Il seme del papavero è il più dolce di IdemConPatate (/viewuser.php?uid=299181)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 (prima parte) ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1 (seconda parte) ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
PROLOGO
Alle 11 e 37 del 2 luglio Rossella non era ancora pronta a partire da
casa, benché l’ansia l’avesse destata
alle cinque del mattino rendendola incapace di riprendere sonno.
Aveva studiato fino a tardi quel giorno e non aveva dormito nei due
precedenti, sottoponendo il suo corpo alla più faticosa
secchiata a cui la sua rischiosa condotta scolastica l’avesse
mai condotta. Non era mai stata una studentessa diligente in quel
senso, una di quelle che si prendono per tempo, che ripartiscono il
lavoro in una o più settimane, che scrivono parola per
parola ciò che dice l’insegnante, e in vista
dell’esame di stato se ne era pentita in più
occasioni. Aveva superato le tre prove scritte brillantemente - con sua
sorpresa - e aveva con stupore constatato – leggendo il suo
punteggio – che avrebbe potuto addirittura aspirare al
fantomatico cento; a rallegrarla, però, non questa
constatazione, quanto più quella che con il suo risultato
poteva già considerarsi diplomata.
Sarebbe stata l’ultima della sua classe a sottoporsi alla
prova orale e, come lei stessa si era ripromessa invano di non fare,
aveva trascorso la settimana precedente oziando in giro per casa,
indebolita dal caldo, portandosi appresso costantemente una bottiglia
d’acqua da un litro e mezzo.
La tesina era già stata preparata e non vi si poteva trovare
alcun rifermento alle materie d’esame; quando
l’insegnante di italiano l’aveva puntualizzato,
Rossella, facendo spallucce, aveva dichiarato che non era sua
intenzione coinvolgerle direttamente. Nei tre giorni precedenti
all’esame orale non aveva nemmeno aperto il suo elaborato,
fiduciosa nelle sue capacità mnemoniche, che sperava le
avrebbero impedito di dimenticare – anche in un momento di
ansia - ciò che aveva scritto personalmente. Aveva studiato
poco, constatò tristemente la mattina della prova davanti a
una tazza di caffè, rigirandosi tra le mani uno dei tanti
fogli su cui aveva raccolto i suoi appunti di filosofia. Non ricordava
assolutamente nulla.
Sospirò e gettò uno sguardo
all’orologio, 11 e 39; la prova sarebbe iniziata alle 12 e 20
e lei era ancora a casa immobile; stranamente non era per nulla
agitata, giaceva in uno stato di tiepida rassegnazione;
svuotò in due sorsi la tazza di caffè, la ripose
nel lavandino e si gettò sotto la doccia.
A mezzogiorno e diciassette varcò il portone della scuola e
percorse il corridoio che la separava dall’aula in cui si
sarebbe tenuto il colloquio, giusto in tempo per incontrare una sua
compagna, in lacrime, che abbandonava la scuola dopo la sua prova
assieme al fidanzato.
Mormorò un saluto abbassando lo sguardo; non aveva mai avuto
un buon rapporto con le sue compagne di classe, semplicemente
perché tendeva a ignorare categoricamente tutto
ciò che non le interessava. Valutò se fosse il
caso di domandarle com’era andata, ma le parve una domanda
superflua; aveva sentito che la commissaria esterna di inglese era una
vera stronza che si divertiva a mettere sotto pressione gli studenti
più in difficoltà e che tendeva anche a fare del
sarcasmo ogni qual volta il candidato diceva qualcosa che lei reputava
“impreciso” o “totalmente
errato”.
Mentre avanzava nel corridoio ricordò che, la settimana
precedente, una sua compagna le aveva raccontato che questa commissaria
aveva indossato nel corso di tutta l’interrogazione degli
occhiali da sole a specchio e che, sollevando schifata la sua prova,
l’aveva commentata con un semplice
“disgusting”. Non si sentiva per nulla intimorita,
però, e si limitava a scivolare lungo il corridoio verso la
porta socchiusa dell’aula B07.
La trattennero 55 minuti esatti e la lasciarono uscire dopo averla
sottoposta ad una serie di domande invadenti in merito alle sue scelte
per il futuro; cercò di rispondere pacatamente che non aveva
idee chiare in merito a nulla che andasse oltre la programmazione delle
sue vacanze ad agosto, ma questo non bastò a sciogliere la
febbrile curiosità della commissione. L’esame
orale era andato piuttosto bene, aveva risposto con calma a ogni
domanda e era riuscita a mettere a tacere la commissaria di inglese,
che tentava costantemente di far vacillare la sua sicurezza e metterla
in difficoltà.
Varcò la soglia lentamente, quasi a volersi gustare ogni
metro del corridoio che la separava dall’uscita;
l’unico sentimento che affiorava nella sua mente era un senso
di vuoto e silenzio.
Allora che dire? Quest’introduzione, in realtà,
serve soltanto a presentare un po’ il mio personaggio e a
definire il clima della storia, diciamo.
Siate pure crudeli ^^ La critica è altamente formativa e io
ho veramente voglia di sentire cosa ne pensate.
L’immagine che posto qua sopra (spudoratamente copiata
dall’album dei dream theater xD) la metto perché
mi sembra rappresenti bene il clima post-maturità ^^
Grazie mille per aver letto fin qui ^^
IdemConPatate
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 (prima parte) ***
CAPITOLO
1
(prima
parte)
Luglio
tramontava silenziosamente sulla strada, tingendo di colori caldi le
case e illuminando la pelle abbronzata dei bambini, che riempivano con
le loro risate quel cortile stipato tra le ultime tre case di Via
Palermo. Il caldo umido di quella giornata lasciava spazio alla
freschezza della sera, e mano a mano che la temperatura scendeva, le
finestre del vicinato si aprivano, invitando l’aria profumata
d’erba tagliata a invadere gli appartamenti. Alcune vecchie
trascinavano stancamente delle sedie pieghevoli nel prato - sistemando,
di tanto in tanto, anche dei tavoli - per allestire un torneo di ramino
o di briscola -; i mariti si limitavano ad affacciarsi alle finestre
pigramente, succhiando la pipa con il viso, rugoso e scuro, lucido di
sudore, facendo capolino un po’ come fanno le lumache grigie
dal loro guscio, la sera.
Il cortile
erboso era circondato da tre case, disposte attorno ad esso a
semicerchio, e, sul lato che restava libero, confinava con un
parcheggio e con un’altra casa, in cui vivevano altre due
famiglie, che aveva un piccolo giardino recintato sull’altro
lato.
Al secondo
piano della casa di mezzo, stretta tra le altre due e esattamente
davanti al parcheggio, una sposina attendeva impaziente, alla finestra,
il ritorno dello suo giovane marito, salutando le vicine con la mano
senza togliere gli occhi dalla strada, mentre, finalmente,
l’auto blu del suo sposo si avvicinava pigramente.
Sotto di lei
una coppia, dopo una litigata furiosa, si era accoccolata sul divano e
si godeva la serena intimità ritrovata, riparandosi
dall’invadente curiosità delle anziane comari con
delle tende lisce e arancioni, mosse lievemente dalle pale del
ventilatore.
Rossella,
distesa nella sua stanza, assaporava il silenzio diffuso che regnava in
casa sua; i suoi genitori erano partiti due giorni prima, concedendosi
il primo viaggio romantico dopo ventidue anni di matrimonio, mentre suo
fratello aveva immediatamente approfittato della loro assenza per
trasferirsi dalla sua ragazza, di qualche anno più vecchia e
in possesso di un piccolo e dignitoso appartamento nei pressi del
centro.
Aveva
ciondolato con aria inconcludente per casa tutto il giorno, senza
preoccuparsi di mangiare e senza pensare minimamente alle piante che
sua madre, prima di partire, le aveva raccomandato a più
riprese di annaffiare almeno una volta al giorno. Si alzò di
scatto, senza nessun motivo particolare, quasi a voler testare
l’elasticità della sua muscolatura da diciottenne,
e si affacciò alla finestra con aria annoiata, osservando
pigramente la strana energia che animava lo scenario serale del
quartiere. Sorrise vedendo i bambini che giocavano bagnandosi con gli
irroratori nel prato, non potendo fare a meno di domandarsi se
c’era un modo di fare altrettanto senza scatenare la
disapprovazione delle vicine, sempre pronte a riprendere i giovani dal
comportamento impudente e dall’aria arrogante.
Sbuffò
e decise di concedersi una doccia fresca.
***
Affacciato al balcone della terza casa, un uomo di circa
cinquant’anni, si accese l’ennesima sigaretta e
aspirò un’intensa boccata, osservando le forme che
si intravedevano attraverso la maglietta scura della diciottenne del
palazzo di fronte, accostata alla finestra con un sorriso annoiato
dipinto sulle labbra.
Non c’erano molti giovani cha abitavano nel quartiere, per
questo poteva essere abbastanza sicuro nel ritenere che la ragazza
fosse la figlia minore di quella bella signora sulla quarantina, con la
quale aveva flirtato di tanto in tanto; “Bellissima
donna” Penso aspirando un’altra boccata, mentre
Rossella scompariva dalla finestra. La osservò muoversi in
quella che doveva essere la sua stanza finché
l’ombra non la inghiottì completamente e la sottrasse al suo
sguardo invadente che, ormai da mesi, la seguiva dal balcone attraverso
la finestra.
Fortunatamente, le due case, una di fronte all’altra, erano
vicine ma un albero posto in posizione strategica, gli consentiva di
spiarla senza poter essere notato; la cosa andava avanti da qualche
tempo e la moglie, una donna grinzosa e, ormai, poco appetibile ai suoi
occhi - se inizialmente animata da una punta di gelosia -ormai si
rallegrava semplicemente del fatto che lui avesse smesso di
importunarla con i suoi approcci goffi e appiccicosi, in favore di
passatempi solitari, seppur ispirati ad una ragazza così
giovane.
Non che volesse perseguitarla o roba del genere, accidenti,
però bisognava ammettere che era proprio un gran pezzo di
ragazza, una "gran gnocca" come diceva sempre il
figlio di suo fratello, quando veniva a fargli visita, e la vedeva uscire
di casa; Aldo non si sentiva, quindi, minimamente turbato dalla sua
attrazione per la ragazza, non vedeva nulla di male in quello che stava
facendo e poi, tutto sommato, non era così vecchio per
queste cose. Spense la sigaretta nel posacenere, soffiando un
po’ di fumo dal naso, e pensando, con rammarico, che quella
sera avrebbe dovuto dividere il suo letto con la moglie, rimasta in
sovrappeso dopo l’ultima gravidanza e perennemente
sudaticcia, anziché con la morbida ragazza della casa di
fronte.
Squillò il telefono e grattandosi la testa, sulla quale
ormai rimanevano ben pochi capelli, rientrò in casa per
rispondere a quella che sarebbe senz’altro stata
l’ennesima chiamata lagnosa della suocera, costantemente alla
ricerca di futili rassicurazioni e di compassione.
Prima parte del primo capitolo! Ho dovuto dividerlo
perchè è veramente lunghissimo, e anche
così in realtà non ho risolto molto.
Però in altri punti non potevo proprio spezzarlo e non mi
andava di lasciare solo il prologo ^^
Recensite e ditemi che ne pensate ^^
Grazie a schiaccianoci per la sua recensione :)
IdemConPatate
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Capitolo 3 *** Capitolo 1 (seconda parte) ***
CAPITOLO 1
(seconda parte)
Alle 21 e 37, Rossella, ancora con i capelli lunghi bagnati dopo la
doccia, uscii di casa. L’intenzione iniziale era quella di
cercare qualcosa da mettere sotto i denti, poiché i due
giorni di digiuno a cui si era sottoposta cominciavano a farsi sentire;
tuttavia, a quell’ora, tutti i supermercati erano chiusi e
l’unica alternativa restava quella di dirigersi verso il
centro e cercare una pizzeria o un ristorante aperti.
Camminava da sola - avvolta nella pallida luce grigiastra che
d’estate segue il tramonto e annuncia la sera - scivolando
tra le persone che affollavano la strada, i capelli bagnati
gocciolavano ancora sulla maglietta e sul suo viso, mentre la sua mano
li scostava dalla fronte con crescente irritazione.
Per arrivare alla piazza principale ci volevano circa quindici minuti a
piedi e il breve percorso si prospettava noioso e solitario; mentre
aspettava al semaforo, la ragazza non poté fare a meno di
osservare la gente che attendeva come lei di attraversare, cercando di
capire quale colonna sonora si addicesse meglio a quella piatta routine
che governava la città. Avvolta nel silenzio nebbioso in cui
annegava perpetuamente la sua mente, Rossella non si rese nemmeno conto
che il verde era scattato e la gente che l’affiancava
abbandonava il marciapiede, gettandole occhiate incuriosite.
Si riscosse dal suo torpore quando ormai il semaforo era di nuovo rosso
e, sospirando, attese con rassegnazione che tornasse il suo turno di
attraversare.
Si era mormorato molto riguardo a lei nel quartiere, e la maggior parte
della gente concordava nell’affermare che la ragazza era
strana, sempre con la testa tra le nuvole; educatissima, per
carità, ma sempre con una punta di scherno malcelato nello
sguardo e una nota di ironia, anche nel pronunciare le parole
più cortesi. Alla vecchia signora Dorigatti, per esempio,
non piaceva per nulla: l’aveva vista, una volta, fumare di
nascosto dietro casa sua, e spegnere la sigaretta nel portavasi pieno
d’acqua della signora Gina - che abitava da poco al piano
terra -, quella che litigava sempre con il compagno e dalla quale, un
paio di volte, erano andati in visita anche i carabinieri. Il fratello
era un tipo ancora più curioso, affermava la signora
Franchini: con quella ridicola cresta colorata da pappagallo e tutto
quel ferro addosso, un delinquente. Sembrava impossibile che si
avviasse a diventare avvocato.
Aveva, anche lui come la sorella, un’aria assente e poco
coinvolta in quello che lo circondava e la figlia della signora
Dorigatti, che studiava psicologa e se ne intendeva di queste cose,
diceva che forse avevano una qualche sindrome dal nome strano, di
Asperger, forse?
Si, e diceva anche che è una cosa da geni, ma sembrava
ancora più impossibile che quei due strani ragazzi fossero
intelligenti, anzi, a dirla tutta, sembravano un po’
picchiatelli. Era naturale con dei genitori così permissivi
dopo tutto. Quando Rossella, la ragazza, aveva quattordici anni la
lasciavano stare fuori tutte le sere fino alle undici, e girava con
certa gentaccia.
Ormai giunta in pieno centro Rossella si dirigeva verso quello che
sembrava un ristorante giapponese; improvvisamente, infatti, le era
venuta voglia di qualcosa di fresco, che però riuscisse
comunque a riempirle lo stomaco, e quale cibo meglio del sushi si
prestava a quello scopo? Si bloccò a pochi passi
dall’ingresso, preoccupandosi di verificare se i soldi che
aveva portato con sé bastassero per pagare; fortunatamente
aveva preso anche una banconota da venti euro, assieme alla moneta.
“Rossella?!” Una voce sorpresa e acuta interruppe
il flusso di pensieri della giovane, alle prese con la tasca stretta
dei suoi pantaloni in cui non riusciva a rinfilare i soldi; alzo lo
sguardo di scatto, scostandosi dal viso una ciocca di capelli ancora
umida e lasciando cadere un paio di monete sul marciapiede.
Una testa bionda si chinò a raccogliere i soldi caduti,
porgendoglieli in una mano minuta, dalla unghie curate e smaltate di
rosso; la ragazza che aveva davanti era stata sua compagna di classe
per cinque anni al liceo eppure, poche settimane dopo la fine della
scuola, Rossella faticava a ricordare il suo nome: Maria? No lei non
era così bassa, chi diavolo era?
“Non mi riconosci?” Chiese la bionda con una risata
squillante, fissando i suoi occhi azzurri in quelli di Rossella. Era
molto minuta, tanto che raggiungeva a malapena la sua spalla -
constatava la giovane nel silenzio che si era creato tra loro - e aveva
un viso tondo dai lineamenti quasi troppo dolci per la sua
età. Le labbra erano sottili e rosse, increspate in un
sorriso nervoso che scopriva una fila di denti bianchi perfetti.
Rossella non poté fare a meno di notare che, mentre la
guardava in attesa di una risposta, oltre a sfoderare un espressione
isterica, assolutamente irritante, allargava le narici come un coniglio
spaventato davanti a una volpe affamata.
Rossella sorrise, ricordando improvvisamente il nome della ragazza che
aveva davanti.
“Ciao Giulia, ero un po’ sovrappensiero e non ti ho
riconosciuta” Disse cercando un tono naturale e coinvolto, ma
riuscendo ad ottenere, in verità, risultati poco
convincenti. Spostò lo sguardo alle spalle dell’ex
compagna di classe, dove la osservava, con aria inquisitoria, un
ragazzo allampanato, con i capelli scuri, sottili e mossi, e delle dita
lunghissime e magre, poggiate sulla spalla di Giulia.
“Non ti preoccupare. Questo gigante qua dietro è
Mario, il mio ragazzo.” Disse la bionda minuta con un sorriso
orgoglioso, mentre lui allungava la mano per stringere quella di
Rossella, mormorando un timido “Piacere”. Rossella
preferì non stringere la mano del ragazzo - che rimase
sospesa tra i tre arrossata e sudaticcia - e si limito, invece, a
ricambiare il suo sguardo e ad accennargli un saluto.
Giulia, visibilmente imbarazzata dalla piega che stava prendendo la
situazione, si agitava come una gallina all’abbaiare di una
cane e sommergeva di chiacchiere inutili il silenzio imbarazzato
creatosi tra loro.
“…Io non ho preso cento come te, ma credo che il
mio ottantadue si meriti comunque una vacanza rilassante!”
Rossella, presa com’era a esaminare l’aria svagata
del fidanzato della sua ex compagna di classe, riuscì a
cogliere soltanto la parte finale della frase, pronunciata con un tono
squillante e allegro.
Sorrise con malcelato scherno, ignorando tutto il discorso precedente e
chiedendo “Allora, dove state andando di bello?”.
Le labbra di Giulia si dischiusero e tremarono leggermente, mentre un
bagliore di orgoglio animava i suoi occhi di un azzurro slavato:
“Oh, Mario fa parte di una piccola orchestra e ha appena
terminato un concerto, vero amore?” Disse rivolgendo uno
sguardo adorante al suo fidanzato, che, dal canto suo, gliene
restituì uno imbarazzato, per poi continuare il discorso:
“Esatto, adesso pensavamo di andare a vedere quel film
nuovo…aspetta, qual è il titolo,
tesoro?”. Giulia colse la palla al balzo, e stringendo le
dita di Mario avvolte attorno alla sua spalla, cominciò a
chiacchierare di attori e regia del film in questione, che, in
realtà, si sarebbe rivelato alquanto deludente.
Il giovane, visibilmente imbarazzato dalla parlantina della sua
ragazza, faceva saltare rapidamente il suo sguardo dalla fidanzata alla
punta delle sue scarpe lucide – le stesse che
l’orchestra imponeva ai suoi membri di indossare durante le
esibizioni -, senza riuscire ad ignorare, però, la presenza
quasi opprimente di Rossella, che nemmeno per un attimo aveva smesso di
osservarli incuriosita e divertita.
Mario era sempre stato un tipo estremamente timido: conscio della sua
scarsa avvenenza si era sempre tenuto alla larga dalle ragazze
più attraenti e volubili, preferendo riservare, invece, le
sue attenzioni, a quelle meno carine, solitamente rotondette e poco
sicure di sé, ansiose di piacere agli altri e di trovare un
bravo ragazzo gentile, disposto a guidarle.
L’adolescenza gli aveva lasciato un corpo buffo, allungato e
sproporzionato per quanto riguarda le mani e i piedi, e
dell’acne che l’aveva tormentato nei primi anni di
liceo rimanevano ancora segni visibili sulla sua pelle. Ma a Giulia - e
alle altre ragazze che aveva avuto in precedenza - non era mai
importato molto, forse perché, in qualche modo, convinte di
non meritare più di un ragazzo allampanato, con le mani
grandi e un temperamento protettivo e gentile.
Studiò la giovane che aveva di fronte, celando
l’ammirazione che, inevitabilmente, tentava di affiorare al
suo sguardo: non aveva mai visto una donna così bella.
I capelli rossi lunghi le ricadevano, ancora umidi, in leggere ciocche
sul corpo, celando in parte la pelle vellutata e candida delle braccia
e delle spalle. Poi, morbidi e ondulati, incorniciavano una fronte
pallida e ampia, accendendo un forte contrasto con il verde chiaro dei
suoi occhi; come i petali di un papavero rosso incorniciano il frutto,
le ciocche ricadevano soffici sul suo volto, minuto, dai lineamenti
sottili e quasi affilati. Gli occhi, in parte celati da delle ciglia
folte e lunghe, erano fissi da lungo tempo nei suoi, e nonostante
l’incrocio di sguardi, solo le guance del ragazzo si
arrossavano, tradendo una qualche sorta di imbarazzo. Il naso era
piccolo e dritto, coperto come le spalle, da un velo di lentiggini
marroncine - indubbiamente accentuate dal sole dell’estate -
; sotto di esso le labbra, rosse come se avesse appena finito di
morderle, erano piegate leggermente di lato, in un sorriso
canzonatorio, che scolpiva, in certi momenti, una piccola fossetta
sulla guancia sinistra. Era molto più alta di Giulia,
all’incirca un metro settantacinque, pensava Mario e, a
differenza della sua fidanzata, aveva una vita e delle gambe sottili,
che sorreggevano delle forme piuttosto invidiabili per qualunque donna.
Il risultato complessivo era quasi intimidatorio: la bellezza di
Rossella non aveva nulla a che vedere con il viso rotondo e il sorriso
ampio della sua bionda fidanzata, era austera, seducente, e a renderla
tale contribuiva soprattutto l’idea diffusa che fosse
distante, quasi ultraterrena.
Lo sguardo ammirato di Mario seguì la linea sinuosa del
corpo della ragazza, per poi tornare a fissarsi brevemente sul suo
volto; arrossì violentemente quando vide un risata sommessa
e quasi crudele affiorare alle labbra rosse da vampira della ragazza.
Preso com’era ad esaminare le fattezze della giovane che
aveva di fronte, non si era nemmeno accorto che Giulia gli aveva
rivolto una domanda, e, inconsapevolmente, aveva lasciato cadere tra
loro un silenzio imbarazzato mentre perlustrava il corpo di Rossella.
“Amore, sei ancora con noi?” Disse Giulia con fare
irritato, nel tentativo di richiamare all’ordine il
fidanzato, che da due minuti buoni non faceva altro che studiare la sua
ex compagna di scuola, senza tentare nemmeno di dissimulare la sua
attrazione per lei. Lo vide ridestarsi improvvisamente, come se avesse
ricevuto una scossa, e esordire ridacchiando nervosamente:
“Scusate, sono un po’ distratto. Forse è
meglio che andiamo, Giulia. Se aspettiamo ancora rischiamo di perdere
l’inizio del film”.
Giulia sorrise nervosamente, tornando a rivolgere la sua attenzione
alla conoscente; nemmeno a lei, con la sua ingenuità, poteva
sfuggire l’attrazione che il suo ragazzo, evidentemente,
provava per la rossa che avevano di fronte. Tuttavia, sapeva anche che
Mario non costituiva una preda abbastanza appetibile per la sua ex
compagna, la quale aveva la fama di essere passata, durante gli ultimi
tre anni di scuola, attraverso centinaia di letti e di lenzuola. Alice,
in quarta se non andava errando, le aveva persino raccontato che, per
recuperare le insufficienze, si era inginocchiata tra le gambe
dell’insegnane di italiano più volte Rossella che
una suora davanti a un crocifisso. Giulia, di solito, non dava molto
peso ai pettegolezzi, e quello, in particolare le era sempre sembrato
una semplice maldicenza: ma, cavolo, quel cento allora da che parte era
uscito?
“Allora vi lascio alla vostra serata. Divertitevi”
Soggiunse la rossa, mentre notava la presa possessiva di Mario che si
avvolgeva attorno alle spalle della fidanzata: “Certo, allora
ci vediamo al prossimo raduno di classe” troncò la
bionda mentre iniziava ad allontanarsi con il giovane, il quale non
poté fare a meno di lanciare un ultimo sguardo a quella
misteriosa ragazza mentre la salutava.
I due si allontanarono abbracciati e, in pochi secondi, si mescolarono
tra la folla. Rimasta sola, Rossella gettò uno sguardo alla
strada: ormai era scesa la sera, e la vellutata oscurità
dell’estate avvolgeva gruppi di adolescenti che si
ammassavano lungo la strada, alcuni chiacchierando con bicchieri di
birra in mano, alcuni intonando canzoncine prive di significato. Le
luci del ristorante giapponese gettavano un pallido manto giallo sul
marciapiede di porfido, e la porta d’entrata, aprendosi e
richiudendosi per far entrare i clienti, lasciava uscire dal ristorante
una musichetta orientale senza parole e entrare un po’ della
giovane allegria che, come un onda, la sera, travolgeva le strade
tiepide del centro.
Stringendo ancora nella mano le monete che Giulia aveva raccolto poco
prima, Rossella spinse la porta del ristorante.
***
Il film
sarebbe iniziato alle 22 e 30. Mancavano ancora dieci minuti,
ma la sala era già abbastanza ghermita; Mario cercava di
raggiungere il suo posto, facendosi largo tra le ginocchia delle
persone già sedute e tentando di non rovesciare
ciò che Giulia gli aveva chiesto di comprare, mentre lei
andava in bagno. Faticosamente, scavalcò un’enorme
borsa grigia lucida, sorridendo, impacciato, alla sua proprietaria, e
crollò sul sedile di velluto sdrucito, facendo cadere un
manciata di popcorn sulla lercia moquette della sala.
Poco dopo,
intravide la chioma di Giulia scendere verso di lui nella
fila; sorridente e timida, si dimostrò comunque molto
più abile di lui nell’evitare gli ostacoli che le
si presentarono lungo il percorso, e, in pochi attimi, prese posto
accanto al giovane, riempiendo l’aria attorno a loro del suo
profumo.
“I
bagni del cinema sono una cosa a dir poco
indecente” Disse lei – più a se stessa
che a Mario - estraendo il cellulare dalla borsa per metterlo in tasca.
“Mi passi la coca?”.
In silenzio
Mario porse la bibita a Giulia, chiedendosi se doveva
scusarsi per come si era comportato poco prima con la ragazza che
avevano incontrato. Durante il tragitto verso il cinema, non avevano
quasi parlato, sia perché la giovane continuava a
messaggiare con le amiche, sia perché, nei pochi momenti in
cui gli aveva rivolto attenzione, non era stato capace di dire nulla di
significativo.
Fu Giulia
stessa a introdurre l’argomento: “Sai chi
era la ragazza che abbiamo incontrato prima?” Il tono con cui
la domanda gli fu posta lo soprese: non sembrava per nulla arrabbiata,
anzi pareva quasi che non stesse più nelle pelle per
l’emozione. Le labbra le tremarono quasi di piacere quando
lui rispose con noncuranza “Una tua ex compagna di scuola,
no?”.
“Vero,
ma a parte questo non l’hai mai sentita
nominare?” Arricciò leggermente il labbro mentre
sperava, impaziente, la risposta negativa del fidanzato.
“Non
mi pare, non credo neanche che tu me ne abbia mai
parlato”
“E
se ti dico Francesco Giunta ti viene in mente
qualcosa?” Le labbra increspate in un sorriso goloso,
attendevano di sputare una miriade di informazioni su quello che era
stato l’argomento-scandalo dei suoi anni al liceo.
Mario assunse,
per qualche secondo, una aria pensierosa abbassando lo
sguardo, poi i suoi occhi tremarono leggermente prima di aprirsi
illuminati da un’intuizione: “Aspetta,
‘spetta…Ma parli di quello un po’
svitato…Quello sfigato che spiava la tizia dalla finestra
con il binocolo durante l’ora di scienze?”.
L’entusiasmo
di Giulia si spense, le parve quasi di sentirlo
cadere a terra con un tonfo, morto.
Mario era
davvero un caso disperato. Come faceva a non saperne
assolutamente nulla? In fondo la loro era una piccola città,
e se non conoscevi Rossella Ferrari dovevi, per forza, conoscere almeno
di nome o di vista Francesco Giunta.
“Ma
va’! Quello è uno di
un’altra classe, non centra niente” Disse in un
moto di stizza.
Sospirò
rassegnata, gettando uno sguardo allo schermo mentre
le luci della sala si spegnevano: il film sarebbe iniziato dopo qualche
minuto di pubblicità, pensò la bionda, ma in
così poco tempo non sarebbe riuscita a spiegare nulla.
Sospirò, rassegnata a rimandare il racconto ad un secondo
momento, e prese la mano di Mario, tesa a palmo aperto verso di lei e
appiccicosa di popcorn al caramello.
Ecco la seconda parte! Come avevo anticipato è veramente
lunghissima. Solo i più temerari riusciranno a sfidare la
noia abissale del capitolo e a raggiungere la fine xD
Che dire, spero che EFP sia popolata di persone coraggiose che riescano
a terminare la lettura anche solo per dirmi che è una noia
mortale u.u
Vi prometto, comunque, che riuscirò a far sorgere il nuovo
giorno entro la fine del proissimo capitolo xD
P.S. Ringrazio sempre schiaccianoci per il suo supporto morale :D
IdemConPatate
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