoce piano.
Scosto le coperte dal mio corpo leggermente sudato e rotolo in qualche modo fino al bordo del letto per ammirare la mia chitarra nuova e ricordarmi di quanto è bella - che poi io non abbia idea di come suonarla è tutta un'altra questione, sì.
L'alba pallida, silenziosa e tiepida di Teignmouth riesce a mettermi di buonumore - poco importa se sono rimasto quasi carbonizzato a causa dell'effetto lente-di-ingrandimento causato dalla finestra e dallo stupido sole -, tanto che pesco dalla montagna di vestiti sulla sedia un paio di pantaloncini ed esco sul terrazzo.
Tamburello svogliatamente le dita sul tavolo, e, chissà perché, mi viene in mente che ora ci starebbe bene una sigaretta, anche se non fumo, sì, giusto per rilassarsi ancora di più - e magari aiutare la nausea? Aiuta? Chissà.
 
E oggi papà se ne va di casa.
 
 
***
 
 
Casa mia non è troppo lontana da quella di Matt, però oggi mi sembra di abitare dall'altra parte del mondo e la cosa mi fa sentire quasi in colpa.
Suo padre oggi se ne andrà di casa, non so come potrebbe reagire lui, né come potrei consolarlo io, né con che faccia, dato che a me la cosa è così estranea che non saprei neanche che parole rivolgergli.
Chissà cosa sta facendo ora.
 
 
***
 
 
«Matt-- Matt, ma sei già sveglio?» 
La voce di mia madre, alle mie spalle, mi fa voltare e alzare.
«Eh? Ah, er-- no, cioè, non da molto.»
Tre ore.
«Hai dormito bene?»
Che voce stanca, che ha.
«Sì, tu?»
«Bene. Scendi per la colazione? Perché» ha gli occhi lucidi ma sorride - o forse è solo un riflesso «papà deve prendere la macchina per l'aeroporto un po' prima.»
«Oh. Sì. Sì, arrivo. Mi vesto.»
Sono già vestito, ma nessuno di noi due ci fa caso; ci fissiamo per un secondo o due, come per dire “forza, è tutto a posto, no?” e poi la abbraccio, il suo corpo non troppo più magro del mio, ma un po' più fragile.
«Scusa, tesoro.» mormora dopo almeno un minuto, sciogliendosi dall'abbraccio. Piange proprio, non c'è dubbio, ora, però sorride sempre. 
Tanto non è che se sorridi non lo vedo, ma'.
«Ok!» esclama con un sospiro, rispondendo a niente in particolare.
«Ok!» sorrido io di rimando, prendendole una mano con le mie e baciandola sul palmo senza smettere di fissarla, come facevo quando ero piccolo.
 
Ed esce, lasciandomi davanti allo specchio a pettinarmi i capelli con le dita.
 
 
*
 
 
«Buongiorno, Matt.»
«Ciao, papà.»
Lui mi versa il latte nel bicchiere, mentre io non posso fare a meno di notare che è già vestito di quegli abiti un po' scomodi che si usano per viaggiare, i jeans lunghi, in previsione dell'aria condizionata dell'aeroporto, e la camicia.
Paul è una maschera immobile, non mi guarda nemmeno, la testa appoggiata al palmo con aria indifferente e l'altra mano ad accompagnare il suo biscotto su e giù a puccio nel suo bicchiere.
«George, vuoi portarti un qualche biscotto per l'aereo?» trilla mia madre.
 
Davvero gli stai offrendo “qualche biscotto per l'aereo”, ma'?
 
Mi trattengo per non dire nulla, mentre entrambi proseguono radiosi con la loro isterica conversazione, una con i suoi “sei sicuro che non vuoi...?”, l'altro con i suoi “oh, no, grazie, sono a posto.”.
Ma che nervi.
 
«Paul.»
«...»
«Paaaul! Mamma-ti-sta-chiamaaandooo.» scandisco come farei con uno stupido, accompagnando ogni parola con mimi improbabili.
«Eh? Sì, er...d-dimmi, mamma.»
«Andresti a prendere le valigie di papà, mentre noi prepariamo l'auto?»
 
Oh, no. Ci siamo.
Mi viene il fiato corto, le lacrime spingono contro la parete della base nel naso, stringo le mascelle - ti prego, Matt, non ora, non piangere.
«Ti aiuto!» sbotto, alzandomi in piedi.
«D'accordo.»
In camera di papà mi passa il magone, fortunatamente senza che Paul si accorga di nulla; tanto prima o poi sarebbe successo, no?
Valigie, porta della stanza, scale, mamma, porta principale.
E prima di uscire prendo un grosso respiro con il naso, attanagliato dall'improvvisa paura di dimenticarmi, prima o poi, che odore avesse la mia casa quando c'era papà.
 
 
*
 
 
Ho sempre avuto la mania di voler tenere sotto controllo il tempo che avevo a disposizione per fare le cose. Ce l'ho ancora; quando compro qualcosa da mangiare, controllo la data di scadenza per sapere quanto tempo ho per mangiarla, quando vado a letto, calcolo con esattezza le ore che mi restano per dormire, quando c'è la ricreazione e Dom è assente, conto quanti minuti dovrà durare lo strazio prima di poter tornare al sicuro dietro ai banchi.
Anche adesso non riesco a zittire il conto alla rovescia che ticchetta nel mio cervello.
 
È in macchina che l'ansia riprende, prepotente, a spingere contro la cassa toracica per cercare di uscirmi dal petto, tanto che penso di essere troppo magro perché non riesca a spezzarmi.
Controllo l'orologio ogni secondo, sapendo che il viaggio per l'aeroporto durerà due ore – ora un'ora e cinquantotto, ora un'ora e cinquantatré.
 
Credo sia la prima volta in cui, nonostante io mi trovi su un'auto, non mi viene voglia né di vomitare né di dormire. 
«Pa'.»
«Sì, Matt.»
«A che ora è il volo?»
«Alle due e mezza del pomeriggio.» ripete, per l'ennesima volta da quando siamo partiti.
«Mh. È puntuale?»
«Sì.» conferma, ancora.
«Mh.»
Tre ore e cinquanta.
 
Papà deve fare il check-in, così io mi offro di stare in coda con lui mentre mamma e Paul cercano un posto nei fast food dell'aeroporto; spostando il peso da un piede all'altro, vorrei dire qualcosa di sensato, o uscirmene con un discorso talmente commovente da risistemare tutto, come nei film.
E invece sto zitto per tutto tempo.
Un'ora e quarantanove.
 
 
*
 
 
«Grazie.»
Noto con disappunto che questo non è affatto ciò che ho ordinato, ma mi guardo bene dal sollevare il pane che copre fastidiosamente gli ingredienti. Gli altri cominciano a mangiare, sempre in rigoroso silenzio, io mi chiedo se c'è qualcosa che potrei ancora dire, ancora fare. 
«Questo panino è terribile.»
Oh, davvero è la cosa migliore che ti è venuta in mente, Matt?
«Stavo pensando alla stessa cosa.» ridacchia mio padre.
«Io lo trovo buono!» fa Paul.
«Tu, fratello, sei un maiale!» ritorco io, facendolo indignare «Mangi qualsiasi cosa! Scommetto che se dentro ti ci avessero messo del legno non te ne saresti neanche accorto.»
«Maaatt.» è il richiamo di mamma.
«Hey, Matthew, ce lo dividiamo un pacco di brownies?» chiede papà.
«Woah, i brownies, sì!» 
 
Compriamo il pacco, io faccio per tornare al tavolo, ma lui mi prende per il braccio e mi conduce verso una delle panchine grigie disposte all'interno di tutto l'aeroporto.
Stiamo lì, un po' in silenzio; penso di dover dire qualcosa.
«Pa'.»
«Mh?»
«Ci vedremo, vero?»
Oh, no, non questo.
Un'ora e venti.
Un sospiro.
«Ci sentiremo.»
«Oh.» pausa «Oh, d'accordo.»
 
Ci sentiremo.
 
Mi dice qualcos'altro di poco interessante - per smorzare la tensione, immagino -, fa una a battuta a cui credo di avere anche sorriso e dice altre cose che non c'entrano nulla.
Un'ora.
 
 
*
 
 
La voce metallica e impersonale dell'altoparlante ricorda ai ritardatari che il volo BA0572 per Chicago delle ore due e trenta del pomeriggio sta imbarcando i signori passeggeri.
Venti minuti.
 
Mia madre e mio padre si abbracciano a lungo, ma è un abbraccio freddo.
Paul a malapena tocca il suo petto, salutandolo con un gelido “allora ciao”, che lascia papà lievemente...deluso?
 
«Matt.» sussurra lui, mettendomi le dita tra i capelli per farmi sollevare il viso verso di sé «Noi--»
Mi schianto contro il suo petto, i brownies cadono a terra, lui quasi perde l'equilibrio, la schiena piegata all'indietro, i miei singhiozzi isterici nelle sue orecchie e le braccia come una morsa intorno a lui.
«Matt, cosa--?»
«Papà.» mormoro, il fiato spezzato dal pianto come mai prima d'ora «Papà.»
«Matthew, ascolta, io--»
«Don't leave, dad.»
«Io--»
«Don't leave.» percepisco che vuole staccarmi da sé per guardarmi negli occhi, dirmi qualcosa, ma non mi interessano le parole, ora mi interessa questo contatto che sa di amore puro, e stringo ancora di più la presa, per non farlo scappare.
«Don't leave dad.» ripeto, come una nenia le parole spezzate dai singhiozzi «Don't leave
«Matthew.»
«Don't leave me.»
Quando non ho quasi più forza nelle braccia per tenerlo stretto a me ci separiamo, il solito freddo che sostituisce il suo tocco su di me, e Paul e mamma sono laggiù - quando se ne sono andati?
La voce dell'altoparlante adesso lo chiama per nome, il ritardatario, esorta il signor Bellamy ad affrettarsi per effettuare l'imbarco.
Una ragazza in divisa che lo stava squadrando già da un po' si avvicina a lui.
«Scusi, lei per caso è--?»
«Sì, sì, signorina, arrivo.»
«Ma--»
«Ho detto che arrivo! Se ne vada.»
Lei esegue, allontanandosi con un'aria scettica (che le stapperei dalla faccia con le unghie) e un sollevare di braccia rassegnato.
«Matthew.» sussurra papà, asciugandomi le lacrime con i pollici «Chiamami, d'accordo? Quando vuoi, anche cento volte al giorno.»
«Please, don't--»
«--No, Matthew, ti prego, ascoltami: non avrebbe senso, lo sai. Non avrebbe più alcun senso, vero?»
Scuoto la testa, ostinato, con un movimento che blocca lui con una carezza pesante.
«Matthew, ascoltami.»
«No.»
«Matt--»
«No!» quasi grido, facendo voltare un gruppetto di persone dietro le sue spalle.
«--Io sono fiero di te.»
«Non è vero!» 
Sono furioso.
«Matt, Matt, Matt, ti prego, calmati. Perché non vuoi starmi a sentire?» mi mette le mani ai lati della testa, costringendomi a guardarlo negli occhi «Ora ascoltami bene, ogni singola parola, d'accordo? Io voglio che tu sia forte, come sei sempre stato, che ti faccia valere, che coltivi le tue passioni. Sei un ragazzo intelligente, farai strada, io lo so.»
«Non è vero!»
«Sì, che è vero! Non ti lasciar sopraffare, Matthew. Combatti, sii forte, io ci sono, puoi chiamarmi a tutte le ore del giorno e della notte. Prenditi cura della mamma e di quel pazzo di tuo fratello. Non permettere mai a nessuno di metterti i piedi in testa, neanche a me.»
«Papà--»
«--E suona, Matthew. Suona, fai musica, componi; è quella, la tua strada.»
«Io--»
Quindici minuti.
«È quello, che devi fare. Sono sicuro che tra una quindicina d'anni ti vedremo sui giornali, Matthew.»
«Papà--»
«Devo andare, Matthew; scusami.» ha gli occhi lucidi, mentre lo dice.
«T-ti voglio bene!»
«Anch'io, tantissimo.»
È la ragazza in divisa a portarmelo via dalle braccia, neanche trenta secondi dopo.
Mio padre mi guarda da dietro la spalla sinistra, poi fa lo stesso con Paul, che non ricambia, e con mia madre, che sorride debolmente prima di correre da me.
 
E poco dopo c'è l'aereo, che accende finalmente i motori, e parte, scomparendo piano dalla mia vista.
Tre.
Due.
Uno.
 
E basta.
Non ho più nulla, di ciò che mi aspetta, per cui valga la pena contare i minuti.
 
 
***
 
 
Il telefono squilla, acuto, forte, risuona per tutta la casa.
«Vado io!» grido, con il terrore nella voce «Io, vado io!»
Quando alzo il ricevitore e me lo poso all'orecchio la prima cosa che sento è il rumore di qualcuno che tira su con il naso.
Matt.
«Pronto-- pronto, Bells.»
«S-sì, sono-- sono io.»
«...»
«Se n'è andato, Dom. È andato via.»
«Sono da te tra cinque minuti.»
 
 
***
 
 
«Sono da te tra cinque minuti.»
«Dom! Dom, aspetta!»
«C-cosa, Bells?»
«La chitarra. Devi insegnarmi a suonare la chitarra.»
«Io-- sì, certo, lo farò, perché--?»
«Ti prego.»
«Va bene, Matt. A tra poco.»
Tiro su con il naso, mi asciugo le lacrime, abbasso nuovamente la cornetta e salgo in camera mia, incontrando, sulla strada, lo sguardo di mia mamma, uguale al mio.
Mi chiudo la porta alle spalle e sorrido tra me e me, guardando l'orologio.
Quattro minuti e trentatré.
Quattro minuti e ventuno.
Aspettando Dom.
 
 
 
 
Sabato, 16 giugno 2007 [quindici anni dopo]
 
 
 
«Matt, ma porc-- dove cazzo eri? Mancano quattro minuti e dieci secondi!»
«Ero qui.» rispondo calmo, 
«Ah, eri qui!» Tom ride sarcasticamente «Senti, ci sono circa settantamila persone che ti aspettano fuori, hai presente, il Wembley Stadium? Dico loro di aspettare un attimo?»
Sorrido, voltandomi nuovamente contro il parapetto e sporgendomi per guardare la strada.
«Cazzo, Matt, tre minuti!» 
Prendo un respiro e chiudo gli occhi.
Sono pronto.
Percorriamo velocemente le decine di piccoli tunnel e scorciatoie sotto al palco, fino a raggiungere Dom e Chris, che mi aspettavano con l'aria di chi ha visto un fantasma.
«Ma dov'eri, Matt, sei impazzito?» strilla il primo.
«Ci sono, ci sono.» rispondo con un sorriso.
 
Ci posizioniamo con la schiena ognuno a contatto con quella dell'altro.
E poi le note di Dance of the Knights partono, e mi sento le gambe tremare e vorrei tornare indietro, di quindici minuti. O di quindici anni.
La pedana inizia a muoversi verso l'alto, a me viene quasi da piangere.
 
Sono sicuro che tra una quindicina d'anni ti vedremo sui giornali, Matthew.
Sì, papà, eccomi, sono qui. 
Ce l'ho fatta, hai visto? Lo dicevi, tu.
 
Mi metto una mano sul cuore mentre i miei occhi passano in rassegna le migliaia di persone che stasera hanno pagato per vedere il primo concerto dei Muse al Wembley Stadium.
 
 
 
*** *** ***
 
 
 
 
 
...mi dispiace, è finita! T_T
Spero che questo finale vi abbia soddisfatto :3
 
Ci vediamo con una one-shot che potrei anche pubblicare stasera...*aura misteriosa* .
Un abbraccio!!! 
 
Grazie di essere arrivate qui,
 
ciao, Without You I'm Nothing!
 
pwo_
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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