Il seme del papavero è il più dolce

di IdemConPatate
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 (prima parte) ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1 (seconda parte) ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




PROLOGO


Alle 11 e 37 del 2 luglio Rossella non era ancora pronta a partire da casa, benché l’ansia l’avesse destata alle cinque del mattino rendendola incapace di riprendere sonno.
 
Aveva studiato fino a tardi quel giorno e non aveva dormito nei due precedenti, sottoponendo il suo corpo alla più faticosa secchiata a cui la sua rischiosa condotta scolastica l’avesse mai condotta. Non era mai stata una studentessa diligente in quel senso, una di quelle che si prendono per tempo, che ripartiscono il lavoro in una o più settimane, che scrivono parola per parola ciò che dice l’insegnante, e in vista dell’esame di stato se ne era pentita in più occasioni. Aveva superato le tre prove scritte brillantemente - con sua sorpresa - e aveva con stupore constatato – leggendo il suo punteggio – che avrebbe potuto addirittura aspirare al fantomatico cento; a rallegrarla, però, non questa constatazione, quanto più quella che con il suo risultato poteva già considerarsi diplomata.

Sarebbe stata l’ultima della sua classe a sottoporsi alla prova orale e, come lei stessa si era ripromessa invano di non fare, aveva trascorso la settimana precedente oziando in giro per casa, indebolita dal caldo, portandosi appresso costantemente una bottiglia d’acqua da un litro e mezzo.

La tesina era già stata preparata e non vi si poteva trovare alcun rifermento alle materie d’esame; quando l’insegnante di italiano l’aveva puntualizzato, Rossella, facendo spallucce, aveva dichiarato che non era sua intenzione coinvolgerle direttamente. Nei tre giorni precedenti all’esame orale non aveva nemmeno aperto il suo elaborato, fiduciosa nelle sue capacità mnemoniche, che sperava le avrebbero impedito di dimenticare – anche in un momento di ansia - ciò che aveva scritto personalmente. Aveva studiato poco, constatò tristemente la mattina della prova davanti a una tazza di caffè, rigirandosi tra le mani uno dei tanti fogli su cui aveva raccolto i suoi appunti di filosofia. Non ricordava assolutamente nulla.

Sospirò e gettò uno sguardo all’orologio, 11 e 39; la prova sarebbe iniziata alle 12 e 20 e lei era ancora a casa immobile; stranamente non era per nulla agitata, giaceva in uno stato di tiepida rassegnazione; svuotò in due sorsi la tazza di caffè, la ripose nel lavandino e si gettò sotto la doccia.

A mezzogiorno e diciassette varcò il portone della scuola e percorse il corridoio che la separava dall’aula in cui si sarebbe tenuto il colloquio, giusto in tempo per incontrare una sua compagna, in lacrime, che abbandonava la scuola dopo la sua prova assieme al fidanzato.

Mormorò un saluto abbassando lo sguardo; non aveva mai avuto un buon rapporto con le sue compagne di classe, semplicemente perché tendeva a ignorare categoricamente tutto ciò che non le interessava. Valutò se fosse il caso di domandarle com’era andata, ma le parve una domanda superflua; aveva sentito che la commissaria esterna di inglese era una vera stronza che si divertiva a mettere sotto pressione gli studenti più in difficoltà e che tendeva anche a fare del sarcasmo ogni qual volta il candidato diceva qualcosa che lei reputava “impreciso” o “totalmente errato”.

Mentre avanzava nel corridoio ricordò che, la settimana precedente, una sua compagna le aveva raccontato che questa commissaria aveva indossato nel corso di tutta l’interrogazione degli occhiali da sole a specchio e che, sollevando schifata la sua prova, l’aveva commentata con un semplice “disgusting”. Non si sentiva per nulla intimorita, però, e si limitava a scivolare lungo il corridoio verso la porta socchiusa dell’aula B07.

La trattennero 55 minuti esatti e la lasciarono uscire dopo averla sottoposta ad una serie di domande invadenti in merito alle sue scelte per il futuro; cercò di rispondere pacatamente che non aveva idee chiare in merito a nulla che andasse oltre la programmazione delle sue vacanze ad agosto, ma questo non bastò a sciogliere la febbrile curiosità della commissione. L’esame orale era andato piuttosto bene, aveva risposto con calma a ogni domanda e era riuscita a mettere a tacere la commissaria di inglese, che tentava costantemente di far vacillare la sua sicurezza e metterla in difficoltà.

Varcò la soglia lentamente, quasi a volersi gustare ogni metro del corridoio che la separava dall’uscita; l’unico sentimento che affiorava nella sua mente era un senso di vuoto e silenzio.






Allora che dire? Quest’introduzione, in realtà, serve soltanto a presentare un po’ il mio personaggio e a definire il clima della storia, diciamo.
Siate pure crudeli ^^ La critica è altamente formativa e io ho veramente voglia di sentire cosa ne pensate. 
L’immagine che posto qua sopra (spudoratamente copiata dall’album dei dream theater xD) la metto perché mi sembra rappresenti bene il clima post-maturità ^^

Grazie mille per aver letto fin qui ^^

IdemConPatate

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 (prima parte) ***





CAPITOLO 1
(prima parte)


Luglio tramontava silenziosamente sulla strada, tingendo di colori caldi le case e illuminando la pelle abbronzata dei bambini, che riempivano con le loro risate quel cortile stipato tra le ultime tre case di Via Palermo. Il caldo umido di quella giornata lasciava spazio alla freschezza della sera, e mano a mano che la temperatura scendeva, le finestre del vicinato si aprivano, invitando l’aria profumata d’erba tagliata a invadere gli appartamenti. Alcune vecchie trascinavano stancamente delle sedie pieghevoli nel prato - sistemando, di tanto in tanto, anche dei tavoli - per allestire un torneo di ramino o di briscola -; i mariti si limitavano ad affacciarsi alle finestre pigramente, succhiando la pipa con il viso, rugoso e scuro, lucido di sudore, facendo capolino un po’ come fanno le lumache grigie dal loro guscio, la sera.

Il cortile erboso era circondato da tre case, disposte attorno ad esso a semicerchio, e, sul lato che restava libero, confinava con un parcheggio e con un’altra casa, in cui vivevano altre due famiglie, che aveva un piccolo giardino recintato sull’altro lato.

Al secondo piano della casa di mezzo, stretta tra le altre due e esattamente davanti al parcheggio, una sposina attendeva impaziente, alla finestra, il ritorno dello suo giovane marito, salutando le vicine con la mano senza togliere gli occhi dalla strada, mentre, finalmente, l’auto blu del suo sposo si avvicinava pigramente.

Sotto di lei una coppia, dopo una litigata furiosa, si era accoccolata sul divano e si godeva la serena intimità ritrovata, riparandosi dall’invadente curiosità delle anziane comari con delle tende lisce e arancioni, mosse lievemente dalle pale del ventilatore.

Rossella, distesa nella sua stanza, assaporava il silenzio diffuso che regnava in casa sua; i suoi genitori erano partiti due giorni prima, concedendosi il primo viaggio romantico dopo ventidue anni di matrimonio, mentre suo fratello aveva immediatamente approfittato della loro assenza per trasferirsi dalla sua ragazza, di qualche anno più vecchia e in possesso di un piccolo e dignitoso appartamento nei pressi del centro.

Aveva ciondolato con aria inconcludente per casa tutto il giorno, senza preoccuparsi di mangiare e senza pensare minimamente alle piante che sua madre, prima di partire, le aveva raccomandato a più riprese di annaffiare almeno una volta al giorno. Si alzò di scatto, senza nessun motivo particolare, quasi a voler testare l’elasticità della sua muscolatura da diciottenne, e si affacciò alla finestra con aria annoiata, osservando pigramente la strana energia che animava lo scenario serale del quartiere. Sorrise vedendo i bambini che giocavano bagnandosi con gli irroratori nel prato, non potendo fare a meno di domandarsi se c’era un modo di fare altrettanto senza scatenare la disapprovazione delle vicine, sempre pronte a riprendere i giovani dal comportamento impudente e dall’aria arrogante.

Sbuffò e decise di concedersi una doccia fresca.


***


Affacciato al balcone della terza casa, un uomo di circa cinquant’anni, si accese l’ennesima sigaretta e aspirò un’intensa boccata, osservando le forme che si intravedevano attraverso la maglietta scura della diciottenne del palazzo di fronte, accostata alla finestra con un sorriso annoiato dipinto sulle labbra.

Non c’erano molti giovani cha abitavano nel quartiere, per questo poteva essere abbastanza sicuro nel ritenere che la ragazza fosse la figlia minore di quella bella signora sulla quarantina, con la quale aveva flirtato di tanto in tanto; “Bellissima donna” Penso aspirando un’altra boccata, mentre Rossella scompariva dalla finestra. La osservò muoversi in quella che doveva essere la sua stanza finché l’ombra non la inghiottì completamente e la sottrasse al suo sguardo invadente che, ormai da mesi, la seguiva dal balcone attraverso la finestra.

Fortunatamente, le due case, una di fronte all’altra, erano vicine ma un albero posto in posizione strategica, gli consentiva di spiarla senza poter essere notato; la cosa andava avanti da qualche tempo e la moglie, una donna grinzosa e, ormai, poco appetibile ai suoi occhi - se inizialmente animata da una punta di gelosia -ormai si rallegrava semplicemente del fatto che lui avesse smesso di importunarla con i suoi approcci goffi e appiccicosi, in favore di passatempi solitari, seppur ispirati ad una ragazza così giovane.

Non che volesse perseguitarla o roba del genere, accidenti, però bisognava ammettere che era proprio un gran pezzo di ragazza, una "gran gnocca" come diceva sempre il figlio di suo fratello, quando veniva a fargli visita, e la vedeva uscire di casa; Aldo non si sentiva, quindi, minimamente turbato dalla sua attrazione per la ragazza, non vedeva nulla di male in quello che stava facendo e poi, tutto sommato, non era così vecchio per queste cose. Spense la sigaretta nel posacenere, soffiando un po’ di fumo dal naso, e pensando, con rammarico, che quella sera avrebbe dovuto dividere il suo letto con la moglie, rimasta in sovrappeso dopo l’ultima gravidanza e perennemente sudaticcia, anziché con la morbida ragazza della casa di fronte.

Squillò il telefono e grattandosi la testa, sulla quale ormai rimanevano ben pochi capelli, rientrò in casa per rispondere a quella che sarebbe senz’altro stata l’ennesima chiamata lagnosa della suocera, costantemente alla ricerca di futili rassicurazioni e di compassione.




Prima parte del primo capitolo! Ho dovuto dividerlo perchè è veramente lunghissimo, e anche così in realtà non ho risolto molto. Però in altri punti non potevo proprio spezzarlo e non mi andava di lasciare solo il prologo ^^
Recensite e ditemi che ne pensate ^^

Grazie a schiaccianoci per la sua recensione :)

IdemConPatate

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Capitolo 3
*** Capitolo 1 (seconda parte) ***





CAPITOLO 1
(seconda parte)


Alle 21 e 37, Rossella, ancora con i capelli lunghi bagnati dopo la doccia, uscii di casa. L’intenzione iniziale era quella di cercare qualcosa da mettere sotto i denti, poiché i due giorni di digiuno a cui si era sottoposta cominciavano a farsi sentire; tuttavia, a quell’ora, tutti i supermercati erano chiusi e l’unica alternativa restava quella di dirigersi verso il centro e cercare una pizzeria o un ristorante aperti.

Camminava da sola - avvolta nella pallida luce grigiastra che d’estate segue il tramonto e annuncia la sera - scivolando tra le persone che affollavano la strada, i capelli bagnati gocciolavano ancora sulla maglietta e sul suo viso, mentre la sua mano li scostava dalla fronte con crescente irritazione.

Per arrivare alla piazza principale ci volevano circa quindici minuti a piedi e il breve percorso si prospettava noioso e solitario; mentre aspettava al semaforo, la ragazza non poté fare a meno di osservare la gente che attendeva come lei di attraversare, cercando di capire quale colonna sonora si addicesse meglio a quella piatta routine che governava la città. Avvolta nel silenzio nebbioso in cui annegava perpetuamente la sua mente, Rossella non si rese nemmeno conto che il verde era scattato e la gente che l’affiancava abbandonava il marciapiede, gettandole occhiate incuriosite.

Si riscosse dal suo torpore quando ormai il semaforo era di nuovo rosso e, sospirando, attese con rassegnazione che tornasse il suo turno di attraversare.

Si era mormorato molto riguardo a lei nel quartiere, e la maggior parte della gente concordava nell’affermare che la ragazza era strana, sempre con la testa tra le nuvole; educatissima, per carità, ma sempre con una punta di scherno malcelato nello sguardo e una nota di ironia, anche nel pronunciare le parole più cortesi. Alla vecchia signora Dorigatti, per esempio, non piaceva per nulla: l’aveva vista, una volta, fumare di nascosto dietro casa sua, e spegnere la sigaretta nel portavasi pieno d’acqua della signora Gina - che abitava da poco al piano terra -, quella che litigava sempre con il compagno e dalla quale, un paio di volte, erano andati in visita anche i carabinieri. Il fratello era un tipo ancora più curioso, affermava la signora Franchini: con quella ridicola cresta colorata da pappagallo e tutto quel ferro addosso, un delinquente. Sembrava impossibile che si avviasse a diventare avvocato.

Aveva, anche lui come la sorella, un’aria assente e poco coinvolta in quello che lo circondava e la figlia della signora Dorigatti, che studiava psicologa e se ne intendeva di queste cose, diceva che forse avevano una qualche sindrome dal nome strano, di Asperger, forse?

Si, e diceva anche che è una cosa da geni, ma sembrava ancora più impossibile che quei due strani ragazzi fossero intelligenti, anzi, a dirla tutta, sembravano un po’ picchiatelli. Era naturale con dei genitori così permissivi dopo tutto. Quando Rossella, la ragazza, aveva quattordici anni la lasciavano stare fuori tutte le sere fino alle undici, e girava con certa gentaccia.

Ormai giunta in pieno centro Rossella si dirigeva verso quello che sembrava un ristorante giapponese; improvvisamente, infatti, le era venuta voglia di qualcosa di fresco, che però riuscisse comunque a riempirle lo stomaco, e quale cibo meglio del sushi si prestava a quello scopo? Si bloccò a pochi passi dall’ingresso, preoccupandosi di verificare se i soldi che aveva portato con sé bastassero per pagare; fortunatamente aveva preso anche una banconota da venti euro, assieme alla moneta.

“Rossella?!” Una voce sorpresa e acuta interruppe il flusso di pensieri della giovane, alle prese con la tasca stretta dei suoi pantaloni in cui non riusciva a rinfilare i soldi; alzo lo sguardo di scatto, scostandosi dal viso una ciocca di capelli ancora umida e lasciando cadere un paio di monete sul marciapiede.

Una testa bionda si chinò a raccogliere i soldi caduti, porgendoglieli in una mano minuta, dalla unghie curate e smaltate di rosso; la ragazza che aveva davanti era stata sua compagna di classe per cinque anni al liceo eppure, poche settimane dopo la fine della scuola, Rossella faticava a ricordare il suo nome: Maria? No lei non era così bassa, chi diavolo era?

“Non mi riconosci?” Chiese la bionda con una risata squillante, fissando i suoi occhi azzurri in quelli di Rossella. Era molto minuta, tanto che raggiungeva a malapena la sua spalla - constatava la giovane nel silenzio che si era creato tra loro - e aveva un viso tondo dai lineamenti quasi troppo dolci per la sua età. Le labbra erano sottili e rosse, increspate in un sorriso nervoso che scopriva una fila di denti bianchi perfetti. Rossella non poté fare a meno di notare che, mentre la guardava in attesa di una risposta, oltre a sfoderare un espressione isterica, assolutamente irritante, allargava le narici come un coniglio spaventato davanti a una volpe affamata.

Rossella sorrise, ricordando improvvisamente il nome della ragazza che aveva davanti.

“Ciao Giulia, ero un po’ sovrappensiero e non ti ho riconosciuta” Disse cercando un tono naturale e coinvolto, ma riuscendo ad ottenere, in verità, risultati poco convincenti. Spostò lo sguardo alle spalle dell’ex compagna di classe, dove la osservava, con aria inquisitoria, un ragazzo allampanato, con i capelli scuri, sottili e mossi, e delle dita lunghissime e magre, poggiate sulla spalla di Giulia.

“Non ti preoccupare. Questo gigante qua dietro è Mario, il mio ragazzo.” Disse la bionda minuta con un sorriso orgoglioso, mentre lui allungava la mano per stringere quella di Rossella, mormorando un timido “Piacere”. Rossella preferì non stringere la mano del ragazzo - che rimase sospesa tra i tre arrossata e sudaticcia - e si limito, invece, a ricambiare il suo sguardo e ad accennargli un saluto.

Giulia, visibilmente imbarazzata dalla piega che stava prendendo la situazione, si agitava come una gallina all’abbaiare di una cane e sommergeva di chiacchiere inutili il silenzio imbarazzato creatosi tra loro.

“…Io non ho preso cento come te, ma credo che il mio ottantadue si meriti comunque una vacanza rilassante!” Rossella, presa com’era a esaminare l’aria svagata del fidanzato della sua ex compagna di classe, riuscì a cogliere soltanto la parte finale della frase, pronunciata con un tono squillante e allegro.

Sorrise con malcelato scherno, ignorando tutto il discorso precedente e chiedendo “Allora, dove state andando di bello?”.

Le labbra di Giulia si dischiusero e tremarono leggermente, mentre un bagliore di orgoglio animava i suoi occhi di un azzurro slavato: “Oh, Mario fa parte di una piccola orchestra e ha appena terminato un concerto, vero amore?” Disse rivolgendo uno sguardo adorante al suo fidanzato, che, dal canto suo, gliene restituì uno imbarazzato, per poi continuare il discorso: “Esatto, adesso pensavamo di andare a vedere quel film nuovo…aspetta, qual è il titolo, tesoro?”. Giulia colse la palla al balzo, e stringendo le dita di Mario avvolte attorno alla sua spalla, cominciò a chiacchierare di attori e regia del film in questione, che, in realtà, si sarebbe rivelato alquanto deludente.

Il giovane, visibilmente imbarazzato dalla parlantina della sua ragazza, faceva saltare rapidamente il suo sguardo dalla fidanzata alla punta delle sue scarpe lucide – le stesse che l’orchestra imponeva ai suoi membri di indossare durante le esibizioni -, senza riuscire ad ignorare, però, la presenza quasi opprimente di Rossella, che nemmeno per un attimo aveva smesso di osservarli incuriosita e divertita.

Mario era sempre stato un tipo estremamente timido: conscio della sua scarsa avvenenza si era sempre tenuto alla larga dalle ragazze più attraenti e volubili, preferendo riservare, invece, le sue attenzioni, a quelle meno carine, solitamente rotondette e poco sicure di sé, ansiose di piacere agli altri e di trovare un bravo ragazzo gentile, disposto a guidarle.

L’adolescenza gli aveva lasciato un corpo buffo, allungato e sproporzionato per quanto riguarda le mani e i piedi, e dell’acne che l’aveva tormentato nei primi anni di liceo rimanevano ancora segni visibili sulla sua pelle. Ma a Giulia - e alle altre ragazze che aveva avuto in precedenza - non era mai importato molto, forse perché, in qualche modo, convinte di non meritare più di un ragazzo allampanato, con le mani grandi e un temperamento protettivo e gentile.

Studiò la giovane che aveva di fronte, celando l’ammirazione che, inevitabilmente, tentava di affiorare al suo sguardo: non aveva mai visto una donna così bella.

I capelli rossi lunghi le ricadevano, ancora umidi, in leggere ciocche sul corpo, celando in parte la pelle vellutata e candida delle braccia e delle spalle. Poi, morbidi e ondulati, incorniciavano una fronte pallida e ampia, accendendo un forte contrasto con il verde chiaro dei suoi occhi; come i petali di un papavero rosso incorniciano il frutto, le ciocche ricadevano soffici sul suo volto, minuto, dai lineamenti sottili e quasi affilati. Gli occhi, in parte celati da delle ciglia folte e lunghe, erano fissi da lungo tempo nei suoi, e nonostante l’incrocio di sguardi, solo le guance del ragazzo si arrossavano, tradendo una qualche sorta di imbarazzo. Il naso era piccolo e dritto, coperto come le spalle, da un velo di lentiggini marroncine - indubbiamente accentuate dal sole dell’estate - ; sotto di esso le labbra, rosse come se avesse appena finito di morderle, erano piegate leggermente di lato, in un sorriso canzonatorio, che scolpiva, in certi momenti, una piccola fossetta sulla guancia sinistra. Era molto più alta di Giulia, all’incirca un metro settantacinque, pensava Mario e, a differenza della sua fidanzata, aveva una vita e delle gambe sottili, che sorreggevano delle forme piuttosto invidiabili per qualunque donna. Il risultato complessivo era quasi intimidatorio: la bellezza di Rossella non aveva nulla a che vedere con il viso rotondo e il sorriso ampio della sua bionda fidanzata, era austera, seducente, e a renderla tale contribuiva soprattutto l’idea diffusa che fosse distante, quasi ultraterrena.

Lo sguardo ammirato di Mario seguì la linea sinuosa del corpo della ragazza, per poi tornare a fissarsi brevemente sul suo volto; arrossì violentemente quando vide un risata sommessa e quasi crudele affiorare alle labbra rosse da vampira della ragazza.

Preso com’era ad esaminare le fattezze della giovane che aveva di fronte, non si era nemmeno accorto che Giulia gli aveva rivolto una domanda, e, inconsapevolmente, aveva lasciato cadere tra loro un silenzio imbarazzato mentre perlustrava il corpo di Rossella.

“Amore, sei ancora con noi?” Disse Giulia con fare irritato, nel tentativo di richiamare all’ordine il fidanzato, che da due minuti buoni non faceva altro che studiare la sua ex compagna di scuola, senza tentare nemmeno di dissimulare la sua attrazione per lei. Lo vide ridestarsi improvvisamente, come se avesse ricevuto una scossa, e esordire ridacchiando nervosamente: “Scusate, sono un po’ distratto. Forse è meglio che andiamo, Giulia. Se aspettiamo ancora rischiamo di perdere l’inizio del film”.

Giulia sorrise nervosamente, tornando a rivolgere la sua attenzione alla conoscente; nemmeno a lei, con la sua ingenuità, poteva sfuggire l’attrazione che il suo ragazzo, evidentemente, provava per la rossa che avevano di fronte. Tuttavia, sapeva anche che Mario non costituiva una preda abbastanza appetibile per la sua ex compagna, la quale aveva la fama di essere passata, durante gli ultimi tre anni di scuola, attraverso centinaia di letti e di lenzuola. Alice, in quarta se non andava errando, le aveva persino raccontato che, per recuperare le insufficienze, si era inginocchiata tra le gambe dell’insegnane di italiano più volte Rossella che una suora davanti a un crocifisso. Giulia, di solito, non dava molto peso ai pettegolezzi, e quello, in particolare le era sempre sembrato una semplice maldicenza: ma, cavolo, quel cento allora da che parte era uscito?

“Allora vi lascio alla vostra serata. Divertitevi” Soggiunse la rossa, mentre notava la presa possessiva di Mario che si avvolgeva attorno alle spalle della fidanzata: “Certo, allora ci vediamo al prossimo raduno di classe” troncò la bionda mentre iniziava ad allontanarsi con il giovane, il quale non poté fare a meno di lanciare un ultimo sguardo a quella misteriosa ragazza mentre la salutava.

I due si allontanarono abbracciati e, in pochi secondi, si mescolarono tra la folla. Rimasta sola, Rossella gettò uno sguardo alla strada: ormai era scesa la sera, e la vellutata oscurità dell’estate avvolgeva gruppi di adolescenti che si ammassavano lungo la strada, alcuni chiacchierando con bicchieri di birra in mano, alcuni intonando canzoncine prive di significato. Le luci del ristorante giapponese gettavano un pallido manto giallo sul marciapiede di porfido, e la porta d’entrata, aprendosi e richiudendosi per far entrare i clienti, lasciava uscire dal ristorante una musichetta orientale senza parole e entrare un po’ della giovane allegria che, come un onda, la sera, travolgeva le strade tiepide del centro.

Stringendo ancora nella mano le monete che Giulia aveva raccolto poco prima, Rossella spinse la porta del ristorante.


***


Il film sarebbe iniziato alle 22 e 30. Mancavano ancora dieci minuti, ma la sala era già abbastanza ghermita; Mario cercava di raggiungere il suo posto, facendosi largo tra le ginocchia delle persone già sedute e tentando di non rovesciare ciò che Giulia gli aveva chiesto di comprare, mentre lei andava in bagno. Faticosamente, scavalcò un’enorme borsa grigia lucida, sorridendo, impacciato, alla sua proprietaria, e crollò sul sedile di velluto sdrucito, facendo cadere un manciata di popcorn sulla lercia moquette della sala.
 
Poco dopo, intravide la chioma di Giulia scendere verso di lui nella fila; sorridente e timida, si dimostrò comunque molto più abile di lui nell’evitare gli ostacoli che le si presentarono lungo il percorso, e, in pochi attimi, prese posto accanto al giovane, riempiendo l’aria attorno a loro del suo profumo.

“I bagni del cinema sono una cosa a dir poco indecente” Disse lei – più a se stessa che a Mario - estraendo il cellulare dalla borsa per metterlo in tasca. “Mi passi la coca?”.

In silenzio Mario porse la bibita a Giulia, chiedendosi se doveva scusarsi per come si era comportato poco prima con la ragazza che avevano incontrato. Durante il tragitto verso il cinema, non avevano quasi parlato, sia perché la giovane continuava a messaggiare con le amiche, sia perché, nei pochi momenti in cui gli aveva rivolto attenzione, non era stato capace di dire nulla di significativo.

Fu Giulia stessa a introdurre l’argomento: “Sai chi era la ragazza che abbiamo incontrato prima?” Il tono con cui la domanda gli fu posta lo soprese: non sembrava per nulla arrabbiata, anzi pareva quasi che non stesse più nelle pelle per l’emozione. Le labbra le tremarono quasi di piacere quando lui rispose con noncuranza “Una tua ex compagna di scuola, no?”.

“Vero, ma a parte questo non l’hai mai sentita nominare?” Arricciò leggermente il labbro mentre sperava, impaziente, la risposta negativa del fidanzato.

“Non mi pare, non credo neanche che tu me ne abbia mai parlato”

“E se ti dico Francesco Giunta ti viene in mente qualcosa?” Le labbra increspate in un sorriso goloso, attendevano di sputare una miriade di informazioni su quello che era stato l’argomento-scandalo dei suoi anni al liceo.

Mario assunse, per qualche secondo, una aria pensierosa abbassando lo sguardo, poi i suoi occhi tremarono leggermente prima di aprirsi illuminati da un’intuizione: “Aspetta, ‘spetta…Ma parli di quello un po’ svitato…Quello sfigato che spiava la tizia dalla finestra con il binocolo durante l’ora di scienze?”.

L’entusiasmo di Giulia si spense, le parve quasi di sentirlo cadere a terra con un tonfo, morto.

Mario era davvero un caso disperato. Come faceva a non saperne assolutamente nulla? In fondo la loro era una piccola città, e se non conoscevi Rossella Ferrari dovevi, per forza, conoscere almeno di nome o di vista Francesco Giunta.

“Ma va’! Quello è uno di un’altra classe, non centra niente” Disse in un moto di stizza.

Sospirò rassegnata, gettando uno sguardo allo schermo mentre le luci della sala si spegnevano: il film sarebbe iniziato dopo qualche minuto di pubblicità, pensò la bionda, ma in così poco tempo non sarebbe riuscita a spiegare nulla. Sospirò, rassegnata a rimandare il racconto ad un secondo momento, e prese la mano di Mario, tesa a palmo aperto verso di lei e appiccicosa di popcorn al caramello.







Ecco la seconda parte! Come avevo anticipato è veramente lunghissima. Solo i più temerari riusciranno a sfidare la noia abissale del capitolo e a raggiungere la fine xD
Che dire, spero che EFP sia popolata di persone coraggiose che riescano a terminare la lettura anche solo per dirmi che è una noia mortale u.u
Vi prometto, comunque, che riuscirò a far sorgere il nuovo giorno entro la fine del proissimo capitolo xD

P.S. Ringrazio sempre schiaccianoci per il suo supporto morale :D

IdemConPatate


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