Pensieri

di WinterRose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Qualcosa di incompleto ***
Capitolo 2: *** Questione di memoria ***
Capitolo 3: *** Dolcezza, premura e qualcosa di inquietante ***
Capitolo 4: *** Un cubetto di ghiaccio appena uscito dal freezer ***
Capitolo 5: *** Rivelazioni ***
Capitolo 6: *** Fiori Strappati ***
Capitolo 7: *** Inferno e Paradiso ***
Capitolo 8: *** Il tassello mancante ***
Capitolo 9: *** Epilogo- La distanza di un bacio ***



Capitolo 1
*** Prologo - Qualcosa di incompleto ***


Ciao a tutte/i! :)
Questa è la prima storia che decido di pubblicare su questo sito. Per ora pubblicherò solo il prologo, poi se a qualcuno piacesse particolarmente, be', mi farebbe molto piacere continuare. Quindi commenti, recensioni anche messaggi privati sono assai  graditi. Se ce ne saranno risponderò o privatamente o a fine del capitolo successivo :D
Il titolo che ho scelto è Pensieri, perché si tratta, alla fin fine, di un racconto introspettivo, dove i pensieri dei personaggi costituiscono il cuore di esso. Non aspettatevi grandiose descrizioni o paragoni spettacolari: mi sono concentrata su questo aspetto e ho deciso ti intitolare il mio racconto Pensieri proprio perché, a mio dire, dietro ogni gesto c'è sempre un pensiero, una riflessione che la maggior parte delle volte si rivela essere più importante dell'azione stessa.
Vi lascio alla lettura, spero vi piaccia
Un bacio :)







Prologo

Qualcosa di incompleto

 

 

 

 

 

 

I'll come back

When you call me

No need to say goodbye”

(The call, Regina Spektor)

 

 

 

Kathrine Bennet e Eric Wood erano amici da sempre.

O almeno così la vedevano i loro genitori; William e Annabelle Bennet e Anthony e Diane Wood avevano fatto e facevano di tutto affinché i figli si frequentassero, ma nessuno dei due, ahimè, sopportava l'altro. I Bennet e i Wood continuavano a vivere nella speranza che un giorno i rispettivi eredi si svegliassero da un lungo periodo di catalessi scoprendo di essere perfetti l'uno per l'altra, sposandosi e dando loro una miriade di nipotini vivaci e a loro somiglianti.

E' alquanto singolare il motivo per il quale le due coppie quarantenni si ostinassero tanto a fare in modo che tra i propri figli scorresse buon sangue, se non addirittura una vera e propria relazione: ora, parlare di matrimoni combinati all'inizio del 20° secolo è piuttosto fuori luogo, ma i fatti erano che i Bennet, le cui origini appartenevano ad un'antica famiglia aristocratica caduta in disgrazia, si erano ritrovati nel giro di un paio d'anni in bancarotta e l'unico possedimento che rimaneva loro era l'importanza del proprio cognome, e che i Wood, famiglia di imprenditori, erano emersi da poco dall'anonimato e possedevano i due terzi delle proprietà terriere della provincia oltre a contare i numerosi appartamenti a Milano,Venezia, Londra, Barcellona, Parigi e New York.

A tutto questo va aggiunto un vecchio e ricchissimo zio che aveva designato come proprio erede il piccolo Eric poco dopo la sua nascita, a patto e condizione che si fosse maritato con una fanciulla di nobili origini, solo ed esclusivamente per il gusto di potersi vantare con i maggiori esponenti della classe borghese a proposito dei successi del proprio nipote ed erede.

I motivi per i quali i due giovani non si sopportassero si basavano sul fatto che Katherine , ragazza silenziosa e riservata, odiava la maniera con cui il quasi coetaneo Eric si poneva in pubblico ritenendolo immaturo e troppo superficiale; Eric, dal canto suo, reputava la ragazza troppo timida e noiosa. Il dissapore che c'era tra i due, tuttavia, si rendeva visibile quasi solamente nelle occasioni in cui i due si trovavano da soli, o per coincidenza o per l'intervento, sempre nascosto, dei genitori.

Quando l'adolescente Kathrine di appena 15 anni venne invitata dalla scuola stessa ad usufruire di una borsa studio per completare i successivi due anni scolastici presso un rinomato college inglese, i Bennet non avevano potuto rifiutare la generosa offerta e impedire la partenza della figlia.

E così la partenza della giovane fu un dispiacere solamente per le due coppie di genitori i quali videro sottrarsi due anni dal periodo di tempo entro il quale Eric e Kathrine dovevano dichiararsi ufficialmente fidanzati; per i due promessi sposi, invece, non vi fu notizia più lieta: due lunghi e tranquilli anni all'insegna della libertà e del divertimento, senza alcuna scocciature da parte dei propri tutori.

 

***

 

Kathrine chiuse il libro scocciata. Al suono della campanella tutti i suoi compagni si erano riversati nei corridoi dell'edificio con grida di gioia e festosità. Peccato che per lei quel tintinnio acuto dava l'inizio ad una tortura cominciata già da molti anni.

Eric.

Sapeva che tornare a casa segnava la fine della libertà e della tranquillità: sua madre e suo padre non le avevano ancora ufficialmente detto il motivo per il quale tenessero così tanto alla amicizia, che, a suo dire, era inesistente, con Eric, eppure lo aveva capito benissimo. Le erano bastate poche sere ad origliare i discorsi dei Bennet e dei Wood per capire esattamente come stessero le cose. Come la pensasse a riguardo non aveva alcuna importanza: si sarebbe dovuta arrendere prima o poi, Eric avrebbe dovuto fare altrettanto.

Uscì dall'edificio scolastico e gli rivolse per l'ultima volta uno sguardo carico di tristezza e nostalgia, prima di prendere l'autobus e tornare al proprio appartamento.

 

***

 

<< Oddio Kath, mi mancherai troppo>> Jessica aveva stretto in una morsa stritolatrice l'altrettanto desolata amica:

<< Oh Jess, ti prometto che ad Agosto verrò a trovarti. Davvero. >>

La coinquilina di Kathrine si staccò un attimo da lei per poterla guardare in viso:

<< Promesso? >> chiese incerta scostandosi dal viso la miriade di ricci neri.

<< Promesso >>

Dentro di sé, Kathrine si sentì in colpa, perché sapeva benissimo che, per motivi di carattere finanziario, non l'avrebbe rivista per un periodo di tempo indeterminato, ma sicuramente lungo. Solo il volo costava una cifra pazzesca.

Kathrine strinse ancora una volta Jessica tra le braccia:

<> La ragazza si asciugò velocemente le lacrime che le avevano rigato il viso, uscì dalla porta del suo appartamento, ex-appartamento si corresse mentalmente, e premette il tasto di chiamata per l'ascensore. Jessica era ancora sull'uscio della porta e la fissava senza dire niente, mordendosi un labbro per evitare di scoppiare a piangere. Quando l'ascensore si aprì, Kathrine vi entrò, e girandosi rivolse le ultime parole all'unica persona con la quale era riuscita veramente a stringere una vera amicizia in due anni:

<>

<> L'ascensore si richiuse e iniziò la sua discesa, mentre nella testa di Kathrine rimbombava ancora l'ultimo saluta dell'amica.

 

***

 

Ripercorrere le strade della città dove Kathrine aveva passato la maggior parte della sua vita, le sembrò molto strano: da quanto non comprava un gelato alla caffetteria sotto casa, da quanto non faceva un giro al parco da sola o in compagnia di qualche amica, da quanto non vedeva la nonna... Troppo tempo e anche troppo poco, alla fine. Sembrava che si fosse materializzata in un universo parallelo completamente cristallizzato, dove tutto era rimasto come l'aveva abbandonato due anni prima. Si chiese se anche lei fosse rimasta la stessa; aveva fatto e vissuto nuove esperienze, nuove felicità e delusioni. Forse la sfera di cristallo nella quale era vissuta prima di partire era definitivamente andata in mille pezzi, esponendo la ragazza alle difficoltà e alle gioia della vita. Eppure mancava ancora qualcosa. Lo sentiva dentro di sé, come qualcosa di incompleto, che molto probabilmente sarebbe rimasto tale per sempre. Quel qualcosa, quel vuoto, non aveva però ancora assunto un senso compiuto e definitivo:

<< Numero civico, signorina? >> La voce roca del tassista interruppe il flusso dei suoi pensieri.

<< 47, signore >>

Non l'aveva per niente sorpresa il fatto che i genitori avessero avuto un “imprevisto”, se così si può chiamare, e che non sarebbero potuti tornare a casa prima della fine del mese. Il messaggio in segreteria telefonica aveva spiegato tutto:

 

Ciao amore, come è andato il viaggio? Ascolta, io e papà siamo bloccati a casa dei tuoi zii per il maltempo, e così abbiamo deciso di approfittarne e rimanere a Vancouver per stare un po' in famiglia e per goderci le vacanze estive. Torniamo tra circa una settimana. Ovviamente, starai dai Wood, li ho già avvertiti di tutto.

Un bacio piccola.

 

Certo, come no. Godersi le vacanze estive con il maltempo?

Kathrine non capiva se i suoi genitori fossero veramente convinti del fatto che lei credesse a tutte quelle farse da loro messe pessimamente in scena o se, in fondo, si rendessero conto di quanto potessero apparire agli occhi della figlia.

Tuttavia se n'era fatta una ragione e aveva indicato al tassista che la stava aspettando all'aeroporto di condurla a casa dei Wood, dove avrebbe passato le giornate più infernali di tutta la sua vita.

O almeno, così la pensava lei.

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Capitolo 2
*** Questione di memoria ***


Ciao a tutte/i di nuovo!
Vi metto il primo capitolo della storia. Per ora non ho ancora ricevuto nè commenti nè recensioni... a dire il vero ci sono rimasta un po' male xD Comunque ho pensato che magari volevate leggere ancora un po' prima di sbilanciarvi nel giudizio. Quindi eccomi alla riscossa! Questa volta però davvero fatemi sapere cosa ne pensate; anche se siete timide/in non vi preoccupate, sarei molto felice di rispondere a tutti.
Un bacio :)



Questione di memoria

 

 

 

 

 

If I never see your face again,

I don't mind”

(Maroon 5, If I never see your face again)

 

 

 

Dopo che Kathrine ebbe pagato il tassista, il veicolo scomparve velocemente dalla sua vista tuffandosi nell'oscurità. La ragazza rimase qualche secondo davanti al viale di ingresso della tenuta, ammirando la bellezza della dimora dei Wood, malgrado la poca visibilità; poi si incamminò trasportando a fatica gli innumerevoli bagagli che aveva portato con sé.

Giunse davanti alla porta.

Diversi ricordi iniziarono a riaffiorare nella sua mente. Era proprio in quel punto, davanti alla porta di casa che aveva conosciuto Eric. Aveva appena otto anni e quando si era trovata davanti un bambino con gli occhi chiari e i capelli biondi, bello come il sole: non aveva potuto che paragonarlo ad un principe azzurro. Peccato che aveva dovuto cambiare la propria impressione poco dopo, quando la prima parola che uscì dalla bocca di lui fu il cognome di lei.

Fece un grande respiro, come a voler raccogliere tutta la forza di cui disponeva.

Ci siamo.

Suonò indecisa il campanello. Aspettò qualche secondo senza sentire alcun movimento provenire dall'interno dell'abitazione.

Probabilmente non ci sono .

Da una parte sperò che fosse così: avrebbe avuto una scusa per andarsene e dormire altrove. Dall'altra, tuttavia, da chi sarebbe andata? Sua nonna? Avrebbe scatenato l'ira dei suoi genitori, soprattutto di sua madre, ne era certa: nonna Elizabeth e la signora Bennet non erano mai andate molto d'accordo, ma sopratutto in quegli ultimi anni, quando Elizabeth Johnson era venuta a conoscenza dei progetti che volevano la nipote come vittima da mandare al macello, i litigi si erano riaccesi e fatti più frequenti.

Lo sguardo di Kathrine si posò sul tappetino beige nuovo di zecca davanti l'ingresso che recava la scritta “Welcome”. Si lasciò sfuggire un sorriso ironico.

Certo, all'inferno.

All'improvviso sentì la porta aprirsi. Si raddrizzò di scatto e si preparò ad un caloroso benvenuto. Chi si trovò davanti la lasciò senza fiato: un ragazzo alto e con un fisico statuario si ergeva davanti a lei; i capelli biondi gli ricadevano sulla fronte, lasciando intravedere due occhi enormi e leggermente a mandorla, di un grigio intenso. Il ragazzo la guardò impassibile, tenendo una mano appoggiata alla porta, passando l'altra tra i capelli quasi color platino. Il cuore della ragazza perse un colpo:

<< Er... Eric?>> domandò confusa cercando di evitare il suo sguardo.

Doveva controllarsi, diamine. Il cuore le batteva sordo nel petto, sentiva il viso in fiamme.

Autocombustione.

L'aveva sentito in qualche trasmissione televisiva insieme ad esorcismi e fantasmi che infestavano case di campagna, ma allora l'aveva considerata una sciocchezza. Be' dovette ricredersi.

Kathrine udì le urla di giubilo della signora Wood che interruppero il diretto interessato dal darle una risposta. Il ragazzo si scostò appena in tempo per lasciar passare la madre che si gettava tra le braccia della nuova ospite:

<< Oh cara, quanto ci sei mancata >> Esclamò stringendola a sé con forza.

Kathrine restituì con molta meno foga l'abbraccio:

<< Anche lei, signora Wood >>

La signora grassottella si scostò appena, sbuffando e portando le mani sui fianchi:

<< Oh andiamo, finiscila di chiamarmi signora Wood. Te l'ho sempre detto, per te sono Diane e basta >>.

<< D'accordo Diane >> rispose imbarazzata Kathrine.

La donna sciolse l'abbracciò e si rivolse al figlio:

<< Su Eric, non fare il maleducato. Aiuta Kathrine a portare le valige nella sua camera, io vado a finire di preparare la cena. Sono così tante le cose che ci devi raccontare, piccola >>

Detto questo, la signora Wood schioccò un bacio sonoro sulla guancia della nuova arrivata e si allontanò, dirigendosi verso la cucina. Quando sentì chiudersi la porta del salone, per la prima volta dopo due anni Kathrine guardò Eric diritto negli occhi. Nonostante li avesse trovati duri e inespressivi, ne rimase ugualmente abbagliata.

Fu lui a parlare per primo:

<< Bennet >> Questo particolare bastò a farle riprendere contatto con la realtà.

Si ritrovò proiettata nel passato, quando 9 anni prima si era ripetuto lo stesso episodio. Uguale e identico.

Odiava quando le persone la chiamavano per cognome, era come sottolineare il fatto di voler scoraggiare qualsiasi forma di confidenza. Eric lo faceva da quando erano bambini, solo che la metteva ancora di più a disagio perché sembrava che il ragazzo volesse anche rimarcare la differenza che c'era fra di loro.

<< Eric >> Kathrine ricambiò il saluto con altrettanta freddezza.

Il ragazzo si sporse in avanti per afferrare i bagagli a mano di Kathrine; lei lo ringraziò ma lui si limitò a contrarre il viso in una smorfia.

Salirono le scale a chiocciola in marmo bianco, per primo Eric con le valige- che trasportava senza problemi- e poi la ragazza che lo seguiva distratta domandandosi dove avrebbe dormito. Attraversarono il corridoio principale sorpassando la camera dei signori Wood, la biblioteca, la sala biliardo... Poi il tonfo dei suoi bagagli lasciati andare a terra con molta poca grazia.

Kathrine osservò perplessa la stanza davanti alla quale si era fermato Eric:

<< Questa non è...>>

<< Si, mi hanno sfrattato >> concluse il giovane per lei.

La ragazza si sentì subito in colpa:

<< Ma non c'è bisogno che io dorma qui...>>

Cercava di non essere di peso, almeno. Non che i Wood avessero problemi economici, per l'amor del cielo, però occupare la camera di Eric significava non solo rompere l'equilibrio casalingo ma inimicarsi apertamente il primogenito:

<< Vacci a parlare tu con mia madre >> Sbottò il ragazzo.

Come non detto.

Kathrine si sentì irritata; la sola idea che quel ragazzo presuntuoso e viziato sarebbe diventato suo marito non faceva che innervosirla ancora di più. Dovette fare appello a tutte le sue forze e a tutta il suo buon senso per riuscire a trattenersi dal rispondergli in modo tagliente. Così dopo aver preso un po' goffamente le valige- lei e l'esercizio fisico non erano mai andati molto d'accordo- ed essere entrata nella stanza, gli disse con voce apparentemente neutra e perfettamente controllata:

<< Mi dispiace che tu abbia cambiato stanza per me, comunque adesso avrei bisogno di stare un po' da sola per rimettermi a posto. A dopo >>

Detto questo gli chiuse delicatamente la porta in faccia.

Si avvicinò al letto azzurro di una piazza e mezzo e dopo aver preso un cuscino e averlo premuto sulla faccia, urlò con tutto il fiato che aveva in gola.

Eric era rimasto quello di sempre; una piccola parte di lei le aveva suggerito che c'era una buona probabilità che fosse maturato e avesse cambiato atteggiamento. Evidentemente il suo intuito non era dei migliori.

La serata era iniziata male o, almeno, con Eric; per un attimo, solamente per un attimo aveva creduto che le cose avrebbero potuto svolgersi in modo diverso, ma quella sua ipotesi era andata in frantumi non appena Eric aveva aperto bocca. Kathrine si distese supina sul letto singolo per osservare meglio la stanza. La camera da letto di Eric era rettangolare: vi erano due finestre, una sopra la testata del letto, l'altra vicino ad una scrivania in legno chiaro, dello stesso colore del parquet. Le pareti erano di un azzurro di una tonalità più chiara rispetto a quello delle lenzuola, anche se di colore se ne vedeva veramente poco, dato che la camera era letteralmente tappezzata di poster e fotografie. Vicino la porta vi era uno specchio incorniciato da legno scuro, mentre affianco alla scrivania vi erano tre scaffali dello stesso materiale. Sul più basso vi erano alcuni libri, sull'intermedio altre fotografie con cornici d'argento e sul ripiano più alto un serie di coppe e medaglie di scherma. Kathrine si concesse un breve sorriso. Si ricordava tutte le competizioni a cui aveva partecipato Eric perché i suoi genitori ce la trascinavano a forza facendole promesse che poi non rispettavano mai: un peluche, un gioco di società, un gelato, un braccialetto, un vestito. Leggendo le date incise sulle coppe, per qualche istante si perse nel ricordo degli ultimi anni trascorsi prima della propria partenza.

Qualcuno bussò alla porta. Kathrine si mise a sedere velocemente sul materasso:

<< Mia madre insiste nel volere che tu scenda a cenare >> Eric era immobile sulla soglia della camera: Kathrine ne distingueva esclusivamente la sagoma posta in controluce:

<< Arrivo subito >> disse con un sussurro appena udibile. Il ragazzo chiuse la porta senza aggiungere altro.

Ci volle uno sforzo immane e una forza di volontà ferrea per alzarsi, dirigersi nella sala da pranzo e stamparsi sul volto un sorriso sufficientemente naturale da evitare ogni tipo di sospetti e domande pericolose.

 

 

 

 

<< Sai, cara Kathrine, ti trovo diversa >> Diane Wood aveva momentaneamente alzato lo sguardo dal piatto per osservare con un sopracciglio alzato l'ospite:

<< Sono passati due anni; è molto che non ci vediamo >> constatò debolmente la ragazza, tuttavia la signora Wood non si arrese e insistette con la propria ipotesi:

<< Be', certo, sei cresciuta di qualche centimetro ma... >> Gli occhi della signora furono improvvisamente animati da una scintilla che Kathrine osò definire perversa << a meno che la nostra dolce Kathrine non abbia trovato un ragazzino interessante. Eh si, avevo la tua età quando ebbi la mia prima cotta... >>

Kathrine sentì Eric quasi strozzarsi, tossire violentemente e battersi un pugno sul petto. Non fece in tempo a ribattere che Diane continuò a parlare:

<< Peccato, tuttavia, che l'Inghilterra sia così lontana. Avrete pochissime occasioni per vedervi. Non e così Eric? >> Sul suo volto si fece strada un sorriso malizioso.

<< Sì, mamma >> rispose con voce roca il ragazzo.

<< E poi come si fa ad essere certi che sia sempre fedele in questi lunghi periodi di lontananza, d'altronde gli uomini...>>

<< Signo... Diane >> Kathrine interruppe le considerazioni espresse ad alta voce dalla signora Wood << Si sta sbagliando. Io... non ho conosciuto alcun ragazzo in Inghilterra che mi interessasse più degli altri >>

Non era esattamente vera la cosa, di ragazzi interessanti nella sua scuola in Inghilterra ce n'erano eccome, ma nessuno di questi l'aveva mai invitata ad uscire. Non era una ragazza particolarmente propensa alle bugie, solamente in questo caso non voleva che Eric la prendesse in giro rinfacciandole quanto fosse poco attraente e noiosa. Erano bastati i nove anni precedenti.

Tuttavia la madre di Eric non si ritenne soddisfatta:

<< Ma allora... >>

<< Mamma, domani mattina ho gli allenamenti di football. Uscirò presto di casa >>

La signora Wood guardò apprensiva il figlio e cambiò completamente discorso:

<< Oh Eric, tu sei proprio fuori di testa. Anche stamattina avevi gli allenamenti e l'altro ieri hai giocato a scherma. Devi prendere una decisione... >> Mentre Diane continuava a rimproverare il figlio su come dovesse rivedere le proprie priorità, il ragazzo alzò lo sguardo verso Kathrine la quale mimò un grazie muto con le labbra.

Eric si limitò a contrarre il viso in una smorfia e riportare lo sguardo sul piatto quasi intatto:

<< … come fare. Mi sono spiegata signorino? >> Alla domanda carica di autorità della madre il ragazzo si imitò ad annuire silenziosamente, lo sguardo perso nel vuoto. Nella sala calò un silenzio tombale. Dunque Kathrine, che temeva un'altra domanda imbarazzante da parte della signora Wood, si alzò lentamente da tavola e, cercando di apparire esausta, si congedò ringraziando la madre di Eric per la sua ospitalità:

<< Ma cara, non ti preoccupare. Ormai sei di famiglia >> Aggiunse ammiccandole. Kathrine si limitò ad un debole sorriso:

<< A domani allora >>

 

 

 

 

La luce che filtrava dalle persiane in ferro battuto svegliò Kathrine alle 9:30 del mattino. Ella stessa si meravigliò di essersi alzata così tardi per i suoi standard quotidiani; anche se la sera precedente si coricava assai tardi, difficilmente l'indomani si svegliava più tardi delle nove. Attribuì la colpa al fuso orario.

Ben presto realizzò di trovarsi a casa Wood e con suo grande dispiacere di essere stata catapultata nella realtà. Per un momento aveva pensato di trovarsi nel letto del suo dormitorio, pensiero che aveva perso la propria veridicità non appena lo sguardo della ragazza si era posato sul quadrante illuminato della radiosveglia.

Jessica l'avrebbe sicuramente scossa più volte urlandole << Pigrona muoviti, dobbiamo andare a lezione>> oppure se si fosse trattato di una domenica mattina << Sbrigati, non ho intenzione di perdermi i posti migliori>>. Sì, perché era diventata ormai una loro abitudine ogni domenica recarsi al parco e stare all'aria aperta per studiare, o semplicemente godersi quei pochi raggi di sole che il cielo inglese può offrire nelle giornate invernali.

Con fatica si alzò dal letto e iniziò a disfare le valige. Dopo ciò decise di farsi una doccia nel bagno attinente alla camera di Eric. Dopo essersi avvolta in un accappatoio troppo grande per lei si avvicinò alla finestra e la aprì per rilevare il tempo e la temperatura esterni. Nonostante si trattasse della fine di Giugno e fosse ancora presto, la temperatura era assai tiepida e anzi si poteva definire quasi calda, ragione per cui Kathrine decise di indossare un paio di pantaloncini in jeans scuri e una camicetta avorio. Dopo essersi pettinata i capelli e aver infilato un paio di sandali blu si concesse una fulminea controllata allo specchio; benché Kathrine fosse una ragazza assai modesta teneva molto al suo modo di presentarsi in pubblico; e ciò comprendeva, oltre alle buone maniere e la postura eretta, anche un abbigliamento appropriato alla situazione. Dopo essersi specchiata per qualche secondo scese velocemente le scale con un sorriso appena pronunciato sulle labbra. Ben presto, si accorse di essere sola in casa e, quindi, si accinse a prepararsi la colazione. Quella mattina non era molto affamata perciò optò per uno yogurt magro. Aprì il frigorifero e si accorse, con una smorfia che i vasetti si trovavano nello scaffale più alto; cercò quindi di raggiungerli allungandosi sulle punte dei piedi.

In quel preciso istante la porta del soggiorno si aprì lasciando entrare due ragazzi che avevano all'incirca la stessa età di Eric:

<< Abbiamo la vittoria in pugno, Fred, è inutile che ti agiti >>

<< Non rompere il cazzo James >>

Kathrine li riconobbe come Frederick Hook e James Blame vecchi amici e compagni di classe di Eric. Il primo era sempre stato piuttosto silenzioso e intellettualmente non molto agguerrito anche se per quanto ne ricordasse Kathrine, era una delle prede preferite delle ragazzine del suo istituto, soprattutto per la sua fitta chioma di capelli ramati. James, invece, era più espansivo ed estroverso, e superava per conquiste e cuori spezzati persino Eric. Era di carnagione olivastra, di media statura e con occhi e capelli scuri come il carbone. Un altro particolare che Kathrine si ricordava riguardo a quest'ultimo era la sua assai evidente inclinazione a infilare doppi sensi e termini per niente fini dappertutto, anche quando la cosa era da evitare.

Iniziò un battibecco tra i due ragazzi che però cessò non appena si accorsero della presenza di Kathrine in cucina:

<< Ci siamo impegnati ieri sera, eh Eric? >> fischiò James. Subito dopo le porse la mano ammiccando << Ciao bellezza, sono James Blame >>.

Kathrine in un primo momento rimase di stucco, poi scoppiò a ridere. Lei, una conquista di Eric?

Ma per piacere.

Nel frattempo aveva fatto il suo ingresso in cucina anche Eric che aveva dato un forte scapaccione alla nuca dell'amico:

<< Ti sei bevuto il cervello, rincretinito? >> esclamò il moro massaggiandosi la parte offesa.

<< Imbecille, è la Bennet >> rispose gelido Eric.

<< Chiamasi figura di merda >> ululò Fred preso da un violento scoppio di risa. James nel frattempo era rimasto letteralmente paralizzato e fissava la ragazza incredulo :

<< Non mi dire: sei proprio quella ragazza rompi balle e secchiona? >>

<< Ma non mi dire >> esclamò Kathrine spalancando gli occhi << James Blame lo scimmione, non so se nella tua ignoranza tu abbia mai sentito l'espressione “tutto muscoli, niente cervello” ma penso che ti si addica alla perfezione>> gli si avvicinò sussurrandogli nell'orecchio << ma non ti preoccupare, fa parte del tuo fascino, o no? >>

James si fece livido dalla rabbia mentre, dall'altra parte della cucina, il rosso si sbellicava ancora di più tenendo incrociate le braccia sullo stomaco; Kathrine si ritenne soddisfatta.

Intanto Eric aveva oltrepassato con grazia i suoi coetanei e si era seduto al tavolo della cucina tenendosi la testa fra le mani.

Per un momento Kathrine, lo compatì per l'avere a che fare con delle amebe prive di capacità razionali come James e Fred. Solo per un momento, poiché l'attimo successivo una vocina in testa le suggerì che molto semplicemente anche Eric era un'ameba priva di capacità razionali.

<< E ora, con permesso >> La ragazza uscì dalla cucina a testa alta, con il suo vasetto di yogurt e assumendo un portamento trionfale.

Poteva essere abbastanza certa del fatto di essersi guadagnata un po' di stima da parte di Fred, poiché, mentre saliva lentamente le scale per raggiungere la sua nuova camera, lo sentì esclamare tra una risata e l'altra “Tosta la ragazza, eh?”.

Peccato che si fosse dimenticata di portare un cucchiaino.

 

 

 

Nella tarda mattinata Kathrine ricevette una telefonata da parte di Jessica la quale era a conoscenza della delicata situazione tra i Wood e i Bennet e voleva essere assolutamente informata su come stessero procedendo le cose tra lei Eric.

<< Allora , lui com'è? >> Insistette per l'ennesima volta Jessica.

<< Oh, Jess, che vuoi che ti dica. E' il solito altezzoso, superbo e sciupa-femmine di sempre.>> Constatò la ragazza con un sospiro.

Jessica parve scocciata:

<< Intendo fisicamente, sciocchina! >>

A questo punto il sangue le colorò leggermente le guance. Controllò con un'occhiata veloce che la porta e le finestre fossero chiuse e parlò in modo tale da farsi comprendere solamente dall'amica inglese:

<< Be' capelli biondissimi, occhi azzurro-grigi assai magnetici. Alto e ...>>

<< Ti piace >> affermò asciutta Jessica.

<< Non è vero! >>

<< Si invece. Ti conosco abbastanza bene per poter dire che il ragazzo non ti dispiace >>

<< Jessica Price, Eric sarà pure un bel ragazzo ma non è per niente in mia considerazione dato che non esiste un essere umano di mia conoscenza irritante e fastidioso quanto lui, e penso inoltre che...>>

Kathrine aveva cominciato il suo discorso con fervore e fermezza, e anche un non so che di formale, pronta ad elencare uno ad uno tutti i difetti del ragazzo, ma quando un ricordo piuttosto recente aveva invaso la sua mente, la sua convinzione era venuta meno.

 

<< Signo... Diane >> Kathrine interruppe il flusso di pensieri ad alta voce della signora Wood << Si sta sbagliando. Io... non ho conosciuto alcun ragazzo in Inghilterra che soddisfi i miei criteri >> Nonostante fosse arrossita violentemente il suo tono di voce era deciso. La madre di Eric non si ritenne soddisfatta:

<< Ma allora... >>

<< Madre, domani mattina ho gli allenamenti di football. Uscirò presto di casa >>

La signora Wood guardò apprensiva il figlio e cambiò completamente discorso.

 

Infondo l'aveva salvata da altre possibili domande imbarazzanti da parte della signora Wood: non se la sentì di criticarlo, almeno non in quel momento. L'avrebbe considerato un gesto di gratitudine:

<< che... che avrei bisogno urgentemente di una doccia. Ci sentiamo Jess, mi ha fatto piacere sentirti >>

<< Ho capito Kath, va' da lui, va' >>.

Kathrine si limitò a sorridere e a chiudere la conversazione.

Cosa le era preso? Sembrava una quattordicenne in preda agli ormoni, santo cielo!

Contegno, Kathrine, contegno.

E, per giunta, per chi sembrava una quattordicenne in preda agli ormoni? Questo era veramente troppo strano. Per un singolo istante comprese la miriade di ragazzine che con il cuore palpitante correva dietro al bellimbusto.

Si avvicinò alla scrivania in legno e accese il computer di Eric di ultima generazione. Prese in considerazione l'idea che si trattasse di un modello non ancora uscito in commercio.

Pochi istanti prima di ricevere la telefonata di Jessica, Kathrine aveva controllato velocemente la propria casella di posta elettronica. Era un gesto che faceva quotidianamente, anche se la maggior parte delle volte non vi trovava nulla di nuovo. Per questo motivo, quella mattina, si era assai meravigliata di aver trovato ben tre messaggi di posta non ancora letti.

Il primo era stato inviato dai suoi genitori che chiedevano riguardo ai Wood, calcando in modo assai evidente sul primogenito, al tempo e alle condizioni fisiche della loro bambina.

Kathrine aveva risposto subito cercando di apparire soddisfatta e felice riguardo a tutte e tre le cose.

Il secondo, invece, era della sua vecchia scuola di Fairview dove si chiedeva la conferma riguardo all'iscrizione dell'alunna Kathrine Bennet per il quarto anno del liceo.

Aveva risposto in modo positivo anche a quella mail.

L'ultimo, infine, proveniva da Faith Lenfield, una vecchia compagna che proponeva di vedersi qualche volta per riallacciare i contatti ormai persi.

A differenza delle altre, Kathrine non aveva ancora risposto a questa mail, essendo molto indecisa sul da farsi. Conosceva Faith dalle scuole medie, ma non l'aveva mai considerata una sua amica; preferiva definirla una “conoscente”. Perché, vi starete chiedendo.

Faith Lenfield era la tipica cheerleader super-formosa e assai superficiale che non può mai mancare in una scuola americana. Lunghi e corposi capelli biondi, abbronzatura perenne, occhi di un azzurro intenso e un “davanzale” che costituiva il 40% delle ragioni per cui le altre studentesse non si ritenevano soddisfatte di se stesse. A tutto ciò va aggiunto un carattere assai frivolo e poco serio, un'indole vanitosa ed egoista, e un forte, incontrollato e incurabile egocentrismo cronico.

Eppure la parte migliore di Kathrine iniziava a formulare l'ipotesi che, forse, Faith era cambiata. Magari era finita sotto un autobus, era rimasta per un certo lasso di tempo in coma, e una volta svegliatasi aveva intrapreso uno stile di vita del tutto diverso; per esempio sostenendo, grazie alle generose “doti” che madre natura le aveva fornito, una campagna che andava contro lo sfruttamento di animali e gli esperimenti che facevano su di essi per testare la maggior parte delle creme di bellezza e dei trucchi che lei stessa usava prima dell'incidente.

Al termine di queste considerazioni, Kathrine si convinse a regalare a Faith un'occasione, una chance.

E si decise a rispondere in modo affermativo anche all'ultima mail.

Quando ebbe finito di scrivere il messaggio di risposta, essendo ormai ora di pranzo, Kathrine si decise a scendere al piano inferiore, non tanto perché avesse fame, ma per semplice cortesia e per riferire i saluti che i signori Bennet mandavano con tanto affetto ai componenti della famiglia Wood. Con suo grande dispiacere, tuttavia, riuscì a individuare solamente il primogenito seduto sul divano in pelle chiara del soggiorno intento a leggere un quotidiano.

Fermatasi in piedi davanti a lui, che non la considerava affatto, Kathrine provò ad intavolare un discorso:

<< I miei genitori ti salutano >> spezzò il silenzio indugiando sulle prime parole.

<< Ricambio >> Eric rispose muovendo appena le labbra e non staccando lo sguardo dal giornale.

<< Non ho ancora visto tuo padre. Ecco, mi farebbe piacere salutarlo >> Non che le interessasse più di tanto il padre di Eric. Non l'aveva mai entusiasmata: l'aveva sempre guardata come se fosse un cavallo da comprare, non come una ragazzina. Si comportava in modo poco naturale, sembrava di apparire quello che non era.

<< E' fuori città per lavoro >> Sempre quel maledetto sguardo fisso sul giornale. Kathrine stava perdendo la pazienza.

<< Articolo interessante? >> La ragazza provò un'ultima volta ad essere cortese, anche se nel suo tono di voce si poteva benissimo carpire una nota di impazienza. D'altronde stava solo cercando di essere educata e recuperare il tempo perduto, e quel ragazzo presuntuoso non faceva altro che complicare le cose.

<< Secondo te sarei qui a leggere il giornale se non lo trovassi interessante? >> Kathrine si sentì avvampare di botto.

Accidenti.

Aprì la bocca per parlare, o meglio per contrattaccare, ma il biondo la precedette:

<< E no, Bennet, un articolo del genere non potrebbe interessare una come te >>

Il ragazzo aveva finalmente alzato lo sguardo dal quotidiano e la stava fissando dritta negli occhi con aria di sfida.

<< Tu non mi conosci minimamente e, dunque, non sei nella situazione di giudicarmi >>

Sbottò incrociando le braccia al petto.

Lo sguardo del giovane si era nuovamente posato sul foglio di giornale, deciso ad ignorare nuovamente Kathrine.

<< Oh invece si. Ti conosco molto bene. O almeno abbastanza da saper sfruttare i tuoi punti deboli a mio vantaggio >>

Kathrine era ormai rossa in viso come se avesse passato un intera giornata al sole senza alcun tipo di protezione. Non era mai stata una ragazza violenta, ma la sola vista di Eric e quella sua faccia strafottente scatenavano in lei istinti maneschi, se non addirittura assassini.

In quel momento le ronzavano in testa due idee.

La prima consisteva nel spaccare in testa al biondino il vaso che si trovava sul tavolino davanti al divano.

La seconda, invece, nel ritornare in camera propria con classe, a testa alta e comportandosi in modo maturo.

Lo sguardo della ragazza si posò sul vaso in questione. Era così invitante l'idea di sentirlo andare in mille pezzi a contatto con quella testa bionda così in ordine e perfetta.

Tuttavia, la preziosità del vaso e le possibili conseguenze di un simile gesto fecero tornare Kathrine in sé, la quale decise di optare per la seconda opzione e dirigersi celermente nella sua neo-camera.

Così, a passo spedito, risalì velocemente le scale sbattendo pesantemente i piedi a terra.

Chiuse la porta della camera dietro di sé, sbattendola con forza.

E addio all'uscita con classe, a testa alta e comportandosi in modo maturo.

 

 

Erano le cinque del pomeriggio quando Kathrine iniziò a sentire un certo languorino. Ciononostante, il litigio avuto qualche ora prima con Eric le impediva di scendere nuovamente al piano terra.

Come tutti gli essere umani anche Kathrine Bennet non era perfetta ed aveva dei difetti. Uno di questi era l'orgoglio. Spesso, i suoi genitori consideravano questa caratteristica qualcosa di necessario e di inevitabile, riconducibile alla appartenenza ad una famiglia aristocratica.

Kathrine, era sempre stata abituata a dare il massimo di sé e a ottenere ciò che voleva con sacrifici e rinunce, ragion per cui era molto fiera di se' e di come i suoi genitori l'avessero cresciuta, insegnandole i vecchi valori di un tempo e la stima per le proprie capacità. Ovviamente ciò aveva comportato, con il passare del tempo alla maturazione di questo sentimento: certo, non in modo eccessivo, ma quanto bastava a tenerla in quel momento chiusa in camera sua, sofferente per la fame.

Da qualche minuto regnava il completo silenzio in casa Wood e Kathrine pensò, anzi, sperò, di essere rimasta nuovamente sola e quindi decise di scendere per mangiare qualcosa.

Aprì la porta cercando di fare il meno rumore possibile; una volta fuori, sul corridoio tese le orecchie per captare qualsiasi rumore che avesse potuto segnalare la presenza di altre persone in casa.

Silenzio.

Scese le scale a chiocciola in punta di piedi, sempre in allerta, pronta a cambiare direzione al minimo rumore.

Giunse alla fine delle scale.

Per arrivare in cucina era prettamente necessario attraversare il soggiorno, zona classificabile con bollino rosso, poiché vi era un altissima percentuale, nel caso in cui Eric fosse in casa, che si trovasse lì. Tuttavia non poteva morire di fame. In questo caso era meglio rischiare.

Kathrine si fece forza e attraversò la soglia del salotto.

Quello che vide la lasciò per un momento pietrificata sul posto, facendola arrossire violentemente.

Eric e una tipa bionda stavano amoreggiando sul divano in pelle, in un modo che non si sarebbe potuto potuto definire “opportuno” in un luogo pubblico come quello.

Che andassero a farle in camera loro certe cose!

Quando Kathrine stava per filarsela e rinunciare al suo proposito, la tipa che Eric stava sbaciucchiando senza ritegno e senza alcun decoro, alzò lo sguardo verso l'intrusa, degnandola di un sorriso a trentadue denti.

Gli occhi scuri di Kathrine incontrarono quelli azzurri e limpidi della ragazza che teneva ancora le braccia allacciate al collo del giovane.

Occhi che Kathrine riconobbe come quelli di Faith Lenfield.

<< Oh Kathrine, tesoro! >> Squittì Faith illuminandosi in volto. << Eric mi aveva già accennato qualcosa riguardo alla tua permanenza qui >> aggiunse ridacchiando e lanciando uno sguardo complice al giovane.

<< Ciao Faith >> balbettò Kathrine con il volto ancora in fiamme.

<< Sai una cosa, piccola Kathrine? >>

La ragazza si infastidì per quel soprannome. Infondo c'era solo un anno di differenza tra loro due e, per altezza e per mentalità, Kathrine poteva sembrare anche qualche anno più grande di lei.

Tuttavia, si sforzò di rimanere impassibile di fronte a tale epiteto.

<< Senza quell'apparecchio per i denti sei decisamente passabile >> Un altro risolino e un'altra occhiata ad Eric.

<< Anch'io ti trovo bene, Faith >>

Vi prego , vi prego fatela smettere.

<< Me lo dicono tutti >>

Kathrine sfoderò un sorriso forzato.

Tra i tre cadde il silenzio e la ragazza approfittò del momento per congedarsi:

<< Mi dispiace di avervi interrotto, ma credevo che non ci fosse nessuno in casa >>

<< Bennet, è meglio che tu vada. La casa ci servirà per un po' >>

Eric non le aveva rivolto neanche lo sguardo, anzi stava ghignando complice alla bionda.

Kathrine non se lo fece ripetere due volte e uscì di casa afferrando il primo ombrello che trovò nell'ingresso.

Solo quando una luce accecante le batté in pieno viso e il tepore del sole l'avvolse si chiese perché avesse portato l'ombrello con sé.

Ah, certo non siamo più in Inghilterra.

In breve tempo le si annebbiò la vista e calde lacrime le rigarono il viso.

 

Aveva decretato che il miglior rimedio per un momento di depressione come quello fosse una bella passeggiata in solitudine.

Erano solo dieci minuti che camminava e si sentiva già meglio.

Fortunatamente aveva incrociato, poco dopo essersi allontanata dalla proprietà dei Wood, un camioncino dei gelati e dovette ammettere che niente era meglio che affogare la propria malinconia in un cono farcito con tre palline di cioccolato fondente.

La temperatura si era decisamente abbassata nonostante fossero appena le sei del pomeriggio.

Una folata di vento le appiccicò i capelli in faccia; cercò con la mano di portarli indietro ma senza alcun successo.

Kathrine scartò subito l'idea di tornare a casa; Dio solo sapeva cosa stessero facendo quei due. Optò, dunque, per fare una visitina in biblioteca.

La biblioteca di Fairview era un edificio in mattoni di modeste dimensioni adiacente al liceo. Era stata costruita all'inizio del XX secolo da un ricco e colto imprenditore, che, avendo soggiornato per qualche tempo nelle campagne circostanti, aveva ritenuto estremamente necessario fornire la piccola città, che contava allora circa venti mila abitanti, di un centro di cultura accessibile a tutti. Ragion per cui l'edificio stesso era stato dedicato e portava il nome del benefattore che aveva appoggiato e finanziato la sua realizzazione.

Una volta entrata nella sala principale, Kathrine non si stupì del fatto che le uniche persone a popolarla in quel momento fossero una coppia di anziani che avevano l'aria poco sveglia. La ragazza, tuttavia, non si scoraggiò e, anzi, accolse piacevolmente l'idea di poter leggere e consultare i volumi che più gradiva senza essere disturbata.

La sua attenzione, tuttavia, venne catturata dalla segretaria che occupava la scrivania laterale all'ingresso.

La signora Goope non aveva affatto sentito il passare degli anni, anzi sembrava in tutto e per tutto identica a come Kathrine l'aveva lasciata due anni prima: capelli corti e rossi, occhi azzurri e vivaci, una silhouette poco invidiabile e uno di quei camicioni informi a fiori che indossava 7 giorni su 7.

Kathrine fu felice di vederla perché era una delle persone più gentili e affettuose che avesse mai conosciuto in vita sua; sempre disponibile e cortese, magari un po' stramba nei gusti in fatto di vestire e apparire in pubblico, ma, ad ogni modo, una persona d'oro.

La ragazza si avvicinò alla scrivania: quando i loro occhi si incontrarono entrambe si aprirono in un sorriso raggiante.

<< Buonasera, signora Goope. Come sta? >> disse Kathrine porgendole la mano.

<> la segretaria sembrava piacevolmente sorpresa. Strinse con forza e vigore la mano della ragazza << Io sto bene, grazie >> riprese, dopo averle lasciato andare la mano << Tu, piuttosto, cosa mi racconti? Com'era l'Inghilterra? >>

<< Fredda e piovosa. Niente in confronto a questo tempo >>

<< Vorrei vedere >> rise la signora Goope << quest'anno siamo proprio stati fortunati. Sembra di essere in un paese mediterraneo >>.

La conversazione continuò per diversi minuti in modo gradevole, fino a quando Kathrine si congedò dicendo di voler dare un'occhiata ai libri appena arrivati: vi era un solo scaffale in fondo alla sala dedicato ai libri nuovi e avendo già quasi letto tutti gli altri presenti nella piccola biblioteca, si diresse subito in quella direzione.

Tuttavia, con sua grande delusione, la ragazza vi trovò solo nuove edizioni di classici che ormai aveva già letto. Libri belli e interessanti, ma libri che comunque sapeva a memoria. Decise, dunque, di scegliere quello che non leggeva da più tempo e di cui si ricordava meno la trama. La scelta ricadde su Guerra e Pace di Tolstoj: il tomo era nuovissimo e Kathrine ipotizzò che avrebbe potuto essere la prima che apriva quel volume. Le pagine erano di carta assai sottile e leggera, scritte da cima a fondo, in un carattere più piccolo della media; ne saggiò il peso spostando il volume da una mano all'altra. Più di mille pagine facevano la differenza.

La rilegatura era molto graziosa; in cuoio e colorata di rosa e verde pastello, con un immagine dipinta di una ragazza bionda sulla copertina. Sicuramente Natasha.

Non le era mai andata a genio la protagonista femminile di quel romanzo, anche perché, a suo dire, veniva descritta come una ragazza immatura e poco intelligente. In effetti, a 15 anni non si può essere tanto responsabili, ma Kathrine era convinta del fatto che se si fosse trattato di lei, sicuramente avrebbe agito in modo più adeguato e corretto e che, a quei tempi, bisognava essere responsabili a 15 anni proprio perché era l'età giusta per prendere marito.

Mentre rifletteva sull'indole di Natasha, qualcuno la chiamò dall'altro lato della biblioteca.

<< Kathrine Bennet? >>

La ragazza, sentitasi chiamare, si girò di scatto e socchiuse gli occhi per mettere a fuoco la figura che le si stava avvicinando a grandi falcate.

Chi era? Non poteva essere John, ha i capelli neri. Troppo alto per essere Matt...

Illuminazione divina.

<< Ehi, Sean! Per un momento non ti avevo riconosciuto >>

Allora lassù c'è qualcuno che mi vuole bene.

<< Come stai? E' da molto che non ti vedo. >> Il ragazzo sembrava piacevolmente sorpreso e ora che le sorrideva sembrava un bambino a cui avevano appena regalato una bici nuova.

Kathrine gli sorrise di rimando:

<< Bene, grazie. Tu, piuttosto? Vedo che sei cresciuto molto >>

Sean non era un suo amico stretto, anzi, prima di partire, ci aveva parlato sì e no due volte. Frequentava con lei diversi corsi e si erano conosciuti in quel modo. Da quel che poteva ricordare Kathrine, Sean era sempre stato un ragazzo gentile, disponibile e simpatico. E non le aveva mai dato alcun fastidio.

<< In effetti. Ho preso una quindicina di centimetri dall'anno scorso. Incredibile, eh? >> Disse imbarazzato portando una mano dietro la nuca e scompigliandosi i capelli castani.

Concentrandosi sul suo aspetto fisico, Kathrine dovette riconoscere che era diventato un bel ragazzo. Due anni prima, sfiorava il metro e settanta, era un po' grassottello e aveva qualche problemino con la pelle.

Ma adesso sembrava un'altra persona; alto, decisamente più magro e con nessun ospite poco gradito sul viso.

<< Da quando sei arrivata? >>

<< Ieri sera. Ero venuta qui per cercare qualche buon libro che mi facesse compagnia >>

<< E il libro in questione è... >> disse piegandosi per leggere il titolo del volume che Kathrine teneva stretto nelle mani << Guerra e pace? >> Si fece un attimo pensieroso << Bel libro, ovviamente, un classico. Ma non è tra i miei preferiti. Diciamo che non adoro la letteratura russa in generale >> concluse aggrottando la fronte.

<< In effetti hai ragione. E' solo che ho praticamente letto tutti i libri che sono disponibili in biblioteca e quindi ho deciso di prendere quello di cui mi ricordavo di meno >>

<< E quindi quello che hai letto meno volte. Neanche tu una fan di Tolstoj? >> le chiese ironico.

Kathrine rimase sorpresa dall'affermazione del ragazzo per il fatto che Sean non era mai stato un tipo particolarmente acuto. O almeno non da quel punto di vista.

La voce uscì più flebile di quanto avesse gradito:

<< Proprio così >>

Sean si limitò a sorridere e Kathrine decretò che quello era il momento di andare.

<< Allora io torno a casa. Mi ha fatto piacere rivederti. Ci sentiamo >>

<< Ciao Kathrine >>

La ragazza si avviò a passo spedito verso l'uscita.

Quando ormai stava per varcare la soglia, sentì Sean gridare:

<< Hai cambiato numero, per caso? >> Occhiataccia da parte della signora Goope.

Kathrine scosse la testa e mimò con le labbra un “perché”.

<< Magari uno di questi giorni possiamo vederci >>

Kathrine sorrise annuendogli e uscì definitivamente dall'edificio.

Ciononostante, le urla della bibliotecaria la raggiunsero ugualmente.

<< Le sembra il luogo adatto per urlare, signor Burke? Non siamo in uno stadio! >>

Kathrine si ritrovò a ridere con gusto per la prima volta da quando era tornata.

Era così che sarebbe dovuto essere.

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Capitolo 3
*** Dolcezza, premura e qualcosa di inquietante ***


Ciao a tutte/i!

Eccomi con il terzo capitolo: <>.

Dunque voglio ringraziare tutte voi che continuate a leggere ma in modo particolare gasparella la quale è stata davvero carina a scrivere una recensione per il capitolo precedente: grazie tante cara, sono contenta di sapere che la mia storia non ti dispiaccia! :)

Allora, in questo capitolo cosa c'è da dire?

In <> abbiamo incontrato nuovi personaggi come Faith, gli amici di Eric, la signora Wood e Sean e ne abbiamo conosciuti meglio degli altri come Eric, Jessica e la stessa Kathrine.

In questo capitolo incontreremo due nuovi personaggi e assisteremo ad una sorta di “primo appuntamento” anche se mooooolto forzato e capirete perchè, ma non voglio anticiparvi nulla :)

Fatemi sapere sempre le vostre opinioni, mi raccomando.

Baci! :)

 




Dolcezza, Premura e qualcosa di inquietante

 

 

 

Have I found you, flightless bird?

Jealous, weeping, or lost you?”

(Flightless bird, Iron and Wine)

 

 

 

 

Kathrine entrò in casa Wood alle 19:00 precise. Ovviamente era arrivata più di venti minuti prima davanti al cancello, ma temeva che Faith fosse ancora in casa e non aveva alcuna voglia né di rivedere la sua faccia intelligente né di sorprendere la coppietta in atteggiamenti compromettenti; ragion per cui si era seduta sulla panchina più vicina all'ingresso della tenuta e aveva aspettato.

Tuttavia, non appena aveva messo piede nell'ingresso, la ragazza si era subito pentita della propria decisione.

<< E' questo quello che ti abbiamo insegnato tua madre ed io, Eric? Rispondi! >> tuonò dal soggiorno Anthony Wood.

Kathrine era rimasta paralizzata per i primi istanti, poi si era schiacciata contro il muro sperando con tutto il cuore che l'allegra famigliola in vena di chiacchere non la notasse.

<< Voi mi avete insegnato alcuni principi, decido poi io se seguirli o meno >>

<< E a cosa ti saresti riferendo? Alla tua nuovissima conquista che si aggira per casa almeno una volta al giorno? Ti avevo già detto che non potevi frequentarla, per motivi che già conosci >>

Il signor Wood era furioso. Era sempre stato chiaro a Kathrine che il padre di Eric fosse una persona alquanto irascibile: a Fairview fin da quando era piccola circolavano diverse voci riguardo l'adolescenza di Anthony Wood. Secondo la più accreditata di queste, in una rissa durante la festa di fine anno, il ragazzo diciottenne avrebbe mandato all'ospedale due suoi compagni all'ospedale per trauma cranico grave, rottura di un arto e incrinatura di due costole:

<< Non mi importa. Questa è la mia vita e decido io cosa farne. Voi non mi potete obbligare >>

La voce di Eric era più calma, anche se si poteva sentire quanto fosse tesa.

Silenzio.

Poi si sentì chiaramente lo schiocco della mano del signor Wood contro il viso di Eric.

Kathrine si portò una mano alla bocca, sentendosi improvvisamente gli occhi umidi:

<< Io non la sposerò. Non la sopporto. Come avete mai potuto pensare che io avrei accettato una come quella lì? Non lo farei mai, fosse l'ultima ragazza sulla terra. >>

Un altro schiaffo.

<< Tu farai quello che ti dico io >>

Kathrine ritenne di aver ascoltato abbastanza. Perciò, dopo aver preso un grande respiro, scattò verso le scale e si chiuse in camera.

Accese la luce e si posizionò davanti allo specchio, fissando la sua immagine riflessa.

Gli occhi castani erano arrossati, spauriti, come quelli di un animale in trappola di fronte al suo predatore, come quelli di chi sa già quale sia il suo destino.

Nessuno sfugge al proprio destino.

Era il titolo di una favola di un antico scrittore Greco che aveva avuto occasione di leggere quando si trovava in Inghilterra: raccontava di un povero vecchio che una volta sognò il suo unico figlio venire ucciso da un leone. Spaventato da tale visione, il padre decise di chiudere il figlio in casa e fare in modo che non vi uscisse mai. Per allietare i giorni del giovane che era costretto in quelle quattro mura, il vecchio dipinse le pareti interne di legno, raffigurando animali e piante di ogni genere. Dopo qualche tempo il figlio, ormai stanco della propria prigionia, iniziò a tirare calci e pugni sulle pareti dipinte, concentrandosi in particolare sulla figura di un leone. Una scheggia perforò la mano del ragazzo e in pochi giorni fece infezione, procurandogli febbre alta e infine la morte.

Il petto le si alzava e si abbassava velocemente. Ciononostante, non un singolo singhiozzo lo perforò.

Immaginò il bel viso di Eric tumido, ma fiero, come di chi non si vuole arrendere. Come di chi combatte.

E lei stava combattendo per la sua libertà, per i suoi diritti?

No, lei si era semplicemente arresa al corso degli eventi.

Si sarebbe dovuta arrendere prima o poi, Eric avrebbe dovuto fare altrettanto.

Si sentì una stupida.

Aveva sempre saputo, in cuor suo, come sarebbero andate le cose. Nel giro di pochi anni si sarebbe trovata affianco un marito, un marito che l'avrebbe odiata e disprezzata, che l'avrebbe, probabilmente, tradita, abbandonandola a se stessa.

Solamente, non aveva mai avuto il coraggio di affrontare l'argomento faccia a faccia. Il matrimonio doveva esserci, alle conseguenze ci avrebbe pensato dopo. Ecco, quello che aveva pensato fino ad allora.

Doveri, doveri, e doveri.

Si sentì arrabbiata.

Dove erano finiti i sogni che la spingevano ogni giorno a studiare, a comportarsi in modo corretto e responsabile?

Dov'era la ricompensa per il buono e la punizione per il cattivo?

Dov'era il vissero per sempre felici e contenti?

E' la realtà, tesoro, svegliati una buona volta, questo le avrebbe detto Jessica se fosse stata lì con lei. Era sempre stato il realismo- che a volte poteva essere considerato cinismo – della sua amica a riportarla con i piedi a terra, quando il condizionale veniva usato troppo spesso da Kathrine. Si, Kathrine era una ragazza da condizionale, con tutte quelle ipotesi, tutte quelle possibilità per il futuro immediato e non, con i suoi sogni praticamente irrealizzabili e le aspettative basate su nulla di solido e stabile. Jessica, invece, era una ragazza da presente indicativo, una ragazza che vedeva solamente i fatti per quelli che erano, oggettivamente, senza una benché minima traccia di fantasia.

Aveva 17 anni. Era una donna forte e indipendente. La prima frase, Jessica l'avrebbe accettata, perché era vero che Kathrine aveva 17 anni: la seconda, invece, l'avrebbe modificata, perché Kathrine sperava di essere una donna forte e indipendente, voleva essere una donna forte e indipendente, ma tutto ciò non implicava che in effetti lei lo fosse realmente. La seconda frase era una frase da condizionale, qualcosa del tipo “avrebbe voluto essere una donna forte”. Era una frase da Kathrine. Ma Jessica non c'era e il condizionale vinse la prima battaglia dopo tanto tempo.

Combatti, Kathrine. Combatti per i tuoi sogni.

E lo avrebbe fatto. E se fosse dovuta soccombere, be', non avrebbe avuto il rimorso di non averci provato. Sì, avrebbe combattuto con la forza di una leonessa che lotta fino allo stremo per difendere i proprio cuccioli. Perché lei era Kathrine Marie Bennet, e nessuno aveva il diritto di imporle qualcosa che le avrebbe rovinato il resto della vita; sebbene non disponesse di alcuna ricchezza aveva il suo nome, i suoi antenati che le ricordavano chi fosse e le davano la forza necessaria per tirare avanti.

E si sentì vincitrice.

I grandi occhi castani riflessi nello specchio le sorrisero con aria di sfida.

E guerra sia.

 

 

 

La seconda cena a casa Wood fu tremendamente e insopportabilmente silenziosa. Kathrine non seppe se attribuire ciò alla litigata fra gli uomini di famiglia o semplicemente alla presenza del padre di Eric.

Il signor Wood era molto simile al figlio. Gli occhi grigi erano la fotocopia di quelli di Eric e si poteva dire lo stesso anche dei lineamenti del volto; solamente il colore scuro dei capelli, ormai brizzolati, e il naso aquilino lo differenziavano dal figlio.

Di conseguenza, il naso e il colore dei capelli di Eric erano tratti che quest'ultimo aveva ereditato dalla madre.

Kathrine aveva sempre ritenuto che Diane Wood avesse un bel viso, con due occhi verdi luminosi e un sorriso amichevole. Peccato che fosse bassina e piuttosto in carne, che avesse le orecchie a sventola e che si vestisse in modo assai poco sobrio per una signora della sua età, con fronzoli, pizzi e colori sgargianti dei quali bisognava fare assolutamente a meno.

<< Kathrine >> Una voce dall'altra parte del tavolo la richiamò. La ragazza, in un primo momento, si stupì per due motivi: il primo stava nel fatto che quella voce appartenesse ad Eric, ovvero l'ultima persona che le avrebbe rivolto la parola se non fosse stato strettamente necessario. Il secondo, invece, che l'avesse chiamata per nome.

Dopo un primo attimo di indecisione, Kathrine alzò il capo per guardare il giovane negli occhi:

<< Sì, Eric? >> La voce le tremò appena.

<< Mi domandavo se domani ti facesse piacere andare a fare una passeggiata nel parco di Yonville. Dicono che sia un bel posto per camminare >>

La ragazza si sentì subito a disagio. Lei ed Eric da soli per una giornata intera in un luogo poco frequentato? Molto probabilmente uno dei due non ne sarebbe uscito vivo. Forse sarebbe stato lui, alla fine, ad avere la meglio, esclusivamente per il fatto che Kathrine non era mai stata particolarmente portata per l'attività fisica: c'era la propria incolumità- se non fisica perlomeno psichica e morale- in gioco quindi si disse che avrebbe dovuto scegliere con molta attenzione e lucidità. Avrebbe potuto benissimo declinare l'invito dando la colpa ad un finto mal di testa o informandolo del fatto che aveva già un impegno. Insomma, le solite vecchie scuse che adoperava quando non aveva voglia di fare qualcosa.

Ma Kathrine indugiò un attimo.

Forse perché i signori Wood la fissavano con insistenza, forse perché quella era l'occasione giusta per informare Eric riguardo la decisione appena presa, forse perché le creava uno squarcio nel petto la vista del viso del ragazzo martoriato, o forse semplicemente perché quando guardava quelle due pozze grige che erano i suoi occhi perdeva ogni controllo di sé:

<< Certo che mi farebbe piacere, Eric >>

Un lieve sorriso increspò le labbra del ragazzo.

 

 

 

La mattina successiva Kathrine si svegliò assai presto. Il quadrante luminoso della radiosveglia posta sul comodino segnava le 5:48 del mattino. La ragazza provò a riprendere sonno, stendendosi prima supina e poi girandosi nuovamente su un fianco.

Niente da fare.

Con uno sbuffo si tirò su a sedere sul letto, poggiando i piedi nudi sul parquet. Aspettò diversi minuti, e solo quando fu sveglia del tutto si alzò. Aprì le persiane della finestra per fare un po' di luce e controllò il suo cellulare.

Né un messaggio né una chiamata persa.

Ma, d'altronde, chi avrebbe potuto contattarla durante la notte?

Si diede della sciocca.

La consapevolezza che quello stesso giorno sarebbe uscita con Eric la scosse più del dovuto e rimase indecisa sul da farsi per un breve lasso di tempo.

Poi si avvicinò alla scrivania cercando qualcosa con cui scrivere e qualcosa su cui scrivere. Dovette accontentarsi di un pennarello azzurro quasi secco e un volantino che pubblicizzava una fiera che si teneva in città annualmente.

 

In questi giorni, Eric, ho avuto modo di riflettere riguardo a come andranno le cose negli anni a venire.

 

Troppo formale.

Kathrine tirò una riga sulla frase appena scritta.

 

E' ormai chiaro che tu non voglia sposare me e che io non voglia sposare te.

 

Aggiungici anche “perché sei insopportabilmente arrogante e privo di buone maniere”.

Altra riga.

 

 

Sappiamo entrambi come stanno le cose, e penso che sia giunto il momento di prendere la cosa più seriamente e affrontarla insieme, per il bene comune.

 

No, no, no! Ma cos'è un discorso sulla pace mondiale?!

 

Kathrine spazientita accartocciò il foglio tra le mani e lo gettò lontano in un angolo remoto della stanza.

Ma perché era così difficile?

Gettò uno sguardo veloce alla sveglia. Erano appena passate le sei e un quarto del mattino.

Le sei e un quarto.

Questo significava che in Inghilterra erano le nove e un quarto passate. Afferrò la cornetta del telefono fisso di camera di Eric e digitò il numero di Jessica. Certamente a quell'ora nessuno dei Wood avrebbe potuto avere da ridire se avesse monopolizzato il telefono per una mezz'oretta.

<< Pronto? >> la voce di Jessica risuonò gracchiante dall'altra parte del telefono.

<< Jess, ti ho svegliata? >>

<< Oh no carissima, figurati. Ero giusto qui a prendere una tazza di te insieme ai miei peluche Mr Dolce Orsacchiotto e Mrs Paperella Morbide Piume. Ma Kath! Cosa vuoi che stia facendo la mattina presto durante le vacanze estive?! >>

<< Innanzitutto da te sono le nove e mezza del mattino e...>>

<< Le nove e venticinque, non cambiamo le carte in tavola! >>

<< Non mi sembra comunque che sia così tardi! >> sbottò Kathrine lasciandosi sprofondare trai cuscini.

<< Tu e i tuoi orari da pazza! >>

La ragazza capì che giunti a quel punto, la cosa migliore sarebbe stata ignorare le provocazioni dell'amica e lasciarla cuocere nel proprio brodo:

<< Si, Jess. Mi dispiace di averti svegliata ci sentiamo più tardi >>

<< Eh no! Ormai sono sveglia e voglio sen... >>

Kathrine attaccò il telefono.

Ora ci mancava solo Jessica. Conoscendola da due anni, sapeva che quegli sbalzi d'umore, quelle reazioni un po' esagerate erano abbastanza frequenti, erano da Jess.

Eppure unita al contesto generale- i Wood, Eric, i suoi genitori assenti- quella piccola litigata le pesò molto, facendole apparire tutto un po' più nero.

Un'ora precisa dopo, era pronta.

Si diresse in cucina per fare colazione, ma con suo grande stupore vi trovò Eric, intento a scrutare qualcosa al di fuori della finestra.

 

 

 

 

Portava una camicia chiara, fuori dai pantaloni. I jeans che indossava erano leggermente scoloriti, ma indosso a lui sembravano nuovi di zecca.

Sua madre le aveva sempre detto che non importava cosa si indossasse, ma come si indossasse il capo in questione. C'erano persone ricchissime che si ostinavano a portare abiti firmati, il cui prezzo poteva superare il costo di una macchina nuova, ma che non avevano classe, e che, dunque, ogni volta che apparivano in pubblico sembravano degli elefanti che si cimentavano in un balletto di danza classica. C'erano persone, invece, che anche con uno straccio addosso sembravano degli aristocratici alla corte della buona Elisabetta I. Questione di classe, insomma.

E di classe, Eric ne aveva da vendere.

Per un attimo Kathrine rimase ferma sulla soglia della stanza, poi si mosse in direzione del frigorifero:

<< Buongiorno, Eric >> Cercò di essere il più cordiale possibile.

<< Finalmente, Bennet. Siamo in ritardo. Ero sul punto di fare irruzione in camera tua, o meglio, in camera mia, pronto a … >> fece un pausa come a trovare la parola giusta << … sopportare qualsiasi visione, anche poco gradevole, che mi si sarebbe presentata davanti, pur di venirti a prendere >>

<< Oh, ma che galantuomo >> Commentò Kathrine con una punta di sarcasmo.

Eric distolse lo sguardo dal giardino e si girò verso la ragazza che lo attendeva con le braccia conserte. Kathrine notò che il lato sinistro del viso del ragazzo era leggermente meno arrossato del giorno prima. Si sentì il cuore stringersi, e una strana sensazione le pervase il petto.

Quasi dolcezza.

<< Andiamo >> Non era affatto una domanda, perché Kathrine si sentì afferrare per un braccio e trascinare verso l'uscita.

<< Io veramente dovrei fare colazione... >>

<< Non è un problema mio. Dovevi scendere prima >>

Kathrine non disse nulla per evitare di far precipitare la situazione; si fece, perciò, trascinare docilmente con la testa bassa, al fine di non inciampare e cadere rovinosamente a terra.

Il giovane, non sentendo alcun commento acido o insulto nei suoi confronti, la osservò con la coda dell'occhio; così, con gli occhi abbassati e i capelli castani che le coprivano parzialmente il viso, gli provocò uno strano effetto.

Quasi dolcezza.

<< Ti offrirò qualcosa direttamente al parco >>

Kathrine incrociò lo sguardo con quello di Eric e gli rivolse un timido sorriso. Quest'ultimo rimase a fissarla instupidito per qualche secondo per poi distogliere lo sguardo velocemente e borbottare qualcosa di incomprensibile.

 

 

Era ormai una mezz'oretta che viaggiavano e nessuno dei due aveva aperto bocca. Eric si limitava a stringere le nocche sul volante e a guardare fisso davanti a sé: Kathrine, dal canto suo, osservava il paesaggio scorrere e cambiare velocemente dal finestrino del passeggero: la periferia della città, con una sfilza di ville che scomparivano una dietro l'altra, aveva fatto spazio prima all'autostrada e poi ad un piccola strada in mezzo ad una foresta. Eric aveva decelerato parecchio rispetto a qualche minuto prima poiché le strada era maltenuta e con molti tornanti e curve strette.

Kathrine sapeva che Yonville non era che ad una cinquantina di chilometri da Fairview e che, quindi, mancava molto poco all'arrivo. Ciononostante, per sciogliere la tensione che si era creata nell'abitacolo della macchina, decise di chiedere informazioni più dettagliate:

<< Quanto manca? >>

Pronunciando quelle parole si sentì di nuovo bambina, quando, nei lunghi viaggi in macchina con i suoi genitori, li assillava di continuo riguardo l'ora di arrivo.

<< Qualche minuto. Non essere impaziente, Bennet >>

Le lanciò una rapida occhiata per poi posare nuovamente lo sguardo sulla strada:

<< Penso che sentirai freddo solo con quella addosso >> le disse alludendo al camicetta azzurra a maniche corte che aveva deciso di indossare quella mattina. Kathrine rimase sorpresa da quella domanda perché poteva essere interpretata, come dire, come un atto di premura:

<< Non ti preoccupare, nella borsa ho un giacca >>

L'auto, ovvero una porche grigio-metallizzata nuova di zecca, entrò in uno spiazzo di ghiaia nel quale erano parcheggiate già un paio di macchine. Il motore si spense ed entrambi uscirono dal veicolo. Kathrine concesse uno sguardo al cielo azzurro e limpido: in Inghilterra era quasi impossibile trovare una giornata simile persino d'estate:

<< Che bella giornata! >>

Eric, che si trovava qualche metro più avanti, non espresse alcun commento riguardo al tempo; si limitò con un cenno di capo a indicare la strada, ovvero un sentiero di terra battuta che si addentrava nella foresta.

La ragazza, allora, lo raggiunse velocemente.

Nuovamente scese il silenzio tra i due. Kathrine era immersa nei suoi pensieri, tentando di organizzare un discorso di senso compiuto che potesse catturare almeno l'attenzione del compagno; Eric, invece, pensieroso anche lui, avanzava a passo veloce con le mani nelle tasche del jeans e la testa alta:

<< Eric? >> La ragazza decise che quello era il momento giusto per la sua arringa.

Il ragazzo si voltò appena verso di lei, in attesa:

<situazione e penso che dovremmo affrontarla insieme. Ora, sappiamo entrambi cosa si aspettano i nostri genitori da noi, ma sono fermamente convinta del fatto che non sia giusto. Per quanto tu sia un ragazzo... >> cercò di tirar fuori almeno un lato positivo di Eric senza dover raccontare frottole << un ragazzo... ambito, ecco, non penso che io te siamo compatibili e ritengo che sia un nostro diritto quello di passare la vita con una persona che ci renda felici. Da quel che so e da quel che ho capito, io non potrei mai rendere felice te, come tu non potresti mai rendere felice me>> e qui prese un gran respiro, facendo una pausa per assicurarsi che il suo interlocutore avesse assimilato ogni singola parola del suo discorso << Quindi, ti propongo una sorta di >> alleanza? << patto di non aggressione. Se uniamo le nostre forze potremmo riuscire a far cambiare idea ai nostri genitori e a risolvere questa faccenda una volta per tutte senza grossi danni >>.

Kathrine, terminato il discorso, si volse dalla parte di Eric per registrare la sua reazione. Il ragazzo la guardò intensamente, poi contrasse il viso in una smorfia e infine scoppiò in una sonora risata:

<< E cos'era quello, Bennet, un discorso per una campagna elettorale? >>

Un altro aspetto caratteriale di Kathrine era la permalosità: si scaldava per qualsiasi cosa, anche per una semplice allusione. Potete ben capire come reagì quando sentì uno stupido ragazzino biondo, neanche criticare, ma deridere un discorso su cui aveva lavorato dalle sei di quella mattina:

<< Ah e allora cosa proporresti di fare, mister mi-prendo-gioco-del-lavoro-altrui? >>

Eric rise ancora più forte, esclamando tra una risata e l'altra:

<< Ma che cazzo dici? >>

<< Sforzati, almeno, di usare un linguaggio adeguato di fronte ad una signorina! >>

Rispose indignata Kathrine.

<< “Un linguaggio adeguato di fronte ad una signorina” >> disse facendole il verso.

Mentre Kathrine sembrava un bollitore in piena attività e Eric si sbellicava dalle risate, si avvicinò ai due ragazzi una donna dall'espressione corrucciata che aveva superato la trentina, mora e abbastanza magra, con un paio di occhiali da vista dalle lenti molto spesse e una gonna a fiori che le arrivava alle caviglie. Teneva per mano una bambina assai graziosa, con la pelle diafana e lunghi capelli neri che le arrivavano alla vita:

<< Scusate se vi interrompo, ma c'è stata un'emergenza in ospedale e devo essere lì il prima possibile. Non posso portare Vicky con me, posso affidarla a voi fino all'ora di pranzo? >>

Kathrine si meravigliò del fatto che una madre, perché in effetti ora che la donna e la bambina erano più vicine poteva riscontrare una certa somiglianza tra le due, abbandonasse sua figlia in mano di due sconosciuti che potevano benissimo essere due maniaci, per giunta poco educati (o almeno per quanto riguardava Eric).

Rimase perciò interdetta, indecisa sul da farsi. Cercò lo sguardo di Eric per avere un segno o qualcosa che comunque le rivelasse in che modo agire.

Lo sguardo di Eric, per l'appunto, vagava inorridito tra la bambina e la donna, indugiando sulla gonna e le scarpe di quest'ultima, ovvero dei sandali in cuoio assai malandati.

Oh be', se è così.

<< Certo signora, non si preoccupi: ci occuperemo noi di Vicky. Posso avere un suo recapito telefonico, sa, per sicurezza? >>

Eric, si girò di scatto verso Kathrine cercando di incrociare i suoi occhi per fulminarla. La ragazza finse di non accorgersene e continuò a guardare in direzione della donna con un sorriso a trentadue denti. Il volto della signora si distese un pochino, accennando un sorriso.

<< Grazie infinite, siete molto gentili. Vicky sa a memoria il mio numero di cellulare, ve lo dirà lei. E' una bambina tranquilla non vi darà problemi >>

Detto questo, la donna si piegò sulle ginocchia per arrivare alla stessa altezza della figlia e guardarla diritta negli occhi:

<< Vicky, tesoro, la mamma deve andare in ospedale perché una persona si è sentita molto male. Nel frattempo starai con degli amici che ti faranno compagnia >>

La piccola si portò la mano chiusa in un pugno alla bocca e con i suoi grandi occhioni azzurri guardò la madre perplessa:

<< Tornerò presto, amore, non ti preoccupare. Mi raccomando sii buona con questi miei due amici. La mamma ti vuole bene >>

Dopodiché schioccò un bacio sonoro sulla fronte della figlia e si allontanò a passo svelto.

<< Ciao mamma >> sussurrò la bambina con ancora il pugnetto premuto sulla bocca.

 

 

 

Erano tutti e tre seduti sul prato. Eric sedeva a gambe incrociate infastidito: l'unica sua occupazione, in quel momento, era quella di prendersela con dei poveri ciuffi d'erba che venivano strappati, osservati e trituzzati prima di essere rimpiazzati da altri fili d'erba che subivano la stessa operazione.

La piccola Vicky, che non aveva aperto bocca da quando sua madre se ne era andata, giocava con i lacci delle sue scarpette incurante dei due ragazzi.

Kathrine si abbracciava le ginocchia posandovi sopra il mento e osservando i passanti che attraversavano il parco.

Erano appena le nove e la giornata si prospettava ancora lunga: iniziò a riflettere su cosa potessero fare per far passare le ore più velocemente e piacevolmente.

Tanto valeva iniziare a conoscersi meglio.

<< Ehi Vicky, non mi sono ancora presentata. Io sono Kathrine e lui >> e indicò col dito il ragazzo biondo << è Eric >>

La piccola la fissò per un istante, per poi riportare lo sguardo sulle scarpe:

<< Un mio compagno di scuola si chiama Eric >>

Sentitosi chiamare per la seconda volta, l'interessato alzò lo sguardo sulla bambina e le chiese con finta gentilezza:

<< E questo Eric è il tuo fidanzato? >>

Kathrine lo guardò in cagnesco.

<< No >> rispose Vicky senza distogliere lo sguardo << lui è brutto e cattivo con me. Mi prende in giro perché non ho il papà >>

Eric sussultò e Kathrine, quando incrociò il suo sguardo, gli mimò un applauso.

La ragazza si sentì in dovere di dire qualcosa per rimediare la situazione:

<< E' normalissimo; cioè i maschi sono insensibili a tutte le età, ma particolarmente quando sono piccoli. Ecco, guarda lui >> disse con disinvoltura facendo un cenno di capo verso Eric << ecco; tu pensa che ci conosciamo da quando eravamo piccolini e mi chiama ancora per cognome per farmi innervosire! >> Eric, indispettito fece per controbattere, ma bastò un'occhiata della ragazza a sigillargli la bocca. << E lui ha quasi diciannove anni; figurati un bambino che ne ha... Quanti anni ha questo tuo compagno? >>

<< Otto >>

<< Dicevo, un bambino che ne ha otto di anni! Non ti preoccupare, quando crescerà andrà meglio >>

Vicky parve rasserenata e Kathrine tirò un sospiro di sollievo.

Proprio in quel momento, l'attenzione della ragazza fu catturata da un venditore ambulante che percorreva il viottolo principale del parco:

<< Aspettate un attimo >>

Si alzò di scatto e, dopo aver afferrato la borsa, corse in direzione dell'anziano signore.

Quando tornò con il fiato corto, Kathrine recava in mano un pallone leggero color giallo canarino:

<< Ehi, Vicky, ti va di giocare a palla? >>

La bambina parve inizialmente un po' indecisa sul da farsi, poi, finalmente, si convinse annuendole.

La ragazza aiutò la piccolina ad alzarsi ed entrambe si incamminarono verso l'ombra di una quercia non lontana da dove si erano sedute.

Dopo un paio di passi però, Kathrine si girò verso Eric e gli chiese gentilmente se volesse partecipare:

<< No grazie, Bennet >> Rispose calcando in maniera eccessiva sul cognome della ragazza.

Quest'ultima scoppiò a ridere:

<< Su, non ti impermalosire . Ci divertiremo, vieni anche tu >>

Il ragazzo scosse la testa e Kathrine rinunciò definitivamente all'impresa.

 

 

 

 

La Bennet sembrava divertirsi. Come faceva, Eric, ancora non l'aveva capito. Cosa ci trovava di così esilarante nel passare una palla ad una bimbetta che la maggior parte delle volte non riusciva neanche a prenderla? Eppure sembrava che si divertisse davvero. Aveva sempre il sorriso sulle labbra e alcune volte si avvicinava a Vicky per insegnarle a lanciare la palla più lontano: quando l'insegnamento dava qualche frutto batteva le mani e rideva. Anche la bimbetta sembrava divertirsi. Quando l'aveva vista gli aveva dato l'impressione, con quella pelle bianchissima, i capelli corvini e il mutismo ostinato, che fosse posseduta da qualche demone o comunque da qualcosa riconducibile a The Ring.

Ora, invece, rideva. Ora, invece, sembrava una qualche creatura angelica scesa dal cielo per riportare la felicità sulla terra.

Estrasse un pacchetto di sigarette dalla tasca del suo giubbotto e se ne accese una con un accendino che Faith gli aveva regalato da poco. Portò la sigaretta alle labbra e dopo aver inspirato si sentì subito meglio. Ringraziò l'esistenza del tabacco e quel genio che aveva ideato le sigarette. Portò nuovamente lo sguardo sulla sua quasi coetanea.

La Bennet lo era ancora di più, se possibile; ogni tanto, quando usciva dall'ombra della quercia sotto la quale aveva posto il suo campo d'insegnamento, per prendere la palla atterrata troppo in là, il sole le illuminava i capelli; li accendeva, cambiando il loro colore, rendendoli più caldi; il moto aveva dato colorito al viso ma in particolar modo alle guance, ora arrossate. Era troppo lontano per catturare il suo sguardo, ma immaginava benissimo come fossero i suoi grandi occhi color cioccolato; ridenti, spalancati, di nuovo ridenti forse. E, in più a tutto questo, era avvolta da un aura di... di... di bontà che lo spiazzava, lo abbagliava.

Troppo forte, esagerata.

E... no, no, no, si stava avvicinando con la bambina per mano. Una spia nel suo cervello iniziò a lampeggiare e a mandare il segnale “Attenzione! Pericolo in avvicinamento a ore 12!”

Prese un'altra boccata di fumo fingendo indifferenza.

 

 

 

Kathrine si avvicinò a Eric con Vicky che le stringeva la mano. Quella bambina era formidabile; era così dolce e così graziosa che la ragazza, non appena la piccola si era lasciata un po' andare, non aveva potuto fare altro che provare un'immensa tenerezza nei suoi confronti. L'unico dettaglio che stonava in quell'idillio quasi perfetto era il biondino che si teneva in disparte e, da poco, fumava in silenzio la sua salutare sigaretta mattutina:

<< Sono sicura di non essere la prima a dirtelo, ma fumare non fa certo bene alla salute >> Disse fermandosi a un metro da lui:

<< Ti do ragione su entrambe le cose, Bennet, ma non sarai certo tu a farmi smettere >>

Kathrine sbuffò:

<< Ho capito, ma è una bella giornata, siamo all'aria aperta (occasione per disintossicarti da tutto quello smog che avvolge la città) e per giunta sei in presenza di una bambina >>

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, si alzò di colpo e spense la sigaretta schiacciandola col tacco della scarpa:

<< Contenta? >>

Guardò la ragazza con fare saccente. Kathrine, da parte sua, si limitò a sospirare rumorosamente e chinarsi a terra per raccogliere la sigaretta di Eric; non si lamentò, non aggiunse altro perché sapeva benissimo che sarebbe stato utile soltanto a dare il via ad un'altra delle loro litigate.

<< Kathrine >> disse dolcemente Vicky attirando la sua attenzione.

<< Si? >>

La piccola tirò la camicia della ragazza e si alzò in punta di piedi per cercare di raggiungere il suo orecchio; Kathrine, allora, si piegò appoggiando le mani sulle ginocchia. La bambina le sussurrò qualcosa che Eric non riuscì a capire.

La ragazza si raddrizzò all'improvviso e scosse violentemente la testa, arrossendo come un pomodoro:

<< No, Vicky, no! Ma cosa vai a pensare! >>

La bimba cercò di controbattere:

<< Ma... >>

<< Ho detto di no! E adesso andiamo a giocare a palla! >>

Si girò di scatto e si diresse a grandi falcate verso l'ombra della quercia. Ma Vicky non la seguì.

Restò immobile di fronte ad Eric, osservandolo con il capo piegato verso destra. Quella bambina era veramente inquietante: un attimo prima rideva e scherzava, un attimo dopo tornava ad assumere le sembianze di Tamara. Il ragazzo si sentì a disagio:

<< Ehm... Andiamo allora? >>

La bambina non diede affatto l'impressione di volersi muovere.

Poi disse una cosa che Eric capì ancora meno di quel suo fissare con insistenza:

<< Ti ho visto, sai? >>

Un attimo dopo correva tra le braccia della Bennet.

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Capitolo 4
*** Un cubetto di ghiaccio appena uscito dal freezer ***


Ciao ragazze! <3
Allora innanzitutto voglio ringraziare tutte voi che seguite la mia storia e che avete scritto delle recensioni, siete fantastiche! :D Sono davvero entusiasta di tutte le belle parole che avete avuto per il capitolo precedente.

BluSelene

hollystar

Anne_ks

Grazie ancora, mi avete aiutata ad andare avanti con buoni propositi, ed eccone il risultato: rullo di tamburi il quarto capitolo!

Dovrebbe essere leggero come capitolo, spero riesca a strapparvi almeno un sorriso, anche perchè ci sarà un piccolo pezzetto in cui la storia è narrata prendendo in considerazione i pensieri del nostro Eric: non è proprio un POV ma ho cercato di avvicinarmici.
Vedremo di nuovo Sean e lo conosceremo un po' meglio.
Quindi vi lascio con questa domanda: chi preferite tra i due e perchè? Lo so che è sadico da parte mia ma sono troppo curiosa di conoscere cosa pensate! :)
Fatemi sapere, spero che il capitolo vi piaccia.

Baci! <3

WinterRose





Un cubetto di ghiaccio appena uscito dal freezer

 

 

 

Every gesture, every move that she makes

makes me feel like never before

Why do I have this growing need

to be beside her”

(Strangers like me, Phil Collins)

 

 

 

 

Le aveva chiesto più volte cosa la piccola Vicky le avesse sussurrato all'orecchio ma lei si era limitata a scuotere la testa e a guardare fuori dal finestrino abbassato.

Alla fine era andato tutto per il meglio; certo, la madre di Vicky era arrivata un po' più tardi del previsto, ma anche lui aveva dovuto ammettere che la piccolina non era affatto fastidiosa, per la sua età s'intende. Avevano giocato a palla, avevano mangiato un hot dog, e avevano preso un po' di sole mentre la bambina parlava e parlava e parlava: dei suoi peluche, del suo cane, delle sue amiche, dei suoi disegni, del suo costume per carnevale, del suo compleanno, di ciò che aveva fatto il giorno prima, di ciò che avrebbe fatto il giorno dopo; nessuno avrebbe mai detto che quella bambinetta tanto silenziosa e da un aspetto poco solare avesse tanta energia e tanta allegria dentro.

Si rigirò nel letto. In qualche modo, non aveva affatto sonno. Sicuramente il fatto che si trovasse in in una camera della mansarda che non fosse la sua e che per altro era troppo bassa per i suoi invidiabili 185 centimetri d'altezza non aiutava a conciliare un buon sonno. Si tirò su a sedere passandosi una mano tra i capelli biondi.

Una parte di lui aveva preso in considerazione anche il fatto che potesse essere la stessa Bennet a tirare fuori il meglio delle persone; d'altronde anche lui non aveva più fumato quel giorno, non si era annoiato come al solito e non aveva rispettato i suoi standard quotidiani di superbia e calcolata freddezza.

Uno strumento di redenzione forse? O era semplicemente uno delle prime avvisaglie della pazzia?

Per il momento, non si pose il problema; aveva molto altro a cui pensare.

Il cellulare sul comodino vibrò, illuminando il display.

Faith per esempio.

 

 

 

Kathrine si guardò un ultima volta allo specchio; i capelli erano leggermente più chiari e un po' troppo secchi sulle punte per i suoi gusti, ma si poteva dire che erano a posto, dopotutto. Forse l'abbigliamento era un po' troppo formale per una semplice uscita in biblioteca, ma era fatta così.

I capelli castani perfettamente lisci le arrivavano all'altezza del seno, una maglietta giro maniche bianca e blu e un cardigan morbido bianco le fasciavano il busto, una gonna blu che le aveva regalato Jessica per il suo scorso compleanno le arrivava qualche dita sopra il ginocchio. E poi, ovviamente, le immancabili ballerine bianche raso terra.

Forse, però, non era una semplice uscita in biblioteca.

La chiamata di Sean il giorno precedente l'aveva stupita assai: non si sarebbe aspettata nulla di simile fino all'inizio del nuovo anno scolastico. La biblioteca era solo il punto di incontro, quindi non si poteva chiamare neanche “una semplice uscita in biblioteca”.

Ma non si poteva definire neanche un appuntamento. Quest'ultima parola addizionata al suo nome e a quello di Sean, le faceva uno strano effetto... Probabilmente la parola più adatta era semplicemente uscita. Con un amico.

Si precipitò giù dalle scale. Riuscì a tirare un sospiro di sollievo solo nel momento in cui una leggera brezza le scompigliò i capelli. Diede un occhiata veloce al cellulare: era in perfetto orario. Qualche minuto e sarebbe arrivata a destinazione. La mattina era limpida e le strade del quartiere iniziavano ad animarsi: qualche persona che portava fuori il cane, qualche ragazzino con lo skate, qualche ragazzina che passeggiava ridacchiando con le amiche. Una normalissima giornata di prima estate.

Quando giunse nello spiazzo davanti alla biblioteca si guardò in giro alla ricerca del volto conosciuto. Lo trovò seduto su una panchina ai margini della piazza che armeggiava freneticamente con il proprio cellulare:

<< Ehi >> Gli si avvicinò. Il ragazzo, udendo la sua voce, si alzò di scatto facendo cadere il telefono a terra.

Kathrine cercò di trattenere un sorriso mentre si chinava per raccoglierlo e riconsegnarlo a Sean che, nel frattempo, era arrossito notevolmente.

<< Passeggiata al parco? >> le propose facendo un cenno con il capo.

La ragazza annuì decisa per nulla intimidita sfoggiando un sorriso luminoso. Si incamminarono.

<> Fu lei ad iniziare.

<< Tutto a posto. Tu, piuttosto? Com'è stato il ritorno dall'Inghilterra? >>

<< Be' mi devo ancora abituare al fuso orario, ma per il resto penso che vada tutto bene >> Si diede mentalmente della bugiarda.

<< Wood? >> si scurì in volto.

<< Sempre il solito >>

Sean parve rasserenato e rallentò un po' l'andatura dopo averle regalato un timido sorriso.

Parlarono molto durante il tragitto, soprattutto il giovane che cercò di aggiornare nel modo migliore Kathrine riguardo eventi significativi che erano avvenuti nel corso della sua assenza. Poi, una volta raggiunto il parco, si erano seduti sul prato, vicino ad un laghetto artificiale e Sean le aveva offerto un gelato alla vaniglia.

Non aveva scelto il cioccolato perché le piaceva solo quando era depressa; il pistacchio quando era allegra; la fragola quando era soddisfatta; la vaniglia quando era intraprendente. Si, si sentiva intraprendente: stranamente, la presenza di Sean non la intimidiva affatto, anzi la faceva sentire perfettamente a proprio agio.

L'unico gusto che veramente non le era mai andato giù, era la panna. Troppo dolce:

<< Come sta tua sorella? >>

Meredith doveva avere appena vent'anni, se aveva fatto bene i conti. Era sempre stata famosa in tutta la città per la sua rinomata bellezza: era alta e con un fisico da modella, aveva lunghi e corposi capelli castani, occhi azzurri leggermente a mandorla e un naso perfetto. Difficilmente in tutta Fairview Kathrine avrebbe potuto pensare ad una ragazza più bella. A quanto si ricordava, doveva aver avuto anche una breve- ma intensa- relazione con Eric poco prima che lasciasse l'America:

<< Ha vissuto momenti migliori >> Sean accennò un sorriso malinconico.

Kathrine si allarmò, anche se cercò di contenersi ed apparire più calma possibile nell'attendere una spiegazione:

<< Si è un po' persa, ultimamente. Frequenta cattive compagnie >>

Se l'era aspettata. Se eri così bella e popolare era facile finire nella cerchia sbagliata, soprattutto se non avevi una punto di riferimento: per quello che sapeva, i genitori di Sean erano sempre stati molto impegnati per il lavoro che svolgevano e non sempre tornavano a casa per l'ora di cena:

<< Capisco. Be' non ti preoccupare, ognuno di noi ha passato brutti momenti >> gli appoggiò amichevolmente una mano sulla spalla << Passerà anche questo >>

Sorrisero entrambi sereni.

 

 

 

Una volta tornata a casa Wood, Kathrine fece un salto in sala da pranzo per avvertire che era tornata.

A occupare buona parte del suo campo visivo in sala c'era Eric che, sommerso da una pila di libri, carte e fogli volanti, stava impegnando tutto se stesso per...

studiare?

Il ragazzo alzò lo sguardo sulla figura femminile che sostava sulla soglia:

<< Come siamo in tiro >> sorrise malizioso << un appuntamento, per caso? >>

<< Nulla di simile >> Kathrine si ricordò mentalmente del discorso fatto in precedenza.

Un'uscita tra amici.

Non era una bugia dopotutto, perché quello non era un appuntamento. Se Eric gli avesse detto invece “Come siamo in tiro, un'uscita tra amici?” lei avrebbe risposto in modo affermativo perché quella era la verità.

O no?

Si avvicinò alla scrivania:

<< Cosa studi? >>

<< Letteratura inglese. Mia madre non è “soddisfatta” del risultato ottenuto quest'anno e se voglio entrare al college devo assolutamente rimediare >> borbottò spostando lo sguardo lateralmente.

Quella sarebbe stata l'occasione giusta per riprendersi una piccola rivincita e umiliare il biondino strafottente, considerò la ragazza. Già si immaginava la scena: tutti riuniti a tavola, lei che si metteva a discutere di letteratura ottocentesca, i commensali che la fissavano ammirati con la bocca aperta; e poi un'innocentissima domandina sulle sorelle Bronte ad Eric; il volto del ragazzo prendere fuoco e la sua bocca balbettare qualcosa di indecifrabile. Già sentiva l'orgoglio dei Bennet gonfiarle il petto e soddisfazione allo stato puro scorrerle nelle vene.

Ciononostante l'indole buona della ragazza ebbe la meglio:

<< Fammi vedere >> disse sporgendosi ancora di più verso Eric.

Stette qualche secondo in silenzio analizzando il libro aperto che giaceva sulla scrivania.

<< Oh >> si raddrizzò << Ho già affrontato quest'argomento in Inghilterra, se vuoi posso darti una mano >>

Eric alzò un sopracciglio dubbioso:

<< Corso avanzato >> La ragazza accennò un timido sorriso.

<< Ma come sei insistente Bennet! E va bene, va bene aiutami pure. Però ricordati che hai un debito nei miei confronti >> Esclamò facendo un gesto noncurante con la mano.

<< Ehi, semmai tu hai un debito nei miei confronti! >>

<< Si, mi ricordo che la matematica non era il tuo forte alle medie>> finse di pensarci su << D'accordo, ti darò una mano così saremo pari. E ora siediti, non ho tempo da perdere >>

Era vero, alle medie Kathrine non era mai spiccata in matematica e anzi, qualche volta, aveva portato a casa qualche votaccio, ma alle superiori si era decisamente ripresa: certo non partecipava ai corsi avanzati di matematica o competizioni a livello nazionale, però se la cavava, ecco. Per dare soddisfazione al ragazzo e farlo stare buono stette zitta, come a rendergliene atto.

Prese una sedia dal tavolo da pranzo e la posizionò alla sinistra di Eric:

<< Allora, cosa hai letto di Joyce? >>

Il biondo non rispondeva, piuttosto trovava più interessante scarabocchiare sulla copertina di un libro di testo:

<< Finiscila immediatamente! >> la ragazza afferrò il libro imbrattato di inchiostro stringendoselo al petto << non maltrattare in questo modo i libri. Sai quanti bambini dell'Africa desidererebbero averne anche soltanto uno? >>

Se c'era una cosa che Kathrine non aveva mai sopportato era rovinare i libri, di qualunque genere fossero. Era una fissa che le aveva trasmesso sua nonna, quella di trattare i libri come persone: quando era piccola e andava a fare i compiti a casa sua, Elizabeth la rimproverava ogni volta che vedeva la nipote adoperare la penna, o fare le orecchie alle pagine o piegare la copertina. Era stato una sorta di lavaggio del cervello per Kathrine, la quale, ormai cresciuta, nutriva una tale adorazione e un tale rispetto nei confronti di questi, al punto di infastidirsi alla sola visione di un libro maltenuto. Più della metà dei litigi che aveva avuto con Jessica in Inghilterra riguardavano la più che evidente inclinazione di quest'ultima a stropicciare, disegnare, pasticciare e, addirittura, nei momenti di disperazione più nera quando si rendeva conto di non sapere nulla il giorno prima del compito in classe, a scaraventare contro le pareti i poveri manuali di testo. Eric, però, non sembrava della stessa opinione:

<< Ma se non sanno neanche leggere >> constatò infastidito cercando di strappare l'oggetto dalle mani di Kathrine << E tanto loro hanno i campi da coltivare e devono andare a prendere l'acqua in pozzi che distano miglia e miglia dalle loro abitazioni; figurati se hanno il tempo di leggere >>

La ragazza si sentì ancora più indignata:

<< Ma ti rendi conto di quello che dici? >>

<< No, e ora ridammi il mio libro, Bennet >>

<< Non ci penso neanche! E poi >> allontanò il libro dal petto per leggerne il titolo, per quanto i segnacci neri lo permettessero << biologia non ti serve in questo momento >>

Eric ne approfittò per afferrare il volume e tirarlo con forza verso di sé.

Si sentì il rumore di uno strappo: Kathrine teneva ancora stretta fra le mani la copertina e le prime pagine, il ragazzo quel che rimaneva.

Eric si accasciò sulla sedia sbattendo la sua parte di fogli sulla scrivania:

<< Siamo peggio di due bambini delle elementari >> constatò la ragazza mentre si rigirava la copertina tra le mani << bell'esempio che daremo ai nostri figli >>

Eric si girò irritato verso di lei:

<< E chi ti dice, Bennet, che avremo dei figli? >> sibilò Eric con una punta di cattiveria.

Era un'alternativa da prendere in considerazione, dopotutto, no? Certo, avrebbero potuto non sposarsi, ma c'era anche la possibilità che ciò accadesse, se il loro piano, peraltro non ancora ideato, per convincere i genitori avesse fatto cilecca. Non osò pensare che tipo di bambini sarebbero potuti uscire fuori: dei baby-modelli viziati, menefreghisti e dispettosi come il padre.

<< Aggiusterò io il tuo libro >> Disse Kathrine allungando la mano verso Eric, in attesa che il giovane le passasse la propria parte di libro.

Il ragazzo, che era pronto ad una sfuriata da parte della sua interlocutrice, si stupì molto dell'improvviso cambio d'argomento. Si era persino preparato in anteprima la rispostina acida da affibbiare alla Bennet nel caso avesse tirato in mezzo i loro genitori e quant'altro, e lei cosa faceva? Si permetteva di essere gentile. Non sapeva proprio cosa fare.

Rimase incerto per qualche secondo fissando prima la mano di Kathrine e poi la parte di libro abbandonata sulla scrivania.

Il manuale era messo male già di suo. Cosa gli costava darlo alla Bennet? La situazione era già pessima e non avrebbe potuto far altro che migliorare. E infondo, molto infondo, forse anche lui era stanco di litigare.

Prese la sua parte di volume e, con un sospiro, la consegnò nelle mani della ragazza.

 

 

Circa un'ora dopo, Kathrine aveva decretato che, come prima lezione, quella poteva andare più che bene. Aveva consigliato al biondino di leggere almeno Ulysses o The Dubliners di Joyce per capire meglio l'argomento trattato, dopo aver saputo che Eric non aveva mai sfogliato neanche un'opera dell'autore.

La ragazza aveva preso il grugnito di disappunto del compagno come un gesto di resa e quindi di assenso.

Stava raccogliendo in modo ordinato i fogli strappati-e-non del manuale di biologia quando Eric, che si era momentaneamente allontanato dalla sala, fece capolino dall'entrata con addosso un giubbotto di pelle:

<< Vado a prendere un caffè al bar. Vieni anche tu? >>

Kathrine si bloccò e alzò lo sguardo verso il ragazzo.

Il primo pensiero che le attraversò la mente fu che quello che le stava davanti era semplicemente un'illusione o qualche sosia comparso dal nulla. Forse un Eric diverso proveniente da un'altra dimensione. Un qualche alieno divora cervelli che aveva fatto irruzione in casa, ed essendosi trovato davanti il biondo si era accontentato del suo di cervello come antipasto e, dopo avene assunto le sembianze cercava di ingannare lei, lei i cui neuroni costituivano il vero e proprio pasto.

Come ipotesi, però, era molto inverosimile, quindi il cervello della ragazza elaborò l'idea che probabilmente, dietro quell'invito spontaneo privo di cattive maniere e modi sgarbati doveva celarsi un tranello, un trucco. Forse attraversando la porta le sarebbe caduto in testa un enorme secchio pieno d'acqua, o la stavano riprendendo con una videocamera. L'avrebbero messa su youtube e avrebbero fatto girare il video su facebook, ecco quello che avrebbero fatto, accidenti.

<< Bennet? Hai per caso perso l'uso della lingua? >> il ragazzo schioccò le dita due volte << sono qui davanti a te >>

L'ipotesi che la proposta fosse innocua e senza alcuna malintenzionata premeditazione, Kathrine non la prese neanche in considerazione. Accipicchia, cosa non andava in quel ragazzo? Era sempre stato prepotente, strafottente, egoista, calcolatore. Dov'era il secondo fine?

Intanto il ragazzo le si era avvicinato con lentezza. Quando si era fermato a un passo da lei, Kathrine era ancora persa nei propri pensieri, spremendo ogni singolo neurone della materia grigia che madre natura le aveva donato per risolvere quel rompicapo che sembrava non avere né inizio né fine.

La mano di Eric che si posava leggera sulla sua fronte indugiando sulla sua pelle per percepirne il calore fecero sussultare Kathrine, che si allontanò istintivamente, come scottata:

<< Si, andiamo >>

Se c'era un qualsiasi trucco Kathrine era certa che per quanto si potesse sforzare non avrebbe mai trovato la soluzione. Tanto valeva rischiare.

La ragazza lo oltrepassò velocemente con il viso in fiamme e lo sguardo basso; Eric alzò gli occhi al cielo.

Erano usciti da pochi minuti e il cielo si era rannuvolato velocemente; all'orizzonte incombevano grosse nuvole scure come a presagire eventi rivoluzionari. Per la strada non incontrarono quasi nessuno, se non qualche ragazzino che si affrettava a tornare a casa prima che la tempesta scatenasse la sua ira sulla città di Fairview.

<< Credo che uscire, alla fine, non sia stata una grande idea >> constatò Kathrine rallentando gradualmente << a momenti scoppierà un temporale >>

<< Io ho voglia di un caffè che non sia annacquato quindi me ne sbatto >> disse Eric spazientito << se tu non vuoi venire nessuno ti obbliga >>

Kathrine si limitò al silenzio e continuò a seguire il giovane che procedeva a passo sostenuto con le mani in tasca.

I minuti passavano lentamente e la ragazza cercò disperatamente un argomento di conversazione:

<< Faith come sta? >>

Non che gliene importasse minimamente di quell'oca incapace di ragionare, ma poteva almeno rendersi utile per porre momentaneamente fine al silenzio che regnava sovrano da un po':

<< E perché ti interesserebbe, Bennet? Si vede chiaro e tondo che non la puoi soffrire>> le chiese con sincerità << Be' in effetti non saprei dire chi veramente riesca a sopportare quella ragazza >> disse tra sé e sé come a scusarla.

<< E allora perché la frequenti? >>

Kathrine non poté trattenersi dal porre la domanda al ragazzo. Non era mai stato un tipo particolarmente invadente o impiccione, ma questa volta le parole erano uscite da sole, come un palloncino che si sgonfia buttando fuori quel poco di aria rimasta al suo interno. Troppo semplice.

Eric rimase interdetto da tale domanda. Be' in effetti come domanda era coerente. Aveva appena detto che Faith era insopportabile e la Bennet aveva fatto due più due e gli aveva chiesto il motivo per il quale si ostinasse a frequentarla.

Dirle che la amava e che quindi quando si ama una persona si accettano i suoi difetti era eccessivo, e in secondo luogo era una bugia. Ma non che se ne preoccupasse più di tanto perché non si faceva alcune problema a mentire, cosa che, del resto, era all'ordine del giorno.

Ora però, pensandoci seriamente, perché stava con Faith?

La risposta gli balenò nella mente: perché aveva un bel culo e una quarta di reggiseno e perché, peraltro, non era una di quelle ragazze che volevano una cosa seria, cene in famiglia, matrimonio e bla bla bla.

Porcate allo stato puro insomma.

Ecco, sì, questo era un vero motivo per cui stava con Faith. Ma Eric passò dalla soddisfazione di aver trovato una possibile risposta all'incertezza nuovamente; cavolo, non poteva dire una cosa simile alla Bennet. Avrebbe solamente peggiorato le cose:

<< Ehi, non volevo metterti in difficoltà. Non fa niente, puoi anche non rispondere >> Kathrine gli rivolse un sorriso incoraggiante.

No, no, no adesso ci si metteva con la sua aura da cherubino e bontà allo stato puro che lo faceva sentire in vena di confessioni.

Che la Bennet fosse una strega?

<< Credo che il motivo principale sia il fatto che … >> Eric esitò un attimo in cerca delle parole giuste << lei non si preoccupi troppo... del futuro, si goda il presente e che non voglia qualcosa di eccessivamente... impegnativo, ecco >>

<< Capisco >>

Nessun commento acido, nessuna allusione, niente di niente.

Comprensione, forse?

Ma cosa cavolo stava dicendo? Le mancava solamente un convento dove andare a passare il resto della vita e sarebbe stata una suora a tutti gli effetti; sicuramente lo stava biasimando dentro di sé o, peggio ancora, stava pregando il buon Signore che perdonasse i suoi peccati.

Non voleva neanche pensarci.

Giunto a queste conclusioni Eric si fermò davanti ad un locale assai modesto con giusto un paio di persone all'interno.

Aprì la porta e fece gesto alla Bennet di entrare.

 

Kathrine, per quanto disprezzasse il modo di fare e la maggior parte delle scelte di Eric, non aveva mia avuto da ridire riguardo ai suoi gusti. Ogni abito, ogni oggetto, ogni luogo da lui scelto era apprezzabile, almeno esteticamente.

Bene, quella volta Kathrine vide uno dei pilastri fondanti della costruzione mentale che si era fatta di Eric venire abbattuto senza pietà.

Il locale in questione era decisamente squallido. Squallido per gli standard di Eric insomma: piccolo, con luci a neon sparse qua e là senza alcun criterio, una serie di tavoli che si affacciavano sull'esterno e un bancone in legno chiaro dietro il quale serviva un cameriere pelato che indossava solamente una canottiera bianca, per giunta macchiata d'olio.

Tuttavia la ragazza evitò di commentare, anche perché sicuramente sarebbe spuntato da un momento all'altro il proprietario del bar, pieno di peircing e orecchini che dopo aver sentito il commento assai poco gentile della giovane avrebbe spezzato il collo ad entrambi. Si, perché sicuramente il proprietario del locale doveva essere un tipo così. Magari anche impegnato in loschi affari.

Presero posto al tavolo più vicino all'uscita.

Appunto.

<< Cosa prendi? >>

Kathrine diede uno sguardo veloce al cameriere che era intento a asciugare con un canovaccio tutt'altro che bianco alcuni bicchieri.

<< Penso che un succo di arancia vada più che bene, grazie >>

Il ragazzo si alzò e si avvicinò al bancone parlando sottovoce al cameriere.

Kathrine fece finta di non accorgersene e si concentrò sulle venature del tavolo in legno chiaro.

Poco dopo Eric tornò con un bicchiere contenente del liquido trasparente, probabilmente alcool allo stato puro, e una bottiglietta dal quale si distingueva il colore arancione della spremuta:

<< E quello sarebbe caffè? >> Domandò scettica afferrando il proprio succo di frutta.

Eric si strinse nelle spalle e prese posto di fronte a Kathrine:

<< Allora Bennet, quale sarebbe questo piano di cui parlavamo ieri? >>

<< Innanzitutto non Bennet, io ho un nome >>

Eric alzò gli occhi al cielo:

<< Non mi viene naturale chiamarti per nome, e poi ti darei troppa confidenza >>

Buttò giù una sorsata di quella bevanda indefinita.

<< Confidenza che deve esserci se vogliamo che il “piano” abbia successo >> La ragazza fece una pausa e aggiunse subito dopo << non mi sembra così traumatizzante come inizio >>

<< Vedrò di fare qualcosa >>

Kathrine cercò allora di stappare la propria bottiglietta ma senza alcun risultato; tuttavia non aveva la minima intenzione di cedere e chiedere al biondo di aiutarla. Quest'ultimo, però, notata la palese difficoltà della ragazza e cui presa la bottiglietta dalle sue mani, la aprì con un semplice gesto e gliela porse guardando fuori dalla vetrata.

Kathrine la prese ringraziando a bassa voce:

<< Non ho un piano ben preciso. Però dobbiamo cercare di elaborarlo il prima possibile. Il tempo stringe >> disse tornando al discorso precedente.

Eric parve innervosito:

<< Siamo a buon punto insomma >>

<< E sentiamo, quale sarebbe la tua idea? >>

<< Non lo so, accidenti! Sei tu quella che passa ore sui libri >>

Quello era un tasto dolente per Kathrine; si poteva dire che era noiosa, che era permalosa, che era pesante ma non tollerava in alcun modo che le si dicesse che era una secchiona, anche perché non la era. La definizione di secchione sul vocabolario era la seguente (l'aveva imparata a memoria per sbaragliare con una frase d'effetto tutti coloro che la definivano tale): alunno che riesce bene perché disciplinato e studioso, pur senza brillare per eccessiva intelligenza. Ma lei era intelligente, e quindi non poteva essere considerata una secchiona:

<< Fattelo da solo questo stramaledetto piano! >> disse alzando il tono di voce.

Il cameriere li guardò incuriosito sporgendo il collo, mentre le altre persone che si trovavano nel locale smisero immediatamente di parlare.

Kathrine fece per andarsene, ma il braccio di Eric la bloccò:

<< Su Bennet, non fare la bambina, ci stanno guardando tutti >>

Kathrine non lo guardò neanche in viso mentre strattonava il braccio affinché il giovane mollasse la presa.

Ma Eric, grazie alle nozioni minime che aveva acquisito nel corso degli anni avendo avuto continuamente a che fare con donne di tutte le età, intuì che continuando a comportarsi così avrebbe solamente peggiorato le cose. Adottò quindi un altro metodo persuasivo, passando allo stadio numero due:

<< Kathrine, per favore, siediti >>

La ragazza cessò di divincolarsi e si girò verso di lui guardandolo stupita.

Ma capì subito di aver sbagliato. Incontrare lo sguardo di Eric era la cosa più sbagliata e stupida che avrebbe potuto fare in quel momento. E l'aveva fatta.

Si sentì come un cubetto di ghiaccio appena uscito dal freezer che veniva esposto al sole cocente di mezzogiorno.

Eric, sentendo la fermezza della ragazza venire meno, allentò la presa sul suo braccio trasformandola quasi in una carezza. Quasi.

Un cubetto di ghiaccio appena uscito dal freezer che veniva esposto al sole cocente di mezzogiorno nel deserto del Sahara, per giunta.

Quegli occhi avevano il potere di mandare la sua razionalità in tilt e formulare un pensiero di senso compiuto era ancora più difficile, specialmente ad un distanza così ridotta.

Il fatto che l'avesse chiamata con il suo nome di battesimo, be', la scombussolava ancora di più.

Kathrine, Kathrine, Kathrine.

Il proprio nome pronunciato dalla sua voce le rimbombava in testa. Ma la cosa più preoccupante era che le piaceva terribilmente.

La consapevolezza di questa sensazione la risvegliò dal torpore in cui era caduta; e per un momento si vide con gli occhi di un estraneo, lì con il volto di una colorazione tendente al carminio e a fissare dolcemente il biondo. Aveva una dignità da difendere, dannazione! Lei era Kathrine Bennet, non un ochetta stupida che perdeva la testa di fronte a un paio di muscoli più allenati del normale.

Chiuse gli occhi, respirò a fondo, come a stabilizzarsi, e dopo aver allontanato la mano di Eric dal suo braccio, si sedette nuovamente al suo posto.

Tra loro calò il silenzio spezzato solamente dalle prime gocce di pioggia che andavano a infrangersi contro il vetro del locale.

Kathrine stava per proporre di ritornare velocemente a casa ma Eric la precedette:

<< Come mai ti piace il succo di arancia? >>

Rimase spiazzata da tale domanda e per un attimo rimase sconcertata: perché le aveva rivolto una domanda personale che non serviva concretamente a nulla? A Eric non era mai interessato dei suoi gusti, di cosa le piacesse o perché le piacesse, non si era mai interessato di lei, punto.

Intanto il ragazzo attendeva pazientemente una risposta. Kathrine si arrese e si sforzò di essere sincera:

<< In Inghilterra bevono solo quello quindi sono diventata dipendente anch'io in qualche modo >>

Eric accennò appena un sorriso.

La ragazza, allora, si sentì in dovere di continuare quell'inusuale conversazione e gli domandò cosa stesse invece bevendo lui:

<< Vodka >> rispose con nonchalance svuotando definitivamente il bicchiere.

Kathrine non volle fare alcun tipo di commenti per non spezzare quella instabile e fragilissimo equilibrio creatosi tra loro, simile ad una sottile lastra di ghiaccio sottoposta ad un peso non trascurabile. Il peso di un brontosauro.

Fuori dal locale un lampo squarciò il cielo plumbeo. Il tuono giunse poco dopo.

<< Faremo così, Bennet >> iniziò Eric passando le dita sul bordo del proprio bicchiere << noi due ci fidanzeremo per finta, ma cercheremo di ritardare le nozze il più tardi possibile; mio zio ha già 84 anni e non durerà a lungo. O almeno si spera >> aggiunse sottovoce << tu hai ancora diciassette anni, prima dei venti dubito che persino i tuoi acconsentirebbero a farti prendere marito. Tu vivrai la tua vita io la mia, senza però rendere palese il fatto che il nostro fidanzamento sia tutta una finzione. D'accordo? >>

<< E se tuo zio non... >> Non osò pronunciare quella parola perché le sembrava quasi gettare il malocchio sullo zio di Eric, e per quanto si potesse trattare di un vecchio egoista e superficiale era pur sempre un essere umano a cui Kathrine non avrebbe mai augurato la morte.

<< C'è ancora tempo >> fece un gesto noncurante con la mano << ci inventeremo qualcosa a tempo debito >>

Kathrine si passò una mano per i capelli cercando di analizzare tutte le possibili conseguenze di quella decisione:

<< E con questo Bennet, voglio chiarire il fatto che almeno di fronte agli altri dobbiamo comportarci come una vera coppia >>

Eric la fissò dritta negli occhi attendendo che il significato delle sue parole venisse totalmente assorbito dalla compagna. Kathrine, che aveva lasciato volontariamente per ultima quella piccola complicazione, si trovò proiettata davanti a questa verità prima del previsto. Come primo e percepibile effetto le guance della ragazza si tinsero di rosso velocemente:

<< Quindi cerca di limitare la tua natura da suora pudica >> Il volto di Eric si aprì in un sorriso sardonico. Kathrine non reagì alla provocazione.

<< Come farai con Faith? Dovrai lasciarla per davvero, dato che non mi sembra molto sicuro rivelarle il nostro piano per giustificare il tuo comportamento >>

Il giovane in un primo momento rimase interdetto poi con studiata tranquillità sibilò:

<< Abbiamo detto che ognuno di noi vivrà la propria vita >>

Il lato più saccente di Kathrine non poté fare a meno di emergere trionfante:

<< Di certo non potrai uscire più con lei in pubblico né invitarla a casa; lei vorrà spiegazioni e, di grazia, tu cosa le risponderai, Eric? Come ho già detto non penso sia una buona idea rischiare di mandare tutto all'aria per una come Faith, con tutto il rispetto, s'intende >> persino lei percepì una nota di disprezzo nella propria voce.

<< Touché >>

Eric che le dava ragione? O l'ipotesi dell'alieno doveva essere nuovamente presa in considerazione o probabilmente la tanto temuta inversione dei poli aveva avuto inizio, perché Kathrine non seppe dare una motivazione valida che giustificasse quei comportamenti troppo, troppo strani nei suo confronti da parte del ragazzo.

<< Quando lo diremo ai tuoi? >>

<< Tra qualche tempo, prima dobbiamo imparare a conoscerci bene per far credere che siamo veramente interessati l'uno all'altra ed evitare ogni minimo sospetto >>.

Kathrine si sentì la gola secca e mandò giù una sorsata di succo.

<< E cosa gli diremo? >> chiese schiarendosi la gola.

Eric roteò gli occhi;

<< Dio mio, Bennet! >> Si corresse non appena incontrò lo sguardo fulminante della ragazza << Kathrine, Kathrine. C'è ancora tempo. Prima dimmi qualcosa su di te, cosicché io possa conoscere al meglio le tue attitudini >>

Era un linguaggio troppo innaturale per Eric, cosa che era suggerita anche dal costante e quasi impercepibile digrignare dei denti del ragazzo; doveva sforzarsi molto per rimanere apparentemente calmo, constatò Kathrine, la quale si impietosì e non volle rendergli il compito ulteriormente difficile:

<< Partiamo dalla musica; mi piace molto la musica classica e adoro i balletti. Non sopporto la musica rap, se non con qualche rara eccezione, e detesto il metal >>.

Eric parve rilassarsi:

<< Vedo che abbiamo qualche cosa in comune. Opera? >> Chiese frugando nelle tasche dei jeans.

Kathrine aveva assistito ad un'opera lirica una decina di anni prima, quando sua nonna l'aveva accompagnata a vedere la Tosca di Giacomo Puccini. Non ricordava molto di quella sera, se non il fatto che quando i personaggi sulla scena cantavano non si capiva niente e che fuori faceva un gran freddo. Però l'opera le piaceva, o almeno la musica che veniva suonata per la sua rappresentazione:

<< Non ho mai assistito ad un'opera vera e propria, o almeno non ricordo nulla, talmente ero piccola. Però penso che quella che preferirei vedere è il Flauto Magico; il canto della regina della notte è stupendo >>

Eric, intanto, aveva tirato fuori un i-pod blu metallizzato di ultima generazione e le porgeva una cuffietta. Kathrine la prese titubante e la portò all'orecchio.

Improvvisamente partirono le prime note di Libiamo ne' lieti calici, opera la Traviata:

<< Chissà perché la tua scelta non mi stupisce >> sorrise ironica la ragazza.

Fuori aveva smesso di piovere. Il sole aveva fatto capolino e i suoi raggi obliqui costrinsero Kathrine a strizzare gli occhi: fortunatamente si era trattato solamente di un temporale estivo di breve durata. Nonostante il temporale, unico apparente motivo che li teneva chiusi insieme in un bar, era cessato i due giovani non si mossero e il pensiero di abbandonare il locale non passò loro minimamente per la testa:

<< Come vanno gli allenamenti? >> La musica di sottofondo cambiò trasformandosi in De' miei bollenti spiriti:

<< Abbiamo una partita ai primi di agosto. Ci alleniamo almeno tre volte la settimana, anche se non tutti si impegnano al massimo... >>

<< James? >> ipotizzò Kathrine

<< E' troppo convinto di vincere. Non è una novità il fatto che salti gli allenamenti almeno una volta ogni tanto >>

<< Sottovalutare il nemico può giocare a vostro sfavore, in effetti >>

Eric si fece pensieroso, portandosi una mano sulla fronte. Kathrine lo capì: come capitano della squadra aveva il compito di guidare gli altri compagni sia negli allenamenti che negli schemi di gioco; si sarebbe sentito sicuramente responsabile di una possibile sconfitta. Cercò, quindi, di alleggerire l'atmosfera fattasi improvvisamente pesante:

<< Be' vedi il lato positivo: almeno avrete delle galline prive di intelletto a sculettare per voi durante la partita, no? >>

Eric ridacchiò:

<< Detto da te suona strano. Comunque grazie per il tentativo, Bennet >>

Uno strano calore si diffuse nel petto della ragazza:

<< Di nulla >>

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Capitolo 5
*** Rivelazioni ***


Mi scuso per il ritardo con cui pubblico questo capitolo, ma tra una cosa e l'altra ho avuto davvero poco tempo per le mie cose.
Ad ogni modo di nuovo siamo tornati al status 0-recensioni ma d'altronde la fortuna è una ruota che gira, mica mi può andare sempre bene!
Spero che “Rivelazioni” - titolo di questo capitolo- susciti in voi qualcosa di più perchè, insomma diciamocelo, la storia sta raggiungendo il suo culmine.
Quindi ragazze e ragazzi vi prego, vi prego e vi prego fatemi sapere quello che pensate. Non c'è bisogno di commenti kilometrici, bastano un paio di parole. Almeno capisco cosa va bene e cosa no: è abbastanza demotivante vedere un po' di visualizzazioni e neanche una recensione xD
Scusate questo piccolo sfogo personale ma sono un po' insicura della riuscita di questa storia.
Ora vi lascio al capitolo.

Buona lettura :)

WinterRose



Rivelazioni

 

 

Dimmi perché proprio a me

l'anima mi brucia al suo pensier;

la vedo, la sento, trai suoi capelli il fuoco c'è

e annienta ogni controllo che c'è in me”

(Luci del paradiso e Fiamme dell'inferno, Il Gobbo di Notre Dame)

 

 

 

 

 

Nei giorni successivi emerse un nuovo lato di Eric. Kathrine non l'avrebbe mai detto, ma dietro a quella maschera di malizia e strafottenza si celava il carattere di un giovane affascinante e intelligente. Forse anche simpatico. Si vedevano ogni pomeriggio per il programma di letteratura e matematica, come avevano stabilito tempo prima, anche se al ragazzo erano bastati pochi minuti per comprendere che Kathrine non avesse alcun problema in suddetta materia. Ogni tanto il ragazzo indossava nuovamente la maschera e assumeva quell'irritabile senso di superiorità e di comando nei confronti della compagna; c'erano, invece, momenti in cui era lei ad aprirsi, rivelandogli qualche particolare sulla sua famiglia, sulle sue idee o della sua permanenza in Gran Bretagna, e lui, di tutta risposta, la fissava, concentrato, quasi dovesse scoprire il trucco in una magia. Era molto difficile farlo parlare; ogni volta che Kathrine gli poneva una domanda lui la sviava prontamente o cercava di addurre meno dettagli possibili; le motivazioni di tale comportamento Kathrine non le aveva ancora comprese del tutto.

In quella situazione di stallo, Eric continuava a frequentarsi con Faith: difatti almeno una volta al giorno Kathrine si imbatteva in lei ed era costretta a sorbirsi dai due ai quattro minuti e mezzo di conversazione su argomenti futili.

Anche se in qualche modo dovette ammettere che Faith, dopotutto, non le stava tanto antipatica. Sia chiaro, non che le piacesse, ma era fatta così: le piacevano i bei ragazzi, e chi biasimarla; pensava che la vera bellezza fosse quella esteriore, credeva di essere una divinità scesa sulla terra e che l'intera umanità fosse stata graziata da questo miracolo e, be', gli Stati Uniti erano un paese democratico e ognuno aveva il diritto di esprimere la propria opinione, per quanto questa potesse essere sbagliata. Non aveva danneggiato Kathrine in alcun modo, per il momento, ad eccezione di qualche commento poco simpatico riguardo le sue attitudini e al suo modo di pensare, ma niente di grave alla fine.

Forse la frase più corretta per descrivere cosa stava succedendo a Kathrine era semplicemente che si stava abituando alla presenza di Faith.

La scena che si ripeteva precisamente una volta al giorno era questa: ore tre e mezza del pomeriggio. Eric seduto sul divano del soggiorno che faceva zapping davanti alla televisione, Kathrine seduta su una poltrona lì accanto, a leggere Guerra e Pace. Ogni tanto uno dei due poneva una domanda all'altro, qualcosa da aggiungere alle informazioni che avevano l'uno dell'altra e che si erano dimenticati di chiedere precedentemente. L'orologio a cucù si svegliava segnando le quattro; Kathrine iniziava a prepararsi, mettendo il segnalibro tra le pagine dove era arrivata con la lettura, si alzava dalla poltrona e con un cenno salutava il biondo mentre si dirigeva verso le scale. Il campanello suonava. La ragazza andava ad aprire e si ritrovava la faccia sorridente di Faith che le dava un veloce bacio sulla guancia e la tratteneva per i 3 minuti medi di conversazione già accennati in precedenza. Dopodiché la bionda si congedava con una battuta poco fine e scompariva nel salotto.

Quella era la prima Domenica passata a casa dei Wood per Kathrine, eppure tutto sembrava perfettamente ordinario; i genitori di Eric non c'erano e, come al solito, i due ragazzi avevano pranzato da soli con un pizza ordinata a domicilio.

Come al solito Kathrine si era seduta sulla poltrona in soggiorno ed Eric sul divano.

Come al solito Eric aveva acceso la televisione e Kathrine aveva preso Guerra e Pace.

Come al solito, quando suonarono le quattro, Kathrine si alzò per avviarsi verso l'ingresso.

Tuttavia a rompere l'equilibrio fu la mano di Eric che afferrò quella di Kathrine, trascinandola accanto a lui; la ragazza, atterrando sul divano, lo spostò indietro di qualche centimetro.

Kathrine osservò con la coda dell'occhio alla sua sinistra: la sua mano era ancora in quella del ragazzo. Lo guardò perplessa, non comprendendo il motivo di tale gesto; ciò che ricevette come risposta fu un eloquentissimo “E' domenica”.

Eric riportò la mano sul telecomando, abbandonando quella della ragazza.

Tacque.

Kathrine finse di concentrarsi sull'immagine trasmessa dal televisore mentre ogni tanto lanciava sguardi furtivi all'orologio, aspettando da un momento all'altro il suono del campanello.

16:03.

Niente.

Concesse un'occhiata veloce al ragazzo, apparentemente tranquillo e indifferente.

16:07.

Kathrine iniziò a mostrare i primi segni di irrequietezza. Non riusciva a stare ferma: prima si passava una mano tra i capelli, poi stropicciava il tessuto della maglietta che indossava, batteva le mani sulle gambe, poi di nuovo una mano tra i capelli e così daccapo.

16:14.

<< Peccato che la moglie di Patrick sia morta, eh Bennet? Sai quella bionda con i piercing e una miriade di orecchini >>

16:16.

<< Eh si >> rispose Kathrine distratta.

Non era da Faith essere in ritardo. Scartò subito l'ipotesi che la biondona potesse essere bloccata nel traffico per il semplice fatto che a Fairview il traffico era praticamente inesistente. E se le fosse successo qualcosa? Magari era stata davvero investita da un tram stavolta. Sarebbe stato prudente chiamarla per verificare che non fosse in pericolo:

<< Peccato che la moglie di Patrick, invece, sia viva e vegeta e sia a letto con il migliore amico di Patrick. Cosa cazzo ti prende? >>

Una vocina nella testa di Kathrine le sussurrò un “Beccata!”:

<< Si, scusa. Ero sovrappensiero >>

Eric disattivò il volume. Il telecomando volò dall'altra parte del divano:

<< Cosa ti turba, Bennet? >> chiese sporgendosi verso di lei; Kathrine di riflesso si scostò indietreggiando.

<< Ma niente >> Da una parte cercò di sembrare sicura e convinta di sé, dall'altra sperava ancora nel trillo del campanello.

Ma intanto Eric continuava a farsi vicino, lei si ostinava a spostarsi. Finché non toccò con la schiena il bracciolo del divano in pelle.

Prese in considerazione che Faith, probabilmente, non sarebbe venuta.

Caspita.

Il ragazzo si avvicinò ancora e Kathrine vide la distanza che c'era fra di loro ridursi pericolosamente. Solo quando il suo petto sfiorò quasi quello della ragazza si arrestò e ripeté la domanda con lentezza, scandendo bene le parole e incatenando lo sguardo di Kathrine al suo.

E ipnotizzata da quegli occhi color mercurio come un uccellino ipnotizzato dal serpente, per quanto si fosse ripromessa di non cedere, con un sospiro rispose, liberando le parole che premevano di uscire.

<< Te l'ho detto. E' domenica e non viene >> spiegò il giovane con una punta di tenerezza.

Kathrine non capiva. Il ragazzo aveva ottenuto quello che voleva, lei aveva ceduto, gli aveva detto quello che lui voleva sapere: si sarebbe dovuto allontanare, tornare al suo maledettissimo programma e prenderla in giro per i prossimi due o tre giorni. Eppure Eric non accennava a muoversi.

Anzi, le parve, che pian piano si facesse sempre più vicino, sempre più vicino.

Il suo cuore perse un colpo quando la mano del ragazzo le sfiorò la vita.

Fu in quel preciso istante che un desiderio che mai, mai avrebbe detto le sarebbe appartenuto le occupò con forza la mente e il cuore che, ora, batteva impazzito.

Anche lei, stavolta, si sporse appena socchiudendo gli occhi.

La vibrazione del cellulare di Eric frantumò quell'idillio.

Kathrine vide un lampo di rabbia guizzare nello sguardo di lui mentre infilava una mano nella tasca dei pantaloni e gettava il telefono sul pavimento.

Ma era troppo tardi, perché lei, libera dall'incanto del suo sguardo e dalla barriera del suo corpo era fuggita via lasciando dietro di sé solamente il rumore del portone che si chiudeva.

 

 

 

Kathrine camminava inquieta su e giù per la camera degli armadi, così l'aveva sempre chiamata fin da piccola, di sua nonna Elizabeth. Quella di andare dai sua nonna materna era stata l'unica idea che aveva potuto elaborare non appena aveva lasciato dietro di sé la porta di casa Wood. Durante il tragitto in taxi (aveva scoperto con suo sollievo di avere in tasca quanti dollari bastavano almeno per l'andata) aveva pianto in silenzio, non riuscendo a capacitarsi di quello che era accaduto e che stava accadendo: sul suo fianco sentiva il marchio di fuoco che Eric le aveva lasciato, e così ovunque girasse lo sguardo le sembrava di incontrare quello del ragazzo.

Quando l'auto si era fermata davanti all'indirizzo giusto Kathrine aveva smesso di piangere, anche se il suo cuore era ancora sconvolto e il suo respiro rotto dai singhiozzi.
Sua nonna, non appena aveva aperto la porta di casa, aveva riconosciuto che qualcosa non andava guardando il volto della nipote, la quale, dopo averla salutata velocemente, era corsa al secondo piano e si era chiusa a chiave in quella camera usata come ripostiglio da Mrs Johnson.

Lui la stava per baciare.

O meglio si stavano per baciare.

Quel “si” voleva specificare che l'azione, se si fosse verificata, oh se si fosse verificata!, avrebbe visto il consenso e la partecipazione di Kathrine. Ed era questo ciò che più la spaventava. Il fatto che lei, proprio lei, avesse voluto baciare Eric.

Non era qualcosa a cui si sarebbe ribellata, anzi, ne era sicura, l'avrebbe accettata.

Com'era possibile che fosse arrivata a quel punto? Eric era l'ultima persona che avrebbe potuto scatenare in lei certe sensazioni. Eppure era accaduto.

Ma la domanda più importante era: ne era innamorata?

Diamine, non lo sapeva. Non c'è una definizione fissa e immutabile di amore, o almeno non tale da poter definire con certezza il preciso momento in cui senti di amare qualcuno. Lei l'aveva sempre chiesto a sua nonna, perché sua madre non si era sposata per amore: lei e William erano sempre stati buoni amici, ma non innamorati. Era stato un matrimonio di convenienza il loro. Così come doveva essere quello tra Eric e lei.

Sua nonna le aveva detto che quando sei innamorata di qualcuno il cuore ti batte forte.

Il suo lo faceva.

Quando sei innamorata di qualcuno, vorresti passare tutto il tempo della giornata con lui.

Immaginandosi la cosa, l'idea non le dispiaceva: dopotutto in quegli ultimi giorni a stretto contatto con il ragazzo non si era trovata affatto male.

Quando sei innamorata di qualcuno pensi che lui sia la persona più bella del mondo.

Eric Wood era il più bello del mondo, non era una novità ed era un fatto oggettivo. Come testimoni metà popolazione femminile dell'istituto superiore di Fairview.

Quando sei innamorata di qualcuno te lo senti e basta.

Come poteva essere “te lo senti e basta”? Che assurdità era mai questa?!

Kathrine si accasciò sul pavimento, con la schiena appoggiata alla parete e la testa tra le mani.

Di piacerle, le piaceva, quello ormai era palese. Ma lui, lui cosa voleva? Come si sentiva? Voleva solamente prendersi gioco di lei, usarla e poi buttarla via, così come si fa come un macchina fotografica usa e getta? Fai le foto, ti diverti, le sviluppi. E poi?

Cosa ne sarebbe stato di lei, se avesse dato quel bacio?

Forse le voleva solamente dimostrare come lei, in quanto essere femminile, non poteva opporsi all'attrazione che provava nei suoi confronti, per quanto la sua ragione cercasse di impedirglielo. Un altro modo per deriderla, per schernirla.

E se l'avesse amato davvero? Se quell'insieme eterogeneo di sensazioni che le scombussolavano l' anima, se quello scompiglio nello stomaco, le guance arrossate e la voglia di volerlo baciare fossero stati i sintomi dell'amore? Le cose sarebbero cambiate: il piano, il matrimonio, il patto, tutto sarebbe cambiato. Come ricominciare da zero.

La sua mente ritornò alla scena avvenuta più di un'ora prima: sicuramente Eric avrebbe voluto delle spiegazioni. Ormai lo conosceva. Ma cosa gli avrebbe detto? Che non sapeva se ne era innamorata, ma che le piaceva così tanto che neanche la sua parte razionale riusciva a impedirle di frenare i suoi istinti?

E lui come avrebbe reagito?

Doveva assolutamente evitarlo, almeno fino a quando non avesse trovato una spiegazione accettabile e plausibile che però non compromettesse la sua dignità e incolumità morale. Doveva pensarci bene perché darla bere ad Eric Wood non era così semplice. Dopotutto era lui l'esperto in quel genere di cose: strisciare, complottare nel buio erano sue prerogative.

Perché era così complicato?

La confortò il pensiero che il giorno successivo sarebbero tornati i suoi genitori a Fairview e che sarebbe potuta finalmente tornare a casa. Doveva aspettare solo ventiquattro ore, riuscire a evitare Eric per quel breve arco di tempo. Da sola avrebbe avuto più tempo a sua disposizione per formulare un piano che avrebbe risolto tutto. Solo ventiquattr'ore.

Dette uno sguardo fuori dalla finestra: iniziava a calare la notte. Forse era meglio tornare a casa prima che facesse buio: per quanto fosse una piccola cittadina non era consigliato girare da sola di notte a Fairview, soprattutto per una ragazza.

Aprì la porta e fu investita dalla luce artificiale delle lampade al neon del corridoio che la costrinsero a strizzare gli occhi. Per poco non ci mancò che cadesse giù per le scale.

Kathrine si affacciò dalla cucina per salutare nonna Elizabeth e ringraziarla per l'accoglienza ma la donna la precedette:

<< Ho preso il gelato, tesoro. Dicono tiri su il morale >> alzò una vaschetta rettangolare bianca.

Elizabeth Crought, Johnson da sposata, era una donna di gran classe e di una bontà infinita. Questo era quello che aveva sempre pensato Kathrine di lei. Era relativamente giovane (65 anni circa), di media statura e magra. Portava i capelli corti e non li tingeva: in questo modo risaltavano ancora di più gli occhi color caramello famosi per la loro dolcezza. Era sempre stata un'importante figura nell'infanzia di Kathrine e le era stata più vicino di Annabelle stessa. Negli ultimi anni, tuttavia, la situazione era degenerata per via delle incomprensioni tra sua madre e Mrs Johnson.

Kathrine accennò un sorriso e si avvicinò al tavolo tondo della cucina, prendendo posto vicino a sua nonna che le porse gentilmente un cucchiaio:

<< Raccontami tutto sull'Inghilterra, cara >> Disse mentre la ragazza affondava il cucchiaio nel gelato.

Kathrine rimase per un attimo senza parole: si era aspettata una domanda sul perché avesse pianto, sul perché si fosse chiusa in una camera senza neanche salutare degnamente sua nonna che non vedeva da due anni. Forse sul perché fosse così diversa.

Sai, cara Kathrine, ti trovo diversa.

Era l'amore a cambiare le persone?

E invece nonna Elizabeth aveva evitato l'argomento, perché sapeva che sicuramente avrebbe causato nuovo dolore alla nipote. Kathrine sorrise e iniziò a raccontare.

Mentre parlava, tra un aneddoto e l'altro, tra una cucchiaiata di gelato e l'altra, si rese conto di essere più sollevata, anche più energica, pronta ad affrontare Eric.

Ciò di cui non si rese conto era, però, che il gelato era alla panna.

 

<< Sei impazzito? >> Fred si era alzato di scatto dal divano sul quale pochi istanti prima era sdraiato tranquillamente con una lattina di birra in mano.

<< Si, dannazione. Sono impazzito >> Eric prese un'altra abbondante boccata di fumo dalla sigaretta.

<< Perché l'hai fatto? Anzi, lo stavi per fare? >>

<< Non lo so Fred. Un momento prima ero lì pronto a prendermi una rivincita sulla saputella e un momento dopo le ero praticamente addosso >>

Il ragazzo faceva avanti e indietro nel soggiorno dell'amico, l'espressione del volto sconvolta:

<< Smettila di fumare, cazzo. O qui non si vedrà più niente da un momento all'altro >>

In effetti era la quarta sigaretta che Eric aveva fumato da quando aveva fatto irruzione a casa di Fred. Nonostante la poca visibilità lo sguardo di Eric fulminò quello dell'amico, gettando la sigaretta ormai consumata nel caminetto dove giacevano le altre tre. Ne accese un'altra:

<< La Bennet è una strega. Io l'avevo detto >>

<< Diciamo che una strega che attizza. Dai non mi puoi dire che sia brutta, anzi >> si giustificò il rosso. No, la Bennet non era un brutta ragazza, solo che insomma non sembrava una ragazza. Nel senso, aveva le tette, piccole eh, però ce le aveva quindi era una ragazza. Però era diversa dalle altre, era difficile da considerare come una con cui spassarsela. Magari la vedevi passare e pensavi che era carina ma non ci pensavi nemmeno a certe cose per il semplice fatto che erano irrealizzabili:

<< Non me ne frega un emerito cazzo se attizzi oppure no >> urlò Eric in preda ad una feroce collera << il fatto era che la Bennet era l'ultima ragazza sulla faccia della terra per la quale avrei potuto provare voglie simili >>

Dopo essersi sfogato, Eric si lasciò cadere sul divano accanto all'amico:

<< Fattela >> constatò Fred asciutto << magari le “voglie” ti passano >>

Il biondo si passò una mano sulla fronte, esausto:

<< Pronto? Fred, stiamo parlando della Bennet. La suora precoce! >>

<< Fatti Faith, lei è sempre disponibile >>

<< Ma Faith non è la Bennet! >>

Fred lo guardò apprensivo poggiandogli una mano sulla spalla:

<< Ma ti senti amico? Sembri un'adolescente in balia di crisi amorose. Non vorrei essere affatto al tuo posto >>

Il volto di Eric si contrasse in una smorfia inorridita. Il leone, il predatore che si trasforma nel coniglietto infatuato: che vergogna. Il biondo provò ribrezzo e commiserazione allo stesso tempo per se stesso:

<< Davvero? >>

Il rosso annuì sconsolato:

<< Ti piace, no? >>

<< Cazzo, non lo so >>

Fred si preparò ad assumere il famoso ruolo dello psicologo in una coppia di amici. Non che l'avesse mai fatto, intendiamoci, ma ormai era diventato qualcosa di proverbiale. Ragazze che si lamentavano dicendo “E' tutto il giorno che le faccio da psicologa” oppure “Quando hai bisogno di uno psicologo io ci sono”. E adesso era il turno di Fred. Un giorno avrebbe potuto affermare “Ho fatto da psicologo a Eric Wood”, il che come cosa era doppiamente incredibile: primo perché immaginarsi Eric Wood disperato era impossibile, di solito era lui che faceva disperare ogni ragazza che incontrava. Secondo perché l'idea che Fred potesse fare “lo psicologo” era ancora più stramba della prima:

<< Allora, se Faith non ti avesse chiamato, l'avresti baciata? >>

Eric annuì mentre finiva la quinta sigaretta:

<< Se ne avessi la possibilità lo faresti? >>

Di nuovo un segno di assenso da parte del biondo:

<< Ti piace >> concluse soddisfatto Fred:

<< Ehi aspetta, non è un po' presto per dirlo? Cioè mi hai fatto solo due domande! >> Eric si inquietò di nuovo:

<< Più chiaro di così! Hai detto che vorresti baciarla! >> Fred fu preso da una sorta di compiacimento. Si sentiva intelligente: se il lavoro degli psicologi era così semplice l'avrebbe potuto fare anche lui. Ci mancava soltanto che lo pagassero bene e sarebbe stato il migliore psicologo di tutti i tempi: meglio ancora di quel tizio tedesco, Frod* o qualcosa di simile. Un momento, ma il tizio tedesco aveva il nome praticamente uguale al suo! Possibile che lui fosse una reincarnazione di Frod? Basta, aveva deciso: avrebbe fatto lo psicologo, si disse contento:

<< Cosa sorridi, coglione?! Vorrei vederti al mio posto, amico insensibile! >> borbottò il biondo incupendosi sempre di più. Inizialmente l'euforia di Fred parve non essere affatto scalfita dal commento dell'amico, tuttavia un nuovo pensiero la soffocò sul nascere: Faith era l'incarnazione dell'idea di donna. Donna uguale Faith. A Eric non importava più di Faith. A Eric non interessavano più le donne. Eric stava cambiando. Cambiare significa diventare diversi. E un Eric diverso, com'era? Era perfetto così com'era, con il carattere irascibile, profondamente donnaiolo e una capacità che lui stesso ammirava tantissimo, ovvero quella di sapersi sballare e non sentirsi in colpa; ma se fosse cambiato avrebbe perso la perfezione, o no? Fu preso da un ansia incontrollabile:

<< Mi sa tanto che dovremo dire addio al vecchio Eric, è così? >>

Fred si aspettava una reazione da parte dell'amico che smentisse ciò che lui volutamente aveva affermato. Già si immaginava una serata all'insegna di grandi

 

 

(*N.d.A. Si tratta di Freud psicoanalista austriaco della seconda metà dell'ottocento.)

bevute e di grandi...:

<< Non oggi, Fred >> sospirò l'amico alzandosi e afferrando il giubbotto di pelle.

Non solo il biondo non era più donnaiolo, ma non voleva neanche più sballarsi.

Fred pensò che, magari, bisognava davvero dire addio al vecchio Eric e agli altri

divertimenti con lui. Se era così, la Bennet era davvero una strega.

La porta si chiuse con un tonfo.

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Capitolo 6
*** Fiori Strappati ***


Ciao ragazze!

Dunque ho cercato di aggiornare il prima possibile anche se alla fine comunque ho ritardato di qualche giorno; spero mi perdoniate ;)
Questo capitolo è triste, lo ammetto, ma purtroppo prima o poi dovevo scriverlo.
Ringrazio
gasparella,  Smiler_4_Ever e oana_1995 che almeno mi hanno tirato un po' su con i loro commenti, grazie ragazze :)
Poiché si tratta di un capitolo particolare mi farebbe piacere se esprimeste la vostra opinione anche se è negativa; poi chi se la sente può anche scrivere riguardo la vicenda o i personaggi: quali vi piacciono quali meno, come vorreste che andasse a finire... insomma queste cose :)
Vi lascio al capitolo.
Buona lettura e alla prossima settimana

Baci <3
WinterRose

 


Fiori strappati

 

He was always there to help her

she always belonged to someone else”

(She will be loved, Maroon 5)

 

 

 

 

Kathrine ringraziò il cielo quando, entrando in casa Wood, trovò soltanto Diane indaffarata con la cena. “Non so dove sia quel combina guai. Sarà a qualche allenamento” aveva detto. Kathrine aveva espresso tutto il suo dispiacere per l'assenza del primogenito Wood e aveva informato la donna che quella sera non avrebbe cenato perché si sentiva terribilmente stanca.

Una volta in camera il suo sguardo si era posato sul libro di biologia di Eric completamente aggiustato. Doveva trovare l'occasione giusta per darglielo. Magari in presenza dei suoi genitori: sicuramente Eric non avrebbe osato fare riferimenti a quel pomeriggio. O almeno non espliciti. Prese il libro e iniziò a sfogliarlo; niente appunti. Ogni tanto qualche commento scritto a penna- a penna!- tipicamente maschile accanto a immagini e illustrazioni; oppure ritratti di scienziati e scienziate a cui erano stati aggiunti baffi, brufoli e altri particolari -sempre a penna!- poco gradevoli; conversazioni quasi illeggibili tra lui e James, anche queste farcite di volgarità. Sebbene fossero cose in sé poco apprezzabili, specialmente da una come Kathrine, si ritrovò a sorridere. Erano tutte cose che, per quanto fossero da correggere, facevano parte di lui, di quell'Eric impulsivo, sarcastico, superficiale e donnaiolo. Dello stesso Eric che si era preoccupato per lei perché vestita troppo leggera, di quell'Eric che l'aveva chiamata per nome e aveva ascoltato la musica insieme a lei, o ancora di quell'Eric che la stava per baciare.

Le venne in mente che doveva chiamare Jessica e informarla di tutto, forse le sarebbe stata d'aiuto, le avrebbe dato qualche consiglio su come comportarsi. Jessica era la sua migliore amica, anche se a volte era del tutto priva di tatto: delle volte finiva col peggiorare la situazione anziché migliorarla, ma Kathrine la giustificava sapendo che non lo faceva di proposito. Come quella volta che l'aveva obbligata davanti a tutta la classe di storia a raccontare le origini della sua famiglia, oppure quando l'aveva costretta ad uscire per una serata con un suo amico che le sbavava dietro come un cagnolino di fronte ad pezzo di carne, nonostante sapesse che Kathrine, il ragazzo in questione, non se lo filava proprio. Certo un bravissimo ragazzo, gentile e sempre disponibile ma non c'era quella scintilla...

Proprio in quel momento i cellulare squillò, sul display comparve il nome dell'amica:

<< Pronto >> disse sdraiandosi supina sul letto di Eric con voce lamentosa:

<< Come va tesoro? >> la voce di Jessica dall'altra parte del telefono sembrava più squillante del solito:

<< Che c'è Jess? >> chiese girandosi su un fianco.

<< Ma niente, niente. Sono io che ti ho fatto per prima una domanda >>

<< Non lo senti dalla mia voce? >> Calcò ancora di più l'accento di disperazione nel suo tono.

In effetti stava facendo un po' la melodrammatica, mentre cercava di imitare quelle ragazze dei telefilm afflitte da dilemmi amorosi; sdrammatizzava un po' le cose, sembrava qualcosa di irreale, qualcosa che le facesse apparire tutto come una una recita, una farsa: il tono e l'espressione erano perfetti, i gesti pure, persino le risposte di Jessica lo erano. Peccato per un piccolo particolare: che tutto ciò era successo davvero, altro che finzione. Tuttavia Kathrine ancora lottava con la parte razionale di sé per non giungere una volta per tutte a quell'indiscutibile conclusione. Jessica, cosa che la lasciò di stucco, non si stupì affatto della notizia. Aveva detto che se l'aspettava.

Possibile che fosse così prevedibile? E se anche fosse stato, come era possibile che non ci fosse arrivata da sola? Il cervello di Kathrine fumava impazzito, elaborando ipotesi che venivano subito scartate una dopo l'altra. Jessica sosteneva che doveva parlargli. E cosa gli avrebbe dovuto dire? Era un circolo vizioso, senza né capo né fine. Si disse che sarebbe impazzita prima o poi. Impazzita con l'immagine di Eric che le balenava nella mente, che popolava i suoi sogni e i suoi desideri.

A quest'ultimo pensiero le venne improvvisamente la gola secca. Acqua, acqua, acqua.

Sapeva che Eric era giù. Lo sentiva dalla televisione accesa.

Per quanto l'avrebbe aspettata? Un'ora? Due? Tutta la notte?

Forse Jessica aveva ragione: avrebbe dovuto affrontarlo prima o poi (così come sarebbe dovuta diventare pazza, anche se in questo caso preferiva decisamente il “poi”).

Quella notte, alla fine, decise di non scendere al piano di sotto, ma di accontentarsi dell'acqua del rubinetto, per quanto potesse avere un sapore strano, quasi di cloro.

La mattina successiva, una volta sveglia Kathrine si ricordò di avere “un'uscita da amici”- chiamiamola così- con Sean. L'appuntamento era alle dieci del mattino davanti casa Wood. Tuttavia, la sera precedente, aveva gentilmente chiesto al ragazzo di spostare l'orario alle nove, sicura che sarebbe stato troppo presto per incontrare Eric nel piccolo tragitto che la separava dalla porta di ingresso.

Be' dovette ricredersi quando, proprio nel momento in cui aveva abbassato la maniglia della porta d'ingresso, si sentì trascinata per la vita. Non ebbe bisogno di girarsi per capire chi l'avesse presa con tanta irruenza. Non appena fu scaricata in salotto, libera dalle mani di Eric, sentì la porta di vetro chiudersi con forza dietro di sé: non lo reputò affatto un buon segno.

Kathrine stava in piedi, appoggiata al muro più lontano della stanza, immobile con lo sguardo basso, come un bambino che sa di aver infranto una regola e si aspetta da un momento la paternale da parte dei genitori sapendo che provare a difendersi non sarebbe servito a nulla: sapeva che se avesse aperto bocca non sarebbe uscito alcun suono, avrebbe solamente peggiorato le cose.

L'orologio a cucù segnò le nove.

L'appuntamento con Sean in quel momento non le attraversò per nulla la mente. Solo dopo che la lancetta dei secondi ebbe compiuto un intero giro, Eric si decise a parlare e Kathrine ad alzare lo sguardo verso di lui:

<< Dove stavi andando? >>

L'espressione del volto era dura, la mascella tesa, le sopracciglia aggrottate. Sembrava sottintesa l'espressione “pensavi di sfuggirmi”, ma questa era soltanto una supposizione di Kathrine.

<< Non sono affari che ti riguardano >> la sua voce risuonò meno sicura di quanto avesse voluto.

Era come trovarsi in un treno che corre ad alta velocità verso un dirupo. Le soluzioni possibili erano rimanere nel treno e attendere il momento in cui sarebbe caduto nel vuoto o gettarsi fuori da esso mentre era ancora in corsa. Ad ogni secondo che passava sembrava che il baratro della sconfitta si avvicinasse sempre di più. Entrambe le possibilità non prevedevano un'uscita tale da rimanere illesi.

Eric scoppiò in una risata di scherno:

<< Ah, sono affari che non mi riguardano, Bennet? >> mosse un passo verso di lei<< Io non penso proprio >>

Si fermò a un passo da lei bloccandole ogni via d'uscita. Kathrine allora adoperò l'unico asso nella manica che le rimaneva, sperando che riuscisse a far presa su Eric. Era difficile, certo, ma dopotutto sembrava essere cambiato. Forse se avesse fatto leva sul sua sensibilità, l'avrebbe lasciata andare:

<< Ti prego, Eric, devo andare. Sono in ritardo >>

Ci mise tutta la sincerità, tutto il cuore, tutta la gentilezza possibili, ma dalla reazione del ragazzo, dedusse che non era servito a niente:

<< In ritardo per cosa? >> La mano si appoggiò sul muro, a pochi centimetri dal viso di Kathrine.

Stava andando tutto storto. Il tempo passava, Sean forse era già arrivato, Eric non voleva darle retta, ed era troppo vicino. Troppo. Il limite del consentito era stato superato da un pezzo ma la ragazza non riusciva a muovere un singolo muscolo, forse non voleva neanche.

<< Allora, Bennet? >> chiese alzando un sopracciglio.

Era talmente vicino che sentiva il profumo del suo respiro. Menta, tabacco e qualcos'altro.

Anche l'altra mano andò a finire sul muro.

Eppure Kathrine non si sentì imprigionata. No. Si sentiva al sicuro tra quelle sbarre che erano le sue braccia, quelle sbarre che le impedivano di allontanarsi da lui. Dal suo respiro.

Ancora menta, tabacco e qualcos'altro.

Qualcuno suonò al campanello.

<< Avanti, è aperto >> esclamò il ragazzo aprendosi in un sorriso sardonico.

Kathrine sentì il sangue gelarsi nelle vene. Sean sarebbe entrato da un momento all'altro. Eric, da parte sua, non aveva distolto un attimo lo sguardo dal suo. Fissava quegli occhi grandi, marroni, terrorizzati che lo supplicavano. Lo supplicavano di lasciarla andare via, via da lui, ovviamente. Lui distruggeva chiunque entrasse in contatto con lui, e avrebbe fatto così anche con lei, se avesse continuato. Avrebbe reciso quel fiore delicato e appena sbocciato, l'avrebbe strappato per ammirarlo, per contemplarlo, non avrebbe potuto fare altrimenti. Lasciarla andare? Era l'unica soluzione o l'avrebbe visto afflosciarsi, perdere colore e vitalità, quelle caratteristiche che lo rendevano diverso dagli altri, l'avrebbe visto appassire lentamente tra le sue mani.

Eric si girò verso l'ingresso quando sentì la porta del salotto aprirsi lasciando entrare la figura di Sean Burke con in mano un mazzo di rose.

In un momento tutto gli fu chiaro.

Bastò riportare lo sguardo sulla ragazza per capire tutto.

Vestita sempre elegante, uscite ogni giorno, risposte allusive. Aveva fatto il doppio gioco da allora. L'aveva ingannato.

Brava Bennet.

Una collera improvvisa iniziò a divampare nel suo petto. Il ragazzo bruno gliela stava portando via. Il ragazzo bruno cercava di proteggere quel fiore, non voleva che fosse strappato, e dopo averlo salvato l'avrebbe tenuto in un vaso per sempre.

L'avrebbe visto appassire lentamente tra le sue mani.

Meglio nelle sue mani che in quelle di qualcun altro.

<< Ho interrotto qualcosa? >> Sean pareva infastidito, sulla soglia della porta.

<< No, assolutamente no, Sean >> La Bennet pareva disperata. Cercavo con lo sguardo quello dell'altro, lo voleva rassicurare, voleva dirgli che tra lei e quel tipo biondo che la teneva stretta nella sua morsa non c'era niente.

<< Oh no, Burke, no. Non hai interrotto nulla. Io e lei stavamo solo parlando >>

ironizzò il biondo.

Portò per un attimo di nuovo il suo sguardo in quello della Bennet. Quegli occhi da cerbiatto lo guardavano spauriti, attendendo la stoccata finale, ma contemporaneamente gli rivolgevano un'ultima muta preghiera. Si disse che quella forse sarebbe stata l'ultima volta che li avrebbe visti da così vicino. Poi si girò di nuovo verso il ragazzo bruno e afferrando Kathrine per un braccio la spinse con forza verso di lui:

<< Tieni, Burke, tutta tua. Anche se ti darò un consiglio, non mi fiderei troppo. Finisci per rimanerne scottato >> commentò duro.

Kathrine sentì gli occhi gonfiarsi di lacrime mentre Eric pronunciava quelle parole guardandola con sprezzo.

<< No... >>

La voce le si ruppe una volta. Guardò il biondo negli occhi: voleva dirgli che non era vero, che aveva frainteso, che le era piombato addosso tutto troppo velocemente. Che lei non era così.

Eric non si scomponeva. Non la guardò neanche negli occhi mentre le passava accanto sfiorando il braccio con il suo.

Un attimo dopo non c'era più. Se n'era andato lasciandola con Sean ancora sulla soglia del salotto. Kathrine non aveva la forza né la volontà di girarsi verso di lui e di mostrargli il viso rigato di lacrime che erano scese senza che lei se ne accorgesse affatto:

<< Penso che sia meglio che io tolga il disturbo >>

Fermalo, si disse a se stessa, non permettergli di lasciarti.

Ma si disse anche che non aveva senso. Sean non era Eric. Non le faceva battere forte il cuore, non la faceva sentire protetta, non la faceva arrossire ogni volta che la fissava. Perché, perché non provava le stesse cose con Sean? Lui avrebbe preso un pallottola al posto suo, l'avrebbe adorata, le avrebbe dato il mondo. E non era forse questo ciò che voleva sin da bambina? Un ragazzo carino, dolce e intelligente che le portasse un mazzo di rose senza una ragione precisa? E lei ce l'aveva lì, a pochi passi da lei, un ragazzo che sarebbe potuto diventare il principe azzurro che aveva sempre sognato se solo l'avesse fermato. Ma non lo stava facendo.

<< Queste sarebbero dovute essere per te >> Sentì le rose che venivano adagiate delicatamente a terra.

Non lo fermava perché era stupida. Perché Sean non era Eric. Perché le piaceva la persona sbagliata, il ragazzo egoista, menefreghista e superficiale che era Eric. Quell'Eric che non le avrebbe mai portato dei fiori, che non avrebbe mai avuto il coraggio di dirle qualcosa di dolce, che l'aveva distrutta pochi istanti prima. Eppure ancora si ostinava a rimanergli attaccata, con quella poca forza che le rimaneva, come l'ultimo petalo di un fiore appassito che non vuole staccarsi perché farlo significherebbe morire per sempre:

<< Allora ci vediamo, eh? >>

Lei non lo fermò. In un men che non si dica entrambi la lasciarono da sola con le sue lacrime e con le sue rose strappate.

 

 

 

Per il resto della giornata Eric non si fece vivo. Per la prima volta da quando era arrivata a casa Wood non cercò di evitare il ragazzo, anzi desiderò ardentemente di incontrarlo per casa: stette diverse ore in salotto fingendo di leggere un libro, nell'ora di pranzo si trasferì sulle scale a chiocciola in modo tale da avere una visuale perfetta sulla porta d'ingresso, poi nuovamente in salotto. Tuttavia non si trattò di una giornata completamente sprecata: certo, non finì Guerra e pace né parlò con Jessica o con i suoi, che peraltro sarebbero venuti a prenderla la sera del giorno stesso, ma ebbe occasione di calmarsi e pensare lucidamente a come si sarebbe dovuta comportare con Eric: non glielo avrebbe detto, le possibilità di rischio erano troppo alte e semplicemente non aveva il coraggio di farlo. In compenso, però, decise che glielo avrebbe fatto capire con quei piccoli gesti e attenzioni di ogni giorno: un sorriso, un buffetto sul braccio, un complimento celato dalla timidezza; avrebbe smesso di frequentare Sean, di illuderlo che un giorno tra loro ci sarebbe potuto essere qualcosa di più: inizialmente non credeva che a lui interessasse così tanto la propria compagnia, non aveva pensato che il ragazzo avrebbe voluto passare alla fase successiva, come la chiamava lei. O forse, in fondo, sapeva come sarebbero andate le cose e voleva solamente avere la possibilità di essere corteggiata, di essere riempita di tutte quelle piccole attenzioni che la facevano sentire importante: un messaggio prima di andare a dormire, un apprezzamento sulla sua persona, una carezza appena accennata sul braccio. Anche lei era come tutte le altre ragazze alla fine, aveva concluso: anche se il suo rendimento scolastico era superiore alla media e anche se era più sensibile e sotto alcuni aspetti più matura delle altre era come loro. La sua vanità l'aveva spinta a frequentare Sean perché, per una buona volta, voleva che qualcuno le dimostrasse quanto fosse speciale, che non era un alieno proveniente da chissà quale pianeta, qualche cosa di indefinito e pericoloso: Sean l'aveva fatto, l'aveva fatta sentire felice perché qualcuno si era interessato a lei non per compiti in classe o altro. E non aveva saputo resistere alla sua gentilezza, alle sue maniere così vicine all'idea di perfezione che portava dentro di sé; ma non si era accorta che quella, alla fine, non era la perfezione a cui stava correndo dietro. Se ne era resa conto troppo tardi e aveva fatto soffrire entrambi. Ma avrebbe rimediato, sì, avrebbe detto a Sean come stavano le cose, gli avrebbe chiesto scusa e avrebbe accettato le cose come sarebbero andate. Dopotutto il mondo non era una favola: si era innamorata del ragazzo che non corrispondeva a quelli che erano sempre stati i suoi standard; e certamente la possibile relazione che ne sarebbe potuta derivare sarebbe stata ben lontana da quella che si era sempre immaginata, distante da quel ritratto idilliaco che prima di lasciarsi andare tra le braccia di Morfeo le invadeva la mente. Ma era così, no? Bisognava giungere a compromessi con la realtà perché non si poteva ottenere tutto ciò che si voleva nella vita. Una volta aveva detto che non si sarebbe arresa che avrebbe lottato per la sua libertà; allora non era innamorata di lui, non avrebbe voluto sprecare una singola giornata della sua vita con lui; ora però le cose erano cambiate. Si sarebbe volentieri accontentata di Eric se l'avesse mai sposato e anche se lui non le avesse mai mandato un messaggio prima di andare a dormire, se non le avesse mai detto un apprezzamento sulla sua persona o una carezza appena accennata sul braccio avrebbe sopportato in silenzio perché almeno avrebbe potuto passare la sua vita con la persona che amava anche se non era la persona giusta. E magari, ma questa era solo una remota possibilità, se lui avesse iniziato a provare un qualche sentimento vero e proprio nei suoi confronti, se gli fosse stata a cuore la sua felicità, allora lo avrebbe indirizzato pian piano sulla strada giusta e avrebbe cercato di fargli capire che qualche gesto esplicito di affetto avrebbe potuto renderla ancora più felice.

Si disse che avrebbe fatto così.

Intanto l'attesa si stava facendo sempre più insopportabile, l'ansia che l'aveva presa nel momento stesso in cui Eric aveva lasciato la casa la stava divorando sempre più, rendendola nervosa, impaziente. Ogni volta che sentiva un rumore provenire dalla strada si rizzava velocemente in piedi, lisciandosi più volte i vestiti; una strana sensazione si impadroniva di lei, un senso di angoscia mista a speranza che le scombussolavano lo stomaco. Solo col passare dei secondi la sensazione degenerava, lasciando dietro di sé delusione e abbattimento. Più volte la scena si ripeté nella giornata fino a quando, alle sette di sera, stanca di quella tensione e inquietudine che le turbavano l'anima, si chiuse in camera propria per preparare le valige. Considerò anche quello un errore perché non fece che peggiorare le cose: i vestiti, i poster, le foto, le coppe, tutto le sbatteva con prepotenza in faccia il volto del ragazzo che la guardava con disprezzo. Pregò con tutto il cuore che non fosse tutto andato perduto.

E poi aspettò. Aspettò che lui venisse prima dei genitori, che venisse a salutarla. Visse così quelle ultime ore prima del ritorno di Diane Wood e dei signori Bennet, in attesa che fosse lui a venire da lei, come testimonianza che dopotutto credeva ancora in lei, credeva nel loro rapporto.

Quando i genitori suonarono il campanello e si precipitarono tra le braccia della figlia lui non c'era. Con amarezza Kathrine pensò che lui non era venuto per lei.

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Capitolo 7
*** Inferno e Paradiso ***


Salve a tutti!

Con la festa della liberazione porto anche il capitolo “Inferno e paradiso” così avrete tempo di leggerlo con calma senza scuola/lavoro ad opprimervi.
Siamo alla fine, questo è in pratica il penultimo capitolo, tenetevi forte :)
Niente ringrazio
gasparella e oana_1995 che sono state carinissime a commentare e a tenermi su, spero che questo capitolo riceva altri commenti e recensioni. Mi tira sempre su sapere cosa ne pensate.

Un bacio :)
 

WinterRose



Inferno e Paradiso

 

If my body was on fire

you'd watch me burn down in flames

you said you loved me, you're liar

'cause you never, ever, ever did baby”

(Grenade, Bruno Mars)

 

 

 

 

I giorni successivi Kathrine li passò in casa. I signori Wood, invece, si mostrarono più indaffarati del solito, correndo da una parte all'altra della casa, per quanto questa fosse piccola. La ragazza attribuì quest'insolita frenesia ai giorni di assenza da Fairview, agli affari da sistemare insomma. Per lei, invece, non furono giorni particolarmente produttivi: qualche film strappa lacrime, quantità industriali di cioccolato e lunghe telefonate con Jessica. Lei sosteneva che stava a Kathrine andare a casa Wood e cercare Eric per chiarire o “ rimarrai chiusa in casa per il resto dell'estate, strafogandoti di schifezze e rovinando quell'invidiabile fisico che ti ritrovi”. Ma c'era una percentuale per niente trascurabile- che per Kathrine si aggirava intorno al 60, 70%- secondo cui al biondo non importasse nulla di lei, di come si sentisse. Che per lui fosse stata solamente una bambolina con cui divertirsi?Una bambolina diversa dalle altre, più difficile da ottenere e quindi più interessante? Non lo sapeva.

Ed era proprio quest'incertezza a tenerla asserragliata in casa, senza alcun tipo di reali rapporti umani da tre giorni. E andava sempre peggio: ogni minuto, ogni ora, ogni giorno che passava senza che lui mostrasse un minimo segnale, un qualcosa che le facesse capire che pensava a lei, anche un insulto sarebbe andato bene. Ma quella fase di impasse in cui lui non dava il minimo segno di vita, be', non faceva che rafforzare i propri sospetti, che a lui non interessasse più nulla, o, peggio, che non gli fosse mai interessato nulla alla fin fine. Quell'indifferenza che Eric continuava a portare avanti, a trascinarsi dietro da giorni le faceva credere che tutti i sorrisi, tutti quei piccoli ma non trascurabili segnali che le avevano fatto credere che lui la tenesse in buona considerazione, fossero in realtà una finzione, un inganno e che lei ci fosse caduta in pieno, senza neanche la forza di rendersene conto.

Passò tre giorni in quello stato, crogiolandosi nel suo malumore e nella sua amarezza, senza voler mettere piede fuori di casa, rimuginando sull'accaduto, biasimando Eric per quello che le aveva fatto e le stava facendo, ma soprattutto biasimando se stessa per non avere avuto l'intelligenza e la lucidità di accorgersene.

Il quarto giorno l'ingranaggio della sua vita- quell'ingranaggio che era rimasto immobile per più di tre giorni- iniziò a muoversi, spinto da chissà quale forza naturale.

Erano le quattro del pomeriggio, Kathrine era sdraiata sul letto sfogliando disinteressatamente una vecchia rivista di moda che aveva trovato in una pila di roba da buttare; qualcuno suonò alla porta ma non vi fece caso. Pensò che si trattasse sicuramente di un'amica di famiglia venuta a far visita a sua madre, come spesso capitava, o semplicemente il postino a recapitare una noiosa lettera per suo padre: lasciò, quindi, che ad aprire la porta fosse uno dei suoi genitori.

La voce di sua madre che le urlava di scendere la fece scattare come una molla.

E' lui.

Fu questo il primo pensiero che le attraversò la mente, come una folata d'aria fresca in una torrida mattina estiva.

E' lui, è venuto per me.

Fece per scendere di corsa ma la sua immagine riflessa allo specchio la bloccò di colpo. Non poteva scendere in quello stato, no, non poteva. I capelli erano in disordine- non aveva avuto il tempo né la voglia di passarseli con il phon quella mattina-, sembravano la chioma di un leoncino africano, le labbra troppo pallide e screpolate e occhiaie abbastanza evidenti.

Lucidalabbra, estrema necessità di un lucidalabbra.

Presa da un insolita frenesia iniziò a svuotare l'intero contenuto della sua borsa: portafoglio, fazzoletti, penna, taccuino, elastico... Elastico! Si posizionò davanti allo specchio e velocemente iniziò a raccogliersi i capelli:

<< Kathrine! Sbrigati! >> sua madre sembrava alquanto spazientita.

<< Arrivo, un attimo! >> urlò con l'elastico trai denti.

Quando ebbe finito ritornò alla ricerca del lucidalabbra. Improvvisamente le venne in mente che poteva trovarsi sullo scaffale del suo bagno. Vi si precipitò sperando con tutto il cuore che si trovasse lì; quando vide accanto al lavandino il tubetto rosa sgargiante si rasserenò. Ma fa un attimo. Lo afferrò e corse giù per le scale, mentre cercava di applicarsene un po' sulle labbra senza sbafare. Fece irruzione in salotto con il fiatone, piena di speranza. Ma si fermò sulla soglia quando vide girato di spalle un ragazzo non altissimo e bruno intento ad osservare alcune foto poggiate sul ripiano del camino:

<< Mi dispiace, Bennet, ma non sono chi ti aspettavi >> disse girandosi e aprendosi in un sorriso strafottente:

<< Cosa vuoi, James? >>

La delusione che non fosse Eric, bensì l'amico insopportabile, la fece sprofondare nell'umore più nero. Il ragazzo, da parte sua, sembrava piacevolmente divertito:

<< Come siamo maleducati. Non me l'aspettavo da una come te >> incrociò le braccia al petto guardandola con un sopracciglio alzato.

Kathrine si morse la lingua per non rispondergli a tono, e si limitò ad aspettare una spiegazione di quell'inattesa e anche poco gradita visita con le mani sui fianchi.

James prese allora a passeggiare con lentezza calcolata per la stanza:

<< Non voglio che tu fraintenda, sia chiaro, ma poiché tengo molto a Eric penso che un mio intervento non possa che essere d'aiuto. Quindi... >> e qui si fermò a guardarla direttamente negli occhi << a che gioco stai giocando, cazzo? >>

James sembrava seriamente infastidito mentre le poneva quella domanda poco garbata, ma Kathrine non aveva la minima idea a cosa si stesse riferendo. Non aveva la minima idea di cosa rispondergli:

<< Scusa cosa intendi? >> gli chiese sinceramente con le sopracciglia aggrottate.

Un lampo d'ira guizzò negli occhi del moro:

<< A cosa mi sto riferendo? Mi sto riferendo al fatto che lo hai fatto impazzire e, intanto, te la facevi con quello sfigato di Burke. Predichi bene ma anche tu non è che sia migliore delle altre >> .

Kathrine percepì la stessa nota di disprezzo che avevano accompagnato le ultime parole che il biondo le aveva rivolto giorni addietro. Allo stesso modo non reagì, solo che qui non si trattava dell'emozione o della consapevolezza del proprio errore, no, voleva solo andare più a fondo e far emergere una volta per tutte la verità, facendo leva su quel poco che sapeva del moro:

<< Impazzire? Ma stiamo parlando della stessa persona? >>

Andò volontariamente a stuzzicare quella che era la parte più sensibile di James. Non le era mai piaciuto manipolare le persone, ma in quel caso si trattava di scoprire come stavano veramente le cose: era il proprio istinto di autoconservazione che la spingeva ad osare più del solito, perché sapeva che da quella conversazione sarebbe potuta dipendere la sua felicità.

James fece la sua parte reagendo come previsto:

<< Tu non ti rendi conto, Bennet. L'hai distrutto, cosa pensi? Non è più quello di una volta, ce l'hai portato via >>

Eccola la verità, la vedeva da lontano, come uno spiraglio di luce in una stanza immersa nel buio più profondo. Ancora un poco, si disse, ancora un poco e la luce sarebbe stata alla sua portata:

<< James, seriamente, a Eric non è mai importato nulla di me e mai gli importerà nulla. Siamo troppo diversi >>

La recita continuava ad andare avanti ininterrotta. Il protagonista maschile era perfetto, ogni suo gesto, ogni sua reazione, ogni sua risposta era quella scritta sul copione:

<< Non prendermi per il culo. L'hai visto tu stessa che è cambiato. Non hai idea di come Fred sia in panico >> esclamò indicando fuori dalla finestra << lui è cambiato per te, cosa pensi? Non gli è mai importato nulla? L'hai ridotto uno schifo e hai persino la sfacciataggine di venirmi a dire che a lui non è mai importato mai nulla? >>

James era furioso: espirava dalle narici rumorosamente, come un toro davanti ad un drappello rosso a tal punto che Kathrine si aspettava che da un momento all'altro potesse fuoriuscirvi del fumo. Ma quando sentì l'accusa che James le rivolgeva e cioè che era lei quella insensibile, non riuscì più a recitare: fu lei a mandare a monte la recita, lei che ne era l'artefice:

<< Ah certo >> rise sarcastica << è lui quello che ne è rimasto distrutto, no? James, potrai conoscere bene Eric ma non sai niente di me e questo non ti dà il diritto di parlarmi in questo modo. Secondo te cosa ho fatto questi giorni, eh? Me la sono spassata con Burke? Per tua informazione, Sean non lo sento da lunedì mattina, e ho passato tutto il tempo in casa, certamente non a divertirmi >> non ebbe il coraggio e la modestia di aggiungere “e a disperarmi” << E sai una cosa? Io avrò fatto anche i miei errori, ma se è vero quello che dici tu, che a Eric importa qualcosa di me, be', che abbia almeno le palle da venirmelo a dire in faccia, che venisse a dirmi in faccia di questo tormento terribile che gli strugge il cuore e non mandi uno che parli al posto suo. Dopo tutto quello che mi ha fatto passare in questi anni, dopo come mi ha trattata lunedì, come pensi che possa essere io ad andare da lui, eh? Come? >> urlò con le lacrime agli occhi << tu non sai niente di me, James. Non sai cosa vuol dire credere che sia tutto perduto, non sai cosa vuol dire passare ogni singola ora con l'aspettativa che lui ti cerchi, che dimostri quello per cui sembra tanto arrabbiato e distrutto come dici tu. Da come si sta comportando l'unica deduzione che ne posso ricavare è che a lui non interessi minimamente di me >>

Kathrine si fermò con il fiato corto e rotto dai singhiozzi; le lacrime che ormai le aveva scavato solchi di dolore sul viso continuavano inarrestabili il loro cammino. Ma non per questo smise di guardare fermamente negli occhi il ragazzo che invece si mostrava del tutto indifferente a quel lungo discorso.

Il lungo momento di silenzio che seguì e che parve per Kathrine durare anni fu spezzato da un lungo sospiro di James che le si avvicinò di un passo:

<< Hai ragione, Bennet, non ho la minima idea di come tu ti sia sentita o di come tu ti senta in questo momento. Ma permettimi una cosa: cosa pensi di risolvere con questo tuo nasconderti ed evitarlo? Ti aspetti che sia lui a venire da te? Per quanto possa essere cambiato rimane sempre Eric Wood ed il suo orgoglio è parte profondamente radicata nel suo carattere. Molto probabilmente più del tuo >>.

Detto questo il ragazzo prese il giubbotto abbandonato sul divano del soggiorno, se lo mise in spalla e si infilò un paio di occhiali da sole.

<< Pensaci. Ti dico solamente che comportandoti in questo modo non risolverai nulla >> disse sorpassandola con nonchalance << Ci vediamo >>

Accennò un gesto con la mano e sparì dietro la porta del salotto lasciandola immersa nel mare dei suoi pensieri.

 

L'aria fresca della sera le scorreva veloce e silenziosa sul viso; il rumore sordo delle ballerine sull'asfalto e il suo respiro affannato era l'unico rumore che le ricordava che non stesse sognando. Non sapeva da quanto corresse ormai: cinque, dieci minuti forse? Ma ci era quasi, si disse, mancava poco.

Erano passati due giorni da quando James aveva fatto irruzione in casa sua presentandole le famose accuse, le quali accuse, la stessa Kathrine faticava a crederci, avevano sortito l'effetto desiderato.

Eccome se ci aveva pensato. Non aveva fatto altro. E poi, finalmente, nel tardo pomeriggio di quel giorno era stata graziata dalla luce divina che le aveva infuso la forza e l'arditezza di provare. Aveva indossato le prime cose che aveva trovato a portata di mano ed era uscita di fretta e furia di casa; non aveva con sé nemmeno il cellulare. Ma non le sarebbe servito, non in quel momento, non quando stava andando da lui.

Mentre percorreva a perdifiato le vie di Fairview si sentiva felice, sapeva che mancavano pochi minuti e tutti si sarebbe chiarito, avrebbe iniziato una nuova vita e avrebbe potuto stare con lui, sempre. Al diavolo cosa avrebbe pensato Faith, al diavolo i litigi, le incomprensioni: sarebbe stato tutto perfetto.

Arrivò a casa Wood, attraversò ancora più velocemente se possibile il vialetto che portava all'ingresso e si fermò a pochi centimetri dal portone. Le parve di aver già vissuto quel momento, quando era arrivata quasi due settimane prima con le valige e con l'animo rassegnato.

Suonò decisa al campanello. Aspettò qualche secondo senza sentire alcun movimento provenire dall'interno dell'abitazione.

Ci devono essere.

Il suo sguardo si posò sul tappetino davanti l'ingresso che recava la scritta “Welcome”. Kathrine si lasciò sfuggire un sorriso sincero.

Certo, in paradiso.

Il suo paradiso personale era lì, a separarli solamente una stupida porta di legno.

All'improvviso sentì la porta aprirsi.

Rimase un poco delusa quando le si parò davanti la figura della madre di Eric:

<< Oh ciao Kathrine >> disse salutandola con voce stanca.

Ora che ci faceva caso, la signora Wood non era in ottima forma a giudicare dalle profonde occhiaie che le cerchiavano gli occhi e la postura leggermente gobba. Diane si strinse ancora di più nella vestaglia giallo canarino:

<< Disturbo? >> chiese distratta Kathrine allungando il collo verso l'interno dell'abitazione.

Dov'era Eric?

Diane si affrettò a negare riprendendo un poco quella che era la sua abituale energia e vitalità:

<< Potrei vedere Eric? >>

La donna si adombrò un poco e Kathrine per un attimo temette il peggio. Cosa c'era che non andava? Un'altra abituale e comunissima litigata tra madre e figlio?:

<< Certo, cara, credo sia in salone >> disse sforzandosi di sorridere << io torno sopra in camera, ultimamente non sono stata troppo bene >>.

E con passo strascicato la signora grassottella intraprese la lunga ascesa verso il primo piano.

Ecco il momento tanto agognato, pochi passi e sarebbe stata tra le sue braccia, disse rincuorandosi. Così, con quelle sensazioni che le facevano attorcigliare lo stomaco su se stesso, aprì la porta semichiusa del soggiorno pronta a recitare quella che considerava l'ultima scena di un'opera iniziata anni addietro.

Ed eccolo.

Lui era lì, seduto sul divano, come un dio colto in tutta la sua radiosa e splendente bellezza. Kathrine sentì il cuore perdere un colpo per poi ricominciare a battere impazzito. Era lì a pochi passi da lei, ce l'aveva fatta.

Eric era felice, vedeva quei occhi d'argento ridenti con un che di malizioso.

Ma perché rideva?

Rideva per lei, si disse Kathrine gonfiando il petto di orgoglio. Era contento perché anche lui in quel momento sapeva che tutto sarebbe andato per il meglio, che avrebbero potuto stare insieme.

Ma lo sguardo di Eric non guardava Kathrine.

No.

Kathrine ne seguì perplessa la traiettoria.

Solo in quel momento si accorse della presenza di un'altra persona. Un'altra ragazza. No, non era Faith, né la sorella si Sean, non era una ragazza di Fairview. Una cascata di boccoli bronzei incorniciavano un visino ovale nel quale erano incastonati due occhi verdi abete incorniciati da fitte e lunghe ciglia nere.

Niente in confronto a dei capelli castani in disordine, ad un paio di banali e comuni occhi marroni.

Una bocca a forma di cuore rossa come il sangue in contrasto con il colorito perlato dell'incarnato.

Niente in confronto ad un colorito mortale e a due occhiaie violacee.

In quel preciso momento la ragazza, accortasi della presenza di Kathrine, si alzò dal divano con eleganza avvicinandosi e offrendole la mano, scoprendo una fila perfetta di denti bianchissimi. Una volta che fu in piedi, Kathrine fece attenzione all'abbigliamento della sconosciuta. Una maglietta rosa aderente a giro maniche con un copri spalle color panna, pantaloni bianchi strettissimi, infine dei sandali salmone con un tacco vertiginoso. Un corpo perfetto, slanciato, che si muoveva con sinuosità ed eleganza mentre si dirigeva verso di lei.

Lei invece era lì con un'anonima t-shirt bianca, dei jeans non nuovissimi e delle ballerine raso terra.

Era la ragazza provenuta dal suo inferno privato per abbatterla, quella ragazza che le porgeva la mano l'avrebbe distrutta, pensò all'istante.

Automaticamente strinse la mano alla sconosciuta:

<< Tu devi essere Kathrine >> ipotizzò con voce melodiosa << io sono Jane >>

<< La mia fidanzata >> aggiunse Eric alzandosi.

Le si spezzò il respiro.

Fidanzata.

Kathrine si svegliò improvvisamente dal torpore in cui era caduta, come se presa in pieno da una secchiata d'acqua gelida, come se le avessero conficcato un pugnale nel petto e solo in quel momento si stesse rendendo conto che veniva girato e rigirato aprendole uno squarcio sempre più esteso nel busto.

Fidanzata.

Ci era cascata di nuovo. Un'altra pugnalata. Non era bastata la prima volta quando si era fatta ammaliare dal suo fascino, dal suo apparente interessamento nei suoi confronti. Anche ora che era tornata da lui, che aveva messo da parte il suo orgoglio e i suoi pregiudizi, che era andata da lui inerme, lui l'aveva distrutta con quei pugnali che le martoriavano il corpo.

Fidanzata.

Come una candela la cui fiamma vivace muore vacillando per mancanza d'aria così Kathrine si sentì venir meno sotto lo sguardo intenso del ragazzo che le scrutava l'anima e che la guardava morire senza fare nulla: noncurante del suo dolore conficcava sempre nuovi pugnali con quasi un piacere perverso nel vederla soffrire. Il fiorellino sarebbe appassito con lo stelo strappato, la fiamma si sarebbe spenta priva di ossigeno, se non lui non l'avesse impedito.

Ma la restò a guardare e lei sprofondò nel buio.

 

 

 

C'era chi vedeva il matrimonio come qualcosa di non necessariamente indispensabile, chi lo riteneva un obbligo solo in caso di una gravidanza inaspettata, chi, invece, lo considerava una rovina o semplicemente un foglio di carta dove veniva una volta per tutte ristretta e limitata la propria libertà, chi, ancora, vedeva nella cerimonia religiosa un occasione nella quale sfoggiare un vestito mozzafiato ed essere al centro dell'attenzione per un giorno intero.

Kathrine non la pensava affatto così: per lei il matrimonio era sempre stato e sarebbe sempre stato il coronamento della propria vita affettiva.

Il matrimonio era una responsabilità, perciò pensava che molte persone sopratutto negli ultimi decenni, fossero piuttosto restie allo sposarsi perché ciò implicava una serie di valori ai quali bisogna attenersi: fedeltà, condivisione, fatica e rispetto reciproco.

C'era stato un periodo in cui credeva di essere pronta a tutto questo, pronta a legarsi con un tale vincolo ad Eric perché, soprattutto alla luce delle attenzioni che lui le mostrava, era convinta che per quanto il cuore del ragazzo potesse essere duro e freddo, con dolcezza, calore e un po' di amore avrebbe potuto scioglierlo e farlo suo.

Ora era cambiato tutto perché si era fatta viva una ragazza aristocratica quanto lei ma sicuramente più ricca di lei.

E più bella.

Kathrine era una bella ragazza: glielo avevano sempre detto. La sua era una bellezza candida, come un prato innevato illuminato dai primi raggi di sole. Una bellezza semplice e timida. Ma per quella Jane le cose erano andate ancora meglio: no, non era una di quelle bellezze appariscenti e sfacciate come poteva essere quella di Faith. Era di una bellezza cristallina, lucente e abbagliante. Come una rosa rossa sbocciata nel bel mezzo di un campo pieno di margherite. Una bellezza che acceca gli occhi di chi la guarda, in confronto alla quale anche un prato innevato illuminato dai primi raggi di sole sarebbe sembrato insignificante.

Ora tornava tutto: l'ansia dei suoi genitori, il malumore della signora Wood, il fatto che Eric non si fosse più fatto vivo. Interrogata sua madre, le aveva detto che Anthony Wood, in uno dei gala a cui aveva partecipato recentemente aveva conosciuto i genitori di Jane Fithsher: anche i Fithsher potevano vantare nobili natali proprio come i Bennet, con l'unica differenza che la loro situazione economica era, non certo ai livelli dei Wood, ma comunque più agiata rispetto a quella dei genitori di Kathrine. A tutto ciò andava aggiunto il fatto che Jane avesse appena terminato gli studi liceali, diplomandosi con il massimo dei voti e la lode, e fatta una richiesta di ammissione ad Harvard, era stata subito accolta senza lettere di raccomandazione.

In poche parole bella, intelligente e ricca.

Kathrine si era sempre sentita in qualche modo superiore alle altre ragazze, o per un aspetto o per un altro. Per esempio Faith aveva certamente un seno più grande- enormemente più grande- del suo e dei capelli color miele, ma era superficiale e certamente non perspicace. Ma in questo caso, Kathrine non era superiore in niente alla nuova arrivata. Era lei la vincente. E Kathrine si sarebbe dovuta arrendere una buona volta e farsi da parte, com'era giusto che fosse. Una sorta di selezione naturale, alla fine. Vinceva chi aveva i cromosomi migliori, le carte giuste, e purtroppo in questo caso, lei non li aveva.

Si disse che avrebbe lasciato andare Eric e si sarebbe fatta una vita con qualcun altro, qualcuno che l'apprezzasse per quella che era: per i suoi capelli castani, i suoi grandi occhi cioccolato, il suo poco denaro, il suo orgoglio, la sua eccessiva permalosità e il suo romanticismo portato all'esasperazione. Qualcuno che le dicesse ogni giorno quanto fosse bella, quanto fosse straordinaria*. Qualcuno che le portasse delle rose senza un apparente motivo, che gliele portasse così, perché gli andava.

Ed era sicura che ci fosse qualcuno disposto a farlo, Sean ne era un esempio.

Così quando era arrivato l'invito per il gala in onore del fidanzamento di Eric e Jane, l'aveva accettato senza alcuna dimostrazione esplicita di dolore, con una finta indifferenza che lasciò molto perplessi i signori Bennet i quali, invece, erano alquanto angustiati dalla piega che avevano preso gli ultimi avvenimenti.

Stavolta, però, era sicura che quello sarebbe stato davvero l'ultimo atto da recitare, con il quale sarebbe uscita di scena con dignità e pudore una volta per tutte.

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Capitolo 8
*** Il tassello mancante ***


Ragazze, eccoci all'ultimo capitolo!
Lo so la storia non è stata poi così lunga, ma l'avevo pensata così e modificarla penso che avrebbe peggiorato le cose. Comunque per farvi contente ho scritto un epilogo, che costituirebbe la conclusione vera e propria della storia. Lo posterò ma non subito credo :) Quindi ringrazio ancora una volta coloro che hanno commentato o hanno messo la mia storia tra le preferite e vi lascio alla lettura.

Un bacio a tutte

WinterRose <3

p.s. Dato che è l'ultimo capitolo, mi fate un regalino e commentate in tante? Vi pregoooo (occhioni dolci e imploranti)





Il tassello mancante

 

 

 

 

You won’t find him drinking at the tables
Rolling dice and staying out until three
You won’t ever find him being unfaithful
You will find him, you’ll find him next to me

You won’t find him trying to chase the devil
For money, fame, for power, out of grief
You won’t ever find him where the rest go
You will find him, you’ll find him next to me

 

When the skies are grey and all the doors are closing
And the rising pressure makes it hard to breathe
Well, all I need is a hand to stop the tears from falling
I will find him, will find him next to me”

(Next to me, Emeli Sandè)

 

 

 

 

Prima di scendere le scale Kathrine indugiò ancora qualche minuto sulla propria immagine riflessa allo specchio. Il vestito lungo e nero a sirena era un regalo di sua nonna Elizabeth: senza spalline, il corpetto stretto le fasciava il corpo fino ai fianchi per poi seguire in modo più morbido le linee delle gambe e allargarsi infine all'altezza delle caviglie. Una collana di perle e dei guanti lunghi, sempre neri, come accessori. I capelli -resi più mossi del solito da bigodini che aveva portato tutto il giorno- li aveva preferiti tenere su, in una acconciatura che lasciasse scoperte le spalle e il collo. Trucco leggero, forse un po' più marcato sugli occhi ma nel complesso armonioso e non esagerato. Si disse che era perfetta per un addio: elegante, bella, ma non centrale. La stella splendente quella serata doveva essere Jane ed era giusto che fosse così.

Dopotutto è il suo fidanzamento, non il tuo, le suggerì una vocina nella testa.

Con un sospiro si avviò giù per le scale, attenta a non cadere e rovinare quello che sarebbe dovuto essere l'episodio finale di tutti quegli anni di gioventù.

 

 

 

Arrivarono tardi al ricevimento. Erano rimasti bloccati nel traffico per una ventina di minuti e non erano riusciti a trovare il luogo dove si sarebbe tenuto l'evento al primo colpo, sbagliando più di una volta strada.

Una volta davanti all'ingresso, aveva lasciato entrare per primi i suoi genitori. Prese un profondo respiro prima di attraversare la soglia.

Entrò.

Subito un guardarobiere le prese la pochette e la stola nera che teneva intorno alle spalle.

La sala era in stile classico, grandi lampadari in cristallo pendevano dal soffitto illuminandola per intero. I colori prevalenti erano l'avorio, il beige e l'oro, ovviamente. Su un piedistallo a parte sedevano alcuni musicisti in smoking che stavano accordando gli strumenti in vista delle danze: tre violini, due viole, due violoncelli, un contrabbasso e un pianoforte. Dell'aria fresca proveniva da un enorme terrazzo che si affacciava su un giardino sul retro.

Si concentrò sugli invitati: a occhio e croce Kathrine pensò che vi fossero almeno qualche centinaia di persone, tutte appartenenti alla creme della creme, all'elite di tutta la popolazione nord orientale americana.

Cercò con lo sguardo Eric. Non ci mise molto a trovarlo.

Era al centro della sala, circondato da alcune giovani donne. Porgeva il braccio a una ragazza che Kathrine si rifiutò di guardare: sapeva già di chi si trattasse. Lo sguardo di Eric, però, aveva oltrepassato la corte di tutte quelle belle donne e si era soffermato su di lei, da chissà quanto tempo.

Quando Kathrine incrociò il suo sguardo ebbe un impercettibile sussulto: sembrò che tutto intorno a loro si fosse fermato per un istante, che per un momento fossero esistiti solo loro, lui in smoking nero, perfetto come sempre, con i suoi occhi argentei che le perforavano l'anima, e lei come una gazza ferita che però ancora non riesce a rinunciare alla tentazione della lucentezza e splendore delle pietre preziose. Dopo qualche tempo -secondi, minuti forse?- lui le accennò un breve inchino ma lei non ricambiò il saluto: si diresse a passo spedito verso il banco su cui servivano le bevande:

<< Un analcolico, per favore >> disse concentrandosi sulle pieghe dei suoi guanti di seta.

<< Ne è sicura? >> le chiese il cameriere.

Kathrine alzò lo sguardo verso il giovanotto che le poneva la domanda.

<< Si, perché? >>

Aveva forse detto qualcosa di ambiguo? Compromettente? Un gioco di parole forse?

Il cameriere scosse la testa limitandosi a versare in un bicchiere di cristallo un liquido giallognolo. Glielo porse:

<< Sembrerebbe, dalla sua faccia, che un po' di alcool, signorina, non le farebbe che bene >> sussurrò ammiccandole.

Kathrine impallidì ancora di più portandosi una mano sul viso. Si allontanò dal banco con il bicchiere in mano, senza alcuna intenzione di berne il contenuto. Cercò allora di raggiungere i suoi genitori ma all'improvviso i musicisti smisero di accordare gli strumenti.

L'ora delle danze era scoccata.

Automaticamente gli invitati si disposero in cerchio, lasciando che il centro della sala fosse libero. Uno, due secondi di silenzio. Poi dalla folla emersero i due fidanzati, come una coppia di colombe. In quel momento Kathrine volse l'attenzione a lei per la prima volta in quella serata. Sapeva che farlo le avrebbe dato il colpo finale, ma in quel momento non poteva fare diversamente. Un vestito verde come i suoi occhi, stretto all'altezza del busto che poi scendeva morbido, allargandosi verso le gambe; all'altezza dei fianchi un fascia dorata che continuava incrociandosi sul petto. Una collana d'oro e di smeraldi, come i suoi occhi.

Kathrine al suo posto non avrebbe fatto la stessa figura. Con un vestito nero, nero come i suoi occhi, sarebbe stata banale, non avrebbe catturato l'attenzione di nessuno.

Dopotutto è il suo fidanzamento, non il tuo.

Le prime note dei violini vibrarono nell'aria addolcendosi con l'entrata delle viole.
Eric fece un inchino per poi posare dolcemente la mano destra sul fianco di Jane. Quella stessa mano che si era soffermata leggera come una piuma sulla sua fronte, quella stessa mano che l'aveva afferrata quando lei se ne stava per andare lasciandolo da solo in un pomeriggio piovoso, quella mano che si era posata sul suo di fianco.

E poi iniziarono a ballare leggeri, l'uno vicino all'altra come due foglie che volteggiano nell'aria disegnando cerchi concentrici, ora incrociando ora allontanando le proprie orbite ma come se fossero sempre legate da un filo invisibile che non permetteva loro di non allontanarsi mai troppo l'uno dall'altra.

Gli occhi di Kathrine iniziarono ad addensarsi di lacrime. Si disse di aver visto abbastanza.

Cercò di allontanarsi da lì il prima possibile, prima che le lacrime iniziassero a sgorgare e a rivelare la sua debolezza. Si fece spazio tra la folla, tentando di non attirare troppo l'attenzione. Ma che stava dicendo? Lei non avrebbe mai attirato l'attenzione se nella stessa sala c'era l'altra. Tutti ipnotizzati dai loro movimenti, di Eric e di Jane, nessuno che si accorgeva di quanto Kathrine si stese facendo largo spintonando gli invitati e di quanto soffrisse.

Quando fu libera e potette respirare profondamente, si guardò intorno alla ricerca di un riparo. Il terrazzo.

Mentre vi si dirigeva a passi veloci si ricordò del bicchiere che portava in mano. Alcool.

Dicevano che tirasse sul il morale e facesse sentire bene e lei aveva il morale a terra e non si sentiva uno schifo. Guardò decisa il contenuto del bicchiere per qualche secondo per poi ingoiare un'abbondante sorsata di quella sostanza misteriosa. Ma si pentì subito di averlo fatto. Il sapore intenso dell'alcool le invase la bocca per poi scendere come una cascata di fuoco giù per la gola, incendiandole tutto il corpo. Si sentì andare in fiamme.

Ma cosa le aveva dato quel cameriere?

In breve uscì all'aria aperta. L'aria fresca sulla pelle le concesse qualche attimo di sollievo: abbandonò il bicchiere sul parapetto del terrazzo appoggiandosi ad esso e rivolgendo lo sguardo alla fontana in pietra che dominava il giardino sottostante.

Adesso, almeno, aveva una scusa per essere uscita fuori: non si era sentita bene.

Suo padre, con il quale tuttavia non parlava moltissimo, le aveva sempre detto di cercare il lato positivo in ogni situazione. Si chiese in quella situazione, con Eric che teneva fra le braccia un'altra, quale fosse il lato positivo. Magari stare con lui, a lungo andare, l'avrebbe fatta sentire peggio. Magari il destino stava cercando di regalarle un futuro migliore. Non lo sapeva. L'unica cosa di cui era certa e partecipe in quel momento era che faceva troppo male e che non c'erano anestetici da prendere. Doveva sopportarlo e basta. Ma quanto sarebbe durato? Una settimana, un mese, un anno?

Chissà se Jessica l'aveva previsto tutto questo, lei che era quella da “te l'avevo detto”. Non ci aveva parlato da quel famoso pomeriggio e aveva rifiutato tutte le chiamate che le aveva mandato in quei giorni: non aveva voglia di sentirsi dire come si sarebbe dovuta comportare e di come le cose sarebbero potute andare diversamente, perché sottolineava il fatto che, anche se in minor parte, era anche colpa sua e che un suo comportamento diverso avrebbe potuto cambiare le cose. Ma ormai ciò che era stato fatto era stato fatto e non si poteva tornare indietro:

<< Sai Bennet, ti preferivo con i capelli naturali >> una voce conosciuta le arrivò da dietro le spalle << lisci, intendo >>.

Si girò lentamente, pronta ad affrontare il nemico che si trovava a qualche metro da lei. Che ci faceva lui, lì? Non gli bastava la vincita che si era presa su di lei, non gli bastava averla fatta soffrire per giorni e procurargli quelle ferite, ma doveva anche assistere alla sua disfatta definitiva?:

<< Non li ho fatti così certamente per te >>

Eric ridacchiò:

<< Che c'è, siamo di cattivo umore? >>

Ecco, ora si prendeva anche gioco di lei. No, non l'avrebbe tollerato:

<< Eric cosa vuoi? >>

<< Oh niente, sai com'è, è la mia festa di fidanzamento e non mi hai fatto nemmeno gli auguri >> disse rivolgendole un sorriso sardonico.

Le ferite di qualche giorno prima iniziarono a bruciare sempre più forte, riaprendo e stuzzicando lo squarcio nel petto che sembrava essere migliorato, anche se di poco, nei giorni precedenti:

<< Auguri >> rispose fredda celando il fuoco che le divampava dentro.

<< Un po' più di brio e sarebbe potuto sembrare credibile >>

<< Eric, vattene. Non mi sento bene >>

<< Oh, allora aspetta vado a chiamare qualcuno che ti misuri la pressione >>

Fece segno di tornare indietro:

<< Eric >> l'ammonì Kathrine.

<< Non fare la stupida, se ti senti male hai bisogno di un medico >> disse ironico mentre faceva per tornare dentro. La ragazza perse la pazienza:

<< Ma perché fai così? Perché fai finta di non capire? >> il ragazzo si fermò e tornò sui suoi passi <>

Kathrine capì che aveva rotto il ghiaccio dell'indifferenza di Eric quando lui le si avvicinò a grandi falcate, arrivandole così vicino da oscurarle la vista con tutto il suo corpo:

<< No, non mi basta >>

Quelle parole sussurrate riaccesero in lei la speranza che iniziò a divampare come un fuoco: non un fuoco di imbarazzo, dolore e sofferenza, no. Un fuoco che risana, purifica, un fuoco che non brucia.

Si piegò verso di lei lentamente, non lasciando la presa sui suoi occhi un momento solo. Quegli occhi grigi che bruciavano nei suoi, che la stavano rassicurando nello stesso momento in cui la consumavano.

Ma il ricordo di un altro paio di occhi, un paio di occhi verdi, le rammentarono che lui non era suo, che quell'attimo di beatitudine sarebbe presto svanito, lasciando posto alla disperazione. Era giusto comprare qualche secondo di felicità per un'altra pugnalata al cuore? Cercò di spingerlo via, interrompendo il contatto visivo con gli occhi sleali e ingannatori di lui:

<< Eric, no, non possiamo. Tu sei fidanzato, io... >>

Non riuscirei a sopportarlo.

<< Kathrine, >> quella parolina magica ebbe il potere di aprirle nuovamente gli occhi << sta' zitta >>

La ragazza si arrese con un sospiro mentre una mani del giovane le sfiorò il viso, l'altra le cinse con fermezza la vita e le labbra di Eric si posarono dolcemente sulle sue.

Kathrine non sapeva come sarebbero andate le cose a quel punto, anzi era talmente confusa da non capire cosa fosse successo e perché fosse successo. Non sapeva se Eric si fosse ricreduto e volesse veramente stare con lei, o se voleva semplicemente portare a termine quello che aveva cominciato quella domenica pomeriggio scomparendo definitamente dalla sua vita, o forse lei stessa si sarebbe accorta che lui non era quello giusto alla fine e sarebbe stata lei ad andarsene.

Non lo sapeva.

Per la prima volta Kathrine Bennet si sentì completamente ignorante riguardo a qualcosa, ma capì che quel momento, quel bacio, nella sua semplicità, tenerezza e aspettativa, era il suo personale tassello mancante.

 

 

 

 

 

FINE

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Capitolo 9
*** Epilogo- La distanza di un bacio ***


Ciao ragazze/i! :D

Dopo tanto ma tanto tempo- e mi scuso per questo, perdonatemi- posto l'epilogo della storia. Be' spero che nel complesso questo mio racconto vi sia piaciuto, ho fatto del mio meglio per renderlo “leggibile” :) ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito finora, che hanno commentato o semplicemente hanno letto.
Se il mio stile e l'impostazione della mia storia vi piace e sareste interessate a un'altra storia scritta da me fatemelo sapere, vedrò di pubblicarne un'altra (dopo averla scritta ovviamente xD).
Ora vi lascio all'epilogo (la canzone è a thousand years di Christina Perri, la adoro!)
Commentate in tanti dato che si tratta dell'ultimissimo capitolo, mi fareste davvero piacere!

A presto, un bacione!
<3

WinterRose

p.s. Se qualcuna di voi vuole aggiungermi su facebook mi mandi il proprio nome in un messaggio privato :D





 

La distanza di un bacio

 


 

The day we met

frozen, I held my breath

right from the start

knew that I found a home

for my heart,

Beats fast

Colors and promises

How to be brave

How can I love when I'm afraid

To fall

But watching you stand alone

All of my doubt

Suddenly goes away somehow

 

One step closer

 

I have died everyday

waiting for you

Darlin' don't be afraid

I have loved you for a

Thousand years

I'll love you for a

Thousand more

 

 

 

5 Novembre 2006

 

La mia mamma si chiama Kathrine Bennet.

E' la mamma più buona e più bella che esista nel New Jersey, molto probabilmente in tutti gli Stati Uniti e forse in tutto il mondo. Anche papà lo dice. Anzi non lo dice quasi mai, ma glielo si legge negli occhi quando la guarda. Quando rispondo male alla mamma e lei si arrabbia, papà diventa furioso: alla fine finisce sempre che è la mamma a difendermi di fronte all'ira di papà. Lui allora mi guarda malissimo e se ne va sbattendo la porta. Ma la mamma mi dice sempre che lui è fatto così e che quando erano giovani era ancora più scontroso. Le chiedo perchè sia cambiato e lei si limita a sorridermi dolcemente senza però aprire bocca. Poi mi invita a fare pace con papà: vado nel suo studio e lo trovo di spalle mentre guarda fuori dalla finestra. Allora mi avvicino e gli chiedo scusa; lui si piega sulle ginocchia per arrivare alla mia altezza – papà è davvero altissimo- e guardandomi dritto negli occhi mi dice di non trattare più così la mamma. Io annuisco e lui mi abbraccia dandomi un bacio sulla fronte. Di solito funziona così. Ogni tanto però anche loro litigano, soprattutto quando vengono a fare visita alla mamma degli amici maschi. Ce n'è uno che viene abbastanza spesso, con i capelli marroni e gli occhi scuri di cui però non mi ricordo il nome. Quando l'ho chiesto a papà, si è subito incupito e ha detto che è uno che ci ha provato con la mamma qualche anno fa, prima che si sposassero. Non so cosa voglia dire “provarci con qualcuno” ma sembra qualcosa di molto brutto da come si rabbuia papà ogni volta. Quando il signore amico della mamma se ne va, papà dice qualcosa di sarcastigo- si dice così vero?- e la mamma si innervosisce e iniziano a discutere. Poi dopo un po' che litigano lei fa la faccia dolce e gli dice qualcosa di sdolcinato che non ho intenzione di scrivere e papà le si avvicina tantissimo guardandola fisso negli occhi: se nella stanza ci sono anch'io spesso papà mi dice di andare a giocare da un'altra parte. Non ho mai capito il perchè onestamente. L'unica amica di mamma con cui papà non litiga è Jessica anche se non viene tanto spesso: la mamma dice che è perchè vive lontano. Papà invece ha due amici maschi, Fred e James. Fred va abbastanza d'accordo con la mamma anche perchè lei gli spiega molto spesso delle cose su un esame di spicologia che Fred deve passare. Papà mi ha detto che è la quinta volta che prova a prendere un bel voto in quell'esame, e sinceramente non capisco perchè voglia fare per forza lo spicologo. James e la mamma si lanciano spesso delle frecciatine, ma secondo me alla fine si vogliono bene. Ah, poi ogni tanto la mamma menziona una certa Jane, ma quando lo fa è sempre triste. Non so chi sia, non l'ho mai vista, ma papà ogni volta che la mamma tira fuori l'argomento le dice di non aver mai fatto in vita sua una scelta più giusta. Sicuramente non si tratta della scelta della mia baby-sitter che è inquietante. Si chiama Victoria, credo, ma mamma e papà la chiamano sempre Vicky e dicono di conoscerla da un po' di tempo. Secondo me non può avere più di 20 anni, però sembra un fantasma. Ha la pelle bianchissima e i capelli scuri e due occhi azzurri che brrrr... non voglio neanche pensarci.

 

 

Kathrine appoggiò il diario che fino ad allora aveva tenuto tra le mani sul tavolo della cucina, là dove l'aveva trovato. Sapeva che non era giusto leggere il diario di qualcun altro: anche lei quando era bambina non sopportava che i suoi genitori si impicciassero nei suoi affari. Forse adesso però aveva capito perchè si ostinassero a consultare il suo diario: semplice e ingenua curiosità di vedere le cose da un altro punto di vista? Ma non un punto di vista qualsiasi, il punto di vista del suo bambino. Quel bambino per cui aveva lottato, che era stato dentro di lei per nove mesi. Un bambino che era parte di lei e parte dell'uomo che amava, l'uomo della sua vita. Forse era il desiderio di voler vedere la medesima felicità che lei stessa aveva irradiato anche nel suo piccolo, voleva la conferma che anche lui provasse la gioia che aveva fatto parte della propria nuova vita. Voleva scoprire il suo mondo, voleva sapere di più su di lui, perchè quello che le diceva non sembrava mai abbastanza.

Fuori dalla finestra iniziarono a cadere lentamente candidi fiocchi di neve.

Era la prima nevicata di quell'anno, ma a Fairview la neve in generale non era una novità.

Le cose in quegli ultimi 15 anni erano cambiate.

I suoi tratti somatici erano leggermente mutati così come il suo carattere, temprato dalle delusioni più dolorose e dai momenti di euforia più abbagliante.

Era diventata più silenziosa, più dolce, se possibile, più comprensiva e paziente.

Era diventata più gelosa e, a volte, l'insicurezza sembrava sopraffarla; e nei momenti in cui non era così, la bestia era sempre dietro l'angolo, pronta a prendere il sopravvento.

Era diventata una donna.

E poi c'era Lui. Lui che all'inizio aveva tanto odiato, lui che non le aveva donato altro se non sofferenza, lui che aveva preso in mano il suo cuore e l'aveva stritolato.

Lui che alla fine l'aveva scelta, lui che in un giorno d'autunno le si era inginocchiato davanti e le aveva chiesto di sposarlo, lui che l'aveva aspettava all'altare serio e con uno sguardo indecifrabile ma che non aveva mai allontanato gli occhi dai suoi, lui che l'amava e che le aveva dato il bambino più bello del mondo. Quando guardava Dereck ogni volta era un colpo al cuore: aveva gli stessi occhi del padre: grigi e freddi come il ghiaccio. Quegli occhi che l'avevano ipnotizzata e che l'avevano resa inerme di fronte a lui.

L'orologio a pendolo della sala da pranzo scoccò le 11.

Si disse che era stanca. Il suo sguardo si posò sui biscotti da poco sfornati che erano ancora disposti in file ordinate sulla teglia. L'aspetto non era particolarmente gradevole: non erano perfettamente tondi, anzi, i contorni erano piuttosto irregolari; le gocce di cioccolato erano mal distribuite e alcune si erano sciolte direttamente sulla teglia; senza contare che la pasta aveva assunto uno strano colore beige e sembrava molto secca.

Kathrine emise un sospiro rassegnato e si disse che li avrebbe buttati il giorno successivo.

Spense la luce e si trascinò su per le scale lentamente, appoggiandosi al corrimano.

Nella casa regnava il silenzio; Dereck dormiva e lui non c'era. Era quel profondo silenzio a ricordarglielo .Non c'era la televisione accesa, non c'era il rumore dei tasti del computer che vengono premuti con leggerezza, non c'era lui. Non c'era niente.

Le lacrime le salirono agli occhi proprio mentre entrava nella loro camera e nella penombra distingueva il letto matrimoniale fatto alla perfezione, quel letto che da un po' di tempo era troppo grande per lei sola. Il fruscio degli abiti che cadevano a terra sostituì per qualche secondo il silenzio. Ma fu questione di poco, perchè quando si infilò sotto le coperte fredde il nulla tornò e non se ne volle andare. Kathrine non sapeva per quanto ancora avrebbe fatto parte della sua vita.

 

 

Qualcosa di caldo le sfiorò la fronte.

Stava sognando, non doveva aprire gli occhi o altrimenti ci avrebbe messo chissà quanto altro tempo ad addormentarsi. L'immensità vuota del letto gliel'avrebbe impedito.

Inspirò profondamente per rilassarsi e continuare a dormire.

Ma poi eccolo; eccolo come un miraggio inconsistente nel deserto, eccolo come il profumo di fiori dopo un lungo inverno, eccolo come l'acqua dal cielo che s'infrange sul terreno arido della savana bruciata ed eccolo come il sapore del sole sulla bianca pelle.

Menta, tabacco e qualcos'altro.

Quell'odore le inondò i sensi e li annullò del tutto. Sentiva solamente quel profumo ed era così vicino, era ovunque.

Menta, tabacco e qualcos'altro.

Il corpo si irrigidì. Non era possibile, si disse, era sicuramente uno scherzo della propria immaginazione, gliene aveva giocati troppi negli ultimi tempi. Se avesse aperto gli occhi sarebbe svanito tutto e il dolore sarebbe stato ancora più forte: ancora una volta il fallimento del proprio pseudo-istinto di autoconservazione.

A quel punto l'odore si fece piano piano meno intenso lasciando dietro di sé una scia appena riconoscibile.

Come non detto, si disse voltandosi scontenta dall'altra parte del letto.

Il tempo passò lentamente e i sensi gradualmente tornarono a funzionare a dovere: fu in quel momento che riuscì a percepire, nonostante avesse le palpebre chiuse, la luce del bagno accesa.

Kathrine non aveva lasciato accesa la luce del bagno. Quando era tornata in camera era tutto spento.

Si alzò leggermente appoggiandosi su un gomito.

Una figura, i cui tratti riusciva appena a distinguere grazie alla luce che, in realtà, doveva essere spenta, stava seduta ai piedi del letto dandole le spalle.

La vide togliersi la camicia bianca, lasciando intravedere la pelle nuda.

Le si mozzò il respiro.

Conosceva quelle spalle, conosceva quelle braccia, conosceva quella linea del collo e conosceva quei capelli biondi.

Eric.

Il suo cuore prese il volo in un battito d'ali e il primo istinto fu quello di saltargli al collo. Stringerlo tra le braccia e non lasciarlo andare più.

<< Sei tornato >> la voce che le uscì era appena un sussurro.

L'uomo si voltò lentamente e quando incontrò lo sguardo di Kathrine disse:

<< Ti ho svegliato, non volevo >>

Le si avvicinò silenziosamente e non appena le fu accanto le appoggiò delicatamente una mano sul viso.

Era abbastanza vicino da poter percepire nuovamente il suo odore come prima.

Kathrine si tirò su a sedere, tenendo la propria mano sopra quella di Eric che nel frattempo aveva preso ad accarezzarle leggermente lo zigomo. Il cuore le si strinse quasi con dolore quando incontrò quegli occhi grigi che non vedeva da più di tre mesi:

<< Non dovevi...? >>

<< Sono riuscito ad anticipare >>

Secco.

Tagliare corto, andare dritto al punto era una degli elementi che caratterizzavano Eric. Lo aveva imparato nel corso degli anni.

Ti amo e sei mia, quindi sposami”

Questa era stata la frase con cui aveva esordito quel giorno e che doveva essere una proposta di matrimonio. Non era quella che aveva sempre sognato ma non ci aveva fatto caso: semplicemente gli si era buttata addosso e gli aveva fatto perdere l'equilibrio; lui si era trovato steso sul pavimento e lei sopra di lui non smetteva di ridere e piangere contemporaneamente.

Kathrine spostò lo sguardo sul copriletto avorio. Sapeva cosa significava quello. Significava che se ne sarebbe dovuto andare di nuovo, e presto. Tutto ad un tratto la forza dell'emozione che l'aveva presa di petto facendola librare in un primo momento la fece cadere al suolo lasciando il posto alla sofferenza che cresceva esponenzialmente.

<< Kathrine >> le disse con cipiglio severo per catturare nuovamente la sua attenzione.

Lei non alzò volutamente lo sguardo. Si conosceva bene abbastanza per essere sicura del fatto che se l'avesse fatto sarebbe scoppiata in lacrime. E non poteva. Doveva essere forte, doveva comportarsi da donna, non era più una bambina. Sapeva che avrebbe dovuto fare i conti con tutto questo fin da quando Eric era all'ultimo anno del college. Ma che poteva fare del resto? Mandare tutto all'aria, calpestare il loro amore solamente perchè...

<< Kathrine >> ripetè con un sospiro << non vi lascerò più >>

Smise di respirare alle parole del marito:

<< Come...?>>

<< Mi hanno offerto un posto fisso. Ci trasferiamo in Belgio. Mi hanno dato un appartamento nel centro di Bruxelles di 250 metri quadri. Non molto lontano da una scuola internazionale, per Dereck >>

Kathrine spostò finalmente lo sguardo su di Eric.

Lo trovò che la fissava con quello sguardo penetrante con cui cercava di sondare la sua mente attraverso gli occhi. Cercava una risposta.

Una tempesta di parole, sentimenti che si affollava nella mente di lei e non le permettevano di articolare una frase di senso compiuto la costrinse ad aspettare. E in quell'attesa vide lo sguardo di Eric cambiare, lo vide indurirsi e vide erigersi nuovamente il muro con il quale tanto tempo prima aveva cercato di chiuderla fuori. Gli occhi da mercurio fluido divennero di freddo ghiaccio e la mandibola si serrò sulla mascella:

<< Se sei d'accordo, ovviamente >> le disse con tono glaciale.

Uno specchio di pura gioia le si infranse nel cuore che per un momento le sembrò implodere per poi tornare a battere radioso, come da tempo non faceva. Finalmente sarebbero stati insieme, come una vera famiglia: niente partenze, niente chiamate alle due di notte per il fuso orario, niente notti solitarie e fredde, niente pianti, niente sospiri silenziosi, niente bugie celate da un sorriso.

Eric si alzò dal materasso dandole nuovamente le spalle.

Riprese la propria camicia che era stata lasciata ai piedi del letto e se la infilò senza allacciarla ancora.

Kathrine capì di aver aspettato troppo tempo e anche lei alzandosi, abbandonò il tepore delle lenzuola. Il marito era ancora lì, immobile. Gli si avvicinò lentamente fino a quando non sentì la propria pelle sfiorare la sua camicia:

<< Eric, guardami >>

Decisa, ma con dolcezza.

Quando vide che l'uomo non accennava a girarsi gli sfiorò l'avambraccio con una carezza.

Con la velocità di un lampo Eric si girò, le strinse il polso e glielo portò all'altezza del viso, infossando i propri occhi in quelli di lei. Kathrine vi lesse risentimento celato dalla maschera di rabbia che Eric le stava volutamente mostrando. Era più forte di lui fare così: l'ira rappresentava la maschera che nascondeva la propria debolezza e la propria sofferenza. Ma lei era sua moglie e conosceva ogni centimetro della sua pelle e tutte le sfaccettature del suo cuore perfetto. E sapeva quello che doveva fare.

Non ci pensò due volte: gli poggiò delicatamente la mano libera sul petto e con gli occhi chiusi si alzò in punta di piedi per raggiungere il viso dell'uomo.

Non appena sentì le proprie labbra incontrare quelle di Eric un brivido le percorse la schiena dorsale. Sebbene non lo vedesse da tanto, non lo baciasse da tanto ricordò tutto improvvisamente e vividamente, tutto quello che poco a poco, con la lontananza e il passare del tempo, era andato a sbiadirsi. Ricordò la consistenza delle sua labbra e il loro sapore; ricordò la sua stretta sul proprio fianco e i suoi capelli tra le dita; ricordò le sue braccia forti che la stringevano; ricordò il soffio del suo respiro sul proprio corpo; ricordò la sensazione inebriante della propria pelle scoperta che baciava la sua e ricordò il calore emanato dal suo corpo che l'avvolgeva e la faceva bruciare.

Eric dischiuse le labbra con un sospiro e ricambiò il bacio carezzandole la vita. Lei si sentì presa dall'esaltazione della vittoria e gli passò una mano sul collo, coraggiosa: automaticamente la presa dell'uomo si fece più salda e la mano che prima le teneva il polso si posizionò sulla nuca di Kathrine.

Quando le mancò il respiro abbandonò la sua bocca e si allontanò leggermente per poterlo guardare negli occhi; lui ricambiò lo sguardo in silenzio:

<< Eric >> esordì guardandosi i piedi << insieme a Dereck sei tutto quello che ho. Ti amo e ti ho sempre amato fin da quando quel pomeriggio mi chiamasti per nome e mi dicesti che ti piaceva l'opera. In questi mesi durante i quali non c'eri non... riuscivo mai ad essere completamente felice: ti eri portato via una parte di me. Come potrei continuare a vivere senza?>>

Si fece forza e riuscì a riportare lo sguardo nel suo:

<< Come potrei continuare a vivere senza di te? >>

Abbassò il volto inspirando profondamente, ma non si trattò neanche di pochi secondi. La mano forte di lui le prese il mento, le alzò il viso e la baciò, cogliendola inizialmente di sorpresa.

Eric.

Da quanto tempo aveva sognato quel momento e da quanto tempo temeva non sarebbe mai arrivato.

Eric.

Tutto sarebbe andato bene, si sarebbero amati fino alla fine dei loro giorni.

Eric.

Gli avrebbe dedicato ogni singolo istante della propria vita, ogni singolo giorno gli avrebbe dimostrato tutto il suo amore.

Eric.

C'era solo lui ora. Nell'aria, nel cuore, nei suoi rapidi respiri presi tra un bacio e l'altro. E c'erano le lacrime di lei che calde scorrevano fino al mento e alle labbra dove bagnavano le labbra di lui.

Eric.

Eric.

Eric.

Silenziosa, la sua camicia cadde a terra.

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