Il Mistero di Carta

di Mushj
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Prologo - Capitolo I ***


Prologo
 

Era un bambino prodigio Nicholas, lo dicevano tutti. Erano tutti così fieri di lui. Aveva solo cinque anni ed era già in terza elementare!
Un bambino così intelligente, così pochi amici. Dicevano “è normale, può succedere”. I suoi unici amici erano i libri, nonostante la sua giovanissima età aveva già letto alcune tra le più celebri e importanti opere letterarie della storia, ma il suo autore preferito rimaneva sempre Shakespeare, non Shakespeare delle commedie e delle storie d’amore, ma quello delle tragedie.
Erano così felici i suoi genitori che dopo tanti sforzi riuscirono a mettere al mondo un altro figlio, una bambina. I due sarebbero potuti diventare amici, giocare insieme, volersi bene. Ma lui non era felice. Odiava quella bambina, ma nessuno se n’era accorto. Non voleva qualcuno che potesse prendere il suo posto, non voleva che qualcuno potesse sottrargli l’unico amore che aveva ricevuto da sempre. La odiava. Avrebbe voluto che morisse, che non fosse mai nata.
Non fece niente, contro di lei almeno. 
Scappò, aveva solo cinque anni e di lui si persero le tracce. Lo cercarono ovunque, ovunque fosse umanamente possibile che un bambino della sua età potesse nascondersi. Nulla. Non lo trovarono. 

 
Capitolo I
 

“Non pensa siano un po’ troppi titoli per quest’esame?” Chiese Lyla al suo tutor analizzando la lunghissima lista di libri che avrebbe dovuto leggere e studiare.
“Sta scherzando? Le ho assegnato solo metà di quello che deve leggere.” Rispose con tono infastidito la tozza figura dall’altro lato della scrivania.
Lyla lo congedò e si allontanò mestamente pensando alla mole di lavoro che l’aspettava.  Aveva solo un mese e già cinque tragedie da leggere, tradurre, analizzare e studiare. Era nel panico.  
 
Al contrario di tutti i suoi compagni di corso lei era lì per caso, non amava troppo il teatro e soprattutto non amava Shakespeare. Aveva scelto quel corso perché le dava più crediti di tutti gli altri, e vista la sua pigrizia negli anni passati aveva bisogno di recuperare per finire gli studi con un voto che avrebbe reso orgogliosi i suoi genitori.
 
Uscì di corsa dall’università e si diresse alla biblioteca pubblica. Era un posto mozzafiato: soffitto altissimo e ogni parete della lunga stanza coperta da altissime librerie fatte di vecchie mensole scricchiolanti. Era un posto magico. Respirando l’aria profumata di vecchie pagine ingiallite Lyla s’insinuò nei lunghi e bui corridoi cercando tutti i libri che le servivano. Ne trovò purtroppo soltanto tre e chiese per gli altri alla bibliotecaria:
“Salve” sorrise “mi saprebbe dire dove posso trovare Antonio e Cleopatra e Giulio Cesare di Shakespeare?”
“Mh” batté silenziosamente con le sue dita affusolate i nomi al computer e poi disse senza staccare gli occhi dal monitor: “Dovrà aspettare un paio di giorni, la consegna è in scadenza.”
 
Uscì dalla biblioteca distratta da mille pensieri che le affollavano la mente e senza neanche accorgersene sbagliò strada e si trovò chiusa in una stradina stretta e buia, senza via d’uscita. Non appena si girò si rese conto che una grossa auto nera le aveva bloccato la strada. Sperando che l’auto si trovasse lì per caso cercò di tornare indietro con la testa bassa senza dare troppo nell’occhio, ma a pochi metri dalla luce, dalla libertà un uomo incappucciato la spinse violentemente contro l’auto:
“Svuota la borsa!” sbraitò.
Immobilizzata dal terrore non riuscì a batter ciglio.
“Muoviti!” gridò l’uomo, tenendo stretta nella tasca interna della giacca quella che sembrava una pistola.
Lentamente Lyla aprì la zip della grande borsa nera di pelle che portava con sé ogni giorno e incominciò a svuotare le tasche quando venne bruscamente interrotta:
“Butta tutto per terra! Muoviti!” sputò l’uomo.
Lyla terrorizzata svuotò a terra tutto il contenuto della borsa ancora bloccata contro il SUV nero.
“Dov’è?!” le urlò contro.
“C-cosa?” chiese la ragazza strabuzzando gli occhi.
“Il libro!” continuò l’uomo.
Lyla vedendo per terra sparsi moltissimi fogli e i tre libri che aveva già preso dalla biblioteca, con un filo di voce chiese “Q-q-quale?”
L’uomo in preda ad un attacco d’ira tirò fuori l’arma e la puntò contro l’addome della ragazza “Il Giulio Cesare! Dov’è cazzo?!” Imprecò.
La ragazza sempre più nel panico, non riuscendo neanche a gridare per chiedere aiuto, cercò di dire a quella figura minacciosa ciò che sapeva: “Non c’era, mi serviva, non l’ho trovato!” Incominciò a piagnucolare.
Quella mastodontica figura scura senza mollare la presa incominciò a farfugliare tra sé e sé “Com’è possibile? Avrebbe già dovuto…ma non può essere…è tardi!”
Lyla perplessa cercò di capire ciò che l’uomo volesse dire, ma prima che lei potesse accorgersene con uno scatto improvviso fu colpita alla testa dal calcio della pistola.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II
 

Erano tre giorni che Lyla era in ospedale, reparto terapia intensiva, e non aveva ancora aperto gli occhi.
Dell’uomo non si era saputo nulla, nessuno aveva visto niente o testimoniato contro di lui.
Prima di essere portata in ospedale Lyla era stata trovata sul marciapiede appena fuori da quella stradina. La polizia aveva classificato il caso come “rapina con aggressione a mano armata”, perché dalla sua borsa, precedentemente messa di nuovo in ordine, mancava solo il portafogli.

 
*

 

La stanza era buia, illuminata solo dalla flebile luce di una candela. Le poche cose in quella stanza minuta erano distribuite con il massimo ordine. Tutto era al suo posto, o almeno quello che doveva occupare secondo la mente di Nicholas.
Nicholas era seduto con la schiena ricurva su una vecchia cigolante sedia di legno scuro. Non riusciva a stare fermo e respirava affannosamente. Le sue mani stringevano e allentavano la presa con un ritmo irregolare sulle sue ginocchia, era impaziente. La sua impazienza divenne tangibile quando, ogni dieci secondi precisi, alzava ritmicamente la testa per fissare l’orologio appeso alla parete. Erano le venti meno dieci. Avrebbe dovuto aspettare solo dieci minuti.
All’improvviso, con uno scatto, si alzò dalla sedia e si diresse verso il piccolo bagno, e dopo essersi sciacquato il viso con dell’acqua fredda fissò la sua immagine riflessa nello specchio. Era un uomo ormai, o almeno così sembrava. I grandi e scuri occhi marroni dominavano sulla sua carnagione chiara perfettamente levigata eccezion fatta per una cicatrice sotto la tempia destra. Dalle ciglia lunghe e folte cadevano ancora piccole gocce d’acqua che lasciavano sottili scie sulle gote leggermente arrossate finendo sulle carnose labbra rosa, perfettamente disegnate e leggermente screpolate. Si asciugò il viso con un vecchio asciugamano logoro e tornò a fissare l’orologio. Non erano passati nemmeno cinque minuti e la sua impazienza lo spinse a camminare avanti e indietro senza sosta per la piccola stanza.
Nessuno sapeva che era lì. Erano anni ormai che viveva, studiava e dormiva indisturbato in quel nascondiglio.  C’era troppa gente ovunque, tranne che nel suo piccolo angolo di paradiso, come amava chiamarlo, anche perché tutto poteva sembrare meno che il paradiso. Quel posto era così angusto, scuro, tetro e freddo, niente che potesse ricordare un posto paradisiaco, e soprattutto che potesse essere una casa.
Mentre camminava ansiosamente sentì dei passi felpati venire nella direzione del suo rifugio. Spense velocemente la luce della candela con i polpastrelli bagnati di saliva per evitare il fumo. Si nascose dietro la pesante tenda di velluto che copriva una sorta di armadio e attese pazientemente. I passi sembravano sempre più vicini, dal suono delle scricchiolanti assi di legno del pavimento si sarebbe potuto dire che era una donna, dal passo molto lento.
Nel buio e silenzio della stanza i secondi erano scanditi dal ticchettio delle lancette del vecchio orologio. Passarono quindici, forse venti secondi e i passi della donna non si sentivano più. Questo silenzio calmò il ragazzo; ma lui non aveva nulla di cui preoccuparsi, il suo piccolo paradiso era separato e nascosto dal resto del mondo da una finta porta-parete che dava sul corridoio, nessuno vi si sarebbe mai potuto imbattere per caso.
I passi rincominciarono, la donna pareva essere proprio dietro la parete. I secondi sembravano scappare in una corsa indomabile. Quando all’improvviso più nulla, solo un lontanissimo vago suono di passi faceva da eco nel lunghissimo corridoio di là dalla parete.
Erano ormai le venti e Nicholas decise di uscire da dietro alla pesante e polverosa tenda. Indugiò qualche secondo e si sedette sulla vecchia sedia.
Non sapeva se era pronto. All’inizio non credeva che nessuno avrebbe risposto, ma lo avevano fatto. Sì, gli avevano risposto. Era curioso, e soprattutto stanco di aspettare ancora che qualcuno lo trovasse, o meglio li trovasse.
Si alzò. Prese l’ultimo libro che attendeva di essere riportato indietro e lo nascose sotto la giacca. Spinse piano la pesante porta di mattoni e, cercando di spostare meno polvere possibile dalle assi del pavimento, la richiuse. Ripercorse i suoi passi per non lasciare altre tracce e si ritrovò direttamente nella biblioteca. Violare la sicurezza di quel posto era ormai cosa facile, considerando anche il fatto che non fossero conservate chissà quali importanti prime edizioni e le telecamere non erano realmente azionate. Senza attendere oltre si diresse nella sezione “Drammaturgia” lettera “S” e lasciò l’ultimo libro che aveva legalmente preso in prestito dalla biblioteca. Per segnalare al sistema la sua restituzione accese il computer della bibliotecaria e inserendo la sua, ovvia, password ripristinò i resi. Senza lasciare alcuna traccia.  Sebbene fosse indeciso tra molti altri testi, stabilì di non prendere nulla per quella notte, sperando di ricevere una risposta.  
Con la stessa velocità con cui era entrato uscì rimettendo tutto in assoluto ordine senza lasciare alcun segno evidente del suo passaggio.
 

*

 

Era notte ormai, quasi le due e tutti nell’ospedale, a parte gli inservienti e le infermiere, dormivano. Anche la madre di Lyla ormai diventata parte integrante del mobilio si era addormentata, quando all’improvviso Lyla strinse forte con entrambe le mani i lembi del ruvido lenzuolo dal quale era coperta e alzò il busto di scatto quasi spinta da qualcosa sotto di lei. Si guardò intorno terrorizzata, non capiva come mai si trovasse in un letto di ospedale, tutto vicino a lei era offuscato e confuso. Riconobbe sua madre, non aveva perso totalmente la memoria. Era in preda al panico, non riusciva a respirare, i battiti del suo cuore accelerarono esponenzialmente. Arrivarono le infermiere che cercarono di placarla, mentre tentavano di bloccarla e prima che riuscissero a somministrarle un calmante endovena Lyla riuscì a strillare: “Devo prendere il Giulio Cesare!”

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