XIII

di Frances_May
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Nowhere ***
Capitolo 2: *** II. Awakening ***
Capitolo 3: *** III. Existence ***
Capitolo 4: *** IV. Meeting ***



Capitolo 1
*** I. Nowhere ***


I. Nowhere.

Cielo terso, strade deserte, luci al neon ed una quiete innaturale. I palazzi si ergevano silenziosi sotto i raggi fiochi della luna, immoti, rischiarati nel loro nero pece solo dalle flebili luci gialle che provenivano dalle finestre, e dalle fredde luminarie che spandevano i loro colori intensi lungo le larghe strade buie. L’atmosfera era immobile, e tutte quelle luci sembravano combattere con le monolitiche ombre dei palazzi per non farsi oscurare; era come se quella città fosse morta da tempo, eppure non soffiava un filo di vento, e la luna piena, maestosa nel cielo della notte, pareva essere l’unica testimone dell’esistenza di quei palazzi disabitati, delle buie strade deserte e di quelle luci artificiali che risaltavano come disegni di fuoco nell’ombra della notte.

Oltre quelle cupe costruzioni, risaltava nella notte solo una grande fortezza, che sorgeva a mezz’aria, dominando l’intera città. Svettava avvolta in una luce inquietante, con i pinnacoli che si innalzavano fin quasi a voler sfiorare il cielo nuvoloso; lucida e brillante, immersa in un gioco complesso di ombre e chiaroscuri, rifletteva i raggi plumbei della luna, tanto da sembrare risplendere di luce propria, avvolta da un sottile banco di nebbiolina opaca. Le pareti esterne erano lisce e lamate, e oltre lo spesso muro di cinta, si potevano intravedere le torri più alte, avvolte in intricati sistemi di scale che si attorcigliavano fra loro creando disegni sinuosi ed eleganti.

L’interno del castello era luminoso, di un bianco quasi abbagliante che dava l’idea di essere stato creato per assuefarsi alla luce soffusa del cielo che filtrava dalle finestre e dai soffitti di vetro che talvolta si aprivano su quegli ampi ambienti; la pittura e la pavimentazione marmorea spiccavano ancora di più sotto i raggi freddi delle luci azzurrognole che tappezzavano le pareti dei lunghi e vasti corridoi che si snodavano per l’edificio, formando un complicato labirinto di vicoli in cui era facile perdersi. L’intera fortezza era costruita in maniera irregolare, dove ogni stanza poteva condurre ad un luogo completamente diverso, o anche a corridoi senza fine lungo i quali delle croci stilizzate osservavano gli eventi accendendosi di un biancore metallico.

Fra due di quelle tante pareti, si poteva udire distintamente il tacchettio ritmato di alcuni passi, che si sovrapponevano fra loro andando a scandire il tempo di una marcia decisa; rimbombavano sul pavimento lamato di tutto l’androne come rintocchi di un grande orologio.

Quattro figure avanzavano l’una dietro l’altra, in silenzio, avvolte da un lungo mantello nero che lambiva i loro piedi ad ogni passo, e tintinnava ogniqualvolta il moto spostava i pendagli di metallo che stringevano il cappuccio e la catena intarsiata che ricadeva a mezza luna sul loro petto.

Ad un tratto il primo della fila si fermò, e quelli che lo seguivano fecero altrettanto. Una lunga chioma di capelli gli ricadeva lungo schiena e sul petto, brillando di un insolito grigio freddo, e delle ciocche gli incorniciavano il viso inespressivo color dell’ebano. Sollevò lo sguardo, silenzioso, poi annunciò:

«Ne è nato un altro.» la voce profonda e piatta risuonò in un eco lungo tutta la sala, mentre i suoi occhi aranciati risplendevano di una strana luce, sotto le fini sopracciglia bianche.

I tre che gli stavano al seguito lo fissarono per qualche istante, dubbiosi, poi uno di loro si scosse e annuì aggrottando la fronte, smuovendo la lunga frangia di capelli azzurri che gli nascondeva in maniera disordinata l’occhio destro:

«Ora lo sento anche io.» mise le braccia conserte e diresse lo sguardo verso l’uomo che stava davanti a lui «Xemnas?» si limitò a chiamarlo per nome, in attesa che desse le direttive.

Gli altri due si guardarono, leggermente disorientati. Uno di loro era una giovane donna dalla corporatura minuta; il suo corpo avvolto nell’attillata veste nera disegnava una sinuosa silhouette che risaltava sullo sfondo bianco. Scosse il capo, esternando il suo disappunto con un sospiro di stizza:

«Io non sento nulla.» disse, sistemandosi una ciocca dei corti capelli biondi e guardando verso i due uomini davanti a lei, mentre l’ultimo del gruppo, un ragazzo che pareva dimostrare poca esperienza, rimaneva in silenzio per nascondere anch’egli il proprio disagio.

«La cosa non mi piace, Zexion.» continuò ancora la donna, aggrottando le sopracciglia verso il giovane dai capelli azzurri «Perché non riesco a…?»

«Larxen,» la voce di Xemnas risuonò nuovamente, sovrastando ogni altro piccolo rumore «Non essere così impaziente.» parlò senza guardarla, ma le sue parole imposero un silenzio remissivo ai due inesperti, che si arresero a capo chino di fronte alle parole calme di Zexion, che si voltò a loro e disse:

«Sarete in grado di sentirlo anche voi, fra non molto…non siate così ansiosi.» chiuse l’occhio azzurro, chinando il capo di lato «Ogni cosa a suo tempo…»

«Ve lo assicuro, è un vero tormento…!» una voce si fece largo subito dopo quella di Zexion, con tono leggermente canzonatorio. Larxen e il suo compagno si voltarono all’unisono, mentre su una della pareti bianche si spandeva velocemente una spessa ombra nera. Si ingrandiva a macchia d’olio, come se fosse viva, simile al lugubre scrosciare dell’acqua corvina che rifletteva in bagliori e screziature blu la luce del cielo. Avvolta da quello strano vortice d’oscurità, videro apparire un'altra figura con indosso la loro stessa veste, e che avanzando alcuni passi verso il piccolo gruppo, continuò:

«…sapete, alla fine è snervante sentire nella testa un campanello d’allarme ogni volta che ne nasce un altro.» si sporse in avanti, muovendo le braccia in ampi gesti «“Informazione gratuita! Ne è nato un altro!”, “Attenzione! Nobody a dritta!”...capite?» sospirò poggiandosi due dita sulla fronte nascosta dal cappuccio nero «Beati giovani inesperti, non sapete a che stress siano costretti i vostri superiori…!»

«VIII…» lo richiamò Zexion con tono esasperato, interrompendolo «Per favore…!»

«Oh, ti prego non chiamarmi in quel modo…!» continuò l’uomo incappucciato, senza smettere di gesticolare, per poi poggiarsi un pollice sul petto con fare orgoglioso «Almeno un nome ce l’ho, sai?»

Zexion sospirò, stringendosi ancor più fra le sue braccia conserte. Quell’uomo lo faceva spazientire, ma come sempre doveva cercare in qualche modo di trattenersi. Se ne usciva sempre con quelle battute teatrali e fin troppo ironiche, dopo essere apparso nella maniera più improvvisa e plateale possibile. Con quei suoi modi gli ricordava il numero II, e per questo cercava sempre di ignorarlo…quel tipo era difficile da sopportare anche per uno dall’indole calma come la sua. Larxen guardava il nuovo arrivato con sufficienza, squadrandolo da capo a piedi con un sopracciglio inarcato, mentre il suo compagno se n’era completamente disinteressato e non smetteva di spostare gli occhi da una parte all’altra del corridoio.

L’incappucciato fece un gesto ampio con le braccia, mentre sul viso oscurato gli appariva un leggero sorriso:

«Dove andate di bello, ragazzi?» poggiò un gomito su di una mano, mentre con l’altra muoveva le dita coordinandole alle parole « Mi pareva un allegro corteo, eh? Qualcosa di divertente?»

«…cosa ti porta ad onorarci con la tua presenza…?» di nuovo Xemnas, con quel suo tono che imponeva rispetto e non ammetteva repliche. A quel repentino richiamo, l’uomo incappucciato non poté fare altro che interrompersi e rispondere:

«Sai, “capo”, sarò anche un completo ignorante in materia “sentimenti umani”, ma so alla perfezione cosa voglia dire “annoiarsi”» si fermò un attimo, poggiando una mano sul fianco e portandosi il dito indice dell’altra all’altezza della tempia «N-O-I-A. Memorizzato?»

«Oh, per favore!» esclamò ad un tratto l’ultimo membro del piccolo gruppo, scuotendo i capelli di un castano ramato «La smetteresti di gesticolare? Ci prendi per imbecilli?»

« Marluxia, non dargli corda, o non la smetterà mai.» lo ammonì Zexion, rimanendo immobile con lo sguardo distratto, rivolto verso nessun punto in particolare. Il giovane si zittì stringendo i pugni, ma nello scorgere lo sguardo di Larxen, comprese che non era l’unico ad essersi spazientito.

«E cosa intendi fare per…» Xemnas rimase un attimo soprappensiero, prima di riprendere, voltando leggermente il capo verso il numero VIII e sollevando le sopracciglia «…come dire, placarti?»

Tutti si voltarono all’unisono verso l’uomo che continuava a nascondere il volto sotto quello spesso cappuccio nero, impazienti, mentre quello si stringeva nelle spalle con fare noncurante:

«Oh, non saprei…» si finse assorto per un attimo, prima di continuare, dirigendo a Xemnas un gesto veloce della testa e della mano «…vado a prendere il nuovo, mmh?»

Zexion sollevò gli occhi di botto, mentre la bocca gli si dischiudeva in un’espressione di gelido stupore:

«Non ci pensare neanche.»

«Avanti, perché no?» ribatté quello, spostando il proprio peso da un piede all’altro « Ho già preparato un così bel comitato di benvenuto…dovrei sprecarlo?»

Zexion rimase spiazzato, cercando disperatamente le giuste parole per contrastarlo, ma tutto quel suo gesticolare gli confondeva le idee; si voltò verso Xemnas in cerca di appoggio, ma le parole che gli uscirono di bocca lo lasciarono letteralmente basito:

«Vai pure…per me non fa differenza.»

«Grazie mille.» senza farselo ripetere due volte, con un leggero sorriso malizioso che gli illuminava il viso adombrato, l’VIII salutò il gruppo con una rapida mossa della mano e venne nuovamente avviluppato da spirali di fumo nero che lo inghiottirono e poi si dissolsero, lasciando i quattro a fissare il vuoto.

Dopo pochi istanti di quiete, Xemnas riprese ad avanzare, come se nulla fosse successo e i suoi tre compagni, seppure un po’ riluttanti, si voltarono verso di lui e tornarono a seguirlo.

«Xemnas, non mi fido di lui…» fece Marluxia, fissandosi i piedi che andavano l’uno davanti all’altro, alternandosi «Perché gli hai dato il permesso?» al suo fianco, Larxen annuì impercettibilmente, mentre continuava a guardare i due uomini davanti a sé con cipiglio altezzoso.

«L’VIII non è poi così poco affidabile, in fin dei conti.» Zexion rispose senza guardarli, ignorando il movimento di Larxen che aveva scorto per un attimo con la coda dell’occhio «Tra noi è uno dei più abili in battaglia...e se la cava anche con le parole.» guardò il soffitto, lasciando che le braccia gli ricadessero lungo i fianchi « Voi due avete ancora molto da imparare sull’Organizzazione.»

Oo°*°oO

«Ah… Finalmente riuscirò a sgranchirmi un po’ le gambe e a respirare un po’ d’aria nuova!» un paio di stivali neri saltarono oltre un’ombra che sembrava essere apparsa dal nulla, fluttuando a mezz’aria, quasi fosse sorretta da un filo invisibile, e che all’interno luccicava di bagliori e lampi dai mille colori screziati. Il numero VIII atterrò sull’asfalto con eleganza, senza scomporsi. Quando il Portale si restrinse e scomparve lentamente oltre le sue ampie spalle, coperte dalla lunga veste corvina, sospirò poggiando le mani sui fianchi con scioltezza:

«Non ne potevo più delle teorie di Vexen. Mi ripete sempre le stesse cose almeno una decina di volte e…Ah, vecchio burbero e logorroico che non è altro! Quando inizia a spiegarmi tutti i suoi noiosissimi esperimenti, dopo un po’ non lo reggo più. È soporifero. Ha un tono di voce che mi mette addosso un sonno…!...non lo sopporto. Brrr.»

Alzò lentamente il volto incappucciato, orientando lo sguardo proprio davanti a sé, dove si stagliava una parete buia e grigia a poco meno di un metro di distanza da lui. Sotto il lungo copricapo nero che gli oscurava in parte la visuale, aggrottò le sopracciglia e arricciò la punta del naso, sconcertato.

«Mmmh.»

Facendo scorrere la vista alla sua destra, con fare guardingo, riusciva solo a scorgere un angolo strettissimo, che collegava l’ampia parete che si ergeva davanti a lui ad un altro muro spoglio e ingrigito. E la stessa visuale si prospettava alla sua sinistra. Tornò a fissare l’ostacolo che si innalzava proprio davanti al suo naso, ancora più turbato di prima. Qualche istante dopo, alzando le braccia al cielo e gesticolando con le mani, urlò, scuotendo il capo:

«Si può sapere dove diavolo sono finito?!»

Ruotandosi di centottanta gradi, spazientito, si accorse che il posto dove era atterrato era un vicolo, rigorosamente cieco. Incamminandosi risoluto verso l’uscita della viuzza, prese a massaggiarsi il collo con la mano sinistra, borbottando tra sé e sé.

«Mpf! Ma tu guarda se quel coso mi doveva far sbucare nel pieno di un lercio budello di…Crepuscoli?!»

Il numero VIII osservò il rustico paesaggio urbano che si espandeva sotto i suoi occhi, illuminato da una luce rosseggiante che tingeva ogni cosa del suo colore tenue. Sorrise, avanzando intraprendente per la larga via ciottolata dove l’aveva condotto il piccolo e buio vicoletto, e seguì l’istinto, che, come un sesto senso, gli indicava la strada da percorrere.

«Ma tu guarda…uno dei posti più suggestivi al mondo, eh? Crepuscoli, la città dell’eterno tramonto, dove la giornata è un perenne pomeriggio! Interessante. Assomiglia a una di quelle località paradisiache dove vanno a rifugiarsi le coppiette sdolcinate…! Ah, penso proprio che mi gusterò per bene questa allegra gita…se avessi ancora un cuore, ci farei un salto più spesso, qui a Crepuscoli!»

Procedendo a passi ritmati, l’incappucciato notò che ad attraversare la città rischiarato dalla luce aranciata del sole calante, vi era esclusivamente lui. Il borgo era silenzioso e per la strada echeggiava solo l’insistente incedere dei suoi stivali; i battenti di molti edifici erano chiusi, e oltre i lucidi vetri di qualche finestra dalla persiana aperta, si potevano scorgere solo i drappi tirati delle tende.

«Dormono a quest’ora?...bah. Tanto meglio per il sottoscritto “Numero VIII”! Io, fortunatamente, ce l’ho un nome, e gradirei essere appellato per mezzo di quello, e solamente quello! Non sono mica stato marchiato con quel numero perché sono una cavia da laboratorio, eh! Stupido Zexion… quando è così formale sembra proprio il cocco del “capo”. Xemnas lo ha proprio addestrato come un cagnolino da riporto… certo che il Signor VI potrebbe anche mostrarsi meno leccapiedi, ma comunque stiano le cose, rimane sempre troppo rigido per i miei gusti. Anche se non è poi così tanto antipatico, anzi: quando non lecchina Signor “Tono Altezzoso” è abbastanza gradevole la sua compagnia. Scommetto che adesso direbbe “Numero VIII, anziché blaterare idiozie sui tuoi superiori, goditi la scampagnata”. Ci puoi giurare, “Ciuffo Azzurro”.» Si fermò presso uno svincolo, lanciando occhiate fulminee sul circondario, per individuare su quale direzione avviarsi. Inspirò profondamente, per sfiatare poi l’aria raccolta con foga. Alzò il palmo sinistro verso il cielo, e con l’altra mano si carezzò la tempia, con aria scocciata e un po’ frustrata, e riprese «Dannazione. Quel nanetto mi ha distolto dall’obbiettivo e ora non riesco più a localizzare dove si trovi il novellino…Sarà meglio fermarsi un attimo…»

La risposta, giunse rombante alle orecchie dell’incappucciato numero VIII: una goccia di pioggia sul suo guanto nero, seguita da un fragoroso tuono che squarciò la quiete della città, lo fece quasi trasalire, destandolo dalle sue riflessioni.

«Il che è tutto dire, eh?» Domandò al nulla, abbassando l’arto sinistro con flemma. Puntuale, giunse un altro tuono, come il rintocco di una campana. «E va bene, d’accordo: vado a prendere il XIII, ho capito. Non mi è concesso svagarmi, oggi. Prima lo trovo, meglio è.»

Mentre riprendeva a camminare, le gocce di pioggia iniziarono a susseguirsi una dopo l’altra, sempre più velocemente, scivolando lungo il suo giaccone scuro e insinuandosi oltre i bordi dell’ampio cappuccio. Il vespro scomparve all’orizzonte, lasciando posto ad un cielo monotono e alle nuvole plumbee che estendevano la loro ombra grigia lungo le strade e i palazzi. Il numero VIII avanzava col capo chino per la sua strada, sentendosi appesantito dall’incessante piovigginare e leggermente infreddolito. Un altro tuono lo incitò ad incalzare il passo.

«Altro che gitarella!» sibilò, spazientito «Novellino…ti sto alle calcagna come un segugio è sulle tracce della sua preda: lasciati trovare! Non sei tanto lontano, no?»

L’VIII si portò una mano alla tempia, vacillando «Riesco quasi a…» avanzò di qualche passo, fermandosi di colpo, come se qualcosa avesse attirato fortemente la sua attenzione. Alla sua destra si apriva una stradina buia e silenziosa, apparentemente deserta. Strizzò gli occhi e tese l’orecchio non appena percepì un affannoso respiro provenire dal fondo della stradina, seguito dal rumore metallico di qualcosa che cadeva a terra. Ai suoi piedi rotolò il coperchio di un bidone della spazzatura, che si era rovesciato a pochi metri di distanza. Avanzando con cautela fra il sudiciume del vicolo, finalmente riuscì a distinguere qualcosa che risaltava oltre tutto quel buio; una massa indefinita e bianchiccia tremava raggomitolata su un angolo, nascosta da un paio di bidoni e da qualche sacchetto della spazzatura, e gemeva mugolii gutturali di timore e angoscia: un bambino. Quando l’incappucciato gli fu davanti, lo squadrò, protetto sotto la sua veste fradicia, puntandolo con cattiveria.

«Salve, marmocchio.»

I grandi occhi blu del ragazzino tremarono alla vista di quell’alta ombra nera, e si strinse ancora di più fra se. Si spaventò ulteriormente quando l’incappucciato si chinò su di lui, e si voltò contro il muro, dandogli le spalle, impaurito. L’altro lo osservò bene, prima di aprir bocca nuovamente; era molto giovane, con i tratti del viso ancora troppo puerili per definirlo un ragazzo. Era completamente nudo, e si riscaldava raccogliendo le gambe a se stesso e stringendole con forza sul petto. Era parecchio trasandato, sporco e provato, e tentava di nascondersi il volto oltre una frangetta spettinata tra il castano e il biondo, più spaventato e spaesato che mai. Il numero VIII abbozzò un sorrisetto ironico nel vedere quel bamboccio dalle membra malferme, e lo appellò freddamente.

«Pare proprio che sia tu il novellino a cui Xemnas da la caccia, eh?...Non c’è dubbio.»

Sentendo quella voce, il bambino mandò un’occhiata fugace alle sue spalle, terrorizzato, ma nascose subito il volto fra le ginocchia non appena notò un movimento dell’incappucciato che gli si era fatto più vicino.

«Alzati. Non ho tempo da perdere.»

L’VIII lo richiamò nuovamente con tono gelido, ma il ragazzino non ne volle sapere ne di rispondergli ne di alzarsi dal suo lercio angolino. L’incappucciato, in quell’istante di silenzio, provò una strana avversione nei suoi confronti. Gli stava facendo perdere tempo, lo stava ignorando e lo guardava di sbieco con quei grandi occhi profondi, come se la sua presenza in mezzo a tutta quella spazzatura significasse meno di niente. Una delle cose che l’VIII odiava di più al mondo, oltre bagnarsi, era lasciar scorrere via inutilmente tutto quel tempo prezioso.

Alzò una gamba, deciso a spronarlo con un calcio, ma si bloccò pochi istanti dopo. Gli si mozzò il respiro, mentre percepiva lievemente una strana sensazione all’altezza del petto, una sorta brivido bollente che lo ghiacciava sotto quella lunga veste nera, sotto la sua pelle, e gli raggiungeva la gola…era un qualcosa che non riuscì a spiegarsi. Non sapeva per quale motivo, ma alla sola idea di dover picchiare quel bambino gli si erano tesi i muscoli…

Sbuffò, accigliandosi, mentre poggiava il piede sulla schiena del ragazzino, smuovendolo leggermente.

«Dai, alzati! Dobbiamo muoverci! Non vedi come piove? Ehi, ma mi stai ascoltando?»

Il bimbetto non reagiva né alle sue parole, né alla lieve pressione che sentiva sulle scapole. Tremava come una foglia, e sembrava quasi che da un momento all’altro potesse dissolversi nel buio cupo di quel vicolo.

Confuso ed un po’ irritato, l’VIII continuò a squadrarlo dall’alto, incerto sul da farsi, mentre sollevava il piede e lo riportava al fianco dell’altro, caricandovi sopra il proprio peso. Con fare indifferente, portò i pugni lungo i fianchi, stretti sotto la lunga veste che accentuava le linee morbide e sinuose della sua figura snella.

«E’ inutile che fai finta di non vedermi,» disse con tono teatrale «Io non me ne vado da qua fino a quando non ti deciderai ad alzarti. Devi venire con me: punto e basta! Non hai diritto di replica. Comprendi?»

Il numero VIII si accovacciò con le gambe leggermente divaricate davanti al ragazzino, sostenendosi con le punte dei piedi, e scaricando il peso delle lunghe braccia poggiando i gomiti sulle proprie ginocchia e intrecciando fra loro le dita affusolate. Il bambino poté scorgere con la coda dell’occhio due labbra schiuse in un lieve sorriso che ad un tratto gli parlarono con gentilezza, quasi cercando di confortarlo.

«Guarda che non ho alcuna intenzione di farti del male. Te lo giuro…»

Con un gesto fluido, sollevò la mano sopra la sua testa, sfiorando il tessuto lucido della veste e facendo scivolare il cappuccio sulle spalle larghe.

«Il mio nome è Axel…» il sorriso divenne leggermente più ampio «Memorizzato?»

Il gracile biondino si voltò verso il suo interlocutore, osservandolo nei minimi particolari con quei suoi occhi luminosi come zaffiri.

Ciò che vide era un giovane viso sorridente dalla carnagione chiara che spiccava sul buio circostante. Il capo leggermente inclinato, dalla posa ingentilita, lasciava ricadere sui tratti di quel volto amichevole lunghe ciocche di un insolito colore rosso, che la pioggia aveva appesantito e spettinato. Due grandi occhi espressivi dal taglio lievemente allungato lo fissavano di rimando sotto le sottili sopracciglia: le iridi dalle screziature smeraldine incorniciavano una piccola pupilla nera, contornata da sprazzi di un verde chiaro e fresco, che brillava in maniera diversa ad ogni sua espressione. Sotto gli zigomi, spiccavano due piccoli segni rossi che parevano lacrime di sangue.

Un tuono gli illuminò il volto, e la pioggia si fece più insistente, tanto che il giovane vide i capelli vermigli scivolargli sul volto, limitandogli la vista. Alcune ciocche si insinuarono assieme a numerose fredde gocce lungo il profilo del suo collo, che scompariva oltre il colletto del cappuccio.

Il ragazzino continuava a fissarlo, disorientato. Senza il cappuccio a celargli il viso, l’aspetto di quell’uomo non sembrava più così ostile, e quell’espressione conciliante che gli leggeva sul volto gli infondeva una strana sensazione di sicurezza. Distolse un attimo lo sguardo e starnutì, socchiudendo gli occhi. Quando li dischiuse, vide un grande palmo nero aprirsi proprio sotto il suo naso.

«Se ti fiderai di me, ti condurrò in un posto sicuro…» la voce cambiò leggermente tono « …e soprattutto caldo e asciutto, protetto da questa odiosa pioggia incessante e particolarmente fastidiosa.» gli occhi tornarono allegri «…che ne dici?»

Il biondino allungò lentamente il braccio con titubanza, ed un attimo dopo Axel lo afferrò per il polso e lo tirò su con un forte strattone, riportandolo in piedi.

Il giovinetto iniziò nuovamente a tremare per il freddo e abbassò il capo, quando, improvvisamente, sentì qualcosa di caldo ricadergli sulle spalle; sorpreso, si ritrovò sul capo lo stesso cappuccio nero che aveva nascosto il volto di Axel pochi istanti prima. Raccolse i drappi fra le mani e davanti a sé vide il giovane dai capelli rossi vestire solo una canottiera e dei pantaloni neri, le cui pieghe scomparivano in due lunghi stivali, mentre la pioggia incessante gli bagnava le braccia nude.

«Mettitelo e cammina. Se non ci muoviamo mi prenderò una bella strigliata da “Ciuffo Azzurro”.»

Mentre il piccoletto si accingeva ad indossare la lunga veste, i cui risvolti pendevano da ogni parte e gli imponevano un’andatura goffa, Axel avanzò risoluto verso l’uscita del vicolo, senza voltarsi, né tanto meno arrestarsi ad aspettarlo.

Quando il ragazzino lo ebbe raggiunto, si fermò al suo fianco ed iniziò a studiarlo dal basso, incuriosito. Axel lo fulminò di sottecchi, e il marmocchio sobbalzò, impaurito, piantando gli occhi a terra. L’VIII sorrise con aria divertita e si passò una mano fra i capelli, raccogliendoli all’indietro per facilitarsi la visuale.

«Non temere, ti troverai bene.» bofonchiò Axel, scrollandosi l’acqua dai capelli scompigliati «Se non ti caccerai nei pasticci e farai il bravo, non è detto che tu non riesca ad accattivarti il rispetto di qualcuno…anche se è difficile intenerire qualcuno che non sa nemmeno cosa significhi…come noi Nobody.»

Mentre lo ascoltava, il ragazzino si accigliò, senza riuscire a comprendere appieno il significato delle sue parole.

Axel lanciò al novellino un’ultima occhiata, quasi soddisfatto del suo disorientamento, poi tese un braccio dritto davanti a sé ed aprì la mano. Mentre il bagliore bluastro del Portale si espandeva oltre le sue dita, chinò leggermente il capo di lato, impaziente, cercando di ignorare i sobbalzi atterriti che scorgeva al suo fianco, dal gracile nuovo Nobody che si teneva stretto in quella veste fin troppo lunga.

Lasciò ricadere la mano aperta lungo il fianco, mentre osservava con aria compiaciuta lo squarcio d’oscurità che aveva appena terminato di aprirsi tra le gocce di pioggia, attraversato da sprazzi di luce che si muovevano come il moto del mare. Un solo passo, e sarebbe stato finalmente all’asciutto.

«Si parte, marmocchio. Andiamo all’Organizzazione.»

Avanzò qualche passo deciso e immerse la metà destra del suo corpo tra quella massa informe di luci e colori che sembrava inghiottirlo lentamente, quando si accorse che il piccolo biondino era rimasto impalato a qualche passo di distanza da lui e osservava la scena spaventato e quasi inorridito, portandosi le mani tremanti alla bocca e sgranando i grandi occhi femminei color del cielo. Axel gli tese una mano, invitandolo a seguirlo con un cenno.

«Su, aggrappati: se mi stai vicino non ti succederà nulla, promesso.» vedendo che il ragazzino non accennava a muoversi di un millimetro, l’VIII dischiuse le labbra in un sorriso lievemente intenerito «Imparerai che questo squarcio gelatinoso che galleggia a mezz’aria è un utilissimo mezzo di trasporto per noi Nobody. Non devi averne paura…anzi, è divertente. Ogni volta che ci salto dentro…mi sembra di fluttuare, come se fossi una nuvola. E poi…credimi: se una cosa l’approvo io,» proseguì, puntandosi il pollice sul petto «allora è brevettata per chiunque su questo mondo.»

Il biondino si aggrappò al braccio del ragazzo, stringendolo con forza prima di venire inghiottito dal Portale, il quale era effettivamente di una consistenza impalpabile, come aveva affermato Axel;venendo anch’egli avviluppato da quelle spirali liquide multicolore gridò, ammonendo il bambino che gli si era appioppato sull’arto sinistro:

«Se ti appiccichi così mi stacchi un braccio! Guarda che non vado da nessuna parte, eh?!»

Lo squarcio si restrinse e scomparve oltre il guanto del numero VIII lasciando un’umida Crepuscoli nel silenzio.

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Capitolo 2
*** II. Awakening ***


II. Awakening

Zexion dischiuse le palpebre e con un sospiro lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, osservando con aria assorta le sfumature del cielo notturno attraverso il soffitto traslucido; lo stesso nero, schiarito dai raggi fiochi della luna seminascosta dalle nuvole di un’inconsueta giornata coperta, che si era ritrovato a contemplare per tutti quei giorni monotoni. Li vedeva trascorrere silenziosi, fra le mura di quella fortezza incolore, mentre lentamente dimenticava il vero aspetto del cielo riscaldato dagli ampi raggi del sole, gli odori e i suoni trasportati dal vento.

Erano giornate che morivano l’una dopo l’altro, trascorrendo quasi senza tempo in eterne notti prive di stelle, mentre dentro il suo petto sentiva dissolversi sempre più in fretta il debole ricordo di quella breve vita consumata.

Il giovane si scosse, riportando lo sguardo verso il basso, mentre un bagliore riflesso sul pavimento metallico gli attraversava il viso, ricalcando i tratti morbidi di un volto puerile rimasto quasi intatto.

Sbuffò, sistemandosi con un gesto veloce del braccio le pieghe dello scuro soprabito ed alzando la mano subito dopo, proseguendo lo stesso movimento. Davanti a lui sorgeva uno delle tante pareti disadorne della fortezza, sul lato est di un corridoio che proseguiva silenzioso fino ad una stretta porta contornata da spessi stipiti di acciaio opaco.

Zexion rimase un attimo ad osservare il fondo del passaggio, tenendo la mano aperta tesa verso la parete. Due, tre, quattro corridoi più o meno lunghi esattamente quanto quello; cinque larghe stanze vuote che servivano solo e soltanto ad allungargli la strada.

Sospirò, spazientito, ripercorrendo mentalmente tutti quegli spazi immensi e decisamente eccessivi, arrivando alla conclusione che spesso e volentieri non servivano ad altro che a fargli sprecare fiato in lunghe e inutili camminate.

Batté le palpebre, e le sue dita si mossero impercettibilmente, mentre già allungava il primo passo verso il Portale che si espandeva come una macchia liquida oltre i suoi polpastrelli coperti da uno spesso guanto nero. Si mosse con fare deciso, riabbassando la mano, mentre la nebbia lo inghiottiva, e dopo un istante riemerse fra le pareti di un salone circolare. Non smise di avanzare, accompagnato dall’eco freddo dei suoi stivali che battevano sul pavimento; un secondo passaggio si aprì davanti ai suoi occhi senza che avesse fatto alcun gesto, e lo stesso fece un terzo, quasi come comandato da quella sua risoluta marcia.

Continuava ad attraversarli uno dopo l’altro senza esitazioni, imperturbabile, passando rapido di stanza in stanza, mentre i Portali si succedevano incessantemente sulla superficie fredda delle pareti, e si dissolvevano non appena Zexion muoveva un nuovo passo energico e ne oltrepassava l’oscurità.

Ad un tratto il giovane percepì uno strano rumore al suo fianco, accompagnato da una sensazione sgradevole che lo solleticava all’altezza del braccio sinistro. Ruotò gli occhi al cielo, mentre si arrestava ed osservava un nuovo Portale aprirsi al fianco di quello che aveva appena attraversato.

I bordi dei due squarci si sfiorarono per un attimo, attorcigliandosi fra loro in una serpeggiante danza di fumo, poi Zexion vide il proprio dissolversi, mentre dall’altro emergeva una figura umana dai contorni confusi. Non appena anche il secondo passaggio si fu chiuso, il giovane numero VI vide il nuovo arrivato incespicare in maniera scomposta e gettarglisi letteralmente addosso, afferrandolo precipitosamente per una manica e costringendolo a piegarsi leggermente di lato.

Zexion deglutì e voltò lo sguardo con espressione infastidita, cercando invano di divincolarsi da quella stretta opprimente.

Un ragazzo con indosso la sua stessa lunga veste lo tratteneva per un braccio, fissandolo con due grandi occhi limpidi dalle sfumature color acquamarina. Un particolare taglio di capelli biondo scuro, corto sulle tempie con numerosi ciuffi spettinati che dalla fronte si allungavano all’indietro, carezzandogli la nuca, gli incorniciava il volto pallido. Era poco più alto di Zexion, e dimostrava qualche anno in più di lui.

Non appena il ragazzo realizzò a chi realmente si fosse aggrappato, non si trattenne dallo stupore, sorridendo euforico nella direzione del giovane dai capelli azzurri.

«Zexie! Che bello rivederti!»

«Spiacente di non poter dire altrettanto,» sbottò Zexion, liberandosi bruscamente dalla stretta dell’altro e ricominciando ad avanzare «Demyx.»

Se dapprima rimase interdetto dalla cattiveria che gli era stata rivolta, pochi istanti dopo Demyx non mancò di sfoggiare un altro sorriso raggiante verso il suo compagno «Siamo di cattivo umore oggi, eh?» commentò sarcastico, poggiandosi le mani sui fianchi.

«Io piuttosto direi pessimo.» lo corresse Zexion, con tono autorevole «E tu invece si può sapere cosa hai da essere tanto vivace come tuo solito? Immagino che tu stia gironzolando per la fortezza senza uno scopo, anziché rimanere a studiare con Vexen, non è così?»

«Veramente uno scopo lo avrei, Zexie.» riprese l’altro, scuotendo lievemente il capo e sollevando le mani quasi come per schermarsi «Sto cercando Axel. Per caso…sai dov’è?»

Non appena le labbra di Demyx mimarono quel nome, Zexion si indispettì «Non lo so e non ci tengo a scoprirlo. Non mi interessa affatto di dove va a cacciarsi quella testa calda. Sappi che è a causa sua se oggi sono così irritabile.»

Zexion riprese a camminare superando Demyx con noncuranza, e quest’ultimo, vedendo che il giovane dagli occhi glaciali lo ignorava, subito lo raggiunse, spiccando un saltello divertito e sbarrandogli la strada, sfoggiando un sorriso luminoso.

«E tu invece dove stai andando, Zexion? Posso venire con te?» incalzò Demyx «Mi porti a fare un giro con te, Zexie? Dai, andiamo a divertirci! Io mi annoio con Vexen!»

Zexion freddò il numero IX con lo sguardo, scansandolo con un rapido movimento del braccio e sorpassandolo nuovamente «Ho da fare al momento,» lo ammonì, repentino «e non intendo dedicarti un minuto di più. Vexen…»

«E dai, Zexie!» il biondino sventolò le sue ciocche ribelli sul volto del suo interlocutore infastidito «Per una volta…ribellati un po’, come fa Axel! Usciamo dalla fortezza e andiamo a goderci…»

«Demyx.» il tono infiammato di Zexion, che celava lo sguardo oltre i fluenti ciuffi dalle sfumature quasi metalliche, sovrastò l’esuberante Demyx, che si zittì, lasciando la frase a mezz’aria, con le labbra dischiuse e la voce che lentamente gli moriva in gola «Ti ho detto,» continuò, alzando lo sguardo minaccioso «che non voglio sentire parlare di Axel. E ti ripeto che sono impegnato e che non voglio perdere tempo con le assurdità che escono dalla tua bocca quando non la colleghi al cervello. Almeno quello…ti dovrebbe essere rimasto, numero IX.»

Il ragazzo rimase basito al tono perfido che Zexion aveva infuso in quelle sue parole. Si lasciò superare, abbassando a terra lo sguardo.

«Axel non è qui, comunque. Ma credo…che rientrerà presto. Ora torna da Vexen, probabilmente ti starà cercando…» Zexion abbandonò Demyx con quelle ultime parole un po’ raddolcite rispetto a prima, continuando nel suo deciso incedere e scomparendo oltre il Portale che si aprì come uno squarcio a mezz’aria.

Rimasto solo in compagnia del suo regolare respiro, Demyx, un po’ scosso da quel Zexion incattivito che non aveva mai conosciuto, riprese a camminare a scatti fino a quando non spalancò il palmo aprendosi la via grazie al Portale, immergendosi lentamente nella superficie liscia di quello strano specchio di ombre. Poco prima di scomparire, sollevò il cappuccio sul capo, e voltandosi sorrise tristemente, dischiudendo le labbra rosate:

«Non ci è davvero…rimasto altro, Zexion?»

Oo°*°oO

Una luce morbida filtrava attraverso delle leggere tende che ondeggiavano seguendo il debole soffiare di un vento pigro, rischiarando l’interno di una piccola stanza rettangolare. Le pareti erano nude, e gli angoli giacevano in una penombra immota, mentre uno slanciato tavolino intarsiato proiettava la sua lunga ombra sul pavimento, sorretto da tre piedi finemente lavorati.

Un fruscio lieve sibilava tra i vetri semiaperti di un’alta porta finestra, disperdendosi poi oltre gli stipiti di una spessa soglia bianca che si ergeva sulla parete opposta. Oltre la balaustra lucente di uno stretto terrazzo, non si scorgeva altro che un baratro senza fine, nelle cui profondità si potevano intravedere le luci al neon della vuota e silenziosa città sottostante; sfiorava i fianchi levigati della grande fortezza, per poi disperdersi oltre gli edifici più alti.

Avvolto nelle lenzuola di un letto accostato ad una delle pareti, si distingueva la minuta sagoma di un ragazzino; scosso da violenti tremiti, si stringeva forte nelle sue coperte, con la testa immersa fra le pieghe di un cuscino bianco ed i capelli dorati che gli invadevano il volto arrossato. La bocca gli si storse in una leggera smorfia, mentre una ciocca bionda gli scivolava sugli occhi: ebbe un sussulto, e aggrottando profondamente le sopracciglia si strinse ancor più in sé stesso. Sentiva la nuca inumidita dal sudore e le orecchie in fiamme.

Una miriade di pensieri confusi gli invadevano la mente, lo disorientavano e lo rendevano inquieto, incapace di tranquillizzarsi o di ritrovare le soglie di un sonno tranquillo. Ricordi che non gli appartenevano, continue immagini e rimembranze senza senso, suoni, voci sconosciute, gesti, gli affollavano la testa in maniera disordinata, senza che lui riuscisse a dare loro un significato. Gli bruciavano gli occhi, e non sopportava quel ronzio nelle orecchie, mentre i sensi gli mandavano continui impulsi di cui non riusciva a capacitarsi…gli sembrava quasi di dover ancora imparare ad utilizzarli nella giusta maniera.

Poi alcuni istanti vissuti, forti come se si stessero nuovamente svolgendo davanti ai suoi occhi. Il volto di quell’uomo, sotto la pioggia cupa di quella città sconosciuta, la sua mano che lo invitava a seguirlo, e la sua voce leggermente alterata…il freddo dell’acqua battente sulla sua pelle sottile…

D’un tratto gli occhi blu gli si spalancarono, e lui balzò a sedere con un solo rapido movimento, stringendo forte nei pugni i lembi del lenzuolo, che si sollevò in un ampio sbuffo.

Si guardò intorno, allarmato, con le pupille dilatate, ma poi lentamente si rilassò, ingobbendosi ed allentando la presa sul lenzuolo, mentre cercava in tutti i modi di frenare quell’ansioso affannare che non smetteva di scuotergli il petto.

Stava voltando lo sguardo, rincuorato, quando d’un tratto vide oltre il lenzuolo che lento si adagiava nuovamente sulle sue gambe accompagnato dal venticello, apparire un’ asciutta ombra nera. Strozzò un grido, sobbalzando all’indietro sul materasso, mentre il fiato gli si mozzava in gola impedendogli di proferir parola o di sfogare il suo sgomento come avrebbe voluto.

Un ragazzo lo stava osservando con le braccia conserte sul petto, puntando su di lui i suoi occhi freddi e leggermente astiosi, lasciando che le punte irregolari di alcune ciocche azzurre gli carezzassero il profilo del naso.

Il giovinetto biondo rimase a fissarlo con terrore per alcuni istanti, con le mani che tremavano leggermente, poi mandò giù il groppo che gli ostruiva la gola, e finalmente riprese a respirare. Guardando la veste che quell’uomo indossava, per un attimo gli era tornato in mente l’uomo che lo aveva aiutato quel giorno, sotto la pioggia.

Stava per aprir bocca, quando lo sguardo dello sconosciuto si fece più minaccioso e le sue labbra si mossero, accompagnate da una voce stranamente giovanile:

«Alla buon’ora.»

«C-chi sei tu?» si azzardò a domandare il biondino, incerto.

L’altro si limitò a sorridergli fugacemente. Si voltò, e con un rapido gesto della mano, afferrò delle vesti scure ripiegate sul tavolino al suo fianco, lanciandole con sufficienza sul letto. Incrociò nuovamente le braccia sul petto, scuotendo impercettibilmente i lunghi e disordinati capelli blu cobalto che gli celavano l’occhio destro e lasciavano intravedere quello sinistro, sentenziando:

«Alzati e mettiti questa roba.» sciolse l’intreccio delle sue braccia, posando una mano sul fianco e lasciando che l’altra dondolasse verso il basso, prima di continuare, con aria infastidita «Dobbiamo muoverci. Il nostro capo vuole riceverti al più presto, ma prima ti devo portare alla Prova. Perciò, spicciati.»

Sulle prime, il ragazzino lo ascoltò con aria stranamente incuriosita, seppur dimostrando sempre una certa riluttanza nei confronti di quella persona; poi raccolse un po’ di coraggio e, stringendo le coperte fra le dita minute, contestò subito il volere di quello strano ragazzo «Io...non vado da nessuna parte se non c’è…» mentre quelle poche e azzardate parole gli morivano in gola, si guardo attorno spaesato: oltre a lui e a quell’inquietante sagoma nera, nella stanzetta non vi era nessun altro.

«Dov’è…quel ragazzo…» voltò gli occhi al suo interlocutore, mentre quel suo blu ingenuo si accendeva di un leggero turbamento «…lui ieri mi ha aiutato a lavarmi e poi…ha detto che si sarebbe seduto là,» continuò, indicando una sedia vicino al piccolo tavolino treppiedi «e che avrebbe vegliato su di me stanotte, perché…forse non sarei stato…troppo bene.» Riportò lo sguardo aggrottato sul giovane «Lui si chiama…Axel, non è così? E allora dove…»

«Ti consiglio di lasciarlo perdere.» lo interruppe l’altro, socchiudendo le palpebre «Axel non è un individuo a cui bisogna dare troppa corda, se non si vogliono passare guai più o meno seri… Dimenticatelo. In questo posto c’è gente molto più competente di Axel. E io sono il primo della lista.» riaprì i grandi occhi tristi, senza neppure accennare un sorriso «Vestiti o faremo tardi.»

«Non…» il giovinetto esitò. Lo sguardo freddo e il tono perentorio dello sconosciuto gli imponevano obbedienza, e quando tentò di ribellarsi, si accorse di non averne le forze. Guardò con riluttanza il soprabito nero che giaceva scomposto sul fondo del letto, e i lunghi stivali afflosciati ai piedi del tavolino.

Gli unici ricordi chiari che aveva erano tutti ricollegati a quella medesima lunga veste; prima Axel, poi il giovane che non lo perdeva un attimo con il suo sguardo severo. Ora avrebbe dovuto indossarla anche lui.

Quasi guidato dall’istinto, un impulso che non gli riuscì di riconoscere, allungò la mano ed avvicinò il mantello, afferrandolo per il cappuccio. Dei pendagli di metallo tintinnarono, accompagnando il leggero frusciare della stoffa. Il ragazzino rimase ancora qualche istante a fissare le pieghe di quella stoffa spessa, sfiorandola con le dita, poi risollevò lo sguardo verso lo sconosciuto.

Rimase zitto per un attimo, poi azzardò, con tono incerto:

«Come…? »

«Zexion.» l’altro lo precedette, battendo le palpebre «Mi chiamo Zexion. Numero VI.» si strinse nelle spalle con atteggiamento affranto «Ora pensi di riuscire a darti una mossa?»

Il biondino dischiuse le labbra, ma la sua gola non emise alcun suono. Poggiò entrambe le mani sul materasso e si avvicinò al bordo del letto, toccando il pavimento freddo con i piedi nudi. Non capiva bene ciò che stava succedendo, né conosceva il posto in cui si trovava, ma non poteva fare altro che obbedire. Si alzò, reggendosi a malapena sulle gambe ancora malferme, e non appena si accinse ad alzare lo sguardo, sentì una morsa al livello del petto. Una mano volò sul cuore, e le dita stropicciarono con forza la stoffa di una leggera maglietta.

Tossì, mentre sentiva d’un tratto lo stomaco contrarsi e una forte nausea invadergli la gola. Si piegò in due, premendosi un braccio sulla pancia e sforzandosi per non rimettere.

Un vuoto, sentiva un enorme vuoto pesargli sulle spalle e sui polmoni in maniera insopportabile; non riusciva a spiegarselo, e non capiva il perché di quella assurda sensazione. Come se d’un tratto gli fosse stato strappato qualcosa di fondamentale…qualcosa senza la quale sapeva di non poter vivere. Cadde in ginocchio, strizzando gli occhi.

Era doloroso. Insopportabile.

Per un attimo si sentì morire. Ogni parte di sé si contraeva in silenzio, si contorceva, e la sua testa sembrava scoppiare. Voleva solo che finisse…

Ansante, continuò a sopportare quelle continue fitte al petto, ogni volta più violente e dolorose, stringendo forte i denti e soffocando quella sofferenza con gemiti sommessi. Perché? Cosa gli mancava? Sentiva una fastidiosa sensazione di freddo nei polmoni che gli indolenziva i muscoli e gli confondeva la vista…non era certo di riuscire a resistere ancora a lungo.

«Succede sempre.» la voce di Zexion gli giunse alle orecchie leggermente atona «Non durerà a lungo.»

Zexion osservava gli spasmi del ragazzino dall’alto, senza dimostrare alcun tipo di emozione. Mosse un passo verso di lui:

«Il tuo nuovo corpo si stabilizza e tu prendi consapevolezza di ciò che sei diventato. Ci siamo passati tutti.» fece una pausa, prima di posargli una mano sulla fronte, fra le ciocche bagnate di sudore freddo «E’ fastidioso, ma ti ci abituerai, tranquillo.»

Non appena il ragazzino riuscì a percepire il tocco del guanto tiepido di Zexion sulla pelle, sentì un ultimo fremito percorrergli la schiena, poi il dolore affievolirsi, disperdendosi.

Sollevò lentamente gli occhi pieni di lacrime, mentre Zexion ritirava la mano e tornava composto; il piccolo si rizzò in piedi con fatica, destabilizzato, poi si asciugò il viso con la manica della maglietta, mentre la voce incerta si disperdeva in un ansimare sostenuto.

«“Chi sono?” “Cosa mi è successo?”» fece Zexion, fissandolo negli occhi «Ti stai chiedendo questo…non è vero?» ebbe un guizzo nello sguardo «Lo so perché tempo fa anche io mi facevo le stesse domande.»

Il ragazzino lo guardò con gli occhi persi. Non capiva. Le lacrime che gli avevano inondato il viso non erano né di paura, né di dolore…e anche in quel momento, seppure avrebbe voluto sfogarsi, non riusciva ad esternare nulla.

«Perché…» balbettò «…non riesco più a piangere…?»

Zexion lo guardò in silenzio, poi scuotendo il capo come a scacciare un ricordo sgradito, chiuse gli occhi e gli diede le spalle:

«Vestiti e andiamo.»

Il giovinetto lo seguì con lo sguardo mentre gli voltava le spalle, e rimase in silenzio. Gli occhi erano tornati asciutti, quasi aridi, e gli angoli della bocca si inclinarono a delineare un profilo inespressivo.

Afferrò l’abito nero ed iniziò a indossarlo, sentendocisi stranamente a proprio agio. Sistemò le pieghe delle maniche, poi affiancò gli estremi di una lunga cerniera e la tirò con un solo gesto, fino in fondo. Il cappuccio gli ricadeva sulle spalle, e la catena sul petto. Poi infilò gli stivali, uno dopo l’altro, lisciando le grinze sui polpacci tirandoli per il bordo argentato.

Sollevandosi dal letto su cui si era riseduto, cercò Zexion con lo sguardo, il quale, fermo in attesa vicino alla porta, annuì impercettibilmente:

«Bene.» la sua voce vagò un attimo, sospesa, mentre il ragazzino gli si avvicinava a grandi passi, prima di aggiungere, in un sussurro:

«XIII.»

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Capitolo 3
*** III. Existence ***


III. Existence

«Dove stiamo andando?»

«Te l’ho già detto: andiamo alla Prova.»

Due voci distinte riecheggiavano tra le mura marmoree di un lungo corridoio luminoso, sul quale un ampio soffitto vetrato lasciava passare i raggi tiepidi del cielo. Una aveva un accento ansioso ed incuriosito e l’altra gli rispondeva in modo atono ed impersonale, un po’ seccato.

«Ma io…»

«Vuoi sapere come ti chiami o preferisci essere etichettato come “marmocchio” per tutta la tua “esistenza”? Ci siamo passati tutti quanti prima di te: la fase della Prova è fondamentale per entrare a far parte dell’Organizzazione.»

Zexion camminava risoluto al fianco del ragazzino biondo che quasi arrancava alla sua sinistra, faticando nel seguirlo; continuava ad impartirgli un silenzio indiretto che il piccolo pareva proprio non afferrare, incalzando la conversazione a monosillabi e con domande che il suo compagno interrompeva e a cui rispondeva con riluttanza.

«Organizzazione? Ma veramente…»

«E’ come ci facciamo chiamare. Apprenderai presto cosa voglio dire.»

«Ma…» la voce del piccolo sollecitò nuovamente «Dove ci troviamo, Zexion?»

«Nella nostra fortezza; Appartiene a noi dell’Organizzazione ed è l’unico posto in cui ci è permesso stare.»

Zexion svoltò a sinistra, mentre il ragazzino lo seguiva stanco.

«Perché…tu non usi…quell’apertura…?» chiese ancora, affannando; riusciva appena a stare al passo « Axel mi ha detto che…» La risposta di Zexion si confuse con un leggero sospiro, irritato da tutte quelle domande incessanti e anche in gran parte inasprito dall’aver udito ancora il nome di Axel.

«Forse intendi dire il Portale…?» disse, d’un botto, per poi soffocare una risatina «Se cercassi di spiegartelo in maniera che tu possa capirne almeno il cinque per cento, allora ti direi che è una alterazione della materia che comprime l’aria e distorce la realtà, estraendone le ombre. Inoltre,» mosse una mano «solo noi siamo in grado di servircene.» lo guardò « Ti è chiaro?»

Il biondino aggrottò la fronte, limitandosi a balbettare «Voi…cosa…siete?»

Zexion lo fulminò bieco, senza accennare però a fermarsi per rimproverarlo, sentenziando:

«Nobody.»

«Nobody?»

Il giovane dai capelli azzurri rallentò il passo, lasciando che il ragazzino lo raggiungesse «Si. Esseri costituiti da carne e intelletto, capaci di intendere, di volere, di parlare e di creare...» sul suo volto si dipinse un’espressione ambigua che accompagnò il suo freddo tono di voce «…non ti ha affatto stupito il fatto di aver perso il tuo Altro, eh? Allora ti sei quasi…»

«C-che cosa?» lo interruppe bruscamente il ragazzino al suo fianco, cercando di trattenerlo afferrandolo per una manica «Io…Io non ho perso nulla! E non so che cosa siano i Nobody e gli Altri e…insomma, perché non dici come stanno chiaramente le cose? Io non mi fido di te!» al piccolo mancò il respiro, poi bloccò Zexion per le braccia mettendoglisi di fronte e continuando a gridargli in faccia, arrabbiato «Io voglio sapere dove sono e perché mi trovo in questa strano posto! Voglio sapere dov’è Axel! Perché mi sono sentito male? Perché non ho potuto piangere alla sensazione di dolore forte che stavo provando? Rispondimi!»

Zexion lo fissò gelido dall’alto, scansandolo bruscamente alla sua destra. Il biondino barcollò, aggrappandosi al muro: la spinta di Zexion non era molto forte, ma essendo ancora leggermente provato dalla sera prima, nonostante Axel gli avesse offerto un abbondante pasto, gli venne difficile reggersi in piedi.

«Semplicemente,» sbottò Zexion, riprendendo a camminare e lasciando indietro il compagno «non ho motivo di dilungarmi in queste spiegazioni, dato che molto presto capirai da solo tutte queste cose e allora…»

«Io…Io non c’entro nulla in questa storia!» gridò il bambino, sostenendosi al muro con i palmi «Io sono me stesso e basta!»

«Ne sei davvero convinto?» Zexion si fermò poggiandosi svogliatamente con la schiena contro la parete fredda, come se stesse aspettando che il ragazzino si decidesse a raggiungerlo «E allora…come riesci a spiegarti il fatto che non conosci la tua vera identità e…che hai anche paura di svelarla a te stesso?» alzò il capo e abbozzò un sorriso, lasciando che le ciocche disordinate gli scoprissero a tratti il viso «Non sei riuscito a piangere...perché non ne hai la facoltà: è il prezzo da pagare per chi perde il proprio Altro, il vero sé stesso, e diventa un Nodody. In superficie non cambia praticamente nulla, poiché il vero mutamento...avviene all’interno: un corpo dotato di vita...senza un’essenza.» fece una pausa, ritornando serio, prima di concludere «I Nobody sono esseri che non hanno...»

«…l’anima…»

Zexion lo fissò per un istante, con le labbra dischiuse, poi decretò, risollevandosi dal muro:

«Ti facevo più stupido.» gli si avvicinò a passo svelto e prima di fargli segno di risollevarsi gli rivolse un’occhiata fugace «Ma dopotutto è normale che una parte di te ne sia già consapevole.»

«…non capisco…» il biondino si passò una mano fra i capelli, afferrando con forza alcune ciocche fra le dita «…cosa significa…?»

«Ora basta con le domande. Avrai tutte le risposte che cerchi quando sarà il momento…ora non servono ad altro che a far sprecare fiato sia a me a che a te.» il tono di Zexion era perentorio, non ammetteva repliche, ed imponeva il silenzio.

Il ragazzino lo osservò mentre gli dava le spalle e riprendeva ad avanzare, dirigendosi con passo risoluto verso un’imponente portone che dominava sull’intero corridoio, dalla parete più lontana.

Era confuso, ed il ricordo della terribile mancanza che aveva provato qualche attimo prima, nella “sua” camera, se così poteva chiamarla, lo infastidiva, e lo faceva sentire vulnerabile. Era in un luogo che non conosceva, assieme a gente di cui non capiva le intenzioni…Organizzazione, Nobody, Portali…erano tutte parole senza senso, e continuava a chiedersi perché cercasse ancora di dare loro un significato. Non c’era più neanche quell’unica sicurezza a cui si era disperatamente aggrappato un attimo prima di prendere sonno, e quella voce che gli diceva “Non ho alcuna intenzione di farti del male. Te lo giuro.”

Deglutì, mentre con un grande sforzo si rimetteva in piedi e raggiungeva Zexion, incespicando. Aveva ancora tantissime domande da porgergli, ma si sforzò di tenerle per sé.

Continuava ad osservare il suo compagno mentre procedeva per il largo androne illuminato da sei alte vetrate, animato dal ritmico incedere dei loro passi.

«In cosa…» azzardò ancora il ragazzino, a bassa voce «…in cosa consiste…questa Prova…?» il tono era incerto «E’ qualcosa di…impegnativo?»

A questo punto Zexion non mostrò alcun segno di irritazione, né di stanchezza; si limitò a rispondere con voce piatta:

«Dipende da cosa intendi per “impegnativo”» diresse gli occhi verso la porta che si faceva sempre più vicina «Se vuoi dire faticosa al livello fisico, allora la risposta è no. Devi solo imparare a parlare con te stesso…e puoi riuscirci anche senza muovere un dito.»

Finalmente entrambi si fermarono. Su di loro si ergeva una maestosa porta su cui v’erano incise innumerevoli croci, alcune in rilevo e altre scavate, che si sovrapponevano andando a formare un motivo confuso ed allo stesso tempo affascinante. Il bambino ne cercò l’estremità, abbagliato, per poi riportare gradualmente gli occhi verso il basso fissando quasi con aria affranta la propria ombra sul pavimento lucido.

«Ora ti aprirò la porta, e tu entrerai.» spiegò Zexion, liberando le braccia dal loro intreccio «Rimarrò qui fuori ad aspettarti, e quando avrai terminato verrò a riprenderti.» poggiò una mano su di un battente «Non preoccuparti di nient’altro che della Prova. Dentro di me sentirò quando sarà il momento di aprirti nuovamente le porte.»

Il biondino annuì impercettibilmente, senza spostare lo sguardo da terra. Una mano volò quasi istintivamente al petto, con lentezza, mentre dalle sue labbra sibilavano alcune fioche parole:

«Cosa mi sta…succedendo…?»

Zexion lo guardò per un istante, poi la sua attenzione tornò all’enorme portone; un attimo prima di spalancare i battenti, spingendoli con un ampio movimento di entrambe le mani, sussurrò in risposta:

«La verità… » fece una pausa «… è che né tu, né io saremmo mai dovuti esistere.»

Non appena il ragazzino mise piede nella stanza, mentre l’eco delle porte che si chiudevano alle sue spalle gli invadeva ancora le orecchie, si sentì inizialmente pervaso da una fastidiosa sensazione di claustrofobia, ma già dopo pochi istanti il suo respiro tornò regolare ed i suoi occhi presero a studiare l’ambiente, curiosi ed inquieti.

La sala era di dimensioni ridotte, tanto piccola che per un attimo si chiese come fosse possibile che le enormi porte che aveva appena attraversato le facessero da ingresso; i muri convessi si curvavano verso l’alto in maniera così fluida da sembrare vivi, e andavano a formare un soffitto bombato, animato dai bagliori dei neon che mandavano scintille da alcune fessure ai margini delle pareti.

Al centro di un lucido pavimento in pendenza sorgeva una lunga ed ampia scalinata, delimitata in entrambi i lati da tre larghi gradini, su ognuno dei quali erano posizionate alcune lastre di marmo. Il ragazzino mosse un passo, avvicinandosi maggiormente a quello strano monumento, cercando di ignorare l’insistente brivido che gli pervadeva i palmi delle mani, non ancora cessato dalla discussione che aveva appena tenuto con Zexion.

Ognuna di quelle lapidi sembrava essere posizionata secondo un preciso ordine che non gli riusciva di comprendere. Si avvicinò ad una di esse, e prese ad esaminarla in maniera più approfondita. Sulla cima era inciso un numero, gli parve di scorgere un dieci stilizzato, sopra il quale risplendeva la stessa croce di metallo che aveva già visto sull’ingresso e su alcune pareti di quell’assurda fortezza.

Salì di alcuni gradini e raggiunse la seconda serie di lastre, fermandosi davanti ad un sette inciso nella stessa identica maniera, e sbirciando oltre, verso l’ultimo ripiano, riconobbe altri due piccoli monoliti marmorei che troneggiavano sugli altri vestigi, su cui erano incisi un due ed un tre.

In tutto erano undici. Il biondino si accovacciò davanti alla settima lapide, lasciando ricadere la testa di lato per studiarla meglio. Guardandola con più attenzione, la sua superficie non sembrava solida…era diafana, ed emanava un sottile riflesso del color dell’acqua. Rimase ancora un po’ fermo ad esaminarla, seguendo con gli occhi ogni suo minimo fremito, poi avvicinò titubante le dita vibranti, incuriosito.

Il contatto con la sua pelle fu leggero e delicato, un po’ esitante, e il ragazzino ritirò subito la mano, sentendosi percosso da una sferzata fredda lungo tutto il braccio. La superficie della lapide si increspò, mentre tutt’intorno si allargavano in movimenti fluidi innumerevoli cerchi concentrici.

Il numero XIII si sentì mozzare il respiro, mentre stringeva le dita raggelate nell’altra mano.

Saïx.

Quella parola gli salì in gola improvvisamente.

«Saïx.» la pronunciò a voce bassa, come a volerla rendere viva. Senza volere continuò a ripeterselo mentalmente, quasi all’infinito; non sapeva perché, ma più la udiva, più gli suonava familiare…quasi come se l’avesse sempre avuta fra le labbra, immobile senza che riuscisse in nessun modo a liberarla.

«Saïx.» il fiato si interruppe, poi, incerto, aggiunse «…Numero VII.»

Per un attimo la vista gli si annebbiò, e sentì un flusso intenso di pensieri invadergli la testa, tanto impetuoso da fargli perdere l’equilibrio.

Erano parole sussurrate a bassa voce nelle sue orecchie, che si sovrapponevano e si sovrastavano, faticò a comprenderle, finché non le udì svanire gradualmente, affievolendosi, lasciando nella sua testa solo una scia di echi e brevi fischi.

«Non spiare gli altri.» la bocca del biondino si aprì da sola, a pronunciare quella frase, senza che lui riuscisse a comprendere pienamente ciò che stava accadendo.

“Non spiare gli altri”. Sapeva di metallico, ed era venata di un leggero tono d’ammonizione.

Il ragazzino cercò di mettersi in piedi, confuso; si sorresse la testa con una mano, mentre con l’altra cercava un appiglio per risollevarsi. In quei brevi istanti durante i quali aveva poggiato le dita sulla superficie liscia di quella lapide, si era sentito stranamente fuori posto...come un intruso. E anche tutti quei pensieri che gli avevano affollato la mente…sapeva benissimo che non gli appartenevano.

Si massaggiò la testa, battendo le palpebre per riprendersi, mentre a passi lenti cercava di allontanarsi dalla tenue luce che vedeva riflessa in ognuna di quelle spoglie lastre, ma quelle parevano osservarlo da ogni direzione, biasimandolo.

Per un attimo aveva visto con gli occhi di un’altra persona. Gli pareva assurdo, ma inciampando sulle scale si accorse che era proprio ciò che gli era appena successo. Era come se per quell’istante avesse toccato con mano l’essere di qualcun altro.

Il suo sguardo volò da una lapide all’altra, esterrefatto. Ciò significava che ognuna di quelle lastre fosse collegata ad altrettante persone?

D’un tratto il biondino spalancò gli occhi, e balzò in piedi. Possibile che tra quelle undici lapidi ce ne fosse almeno una che potesse condurlo ad Axel? Fece volare gli occhi da un numero all’altro, chiedendosi se fosse possibile. La sola idea di poterlo ritrovare lo riempiva di una strana speranza.

Mentre ancora esaminava quasi febbrilmente ognuno di quei freddi numeri, percepì un fastidioso formicolio lungo tutta la spalla destra, mentre con la coda dell’occhio intravedeva una tenue luce espandersi vicino alla lapide numero dodici.

Si voltò, cercando di ignorare il braccio intorpidito; una miriade di piccole luci apparivano e si spegnevano, dondolavano e volteggiavano, poi si incontravano e si fondevano, quasi come attratte da una qualche insolita forza. Si posarono lentamente sul pavimento, sovrapponendosi l’una all’altra, fino ad andare a delineare le forme abbozzate di una lastra simile a quella che sorgeva lì vicino.

Il numero XIII osservò le piccole luci, quasi abbagliato. Continuarono a brillare, come polveri di piccoli cristalli, risplendendo di riflessi e rifrazioni. La vide come un’interferenza, una distorsione in quell’ambiente immobile…e pareva quasi che lo chiamasse.

E lo chiamava per nome; il ragazzino se ne accorse all'istante. Lo sentiva pronunciato da ogni parete, gli giungeva sussurrato da ogni direzione, ma tuttavia non riusciva a coglierlo completamente. Avanzò verso quella lapide di luci, con passo lento ma deciso, finché non l’ebbe davanti a sé. Rimase immobile a fissarla, mentre quell’irritante sensazione di intorpidimento diventava più intensa e lentamente gli penetrava in tutto il corpo.

D’un tratto sentì il bisogno di conoscere quel nome, quasi come un assetato capisce che morirà se non berrà abbastanza acqua. Era quasi come se quel nome rappresentasse ormai l’unica fonte di ogni certezza, un punto fermo…l’unica prova che lui esistesse ancora.

Si inginocchiò di fronte alla lastra, e con gli occhi che assorbivano senza battere ciglio tutti quei riflessi, poggiò entrambe le mani sulla superficie incolore, senza un’esitazione.

Il ragazzino non fu ostacolato da alcuna resistenza, e le dita vennero lentamente avvolte da quei barbagli, mentre sentiva chiaramente di conoscere il perché di tutto ciò che gli stava accadendo

La Prova dell’Esistenza.

Oo°*°oO

Giganteschi scaffali ricolmi di schedari invadevano le quattro pareti di una stanza dagli angoli smussati come se fossero carta da tappezzeria. Una sobria mobilia arredava l’intera stanza, ma uno sfarzoso soffitto, piastrellato come un mosaico, completava l’opera, dando un tocco di eleganza. L’unica fonte di luce, che come un ombra aranciata macchiava ogni cosa incontrasse, proveniva da una porta finestra provvista di balconata che dava su due paesaggi contrapposti: da una parte, delle colline verdeggianti incorniciavano il tramonto quasi fosse un quadro, e dall’altra si snodavano le anguste e buie strade della Città.

Due pensierosi occhi color oro, spaziavano fra quei due paesaggi opposti con fare flemmatico, soffermandosi a lungo in vari punti, cercando di coglierne i minimi particolari, quando d’improvviso si sgranarono leggermente. Due labbra sottili si dischiusero per un attimo, poi tornarono immobili, senza espressione, mentre le guance colorite si accesero di un rosso tenue, che si confondeva con le sfumature dei raggi del vespro.

«Che seccatura.» disse, mentre con una mano si massaggiava la nuca, lasciando che i suoi lunghi capelli violacei si intrecciassero in ciocche alle sue dita «Detesto quando la gente non sa farsi gli affari propri.» sospirò, alzando gli occhi, interrompendo il movimento della mano poco al di sotto dell’attaccatura dei capelli.

«Abbi un po’ di pazienza…» Xemnas stava poco più in là, eretto davanti ad uno degli scaffali, mentre sfogliava le pagine di uno spesso fascicolo, tenendolo aperto sul palmo «I nuovi fanno sempre così, lo sai anche tu…» Voltò impercettibilmente il capo di profilo, cercando il compagno con la coda dell’occhio «…È perciò inutile reagire a questo modo per l’ennesima volta, Saïx.» Poi fece una breve pausa, riprendendo la lettura.

Il sommesso frusciare delle pagine voltate flemmaticamente dalle dita di Xemnas determinavano il tempo regolare di un pomeriggio silenzioso già da alcuni minuti. Rigido nel suo soprabito, Saïx si era fermato a guardare quell’insolito tramonto senza quasi accorgersene, come colto da una profonda nostalgia. Una nostalgia che sapeva di fittizio, come una rimembranza confusa che non gli riuscì di individuare appieno.

Gli capitava spesso. Erano piccoli frammenti, brevi attimi di una vita che non gli apparteneva, che emergevano come fantasmi in ogni momento, vividi o sbiaditi, come macchie che si allargavano nella sua mente e che, per quanto tentasse, non riusciva a cancellare.

A qualcuno piaceva guardare il tramonto, un tempo. Gli piaceva farlo perché gli dava la sensazione di essere libero. Saïx socchiuse gli occhi.

Essere libero, essere vivo, essere felice. Ormai erano tutte cose che non gli erano più concesse. Eppure c’era il ricordo, gli era rimasta solo un’idea confusa di come ci si potesse sentire.

Il Numero VII scosse il capo, come a scacciare quei pensieri scomodi, quindi lasciò che la mano ricadesse lungo i fianchi. Voltò lo sguardo verso Xemnas, rivolgendogli un leggero sorriso obliquo:

«Ti sta a cuore il ragazzino?» fece, muovendo un braccio in un gesto ampio «Ti vedo fin troppo accondiscendente.»

«Uhm…Strano modo di vederla.» stabilì l’altro, con una risatina atona, rimanendo poi in silenzio per un attimo «Direi piuttosto che mi comporto in una certa maniera solo perché ce n’è la necessità…» si interruppe, poi fece cadere il discorso, con gli occhi che seguivano le righe d’inchiostro sul fascicolo che aveva fra le mani.

«Xigbar sta davvero iniziando a scantonare.» esordì, voltando pagina, dopo aver letto alcune parole «Mai che riesca a leggere un suo rapporto scritto per bene.»

Saïx gli si avvicinò, sporgendosi oltre la sua spalla. Il suo sguardo cadde immediatamente su di una pagina bianca su cui spiccavano i caratteri scomposti dell’inconfondibile frettolosa calligrafia del numero II. Li lesse a fatica, strizzando a tratti gli occhi.

Dopo una lunga serie di resoconti accurati di missioni concluse brillantemente, iniziava un elenco di messaggi privi di alcun tipo di formalità; a volte non si trattava altro che di frasi incomplete, o anche di poche parole isolate, o di commenti monosillabici che esprimevano una pesante insoddisfazione, mista ad una nota di sarcasmo che nessuno aveva mai visto sparire neppure per un attimo da qualsiasi suo gesto.

Rapporto N°23

TOTALE fallimento. Causa un’enorme palla al piede da cui il “SUPERIORE” non si decide a liberarmi.

Rapporto N°24

Nota per il futuro: Se vuoi che mi riesca qualcosa, allora levami di torno Signor Rose&Fiori.

Rapporto N°25

No. La prossima volta lo AMMAZZO. Prendo la mira e lo faccio secco.

Rapporto N°26

Ti pare che io abbia mai sbagliato un colpo?

Rapporto N°27

XI non sa fare un emerito cazzo.

Rapporto N°28

Vedi sopra.

Rapporto N°29

Per cominciare, la prossima volta che mi mandi XI nel poligono, Xem, non potrò assicurarti la sua incolumità. Secondo, affidalo ad VIII, che fra incapaci ci si intende.

Rapporto N°30

Penso che smetterò di scrivere il rapporto. Ne va del mio orgoglio.

Rapporto N°31

Si smetto di scriverlo, ho deciso.

Xem, o mio “SUPERIORE”, eliminiamo XI tutti insieme!

Saïx distolse lo sguardo, interrompendo la lettura, che proseguiva ancora per molte pagine:

«Marluxia è solo inesperto.» si volse a Xemnas « Xigbar sta esagerando, a mio parere.»

«Se fosse per lui,» fece Xemnas, chiudendo il fascicolo e riponendolo in uno degli scaffali «non farebbe altro che starsene nel suo poligono, o a poltrire fra i corridoi della Fortezza, e tutti noi potremmo anche completamente dimenticarci dell’esistenza di un Numero II.» voltò le spalle a Saïx, dirigendosi verso un altro schedario «Piuttosto, come va con Larxen? Anche tu hai da farmi reclami dello stesso genere?»

Saïx scosse il capo:

«E’ abbastanza brava…penso che fra breve potresti anche affidarle missioni individuali…» mosse leggermente il capo «Non potrà stare per sempre sotto la mia ala.»

Xemnas annuì, osservando con aria assorta una lunga serie di libri:

«Certo. Dopotutto, ho già in mente un certo servizio da affidare a XI e XII.» si toccò il mento con due dita e non disse nient’altro.

Saïx rimase anch’egli in silenzio per qualche istante, poi riprese, tornando quasi senza rendersene conto sull’argomento di poco prima:

« E XIII? A chi hai intenzione di affidarlo?»

«Non saprei.» Xemnas alzò lo sguardo e voltò il capo verso il compagno «Tu hai qualche idea?»

Sulle labbra di Saïx apparve un silenzioso sorriso, e tutto il suo volto si colorò di un’inquietante sfumatura di divertimento:

«Te ne sei accorto, vero?» fece, a bassa voce «Ti sei reso conto dell’aura incerta che circonda XIII?»

«…pensavo di affidarlo a Zexion.» proseguì Xemnas, interrompendolo «Oppure…anche ad Axel non farebbe male avere una qualche tipo di responsabilità…» alzò gli occhi verso il suo interlocutore, continuando a fissarlo con un cipiglio senza espressione, ma bastò quel suo unico sguardo a far capire a Saïx che quello non era né il momento né il luogo adatto per parlare di quell’argomento.

Il Numero VII lasciò che i suoi lineamenti tornassero immoti e, incrociando le braccia sul petto, annuì con fare rassegnato.

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Capitolo 4
*** IV. Meeting ***


IV. Meeting

«Lo odio! E’ insopportabile! Proprio non lo tollero! Mi ha veramente stufato!...»

Mentre Larxen con tono maligno continuava a zufolare fra sé, alzando la voce e a volte gesticolando con le mani, senza accorgersene continuava a fare avanti e indietro per la sua stanza, e quando incalzava il passo, la sua acuta voce non mancava di diventare ancora più risoluta e convinta. Quando, per l’ennesima volta, la pallida ragazza sorpassò il divano sbraitando, Marluxia sobbalzò sul cuscino e alzò repentinamente gli occhi al soffitto, distogliendosi definitivamente dalla sua lettura, riprendendo la compagna di stanza con tono seccato e arrogante.

«Larxen, potresti gentilmente piantarla di tormentarti…e di tormentarmi, soprattutto…» sbottò, richiudendo un vecchio e spesso fascicolo e accavallando le gambe, lasciando ricadere il documento sul grembo, stiracchiando le ossute braccia «…continuando a parlare di VIII? E’ inutile che tu gli rivolga tanti insulti se lui non è presente, non trovi?»

«E sai che m’importa!» si imputò l’altra, fermandosi in mezzo alla stanza e stringendo i pugni, squadrando Marluxia con un sopracciglio biondo lievemente inarcato «Ma mi spieghi come fai a rimanere così calmo sapendo come si è comportato prima?» e sfiatando, diede nuovamente le spalle al ragazzo, con fare offeso «Si permette davvero troppe libertà per i miei gusti e…»

«Hai frainteso, XII.» la interruppe Marluxia, con tono glaciale «Sei arrivata qua da poco e ancora non hai ben capito come ci si comporta con quello. Persino io, come hai potuto notare, spesso perdo il controllo in sua presenza. Forse, la prima impressione che ti sei fatta è che tutti lo difendano, o lo lascino libero di fare ciò che più lo aggrada, ma la verità…e che nessuno in questa Fortezza sopporta Axel.»

«Immagino tu intenda ciò escludendo Demyx.» riprese Larxen, voltandosi con flemma e sistemandosi elegantemente una ciocca platino dietro l’orecchio sinistro, socchiudendo le iridi cristalline come il cielo terso del mattino, mutando la sua espressione incattivita in un sorrisetto sardonico «Gli lecca i piedi quasi fosse un cagnolino!» concluse, senza darsi un minimo di contegno mentre prendeva a ridere sguaiatamente in direzione di Marluxia, il quale, non avendo nulla contro IX, chiuse i grandi occhi dai riflessi bicromi, scotendo a tratti la testa in modo impercettibile, come per negare, fra sé e sé, le parole acide della ragazza. Poi si alzò, emettendo un sonoro sbadiglio annoiato.

«Comunque,» continuò il giovane, stropicciandosi gli occhi inumiditi «presto ti accorgerai che le mie parole erano più che veritiere e capirai che la maggior parte delle volte conviene ignorarlo, piuttosto che accumulare pretesti per lasciargli tenere aperta quella boccaccia o in movimento quella sua lingua biforcuta.»

Sorpassò Larxen con noncuranza, dirigendosi verso uno scaffale nell’intento di riporre il fascicolo che prima teneva sulle gambe accavallate e che aveva tentato di leggere, senza successo, quando proprio la ragazza iniziò a schernirlo, puntandogli un indice contro.

«Sai, XI» ridacchiò, malefica «a parole sei tanto bravo, ma a giudicare dall’espressione arrabbiata di Xigbar stamane, in battaglia non sei un granché! Cos’era quello, l’ennesimo divertentissimo rapporto di II sulle vostre brillanti missioni?»

«Sai, XII» la rimbeccò Marluxia, rispondendogli a tono «anche tu stai iniziando a prenderti un po’ troppa libertà coi tuoi superiori, come fa Axel. Se non la smetterai, presto sarete compagni di sventura: entrambi tagliati fuori dall’Organizzazione. Che ne dici?»

Seguirono pesanti attimi di silenzio; Marluxia lasciò i pochi millesimi di secondo necessari a Larxen per capire la provocazione in tutte le sue sfaccettature, prima di sfoggiare un ghigno di compiacimento, alla quale Larxen reagì estraendo due stiletti con una rapidità innaturale, quasi felina, facendoli scattare come una molla in direzione del compagno immobile davanti alla libreria.

Proprio quando le due lame affilate furono vicinissime al volto divertito di Marluxia, davanti a lui si aprì un Portale e due piccoli palmi neri afferrarono con sicurezza gli stiletti fra le dita. A poco a poco, oltre l’Acqua Nera, si materializzò la bassa e inespressiva figura di Zexion, mentre lentamente lo squarcio immateriale si riassorbì alle sue spalle.

«Larxen, sei un po’ troppo suscettibile ultimamente.» disse con tono grave, lanciando i pugnali alla ragazza, che li afferrò con sicurezza malferma, indietreggiando di qualche passo «Sei esagitata. Vedi di moderarti.»

«Zexion!» esordì Marluxia allegro, con un ampio gesto dalle braccia «Cosa ci fa da…»

«Guarda che lo stesso vale per te, Marluxia. Dateci un taglio. Tutti e due.»

A quelle parole, Marluxia sorpassò il suo superiore scuotendo il capo e alzando i palmi al cielo sconsolato, coronando con una risatina sarcastica le sue parole mentre si posizionava al fianco di Larxen.

«Anche tu oggi sei particolarmente irritabile, eh. Chissà di chi è la colpa.»

La ragazza invece più che divertita come il suo compagno, sembrava essersela presa parecchio per i gesti e gli ammonimenti di Zexion. Socchiuse gli occhi chiari sospirando, e con l’ennesimo gesto scattante, fece scomparire i due stiletti oltre i lembi della manica destra della lunga veste scura.

«Io non sopporto affatto le personalità come te, Zexion.»

VI mosse qualche passo in direzione dei due principianti con la testa lievemente inclinata sulla sinistra, mentre a poco a poco i muscoli facciali gli si contraevano in una smorfia maligna, che accompagnò il fluido movimento del suo braccio destro, mostrando un pugno semiaperto ai due presenti. Alzò l’indice affusolato e disse:

«Errore numero uno. Mi spiace tanto deluderti, ma credo che “personalità” non sia proprio il termine adatto per presentarmi. Ciò che hai citato, in realtà, è esattamente quello che mi manca per essere chiamato “Completo”.» Larxen e Marluxia seguirono silenti il gesto di Zexion che segnava un due con le dita «Errore numero due. Mai,» scandì bene quella negazione, facendo risuonare la sua voce per tutta la stanza «usare quel tono con un tuo superiore. Specialmente con me. Vedi, non solo questo ti mette in cattiva luce sotto i miei occhi e mi implica a riferire la tua condotta a Xemnas, ma ti esclude completamente da un’esistenza… diciamo, “tranquilla” all’interno di questa Fortezza. E’ vero, sono un tipo pacato, ma se istigato sono capace di diventare cattivo quanto basta per renderti l’operato all’interno dell’Organizzazione un inferno.»

Nuovamente un glaciale Zexion rivolse il suo sguardo ai due subordinati mentre abbassava la mano destra lasciandola ricadere sul fianco. Abbozzò un sorriso, soddisfatto della reazione ottenuta.

«Spero di essere stato abbastanza chiaro ed esauriente.»

«Tsk.» commentò Larxen, aggrottando la fronte e poggiandosi di schiena contro il freddo muro più vicino a lei «Naturalmente, Signor VI.» ancora una volta socchiuse gli occhi e si sistemò i capelli. Per lei era come una specie di tic. Non amava affatto il disordine e le cose mal riposte, ed era una sua particolare e personalissima fissazione essere sempre presentabile, come le piaceva vanitosamente definirsi. Marluxia rimase in piedi al suo fianco in braccia conserte con espressione tranquilla e al contempo seria, sospirando fra se e se cose come Non si rende conto che se continua a rispondergli in questo modo lo sta solo provocando? Certo che ha un bel coraggio a parlargli così! Alla fine, decise di sviare l’attenzione di Zexion.

«Come mai sei da queste parti?» domandò con tono incuriosito al giovane dai capelli azzurri che stava in piedi davanti a lui con le mani sui fianchi e lo sguardo apatico rivolto in direzione di una Larxen completamente disinteressata e noncurante della cosa, notando quanto fosse basso in confronto a lui. Quasi due teste e mezzo, si disse. «Sono certo che se sei venuto qua avrai certo un qualcosa da riferirci…»…dato che dubito che la tua sia una visita di cortesia, nanerottolo.

«Infatti.» confermò Zexion, senza distogliere lo sguardo dalla figura longilinea di Larxen «Saix ti reclama, XII. Ti sta aspettando al Belvedere del Crepuscolo. Pare che il Capo abbia deciso di assegnarti la tua prima missione da singola.» sorrise con stizza «Mi raccomando, XII». Al contrario, Marluxia tentò di incoraggiarla, nonostante questa “promozione” di Larxen significasse solo che una sua subordinata lo aveva “sorpassato”, tentando di infonderle un po’ di entusiasmo esclamando « Congratulazioni! Fai del tuo meglio, eh. Buona fortuna!»

«Non me ne faccio nulla degli auguri o le raccomandazioni dei miei superiori.» replicò subito la biondina, sorpassandolo a braccia conserte prima Marluxia e poi Zexion, dirigendosi verso l’uscita della stanza. Poi aprì la porta e fece un gesto con la mano, mentre lasciava i due suoi superiori dando loro le spalle «Bye bye.»

Non appena Larxen richiuse la porta alle sue spalle, Marluxia sospirò sconsolato «Eh, beata lei. Ormai ho perso il conto dei giorni da quando sto aspettando che una cosa del genere accada a me…»

«Non scoraggiarti troppo, XI» riprese VI, aprendo un Portale a mezz’aria «Non è ancora certo che Larxen svolga quella missione completamente da sola. Non so quanto lontano potreste andare, sia tu che lei, dato che non siete ancora capaci di controllare appieno le vostre doti. Ad esempio, non siete nemmeno in grado di fare uno di questi. Un Portale.»

Poco prima di lasciarsi completamente inghiottire da quei fluidi filamenti impalpabili disse «Ah, quasi me ne dimenticavo. Xigbar,» fece un impercettibile cenno con la testa «vuole vederti. Non farlo aspettare troppo. Sai che è suscettibile,no?»

Dopo che anche Zexion se ne fu andato, rapido Marluxia lasciò la stanza, dirigendosi risoluto verso il Poligono, luogo prediletto dal suo Istruttore.

Oo°*°oO

Ed ecco in arrivo le dolci lodi del tuo Istruttore, Marluxia si disse sarcastico XI, mentre avanzava a passo deciso, e la voce silenziosa delle sue laconiche riflessioni era l’unico suono nelle sue orecchie. Devo solo prepararmi ad una nuova allegra sfuriata e ad un ennesimo gentile reclamo al Signor “Superiore” in merito alla mia “ineluttabile incompetenza” si lasciò sfuggire un grugnito d’irritazione, mentre stringeva i pugni facendo crepitare la pelle dei guanti Ma che Xigbar si preoccupi di correggere le sue pericolose turbe caratteriali prima di trattarmi a zerbino…! Se l’unico modo per farmi apprezzare da lui è leccargli i piedi come pretende che faccia… le sue labbra si contrassero in una smorfia di leggero disgusto si sbaglia sul mio conto, non mi farò mai mettere i piedi in testa da quella specie di cecchino!

Voltò l’angolo con un movimento repentino ed elegante, smuovendo un lembo della veste in un gesto deciso. Dopotutto continuare a rodersi a quel modo non lo avrebbe di certo aiutato a mostrarsi tranquillo ed insofferente di fronte ai rimbecchi del Nobody che lo attendeva oltre la porta che si ergeva sul fondo del corridoio. Se aveva imparato anche una sola cosa durante il suo apprendistato sotto l’ala di Xigbar, era l’esser diventato abilissimo nel nascondere i propri pensieri. Non un movimento delle labbra, o un’espressione negli occhi, fasulle che fossero, avevano mai fatto intendere uno qualsiasi degli insulti pesanti e silenziosi che molto frequentemente indirizzava al suo superiore.

Si fermò davanti alla porta, senza smuovere un attimo gli occhi dalla fine linea argentata in cui i due battenti sembravano fondersi. Quante volte gli era stato vietato di varcare quel limite? Eppure tutte le circostanze facevano sempre sì che per Marluxia fosse indispensabile disobbedire; sembrava quasi che Xigbar lo facesse di proposito, giusto per ritrovarselo sempre lì, pronto per essere sgridato come più gli aggradava.

Lentamente, ancora un po’ titubante, premette una mano sull’alto battente aprendo appena lo spazio necessario a passare, sperando di non far rumore. L’attimo seguente fu dentro e la porta tornò immota e chiusa come prima che arrivasse.

Prima di azzardare qualsiasi movimento diede una veloce occhiata alle pareti tutt’intorno.

Quello era il regno di Xigbar. Avrebbe potuto apparire ovunque, anche sul soffitto, appeso a testa in giù come un pipistrello, anche in quel preciso istante, senza che Marluxia si accorgesse dei suoi spostamenti, o di come diavolo avesse fatto a muoversi in maniera così silenziosa.

Perché Xigbar? Marluxia avanzò di qualche passo circospetto, tenendo gli occhi fissi sui bersagli metallici che sorgevano in fondo alla sala: delle sagome i cui contorni delineavano una forma quasi umana.

Perché un misero numero II e non il Superiore? Di colpo le sopracciglia dell’XI si aggrottarono in un’espressione maligna Perché Xemnas mi ha considerato così poco? Perché mi ha affidato ad un suo misero subordinato?

Di colpo il pensiero volò a Saix, e la mente gli si riempì di cupi rimembranze di cosa significasse provare un’invidia profonda.

Solo il numero VII. Perché solo lui e poi nessun’altro?

Si ricordò di quando aveva ascoltato il blaterare del suo tutore per ore intere, prestando attenzione a ciò che diceva solo quando sembrava accennare ad argomenti che gli interessavano.

I Portali. Kingdom Hearts. Gli Heartless.

Xemnas.

Marluxia neppure si accorse di essersi immobilizzato proprio nel bel mezzo della sala. Non fece caso neppure al fatto che stando fermo a quel modo era più vulnerabile che mai a qualsiasi attacco da parte dell’irritatissimo ed intrattabile numero II.

Perché gli aveva rivolto quell’occhiata di sufficienza non appena gli si era presentato davanti, appena superata la Prova dell’Esistenza?

Perché non aveva detto nulla mentre gli comunicava il proprio nome, inginocchiato al suo cospetto e, tremando, si chiedeva se quell’uomo dall’aria così autorevole potesse in qualche modo decidere l’esito della sua sorte?

Perché lo aveva ignorato mentre usciva dalla sala, congedandolo con un semplice e sbrigativo cenno della mano?

Perché non si accorgeva dell’ardore e la fatica con cui Marluxia tentava in tutti i modi di compiacerlo?

Marluxia digrignò i denti, stringendo forte i pugni.

E soprattutto, perché il numero VII era sempre in piedi al suo fianco quando lo incontrava? Quando andava a fare rapporto? Quando c’era bisogno di prendere una decisione importante?

Marluxia non riusciva a capire.

Cos’aveva Saix che lui non riuscisse ad ottenere? L’esperienza? L’abilità con cui riusciva a portare a termine i suoi compiti senza neppure macchiarsi il soprabito di sangue? La crudeltà ed il divertimento che mostrava quando sentiva che era il momento di agire?

Perché dopo aver addestrato Saix, Xemnas non aveva più preso nessuno sotto la sua supervisione?

Perché non aveva scelto Marluxia come prossimo discepolo?

I cupi pensieri del numero XI vennero bruscamente interrotti. Il giovane vide un guizzo di luce bianca ferirgli gli occhi ed un istante dopo si ritrovò a fissare l’inquietante unica iride dorata del suo tutore.

Le sopracciglia sottili erano aggrottate in maniera preoccupante e le cicatrici tiravano la pelle del volto trasformandolo in una maschera grottesca. I capelli neri strati di grigio ricadevano verso il pavimento, legati in una lunga e sottile coda di cavallo, ed i pendagli del soprabito scivolarono verso il basso con dei brevi tintinnii.

Era a testa in giù, come c’era da aspettarsi. Purtroppo a Xigbar erano sempre piaciute le entrate in scena fin troppo teatrali.

Marluxia aprì bocca per assicurarsi la prima parola in quello che già prometteva di diventare un litigio all’ultimo sangue fosse sua, ma l’altro fu molto più rapido.

« Fammi indovinare, Fiore di Campo.»

Marluxia si impettì, fissando l’unico occhio di Xigbar quasi con sfida:

« Prego.» lo invitò, strafottente.

Il numero II sembrò non farci caso: smise di guardarlo, lasciando che gli occhi vagassero verso un punto indefinito, massaggiandosi una tempia:

« Sei entrato nuovamente nel mio Poligono.» scosse il capo, gesticolando « Mi pareva di averti ripreso innumerevoli volte, Rosa Selvatica.» nel modo in cui Xigbar riusciva a trovargli quei taglienti soprannomi nel giro di pochi istanti c’era un che di canzonatorio « Chi esattamente ti ha dato il permesso di entrare senza il mio permesso?»

Marluxia dischiuse le labbra ma non ne uscì alcun suono.

Nessuno. Zexion non aveva accennato a nulla di simile. Il numero XI deglutì:

« E’ il primo luogo in cui penso di recarmi se…»

«Si, si, va bene, non mi interessa.» lo sguardo irato di Xigbar lo trafisse ancora, questa volta con maggiore violenza « Il punto è: non dovevi farlo!»

Marluxia abbassò il capo. Avrebbe voluto non dover chiedere scusa in maniera così umiliante, ma se voleva togliersi quel Nobody dai piedi al più presto, non poteva fare altro.

« Scusami, Xigbar.»

« E’ da un po’ che me lo chiedo, Fiorellino.» Lentamente Xigbar levitò su sé stesso e tornò a posare i piedi sul pavimento, poco lontano da dove se ne stava immobile il suo subordinato.

Il numero XI non riuscì a trattenere una smorfia nell’udire l’ennesimo insulto che l’altro gli aveva tranquillamente regalato con quel nuovo nomignolo.

Mi chiamo Marluxia.

Avrebbe voluto gridarglielo forte in faccia, mentre qualcosa di molto simile a ciò che riconduceva al concetto di “rabbia” gli faceva ardere gli occhi azzurri.

« Ascoltami con attenzione, perché voglio un tuo parere.» continuò Xigbar, con aria assorta. Marluxia non poté fare altro che annuire, pazientando.

« Bene.» esordì il II, riprendendo teatralmente a gesticolare « In questa Organizzazione eravamo in dieci prima che tu arrivassi a far germogliare i tuoi bacelli lungo i corridoi e sui balconi delle tue stanze.»

Marluxia attese, in ascolto. Cercava in tutti i modi di sovrastare quell’irritante Nobody con le sue spalle larghe, ma non capiva come fosse possibile che Xigbar riuscisse a metterlo così in ombra nonostante il suo fisico smilzo e i tre centimetri che lo rendevano leggermente più basso.

Xigbar continuò sospirando:

« Beh, a quel tempo ero uno dei migliori, lasciatelo dire, non un solo Rapporto negativo.» scosse il capo e le mani fecero lo stesso movimento mentre il suo occhio si chiudeva in una smorfia nostalgica « Il capo non si lamentava, non gli creavo problemi, stavo per i cazzi miei. Si fidava di me, sapeva che avrei svolto il lavoro come dovevo. E soprattutto,» fulminò «era-chiaro-a-tutti-che-sconfinare-nei-miei-spazi-equivaleva-a-ritrovarsi-un-maledetto-proiettile-conficcato-in-mezzo-agli-occhi.» marcò ogni singola parola. « Pensa, anche Axel e Demyx non osavano scassare i coglioni.» aggiunse, stringendosi divertito nelle spalle « Il che è strano, ammettilo.»

Su questo Marluxia gli dava ragione:

« E’ vero, signore.» lo seguì con lo sguardo mentre gli girava intorno, grattandosi pensieroso il mento. Non riusciva a capire dove quel discorso volesse andare a parare.

« Bene, Germoglio primaverile,» Marluxia digrignò i denti silenziosamente « ora la domanda sorge spontanea.»

Xigbar si voltò di scatto verso il discepolo ed il suo occhio da rapace sembrava volerlo squartare sul momento:

« Cosa diavolo ho fatto di male, per meritare te come sottoposto?»

Marluxia deglutì, stringendo forte i pugni:

« Era un ordine del Superiore.» il pensiero di Xemnas e Saix gli fece fare una smorfia, ma smise di pensarci.

« Oh, caro, questo è molto bello.» flautò sarcastico l’altro « Ma analizziamo bene la situazione, Petalo di rosa.» sollevò una mano, portando l’altra sul fianco. Iniziò a contare sollevando le dita ad una ad una « Primo, ma guarda, al tempo Xemnas non aveva nessun pargolo a cui badare. Perché non risparmiare l’agonia di starti appresso a chiunque altro e addossarsi l’impresa?» fece una pausa, guardandolo « Magari eri davvero troppo poco per lui?» annuì, convinto « Beh, molto probabile.»

Nell’udire queste parole, Marluxia sentì ogni singolo muscolo del corpo tendersi. Gli tornò in mente ciò che prima diceva di riconoscere come “vergogna”.

Se solo Xigbar non fosse stato il suo maledetto tutore, non avrebbe atteso altro tempo prima di sguainare la falce e mostrargli quanto potessero essere impietosi i fiori che denigrava tanto.

« Bene!» Xigbar sembrava divertirsi, deliziandosi della sua stessa crudeltà « Passiamo al prossimo: l’assatanato amante delle maledette lance.» sollevò un altro dito « Si era appena liberato di quell’essere ultranoioso che risponde al nome di “Luxord”. Hai presente, quello che sparisce nei meandri più reconditi della Fortezza dicendo che “deve studiare nuove tattiche di combattimento”, ovvero farsi una partitina a Solitario? Perché non affibbiarti a lui?» strinse nelle spalle « Oh, beh, sono motivazioni troppo alte perché i miseri numeri al di sotto dell’I possano comprenderle.»

Marluxia continuò ad ascoltare Xigbar mentre infieriva, senza intervenire una sola volta.

Si fece sfuggire un lieve sorriso.

Anche dopo che il numero II ebbe finito di sfogare l’ira repressa ed iniziò a dettargli i nuovi ordini, non riuscì a trattenere un ghigno di soddisfazione.

L’avrebbe pagata. Oh, si.

Xigbar l’avrebbe pagata, avrebbe pagato quella sua irritante abitudine di considerarlo meno di niente.

Anche Xemnas l’avrebbe pagata.

Xemnas che non si era accorto di lui, e sembrava continuare a non rendersi conto del suo potenziale. Xemnas che lo aveva subito etichettato come un’incapace e non gli dedicava le attenzione che davvero meritava.

Presto il servilismo non sarebbe più servito e tutti coloro che non facevano altro che insultarlo sarebbero stati costretti a prostrarsi ai suoi piedi, supplici, per chiedergli di risparmiarli.

Si allontanò, uscendo dal Poligono, senza dire una parola.

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