Death isn't an optional.

di Norgor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Finnick: Hybrids and roses smell. ***
Capitolo 2: *** Clove: It was only a stone. ***
Capitolo 3: *** Foxface: Nightlock in the dark. ***
Capitolo 4: *** Rue: My life in a four-notes song. ***
Capitolo 5: *** Primrose: They aren't parachutes. ***
Capitolo 6: *** Cato: Born to kill, dead breaking lives. ***
Capitolo 7: *** Marvel: Death caught me unprepared. ***
Capitolo 8: *** Glimmer: Shine like a broken diamond. ***
Capitolo 9: *** Cinna: The chains of my soul. ***



Capitolo 1
*** Finnick: Hybrids and roses smell. ***


Benvenuti :) Vi siete mai chiesti cosa provarono i nostri eroi poco prima della loro morte? Le loro sensazioni? I loro rimpianti? Bene, siete capitati nel posto giusto! Questa è una raccolta di One-Shots dedicata a chi pensa che ogni personaggio dovrebbe avere l'onore di essere messo in primo piano per una volta, che ogni personaggio dovrebbe avere un ruolo più importante, ed essere ricordato per sempre :D Buona lettura xD Spero vi piaccia ** 

Finnick: Hybrids and roses smell.

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Corro a perdifiato nelle strette gallerie sotterranee di Capitol City, ma per quanto cerchi di aumentare la velocità, la sete di sangue degli ibridi risulta essere sempre più vicina. Non ho paura solo perché non mi ricordo cosa si provi ad averla, tutto ciò che desidero è risalire in superficie il più in fretta possibile e lasciarmi dietro quest’aria putrefatta. Tengo il tridente stretto in pugno, come ultima sporgenza a cui aggrapparmi. Per tutto il tunnel avverto solamente il rimbombo sonoro di una parola. Una parola ripetuta all’infinito, e sempre più vicina e comprensibile. Katniss.
Katniss. L’animo della rivolta. La Ghiandaia Imitatrice che sta correndo a più non posso poco davanti a me. È a lei che puntano, e lei che Snow vuole morta. Ed è mio dovere proteggerla fino alla fine.
Un urlo improvviso mi coglie di sorpresa, ed è quell’urlo che mi dà la conferma, che mi fa capire che alcuni di noi non vedranno più la luce del sole. Il volto di Annie mi annebbia la mente, stabilendosi come un’impronta fissa nel mio cervello. Devo farcela, devo farcela per lei. Non sopporterei un minimo secondo senza la sua presenza accanto, è l’unico appiglio che mi rimane, la mia ancora prima che la nave affondi. Quando riemergo dai miei pensieri, scopro che tutto il gruppo ha preso a correre molto velocemente, distanziando le creature il più possibile. Spero solo che Pollux abbia trovato una via d’uscita, perché gli ibridi si stanno avvicinando sempre più, e l’odore di rose che si portano dietro mi inizia ad irritare le narici. Mi rendo conto che tutti si sono fermati solo quando vado a sbattere contro la schiena di Cressida, la quale in questo momento sta risalendo l’imboccatura della parete rocciosa che conduce al di fuori della galleria. Ho la schiena rigida e la saliva prosciugata per la foga, e non riesco neanche ad aggrapparmi al primo spuntone, che uno strano scricchiolo mi rende noto l’arrivo degli ibridi. Prima che me ne accorga, avverto le zampe squamose di una lucertola afferrarmi per le spalle e mandarmi a sbattere contro la parete opposta. L’impatto è più forte del previsto, e mi ci vogliono parecchi secondi per riprendere totalmente coscienza. Ho la vista leggermente appannata, ma il mio istinto di sopravvivenza mi costringe a lottare fino alla fine. Sono tanti e mi hanno accerchiato, ma non mi arrendo, non adesso che sono così vicino alla vittoria su Capitol City. La puzza mi stordisce e mi crea l’illusione di avere Snow di fianco a me, che estasiato non vede l’ora di assistere alla mia morte. Ma si sbaglia, perché io combatterò fino allo stremo delle forze.
Inizialmente le lucertole attaccano singolarmente, come se volessero valutare le mie capacità. Fremo di agitazione, vorrei sgozzarle tutte in un colpo solo, ma il minimo di ragione che possiedo ancora mi fa rimanere fermo e saldamente piantato con i piedi per terra.
Tutto è immobile, l’aria si è fermata e persino il fetido odore sembra essersi attenuato.
Accade improvvisamente. Partiamo all’unisono. Il mio tridente si va a conficcare nella testa del primo ibrido che cerca di attaccarmi, e ben presto ne tiene a bada altri due. Le gambe si fanno pesanti, mentre tento di resistere con tutte le mie forze ai miei avversari, ma il pensiero di Annie, di Mags e di casa mia mi incitano a continuare a lottare. Il sibilare della mia arma si scontra con lo stridere dei miei nemici, che gemono esalando l’ultimo respiro. Ne ho fatti fuori la maggior parte, quando sento una coda ruvida attorcigliarsi attorno al mio petto e stringere il più possibile. L’incredulità e la sorpresa si fanno spazio attraverso il mio corpo, e ad un tratto non riesco più a respirare. Sono impotente di fronte alla grossa lucertola che si abbatte sul mio collo, mordendo con tutta la sua forza. Ogni secondo che avanza è doloroso, ma riesco comunque a sentire le urla che si propagano nella galleria. Troppo tardi capisco che sono mie. Avverto la vita che tende ad abbandonarmi, e io che inutilmente cerco di stringerla a me. I momenti dopo sono frammentati, riesco solo a pensare a quello che accadrà, a Annie e al mio Distretto. D’improvviso si ode il rumore secco che indica la fine dei miei giorni. Mi accorgo di essere caduto solamente quando la mia testa colpisce pesantemente il terreno, ma tuttavia riesco a scorgere vagamente gli ibridi allontanarsi dal mio corpo inciso dai loro morsi. Non resisto e mi agito attraversato dalle fitte, aggrottando la fronte.
Il silenzio regna sovrano nella mia mente, ma il respiro mozzo e irregolare mi costringe a soffrire lentamente il dolore che attraversa il mio corpo. Avverto qualcosa premere fortemente sulla mia testa, i colori attorno a me risultano sempre più offuscati e indistinti. Vorrei parlare, ma dalla mia bocca fuoriesce solamente un lamento strozzato. Non percepisco più le braccia, e le gambe non rispondono più ai comandi. Sono esausto, sono solo, e sto morendo. Lo capisco dalla stanchezza opprimente, dalla sofferenza lancinante che mi attraversa. Sto morendo, o forse sono già morto. Oramai il dolore è talmente forte che non lo avverto più, riesco a sentire solamente un leggero fastidio poco insistente. Ho paura di chiudere gli occhi, perché temo che non li riaprirò più. Mi limito solo a fissare dritto davanti a me, mentre un fascio di luce investe il mio raggio visivo, avvolgendomi nel suo momentaneo calore. Tutto appare di un bianco accecante, ed ora mi sento finalmente libero, al sicuro. Non avverto più niente, finché non arriva una tremenda fitta alla fronte, che mi trascina via la poca razionalità rimasta. Improvvisamente vi è solo il buio, e io resto immobile finché l'oscurità non mi rinchiude nella sua morsa glaciale. Tutto è strano e confuso, ma l'ultima cosa che sento è la morte che mi avvolge fra le sue braccia.


Angolo autore:
Non mi sono ancora presentato D: Sono Mattia_BanfiLOL98, sono maschio u.u e ho deciso di pubblicare degli spezzettoni(?) riguardanti tutti i personaggi :3 Alcune morti saranno inventate, o comunque di personaggi che in realtà nella saga della Collins sopravvivono ;) Spero vi piacciano xD

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Capitolo 2
*** Clove: It was only a stone. ***


Clove: It was only a stone.

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Sollevo da terra lo sguardo freddo giusto in tempo per vedere un lieve chiarore diffondersi nell’aria, invadendo lo spiazzo di terra dove io e Cato siamo nascosti. Lentamente ripongo i coltelli nel mantello e mi volto verso il mio alleato, che con sguardo vigile e attento scruta l’orizzonte. Riesco a vedere l’eccitazione nei suoi occhi, e questo non fa che accrescere la mia impazienza. Dove sono gli zainetti di cui parlava Claudius Templesmith? Quando inizia il festino? Cerco di sembrare indifferente, ma l’idea di un massacro di prima mattina mi riempie di sadica felicità.
Sussulto quando avverto la presa salda di Cato, che da dietro mi cinge i fianchi con una stretta ferrea. In quel semplice e veloce gesto sono presenti tutti i sentimenti, tutte le emozioni che provo per lui, ma che al contempo vorrei non provare. Perché io sono un’assassina, legarmi a qualcuno non fa parte dei miei piani. Io sono sempre stata bene da sola, ma in questo momento il suo profumo non mi rende molto chiare le idee. Non so cos’è lui per me, né so cosa sono io per lui. E non mi importa. In questo punto del Giochi non mi deve importare. Continuo la mia sceneggiata dell’indifferenza, unica maschera che mi permette di andare avanti, e fremo impaziente. Ma per quanto aguzzi la vista, non scorgo nemmeno l’ombra di un Tributo nelle vicinanze.
Sospiro con violenza, preparandomi all’inizio del bagno di sangue, quando il mio pensiero ricade improvvisamente sulla ragazza in fiamme. Mi immagino mentre le stringo il collo e le spezzo la trachea in mille piccoli pezzi, oppure mentre le prendo gli occhi e glieli estraggo come fossero biglie. Finora ha causato fin troppo problemi, deve essere eliminata. E la soddisfazione di mettere fine alla sua vita deve essere solo mia, guai se Cato prova solo a torcerle un capello. Lei sarà la mia prossima vittima, solo mia. Ha ucciso Glimmer, quell’ochetta sbruffona che comunque era mia alleata, ma ha ucciso anche Marvel, e questo è il motivo principale per cui entro pochi istanti il mio coltello incontrerà la sua faccia.
Il mio istinto animalesco fiuta qualcosa di nuovo, e prima che gli zainetti si sollevino da terra il mio sguardo è già puntato verso la Cornucopia. Una scia dorata illumina la tavolata che mi si presenta davanti. I numeri 2, 5, 11 e 12 scintillano sopra gli zaini scuri, accrescendo il mio desiderio di iniziare a correre. L’aria sembra essersi fermata, ogni minimo suono è scomparso. Solamente il mio respiro si è fatto più rumoroso, segno che la predatrice che abita in me si sta risvegliando. Ma prima che riesca a prendere qualsiasi decisione, un’ombra di bagliori rossastri cattura la mia attenzione, e riesco a scorgere Faccia di Volpe solamente quando ormai ha raggiunto il suo obbiettivo ed è fuggita attraverso il bosco. Rimango paralizzata, sorpresa, ed è inutile nascondere che non me l’aspettavo. Non lo vedo, ma riesco a capire che anche il mio alleato non ha reagito diversamente. Per qualche secondo la mia vista si offusca e la mia mente si svuota, ma appena scorgo la treccia inconfondibile della ragazza di fuoco saettare verso la piana, non esito a gettarmi all’inseguimento. Siamo parecchio distanti, ma sono sicura di essere molto più veloce di lei e in condizioni fisiche migliori. Infatti non fatico molto a tenerle testa.
Sospiro rumorosamente, non vedendo l’ora di fare di lei un cadavere. Improvvisamente, un rumore secco mi avvisa che la mia preda non è molto lontana, e presa dall’euforia non esito a correre verso di lei con tutto il fiato che ho in corpo. Ora il vento mi sferza violentemente contro la faccia, come cercando di impedire quello che ho intenzione di fare, ma ormai la mia vittima è talmente vicina che anche ad occhi chiusi non mancherei il bersaglio. Afferro il coltello più affilato che trovo e lo lancio con tutta la forza e la precisione di cui dispongo, ma la mia avversaria ha i riflessi pronti e riesce ad evitare gran parte del colpo, rimediandosi solamente un lieve taglio sulla fronte. Fremo di agitazione, mi getto pesantemente verso di lei e Katniss si ritrova a terra prima che possa capire cosa stia succedendo. Sorrido sadica, assaporando la momentanea sensazione di vittoria che si è impossessata di me. Lentamente la faccio voltare, perché voglio vedere la paura nei suoi occhi prima di ucciderla. Ma non vi trovo paura. Trovo solo rabbia e disgusto. E questo mi da fastidio. Decido, allora, di indebolirla con le parole, voglio che muoia nel peggiore dei modi possibili. La schernisco e mi prendo gioco di lei, di quel Ragazzo Innamorato, e della sua alleata appiccicosa dell’undici. La minaccio con l’arma a portata di mano e faccio il tutto molto lentamente, perché voglio concederle una morte lunga e dolorosa. So che Cato mi copre le spalle, quindi mi sento libera di finire il mio lavoro una volta per tutte. Ci strattoniamo, lei tenta di liberarsi ma io sono molto più robusta e non mi muovo di un centimetro. Ormai è spacciata, sembra averlo capito anche lei. La mia presa intorno alla sua gola si fa più stretta e rigida, mentre avverto il suo respiro farsi più debole e annaspante.
Ma proprio mentre sono assolutamente convinta della mia vittoria, noto uno sguardo di speranza riflesso negli occhi della mia vittima, e prima che possa rendermi conto di quello che succede, avverto una presa salda avvolgermi a sé. Improvvisamente mi sento più vulnerabile di un sacco di patate, fra le braccia enormi di quello che riconosco come il Tributo maschio del Distretto Undici, ma che dalle dimensioni potrebbe apparire anche come un muro massiccio. La botta alla testa mi manda in confusione, ma appena sento il freddo metallo scontrarsi con la mia guancia, comprendo che Thresh mi ha appena gettato addosso al corno dorato della Cornucopia. Sento qualcosa spezzarsi all’interno del mio corpo, ma tutto è accaduto ad una velocità troppo elevata per esserne sicura. Mi sforzo di parlare, ma anche solamente i sussurri richiedono uno sforzo oltre l’immaginabile. Tuttavia, sono abbastanza cosciente per capire che la mia preda è ormai lontana e al sicuro, e l’unica cosa che in questo momento mi viene in mente di fare, è chiamare il nome di Cato con tutta la forza che mi è rimasta.
Troppo tardi capisco che questo è stato l’errore più grave, lo sbaglio che ha decretato la fine dei miei giorni. Solamente quando ricevo un altro colpo ben assestato, capisco che sto gridando con tutto il fiato che ho ancora. Sento la mia mente svuotarsi, e i miei sensi abbandonarmi per sempre. Non posso muovermi, quindi non mi resta altra scelta che soffrire in silenzio. Ma dove sei, Cato? Perché non sei qui a proteggermi come hai sempre fatto? Cosa te lo sta impedendo?
Ad un tratto, una pietra appuntita va a sbattere contro il mio cranio, mi infligge il colpo di grazia. Io sono immobile e avverto la testa spezzarsi letteralmente in due. Sento il sapore del sangue che mi cola dalla ferita e mi finisce in bocca, ma qualcosa dentro di me mi avverte che il peggio deve ancora venire. Mi accascio a terra, mentre un altro colpo mi arriva al cervello, e ora so che tutto è perduto, perché non sento definitivamente più nulla. Ed è in questo momento, ad un passo dalla morte, che ripenso agli errori che ho commesso in vita. Vorrei scusarmi con i miei genitori, per non essere stata la figlia che hanno sempre desiderato, e vorrei scusarmi con Cato, perché sarei dovuta rimanere con lui fino alla fine, ma l’unica cosa che mi riesce in questo momento è piangere.  
Non so se ho mai pianto in vita mia, e se l’ho fatto è stato tanto tempo fa che non ne ho memoria. Ma ora piango perché è l’unico modo che mi è rimasto per esprimere le mie emozioni e per dire a Cato ciò che la bocca non è più in grado di fare. Sento la vita scivolarmi via come un soffio di vento, e io resto definitivamente immobile, ad occhi sbarrati, rimpiangendo ciò che in vita non ho avuto l’opportunità di fare.
Lacrime amare mi cadono sul naso, e dopo qualche secondo capisco che non sono mie. Cato è arrivato, ma io non riesco a vederlo, perché il buio mi ha intrappolata. Se mi sta abbracciando, non lo capisco. Se mi sta parlando, non lo percepisco. Solo di una cosa sono sicura. In ogni caso, lui sarebbe rimasto con me fino alla fine. E allora, io me ne vado da questo mondo con il sorriso sulle labbra. 

Angolo autore: 
Rieccomi con la seconda one-shot dedicata a Clove ** Spero sia di vostro gradimento xD Grazie infinite ai lettori silenziosi, ai recensori e a chi ha messo la storia fra le seguite/ricordate/preferite <3 Vorrei fare un appello a coloro a cui solitamente recensisco le storie. Scusate se in questo periodo sono stato assente, ma vi prometto che farò il possibile per riattivarmi come recensore il prima possibile ;) Voglio tante recensioni xD Ok, detto questo, alla prossima!! u.u

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Capitolo 3
*** Foxface: Nightlock in the dark. ***


Foxface: Nightlock in the dark. 

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Credo di essermi persa. Ogni albero attorno a me mi risulta estraneo, mentre la mia memoria fotogenica mi garantisce che questa parte dell’Arena non l’ho mai visitata. Il vento è forte e violento, ma vista la situazione non è una cosa per cui vale la pena lamentarsi. Siamo rimasti in cinque, e finora sono riuscita ad evitare un qualsiasi scontro diretto. Ciò nonostante, la tranquillità rimane una sensazione assai lontana dal mio stato d’animo. Continuo a guardarmi intorno attentamente, cercando mi memorizzare ogni minimo dettaglio che riesco a percepire. Sono sicura che i Tributi rimasti siano molto distanti da qui, ma la paura e il terrore non accennano a diminuire.
Sospirando, volto lo sguardo verso l’orizzonte, perdendomi nella bellezza del sole che splende sopra di me. Somiglia molto a quello di casa mia, del Cinque.  Stessi raggi, stessa intensità. Non che tutto ciò sia un bene, perché non fa che aumentare la nostalgia di casa che mi sta già assalendo da più di una settimana. Ma almeno rappresenta un qualche collegamento con la mia vita di prima, e questo mi da molta speranza in più.
Vengo improvvisamente distratta da un sonoro brontolio, di cui non distinguo la provenienza. Ma non mi ci vuole molto per capire che il mio stomaco si sta lamentando, vinto dai morsi della fame. Effettivamente, da quanto quella ragazza in fiamme ha fatto esplodere le riserve dei Favoriti, le mie razioni di cibo si sono limitate a radici e alcune bacche che, non so come, sono riuscita a riconoscere come commestibili. Quindi, devo assolutamente trovare qualcosa di più sostanzioso da mettere sotto i denti, e non vedo altra soluzione che fare ricorso alle mie preziosi doti quali la furbizia e il saccheggio.
Il silenzio attorno a me è così profondo e opprimente, che riesco ad avvertire la pelle d’oca che mi si è formata sull’avambraccio. Ma la spaventosa quiete che si è stabilita non è destinata a durare molto. Il mio cuore fa un balzo quando avverte lo sparo di un cannone echeggiare nell’aria. Solo quattro. Questo è il mio primo pensiero, perché il ragionamento di una mente fredda e razionale non deve avere spazio per la compassione. Ora che siamo alla fine, devo essere concentrata al massimo e attenta ad ogni particolare. Sicuramente avrei molte più possibilità di vincere se stanotte in cielo apparisse il viso di Cato, o di Thresh. Degli innamorati del Dodici non mi preoccupo più di tanto, soprattutto perché da quanto ne so lui è praticamente in fin di vita.
Non passa molto tempo prima che le tenebre avvolgano tutta la foresta, e mi lascio sfuggire un sospiro di soddisfazione quando vedo il volto del ragazzo dell’Undici apparire in cielo. Il resto della serata trascorre insonne e turbolento. Cerco a tutti i costi di rimanere sveglia, poiché sono sicura che al minimo cenno di cedimento gli incubi non mi lascerebbero più in pace. E per me una mente lucida conta più di ogni altra cosa in questo momento. Quindi, nonostante l’enorme sforzo che impiego per superare la serata, appena alzata mi sento pulita e riposata, stranamente pronta per affrontare la giornata che mi aspetta.
L’aria è calma e rasserenante, mentre decido di occupare il tempo che mi rimane per cercare del cibo, senza cui sono sicura che non riuscirei ad arrivare a fine giornata. Ho la gola sempre più secca a ogni passo che faccio, la fatica mi sta prosciugando lentamente le forze, e sento che, se non mangio qualcosa al più presto, non riuscirò a tirare fino a domani. Nonostante le poche capacità fisiche che mi sono rimaste, ho conservato una mente abbastanza composta per riuscire a riconoscere i pericoli ed evitarli.
Dopo un lasso di tempo limitato, mi accorgo di lasciare molte tracce sul mio cammino, esponendomi come una stupida preda. Senza esitazione, decido di proseguire di albero in albero, arrampicandomi sui tronchi e strisciandomi fra le liane il più silenziosamente possibile. Il caldo sembra aumentare, ma il mio soggiorno nel Cinque mi ha temprata e aiutata a sopportare le temperature più elevate. Non sudo solamente perché i pochi liquidi che mi sono rimasti cerco di tenermeli stretti quanto posso, ma non nego che sto pregando per qualche goccia d’acqua.
Stranamente, mi accorgo di essere giunta ad un rivolo d’acqua solamente quando lo scrosciare delle onde contro la roccia diventa insopportabile. Ma ciò che in realtà cattura la mia attenzione è un rumore secco poco lì vicino, che mi fa nascondere al meglio nel folto dei rami. Qualche istante dopo appare dal nulla una figura che riconosco come quella del Ragazzo Innamorato. Non è al massimo della forma, ma sinceramente ho sperato fino all’ultimo che le sue condizioni fossero irreparabili. A quanto pare la ragazza in fiamme è riuscita a tenerlo in vita, e questo è un ulteriore problema per me.
Sbuffo più forte di quanto pensassi, ma in questo momento Peeta è troppo concentrato per avvertire qualsiasi suono. Sta osservando attentamente il terreno, in cerca di chissà quale radice. Di sicuro non si cura di fare silenzio, perché produce un rumore così forte che mi domando come ho fatto a non sentirlo prima.
Trattengo il respiro e mi limito a fissare i suoi movimenti. Sorrido euforica quando lo vedo raccogliere delle bacche succose e deporle nello zaino. Non le ho mai viste prima d’ora, ma credo che lui le conosca, altrimenti non le avrebbe recuperate. Mi mimetizzo quando scorgo Peeta che si guarda intorno e si allontana verso il fiume, lasciando le provviste incustodite. Strabuzzo gli occhi. È il mio momento. Quale migliore occasione per prendere da mangiare?
Prima analizzo la situazione. Se fosse una trappola? Dubito, ma non posso negarlo con certezza. In ogni caso, se entro poche ore non metto qualcosa sotto i denti schiatto, quindi tanto vale tentare. Mi calo sul terreno il più rapidamente possibile, e con altrettanta cautela guardo il contenuto dello zaino. Annuisco soddisfatta e prendo un pezzo di formaggio, abbastanza per sfamarmi, ma non per destare sospetti. Raccolgo, inoltre, una manciata di bacche, e successivamente scappo nel folto della foresta senza voltarmi indietro. I miei passi sono pesanti e senza una meta, ma per il momento non me ne preoccupo, in quanto la mia priorità è correre il più possibile lontano da qui.
Ben presto, però, la fame si fa sentire, e mi rendo conto di aver mangiato tutte le bacche solamente quando le ho ormai masticate e ingoiate. Ma sono i secondi che vengono dopo, che mi fanno capire che quello che ho fatto è stato un errore imperdonabile. Improvvisamente, avverto la gola bruciare pesantemente, vittima del sapore mortale delle bacche che mi stanno sconfiggendo. Il mio corpo è già freddo, ma riesco a versare tutte le lacrime che mi sono concesse. Guardo il cielo senza speranza, immobile, e subito dopo esalo l’ultimo respiro che le bruciature mi permettono di compiere. Il silenzio è invadente, e io mi percepisco in balia della corrente, come se stessi increspando lievemente le onde del mare, che senza rumore mi portano alla lontana deriva che è la morte.
L’unico pensiero che riesco a formulare mi rende noto che non è giusto. Che è avvenuto troppo in fretta. A malapena mi sono resa conto di ciò che è successo. E per una mente come la mia è stato un duro colpo.
Ma io, non sono la più furba? Non sono colei che ragiona sempre di razionalità e compostezza, dai pensieri talmente lucidi che ci si potrebbe specchiare al loro interno? Non sono quella che è solita a programmare tutto, che alla strada facile e veloce preferisce quella difficile e faticosa? Non sono Faccia di Volpe, la più astuta dei Giochi?
Chi sono io? Io sono una ragazza che è riuscita a sfuggire al più temibile dei combattenti, ma che è morta a causa di una manciata di bacche. Mi sento stupida, e inutile. Ma in fin dei conti, queste bacche mi hanno garantito che rimarrò per sempre nella memoria di tutta Capitol City.
Perché non me ne vado da pedina, ma da guerriera. Dico addio a me stessa, l’unico Tributo che non si è mai sottomesso a nessuno, che è rimasto sempre sé stesso fino alla fine. E sono fiera di questo. Sono orgogliosa di me stessa, e di ciò che sono stata in vita. 

Angolo autore
Eccomi con la OS su Foxface <3 ** A parer mio, finora è la peggiore che ho scritto, ma spero comunque che vi piaccia, perché ho usato un approccio diverso rispetto alle altre. Infatti, Faccia di Volpe è un personaggio che, non essendo esposto in battaglia, ho avuto la possibilità di descrivere dal punto di vista "umano". Spero lo gradiate! Passo, poi, a rigraziare coloro che hanno recensito o letto o messo la storia fra le seguite/ricordate/preferite <3 Vi adoro!
Alla prossima!! 

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Capitolo 4
*** Rue: My life in a four-notes song. ***


Rue: My life in a four-notes song. 

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Osservo incuriosita la maestosa foresta che si erge davanti a me, ricca di alberi con chissà quali frutti succosi sui rami aggrovigliati che riesco a vedere. Nonostante la brutalità dei Giochi, non riesco a non rimanere affascinata dal paesaggio che mi si presenta davanti. Questa zona dell’Arena non l’avevo ancora visitata, effettivamente non riconosco il luogo, ma stranamente non sono minimamente preoccupata. Perché ho un’alleata al mio fianco. Finalmente non sono più la bambina cresciuta troppo in fretta, quella che si è dovuta prendere cura dei fratelli più piccoli e ha dovuto assumersi le sue responsabilità prima del dovuto. Ora posso contare sull’aiuto di una “sorella maggiore”, che mi copre le spalle e mi protegge da tutto il male di questo posto. E questo mi dà più forza e coraggio di quanto ne abbia mai avuto finora. Mi sento più leggera e meno in pericolo, perché so che qualunque cosa mi accadesse, lei sarebbe sempre pronta ad aiutarmi e tirarmi fuori dai guai.
Improvvisamente mi fermo di botto, producendo un rumore di foglie secche che non è da me, perché la capacità che mi è maggiormente riconosciuta è quella di riuscire a fare tutto nel massimo silenzio possibile. Volgo gli occhi verso la zona della Cornucopia, aguzzando lo sguardo quanto mi è concesso. Tutto è calmo, non vi è il minimo rumore. Spero solo che Katniss se la cavi, poiché non ho nessunissima voglia di accendere dei falò ed attirare i Favoriti verso di me. Io mi fido di lei, ci deve riuscire.
Velocemente, ma in silenzio, arrivo alla prima radura dove è stanziato il gruppo di legna che io e lei abbiamo preparato. Abbiamo recuperato dei buoni tronchi, presumo che faranno fumo molto facilmente. Senza esitazioni, inizio a sfregare ripetutamente i rami fra loro finché le prime scintille non illuminano il terreno. Meno di un minuto dopo il primo falò è completo, e le mie gambe mi costringono a correre lontano da quel fumo che mi sta privando lentamente dell’ossigeno.
Potrebbe funzionare. Il piano, intendo. Perché se anche Katniss non dovesse riuscire nel suo intento, in ogni caso i Favoriti si allontanerebbero dalle loro provviste. Non riescono a resistere ad un invito alla morte così evidente, sono sicura. Spero solo che tutto vada per il meglio.
Non faccio in tempo neanche ad allontanarmi di molto, che già i primi rumori sono perfettamente udibili dalla piana del corno dorato. Ma l’esito dell’operazione dipende soprattutto da me, quindi cerco di distrarmi il meno possibile e correre rapidamente verso il secondo falò che io e lei abbiamo piazzato. La distanza è molto ampia, nonostante in realtà non ci voglia poi molto per farmi venire il fiatone. Tuttavia decido che non è questo il momento di lamentarmi, e senza ripensamenti arrivo il più velocemente possibile alla zona prestabilita. L’aria è forte e mi riempie i polmoni, mentre l’atmosfera è abbastanza macabra anche per i miei gusti. Il silenzio lo trovo innaturale, come se anche l’Arena stessa cercasse di fare meno rumore possibile. Il mio braccio scatta automaticamente verso la catasta di legna che vedo, e non passano neanche due minuti che una lingua di fuoco arde sullo spiazzo di terra vicino a me. Il fumo è denso e ben visibile anche da lontano, motivo per cui opto subito per una via di fuga da questa zona.
Nonostante ciò, l’aria fumosa riesce a mandarmi in confusione, e posso affermare che il senso dell’orientamento non è mai stato il mio forte. In pratica, passa poco tempo prima che mi accorga di essermi persa. Sono pur certa che il terzo e ultimo falò fosse il più lontano di tutti, posto a nord-est rispetto al secondo, ma in questo momento non ho la minima idea di dove mi trovo. Il panico inizia a farsi strada dentro di me, le mie vene lasciano spazio alla tensione e alla paura. Improvvisamente comprendo in quale pericolosa situazione mi sono infilata, e mi sento come una docile gazzella circondata da leoni affamati. Sono la preda più facile, sono la più piccola, parola che in questi Giochi è sinonimo di debole e indifesa. Non posso permettermi di farmi scoprire, e tutto ciò che mi viene in mente di fare adesso è scappare. Non so dove, né verso cosa, ma penso che correre sia la cosa migliore da fare. Ho ancora il fiatone, ma stavolta non per la fatica. Non so perché, ma già non riesco a trattenere le lacrime. Perché mi sto dando già per spacciata?
Mi fermo, riprendo il comando di me stessa e riordino le idee. Sembro tranquillizzarmi, ma decido comunque di passare la notte su un albero, con la speranza che domani mattina riesca ancora a svegliarmi.
Fino al giorno dopo la melodia a quattro note che ho insegnato alla mia alleata non si ode in cielo, ma in compenso il mio cuore fa un balzo quando avverte un’enorme esplosione echeggiare in tutta l’Arena. Sorrido ancora prima di saperne la causa, perché sono già sicura che i Favoriti possono dire addio alle loro provviste.
Riprendo la camminata di buonumore, ma la mia felicità è destinata a durare poco. Dopo qualche minuto avverto dei leggeri fruscii. Se c’è una qualità di cui vado fiera è il mio impeccabile udito, grazie a cui riesco subito a capire che la persona che mi segue è sola, ma armata. Il mio cuore inizia a battere a mille, sono già sudata quando inizio a correre il più rapidamente possibile. Tuttavia, per quanto mi sforzi, i passi sono sempre più vicini e maggiormente udibili. Troppo tardi comprendo che il vero ostacolo non è ciò che mi sta dietro, bensì il territorio che si estende davanti a me. Non capisco ciò che succede finché non mi ritrovo sospesa in aria, incastrata fra i grovigli di una trappola per animali. Ed è ora che piango, è ora che inizio ad urlare con tutto il fiato che ho in corpo il nome della mia alleata. Canto la melodia, la ricanto, e dopo poco tempo sento Katniss che mi risponde. Una scintilla di speranza divampa nel mio petto, ma ormai avverto la presenza del mio nemico pressoché inevitabile.
Io sono ancora a terra, immobile, guardando il cielo nella speranza che tutto finisca il più presto possibile, che Katniss arrivi ed uccida il Favorito che riconosco essere dell’Uno. Appena i nostri occhi si incrociano, già capisco di essere spacciata. La mia ora è arrivata, quasi mi aspettavo la lancia che si va a conficcare nel mio fianco, inerme. Non so distinguere lucidamente ciò che avviene dopo, la prossima immagine che il mio cervello riesce a proiettare ritrae il viso allarmato della mia alleata chino sul mio. La vedo piangere, cercare inutilmente di fermare la pozza di sangue che sta colando dal mio corpo. Ma io non sento più niente.
In pochi attimi, la mia vita è cancellata da quel tempo che non ho avuto mai la possibilità di vivere. Io sono giovane, sono fin troppo piccola affinché la morte possa interessarsi a me. E allora perché sono fredda? Perché sento il respiro che lentamente mi viene a mancare? Perché le mie palpebre si fanno sempre più pesanti?
Improvvisamente, sento un’ombra cupa e gelida avvolgermi a sé, e ho la sensazione che una pesante incudine mi sia appena caduta sullo stomaco. Ho gli arti immobili, come fossero di pietra. I miei muscoli sono più tesi del normale, e i miei occhi pieni di lacrime. Vinci, Katniss. Questo è quello che penso, quello che spero che la mia bocca sia riuscita a comunicare. Voglio morire cantando la mia melodia, perché effettivamente la mia vita è stata talmente corta da poter essere riassunta in quattro, semplici note. Una vita insignificante per molti, essenziale per altrettanti. Ripenso ai miei fratellini, ai miei genitori, alle giornate del raccolto, agli alberi e alle Ghiandaie Imitatrici del mio Distretto. Sento le lacrime scivolarmi sulle guance, ma dubito siano mie, perché sono assolutamente sicura di non avere più alcuna funzione nervosa attiva. Vedo solamente bianco, dappertutto. Sento la vita che lentamente abbandona il mio corpo, e io la seguo senza oppormi, con la speranza che tutto il mondo veda e comprenda quanto spietati siano questi Giochi. Lascio questo mondo senza sapere a cosa vado incontro, senza sapere cosa in realtà comporti veramente “morire”.
Complimenti, avete ucciso una bambina indifesa, che della vita non sapeva niente, della morte ancora meno, e la cui maggiore aspirazione era giocare a fare il dottore o pettinare le bambole. Vi sentite più forti, ora? Vi sentite migliori?
Io credo di no, anche se sono sicura che togliermi dai piedi non faccia altro che trarvi beneficio. Ma io non mi abbatto tanto facilmente, sono certa che un giorno vi ritroverete al posto che spetta a voi. Quello dove si uccidono i bambini a piacimento, dove una fustigazione è all’ordine del giorno e la morte non è che una parte banale della quotidianità.  
Katniss, ti prego vinci. Per me. Per Peeta. Per tutti. Fà vedere loro chi è che comanda. 


Angolo autore
Ok, mi sento parecchio insoddisfatto di questo capitolo, avrei voluto scriverlo meglio D: In realtà, parlando della piccola Rue :'(, ho deciso di provare a scrivere il capitolo letteralmente dal suo punto di vista, ovvero cercando di immedesimarmi in una bambina che è vittima di una cosa che è ancora troppo piccola per conoscere: la morte. Spero di non avervi deluso, vi prego di farmi sapere cosa ne pensate in una recensione :) Conta molto per me conoscere le vostre opinioni **
Ringrazio chi legge, recensisce e mette la storia fra le seguite/ricordate/preferite <3 Grazie infinite, davvero! :3
Per oggi ho finito xD Alla prossima u.u

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Capitolo 5
*** Primrose: They aren't parachutes. ***


Primrose: They aren’t parachutes.

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  Il rumore assordante ma allo stesso tempo protettivo dell’hovercraft del Distretto Tredici mi avverte che manca poco all’atterraggio, e non esito a tirare un sospiro di sollievo. Non mi è mai piaciuto viaggiare, e se poi si includono gli spostamenti in aria, direi che manca poco prima che rimetta quel poco di cibo che ho conservato nello stomaco. Osservo con sguardo indifferente il paesaggio che si espande dinnanzi a me, dove si ergono palazzi giganteschi ricchi di insegne pubblicitarie mozzafiato.
  Sbuffo leggermente. Anche Capitol City non mi è mai piaciuta. Fin troppo complicata, con i suoi meccanismi ultra-tecnologici e i colori a dir poco sgargianti. Io non sono come gli altri della mia famiglia e del mio Distretto, la cui massima aspirazione è avere l’opportunità di venire qui, in un luogo dove non si muore di fame e si arriva ai cinquant’anni senza problemi. Io odio questo posto, dire che lo detesto sarebbe un eufemismo enorme. Eppure sono nella squadra addetta a soccorrere i feriti degli attacchi nemici, quindi eccomi qui, a pochi passi dalla dimora del Presidente Snow, pronta a svolgere il compito a me assegnato.
  Avverto il veicolo che tocca terra, e lentamente una scaletta viene stesa sul suolo a pochi passi da me. Esito per qualche secondo, incerta su quello che devo fare, ma appena scorgo i primi uomini scendere tranquillamente, mi rilasso e mi posiziono dietro di loro.
  La prima cosa che noto una volta all’aria aperta, è la moltitudine di polvere e ghiaia che si solleva da terra e mi infastidisce gli occhi. Nonostante mi trovi in una zona protetta e abbastanza lontana dal centro, riesco benissimo a sentire le grida della rivolta, che infuria dall’altro lato della città. Già immagino la scena che mi si presenterà davanti. Vecchi che corrono, donne che si spintonano e fanno di tutto per raggiungere nessuno sa cosa. Per come la vedo io, la gente della Capitale è fin troppo stupida per capire cosa stia veramente succedendo, ma questa in fondo è solamente l’opinione di una bambina del Distretto Dodici.
  Volgo lentamente lo sguardo al cielo carico di nuvole grigie. Chissà dove si trova Katniss in questo momento. I notiziari dicono che è morta in un’esplosione, ma io non ci credo. Per quanto ne so, potrebbe essere l’ennesima montatura del Presidente. Io la conosco molto bene; a volte può anche essere testarda e maldestra, ma di sicuro non è stupida. E poi, finché non vedo il suo cadavere dal vivo, rimango dell’idea che mia sorella sia ancora viva e possibilmente al sicuro. E questo mi da un po’ di forza in più per andare avanti.  
  Seguo i componenti della mia squadra per le stradine deserte, sentendomi un’estranea capitata qui per caso. Perché sono a Capitol? Cosa ci fa una bambina nel mezzo della rivolta? Chi me lo ha imposto? Non so darmi una risposta, ma oramai ci sono dentro, quindi tanto vale offrire il mio aiuto. Imbocchiamo diversi cunicoli, ma ogni passo in più che facciamo le grida degli abitanti sono sempre più vicine e udibili, e questo mi crea una voragine nel petto sempre più profonda. Non manca molto all’arrivo a destinazione, lo capisco dal fatto che riesco a scorgere già i primi corpi senza vita a terra. Occhi vitrei che mi fissano senza espressione, sorrisi mai conclusi che ancora adornano il viso dei cadaveri davanti a me. Per quanto dovremo sopportare tutto questo? Ma non capiscono che è un danno per tutti? Improvvisamente, mi ritrovo a pensare a mia madre, a come ha affrontato la morte di mio padre,  a come non sia stata capace di reggere tutto il peso e abbia ceduto alla depressione, e ad un tratto mi rendo conto che se morisse Katniss io non reagirei diversamente.
  Cerco di pensarci il meno possibile, concentrando la mia attenzione sui cancelli della villa del Presidente che da lontano riesco appena a vedere, a causa della massa di persone radunatisi intorno. Scuoto leggermente la treccia bionda, guardando da una parte all’altra della strada. Mi ritrovo a tapparmi le orecchie premendo forte, poiché i capitolini stanno creando un chiasso allucinante e quello a cui aspiro di più in questo momento è qualche minuto di tranquillità. Ciò che avviene dopo non è che un susseguirsi di spintoni che non fanno che disorientarmi, e mi ci vuole tutta la buona volontà che mi è rimasta per non perdere di vista la mia squadra. Sento spari, urli ed esplosioni, ma la mia natura di medico mi costringe a temere maggiormente per la vita altrui che per la mia.
  In preda al panico, inizio a correre verso non so dove, seguendo i membri del mio gruppo che si fanno largo fra le persone disperate che ci circondano. È tutto offuscato, mi limito solamente ad osservare la schiena dell’unico componente della mia squadra che mi sta davanti, perché sono stramaledettamente brava a perdermi.  Non so come, ma in qualche modo riusciamo ad evadere la sorveglianza, e mi accorgo di essere all’interno dei cancelli della villa solamente quando scorgo la gente che cerca di scavalcare le mura attorno a noi per raggiungerci. Sono sempre più confusa, mi sembra di essere un qualcosa di insignificante circondato da creature giganti, un misero scarafaggio che sta per essere schiacciato da uno scarpone. Il tempo sembra essersi fermato, ma al contempo pare scorrere più velocemente del normale. Non capisco più niente, gente che spinge, cado, mi rialzo, ancora gente. Ho il fiato mozzo e inizio a sudare, ma la confusione attorno a me è talmente grande da farmi perdere l’orientamento.
  Passano svariati minuti prima che mi ritorni in mente il motivo per cui sono qui, il mio scopo in questa operazione. Incomincio a riprendere lucidità, e finalmente mi appare chiara la quantità di feriti che hanno bisogno di soccorso. Li vedo a terra, stramazzanti, in attesa di essere curati. Alcuni rinunciano, semplicemente esalano l’ultimo respiro e se ne vanno da questo mondo. Altri lottano fino alla fine, cercano di non farsi sopraffare dal dolore. E io sono qui, immobile e indecisa. Non posso dire di avere paura, perché in questo campo sono emotivamente inflessibile. Contano solo il lavoro e il malato. Ma quantomeno sono spiazzata dalla scena che mi si presenta davanti. Il mio pensiero sfiora ancora mia sorella, mi chiedo in che condizioni si trovi in questo momento, ma l’urgenza che il mio compito richiede mi costringe ad allontanare le preoccupazioni e darmi da fare.
  Corro, cerco bende e disinfettanti per le ferite meno gravi, vere e proprie siringhe per quelle più disastrose, e mi ritrovo ad imitare tutto ciò che fa mia madre quando deve curare un paziente. Ormai la mia attenzione è tutta riservata solo ai feriti, il resto mi sembra lontano e irraggiungibile, come fosse un universo alternativo. Sento che solo quando mi adopero con i farmaci sono veramente me stessa, la vera Primrose Everdeen. Non sono sicura di quello che dico, ma credo di essere maturata a vista d’occhio. In questo momento non sono più la bambina che, tremante, si reca alla sua prima Mietitura, non sono più la paperella che non riesce a trattenere le lacrime. Esperienze come quella di essere sorella della Ghiandaia Imitatrice mi hanno temprata e fatta responsabilizzare prima del dovuto. Ora sono una vera e propria adulta, che affronta ciò che le viene incontro senza sbattere ciglio.
  Sto facendo un impacco di acqua da applicare ad un taglio quando un’esplosione enorme mi scompiglia i capelli e mi fa mancare un battito. Non posso confermarlo, ma credo che i ribelli del Tredici abbiano appena sganciato delle bombe, e questo non promette bene. Non posso di certo abbandonare il campo proprio adesso, ma mi concedo un urlo per scaricare la tensione.
  Mi accorgo di quanto la confusione sia aumentata. Evidentemente la sorveglianza non sta facendo un buon lavoro, ma non è il genere di cose per cui devo preoccuparmi ora. All’improvviso, mi rendo conto di essere a mancanza di bende e senza esitazione mi allontano dal ferito per rifornirmi. Ma non faccio a tempo a fare mezzo metro, che davanti a me una figura in volo cala sul terreno. All’apparenza sembra un paracadute, ma non me la sento di approfondire la faccenda. Noto che non è l’unico ad essere stato inviato, ma le mie distrazioni devono terminare qui. Recupero ciò che mi serve con velocità e ritorno in postazione, ma qualcos’altro mi distrae.
  Una treccia scura all’orizzonte. Aguzzo la vista quanto mi è concesso, ma non la confonderei neanche fra mille. Mia sorella, la Ghiandaia Imitatrice, sta cercando di superare i cancelli. I nostri sguardi si incontrano, e a questo punto ogni preoccupazione che avevo prima scompare. È salva, è viva. Ed è qui. Sussurro il suo nome per l’incredulità, quando mi accorgo che il suo è uno sguardo urgente, preoccupato.
  Volto leggermente la testa e faccio appena in tempo a scorgere l’ultimo paracadute che si stanzia sul suolo. E solo ora capisco. Ricambio lo sguardo di mia sorella con quello che so rappresenta un addio. Il campo esplode prima che possa fare qualsiasi altro movimento. Avverto il terreno che si solleva, e il mio corpo viene trascinato inerme nella polvere. Le urla sono tante, ma io non le sento. Percepisco solamente la testa sbattere pesantemente a terra, e rimango con lo sguardo puntato verso l’alto finché il mio cuore non smette di battere e il mio petto non esala l’ultimo respiro. L’ultima cosa che scorgo, prima di chiudere gli occhi per sempre, è un hovercraft argentato del Distretto Tredici che rilancia una seconda manciata di bombe.
  Chissà cosa dirà la gente, quando fra i cadaveri troverà una bambina di quattordici anni. Una ragazzina morta perché stava facendo del bene, perché stava curando persone che non erano neanche dalla sua parte. Chissà se comprenderà che la guerra è solamente una perdita di tempo, che combattendo non si risolve niente. Si immolano solamente altre vittime innocenti, che magari hanno tutta la vita davanti. Pochi secondi, migliaia di cadaveri. E alla fine chi ne trae vantaggio? 

Angolo Autore:
Eccomi di nuovo con la One-Shot dedicata alla morte di Prim! ** Spero vi sia piaciuta, vi confesso che l'inizio non mi convince molto, ma sono soddisfatto della fine xD Vi prego, fatemi sapere quello che pensate in una recensione! Ci tengo molto ai vostri pareri :) Grazie a chi ha letto la storia, a chi la recensisce (<3) e chi ha messo la storia fra le preferite/ricordate/seguite :D Grazie, grazie mille per quello che fate! ;) Per ora ho finito, alla prossima! u.u

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Capitolo 6
*** Cato: Born to kill, dead breaking lives. ***


Cato: Born to kill, dead breaking lives.

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  Un taglio sferza violentemente l’aria che mi circonda, e la testa del mio avversario cade inerme a terra. Mi sembra di vivere l’attimo al rallentatore, mentre la mia lama sibila verso il collo di Thresh. Ho lividi dappertutto, e la mia bocca è ripiena di un sapore ferroso provocato dalla quantità di sangue che mi riempie la gola. Ansimo con fatica, ho i muscoli tesi e avverto l’adrenalina che mi scorre nelle vene. Ma questo non vieta alla sensazione di vittoria di farsi strada dentro di me. Devo ammettere che il ragazzo dell’Undici era un osso duro, ma alla fine i miei anni di esperienza in Accademia hanno avuto la meglio. Una strana luce brilla nei miei occhi, un omicidio mi soddisfa più di qualsiasi altra cosa.
  Lentamente ripulisco la spada increspata di sangue secco e lancio due fendenti nel vuoto, mentre un sorriso sadico mi compare sulle labbra. Sento di essere nato per questo, che uccidere sia l’unico motivo per cui esisto. L’arma che stringo in mano non è che una continuazione del mio braccio, e la sofferenza altrui è ormai il mio ossigeno per vivere. Almeno da quando è morta Clove. Solo il suo ricordo mi provoca una fitta insopportabile allo stomaco, e non so come riesca a trattenermi dal frignare come un bambino in diretta internazionale.
  Improvvisamente, avverto un’ombra cupa calare su di me, e quando rialzo lo sguardo mi accorgo che la notte ha già preso il sopravvento. Il vento sembra essersi alzato, risvegliando il predatore che riposa dentro di me. Il mio pensiero slitta subito sugli innamorati del Dodici. Chissà dove si trovano, dove sono nascosti. Decido di cercarli ed ucciderli il prima possibile, ma un rumore proveniente da non molto lontano mi rende noto che forse sono loro a cercare me. Sorrido estasiato, eccitato all’idea di vedere i loro cadaveri rotolare nella polvere. Sguaino velocemente la spada, ma un’espressione confusa va a formarsi sul mio viso. Vi è fin troppo rumore perché siano solamente due le persone a produrlo. Persino due animali non farebbero un chiasso del genere. All’improvviso mi manca il respiro, mentre il terrore si impadronisce lentamente del mio corpo. Comprendo la natura di ciò che ho davanti solo quando il rumore è talmente assordante da costringermi alla fuga. Scappo verso non so dove, curandomi di non voltarmi mai indietro. Nonostante abbia paura, nonostante il vento mi tappi le orecchie, nonostante vada a sbattere contro gli arbusti e i rami, riesco benissimo a sentire gli artigli delle creature che mi inseguono, che letali distruggono qualsiasi cosa incontrano. Mi accorgo di urlare solamente quando non ho più fiato in gola, in quanto questo inseguimento mi sta facendo sprecare un sacco di energie che sarebbero potute tornarmi utili più tardi. Le mie sono imprecazioni di rabbia, non di terrore. Ho una mezza idea di girarmi ed affrontare ciò che mi troverò davanti, ma un sonoro ringhio da far rizzare i capelli mi costringe ad aumentare la velocità e lasciar perdere.
  Molto presto mi accorgo che gli ibridi tendono ad aumentare sempre più velocità, mentre io sono stremato e consapevole che entro pochi secondi potrei crollare a terra e non rialzarmi più. Tuttavia, la mia determinazione non è scomparsa, durante i miei soggiorni in Accademia ho imparato a controllare le mie sensazioni. Ormai da anni il panico ha abbandonato il mio corpo, la paura ha smesso di creare problemi. Io sono una macchina per uccidere. E allora perché sto scappando? Perché non riesco a farmi coraggio come sempre e non mi giro per affrontarli? Perché le mie gambe non accennano a fermarsi?
  Devio nella parte fitta della foresta, sperando che il buio riesca ad inghiottirmi abbastanza in fretta per far perdere l’orientamento agli ibridi. I primi spiazzi di cielo che si intravedono fra il fogliami degli alberi mi indicano che non sono molto lontano dalla Cornucopia, ma sono troppo occupato a scappare da queste creature per preoccuparmi di chi potrei incontrare. Sono allo stremo delle forze e non capisco come le gambe riescano ancora a reggermi in piedi. Sarà la foga, o l’adrenalina. In ogni caso, in un modo o nell’altro riesco ad uscire dal bosco e noto con piacere che anche gli innamorati del Dodici non sono molto distanti. Scappo proprio verso di loro, con la speranza che gli ibridi che mi seguono decidano di preferire tre prede anziché una. Katniss e Peeta non sono molto svegli, anche perché si accorgono di quello che succede solo quando ormai li ho superati in distanza, e questo potrebbe darmi qualche vantaggio in più. Gemo quando mi accorgo che le ferite provocatemi da Thresh sono ancora aperte e più copiose che mai, in quanto la mia divisa è ormai inzuppata di sangue fresco.
  Ho corso così tanto che le mie gambe non avvertono più la fatica, motivo per cui vado a sbattere pesantemente contro la Cornucopia senza riuscire a fermarmi. Al primo impatto il metallo freddo del corno mi trasmette una sensazione di sollievo ma al contempo di fastidio, ma sono sicuro che questo per ora è il minore dei miei problemi. Senza pensarci prendo ad arrampicarmi sulla struttura più velocemente possibile, sfruttando i pochi appigli esistenti. Ho il fiato corto, il braccio sempre più sanguinante e una ferita alla gamba che non accenna a richiudersi. Non so come ci riesco, ma ad un tratto mi ritrovo sdraiato esanime sulla superficie del corno, con lo sguardo rivolto verso l’alto in attesa che tutto finisca. Il tempo sembra essersi fermato, mi concepisco come in un altro mondo rispetto al combattimento che sta avvenendo a pochi passi da me. Non mi preoccupo della sorte degli innamorati, ma perlomeno mi chiedo come se la stiano passando là sotto. Riesco a sentire chiaramente le fauci degli ibridi e i loro artigli affilati, ma ad ogni modo spero che non ne rimangano uccisi, perché voglio essere io a farla finita. La ragazza in fiamme mi ha creato fin troppi problemi, il minimo che possa desiderare è vedere la sua gola spezzata fra le mie mani. Una nuova scintilla di rabbia e odio prende fuoco nel mio petto, e i miei occhi si riaccendono di aria assassina e letale.
  Improvvisamente avverto i rumori del metallo echeggiare nell’aria, e comprendo che i due del Dodici stanno cercando di salire sul corno per sfuggire agli ibridi. Questo è il finale dell’Edizione, è la mia occasione per dimostrare quanto valgo e portare onore al mio Distretto. Non permetterò che una stupida ragazzina mi rovini i piani. Scorgo il corpo di Katniss non molto lontano da me, e dopo svariati secondi la vedo trascinare su un Peeta ferito. Senza ripensamenti, mi getto contro di lui e lo scaglio dall’altra parte dello spiazzo, lasciandogli un livido che sono sicuro si porterà dietro per il resto della sua vita. Quanto a Katniss, le tiro un pugno che sfortunatamente riesce a evitare ma che comunque le fa perdere l’equilibrio. Quel briciolo di soddisfazione che mi ha invaso si spegne quando avverto sul petto la presa di Peeta, il quale da dietro cerca di strattonarmi e mandarmi a tappeto. Che illuso. Lo spingo via senza troppi sforzi e riconcedo la mia attenzione solamente alla ragazza di fuoco. La vedo indietreggiare e godo di questa situazione di superiorità. Ghigno soddisfatto, mentre avverto la mia ferita alla guancia riaprirsi e grondare sangue. Katniss cerca di strozzarmi, ma io rido dei suoi tentativi pietosi e le stringo il collo in una mossa ferrea. Sento l’ululato soddisfatto degli ibridi che evidentemente vorrebbero il mio nemico come pasto notturno, ma io sono più che convinto a farla finita da solo. Sguaino impaziente la spada, ma il mio braccio viene bloccato dalla presa salda del ragazzo del Dodici, che non so come ma riesce a ribaltarmi e farmi finire sul bordo della Cornucopia. In seguito tenta di bloccarmi, ma io sono più veloce e con una rapidità fulminea lo intrappolo tra il mio braccio, che circonda il suo debole e indifeso collo. Ho uno sguardo sadico e assassino, ma una punta di incertezza si viene a creare dentro di me quando noto che Katniss punta una freccia dritta contro il mio cuore. Poco male, se lascia andare il tiro sia io che Peeta finiamo in pasto alle creature qui sotto. In ogni caso, può dire addio al suo innamorato. Sembra capirlo anche lei, perché mi osserva con un’espressione confusa e abbastanza impaurita. Di risposta, il mio ghigno si fa più grande e il mio sorriso si allarga in una smorfia divertita. Smorfia che ben presto si trasforma in lacrime, in rabbia e in dolore, perché sono ad un tratto consapevole che la mia fine è arrivata, e che non posso fare nulla per evitarlo. A malapena avverto Peeta che inizia a divincolarsi dalla mia stretta e lo vedo contrassegnare la mia mano con una sorta di “X”. Comprendo ciò che è successo solamente dopo che la freccia di Katniss ha trapassato il mio palmo, e mi ritrovo a emettere grida di dolore mentre vengo disarcionato. L’innamorato sfugge dalla mia presa, mi ribalta e con un pugno al mento riesce a disorientarmi e farmi cadere dal corno. Ed è in questo momento che mi lascio andare, che urlo con tutto il fiato che ho in corpo e mi abbandono definitivamente alla morte.
  L’impatto col suolo non è dei migliori, ma questo è niente in confronto a quello che viene dopo. Gli ibridi, che finalmente distinguo come una sorta di lupi, mi accerchiano e tutti insieme mi attaccano. Riesco ad sentire ogni pezzo di carne che mi viene strappato dalle loro fauci, ogni striscia di pelle che si sbranano fin troppo velocemente. Io sono a terra, agonizzante, e non mi rimane altra cosa che urlare e piangere. Penso a Clove, e un’altra fitta dolorosa mi trapassa lo stomaco, o quello che ne rimane. Il tempo pare scorrere a velocità dimezzata, mentre io avverto ogni costola rotta, ogni organo distrutto riempirmi di dolore. Mi manca il fiato, l’ossigeno non mi arriva più al cervello, e i miei arti sono totalmente immobili.
  La notte trascorre senza che io avverta più niente, in quanto le creature mi hanno già annientato tutto ciò che avrebbero potuto danneggiare. Riesco a emettere solamente lievi gemiti, e naturalmente lacrime. Non ho più forze, chiudo definitivamente gli occhi e lascio che il buio mi intrappoli dentro di sé. Tutto è strano e confuso, l’unica cosa che avverto chiaramente è un’improvvisa fitta alla fronte, e adesso sono sicuro che è giunta la mia ora e che non mi resta più niente da vivere. Il cannone spara, ma ormai non mi interessa più. 

Angolo autore
Nuova OS su Cato xD Questo capitolo è dedicato a Tinkerbell92, e a suo marito ** u.u Allora, premetto che non sono molto soddisfatto di quello che ne è uscito, ma considerando che è stato un vero e proprio parto, non conviene lamentarmi :) Ringrazio ancora mille volte i lettori e i recensori, perché mi spronate ad andare avanti con questa Raccolta indecente .__. Grazie anche a chi mette la storia fra le preferite/ricordate/seguite :3 Ci vediamo alla prossima!! <3 P.S. Scusate l'immagine pietosa D:

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Capitolo 7
*** Marvel: Death caught me unprepared. ***


Marvel: Death caught me unprepared.  

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  Corrugo la fronte e aguzzo la vista verso il cielo, mentre una leggera brezza mattutina mi scompiglia dolcemente i capelli. Avverto che la testa di Clove appoggiata sulla mia spalla si fa più leggera, segno che anche lei è sveglia. Mi stiracchio e inarco la schiena, mentre scorgo Cato poco più in là, che per l’ennesima volta ammira compiaciuto le mine disposte attorno alle nostre provviste. Mi sfrego gli occhi e decido di alzarmi in piedi, ma non prima di aver recuperato la mia lancia. Èstata una bella trovata, quella del ragazzo del Tre. La sua conoscenza in materia tecnica ci ha garantito la protezione delle nostre riserve alimentari; ma se crede che così facendo sia entrato nelle nostre grazie, beh, si sbaglia di grosso. Fremo di adrenalina all’idea di conficcargli la lancia in un occhio e levarmelo dai piedi una volta per tutte. Cato e Clove saranno anche convinti che potrebbe tornarci utile in varie occasioni, ma per me rimane comunque un bambino incapace e piagnucoloso, nient’altro che un intralcio.
  Arrivo al punto in cui si trova il mio alleato e gli sorrido estasiato. Entrambi ci mettiamo a ridere all’unisono, perché ci rendiamo conto che è successo. Siamo diventati invincibili. Abbiamo praticamente la vittoria in tasca. Ora che le nostre provviste sono al sicuro, eliminare gli altri Tributi sarà una passeggiata. Clove non ci fa compagnia nel nostro festeggiare momentaneo, non è da lei mostrare ciò che prova. Dall’inizio dei Giochi l’ho sempre vista come una statua rigida, fredda e scolpita nella pietra, incapace di provare qualsiasi emozione che andasse all’infuori del suo essere sadico e della sua tendenza agli assassini più truculenti. Invece col passare dei giorni, lottando fianco a fianco, ho compreso le scelte che ha fatto e che l’hanno resa quella che è oggi. Ho imparato a conoscerla davvero, e tra noi si è creato un legame indescrivibile, che va al di là dell’amicizia e del sostegno reciproco.
  La guardo negli occhi e la vedo sorridere. Ma quello che mostra non è uno dei suoi rari sorrisi compiaciuti, è uno dei suoi ghigni sadici, uno di quelli che solitamente segna la morte delle sue vittime. Confuso, mi giro e volgo lo sguardo verso l’orizzonte. Esulto dentro di me quando vedo una densa scia di fumo che si alza al cielo non molto lontano da dove ci troviamo ora. Guardo Cato, le fiamme che gli brillano negli occhi e le braccia che gli tremano per l’adrenalina. Stringo la lancia al petto e sono già in posizione di combattimento, a causa dell’euforia che coinvolge il mio corpo e non mi fa respirare. L’eccitazione è palpabile, è da troppo tempo che siamo alla Cornucopia, e la voglia di sgozzare e ammazzare non fa che aumentare di minuto in minuto. Uccidere crea dipendenza, è una sorta di droga per ognuno di noi. E come ci sono l’eroina, la cocaina o l’ecstasy, vi sono anche le decapitazioni, gli squartamenti e le mutilazioni.
  Sto fremendo di agitazione, e non aspetto gli altri per scattare in avanti e correre verso la foresta quanto velocemente mi è concesso. Avverto di sfuggita Cato che ordina al marmocchio del Tre di fare la guardia, poiché sono troppo assetato di sangue per concedere l’attenzione verso qualcosa che non sia la mia futura preda. Sento perfettamente i passi di Clove echeggiare insieme ai miei, feroci come non mai. Non ci mettiamo molto per arrivare a destinazione, capisco che ci stiamo avvicinando perché avverto lo scoppiettare del fuoco che illumina la zona e che non fa che aumentare il mio desiderio di uccidere. Ora sono un predatore, e il resto non conta. Aguzzo la vista quanto è possibile, ma i miei sensi di cacciatore mi riferiscono che non vi è nessuno a cui piantare una lancia nel petto. Vi è solo un falò, acceso da chissà chi, per chissà quale stupido motivo. Sento l’ira che risale dentro di me, e capisco solo adesso che siamo stati ingannati. Abbiamo fatto la figura degli scemi davanti a tutta Panem, è bastato un semplice diversivo per confonderci. Urlo dalla rabbia e mi volto verso i miei alleati, che sembrano averla presa anche peggio di me.
Improvvisamente, come fosse la ciliegina sulla torta, un rimbombo acuto mi fa sobbalzare sul posto, e rimango a bocca aperta quando sento un’esplosione enorme echeggiare per tutta l’Arena e muovere gli alberi attorno a noi. Capiamo subito tutti insieme che le nostre riserve sono in estremo pericolo, e senza esitazione ci lanciamo verso la Cornucopia. Stavolta accelero, il vento mi scompiglia i capelli e gli occhi mi lacrimano per la velocità che ho deciso di attuare. Sono ancora incredulo per la figura che abbiamo fatto, di sicuro l’artefice di tutto questo ha le ore contate.
  Un odore acre di fumo intenso cattura la mia attenzione, e solo in questo momento mi rendo conto di chi abbiamo di fronte. La ragazza in fiamme. Mi irrigidisco sul posto, fin troppo in collera anche per parlare. La vendetta diventa il mio ossigeno, mentre il mio sguardo diviene sadico e senza scrupoli. La detesto, e penso sia inutile dire che in questo momento il mio desiderio più profondo è vedere le sue budella strapazzate a terra. Quella ragazzina non ha idea di chi si è messa contro, chi si è fatta come nemico.
  Sono indeciso. Vedo i miei alleati che si fermano e mi squadrano confusi, con sguardo urgente e furente. Ma io la voglio fare finita una volta per tutte. Osservo Clove, che mi lancia un’occhiata preoccupata e carica di sentimenti. Una di quelle che, sono convinto, mostrerà una volta sola nella vita. Così, cambio direzione e non mi volto più indietro, perché occupo tutte le mie energie per rintracciare la mia prossima vittima. Corro a perdifiato, senza avvertire né dolore né fatica. Sono sensazioni a me sconosciute, mai provate. Il mio corpo si muove solo grazie all’ira e all’adrenalina che mi pompa nelle vene. Ho lo sguardo vigile e attento, i muscoli rilassati ma al contempo pronti all’attacco. Scatto alla minima fonte di rumore, oramai la voglia di uccidere si è impossessata di me a tal punto da vietarmi un ragionamento lucido.
  Un suono fin troppo acuto cattura la mia attenzione. Mi fermo, rizzo le orecchie e trattengo il respiro. Al primo impatto sembrerebbe l’ennesima Ghiandaia Imitatrice, ma non mi ci vuole molto per capire che la voce che sento è umana. Esulto e mi precipito subito verso l’origine del suono, chiedendomi quale mente malata si metterebbe ad urlare nel mezzo degli Hunger Games, a un tiro di schioppo da un qualsiasi nemico. Riascolto la melodia più e più volte, finché il ritmo non cambia. E lo sento, il nome. Quel nome. Katniss. Il fuoco mi divampa nel petto al solo pensiero di Katniss. Quella che ben presto sarà la mia preda, sta chiamando aiuto a Katniss. È sempre più vicina, e riesco a distinguere una voce femminile, infantile. Improvvisamente mi balza al cervello l’immagine della bambina dell’Undici che, nascosta dietro una colonna, spia la ragazza di fuoco durante l’Addestramento. Credo si chiami Rue, ma in realtà non mi interessa minimamente il suo nome.
  Il fatto che la mia preda sia una bambina di dodici anni non mi crea alcun problema, anzi mi incita ad accelerare. Sento i graffi del vento sulla mia pelle, i miei passi silenziosi che calpestano il suolo. Mi fermo all’istante, confuso. Uno scalpiccio rapido mi arriva all’orecchio da lontano, e scommetto tutto quello che ho che si tratta della ragazza in fiamme. Un ghigno perfido si forma sul mio viso, la lancia trema incessantemente nel mio braccio. Arrivo finalmente a destinazione, e la prima cosa che noto è una grande rete sollevata in aria, una trappola per conigli che però ha catturato ben altro. Rido dentro di me, mentre scorgo la figura di Katniss comparire dall’altro lato dello spiazzo di terra in cui mi trovo. Il mio volto si irrigidisce, la mia lancia parte prima che abbia il tempo di fermarla. Katniss riesce a schivarla, ma il tiro va a segno lo stesso, conficcandosi nel fianco di Rue.
  Improvvisamente, avverto un sibilo che taglia l’aria. Prima ancora che me ne accorga, sento una forte pressione al petto e, abbassando lo sguardo, mi balza all’occhio una freccia incastrata nel mio sterno. Non me ne sono neanche reso conto, non è da me. Sono a bocca aperta, incredulo, e fiotti di sangue ne approfittano per uscire indisturbati dalla ferita. Mi manca il respiro, ho gli occhi spalancati, costretti a vedere come mi sia lasciato fregare un’altra volta. Non è una morte da Favorito. Non mi merito questo appellativo, non ho neanche cercato di reagire. Avverto le ginocchia che cedono, la mia pelle si fa più fredda e leggera, mentre al contrario la testa diviene pesante e dolorante. Inspiro, espiro. Non serve a niente. Perdo il controllo del mio corpo, la mia bocca si riempie di sangue caldo e smetto definitivamente di respirare. Ho lo sguardo spento, gli occhi vitrei e privi di espressione, mentre cedo lentamente alla morte. Le mie forze vengono meno, e mi ritrovo a faccia in giù, schiacciato contro il terreno.
  Sento un cannone in lontananza, che piano piano aumenta di volume fino a trapanarmi le orecchie ed annebbiarmi la mente. È tutto di un bianco accecante attorno a me, mi sento perso.
  Prima di morire, ripenso a ciò che è successo finora, e me ne vado con la speranza che lo sparo sia stato per Rue, e non per me.
  La speranza è l’ultima a morire. È l’unica cosa più forte della paura. E chi dice che un Favorito non ne possa avere? Chi dice che anche le più spietate macchine da guerra non nascondano un animo debole e vulnerabile? Non ci resta che sperare. 

Angolo autore:
OS su Marvel! ** Dedicata a Coral 97, e alla sua benedetta pazienza nello sopportarmi sempre xD Non sono pienamente soddisfatto, ma sinceramente pensavo uscisse qualcosa di peggiore :3 Grazie mille a tutti i recensori e i lettori, e anche a chi mette la storia fra le preferite/ricordate/seguite <3 
Alla prossima!!

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Capitolo 8
*** Glimmer: Shine like a broken diamond. ***


Glimmer: Shine like a broken diamond.

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  Cammino dietro i miei alleati con disinvoltura, i capelli lucenti che scintillano sotto i potenti raggi del sole, gli occhi di una sfumatura verde brillante che riflettono i bagliori dorati della foresta. Non mi preoccupo di fare silenzio, perché solamente uno sciocco attaccherebbe una Favorita in gruppo. Provoco uno scrosciare di foglie secche e rametti, mentre un sorriso approfittatore si fa spazio sul mio viso. Da quando siamo entrati nell’Arena la sensazione di godimento e superiorità che mi ha investito non mi ha più abbandonata. Mi sento potente, invincibile come non mai. Prendo un sasso e lo lancio contro il tronco di un albero, giusto per rendere il tutto meno noioso. Davanti a me scorgo l’imponente figura di Cato, accerchiato da Clove e Marvel, e tutto ciò non fa che crearmi una voragine di solitudine nel petto. Una smorfia di dolore compare sul mio volto. Per troppe volte mi sono sentita abbandonata da tutte le persone che amo, senza una ragione di esistere. E forse è proprio per questo che voglio essere sempre al centro dell’attenzione, sotto i riflettori; per avere la prova di fare parte di questo mondo, per essere considerata veramente da qualcuno almeno una volta.
  Intravedo una sporgenza rocciosa poco più avanti, ma mi accorgo che i miei alleati si sono fermati quando vado a sbattere contro la schiena di Cato. La mia espressione inizialmente indignata diviene confusa quando noto lo sguardo sadico e scintillante dei Tributi del Due. Volto gli occhi verso sinistra, e sorridendo estasiata comprendo la causa di tanta eccitazione. La ragazza in fiamme si trova nel laghetto a pochi metri da noi, nuota a pelo d’acqua per cercare di non essere notata. Riporta un ferita da fuoco non poco profonda sul polpaccio, quindi inseguirla non dovrebbe essere un problema. Non sembra essere neanche molto sveglia, probabilmente se non avessimo urlato di gioia non ci avrebbe nemmeno notati. Sta di fatto che comunque ci fiondiamo verso di lei festeggiando come se avessimo già vinto tutto il programma. Guadagniamo terreno mentre lei esce dall’acqua e si dirige nel folto degli alberi più avanti. Sento Cato e Marvel che ululano di gioia e Clove che incita i due afferrando i suoi coltelli. Io rimango indietro per il semplice motivo che devo fare da guardia a un Peeta arrancante e puzzolente, cosa che mi dà un certo fastidio. Sento il vento che sibila e che mi scompiglia le trecce dorate, mentre corro verso la nostra futura preda. I miei scarponi colpiscono violentemente il terreno, sollevando parecchia polvere da terra e oscurandomi la visuale. Eppure non smetto di urlare, incito Cato ad ucciderla. Avverto la faretra che ho legato attorno al corpo sbattere contro la mia spalla destra, mentre le frecce che sporgono mi solleticano lievemente la nuca, riaprendo ferite che credevo fossero chiuse da tempo.
Sono a faccia in giù, a gattoni sul pavimento, e vari conati di vomito minacciano di risalirmi per la gola. Sento diversi colpi sulla schiena, mi lasciano ferite e dolori che sono sicura mi porterò dietro per tutta la vita. Ho il fiato mozzo, mi manca il respiro, mentre le grida di mio padre ubriaco fradicio riempiono le stanze di casa mia, distruggendomi da dentro.
I cespugli verdi aumentano sempre più, segno che ormai siamo nel pieno della foresta. Il mio sguardo è freddo ma il mio cuore scalfito da pesanti tagli. Ci fermiamo alla base di un enorme tronco e tutti insieme puntiamo lo sguardo verso l’alto, dove Katniss si sta arrampicando tra i rami dell’albero. Un ghigno perfido viene formato dalle mie labbra, e subito mi volto verso il Favorito del Due. Cato mi fa l’occhiolino e io di risposta gli rendo il mio arco. In seguito il mio alleato incocca una freccia e, prendendo la mira, la scaglia verso la ragazza del Dodici. Il sibilo è perfettamente udibile, ma non vi è alcun impatto. Katniss schiva il colpo nascondendosi dall’altra parte del tronco, ma se crede che così facendo si stia garantendo un minimo di protezione si sbaglia di grosso. Un’altra freccia parte ma non ha successo. Cato ne scaglia un’altra e un’altra ancora, ma niente da fare. Vengo investita da un’ondata di rabbia, e quando Katniss suggerisce di lanciarle addosso la spada, non ci vedo più dall’ira. Sottraggo il mio arco dalle mani del mio alleato e incocco l’ennesimo dardo meglio che posso. Il fruscio è palese, ma ancora una volta il mio colpo si ritrova senza un destinatario. Ho fatto la figura dell’oca, e questo non sarebbe dovuto succedere. Mi tremano le braccia e stringo i pugni per allietare la tensione. Insieme decidiamo di passare la notte accampati qui sotto, in attesa del minimo movimento da parte del nostro nemico.
  Ci concediamo un falò, e nel caso in cui qualche Tributo si facesse vedere, non avrebbe neanche il tempo di aprire bocca che si ritroverebbe una lancia infilata nello stomaco. Ridiamo e scherziamo in gruppo, e a testa diamo un’occhiata all’Innamorato del Dodici, che sembra aver trovato parecchio interesse nel terriccio che ha di fianco. Ha lo sguardo fisso al suolo da almeno un quarto d’ora, come se avesse paura di alzare gli occhi al cielo.
  La sera tardi mi sdraio di fianco a Cato, con la testa appoggiata sul suo petto e il suo respiro che mi solletica i capelli. Per qualche momento, stretta fra le sue braccia, mi dimentico di tutto il resto e mi lascio coccolare dolcemente. Tra noi due si è creato uno strano rapporto in questi giorni. Solo con lui riesco ad essere veramente me stessa, e solamente lui riesce a tirare fuori la vera me. Il suo abbraccio protettivo mi crea conforto, e ora so per certa che questa sarà una notte tranquilla.
  Dopo un periodo imprecisato sento il lieve russare del mio alleato e comprendo di essere l’unica ancora sveglia. Volgo lo sguardo verso il cielo e mi perdo nella bellezza delle stelle che splendono sopra di me.
  Tu sei una stella, Glimmer. Brilli come un diamante – Mia madre mi guarda con i suoi occhi spenti. Un cipiglio severo si forma sul suo viso, facendola apparire di qualche anno più vecchia. So che si aspetta grandi cose da me, non desidera altro che il mio successo e la mia vittoria agli Hunger Games. È solamente per questo che mi ha messo al mondo; ma io delle sue moine non me ne faccio niente. Questa è la mia vita.
  Una lacrima mi scivola giù per la guancia, e con un sussulto mi risveglio dai miei pensieri. Spaventata mi rigiro sul fianco di Cato e mi sdraio nuovamente cercando una posizione comoda. Sento che sono al confine, che ormai non manca molto alla vittoria, e mi addormento con il sorriso sulle labbra.
  Vengo improvvisamente svegliata da un sonoro ronzio che mi trapassa le orecchie, mandandomi in confusione e facendomi perdere l’orientamento. Spalanco gli occhi di scatto e mi metto a urlare con tutto il fiato che ho in gola. Mi sollevo da terra velocemente e giro su me stessa, cercando di individuare la causa di tanto dolore. Avverto ogni particella della mia pelle che punge terribilmente, mi sento come se mille spade affilate mi stessero trapassando il corpo contemporaneamente. Ansimo e continuo a urlare, mentre la mia splendida e scintillante pelle si riempie di enormi bolle e si inizia a deformare.
  Un colpo assordante. Mia madre a terra, mio fratello scappa e mio padre tracanna l’ennesima bottiglia di liquore, urlando non so cosa. Io piango, mio padre ride di me. Mi chiama illusa, perdente.
  Non sono un’illusa, né una perdente. Si sbaglia di grosso. Inciampo in un masso e cado per terra, gli aghi inseguitori ne approfittano per beccarmi dappertutto, lacerandomi i vestiti e rovinandomi i miei bellissimi capelli. Una puntura sulla palpebra mi crea un fortissimo dolore, sento che il mio occhio è stato in qualche modo bucato. Vedo i miei alleati che mi abbandonano, che mi lasciano al mio destino e capisco che forse era il loro intento fin dall’inizio. Grido disperata, piango perché non mi rimane altro da fare. Un rumore di carne strappata mi trapassa il cervello, ormai il dolore è così forte che non avverto più niente.
  Cammino incerta e tremante, mio padre che mi spinge da dietro, ed entro per la prima volta in Accademia, portandomi dietro i miei otto anni di misera esperienza. Mi guardo attorno impaurita, sento degli schianti e cerco di scappare, di nascondermi. Ho paura della violenza, nonostante sappia che nel mio futuro ci saranno solamente morte e distruzione. Temo quello che diventerò. Mio padre ride e si prende gioco di me.
  Non urlo più solo perché non posso. Ho la faccia schiacciata a terra, le guancie cave e scavate nell’osso. Posso sentire la carne lacerata che mi è stata strappata dal viso, le costole sporgenti che gli ibridi mi hanno dilaniato lentamente. Mi contorco a spasmi e non riesco a chiudere gli occhi, costretta a vedere le torture che sto subendo e che non posso contrastare.
  Combatto con il mio istruttore. Non ho paura, fin troppe esperienze mi hanno temprata solo per ricordare il significato di quella parola. Sono feroce, agile e assassina. Mio padre sarebbe orgoglioso di me. Tiro una frustata al mio avversario, ghigno malefica. Non vi è senso di colpa in me. Non più.
  I miei alleati sono già lontani e salvi, e io sono bloccata qui a terra. Stringo a me l’arco e la faretra, come se potessero garantirmi una protezione che in realtà non arriverà mai. I miei abiti sono zuppi dalle lacrime che ho versato e dal sudore che sta impregnando quello che rimane della mia pelle. Non mi muovo più, a malapena penso.
  Il vento è forte, la tensione palpabile. Ma io ghigno soddisfatta, perché questo è il mio anno.
  Il vento è forte, ma io non lo percepisco. Scorgo solamente quello che resta dei miei capelli muoversi e oscurarmi la vista. La testa si fa leggera, il cuore smette di battere e il respiro viene meno.
  Mi offro volontaria. Mi offro volontaria come tributo.
  Il cannone spara. 

Angolo autore
Ok. Finalmente riesco a postare l'OS su Glimmer :3 Che, tanto per cambiare, a mio parere avrei potuto rendere meglio. Tuttavia mi sento abbastanza soddisfatto XD Allora, in questa OS ho cercato di riassumere la vita di Glimmer al contempo della sua morte *spera di non aver fatto una cavolata*. Comunque, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, vi prego ;) Grazie a tutti voi che seguite questa storia, a chi recensisce o a chi ci passa e basta! <3 Grazie mille anche a quelli che mettono la storia fra le preferite/ricordate/seguite u.u
Spero vi sia piaciuta! Alla prossima :D

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Capitolo 9
*** Cinna: The chains of my soul. ***


Cinna: The chains of my soul.

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La stanza è fredda, agghiacciante, i miei sospiri si condensano e formano delle soffici nuvole, l’aria punge sulla mia pelle come se fosse ricoperta da mille spilli incandescenti. Il silenzio è opprimente, l’unico rumore che mi giunge alle orecchie è il continuo tamburellare della pioggia che si scontra con le pareti spoglie e prive di vita che mi circondano. Ho la testa china e le mani premute sulle tempie, cerco di massaggiarmi la fronte chiudendo gli occhi. Avverto lievemente l’orecchino sfiorare l’estremità della mia gelida pelle e solleticarmi la nuca. Premo le palpebre e respiro fortemente. L’immagine di una Ghiandaia Imitatrice mi si stampa nel cervello, le morbide piume nere come la pece, il becco dorato e aperto leggermente, le zampe tese e pronte al volo. Sbuffo pesantemente e mi passo una mano fra i capelli. Alzo lo sguardo, mentre una grigiastra atmosfera mi travolge e mi fa venire i brividi. Una scarica di tensione mi attraversa il corpo con un tremolio e decido di alzarmi emettendo un rantolo di frustrazione.  
  Sgranchisco le gambe e mi stiracchio le braccia, mentre un leggero sbadiglio fa capolino sul mio viso. Lentamente mi avvicino alla parete più vicina e senza esitazione inizio a prendere a pugni la pietra fredda del muro. Le mie nocche si scalfiscono nel duro materiale, ben presto riesco a sentire i rivoli di sangue percorrermi la mano. Il mio volto diviene brutale e quasi sadico, la testa inizia a farmi male e dopo qualche minuto sono costretto a fermarmi. Sento le vene gonfie premere sulle braccia e il respiro riprendere lentamente la sua naturale regolarità. Mi reco con passo pesante al bagno e cerco di medicarmi la ferita utilizzando delle bende abbastanza resistenti. Sono portato per queste cose, non mi ci vuole molto per fare un buon lavoro. Successivamente, mi specchio di fronte al lavandino e come riflesso vedo l’immagine di un uomo consumato, forte e bello all’apparenza, ma in realtà torturato e soggetto alle più ardue sofferenze. Duro e resistente come il diamante, ma delicato e appassito come un fiore esposto al sole per troppo tempo. Sbatto le ciglia e per qualche istante ho l’impulso di tornare alla parete e continuare a fracassare il muro lapideo. Ma dopo qualche secondo di incertezza, scuoto la testa velocemente e aggrotto la fronte.
  Che cosa mi sta succedendo? Perché sono vittima di tutti questi tormenti? Perché non riesco più a darmi tregua? Ah già, dimenticavo. Io sono il creatore della ragazza di fuoco, sono colui che ha dato vita al simbolo della ribellione. Ecco perché. In questo momento gli abitanti di Capitol City mi staranno etichettando con le più colorite bestemmie che conoscono, è molto probabile che abbia già anche una taglia elevata sulla testa. Effettivamente, è quasi un miracolo che nessuno si sia ancora occupato di me, fino ad ora.
  Esco dal bagno nello stesso istante in cui un cigolio riempie il silenzio glaciale della stanza. La porta di fronte a me si apre lentamente per mostrare una figura minuta e spaventata. La osservo attentamente, potrei disegnare il suo corpo nei minimi particolari ad occhi chiusi. Lei accenna un sorriso incerto di risposta, non sembra fare caso alla mia fasciatura. Meglio così, non sono in vena di dare spiegazioni. La accolgo fra le mie braccia con una smorfia a trentadue denti e insieme ci ritroviamo abbracciati. Cerco in tutti i modi di trasmetterle calore, fiducia e coraggio, anche perché sono più che sicuro che uno di noi due non vivrà ancora a lungo. D’altronde, la rivoluzione vive grazie a noi, e chi deve pagare il prezzo maggiore?
  Smetto di pensare al nostro destino e concentro la mia attenzione sul compito a me assegnato. Le indico subito il bagno e la invito a fare una doccia, in attesa dell’entrata nella Camera di Lancio. Non parliamo, ci limitiamo a guardarci intensamente e a muovere leggermente gli angoli della bocca, perché per un’intesa come la nostra le parole sono pressoché inutili. Le do l’accappatoio e le apro il getto d’acqua. Nel momento in cui sfioro la sua pelle noto che trema incessantemente, come se fosse percorsa da mille scariche elettriche. Distolgo lo sguardo e decido di aspettarla seduto sulla poltrona di fianco alla parete ermeticamente metallica che mi da le spalle. Chiudo ancora gli occhi, e con un sospiro rassegnato mi lascio trasportare dai ricordi che mi annebbiano la mente.
 – Papà, mi aiuti? Non riesco a vedere – socchiudo gli occhi in una smorfia disgustata e con l’indice punto il dito contro una vecchia capitolina davanti a me. La sua enorme parrucca arancione mi oscura tutta la visuale della Sfilata, e io non ho alcuna intenzione di perdermi nemmeno un singolo istante. Sbuffo rassegnato, ma sorrido quando mio padre mi afferra e delicatamente mi posa sulle sue spalle. La parata ha inizio, l’atmosfera si tinge di colori sgargianti e i Tributi ci appaiono alla vista. Ma io non mi concentro sui loro volti, bensì mi soffermo sugli abiti. Sono a dir poco affascinanti, con i loro tessuti fini e preziosi. Mi brillano gli occhi mentre i carri mi passano davanti.
 – Papà, mi insegni a fare dei vestiti belli come quelli? – chiedo con tono innocente, la voce impregnata di acuto desiderio e pura curiosità infantile.
 – Perché no? – azzarda lui, lo sguardo divertito. Mi prende in braccio e si accinge ad osservarmi attentamente con uno strano cipiglio. – Potresti fare lo stilista da grande, guadagneresti un sacco di soldi. E poi, quale miglior lavoro se non uno che includa anche gli Hunger Games? 
 Penso intensamente a come sarebbe la mia vita da grande in questa prospettiva, e dopo qualche secondo storto il naso contrariato. Successivamente, assicurandomi che non mi senta, sussurro: – Ma a me non piacciono questi Giochi.
  Sto tremando. Mi asciugo il sudore dalla fronte e mi alzo in piedi barcollando. Lacrime copiose mi calano dagli occhi prima che riesca ad impedirlo, mi affretto ad asciugarmi le guance con un lembo del vestito. Sento una porta spalancarsi dietro di me, e la figura di Katniss in accappatoio mi si presenta davanti. Le accenno un sorriso di incoraggiamento e velocemente le mostro la divisa di questa Edizione. Ci guardiamo spesso negli occhi, io mi posso riflettere nei suoi grigi ed umidi che celano una paura incontenibile. Prima che me ne accorga ci ritroviamo ancora abbracciati, e io faccio di tutto per non farla sentire abbandonata, per non farla sentire morta in partenza.
  Molto lentamente ci sciogliamo dall’intreccio che abbiamo formato e come l’anno precedente le attacco la spilla della Ghiandaia Imitatrice sull’estremità del tessuto interiore della divisa. Tremante, Katniss pare sussurrare un grazie di risposta.
  Subito dopo, prendo a guardarla intensamente negli occhi, finché una fiamma non mi divampa nel petto. Mi avvicino e le prendo la testa fra le mani, avvicinando la mia fronte alla sua.
  –  Ricordati – sospiro leggermente, la voce ferma e profonda –  che io punto ancora su di te.
  Ciò che dico sembra spaventarla ancora di più, e quando ormai mancano trenta secondi all’entrata riesco a sentire i suoi denti che battono contro la mascella. Occupa il tempo che le rimane osservando attentamente la stanza in ogni suo minimo particolare, come se fosse l’ultima parte della realtà a cui potrebbe restare aggrappata. Entra nella Camera di Lancio appena in tempo, e successivamente si volta verso di me, lo sguardo carico di ansia e timore. Io come sempre le sorrido, cerco in tutti i modi di farla sentire protetta e al sicuro. Questo mio tentativo, però, dura fin troppo. Passano svariati secondi, ma la figura di Katniss è sempre davanti a me, non si muove di un millimetro. Entrambi assumiamo un’espressione confusa, io le faccio un’alzata di spalle. Cosa sta succedendo? Perché la piattaforma non si solleva?
  Improvvisamente una sorta di esplosione amplificata riempie il silenzio glaciale della stanza, Katniss mi guarda impaurita, grida e si dibatte contro la Camera di Lancio per cercare di uscire. Io sono ancora più in confusione, e non faccio a tempo a girarmi che mi sento prendere per le braccia. Vengo piegato e successivamente una ginocchiata alla nuca mi costringe a cedere e accasciarmi in ginocchio a terra. Il colpo è ben assestato, ma è niente in confronto a ciò che viene dopo. Distinguo dei Pacificatori brandire una sorta di frusta e iniziare a scalfirmi la pelle con pesanti tagli. Io alzo gli occhi lacrimanti verso Katniss e le lancio uno sguardo supplicante, ma per quanto lei si dimeni non riesce ad accorrere in mio aiuto. Sento una presa ferrea da dietro e vengo trascinato fuori dalla stanza come fossi un pesante sacco di patate. Le urla della ragazza in fiamme mi risuonano ancora nella testa e mi accompagnano per tutto il doloroso tragitto. La schiena brucia come non mai, ogni minimo movimento punge terribilmente sulla mia carne lacerata e mi costringe a mordermi il labbro per soffocare le urla. Il dolore lancinante che sto provando mi fa chiudere gli occhi e rende la mia pelle sempre più fredda e grigiastra ogni minuto che passa. Se prima cercavo di dimenarmi e tentavo di liberarmi, adesso non riesco neanche più a muovermi di un centimetro. Non so dove mi hanno portato, né per quanto tempo mi hanno trascinato nella polvere, ma ad un tratto gli spasmi diminuiscono e mi ritrovo immobile contro una parete, le mani legate con delle pesanti catene dietro la schiena.
  La stanza dove mi trovo è strana, consumata nel suo lusso e fin troppo colorata per i miei gusti. Sbianco e sbarro gli occhi quando in lontananza sento una voce trapassarmi il cervello come una freccia avvelenata.
 –  A dir poco sublime, non credi? – un tono soave nella sua brutalità, delicato nel suo disprezzo mi rimbomba nella testa. –  Eppure, non sempre le cose vanno per il verso giusto. La Ghiandaia Imitatrice ha smesso di volare, le abbiamo spezzato le ali.
  Un lieve fruscio sferza l’aria e sento il mio corpo spezzarsi letteralmente in due. Non capisco più niente, l’ultima cosa che avverto prima di affondare nell’oscurità è un fastidioso e acre odore di sangue e di rose inalarmi le narici e perforarmi i sensi. 

Angolo autore:
Riecco lo scemo in persona! Se ve lo steste chiedendo, sì. Sono ancora vivo. Ma tra vacanze, caterbe di compiti e altre storie non sono riuscito ad aggiornare prima :( Se poi penso che questo capitolo speravo mi uscisse anche meglio, posso direttamente prendere una corda ed impiccarmi. Vabbé. Spero che comunque voi lo apprezziate :)
OS sulla morte di Cinna. Ecco, non essendo descritta dalla Collins, ho voluto aggiungere qualcosa di mio :3 Nel senso, Katniss l'ultima volta che lo vede è quando lui viene picchiato, ma non si sa se muoia lì oppure dopo, e io ho deciso di personalizzare u.u
Insomma, spero vivamente che vi piaccia e invito tutti a recensire e scrivere le vostre opinioni. Per me contano moltissimo <3
Detto questo, ringrazio chi legge, recensisce e mette la storia fra le preferite/ricordate/seguite :D Vi adoro u.u
Alla prossima!! C: 

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