keep holding on.

di exitwounds
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** uno. ***
Capitolo 2: *** due. ***



Capitolo 1
*** uno. ***


Keep holding on.

(1)

 

12 giugno 1996, New York, NY, USA.

Evan.
«Evan stai scherzando, vero?» mi chiede con le lacrime agli occhi.
«Purtroppo no.» le rispondo con voce rotta, stringendola forte a me. Singhiozza convulsamente, stretta al mio petto. Le accarezzo i capelli, cercando di tranquillizzarla, ma la verità é che neanche io riesco a stare tranquillo. Mi bruciano gli occhi, non riesco a trattenere le lacrime.
«Amy ti giuro, io non lo voglio fare, ma devo per forza. Non riusciamo a vivere qui a New York, é troppo cara, non ci bastano i soldi. Devo andare per forza.» le spiego, con le lacrime che scendono silenziose dal mio volto.
«Evan, io capisco, ma maledizione, Napanee, Canada! Migliaia di kilometri!» ha continuato a singhiozzare.
Non riesco a staccarmi da lei. Noi due, amici inseparabili da una vita, tredicenni che non riescono a stare per più di un'ora senza sentire la voce dell'altro, fra poco saremmo divisi da migliaia di kilometri.
«Andiamo a prenderci un gelato, okay?» le asciugo le lacrime e la prendo per mano, sembra tranquillizzarsi un po'.
Insiste per offrirmi il gelato con gli ultimi dollari che le sono rimasti in tasca, e come al solito prendiamo una coppa enorme, vari tipi di cioccolato, panna, crema, vaniglia e la ciliegina.
Cerchiamo di chiacchierare come se nulla fosse, ma non riusciamo. Se parliamo il discorso va a finire sul tema 'trasferimento', quindi finiamo il gelato in silenzio.
«Fra quanto parti?» mi chiede Amy.
«Due giorni.»
Vedo i suoi occhioni verdi riempirsi di lacrime, non posso vederla così. La stringo forte a me, mentre lei continua a piangere.
«Non posso stare senza di te!» riesce a dirmi tra le lacrime.
«Neanche io. Amy, tu sei la mia migliore amica, sei la cosa più bella che mi sia mai capitata in tutta la mia vita, anzi, tu sei la mia vita. Io senza di te non ci voglio stare, non voglio lasciarti da sola, ma devo.» le sussurro nell'orecchio. La tengo stretta forte a me, sento la sua fragilità, é talmente debole che se stringessi forte potrei romperla, come se fosse una bambolina di vetro.

Amy.
All'aeroporto cerco di non piangere, mentre lo vedo allontanarsi con i suoi genitori, trascinando le valige. Mamma e papà li salutano con la mano, io sono talmente scioccata che non riesco a muovermi.
Evan si gira verso di me, i nostri sguardi si incrociano per l'ultima volta, gli occhi lucidi che cercano di trattenere le lacrime.
«Evan, non te ne andare!» urlo con tutto il fiato che ho in gola, correndo verso di lui.
«Ti voglio bene Amy!» mi urla lui di rimando.
Papà mi ha corso dietro e mi ha fermata.
«Tesoro, non puoi corrergli dietro. La vostra amicizia non é finita, vi potete sentire per telefono.» mi dice.
«Papà, non capisci, io voglio sentire la voce di Evan che mi risponde al campanello, che apre la porta e mi abbraccia, non voglio sentire la sua voce da un maledetto telefono! Io senza Evan non ci voglio vivere!» scoppio a piangere tra le braccia di papà.

Senza Evan é tutto più monotono. Non che non abbia amici, ne ho a bizzeffe, ma non é più come prima. La verità é che nessuno di loro é Evan.
Mi manca da morire. Una volta sono scappata di casa, ho preso un autobus e sono andata in aeroporto, pronta a comprare un biglietto di sola andata per il Canada usando tutti i miei risparmi. Mamma mi aveva fermata appena in tempo.
Non avevano ancora capito quanto significhi per me l'assenza di Evan. Per farmelo sentire un po' più vicino, ci avevano permesso un'ora di telefonata ogni sabato, una volta chiamavo io, una lui, e ci raccontavamo qualsiasi cosa, da cosa avevamo fatto a scuola a cosa avevamo mangiato a colazione. Avrei voluto parlare di più per telefono, ma già quell'ora settimanale era una grande spesa, maledette telefonate internazionali. Di andare a trovarlo neanche se ne parla, non nuotiamo nell'oro, e dei biglietti aerei sono totalmente fuori dalle nostre capacità economiche.
Ogni sera scrivo una lettera ad Evan, in cui gli racconto qualsiasi cosa mi sia successa quel giorno, anche se parliamo per telefono, e a fine mese le raccolgo e le spedisco, e così lui fa con me. Non é come averlo ancora qui, ma é pur sempre qualcosa.

12 giugno 1996, Napanee, ON, Canada.

«Hai visto come cammina quella palla di lardo?»
«Cammina? Ma che dici, quell'essere là rotola!»
I due ragazzi ridono fragorosamente, incuranti del fatto che l'oggetto delle loro prese in giro sia lontano solo pochi metri.
Lei si stringe nel suo felpone, più grande di tre o quattro taglie, stringe forte i pugni e respira profondamente per evitare di piangere. Non gliel'avrebbe data vinta,mai. Volevano solo vederla star male, vederla piangere, ma non lo avrebbe permesso.
Cammina a testa alta proprio davanti a quei due, per sbatter loro in faccia quanto poco gliene fregasse delle loro prese in giro.
«Ciao eh.» la saluta con sguardo sprezzante Dave, il biondino. Lei rimane in silenzio.
«Ti abbiamo salutata eh!» la riprende Mark, il moro.
Fa per andarsene ma Dave la ferma per un braccio. «Dove vai eh, palla di lardo? Rimani qua, io e Mark vogliamo prenderti in giro ancora un po'!»
«Non sarebbe bello trovarti un altro soprannome? Tipo... 'maiale'! Ti piace, no?» aggiunge Mark.
Le lacrime cominciano a pizzicarle gli occhi, ma non vuole cedere.
«É un soprannome di merda.» risponde secca. Per la prima volta ha trovato il coraggio di rispondere a quei bulli che la tormentano da quasi due anni ormai.
«Wow, allora la voce ce l'hai, Lavigne!» esclama Dave, fingendosi sorpreso. «Voce di merda per una persona di merda.»
Silenzio.
«Mi hai stufato, Lavigne. Vattene con le tue gambe o a casa ti ci mando a calci in culo, okay?» la minaccia Mark, ma lei rimane ferma. Mark alza un braccio e le schiaffeggia la guancia sinistra con un colpo secco.
«Ho detto vattene. Napanee non ha bisogno di una palla di lardo come te, faresti meglio ad ucciderti.» continua Dave.
Avril se ne va in silenzio.
Per l'ennesima volta le cattiverie di quei due passeranno sotto silenzio. Per l'ennesima volta tornerà a casa con le lacrime agli occhi, fingerà un sorriso e mentirà alla mamma dicendole che vada tutto bene.
Ma lo specchio non mente. Si guarda e vedendo la sua immagine riflessa capisce che Mark e Dave hanno ragione. Non riesce ad accettarsi, non riesce a capire che quei pochi chili di troppo non sono assolutamente un male.
Così si chiude in bagno, e con la voglia di spaccare sia specchio che bilancia si appella a ciò che le pare l'unica soluzione: due dita in gola, e tutto il cibo che ha mangiato sparisce, un po' come sembrano fare i suoi problemi, e come vorrebbe sparissero Mark e Dave.



my space.
sono nuova in questa sezione, quindi mi pare giusto presentarmi (?)
sono fabiana e sono una little black star da quasi 7 anni. *sembra una presentazione da club degli alcolisti anonimi ma vabbé.*
questa storia nasce da vecchi appunti sparsi. era tantissimo che volevo scrivere su avril, la donna che ha salvato la mia vita.
spero quest'inizio vi piaccia e soprattutto di postare presto.
un bacio, fabi.

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Capitolo 2
*** due. ***


(2)
 

27 agosto 2000, New York, NY, USA.

Amy.
«Amy, tesoro, hai preso tutto? Hai chiuso la valigia? Non dimenticare lo spazzolino da denti!» mi urla mamma dall’altra parte della casa. Dio, facesse lo sforzo di fare dieci metri e parlarmi da una distanza civile e ragionevole. E poi ho sedici anni, maledizione, mica tre!
«Sì mamma, ho preso tutto!» le rispondo chiudendo il mio trolley.
L’aereo parte fra meno di tre ora, l’aereo che mi riporterà da Evan, e questa volta per sempre. Lui non sa nulla, ma i suoi genitori sì. La casa di fronte alla sua era in vendita e l’abbiamo comprata, dato che a papà è stata offerta una promozione al lavoro proprio nelle vicinanze di Napanee. Dio, che fortuna che abbiamo avuto!
Io parto oggi, da sola, perché i miei devono lavorare ancora una settimana prima di attaccare il lavoro a Napanee. Quindi starò dai genitori di Evan per quei sette giorni. A dire la verità ce lo hanno proposto loro appena hanno saputo del trasferimento: dato che prima dell’inizio della scuola avevamo quindici giorni abbondanti, avevano pensato che mi sarebbe piaciuto arrivare prima per poter stare con Evan un po’ di più, ed avevo subito accettato. Per convincere i miei non era stato così facile, ma alla fine ci ero riuscita.
Sono già iscritta alla stessa scuola di Evan, secondo anno di superiori, ma non saremo in classe insieme, lui è più grande di me di un anno e quindi frequenterà il terzo. Mamma e papà mi accompagnano in aeroporto e mi salutano stringendomi forte. Non vado mica in guerra, e poi fra una settimana ci rivedremo!
Mentre l’aereo vola, non riesco a non pensare ad Evan e al fatto che lo rivedrò, ma stavolta per sempre, per non salutarci mai più. Mi pare un sogno.
Chissà se è cambiato. Chissà se porta ancora i capelli sempre scompigliati, chissà se si arrabbia ancora se glieli tocco e comincia a dirmi di smetterla perché glieli avrei scompigliati. Pft, come se non li portasse mai sparati verso ogni dove...
L’ora di volo passa in fretta, tra questi pensieri ed il rumore della signora seduto accanto a me che ha sgranocchiato rumorosamente patatine per tutto il viaggio.
Ritiro il mio trolley rosa dal nastro – che odio, non so come sia venuto in mente ai miei di comprarlo di quel colore, dato che sanno benissimo che non lo sopporto – e mi guardo intorno, alla ricerca del papà di Evan, Mark, che mi avrebbe portata in macchina fino a casa loro.
Eccolo lì, mi sta aspettando proprio sotto la scritta “Toronto Pearson International Airport”.
Gli corro incontro e lui mi stringe a sè. Mi conosce da quando ero nella culla, mi tratta come se fossi la figlia che non ha mai avuto e mi vuole un bene dell'anima, come anche io gliene voglio. Mi aiuta a caricare la valigia nel bagagliaio, ci allacciamo la cintura e partiamo alla volta di Napanee, a due ore abbondanti da Toronto.
«Amy, quanto sei cresciuta!» esclama ed io accenno un sorriso. Non so mai cosa rispondere a questo tipo di affermazioni.
«Scommetto che in questi quattro anni avrai fatto strage di cuori a New York! Il fidanzato ce l'hai?»
Ora arrosisco come una matta. Il fidanzatino, io? Mi scappa da ridere.
«No. C'era un ragazzo che mi piaceva, ma niente.» ho risposto sospirando.
«Magari te lo trovi a Napanee, non si sa mai!» mi ha detto con un sorriso.
«Tutto puó essere.» ho risposto sorridendo.
Le due ore di viaggio passano in fretta, e mi sveglio dal mio dormiveglia appena in tempo per vedere il cartello che ci da il benvenuto a Napanee. Mi passa un brivido lungo la schiena. Evan, sto arrivando.

27 agosto 2000, Napanee, ON, CA.

Evan.
Sdraiato sul divano in salotto, ascolto la musica con il mio inseparabile walkman. Senza musica non so proprio stare, e da qualche tempo ho cominciato a suonare la chitarra. Appena Amy l'ha saputo, mi ha detto che appena ci saremmo visti mi avrebbe voluto sentire suonare e avremmo cantato insieme.
Mi spunta un sorriso a pensare alla mia amica. Mi manca tanto. Le telefonate me la fanno sentire più vicina, ma mi manca da morire poter uscire di casa, bussare alla sua porta, abbracciarla e tenerla stretta a me per tanto tempo.
Sento suonare alla porta. Mamma, seduta sulla poltrona accanto a me, controlla l'orologio che tiene al polso sinistro, sorride e poi si rivolge a me. «Evan, vai te alla porta?» mi chiede. Annuisco e mi avvicino alla porta. Dietro di essa c'è papà, che mi saluta abbracciandomi forte.
«Evan, c'é una sorpresa.» mi dice e gli rivolgo uno sguardo interrogativo. Si sposta lateralmente e compare la figura di... «Amy!»
«Evan!» ci urliamo a squarciagola l'un l'altra, prima di stringerci in un forte abbraccio. Il trolley di Amy cade con un tonfo sulla strada, essendo stato lasciato all'improvviso.
«Hai presente la casa di fronte che era in vendita?» annuisco. «Beh, l'abbiamo comprata noi. Mamma e papá vengono la settimana prossima. Sorpresa!» mi sussura stringendomi forte a sé.
Sgrano gli occhi incredulo. No, non puó esser vero, é solo un bellissimo sogno.
«Ti giuro che é vero, non sto scherzando!» esclama ridendo Amy, al vedermi cosí sorpreso.
Mi ci vuole qualche minuto per realizzare tutto ció e per ricompormi.
Amy entra a salutare la mamma, e papá mi spiega che Amy sarebbe rimasta con noi una settimana e che poi i suoi genitori sarebbero arrivati. Era giá iscritta alla mia scuola, al secondo anno, quindi io che ero al terzo avrei potuto farle un po' da guida per ambientarsi.
Dopo averla aiutata a portare la sua valigia nella camera che sarebbe stata la sua per una settimana, proprio accanto alla mia, la prendo per mano e saluto i miei. «Noi usciamo, ciao!» urlo loro e senza aspettare una risposta chiudo la porta alle nostre spalle.
«Gelato come ai vecchi tempi?» mi propone. «Gelato come ai vecchi tempi.» approvo con un sorriso che non riesco a togliermi dalla faccia.
Ordiniamo entrambi una coppa enorme, con vari tipi di cioccolato, panna, crema, vaniglia e ciliegina, ma stavolta pago io, sono in debito.
«Mi sei mancata da morire.» le dico finendo il mio gelato.
«Anche tu, non puoi immaginare quanto!» mi sorride. «Ma ora devi raccontatmi tutto! Su dai, ragazze?» mi chiede, ed io mi irrigidisco.
«Ci sarebbe una ragazza...» ammetto a bassa voce.
«Aaah, lo sapevo! L'hai giá stesa con il tuo fascino newyorkese, ammettilo!» scherza lei, ma io scuoto la testa.
«No, niente, non so nemmeno se sa come mi chiamo... Tanto la incontrerai a scuola. Avete la stessa etá, potreste anche capitare in classe insieme.» sospiro.
«Piuttosto, tu? Qualche ragazzo?» le chiedo.
Scuote la testa anche lei. «C'era un ragazzo dell'ultimo anno che mi piaceva, il classico giocatore di football. Conoscendolo avevo capito che non faceva per me. Quindi sono libera come l'aria, pronta per qualche ragazzo canadese!» scherza con un sorriso.

Amy.
La settimana a casa di Evan é passata in fretta. Abbiamo girato piú o meno tutta Napanee, mi ha fatto vedere i posti più significativi e dove andremo a scuola. Mamma e papá sono arrivati l'altroieri, abbiamo sistemato le prime cose a casa e poi sono andata da Evan. Abbiamo suonato un po' la chitarra e abbiamo cantato. Cioé, lui ha suonato e ha cantato, io quando ho provato a suonare ho fatto cadere il plettro nella cassa armonica e per quanto riguarda il cantare...lasciamo perdere. Evan ha una bella voce e sta diventando davvero bravo a suonare.
Comunque, domani si comincia la scuola. Con mamma oggi pomeriggio sono andata in segreteria, mi hanno dato il mio orario e la lista dei libri da comprare. Uscendo dal portone principale, mi sono scontrata con una ragazza, bassina ma magra come un'acciuga, con i capelli biondi - sicuramente tinti - e delle meches di un rosa forse un po' troppo confetto. Non mi ha nemmeno rivolto uno sguardo, ha continuato la sua strada con passo veloce. Che ragazza strana.

Oggi comincia la scuola. Metto nel mio zaino eastpack azzurro l'astuccio con qualche penna e matita ed un quaderno, poi mi ricordo di portare un pennarello indelebile, perché Evan ieri mi ha detto che vuole scrivermi qualcosa sullo zaino, ed io faró lo stesso. Chiudo lo zaino, saluto mamma e papá e suono a casa di Evan per andare a scuola a piedi con lui.
Mi saluta con un abbraccio.
«Sei pronta per il tuo primo giorno alla Napanee District Secondary School?»
«Prontissima!»

Il preside ci ha accolti in aula magna, e dopo un discorso di un'ora abbondante sulle regole della scuola e bla bla bla, ci ha lasciati entrare nelle nostre classi. Evan mi ha accompagnata fino alla mia classe di letteratura inglese, poi mi ha salutata e si é diretto verso la sua classe.
Ho passato dei momenti imbarazzantissimi. Il professore mi ha detto di alzarmi in piedi e di presentarmi alla classe, alias altre 19 teste che mi scrutano e sembrano voler captare ogni mio minimo errore per poi sbattermelo in faccia. È un miracolo che mi sia uscita la voce.
Per fortuna, dopo un'altra ora ora di matematica in cui ho dovuto fare lo stesso sforzo, c'è la pausa pranzo. Io ed Evan ci siamo dati appuntamento al tavolo accanto alle inservienti che servivano il dolce - tipico, goloso com'è! - ed è proprio li ad aspettarmi.
Pranziamo insieme e ci raccontiamo la giornata. Evan impallidisce all'improvviso e rimane in silenzio.
«Che succede?» gli chiedo, ma dato che non risponde mi giro per vedere cosa o chi stia guardando.
È la ragazza dell'altra volta, ancora piú magra - se possibile -, seduta a due tavoli da noi, da sola.
«È seduta da sola, invitiamola a...» comincio a dire, ma Evan mi interrompe. «No!»
«Perché? La conosci? Io l'ho vista quando sono andata a prendere l'orario l'altro giorno...»
Evan prende un sospiro, prima di rispondermi.
«Si chiama Avril, Avril Lavigne. Sai Amy, quella ragazza é strana, cazzo se é strana. Alcuni giorni prende d'aceto aubito, non la puoi neanche salutare che ti manda a fanculo. Altri giorni abbassa la guardia... e anche le mutande. É abbastanza troia. E odia parlare del suo passato. Una volta le ho chiesto a che scuola andava alle medie e mi ha tirato una pizza in faccia!» mi risponde, a voce bassa, per evitare che ci senta.
«Evan... È lei?» gli chiedo.
Annuisce, con lo sguardo basso, fisso a guardarsi i piedi. «Sí.»


myspace.
sono in straritardo lalalalala
mi sa che vi ci dovrete abituare, lol
boh. comunque, spero vi piaccia, e approfitto per ringraziarvi delle cinque recensioni al primo capitolo, siete bellissime asdfghjkl
a presto (lo prometto, lol)
fabi.
ps: Luna, lollino. <3

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