Brighter than sunshine

di Claire Coen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Welcome to my life ***
Capitolo 2: *** Here is the hell ***
Capitolo 3: *** From the moment I met you everything changed ***
Capitolo 4: *** Tell me this is real, spare what you think and tell me a lie ***
Capitolo 5: *** Allow the passage of time makes everything a lot more clear. Just words. ***
Capitolo 6: *** Tell me you don’t want my kiss that you need your distance ***
Capitolo 7: *** I’ll be here by your side no more fiers no more crying ***
Capitolo 8: *** We’re making all the same mistakes ***
Capitolo 9: *** Thank you for showing me who you are underneath ***
Capitolo 10: *** You make my heart race ***
Capitolo 11: *** I’m broken, do you hear me? ***
Capitolo 12: *** Chasing the sun ***
Capitolo 13: *** Yes I would die for you baby, but you won’t do the same ***
Capitolo 14: *** I should’ve kissed you ***
Capitolo 15: *** Never mind I’ll find someone like you ***
Capitolo 16: *** When I see your face, everything changed ***
Capitolo 17: *** I could been a princess, you’d be a king but you let me go ***
Capitolo 18: *** I’m falling from cloud 9 ***
Capitolo 19: *** Close your eyes, open your mind ***
Capitolo 20: *** Crashing from the high ***
Capitolo 21: *** Do all things with love ***
Capitolo 22: *** I wanna be free, free like the sun ***
Capitolo 23: *** What doesn’t kill you makes you stronger ***
Capitolo 24: *** You’re exactly what I need ***
Capitolo 25: *** Don’t judge my choices without understanding my reasons ***
Capitolo 26: *** Abracadabra ***
Capitolo 27: *** The best time of my life ***
Capitolo 28: *** One way or another (parte I) ***
Capitolo 29: *** One way or another (parte II) ***



Capitolo 1
*** Welcome to my life ***


Un giorno come tanti. Ecco cosa penso ogni volta che è il mio compleanno. Ogni 3 Maggio di ogni anno, è sempre la stessa storia. Ma il 3 Maggio del mio quattordicesimo compleanno, la mia vita fu completamente travolta e schiacciata come un chewingum sotto la suola delle scarpe. Il ragazzo che amavo di piu’ al mondo, se ne ando’ come tutti quelli che ho conosciuto hanno fatto finora. Chris mi ha lasciata da sola, quando aveva promesso di non farlo mai per nessun motivo al mondo, mi ha mandato uno schifosissimo sms, nemmeno il coraggio di dirmelo in faccia, nemmeno il coraggio di una chiamata. Mi ha mollata per una quarta di reggiseno e un culo ben piazzato. Lorel, quella ragazza era un incrocio tra una gallina e un Tyrannosaurus Rex, travestita da essere umano. Davvero insopportabile, la sua voce si riconosceva a miglia di distanza, per il semplice motivo che faceva acuti misti a striduli agonizzanti quando salutava la gente. Odiavo lei, odiavo Chris . . . fino ad odiare me stessa. Tutto questo successe precisamente un anno fa, ma mi brucia ancora come se fosse ieri.



Sono Claire Coen ho quindici anni e vivo a Bradford ormai da tanto tempo. Finchè mia madre non si risposo’ con un vecchio panzone di Londra, per il semplice motivo che era pieno di soldi. Così sono costretta a viaggiare da un posto all’altro ogni settimana di ogni mese, il che mi stressa tanto di piu’ di quanto io sia già stressata. I miei genitori divorziarono appena venni al mondo, è strano lo so, ma non ci faccio molto caso. Mio padre è la persona piu’ buona e tranquilla di questo mondo, gli voglio un bene immenso. Ma molte volte, in presenza di mia madre, cambia e finisce per diventare insopportabile. Forse anche peggio di quel vecchio imbottito di soldi, che vive a Londra con mia madre. Insomma, per tutta la vita ho dovuto badare a me stessa senza troppe attenzioni dei miei genitori, anzi proprio nessuna. Ma non mi lamento per niente di questa cosa, mi so gestire benissimo da sola e mi trovo bene con me stessa. Sono una persona molto riservata, non mi piace raccontare al primo che passa i fatti miei, mi piace scoprire in una persona quello che ha dentro o quello che prova. Lo trovo interessante e stimolante. Fortunatamente non vivo nel buio della mia camera, ho due amiche fantastiche a Bradford, Hayley Jackson e Sunday Hogan, tutte e due sedicenni. Hayley la bella bionda, i suoi capelli lunghi e dorati fanno concorrenza con gli occhi color cielo che brillano ogni volta che la vedi sorridere. I suoi occhi dicono davvero tutto. Abbastanza alta, due gambe alte e slanciate, due guancie da mozzichi, labbra leggermente rosse e qualche accenno di fossette ai lati. Sunday è la felicità fatta persona, capelli ricci color carbone, soffici, quasi come una nuvola nera e sotto ai riccioli pendenti dalla fronte, due occhi verdi smeraldo, che risaltano su quel viso minuto ma perfetto in ogni delineamento. Una bocca piccola, ma che sotto da vita a un sorriso che nasce dagli angoli della bocca che si allargano ogni volta che mi vede. Quello è il momento in cui ti travolge la sua gioia, qualunque situazione stai passando. E’ sempre lei a farti cambiare la giornata. Alta, ma non troppo snella e slanciata. Erano bellissime, ogni giorno mi domandavo come io, potevo essere loro amica e paragonarmi a loro. Potevo considerarmi l’aiutante ecco, non di piu’. Loro le protagoniste io la donna delle pulizie di retroscena.
 
Quella mattina aprii gli occhi tranquillamente. Fissai il mio poster di Ed Sheeran, pensando a quanto potesse essere irraggiungibile, perfino vedere i particolari del suo corpo ad un suo concerto. Non me lo potevo proprio permettere e i miei genitori non avrebbero mai approvato. E’ straziante. Anche solamente 5 secondi della mia vita per andare a un suo concerto, mi sarebbero bastati per il resto dei miei giorni. Era lui che mi convinceva ad andare in quello schifo di scuola tutti i santi giorni, ad alzarmi tutte le mattine e sorridere. Quando cantava sognavo, chiudevo in un cassetto la realtà e mi sentivo bene. Guardai fuori la finestra, puntai su quella vecchia quercia ormai alta quanto la casa del vicino, Smith. Fui sopraffatta da una serie di flashback, ricordi, dove io e Chris stavamo insieme: mi pizzicava i fianchi, lo sapeva quanto mi dava fastidio quando lo faceva e ridevamo. Ritornai in me sentendo qualcosa di umido che mi scendeva giu’ per la guancia. Mi girai dall’altra parte del letto infastidita, rotolando con goffaggine sulle lenzuola sgualcite e disfatte, come al solito mi impigliai in una coperta aggrovigliata e finii per terra. Il mio sguardo si poso’sul mio riflesso. Lo specchio che avevo davanti rifletteva una ragazza sorridente, ma con le lacrime agli occhi. Gli occhi color cioccolato erano gonfi e umidi, i capelli castani mossi, scompigliati, coprivano le spalle nude, le guance si colorirono di rosso e le labbra fine e rosee, si socchiudevano ogni volta che usciva un gemito di rabbia e dolore. Non era pazza. Sorrideva rivedendo i momenti felici passati con la persona che l’ha ferita nel profondo. Era distrutta . . . SONO distrutta. Ritornai in me con una sgrullata di capelli a destra e a sinistra. Mi guardai allo specchio, mi asciugai le lacrime con due dita e tornai quella di sempre: un lungo “Diomio Claire, eleganza proprio zero, eh !”, seguito da un: “Guarda questi capelli in che condizione stanno!”. Detto cio’, sfoderai il piu’ grande sorriso che potessi fare, grugnii un: “Sembro un’idiota” e andai in bagno con il mio immancabile beauty-case azzurro. Adoravo casa di mio padre, la mia camera stava al piano di sopra, la sua di sotto, sia il bagno che il terrazzo stavano a mia totale disposizione: il terrazzo comunicava con la mia stanza, non era né troppo grande (per una sola persona, come me), né troppo piccolo, era giusto e questo mi piaceva da matti, il bagno era l’unica stanza dove non avevo mai visto entrare mio padre. Lui sa benissimo che io non sopporto chi si fa i fatti miei e non mi lascia la mia giusta privacy. Questa è una delle tante cose che amavo di lui, si fa i fatti suoi e non disturba mai nessuno. Molto probabilmente se c’era urgenza andava nella riserva, dove c’era anche lì un bagno. Quello era il suo mondo: le macchine. Teneva tutti i suoi attrezzi e ricambi. Una volta ci entrai da bambina, appena entrata inciampai su tutto quanto, mi cadde un attrezzo sul piede e mi fratturai un dito. Da quel giorno, anche se volessi, mio padre non mi ci fa piu’ entrare, goffa come sono. Sono una calamita di guai! I piu’ bei momenti passati con lui sono racchiusi in cucina o in sala da pranzo, perché erano le uniche stanze che condividevamo. Parlavamo, scherzavamo a volte litigavamo pure, ma sono sempre stati i luoghi migliori per avere un rapporto con lui.
Con il vapore caldo che dava sollievo alla mia pelle, pensai sempre alla stessa cosa: oggi sarà un disastro! Pensai e ripensai piu’ volte a come evitare Chris e tutti i miei compagni opprimenti che ti tartassano sulla festa di compleanno, che ti urlano “AUGURI!” nelle orecchie, che ti tirano le orecchie . . . Che ti mettono semplicemente in soggezione anche solo con i complimenti e io sistematicamente divento un pomodoro ambulante. Niente ! Non riuscivo a trovare una soluzione. In quel momento potevo contare solo su due persone, solo due . . .

Pronta per la battaglia, munita di zaino, I-Pod, cellulare e chiavi di casa, uscii speranzosa. Sulla soglia di casa una mano sulla spalla mi fece girare di scatto provocando una reazione di autodifesa e Tai-chi, fermata subito dal maestro con una mano: era solo mio padre.
“Mi hai fatto prendere un colpo!”- dissi affannosamente, quasi furiosa.
“Ricordati che ti ho insegnato io queste tecniche di autodifesa, non potrai mai …”-mio padre cerco’ di continuare.
“Ma l’allievo supera il maestro, attento”- dissi soddisfatta con un sorrisetto malizioso. Rimase per qualche istante con gli occhi abbassati, forse per trovare una risposta al mio contrattacco, poi i suoi occhi si spostarono verso la cucina, sul ripiano c’era il mio pranzo. Mi indico’ il sacchetto con un dito, la fronte corrugata mi fece capire che voleva sentire un “Grazie pà. Sono sempre la solita scema.” Ma io mi limitai a un: “Oh sì. La stavo per prendere, se tu non mi avessi bloccato con la mano, starei già sull’autobus”- sorrisi ancora, sperando in una sua sconfitta. Lui mi rispose con un altro sorriso piu’ dolce e mi fece capire che in quel round ero vincitrice, ancora. Gli diedi un leggero bacio sulla guancia, sapevo che non si era fatto un’altra volta la barba. Quando mi voltai per uscire da quella situazione, vidi con mio grande piacere, ma non stupore Hayley e Sunday che invece di abbracciarmi e augurarmi buon compleanno, urlarono in coro: “Daiii che è tardi Clè!”. Le amavo proprio per questo, erano imprevedibili. Uscii con il sorriso sulle labbra. “Per essere una giornata orribile, iniziamo bene.”- pensai.
 Corsi verso di loro con le cuffiette dell’I-Pod penzolanti, le abbracciai fortissimo, sussurrando: “Vi voglio bene ragazze.”

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Capitolo 2
*** Here is the hell ***


In due metri di strada tra casa mia e la fermata, Hayley e Sunday mi raccontarono piu’ cose che in una giornata intera. I vari impicci di Hayley, i gusti musicali di Sunday, poi un lungo silenzio di ripresa quando arrivammo in fermata. Sunday riprese a parlare, in quel momento non colsi l’argomento di cui voleva parlarci, perché girandomi a sinistra vidi un ragazzo robusto, piu’ che altro muscoloso, capelli neri, molto abbronzato per essere inglese e occhi color nocciola che mi fissavano ininterrottamente. Solitamente in questi casi o penso a una miriade di tecniche di Tai-chi per spezzargli qualche parte del corpo, semmai mi dovesse aggredire oppure abbasso lo sguardo e faccio finta di niente. In quel caso no, non riuscivo a distogliere lo sguardo da quel tipo, qualcosa in lui mi attraeva come una falena attrae la luce nel buio. Poi mi sorrise maliziosamente e alzo’ con tranquillità il braccio come saluto, provai una fitta, non di dolore, nella zona bassa del ventre, mentre alzando il braccio la manica della maglia aderente gli si ritirava mostrando i muscoli perfetti del suo braccio. Tutto questo con in sottofondo la voce dolce di Sunday che piano piano riacquistava tono. Fin quando non udii un “Direction”. Una risposta di Hayley e un: “Capito Claire? Claire? Ehy Claire, sei viva?” Un mio: “Mmmh …” rassicuro’ le ragazze. Ero ancora viva.
“Che hai mangiato a colazione?”- chiese Hayley preoccupata.
“Pane e Nutella”- dissi ritornando completamente in me, sorridendo.
“Secondo me si è fatta una canna…”- sbuffo’ Sunday scherzando.
Salimmo sull’autobus, cercai con lo sguardo il ragazzo, prima di salire. Non c’era. Sunday mi trascino’ dentro per mano, lamentandosi. Hayley e Sunday buttarono gli zaini sull’ultimo posto da due rimasto. Mi fecero segno di sedermi sopra le loro gambe. Girai di poco la testa sul posto vicino a me. Era vuoto. Grande! Mi metto qui. Ripensai a quel ragazzo della fermata, guardando davanti a me. Aveva qualcosa di familiare… Mi girai verso il finestrino. Ma… vidi il passeggero vicino a me. Dei denti bianchissimi mi brillarono negli occhi a distanza “bacio”. Era il ragazzo della fermata.
“Ciao”- disse il ragazzo.
Sentii entrarmi nelle narici il suo alito fresco di menta. Masticava una chewingum tranquillamente, facendola passare da una parte all’altra della bocca con un agilità spaventosa della lingua. Mi sentii bruciare dentro, pregavo qualunque entità superiore, di non farmi diventare rossa. Presi coraggio e mi limitai ad un: “Ciao”- allargando un po’ gli angoli della bocca.
Si tolse le cuffiette dell’I-Pod, le arrotolo’ intorno all’apparecchio rettangolare e nero e lo poso’ dentro il suo zaino. Questi movimenti spostarono l’aria mischiata con il suo profumo: pino selvatico. Un’odore da sniffare peggio dei cocainomani. Mi presi a parolacce per smettere di pensare di assalirlo, strappargli la maglia di dosso e portarmela a casa, nel mio letto. Appena ripoggio’ la schiena sullo schienale, mi sorrise, stavolta piu’ di prima.
“Hai caldo?”- mi disse, quasi trattenendosi dallo scoppiare a ridere.
Mi coprii il viso con le mani. Ero effettivamente BOLLENTE! Cercai una risposta, una via di fuga. Ringraziai il cielo, eravamo arrivati a scuola.

Racimolando frettolosamente la mia giacca e lo zaino, farfugliai qualcosa come: “Scusami devo andare”- con gli occhi bassi, senza nemmeno salutarlo. Mi diressi alla porta dell’autobus aspettando ansiosamente che si aprisse, due presenze dietro di me si materializzarono esattamente come Superman e la sua super velocità. Mi girai non curante del fatto che le porte si erano già aperte e la gente si lamentava che voleva scendere, mentre io stavo a guardare le mie amiche che a loro volta mi guardavano sorridenti e speranzose della mia lunga spiegazione sul “ragazzo della fermata”. Hayley guardandoci con un’occhiata di intesa, esclamo’: “Si va in scena!” Scendemmo subito, volevamo evitare di essere picchiate e prese a parolacce dalla baraonda di gente dietro di noi. Presi tutta l’aria che potevo, riempii anche il piu’ piccolo spazio a disposizione dei miei polmoni e buttai tutto fuori, promettendomi di divertirmi con Hayley e Sunday, almeno quel giorno.
“Devo scappare”- pensai.“Non posso proprio vedere né Chris, né tantomeno Lorel.” Presi per i polsi Hayley e Sunday trascinandole in mezzo alla folla. Andava bene qualunque posto. Intanto la gente intorno a noi sussurrava, parlava e urlava, tutto questo seguito dalle parole: compleanno,auguri, quindici anni,festa... Mi stavo innervosendo. Finchè una sagoma rosa e bianca mi si avvicino’. Sono maledettamente miope e a una certa distanza non vedo molto bene. Quando sentii Sunday e Hayley dietro di me, dire: “Oh cavolo, questa non ci voleva.” Pensai: “Questa è la mia fine!” Rimasi di stucco finchè non realizzai definitivamente che era Lorel. Alla fine mi rassegnai al mio destino, ormai non c’era piu’ niente da fare. Dovevo affrontare il nemico, in un modo o nell’altro!
Mi si avvicino’ con la sua solita aria da snob D.O.C. Mi squadro’ dalla testa ai piedi e scoppio’ a ridere. Mantenendo la piu’ totale e completa calma, dissi: “Hai finito?”
Lei improvvisamente fermo’ la risata isterica e forzata per allungare la mano verso di me. Stringeva nel palmo un foglio. Mi disse ad alta voce, così che tutti potessero sentirla: “Questa te la manda Chris. Il tuo ‘ex’, il mio ragazzo…”- sorridendo compiaciuta, aggiunse: “Dentro troverai tutte le spiegazione che aspettavi da tanto tempo, il perché ti ha lasciata e alla fine ha scelto me.- sorrise di nuovo, sempre piu’ compiaciuta. Io non badai alla lettera, non la toccai. Mi girai verso la folla, la scrutai con lo sguardo da tutte le parti. Chris non c’era. Poi rivoltandomi verso la Barbie rosa, per rispondergli, vidi Chris stargli dietro, con lo sguardo basso e le guance rosse. Furiosa, dissi- “Ti serve il piccione viaggiatore che faccia le cose che tu non hai coraggio di fare, vero Chris? Bè, ora ho la conferma che sei un bambino, affrontali i problemi Chris, non evitarli. Ma soprattutto, non farti manovrare da lei.”- feci per allontanarmi, poi un impulso mi fermo’, mi fece fare marcia indietro. “Ah, dimenticavo!” Strappai di mano il foglio che teneva ancora in mano Barbie, lo aprii e lo strappai in mille pezzi. Mi voltai, e a testa china me ne andai, coperta dalle ali di Sunday e Hayley. Ero distrutta.
Fortunatamente le lezioni passarono velocemente, ma le complicazioni mentali che mi creavo sull’accaduto, mi tartassavano. Cercavo sempre di convincermi che potevo agire diversamente. A pranzo presi un’insalata, mi sedetti al tavolo con le ragazze e parlammo di tutto. Non mangiai niente, mi si era chiuso lo stomaco. “Neanche le patatine col ketchup che ti piacciono tanto?”- chiese speranzosa Sunday.
“No, grazie Sa. Non ho fame.”- mormorai.
“Senti Clè. Né io, né Sunday ti vogliamo vedere in questo stato. Facciamo così, questa sera invece del solito pigiama-party a casa tua. Usciamo un po’ per night-club e ci scordiamo tutto. Ci divertiremo vedrai!
“Mi sembra una buona idea. Massì, basta. Basta stare male. Basta proprio!” ribattei senza pensarci un secondo.
“Finalmente!”- dissero in coro.
Tornammo a casa con il solito autobus scassato, vecchio e scolorito. Ma era una di quelle cose familiari con un valore affettivo incomparabile, anni e anni a fare avanti e indietro con quel rottame con le ruote. Era fantastico. Tornai a casa pensierosa, come al solito non mi sembrava affatto il mio compleanno. Quasi quasi iniziai anche a scordarmelo. In lontananza vidi dei palloncini rosa attaccati alla staccionata del giardino. Sbuffai. Ecco siamo alle solite! Salutai sorridente le mie due salvezze entrai di corsa in giardino, levai subito quegli orribili cosi rosa volanti e li nascosi nella riserva di mio padre. Presi un bel respiro, (con tutti quei respiri i polmoni potevano collassarmi e scoppiarmi da un momento all’altro). Varcai la soglia di casa con cautela, facendo attenzione a non far rumore. Ma subito, si spensero le luci, entro’ mia madre con una torta illuminata da 15 candeline sbrilluccicanti. “Wow fantastico, adesso sì che non ne usciro’ piu’ viva”- mormorai il piu’ silenziosamente possibile. La mia affermazione fu subito travolta da un coro generale, “TANTI AUGURI A TE”. Che duro’ circa 2 minuti belli e buoni, imbambolata ad ascoltare tre persone stonare alla grande su quella canzoncina ridicola. L’unica cosa sensata in quello spettacolino pacchiano era l’esprimere un desiderio prima di spegnere le candeline. Non l’ho mai espresso fino ad ora, ma in quel momento avevo bisogno di credere. Soffiai con goffaggine sulle candeline. “Desiderio?”- chiese curiosa mia madre. “Da quando in qua i desideri si rivelano?”- risposi sarcastica. Mi fulmino’ con lo sguardo, come faceva ogni volta che sapeva di avere torto con me, quindi ogni volta che facevamo un discorso. Mi sedetti a fianco a mio padre, davanti a mia madre e di lato a Spencer, il marito riccone di mia madre. Quando c’è anche Spencer a mangiare con noi in “famiglia”, non parlo mai. Non ho proprio voglia di rapportarmi con lui, per nessun motivo al mondo. E penso che anche lui la pensa così su di me. Ma come al solito mia madre non capisce e insiste nel farmelo piacere per forza. Nell’essere una famiglia unita. Che di unito qui dentro, ci sono solo i bastoncini di pesce attaccati perché cucinati male. 
“Claire, dì a Spencer che voti buoni che hai nelle lingue.”- disse compiaciuta e felice mia madre.
“Ma glie l’hai appena detto tu, penso che ci senta, no?”- dissi sconcertata.
Mi fulmino’ come al suo solito.
“Bene, allora se non vuoi parlare delle cose buone, raccontagli delle stupidaggini che hai fatto quest’estate al mare con le tue amiche, forse sarebbe piu’ felice Spencer, se sentisse questo, no?”- esclamo’ furiosa.
“Sì Spencer, devi sapere. Ah no, tu già lo sai. Infondo sei stato te a pagare fino all’ultimo penny i danni che ho fatto io, sei stato te a risolvere tutto con quei pezzi di carta…”
“Dai Clè, smettila..”-intervenne mio padre, senza successo.
“Sei stato te a portarmi via la mia famiglia, sposando mia madre, per la pena che ti faceva questa famiglia, perché viviamo di rendita, non abbiamo una vasca idromassaggio in giardino, un televisore a schermo piatto in salone, un letto matrimoniale grande quanto il mio terrazzo. Infondo ti importa soltanto di avere figli, successori che possono ereditare tutte le tue ricchezze. Tu non ami mia madre come l’amava mio padre. Lei è stata così stupida da scegliere la bella vita piuttosto che l’amore di mio padre. Lei ha distrutto tutta la famiglia e niente, NIENTE potrà mai ricomporla. Non saranno degli schifosi pezzi di carta a comprare l’affetto e la famiglia. Io non voglio far parte di tutto questo teatrino, solo per dimostrare di essere una bella famiglia. Sono stufa di fingere di essere amata. Lo sai mamma? Lo sai che da quando te ne sei andata papà piangeva tutte le notti nel letto? No, non lo sai. Se fossi stata una buona madre, lo avresti saputo. Bastava semplicemente ascoltarmi, ascoltare quello che sta passando nella tua presunta famiglia. Non fingere di non avere problemi con la tua famiglia, perché ne siamo pieni fino al collo. Il punto è che te hai paura di affrontarli, ecco perché te ne sei andata. Non volevi affrontare la realtà, neanche il sostegno della famiglia ti bastava. Mi fa schifo tutto quanto.”- scandendo bene quest’ultime parole, mi vidi arrivare una manata in faccia, facendomi girare completamente dall’altra parte. Non guardai in faccia mia madre, guardai prima Spencer che come al suo solito faceva finta di niente con la testa bassa sul piatto pulito, poi mi girai lentamente a guardare mio padre,aveva gli occhi lucidi, rosso in faccia cercava in tutti i modi di non piangere. Non ce la facevo piu’! Mi alzai di scatto facendo cadere all’indietro la sedia, appena sentii il tonfo della caduta. Mi precipitai alla porta prendendo il giaccone al volo. Uscii e corsi, piangendo. Senza guardare indietro. Corsi, piu’ che potei, fino ad arrivare a un campo di calcio. Vedevo la palla che rimbalzava da una parte all’altra, seguendola con gli occhi presi una decisione. Era stupida, ma volevo farla. Da sola.

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Capitolo 3
*** From the moment I met you everything changed ***


Stavo impalata davanti alla rete del campo guardando quella palla volare e scappare dai ragazzi che la calciavano. I gemiti di dolore quando qualcuno subiva il fallo del nemico. Pensavo come quello sport poteva essere praticato solo dai ragazzi. Mi accorsi di avere il cellulare in mano, soltanto dopo averlo stretto in pugno così forte e così a lungo da farlo diventare bollente. Non solo il cellulare, anche dentro di me mi sentivo ribollire di rabbia. Mi spaventai quando mi sentii tutto il corpo in fiamme. Nella testa mi rimbombavano in continuazione le parole che avevo detto a mia madre, l’immagine di mio padre con gli occhi gonfi e rossi, restava lì, fissa davanti a me. “Ehy ragazzina!”- quei ragazzi fermi sul campo, mi fissavano, uno di loro alzo’ la mano, fece segno di entrare. Io non mi mossi.
“Dai, entra ! Vuoi giocare?”- lo diceva ridendo, mentre i suoi compagni sghignazzavano dietro al ragazzo che parlava. Vedendo che io non mi muovevo di un passo, il ragazzo si avvicino’ alla rete, fino ad arrivare di fronte a me. Aveva i capelli corti castani, sistemati casualmente con il gel, era molto piu’ alto di me, almeno due palmi belli e buoni, portava pantaloncini rossi che gli scoprivano le gambe muscolose e pelose, una maglietta di microfibra bianca, bagnata di sudore che diventava trasparente ogni volta che muovendosi si accostava al petto, mostrando i pettorali, quei tipici pettorali da 1 volta a settimana a fare palestra con i pesi, niente piu’. Due occhi blu, era un blu chiaro che ispirava dolcezza, ma il suo comportamento non me lo dava a vedere così. Faceva pensare a un ragazzo un po’ troppo pieno di sé, che non ha rispetto per nessuno, magari neanche per se stesso.
“Sembri sconvolta.”- disse fingendosi preoccupato.
Poi scrutandomi meglio esito’ un istante, si diresse verso il cancelletto del campo, lo aprì e mi fece segno di entrare. Esitai. Ma poi decisi di farlo, dovevo fare qualcosa da sola, senza l’appoggio di nessuno. Pochi istanti prima di allungare il piedi in avanti, il ragazzo se ne uscì: “Cos’è hai paura di giocare a calcio con dei ragazzi? Appena fatta la manicure?”-disse provocandomi.
“No, ho solo paura di fare a voi del male.”- ribattei infastidita.
Il suo sorrisetto compiaciuto mi diede ai nervi, mi ricordava un sacco Lorel. Mi fece strada tra i ragazzi, facendomi entrare in campo. Poi esclamo’: “Ragazzi, faremo giocare questa graziosa signorina a calcio.”- scandendo bene queste due ultime parole. “Di certo non puo’ giocare con i jeans”-intervenne uno nella mischia. “Fa niente, tanto non correrà tanto”-sghignazzo’ un altro.
“Vedremo”- pensai. Ride bene chi ride ultimo.
Mi misero nella squadra del ragazzo dagli occhi chiari, sbuffai scontenta. Nei primi minuti la partita procedeva tranquilla e stabile, poi iniziarono i primi falli, sempre piu’ numerosi. Stranamente sempre diretti a me. I primi furono abbastanza innocui, piccole spinte, trattenute per la maglia … Poi pero’ diventarono sempre piu’ pesanti con spintoni, gomitate, sgambetti … Ogni volta che riuscivo con successo a tenere la palla fino al campo avversario. C’era sempre qualcuno a fermarmi con violenza. La mia squadra non mi passava mai la palla. Arrivo’ anche la mia squadra a levarmi la palla con strattoni e colpi alle gambe. Stavo calciando la palla schivando ogni avversario della squadra opposta, i miei compagni di squadra si misero a urlarmi e a insultarmi, perché non gli passavo la palla. “Era il mio momento”- pensai. Ero arrivata al punto di calciare con tutta la mia forza la palla, che rotolava perfettamente in linea da “goal”, quando un botto proveniente dalle mie gambe mi fece cadere. In pochi istanti il dolore atroce mi invase dalle gambe, in pochi secondi in tutto il corpo, comprese le dita delle mani, la faccia, tutto. Urlai di dolore incessantemente, vidi immagini sfocate, non chiare e suoni confusi, perché tutto quello a cui pensavo in quel momento era il dolore. Cercai di pensare e  di realizzare cosa mi era successo, se era grave almeno. Vidi le gambe piene di sangue, il che mi fece paura, mi prese un attacco di panico, poi il buio. Riaprii gli occhi, ero ancora in quell’orrenda situazione. Non riuscivo a muovere nessuna parte del corpo, sentii: “Che diavolo hai fatto? Ti rendi conto gli potevi spezzare le gambe? Un colpo del genere alle ginocchia, se avessi avuto gli scarpini di cuoio saremmo finiti tutti in tribunale, idiota!”
Volevo prenderli a pugni e fargli assaggiare qualche mossa del mio Tai-chi, ma mi dimenticai che non potevo muovermi. Mi accorsi che stavo ragionando e che quindi non stavo morendo. Potevo muovere le dita delle mani, ringraziai il cielo. Anche la testa, lo ringraziai di nuovo. Le braccia e il busto erano integre, ringraziai di nuovo il destino.
Sentii una voce in lontananza gridare, una voce calda e rassicurante seguita dal cigolio del cancelletto arrugginito del campo. Girai la testa, correva preoccupato verso di me. Sembrava un angelo nero che correva accarezzando l’erba sintetica del campo, con il viso rovinato dall’angoscia. Pensai: “Ecco qui, ora ho le visioni. E’ arrivata la mia ora.” Lo ritrovai piu’ vicino, potevo vedere a malapena, il colore degli occhi. (Oltre alla mia miopia, la botta mi aveva alquanto stordita). Riuscii a sentire a malapena il discorso che ebbe con quei limitati di cervello.
“Cosa diavolo gli è successo?!”- disse preoccupato.
“Oddio, mi dispiace così tanto. Giuro di non averlo fatto apposta. Pensavo di schivarla, ma l’ho colpita in pieno. Volevo prendere la palla, non lei !”- disse in lacrime il roscio.
“COSA DIAVOLO HAI FATTO? L’hai colpita brutto…”- vidi l’angelo nero arrabbiarsi e tirare un pugno dritto sul naso al roscio, che si accascio’ urlante con le mani insanguinate sul naso. Improvvisamente un’enorme massa di ragazzi corsero verso l’amico del roscio: intento a fare a botte con l’angelo cattivo. Un pugno volo’ lo stesso ed anche il ragazzo dagli occhi chiari casco’ come un birillo.
“Fuori due!”- urlo’ il campione.
“Chi vuole essere il terzo?”- aggiunse furibondo.
In quel momento senza pensarci dissi: “No, ma fate con comodo. Mentre sto agonizzando al suolo con le gambe bloccate!”. Non mi accorsi che l’avevo urlato. Evidentemente ancora non riuscivo a spiegare al mio cervello come urlare e pensare, siano due cose completamente diverse.
Vidi il ragazzo con la maglietta nera, farsi strada tra la folla a gomitate e venirmi incontro, preoccupato come non avevo mai visto essere, apparte Hayley e Sunday. Ero sorpresa, molto. Quando vidi la sua faccia delinearsi sempre piu’ mi venne un attacco. I suoi capelli erano scuri, mossi e a prima vista sembrarono incredibilmente soffici. Il riflesso dei lampioni sui capelli neri, dava qualche tocco argentato qua e là, che stranamente mi faceva ridere. La ricrescita della barba lo faceva sembrare piu’ grande e maturo. Le labbra da mozzico che si socchiusero per dirmi: “Allora se ridi vuol dire che non è così grave”- si allargo’ in un sorriso. Stavo in paradiso e sicuramente lui era il mio custode. Il piu’ bel sorriso mai visto in tutta la mia vita. Gli occhi . . . parlavano. Gli occhi erano la prima cosa che vidi e l’ultima che scordai in tutto quel trambusto. Marroni? Verdi? Gialli? No. Non avevano nessun colore in particolare, per me erano tutto. In quei tre secondi che fissai quel ragazzo, il mio mondo non esisteva piu’, io non esistevo piu’. Nemmeno il dolore si sentiva piu’. C’era solo lui. Mi prese in braccio, facendo attenzione alle gambe doloranti e insanguinate. Mi aggrappai al collo, evitando di essere la solita goffa ragazzina che strozza il padre aggrappandosi come un koala al collo. Sfiorai i muscoli della schiena leggermente, con la punta delle dita. E inevitabilmente il mio seno si appoggio’ contro il suo petto, sentendo i pettorali immaginando fossero marmo, marmo freddo che mi fece rabbrividire al suo contatto con me. Arrossii sentendomi bollire la faccia. Quando appoggiai la testa sulla sua spalla un profumo dolce ma al tempo stesso forte mi entro’ nelle narici riempiendomi i polmoni, a ogni respiro era come se volessi farlo entrare dentro di me e non farlo piu’ uscire, non sprecarlo nel vento. Non era un profumo classificabile, era il suo profumo. Senza accorgermene eravamo arrivati davanti al portone in legno massiccio dell’Istituto. Ero confusa. Perché stiamo entrando qui?
 

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Capitolo 4
*** Tell me this is real, spare what you think and tell me a lie ***


Citofono’ sforzandosi di alzarmi fino alla tavola d’orata e lucida con due pulsanti corrispondenti a due caselle. Premette il secondo “Preside M. Smith”. Per quale diavolo di motivo stava chiamando la Preside? Mi vuole far sospendere? Espellere? Lo guardai in faccia, alzando di poco la testa per non farlo allarmare. Era serissimo, non tradiva di un movimento né degli occhi, né del viso, aspettava la risposta in silenzio. Una voce femminile rispose: “Sì?”
“Sono io”- aveva una voce cupa e triste, questo fatto non mi piaceva per niente. Che succede …? Lo fissavo, stavo male. Il suono elettronico del portone mi fece girare di scatto verso la porta aperta, meccanicamente. Con nonchalance l’angelo nero aprì la porta con la schiena indietreggiando con forza. “Posso anche scendere e aspettare qui”- dissi vedendolo in difficoltà. Lui mi guardo’ interrogativo, poi mi sorrise, ma torno’ subito serio e preoccupato come prima. Poi ci riflettei, ma come cavolo me ne esco? Oh mamma che deficiente. Entrammo nell’edificio, dove non ero mai stata prima, dove c’era la Preside della mia schifosissima scuola. Molto sicuro di sé, senza chiedere a nessuno informazioni, si diresse infondo al corridoio poi subito a destra, dove mi ritrovai davanti agli occhi la porta dello studio della Preside. Ogni passo in avanti che faceva, mi spingeva il cuore sempre piu’ su, dal petto alla gola, fino a ritrovarmelo pulsante nella testa. Si fermo’ inchiodando con i piedi, davanti alla porta, esito’ un istante poi sentii il suo petto gonfiarsi contro il mio e il suo respiro forte sulla mia testa, il suo profumo mi rese impotente un’altra volta. Velocemente aprì la porta. Mi ritrovai faccia a faccia con una signora bellissima, matura ma con aria aspra, la tipica donna orgogliosa e riservata, che sta meglio da sola che con gli altri. Aveva i capelli rossi come il fuoco raccolti in uno chignon elegante, occhi verdi che mettevano i brividi ad ogni sua occhiata ispettiva su di me. La scrivania mi impediva di vedere quello che c’era dalla vita in giu’. La stanza era tipicamente arredata come gli studi medici. Con qualche pianta qua e la.
“Zayn?!”- tipica voce che odiavo, come quella che mia madre provava ogni venerdì pomeriggio davanti allo specchio per fare bella figura con le amiche invitate a prendere il tè. Aspetta . . . Ma chi… lui si chiama Zayn? Rimasi a bocca aperta guardando “Zayn l’angelo nero”. Il mio custode segreto si chiamava Zayn. Mi suonava così bene nella mia testa. La voce della signora placo’ i miei pensieri.
“Che cosa gli è successo? E’ caduta?”- disse acidamente. Già mi stava dando sui nervi.
“No, bè… Diciamo di sì”- disse serio Zayn.
“Va bene non importa..”- disse frettolosamente il serpente rosso, volendo arrivare dritta al punto.
“Pensaci tu!”- disse infastidita ritornando ai suoi fogli sparsi sulla scrivania.
Con un leggero movimento della mano si porto’ gli occhiali al viso e inizio’ a scrutare i fogli, passando dalla tastiera del computer alla penna nera e dorata costosa che scivolava senza pausa sul foglio bianco.
Zayn non si mosse, io feci lo stesso.
“Allora? Che cosa vuoi ancora?”- disse il serpente sputando quelle parole velenose contro di noi.
“Voglio . ..  voglio … No, niente”- la sua faccia in penombra, non la riconoscevo piu’.
“Ti prego, fermami. Fermami, FERMAMI !- urlai in preda alla rabbia. Mi dimenai come un’ossessa mentre Zayn scioccato cercava di farmi calmare. Finii a terra, come sempre.
“Sei una persona orribile.”- scoppiai con quelle parole, non potevo soffocarle dentro di me, erano troppo forti.
“Non mi importa chi tu sia o cosa puoi farmi se ce l’avrai con me, so’ soltanto che questo ragazzo mi ha salvata, gli sono grata a vita e da quello che vedo ci tiene a te. Perché lo tratti così? E’ assurdo, mi ha salvato la vita, si sta prendendo cura di una perfetta sconosciuta. Non ti interessa che una studente del tuo istituto stava per perdere l’utilizzo delle gambe a causa di un gruppetto di studenti che si preparavano per la grande partita di fine anno? Non le importa che potrei denunciarla, solo per il fatto che mi sono fatta male nel suo territorio? La responsabilità è sua, di certo non di Zayn.”- pronunciando il suo nome mi sentii abbastanza imbarazzata, ma la furia per quella vipera sovrastava ogni emozione in quel momento.
La donna fermo’ le dita che correvano sulla tastiera. Fisso’ lo schermo illuminato, poi me. Mi fisso’ negli occhi con lo sguardo magnetico. Mi percorse un brivido lungo tutta la schiena, che passo’ perfettamente con determinazione dalla punta dei piedi alle dita delle mani. Mi stavo spaventando. Allargo’ gli angoli della bocca in un sorriso … senza senso.
“Hai fegato ragazzina. Ma questo non ti salverà dal fatto che sono la Preside e quello in piedi dietro di te è mio figlio, Zayn. Zayn Malik.”-disse sicura di sé.
In un primo momento mi sentii persa nel vuoto. Poi realizzando e ripassando tutte le singole parole che aveva pronunciato la donna, il mondo mi crollo’ letteralmente addosso. Ero nel panico piu’ totale. Avevo urlato contro la madre di chi volevo difendere, che è la Preside della mia scuola. E adesso la mia vita finisce qui, voglio che finisca qui. Ero sconvolta, stavo ancora sdraiata a terra, dietro di me Zayn. Volevo vedere l’espressione del suo viso in quel momento, ma non ce la facevo, non riuscivo a girare la testa. Era tutto troppo, troppo incasinato. Vidi il sangue secco sulle gambe, mi girava la testa. Poi il nero piu’ totale. Vidi solo la sua immagine, sentii solo il suo profumo invadermi i polmoni, toccai solo il suo corpo. C’era solo lui, perché io volevo solo lui. Poi scomparve, si dissolse. Mi sentii toccare il collo e i capelli da qualcuno dietro di me, inconfondibile il suo profumo: pino selvatico.
 
 
Afferrai la sua mano calda, poi me la portai alla guancia accarezzandomela con la sua pelle morbida  e abbronzata. Mi prese per i fianchi stringendomi a sé in un abbraccio forte e protettivo, poi si fece forte, mi strinse piu’ forte… mi stava facendo male ! Vidi dietro di noi Zayn dilaniato dal dolore che si accasciava a terra. Aprii gli occhi spaventata. Ma tutto questo casino il giorno del mio compleanno, non era mai successo ! Bene. Senza pensarci due volte conclusi subito che mi trovavo in ospedale, la stanza era tutta bianca. Poi il “beep-beep” della macchina vicino a me affermo’ la mia ipotesi.
“Che schifo”- pigolai disgustata. Avevo due aghi conficcati nel braccio, mi venne la nausea. Non ero mai stata attaccata a una macchina o non mi erano mai accadute cose peggiori di una frattura. Odiavo gli aghi in un modo assurdo, stavo per vomitare. Cercai di non muovermi per non sentire gli intrusi appuntiti nel braccio. Mi appoggiai al cuscino puzzolente di disinfettante e varecchina, feci un bel respiro e mi misi a pensare e a ragionare su tutto quello che era accaduto, per non pensare di vomitare.
Le mie gambe erano intere, l’unica cosa preoccupante erano i due mega tagli che si sarebbero tramutati in cicatrici col tempo. Fa niente, almeno potevo camminare. E’ già qualcosa.
Il ragazzo che mi ha salvata di cui non sapevo niente se non il nome, di cui ero completamente invaghita in meno di 3 ore, era il figlio della mia Preside.
Stavo per spaccare il muso alla madre del mio salvatore.
Avevo una voglia matta di scoprire chi era il “ragazzo della fermata”, e il sogno che ho fatto mi spaventa, molto. Io non voglio far del male a nessuno, voglio solo essere felice, non chiedo altro.
Tutto questo, nel giorno in cui definivo “come tutti gli altri”. Molto probabilmente mi sbagliavo. Eppure c’è qualcosa che mi blocca ancora. Sarei felicissima di scoprire che cos’è.
Dopo lunghi scervellamenti mi chiesi infine cosa avrei detto ai miei genitori … “Ei mà, ei pà, guardate non è successo niente ero talmente incazzata che ho voluto giocare con dei decelebrati a calcio. Uno di loro mi ha colpita di volontà alle ginocchia e c’è mancato poco che passavo il resto della vita su una sedia a rotelle. Ma, niente di che. Voi invece? Deciso dove andare questa estate?”
Direi proprio che non avrebbe funzionato. Mi sarei dovuta subire i soliti fintissimi cazziatoni di mia madre che mi chiederà di andare a vivere da lei a Londra insieme a Spencer, che si sarebbe sistemato tutto lì. Che mio padre voleva il suo spazio. Ma fammi il piacere, che palle !
Pensai seriamente di andarmene, non con mia madre ovviamente. Avevo una zia a Roma. L’estate scorsa quando venne qui a Bradford, mi chiese se un giorno volevo venire in Italia a trovarla. Bene, mia madre non avrebbe fatto nessuna resistenza a farmi andare. Poi pero’ pensai a mio padre, Hayley e Sunday. Loro erano il mio tutto, non riuscivo a pensare a una vita senza di loro. Di certo non me li potevo portare dietro. Inevitabilmente pensai anche a Zayn. Per quale diavolo di motivo ho pensato a lui in quel momento? Stiamo scherzando, il mio cervello mi vuole dire che lui, persona assolutamente sconosciuta di cui so’ solo il nome, è importante per me? No, non è possibile. Lo conosco da meno di 3 ore, non so’ niente di lui. Potrebbe essere un pedofilo, una spia con copertura o peggio ancora un assassino. Avevo paura, tremavo. Non voglio essere ferita di nuovo. No, non ancora. Sono una stupida ! Non posso essere così facile da avvilire, sono proprio stupida. Il mio battito accellero’, sentii la macchina fare uno strano rumore. La porta si aprì con violenza, l’infermiera si precipito’ verso di me: “Come stai tesoro? Mi senti?”
“Sto benissimo”- dissi tranquilla, curiosa di sapere qual’era il motivo di tutto quel trambusto.
“Ah ok. Niente di grave, solo un aumento del battito. Normalissimo”-disse a qualcuno dietro la porta che non riuscivo a vedere, per vederlo dovevo piegarmi e non mi attirava molto l’idea di sentire di nuovo gli aghi dentro al braccio.
“Di che avevi paura piccola?”-era dolcissima, la mia idea di infermeria: brutta, grassa e cattiva, svanì all’istante.
“Ehmm… No, niente… Gli aghi. Sì, mi hanno fatto molta paura- dissi imbarazzata cercando una scusa.
“Non ti preoccupare se vuoi te li levo subito”- gli occhi gioiosi si infossarono nel viso sorridente.
“Grazie tante. Pero’ . . . con calma eh !”- dissi agitata.
“C’è un ragazzo fuori dalla porta, è molto carino sai? Era preoccupatissimo, poi quando mi è suonato l’apparecchio tascabile delle emergenze gli è preso un colpo”-disse fissandomi negli occhi.
Lui si interessava a me? Ero al settimo cielo. Guardai il braccio, non c’era niente. Neanche nell’altro.
“Se ti interessi così tanto a un altro argomento non ti accorgi piu’ di nient’altro”- sorrise divertita.
“Magari i dottori fossero tutti come te.”- sbuffai. Era un genio.
“Allora ti piace tanto questo ragazzo vero?”-chiese curiosa, ma già sapeva la risposta, gli si leggeva in faccia. Arrossii come al solito imbarazzata.
“Questo era un sì”- sorrise l’infermiera, poi aggiunse: “Devo andare tesoro. Miraccomando non fartelo scappare, ti vuole davvero bene.”-fece per andarsene.
“Aspetta !”- urlai. “Grazie, grazie davvero.”- sorrisi a quella donna dolcissima, mi sarei ricordata di lei per sempre.
“Non farti piu’ vedere da queste parti”- disse ridendo.
Ci pensai un po’ su. Poi compresi. “Forse per una frattura, fra qualche anno”-la salutai.
Aspettavo solo lui. Vidi l’ombra allungarsi sempre di piu’. Non ce la facevo piu’, dovevo vederlo.
Alzai lo sguardo: mio padre.
Quando lo vidi angosciato, non potei fare a meno di sorridergli anche se delusa dalla sua comparsa. Non per colpa sua, certo. Lo abbracciai fortissimo. “Tranquillo papà, sono viva. E’ questo l’importante, no? Posso ancora camminare. E praticare Tai-chi insieme a te.”- dissi rassicurandolo.
“Sei proprio un’ idiota.”- disse affettuosamente.
“Non ti sei drogata vero?”- disse esaminandomi come un alieno sceso sulla Terra.
“No papà, niente droghe, niente canne, niente alcool. Niente di niente.”- dissi scocciata sempre delle stesse domande.
“No, perché io alla tua età me le facevo le canne.”- disse sorpreso.
“Senti papà non parliamo della tua adolescenza infelice, piuttosto che dice la mamma?”- dissi sbuffando.
“Invece mi divertivo un sacco. Niente Clè, che vuoi che dica? Se ne è andata con Spencer a Londra, come al solito. Non dicendo niente a nessuno.”- disse abbassando la testa.
“Già, prevedibile ormai.”- farfugliai delusa.
“Né lei, né Spencer sanno niente di questa storia. Io vorrei proprio evitare…- cerco’ di continuare a parlare.
“No! Glie ne voglio parlare. Lo faro’ successivamente al telefono, quando le acque si saranno calmate.”- dissi protestando.
“Come vuoi tu idiota”- disse sorridendo.
“Piuttosto, chi era quel ragazzo che stava fuori?”- chiese indifferente.
“Perché è ancora qui?”- dissi frettolosamente.
“No, appena mi ha visto mi ha guardato e se ne è andato. Aveva una faccia molto preoccupata.”
Risposta inerente alla domanda fatta, breve, precisa e senza altre domande. Amavo mio padre. Si faceva i cavoli suoi senza problemi. Nessun: Chi è? Lo conosci? E’ un tuo amico? Quanti anni ha? . . .

Tornammo a casa con l’auto di servizio di mio padre. In tutto il tragitto mi domandavo il perché se ne era andato quando ha visto mio padre. Certo pure io, io sono una perfetta sconosciuta mi ha salvata, portata all’ospedale e giustamente se ne è andato per cavoli suoi. Era piu’ che giusto e logico. Cosa mi aspettavo un tappeto rosso e un drink fresco? Bisognava accettare la realtà. Ma faceva piu’ male del previsto.
Arrivati a casa, riordinai le idee. Doccia e computer, video chat con Hayley e Sunday. Dovevamo uscire no? Non era di certo una stupida ferita da 5 punti a fermarmi. Era pur sempre il mio compleanno, volevo divertirmi, ma soprattutto non pensare piu’ a niente e a nessuno.
Vidi ancora la sedia a terra in cucina, mi avvicinai mettendola al suo posto. Prima o poi tutta questa situazione migliorerà o peggiorerà, ma dovrà pur sempre cambiare.
Cercai in tutta casa mio padre, non lo trovavo. Mi prese il mio solito attacco di panico che duro’ 5 nano secondi, quando realizzai che sicuramente doveva stare nella riserva. Passai dal retro della cucina.
“Ehy pà. Stasera esco con Hayley e Sunday, ok?”- urlai così che mi sentisse anche a porta chiusa. Non potevo entrare nella riserva.
“Va bene. Basta che non ti butti sotto un treno in corsa, ok?”- sentii la sua voce soffusa.
“VABENE, MI FARO’ MANGIARE LE BUDELLA DAI CANI RABBIOSI”- conclusi sarcastica.
“Perfetto, domani voglio vederti nel tuo letto e non venirti a prendere a casa di qualcun’ altro in biancheria e ubriaca, ok?”- concluse lui.
“OK”- dissi infine.
Amore infinito per quell’uomo. Corsi su in camera, presi il beauty-case azzurro e mi chiusi in bagno. Uscita profumata di fragola e vaporosa, accesi il computer e mi misi subito in contatto con Hayley e Sunday.
Loro due già vestite e truccate. Mi guardarono furiose. “Scusate ragazze, ma che ore sono?”- chiesi scioccata.
“ CLAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAIRE”- urlarono in webcam.
Dovetti tapparmi le orecchie. Erano incazzate nere.
“Ragazze, stavolta c’è una spiegazione piu’ che sufficiente al mio ritardo.”- dissi seria.
“Sì certo. La solita scusa”- intervenne Hayley.
Alzai l’asciugamano che mi avvolgeva il corpo, fin sopra il ginocchio. Mi alzai in piedi puntando la webcam sul punto che volevo fargli vedere . . .
Urlarono spaventate. Sparando parolacce e imprecando.
“Ragazze, tranquille. Vi spieghero’ tutto dopo. Vogliamo uscire o no?”- dissi entusiasta.
“Sì . . .”- erano scioccate.
“Dai mi vado a preparare, a mezzanotte a casa mia?”- chiesi.
“Io voglio che mi spieghi adesso Claire . . .”- disse severa Hayley.
“Ragazze, sul serio. Non è cosa da dire in webcam frettolosamente. Ve la devo dire di persona.”- dissi lamentandomi.
“A mezzanotte stiamo da te. A dopo”- dissero.
“Ok, a dopo. Porta le sigarette !”- conclusi.
Aprii l’armadio, scrutai bene tutti i completi che avevo. Mi vibro’ il telefono sommerso dai vestiti. Era Chris.

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Capitolo 5
*** Allow the passage of time makes everything a lot more clear. Just words. ***


Quando vidi il suo nome sul display del cellulare, mi prese una fitta alla pancia. Un lungo lamento dentro di me si fece strada per uscire, sentivo che si avvicinava sempre di piu’. Poi uscì, scaraventai il cellulare sul letto che rimbalzo’ e cadde a terra aprendosi a metà.
“CAZZO!”- esclamai furiosa.
Lo ricomposi di fretta. Menomale era ancora vivo. Continuava a squillare ininterrottamente, finchè non mi innervosii e rifiutai la chiamata con un colpo secco. “Basta, ormai è capitolo chiuso.”- pensai ripetendomelo per convincermi.
“Se mi vuole davvero parlare, me lo dice di persona. Non sto di certo a farmi prendere in giro di nuovo.”- conclusi.
Cominciai a scrutare l’armadio, poi i vestiti ammassati sul letto. Non c’era niente che mi soddisfaceva, c’era sempre qualcosa che non andava in qualche abito che puntavo, come al solito. Mi sedetti sconfortata. Poi mi alzai nervosa. “Ci deve essere qualcosa, dai!”- urlai sbuffando, rovistando nella montagna di vestiti. Poi vidi un lembo di stoffa blu, uscire da un lato del letto. Focalizzai subito quel vestito blu fasciato che mi regalo’ mia madre l’anno scorso. Di solito lei mi regalava sempre qualcosa quando veniva qui a Bradford a trovarmi, sempre sistematicamente qualcosa di bello e costoso proveniente da Londra. Non lo so se lo faceva apposta, perché se era così quel metodo non funzionava per niente con me. Anzi, ogni volta che mi comprava qualcosa lo lasciavo isolato in un angoletto dell’armadio a prendere polvere. Non avevamo di certo gli stessi gusti, ma stavolta qualcosa di appariscente ci voleva proprio. Lo sfilai da sotto facendo cascare tutto l’ammasso di vestiti per terra. Non importa, avrei messo a posto tutto quando sarei tornata, ora è tardissimo. Mi misi il vestito blu di corsa, un po’ di matita azzurra, mascara, lucidalabbra ed ero pronta per uscire. Sentii il campanello della porta trillare. Erano Hayley e Sunday. Che tempismo! Feci due passi verso la borsetta nera, quando mi sentii i piedi troppo comodi per stare nelle scarpe con il tacco.
“Diomio Claire!”- urlai disperata.
“Certe volte mi chiedo se sono nata al contrario.”- dissi curiosa.
Mi misi le scarpe nere col tacco. Traballando da una parte all’altra per infilarmele. Afferrai il giacchetto di cuoio blu, il cellulare, le chiavi, l’accendino ed ero pronta a fiondarmi giu’ per le scale. Prestai la massima attenzione: già ho un taglio di 5 punti sulle gambe, evitiamo la frattura cadendo con i tacchi.
Aprii di corsa la porta lasciando che uno spiraglio di vento mi spostasse i capelli con violenza. Poi vidi quelle due perfette ragazze bellissime sorridermi. Hayley indossava un vestitino corto nero e argentato che dava riflessi  agli occhi blu mare, tacchi alti che allungavano ancora di piu’ le già belle gambe slanciate. Un po’ di mascara, niente piu’. Era già bellissima di suo non serviva nessun cosmetico. Sunday aveva un vestito piu’ casual, porpora e nero con la spallina della parte superiore che gli scendeva provocante sulla spalla, scoprendo quel piccolo pezzo di pelle che portava ai suoi piedi chiunque. Ombretto chiaro sulle palpebre anche lei di una bellezza inaudita. Come mi aspettavo mi fissarono subito le gambe ancora sfregiate con i punti di sutura.
“Voglio sapere il nome di quel coglione che giocava a calcio!”- sbotto’ Hayley.
“Come diavolo fai a sapere che sono caduta mentre giocavo con lui a calcio?”- dissi sconcertata.
“Tuo padre ti ha anticipata”- incasso’ Sunday. “Lo abbiamo incrociato in giardino, gli abbiamo chiesto cos’era successo e ci ha spiegato tutto”- concluse la riccia.
“Bene. Vi ha detto anche quello che è successo prima di andare al campo di calcio?”- chiesi furiosa.
“Sì Claire. Mi dispiace, ma dovevi farlo. Prima o poi sarebbe successo.”- disse con un filo di voce Sunday.
“Sì, lo so. Tanto il problema è sempre lei. Non potevo essere io per una volta, deve sempre risolvere tutto come niente fosse.”-dissi ancora piu’ furiosa.
Non dissero niente. Si limitarono a guardarmi tristi. Ok, no. Non posso far diventare tristi anche loro. Questo no !
“Bene ragazze, basta essere tristi. Mi avete promesso che oggi ci saremmo divertite, no? Allora non pensiamo a niente e facciamo questa benedetta festa!”- dissi sforzandomi di sorridere.

Mentre ci incamminavamo per la discoteca prestabilita, Hayley prese silenziosamente una sigaretta dal pacchetto per poi mettersela in bocca. Sunday con velocità supersonica ne prese una al volo, prima che Hayley  chiudesse il pacchetto ed io con un gesto della mano feci segno “dammene una”. Hayley esito’ per un po’, poi si decise a darmi quella benedetta sigaretta.
“Adesso che ci penso, è da tanto che non ti vedo con una sigaretta in bocca, Clè”- incalzo’ Hayley.
“Non lo so, io fumo quando sono stressata e in questo periodo, soprattutto oggi sono piu’ che stressata.”- risposi ciancicando mentre accendevo la sigaretta.
Una nuvola di fumo mi circondo’ unendosi poi a quelle delle due accanto a me. Mi rilassavano molto. Ma ne facevo volentieri a meno per non dare il benvenuto a un futuro cancro ai polmoni, ma piu’ di tutto perché amo il profumo e la puzza di sigaretta non è il massimo.
Arrivammo finalmente alla discoteca, mi mancava ancora mezza sigaretta e intendevo finirla. Visto che non potevo entrare con la sigaretta, dissi alle ragazze che le avrei raggiunte dopo averla finita. Hayley abituata a fumare la finì immediatamente buttando il mozzicone a terra, Sunday la butto’ a terra pur non avendola finita del tutto. Le ragazze entrarono facendomi segno di sbrigarmi. Io cercai un posticino tranquillo, dove comunque potevo essere visibile per non essere completamente da sola. Osservai intorno a me, poi vidi a pochi metri di distanza un piccolo attracco per le barche. Non me ne ero accorta, ma la discoteca era vicinissima a un piccolo laghetto artificiale, dove si vedeva riflessa la luna. Che spettacolo! Arrivata al ponticello vecchio e umido mi sedetti con cautela per non creare disastri come al mio solito. Con le gambe a penzoloni osservavo l’acqua scura che rifletteva la luna e le stelle. Sicuramente quel posto era magico. Sentii qualcuno avvicinarsi, mi prese il panico, pensai alle mie solite tecniche di Tai-chi per colpirlo, poi pregai che non fosse armato, perché in quel caso il Tai-chi non mi avrebbe aiutata. Sentii i passi sempre piu’ chiari nella mia testa e l’ombra ormai visibile avvicinarsi, ero sul punto di tuffarmi nel lago pur di scappare da quella situazione. Ero nel panico totale.


Ormai era a pochi metri di distanza da me, sentivo il suo respiro. Non sembrava affatto un respiro affannato tipico da maniaci o persone disturbate. Era tranquillo. Cio’ non toglieva il fatto che poteva succedere qualunque cosa. Mi sentii gelare il sangue quando avvertii un lungo silenzio. Ormai stava a pochi centimetri dietro di me. Stavo per buttare la sigaretta consumata nell’acqua per girarmi e colpirlo, ma un istante prima . . .
“Posso chiederti una sigaretta?”- disse.
Non ci posso credere! No, non puo’ essere lui. La sua voce la potevo riconoscere fra mille, anche se ascoltata in pochissime occasioni. Sì era proprio la voce del mio custode, era Zayn.
Quando mi girai per guardarlo in faccia, vidi la sua faccia passare dall’indifferente e serio all’interrogativo, curioso, sorpreso e . . . sorridente. Mi si aprirono le porte del paradiso. Vidi il suo sorriso illuminare tutto cio’ che vedevo, cioè solo lui. Come la luna quella sera, illuminava le acque scure del lago. Prima che potessi fantasticare ancora su di lui, rimosse la sua bellissima bocca spalancata per la sorpresa, impegnandosi in un:
“Non ci posso credere! Tu sei . . . sei . . .”- disse guardandomi le gambe.
“Piacere, Claire.”- incalzai per salvare la situazione, allungando una mano sotto i suoi occhi puntati sulle mie gambe sfregiate.
“Claire . . .”- sussurro’fissando ancora le mie gambe. Di solito quando una persona mi fissa in quel modo, mi sale una rabbia incontenibile. Perché con lui no? Cosa c’era che non andava in me. O almeno cosa mi succedeva quando lui era al mio fianco. Mi sto preoccupando.
Intervenni per non mandare in fumo il contatto visivo, in quel modo.
“Senti… ti volevo ringraziare di cuore di avermi aiutata, davvero. E scusami tanto per aver reagito in quel modo con la Preside, non pensavo fosse tua mad..- cercai di continuare.
Alzo’ un dito per farmi tacere.
“Posso avere la sigaretta?”- disse sorridendomi. Cascai di nuovo nel mio stato confusionale. Non puo’ avere un effetto così grande con me. E’ pericoloso.
Buttai il mozzicone a terra schiacciandolo con goffaggine. Poi gli porsi il pacchetto aperto. La sua mano si avvicino’ lentamente, come se stesse prendendo un pezzo di cactus, a malapena sfioro’ le altre sigarette intorno. Molto probabilmente ero pazza ma tutto quello che faceva, ogni singolo movimento che faceva mi attraeva. Pendevo letteralmente dalle sue labbra. Questa cosa mi faceva davvero paura.
Si porto’ la sigaretta alla bocca, guardai l’asfalto imbarazzata, per non saltargli addosso. In quel caso potevo diventare io l’individuo pericoloso. Alzai lo sguardo quando lui aveva già la sigaretta accesa e fumante, se la godeva tranquillo, cercando nel vuoto qualcosa che non c’era.
Quanto volevo in quel momento sapere cosa stava pensando, a chi almeno. Poi mi guardo’ con aria seria.
“Mmmm… non mi piace il fatto che fumi.”- disse serio.
“Non mi conosci nemmeno”- come al solito mandavo tutto all’aria con quel mio tono freddo. Quanto mi odiavo…
“Hai ragione, che stupido non mi sono nemmeno presentato per bene. Piacere Zayn Malik, vivo a Londra ma vengo spesso qui a Bradford a trovare mia madre…”- si fece pensieroso, sicuramente quella non era proprio una “madre” per lui.
“Tutto apposto?”- mi maledii da sola. Ma ti pare che è tutto apposto? Che cavolo di domande fai Clè?
Si volto’ verso di me allungandosi in un sorriso dolce.
“No, in realtà non va niente bene.”- continuo’ a tenere quel sorriso, finto. Assolutamente finto.
“Secondo te una madre vedova non dovrebbe amare il suo unico figlio piu’ di se stessa? Insomma, ha perso il marito, l’unica persona che le vuole bene a questo mondo è il suo unico figlio. Secondo te perché non dovrebbe corrispondere?”- parlo’ angosciato, speranzoso di una risposta decisa che io non potevo dargli.
Io ero l’ultima persona su questa terra che poteva aiutarlo in quell’ambito.
“Me lo chiedo anche io tutti i giorni, ogni giorno”- dissi d’impulso.
“Ci deprimiamo insieme?”- chiesi speranzosa.
Scoppio’ in una risata fragorosa che mi riempì il cuore di gioia. Mi accorsi della sigaretta a terra fumante, solo quando si alzo’ lasciandomi ancora seduta sul bordo del molo. Non avevo notato la sigaretta in tutto quell’arco di tempo. Ero davvero invaghita di lui, ormai non c’era piu’ dubbio.
Mi guardo’ per un po’, ci fissavamo senza dire niente. I suoi occhi illuminati dalla luce artificiale dei lampioni erano diventati gialli e mi fissavano. Non pensai piu’ a niente, fino a quando non mi tese la mano per aiutarmi ad alzarmi e non cadere come al mio solito. Ero capacissima di cadere nell’acqua con una facilità assurda. La forza del suo braccio non calcolo’ il mio quasi peso piuma, così che mi fece alzare di scatto facendomi male alla gamba con i punti, mi lamentai soffocando il lamento dentro di me ma planai inevitabilmente sul suo petto. Mi sentii bruciare la faccia quando vidi i suoi occhi a pochi centimetri dalla mia fronte, sentii il suo respiro. Stavolta non persi il controllo l’odore della sigaretta maschero’ il suo profumo, lasciandomi per quella volta “sobria” e cosciente.
“So perfettamente che non posso fare il papino della situazione, ma preferirei non fumassi. Piu’ che altro perché il tuo buonissimo odore andrebbe perso. Sarebbe uno spreco”- disse muovendo le labbra in una danza lenta e ipnotizzante.
Avevo un sfrenata voglia di accompagnare quelle meravigliose labbra al prossimo ballo, danzare con loro. Anche soltanto per poco. Mi avvicinai di pochissimo. Mi sentii bruciare tutta, dalla testa ai piedi.
“ZAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAYN!!”- una voce da lontano lo chiamava.
Lui si volto’, giusto in tempo per non farmi vedere maledire le forze superiori di quel fottuto tempismo.
Volevo andarmene prima che quel “qualcuno” che lo chiamava, seguito poi a ruota da altra gente, venisse da noi, mettendomi piu’ in imbarazzo di quanto lo fossi già. Stavo giusto per girare i tacchi ed andarmene, quando Zayn mi afferro’ la mano. Quanto era calda la sua mano, poteva contenere tutto il mio piccolo pugnetto senza problemi.
“Ti voglio far conoscere delle persone”- mi sorrise.
Non potevo fare a meno di restare e non distruggere quel momento in cui lui sorrideva. Come al solito ero impotente. Fantastico! Intravidi Hayley e Sunday, non potevo non riconoscerle . . .
Ma che diavolo . . .?
 

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Capitolo 6
*** Tell me you don’t want my kiss that you need your distance ***


Non stavo capendo nulla. Le ragazze traballavano. Erano ubriache? O ancora peggio, quel gruppo di ragazzi le avevano drogate per portarsele via? Ma allora anche Zayn qui accanto a me che mi tiene la mano mi voleva fare del male . . . No, non è possibile. Non posso pensarlo, sto tirando le somme troppo presto.
Senza pensarci due volte, corsi verso le ragazze lasciando che il mio pugno uscisse dalla sua calda mano. Non guardai indietro per vedere la sua espressione. Guardai solo fissa davanti a me, fissavo le ragazze correndo. Mi guardarono sorridenti, mi fiondai addosso a Hayley.
“Hayley tutto bene? Hayley stai bene?”- dissi preoccupata affannosamente, le davo qualche strattonata per farla ritornare in se stessa.
“Sunday? Ei tesoro mi senti?”- dissi preoccupata anche a lei.
“Claire stiamo bene! Piuttosto che hai tu.”- disse severa Hayley.
Ringraziai il cielo, erano loro e stavano bene. Vidi le ragazze fissarmi, poi mi guardai intorno: quattro ragazzi bellissimi mi fissarono preoccupati. CHE FIGURA DI MERDA. Un lungo silenzio mi fece scoppiare a ridere, tanto che mi piegai in due accasciandomi a terra. Non riuscii a fermarmi, diventai inevitabilmente rossa. Poi sentii tutti gli altri accodarsi a me fragorosamente.
“Che succede?”- chiese Zayn curioso, era ancora lontano da noi.
Ma poco dopo che alzai a malapena lo sguardo per riprendermi e respirare, vidi le sue scarpe da ginnastica scure, sotto gli occhi. “Certo corre proprio veloce Zayn. Pero’ visto che è un angelo potrebbe aver volato, no?”- pensai. “STAI SVALVOLANDO CLAIRE!”- conclusi.
Mi alzai barcollando, avevo il sangue al cervello. Un ragazzo accanto a me mi fermo’ giusto in tempo, prima che io potessi cadere come un sacco di patate. Ecco un altro piccolo angioletto, occhi blu come il mare, biondo e con un faccino dolce e socievole.
“Ei ei attenta. Già ti sei fatta non poco male, non peggioriamo la situazione, no?”- disse sorridente. Che carino!
“Ah no tranquillo, sono sempre stata così goffa. Da piccola sono riuscita a fratturarmi un dito del piede in una semplice riserva”- dissi ridendo.
“Anche se faccio . . . così?”- intervenne un’altra creatura con gli occhi cielo.
Subii una leggera bottarella sul bicipite destro. Leggera . . . sì, per gli altri! Mi fece barcollare un po’, andai addosso a un riccio.
“MA COSA SONO UN BIRILLO?”- urlai incazzata, ma mi stavo divertendo. Strano.
Tutti risero. Poi Hayley intervenne: “Bene lui è Liam”- disse indicando un ragazzo mosso co gli occhi color nocciola, era proprio bello. Tipico ragazzo tranquillo e dolce, proprio i ragazzi che piacciono a me. Strano, non sentivo nessun tipo di attrazione verso di lui. Ogni tanto allungavo lo sguardo verso Zayn che a sua volta mi fissava, piu’ che altro mi studiava e controllava. Non mi dava per niente fastidio, anzi mi spingeva ancora di piu’ a saltargli addosso.
Liam allungo’ la mano in segno di saluto, io feci lo stesso stringendogliela e guardandolo negli occhi color nocciola. Era proprio bello.
“Piacere Liam James Payne, ti prego chiamami solo Liam”- disse.
“Piacere Claire Coen. Chiamami solo Claire”- dissi divertita.
Diedi un occhiata a Zayn che fissava la mia mano unita a quella di Liam, la tolsi subito sorridendo per non creare dubbi o disagi del mio improvviso comportamento.
“E lui è Niall”- Hayley indico’ il piccolo angioletto biondo, forse era l’aiutante del mio custode nero. Soffocai una risatina per i miei fantastici ragionamenti.
“Questo invece è Louis”- passo’ il dito su quel simpatico ragazzo con gli occhi cristallini e limpidi. Il ragazzo semplice, era quella l’impressione che mi dava Louis. Un ragazzo puro e semplice. Mi saluto’ con un gesto militare da: “SISSIGNORESIGNORE”.
“E questo è Harry”- disse Hayley . . . sbavando. Mi avvicinai a lei consigliandole di chiudere la bocca.
“Molto piacere”- risposi a tutti.

“Che ne dite, entriamo a ballare? Infondo era quella l’intenzione, no?”- disse Harry incitandoci.
Approvammo tutti insieme con gesti e suoni incomprensibili. Hayley e Sunday mi misero le braccia intorno alle spalle tenendomi ben stabile. Ci dirigemmo verso l’entrata schiamazzando e io non potevo neanche girarmi per vedere Zayn. Così decisi di rallentare. “Ragazze di solito sono i ragazzi che stanno davanti o mi sbaglio?”- dissi facendogli l’occhiolino. Ci girammo in sincrono verso i ragazzi, andandogli accanto e poi dietro. “Prego, prego andate pure avanti”- disse Sunday divertita.
Harry sorrise maliziosamente, aveva capito tutto. Forse era l’unico a mente lucida e pronta fra gli altri.
“Se dobbiamo parlare di lato B ce n’è abbastanza per tutti”- sussurrai.
“Insomma guardate là”- incalzo’ Hayley sbigottita.
“Guai a voi se mi toccate l’angelo nero eh!”- dissi decisa. Quasi mi feci paura da sola.
Sorrisero divertite. Dandomi qualche pacca qua e la sul collo e sulle spalle con le mani libere.
“Stasera ci divertiremo eccome ragazze”- disse Sunday.
All’entrata della discoteca c’erano i ragazzi fermi ad aspettarci. E’ davvero strano, non è da me. Entrare in una discoteca con cinque perfetti sconosciuti, di cui sapevo solo il nome. Era stupido e pericoloso. Ma la sicurezza che mi davano quei ragazzi ogni volta mi convinceva. Speriamo in bene. Ora divertiamoci!
Io e le ragazze ci slegammo da quel fantastico “abbraccio” d’amicizia, andarono con gli altri, mentre io mi fermai a fissare Zayn che a sua volta mi fissava sull’uscio dell’entrata. Era quello che voleva, restare soli. E io probabilmente lo volevo piu’ di lui. Mi prese per mano ed entrammo in silenzio senza dire niente, finchè la musica a palla cancello’ ogni probabilità di dialogo. Non ne avevo bisogno, il linguaggio del corpo con lui era meraviglioso. Percorremmo una breve passerella nera e scura finchè non sbucammo al centro dell’energia. L’energia sprigionata da quella musica invadente, ma giusta per lanciarsi in un altro mondo.
Stavamo per entrare nella mischia, quando mi impuntai bloccandogli il braccio per farlo girare. Indicai il bancone. Lui acconsentì con la testa. Stavolta lo guidavo io per mano che gli diventava sempre piu’ calda, mi imbarazzava soltanto il pensiero che mi osservava in ogni mio movimento. Così per non pensarci pensai a quale drink prendere. Arrivati al bancone chiesi nell’orecchio del barman un vodka lemon poi scrutai lo sguardo di Zayn che stava decidendo. Quanto era bello. Disse un qualcosa come: Pina Colada. Non parlavamo, ci guardavamo mentre sorseggiavamo con gusto i nostri drink. Ogni tanto staccavo lo sguardo da lui per non sembrare troppo stupida. Guardavo il ghiaccio nel drink che si scioglieva man mano che passava il tempo e finiva la bevanda. Quando finii il drink guardai lui, poi il suo bicchiere vuoto, con il ghiaccio sciolto. Sicuramente lo finito da un bel pezzo, ma ha aspettato me che mi facevo i comodi miei. Che idiota! Dovevo fare qualcosa. Guardai il riflesso sullo specchio del bancone della gente che ballava dietro di me. Mi alzai di scatto, presi la sua mano e lo trascinai con tutta la forza nella mischia. Iniziai a muovere il mio corpo con naturalezza pensando di stare in camera mia senza nessuno a ballare la mia canzone preferita. Non badai alla gente che avevo intorno mi muovevo e basta. Intrecciai le mie dita con quelle della mano di Zayn avvicinandolo a me, mi strusciai a lui come un gatto che ti fa le fusa quando torni a casa. Sentii le sue mani percorrermi i fianchi poi a salire le costole, poi il collo dove sentii le sue labbra sfiorarmi. Continuavo a strusciarmi contro di lui, non ero io. Quella era un’altra persona, Claire Coen non avrebbe mai ballato in quel modo, con nessuno. Invece la nuova Claire si muoveva contro quel corpo perfetto in ogni particolare, sfiorandogli i bicipiti sviluppati e la schiena scolpita. Era un sogno, non sentivo piu’ neanche la musica, solo il ritmo mi guidava in quella danza poco degna di essere chiamata tale. Avevo i brividi e i capelli bagnati, mi voltai guardandolo. Baciai il suo collo, la ricrescita della barba che non faceva male, gli occhi socchiusi, il naso fino giu, poi a destra l’angolo della bocca, poi a pochi millimetri di distanza, le mie e le sue labbra. I respiri erano affannati, mi ripresi in qualche modo, ero piu’ cosciente di prima, cosciente di stare per baciarlo, cosciente del fatto che fatta quella cazzata non sarei piu’ tornata indietro. Stavolta questa non è una cazzata da rompersi le ginocchia su un campo da calcio, questa era davvero un’ enorme cazzata, non bastavano i punti di sutura per richiudere una ferita, quella ferita rimarrà per sempre aperta. Non fui io ad avvicinarmi, ma sentii il contatto delle mie labbra con le sue. Era un bacio dolce, poi divento’ appassionato. Stavo davvero sognando. Ma svegliatemi cavolo! Sto perdendo il controllo. Mi sentii bruciare le labbra. Mi dovevo staccare, stavo facendo un casino. Ma non ce la facevo, non volevo. Un morso al suo labbro inferiore mi diede la possibilità di scollarmi le sue labbra di dosso e allontanarmi prima di combinare una catastrofe. Mi guardo’ . . . il suo volto, non sapevo quale espressione avesse, ero troppo confusa. Vidi Chris in lontananza. No, ho fatto un casino. Mi allontanai spaventata. Zayn provo’ ad afferrarmi per fermarmi, ma scappai tra la folla spaventata con il cuore che mi batteva a mille. Ero felicissima e arrabbiatissima nello stesso modo. Scappai fuori, e corsi a piu’ non posso fino a casa. Tutte le luci dei lampioni si muovevano intorno a me, non stavo bene. Mi sentii mancare i battiti del cuore, poi il respiro. Cercai di respirare profondamente. 1…2…1…2 funziono’. Devo stare attenta. Ripresi a correre con piu’ attenzione, un rumore mi fece girare a sinistra poi mi scontrai contro qualcosa, quando sentii il lamento ipotetizzai un “qualcuno”. Caddi a terra sbucciandomi le mani. Alzai lentamente la testa, cercai di focalizzare l’ombra davanti a me. L’effetto dell’alcool non finiva piu’, o forse era l’effetto del bacio . . .
Quando riconobbi la voce, mi prese una forte nausea. Mi alzai velocemente e inevitabilmente vomitai la mia bevanda insieme a tutta la paura che mi si era accumulata. Era lui che cercavo ed eccolo qui ora, ad aiutarmi.

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Capitolo 7
*** I’ll be here by your side no more fiers no more crying ***


Mi tenne i capelli indietro, raccogliendoli nella mano e con l’altra mi teneva la testa appoggiando la sua calda mano sulla mia fronte pallida. Dopo aver terminato il mio terrificante spettacolino, mi prese i fianchi avvolgendoli con le sue braccia muscolose e protettive. Appoggiai la testa sulla sua spalla, nascondendo il viso e mi misi a piangere. Tirai fuori tutto quanto, piangendo come non avevo mai fatto con nessuno, piangevo come se in quel momento stavo da sola in camera che inzuppavo il cuscino.
Lui non disse niente e non fece niente, rimase immobile ad abbracciarmi e ad ascoltare i miei lamenti e i miei pianti. Guardai dietro di lui una pozzanghera sporca, intravedevo la mia faccia verde e sporca di trucco sciolto dalle lacrime che non smettevano di sgorgare. Ero terrificante. Eppure invece di vedere quella brutta faccia, vidi quella di Zayn sorridermi. Non ebbi la forza di muovermi, non volevo rovinare tutto. Continuai a piangere piu’ di prima. “Ho fatto un casino”- dissi tra le lacrime.
“Ti porto a casa”- mi disse portandomi in braccio. Era la stessa situazione del campo da calcio, sempre dopo aver fatto una cazzata. Solo che in quel caso non era Zayn a chiudermi nel suo abbraccio e portarmi in salvo. Era il ragazzo della fermata. Era quel ragazzo misterioso che aveva qualcosa di familiare. Io potevo anche non conoscerlo, ma sapevo per certo che lui mi conosceva e anche molto bene. Chiusi gli occhi riempiendo i polmoni del suo profumo di pino selvatico. Respiravo a tratti, singhiozzavo ancora. Sembrava di ritornare in terza elementare. Mi addormentai sfinita, avvolta nel suo profumo, nelle sue braccia, avvolta in lui.
Aprii gli occhi pesantemente, la luce mi travolgeva e piu’ della luce il fortissimo mal di testa da post-sbronza. Sembrava che un autobus mi avesse travolto una volta e poi fatto marcia indietro per rifarlo minimo una ventina di volte. Intravidi Ed Sheeran appeso al muro. Ok, sono a casa e questo è già tanto. Ma come ci sono arrivata? Insomma con chi? Ricordo solo di aver incontrato Zayn e i suoi amici, poi siamo entrati e . . . basta. Mi ritrovo qui. Sentii una folata di aria venirmi incontro, poi vidi mio padre sorridente con un vassoio e  un bicchiere di succo di frutta sopra con qualche fetta biscottata qua e la.
“ODDIOMIO!”- urlai fingendomi spaventata. Poi scoppiai a ridere indicandolo tanto per dare un po’ di positività a quella mattina.
“Sono così brutto e mostruoso?”- chiese preoccupato. Poi aggiunse: “E menomale che il buongiorno si vede dal mattino eh!”- disse appoggiando il vassoio lentamente sulla scrivania.
Sorrisi, poi cercai di alzarmi senza crollare. Guardai il pavimento vuoto.
“Hai messo apposto tu?”- chiesi sorpresa.
“Neanche io ero così disordinato alla tua età e sono un maschio. . .”- disse fingendosi severo, non era mai credibile, mai.
“Grazie lo stesso”- dissi sbuffando.
Si avvicino’ allungando la mano in direzione della fronte. Poi appoggiandola disse: “Stai bene?”- preoccupato. “Ehmm… sì?”- dissi sconcertata.
“Ok. No sai, mi hai appena ringraziato”- disse ridendo.
“Ah sì? Allora non durerà per molto. Ti sto per cacciare fuori a male parole”- contraccambiai.
“Sì, sei di nuovo te stessa”- concluse.
“Ora mangia. Piu’ tardi mi ritrovi in riserva. Ti devo parlare”- stavolta era piu’ serio, ma il suo ultimo bellissimo sorrisetto, non mi fece preoccupare piu’ di tanto.
Chiuse la porta dietro di se silenziosamente. Fissai il vassoio per un po’ facendo una breve revisione di quello che era accaduto la scorsa notte: l’ultima cosa che mi ricordo è il suo profumo buonissimo, come scordarlo, tutto il resto me lo ricordavo eccome, solo che non volevo riportarlo alla mente. Ci avrei riflettuto piu’ tardi. Un rumore soffuso proveniente dalla pancia mi fece ritornare alla realtà. Ok, pancia lo so hai fame. Afferrai una fetta biscottata e la divorai voracemente. Sembravo una dispersa su un’isola deserta che non mangiava da settimane. Senza sosta ne presi un’altra finendola anch’essa in un secondo. Poi ingerii tutto con un bel sorso di succo alla pesca. Buonissimo, il mio preferito. Senza pensarci due volte, presi il beauty-case azzurro e mi fiondai in bagno. Volevo levarmi assolutamente il peso di quella famosa “chiacchierata” che dovevo affrontare. Speravo solo che non finisse in una fragorosa litigata. Almeno oggi volevo essere felice. Con l’acqua che scendeva dal mio corpo caldo e vaporoso, pensai a quello che non volevo mi arrivasse alla mente. Pensai al preciso istante in cui le labbra di Zayn sfioravano le mie. Ora non è l’acqua calda che mi fa bruciare le labbra, è quel maledetto pensiero che riporta alla realtà tutto cio’ che era accaduto quella sera con lui. Poi pensai alla comparsa di Chris, non riuscivo a capire se era stata la mia immaginazione a giocare quel brutto scherzo o era proprio lì, dietro di noi. Dovevo assolutamente scoprirlo, altrimenti ne sarei uscita pazza. Non mi fermai molto sotto la doccia a pensare, primo per non deprimermi, il che era molto vicino a me, secondo perché volevo assolutamente sapere cosa voleva mio padre. Uscii veloce dalla doccia, inciampando inevitabilmente come al mio solito e facendomi male al braccio.
“Idiota”- pensai. Poi facendo piu’ attenzione mi misi a correre per il corridoio del piano di sopra mezza nuda, fiondandomi in camera e chiudendomi a chiave. Misi la prima maglietta bianca che mi capito’ e jeans, niente di piu’ semplice, superga blu, un filo di matita, tanto per sentirmi piu’ sicura e uno chignon spettinato. Quasi scesi le scale saltando a due a due gli scalini di legno scuro. Mi spiaccicai sulla porta non riuscendo a fermarmi, poi dopo qualche insulto leggero leggero, aprii la porta e mi diressi alla riserva.
Bussai timidamente, ma con decisione. “Entra”- disse.
Che cosa? Scusa, un’attimo ho capito bene? Entrare nella riserva, io? Dev’essere qualcosa di davvero grave. Aprii la porta timidamente, facendola richiudere con cautela. Non è il caso di creare casini già da subito. Era tutta, ogni piccolo dettaglio, come me lo ricordavo io da bambina. La lampada penzolante al centro che dava una luminosità soffusa, ma giusta, non macabra. Tutti i vari attrezzi sparsi per tutta la stanza, sopra i mobili vecchi e ammuffiti, per terra, appesi sulle pareti, dappertutto. Poi quel maledettissimo martello da carpentiere, è lui che mi è caduto sul piede fratturandomi il dito. Sì, è proprio lui l’artefice di tutto. Lo guardai con sguardo cattivo, poi mio padre uscì su un carrellino da sotto la macchina spogliata da ogni suo pezzo. Si alzo’ e levo’ i guanti. Si fece serio. Ok, devo preoccuparmi seriamente?
“Tesoro…”- ecco già se mi chiama così è successo davvero qualcosa di grave. E’ morto qualcuno?
“Staro’ via per un po’ di giorni, non so di preciso quanto, mi hanno dato un piccolo incarico a Manchester per riparare una vecchia autovettura molto rara e…”- disse tutto d’un fiato.
“E non vuoi perderti quest’occasione.”- finii io, fingendo un sorriso.
Mi guardo’ dispiaciuto, io gli regalai un sorriso. Di quelli che faccio una volta ogni mese, che raramente mi escono, ma glie lo diedi con tutto l’amore che provavo per lui, era davvero sincero.
“So che te la caverai benissimo da sola come hai sempre fatto. Sei in gamba Clè, non ti sottovalutare mai. Mamma non sa niente di tutto questo, ma non penso chiamerà da un momento all’altro”- disse sorridendomi.
“Già, infondo non l’ha mai fatto negli ultimi 10 anni, non penso che in pochi giorni gli viene l’impulso di farlo”- dissi delusa.
Stavo per girarmi e tornare con molta attenzione alla porta della riserva socchiusa, quando mi ricordai di una cosa alquanto importante, anzi importantissima. Mi rigirai vedendolo ancora lì fisso, in piedi con lo sguardo piuttosto felice e le rughe della fronte che rendevano quel viso ancora piu’ bello e vissuto.
Deglutii, non riuscivo a spiccicare parola, insomma devo solo chiedere una piccola informazione, niente di che. Ero bloccata, poi presi forza, riempii i polmoni d’aria pesante e calda e chiesi il piu’ vagamente possibile.
 “Senti pa. . . Maaa . . .”- cercai di allungare per trovare le parole giuste.
“C’è un ragazzo che prende l’autobus con me, qui in fermata. Cos’è un nostro vicino di casa? Non l’ho mai visto da queste parti.”- chiesi fingendomi tranquilla, picchiettando con pause brevi e silenziose sul retro coscia con le dita.
Mi guardo’ fisso negli occhi, privi di espressione. Ok, o stava per svenire o stava pensando a qualcosa di serio. Passo’ un po’ prima che si risveglio’ da quello stato di trans improvviso.
“E’ un ragazzo piu’ scuro e muscoloso?”- chiese inespressivo.
“Bè.. sì. Perché quella faccia? Chi è?”- chiesi preoccupata e quasi innervosita. Volevo sapere al piu’ presto qual’era la situazione.
“Blaze Price. E’ il figlio di un mio vecchio amico. Giocavate insieme da bambini, sai?”- disse facendo un sorriso breve e innocuo, per poi riportarsi a quell’espressione vuota in volto.
Non dissi niente, stavo immobile appoggiata a un mobile ammuffito, lasciandolo finire di parlare e spiegarmi tutto per bene. 
“Jonathan Price è il nostro vicino di casa. Come ti ho già detto è il padre di Blaze. Una volta, quando tu e Blaze eravate piu’ piccoli, andavamo sempre a casa loro, io e Jonathan eravamo molto amici . . .”- disse malinconico.
“E poi cosa è successo? Come mai non vi sentite piu’?”- chiesi stranamente curiosa. Di solito non mi impiccio degli affari che non mi riguardano, semplicemente perché non mi interessano, figuriamoci le storie passate di mio padre. Ma in quel caso dovevo sapere qualunque cosa su quel ragazzo, su Blaze.
Si giro’ verso il suo rottame a testa bassa, sospirando. Non mi piaceva per niente la sua reazione, aspettai l’inizio della sua storia, appoggiando il peso su una gamba sola.
“Vedi, non dovrei dirtelo . . .”- disse affranto.
“Ormai me lo hai accennato, devi dirmelo!”- incalzai spazientita.
“Va bene, ma promettimi che non dirai niente alla mamma”- chiese speranzoso in una mia risposta positiva. Acconsentii con la testa sorridendo forzatamente.
“Un giorno ho beccato Jonathan che ci provava con tua madre e di lì a poco scoprii anche che quella storia durava ormai da tempo, troppo tempo.”- disse velocissimo, perdendosi qualche parola per strada.
Non ci potevo credere. Rimasi con gli occhi fissi su di lui per un po’ sforzandomi di non esplodere.
“E’ per questo che se ne è andata, vero?”- domandai senza voce.
“Mi dispiace”-rispose affranto.
“Di certo non sei te quello che mi deve chiedere scusa. Lo sapevo che era una persona orribile, ma non fino a questo punto. Non diro’ niente, faro’ come se non fosse successo niente, tanto io sono brava a nascondere le cose. Non c’è problema.”-non potei fermarmi, non riuscivo a placare quelle brutte parole dentro di me. Uscirono da sole, come il giorno prima, a pranzo con mia madre. Il problema è sempre lei, sempre.
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime, alzai gli occhi cercando di alleviare quella piena d’acqua che cresceva sempre piu’. Non riuscivo a fermarla, così mi voltai e uscii dalla riserva, correndo e inciampando come al mio solito. Uscita dal giardino di casa mia mi misi a correre quel poco che bastava per essere ad una distanza accettabile per non farmi vedere, scoppiai in lacrime. Ripensai a mia madre che usciva da quella porta con borsoni e indumenti appresso e mio padre in lacrime dietro di lei che la supplicava di restare per sua figlia, per me. Lei mi guardo’ a sua volta in lacrime e se ne ando’ senza dire niente. Esattamente dodici anni fa successe e me lo ricordo come fosse ieri. Mi ricordo i pianti di mio padre ogni singola notte, quando dentro al suo letto matrimoniale, troppo ampio e vuoto, sentiva la sua mancanza. Mi ricordo quando io per non farlo sentire solo mi accovacciavo accanto a lui sul letto, addormentandosi sfinito dai pianti. Poi un bel giorno mi porto’ al parco per farmi felice, ci divertimmo tantissimo. Anche se gli vomitai il mio bel gelato alla fragola sui pantaloni. Eravamo una forza insieme. Passai tutta la mia vita con lui, senza mia madre. Crescendo, mio padre mi racconto’ che la mamma se ne era andata perché aveva tanti problemi e non voleva coinvolgerci, così si era presa una pausa per risolvere tutto e che un bel giorno sarebbe tornata in famiglia con noi. Due anni dopo si sposa con Spencer e i sogni di mio padre e miei si frantumarono in mille pezzi. Ogni volta che Spencer e mia madre ci venivano a trovare vedevo mio padre soffrire come un cane. Da quel momento in poi mia madre è stata sempre un problema per me e l’ho incominciata ad odiare, fino ad odiare me stessa. Ma questo è il limite, se ne era andata perché non essendo soddisfatta di mio padre e di me, della sua famiglia, se ne andava da Jonathan a divertirsi e a fare quello che voleva. Cosa dovrei pensare ora di mia madre? Puo’ essere una madre questa? Puo’ essere una donna? Continuai a piangere silenziosamente, soffocando come al mio solito i lamenti dentro di me. Dovevo risolvere e chiarire una volta per tutte questa situazione. Mi alzai di scatto asciugando nel mentre gli occhi, feci un bel respiro e mi girai intorno cercando cio’ che avevo intenzione di trovare. Puntai il mio obiettivo, quella strada. Camminai a passo veloce e deciso verso quella stradina deserta. Entrai nel giardinetto a passo svelto, era bellissimo: il prato curato, le piantine colorate in ordine di colore e altezza. Sarà questo il posto giusto? Sì, ne ero sicura. Con agilità spaventosa, saltai due scalini alla volta zompando sulla veranda di legno che cigolo’ all’impatto dei miei piedi. Esitai per qualche istante consapevole di fare la terza cazzata in due giorni, ma dovevo farla. Poi mi promisi che non avrei fatto nessun’altra stupidaggine. Riempii i polmoni, buttai fuori e con decisione spinsi il bottone d’orato del campanello. Sentii avvicinarsi qualcuno. Speravo solo fosse lui . . .

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Capitolo 8
*** We’re making all the same mistakes ***


Mi tremavano le gambe tanto che per un momento sognai di cadere svenuta per terra. Cercai di respirare profondamente per calmarmi e far smettere il mio cuore di battere così forte. Si aprì la porta e inevitabilmente ma con grande piacere, vidi le gambe muscolose di Blaze. Mi accorsi di sorridere dopo un po’, quando mi incominciarono a far male i muscoli facciali. Ero proprio stupida, ma stupida forte. Solo che mi metteva felicità la sua presenza.
“Ei Claire!”- disse gioioso. “Cosa ci fai qui?”- concluse. Non riuscivo ad alzare la testa, ero troppo in imbarazzo. Mi ripetevo che dovevo alzarla e che sarei passata per una maleducata se gli avessi parlato con la testa bassa. Così mi feci coraggio e alzai lentamente la testa. Il suo sorriso mi contagio’ all’istante. Sorrisi come un ebete. Poi mi spostai sui suoi occhi scuri per non perdere il controllo, stavo bene con lui. Riuscivo a non pensare a niente.
“Che fai non entri?”- sembro’ illuminato da quelle parole, sorridendo ancora piu’ di prima, forse per cortesia.
Annuii, provocando una risatina orribile. Tipica di quella barbie vivente di Lorel. Serrai la bocca all’istante, pregando che non avesse sentito nulla. Entrai lentamente sfiorando con la spalla destra il suo braccio e un ondata di aria al pino selvatico mi sommerse. Lo racchiusi come al solito nei polmoni per non farlo sprecare inutilmente. Mi guardai intorno cercando di scrutare ogni singolo oggetto che trovavo davanti ai miei occhi, tanto per rendermi occupata e non dare l’impressione di una persona che non sa dove andare e che fare in casa sua. Poi sentii le sue mani poggiarsi sulle mie spalle e spingermi in avanti guidandomi e manovrandomi a suo piacimento. Mi sentivo stupida, molto stupida. Superato il corridoio mi fece svoltare a destra, nel salone. Lascio’ la sua presa ferrea e decisa dalle mie spalle, tanto che per un momento mi sentivo quasi persa. Poi riprendendomi lo guardai con sguardo interrogativo.
“Siediti pure”- non levava quel sorriso dalla bocca. Cercando di non inciampare su tappeti e oggetti misteriosi, attraversai tranquillamente la stanza fino ad arrivare al divano nero lucido e gonfio, buttandomi sfinita sopra. Mi accorsi di aver rovinato tutto il mio precedente sforzo di essere la piu’ cordiale possibile. Ma ero davvero esausta.
“Ero intento a dirti di fare come se fossi a casa tua, ma a quanto pare mi hai battuto sul tempo”- stavolta era davvero divertito.
“Scusa, sono piombata così nel nulla senza preavviso. Mi dispiace tanto ma è davvero importante che io veda tuo padre.”- mi feci seria, ripensando a cio’ che dovevo portare a termine.
“Ah… E’ successo qualcosa?”- scomparve il sorriso. Mi sentii sbagliata in quel momento, ma non potevo farci niente.
“Non sono sicura di volerne parlare adesso. Volevo chiarire una cosa con Jonathan, insomma, in sua presenza. Posso vederlo?”- era necessaria la mia assoluta determinazione.
“Capisco. No guarda, adesso è fuori in centro. Dovrebbe tornare a momenti”- disse indifferente.
“Ti dispiace se aspetto qui fino a quando torna? E’ davvero urgente. Non saro’ di disturbo, lo prometto. Basta che sto seduta qui ferma e non mi alzo, non saro’ un pericolo”- cercai di sdrammatizzare, senza risultato. Il suo sorriso non tornava.
Mi guardai intorno cercando di cogliere maggiori immagini possibili di quella casa. Tutto normale, come qualunque sala da pranzo in circolazione. Poi il mio sguardo si poso’ su una foto non troppo distante da me, fortunatamente ben chiara ai miei occhi miopi: una bambina vestita di rosa e verde teneva in mano un peluche nero e bianco, un cane … ZEUS! Non ci posso credere il mio peluche, ce l’ho ancora dentro all’armadio tutto rovinato ma ancora morbido come un tempo. Vidi un bambino accanto a lei, anche lui giocava seduto su un tappeto di gomma. A differenza che lui teneva un pupazzo di Tyrannosaurus Rex. Sghignazzai sotto i baffi per aver collegato quel dinosauro all’immagine di Lorel. Blaze si giro’ e mi guardo curioso. Si avvicino’ alla foto sganciandola dal chiodo incastrato nel muro. Si avvicino’ a me e me la porse.
“Avevi quattro anni e io sei. Tu e tuo padre venivate sempre qui a passare i pomeriggi in compagnia. Per non pensare a …”- cercava di non parare proprio lì.
“Sì, me lo ha detto e mi ha detto anche un'altra cosa, piu’ grave, che devo assolutamente chiarire con Jonathan. Per questo sono qui.”- dissi io, appoggiando con cautela la foto sul tavolo.
Mi passo’ davanti sedendosi vicino a me. Diventai inevitabilmente di fuoco, quando inizio’ il contatto fisico: partendo dalle braccia, la sua mano scivolo’ timidamente sulla mia, intrecciando le dita in una presa ferrea. Si porto’ quella nuova figura intrecciata al viso, accarezzandosi la guancia liscia e morbida e portandosela infine alle labbra che dolcemente diedero un leggerissimo bacio su una delle mie fortunate dita destinatarie di quel quasi impercettibile contatto. Lo guardai sorpresa, quanto desideravo essere io una di quelle dita, quanto volevo fossero le mie labbra ad essere lì. Inconsapevolmente mi stavo avvicinando troppo, lui si giro’ e mi guardo’ poi sentii l’altra sua mano cingermi il fianco avvicinandomi ancora piu’ a lui. Stavolta io non mi muovevo, stava facendo tutto da solo.
“Mi dispiace”- sussurro’ soffiandomi in faccia quelle parole. Che cosa? Non riuscivo a capire il motivo di quel mi dispiace: per l’episodio di mia madre del quale ne era anche lui a conoscenza? In meno di mezzo secondo mi ritrovai le sue labbra calde sulle mie. Ero nel pallone! No, non adesso. Non ora! Presi forza e lo spinsi via, staccando di malavoglia quel bacio che tanto desideravo. Lo guardai fisso negli occhi , sconvolta. Non avevo la minima idea di cosa fare o dire in quel momento. Poi sentii la porta aprirsi, ringraziai le forze superiori di quel piacevole imprevisto. Mi alzai di scatto, scaraventandomi all’ingresso. Mi affacciai e infondo vidi un signore alto e anch’egli muscoloso. Era davvero una cosa di famiglia. Mi fermai immobile aspettando che si girasse per accorgersi della mia presenza. Si volto’ tranquillamente, ma vedendomi fermo’ ogni sua piccola attività che stava svolgendo in quel momento. Si fece cascare le chiavi a terra, facendomi preoccupare piu’ del dovuto. Poi si porto’ la mano alla bocca, ciancicando qualcosa, probabilmente una leggera invocazione. Improvvisamente si mosse a passo svelto verso di me. Non sapevo come reagire: Tai-chi o prendi e scappa? Decisi di non fare nessuna delle due, quando avvicinandosi intravidi i suoi occhi lucidi. No, non mi voleva fare del male. Lo accolsi a braccia aperte, senza sapere il perché. Mi prese mi strinse come una bambola di pezza tanto da togliermi il respiro, poi mi fece volteggiare e girare con una facilità impressionante. Mi lamentaii ridendo, infondo mi stava simpatico. Così mi poggio’ con delicatezza a terra, mi ripresi dallo scombussolamento e mi guido’ fino al divano, con le mani sulle spalle. Oddio, ma che cos’è un vizio di famiglia? Praticamente due gocce d’acqua. Mi fece sedere proprio dove non volevo sedermi, vicino a Blaze. Jonathan si sedette su una poltrona davanti a me.
“A cosa devo questa meravigliosa visita, principessa?”- chiese sorridendo e gioioso, quasi euforico. Probabilmente ancora non si era ripreso. Aspetta, principessa? Ma che… stiamo scherzando? Cercai di non pensarci e prendere il coraggio e la lucidità necessaria per tirare fuori quell’argomento, senza creare troppo trambusto. Riordinai le idee e infine mi decisi a parlare . . .


 
 
Decisi di arrivare direttamente al punto, senza troppi giri di parole.
“Sono venuta a sapere che tempo fa tu e mia madre avete avuto una storia, quando mio padre era ancora sposato con lei.”- dissi tutto d’un fiato.
Ero nevrotica, perché mi accorsi che avevo Blaze alle spalle e non potevo guardare la sua espressione. Quindi guardai dritta davanti a me Jonathan che rimase di pietra a quello che avevo appena detto.
“… prima di tutto volevo avere conferma di tutto cio’.”- spezzai il silenzio, sperando in una sua reazione. In quel momento la tensione si poteva tagliare con un coltello.
“Vado in cucina a preparare qualcosa”- sentii Blaze dietro di me. Mi sembrava ancora una volta di essere sbagliata in quel momento e di aver rovinato qualcosa in quella casa. Abbassai lo sguardo disperata mentre si dileguava in cucina, ripensando al bacio e a tutto quello che aveva fatto per me. Mi sentivo un verme.
“Sì è vero. Mi dispiace principessa”- mi arrivo’ la voce di Jonathan. Lo guardai in volto, un volto scavato nel tempo, mi ricordava tanto mio padre.
“E’ stata una scelta di entrambi o ti ha costretto lei?”- lo dissi cattiva, mi facevo paura.
“Scusa se insisto, sono consapevole del fatto che non è facile dopo tutto questo tempo, ma devo sapere”- conclusi.
“Ma cosa dici? Certo che è stata una decisione di entrambi. Non scaricare tutta la colpa su tua madre, le responsabilità sono anche le mie.”- disse quasi arrabbiato. Sapevo in qualche modo che non si poteva arrabbiare così tanto. Mi dava l’idea di un gigante buono che raramente si arrabbia.
“Conoscendola ormai, sarebbe capace di tutto”- sbuffai delusa. “Dovrei odiarti a morte, ma non ci riesco sai? E’ strano, ma non ti vedo come uno che fa del male alla gente per divertimento. Percio’ ti prego, un giorno passa a trovarci e parla con mio padre. Non è il caso di rovinare un amicizia del genere, in fondo sarebbe felicissimo di poterti rivedere”- quasi lo implorai. Feci per alzarmi e raggiungere la porta.
“Che fai già te ne vai?”- disse preoccupato. Guardai l’orologio della cucina, erano ancora le dieci di mattina. Poi Blaze spunto’ dalla porta facendomi saltare dalla paura di due metri piu’ in là.
“Dai non te ne andare subito, ho appena fatto pane e nutella. Ne vuoi una fetta?”- chiese sorridente.
“Come posso rifiutare pane e nutella”- risposi divertita.
“Inoltre fatti da me”- contraccambio’ spavaldo.
“Oh, mi scusi chef”- colpito e affondato. Un suo sorriso confermo’ la sconfitta. Mi avvicinai a lui allungando la mano sul vassoio che portava tranquillamente su una mano. Afferrai una fetta di pane con la nutella, diedi un morso e mi rituffai sul divano morbido e nero. Era fantastico.
“Quanto sei cresciuta. E quanto sei diventata bella. Ormai sei diventata regina, altro che principessa.”- incalzo’ Jonathan.
Arrossii. Cavolo non puoi dirmi cose del genere, così senza preavviso.
“Mi ci chiamavi così quando ero piccola, vero?”- domandai imbarazzata.
“Sì, eri proprio una principessa. E Blaze era il principe. Eravate due portenti”- disse ridendo.
“Dai papà, finiscila!”- si lamento’ Blaze. Lo guardai di sfuggita. Eggià anche lui era diventato rosso. Ci raggiunse prendendo la rincorsa e tuffandosi anch’egli con agilità sul divano… accanto a me. Provoco’ una specie di terremoto che mi fece traballare e cadere la fetta di pane e nutella sulla maglietta.
“Cazz…arola!”-  evitai di passare per una borgatara.
Blaze tutto agitato cerco’ di pulire con un fazzoletto la macchia, ma stava solo peggiorando la situazione. Io immobile a guardarlo tutto agitato e dispiaciuto che cercava di strofinare la mia maglietta e intanto strofinava anche la mia pancia, mentre Jonathan si godeva lo spettacolo senza muovere un dito e sghignazzando sotto i baffi (che non aveva). Inevitabilmente scoppiai a ridere sul braccio teso di Blaze che si fermo’ guardandomi esterrefatto. Jonathan scoppio’ in una risata fragorosa che accompagno’ anche la risata divertita di Blaze. Cercai di fermarmi, ma ogni tanto vedendo le loro facce buffe mi veniva sempre da ridere.
“Fa niente, faro’ un po’ di chilometri con una macchia marrone sulla maglietta, non moriro’”- cercai di dire sopprimendo la risata incontrollata.
Jonathan si alzo’ e si diresse verso la libreria dietro di noi, senza dire una parola. Scruto’ per bene tutti gli scaffali in cerca di qualche libro. Ma non riuscivo a capire il motivo. Diedi un occhiata al volto di Blaze che era piu’ interrogativo del mio. Così aspettai paziente sedendomi di nuovo sul divano. Jonathan con gioia di tutti noi, estrasse un libro troppo grande, per essere tale. Si rimise sulla sua poltrona aprendo il libro e facendoci segno di avvicinarci a me e a Blaze. Ci guardammo tutti e due curiosi. Il che mi fece piu’ ridere che mettere in imbarazzo. Vidi una foto a colori anche se un po’ sbiadita.
“Blaze ci ha fatto cadere il gelato sopra”- indico’ il punto sbiadito della foto. “Quello che mi fa piu’ incavolare è che sotto c’ero io”- disse facendo finta di essere furibondo.
Blaze si mise a ridere dando una pacca assurda sulla spalla del padre che contraccambio’ ancora piu’ forte. A me sembrava una battaglia fra titani. Una botta del genere mi avrebbe fatta arrivare giu’ negli inferi.
“Questa sei tu in costume con tuo padre”- punto’ il dito su quella bambina sorridente in braccio al padre.
Giro’ la pagina. “E questo bambino ciccione è Blaze”- punto’ il dito su un bambino paffutello, non ciccione, con un costumino blu scuro.
“Eii non ero ciccione. Avevo solo due guance da mozzichi.”- sbuffo’ il moro vicino a me.
Giro’ ancora la pagina. Rimasi di pietra.
“Sì principessa. Questa è tua madre con tuo padre, quando erano ancora sposati”- bisbiglio’ Jonathan.
Blaze mi mise un braccio intorno al collo, baciandomi sulla fronte.
“Ei sto bene”- sbuffai.
“Sì, certo. Stai bene . . .”- disse tenendo le labbra accostate sulla mia fronte.
Perfino lui si era accorto che fingevo. Era preoccupante, mi conosceva davvero bene. Jonathan chiuse il libro rosso facendo muovere granelli di polvere visibili nello spiraglio di luce che penetrava dalla finestra davanti a noi. Lo poso’ sul tavolo e noto’ la foto che avevo visto prima e che avevo anch’essa poggiato sul tavolo.
“Gli hai fatto vedere come eravate belli?”- chiese a Blaze che torno’ seduto sul divano accanto a me.
“Certo papà, bellissimi”- disse sorridendo.
Per tre ore belle e buone parlammo del piu’ e del meno. Passammo dal cibo allo sport, dalla scuola agli animali. Niente di particolare solo lunghe chiacchierate dove io, stranamente parlavo sempre. A parte con Hayley e Sunday non avevo mai avuto da tanto tempo un discorso così lungo e pieno. Mi squillo’ il cellulare.
“Scusate”- dissi e mi alzai andando un po’ piu’ lontano.
-“Pronto?”
-“Clè torna a casa a mangiare”- era mio padre.
-“Arrivo”
Attaccai prima di sentire la risposta. Mi diressi verso Blaze e Jonathan.
“Devo andare a casa. È stato davvero fantastico incontrati Jonathan. Spero ci verrai a trovare presto. Blaze, noi ci vediamo domani in fermata”- dissi speranzosa.
“Oh cavolo è vero, domani è lunedì. Certo, ma stavolta non mi squadrerai come un alieno vero?”- disse sorridendo.
Sono così facile da interpretare? Merda.
“Scusa, non lo faro’ piu’”- risi cercando di tagliare corto. Stavo per andarmene quando mi ricordai di una cosa alquanto importante.
“Jonathan, scusa ma papà starà via per due giorni questa settimana per lavoro, dovrebbe tornare mercoledì sera.”- dissi con una smorfia.
“Adesso devo scappare fammi sapere da Blaze. Buonagiornata”- corsi verso la porta.
“Ciao principessa”
“Papà, smettila!” – sentii in lontananza.
La mia giornata si era capovolta. Era molto piu’ positiva grazie a loro due. Jonathan è una brava persona, non aveva modo di ferire i sentimenti di mio padre. Certo l’amore è davvero un casino. Cheppalle! Pensavo a cosa avrei fatto quando mio padre stava via, pensai a Zayn . . . mi mancava troppo. Ed era stupido pensare una cosa del genere, sicuramente non l’avrei piu’ rivisto e già mi manca. Sono una stupida ragazzina influenzabile! Senza accorgermene mi ritrovai davanti al cancelletto di casa, lo aprii e prima di poter aprire la porta mi si materializzo’ dietro, lui. Come potevo non riconoscerlo, mi girai e lo abbracciai.
“Scusa”- dissi con un filo di voce.

 

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Capitolo 9
*** Thank you for showing me who you are underneath ***


“Scusa papà, non sapevo cosa fare, come reagire. E tu lo sai che odio piangere davanti agli altri”- dissi stringendo la sua camicia nella mano.
“Tranquilla Claire. Ora non pensiamoci, è tutto finito”- cerco’ di rassicurarmi.
“Grazie papà”- dissi infine.
“Sei davvero Claire Coen?”- chiese staccandosi da quell’abbraccio paterno.
“Complimenti. Sei riuscito a rovinare tutta l’atmosfera”- ritornai in me, sbuffando e ridendo nel mentre.
“Ti sei goduto quel momento, pà?”- chiesi con il sorriso.
“Oh certo Clè. Era d’obbligo . . .”- fece una pausa.
“PERCHE’ NON ACCADRA’ MAI PIU’”- dicemmo in coro.
Scoppiammo a ridere divertiti ed entrammo a casa felici. Quei momenti dovevo racchiuderli nella mente e non farli uscire mai piu’. Non si sa mai, potevano anche non ritornare piu’.
Entrata in casa, mi appostai velocemente in cucina ad aspettare gli ordini del capitano sul pranzo di quel giorno. Mi sentivo felice, tanto vale cogliere tutte le occasioni e viverle al meglio. Misi le braccia sui fianchi aspettando una sua reazione o decisione.
“. . . Fish and chips al fastfood piu’ vicino?”- chiese speranzoso.
“Scherzi? Proprio oggi che mi sento di buonumore? Stavolta cucino io. Non sono poi così negata”- conclusi decisa.
Mio padre non disse niente, alzo’ solo le mani al cielo in segno di preghiera. Si vedeva che aveva fiducia in me.
“Bene. Oggi mangeremo . . . Pasticcio di carne?”- dissi con una smorfia di richiesta.
Mio padre scosse la testa. Sapeva che avrei finito per sprecare solo cibo.
“Bocciato. Allora . . . semplicissime uova alla scozzese?”- chiesi speranzosa.
“Semplici, facili e veloci. Nel tuo caso, vanno benissimo”- disse infine.
“Grazie mille papà”- pigolai sarcastica.
Mi misi subito all’opera, presi le uova dal frigo e le salsicce. Le impanai e le misi a friggere nell’olio bollente. Stavo vicino all’olio bollente e non mi ero scottata, stavano venendo bene e diventavo sempre piu’ euforica. In meno di dieci minuti fu tutto pronto. Per finire il tutto in bellezza, servii il tutto su un bel piatto da portata. Uova sode con salsiccia fritta con sopra salsa di pomodoro e insalata. Ci ero riuscita. Wow!
“Sono fiero di te Claire.”-disse mio padre con la bocca piena. “Sono davvero buone”-disse dopo aver mandato giu il boccone con un sorso d’acqua.
“Perché così sorpreso? Infondo sono sempre stata così brava in cucina, no?”- dissi ridendo.
“Assolutamente”- disse sarcastico.
Il pranzo continuo’ in silenzio, ovviamente per le bocche piene. Mio padre finì per primo, anche se di solito era sempre stato l’ultimo. Bene, meglio così! Significa che avevo fatto davvero un buon lavoro. Mentre lavava il suo piatto pensai di parlargli. Ci avevo riflettuto molto mentre mangiavamo e ora ero decisa a parlargliene.
“Ei papà . . .”- non ne ero totalmente sicura.
“Dimmi”- disse tra l’acqua che scorreva e il tintinnio della forchetta contro il piatto.
“ . . . A che ora parti?”- dissi infine. Non badai a cio’ che mi rispose, mi ripetevo in continuazione di non poter dire di essere stata da Jonathan a casa del suo ex migliore amico. Forse non era il caso di creare casini su casini. Magari poteva non prenderla bene e arrabbiarsi piu’ di prima. Mi ripromisi di starne fuori e lasciare che Jonathan decidesse da solo cosa fare.
“. . . Sei su questo pianeta?”- la sua voce riacquisto’ tono nella mia mente.
“Ehmm, sì. Scusa ero distratta. Dicevi?”- risposi voltandomi verso di lui.
“Parto verso le sei di questo pomeriggio e ritorno mercoledì sera. Ti faro’ uno squillo un po’ prima di tornare per dirti l’ora esatta del mio ritorno…”- fece una pausa fissandomi.
“Così potrai avere il tempo necessario per sistemare tutto l’eventuale casino che farai quando staro’ via”- disse sorridendo.
“Io sono un angelo sceso in Terra . . .”- dissi indifferente.
“Sìsì vabbè”- disse sbrigativo.
Lavai anche il mio piatto nel mentre mio padre usciva e si dirigeva con calma nella riserva. Poi rientro’ in casa e si diresse verso la sua camera da letto.
“Mi riposo un po’, se squilla il telefono rispondi tu”- disse sbadigliando.
“Ok”- dissi.
Decisi di stare anche io un po’ per conto mio. Salii le scale e varcata la soglia della porta, mi tuffai nel letto affondando la testa nel cuscino. Chiusi gli occhi per qualche minuto per riposare il cervello stanco e non pensare a niente per una volta. Ma pochissimi istanti dopo, mi squillo’ il cellulare. Maledii le forze superiori chiedendogli per quale assurdo motivo non potevo stare un attimo tranquilla e risposi.
“Pronto”- dissi con voce roca.
“. . .”- niente.
“PRONTO?!”- alzai il tono della voce scocciata.
Solo un sospiro di risposta, poi attacco’.
Un brivido lungo la schiena mi blocco’. Un maniaco? Cosa devo fare chiamare la polizia? Poi osservai lo schermo del telefono 02 5473***. No, non lo conosco. Mi ripetei piu’ volte di non farmi prendere dal panico. Sarà solo uno scherzo, certo. Tutto qua! Poi mi arrivo’ un messaggio. Era sempre lo stesso numero.

Rimasi con il cellulare davanti agli occhi per due minuti belli e buoni. “Patetico”- pensai.
“Davvero patetico”- dissi infine. Neanche il coraggio di parlare al telefono, tutto alle spalle di Barbie. Un patetico sms. Poi pensai alla sera prima, quando ho baciato Zayn e mi sono ritrovata lui davanti agli occhi. Ancora non riuscivo a capire se era stata una mia visione o stava davvero lì. Non potevo di certo chiederglielo a lui. Così mi alzai accesi il computer e mi collegai a internet. Menomale erano tutte e due in linea. Scrissi a Hayley e Sunday e gli chiesi se almeno loro quella sera avevano visto Chris.

- concluse.
Quindi era tutto frutto della mia stupida immaginazione. Strinsi il pugno fortissimo. Cheppalle! Desideravo così tanto baciarlo e ho rovinato tutto quel fantastico momento per i miei stupidi ricordi. Di chi, poi è stato un completo idiota con me. “Fantastico!”- urlai.
- scrissi.

-mi scrisse la bionda.
- concluse sarcastica la riccia. Io mi ero già disconnessa. Un sospiro e mi lasciai andare sul letto. No, non mi ritornava piu’ il sonno. Miseriaccia! Mi alzaii lentamente, poi presa la mia decisione mi diressi al piano inferiore. Bussai.
“Papà ti dispiace se fra cinque minuti esco a fare due passi?”- urlai alla porta.
Adesso si incavola, lo so. Mi ero scordata che stava riposando . . .
“A che ora torni?”-disse tranquillo.
Grazie al cielo . . .
“Mmm… Verso l’ora di cena”- dissi soddisfatta.
“Ok. Stai attenta”- concluse. Non c’era bisogno di risposta.
Salii di nuovo di sopra e con un foulard azzurro mi coprii dal vento, uscendo fuori in terrazzo. Non c’era una particolare vista da lì, solo case e strade, ma quando il sole tramonta o sorge quel posto diventa magico. Ripensai alla luna riflessa sull’acqua del lago, quella sera. Anche quel posto era magico, sarebbe stato il mio secondo posto preferito, non solo per quel meraviglioso aspetto, ma soprattutto per chi mi ha permesso di rincontrare. Non è possibile che ogni volta vado a parare su di lui. È stupido. È da stupidi. Sapevo che non l’avrei piu’ rivisto, eppure non me ne volevo fare una ragione. Fissai il sole che scendeva sempre piu’. Cavolo, come passa veloce il tempo. Rientrai in camera e presi il cellulare: sono di già le quattro! Pensai a dove andare una volta uscita. Mi passarono davanti vari posti, nessuno mi ispirava. Poi guardando di nuovo il sole in lontananza, pensai a un solo posto in particolare. Presa la mia decisione, presi giacca, cellulare, chiavi e dopo averci pensato un po’ anche l’I-Pod.
“Ciao pà, io vado”- dissi uscendo. Nessuna risposta. “Si sarà riaddormentato”- pensai.
Uscii dal giardino e portai le cuffiette penzolanti alle orecchie. Accesi l’I-Pod . . .
“PORCA…!!”- urlai, balzando di due metri.
Abbassai il volume velocemente. Stava al massimo. Dopo essermi fermata un attimo a prendere fiato e calmare il cuore dai battiti veloci, misi Ed Sheeran. Lego House va benissimo, adesso. Il cuore ritrovo’ il suo equilibrio. Così iniziai a camminare di nuovo, con piu’ calma. Feci la stessa strada che facemmo con Hayley e Sunday, solo senza sigaretta e con scarpe piu’ comode. Non era tanto distante il locale e dopo dieci minuti di camminata sentii l’umidità entrarmi nelle ossa. Sono vicina al lago. Sento che l’aria è cambiata, è inebriante. Incominciavo a sentire freddo, avevo i brividi presenti e la pelle d’oca.
Scorsi in lontananza il piccolo molo scuro. Sorrisi. Mi sembro’ di tornare di nuovo a quella sera, in compagnia di Zayn. Mi avvicinai e quando passai sopra feci attenzione a non fare disastri. Stavolta era Jessie J che mi accompagnava con il suo ritmo a camminare attentamente,a passo di danza. Mi misi seduta con le gambe a penzoloni, svariate volte rividi davanti a me le stesse immagini. Un dejavù. La presenza di Zayn dietro di me e la sua voce calda e rassicurante che mi trasportava. Mi mancava tantissimo e forse avevo scelto questo luogo fra tanti per avercelo piu’ vicino a me, anche se non c’era. Ero consapevole che mi stavo autodistruggendo, ma mi sentivo bene in quel posto. Immaginando di avercelo accanto.

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Capitolo 10
*** You make my heart race ***


“Il tuo buonissimo odore andrebbe perso. Sarebbe uno spreco.” Sentivo e risentivo quelle parole dentro di me, era lui a parlarmi e mi passavano per la testa in continuazione come un disco rotto. Pian piano tornavano alla mente tutti i dettagli di quella situazione, anche i piu’ piccoli. Immaginai perfino la sigaretta a terra fumante, quando lui si alzo’ e mi aiuto’ a mia volta ad alzarmi. Tutto.
Sospirai, poi Rihanna con un suo acuto mi fece ritornare in me stessa. Alzai la testa guardando le acque del lago ormai rosso, il sole si era immerso nell’acqua cedendogli il colore intenso che brillava. Guardai l’ora sullo schermo dell’I-Pod: le sei meno cinque. Porca miseria fra cinque minuti mio padre parte! Mi alzai di scatto e corsi inciampando piu’ volte, sbucciandomi ovunque: mani, ginocchia, braccia . . . Partì Titanium, mi sentii piu’ energica, così accellerai pregando di non inciampare, perché in quel caso mi sarei fatta davvero molto male. Andavo ad una velocità impressionante, vedevo sfrecciare le case e gli alberi intorno a me, o così mi sembrava, forse era solo la musica che mi dava la spinta. Controllai l’ora: ho due minuti. Sbuffai soddisfatta quando vidi avanzare davanti a me la casa del mio vicino Smith. Rallentai la corsa per non schiantarmi contro lo steccato di casa mia. Diedi un’occhiata veloce all’orario: le sei precise. Grazie al cielo! Giusto il tempo di riprendere fiato. Poi entrai a casa.
“Pà?! Dove sei?”- urlai affannosamente.
Vidi sbucarmelo dalla sua camera con la valigia stracolma e lo zaino in spalla.
“Stavo per chiamarti e ricordartelo”- disse anche lui con un po’ di ansia. Tipico di quando parti e sai che puntualmente ti sei dimenticato qualcosa.
“Me l’ero completamente scordato, poi tu stavi mezzo assonnato. Neanche mi stavi ascoltando immagino”- conclusi.
“Ma cosa?”- chiese indaffarato nel mettere via le ultime cose.
“Ecco neanche ora mi ascolta . . .”- bisbigliai. “Niente, niente”- accentuai infine. “Quindi cenero’ sola soletta?”- dissi con la vocina da cucciola e gli occhi da cane bastonato.
“Fatti ospitare da Hayley o Sunday, magari dormi da loro, così supererai la prima spaventosa notte senza papà”- disse dando un po’ di enfasi nelle ultime parole.
“No, dai resto a casa. Voglio prepararmi psicologicamente a domani”- conclusi sforzandomi di sorridere.
In quel momento si fermo’, mi guardo’ sorridente, poi si avvicino’ e mi diede un leggero ma pungente bacio sulla fronte, avvinghiando con il braccio il mio povero collo.
“Mi mancherai. Sul serio, telefonami spesso, ok? Non ti fare problemi”- dissi quasi malinconica e sorridente.
“Lo faro’”- disse abbracciandomi amorevolmente.
“Adesso vai, e divertiti a lavorare sui giocattolini d’epoca”- cercai di sdrammatizzare.
“Tornero’ presto, ciao Clè. In gamba mi raccomando!”- disse infine uscendo e salutandomi mentre si incamminava verso l’auto di servizio.
Quasi mi venne da piangere, rivedendo in quella scena mia madre che se ne andava, poi evitai il pianto cercando di pensare a quanto avrebbe voluto che accadesse tutto questo e che poi infondo erano solo due stramaledettissimi giorni. Così cercai di mantenere il sorriso, finchè la macchina non sgommo’ via. A quel punto salii di sopra dirigendomi in bagno, dove mi lavai la faccia con l’acqua fredda per evitare di scoppiare di nuovo in lacrime.
Scesi di nuovo giu, accesi la radio e incominciai a pensare a cosa mangiare, aprii il frigo sperando in qualche colpo di genio. Poi molto tranquillamente presi la pancetta e il formaggio e misi a friggere un petto di pollo impanato. Mi sarei fatta un mega panino imbottito, non avevo la minima idea su cosa fare. Molto probabilmente era l’umore a fregarmi la fantasia. Preparai il tutto a passo di danza con canzoni mai sentite prima, ma abbastanza movimentate. Mi macchiai piu’ volte di salsa, ma non mi importava, ero completamente immersa in quei ritmi trasportanti. Poi il tizio alla radio interruppe la mia frenetica e orribile danza per annunciare qualcosa.
“Buonasera a tutti, qui da ‘The Hits Radio’. Ora parleremo di una band, appartenente alla nuova generazione, dalle origini anglo-irlandesi, il loro nome . . . One Direction!”- parlo’ enfatizzando l’uomo.
“Sì Ted, proprio così. Questa band molto giovane sta facendo tanta strada per entrare nel mondo della musica, sono: Niall, Liam, Louis, Harry e Zayn . . .”- la donna continuo’ a parlare, mentre nella mia testa passava solo l’ultimo nome, poi tutti insieme, quando i flashback di quella sera, i volti di quei ragazzi mi ritornavano alla mente. Ogni volto al suo rispettivo nome, non ci volevo credere.
“Non è possibile”- bisbigliai senza voce, con gli occhi sgranati.
Mi precipitai alla radio, facendo cadere il panino a terra e girando di fretta la manovella dell’audio.
“Ora trasmettiamo il loro primo singolo: What makes you beatiful”- disse enfatizzando la donna.
La ascoltai attentamente senza farmi perdere nemmeno una piccola nota, inizio’ a cantare qualcuno con una voce coinvolgente e calma, doveva essere Liam, di sicuro quello non era Zayn. La canzone mi piaceva e non poco, ma l’angoscia che Zayn  era un cantante (non ancora conosciuto), ma sempre cantante era, mi sconvolgeva. Inizio’a cantare un'altra persona, Harry, non si poteva confondere la sua voce. Poi il ritornello tutti insieme, andavo a tempo con il piede, battendo a colpi brevi ma decisi. Cercavo di scovare la voce di Zayn ma quel coro non poteva dividersi sembrava tutta una sola voce, era perfetta. Come il latte e il cacao in polvere, una volta uniti non li puoi piu’ dividere. Dopo una breve pausa degli strumenti, lui, inconfondibile per me la sua voce: calda e . . . bellissima. Mi sciolsi a terra, in ginocchio, rimanendo ad ascoltare quelle strofe con una mano ancora appesa alla manopola del volume. Quella canzone la ascoltai fino alla fine, senza muovermi di un millimetro. Non mi sembrarono pochi minuti, ma anni, secoli e millenni. Finita la canzone non dissero piu’ niente nei loro riguardi, così mi alzai lentamente e salii in camera senza pulire la cucina né mangiare niente. Mi tuffai nel letto e chiusi gli occhi. Mi svegliai con il telefono trillante. Guardai l’orologio: erano le sette e mezza.
“Pronto”- dissi con voce roca.
“Claire sono papà, come procede lì?”- disse felice.
“Oh… ciao pà, tutto bene. Te lì come va?”-dissi riprendendomi un po’.
“E’ bellissimo, davvero. Ci sono certe auto favolose. Se saresti venuta con me avresti visto un sacco di cose interessanti e . . . Vabbè tu non puoi comprendere lo so, ma ho chiamato per sentire la tua voce e sapere che stavi bene, se non ti eri ammazzata per le scale o cose del genere”- disse preoccupato.
“Sono integra, tranquillo. Anche te mi manchi tanto. Senti papà adesso vado a dormire, sono un po’ stanca e poi domani mattina mi voglio svegliare presto”- dissi io per tagliare corto e non rovinare la sua allegria.
“Va bene Clè. In bocca al lupo per domani. Non fare danni! Ciao.”- attacco’ prima di farmi rispondere.
Vabbè meglio così. Feci per posare il telefono quando inevitabilmente mi guardai allo specchio, mi vidi come al mio solito brutta anche se tutti i miei amici mi contraddicevano sempre, ma loro non possono fare testo. Come fa una sempliciotta come me ad avere speranze con un cantante ormai in pista per diventare bravo e desiderato da tutte le ragazze del mondo? Sbuffai sprezzando cio’ che vedevo riflesso, presi il mio beauty-case azzurro e mi diressi in bagno a farmi una doccia. Fui piu’ veloce del solito, perché volevo andare a dormire subito e non pensare a niente. Così mi asciugai i capelli alla peggio per poi andarmene a dormire, spegnendo il cellulare per non essere disturbata da nessuno. Non potendo mettere la sveglia al cellulare, misi quella simpatica sveglietta di quando ero piccola, gialla e rosa, orribile, ma efficace.

Aprii gli occhi di soprassalto sentendo quel fastidiosissimo trillo penetrante, diedi una botta decisa a quell’aggeggio che vibrava e mi alzai. Erano le sei e mezza, mai alzata così presto in vita mia. Avevo un’ora precisa per prepararmi, così mi chiusi in bagno per mezz’ora, mi vestii in dieci minuti: maglietta a maniche corte blu, jeans chiari e le converse, semplicissimo. Altri quindici minuti per sistemare quella siepe che avevo per capelli e truccarmi quel poco che bastava. Di solito le ragazze vengono alle sette e cinque così ebbi dieci minuti per fare colazione e lavarmi i denti. Mi sembrava quasi anormale fare tutto con quell’ordine, mai successo. Sentii suonare il campanello giusto in tempo, quando stavo per prendere le ultime cose: zaino, cellulare e chiavi di casa. Scesi giu all’istante, aprii la porta senza guardarle, dovevo prima chiudere tutta casa. Dopo aver blindato la mia reggia le guardai con il sorriso, quanto gli volevo bene. Mi guardarono scioccate con facce buffissime.
“Sì, la Terra gira ancora e la vita è ancora in circolo”- dissi scocciata, ma subito dopo con il sorriso.
“Me lo devo segnare”- disse Sunday divertita.
“Non me lo dimentichero’ mai piu’”- disse Hayley ridendo poco dopo, prendendomi e trascinandomi fuori dal giardino.
Arrivammo alla fermata parlando del piu’ e del meno. Mi guardai intorno cercando Blaze, ma non c’era. In cinque minuti passo’ l’autobus ma di Blaze neanche l’ombra. Salimmo parlando in continuazione, almeno Hayley  e Sunday, io stavo in disparte a cercare con gli occhi Blaze.
“Cerchi il ragazzo dal sorriso perfetto?”- sghignazzo’ Sunday.
“Si chiama Blaze, l’ho conosciuto meglio. Anche se lui mi conosce meglio di me stessa . . .”- dissi indifferente cercando ancora con gli occhi. L’autobus non partiva, forse un piccolo guasto. Meglio così.
“Come, ti conosce meglio di te stessa. Non ti sto seguendo . . .”- incalzo’ Hayley.
“Era un mio carissimo amico d’infanzia, lui è il figlio del migliore amico di mio padre. Anche se non piu’ migliore amico da tanto tempo”- dissi questo persa con lo sguardo nel vuoto, poi mi girai verso di loro. “Mia madre, quando era ancora sposata con mio padre, stava frequentando anche Jonathan, il padre di Blaze”- dissi malinconica. Le vidi scioccate piu’ di prima. “Pero’ vi posso assicurare che Jonathan è una bravissima persona, sono andata a trovarlo ieri mattina ed è stato bello”- dissi infine con un sorriso.
Mi guardarono senza parole per tre nano secondi, poi posarono entrambe lo sguardo dietro di me. Io curiosa mi voltai dietro, vedendo con mio grande piacere Blaze. Salì col fiatone ringraziando l’autista per essersi fermato, poi si appoggio da una parte per riprendere fiato.
“Quando parli del diavolo . . .”- riprese Hayley.
“Spuntano le corna.”- concluse Sunday.
“Ei! Non è così male, vi sbagliate”- ciancicai fissandolo ancora.
“Ma noi dicevamo in senso positivo, vero Hayley?”- chiese Sunday.
“Oh, ma certo”- rispose Hayley. Non riuscivo a capire se mi stavano prendendo in giro o meno, perché pensavo solo a cosa diavolo avrei fatto. Non potevo fissarlo così, in quel modo, sarei passata per una maniaca. Ma prima di abbassare lo sguardo, vidi che il suo collo muscoloso fece manovra prima a destra e poi a sinistra, fino ad arrivare con lo sguardo verso di me. Bene. Ora devo inevitabilmente fare qualcosa. Lui mi sorrise alzando il braccio in segno di saluto, io feci lo stesso, allungando le labbra in una smorfia.
Sentii le mie due amiche farfugliare e spettegolare da dietro. Soffocai una risata dentro di me, mi facevano morire dal ridere quando facevano così. Blaze si riprese dal fiatone e cammino’ aggrappandosi da una parte all’altra del veicolo per non cadere, arrivando fino a me. Il suo sorriso contagioso mi prendeva sempre, poi indietreggiai verso Hayley e Sunday vedendole anche loro ridere. Aveva un grande potere quel ragazzo.
“Hayley, Sunday, lui è Blaze”- dissi gesticolando. “Blaze, loro sono le mie due salvezze”- dissi tagliando quel nervoso imbarazzo. Sorridenti si strinsero la mano.
“Jonathan che ha deciso? Viene?”- chiesi a Blaze per introdurre un argomento.
“Sono riuscito a convincerlo. Per venerdì va bene?”- chiese anch’egli speranzoso.
“Ehmmm…. Sì, certo.”- dissi annuendo.
L’autobus freno’ bruscamente facendomi venire addosso quell’ammasso di muscoli che avevo davanti. Stavo andando giu come un sacco di patate, quando lui, come in un film, si aggrappo’ al volo a una maniglia dell’autobus, afferrandomi con l’altro braccio libero da dietro, evitando di farmi spaccare la testa.
Ero bollente in faccia, me lo sentivo. Così mi alzai velocemente farfugliando un grazie imbarazzata.
“Spiderman 2 la vendetta”- sghignazzo’ Hayley. La fulminai con lo sguardo, acciaccandogli il piede volontariamente.
“Ahi!”- polemizzo’ la bionda.
Scendemmo come al solito subito dopo la baraonda di gente che si ammucchiava verso la porta di uscita e che spingeva. Davanti la brutta immagine di quell’edificio chiamato scuola. Brontolai, cheppalle!
“Devo correre alla lezione di chimica, ci vediamo”- disse il moro. Si avvicino’ a me baciandomi una guancia e scappando tra la folla.
Diventai inevitabilmente rossa e Hayley e Sunday mi diedero gomitate qua e la ridendo divertite.
“Non è divertente. Io prima o poi ci muoio così”- pigolai sbuffando.
“Andiamo va, ginnastica ci aspetta”- sbuffo’ Sunday.
“Io ancora non ho capito il senso di mettere educazione fisica alla prima ora di lezione. Lasciando in disparte il mio essere goffa e ammazzarmi sempre quando giochiamo. Insomma, è un ingiustizia!”- dissi polemica mentre entravamo in palestra.
“Almeno in qualcosa sei brava, giocare a calcio.”- incalzo’ Sunday.
“Sì, peccato che non sono maschio e non mi fanno giocare”- dissi, mentre ritornavano alla mente gli episodi di quando mi misi a giocare a calcio e mi feci male. Una fitta alla cicatrice mi fece fermare per un istante, tutto questo è molto alla Harry Potter. Entrammo in spogliatoio, faceva un freddo boia. Appena uscita mi misi in un angoletto a parlare con Hayley e Sunday aspettando che il prof, come al solito in ritardo, venisse a farci lezione. Poi le ragazze mi fecero notare a me, miope, che c’era Chris in lontananza che non la finiva di fissarmi. Alla fine si avvicino’ permettendomi di affermare che fosse davvero lui.
“Posso parlarti?”- chiese timido.
“Dimmi”- risposi fredda.
“Ehmm, volevo parlarti . . . insomma . . . da soli”- disse allungando il tono.
“Non ce né bisogno, loro due tanto sanno tutto, e non solo loro due, tutta la scuola sa tutto. Non ci sono segreti ormai”- contrabbattei cattiva. Mi aveva ferita e in questi casi non faccio sconti a nessuno.
“Io . . . bè, insomma… il messaggio che ti ho inviato . . .”- non riusciva proprio a parlare.
“Guarda, ti risparmio la fatica. Tu con me hai chiuso. Puoi comprarmi anche il pianeta Marte, non si torna indietro. Hai fatto la tua scelta e questa è stata, adesso ti subisci le conseguenze. Quindi non sprecare il tuo tempo e i tuoi soldi, non ritornerà mai piu’ come prima”- tirai fuori tutto quello che avevo incamerato per tutto quel tempo, non gli volevo fare del male, perché sapevo che lui è un ragazzo fragile, ma mi ha costretta a farlo per ripagarlo con la stessa moneta.
Non disse niente. Si giro’ e se ne ando’ con la testa bassa, come immaginavo facesse. E’ davvero molto prevedibile. Hayley e Sunday mi guardarono felici ma allo stesso tempo preoccupate, di cosa ero diventata parlandogli.
“Hai fatto bene”- inizio’ Hayley.
“Sì, proprio quello che dovevi fare”- seguì  Sunday.
“Grazie ragazze”- ci abbracciammo forte forte. Le mie due salvezze.
Finalmente arrivo’ il professore che ci lascio’ giocare a pallavolo (le ragazze) e a calcio (i ragazzi). Strano, stavolta ci lascia giocare così. Di solito è molto attento allo svolgimento della lezione. Infatti se ne ando’ poco dopo, lasciando la responsabilità ad Amily, la solita secchia rompiscatole. Io restai fuori, mettendomi a litigare con Amily perché non volevo farmi male giocando. Gli spiegai piu’ volte che ero negata a pallavolo e che non riuscivo a capire questa discriminazione nel calcio. Sul perché io non potevo giocare. Quando mi vide diventare bordo’, lascio’ perdere sapendo che quella che si poteva fare male in quel momento era solo lei. Per tutta la lezione mi misi seduta a guardare i ragazzi giocare a calcio. Commentando certe cavolate che facevano con quella maledetta palla. Stufa di quell’ assurda situazione, me ne uscii fuori andando sul retro della scuola a farmi due passi da sola. Era abbastanza pericoloso, perché camminavo in mezzo all’edificio della Preside alla mia destra e quello della palestra, dove si affacciavano molte classi alla mia sinistra. Non me ne importava non volevo tornare di nuovo in palestra. Arrivata quasi alla fine dei due edifici, sentii dei rumori provenire dalla mia destra, corsi subito a nascondermi dietro una siepe di fronte al portone dell’edificio che si aprì violentemente. No, non stavo sognando e non era colpa della mia miopia, era lui, era davvero Zayn. Aveva la faccia corrugata dalla rabbia, almeno quel dettaglio potevo notarlo. Diede un calcio al bidone lì accanto, facendomi spaventare. Il mio custode, ma era davvero lui? Poi si calmo’ respirando. Io non sapevo che fare, non potevo né andare avanti, né ritornare indietro. Dovevo restare lì, ferma. Spostai un po’ la gamba che incominciava a farmi male, ma qualcosa mi punse.
“AAH!”- urlai vedendo una goccia rossastra scendere giu per la gamba.
Addio, copertura. Lo vidi spaventato che si avvicinava a me, o a chi credeva che ci fosse dietro alla siepe. Mi coprii il viso tra le mani, poi evitando di farmi sembrare una decelebrata decisi di scoprire il volto e guardarlo di nuovo. In un certo senso ero felice che mi aveva scoperta. Quando giro’ la siepe, mi guardo’ con quegli occhi color ambra bellissimi, brillavano, ma solo perché erano lucidi, segno che stava per piangere o peggio ancora aveva già pianto. Mi sentii persa per un momento, poi quando mi sorrise, riacquistai il mio equilibrio. Mi aveva riconosciuta, ma aspettai il momento in cui mi avrebbe detto qualcosa. Finalmente arrivo’ e per un istante mi sentii felice in una situazione problematica, felice perché lo avevo rincontrato, felice perché a ogni mio malessere c’era lui presente, felice … e nient’altro.


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Capitolo 11
*** I’m broken, do you hear me? ***


“Claire!”- esclamo’ sorridente. Non c’è stato modo migliore in cui qualcuno ha pronunciato così bene il mio nome. Mi sentii leggera e cio’ che mi aveva punta alla gamba non era piu’ un mio problema.
“Ma cosa ci fai qui dietro? Perché dobbiamo sempre ritrovarci in questo modo, quando tu sei in pericolo?”- scoppio’ in una delle sue fantastiche risate fragorose, che non erano né troppo, né troppo poco.
Mi alzai da terra imbarazzata e con la testa bassa.
“Lascia che ti aiuti. Andiamo in infermeria a disinfettare questo taglietto?”- chiese fissandomi la gamba. Si abbasso’ lentamente, piegando le ginocchia che si poggiarono a terra. Inizialmente non capii tutta quella preoccupazione per un taglietto così innocuo, poi mi prese una fitta alla cicatrice e ritirai dolorante la gamba. Mi accorsi che teneva ancora la mano in sospeso su quel punto e che guardava nel vuoto, pensieroso.
“Scusa”- sussurro’ malinconico.
“. . . Figurati.”- risposi guardandolo ancora immobile, rannicchiato sotto i miei occhi.
Finalmente si decise ad alzarsi e con un movimento leggero, mi afferro’ la mano e mi sorrise. Guardo’ l’orologio sportivo nero che portava al polso.
“Sono le 8.30. Che dici in mezz’ora ce la facciamo ad arrivare in infermeria facendo due chiacchiere?”- illumino’ il tutto con uno dei suoi meravigliosi sorrisi.
“Sinceramente non mi va tanto di rientrare lì dentro . . .”- risposi cupa.
“Giustamente. Senno’ non ti saresti rifugiata dietro a un cespuglio sul retro della scuola”- mi disse facendomi l’occhiolino. Calma, calma, calma. È solo un ragazzo come tutti gli … Ah no, giusto è un cantante! Inspirai fingendo di fare una pausa per riflettere sulla risposta, mentre invece inspirai per il motivo reale: altrimenti sarei svenuta fra le sue braccia senza battito cardiaco. Che poi cadere svenuta tra le sue braccia non sarebbe stato male. Fermai i miei viaggi mentali. Un attimo, ma lui come fa a sapere che sono “scappata” dalla lezione?
“Come mai sai tutte queste cose? Dovrei forse sospettare che tu sia un agente segreto della N.A.S.A.?”- chiesi interrogativa.
“No, solo che anche io andavo a scuola poco tempo fa e mi incazzavo spesso, quindi di conseguenza saltavo spesso le lezioni”- poi continuo’ “è stato davvero un miracolo che sono riuscito a non farmi sospendere. O forse è stato solo un aiuto indesiderato a tirarmi fuori dai guai. Arrivavo a saltare fino a 3 ore di lezione al giorno, un giorno sì e l’altro pure”- disse infine tranquillo. “Allora dove vuoi che ti porto Claire?”- chiese facendo rispuntare quel fantastico sorrisetto lucente. Ero motivatissima di mettere in atto una scena del Titanic dove poi alla fine amoreggiano in un auto a bordo della nave. Poi guardandomi intorno, vedendo solo erba, cemento e siepi lasciai bruciare il mio fancazzismo e mi concentrai sulla risposta.
“Ci facciamo due passi fino a quella fontanella, così mi sciacquo e torno a lezione?”- chiesi speranzosa.
“Benissimo”- rispose pacato.
Facemmo pochi passi in silenzio giusto per trovare un argomento semplice e innocuo per farci rompere il ghiaccio, mentre io aspettavo solo che iniziasse lui. Inizialmente non ebbi il coraggio di guardarlo in faccia e vedere che espressione aveva in quel momento, poi con la testa ferma e il collo immobile girai lentamente lo sguardo verso destra, sbirciandolo. Sentii una risatina soffocata provenire dalla sua parte, finalmente potei girarmi e vedere le labbra allungarsi forzatamente sempre piu’ per poi vedere riflessi, i miei occhi sui suoi, bellissimi, e vederlo diventare tutto rosso dallo sforzo. Lui scoppio’ a ridere, io no. Ero troppo occupata a immergermi nei suoi occhi, stavolta color nocciola, e pensare e ripensare a come potevo parlare con Zayn Malik. Io non faccio parte del suo mondo, sono una qualunque. Mi ripresi quando sentii lui riprendersi da quella risata melodica, almeno per me. Poi mi guardo’ piu’ serio, ma sempre stampato in faccia un sorriso, piu’ malizioso che mi dava i brividi. Mi si avvicino’ un po’ di piu’. Respirai a tratti brevi e forzati cercando in tanti modi di non respirare il suo amabile e buonissimo odore.
“Ti prego, spiegami cosa ti ha spinta ad andare via in quel modo, quella sera. Io sto impazzendo, non riesco a capirti. In realtà non ti conosco a fondo ed è questo che mi da piu’ rabbia. Io voglio sapere tutto di te, cosa hai di così profondo e nascosto che nessuno puo’ sapere. Perché … “- disse lentamente. Sapevo che era in difficoltà, così lo anticipai.
“E’ stato un incidente.”- dissi malinconica.
“In che senso?”- chiese confuso, subito dopo intervenne: “Ah… capisco. Io non ti piaccio quanto tu piaci a me. E hai davvero ragione, insomma, ci siamo visti due volte e tu avrai i tuoi casini, i tuoi ragazzi, il tuo tempo libero …”- stava svalvolando, incomincio’ a borbottare e dire cose senza senso.
“Aspetta! Io non ho mai detto questo. Anzi mi imbarazza dirlo, ma se non fossi così conosciuto e così diverso da me e il mio mondo. Penso che non avrei esitato un istante a stare con te.”- lo dissi nervosa e velocemente abbassai la testa. Lui con un dito, sotto il mento fece poca pressione per alzarmi lentamente la testa e permettermi di guardarlo negli occhi.
“… Scusa, come? Così conosciuto… “- si fermo’ all’istante con gli occhi fissi su di me e la bocca semiaperta, dove uscì dopo un po’ un: “Ah…” “Io e gli altri siamo riusciti a mandare un pezzo alla radio, è stata un occasione piu’ rara che vera, adesso nessuno ci conosce, stiamo facendo piccoli passi lentamente.”- sembrava quasi un bambino beccato in cucina a frugare nella scatola dei biscotti, mentre la madre delusa e arrabbiata, aspetta una spiegazione. Ma in quel caso io non avevo bisogno di nessuna spiegazione, lui poteva fare benissimo cio’ che voleva e io non ero nessuno per impedirglielo.
“Quindi è questo che ti fa esitare?”- chiese infine, scosso.
“Questa la causa maggiore. Poi se vogliamo parlare di quella sera e della mia inspiegabile fuga improvvisa, bè quella è tutta un'altra storia”- dissi pacata.
“Guarda abbiamo venticinque minuti per parlare di questo. E stavolta nessuna fuga”- mi disse sorridendo. Il vuoto si era colmato ed era bellissimo.
Arrivai alla fontanella, saltellando da una pozzanghera all’altra arrivando infine su quella lastra di pietra bagnata dove zompai sopra facendo attenzione a non scivolare, come al mio solito. Raccolsi i capelli con l’elastico che avevo al polso, poi controllai Zayn, mi stava fissando e sorrideva.
“Puoi evitare di fissarmi? È imbarazzante.”- pigolai timida.
Fece una risata e si addosso’ di spalle alla fontanella, con le mani incrociate. Feci anch’io una piccola risata, a causa di quella situazione strana e divertente. L’acqua era gelata, ma è molto piu’ buona così. Misi la ferita sotto l’acqua, non sentivo niente, poi bevvi attirata dalla freschezza e dalla trasparenza dell’acqua. Con tranquillità mi asciugai le gocce d’acqua sulla bocca con le maniche della felpa tirate e mi sciolsi i capelli. Infine mi venne un idea: raccolsi nelle mani unite l’acqua gelida della fontanella, riempiendola piu’ che potevo, poi furtiva lanciai l’acqua addosso al moro che non fece in tempo a girarsi che subito io stavo scappando a metà strada. Ridevo mentre il vento mi scompigliava i capelli, poi sempre correndo mi voltai, ma verso la fontanella non vidi nessuno. Smisi di correre e automaticamente anche di sorridere, lo cercavo con lo sguardo intorno, ma non lo trovavo. Così mi misi a camminare indietro verso la fontanella preoccupata. Poi mi sentii bloccata da due braccia dietro di me, vidi il tatuaggio dello yin e dello yang sul braccio del presunto aggressore, così implorai divertita di non farmi del male. Mi sollevo’ con un agilità impressionante verso la fontanella.
“Ora ci penso io a farti dare un rinfrescatina”- disse dietro di me.
“No, ti prego. Giuro non è stata colpa mia, la fontanella ha fatto tutto da sola. No davvero, devo tornare in classe zuppata?”- cercai di fargli cambiare idea il piu’ velocemente possibile, persuadendolo in qualunque modo.
“Piccola peste, lo so che hai ginnastica e che hai il cambio. Per questo non c’è problema”- disse soddisfatto.
“Nono, ok. Davvero . . .”- cercai un’ altra scusa migliore. “HO IL MIO PERIODO”- dissi infine, sbuffando e imprecando per quella stupida e imbarazzante uscita.
Si fermo’. Ci ero riuscita? Poi la morsa delle braccia si allento’. Oddio mio, ci ero riuscita davvero! Tirai un sospiro di sollievo.
“Io ho delle sorelle e lo vedo se hai il tuo periodo o no. E tu Claire, no. Non hai il tuo periodo, mi dispiace.”- disse nelle mie orecchie coperte dai capelli disordinati.
In un istante, mi ritrovai a mezz’aria e un istante dopo sotto il getto’ d’acqua gelida della fontanella. Non feci la solita faccia sorpresa, risi e basta. “E’ gelata, cavolo!”- urlai. Poi mi alzai zuppa e incominciai a schizzarlo e infine per concludere in parità quella battaglia, fradicia lo abbracciai stretto a me, con l’intento di fargli un torto, ma in realtà quello per me era piacere puro. E quando sentii le sue labbra sulla mia testa bagnata, mi accorsi che anche per lui il mio abbraccio era qualcosa di piu’ che uno scherzo. 


Sentivo l’aria calda del suo respiro scaldarmi la testa, poi il vento azzero’ tutto quel calore facendomi tremare inconsapevolmente. Mi abbraccio’ piu’ forte quasi proteggendomi dal vento e cercando di fermare i brividi.
“Mi dispiace, non posso darti il felpone per coprirti dal freddo come nei film, vuoi la maglietta a maniche corte?”- chiese sarcastico, ancora unito a me in quell’abbraccio . . . bagnato!
Allargai le labbra in un sorriso contenuto che si spezzo’ con il tremolio delle labbra, non volevo staccarmi da lui per niente al mondo.
“Dai ti riporto dentro a cambiarti non voglio che tu ti prenda un raffreddore”- disse premuroso, staccando dolcemente l’abbraccio e strofinando le mani sulle mie braccia bagnate, cercando di alleviare la pelle d’oca.
“Sì papà”- risposi sarcastica ridendo compiaciuta.
Poi manovrandomi con molta facilità mi posiziono’ accanto a lui avvolgendomi con il bracco intorno alle spalle e accarezzandomi con le dita il braccio destro. Non tremavo piu’, il vento si era fermato.  E meno male! Non mi andava proprio di tremare come una foglia davanti a lui.
Ero intenta a chiedergli qualcosa, qualsiasi cosa. E vedevo che anche lui giaceva in un silenzio nervoso, quasi fastidioso.
“Coma mai eri così arrabbiato prima? Ho visto che uscivi dall’edificio della preside, insomma ho acquisito che è tua madre e mi chiedevo se…”- cercai di continuare.
“Sì è mia madre.”- rispose secco.
Rimasi quasi di pietra a quella sua reazione, l’unica cosa che non volevo era farlo arrabbiare.
“Scusa, non volevo impicciarmi. Mi dispiace”- dissi cercando di tirarmi fuori da quella situazione. Ma appena mi venne in mente un altro argomento, Zayn aprì bocca per parlare: “Vedi lei non è quasi mai stata presente nella mia vita. Quando avevo sei anni mio padrì morì di cancro. Lo sapevamo tutti che quel giorno sarebbe arrivato da un momento all’altro, solo, non così presto. Così io e mia madre ci siamo ritrovati improvvisamente abbandonati a noi stessi, cercando di pagare la casa e sistemare i vari problemi creatosi con la morte di mio padre. Dirigeva un azienda che naturalmente venne chiusa per mancanza di denaro sufficiente per continuare i lavori. Mia madre trovo’ subito lavoro per non lasciarmi senza mangiare e vivere decentemente con un solo stipendio fisso. Solo che questo tipo di lavoro, implica altrettante conseguenze difficili. Per questo mi sono ritrovato da solo nei momenti in cui avevo bisogno della sua presenza e del suo aiuto e con il tempo ogni tipo di aiuto datomi da parte sua per sfinimento l’ho sempre rifiutato. Ieri, per esempio, quando hanno mandato alla radio il nostro primo singolo, non ha avuto neanche il tempo per accendere quel dannato aggeggio e dedicarsi per cinque minuti al lavoro che sto cercando di portare avanti, senza il suo aiuto. Era questo il motivo del mio improvviso impulso di rabbia contro il bidone.”- disse quasi volendosene liberare. Mi rendeva felice sapere che voleva parlarmene, anche se era qualcosa di così personale.
“Non sembra, ma potrei capirti piu’ di chiunque altro”- risposi malinconica. “Sono quasi nella tua stessa situazione.”-conclusi a testa bassa e lo sguardo perso.
“Vuoi parlarmene?”- chiese sorridente, mentre alzavo la testa per guardarlo.
Non ci pensai nemmeno tre secondi, per quanto ero dentro in quella situazione, ancora.
“Tutto inizia con la rottura del rapporto tra mio padre e mia madre. Pochi giorni fa ho scoperto perfino che questa rottura è stata causata anche da un tradimento da parte di mia madre..”- sospirai cercando di proseguire e non scoppiare.
Mi sentivo osservata da lui, così cercai di concentrarmi su un punto preciso, davanti a me e riportai alla mente tutto cio’ che non volevo ricordare in tutti questi anni, nel mentre raccontavo.
“Mi ricordo ancora la faccia di mia madre umida e lucida di lacrime che per quanto si sforzava di trattenere non riusciva a fermarle. Lei se ne è andata, ero davvero piccola e mio padre ne soffrì molto. Soprattutto quando anni dopo il divorzio, mia madre si risposo’ con un manager importante di Londra, Spencer”- mi fermai un secondo guardando Zayn che alle parole dette si fermo’ a riflettere. “Tutto ok?”- chiesi interrogativa.
“Sìsì, tranquilla. Pura coincidenza…”- farfuglio’ riconcentrandosi su di me.
“Così il rapporto tra me e mia madre è sempre stato così acceso e . . .”- risi sotto i baffi. “Potrà sembrarti strano, ma l’incidente nel campo da calcio è stata piu’ una decisione che ho voluto compiere forzatamente. Per fare qualcosa da sola, senza l’aiuto di nessuno. È stato stupido, ma se avessi avuto la possibilità di tornare indietro lo rifarei ancora.”- dissi guardandolo, poi girandomi davanti a me, incominciai a pensare, se avevo fatto bene a dirglielo, se era giusto che io…. PAF! Ricevetti un colpetto dietro al collo che mi fece rimanere di pietra.
“Tu ti saresti rovinata le gambe perché volevi fare una cretinata da sola? Sei tutta matta”-disse fingendosi furioso, o forse un po’ lo era, ma è talmente bella la sua figura che la rabbia si nascondeva timida dietro di lui.
“Eeeeei!”- pigolai arrabbiata. “Cio’ che è fatto è fatto, te l’ho detto se tornassi indietro lo rifarei e poi che mi fa, è una cavolo di cicatrice, neanche tanto lunga, piu’ che altro profonda. Ma si rimarginerà, in questa cicatrice ci sarà per sempre la tua presenza”- dissi quest’ultima frase timorosa, in una sua reazione negativa. Poi vedendo la sua lunga attesa, troppo lunga per i miei poveri nervi, reagii io.
“Ma quella botta al collo? Guarda che io sono pericolosa se voglio, non sembra visto che mi hai sempre salvata in certi casi, ma posso reagire a modo mio. Vuoi assaggiare un po’ del mio Tai-chi?”- dissi ridendo e imitando mosse cretine allo stile film sul Kung-fu.
Lui non si sbilancio’ di un millimetro, si limito’ a ridere e a prendermi in giro, semplicemente non facendo niente.
“Vabbè non posso attaccare qualcuno che non mi provoca . . .”- dissi delusa.
Si fermo’ e mi guardo’ con sguardo provocante e attento, me lo sentivo che avrebbe fatto qualcosa. Mi concentrai sugli insegnamenti di mio padre, per non distrarmi e perdermi nei suoi bellissimi occhi marroni stavolta. Sorrise e mi afferro’ un braccio, aveva intenzione di farmi roteare per poi essere in preda a ogni suo attacco. Così prima di farmi far fare un giro completo, a metà afferrai il suo polso premendo sul punto sensibile, facendogli così mollare la presa sul mio braccio e poter finalmente avere il controllo su di lui. Gli piegai leggermente il polso dalla sua parte costringendolo a piegarsi in ginocchio quel poco che bastava per proseguire con la prossima mossa, decisi alla fine di farlo finire solo per terra. Così senza nessun lamento e nessuna smorfia si piego’ fino ad arrivare con la testa all’altezza del mio bacino. A quel punto con l’altra mano gli diedi una spinta, decisa, perché di certo una spinta leggera non lo avrebbe mosso di un centimetro. Cadde di sedere, sorridendomi.
“Sei davvero brava”- concluse con le mani in alto, facendo intendere la sua arresa.
Poi piantando saldamente i piedi a terra, allungai la mano per aiutarlo ad alzarsi. Afferro’ la mia mano e io mi ripetei di non deconcentrarmi e pensare a un eventuale attacco. Ci fu. Cerco’ di tirarmi verso di lui per farmi cadere anche a me insieme a lui, ma senza risultato. Avevo immaginato una così prevedibile mossa, tanto che mi preparai già dall’inizio saldando i piedi a terra.
“Sei prevedibile Malik”- dissi orgogliosa.
“Quanto sei bella quando ti concentri”- rispose alzandosi da terra e sculacciandosi il sedere per pulirsi.
No, non puoi farmi una cosa del genere. Mi brucio’ tutta la faccia, così feci due passi indietro per la vergogna.
“Dov’è andata a finire la gloriosa Claire combattiva?”- ribattè con tono e sorridendo, ancora.
“Sei antipatico quando fai così”- farfugliai imbarazzata senza guardarlo in faccia.
Mi si avvicino’. Quanto volevo che si avvicinasse. Così lo guardai dritto in quegli occhioni marroni che con i riflessi della luce diventavano lucenti come non mai.
“Quella Claire non esiste piu’, ora c’è solo e soltanto la Claire goffa e impacciata che si fa ferire dagli altri molto facilmente. Con te la Claire dura e combattiva sparisce, per questo ho paura. Ho paura che mi puoi fare del male, tanto sono vulnerabile con te. Ma allo stesso tempo, in un certo senso, so che non lo farai tanto facilmente, mi trasmetti una fiducia mai vista prima.”- quasi non mi riconoscevo piu’ per cio’ che avevo detto. Morivo dalla paura di una sua reazione confusa. La confusione in quel momento non mi serviva affatto. È questo l’amore? Wow, bello schifo!

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Capitolo 12
*** Chasing the sun ***


Sembravano secoli, per me anche millenni. Continuava a sorridermi, quel sorriso pieno di lucentezza che mi riempie ogni volta il cuore. Stavolta non diventai rossa come al mio solito, ero troppo presa dai suoi occhi, dal suo sorriso, dalla sua reazione silenziosa. Si avvicino’ ancora e io senza esitare alzai la mano accarezzandogli la guancia destra giu fino al mento, stavolta era liscia la sua pelle, presi il suo viso in mano sperando fosse tutto vero. No, non era uno stupido sogno, lui è vero. Ci avvicinammo entrambi senza esitare, baciandoci dolcemente e lentamente, per non sprecare nessun attimo. Niente al mondo per me è stato così strano. Ero troppo felice, troppo sicura e ogni cosa dentro di me frizzava e saliva su fino alle labbra in contatto con le sue, come bollicine in una bottiglia d’acqua. Dimenticavo tutto, perfino chi ero, mi dedicavo solo a lui, alle sue labbra, a cosa poteva pensare in quel momento. Era tutto così strano per me, mai avevo provato cose del genere per un semplice bacio. Con lui anche solo cinque minuti ne valevano trenta e anche solo con un semplice bacio, desideravo solo e soltanto lui. Tutto questo per me è strano, ma il desiderio era davvero incontenibile. Tutto finì, a causa della mia gamba vibrante. Maledetto cellulare. Si stacco’ per primo vedendo la sua mano vibrare sulla mia coscia. Sfilai il cellulare dalla tasca con fatica, ancora non riuscivo a connettere bene e la mano perdeva tattilità, riuscita nel mio intento vidi lo schermo bianco, “Hayley”. Cavolo che tempismo! Risposi.
“Che c’è Hayley?”- dissi scocciata rivolta verso Zayn che guardava l’orologio. Connettei all’istante tutto quanto, vedendo la faccia tranquilla di Zayn passare alla faccia stupita, sgranando gli occhi e spalancando la bocca. “Sono le nove passate”- gesticolo’ il moro affannosamente. Mentre cercavo di sentire anche Hayley attraverso l’apparecchio. “IL PROF E’ RITORNATO, AMILY GLI HA DETTO CHE NON C’ERI, NOI ABBIAMO PROVATO A PARLARGLI, MA NON C’E’ STATO VERSO…… CORRI, CORRI!!!”- mi urlo’ Hayley presa dal panico.
Stavo per imprecare, poi guardando Zayn mi fermai. “Sono nella merda, stavolta”- gli dissi con voce tremante. Mi voltai e corsi con tutta la mia forza, piu’ di quando ieri pomeriggio dovevo tornare a casa per salutare mio padre. Stavolta non c’era nessuna canzone che mi spronava a dare piu’ potenza alla corsa, c’erano solo insulti e male parole che mi ripetevo dentro di me. Arrivai alla porta della palestra quasi volando, varcata la soglia mi aggrappai bruscamente alla maniglia della porta spalancata, per fermare la corsa e non cadere in mal modo. Vidi una fila quasi infinita di ragazzi davanti ai miei occhi che mi fissavano e il prof con quella maledetta spiona di Amily accanto, come una piccola servetta personale.
“Eccola finalmente!”- spezzo’ il silenzio Amily urlando e fissandomi severa.
Spostai gli occhi alla fila di ragazzi davanti a me, cercando Hayley e Sunday, erano rosse e mi guardarono preoccupate.
“Dove sei stata Coen?”- disse severo, ma non furioso il professor Jelling.
“Non qui….”- feci una breve pausa, “solo che non mi sembrava giusto differenziare gli sport in due sessi diversi, è …”- cercai di evitare parole offensive, ma non ci riuscivo.
“Come organizzo il mio lavoro lo so solo io e tu non ti devi interessare. Adeguati Coen, sei una studentessa non una docente.”- rispose brusco il prof Jelling.
“Bene. Lo sapevo. Cosa devo fare adesso?”- dissi annoiata con la testa bassa.
“Vai in presidenza! Così ti metterai bene in testa che questo lavoro lo gestisco io. E non tu! VAI!”- urlo’ furioso.
Senza dire, né se, né ma, mi diressi alla porta aperta della palestra.
“Non ci pensare nemmeno. Tu da sola non vai da nessuna parte. Amily accompagnala dalla preside”- ordino’ al cagnolino che appena sentì la voce del padrone scodinzolo’ contento.
“Ma cosa ho fatto di male io? Cosa?”- dissi sbuffando. “Dio, se esisti, dammi la pazienza che se mi dai la forza, la ammazzo!”- biascicai vedendola a pochi metri da me.
La guardai di sbieco respirando profondamente, diedi un occhiata alle ragazze. Le vidi pronunciare silenziosamente poche parole, come: non fare casini.
Senza nemmeno degnarla di uno sguardo andai avanti per prima, uscendo dalla palestra. Il mio obiettivo era non fargli del male, sarei stata come minimo sospesa per mesi e  avrebbe compromesso il mio andamento scolastico. Fortunatamente non parlo’, stetti piu’ tranquilla non sentendo la sua voce squillante. Arrivammo in pochi minuti davanti all’edificio della presidenza. Non potei fare a meno di guardarmi intorno, non c’era ed era comprensibile.
“In bocca al lupo Coen”- disse Amily sarcastica, andandosene.
Cercai di mantenere la calma, era solo una bambina. Così sicura di essermi allontanata quell’impiastro vivente, feci un bel respiro ed entrai nell’edificio. Era tutto come mi ricordavo pochi giorni fa, non si era spostato niente, né piante, né cornici, tutto come quando stavo in braccio a Zayn. Allargai leggermente le labbra, riportandole subito al loro posto pensando a quanto potevo essere nei casini. Percorsi tutti quei pochi metri riportando alla mente tutte le immagini passate. E in meno di un minuto mi ritrovai davanti alla porta della preside Smith. Mi tremavano quasi le gambe, dopo quella sfuriata sbagliata, il ragazzo di cui ero innamorata è suo figlio, ed ora sono qui con un altro problema da mostrargli. Lei mi odia e questo lo so. Potrebbe fare di tutto. Cacciai via quei pensieri dalla bocca, sputando aria per l’ultima volta, così entrai. La vidi seduta composta con le braccia allungate verso la tastiera e gli occhiali viola scuro appoggiati sulla punta del naso. Alzo’ lo sguardo, di nuovo quegli occhi verdi e freddi mi fecero venire i brividi. Si levo’ con nonchalance gli occhiali facendoli cadere sul petto assicurati dalle catenelle argentate.
“Coen… mi hanno riferito il tuo arrivo poco fa, accomodati forza”- disse con un certo distacco.
Mi feci forza e ordinai alle mie gambe di muoversi e non tremare. Mi sedetti cauta sulla sedia nera e imbottita. Mentre lei finiva i suoi lavori al computer, battendo con velocità inaudita la tastiera. Finalmente si placo’, appoggio’ sempre con molta compostezza la schiena alla poltrona imbottita anch’essa e mi guardo’. Non sapendo che fare la guardai anche io, senza muovermi. Poco dopo sospiro’ quasi scocciata.
“Tranquilla, non ti posso sospendere né espellere, non è così grave. Ma se risuccederà qualsiasi cosa e ne sei coinvolta, dovro’ prendere seri provvedimenti, capisci?”- disse senza nessun segno di interesse.
“Sì.”- dissi indifferente.
“Bene, puoi andare. Dì al tuo professore che è tutto risolto e che non deve scomodarsi  con note disciplinari.”- mi disse guardandomi.
“Bene. La saluto”- dissi alzandomi e dirigendomi verso la porta di legno.
Non disse niente, né rispose, sentivo solo l’interminabile e veloce battito della tastiera. Uscii di corsa dall’edificio senza riflettere e senza girarmi. Aprii il portone e perlustrai la zona in caso di presenze a me sconosciute, non c’era proprio nessuno. Così oltrepassando anche la palestra, mi diressi con passo svelto alla classe della mia successiva lezione, chimica. Varcai la classe con la testa bassa e mi misi al mio banco vicino a Hayley. Senza dire una parola, la guardai, inespressiva.
“Ci racconti tutto dopo scuola, tranquilla”- disse premurosa Hayley. Quanto gli volevo bene. Lei e Sunday mi capivano al volo, il che era molto difficile, visto che ho un carattere non indifferente.
Entro’ il prof, appoggiando la sua cartella marrone, ormai sgualcita dal tempo, sulla cattedra con un tonfo breve.
“Coen? Devo annotare la tua visita con…”- provo’ a finire il prof.
“La preside mi ha riferito che non c’è bisogno di nessun provvedimento disciplinare al riguardo e che è stato tutto risolto da lei personalmente”- dissi incalzandolo nervosamente.
“Bene. Mi faro’ dare conferma piu’ tardi”- rispose acidamente. “Ora iniziamo un nuovo argomento….”
Tutto passo’, molto lentamente, io non seguivo nemmeno la voce del prof, stavo con lo sguardo fisso sulle sue scarpe nere e lucide, pensando a mio padre. Non lo sapevo perché improvvisamente, dopo tutte queste cose successe, mi mettevo a pensare a lui, piu’ che altro mi mettevo a pensare alla sua mancanza e a quanto posso sentirmi abbandonata senza di lui. L’abbandono è sempre stata la mia paura, già da quando mia madre ci lascio’. Pensavo che Zayn non poteva di certo occuparsi di me, con tutto quello che avrà da fare in questo periodo, è il suo momento di gloria e io non posso rovinarglielo. Così anche lui finirà per abbandonarmi a me stessa e sarà piu’ doloroso che altro. Vagavo nei miei pensieri, non mi accorsi nemmeno del suono della campanella, mi dovette smuovere Sunday. Non dissero niente, mi si misero una da una parte e una dall’altra quasi come per proteggermi e sostenermi. Arrivammo nella terza aula, poi nella quinta, poi la settima, finchè non uscimmo da scuola, sempre nello stesso modo. L’autobus non era ancora arrivato così ci mettemmo sedute su una panchina a parlare. Mi guardarono tutte e due interrogative e preoccupate.
“Ve la faccio breve. Sono uscita dalla palestra incavolata nera per questo stupido modo di fare sport, mi sono messa a passeggiare per i due edifici, poi qualcuno uscì dall’edificio della preside e indovinate chi poteva essere?”- chiesi io facendole entrare nella mia testa.
“Il figlio di Smith?”- disse Sunday.
“Zayn”- incalzo’ Hayley.
“Esatto. Ci siamo messi a parlare del piu’ e del meno, stavo benissimo con lui, poi non ci siamo resi conto dell’ora e io non ho fatto in tempo a rientrare in palestra prima del prof”- dissi io con una pausa. Loro non dicevano niente, stavano in silenzio ad ascoltare interessate. “Poi dalla Smith non è successo niente, mi ha detto che per questa volta passa, ma se ricapita qualunque cosa, prenderà seri provvedimenti. In sostanza mi ha detto che mi caccia da scuola se rifaccio qualcosa di sbagliato”- dissi furiosa infine.
“Tu hai incontrato Zayn?”- esclamo’ improvvisamente Sunday. “Ti rendi conto? Puo’ diventare famoso, insieme a Louis, Liam, Harry e Niall, noi li abbiamo conosciuti e giusto ieri hanno fatto sentire il loro singolo alla radio. Lo avete sentito, vero?”- disse euforica la riccia. Hayley annuì sorridendo, vagando nei suoi pensieri.
“Sì, infatti il problema è proprio questo. Come possono loro, pieni di impegni, badare a tre ragazze qualunque? E’ impossibile”- dissi io malinconica.
“Invece è piu’ che possibile, Clè”- incalzo’ Hayley. “Alla discoteca Harry mi ha dato il suo numero e giusto ieri mi ha mandato un sms”- disse rossa e sorridente.
Io e Sunday urlammo come deficienti in mezzo alla strada facendoci quasi investire da qualcuno.
“Che cosa ti ha scritto?”- chiesi con l’affanno. Con Sunday in sottofondo che continuava ad urlare felice.
“Mi ha chiesto se sabato potevamo accompagnarli a una festa”- disse piu’ sorridente di prima.
“Non stai scherzando vero?”- dissi quasi implorandola. Sunday urlava piu’ di prima sentendo la risposta di Hayley.
“Come potrei scherzare su una cosa del genere?”- mi disse abbracciandomi. Sunday vedendoci abbracciate prese la rincorsa e si avvinghio’ a noi anche lei. Stavamo aggrovigliate in quell’abbraccio da dieci minuti buoni e l’autobus ancora non arrivava.
“Vi state riscaldando l’un l’altra?” 
Ci staccammo e con mia grande sorpresa vidi Blaze davanti a noi sorridente. Gli sorrisi: “Ciao Blaze”.
“Ciao Claire. Hayley, Sunday”- saluto’ tutte con un cenno della mano.
“Posso avere anche io un abbraccio?”- chiese con quella tipica faccia da cucciolo bastonato. Si ottiene tutto con quell’espressione.
Appoggiai lo zaino a terra, presi la rincorsa e gli zompai addosso aggrappandomi a lui. Gli volevo davvero bene. Non si mosse di un millimetro con il mio improvviso salto, stava immobile ad abbracciarmi forte.
“PURE NOI, PURE NOI”- urlo’ Sunday, seguita da Hayley.
Anche loro ci vennero incontro e ci abbracciarono forte, quello si che era un bell’abbraccio. Tutti i miei amici piu’ cari insieme a me, stavo benissimo.
 

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Capitolo 13
*** Yes I would die for you baby, but you won’t do the same ***


Le persone che aspettavano l’autobus intorno a noi, si incominciarono a innervosire dell’eccessivo ritardo. Guardando l’orologio mi accorsi che avevamo aspettato piu’ di mezz’ora, il vecchio rottame era sempre stato puntuale mai un ritardo in tanti anni. Arrivavano lamenti e male parole alle orecchie, mentre ero ancora avvinghiata a Blaze seduta sulle sue gambe sul bordo del marciapiede con Hayley e Sunday che si ascoltavano la musica tranquille. La gente incominciava ad andarsene stufa della mancanza dell’autobus, mentre alcune auto parcheggiavano ovunque nella speranza di raccattare di fretta il proprio figlio nervoso.
“Forse è il caso che torniamo a piedi”- dissi alzandomi dalle gambe di Blaze.
“Bhè direi proprio di sì, eh!”- intervenne Blaze stirandosi i muscoli.
“Andiamo”- intervenne la bionda levandosi una cuffietta dall’orecchio.
Ci infiltrammo in mezzo al fiume di ragazzi che facevano marcia indietro per tornare sbuffando a casa. Era tutto un brusio confuso di voci e lamenti che non mi davano lo spazio necessario per pensare e parlare. Per un po’ di kilometri non spiccicammo parola. Quando poi la calca incomincio’ a sfoltirsi, i suoni diventarono piu’ chiari e comprensibili.
“Mio padre ha chiamato il tuo…”- incalzo’ Blaze guardandomi di sfuggita per poi ritornare con lo sguardo sulla strada.
“Ah sì? E cosa si sono detti?”- domandai con una certa enfasi.
“Si sono organizzati per una cena venerdì. A casa nostra”- non aggiungeva nient’altro diceva quello che serviva dire, né di piu’, né di meno.
“Sarà divertente”- risposi infine.
Hayley e Sunday stavano dietro in silenzio, sempre con le cuffiette alle orecchie. Come se non ci fossero. Conoscendole lo avrebbero fatto per farmi stare da sola con Blaze, senza nessuna interferenza.
“Volevo dirti un’altra cosa…”- riprese Blaze.
“Dimmi”- risposi curiosa.
“In questi giorni che tuo padre non è presente in casa, se hai bisogno di qualunque cosa non esitare a chiamarmi. Ce l’hai il mio numero vero?”- disse imbarazzato, facendo passare il colore marrone chiaro della sua faccia a un pallore chiaro.
“Ehm, no, non mi sembra. In fondo sono tanti anni che non ci sentiamo. Tieni scrivimelo”- risposi porgendogli il cellulare. Stranamente non mi sentivo per niente a disagio con lui, lo consideravo un grandissimo amico su cui potevo sempre contare in qualsiasi circostanza e lo era, lo era davvero.
Gli sorrisi, senza un motivo ben preciso. Così mi rispose attorcigliando il suo braccio intorno al mio collo, baciandomi affettuosamente sulla testa.
“Eccolo, tutto tuo”- disse porgendomi con l’altra mano libera il cellulare. Mi stavo divincolando nelle sue braccia intorno a me per afferrarlo, ma all’ultimo momento me lo sfilo’ da sotto la mano.
“Promettimi che per qualunque, ripeto, qualunque cosa, mi chiamerai all’istante. Io ti giuro che correro’ da te e mi ritrovero’ accanto a te, in men che non si dica”- disse con voce profonda, tenendo alzato il braccio con il cellulare in ostaggio.
“Te lo prometto”- bisbigliai sorridendo.
“Come? Non ho sentito”- disse lui saltando e alzando il braccio ancora piu’ in alto, cosicchè io non potessi prenderlo.
“Daaai, dammi il cellulare. Te l’ho già detto! TE LO PROMETTO”- dissi sbuffando e saltando per arrivare finalmente al mio piccolo ostaggio.
Risi a testa bassa, non volevo fargli vedere il mio divertimento. Nel mentre eravamo già arrivati a pochi metri dalla fermata. Caspita, come passa veloce il tempo con Blaze. È fantastico quanto mi fa dimenticare il mondo esterno, con tutti i suoi problemi. Stavolta in silenzio, raggiungemmo la fermata. Hayley e Sunday mi si piazzarono accanto, silenziose. Mentre io guardavo Blaze che avanzava davanti a noi, di spalle. Aspettavo quell’improvviso istante in cui lui si sarebbe girato e mi avrebbe salutata. Pero’ non veniva continuava a camminare dritto davanti a sé, senza esitare. Guardai Hayley e Sunday interrogative anche loro su quanto stava accadendo. Giro’ la testa sbirciando un po’ dietro di noi e senza preavviso si piego’ in due dalle risate indicandoci a noi tre, ancora incredule e spaesate. In un istante mi ritrovai davanti a lui, per terra ancora rosso in faccia per lo sforzo.
“Sei un cretino!”- gli ripetei mentre gli facevo il solletico.
Hayley e Sunday mi raggiunsero all’istante aggregandosi con me all’attacco. Solo che pian piano Blaze riacquistava colorito normale, roseo e la risata si allievio’.
“Mi dispiace deludervi ragazze, ma io non soffro il solletico”- singhiozzo’ tra un gemito e l’altro, sempre con il sorriso stampato in faccia.
“NOOO”- dicemmo in coro, con delusione.
“Io dovrei correre a casa che poi devo sbrigare una faccenda importante con mia madre, vi saluto”- incalzo’ Sunday.
“Tranquilla veniamo pure noi”- risposi tranquilla.
Diedi un bacio veloce ma deciso sulla guancia di Blaze, che si stava alzando da terra intento a raccogliere il suo zaino. Hayley e Sunday si limitarono a un saluto veloce da lontano, mentre le trasportavo per mano lontano, verso casa.
“Ahhhhh l’amore!”- intervenne Hayley, facendo quella tipica faccia buffa che nessun’altro potrà mai fare bene quanto lei.
“Ma smettila! E’ solo un amico. Molto amico. Ok, mi fermo qui.”- dissi incerta.
“Dai che lo vediamo che ti piace. Che ci perdi?!”- intervenne Sunday, con Hayley che mi dava gomitate sempre piu’ forti.
“Niente. Mi piace, ok. Pero’ non mi piace quanto Zayn. Non potrei mai sostituire Zayn con un altro, non esiste un altro. È questo il problema. Per me ora c’è solo lui e questo mi terrorizza”- dissi guardando un punto fisso davanti a me, con andatura piu’ lenta. Vedendo anche casa mia in lontananza.
Non dissero niente per un po’, poi arrivate davanti al cancelletto di casa mia Hayley sospiro’.
“Io penso che questo, per loro, non è divertimento. O meglio, noi per loro non siamo solo avventura poi addio. Non chiedetemi come faccio ad esserne così sicura, perché non lo so. Me lo sento. Se vogliamo rischiare, facciamo pure, ma dobbiamo sapere a cosa andiamo incontro.”- concluse Hayley.
“Sabato lo scopriremo, oggi pomeriggio vi chiamo e vi faccio sapere meglio su che tipo di festa li accompagniamo e su che tipo di gente andiamo incontro”- disse infine la bionda. I suoi perfetti ragionamenti non facevano una piega, amavo lei e Sunday perché ragionavano nel modo in cui ragionavo io.
“D’accordo”- sospirai infine aprendo il cancelletto bianco. “Ci sentiamo piu’ tardi”-ciancicai pensierosa.
“Ti voglio bene”- urlo’ Sunday in lontananza.
“Anche io”- bisbigliai tra me e me, con la testa da un’altra parte. Avevo bisogno di stare da sola. Il mio è un bisogno sia fisiologico che mentale, devo avere il mio spazio, senno’ non riesco piu’ a ragionare con mente lucida. Solo che pensando alla mancanza di mio padre, il mio bisogno si dissolveva piano piano. Aprii la porta con cautela, quasi non volessi svegliare nessuno che dormiva. Sorrisi come un ebete, ripetendomi che mio padre non c’era e che tutta questa sua mancanza era davvero strana, sono sempre stata abituata a cavarmela da sola, ma lui ha sempre fatto parte delle mie scelte, delle mie azioni, di tutto. Forse è normale che mi sento persa senza di lui. Decisi di non pensarci piu’ e che dovevo crescere, in un modo o nell’altro. Così salii le scale, presi il mio immancabile beauty-case azzurro e mi ficcai in bagno per una doccia calda e rigenerante.

Le sue labbra erano così calde rispetto alle mie fredde e bagnate. Eravamo di nuovo lì, sul prato con il vento freddo che ci spingeva ad avvicinarci ancora di piu’. Mi sentivo bene. Vidi le mattonelle bianche che si coprivano di gocce d’acqua e un velo di vapore mi avvolse il viso. L’acqua calda mi picchiettava la testa, massaggiandola ritmicamente. Stavo seduta nella vasca, senza avere la minima idea su cosa fare e cosa pensare. Ero altrove, non in questa realtà, sicuramente, ma avevo l’unica certezza che stare da sola non mi avrebbe aiutata a connettere. Non avevo voglia di parlare, avevo bisogno di una persona tranquilla che sarebbe stata presente, senza parole. Tipo mio padre. Ma lui non c’era e l’unica persona che mi veniva in mente, è la stessa persona che ho visto appena mezz’ora fa, Blaze. Mi alzai lentamente stirando le gambe indolenzite e chiudendo l’acqua. Passai la mano sul vetro dello specchio appannato scorgendo il mio piccolo faccino addolorato. Presi forza e resi piu’ attivi i miei movimenti e le mie azioni. Con agilità mi sistemai il turbante e corsi in camera a vestirmi. Con i jeans mi sarei trovata male, stavolta volevo stare comoda così presi i miei fidati pantaloni di tuta blu scuro, abbastanza stretti per sembrare tanto comodi. Magliettina bianca che mi copriva tutti i pantaloni, poco piu’ sopra delle ginocchia. Così senza farmi troppi complessi, mi sfilai i pantaloni rimanendo con quella maglietta enorme addosso. Senza pensarci due volte, mi diressi verso il telefono facendolo quasi cadere dalle mani. Di lì a poco esitai esageratamente con l’intenzione di rimettere apposto il cellulare e deprimermi tranquilla. Mi buttai sul letto con le braccia allungate verso l’esterno, chiusi gli occhi per tre secondi. Poi li spalancai e cercai frettolosamente il numero di Blaze nella rubrica, trovato schiacciai subito il pulsante di chiamata, urlando dentro di me: dai, dai, rispondi subito… non ce la faccio piu’… mi tremavano quasi le mani. Un comportamento stupidissimo, ma soprattutto infantile. Ma non potevo farci niente se lui aveva quell’effetto su di me. Riagganciai con un movimento nevrotico del pollice destro. Sospirai affranta. Poi il vibrare del cellulare mi fece scattare.
Sorrisi stupidamente, poi mi ricordai di rispondere azzerando l’ansia che avevo in corpo, buttai tutto fuori.
“Pronto?”- dissi fingendomi curiosa.
“Che succede?”- rispose Blaze con un tono di voce alquanto preoccupato.
“N-no, no, niente di grave… guarda non fa niente … Ecco sì, volevo sentire solo, come stavi.”- volevo sentire solo come stavi… MA CHE TI SALTA IN MENTE CLAIRE?! No, non ero affatto brava a mentire con lui. Con gli altri sì, con lui no.
“Ok, va bene arrivo subito da te. Dammi cinque minuti. A dopo”- rispose lui di fretta soffocando una risatina. Non feci in tempo a fermare i suoi piani che lui subito aggancio’.
Oh cavolo. E adesso? Che faccio? Mi guardai intorno per controllare la zona. Un disastro è dire poco. Il pavimento era l’unico ad essere in condizione adeguate, pulito e lucido, senza niente buttato a terra, oltre al morbido tappeto di peli bianco. Mi fiondai senza controllo alla scrivania, c’era un altro piccolo mondo lì: tra carte, cartine e pezzi di plastica, non mancava la macchinetta fotografica, un succo di frutto alla pesca vuoto, briciole di plumcake sparse intorno, smalto, portafoglio, chiavi di casa, le mie immancabili penne, pennini e pennarelloni indelebili, oltre a varie foto mie con Hayley, Sunday e altri amici di scuola e… alcune persone raffiguarate che nemmeno riconoscevo. Poi i fantastici paia di occhiali da vista sigillati nella custodia abbandonata in un angolino. Certo, li penso spesso, ma solo per guardare la tv. Non feci in tempo a buttare le carte che erano passati già due minuti, così presi un bustone e con un braccio trascinai tutto il mio ciarpame di roba nella busta, chiudendola e nascondendola nell’armadio. Mi misi veloce i jeans e una maglietta azzurra abbastanza scollata, avevo intenzione di cambiarmi di nuovo, ma non c’era tempo. Sistemai un po’ il letto sgualcito, poi con un po’ piu’ di tregua, scesi giu’ in cucina a lavare quelle due, tre tazze che avanzavano. Ancora non avevo mangiato, percio’ la cucina era in buono stato, per ora. Pensando al cibo sentii una morsa allo stomaco. Avevo bisogno di mangiare. Poi il campanello suono’ lasciando a metà il mio pensiero goloso. Cercai di non agitarmi il piu’ possibile, ci riuscii pensando alle patatine fritte di Denny’s, ne avevo una sfrenata voglia in quel momento. Così mi sistemai i capelli alla meglio che potevo, specchiandomi e provando un certo disgusto su cio’ che fissavo. Aprii felice, come cambiava veloce l’umore con lui, da totalmente depressa a estremamente felice della sua presenza. Il colosso di muscoli davanti a me aveva un casco nero in testa, una giacca a vento blu scuro e una targhetta su di esso gialla e rossa, con su scritto: “Jonni Rockets.”
“Che succede?”- disse sorridente con il fiato spezzato.
Non so per quale motivo non reagii, stavo a fissarlo, a fissare il casco e la targhetta gialla. Poi dissi ridendo: “Lavori da Jonni Rockets? Sei adorabile”- enfatizzai trattenendo le risate. Lo abbracciai dolcemente, senza neanche vedere la sua reazione o risposta. “Grazie di essere venuto”- aggiunsi cogliendo il momento in cui non lo guardavo in faccia. Nel caso contrario sarei diventata inevitabilmente rossa come il fuoco.
Il mio maledettissimo stomaco inizio’ a vibrare e brontolare. Maledii tutte le forze superiori esistenti e non. Si vedeva che mi volevano molto male. Immaginai un suo sorriso divertito, anche se non lo potevo guardare.
“Che dici, andiamo a prenderci qualcosa da Jonni Rockets? Così mentre mangi finisco il turno e poi ti riporto a casa.”- chiese speranzoso.
“Ottima idea, il mio pancino è d’accordo. Solo che…”- non feci in tempo a finire la frase che subito lui si sgancio’ dall’abbraccio, mi prese il mento con delicatezza e mi interruppe: “Chiamo Jonathan e gli dico di avvisare tuo padre.”
Sorrisi compiaciuta, in un certo senso lui rendeva facile tutto quello che facevo, la mia vita. È bello sentirsi liberi. Io con lui mi sentivo così, libera. Di fare quello che mi passava per la testa, non da sola, con lui.
Cerco’ di afferrarmi di peso e portarmi verso il veicolo nero e lucente a due ruote parcheggiato dietro alla staccionata bianca del giardino.
“Aspetta! Devo blindare casa. Se succede qualcosa mio padre mi uccide”- pigolai divincolandomi fra le sue braccia.
“Sbrigati che senno’ mi diminuiscono la paga”- quasi urlo’ mentre entravo dentro casa.
“Tranquillo, anche io ho fame. Faccio di fretta.”- risposi con tono alto.
Chiusi finestre e inferiate, presi chiavi e cellulare, giacca blu e foulard nero. Poi uscendo di casa mi portai dietro la porta di fretta senza nemmeno guardare Blaze, chiusi tutto il possibile immaginabile e girandomi non lo trovai dietro di me come pensavo, ma appostato comodo sul motorino mettendosi il casco e facendomi segno di sbrigarmi. Sorrisi felice, che svolta con lui. Mai avuto un amico così, vivo per me. Presi la rincorsa, aprendo e chiudendo con violenza il cancelletto bianco per non frenare la corsa, poi inchiodai a pochi centimetri da lui e il motorino già vibrante per la messa in moto. Si volto’ verso di me e mi sorrise, uno di quei sorrisi che non scorderai mai, che ti passerà davanti ogni volta che vorrai. Ricambiai felice e con una certa fatica zompai sul sedile, dietro di lui, stringendolo per la vita, come negli ormai prevedibili film d’amore. Non provai imbarazzo, ero solo felice, felice di stare con lui.
“Jonathan riferirà anche di questo a mio padre?”- chiesi io improvvisa.
“Puo’ sembrare vecchio e antico, ma lui sa come gestire la situazione. Tranquilla siamo in ottime mani”- rispose allacciandosi il casco.
“Appena vai oltre i 60 km/h, ti fermi e mi fai scendere. Non voglio ritrovarmi sulla prima pagina di un giornale spiaccicata sull’asfalto, grazie”- dissi pignola.
“Tutto chiaro e limpido”- disse infine il moro, soffocando una risatina che io potevo benissimo percepire, avendo entrambe le mani e braccia incollate al suo busto. Partimmo molto fluidamente e proseguimmo tranquilli, ogni tanto davo occhiate al tachimetro che non si muoveva di un km/h era in perfetta stabilità, ogni tanto per fermarsi ai semafori e ripartire, incominciava ad andare sui 45 fino a massimo i 50 km/h, poi pero’ quando si rendeva conto che stringevo piu’ forte, rallentava la corsa, fermandosi sui 40 km/h. Dovevo ammettere che come guidava non era niente male, anzi quasi quasi lo preferivo a mio padre. Così passai il tempo sul motorino a non pensare a niente, vedendo solo le case, le persone, gli alberi e tutto il resto scorrermi davanti normalmente. Sette minuti precisi, di tragitto da casa mia a Jonni Rockets. Ci fermammo nel parcheggio esterno quasi vuoto e sciolsi la mia ferrea presa quasi di malavoglia, era bello sentire il suo cuore battere ritmicamente e costantemente, senza tradire di un singolo battito. Mi chiesi perché non riuscivo a sentire il suo buonissimo profumo di pino selvatico. Così scesa dal motorino lo guardai mentre era concentrato a levarsi il casco e mettere il cavalletto a terra. Mi porse il casco per riuscire a mettere adeguatamente quel maledetto cavalletto mezzo scassato.
“Ha sempre fatto storie questo coso!”- disse mentre si impegnava ad appoggiarci sopra il motorino.
Io sentendomi inutile, mi misi il casco in testa, giocandoci e facendo la scema. Eccolo, è lui. Il profumo di pino selvatico mi invase la testa. Quanto mi piaceva quel profumo, lo respirai profondamente incamerandolo dentro di me. Mi girai verso la vetrina del fastfood che mi rifletteva mentre mi sistemavo il casco sulla testa.
“Sei proprio carina … Sembra una scodella per la pasta con tutti quei capelli”- disse ridendo sarcastico.
Lo vidi riflesso nella vetrina che sbattendosi le mani per pulirsi mi guardava con quell’immancabile sorrisetto che stavolta diventava malizioso e quasi fastidioso.
“Perché infatti Price ci sta una meraviglia, vero?”- pigolai sarcastica, mentre mi levavo il casco porgendoglielo scocciata e mi sistemavo i capelli continuamente.
“Hai dubbi?”- rispose malizioso mentre si dirigeva verso l’entrata.
“Io sono nata con i dubbi”- cercai risposta. Lo raggiunsi avanzando ancora.
Si fermo’, prima di aprire la porta a vetri del locale. “Riesci sempre a trovarti qualcosa di negativo. Hai un sacco di qualità e nemmeno te ne rendi conto. Sei assurda”- mi disse incredulo guardandomi dritta negli occhi. Rimasi di pietra, non riuscivo a trovare una risposta, un contraccambio. Quello che aveva detto era assolutamente vero e me ne rendevo conto. Vedendomi in difficoltà e taciturna, mi prese per mano ed entrammo in quel benedetto fastfood.

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Capitolo 14
*** I should’ve kissed you ***


Stavo davvero una favola. A panza piena mi diressi verso il bagno e mi rinfrescai la faccia. Poi mi accorsi di avere anche un bisogno fisiologico, sentendo borbottare la parte bassa del ventre. Uscita dal bagno rilassatissima, vidi Blaze rosso in viso mangiare di fretta le infinite patatine che si ritrovava davanti. A due a due se le metteva in bocca, con un ritmo sfrenato.
“Hai fretta?”- chiesi sconcertata.
Aspettai finchè non mando’ giu il boccone con un sorso di Coca-Cola.
“Sì Ler, scusa dovevamo stare da soli a parlare io e te. Ma mi sono ricordato solo ora che ho l’allenamento di rugby alle sei . . . e sono già le sei meno venti.”- disse con affanno tra una patatina e l’altra.
“Ehi, tranquillo. Sarà per un’altra volta, dai.”- risposi premurosa. In realtà quanto volevo fare due chiacchiere io e lui, da soli.
Si alzo’ con forza. E con mio grandissimo piacere mi attraverso’ una folata del suo buonissimo odore al pino selvatico. Automaticamente sorrisi come un’ebete, mentre lui mi trascinava per mano.
“Forza, muoviamoci”- bofonchio’ ancora con la bocca piena. “Ciao Nathan, a domani”- saluto’ il ragazzo dietro al bancone senza neanche guardarlo, mentre il ragazzo gentilmente ricambiava il saluto con la mano.
Con fretta e furia mi porse il casco e me lo sistemai, mentre il moro tutto concentrato faceva retromarcia con la moto, salii e maledicendomi troppe volte gli accennai all’orecchio: “ti permetto di andare veloce per non farti fare ritardo. Comunque moderati.” Intravidi un sorrisetto compiaciuto che mi dava allegria.
Non dico che impenno’, pero’ per un momento pensavo di ritrovarmi in cielo, tra le nuvole e il vento che ti tagliava la faccia. Mi strinsi a lui, strizzai gli occhi e inizia a cantare dentro di me “drunk” di Ed Sheeran, per distrarmi.
Riuscii a cantare fino al secondo ritornello, quando poi Blaze si giro’ squadrandomi.
“Tutto ok?”- chiese preoccupato.
Io bofonchiai un “sì” ancora accoccolata dietro di lui, impaurita come una bambina dietro la gonna della mamma. Poi finalmente mi decisi di scollarmi, legarmi i capelli perché ormai diventati un cumoletto di paglia e scendere.
“Ci sarà un altro momento, te lo prometto”- disse caldo prendendomi tutte e due le mani. Poi senza neanche aspettare una mia risposta, sfreccio’ col motorino verso casa sua, pochissimi metri di distanza dalla mia. Lo seguii con lo sguardo fino a quando non svolto’ a destra e scomparve alla vista dei miei poveri occhi miopi. Centrai con lo sguardo la macchina di mio padre.
“Non è possibile”- mormorai stupita e impaurita.
Non sapevo se incominciarmi a preoccupare, se essere felice del suo ritorno o se dubitarne. Tutte queste emozioni mi stavano corrodendo la testa, così i miei occhi iniziarono a gonfiarsi di lacrime. Stavo entrando in una completa situazione di crisi. Correvo affannosamente attraverso il piccolo giardino che mi porto’ in pochissimo tempo davanti alla porta, dove non esitai a spalancare.
“Papà?! Dio mio, dove sei?”- urlai agitata, mentre cercavo con lo sguardo qualcosa, qualsiasi cosa. Le gambe tremavano e se avessi fatto un passo sarei caduta inevitabilmente.
Girai la testa, era tutto visto con piu’ lentezza. Riuscivo a sentire tutto, dallo scricchiolio del pavimento sotto i piedi tremanti alla figura, illuminata dalla luce che penetrava dalla finestra, di mio padre. La sua faccia era sorpresa, non avevo mai reagito in quel modo. Mai.
Gli corsi incontro mentre piangevo felice della sua presenza a casa, lo abbracciai fortissimo, mentre sentivo lui che rideva della mia infantile reazione.
“Su va là, Clè. Neanche un giorno resisti senza il tuo papà”- chiese ridendo e abbracciandomi.
Mi stava strappando di bocca un sonoro ed esplicito “vaffanculo”. Che poi decisi di evitare, vista la situazione così smielata. Si stacco’ dolcemente dall’abbraccio e con due pollici mi rubo’ quelle lacrime scese, fin troppe. I suoi occhioni color cioccolato, precisamente come i miei, che mi fissavano commossi poi un breve distacco guardando dietro di me. Un soffuso rumore d’auto che proveniva da fuori. Non ci badai, ero troppo felice di rivederlo.
“Ti chiederai perché sono tornato in anticipo…”- disse pensieroso.
“Eh sì…”- risposi con voce tremante.
“Bè, il tuo papà ha tamponato una persona e adesso questo ragazzo è qui con noi, per risolvere questa questione, danni e altre stronzate”- mi disse indicando qualcosa, o meglio qualcuno dietro di me.
“E io che pensavo fosse success…..”

Avete presente quando una persona è credente in qualcosa o qualcuno? Per esempio, chi crede in Dio, nella sua cristianità, chi crede nella morte, nella resurrezione, nell’aldilà e a tutte queste cose. Poi per esempio, come me, c’è chi crede in qualcosa, il Destino. Fato, Karma chiamatelo come volete, ma è qualcosa al di sopra di tutto in questa terra, che esista o no, qualcuno, o meglio, qualcosa regola le nostre entrate e uscite in tutto il corso della nostra misera vita. A mio parere certe cose succedono perché devono succedere. Zayn è entrato a far parte della mia vita, perché doveva essere così. Ho provato a non badarci, ma a quanto pare il Fato ha già deciso così.
Adesso me lo ritrovo lì, davanti a me, con quel viso bellissimo e un’espressione sorpresa almeno quanto la mia. Stavo morendo di vergogna, mi aveva vista, piangere, mentre abbracciavo il mio vecchio. Aveva visto e scoperto il mio punto debole. Volevo morire. Con un gesto automatico mi asciugai con la manica del giacchetto gli occhi ancora gonfi.
“Claire, lui è il povero malcapitato che ho tamponato, Zayn”- incalzo’ mio padre vedendomi in difficoltà.
E ora? Che faccio? Gli dico che lo conosco o no? Magari lui non vuole far sapere niente.
“Piacere”- disse avvicinandosi e porgendomi la mano.
Sorpresa glie la afferrai riportando alla mente tutti gli episodi con la sua faccia in primo piano.
Mio padre incomincio’ a parlargli di assicurazioni e cose sconosciute alla mia vita, mentre lo guidava verso il tavolo, sciolsi la stretta dalla sua mano e lui prima di voltarsi, ammicco’.
Mi sentivo davvero sollevata. Si ricordava anche lui di tutto. Avevo voglia di volare, ma gli hamburger e le patatine mangiate prima mi tenevano con i piedi a terra. Senza pensarci due volte mi diressi decisa in camera, pensando a come reagire, cosa pensare e che dire. Finalmente lo avevo ritrovato, stavolta non lo lascero’ andare così facilmente.

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Capitolo 15
*** Never mind I’ll find someone like you ***


Avevo un vuoto dentro di me e non era la fame. Camminavo trascinata da lui, senza nessun mio contributo ad andare avanti, ero flessibile. Quella frase semplice ma precisa uscita dalla sua bocca, era completamente entrata in me e non voleva piu’ uscire. Un coltello dritto nello stomaco, me lo sentivo girarsi e rigirarsi ogni volta che sentivo rimbombare nella testa quella frase, assolutamente piena di verità. Per quale motivo tutto questo dolore per una stupida osservazione? Semplice, ogni parola era vera, nessuno se ne era mai accorto e anche se fosse stato, non hanno mai provato a dirmelo e affrontarmi. Perfino io me ne rendevo conto ma evidentemente non avevo la forza di ammettere che qualcosa non andava in me. Una folata di odore fritto mi attraverso’. Era un locale semplice ricordava i vecchi pub degli anni ’80, i tavoli, le sedie, i banconi e le porte erano tutte di legno chiaro e lucido. Era strutturato tutto con molto ordine e cosa piu’ favorevole non era affollato. Sospirai compiaciuta, c’era un silenzio piacevole, spezzato ogni tanto dal rumore dei bicchieri, il tintinnio delle forchette nei piatti, dove poche persone parlavano sottovoce tranquillamente.
“Benvenuti”- con molta gentilezza, il ragazzo biondo dietro al bancone ci sorrise, mentre lucidava con il panno, i bicchieri già troppo brillanti. “Blaze, oggi ti tocca il turno”- incalzo’ il ragazzo allargando il sorriso amichevolmente.
“Lei è Claire. Mangiamo qualcosa, poi attacco. La lascio nelle tue mani”- rispose Blaze pacato.
Mi girai interrogativa cercando lo sguardo del moro, che mi prese per mano e mi porto’ agli ultimi tavoli, dietro a una colonna di legno, precisamente accanto alla porta del bagno. Mi fece sedere, mentre lui scorgeva dalla colonna verso il ragazzo del bancone e con la mano aperta scandiva senza voce “cinque minuti”.
Mi stavo innervosendo e anche molto. Non riuscivo a capire che cosa intendeva fare Blaze e il solo pensiero di vederlo andarsene e lasciarmi da sola, mi faceva cadere nel vuoto piu’ profondo. Ero agitata e non sapevo neanche il perché, era tutto nuovo per me: lui, il suo lavoro, il locale, il motorino e quella strana sensazione di amarlo da sempre. Mi sistemai nevroticamente i capelli ondulati, mentre Blaze si sistemava al suo posto. Poso’ tranquillo il casco a terra e per rialzarsi diede una botta alla nuca estremamente forte, tanto che il tavolo mi tremo’ sotto gli occhi.
“Aaaaaaah!”- urlo’ il moro.
Scoppiai in una fragorosa risata, mentre Blaze stava ancora chinato sotto il tavolo a lamentarsi e farfugliare cose incomprensibili. Diminuii il volume della mia risata quando non sentii nessuna sua partecipazione e lentamente si ritirava su, fino a permettermi di scorgere il suo viso rosso e impassibile. Mi prese un attacco di paura. Ora cos’è che ho fatto di male? Perché non rideva insieme a me? Di solito su queste cose ci ridiamo sopra e anche con gusto. Vedevo la sua intenzione di dire qualcosa stampata visibile sul suo viso tornato al suo colore naturale. Quel marroncino chiaro.
“Scusa”- dissi con un filo di voce.
“No guarda…”- mi prese la mano poggiata sul tavolo e me la strinse, col viso dolce.
“Ti sei fatto male?”- soffiai mentre allungavo delicatamente la mano verso la sua testa, accarezzandogli veloce i capelli. Per poi tornare furtiva con le mani sulle cosce.
Mi sorrise. E piano si avvicino’ al mio viso, ormai di fuoco.
“Cercavo di restare arrabbiato con te. Ma a quanto pare, non ci riesco.”- mormoro’ Blaze.
Non sapevo se dargli una botta in testa per avermi fatta sentire così in colpa per nulla o abbracciarlo fino a farlo soffocare perché mi sentivo sollevata.
La porta del bagno si spalanco’. Un uomo basso e grasso uscì sistemandosi i pantaloni noncurante della nostra presenza e del nostro disprezzo nei suoi confronti. Ubriaco com’era sicuramente non si era nemmeno accorto di noi. “Senza vergogna proprio”- mormorai tra me e me.
Tornai con lo sguardo davanti a me, dove, invece di trovarmi Blaze, trovai il vuoto. Lo rividi sbucare da dietro la colonna di legno con in mano una targa gialla che appese alla porta del bagno, con scritto: “guasto”.
“Ora possiamo stare tranquilli”- sbuffo’ Blaze sedendosi di nuovo.
“Non mi piace quando ti svalorizzi”- incalzo’ furtivo.
Ci pensai un po’ prima di aprire bocca. Mi stavo convincendo che lui era mio amico. Un amico fidato, mi potevo aprire con lui.
“E’ una cosa che mi riesce bene”- risposi senza pensarci troppo.
“Ti stai svalorizzando”- si lamento’.
“Cosa dovrei fare? Io non ci riesco a trovare qualcosa che vada bene”- dissi secca.
“Sei egoista se fai così. Ecco, l’ho trovato un difetto. Ora ti senti meglio?”- mi provoco’.
“No, per niente”- mormorai a testa bassa. Silenzio. “Ci provero’. Provero’ a non svalorizzarmi e trovare qualcosa di buono in me. Ma non ti garantisco niente”- risposi sconfitta infine.
“Ti ricordero’ ogni volta che serve di quanto sei bella. Questo potrà servirti”- incalzo’ malizioso.
“Non incominciare…”- sbuffai divertita.
“Sei bellissima”- mormoro’ scandendo bene quelle due pacchiane e prevedibili parole. Eppure dette da lui, in quel modo, mi facevano sentire davvero bella. Gli sorrisi. “Ler, devo coprire il turno. Io mangio dopo. Per qualsiasi cosa chiedi a Nathan al bancone”- disse alzandosi e prendendo il casco veloce.
“Ler?!”- chiesi interrogativa.
“Ti da fastidio se ti chiamo in questo modo? Da piccolo non riuscivo a pronunciare bene il tuo nome, piu’ che altro le “c”, così mi è sempre rimasto in mente Ler”- disse divertito.
soffocai una risatina. “Va benissimo”- risposi sorridente. “Io ti aspetto qui eh! No mi abbandonare”- pigolai sarcastica, ma infondo realmente preoccupata.
“Alle quattro e mezza saro’ qui pronto a ingozzarmi e ascoltare tutto quello che avrai da dirmi”- farfuglio’ con le chiavi in bocca mentre prendeva le scatole di pizza e patatine sul bancone per i rispettivi clienti.
Mi alzai seguendolo fino alla porta, vedendolo correre di fretta verso il motorino parcheggiato davanti, nel vuoto del parcheggio assolato. Stava sistemando le scatole della pizza dietro al sedile, avvolgendole con la corda tutte intorno, poi si mise il casco. Ma si volto’, fece marcia indietro e si mise a correre verso di me. Non capivo neanche se era vero o se la mia simpatica testolina si stava immaginando tutto. Mi diede affannosamente un bacio sulla fronte, i suoi tipici baci sulla fronte. Guardai i suoi occhi scuri scusarsi con i miei per quell’inconveniente e poi voltarsi verso il motorino e stavolta partire di corsa.
“VAI PIANO!”- urlai improvvisa, ma ormai troppo lontana per potermi sentire.
Sospirai e senza pensarci corsi dentro. Avevo una fame incredibile. Varcata la soglia della porta, mi fiondai diretta verso il bancone e fissai Nathan senza dire niente.
“Hamburger e patatine?”- chiese timido vedendomi così affamata.
Dai suoi occhi sembrava che aveva davanti a sé un felino affamato e arrabbiato. Mi venne quasi da ridere.
“Grazie”- sospirai soddisfatta. Feci per andarmene buona buona al mio posto, quando mi fermai di scatto.
“Tanto ghiaccio nella Coca Cola, grazie”- protestai ancora voltata, non era il caso di diventare rossa, di nuovo. Lo avrei traumatizzato a vita a quel povero ragazzo.
Un lamento di intesa sentii provenire dalla cucina. Così mi diressi con tranquillità verso il mio tavolo. Mi sedetti e solo in quel momento mi accorsi di essere sola, insieme a una famigliola felice. Le famiglie tipiche, che portano i bambini a mangiare al fastfood per festeggiare qualche evento significativo, un compleanno di solito. Quello pero’ non era un compleanno, era tutto piu’ tranquillo, parlavano educatamente a bassa voce con i genitori, non quei poppanti ormai già troppo grandi per essere chiamati tale che appena fai qualcosa che non gradiscono si mettono a urlare e sbraitare, manco fossero animali. Mi piaceva quella tranquillità e mi piaceva questo locale. Lo avrei sistemato al secondo posto, dopo il lago. Il lago… inevitabilmente ripensai a lui. A quel maledetto che ogni qualvolta pensavo a qualcosa andavo sempre a parare su di lui, mi invadeva sempre i pensieri. A Zayn.

*DADDY’S POV*

La mia mente era piena di quelle meraviglie chiamate macchine d’epoca. Si passava dalla prima creazione all’ultima, tutte meravigliose. Stavo andando dal mio collega Billy per aggiustargli quella meravigliosa Ford Mustang e cambiare i pezzi, ormai troppo vecchi per funzionare, di quell’altra meravigliosa auto, Honda s800. Al telefono mi aveva riferito di andare a prendere un cilindro e l’olio di ricambio, subito dopo essere entrato in città. Non sapevo se sarei stato in grado di trovare un meccanico aperto, ma male che vada avrei chiesto indicazioni. In quel momento ero troppo preso ed eccitato all’idea di toccare auto del genere. Mi sembrava di tornare indietro nel tempo, quando avevo quattordici anni e vedevo affascinato i modellini di automobili nel negozio vicino scuola. La mia faccia spiaccicata contro il vetro che si appannava e quello sfrenato desiderio di comprarle e giocarci. Poi il tutto incorniciato dai numerosi calci nel didietro che prendevo dal proprietario del negozio, ogni qual volta gli sporcavo il vetro appannandolo e sbavandoci sopra. Ripresi coscienza mentre un automobilista mi malediva mentre suonava e mi sorpassava. Cercai di tranquillizzarmi e di concentrarmi sulla strada, ma non ci riuscii per niente. Stavolta il mio distrattore non erano le macchine, era qualcos’altro. L’immagine di Claire e sua madre mentre mangiavano a tavola. Claire, una piccola fagotta di carne viva che non smetteva di muoversi nella culla, la madre che cercava di imboccarla, ma senza risultato positivo, quella piccola peste sputava tutto.

Sbandai. Schiacciai con violenza il freno e mi ritrovai con il paraurti ammaccato in mezzo alla strada. Ancora non riuscivo a connettere, sebbene non avevo battuto la testa, le urla e la confusione mi confondevano. Scesi dall’auto e mi accertai di essere tutto intero. Lo ero. Così girai intorno all’auto fino ad arrivare a un’ auto nera, di quelle belle che possono permettersi in pochi, fumava, nel punto in cui aveva fatto il danno, alla mia auto. Con passo svelto e deciso, mi diressi verso lo sportello del conduttore, dove con mio assoluto piacere scese un ragazzo, abbastanza alto, leggermente scuro di pelle, capelli scuri corti, vestito normale, con una normalissima espressione tranquilla, che mi stava dando ai nervi. Arrivatogli davanti, senza nemmeno ascoltare la sua versione dei fatti, lo presi per il colletto della sua maglia ed inizia a sbatacchiarlo a destra e sinistra con estrema fatica. Ero troppo vecchio e privo di forze e la sua giovinezza in quel caso mi sovrastava di molto. Continuavo comunque a prenderlo a male parole e a maledirlo. Non ce la feci piu’, ero sotto sforzo e mi mancava l’aria, mi fermai a riprendere aria mentre con estrema incazzatura e freddezza lo fissavo. Non era spaventato, ma teneva costante la sua fastidiosa tranquillità.
“Signore . . .”- disse pacato e silenzioso.
Finalmente si era deciso a reagire. Mi aspettavo una serie infinita di contraccambi alle mie crude parole nei suoi confronti e dei suoi familiari, ormai messi tutti quanti in tavola.
“Paghero’ tutto io, mi dispiace per l’inconveniente”- continuo’ affranto.
Rimasi di pietra. Non potevo credere alle mie orecchie.
“No. Non lo accetto, non chiamero’ né polizia, né carro attrezzi. La mia macchina è forte, puo’ ancora camminare”- mi si riempì il cuore di pietà, in fondo anche io ero un padre, così mi misi nei suoi panni.
Sospirai, poi continuai. “Stai bene?”- chiesi con voce paterna.
“La ringrazio di cuore. Sì, sto bene, non si preoccupi.”- era sorpreso del mio atteggiamento e non potevo dargli torto.
“Ti guido fino a casa mia, a Bradford, così ne parliamo e sistemiamo una volta per tutte questa faccenda.”- ormai avevo preso la decisione e non me ne pentii. Il mio sogno era andato all’aria, ma non avevo nessun rimorso, anche io ho un cuore. Chiamai malinconico Billy che con preoccupazione e successivamente dispiacere mi disse che un’altra occasione per me sarebbe arrivata subito. Non gli diedi peso e aspettai il ragazzo che fece una sola chiamata, breve, di un minuto contato. Così mi avvicinai a lui di soppiatto.
“Come ti chiami?”- chiesi timido.
Allungo’ la mano prima di rispondere in segno di cortesia, così glie la strinsi.
“Zayn”- rispose sorridente. “Zayn Malik”- disse infine.
“Piacere, io sono il Signor Coen”- dissi prendendo il piu’ possibile le distanze. “Forza andiamo”- dissi infine sciogliendo la mano dalla sua.
Rientrai in macchina e partii. Mi accertai dallo specchietto retro visore che il ragazzo mi stava dietro. Stavolta la mia mente la svuotai. Non voglio fare il secondo botto.

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Capitolo 16
*** When I see your face, everything changed ***


Mi lasciai andare sul letto, chiudendo gli occhi al dolce impatto con il materasso gonfio. Focalizzai uno schema veloce che misi subito in atto riaprendo veloce le palpebre. Poi alzandomi in piedi e facendo avanti e indietro per la stanza, incominciai a riflettere a voce alta, come una pazza:
-“Dunque, prima di tutto, do una veloce sistemata a questo casino”
Come non avevo mai fatto prima, afferravo le cose e le riponevo in qualunque spazio libero sugli scaffali e negli armadi. Sospirai, finalmente c’era senso di regola nella stanza. Sorrisi, fiera.
-“Poi . . .”
Mi precipitai davanti allo specchio e feci la mia solita smorfia di disgusto. Aprii l’anta dell’armadio e presi quella maglietta che mi piaceva tanto, regalata a me dalla zia di Roma. Era color avorio con tanti piccoli stampini a forma di rosa, blu e rosa, con una scollatura a V dolce e non provocante. Cio’ che mi ci voleva. Naturalmente jeans blu carico e superga blu scuro. Li misi stesi per bene sul letto con le scarpe ai piedi del letto. Poi presi il beauty-case e mi diressi verso il bagno.
La porta era chiusa.
Per quale diavolo di motivo la porta del mio bagno era chiusa? In quindici anni non è mai stata chiusa. Pensai al peggio. Poi il rumore dello sciacquone mi fece scappare una leggera parolaccia, stretta nei denti. La porta si aprì immediatamente, lasciandomi di sorpresa, imbambolata davanti alla porta, o meglio, a Zayn. Mi guardo’ a malapena alzando la testa, bisbiglio’ un “è tutto tuo” nelle mie orecchie, mentre mi sorpassava e rispuntava quel suo sorrisetto malizioso. Rimasi senza parole, dovevo essere arrabbiata, con mio padre. Non doveva mandarlo nel mio bagno. Eppure avevo quel futile senso di piacere che non riuscivo a mandar via. Senza pensarci piu’ di tanto lasciando cadere lo sguardo verso le scale, ormai vuote, entrai in bagno.

Stavo finendo di mettermi quegli ultimi due fili di matita blu, massaggiai le labbra morbide di burro di cacao e mi sistemai per l’ultima volta il piccolo chignon che mi legava solo i ciuffi estremi, e lasciava liberi i capelli sul petto. Sembravo una stupida. Chi si cambia i vestiti all’arrivo di qualcuno a casa? Nessuno. Così decisi di prepararmi una scusa: uscivo a prendere un gelato con Hayley e Sunday, poi sarei tornata a casa a studiare. Uscii dalla stanza e scesi le scale, tranquilla, mi misi sul divano a guardare la tv. MTV. Volevo sentire un po’ di musica che distrae. Mandavano in onda Airplanes di B.O.B. Questa mi piace! Entro’ in sala Zayn, seguito a ruota da mio padre che sorrideva. Io non lo capisco a volte, quell’uomo . . . Si stringevano la mano e si salutavano e io non avevo la forza di guardarli, facevo finta di niente e mi concentravo sulla tv.

-“Finalmente arriviamo alla numero uno della nostra hits”
-“Freschi, belli e impazienti di sfondare, non solo in Gran Bretagna”
-“Per la gioia di tutte le ragazzine inglesi, per voi, i One Direction con What makes you beatiful”

Il silenzio. Vedevo Liam in primo piano, con gli occhioni dolci, come me li ricordavo quella sera. Vedevo Zayn, la musica riacquisto’ tono e sentii la voce, la sua voce. Dio cos’era. Girai la testa, finalmente, verso di lui. Mentre mio padre prendeva fogli e altri documenti estranei alla mia vista. Non era colpa della miopia, non stavolta. La focalizzazione in quel momento era rivolta soltanto verso lo sguardo di Zayn, attento verso lo schermo e dispiaciuto. Si volse verso di me, il suo sguardo, solo quello, accompagnato in secondo luogo dal viso, ma non voleva distogliere il suo sguardo dal mio, non vedevo nemmeno le palpebre chiudersi. Stavamo immobili a guardarci, lui dispiaciuto, io piu’ dispiaciuta di lui. Finchè tutto fu interrotto dall’intervento di mio padre, che gli consegnava i vari documenti e lo salutava, aprendogli la porta di casa. Il mio sguardo era ancora rivolto a lui e lo seguiva fino alla porta.
“Insomma? Hai intenzione di restare lì?”- mi rimprovero’ il vecchio.
“ti odio”- pensai dentro di me.
Fui costretta con forza e di mia malavoglia ad alzarmi e andare verso di lui. Faccia a faccia. Non mossi un dito, lo fissavo impassibile.
“Ciao”- disse timido. Si avvicino’ alla mia guancia, poi proseguì e con la sua guancia mi diede un colpetto, facendo la stessa cosa con l’altra. Il suo profumo non era presente, puzzava terribilmente di fumo, il che mi fece piu’ preoccupare che altro.
Con lo sguardo basso, pigolai sottovoce: “ciao”.

Mio padre parlava, ancora. Era a pochi centimetri da me, accanto. Sentii la sua mano calda prendere la mia, poi infilarci qualcosa di pungente dentro e lasciarla. Mi girai verso di lui, che non tradiva di uno sguardo, attento alle parole di ringraziamento di mio padre. Poi dopo neanche mezzo secondo, uscì di casa.
“Si puo’ sapere cosa ti è preso? Non hai mai fatto così. Dai, ho capito che mi ha rovinato un sogno, ma è solo un povero ragazzo”- disse mio padre.
Non ero presente mentalmente. Toccavo e delineavo quell’oggetto dentro la mia mano ormai bollente. Non tradii di uno sguardo, mi voltai senza nemmeno rispondere a mio padre, ormai in silenzio, in attesa di una mia risposta che non arrivo’. Salii le scale con in sottofondo mio padre che urlava il mio nome e mi ordinava di tornare indietro. Non volevo fargli del male, perché non mi aveva mai urlato in quel modo e mi stavo comportando da perfetta stronzetta. Ma non riuscivo ad aspettare un secondo di piu’. Chiusi la porta della mia stanza dietro di me e mi diressi verso il mio terrazzo. Guardai attentamente il sole che bruciava quel giorno e senza pensarci troppo, aprii la mano rossa dal caldo con dentro un cartoncino mezzo stropicciato bianco, con sopra il suo nome, un altro nome che mi diede subito all’occhio, Spencer. Allargai la bocca in un sorriso, che coincidenza. Ma soprattutto sotto il suo nome, il numero, di un cellulare.
Urlai di gioia, sembravo un’idiota. Mi precipitai dentro e afferrai al volo il cellulare sulla scrivania, mandai un sms sia ad Hayley che a Sunday.

-“Ci vediamo al gelataio vicino casa mia tra dieci minuti. E’ urgente!”

Presi la borsa e le solite cose dentro, poi mi precipitai giu per le scale con il cartoncino ancora stretto nella mano.
“PAPAAAA’”- urlai cercandolo per la casa. Andai fuori, verso la riserva, chiamandolo piu’ forte. Mi rispose con un lamento.
“Io entro, eh”- non aspettai nemmeno risposta. Aprii la porta e mi precipitai verso di lui, sporco di nero sulle mani, inciampai fra gli attrezzi per terra e senza fermarmi mi rialzai correndo di nuovo verso di lui e abbracciandolo fortissimo.
“scusami tantissimo…”- farfugliai con la testa sopra la maglietta sporca.
ci pensai un po’ sopra.
“non pensare di rovinarmi la mia maglietta preferita con lo sporco sulle tue mani!”- incalzai improvvisa.
sentii una risatina soffusa che mi fece piacere, tanto piacere.
“devo vedere Hayley e Sunday assolutamente. Torno fra un’oretta per studiare. Ti voglio bene”- mi staccai da lui.
“ti voglio bene”- disse pacato, sorridendo.
Uscita dalla riserva mi misi a correre. Era bellissimo sentirsi accarezzati dalla brezza del vento. In meno di due minuti arrivai alla gelateria, dove intravidi solo Hayley.

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Capitolo 17
*** I could been a princess, you’d be a king but you let me go ***


Rallentai la corsa, quando vidi Hayley non molto distante. Riuscivo già a scorgere gli occhi grandi color ghiaccio e i lunghi capelli biondi che gli paravano il viso ogni qualvolta il vento si alzava. Si stava abbassando il sole e il caldo già non era piu’ presente, al suo posto una brezza leggera. Senza aprire bocca, con lo sguardo fisso sui suoi occhi, presi cauta il biglietto da visita e lo alzai fino a coprire il mio sguardo e rendere il biglietto il protagonista di quel momento.
Urlo’.
Io con fretta gli tappai la bocca, insultandola amorevolmente. Non c’era nessuno nei dintorni, solo il povero proprietario anziano della gelateria che guardandoci rise sotto i baffi bianchi, con lo sguardo fisso sul bancone.
Era presa da un’attacco epilettico misto a frenesia e gioia e lo scintillio dei suoi occhi umidi. La abbracciai forte, quando un secondo dopo il suo telefono vibro’. Lo prese e annuncio’: Sunday. Seguì un “ah-ah”, “ok”, “va bene” per due buoni minuti, poi riaggancio’ e mi disse che lo sciopero degli autobus non le permetteva di muoversi da casa.
“Hai piu’ sentito i ragazzi?”- chiesi furtiva.
“Molto meno, rispetto a prima. Solo che . . .”- fece una pausa, poi sorrise- “tieniti libera giovedì”- sorrise infine.
“Dici sul serio?”- risposi sorpresa.
“Sunday già lo sa. Per cena, ma non devi fiatare con nessuno. Harry era molto serio quando mi ha parlato della totale segretezza e del controllo. Non possiamo permetterci di farci scoprire da nessuno. Faremo danni a loro”- disse ora seria.
“Giusto”- soffiai malinconica con lo sguardo basso. Ripensai alle loro voci e al loro viso schiaffato sulla tv.
“Allora? Ancora non mi hai detto cosa è successo. Hai il suo numero”- sorrise maliziosa.
Gli raccontai tutto, dal primo all’ultimo momento compresi dettagli e commenti. Poi guardai l’orologio e salutai velocemente Hayley sempre sorridente.
“Ci vediamo domani a scuola!”- urlai incamminandomi.


Il telefono squillo’.Mio padre sbucciava le cipolle in cucina. Così mi dovetti alzare dal divano di malavoglia.
“Pronto”- chiesi annoiata.
“Claire? Sono Jonathan Price. Come stai principes… come stai ragazza?”- rispose prontamente.
Mi voltai verso la cucina. Sapevo il motivo di quella chiamata, a quell’ora. Abbassai il tono.
“Ei Jonathan! Tutto scorre”- ci fu una breve pausa- “vuoi che ti passo papà?”- chiesi infine.
“Buona idea!”- disse subito dall’altra parte.
Andai verso la cucina con il telefono premuto sul petto. Pensai a come potevo gestire la situazione e infine mi decisi a chiamarlo.
“Papà”- dissi timidamente.
“Dimmi”- rispose indifferente ancora assorto nel preparare la cena.
“. . . Al telefono. È importante”- riacquistai tono per farlo girare.
Si giro’ sorpreso e allungo’ la mano verso il cordless bianco che io gli porsi.

Aspettai paziente sul divano e guardavo la tv. I piedi tamburellavano continuamente sul tappetto, emettendo un suono cupo ma fastidioso.
Passo’ un’ora e mi stavo incominciando a innervosire, non della durata della chiamata, no di certo. Ormai mi massacravo la bocca e le unghie delle mani. Finalmente spunto’ davanti ai miei occhi. Sorrideva.
“Martedì andiamo a cena da loro”- si fece scappare sorridendo, cercando di contenere quel sorriso luminoso. Mi alzai dal divano e lo abbracciai.
“Grazie Claire. Mi hai reso felice grazie al tuo gesto. Te ne sono riconoscente, davvero”- bisbiglio’ sopra la mia testa.
Non dissi niente, avevo paura di rovinare quell’atmosfera magica. Mi limitai a sorridere, mi sentivo fiera. Di essere sua figlia.

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Capitolo 18
*** I’m falling from cloud 9 ***


Il mio sguardo vagava nel buio, ma l’immagine del volto di mia madre ce l’avevo fisso, davanti a me. Mi girai piu’ volte da una parte all’altra del letto, spiando furtiva i numeri luminosi della sveglia sul comodino. Niente da fare, non si muovono. Cercavo disperatamente di scacciare la sua immagine dalla testa, senza risultato. “Infondo è sempre mia madre”- pensai.
Accartocciai il lenzuolo ai miei piedi e mi alzai sbattendo i pugni sul materasso. Non accesi la luce. L’oscurità racchiusa nella mia camera era rassicurante. Uscii in terrazza cercando di tranquillizzarmi. Il calore mi passava dalla gola dritto verso i polmoni, poi uscì lentamente tramutandosi in una nuvola protettiva davanti al mio viso stanco. Mi lasciai andare e mi arresi ai comandi del cervello. . . o del cuore.

Gli occhi restavano fissi sul poster di Ed, finchè non suono’ la sveglia. Non avevo chiuso occhio per tutta la notte e la vista di un cerchio infuocato che spunta all’orizzonte, quasi volesse dirti: “Buongiorno”, mi rilassava. Solo quando mi guardai allo specchio mi resi conto di essere davvero stanca. Dopo aver fatto le solite azioni mattutine, scesi giu in cucina e preparai la colazione. Latte caldo e fiocchi d’avena. Infondo non era mai successa una cosa del genere e non avevo le capacità per fare uno spettacolo di colazione. Pulii i piatti sporchi della cena e mi accomodai sulla sedia ingurgitando il latte e sgranocchiando sotto i denti i cereali.
Mancava mezz’ora prima di uscire di casa e subire il solito inferno scolastico, così varcata la soglia della mia stanza feci mente locale. Iniziai dalla scrivania ogni oggetto aveva un suo posto. In quel varco di tempo fu un continuo scendi e Sali per le scale. A destra della scrivania misi un cestino e lo riempii già da subito con i vari fogli, inutili. Il letto era già rifatto, ma non contenta levai le coperte e cercando nell’armadio trovai federa, coprimaterasso e lenzuola nuovissime, ancora avvolte nel celofan. Erano carine, naturalmente non potevano sostituire le lenzuola azzurro chiaro, quelle hanno un valore affettivo. Ci pensai sopra. E capii subito cosa stavo cercando di far capire al mio cervello. La mia vita ha bisogno di ordine, sto crescendo e per quanto possano essere importanti, non posso attaccarmi sempre e solo agli affetti. Dovevo diventare piu’ matura e questo me ne ero accorta molto bene, cominciando dalle cose piu’ insignificanti, l’ordine materiale. Ma l’ordine mentale? Non sapevo bene se ce l’avrei fatta con questa facilità. Iniziai a sistemare le lenzuola bianche e verdi sul letto. Poi passai l’aspirapolvere, passando dalla mia stanza, al bagno e poi anche di sotto, finchè non si fecero le 7.30 precise e mio padre uscì dalla stanza con la flemma nelle ossa e gli occhi gonfi. Non si mosse e mi fisso’ sforzandosi di tenere gli occhi aperte e grattandosi la pancia.
“Stai male?”- improvviso’ infine, prolungando un lungo sbadiglio.
“Spiritoso”- ciancicai salendo di sopra.
Preparai lo zaino e scesi di sotto, accennando un saluto a mio padre che mangiava con un po’ piu’ di grinta i fiocchi d’avena nella tazza. Un suono gutturale provenì dalla cucina. Ora potevo uscire.

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Capitolo 19
*** Close your eyes, open your mind ***


La scuola non passo’ in fretta come mi auguravo. Infatti piu’ cercavo di concentrarmi sulla lezione, piu’ la mia mente vagava indisturbata. E le varie frecciatine che i prof mi mandavano, invece di alterarmi mi scivolavano addosso. Alla lezione di chimica, stavo così sovrappensiero che invece di sezionare la rana come indicato, gli torturavo le varie parti del corpo, rendendolo un cumulo di carne spappolata. Il prof mi porto’ fuori dalla classe, furioso.
Martedì finalmente arrivo’ e poco prima di ricevere i due Price, aiutai mio padre a preparare la carne di coniglio che tanto gli piace e apparecchiai la tavola. Ero un po’ nervosa, diciamo il giusto. Avevo un vestito leggero e estivo, mi imbarazzava molto. Suonarono il campanello e in mezzo secondo mi passo’ veloce l’idea di andarmi a cambiare, poi respirai e mi tranquillizzai. Aveva sempre quel solito sorriso stampato in faccia, ancora piu’ largo quando mi vedeva impacciata vicino alla tavola.
“Ma come ti sei fatto grande Blaze”- enfatizzo’ mio padre staccandosi dall’abbraccio amichevole di Jonathan.
Lui distogliendo lo sguardo dal mio si giro’ verso mio padre e rispose con un sorrisetto furbo, da bambino. Poi si avvicino’ verso di me, porgendomi una bustina di cartone d’orata con un fiocchetto bianco attaccato sopra.
“Non dovevi”- dissi allontanando con una mano il pacchetto.
“Dai non fare complimenti”- contraccambio’ mettendo la bustina nelle mie mani.
“Ma io non ti ho fatto niente!”- risposi disperata.
“Non importa. Aprilo, forza!”- mi incito’ con le mani.
Aprii la bustina e tirai fuori un ciondolo, era un delfino di vetro blu e bianco.
“ti sei ricordato del mio animale preferito”- dissi sorpresa- “grazie Blaze”- conclusi abbracciandolo.
Ci sedemmo a tavola, mio padre si mise davanti a Jonathan e parlarono così tanto che tra una parola e l’altra l’acqua e il vino finivano che una meraviglia! Loro parlavano, io e Blaze ci guardavamo. Sempre con il solito innocuo imbarazzo. Una forchettata di carne, un’occhiatina. Un sorso d’acqua, un’altra occhiatina. Così ripetuto centinaia di volte, finchè non si decise a fare quello che tanto aspettavamo di fare entrambi.
“Io e Claire andiamo a fare due passi… per digerire. Il coniglio era favoloso!”- fece per alzarsi e io uguale andandogli dietro a ruota.
 

Guardavo il cielo stellato con la testa piegata indietro. Non mi accorsi neanche che la mia mano era intrecciata con quella di Blaze. Camminavamo nel parco e la luce soffusa dei lampioni illuminava solo i ciottoli bianchi sotto i nostri piedi. Il rumore dello scricchiolare dei sassi sotto le suole delle scarpe riempiva ogni spazio vuoto di silenzio, tra una parola e un’altra del nostro discorso.
“Hai già deciso cosa farai dopo gli studi”- riprese Blaze.
Lasciai passare un po’ prima di rispondere- “Non ho deciso ancora niente”- risposi pensierosa, fissando i ciottoli bianchi rotolare vorticosamente davanti a noi.
Silenzio.
“Ti piace qualcuno di scuola nostra?”- si fece tradire il tono della voce che si abbassava piano piano.
Mi scappo’ un sorriso.
“Non penso mi interessino quei tipi di ragazzi. I miei gusti sono, come dire, piu’ specifici. Non so se mi spiego”- risposi con il sorriso sulle labbra.
Si fermo’, costringendomi a girarmi verso di lui. Mi tiro’ verso di sé. Tutto era scomposto in tante, ma veloci sequenze.
“Quindi… anche io non sono di tuo piacimento”- mi sussurro’ sul viso.
Con lui era diverso, prendevo tutto a mio favore, perfino le situazioni piu’ imbarazzanti. Come questa.
“Riflettici. Se non saresti stato di mio piacimento, non ti avrei degnato nemmeno di una parola”- risposi compiaciuta.
“Allora…”- sospiro’ mentre si avvicinava sempre di piu’.
“non farmi questo…”- sussurrai piu’ forte di me.
Si fermo’ di colpo. Sorpreso.
 Aveva la tipica faccia da cucciolo sperduto e disorientato. E io, come al solito, dovevo fare la parte della strega cattiva.
Prima che io potessi dire una parola, si rianimo’ di quel suo sorriso, anche se malinconico. Sospirai.
“Capisco”- riprese affranto.
“Blaze…”- “voglio dirti solo una cosa”- presi aria e buttai fuori-“…voglio solo dirti che mi piaci come persona, come amico, come mi tratti, mi piace quando cerchi di aiutarmi in tutti i modi e mi piace quando sopporti i miei comportamenti stupidi e immaturi. Mi piaci, ecco. Non ti diro’ la solita scusa buttata lì, perché siamo così amici che se succedesse qualcos’altro avrei paura di perdere la tua amicizia, no. È solo che, la mia adorazione per te si ferma in un punto, dove ha già preso posto qualcun altro e ti giuro che non vorrei fosse così. Davvero”.
Ero felice. Felice di aver saputo gestire la situazione nel modo in cui speravo. Ancora piu’ felice, quando il suo sorriso, non scomparve dal suo viso e resto’ lì, fermo. Finchè non mi incito’ ad andare a casa con il suo braccio intorno al collo e le labbra poggiate sulla testa.

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Capitolo 20
*** Crashing from the high ***


Il mattino seguente, a scuola, io Hayley e Sunday decidemmo di prepararci le cose già da quel pomeriggio. Così, dopo scuola, la madre di Hayley ci porto’ a casa sua con l’auto.
“Brutta notizia”- annuncio’ Sunday davanti allo schermo luminoso.
Io e Hayley stavamo con le orecchie puntate verso Sunday.
“I negozi oggi sono chiusi, stessa cosa per domani”- disse infine.
“E ora?”- dissi preoccupata.
“E ora ci adattiamo con quello che abbiamo”- rispose Hayley
“Cioè niente”- contraccambiai sbuffando.
Senza rispondere, Hayley si giro’ verso l’armadio a muro e inizio’ a ispezionare tutti i vestiti piegati ordinatamente sui ripiani. Lancio’ in aria un vestito, che mi plano’ in viso.
“Quello per te”- disse affannosamente Hayley ancora intenta a cercare.
Era blu. Semplicissimo, con una scollatura a “V” troppo provocante per i miei gusti.
Plano’ un altro vestito sulle mani di Sunday.
“E quello è tuo”- incalzo’ la bionda.
Sunday sbigottita lo scruto’ per bene. Viola scuro con qualche spruzzo di nero qua e la’ , la gonna stretta e la parte superiore a fascia. Si fece scappare un sorriso che intravidi dietro ai folti ricci neri.
Io e Sunday ci stavamo già spogliando, quando una risatina isterica di Hayley ci fece sobbalzare: “L’ho trovato!”- grido’ euforica. Ce lo fece ammirare in tutto il suo splendore. Un vestito rosso e lungo, uguale al mio a differenza del colore.
“Harry è già ai tuoi piedi, non servono questi vestiti stupendi”- incalzai divertita.
“Non è mio. Non potrebbe mai esserlo! Diciamo che . . . è un piccolo prestito di mia madre”- disse nascondendosi dietro l’abito.
Ce li mettemmo in fretta, quasi fosse una gara a chi si veste per primo. Le occhiatine passavano da una parte all’altra della stanza, chi scrutava il vestito dell’altra, chi scoppiava a ridere.
Avevo già chiuso la zip laterale e senza pensarci troppo mi fiondai davanti all’unico specchio che Hayley aveva in camera.
Sospirai disperata e prima di dire una sola parola Hayley intervenne: “Sei bellissima”.
“Se dici questo allora devi vedere te”- risposi sbigottita di quel rosso intenso- “ma lo specchio è ancora mio”- dissi infine.
Decidemmo di immortalarci con delle foto, tanto per avere qualcosa da fare. Il cielo era nuvoloso e l’aria umida precedeva il forte temporale che il meteo prevedeva. Quel pomeriggio era uno dei piu’ tranquilli che avevamo passato, chiuse in camera, con la pioggia che lentamente scendeva, schizzando qua e la’sulla finestra.
“Che cosa faremo se ci danno buca?”- intervenni improvvisamente sdraiata sul letto con le mani sul ventre. Nessuna risposta. “Insomma, c’è da aspettarselo. Non sono, come gli altri”- conclusi con lo sguardo fisso sul soffitto.
“Non ci avrebbero invitate a cena se non ci volevano tra i piedi”- rispose infine Hayley pacata.
Diedi un’occhiata furtiva a Sunday che stava con lo sguardo fisso al pc, ma che ogni tanto gli occhi la tradivano di uno sbrilluccichio familiare.
“Io non intendo questo!”- dissi alzandomi di scatto dal letto, rimanendo a gambe incrociate. Avevo posato lo sguardo alla finestra, ormai ricoperta dalle gocce di pioggia che scendevano ritmicamente da sopra a sotto. Mi piaceva la pioggia, mi rilassava.
“Io dico, che potrebbero avere un impegno sul momento, potrebbero non venire, perché per loro la carriera ha piu’ importanza di uno stupido appuntamento. Con noi.”- conclusi affranta.
Guardavo Hayley in attesa di una risposta.



Sobbalzai. Sunday non era piu’ sulla sedia, davanti al pc. Guardai Hayley esterrefatta, mentre lei si diresse velocemente verso la porta. Senza pensarci due volte, mi alzai inciampando sul vestito e finendo a faccia avanti. Mi rialzai velocemente e iniziai a cercarle per casa seguendo i suoni e i singhiozzi, poi i pianti… In bagno, la porta spalancata e Sunday seduta per terra con la testa nelle mani a piangere, mentre Hayley le accarezzava i ricci neri e la tranquillizzava. Feci per avvicinarmi.
“VATTENE! NON FARLA ENTRARE, FALLA ANDARE VIA, NON LA VOGLIO VEDERE!”- urlo’ tra le mani Sunday, piangendo piu’ di prima.
Mi rimbombavano nella testa, si insinuavano nel ventre, scavandolo, sempre piu’ a fondo, facevano male e scavavano fino a rendermi vuota. Ero impotente, non sapevo cosa fare, cosa dire. Non riuscivo a darmi spiegazioni, non riuscivo a capire qual’era la causa di quelle parole.
Hayley mi guardo’ con gli occhi lucidi. “Vai”- mi sussurro’ da lontano.
Avevo il cuore pulsante, accelerava sempre piu’. Mi spogliai davanti a loro, pestando il vestito con i piedi nudi e senza guardare niente e nessuno, mi diressi di sopra. Il dolore dal ventre passo’ alla testa che incomincio’ a girare, poi agli occhi, mi mordevo le labbra e gli occhi gonfi si stavano inumidendo.
Presi tutte le mie cose e corsi al piano di sotto in lacrime, sbattendo la porta. Iniziai a correre, sotto la pioggia forte che cadeva sulla testa. Iniziai a sfogare tutta la rabbia e il disorientamento nella corsa, passando il peso sulle gambe che scalciavano avanti e indietro, cercando disperatamente di non piangere.
Perché? Cosa ho fatto? Cosa ho detto? Mi rivenne in mente tutta la discussione e tutte le cose brutte che potevano accadere domani con i ragazzi. Mi sentivo dannatamente in colpa, rivedendo nella mente la faccia felice e sorridente della persona piu’ radiosa del mondo. Che razza di persona ero, io che sono riuscita a farla piangere? Mi sentivo uno schifo. Sentivo che non sarei stata piu’ in grado di parlarle o guardarla in faccia. Il suo male ero io. E lei era una delle mie migliori amiche.

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Capitolo 21
*** Do all things with love ***


Mi svegliai nel cuore della notte e il mio cervello non aveva intenzione di starsene zitto e riposare un po’ anche lui. Da quel pomeriggio, non facevo altro che pensare e ripensare a cio’ che avevo fatto a Sunday e non riuscivo a perdonarmelo. Il mio cuore lottava tra ragione e sentimento. Era esagerata la sua reazione, poteva fermarmi e dirmi chiaramente di finirla con quelle paranoie. Lei lo sapeva che me le faccio sempre, che mi spuntano dal nulla, poche ore prima del grande evento. Poi tutta la ragione viene sommersa dal senso di colpa che incombeva indisturbata su di me. Quel dannato sentimento che mi fregava sempre, mi faceva annegare. Cercai nel buio la scrivania e lingue di luce lunare mi permettevano di scorgere il pacchetto di sigarette. Nervosa come non mai, me ne accesi una di fretta. Mi accovacciai fuori al terrazzo, mandai in dentro il fumo. Bruciava. Bruciava terribilmente. Incominciai a singhiozzare e a pensare, a cosa avevo fatto di male. A pensare a cos’è che non andava in me. Perché dovevo far soffrire le persone in quel modo. Pensavo alla mia assenza. Come sarebbe stato non avermi tra i piedi? I singhiozzi ostacolavano a tratti i miei pensieri, sempre piu’ contorti. Guardavo attentamente la punta incandescente del mozzicone tra le mie dita. Me lo avvicinai al viso, ancora con gli occhi gocciolanti. Feci una smorfia per darmi quel piccolo pezzo mancante di volontà che mi mancava. Strinsi i denti e avvicinai singhiozzante il mozzicone al braccio. Sentivo già il calore trapassarmi la pelle.
Erano bastati cinque attimi per farmi tornare in me stessa. Erano bastate cinque facce: Papà, Hayley, Zayn e mamma.
Gridai dentro di me e buttai la sigaretta oltre la ringhiera della terrazza. Piansi, non ricordo quanto. Ricordo solo i pianti e poi il risveglio nel letto.

Traumatico, decisamente. Quel risveglio fu il piu’ difficile, nonché il piu’ strano. Non riuscivo a capire se era stato tutto frutto della mia fervida immaginazione o era successo veramente. Tra l’altro quel che stavo attuando era “autolesionismo” e non andava affatto bene . . .
Mi alzai e mi preparai velocemente per andare a scuola. Dovevo essere forte per una volta in vita mia e pensare a me stessa (una volta tanto). Non le aspettai, non le cercai davanti alla porta come tutte le mattine. Già sapevo cosa sarebbe successo e tutto quello dovevo superarlo. Dovevo crescere, essere forte e capire che io non avevo nessun torto. Era difficile, ma dovevo farlo.
Solo all’ultima ora, nella classe di chimica, incrociai lo sguardo malinconico di Hayley. Mi veniva da piangere, rivolevo la mia migliore amica indietro. Senza di lei mi sentivo persa. Quando suono’ la campanella pregai con tutta l’anima che si avvicinasse a me e mi abbracciasse come aveva sempre fatto. Avevo bisogno di uno dei suoi sorrisi, avevo bisogno di sapere che lei c’era ancora, nonostante tutto. Si avvicino’ e i miei occhi impazzirono letteralmente, corsi verso di lei, noncurante della presenza di Sunday dietro. Riprovai la gioia di abbracciarla e di affondare la faccia nei suoi lunghissimi capelli biondi.
“Io non ti lascero’ mai”- mi sussurro’ all’orecchio.
Il cuore mi si riempì di gioia, poi mi si svuoto’ di nuovo non trovando piu’ Sunday dietro di noi. Era sparita, di nuovo. La tristezza divenne ad un tratto, rabbia poi odio.
“Si puo’ sapere che diavolo le ho fatto di così grave?”- alzai il tono imperterrita.
“Mi ha detto che si è stufata del tuo atteggiamento”- rispose la bionda pacata, quasi sottovoce.
Ci pensai sopra. Delusa.
“Che significa questo?”- domandai affranta.
Volevo sentir uscire cazzate sull’accaduto. Volevo sentir dire “non è vero Claire, è tutto uno scherzo”. Dio quanto lo volevo sentire. Eppure dal volto di Hayley sentii solo apprensione e sconforto.
“Le cose non sono piu’ come prima, tesoro”- rispose infine a testa bassa.
In realtà me lo aspettavo. Sapevo di questa rottura già dalla notte scorsa e lo sapevo anche ora. Volevo avere la conferma, volevo avere quella piccolissima possibilità su un milione di rimediare. Ma a quanto pare, tutto era andato in pezzi. Non mi sarei messa a piangere in un angoletto sui miei sbagli. Stavolta no. Avrei preso in mano la situazione e sarei andata avanti. Sentii singhiozzare.
Hayley in lacrime accanto a me. La abbracciai forte.
“Mi dispiace Hayley. Mi dispiace tanto. Ma io non posso correre dietro a chi mi considera un male. Io saro’ sempre con te. Sempre. Ricordalo”- dissi sorridendo. Erano tante le promesse fatte, tra me e lei, ma questa aveva qualcos’altro. Qualcosa che la distingueva da tutte le altre, aveva verità. Sapevamo entrambe che la nostra amicizia c’era sempre stata. Che Sunday era nostra amica sì, ma non aveva la stessa alchimia che avevamo io e Hayley. Sapevamo che prima o poi sarebbe saltato fuori e così è stato. Ma noi ci speravamo, speravamo entrambe che era tutta una finta che tutto si sarebbe sistemato.
“E’ bene che io non parli con Sunday per un po’”- incalzai pensierosa.
“Sì…”- rispose in un singhiozzo- “è meglio per tutte e due”- finì.
La trascinai nel bagno delle ragazze dove Hayley si sistemo’ il viso umido. Colsi l’occasione per andare in bagno. Chiusi la porta a chiave. Sentii entrare qualcuno. Mi abbassai e guardai a terra, i piedi. Le  converse nere e bianche di Hayley erano immobili dirette verso la porta di entrata. Avanzarono delle scarpe basse di marca fatte di seta, azzurra. Poi delle scarpe chiuse di gomma altrettanto di marca con le stripes lucenti rosa. Nessuno aveva scarpe del genere in quella scuola, pensai a chi non volevo pensassi. Lorel.
“Che hai fatto hai pianto?”- punto’ la voce stridula di Lorel.
Sospirai.
“ehmm, no. Sarà allergia”- rimedio’ Hayley tradendo di qualche tono alla voce spezzata.
Io ascoltavo in silenzio. Perdendo col tempo, sempre piu’ pezzi della già piccola pazienza.
Sentii una fastidiosa risatina sguagliata.
“Guarda che si vede che hai pianto”-continuo’ ridendo ancora- “Sunday mi ha detto tutto . . .”- fece per continuare- “la poveretta si è finalmente accorta che tu e Claire non siete vere amiche”- fece una pausa.
Rimasi a bocca aperta, mentre sentivo le scarpe della vipera muoversi e scricchiolare intorno.
“Siete un male per lei, non l’ascoltate . . . non la considerate. Non fate altro che pensare a voi stesse. Si è accorta che con altre persone, per esempio con noi, è al sicuro”- continuo’ compiaciuta.
La mano mi stava tremando. Il cuore incomincio’ a battere piu’ veloce.
“Forse si è resa conto che tu sei solo una frignona che non combina niente e che la grande e coraggiosa Claire Coen resta come al solito sola, come un cane. E’ riuscita a farsi prendere anche il ragazzo”- incomincio’ a ridere ancora- “Insomma quell’imbecille di Chris. Glie l’ho soffiato come una piuma sotto al culo”- rise piu’ forte.
Ormai il tremolio del labbro, della mano, della gamba si estese a tutto il corpo. Si era creata un’energia enorme dentro di me che dovevo sfogare. Diedi un calcio alla porta che si aprì scheggiandosi.
Vidi la faccia arancione della Barbie passare dal sorpreso al divertito. Mostrava i denti bianchissimi riflettere su quell’arancione lampadato e l’orribile differenza di colore che si notava fra i capelli biondo scolorito e la pelle. Rise ancora piu’ forte di prima. Non pensai a nulla, a nessuna conseguenza. Guardai di soppiatto Hayley che lacrimava e sussurrava: “non farlo”. Non avevo la benché minima intenzione di lasciargliela passare in quel modo. Non stavolta. Guardai la sua amica terrorizzata, a differenza della biondina che a quanto sembrava si divertiva a vedermi incazzata.
“TU…”- sogghignai incazzata. Caricai un quarto dell’energia che avevo in corpo e glie lo porsi in un destro alla guancia. 

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Capitolo 22
*** I wanna be free, free like the sun ***


La vidi a terra con la mano premuta sulla guancia rossa e quel dannato sorrisetto stampato ancora lì. Compiaciuta piu’ che mai.
“Ti faccio sbattere in manicomio, pazza!”- esclamo’ Lorel ridendo e lamentandosi nel mentre.
Si massaggiava vorticosamente la guancia e non smetteva di ridere. Lei dava a me della pazza? Nessuno finora ride con gusto quando ha appena ricevuto un pugno. Non lei. Invece piu’ si massaggiava la guancia piu’ si divertiva. Mi pentii di non avergli spezzato un braccio.
“Andiamo via!”- esclamo’ Hayley prendendomi per un braccio.
Lorel rise ancora piu’ forte- “Dove credete di andare teppistelle?”- incalzo’ la vittima ancora a terra.
Io e Hayley stavamo uscendo, quando pochi istanti prima si spalanco’ la porta. Migliaia di studenti entrarono e si affacciarono a guardare cos’era successo. Ci travolsero letteralmente andando tutti verso Lorel ancora a terra. Ora non rideva piu’, ora si lamentava, urlava di dolore.
Non ci potevo credere…
“E’ LEI!”- urlo’- “E’ STATA LEI A COLPIRMI”- finì la recita con qualche altro lamento.
Rimasi di pietra alle loro spalle, mentre l’attrice mi puntava il dito contro e tutta una schiera di studenti si voltarono verso di me. Sentii la mano di Hayley tremare, glie la strinsi.
Neanche il tempo di fiatare o muovermi che la porta del bagno si riaprì nuovamente. E stavolta la Preside Smith mi fissava severa. Il suo sguardo era piu’ potente di tutti gli sguardi minacciosi degli studenti in quel bagno. Stavolta mi unii al tremolio insieme ad Hayley, quando la signora dai capelli rosso fuoco si avvicino’ a noi, minacciosa. Tre passi contati e me la ritrovai a pochi metri di distanza.
“Coen, Jackson. Nel mio ufficio, ORA!”- trillo’ la serpe.
Si volto’ in un mezzo giro, esito’. “Portate in infermeria quest’altra signorinella, poi mandate nel mio ufficio anche lei”- disse infine.
“Preside, io non c’entro niente! E’ stata questa st…”- contesto’ l’attrice con la plebe tutta intorno.
“NON MI INTERESSA!”- ribattè stizzita Smith.

Lungo tutto il tragitto da un edificio all’altro io e Hayley non fiatammo. Ci stringevamo la mano forte fino a farla sudare e basta. Osservavo i movimenti troppo familiari della signora davanti a noi. Mi venne la nausea pensando che avevo davanti la Signora Malik, nonché vedova del Signor Malik. Era piuttosto difficile pensare in quel momento a Zayn. Sapevo che sarebbe successo qualcosa di grave a me. Minimo sarei stata espulsa dalla scuola. Avevo lo stomaco vuoto e mi venne il mal di pancia.

Entrammo nel suo ufficio e ci sedemmo. I bidelli che prima ci avevano accompagnate fin lì, sparirono magicamente. Rabbrividii ancora una volta.
“Senza troppi giri di parole, la situazione già la so …”- fece per continuare.
“Come fa a saperla?”- intervenni sorpresa.
“Non mi interrompere Coen”- mi zittì severa.
“Quindi mi sembra già ovvio che una studentessa del genere non puo’ compromettere il nome di questa scuola. Dovro’ espellerti Coen”- finì scocciata.
Lo stomaco incomincio’ a brontolarmi, poi mi si strinse in una morsa. Sbiancai. Non me le aspettavo davvero quelle parole. O forse sì, ma non con quella velocità.
“Non puo’ espellerla”- intervenne Hayley prima di farmi svenire.
“E perché no Jackson?”- sorrise a quell’intervento.
“Perché ha ottimi voti in molte materie e l’anno scorso è stata una delle poche ad avere i massimi voti al tema, in tutta la scuola”- si fece coraggio.
“Tu lo sai Jackson che uno studente puo’ avere la lode anche a tutte le materie, ma se la condotta è insufficiente, non viene ammesso da nessuna parte?”- disse avvicinando il suo viso a quello della bionda che tremo’.
“Sì, ma…”- intervenne pacata.
“Niente ma Jackson, è legge”- intervenne la Preside- “ora chiamo tua madre…”- si rivolse a me.
Scattai. “La prego, chiami mio padre”- la supplicai senza volerlo.
“Nei documenti è registrato il numero di tua madre, non si fanno eccezioni”- rispose irritata.
Sospirai, ritirando le ginocchia a me e facendomi scappare involontariamente qualche lacrima.
Sentivo la voce di mia madre al telefono trillare “non è possibile”, “mia figlia? Ne è sicura?”.
Cosa avrei detto a mio padre? Non mi avrebbe rivolto piu’ la parola. Io avevo bisogno di lui piu’che mai. Mi avrebbe capita? Ora che faccio, ora che faccio, che faccio . . . continuai a ripetermelo, ma non mi veniva niente in mente. Rimasi accovacciata sulla poltrona per lungo tempo, finchè non sentii mia madre arrivare con Spencer e papà dietro. E solo allora mi accorsi delle lunghe ore trascorse.
“Claire, esci”- mi ordino’ mia madre.
Senza fiatare mi alzai, accorgendomi che Hayley non era piu’ seduta accanto a me. Uscii dall’ufficio, passando vicino a mia madre che non si mosse, a Spencer che respirava pesantemente e a mio padre che mi accompagno’ fuori.
Si chiuse la porta, poi si riaprì, Spencer uscì e si diresse verso i distributori automatici. Sentii urlare mia madre e litigare con la Preside.
“Sei una deficiente”- incalzo’ mio padre.
Non risposi.
“Ti rendi conto del guaio che hai combinato?”- alzo’ il tono di poco- “forse non ti devo piu’ insegnare niente di Tai-chi, è questo?”-chiese infine.
“No, non è questo”- risposi senza tono.
“Allora cos’è?”- intervenne.
Ci pensai.
“Claire! Dimmi che hai!”- alzo’ di una nota il tono.
“Non lo so”- risposi lacrimando.
“Non mi aiuti così”- rispose.
“Ti ho detto che non lo so! Mi va tutto male, è un periodo di merda”- sbottai infine.
“Ti devi controllare”- rispose severo.
“L’ho perso…”- soffiai.
“Cosa?!”- sbotto’ lui infuriato.
“IL CONTROLLO!”- urlai- “e lo sto perdendo anche ora…”- conclusi.
“Non lo devi perdere, punto. Non sei piu’ una ragazzina, cresci!”- disse infine. Si alzo’ e raggiunse Spencer.

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Capitolo 23
*** What doesn’t kill you makes you stronger ***


Arrivati  a casa mia madre prese il controllo della situazione e mi ordino’ furtiva di starmene in camera e non uscire. Stare da sola in quel momento non mi avrebbe fatto per niente bene. Come pensavo, spofondai in uno stato di depressione mai provato fin ora. Rimpianti su rimpianti e dolore su dolore.
“CLAAAAAAAIRE, SCENDI IMMEDIATAMENTE!”- mia madre urlo’ dal piano di sotto.
Alzandomi diedi un’occhiata alla sveglia sul comodino: 4.30. Non badai  all’orario e il tempo era l’ultima cosa che mi preoccupava in quel momento. Respirai a fondo e scesi. Mio padre e mia madre in piedi, uno accanto all’altra. Avevo un dejavù. Sicuramente in uno dei miei sogni c’era rispecchiata quell’immagine: mio padre e mia madre vicini, insieme. Rabbrividii. Mi fecero sedere. E questo non prospettava qualcosa di leggero. Riempii i polmoni per farmi coraggio e non far cedere le gambe molli.
“Forza, siediti”- mi incito’ mio padre con tono pacato.
Mi lasciai andare sul divano, come un sacco di patate. E aspettai impaziente. Il sapore del sangue mi invase la bocca, deglutii, continuando a mordermi nervosamente il labbro inferiore.
“Io e tuo padre abbiamo deciso che forse è meglio che ti trasferisci con me e Spencer a Londra”- disse convinta, poi continuo’- “lì recupererai con esami che tu puoi sicuramente superare e continuare l’anno tranquilla, poi avrai tanti nuovi amici e …”
Mi si gelo’ il sangue. Dentro di me il vuoto. Fuori il nulla. Nella mia testa tanti, troppi volti, i piu’ nitidi: Hayley, Blaze e papà . . . poi, per finire in bellezza, la sensazione coinvolgente del bacio di Zayn e il suo volto fisso davanti ai miei occhi.
“NO!”- urlai disperata- “non voglio. Non potete farmi questo! Qui c’è la mia vita, i miei amici …”- scoppiai nuovamente in lacrime, non riuscendo a ricacciarle dentro.
“La tua vita qui, è un disastro”- preciso’ furiosa mia madre- “questa la chiami vita? Riuscire ad essere espulsa da una scuola così insulsa?”- finì decisa.
Non riuscivo a rispondere, sapevo che qualunque cosa accadesse in quel momento, non poteva cambiare le circostanze. Sarei andata a vivere a Londra, a casa di mia madre, la persona che non vedevo da anni e un altro sconosciuto, suo marito. Come potevo? Come potevo riuscire a costruirmi un’altra vita, in un altro luogo? Forse chiunque altro ci sarebbe riuscito col tempo, ma io, sono sempre stata difficile e chiusa, per me era già difficile costruirmene una di vita, due erano troppe.
“E’ ora di crescere figlia mia”-disse infine sospirando, poi si volto’ verso mio padre-“comunque, partiamo domani mattina presto, hai tutto il tempo di salutare i tuoi amici e fare quello che devi fare. Voglio la puntualità domani, non un minuto di piu’! Alle 8.00 ti voglio vedere davanti alla porta con i bagagli pronti”- poi si volto’ verso di me- “avrei dovuto portarti con me, fin dall’inizio”- finì con un altro sospiro.
“Avrei preferito morire”- sibilai dentro di me, decisa a non farlo uscire.
“Tuo padre deve dirti delle cose”-concluse e si diresse da Spencer che non la finiva di scrivere messaggi.

Entrammo in camera di mio padre, lui ormai in fondo alla stanza con le spalle verso di me, io sull’uscio della porta aperta, non fiatavo.
“Chiudi la porta”- mi ordino’ sofferente. Ubbidii e chiusi la porta dietro di me.
Era soffocante il dolore che provavo in quel momento, le lacrime spingevano e cercavano di uscire, mentre io cercavo con tutta me stessa di ricacciarle indietro, in qualunque modo.
“Tua madre naturalmente mi ha detto di sgridarti, di farti capire che hai sbagliato, alzando la voce. Perché dice che tu mi ascolti piu’ di lei”- sospiro’- “appunto perché ti conosco piu’ di lei, so che non c’è bisogno di tutta questa sceneggiata, perché io lo so che già ti stai rimproverando con te stessa e stai soffrendo. Lo vedo dal tuo sguardo …”- prese un altro sospiro- “Fin da quando eri bambina sei stata autonoma. Ed essere autonoma a cinque anni non è normale. Io stavo male per tua madre e tu, a cinque anni, ti prendevi cura di me. Io neanche me ne accorgevo di quanto avessi bisogno di me. In quel periodo sono stato un pessimo padre e lo rimpiango tuttora.”- fece una pausa. Non potevo farlo sentire in quel modo, volevo abbracciarlo e dirgli che lui è stato e sarà sempre il migliore. Feci un passo, ma alzo’  la mano e con un gesto mi fece capire di lasciarlo finire di parlare.
“Grazie alla mia bambina sono uscito da quel circolo vizioso di depressione e ho cominciato a fare il padre. Non sapendo come fare, inesperto dopo tutti quegli anni, cercavo di esaminarti a fondo e trovare qualcosa tra me e te. Poi finalmente trovai uno sport, il Tai-chi, ti piacque subito, già dalle prime lezioni. Ero felicissimo. Finalmente avevo trovato qualcosa che ci legava. Sicuramente non sono stato affettuoso e premuroso, come tanti genitori dovrebbero essere, ma vedevo che stavi tranquilla con il tuo spazio. Così decisi di non interferire piu’ di tanto.”- si giro’ e il suo volto sembrava sempre piu’ scavato. Scorsi i suoi occhi gonfi e lucidi e mio malgrado sentii una lacrima rigarmi il volto.
“Ora mi stanno chiedendo l’impossibile. Come faro’ senza la mia bambina? Come?”- tradì di un tono la voce roca. Stavolta i suoi occhi si inondarono di lacrime che senza tregua scendevano.
Scoppiai letteralmente. In lacrime lo raggiunsi infondo alla stanza e lo abbracciai fortissimo. I miei singhiozzi forti tra una parola di conforto e un’altra, si accompagnavano ritmicamente con i suoi singhiozzi sommessi e silenziosi. Non ricordo, quanto tempo passammo in quel modo. Minuti o forse ore. In quel momento l’unico pensiero che mi balenava in testa era: il ricordo di quell’ultimo abbraccio.

“Dobbiamo far credere a tua madre che abbiamo discusso, sei pronta?”- la sua voce mi rimbombo’ nella testa, aprii gli occhi confusa. Davanti a me la finestra con le tende arancioni, sfocate. Avevo un velo di lacrime ancora negli occhi, me li stropicciai infastidita. Avevo tanti ricordi di quando ero bambina, quando accovacciata accanto a mio padre nel letto, fissavo la finestra costantemente, ammirando a primavera gli uccelli che si posavano sui rami verdi e di autunno le foglie gialle che cadevano con il vento.
“Pronta”- dissi determinata.
Se quella sceneggiata non fosse stata attuata in quell’orribile momento, sarei scoppiata pure a ridere. Ma era come se i muscoli facciali non volevano tendersi, il cervello cercava di incitarli a tendersi in un sorriso, ma loro non avevano la benché minima intenzione di farlo.
Tra un urlo e un altro, pensavo e ripensavo a come sarebbe stata la mia “nuova vita” a Londra. La grande e pericolosa, ma altrettanto magnifica capitale. Pensavo che quello era il mio grande sogno: visitare la bella capitale e magari incontrare Ed per le affollate strade di Oxford Street (sempre stato uno dei miei stravaganti sogni), andare al Trafalgar Square o al Piccadilly Circus. Ma in quella situazione Londra era un incubo per me e non piu’ il grande sogno.
Abbracciai di nuovo mio padre per farmi forza e uscii spedita. Come mi aspettavo mia madre stava a non poco piu’ di due metri di distanza dalla porta, sicuramente si accertava che tutto fosse stato portato a termine. Gli lanciai un’occhiataccia di disprezzo prima di correre su in camera e buttarmi sul letto sfinita.
Ci pensai un po’ sopra, con la testa fra i cuscini gonfi e decisi di farmi forza per mio padre, per Hayley e per Blaze. Così digitai furtiva il numero di Hayley che ormai sapevo a memoria.

“Dimmi che tua madre non sta bene e che mi ha detto tutte bugie!”- rispose disperata senza salutare.
Rimasi di stucco.
“C-come? Aspetta, mia madre ti ha già detto tutto?”- gli chiesi senza parole.
“Sì Claire. Voleva parlare con mia madre, ma stava al supermercato, quindi ha detto tutto a me”- tradì di un tono la voce spezzata.
“CON QUALE DIRITTO, CHIAMA PRIMA DI ME LA MIA MIGLIORE AMICA PER DARLE UNA NOTIZIA DEL GENERE?!”- non avevo piu’ forza e comincio’ a girarmi la testa.
“Mantieni la calma”- sibilai fra i denti-“mantieni la calma”.
“In realtà Claire, è stata molto gentile. Mi ha chiesto se fra un po’ passo da te. Forse, potrebbe non sembrarti, ma lei è preoccupata.”- disse ad un tratto Hayley.
In realtà non aveva tutti i torti e sapevo quanto lei che mia madre non stava bene senza di me. Infondo come ogni madre su questa terra. Ma la compassione quel giorno non c’era dentro di me, al posto suo invece, solo rabbia e disprezzo, non solo per lei, per tutto, soprattutto per me.
“Non mi interessa! Non vi vedro’ piu’, capisci? Né te, né papà, né Blaze, né …”- stava uscendo quel nome, ma non avevo voglia di pronunciarlo, sarebbe stata la causa di un nuovo pianto, piu’ doloroso, che sarebbe stato difficile da soffocare.
“Non vai in guerra! Ci rivedremo di sicuro. Raccogliero’ soldi e ti verro’ a trovare, stanne certa!”- disse la bionda premurosa. Come al solito, la frittata si girava con lei. Ora era lei a consolarmi.
“Sai, adesso mi rendo conto. È inutile che ci stiamo a piangere sopra, è uno spreco. Prendo la pizza e arrivo subito da te! Margherita e salsiccia”- concluse cercando di tirarmi su.
“Con tanta mozzarella”- conclusi malinconica e agganciai.
Dieci secondi fa pensavo di correre di sotto e scaraventare il cellulare in fronte a mia madre per quello che aveva fatto. Dovevo essere io a informare Hayley, soprattutto in quella situazione. Poi ripensai a quanto si sarebbero sistemate le cose con quell’atteggiamento: proprio per niente.
Mi buttai sul letto sfinita. Cercai in rubrica cio’ che cercavo e lo trovai.

“Lè che sorpresa!”- rispose Blaze contento.
Mi riempiva di gioia la sua felicità, avevo decisamente bisogno di lui piu’ che mai. Accennai un mezzo sorriso.
“Devi venire subito”- mi feci seria.
“Ei Claire, così mi preoccupi, che succede?”- si abbasso’ il tono gioioso di prima, anche lui si fece serio.
Presi forza. L’ultima che mi restava.
“Mi trasferisco a Londra” 

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Capitolo 24
*** You’re exactly what I need ***


Non feci in tempo ad abbassare le palpebre che un rumore della porta e il chiacchiericcio proveniente da sotto, mi fecero  sobbalzare. Me ne stavo accucciata su un fianco nel letto. Ero stanchissima e non avevo voglia di aprire bocca. Blaze agile aprì la porta. Lo guardai malinconica, solo in quel momento mi accorsi che la luce non era piu’ presente nella stanza e una leggera ombra copriva tutto compreso Blaze. La luce artificiale alle sue spalle ne rifiniva le sagome del suo corpo, ma il volto era coperto dall’ombra e non riuscivo a scorgere la sua espressione. Alzai il braccio, chiedendogli di non accendere la luce, poi passai la mano dietro la schiena, indicandogli di starmi vicino. Silenzioso, fece il giro del letto e si accucciò accanto a me, stringendomi nelle sue braccia. Mi sentivo davvero bene in quel momento, con il suo calore del corpo addosso. Ma il pensiero si spostava da un’altra parte, ormai già da molto tempo quel giorno, in realtà volevo vedere per l’ultima volta Zayn. Gli strinsi la mano poggiata sulla mia pancia e di lì a poco mi addormentai.
Sentii l’echeggiare di suoni che mi fecero aprire gli occhi. Avevo il braccio destro intorpidito e Blaze che stava ancora dietro di me, ma la prima cosa che vidi quando aprii gli occhi fu Hayley seduta sulla sedia con il cartone di pizza sulla scrivania accanto e lo sguardo gioioso fisso su di me. Dopo tutto quel tempo, le mie labbra si allargarono in un sorriso.
“Sveglia Blaze che mangiamo la pizza e ci vediamo un film”- incalzo’ la bionda indaffarata sul computer.
Mi girai e vidi Blaze dormire come un bambino. “Che spettacolo!”- pensai sorridendo maliziosamente. Presi il cellulare poggiato accanto a me, con molta cautela e , prima di svegliarlo, lo immortalai con una foto.
“Blaze …”- gli sussurrai grattandogli sotto il mento- “è ora di alzarsi”- conclusi con una carezza sulla guancia.
Pareva che mi stava facendo le fusa, quando aprì gli occhi e io rimasi quasi incantata da quegli occhi grandi e scuri, mai visti così lucidi e belli.
“Dormito bene?”- domando’ all’improvviso.
“Sì, fortunatamente”- risposi scostandomi.
“Che ore sono?”- chiesi ad Hayley per farla staccare da quel maledetto pc.
“Ah, bè. È l’ora di cena!”-si alzo’ d’un tratto con il cartone di pizza fra le mani- “ho preso un film splatter, non sapevo che prendere …”- disse infine angosciata. Io e Blaze ci guardammo e scoppiammo a ridere.
“E vediamoci questo splatter!”- intervenne Blaze tra una risata e un’altra.
Come potevamo intuire, il film era pieno di sangue palesemente finto e corpi aperti, organi di plastica e situazioni imbarazzanti. Piu’ che la paura, quel film ci faceva ridere. La pizza giocava ai salti nel mio stomaco, ogni qualvolta scoppiavo in una buffa risata. Ogni tanto pensavo seriamente di correre in bagno a vomitare. Ma finalmente dopo un’ora e mezza circa finì nel modo più stupido che una persona si possa aspettare. La protagonista sopravvive, ma si ammazza per motivi sconosciuti.
“Davvero spettacolare questo film”- incalzai con un sorriso stampato in faccia.
“Proprio da brividi!”- concluse Blaze soffocando una risata.
Hayley offesa, ci prese a cuscinate. Così la battaglia dei cuscini mi tenne occupata, finchè non si fecero le undici. Visto l’orario, mi buttai sul letto, sfinita.
“Voglio una foto!”- propose eccitata Hayley.
“Un’ultima foto”- sussurrai sopra le risposte di loro d’accordo.
Non mi ero ancora alzata del tutto dal letto, che Hayley si stava già fiondando verso di noi, per la foto. Appena vidi la luce della macchinetta lampeggiare sempre piu’ veloce, presi aria e stesi uno dei sorrisi migliori che avevo. Quel flash mi aprì un buco davanti ai miei occhi, pieni di ricordi, le stesse situazioni in cui io Hayley e Sunday passavamo i pomeriggi a scattarci foto. Tante cose erano cambiate da quel momento.  “La vita va avanti” dice sempre mia madre. Io in quel momento mi sono chiesta: “E’ la vita che va avanti o sono io?” la risposta fu immediata, ma c’era un blocco, qualcosa che mi impediva di capacitarmi della mia risposta. Il ricordo del campo da calcio, del sangue, delle bestemmie, del nero e poi di Zayn, che mi ha portata in salvo. Un brivido mi riportò nella mia stanza. Allora la domanda era: “sono pronta ad andare avanti e lasciare questa vita nel passato?” o meglio “… a lasciare lui nel passato”.

Hayley mi si avvicinò malinconica.
“Ricordati che io ci sarò sempre. Basta il telefono e per te avrò sempre tempo. Te lo prometto. Ti verrò a trovare presto”- disse tradendo la voce di un tono.
Un groppo in gola, mi fece sussultare. Ingoiai e la abbracciai. “Ti voglio bene”- sussurrai fra i suoi capelli biondi. Mi scapparono qualche lacrima e un po’ di singhiozzi, ma non avrei cambiato niente di quel momento. “Ci rivedremo Hayley”- “me lo sento”- dissi infine.
Ci staccammo da quell’abbraccio e Hayley tra un saluto e un altro se ne uscì da quella maledetta porta.
Mi sedetti respirando a fondo. Non volevo che anche Blaze usciva da quella porta e poi? Poi sarei rimasta da sola. Era inconcepibile.
Si sedette accanto a me cingendomi la vita.
“Sei qui anche tu per dirmi addio?”- gli domandai ancora con gli occhi lucidi- “perché non voglio sentirti!”- conclusi abbassando la testa e le lacrime ormai sulle guance.
Accarezzandomi i capelli mi sussurrava parole mai sentite prima. Parole che all’inizio possono sembrarti dolcissime, poi mano mano si avvicinano alla realtà e danno quel tocco struggente di odio. Erano comunque parole uniche. Me le ripetevo nella testa, mentre Blaze mi accarezzava il ciondolo che avevo al collo.
“Vedo che lo hai apprezzato davvero”- mi disse contento, tirandomi fuori dalle sue parole.
“Sarà il mio portafortuna”- gli risposi ammiccando.
Infine, senza piu’ autocontrollo, mi lasciai andare fra le sue braccia potenti. E respiravo a tratti forti il suo profumo sconvolgente che amavo alla follia. Sentivo una sensazione strana. Ero vuota. In quel momento niente mi riempiva, solo il suo profumo mi inondava i polmoni. Non avevo niente su cui aggrapparmi, solo le sue spalle possenti. Non avevo niente in cui credere, solo un “ti amo” che cresceva dentro. Un “ti amo” totalmente diverso da quello che mi aspettavo. Era amore quello che provavo per lui, ma nient’altro. Finivo sempre per paragonare lui e Zayn. Ma mi rendevo sempre piu’ conto che non era possibile paragonarli, perché non avevano niente in comune. In quel momento capii ciò che cercavo di comprendere da tanto tempo, riuscii a definire i miei sentimenti per loro due. Io Blaze lo amavo e in quel momento lo sentivo e me ne rendevo conto, ma Zayn io non l’amavo, era di piu’ di amore, qualcosa che non si puo’ definire o che dura talmente tanto da farti stare male.
Mi sentivo un verme, pensare quelle cose mentre ero nelle braccia di Blaze, così per un’ultima volta, mentii, di nuovo: “ti voglio bene Blaze”.
 

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Capitolo 25
*** Don’t judge my choices without understanding my reasons ***


Aprii gli occhi: colori sfocati e figure indefinite mi passavano davanti velocemente, poi sempre piu’ chiare alberi … macchine … abitazioni, negozi … poi il deserto. Ma dove mi trovavo? Ero in auto. Accanto al mio sedile c’erano i bagagli e nei sedili davanti mia madre e mio padre. Erano immobili e fissavano la strada, senza fiatare. Mi sporsi per guardare meglio le loro facce, ma la cintura di sicurezza mi bloccava al sedile. Non riuscivo a muovermi, con calma cercai di tirarla e sbloccarla, ma non c’era verso. Incominciai ad avere il panico, strattonai piu’ forte e il respiro mi si faceva sempre piu’ pesante. “Papà … non riesco …”- cercai di catturare la sua attenzione, ma niente, neanche mia madre si mosse. “MA CHE SUCCEDE?”- urlai disperata in preda al panico. Mi voltai verso il finestrino e trovai il deserto. Mi girai dall’altra parte guardando oltre il parabrezza, uguale, il deserto senza nulla all’orizzonte. Incominciai a dimenarmi e a piangere come una bambina. I miei genitori incominciarono a litigare, non so bene per cosa. Ma urlavano, poi mio padre perse il controllo, incominciai a urlare, poi il vuoto.
Mi ritrovai davanti il soffitto bianco e il lampadario di plastica bianca che pendeva. Sospirai profondamente e ritornai in me. Avevo le lenzuola appiccicate al corpo mezzo nudo e ricoperto di uno strato sottile di sudore. Stavo male, me lo sentivo. Mi alzai lentamente scostando le coperte. Le cinque e mezza. Blaze se ne era andato a mezzanotte, quando tutte le valigie erano pronte, mi aveva aiutato a portarle di sotto. Infatti la stanza era completamente spoglia, la scrivania libera, il cestino vuoto, il pavimento freddo senza i tappeti morbidi. L’unica cosa che avevo deciso di lasciare in quella stanza era il poster di Ed. Non ero completamente sicura della scelta che stavo per fare, ma quel poster mi avrebbe riportato alla mente ricordi troppo vivi che non potevo rievocare a Londra.  Aprii l’armadio per prendere il beauty-case azzurro. Naturalmente non c’era, così, silenziosa mi diressi verso il bagno.
“Cavolo, Claire! Non hai trovato il beauty-case al suo posto, non ti puoi mettere a piangere per questo.”- quella vocina si faceva spazio nella mia mente, mentre io davanti allo specchio piangevo in silenzio. Non ero pronta, affatto. Ma dovevo esserlo. Quel sogno, quanto sembrava vero. Io diretta verso il nulla, l’abbandono da parte dei miei genitori e poi a causa mia i loro litigi e la morte. Rabbrividii al pensiero della morte per qualcosa di così banale. Un litigio. Eppure il mio sogno lo dovevo interpretare in quel modo. È solo un sogno, ma è il mio sogno e non era bello. Non era bello neanche svegliarsi così presto, in quel modo. Non mi era mai successo, avevo sempre dormito benissimo e tantissimo. Eppure quello era solo l’inizio di tanti e piccoli cambiamenti che di lì in avanti mi sarebbero accaduti. Volendo o non volendo, dovevo proseguire.
Mi sciacquai la faccia con l’acqua fredda e mi diressi per l’ultima volta in terrazza a fumare una sigaretta.
Erano le sei e quarantacinque ed io lavata e vestita stavo in terrazza guardando il sole sorgere lento. Entrai in camera e accesi il pc. Ufficializzai i miei ultimi addio sul profilo twitter e con un video salutai tutti quelli che mi sarebbero rimasti nel cuore per sempre. Inviai il tutto ad Hayley che lo avrebbe fatto girare in pochissimo. Collegai il cellulare al pc e salvai tutte le foto, tra queste Blaze che dormiva tranquillo. Il cervello cercava di trasmetterlo a tutti i muscoli del corpo, ma ancora non volevo muovermi. Poi senza fretta, presi la borsa e dentro quella tasca, trovai o meglio presi quel foglietto.

Spencer: 555-325-678 Numero privato.
Per maggiori informazioni contattare la compagnia.

Dovevo buttarlo, farlo in mille pezzi e bruciare anche quelli. Ma non avevo la benché minima intenzione di farlo. Percio’ mi limitai a sbattere un pugno sul materasso e imprecare. Passai il tempo ascoltando musica, finchè non si fecero le sette e cinquanta e senza fare troppi drammi uscii dalla stanza e scesi le scale di fretta. Mio padre era già sveglio seduto a tavola, la colazione pronta e le valigie intorno. Forse anche lui non aveva dormito. Gli diedi il buongiorno e gli regalai uno dei miei rari sorrisi pieni. Mangiai di fretta e senza sosta, evitando così silenzi imbarazzanti da rompere. Alle otto meno cinque avevo finito tutto, cereali, pane e nutella, una mela e l’immancabile succo alla pesca. Mi alzai, ammiccai a mio padre che mi seguì con le valigie fino alla porta. “Faccio io tranquillo”- gli risposi levandogli di mano una valigia. Non rispose.
Come mi aspettavo vidi la Land Rover grigia parcheggiata davanti. Sospirai. Mollai la valigia per terra e girandomi abbracciai forte mio padre che contraccambio’ furtivo.
“Ti verro’ a trovare prestissimo, promesso!”- incalzai speranzosa, ma non sicura.
“Ti voglio tanto bene. Vedrai, ti troverai bene a Londra”- rispose mentendo. Lo sentivo, ormai non poteva piu’ nascondermi niente. Come io non potevo più nascondere niente a lui.
Quando percepii Spencer dietro di me. Gli stampai un lungo bacio sulla guancia ruvida, un grande sorriso e mi voltai superando Spencer affrettandomi ad allontanarmi da quella casa. Aprii lo sportello posteriore e mi misi comodo, salutai mia madre e mi infilai furtiva le cuffiette pregando la macchina di muoversi. Non riuscivo piu’ a gestire le emozioni, partita la musica mi concentrai su quest’ultima e piano piano il dolore si affievolì. La macchina mise in moto e ripromettendomi di non guardare indietro schiacciai la testa contro il finestrino. Addio Bradford.


*HAYLEY’S POV*

Ero stanchissima. La lezione di ginnastica era appena finita e già sentivo la mancanza di Claire. Scacciavo in continuazione il pensiero di non rivederla più. Ma la preoccupazione per lei non svaniva mai. Soprattutto ora, che sta nella pericolosa e meravigliosa capitale. Era il nostro sogno e da una parte sono felice che lei puo’ realizzarlo, ma già mi aveva accennato che non era in quel modo che tanto se lo immaginava e per dirla tutta nemmeno io.
“HAYLEEEEEEEY!”- sentii urlare in lontananza. Mi voltai e vidi Sunday corrermi incontro. Sembrava angosciata … “Hayley …”- sospirò quando mi raggiunse- “ho letto su un giornale … che i ragazzi …”- prese ancora fiato- “vanno a Londra”- concluse sottolineando l’ultima parola.
“Stai scherzando? No, perché non è divertente Sun. Lo sai che Claire non voleva litigare con te e….”- cercai di finire.
“NON STO SCHERZANDO HAYLEY! Non sono Lorel …”- urlò offesa.
“Oh. Mio. Dio.”- concluse Hayley- “siamo nella merda”.
 

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Capitolo 26
*** Abracadabra ***


Sono passati quattro anni da quando ho lasciato Bradford. È passato tutto così velocemente che adesso mi sembra di vivere in un altro corpo. Ho diciannove anni e frequento da pochi mesi la facoltà di biologia, più per evitare di non fare niente tutto l’anno che per dare esame. Il mio intento in realtà non è quello di laurearmi, infatti ancora non so bene cosa voglio fare nella vita. Principalmente non volevo dipendere dal sostegno economico di mia madre. I primi mesi ero totalmente assente, fuori di me e senza ritegno nei confronti di mia madre, ma più il tempo passava più la pietà prendeva posto dentro di me. Lo sapevo, che tutto quello che dice o fa è per me. Non riuscivo a sopportarlo, ma più crescevo e più mi rendevo conto che avevo un atteggiamento sbagliato, perfino infantile. Incominciai a conoscerla, a farmi conoscere, perfino da Spencer. Tutto accadde grazie a quel pomeriggio, sul bordo piscina bollente e scivoloso, prima di lanciarmi in acqua gli abbozzai un sorriso, non sapevo quale impulso mi spinse a quel gesto, ma quando mi contraccambiò con un grande sorriso smagliante, mi sentii piena e sciocca della mia ingenuità: per tutto quel tempo non mi ero mai accorta quanto era bella quando sorrideva. Quanto era felice di questa vita con Spencer. Mi sentii un’egoista per avergli privato il sorriso per tutti quegli anni a causa della mia rabbia repressa che non riuscivo a liberare. Raggiunsi mia madre nuotando. Chiacchierammo di argomenti futili e superficiali, che vagavano senza un vero inizio e una vera fine … poi il mirino si posò su di me, non del mio passato (cosa che faceva male perfino a mia madre) ma del mio futuro. Gli feci promettere di non viziarmi, di non preoccuparsi così ossessivamente per me, per quanto avrei compreso il suo atteggiamento materno nei miei confronti. Acconsentì senza farsi pregare. Con mia grande sorpresa, mi diede perfino ragione, schioccandomi un bacio umido sulla guancia.
Tutto è completamente diverso ora: una bella casa, studi assicurati per l’Università, libertà di scelta. Ma soprattutto un evento, cambiò radicalmente la mia vita …
19th July
Come al solito dormivo malissimo, il letto era troppo morbido. I cuscini mi soffocavano e sudavo. Buttai coperte e cuscini per terra scocciata. Dopo essermi girata e rigirata nel letto, mi convinsi che non mi sarei più addormentata. Così stupidamente andai a prendere le sigarette chiuse dentro il bauletto sotto chiave. Solo dopo essermi girata e aver visto una sola finestra, chiusa. Mi accorsi che non mi sarei abituata tanto facilmente a non avere più il mio comodo terrazzo. Mi diedi un pizzicotto per tirare indietro le lacrime. Mi misi una giacca a vento e preso anche il cellulare uscii dalla stanza. Era buio, solo una luce automatica illuminava fioca il lungo corridoio. Lo percorsi lenta e tremolante. Il pavimento era congelato e mi resi conto solo in quel momento che non avevo le ciabatte ai piedi. “Maledetta moquette!”- pensai. Arrivai fortunatamente senza problemi al piano inferiore (grazie ai tanti giretti fatti a mezzanotte per bere o mangiare qualcosa). Dalla portafinestra della cucina si usciva sulla parte nascosta del giardino che dava dietro la casa. Furtiva uscii facendo piano. Mi si gelò il sangue, i piedi diventarono pietra quando vidi seduto sul divanetto Spencer che si fumava il sigaro. Nascosi dietro di me il pacchetto di sigarette e feci un passo indietro. “Tranquilla puoi restare”- sussurrò voltandosi poi verso di me. “Ma … no, guarda. Stavo giusto per andare a letto, io …”- tradii di un tono la voce, mentre cercavo una via d’uscita.
“Non dirò niente a tua madre, anche se già sa che alla tua età certe cose si provano …”- disse questo, buttando poi fuori il fumo.
Mi feci seria. “Non so di cosa stai parlando”- risposi decisa.
“Le sigarette. Ogni adolescenti ha mai provato a fumare. Perfino tua madre l’ha fatto e alla tua età faceva ben’altre cose. Mi capisci? Lei non vuole far ripetere a te gli stessi errori che ha commesso lei alla tua età”- spense il sigaro e si mise in bocca una sigaretta. “Hai da accendere?”- mi chiese infine.
“Non mi prendere per il culo”- gli risposi furiosa.
Soffocò una risatina e tirò fuori l’accendino argentato che portava sempre con sé.
“E’ felice con te, vero?”- gli chiesi tremolante. Sapevo che Spencer mi avrebbe lasciata in pace a fumare, solo che non ero certa volesse andarsene davvero.
Prima di rispondermi si accese la sigarette, aspirò un po’ di fumo, si fermò a riflettere poi nel mentre buttava fuori il fumo, iniziò a gesticolare sputando fuori un semplice ed efficace:  “sì”.
Rimasi un po’ titubante e quella decisione nel suo tono era incredibilmente convincente. Sospirai e mi misi a sedere accanto a lui.
“Fuma pure. Non ti stiamo chiedendo di cancellare il passato e ricominciare tutto da capo. Questo deve essere ben chiaro..”- si allontanò per farmi spazio.
Scrutai bene il suo volto poco illuminato dalle candele di citronella. Non riuscivo a capire bene cosa di preciso di quel volto attirò mia madre, ma mi diedi pace pensando che non tutti siamo perfetti. Solo in quel momento realizzai che non sapevo esattamente nulla della vita di Spencer. Solo in quel momento mi accorsi che ero tristemente infantile.
“Prima della mamma eri sposato?”- chiesi accendendo finalmente la sigaretta.
“No”- biascicò.
“Figli?”
“Nessuno”-replicò ancora.
Abbozzai un sorriso. Finalmente sapevo qualcosa di lui: non è una persona di molte parole.
“Che lavoro fai?”- chiesi ancora. Non mi volevo dare per vinta.
“Manager”- mi sorrise.
Gli piaceva sicuramente quel lavoro.
“Davvero? Fantastico! Con chi hai lavorato?O lavori ancora con gli stessi artisti? Dai dimmene alcuni, li conosco sicuramente, sai mi piace tantissimo la musica, non so cosa farei senza. Hai lavorato con Ed Sheeran? E’ il mio cantante preferito”- blaterai in continuazione euforica e speranzosa.
“No, ho iniziato da poco questo lavoro. Attualmente sto lavorando con una boyband, non so se la conosci, si chiama One Direction. In questo periodo qui in Inghilterra stanno avendo molto successo. La conosci sicuramente …”- rispose sorridendo.
Avete presente quando, il giorno dell’incidente nel campo da calcio, scoprii che Zayn era il figlio della mia Preside, mi crollò il mondo addosso? Stessa sensazione che provavo in quel momento. Sentivo che i polmoni, occupati a prendere e buttare fuori il fumo, mi si schiacciassero sotto una pressione dalla forza indefinita. In quel momento sarei stata capace di spegnermi la sigaretta sul braccio piuttosto che aver sentito quel nome.
“Li conosco”- dissi infine seria.
“Lo sapevo”- rispose soddisfatto Spencer- “ora ti lascio un po’ da sola, io me ne torno dentro. Buonanotte”- mi disse incamminandosi verso la portafinestra.
sentii in lontananza.
Schiacciai con forza il mozzicone ancora integro nel posacenere. Mi distesi sul divanetto e incominciai a scrutare le stelle. Portai alla mente il biglietto da visita datomi da Zayn. c’era scritto. Ricollegai tutto velocemente. “E’ una maledizione”- mi dissi fra me stessa- “porca troia”.

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Capitolo 27
*** The best time of my life ***


Quel giorno era stato uno dei più caldi negli ultimi dieci anni in Inghilterra. Era il sette luglio del 2016.
Era passato un anno da quando avevo avuto la mia prima seria e sana relazione con Jackson. Con lui mi sono concessa al meglio e ho provato le prime importanti esperienze che ti fanno diventare sempre più sicura di te stessa. Con lui ho acquisito il comportamento giusto per vivere, quella meravigliosa e completa sensazione di sentirti viva e allo stesso tempo amata. Ero davvero amata da lui e io amavo il modo in cui mi faceva vedere le cose, da un’altra prospettiva: la realtà. Ma si sa: dopo troppo la realtà stanca, ti strema, ti leva le forze e ti fa uscire di matto. Credo fosse stata quella la causa della nostra rottura. Ma come sempre, non è mai abbastanza per aggiungere altre cause provocanti. Stavo finalmente raggiungendo il punto in cui guardi indietro e dici: “ce l’ho fatta, ho raggiunto il mio essere”. Eppure arrivata quasi alla maggiore età, dove tutto il tuo essere viene sconvolto e cambiato, mi guardavo indietro e trovavo sempre ‘lui’ a fissarmi. Ancora non riuscivo a farmi chiarezza nella testa. Mai ho voluto ripercorrere quegli anni per chiuderli definitivamente. E questo mi distruggeva.
Jackson si era dimostrato già un bravo ragazzo i primi anni di università. In realtà non ho avuto subito il piacere di avere un approccio diretto con lui, ma ho imparato a conoscere anche i suoi lati negativi grazie a sua sorella Sarah. L’ho conosciuta insieme a Carolina e non dico che al primo impatto ci siamo prese subito in simpatia, perché direi una cazzata. Ma col tempo anche noi abbiamo incominciato a conoscerci meglio e uscire spesso. Sono sempre stata “diversa” da loro, a mio modo, pensavo sempre a un altro argomento, mentre per esempio loro parlavano di altro.
Carolina è una ragazza mora con morbidi capelli ricci che gli pendono sulle spalle. Occhi profondi color cioccolato e un sorrisetto più che raro. Cocciutissima come me, sa essere una persona davvero affidabile e ambiziosa. Non ha peli sulla lingua per nessuno. Se c’è qualcosa che non va te lo dice senza nessun giro di parole. Su lei, sono certa si può sempre contare.
Sarah è una bella ragazza bionda con profondi occhi verde smeraldo. È inevitabile rimanere intimoriti da quello sguardo indagatore. I primi tempi avevo seriamente i brividi quando mi scrutava attentamente dalla testa ai piedi. I capelli biondo cenere chiaro, lunghissimi gli arrivano lungo la schiena fino ai glutei. È una persona semplice, se ti sforzi di capirla fino in fondo. Sa essere dolce quanto stronza, dipende da chi sei e da cosa hai fatto. Nella maggior parte dei casi però, devo ammettere, che sa darti consigli preziosi e se hai bisogno è lì presente che ti sostiene. E questo, alla fine, è la cosa più importante.
Suo fratello Jack è l’esatto opposto, se stai attenta e ti concentri un po’ sugli atteggiamenti e le reazioni, ti accorgi subito che hanno qualcosa in comune. La cosa che mi ha sconvolta di più, è stata quando sono riuscita a farli incazzare entrambi e in sincronia. Gesticolavano perfino a tempo. Jack è anche lui biondo cenere, con gli occhi color cioccolato esattamente come i miei. Non troppo alto, ma un grande patito di calcio. Ha sempre superato gli esami con successo e si dedica anche a corsi extra di potenziamento. Devo ammettere di aver sofferto un po’ di inferiorità quando stavo con lui. Agli occhi degli sconosciuti e anche ai miei occhi appena conosciutolo, poteva sembrare il ragazzo modello da seguire sempre e in ogni circostanza. Ma come ogni cosa “troppo bella”c’è sempre una fine. A metà anno Jack andò incontro a una crisi di nervi che gli fece lasciare gran parte dei suoi tanto ambiti progetti: lasciò i corsi extra e non riuscì più a raggiungere la lode agli esami. Si dedicò interamente al calcio e ottenne solo lì risultati ambiziosi. La famiglia furibonda scaricava la frustrazione e la preoccupazione su Jack che a sua volta, non guarì mai del tutto da questa crisi. Tutta quella tensione e quell’energia negativa ricadeva maggiormente su di me, Sarah e Carolina. Io ricominciai a non dormire la notte, mi attaccai di nuovo alle sigarette. Persi la verginità con Jackson. Pensavo di risolvere le cose facendolo, pensavo di ritornare al rapporto sano che avevamo prima. Ma solamente dopo averlo fatto, mi resi conto che quella storia doveva volgere al termine. E così fu. Pochi mesi dopo mettemmo fine a quello strazio e restammo amici. Ci godevamo entrambi la vita al meglio. Ci divertivamo insieme, senza impegni e le cose andarono molto meglio. Lui e Sarah partirono per tre mesi in India. “E’ stata una manna scesa dal cielo!”- disse Jack appena ritornato a casa. Era effettivamente più in pace con se stesso. La meditazione lì, è stata la cosa migliore per lui. Ma per me? Cosa potevo fare? Mi sentivo fuori dal mondo, di nuovo. Poi … bè … è successo quello che è successo! E’ stata: fortuna, destino, Dio… quello che volete! Ma quella chiamata è stata liberatoria! Era allora scritto nel mio destino che il giorno della partenza non feci a pezzi il biglietto da visita di Spencer. Quel numero sconosciuto sul display del telefono potevo anche non riconoscerlo se, caso vuole, il biglietto da visita me lo tenevo sempre attaccato al muro. Potevo rifiutare la chiamata e forse, non rincontrarlo mai più. Eppure risposi, sentii la sua voce, ancora chiara e forte nella mia mente e ci incontrammo.
Faceva caldissimo. L’asfalto bollente, rifletteva la luce diretta del sole che colpiva i miei occhi sofferenti. A passo svelto mi dirigevo verso il pub “The Dove” (uno dei più conosciuti a Londra). Era lì che dovevamo vederci. I capelli sciolti mi svolazzavano da una parte all’altra e il sudore appiccicava numerose ciocche al petto bagnato. Il top mi incominciava a pizzicare sulla pelle. La testa badava ai mille pensieri e fantasie che fino a quel momento avevo lasciato nel cassetto della mia mente. Tanti piccoli ricordi riaffioravano velocemente nella mia testa. E nella mia incapacità di pensare e agire allo stesso tempo, mi ritrovai con uno chignon spettinato sulla testa e tanti ciuffi mancati penzolanti sulla fronte. Quando sentii una leggera brezza umida che dava sollievo al mio corpo, sospirai pensando al Tamigi. E mano a mano che mi avvicinavo sempre più, ascoltavo attentamente il rumore dell’acqua scrosciante. Ero quasi arrivata e intravedevo l’entrata del pub a pochi metri. Arrivata alla porta feci un sospiro, mi sistemai alla meglio ed entrai disinvolta. Speravo di non trovarlo già lì pronto e seduto al tavolo. Quindi mi guardai intorno e non lo vidi. Perciò chiesi al cameriere un tavolo, ma prima di ringraziarlo del servizio, mi girai a destra e vidi Zayn con lo sguardo fisso su di me e il suo sorriso ammiccante. Chiesi scusa al cameriere e con una risata divertita lo raggiunsi al tavolo. Era bellissimo. Ma un’aria più disinvolta mi fece incuriosire. Sarà cambiato? Mi chiedevo in quel momento e durante il tragitto. Una leggera paura velava i miei pensieri.
Non sapendo se salutarlo a dovere o civilmente, mi sedetti mantenendo il sorriso sulle labbra. E mi sentii sollevata quando vidi che lui fece altrettanto. Prima di dire qualcosa, mi porse il menù. Poi sistemandosi gli occhiali da sole sulla testa, incominciò a scrutarmi con gli occhi. Quel movimento repentino permise alle mie narici di analizzare per bene il suo odore. C’era qualche variazione di dopobarba pungente, ma in realtà riconoscevo perfettamente il suo tipico odore che mi avvolgeva. Poi quegli occhi! Un sussulto al cuore mi fece rabbrividire. Io lo sapevo: lui percepiva perfettamente il mio disagio. Lo vedevo dal suo sorriso divertito accennato appena e dai suoi occhi vogliosi. Eppure ciò non mi rendeva fragile come pensavo. Con lui sarei stata diversa. Avrei reagito in un altro modo. Gli sorrisi. E come mi aspettavo, rimase titubante per qualche istante. Poi sperando in una rimonta si sporse un po’ di più verso di me, appoggiando gli avambracci sulle mie posate.
“Sei cambiata”- disse sorridente.
Quella frase d’apertura mi dava una scarica di adrenalina. Paragonata al fischio d’inizio di una partita o al tuffo prima di entrare in acqua. Così mostrai in quella partita il meglio di me.
“Vorrei tanto dire lo stesso di te”- gli risposi decisa. Ero più che sincera e gli tenevo testa. Fino a quel momento…
Si decise finalmente a rimettersi seduto. E io mi sentii come appena uscita dall’acqua dopo cinque minuti di apnea.
“E’ passato tanto tempo, da quando …”- cercò di ricordare.
In un primo momento anche io feci qualche sforzo, poi mi venne in mente. In realtà non volevo ripercorrere i ricordi. Perciò più veloce di lui nel rispondere gli proposi una cosa:
“Facciamo una bella cosa!”- incalzai euforica- “passiamo questa giornata al meglio. Senza ricordarci dei momenti passati belli o brutti che siano! Che ne dici?”- proposi quasi supplicandolo.
Più sorpreso che altro mi porse la mano. Glie la strinsi. “Affare fatto. Viviamo al presente”- concluse con una stretta di mano coinvolgente.
Sapevo che quella giornata sarebbe stata una delle più bizzarre della mia vita.
  E rullo di tamburi ............ Il prossimo capitolo sarà la parte (credo) più attesa di tutta la storia. E manca pochissimo alla fine. Recensite in tanti e suggeritemi il finale che vorreste. Potrei cambiare i piani e farvi contente! Un grazie di cuore a chi si è impegnato a seguire la lenta procedura della mia storia, per più di un'anno e mezzo ormai! vi adoro <3

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Capitolo 28
*** One way or another (parte I) ***


Era un pò difficile parlargli normalmente e non pensare a tutto il mio passato, ma in un modo o nell’altro non volevo rendermi vulnerabile ai suoi occhi. Ero cambiata, sicuramente, negli ultimi quattro anni. La capitale mi aveva cambiata quasi completamente. Perciò la sua presenza collegata inevitabilmente con i miei ricordi di Bradford mi faceva più volte provare un’inevitabile sensazione di malinconia. Ero ormai abituata a contenere le mie emozioni. Mi riusciva bene anche quattro anni fa. Perciò riuscii in un modo o nell’altro a nascondere la mia titubanza. Ma lui . . . era sempre lo stesso. Rimasi un po’ delusa quando però vidi il suo abbigliamento più sobrio e composto rispetto al look casual di svariati anni prima. Mi piaceva la sua camicia trasandata e i jeans scoloriti. Inevitabilmente mostrai una smorfia divertita.

“A che pensi?”- mi riprese curioso. Sorseggiava lussurioso la sua birra e come per provocarmi mi scrutava a ogni sorso. La gola si gonfiava e sgonfiava a ritmo e il pomo d’adamo si fece più in rilievo. Sorrisi in risposta a un calore proveniente dal mio ventre.
“In realtà a nulla”- risposi pacata. Quasi deluso lo vidi abbassare la testa e giocherellare con la forchetta sul tavolo. Non contenta del suo disinteressamento, ripresi l’argomento:
“Come mai mi hai chiamata dopo tutto questo tempo?”
L’atmosfera si stava facendo cupa, tanto valeva lanciare la bomba subito. Infatti il suo sguardo furtivo si posò sul mio. Si inumidì le labbra con un sorso di birra poi tirò fuori la lingua per gustarsi il sapore. E di nuovo il calore proveniente dal ventre si fece sentire. Non riuscii a trattenere ancora una volta un sorriso compiaciuto. Mi faceva ancora lo stesso effetto. Stesse sensazioni e sapevo che non me ne sarei andata a mani vuote da quell’appuntamento.
Accennò un sorriso compiaciuto prima di rispondere.
“Avevamo qualcosa in sospeso, no?”
Mi sentii un’ondata di gelo percorrermi con velocità i piedi fino alle mani, per poi tramutarsi in un’ enorme ondata di fuoco che mi stava mandando lentamente in combustione il cervello. Mi ricomposi quanto più velocemente possibile. Anche se, già sapevo che lui sapeva leggere bene dentro di me.
Il calore della sua mano mi fece sobbalzare. Completamente persa nei miei stupidi pensieri non mi ero nemmeno accorta della sua mano che stringeva la mia da sotto il bancone. Non riuscivo a interpretare chiaramente quel gesto. Ma il suo sguardo così provocante sovrastò perfino i miei pensieri. Tutta me stessa era intrappolata nel suo sguardo. Quel bancone di legno che ci divideva non sembrava nemmeno esistere. La distanza era inesistente. E il mio desiderio crebbe sempre di più.
“Lo sappiamo entrambi che non è cambiato niente fra di noi”
Era particolarmente sicuro di sé. E la sua voce decisa mi diede quasi fastidio. Uscii dall’estasi del suo sguardo e ritornai nel mondo reale. Ma chi si crede di essere? Cosa ne sa lui di quello che ho dentro? Due parti completamente differenti combatterono dentro di me. Effettivamente: la verità e la ragione. Poi uscita dalla battaglia, distrutta, mi arresi alla parte più remota di me stessa. Quella conosciuta da nessuno, eccetto che da me stessa e da Zayn.
Dopo esserci rinfrescati la gola al pub. Mi concesse una passeggiata lungo il Tamigi. La terra era ancora fresca e in alcuni punti le vans affondavano nel fango. Ringraziai il cielo di non essermi messa i tacchi. Faceva ancora caldo ma con l’imbrunire della notte la temperatura si fece sempre più umida (accentuata poi dall’acqua vicino a noi). Eravamo completamente soli a camminare lunga la sponda destra del fiume. Anche perché l’accesso era negato e non so quale nostro impulso immaturo ci spinse a scavalcare lo sbarramento.
“Ci giustizieranno per questo”- risi sarcastica.
L’umidità incominciava a bagnarmi la pelle e i capelli. Camminavo accanto a lui, alla sua destra e ogni tanto con la scusa di osservare il fiume lo scrutavo dalla testa ai piedi. Il suo fisico era evidentemente più sviluppato. Trasparivano i muscoli delle gambe costretti dai jeans attillati e i muscoli delle braccia più scolpiti che incorniciavano il suo busto prorompente. Indossava una camicia bianca, con il colletto aperto e una giacca nera sopra. Le spalle decisamente più larghe spingevano contro l’orlo della giacca. Sapevo in qualche modo che quella giacca lo costringeva anche psicologicamente. Io conoscevo la sua vera natura e il suo abbigliamento doveva rispecchiare esattamente il suo stato d’animo. Quello era l’esatto opposto del Zayn che conoscevo io.
“Stretta la camicia, eh?”- chiesi sarcastica.
Lui mi rispose con una piacevole risata. Per la prima volta dopo tanto tempo, il mio cuore si risvegliò da un coma durato fin troppo a lungo.

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Capitolo 29
*** One way or another (parte II) ***


Dopo una piacevole analisi fatta da entrambi sul proprio abbigliamento e stile di vita, ci rifugiammo in macchina di Zayn. Una comoda ed elegante auto nera e lucida, parcheggiata davanti al pub. Passammo due minuti in silenzio a riprenderci dal caldo con l’aria condizionata sparata al massimo in faccia.
“Bene, può bastare”- risi coprendo il getto d’aria e portando la schiena indietro. Mi girai verso di lui e notai il suo sguardo turbato puntare in basso.
“Qualcosa non va?”- mi feci subito seria vedendolo tentennare. non si voltò nemmeno a guardarmi. Strizzò gli occhi davanti a sé, sul parabrezza, senza dire una parola. Io furtiva cercai di trovare l’oggetto della sua attenzione al di là del vetro dell’auto: il parcheggio era deserto. Prima di voltarmi verso il suo sguardo per prenderlo a male parole, mi crollò addosso battendo il mento sul freno a mano. Sobbalzai imprecando, mentre, veloce uscii dall’auto per dirigermi verso il suo posto dall’esterno, afferrargli le gambe e alzarle. Continuavo a chiamare il suo nome, il panico si faceva sempre più strada dentro di me, mentre mille e più pensieri, dei più drammatici, mi frullavano nella testa. Respirai a fondo, gli levai la maglietta, incominciai a soffiare sul viso. Capivo che respirava sentendo il suo battito forte contro il mio petto e l’innalzarsi e l’abbassarsi della sua gabbia toracica. Continuavo a soffiargli sul viso chiamando invano il suo nome. Incominciò poi a strizzare gli occhi e a mugolare ripetutamente. Sospirai sui suoi ciuffi scuri ripetendomi che era cosciente. Mi innervosii poi trovando il sangue sparso sulle mie dita, finchè trovai una ferita sul suo labbro inferiore e mi tranquillizzai del tutto. Le sue labbra dischiuse si volsero in un debole sorriso.
“Dovrei svenire più spesso”- rise con più gusto guardandosi intorno. In effetti, solo in quel momento, mi accorsi che la situazione era molto più divertente di quanto pensassi due minuti prima. Lui disteso su entrambi i sedili con il petto nudo e bagnato di sudore, con me sopra a tenergli la testa fra le braccia e a soffiargli ancora, anche dopo il suo risveglio repentino (doveva essere ormai un riflesso incondizionato per me). Prima di potergli staccare la testa e buttarlo a calci nel sedere fuori dall’auto, riprese a mugolare e ad aspirare aria a denti stretti.
“Ho dato proprio una bella botta”- sdrammatizzò toccandosi il labbro. Ma io sapevo benissimo a che gioco stava giocando. Impassibile aspettavo una spiegazione con la sua testa fra le mani. Smise di ridere fin quando non sentì la pressione delle mie dita sul suo collo.
“Ehi piano tigre! Non ti arrendi mai, eh?”- concluse arreso.
“No”-risposi decisa.
Due secondi di interminabile silenzio riempivano la macchina. Mi piaceva toccarlo in quel modo affettuoso, e mi piaceva pensare che solo io dopo tanto tempo riuscivo a mantenere ferme le emozioni che sentivo fischiare nelle orecchie.
“La settimana scorsa è stata un susseguirsi continuo di viaggi e tournèe. Un lunghissimo ‘no-stop’ per il mio corpo. E . . . bhè, non ho mangiato granchè questi ultimi giorni”- spiegò affranto tra le mie braccia.
Avevo così tanta voglia di levarmi i vestiti e baciarlo all’infinito fino a farlo addormentare tra le mie braccia.
“Sei un imbecille”- risposi immergendo le labbra nei capelli scuri. I capelli bagnati accentuavano il profumo che dopo tanto tempo ritrovai ancora nei miei polmoni.
Mi spostai dal sedile per uscire, prendere la borsa e raggiungerlo con un fazzoletto. Mi avvicinai al suo viso reggendo il suo sguardo profondo. Talmente poca la distanza tra i nostri volti che i respiri si congiungevano a ritmo sfiorando l’uno il viso dell’altro. Gli afferrai la mano tenendo ancora lo sguardo fisso su di lui e con il fazzoletto tra le mani aiutarlo a tamponarsi e pulirsi la ferita dal sangue. L’attesa mi stava piano piano distruggendo i neuroni che saltavano da una parte all’altra del cervello. Sentivo il cuore pulsare dalle orecchie. E quando finalmente agganciò il suo braccio al mio fianco, accolsi con tutto l’amore possibile quel tanto atteso e sognato bacio.
Dall’innocuo abbraccio delle nostre labbra, a un più voluto e spinto intrecciarsi delle nostre lingue. Come un ispezione l’uno l’interno dell’altro. Dopo tanto tempo il sapore della sua bocca dentro di me mi colmava il vuoto nel petto. Gli strinsi una ciocca di capelli mentre cercavo disperatamente la sua lingua e il contatto che mi faceva ogni volta trasalire di piacere. Uscì un gemito dalla sua bocca, quando involontariamente gli morsi il labbro inferiore ferito per concludere il bacio. Quando gli soffiai sopra, mi volse ancora un debole sorriso. Il labbro spaccato faceva sì che la parte si gonfiasse. Questo lo rendeva ancora più dannatamente sexy. Ancor più quando si passava la lingua sopra per dargli sollievo.
“Andiamo a casa mia”- mi sussurrò nell’orecchio. Posandomi poi un leggero bacio appena sotto lo stesso orecchio.
Non  ero così facile da prendere. Volevo passare una serata indimenticabile. Desideravo ardentemente il suo tocco su di me. Ma ciò che desideriamo di più, è più difficile da conquistare. E la conquista è il frutto di una lotta violenta e sanguinosa. Sapevo esattamente cosa voleva da me, e sapevo esattamente che non avrei resistito a soddisfarlo. Ma il mio scopo era di resistere, il più possibile.
“Dammi una sola ragione buona per cui io dovrei venire a casa tua”- dissi imponendogli il mio sguardo di scherno. Non ci pensò nemmeno un attimo, come se avesse già provato quella scena più volte. Si gettò su di me avvolgendomi con le sue braccia forti e tatuate. Mi baciò il ventre coperto dal top, poi senza indugiare salì fino al petto e quando posò l’ultimo bacio sul mento, incatenò il suo sguardo sul mio.
“Perché lo vuoi anche te”- mi sussurrò posando un forte bacio sulle mie labbra. Lo sentii digrignare i denti lamentandosi per la ferita al labbro.
Come al solito mi aveva presa nel sacco. Ci volle un po’ prima di riprendermi e sgusciare via dalla sua presa per sedermi al mio posto e allacciarmi la cintura. Mi voltai verso di lui guardando attentamente i suoi movimenti. “Sì, mi aveva nel sacco. Ma se non stai attento il coniglio scappa”- pensai ridendoci sopra.
Dopo averlo trascinato a forza in un fastfood per farlo ristorare, al contrario Zayn mi trascinò velocemente in macchina per andare a casa sua.
Il suo era un mono appartamento. Era completamente fuori mano, sicuramente per non farsi trovare. La mia mente, però, era troppo impegnata a freddare i pensieri caldi che i suoi movimenti mi provocavano. Ero completamente immersa nelle mie fantasie quando mi fece sussultare prendendomi da dietro e portandomi in stile sposa nella sua camera da letto. Un Dèjà vu si fece spazio nei miei pensieri: il giorno nei campi da calcio. E subito dopo un leggero bruciore mi invase il ginocchio.
“Tutto bene?”- mi chiese preoccupato. Mentre apriva con la schiena la porta socchiusa.
“Benissimo”- lo rassicurai felice.
Mi fece scendere prima di tirarmi verso di sé e poggiarmi un bacio sul naso. Sentivo ancora il calore che gli pulsava dal labbro ferito. Mi baciò ripetutamente lungo tutto il collo fino alla  spalla.  Gli tesi la mano, lui la prese e se l’appoggiò sulla guancia sinistra accarezzandosi la pelle ruvida.
“Ti voglio”- concluse afferrandomi il palmo e schioccandoci un forte bacio sopra.
Gli presi il volto fra le mani ed esitando qualche secondo sulle sue labbra, sospirai: “io sono sempre stata tua”.
I suoi occhi diventarono pece quando pronunciai quelle parole. Aggrottò le sopracciglia e si inumidì le labbra. Accostò il mio corpo al suo per permettermi di sentire tutto il suo calore. Poi infilò la mano destra sotto il mio top che mantenne ferma sulla mia scapola per poi permettere alla mano sinistra di insinuarsi sotto il top e premere sul mio seno destro. La mia mente non riusciva a pensare ad altro che al suo corpo contro il mio. Continuavo a ripetermi di resistere, di non andare troppo di fretta. Così gli tolsi lentamente la maglietta mentre alternavo i baci e gli sguardi. Il suo torace era perfetto. Non troppo marcato ma imponente mi fece sentire a mio agio. Disegnai con le dita i solchi degli addominali e della schiena, mentre lui cercava in tutti i modi di slacciarmi il reggiseno. Quando ci riuscì, mi aiutò a farmelo cadere a terra da sotto la maglietta. Il suo sguardo era posato sul mio petto e arrossii quando lo vidi sorridere. solo quando sentii un brivido percorrere i miei seni, mi resi conto del perché stesse ridendo. In risposta gli tesi un pugno sui pettorali. Lui simulò un ringhio che per un momento mi fece gelare. Poi ridendo mi prese di peso e mi buttò sul letto. Mi continuò a baciare il collo tenendo saldo nella mano il mio seno destro. Mi scappò un gemito quando il suo tocco si accentuò su entrambi i miei capezzoli ormai rigidi.
“Resisti”- mi imposi nella testa. Così passai al contraccambio e gli slacciai la cintura mentre lo tenevo impegnato a baciarmi il collo. Gli sfilai con difficoltà i jeans stretti, tanto che si fermò e scese dal letto per toglierseli da solo. Solo in quel momento mi resi conto di quanta bellezza mi stavo approfittando e sorrisi divertita all’idea che lui era solo per me in quel momento. Buttò i jeans in un angolo, poi con un ghigno mi saltò sopra afferrandomi i polsi e bloccandomeli al di sopra della testa. Giocai col suo sguardo muovendomi sinuosa sotto il suo possesso.
“Ora tocca a te”- mi soffiò sul viso.
Prese con una sola mano entrambi i miei polsi e li bloccò con fermezza. La pressione aumentava e ansimai dalla paura. Mi slacciò lentamente il bottone dei jeans e con i denti mi tirò giu la zip. Il suo palmo, prima spinto nel materasso, adesso mi avvolgeva il sedere aiutandomi ad alzare il bacino. Così poi da permettergli di sfilarmi i jeans facilmente. Li buttò vicino ai suoi in un angolo della stanza. La luce fioca della lampada al centro della stanza mi ricordava la riserva di mio padre. Ma non era niente a confronto col disordine della riserva. Era tutto perfettamente pulito. “Cocco delle sorelle”- pensai ridendo.
*ZAYN’S POV*
Non mi piaceva quando rideva improvvisa, mi faceva sentire debole e deriso. Con lei il mio orgoglio maschile andava a farsi benedire! E quella prestazione era un po’ anche la mia vendetta sul potere che anche in questi anni la sua assenza aveva avuto su di me. Gli succhiai una parte di pelle sul ventre facendola gemere sotto di me. Poco dopo un minuto lasciai respirare la sua pelle arrossata, poco vicino al suo ombelico. Tirai più su il top fin sotto il seno e con il suo consenso glie lo levai del tutto. Era magnifica. Così tante volte mi immaginavo il suo corpo nudo che in quel momento non mi sembrava vero. Ormai il mio membro si stava scaldando e sentivo chiaro e forte il pulsare del suo sangue all’interno. Durante quella giornata mi ero chiesto più volte se qualcuno l’aveva già fatta sua. Se le sensazione che provava con me, glie le aveva già fatte scoprire qualcun altro. Era qualcosa di insopportabile l’immagine di lei con un altro che non ero io. E questa era la mia occasione per far sapere al mondo che lei mi apparteneva. Soffiai sulla parte rossa del suo ventre, provocandogli la pelle d’oca. Poi mi diressi più giu. Portava delle mutandine di pizzo nero che sfilai leggermente dopo aver stuzzicato con le labbra la sua intimità. L’aria stava diventando sempre più irrespirabile e il suo affanno si faceva sempre più forte. Colsi l’occasione per baciargli ancora le cosce e le gambe per accrescere quello che gli stavo provocando. Quando passai alla cicatrice sul ginocchio tese i muscoli sentendo la mia lingua percorrere esattamente tutta la lunghezza del segno. Conoscevo il suo spirito combattivo e sapevo esattamente cosa stava cercando di fare. Il suo sguardo e i suoi comportamenti erano totalmente scoperti a me. Stava cercando in tutti i modi di non venire. Vedevo chiaramente l’agonia nei suoi occhi. E ciò mi eccitava ancora di più. Ormai il mio membro spingeva contro il tessuto elastico dei miei boxer. Come se letto nel pensiero, la sua mano tremante si aggrappò all’elastico dei miei boxer. Gli afferrai la mano per fargli coraggio e tirò giu i boxer. Poi, sempre guidata da me gli diressi la mano sul mio membro già rigido. Con mio grande stupore mi spostò la mano e fece da sola. Mi irrigidii quando mi accorsi che l’azione non gli era sconosciuta e faceva con esperienza. Chiusi il pugno quando mi provocò piacere prima del solito e questo aumentava sempre di più. Nel mentre mi baciava e leccava la ferita sulle labbra. Arrivai troppo presto al culmine e quando successe digrignai i denti mordendogli il labbro mentre mi baciava.
*CLAIRE’S POV*
Ero soddisfatta di vederlo rosso e felice sopra di me. Mi faceva felice sapere di avergli procurato piacere per così poco. Ma sapevo anche di avergli profondamente ferito l’orgoglio facendolo arrivare così presto. Infatti come pensavo decise di pensare da maschio ed essere quindi completamente prevedibile. Mi baciò l’interno coscia lasciandomi anche piccole chiazze rosse, mentre era impegnato a baciarmi, mi stuzzicava con il dito la mia intimità. Gemetti più volte al suo tocco, riusciva perfettamente a capire quando esagerava a penetrare o quando doveva insistere nonostante le mie suppliche. Nessuno poteva capirmi meglio di lui, neanche Jackson. Nonostante le mie imposizioni di resistenza e le mie suppliche, il mio corpo si abbandonò al piacere insieme alla mia testa e stavolta lo implorai di continuare.

“Ti prego..”- ansimai esausta.
“Cosa?”- sorrise divertito aspettando esattamente ciò che voleva uscisse dalla mia maledetta bocca.
“Ti voglio”- dissi esausta.
Tutto quello che seguì furono movimenti ritmici e forti. Lui che cercava disperatamente di insinuarsi dentro di me. E l’indimenticabile e meraviglioso momento in cui raggiungemmo il piacere insieme.
  E finalmente siamo arrivati al tanto atteso capitolo "hot" della storia. Anche se mio malgrado, questo sarà l'ultimo capitolo. In realtà non sono esattamente sicura di voler far finire la storia questo modo. Perciò ho deciso di farlo dipendere solo da voi.
Quindi, se non vi piace il finale, mi recensite questo capitolo dicendomi ciò che volete accadesse in realtà. Facciamo che minimo 5 recensioni mi serviranno per farmi cambiare idea. Perciò se siete scontente, basta recensire e dirlo. Intanto colgo l'occasione per ringraziare tutte le poche persone che mi hanno seguita per tutto questo tempo ( solo ora mi rendo conto che è quasi passato un anno!) o meglio si sono dedicati alla mia storia. Credo che con più calma pubblicherò una one shoot a rating rosso. Vi amo da morire, un bacio enorme- C.C. 

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