L'amore segreto

di BecauseOfMusic_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Due Mesi Prima ***
Capitolo 3: *** Itinerario e Partenza ***
Capitolo 4: *** La fuga (parte prima) ***
Capitolo 5: *** La fuga (parte seconda) ***
Capitolo 6: *** Le bugie hanno le gambe corte e la spada veloce ***
Capitolo 7: *** Qualcuno ha un segreto. ***
Capitolo 8: *** Tieniti stretti gli amici e ancora più vicini i nemici. ***
Capitolo 9: *** Ricordi di famiglia...o quasi. ***
Capitolo 10: *** Tic Tac Tic Tac ***
Capitolo 11: *** Tempo Scaduto ***
Capitolo 12: *** Di nuovo prigioniera ***
Capitolo 13: *** Le donzelle, a volte, piovono dal cielo ***
Capitolo 14: *** Guardare in faccia il passato ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Angolo autrice:
ciao a tutti :)
Ho cominciato a scrivere questa storia perchè sono rimasta colpita da un personaggio in particolare, e ho voluto mettere in risalto la sua storia d'amore, visto che nei libri non ha una compagna...
perdonatemi se stravolgerò un po' le pagine della vera storia della Francia, ma il mio interesse riguarda principalmente la vicenda in sè e non il periodo in cui l'ho ambientata...
Perdonatemi anche se non sempre rispetterò gli usi e i costumi di quest'epoca, in particolare per le donne (naturalmente mi riferisco all'uso delle armi e dell'abbigliamento da battaglia)
detto questo ci tengo a ribadire che è solo frutto della mia fantasia, quindi potrebbero esserci delle imprecisioni geografiche, anche se cercherò di essere il più verosimile possibile.

Buona lettura! 
BecauseOfMusic_




Lylith riuscì a disimpegnare la spada dallo scudo del mercenario che aveva di fronte, facendogli perdere l'equilibrio. Approfittò del momento di distrazione del suo avversario per affondargli la spada nel petto con un grido di rabbia selvaggia.

Estrasse l'arma dal cadavere, ansante, e si rese conto di non avere più scampo quando vide l'uomo che le stava di fronte, comodamente seduto in sella al suo palafreno nocciola.

“Madonna, noto con piacere che vi siete finalmente accorta della mia presenza”

“E come avrei potuto continuare ad ignorarvi?” rispose sprezzante “avete quasi raso al suolo un villaggio per costringermi ad uscire allo scoperto. Avrei forse dovuto lasciarvi uccidere senza pietà uomini, donne, bambini ed anziani che non hanno altra colpa, se non quella di avermi dato asilo nel momento del bisogno?”

“In pratica mi state dando del tiranno, del despota: dico bene?” le fece di rimando con un sorriso che non lasciava presagire nulla di buono.

“Oh, no: tiranno è un complimento” disse lei con l'aria di volerlo rassicurare “voi non siete un despota, voi siete un vigliacco, accecato dalla sete di potere: non siete neppure degno di essere definito uomo perché...”

Un manrovescio del soldato che le aveva frattanto legato i polsi le impedì di proseguire con le ingiurie.

“attenta donna!” la reagudì l'uomo a cavallo “potrei scordarmi quale valore politico avete per me, e farvi giustiziare per aver opposto resistenza ai soldati del re”

Lei non riuscì a controllare la rabbia “soldati del re?! Soldati del re?! Non sono i vostri soldati! Sono mercenari, pagati con l'oro e l'argento che ricavate imponendo numerose tasse ad un'Inghilterra stremata dalle fatiche! Non mi meraviglia che non abbiate più soldati o feudatari disposti a eseguire i vostri ordini dopo la disfatta di Bouvines...”

L'ira dell'altro era ormai evidente: scese da cavallo sguainando la spada, con il preciso intento di ucciderla, poi sembrò riprendere il controllo di sé.

“Ah, milady, ma voi state cercando di spingermi ad un gesto estremo, state tentando di far si che io perda il mio possibile vantaggio su vostro padre...”

Lei non rispose, fissandolo con odio, i lunghi capelli castani frustati dal vento.

L'uomo risalì in sella al suo destriero e con un colpo di speroni si avviò verso il centro del villaggio, guidando i suoi soldati: “ci accampiamo qui per questa notte: sarete mia ospite” aggiunse in un sogghigno.

Poco tempo dopo, quando il campo era montato, fece chiamare un uomo e gli consegnò una busta, sigillata dalla cerlacca, con impresso il suo simbolo reale: i nove leoni.

“dovete portarla in Francia, a Parigi, alla corte del re Filippo Augusto. Deve riceverla direttamente dalle vostre mani: sono stato chiaro?” il soldato annuì, mentre Giovanni Senza Terra si raccomodava pigramente sullo scranno < vedremo se sarà disposto a rinunciare alla conquista della corona inglese per salvare sua figlia > pensò sorridendo malvagiamente tra se e lanciando un'occhiata in tralice alla fanciulla, ancora legata e seduta a terra.  


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Capitolo 2
*** Due Mesi Prima ***


Ian si svegliò di soprassalto nel silenzio denso del mattino: aveva avuto un incubo. Credeva di essere ancora prigioniero a Dunchester e che Martewall avesse scoperto tutto: immaginò con un brivido la reazione del re e di suo fratello Guillame; invece, per fortuna, si trovava a casa, nel suo letto, accanto a Isabeau. Sorrise e si volse verso di lei, che ancora dormiva: i boccoli biondi sparsi sul cuscino, le spalle nude che si intravedevano sotto il lenzuolo... lo sguardo del giovane scese poi con un lampo di gioia verso la pancia sempre più prominente della moglie. Marc stava per venire al mondo, ormai mancava davvero poco.                                                                      
In quel momento, dopo due anni e mezzo di lontananza e il viaggio forzato in Inghilterra, nella luce soffusa di quel giorno che nasceva Ian sentì di amarla più che mai, e non rimpianse neppure un po' la sua scelta di abbandonare la vita del mondo moderno per restarle accanto. “Non mi allontanerò mai più da te, lo giuro” sussurrò poggiando le labbra sulla fronte di lei.

 

***

Frattanto, al porto di Glenhaven un messaggero sbarcava da una nave mercantile; sulla livrea portava i colori di Guillame de Ponthieu.
Non appena riuscì a recuperare il suo cavallo montò in sella e si diresse di gran carriera verso il maniero di Dunchester: nella doppia cucitura della cintura, alla quale portava anche la spada e un corto pugnale, stava ripiegata una lettera, scritta dal re Filippo II Augusto, che recava anche il sigillo reale.                                                                                                                                                                                          
 Dopo quasi due ore e mezzo di viaggio si ritrovò sotto la cinta muraria più esterna, di nuovo in costruzione e chiese alle sentinelle di essere ricevuto da sir Geoffrey Martewall, signore del feudo. Lasciarono che entrasse in città, fino alla terza cinta muraria, dove gli andò incontro sir Hector, divenuto oramai il braccio destro del cavaliere                                                                                                                                
 “Il mio signore non può ricevervi ora” cercò di spiegare con il suo scarso francese “è insieme a dama Leowynn, stanno pregando per il padre, sir Harald”                                                                                                                                                                                                  
“Porto una missiva di sua maestà il re di Francia” replicò l'altro con freddezza “non posso attendere” sir Hector chinò il capo in cenno d'assenso, e spedì un servo a chiamare Martewall.

Questi fu altamente irritato dall'interruzione, ma scese immediatamente nel cortile quando comprese chi gli aveva spedito la lettera.

Il messaggero di sfilò la cintura, sotto gli sguardi confusi dei presenti, estrasse il pugnale e fece saltare la cucitura per porgere una busta ripiegata al barone.                                                                                                                                                          
“Sua maestà mi vuole a Chatel-Argént il prima possibile” rispose allo sguardo interrogativo del suo cavaliere, dopo aver letto le poche righe scritte con una calligrafia minuta.                                                                                                                                                                    
“Partirò domani, riferite a chi di dovere” dichiarò poi all'uomo.                                                                          
“Dovete distruggere quel messaggio, sir” replicò allora il suo interlocutore, che non era neppure sceso da cavallo: volse l'animale e ripartì al galoppo.

 

***

Un'anonima carrozza sostava nella cinta muraria più interna di Chatel-Argént, attirandosi gli sguardi curiosi di tutti i servi, indaffarati nelle loro attività giornaliere; Ian, che non aspettava visite, rivolse a Isabeau uno sguardo interrogativo alla quale lei rispose con un'alzata di spalle.

Si trovavano ancora in camera, dato che lui aveva insistito perchè non si affaticasse a camminare per tutto il castello nelle sue condizioni. Stavano discutendo, perché lei non voleva saperne di restare confinata nel castello invece di godersi l'aria aperta in giardino, quando la carrozza aveva fatto il suo ingresso in cortile, e un servo era corso ad avvertire il padrone di casa che qualcuno lo attendeva nella stanza principale dell'edificio.

“Vai, non ti trattengo” disse Isabeau irritata
“Non prima che tu mi abbia promesso che non uscirai da questa camera” fece lui di rimando.
“Adesso non sono più padrona di andare dove voglio!” replicò allora la donna con una nota di protesta nella voce. Ian riempì la distanza tra loro e sfiorò le sue labbra con un bacio
“E' solo perché tu non devi fare nulla che possa mettere in pericolo te o il bambino, e se devo arrivare a far sorvegliare la porta dalle guardie giuro che lo farò”
“Sei impossibile” sospirò lei sconfitta, per poi accarezzargli una guancia e baciarlo di nuovo.
Ian le sorrise e poi si diresse verso la porta “torno presto a farti compagnia, lo prometto”

 

Quando entrò nella sala principale il conte cadetto di Ponthieu rimase di sasso: ad aspettarlo c'erano Guillame e il re in persona, che però gli dava le spalle, e osservava il cielo plumbeo fuori dalla finestra.

“Maestà” esordì allora, del tutto impreparato alla presenza del sovrano “che sorpresa! Se avesi saputo del vostro arrivo...”
“Non è una visita di cortesia” si affrettò a chiarire Filippo Augusto, voltandosi verso di lui.

Ian osservò che i lineamenti del re sembravano meno giovani di come li ricordava, le rughe più profonde, gli occhi grigi spenti, preoccupati.

“Di cosa si tratta allora?” domandò, osservando che anche il conte sembrava piuttosto teso e stanco
“Si tratta di una missione importantissima, che so di poter affidare solo a voi” Guillame annuì con vigore.
“Ditemi”
“Si tratta della rivolta dei baroni: pare che re Giovanni abbia appena trucidato senza pietà una parte dei nobili inglesi e i loro casati, spaventando così gli altri. Inoltre corre voce che mio figlio Luigi sia morto...” Ian strabuzzò gli occhi < non è possibile! > obbiettò la sua mente < non è così che dovrebbe andare! >

Filippo Augusto interpretò il suo gesto come incredulità

“Si, so bene cosa state pensando, che se fosse così il futuro della famiglia reale sarebbe in pericolo, poiché la moglie di mio figlio è incinta, ma sapremo il sesso del nascituro solo dopo il parto, e se fosse una femmina...” si passò stancamente una mano sul viso.
“Ma in realtà non è per questo che sono qui. La rivolta, se proseguirà, diventerà ancora più sanguinosa, ed io ho un debito d'onore da mantenere” Il giovane americano chinò leggermente il capo, segno che stava ascoltando attentamente
“Anni fa mandai un mio feudatario vassallo e sua figlia in Inghilterra, perché facesse da spia per me, travestendosi da contadino. Lui mi strappò una promessa prima di imbarcarsi: se gli fosse successo qualcosa sarei divenuto il protettore della ragazza. Ora purtroppo è stato ucciso dai soldati di Giovanni, ed io devo mantenere la parola data. Chiaramente non posso recarmi di persona laggiù a prenderla, ed è qui che entrate in gioco voi.”
“Io, mio signore?” chiese Ian perplesso
“Si, voi.” replicò laconico il re “Non so in quale modo, ma il Senza Terra è riuscito a scoprire l'esistenza della fanciulla, e conta di fare pressione su di me perché io smetta di appoggiare la rivolta, usandola come ostaggio...”
“Ma” cercò di intervenire Ian. Ponthieu tossì violentemente per zittirlo.
“Per fortuna però lei si sposta in continuazione, e non è facile per lui scovarla. So per certo che è sconvolta e cerca vendetta per la morte del padre, confido in voi perché la riportiate in Francia sana e salva, e la convinciate grazie alle vostre qualità diplomatiche”
Il giovane si arrese, capendo di non potersi opporre in alcun modo “Dove è stata vista l'ultima volta?”
“Nelle terre di sir Murrow, se ben ricordo. Ho un'ultima richiesta, messieur: riportatemela in poco tempo. Meno state in Inghilterra, meglio mi sentirò”
“Maestà, come potrò muovermi senza destare sospetti? Non conosco quei territori!”
“A questo si può rimediare facilmente, ti ho già trovato una guida” replicò il conte Guillame.

Nello stesso momento un servo aprì le porte della sala, rimaste chiuse fino a quel momento e, sotto la sguardo attonito di Ian e quello serio del re, apparve Geoffrey Martewall.






angolo autrice:
Ciao a tutti :)
ecco qui il primo vero capitolo della mia storia...
come vi avevo predetto ho leggermente stravolto la storia della famiglia reale francese, ma capirete presto perchè, promesso :)
spero vi sia piaciuto, se c'è qualcosa che non vi convince fatemelo sapere, sono sempre disposta ad accettare buoni consigli per migliorare...

Il prossimo capitolo arriverà presto.
un bacio

BecauseOfMusic_

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Capitolo 3
*** Itinerario e Partenza ***


Ciao Lettori!! :DD
Sono così contenta di essere riuscita a finire il terzo capitolo!!
Quindi...Eccolo quiii!!!
Spero tanto che vi piaccia, fatemi sapere moolto presto capito?!!
 un bacio (:

BecauseOfMusic_





“Benvenuto, sir Martewall” disse Filippo Augusto con flemma “Vi ringrazio, poiché siete accorso alla mia chiamata” il barone inglese fece un inchino.
“Ho fatto il mio dovere maestà, tutto qui.”
“Le mie spie vi hanno tenuto aggiornato sugli spostamenti della ragazza?” chiese Ponthieu con fare pratico.
“Si, naturalmente, anzi, sono state molto efficienti” concesse l'altro “Attualmente la ragazza si trova in un villaggio al confine tra le mie terre e quelle di sir Murrow; perlomeno era lì che sostava quando sono salpato dal porto di Glenhaven”
“Hanno idea di dove sia diretta?” chiese con apprensione il re.
“No, perché lei non è diretta da nessuna parte.”
“Come?” domandò Ian, perplesso da quell'affermazione.
“Non è diretta in alcun luogo, sta semplicemente seguendo un convoglio di mercenari al soldo di Giovanni Senza Terra, che stanno viaggiando di villaggio in villaggio a riscuotere le tasse.” disse Martewall, non senza una nota di rabbia nella voce.
Ponthieu espresse la curiosità di tutti i presenti “Perché mai dovrebbe seguirli?”
“Perché non è stato un soldato qualunque di Giovanni ad uccidere suo padre, ma il comandante dei mercenari, che viaggia con quel convoglio”
“E come pensa di vendicare la sua morte?”
“Questo non lo so” rispose l'inglese in un'alzata di spalle “Immagino che cercherà di avvelenargli il cibo o qualcosa del genere...”
“E finirà per farsi scoprire e catturare” abbaiò Filippo Augusto sbattendo un pugno sul grande tavolo in legno al centro della sala.
“Maestà, calmatevi, capiamo tutti la vostra preoccupazione, ma se continuiamo a pensare al peggio non risolveremo nulla.” gli disse il suo feudatario, richiamandolo alla ragione “Jean, messieur Martewall, voi capirete che è indispensabile trovarla prima che commetta un atto tanto imprudente, che le causerebbe solo guai, e soprattutto la cattura, come ci ha ricordato il nostro sovrano.”
“Per quanto mi riguarda possiamo anche partire subito per il porto più vicino e prendere domattina un mercantile diretto in Inghilterra.” dichiarò il barone.
Ian era piuttosto contrariato, Marc sarebbe potuto nascere di lì a otto settimane al massimo, e lui non voleva lasciare sola Isabeau proprio in quel momento: inoltre le aveva promesso che non si sarebbe allontanato mai più da lei, ed ora doveva andare a dirle che sarebbe ripartito forse la sera stessa per tornare in Inghilterra.
< La capirei se non volesse più parlarmi > pensò in un sospiro.
“Qualcosa in contrario Jean?” la voce di Guillame lo riportò alla realtà e lui si accorse che erano rimasti solo loro nella sala.
“No, stavo solo pensando a mia moglie, e alla promessa che le avevo fatto. Ora dovrò infrangerla” disse con dolore, più a se stesso che al conte.
“Isabeau è una donna forte, coraggiosa, ma soprattutto non è una sprovveduta: capirà che non puoi opporti al volere del sovrano” considerò l'altro dandogli una pacca sulla spalla “Comunque potrai passare con lei il resto della giornata, partirete al tramonto.”
“Viaggeremo di notte?”
“Si, il porto più vicino è quello da cui sei tornato dopo la prigionia in Inghilterra, e il mercantile che vuole prendere Martewall partirà domattina, quindi è inutile che partiate ora, per poi dover passare la nottata in una locanda lungo la strada: vi riposerete per bene e partirete stasera, quando la strada sarà meno trafficata.”
Ian seguì il fratello nel cortile e si inchinò profondamente per salutare il re, già risalito in carrozza.
Guillame lo salutò, poi prese posto a sua volta accanto a Filippo Augusto, e disse al conducente di far partire i cavalli.
Mentre la carrozza si allontanava Martewall gli si affiancò
“E così tornerai di nuovo in Inghilterra, con me.”
“Così pare” fece Ian di rimando.
“Non mi sembri contento, dopotutto oserei dire che l'altra volta ci siamo divertiti..”
in cambio di questa affermazione il barone ricevette un'occhiataccia.
“No, io non oserei dire, invece. Attraverseremo nuovamente terre ostili”
“Mi stai forse dicendo che hai paura dei nemici, Falco?” ironizzò Martewall.
Ian non riuscì a trattenere una smorfia quando si accorse che Isabeau stava scendendo i gradini del maniero di corsa, e doveva aver già saputo tutto, perché pareva sul piede di guerra.
L'altro seguì il suo sguardo e, per la prima volta da quando si conoscevano, nei suoi occhi freddi si accese un guizzo divertito.
“Ah” esclamò “ora capisco tutto. Beh, non priverò oltre tua moglie del piacere della tua compagnia, ci rivediamo al tramonto” e si dileguò tornando dai suoi uomini.

***

 

Negli stessi istanti, oltremanica, in una locanda su una delle tante strade dirette a Londra, una giovane donna misurava a grandi passi la piccola stanza che aveva affittato per quella notte; sperava in un colpo di fortuna, magari in un'allarme esterno, che facesse allontanare la maggior parte dei soldati che dormivano nel fienile lì accanto, per potersi introdurre ed uccidere il comandante indisturbata. Non si sarebbe fatta prendere dalla pietà questa volta: gli avrebbe affondato il pugnale nel petto, dritto al cuore, fino all'elsa.
“Promettimi che non diventerai un'assassina a causa mia figliola”
Ricordava bene quelle parole, lo sguardo di supplica e di amore che gli occhi di suo padre, neri come la pece, avevano alzato su di lei, mentre le moriva tra le braccia, colpito a morte da Wenning.

Sentì ancora una volta l'odio ribollirle nel petto: non era riuscita a promettere, perché sapeva che si sarebbe vendicata, avrebbe inseguito quel verme fino in capo al mondo se necessario, e l'avrebbe guardato negli occhi mentre la vita lo abbandonava.
Si era portata la cena in camera, perché non la notassero e tentassero di avvicinarla, e aveva nascosto sotto una mantella con il cappuccio i suoi capelli lunghi e piuttosto folti, perché non la rendessero riconoscibile; si avvicinò al piccolo bacile di legno pieno d'acqua che era riuscita ad ottenere da uno dei garzoni della locanda, passandogli sotto banco ben due monete d'oro, per potersi lavare le mani, che sarebbero state sicuramente sporche di sangue.
Fissando lo scuro riflesso del suo viso si accorse che l'unica cosa che spiccava, dopo che lo aveva nascosto sotto uno spesso strato di polvere e terra, erano gli occhi: di un colore così particolare da essere forse unico al mondo; quegli occhi, che la fissavano pieni di feroce determinazione erano il suo unico legame con quell'uomo...
Scosse la testa, scacciando quei pensieri cupi, che venivano a tormentarla ogni volta che si fermava troppo a ricordare. Vide uno dei garzoni spegnere le torce fuori dal fienile, così comprese che era arrivata l'ora di compiere la sua vendetta: se l'avessero catturata a opera finita che importava! Oramai non avrebbero più potuto salvare quell'uomo maledetto.
Le sue labbra si incresparono in un sorriso sottile e sinistro: strinse il pugnale, che portava nascosto sotto gli abiti e si diresse verso l'uscio.

 

In pochi minuti raggiunse il fienile, vi si introdusse e riuscì a raggiungere la sua vittima: oramai aveva imparato a riconoscerla anche nel buio più fitto.
Il battito accelerato del suo cuore le sembrava un tamburo, che avrebbe potuto farla scoprire.
Decise di ignorare quella paura irrazionale e avanzò nel silenzio, interrotto solo dal russare del mercenario che avrebbe dovuto fare da sentinella.
Wenning era lì, dinanzi a lei, inerte: non avrebbe potuto difendersi, non avrebbe avuto il tempo di gridare, raggiungere la spada o avvisare i suoi sottoposti.
Alzò la mano destra, e si preparò a colpire.
D'un tratto l'immagine di suo padre agonizzante si sovrappose a quella del soldato addormentato, e un altro si rigirò nel sonno, facendola sussultare.
Comprese che sarebbe stato troppo spregevole uccidere così in piena notte: persino per un verme come quello che aveva davanti agli occhi.

Gli rivolse uno sguardo gelido, in cui odio e disprezzo si mescolavano a più riprese
< ci rivedremo > promise < e allora sarà il tuo momento > Poi fuggì fuori, agile e silenziosa come un felino.

***

 

Il cavallo di Ian sbuffò nervoso sotto gli insistenti colpi di sperone del giovane.
“Rallenta, così lo affaticherai, e ci restano ancora diverse miglia da percorrere” lo consigliò Martewall.
L'americano si limitò a diminuire gli incitamenti all'animale e cercò di concentrarsi sulla strada davanti a sé. Il confronto con Isabeau era stato anche peggio di come se lo aspettava: lei non aveva urlato, pianto o detto una sola parola. Aveva preso la notizia e l'aveva accettata così com'era. Ma quando aveva fissato i grandi occhi nocciola accusatori in quelli del marito lui aveva sentito il cuore affondare tra i sensi di colpa: la stava lasciando da sola, di nuovo, quando aveva promesso, giurato che non sarebbe più accaduto.

< Ma come accidenti facevo a rinunciare? > si disse accompagnandosi con un gesto di stizza < Gli dicevo “mi spiace maestà, si trovi qualcun altro”? Come no! Poi oggi era proprio di buon umore, non avrebbe obbiettato, figuriamoci! >
Passò di nuovo in rassegna la storia che gli aveva raccontato il sovrano, e come ogni volta sentì che mancava un tassello, un pezzetto del puzzle. < Qualcosa non quadra: perché mai dovrebbe far rischiare la vita ad uno dei suoi uomini di fiducia per una ragazza? Poteva fare in modo che gli emissari di Guillame la prendessero, anche con la forza, e la portassero qui in Francia. Avrebbe potuto fingere di non sapere che la sua spia era morta, avrebbe avuto un problema in meno. > considerò aggrottando la fronte < E poi perché proprio io? Non sono l'unico tra quelli a lui fedeli ad essere bravo nella diplomazia... no > concluse infine < c'è qualcosa che non torna, qualcosa che non mi hanno detto, forse per sbaglio, forse appositamente, ma il debito d'onore non è il vero motivo per cui io sto rischiando di nuovo la vita >

“Sei silenzioso. Dimmi a cosa pensi” gli disse il suo compagno di viaggio.
Ian si riscosse e fissò le orecchie del destriero
“C'è qualcosa che non mi convince in tutto questo. E' come se mancasse una base solida a tutta la faccenda, ma non riesco a capire quale possa essere la vera ragione della nostra spedizione...”
“E' quello che mi sto chiedendo anch'io” gli fece eco Martewall “Deve esserci sotto qualcosa di grosso, anche perché l'uomo che mi ha portato la lettera del re è stato trovato morto ai bordi della strada da uno dei miei uomini.”
“E' stato trovato morto?” chiese Ian incredulo.
“Si, l'ho detto durante l'udienza a tuo fratello, non hai sentito?” L'americano scosse la testa.
“No,devo aver perso una parte del discorso...”
“All'inizio ho creduto che fosse stato aggredito dai briganti, ma non lo avrebbero spogliato e lasciato ai bordi della strada: volevano che fosse trovato, come avvertimento suppongo...”
“Per quale motivo l'hanno spogliato?”
“Forse cercavano la lettera di Filippo Augusto, e immaginavano che fosse nascosta tra i vestiti: così li hanno presi.”
“Ma perché tanto interesse per questa ragazza?”
“Forse saprà dircelo lei quando la troveremo” concluse Martewall in un'alzata di spalle.
Ian non rispose, lasciando affondare il discorso nel silenzio, insieme ai suoi dubbi.
Qualche ora dopo cominciò a rischiarare ad oriente, e i due cavalieri si accorsero di avere percorso più di metà strada, così spronarono i cavalli verso la città e il porto, aiutati dalla luce crescente.
< Devo riuscire a trovarla e convincerla a venire con noi in un mese e mezzo al massimo: voglio tornare al più presto dalla mia famiglia.> era l'unico pensiero del Falco d'Argento.

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Capitolo 4
*** La fuga (parte prima) ***


Ciao a tutti!! :DD
Mi scuso per l'assenza, ma ho avuto diversi 'contrattempi' e non sono riuscita a pubblicare il quarto capitolo.
Ora però sono qui e spero che vi piaggia ciò che ho scritto.
Aspetto le vostre numerose recensioni.

Un bacio grande

BecauseOfMusic_




Nei giorni seguenti il re rimase ospite del conte di Ponthieu ad Auxi-le-Chat, mentre la corte si preparava a riprendere il viaggio alla volta di Parigi.
I due ebbero numerosi colloqui, molti dei quali si tramutarono in accese discussioni, che terminavano sempre in parità; entrambi erano d'accordo sul fatto che la ragazza andasse trovata e riportata in Francia il prima possibile, ma mentre Filippo Augusto intendeva mostrarla alla corte e restituirle il posto che le spettava, Ponthieu continuava a ribattere che era una pessima idea.
L'aveva fatta controllare e seguire dai suoi emissari negli ultimi mesi, e aveva imparato a conoscerne il carattere: era orgogliosa, e intraprendente, e non avrebbe sicuramente accettato la carità, neppure da uno degli uomini più potenti d'Europa.
L'altro però non voleva sentir ragioni
“Non ha motivo di non accettare, e se non lo farà basterà spedirla nelle segrete dei Soisson per un mese o due, cambierà sicuramente idea”
< é troppo testardo e spaventato dalla situazione per poter ragionare con lucidità > pensò il conte con un moto di stizza, rientrando nella sua camera dopo l'ennesima discussione con il sovrano. Si affacciò alla finestra ed osservò il frenetico movimento delle strade del borgo, viaggiando con la mente avanti e indietro tra i suoi ricordi.

In un sospiro rivolse una preghiera all'uomo che aveva accolto come fratello non molto tempo prima.

< Jean, fai in fretta, ti prego. L'Inghilterra è ostile, e non ho dubbi che la rivolta diventerà ancora più sanguinosa e violenta, perciò prima tornerai a casa, prima io e tua moglie torneremo a dormire sonni tranquilli >

***

Ian si abbandonò con un sospiro frustrato sul letto che aveva pagato per quella notte alla locanda.
Erano tre settimane che lui, Martewall e due emissari di Ponthieu che li avevano raggiunti al loro sbarco viaggiavano senza sosta, travestiti da mercanti, cercando in lungo e in largo il convoglio di mercenari e la ragazza, che ancora li seguiva.
Anche se si erano avvicinati molto negli ultimi giorni, i soldati erano sempre a mezza giornata di cammino da loro, e si fermavano solo a notte tarda, riposando molto poco.
< é snervante! > sbuffò l'americano < Ogni volta che arriviamo dove dovrebbero essersi fermati loro sono già ripartiti da mezz'ora! Perlomeno Guillame ha mandato in avanscoperta le sue spie, che controllano a debita distanza l'itinerario preso dal convoglio, altrimenti brancoleremmo nel buio. >
Un garzone entrò portando la cena, seguito dal barone inglese; posò i piatti sul davanzale della finestra, chiuse le imposte e uscì, in silenzio.
Ian fece per alzarsi, ma tutti i suoi muscoli protestarono per lo sforzo, inchiodandolo al letto: tutto quel viaggiare a cavallo lo aveva sfiancato, non era più abituato a passare tante ore in sella, negli ultimi mesi era stato troppo impegnato nell'amministrazione del feudo per trovare il tempo di fare passeggiate a cavallo.
Martewall lo fissò accigliato mentre cominciava a mangiare

“I due uomini non possono proseguire con noi in questi territori, all'alba torneranno indietro verso Dunchester” disse senza tanti preamboli.
“Cosa?” il giovane americano rimase spiazzato. Sperava che le spie del fratello li accompagnassero per tutto il viaggio: se si fossero trovati in una situazione pericolosa una mano in più avrebbe fatto comodo, soprattutto perché, in duello, difendere sé stessi è un conto, ma se avessero dovuto proteggere l'incolumità della ragazza contro un gruppo di dieci soldati bene armati...
“Dicono che sono già stati in questi territori sotto mentite spoglie, e potrebbero essere riconosciuti, mandando a monte la ricerca.” proseguì l'altro torvo.
“Domattina tenterò comunque di convincerli a proseguire ancora un po' con no...” l'inglese gli fece cenno di tacere, alzandosi in piedi di scatto; portò una mano all'elsa della spada, e si avviò a passi felpati verso la porta. Da fuori proveniva il rumore di una lite, dapprima soffocato, poi sempre più forte.

Martewall aprì velocemente il battente, per scoprire due garzoni della locanda, poco più che bambini, litigare per un pezzo di carta: non appena si accorsero di essere stati scoperti cercarono di ricomporsi, sotto lo sguardo gelido del cavaliere.
“L'ha portata mezz'ora fa un uomo vestito di blu sir” balbettò il più giovane dei due “Ha detto di recapitarla agli ultimi due uomini che avevano pagato la stanza” Ian si alzò con un sospiro piuttosto rumoroso e prese la lettera dalle mani tremanti del ragazzo.
“Grazie” disse poi “Ma perché stavate litigando?”
“Io avevo insistito per portarvela di persona sir, insomma quel tale l'aveva data a me la lettera, ma Thom me l'ha strappata di mano, precisando che doveva essere lui a consegnarla, perché vi aveva già portato la cena...” L'americano comprese che avevano litigato pensando che quella missiva significasse magari una mancia più lauta, e avrebbe anche potuto darla a entrambi per farli rappacificare, ma era meglio non farsi distinguere in alcun modo in quei territori ostili, ed era già difficile per via della sua altezza; così li ringraziò entrambi ancora una volta e chiuse la porta, leggendo sulle loro facce la più amara delusione.
Tornò zoppicando al letto, dove aprì la busta.

“Notizie buone?” Chiese l'inglese, che era tornato al suo pasto.
“Si e no” fece l'altro amaro “la buona notizia è che i mercenari hanno deciso di fermarsi per alcuni giorni in un villaggio a due ore di cammino da qui.” Martewall annuì. “La cattiva notizia è che si sono fermati perché intendono scovare la ragazza che ha cercato di aggredire il comandante Wenning ieri sera.”
“Quasi sicuramente si tratta della fanciulla che cerchiamo. Domani decideremo il da farsi”
“Preferirei ripartire tra dieci minuti al massimo, c'è ancora un po' di luce che ci consentirà di arrivare al villaggio; se è lei sarà ancora più difficile scovarla, ora che si nasconde dai soldati, e più aspettiamo, meno sono le probabilità di trovarla prima dei mercenari”
Il barone alzò le spalle “Ci riusciremo ugualmente, tu sei bravo nelle imprese impossibili”
Ian rimase colpito da quello strano complimento, gettato a caso tra una parola e l'altra, ma non disse nulla; dopo la loro fuga dal maniero di Dunchester si era venuto a creare uno strano legame tra lui e Geoffrey: non si odiavano più, avevano sotterrato l'ascia di guerra, anche se Martewall non era ancora convinto che lui fosse davvero Jean Marc de Ponthieu, ma non si poteva certo dire che fossero amici. Entrambi avevano riconosciuto un abile spadaccino e un uomo d'onore nell'altro, ma niente di più.
< chissà > si disse prendendo il suo piatto e cominciando a mangiare velocemente < solo il tempo mi dirà se potrò mai fidarmi davvero di lui >

***

Lylith osservò attentamente da sotto il cappuccio la strada trafficata davanti a se, e scorse tra la folla rumorosa e indaffarata un paio degli uomini di Wenning, intenti a sorvegliare l'uscita dal villaggio.
< Accidenti! > imprecò mentalmente < dovrò riprovare quando sarà buio >
Dato che uno dei due uomini si avvicinava, osservando le persone in strada, lei fece finta di interessarsi ad alcuni polli spennati, esposti su un bancone lì vicino.
Mentre il contadino decantava a gran voce la buona qualità della carne delle bestie, la mente della ragazza tornò indietro alla notte precedente; ci era quasi riuscita, ce l'aveva quasi fatta. Come ogni volta aveva deciso di colpire al buio, si era introdotta nella stanza di Wenning, ed aveva avanzato con passo felpato fino al letto, alzando la mano destra, che stringeva il pugnale ricurvo.
Sperava di poter colpire indisturbata: questa volta era in una camera singola, lontano dai suoi sottoposti, o comunque non abbastanza vicino da poterli avvertire o svegliare. Aveva messo una sola sentinella davanti alla porta, perché si credeva al sicuro. Si era sbarazzata con facilità della guardia: era bastato farle credere di essere in servizio alla locanda, e offrirle del vino cotto con del sonnifero. Sorrise tra se, era crollata dopo soli due sorsi.
Lylith aveva poi fatto ruotare la porta sui cardini, leggermente cigolanti, ed era entrata, sforzandosi di essere il più silenziosa possibile. Era arrivata al letto, ed aveva estratto il pugnale, decisa a tutto questa volta, pur di riuscire nella sua impresa.
Ma contrariamente a quanto lei sperava quel verme era sveglio, così, messo in guardia dallo scintillio della lama, aveva estratto la spada, e l'aveva affondata alla ceca, tentando di colpirla in un punto vitale, ma era riuscito solo a strapparle l'orlo del mantello. Nel muoversi però aveva rovesciato alcune ciotole, che probabilmente prima contenevano la sua cena, mandandole in frantumi sul pavimento e richiamando l'attenzione degli altri soldati; ad un tratto, nella lotta era riuscito ad avvicinarsi al suo volto, e forse l'aveva anche riconosciuta, ma per fortuna lei era riuscita a scappare dalla finestra, nascondendosi poi nella piccola chiesa del villaggio.
Era arrivata talmente vicino al suo obbiettivo che vederselo sfumare davanti agli occhi era forse il maggiore motivo della sua frustrazione
< E' fortunato quel verme > disse a se stessa con rancore < ma la fortuna gira sempre, e quando il vento soffierà dalla mia parte, allora, non avrà alcuna via di scampo >
Frattanto l'altro soldato aveva cominciato ad avanzare incontro al compagno, avvicinandosi sempre più velocemente alla bancarella dove si trovava lei. Non aveva dubbi che l'avessero riconosciuta, ma, dato che si era fatta male ad una spalla durante la colluttazione con Wenning sperava di depistarli e di guadagnare ancora un po' di tempo. Allungò fuori dal mantello la mano destra, scoprendo la cotta di maglia sull'avambraccio, e sperò che bastasse, perché non aveva una spada con se, non poteva affrontarli.
I due, però, caddero nella trappola, ed esitarono ad avvicinarsi ulteriormente, valutando l'idea che non si trattasse di chi cercavano ma di un cavaliere, o di un mercante; un lampo di trionfo dardeggiò negli occhi della giovane, spento nell'istante successivo da una forte folata di vento, che le abbassò il cappuccio del mantello, rivelando la folta chioma castana.
“E' lei, prendiamola!” esclamarono all'unisono i mercenari.
“Accidenti!” imprecò la ragazza, rovesciando senza tanti complimenti la bancarella di pollame, sotto le grida disperate del contadino, e cominciando a correre.

 

Svoltò in una viuzza laterale rispetto a quella in cui si trovava prima, scansando a fatica tutte le casse e le scatole di merce; decise che la cosa migliore sarebbe stata rifugiarsi in chiesa, perché li i soldati avrebbero dovuto chiedere al prete il permesso di entrare armati per catturarla, e lei avrebbe potuto riprendere fiato mentre discutevano. Poi sarebbe fuggita dalla porta sul retro della sagrestia.
Sentì però i due soldati avvicinarsi sempre più e il suo fiato farsi mozzo.
Il trambusto che aveva creato al mercato attirò altri uomini di Wenning, che però erano a cavallo, e non potevano tagliarle la strada solo a causa delle bancarelle e della stretta carreggiata, piena a quell'ora di bambini festanti, uomini che decantavano le qualità delle loro merci e di tutti gli abitanti, che facevano acquisti. Benedicendo la conformazione urbana del borgo Lylith accelerò il passo, vedendo oramai alla propria destra la porta del luogo sacro; per raggiungerla più in fretta decise di svoltare in un vicolo tra la bottega del fabbro e una rinomata locanda; all'uscita, però, i mercenari l'aspettavano a piè fermo e lei si sentì perduta.
Si nascose dietro alle casse piene di frutta marcia per riprendere fiato e attese che andassero a prenderla: avrebbe potuto contare sull'elemento sorpresa, almeno contro il primo assalitore.
Se fosse riuscita a neutralizzarlo e a rubargli la spada avrebbe potuto difendersi, e magari aprirsi la strada verso la chiesa, ma poi? Loro erano dieci, forse anche di più, mentre lei era completamente sola, stanca e ferita: quanto avrebbe potuto resistere?
Ansimando leggermente per via della corsa vide l'ombra di uno dei soldati stagliarsi sul terreno accanto a lei: stringendo con forza il manico del pugnale inspirò ed espirò lentamente, preparandosi a colpire.
Pochi attimi prima che il soldato aggirasse le cassette, una mano spuntò fuori dal nulla e le tappò la bocca, impedendole di gridare, mentre un braccio robusto le cinse la vita trascinandola verso una porta aperta alle sue spalle.

Con il cuore che batteva per la paura Lylith vide una figura piuttosto alta chiudere di scatto il battente di legno, facendo precipitare la stanza nell'oscurità.

 

***

Martewall serrò la presa sulla ragazza, che continuava a dimenarsi come una furia, mentre l'americano accendeva alcune torce nella piccola cantina che avevano pagato all'oste qualche minuto prima.
La donna che teneva tra le braccia era quasi sicuramente quella che cercavano: stava scappando, braccata come una lepre dai soldati inferociti, e la descrizione fisica che ne avevano fatto gli emissari del conte di Ponthieu lasciavano pochi dubbi sulla sua identità.
Vide lo stesso pensiero passare negli occhi azzurri del suo compagno di viaggio e si rilassò leggermente; l'errore gli costò molto caro: lei gli morse la mano, costringendolo a sciogliere la presa anche sulla vita, si voltò e gli rifilò una ginocchiata in mezzo alle gambe con una violenza inaudita per una corporatura così esile.
Il barone inglese si ritrovò carponi sul pavimento, con il respiro mozzato dalle fitte di dolore provenienti dal bassoventre; Lylith gli rubò la spada e la puntò alla gola di Ian, che si era voltato troppo tardi per aiutare Martewall.

“Non so chi siate” disse lei in inglese, mentre gli occhi, stranamente familiari al giovane, mandavano lampi di collera “E neppure cosa vogliate da me, ma non osate sfiorarmi o ve ne pentirete.”
“Madonna” rispose Ian nella stessa lingua, ma con la chiara cadenza franca “Siamo amici, e non intendiamo farvi del male”

Le pupille di lei si assottigliarono ancora di più, mentre la bocca si storceva in una smorfia.

“Français” disse con ribrezzo, passando con così tanta naturalezza da una lingua all'altra che Ian non avrebbe saputo dire quale fosse la sua lingua madre, se non avesse conosciuto la sua storia.
“Non è un punto a vostro favore, nel caso non l'abbiate capito messieurs” rincarò la ragazza.

Il barone inglese si rialzò in piedi, ammirato dalla repentinità delle sue mosse.

“Tanto per cominciare io non sono francese, milady” cominciò, attirando su di se l'attenzione di Lylith, anche se gli occhi rimasero puntati sull'altro uomo “In secondo luogo ciò che ha detto il mio compagno di viaggio è vero: noi non siamo nemici. Non intendiamo offendervi in alcun modo. Siamo qui solo per riportarvi a casa: suvvia, deponete quell'arma. Qualcuno rischia di farsi male.”
Quest'ultima affermazione, detta per rabbonirla, peggiorò solamente le cose
“Credete che non sappia come si usa una spada?” domandò la fanciulla, furiosa. “Credete che sia una povera stupida vero? Illusi! Non credo ad una sola parola, e qualcuno si farà male sul serio se non sputate subito la verità!”
“Ma è vero che siamo qui per portarvi a casa, in Francia!” protestò Ian con rabbia.
Lei abbassò l'arma, sorpresa “In Francia? Ma cosa dite?”
“Il vostro nome non è Marie De La Crois?” chiese lui di rimando.
La sua interlocutrice riconsegnò la spada a Martewall e abbassò gli occhi, improvvisamente tristi sul pavimento.
“Sono stata Marie...ma lei è morta, tanto tempo fa: è annegata nelle false speranze.”
L'inglese le posò una mano sulla spalla e le disse fraternamente
“Non bisogna mai negare chi sei. Se lo fai potresti perdere te stesso”
“Credetemi non l'ho voluto io.” rispose lei, sollevando il mento di scatto “il destino, forse, ha scelto per me, e non gli sarò mai grata abbastanza.” Ian inarcò un sopracciglio, perplesso “Ma perché mai dovete riportarmi in Francia?”
“Sarebbe troppo difficile da spiegare ora” riprese vago il giovane americano.
“Non vi seguirò se non mi darete una ragione valida per farlo; e non pensate di costringermi con la forza. Avete già visto che so difendermi”protestò la fanciulla con fierezza.
I suoi modi, la sua determinazione, il colore degli occhi e persino la forma del viso gli ricordavano qualcuno, ma ancora una volta non riuscì a capire di chi si trattasse; comprese subito che sarebbe stato impossibile ragionare con un simile caratterino, così si rassegnò a raccontare tutta la storia, evitando però di dirle che era stata fatta seguire negli ultimi mesi, e tralasciando anche la presunta morte di Luigi VIII e il fatto che Giovanni Senza Terra era sulle sue tracce.
“Fatemi capire” commentò lei alla fine del resoconto “un conte cadetto francese e un barone inglese vengono mandati dal re di Francia a prendere la figlia di un suo vassallo morto in Inghilterra, con il quale aveva un debito d'onore?” I due cavalieri annuirono tesi. Lylith scoppiò in una risata amara e piena di disprezzo “Ma è una storia che non sta in piedi neppure un po'! Il vecchio Filippo deve essere diventato davvero bravo a recitare, se vi ha convinto a venire fin qui.”

Sentir parlare così di una persona che conosceva e ammirava mandò Ian su tutte le furie.

“Voi non immaginate neppure quanti problemi sta passando ora il 'vecchio' Filippo Augusto a causa vostra! Giovanni Senza Terra vi cerca, per prendervi in ostaggio e ricattarlo, vuole che smetta di appoggiare la rivolta dei baroni. Siete la sua carta vincente ora che il Delfino è morto! Voi siete francese, dovreste rispettare ed amare un po' di più il vostro paese ed il suo sovrano!”
A quelle parole Lylith sbiancò < No! > gridò il suo cuore < Luigi! Morto! > ma un istante dopo si era già ripresa, ed era balzata in piedi, puntando un dito minaccioso verso il cavaliere, più alto di lei di tutta la testa.
“Non osate insinuare che io sia dalla parte del torto!” sibilò “Voi non avete la minima idea di come sia stata la mia vita: mi sono vista chiudere la porta in faccia quando avevo poco più di quattro anni, e non ho dimenticato chi è stato ad impugnare la maniglia; ho rinnegato chi sono, perché da dove provengo il mio nome non vale nulla, e mi sono costruita una vita qui, una nuova identità. Ma io non dimentico mai niente, sappiatelo, e arriverà il giorno in cui tutti i colpevoli pagheranno. Potete star sicuro che non lascerò il compito al Signore: me ne occuperò di persona”
Il suo aspetto non avrebbe dovuto spaventarlo: era solo una ragazza, che lui e il barone inglese avrebbero potuto facilmente mettere fuori combattimento; ma ciò che disse, i suoi toni e i lampi di furia che dardeggiavano nei suoi occhi lo spinsero a non sfidarla di nuovo.

“Qual'è dunque il vostro nome milady?” le chiese gentilmente Martewall.
Lei si ricompose: raddrizzò le spalle piegò la bocca in un sorriso educato e rispose.
“Lylith. Io per voi sarò semplicemente Lylith”

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Capitolo 5
*** La fuga (parte seconda) ***


Eccomi qui!
Sono finalmente risorta dalle ceneri come l'araba fenice.
Mi dispiace davvero tanto per questo estremo ritardo, ma purtroppo la scuola mi ha tenuta molto più impegnata del previsto, e quindi non sono riuscita a seguire come avrei voluto la mia storia.
Ho cercato di seguire tutti i consigli che mi avete dato: evitare le ripetizoni e cambiare il carattere di scrittura.
Eccovi quindi servito il nuovo capitolo: ditemi al più presto cosa ne pensate, sapete che mi fa sempre piacere ricevere le vostre opinioni,. rispondo sempre a tutti.

Buona lettura e un immenso GRAZIE, perchè seguite la mia storia.

BecauseOfMusic_



Martewall sorrise educatamente e si volse verso il suo compagno di viaggio.                                                                                                                                                                         
“Ora dobbiamo trovare il modo di uscire da qui senza che i soldati la vedano.”                                                                                    
Ian si fermò a pensare per qualche secondo: come nasconderla? Non sarebbe bastato camuffarsi da mendicanti, avevano sicuramente già piazzato le sentinelle all’uscita del borgo, per controllare se avesse tentato di scappare, il porto era troppo lontano, il mercato fuori discussione. Poi ebbe un’idea:                                        
“Potreste togliervi il mantello?” chiese alla ragazza.                                                                                                                               
Lei se lo strinse con più forza addosso “assolutamente no. E’ l’ultima cosa che ho di mio padre, e non lo abbandonerò qui, a costo della vita!”                                                                                                                                                          
“Dunque verrete con noi?” domandò l’inglese speranzoso.                                                                                                               
“Siete il mio biglietto di uscita da questo maledetto posto, non ho molte alternative, devo per forza seguirvi ed aiutarvi.” Puntualizzò lei.                                                                                                                                                                    
“Piano, madame, dopo che saremo usciti da questa situazione scomoda voi dovrete venire con noi in Francia. Non ho fatto tutta questa strada per tornare a mani vuote!”                                                                                            
Lei si erse in tutta la sua esile figura “Io dovrò? Sono forse una vostra serva messieur le comte?” sibilò.                                       
L’americano comprese che non era il momento di puntare i piedi, rischiando così che la dama prendesse iniziative pericolose per tutti, così fece marcia indietro:                                                                                                                        
“No, perdonate la mia irruenza, ma non sono abituato a essere contraddetto con così tanta vivacità”                                  
Lilyth si rilassò leggermente “Si, immagino a quale tipo di ubbidienza siate abituato. Con me non è affatto così, quindi smettetela di dare ordini: non sono graditi. Quanto al vostro poco educato invito a seguirvi in Francia ci penserò su durante il viaggio. Ora, mentre discutiamo un piano per scappare da questa trappola, suggerirei di mangiare, per riprendere le forze”                                                                                                                               
Nel sedersi le sfuggì un leggero gemito di dolore e il barone inglese si precipitò al suo fianco.                                                            
“Siete ferita, milady!”                                                                                                                                                                                  
“Acuta osservazione” rispose lei aspra; poi notando che lui intendeva medicargliela si scostò bruscamente. “E’ solo una ferita superficiale, non abbiate a preoccuparvene, con un po’ di riposo starò meglio.”                                                      
Martewall preferì non replicare,  e si allontanò con un inchino, andando a prendere da una piccola bisaccia posata in un angolo qualche tozzo di pane. Ian fece lo stesso, e ne porse un po’ a Lilyth.                                                                   
“Potreste ripetermi il vostro nome milord?” disse poi la giovane, rivolgendosi al barone.                                                                                          
“Mi chiamo Geoffrey Martewall, barone di Dunchester…”                                                                                                                         
“Il punto da cui è cominciata la rivolta contro il Senza Terra” completò lei, lo sguardo fisso nel vuoto.                                  
Mangiarono in silenzio, ciascuno immerso nei propri pensieri, nei propri ricordi; Ian si martellava il cervello alla ricerca di una possibile soluzione per riuscire a scappare: sarebbe stato meglio uscire dal borgo ed imbarcarsi a Dunchester, ma per arrivare al maniero ci sarebbero voluti diversi giorni, senza contare il tempo del viaggio in nave e quello per arrivare alla corte di Filippo in Francia. L’unica alternativa era tentare una fuga disperata verso il porto, nascondersi nel primo mercantile in partenza per il continente ed aspettare, sperando che nessuno li scoprisse a bordo; aveva fretta di tornare da Isabeau, ma per questo poteva mettere in pericolo la vita del barone e della protetta del re? E come superare i soldati che erano sicuramente rimasti di guardia davanti alla locanda?                                                                                                                          
Dato che non risolveva nulla da solo cercò appoggio dagli altri due:                                                                                                            
“Avete qualche idea su come arrivare al porto o uscire dal borgo?”                                                                                                           
“Arrivare al porto? Ma dico sei impazzito? Non ci riusciremmo mai in pieno giorno! E poi come le superiamo le guardie che aspettano di fuori?” gli rispose Martewall.                                                                                                                          
“Forse potremmo tentare con il favore del buio…” esitò guardando la fanciulla, che annuì.                                              
“E’ un’idea folle, ma potrebbe funzionare, se studiassimo bene un piano.”

Isabeau de Montmayeur sedeva sul letto, nella stanza sua e del marito, osservando le torce che illuminavano le strade del borgo di Chatel-Argènt accendersi  una dopo l’altra con l’arrivare del buio.                                         
Le mancava immensamente Ian: e se non fosse tornato in tempo per la nascita di Marc? No, no lui sarebbe sicuramente stato lì al momento del parto, non l’aveva mai lasciata sola, anche quando gli aventi li avevano allontanati, lui era sempre tornato. Quando quel giorno il giovane le aveva rivolto la parola, mentre lei cercava di raggiungere i suoi feudi, vestita da serva, non immaginava neanche lontanamente che era l’uomo che pochi mesi dopo l’avrebbe condotta all’altare: le aveva salvato la vita così tante volte!                                                                                                                                                                                                         Dopo la vittoria sull’Inghilterra sperava che i loro guai fossero finiti, e che finalmente avrebbero avuto del tempo per loro, ma l’attentato, il monastero in fiamme, quello strano frutto fluorescente… e se fosse successo di nuovo? Se qualcuno avesse tentato nuovamente di ucciderlo? Ci si poteva veramente fidare di sir Martewall? Rivide Ian a terra, privo di sensi, mentre il suo sangue macchiava il terreno.                                                           
Un lieve bussare alla porta la riscosse.                                                                                                                                                    
“A-avanti” balbettò.                                                                                                                                                                                       
Il conte Guillame entrò nella stanza, sorridendo “Isabeau, cara, come state?”                                                                                          
La speranza che il marito fosse tornato scomparve subito dal cuore della giovane donna, che era balzata in piedi, aspettandosi di veder entrare anche il conte cadetto.                                                                                                                   
“Si, grazie monsieur”                                                                                                                                                                                          
“So cosa vi preoccupa, vedrete che mio fratello ci farà avere sue notizie appena potrà. Voi però non agitatevi, potete solo danneggiare voi stessa e il bambino che portate in grembo.”                                                                        
“E come posso stare tranquilla sapendo mio marito oltremanica?” replicò lei, quasi con stizza; accorgendosi dei toni abbassò il capo in segno di scuse “non era mia intenzione offendervi, perdonatemi, ma la mia preoccupazione più grande è che possa succedergli qualcosa di terribile..” e qui non riuscì più a trattenere le lacrime.                                                                                                                                                                                                    
Il conte le cinse le spalle con un braccio, poi notando che stava tremando afferrò il mantello posato sul letto e la aiutò ad indossarlo.                                                                                                                                                                                     
“Andiamo a cenare ora, con un po’ di buon cibo recupererete le forze, e vi scalderete.”                                                             
Dopo il pasto Isabeau si sentì meglio e decise di coricarsi, per riacquistare un po’ di forze; Guillame de Ponthieu la accompagnò fino la porta, e prima di congedarsi cercò di incoraggiarla:                                                                           
“Abbiate fiducia, tornerà presto.”                                                                                                                                           
 
Qualche ora dopo la giovane si rigirò nuovamente tra le lenzuola, cercando di dormire, ma la sensazione che ci fosse un pericolo in agguato per il marito era così costante che non riusciva neppure a chiudere gli occhi. Alla fine la stanchezza prevalse su tutto, ma precipitò in un sonno torbido e pieno di incubi.
 
Nel buio che era calato sul borgo, Martewall e Ian individuavano a fatica i contorni delle cose, mentre Lilyth sembrava perfettamente a suo agio; dopo essere riusciti a eludere la sorveglianza delle sentinelle fuori dalla locanda avevano vagato per un po’ in cerca della via che conducesse al porto, per poi cercare di seguire il suo corso attraverso strade parallele e viottoli, poiché sicuramente sarebbe stata sorvegliata. A guidarli era il giovane americano, che aveva sbagliato strada ben più di dieci volte; Lilyth lo corresse di nuovo:                                                                                                                                                                              
 “Così ci stiamo dirigendo verso il luogo dove tengono il mercato, il porto è dall’altra parte” sussurrò.                                         
 “Visto che conoscete così bene la città perché non ci fate voi da guida?” le disse lui stizzito.                                                    
 “perché siete stato voi a decidere cosa fare, dove andare, come fare finora, ed io ho cercato di farvi capire che sbagliavate, ma voi dovete per forza fare il saccente!”                                                                                                                       
 “E allora perché non ci guidate voi visto che io faccio il saccente eh?” sibilò Ian continuando a camminare e voltando solo la testa.                                                                                                                                                                             
 Dato che si era distratto non vide il carro di pentolame contro cui andò a sbattere, provocando un rumore secco, che riecheggiò come uno sparo nel silenzio delle strade.                                                                                                        
 Martewall e la ragazza lo guardarono congelati per pochi istanti, poi in fondo alla strada lei vide un puntino luminoso, e indovinando che si trattasse di una torcia afferrò entrambi i cavalieri per un braccio, trascinandoli dentro il vicolo dal quale venivano.                                                                                                                               
 “Chi è la? Mostrati!” disse il soldato, che nel frattempo si era avvicinato, con voce tutt’altro che salda.                                           
 Lilyth sospirò di impazienza, perché non accennava ad andarsene, né ad entrare nel vicolo, dove avrebbero potuto metterlo a tacere.                                                                                                                                                                             
 “Accidenti a voi e alla vostra superbia!” sibilò in direzione di Ian “ringraziate che è una recluta giovane, e non sa come distinguere quando i rumori sono causati da animali o da uomini!”                                                                                  
 Lui aggrottò la fronte “Da cosa lo capite?”                                                                                                                                                     
 “Se fosse più esperto si sarebbe chinato a controllare se c’erano impronte umane.” Si intromise Martewall, per risparmiarsi l’ennesima serie di frecciatine tra i due; non che non fosse divertente vedere il famoso Falco messo in difficoltà da una dama, ma in quel momento era indispensabile mantenere il silenzio.                                               
 
Poiché il soldato non sembrava decidersi a tornare al suo posto di guardia, la giovane comprese che era tempo di disfarsene:                                 
 “Aiutatemi a salire sul tetto della casa” disse al barone inglese. Al suo sguardo perplesso rispose “Voglio solo liberarmi del nostro amico qui dietro”                                                                                                                                                   
 “Assolutamente no! Ci penserò io” esclamò l’americano portando la mano all’elsa della spada e avvicinandosi all’angolo tra il vicolo e la strada.                                                                                                                                                       
 “E attirarci così addosso tutta la guardia del borgo grazie al clangore delle spade? Non siete poi così tanto furbo come dicono.” Riprese lei velenosa “Sapete non ci tengo a morire prima di aver compiuto la mia vedetta, ragion per cui questa volta faremo a modo mio: issatemi sul tetto, forza.”                                                                                
 Il barone le porse le mani unite, lei fece per appoggiare il piede, ma la gonna del vestito cedette, creandole uno spacco fino al ginocchio. I due uomini si guardarono sorridendo di sottecchi a quella figuraccia, ma lei senza scomporsi allungò lo strappo, accorciando il vestito; Ian la guardò, incredulo di quello che aveva appena fatto                                                                                                                                                                                                   
 “Beh, cosa avete da guardare?” chiese lei arrossendo leggermente.                                                                                                      
 “Ecco non…non credo di aver mai visto alcuna dama strapparsi il vestito con così tanta disinvoltura.” Disse lui cercando di mascherare l’imbarazzo.                                                                                                                                                                                                        
 “Immagino, ma non vi preoccupate: se la vista dei polpacci nudi vi provoca tanto sgomento, mi cambierò appena finito con il soldato qui dietro.”                                                                                
 Il giovane cercò di replicare, ma Lilyth si era già arrampicata sulle spalle del barone inglese, per poi issarsi sul tetto e scomparire alla vista.                                                                                                                                                               
 “Accidenti!” imprecò sotto lo sguardo divertito del compagno di viaggio.                                                                                         
 “Sai, è bello vederti finalmente in difficoltà.” Sogghignò Martewall “lei si che sa come metterti a tacere!”                                               
 “Ti ricordo che questa non è una gita di piacere, e siamo in una situazione di pericolo: non eri tu quello che diceva che non si deve mai distrarsi in missione?” ribatté allora l’americano, acido.                                                                
 Dietro l’angolo avvertirono un tonfo, poi la ragazza ricomparve all’ingresso del vicolo.
 “Mentre voi signori discutete io continuo a cercare la strada per il porto.”
 “Voi? Già qui! Ma come avete…?” le domandò.
 “L’ho stordito colpendolo in testa, ma non so per quanto tempo rimarrà così”
 “Sbrighiamoci allora, il porto è da quella parte”

Dopo altri venti minuti buoni di camminata giunsero in vista del porto.
Contrariamente a quanto si aspettavano non c’era nessuno a sorvegliare l’ingresso ai moli e questo li fece insospettire
“non mi piace questo silenzio” mormorò la ragazza “puzza di trappola”
“si” concesse Ian “effettivamente è strano che non abbiano previsto la fuga via mare, potrebbe essere un’imboscata, ma magari abbiamo solo avuto un gran colpo di fortuna”
“Non credo sia una buona idea imbarcarci adesso, aspettiamo che ci sia un po’ più di movimento nel porto”
“Così rallenteremo i nostri movimenti!”
“hai ragione, ma rallenteremo anche quelli di eventuali assalitori.” Proseguì il barone con estrema calma.
Tra il buonsenso e la fretta di tornare a casa prevalse la seconda, così l’americano sollevò il cappuccio del mantello e si diresse verso il secondo molo, facendo cenno agli altri due di seguirlo.
Quando la sua figura cominciò a muoversi nell’oscurità nell’aria risuonò un grido , e da dietro alcune barche tirate in secco comparvero una ventina di soldati in divisa viola e argento, che si gettarono su di lui.
“Wenning ci ha teso un agguato” disse Lilyth furente.
“Milady dobbiamo fuggire” le rispose in modo concitato Martewall “Dovete andare a prendere tre cavalli, vicino la baracca laggiù in fondo: slegateli e aspettateci li. Io vado ad aiutare Monsieur Jean.” Senza darle tempo di replicare estrasse la spada e si gettò alla carica.
Ian, intanto, stava lottando con tre avversari contemporaneamente. Per fortuna erano piuttosto lenti nei movimenti, e questo gli permise di liberarsene in fretta, poi vide Martewall impegnato da ben quattro cavalieri e corse verso di lui per aiutarlo, ma un improvviso e lancinante dolore al costato destro lo costrinse a terra, e la sua spada scivolò in acqua; tastò con la mano il punto dolente, e si accorse che la cotta di maglia aveva attutito il colpo, ma si era danneggiata. Non riusciva a capire chi potesse averlo colpito alle spalle, e perché poi non avesse cercato di finirlo.
La risposta apparve chiara qualche istante dopo: qualche metro più lontano, vide un uomo afferrare Lylith per i capelli, e colui che l’aveva atterrato lo superò con un alzo per andare loro incontro; la ragazza fu trascinata fino ai suoi piedi e costretta in ginocchio. L’americano si risollevò in fretta, rubò la spada ad un soldato morto che giaceva lì vicino e corse a perdifiato  verso quella scena, che stava per diventare raccapricciante.
Lo sconosciuto dinanzi alla dama sollevò la spada come una scure, ma quando l’abbassò venne frenata da quella di Ian.
“Non intromettetevi in faccende che non vi riguardano!” abbaiò allora l’altro.
“Questa donna è sotto la mia protezione, non vi permetterò di torcerle neppure un singolo capello!” sibilò lui in risposta. Sapeva però che non avrebbe potuto resistere molto a lungo: erano tre contro uno.
D’improvviso soggiunse Martewalll, sudato e con la manica della veste strappata e sporca di sangue. Ora lo scontro era più equo: si prepararono ad attaccare quando l’uomo che aveva costretto Lilyth a mettersi in ginocchio le punto un pugnale sottile alla gola, e incise quanto bastava per farla urlare di dolore.
“Siete sicuri di volerci attaccare, sapendo che la vostra bella dama rischia di finire sgozzata come un maiale?” chiese quello che sembrava essere il capo, con un ghigno crudele.
I due cavalieri si guardarono: la cosa più ragionevole da fare era posare a terra le spade, e sperare che l’avrebbe lasciata libera; ma c’era da fidarsi?
Mentre nessuno la osservava Lylith fece scivolare lentamente nella mano il pugnale che aveva nascosto nella manica: afferrò l’elsa e ruotò la punta in modo che fosse diretta verso il soldato che aveva alle spalle. Contò fino a tre, poi affondò la lama nel suo interno coscia.
Quando urlò lei rotolò su se stessa, e si nascose dietro Martewall; il combattimento riprese, e il più agguerrito era il soldato che li aveva ricattati: cercava in tutti i modi di aggirare il barone inglese per raggiungere Lylith.
“I cavalli, i cavalli!” Gridò Ian rivolto a lei.
La distrazione lo espose ai colpi di spada dell’avversario, che gli trafisse la spalla destra, facendogli perdere l’equilibrio.
“il capo ti aveva detto di non impicciarti” gli disse poi, sputandogli addosso.
L’americano urlò, mescolando rabbia e dolore, si alzò e si avventò senza pietà sul soldato, tagliandogli la gola.
Dopo questo sforzo, però, si accasciò a terra.
“Falco!” lo chiamo Martewall, preoccupato.
Ian non poteva più rispondergli.
 
L’unico soldato rimasto in piedi, approfittò della distrazione del barone inglese per aggredire Lylith, che era rimasta da sola accanto ai cavalli.
Le colpì la spalla ferita con il piatto della lama, e cominciò a riempirla di calci nello stomaco quando cadde a terra:
“Credevi che non ti avrei riconosciuto dopo l’altra notte? Pensavi che non ti avrei cercato e giustiziata per quello che hai cercato di fare?” sollevò la lama si preparò a trafiggerla, ma il barone inglese lo ferì alla gamba sinistra, mandandolo a rotolare nella polvere.
Ripresero a duellare,  e si eguagliavano in forza e furbizia: uno non riusciva mai a sopraffare l’altro.
Nell’aria fredda del mattino si udì distintamente un intenso brusio; Lilyth si accorse con orrore che altri soldati andavano lì per dare manforte a Wenning.
“Andiamo, monsieur, subito!” disse richiamando l’attenzione di Martewall.
Corsero entrambi ai cavalli, e lei si accorse solo allora che Ian era steso inerme al suolo, e che il capo dei mercenari si era messo a correre verso di lui alla massima velocità consentita dalla gamba ferita.
“Andate via” le urlò Martewall, che dava le spalle alla scena “io cercherò di trattenerli ancora un po’ per darvi il tempo di mettervi al riparo”
Wenning aveva ormai quasi raggiunto il corpo del cadetto di Ponthieu.
“No!” gemette lei disperata: quell’uomo aveva già ucciso tante persone innocenti, non avrebbe permesso che spargesse ancora sangue, non in sua presenza.
Con un potente strattone di redini spinse il cavallo al galoppo, all’inseguimento del soldato: costrinse la bestia ad aumentare ancora di più l’andatura, e ridusse la distanza;  l’uomo si trovava ora a pochi metri dal corpo e Lilyth lo mandò nuovamente nella polvere piazzandogli un calcio tra le scapole.
Fermò il cavallo schiumante e caricò Ian sull’incollatura; mentre rimontava in sella fu raggiunta dal barone inglese
“Dobbiamo muoverci, e subito anche!”
“Attraversiamo il villaggio, ora che è l’alba riapriranno le porte, possiamo uscire e piegare lungo il fiume”
“il terreno è troppo fangoso, noteranno subito le impronte!” obbiettò lui.
“Avete forse un’idea migliore?” il barone scosse la testa.
“Allora forza! Voglio uscire viva da questo maledetto posto” e spronò di nuovo il suo cavallo al galoppo verso il centro del borgo ancora addormentato.

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Capitolo 6
*** Le bugie hanno le gambe corte e la spada veloce ***


Ecco qua il sesto capitolo, finalmente!
sono riuscita a finirlo in un tempo minore rispetto al precedente per fortuna!
Chiedo venia in anticipo per il finale, ma voglio tenervi con il fiato sospeso, quindi vi prego non abbiatela a male. ;)
Ringrazio tutti quelli che leggono e seguono la storia, ma il mio grazie più grande va a coloro che la recensiscono, e mi permettono di capire se la storia piace, dove può essere sistemata e tutti i vari errori che può commettere chi scrive; quindi invito anche chi non ha mai recensito a dirmi cosa ne pensa della mia fanfiction, a me fa sempre piacere ricevere consigli ed eventualmente critiche (costruttive).
Vi saluto e vi auguro anche buone vacanze, anche se oramai il primo mese è già passato.
Tornerò presto, promesso.
con affetto

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Lilyth spronò il suo cavallo ad andare ancora più veloce, nel tentativo di seminare i quattro soldati che li inseguivano; non erano molti in realtà, ma loro avevano un ferito a carico, e fermarsi a combatterli avrebbe solo fatto sprecare tempo prezioso.
< un gran bel disastro > pensò  < ora come facciamo a fuggire? >
Martewall era rimasto più indietro di qualche passo, perché pensava che se li avessero raggiunti avrebbe potuto comunque permettere alla ragazza di salvarsi: lui se la sarebbe cavata in qualche modo, come al solito.
“Si avvicinano!” le urlò, sguainando la spada.
Lei si voltò appena “A chi appartengono i territori oltre il fiume?”
“Appartengono ai Flewing.”
“Li conoscete?”
“Si, sono imparentati con sir Kerwik, un mio cavaliere. Perché me lo chiedete?” rispose lui.
Lilyth  piegò la bocca in un sorriso enigmatico, poi diede un colpo di speroni deciso, per spingere la bestia oramai schiumante all’ultimo sforzo; giunsero alle porte della città mentre venivano aperte: i soldati alle loro spalle cercano di avvisare le sentinelle con degli squilli di tromba, perché richiudessero, ma invano.
I due fuggitivi travolsero il banco per la registrazione all’ingresso del borgo, circondati dal sibilare delle frecce degli arcieri sulle mura; fuori del borgo la fanciulla diede un brusco strattone alle redini e si diresse verso un macchione lontano dal bordo della strada sterrata.
Appena furono nascosti dalle fronde degli alberi rallentò l’andatura e si fermò in un piccolo spiazzo dove ad un albero era legata una mula.
Scese da cavallo, imitata dal barone inglese:
“Quanti minuti abbiamo prima che riescano ad uscire dal borgo?” chiese mentre si avvicinava all’animale e svuotava le sacche che aveva appese alla sella.
“Due, se siamo fortunati tre. Si può sapere cosa state facendo?”
“Li confondo, ecco che faccio. Slegatela, portatela lungo la strada, datele un colpo forte sul fianco per farla correre, poi tornate qui e cancellate le tracce che mostrano da dove siete realmente arrivati. Fate presto!”
“Ma noi non possiamo, questo animale appartiene a qualcuno!” cercò di obbiettare Martewall.
“Certo che appartiene a qualcuno, è mia! E ora sbrigatevi, altrimenti ci troveranno!”
Il barone fece come aveva detto Lilyth: diede un colpo sul fianco della mula per farla partire, attese che si allontanasse quanto bastava per confonderla con un cavallo, e poi tornò verso il macchione, cancellando le impronte.
“E ora?” chiese una volta tornato tra gli alberi.
“Ora nascondiamo i cavalli meglio e aspettiamo che i soldati passino, poi lasceremo che le bestie si abbeverino al fiume, lo guaderemo e raggiungeremo un borgo sulla costa, così potrete imbarcarvi e tornare in Francia.”
“Potremo imbarcarci” la corresse.
“Io non ho mai detto che sarei venuta con voi!” esplose lei “non mi interessa la protezione di Filippo Augusto, so..” Il suo discorso infervorato fu interrotto da un gemito di Ian, ancora incosciente.
“Sta perdendo davvero troppo sangue”constatò Martewall “sarà meglio fasciargli la spalla”
“Non possiamo fermarci a medicarlo adesso, dobbiamo raggiungere un villaggio prima che il sole sia alto nel cielo, e fasciare ora la spalla richiederebbe troppo tempo” disse lei osservando l’uomo a terra.
“Non ho intenzione di farlo morire dissanguato!” replicò il barone.
In quegli istanti il rumore del galoppo dei loro inseguitori si fece più vicino e li superò.
Lilyth frugò tra le cose che aveva estratto dalle sacche sulla mula, prendendo un piccolo fascio di bende
“Me lo sono procurato per le emergenze” rispose allo sguardo interrogativo dell’altro.
Poi si chinò su Ian cominciando a fasciargli strettamente alcune bende sopra la ferita, per bloccare la fuoriuscita di sangue.
Martewall non poté fare a meno di pensare che con gli occhi lucidi, le guance arrossate per la corsa e la cascata di capelli castani ad incorniciare il viso la fanciulla era molto bella; < ma cosa vado a pensare! > si riproverò subito dopo < non è proprio il momento! >
 
Ad Auxi-le-chat Filippo Augusto si era nuovamente rinchiuso nel salone dei ricevimenti assieme al conte di Ponthieu, suo fido consigliere, per discutere nuovamente cosa fare all’arrivo della fanciulla.
“Offritele la vostra protezione, sire, ma lasciatele la libertà di scegliere; a che scopo costringerla ad accettare se poi tenterà di fuggire di continuo?”
“Io non posso permettermi di darle la libertà di decidere Ponthieu! Sappiamo entrambi di quale portata è per il Senzaterra il peso politico della ragazza, non deve cadere nelle sue mani!”
“Ma ragionate, mio signore, vi supplico, come pensate che lei possa accettare di restare a vivere in Francia dopo tutto quello che ha passato? Sono anni che vive in Inghilterra, probabilmente sente di appartenere a quella terra, e vorrà lottare per disfarsi del tiranno che la governa!”
“Lo so, lo so!” urlò il sovrano per poi abbandonarsi con un sospiro esasperato contro lo schienale dello scranno su cui era seduto.
“Ma è fondamentale che rimanga entro i confini della Francia, Ponthieu, mi capite? Qui posso proteggerla, oltremanica no!” detto questo si chiuse per qualche istante in un pensieroso silenzio “Voi credete che la ragazza ricordi…?”
“Suppongo di si, aveva circa quattro anni quando mandaste lei e monsieur De La Crois in Inghilterra. Non potrebbe non ricordare l’imbarco.” Sussurrò il conte.
La schiena di Filippo Augusto fu percorsa da un brivido “Credetemi, lo ricordo molto bene anche io. La madre era distrutta e il conte mi pregò di tenere la bambina qui, ma non potevo…”
Entrambi rivissero in silenzio quei terribili istanti.
“E’ ora di andare a caccia, Ponthieu, ho saputo che nelle vostre terre c’è ottima selvaggina”
 
“Allora” esclamò Lilyth “secondo voi quanto manca al primo borgo?”
Avevano guadato il fiume alcune ore prima e ora lei seguiva le indicazioni del cavaliere per arrivare al villaggio più vicino; avevano deciso che si sarebbero fermati solo il tempo necessario a far riposare i cavalli, poi sarebbero ripartiti verso la costa, nella speranza di trovare un mercantile in partenza verso il continente.
Martewall seguiva la fanciulla di pochi passi, con la mano sull’elsa della spada. Lilyth poteva notare le occhiate tese che l’inglese rivolgeva al compagno esanime, che lei portava il più gentilmente possibile sull’incollatura del cavallo.
“Dista almeno altre otto ore di cammino”
“Al galoppo sarebbero cinque” osservò lei.
“Non possiamo andare al galoppo, faremmo molto più rumore e non è salutare per monsieur De Ponthieu.” Rispose il barone secco.
“Siete davvero un amico sincero se vi preoccupate più della sua salute che della vostra vita.” Osservò la ragazza.
“Oh no, vi sbagliate milady, non siamo amici, affatto. Non sono in una bella posizione davanti alla corte francese: sono un inglese, ero amico di Jerome Derangle, e poco tempo fa ho fatto prigioniero l’uomo a cavallo con voi per ucciderlo. Se muore mentre è in missione con me a chi credete che daranno la colpa?”
Lei lo guardò: “Non siete bravo a raccontare le bugie, milord, ma se preferite evitare l’argomento fingerò di credere alla vostra versione.”
“Ma no… io non… è davvero…” all’evidente sguardo divertito della ragazza, Martewall si arrese con un sospiro offeso “il diplomatico è lui qui” grugnì poi.
Dopo alcuni minuti di silenzio il barone inglese riprese la parola:
“In caso di attacco, sareste in grado di difendervi per alcuni minuti da sola?”
“Suppongo di si. Perché mai questa domanda? Vi sentite male?” rispose lei.
“Solo perché fino a che non avremo medicato monsieur De Ponthieu, io sono l’unico in grado di maneggiare un arma, e se dovessero attaccarci…”
Lei si limitò a sorridere educatamente “Come credete”
Percorsero ancora qualche kilometro, poi Lilyth tirò le redini del cavallo, arrestandolo
“Vi prego, prendete con voi quest’uomo, ho bisogno di far correre il cavallo per qualche metro”
“Non abbiamo tempo per fare quello che vogliamo milady, potrebbero scoprire il nostro tranello, e venirci a cercare oltre il fiume” la rimproverò lui.
“Vi prego solo pochi minuti, poi riprenderemo la marcia.” Supplicò la ragazza.
Martewall non riuscì a dirle di no, e sorrise tra sé e sé per la reazione di felicità dimostrata dalla sua compagna di viaggio: sembrava un bambina alla quale avessero appena regalato un giocattolo nuovo.
Lilyth depose dolcemente a terra il corpo di Ian, ancora esanime, rimontò in sella e spronò il cavallo al galoppo, sparendo dalla vista oltre i cespugli. Dopo pochi minuti tornò indietro, come promesso, e vide che il barone inglese aveva medicato e fasciato la spalla dell’altro cavaliere:
“Avete corso abbastanza? Siete soddisfatta?” le chiese.
“Oh si” rispose lei cercando di contenere il fiatone “e non ricordo l’ultima volta che mi sono sentita così libera”
“Cosa intendete? Non siete forse libera di andare dove volete e fare ciò che desiderate?”
“Decisamente no, milord, ma non credo siano cose che potete comprendere” disse lei sulla difensiva, mentre risistemava Ian sul cavallo.
La luce era lentamente diminuita, la temperatura si era abbassata ma entrambi preferirono proseguire senza fermarsi a dormire, non avevano  il tempo necessario; con il passare delle ore però il buio si faceva sempre più fitto, e le difficoltà nel proseguire aumentarono.
“Dal modo in cui gli alberi si diradano direi che ci stiamo avvicinando ad una radura, forse a qualche campo coltivato.” Rifletté Martewall ad un tratto.
“Si, avete ragione. Beh è un buon segno in ogni caso: se c’è una radura potremo fermarci, se è un campo significa che il borgo non è molto lontano.” Concordò la fanciulla.
Entrambi speravano in un campo coltivato, ma con un po’ di rammarico videro che la strada sboccava in una radura piuttosto ampia e riparata. Lilyth aveva uno strano presentimento, si sentiva come se qualcuno la stesse osservando; la cosa migliore da fare sarebbe stata informare il barone e cambiare strada per depistare eventuali inseguitori, ma la stanchezza ebbe la meglio sull’istinto.
Non appena misero piede a terra una freccia sibilò nell’aria, andando a conficcarsi nel tronco di un albero non lontano da dove si trovava Martewall.
“Giù!” le urlò lui,  correndole incontro per proteggerla.
Ma mentre cercava di coprire quella distanza una seconda freccia scagliata tra gli alberi lo colpì al braccio destro.
Il barone inglese si lasciò sfuggire un grido di sorpresa, mentre rimaneva fermo a terra, sperando che l’arciere non lo vedesse; contemporaneamente dal folto delle piante uscirono cinque uomini armati, che avevano il volto coperto da fazzoletti di stoffa.
Tre assalirono la ragazza, gli altri due si gettarono su di lui.
Martewall sentì Lilyth gridare nella confusione che seguì all’attacco, e pregò che non le succedesse nulla; usando la mano sinistra raggiunse l’elsa della spada, la estrasse e riuscì a risollevarsi, cominciando a lottare con gli assalitori. I due però non si arrischiavano ad avanzare, aspettando che la ferita al braccio lo indebolisse, così l’inglese fece finta di piegarsi in ginocchio per via del dolore, e non appena uno degli avversari gli fu abbastanza vicino lo sventrò con una mossa repentina.
L’altro si precipitò a soccorrerlo, abbassando stupidamente la guardia, e il cavaliere lo colpì con il piatto della lama, facendogli perdere i sensi.
Un altro urlo della fanciulla lo fece voltare, e vide che uno dei tre uomini che la circondavano le aveva puntato la spada alla gola, così tentò di assalirlo alle spalle, ma i due restanti componenti della banda lo tennero impegnato, impedendogli di avvicinarsi.
Lilyth allargò le braccia in un gesto di stizza: si era difesa bene con il pugnale per qualche minuto, ma poi quello più alto e abile tra tutti era riuscito a sorprenderla, e ora non poteva fare altro che tenere le mani bene in vista, altrimenti rischiava di perdere la testa e addio vendetta per la morte di suo padre.
D’un tratto le venne in mente che agganciata alla sella del suo cavallo, pochi metri alle sue spalle, c’era la spada di Ian; così cominciò a retrocedere impercettibilmente, facendosi seguire.
Mentre camminavano si accorse che l’uomo zoppicava vistosamente, cercando di non appoggiare la gamba sinistra; un lampo le attraversò gli occhi < Wenning, maledetto! > pensò < crede di ammazzarci facendolo passare per un assalto di briganti! >
“Milady, attenzione!” le gridò Martewall “Così andate a sbattere contro i cavalli, non avrete modo di fuggire!”
< accidenti! > imprecò lei < così ora Wenning si accorgerà della spada! > L’uomo infatti notando il bagliore metallico emanato dall’arma attaccata alla sella cercava di incalzarla, sperando di costringerla a spostarsi verso il centro della radura, impedendole di avvicinarsi ulteriormente.
Lilyth però non era ferita alle gambe, così tentò il tutto per tutto: volse le spalle all’avversario e corse a perdifiato verso gli animali; fece appena in tempo ad estrarre la spada per difendersi dall’assalto di Wenning, che l’aveva raggiunta.
Incrociò le lame con il capo dei mercenari diverse volte, e non faceva alcuna fatica a tenergli testa, lasciando a bocca aperta il barone inglese, che intanto si era disfatto di uno dei due uomini che lo impegnavano; Lilyth provò ad affondare diverse volte, andando però a vuoto, e parando a stento le risposte dell’avversario.
Il soldato rimasto in piedi corse a dare manforte al capo, mentre quello che Martewall aveva colpito alla testa rinvenne e, seppur con difficoltà, ricominciò ad incalzare il cavaliere.
Entrambi erano stanchi, ma la ferita aveva debilitato molto l’inglese, che si ritrovò disarmato e sovrastato dall’avversario.
Sperò che la ragazza ed il Falco si salvassero, e che sua sorella non soffrisse troppo per la sua scomparsa, e poi comprese che lui, invece, ne avrebbe sentito la mancanza.
Alla fine tutto diventò buio e silenzio.
 



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Capitolo 7
*** Qualcuno ha un segreto. ***


Eeccomi quiii! Mi sono finalmente ricongiunta al computer e la storia quindi può continuare!
Spero che non mi abbiate maledetto troppo xD
Come promesso tra due settimane avrete il proseguo della storia, che spero consista in un capitolo un po' più lungo di questo; spero che abbiate troppa fretta per continuare a leggere le mie parole, così vi lascio correre a saziare la vostra curiosità. 
Buona lettura. 

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Plic, plic, plic. C’era un rumore costante nel buio silenzioso che lo circondava.
Era fastidioso e si mescolava ad altri, altrettanto costanti ma più in sottofondo.
Sentiva la testa pulsare, la gamba sinistra pesante ed il braccio…il braccio era freddo e immobile, apparentemente senza vita; Martewall tentò di muoverlo, si sforzò di spostare leggermente le dita ma l’arto non voleva rispondere al cervello.
Cominciò a sudare freddo, e fu assalito da un potente senso di nausea.
Gemette, alla disperata ricerca d’acqua con cui bagnare le labbra: si sentiva bruciare dentro.
Lo stomaco si contrasse nuovamente, in quel momento non avrebbe saputo distinguere il sopra dal sotto;
si ritrovò in una posizione più comoda, e la pressione scomparve così come era venuta, anche se le labbra sembrarono seccarsi ulteriormente.
Dopo un tempo che a lui parve infinito il corpo smise di bruciare, e il rumore costante tornò a fargli compagnia, insieme al solito sottofondo.
Lentamente tornò in possesso del controllo sul proprio corpo, anche se non era del tutto sicuro di riuscire a muovere nuovamente il braccio destro.
Riaprì gli occhi e scoprì di trovarsi in un luogo senza luce, probabilmente un sotterraneo; l’aria odorava di marcio e comprese che il fastidioso rumore era originato da una sorgente d’acqua che zampillava oltre le sbarre della piccola fessura adibita a finestra. Le sue preoccupazioni si riversarono sul Falco e la ragazza: dov’erano? Soprattutto, stavano bene?
Quando i suoi occhi si abituarono alla semi oscurità cominciò a distinguere una figura rannicchiata in un angolo, la testa tra le mani.
Percepiva uno strano senso del pericolo, perciò non si arrischiò a parlare; cercò di afferrare la spada con il braccio illeso, ma si accorse che non l’aveva alla cintura. Non aveva neppure il pugnale corto: era completamente disarmato. Con molta cautela cercò di spostarsi verso l’angolo opposto a quello in cui si trovava la figura: si accorse di essere vincolato al pavimento da una catena, che gli impediva di alzarsi in piedi; cercò allora di mettersi in una posizione più comoda, ma la catena oscillò producendo un secco rumore metallico.
La figura rannicchiata si volse di scatto e cominciò ad avanzare lentamente verso di lui. Martewall sentì  alcuni brividi scendergli lungo la schiena: era disarmato, come difendersi da un attacco?
Nel piccolo pozzo di luce lunare che la strettoia lasciava entrare comparve Lilyth. Aveva gli abiti laceri, le braccia coperte di diversi tagli ed una ferita alla tempia sinistra, dalla quale scendevano rivoli di sangue ormai secco.
“Siete sveglio” sussurrò.
“E voi invece siete ferita” rispose lui con voce roca, preoccupato.
“Già, ma io non sono stata male come voi: la ferita al braccio si era infettata, vi è venuta la febbre, ma sono riuscita a disinfettare tutto ed ora che il peggio è passato starete sicuramente meglio nel giro di pochi giorni.”
“Io però sento il braccio come un corpo estraneo, non più mio, credete che riuscirò ad usare di nuovo la spada.” Domando il barone.
“Questo non so dirvelo, io non sono un dottore. Ho acquisito solo delle conoscenze basilari sulla medicina, per cercare di curare le ferite in battaglia e simili; mio padre mi portava spesso a caccia insieme a lui e ad altri contadini, se si ferivano dovevo essere in grado di fornire loro almeno un bendaggio che li aiutasse a tornare fino al villaggio” replicò lei sedendoglisi accanto.
 “Dove siamo?”
“Nella segreta di una vecchia torre di guardia, sulla strada per Londra.”
“Ma stiamo andando dalla parte opposta rispetto al luogo dove avevamo deciso di imbarcarci!”
“Dovete dirlo agli uomini di Wenning” disse lei con una profonda nota di odio nella voce “non a me”
Il dubbio che si era formato nella mente del padrone di Dunchester divenne certezza.
“Ci hanno catturato.”
Lilyth fissò il terreno ricoperto di fieno ammuffito con disprezzo, quasi fosse colpa sua se si trovavano in quella situazione “Non sono riuscita a resistere loro a lungo; erano due e oltretutto voi eravate svenuto”
La mente dell’inglese tornò indietro all’agguato nella radura: le frecce scagliate dal folto dei cespugli, lui che veniva ferito, i soldati mascherati da briganti, il suo avvertimento alla ragazza, lei che correva verso i cavalli..
“Voi!” gridò colto da un ricordo improvviso “Voi sapete usare la spada! Non me lo avete detto!”
Lilyth rispose in un’alzata di spalle “Non me lo avete chiesto”
Il barone stava per replicare quando un gemito fece zittire entrambi: Ian stava riprendendo i sensi; lei gli afferrò la mano e lo fissò con i suoi occhi di un grigio intenso: “Non una parola, vi prego, neppure con il vostro amico saccente”
Martewall annuì, la lingua stranamente troppo annodata per rispondere.
 
La donna guardava con occhi spenti e tristi la porta dalla quale era entrato il soldato con il cibo: erano anni ormai che sperava nell’arrivo di qualcuno che l’avrebbe finalmente portata fuori di li.
L’uomo in divisa posò una ciotola dell’acqua e due tozzi di pane a pochi metri da lei, poi uscì, chiuse la porta a chiave e a lei fu permesso di avvicinarsi al pasto.
Vide il riflesso del suo volto nell’acqua e venne assalita dalla nostalgia; un tempo era una donna bella, desiderata, mentre ora i suoi tratti erano solcati dalle rughe e dalla sofferenza.
Ricordava la sua vita a corte, l’affetto sincero che la univa a suo marito e la travolgente passione che l’aveva legata all’uomo più potente di Francia; credeva di essere innamorata e ricambiata, ma era solo una ragazzina sciocca preda di un sogno. Ciò che lei scambiava per gesti d’amore non erano altro che ricompense per le notti trascorse insieme.
Quanto dolore, quanta paura aveva avuto quando il suo idillio si era frantumato contro la realtà; aveva compreso troppo tardi di aver ferito profondamente l’animo del consorte, tuttavia lui le era rimasto accanto: era andata a cercare l’amore lontano quando invece lo aveva di fianco a sé.
Mentre masticava gli ultimi bocconi alla porta della sua cella furono battuti due colpi, segno che qualcuno voleva vederla: il terrore si impadronì di lei, perche temeva che da un giorno all’altro si sarebbe presentata una guardia reale per portarla davanti al boia; con passo malfermo si nascose nell’angolo più buio della piccola stanza, sotto gli occhi attenti del soldato addetto alla sua sorveglianza.
La porta fu aperta, e la figura che entrò era l’ultima che si sarebbe mai aspettata di vedere laggiù, anzi l’ultima che avrebbe mai pensato di rincontrare nella sua vita.
“Filippo” mormorò con il cuore in gola.
 
Ian si era appena ripreso dal torpore in cui era caduto mentre lui e la ragazza vegliavano Martewall; si era risvegliato poche ore dopo che erano stati catturati e Lilyth si era presa cura di lui: lo aveva aiutato a mangiare, aveva disinfettato la ferita alla spalla e gli aveva cambiato le bende, strappando pezzi di stoffa dalla manica della sua veste. Era stata molto gentile, anche se distaccata: era più che furiosa per la sua avventatezza al porto.
Lui stesso ripensandoci se ne vergognava molto: aveva messo in pericolo le vite di due persone che erano con lui e per colpa sua la missione di salvataggio era quasi fallita; lei lo aveva rimproverato diverse volte, ma quando le aveva spiegato il motivo di tanta stupidità  sembrava avere compreso.
Dopo essersi accertata che lui stesse bene si era subito preoccupata del loro compagno di viaggio: aveva estratto la freccia con grande sicurezza, poi era riuscita anche a fasciare la ferita; il cavaliere si era rasserenato ma lei non sembrava convinta di ciò che aveva fatto, e a ragione: un paio d’ore dopo la medicazione il barone era peggiorato, perché la ferita si era infettata e la febbre era salita, accompagnata da violenti conati. Lilyth gli dormiva accanto, pronta a girarlo in caso di un attacco di nausea,aveva addirittura razionato l’acqua per potergli rinfrescare la fronte con uno straccio bagnato e lentamente sembrava aver quasi smesso di parlare.
“Insomma, riservate al barone così tante attenzioni che potrei anche diventare geloso!”aveva cercato di punzecchiarla in una delle tante notti di veglia.
“Grazie del tentativo per tirarmi su il morale monsieur, ma purtroppo sono davvero preoccupata: se la febbre continua a salire la situazione peggiorerà ancora di più, potrebbe morire.”
Ian aveva compreso ciò che le passava per la testa: “Sapevamo perfettamente a quali rischi andavamo incontro accettando l’incarico, madame, non dovete pensare neppure per un secondo che sia colpa vostra”
“Ma è comunque a causa mia che lo hanno ferito, per catturare me” obbiettò lei. “Sono stanca di vedere persone morire o rovinarsi la vita a causa mia”
“Cosa intendete dire?” le aveva chiesto, perplesso dalle sue parole.
“Non badateci, sto divagando. Ora cercate di riposare, dobbiamo riuscire a fuggire prima di arrivare nelle mani di re Giovanni”
Appena ebbe ripreso conoscenza si accorse che anche Martewall era sveglio < bene > pensò < ci siamo tutti e dobbiamo pensare ad un modo per liberarci. > la stessa idea passava nella mente del cavaliere inglese che tentò inutilmente di provare a sollevarsi in piedi, infatti la lunghezza della catena permetteva soltanto di addossare le spalle al muro; entrambi gli uomini notarono però che Lilyth non era legata e le chiesero spiegazioni.
“Sono dovuta arrivare ad un accordo per potervi curare.” Disse tentando di rimanere sul vago.
“Quale accordo?” chiese il Falco sospettoso.
“Io…io ho detto loro che se mi avessero permesso di curarvi io li avrei seguiti fino a Londra, da sola. Lasceranno indietro un uomo che dopo due ore dalla partenza vi benderà e poi vi lascerà da qualche parte nella foresta,  potrete tornare oltremanica senza nessun fastidio.”
“Spero che stiate scherzando” affermò l’inglese impallidendo leggermente “noi non vi permetteremo mai di aderire a questo accordo”
“Assolutamente no, madame, voi verrete in Francia con noi, anche a costo di rapirvi davanti a re Giovanni in persona!” rincarò Ian.
“Ho forse detto che ho intenzione di seguirli?” domandò lei calma.
“Ma l’accordo…”
“Quando ho detto che li avrei seguiti se mi avessero permesso di curarvi intendevo dire che avrebbero dovuto portarmi anche bende e qualunque altra cosa mi servisse. Wenning invece si è limitato a lasciarmi libera di muovermi per la cella, mi hanno portato ciò che mi occorreva per disinfettare la ferita di sir Martewall solo quando li ho minacciati di uccidermi.” Spiegò Lilyth nel silenzio che era calato.
Il barone era molto sorpreso “Avete davvero fatto questo per me?”
Lei si schermì, arrossendo leggermente “Non volevo che un innocente morisse a causa mia, non me lo sarei mai perdonato. Ad ogni modo non hanno rispettato i termini e di conseguenza il patto che c’era tra noi non è più valido.”
Ian la fissò per pochi istanti, e osservando i suoi occhi nella penombra la sua mente fu colpita nuovamente dall’idea che gli erano piuttosto familiari, e lo sguardo rivelava ciò che la bocca ancora taceva.
“Voi avete già un’idea su come uscire di qui, vero?”
Lilyth sorrise soddisfatta “Meglio, ho un piano.”
 
Giovanni SenzaTerra si era da poco rinchiuso nella sala riunioni di corte, insieme al fratellastro William Lunga-Spada.
“Io non capisco davvero maestà la vostra ossessione per quella ragazza” stava dicendo il cavaliere al sovrano “dopotutto non è che un’inutile contadina, che ammazzata farebbe più bene che male.”
“Oh no, William voi non capite, ma non è ancora tempo di rivelarvi i motivi che mi spingono a volere quella giovane a tutti i costi.”
Al contrario l’interlocutore del re lo sapeva benissimo, conosceva perfettamente il valore politico della fanciulla, informato dagli alleati francesi, per questo motivo tentava di distogliere l’attenzione del SenzaTerra da lei.
“Vi basti sapere, caro William” riprese il re dopo una pausa “che quando riuscirò a prenderla avrò Filippo Augusto tra le mani, come un burattino. Neppure lui riuscirà ad evitare che la verità venga a galla.”
 

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Capitolo 8
*** Tieniti stretti gli amici e ancora più vicini i nemici. ***


E CANTATE TUTTI INSIEME L'ALLELUJAH, SONO TORNATA!
Lo so, lo so avevo detto solo due settimane: meriterei la gogna, ma prima di tirarmi addosso frutta, verdura marcia e solo il signore sa cos'altro leggete il capitolo (che, tra parentesi, ho impiegato tanto tempo a scrivere perchè doveva essere perfetto) e fatemi sapere, scrivendo una magica recensione :DD
Invito anche quelli che finora hanno solo letto a scrivermi cosa vi piace e ovviamente cosa NON vi piace: le critiche costruttive sono sempre bene accette qui!
Vi lascio correre a leggere quello che c'è scritto sotto, anzi spero che abbiate talmente tanta fretta di sapere come va avanti la storia da saltare totalmente questa parte.
Ora la smetto, promesso.

Buona lettura. BecauseOfMusic_





Il capo delle truppe mercenarie di Giovanni SenzaTerra stava placidamente disteso nel suo catino pieno d’acqua calda, pregustando già il momento in cui avrebbe potuto disporre a suo piacimento della ragazza dai capelli castani: l’avrebbe uccisa in modo lento, doloroso, avrebbe protratto l’agonia il più possibile; fuori della tenda i suoi sottoposti preparavano le provvigioni per il viaggio che li aspettava.
Poco prima di partire dalla vecchia torre per portare i prigionieri al re questi gli aveva mandato un messaggero, avvisandolo che avrebbe dovuto ‘riscuotere’ le tasse in un villaggio non molto distante dal luogo in cui si trovavano. Non potendo portarsi dietro i prigionieri con il rischio che scappassero aveva deciso di lasciarli li, sorvegliati dai suoi tre uomini migliori; finalmente pulito uscì dal catino, si rivestì e cominciò a raccogliere tutte le sue carte ed i suoi documenti.
Il suo luogotenente fece capolino dall’apertura della tenda
“Signore, siamo pronti. Se avete delle ultime raccomandazioni da fare ai soldati…”
“Grazie LeBray, arriverò tra qualche minuto” rispose Wenning congedandolo con un gesto della mano.
Aveva molte raccomandazioni da fare agli uomini che lasciava a sorvegliare i prigionieri, perché oltre alla lunghezza del viaggio, che sarebbe durato all’incirca tre giorni tra andata e ritorno mantenendo i cavalli al massimo dell’andatura, conosceva perfettamente la furbizia della piccola vipera: anche se avevano un patto non si fidava di lei.
Ultimamente si era fermato spesso accanto alla piccola finestrella che dava luce alla segreta, cercando di ascoltare i discorsi dei prigionieri, ma li aveva sempre trovati stranamente silenziosi, e la cosa inizialmente lo aveva preoccupato, poi le ultime volte si era sporto leggermente, cercando di evitare di essere visto e aveva notato che il più alto dei due uomini stava meglio, mentre l’altro era sempre disteso a terra e non dava segni di miglioramento. Wenning aveva visto questo come un fatto positivo, poiché sapeva che la ragazza non avrebbe mai abbandonato nessuno indietro se si fosse presentata la possibilità di fuggire: con uno dei due compagni ridotto in quello stato la possibilità non esisteva affatto.
Sul viso dell’uomo si dipinse un ghigno soddisfatto mentre riponeva le ultime cose ed usciva dalla tenda.
Una volta fuori si diresse di nuovo alla finestrella e sbirciò: dormivano.
Ad un suo cenno LeBray si avvicinò: “Ordina ai tre che resteranno di mettere del sonnifero nell’acqua che daranno ai prigionieri. Voglio trovarli addormentati quando tornerò.” Sembrava che non avessero possibilità di fuga, ma non voleva correre neppure il rischio più remoto e ritrovarsi a doverli inseguire di nuovo per tutta la Bretagna.
Circa mezz’ora dopo tutto era pronto per la partenza: i tre soldati che erano rimasti, due veterani ed un ragazzo più giovane, vennero fatti schierare davanti al suo cavallo.
“Miei valorosi, sarò di ritorno tra due giorni esatti e conto sulle vostre capacità: non solo la mia ma anche la fiducia di re Giovanni è riposta in voi. Vegliate sui prigionieri e non perdeteli di vista, neppure durante la notte, e non rivolgete loro la parola per alcun motivo.” I tre fecero il saluto militare e il capitano si mise in marcia insieme ai suoi uomini.
Mentre si allontanava si voltò indietro diverse volte: non ricordava di avere tra i suoi uomini anche un ragazzo così giovane. La sua mente fu attraversata dal dubbio che si trattasse di un complice della ragazza, ma allontanò subito l’idea: da quando aveva catturato la ragazza era piuttosto paranoico, ossessionato dall’idea che trovasse il modo di sfuggirgli tra le mani.
Scrollò le spalle, cercando di liberarsi della strana sensazione che lo assaliva e si concentrò sulla strada davanti a sé: prima andava, prima tornava, e per Lilyth non ci sarebbe stato più scampo.

 Ian osservò il barone inglese, che fingeva di dormire sdraiato a terra mentre la loro compagna di viaggio fissava la piccola fetta di cielo visibile attraverso le sbarre senza vederla.
 Non poté fare a meno di pensare a Isabeau, che lo aspettava a Chàtel-Argènt; Marc era già nato? Quanto mancava ancora? Sapeva che sarebbe rimasto in vita, perché sua moglie avrebbe messo al mondo un altro figlio suo, ma cosa ne sarebbe stato di Martewall e della protetta di Filippo Augusto? Scosse la testa per allontanare l’ipotesi peggiore.
Un rumore di passi attirò l’attenzione di tutti e tre: il Leone si mise a sedere, ma la ragazza gli impose di tornare a fingersi addormentato, mentre con un gesto invitava Ian al silenzio più assoluto.
Sulla porta della cella comparve una figura abbastanza esile, che chiamò con voce incerta: “Marie, dove siete? Non vi vedo”
Lilyth avanzò con passo rapido e leggero fino a lui: “Quante volte, Will, quante volte dovrò dirti che quello non è il mio nome?”
Il ragazzo sulla porta sorrise: “Molte ancora temo.” La sua espressione tornò seria “Siete sicura di ciò che fate? Se ci scoprono ci ammazzano entrambi!”
Anche lei divenne seria “Non permetterò a nessuno di farti del male, mai.”
“Non dovrei parlare con i prigionieri, né aiutarli, ma voi siete un amica…molto importante per me, lo sapete Marie.”
Lilyth fece passare una mano attraverso le sbarre per posarla sull’avambraccio del soldato, senza aggiungere altro.
Qualche istante dopo il ragazzo se ne andò, e lei ritornò verso la finestra.
< cosa diavolo sta combinando questa ragazza? > si chiese il Falco.
Gli si avvicinò, e mentre osservava lo stato di guarigione della ferita alla spalla parlò in sussurri:
“Wenning si è allontanato, sarà di ritorno tra due giorni. Noi fuggiremo stanotte: Will porterà uno dei suoi due compagni con se nei boschi e lo stordirà. Appena avrò finito di controllare la ferita dovrete rompere la catena che vi tiene ancorato al terreno e tenervi pronto a neutralizzare la guardia che entrerà nella cella.”
“E come dovrei fare a liberarmi della catena? Chiamo la guardia e le chiedo se mi da la chiave?” chiese lui sarcastico.
“Questo basterà.” Rispose lei, mettendogli in mano un pugnale piccolo ma piuttosto affilato.
“Dove lo avete preso questo?” chiese sbalordito.
“Avere uno dei tuoi carcerieri che ha perso la testa per te ha i suoi vantaggi, non trovate?” rispose Lilyth in un soffio, tornando poi verso il barone inglese.
< non vorrei mai trovarmela davanti come avversaria: è dotata di un’astuzia che ho visto solo in poche persone. > rifletté l’americano avvicinando la lama del pugnale all’anello della catena.
 
Il giovane Will, all’ora stabilita, chiamò uno dei due compagni d’armi:
“Ho notato nel bosco delle tracce, uomini a piedi. Sembra che si siano accostati vicino ai cespugli che danno sulla torre. Potrebbero essere dei complici dei prigionieri.”
“Si” gli rispose svogliato il suo interlocutore “Ma se anche fosse adesso si sta facendo troppo buio per seguirli.”
“E correre il rischio di svegliarci domani mattina con la cella vuota e senza i cavalli per inseguirli? Per me non fa differenza, andiamo pure domani o dopo, ma se fuggono? Il comandante non sarà contento in ogni caso, di chiunque sia la colpa.”
L’uomo si alzò dalla sedia  e rinfoderò la spada: “Prepara i cavalli, ci mettiamo in marcia tra cinque minuti. Non seguiremo le tracce, dovunque portino: verificheremo soltanto la loro presenza. Dobbiamo impiegare al massimo mezz’ora, il comandante ha detto di non lasciare un solo uomo a sorvegliarli per troppo tempo.”
Mentre il ragazzo si allontanava con aria soddisfatta il compagno si diresse all’interno della torre e poi giù per le scale, fino al luogo dove era seduta la guardia.
“Com’è la situazione?” chiese.
“Tutto tranquillo, uno è sempre disteso, dorme praticamente tutto il giorno. Gli altri due non parlano molto. Tra qualche minuto dovrò portare il pane e l’acqua.”
“A proposito di questo: il ragazzino dice di aver notato qualche impronta dietro i cespugli qui intorno, così andiamo in perlustrazione. Non ci metteremo più di mezzora, ma tu per sicurezza aggiungi una buona dose di sonnifero all’acqua che servirai ai prigionieri.”
La guardia annuì e nel mentre Will scese ad avvisare che i cavalli erano pronti; frattanto che lui e l’altro salivano i primi gradini delle scale dalla cella si sentì provenire un sospetto clangore metallico: i suoi due commilitoni si voltarono per andare a vedere cosa era successo ed il ragazzo, mostrando di voler fare lo stesso, finse di scivolare, cadendo addosso al più vicino dei due.
“Incapace!” fu apostrofato.
“Chiedo scusa, sono inciampato.”
La guardia tornò e si sedette di nuovo tranquilla al suo posto. “E’ tutto sotto controllo, uno dei due uomini ha tentato ancora di alzarsi, facendo sbatacchiare la catena.”
“Sicuro? Bene, allora noi andiamo.” Will riprese a salire le scale, seguito dal suo compagno di perlustrazione, che non si accorse della sua cintura con il fodero e la spada a terra.
 
Lilyth strinse con violenza il nodo sulla ferita alla spalla di Ian, strappandogli un gemito di dolore.
“Non credo di aver mai conosciuto un uomo più ostinato e stupido in tutta la mia vita!” inveì poi contro di lui “avete rischiato di farci scoprire!”
“Sarei stato più prudente se voi mi aveste detto qual’era il piano, invece avete tenuto all’oscuro entrambi!” sibilò lui in risposta.
Martewall ancora disteso a pancia in giù, secondo gli ordini della fanciulla, dischiuse la bocca in un sorriso, divertito dal loro nuovo battibecco, ma dovette riconoscere dentro di sé che il Falco un po’ di ragione l’aveva: Lilyth si era limitata a dire loro che sarebbero fuggiti alla prima buona occasione e li aveva pregati di attenersi a quello che avrebbe detto.
Così il barone inglese si fingeva da giorni un malato sulla soglia della morte, ed Ian un uomo ferito che si era rassegnato alla prigionia, mentre la giovane donna interpretava il ruolo di un’amica preoccupata per la loro sorte, disposta a tutto pur di salvare le loro vite.
Era rimasta molto più frequentemente vicino a lui per far funzionare bene la commedia e gli aveva tagliato la catena a poco a poco nei giorni precedenti.
“Vi comunicherò solo al momento opportuno cosa dovrete fare, per ora meno sapete, meglio reciterete.” Erano state le sue esatte parole.
La ragazza riprese ad aggredire il cadetto dei Ponthieu con voce ancora più tagliente: “Vi ho chiesto di tagliare la catena che vi legava al terreno e vi ho dato un’arma che, tecnicamente, voi che siete un prigioniero non dovreste avere. Persino il cane zoppo che avevo da bambina avrebbe capito che doveva fare meno rumore possibile!”
“Gentile da parte vostra paragonarmi a un cane zoppo.” Disse lui offeso.
“Oh, monsieur, voi lo rendete così facile! Comunque non dovete prendervela così: per tutto quello che vorrei dirvi adesso se non dovessimo fuggire da un momento all’altro potete ancora considerare le mie parole un  complimento.”
In quel momento arrivò la guardia, fece passare tra le sbarre il cibo e le ciotole d’acqua e poi, senza una parola tornò a sedersi nella stanza attigua.
Lilyth corse ad afferrare le ciotole d’acqua, annusò il contenuto, intinse il dito e se lo portò alle labbra, poi rovesciò due ciotole in un angolo, spiegando “Immaginavo che Wenning avrebbe ordinato di farci drogare in sua assenza, ed i miei sospetti vengono confermati: tutte e tre le ciotole contenevano un’alta dose di sonnifero.”
“E il cibo no?” chiese Martewall sotto voce.
“Non è sicuro mangiare neppure quello, ma deve pensare che lo abbiamo divorato.” Nascose anche il pane sotto un mucchietto di terra, si stropicciò gli occhi per arrossarli e far sembrare che avesse pianto ed infine diede una ciotola in mano a Ian: “Ora fate finta di dormire:quando vi darà le spalle dovrete colpirlo sulla nuca con tutta la forza che riuscite a trovare, capito? Non avremo una seconda occasione, quindi vi prego, non..”
“….devo fare di testa mia. Lo so.” Concluse lui.
Tutti e tre si scambiarono un’occhiata di intesa, poi Lilyth cominciò a piangere ed urlare, disperata.
 
Will guidò il suo compagno nel bosco per circa una quarantina di metri, poi si fermarono e gli indicò i cespugli di cui gli aveva parlato.
Il soldato accese una delle torce che avevano portato ed osservò il terreno.
“Ma qui non c’è nessuna impronta, stupido!”
Una risata fredda gli raggelò il sangue: “Certo che voi inglesi siete proprio stupidi: credevo che mi ci sarebbe voluto molto di più per convincerti a lasciare da sola la guardia, invece è bastato poco o niente.”
Si voltò e vide che il ragazzo aveva tolto la casacca degli uomini di Wenning, rivelando quella anonima che aveva sotto.
“Chi diavolo sei tu?” esclamò furioso, mentre l’altro impercettibilmente si avvicinava, passo dopo passo.
“Il mio nome non è affar tuo, ma se vuoi una buona ragione per odiarmi, ti dirò che la mia fedeltà va ad un padrone diverso dal tuo.”
“Molto bene, uomo la cui fedeltà va a qualcuno che non è il mio capo, adesso tu monti in sella al cavallo e mi segui fino alla torre, dove ti rinchiuderò in cella insieme agli altri prigionieri!”
“Ancora non hai capito?” gli chiese il ragazzo, fissandolo intensamente con i suoi occhi color del ghiaccio, dietro i quali traspariva solo determinazione “tu non tornerai mai più alla torre.”
L’uomo intuì la sua mossa e si portò la mano al fianco per prendere la spada, ma si accorse di non avere la cintura: troppo tardi, Will anticipò la sua fuga e lo trapassò con la spada.
Nascose il cadavere tra i cespugli, poi salì in groppa al suo cavallo e prese le briglie dell’altro, dirigendosi nuovamente verso la torre.
 
Ian appoggiò nuovamente le spalle al muro, chiuse gli occhi e strinse convulsamente nelle mani la ciotola datagli da Lilyth.
La guardia arrivò pochi istanti dopo, imprecando assonnata.
“Cosa diavolo succede? Smettetela!” urlò contro la ragazza.
“Aiuto, vi prego, aiutatemi!” implorò lei, poi indicando il barone inglese steso a terra “E’ morto, è morto!”
L’uomo prese le chiavi e fece scattare la serratura, entrò e minacciando Lilyth con la spada perché si allontanasse, scrutò il cavaliere a terra.
L’americano si alzò velocemente e lo colpì con la ciotola alla nuca, facendolo svenire.
Martewall si alzò, complimentandosi con la fanciulla: “Complimenti, siete davvero un’ottima commediante”
Lei si strinse in un’alzata di spalle: “Faccio del mio meglio.” Poi si chinò per raccogliere la spada del soldato, ed Ian la prese dalle sue mani.
“Grazie, madame, mi serviva proprio una spada. Anzi, serve a entrambi: cerchiamo di trovarne un’altra per il barone.”
Lilyth sorrise freddamente, irritata dall’idea di non potergli strappare l’arma di mano e puntargliela alla gola.
“Prima di andare voglio assicurarmi che la guardia dorma il più possibile.”
Ruotò il corpo dell’uomo a pancia in su, prese la ciotola piena d’acqua mista a sonnifero che aveva lasciato in un angolo e gliela fece bere.
Nella stanza accanto la spada del soldato morto nel bosco era stata posata sul tavolo dalla guardia, per restituirgliela appena fosse tornato; Martewall la afferrò saldamente con la mano destra, ma il braccio gli faceva piuttosto male, il muscolo era indolenzito.
Il Leone vide il lampo di bramosia che attraversò gli occhi della loro compagna di viaggio: la sua mente tornò in automatico alla battaglia della radura. Quando aveva accettato di andare in Inghilterra a cercare la figlia di un nobile si aspettava una damigella fragile, paurosa e indifesa, invece aveva incontrato una tra le donne dal temperamento più forte che avesse mai conosciuto nella sua vita: al di là dell’uso della spada, Lilyth aveva inventiva, astuzia e grande coraggio.
Nella cella alcuni giorni prima lei gli aveva afferrato la mano per strappargli una promessa, e non riusciva ancora a comprendere lo strano motivo per cui la sua lingua si era trasformata in un pezzo di cuoio, attaccandosi al palato. La ragazza lo sorprese a fissarla, e lui si costrinse a dirigere lo sguardo sulla parete.
Ian controllava le scartoffie depositate sul banco al quale sedeva il loro carceriere, ma non trovò nulla di importante: né per la loro fuga, né informazioni che potessero servire al re Filippo Augusto; al piano sopra di loro si sentirono dei passi pesanti, e la voce di un uomo che li chiamava.
Lilyth corse su per le scale, seguita dai due cavalieri, ed abbracciò Will con slancio.
Martewall vide amore nello sguardo di lui: incontrollato, e il suo stomaco si chiuse improvvisamente, come se qualcuno gli avesse dato un pugno. Attribuì la sensazione alla fame, dato che non avevano mangiato nulla dalla mattina, e poi andò a stringere la mano al biondo.
“Messieurs, lui è il mio amico e protettore William, anche se il suo vero nome è François.” Disse la ragazza facendo le presentazioni. “Ha è riuscito ad infiltrarsi tra gli uomini di Wenning e mi ha passato tutte le informazioni che ci servivano per scappare. Non ho potuto dirvi niente monsieur De Ponthieu perché temevo che qualcuno ci stesse ascoltando: avrei compromesso l’intera fuga. Siamo cresciuti in fattorie vicine e all’età di dodici anni mio padre ha cominciato a istruirlo per proteggermi. “ L’amico le diede una mano a salire in sella ad uno dei due cavalli presenti. “Il re non sa della sua presenza, ma sono assolutamente sicura che quando saremo al suo cospetto lo ricoprirà di onori.” Concluse con tono fiero.
I suoi due compagni di viaggio fecero per avvicinarsi alle cavalcature, immaginando di dover salire in due su un cavallo, ma il ragazzo estrasse repentinamente la spada puntandogliela contro.
“Will, che cosa stai facendo?” chiese Lilyth con voce preoccupata.
“Temo che non riusciremo ad arrivare dal re di Francia, Marie.”
Due uomini con la stessa sua divisa comparvero dall’ombra e costrinsero a terra Ian e Martewall, togliendo loro le spade.
“Perché mai non dovremmo arrivare dal re?” insisté lei, scendendo da  cavallo: era spaventata dalla piega che aveva preso la situazione, ma sperava di poterla ancora gestire.
“Torna in sella!” Le ordinò. “tu credi di sapere che intenzioni ha Filippo Augusto, vero? Beh, non ne hai la minima idea!”
 “Ma cosa stai dicendo Will? Questi due uomini li ha mandati lui per salvarmi!”
“No! Mentono! Filippo Augusto ti farà sparire, esattamente come ha fatto quando…”
“Basta!” lo interruppe lei con voce incrinata “Basta, non aggiungere altro.”
William buttò a terra la spada e le scosse le spalle “Io posso portarti da qualcuno che ti protegga seriamente, qualcuno che ha bisogno di te per vincere questa guerra che sta inaridendo l’Inghilterra, costringendola alla fame per poter pagare i soldati, qualcuno che sarebbe felice di averti al suo fianco a combattere. ”
Lilyth lo conosceva da una vita, aveva già capito di chi stesse parlando, ma pregò con tutta sé stessa di essersi sbagliata.
“Qualcuno come chi, Will?”
Lui avvicinò il viso al suo “Qualcuno come Giovanni SenzaTerra.”


*Oh naturalmente il più sentito grazie a tutti quei lettori fantastici che già seguono e recensiscono la mia fanfic. Vi adoro ;)

 

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Capitolo 9
*** Ricordi di famiglia...o quasi. ***


RULLO DI TABMBURI E CORI DI PERSONE IN FESTA MIEI AMATI LETTORI!!
SONO TORNATA CON UN NUOVO CAPITOLO L'ANTIVIGILIA DI NATALE: E' PROPRIO UN MIRACOLO!
Mi dispiace così tanto di avervi fatto aspettare una vita: non pensavo di impiegare così tanto per proseguire la storia, ma ho avuto un sacco di impegni e pochissime idee, perdonatemi.
Come sempre invito anche le persone che non hanno mai recensito la storia a farsi avanti e scrivermi un commento: muoio dalla voglia di avere una vostra opinione, anche negariva, per sapere come me la sto cavando e dove posso migliorare; scrivetemi, sono qui :)
Sapete che sono proprio contenta? Di capitolo in capitolo ci avviciniamo sempre più all'incontro tra Lilyth ed il re di Francia: cosa succederà? *musichetta di suspance*
Godetevi il mio regalo di Natale e passate delle belle vacanze!

ah...quasi dimenticavo: Buona Lettura!

BecauseOfMusic_






Ian sentiva il freddo metallo della lama contro la pelle della gola, mentre osservava Lilyth ed il suo ‘amico’ litigare.
Lui alzava la voce, scattava con la spada verso i due cavalieri inginocchiati a terra per cercare di smuoverla, di obbligarla a salire a cavallo, ma sembrava tutto inutile; avrebbe comunque potuto trascinarla via a viva forza, ma ebbe la netta sensazione che Will la temesse molto più di quanto lasciava trasparire il suo volto teso. La ragazza non faceva nulla di apertamente minaccioso, ma nei suoi occhi l’americano vedeva  i lampi di una collera crescente, dominata a stento: proprio come...
“Tieniti pronto” sibilò il Leone, inginocchiato accanto a lui.
“Come?” fece l’americano, distolto dal filo dei suoi pensieri.
Lilyth continuava a muoversi lentamente, misurando ogni passo, portando Will a dare loro le spalle: i suoi occhi incrociarono quelli di Martewall ed in un istante si compresero; cominciò a retrocedere lentamente, costringendo il suo avversario a seguirla tra gli alberi, lasciando soli i cavalieri ed i due uomini, che cominciarono ad inquietarsi.
Ian percepì i suoi muscoli irrigidirsi ed il cuore accelerare i battiti a causa del silenzio che aveva seguito la scomparsa della protetta del re di Francia: quando pochi istanti dopo si sentirono diverse urla si rese conto di avere paura per lei, e vide lo stesso sentimento negli occhi del compagno inglese.
 
Lilyth piangeva in silenzio, mentre cercava di disarmare il suo migliore amico a mani nude.
Le sue erano lacrime di rabbia, di odio, ma anche di tristezza: non voleva quella vita, non l’aveva mai voluta. Detestava essere una pedina di un gioco molto più grande di quanto lei potesse mai comprendere, odiava sentirsi usata, ma soprattutto non sopportava di dover subire e tacere; era questo che l’aveva portata a voler imparare l’uso delle armi, ad andare a cavallo, a comportarsi come un uomo: era il suo grido di indipendenza, non avrebbe mai accettato di sottostare alle loro regole.
Tutto questo però le si era ribellato contro: stava mettendo in pericolo la vita dei due cavalieri appena pochi metri più in là che erano andati a salvarla, stava perdendo il suo migliore amico, suo padre se ne era già andato; odiava sé stessa, odiava il fatto di essere così importante a livello politico, lo aveva sempre odiato.
Accecata dalle lacrime non vide in tempo la lama della spada e non riuscì ad evitare che le ferisse il braccio sinistro: sentì sprofondare la lama nella carne e non riuscì a trattenere un urlo.
Improvvisamente si ritrovò in un piccolo spiazzo di un campo di grano, due bambini si allenavano in segreto con dei bastoni, vigilati costantemente da un uomo giovane e forte, con le spalle ampie e il petto in fuori; gli abiti poveri non riuscivano a mascherare il suo portamento, e la terra che sporcava il suo viso ancora non aveva spento i suoi occhi di quel bagliore fiero e terribile tipico di chi è abituato a comandare; il bambino fece la stessa mossa con la quale Will le aveva ferito il braccio, perdendo l’equilibrio, e la femmina ne approfittò per puntare il proprio bastone contro lo stomaco dell’avversario, facendolo cadere.
La prima volta in cui suo padre era stato fiero di lei.
Il tempo smise di correre all’indietro e lei vide il suo migliore amico perdere l’equilibrio esattamente come tanti anni prima: anche se era disarmata strinse la mano destra in un pugno e lo colpì con tutta la forza  che aveva, mandandolo a terra per alcuni secondi che furono sufficienti a rubargli la spada e a costringerlo a seguirla fuori della macchia con la spada puntata tra le scapole.
 
Martewall e il suo compagno americano stavano lottando ferocemente contro i due uomini al soldo di Will: le loro spade piantate nel terreno pochi metri più in la.
Quando avevano udito gli urli provenienti dal bosco i soldati avevano allentato la presa, permettendo loro di allontanarli con una testata e lanciare le armi lontano; anche se i due cavalieri non erano intenzionati ad arrendersi erano entrambi ancora troppo deboli per reggere il combattimento a lungo, e in meno di pochi minuti si ritrovarono nuovamente sottomessi.
Il rumore di rami spezzati attirò l’attenzione dei vincitori, nel pozzo di luce creato dalla luna sul limitare del bosco comparvero due figure: Lilyth teneva in ostaggio Will, con il braccio ferito gli teneva le mani ferme dietro la schiena, mentre con l’altro gli puntava la spada alla gola.
“Lasciateli” disse con voce ferma, diretta ai sicari; sul volto di uno dei due comparve un sorriso beffardo.
“Lasciateli liberi” ripeté lei, avvicinandogli la lama alla pelle “O lui muore.”
Martewall non poté credere alle proprie orecchie: fino a pochi minuti prima diceva di fidarsi ciecamente di quell’uomo, ed ora sembrava disposta ad ucciderlo pur di salvarsi la vita; comprese la ragione che spingeva i due uomini a ridere: lei era una donna, e nessuna donna sapeva usare la spada. Anche lui la pensava così fino all’attacco nella radura.
La situazione rimase immota per alcuni istanti, poi Will ordinò ai suoi di slegare i cavalieri:
“Fate come dice.” La sua voce era carica di disappunto.
Appena furono in piedi Ian e il barone legarono i due sicari del biondo al tronco di un albero, insieme al loro capo.
“Marie” tentò lui con voce infervorata “ti supplico ascoltami: non c’è ritorno da tutto questo. La tua scelta qui, ora, significa vivere o morire.”
Lei lo fulminò, gli occhi grigi che lampeggiavano come delle saette “Se per vivere ho bisogno della protezione di un vigliacco come Giovanni SenzaTerra allora preferisco morire in Francia.”
William boccheggiò per diversi istanti, cercando qualcosa da replicare, ma si accorse che a nulla sarebbero valse le sue insistenze, Lilyth era decisa ad attraversare la manica.
Ian si rivolse al barone inglese: “Sarà meglio rimetterci in marcia subito, è quasi l’alba e Wenning potrebbe tornare da un momento all’altro.”
“Concordo, ho visto alcune coperte accanto alla cella, potrebbero essere utili” fece eco la ragazza.
“Prima, forse, dovremmo medicarvi” la interruppe l’americano.
“Non c’è tempo ora, non sento neppure il dolore, mi medicherò più tardi.”
“Ma, madame…” obbiettò lui.
“Non possiamo perdere tempo ora, sto bene. Dobbiamo assolutamente sbrigarci.” Concluse bruscamente il discorso lei.
Martewall si diresse verso la torre senza dire una parola, mentre i suoi compagni di viaggio preparavano i cavalli; in un paio di minuti furono pronti per partire: Lilyth si avvicinò nuovamente ai tre uomini legati, strappò della stoffa dalle loro divise e li bendò, per non permettere loro di vedere quale direzione avrebbero preso.
Terminata quest’operazione il trio si allontanò di qualche decina di metri a piedi per ingannare anche l’udito dei loro ‘prigionieri’,  poi montarono il sella  e si immisero galoppando su una strada secondaria che conduceva al borgo più vicino.
 
 
A Chatel-Argènt la padrona di casa conversava con il suo tutore, continuando a torturarsi le mani, accarezzando poi la pancia.
“Monsieur Guillame perché non sono ancora di ritorno? Mi avevate assicurato che non sarebbe servito loro poi molto, ma è ormai passato quasi un mese, e ancora mio marito non è a casa” gli disse con tono di accusa.
“Mia cara, vi prego di portare ancora un po’ di pazienza, sono certo che il vostro consorte sarà di nuovo in Francia prima di quanto pensiate.”
La donna bionda continuò a carezzarsi il ventre, pregando in cuor suo che il bambino aspettasse ancora quanto bastava al padre per essere di nuovo a casa, prima di venire al mondo.
 
Geoffrey Martewall osservava la strana fanciulla che lui ed il Falco avevano ‘salvato’ scaldarsi davanti al fuoco di bivacco che avevano allestito per la notte.
Dopo essere usciti vincitori dallo scontro con Will ed i suoi uomini avevano diretto velocemente i cavalli verso il borgo più vicino, che si affacciasse sulla costa, passando per strade secondarie.
Il piano era di imbarcarsi sul primo mercantile in procinto di attraversare la manica, tornando così sul continente: dopo sarebbe stata una passeggiata.
Il cavaliere americano si era lamentato del comportamento spregiudicato della giovane per quasi tutto il tragitto, cosa che in realtà sarebbe stata ritenuta normale da chi non avesse saputo l’abilità di Lilyth con le armi; ciò che però li aveva seriamente preoccupati era stato il gelido silenzio di risposta: non si era mai voltata indietro, mai aveva dato segno di aver sentito i rimproveri. Lei si accovacciò, allungando i palmi delle mani sulla fiamma, per scaldarle.
Mentre mangiavano lei parlò, quasi sussurrando: “Vorrei fare io il primo turno di guardia, messieurs, se a voi non dispiace”
Ian rimase di sasso. “Madame, no, non potete fare voi la guardia, non posso permettervelo!”
Lilyth lo fulminò con lo sguardo: “Fatemi indovinare: perché sono una donna?”
Il suo interlocutore rimase in silenzio, a disagio: si era talmente adatto ai costumi dell’epoca che non gli era neppure passato per la mente che una simile affermazione potesse offenderla.
L’inglese decise di intervenire, aiutando almeno un po’ la dama: “Rimango sveglio io, Falco, sono più riposato di te. Ti sveglierò tra circa tre ore.”
Ian si arrese all’evidenza del fatto che la ragazza non aveva intenzione di coricarsi, così andò a raccogliere le coperte dalle selle dei cavalli, ne tenne un paio per sé  e le altre le consegnò ai suoi due compagni di viaggio.
Quando si fu allontanato il barone prese il coraggio a due mani e si rivolse a Lilyth: “Milady, siete silenziosa da quando abbiamo abbandonato la radura della torre e non vi siete ancora fatta medicare…siete sicura di sentirvi bene?”
“Il mio braccio sta più che bene, milord, vi ringrazio per la premura.” Fu la risposta secca.
“Temo di dover insistere.”
Lei gli porse il braccio con fare spazientito.
Il feudatario di Dunchester cominciò a tamponare delicatamente la ferita, in silenzio; Lilyth osservava ciò che stava facendo senza realmente vederlo, il barone poteva vedere quanto fossero pieni di risentimento i suoi occhi grigi: pozzi senza un vero fondo, pieni di segreti che, solo per pochi istanti, gli pareva di conoscere dal primo all’ultimo.
“I vostri genitori sono ancora vivi, sir Martewall?” gli chiese con voce atona.
Lui si stupì leggermente di quella domanda, ma non si fece problemi a rispondere: “Non più, purtroppo: mia madre è morta diversi anni fa, mentre mio padre è stato giustiziato da re Giovanni perché si era rifiutato di pagargli ulteriori tasse.”
Le labbra di lei si assottigliarono in un sorriso amaro: “Abbiamo qualcosa in comune, allora: anche io ho perso mio padre da poco, ma questo voi già lo sapete. Mia madre, invece, mi è stato detto che è morta di crepacuore poche settimane dopo che ero salpata con monsieur De La Crois per l’Inghilterra.”
Continuò a fissare il terreno, mentre davanti ai suoi occhi scorreva un film invisibile: “Inizialmente non mi piaceva vivere in quella piccola casa, povera di qualsiasi cosa: mancava il camino per scaldarsi durante l’inverno, i pagliericci per i letti, il recinto per tenere qualche animale. Eppure, sir, dopo quel lunghissimo inverno arrivarono la primavera e poi l’estate: i campi di grano con le enormi spighe d’oro che quasi brillavano al sole, i pesci che luccicavano nel grande torrente a qualche miglio da casa, la vita del piccolo villaggio in cui abitavamo…tutto cominciava in qualche modo a entrarmi dentro, a diventare parte di me, ed io parte a mia volta di quel posto.
Ricordo con chiarezza mio padre, tutti i suoi ordini, i suoi modi da nobile, che credevo non sarebbe  mai riuscito a nascondere, le sue lezioni sulle armi che mi impartiva insieme a Will: per diversi anni sono riuscita a dimenticare chi fossi. La verità però, cavaliere, è che nessuno può fuggire dalla realtà, ed io stolta che ho creduto di avercela fatta sono stata punita perdendo le persone che amavo più della mia vita.”
Il barone inglese non si rese nemmeno conto di essersi irrigidito.
“Io e Will ci allenavamo insieme da quando avevamo compiuto dieci anni; ero stata io a chiedere a mio padre di insegnarmi a difendermi da sola: detestavo l’idea di dipendere da qualcun altro per essere in salvo.
Lo supplicai e lo disturbai talmente tanto che credo alla fine avesse accettato solo perché smettessi di chiederglielo!” il sorriso che era partito dagli angoli della bocca raggiunse anche gli occhi, illuminandoli.
“Volevo che mi insegnasse ogni cosa: la spada, la lancia, la lotta corpo a corpo e tutto ciò che sapeva. Appresi talmente in fretta che cominciai ad esercitarmi sola, perché il mio amico non riusciva a stare al mio passo: non avevamo la stessa ‘fame’ di sapere.
Forse è meglio così, dopotutto è stato proprio grazie a questa mia ostinazione se siamo riusciti a sfuggirgli stasera.”
Il suo sguardo mise finalmente a fuoco il presente, ed osservando Martewall scosse la testa leggermente: “Dovete scusarmi, vi ho annoiato con i miei ricordi ma non mi sono neppure resa conto che stavo parlando, io…”
“Non dovete assolutamente scusarvi, milady, i vostri ricordi sono affascinanti, sicuramente molto meglio dei miei.” La interruppe.
“Siete gentile, non eravate obbligato a star qui a sentire.” Gli rispose sorridendo leggermente.
L’inglese non riuscì a trattenersi dal dire: “William è il vostro promesso sposo?”diventando poi rosso come un pomodoro e maledicendosi mille e più volte. Si sentì un po’ più sollevato pensando che il suo rossore poteva essere benissimo attribuito al calore del fuoco.
Lilyth spostò lo sguardo dall’uomo alla fiamma, presa in contropiede: “No, no milord, è solo un vecchio amico d’infanzia; mio padre aveva detto che non mi avrebbe mai obbligata a sposare nessuno che non fosse stato anche di mio gradimento. Da parte mia non ho alcun interesse a sposarmi:  sono un lupo solitario, monsieur, ho molti altri progetti prima del matrimonio.”
Lui terminò il bendaggio alla ferita, chiudendosi in un silenzio imbarazzato; in seguito prese alcune coperte e le consegnò nelle mani della dama, congedandola con gentilezza: “Buon riposo, milady, domani finalmente riusciremo a salpare verso la Francia, e voi sarete un po’ più vicina alla libertà.”
Il sorriso che lei aveva pochi attimi prima si spense: “Non ne sarei così sicura, sir Martewall.”

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Capitolo 10
*** Tic Tac Tic Tac ***


Sono un'autrice crudele? Lo so. Mi odierete per il resto della vita? So anche questo. ):
Mi dispiace moltissimo, ho abbandonato questa fanfiction e vi chiedo scusa, mi dispiace davvero di non essere riuscita ad andare avanti a causa dei continui contrattempi, la scuola e tutto il resto.
Per cercare di farmi personare ho scritto un capitolo che spero proprio vi risulti interessante u.u
Ringrazio, come al solito, tutte quelle buone anime che recensiscono ogni capitolo, e invito tutti quanti a scrivere il vostro parere, anche negativo: devo sapere se c'è qualcosa da migliorare nella storia. (:
Dopo il mio monologo per cercare di scusarmi vi lascio al capitolo e vi avviso che ci siamo quasi: Lilyth è sempre più vicina a Filippo II, cosa accadrà?
*zan zaaaaan*
Buona lettura!!

BecauseOfMusic_


Il barone inglese svegliò Ian un paio d’ore più tardi.
-Svegliati, Falco! Adesso è il tuo turno.-
L’americano si sollevò dal giaciglio e gettò uno sguardo assonnato intorno a loro: il fuoco ardeva ancora, ben alimentato dalla scorta di legna che si erano procurati prima di accamparsi, i cavalli erano tranquilli e la ragazza dormiva giusto un metro più in la.
-Si è addormentata anche lei adesso? – chiese a Martewall indicandola con un cenno della testa.
-No, l’ho convinta a riposare subito dopo averle medicato la ferita.-
Ora che Lilyth non poteva sentirli si decise a condividere i suoi dubbi con il barone.
-Non trovi anche tu che somigli a qualcuno che abbiamo già incontrato?-
Martewall rispose con un cenno di diniego.
-Eppure in questa storia c’è qualcosa che non torna…- mormorò tra sé e sé.
Nessun re avrebbe mai rischiato la vita di uno dei suoi cavalieri e di uno dei suoi migliori alleati mandandoli a recuperare una ragazza in una zona di guerra per una promessa fatta anni prima, si disse alzandosi e cedendo il posto all’inglese, inoltre la ragazza in questione, per quanto gli dolesse ammetterlo, era una pedina sacrificabile nella corsa al trono d’Inghilterra; per quanto continuasse a pensarci non riusciva a trovare una valida ragione che spiegasse l’ansia del re, di suo fratello e il comportamento così ostile di Lilyth nei confronti di Filippo II.
Appena giunta l’alba svegliò i suoi due compagni di viaggio e si rimisero in marcia, dopo aver pianificato il viaggio verso il porto più vicino.
-Wenning non è uno stupido, ha capito che vogliamo lasciare l’isola, avrà lasciato un paio di scagnozzi  in ogni borgo che abbia un porto- aveva detto la ragazza con voce atona – quando arriveremo in vista della città ci converrà nascondere le spade e cercare di inserirci in un gruppo di contadini, se ce ne sono. Le guardie ci noterebbero subito altrimenti.-
-Nella peggiore delle ipotesi- aveva aggiunto Martewall –ci apriremo la strada a colpi di lama.-
La marcia a cavallo nel folto della boscaglia era piuttosto faticosa, prendevano continui scossoni e spesso dovevano smontare e percorrere brevi tratti a piedi; la spalla di Ian cominciò a farsi sentire dopo quattro ore di viaggio circa: ogni tanto la vista gli si sdoppiava per il dolore e sentiva le gambe cedere.
<< la prossima volta che il re si presenta a Chatel-Argent senza la corte al seguito lo manderò al diavolo! >> pensò irritato e affaticato << Isabeau, amore, sto arrivando, sto tornando da te >> continuava a ripetere mentalmente.
Martewall, che guidava il trio, ad un tratto si fermò:
-Ci siamo- bisbigliò –da qui a poco saremo in vista del borgo.-
-Non possiamo proseguire con i cavalli- disse Lilyth –e se andassimo a piedi non arriveremmo mai in tempo.-
Mentre decidevano il da farsi, Ian vide in uno spiraglio tra i rami un carro di fieno che si avvicinava sulla strada in direzione del borgo ed ebbe un’idea.
-Se fingessimo di essere stati attaccati dai briganti? Siamo tutti feriti e con gli abiti laceri, basterà sporcarci il viso con la terra e caricarci addosso solo le monete e le armi.-
-Saremo perquisiti all’ingresso, Falco, te ne sei forse dimenticato?- obbiettò l’inglese.
-No, ma possiamo nascondere le spade sotto il fieno di questo carro…-
-Messieurs non vedo alternative, non abbiamo molto tempo, e per quanto il piano sia azzardato mi sembra davvero crudele bocciare in questo modo l’unica buona idea che il conte di Ponthieu abbia avuto da quando ci siamo incontrati; dobbiamo anche mettere in conto che si tratta dell’unico piano che abbiamo.- si inserì Lilyth.
-Ehi- protestò l’americano indignato –non immaginate neppure quante buone idee io possa avere!-
-Immagino, immagino- gli rispose lei agitando la mano con noncuranza –ora sbrigatevi a raccogliere tutto ciò che ci serve dai cavalli e poi legateli qui, potrebbero servirci se avessimo bisogno di fuggire, Dio non voglia. Monsieur – disse rivolta nuovamente a Ian – voi avete il segno più vistoso, perciò fingerete di essere quello maggiormente ferito, non nominate per alcun motivo la Francia, e cercate di nascondere il più possibile il vostro accento.
Fingeremo di essere i figli di un ricco mercante che in questo momento è a fare affari nelle Fiandre, stavamo andando al porto ad imbarcarci per raggiungerlo quando i briganti ci hanno attaccato, chiederemo solo un passaggio fino al mercato, diremo di conoscere qualcuno al porto che ci sta aspettando per salpare.
Tutto chiaro?-
-Voi avete un talento naturale per mentire.- le disse l’americano, cercando di stuzzicarla.
-Si chiama fantasia, mio caro, cosa di cui voi non siete provvisto- ribatté lei, piccata -io ora vado a fermare il carro.-
-Fate attenzione milady- l’avvertì Martewall.
-Tenetevi pronti.- fu la risposta. Poi lei uscì sulla strada e corse incontro al carro, agitando le braccia al cielo.
 
Il medico di fiducia e l’ostetrica del casato di Ponthieu erano stati chiamati d’urgenza a Chatel-Argent quando la padrona di casa aveva avvertito delle fitte sempre più pressanti al ventre, che l’avevano costretta a letto.
Isabeau riposava mentre il medico comunicava l’esito degli esami a Guillame:
-Mio signore la dama sta bene, non è niente di preoccupante: il bambino si sta preparando a nascere.- disse l’uomo strizzando gli occhi per vedere meglio il nobile. Da diversi anni la sua vista era peggiorata, e le sue gambe si erano fatte malferme, ma aveva ancora il pieno controllo delle mani, che gli permettevano di lavorare per i più grandi nobiluomini francesi.
Si strinse nel suo mantello da viaggio marrone mentre il conte rispondeva:
-Pensate che ci vorrà molto?-
-Mademoiselle de Montmayeur dice che le fitte si sono fermate, quindi presumo che ci vorrà qualche giorno. Ho comunque lasciato disposizione che la levatrice venga alloggiata nella stanza attigua a quella della contessa in caso ci sia bisogno immediato di lei.-
-Avete fatto bene, dottore, vi ringrazio per la vostra premura. Sarò lieto se vorrete essere mio ospite questa sera.- disse Guillame de Ponthieu concludendo il discorso.
Era preoccupato per suo fratello, che non era ancora tornato dall’Inghilterra: non aveva più idea di come rassicurare Isabeau; anche lui cominciava a dubitare che sarebbe mai tornato.
Il medico si ritirò in biblioteca per rispondere ad alcune lettere prima di mangiare, mentre il conte visitava la sua protetta.
La donna finse di dormire, non voleva compagnia in quel momento: era arrabbiata, si sentiva abbandonata da tutti, specialmente da Ian, che avrebbe dovuto esserle accanto e invece era nuovamente lontano; sentiva un enorme groppo in gola e non sapeva quanto sarebbe riuscita a resistere ancora alle lacrime.
-So che non dormite, vi prego, ditemi a cosa pensate.- le disse il conte sedendosi al suo capezzale.
Isabeau aprì gli occhi, qualche lacrima rimasta impigliata tra le ciglia, limitandosi a dire:
-Lasciatemi sola con i miei pensieri, vi prego.-
Guillame uscì senza dire una parola.
La ragazza finalmente si abbandonò al pianto, in silenzio.
 
 
 
Martewall osservava i due contadini che avevano raccolto lui e i suoi due compagni di viaggio, mentre il carro si dirigeva verso la porta del borgo.
Erano una coppia di anziani, entrambi avevano la pelle abbrustolita dal sole e il volto solcato dalle rughe profonde della vecchiaia e della fatica: l’uomo, probabilmente più ingenuo, aveva preso subito per vera la loro storia, mentre la contadina era più sospettosa e insisteva con le domande.
-Vorrete avvisare le guardie appena arriveremo al borgo immagino.- suppose, squadrando  Lilyth e i suoi abiti laceri con sommo disappunto.
-Forse lo faremo- le rispose la ragazza –ma cosa cambierebbe? Quei briganti sono fuggiti, nessuno li troverà più.- finse di singhiozzare.
-Oh, cara, voi dubitate così tanto della bravura del nostro capitano dell’esercito? Sono sicura che se andrete a parlare con lui troverà i vostri assalitori e farà giustizia.- le rispose la sua interlocutrice.
-Quel pallone gonfiato!- la interruppe il contadino, dando un brusco strattone alle briglie. Il carro si fermò e lui poté voltare il busto, per guardare in faccia la moglie:
-Ti fai abbindolare da due parole dette con il giusto tono, tu!-
-Brutto zoticone! Non parlare di cose che non sai, pensa piuttosto a condurre il carro fino al borgo, se arriviamo in ritardo perderemo il mercato!- ribatté lei stizzita.
Il contadino strappò un filo di fieno e lo mise tra i denti, poi diede un nuovo strattone alle biglie e fece ripartire il cavallo al piccolo trotto.
-Come potremmo andare a parlare con il capitano dell’esercito? Si trova a Londra e noi non possiamo permetterci una deviazione, signora.- si inserì il barone, mostrando compostezza anche dopo l’intervento inaspettato.
<< Allora c’è qualcuno nel popolo che ha smesso di credere alle bugie di re Giovanni e dei suoi scagnozzi >> si disse, mentre il cuore accelerava i battiti: la gente inglese era stanca dei soprusi, delle tasse, della povertà e della crudeltà di un re avido e meschino; un giorno non molto lontano si sarebbe sollevata tutta insieme, in un unico grido per difendere la propria dignità, lo sentiva.
-Milord ho saputo che si trova in uno dei borghi qui intorno, sta dando la caccia ad alcuni carcerati evasi.- gli rispose la contadina, osservando di sottecchi la loro reazione.
-Oh, ma siamo davvero fortunati allora- rispose Lilyth fingendo una grande gioia –hai sentito Francis?- disse accarezzando il volto di Ian, che era sdraiato sul pagliericcio.
Lui rispose con un sorriso debole, come si era raccomandata lei prima di salire a bordo.
Gli tornò in mente la sua precedente avventura in Inghilterra, quando doveva fuggire con Martewall e portare un messaggio alla corona francese, un piano ordito dai baroni che cercavano di rovesciare re Giovanni. Allora come in quel momento aveva finto di essere malato e aveva percorso la strada verso il borgo sdraiato nel retro di un carro.
Cercò di sistemarsi meglio, ma Lilyth lo costrinse a tornare alla posizione iniziale: estrasse un fazzoletto dalla manica e si chinò su di lui fingendo di asciugargli la fronte.
-Se vi spostate si vedrà il riverbero metallico delle spade, siamo quasi arrivati, abbiate pazienza.- gli bisbigliò.
Ian avrebbe voluto rispondere che era piuttosto scomodo viaggiare sdraiati su due spade, ma si convinse che fosse il caso di tacere.
Superarono l’ingresso del borgo senza tante difficoltà, poi il contadino condusse il carro verso il mercato, e fece sosta in un area coperta tra due edifici.
-Per arrivare al porto dovete proseguire per questa strada- li informò mentre scendeva dalla cassetta.
Lilyth finse di aiutare Ian a scendere dolcemente dal pagliericcio, ma lui non fu abbastanza rapido da nascondere le armi nel mantello: la contadina lo afferrò per un lembo della veste gridando al marito:
-Sono loro, lo sapevo! Corri a chiamare le guardie, avremo una bella ricompensa! Sono i briganti!- Il trio rimase spiazzato dall’improvvisa vitalità della donna.
Il contadino, invece di ascoltarla, afferrò il primo forcone che gli capitò in mano e colpì la moglie alla nuca con il manico, facendola svenire; Martewall fu il primo a riprendersi dalla sorpresa, afferrò una delle due spade sul fieno e si preparò a fronteggiare l’uomo.
-Non ho intenzione di ostacolare la vostra via, sir, se il SenzaTerra vi cerca è perché gli avete dato fastidio, e se gli avete dato fastidio sono molto contento. Mia moglie si lascia abbagliare dalle parole dei ricchi e dei potenti, non è una donna che usa la propria testa per pensare, vi chiedo scusa a suo nome.-
Il barone inglese si rilassò leggermente:
-Vi ringrazio per la vostra sincerità, ora è tempo di andare, altrimenti perderemo l’imbarco.-
Ian afferrò la spada che era rimasta e insieme a Lilyth si avviarono verso la zona del mercato, rinfoderando le armi.
Il porto del borgo non era tanto grande, ma molto affollato.
-Perfetto per imbarcarsi senza essere notati.-osservò la ragazza di buon umore.
Martewall si offerse di andare in avanscoperta, per individuare un mercantile che sarebbe dovuto salpare di li a poco o al massimo la mattina dopo.
Ian e Lilyth rimasero soli ad aspettarlo, seduti al tavolo di una locanda in una strada laterale.
Entrambi rimasero persi nei loro pensieri fino a quando lei non lo vide giocare distrattamente con l’anello che portava al collo e lo rimproverò:
-Fate attenzione, potrebbero scoprirvi!- sibilò.
-Scusate, avete ragione- le rispose riponendolo nuovamente sotto gli abiti –ma è un ricordo di casa, e in momenti come questo è difficile non sentirne la mancanza.-
Lo sguardo di lei si raddolcì impercettibilmente: -Pensate che vostra moglie abbia già partorito?-
-Spero di no, ci tengo molto ad essere presente quando il bambino verrà al mondo… sarò padre: se solo ci penso non riesco a trattenere la gioia.- le rispose con gli occhi che si illuminavano.
-Lo dite con la grande sicurezza che sarete lì per vederlo, anche in questo momento in cui stiamo rischiando la vita, vi fa onore.- sussurrò la sua interlocutrice fissando le venature del legno del tavolo.
Ian sospirò, un po’ amaro: sapeva con  certezza che, comunque sarebbero andate le cose, lui sarebbe sopravvissuto, perché doveva concepire un secondo figlio. Era frustrante conoscere il proprio futuro e non quello degli altri, soprattutto adesso che cominciava a conoscere e confidare maggiormente nei suoi compagni di viaggio.
Lilyth seguì per un po’ il filo dei suoi pensieri e poi gli chiese: -Lo accettereste anche se non fosse vostro?-
L’americano strabuzzò gli occhi: -Prego?-
-Accettereste questo bambino anche se non fosse vostro? Anche se fosse figlio di un altro uomo?- insisté lei.
Dovette pensarci, prima di rispondere.
Un figlio non suo, simbolo vivente del tradimento di Isabeau. Gli sembrò di poter sentire il suo cuore che andava in frantumi: no, non lo avrebbe accettato mai, non sarebbe riuscito ad amarlo come se fosse suo, lo avrebbe trattato in modo diverso, sbagliato, come si tratta un cane rognoso.
<< E’ questo che siete? >> avrebbe voluto chiederle << una figlia illegittima? >>
-No.- rispose –perché non riuscirei ad amarlo, e sarebbe ingiusto nei suoi confronti.-
Le labbra di Lilyth si dischiusero in un sorriso malinconico.
Il barone inglese fece il suo ingresso nella locanda e si andò a sedere al loro tavolo.
-Un mercantile parte tra un paio d’ore al molo più piccolo. Si tratta dell’ultimo in partenza da questo borgo: pare che re Giovanni abbia esplicitamente vietato i commerci con la Francia a causa della guerra. Dobbiamo sbrigarci.-
Ian fece l’atto di scattare in piedi, ma lei lo trattenne:
-Calmatevi, immediatamente! L’ultima volta che avete agito in questo modo ci siamo dovuti rifugiare nella foresta per un bel po’. Se vi attenete al piano riusciremo ad arrivare in tempo in Francia, e vedrete nascere il vostro bambino, ve lo prometto: dovessi obbligare il cielo a mandarci il vento favorevole.- gli disse osservandolo dritto in volto con i suoi occhi grigi.
Ancora una volta quello sguardo colpì l’americano e la sua memoria. << Dove vi ho già vista? Perché mi ricordate qualcuno? >> erano domande a cui non riusciva ancora a trovare una risposta.
Martewall li esortò –E’ tempo di andare.- 

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Capitolo 11
*** Tempo Scaduto ***


Eccomi di nuovo qui!
Devo farvi davvero mille scuse, perchè avevo detto che avrei aggiornato più spesso, ma anche in vacanza ho dieci milioni di cose da fare D:
Non sono ancora arrivata al punto che sto morendo dalla voglia di scrivere, come vi avevo già anticipato, ma vi assicuro che ci siamo quasi, manca davvero poco e sono sicura che, quando lo pubblicherò, capirete subito qual'è :)
Basta parlare: buona lettura. ci vediamo a fine capitolo :3




Lasciarono i soldi che bastavano per pagare la consumazione sul tavolo, poi uscirono dalla locanda e la frescura della sera li avvolse, portando loro i rumori del borgo che lentamente si spegneva.
Le guardie cominciavano a vigilare le strade: arrivare al molo piccolo non sarebbe stato facile.
-Ho incontrato la figlia di un marinaio che lavora a bordo, per un paio di monete d’oro per lei e per il genitore ha garantito che ci farà salire a bordo senza fare domande.- spiegò l’inglese mentre si dirigevano verso la banchina, mantenendosi nelle vie laterali.
-Sei sicuro che possiamo fidarci?- gli chiese Ian.
-No, ma era l’unica soluzione possibile per rimediare un passaggio verso la Francia.- nessuno poteva dargli torto.
Li guidò attraverso uno stretto intreccio di stradine, fino ad arrivare ad una piccola porticina inserita nel muro di una casa che era affacciata direttamente sul molo: si vedeva che era stata aggiunta di recente, non apparteneva alla struttura originaria dell’edificio, che mostrava i segni dell’erosione della salsedine in più punti. Era stata costruita in modo da mimetizzarsi il più possibile nel muro, anche se, pensò Lilyth, non era certo un lavoro fatto a regola d’arte.
Martewall bussò tre volte, fece una pausa di due secondi e bussò di nuovo tre volte.
Ad aprire la porta fu una ragazza pressappoco dell’età di Lilyth: portava i capelli raccolti in una lunga treccia nera, aveva gli occhi piccoli scuri, il naso schiacciato e la bocca piccola e carnosa; accolse i nuovi arrivati con un sorriso sornione e li fece accomodare.
Appena furono entrati tutti e tre chiuse la porta di scatto, e il trio si ritrovò minacciato da due uomini armati, e la ragazza estrasse un pugnale da sotto la gonna.
-Fareste bene a darci tutti i vostri averi, non vi sarà fatto alcun male.- disse loro uno dei due aggressori.
Lilyth scoppiò in una risata isterica, spingendo la popolana a puntarle il coltello alla gola.
-Sappiamo usare perfettamente le armi, signori, vi sconsiglio vivamente di opporre resistenza.- aggiunse l’altro.
-Ho fatto bene a chiamare i miei fratelli, sir?- chiese la donna al barone, continuando a tenere gli occhi puntati sulla protetta del re di Francia –del resto voi siete ricchi, che differenza può fare qualche soldo in più o in meno?-
L’inglese non riusciva a credere di essere cascato nella trappola di una semplicissima contadina o popolana che fosse: avrebbero potuto battere facilmente i due uomini, ma usare le spade avrebbe significato attirare l’attenzione delle guardie che facevano la ronda. Non avevano tempo per queste complicazioni: avrebbero perso il battello se non avessero trovato in fretta una soluzione.
I due uomini presero il sacchetto di monete dalle tasche di Martewall e cominciarono a contare il denaro, lasciando i prigionieri in custodia alla sorella.
-Signore- disse Lilyth rivolta a Ian –ricordate cosa vi ho promesso poco fa?-
-Certo che me lo ricordo.- le rispose.
-Ora dovrete fare voi una promessa a me…-
-Non mi sembra il momento, madame…- cercò di interromperla lui.
-Promettete: niente domande.- insisté la ragazza.
-Cosa significa?- chiese lui confuso.
-Voi promettete e basta.- gli occhi grigi della dama sembravano scrutargli l’anima: sapeva che non si sarebbe mai potuto rimangiare la parola. Aveva conosciuto solo altre due persone con quel potere nello sguardo.
-Lo prometto.-
-Cos’è questo giochetto? E’ forse la vostra donna questa?- chiese con tono di scherno la ragazza che impugnava il coltello e teneva ancora Lilyth sotto minaccia.
-Cara- le rispose l’ostaggio –non mi sono mai piaciute le ragazze impiccione.-
Le diede una gomitata nello stomaco, liberandosi del pugnale puntato alla gola, che cadde sul pavimento.
Nel tempo che la ragazza impiegò a riprendersi dal colpo Lilyth le puntava l’arma contro.
-Non pensate di minacciarmi con quell’arma, stupida nobile, non sapete nemmeno da che parte si comincia.- Esclamò la sua avversaria.
-Sono scampata a ben due attacchi dei briganti, sono fuggita dalla cella di una torre di guardia dove ero stata rinchiusa insieme ai miei compagni di viaggio e ho cavalcato per ore nella foresta più fitta per sfuggire ai soldati, ma ora sono stufa dei contrattempi e degli ostacoli. La nave diretta in Francia salperà fra poco, se pensate di frapporvi tra noi e il molo vi avviso: non mi farò scrupoli a trapassarvi con la spada.- rispose Lilyth.
L’altra rise sguaiatamente. –Quello è un pugnale, non una spada.-
La dama inarcò un sopracciglio, seccata: -Invece di trapassarvi ve lo pianto nel cuore, ma cara l’effetto non cambia: voi morite ugualmente.-
Martewall faticò a reprimere i brividi lungo la schiena: il modo in cui quella donna cambiava quando maneggiava un’arma lo affascinava.
-Cavalieri, vi suggerisco di restituire il denaro.- Intimò Ian ai due ladri, sguainando la spada insieme all’inglese –varrà certamente molto meno della vita di vostra sorella.-
Riavuto indietro il denaro e privato i tre delle armi Martewall, Lilyth e Ian abbandonarono il piccolo scantinato e si diressero verso il mercantile, avvolto dalle ombre scure della notte.
Man mano che si avvicinavano sentivano le voci dei marinai a bordo che urlavano comandi e indicazioni.
-Sta salpando, presto!- Intimò l’americano.
Non voleva perdere anche questa occasione di tornare a casa. Era stanco di stare lontano da Isabeau e da Marc.
Con un ultimo immane sforzo riuscirono a entrare nel ventre della nave e a nascondersi tra la merce.
Ian si abbandonò con la schiena contro una cassa, cercando di regolarizzare il respiro, imitato dal barone e da Lilyth.
-Madame?- chiamò nel buio.
-Mi avete fatto una promessa, monsieur, mostratemi che siete un uomo di parola.- gli rispose lei.
 
 
tre giorni dopo
 
I tre compagni di viaggio approdarono finalmente sul continente, dove il prestigio di Ian permise loro di trovare subito delle cavalcature abbastanza veloci e raggiungere Chatel-Argent molto in fretta.
Avendo mandato avanti un messaggero per avvisare del suo ritorno, il conte cadetto non si stupì di trovare suo fratello Guillame ad attenderlo nel cortile.
-Bentornato, Jean.- gli disse con un sorriso teso –avevamo quasi perso le speranze che tu e sir Martewall tornasse insieme alla protetta del re. Io e tua moglie abbiamo pregato tanto.-
-Allora adesso dovremo ringraziare il Signore, perché siamo tornati sani e salvi, tutti quanti.- gli rispose l’americano. –Come mai Isabeau non è qui con te?- chiese poi cercandola lì intorno con lo sguardo.
-E’ arrivato il momento che tutti aspettavano da quando ha avuto la certezza di essere gravida.- disse allora il conte di Ponthieu, serrando la mascella.
Gli occhi dell’americano cominciarono a brillare di gioia: -Isabeau sta partorendo?-
-Si, la levatrice è già con lei.-
Ian fece per correre verso le scale ma il fratello lo fermò: -Non possiamo andare da lei, dovremo attendere nella stanza attigua, ci convocherà appena sarà nato.-
L’americano pensò di allontanarlo con uno spintone e di correre da sua moglie, poi si ricordò che le regole del medioevo che riguardavano il parto erano molto ferree, così si rassegnò all’idea di aspettare insieme agli altri.
-Ancora una cosa - li interrupe Ponthieu prima che arrivassero alle porte del castello –da ora mademoiselle De La Crois passa sotto la mia sorveglianza. Ordini del re.-
Ian guardò perplesso il fratello e poi la fanciulla.
-Non è un problema, monsieur, non sono più io la vostra priorità. Andate ad aspettare la nascita di vostro figlio.- gli disse lei per rassicurarlo. Poi sorrise: - vi avevo promesso che saremmo arrivati in tempo, no?-
Il conte di Ponthieu la scortò verso un’altra ala del castello mentre il Leone e il Falco facevano il loro ingresso a Chatel-Argent.
Il primo suono che giunse alle loro orecchie furono le urla disperate della padrona di casa: Ian dovette reprimere nuovamente l’impulso di correre da lei.
Martewall gli posò una mano sulla spalla: -Falco, questa è la sfida più difficile che tu abbia affrontato, ma ce la farai.- 
 
 
La levatrice cercò di concentrarsi unicamente sul figlio della partoriente, senza permettere alle sue urla di penetrarle le orecchie.
Il servo bussò nuovamente alla porta: -Quanto tempo manca ancora?-
La donna sollevò gli occhi al cielo: -Ancora un paio d’ore, riferiscilo pure al tuo signore.-
Non capiva l’impazienza degli uomini, quando c’era in ballo una nascita: erano le madri a soffrire, non loro.
Isabeau cercò di risollevarsi dai cuscini: -Vi prego fermatelo, non fatelo uscire vi prego.-
Lei le asciugò la fronte dal sudore: -Ma che dite, madonna, per il vostro bambino è arrivato il momento di nascere, non si può più aspettare. Quando sentirete che dovete spingere avvisatemi, così vi aiuto.-
-No.- rispose la partoriente scuotendo la testa freneticamente.
-Bimba mia, se ostacoli il tuo bambino rischiate di morire entrambi.- cercò di dissuaderla la levatrice.
-Ma io non voglio che nasca, suo padre non è ancora qui, non possiamo aspettare?- supplicò Isabeau.
-Quando vostro marito tornerà, troverà un meraviglioso erede maschio, state sicura.- le sorrise.
-Vi prego, mandate il servo a vedere se è tornato.- insistè la padrona di casa.
La levatrice si avviò sospirando alla porta e comandò al servo di vedere se fosse tornato il marito della signora.
Il ragazzetto scese le scale a precipizio e si fermò nella stanza dove stavano riuniti i due cavalieri e Guillame, che si era unito a loro subito dopo aver rinchiuso Lilyth in una delle stanze del castello.
Gli uomini balzarono in piedi: -Allora?-
Il servo scosse la testa: -Non è nato, mio signore, ma madonna Isabeau vuole sapere se suo marito è tornato, altrimenti si rifiuta di aiutare la levatrice, mettendo in pericolo la vita sua e del figlio.-
L’americano si rivolse a Guillame de Ponthieu: -Lasciami andare da lei, non rimarrò ad assistere al parto, ma lei saprà che sono qui, nel giorno più importante della nostra vita. Non voglio che pensi di essere sola.-
Rimasero a fissarsi per alcuni istanti: poi Guillame cedette.
-E sia.- soffiò –rassicura pure tua moglie del fatto che sei a casa e non ti muoverai da qui per i prossimi dieci o vent’anni.-
Ian corse nella stanza di Isabeu prima che il conte cambiasse idea.



ANGOLO AUTRICE
Allora? Spero che il capitolo vi abbia intrigato e che vi spinga anche a lasciare una recensione (come sempre ripeto: anche una recensione negativa è beneaccetta, perchè devo sapere se la mia storia ha dei punti deboli, quindi non fatevi problemi a scrivermi)
Invito anche chi non lo ha mai fatto a darmi il suo parere: più siete, meglio è!
Ci vediamo al prossimo capitolo, un abbraccio.

BecauseOfMusic_

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Capitolo 12
*** Di nuovo prigioniera ***


Eccomi!!
Scusate il ritardo: come al solito dico che cercherò di pubblicare con una maggiore frequenza e poi non riesco a mantenere il mio proposito ):
Putroppo sono partita per le vacanze e non avevo la possibilità di andare su internet; il lato positivo è che ho comunque continuato a scrivere e quindi ho già la scorta di capitoli per farmi perdonare di questo mese di silenzio stampa xD
Questo non è ancora il capitolo che aspetto di scrivere dall'inizio della fic, ma lo giuro, ci siamo quasi...
basta, vi ho importunato abbastanza: Buona lettura!!

BecauseOfMusic_ 





Isabeau stava tentando di allontanare la levatrice che le asciugava la fronte imperlata di sudore quando suo marito entrò nella stanza e corse da lei.
-Signore!- esclamò scandalizzata l’altra donna, coprendo le gambe della partoriente.
Nessuno dei due innamorati badò a lei, mentre le loro labbra si incontravano di nuovo dopo un tempo che a entrambi era parso infinito.
-Amore sono qui, sono tornato.- le sussurrò Ian.
-Sei qui, sei qui, sei qui con me.- continuava a mormorare Isabeau.
-Adesso, ti supplico, ascolta i consigli della levatrice: dai alla luce il nostro bambino. Andrà tutto bene, Isabeau: lo sento, lasciati aiutare e tra poco tutto il dolore sparirà.- cercò di calmarla lui.
-Resta, non andare via.- piagnucolava la moglie.
-Non posso. Guillame mi ha concesso qualche minuto solo per mostrarti che sono tornato davvero, ma non posso restare qui, anche se lo vorrei tanto.-
Lo sguardo negli occhi di sua moglie fu peggio di una pugnalata per Ian: maledisse i costumi del medioevo, che lo obbligavano a lasciarla da sola in quel momento così importante; le afferrò ancora una volta la mano e la strinse con forza.
-Sono appena fuori da questa porta, non tornerò dagli altri, sarò dietro la porta chiusa, va bene?- mormorò baciandole la fronte.
-Sarà come se fossi qui  con me.- rispose lei con un sorriso.
Ian la baciò di nuovo sulle labbra, poi uscì dalla stanza e chiuse la porta alle proprie spalle.
 
Lilyth aspettava il rientro del servo con la notizia della nascita dell’erede di Jean Marc De Ponthieu e si osservava nel riflesso della finestra.
Non aveva un bell’aspetto.
I capelli castani erano tutti sporchi e arruffati, la pelle era quasi nera, tanto era coperta di terra.
La sua mente continuava a fissarsi sull’espressione di folle felicità che aveva vista sul volto del conte cadetto quando gli era stato comunicato che sua moglie stava partorendo.
Si chiese se suo padre avesse avuto la stessa espressione mentre sua madre la dava alla luce; sicuramente era mutata appena si era accorto di aver avuto una figlia femmina.
Strinse le labbra in un sorriso amaro, mentre una ragazzina entrava dalla porta.
-Il padrone mi ha detto di portarvi un catino, per lavarvi.- mormorò tenendo lo sguardo basso.
Lilyth ringraziò e la spedì fuori, poi si spogliò e si immerse nell’acqua, cercando di annullare tutti i pensieri che le affollavano la mente, concentrandosi solo sul battito del suo cuore: i tagli sui palmi delle mani e la ferita alla tempia bruciavano; non le era mai capitato di pensare così tanto a quell’uomo, solitamente non aveva che pensieri negativi per lui, eppure quel giorno si trovava a chiedersi cosa avesse provato quando l’aveva vista nascere, cosa avesse pensato quando l’aveva caricata su quella nave e l’aveva spedita in Inghilterra, per liberarsi di lei…
Scosse la testa: tornare in Francia era stato un grosso errore, non si sarebbe dovuta fidare dei due cavalieri, anche se erano pedine in quel grande gioco, proprio come lei; uscì dalla vasca e indossò l’abito che la serva le aveva lasciato, raccolse i capelli bagnati e cominciò ad esaminare la stanza per trovare una via di fuga.
 
Dopo quasi un’ora di attesa Ian era ancora fuori dalla porta della sua camera da letto e combatteva con l’impulso di entrare ogni volta che le urla di sua moglie gli giungevano alle orecchie.
Sapeva che sarebbe andato tutto bene, Marc sarebbe arrivato al mondo senza complicazioni, e anche Isabeau sarebbe sopravvissuta a quel momento che gli sembrava non passare mai, ma la paura di perdere entrambi gli mordeva ugualmente il cuore.
Martewall si affacciò dalla stanza accanto e gli fece cenno di raggiungerlo: accortosi del diniego dell’americano lo raggiunse.
-Posso scambiare due parole con te, Falco?-
Ian si limitò ad annuire.
-Ricordi cosa ci siamo detti durante il viaggio in Inghilterra?-
-Riguardo alla protetta del re? Certo che ricordo.-
-Non capisco perché ha dovuto rinchiuderla in una stanza: non poteva rimanere ad attendere con noi?-
-Non ti sembra di esagerare? L’ha solo accompagnata in una stanza: dopo questo viaggio lunghissimo avrà bisogno di riposare.- rispose l’americano.
Non voleva sembrare scortese, ma in quel momento aveva altro per la testa, di Lilyth si sarebbe potuto occupare più tardi.
-Tutti avremmo bisogno di riposare, Falco, ed evidentemente non hai notato la chiave che tuo fratello aveva in mano quando ci ha raggiunto nell’altra sala.-
Ian non disse nulla, anche se la cosa lo insospettiva un po’:
-Dov’è ora?-
-Ha detto di avere delle faccende da sbrigare, era insofferente nell’attesa, proprio come te.-
In  quell’istante le urla di Isabeau cessarono, sostituite da alcuni piccoli singulti.
I muscoli dei due uomini si irrigidirono, il cuore del conte cadetto accelerò i battiti quasi fino a fargli dolere il torace.
I singulti furono sostituiti dal pianto a dirotto del nuovo arrivato.
Ian scattò verso la porta, mentre il barone inglese si dileguava nuovamente nella sala attigua, rispettando la felicità del suo compagno di viaggio.
Marc era finalmente nato.
 
La notizia dell’arrivo di un erede maschio fu portata alla protetta del re di Francia dal conte Guillame in persona.
-Congratulatevi con me, madame, ho un nipote maschio.- le disse felice.
-Bon per voi, monsieur.- ribatté lei stizzita.
Aveva cercato inutilmente di eludere la sorveglianza del servo davanti alla porta della sua camera, e quando aveva finalmente deciso di farlo entrare e stenderlo per andarsene era entrato il conte a rovinarle il piano.
-Non mi chiedete il suo nome?-
-A quanto ho appreso dal padre si chiama Marc.- rispose, sedendosi su uno sgabello e cominciando a spazzolarsi i capelli per asciugarli. –ma voi non siete qui per ricevere i miei auguri, quindi vi prego arrivate al punto.-
Guillame rimase in silenzio per alcuni istanti, preso in contropiede: aveva immaginato che la fanciulla avesse un carattere molto forte, ma non aveva idea che somigliasse così tanto a quello del padre.
-Nelle sue lettere monsieur De La Crois vi descriveva come una donna molto forte, energica e schietta: vedo ora che aveva ragione.-
-Non avrebbe dovuto sorprendervi la sua descrizione, voi conoscete le mie origini.- gli rispose continuando a spazzolarsi la chioma castana.
-Quello che non capisco- proseguì il conte ignorando deliberatamente il tono acido della sua interlocutrice –è perché voi non abbiate mai risposto alle mie missive: mi risulta che sappiate leggere e scrivere. Anche se siete stata nascosta sotto le spoglie di contadina vi è stata data l’educazione dell’alto rango a cui appartenete.-
<< e anche di più monsieur. >>
-Non sono mai stata brava con le corrispondenze.- si limitò ad affermare Lilyth in un’alzata di spalle –ora sono io che devo farvi una domanda.-
-Chiedete.- concesse Ponthieu.
-Cosa ci faccio io qui?-
-Non sono autorizzato a dirvelo, madame.- mormorò in risposta abbassando la testa.
-Certo, dimenticavo che siete il suo cane fedele.- ribatté la dama con una punta di disprezzo nella voce.
-Sarà sua maestà a decidere di voi, so solo questo.-
-E quando pensa di farlo? Prima o dopo la mia morte?- la voce era carica di odio.
-Come potete dire una cosa simile!- esclamò il conte.
-Signore, mi credete così ingenua da non capire che non sopravvivrò al re? Sono solo una pedina, e quando sarò di intralcio verrò eliminata.- rispose Lilyth piantando gli occhi grigi in quelli dell’uomo.
-Ad ogni modo – concluse lui avviandosi verso la porta –Filippo Augusto vi informerà dei piani che ha per voi tra due giorni, gli ho inviato un messaggero appena avete smontato da cavallo.-
Quando Guillame fu uscito dalla stanza lei tornò alla finestra e continuò ad armeggiare con la serratura, bloccata preventivamente dal padrone di casa proprio in previsione della sua visita.
<< devo andarmene prima dell’arrivo del re e imbarcarmi per l’Inghilterra: venire qui è stato un errore. >>
 
Da una nave mercantile nel porto di un borgo vicino scesero cinque marinai che si confusero tra la folla; si nascosero in un vicolo e si cambiarono rapidamente, abbandonando le divise per semplici abiti da contadini, nascondendo le armi in tasche segrete.
Entrarono poi in una locanda e ordinarono da bere e da mangiare.
Quando ebbero terminato, tre di loro si diressero dall’oste per chiedere se ci fosse una alloggio disponibile nella zona, prima di riprendere il viaggio verso il castello dei Ponthieu.
Dei due rimasti al tavolo, un moro e un biondo, l’ultimo sembrava visibilmente nervoso:
-Sei sicuro che funzionerà?- chiese al suo compagno sottovoce.
-Perché non dovrebbe? Rilassati, tutto ciò che dobbiamo fare è catturarla viva.-
I tre al banco fecero cenno al moro di raggiungerli, mentre la cameriera portava il conto verso il loro tavolo.
-Ci pensi tu, vero Will?- disse con un ghigno, poi Wenning si alzò e raggiunse i suoi uomini zoppicando leggermente.

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Capitolo 13
*** Le donzelle, a volte, piovono dal cielo ***


Dopo mesi di silenzio sono tornata! :)
Mi devo scusare con tutti coloro che leggono la storia e aspettavano un mio segnale di vita: perdonatemi, ma sono stata sommersa dagli impegni e la mia ispirazione ha pensato bene di andare in vacanza :(
Ora cercherò di pubblicare con più regolarità: spero di ritrovare i fan che mi seguivano, pronti a dirmi ancora cosa ne pensano della mia storia.
Vi lascio al capitolo, spero che vi piaccia: buona lettura!

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Martewall stava passeggiando nel cortile del palazzo,  immerso nei suoi pensieri, in attesa che un servo gli venisse a comunicare il sesso del primo erede del Falco.
Ripensò alla notte dell’agguato di Wenning, a come si fosse dato per vinto, e all’audacia di quella donna, che aveva deciso di affrontare il suo nemico e di svelare così un segreto molto pericoloso.
Quando impugnava un’arma Lilyth diventava spavalda, irriconoscibile: come quando aveva minacciato di uccidere l’uomo che fino a pochi istanti prima aveva chiamato amico.
<< le persone così sono pericolose, molto pericolose. >> si disse, mentre si dirigeva verso l’armeria; un po’ di esercizio lo avrebbe aiutato a schiarirsi le idee.
Anche se la protetta del re di Francia poteva apparire instabile questo suo difetto lo affascinava, lo attraeva anziché allontanarlo da lei; scosse la testa: non era da lui prestare attenzioni ad una donna, soprattutto considerando che era la protetta del monarca, troppo in alto rispetto a lui per accettare qualunque proposta…
<< smettila! >> si ordinò << smettila di pensare a tutte queste cose inutili. Concentrati sull’esercizio. >>
Mentre stava svoltando l’angolo qualcosa, o meglio qualcuno gli piombò addosso dall’alto, facendolo finire per terra.
 
Ian fu finalmente ammesso a vedere sua moglie e suo figlio.
Marc dormiva tra le braccia della madre, e lei riposava con la testa adagiata sul cuscino. I suoi riccioli biondi erano sparsi sul cuscino e creavano quasi un alone dorato intorno al suo viso; il cuore dell’uomo cominciò a battere all’impazzata mentre si avvicinava al letto.
Isabeau aperse gli occhi e gli sorrise, felice che fosse andato tutto bene e che lui fosse li.
-Stai bene?- le chiese in un sussurro.
-Si, stiamo bene.- gli rispose raggiante.
Ian si avvicinò e accarezzò la guancia del bambino: era un piccolo fagotto indifeso ma simboleggiava il loro amore.
Marc aveva le manine strette a pugno ed era avvolto in una coperta ricamata dalle sarte di Chatel-Argent che mostrava lo stemma del casato; quando l’americano lo prese in braccio Isabeu si decise a chiedergli:
-Come vuoi chiamarlo?-
-Tu come vorresti che si chiamasse?- le disse di rimando.
-Mentre eri lontano ho pensato che sarebbe stato bello chiamarlo come suo padre, per continuare la tradizione di famiglia.- gli rispose lei in un’alzata di spalle.
Ian sorrise: era strano sapere già cosa avrebbe risposto.
-E allora, benvenuto in famiglia Marc.- acconsentì con un sorriso, mentre il piccolo si agitava nel sonno.
 
-Monsieur!- esclamò imbarazzata Lilyth, rialzandosi da terra e cercando di ricomporre l’abito che indossava –vi chiedo scusa, credevo che non ci fosse nessuno.-
Martewall si massaggiò la spalla, ancora più imbarazzato di lei: era la seconda volta che veniva messo al tappeto.
-Ma cosa state facendo, milady?- le chiese, cercando di riprendere un po’ di contegno.
-Niente, volevo solo fare una bella passeggiata in giardino…- rispose Lilyth evasiva.
-Le vostre passeggiate comprendono anche assalti ai passanti?- chiese il barone sarcastico.
-No, perdonatemi. Ora devo lasciarvi, non vedo l’ora di ammirare le rose di cui ho sentito parlare dalle sguattere mentre mi cambiavo.- bofonchiò lei allontanandosi in tutta fretta.
<< ma da dove sarà sbucata? >> si chiese il Leone mentalmente << non credevo che ci fossero porte su questo lato del castello… non può certo essere saltata fuori da una finestra, sono troppo in alto… >> un terribile sospetto si insinuò nella sua mente, così guardò verso l’alto e si accorse che c’era una finestra spalancata a circa due metri da terra, dalla quale penzolava un lenzuolo.
<< è matta! >> si disse strabuzzando gli occhi.
Senza ulteriori indugi si mise a inseguire la fanciulla, che intanto cercava di raggiungere le stalle di corsa.
-Milady, fermatevi!- cominciò a urlare, con il risultato che Lilyth accelerò il passo.
Anche il barone cominciò a correre, richiamando l’attenzione dei servi, che cercavano di aiutarlo. Lilyth continuava a schivarli, avvicinandosi sempre di più ai cavalli e alle armi; decise che non poteva permetterle di scappare, se quello era ciò che la ragazza aveva in mente.
Anche se era riuscita a schivare i garzoni delle stalle la dama aveva dovuto rallentare parecchio per poterli evitare, così lui riuscì a coprire la distanza che li separava e ad afferrarle la vita.
Lilyth cominciò a dimenarsi e cercò nuovamente di colpirlo come aveva fatto durante il loro primo incontro:
<< non stavolta. >> sentenziò Martewall quando si accorse di cosa aveva in mente la sua avversaria.
Cercando di limitarne i movimenti il barone le sussurrò:
-Stiamo dando spettacolo dinanzi ai servi, smettetela, per cortesia!-
-E voi lasciatemi andare!- ringhiò lei di rimando.
-Prima vi calmerete e poi vi lascerò libera di andare dove vorrete. Anche se non capisco perché io non possa accompagnarvi in questa passeggiata.- fu la risposta sarcastica.
Lilyth smise di dimenarsi, e decise che la sincerità era l’arma migliore da usare con il barone: lui era inglese, l’avrebbe capita,  ne era certa.
Lui la liberò all’istante dalla presa e le offrì il braccio, intimando i servi di riprendere il lavoro che stavano facendo; i due cominciarono a camminare lentamente, cercando di tenersi lontani dalla vista delle finestre, dietro suggerimento della dama.
-Non avevo alcuna intenzione di passeggiare nel cortile, milord, mi spiace di avervi mentito.- riprese Lilyth con voce atona.
-L’ho capito quando ho visto il modo in cui eravate uscita dal castello: quale dama si getta da una finestra aggredendo il cavaliere che sta passandovi sotto?- le rispose il Leone per sdrammatizzare.
Lei ridacchiò: -Avrei dovuto prevedere che lo avreste trovato sospetto… ma avevo fretta di uscire e andare via.-
-Siamo qui solo da poche ore e già volete tornare nella tana del lupo? Avete dimenticato che re Giovanni vi da la caccia?-
-No- rispose lei scuotendo la testa –ma sono certa di avere ancora più paura di re Filippo. In fondo il Senzaterra non è molto scaltro, e i suoi uomini sono forse più tonti di lui, riuscirei sempre a sfuggirgli…-
Martewall capiva le preoccupazioni della fanciulla: come inglese conosceva molto bene il suo re e la sua fama di uomo infido, come nobile rispettava il monarca di Francia: tutti in Europa sapevano quale dei due fosse più pericoloso, non c’era da stupirsi che Lilyth pensasse di essere caduta dalla padella alla brace.
Mentre ammiravano i fiori due guardie arrivarono di corsa, accompagnate dal conte Guillame: questi aveva un’aria truce.
-Vi avevo pregato di restare nella vostra stanza!- sibilò alla giovane prigioniera.
-Non mi avete pregato – ribattè lei calma –avete chiuso a chiave la porta.-
Ponthieu fece per rivolgersi al barone inglese, ma lei lo precedette:
-Ho incontrato sir Martewall qui pochi minuti fa, mi stava mostrando il giardino.-
Il conte finse di credere alle sue parole, poi fece un cenno alle guardie, che afferrarono Lilyth e la esortarono a seguirli; il Leone dovette combattere contro l’istinto di estrarre la spada e proteggerla, come aveva dovuto fare durante i giorni precedenti in Inghilterra.
Mentre il gruppo rientrava nel castello Ian andò loro incontro, costretto ad abbandonare la stanza dove sua moglie stava riposando per ordine della levatrice.
Corrugò la fronte: -Che succede, fratello?-
-La signorina De La Crois deve essere confinata nella sua stanza fino all’arrivo del re. Dato che ha forzato la finestra e tentato di fuggire dovremo spostarla in una stanza più idonea.-
-Perché stavate cercando di fuggire, madame?- le chiese l’americano, stupito.
Lei lo ignorò, rivolgendosi al conte: -Se per stanza più idonea intendete una cella fareste prima ad ammazzarmi subito.-
Le guardie rivolsero uno sguardo spiazzato al loro signore.
Ian si accorse dal cipiglio del suo fratello acquisito che la situazione stava degenerando fin troppo in fretta.
-Un momento signori, per favore. Guillame, potremmo parlare? Ti ruberò solo pochi istanti.-
Ponthieu si lasciò accompagnare in una camera vicina.
-Cosa vuoi, fratello?- sibilò irritato.
-Anche se ora sei arrabbiato con la nostra ospite e devi eseguire gli ordini del re, ti prego, cerca di comprendere che se la tratti da prigioniera non smetterà mai di cercare una via di fuga. Ho visto come agisce, cosa è in grado di fare quando si ritrova in trappola…-
-Cosa suggerisci quindi? Di disobbedire agli ordini del re ed essere sbattuti nelle segrete dei Soisson solo per cortesia verso un ospite?!- rispose il conte sempre più infuriato.
-No, ovviamente no! Dico solo che se tu evitassi di trattarla proprio come una prigioniera, anche se importante, probabilmente non la invoglieresti a fuggire. Se la metti in cella adesso, domani mattina non la ritroveremo lì dentro, bensì in qualche borgo sulla costa a cercare di imbarcarsi per l’Inghilterra.-
-Come fai ad esserne così certo?-
-Quando ci eravamo incontrati oltremanica era stata molto chiara con me e Martewall: non voleva venire in Francia, non voleva abbandonare il suo piano di vendetta contro il capo dei mercenari. Se riuscisse davvero a scappare dovremmo tornare a prenderla lì, e dubito che questa volta si lascerebbe trovare.-
Il conte si lasciò convincere, seppur contro voglia e tornò dalle sue guardie che trattenevano ancora Lilyth.
-Mademoiselle, sono stato sicuramente troppo precipitoso.- incominciò facendo cenno ai suoi uomini di lasciare la ragazza. –Mio fratello Jean vi mostrerà una delle stanze degli ospiti, dove potrete preparavi per la cena. Vi prego di accettare le mie scuse ed il mio invito.- concluse a denti stretti.
-Sarà un onore per me, grazie monsieur.- ribadì lei con voce piatta.
Ian sentì dei brividi corrergli lungo la schiena: conosceva Guillame ed anche la protetta del re; anche se dai toni gentili sembrava che fosse stata stabilita una tregua, sapeva che nessuno dei due aveva sotterrato l’ascia di guerra, anzi: la impugnavano ancora saldamente entrambi.
Mentre il conte di Ponthieu si ritirava in biblioteca Martewall gli sfrecciò di fianco, diretto alla sua stanza, mormorando:
-Sarà una cena memorabile.-
L’americano sospirò, sconsolato:
-Non ne dubito.-

 

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Capitolo 14
*** Guardare in faccia il passato ***


Lettori! Sono tornata dopo più di un anno di silezio: chissà se ancora aspettavate il capitolo: spero proprio di si.
Non vi trattengo oltre e ci rivediamo a fine capitolo.

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Quella sera i primi a raggiungere la sala del banchetto furono il Falco e il Leone, che si osservarono in silenzio per un paio di minuti.
-Non capisco perché mai quella donna abbia così tanta paura di re Filippo: ci ha mandato lì a salvarla!- disse Ian dopo essersi versato del vino.
-Credo che ci siano parti di questa vicenda di cui ci hanno tenuto all’oscuro: sappiamo bene che è venuta con noi solo perché doveva momentaneamente sfuggire al capo delle truppe mercenarie.- fu la risposta.
-Effettivamente è tipico del nostro re non rivelare mai più dello stretto necessario…-
La porta accanto al camino si aprì, interrompendo i loro discorsi e facendo entrare le due dame: l’ospite e la padrona di casa.
Isabeau indossava un abito semplice, del colore del cielo, mentre Lilyth sfoggiava un abito dalle maniche lunghe rosso cupo; la dama francese portava i capelli raccolti in un’acconciatura semplice, la sua compagna d’ingresso li aveva lasciati sciolti.
-Oh, Lilyth, abbiamo interrotto i discorsi dei cavalieri!- disse la moglie del conte cadetto prendendo sotto braccio la sua nuova amica.
-Ah! Come se fosse difficile immaginare l’argomento della loro conversazione- le rispose l’inglese –armi, cavalli, guerra…-
-Voi.- disse Martewall, cogliendola di sorpresa.
-Io?-
-Del vostro coraggio in Inghilterra.-
-Non merito tanto riconoscimento, ma vi ringrazio.- disse Lilyth con un inchino.
Tra i presenti calò un silenzio quasi imbarazzato, mentre gli sguardi dei due inglesi sembravano incatenati.
In quel mentre Guillame de Ponthieu fece il suo ingresso accompagnato dal medico e invitò tutti ad accomodarsi a tavola.
 
William Lungaspada si ritirava nello stesso istante nella sua camera da letto dopo l’ennesimo consiglio di guerra con re Giovanni.
La moglie gli corse incontro e lo abbracciò stretto:
-Ho avuto tanta paura. Ho sempre tanta paura quando lasci questa stanza.-
-TI prego, Ela, sono stanco ora e non ho voglia di discutere.- disse lui di rimando, sciogliendo l’abbraccio.
-Non voglio discutere, ma ho paura per i nostri figli: qui non siamo al sicuro.-
-E cosa vuoi che faccia?- sibilò il conte –che dica a mio fratello che ho intenzione di portarvi via dalla corte? Tanto varrebbe impiccarsi da soli!-
-Ci deve essere un modo per uscire da questa situazione, non posso vivere con la paura che ogni uomo che incontro per il castello possa estrarre la spada e uccidere i miei bambini!-
Il marito si sedette sul letto e si prese la testa tra le mani:
-Mi inventerò qualcosa, te lo giuro, ma devi avere pazienza: se non è tutto studiato nei minimi dettagli rischio solo di portarci alla forca.-
La donna gli afferrò il viso e gli diede un leggero bacio sulle labbra cogliendolo di sorpresa:
-Lo so che il nostro matrimonio è stato combinato da tuo fratello, ma questo non lo rende meno vero. E adesso che siamo in un momento di difficoltà non c’è nessun altro uomo che vorrei al mio fianco.-
Lui la strinse a sé, commosso da quelle parole. Non era mai stato davvero sicuro della scelta del fratello, neppure il giorno in cui Riccardo lo aveva portato a incontrarla.
<< -Mi dirai mai quale è il suo aspetto, fratello?- chiese esasperato, mentre i servi finivano di prepararlo.
-A che scopo, mi chiedo, visto che stai per incontrarla?- fu la risposta accompagnata da una risata calda e profonda.
Giovanni, disteso su dei cuscini color porpora ed intento alla lucidatura della sua spada si intromise nella discussione:
-Quanta fretta!  Il nostro caro William non vede l’ora di mettere le mani su due belle cosce di donna eh?-
Il fratellastro diventò rosso in viso ma cercò di contenersi, visto l’occhiata ammonitrice che il maggiore dei ragazzi gli aveva lanciato; non contento, il futuro Senzaterra tornò all’attacco:
-La figlia di un piccolo conte dalla quale guadagnerà anche il titolo: non ci si può aspettare di meglio, pur trattandosi del figlio bastardo di un re!-
William gli fu addosso in un istante e lo scaraventò oltre il piccolo divanetto su cui era adagiato.
Giovanni si risollevò  con in viso un’espressione  vittoriosa: gli piaceva far infuriare il fratellastro costringendolo alla lite e poi alla punizione, visto che il padre prendeva sempre le sue parti.
Fu Riccardo a interrompere immediatamente il conflitto mettendosi fra loro:
-Giovanni esci di qui immediatamente!- il minore gli rivolse un’occhiata velenosa e si dileguò.
-Non devi ascoltarlo: è solo invidioso perché il tuo matrimonio sarà felice, molto più del suo.-
-E se poi non mi amasse?-
L’altro gli mise la mano su una spalla per tranquillizzarlo:
-L’amore è un lusso che non tutti i reali possono permettersi. Ma con il tempo si può cominciare a provare profondo affetto per il proprio consorte e questo ti auguro con tutto il cuore.->>
William Lungaspada sorrise: suo fratello aveva proprio ragione.
 
Lilyth masticava lentamente la carne di pernice condita con miele e uva passa osservando la strana composizione del tavolo di quella sera: a capotavola sedeva Guillame de Ponthieu, evidentemente assorto nei suoi pensieri, alla sua destra c’erano il cadetto e sua moglie, che a detta del medico sembrava aver ripreso vita solo dopo il ritorno di Jean, dalla parte opposta sedevano appunto il medico e il barone inglese mentre a lei era stato riservato il posto d’onore all’altro estremo del tavolo.
Dopo i primi convenevoli la conversazione si era dissolta ed ognuno si era occupato di ripulire il proprio piatto.
Ad un tratto uno dei cani che stavano mangiando i suoi avanzi fece uno scatto mentre lei si portava alle labbra la coppa del vino, facendogliela rovesciare sull’abito e sulle mani.
Un servo accorse subito con uno straccio, mentre lei si alzava di scatto.
-Lilyth! O sono così dispiaciuta, davvero!- esclamò la padrona di casa –lascia che ti dia un altro abito.-
La donna inglese non le rispose, osservava le mani sporche del vino, rivedendo il momento in cui aveva sorretto il padre morente: le sue mani allora avevano lo stesso colore.
Sentì qualcosa lacerarsi nel petto e le lacrime farsi strada verso i suoi occhi: l’unico uomo che al mondo l’aveva amata, che le aveva insegnato tutto quello che sapeva, l’unico a cui importasse veramente di lei.
Era morto.
Lo rivide accasciarsi a terra, trapassato da parte a parte dalla spada di quel mercenario, sentì di nuovo la disperazione montarle nel petto, l’urlo di rabbia che aveva lanciato al cielo quando lui si era spento definitivamente.
-Vogliate perdonarmi.- disse, fuggendo letteralmente dalla stanza.
Il barone le corse dietro, incrociando un messaggero che correva verso la sala del banchetto.
La trovò nella sua stanza, intenta a sciacquarsi freneticamente le mani nella piccola ciotola che i servi le avevano fornito.
-State bene, milady? Siete scappata dalla cena! Ora, comprendo che il cibo francese non sia granché ma..-
Le labbra della dama si inclinarono in un lieve sorriso:
-Si, avete ragione, il cibo francese non è paragonabile al nostro, non sapevo come dirlo in maniera educata, così..- anche il cavaliere rise.
-Cosa vi affligge? Nel tempo trascorso in Inghilterra quello sguardo lontano che avete ora l’ho visto solo quando mi avete raccontato la vostra infanzia.-
Lilyth confessò con un profondo sospiro:
-Ho ripensato a mio padre, al sangue, alla sua morte, al fatto che sono sola al mondo. Non erano bei pensieri, e non me la sentivo di rimanere al banchetto non essendo di buona compagnia.-
Martewall le si avvicinò:
-Non è vero che siete sola, avrete sempre la mia amicizia, e sono sicuro anche quella del Falco.-
Lei gli sorrise benevola con un leggero inchino:
-Vi ringrazio, è molto generoso da parte vostra ed è per me un onore ora che lo so.-
Avrebbero continuato a parlare, se non fossero stati interrotti da alcuni squilli di tromba.
 
Il servo che il Leone aveva incrociato corse nella sala del banchetto e riferì a Guillame de Ponthieu che il re Filippo Augusto sarebbe arrivato al castello in pochi minuti.
I padroni di casa ordinarono che la tavola e la sala fossero pulite, pronte per accogliere il sovrano; Isabeau comprese che avrebbe dovuto aspettare il marito in camera, e così si congedò da loro in tutta fretta:
-Io torno da nostro figlio.-
La servitù fece appena in tempo ad ultimare la pulizia quando suonarono le trombe che annunciavano l’arrivo del re di Francia.
Guillame e Ian uscirono per accogliere l’ingresso della carrozza ed il suo passeggero.
Quando scese dalla carrozza il re mostrava ancora molta preoccupazione nei lineamenti, tuttavia si disse molto felice di vedere che il conte cadetto era finalmente rientrato a casa e si congratulò anche per la nascita del primogenito maschio.
-Grazie, vostra maestà, la vostra preoccupazione per me e la mia famiglia mi onora.- fu la risposta dell’americano.
Entrarono nella sala principale, dove li aspettavano due guardie, che al gesto di Guillame de Ponthieu si dileguarono.
-L’avete dunque trovata?- fu la prima domanda del sovrano.
-Si, mio signore, dopo varie vicissitudini siamo finalmente riusciti a tornare in patria.-
-E lei non ha opposto nessuna resistenza quando le avete detto che sarebbe dovuta tornare in Francia?- chiese ancora Filippo Augusto con tono stupito.
-Non ne era affatto felice, ma ha accettato l’aiuto mio e del barone per riuscire a sfuggire al capo delle truppe mercenarie.-
-Molto bene, sono felice di poter pagare il debito che ho con suo padre, e di saperla al sicuro.-
Mentre il re pronunciava queste parole le porte si spalancarono e fecero il loro ingresso i due membri mancanti a quella riunione: il Leone precedeva le due guardie prima congedate da Ponthieu, che scortavano, o meglio dire trascinavano, Lilyth.
 
 
Per la dama fu uno shock rivedere il re dopo tanti anni.
Il ricordo che aveva di lui era quello di un uomo giovane e forte, con uno sguardo magnetico: tutto ciò che rimaneva di allora, pensò non senza una punta di gioia, era solo un vecchio stanco e provato dal tempo: persino le spalle, una volta larghe e forti, si erano curvate sotto il peso degli anni.
Opporre resistenza alle guardie non era servito a nulla, non era riuscita a fuggire, come aveva pianificato, ed ora la sua vita era nelle mani di qualcun altro. Di nuovo.
Le guardie la lasciarono libera davanti al re solo dopo averla fatta inchinare.
-Marie de la Crois, è un onore finalmente conoscervi di persona.-
-Vorrei poter dire lo stesso, maestà.- rispose glaciale.
Ad Ian vennero i brividi vedendo con che sguardo lei osservava il re di Francia.
< Non promette nulla di buono > si disse.
Non capiva l’atteggiamento della dama: Filippo Augusto la voleva a tutti i costi salva in Francia, ma lei non ne era affatto felice, sembrava quasi preferire il pericolo dell’Inghilterra; al solo nominare il sovrano francese il viso le si incupiva: sembrava arrabbiata con il mondo intero.
E poi non poteva dimenticare l’abilità di quella donna con le armi, cosa che non sarebbe mai potuta accadere secondo le fonti storiche in quel periodo, men che meno tra le nobildonne.
Il re riprese a parlare, dopo una breve pausa.
-Sono davvero dispiaciuto per la morte di vostro padre, vorrei davvero riparare a ciò che è successo anni fa riamm…-
Lilyth non gli lasciò terminare la frase: estrasse la spada dal fodero della guardia alla sua sinistra e si precipitò contro di lui puntandogliela alla gola.
Tutti si immobilizzarono, colti alla sprovvista da quel gesto.
-Non osate parlare di lui!- urlò –non osate nemmeno pronunciare il suo nome! Lo avete mandato a morire per voi, lo avete lasciato per anni senza più contatti con la patria nel tentativo di cancellare la mia esistenza.-
-Madame- si fece avanti Ian, notando che tutti i presenti avevano estratto la spada ed erano pronti ad usarla – capisco il vostro dolore, ve lo assicuro, nessuno al mondo vi capisce meglio di me, ma non potete incolpare il nostro sovrano: non è stato lui a impugnare la spada che ha ucciso vostro padre.-
Lei rise, senza neppure staccare gli occhi di dosso al re:
-Oh sir, voi siete così ceco, tanto quanto tutti gli altri presenti.- si rivolse di nuovo all’uomo che teneva in ostaggio –avete mandato anche questi due uomini valorosi a cercarmi, avete mandato anche loro verso una possibile morte, solo per avermi qui e senza dire loro neanche una minima parte della verità.-
-La verità possiede diverse facce.- fu la risposta gelida di Filippo Augusto, che teneva gli occhi puntati sulla lama.
-Non in questo caso. Sono stanca di essere usata come una pedina dagli uomini di potere, se dovete uccidermi fatelo, ma prima permettetemi di vendicare mio padre.- ribattè la dama.
-Mademoiselle sua maestà non ha alcuna intenzione di uccidervi, vuole solo ridarvi il posto che vi spetta nella nobiltà, suvvia deponete la spada, non sapete nemmeno come tenerla e rischiate di fare del male a qualcuno.- tentò di calmarla Guillame de Ponthieu.
Lilyth rispose con una risata isterica:
-Avete ragione, non so usare questa spada, che sciocca sono stata, a credere che minacciando il re almeno voi avreste detto la verità. Bugiardo! Siete uguale a lui, il suo cane fedele! Avreste lasciato morire vostro fratello solo per obbedire al re.-
Durante questo scambio di battute il Leone era riuscito ad avvicinarsi più degli altri a Lilyth, e rinfoderando la spada cercò di farla ragionare:
-Milady, vi supplico, conosco il vostro dolore, anche io ho perso mio padre, ma nessun dolore al mondo giustifica una minaccia ad un sovrano. Rischiate la condanna a morte.-
-Che mi uccida allora! E’ quello che il grande re di Francia sogna di fare da quando sono stata messa al mondo!- ribatté ancora una volta lei.
Anche Ian tentò di risolvere la situazione:
-Ma perché siete così convinta che vi voglia nuocere? Sua maestà ci ha mandato a salvarvi da un gruppo di briganti e voi lo minacciate. Vi prego, deponete la spada e lo faremo anche noi.-
-Deporrò la spada quando Filippo Augusto avrà detto ad alta voce il vero motivo per cui avete rischiato la vita insieme a sir Martewall.-
-Mai.- ringhiò il re.
Lilyth gli si avvicinò, appoggiando la spada lungo il proprio fianco.
Quando cominciò a parlare le sue parole erano quasi veleno puro:
-Oh, ora riconosco sua maestà: violento, freddo e calcolatore. Così calcolatore che appena sposato si scelse delle amanti per scaldare il proprio letto, non potendo consumare il matrimonio con una bambina*. Egli si eleva moralmente  al di sopra degli altri, ma quando si tratta di donne non è molto diverso dai rozzi uomini del popolo che cercano compagnia per la notte!-
Filippo Augusto la colpì al viso per farla tacere, e la spada rotolò lontano.
Le guardie immobilizzarono di nuovo la donna, trascinandola lontano dal re.
Mentre tutti rinfoderavano le spade Ian e il Leone osservarono Lilyth con aria interrogativa.
-Come mai quelle facce stupite, cavalieri?- chiese lei con un ghigno- Non avevate capito di avere di fronte la figlia illegittima di re Filippo Augusto?-

*parlando di una bambina Lilyth si riferisce alla prima moglie di Filippo Augusto, Isabella di Hainaut: si sono sposati nel 1180, e all'epoca lei aveva solo dieci anni, lui circa 18. La data di nascita del Delfino è l'anno 1187, quando la madre aveva più o meno 17 anni.
Isabella di Hainaut è morta nel 1190, all'età di 20 anni, dopo aver dato alla luce due gemelli: entrambi non sono sopravvissuti. 
 

Eccomi, di ritorno a fine capitolo, fatemi sapere presto cosa ne pensate e scusatemi ancora per il colossale ritardo.

p.s. Qualcuno ha già letto il nuovo capitolo della saga Hyperversum? Se si, ditemi cosa ne pensate!!

A prestissimo, BecauseOfMusic_

 

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