NCIS - College Version di cheekbones (/viewuser.php?uid=126209)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** [Prologo] Come eravamo ***
Capitolo 2: *** Take a breath ***
Capitolo 3: *** Prendi una decisione e falla tua ***
Capitolo 4: *** All we are, we are ***
Capitolo 5: *** Cosa sei disposto a perdere? ***
Capitolo 6: *** Remember me ***
Capitolo 7: *** On the radio ***
Capitolo 8: *** Goodbye, Tony... ***
Capitolo 9: *** ... Welcome back, Zee ***
Capitolo 10: *** The strangers ***
Capitolo 11: *** Fuoco incrociato ***
Capitolo 12: *** Le cose che non ti ho detto ***
Capitolo 13: *** Family is more than just DNA ***
Capitolo 14: *** It's time for me to go Home. ***
Capitolo 15: *** Unexpected ***
Capitolo 16: *** Supernova (Part 1) ***
Capitolo 17: *** Supernova (Part 2) ***
Capitolo 18: *** Only the good die young ***
Capitolo 19: *** Make it or break it ***
Capitolo 20: *** Fai bei sogni ***
Capitolo 21: *** Di bersagli e riviste porno. ***
Capitolo 22: *** The best way to predict the future is to invent it. ***
Capitolo 23: *** Three, Two, One, Go! (part 1) ***
Capitolo 24: *** Three, Two, One, Go! (part 2) ***
Capitolo 25: *** Aba ***
Capitolo 26: *** It's time to begin, isn't it? ***
Capitolo 1 *** [Prologo] Come eravamo ***
NCIS
NCIS -
COLLEGE VERSION
Prologo
Due anni e mezzo dopo.
Nonostante tu abbia trentacinque anni, una vita agiata e felice, ci sono
sempre cose che ti possono sconvolgere.
"Sono incinta, Jethro" e
il
suo mondo si era ribaltato in meno di sei secondi netti. Non che gli
dispiacesse - amava Shannon e, per quanto fosse diversa da lui, era
consapevole che senza di lei la sua vita sarebbe stata alquanto
invivibile. Ma lui non era bravo con i bambini; con gli
adolescenti poteva urlare e sbraitare. Con gli adulti poteva
litigare. I bambini,
invece, prendevano tutto.
I bambini diventavano tutto. Era
stato già abbastanza complicato accettare che un'altra
persona
fosse fondamentale, ma un figlio? Sarebbe stato in grado di essere un
buon padre?
Con la figlia di Fornell era bravo, ma non si sentiva responsabile e,
quindi, era diverso. In ogni caso, Shannon sembrava rinata: accarezzava
il pancione, sorrideva a tutti e aveva scoperto dei libri sulla
gravidanza nel suo comodino. Un pò lo faceva soffrire che
lei
l'avesse tagliato fuori, però in un certo era sollevato dal
non
dover pensare ad altro.
Si, Jethro Gibbs era entrato nel panico.
9x14
1.
Tony si
svegliò molto dolcemente, come non succedeva da molto. Le
lezioni alla Washington University lo impegnavano molto più
del
previsto e riusciva a malapena ad andare in palestra, nei momenti
liberi dallo studio. Non faceva che correre in giro e si occupava
dell'appartamento che suo padre gli aveva comprato dopo il diploma; i
rapporti con lui ernoa talmente migliorati, che si sentiva libero di
chiamarlo, se aveva qualche problema. Certo, evitava di farlo se sapeva
della presenza di Kate, con lui. Li aveva beccati solo una volta a fare
sesso, e gli era bastato.
Poi c'erano i pomeriggi passati in gelateria con Abby e McGee, gli
unici amici che gli erano rimasti del liceo. La prima viveva nel campus
universitario, mentre al secondo aveva affitato una stanza del suo
appartamento, per pagare almeno le bollette e non farlo fare a suo
padre. Vivere con McGee si era mostrata un'impresa quantomai dura da
superare: avevano orari e abitudini talmente diverse da fare a botte,
ma si volevano troppo bene e la situazione andava troppo comoda a tutti
e due. Inoltre, la presenza costante di Abby in quell'appartamento gli
era molto gradita.
Per cui, la sua nuova vita universitaria, non era molto rilassante.
Quella domenica mattina, però, si era liberato da ogni
impegno
proprio per dormire qualche ora in più. Sorrise, spostando
una
ciocca di capelli scuri dal naso. La sua ragazza russava ancora, a
differenza sua: dormiva tranquilla, per niente disturbata dai suoi
movimenti. Tony si sporse leggermente e le baciò una tempia.
Lei
mugugnò qualcosa e lo fece sorridere.
"Buongiorno, Wendy!" le accarezzò il braccio e la ragazza
gli sorrise. "Ehi" si stiracchiò, spostando le coperte.
"Tim ha fatto il caffè?" domandò a Tony, che si
stava alzando.
"Spero per lui di si, guarda" alzò gli occhi al cielo. "Sono
giorni che non mi fa dormire per colpa di quell'assurdo progetto di
Scienze, se non mi ha preparato la colazione mi incazzo! Tu fai con
calma" le fece l'occhiolino e uscì dalla stanza, mentre
Wendy
annuiva e si buttava sul cuscino a peso morto.
La loro relazione era cominciata da poco meno di un anno, con grande
stupore dei suoi amici. Wendy sapeva esattamente cosa voleva, quando lo
voleva e a Tony piaceva
esattamente per questo. Non si sentiva di dirle Ti amo, nè
di
prometterle alcunchè (non era il tipo) e voleva essere
abbastanza libero da fare quello che sentiva. Wendy, tuttavia, era
diventata
oramai una relazione seria, nonostante le sue rimostranze.
A suo padre, lei non piaceva. Gli aveva fatto capire che la considerava
un'arrampicatrice sociale - ma quando mai Anthony Junior aveva seguito
i
consigli di Senior? Era solo geloso, secondo lui.
"McCaffè!" salutò Tony, con uno sbadiglio.
Entrò
in cucina solo in boxer e l'aria sfatta, mentre il suo coinquilino lo
guardava disgustato.
"Mettiti qualcosa addosso, Tony!"
"Hai paura di essere abbagliato dalla mia fantastica bellezza?"
scherzò Tony, tirandogli uno scappellotto. Notò
con
piacere che stava facendo il caffè con la moka italiana che
aveva comprato prima di trasferirsi da solo nel suo appartamento. "Ti
abbiamo disturbato?" continuò, più serio.
"No, no. Avete fatto piano" sorrise lievemente, osservando il
caffè uscire. "E poi io e Abby ci siamo presi una paura dal
progetto, per farlo visionare al rettore della facoltà di
Ingegneria" fece spallucce. "Prima della consegna, vogliamo essere
sicuri che funzioni"
"Ce la farete" si allungò per prendere due tazzine dalla
credenza. "Siete i più geniali che conosca!"
"Ma il progetto 09 coinvolge tutta
la nazione" tirò un sospiro "e
frutterà molti soldi ai vincitori"
"Dai, non deprimerti, McTristezza" gli tirò una spallata
divertita. "Voglio parte del premio, quando vincerete"
"Oh, speriamo, io..."
"Buongiorno, McGee!" lo salutò Wendy, accuratamente vestita.
Baciò Tony e sorrise all'altro. "Per me niente
caffè,
devo proprio andare. Pranzo con i parenti, che noia. Ci sentiamo, eh?"
uscì di corsa dall'appartamento e McGee la seguì
con lo
sguardo confuso.
"Ancora non posso credere che stiate insieme da nove mesi!"
Tony si limitò a fare una smorfia e prese un biscotto dalla
credenza, in attesa del caffè. "A chi lo dici. Ma lei mi
piace,
per quanto non voglia mettere la testa a posto, sai. Mi da quello di
cui ho bisogno, adesso"
Tim non rispose, preferendo preparare la tavola per la colazione. Tony
non ebbe alcun bisogno di sentire la sua opinione, visto che la
conosceva già bene: a lui, Wendy non dispiaceva,
però
trovava che non fosse fatta per stare con Tony.
"Caffè pronto!"
Devi diventare vuota.
Svuota tè stessa, Ziva. Guardò
dritto di fronte a sè e sparò. Tolse gli occhiali
e,
compiaciuta, si accorse di aver colpito il manichino proprio nei punti
chiave: testa e cuore. Precisa, letale. Scaricò la pistola e
uscì dal poligono di tiro del Mossad.
Fuori, poggiato al muro, c'era Michael Rivkin. Suo padre gli aveva dato
l'incarico di affiancare Ziva, visto che erano i suoi primi mesi al
Mossad come agente; contemporaneamente, cercava di laurearsi
in Lingue e di completare l'addestramento di routine, sebbene fosse
molto giovane - avere un padre come Direttore le era decisamente
servito.
"Michael" salutò, sorpassandolo. Aveva il sentore che avesse
una
cotta per lei e, in quel caso, cascava male. Ziva David aveva chiuso
con gli uomini.
"Ziva" le andò dietro, sorridente come sempre. Un
pò era
positivo averlo intorno, visto che riusciva spesso a farla ridere - e a
letto era bravo. Tuttavia non era stata con molti ragazzi per fare il
paragone: in vent'anni di vita, aveva fatto sesso solo con Michael e con un'altra persona.
"Cosa vuoi, Michael?" lo trattava sempre con freddezza.
"Devo starti dietro, è il mio compito. Ah" la
bloccò per un braccio, avvicinandosi pericolosamente
alle sue labbra. "Prima di andare al quartier generale, che dici se
facciamo una sosta a casa tua?" le sorrise e Ziva corrugò la
fronte.
"Scordatelo" lo cacciò via. "Perchè dobbiamo
andare al quartier generale?"
"Mi hanno affidato una missione, visto che sono fermo da un
pò"
con una smorfia si allontanò da lei, riprendendo a
camminare.
"Ho chiesto di farti venire con me, tanto per cominciare a prendere la
mano con gli incarichi; è abbastanza semplice, solo di
controllo
e tuo padre ha accettato di farti venire con me"
Non ne avevo dubbi la
ragazza
alzò gli occhi al cielo. Suo padre spingeva
affinchè
facesse coppia fissa con Michael - forse si sentiva in colpa per
ciò che era accaduto due anni e mezzo prima, forse
perchè
non desiderava che sua figlia entrasse nel Mossad, tanto da spingerla
tra le braccia di chiunque pur di distrarla.
"Cosa dovremmo fare?" tirò su col naso.
"Si parte fra due giorni. Hai quarantotto ore per preparare la valigia.
In ogni caso, dobbiamo scoprire la persona di collegamento tra una
cellula terroristica dormiente e uno studente americ..."
"Aspetta un secondo" lo fermò bruscamente. "Dobbiamo andare
in America?"
"Si, a Washington. All'università, per essere precisi. La
cellula lavora lì e le nostre fonti dicono che hanno un
nuovo
membro, una specie di genio dell'informatica che li starebbe aiutando
ad attivare di nuovo la loro cellula. Dobbiamo trovare lo studente e
neutralizzarlo, se possibile" fece spallucce. "Stai bene?"
Ziva era impallidita e, per un secondo, ebbe una certezza: Ecco perchè mio padre
ha accettato!
Tutte le mattina, Tony DiNozzo andava a correre al Rooney
Park,
vicino al suo appartamento. Era piccolo e ben tenuto, ma soprattutto
alle sette del mattino non c'era nessuno. Anche quella domanica mattina
andò a correre, ma il Rooney, alle dieci, pullulava di
persone.
Era diventato molto più caotico da quando il governatore
aveva
deciso di inaugurare lì un nuovo edificio federale e, prima
del
grande evento, molti stand di dolci e zucchero filato si erano piazzati
in bella mostra davanti ai cancelli.
Ma Tony non andava lì solo per correre. Sorrise, vedendo che
il
suo professore era, come sempre, seduto alla stessa panchina.
"Buongiorno, Boss"
"Tony" Gibbs prese un sorso del suo caffè e gli porse
l'altro,
che aveva accanto a sè. Tony lo accettò di buon
grado e
si sedette accanto a lui.
"La dottoressa Stevens?"
"Prosegue la gravidanza. E Tim e Abby?"
"Stanno ancora impazzendo dietro al progetto 09!" ridacchiò,
prendendo un altro sorso del suo amato caffè extra
zuccherato.
Era diventata una piacevole abitudine chiacchierare con Gibbs, prima di
rientrare nella sua pazza vita da universitario. Si erano incontrati la
prima volta l'anno prima e Tony aveva attaccato a parlare a macchinetta -
perchè era stanco, tanto stanco e voleva solo che tutto tornasse come era prima. Il
giorno dopo gli aveva detto che Shannon era incinta, quello dopo ancora
gli aveva portato il caffè; alla fine, vedersi era risultato
talmente normale, da parte di entrambi, che non riuscivano a rinunciare
alla cosa. Inoltre, Gibbs si occupava ancora della squadra di basket e
lo aiutava spesso per i suoi esami alla facoltà di
Educazione
Fisica.
Gli aveva anche raccontato di Wendy e l'aveva visto fare una smorfia
contrariata, oltre che vagamente sorpresa. C'erano anche giorni in cui
restavano in silenzio, solo per godersi l'aria pulita del parco.
Quella, era una di quelle mattine.
Ziva entrò piano nel suo -loro- nuovo appartamento. Era
piccolo,
con due camere singole, un bagno e una cucina, separata dal salone solo
da un angolo cottura abbastanza largo. Era carino, ma soprattutto,
vicino all'Università. Michael aveva poco meno di trent'anni
ma,
falsificando i documenti, era riuscito ad apparire come uno studentello
di Gerusalemme al suo ultimo anno di Università e aveva
"accettato" il ruolo di assistente del professore di Lingua e Cultura
Araba. Ziva era ufficialmente la sua fidanzata, una certa Rachel
Watson. Il nome, perlomeno, le piaceva. Le era stato ordinato di uscire
raramente di casa, doveva solo aguzzare la vista e lavorare al
computer, per dare man forte a Michael.
Tutti, al Mossad, sapevano del suo passato a Washington e non volevano
rischiare: avrebbero potuto riconoscerla. Ma lei era di casa, in
America, quindi una risorsa troppo succosa per non essere
sfruttata. Ziva aveva fatto quello che sentiva: era andata dal
parrucchiere e si era fatta fare un taglio nuovo, giusto per evitare di essere riconosciuta. Certo, dieci
centimentri di capelli erano volati via, ma era abbastanza soddisfatta.
Entrata nell'appartamento, aveva aperto le tende; dalla finestra si
vedeva un parco molto carino e decise che sarebbe andata a correre
lì.
Tanto, chi vuoi che ci
sia alle sette di mattina?
"Ti ho già detto che con questo nuovo taglio sei uno
splendore?"
Michael le circondò i fianchi con un braccio e le
baciò
il collo.
Come sempre, lo stomaco di Ziva si contorse, in una mossa dolorosa
che urlava, in tutta la sua potenza, che era tutto, fottutamente,
sbagliato.
Maia says:
^_^ AH! Non uccidetemi, per favore.
Ve lo aspettavate, dite la verità?! xD [Cele se lo
aspettava, scommetto!] Bah. Ditemi voi xD Continuo? :O
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Capitolo 2 *** Take a breath ***
NCIS
Ziva: But he was
never there.
3x17
Le
sue giornate trascorrevano tra i libri che si era portata da Tel Aviv,
per affrontare un esame all'Università, il computer con i
dati che Michael le passava e la televisione.
Ergo,
il piano era abbastanza semplice, l'avrebbe compreso anche un bambino
di dieci anni: sta in
casa, zitta, possibilmente a viso coperto e, per carità,
evita di immischiarti eccessivamente nel caso. Perchè
Ziva David aveva poco più di vent'anni, era appena entrata
nel
Mossad e non poteva in alcun modo prendere parte alla missione. E Ziva
cosa aveva fatto? Naturalmente l'esatto contrario.
Per prima cosa, aveva sedotto Michael. Ci era andata a letto, solo per
farsi raccontare come stava andando all'Università e gli
aveva
fatto una serie infinita di moine che avevano lo scopo diretto di farla
partecipare in prima persona - che le avevano fatto guadagnare
l'appellativo orribile di gattina.
Si era offerta a lui, aveva mentito, si era trasformata
nella
Mata Hari della situazione: ebbene, in dieci minuti Ziva David aveva
fatto centro. Aveva convinto Michael a portarla alla festa
dell'Università, uno di quei tanti party che spesso gli
studenti
organizzavano nei dormitori.
Aveva anche comprato un vestitino carino a fiori (che aveva sempre
odiato, ma poco importava). La nuova pettinatura corta ci stava proprio
bene, sul suo nuovo look. Poi si era truccata, con gran piacere di
Michael, seriamente convinto che tutto quel lavoro fosse solo per
compiacerlo.
Sbang. Errore.
Il Mossad le
aveva insegnato, prima di tutto, a piegarsi. Piegarsi alle persone,
alle situazioni. Le aveva insegnato a mentire. Cominciava a capire
perchè Ari le diceva sempre i Servizi Segreti erano un
pò
come la mafia: non ne puoi uscire, una volta entrata. In pochi mesi,
Ziva si era resa conto che tutte le storie che aveva sentito erano
vere, se non peggio. Sapeva troppo, ormai.
Di fatto, non aveva neanche intenzione di cambiare vita. Vita, poi. Che espressione buffa. La
faceva sempre ridere. Perchè dopo l'adolescenza passata in
uno
Stato in guerra, dopo la morte di tutti i membri della sua famiglia,
eccetto suo padre, dopo aver conosciuto l'amore vero e dopo averlo
perso con uno strappo di cui la ferita sanguinava ancora, Ziva David
non era certa
di poter definire, la sua, una vita.
Era arrivata negli Usa a pezzi. Era partita non solo a
pezzi, ma disintegrata.
"Sei pronta?" Michael si sistemò il colletto della giacca
davanti allo specchio in salotto. La ragazza annuì e, con la
mano, lisciò la gonna del vestito.
"Andiamo?" si schiarì la voce, per richiamarlo all'ordine.
Era estremamente vanitoso, quando ci si metteva.
Le fece l'occhiolino e corse in cucina a prendere un goccio di whisky.
Ziva lo guardò duramente - non le andava giù il
fatto che
abusasse dell'alcool.
"Hai finito? Dobbiamo andare" ringhiò, incrociando le
braccia al
petto. Nella collana che portava, avevano nascosto una cimice.
"Calma, gattina! Sono pronto, andiamo"
"Sei pronto? Dobbiamo andare!" urlò Tony, battendo il pugno
sulla porta del bagno. "Cazzo, McGee!"
L'altro aprì la porta di botto, guardandolo male. "Eccomi!"
l'amico guardò divertito la sua Polo, nuova di zecca.
"Tim, non dobbiamo andare in chiesa" alzò gli occhi al
cielo.
"E' una festa! Certo, di una confraternita, ma pur sempre una festa!"
"Io lo trovo molto sexy!" esordì Abby e lo baciò
lievemente, macchiandogli le labbra di rossetto scuro. McGee sorrise.
"Siete disgustosi" ridacchiò Tony. Afferrò al
volo la
giacca sul divano e prese le chiavi della macchina. "Sbrigatevi, guys!"
trottò fuori dall'appartamento e, mentre aspettava,
mandò un messaggio veloce a Wendy.
"Siamo pronti" sorrise Abby, a braccetto col suo ragazzo.
In auto, si parlò del più e del meno. Tony
sorrideva
sempre quando era in compagna di quei due: proprio non pensava che, di
tutti i compagni di liceo, si sarebbe portato dietro loro - ma ne
avevano passate tante. Insomma, troppe. Troppe per dei diciassettenni,
troppe per degli adolescenti in generale.
Tutto sommato era contento, però, di ciò che era
accaduto. Aveva avuto degli amici nuovi e... si morse le labbra,
sovrappensiero. Ziva
David.
"Tony!" urlò Abby.
"Eh, cosa?" saltò sul sedile.
"Siamo arrivati, parcheggia!" Dallo specchietto retrovisore, vide
l'espressione preoccupata e leggermente confusa di McGee. Gli sorrise,
cercando di infondergli sicurezza. Scesero dall'auto, a pochi metri
dalla sede della confraternita che aveva organizzato la festa. Tony era
stato invitato perchè abbastanza popolare, Abby e McGee
perchè vincitori di innumerevoli premi scientifici e attuali
concorrenti per il progetto 09.
Entrati nella villetta, i tre ragazzi si guardarono in giro spaesati:
chi vomitava, chi beveva, c'era pure qualche ragazza nuda. Ed erano
solo le dieci.
La coppia si eclissò in cucina, chissà dove,
mentre Tony
cercava, in un'ondata di studenti, un viso familiare; frequentava
parecchio le lezioni e si era fatto un decente giro di amicizie, ma
nessuno sembrava presente a quella festa.
"Ciao, Tony!" un ragazzo biondo, dall'aria simpatica e le labbra in
fuori, gli diede una pacca sulla spalla. Tra le mani aveva un bicchiere
di cartone pieno di liquido ambrato e lo porse all'altro, come segno di
benvenuto.
"Ciao, Steve. Come procede?" lo seguì verso il balcone
aperto.
"Meglio di quanto pensassi!" rise istericamente. "Ci sono tre ragazze
che vanno in giro in topless, non so se ci hai fatto caso. Joshua dice
che sno qui per scommessa, in ogni caso miro a farmene una" gli fece
l'occhiolino e brindarono, ignorando la musica dall'interno. "Ti lascio
qualche ragazza?"
Tony sorrise: "Ci penserò, dai" Non voleva ammettere dinanzi
a
terzi che non intendeva tradire Wendy - mai fare la parte dello sfigato
di turno.
"Fammi sapere" brindarono ancora una volta, poi Steve sparì
tra la marmaglia di studenti.
Tony sospirò tra sè e sè, osservando
il suo
riflesso nella bevanda alcolica e si passò una mano tra i
capelli. Per caso, o meglio, intenzionato a ritrovare i suoi due amici,
alzò lo sguardo di nuovo verso l'interno della casa. La
prima
cosa che vide fu un vestito a fiori. Gli piacque. Era carino. Era diverso. Faceva
a botte con i vestiti succinti e gli shorts inguinali che indossavano
il resto delle ragazze a quella festa. Un paio di sandali rossi, non
eccessivamente alti, ma che la slanciavano perfettamente. Pelle
abbronzata, liscia: sexy. Sorrise, involontariamente.
Salì con lo sguardo ad osservare i capelli corti e
leggermente
ondulati, che le arrivavano alle spalle. La ragazza misteriosa era di
spalle e si stava servendo un pò di ponch; Tony DiNozzo,
quella
sera, non aveva intenzione di tradire Wendy e in nove mesi non l'aveva
mai fatto. Ma si annoiava e quella ragazza lo attirava come non mai,
perchè sembrava totalmente estranea nel contesto della
Washington University.
Di scatto, la ragazza si voltò, per raggiungere qualcuno
dall'altra parte della stanza. Tony la vide solo di lato.
Tanto bastò per provocargli un improvviso mancamento.
Non fece niente, Tony, e in seguito si complimentò con
sè
stesso per aver avuto i nervi saldi. La sua mente passò in
rassegna tutte le possibilità, nessuna vagamente probabile. Perchè,
tra loro, c'era un oceano - e, in effetti, era il male minore.
Perchè l'ultima volta che l'aveva vista gli aveva vomitato
addosso tutto l'odio del mondo - e, Dio!, se aveva fatto bene.
Perchè Zee non
aveva i capelli corti. Li aveva lunghi.
Dopo circa cinque minuti, Tony convenne che aveva preso una svista. Una
terribile e pessima svista. Forse era un particolare periodo
dell'anno, visto che pensava a lei più del dovuto e, ogni
volta,
il rimpianto prendeva possesso del suo corpo, cacciandolo fuori e
obbligandolo a guardare cos'era diventato, cosa le aveva fatto. Non era
servito a niente scusarsi e spiegare il suo punto di vista, le sue
ragioni. Era tornata in Israele, perchè continuare ad
illudersi?
Sono passati due
fottutissimi anni. Dovrei averla superata.
Con Tim ne aveva parlato. Lui era dell'opinione che certe
cose
non si superano; quando qualcuno ti penetra dentro, come una radice,
può essere sradicato, ma lascerà sempre un
pò di
terra smossa, aveva detto. Tony l'aveva preso in giro, ma ripensandoci
aveva ragione.
Decise di cercare seriamente i due amici. Aveva voglia di tornare a
casa e dormire. Tuffarsi
nel cuscino e ignorare il magone allo stomaco.
Perchè, per un
secondo, Tony DiNozzo era stato felice, per la prima volta dopo due
anni e mezzo.
Ziva David, da quando aveva lasciato Washington per
tornare a Tel Aviv, era spesso soggetta a tremendi attacchi d'ira:
scattava con poco e per poco, ma dietro di sè lasciava terra
bruciata. Per cui, in piedi nella casa della confraternita, meditava
propositi di vendetta seri contro Michael, che l'aveva lasciata da sola
in mezzo ad un branco di studenti arrapati e la sua rabbia si traduceva
nello stritolamento del bicchiere di ponch che aveva tra le mani.
Decise che era ora di tornarsene a casa.
Lanciò il bicchiere in un cestino di fortuna e si
avviò verso la porta; peccato, dovette fare subito marcia
indietro.
C'erano poche cose che Ziva ricordava con chiarezza, una di queste era
il modo sconclusionato di vestire di Abby Sciuto. L'aveva riconosciuta
subito: i capelli, l'espressione entusiasta. Con commozione, vide che era cresciuta. Era bellissima. E,
a giudicare dal ragazzo appeso al suo braccio, era ancora impegnata.
McGee! La
gola sembrò ingrossarsi, gli occhi divennero lucidi e si
portò spasmodicamente una mano alla gola, osservando i suoi
due vecchi amici. Non si era mai resa conto che le mancavano
così tanto. Era una nostalgia malvagia e sottile,
perchè non aveva scelto di andarsene, era stata obbligata
dalle scelte di qualcun altro. Pensava che i due fossero al MIT, dove
avevano sempre sperato di essere ammessi. Si guardò in giro,
improvvisamente terrorizzata: Tony? Poteva essere con loro? Ma che vado a pensare.
Sarà in California a fare il... cretino. Deglutì
tre volte, prima di ritrovare la mobilità alle gambe. La
coppia se ne stava andando di tutta fretta ed ebbe la conferma che Tony
non era con loro.
"Tony! Oh, mio Dio! Tony! Che è successo?" Abby scosse
fortemente il suo amico, seduto per terra, nel parcheggio, a ridosso
della sua auto. Si teneva la testa con le mani e non dava segni di
averla sentita. McGee si accovacciò accanto a lui, cercando
di sbirciargli il viso.
Tony sembrò riprendersi subito, dopo qualche secondo.
Alzò la testa ed Abby sospirò di sollievo,
poichè si era resa conto che non era nè ubriaco,
nè ferito. Sembrava avesse visto un fantasma.
"Ci hai fatto spaventare, coglione! Cos'era quel messaggino che mi hai
mandato?"
"Io" tossicchiò leggermente. "Dovevo uscire di
lì. Credo di aver avuto una specie di mancamento... non mi
sento molto bene. Mi servivano le chiavi, sono nella tua borsa"
Abby e McGee si guardarono stupiti.
"Ehi"
"Ehi"
Gibbs entrò in casa e posò le chiavi sulla
mensola del soggiorno. Shannon era seduta in salotto, sul divano, le
ginocchia raccolte in petto e l'espressione seria. Jethro
capì subito che lo stava aspettando. Aveva fatto
più tardi del previsto e non si era nemmeno preoccupato di
avvisare.
"Dobbiamo parlare" gli disse, neutra.
"Lo so. Lo so."
Maia says:
Prima di tutto, volevo ringraziarvi tipo un sacco per il vostro
appoggio :')
E lo so che voi siete orribilmente arrabbiati con me perchè
in questo capitolo NON SUCCEDE NULLA, E' CORTO E SCRITTO MALE, ma per la storyline è fondamentale che le cose siano ben delineate e divise, anche perchè ci saranno salti temporali e non voglio farvi diventare scemi UUHUHUHUHUHUH. In compenso il prossimo sarà lungo e FORSE, scoprirete perchè Ziva è scappata in Israele.
Che poi... NOVE RECENSIONI? WOW T.T
Vi voglio bene, Team!
Semper Fidelis.
|
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Capitolo 3 *** Prendi una decisione e falla tua ***
NCIS
Shannon:
We've been waiting for you
9x14
Gibbs
afferrò la tazza che sua moglie gli porgeva. Sorrise
dolcemente,
notando che era caffè e non il thè che lei faceva
sempre.
Aveva pensato a lui, per la prima volta da quando aveva scoperto di
essere incinta. Ne prese un sorso, mentre Shannon si sedeva di fronte a
lui, il viso scavato.
"Stai bene?" le sussurrò, senza però fare un
passo verso
di lei. Shannon alzò lo sguardo e lo fissò
interdetta,
nonchè stupita.
"Ora ti preoccupi per noi?"
ogni volta che ne aveva la possibilità, sottolineava il
fatto
che fossero in due. E Jethro non riusciva ancora a capacitarsene.
"Shannon" prese un respiro e posò la tazza. Vide il suo
sguardo
risentito e cercò di rimediare: "Mi sono sempre preoccupato"
"Non mi sembra. Sono due mesi che esci senza avvisare, torni quando ti
pare. Si può sapere cosa ti prende?" ringhiò.
"Aspetto un
bambino, Jethro! Ho
bisogno, io devo
averti accanto. Ho bisogno di
sapere che tu ci sia, che non sono sola..."
"Non lo sei" Gibbs scosse la testa, passandosi una mano tra i capelli.
"Forse. Ma non grazie a te" trattenne un singhiozzo.
"Io ti amo, Shannon" le disse, guardandola negli occhi.
"E' proprio questo il problema, Jethro. Tu ami solo me" si
alzò, una lacrima che le bagnava la guancia e una mano sul
ventre, in segno di protezione.
"Non capisco perchè, sai. Pensavo saresti stato felice. Mi
sono
fatta un'esame di coscienza, forse dovevo coinvolgerti di
più,
ma ora mi rendo conto che il problema non sono io, sei tu. Sei fatto
per stare solo, sei questo: un animale solitario. E io ci ho provato...
" prese un respiro. "Ci ho provato a starti accanto, sto bene con te.
Io ti amo. Ma non posso stare con qualcuno che non ama il mio bambino.
Mi dispiace. Domani torno dai miei..." fece per andare in camera da
letto, ma Jethro l'afferrò in tempo. L'abbracciò
da
dietro e affondò il naso tra i suoi capelli.
"Ascolta" le sussurrò all'orecchio. "Mi dispiace"
"E' un segno di debolezza" singhiozzò.
"No, stavolta no. Sono confuso, Shannon. Non credo di essere pronto per
diventare padre, ma d'altro canto non credevo di essere pronto neanche
per diventare un marito.. e invece lo sono. E non è vero che
amo
solo te"
le poggiò una mano sulla pancia. "Dammi tempo. Ce la puoi
fare?"
Shannon si voltò: "Spero che abbia i tuoi occhi"
mormorò.
Dopo aver respinto Michael, Ziva si arrotolò nel lenzuolo,
lo
sguardo perso nel vuoto. C'erano tante cose che le vorticavano in
testa, troppe cose forse. Non ci era più abituata. Da quando
era
entrata nel Mossad, aveva staccato la spina. Doveva solo eseguire gli
ordini, non c'era nulla di difficile: lasciare i sentimenti fuori, era
la regola. Per Ziva non era stato difficile, visto che di sentimenti
non ne aveva più. Gli erano stati portati via dopo troppe
morti
(fisiche e non).
Si può dire che si era arresa. Si era arresa al suo destino,
alla sua storia, a quello che era stato, da sempre, il volere di suo
padre.
Perchè era stato più facile entrare nel Mossad,
scappare
in Israele, prendersela con Tony. Aveva sbagliato solo lui? Oh, no. Dopo
due anni, Ziva si chiedeva perchè non era rimasta a
combattere
per la sua felicità; in fondo, era di questo che si
trattava,
Felicità. La sua.
Michael si mosse lievemente nel sonno e poggiò una mano
sulla
sua pancia. Ziva lo scostò, presa da una singulto
disgustato, decisamente non da lei. Aveva imparato a soffocare tutto,
pur di arrivare alla fine di una missione, pur di averla, una
missione. Anche se significava andare a letto con Michael.
Non l'aveva mai rifiutato prima d'ora, anche perchè non le
dispiaceva far prendere aria ai pensieri, in quel lasso di tempo in cui
l'uomo riusciva a darle un orgasmo degno di questo nome.
Ma non è la stessa cosa, Zee. E tu lo sai.
Fare l'amore con Tony era diverso. Era stare in pace con
l'Universo. Era entrare in contatto con la parte più
nascosta e
intima del mondo. Fare l'amore con Tony era tutto, era sentirsi amata
come mai lo era stata. La prima volta, semplicemente perfetta. Ziva non
credeva che potesse essere così.
Aveva
aspettato, l'aveva amata, nonostante lei non volesse andare fino in
fondo. Mai una pressione, poche battute, tante coccole.
Alla fine aveva ceduto. Era stata lei a saltargli addosso, quel giorno,
sul divano di casa DiNozzo. Tony aveva avuto perfino paura a
spogliarla, toccarla. Diceva di essere un esperto, navigato nel
settore, ma si era subito accorta che, con lei, non sapeva dove mettere
le mani; poi era andata sempre meglio. Ziva aveva scoperto di dover
fare l'amore con lui, in media, due volte alla settimana (ed Abby
l'aveva preso in giro per giorni, dopo che aveva fatto quella stima
matematica). Cominciava ad essere insofferente se non le era vicino. Lo
amava, lo amava con tutta sè stessa. Tutto quell'amore,
molto adolescenziale, ora se ne rendeva conto,
l'aveva ben presto trasformato in odio.
Odio distruttivo, ma non per
lui: per lei.
Ziva si alzò di scatto a sedere, colta da un improvviso
attacco
di panico. Passeggiò fino in cucina e prese a guardare fuori
dalla finestra, le mani che sfregavano sulla canotta che usava per
dormire. Certe volte la mancanza diventava insopportabile, dolorosa,
opprimente.
In quei momenti Ziva non riusciva a fare nulla, o semplicemente andava
al poligono di tiro per sfogare la frustrazione. Ma oramai era passata.
Non si
ricorderà neppure di me si morse le labbra. Meglio. Dovunque tu sia, spero
che tu stia soffrendo, DiNozzo.
Il Mossad era diventato ben presto un guscio protettivo.
Era il
luogo in cui Ari aveva lavorato ed era diventato quel mostro che aveva
dovuto conoscere, per cui era morto. Lì lavorava suo padre,
c'era tutta la storia della famiglia David. Il Mossad non avrebbe
potuto, mai, farle del male.
Guardò l'orologio: erano le tre. Ziva, però, non
aveva
sonno, così si sedette al tavolo della cucina, strapieno di
fogli e con una grossa lavagna bianca che lei e Michael utilizzavano
per lavorare al loro caso. C'erano quattro nomi, scritti con un
pennarello nero:
Atef
- Fares - Jaber - Ibrahim
Mancavano
i cognomi, a loro sconosciuti. Il Mossad era riuscito ad invidividuare
la cellula grazie ad alcune intercettazioni ambientali, ma si sapeva
poco di questi tre individui, che frequentavano abitualmente
l'Università. Con sorpresa di Ziva, c'erano molti musulmani
che
frequentavano la Washington University, ma nessuno che rispondeva a
questi quattro nomi. Copertura.
Rimaneva
un campo troppo vasto da tastare, per cui avevano deciso di mandarli
dritti sul campo. Il portatile era costantemente acceso e Ziva ne
approfittò per mettere le cuffie e riascoltare le voci di
due
dei quattro terroristi.
C'è qualcosa
che non va - era la prima cosa a cui aveva pensato.
Le due voci erano strane, come se fossero rarefatte o estremamente
perfette. Di solito riusciva ad individuare il dialetto
dall'articolazione della pronuncia e Michael aveva sperato che ci
riuscisse anche quella volta. Ma non ce l'aveva fatta, semplicemente
perchè non avevano un modo particolare di parlare.
Rimaneva una difficoltà insormontabile, ma Michael stava
registrando tutte le voci degli studenti che frequentava, in
qualità di assistente, per confrontare le voci: una tecnica
che
non aveva ancora dato i risultati sperati.
Ziva, però, non demordeva e, mentre Michael si occupava dei
possibili membri della cellula dormiente, lei aveva deciso di occuparsi
dello studente americano, genio dell'informatica, che avevano pagato
per fare chissà cosa - le registrazioni in loro possesso non
ne
parlavano.
Mentre ascoltava, con le cuffie nelle orecchie, guardava le schede
degli studenti che Michael aveva raccolto, i migliori in campo
ingegneristico e informatico. Con orrore, si accorse che Abby e McGee
erano nella lista. Osservò i due nomi per qualche minuto,
poi
prese il pennarello che utilizzavano per la lavagna e li
cancellò.
"McGee, però ascoltami!" Tony gli tirò una
potente gomitata e il ragazzo saltò su dalla sedia.
"Eh!?" Tony sorrise della sua espressione stanca, ma buffa. Era stato
tutta la notte davanti al computer, per montare la presentazione in 3D
del progetto 09, di lui e di Abby. Non ci capiva molto, però
i
due amici gli avevano spiegato che la loro invenzione avrebbe potuto
portare molti benefici in campi vari.
"Niente, lascia perdere" allungò le gambe sotto il banco.
"E' già cominciata la lezione?" McGee si grattò
una
guancia, mentre gettava uno sguardo agli studenti attorno a
sè,
che prendevano posto per seguire la lezione di Anatomia. Poco lontano,
potevano scorgere Abby parlare con una ragazza, sicura che i due le
avessero tenuto il posto.
"Ancora no... uh, ecco Abby!" Tony si tirò su dalla sedia,
per farla sedere tra lui e McGee.
"Tim, dormivi?" ridacchiò la sua ragazza, seguita subito da
Tony.
"Non ho per niente dormito!" piagnucolò. "Il computer che
abbiamo scelto è lentissimo" Tony si sporse in avanti, con
espressione sconvolta.
"L'avete pagato un occhio della testa! Come fa a non essere adatto?!"
Abby fece una smorfia divertita.
"Si, ti dico che non è ada..." la ragazza li interruppe con
un
cenno della mano, perchè il professore era entrato in aula.
Per
due ore restarono seduti nelle micro-sedie dell'aula quindici, tra un
sospiro di Tony, uno sbadiglio di McGee e un'occhiata concentrata di
Abby.
Tony sentì la tasca vibrare ed estrasse l'Iphone, ultimo
modello, che tutti gli invidiavano: Ci vediamo stasera? :). Wendy.
Il ragazzo sorrise allo schermo e rispose velocemente: Cena e cinema? la
risposta fu dolcemente affermativa. Non aveva detto alla sua ragazza
cos'era successo alla festa della facoltà, anche
perchè
ignorava l'esistenza di Ziva David; qualcosa doveva aver intuito,
però, perchè dopo mesi Abby si rifiutava ancora
di
rivolgerle la parola.
Aveva dovuto inventarsi una scusa su due piedi, del fatto che, in
qualità di migliore amica, era sempre stata ossessivamente
gelosa di lui.
Wendy non ci aveva creduto, ma fingeva che la situazione le andasse
bene.
"Stasera esco con Wendy" sussurrò ad Abby. "Non cucinate per
me"
l'amica lo guardò malissimo, per poi voltarsi verso la
cattedra.
McGee accennò un sorriso e Tony alzò gli occhi al
cielo.
Finita la lezione, corsero fuori dalla classe, tutti molto provati.
"Mangi qualcosa con noi?" gli chiese l'amico, mentre Abby gli teneva
ancora il muso.
"No, io... devo... ecco... ci vediamo a casa, eh?" si grattò
la testa e scappò via.
"Ma che cavolo gli prende, ultimamente?!" sbottò Abby.
Ventotto settimane.
Sette mesi.
Un sacco di tempo, aveva
pensato Tony. Aveva quasi ventuno anni, in fondo. Poteva tentare.
Sapeva di poterlo fare e aveva tutte le carte in regola, anche quasi
tutti i crediti necessari.
Non lo spaventavano le innumerevoli prove fisiche (era stato capitano
della squadra di basket, studiava Educazione Fisica e andava a correre
tutti i giorni) e nemmeno il test psicologico, tantomeno il poligrafo e
il test scritto. Cos'era che lo terrorizzava tanto, allora? Non lo
sapeva nemmeno lui.
La Metropolitan Police Academy di Baltimora aspettava solo lui, per
corsi dalle sette del mattino alle quattro del pomeriggio, avrebbe
dovuto trasferirsi, perchè non gli concedevano vitto e
alloggio.
Era seduto al tavolino di un anonimo bar e mordicchiò il
tappo
della penna, guardò incuriosito il foglio che aveva stampato
da
internet, barrando tutto ciò che gli mancava. Non aveva
ancora
usato la penna: Tony aveva tutto per essere un bravo (decente)
poliziotto.
"Sarà
bellissimo avere un
ragazzo poliziotto!" Ziva si sollevò su un braccio, per
guardarlo dall'alto. "Secondo me la divisa ti sta bene!"
"Dici?" scherzò Tony e le diede un bacio a stampo, per poi
incrociare le braccia dietro la testa.
"Si, però adesso non montarti la testa" gli salì
sopra
e disegnò ghirigori immaginari sul suo petto nudo. "Spero di
esserci, quel giorno" mormorò.
Tony si alzò a sedere e le poggiò le mani sui
fianchi.
"Purtroppo - e sottolineo il purtroppo, tu ci sarai" sorrise e Ziva con
lui.
Strinse la penna nel palmo della mano e firmò
velocemente la domanda di idoneità.
Lo aspettavano sette mesi di inferno, probabilmente. Aveva ancora
qualche mese di libertà. Avrebbe voluto passarli con Ziva.
"I've got you... under my
skin..."
canticchiava Shannon, mentre con un panno puliva i vetri del salotto.
La sera prima lei e Jethro avevano fatto l'amore, dopo giorni che
nemmeno si sfioravano. Era felice, insomma. L'idea di avere un figlio
la terrorizzava, ma la riempiva allo stesso tempo: stava già
fantasticando sul nome, ma allo stesso tempo pregava che fosse sano;
aveva adocchiato una culla, ma sperava che Jethro la costruisse (non
aveva il coraggio di chiederglielo).
Sarebbe stato bellissimo, ora che aveva chiarito con Jethro, o almeno
lo sperava. Non era sicura che si sentisse pienamente sicuro di
diventare padre, ma succedeva un pò a tutti gli uomini, col
primo figlio, almeno. Era una psicologa. Doveva aspettarselo. E,
invece, aveva reagito come una ragazzetta isterica. Il campanello
suonò e lei corse alla porta.
"Ducky!" abbracciò il dottore sulla porta di casa e lo
invitò velocemente ad entrare. Ducky era sorridente come
sempre,
il papillon rosso che svettava sulla giacca scura.
"Come stai, cara?" le diede una pacca sulla spalla, seguendola in
cucina.
"Meglio. Non sei a scuola? Come mai?" mise a bollire un pò
d'acqua, per preparare il the.
"Ho il mio giorno libero" le sorrise, togliendosi il cappello. "Volevo
un pò vedere se ti era cresciuta la pancia" le fece
l'occhiolino
e Shannon arrossì.
"In effetti ha messo su tre chili" accarezzò la pancia,
poggiata
al lavello della cucina. "Ma non sono chili che mi fanno male, anzi.
Buon segno!"
"Già" il professore sorrise, poi divenne stranamente serio.
"Senti, Shannon. Jethro non vuole che te ne parli, ma sono venuto qui
anche per un altro motivo..."
"Dimmi tutto" aggrottò le sopracciglia, preoccupata: se
Jethro non voleva che lo sapesse, c'era qualcosa di grave sotto.
"Ho uno studente, si chiama Gerard" strizzò li occhi. "si
pronuncia alla francese, sai, come il grande..."
"Ducky" lo interruppe. "Stringi!"
"Si, certo" tossicchiò. "Dicevo, è sempre stato
un
ragazzo volenteroso, pieno di vita, interessato alla materia, ma di
famiglia molto umile. Qualche mese fa si era trovato un lavoro in un
autogrill lungo la strada e una ventina di giorni fa..." prese un
respiro profondo. "... un malvivente è entrato per rapinare
il
posto, ma qualcosa non ha funzionato e gli ha sparato"
Shannon si coprì la bocca con il palmo della mano. "Si, lo
so,
è terribile" il professore scosse la testa. "Sta bene ma...
da
allora non è più lo stesso. Ha un costante
tremore alla
mano destra e questo gli impedisce di tentare la carriera di medico
chirurgo, come sperava. Anche se, ti dirò, penso che il
tremore
sia psicosomatico. Senti, so che sei in maternità e non
voglio
forzarti a tornare a scuola ma... non potresti farci solo una
chiacchierata, per vedere se ho ragione ed è solo un
riflesso
condizionato. Non posso sopportare che il suo futuro venga rovinato!"
"Ma certo, Ducky. Gli parlerò" sorrise.
- I'll got an
"A" in geography
Tony,
5x09
Tony
distolse lo sguardo dallo schermo, dove il film che Wendy aveva scelto
scorreva incurante sullo schermo. Cercava di restare concentrato, ma
quella commedia romantica non lo convinceva per niente, lui era
più il tipo da vecchi film, o da actions. E poi gli aveva
fatto
spendere cinque dollari per una barretta
energetica. Ora, lui andava spesso al cinema, e comprava
quintali di cose. Come
quando ero con... Ziva. Il problema, ammise a
sè stesso, era tutto lì.
Sapeva, capiva e comprendeva che la sua era stata una cotta
adolescenziale, che le cose sarebbero andate diversamente da adulti, ma
non riusciva a chiudere completamente col passato, non dopo che era
finita in quel modo. Inoltre c'era stata quella svista, che gli aveva
scombussolato tutto e gli aveva fatto capire che, in fondo, non l'aveva
affatto dimenticata. Passò un braccio sulle spalle di Wendy,
che
lo accolse con calore.
Passò un
braccio attorno alle
spalle di Ziva e lei gli si poggiò sulla spalla. "E' bello"
sussurrò, guardando le figure muoversi sullo schermo.
"E' un classico di Hitchcock" mormorò Tony, al suo orecchio.
Le baciò il lobo e lei scoppiò a ridere.
"Sapevo che ti sarebbe piaciuto"
"Mi conosci troppo bene!"
"Tony?" Wendy gli diede un colpetto sul braccio. "Mi stai
ascoltando?"
"Si, si" Al cinema, di regola, non si parlava. Era una sua regola, che la
sua ragazza non condivideva. Non le aveva neanche detto delle sue
intenzioni di entrare in polizia.
Non gli andava di parlare, in generale.
Stava decisamente peggiorando.
Maia says:
Bè, mica solo Tony peggiora! PURE IO! XD
Ma... c'ho i lettori più belli dell'Universo, davvero :') Mi
fate commuovere!
Al prossimo capitolo ;)
- Che non so quando arriverà, ma arriverà D:
SPOILER: qualcuno potrebbe incontrare qualcuno u.u
|
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Capitolo 4 *** All we are, we are ***
NCIS
Questo
capitolo inizia in modo speciale
(niente foto di
NCIS, nè citazione dà un episodio).
C'è
un perchè e lo capirete!
1) .. ad
ogni modo lo dedico a Simo,
perchè
la amo. Sul serio!, e vorrei averla di nuovo con me.
Che amicizia pessima :')
2)
E al "mio" gatto.
Domani ti porto il latte.
... ma non
dirlo a mia madre!
3) A Neve.
Il mio coniglietto nano.
Perchè è geloso (sei solo tu il mio unico amore,
batuffolo!)
- La grandezza di una nazione e
il suo progresso morale si possono giudicare
dal modo in cui essa
tratta un animale.
Gandhi
Ziva
decise che era arrivato il momento di uscire di casa. Davanti
all'appartamento che avevano preso lei e Michael c'era un adorabile
parco, che di domenica si riempiva di famiglie felici e
fidanzati in
calore: infatti
lo evitava nei giorni festivi. Ma quella mattina sentiva odore di
chiuso dappertutto e cominciava ad avere degli attacchi ansiosi, molto
vicini ad attacchi di panico. Non riusciva a stare chiusa in casa
troppo a lungo, desiderava il sole sulla pelle, il profumo dell'erba e
dei fiori. Approfittò di un giorno in cui Michael era di
turno
all'Università molto presto.
Con la scusa di essersi svegliata per il suo baccano, fece una doccia
veloce e, dopo averlo sentito uscire, infilò la prima tuta
trovata nell'armadio. Non correva da molto tempo: in Israele lo faceva
sempre di meno, visto che correva sempre al Mossad di prima mattina.
Corse giù per le scale, in preda ad un'euforia del tutto
fuori
luogo e sproporzionata al momento. Si divertì come una
bambina a
scivolare sul corrimano, a saltare i gradini d'ingresso, tanto che le
sue risate rimbombarono per tutto l'androne delle scale. Per prima cosa,
fece un pò di riscaldamento, malamente appoggiata al
cancello
del suo condominio, poi prese a correre sempre più
velocemente e
svoltò verso il parco cittadino. Canticchiò,
perfino.
Che ti prende, Ziva? rise
tra
sè e sè. Sarà che l'America le aveva
sempre fatto
bene, all'inizio. Ma quella volta non avrebbe permesso a nessuno di
farla soffrire, si sarebbe solo goduta il soggiorno. Anche
perchè il caso non risultava essere complicato,
nè a
rischio. Dovevano solo trovare quattro minuscoli studenti musulmani che
credevano di essere Bin Laden. Insomma: quanto poteva volerci? Tel Aviv
l'avrebbe rivista presto - purtroppo.
Si fermò, scoprendosi affaticata, mentre si
rimproverava di aver
lasciato un pò andare il suo allenamento. Il parco era
pressochè deserto, eccetto per qualche signore anziano e due
uomini seduti ad una panchina poco lontano da lei; tirò su
il
cappuccio della felpa, abbasso la testa e prese a correre.
Preferì non dare nell'occhio, anche se non c'era alcun
pericolo
che qualcuno la riconoscesse. A quel punto, prese la direzione inversa
rispetto ai due sulla panchina e ad un vecchietto con un cane al
seguito: sentire i muscoli che si tendevano le sembrò
un'esperienza quasi mistica, con l'aria gelida di primo mattino che le
entrava nei polmoni.
Si fermò circa dieci minuti dopo e la coppia non era
più
sulla panchina: ne era rimasto uno, che beveva tranquillo il suo
caffè. Ziva prese un respiro profondo, si spiegò
sulle
ginocchia, le mancava il respiro, tanto che si portò una
mano al
petto.
"Tutto bene?" le chiese una voce. L'uomo sulla panchina. Per
rispondere, sventolò la mano, sempre col viso rivolto al
cemento
per la stanchezza.
"Alleno una squadra di basket, conosco i miei polli" l'uomo si
alzò e la raggiunse lentamente. "Non ha dell'acqua con
sè?"
"Non... si preoccupi. E' che... non correvo da molto, ho ricominciato
stamattina, avrò esagerato" Ziva sorrise e alzò
lo
sguardo sul bravo cittadino preoccupato.
Rimase bloccata sul colpo. L'uomo la guardava accigliato: sapeva di
conoscerla, ma non riusciva a ricordare.
"Professor Gibbs" sussurrò la ragazza e l'aria le
mancò di nuovo.
"Oh. Una mia studentessa" Jethro spalancò gli occhi.
"Strano, ma non riesco a ricordarmi di te..."
La ragazza si lasciò scappare qualche parolaccia in ebraico,
non
poteva credere di essere così sfortunata. Gibbs
sembrò
comprendere all'istante.
"Ziva David!" spalancò la bocca, sconvolto. Non si sarebbe
mai
dimenticato di lei, giacchè l'aveva inserito in una storia
che
rasentava la follia e, sebbene fossero passati quasi tre anni,
ricordava come, da un giorno all'altro, sulla scrivania del preside
Vance era arrivata la comunicazione del padre della ragazza: lei se
n'era andata. Aveva dovuto sopportare di vedere il suo banco vuoto e il
viso scavato, disperato di Tony. Aveva provato a chiedere una
spiegazione, perchè non era passata a salutare, prima di
andarsene e credeva che amasse gli Stati Uniti - e non solo. Nessuno
sembrava conoscere il vero motivo del trasferimento.
"Ziva" ripetè. Rimasero a fissarsi, finchè la
ragazza non
alzò una mano in segno di saluto. "Ehilà" disse,
ironica.
"Salve prof!"
Finirono a sedere su una panchina. Gibbs beveva il suo solito
caffè, mentre la sua ex alunna lo guardava ammirata e
leggermente malinconica. Riconosceva l'odore del suo caffè
forte
e senza zucchero, dopo tutto quel tempo non aveva smesso di berlo. Non
aveva una ruga in più, era sempre il professore attraente e
dall'aria severa che ricordava, eppure le sembrò di vedere
un
uomo più vecchio. A dir la verità, non c'era
niente che
le indicasse fisicamente il cambiamento, era più che altro
una
sensazione. Michael, forse, le avrebbe consigliato di dargli una botta
in testa e scappare. Ma lei non
era ufficialmente sul caso della cellula dormiente.
E di Gibbs si fidava. Si era sempre fidata.
"Caffè" riuscì ad articolare, parecchi minuti
dopo, e indicò il bicchiere. "Riesce a dormire la notte?"
Gibbs accennò un sorriso. "Non da quando Shannon
è
incinta" vide gli occhi di Ziva diventare grandi e un sorriso radioso
farsi strada sul viso, diverso dall'ultima volta che l'aveva vista: era
diventata adulta, forse. O forse era il taglio di capelli. "Si muove di
continuo" spiegò.
"E' meraviglioso. Davvero meraviglioso" sussurrò, senza
regolare
il tremolio della voce. "Sarete degli ottimi genitori" le sembrava
stupido pensare che niente fosse cambiato, dall'ultima volta che era
stata a Washington. La vita scorreva. Non per lei, evidentemente.
"Forse" Gibbs alzò le spalle, poi si voltò verso
di lei.
"Non ti chiederò perchè sei sparita, da un giorno
all'altro. Ma potevi passare a dirmi Shalom" sorrise di
sbieco.
Ziva abbassò la testa, sentendosi colpevole. "Mi dispiace,
professore. E' stato... improvviso, diciamo"
"Non chiamarmi professore. Non sono più un tuo insegnante.
Azzarderei che puoi perfino darmi del tu"
"Non ci riesco" la ragazza sorrise, stendendo le gambe davanti a
sè e rilassandosi sulla panchina. "Sta per diventare
papà. Wow" mormorò.
"Già. Non ricordarmelo" soffocò il resto della
frase in
un sorso di caffè. Non aveva parlato a nessuno dei suoi
problemi
nell'accettare la gravidanza. Ma quella mattina, stare seduto con Ziva,
ignorare cosa le era accaduto negli ultimi anni, lo faceva riflettere.
Lo faceva sentire più libero nel chiacchierare,
paradossalmente:
era come essere in un sogno ad occhi aperti, una specie di visione.
Ziva lo guardò sorpresa: "Non le piace l'idea, Gibbs?"
"Diciamo che sto cercando di assimilare l'idea. E tu? Che mi racconti?
Perchè sei tornata?"
La ragazza si morse il labbro inferiore. "Non posso dirglielo"
"Ok" alzò le spalle, Gibbs, e non fece altre domande. Era
una
cosa che Ziva apprezzava molto nelle persone e lo ringraziò
senza dire niente.
"Potrebbe... potrebbe evitare di dire in giro che sono qui?"
mormorò. "Non mi va di rivedere nessuno..."
"Come vuoi. Ma credo che vorrebbero rivederti, sai?" la
guardò di sbieco. "Abby, McGee.."
"Si, so che frequentano l'Università di Washington" lo
interruppe. "Non volevano andare al MIT?"
Da quella mezza frase, Gibbs capì che non sapeva che anche
Tony
era rimasto in città. Una voce interiore gli
ordinò di
tacere. "Fanno i primi anni qui, per riuscire a prendere una borsa di
studio e pagarsi la retta del MIT, non avevano abbastanza denaro. Credo
che fra poco avranno i sovvenzionamenti, però. So che stanno
lavorando su un prestigioso progetto scientifico. Li
avvantaggerà molto" si decise ad informale. Poi tacque.
"Perchè non vuoi vederli?"
"Dovrei spiegare molte cose. Non sono come lei: non accetterebbero il
mio silenzio. Vorranno risposte, risposte che non posso dare. A nessuno"
"... eccetto Tony" sorrise e Ziva si irrigidì.
"Preferirei non parlarne"
"E' stato male"
"Mi creda, io di più" Ziva si alzò dalla
panchina,
sfregando le mani tra loro. "Ora devo andare, sta cominciando ad
affollarsi, questo posto" Non era vero.
"Ok. Quando vuoi fare due chiacchiere, sono qui. Tutte le mattine" Ziva
annuì lievemente e alzò una mano per salutarlo.
Poi ci
ripensò e tornò da lui.
"Qui. Tutte le mattine. Non è un pò lontano da
casa sua?"
"Si" rispose Gibbs. Non aggiunse altro. Ziva sorrise, annuì
di
nuovo, come se avesse capito tutto. Anche se non lo aveva detto. Se ne
andò via, definitivamente, riprendendo a correre. Jethro
sapeva
che lei sarebbe tornata e si domandò cos'aveva di
particolare da
attirare tutti i suoi ex studenti in crisi.
Finì il caffè e lo lanciò nel cestino.
Sperava che
Tony e Ziva non si incontrassero, in quelle mattine. Il ragazzo se ne
era andato esattamente qualche minuto prima che vedesse lei. Non voleva
trovarsi in mezzo ad un duplice omicidio. Non di nuovo. Sorrise tra
sè e sè, avviandosi verso casa.
Ziva restò imbambolata davanti a lui. "Ciao"
trillò,
stupidamente. Lui la guardò, con due paia di grossi occhi
azzurri lucidi. "Chi ti ha lasciato, eh?" la ragazza si
accovacciò, ma non allungò la mano. Lui
inclinò la
testa. "Chiunque sia stato, non ti merita. Credimi" sorrise e
trovò il coraggio di allungare un dito.
Il gattino lo annusò, prima, poi gli diede una leccatina.
"Oh,
ma allora sei buono" ridacchiò la ragazza e il gattino si
avvicinò a lei sulle zampette instabili. Chissà
da quanto
tempo miagolava disperato, avvolto su sè stesso nel cortile
del
condominio, affamato e lasciato al freddo. Era rossiccio, piccolo e
peloso. Adorabile. Ziva
non aveva mai avuto il permesso di tenere un animale.
Figurarsi se Michael...
la
ragazza guardò il gattino, determinata. "Sai cosa ti dico?
Tu,
vieni con me!" Passò il palmo della mano sulla pancia calda
dell'animale e se lo portò al petto: il gattino
protestò
per un pò, ma poi si lasciò cullare dalla sua
nuova
amica. Soffiò e Ziva lo prese come un apprezzamento.
"Ti piace il latte?" gli parlò, mentre saliva velocemente le
scale. "Non ho mai avuto un animale, non so come si fa. Almeno
avrò qualcosa da fare mentre sto chiusa in casa... e
avrò
qualcuno con cui parlare. Mi ascolterai, vero?" giocherellò
con
una zampetta, mentre il gattino collassava addormentato tra le sue
braccia.
"Lo prendo come un si" scoppiò a ridere e, con audaci
acrobazie,
riuscì a prendere le chiavi dalla tasca interna della tuta.
"Devo nasconderti prima che..."
"Ciao, Ziva" ringhiò Michael, in salotto. "Vedo che hai
seguito gli ordini del Mossad..."
Ohoh! Il
gattino si svegliò e miagolò. Aveva captato il
pericolo.
Per quanto la conoscesse da soli un paio di anni, Michael credeva di
conoscere bene Ziva David.
Prima di tutto, Ziva David sorrideva poco. Era sexy. A letto non voleva
mai stare sotto. Sapeva sparare bene. Era tremenda e, all'occorrenza,
spietata.
Di certo, non credeva che fosse tipa da gattini. La
chiamava gattina, era vero, ma solo perchè aveva sempre i
nervi
tesi e le fusa pronte, non perchè amasse particolarmente
felini.
Inoltre Ziva David non era la tipa che trasgrediva le regole.
Ebbene, quel giorno Ziva sconvolse tutte le certezze che aveva su di
lei. Prima di tutto, non avrebbe mai tollerato un micio.
"Quel gatto deve finire fuori dalla porta" disse, con una nota di
disgusto nella voce. Ziva gli lanciò una sguardo gelido.
"Scusa?"
"Hai capito bene, niente animali. Sarebbero solo una distrazione, e
come vorresti fare, poi, tornati in Israele? Senza contare che sei
uscita, contravvenendo alle..."
"Senti un pò" ringhiò. "Questo gatto rimane
dov'è,
altrimenti puoi scordarti di vedermi senza mutande. E questo
è
il primo punto" si avvicinò di un passo e lasciò
il
gattino sul pavimento, per farlo ambientare. "Punto secondo, certi toni
con me tu non li usi" incrociò anche lei le braccia e
allargò spaventosamente le narici.
"Punto terzo, non ho infranto nessuna regola, sono stata prudente" il
senso di colpa non la sfiorò nemmeno. "... ed è
bene
ricordarti che sono solo una pivella,
ma sono un'agente migliore di te" lo sorpassò
velocemente, per andare a farsi una doccia. Devo scegliere un nome per il
gatto.
Michael la guardò sconvolto, mentre si infilava in bagno.
Intanto, il gatto si era placidamente appropriato della portona davanti
alla tv.
Shannon
entrò al liceo Woodrow di Washington e prese un respiro
profondo. Poi, sul viso, le si aprì un sorriso sincero. Era
felice di essere incinta, ma non riusciva a stare a casa senza fare
nulla, a parte mettere a posto la già pulitissima casa che
condivideva con suo marito. Credeva nel suo lavoro, era pienamente
convinta di essere utili agli studenti e non intendeva fermarsi solo
perchè aspettava un bambino.
La porta di un'aula si aprì e ne uscì un
professore con
in mano un plico di fogli - probabilmente da consegnare in segreteria.
A seguirlo, una folla di alunni. La terza ora era appena terminata e i
corridoi della Woodrow si riempirono di adolescenti. Qualcuno la
saluto, qualcun'altro la guardò palesemente divertito dalla
sua
pancia. Qualcuno, da dietro, le picchiettò sulla spalla.
"Che ci
fai qui?" le chiese, con voce tua.
"Ciao anche a te" Shannon alzò gli occhi al cielo e suo
marito le lanciò uno sguardo infastidito.
"Dovresti essere a casa. A riposare. O a fare qualsiasi cosa tu faccia
quando sei in casa, di certo non dovresti essere qui" tentò
Gibbs.
"Inutile che ci provi" lo liquidò con un regale gesto della
mano
e continuò per il corridoio, mentre lui le correva dietro.
"Devo lavorare"
"Shannon, sei in maternità!"
"Lo so anche io, ma a casa mi annoio e Ducky mi ha chiesto solo un
piccolissimo aiuto" si fermò e squadrò sua marito
con
serietà: "Si tratta del futuro di un ragazzo che potrebbe
arrivare lontano e, per la stupidità umana, forse non
potrà mai fare il medico"
"Gerard" sussurrò Gibbs, annuendo tra sè e
sè.
"Ducky me ne ha parlato. Gli avevo chiesto di tenerti fuori..."
Shannon sospirò. "Evidentemente tiene a quel ragazzo
più
di quanto pensassi. Si rispecchia in lui. Elementare" alzò
le
spalle. "Voglio aiutarlo"
"D'accordo" le accarezzò le braccia. "Ma non ti affaticare.
Non
fare tardi. E torni a casa con me, così ti accompagno io e
non
devi riprendere la tua auto. Poi la riporto io a casa, tranquilla" le
sorrise, cercando di sembrare già un buon padre.
"Va bene" lo baciò. "Stai migliorando" ridacchiò,
mentre
si allontanava. "Un pò meno apprensivo e sei perfetto!" lo
salutò con un gesto della mano ed entrò nel suo
vecchio
ufficio. Si rallegrò, perchè non era chiamato di
molto:
la sua onnipresente pianta, la sedia girevole, i libri un pò
scomposti e il profumo di gelsomino.
Shannon inspirò l'aria familiare dell'ufficio - in cui,
probabilmente, era stato concepito suo figlio. Al display del pc erano
ancora attaccati i post-it gialli che utilizzava per ricordarsi le
cose. Ne aveva conservato uno come ricordo, un post-it rosa,
particolare. Lo staccò con due dita e lo osservò
nostalgica:
Alla Doc più
dolce del mondo. Grazie. Ziva! :) lo riattaccò
al computer, sperando che la colla reggesse.
"Bentornata, Shan" si disse, un pò commossa. "Maledetti
ormoni. Maledetti, maledetti ormoni!"
"Ehi! C'è nessuno?" urlò Tony, entrando nel suo
appartamento. Chiuse la porta d'ingresso con un calcio ben assestato e
si guardò in giro: tutte le luci spente, nessun profumino
invitante. Tirò su col naso, un pò deluso dalla
prospettiva di passare da solo l'intera serata, ma non ebbe la
tentazione di chiamare Wendy come sempre.
Appese la giacca all'appendiabiti a forma di scheletro (regalo di Abby
quando McGee era andato a vivere con lui) e si sgranchì le
gambe, dopo quasi un'ora passata in auto, causa traffico. Si
avviò verso la cucina, intenzionato a riscaldare una delle
sue
fantastiche pizze congelate.
Nel tragitto, vide uno strano rigonfiamento sul divano. Si
avvicinò cauto: sorrise, intenerito come poche volte in vita
sua.
McGee era appallottolato sotto una copertina rossa, che lo copriva
interamente, lasciando fuori solo il viso al di sopra del naso.
Ronfava, ma si sentiva poco perchè il rumore era attuito
ancora
dal plaid. Di fronte a sè, sul tavolino basso, in vetro, del
salotto, c'era il portatile aperto e una presentazione in 3D, di quello
che sembrava un apparecchio alla Star Wars. Tony spense il computer,
assicurandosi di non aver fatto disastri, e andò in camera
di Tim per
poggiarglielo sulla scrivania.
Tornato in cucina, infilò due pizze nel microonde e
impiegò circa dieci minuti per scegliere un DVD. Alla fine,
decise di svegliare il suo coinquilino.
"Ehi, McBelloAddormentatoNelBosco" lo scosse prima lievemente, poi
sempre più violento. McGee emise un grugnito poco elegante e
balbettò qualcosa.
"Buongiorno!" lo prese in giro, sedendosi accanto a lui sul divano. "Ti
sei addormentato mentre lavoravi al progetto" gli ricordò.
McGee divenne pallido e saltò su dal divano, alla disperata
ricerca del suo computer: "Dov'è? Dov'è?"
"Te l'ho messo in stanza, sta tranquillo, ok?" alzò gli
occhi al cielo. "Devi uscire con Abby?" decise di informarsi.
"No, perchè?"
Tony, tra sè e sè, sospirò di
sollievo. Per quella
sera, aveva qualcosa con cui parlare. "Ho messo una pizza in forno
anche per te e..." sorrise in modo esagerato. "Ho un DVD tutto da
vedere!"
McGee si risedette annoiato sul divano e guardò Tony con la
coda
dell'occhio: "Ti prego, ti prego... non è in bianco e nero,
vero?"
"Sei un ignorante, McGee" commentò infastidito il ragazzo.
"E' comunque no. E' Il
Padrino"
"Non mi piace" sussurrò l'altro, pronto a beccarsi una
ramanzina
coi fiocchi. Di fatto, Tony impallidì e spalancò
la
bocca, sconvolto.
"Come... MCGEE! Sei... argh!" infilò le dita nei capelli.
"Perchè viviamo insieme?"
"Sono... uhm... l'unico che ti sopporta?" tentò il ragazzo,
con
un sorriso. Tony lo guardò male e gli saltò
addosso,
afferrandogli i capelli, per scompigliarli tutti.
"Baaaaaaaaaaaazinga!"
"Lasciami, Tony!" urlò McGee, sotto il peso dell'altro.
Un campanello li fece bloccare entrambi. "Salvato dal timer del
microonde, McGenio. Che culo" rise Tony, alzandosi. "Tu metti la
tavola!"
McGee arricciò il naso. "Fallo tu, mi sono appena svegliato!"
"Io ho messo in forno le pizze" disse, scocciato. "e, appunto, per
svegliarti è bene mettere la tavola. Così non ti
addormenti durante il film!"
"Tony" grugnì McGee. "Ma perchè stasera vuoi
torturare
me? Non puoi uscire con Wendy?" si alzò dal divano per
raggiungerlo in cucina.
"Voglio passare una serata col mio migliore amico: è un
male?" aggrottò la fronte.
McGee si bloccò con la tovaglia a mezz'aria e
sperò che
il suo rossore passasse inosservato. Era la prima volta che Tony lo
definiva il suo
migliore amico. In
effetti, erano coinquilini e passavano la gran parte del tempo insieme,
ma era ben lontano dal pensare di essere così importante per
lui.
"Che c'è?" Tony si voltò stupito, sentendolo
canticchiare mentre apparecchiava.
"Niente" gli sorrise, alzando le spalle.
"Dai, siediti!" lo fece sedere e mise le pizze in due piatti. Si
sedette di fronte a lui e cominciarono a mangiare, in silenzio. Ad un
certo punto, Tony si schiarì la voce.
"Tim..." si pulì la bocca con un tovagliolo.
"Perchè mi hai chiamato così?" McGee lo
guardò spaventato. Quella sera gli sembrava davvero molto
strano.
"Ti devo dire una cosa" disse Tony e prese un respiro. "Io... sono
stato preso... all'Accademia di Polizia di Baltimora"
McGee restò in silenzio e la pizza gli cadde
dalle mani.
Inizialmente, gli lanciò uno sguardo ferito:
"Non me l'hai
detto!" lo accusò.
"Lo so, mi dispiace" Tony fece una smorfia. "E' che pensavo di non
essere preso ma... ma ce l'ho fatta"
"Devi trasferirti a Baltimora?" chiese, subito dopo.
"Credo di si, poi mi organizzerò. Ma tranquillo, qui ci puoi
restare" alzò le spalle e diede un morso alla sua pizza.
McGee lo osservò mangiare, pensieroso. In realtà
non aveva pensato all'appartamento, ma al fatto che gli sarebbe mancato. Vedendo
che si era bloccato, Tony alzò di nuovo lo sguardo di lui e
ridacchiò: "Tranquillo, McPreoccupazione" addolcì
il
tono, cercando di tranquillizzarlo per tutto ciò
che gli stava passando per la testa.
L'amico gli sorrise, stavolta veramente felice: "Complimenti, Tony!
Davvero!" si scambiarono un cinque, con divertimento e sorpresa di
tutti e due.
"Per festeggiare, guarderò il film senza lamentarmi" si
portò una mano al cuore e annuì. "Te lo prometto!"
"Bene! E... già che ci sei, vai al supermercato di sotto e
prendi due birre!"
Maia
says:
Troppe cose in questo capitolo, mi gira tutto @.@ Voglio solo dire
che... madonna santa... CHE BEI LETTORI CHE C'HO ** No, sul serio. Gli
stessi della storia precedente, non ci credo. Mi sento catapultata in
una vera famiglia :') Ok, non voglio farvi piangere [so con sicurezza
che alcuni di voi sono molto facili ai lacrimoni :D] ... quindi...
quindi... vi volete fare un pò di affari miei?! FRA POCO
VADO IN
GITAAAAAAAAAAAAA ** [Sicilia]
Troppo figo. Troppo. Non vedo l'ora ** E sono ricominciate le
interrogazioni (tragedia), spero quindi di riuscire a scrivere a
intervalli regolari!
Non vedo
l'ora di leggere le vostre recensioni **
SCIAO
SPLENDIDIIIIIIIIIIIIIIIIIII!
Semper
Fidelis!
|
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Capitolo 5 *** Cosa sei disposto a perdere? ***
NCIS
- Goodnight,
kid
Gibbs
to Ziva, 9x05
"Come avete deciso
di chiamarlo? O chiamarla..."
"Non lo so. Shannon vorrebbe che prendesse il nome di una sua zia, non
ricordo bene. A me non piace" Gibbs prese un sorso di caffè.
"Ricordo esattamente che non mi piace. Vorrei un nome più
musicale, non imponente, nè eccessivamente lungo"
Ziva ridacchiò e portò le ginocchia al petto.
"Sempre il
solito, professore: la politica dello -Stretto Necessario-"
alzò
gli occhi al cielo, divertita.
"Bè... sono più di trent'anni che la porto avanti
e non mi
ha creato nessun problema" accennò un sorriso stringato. Poi
indicò il batuffolo rosso che giocava ai piedi della
panchina su
cui erano seduti. "E lui? Come si chiama?" il gattino sembrò
capire che si riferiva a lui, perchè alzò il
musetto
nella sua direzione.
"Whisky!"
Ziva piegò la testa e lo guardò con amore. "Non
è un bel nome?" L'unica
cosa che in casa mia non manca mai.
"Un gatto rosso di nome Whisky" Gibbs rise e scosse la testa. "Sei
tremenda"
"E' bello" si difese con forza la ragazza. "E' davvero bello! E poi
è molto tranquillo. Ieri gli abbiamo comprato due ciotole,
una
cuccia" fece una smorfia buffa in direzione del micio, che
miagolò, per poi tornare a giocare con una margherita un
pò gialla e secca. Tentava di afferrarla con le zampine
bianche,
senza riuscirci.
"Abbiamo? Tu e...?" Gibbs inclinò la testa nella sua
direzione.
Ziva arrossì e si grattò distrattamente la
guancia.
"Si, ecco... non sono qui da sola. Non mi chieda di più" lo
pregò, tornando con lo sguardo su Whisky. Lo
afferrò
appena in tempo per evitare che si rotolasse sull'erba umida del
mattino, e lo rimise in piedi. "Domani mattina mi porta il
caffè?" domandò, indicando la confezione per due.
Una era vuota.
"Se vuoi..." sussurrò Gibbs, bevendo il suo
caffè.
"Perchè te ne sei andata?" le chiese con
tranquillità,
fingendo di interessarsi al fondo del suo bicchiere di
caffè.
Ziva non rispose subito, preferì prendere Whisky tra le
braccia
e cullarlo per distrarsi. Ci giocherellò per qualche minuto,
finchè il gattino non si calmò.
"Dovevo" mormorò e scrollò le spalle. "Non potevo
fare
altrimenti. Per un pò ho sperato... ho sperato di poter
risolvere le cose ma... poi ho capito che non avevo più
nulla
per cui rimanere. Avrei dovuto combattere, per cosa? Per
qualcuno che non mi ha voluta abbastanza" sospirò.
"Io sono sempre stato favorevole alle battaglie intrise di... pathos... la
Storia ne è piena" spiegò Gibbs.
"Già" arricciò le labbra, indecisa su cosa dire.
"Non
dovrei passare con lei le mie mattine, professore. Non è sicuro"
"E perchè lo fai, allora?" le disse Gibbs, voltandosi verso
di lei. Ziva si morse le labbra, indecisa su cosa dire.
Perchè mi
sento a casa. "A
volte mi sento sola. Whisky non è un chiacchierone" gli
tirò un orecchio. "E... sono qui per lavoro, non per piacere"
"Capisco" Gibbs annuì.
- Cosa sei disposto
a perdere?
[Mi fido di te]
Shannon
non si sentiva così sconfitta dai tempi di Ziva David.
Parlare
con Gerald era come buttarsi su un muro di gomma: torni sempre
indietro, alla fine. A differenza della sua vecchia alunna,
però, Gerald non era scontroso, nè sembrava
particolarmente stanco di starla a sentire tutti i mercoledì
mattina. Facevano terapia tutti i mercoledì da due mesi e
mai
l'aveva sentito esprimersi in una parola che facesse trapelare la sua
rabbia.
Shannon
era sicura che ci fosse rabbia: il suo futuro era stato distrutto da
una pallottola, da un incidente che non avrebbe dovuto capitare.
Insomma, chi non sarebbe arrabbiato? Era impossibile che il ragazzo non
provasse nulla. In
un certo
senso, aveva dentro di sè lo stesso vuoto di Ziva, ma se lei
lo
esprimeva, lui se lo teneva dentro. Un cimitero, senza un guardiano. Non posso permettere che tu ci
resti dentro, Gerald. Anche quel mercoledì il
ragazzo entrò calmo nel suo studio.
"Ciao, Gerald" lo salutò con un sorriso.
"Buongiorno, dottoressa. Buongiorno anche a te" si rivolse al pancione
e sorrise. La mano tremante era stipata nella tasca dei jeans.
"Fatto altri brutti sogni, stanotte?"
"No, ho dormito come un neonato" disse, tranquillo - troppo tranquillo.
Era quasi snervante, per lei. Aveva buttato mesi al vento? Gerald stava
davvero bene? Il suo istinto le diceva di no, ma la realtà
era
che niente riusciva a scalfire quella roccia dura che era diventato.
Tentò il tutto per tutto ed estrasse dalla scrivania un
articolo
di giornale che aveva scovato da internet. Lo ripiegò per
bene e
lo porse a Gerald.
"La donna che era nel negozio, al momento della sparatoria,
è morta in ospedale ieri sera" sussurrò.
Il ragazzo prese con la mano che tremava l'articolo di giornale e lesse
la notizia. Dopo un pò, lo vide accartocciare la carta e
lanciarla nel cestino dei rifiuti.
"Gerald" Shannon gli prese la mano, tenendola tra le sue. Non la
smetteva di muoversi.
"Potevo esserci io, in quella bara" deglutì. "Potevo esserci
io" vomitò.
Abby: Tony, I'm
gonna miss her
Tony: Me,
too
3x01
"Se vuoi ti aiuto"
si offrì Abby, seduta sul letto di Tony
DiNozzo. Il ragazzo scosse la testa e continuò a fare la sua
valigia. Era il giorno del suo ventunesimo compleanno e la Metropolitan
Police Academy di Baltimora lo stava aspettando. Abby e McGee avrebbero
voluto festeggiare, ma lui aveva deciso di passare quel giorno con suo
padre e la sera, a cena, con lui, i suoi amici e Wendy. Aveva molte
cose da fare, inoltre: la valigia, chiamare lo studente con cui avrebbe
dovuto dividere la stanza in quell'ostello giovanile a Baltimora...
troppe cose, una festa gli sarebbe stata solo d'intralcio. Erano
passati un paio di mesi da quando aveva annunciato a McGee la sua
decisione, di trasferirsi e provare a scriversi un futuro. Dirlo ad
Abby non era stato facile come pensava, nè Wendy aveva preso
benissimo la novità - non gliel'aveva detto nemmeno per
prima,
preferendole Timothy; il più felice sembrava suo padre,
fiero di
lui come non lo era mai stato.
"Dovresti portare più t-shirt, Tony. Sono sempre utili, e
metti
caso fa freddo, puoi sempre metterci su una felpa" gli
lanciò
una maglietta.
"Grazie, Abbs" sorrise e la infilò in uno dei due borsoni
che
aveva preparato oltre la valigia. Decise di occuparsi delle mutande e
dei calzini. Fu bloccato da uno strano rumore, come un risucchio;
voltatosi verso Abby, vide che stava soffocando il pianto in un
fazzoletto.
Alzò gli occhi al cielo, divertito. "Abbyyy!, dai" si
sedette
con lei sul letto e la abbracciò. "Non vado in guerra!"
"Non ci vedremo per un sacco di tempo!" singhiozzò. "E
chissà se riuscirai a trovare un posto qui a Washington, una
volta tornato!" si asciugò gli occhi, sporcarcandoi le dita
del trucco che aveva sulle palpebre.
"Nel caso più remoto che a Washington non ci sia
possibilità per un giovane poliziotto, verrò a
trovarti
ogni volta che posso, ok?"
"Giura!" lo minacciò con un dito. Tony si portò
una mano
al cuore. "Giuro sulla mia collezione di DVD!" la abbracciò
di
nuovo, cercando di tranquillizzarla. "Ti porterò un sacco di
souvenirs, e ti verrò a salvare ogni volta che McGee
tenterà di ucciderti con la noia" le accarezzò la
fronte,
coperta dalla frangetta.
Abby rise divertita e gli tirò una gomitata. "Stupido uomo!"
si
lasciò cullare ancora qualche minuto dalle braccia di Tony,
almeno finchè l'aveva vicino. Era uno dei suoi migliori
amici e
non le piaceva l'idea di non essere stata avvisata a tempo debito di
quel cambiamento improvviso.
Era come quando suo fratello se ne era andato via per il college: non
una perdita vera e propria, nessuna ferita sanguinante, più
un
brufolo che prude e che da un tremendo fastidio. Un fastidio che non
sparisce da un giorno all'altro - nonostante le telefonate, le
videochiamate, le gite a che avrebbero fatto a Baltimora.
"Fammi capire" cominciò, alzando leggermente lo sguardo su
di
lui, mentre le accarezzava distrattamente i capelli. "Ora tu e Wendy vi
lasciate, vero? Perchè lo sappiamo che le relazione a
distanza
non funzionano!"
"Abby!" la rimproverò con lo sguardo, ma segretamente
divertito.
"Cosa?" fece spallucce e finse un'espressione oltraggiata. "Non starai
mica pensando che io sia
felice se vi lasciate?" ridacchiò. "Assolutamente... si"
"Mi sarebbe piaciuto che foste diventate amiche, invece. Wendy ti
piacerebbe, se non fossi così razzista nei suoi
confronti" si alzò dal letto per continuare a sistemare le
sue cose. "Ti sei solo fissata"
"No, non potremmo andare d'accordo" lo osservò analizzare
due
calzini che sembravano dello stesso colore. Non lo erano,
evidentemente, visto che Tony continuava a guardarli con uno sguardo
minaccioso, sperando in un'illuminazione, che puntualmente non sarebbe
arrivata.
"E' così triste vedere la gente che parte..." si stese sul
letto
e prese ad osservare il soffitto. "Prima mio fratello, i nostri
compagni di liceo, poi Zi..." si bloccò appena in tempo e
sollevò la testa nella direzione del ragazzo. Aveva
l'espressione tranquilla, ma le mani e le spalle tese.
"Mi dispiace, Tony" si scusò Abby, portandosi le mani alla
bocca. "Davvero, non volevo. Mi è scappato"
"Puoi nominarla, se vuoi. Non è proibito" tentò
di
scherzare e gettò entrambi i calzini in valigia. "Sono
passati
tre anni. L'ho superata"
"Beato te" sussurrò Abby. Prima che il suo amico potesse
indagare ulteriormente, se ne andò lentamente in cucina. Le
serviva un caffè.
Poggiato al lavello, mentre osservava la macchinetta del
caffè
fumare, c'era Timothy: aveva una tuta sformata e l'espressione confusa,
un pò malinconica, esattamente come la sua. Abby lo
raggiunse
sorridente e lo abbracciò, poggiando la guancia all'altezza
del
suo cuore.
"Coccole?" le domandò. Abby si limitò ad annuire
e
strofinò il naso contro la sua maglia. Il ragazzo le
accarezzò la testa.
"Ricordami perchè ti ho lasciato, l'anno scorso"
bofonchiò Abby.
"Uhm... per seguire i tuoi sogni di gloria in Europa" disse divertito
Timothy.
"Sono stata un'idiota"
"Lo so, ma ti amo lo stesso, tranquilla" risero e Abby lo
baciò,
lasciandogli un pò di rossetto sulle labbra fini. "Ops" rise
e
passò l'indice per togliere il rosso.
"Che brutto, Tony che prepara le valigie!" gli sussurrò
all'orecchio. "Non voglio che vada via"
"Pensa positivo, avremmo casa tutta per noi" le fece l'occhiolino,
circondandole i fianchi con le braccia. "E niente più Wendy"
fischiò e si scambiarono un cinque.
"Questa è decisamente una bella notizia" ammiccò
Abby.
"Anche se, conoscendola, correrà a Baltimora pur di
accaparrarsi
i soldi di Tony" ringhiò.
"Sta calma" le diede un bacio a stampo. "Stasera dobbiamo andare a cena
con lei e Anthony Senior, quindi... tieni a posto le mani,
perchè tra te e lui, la poverina si troverà con
le spalle
al muro" sorrise. "Ho la netta sensazione che anche la signorina Kate
non la possa sopportare"
"Sai che se la chiami di nuovo signorina
ti
spara, vero?" spalancò gli occhi scuri. "Non farlo, stasera.
Non
voglio un fidanzato con i buchi, sembreresti un formaggio stagionato,
io odio il formaggio!, soprattutto quello stagionato" annuì
e
gli circondò il collo con le braccia.
"Sto per entrare!" urlò Tony, una mano sugli occhi. I due lo
guardarono divertiti.
"Siamo presentabili" rise Abby, staccandosi da McGee. "Piuttosto,
c'è il caffè pronto... cosa devo mettermi
stasera?"
Tony e McGee si guardarono sconsolati, pronti ad una digressione senza
fine sulla moda made
in Sciuto.
Sono
esattamente questi, i momenti che mi mancheranno.
La scena risultava quantomeno ironica, se saltava
all'occhio di
uno spettatore esterno e privo di tutte quelle dinamiche che
intercorrevano nel gruppo.
Prima di tutto c'era Tony: elegantissimo nella sua camicia sportiva, i
pantaloni dal taglio classico e i capelli, per una volta, voltati nel
verso giusto. Teneva la mano di Wendy, la sua bellissima ragazza, e
giocherelleva distrattamente col cellulare, nell'altra mano.
Qualunque psicologo, poi, avrebbe detto che la gestualità di
Abby e DiNozzo Senior esprimeva difesa e le loro espressioni erano
quantomai guardinghe: la ragazza aveva le braccia incrociate sotto il
seno, tese e strette tra loro, mentre osservava con scetticismo misto a
disgusto le mani intrecciate dei primi due; Senior, invece, non faceva
che tenere il bicchiere sulla punta della labbra, cercando di non farsi
sentire mentre borbottava tra sè e sè.
McGee, per contro, era in evidente difficoltà: si spostava
da
una parte all'altra sulla sedia, sbriciolava fette di pane e,
contemporaneamente, nascondeva il viso di Abby mentre faceva smorfie
poco carine nei confronti di Wendy. L'unica tranquilla era Kate, che
mangiava come se non fosse realmente presente, si limitava a scherzare
con Tony, beccandosi occhiatacce da Wendy, Abby e Senior, con
l'eccezione di Tim.
"... e Tony mi ha regalato i biglietti per questa fantastica mostra di
arte moderna per il mio compleanno" finì di parlare Wendy,
mentre tagliava una fetta di carne particolarmente succosa. Rivolse un
sorriso a Tony, che le fece l'occhiolino.
"Te lo meriti..."
"Ma davvero?!" Senior si schiarì la voce. Di fianco a lui,
Kate
alzò lo sguardo al cielo, esasperata. "Perchè se
lo
merita?"
"Aveva lavorato tutta la settimana" disse Tony, lanciando uno sguardo
ammonitore a suo padre.
"Anche io. Inoltre studio. Nessuno mi da premi, però"
aggiunse
inviperita Abby. Sorrise in modo palesemente falso a Wendy, che
preferì non dire altro.
"Ma, Abbs, tu lavori solo la sera" ghignò Tony. La sua amica
gli
lanciò uno sguardo di fuoco e, prima che potesse aprire
bocca,
Kate intervenne: "Devo andare al bagno. Abby, vieni con me? Ho un nuovo
rossetto che vorrei farti provare..." si alzò e la prese per
un
braccio con più violenza del necessario e la fece
traballare.
Wendy si imbronciò per non essere stata inclusa in quel
momento
tutto al femminile, ma capì che non era desiderata e si
accontentò di mangiucchiare l'insalata.
McGee si schiarì la voce e si rivolse a Tony:
"Bè, ehm...
hai conosciuto lo studente con cui dividerai la stanza a Baltimora?"
l'altro annuì e prese un sorso di vino.
"Si chiama Sam*, è una specie di figlio dei fiori con i
dreds
lunghi fino al pavimento" sorriso. "Simpatico. Suona la chitarra"
"Bene, ti passerà un pò di arte. Già
immagino le
serate che passerete a cantare le canzoni di Elvis" Senior
alzò
gli occhi al cielo, divertito. La tavolata scoppiò a ridere,
mentre Tony sorrideva a stento.
"Voi scherzate, ma credo che le mie serate passeranno proprio
così"
"Sei ancora in tempo, Tony" suo padre gli puntò contro la
forchetta. "Sei sicuro di quello che fai? E' del tuo futuro, che si
parla"
"Si, sono sicuro. Non sono mai stato così sicuro di qualcosa
in vita mia" Più
o meno.
"La odio"
"Hai la matita sotto gli occhi sbavata"
"E' brutta!"
"Il lucidalabbra ti è quasi sparito"
"... arrampicatrice sociale!"
"Abby!" Kate l'afferrò per le spalle e la scosse
violentemente.
"Devi stare calma, ok? Ho la pistola in borsa, posso usarla" la ragazza
la guardò sconvolta e prese un respiro profondo, guardandosi
allo specchio. Aveva una smorfia terribile che le deturpava il viso e,
effettivamente, il trucco era quasi sparito.
"Se non fossi sicura che ami il tuo ragazzo, oserei dire che sei
gelosa" Kate diede le spalle allo specchio e si poggiò al
lavandino con le mani, guardandola attenta.
"Già" si mordicchiò le labbra. "Forse faccio
così perchè qualcun'altro
non può farlo" piegò la testa e
osservò la sua immagine allo specchio.
"Ziva" scandì Kate, annuendo leggermente. "Ti manca molto di
più di quanto pensassi" la donna le accarezzò i
capelli e
Abby tirò su col naso, cercando di tirare indietro le
lacrime
che spingevano fortemente per uscire.
"Sono questi, i momenti in cui mi manca di più. Stare
insieme,
prima di una decisione così importante per Tony... sai cosa
mi
fa più male? Non sapere dov'è, cosa sta facendo,
se è viva. Israele
non è esattamente il posto più sicuro al mondo e
sappiamo
tutte e due cosa fa suo padre" strinse le labbra. "Non mi ha nemmeno
salutata, capisci? Da un giorno all'altro la mia amica mi è
stata portata via"
"Abby" tentò Kate. "Perchè Ziva se n'è
andata?" La
ragazza la guardò con gli occhi ludici e prese a
raccontare...
Maia says:
Vorrei ricordare a tutti i lettori che se mi fate fuori non leggerete
il continuo >.< Come avrete capito, dallo scorso capitolo
sono
passati un paio di mesi: Ziva continua a vedere Gibbs al parco, non
incrociandosi con Tony (che sta per partire per Baltimora). Abby,
invece, è nel bagno del ristorante, pronta a raccontare a
Kate
cosa è successo tre anni prima, visto che lei non lo sa.
-> Perciò, il prossimo capitolo sarà un
flashback,
tutto da punto di vista Tiva, che vi
(spero) chiarirà tante
cose. Molte cose. Troppe cose.
Vi ricordo che se mi uccidete non leggerete il continuo ^o^'''
*Sam:
personaggio liberamente ispirato al mio AMATO Sam, vincitore del Glee
Project :)
Me lo merito! D:
Alla prossima, squadra u.u
STASERA NON PERDETE LA NONA STAGIONE SU RAI DUE *W*
Semper Fi.
Amalia.
|
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Capitolo 6 *** Remember me ***
NCIS
- No
Tony
DiNozzo, 7x01
Ziva mosse qualche passo e si sedette sugli scalini del portico di casa
sua. Il cielo era aperto, sebbene nei giorni precedenti non avesse
fatto altro che piovere, e le infondeva una strana calma, di cui
però aveva davvero bisogno. Tra le mani distringeva il
cellulare, con la finestra dei messaggi ancora aperta e l'ultimo
messaggio che le ordinava, quasi, di guardarlo un'ultima volta.
Che fine hai fatto,
piccola ninja? Nessuna
faccina, nessuna inflessione del testo particolare che le facesse
pensare che lui fosse davvero preoccupato. Tony non si preoccupava per
lei da un sacco di tempo e aveva ragione, in effetti. Il peggio era
passato, la morte di Ari era lontana e la sua preoccupazione
più
grande rimaneva diplomarsi col massimo dei voti e il pericolo maggiore
che correva era sbucciarsi un ginocchio durante l'ora di Educazione
Fisica, o quando il professor Gibbs era particolarmente di cattivo
umore, avere una C.
Già, Tony non poteva pensare che Ziva fosse in pericolo, o
triste, o in chissà quale disastro internazionale.
La ragazza decise di non fare la codarda e gli rispose, con le mani
tremanti: Ho studiato
tutto il giorno, scusa. Puoi venire da me? rilesse tre
volte il messaggio, cercando di non far trasparire la sua ansia, il suo
dolore, la sua paura nascosta.
Uh-uh :) Secondo round?
Eli David è finalmente uscito? Era
stato veloce nella risposta. No, Tony non era preoccupato, ma avrebbe
scommesso che era stato tutta la domenica attaccato al cellulare,
chiedendosi perchè la sua ragazza, a pomeriggio inoltrato,
non
si era ancora fatta sentire. Ziva trattenne un sorriso, ricordando la
sera prima. Si, sono
sola. Dai, vieni. Ti devo parlare. Giusto
per mettere subito in chiaro che non aveva intenzione di finire con lui
sotto le coperte - magari dopo, ma non subito. La risposta di Tony fu
semplice e sbrigativa.
Non era uno stupido. Ziva era convinta che avesse percepito che
qualcosa non andava. Posò il cellulare nella tasca interna
dei
jeans e guardò sconsolata il cielo sopra di lei. Pensava di
averne passate abbastanza e di aver trovato il suo posto, finalmente.
La sua persona, i suoi amici, una famiglia. Perchè le doveva
essere strappato via tutto? Si coprì il viso con le mani,
distrutta. Stette seduta lì per molto tempo,
finchè non
sentì un tonfo e una macchia scura che saltava il
cancelletto
del suo giardino. Si alzò e tentò di sorridere.
"Ehilà!" Tony le fece l'occhiolino, mentre tentava di
sistemare
i pantaloni. "Ho sempre il terrore che tuo padre abbia attaccato
qualche presa elettrica al cancello sul retro, così da farmi
prendere la scossa. Ne sarebbe capace, secondo te?" scherzò.
Ziva sorrise e gli andò incontro; non gli rispose, si
limitò ad alzarsi sulle punte e lo baciò,
obbligandolo a
schiudere le labbra, per cercare qualcosa di più di un
semplice
bacio di Benvenuto. "Wow, Ziva. Ehi" la allontanò da
sè,
divertito e stupito al tempo stesso.
"Di solito sono io che ti salto addosso come un cretino e mi fai pure
sentire in colpa. Che ti prende?" le strizzò una guancia.
Ziva allontanò la sua mano irritata: "Per una volta che
prendo l'iniziativa non ti va bene?!"
"Ritira gli artigli" Tony la guardò, ferito. "Mi hai mandato
un
messaggio cadaverica, pensavo fosse successo qualcosa e tu vuoi
solo..." indicò il suo corpo, non senza un minimo di
vanità. La ragazza alzò gli occhi al
cielo, lo
prese per mano e lo fece sedere accanto a sè sui gradini.
"D'accordo, è successo qualcosa" sospirò Tony,
passandosi
una mano sul viso. "Dovevo aspettarmelo. Non credo che tu voglia
scaricarmi, vista la calorosa accoglienza, ma allora?" alzò
le
spalle e la guardò in trepidante attesa.
Ziva deglutì e ricominciò a giocherellare sul
cellulare.
"Io... stamattina, quando mi sono svegliata, mio padre mi ha chiamata
nel suo studio" prese un respiro e continuò: "si
è prima
scusato, mi ha detto che non avrebbe mai voluto farmi una cosa del genere"
Tony si mosse leggermente dalla sua postazione. Ziva capì
che si
stava innervosendo: "Il nostro visto sta per scadere, Tony. Dobbiamo
tornare in Israele" alzò lo sguardo su di lui.
Il ragazzo ebbe una reazione dapprima sorpresa, poi rise: "Bello
scherzo, David, davvero"
"Non sto scherzando, Tony" sussurrò. "Mio padre è
stato
appena nominato Direttore del Mossad e, nonostante tutto, siamo ancora
ospiti di un paese che non è il nostro. La presenza dei
David su
suolo americano sta facendo innervosire parecchie persone, a Tel Aviv"
mormorò. "Non dovrei nemmeno frequentare la Woodrow,
capisci? E'
come se... fossi una turista"
Tony la guardò accigliato: "Siete qui da quasi un anno.
Come..."
"Lo so" sospirò. "Ma non possiamo rimanere ancora, potrei
perdere un anno di scuola in Israele e mio padre avrebbe seri problemi
con i Servizi Segreti: tutti credono che rimaniamo qui per
chissà quale motivo!"
"E allora spiegatelo!" si alterò il ragazzo.
"Papà ci ha provato" tirò su col naso. "Ma non
possiamo
rimanere ancora. Il tuo governo non ci rinnoverà ancora il
visto. Fra poco diventeremo degli emigranti senza regolare permesso e
ci rimanderanno in patria
con la forza" mormorò. Tony le prese una mano.
"Tu... ti stai per diplomare qui. Tuo padre non può partire
e lasciarti in America? Con Leni?"
"Sono ancora minorenne, Tony. Non ho nemmeno ventun'anni. Devo partire
con lui, non posso rimanere da sola" scosse la testa. "Non sono
americana,
capisci? Dovrei aspettare anni prima di riuscire anche solo a pensare
di prendere la Green Card. E nel frattempo?"
Restarono in silenzio, con le dita intrecciate. Ziva teneva lo sguardo
fisso sul prato di casa, cercando di rimettere ordine nei pensieri.
"No" esclamò Tony, d'improvviso. Ziva si voltò
verso di lui. "Eh?"
"Ho detto no!" si alzò e cominciò a passeggiare
in tondo,
con lo sguardo della ragazza fisso su di lui. "Non
permetterò
che ti riportino lì. Assolutamente no! Non dopo tutto quello
che
abbiamo passato, Zee. Sarebbe... si stava risolvendo tutto!"
borbottò tra sè e sè, poi si
fermò e la
guardò con decisione. "Scappa. Ci sposiamo. Sono
maggiorenne!"
"Ma sei impazzito?!" strillò.
"Assolutamente no! Io ti amo, tu mi ami e non vuoi tornare in Israele"
riassunse. "E hai bisogno di rimanere negli Stati Uniti. Il modo
più veloce per prendere la Green Card è sposarmi.
Sposami" le propose, le braccia aperte e un sorriso fiducioso.
Ziva non sembrava altrettanto d'accordo: "Sono minorenne, Tony. E un
matrimonio, Dio..." si prese la testa tra le mani. "Te ne pentirai. Ce
ne pentiremo. Cominceremo a litigare e..." si inginocchiò di
fronte a lei e poggiò la fronte sulla sua.
"Ziva" sussurrò. "Stammi bene a sentire: forse è
un'idea
folle, ma pensaci, ok? In ogni caso, a costo di parlare con tuo padre o
di rapirti,
io non permetterò che ti facciano tornare in Israele. E'
questa
casa tua" le accarezzò una guancia.
"So che questa è casa mia, ma non sulla carta" chiuse gli
occhi. "Tony..."
"Non tornerai lì. Te lo prometto. Troverò tutte
le soluzioni possibili"
Tony tornò a
casa ubriaco.
Suo padre neanche se ne accorse, stanco com'era, dopo aver passato
l'intera giornata in ufficio. Il ragazzo sbattè parecchie
volte
contro i mobili, ridendo di sè senza motivo. Erano parecchie
sere che usciva con Vincent e gli altri della squadra di basket, per divertirsi. Era
giovane, aveva appena diciotto anni, e stava vivendo dei mesi assurdi,
di nuovo - tutto a causa di Ziva.
Pensare a certe cose lo faceva anche sentire in colpa: di certo non era
lei che voleva tornare in Israele, ma stava obbligando anche lui a
vivere da ospite. A diciotto anni non si può pensare
già
ad un matrimonio - anche se l'aveva proposto lui. A diciotto anni non
si può pensare di scappare con la propria ragazza - e si
sentiva
in colpa anche per non essere abbastanza forte.
La verità era che più il tempo passava,
più Ziva
diventava fiduciosa. E più lui perdeva le speranze. Le
avevano
tentate tutte, l'unica cosa rimaneva rapirla o sposarsi. Tony non era
pronto a fare nessuna delle due cose e si sentiva così inadeguato e
l'unica cosa che riusciva a fare era uscire e bere come una spugna con
i suoi vecchi compagni di squadra.
Ziva aveva ben presto capito che c'era qualcosa che non andava in lui,
perchè aveva smesso di fargli domande e chiedergli
novità
sulle sue ricerche, lo lasciava in pace e non gli chiedeva
perchè aveva le occhiaie e puzzava di birra. Aveva lasciato
correre anche la sua rinnovata amicizia con Vincent e l'avvicinamento
alle cheerleaders. Abby le diceva di stare tranquilla, che Tony stava
sicuramente trovando una soluzione e un bel giorno l'avrebbe stupita,
ma non ci credeva nemmeno lei.
Tony tornò a
casa ubriaco, ma quella sera non tornò a casa da solo.
La ragazza era una biondina prorompente, piena di assi nella manica,
che l'aveva puntato alla festa del liceo già qualche giorno
prima. Non aveva smesso di essere una preda ambita, sebbene la sua
storia con Ziva non mostrasse alcun segno di cedimento - almeno negli
ultimi mesi. Quella storia della Green Card lo stava mettendo
seriamente sotto pressione e, anche prima di conoscere la David, il suo
metodo per scacciare via la tensione era fare sesso.
La biondina dal nome sconosciuto era perfetta. Sicuramente il giorno
dopo, a scuola, non avrebbe fatto baccano per attirare la sua
attenzione, nè avrebbe spinto affinchè lasciasse
Ziva.
Tony prese una bottiglia di vino dalla dispensa del padre e la divise
con la ragazza.
Ziva. Bere
lo faceva sentire
meno colpevole di quel tradimento - che poi tradimento non era. Era
anche colpa sua se stava facendo sesso con un'altra ragazza, era anche
colpa sua se non stava più tranquillo, era anche colpa sua
se era israeliana.
La mattina dopo, a scuola, la vide poggiata al suo
armadietto.
Stringeva un libro tra le mani e si torturava il labbro inferiore con i
denti. Tony sorrise e sentì quel familiare formicolio allo
stomaco che gli prendeva ogni volta che l'aveva davanti, seguito,
recentemente, da attacco di panico leggero, come se l'aria gli venisse
bruscamente tirata via. Ziva alzò lo sguardo appena in tempo
per
vederlo arrivare e gli sorrise.
Tony non la baciò, per evitare che sentisse l'odore di birra
e
Ziva non chiese di essere baciata, altrettanto consapevole di non voler
sapere.
"Sei venuto tardi" gli disse, con le spalle rivolte ancora
agli
armadietti. Tony aprì silenziosamente il suo e prese i libri
di
Chimica.
"Si, ecco, mh, non mi sono svegliato" si grattò la testa e
la
invitò ad accompagnarlo verso la classe. Di solito gli
piaceva
coccolarla un pò, prima di cominciare le lezioni, ma non le
prendeva la mano da un sacco di tempo. Ziva la ritirò nella
tasca del jeans.
"Fatto tardi ieri sera?" domandò, cercando di rimanere, al
tempo stesso, sul vago.
Tony sbuffò pesantemente. "Anche se fosse? Cos'è,
un
terzo grado?" replicò e svoltò velocemente per il
corridoio. Ziva lo guardò andare via. Non ci era rimasta
male,
capitava spesso che le rispondesse male. In cuor suo, sperava che fosse
per la pressione dovuta a quella terribile spada di Damocle che
incombeva su di loro - non voleva gridare al Lupo, confidava che,
lasciandogli del tempo, tornasse tutto come prima.
Lei si avviò verso i bagni, entrò e si chiuse in
uno di questi.
Sentì la porta aprirsi e due ragazze, che ridevano, entrare.
"... allora è bravo come dicono" mormorò una.
Ziva intuì che si stava rifacendo il trucco.
"Di più, molto di più" rise l'altra. "Devi
pensare che
era così ubriaco da non riuscire nemmeno a mettersi il
preservativo, ma una volta cominciato, credimi, era più
lucido
di chiunque altro. Pure una bella casa"
"Ma non stava insieme a una?"
"Boh, mi pare di si. Però, andiamo! Tony DiNozzo che sta
fisso
con una ragazza? Non ci ha mai creduto nessuno. Fare sesso con me
è stata solo la prova del nove. Non è cambiato
per niente"
Il cuore di Ziva mancò un battito. Poi un altro. E un altro
ancora.
- Ziva... can you
fight?
Tony, 6x01
"Te lo ricordi?" gli chiese, dondolando sull'altalena.
"Certo. E' dove ci siamo baciati la prima volta" Tony sorrise,
dondolando anche lui. "Certo, il cielo non era così azzurro
e la
situazione non così bella, però è un
bellissimo
ricordo. Perchè mi hai fatto venire qui?" si
voltò di
lei. Ziva sembrava pensierosa, mentre strisciava con le scarpette da
ginnastica sul terreno sotto l'altalena.
"Sto per farti una domanda, Tony. Potresti rispondermi sinceramente?"
Il ragazzo la guardò accigliato: "Si. Chiedimi tutto!"
"Mi hai tradita, due sere fa?" alzò lo sguardo su di lui.
Una
delle cose che Tony amava in Ziva David era l'autocontrollo. Non gli
sembrava arrabbiata, nè disperata, nè in collera.
Rassegnazione. Era
lo stesso sentimento che c'era nei suoi occhi.
"Si" rispose, mantenendo lo sguardo fisso su di lei. "Mi dispiace"
mormorò, subito dopo. Ziva incassò il colpo con
dignità e riprese a guardare il terreno sotto i suoi piedi.
"Mi
dispiace, dico sul serio. E' che... non voglio giustificarmi, ma...
tutta questa storia mi sta mettendo ansia"
"Non sono stata io a proporti di sposarmi" replicò con
forza, mostrando per la prima volta della rabbia.
"Lo so. Forse... ho accellerato le cose" prese un respiro. "Non sono
pronto a lasciarti andare via"
"Ma non sei pronto neanche a trattenermi. Non hai la forza necessaria,
Tony" si alzò dall'altalena e lo guardò, scossa.
"E io
non ho la forza necessaria per perdonarti. Perchè il mondo
mi
sta crollando addosso e tu, invece di starmi vicino, scopi con
chissà chi" ringhiò.
"Ti ho già chiesto scusa" si alzò anche lui e
alzò
la voce. "Ti sono stato vicino finchè ho potuto, ti ho
promesso
mari e monti, ho provato a convincerti, ma sai che ti dico?!" le disse,
rabbioso. "Non sembrava che tu fossi tanto predisposta a rimanere
qui... ti conosco, Zee. Ho visto che cedevi giorno dopo giorno, mentre
io cercavo di tenere in piedi tutta la baracca. Mi hai lasciato
scelta?!" gridò.
"Si!" urlò anche lei. "Si che te l'ho lasciata! Quando ti ho
detto che sarei dovuta tornare in Israele, potevi stare zitto, muto!, e
vivere questi ultimi mesi con me"
si colpì il petto. "Me!
Sarebbe stato meno terribile, credimi" si asciugò una
lacrima e
lo fissò disgustata. "Negli ultimi tempi non hai fatto altro
che
trattarmi male, ignorarmi, mentre... mentre... mentre io combattevo con
qualcosa di molto più grande di me!"
"Stammi a sentire" la afferrò per le braccia. "Non potevo
rassegnarmi all'idea che tu andassi via"
"E ora puoi, Tony?" sussurrò.
"Non ho altra scelta" la guardò colpevole e tentò
di abbracciarla, ma Ziva si divincolò.
"No. Ora
sono io a dire basta"
tentò di fermare le altre lacrime con la manica della
maglietta.
"Mi hai fatto credere che sarebbe andato tutto bene. Non è
stato
così. Mi hai detto che mi amavi. Non è
così, mi
hai tradita. E..."
"No!" le
urlò. "Non ti
azzardare a mettere in dubbio il fatto che io ti ami, perchè
è così! E, a questo punto, preferirei..." si
zittì.
"Cosa, Tony?" singhiozzò Ziva. "Non avermi mai conosciuta?
Hai
ragione. Anche io vorrei non averti mai conosciuto. Ho tradito mio
fratello - ho ucciso mio
fratello, anche per stare con te. Ho vissuto questi mesi in una bolla
di sapone solo perchè tu mi avevi dato qualcosa su cui
sperare:
quel qualcosa eri tu. E ora non ci sei. Forse non ci sei mai stato"
pianse.
"Per favore" biascicò. "Non... non è
così. Io ti amo, Ziva"
"Sai solo dire questo" scosse la testa. "Ma non è
abbastanza. Non ho più forza, Tony. Non posso combattere anche per
te" tirò sul col naso e si pulì il viso. "Ho
detto a mio
padre che sono d'accordo. Parto dopo domani, il tempo di prenotare un
volo"
"Non devi farlo per forza" tentò, prendendola per mano. "Non
farmi questo" le baciò la fronte, disperato.
"Tu a cosa pensavi, mentre stavi con quell'altra? Anche io avrei voluto
che non mi facessi questo, Tony. L'hai fatto. Io ti odio"
scandì, gelida. Infilò le mani nel giubbino e
uscì
dal parco, lasciandolo lì, da solo.
Timothy McGee accese la tv e si buttò a peso morto sul
divano. I
suoi genitori erano andati a dormire e sua sorella era in camera sua,
così poteva guardarsi in santa pace la maratona di Star Trek
che
davano alla tv. Si era preparato di tutto: pop corn, modellini in scala
dei suoi personaggi preferiti e orsetti gommosi. Aspettava quel momento
da settimane e, ben felice di stare finalmente da solo, si
sintonizzò sul canale desiderato. Pochi minuti prima
dell'inizio
della saga, McGee pensava davvero che quella sera sarebbe riuscito a
stare tranquillo.
Finchè non suonò il campanello.
"Ma perchè?!" si lamentò, alzando gli occhi al
cielo.
"Perchè, Dio, mi fai questo?!" mise da parte la ciotola di
pop
corn e ciabattò fino alla porta d'ingresso, chiusa a doppia
mandata. Guardò dallo spioncino. Tony.
"Ehi, amico. Cosa
ti porta a
casa mia alle nove di sera?" inclinò la testa, osservandolo
curioso. Stava con lo sguardo basso, poggiato alla porta
dell'appartamento della signora di fronte. "Tony... ? Stai bene?" si
avvicino a lui, con passo felpato.
L'altro scosse ritmicamente la testa. Poi tutto il suo corpo
sembrò scuotersi e, con orrore, Tim si accorse che stava
piangendo. Uscì, sul pianerottolo, e gli strinse piano una
spalla. "Tony..." lo chiamò ancora una volta, confuso.
"L'ho fatta andare via, Tim" pianse. "L'ho fatta andare via"
McGee non trovò altro da fare se non abbracciarlo e
accoglierlo in casa.
Maia
says:
PIANO, RAGAZZE, PIANO >.< Non mi uccidete Tony, ne ho
ancora bisogno per la storia.
Adesso avete capito perchè? Non lo condannate, ha corso
troppo e
ha pensato che sarebbe riuscito a salvare le cose come in uno dei suoi
film. Erano giovani, adolescenti. Si, insomma: chi si sposa a diciotto
anni, nel 2012?! xD hahahahahaha
Ora sono cresciuti, però :3 uhuhuhuhuhuhuhuhuhuhuhuh.
Vabbè. Questo capitolo mi ha distrutta, in tutti i sensi, ma
sapete cosa? Ve lo meritate. Per tutti i complimenti, per tutte le
recensioni, per tutta la passione che ci mettete e per... volermi bene?
** Un pò me ne volete? *_*
Quindi...
GRAZIE!
P.s.: Avviso importante!
Allora, prima di tutto volevo scusarmi in anticipo >.<
Visto che siamo una squadra (u.u), ve lo dico: la
pubblicazione sarà parecchio ritardata in queste ultime
settimane. A partire da domani ho TUTTI I GIORNI un'interrogazione
oppure un compito, devo studiare come una pazza, leggere un libro di
Calvino e due tragedie greche D: In più, lunedì
19 parto per la gita di cinque giorni, torno il 23, e il
lunedì successivo già cominciano ad interrogare.
Una delle cose di cui ero più fiera erano gli aggiornamenti
veloci :( Non sono una di quelle che fa aspettare secoli per i nuovi
capitoli, perchè se ho tempo scrivo e pubblico al momento,
cerco sempre di portarmi con i capitoli avanti, ma stavolta mi trovo
proprio in difficoltà :( Proverò ad aggiornare
prima di andare in gita il nuovo capitolo - che ancora non è
pronto, tra l'altro xD - e, perdonatemi davvero, se vi farò
aspettare un pò :( Midispiacemidispiacemidispiace! :( Anche
perchè ve li meritate i capitoli in tempo, mi fa stare male
'sta cosa :(
Semper
Fidelis, Team!
Amalia.
|
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Capitolo 7 *** On the radio ***
NCIS
- I'm not totally emotionless
perfect warrior!
Abby, to Ziva, 5x10
"C'è
qualcosa che
mi puzza. So che c'è qualcosa che non va! E' come... sai,
è come quando ti spunta un brufolo al centro della schiena e
non
riesci a grattarti" la ragazza si voltò verso il suo gatto.
"Ma
che ci parlo a fare con te!" sbuffò, accusandolo apertamente
della sua ignoranza, come se fosse realmente una colpa del micio il
quale, di tutta risposta, sventolò la coda e le diede le
spalle,
mostrandole il sedere. Ziva finse di guardarlo oltraggiata, mentre si
affaccendava a lavare le stoviglie ammucchiate nel lavello. Era da
giorni che cercava una soluzione per risolvere quel maledetto caso,
senza tuttavia trovare niente che potesse aiutarli.
Era decisamente stufa di stare negli Stati Uniti e voleva tornarsene in
Israele - prima che un
altro americano bello, simpatico ed intelligente le rovinasse la vita. Michael
rimaneva ancora del parere che dovesse solo fare da spalla. Peccato che
Ziva non fosse di questo avviso - come sempre. Decise, mentre lavava i
piatti, che per il bene di entrambi non doveva dirgli delle sue idee
sulle voci contraffatte. Nè della sua intenzione di andare
all'Università.
"Tu ci rimani da solo a casa, Whisky?" si asciugò le mani e
gli
accarezzò il nasino. "Ziva deve andare a fare il suo lavoro"
corse in salotto, col gatto al seguito. Sul divano giaceva la sua
borsa: la afferrò e ci mise dentro le chiavi di casa, la
pistola, un teiser e alcuni dossiers del Mossad, che potevano sempre
essere utili.
Prima di uscire si guardò allo specchio. Tu sei Rachel. Rachel. Ripetè,
muovendo appena le labbra. Sistemò i capelli e
uscì.
Tony infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans e
lanciò uno sguardo malinconico alla Washington University.
Aveva
ventun'anni, tutta la vita davanti, un lavoro (quasi) assicurato e non
credeva che la vita universitaria gli sarebbe mancata in
quel modo. Era come perdere l'innocenza per la seconda volta, dopo aver
lasciato il liceo. Lo sentiva come un tradimento, un abbandono. In
fondo, ci aveva passato quasi tre anni lì dentro.
"Le feste degli Omega non saranno più le stesse, senza di
te" un
ragazzo gli diede una pacca sulla spalla, gli sorrise ed
entrò
nella sede della confraternita tutta maschile degli Omega Sigma, di cui
Tony faceva parte da quando era entrato alla facoltà di
Educazione Fisica.
Tony rispose allo sconosciuto con un cenno del capo, dentro di
sè compiaciuto per il fatto che avrebbero sentito la sua
mancanza. Non a caso, l'avrebbero aspettato per la festa in piscina del
mese prossimo - il Pool
Party più esclusivo del trimestre. Si era
creato un bel giro di amicizie. E avrebbe dovuto cominciare tutto
daccapo.
"Ehi, DiNozzo!" un gruppo di giovani Omega lo salutarono, mentre lui si
avviava verso la caffetteria. Aveva intenzione di riprendere
più
tardi le cose che aveva lasciato alla confraternita: gli premeva farsi
un giro per il campus.
"Mh, un... muffin al cioccolato e una grossa, grossa tazza di
caffè!" ordinò alla cameriera, seduto al suo
minuscolo
tavolino di metallo. Intorno a lui, gran parte degli studenti stavano
al laptop, altri sottolineavano, altri ancora parlavano tra loro,
prestando attenzione ogni tanto alla radio dell'ateneo.
Tony sorrise, pensando che i suoi giorni a poltrire lì
dentro
erano finiti. Aspettò pazientemente la sua colazione, mentre
giocherellava al cellulare. Si ridestò solo quando la
ragazza
tornò con la sua ordinazione e le rivolse un sorriso
seducente;
zuccherando il suo caffè, notò che il tavolino
accanto al
suo era stato occupato da una ragazza di spalle. Lì per
lì non ci fece granchè caso, ma mentre mordeva il
suo
muffin, riconobbe i capelli scuri tagliati corti.
Quasi soffocò con una goccia di cioccolato. La tipa che somiglia a Ziva... ricollegò
subito. Gli occhi si rimpicciolirono e l'attenzione crebbe a livelli
stratosferici.
Cercò di vedere cosa stava facendo: era piena di fogli e
foglietti, ma non aveva un computer. Stava leggendo qualcosa, ma non
gli sembrava un libro, piuttosto un fascicolo.
"Ecco a lei" la cameriera, che l'aveva servito, portò a lei
l'ordinazione. Tony sgranò gli occhi: cioccolata calda al caramello. Deglutì
a vuoto, posando lentamente la tua tazza di caffè
zuccherato.
Ricordava i gusti di Ziva come fossero i suoi e non era possibile che
ci fosse qualcuna che avesse la sua stessa faccia e i suoi stessi
gusti? Stava seriamente per alzarsi e prendere l'iniziativa, quando un
assistente - lo notò subito dal cartellino -, la raggiunse
di corsa. Le diede un bacio a fior di labbra e si sedette di fronte a
lei. Tony tornò subito col sedere sulla sedia,
finì la
sua colazione e andò via, a cercare Abby.
Eppure, mi piacerebbe
vedere il suo viso.
Per la sua sanità mentale, preferì
non indagare
oltre, anche perchè aveva altro a cui pensare. Abby sembrava
essere sparita, quando l'arrivo di un sms lo fece distrarre: Vieni in camera mia! Ho
fatto tardi!.
Tony alzò gli occhi al cielo, scocciato. Gli sembrava strano
che
Abby non avesse ancora cacciato qualche scusa della sue: sicuramente si
stava ancora truccando e a lui toccava aspettare secoli.
"Tu sei pazza!" ringhiò Michael - sotto il falso nome di
Bedi
Karell, in caffetteria. Ziva non si lasciò impressionare,
prese
un sorso della sua cioccolata e sbriciolò con la mano una
pezzettino di muffin. "Se ci scoprono, la colpa sarà tua!
Che
diavolo ci fai qui? Non dovresti essere all'Università, sono
io
l'agente che..."
"Bedi"
soffiò
candidamente Ziva e gli prese la mano, accarezzandola. "Sono la tua
ragazza, è naturale che io venga a trovarti, ogni tanto" si
sporse leggermente, per evitare orecchie indiscrete. "e, detto tra noi,
non posso aiutarti se non vedo come stanno le cose con i miei occhi, ti
pare, Michael?" tornò con la schiena diritta, senza mai
lasciare
la sua mano.
"Se lo dici tu..." borbottò l'agente del Mossad. "In ogni
caso, fai la brava"
Ziva alzò pericolosamente un sopracciglio. "Fammi capire
bene,
è una specie di predica? Di nuovo?" si alzò,
portando con
sè le sue cose. "Dov'è il tuo ufficio, amore?
Poso queste
cose e studio un pò" sorrise e gli diede un bacio sulla
guancia.
"Andiamo?"
Solo durante il percorso tra la caffetteria e l'ufficio di Michael,
Ziva si rese conto di quanto la Washington University fosse
effettivamente grande. C'erano studenti di tutti i tipi, forse di ogni
classe sociale, colore, pensiero. Le associazioni studentesche si
moltiplicavano a vista d'occhio e le confreternite facevano un
pò tenerezza, con la stessa maglietta. Qualcuno
ammiccò verso di lei, che rispose con un sorriso: era un
ambiente pulito, divertente, anche se la maggior parte dei ragazzi
aveva le occhiaie causate dai libri. Sembrava quasi meglio del liceo.
Seguì Michael in un corridoio semi deserto, fino ad un
ufficio poco illuminato e pieno di scartoffie.
"Sta qui" le ordinò, spingendola dentro. "E' l'ufficio del
professore per cui lavoro e fra dieci minuti abbiamo lezione"
"Ho due ore per fare una delle mie magie" si vantò,
sedendosi alla poltrona. C'era ancora una tazza sporca di
thè.
"Certo, magie!" Michael fece una smorfia e si chiuse la porta alle
spalle. Ziva aspettò un minuto, con l'orologio tra le mani,
che lui si allontanasse.
Si alzò, solo quando fu sicura che il suo collega fosse
oramai lontano, e aprì il computer del professore a cui
Michael faceva riferimento.
"Fa che non ci sia la password, andiamo" sussurrò,
osservando il display. Sorrise: niente password. Il computer del
professore era decisamente povero di dati: compiti, il software contro
il plagio, qualche foto di famiglia... "... e l'elenco degli studenti
del corso dell'anno 2011/2012" Ziva picchiettò il dito sulla
guancia, soddisfatta. Era un semplice documento Word, ma pieno di
possibili membri della cellula.
Tutti americani, però. Nessun nome sembrava coincidere con
la lista dei ragazzi migliori nel campo informatico - quindi, non era
neanche nel corso "per arabi" di Michael, che dovevano cercare una
traccia. Per sicurezza, Ziva stampò il documento e lo
infilò in borsa.
- I say it with love
Tony, 7x05
"Tu sei matta" rise Tony. "Dimmi come hai fatto!". Abby non rispose, si
limitò a guardare con aria soddisfatta tutti quelli che
erano stati invitati alla festa di Addio (a sorpresa) per il suo amico.
C'erano tutti quelli della sua confraternita, qualche ragazza del suo
corso e tanti altri, che lo conoscevano poco ma erano presenti comunque
- perchè
DiNozzo se lo merita!, non sarà più la stessa
cosa, ora che lui se ne va! Chi li farà gli scherzi al
professor Lancaster?
Quasi si era commosso, Tony. Non riusciva a spiegarsi come tante
persone riuscissero a stare nella sala comune di quel dormitorio
femminile, ma di fatto erano lì per lui. Aveva detto di
voler far passare inosservata la sua partenza, ma era contento che Abby
ci avesse pensato.
McGee gli fece l'occhiolino in un angolo, mentre parlava con un ragazzo
del suo corso. "Che bello, no?" Abby si attaccò al suo
braccio.
"Già" mugugnò, senza smettere di sorridere. "Mi
mancherà tutto questo" sussurrò.
"Quando parti?"
"Stasera, se riesco a mettere a posto tutte le mie cose. E' arrivato il
momento di crescere" fecero un brindisi.
Ziva uscì silenziosamente dall'ufficio, con la lista al
sicuro nella borsa. Mentre camminava tra i corridoi, mise le cuffie,
fingendo di sentire la musica: in realtà, per l'ennesima
volta, risentì le voci dei (possibili) terroristi, che aveva
passato sul cellulare. Qui
c'è davvero qualcosa che non va... pensò,
sospettosa. Arrivò di nuovo alla caffetteria e, durante una
pausa tra una parola e l'altra, le arrivò l'orecchio anche
la voce dello speaker della radio universitaria.
Si fermò di colpo e tolse le cuffie. La radio. Ma certo!
"Scusami" corse a perdifiato dalla cameriera della caffetteria.
"Dov'è la sede della radio universitaria?"
La ragazza sorrise: "Se cerchi un lavoro, arrivi al momento sbagliato.
Proprio l'altro giorno hanno assunto uno nuovo..."
"No, ti sbagli! Devo solo... chiedere... una... cosa"
balbettò.
"Oh, va bene. Devi prendere il secondo corridoio" indicò un
punto dietro di sè. "C'è una porta con la faccia
di Che Guevara sopra e la bandiera americana. Dovrebbe esserci un
cartello con scritto - RADIO - ma non ne sono molto sicura"
"Grazie mille" si avviò verso il corridoio, poi ci
ripensò e tornò indietro: "Hai detto che hanno
assunto uno nuovo?"
"Si, perchè?"
"Niente..." Ziva trattenne un sorriso vittorioso. "Grazie ancora"
Tornò sui suoi passi, ma stavolta più lentamente.
La radio dell'Università non era una di quelle professionali
e le voci, dagli altoparlanti, sembravano quasi rarefatte. Inoltre,
il nuovo speaker, ne era certa, utilizzava degli effetti sonori per
modificare la sua voce. Che fosse uno dei suoi obiettivi? Possibile,
visto che le voci che ascoltava da settimane non sembravano parlare
davvero arabo e potevano usare la radio, che arrivava in tutte le sale
dell'Università, per mandarsi dei messaggi in codice senza
lasciare tracce. Ziva bussò lievemente alla porta che la
cameriera le aveva indicato.
"Si?" un ragazzo di colore le aprì, guardandola con
sospetto.
"Ciao!" trillò Ziva, per prima cosa. "Io..."
"Non c'è posto per te, qui" scosse la testa. "Abbiamo anche
un nuovo speaker, non ce ne serve un altro"
"Lo so, lo so. Volevo solo vedere come funziona... non si sa mai quando
può servire una mano!"
Il ragazzo la squadrò dall'alto in basso. "Hai esperienza?"
mormorò alla fine. "Hai una bella parlantina, forse possiamo
inserirti nel buco della sera. Senza paga"
"Si, ho parecchia esperienza"
Nel frattempo, lo speaker misterioso annunciò: ... e infine, un saluto ad
Anthony DiNozzo Jr, da parte della sua confraternita, gli Omega Sigma!
Ziva sbarrò gli occhi ed ebbe un leggero
capogiro. Il ragazzo le toccò il braccio: "Stai bene? Ah, mi
serve il tuo tesserino da studentessa"
Merda.
Maia says:
Ve l'avevo promessooooooooooooooooo :D Per il prossimo
dovrete aspettare, cari ragazzi. LUNEDI' PARTOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO **
GITAGITAGITA! Fortunatamente le interrogazioni sono andate bene, non
devo recuperare niente e quando torno dalla gita avrò
parecchio tempo libero ;)
Come vedete, Ziva is in action <___< uhuhuhuhu quanto la
amo in versione Mossad! :Q___
FATEMI SAPEREEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE :D
Semper Fi,
Amalia.
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Capitolo 8 *** Goodbye, Tony... ***
NCIS
- I envy your brain,
sometimes!
Tony, to Ziva, 7x18
"E così..."
"Già. Ci
siamo lasciati" Tony
guardò la palla infilarsi nel canestro. "E' stata colpa mia,
McGee. L'ho tradita e me ne pentirò per il resto della mia
vita.
Ma, per qualche perversa ragione, mi sento sollevato. Sollevato
perchè non devo..."
"Sposarla?" McGee
alzò un
sopracciglio, vagamente divertito, mentre osservava Tony esercitarsi
nei canestri, nel giardino di casa sua. "Non voglio essere polemico,
Tony, ma... seriamente, avevi detto una grossa cazzata. Te l'avrei
impedito. E avremmo impedito insieme a Ziva di tornare in Israele"
"Scusa"
mormorò Tony e un
pensiero volò anche alla ragazza sull'aereo, probabilmente
diretta a Tel Aviv, o Gerusalmme. "Avrei dovuto fidarmi di te. Di voi.
Avrei dovuto chiedere una mano e invece ho fatto tutto da solo. Ho
sbagliato, lo so"
"Abby"
sospirò McGee, guardando il display del suo cellulare. "Mi
sta chiamando. Chi glielo dice di Zee?"
"Tu non sei una studentessa!" la accusò il ragazzo della
radio.
"Senti, non posso perdere tempo. Addio" le chiuse la porta sul naso,
mentre Ziva cercava disperamente di trovare, nella sua testa, un'altra
soluzione. La possibilità che la radio c'entrasse qualcosa
con
la cellula terroristica era altamente probabile e lei non voleva di
certo perdere l'occasione di fare un impulso maggiore al caso; ma la
notizia alla radio, di Tony, l'aveva talmente scioccata da non riuscire
a trovare una scusa plausibile per giustificare il non avere un
tesserino di riconoscimento come studentessa. Era stata stupida, si era
fatta scoprire.
Non le restava che aspettare la fine del programma radiofonico e fare
una foto al nuovo speaker.
Si sedette sulla mensola di una finestra, poco lontano dall'ufficio
della radio. Ziva aveva finamente la prova che Tony non si era
trasferito, ma era rimasto a Washington. Si chiese com'era diventato.
Se pensava ancora a lei, giusto ogni tanto. Deglutì,
cercando di
fermare la bile che le risaliva lungo la gola; aveva sempre pensato che
ci sarebbe stata lei, accanto a Tony, finchè la morte non
li avrebbe separati. Ci
aveva creduto, in una vita al di fuori del Mossad, ma aveva perso. Dopo
tre anni era arrivata a concepire l'idea che le cose, nonostante tutto,
non sarebbero potute andare diversamente. Lei apparteneva a quella
vita, non sapeva fare altro se non l'agente operativo.
Ziva tremava:
dentro di lei c'erano altre due Ziva; la prima desiderava ardentemente
risolvere quel caso, mentre la seconda fremeva vedere Tony, prenderlo,
picchiarlo, forse baciarlo, ma sicuramente almeno vederlo.
Non era stata una buona idea tornare negli Stati Uniti, solo in quel
momento se ne rendeva conto. A parte tutto, rimaneva il problema di
essere scoperta dai suoi vecchi amici ed era l'ultima cosa che avrebbe
voluto. Lei non era Ziva David, ma Rachel. E Rachel era la fidanzata di
Bedi, così come Ziva stava con Michael (sebbene nessuna
ufficialità era stata data al rapporto) e faceva l'agente
del
Mossad. In questo quadro non c'era più spazio per la
ragazzina
del liceo.
Improvvisamente la porta della radio si aprì e ne
uscì un
ragazzo con un berretto rosso e la felpa di Star Trek. Ziva gli fece
una foto veloce col cellulare, per poi riporlo nella borsa. Lo
seguì.
"Dottoressa Stevens?" Gerald bussò lievemente alla porta
dell'ufficio di Shannon, che lo fece entrare con uno sguardo perplesso.
Il loro appuntamento non era quel giorno e lei aveva messo in conto di
tornare presto a casa, invece di portare in giro il suo pancione.
"Dimmi Gerald! In che cosa posso esserti utile?"
Il ragazzo si sedette davanti a lei e si tormentò le mani.
"Mi
hanno chiamato dalla centrale di polizia e vogliono che vada per il
riconoscimento" alzò lo sguardo su di lei. "Non credo di
potercela fare. Davvero, se lo denuncio dovrò andare in
tribunale per testimoniare e..."
"Ma Gerald!" lo rimproverò. "Quella persona deve finire in
prigione! Puoi testimoniare, devi!, anche per coloro che sono morti"
"Lo so, dottoressa! Ma io... io... fa parte di una banda, questa
persona fa parte di una banda"
"I poliziotti possono proteggerti. Non puoi lasciare che salti il
processo..." la campanella interruppe il suo discorso e il ragazzo ebbe
una scusa per correre via. Shannon guardò affranta il posto
dove
si era seduto, consapevole di essere riuscita a fare ben poco per lui:
la mano tramava ancora, la facoltà di Medicina si
allontanava e
probabilmente un assassino sarebbe rimasto in libertà. Si
sentiva parecchio inutile.
Si sa che in gravidanza gli ormoni solo a mille, ma Shannon pensava che
a lei non sarebbe potuto accadere. Era una terapista, lei. Una
psicologa. Le emozioni da controllare erano il suo pane quotidiano. Si
ritrovò a piangere come una bambina con la guancia
appoggiata
sul freddo legno della scrivania, tenendosi la pancia, mentre un numero
eccessivamente alto di pensieri negativi le affollava il cervello.
"O mio dio, stai male?" Gibbs entrò di corsa in ufficio e la
obbligò a guardarlo. "Shan... !"
"Sto bene, Jethro!" lo allontanò per asciugarsi il viso e
tirò su col naso. "Sono stata presa da un momento di
sconforto
ma sto bene, davvero. Niente di grave"
"Lo sapevo che lavorare non ti avrebbe giovato" digrignò i
denti. "Ora ce ne andiamo a casa e non voglio sentire..."
"Devi farmi un favore" gli prese la mano. "Ti prego"
sussurrò, guardandolo supplichevole.
Non mi fa bene amarti
così tanto, pensò Gibbs,
già sconfitto. "Dimmi"
Lo speaker della radio andava veloce: Ziva ringraziò il suo
buon
senso, che la spingeva ad andare a correre tutte le mattine, altrimenti
l'avrebbe perso entro poco. Fare slalom tra gli studenti le tolse ogni
energia e si beccò parecchie parolacce per aver rovesciato
il
caffè addosso a qualcuno. Il ragazzo
arrivò in un
corridoio ed entrò in un alloggio per studenti. Ziva
guardò la porta così male, sperando che si
aprisse per
una sorta di strano incantesimo. Ma la porta rimase chiusa.
"Accidenti!" pestò i piedi per terra e si guardò
in giro,
in cerca di una soluzione. Poco lontano, alla fine del corridoio, vide
la biblioteca. Ed ebbe l'ennesimo lampo di genio.
Pochi minuti dopo, bussò alla porta e il ragazzo le
aprì,
guardandola di sbieco. "Ciao" lo salutò e
picchiettò sul
badge appeso alla sua giacca.
"Sono un'addetta della biblioteca e..." sorrise accondiscendente.
"Abbiamo bisogno di un libro che tu hai prelevato, ehm
giovedì!"
inventò su due piedi.
"Impossibile" si accigliò il ragazzo. "Non ho preso libri
nell'ultima settimana"
"Bè, la firma sl registro è proprio la tua"
arricciò il naso. "Voglio quel libro" lo spinse indietro ed
entrò in stanza.
"Ehi! Sta calma, eh!"
La camera era nel caos più totale, tanto che la ragazza
dovette
tapparsi il naso per la puzza di chiuso. C'erano fumetti sparsi in
giro,
libri, afferrò alcuni appunti per la radio, ma lo speaker
non
aveva nemmeno il computer. Come poteva fare ed essere vagamente un
terrorista? Forse si era sbagliata, forse utilizzavano un altro metodo
per falsificare le loro voci. Ma cosa? Non era molto brava in fatto di
tecnologie. "Mentre tu cerchi il tuo fottutissimo libro, che non
troverai" disse il ragazzo, infastidito. "Io vado a sciacquarmi, che
devo uscire. Non prendere niente" le puntò il dito contro e
si
chiuse in bagno.
Ziva lo guardò con un sopracciglio alzato. Se solo sapessi, piccolo e
insulso americano... aprì
tutti i cassetti, prima che il ragazzo uscisse dal bagno.
Frugò
tra i libri sulla mensola in alto, parallela al letto;
guardò
sotto il materasso, sotto il cuscino, perfino tra i vestiti e
nell'armadio. Si sedette sul letto, col fiatone.
Un altro buco nell'acqua. Venne distratta da un leggero bussare alla
porta. "Puoi aprire?" urlò il ragazzo.
"Mi hai preso per la tua cameriera?!" borbottò, ma il senso
di
colpa per essere piombata in camera sua era ancora vigile,
perciò si affrettò ad ubbidire.
Mossa sbagliata.
"Scott, dai... O mio Dio. Ziva!"
-
We are the lucky ones
Ziva, 9x03
"Ti voglio bene!"
"Me l'hai già detto!"
"Ti voglio bene!"
"Abby!" rise Tony, accarezzandole la schiena. "Devo prendere un aereo,
davvero! Tra cinque minuti devo imbarcarmi..." la allontanò
delicatamente da sè.
La ragazza si asciugò gli occhi, sporcandosi le mani di
trucco.
In un angolo, Anthony DiNozzo Senior fingeva di non essere commosso,
mentre Kate lo guardava con un vago senso di orgoglio. Wendy gli teneva
la mano e, di tanto in tanto, lo baciava.
"Mi fate partire?" scherzò il ragazzo.
"Ma dov'è McGee?" Abby digrignò i denti,
irritata. "Mi aveva promesso di esserci!"
Tony finse di non aver accusato il colpo, anche se il mancato saluto di
quello che oramai considerava il suo migliore amico, pesava parecchio.
Non voleva partire senza averlo salutato. "Non fa niente, Abbs,
avrà avuto da fare"
"Vieni qui, dai..." Wendy lo attirò a sè per
abbracciarlo. "Sarai ancora più bello con la divisa e non
farò altro che vantarmi, lo sai?"
Tony la baciò lievemente. "Mh, lo so. Anche io mi
vanterò, a Baltimora, con la tua foto appesa in camera"
"Neanche se andassi in prigione!" rise. "Ti aspetto"
"Fatti salutare, figlioccio!"
Kate gli fece l'occhiolino e lo abbracciò. "Ci sono passata
anche io, gli anni d'accademia sono i migliori. E, ricorda, se ti
stanchi della polizia, nei federali ci sarebbe un posto per te!"
"Grazie, mammina"
la prese in
giro, beccandosi uno scappellotto. "Tienimi d'occhio il vecchio"
indicò con un cenno del capo suo padre, poi si
avvicinò
leggermente a lei: "Grazie, Kate. Davvero"
"La famiglia è
molto di più che semplice DNA"
accennò la donna, indicando Abby e il suo compagno. "Dovrei
essere io, a ringraziare voi"
"Posso salutare mio figlio?" borbottò Senior, spingendo via
le
donne. Si abbracciarono e Tony sentì il petto di suo padre
alzarsi e abbassarsi velocemente.
"Dai, papà... !"
"Sono fiero di te, Tony"
"Non volevo sentire altro" Senior gli strinse una spalla, sorridente.
"Su, vai! La polizia aspetta solo te..."
Tony lanciò un ultimo sguardo in giro, sperando di scorgere
McGee. Ma il ragazzo non c'era. Sospirò, stanco, e decise di
non
poter aspettare oltre.
"Ciao, Tobias!" Gibbs fece entrare in casa il suo amico. Era vestito
comodo, segno che l'aveva sicuramente disturbato, a casa. "Scusa per
l'ora, ma non sono riuscito a calmare Shannon. Dovevo chiamarti,
altrimenti non se ne sarebbe andata a dormire!"
"Immagino" ghignò Tobias. Si sedettero sul divano, con le
solite
due birre che Gibbs aveva precedentemente prelevato dal frigorifero.
"In cosa posso esserle utile?"
"Ha uno studente, Gerald. E' stato coinvolto in una sparatoria e adesso
si rifiuta di testimoniare. Ha paura"
"Fammi indovinare! Ha bisogno di un avvocato che non chieda nessuna
parcella" prese un sorso di birra.
"Beh... si. Però, tranquillo, alle spese possiamo pensarci
noi..."
"Non dirlo neanche per scherzo! Ti devo ancora un favore, ricordi? Mi
hai tenuto la bambina quando dovevo uscire con la mia collega, certe
cose non si dimenticano, Jethro!" risero entrambi. "Per me va bene"
fecero cozzare i colli delle bottiglie.
"Siamo pari, adesso"
"Già. Tony è partito?"
"Si, credo qualche ora fa, con l'aereo. Sarà un buon
poliziotto" mugugnò Gibbs, con la mente altrove.
"E tu?" sussurrò Tobias, guardandolo con la coda
dell'occhio.
"Io cosa?"
"Tu come stai? ... come stai per davvero. Sai che non puoi mentirmi"
Gibbs si prese qualche secondo, prima di rispondere: "Non so come sto.
Davvero, non lo so"
"Ma non sei felice... "
"No"
"Sono ancora sotto shock" McGee scosse la testa e si
massaggiò
le tempie. Nemmeno la pizza l'aveva attirato, tanto che era rimasta
illesa nel suo piatto.
"Immagino. Non credere che mi abbia fatto bene, vederti sulla soglia
della porta dello speaker della radio" biascicò Ziva,
spezzettando il cornicione del suo calzone.
"Si chiama Scott, ed è mio amico!" ringhiò Tim.
"Come... mio Dio."
"Lo so. Ma te l'ho spiegato, Tim. L'unica cosa di cui mi pento
è di non avervi salutato"
"Sai come ci è rimasta Abby?" si accorse di urlare e, in
pizzeria, tutti gli sguardi erano puntati su di lui. "Sai quanto
è stata male? No, non lo sai! Ho dovuto consolarla per mesi
e
quando è stata meglio mi ha lasciato! Per
andare dove? In Europa!"
Ziva si fece piccola e scivolò sulla sedia. Si disse che era
stata stupida, che il rischio c'era, che doveva aspettarsi di doverne
incontrare uno. Eppure non se ne era andata, aveva voluto rischiare,
forse sperando inconsciamente di essere riconosciuta. Alla fine era
accaduto, McGee l'aveva vista ed era giusto che riversasse tutto il suo
dolore addosso a lei; se lo meritava, in fondo.
"Merda" commentò il ragazzo, guardando l'orologio. "Me ne
sono
completamente scordato! Tony..." mormorò, passandosi una
mano
sul viso.
"Dovevate vedervi?" chiese con voce tremante. La sola idea di Tony la
scombussolava, anche se il rancore era onnipresente.
"No, lui.." McGee fu tentato di non dire niente. "E' partito per
Baltimora, l'hanno preso per l'accademia di Polizia"
Ziva sorrise, senza poterlo impedire. "Ce l'ha fatta"
"Già. Ce l'ha fatta"
Maia says:
Ma lo sapete che questo capitolo mi ha fatta piangere? XD Non so
perchè, in fondo non è commovente xD
Sarà che da
quando sono tornata dalla gita non faccio altro che piangere, T_T.
Mamma mia quanto mi so divertita!! T_T Non sto qui a raccontare se no
vi annoio e io piango ancora di più xD hahaha
Allora, che ve ne pare? Tony è ufficialmente partito, Ziva
è stata scoperta da McGee. Nel prossimo capitolo vedrete il
confronto tra loro due e, FORSE, con Abby (ancora non ho deciso).
Intanto la storia di Gerald ha ripreso il suo corso: il ragazzo ha
paura, ma chi può biasimarlo?
Fatemi sapere :D
Semper Fi,
team!
Amalia
P.s.: devo chiedervi una cosa >.< come vedete, ho
l'abitudine di
mettere foto e frasi dal telefilm. Ora, mi POTREBBE capitare di
metterne qualcuna di puntate non andate ancora in onda in Italia...
quindi Spoiler a go a go xD voi siete d'accordo? Ecco, non vorrei
rovinare niente a nessuno, perciò fatemi sapere :)
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Capitolo 9 *** ... Welcome back, Zee ***
NCIS
[Spoiler]
"
9x13
Ziva
pensò che McGee era cambiato.
Certo,
chiunque cambia, in tre anni; lei però lo vedeva cambiato in
tutto e per tutto. Il ragazzino del liceo era violentemente sparito -
chissà quando, chissà perchè. Le rughe
ovviamente
non c'erano, ma lei poteva vedere le rughe interiori, quelle che
rimangono nascoste, ma ce ne si può accorgere, se solo si
osserva bene. O meglio, se l'osservatore ti conosce bene.
Era ambiguo. Erano
passati tre anni, ma Ziva sentiva quell'alchimia, quell'amicizia,
che la legava a Timothy fortemente presente, come se non si fossero mai
lasciati. Non aveva mai nascosto il debole che aveva per quel ragazzino
mingherlino. Era stato il primo a fare breccia nel suo cuore, anche
prima di Tony; era stato suo amico, suo confidente, il suo primo vero
rapporto d'amicizia, forse.
Nessuno, con lei, aveva usato la delicatezza di McGee. Nessuno,
d'altronde, l'avrebbe più fatto. Sentiva di poter discutere
anche del pranzo, con lui. Come se davvero
tra loro non ci fossero tre anni e tanto dolore.
Lei sapeva che nella mente di Timothy c'erano gli stessi identici
pensieri, riusciva a vedere ogni singola smorfia del suo volto a
rallentatore.
"Ho una gran voglia di abbracciarti, Zee" le disse, come se non fossero
circondati da trenta persone.
Il Mossad le aveva insegnato a trattenere le emozioni e lo fece anche
quella volta. "Fallo" sussurrò, semplicemente. Con McGee non
erano mai servite molte parole, perchè si capivano subito.
"Vieni qui" McGee sorrise lievemente e si alzò, prendendola
per una mano. Si abbracciarono: "Mi sei mancata"
"Anche tu mi sei mancato..." solo in quel momento si potè
permettere un groppo nostalgico alla gola e costrinse le lacrime a fare
marcia indietro. "Molto più di quanto immagini, Tim"
"Come
mai sei tornata?" McGee prese un sorso della sua coca-cola e, subito
dopo, addentò una patatina. Ziva lo guardò
attentamente
mangiare, prima di rispondere: gli mancava il vecchio McGee, il
ragazzetto che sbrodolava dappertutto.
"Per lavoro" scrollò le spalle.
"Lavoro? Uh, lavori già?"
"Si" guardò altrove, cercando di non far leggere altro nei
suoi
occhi. Era Tony, di solito, quello che riusciva a scannerizzarla, ma
non si poteva mai sapere. McGee le aveva fatto una ramanzina di venti
minuti abbondanti, ma l'abbraccio di poco prima le aveva fatto
dimenticare tutto. C'era voluto un pò per farlo riprendere
dallo
shock, in effetti, ma aveva reagito meglio di come si aspettava.
"Mi fai così stupido?" alzò un sopracciglio. "Che
ci facevi in camera di Scott?"
Ah, già. Lo
speaker. "Problemi di biblioteca" scherzò.
"Piuttosto... tu come lo conosci?"
"Al corso di ingegneria meccanica. E poi, gli avevamo chiesto di
salutare Tony prima della sua partenza, sai... quando ti ho beccata
nella sua stanza, ero venuto a prenderlo, Abby aveva invitato anche
lui. Lo sai com'è fatta, fa le cose in grande!"
"Ricordo vagamente" sorrise sorniona. "Quindi lo conosci bene. Che tipo
è?" inclinò la testa, fingendo di interessarsi
alla sua
pizza.
"Stai scherzando?!" ringhiò Tim. "Non ci vediamo da tre
anni,
dopo che sei scappata, dopo che è successo tutto quello che
è successo!, e mi domandi di Scott?! Lo Scott sfigato quasi
quanto me al liceo, lo stesso Scott che lavora alla radio?!" prese un
respiro. "C'è qualcosa sotto"
Ziva scosse la testa, divertita. "Era per parlare. Va bene, dimmi un
pò: come ti vanno le cose?" chiese, questa volta con
serietà.
McGee sorrise. "Cosa vuoi sapere?"
"Ti vedo... cambiato. Più... vecchio" si morse
le labbra.
"Vorrai dire maturo, spero"
ridacchiò. "In effetti si. Ti sei persa parecchie cose
quando te ne sei andata"
"Ovvero?"
"Non ho vinto la borsa di studio per il MIT" mormorò. "Mi
è passato davanti il figlio di un chirurgo, solo
perchè
suo padre aveva certe conoscenza, sai com'è. I miei genitori
non
potevano permettersi di mandarmi nel Massachusetts, pagarmi affitto,
retta e libri. Così ho fatto domanda qui e mi hanno preso"
alzò lo sguardo liquido su di lei. "Non che me ne penta! Qui
c'era Tony, che mi ha offerto di dividere casa con lui ad un buon
prezzo. Per un certo periodo c'è stata Abby, ma come ti ho
detto
mi ha lasciato per andarsene in Europa"
"Come mai?"
"Non voglio farti sentire in colpa" la guardò di sottecchi.
"Ma
la tua partenza ha sconvolto parecchio gli animi. Per un periodo
sembrava che Abby fosse... una
tua sostituta. Parlava come te, vestiva come te. Ha - abbiamo provato
persino a cercarti, ma sapevamo che con tuo padre al Mossad sarebbe
stato praticamente impossibile. Aggiungi il fatto che ero stato
rifiutato al MIT, Tony non sapeva dove sbattere la testa se non
all'Università, nelle feste delle confraternite, e Abby...
ha...
scoperto di essere stata adottata" annuì allo sguardo
atterrito
di Ziva. "Già. Io e Tony le siamo stati accanto come
potevamo
ma... avevo l'impressione che non bastasse. Così
è
partita"
Ziva si passò una mano sul viso. "Non pensavo... non credevo
che..."
"Oh, tranquilla. Abby è sempre la stessa, si è
ripresa
abbastanza in fretta. Ha cercato per un sacco di tempo i suoi genitori
biologici, ma è riuscita a trovare solo un fratello, Kyle"
McGee
rivolse lo sguardo in un punto lontano. "E' stato strano. Tremendo,
come se tu fossi andata via una seconda volta" si riscosse. "Ma ci
siamo rimessi insieme, alla fine"
"Vedo" mormorò. "L'ho sempre saputo che eravate fatti per
stare insieme"
"Forse. O forse no" poggiò la guancia sulla mano. "Per ora
so di
amarla. Ma Abby è una mina vagante, potrebbe lasciarmi anche
ora"
"E... " Ziva divenne rossa e si schiarì la voce. "di lui, che mi dici?"
McGee sorrise. "Tony?" Ziva annuì. "Oh, beh. Dire che
è stato male,
è
semplicemente riduttivo. Lo vedevo solo bere e bere e bere, oltre che
lamentarsi.
Improvvisamente, non so come, ma si è ripreso. Penso sia
stato
merito dell'Università e del fatto che aveva già
deciso
di tentare la carriera in polizia - detto fra me e te, non pensavo
l'avrebbero preso" fece una smorfia vittoriosa. "Siamo tutti fieri di
lui. Anche se non credo ti abbia completamente dimenticata"
mormorò. "Ora sta con una ragazza: Wendy"
La ragazza finse che la notizia non le facesse effetto. "Mi fa piacere"
"... ma non la ama. Si vede. E' completamente diverso da come era con
te" diede un morso alla pizza, oramai fredda.
"Mi stupirei del contrario! Eravamo al liceo, ora si hanno relazioni
adulte, McGee" Disse, con la solita aria da donna matura che utilizzava
con lui al liceo.
"Mh... certe cose, come dire, sono semplicemente destinate ad essere"
- Look at me and Tim. It was meant to be
Abby, to Tony, 9x04
"Sei
un idiota!" Abby colpì il suo ragazzo con un forte pugno
sulla
spalla. Tim si lamentò eccessivamente, carezzandosi la parte
lesa.
"Che ho fatto?"
"Che hai fatto?!" strillò. Timothy fu tentato di chiuderle
la
porta in faccia, ma l'amava troppo e temeva troppo la sua furia. Una
furia che, in quell'istante, vedeva crescere di minuto in minuto. "Tony
è partito e tu, razza di migliore amico ingrato, non
c'eri!" gli tirò un altro pugno ed entrò,
spingendolo
via. McGee alzò gli occhi al cielo, divertito più
che
spaventato.
"Lo so, hai ragione, ma il professore mi ha beccato all'uscita
dell'ultima lezione e..."
"Per due ore?" lo guardò in cagnesco, battendo ritmicamente
il piede sul pavimento.
"Sss.. no! Poi ho provato a venire, ma sono rimasto imbottigliato nel
traffico" alzò le spalle. Abby lo fissò
intesamente per
qualche secondo. Quando decise che poteva credergli, si
lasciò
andare tra le sue braccia. "Tim, quest'appartamento non è
più lo stesso senza Tony" miagolò.
McGee si guardò in giro: effettivamente, l'appartamento si
era
praticamente svuotato. Anche a lui mancava Tony - gli mancava
terribilmente, come quando un fratello maggiore parte per il college.
Non l'avrebbe mai ammesso davanti a lui, naturalmente.
"Vado a preparare qualcosa da mangiare. L'aspetto positivo della
partenza di Tony è che posso rimanere qui quanto mi pare..."
gli
sorrise sorniona. "E non dobbiamo chiudere le porte" ammiccò
e
si diresse in cucina, lasciando un McGee color porpora in mezzo al
corridoio.
Tossicchiò leggermente e decise di distrarsi, inviando un
messaggio al suo amico, sull'aereo per Baltimora.
Ehi,
DiNozzo! Mi spiace non essere venuto all'aereporto, ho avuto un mezzo
impegno al campus. Appena arrivi, chiama, a qualsiasi ora.
Buona fortuna!
P.s.: Se decidi di scappare, lascio un letto libero.
Chiuse
il menù dei messaggi e raggiunse Abby in cucina. Ziva gli
aveva
chiesto di non dire niente, perchè, fosse stato per lui,
l'avrebbe portata di peso all'aereoporto, per beccarsi la scenata della
sua ragazza e il successivo mancamento di Tony.
Anche se la sua vecchia amica aveva provato a sviare le domande, aveva
compreso che non si trovava negli USA per motivi di semplice lavoro:
poteva vagamente intuire di che lavoro si trattasse; insomma, suo padre
era pur sempre il Direttore del Mossad. Sperò, in cuor suo,
che
Ziva non si fosse arruolata, poichè sarebbe stato molto
più difficile per lui farla ritornare a casa.
Si, perchè Timothy McGee aveva un piano. Un piano assurdo,
che
non poteva funzionare, ma lui c'avrebbe provato lo stesso: far tornare
tutto, ma proprio tutto, come era prima.
"A che pensi?" gli domandò Abby.
"A cose belle. Solo cose belle" le cinse la vita con un braccio e le
baciò la guancia.
E' un modo carino per dirmi che
ti manco, McSMS? Io sono appena arrivato, è tardi, ho
preferito non chiamarti.
Grazie, per quel letto. So che c'è, anche se non me l'avessi
detto.
A domani!
P.s.: Evitate le zozzonerie nel MIO letto.
Ziva: In the Mossad,
part of the training is to be open to things you cannot see, or even
understand.
McGee: You mean the supernatural.
5x06
"Facciamolo!"
"Scordatelo, Tony"
"Dai, Zee! Che ti costa?"
"Ti dico di nnnoomh..." la sua replica venne prepotentemente soffocata
dalle labbra di Tony DiNozzo che, pian piano, la stava portando alla
macchina, parcheggiata di fronte al liceo Woodrow. "Tonyy..."
mugugnò Ziva, senza una reale replica.
"Tanto lo so che vuoi saltare la scuola quanto me" le sorrise
accattivante. "Non mi va di fare due ore con Gibbs. Lo sai
quant'è pesante di Lunedì mattina! E
spiegherà
sicuramente l'argomento nuovo, quindi niente interrogazioni, ergo..."
"Nessun sonnellino sul banco" completò per lui Ziva. "Ma non
possiamo saltare la scuola, Tony. Seriamente" sbuffò.
"Seriamente..." ripetè il ragazzo, giocando con una sua
ciocca di
capelli. "... non voglio vedere nessuno stamattina. Non mi va. Mi sono
svegliato male e l'unica cosa che potrebbe migliorare questa giornata
è passare cinque ore con te, in un posto isolato dal resto
del
mondo" poggiò la fronte sulla sua.
"Sei... sei..." Ziva digrignò i denti. "Tanto non mi
convinci!"
"Ti prego. Ti prego. Ti prego" sussurrò, alternando un bacio
a
stampo ad ogni preghiera. "Giuro che tengo le mani a posto"
Ziva lo guardò, indecisa. "E va bene" si arrese e sorrise,
vedendolo esultare. "Ma ti proibisco di tenere le mani a posto"
"... la mia piccola ninja ninfomane!"
"Ehi!"
una mano la
riscosse dal sonno. "Ehi! Stai occupando un tavolo, dobbiamo chiudere,
qui" la avvisò la cameriera di poco prima.
Ziva si stropicciò gli occhi e si guardò in giro:
era
alla caffetteria dell'Università, ed erano quasi le undici.
Stava aspettando Michael da un'ora, dopo che era tornata da quella cena
improvvisata con McGee. Che fine aveva fatto? Preferì non
andarlo a cercare, per evitare di essere riconosciuta da qualcun altro.
Certo, Tony era partito per Baltimora ed Abby sicuramente era tornata a
casa.
Ma meglio evitare incidenti. Si voltò verso la cameriera:
"Devo
aspettare il mio fidanzato, è un assistente. Posso stare
altri
cinque minuti?" il suo viso stravolto dovette fare breccia nel cuore
della giovane, perchè sospirò e la
lasciò stare.
Da quando era arrivata negli Stati Uniti dormiva poco: passava l'intera
nottata a sognare Tony, quello che aveva fatto con Tony, talvolta le
uscite con Abby, le chiacchierate con McGee al telefono, di notte, il
ballo scolastico, il terrore per le interrogazioni di Gibbs. E, tutte
le volte, non poteva impedire a quel fastidioso senso di vuoto farsi
strada tra i suoi organi interni.
Chi te l'ha fatto fare, di
tornare qui? Era la domanda ricorrente, a
cui non riusciva a dare ancora una risposta.
Neanche il caso, era riuscita a risolvere! Non si era affatto
dimenticata del buco nell'acqua di quel pomeriggio, alla radio. Doveva
trovare qualche altra cosa e scoprire il segreto di quelle voci strane.
Poggiò la guancia sul palmo della mano e, in testa,
ripetè mentalmente tutte le parole della registrazione.
Sapeva
che le stava sfuggendo qualcosa, ma non sapeva ancora dove andare a
cercare il lampo di genio.
"Cos'è che mi aveva colpita, la prima volta?"
mormorò, tra sè e sè. La pronuncia
troppo perfetta, la totale assenza di un accento, suoni metallici come
se le voci fossero... "Finte!" esultò, battendo il palmo sul
tavolino. La cameriera la guardò come se fosse pazza.
Ziva si diede mentalmente della stupida, per non averci pensato prima:
già le sembrava strano che degli studentelli arabi
organizzassero un attentato terroristico, ancora più strano
che frequentassero l'Università negli Stati Uniti. Ma se
erano americani e,
di certo, non studenti, allora tutto combaciava. Potevano utilizzare le
Università come copertura - e quindi sono falsi anche i
quattro nomi che abbiamo.
Il prossimo passo era scoprire, prima di tutto, dove
avevano creato le voci finte e, soprattutto, se erano davvero
americani. In ogni caso, il Mossad aveva preso una vera cantonata.
Maia says:
Oh là là! Allora, cominciamo: questi terroristi
sono davvero quello che il Mossad credeva? Acciderbolina, i
perfettissimi servizi segreti degli Israeliani, per una volta, si sono
sbagliati! Ziva è appena una recluta, ma ha già
fatto, in un giorno, quello che Michael non è riuscivo a
fare in poche settimane. E' una grande, lo so *-*
Mi sono accorta che, con la story-line, sto un sacco indietro xD Dicevo
l'altro giorno ad una cara lettrice che mi verrà un sacco di
capitoli, a meno che non decido di tagliare qualcosa :/ Se continuo
così, il grande incontro Tiva non lo vedremo mai xD Intanto,
vi inserirò qualche flashback qua e là - a fine
storia, la MIA Ziva avrà una psicosi, probabilmente.
VOGLIO FARE UNA DEDICA *-* Me lo permettete?
Al mio prof. preferito,
che ha deciso di
interrogare dopo Pasqua.
TI ADORO, PROFFO!
<3
(uhuhuhuhuhuhuhuhuhuhuh)
Vedo che siete tutti abbastanza d'accordo con le frasi spoiler :D In
ogni caso, metterò un avvertimento piccolo piccolo, tanto
per evitare guai con chi magari non recensisce, ma legge x'D Siete
tutti avanti, con le puntate, eeeh?! Pure io! :D (nda a questo proposito, dopo
aver letto gli spoiler sulla 9x20 -> .
Passo e chiudo!)
Al prossimo
capitolo, squadra!
Amalia.
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Capitolo 10 *** The strangers ***
NCIS
McGee: Are you looking for love, Tony?
9x03
"C'è
nessuno?" urlò Tony, sulla soglia della sua nuova casa. Era
un
trilocale spoglio, a tratti vuoto, ma pieno di tele colorate - il mio nuovo coinquilino
è un artista. Tony riusciva solo vagamente a
immaginare che tipo fosse il ragazzo.
Posò le sue valigie fuori dalla porta ed entrò in
cucina:
c'erano dei piatti non lavati, bottiglie di birra vuote e qualche
pennello nei bicchieri di ceramica che aveva lasciato il proprietario.
Tony appuntò mentalmente di non bere mai da quei bicchieri.
Si
spostò nel salotto, solo un pò caotico; poi nel
bagno,
mediamente pulito, anche se le mattonelle erano di un pessimo color
cammello; e nella sua (probabile) stanza, ancora vuota, con un lettino
a
prima vista scomodo e un armadio troppo piccolo per i suoi gusti.
"Sei Tony?" il ragazzo sobbalzò. Dietro di lui c'era un
ragazzo
con i dreds e il naso sporco di pittura: aveva un sorriso enorme,
aperto. Ispirava subito simpatia, anche se vestiva come un figlio dei
fiori andato a male. "Io sono Sam"
gli porse la mano. "Benvenuto!"
"Ciao, Sam!" gliela strinse. "E' carino, l'appartamento..."
farfugliò.
"Non ti vedo convinto!" Strinse le palpebre. "C'è un
pò
di disordine, effettivamente" corse in salotto e Tony potè
vederlo nascondere qualcosa sotto un tavolino di vetro scuro. Sorrise,
anche se Sam non poteva vederlo. "Ma è solo
perchè vivevo
da solo... studio Arte!" si rizzò a sedere e
tornò da
lui, con un pennello tra le mani. "Probabilmente troverai macchie di
pittura dovunque..."
"Non è un problema" alzò le spalle.
"Starò qui
molto poco, passerò il resto del tempo a dormire o
all'accademia
di Polizia"
"Forte" Sam gli diede una pacca sulla spalla. "Sospettavo che fossi uno
di loro"
ammiccò. "Questo è uno dei condominii
più
economici e più vicini all'accademia, ne passano parecchi di
cadetti. Al piano di sotto vive una coppia di ragazzi - ma non stanno
insieme" alzò gli occhi al cielo. "Non fanno che
specificarlo. Ma sono simpatici e frequentavano
l'Università,
prima di iscriversi all'accademia, per diventare degli sbirri"
ridacchiò. "Domani te li presento!"
"Grazie" gracchiò Tony, anche se non era in vena di fare
amicizia. Era notte fonda e si sentiva stanchissimo. "Devo averti
svegliato..."
non lo credeva, perchè Sam non aveva il pigiama e sembrava
più sveglio di lui. Non era nemmeno in casa.
"Ma no, no! Ero sul terrazzo a dipingere. Sono sceso quando ho visto
un tipo con la valigia, ho immaginato che fossi tu" battè le
mani e gli sorrise: "Ehi, ti preparo qualcosa da mangiare! Di solito
ordino qualcosa, ma la mia ragazza lascia sempre qualcosa in frigo!
Vado a vedere!"
Tony non fece in tempo a fermarlo, che Sam era corso via. Si
grattò la fronte, divertito: sarebbe stato un pò
come
vivere con Abby, versione maschile. Lanciò uno sguardo in
giro -
cavolo. Mi manca McGee!
Dopo la cena a base di patate lesse e verdure scondite,
Tony se
ne era andato a dormire, ignorando persino la valigia sul pavimento.
Aveva chiesto a Sam di non svegliarlo, visto che era in anticipo sulla
tabella di marcia. Le lezioni all'accademia sarebbero cominciate il
giorno dopo, e aveva ventiquattro ore per rilassarsi e sistemare le sue
cose. Di certo, Tony doveva immaginare che vivere con Sam non sarebbe
stato semplice, anche se era così stanco da non
aver neanche pensato di chiudere la porta a chiave.
Dovevano essere circa le nove, quando Tony sentì dei mugolii
attorno a sè. Dapprima, pensò che fossero gli
strascichi
di un sogno che non ricordava, o magari lo stereo acceso da Sam - era
troppo esausto per aprire anche solo un occhio. Poi, le voci
cominciarono a farsi insistenti e, visto che era in procinto di
alzarsi, Tony riconobbe chiaramente la voce del suo coinquilino e la
voce di una donna, più un'altra voce maschile.
"... è carino!"
"Ah! Lo sapevo! Poi mi rinfacci di essere un materialista e un lurido
pervertito, oltre che immorale perchè giudico le donne dal
loro
aspetto!"
"Quanto fai pena! Il mio è solo un commento preliminare, non
me lo voglio mica portare a letto!"
"Come non se non ci avessi fatto un pensierino..."
"Hai rotto le scatole, va bene?! Stasera cucini e lavi i piatti!"
"Sei una despota!"
"Così lo svegliate, ragazzi!"
Tony aprì un occhio. Vide un dred di Sam e un sorriso di
scuse.
Per sicurezza, aprì anche l'altro occhio: c'era una ragazza
che
lo guardava con la mano sulla bocca, mentre cercava di trattenere una
risata. Spostò lo sguardo e, accanto a lei, vide un biondino
con
la testa inclinata.
"Buongiorno!" gli dissero, in coro. Tony urlò e
scattò a sedere, portandosi il lenzuolo al petto.
"Ma non sei nudo!" lo rassicurò Sam, aggrottando la fronte.
"Chi... cosa..." annaspò Tony, indicando i due ospiti
indesiderati.
"Oh, loro sono Kensi..."
la ragazza gli sorrise benevola, salutandolo con la mano. Era bruna,
molto carina e aveva gli occhi di due colori diversi - non mi era mai capitato di
vederne una così... sexy, pensò in
un guizzo di lucidità.
"... e Marty"
il biondino gli fece l'occhiolino, mentre Tony deglutiva. "Sono i due
ragazzi che frequenteranno con te l'accademia" finì Sam.
"Già, scusa se ti abbiamo spaventato!" Kensi fece una
smorfia.
"E' che portiamo sempre la colazione a Sam, pensavamo non fossi ancora
arrivato e, quando abbiamo saputo che eri qui, non abbiamo resistito"
ridacchiò.
"Lei non
ha resistito" mormorò Marty verso di lui. Si
beccò una gomitata. "Deeks, Dio mio! Eri curioso quanto me!"
"Non è vero! Bugiarda!" l'accusò, puntandole
contro il dito.
"Abituati" Sam sorrise. "Fanno sempre così"
"Vi..." Tony si schiarì la voce. "Conoscete da molto, voi
tre?"
"Bè, da quasi un anno" Marty scrollò le spalle.
"Da
quando io e Kensi ci siamo trasferiti qui, per studiare. Invece"
sorrise all'indirizzo della ragazza. "Io e lei ci conosciamo da quando
avevamo dieci anni. La mia relazione più lunga con una
donna,
esclusa mia madre. Anche se..." borbottò, tra sè
e
sè. "Non è esattamente una relazione,
è come avere
un amico maschio nel
corpo di
una..." Kensi gli tirò uno schiaffo dietro la nuca, rossa in
viso e con l'aria di chi non ha apprezzato il commento.
Tony abbozzò un sorriso - i litigi con Ziva, di solito,
seguivano esattamente questo corso. "Beh, ora, se non vi
dispiace..."
"Oh!, certo" Kensi afferrò il compagno per l'avambraccio e
lo
trascinò fuori. "Vestiti pure con calma, c'è un
cornetto
anche per te!"
Sam lo salutò con la mano e si dileguarono oltre la
porta della sua nuova stanza.
Shannon: I'm just
gonna call you Gibbs
Gibbs: You can call
me anything you want.
6x04
"Shannon..."
"No!"
"Shannon..."
"Non ti sto ascoltando, Leroy Jethro Gibbs!"
Il professore alzò gli occhi al cielo e seguì sua
moglie
in silenzio, come poche volte aveva fatto. Non era riuscito a fermarla,
nonostante le ricordasse molto esplicitamente le sue condizioni. Sono incinta, non malata
terminale!, era
la sua classica risposta, sebbene anche lei non fosse proprio convinta
che tutto quello stress fosse salutare. Oramai la pancia era ben
visibile.
Al commissariato di polizia, molti la guardarono stupefatti, mentre
correva avanti e indietro per chiedere notizia di Gerald. Non c'era
stato verso di farla rimanere a casa e Tobias, divertito, l'aveva
lasciata fuori, durante l'interrogatorio di Gerald. La morte della
donna nel negozio aveva cambiato parecchie cose: il ragazzo era l'unico
testimone - l'unico testimone vivo.
Chiunque avrebbe avuto paura.
"Dovevo entrare con lui" si mordicchiò un'unghia. "Si,
dovevo. Dovevo insistere, ecco cosa dovevo fare!"
"Non è compito tuo" Gibbs le strinse una mano in grembo.
"Avresti dovuto rimanere a casa. Ti ho anche comprato il gelato alla
nocciola"
Gli occhi della donna si illuminarono di pura gioia: nonostante tutto,
Gibbs aveva capito che ci voleva poco per far felice una donna incinta.
"Davvero? L'hai comprato? Buono" sorrise. "Stasera ci metto sopra il
burro di arachidi!"
Suo marito fece una smorfia disgustata: "Tutta questa roba che
ingurgiti, non ti farà male?". Capì subito di
aver detto
la cosa sbagliata. Gli occhi di Shannon si inumidirono e si
allontanò da lui di qualche sedia.
"Mi stai... indirettamente dicendo che sono grassa?!"
strillò. Molti poliziotti si voltarono verso di loro.
Gibbs spalancò gli occhi. "Non ho mai detto questo! Dicevo
tanto per dire!"
"Tanto per dire?!" ringhiò. "Leroy Jethro Gibbs non dice mai
le cose tanto per
dire...!" si alzò. "Vado ai distributori di
merendine. Stronzo!"
L'uomo la guardò andare via sconvolto: aveva fatto tutto da
sola.
Shannon inserì due dollari nel distributore e
pigiò il
numero 3. La barretta di cioccolato cadde subito, così da
poterla mangiare al momento. Col resto rimasto, Shannon fece cadere
anche una barretta di cereali. Prese il suo bottino e si sedette sulle
sedie lungo il corridoio.
Diede un morso alla barretta di cioccolato, sovrappensiero.
Era incinta di cinque mesi e da circa tre mesi, lei e suo marito non
avevano rapporti. Non che lei non lo volesse, ma era spesso stanca, lui
era talvolta impegnato con gli allenamenti e le partite della squadra
di basket della Woodrow, così che tornava tardi. Insieme
agli
suoi scatti d'ira (provocati dagli ormoni, la maggior parte delle
volte), il quadro del suo matrimonio non era esattamente idilliaco.
Dando un altro morso, si rese conto che farsi vedere nuda, da suo
marito, le metteva addosso un'ansia non indifferente. Era diventata
davvero grossa, tonda e
grinzosa. Non
era più desiderabile, ne era consapevole. Della sua forma
fisica
si era sempre preoccupata poco, anche perchè non aveva mai
avuto
grossi problemi su quel fronte.
Ma non era incinta e non aveva ancora conosciuto Gibbs.
Guardò sconsolata la barretta di cioccolata, per poi finirla
in
un sol boccone. Amava quello scorbutico testone e voleva ardentemente
fare l'amore con lui, prima che la sua pancia prendesse il volo per una
nuova taglia; l'idea che lui non la desiderasse la faceva sentire
peggio.
"Shannon" Tobias la raggiunse in due falcate e le si sedette accanto.
"Gerald non ha ancora finito, stanno mettendo tutto a verbale"
"Oh, bene" annuì, mentre apriva la barretta di cereali.
"Tutto ok? Ti vedo un pò..." roteò un dito.
"Depressa?"
"Mh. Senti Tobias" si voltò verso di lui. "So che tu e
Jethro siete amici da una vita ma..."
"Lo tradirò, se me lo chiedi tu!" sorrise.
"Grazie" ridacchiò. "Volevo chiederti... ti ha detto niente?
Sai, le cose tra noi non funzionano granchè, ultimamente"
"Niente di rilevante" prese un pezzetto della barretta ai cereali e se
lo portò alle labbra. "La gravidanza l'ha scombussolato un
pò, solo questo"
"Immagino" sospirò. "Io intendevo... con me"
balbettò.
"Sei consapevole del fatto che sei, se possibile, l'essere umano
più amato sulla Terra, vero?" si accigliò.
"Scusami?" aggrottò la fronte.
"Jethro. Non ho mai visto tanto amore concentrato nella sua persona. Ti
ama, più di quanto sia in grado di ammettere. E io posso
dirlo,
sai. Lo conosco da parecchio e sono stato sposato, so cosa vuol dire.
Amavo mia moglie, ma non l'ho mai guardata come lui guarda te. Non
credo che nessuno abbia mai guardato la propria moglie come Jethro. Sei
il centro del suo Universo" annuì tra sè e
sè.
"All'inizio, ero un pò geloso, lo ammetto. Quando sei
entrata
nella sua vita ha cominciato a sparire dalle nostre serate tra uomini,
lasciandomi da solo a bere vodka. Ma poi ho capito, la prima volta che
ci ha presentati: eri tu. Ti aveva trovata. Come migliore amico, avevo
il diritto di esser... oh, no!" rise, vedendola piangere. "Lo sapevo,
dovevo ricordarmi che voi portatrici
di pagnotte siete facilmente emozionabili!"
"Mi dispiace" si asciugò gli occhi. "Credimi, Tobias. Lo amo
anche io, ma questa gravidanza lo... ci ha trasformati"
"Gli passerà" le sorrise, accarezzandole una spalla. "Ho una
figlia, Shannon, e anche io ero spaventato prima che nascesse. Ma poi
l'ho vista ed è cambiato tutto. E' un rapporto che va oltre:
si
sistemerà tutto, vedrai"
Shannon annuì. "Di Gerald che mi dici?"
"Ha raccontato tutto quello che sapeva e lasciato un identikit" le
mormorò. "Il colpevole sarà in prigione entro
poco, se
riusciranno a trovarlo"
"Dovrà testimoniare in tribunale, non è
così?"
"Per forza. Ma tranquilla, ci sarò io accanto a lui. Non
lavoravo pro bono da un sacco di tempo..." commentò.
"Bentornato alle origini, allora!"
- You're a sick chick,
David.
Tony, 3x10
Quando
si era svegliata, la mattina dopo, Ziva aveva trovato Whisky che
giocava tra le lenzuola e un biglietto di Michael che l'avvisava che
sarebbe andato dritto all'Università. Lo aveva informato
delle
sue ultime scoperte, ma temeva che non l'avesse presa molto sul serio.
La radio non c'entrava niente e altrettanto poco c'entravano i
musulmani.
Secondo Ziva, la cellula dormiente era composta da americani, che
venivano aiutati da un giovane genio del computer a fare nonsisaancorabenechecosa. Il
Mossad, però, se ne voleva occupare e lei era stata mandata
in
America per fare il suo lavoro: cioè fare da spalla a
Michael.
Dal canto suo, avrebbe dovuto essere l'esatto opposto, ma nemmeno i
Servizi Segreti sono perfetti.
"Scendi, palla di pelo" prese il gatto per la collottola e lo
posò sulla moquette. "Non diamo un'altra occasione a Michael
per
cacciarti via" afferrò il cellullare dal comodino e si
avviò verso la cucina per prepararsi un caffè.
Buongiorno, Zee! Senti, oggi
dovrei pranzare da solo, Abby non c'è.
Ti va di vederci? Fammi sapere.
Tim
Forse
aveva fatto un errore a dargli il numero di telefono. Ziva gli rispose
brevemente che non potevano vedersi alla caffetteria
dell'Università (se Michael li avesse visti, la sua uscita
dal
Mossad era praticamente assicurata e nemmeno una notte di sesso
bollente gli avrebbe fatto passare l'arrabbiatura), così gli
scrisse il nome di un ristorantino vicino casa sua.
In fondo, non stava facendo niente di male. Il caso che suo padre aveva
affidato ad entrambi non era una cosa seria, o almeno così
credeva. Inoltre, Tim non era nemmeno nella lista dei sospettati - è un mio amico.
Perchè non potrei vederlo?
"Non guardarmi in quel modo" borbottò, con gli occhioni di
Whisky puntati addosso mentre metteva la caffettiera sul fuoco. "Non mi
sento affatto in colpa, se è questo che vorresti chiedermi.
Proprio no. Sono maggiorenne, sono del Mossad e so quello che faccio.
Questione chiusa"
Whisky miagolò e Ziva sorrise. "D'accordo, hai fame, ho
capito"
strappò la confezione di cibo confezionato e lo
versò
nella ciotola.
Stava quasi per prepararsi una sana colazione, quando il cellulare
satellitare di Michael cominciò a squillare. Ziva rispose
senza
indugi.
"Si?"
"Shalom, Ziva"
"Papà!" sorrise la ragazza, accomodandosi sul divano.
"Shalom"
"Come procede la
missione?"
"Direi bene" fece una smorfia. "Senza offesa, papà, ma
potevi mandarmi con uno più capace!"
Venne sorpresa da una risata di suo padre. "Non fare la moralista, Ziva.
Michael è pedante, ma è un buon agente"
"Lo prenderò come un avviso" ponderò l'idea di
dirgli di
McGee, poi decise di lasciar perdere. "Senti, ho scoper..."
"So già tutto,
Michael mi ha
aggiornato. Le voci, le registrazioni e la tua idea sul fatto che siano
americani. Se così fosse..."
"Dovrò contattare l'FBI?"
"Probabilmente"
sospirò suo padre.
"Anche se non è un'ottima idea. In teoria non dovreste
essere sul suo americano"
"Non abbiamo autorizzazioni" annuì la ragazza, osservando
Whisky
mangiare. "Ma non avremmo scelta, in tal caso. La missione non
riguarderebbe più il Mossad, ma le autorità
locali"
"E' una situazione politicamente
difficile"
"Già" asserì Ziva. Poi si
ricordò di Kate
Todd. "Sai, papà" mugugnò. "Potrei, se mi dai il
via
libera, contattare Kate Todd. FBI"
"Me la ricordo" le
rispose. "Ma aspetta un altro pò. Se non sono americani, non
voglio altre agenzie tra i piedi"
"Sarà fatto. Come vanno le cose a Tel Aviv?"
"Bene. Qui tutto nella
norma. Tu come stai?" mormorò.
"Meglio di quanto pensi. Mi..." si morse il labbro inferiore. "Mi ha
fatto piacere tornare qui"
"Lo immaginavo. Devo
andare, Ziva, riunione. Ci sentiamo in settimana. Shalom, cara"
"Shalom, papà"
Maia
says:
CIAO BELLI! Sono cominciate le vacanze UHUHUHUHUHUHUHU!
Come le passerete? Io ad ingozzarmi di roba, studiare e uscire con gli
amici pessimi che mi ritrovo (perdonatemi, guys, ma è vero!,
siete terribili :') ). Qui da me - città sperduta in
Campania - abbiamo un sacco di tradizioni, dal tipico pranzone che non
finisce più, ai dolci, al giovedì dopo Pasqua
passato insieme (tradizione stupida, ma in fondo carina)
... ma qui piove, quindi ADDIO tradizioni pasquali. Sigh.
Comunque! :D Che ne pensate del nuovo capitolo? ... ehm, avete per caso
RICONOSCIUTO qualcuno?! xD hahaha anticipo che l'accademia di polizia
sarà piena di strani individui che renderanno la vita di
Tony un vero inferno...
(ndTony: nda
si fa per dire, dai u.u).
Chi pensate / vi piacerebbe vedere? Per ora Kensi e Deeks hanno
già rovinato la prima mattinata di Tony... che carrrini :')
Il caso di Ziva procede, anche la questione di Gerald... e la prima
telefonata di ZivaPadre! :D Nel prossimo capitolo ci sarà un
forte scossone.
State psicologicamente pronti...
BUONA PASQUA TEAM! :D
(sono teneri, sìsìgnore!)
Semper Fi,
Amalia
|
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Capitolo 11 *** Fuoco incrociato ***
NCIS
Questo
capitolo è per te, Olivia Weatherly (tantatantaemozione T_T)
Il
fatto che tu sia nata di materdì, mi fa ben sperare.
Ehi!...
magari, diventarai
la
" Tiva Fan #1", da grande!
:)
- Let's go home.
Gibbs, 7x01
Tre
giorni possono essere molto lunghi. Ziva se ne era resa conto, anche se
ne aveva avuto il vago sentore ai tempi della morte di Ari - i giorni a
casa di Tony erano sembrati quasi infiniti. Ma passare tre giorni in
giro per la città, per seguire membri di spicco della
comunità scientifica dell'Università, era davvero
stancante. Certo, la lista di possibili terroristi andava
accorciandosi, mentre Michael prendeva informazioni dall'intervento,
cercando di farsi contattare direttamente dalla cellulare dormiente.
Ziva era decisamente contro questi metodi "gentili" e aveva preferito
di gran lunga prendere in mano la situazione e seguire il suo istinto:
i terroristi erano dei falsi musulmani. Doveva cercare di capire il
loro vero obiettivo e, nel caso, passare la missione al Bureau, per poi
lasciare definitivamente gli Stati Uniti - finalmente sarebbe stata libera. Magari
avrebbe davvero scordato la sua vita in America.
Più ci pensava, più vedeva il suo periodo
adolescenziale
a Washington come una luminosa ma altrettanto passeggera meteora. A
mente fredda, poteva dirsi stupida per aver pensato di scappare dal
Mossad e avere una vita normale.
Seduta su una panchina e munita di occhiali da sole e macchina
fotografica, guardò con un malsano affetto la pistola che
aveva
in borsa. Era quello, il suo destino. La sua rara
familiarità
con le armi non poteva andare sprecata, nè il suo essere
naturalmente una spia.
Il soggetto che stava seguendo uscì dall'Internet point.
Ziva si
alzò velocemente e gli si affiancò lungo la
strada.
Era uno degli ultimi della lista che aveva stilato Michael, prima di
prendere servizio all'Università. Era un tal dei tali molto
bravo con il computer, e legato al progetto 09.
Era abbastanza sicura del fatto che fosse un altro buco nell'acqua,
quando il ragazzo si fermò ad una cabina telefonica - un
genio
dell'informatica che usa il servizio pubblico per telefonare? Improbabile, disse
tra sè e sè. Finse di allacciarsi una scarpa e si
poggiò alla cabina, ma di fatto attaccò una
cimice a
lungo raggio sotto il vetro del telefono.
Appena lo studente si fosse allontanato, avrebbe ripreso la cimice per
ascoltare tranquilla la telefonata in un luogo più
appropriato.
Si nascose in un vicolo cieco e attese che il ragazzo concludesse la
sua telefonata; nel frattempo, scrisse un breve sms a Michael, per
avvisarlo, in codice, di nuovi sviluppi nel caso. Il suo bersaglio si
allontanò e Ziva riuscì a recuperare la cimice.
"E adesso..." sospirò, rigirandola tra le dita, "... vediamo
cosa ci nascondi, Francis"
Ziva cliccò l'icona sul pc e aspettò
pazientemente che
l'apparecchio caricasse la registrazione: stese le gambe sotto il
tavolo della cucina e un'improvviso calore le si accalcò
sulle
dita dei piedi. "Whisky, non farmi la pipì addosso!"
sorrise,
osservando il gattino appallottolato sui suoi piedi. Venne distratta
dal computer, pronto a farle sentire la telefonata di Francis J. Thompson, numero
sette della sua lista.
"Ciao! ... Si,
tranquillo, sono ad una cabina pubblica... che cazz?!... no! Ora non
esagerare" grugnito. "Ho
fatto tutto ciò che c'era da fare. E' tutto nel mio
-cervellone-. Ok. Si, quando ti pare. Ci vediamo"
"Molto utile, davvero!" sbuffò Ziva,
grattandosi una
guancia. Indubbiamente, Francis nascondeva qualcosa e lei era
pienamente intenzionata a scoprire che cosa. Prima di tutto: cos'era
quel fantomatico "cervellone"? Forse una cassetta di sicurezza.
Prese d'istinto il cellulare e chiamò l'unica persona che
aveva la conoscenze adatte per darle delle risposte:
"Ciao McGee!" trillò al telefono, appena l'amico
accettò la chiamata.
"Oh, ehm... ciao
sorellina!" Ziva spalancò gli occhi. "Abby, c'è Sarah al
telefono"
la ragazza capì subito che quella precisazione fosse diretta
a
lei e non davvero alla sua fidanzata. Aveva chiamato sicuramente nel
momento sbagliato.
"Ti saluta, Sarah"
"Ricambia il saluto, McGee. E complimenti per le capacità
d'attore!" sorrise, ma lui non potè vederla.
"Già"
borbottò insoddisfatto e infastidito. "In cosa posso esserti utile?"
"Se ti dicessi la parola cervellone,
tu che mi rispondi?" si morse il labbro inferiore.
"Cervellone? Beh... ma perchè ti
interessa?"
"Tu rispondi!"
"A parte una persona
molto molto intelligente, penserei sicuramente a... "
la voce di Abby si frappose alla sua. "... Cervellone!, ma
certo!" McGee rise. "E'
un modo poco carino con cui vengono identificati quelli del
Dipartimento di Matematica e Fisica"
"E a cosa è dovuto?" Ziva scrisse sotto su una pagina vuota
di Word, al computer.
"Al fatto che sono
geniali, talvolta. E' che sono più legati al loro hard disk
che a..."
L'hard disk del suo
computer! Chiuse di scatto la telefonata.
Aveva ben altro da fare, Ziva David: tipo entrare illegalmente nella
stanza di qualcun altro.
- Yo no pudiera ser esto
sin ella. Es una mujer increible.
Tony about Ziva, 9x20
"Non ci credo!" Kensi Blye afferrò il braccio di Tony e
glielo
stritolò, fino a farlo gemere per il dolore. "Stiamo per
diventare veri poliziotti!, non so se mi spiego. Finalmente
potrò dire a mio padre: -ehi, ce l'ho fatta!-"
saltellò
sul posto.
"Frena, frena, Kensi" Marty alzò gli occhi al cielo.
"Potremmo fallire dopo una settimana"
Tony e la ragazza si voltarono a guardarlo visibilmente contrariati.
"Certo che sei positivo!" grugnì Tony. "E' solo un'Accademia
di
Polizia, Deeks. Ce la caveremo" sorrise, lanciando un vago sguardo
all'edificio di fronte a sè. Kensi annuì alle sue
parole
e guardò Marty con un vago senso di schifo.
Erano le sette del mattino del loro primo giorno in accademia. A Tony,
Baltimora non era mai sembrata così bella, anche se faceva
freddo e le strade erano ancora coperte da un lieve strato di foschia.
Qualcuno si era già messo in moto e la città si
andava pian piano popolando: uno spettacolo bellissimo, che
preferì apprezzare in quel momento, visto che non sarebbe
stato piacevole alzarsi tutte le mattine così presto.
"Speriamo ce ne siano di carine!" Marty strofinò le mani tra
loro e diede una gomitata a Tony. "Una bella poliziotta, eh!"
"Veramente sarei occupato!" ridacchiò e la mente
volò a Wendy, sicuramente sola a Washington. O, perlomeno,
ci sperava. In realtà non sapeva nemmeno se considerarsi
occupato; d'altronde, entrambi avevano un carattere piuttosto libertino.
"I migliori sono sempre occupati" Kensi gli sorrise
benevola.
"Oh, certo" la imitò l'altro ragazzo, beccandosi un'altra
occhiata disgustata.
"Ci aspettano un sacco di lezioni interessanti. Meno male che ho
studiato..." Marty finse di vomitare e Tony scoppiò a
ridere. "Ridi pure, Deeks. Ma quando diventerò la numero
uno, non andare a piangere da mammina" gli puntò il dito
indice sulla fronte. "Idiota" lo spinse via.
Nel frattempo, di fronte ai cancelli dell'Accademia, si stavano
riunendo molti giovani, tra cui qualche ragazza: Tony e Marty si
scambiarono uno sguardo complice e soddisfatto.
"Eccoli" sbuffò Kensi. "Sempre i soliti. Mi chiedo: come
diavolo si fa ragionare con un organo genitale?! Insomma...
è possibile, quindi?"
"Non fare l'antipatica, Blye" Marty le si avvicinò sornione.
"Rimani sempre tu" le prese una mano. "La mia preferita!"
Si guardarono sorridenti per un pò, finchè Kensi
non lo spinse via. "Mentre tu cerchi di farti perdonare, DiNozzo
è già andato all'attacco!"
"... ma sei sicura?"
"Si" la ragazza, che aveva detto di chiamarsi Kate,
lo guardò con la punta dell'occhio. "Ma
perchè, non lo sapevi?"
Tony si grattò la fronte, perplesso. "Diciamo che ho fatto
tutto molto in fretta. Non ho guardato bene il programma di allenamento
e non pensavo ci fossero tutte queste attività sportive"
sbuffò. "Ma non sono quelle che mi spaventano - mi sto
laureando in Educazione Fisica"
"Oh" Kate lo guardò ammirata. "Riuscirai a stare qui e
studiare, nello stesso tempo?"
"Ci proverò. Fare il poliziotto era il mio sogno e non mi
lascerò scappare quest'occasione" le fece l'occhiolino. "E
poi sono troppo carino per non avere la divisa!"
"Come no" la ragazza lo guardò con sufficienza.
"E' una buona motivazione, la mia!" replicò piccato Tony. "E
tu? Perchè vuoi fare il poliziotto?"
Kate si schiarì la voce e guardò altrove: "Fatti
miei"
Hai beccato la ragazza
sbagliata, Tony. Ritenta. "Già"
sospirò. "Non sei molto loquace"
Kate abbozzò un sorriso. "Parlo con chi ho voglia. Parlo con
chi ha qualcosa da dirmi"
"Io ho qualcosa da dirti" le sussurrò, vedendola alzarsi
improvvisamente.
"Sta buono, DiNozzo. Hanno appena aperto i cancelli" ghignò
la ragazza.
- I am ready to die.
Ziva, 7x01
"Ma
perchè gli americani sono così stupidi?" Ziva
alzò gli occhi al cielo e premette più a fondo la
forcina. La porta si aprì con uno scatto a lei familiare e
sorrise vittoriosa: il pass che Michael le aveva dato le permetteva di
accedere all'Università più o meno quando voleva
e senza essere disturbata. In realtà, avrebbe anche potuto
fare senza, ma non voleva mortificare il suo partner.
Trovare la stanza di Francis era stato altrettanto facile: aveva solo
chiesto in giro e le avevano indicato la strada. Se solo sapessero... un'agente
del Mossad così giovane non era facile da pescare a
Washington, nessuno ci avrebbe mai pensato. Aveva fatto bene a tagliare
i capelli: sembrava più americana.
"Ciao, Francis" sussurrò alla stanza e chiuse la porta
dietro di sè. Sperò di non essere disturbata,
stavolta. La prima cosa che vide fu il computer portatile, poggiato su
una scrivania. Imprecò in ebraico perchè non
aveva la più pallida idea di come portare fuori l'hard disk.
L'unica soluzione era portarlo con sè, ma non aveva la borsa
abbastanza grande da passare inosservata per il corridoio.
"E adesso?" si sedette sul letto sfatto, sconfitta.
Accarezzò le lenzuola con fare noncurante, finchè
l'idea del secolo non la fece sorridere.
Ah, Ziva. Sei troppo
brava! si disse. Prese il computer e lo infilò
nel cuscino di Francis, poi piegò accuratamente le coperte.
Il tocco di classe fu lo chignon improvvisato e accartocciò
il suo cappotto tra le lenzuola sporche. Prese tutto fra le braccia e
uscì dalla camera del ragazzo. Chiuse la porta dietro di
sè e un paio di ragazzi la guardarono preoccupati.
"Si, c'è il controllo delle stanze" annunciò con
le mani sui fianchi. "Il rettore esige che questo posto sia pulito.
Passerò da voi tra poco" riprese tra le mani le lenzuola e
il cuscino con dentro il computer.
Nessuno la disturbò, mentre portava via l'unica prova che
aveva.
Ziva, per qualche minuto, credette davvero di aver vinto. Vinto su chi
la credeva incapace di fare l'agente, vinto su Michael, vinto sul
Mossad. Eppure, sapeva di dover sempre controllare ciò che
prelevava - presa dalla foga se ne era scordata, altrimenti avrebbe
facilmente notato la cimice sotto il portatile.
"Sai che giorno
è, oggi?" Ziva chiuse di scatto l'armadietto di Tony,
facendolo spaventare. Il ragazzo la guardò per qualche
secondo.
"No, non è il tuo compleanno. Comunque, buongiorno,
guanciotte dolci!" si sporse per baciarla, ma Ziva si
scostò.
"Tony!" la rimproverò, dandogli un pugnetto sulla spalla.
"Che giorno è, oggi?"
"Dai, Zee! Non me lo ricordo!" sospirò. "Un nostro qualche
anniversario? Se è così, lo sai che su
queste cos..."
"Oh!" la ragazza incrociò le braccia, imbronciata. "Per tua
informazione, no, niente anniversario: ma mi fa piacere sapere quanto
impegno tu ci metta in questo rapporto. Bravo" sbuffò,
cercando di non guardarlo. "E comunque, oggi è il compleanno
di McGee"
"Ah. Già. E io cosa devo farci?" sussurrò. Ziva
lo colpì di nuovo. "Con questa storia dei pugni, mi
ucciderai, tra qualche anno!"
"Tony!" lo richiamò all'ordine. "Dobbiamo festeggiare,
è nostro amico..." Il ragazzo sorrise sornione e Ziva
arrossì. "Ok, Abby mi sta tartassando da giorni. Vuole che
facciamo qualcosa di carino per lui, sai com'è, con l'ultima
litigata che ha avuto col padre, è un pò
giù di morale..."
Tony le si avvicinò piano e le accarezzò le
braccia. "Ti fidi di me?"
Ziva rimase di stucco, osservando quel volto quasi perfetto che la
guardava con adorazione. Guardava lei
con adorazione.
Le sembrava sempre più impossibile: "Che
c'entri tu, adesso, scusa?"
"Devi dire ad Abby di non fare niente. Ho già provveduto" le
lasciò un veloce bacio sulle labbra, per poi dirigersi verso
l'aula di Inglese.
Ziva gli corse dietro e lo afferrò per la manica. "Che vuol
dire? Ti prego, non dirmi che hai combinato qualcosa!"
"Se te lo dico, mi sgridi" Tony gonfiò le guance. La ragazza
si intenerì: "Giuro" poggiò una mano sul cuore.
"Non mi picchi nemmeno?"
"Nosssignore"
"Ok..." Tony si rilassò. "... stasera al Mirage, il locale,
c'è uno spettacolo di burlesque. Ci doveva andare
papà con un collega, ma mi ha mollato i biglietti e avevo
pensato di portarci McGee. E' o non è il suo compleanno?"
ghignò.
Ziva rimase impassibile. "Non posso picchiarti nè sgridarti.
Ma c'è una cosa che posso fare"
"Cosa?" Tony impallidì.
"Toglierti il sesso"
Ziva sorrise, tra la veglia e il sonno. Tony aveva
piagnucolato per un pò, ma alla fine a quello spettacolo ci
erano andati, se lo ricordava bene, perchè era stata tutta
la sera a telefono con una Abby, in piena crisi di pianto. Pensava che
McGee la tradisse e che l'amicizia con Tony non gli facesse affatto bene,
delle volte. Ziva sapeva, però, che la ragazza
avrebbe voluto passare con lui il compleanno e che Tony gli aveva
rovinato tutti i piani. Involontariamente, le scappò un
singhiozzo, attirando degli sguardi su di sè.
Capì di essere sveglia quando un dolore lancinante le
ricordò che le avevano sparato.
- You know, people keep
looking at their watch, usually means they're worried
Gibbs, 9x18
Jethro sapeva che
non era normale perdere sangue così, dal nulla. Non era
neanche normale accasciarsi sul marciapiede, quando, fino a cinque
minuti prima, si stava benissimo. Per qualche secondo, Jethro perse la
cognizione del tempo e dello spazio.
"Il bambino... " mugolò Shannon, afferrandolo per un
braccio, mentre cadeva sull'asfalto. Jethro le fu subito accanto,
appena l'idea che avevano sparato a sua moglie prese corpo nella sua
mente. "Il bambino..." Shannon gli strinse la manica e
respirò a vuoto.
"Aiuto!" urlò il professore, mentre molte persone si
fermavano a guardare - qualcuno chiamò il 911.
Riuscì ad essere abbastanza freddo da cercare la ferita: le
avevano preso la pancia di striscio.
Sentì i singhiozzi di sua moglie e cercò di
ignorare la stretta allo stomaco che gli diceva, senza mezzi termini,
che stava per perdere il suo bambino; ciò lo sconvolse
più di quanto avrebbe mai pensato.
"Tranquilla, Shan, tranquilla" una voce gli disse che stava per
arrivare l'ambulanza. Poco dopo, si sarebbe chiesto chi fosse e
perchè non l'aveva subito ringraziato. Le lacrime di Shannon
le stavano bagnando il petto, sconvolto dai singhiozzi.
"Non voglio perderlo, Jethro. Non voglio"
"Non lo perderai. Non lo perderemo. Te lo prometto"
Maia says:
Oh, dio. Che capitolo merdoso. Che capitolo merdoso/merdoso/merdoso. So
che lo è T_T L'ho pubblicato così in fretta,
senza nemmeno riguardarlo, per non lasciarvi a bocca asciutta,
è un sacco che non mi faccio sentire x'D
Se vi può consolare, ho mangiato un sacco durante le vacanze
e non ho studiato, quindi ora devo riprendere la dieta e studiare il
doppio T_T
(ndLettori: certo che sei sfigata!)
E comunque... u_u ora comincio a stancarmi seriamente della scuola,
non ce la faccio più D: Ora viene il mese duro,
spero di riuscire a combinare qualcosa di buono -> La vostra
Amalia punta sul compito di italiano di domani, sperando in un altro 8.
Incrociamo le dita!
... avete fatto caso
che sto cercando di evitare di commentare il capitolo?! XD
Bè, che hanno sparato sia a Ziva, sia a Shannon è
abbastanza ovvio [non metto i titoli a caso ;) hehehehehehe *me
malefica*]... ma come finirà? La prima è stata
rapita? La seconda perderà il bambino?
ma soprattutto: Chi ha sparato?
Stavolta voglio fare la misteriosa, quindi non vi dico niente :D XD
Ora vi abbandono che... che... va bene, confesso: devo fare la
pipì ^///^
Semper Fi, team!
Baci,
Amalia.
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Capitolo 12 *** Le cose che non ti ho detto ***
NCIS
- This is the life I have chosen.
Ziva, 9x19
La
sconfitta è un sentimento amaro da mandar giù.
Ziva
l'aveva sentito la prima volta quando non era riuscita a prendere un
buon voto in Geografia, in terza elementare. La seconda volta non era
così remota: risaliva ad appena tre anni prima, quando Tony
l'aveva tradita e buttato alle ortiche tutto quello che erano riusciti
a costruire.
Stranamente, aveva fatto più male il cattivo voto in
Geografia. Perchè sapeva
che
prima o poi sarebbe successo, in fondo. Stare con Tony, avere una vita
normale, era troppo bello per essere vero. Non poteva durare a lungo -
era solo questione di tempo. Certo, non pensava che sarebbe finita in
quel modo, ma forse era stato meglio. Il dolore era stato
così
grande da non permetterle alcun ripensamento.
La terza volta che Ziva provò il sentimento della sconfitta,
fu
in quel momento, abbandonata nell'auto che lei e Michael avevano
affittato, due proiettili conficcati uno alla spalla e uno allo
stomaco: come poteva, proprio lei, essersi fatta sorprendere in quel
modo?
Doveva ringraziare il cielo che, chiunque le avesse sparato, non doveva
essere un gran cecchino, visto che non l'aveva uccisa. Ci aveva
provato, ci aveva creduto, quando le aveva sparato la seconda volta - Fingermi morta è
stata una mossa furba. Codarda, ma furba.
Lui e quei quattro sfigati dei suoi amici non avevano
nemmeno
trovato il computer, giacchè si era ben presto accorta della
cimice... il pc doveva trovarsi, insieme alla biancheria sporca, nel
bagagliaio dell'auto. O, perlomeno, così sperava.
Alla fine, Ziva si trovava grondante di sangue, prossima alla morte,
con un computer tutto da controllare e quattro (cinque?) studenti,
abbastanza idioti da non riuscire ad uccidere un'agente del Mossad,
nè di recuperare un fottuto computer.
O magari erano stati disturbati. Sparare a qualcuno nel garage del
proprio condominio, non era precisamente una buona idea.
A Ziva venne da ridere e lo spasmo le provocò un dolore
inaudito
alla ferita allo stomaco. Perse, nel giro di pochi minuti, conoscenza
per la seconda volta.
"Nuova crema per il
corpo?" Tony
alzò lievemente lo sguardo dalla sua pancia. Ziva si
sollevò sui gomiti. "Si. Cioccolato"
Il ragazzo annuì, sornione, e continuò a baciarle
la
pelle intorno all'ombelico. Lei tornò giù, con la
testa
sulla sabbia, e continuò a guardare le stelle su di
sè.
Ne contò trenta, prima di perderne il conto: Tony la stava
mordicchiando.
"Sei diventato un cannibale, DiNozzo?" gli tirò una ciocca
di
capelli e Tony tornò di fianco a lei. Si voltò su
un
fianco: "Come se poi ti infastidisse..." sembrava stranamente attratto
dal suo costume rosso, con le perline.
"Certo. Ogni santa volta mi lasci segni rossi dappertutto"
"... ma solo in posti in cui nessuno ti dovrebbe guardare" si
accigliò l'altro. "Non ti guarda nessuno, vero?"
"Oh, beh. Sai, con tutti gli amanti che ho..." lo fissò per
un minuto buono, prima di scoppiare a ridere.
"Stronza!" spalancò la bocca, indignato. "Un giorno di
questi ci
crederò alle cazzate che mi racconti!" Ziva sorrise e gli
accarezzò una guancia.
"Oh oh" le baciò il naso. "Stai entrando nella tua
modalità dolce? Avvisami, così ne approfitto!"
"Vorresti dire che non sono mai dolce!?" s'indignò. "Siamo
in spiaggia. Di notte!"
"Ma ti ci ho portato io!"
"Ma, la prima volta, l'idea è venuta a me!" Stettero qualche
minuto in silenzio.
"Ti amo" le disse, improvvisamente serio.
"Ok" Ziva spalancò gli occhi. "Perchè me lo dici
così? Stai morendo?" gli tirò uno scappellotto.
"No, ma per me è importante che tu lo sappia"
"Mh. Va bene"
"E come si risponde?"
"... che ti amo anche io?" Ziva rise, sotto le dita di Tony che le
facevano il solletico.
"Brava ragazza!"
"Ma è ovvio, Tony"
"No, non è ovvio. Una cosa che ho imparato da te
è che se
ci tieni a qualcuno, devi dirglielo. Prima che sia troppo tardi"
Ziva si alzò seduta e lui la imitò. "Ah, si?" gli
sussurrò, sulla punta delle labbra. "Allora, DiNozzo: ti va
di
fare l'amore con me?"
"Veramente... non aspettavo altro!" si beccò un altro
scappellotto.
Ziva aveva smesso di credere a tutte quelle favole. Il
suo amore adolescenziale l'aveva profondamente cambiata, resa
più matura, ma più attenta. Nel mentre, tentava
di
cancellare quegli episodi dalla sua testa, perchè le
sembravano
così lontani, da non appartenerle nemmeno. Quella giovane
donna
sulla spiaggia, che faceva l'amore, non era lei. Era un'altra Ziva, una
Ziva più felice, più stupida.
E perchè pensava a Tony, poi? Doveva trovare,
piuttosto,
una soluzione per il suo problemino: non poteva farsi trovare dai
condomini in quelle condizioni, perchè l'avrebbero portata
in
ospedale e avrebbero scoperto dei documenti falsi - e, in particolar
modo, avrebbero voluto sapere perchè le avevano sparato due
volte. Punto due, non poteva nemmeno salire in casa, perchè
rischiava di essere vista e poteva morire lì, da sola.
Magari
Michael l'avrebbe pure sgridata, senza contare che non sarebbe mai
riuscita a salire le scale.
Cominciava a sentire male e freddo, Ziva, chiusa nella sua auto, nel
parcheggio, e col sangue che scendeva a fiotti.
Aveva bisogno di una persona fidata, di una persona che avrebbe potuto
aiutarla senza mettere in pericolo la sua identità.
"E' la seconda volta che
mi chiami in poche ore! Devo preoccuparmi? ... Ziva?"
"McGee. Mi hanno sparato. Aiutami"
M. Franks: You really want to be a cop.
you've got to let a lot of old stuff go.
Learn a lot of new stuff
to take its place. Think you can do that?
Gibbs: I think I'd be a good cop.
"Ho bisogno di un caffè" mormorava Gibbs tra
sè e sè, seduto nella sala d'aspetto
dell'ospedale. Aveva smesso di contare i minuti non molto tempo prima,
ma era abbastanza sicuro che fossero passate delle ore, da quando
Shannon era entrata in sala operatoria.
Gibbs aveva detto a tutti, di continuo, che era suo marito, ma nessuno
sembrava averlo preso davvero sul serio: giravano come avvoltoi attorno
a Shannon e a suo
figlio. Sapeva, nella sua testa, che volevano solo
aiutarla ma, di fatto, l'istinto gli diceva di fare tutto da solo.
Lui. Un professore di Storia. Non avrebbe mai potuto aiutare sua
moglie. E suo figlio.
Si sentiva inutile, solo. Perso. Leroy Jethro Gibbs non
dovrebbe sentirsi così. Così male, insomma. E si
sentiva in colpa, per non aver voluto il piccolo mostriciattolo fin
dall'inizio: in quel momento, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di
essere al loro posto.
"Jethro" una mano si posò sulla sua spalla. "Mi dispiace
immensamente, amico mio"
"Ducky" sospirò l'uomo, passando una mano sul viso, come se
potesse tirare via la paura. "Che ci fai qui?"
"Mi ha chiamato Tobias. Lui è con Gerald, alla stazione di
polizia" il professore si sedette accanto a lui, l'aria grave. "Ce la
faranno"
"Non ne sono così sicuro" intrecciò le dita. "E'
per me. E' una punizione" alzò lo sguardo al soffitto.
"Perchè non volevo il bambino"
Ducky si tolse il cappello e lo rigirò tra le mani. "L'uomo
e la religione. Eterno dilemma, eterna croce. Da buon uomo di scienza,
oserei dirti che è stato tutto un caso, ma da semplice
essere umano, con le proprie paure, posso solo dirti di pregare,
Jethro. E che quello che è successo non è stata
colpa tua, questo si"
"Non ne sarei così sicuro"
"Un bambino è il cambiamento più grande nella
vita di un uomo. E di una donna. Essere spaventati è
normale" accennò un sorriso. "Anche per chi si crede un
super-uomo. Levati dalla testa ogni senso di colpa e sorridi: tua
moglie dovrà vederti tranquillo, quando uscir..."
"Signor Gibbs?" un medico si avvicinò a loro.
"Sono io" il professore deglutì e si avvicinò,
senza titubanza, al dottore. "Come sta...
stanno?"
"Fortunatamente il proiettile ha solo sfiorato la signora. Lei
è salva, ma per il bambino, dobbiamo operare d'urgenza"
"Ancora?" sospirò il professore.
"Faremo il possibile. Stiamo anche pensando di effettuare il parto
prematuramente"
"Ma Shannon è di soli sette mesi, potrebbe non farcela!"
annaspò Gibbs.
"Mi dispiace"
- For the first time, in my
life... I made a difference. I did something that mattered.
I've been trying to do that ever since.
Tony, 9x21
"Tony! Smettila! Mi metti in
imbarazzo!"
Tony la guardò sornione, con la guancia poggiata sul palmo
della mano. Sembrava tranquillissimo, steso sul letto della ragazza,
mentre lei cercava di mandarlo via con sguardi infuocati. Lei doveva
assolutamente spogliarsi, dopo quella giornata passata a fare palestra
con Abby (che si era messa in testa di dover imparare il Krav Maga):
l'aveva obbligata a restare fino a tarda sera finchè,
esausta, non aveva dato forfait.
"Andiamo, Zee. Sono il tuo ragazzo. Puoi spogliarti davanti a me!"
Ziva arrossì e spostò lo sguardo sull'armadio
aperto davanti a lei. Certo, Tony era il suo ragazzo, ma stavano
insieme solo da qualche mese e lei ancora non sapeva quanto l'argomento
"sesso" sarebbe stato ancora evitato. Era abbastanza certa di amarlo,
ma era altrettanto certa di non essere pronta a farsi vedere senza veli
da un essere umano di sesso maschile.
"Ti dico che mi vergogno. Vai via?!"
"Volevo stare un pò con te, non ci vediamo da tre giorni"
spalancò gli occhi, ma vide che lei non cambiò
per niente espressione: come sempre risoluta, come sempre glaciale.
Tony pensava di aver superato quella fase e, invece, ogni tanto la
vecchia Ziva ritornava, solo per rovinargli l'esistenza. Scese
giù dal letto, la salutò con un neutro bacio
sulla guancia e fece per uscire dalla finestra.
"Tony" si sentì richiamare dalla voce sottile di Ziva. Si
voltò appena in tempo per vederla avvicinarsi a lui,
prendere la manica e tirarlo via dall'unica via d'uscita della stanza.
"Mi dispiace. Scusa" mormorò.
"Merda. Merda, merda, merda" anche Ziva pensò
un sacco di parolacce in ebraico, quando sentì quella voce
avvicinarsi a lei. Era una donna, di certo non poteva essere McGee. La
sentì scostarle la maglia, senza che lei riuscisse a porre
resistenza. Aveva perso tanto sangue, le veniva da vomitare, la testa
le girava. Non sapeva cosa fare, per la prima volta da quando era in
missione: aveva perso completamente il controllo.
"Tim, dobbiamo portarla in ospedale!" disse concitata la voce.
Oh, grazie al cielo. Lui
c'era. L'amico di sempre, il confidente, il principe azzurro dal
cavallo molto poco bianco, era arrivato.
"Lo so, lo so. Ma al telefono mi ha detto di non chiamare nessuno...
penso..."
"Non è in America legalmente"
"E' qui per il Mossad"
Brava, Ziva. Digli pure
il tuo indirizzo di Tel Aviv, la prossima volta. Digrignò
i denti, quando la ferita venne esaminata da due dita fredde; la
presero, una da una parte e l'altro dall'altra, per portarla fuori dal
parcheggio.
"Dobbiamo portarla in ospedale" la donna digrignò i denti e
si rivolse direttamente a lei. "Dopo quello che hai combinato, Zee,
dovrei lasciarti qui. Ma ho troppa voglia di picchiarti e abbracciarti
nello stesso momento per farlo"
Abby.
Perse i sensi. Di nuovo.
"Mi dispiace. Scusa"
mormorò. Tony sospirò e le prese la mano.
"Dobbiamo parlare" la fece sedere sul letto e le si sedette di fronte.
"D'accordo. Lo capisco che per te sia strano, stare con me. Non sono
facile da trattare, questo è vero. Ma... sai, non
è bello vedere che la propria ragazza non si fida di te" le
picchiettò sulla fronte e le sorrise. "So che non lo fai di
proposito e che ti hanno cresciuta così. Ma lasciarti
andare, ogni tanto, non ti distruggerà, Ziva. Anzi. Potrebbe
essere addirittura piacevole"
"Lo so. E' solo che..." si grattò la testa. "Ci sei tu e io
ti vedo che..."
"Se il problema è il sesso, Ziva, non ti devi preoccupare"
alzò le spalle. "Ti darò tutto il tempo che vuoi.
Però, ti prego... non tagliarmi fuori come se fossi uno
qualunque. Io ti a... Ziva!"
strillò, coprendosi gli occhi con la mano.
"Che c'è? Mi sono solo tolta la maglietta!"
osservò il suo reggiseno, preoccupata. "Che ho che non va?"
Tony si alzò dal letto, sempre con la mano sugli occhi, e
cercò a tentoni la finestra. "Non hai proprio niente che non
vada. Il problema è esattamente questo!" sbuffò.
"E' vero che ti darò tutto il tempo che ti serve, ma
torturarmi così è disumano" allungò
una gamba oltre la finestra.
"Ti ucciderai!" lo avvisò.
"Forse. Ma vedere te in reggiseno senza poter fare niente, fa
altrettanto male. Non so se te ne rendi conto" Ziva scoppiò
a ridere e lo bloccò di nuovo. Delicatamente gli tolse le
mani dagli occhi e vide che lui li teneva serrati.
"Guardami, Tony" il ragazzo aprì prima un occhio, poi
l'altro.
"Wow. Carino il reggiseno con gli unicorni. Fanno molto Barbie. E di certo
riducono un pò il mio... ahia!" l'unica cosa che
riuscì a fare, oltre a ridere, fu di dargli un forte
scappellotto.
"Quanto sei scemo. Ti va di restare, stanotte?" domandò,
sovrappensiero.
"Dici davvero?"
"Si, dico davvero" Tony si aprì in un sorriso estasiato.
Quella notte, fecero l'amore per la prima volta.
Ziva riaprì lievemente gli occhi. Si
guardò attorno distratta: era in ospedale.
Imprecò tra sè e sè, prima di guardare
fuori dalla finestra: il sole non c'era più, sostituito da
un cielo rosato. Era quasi sera.
"Ben svegliata" Ziva si voltò di scatto alla sua destra.
"Non sei cambiata proprio per niente. Ringrazia le pallottole: nelle
tre ore in cui hai dormito, ho sbollito la rabbia. Ma ho ancora voglia
di picchiarti. Tranquilla, un'amica fa l'infermiera qui e sono riuscita
a farti ricoverare sotto nome mio. Dovremmo inventarci qualcosa per le
pallottole, ma credo che la mia amica si occuperà anche dei
poliziotti. In caso contrario, Tim farà sparire tutte le
prove. Come sempre. Non abbiamo smesso di essere i tuoi cagnolini, alla
fine"
Ziva distolse lo sguardo dalla figura di Abby. Era diventata
più alta, più donna. Ed era più
arrabbiata.
Le braccia incrociate, le labbra strette tra le loro, l'espressione
distaccata. Tutto faceva di lei una donna furiosa.
"Sai, Tim non voleva dirmi perchè, nel bel mezzo del nostro
progetto, avesse dovuto scappare via. L'ho spremuto un pò e
alla fine ha parlato: mi ha detto tutto. Ma poi mi ha trascinata con
sè di corsa, dicendo che stavi male" si alzò e si
sedette sulle coperte, obbligandola, di conseguenza, a guardarla di
nuovo.
"Nessuno di voi doveva sapere che..."
"Già. Ovvio" ghignò. "Era inutile mettervi a conoscenza
di una cosa che poteva uccidervi... e le solite
chiacchiere. Tim mi ha detto anche questo. Ha cantato come un usignolo,
a dire il vero"
"Abby..." tentò di fermarla.
"No, no!" alzò una mano. "Sono tre anni che non ti vedo. Sai
cos'è successo, mentre eri via? Fammi pensare... ah si!"
fece una smorfia infastidita. "Ho scoperto di essere stata adottata.
Bello, no? Scoprire una cosa così, quando la tua migliore
amica se n'è andata chissà dove senza dirti
niente, naturalmente. Poi sono scappata in Europa. Ho fatto una vita
abbastanza schifosa finchè non mi sono decisa a tornare a
casa - pensa te, ho lasciato persino Tim. Ah, e poi la disperazione di
Tony, quella avresti proprio dovuto vederla!" alzò la voce.
"E che dire di tutti quei pomeriggi passati nel tentativo di
telefonarti? Tutte quelle notti passate al computer cercando di
rintracciarti?"
Gli occhi di Ziva si inumidirono. "Mi dispiace"
"Non è abbastanza" scosse la testa e i codini,
contemporaneamente. "Mi hai fatto un male che non puoi nemmeno... oh"
si asciugò le lacrime e tirò su col naso. "Le ho
pensate tutte: anche che fossi morta. Ci doveva essere un motivo
valido, se non ti facevi sentire. Potevo capire Tony, dopo quello che
ha combinato... ma io? Io me lo meritavo il tuo silenzio?"
scrollò le spalle. "Dimmi la verità: mi hai mai
voluta davvero bene?"
"Non devi metterlo in dubbio nemmeno per mezzo secondo"
sussurrò.
"Mi sei mancata" singhiozzò, lanciandosi tra le sue braccia.
"Dio, quanto mi sei mancata!"
Maia
says
- Paolo says:
Ciao a tutti! Scusate, non volevo infilarmi brutalmente nella fanfic.
Ma sono stato COSTRETTO!
(Se vi può consolare, il capitolo l'ha scritto Amalia, mica
io. Nono, io scrivo canzoni!).
Prima di tutto, piacere: mi chiamo Paolo e sono uno dei migliori amici
dell'autrice. Ho visto che una volta mi sono anche beccato una dedica!
YO, BELLO. Quindi vuol dire che per lei sono importante *Paolo si
commuove* ma anche no. Brutta stronza, non me lo dici mai che mi vuoi
bene! STRONZASTRONZASTRONZA.
Ora torno a voi, cari lettori. Sto ricattando Amalia, è per
questo che mi ha "concesso l'onore" di inserirmi nel suo angolo
privato. So che non ve ne frega niente, ma Domenica compio 18 anni! YO,
BELLO. Ed è normale che io voglia lei al mio fianco, no? E'
una delle mie migliori amiche (no, non sorridere brutta bastarda). E
invece, lo sapete che mi ha detto questa mattina?...
Ah,
già. E' di Domenica. MA ASPETTA! Io devo vedere NCIS...
posso venire alle dieci e mezza. SOLO alle dieci e mezza.
No, per capirci: vi
pare giusto? A Paolo non pare affatto giusto. Ai suoi 18 anni si
è beccata DUE FESTE, di cui una a sorpresa (è
vero, se lo meritava, ma...) . Ho dovuto pure nasconderla,
perchè si era commossa e non voleva farsi vedere dagli
altri. Stronza.
Glielo dite voi, per piacere? :( Le avevo proposto di registrare tutta
la puntata, così poi lunedì mangia a casa con me
e ce la vediamo :( Ma mi ha guardato male :( Forse perchè sa
benissimo che non la farò concentrare sulla puntata.
Però ha accettato, forse
un cuore ce l'ha ancora!
NCIS mi sta rovinando la vita. Lo so che a voi piace, ma
è così. Tutti i lunedì mattina devo
sentirla blaterare sulla puntata della sera prima.
Mi tartassa, davvero! NON SI FA COSI'!... . Ah, e la volete sapere
l'ultima? L'ho chiamata, prima, per proporle di venire a casa e poi
uscire. La risposta? NO
DEVO SCRIVERE! E poi
finge di farmi le prediche perchè OGNI TANTO cambio qualche
ragazza.
-.-'
T_______________________________T
Mi sento trascurato.
Glielo dite, per piacere?
Grazie.
Se stai leggendo queste righe,
Ti voglio bene :D
(no, non sorridere brutta bastarda)
- Perdonatemi se pubblico con qualcosa di sbagliato, perchè
non so usare l'HTML e mi sono affidato completamente a ciò
che mi ha mandato l'autrice :)
|
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Capitolo 13 *** Family is more than just DNA ***
NCIS
- Very special agent
DiNozzo doesn't get scared!
Tony, 9x09
"Sono stanco!"
piagnucolò Marty, lanciandosi a peso morto sul divano. "Sono
stanco, affamato e... stanco! L'avevo già detto?" si
portò teatralmente una mano sul cuore, mentre Tony lo
guardava
divertito, dall'alto.
"Non esagerare, adesso!"
"Ah si!?" ringhiò. "Avrò fatto il doppio delle
flessioni che hai fatto tu!"
"Io ero in piscina, con Sam!
Deeks, avrai mica le tue cose?" Tony rise
e si avviò in cucina. Contro ogni pronostico, era da qualche
settimana che frequentava l'accademia e non aveva ancora mollato. Forse
era
la presenza di Deeks e Kensi che, nonostante tutto, gli rendevano meno
grigia la giornata, senza Abby e McGee tra i piedi, era difficile farsi
due risate. Poi c'era Kate, che a lezione di autodifesa lo gettava
sempre a terra: a lui non dispiaceva, visto che aveva un
decolteè niente male. Ci avevano messo un pò, ma
nello
strambo gruppo di amici, erano entrati anche Sam e Callen,
silenziosi
quanto letali, ma che, con un paio di birre, diventavano quasi peggio
di Marty.
"Vi va una birra?" infilò la testa nel frigorigero, sperando
che
Sam, il suo coinquilino, avesse fatto la spesa. I due, nel salotto del
suo appartamento, gli urlarono un sì decisamente
convincente.
Era prassi rimanere sul divano di casa sua a ronfare davanti alla
televisione, dopo le lezioni. Così dopo potevano uscire
senza
problemi.
"Ecco qua" rientrò in salone, con tre birre già
stappate
tra le mani. Ma non ci arrivò mai al divano,
perchè si
fermò prima: Kensi si era seduta accanto alla testa di Deeks
e
gli accarezzava piano la zazzera bionda che aveva sulla testa. Il
ragazzo teneva gli occhi chiusi, ma sorrideva.
"Ehm. Ragazzi, io esco" annunciò, di punto in bianco. I due
alzarono la testa verso la sua direzione.
"E dove vai da solo, alle cinque del pomeriggio?"
l'apostrofò la
ragazza, togliendo velocemente la mano dai capelli di Marty, che
protestò piano.
"Chiamo Sam e Callen. Magari hanno voglia di uscire. Vi lascio le
chiavi" le lanciò, così che Kensi potesse
afferrarle al
volo.
Tony l'aveva capito subito che tra quei due c'era qualcosa di mai
detto. Lo sentiva a pelle, come quando Ziva era entrata per la prima
volta dalla porta principale della Woodrow High School. A distanza di
tempo, vedeva chiaramente che non avrebbe avuto scampo.
Ziva era come un tatuaggio che non gli piaceva più: doveva
tenerselo marchiato a fuoco sulla pelle, doveva sentirlo bruciare ogni
volta che vedeva, o provava qualcosa che solo lei era riuscita a fargli
buttar fuori.
Non aveva voglia di andare in giro, era troppo stanco, così
si
sedette sul primo scalino del suo condominio. Probabilmente, Sam e
Callen erano a casa a mangiarsi una pizza. Non sapeva nemmeno dove
abitavano, a dirla tutta. Il punto di ritrovo era diventato il suo
appartamento. L'appartamento
di una puttana, in pratica.
Prese il cellulare e cercò il numero di Abby in
rubrica. Decise di chiamarla.
"Pronto?"
"Ehi, Abbs!" sentì un rumore soffocato, una porta che
sbatteva. "Tutto bene?"
"Ma si, si"
ridacchiò. Stava mentendo. "A te come va?"
"Bene... è da un pezzo che non ti fai sentire"
mugugnò. "Novità?"
"Mh, no. A te?"
trillò.
"Nemmeno" restarono in silenzio per qualche secondo, entrambi impegnati
a capire se e quanto sapesse l'altro.
"Vuoi McGee?"
sospirò alla fine la ragazza. "Io, ecco... stavo per uscire"
"Oh. Scusa. Si, passami pure McGee"
"Ecco... veramente...
lui non c'è. Ti faccio richiamare, ok? Ciao!"
Tony guardò stranito il cellulare. Era sicuro
che a casa
sua stesse succedendo qualcosa: McGee rispondeva raramente e lo
chiamava altrettante volte, Abby nemmeno ci provava, e quando lo faceva
lui, erano misteriosi peggio di quando c'era di mezzo il Mossad, nella
loro vita.
Tornò alla rubrica del cellulare e osservò per
poco il
numero di Wendy. Lei sembrava quasi sparita, ma non gli faceva
granchè male, la sua indifferenza. Anche perchè
se lo
aspettava - avrebbe
potuto almeno fare la parte della fidanzatina triste, però. Si
sarebbero rivisti al suo ritorno. Aveva in programma di passare il
weekend a casa, visto che non vedeva suo padre da un pò.
Lui sembrava l'unico davvero preoccupato per le sue condizioni. Per la
prima volta in vita sua, Tony si sentiva escluso. Nonostante le nuove
conoscenze, sentiva la mancanza della sua città e dei suoi
amici
- oltrettutto, il loro strano comportamento lo preoccupava.
"Tony DiNozzo. Cos'è quel broncio?" il ragazzo
alzò la
testa e vide che Kate Beckett gli sorrideva dal finestrino di un'auto.
"Ehi, Kate. Niente, solo... a casa si stanno divertendo senza di me,
credo" indicò distratto il cellulare. "Come mai, qui? Kensi
è di sopra..."
"Veramente sono passata di qui per caso" lo guardò indecisa
per qualche minuto. "Ti va di venire con me?"
"Dove?"
"Vedrai"
- You've been through
the puberty? I had not noticed.
Ziva to Tony, 9x21
"Disturbo?"
"Ma va, entra" Ziva sorrise a McGee e gli indicò la sedia
accanto al suo letto.
"Abby ti ha picchiata?" ridacchiò.
"Oh, ci ha provato" sorrise. "Ehi... comunque, grazie" gli
pizzicò la guancia. "Anche per avermi coperta col governo"
"Di niente. C'è voluto un pò per far sparire le
pratiche,
a dire il vero. Però è filato tutto lo liscio e
l'amica
di Abby ha convinto tutti che ti chiami anche tu Abby Sciuto. E' stato
facile. Non abbiamo perso il nostro smalto da spie" le fece
l'occhiolino.
"Non siete mai stati spie, McGee" sospirò. "E, credimi,
anche se fosse, non ti piacerebbe"
"Dov'è Abby?" le domandò.
"Ha ricevuto una chiamata ed è uscita fuori. Non so chi sia.
Probabilmente tornerà con le braccia piene di merendine dei
distributori" risero.
"Visto che siamo soli" McGee spostò la sedia più
vicino a
lei. "Hai intenzione di dirmi in cosa ti sei cacciata? So che c'entra
il Mossad. So che sei un'agente operativa" Ziva provò a
chiedere
spiegazioni, ma lui la bloccò prima. "E' ovvio, Zee. Non
saresti
mai tornata qui, se non obbligata. E poi abbiamo frugato nella tua
borsa, mentre ti portavamo in ospedale. Bell'arsenale" si diedero un
cinque.
"Grazie" alzò un sopracciglio, divertita. "Ma ora
dovrò uccidervi!"
"Si, si" il ragazzo alzò gli occhi al cielo. "Allora? Che
missione è?"
"Non posso, McGee" mormorò. "Per favore"
"D'accordo. Ho provato!" alzò le mani, in segno di resa.
"Vuoi che avvisiamo qualcuno?"
"Effettivamente, dovrei chiamare il mio partner, ma ci penso io,
tranquillo. Probabilmente sta già rintracciando il mio
cellulare" si rilassò meglio sul cuscino, poi le venne in
mente
qualcosa. "Ehi! La mia auto?"
"E' ancora nel parcheggio... perchè?"
Ziva si sporse col busto, arrivando al comodino, dov'era la sua borsa.
Cercò le chiavi della macchina e le diede a McGee: "Torna
lì. Nel bagagliaio ti sembrerà ti trovare
biancheria
sporca, ma nel cuscino c'è infilato un computer. Puoi
recuperarlo per me?" si morse il labbro inferiore. "Non ti metterei in
mezzo se non fosse importante. Ma se parlo col mio collega, sono
fottuta"
"Ai tuoi ordini, agente David. Solo recuperarlo? Se vuoi lo
analizzo..." provò.
"No" lo guardò male. "Vi ho già coinvolti
abbastanza"
Improvvisamente, la porta della stanza di Ziva venne spalancata da una
Abby sconvolta e piena di cibarie tra le mani.
"Non potete nemmeno immaginare chi ho incontrato nel corridoio di
Terapia Intensiva!"
- Seriously, probie, I
don't make enough fun for you?
Tony
"Ok. Ora mi potresti spiegare perchè siamo qui?" chiese
perplesso Tony, mentre scendeva dall'auto di Kate. Di fronte a lui
c'era una libreria; a giudicare dalla fila, doveva esserci qualche
presentazione di un libro.
"Ho promesso ad una persona che ci sarei stata oggi. Fortunatamente le
lezioni sono finite in tempo" la ragazza fece ballare le chiavi
dell'auto sul palmo, osservando l'entrata col volto corrucciato.
"Bè? Entriamo?" le punzecchiò il braccio. "Che
facciamo
fermi qui fuori? La persona che ti sta aspettando potrebbe offendersi"
Kate fece una smorfia divertita. "Già. Sarebbe capace di
tenermi il muso per mesi"
Riuscirono ad entrare nella libreria saltando la fila: Tony
notò
che avevano tutti lo stesso libro in mano, magari ansiosi di farselo
firmare.
Si, probabilmente lo scrittore, o la scrittrice, era di appoggio per
prensentare la sua opera. Arrivati dentro, i due si guardarono attorno.
La fila convergeva in un unico punto. Tony si alzò sulle
punte e
vide un ragazzo, circa della sua età, che firmava con un
sorrisone tutti i libri che i fan gli piazzavano davanti. Kate,
improvvisamente, alzò il braccio, attirando la sua
attenzione.
Il ragazzo recepì il messaggio, annuì, e
sussurrò
qualcosa al suo manager, che poco dopo annunciò una pausa
del signor Castle.
"Kate!" trillò il ragazzo, moro, abbastanza alto, e il viso
simpatico. Fece per abbracciarla, ma Kate si scansò prima.
"Antipatica" borbottò. "Però almeno sei venuta,
quindi
dovrà bastarmi" si accorse di Tony e lo guardò
perplesso.
"Ciao...?"
"Ah! Sono Tony. DiNozzo" allungò la mano e lui gliela
strinse. "Sto con Kate all'accademia di polizia"
"Rick
Castle. Scrittore. Cioè..." tergiversò.
"Questa
è la mia prima opera. Non penso ce ne saranno altre,
è
stato un colpo di..."
"Bugiardo" sillabò Kate, poi si voltò verso Tony.
"Vogliono comprargli i diritti per farne un film"
"Non volevo dirlo maaa... si!" si vantò il ragazzo,
sistemandosi
il colletto della camicia. "Diventerò una star e
farò un
sacco di soldi" ridacchiò.
"Illuso" soffiò la ragazza. Tony lo guardò
divertito:
sembrava un bravo ragazzo. Era circondato da finte coppie,
evidentemente.
"Aspetta, vado a prenderti un libro!" gli disse, camminando
all'indietro. "Ti faccio anche l'autografo, fra qualche anno su Ebay
potrebbe valere una fortuna! Non vi muovete!" e corse via, stavolta
nella direzione giusta.
"Buffo" ridacchiò Tony. "Conosci anche uno scrittore di
successo. Complimenti, Beckett"
"Conosco è
esagerato"
sospirò. "Mi sta appiccicato come una cozza da quando ci
siamo
conosciuti ad un parco pubblico, mentre studiavo per i test
dell'accademia. Mi ha detto che stava scrivendo un giallo e se potevo
aiutarlo - non mi ha più mollata" si grattò la
testa. "Ma
sapevo che avrebbe fatto successo, ce l'ha nel sangue il talento per la
scrittura"
"Beh, dovresti sentirti fiera. Hai contribuito in parte al suo successo
e..." sorrise sornione. "penso che abbia una gigantesca cotta per te"
Kate si morse il labbro inferiore. "Nah"
"Oh, si" si zittì quando Rick tornò col suo libro
e lo
accettò di buon grado. "Prometto che lo leggerò"
gli
disse.
"Grazie" gli diede una pacca sulla spalla. "Ehm, Kate..." porse anche a
lei una copia.
"Ma l'ho già letto" protestò la ragazza.
Rick arrossì e guardò altrove. "Si, ma non la
stampa ufficiale. Leggi la dedica"
Tony si illuminò e aprì subito il suo libro,
imitato dalla sua compagna.
a K., che mi ha spronato a
crederci. Grazie.
"Rick..."
sospirò Kate. "E'... non dovevi. Non ho fatto niente!"
"Certo, come no" alzò gli occhi al cielo. "Forse non te ne
sei
accorta, ma sei stata fondamentale, davvero" mormorò.
"Ci credo!" se ne uscì improvvisamente Tony, lo sguardo
immerso
nel libro. "Questa scena di sesso a pagina 213 è tutto
frutto
della tua fantasia?"
Tony: You're behind
me again, aren't you?!
Ziva: Lucky guess
4x10
"Leroy
Jethro Gibbs" sussurrò McGee davanti al suo professore di
Storia. Ziva si trascinava a stento dietro agli altri due, altrettanto
curiosi di rivedere il loro vecchio professore; Abby e McGee,
però, ignoravano che la loro ritrovata amica avesse
già
reincontrato Gibbs. I due, infatti, si scambiarono uno sguardo d'intesa
e profondamente sorpreso.
"Sciuto, McGee e David. Insieme come sempre" sorrise malinconicamente.
"Manca solo DiNozzo. E poi il quadretto sarebbe completo!"
ridacchiò accanto a lui Ducky. Solo in quel momento si
accorsero
di lui e andarono a salutarlo: il ghiaccio era stato spezzato, almeno
per gran parte del gruppo. Ziva, in camice, continuava a guardare
Gibbs, una muta domanda nello sguardo; aveva il terribile presentimento
che fosse accaduto qualcosa alla dottoressa Stevens.
"Cosa ci fate qui, ragazzi?" l'anticipò Ducky, dandole una
pacca sulla schiena. "Pensavo fossi tornata a casa..."
Io sono appena tornata,
a casa pensò, tra sè e
sè. "Si, ecco, sono dovuta tornare per... problemi tecnici"
svicolò.
"Ma stai bene?" le sussurrò Gibbs, indicando con un cenno
del capo il suo vestiario.
"Si" sospirò. L'uomo abbozzò un sorriso, di
nuovo, e Ziva
inutì che, ancora una volta, aveva capito tutto. Da un
singolo
monosillabo: era spaventoso quanto Gibbs le ricordasse Tony, a volte.
Lo stesso modo di scannerizzarla dentro, lo stesso modo di scherzare,
lo stesso modo di farla sentire capita.
"Cosa ci fate qui?" sussurrò Abby.
"Shannon" commentò brevemente Gibbs. "Le hanno sparato"
McGee spalancò gli occhi e Abby si portò una mano
alla
bocca; Ziva parve non capire e aggrottò le sopracciglia:
"Cosa?"
"Mentre erano per strada" continuò Ducky. "Il proiettile
l'ha appena sfiorata, ma le ha preso di striscio la pancia"
Ziva impallidì, ricordando della gravidanza. "E il bambino?"
"La stanno operando giusto ora. Probabilmente effettueranno un cesario"
Abby si sedette accanto a lui, mormorando appena il suo dispiacere.
McGee la imitò, prendendo alcune merendine e addentandone
una.
Nessuno dei presenti sembrava intenzionato ad andarsene, almeno non
prima di avere notizia di Shannon e del piccolo.
Quando Gibbs si alzò, quattro paia d'occhi puntarono su di
lui.
"Vado al bagno" annunciò freddamente. Sentiva l'aria andare
via
dal polmoni e sperò che, stare all'aperto, migliorasse le
sue
condizioni fisiche. Shannon era in sala operatoria da circa un'ora e
mezza; un'ora e mezza di totale e distruttiva sofferenza interiore, di
sospiri da parte degli altri e di camminate indefinite lungo il
corridoio. Si parlava poco, ma per nessuno era un peso. Tutti e cinque
pensavano alla casualità del destino e a quante
probabilità ci fossero di incontrarsi in un ospedale, dopo
tre
anni di silenzio.
"Scommetto che vorresti finire sotto terra" gli disse una voce
femminile. Fuori dall'ospedale faceva un pò freddo, ma in
giacca
stava bene. Gibbs non si voltò nemmeno: riconosceva bene la
voce
della ragazzina che gli aveva complicato un intero anno di scuola.
"Perspicace come sempre, David"
"Ci sono passata. Forse troppe volte" gli si affiancò e
intrecciò le mani tra loro, per fare calore. "Prima con mia
madre, poi con mia sorella. Mio fratello" socchiuse gli occhi. "Tony.
Si ricorda, prof, quando si è fatto male alla partita di
basket?"
"Si" annuì, lanciando uno sguardo spaesato ad un salice poco
più avanti. "Sbattè la testa..."
"Già. Ero terrorizzata. Pensavo non si sarebbe
più
svegliato dal coma temporaneo, anche se i medici avevano detto che
stava bene"
"Non è la stessa cosa" sussurrò. "Ci sono due
persone, lì dentro"
"Lo so" Ziva si voltò verso di lui. "E so anche che il
dolore e
la paura sono così forti da offuscare il cervello e il
pensiero
razionale. Ma, più di tutto, c'è il senso di
colpa. La
dottoressa Stevens, tre anni fa, mi ha detto che si chiama senso di colpa del sopravvissuto.
Prof,
lei non è un sopravvissuto" gli strinse il braccio. "Non
ancora.
Non le permetta di farla affondare. C'è ancora speranza.
Perderla prima non aiuterà sua moglie. Anzi. Non
aiuterà
nemmeno lei: la renderà peggiore e la rosicherà
tanto che
alla fine non rimarrà nulla. Ci pensi. Torno dentro"
"Aspetta" la bloccò. Ziva si voltò verso di lui.
"Si?"
"Tu come hai fatto?"
La ragazza sorrise e abbassò lo sguardo. "Forse non ero del
tutto consumata. E' stata come un'operazione chirurgica, di
ricostruzione: la dottoressa Stevens ha dato gli strumenti a Tony... e
gli altri" aggiunse. "Che hanno effettuato l'intervento. Ero come nuova"
"Eri?"
Ziva si zittì. "Le cose cambiano"
"Professore!" McGee uscì trafelato dall'ospedale. "La
dottoressa
Stevens: sta bene" aprì le braccia e sorrise. "Tutti e due,
stanno bene"
Ziva si morse il labbro inferiore e sorrise: dopo poco
scoppiò in una risata fragorosa, a cui si unì
anche Gibbs.
Maia says:
Sono distrutta. Spossata. E mi viene da piangere T_T le conversazioni
tra Gibbs e Ziva mi portano sempre via un casino di energie!! D :
BENE! u.u COMUNQUE! u.u Giuro solennemente che non
permetterò
mai più a qualcuno di prendersi il mio angolino autrice D:
Quello del capitolo scorso è stato solo uno squallido
tentativo
di ricattarmi - andato a buon fine, ma
vabbèèè...
u.u
Che poi, VOI, lo trovate ANCHE SIMPATICO? D: Nononono, non andiamo
bene. Non è affatto simpatico, Paolo! D: E' un malvagio manipolatore
di giovani menti (secondo voi perchè sono
diventata una stronza? Si, la sua vicinanza).
E' un puttaniere di
prima categoria!!
Io davvero non so come facciano le ragazze ad andargli ancora dietro
(passi che è un figone della madonna, ma dopo un
pò...
insomma, le voci di corridoio non le sentono?!... però
adesso pare che abbia trovato IL GRANDE AMORE. Speriamo bene. Vi
terrò aggiornati... !) ed è dannatamente
petulante.
Oltre che malvagio.
Malvagissimo!
Però gli voglio bene :( Insomma... anche Hitler doveva avere
amici, no? Mi dico sempre: no, Amalia, questa volta non lo aiuterai,
perchè ingannare le ragazzine del secondo è
IMMORALE. E
invece lo faccio sempre. Toh!, occhi da cucciolo, ed è
fatta.
HFDSNKLCHLFDKHLGDKAWJH. Mondo crudele.
Alla fine, al suo compleanno, ci sono andata (insomma, nemmeno per una
volta ho pensato di saltarlo... :3) u.u Ho anche conosciuto la
nuova fiamma - si aprono scommesse, io dico che dura una settimana, ma
solo perchè secondo me gliela dà, altrimenti dura
meno...
comunque, il giorno successivo mi sono vista la puntata e ho pianto
come una deficiente T____________________________________T LE
BAMBINE... insomma... LE BAMBINE!
Vabbè, passiamo oltre T_T
Per quanto riguarda la mia storia sappiate che... (sedetevi, prima e
non fatevi prendere dal panico!) questo capitolo è il
cosidetto giro di
boa. ...
intesi? XD Traduco: Tiva-Incontro più vicino di quanto
possiate
pensare. E non perdete d'occhio i due casi u____U e... Michael? Vi
siete chiesti che fine farà?! XD ... Nel prossimo capitolo
ci
sarà una cosa molto molto divertente u.u hahahahahahaha
... eeeeeeee... diamo il benvenuto a Sam, Callen e Rick
:') Tesori!
Devo smetterla di fare angoli dell'autrice così lunghi :'(
State
diventando il mio diario segreto, VE NE RENDETE CONTO?! :O
Bè, ora ci credo sul serio: la scrittura è
terapeutica
:)) Soprattutto per una che ha sempre trovato scomodo avere un diario!
Questo capitolo
è dedicato a mamma e papà, appena tornati da
Madrid :D
[Baldracconi,
potevate portarmi più regalini :( ] E alla mia chicchissima
nonna, che mi ha ospitata.
See u soon, Team! :D
Semper Fi,
Amalia.
|
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Capitolo 14 *** It's time for me to go Home. ***
NCIS
- I'm
pregnant. McGee's going to be very proud.
Tony, 4x11
Tony
calciò distrattamente una pietra e la guardò
rotolare
fino ad un tombino, un paio di metri più avanti. Kate
l'aveva
lasciato davanti al suo condominio, ma non aveva granchè
voglia
di rientrare in casa: un pò perchè aveva paura di
trovare Kensi e Deeks
a fare qualcosa di poco appropriato sul suo divano, un pò
perchè la telefonata con Abby di poche ore prima non l'aveva
fatto sentire meglio. Affatto.
Tony conosceva Abby dall'alba dei tempi e sapeva (sentiva) che c'era
qualcosa che non andava. La breve gita con Beckett non l'aveva per
niente tranquillizzato: in testa aveva il pallino fisso di casa sua. La
verità era che voleva fortemente tornare a Washington, senza
aspettare che qualcuno lo andasse a trovare. Voleva tornare ed essere
avvolto per pochi secondi dalle persone che gli volevano bene.
Si sentiva abbandonato, come quando Ziva era andata via.
"Tony! Che ci fai qui fuori?" Deeks spalancò gli occhi e lo
guardò stranito.
"Oh, ehm... sono uscito con Kate e mi ha appena lasciato qui"
mugugnò, poi notò che era ben coperto. "Dove vai?"
"Kensi. Pizza" scandì. "Mi
accompagni?"
"Nah. Salgo. Prendila anche per me e per Sam" gli diede una spallata
amichevole. "Mangiate da noi?"
"Mh, si. Non mi va di rimanere solo con lei" rabbrividì "ha
le sue cose"
sussurrò. "Prima era tutto uno zucchero e cinque minuti fa
ha
tentato di uccidermi. E' frustrante!" alzò gli occhi al
cielo.
"Vabbè vado" lo salutò con la mano e
sparì oltre
l'angolo di strada. Tony fissò pensieroso il punto in cui
era
sparito Deeks.
"Buon..."
"Ti pare un buongiorno, DiNozzo!?" gli ringhiò contro Ziva,
sbattè l'anta dell'armadietto e gli diede le spalle, per
andare a lezione.
"Oh Gesù" Tony si passò una mano sulla fronte.
"Che ho
fatto? Zee!" accellerò il passo per seguirla. "Che ho
fatto?"
ripetè.
"Parli a sproposito! Ecco cosa!" gli puntò un dito al petto,
furiosa. "Stamattina sono arrivata a scuola senza ombrello e mi sono
bagnata tutta; poi ho dimenticato di fare i compiti di letteratura e la
professoressa mi ha preso di mira; mio padre mi ha appena scritto che
stasera dovrò sorbirmi una festa all'ambasciata e,
indovina?, non
ho nemmeno un vestito, i miei capelli fanno schifo e..." prese fiato.
"Ma che vuoi tu oggi?!" strillò.
Tony cominciò a sudare freddo e non disse altro. Ziva si
stancò di aspettare che dicesse qualcosa e, borbottando
parolacce in ebraico, proseguì verso la sua classe, con lo
sguardo
sorpreso di Tony puntato sulla schiena.
A circa metà percorso, Ziva si fermò, per poi
voltarsi
lentamente. "Oh" sospirò, triste. "Mi dispiace" corse verso
di
lui e lo abbracciò.
"Tranquilla" brontolò Tony, alzando gli occhi al cielo.
"No, no" piagnucolò la ragazza. "Non dovevo trattarti
così. Sono un mostro. Un vero mostro. Non è colpa
tua" si
alzò sulle punte e lo baciò. "Oh, Tony. Mi
dispiace, mi
dispiace, mi dispiace" appoggiò la fronte sul suo petto.
Ancora più stranito di prima, Tony le diede una pacca sulla
spalla. "Amore..." deglutì e Ziva alzò lo sguardo
su di
lui: "Hai le tue cose?"
Vide il viso della sua ragazza diventare rosso pomodoro: aspettava da
un momento altro di veder uscire del fumo dalle sue orecchie, ma non
accadde.
"Ovvio! Una non può essere di cattivo umore che subito
utilizzate la scusa del ciclo mestruale!" gli tirò una
gomitata
così forte che dovette piegarsi per il dolore. "Ahia!"
"Bene! Per cinque secondi hai capito cosa si prova!
Vaffanculo!"
"Faccio prima a lanciarmi da un ponte..."
digrignò i
denti tra sè e sè. Senza pensare, prese il
cellulare e
chiamò nell'appartamento universitario che Abby condivideva
con
un'altra ragazza. Dopo tre squilli, le rispose Jenna, la sua
coinquilina.
"Ehi, Jenna. Sono Tony... c'è Abby?... ah"
corrugò la
fronte. "Cosa? Scusami?" spalancò la bocca. "Hai detto
'ospedale'?"
Gibbs: Ehi,
Duck!, you win the pool
Ducky: Yes!
Thank you, Jethro
4x11
"Oh
mio dio!" Abby si piegò sulla sedia dal ridere. "E vi
ricordate
quando, all'interrogazione, Ziva cominciò a parlare in
ebraico?"
Gibbs, Ducky e McGee scoppiarono a ridere, mentre Ziva ebbe il buon
gusto di limitarsi ad arrossire: "Ero troppo presa" si difese. "Volevo
che andasse bene, stavo parlando a macchinetta..."
"Però poi hai dovuto ripetere tutto!" McGee le fece una
linguaccia. "E' stata l'interrogazione più lunga della
storia!"
"Che meritava una bella A +" la ragazza guardò Gibbs,
assottigliando gli occhi. "E qualcuno mi ha dato una A -!"
"Ziva! Parlavi in ebraico!" ridacchiò l'uomo.
"Però poi ho beccato la lingua giusta!" si grattò
il naso, imbarazzata. "Per quanto tempo me lo rinfaccerete?"
"Beh, direi che la tua figuraccia non è in nulla, se
pensiamo
all'esplosione di Tony nella mia classe" Ducky scosse la testa, mentre
tutti gli altri ridevano. "Sporcò tutte le pareti e gli
finì anche nei pantaloni... li dovette togliere" si
portò
una mano alla fronte.
"Bei tempi quelli del liceo" sospirò Abby, giocherellando
con la carta di una brioche.
"Sono cambiate un sacco di cose" distrattamente Gibbs guardò
alla porta d'ospedale: dietro c'erano sua moglie e sua figlia... che
era ancora nella pancia della mamma, fortunatamente. Ma che sentiva di
amare già: forse era quello che stava aspettando. Essere
pronto
ad amare incondizionatamente qualcun'altro, dopo Shannon. Di certo, non
immaginava di trovare, di fianco a sè, tutte quelle persone.
Era sempre stato abbastanza sfuggente, allontanare gli altri era una
specie di sport, per Leroy Jethro Gibbs. Ma qualcuno aveva imparato ad
apprezzarlo così com'era - ed era contento di non essere
solo,
in quelle circostanze.
"Scusate un momento"
biascicò Ziva, alzandosi di scatto. Gli altri annuirono, ma
non
le diedero molto peso: non avevano visto un uomo dalla carnagione
scura, alla fine del corridoio, che la guardava furioso.
Ziva era preparata alla sfuriata di Michael.
"In quale Universo parallelo, Ziva, tu hai pensato di
poter agire da sola, facendoti aiutare da alcuni civili, tra l'altro!"
"Stai strillando come una donnicciola" Ziva sbadigliò e si
appoggiò meglio al cuscino della sua stanza.
Michael spalancò gli occhi scuri e la guardò
sconvolto.
La ragazza pensò che era divertente, in fondo, fare la mela
marcia, per la prima volta in tutta la sua vita. C'era anche il fatto
che Michael si era visto togliere dalle mani l'operazione della sua
vita - da una appena entrata nel Mossad, per giunta. Lo
guardò
bene, mentre continuava a strillare: forse, quella volta, andare a
letto con lui non sarebbe servito.
"Come sta Whisky?" domandò candidamente.
"Stai scherzando, vero?! Tu hai combinato un macello senza precedenti e
mi chiedi del gatto?"
ringhiò e si appoggiò al letto. "Giuro, Ziva, che
stavolta ti faccio buttare fuori dai Servizi Segreti! Stai superando il
limite!"
Ziva alzò un sopracciglio: "Prego?" Michael si morse il
labbro
inferiore. "Vorrei ricordare a sua signoria, se mi permette, che sono
una David. Figlia di Eli David. Che ha quasi risolto il caso e che te
l'ha messo in quel posto. Che sta nel Mossad da appena qualche mese..."
sorrise lasciva e gli accarezzò il petto. "Se dici solo
mezza
parola, non solo mio padre sbatte fuori te dal Mossad...
ma verrai anche ridicolizzato"
Michael tacque e sembrò valutare bene le parole della sua
collega; era leggermente impallidito e si era allontanato dal suo
letto.
Capì subito di aver vinto quello scontro verbale, di nuovo.
Non
le piaceva usare la carta del papà Direttore, ma Michael la
stava spingendo verso il limite consentito - probabilmente, a fine
soggiorno negli States, gli avrebbe anche sparato.
"Come sta Whisky?" chiese nuovamente, cercando di moderare i toni. Un
pò si sentiva colpevole.
Michael le lanciò uno sguardo infastidito, mentre misurava
la stanza a passi veloci: "Piscia dappertutto"
Le si aprì un sorrisone sincero in viso: "Allora sta bene.
Pensavo l'avresti avvelenato..." mormorò. Non aveva niente
da
dire a Michael, se non una sequenza di parolacce molto colorite ma, in
fondo, lei ci aveva messo del suo. E poi a letto non era male. E suo
padre si era raccomandato di non farlo uscire fuori dai gangheri.
Fu lì che Ziva comprese e fece violenza su sè
stessa per ingoiare il rospo. Perchè doveva ingoiare
il rospo. Michael era un suo superiore e, se voleva tornare ricoperta
di gloria a Tel Aviv, aveva bisogno del suo appoggio. Aveva, poi,
risorse che a lei mancavano e che potevano aiutarla a lavorare meglio
sul caso che le era stato affidato.
Prima questa cosa si
risolve, prima me ne torno in Israele. Anche se non
aveva, oramai, più voglia di tornare da dove era venuta.
"Senti, scusa" sbuffò e aprì le braccia. "Mi
dispiace. E'
che mi è capitata questa occasione, ho trovato uno studente
che
c'entra qualcosa... e poi col proiettile che i medici mi hanno trovato
addosso, potremmo avere un riscontro... eddai..." buttò
fuori il
labbro inferiore.
Michael le lanciò un'occhiata di sfuggita e sorrise,
intenerito:
"E va bene. Stavolta, non ti faccio rapporto. Ma ti prego di non fare
più una cosa così" si sedette accanto a lei e le
accarezzò una guancia.
"Come mi hai trovata?" lo lasciò giocare con una sua ciocca
di capelli, anche se la faceva sentire terribilmente sporca.
"Tramite il tuo cellulare. Ho già chiamato al Mossad,
comunque,
stanno facendo sparire le tue tracce e... tuo padre ti vuole parlare"
Cazzo. "Sicuramente
non per dirmi che tempo fa a Tel Aviv" commentò amara.
Nel frattempo, Shannon Gibbs aveva aperto gli occhi, terrorizzata.
L'ultima cosa che ricordava era il volto mandido di sudore di suo
marito e poi il nulla. Buio. Sono una gran paura di perdere il suo
piccolo bambino. Alzò gli occhi sulla pancia: era ancora
gonfia.
Di fianco a lei, i macchinari indicavano due battiti regolari.
"Oh, mio dio" scoppiò in lacrime. "Grazie, grazie!"
mormorò tra sè e sè, accarezzandosi la
pancia. Lui
o lei era ancora dentro e stava bene. Anche lei stava bene. Gibbs stava
bene. Improvvisamente, il mondo divenne di nuovo fantastico, ai suoi
occhi.
"Va tutto bene!" un'infermiera entrò di corsa. "Si
è
svegliata, ottimo. Abbiamo dovuto operarla, ma adesso state bene. Tutte
e due" le sorrise e le strinse una mano. "E' una guerriera, sua figlia"
Figlia. Shannon
si portò l'altra mano alla bocca, per soffocare una risata
liberatoria. E'
femmina.
"Come si sente?"
"Confusa" disse, solamente. "Potrei vedere mio marito?"
continuò.
"Certo, è qui fuori. Non se ne sono andati nemmeno per
cinque
minuti" Shannon non fece caso al plurale e osservò
l'infermiera
uscire, probabilmente per chiamare Jethro. Tornò con la
testa
sul cuscino: era stanca, ma non riusciva a far scemare quel sorriso
stupido sulle sue labbra. Quando la porta si riaprì, non
nascose
la sua commozione.
"Stai bene" sospirò Gibbs, avvicinandosi al suo letto.
Shannon
aprì le braccia e si lasciò abbracciare. "Mi sono
spaventato"
"Anche io" singhiozzò. Jethro le asciugò le
lacrime col
palmo della mano e le diede un bacio tra i capelli. "Non
sopravviverò con due donne così forti in casa..."
scherzò.
"Ti hanno detto che è femmina?" rise.
"Esatto"
"Baciami, Jethro"
"Ai suoi ordini, madame"
- Why are you so grumpy?
Ziva to Tony,
9x22
Solo quando si
ritrovò fuori dall'aereoporto
di Washington, Tony capì che non era stata proprio una buona
idea prendere un aereo di sabato mattina, per tornare a casa: le auto
suonavano all'impazzata il clacson, imbottigliate insieme ai taxi nella
follia generale dell'autostrada; la gente correva dappertutto,
ballonzolando insieme a valigie di proporzioni cosmiche; senza contare
i turisti, indecise su cosa fare, dove andare e che lingua parlare. Si
grattò la testa e osservò il misero trolley che
aveva con
sè - tanto doveva restare solo per il weekend.
Ancora non capiva perchè McGee e Abby non rispondevano alle
sue
chiamate. Aveva un brutta sensazione, soprattutto da quando, il giorno
prima, Jenna gli aveva detto che la sua amica era in ospedale
("è stata ricoverata per una sciocchezza, tranquillo"), ma
nemmeno lei sembrava tanto sicura delle sue parole. Si sentiva puzza di
bruciato da un miglio.
Tonyyyyy! Mi manchi
già (sto
scherzando. Torna più tardi possibile. Intanto, la tua
collezione di DVD è sotto il mio controllo!)
Il tuo Deekie
"Merda!" pestò un piede a terra. Era stato un
grosso errore lasciare il
suo tesoro nelle
mani di quel microcefalo di Marty Deeks. Di sicuro, nè Sam
nè Kensi avrebbero difeso la sua roba, visto che era
scappato
senza dire niente a nessuno. E Kensi, per questo, gliel'avrebbe fatta
pagare cara. In ogni caso, aveva altro a cui pensare.
"Tony!" il ragazzo si voltò e sorrise, vedendo suo padre che
si sbracciava per attirare la sua attenzione. "Tony, corri!"
"Arrivo" non doveva lamentarsi, per una volta era arrivato in orario.
Abbracciò d'istinto suo padre, quando si trovò a
pochi
metri da lui - Anthony Senior borbottò qualcosa di non ben
definito e lo congedò con una pacca sulla spalla. "Che ti
danno
da mangiare, a Baltimora?"
"Non posso avere voglia di vedere il mio..." si fermò. "Hai
ragione, il cambio d'aria mi fa male" ghignò.
Senior lo guardò male e lo invitò a seguirlo
verso la sua
auto, in un parcheggio coperto. "Come mai sei venuto di tutta fretta?"
"Devo vedere urgentemente Abby. Tu lo sapevi che è stata
portata in ospedale?"
"Mio dio, no" corrugò la fronte. "Sta bene?"
Tony fece slalom tra un gruppo di turisti cinesi e una scolaresca: "Non
ne ho la più pallida idea. Ma penso di si, ci ho parlato
giusto
ieri, ma non mi ha detto nulla. Adesso poso le mie cose a casa e corro
in ospedale"
"Ti accompagno. Non sia mai che mio figlio prenda i mezzi pubblici"
Senza farsi vedere, Tony alzò gli occhi al cielo. "Kate?"
"Abbiamo litigato" gorgogliò suo padre. Si vergognava a
morte.
"Oh, beh. Non è una novità" ridacchiò
Tony.
Individuò subito la lussuosa auto di suo padre, al
parcheggio
coperto. Già che c'era, inviò un breve e stentato
sms a
Wendy, annunciando il suo breve ritorno a casa.
"Conosciuto qualcuno?" afferrò il suo trolley e lo
lanciò nel portabagagli, per poi salire in auto.
Tony allacciò la cintura: "Si, parecchie persone" sorrise.
"Simpatiche. Diciamo che sento sempre meno la mancanza di casa"
"Ci avrei giurato" Senior tirò su col naso.
"Papà!... non ti sarai mica offeso?"
Maia says:
[Chiuso per
lutto. Chi ha visto LA puntata, mi capirà T_T]
Semper Fi,
Amy.
|
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Capitolo 15 *** Unexpected ***
NCIS
Tony (to Tim): Let's
see who the boss likes better!
Gibbs: Ziva!
6x06
E' questo che provano le donne
incinte? si
domandò Ziva, seduta sulla punta del suo letto d'ospedale.
Aveva
una nausea terribile mentre guardava il cellulare satellitare, buttato
sul lenzuolo con poca grazia. Si scoprì
nervosa come quando Gibbs la chiamava all'interrogazione. Ma stavolta,
l'uomo da affrontare era Eli David. La ragazza sapeva di doversi
aspettare il peggio.
Aveva messo a repentaglio vita, copertura e missione. E solo per avere
la meglio su Michael. Effettivamente, non era un comportamento
granchè maturo. Il telefono, improvvisamente,
cominciò a
vibrare. Ziva lo prese lentamente e rispose.
"Shalom"
"Ziva! Stai bene?"
La ragazza si grattò la fronte. "Si!"
"Bene. Volevo solo
dirti..." lo sentì chiudere una porta. "Complimenti!"
"Eh?!" sbroccò improvvisamente, alzandosi perfino dal letto.
Raggiunse la finestra e, con uno strano sorriso euforico, prese a
guardare fuori.
"Volevo farti i
complimenti, agente. Hai individuato la cellula,
suppongo"
"Credo di si, papà. Anche se non ne sono molta sicura... il
computer che ho prelevato dalla stanza dello studente dovrebbe
arrivarmi
tra poco"
"Perfetto"
borbottò Eli. "Senti,
Ziva. Vorrei parlarti di una cosa un pò delicata. Puoi
parlare?"
Ziva non impiegò che qualche secondo per preoccuparsi.
Conosceva
bene i toni di voce di suo padre: non voleva dirle una cosa piacevole.
"Si, sono sola"
"Hai notato strani
comportamenti da parte di Michael?"
Ziva ammutolì, mentre Eli rimaneva composto dall'altra parte
della cornetta, in attesa che sua figlia pensasse. Effettivamente,
Michael non le era sembrato molto sveglio, alcune volte.
"Beh, ecco... no. Insomma, è un buon agente. Distratto,
forse...
ma sarà l'alcool. Beve parecchio, sai?" ridacchiò.
"Il punto è
proprio questo" sospirò e Ziva fece una smorfia
stupita. "Tienilo
d'occhio, va bene? Mi sono arrivate voci..."
"Che tipo di voci?"
"Niente di cui tu debba
preoccuparti" la rassicurò. "Pensa
solo al caso e cerca di evitare troppi disastri, la prossima volta.
Rivkin mi ha detto che la tua copertura all'ospedale mantiene"
"Si, ecco..." stava per confessare a suo padre di aver rivisto i suoi
vecchi amici, anche se le fosse costato il posto. Negli ultimi anni,
con suo padre aveva ripreso un rapporto degno di essere chiamato tale;
ricadere nelle brutte abitudini, mentirgli, avrebbe fatto del male ad
entrambi: era l'unico alleato che le rimaneva, in Israele.
"Lo so, Ziva"
quasi pensò che stesse sorridendo. "Meglio
che tu non me lo dica, eh? Faccio finta di non sapere nulla. Ad ogni
modo, sii prudente. Non potrò essere in contatto con voi per
un
pò"
"Missione per il Direttore?"
"Più o meno.
Shalom, Ziva"
"Shalom" la ragazza concluse la chiamata e rimase a guardare il
display. Forse era il suo sesto senso femminile, ma sentiva che c'era
qualcosa che suo padre non le aveva detto. Il problemino di Rivkin con
l'alcool non era una novità, nel Mossad. Di fatto era
mandato in missione
sempre con qualcuno più capace di lui; cosa c'era, stavolta,
di
diverso? Aveva un sospetto, che non voleva prendere corpo.
Distrattamente, vide una costosa auto fermarsi davanti all'ospedale.
Nel suo cervello scattò uno strano meccanismo: conosceva
quell'auto.
Aguzzò lo sguardo, dopo essersi ripresa dai suoi pensieri.
Dall'auto scese un ragazzo. E a Ziva venne di nuovo da vomitare.
Si allontanò come bruciata dalla finestra e, terrorizzata,
osservò la stanza in cui si trovava e il camice che aveva
addosso: doveva sparire.
In meno di cinque minuti, Ziva si era vestita e aveva raccolto le sue
cose. Nella borsa, la pistola pesava come un macigno. Inviò
un
breve messaggio a McGee, per avvertirlo della sua fuga rocambolesca e
di avvisare Abby che "era tutto ok". Sperò che avesse
già
recuperato il pc.
"Michael" digitò il suo numero, sperando che si trovasse
ancora
in zona per darle un passaggio fino a casa. Cellulare staccato.
"Cazzo!" gorgogliò. "Cazzo, cazzo, cazzo"
Le si presentò immediatamente un secondo problema: Abby
Sciuto
era stata ufficialmente colpita da una pallottola, due giorni prima.
Non
poteva semplicemente uscire dall'ospedale come se nulla fosse - doveva
firmare. Ma come?
Per evitare di perdere altro tempo, cominciò velocemente a
scendere le scale che la separavano dall'ufficio informazioni.
Pensa, Ziva,
pensa. Le rimaneva solo da sperare che le
infermiere fossero abbastanza distratte da non notarla.
Quasi inciampò, sui suoi piedi, quando arrivò in
sala
d'aspetto. Si avvicinò col fiatone ad una delle infermiere
di
turno (naturalmente corse da quella al telefono: di sicuro, l'ultimo
suo pensiero era controllare una ragazza perfettamente in forma).
"Salve, sono stata dimessa, devo firmare" disse velocemente, con un
sorriso rassicurante.
La donna, una cinquantenne dall'aria annoiata, biascicò
qualcosa e le porse un foglio. "Compili"
Con stizza, Ziva notò che era davvero lungo e lei non aveva tempo. Prese
a scrivere come una forsennata.
"Salve" qualcun'altro si era avvicinato e Ziva deglutì a
vuoto.
Le sembrò di non avere più un briciolo di saliva.
"Abby
Sciuto è stata ricoverata qui, è una mia amica.
Potrebbe
dirmi la stanza?"
Ziva si sentì morire, ma riuscì comunque a
coprirsi il viso con i capelli, continuando a scrivere senza sosta.
La stessa infermiera, sempre al telefono, guardò il ragazzo
appena giusto con un ghigno d'apprezzamento. "Ma certo caro, lasciami
controllare" lui annuì e le sorrise.
Ziva firmò velocemente col nome di Abby Sciuto e lo
lasciò sul bancone. "Arrivederci" disse alla donna, correndo
di
volata verso l'uscita.
La donna prese il foglio, per custodirlo gelosamente negli archivi. Poi
notò il nome e aggrottò le sopracciglia.
"Scusami, ci sentiamo dopo" concluse la chiamata, accigliata. "Senti,
chi hai detto che cercavi?"
Tony DiNozzo poggiò i gomiti sul bancone. "Abby Sciuto"
"Io... se ne è appena andata" lo guardò
incuriosita.
"Cosa?" Tony ridacchiò nervosamente.
"Era la ragazza che stava qui cinque secondi fa" indicò la
postazione lasciata vuota da Ziva.
"Quella non..." Tony si voltò verso l'uscita: non c'era
più. "Non era Abby"
- Could you give McGee
my hug, today, because he really needs one.
Abby to Gibbs, 7x19
Abby era felice.
Abby era molto felice,
dopo tanto tempo. Ziva era tornata, la dottoressa stava bene, il suo
bambino stava bene, il professor Gibbs era sempre lo stesso
e... Ziva era
tornata: lei
era curiosa di natura, ma non aveva fatto pressioni sulla sua amica,
per scoprire la verità. Aveva terribilmente paura che
potesse
scappare di nuovo e, anche quella volta, non avrebbe potuto fermarla.
Saltellò felice verso la stanza di Ziva, pronta a dirle di
quanto Shannon e Gibbs fossero teneri.
Peccato che non ci fosse.
"Ma cosa...?" il letto era sfatto, ma di Ziva nessuna traccia.
Tuttavia, c'era qualcuno, nella stanza.
"Abby!"
"T... Tony!" la ragazza deglutì a fatica, mentre l'amico
correva
ad abbracciarla, felice che stesse bene. "Che ci fai qui?" lo
staccò da sè.
"Sono venuto per il weekend e la tua compagna di stanza mi ha detto che
eri qui! Fortuna che mi ha dato l'indirizzo dell'ospedale" scosse la
testa e la guardò con rimprovero: "Perchè non mi
hai
detto che stavi male?"
"Perchè, già" tossicchiò la ragazza.
"Perchè era una cosa da niente!"
"E cioè?" Tony incrociò le braccia al petto.
"Cioè..." Abby fece una faccia fintamente stupita. "Beh...
sai come... sono certe... cistite!"
sorrise.
"Cistite?" Tony alzò un sopracciglio.
"Già. Cistite" restarono per qualche secondo a guardarsi,
nel mentre l'altro cercava di capire se gli stesse mentendo.
"Oh, ti ho trovata!, ho ricevuto un mess... Tony!" urlò
McGee,
sulla soglia della porta. Tony DiNozzo Jr zittì quella voce
nella sua testa che gli sottolineava, con insistenza, il fatto che
nessuno sembrava davvero felice di vederlo, quindi diede una pacca
sulla spalla all'amico.
"Ehi, McSfigato! Ti sono mancato?" si aprì in un sorriso
smagliante.
"Si, si... ma che ci fai qui?" gli sembrò che stesse anche
sudando, in effetti. Scambiava strane occhiate con Abby.
"Per il weekend" ripetè, come se fosse ovvio: cominciava a
provare un certo fastidio per la loro poco calorosa accoglienza.
"Perchè non mi hai detto che Abby era stata ricoverata per
la
cistite?"
"La... cistite" sussurrò tra sè e sè,
guardando la
sua ragazza. "La cistite, si!" si battè una mano sulla
fronte.
"Ecco, in verità non volevamo farti preoccupare" Abby
annuì e si attaccò al braccio del suo ragazzo,
riprendendo il discorso: "Eri all'accademia, sarebbe stato stupido
farti tornare per una cosa del genere, saresti sicuramete andato in
paranoia!"
"Già" asserì McGee e lo spinse verso la porta.
"Ma adesso
che sei qui, dobbiamo proprio andarci a fare una birretta, amico!"
Abby si affrettò a chiudere la porta, con un groppo pesante
alla gola.
McGee aveva volutamente evitato il reparto maternità, per
evitare di incontrare i loro vecchi professori, che avrebbero potuto
chiedere di Ziva, perciò aveva costretto Tony a fare
l'intero
giro dell'ospedale, senza che questi se ne rendesse conto. Abby
camminava a pochi metri da loro, corrucciata perchè Ziva non
le
aveva detto che sarebbe andata via. Ma il messaggio a McGee parlava
chiaro: non poteva farsi vedere da Tony.
Abby aveva decisamente qualcosa da ridire, visto che oramai era stata
scoperta.
"Devo andare al bagno, McGee" lo informò stizzito Tony,
liberandosi della sua presa. "Posso, o vuoi anche portarmi in
Geriatria?"
"Scusa, vai..." Tony lo guardò di traverso, per poi entrare
in
un bagno laterale. Abby e McGee rimasero a guardarsi in corridoio.
"Non possiamo fare così" mormorò Abby.
"Lo so. Ma lei non vuole che sappia, cosa vuoi che faccia?"
sbuffò. "Se parlo, perdo lei. Se non parlo, forse non
perderò nessuno dei due"
"Oramai tutti sanno che è tornata" s'impuntò la
ragazza. "Perfino Gibbs! Solo che non sappiamo il perchè"
"Hai centrato il bersaglio" si passò una mano sul viso.
"Dobbiamo dirglielo" biascicò Abby, accarezzandogli una
guancia. "Lei non ha sempre ragio..."
"Fatto" Tony chiuse la porta con un calcio leggero e sorrise ad
entrambi: "Allora: festeggiamo?"
"Certo" McGee si sforzò di rispondere al sorriso. "Andiamo,
DiNozzo"
- Our work is sometimes dangerous, Abby
Ziva, 6x12
"Oh,
Whisky!" squittì Ziva, rientrata nel suo appartamento. Il
gattino saltellò fino alla ragazza e cominciò a
farle le
fusa. "Ma lo sai che mi sei mancato in questi giorni? E guarda quanto
sei cresciuto!" lo afferrò con una mano sola e se lo
portò davanti al viso. Con un colpo di lingua, Whisky le
leccò il naso. Lla ragazza lo strinse al petto. "Scommetto
che Michael ti ha messo a dieta"
Camminò fino in cucina e vide che la ciotola di Whisky era
piena. Strano.
"Non mangiavi perchè non c'ero io?" gli grattò
l'orecchio. "Masochismo puro. Vai e ingurgita!" lo posò
accanto
al cibo, su cui si fiondò all'istante. Ziva lo
guardò
soddisfatta per qualche secondo, per poi accorgersi di essere sola.
Michael non c'era, eppure non aveva lezioni all'Università.
Si sedette sul divano, mugugnando di dolore per i punti.
McGee, mi serve il
computer. Ce l'hai? scrisse velocemente all'amico.
Aspettò paziente la risposta.
Si, è nella
mia macchina. Ma in
questo momento non credo di poterlo portare - siamo con Tony, voleva
festeggiare il suo ritorno. Abby dice che dovresti farti vedere.
Ziva strinse il cellulare tra le mani: scrivere pessima idea era
semplicemente riduttivo; Tony DiNozzo non faceva più parte
della
sua vita, non doveva farne parte, nè le faceva piacere
vederlo.
Bugiarda. L'aveva riconosciuto subito, all'ufficio
informazioni:
stessi occhi, stesso naso all'insù, stessi capelli castani,
stesso comportamento da gentiluomo d'altri tempi - stesso cascamorto,
insomma. Certo, quei muscoli che spuntavano dalla giacca
non se li ricordava. Probabilmente era l'effetto
dell'Accademia.
Puntellandosi il cellulare sulle labbra, si chiese se stava ancora con
Wendy.
Neanche morta. Per me non
esiste. Lo sai. Voglio il computer!, quando vi liberate di lui?
Il gattino si avvicinò a lei lentamente,
saltò
sul divano e le si accocolò in grembo. Ziva sorrise e gli
accarezzò il pelo fulvo.
Non lo so! Questa storia
mi sta
uccidendo! ... facciamo così... stasera, quando lui
sarà
beato sotto le coperte, passa da casa e ti do il computer. Non te lo
posso portare io, Tony mi seguirebbe o si accorgerebbe subito della mia
assenza.
Era rischioso. Ziva lo sapeva. L'aveva sempre saputo, in
fondo,
quando aveva accettato la missione a Washington. Si era detta che
faceva parte del gioco, che comunque non lo poteva evitare, che sarebbe
ricapitato - una volta o due, di incontrare qualcuno che aveva fatto
parte della sua vita. O meglio, della sua vita felice e costruita sul
nulla. In fondo, Tony DiNozzo era stato solo il suo
ragazzo.
Solo una pietra lungo la strada. Solo una foglia su un albero.
Tony DiNozzo non era assolutamente niente.
Va bene. Busso tre volte.
- Who really likes
weddings, anyway?
Tony, 9x24
Tony guardò l'orologio: erano le otto e mezza
di sera. Il
suo appartamento era rimasto esattamente lo stesso, eccetto per alcuni
reggiseni di Abby sparsi in giro (decisamente erano di Abby: i teschi
rosa erano proprio il suo genere). Anzi, forse molto più
pulito
e ordinato di come l'aveva lasciato. Sorrise, pensando a McGee,
versione massaia, che rassettava la casa. Sorrise ancora di
più,
nel ricordarsi della casa da barboni che aveva lasciato a Baltimora,
con
Sam, Deeks e Kensi ubriachi sul terrazzo.
Sei fortunato, DiNozzo.
"Cosa vuoi mangiare?" trillò McGee, aprendo il frigorifero.
"Ho di tutto... ma fammi indovinare: pizza surgelata?"
Tony annuì, tolse le scarpe e si gettò sul
divano,
così da poter vedere McGee girovagare per la cucina. "Sei
nervoso?" osservò.
"No, no. E' che sono felice che tu sia tornato!"
"Fra poco dovrebbe venire Wendy" lo informò.
"Ok..." sospirò McGee, gettando in forno due pizze. "State
ancora insieme?"
"Non lo so, per questo le ho detto di venire" si massaggiò
le
tempie. "Ero ancora sotto l'effetto del Bloody Mary, quando l'ho
chiamata" ridacchiò e McGee con lui. Usciti dall'ospedale,
infatti, erano stati trascinati da Abby in un locale new age,
frequentato da goth, vampiri moderni e finti buddhisti, che bevevano
dalle tre di pomeriggio. Scolarsi tutti quei Martini non era stata una
grande idea.
Ma i suoi amici continuavano a
versare e versare; di certo, c'era qualcosa che loro volevano
dimenticare.
"Non ho una terza pizza per lei" si preoccupò McGee.
"Tranquillo. Non starà molto" non finì neanche la
frase,
che qualcuno bussò alla porta. Vide McGee irrigidirsi, per
poi
rilassarsi qualche secondo dopo. "E' lei. Vado io" Tony
ciabattò
fino alla porta d'ingresso.
"Tony!"
"Wendy" Si guardarono, sulla soglia della porta, con un sorriso leggero
ad increspare le labbra di entrambi. "Entra.."
"No, io..." balbettò la ragazza. "Devo andare.
C'è qualcuno che mi aspetta di sotto"
"Ovviamente" Tony si appoggiò con la spalla allo stipite
della porta. "Volevi solo darmi il Bentornato,
quindi?"
Wendy inclinò la testa e gli fece l'occhiolino. "Si, ma non
così. Nella mia testa era tutto molto più...
infuocato"
scoppiarono a ridere entrambi.
"Come te la cavi a Baltimora?"
"Bene. E tu, qui?"
"Bene. Quindi..." si alzò sulle punte più volte,
indecisa. "Magari ti chiamo domani. Se rimani qualche giorno
potremmo..."
"Si, potremmo" Tony si avvicinò e la baciò. Wendy
sorrise
e lo lasciò fare, attirandolo a sè per la
camicia.
"Hai sempre una porta aperta, dalle mie parti, DiNozzo" gli
mormorò all'orecchio. "Buona fortuna"
"Anche a te" le fece una carezza tra i capelli, che le
provocò
un sorriso involontario. Tony la vide scendere le scale senza
rimpianti, nè rammarico: in fondo, sapeva che con lei era
finita, ancor prima di cominciare quella storia. Ma il sesso era bello,
così aveva sorvolato.
Di certo avrebbe preso alla lettera il suo invito ad andarla a trovare
- adorava i doppi sensi
di quella donna.
"Pronte queste pizze?" tornò in cucina,
scaldandosi le mani.
"Quasi - com'è andata?" McGee gli rivolse un vago cenno del
capo.
"Bene" ed era sincero. "Credo di avere una nuova amica" fece una
smorfia. "O scopamica. In ogni caso, ho fame!" gli diede una spallata,
per osservare le pizze in forno. "C'è modo di accellelare la
cosa?"
"Sempre il solito" McGee alzò gli occhi al cielo. "No!"
"Piuttosto, come va il vostro progetto da Nerd?" si appoggiò
al lavello con entrambe le mani.
McGee finse di trovare interessante una crepa sul muro - in
realtà, il suo pc era spento da quasi una settimana. Era
Abby
che si occupava di tutto, da quando Ziva era tornata, e lui non aveva
più messo mano al progetto. La nuova arrivata gli aveva
davvero
stravolto l'esistenza.
Di nuovo.
"E'... sì, sta andando avanti" mentì. "E
l'Accademia? Ci hai raccontato poco"
"Stupendo!" si entusiasmò subito. "Ho conosciuto un sacco di
bella gente" giocherellò con una mela. "Sai chi devo
presentarti? Sam! E' una specie di artista che si fa le canne, ma
è simpatico! E anche l'altro Sam -si, un armadio di colore,
ma
non ti ucciderebbe. Credo. Poi ci sono Kensi e Deeks" alzò
gli
occhi al cielo. "quei due ti farebbero rimpiangere di avermi
sbattuto fuori. Per Kate, invece, potresti prenderti una cotta, quindi
non te la presento, se no chi la sente Abby! Anche Callen è
simpatico, se riesci a capire cosa intende quando parla..." si
fermò di botto, osservando l'espressione divertita di McGee.
"Che c'è?"
"Si vede che sei felice. Non ti vedevo così da..." si
bloccò. "Da tanto"
Tony annuì tra sè e sè, malinconico.
"Già. Hai ragione"
Timothy McGee restò seduto per un'ora sul suo divano. Erano
le
due. Tony era andato a dormire quasi un'ora prima e lui aveva chiamato
Ziva. Gli sudavano le mani e il computer, accanto a lui sul divano,
sembrava quasi scottare, o urlare.
Deglutiva a fatica e, insistentemente, guardava la porta della camera
da letto di Tony. Era abbastanza sicuro di aver fatto passare parecchio
tempo, non c'era pericolo che si svegliasse. Era, tuttavia, il senso di
colpa che lo consumava dentro, il suo problema. Perchè stava
mentendo. Stava disgustosamente mentendo al suo migliore amico,
sull'unico amore della sua vita. Sulla sua migliore amica. Su Ziva
David.
Solo in quel momento si rese conto della gravità della cosa.
Furono tre colpi alla porta a distrarlo dai suoi pensieri, che
soffocò in un angolo della sua testa. Afferrò il
computer
e corse alla porta.
Ziva David era un pò pallida, ma sembrava stare bene, da
quando l'aveva lasciata in ospedale. "Eccolo qui" glielo diede.
"Hai avuto problemi?" sussurrò.
"Nemmeno uno. Nessuno pare essersi accorto del sangue sull'asfalto e il
pc era ancora lì. Vorrei esaminarlo, se per te non... Ziva?"
La ragazza si era congelata sul posto, guardando un punto poco oltre la
spalla di McGee.
Timothy McGee era stato per un'ora sul suo divano, per evitare che
quello accadesse.
"Tony..."
"Sta zitto, McGee"
Maia says:
Ehi,
team! :)
Piaciuto
il capitolo? A me
non tanto D: hahahahaha comunque!, è già un
miracolo che
ci sia e che sia riuscita a scriverlo in determinati tempi: no, non
sono TROPPO catastrofica, è che esco da una settimana a
limite
del suicidio.
Prima di tutto, ho
affrontato
tipo... quattro interrogazioni (tutte andate bene), così ho
avuto solo 4 giorni di pace, me ne mancano solo due per chiudere ANCHE
quest'anno e ciò vuol dire VACANZE. Certo, sto sputando
sangue,
sono stanchissima e quasi mi sveglio con la voglia di piangere o
prendere a sprangate professori, compagni di classe e vicini di
pianerottolo ._.
Poi voglio chiedervi:
state tutti
bene? D: Ho sentito del terremoto, perciò... state tutti
bene...
VERO? :/ Si, mi piace pensare che sia così. Della maggior
parte
di voi non conosco praticamente niente, eppure siete diventati il mio
diario segreto D: Sono stata con l'ansia per la mia amica per ore,
finchè non ho letto che stava bene - si era solo svegliata
troppo presto. No, non va bene: anche questo evento ha contribuito a
questa pessima settimana.
Senza contare Paolo.
Avete presente? Ma sì. E avete presente la sua nuova
ragazza? Ma
sì. Beh, si sono mollati e UDITEUDITE, lei ha mollato lui.
Cioè. Non so se mi spiego. Prima di tutto, ho vinto la
scommessa, xD, non sono durati. Ma lungi da me pensare che lei avrebbe
lasciato lui... ora, non perchè mio amico, ma Paolo
è
davvero, davvero, davvero... fantastico. Quindi, mi è
toccato,
in qualità di migliore amica, prendere a mani nude tutto il
suo
dolore, cercare di portarmelo un pò sulle spalle
(sì, si
era davvero affezionato a lei)... che poi è faticoso
abbracciare
e dare i bacetti a qualcuno tutto il giorno! Anche inventarsi battute
pessime per farlo ridere.
E siamo a tre, con Paolo. Poi un IDIOTA (per evitare di usare altre
parole) ha ben deciso di mettere una bomba davanti ad una scuola, a
cavallo dei vent'anni della strage di Capaci. Ora, direte voi: brutta
storia, sì, ma come ha fatto a peggiorarti la settimana?
Lì per lì, dico la verità, non
è che ci
avessi fatto troppo caso. Ma quando sono tornata a casa da scuola, mi
è piombato tutto addosso moltomolto violentemente.
Mia madre è una di quelle tipe che parla tanto (esattamente
come
me) perciò, vederla ammutolita davanti alla tv e col volto
grave, per un clown come lei, è... strano. Beh, mia madre
stava
muta perchè lei è una mamma, un'insegnante e una
guerriera.
Perchè è stata lei a mettere in piedi, alla sua
scuola,
un progetto "Noi Siamo la Legalità", tirandosi addosso un
sacco
d'odio da molta gente. Perchè è sempre lei che
conosce
l'oramai famoso Don Luigi Ciotti, che ha fatto volare nella sua zona
per una manifestazione contro la camorra. Ed è sempre lei
che,
con il suo amico giornalista, fa uscire degli articoli che attirano il
favore popolare, ma non di certo quello dell'amministrazione. E sono
sempre io che, entusiasta, l'aiuto - perchè abbiamo gli
stessi
valori e perchè sono tanto fiera di lei.
Ecco, davanti alla tv, mi sono improvvisamente resa conto di quanto
rischia mia madre, tutti i giorni. Di quanto rischio io, aiutandola.
Me ne sono vergognata, dopo, ma negli occhi di mia madre vedevo gli
stessi pensieri:
"Perchè lo
facciamo?"
"A cosa serve, se questi
sono i risultati?"
"Adesso non posso stare
tranquilla nemmeno se vai a scuola. Potevi essere tu"
Però c'è una cosa che mi ha fatta commuovere,
anche se
non ho detto niente. Mia madre si è alzata e ha preso a
cucinare. Senza guardarmi, mi ha detto: "E' per evitare questo, che lo
facciamo. Non dubitarne mai"
Mi ha fatta piangere, lei ha fatto finta di non vedere, forse
perchè s'era commossa pure lei.
QUESTO ha DECISAMENTE peggiorato la mia settimana.
Ma... insomma... a parte tutto... Avete notato che nel prossimo
capitolo... ù_ù... beh, dai... AVETE CAPITO!
:D
Tanti
tanti tanti bacetti,
Amy.
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Capitolo 16 *** Supernova (Part 1) ***
NCIS
Questo capitolo lo
dedico alla mia mamma che,
a 45 anni
(lo so che non si dice maaa...) ha deciso
di tornare
all'Università per prendere una seconda laurea.
Pazza? Forse!
Tony: What if I said
it was?
Ziva: Now,
you'll never know
4x08
Se
in quel momento avessero chiesto a Timothy McGee se voleva morire, lui
avrebbe sicuramente risposto di si. Perchè Timothy era un
ragazzo intelligente e sapeva che un terremoto di livello 10, scala
Richter, era una catastrofe. Che uno tzumani forza dieci, era una
catastrofe. Che una terza guerra mondiale, era una catastrofe. E sapeva
anche che far incontrare Tony DiNozzo e Ziva David, dopo tre anni, alle
due di notte, non era una catastrofe: era molto, molto di
più di una semplice catastrofe. Era una
supernova, pensò. Si, una supernova.
Quella sera poteva nascere una nuova stella. Oppure, McGee avrebbe
dovuto fare 'ciaociao' ad un bel buco nero.
Conscio dei suoi pensieri totalmente fuoriluogo e degni del McGee
liceale, si appiattì contro la parete dell'ingresso, per
evitare
di finire in mezzo alla supernova del secolo - voleva bene ad entrambi,
ma lungi da lui rischiare la vita.
Tony sembrava stranamente calmo. Guardava Ziva in quel suo modo
particolare, con gli occhi strizzati, ma non arrabbiati, come se non
stesse davvero capendo la situazione (pardon, la supernova).
Si leccava le labbra, impensierito, quasi ansioso di parlare, ma senza
avere parole per esprimersi. D'altro canto, l'espressione dura e
profondamente ferita di Ziva non aiutava.
McGee si domandò se lo stesse maledicendo in ebraico,
perchè forse pensava ad una squallida trappola, orchestrata
per
farglielo vedere.
Ancora non ho raggiunto
tali livelli di stupità e masochismo si
rispose da solo il ragazzo, ancora premuto verso la parete
dell'ingresso.
Per alcuni minuti nessuno parlò e, ingenuamente, McGee
pensò che forse
la cosa si sarebbe risolta senza spargimenti di sangue.
"McGee" Tony si era voltato verso di lui quasi a rallentatore e il
ragazzo cominciò a sudare freddo.
"Tony, ascolta..."
"No" alzò una mano, per zittirlo, sempre con la fronte
corrucciata, ma tranquillo. "Fa parlare me, per favore. Ho una domanda
da farti" prese una leggera pausa. "Tu e Abby pensate che io sia
stupido?"
Un pugno in faccia gli avrebbe fatto meno male. "No, Tony"
"Bene. E allora come avete fatto a credere che mi bevessi la storia
della cistite? Oltretutto se Abby si presenta in ospedale perfettamente
vestita e truccata, senza camice, nè un minimo segno di
essere
stata in ospedale. No, dimmelo, ti prego"
Ziva, con un gesto impercettibile, si sfiorò lo stomaco e la
fasciatura che premeva sulla sua pelle.
"Tony" McGee prese un respiro esageramente profondo.
"Non ho finito" mormorò, corrucciandosi maggiormente e
facendo,
in risposta, far spaventare maggiormente McGee. La supernova era
lì davanti a lui e stava per esplodere. "Come avete fatto a
non
pensare - voi, proprio voi!, che potesse risultarmi strano che Abby
uscisse dall'ospedale così, senza firmare niente? E come
avete
fatto a non pensare che dovessi davvero andare in bagno. Ho sentito
tutto" aggiunse. "Certo, non ci avevo capito molto. Ma sai, McGee...
non sei mai riuscito a nascondermi niente" quasi lo disse con dolcezza,
che tuttavia McGee non colse, troppo occupato a sentirsi uno schifo,
per aver tradito l'unico amico vero che gli era rimasto.
"Non doveva andare così" mormorò McGee, mentre si
staccava finalmente dalla parete, in un moto coraggioso insolito per
lui. "Non volevamo. E' che... tu sei tornato all'improvviso e la
situazione si è..."
"Posso chiederti un favore?" gli domandò, mentre McGee
annuiva.
Non guardava mai verso la ragazza, ancora sulla soglia della porta.
"Tutto quello che vuoi"
"Sparisci, prima che ti tiri un pugno" provò a sorridere,
senza successo.
"D'accordo" annuì e salutò Ziva con un cenno del
capo,
che lei parve non cogliere. A differenza di Tony, lei lo guardava,
senza ombra di sentimento nello sguardo - oh si, la supernova stava per
travolgere tutto.
-
We will never see her again.
Gibbs, 6x25
Sei uno stupido coglione, Tony
DiNozzo Jr disse
tra sè e sè il ragazzo, senza fare un minimo
passo verso
di lei, nè indietreggiare. No, semplicemente se ne stava
fermo
nella posizione iniziale, mentre sentiva la porta della camera di McGee
chiudersi. Magari si era chiuso dentro a chiave. Di sicuro, sarebbe
stata una buona idea. Sei
uno stupido, stupidissimo coglione, Tony DiNozzo Jr.
Aveva sognato e immaginato quella scena tante di quelle
volte,
nella sua testa, da aver perso oramai il conto. Sognava di andarla a
riprendere a Tel Aviv, strapparla dal Mossad, arrivando magari su una
Ferrari rossa fiammante; non prima, però, di averle chiesto
scusa in centinaia di modi diversi, in centinaia di lingue diverse, con
milioni di toni diversi di voce. L'aveva sperato così
tanto da svuotarsi, da creare un buco nero - come una supernova -
ai suoi piedi, che aveva cominciato a succhiare la sua linfa vitale, i
suoi sogni, i suoi desideri; l'aveva sperato così tanto da
ridursi ad una briciola, ad una particella di carne e ossa che abitava
la Terra, ma senza una reale connotazione; l'aveva sperato
così
tanto da crederci per davvero, giustamente, e la delusione era stata
così forte da dargli la stoccata finale. Da ucciderlo.
"Hai tagliato i capelli" mormorò, sempre con gli stessi
occhi
stretti tra loro e le labbra a penzoloni. Non era la prima cosa che le
avrebbe voluto dire, in effetti - siccome aveva tanti di quegli insulti
sulla punta della lingua, da poter andare avanti per anni, ma era stata
la prima cosa che gli era venuta in mente - siccome, con quel nuovo
taglio, era molto più bella di quanto ricordava.
Ziva continuava a non parlare. Era una bella statuina del presepe, un
albero al parco, una semaforo spento. Niente di niente. Per un attimo,
un secondo, solo per un secondo, Tony aveva pensato di non essere
l'unico ad essere stato svuotato, in quei tre anni. Ma poi lei
aprì bocca.
"Già. Ultima moda, mi hanno detto" strinse al petto il
computer portatile che McGee le aveva dato.
Lo spiazzò. Effettivamente per lui sarebbe stato tutto molto
più facile, se avesse cominciato ad urlargli contro.
"Non me ne intendo di queste cose. Dovresti saperlo" aggiunse in ultima
battuta, con il solo scopo di farla irritare. Perchè la
vedeva, la supernova,
che premeva e ribolliva per poter scoppiare, finalmente. La vedeva
negli occhi scuri e funerei di Ziva, che sembrava non essere
minimamente toccata dal fatto che Tony DiNozzo fosse in pigiama davanti
a lei.
"Nemmeno io. Dovresti saperlo" gli rispose. Stavolta, un tremolio alla
mano la tradì.
Dai, Ziva. Fallo:
sputami addosso, picchiami, sparami. Sono tre anni che aspetti di
farlo.
"Come mai qui... Zee?"
Tony
studiò le parole accuratamente, ma si accorse troppo tardi
di
aver sbagliato. E alla grande. Vide Ziva che, con una calma
invidiabile, posava il computer sulla moquette del suo appartamento. Si
risollevò, mentre Tony registrava lo strano colorito della
sua
camicetta.
"Non chiamarmi in quel modo" sillabò, facendo un passo in
avanti. "Non ti azzardare"
Tony non potè fare a meno di sorridere - "Finalmente.
Finalmente, dopo tre anni, Ziva David tira fuori le palle e, invece, di
scappare, affronta la vita a muso duro. Non ti senti meglio, Ziva? Per
una volta in vita tua, non stai facendo la codarda" lo schiaffo
arrivò in pochi secondi.
"Come osi dire
a me che scappo, eh?"
Il piacere arrivò perverso, nel sentire la sua voce tremare.
Tony si massaggiò la guancia, per niente colpito da quel
gesto
infantile, e si voltò a guardarla. Guardarla per davvero.
Nemmeno lui sapeva cosa fare, che pesci prendere, con lei. Aveva solo
una gran voglia di baciarla, ma il pensiero lo faceva vomitare -
però il desiderio rimaneva. Era come spaccato in due, diviso
tra
ciò che era ovvio
e ciò che voleva.
"Si, lo dico a te. Pur sforzandoti, non sei mai riuscita a
restare da nessuna parte. Scappare è la tua
specialità"
"Non sono io che mi sono scopata la troietta di turno" senza volerlo,
aveva alzato il tono di voce.
"Non sono io che ho gettato la spugna. Due volte" le ringhiò
contro. "L'hai fatto con me, quando tuo fratello ti è venuto
a
prendere. L'hai fatto con tuo padre, quando ti rifiutavi di ascoltarlo
sulla storia di Ari. L'hai fatto con te stessa, quando hai deciso che
combattere per restare in America era troppo doloroso anche solo
provarci"
"Tu mi hai tradita!" urlò. "Tu mi hai fatta scappare! Ero una bambina, porca troia! Avevo
bisogno di sapere che se avessi deciso di rimanere, ci sarebbe stato
qualcuno a combattere con me! Qualcuno per cui la mia
felicità
era più importante di qualsiasi confine nazionale! Tu,
sempre
tu, hai preso tutto ciò che avevo costruito e l'hai gettato
via,
come se fosse carta straccia. Non lo era! Era la mia vita!"
Restarono in silenzio, tutti e due. Respiravano velocemente, senza
fiato, a pochi centimetri l'uno dall'altra, i corpi protesi, vicini.
Come se, in fondo, le cose non fossero mai davvero cambiate. Mai, come
in quel momento, Ziva sentì che era tutto come doveva essere.
Odiava Tony, per quello che le aveva fatto.
Odiava essere tornata a Washington.
Odiava suo padre, per averla fatta tornare.
Odiava McGee, per averla messa in quella situazione.
Ma, più di tutti, Ziva odiava sè stessa,
perchè ci
stava ancora male. E più di tutto, Ziva odiava il fatto che,
litigare con Tony, fosse la cosa più naturale e piacevole
del
mondo.
"Ma che diavolo...?" balbettò improvvisamente Tony,
distraendola
dai suoi pensieri. "Ziva" la voce gli tremò. La ragazza non
capì subito: seguì il suo sguardo, che puntava in
basso,
sul suo petto. Lì, all'altezza dello stomaco, si stava
espandendo una grossa e rossa macchia di sangue.
Si toccò la camicetta e vide i polpastrelli macchiati di
rosso.
"I punti" biascicò. Non doveva uscire così presto
dall'ospedale e lo sapeva. Aveva anche dimenticato di prendere le
medicine.
"McGee!" urlò Tony, mentre la afferrava per un braccio. Fu
come
se tutto perdesse di significato; lui
la stava toccando. Aveva
distrutto quell'ultima membrava antidolorifica che ricopriva entrambi.
E Ziva non potè evitare di guardarlo con tutto il disprezzo
del
mondo.
Stava rovinando ogni cosa. Di nuovo. Lei scappava, forse era vero. Ma
lui distruggeva.
McGee, evidentemente, era incollato alla porta, perchè
arrivò subito da loro. "Cosa c... Ziva!" spalancò
la
bocca, afferrandola per l'altro braccio.
"Sto bene!" cercò di divincolarsi.
"Mettiamola sul divano" disse Tony all'amico, ignorandola
completamente. In
fondo, non era cambiato granchè, in tre anni.
"Si saranno tolti i punti" biascicò McGee,
senza sapere
cosa fare. "Devi andare al Pronto Soccorso" le diceva, mentre Tony si
allontanava di qualche passo, lo sguardo puntato sulle dita macchiate
di sangue.
"Non se ne parla nemmeno, McGee. Scordatelo. Devo portare via quel
computer" fece per alzarsi, ma l'amico la tenne giù con la
forza. "Non farmi incazzare, Timothy. Devo andare via. Subito"
ringhiò.
"Evita di fare la bambina" la voce di Tony la raggiunse con qualche
secondo di ritardo. Lui la guardava furente: "Stai sanguinando, razza
di
genio del male, dove vorresti andare, eh?"
"Conosco almeno dieci modi per ucciderci solo con un dito. Ti prego,
dì un'altra parola, così te li farò
vedere uno ad
uno" si sfidarono, osservandosi in cagnesco, così McGee fece
violenza su sè stesso per mettersi in mezzo.
"Non mi sembra il momento adatto per litigare"
"Senti, McTonto, in ospedale non ci posso andare, lo sai"
"Ah già!" Tony rise, ma senza reale divertimento. "Tu sei
un'immigrata"
Ziva si alzò, pronta a saltargli alla gola, ma Tim la spinse
di
nuovo sul divano. "Tony, sta zitto!" urlò. "Sono stanco di
farvi
da balia! Passi il liceo, ma non ora. Non qui. Non dopo tre anni. Non
quando dovreste essere cresciuti!"
Tony e Ziva lo guardarono sorpresi ed ebbero il buon gusto di restare
in silenzio.
"Bene. Ora, se non vi dispiace, io avrei un'idea"
Gibbs: Ehi, I'm a
happy guy!
Fornell: Since when?
7x15
"Sai, piccola" Shannon si accarezzò il pancione. "Un giorno,
quando sarai abbastanza grande, ti racconterò di quando tua
madre si beccò una pallottola: sono il genere di storie che
gli
adolescenti amano raccontare di sè per essere accettati
nella
società" annuì tra sè e sè.
"E poi ti
racconterò di quando i tuoi genitori sono finiti in un
affare
del Mossad" sbuffò. "Certo, tu non eri nemmeno in programma,
ma
sai... potrebbe essere un ottimo argomento di conversazione. Oppure
potresti raccontare di quando la tua coraggiosa madre convinse un
giovane del ghetto a denunciare la banda che aveva rapinato e ucciso in
un negozio" aggrottò le sopracciglia. "Oh, cielo. Penso che
non
ti crederebbe nessuno, arrivati al terzo o quarto aneddoto. Buffo, non
trovi?"
"Io non ci vedo niente di buffo" borbottò Gibbs, entrando
nella
sua stanza d'ospedale. In mano aveva una cioccolata calda fumante.
Shannon gli sorrise gioviale e Gibbs pensò che non la vedeva
così felice dal giorno del test di gravidanza. Eppure le
avevano
sparato.
"Oh, Jethro!" Alzò gli occhi al cielo. "E' un modo come un
altro per far sentire Kelly
partecipe della nostra vita"
"E' nella tua pancia" obiettò l'uomo, sedendosi accanto a
lei.
Poi abbozzò un sorriso. "Quando abbiamo scelto il nome,
esattamente?"
"Leroy Jethro Gibbs"
ringhiò la futura mamma. "Io la sto portando
in grembo, io
sopporto le nausee, i dolori e gli ormoni in subbuglio. Io dovrò
soffrire le pene dell'inferno per farla uscire dal mio utero e
avrà il tuo cognome.
Il minimo che possa fare è scegliere il nome"
incrociò le
braccia, inacidita. "Anche perchè, tesoro, senza offesa, ma
di
nomi non ne capisci proprio niente"
Gibbs si massaggiò la fronte, stanco ma quantomai divertito.
"Ziva ti voleva salutare" si ricordò.
"Oh mio dio" spalancò la bocca. "Ziva David? Quella Ziva
David?"
"Esatto" le strizzò una guancia. "Per una serie di cose che
ti
racconterò quando sarai più calma e fuori di qui,
si
trovava in ospedale. Ah, non raccontare in giro questa cosa" la
avvisò.
"Ti prego" gli strinse una mano, preoccupata. "Dimmi che il Mossad non
è di nuovo in America!" afferrò finalmente la
cioccolata,
che si stava freddando. "Non credo di poter sopportare un altro intrigo
internazionale. Assolutamente no!"
Gibbs rise, per poi tornare velocemente serio. "La polizia vuole
parlarti"
Shannon quasi soffocò con il liquido caldo. "Cosa?"
strillò.
"La polizia vuole parlarti" scandì bene suo marito. "Ci ho
parlato giusto cinque minuti fa, ho voluto prepararti io alla cosa.
Pensano che a spararti siano stati quelli della rapina al negozio di
Gerald"
Shannon lo guardò stupita. "E perchè dovrebbero
sparare a me?"
Due uomini in divisa entrarono nella stanza, spaventando a morte la
coppia. "Signora Gibbs, sparare a lei è stato solo l'inizio:
pensiamo che vogliano spaventare Gerald per non farlo testimoniare"
disse un ometto basso, con la voce graffiante. Shannon sentì
di
odiarlo.
"In fondo, il ragazzo ha passato con lei molte ore ed è
sempre
lei che l'ha convinto a prendersi le sue responsabilità"
seguì l'altro, con tono più morbido, che Shannon
apprezzò da subito.
"Vogliamo darle una scorta" fece improvvisamente l'ometto.
"No!" urlò la donna, picchiando il pugno sul lenzuolo.
"Invece di dare una stupida scorta a me, pensate al ragazzo"
"Signora" balbettò il più alto. "Forse non si
rende
conto: non stiamo parlando di una banda di quartiere come le altre. Lei
e il ragazzo vi siete invischiati in qualcosa di molto più
grosso di voi"
"Ho detto che non voglio nessuna scorta" sussurrò. "E non
cambierò idea"
"Ma..."
"Avete sentito mia moglie" Gibbs si schiarì la voce. "Non
vuole nessuna scorta. Ora, se potete lasciarci soli..."
"Come volete" i due poliziotti si guardarono e uscirono sileziosamente.
Gibbs si voltò verso Shannon, che aveva gli occhi lucidi e
una
mano sulla bocca.
"Shannon..."
"Io... Sono terrorizzata"
Tony: Remember the
time that we SuperGlued McGeek's face to his desk?
Ziva: Good point!
3x20
Ziva David aveva trascorso mezz'ora circa a scrutare con occhio critico
Anthony DiNozzo Junior, che se ne stava in canotta e pantaloncini
davanti a lei, seduto in poltrona, mentre la guardava altrettanto male.
Era decisamente un comportamento infantile, ma il battito cardiaco
stranamente accelerato non le faceva pensare ad altro, in quel momento.
Riusciva solo a scrutarlo con durezza, perfettamente ricambiata, mentre
McGee cercava di risolvere la piccola e insignificante questione
dei punti di sutura. Non aveva ben capito cosa avesse intenzione di
fare, ma dopo aver balbettato qualcosa circa una telefonata, era
sparito in camera sua, lasciandola stesa sul divano.
"Fammi indovinare" esordì improvvisamente Tony. "Chi ti ha
sparato? CIA? KGB? M16? Hamas? Bin
Laden?"
"Di certo, qualcuno con più palle di te" fece un sorrisino
storto - anche se sapeva di aver detto la bugia dell'anno.
"Oh, si" ridacchiò Tony. "Devo proprio stringere la mano
all'autore di questo capolavoro. Nome?" digrignò la
mascella.
"Se lo sapessi, l'avrei già ucciso" mormorò tra
sè e sè Ziva.
"Mio dio!" Tony scoppiò a ridere, accasciandosi sulla
poltrona. "La giovane e
spietata killer del Mossad non sa chi le ha sparato?!"
"Chi ti dice che io sia nel Mossad?" gli fece il verso.
"Vuoi farmi credere che ti sei fatta sparare per hobby e sei tornata
qui perchè ti
mancavo?"
alzò gli occhi al cielo, per poi dirigersi in cucina. Ziva
lo
seguì con lo sguardo, mentre apriva il frigorifero. Non
aveva
mai smesso di osservarlo e, per qualche assurdo motivo, lo trovava
più... rilassato.
Era
come se il vero momento critico fosse passato e il suo minuscolo e
insignificante cervellino stesse solo partorendo nuovi modi per
ferirla. Ziva, invece, non aveva smesso di stare sul chi vive - certo,
tra sè e sè cercava invano di tamponare il sangue
che
zampillava dal suo cuore, oramai uno straccio, dopo tutti quegli anni.
Cercava, tuttavia, di apparire rilassata quanto lui.
Di questo passo, dentro
avrò un cimitero. Sempre se soppravviverò tanto
da starci così male - deglutì e le
venne spontaneo massaggiarsi gli occhi.
"Che c'è, piccola
ninja? Ti ho fatto piangere?" le tirò una
birra, che Ziva afferrò al volo.
"Solo la tua infinita ottusità, mi fa piangere"
notò che
era già stata aperta e ne prese un sorso. "Il mondo sta
proprio..."
Il campanello distrasse entrambi, facendoli sobbalzare. Ziva
afferrò di scatto la borsa, con dentro la pistola.
Tentò
di alzarsi ma Tony le fece segno di rimanere seduta e prese qualcosa
sotto la poltrona.
Da quando Tony DiNozzo
ha una pistola?
"Tony, no!" urlò McGee, uscendo da camera sua. "E' per me"
corse
ad aprire, mentre Tony e Ziva allungavano il collo per vedere
il
loro salvatore. Quando Tony lo vide, valigetta alla mano e occhiaie
incorporate, spalancò stupito la bocca.
"Ehi!" abbozzò un sorrisino e corse a salutare il ragazzo
alto e allampanato, con tanto di occhiali alla Harry Potter.
"Ma chi...?" borbottò Ziva, mentre gli occhi dello
sconosciuto puntavano su di lei.
"Ziva!" le sorrise apertamente. "Come stai?"
"Ehm... bene?" strizzò gli occhi. "Credo di non ricordarmi
di te..."
"Sono Jimmy. Jimmy Palmer" il sorriso del ragazzo si spense. "Ti avevo
chiesto di venire al Ballo con me, al liceo, ma tu mi hai mollato per
Tony" quest'ultimo guardò da tutt'altra parte.
"Jimmy" masticò Ziva. "Ma sì!" sorrise. "Jimmy"
poi si
voltò imbronciata verso McGee. "No, dico, vogliamo mettere i
manifesti per annunciare il mio ritorno a tutto il mondo?"
"Oh, senti, ti serviva un dottore e, guarda caso, Jimmy studia Medicina
alla mia Università" gli diede una pacca sulla spalla.
"Già" annuì il ragazzo, avvicinandosi a Ziva.
"Puoi..." arrossì. "Sollevare la..."
"Certo" sbuffò Ziva, sbottando la camicetta, mentre Jimmy
arrossiva maggiormente.
"Ogni tanto io e McGee ci prendiamo un caffè"
balbettò.
Ziva pensò che fosse per distrarsi, visto che sembrava non
riuscire a staccare gli occhi dal suo reggiseno. "A parte Tony e Abby,
siamo gli unici della Woodrow, lì. E' bello rimanere in
contatto" alzò le spalle, cominciando a togliere i punti di
sutura.
"Beh, perchè con me non hai mai voluto prendere un
caffè?" s'indispettì Tony. Tra i tre, sembrava
l'unico a
non essere imbarazzato nel vedere Ziva in reggiseno, stesa sul loro
divano.
"Non me l'hai mai chiesto" disse semplicemente Jimmy. Ziva
abbozzò un sorriso divertito.
"Come immaginavo" disse. "Non sei cresciuto per niente"
Tony la guardò male. "Forse. Intanto, non sono io quello che
sanguina" sorrise malizioso. "Ops"
Ziva gli lanciò un'occhiata gelida e prese a guardare Jimmy.
"Mi dispiace di averti fatto alzare così tardi"
"Ma veramente ero sveglio" sorrise Jimmy, cominciando a cucire la
ferita. Ziva si morse il labbro inferiore: pungeva. "Studiavo"
"A quest'ora?" domandò stupito McGee.
"Tim... studio Medicina"
ridacchiò. "Rendo l'idea? E poi la mattina lavoro, tre
giorni a
settimana. Allora Ziva..." pulì leggermente la ferita. "Ci
racconti un pò com'è che ti hanno sparato?" rise.
Sembrava stranamente divertito all'idea.
Tony diventò improvvisamente più vigile, puntando
gli
occhi in quelli di Ziva. Si guardarono per qualche secondo,
finchè lei non distolse lo sguardo: "Credimi, Jimmy: non
vuoi
davvero saperlo"
Maia says:
Sì, sono viva e SI ho praticamente finito la
scuola **
Martedì ho l'ultima interrogazione, ma è solo una
formalità :D:D:D:D
Certo, oggi sono particolarmente incazzata... [roba di scuola, non
voglio annoiarvi] quindi ho pensato di pubblicare il capitolo
più atteso di tutti i tempi! XD (ESAGERATA ndLettori Era per
dire :( ndAmy) Coooooooooooooooooooomunque... sto nel panico. Appunto
perchè lo aspettate da molto, ho DAVVERODAVVERO paura di
aver
deluso tutt(e) voi!
Non avevo il coraggio di scriverlo perchè non sapevo da dove
cominciare... ci ho pensato per tipo una decina di giorni,
finchè non sono arrivata alla conclusione che... beh...
Ziva + Mossad + Delusione
d'Amore + Tony + Altra Delusione d'Amore = RABBIA INCONTROLLATA XD
Avevo
anche pensato a
farli saltare subito addosso (la mia indole Tiva sta scalpitando xD),
ma, in fondo, non si amano più e questo è un
fatto
accertato D: Non DOVREBBERO più essere quelli del liceo (ma
in
pratica sembrano regrediti all'asilo...) XD
Ricordate sempre che qui sono parecchio giovani,
perciòòò... xD haahaha e poi ho preso
molto
dall'ultima puntata della sesta stagione, dove vediamo Ziva seriamente
incavolata con Tony... u_u cerco sempre di prendere spunto, per essere
più IC possibile! (si, ci tengo un sacco xD)
Tutto questo per dirvi che, se volete uccidermi, ricordatevi che l'ho
scritto in buona fede T_T
Ringraziamento specialissimo a VooJDee, che l'ha letto e approvato in
anticipo :'D
Alla prossima!
(spero presto :D)
Semper Fi, Team u___u
Amy
|
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Capitolo 17 *** Supernova (Part 2) ***
NCIS
-
There is a weapon for every fight
Ziva, 5x10
"Posso andarmene,
adesso?" Ziva sbuffò alla grossa, dondolando la testa.
"No" Jimmy sorrise e scosse la testa di riflesso condizionato. "Ti ho
appena ricucita. Hai presente quando in ospedale ti dicono 'lei ha
bisogno di riposo, la faremo restare qui una sola notte?'... ecco, non
è una frase buttata lì così"
"Senti, Jimmy, non posso rimanere. Ve l'ho già detto"
"Oh, già" la voce sarcastica di Tony DiNozzo le
arrivò
veloce e rapida come una pugnalata al cuore. Una pugnalata che ti
uccide, il più delle volte. "Già, lei
è l'agente
del Mossad che sicuramente
sarà
inseguita dai servizi segreti di mezzo mondo" diede un altro morso alla
mela che aveva in mano, mentre McGee lo guardava male, di sbieco.
"La finisci?" gli intimò. "Le hanno sparato"
Ziva ebbe la sensazione che Tony stesse per dire qualcosa di molto
cattivo, quando McGee riprese subito la parola: "Visto che devi
rimanere qui, Zee, avrei un'idea: posso cominciare a scavare nel
computer"
"No. Non voglio metterti in mezzo, McGee. E' il mio lavoro, tu non
c'entri"
"Un lavoro che non sai fare molto bene" commentò serafico
Tony.
"DiNozzo, sto cercando di ignorarti. Non sfidare la mia pazienza"
ringhiò.
"Time out!" urlò McGee, spaventando persino Palmer. "Io
studio
un pò il computer, tu riposati, per favore. Ne abbiamo avuto
già abbastanza l'anno scorso di Mossad. Voglio solo
aiutarti,
ok? Giuro che farò il bravo" le sorrise.
Ziva si morse il labbro inferiore. Effettivamente, far studiare il
computer a McGee sarebbe stato molto più semplice che
mandarlo
all'ambasciata e farlo analizzare da uno del Mossad: troppo tempo
sprecato. Senza contare che, di fatto, doveva passare su quel divano
almeno un paio d'ore per convincerli della sua ottima salute. E doveva
pur far qualcosa.
"E va bene" si arrese. "Ma tutto quello che trovi passa a me, e devi
dimenticartelo dopo tre secondi, capito?"
"Capito!" McGee sembrava, stranamente, felice come una Pasqua e Ziva se
ne chiese il motivo: aveva un'agente del Mossad che sanguinava sul
divano e un computer di un possibile terrorista tra le mani. Non c'era
proprio niente da essere così contenti.
"Beh, ragazzi, io vado" Jimmy si stropicciò gli occhi e
sbadigliò. "E' stato un piacere, Ziva!" la
abbracciò, con
grande sorpresa della ragazza.
Salutò calorosamente anche gli altri due.
"E' un bravo ragazzo" sussurrò Ziva. "E' venuto qui, mi ha
aiutata e non ha fatto domande. Davvero un bravo ragazzo"
McGee annuì. Tony non disse niente.
"Oggi è San
Valentino! Oh,
chissà cosa mi regalerà McGee! Io gli ho preso
dei
cioccolatini molto carini - a tema Star Wars. Si, lo so, non mi
guardare così. E' che quando li ho visti ho subito pensato a
lui" Abby sorrise e fece una giravolta, colpendo parecchie persone in
corridoio.
Ziva scosse la testa, ma sorrise. "Se credi che possano piacergli..."
"Gli piaceranno. E tu che hai comprato a Tony? Spero non un giochetto
sessuale" Abby si beccò una gomitata. "Scusa"
"Non è che ne capisca molto di film, ma gli ho preso questo"
Ziva tirò fuori dallo zaino 'Via col vento', in blu-ray, con
grafica migliorata.
"Bella idea. Potreste guardarlo insieme!"
"Infatti" la ragazza annuì e si rigirò il DVD tra
le
mani. "Se non gli piace si arrangia. Non l'ho mai capito San Valentino!"
"E' una festa carina, invece. Molto carina" sospirò Abby.
"Trovo
che sia fantastico che ci sia una festa dove tutti, ma proprio tutti,
possano trovare il coraggio di confessare i propri sentimenti. Non si
fa mai abbastanza, non trovi?"
"Parole sante" Ziva si sentì abbracciare da dietro e rise
per il
solletico che i baci di Tony sul collo le stavano provocando.
"Buongiorno, mia San Valentina" la fece voltare per baciarla come si
deve, mentre Abby divertita si copriva gli occhi.
"Buongiorno Tony" gli diede un morso sul naso. "Lo vuoi il tuo regalo
di San Valentino?"
"Wow" biascicò deluso. "Cioè me lo dai
così? Io per il tuo ho fatto i salti mortali..."
Ziva alzò gli occhi al cielo. "Non provare a farmi sentire
in
colpa" vide Abby che si allontanava sorridente, così
cacciò di nuovo dalla borsa il DVD e lo porse al suo
ragazzo.
Tony si aprì in sorriso sincero. "Volevo comprarlo! Grazie"
si
chinò a baciarla.
"Lo sapevo che lo volevi!" Ziva decise che, almeno per San Valentino,
non si sarebbe preoccupata dei professori in corridoio, e
attirò
a sè Tony, ben felice di approfondire il bacio di quella
mattina.
"Mh, a questo punto, vorrei che fosse San Valentino tutti i giorni" le
disse. "Ah! Il tuo regalo!"
"Cos'è?"
"Penso che tuo padre lo sappia già" ridacchiò.
- Ziva, qui a casa sono
arrivate delle rose rosse. Tante rose rosse. E un invito a cena per
stasera. Cosa ne faccio?
"Ziva? Ziva?" la ragazza si svegliò di soprassalto e
respirò profondamente. Forse
mi sto ammalando, pensò. McGee, intanto, la
guardava preoccupato. "Stai bene?"
"Si, si. Mi ero solo addormentata"
"Ce ne eravamo accorti" Tony era seduto alla solita poltrona di fronte
a lei. Il pensiero che per tutto il tempo non si fosse mosso di
lì la sfiorò appena, ma poi lo cacciò
via. Era una
cosa troppo intima. "Russi esattamente come tre anni fa" non lo disse
con disprezzo. Si limitò semplicemente a prendere atto di
quell'informazione - l'assenza di qualsiasi sentimento quasi la
turbò.
"Si, io... dormivo" ripetè e si massaggiò la
fronte. "Allora, che hai trovato?"
Tony: Hi, Boss! I
lost my... you're gonna say "mind" or "marbles", but I lost my...
Gibbs: Job?
6x18
Shannon
non poteva evitare di provare un'infinita compassione per quel
ragazzino. Gerald se ne stava seduto accanto a lei, in ospedale, senza
dire niente - se non un'infinita sequela di "mi dispiace davvero
tanto". Era stato inutile dirgli che non era stata colpa sua, anche
perchè lo sguardo preoccupato di Gibbs non aiutava di certo.
Shannon sapeva quando Gerald fosse spaventato e, sebbene fosse
terrorizzata, la sua voglia di aiutarlo aumentava di minuto in minuto.
"Gerald" gli strinse una mano. "Quello che è successo non
deve
in alcun modo fermarti, ok? Tu devi denunciare il rapinatore"
"Voglio farlo, dottoressa. Voglio farlo davvero ma..." alzò
gli occhi lucidi su di lei. "Non posso"
"Sì, che puoi"
"No, che non posso. Ha visto cosa hanno fatto? Le hanno sparato! Poteva
perdere la bambina!"
"Non è successo"
"Ma potrebbe succedere la prossima volta!" urlò il ragazzo.
"Non posso permettere che succeda!"
"D'accordo, Gerald, allora" sospirò la donna. "Non devi
preoccuparti per me. Concentrati solo e soltanto sulla tua
testimonianza"
"Io... ho paura"
Shannon lo guardò commossa e lo strinse al petto. "Anche io,
Gerald. Ma non possiamo permettere che vincano di nuovo" Gerald
annuì distrattamente e si lasciò accarezzare i
capelli dalla donna.
"Lei..." sobbalzò il ragazzo improvvisamente, poggiandole
una mano sulla pancia. "...
ha scalciato!" Sorrideva beato: Shannon non lo vedeva
così contento e felice da parecchi mesi. "Ha scalciato! La
bambina! L'ho sentita!"
Shannon scoppiò a ridere. "Beh, vedo che a lei piaci - sei
il suo primo amore, Gerald. Ah, mi raccomando: voglio che non
interrompiamo la terapia durante il processo. Ne avrai bisogno"
"Ok" fece una smorfia. "Ora è meglio che vada. Mia madre
sclera ogni volta che esco di casa..." alzò gli occhi al
cielo.
"E' normalissimo" lo prese in giro e gli diede uno scappellotto.
"Sparisci, su!"
Gerald si alzò e sorrise, mentre si massaggiava la nuca. "E'
proprio la degna signora Gibbs!"
Shannon gli fece una linguaccia e lo vide uscire; quando fu sicura che
fosse andato, si lasciò sprofondare nel cuscino, che sapeva
di muschio bianco. Sono
una bugiarda pensò - aveva tranquillizzato
Gerald, gli aveva detto di non aver paura, ma la prima ad essere
terrorizzata era lei. Aveva paura di perdere tutto quello che
finalmente aveva ottenuto (una bambina, una casa, una famiglia, Gibbs), ma,
altrettanto, aveva paura di perdere sè stessa. La vecchia
Shannon non ci avrebbe pensato due volte ad accompagnare Gerald,
persino in tribunale.
Ma, ora, Shannon non era più sola. Con lei girava
costantemente un altro essere umano (se non due, aggiungendo suo
marito).
"Cosa faccio?" biascicò tra sè e sè.
"Cosa faccio?" poggiò involontariamente una mano sulla
pancia.
E fu lì che la sentì. La bambina, per la seconda
volta, tirò un potente calcio, che la fece piegare in due
dal fastidio.
Fallo, mamma.
Le vennero le lacrime agli occhi.
"Jethro!" strillò. Tempo qualche secondo e Gibbs
piombò velocemente nella stanza. "Cosa? Cosa? Stai male?
Chiamo qualcuno?"
"Sto una meraviglia!" Shannon si aprì in un sorriso
esagerato. "Devi farmi un favore: chiama Tobias. Confermiamo che
sarà l'avvocato di Gerald al processo e digli che voglio
essere inserita nei testimoni dell'accusa come esperta forense"
"Ma... "
"Sta zitto" gli intimò con un dito. "Testimonierò
circa l'ottima salute mentale di Gerald e che mi ha descritto i fatti
poco dopo il massacro e che testimonierò anche circa la
sparatoria in strada. Una donna incinta fa sempre commuovere le giurie"
ghignò. "Punto due, fa venire qui Gianni e Pinotto!"
Gibbs alzò un sopracciglio. "Jethro!, i poliziotti di prima"
sbuffò. "Falli venire qui e dì loro che accetto
la scorta, a patto che questa venga divisa fra me e il ragazzo" prese
fiato. "Un'ultima cosa: puoi andare a prendermi una vaschetta di gelato
alla nocciola?"
Gibbs, lentamente, curvò la linea della labbra
all'insù, in uno di quei suoi sorrisi consapevoli ed
illuminanti.
"Allora, abbiamo fatto
la nostra scelta?
Combattiamo?"
"Combattiamo" Shannon sorrise. "Insieme"
Ziva: I'm observing
you, Tony
Tony: Anyway you can
do that in a less creepy manner?
3x04
Tony si sentiva a
disagio. Tony si sentiva molto
a disagio. Ziva non faceva che fissarlo, imbronciata,
mentre McGee lavorava freneticamente sul computer di quel tizio, Francis J. Thompson.
Lo stesso tizio che forse aveva sparato a Ziva.
L'idea non gli piaceva per niente. Insomma, lui e Ziva si erano
lasciati - le avrebbe sparato lui molto volentieri, ma che qualcuno le
facesse del male non gli andava giù. Qualcuno le aveva sparato. Non
erano i soliti dispetti che le faceva al liceo: ormai erano grandi, lui
era quasi un poliziotto, era a metà dell'Accademia; lei
addirittura nel Mossad. Più ci pensava e più si
sentiva spaccato violentemente in due.
"A che punto sei, McGee?" domandò, senza distogliere gli
occhi da quelli di Ziva.
"Quasi finito. Esattamente la stessa risposta che ti ho dato cinque
minuti fa. Anzi, quattro minuti fa"
"Ho capito l'antifona, McHoLeMieCose"
Ziva abbozzò un sorriso e Tony colse la palla al balzo. "Ti
ha fatto ridere?"
"Beh, vedervi litigare dopo tre anni così, come se foste al
liceo, fa un pò ridere"
Tony corrugò la fronte. "Mi stai indirettamente dando
dell'immaturo?"
"Ci sta indirettamente dicendo che le siamo mancati" sorrise McGee.
Tony la guardò con un sopracciglio alzato.
"No, non è vero" si difese Ziva. "Era una semplice
constatazione - o meglio, McGee mi è mancato, e a te stava
davvero dicendo che sei un immaturo" si corresse. McGee le
lanciò un'occhiata piena di gratitudine, poi riprese a
lavorare.
Tony digrignò i denti, ma non le rispose, nè
tantomeno si alzò dalla poltrona giusto di fronte al divano.
Se fosse stato per lui, si sarebbe alzato di scatto e chiuso in camera.
Quasi, però, c'è una forza superiore che lo
incatenava davanti a lei e una vocina, soffice ma efficace, che gli
sussurrava che se l'avesse persa di vista, forse le avrebbero sparato
di nuovo. Meglio tenerla sotto controllo, comunque. Era pur sempre
un'agente del Mossad. Ed
è bellissima, non posso ignorarlo. I capelli
corti le stavano bene - tutto le stava bene, in effetti.
E tu stai diventando
pazzo, DiNozzo disse tra sè e sè,
passandosi stancamente una mano tra i capelli. Quando era spossato per
la scuola, o suo padre, Ziva lo costringeva sempre a ficcarsi sotto le
coperte, lo abbracciava e cominciava a parlare. Parlava, parlava. Tony
ricordava notti in cui Ziva parlava per tre ore di seguito. E si
sentiva stranamente lusingato, perchè col resto del mondo
Ziva David non parlava così tanto.
Era il suo personale modo di distrarlo e a lui piaceva,
perchè sentiva il suo petto muoversi ritmicamente. Lo
rilassava.
Deglutì, quando vide che Ziva lo stava osservando
più lentamente. Ebbe l'infondata paura che gli stesse
leggendo nel pensiero.
Poggiò la guancia sulla mano e si piegò a
guardarla. "Posso farti una domanda?" sussurrò.
Ziva annuì. "In questi tre anni, tu hai mai..."
"Zee, puoi venire qui un attimo?" I due sobbalzarono.
"Oh, ehm. Si..." Ziva provò ad alzarsi, ma una smorfia di
dolore la fece cadere sul divano con un tonfo sordo.
"Aspetta, ti aiuto" mormorò Tony, porgendole una mano. La
tirò su senza troppa fatica e Ziva poggiò una
mano sulla sua spalla. Era a troppi
pochi centimetri da lui. Senza averlo premeditato,
d'istinto, Tony le soffiò sulle labbra, come faceva sempre
quando era troppo vicina e non poteva baciarla, per la presenza di
insegnanti o genitori. Ziva sorrise.
"Ragazzi...?" McGee si schiarì la voce. Ziva scosse la testa
e si dipinse sul viso la solita espressione neutra.
Entrambi si sedettero al tavolo della cucina con McGee, che aveva il
computer davanti.
"Che hai trovato?" gli chiese.
"Allora" si grattò la fronte. "Questo Francis, non so come,
ma sul computer ha tutti, ma proprio tutti, i prototipi degli
esperimenti che verranno presentati alla commissione del progetto 09"
"Lo stesso a cui partecipate tu ed Abby" ricordò Tony.
"Già. Infatti c'è anche il nostro" era cupo, in
volto. "Ma non sono solo i semplici progetti - affatto. Alla maggior
parte sono state fatte delle modifiche. Strane modifiche, che non
capisco in pieno. Per esempio..." selezionò un file a caso.
"Qui si parla di un concime" tirò su col naso. "Conosco
anche chi l'ha ideato" scosse la testa. "Comunque, questo concime, che
in realtà è un composto chimico, potrebbe
rivoluzionare l'industria agragria. Il tuo terrorista, invece, ha preso
l'originaria formula chimica e l'ha..."
"Salta i passaggi" lo fermò, brusca. Aveva la strana
sensazione di star cominciando a capire. E non le piaceva per niente.
"... il concime è diventato un'arma batteriologica"
sospirò. "E non ti parlo solo di questo, ma altri cento
progetti che sono stati modificati. Anche il robot che io e Abby
stavamo finendo"
"Non è una buona cosa, vero?" balbettò Tony.
"Oh, no. Per niente"
"E per il resto?" domandò Ziva.
"Ho controllato le sue mail... tutte in inglese" Ziva sorrise - aveva
sempre avuto ragione. "Altri tre lavorano con lui. Parlano anche della
tua presunta morte" gliene fece leggere qualcuna. "Questi idioti
credono di averti uccisa, ma non sanno dove hai messo il computer"
"Se solo avessero cercato" si passò una mano sul viso.
"Pivelli"
"Già, sembrano abbastanza spaventati" ridacchiò
Tony, leggendo pezzi di mail. "Piccoli
terroristi crescono"
"Perchè parlavano in arabo, nelle intercettazioni del
Mossad?" borbottò Ziva. "Non ha senso"
"Beh..." cominciò Tony, poi si fermò. Ziva si
voltò velocemente verso di lui.
"Parla!"
"Secondo me, eh, parlavano in arabo perchè il loro
acquirente sarà arabo"
"Acquirente" masticò Ziva, tra sè e sè.
"Si, non c'avevi pensato?!" la prese in giro. "Non possono creare
queste cose e non avere nessuno a cui venderle, ti pare?"
Ziva annuì distrattamente, poi si riscosse. "Nient'altro?"
"No, a parte le registrazioni di voci arabe che parlano tra loro.
Quelle mi hai detto di averle già sentite"
"Si. Niente sui possibili acquirenti?"
"No, ma una cosa è sicura" McGee si voltò a
guardare Ziva. "Non ho la minima intenzione di mollare il caso"
"McGee!" urlò Ziva. "Mi avevi promesso..."
"Si, te l'avevo promesso" le concesse. "Ma prima di sapere che
c'entriamo anche io e Abby. Il nostro progetto potrebbe diventare un'arma. Uccidere delle persone.
Quando Abby lo saprà, credi che ti
lascerà lavorare da sola?"
"Non se ne parla" ringhiò Ziva. "E' un'operazione del Mossad"
"Ti daremo solo una mano! Siamo studenti dell'Università,
possiamo accedere a posti a cui neanche puoi avvicinarti. Quindi, la
prossima mossa è..." lasciò volutamente la frase
in sospeso. Ziva guardò stupida McGee: non l'aveva mai visto
così risoluto.
"McGee"
"La prossima mossa?" ripetè, più forte di prima.
"Trovare gli acquirenti" sbuffò Ziva. McGee sorrise.
"Perfetto"
Tony osservò con un sorriso i due che si affaccendavano
ancora al computer - non
è cambiato proprio niente, in fin dei conti. Stava
per dare anche lui qualche consiglio, quando si sentì come
se un secchio di acqua gelata gli fosse piombato sulla testa. Lui non poteva
rimanere. Quarantotto ore e sarebbe dovuto tornare a Baltimora.
Maia says:
Indovinate chi ha finito la scuola? *Amalia alza la mano*
Massì ** Sono troppo super iper mega felice! :D Ora i piani
sono:
1) Scuola guida.
2) Palestra
3) Imparare una
lingua nuova
4) Trovare un
vestito per i 18 della mia migliore amica
5) Organizzare
una sorpresa (sempre per i 18 di sopra)
6) Rispondere
alle chiamate di Paolo (^^''')
7) SCRIVERE LA
FF u_u
8) Leggere i due
libri che ho comprato
9) Andare a
trovare la mia amica a Roma.
Approvate? *_* Ce la farò? (NO). Comunque, pffff u.u i Tiva
mi uccidono, McGee lo sto amando e Shannon mi sta uscendo tanta
Giovanna d'Arco. Approvate anche questo capitolo? *_* hahahahahahaha
E voi, Team? Ora che le scuole finiscono e si va in ferie, che farete?
:D Io a Luglio vado al mare con i miei, e ad Agosto con le amiche!
Sarà una bella estate - oddio, spero. Un'ultima cosa - la grandezza del carattere della scrittura va bene? O lo ingrandisco xD?
Fatevi sentire, squadra!
Semper Fi,
Amy
|
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Capitolo 18 *** Only the good die young ***
NCIS
Tony: No torture
Ziva: He won't talk
Tony: Try!
3x23
"Non
posso crederci! Davvero, non posso credere che abbiate fatto tutto
questo senza di me!" urlò Abigail Sciuto. "Voi siete tre
grandissimi ingrati! Vi mettete in un guaio del genere e non fate
nemmeno una telefonata?"
"Ziva sanguinava" deglutì McGee. "Ed erano le tre del
mattino"
"Avrei risposto al telefono!" ringhiò, mentre gli altri tre
la
guardavano colpevoli, seduti sul divano. "Cioè, avrebbe
potuto
essere una carneficina" indicò distrattamente Tony e Ziva,
separati solo dal corpo tremante di McGee. Abby camminava avanti e
indietro, furente, mentre i loro occhi la seguivano. "Davvero, ragazzi,
mi avete delusa! Io dovevo essere informata... sono o non sono il
cervello della squadra?"
"No, no!" si intromise Ziva. "Non c'è nessuna"
cominciò a gesticolare a vuoto. "Squadra, ok? Ci
sono io, c'è il computer e poi ci siete voi
che date solo una mano. Un aiuto. Supporto tecnico"
"E tu questa come la chiami?" Abby incrociò le braccia al
petto.
"Collaborazione?" azzardò Ziva.
Abby ringhiò qualcosa, poi si diresse spedita in cucina.
Tony, Ziva e McGee la videro sbattere mobili e utensili vari.
"Che stai facendo?" le domandò cautamente McGee.
"Faccio dei pancakes. Starete tutti morendo di fare" sbuffò.
McGee sorrise e le andò incontro, mentre Tony si leccava i
baffi. "Oh, adoro i tuoi pancakes, Abbs! Mi mancano un sacco,
lì
a Baltimora"
"Ci credo. Scommetto che mangi solo pizza" la ragazza fece una smorfia.
"Più o meno"
Ziva sorrise distrattamente e si alzò. Non l'avrebbe mai
ammesso, ma, in quel momento, si sentiva molto più
tranquilla.
Sapeva di star sbagliando su tutta la linea ad aver coinvolto i suoi
vecchi amici, tuttavia si sentiva meno sola - e più al
sicuro.
Per quanto Michael fosse pieno di armi fino ai denti, non aveva mai
avuto la capacità di farla sentire a casa e protetta.
Nessuno ci
era riuscito, in quei tre anni, nemmeno la vecchia casa della famiglia
David a Tel Aviv. Nemmeno suo padre. Nessuno. Ziva si sentiva sempre in
pericolo costante e sempre con la necessità di stare con gli
occhi aperti. Aveva voglia di dormire.
"Ziva!" Abby le toccò un braccio. "Mi stavi ascoltando?"
Si era attardata davanti alla finestra del soggiorno. "Scusa non...
dicevi?"
"Dicevo, quanti pancakes vuoi?"
"Due andranno bene" sorrise.
"Facciamo quattro" Abby le alzò il mento con un dito.
"Tesoro, non hai una bella cera. Sei pallida. Un sacco pallida"
"Sono solo stanca" si passò una mano tra i capelli. "Ho
bisogno
di mettere qualcosa sotto i denti e poi andarmene a dormire" si
toccò distrattamente la ferita. "E devo anche farmi una
doccia.
Lo convinci tu McGee a lasciarmi andare?" sussurrò.
"Guarda che puoi rimanere qui, Zee. Tanto... Tony esce, insomma"
"Non è lui il problema" abbozzò un sorriso. "Devo
tornare a casa mia. Ho anche Whisky da sfamare"
"Whisky?" Abby la prese sottobraccio e la condusse in cucina, dove
McGee e Tony stavano mettendo il preparato per la colazione sulla
piastra. "Si, è il mio gatto" annuì Ziva, tra
sè e
sè. "L'ho trovato in cortile, a casa mia, e l'ho adottato"
"Uh, che carino!" Abby saltellò. "Posso passare a vederlo?"
Ziva si morse il labbro inferiore e guardò da un'altra
parte. "Non credo sia una buona idea"
Abby e McGee la guardarono allucinati e stupiti; solo Tony le dava le
spalle, mentre guardava i pancakes crescere sulla piastra.
"Io non... vivo da sola" i due si guardarono. "Vivo con... mh, un
amico. Lavora con me"
Tony tirò su col naso. "E fammi capire" disse solamente, ma
non
si voltò. "Tu non torni la notte e lui non si è
minimamente preoccupato di cercarti? Nemmeno mezza telefonata? Bell'amico"
"Punto primo, non sono affari tuoi" ringhiò Ziva. "Punto
secondo, probabilmente non è tornato neanche lui"
"Una perfetta relazione" sussurrò Tony.
"Nessuno ha mai parlato di relazione!"
Tony si voltò e, furente in volto, stava per dirle qualcosa,
quando Abby si lanciò tra i due. "Ok, time out, bambini"
"Fanno così da ore" McGee alzò gli occhi al
cielo. "Prendo i piatti per i pancakes"
- Did somebody
break a mirror?
Gibbs, 3x10
"Grazie"
Shannon afferrò la mano di suo marito e scese dall'auto. La
loro
casa non era cambiata per niente - in effetti, lei era stata in
ospedale, perchè qualcosa sarebbe dovuta essere diversa? Le
sembrava di non tornare a casa da una vita, invece era appena una
settimana che non vi tornava. In effetti, le sembrò che
l'erba
in giardino fosse di poco aumentata e già immaginava che,
dentro, la polvere doveva aver preso possesso di gran parte della casa.
"Non pensarci nemmeno" la rimproverò suo marito, dandole un
bacio sulla fronte.
"Cosa?"
"So già che ti stai preparando alle pulizie di primavera, ma
non
te lo lascerò fare. L'hai sentito il dottore, devi riposare"
Shannon fece per aprire bocca, ma Gibbs la zittì con un
bacio.
"Non fammelo ripetere la seconda volta. Giuro che l'ho tenuta in
ordine, mentre non c'eri... e se c'è polvere da qualche
parte,
me ne occuperò io" sorrise, mentre l'accompagnava alla
porta.
"Tu non sai spolverare" fece disgustata Shannon. "Lasceresti tutto
sotto il tappeto e, oh mio dio!, chissà dove"
"Vuol dire che chiameremo una donna per le pulizie, Shannon" Gibbs si
grattò la fronte e la fece entrare in casa. La donna
sbirciò prima dentro, poi entrò con passi lievi e
ritmici. Sembrava un coniglio con i baffi tesi, pronto a captare un
eventuale intralcio alla sua esplorazione.
"D'accordo, non sta cadendo a pezzi. Almeno" sospirò.
"Visto?" le baciò una guancia, contento. "Stasera Abby,
McGee e
Tony passano a trovarti, così mi hanno detto. Ti fa piacere
o
vuoi riposare?" la informò, sbirciando in frigo - c'era poco
e
niente, bisognava fare la spesa.
"Va benissimo, non li vedo da anni" si sedette su una sedia della
cucina. "E... Ziva?"
"Non lo se verrà" Gibbs aggrottò la fronte. "E'
possibile. Nessuno doveva sapere del suo ritorno, ma in pratica..."
"Capisco" la donna annuì. "Non sai perchè sia
tornata?"
"No, ma adesso non farti strane idee. E' già troppo che tu
ti
sia invischiata con Gerald e guarda com'è finita" la
rimproverò con lo sguardo. "Puoi fare la donna incinta
normale?
Insomma, voglie, vomiti, capricci..." Shannon rise. "Solite cose,
insomma"
"Ci proverò" poggiò la fronte sul legno fresco
del
tavolo. Poteva quasi sentire la consistenza dellE dita di suo marito,
mentre lo costruiva. Erano piantate lì, nella memoria del
legno,
come se fosse carta pesta. "Oh, Jethro" alzò la testa e lo
vide
trafficare con le pentole. "La scorta?"
"Dovrebbero arrivare a momenti, sono due agenti del Federal Bur..."
"FBI?" Shannon si stupì. "Che c'entra l'FBI?"
"La banda che vi siete messi contro non è grandissima, ma
attraverso questa vogliono prendere pesci più grossi" si
voltò verso di lei, mentre l'acqua pian piano ribolliva.
C'era
solo della pasta, nella mensola. "Quindi ti hanno mandato agenti degni
di questo nome"
"Non vorrei averli sempre i piedi" borbottò. "Sai
già chi sono?"
La risposta di Gibbs venne anticipata dal suono del campanello. "FBI"
l'uomo fece una smorfia. "Apri tu, così li conosci subito"
Shannon annuì e si alzò lentamente dal tavolo,
per
raggiungere la porta. Controllò prima dallo spioncino e vide
che
uno dei due aveva messo davanti il distintivo: erano sicuri. Shannon
aprì la porta con un sorriso, che si allargò alla
vista
dei due.
"Salve signora Gibbs. Sono l'agente Steve
McGarrett"
si presentò, allungando una mano verso Shannon. Lei la prese
con
decisione e osservò i lineamenti fini ed eleganti dell'uomo
che
le stava di fronte; era decisamente bello da guardare e, ad una prima
occhiata, anche degno di fiducia. La leggera barbetta gli dava quasi
un'aria tormentata - le ricordò Gibbs nei primi tempi del
loro rapporto - e
misteriosa.
"E lui è l'agente Danny
Williams"
indicò il suo partner, più basso di lui di almeno
cinque
centimentri. A differenza dell'altro sembrava molto più alla
mano, somigliava ad un cartone animato, con la mascella squadrata e i
capelli biondi impomatati. Lui sorrise immediamente e le porse la mano
a sua volta, presentadosi.
"Siamo la sua scorta"
"Si, lo immaginavo. Entrate, vi presento mio marito" soffiò
Shannon, facendoli entrare.
La reazione di Gibbs fu glaciale, come lei si aspettava. Guardava
alternativamente i due agenti, borbottando chissà cosa tra
sè e sè. Sicuramente non gli era passata
inosservata la
prestanza fisica dei due.
"Allora, signora..." cominciò l'agente McGarrett.
"Oh, no. Ti prego. Shannon" sorrise la donna, massaggiandosi la pancia.
"D'accordo, Shannon"
piegò divertito la testa. "Io e Danny ci saremmo organizzati
così: la notte lui rimane in salotto, io sto fuori. Per il
resto
della giornata, quando devi uscire, chiama noi"
"Ci sono anche io" intervenne Gibbs.
"Senza offesa, ma lei non ha una pistola" sghignazzò Danny.
"Scusi" disse, dopo l'occhiata gelida di Jethro.
"Dicevo" Steve lanciò a Danny un'occhiata infuocata, come
per
intimargli di stare in silenzio. "Quando devi uscire chiama, se hai
bisogno di qualunque cosa siamo in giro. Puoi chiamarmi
Steve"
aggiunse, in ultima battuta.
"Perfetto" Shannon sorrise. "Non potevano capitarmi agenti migliori,
no?" diede una gomitata a suo marito, che finse un sorriso.
"Cercheremo di rendere tutto meno traumatico possibile" sorrise Danny,
lanciando uno sguardo dolce alla pancia di Shannon. "Il processo si
terrà abbastanza presto e non ci avrete in giro per molto
tempo"
"Ha figli, agente Williams?" domandò Shannon, facendogli
cenno
di seguirlo in salotto. Gibbs lo vide annuire e la conversazione
continuò dove Steve e Jethro non potevano sentirli.
"So che non deve essere facile" sussurrò l'agente McGarrett,
voltandosi verso Gibbs. "Ma le prometto che faremo di tutto per
impedire a quei bastardi di far del male a sua moglie"
Gibbs non disse nulla, si voltò verso l'acqua che stava
bollendo
e gettò parecchia pasta nella pentola. "Lo spero per voi,
McGarrett"
-
It's not the danger; It's the fun.
Jonathan Cole,
9x24
"A
questo punto, dobbiamo trovare gli acquirenti" Abby si
massaggiò
le dita e si sedette di fronte al computer di Francis, quello che Ziva
aveva preso in
prestito. Al tavolo, intorno a lei, gli altri tre
mangiavano i suoi pancakes. "Ma come facciamo?"
"Poftremfo..." cominciò McGee. Ingoiò il pezzo di
dolce. "Potremmo rintracciare gli indirizzi IP delle mail"
"Impossibile" sussurrò Abby, lo sguardo fissò
sullo schermo.
"Mh, fissare un incontro?" propose Tony.
"Troppo pericoloso" rispose Ziva. "Non ho supporto nè di
armi, nè di agenti del Mossad. Siamo solo in due"
"E allora non c'è soluzione" Tony tagliò un pezzo
di pancake.
"Beh, Tony ha ragione" Abby fece una smorfia. "Non possiamo fare niente
senza finire nei casini. Hai qualche idea?" si rivolse a Ziva.
"Forse. Sicuramente, devo tornare a casa e informare mio padre" fece
spallucce. "Lui saprà sistemare la cosa. In teoria, la
missione
è quasi conclusa... dobbiamo solo impedire che Francis e i
suoi
amici scemi vendano i propotipi sul Web" scostò il piatto
lontano da sè. "Grazie mille, Abby, ma ora devo tornare a
casa,
sul serio. Michael sarà preoccupato" non vide che Tony
alzava
gli occhi al cielo.
"Va bene, ma lasciaci il computer" annuì. "Però
non ti
farò prendere i mezzi pubblici... Tony, accompagnala"
ordinò.
"Cosa?!" urlò. "No!"
"Posso andare da sola" Ziva guardò male Abby.
"Assolutamente no! Sei stata appena ricucita, Ziva. Per favore, eh.
Tony sbrigati. Io e McGee abbiamo bisogno di lavorare al computer e tu
saresti solo d'intralcio" gli rivolse un sorriso fastidioso. "Vai!"
Tony lanciò uno sguardo ad Abby, cercando di trasmetterle
più odio possibile. Si alzò con il broncio e
afferrò bruscamente le chiavi all'ingresso. Ziva lo
seguì
silenziosamente; non aveva senso obiettare, quando a dettare legge era
Abigail Sciuto - e poi, davvero non le andava di prendere i mezzi
pubblici. Era stanca e voleva solo sprofondare in qualcosa di morbido.
Scesero le scale del vecchio condominio silenziosamente e, altrettanto
silenziosamente, arrivarono all'auto di Tony. Ziva salì al
lato del passeggero, tenendo sempre le mani strette al petto. La ferita
le pungeva un pò.
"Dove devo andare?"
"Jamesons Street. Di fronte..."
"... al Rooney Park, lo so. Vado a correre lì"
"Oh" Ziva non trovò nulla di intelligente da aggiungere. Si
limitò a spostare lo sguardo sul finestrino.
Washington non era affatto cambiata: era la stessa città che
aveva visto le sue fughe con Tony, per saltare la scuola e la stessa
città i cui negozi erano stati svaligiati in compagnia di
Abby e la stessa città che ospitava le sue passeggiate
domenicali con McGee. Chiuse gli occhi per un attimo, intontita - anche
il profumo di Tony era sempre lo stesso e le dava alla testa.
"Stai... bene?" la voce di Tony arrivò soffusa. Si era
accorta di non percepire bene nulla. I suoi sensi si erano abbassati -
odiava perdere sangue. Il risultato era sempre lo stesso e lei si
sentiva così indifesa.
Non poteva permetterselo davanti a DiNozzo.
"Si. Come ho detto ad Abby, sono solo stanca"
"Era per chiedere" lo sentì rizzarsi sulla difensiva. "Non
vorrei ritrovarmi una ragazza svenuta in auto"
"Tranquillo. A differenza di quelle che ti scopi di solito, io non mi
addormento nella macchina degli sconosciuti"
si voltò per regalargli un sorriso sarcastico, a cui Tony
rispose senza indugio. "Siamo arrivati" non si era accorta che i due
appartamenti erano vicini. Ma doveva immaginarlo, in fondo, le aveva
appena detto che andava a correre al Rooney Park.
Tony parcheggiò giusto di fronte al condominio e scese con
lei. Ziva fece appena due passi, che una pallina arancione
andò verso di lei, sul muretto che costeggiava gli
appartamenti. "Whisky?!" prese il gattino tra le braccia. Miagolava - e
poteva giurare che fosse disperato.
"Come... chi ti ha fatto uscire?" lo accarezzò e
notò una strana macchia rossa sul dorso. "Ma..."
"Ehi, carino" trillò Tony, massaggiandogli le orecchie.
"Questo è il famos..."
Un boato fece gettare a terra entrambi. Ziva sentì un forte
dolore prima alle ginocchia (era caduta di peso, stringendo al petto il
gattino) poi alle orecchie, che pulsavano con forza. Non riusciva a
respirare, un pò per la paura, un pò per la
presenza di Tony, che la stringeva forte.
"Ziva?" ansimò. "Ziva?"
"Sto... bene" la ragazza annuì e Whisky cercò di
infilarsi nella sua camicia, terrorizzato. Ziva alzò lo
sguardo. Una bomba.
"Oh" gli occhi divennero lucidi. "Oh. Mio. Dio"
Quello era il suo appartamento.
Maia says:
Mi odiate, lo so! xD Ci ho messo un sacco di tempo a pubblicare e non
è nemmeno un granchè... ma sapete cosa? :( Mi
sono ammalata >.< Infatti vi sto scrivendo con un
gocciolone al naso e un mal di testa che pulsa in maniera
incontrollata... sto sclerando, giuro. Tutti che escono e io a casa che
a stento sopporto il volume della tv -.-' Quindi inutile che vi dica
che tutto quello che mi ero ripromessa di fare... beh, è
finito VOISAPETEDOVE. Domani andrò al centro commerciale
(per forza D: sto senza vestito per la festa!) e mi sto riempiendo di
medicine.
Snif.
Aiutatemi :(
... senza contare che 'sta giornata sta peggiorando... prima ero tutta
intenta a depilarmi (^^), ascoltavo una canzone troppo sgench (?) dei
Club Dogo. La canzone finisce e BUM!, mi esce Justin Bieber D: Ora,
niente contro Justin Bieber... ma che cazzo ci fa Justin Bieber dentro
Giosuè? -il mio mp3 ha un nome, si :D Giosuè -. E
comunque sto tanto incazzata che cado col culo per terra, mentre mio
padre invece di aiutarmi se la ride -.-' ... per poi venire a scoprire
che è stata mia cugina (13 anni di BELIEBER) a violentarmi
l'mp3. Bella famiglia, davvero.
Quindi sono leggermente incazzata. Mi serve UN ANTIDOLORIFICO
MAMMAAAAAAAAAAAAAAAA! T_
Mh. :( Vi lascio, ragazzi. Se sopravvivo, ci risentiremo...
anche perchè qualcuno ha fatto saltare in aria qualcosa :D
Semper Fi,
Amalia
|
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Capitolo 19 *** Make it or break it ***
NCIS
-
If not pride then what? Love of country? Sense of duty? I'm sure they
exist in you,
but
what burns is pride, my friend. Shalom.
Ari, 1x23
Le
unghiette di Whisky le graffiarono la pelle del collo, ma Ziva non se
ne curò. Le braccia di Tony erano ancora strette attorno al
suo
busto, così come il suo viso era piegato nell'incavo del suo
collo. Ma lei era riuscita comunque ad alzare la testa verso
l'appartamento saltato in aria.
Le girava la testa, sentiva male. Non
è possibile. No. Qualche
fiamma veniva ancora giù dalla porta-finestra che dava sul
balcone, mentre gli altri condomini correvano in giardino,
terrorizzati. Non
è possibile. Non a me. Whisky
le scappò di mano e andò a nascondersi sotto la
macchina
di Tony. Ziva non riusciva a staccare i suoi occhi: era tutto bruciato.
Non è
possibile. Non ora.
"Ziva? Ziva, stai bene?" le afferrò il viso con
due mani
e la obbligò a guardare verso di sè. Era
sconvolto e il
viso leggermente imbrattato di terra; sembrava appena uscito da una
delle missioni nel deserto che di solito assegnava il Mossad. Buffo.
"Riesci a sentirmi?" Ziva riuscì solo ad annuire allo
sguardo
preoccupato di Tony. La aiutò ad alzarsi lentamente e
controllò che stesse bene, facendola girare, voltare, le
alzò le braccia per controllare eventuali tagli: era una
figura
di cartapesta, tra le sue mani. Ancora non riusciva a reagire, per
quanto desiderasse prendere la rincorsa e salire le scale.
"Ma che... ma..." balbettò Tony, mentre le controllava il
polso.
"Ti prego, dimmi che quella non era casa tua. Ti prego" Ziva
sentì il tono di voce profondamente stanco. Non gli rispose,
però. Lasciò solo che le sue mani scivolassero
lontane da
Tony e trovò il coraggio di muovere un passo.
"Ehi" la voce di Tony divenne improvvisamente arguta. "Ehi... EHI!" le
urlò contro, quando la vide correre nell'ingresso.
Il ragazzo si guardò in giro e vide che nè
polizia,
nè vigili del fuoco erano ancora arrivati. Lanciò
uno
sguardo al condominio.
"Ma vaffanculo!" disse tra sè e sè,
così seguì velocemente Ziva su per le scale.
Il suo appartamento era al secondo piano, non ci misero molto ad
arrivare. Ziva aprì la porta con un calcio, anche se non
sarebbe
servito: era solo legno bruciacchiato, oramai. Il fumo le
entrò
prepotentemente nei polmoni e cominciò a tossire; stava per
fare
marcia indietro, ma una mano le posò un fazzoletto su naso e
bocca: Tony. Aveva fatto lo stesso per lui.
Ziva lo ringraziò con un cenno del capo ed entrò
nell'appartamento. Come aveva previsto, era tutto bruciato,
disintegrato. Gli ultimi mesi lì dentro non avevano
più
importanza e Ziva si sentì morire. Quella non era casa sua,
ma
le faceva un brutto effetto. Inoltre, non voleva pensare alla peggiore
delle ipotesi: che l'appartamento non fosse vuoto.
Camminò tra le macerie e, d'istinto, pensò a come
dovesse
essersi sentito suo padre, a camminare tra i detriti che avevano ucciso
sua figlia minore. Scacciò quei pensieri e
proseguì
spedita verso la cucina. Aveva una terribile sensazione.
Tony si fidò di lei, le camminò vicino, ma
leggermente
indietro. Si guardava intorno perso e si stupì quando la
vide
chinarsi e prendere, con un altro fazzoletto, in mano qualcosa. Era una
specie di grosso tubo. Sentì un rantolo e la
guardò
sorpreso. Quando Ziva si rialzò, sembrava normale. Ma lui li
vide, gli occhi lucidi e l'espressione corrucciata.
Qualcosa non andava.
Ziva fece dietrofront e andò nel salotto: il divano era
ancora
in fiamme, la televisione sembrava esplosa. Ma ciò che
più colpì la loro attenzione, fu della materia
nera sul
divano. Era grossa. Troppo grossa. Un grosso cumulo non ben
identificato.
Tony fu il primo a capire che si trattava di un corpo. Le
afferrò il gomito per portarla via, ma Ziva si
avvicinò,
lentamente, incredula.
Le venne un conato di vomito e arretrò, fino a sbattere
contro
la schiena di Tony. La sirena della polizia la fece sobbalzare.
"Dobbiamo andare via" sussurrò. "Scappa, Tony"
"Cosa?"
"Scappa!"
Lo trascinò fuori dall'appartamento e scesero di corsa le
scale.
Ziva notò subito che la polizia stava appena parcheggiando.
Ordinò a Tony di mettere in moto e di andare via.
Afferrò
Whisky per la collottola, mentre era ancora sotto la macchina e
salì a bordo.
"Vai, vai, vai!" gli urlò, mentre Tony metteva in moto e
correva
via. La polizia non sembrò accorgersi di niente, ma tempo
qualche ora e il resto del palazzo avrebbe riferito della fidanzatina
Rachel in fuga. Oltretutto con un ragazzo sconosciuto.
"Ora mi spieghi" le ringhiò contro, mentre svoltava
velocemente
verso la strada principale di Washington, nel caso una volante li
stesse seguendo. "E ti conviene essere esaustiva, visto che il tuo
gatto mi sta rovinando la tappezzeria della macchina"
Ziva si voltò e, effettivamente, Whisky si stava limando le
unghiette sul sedile posteriore. "Io..."
"Cosa è successo là dentro, Ziva?" le chiese, con
voce ferma.
"Il corpo. Era Michael" deglutì. "Doveva per forza essere
lui... Aspetta! Non andare da Abby e McGee, non posso tornare
lì" si
guardò spaesata attorno.
"Perchè?"
"Perchè... perchè è il Mossad che ha
fatto saltare
in aria casa mia. Il Mossad ha cercato di uccidermi e io non so
perchè!"
Tony sbarrò gli occhi e si voltò a guardarla,
senza prestare attenzione al traffico. "Come...?"
"Hai visto quel tubo che ho preso? ... è una delle nostre
tecniche, per far saltare in aria qualcosa. Michael non deve essersi
accorto di niente" Ziva si prese la
testa tra le mani e si chinò, fino a toccare le ginocchia
con la
fronte. Tony le lanciò uno sguardo preoccupato.
"Dove vado, adesso?" la sentì sussurrare. "Che cazzo sta
succedendo?"
Diane: He's not
afraid to show is emotions... like some people!
Fornell (to Gibbs):
She's talking about us?
9x07
"...
lo sai che non ti mentirei mai. Insomma, mi hai tenuto la fronte per
tutta la notte, mentre vomitavo, il secondo anno di college"
Gibbs accennò un sorriso e offrì una birra a
Tobias,
seduto sul suo divano. "Bene. Perchè è stata una
pessima
serata"
"Ah, si?" L'avvocato alzò un sopracciglio sorpreso. "No,
perchè io mi ricordavo che quella sera riuscisti a strappare
un'appuntamento ad una certa ragazza che piaceva ad un certo nostro
compagno... o no?" scosse la testa, divertito. "Era rossa anche lei"
"La smettiamo con questa storia delle rosse?" digrignò i
denti.
Dalla cucina si sentì la risata di Donald Mallard, mentre
tornava con due piatti pieni di nachos.
"Ammettilo, Jethro. Le rosse sono il tuo punto debole" disse rabbonito
il professore.
"E' risaputo" Tobias prese un sorso di birra, gettando un'occhiata alla
tv accesa.
"Ricordatemi perchè siete qui" Gibbs guardò tutti
e due con un moto di fastidio, stravaccati sul suo divano.
"Perchè oggi c'è la partita e tu non puoi uscire
perchè tua moglie sta per mandare in prigione un criminale"
riassunse Tobias. Il professor Mallard, accanto a lui, annuì
e
prese un nachos: non aveva intenzione di bere birra, ma solo il suo
amato Scotch Whisky, capolavoro scozzese di cui andava estremamente
fiero. Ne aveva portato un pò in bottiglia, ma gli altri due
lo
avevano ignorato.
"E da quando guardare una partita per voi è così
importante?" abbozzò un sorriso, mentre gli altri due si
scambiavano uno sguardo.
"E va bene!" si arrese l'avvocato, buttando le braccia al cielo. "Diane
è andata al mare e si è portata Emily. Non avevo
niente
da fare"
"... così mi ha chiamato per chiedermi se volevo fare un
giro,
ma ho una certa età" sghignazzò Ducky. "E poi
volevo
vedere la partita"
"E allora, da buoni amici, abbiamo pensato che avevi casa libera, visto
che Shannon è ancora al corso di yoga con gli eroi del FBI!"
"Certo, buoni amici. Come no" alzò lo sguardo al cielo.
"Non ti lamentare, Gibbs" disse Tobias, sorridendo. "Sono tre giorni
che stai chiuso qui dentro, ti serviva compagnia!"
"Senza offesa, ma voi due non siete proprio il massimo" Ducky e Tobias
lo guardarono palesemente offesi. "Insomma, siete venuti
perchè
non avevate niente da fare" ribadì, in suo favore.
"Sbagliato! Dovevo portarti delle pratiche che la nostra Shanny deve
firmare per il processo. Uno di questi giorni ripasso di qui, devo
mettermi d'accordo con lei per la prima sessione di interrogatori. Roba
da avvocati" spiegò.
"E se, per assurdo" continuò Ducky. "Qualcuno entra in casa
o ti spara addosso, almeno non sei solo"
"Oh, che carini!" commentò ironico Gibbs.
Shannon tornò proprio in quel momento, seguita a ruota da
Steve
McGarrett e Danny Williams. Il primo era palesemente annoiato a morte,
mentre il secondo aveva la tuta proprio come Shannon e parlava con lei
entusiasta.
"Tua moglie ha una nuova amichetta!" ridacchiò Tobias.
"Non sottolinearlo" grugnì Gibbs. "Devo ancora capire a cosa
punta: se a mia moglie, o a diventare una brava massaia... ma devo
ammetterlo, sanno il fatto loro. Non è successo niente da
quando
sono arrivati e seguono Shannon dappertutto"
"Ma guarda chi si vede!" la donna posò le mani sui fianchi e
sorrise. "Mallard e Fornell nel mio salotto. Ora sì che mi
sento
al sicuro!"
"Cazzo, stasera c'era il Super Bowl" Steve McGarrett guardò
con desiderio la tv.
"Sto io con Shannon" Danny alzò gli occhi al cielo.
"Guardati la partita"
"Ok, sono qui se avete bisogno" Steve sorrise esageratamente e si
stravaccò pure lui sul divano, costrigendo Gibbs a rimanere
in
piedi.
L'uomo fece un rapido calcolo: tre futuri tifosi sbronzi erano seduti
sul suo divano, sua moglie era ricercata e incinta, in quel momento in
compagnia di un agente del FBI, mentre insieme guardavano un programma
sulla cucina, nello studio.
Ok, quando, esattamente,
le cose mi sono sfuggite di mano?
Tony: You go, Ziva
Ziva: Not
without you.
9x24
Tony pensava di aver dato abbastanza. Insomma, tre anni prima aveva
avuto a che fare con FBI, Mossad, polizia, una ragazza killer e suo
fratello psicopatico. Tony pensava, appellandosi al calcolo della
probabilità, di non potersi ritrovare in una situazione
vagamente simile perchè - oh, ma andiamo! -
certe cose accadevano più o meno una volta su un milione.
E invece no.
Forse era un problema suo, pensò. Si, probabilmente qualcuno
lassù lo odiava a morte (che fosse il nonno paterno?), tanto
da mandargli tutta quella valanga di merda dal nulla: è vero
che dopo Ziva il suo cuore aveva ripreso le sue normali funzioni e non
sentiva più alcun brivido, ma poteva dirsi felice. Stava per
diventare poliziotto, aveva amici nuovi, si era tenuto quelli vecchi,
era ricco sfondato e aveva anche una trombamica. Poteva dirsi mediamente felice, per
l'esattezza.
E invece no.
Senza volerlo strinse forte, tra le mani, il volante e
digrignò i denti. Sempre tenendo conto del calcolo delle
probabilità, c'erano poche chances che da quella storia ne
uscisse vivo per la seconda volta. Oramai si era capito che ci era
dentro con tutte le scarpe, non poteva tirarsi indietro. Senza contare
che tutti i condomini l'avevano visto in faccia - minimo mi sbattono fuori
dall'Accademia. Si voltò verso Ziva David per
dirgliene quattro, del tipo 'ti
conviene seguire un corso per imparare a non rovinare più la
vita delle persone', ma si bloccò. Era ancora
in posizone fetale, che mormorava chissà cosa. Beh, c'era
sicuramente qualcuno che stava peggio di lui.
"Che faccio? Dove andiamo?"
Ziva parve riacquistare tutta la sua lucidità,
perchè si rialzò velocemente, tanto da fargli
temere un tremendo dolore alla schiena.
"Lasciami alla stazione degli autobus" gli ordinò,
voltandosi verso il sedile posteriore. La vide sorridere amaramente.
"Ti lascio Whisky, ok? Portalo da Abby e dille... non lo so. Dille
quello che ti pare" deglutì, poi prese a frugare nella sua
borsa. Cacciò fuori la pistola e contò i colpi.
"Aspetta, fammi capire: cosa vuoi fare?"
"Zitto e guida"
"Zitto e guida lo dici a qualcun altro, Ziva David! Ora tu mi dici cosa
vuoi fare, perchè si dia il caso che tu sia una quasi
fuggitiva e io un quasi poliziotto. Devi ammettere che non siamo una
grande accoppiata"
"D'accordo!" si voltò furente verso di lui. "Il Mossad vuole
uccidermi e non so perchè, quanto pensi che ci metteranno a
scoprire che c'è solo un corpo, lì dentro, eh?!
Quanto? Te lo dico io, meno di un giorno. Quindi tra qualche ora
sarò ricercata quantomeno dai servizi segreti migliori del
mondo, con chissà quale accusa catastrofica, sempre che io
ci arrivi viva a Tel Aviv, per il processo! Ora, Tony DiNozzo Junior,
cosa pensi che mi rimanga da fare?" ringhiò. "Scappo!"
"Con l'autobus?" alzò un sopracciglio. "Non mi sembra una
grande idea"
"Beh, l'aereo e il treno non li posso usare: troppi controlli e
videocamere. Nè tantomeno tornare da Abby e McGee. E' il
primo posto in cui mi cercherebbero, senza contare che li metterei in
pericolo ed è l'unica cosa che non voglio, adesso"
Tony stette in silenzio per qualche secondo. "Il Mossad lo sa quello
che è successo tre anni fa?"
"Ovviamente" scivolò lungo il sedile. "Ci sono poche cose
che il Mossad non sa dei suoi agenti"
"Perfetto. Allora non credo che verranno a cercarti a casa mia"
"Che... che stai dicendo?"
"Sto dicendo che torno a Baltimora prima del previsto. In auto"
afferrò il cellulare e lo lanciò a Ziva. "Chiama
Abby e spiegale tutto"
"Non credo di aver capito" boccheggiò Ziva, maneggiando tra
le mani il telefono.
"Vieni con me" sospirò. "Vieni con me a Baltimora. Arrivati
a questo punto... o la va, o la spacca"
McGee guardò la sua ragazza lavorare frenetica al computer e
sorrise. Si diceva sempre che era stato fortunato, ma quante volte
gliel'aveva davvero detto? Pensava sempre a come era finita tra Tony e
Ziva e a quanta sofferenza c'era stata. Non voleva che accadesse anche
a loro.
"Abby..." venne interrotto sul più bello dal cellulare della
ragazza. Lo afferrò per lei e vide che era Tony.
"Tony sta chiamando" alzò un sopracciglio. "Rispondo?" la
vide annuire, troppo concentrata sul suo lavoro.
"Pronto?... Ziva, cosa... ma che... Oh. Cazzo" Abby si voltò
velocemente verso di lui. McGee le fece segno di aspettare. "Si, si...
ah ah" annuì. "Siete sicuri? Non pensate che sia... ?
Documenti falsi?" boccheggiò e Abby spalancò gli
occhi. "Io credo... penso che Abby possa procurarteli. Si, ci pensiamo
noi... ok, ciao" chiuse la chiamata.
"Che diavolo hanno combinato?" strillò la ragazza.
"L'appartamento di Ziva è saltato in aria, con il suo
collega dentro. Dice che è stato il Mossad e che sta
scappando da Tony a Baltimora" sussurrò, buttandosi a peso
morto sul divano, seguito da Abby.
"Oh, cazzo"
"Già"
"E Tony...? Si, insomma... ha accettato?"
"Te l'ho detto che l'ama ancora. Sicuramente si sarà gettato
a pesce in questa bellissima novità" digrignò i
denti. "Suicida. Quel ragazzo è un potenziale suicida. Ah, a
Ziva servono documenti falsi. Dice che resterà da Tony per
un pò, mentre cerca di mettersi in contatto col padre"
aspettò una risposta di Abby, che non arrivò. Si
voltò verso di lei e vide che gli occhi erano lucidi.
"Stai bene?"
"No. Perderemo Ziva di nuovo, me lo sento" si asciugò una
lacrima e si aggrappò al petto di McGee, che la strinse
forte.
"Che ha detto?"
"Ci penseranno loro ai documenti falsi" Ziva posò il
cellulare sul cruscotto e chiuse gli occhi. Respira. Respira. Michael
è morto. Respira.
"Perchè lo stai facendo?" guardò di
sottecchi Tony e tirò su col naso. "Perchè lo
stai facendo? Dicevi di odiarmi"
"Te l'ho detto, oramai ci sono dentro. Spero solo che nessuno abbia
preso il numero di targa"
"Tony..."
"Sta zitta. Per favore" e Ziva, per la prima volta dopo tanto tempo,
ubbidì.
Maia
says:
Aloha, lettori v_v lo so, lo so, non sono proprio velocissima
nell'aggiornare, ma la storia si sta complicando e io ho passato una
settimana d'inferno tra un funerale, le amiche, i compleanni e...
._________. vabbè. Sto seriamente pensando che... la scuola
mi manca.
[Probabilmente è solo il caldo che mi da alla testa]
Allora... Il Mossad ha fatto fuori Michael e vuole far fuori Ziva. Ma
perchè? v_v Voglio vedere se ci arrivate v_v
Innnnnnnnnnnnnoooooooooooooooooooooltre, la nostra piccola israeliana
è in trasferta per Baltimora, in fuga da polizia/Mossad e
starà a casa di Tony... si prevedono scintille *_* Anche
perchè... da Tony ci sono i Densi (Deeks e Kensi) e Sam,
Callen, Kate, Rick... (che, per la gioia di molti di voi, torneranno
nel prossimo capitolo a dare man forte alla fuggiasca :D - a proposito,
ho comprato il libro di Richard Castle **).
Fatemi sapere v______________v
P.s.: Un caloroso
benvenuto a Steve e Danny da Hawaii Five-0 :D Non so se molti di voi lo
guardano, ma io me ne sono innamorata *_* (soprattutto di Steve/Alex
O'Loughlin :Q_____________________________) a me personalmente fanno
ridere un sacco e, visto che è la prima volta che mi cimento
con loro, li sto trattando con i guanti x'D Più o meno li
tengo sulla linea di tiro del telefilm originale.
P.s.2: Sono così disperata che vi chiedo aiuto :( La mia
migliore amjca fa 18 anni e io DEVO farle una sorpresa la sera della
festa (che si svolgerà in un locale)... il problema
è che non so dove mettere mano. Lei non vuole collage di
foto, non vuole video, non vuole niente di niente... non è
che a qualcuno di voi hanno fatto/avete fatto una sorpresa carina? D':
fatemi sapere, che non ci sto dormendo la notte.
P.s.3: perdonate eventuali errori di battitura, non ho tempo di
ricontrollare al millimetro :(
Semper Fidelis,
Amalia.
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Capitolo 20 *** Fai bei sogni ***
NCIS
- I'm a very special agent. I have my ways
Tony, 9x22
Ziva credeva di
averla superata. Credeva davvero
di
averla superata. Oramai si sentiva grande, era nel Mossad, con suo
padre le cose si stavano risolvendo. E invece? Si accorse, con orrore,
di non essere diversa dalla ragazzina che, tre anni prima, piangeva
disperata sul retro di una macchina dei federali, per la perdita di suo
fratello, e veniva presa in braccio da un ragazzino, spaventato almeno
quanto lei.
Ziva si accorse di odiare ancora profondamente sè stessa:
per
quello che era diventata (e che aveva promesso a sua madre di non
diventare mai) e per quello che aveva dimenticato (che si era
ripromessa di non dimenticare). La morte di sua madre, di Tali e di Ari
bruciavano ancora come una ferita mai rimarginata. La prematura
scomparsa di Michael aveva portato a galla tutto quel marciume che si
ostinava a portare dietro. Non amava Michael, ma un'ondata nuova e pura
di dolore la travolse, facendole smorzare il respiro.
Solo in quel momento, stava elaborando ciò che era accaduto.
Passi la bomba, il Mossad... ma Michael era morto. Il suo collega, colui che avrebbe dovuto
proteggerla era morto. Tutti quelli che la amavano, prima
o poi facevano quella fine.
Whisky cominciò a miagolare quando, sul pelo fulvo,
sentì
delle gocce d'acqua davvero fastidiose. Tony si voltò,
attirato
dal suono soffice del micio, e vide chiaramente una lacrima scendere
dagli occhi di Ziva.
Tornò subito con lo sguardo rivolto all'autostrada. Non gli
avrebbe mai permesso di consolarla - avrebbe perfino mentito, se fosse
stato necessario. Eppure, tutto in lei urlava un disperato
bisogno di
aiuto.
"Siamo arrivati" le disse, a tarda sera, dopo qualche ora di viaggio e
poche frasi di circostanza. Ziva alzò gli occhi sul
condominio
dall'aria poco rassicurante, con qualche mattone mancante, malamente
intonacato. Whisky si lamentava eccessivamente, così lo
cullò tra le braccia, mentre saliva le scale dietro Tony.
Entrambi erano senza bagaglio ma, se i vestiti del giovane DiNozzo
sarebbe stati spediti da McGee, Ziva non aveva più nulla. In
assoluto.
"Tony!" Sam fu una ventata di aria fresca. Abbracciò il suo
coinquilino di slancio e i dreds volarono con lui. A Ziva
ricordò in qualche modo Abby. "Sei qui! Accidenti, ti
aspettavamo fra qualche giorno e..." la notò, finalmente.
Poi
notò il gattino. "C'è un gatto" lo
indicò stupito.
"Vieni, micetto. Gli do del latte, va bene?" rassicurò Ziva
con
una strizzata d'occhi e lei glielo lasciò, decisa a fidarsi.
Non
le aveva chiesto niente.
Tony la fece entrare in casa, spostandosi dall'ingresso e lievemente
turbato.
L'appartamento era come lei se l'era immaginato: spoglio, ma caotico.
Un ambiente di passaggio, ma vissuto intensamente. Non a caso, il
salotto era pieno: c'erano sei persone sedute tra divano, poltrona e
tappeto sul pavimento. E tutti sorrisero esageramente alla vista di
Tony. Ziva non se ne stupì, più di tanto. Era
quello che
aveva amato di lui: la straordinaria capacità di farsi voler
bene senza metterci impegno, semplicemente perchè lo voleva.
"Mi sei mancato!" una ragazza si aggrappò al suo braccio e
Tony,
ridendo, le accarezzò la testa. Le venne automatico
guardarla
male, come faceva al liceo - poi si rese conto di non avere un briciolo
di autorità per farlo.
"Io non ti abbraccio" ridacchiò un ragazzo biondo. "Voglio
solo
sapere chi è la sventola che ti porti dietro! Io sono Deeks,
comunque" le si parò davanti e le fece il baciamano.
"Rachel" si presentò Ziva, usando il nome che aveva
concordato con Michael. Michael,
che era appena morto.
"Ottimo. Un'altra delle tue puttane?" rise l'altra
ragazza, seduta sul divano.
"Quanto sei simpatica, Kate" borbottò Tony. "Lei
è,
uhm... una mia... amica. Ha bisogno di ospitalità" la testa
di
Sam spuntò dalla cucina.
"Per me non ci sono problemi. C'è un divano libero, se
stasera Deeks evita di ubriacarsi"
"Quanto sei stronzo! Mi fai anche pesare la cosa"
"Dovere, Deeks, dovere!"
Quelle scenette dovevano essere familiari, perchè tutti
risero e
malmenarono il povero Deeks. A Ziva vennero in fretta presentati Kate e
Rick (che a quanto aveva capito, faceva lo scrittore), Sam, Callen e
Kensi (la ragazza che aveva guardato ingiustamente male).
Sam l'Artista l'aveva già conosciuto, così come
Deeks.
Ha una vita nuova. Tony
si è rifatto una vita. Guardò tutti
quei nuovi volti come se stesse per vomitare.
Io non ci sono riuscita.
"Ma la tua amica Rachel non ha bagagli? E i tuoi?" Kensi
li guardò sovrappensiero.
"Oh, ehm... ce li spediranno, penso. Siamo venuti di corsa"
involontariamente, scambiò uno sguardo con Callen, che lo
guardava sospettoso.
"Rachel, ti va di mangiare?" Kate le si avvicinò.
"C'è la
solita pizza riscaldata in cucina, ma credo che ti possa bastare. O
no?"
-
Don't you dare tell me there is a reason for you throwing away what you
had
Gibbs, 2x01
Gibbs,
la sera prima, era andato a letto esausto: la partita era finita tardi
e aveva dovuto accompagnare Tobias a casa (perso nei fiumi
dell'alcool), che blaterava senza sosta di quanto fosse crudele e senza
cuore la sua ex moglie. Senza contare che aveva dovuto tenere a bada
gli altri due, troppo impegnati a tifare per accorgersi del resto, e
anche sua moglie aveva voluto la sua parte; McGee ed Abby, infatti,
erano passati a trovarla e a lei non era di certo passata inosservata
la mancanza di Tony e Ziva, soprattutto. Gibbs non aveva avuto il tempo
di chiedere nulla, perchè lo sguardo dei suoi vecchi alunni
aveva detto tutto.
Chissà in cosa si erano cacciati, di nuovo. E temeva che
quell'esplosione in centro significasse qualcosa. O, almeno,
così gli aveva suggerito lo sguardo terrorizzato di McGee al
telegiornale serale.
La mattina dopo, perciò, Gibbs si alzò con un
forte
cerchio alla testa e con la sensazione di non essersi riposato
abbastanza. Gettò lo sguardo accanto a sè, dove
Shannon e
il suo pancione dormivano beatamente. Lei, invece, la sera prima
sembrava proprio essersi divertita: aveva scommesso con Danny su
chissà quale programma di cucina, vincendo cinquanta
dollari,
poi la visita dei ragazzi l'aveva rinvigorita.
Forse le donne incinte avevano poteri sovrannaturali.
Si alzò lentamente, controllando l'orologio: erano le sette
spaccate e, entro un'ora, doveva essere a scuola. Fece una doccia
veloce, mentre Shannon ancora dormiva, si vestì di tutto
punto e
fece una veloce ma calorica colazione. In salotto trovò
Danny e
Steve che giocavano a poker (chiedendosi contemporaneamente se fosse
una cosa legale, mentre controllavano una testimone).
"Io vado" disse agli agenti. "Mi raccomando"
Danny gli sorrise, con la faccia sconvolta e i capelli arruffati.
"Tranquillo. Siamo pronti e svegli!"
"Svegli mica tanto. Non avete una bella cera" prese la sua borsa
dall'ingresso. "Avete dormito?"
"Poco" intervenne Steve. "A turni" spiegò velocemente,
mentre si
scambiava uno sguardo d'intesa con Danny. Era da quando gli erano
piombati in casa che quei due sembrano nascondere qualcosa; Gibbs non
sapeva esattamente cosa, ma
qualcosa c'era di sicuro. Shannon, la sera prima, aveva
avanzato l'ipotesi che i due fossero una coppia. E
perciò con tutte le implicazioni del caso. A lui non avrebbe
dato molto fastidio, eccetto per il fatto che le loro moine li
avrebbero distratti dalla protezione di sua moglie.
Li guardò un'ultima volta, abbozzò un sorriso e
uscì di casa. L'aria cominciava decisamente a riscaldarsi,
così, mentre prendere le chiavi, si sfilò anche
la
giacca. Raggiunse l'auto e, mentre cercava la chiave giusta,
notò qualcosa sulla fiancata che non doveva esserci.
"Steve!" urlò. Mentre l'agente lo raggiungeva, Gibbs si
abbssò ad osservare i fori di proiettili che aveva piantato
nella sua auto.
"Che è successo?" Steve uscì di corsa, seguito da
Danny.
"Guardate!" indicò con un dito i cinque cerchietti.
"Hanno sparato sull'auto. Chiaro avvertimento da banda"
mormorò Steve.
"Chiamo la centrare. Niente scuola, per oggi" Danny prese il telefono e
si allontanò.
Gibbs sospirò e si rivolse a Steve. "Dimmi la
verità:
quante probabilità ci sono che si fermino agli avvertimenti?"
"Meglio che tu non lo sappia"
Un'ora dopo circa, casa Gibbs era circondata da pattuglie e un grosso
SUV dei federali. Shannon era seduta sugli scalini dell'ingresso, con
l'aria affranta, mentre osservava i poliziotti della scientifica
rilevare chissà quale traccia. Non che non si fidasse della
polizia, ma le sembrava alquanto improbabile che gli autori del
misfatto avessero lasciato qualcosa: probabilmente avevano sparato
dall'auto in corsa.
"Ehi" Gibbs si sedette accanto a lei.
"Ehi" gli prese una mano e la strinse, portandola sulla pancia.
"Come stai?" le chiese, scrutandola a fondo.
"Bene. Credo. Io..." deglutì. "Non riesco a togliermi dalla
testa l'immagine di te, sanguinante, chiuso in auto" poggiò
la fronte sulla sua spalla. "Jethro, potevi esserci tu in quella
mattina. E' stato solo un caso - o una mossa ben studiata - che tu non
fossi lì"
"Non ti libererai di me" scherzò.
"Smettila" Shannon mise il broncio e alzò il viso per
guardarlo. "Non è uno scherzo. Voglio che tu stia attento"
"Starò attentissimo" la rassicurò, prima di
baciarla velocemente sulle labbra. "Ti amo troppo per morire
prematuramente"
"Carino" ridacchiò, poi tornò seria.
"Promettimelo. Prometti che ti guarderai le spalle"
"Te lo prometto, signora Gibbs"
Ziva: "The two of
them alone in another world"
Tony: "Putting their
lives in each others' hands everyday. It was inevitable"
5x19
L'arrivo di
"Rachel" non aveva convinto tutti. Se persone come Deeks e Rick ci
passavano sopra, Callen, Kate, Kensi e Sam cominciarono a guardarla con
sospetto: non aveva bagagli, sembrava sconvolta, Tony non parlava (o se
lo faceva utilizzava monosillabi) e si era presentata con un gatto. Un
gatto arancione che stava distruggendo le tende dell'appartamento.
"Forse è meglio che vada" Sam L'Artista (come lo aveva
soprannominato Ziva tra sè e sè) prese una sacca
in un angolo della cucina. "Tony, paga l'affitto alla signora di sotto,
mentre io non ci sono"
I presenti si alzarono per salutarlo. Evidentemente, erano
tutti lì per una specie di festa d'addio. Anche Tony
abbracciò il suo coinquilino. ù
"Dalle la mia stanza" gli sussurrò all'orecchio. "E sta
attento"
"Lo farò"
Videro i suoi dreds sparire lungo le scale e la sua ragazza che lo
raggiungeva nell'atrio.
"Cavolo, un safari. Chi andrebbe mai a fare un safari?" Deeks
spalancò gli occhi. "Ci sono i leoni"
"Ma sta zitto" Kensi gli tirò uno scappellotto. "Andiamo a
casa, su, Deekie"
lo afferrò per il collo e lo trascinò fuori
dall'appartamento.
"Andiamo via anche noi" Kate si stiracchiò e Rick si
alzò dal divano. "Domani abbiamo lezione"
"E io ho un'intervista" il ragazzo si schiarì la voce e si
sistemò il colletto della camicia. "E' stata una bella
serata"
"Ciao, ragazzi" li salutò Tony, accompagnandoli alla porta.
"Ci vediamo domani, Kate"
"A domani"
Anche Callen e Sam si erano alzati. "Tony, vieni un po' qua" Sam mosse
l'indice verso di lui.
"Che c'è?" Ziva era seduta sul pavimento, accanto a Whisky,
e non vi era nessun pericolo che sentisse.
"Chi è quella?" scandì Callen, indicandola con un
cenno del capo. "La verità"
"Mi dispiace, ragazzi. Ma davvero, non posso dirvi niente" si
grattò la testa.
"Se ti sei cacciato in qualche guaio..." cominciò Sam. "...
diccelo. Possiamo risolverlo insieme"
"Non posso proprio" Tony ridacchiò nervosamente. "Comunque
grazie" diede una pacca sulla spalla a tutti e due, mentre se ne
andavano. Quando chiuse la porta dietro di sè,
tirò un sospiro di sollievo. Aveva scordato che quel giorno
Samuel doveva partire per il safari in Africa con la sua stramba
fidanzata. Trovare tutta la banda sul suo divano non era stato
esattamente un colpo di fortuna - soprattutto perchè avevano
subito capito che c'era qualcosa che non andava.
"Ehm, Ziva..." la chiamò. Lei alzò la testa nella
sua direzione. Aveva le occhiaie. "Puoi prendere la mia stanza. Mi
sistemo io in quella di Sam"
"Non c'è bisogno, sto sul divano"
"Non dire cazzate" sbuffò. "Imboccato il corridoio, quella
porta lì" gliela indicò con un vago gesto della
mano. "Potresti evitare di portarci il gatto?"
"D'accordo" diede un'ultima carezza a Whisky, che si
appiattì per farle le fusa, poi si avviò verso
camera sua.
Una volta entrata, scoprì che Tony non era cambiato proprio
per niente: le pareti erano tappezzate di poster di film in bianco o
nero, il letto aveva le lenzuola di Magnum PI e una marea di libri e
vestiti erano sparsi un pò dappertutto. Solo la collezione
di DVD era ben impilata nell'unica libreria della stanza, mentre
l'armadio a muro stava sopra il letto.
Ziva sorrise e accarezzò le coperte del letto. Poi si
distese, poggiando la guancia sul cuscino. C'era l'odore di Tony
dappertutto. Un morsa le fece sobbalzare lo stomaco: nostalgia. Non
poteva essere altro che quello.
"Stupido, fottuto gatto! Ti odio, lo sai?"
Tony si era svegliato molto bruscamente intorno alle tre di notte.
Dapprima aveva sentito come degli aghi sulle cosce, poi qualcosa di
ruvido e caldo sulla guancia. Whisky.
"Lo sapevo che non dovevo lasciare la porta aperta. Gatto malefico" lo
riportò in cucina tenendolo per la collottola, schifato.
"Mi hai leccato la faccia! Non si fa, cattivo gattino. Cattivo,
cattivo, cattivo!" lo lanciò sul divano, dove cadde con una
capriola ben piazzata.
"E non miagolarmi in faccia" lo minacciò, quando lo vide
avanzare con le zampette nella sua direzione. "Sta lì, buono"
Imboccò il corridoio per ritornare nella camera di Sam,
quando venne attirato da un suono soffocato. Proveniva da camera sua.
Sembravano gemiti, o lamenti. Niente di buono, insomma. Fortunatamente
Ziva aveva lasciato la porta socchiusa, come si permise di entrare.
Era rannicchiata in posizione fetale e, a quanto pare, era proprio lei
a gemere durante il sonno. Scalciava, anche.
Tony ricordava con chiarezza le sere che aveva passato da lui dopo la
morte di Ari: era un film già visto, stava solo facendo un
brutto sogno.
Si avvicinò piano al letto e le si sedette accanto. Aveva la
fronte imperlata di sudore e una brutta smorfia che le deturpava il
viso.
"Zee..." le accarezzò piano una guancia. Riuscì a
calmarla, ma senza svegliarla. "Fai bei sogni" le baciò una
tempia, delicatamente, per poi uscire dalla porta.
Ziva dormì tranquilla per il resto della notte.
Maia says:
Uff. Si, ci sono. Eccomi! >.< Ho rischiato di morire per
il caldo, spiaccicata sul mio divano, ma invece ce l'ho fatta **
Purtroppo, devo darvi una notizia >.< Questo è
l'ultimo capitolo prima di settembre, perchè la settimana
prossima vado in vacanza e non avrò un pc :/ ( a parte il
telefono con internet, ma sono impossibilitata a scrivere capitoli...
:/) Giuro che, però, dove e quando posso, mi scrivo qualche
appunto per il capitolo post-vacanze (che non so quando
arriverà, ma arriverà) XD
# Il titolo del capitolo "Fai bei sogni", è 'dedicato'
all'ultimo libro che ho letto -
Fai bei sogni, appunto, di Massimo Gramellini.
Se potete, LEGGETELO. Io l'ho scaricato da Internet in PDF e l'ho
finito in un giorno, per poi piangere per il resto del pomeriggio. E'
straziante, ma bellissimo. L E G G E T E L O ** Se lo volete
in pdf ve lo mando, SOFT u.u
Comunque, squadra... per adesso, la ff entra in pausa estiva :(
Ci vediamo fra un pò di settimane, susu :'D
Semper Fi,
Amy
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Capitolo 21 *** Di bersagli e riviste porno. ***
NCIS
Tony: Well. I like
that there's someone out there that makes you smile
Ziva: Yes. There is.
8x04
"Ok...
che mi sono perso?" Tony DiNozzo Jr rimase immobile sulla soglia del
salotto, con le occhiaie e un gran mal di testa. Ziva David si
voltò verso di lui solo per qualche secondo, in tempo per
vederlo senza maglia del pigiama.
"Indago. Non ti dispiace, vero?"
"No, no. Fai pure..." spalancò gli occhi. "Potevi essere
più discreta. Tutto qua" osservò con poco garbo
la
lavagna gigante che Ziva aveva letteralmente costruito grazie alle tele
e ai cavalletti di Sam. Con la tempera nera aveva scritto nomi, fatto
collegamenti. In alcuni punti, potè notare, c'erano anche
dei
disegni incomprensibili. O forse erano solo parole in ebraico. Poi
numeri, e note a margine. Sembrava averci lavorato per giorni, invece
erano solo poche ore. Aveva anche attaccato delle foto,
chissà
da dove le aveva prese.
"Bel lavoro" soffiò tra i denti. Whisky si era
già appropriato di una poltrona. "Sei arrivata a
qualche
conclusione?"
"No" si grattò la testa con il pennello, l'aria scocciata.
"Anzi, mi sono resa conto che ci sono fin troppe persone pronte a farmi
fuori. O almeno, a tentare
di farmi fuori. Non ci sono riusciti"
"Scusa un attimo" Tony si sedette sul divano, giusto di fronte le tele
allineate. "Perchè pensi di essere tu il bersaglio? Poteva
anche
essere il tuo collega. Di fatto, lui è morto... non tu. Se
davvero è stato il Mossad - e non mi riesce difficile
crederlo
-, avrebbero fatto un errore così grossolano?" fece una
smorfia.
"Tu stessa, qualche anno fa, mi hai detto che siete i migliori in
intelligence"
"Ci avevo già pensato. Ma non vedo perchè
uccidere Michael. Era pulito, so che lo..." spalancò la
bocca. "Papà"
sussurrò.
"Cosa?"
"Mio padre" si voltò verso di lui, dubbiosa. "Mi aveva detto
di
stare attenta a Michael Rivkin, tempo fa. Di non fidarmi, forse"
"E perchè?"
"Ah, non lo so. Ho provato a chiederglielo ma... mi ha ignorata"
Tony si grattò il mento. "Vabbè. Io ho fame. Vado
a
prendere dei cornetti al bar all'angolo. Non muoverti" la
guardò
di traverso e, indietreggiando, tornò in camera sua. Ziva si
passò una mano sulla fronte e sbadigliò, mentre
osservava
perplessa le tele. In effetti, Tony non aveva torto: se qualcuno del
Mossad la voleva morta, non aveva possibilità di
sopravvivere. Papà.
L'unica
soluzione era contattare Eli David. Non sapeva, tuttavia, come fare. Il
direttore stesso non era immune ad intercettazioni telefoniche e
chiamare non era sicuro come una volta.
"E se non chiamassi direttamente mio padre?" disse, tra sè e
sè.
"Cosa?" le urlò Tony, da un'altra stanza.
"Senti, qui intorno c'è ancora una cabina telefonica
funzionante?"
"Penso di si, perchè?"
"Mi ci puoi accompagnare? Devo telefonare ad una vecchia amica"
"Abby?"
"Mh?"
"Stai torturando quel pezzo di carne da un quarto d'ora"
"Oh"
La ragazza posò sul vassoio la forchetta di plastica e prese
a
guardarsi intorno nervosa: la mensa dell'Università non le
era
mai apparsa un luogo così pieno di pericoli. "Tim..." si
voltò verso il suo ragazzo. "Secondo te, Ziva ha ragione?
C'è un gruppo di studenti che ha venduto i nostri brevetti
per
scopi terroristici? Possibile che nessuno se ne sia accorto?"
"Se, e sottolineo, se Ziva ha ragione, ancora nessuna trattavia sta
andando in porto... ci hanno solo rubato le idee" le
accarezzò
la mano col pollice. "E poi, non ti devi preoccupare: se conosco bene
Tony, sta aiutando Ziva a venirne a capo e ciò vuol dire
solo
che la situazione migliorerà prestissimo!" annuì
e le
sorrise.
"Che possiamo fare, nel frattempo?" Abby si morse il labbro inferiore.
"Scovare gli studenti traditori. E, se permetti, ho anche qualche idea
per farli uscire allo scoperto" ridacchiò.
"Sai che questa tua aria misteriosa, mi piace?" sorrise e si
alzò, prendendo la sua borsa. "Ci vediamo in camera mia.
Muoviti
a mangiare"
- You've been doing a
one hell of a job, Anthony
Gibbs, to
Tony, 6x16
"Mi
sento un estraneo in casa mia. McGarrett sembra un cane da caccia e
Danny sta sempre davanti alla tv. Non ce la faccio" Gibbs
alzò
le mani al cielo. "Penso che mi trasferirò sotto i ponti
finchè questa storia non si sarà conclusa"
"Scherzaci poco sopra, Jethro. E' una questione davvero seria. Si
tratta della tua sicurezza e della sicurezza delle tue ragazze"
"Lo so, Ducky. Ma sono stanco"
"Gerald non è venuto a scuola nemmeno oggi"
I due insegnanti abbracciarono la mensa con gli occhi. "E' una
settimana che manca?"
"All'incirca" Ducky deglutì e si tamponò la bocca
con un tovagliolo. "Ma parliamo di Shannon: come sta?"
"Bene. E' solo molto tonda" sorrise. "Stranamente la vicinanza con i
due pazzoidi le sta facendo bene. Si sente sicura e mi permette di
uscire di casa senza andare in iperventilazione" ridacchiò.
"Il processo quando ci sarà?"
"Quattro giorni e non so davvero..." si strofinò il viso con
le mani. "Sono stanco"
"L'hai già detto" il professore annuì tra
sè e sè. "Quello incinto e sotto processo sembri
tu!"
"E' come se lo fossi..."
"... è come se lo fossi!" Danny passò una ciotola
piena
di latte a Shannon, che annuì comprensiva e gettò
il
contenuto nell'impasto dei biscotti al cioccolato. "Capisci? Sono suo
padre e mi sento il patrigno" digrignò i denti. "Grace
è
mia figlia"
"Brutto affare" sbuffò Shannon, mentre prendeva un mestola e
univa il tutto. "Non puoi andare in tribunale?"
"E a dire cosa? Che mia moglie si è risposata e che suo
marito
non mi piace? Nah. Cerco di tenere Gracie il più possibile"
Steve si voltò: "E' una bambina adorabile" sorrise, poi
tornò a guardare fuori dalla finestra.
"La porti in ufficio?" gli domandò Shannon, incuriosita.
"Si, qualche volta, quando proprio non la posso lasciare alla baby
sitter, o sua madre non la può tenere. Sai com'è,
sembra
che si diverta ad aggirarsi tra pistole e documenti del Bureau. Deve
aver preso tutto da suo padre" Danny gonfiò il petto.
"Ma sta zitto" Steve alzò gli occhi al cielo. "Quella
bambina è cento volte più sveglia di te"
"Mi stai chiamando stupido?"
"Esatto"
Shannon scoppiò a ridere. "Smettetela! E aiutami a riempire
le
formine dei biscotti" tirò una gomitata a Danny, intento a
fulminare con lo sguardo il suo collega. "Dovresti portarla qui, un
giorno di questi. Sono sicura che la cantina le piacerebbe, Gibbs ci
tiene un enorme quantità di cose... nemmeno io ci vado mai,
credo che mi verrebbe un attacco d'ansia per tutto quel disordine"
"Visto? Non solo io sono allergico al disordine" si lamentò
Danny, voltandosi verso Steve.
"Tu sei esagerato" si sentì rispondere.
"Oh, vivete insieme?" la donna sorrise e infornò i primi
biscotti.
"Purtroppo. Dopo il mio trasferimento è stata la soluzione
più comoda. Cerco una casa più grande,
però. Dove
Grace possa avere una stanza tutta sua" Danny sorrise. "Mi piacerebbe
che possa fermarsi a dormire e..."
Steve si schiarì la gola, infastidito. "Oh. Super Uomo
McGarrett
dice che può dormire da lui. Ma a me da fastidio. Non
è
casa mia"
"Lo è. E lo sai" Il collega si alzò, il volto
cupo. "Vado a fare un giro intorno alla casa"
Shannon osservò l'agente uscire e chiudersi violentemente la
porta alle spalle. "Mi spieghi cosa...?"
"E'... difficile" sospirò Danny. "Allora, quanti altri
biscotti devo fare?"
- I'm not a goth. I'm a
scientist.
Abby, 8x14
"Dove
l'hai imparato? Anzi... sai cosa? Non lo voglio sapere!"
sussurrò Timothy McGee, mentre la sua ragazza tentava di
scassinare la porta della camera nel campus di Francis J. Thompson,
l'unico studente traditore di cui conoscevano l'identità.
"Quanto la fai lunga... l'idea me l'hai data tu!"
"No, io ti avevo detto di entrare in camera di Francis, ma con metodi
quantomeno legali" sbuffò. Gettò un'altra
occhiata verso
il corridoio, fortunatamente deserto. Per far scappare gli studenti,
avevano finto di aver perso un ragno durante un'esperimento. Non era
stato difficile farlo credere a tutti, visto che le identità
dei
partecipanti al progetto 09 erano ben note.
L'unica stanza non aperta era quella di Francis. Il ragazzo era,
probabilmente, in fuga chissà dove e con chissà
chi. Ma,
almeno, sarebbe stato utile a Ziva e al Mossad sapere le
identità degli altri ragazzi.
"Fatto!" esultò Abby, tirandosi su. "Porta aperta!"
"Bene, entriamo. Possibilmente, cercando di non finire in prigione"
Senza farsi vedere, Abby alzò gli occhi al cielo e lo
precedette. La stanza era nel caos e la cosa non piacque a nessuno dei
due; sarebbe stato complicato perquisirla in condizioni normali, ma con
tutti gli oggetti sparsi in giro rasentava l'impossibile.
"Avrà preso le sue cose per la fuga" McGee si
grattò il mento. "Facciamo così... tu sotto, io
sopra"
"Tim!" trillò Abby. "Non che mi dispiaccia fare sesso in una
situazione del genere, ma..."
"Cosa...? Che hai capito?" Il ragazzo divenne rosso ed Abby sorrise.
"Intendevo dire, io mi occupo di mensole e armadi in alto. Tu
controlla le cose sul
pavimento"
"Oh! Beh, potevi spiegarti meglio, sporcaccione!" gli tirò
scherzosamente una pacca sul sedere. "Cosa dobbiamo cercare?"
poggiò le ginocchia sul pavimento e si calò,
tanto da sfiorare la moquette col naso. McGee lanciò
un'occhiata soddisfatta al suo fondoschiena.
"Non lo so. Numeri, nomi..." si guardò in giro. "... foto"
sussurrò. Attaccate ad una lavagna in sughero, c'erano due
fotografie. McGee le staccò con delicatezza: una era stata
scattata il giorno del diploma di Francis, l'altra sembrava fatta nel
cortile del campus. E ritraeva sempre gli stessi quattro ragazzi.
"Credi che Francis sia tanto stupido da tenere la foto dei suoi
complici al muro?"
"Probabile" sghignazzò Abby. "Tienila, intanto continuiamo a
cercare.... uh, riviste porno sotto il letto!"
"Ti aspetto" Tony poggiò le spalle al muro che ospitava una
cabina telefonica. Ziva lo guardò con malcelato fastidio,
poi si decise a fare la sua telefonata. Inserì la carta di
credito che Tony le aveva gentilmente prestato e compose il numero
desiderato. Tremante, inserì il prefisso dello Stato
d'Israele. Deglutì tre volte, una per ogni squillo andato a
vuoto.
"Leni" biascicò, quando sentì la domestica alzare
la cornetta.
"Oh, buon Dio. Zi..."
"Non dire il mio nome, Leni! Ascolta, non ho molto tempo, rispondi solo
si o no. Papà è in casa?"
"No" Ziva
sperò ardentemente che non scoppiasse in lacrime.
"E' in ufficio?"
"No"
"Sa cosa è accaduto... qui?"
"Si"
"Immaginavo. Leni, ora è importante che tu avvisi mio padre.
Digli che ho chiamato e che..."
"No" le
tremò la voce, ma sembrava risoluta.
"Cosa?" strillò Ziva.
"No, non posso"
"Perchè?"
"Perchè...
è
lì"
"E' qui? Mio padre, Eli David, è qui? Qui in America?"
"Si"
"Oh, merda. D'accordo, grazie. Mi manchi Leni" sorrise, come se potesse
realmente vederla. "Shalom"
"Shalom, bambina"
Ziva terminò la telefonata ed estrasse lentamente la carta
di credito. La porse a Tony, che la osservò attentamente:
doveva avere un enorme punto interrogativo sulla faccia,
perchè il ragazzo le toccò leggermente il gomito.
"Che succede?"
"Ci credi se ti dico che non lo so" si massaggiò la fronte.
"Mio padre è qui in America"
"Non è un bene? Se sa cos'è successo,
può proteggerti meglio di chiunque altro. Andiamo a fare
colazione, adesso. Sono affamato" abbozzò un sorriso e,
malgrado tutto, Ziva si ritrovò a ricambiarlo. Non era
affatto convinta che suo padre fosse lì per proteggerla:
avrebbe potuto chiamare. Invece, se l'era ritrovato nello stesso
continente senza una spiegazione valida. Aveva il vago sentore che
tutta quella storia fosse molto più complicata di quello che
Tony pensasse.
Però aveva fame anche lei. Decise di accantonare tutta
quella storia per qualche minuto - giusto il tempo di un muffin al
cioccolato.
Maia says:
Squadraaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!
:D
Troppo entusiasmo, vero? Scusate, ma non pensavo di riuscire a finire
questo capitolo, sul serio ._. il ritorno dalle vacanze è
stato da incubo, volevo seriamente buttarmi dal balcone, ma credo di
essere in procinto di migliorare x'D
Comunque: le vostre
vacanze come sono andate? u.u Le mie, una favola, STRANAMENTE XD Ho
fatto le amicizie giuste :)
Fra una settimana torno a scuola per l'ultimo anno di liceo ._. Quindi
abbiate pazienza se ritarderò la pubblicazione o alcuni
capitolo faranno schifo :'(
Ah, un'ultima cosa... mi siete mancati :'D
Semper Fi,
Maia.
|
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Capitolo 22 *** The best way to predict the future is to invent it. ***
NCIS
[ATTENZIONE!
IMMAGINI E FRASI SPOILER! :D]
Ziva: We slipped
Tony: Did we? I
thought the earth moved
10x01
La
prima cosa che Tony notò fu il modo in cui Ziva mangiava il
suo
muffin. Prima di tutto, si era morsa leggermente il labbro inferiore.
Aveva, subito dopo, preso una goccia di cioccolato con due dita e se
l'era portata alla bocca: aveva fatto così con tutte le
altre,
lasciando il dolcetto senza la sua decorazione, per poi aprirlo in due,
per osservare il cuore di cioccolata all'interno. Erano i suoi
preferiti.
Tutto il rito sotto lo sguardo di Tony, affascinato dal fatto che Ziva
David non fosse per niente cambiata. In cui tre anni si era immaginato
di tutto - potrebbe
avere un marito,
forse. O i capelli rosa. Magari l'hanno messa incinta, o è
in
prigione, il che non mi stupirebbe più di tanto, in effetti -
ma non che continuasse a mangiare i muffins in quel modo strano,
infatile, ma tutto suo. Tony la guardò per tutto il tempo,
senza
dire niente, solo con la guancia poggiata sul palmo della mano e
l'espressione tranquilla. Aveva dimenticato quanto potesse farlo
sentire bene guardarla; avrebbero potuto passare settimane, ma Tony non
avrebbe cambiato posizione.
"Che hai da fissare?" borbottò, alla fine, la ragazza. "Sono
dieci minuti che non fai altro"
"Scusa" si riscosse e si schiarì la gola. "E' che..."
abbozzò un sorriso. "Tu mangi esattamente come tre anni fa:
sembri un uccellino. Fai tutto a pezzettini, mangi lentamente e
ingurgiti parecchio cibo, così, anche se non sembra"
"Tu hai finito il tuo cornetto in due morsi. Anche tu non sei cambiato
per niente" Ziva alzò le spalle.
"Già" asserì Tony, rilassandosi sulla sedia.
Aveva capito
che, quella mattina, Ziva non aveva intenzione di mordere e doveva
quantomeno approfittarne. Erano da soli, calmi, un po' sotto shock, ma
comunque insieme. Aspettava quel momento da tre anni.
"Cosa hai fatto, dopo che te ne sei andata?" domandò, con
cautela.
Ziva si pulì le labbra e alzò lo sguardo su di
lui. "Università. Palestra. Mossad"
"Non in quel senso, Zee" sussurrò.
"Non chiamarmi in quel modo" la vide irrigidirsi. Si pentì
amaramente di aver usato quel nomignolo - doveva farla rilassare, di
nuovo. Non ricordava che fosse così faticoso, aver a che
fare
con lei. La amavi per
questo, giusto? disse tra sè e sè.
"Ti piaceva, invece" sorrise. "Dicevi che 'Zee' era molto
più familiare e ti faceva sentire a casa. Protetta"
"Le cose sono cambiate" non distoglieva lo sguardo da lui, nemmeno per
un secondo.
"Ma per favore" sbuffò Tony. "Le persone non cambiano,
occhioni
belli" Ziva accennò un sorriso. "Nè tantomeno tu.
Vuoi
sapere io che ho fatto, dopo la tua partenza? Avrei voluto tornare
indietro. Non dirti quelle cose" deglutì. "Non tradirti"
Ziva tirò un respiro profondo. Immaginava che sarebbe
tornato
sull'argomento. "Già. Anche io vorrei tornare indietro. Non
tradire mio fratello, parlare di più con mio padre. Non
sedermi
nel tuo stesso banco"
Tony ridacchiò - stranamente non se l'era presa per
l'ennesima
frecciatina. "Ammettilo, invece è stata una gran bella
scelta"
"Beh, guarda dove siamo finiti tre anni dopo" alzò un
sopracciglio.
"A me non dispiace" le sorrise. "Ti ho amata. E tanto, anche. Non penso
che molti possano vantare una cosa del genere" Evitò di
dirle
che aveva pensato di non riuscire ad amare nessun'altra, dopo di lei.
In fondo era vero. "E poi, senza tutto quel casino, probabilmente non
avrei mai avuto le palle per tentare l'accademia di polizia"
"Bel modo di vedere le cose" Ziva fece una smorfia.
"Grazie" abbozzò un inchino. "Risultato di mesi di
autocommiserazione"
"Tu?" Ziva rise. "Non ci credo"
"Giuro" annuì. "Mi sei mancata così tanto che...
sai come
si dice: una volta che tocchi il fondo, non puoi far altro che risalire"
"Tu non sai come sono stata io" mormorò la ragazza.
"Dimmelo, allora" digrignò i denti e si sporse verso di lei.
"Ziva, accidenti, tra noi è sempre stato così:
parole non
dette, frasi a metà. Stavamo insieme ma... è come
se ci
fosse sempre stato un burrone, tra me e te. Non dico di non avere
colpe, probabilmente non ero pronto per... noi"
deglutì. "Mi sono sempre sentito tagliato fuori dalla tua
testa. Perchè?"
Ziva abbassò lo sguardo. "Perchè no?"
tornò a
guardarlo. "Tu non eri come me. Ero la figlia del Direttore del Mossad.
Avevo perso tutta la mia famiglia. Sono sempre stata la straniera qui
e ho visto cose che tu, nè Abby, nè Tim... "
"E' vero. Ma avrebbe potuto essere il nostro punto di forza. Sarebbe
bastato parlarne di più"
"Forse non era destino, tra me e te" Ziva sorrise lievemente e scosse
la testa.
Tony, divertito, incrociò le braccia al petto. "Dici, eh?"
Ziva aggrottò le sopracciglia, distratta dal repentino
cambio di atteggiamento. "Si. Dico"
"Va bene. Beh, io credo il contrario. Non è la prima volta
che non siamo d'accordo, d'altronde"
"Che vuoi dire, Tony?" domandò cautamente la ragazza.
"Non voglio dire niente" si alzò e le tese una mano.
"Andiamo a
casa, su" Ziva riconobbe subito quel tono accondiscendente - l'aveva
sempre usato, con lei. Neanche avesse a che fare con un'animale
selvaggio. Afferrò, tuttavia, la mano che Tony le stava
porgendo: era un suo personale metodo per far cadere una questione
spinosa.
"Allora ricordavo bene" disse Tony, alzando le loro mani.
"Cosa?"
"La sensazione di averti al sicuro, vicino a me. E' rilassante" le fece
l'occhiolino. "Soprattutto sapendo di avere una pistola nella giacca"
"Hai portato una pistola?" lo riprese. "Ma sei stupido?" gli
tirò una gomitata. "Dio santo!"
"Shhh" le posò un dito sulle labbra. "David, ti prego.
Lasciami
fare - sono un quasi poliziotto" Ziva provò a dire qualcosa,
ma
ne uscì un gorgoglio indefinito. "A cuccia, mia piccola
ninja..." rise della sua espressione contrariata.
"... e bentornata!"
-
He hurt my family.
Gibbs, 10x01
"Signora
Gibbs" cominciò Tobias Fornell, in qualità di
pubblico
ministero. "Lei lavora al liceo Woodrow, di Washington D.C,
è
esatto?"
"Si, è esatto" Shannon annuì.
"Quali sono le sue mansioni?"
"Sono una terapista" deglutì. "Ho le redini dell'unico
sportello
di ascolto del liceo" vide Gibbs sorriderle dai posti a sedere. Shannon
guardava solo lui, oppure la sua pancia enorme, per evitare di gettare
lo sguardo tra i banchi della difesa. Lì era un seduto un
messicano dall'aria arcigna, un certo Pedro Hernandez, a quanto pare a
capo della banda di pazzi che volevano ucciderla.
"Molti studenti vengono da lei?" Tobias intrecciò le dita
tra loro, come faceva sempre.
"Si, ogni giorno: sia per problemi comunissimi, ma anche per altri,
più gravi"
"Gerald Jackson è uno di questi studenti?"
"Si. E' venuto da me, letteralmente trascinato da un altro professore.
Era strano, così l'ho fatto parlare"
"Che le ha rivelato?"
Shannon prese un respiro profondo. E'
la prova del nove, questa: se dico la verità, i cattivi
finiranno in prigione, ma rischio la vita. Se sto zitta,
vivrò
tranquilla fino a quando Dio me lo permetterà, ma i cattivi
saranno liberi di far del male a qualcun altro.
"... che aveva assistito ad una rapina. Conclusasi poi in
un
omicidio" Gibbs la guardò con un sorriso. Aveva il suo
appoggio.
"Non voleva andare dalla polizia, perciò l'ho convinto prima
ad
aprirsi con me"
"Gerald Jackson ha poi presentato una denuncia?"
"Si"
"Contro chi?"
Shannon guardò il volto di colui che aveva sparato sulla
macchina di suo marito. "Pedro Hernandez"
Tobias sorrise. "Grazie, signora Gibbs. Alla difesa il teste" si
sedette, soddisfatto.
"Sei stata eccezionale" sussurrò Gibbs nell'orecchio di sua
moglie. Le prese una mano e la strinse, fuori dal tribunale, mentre
aspettavano la decisione della giuria. "Non avrei potuto fare di meglio"
"Avrò fatto la scelta giusta, però?" si morse il
labbro
inferiore. "Non è ancora nata e devo già farla
combattere
contro il mondo. Quando si ha un figlio, certe cose si devono mettere
da parte, come l'onore e..."
"La giustizia? Non si mettono da parte cose come questa, Shannon" la
baciò. "Sei stata coraggiosa. E Kelly sarà
fierissima di
te"
"Kelly?" sorrise. "Sei d'accordo, quindi?"
"Si che sono d'accordo" l'abbracciò. "Sono d'accordo con
ogni
monosillabo e articolo che esce dalla tua bocca, signora Gibbs.
Perchè, che Dio mi aiuti, ti amo e non posso fare
altrimenti. Lo
supereremo assieme, questo processo. Ok?"
"Ok" Shannon si allungò a baciarlo, prima che le porte
dell'aula si aprissero, per rivelare la figura di Tobias Fornell.
"Sono stati condannati!" aprì le braccia, felice come una
Pasqua, e Shannon corse ad abbracciarlo.
"Oh, Tobias, grazie!"
Gibbs gli fece un lieve applauso, più divertito che altro.
"Allora, pubblico ministero: aria di promozione, a questo punto?"
"Non lo so" accarezzò la schiena di Shannon. "Per ora, mi
preoccupo della sicurezza di tua moglie e tua figlia. Pedro Hernandez
non rinuncerà, voglio che lo sappiate. Perciò,
anche se
la minaccia non spaventa il Bureau, sono riuscito a prolungare la
copertura di McGarrett e Williams almeno fino al parto" fece
l'occhiolino alla donna. "Mi raccomando, trattameli bene. Ora vado a
festeggiare la vittoria" alzò la testa verso Gibbs. "Stasera
io
e Ducky veniamo a vedere la partita, eh. Evita sparatorie"
"Contaci, avvocato" li salutò con un inchino e
proseguì verso il corridoio.
"E' fatta" sospirò Shannon, poggiando la testa sulla spalla
del marito. "Come starà Gerald, secondo te?"
"Non lo so, in aula non c'era. Ma adesso andiamo, ok? Ho bisogno di un
caffè!"
Gerald Jackson calciò una bottiglia di birra, che
finì
sbriciolata contro il muretto del parco, dove si era rintanato, neanche
fosse un ratto. All'ultima fase del processo aveva preferito mancare -
come se Pedro Hernandez non avesse già ben chiara la sua
faccia
- e aveva tutto il pomeriggio a rigirarsi i pollici nel lurido
quartiere in cui era costretto a vivere. In realtà non
voleva
mostrare a sua madre quanto fosse spaventato: aveva già un
bel
da fare, per mandare avanti la famiglia, non voleva caricarla di altri
guai. Si mostrava forte, davanti a lei, le parlava sempre del futuro,
di quando avrebbe tentato di prendere una borsa di studio per studiare
Medicina (ovvero, di lì a pochi mesi) e di quando, grazie al
suo
stipendio, le avrebbe comprato una casa nuova.
Probabilmente non sarebbe mai accaduto, ma a Gerald piaceva vedere quel
sorriso speranzoso sul volto di sua madre. La sua bellissima, stupenda
mamma.
"Ciao, Gerald" Donald Mallard affondo i pugni nelle tasche del suo
costoso soprabito.
"Prof." lo salutò con un cenno del capo. "Non dovrebbe
andare in giro vestito così, in questo quartiere"
"So badare a me stesso, ma grazie per il consiglio, giovanotto" gli
fece l'occhiolino. "Sono passato da te e tua madre mi ha detto che eri
qui. Mi ha dato questa per te" gli porse una busta bianca. Gerald
l'afferrò, ma non guardò il mittente.
"Perchè mi cercava?"
"Non eri in tribunale, oggi. Hernandez e tutta la sua banda sono stati
condannati. Sei libero" gli sorrise.
Gerald non sembrava altrettanto felice - ma rispose tristemente al
sorriso. "Giusto. Libero. Come se fosse vero"
"Lo è" si accigliò Ducky.
"No. Mi dispiace, professore, ma lei non sa che significa. Non conosce
questa gente. Io si, ci sono cresciuto. Non si fermeranno, anche se il
loro ultimo uomo finirà in prigione. Ci sarà
sempre e
comunque un loro affiliato, amico, parente" scosse la testa. "Libero un
cazzo!"
"Guarda quella lettera, signor Jackson" Ducky lo rimproverò
con lo sguardo. "Avanti"
Il ragazzo sbuffò e le gettò un vago sguardo.
Spalancò gli occhi per la sorpresa. "E' già
arrivata"
"Si, hai inviato la domanda per il college settimane fa. Era questione
di giorni. Quella è di Harvard - la migliore per il
programma di
Medicina, o no?" gli sorrise. "Tua madre mi ha detto anche che hai
fatto domanda solo lì. Non ha avuto il coraggio di aprirla"
Gerald la soppesò tra le mani. "Se non mi hanno assegnato la
borsa di studio, tutto questo sarà stato inutile"
"Scopriamolo" lo esortò Ducky.
Gerald deglutì e, con mani tremanti, aprì la
busta. La
lesse velocemente e il professore non disse nulla, finchè
non lo
vide piangere.
"Cosa?"
"Sono stato ammesso. Harvard mi offre una busta di studio"
scoppiò a ridere e si gettò sull'erba. "Harvard!
Harvard!"
Anche Ducky scoppiò a ridere. "Si, Gerald. Harvard!"
- I don't
think. I know.
Tony, to Ziva, 9x12
"Posso
chiederti cosa vuoi fare, adesso?" Tony lanciò il bicchiere,
oramai vuoto, nel cestino più vicino, mentre tornavano verso
casa.
"Puoi" Ziva abbozzò un sorriso. "Mio padre, nonostante
tutto,
è un abitudinario. Se è veramente in America,
starà alloggiando in uno dei suoi tre alberghi preferiti.
Voglio
cercarlo lì, oggi pomeriggio, ma prima devo sapere se Abby e
McGee hanno qualche novità"
"Sai, qualcosa mi dice di si. Sono cocciuti"
"Anche troppo" scosse la testa. "Certe volte mi chiedo come siano
riusciti a sopravvivere per tutto questo tempo"
"Nessuno li ha fatti ancora fuori?" rise Ziva.
"Non ancora, ma mi sa che non manca molto" salirono velocemente le
scale del condominio. Ziva si sentiva stranamente leggera, come se la
pasta dolce del muffin le avesse annebbiato il cervello. Era felice
estrema, la sua. Il suo cervello le stava rapidamente suggerendo cosa
fare: mollare Tony DiNozzo al suo destino (di nuovo), trovare suo padre
ed evitare una condanna a morte. Ma Ziva, e non l'avrebbe mai ammesso
dinanzi ad anima viva, aveva bisogno di qualcuno vicino. Anche se
qualcuno avrebbe potuto farle molto, molto male.
"Spero che Whisky non abbia mangiato niente" le lasciò la
porta aperta. "Se trovo la tenda strappata, lo butto giù dal
balcone. Mi spieghi da quando ti piacciono i gatti?"
"Non è che mi piacciono i gatti, mi piace lui!" Lo prese in
braccio e lo coccolò a dovere. Tony la osservò
intenerito.
"Si, ma sporca"
"Sporchi più tu, se vogliamo dirla tutta"
arricciò il naso. "Andiamocene, Whisky" si avviò
verso il corridoio.
"Ziva David!" rise. "Mi stai tenendo il broncio?"
"Può essere! E smettila di ridacchiare!" urlò.
Maia
says:
Tremate, tremate, i Tiva son tornati x'D Premetto che le questioni non
sono tutte risolte, Ziva ha ancora bisogno di fidarsi di lui e Tony
deve ancora capire se vuole farsi davvero
perdonare, ma vista la situazione non possono fare altro
che convivere, no? :) Prometto che nel prossimo capitolo
tornerà la boy band (xD) di Tony - Kate, Deeks, Kensi, Sam e
Callen... e Rick, che sarà stranamente d'aiuto - . Non
perdetevelo perchè molti segreti verranno svelati v.v (WOW).
Poi, le novità sul fronte CasaGibbs non sono
finite, perchè Pedro Hernandez vorrà
vendicarsi... e ci sarà una new entry! (ndLettori: N'ALTRA?
nda: si ^^''')
Avete cominciato la scuola, piuttosto? Io si ._.
Primo giorno: Romanticismo
Secondo giorno: Hegel, Ovidio.
E' un suicidio, non si può. Penso che mi ritiro e vado a
vivere sotto i ponti ._. AHAHAHAHA
Intanto vi dico che potrei decisamente allungare i tempi di
aggiornamento, visto come sono messa con questo ultimo anno di liceo
(aiuto) e un problemino sentimentale che GIURO non mi
impedirà di aggiornare xD (Se volete vi do l'indirizzo del
suddetto ragazzo, così lo fate fuori e io sarò
LIBERA XD)
Semper Fi, squadrone!
Amy
|
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Capitolo 23 *** Three, Two, One, Go! (part 1) ***
Tiva
- Guess she'll call when
she's ready.
Tony, 6x25
"Buonasera"
Eli David lasciò la chiave della sua camera d'albergo al
ragazzo
della reception, che gli sorrise di rimando, afferrando immediatamente
il rettangolino di plastica - il capo del Mossad odiava le chiavi
elettroniche. Le trovava estremamente sensibili e poco sicure,
così come quelle fastidiosissime porte di vetro. Uno spreso
inutile di denaro, a detta sua.
"Aperitivo, signor David?" un uomo in giacca e papillon (una tremenda
caduta di stile) gli strinse una spalla. "Direi che siamo proprio nella
fascia oraria giusta" e gli fece l'occhiolino. Eli finse di trovare la
battuta vagamente divertente e ridacchiò.
"Non pensavo che voi inglesi faceste anche l'aperitivo"
sogghignò il Direttore e seguì l'ambasciatore
inglese al
bar dell'albergo. C'erano si e no una cinquantina di persone, a quanto
pare troppe per la sua scorta, perchè uno dei suoi uomini
gli
segnalò i punti di fuga. Ma Eli si sentiva tranquillo, con
la
sua glock nascosta sotto la giacca. Mister Tennant, l'ambasciatore,
riservò per loro un tavolino in vimini, appartato.
"Cosa beve, signor David?" gli sorrise.
"Faccio da me. Preferisco guardare, mentre mi preparano un drink" si
tastò le tasche in cerca del portafoglio. "Mi permetta di
offrire il primo giro. Un analcolico, vero?" alzò lievemente
lo
sguardo su di lui.
Per la prima volta, da quando si erano incontrati, il sorriso
dell'ambasciatore si incrinò lievemente. Chissà
come, e
da chi, Eli David aveva scoperto il suo piccolo problema con gli
alcolici. "Si, vero"
Una stoccata, giusto per far capire a quello stupido inglese con chi
aveva a che fare. Eli si allontanò verso il bar e
ordinò
un martini per lui e dell'acqua tonica per il suo ospite.
Lasciò
una banconota da venti e aspettò la sua ordinazione.
"Un gin tonic, grazie" chiese una voce melliflua accanto a lui.
"Da quando bevi alcolici?" mormorò Eli, guardando fisso di
fronte a sè. Il barman non sembrava aver notato niente.
"Da quando ho quindici anni. Non te ne sei mai accorto"
"Invece si. Le birre te le ho sempre lasciate passare" si
voltò
appena verso la donna dai capelli corti e lei fece altrettanto.
"Sono grande, ormai. Hai tempo per una chiacchierata?"
"Sono con l'ambasciatore inglese e..."
"Papà"
Eli David sapeva
riconoscere il tono urgente e spazientito di sua figlia. E decise che
poteva benissimo dare buca a mister Tennant e al suo orribile papillon.
"Pensi di poter entrare in camera mia?"
"Niente di più facile. Chiavi elettroniche?"
"Esattamente"
"Ci vediamo lì fra un quarto d'ora"
Tony: What are
"thises"?
Ziva: Gifts to cheer
you up.
Tony: Thank you!
Very sweet of you
9x02
Tony
saltellava per tutto l'appartamento. Non lo faceva mai, eccetto durante
i momenti di massima emergenza. Come quello. Whisky lo guardava come si
guarda un pazzo, dall'alto della sua saggezza felina col sedere
piantato sulla poltrona.
"Perchè? Perchè?" piagnucolava tra sè
e sè.
"La mia vita era così bella, prima di tutto questo!
L'accademia
di polizia, nuovi amici, ragazze a volontà, niente servizi
segreti che vogliono farmi fuori, nessuna Ziva, niente di niente. La
mia vita era così dannatamente tranquilla! Oh, e lei adesso
sta
lì a fare... quello che sa fare meglio, no? Spiare. Spero non
si faccia uccid - oh!" si voltò di scatto verso Whisky, che
ruotò il musetto.
"Secondo te c'è la vaga possibilità che possa
morire?
Intendo dire... sta andando da suo padre, non la ucciderà
vero?
Me lo ricordo abbastanza simpatico, più o meno, non
farà
fuori sua figlia perchè la crede una traditrice, giusto?"
Il gatto - ovviamente - non diede segno d'aver capito. E Tony
sbuffò.
"Dovevo andare con lei, massì. Ci dovevo andare. Diavolo,
non
è manco americana, ora è una specie di immigrata
senza
permesso di soggiorno, con delle armi e una taglia sulla testa.
Gesù..." si passò una mano sulla faccia. "Sono un
suo
complice. Se mi beccano... verrò buttato fuori
dall'Accademia e
messo in prigione" deglutì. "Lo sai che fanno agli sbirri
(quasi
sbirri) in prigione, Whisky? La
bua!"
Il gattino miagolò.
"Ecco, bravo, hai afferrato il concetto" si passò una mano
sulla fronte sudata. Da quando Ziva era tornata, la sua insicurezza
toccava livelli massimi - livelli decisamente preoccupanti. Avrebbe
cominciato ad avere attacchi di panico, se lo sentiva...
Il campanello lo fece sobbalzare. Memore delle raccomandazioni della
sua ex, accarezzò la pistola e afferrò la pistola
sulla tavola da pranzo.
"Chi è?" domandò, a voce sostenuta.
"Ma sei stupido? Apri idiota!" Pugni sulla porta. Kensi e Deeks. Tony
sorrise e corse alla porta. "Che Dio vi benedica!" alzò le
mani al cielo.
"Stai male?" Deeks sollevò un sopracciglio e lo
spostò di lato per entrare in casa. "Perchè hai
la pistola? Racheeeeeeeeeeel"
"Non è in casa" spiegò Tony e, con nonchalance,
posò la pistola di nuovo sul tavolo da pranzo.
"Ah e dove è andata?" domandarono in sincrono i suoi vicini.
"Da... a... fare... spesa" annuì vigorosamente. "Spesa, si"
"E ti pareva" Kensi alzò gli occhi al cielo e
andò a farsi un caffè in cucina. "Arriva una
donna in questo buco e tu la mandi a fare la spesa. Ma comunque... come
vi siete conosciuti? E' una strana tipa, lo sai..." accennò.
Lei e Deeks si lanciarono uno sguardo e Tony capì che
dovevano averne parlato. Effettivamente Ziva non ispirava molto
sicurezza, a primo impatto.
"Siamo stati insieme, qualche anno fa" buttò lì
senza pensarci. Optò per una mezza verità. "Poi
si è trasferita"
"Complimenti amico. E' una gran bella ragazza" Deeks gli fece
l'occhiolino, a cui rispose con una mezza smorfia, che voleva essere un
sorriso.
"Già, lo è"
"Ritorno di fiamma?"
"Improbabile"
"C'è qualcosa che non ci stai dicendo" Non era una domanda,
quella di Kensi. Tony le guardò la schiena, mentre faceva il
caffè, ma poteva immaginare il broncio sospettoso che
riservava raramente a lui, molto più spesso al suo
coinquilino. Tony si grattò la testa e incrociò
lo sguardo del suo amico, stranamente serio.
"Ragazzi..."
"Tony" sospirò Deeks. "Non siamo stupidi. Arrivate qua senza
valigie, Rachel ha
un gatto, uno strano accento e sporca di polvere"
"Non siamo stupidi" ripetè Kensi, voltandosi. "Terremo la
bocca chiusa"
Anche Sam e Callen, si erano offerti di aiutarlo. Tony fu attraversato
da un moto di gratitudine verso quei ragazzi che lo conoscevano da
poco, ma che erano disposti a dargli una mano senza riserve.
Deglutì - pensò che Ziva lo avrebbe ucciso.
"Ok. Ci sono un paio di cose di me che non sapete"
- If I had one wish for
Christmas, It would be to hug my daughter. That can never be.
Gibbs, 6x11
"Jethro?"
"Mpf"
"Jethro?"
"Eh?"
"Stai dormendo?"
"Non più"
"Jethro ti devo dire una cosa"
"Hm"
"O me la sono fatta addosso, o mi si sono rotte le acque. Visto che
sono quasi alla fine del nono mese, penso sia la seconda"
"Cosa?" Leroy Jethro Gibbs scattò in piedi. "Se è
uno scherzo, non è..." le dita dei piedi toccarono qualcosa
di umido. "Cazzo"
Accese la luce dell'abat jour e vide che sua moglie gli stava
sorridendo mesta. "Buongiorno. Portami in ospedale, dai" gli porse la
mano, che lui afferrò tremante. "La borsa è
già pronta in cucina, ti conviene svegliare Steve e Danny,
prima"
"Ma... ma..." boccheggiò. "Vado a svegliarli, si!" in boxer
e con l'affanno, Gibbs ruzzolò fuori dalla camera da letto e
corse al piano di sotto.
"Steve! Danny!" accese la luce anche nel salotto. "Svegliatevi!"
I due agenti del Bureau stavano tranquillamente riposando l'uno sopra
l'altro sul divano. Uno dei due stava pesantemente russando, ma Gibbs
non si preoccupò di indovinare quale dei due. Dovevano solo
svegliarsi.
"Codice rosso!" urlò. I due agenti si svegliarono di botto e
caddero entrambi dal divano. "Sta partorendo, sta partorendo!"
"Oddio che schifo" fu il primo commento di Steve. "Macchina"
biascicò.
"Lasciate fare a me" Danny alzò gli occhi al cielo. "Ci sono
già passato, ok? Calma e sangue freddo. Vado di sopra, voi
preparate il resto"
Danny salì le scale, lasciando nel panico più
totale il suo collega e il futuro padre. Trovò la camera da
letto aperta e Shannon che camminava avanti e indietro per la stanza,
respirando a fondo. "Ehi"
"Oh, grazie a Dio. Qualcuno di concreto" ridacchiò, per poi
fare una smorfia dolorante. "La bambina ha tanta voglia di conoscerti,
Danny"
"Me ne sono accorto!" rise. "Ok, tuo marito e Steve stanno preparando
tutto. Andiamo in ospedale, lanci fuori il fagotto e torniamo qui"
"Ti sembro uno spara-razzi?"
"Cercavo di alleggerire la tensione" la fece appoggiare al suo braccio.
"Ok, adesso dobbiamo scendere le scale e..." Shannon si
piegò dal dolore. "... e mi sa proprio che ti
prenderò in braccio, signora Gibbs. Cavolo, la scorta non
prevede queste cose" scherzò.
Al piano di sotto, Gibbs cercava la borsa che sua moglie aveva
precedentemente preparato, mentre Steve cacciava l'auto dal garage.
"Dov'è, dov'è?" sussurrò a
sè stesso, mettendo sotto sopra la cucina. Poi, la vide: era
sotto il mobile della tv. L'afferrò appena in tempo per
raggiungere Danny, che aveva in braccio sua moglie, alla fine delle
scale.
"Ti metto giù, mammina"
Shannon era sudata, pallida e tremante. Ma sembrava felice
così, inevitabilmente, Gibbs si rilassò
leggermente e l'abbracciò, dando la borsa a Danny. "Andiamo!"
[To be continued...]
|
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Capitolo 24 *** Three, Two, One, Go! (part 2) ***
NCIS college version
-
Ziva, you are not
dead. You are living your life, making your choices.
If you
choose to let me be part of your life, I would welcome that with open
arms.
I am saddled
with responsibilities that you cannot possibly fathom.
The safety
of a nation. And every one of our neighbors wants us dead.
I don't have
the luxury of allowing my feelings to dictate my actions.
Eli
David, 8x08
Ziva non
potè evitare di pensare che suo padre sembrava essere
invecchiato dall'ultima volta che l'aveva visto - ovvero qualche mese
prima. Le rughe erano più profonde, le occhiaie accentuate,
le labbra curvate. Eli David, in quel frangente, era solo un padre
molto preoccupato.
"Dimmi che non vivi per strada" si servì un goccio di
bourbon.
"Sto da un amico" sussurrò Ziva, lisciando le lenzuola
dell'albergo. "Papà..."
"Quale amico?" non potè vederlo, ma Eli sorrise di sbieco.
Aveva una vaga idea di chi avesse potuto ospitare una fuggitiva.
"Tony"
"D'accordo... Ziva, il Mossad ti sta cercando" la ragazza si chiese
perchè non aveva chiesto di Tony, perchè non
aveva fatto storie.
"Lo so. Vorrei sapere perchè. Chi ha ucciso Michael? Ma
soprattutto, cosa c'entra il traffico di armi su cui sto indagando?"
"Secondo te chi ha ucciso Michael?" Eli si voltò verso di
lei, lo sguardo perso nel liquido ambrato.
"Mi stai prendendo in giro, papà?" strillò. "Non
siamo ad un fottuto quiz a premi!"
"Siamo stati noi - il Mossad ha ucciso Michael"
Ziva lo sapeva. In cuor suo, quando aveva visto l'appartamento saltare
in aria, quando le tracce più elementari sembravano non
esserci, Ziva aveva capito. Il mondo era pieno di assassini, ma nessuno
poteva eguagliare la raffinatezza
e la pulizia dei lavori israeliani: eppure, fu un duro
colpo. La mano destra le tremò e fu costretta a coprirla con
l'altra; la realtà era che Ziva lo sapeva, ma preferiva
pensare di essersi sbagliata.
"Era un tuo agente, perchè?" deglutì.
"Era un alcolista, tesoro, e non faceva più bene il suo
lavoro"
"Ti sembra un motivo valido per uccidere qualcuno?" digrignò
i denti.
"Infatti non è morto per questo" Eli finì il suo
bicchiere e si massaggiò gli occhi.
"Sono... confusa, papà. Non ci sto capendo niente"
borbottò. "Quindi, o mi spieghi tutto dall'inizio, oppure
giuro che sparo un colpo in testa a tutti gli agenti che trovo sul
suolo americano" Eli rise e riempì di nuovo il suo
bicchiere, poi un altro, che porse a sua figlia.
"Michael non era più un buon agente, era un alcolista e ha
combinato un paio di casini, a Tel Aviv. E' per questo che gli abbiamo
assegnato questo caso lontano, per vedere come se la sarebbe cavata.
Male, a quanto vedo. Così se ne sono liberati"
Ziva boccheggiò, incerta e bevve un sorso di bourbon. "Ok.
Io che ruolo ricopro, in questa messinscena?"
"Nessuno in particolare, bambina" Stai
mentendo. "Era un caso come un altro. E tu potevi
facilmente tenerlo sotto controllo, aveva una cotta, per te. E' stato
facile convincerlo a venire in America"
"Cos'è che non mi stai dicendo?" Ziva deglutì.
"Papà" lo pregò, quasi e si alzò,
raggiungendolo. "Ti prego"
"Michael era una mela marcia" sospirò. "Ce ne sono parecchie
a Tel Aviv, sai che me ne stavo occupando"
"Si" mormorò. Sapeva che la conclusione di quella
chiacchierata non le sarebbe piaciuta.
"E' saltato fuori che stava cercando di comprare i prototipi delle armi
biologiche dai quegli studenti, per conto del Mossad. Gli altri..."
strizzò gli occhi. "Mi avevano chiesto di ordinarti di farlo
fuori, in America"
"Ma certo" Ziva spalancò gli occhi. "Il Mossad non poteva
uccidere Michael in Israele. Ci avrebbe fatto una pessima figura"
"Già. Li ho convinti a non farlo, così se ne sono
occupati come meglio credevano"
"Grazie papà" Ziva fece una smorfia, che voleva essere un
sorriso. "Non credo che... sarei riuscita ad uccidere Michael"
arrancò fino al letto di suo padre e ci si buttò
sopra con forza. "Pensavo che il Mossad volesse uccidermi"
ridacchiò. "Buffo, vero?"
Non ricevette risposta da suo padre. Lo sentiva solo giocherellare col
bicchiere di vetro.
"Papà? Il Mossad non vuole uccidermi... vero?" si
tirò su, lentamente.
Eli alzò lo sguardo verso di lei. "Qualcuno pensa che
essendo la sua partner, tu sapessi qualcosa"
"Ma non è vero!" urlò. "Gliel'hai detto, no?! Sei
stato tu a mandarmi con..." si fermò. "Oh, Dio" si
coprì la bocca con la mano.
"Sei perspicace" annuì con la testa. "Domani voteranno.
C'è un voto di sfiducia nei miei confronti. Potrei essere
dimesso"
"Ok. Ora voglio capire una cosa: se sapevi che sarebbe accaduto tutto
questo, che il Mossad ti avrebbe chiesto di farmi uccidere Michael e
che io avrei rifiutato... perchè mi hai assegnato questa
missione?" singhiozzò.
Eli sorrise a sua figlia e la raggiunse. Si sedette accanto a lei, sul
letto, e le accarezzò i capelli. "Per portare a termine il
mio piano, Ziva"
"E sarebbe?"
- I love you, McGee. I
promise never to give you a hard time again.
Tony,
to McGee, 5x05
"Rachel in
realtà si chiama Ziva, è un'agente del Mossad
sotto copertura, il suo appartamento è saltato in aria con
un suo collega dentro, probabilmente la stanno cercando per farla
fuori, mentre si sta occupando del progetto 09
dell'Università, che a quanto pare verrà
trasformato nell'asilo nido di armi di distruzione di massa"
ricapitolò Deeks.
"Hai dimenticato di dire che tre anni fa eravamo una coppia, suo
fratello prima di morire ha cercato di ucciderci, e la nostra storia
è finita nel peggiore dei modi" concluse Tony, puntandogli
contro l'indice.
Deeks e Kensi caddero in un religioso silenzio. Il divano
sembrò inghittirli e, per un lungo e tragico momento, Tony
credette di vederli svenire entrambi, uno dietro l'altra. Invece, la
prima a riprendersi fu Kensi.
"Non fai ridere, Tony" commentò.
"Non sto scherzando"
"Tony.."
"Non sto scherzando" scandì. Deeks fece per aprire la bocca,
poi la richiuse. La aprì di nuovo, ma stavolta fu Kensi a
precederlo.
"Vuoi farmi credere che una storia del genere sta andando avanti sotto
il nostro naso? Nell'appartamento vicino al nostro?"
"Beh, si" Tony fece spallucce. "Voi avete chiesto di sapere, io ve l'ho
detto. Sentite, questo non significa che..."
"Ok, cosa possiamo fare?" Deeks lo fermò. "Mi sembra che
abbiate bisogno di una mano" disse, serio.
Kensi si voltò a guardarlo stupita: "Tu gli credi?"
"Sai, non penso stia scherzando" ridacchiò nervosamente.
"Inventarsi una storia del genere... insomma, da fare invidia a Rick"
Il silenzio calò di nuovo - Tony osservava preoccupato i
suoi amici, persi ognuno nei loro pensieri.
"Abbiamo le pistole" Kensi si schiarì la voce. "Io, Deeks,
anche Sam e Callen. E Kate. Abbiamo le pistole. Possiamo... si,
insomma, possiamo darvi una mano. Per quel che vale... cioè
a che punto siete?"
Tony sorrise. "Ziva è da suo padre. Sta cercando di capire
perchè il Mossad vuole ucciderla. Del computer dei
ricettatori, invece, se ne sono occupati due persone fidate" si
alzò dalla poltrona e andò al computer portatile
di casa, poggiato sul tavolo da pranzo. "Vedo se sono in linea per una
video-chiamata" smanettò sui tasti, Kensi e Deeks ai lati.
"Uhm, ragazzi?" richiamò la loro attenzione. "Grazie"
"Non dirlo nemmeno, dai. Siamo amici" Deeks gli diede una gomitata.
"Io non so ancora se crederti o no, ma impicciarsi di intrighi
internazionali è troppo allettante. Non lo faccio per te, ma
per me" rise l'altra.
"Ok, ok" Tony alzò le mani in segno di resa. "Ho capito
l'antifona... Ciao
McCervellone!" salutò il suo amico, apparso
sullo schermo del pc.
"Ciao To... chi sono?" McGee spalancò la bocca.
"Amici. Parla dai!" lo incitò.
McGee fece posto ad Abby, che si inserì preopotentemente
nella conversazione. "Mi manchi, Tony!"
"Anche tu Abby! Però, potreste, per favore, darmi qualche
notizia in più?"
"Abbiamo notizie fresche fresche!" Abby saltò sulla sedia.
"Gli studenti che hanno rubato i nostri brevetti, sono in prigione!"
"Cosa?" urlò Tony. "Come... quando..."
McGee ghignò. "Siamo entrati in camera di Thompson, abbiamo
trovato un po' di foto..."
"Documenti..." ridacchiò Abby.
"... email..."
"... codici..."
"E insomma" riprese McGee. "Abbiamo dato tutto alla polizia e
attualmente sono accusati di furto e frode telematica. Penso che
arriveranno quelli dell'anti-terrorismo, però, appena si
accorgeranno che nei file dei ragazzi ci sono troppe cose strane. Non
è una buona notizia?"
"Penso di si. Ma Ziva non è qui, non so che notizie mi
porterà" sbuffò. "Comunque siete stati bravi.
Incoscienti. Ma bravi"
"Appena Miss Mossad torna, facci richiamare ok?" intervenì
Abby.
"Sarà fatto!" Tony chiuse la video-chiamata e
guardò gli altri due.
"Allora è tutto finito?" azzardò Kensi.
"Non penso" borbottò il ragazzo. "Quei quattro sono in
prigione, ma i compratori no. Senza contare che, chiunque abbia ucciso
il collega di Ziva, voleva sicuramente far fuori anche lei. Penso che i
due casi siano collegati..."
Deeks si sedette sul tavolo e lasciò penzolare le gambe. "Ma
non completamente"
"Già" Tony stava per aggiungere altro, quando Ziva
entrò lentamente in casa. Aveva utilizzato il suo mazzo di
chiavi, che le aveva dato in caso di estrema necessità. Era
intontita, strana. Eccezionalmente pallida.
"Oh, ehm, ciao" se possibile, divenne ancora più bianca alla
vista di Deeks e Kensi. "Tony... non gli avrai..."
"Detto tutto? Si" la guardò senza un pizzico di rammarico.
"Cretino" borbottò.
"Vogliamo solo aiutare" si difese Kensi. Deeks annuì.
"Ma perchè diavolo tutto il mondo vuole aiutarmi? Dio!" Ziva
alzò le braccia e sbuffò. "Sembro tanto bisognosa
d'aiuto? Sono un'agente del..." si fermò. Sei ancora un'agente del Mossad,
Ziva David? "So cavarmela, ok?" deglutì.
"Ti calmi?" Tony le afferrò il viso. "Vuoi un po' di Xanax?*"
"Vaffanculo, Tony" ringhiò e allontanò le mani
dal suo viso.
"Che ti ha detto tuo padre?"
Ziva non rispose, semplicemente andò in cucina e si
versò un bicchiere d'acqua. Si appoggiò al
lavello e osservò le goccioline d'acqua prendere il largo
oltre lo scarico. Farei
carte false pur di scivolare via anche io.
"Mi stai ascoltando?!"
"Il Mossad vuole uccidermi. Michael era corrotto e, visto che l'ho
accompagnato in America, pensano che lo sia anche io" spiegò
brevemente.
Qualcuno dietro di lei imprecò, ma non seppe dire chi. La
raggiunse solo la voce di Tony.
"Tuo padre è il Direttore! Non può fare qualcosa?"
"Forse lo dimettono. Non si fidano di lui" Perchè sono sua
figlia, stavo con un traditore e tre anni fa avrei tradito la mia
patria, pur di tornare qua.
"Cazzo. Ah, ho chiamato McGee e Abby. I quattro studenti
sono stati arrestati per furto e..."
"Arrestati? Ti prego" si voltò verso di lui. "Ti prego,
dimmi che non li hanno mandati loro in prigione!"
Tony le fece una smorfia. "Sarebbe una bugia"
"Ma.. porca..." lanciò il bicchiere, oramai vuoto, nel
lavello. "Perchè tutte a me?!" attraverò il
salotto a passo di marcia e si chiuse in camera di Tony. Respira Ziva. Respira.
C'era stato
un periodo della sua vita in cui Tony aveva avuto il terrore di Ziva
David. Ancor prima di sapere della sua vera identità, ancor
prima di sapere che era in grado di utilizzare ogni tipo di arma, ancor
prima di sapere che si sarebbe innamorato di lei. Tony aveva paura di
Ziva: una paura irrazionale, stupida. Una paura che però
c'era. Mentre percorreva il corridoio della sua nuova casa, Tony
sentì una parte remota di quella sensazione che tornava; fu
così che la trovò: accucciata per terra, sulla
sponda anteriore del letto, la testa infossata tra le ginocchia. Non
tremava, non emetteva suoni. Stava solo ferma. E respirava lentamente.
Tony chiuse la porta dietro di sè, consapevole di avere
Deeks e Kensi che gli coprivano le spalle, nel caso le venisse voglia
di sparargli. Quasi gli venne da ridere, ma non lo fece. Si sedette
accanto a lei, con la voglia di toccarla - sentire la sua pelle solo
per qualche secondo.
"Lasciami sola, Tony. Sto bene. Devo solo..."
"Digerire"
"Più o meno" sospirò, non alzò la
testa. Era sicura che se ne sarebbe andato, che avrebbe capito. Tre
anni prima Tony l'avrebbe fatto, sicuramente. Sarebbe tornato da lei,
una volta calmata, e probabilmente avrebbero fatto l'amore. Ma Tony era
diventato grande.
"Cosa ti ha detto?" mormorò.
"Tony..."
"Non può essere peggio di quando mi hai detto che ti saresti
trasferita, no?"
"Il Mossad vuole uccidermi" biascicò, dopo quasi cinque
minuti.
"Ok. E questo l'abbiamo appurato. Poi?"
"Mio padre sapeva che sarebbe successo. Per questo mi ha spedita qui.
Con Michael"
Tony aggrottò la fronte. Conosceva tanti aspetti di Eli
David, ma non pensava che volesse far uccidere l'unica figlia che gli
era rimasta.
"Nah. Forse hai capito male. Tuo padre non..."
"Si, Tony. Sapeva che sarebbe successo. E' il Direttore del Mossad"
"Perchè?" le domandò.
Ziva alzò il viso e lo guardò. Aveva gli occhi
lucidi e la voglia di sfiorarla si rifece viva, prepotente. Ma Tony la
soffocò: era rimasta il suo piccolo animaletto selvaggio,
non poteva rischiare di farla scappare via, così si morse
l'interno guancia. Fece violenza su sè stesso e si
limitò a ricambiare lo sguardo.
"Vuole farmi uscire dal Mossad. Se credono di avermi uccisa, mi
lasceranno in pace per sempre" confessò. "Era il suo piano
fin dall'inizio, te ne rendi conto? Ha fatto uccidere Michael, mi ha
mandata via da casa, si sta facendo licenziare e forse condannare a
morte per... "
"Renderti libera" sussurrò Tony, stupito. "Wow. Lui... sta
davvero facendo questo?"
Ziva annuì. "Mi ha detto che..." scosse la testa. "... che
rischio la vita, che sto facendo la sua vita. Che sarei arrivata ad un
punto in cui bene o male mi sarebbero apparsi confusi, sfocati, simili. Mi sarei
sposata perchè dovevo, avrei trattato i miei figli come
soldati. Esattamente come ha fatto lui con me e Ari per tutta la vita.
Mi ha anche detto che non si è mai perdonato per avermi
portata via dall'America" lo guardò. "Tony, seriamente.
Penso che sia impazzito"
Io penso che sia
rinsavito, invece. "Tu che gli hai detto?"
"Che è impazzito" gli rispose, come se fosse ovvio. "Io non
voglio morire per finta. Perchè sta facendo tutto questo?"
Tony poggiò la testa alla sponda del letto e
guardò dubbioso il soffitto. "E' come se fosse un regalo
d'addio"
Ziva tremò e si accartocciò su sè
stessa. Aveva un brutto presentimento.
Maia says:
Tornata u.u Vi avevo detto che non avreste aspettato tanto xD
Oddio, ehm... praticamente il caso è quasi risolto e come
avrete capito la storia è... giunta al termine.
Più o meno. (sto per mettermi a piangere). Ci avete fatto
caso che la famiglia Gibbs manca? xD La vedrete nel prossimo capitolo
(pieno d'azione u.u) che sarà il penultimo, credo. Si. Il
penultimo. (Lacrime).
Allora, avevate pensato che dietro a tutto ci fosse Eli? u.u Per me era
ovvio (BUAHAHAHHAHA MA VA? -.-' ndLettori) è il supremo
Direttore u.u - (altre lacrime). Ma ancora non si è capito
perchè. E Ziva accetterà di sparire per sempre?
Vedrete ;)
P.s.: Ciurma, per caso vi da fastidio se metto frasi o immagini della
decima stagione? :/ Sto impazzendo, vorrei tanto metterle!, ma allo
stesso tempo VOGLIO rispettare chi non legge spoiler. Fatemi sapere. * lo Xanax è un ansiolitico :)
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Capitolo 25 *** Aba ***
NCIS college version
Ducky: You can tell
me why you came down here to see me.
Tony: Ziva.
Ducky: Aah...
personal, not professional.
Tony: It's not what
you think.
Ducky: I'm
not thinking anything!
Era strano pensare
di lasciare il Mossad. Ziva non ci aveva mai pensato - non che non
l'avesse desiderato -,
ma sapeva che non era un'ipotesi lontanamente contemplabile. Oramai era
salita sulla bicicletta e sapeva di dover pedalare. Ora, Eli David, suo
padre, il Direttore del Mossad, le stava offrendo una via d'uscita. Ferma, Ziva. Non
era esattamente una via d'uscita, lei lo capiva: era una fuga, una fuga
a regola d'arte, una di quelle che l'agenzia avrebbe ricordato per il
resto della sua esistenza e avrebbe sottolineato come esempio da non
seguire.
"E' tutto così strano" strinse le gambe al petto.
"Che vuoi dire?" Tony si voltò così velocemente
verso di
lei, che quasi temette di veder rotolare la sua testa lungo il
pavimento.
"Mio padre. E' strano" si morse le labbra. Continuò a
parlare
piano. "Lo conosco, ok? Non è
stato, non è
uno stinco di
santo ma... a lui piace il Mossad. Cioè, l'ha sempre
ritenuta
un'ottima agenzia. L'ha resa la sua famiglia, dopo la morte di Tali e
il tradimento di mio fratello. Era fiero, quando ho prestato
giuramento, Tony. Quasi piangeva!" fece una smorfia.
"Beh, ok, a lui piace. Ma forse non vuole che piaccia a te"
"Questa frase non ha senso" lo guardò dubbiosa. Tony
ricambiò lo sguardo.
"Senza offesa, mia piccola ninja, ma a parte quello che lui ti ha
detto... non hai indizi. Non hai niente. Devi credergli e..." si
bloccò.
Ziva stese le gambe lungo il tappeto e guardò la punta delle
scarpe. "Cosa?"
"Non odiarmi, ma penso sia una cosa buona. L'unica cosa buona che tuo
padre abbia mai fatto per te" sussurrò. "Sarai libera"
"Non lo sarò mai. Dovrò nascondermi per sempre,
Tony. Cambierò nome, città, paese..."
"Paese?" lo vide sussultare. "Perchè? Non ce n'è
biso..."
"Stiamo parlando del Mossad, Anthony DiNozzo Junior. Credi che si
fermeranno?"
Tony non commentò. Lasciò vagare la mente
altrove, a tre
anni prima: la storia si ripeteva, in fondo. Ziva doveva andare via, di
nuovo, e lui non poteva evitare in alcun modo che accadesse. Per
qualche secondo aveva sperato di vederla sorridere, gioire,
per quella notizia. Avrebbero potuto fare tante cose. Recuperare il
tempo perso, per esempio. Raccontarsi quegli anni che avevano passato
separati. Avrebbero potuto tornare alla Woodrow, per farsi due risate,
accarezzare i loro vecchi armadietti. Tornare alle loro altelene.
Le dita di Tony strisciarono furtivamente lungo il tappetto e
afferrarono quelle di Ziva - erano così fredde e piccole!
"Quante volte dovrò dirti addio, Ziva David?" la
guardò,
con un accenno di sorriso e l'espressione stanca. Ma Ziva non si
voltò. Lo conosceva talmente bene da poter descrivere, ad
occhi
chiusi, la sua espressione, le rughe formate attorno agli occhi, la
bocca increspata da quell'espressione affranta, ma mai sconfitta. Si
limitò a stringere la presa sulla sua mano.
"Tony"
"Dimmi"
"Io..."
La porta si spalancò di botto e le mani si separarono. Tony
non
potè evitare di guardare malissimo Deeks che, preoccupato,
sventolava un cellulare. "Ehi, Tom e Jerry. Un numero sconosciuto ha
mandato un sms alla fuggitiva" le lanciò il cellulare, che
afferrò al volo. Ziva lo aprì e notò
che era
scritto in ebraico. Lo sguardo si indurì.
"Che c'è scritto?" La guancia di Tony quasi toccò
la sua.
Non fece in tempo ad assorbirne il calore, che si alzò di
scatto
e afferrò la giacca che aveva malamente lasciato sulle
lenzuola
pulite. Whisky le miagolò disperato tra le gambe.
"Dove pensi di andare?" Tony la seguì fuori da camera sua.
"Devo fare una cosa"
"No, no" le afferrò il gomito, facendola voltare. "Tu non
vai da
nessuna parte senza di me. Che c'è scritto, Ziva?"
Si guardarono per un po' e, con imbarazzo, Deeks e Kensi si defilarono
in cucina. "Allora, David? Parli o devo torturarti?"
"Non è affar tuo" non lo disse con disprezzo. Era una
semplice
constatazione, mista a quella che sembrava autentica paura. Paura che
lui potesse seguirla per davvero - Tony ne rimase realmente ferito.
Pensava di essersi guadagnato almeno un minimo di fiducia da parte sua.
"Ti ricordi l'ultima volta che sei andata a fare gli affari tuoi, da
sola, cos'è successo? Tuo fratello è morto" le
disse,
quasi ringhiando. Non voleva dirlo con quel tono, ma non gli aveva
lasciato molta scelta. Ziva David doveva smetterla di credersi Wonder
Woman. Semplice.
"Questo era un colpo basso" sussurrò.
"Ho imparato dalla migliore" strinse gli occhi. "Non ti lascio" ... più, avrebbe
voluto aggiungere, ma si trattenne. "Il messaggio?"
"Vuoi davvero venire con me?" Ziva sentì di avere la gola
secca. "Perchè?"
"C'è davvero bisogno che io te lo dica?" sbuffò e
le
lasciò il gomito. "D'accordo, te lo dico: sei una deficiente"
Ziva David spalancò la bocca, offesa. "Scusami?"
strillò.
"Oh, si" Tony sorrise, tronfio. "Sei una grandissima testa di cazzo,
perdonami il francesismo, miss. Ma sei proprio una cretina. Tutti gli
allenamenti del Mossad non riusciranno mai a renderti invulnerabile
a..." alzò la mano e cominciò a contare.
"Pallottole,
bombe, pugnali, armi di distruzione di massa e chi più ne
ha,
più ne metta" incrociò le braccia. "Non sei
minimamente
capace di badare a te stessa, ti concentri sull'obiettivo e
semplicemente... vai. Salvaguardarti? Ma ovvio che no. Ora" si
schiarì la voce. "Ho una teoria"
Ziva era completamente senza parole, la mano pronta a tirargli un
ceffone come si deve.
"Ritengo che la ragione della mia esistenza sia impedire che tu ti
faccia male. Come una specie di baby-sitter" spiegò. "L'ho
fatto
anni fa, lo sto facendo adesso e continuerò a farlo. Voglio
solo
farti capire che oramai è finita. Non ti lascerò
andare
da sola, perchè potresti farti male anche solo guidando. E
sappiamo tutti e due che è molto probabile che accada"
ridacchiò. "Ora, hai due scelte: mi porti con te
spontaneamente,
o dovrò seguirti. E non sarà piacevole, credimi"
"Lo sai che sei stupido quanto me, no?"
"Ci amiamo per questo" la vide aprire bocca. "No, non provare a
replicare. Questa cosa delle litigate, dei battibecchi... non funziona
più. Usiamo l'odio per sopperire alla mancanza che abbiamo
l'uno
dell'altra. Perchè tu mi manchi, Ziva. E se devo finire di nuovo in
un intrigo nazionale per te, lo sai che lo farò - e sono
talmente stanco di questo amore distruttivo da romanzo di serie B, che
voglio semplicemente buttare fuori tutto, essere vuoto dentro,
piuttosto che subire tutto questo. Deve finire. Non importa se bene o
male, per noi, deve solo finire"
Ziva annaspò in cerca d'aria. "Tu mi ami ancora"
"Perchè, tu no?" alzò un sopracciglio, divertito.
Quando le labbra di Ziva aggredirono le sue, Tony pensò che
non
si erano mai baciati così: erano l'istinto primordiale, la
passione e la paura che stavano eruttando fuori tutte insieme per
ricoprire entrambi. Non c'era dolcezza, ma solo bisogno. Tony quasi
ruggì, sentendola tremare tra le sue braccia; non si sa
come,
finirono spalmati sulla parete dell'appartamento, tra gemiti e mugolii,
provenienti da chissà chi.
Lo allontanò bruscamente. "No" Tony non si rese subito conto
che gli stava rispondendo.
"Certo, Ziva. Sei decisamente credibile, dopo avermi quasi violentato"
Gli tirò una sberla dietro la nuca. "Dobbiamo andare in un
motel. Era papà nel messaggio. Dice che il Mossad
è in
tenuta da caccia e la preda sono io. Mi stanno cercando e ho bisogno di
un posto sicuro, mi ha detto dove andare. Fingerà, nel
frattempo, di avermi trovata in un altro posto, così il
Mossad
utilizzerà un'altra bomba per fare fuori me e il gioco
è
fatto. Da stasera, dovrò solo fuggire"
"Perfetto. Quante pistole?"
"Tante"
"Ne abbiamo quattro, se Deeks e Kensi ce le prestano. Documenti falsi?"
"Ce li ho"
"Io pure. Ho ancora quelli che utilizzavo a scuola per bere alcolici.
Cellulare?"
"Ne serve uno con scheda prepagata"
"Li prenderemo per strada. Contanti?"
"Ho anche quelli. Dollari, euro e sterline"
"Bene" le aprì gentilmente la porta e ghignò.
"Allora, pronta?"
"Prontissima" lo afferrò per la giacca e se lo
tirò
dietro. "Per inciso, chiamami di nuovo cretina, deficiente e testa di
cazzo, e giuro che ti sparo"
Maddie: Can't
remember who took the photo...
Gibbs: I did.
5x07
"Ti dico cosa devi fare: i primi tempi, Shannon sarà
stanchissima. Quindi dovrai alzarti minimo tre volte, durante la notte,
per dar da mangiare alla piccola peste. Il bagnetto è meglio
che
lo fai fare a tua moglie, sai com'è, sono più
delicate loro e
rischieresti di farle sbattere la testolina da qualche parte. Non
spaventarti se fa tanta cacca e di colore strano: è una
neonata.
Ma soprattutto, Jethro, quando piange, non devi guardarla come se fossi
terrorizzato, mi spiego? I bambini piccoli piangono per due cose:
coliche o cibo. Se ha già mangiato, sono le coliche. Tenerla
in
braccio fa bene, ma non troppo. Non vorremmo mica viziare
già
Kelly Gibbs, vero? A quello ci penserà l'adorato zio Toby"
Fornell annuì tra sè e sè,
soddisfatto. "Oh, ma mi
stai ascoltando?"
No, Gibbs non lo stava proprio ascoltando. Aveva la faccia premuta sul
vetro del nido dell'ospedale, mentre un'infermiera girava tra le culle
per prendere Kelly. Sua figlia. Stranamente l'aveva riconosciuta subito
e non per l'orribile body color prugna, ma per l'espressione fiera e
pacata e un ciuffetto di capelli bruni sulla testa. L'aveva sentito
subito, quel colpo al cuore, come se avesse un infarto.
Si poteva avere un infarto per la troppa felicità? L'avrebbe
chiesto al dottore.
Kelly ogni tanto sbadigliava e, contemporaneamente, dondolava tutta,
agitando le manine per aria e i piedini sulla coperta. Un paio di volte
si era anche girata su un fianco, poi sull'altro - sembrava una piccola
tartarughina iperattiva. Improvvisamente, poi, si calmava. Gibbs si era
quasi spaventato a vederla immobile, finchè Kelly non aveva
fatto uno scatto e aveva ripreso a dondolarsi. Era piena di rughe.
"La culla, mi raccomando, deve essere a prova di dentini e fughe. I
bambini di solito amano i box, così possono cominciare a...
oh,
Gesù. Jethro? Stai... Jethro, stai piangendo?"
"E' bellissima, Tobias" si portò una mano alla bocca.
L'amico sorrise e rischiò di piangere pure lui.
Tirò su
col naso un paio di volte e lo abbracciò. "La sapevo che
avevi
un cuore debole, amico mio. La senti questa felicità?
Quest'ondata di amore che ti travolge? Bene. Perchè non
perdirai
più nessuna di tutte e due. Quella piccolina ti
metterà a
dura prova, ma tu non smetterai mai di amarla più di ogni
altra
cosa al mondo. Benvenuto nel magico regno della paternità!"
Gibbs strinse la camicia di Tobias e scoppiò a ridere.
Sentiva
di poter ridere per sempre, perchè ne aveva il potere, ma
soprattutto ne aveva la voglia.
In fondo al corridoio, Danny e Steve sedevano con le spalle al muro,
vicini. Il primo sorrideva estasiato, l'altro si stava tamponando il
sudore con un fazzoletto, mentre cercava il cellulare nelle tasche
della giacca.
"Mai più donne incinte da sorvegliare, ok?"
avvisò il
collega. "Mi è quasi preso un colpo. Non vedevo tanto sangue
dai
tempi della guerra in Afghanistan e, credimi, ce n'era tanto. Ma
proprio tanto"
"Non apprezzi la magia della nascita, Steve. Questo perchè
non hai figli tuoi, cavernicolo"
"Forse è vero" restò in silenzio per cinque
minuti.
"Forse dovremmo adottare un bambino. In quanto coppia, intendo" si
beò della faccia sconvolta del suo compagno. "Che ho detto?"
Danny fece per parlare, ma vennero interrotti dall'arrivo di Ducky
Mallard. "E' nata?"
"E' nata" Danny alzò il pollice in su, sorridente. "Ah, sono
stato un'ostetrica perfetta" si vantò col professore. Steve
si
trattenne dal ridergli in faccia, mentre l'uomo annuiva. "Dove sono?"
"Gibbs è lì, Shannon è ancora dentro.
La stanno
rimettendo in sesto, credo. O forse non ha ancora smesso di piangere"
Ducky annuì un paio di volte e, alzando le braccia al cielo,
corse anche lui ad unirsi all'abbraccio (molto poco virile,
osservò Steve) tra Tobias e Gibbs.
Danny, invece, sorrise. "Ah, ma che bel momento" poggiò una
mano
sul ginocchio del compagno. "Sai, è per questo che mi piace
fare
questo lavoro. E, in fondo, mi mancheranno. Non prendermi in giro, ma
cucinare con Shannon mi piaceva!"
"Anche a me mancheranno" soffiò Steve. "Almeno con Jethro si
poteva guardare una partita in santa pace" guardò di
traverso
l'altro.
"Non mi prenderò la frecciatina, mi dispiace. Rimaniamo fino
a domani?"
"Ma si. Voglio portare dei fiori alla neo-mamma"
"Si può?"
"Ma certo!" Shannon sorrise lentamente, quando la testa di suo marito
spuntò sulla soglia della porta. "Ciao" mormorò.
"Ciao a te, mamma" Gibbs la guardò emozionato, ed
entrò
in stanza. Ma non era solo. In braccio teneva qualcosa di piccolo, rosa
e caldo. "Vorrei ufficialmente presentarti Kelly. Lo so che vi siete
già conosciute in sala parto, ma adesso le hanno fatto il
bagnetto, diciamo che è presentabile" le si sedette accanto,
porgendole la bambina.
Shannon allungò le braccia e la strinse al petto - la
piccola si
limitò a sbadigliare e si sistemò tra le braccia
di sua
madre. "Oh mio dio" la donna scoppiò a ridere e piangere
insieme. "Mio dio, mio dio. Ciao Kelly" singhiozzò e le
lasciò un bacio sulla fronte.
"E' bellissima, Shannon. Stupenda"
Sua moglie sorrise e si accostò al letto per fargli un po'
di
spazio. "Vieni qua, papà" lo baciò, attenta a non
pesare
su Kelly.
"Lo sai che lì fuori c'è una squadra di calcio
accampata
per vedere tutte e due?" la informò Jethro. "Tobias e Ducky
stanno litigando su chi dovrà essere il padrino, suppongo.
Steve
e Danny, invece, fissano i neonati... sinceramente, ho paura che ne
possano rapire uno. Tu lo sapevi che stavano insieme? Ah, poi ci sono
Abby e McGee"
"Che carini! Sono venuti!" Shannon passò l'indice sulla
fronte di sua figlia. Era larga come la sua!
"Già. Pare che Tobias abbia dato la lieta notizia su
Facebook.
Penso che verrà parecchia gente. Anche il preside Vance mi
ha
mandato i suoi auguri e mi dice di salutarti - Jackie, sua moglie, ha
un sacco di tutine da passarti" alzò un sopracciglio.
"Saremo
sommersi dai vestiti"
"Ringrazia, tesoro. Quando lei crescerà, ci troveremo
sommersi di scarpe, vestiti, trucchi..."
"Non pensiamoci" le baciò una spalla, divertito. "I nostri
genitori stanno arrivando"
"Oddio, allora c'è davvero una squadra di calcio,
lì
fuori" Shannon fece una smorfia. "Sei una star, Kelly. Hai visto?"
"Non ci crederai
mai!" soffiò Tony, allungandosi verso di lei.
Ziva lanciò un'occhiata dubbiosa al tassista e lo
incitò
a parlare. "La dottoressa Shannon ha partorito! Una bambina! Si chiama
Kelly"
"Forte" sorrise. "Chi te l'ha detto?"
"McGee, mi ha mandato un sms..." alzò gli occhi al cielo,
quando
Ziva lo guardò preoccupata. "... a cui non
risponderò.
Tranquilla" le scompigliò i capelli e Ziva si
rilassò.
Tony sapeva che, nei rari casi di buon'umore, era un gesto che la
faceva ridere. Le provocò un brivido, quando, con le dita,
scese
ad accarezzarle la nuca; Ziva socchiuse gli occhi. Aveva paura, ma non
l'avrebbe mai ammesso davanti a Tony - si fidava di lui, come non si
era mai fidata di nessuno prima, ma sentiva che quell'emozione doveva
tenerla per sè. Se Tony avesse saputo quanto era terorizzata
e
spaurita, avrebbe potuto fare una sciocchezza.
"Ehi" le accarezzò l'attaccatura dei capelli col pollice.
"Andrà bene. Dobbiamo solo aspettare il via libera di tuo
padre
e poi..."
"Esatto. E poi, cosa?" lasciò che la mano cadesse nel vuoto.
"Non so ancora dove andare"
"Beh, uhm... potresti..."
"Non rimarrò qui"
"Ok" Tony sospirò. Sentì che non era il caso di
replicare
oltre, sapeva che avrebbe solo peggiorato le cose. Voleva solo che il
Mossad andasse via dall'America per sempre - un peso sul cuore gli
diceva che per lui stava finendo male. Non c'era alcuna
possibilità che Ziva potesse rimanere negli Stati Uniti,
figuriamoci a Baltimora. Era completamente fuori questione; e lui era
fuori fase, per colpa sua.
"Siamo arrivati" osservò il tassista e allungò
una mano per avere la sua paga.
Tony sbirciò dal finestrino: il motel era quanto di peggio
Eli
David potesse trovare. Sembrava una bassa e tozza palazzina in rovina,
seguita da altre mini stanze, pronte all'uso, la cui unica cosa
funzionante (l'insegna al neon) era sul punto di crollare in testa a
qualche ignaro passante.
Scesero dall'auto e non si avviarono all'ingresso, finchè il
loro autista non sparì all'orizzonte.
"Bene" Ziva prese un respiro. Si schiarì la voce. "Puoi
lasciarmi qui"
"Nah. Entro con te. Non si può mai sapere" si
assicurò
che la pistola fosse al suo posto, al sicuro nella sua giacca.
"Tony"
"Ti prego, non ricominciare. E prendimi la mano, sembreremo due
fidanzati in cerca d'intimità" era una buona idea,
così
Ziva ubbidì e si stampò in faccia il sorriso
più
falso dell'Universo. La reception consisteva in un banco, un telefono,
un registro e un ragazzino con i rasta che leggeva un fumetto. A Tony
ricordò Sam, il suo coinquilino nel bel mezzo della Savana,
ed
ebbe una fitta di nostalgia. Chissà dov'era.
"Salve. Abbiamo prenotato la camera 223" trillò Ziva,
lanciando sguardi languidi al suo finto accompagnatore.
"Ecco a voi" Il ragazzino estrasse da un cassetto la chiave. "Uscite,
è la seconda porta dopo i cassonetti dei rifiuti"
tornò
con lo sguardo al suo giornalino. Ziva ebbe la tentazione di
strapparglielo di mano, ma si trattenne. Soppesò tra le mani
la
chiave e uscirono di nuovo fuori.
"Dev'essere quella" Tony strizzò gli occhi.
Indicò un punto luminoso poco lontano. "Merda. Le luci
sono... accese"
Si guardarono e, contemporaneamente, estrassero la pistola. La mente di
Ziva lavorava frenetica: come
mi hanno trovata, se fino a cinque minuti fa non sapevo nemmeno dove
andare? Come faccio a far andare via Tony? Perchè mio padre
non
mi ha protetta?
"Potrebbe essere la donna delle pulizie" tentò Tony.
"A mezzanotte inoltrata? Originale" osservò lei. "Coprimi"
gli
fece un cenno e si avviò verso la porta d'ingresso.
"Ziva?" sibilò Tony, nel buio.
"Che c'è?"
"Ti amo"
Si voltò verso di lui. "Ti sembra il momento?"
"Beh, si, mi sembra proprio il momento, in effetti"
Ziva biascicò qualche insulto in ebraico e poggiò
le
spalle al muro, di fianco alla porta d'ingresso. Le finestre erano
coperte dalle tende, sembrava non esserci nessun movimento,
all'interno. "Tony?"
"Che c'è?"
Ziva deglutì. "Andiamo". Con un colpo ben assestato del
gomito
aprì la porta e puntò la pistola verso l'unica
figura in
piedi nella stanza.
Sentì Tony, dietro di lei, la pistola alta, trattenere il
respiro: Eli David li osservava, tranquillo, con dei documenti tra le
mani.
"Shalom, Tony. Non ci vediamo da quando entravi in camera di mia figlia
dalla finestra" Tony ebbe il buongusto di arrossire, ma non
lasciò cadere la pistola.
"Bei tempi, quelli" rispose.
"Papà!" strillò Ziva. "Che ci fai qui?"
"Prima di risponderti, ti consiglierei di puntarmi contro la pistola di
nuovo" la incitò con la mano. "Su, forza"
"Non ti punterò addosso una pistola! E tu, abbassala"
urlò a Tony. "E' mio padre"
"Alzatela invece. Fate come vi dico, avanti"
Il ragazzo fece come ordinato, ma Zivaz esitò. "E' una
farsa!"
biascicò, alzando la pistola. "Ora, per piacere, spiegami
che ci
fai qui! Ci buttano in prigione tutti e due se ci trovano in questa
stanza, lo sai, vero?"
Tony ebbe un sussulto che Eli notò. E gli sorrise. Tony
aveva capito, sua figlia ancora no.
"Sei sempre stato un bravo ragazzo. Prenditi cura di lei"
"Lo farò"
"Di che state parlando? Ehi!" Ziva tirò un leggero colpo,
con la gamba, a Tony. "Che significa?"
"Ti sta proteggendo, sai. Avevamo ragione" disse il ragazzo. "Ti prego,
tieni alta la pistola, Zee"
"Perchè?" chiese. La risposta le arrivò circa tre
secondi
dopo; cinque persone, che riconobbe immediatamente come agenti del
Mossad, entrarono dalla porta d'ingresso, già spalancata da
loro. Erano armati fino ai denti e guardavano Eli David con autentico
dolore e rammarico.
"Eli David. E' accusato di tradimento e spionaggio" disse uno di loro.
Ziva non lo conosceva e, spaesata, lo vide stringere, intorno ai polsi
di suo padre, delle manette. Le tremarono le mani.
"Ziva" Tony le fece abbassare l'arma. "Ziva, mi dispiace"
"Ma..." boccheggiò la ragazza. "Io..."
"Complimenti agente David" Genim, il braccio destro di suo padre, le
porse la mano. "So che non deve essere stato facile inseguire e mettere
con le spalle al muro il suo stesso padre, pochi agenti l'avrebbero
fatto. E' una risorsa importante per l'agenzia. Sarebbe meglio,
però, non... ecco, sottolineare che lei abbia avuto bisogno
di
un... aiuto esterno" accennò a Tony.
"Aba*"
mormorò la ragazza, chiamando suo padre. Stava a testa
bassa. "Aba"
abbassò la pistola. "Vi sbagliate, io non stavo..."
Uno sguardo di Eli la incenerì sul posto. Non parlare, bambina.
Non-parlare. Tony le strinse un braccio.
"E' innocente, non fatelo... " impotente, vide che lo
portavano
via. "Genim!" ringhiò. Lo conosceva da sempre, come Leni.
Non
poteva credere che facesse arrestare il suo mentore senza fare nulla.
"Ziva" l'uomo le fece una riverenza. Poi le sorrise. "Le Bahamas sono
splendide in questo periodo dell'anno. Non trovi?" le
strizzò
una guancia. "A proposito" si voltò sulla soglia, prima di
sparire. "Non ti disturbare a prenotare un'aereo per Tel Aviv. Prenditi
prima una settimana per sistemarti: abbiamo
bisogno di un'agente di collegamento all'ambasciata israeliana di
Washington. Sono pieni di incapaci" fece una smorfia. "Ci
servirà una come te, così ben inserita" gli
scappò
una risatina. "Shalom, bambina" si chiuse la porta alle spalle.
Ziva era spaesata. Tony anche.
"Tuo padre si è fatto arrestare come complice di Michael. Ha
organizzato tutta questa sceneggiata per evitare di metterti nei
casini" riuscì a dire Tony, dopo qualche minuto. Le si
parò davanti. "Ziva?" sventolò una mano davanti
al suo
viso. "Ehilà?"
"Si?" scosse la testa e lo guardò.
"Che c'entravano le Bahamas, scusa? Sono confuso, è successo
tutto così..." Ziva gli scoppiò a ridere in
faccia. Tony
si accigliò. "Uhm?"
Non si fermò, la ragazza continuò a ridere,
tenendosi la pancia. Balbettava qualcosa.
"Che figlio di puttana!" fece un'applauso.
"Dici a me?"
"No, scemo. A mio padre! Che grandissimo..." afferrò Tony
per le
spalle. "Ha intenzione di scappare. Le Bahamas. Mio padre adora le
Bahamas. E Genim lo sa. Ha messo su questo teatrino non per far
scappare me... ma per crearsi una fuga da solo!"
Tony si grattò una guancia. Poi scoppiò a ridere
anche lui.
"Una pizza peperoni e funghi, pizza con patatine fritte.
Voilà!" Tony si sedette sul marciapiede, davanti al motel, e
porse uno dei due cartoni a Ziva. Mangiarono in silenzio per un po',
scossi ancora da qualche risatina incredula.
"Perchè l'ha fatto, secondo te?" Le chiese, mentre osservava
un fungo colare via dalla sua fetta di pizza.
"Penso fosse stanco. La morte dei miei fratelli l'ha distrutto - sono
mesi che Leni prova a farlo dimettere. Adesso capisco perchè
non l'ha fatto" scosse la testa. "Aveva già organizzato
tutto con Genim, che bastardi. Senza dirmi niente"
"Ha colto l'occasione migliore. Tu ne esci pulita, rimani in America e
lui se ne va al mare" fece spallucce. "Ma come ha intenzione di
scappare?"
Ziva annuì tra sè e sè. "E' un David.
E ha il suo vice. Quei due ne sanno una più del Diavolo"
"E così" la guardò di sottecchi. "Rimani a
Washington"
"Efattho" sputacchiò, mangiando la pizza. "Non guardarmi
così" si pulì la bocca con un tovagliolo di
fortuna, pescato nella borsa.
"Così come?"
"Come se volessi mangiarmi" fece spallucce. "Io e te... non torneremo
insieme, Tony. Anche se rimarrò in America... per un po',
perchè non è detto che mi facciano restare qui
per sempre... tra noi è finita tanto tempo fa. Mi hai
tradita"
"E' vero" Tony sorrise e diede un morso alla sua pizza.
"Perchè sorridi?" gli domandò stizzita. "Ti ho
detto che tra noi due non c'è alcuna possibilità
di tornare assieme"
"Ho capito, Zee"
"La smetti di essere così pacato!?" gli tirò un
pugno sul braccio. "Cos'hai in mente?"
"Niente"
"Non mi fido di te"
"Si, Ziva, si. Ora mangia"
"E non dirmi quello che devo fare, DiNozzo!"
Tony alzò gli occhi al cielo. "Dio! Sarà
terribile essere il tuo ragazzo"
"Non
lo sarai. Hai capito?"
"Si, Ziva, si. Ma quando arrivano Deeks e Kensi, diamine?!"
"Non cambiare argomento!"
"Sei pesante!"
"Ah" alzò le braccia la cielo, stizzita. "Io?!"
"Si, tu. Sei pesante e... sporca di pomodoro" le baciò il
labbro superiore. "Ora non più"
"Smettila!"
Maia says:
E il prossimo sarà l'epilogo :'D Vi confesso, ancora non so
come... presentarvelo. Nel senso, ho due idee differenti, per il
prologo. Molto simili, ma diverse (?) si, boh, non riesco manco a
spiegarmi tra me e me.
Gesù, sono sopravvissuta a questo capitolo :'D Non mi va
ancora di fare saluti, ringraziamenti (poi mi viene da piangere), posso
solo dire che sono priva di energie e queste parole che state leggendo
sono frutto di tanto stress fisico e mentale. Odio la
maturità D:
Mi sento profondamente in colpa per come ho "trattato" la nascita di
Kelly - ma ho 19 anni, signore e signori, non ho la più
pallida idea di cosa significhi avere una bambino, perciò...
ci ho provato, ecco >.< Però non ne sono
soddisfatta, boh.
Dei Tiva invece lo sono HAHAHAHHAHAHHA perchè mi fanno
ridere HAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHA li ho fatti più scemi
degli originali, ragazzi sono un mito HAHAHAHHAHAHAHAHAHAHAHHAHAHAHA
Vabbè, il mistero è venuto a galla :) Eli ha
pensato un bel po' ai cazzi tuoi, ha coperto Ziva e se ne in giro (da
solo) per il mondo. Io mi preoccuperei. Ehm, ho disseminato un po' di
decima stagione in giro - vorrei mettere un bordello di gif e citazioni
ma mi sto trattenendo - perciò non dico altro xD
Ci vediamo (per l'ultima volta) al prossimo capitolo :')
*Aba:
Papà in ebraico.
P.s.: Metà capitolo non è stato betato :(
Perdonate eventuali errori.
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Capitolo 26 *** It's time to begin, isn't it? ***
NCIS
Union Station, Washington D.C.,
7.00 p.m.
A Ziva
piaceva particolarmente andare alla stazione ferroviaria di Washington.
Prima di tutto, le piaceva artisticamente parlando: le ricordava un po'
le grandi cattedrali italiane e gli archi di trionfo; tutta quell'aria
classicheggiante le trasmetteva calma e spirito d'inventiva, tanto che
immaginava di scolpire essa stessa le fini ed eleganti decorazioni in
marmo. Si fermava sempre cinque minuti ad osservare la statua di
Archimede.
Più di tutto, però, le piaceva guardare le
persone. Alla
Union Station, ogni giorno, transitavano migliaia di persone ed era
bello vederle con i bagagli, chi con l'espressione felice, chi stanco,
chi ancora commosso. C'erano gli amici e i parenti, in
qualità
di accompagnatori. C'erano gli artisti di strada, che strappavano
sempre il sorriso a qualcuno. C'erano anche i venditori ambulanti,
molto simpatici - una volta, Ziva aveva scambiato uno di loro per un
terrorista boliviano. Lei arrivava, così, sempre un po'
prima
dell'orario stabilito e si metteva ad osservare tutti loro, come se
fossero il suo personale palcoscenico, in una rappresentazione sempre
originale, ma sempre la stessa.
Seduta su una delle panche, controllò l'orologio, in attesa.
Era stanca anche lei, come la maggior parte dei viaggiatori. La vita
all'ambasciata non era facile come le era inizialmente sembrato: aveva
a che fare con israeliani scontenti, o turisti scontenti, o politici
scontenti (effettivamente si era resa conto che, chi entrava
all'ambasciata, era sempre infelice per chissà quale bega
diplomatica) e lei era tenuta a stare lì, alla sua
scrivania,
cercando di placare gli animi. Alcune volte, però, sentiva
ancora il brivido della caccia, quando doveva interrogare un sospettato
o perquisire qualcuno. Le era anche capitato di proteggere un agente
del Mossad negli appartamenti dell'ambasciatore - non era stata una
bella esperienza, alcuni la guardavano ancora con diffidenza, dopo che
suo padre era scappato misteriosamente
di
prigione. Quello che le piaceva di più era, tuttavia,
prendere
il the con la mamma dell'ambasciatore, una signora distinta che le
ricordava tanto la sua Leni; erano piccole vittorie di cui andava
fiera, perchè era riuscita a crearsi una sua routine.
Ziva si stiracchiò e sbadigliò.
Controllò di nuovo l'orologio. Dieci minuti di ritardo.
Ci aveva messo un po' a trovare una casa dove stare. Aveva subito
scartato un'appartamento messo a dispozione dell'ambasciata - sentiva
già di essere troppo sotto controllo e voleva rincasare a
suo
piacimento. Non avendo i soldi per comprarne o affitarne uno, aveva
chiesto aiuto a McGee per cercare un buco che le andasse bene per i
primi tempi, per poi sistemarsi più avanti: a sorpresa,
McGee le
aveva offerto la stanza lasciata vuota da Tony nel suo appartamento.
Aveva sottolineato che non era un atto caritatevole, perchè
aveva urgentemente bisogno di qualcun'altro che lo aiutasse con le
spese; Abby era stata felicissima del trasferimento e passava molto
tempo con loro (la notte, Ziva aveva scoperto di non sentire i due
amanti in fondo al corridoio e aveva tirato un sospiro di sollievo).
Vivere con il suo migliore amico era bello e inevitabilmente comodo. In
pratica, McGee faceva tutto: lavava, cucinava, stirava... era una
perfetta donna di casa, quello che Ziva non sarebbe mai diventata,
nemmeno osservandolo tutti i giorni. Più o meno avevano gli
stessi orari, perchè era diventato l'assistente di un
professore
alla facoltà di Fisica, così riuscivano a vedersi
per
pranzo e per cena, e la domenica oziavano entrambi (la ragazza si era
impegnata a preparare la colazione almeno quelle mattine,
così
McGee poteva riposare).
Sobbalzò, quando il cellulare cominciò a vibrarle
nella tasca dei pantaloni.
"Ciao, McInquilino" sorrise. "Si, sono ancora alla stazione ad
aspettare" sbuffò. "Deve essere in ritardo... no, ma credo
arrivi a momenti. Fa così, ordina le pizze, almeno non fai
tardi
quando vai a prenderle e le mangiamo calde. Ok, ti mando un messaggio.
Ciao" attaccò.
C'era caos, a quell'ora, e non riusciva a sentire la gracchiante voce
metallica che annunciava i treni. Magari si era persa l'annuncio
parlando con McGee.
"Buonasera!" qualcuno le baciò il lobo dell'orecchio e Ziva
sorrise. Guardò in alto e vide il viso gioviale di Tony che
la
osservava.
"Ce ne hai messo di tempo! Sono qui da minimo venti minuti!" lo
rimproverò, mentre gli baciava il mento e poi la bocca.
"Quando il treno
è in ritardo avvisami, almeno mi porto un libro"
"Scusa" Tony arricciò le labbra e le prese la mano, per
avviarsi verso l'uscita. "Andiamo a casa?"
"Si! Stasera ti toccano le pizze! McGee ha dovuto sostituire il
professore, così non ha potuto cucinare. Ma l'ho spedito a
prenderle, così fra due giorni torni a Baltimora con la
pancia piena" ridacchiò. "A proposito, sei ingrassato"
Tony impallidì. "Sei seria?" si fermò,
grattandosi la pancia. "Pensavo di aver messo su massa muscolare"
"No, tesoro, è massa
e basta" scoppiò a ridere.
Tony non aveva ancora lasciato a Baltimora. L'accademia di polizia era
terminata, ma era in prova in una centrale della città,
vicino
casa, insieme a Deeks, Kensi e Kate, mentre Sam e Callen erano stati
trasferiti a Los Angeles. Fortunatamente era riuscito ad
organizzare con i suoi amici i turni lavorativi, per tornare, almeno il
sabato e la
domenica, a Washington, per stare con lei. Non le piaceva averlo
lontano, ma di sicuro i primi tempi le era servito: avere sempre Tony
nei paraggi la destabilizzava, le faceva perdere la dovuta
razionalità e
le infilava anche le mani dappertutto. Non
era, perciò, pienamente convinta di volerselo riprendere,
sebbene Tony ci mettesse tutto l'impegno per riacquistare la sua
fiducia.
Alla fine era successo, e non l'aveva programmato. Una mattina, dopo
aver fatto accidentalmente
l'amore con lui, si
era svegliata, l'aveva visto sbavare sul suo cuscino e ricordarsi del
perchè lo aveva amato era stato facile. Di tanto in tanto,
andava anche lei a Baltimora - c'era sempre un letto disponibile, in
quella casa.
"E' colpa di Kensi" alzò gli occhi al cielo. "Guarda troppo
quei
programmi di cucina e si sente in dovere di far da mangiare al povero
vicino di casa, solo e abbandonato a sè stesso. Non vedo
l'ora
che torni Sam, guarda. Lei e Marty stanno sempre fiondati sul divano e
io non posso fare praticamente niente" fece spallucce. "Ti sembra
giusto?"
"Stai sempre a lamentarti, DiNozzo. A proposito, quando torni a casa,
devi dire a Rick che il libro mi è arrivato, con tanto di
autografo personale" sorrise. "Mi ha scritto una bella dedica!"
"Cioè?" Tony provò ad indagare. Nonostante Rick e
Kate
fossero una coppia, continuava a non fidarsi dell'estrema gentilezza
nei confronti di Ziva, ogni volta che lo andava a trovare.
"Fatti nostri. Privati"
"Hai dei fatti privati con Richard Castle?" Spalancò la
bocca.
"Tanti. Proprio tanti"
Tony ridacchiò e l'attirò a sè.
"Quanto mi sei
mancata" Ziva lo abbracciò e accarezzò il petto,
coperto
da un maglione, con la guancia.
"Anche tu. Pensi di baciarmi decentemente?"
Tony lasciò cadere la valigia e la prese in braccio. Le
gambe si
Ziva si artigliarono ai suoi fianchi e gli circondò il collo
con
le braccia. Qualche passante li guardò con occhio critico,
ma
nessuno dei due se ne preoccupò - era sempre la stessa
scena,
tutti i venerdì sera.
"Guanciotte dolci, non sarai mica in crisi d'astinenza?"
"Ti amo"
"Ti amo anche io"
Casa
Gibbs, Washington D.C., 8 p.m.
Gibbs aveva gli occhi socchiusi, nel vano tentantivo di sembrare
minaccioso.
Kelly aveva gli occhi spalancati ed emise un gorgoglio divertito tipico
dei bambini.
"Bene, tesoro. Ora ti lasciamo con i babysitter, ma devi fare la brava.
Ok?" borbottò suo padre. Kelly ridacchiò. Gibbs
sbuffò.
"Li farai impazzire, vero?" la bambina naturalmente non rispose, ma
l'uomo notò quel luccichio malvagio negli occhi nocciola,
che valeva più di mille parole. "Sei la figlia del demonio,
tu" le diede un morbido bacio sulla guancia.
Kelly era un soldo di cacio, ma aveva messo sotto sopra la sua vita;
doveva alzarsi durante la notte, controllare la temperatura del
biberon, farla addormentare, farle fare il ruttino, bagnetto,
pannolini... era un autentico lavoro, non c'erano pause pranzo o giorni
liberi. Gibbs e Shannon facevano i turni per stare con la piccola e,
dopo la sua nascita, erano usciti pochissimi e i momenti intimi ridotti
al minimo.
A nessuno dei due, però, dispiaceva davvero.
Quella sera avevano deciso di andare a cena, loro due da soli. Era la
prima volta che lasciavano Kelly con qualcun altro e Shannon non
sembrava molto tranquilla in proposito, sebbene suo marito avesse
tentato più volte di rassicurarla.
"Sono dei professionisti, sapranno come cavarsela" le aveva detto
nemmeno un giorno prima.
"Che stai facendo?" gli domandò, entrando in camera di
Kelly. Si stava pettinando i folti capelli rossi: aveva un bel vestito
elegante, blu, che faceva risaltare la pelle chiara. Gibbs non
potè fare a meno di baciarla.
"Dicevo a tua figlia che deve fare la brava"
"Oh, lo sai che non lo farà. Vero, amore mio?" la prese in
braccio e la strinse forte. "Come faccio a lasciarti sola soletta?"
"Ehi" Gibbs la guardò male. "Abbiamo bisogno di una pausa"
"Lo so, lo so" Shannon mise il broncio e la riempì di baci.
"E poi c'è lui" l'uomo indicò il gattone
arancione, comodamente seduto su due peluche della bambina. Whisky era
stato regalato a Kelly dopo un mese esatto dalla sua nascita - Ziva non
sapeva cosa diavolo si potesse mai regalare ad una bambina e, visto che
anche lei era cresciuta con un gatto, aveva pensato di dare Whisky in
adozione (McGee era stato molto felice della sparizione del micio). Da
quel momento, il gatto si era appropriato di una poltrona, due cuscini
e i peluche di Kelly. Oramai non provavano nemmeno a cacciarlo via.
"Ho sempre la netta sensazione che mi guardi male" osservò
Gibbs. In effetti, ogni volta che provava a prenderlo, Whisky soffiava.
"Forse è geloso. A me non dici niente, anzi. E Kelly gli
tira sempre la coda. Non gli piaci proprio tu" rise la donna.
Il campanello interruppe la discussione; i coniugi Gibbs si guardarono:
"Sono qui" dissero in coro.
Scesero tutti e tre al piano di sotto, con Whisky al seguito. Sulla
soglia della porta, Tobias Fornell e Ducky Mallard sorridevano
compiaciuti.
"Ho cambiato idea" Shannon deglutì. "Non la voglio lasciare
a loro due. Preferisco Abby"
"Stasera torna Tony. Non poteva venire" Gibbs alzò gli occhi
al cielo. "Fidati, se la cavaranno. Al massimo c'è il gatto"
"Comunque noi siamo qui davanti a voi, eh" Fornell ringhiò
stizzito. "Vieni dallo zio, tu" allungò le braccia e Kelly
si allungò per andare da lui, poi passò a Ducky.
Voleva stranamente bene a quelle due losche figure che giravano attorno
alla sua vita.
"Ragazzi, mi raccomando" sospirò Shannon, prendendo la borsa
e il cappotto all'ingresso.
"Tranquilla" Ducky sorrise.
Tobias li salutò con la mano e chiuse ad entrambi la porta
in faccia, non prima di aver urlato un "Divertitevi!" molto eloquente.
Gibbs e Shannon scoppiarono a ridere, mentre salivano in macchina.
"Sono pazzi. E faranno diventare pazza anche mia figlia!"
Jethro le sorrise e mise in moto. "Non credo - per quello bastiamo
già io e te". Sua moglie gli fece una linguaccia divertita e
gli si aggrappò al braccio.
"Allora, signor Gibbs... dove mi porta di bello?"
The
End.
Maia says:
Oh.
Mio. Dio. Non pensavo... insomma. Cioè è
parecchio brutto, sapete? T_T Mi viene da piangere. Ok, scrivo e scrivo
così non ci penso.
Prima di tutto, vorrei
ringraziarvi TUTTI. Ma proprio tutti - chi ha letto in
silenzio, chi l'ha messa tra le seguite, le preferite, le ricordate -.
Naturalmente un grazie speciale a chi mi ha seguita da sempre e che non
si è perso/a un capitolo, sempre con recensioni positive ed
entusiaste (insomma, avete pianto e gioito con me, che altro
aggiungere? :'D).
In seconda battuta vi volevo dire che questa storia (anzi, tutte e due)
sono andate avanti grazie a voi :'D C'è anche chi mi ha
detto, 'Ehi, non
c'è due senza tre ;)'... ma no, xD Non ci
sarà una terza storia sui due modelli che avete
già letto - non perchè non voglia... un po'
è che veramente non ho tempo, tra maturità e cose
così ma... non saprei cosa aggiungere a questo.
Quando ho cominciato High School, penso lo sappiate, stavo andando
completamente allo sbaraglio. Mi piaceva immaginare i personaggi in un
ambiente diverso, in particolare l'ambiente più vicino a me
(il liceo, ahimè.) quindi non è che ci abbia
tanto riflettuto sopra... senza sapere di avere tutto questo "successo"
:'D Fantastici, siete fantastici! Mi avete dato la dimostrazione che
quando si fa qualcosa con amore e con entusiasmo, la fatica (anche se
per me non lo è stata) viene SEMPRE ripagata! Ma soprattutto
abbiamo dimostrato che il fandom di NCIS è una grande
famiglia feli... ok, felice non tanto, ammettiamolo, però
sempre una famiglia u.u Con molti di voi commento anche le puntate su
faccialibro ed è sempre bello parlare con qualcuno che mi
capisce HAHAHAHAHAHAHHA
Si, boh, intanto mi sta uscendo la lacrimuccia, quindi non ho risolto
proprio niente, brava Amalia, brava.
Prima di lasciarvi, voglio fare dei ringraziamenti speciali (?).
Grazie a Simona, amica e
confidente, che mi sopporta su WhatsApp più di quanto
dovrebbe :') Daje!
Grazie a Paolo. Perchè le sue canzoni hanno ispirato interi
capitoli e la sua amicizia mi soffoca :) (Mi pare che lo conosciate, si
xD)
Grazie a F., che meriterebbe tanti pugni e schiaffi, e una morte lenta
e dolorosa, ma comunque questa storia grazie a lui ha guadagnato un po'
di pathos.
E infine, grazie a Sonia. Perchè la adoro,
perchè è la sorella che non ho mai avuto,
perchè è la fidanzata che vorrei se fossi un uomo
o se fossi lesbica, perchè soffrire con lei mi ha fatto
capire che non voglio più vederla piangere.
Perchè è la mia anima gemella.
Ok.
Il momento è arrivato. Ragazzi, la storia si deve chiudere
:') Ma dirsi addio è inutile, ogni tanto vi ritrovere una
OS, così... tanto per salutarsi durante l'anno. Chi scrive,
vi prego di continuare a farlo. Chi legge, non smetta :')
Alla prossima,
Amalia.
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